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ISSN 1122-0147 ASSOCIAZIONE ITALIANA PER L’ARBITRATO Pubblicazione trimestrale Anno XXIV - N. 1/2014 Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in a.p. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB (VARESE) RIVISTA DELL’ARBITRATO diretta da Antonio Briguglio - Giorgio De Nova - Andrea Giardina © Copyright - Giuffrè Editore

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ISSN 1122-0147

ASSOCIAZIONEITALIANAPER L’ARBITRATO

Pubblicazione trimestraleAnno XXIV - N. 1/2014Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in a.p. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB (VARESE)

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La Direzione e la Redazione della Rivista hanno sede presso l’Associazio-ne Italiana per l’Arbitrato, in Roma, Via Barnaba Oriani, 34 (c.a.p. 00197) tel. 06/42014749 - 06/42014665; fax 06/4882677; www.arbitratoaia.orge-mail: [email protected]’Amministrazione ha sede presso la Casa Editrice, in Milano (c.a.p. 20151),Via Busto Arsizio, 40 - Internet: http://www.giuffre.ite-mail: [email protected]

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INDICE

DOTTRINA

ELENA ZUCCONI GALLI FONSECA, Ancora su arbitrato rituale e fallimento. 1ANDREA LA MATTINA, L’arbitrato marittimo internazionale ....................... 19FRANCESCO CAMPIONE, La perizia contrattuale ............................................... 53

GIURISPRUDENZA ORDINARIA

I) Italiana

Sentenze annotate:

Corte Cost. 19 luglio 2013, n. 223, con commenti di M. BOVE, A.BRIGUGLIO, S. MENCHINI, B. SASSANI ....................................................... 81

Cass. 10 ottobre 2011, n. 20741, con nota di C. SPACCAPELO, Brevi notesull’ambito oggettivo e soggettivo della clausola compromissoria,nonché sulla sua interpretazione ............................................................ 115

Cass. 6 aprile 2012, n. 5634, con nota di E. DEBERNARDI, Sull’impugna-zione del lodo dichiarativo della competenza arbitrale ..................... 133

Cass. 14 maggio 2012, n. 7450 con nota di RITA TUCCILLO, La nominadegli arbitri: capacità e qualifiche tra autonomia privata e poteridiscrezionali dell’autorità giudiziaria..................................................... 153

App. Milano 12 marzo 2013, con nota di S. CAPORUSSO, Sulla applicabilitàdel filtro all’impugnazione del lodo arbitrale rituale ........................... 183

GIURISPRUDENZA ARBITRALE

I) Italiana

Lodi annotati:

Coll. arb., Napoli 20 giugno 2013, con nota F. TIZI, Alcune riflessioni inmerito all’art. 816-septies c.p.c. .............................................................. 197

III

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RASSEGNE E COMMENTI

TOMASO GALLETTO, Arbitrato e accordi di ristrutturazione dei debiti: unaconvivenza possibile?............................................................................... 215

DOCUMENTI E NOTIZIE

La riforma dell’arbitrato in Belgio ................................................................. 239In memoria del giudice Bernard Corboz [P.B.] ........................................... 261Notizie libri [A.B.]............................................................................................ 263

IV

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Ancora su arbitrato rituale e fallimento (*)

ELENA ZUCCONI GALLI FONSECA (**)

1. Premessa. — 2. La compromettibilità delle controversie endofallimentari. — 3.La sottoscrizione della convenzione arbitrale da parte del curatore. — 4. L’oppo-nibilità al fallimento della convenzione arbitrale stipulata dal fallito in bonis. — 5.La sorte del procedimento arbitrale pendente alla data del fallimento. — 6.L’opponibilità del lodo nei confronti del successivo fallimento.

1. Il problema dei rapporti fra arbitrato e fallimento non cessa maidi porsi. Le questioni che si pongono specialmente sono le seguenti:

a) la compromettibilità delle controversie endofallimentari;b) la sottoscrizione della convenzione arbitrale da parte del curatore;c) l’opponibilità al fallimento della convenzione arbitrale stipulata

dal fallito in bonis;d) la sorte del procedimento arbitrale pendente alla data del falli-

mento;e) l’opponibilità del lodo nei confronti del successivo fallimento.Atteso lo sforzo di sintesi che mi prefiggo, non tratterò dei rapporti

fra arbitrato e procedure minori, nonché dell’arbitrato irrituale: entrambii temi richiederebbero infatti specifici approfondimenti (basti pensareall’art. 169 bis in materia di concordato fallimentare).

Vediamo partitamente le ipotesi sopra menzionate.

2. La legge fallimentare non esclude la possibilità per il curatore distipulare patti arbitrali, poiché detta, da una parte, le cautele necessarieper una valida sottoscrizione (art. 35 l. fall.), dall’altra parte, le modalità dinomina degli arbitri nell’ipotesi di clausola binaria (art. 25 l. fall.).

Si tratta quindi di vedere quali siano le liti scaturenti dal fallimentoche possono potenzialmente essere devolute ad arbitri.

(*) Lo studio trae spunto dalla relazione tenuta presso la Camera arbitrale di Milanoil 3 luglio 2013.

(**) Professore ordinario nella Università di Bologna.

DOTTRINA

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L’art. 806 c.p.c., nel fissare il criterio generale della disponibilità deldiritto, nonché il criterio concorrente dell’assenza di espresso divietonormativo, pur non risolvendo la questione, offre una luce.

In difetto di una specifica presa di posizione del legislatore, infatti,non possono rilevare circostanze quali: la specialità del rito, se non sialegata ad un oggetto del processo non riconducibile all’accertamento didiritti soggettivi; eventuali previsioni di fori inderogabili; norme sostan-ziali inderogabili.

Con riguardo al fallimento, dunque, una interpretazione riduttiva nonpuò fondarsi sull’art. 24 l. fall. istituente il c.d. foro fallimentare (1), perchési tratta di norma che opera all’interno della giurisdizione statuale; nep-pure sulla scelta del rito camerale, se l’oggetto riguardi un diritto sogget-tivo compromettibile.

Si tratta allora di capire se le liti endofallimentari abbiano ad oggettodiritti indisponibili ed a questo proposito, diverse sono le ricostruzioniproposte.

Un leit motiv ricorre, peraltro: l’effetto cui la procedura fallimentaretende, vale a dire la liquidazione concorsuale, realizzabile solo attraversolo speciale procedimento, impedisce l’arbitrato (2), perché altro è l’accer-tamento di diritti, altro sono le attività finalizzate al concorso fallimentare.In altri termini, solo la procedura prevista dalla legge è in grado dirispettare il principio della par condicio creditorum, cosicché il rito permeadi se il diritto sostanziale, in un tutt’uno.

L’assunto porta ad un corollario, pur abbisognevole di precisazioni:quando vi sono in gioco debiti a sfavore della massa, è necessario appli-care il rito fallimentare; diversamente, quando oggetto della lite sonocrediti a favore della massa, non vi è alcun ostacolo alla giustizia privata.

V’è di più: ove si acceda alla discussa idea che il « mondo giuridico »della massa fallimentare sia distinto da quello del fallito, ben sarà possibile

(1) Nel senso del testo VERDE, in Dir. dell’arbitrato, a cura di Verde, Torino 2005, 68.Diff. CARLEO, Controversie non compromettibili, in Dizionario dell’arbitrato, Torino, 1997, 283;in giur. v. Cass., 4 settembre 2004, n. 17891, in Foro it., 2005, I, c. 744, in La nuova giur. civ.comm., 2005, 868 ss., nota di DELLA VEDOVA, Le sorti di un procedimento arbitrale in corso inseguito al sopravvenuto fallimento di una delle parti. Del resto, la norma si ritiene non si applichialle liti connesse da mera occasionalità alla procedura fallimentare: CAPACCIOLI, L’amministra-zione fallimentare di fronte all’arbitrato, in Riv. dir. proc., 530 s.; E. F. RICCI, Lezioni sulfallimento, Milano, 1999, I, 322 ss., spec. 326 s.; BONSIGNORI, Arbitrati e fallimento, Padova, 2000,59. Cass., 15 aprile 2003, n. 5950, in Rep. Foro it., 2003, voce Fallimento, n. 27.

(2) VERDE, in Dir. dell’arbitrato, cit., 68. Più tranchant è Trib. Padova, 6 agosto 2004, inGiur. mer., 2005, 818, e in Soc., 2005, 1033, nota di FINARDI, secondo cui la clausola compro-missoria statutaria non sarebbe vincolante per il curatore, perché la materia dei diritti dellamassa creditoria è interamente indisponibile.

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per quest’ultimo svolgere un arbitrato per l’accertamento di un suo debito,con lodo ovviamente inopponibile al curatore, ma spendibile nel caso dirientro in bonis. (3)

La distinzione fra debiti e crediti appare soddisfacente, ma occorreverificare, caso per caso, quale tipo di controversia venga in rilievo.

Con riguardo ai debiti o diritti a sfavore della massa e più in generaleai procedimenti finalizzati alla realizzazione del concorso fra creditori:

a) il procedimento di ammissione al passivo rappresenta il cuoredella funzione fallimentare, non esportabile in arbitrato. Un eventualelodo di accertamento del credito, effettuato al di fuori del sistema endo-fallimentare, non sarebbe opponibile alla procedura (4).

Analogo discorso va fatto per le impugnazioni dello stato passivo exart. 96 l. fall., che scontano la stessa ratio. (5)

b) Le insinuazioni tardive di crediti non sono compromettibili, sem-pre per lo stesso motivo sub a).

Ove si ritenga che detto procedimento sia l’unico in grado di portareall’interno della procedura concorsuale i debiti del fallito, non resta spazioper l’arbitrato su questi ultimi (6).

Parimenti vale per le richieste di restituzione e rivendica di benimobili od immobili: anche in questo caso, gli inevitabili riflessi sullaformazione della massa passiva rendono a mio avviso inattuabile l’arbi-trato.

c) In generale i rimedi impugnatori dei provvedimenti del giudicefallimentare non possono essere devoluti ad arbitri, essendo funzional-mente inscindibili alla procedura concorsuale (7).

Parimenti vale per il reclamo contro la sentenza di fallimento ex art.

(3) BOVE, Arbitrato e fallimento, in questa Rivista, 2012, 293 ss., fa l’esempio dellanecessità di ottenere l’accertamento dell’inessitenza del credito, per fondare l’eventuale laripetizione di indebito ex art. 114, comma 2, l. fall.

(4) GROPPOLI, Sulla potestas iudicandi degli arbitri in materia fallimentare, in Il fall., 2009,134 ss: non sarebbero arbitrabili « i procedimenti che conducono al decreto di esecutività dellostato passivo previsto all’art. 96, al decreto di ammissione o rigetto di una domanda tardiva diammissione al passivo di un credito, di restituzione o rivendicazione di beni mobili o immobiliex art. 101, al decreto di esecutività del progetto di ripartizione di cui all’art. 110, al decretoingiuntivo circa i versamenti ancora dovuti dai soci a responsabilità limitata come stabilitoall’art. 150, richiamato pure dall’art. 77 in ordine ai versamenti dovuti dall’associato inpartecipazione ».

(5) BONSIGNORI, Arbitrati e fallimento, cit., 57, che nota come l’opposizione allo statopassivo abbia per oggetto anche effetti rilevanti per il fallimento; LA CHINA, Arbitrato, il sistemal’esperienza, Milano, 2011, 25; CARRATTA, Arbitrato rituale su credito e interferenze sullaverificazione del passivo, in questa Rivista, 1999, 105; BERLINGUER, La compromettibilità perarbitri: studio di diritto italiano e comparato, Torino, 1999, II, 168; diff. CAPACCIOLI, L’ammini-strazione fallimentare di fronte all’arbitrato, in Riv. dir. proc., 1959, 539 s., solo se l’opposizionesia stata regolarmente promossa nei modi e nei termini di cui all’art. 98 l. fall.

(6) In tal senso, se non erro, VERDE, op. cit., 53. Sul punto anche Coll. arb. Roma, 6 aprile2000, in Temi rom., 2000, II, 694.

(7) FRASCAROLI SANTI, L’art. 83 bis e i problemi irrisolti nei rapporti tra fallimento e

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18 l. fall., che, oltre che vertere su una situazione indisponibile, hacarattere impugnatorio e si inserisce strettamente nel meccanismo endo-fallimentare (8), nonché, per lo stesso motivo, con riguardo ai reclami exart. 26 l. fall. (9).

Non saranno compromettibili neppure i procedimenti di nullità degliatti della procedura.

d) Per quanto riguarda invece i crediti o diritti a favore della massa,essi possono originare da:

d1) stipula di contratti da parte del curatore;d2) subentro di costui in rapporti già stipulati dal fallito;d3) azioni revocatorie degli artt. 64 ss. l. fall.In tutti i predetti casi non vedo ostacoli preconcetti all’arbitrabilità.Lasciando da parte il caso sub d2), che verrà trattato al par. 4,

l’assunto vale anche con riguardo alle procedure endofallimentari chefanno ricorso al sistema monitorio (art. 77, con riguardo al contratto diassociazione in partecipazione, art. 150 con riguardo ai versamenti deisoci, l. fall.) (10), perché quest’ultimo non impedisce di compromettere inarbitri il diritto soggettivo sottostante, che nella specie riguarda un creditoa favore della massa. Parimenti vale per le azioni revocatorie, ordinarie ofallimentari che siano (11).

Per quanto riguarda i crediti da rapporti sorti dopo il fallimento,occorre il consenso compromissorio da ambo le parti, curatore e debitoredel fallito.

Ciò potrà avvenire sia per compromesso autonomo, sia per clausolacompromissoria contenuta in nuovi contratti.

Si pone dunque il problema di capire a quali condizioni il curatorepossa stipulare patti compromissori.

3. La fonte normativa delle condizioni di stipula si ritrova nell’art.35 l. fall. ove si legge che « i compromessi », alla pari degli atti distraordinaria amministrazione, sono sottoscritti dal curatore previa auto-rizzazione del comitato dei creditori.

Al 3º comma è precisato che, ove l’atto abbia valore superiore acinquantamila euro (nel caso di specie occorrerà probabilmente fareriferimento al valore della lite oggetto di arbitrato), occorre che il giudicedelegato venga informato.

giudizio arbitrale, in Sull’arbitrato: Studi offerti a Giovanni Verde, Napoli, 2010, 367 e ss.sostiene che non sono compromettibili tutti i casi in cui vi sono ragioni specifiche affinché la litesia attratta all’interno del procedimento fallimentare, nonché i giudizi impugnatori.

(8) Si fonda su quest’ultimo rilievo BONSIGNORI, op. cit., 59 s.(9) VINCRE, Fallimento e arbitrato rituale (premesse per uno studio), in Riv. dir. proc.,

1995, 741 s.(10) Sul punto VINCRE, op. cit., 740 s.(11) Per BOVE, op. cit., 302, sono compromettibili anche le azioni revocatorie; conf.

GROPPOLI, op. loc. citt.: tratta anche della revocatoria ordinaria, che dovrebbe parimenti esserearbitrabile.

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Nulla si precisa in ordine alle clausole compromissorie (o, oggi, alleconvenzioni arbitrali non contrattuali).

Accedendo alla ratio dell’art. 35 l. fall., che è evidentemente quella diconsiderare la scelta arbitrale un atto di straordinaria amministrazione, sisarebbe tentati di estendere la norma alle fattispecie de quibus, se nonfosse che nel frattempo, nel regime dell’arbitrato comune, il riferimentoalla straordinaria amministrazione è stato definitivamente soppresso, ed èstato al suo posto introdotto il criterio di « neutralità » del patto compro-missorio, vale a dire la regola per la quale quest’ultimo segue, quanto allacapacità a compromettere, il regime del rapporto cui si riferisce.

Ne consegue una — per quanto possa apparire irragionevole —disciplina differenziata: per i compromessi dovrà farsi riferimento all’art.35 l. fall., speciale rispetto alla disciplina ordinaria; con riguardo invecealle altre species di convenzione arbitrale, dovrà ritenersi applicabile l’art.808 c.p.c., per cui le cautele richieste dalla l. fall. saranno applicabili soloquando il rapporto cui si riferisce la convenzione abbia natura di straor-dinaria amministrazione. A smentita non può valere il richiamo agli attiricognitivi dei diritti dei terzi, che necessitano autorizzazione sempre aisensi dell’art. 35 cit., in quanto il lodo non può evidentemente rientrare inquesta categoria.

Si rammenta che, ove manchi l’autorizzazione, a termini della giuri-sprudenza, si verifica un vizio di mera annullabilità, con conseguentepossibilità di sanatoria (12).

4. Le convenzioni arbitrali stipulate dall’imprenditore, in caso disuccessivo fallimento, sono opponibili al curatore fallimentare (13)?

(12) Cass., 23 settembre 2002, n. 13825, in Fall., 2003, 837.(13) La disciplina sulla sopravvivenza delle opzioni arbitrali è frutto di un lungo dibattito

nato ben prima dell’ultima riforma fallimentare. Si contrapponevano diverse tesi: a) la tesidell’inopponibilità del patto compromissorio alla amministrazione fallimentare (FERRARA Jr.,BORGIOLI, Il fallimento, Milano, 1995, 275; in giur. Cass., 4 agosto 1958, n. 2866, in Giust. civ.,1959, I, 130; Cass., 10 maggio 1959, n. 1474, in Mass. Foro it., 1956, c. 275; Cass., 11 giugno 1969,n. 2064, in Foro it., 1969, I, c. 2490, nota di DI NANNI ; BONELLI, Del fallimento, Milano, s.d., I,490 nota 278 con riguardo al compromesso soltanto); b) la tesi secondo cui il patto compro-missorio conserva i suoi effetti solo se il processo arbitrale è già pendente (Cass., 12 gennaio1956, n. 30, in Mass. Foro it., 1956, c. 7); c) la tesi secondo cui il curatore può sempre sceglierese subentrare oppure no (VECCHIONE, L’arbitrato, Milano, 1971, 349); d) la tesi che il curatoreè libero di scegliere se tenere fermo il vincolo della convenzione arbitrale già stipulata ovverosciogliersene, con una valutazione che deve investire, nel caso della clausola compromissoria,l’intero assetto del contratto nel quale è contenuta: SALVANESCHI, L’arbitrato con pluralità diparti, Padova, 1999, 120; CARLEO, Le vicende soggettive della clausola compromissoria, Torino,1998, 123; cfr. anche BONSIGNORI, op. cit., 37; BERLINGUER, op. cit., 170; Trib. Milano, 3 dicembre2001, n. 13399, in Guida al dir., n. 4 del 2002, 56 con riguardo al contratto d’appalto. VERDE, op.loc. citt.; Cass., 23 gennaio 1964, n. 162, cit. nega la possibilità per il curatore di subentrare nelcontratto e non nella clausola compromissoria; e) la tesi secondo cui il rapporto parti-arbitri (ilc.d. contratto d’arbitrato), inquadrato nell’ambito del mandato - specie con riferimento all’ar-bitrato irrituale - sarebbe comunque sopravvissuto, facendo leva fatto leva sull’inapplicabilitàdell’art. 78 l. fall. (oggi riformulato), (Cass., 14 ottobre 1992, n. 11216, cit.; Cass., 17 aprile 2003,

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A questo interrogativo cerca di rispondere l’art. 83 bis l. fall., atermini del quale « se il contratto in cui è contenuta una clausola com-promissoria è sciolto a norma delle disposizioni della presente sezione, ilprocedimento arbitrale pendente non può essere proseguito » (14).

Sullo sfondo, sta una norma di chiusura secondo cui, in tutti i casi nonprevisti dalla legge, i contratti non ancora eseguiti all’epoca del fallimentorimangono sospesi finché il curatore non abbia scelto se subentrare osciogliersi dal vincolo (art. 72, comma 1º, l. fall.).

Dunque, solo l’ipotesi in cui il fallimento sopravvenga a procedimentoarbitrale pendente è espressamente disciplinata dalla legge: essa prevedeche, nei casi in cui il fallimento operi lo scioglimento ex lege del contratto« principale » non ancora esaurito, il procedimento arbitrale debba arre-starsi; parimenti accade nei casi in cui spetti al curatore la scelta disciogliersi o meno e quest’ultimo opti per la prima via.

La conclusione maggiormente accettata è che la norma sanciscal’estinzione della clausola arbitrale in una con l’estinzione del contratto cuiaccede (15), in deroga al principio di autonomia della convenzione arbi-trale.

Tuttavia, nessuna regola stabilisce che l’estinzione del contratto im-porti l’estinzione della clausola-contratto, quando non si accompagni aduna novazione; inoltre una siffatta interpretazione avrebbe come conse-guenza di escludere una volta per tutte la scelta arbitrale in ordine airapporti fra fallito e terzo contraente che sopravvivano allo scioglimentodel contratto e che derivino da quest’ultimo: conseguenza a mio avvisoirragionevole nell’eventualità in cui il fallito torni in bonis.

A bene vedere — e re melius perpensa (16) —, dunque, l’art. 83 bis puòspiegarsi in altra maniera: non afferma infatti che la convenzione arbitralesi estingue con il contratto, più semplicemente stabilisce che il processoarbitrale non può essere proseguito.

n. 6165, in questa Rivista, 2004, 701 ss., nota di LIPPONI, Ancora su arbitrato e fallimento). Perl’operatività del patto compromissorio nei riguardi dell’amministrazione fallimentare Cass., 14ottobre 1992, n. 11216, in Fall., 1993, 475, con nota di BOZZA; in Foro it., 1993, I, c. 821 ss., connota di BARONE; in Dir. fall., 1993, II, 601, con nota di BONSIGNORI. Ma già prima con riguardoad un caso di perizia contrattuale v. Cass., 23 gennaio 1964, n. 162, in Foro it., 1964, I, c. 501 ss.,in Banca e borsa, 1964, II, 223, con nota di GRAZIADEI e in Dir. e prat. ass., 1964, II, 407, con notadi PAJARDI.

(14) Fra gli altri, sulla norma, VESSIA, Gli effetti del fallimento sulle clausole arbitrali e suiprocessi arbitrali pendenti, in Dir. fall., 2008, 773; ss. TEDIOLI, Appunti sul rapporto tra arbitratorituale e sopravvenuto fallimento di una delle parti, in Studium iuris, 2006, 526 ss.

(15) Diff. APICE, Arbitrato e procedure concorsuali, in Dir. Fall., 2013, 263 ss., fa prevalereil contratto di arbitrato, cosicché il curatore, ove sia già in essere il rapporto parti-arbitri, nonpotrebbe rifiutare la clausola arbitrale perché non si applicherebbe l’art. 83 bis destinato solo aicasi in cui il contratto di arbitrato non si sia ancora perfezionato, ma si applicherebbe l’art. 72sul fatto che il mandato non si scioglie per fallimento del mandante. A mio avviso, ove si accettila premessa dell’estinzione della clausola arbitrale, anche il contratto di arbitrato verrebbemeno in quanto contratto dipendente dal primo, che è negozio di durata. Ma è la premessa anon convincermi come dirò subito appresso.

(16) V. infatti quanto da me scritto in Arbitrato, a cura di Carpi, Bologna, 2007, 113 ss.

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Per chiarire l’assunto, è pregiudiziale verificare quale sia il ruoloassunto dal curatore rispetto al fallito ed ai rapporti giuridici inerenti il suopatrimonio.

Le ricostruzioni (17) sono le più varie: rappresentanza legale, sostitu-zione processuale, netta terzietà.

Probabilmente ha ragione chi nota che il curatore non può essereparificato ad un ordinario rappresentante legale, in quanto amministratoredella massa nell’interesse dei creditori e, dunque, dotato di funzioneautonoma, rispetto al rapporto fra fallito e suo patrimonio (18).

Si è così detto che la perdita di capacità è solo relativa (19); che non sipuò negare l’interesse del fallito a regolare il proprio patrimonio perl’eventualità di ritorno in bonis (20) (ad es. ai fini della ripetizione diindebito, relativamente al credito dell’altro contraente); che nei casi in cuiil fallito conserva un qualche interesse, — potenzialmente tutti — non siverificherebbe mai la perdita di legittimazione nel processo.

(17) Per la perdita della capacità di agire in capo al fallito, fra gli altri: RAGUSA MAGGIORE,Istituzioni di diritto fallimentare, Torino, 1994, 166; PROTO PISANI, Lezioni di diritto processualecivile, Napoli 2006, 307; GIORGETTI, La capacita′ processuale del fallito nei giudizi litisconsortilicon il fallimento, in Fall., 2003, 1085, in nota a Cass., 5 marzo 2003, n. 3245, che concorda conla pronuncia sulla perdita assoluta della capacità, nel caso in cui sia stato evocato in giudizioanche il fallimento; Cass., 20 dicembre 2006, n. 27263, e Cass., 30 agosto 2004, n. 17418, inDejure, entrambe in termini di incapacità relativa del curatore, da lui non rilevabile; sul puntoanche GARRA, in Il nuovo fallimento, a cura di Santangeli, Milano, 2006, 217 ss.; per TURRONI,Liquidazione coatta amministrativa invalida, fallimento invalido e processi pendenti, in Riv. dir.proc., 2008, 1552, l’interruzione non deriva necessariamente dalla perdita della capacità di agire,ma dalla necessità di far intervenire il curatore. Se poi si accolga l’idea che oggetto delprocedimento fallimentare non è il credito del terzo, bensì il suo diritto al concorso, a maggiorragione sarà legittimo un procedimento arbitrale avente ad oggetto il primo — e non il secondo—. Intendo riferirimi a quella autorevole dottrina secondo cui oggetto del procedimentofallimentare di ammissione al passivo è il diritto al concorso, di cui il diritto di credito costituiscemeramente una questione pregiudiziale, in quanto tale soggetta all’art. 34 c.p.c. (E.F. RICCI,Lezioni, cit., 322 ss.): si potrebbe dunque ipotizzare che l’arbitrato possa proseguire sul dirittodi credito, mentre in via parallela il giudice fallimentare possa apprezzarne l’esistenza incidentertantum, ai fini del diritto al concorso; il fallito non è dunque incapace (ID., op. cit., 227 ss.); sulpunto anche MONTANARI, Fallimento e giudizi pendenti sui crediti, Padova, 1991, 83 ss.

(18) Cfr. SATTA, Istituzioni di dir. fall., Roma, 1952, 104 ss., osserva che il curatore èpiuttosto un amministratore sostitutivo. Il patrimonio che egli rappresenta è dunque diverso dalpatrimonio del debitore, tanto è vero che vi rientrano le revocatorie. Non si sostituisce né aicreditori né al debitore, compie atti autonomi di amministrazione della massa, al fine precipuodi tutelare i creditori: ha dunque un potere originario (v. però p. 142, in cui accenna ad unaperdita di legittimazione processuale in capo al fallito).

(19) Vedi note precedenti; significativo in tal senso è lo studio di di MANDRIOLI, Larappresentanza nel processo civile, Torino, 1959, 120 ss.; secondo APICE, Arbitrato e procedureconcorsuali, in Dir. fall., 2013, 263 ss. « poiché l’incapacità processuale del fallito non è assoluta,ma relativa al rapporto con la massa dei creditori, propenderei a ritenere che il lodo pronunciatodopo la dichiarazione di fallimento non sarà inutiliter datum, ma produrrà i suoi effetti una voltatornato in bonis il fallito ». Dubbioso sulla possibilità di portare avanti il processo, DE SANTIS,Sull’opponibilità al curatore fallimentare della convenzione d’arbitrato stipulata dal fallito allaluce delle riforme della legge concorsuale, in Sull’arbitrato, cit., 357: pone in luce, peraltro, ledifficoltà che nascono dal fatto che il fallito non ha la capacità processuale.

(20) Cass., 28 maggio 2003, n. 8545, cit.; fa l’ipotesi in cui non emerga durante ilprocedimento arbitrale il fallimento della parte DE SANTIS, in Diritto delle procedure concor-suali, a cura di Trisorio Liuzzi, Milano, 2013, 197.

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L’assunto, pur estremamente ragionevole, si scontra però con l’isti-tuto della interruzione generalizzata, che per sua funzione inerisce adeventi incidenti sulla legittimazione processuale della parte (21): secondol’art. 43 l. fall., infatti, al momento del fallimento il processo si interrompee il curatore sta in giudizio al posto del fallito limitatamente ai « rapportidi diritto patrimoniale [...] compresi nel fallimento » (22).

Non si spiegherebbe come mai il processo subisca un arresto, se ilfallito, conservando in piena la sua legittimazione processuale, potessecontinuare nella lite — senza beninteso poter spendere il giudicato neiconfronti del curatore —.

La giurisprudenza tenta di risolvere l’aporia sembrando dare, in modofrancamente discutibile, agli organi fallimentari il potere di valutare se ilfallito abbia interesse a proseguire (23): quasi uno stato di quiescenzatemporaneo del processo, in attesa della decisione del curatore di prose-guire lui stesso o consentire al fallito di continuare.

Quale che sia la soluzione, occorre prendere atto, a mio avviso, che,limitatamente ai rapporti di cui all’art. 43 l. fall., nei quali il fallimento siacoinvolto (o, seguendo la giurisprudenza, decida di essere coinvolto), ilfallito perde la legittimazione ad agire.

In questi casi, dunque, è logico ritenere che il processo non possaproseguire, venendo meno un indispensabile presupposto processuale, ameno che non subentri il soggetto cui « spetta stare in giudizio ». Ed èproprio a questo punto che viene in rilievo la relatività del patto arbitrale:eccetto il caso della successione, quest’ultimo non è opponibile al terzo,nella specie il curatore.

Converrà distinguere le diverse ipotesi.a) Contratti non eseguiti in cui il curatore subentra. Partendo dal caso

più semplice, quale sorte avranno i processi arbitrali che vertano sucontratti non ancora eseguiti, nei quali il curatore scelga (o ciò gli siaimposto dalla legge) di subentrare?

(21) V. le perspicue osservazioni di MONTANARI, La sopravvenienza del fallimento incorso dicausa tra riforma e recenti evoluzioni giurisprudenziali, in Fall., 2008, 308 ss., spec. 312ss., che per sua espressa ammissione getta il sasso e allontana furbescamente la mano: l’a. avevasostenuto imn altra sede (ID., Fallimento e giudizi pendenti sui crediti, Padova, 1991, 83 ss.) latesi della inidoneità della sentenza di fallimento a privare il fallito della capacità di stare nelprocesso.

(22) Se poi il procedimento arbitrale fosse stato iniziato con la proposizione delladomanda d’arbitrato, ci si era chiesti se il curatore vi fosse vincolato: in senso positivo si erarichiamato l’art. 43 l. fall. (che fa riferimento ai giudizi pendenti: a voler seguire l’impostazionedella giurisprudenza sulle differenze fra arbitrato rituale e irrituale, per quest’ultimo l’art. 43 cit.non sarebbe invocabile, ma resterebbe pur sempre, secondo VERDE, op. cit., 55, l’opponibilitàdella convenzione arbitrale e la conseguente efficacia del contratto-lodo), in combinazione conil disposto di cui all’art. 820, comma 3º c.p.c.

(23) Secondo Cass., 20 marzo 2012, n. 4448, mentre quando il fallimento è già parte, ilfallito non può a lui sostituirsi nelle scelte processuali; diversamente, quando il fallimento èestraneo alla lite, il fallito può proseguire « quando alla negativa valutazione si accompagnil’espresso riconoscimento della facoltà del fallito di provvedere in proprio e con suo onere ».

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L’art. 83 bis nulla dice in ordine al caso di specie, ma la soluzione èricavabile, oltre che da una esegesi a contrario della norma, ancor primafacendo richiamo ai principi generali in materia di negozio.

Poiché il curatore succede nel contratto (24) succede anche nellaclausola arbitrale ivi acclusa, non essendo possibile una valutazione auto-noma circa la convenienza della scelta arbitrale, rispetto a quella delcontratto principale. L’assunto è in linea con le regole in tema di succes-sione nella convenzione arbitrale.

Se dunque il fallimento si verifichi durante il procedimento arbitrale,ciò comporterà, come si vedrà nel prossimo paragrafo, l’onere per gliarbitri di adottare tutte le misure necessarie per ripristinare il contraddit-torio nei confronti del nuovo legittimato.

Unica eccezione saranno le liti inerenti crediti a sfavore della massa,che dovranno necessariamente essere sottoposte a procedura concorsuale:su queste gli arbitri non potranno pronunciarsi, quanto meno con effettiopponibili alla massa, e per lei al curatore (25).

La stessa regola varrà, a maggior ragione, ove il processo arbitralenon sia ancora iniziato.

b) Contratti non eseguiti in cui il curatore non subentra a processoarbitrale pendente. Più complesso è il caso in cui il curatore abbia deciso disciogliersi dal contratto in corso: qui interviene l’art. 83 bis, limitatamenteall’ipotesi di processo pendente.

Scioglimento significa mancato subentro del curatore nel contratto: ilcuratore è e rimane terzo (26), anche rispetto alla clausola compromissoria.È logico, pertanto, che non gli possa essere opposta.

D’altro canto, gli arbitri non potranno proseguire nella lite, in tutti icasi in cui riscontrino la perdita della legittimazione processuale in capo alfallito: cioè nei casi già visti — e, lo ripeto, la cui estensione non è affattopacifica in dottrina — di cui all’art. 43 l. fall.

Se ciò è vero in linea di massima, occorre però andare più a fondo,esemplificando opportunamente.

b1. Crediti precedenti allo scioglimento. Può darsi che al momento delfallimento e del conseguente scioglimento del contratto, il fallito siacreditore dell’altro contraente per una obbligazione non eseguita.

Ad esempio, con riguardo ad un contratto di leasing, l’utilizzatore nonha pagato alcune rate maturate prima del fallimento della società dileasing e c’è un procedimento arbitrale in corso su questo oggetto.

(24) Anche chi, come Vincre (op. cit., 72), accoglie la tesi della differenziazione fraposizione del curatore e posizione del fallito, riconosce però un fenomeno successorio nelsubentro nei contratti in essere.

(25) In tal senso Cass., 17 aprile 2003, n. 6165, cit.; sulla riforma v. VINCRE, in I contrattiin corso di esecuzione nelle procedure concorsuali, a cura di Guglielmucci, Padova, 2006, 332 ss.;SCHIANO DI PEPE, in Il dir. fall. riformato: commento sistematico, a cura di Schiano di Pepe,Padova, 2007, 294.

(26) Esclude che il curatore possa essere considerato un successore nel procedimento diammissione dei crediti, Cass., 20 febbraio 2013, n. 4213.

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Il curatore decide di sciogliersi dal contratto di leasing, ma intendealtresì recuperare il credito a favore della massa: è vincolato al pattoarbitrale?

L’art. 82 bis è tranchant: in tutti i casi di scioglimento del contratto,nessuno escluso, il processo arbitrale è improseguibile.

Se si dovesse ritenere che il curatore succeda nella posizione delfallito rispetto al credito derivante dal contratto sciolto, si avrebbe unavistosa eccezione alla regola secondo cui la successione nel diritto importasuccessione nel correlativo patto arbitrale (27): è vero che la Cassa-zione (28) nega che il cessionario del credito possa avvalersi del pattoarbitrale, ma garantisce pur sempre il diritto all’arbitrato da parte delterzo contraente.

Si potrebbe giustificare l’assunto sulla prevalenza dell’interesse allatutela dei creditori del fallito. Tuttavia, resta difficilmente spiegabile laragione della differenza di trattamento rispetto al subentro nel contratto:perché la successione nel diritto derivante dal contratto non importa, alpari della successione nel contratto, il vincolo arbitrale?

Come si è anticipato supra, la soluzione adottata dall’art. 83 bis puòspiegarsi in altro modo: il curatore rimane terzo rispetto al credito delfallito, per cui l’inopponiblità del patto compromissorio trova la sua pienaratio.

Benché il profilo meriti ben altro approfondimento, osservo che la tesisecondo cui il curatore fa valere una situazione distinta rispetto a quelladel fallito pare più in linea con l’indiscussa autonomia della sua fun-zione (29).

L’art. 83 bis si limiterebbe dunque a prenderne atto, derivando la suanaturale conseguenza, cioè l’impossibilità per gli arbitri di giungere alladecisione nel merito: il fallito non ha più, infatti, la disponibilità di queldiritto — e dunque la correlativa legittimazione processuale — ormaiattratto alla massa.

A questo punto però ci si deve chiedere se sia possibile ovviare allo

(27) La convenzione arbitrale, infatti, continua a regolare il rapporto anche quandoquesti si sia estinto: per Cass., 17 aprile 2003, n. 6165, in Fall., 2004, 523 con nota di VINCRE, inGiust. civ., 2004, I, 2408, « Il curatore che azioni un credito la cui causa petendi risieda nelrapporto sociale tra un consorzio e l’impresa (poi fallita ed esclusa) in relazione a prestazioni,attinenti all’oggetto sociale, da quest’ultima effettuate, non può disconoscere la clausolacompromissoria contenuta nel contratto consortile e stabilita per la risoluzione delle contro-versie sorgenti tra le singole imprese consorziate o tra le stesse ed il consorzio ».

(28) Cass., 28 dicembre 2011, n. 29261.(29) Osservava Satta (Istituzioni di dir. fall., Roma, 1952, 223 ss.) che il contratto che sia

già stato eseguito da una delle parti, — e ne derivi solo un diritto di credito o di debito dellamassa —, non può rientrare in quelli in cui il curatore può subentrare, perché già esaurito; lafattispecie di cui al testo sarebbe analoga, dallo scioglimento il contratto non c’è più e residuasolo un ordinario credito o debito. Sul punto anche PAJARDI, PALUCHOWSKY, Manuale di dir. fall.,Milano, 2008, 460.

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spreco di costi e tempi, nel caso in cui il curatore reputi più utileproseguire nel processo arbitrale, piuttosto che iniziare un procedimentogiudiziale ex novo.

Si potrebbe invocare l’art. 72 comma 1º, sostenendo che la conven-zione arbitrale è contratto ontologicamente separato, suscettibile di auto-noma valutazione da parte del curatore, nonché di durata e dunque nonancora eseguito (30), ma si verificherebbe una difficilmente accettabileipotesi di successione nella sola clausola arbitrale, senza che vi sia con-temporanea assunzione del rapporto assistito da quest’ultima (31).

Si potrebbe poi avanzare l’idea di un intervento del curatore.L’assunto non è peregrino, ma occorre tenere presente che, mentre

l’intervento adesivo dipendente presuppone che il fallito conservi lalegittimazione ad agire — il che non è almeno secondo l’interpretazionepiù aderente al testo dell’art. 43 l. fall. —, l’intervento adesivo autonomoo principale presuppongono il consenso dell’altra parte; solo a questacondizione, pertanto, il curatore potrà partecipare all’arbitrato, mentrel’intervento del successore a titolo particolare va a mio avviso escluso perla impossibilità di configurare nella fattispecie una ipotesi di successione atitolo particolare nell’accezione di cui all’art. 111 c.p.c. — come si vedrànel prossimo par. —. (32)

Nessuna delle soluzioni prospettate è soddisfacente: meglio sarebbestato, nell’interesse del fallimento, permettere al curatore di valutare laconvenienza del procedimento arbitrale in corso. Si deve pertanto pren-dere atto della risposta negativa.

b2. Debiti precedenti allo scioglimento. La soluzione è più semplice: ilcredito del terzo nei confronti della massa deve seguire la proceduraconcorsuale (33); gli arbitri dovranno soprassedere al giudizio nel merito,e l’art. 83 bis ne è la conferma. Ne è parimenti la conferma l’art. 72 l. fall.nella parte in cui stabilisce che, a contratto sciolto, l’eventuale credito delterzo contraente possa essere ammesso al passivo.

(30) Sul problema della qualifica della convenzione arbitrale ed in particolare delcompromesso come contratto non ancora eseguito: VINCRE, Arbitrato rituale e fallimento, cit., 80.Su questi aspetti anche VERDE, op. cit., 53; MACCHIA, Opponibilità della clausola compromissoriaal fallimento del contraente, in Il fall., 2006, 818 ss.; diff. Trib. Terni, 7 febbraio 2011, in Giur. it.,2012, 384 ss., con nota di FRADEANI, secondo cui la clausola non potrebbe definirsi comecontratto pendente ex art. 72 perché non ha reciproche prestazioni.

(31) Diverso sarebbe se si ritenesse che il curatore subentri nel rapporto di creditoderivante dal contratto poi sciolto: a questo punto, si tratterebbe di « sistemare » l’incrociatodisposto degli artt. 72, comma 1º e 83 bis, ritenendo che il primo vada ad attenuare il tenoretranchant del secondo: vale a dire, il processo non può essere proseguito, a meno che il curatorenon decida di subentrare nella clausola arbitrale.

(32) Si parla infatti di trasferimento per atto tra vivi a titolo particolare, che non mi parericorra nella fattispecie.

(33) Nel qual caso, già prima la Cassazione aveva ritenuto che gli arbitri dovesseropronunciare la improcedibilità del giudizio arbitrale: Cass., 6 giugno 2003, n. 9070, in D&G,2003, n. 26, 90, in questa Rivista, 2004, 299, nota SOTGIU, in Giur. it., 2004, 964, in Corr. giur.,2004, p. 322 ss., nota di MONTANARI; Cass., 4 settembre 2004, n. 17891, in Dejure; v. sul puntoTIZI, Fallimento e giudizi arbitrali pendenti su crediti, in Dir. fall., 2005, 440 ss.

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b3. Azioni « neutre » precedenti allo scioglimento. L’art. 72 l. fall., al5º comma, dispone che l’eventuale azione di risoluzione (34) del contratto,proposta prima del fallimento, « spiega i suoi effetti » nei confronti delcuratore (35).

Non v’è motivo di escludere che la disposizione valga anche quandol’azione di risoluzione sia pendente davanti agli arbitri: naturalmente,dovrà essere data la possibilità per il curatore di difendersi attivamente, senecessario attraverso la sua chiamata.

A mio avviso, la ratio dell’art. 72 ne permette l’applicazione a tutte lepossibili liti « neutre » preesistenti al fallimento sul contratto sciolto, qualil’annullamento o la nullità, a condizione che non siano avanzate pretese dicredito da parte del terzo contraente, che dovranno essere in ogni casoassoggettare al rito fallimentare.

Ciò significa che, in tutti questi casi, l’art. 83 bis non si applica inquanto superato da disposizione speciale.

b4. Rapporti successivi o derivanti dallo scioglimento. Nel caso in cuivengano dedotti nel corso dell’arbitrato rapporti successivi all’estinzione osorgano eventuali liti circa lo stesso scioglimento del contratto (36), rimanea maggior ragione valida la regola della inopponibilità della clausolaarbitrale nei riguardi del curatore.

Per esempio, l’eventuale risarcimento del danno conseguente dall’e-sercizio del diritto di scioglimento, che dovrebbe comunque essere riget-tato per effetto dell’art. 72, comma 4º, non potrà essere rivolto agli arbitridi un processo pendente alla data del fallimento.

Ancora, riprendendo l’esempio sopra dedotto del leasing, poiché aisensi del’art. 72 quater l. fall. il concedente ha diritto alla restituzione delbene, mentre il curatore del fallimento dell’utilizzatore ha diritto alladifferenza fra maggior somma ricavata dalla eventuale vendita ed ilcredito residuo che il fallito avrebbe dovuto pagare, nessun vincoloarbitrale potrà operare nel caso in cui il curatore faccia valere il dirittodella massa e neppure se il concedente reclami la restituzione della cosadal curatore.

c) Contratti non eseguiti in cui il curatore non subentra a processoarbitrale non ancora iniziato. Se il processo arbitrale non sia ancora

(34) Per una esaustiva ricostruzione dei precedenti e della ratio della norma, v. FRASCA-ROLI SANTI, Il dir. fall. e delle procedure concorsuali, Padova, 2012, 270 s.

(35) Purché, in caso di beni immobili, la domanda di arbitrato sia stata trascritta,altrimenti gli eventuali effetti del lodo non dovrebbero poter spiegare effetti nei riguardi delcuratore.

(36) Dico probabilmente perché, benché l’art. 808 quater c.p.c. suggerisca la soluzionecontraria, vi sono a mio avviso problemi di limiti soggettivi, in quanto, a differenza dei casi incui il curatore benefici di rapporti dare-avere preesistenti allo scioglimento, non può parlarsi disubentro del curatore in una situazione preesistente del fallito. Conf. DE SANTIS , Sull’opponi-bilità al curatore fallimentare della convenzione d’arbitrato stipulata dal fallito alla luce delleriforme della legge concorsuale, cit., 364.

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iniziato al momento del fallimento ed il contratto sia sciolto, la ratiodell’art. 83 bis, come esposta ai punti precedenti, rimane valida. Unaeventuale lite promossa dal curatore in ordine a crediti della massa nonsarà obbligatoriamente soggetta ad arbitrato; parimenti varrà per even-tuali crediti derivanti dallo scioglimento, mentre eventuali debiti dellamassa dovranno essere dedotti con il rito concorsuale.

d) Compromessi o convenzioni arbtrali non contrattuali. L’art. 83 bisnon tratta del compromesso e della convenzione arbitrale non contrat-tuale preesistenti (37), ma sono propensa a far prevalere sul dato letteralela comunanza di ratio.

e) Domande di dare-avere in processi arbitrali pendenti. Cosa accadese nel giudizio arbitrale si contrappongano domande di dare-avere, dellequali soltanto quella avente ad oggetto il credito a sfavore della massa siaattratta alla procedura fallimentare (38)?

Si è ritenuto che l’intera controversia debba spostarsi in sede falli-mentare (39), ma il sopravvenuto art. 819 ter legittima a mio avviso lasoluzione opposta, cioè le vie parallele — con tutti i problemi di coordi-namento che ne deriveranno —.

Ove il credito sia posto in via di compensazione varrà la disciplinadell’art. 56 l. fall. (40)

f) Contratti interamente eseguiti. Anche per i contratti già interamenteeseguiti all’epoca del fallimento possono darsi rapporti sospesi, assistiti daclausola arbitrale, per i quali sia finanche già pendente il processo arbi-trale.

Qui l’art. 83 bis non opera per espressa previsione della norma, che siapplica ai contratti non ancora del tutto eseguiti.

Tuttavia, se si vuol essere coerenti con quanto sopra sostenuto, amaggior ragione deve ritenersi che il curatore non succeda nei rapportiscaturenti dai contratti già eseguiti (41) e conseguentemente non sia vin-colato dal relativo patto compromissorio. Ciò non implica, come si è giàdetto in precedenza, che quest’ultimo si sia estinto per ciò solo dell’avve-nuta estinzione del contratto: solo, non sarà opponibile al curatore.

g) Liti fra fallito e terzo cui il fallimento è estraneo. Da ultimo occorre

(37) Conf. BOVE, op. cit. 308.(38) Si è posto ad esempio il caso in cui, in un processo arbitrale (di arbitrato irrituale),

il terzo aveva fatto valere in via riconvenzionale un credito: Cass., 16 giugno 2000, n. 8231, inquesta Rivista, 2001, 439 ss. con nota di CAVALAGLIO.

(39) COLESANTI, Giudizio arbitrale e sopravvenuto fallimento di una delle parti, in Dir.fall., 1998, 166 ss.

(40) Per una esaustiva trattazione di quest’ultimo aspetto, VANZETTI, Compensazione eprocesso fallimentare, Milano, 2012, 37 ss.; nel Lodo arb. Milano, 10 settembre 2004, in questaRivista, 2006, 149 ss., nota di LIPPONI si trattava di un credito opposto in compensazione comemera eccezione nei confronti dell’imprenditore in amministrazione straordinaria.

(41) La lite riguardante un contratto estinto costituirebbe mera questione pregiudizialerispetto alla massa secondo VANZETTI, op. cit., 436.

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menzionare i casi in cui la lite fra fallito e terzo (pendente o no il processoarbitrale) abbia ad oggetto un rapporto diverso, non importa se pregiu-diziale o meno, da quello di cui è titolare il curatore. Liti, cioè, che nonrientrano nell’accezione già vista dell’art. 43 l. fall.

Si è visto che quanto più si separano concettualmente i rapportipatrimoniali del fallito dai rapporti patrimoniali della massa, tanto più siallarga la sfera di terzietà del curatore rispetto ai vincoli arbitrali delfallito.

Qui mi limito a riportare esempi nei quali la posizione di terzietà delcuratore rispetto alla controversia pendente non può, a mio parere,revocarsi in dubbio: ad esempio, una lite fra fallito e terzo contraente, conriguardo ad una disposizione negoziale non opponibile alla massa (42);oppure una controversia endosocietaria, come ad esempio l’impugnativada delibera assembleare da parte di un socio, devoluta ad arbitri pereffetto di una clausola arbitrale contenuta nello statuto, con successivofallimento della società.

Anche in questi casi si rimane fuori dall’ambito dell’art. 83 bis.Ciò non toglie che il curatore rimarrà terzo sia rispetto alla conven-

zione arbitrale, sia all’eventuale processo arbitrale, sia al successivo lodo,che potrà se del caso impugnare con l’opposizione di terzo (43).

Potrà, se mai, decidere di intervenire nel procedimento pendente, allecondizioni di cui all’art. 816 quinquies c.p.c.; nell’esempio dell’arbitratoendosocietario l’intervento sarà ammesso alle condizioni assai più larghedi cui all’art. 35 d.lgs. n. 5 del 2003.

Dall’assetto che precede emerge a mio avviso una considerazione deiure condendo: poiché l’arbitrato non è uno strumento di soluzione delleliti ontologicamente peggiore rispetto al processo statuale, ma occorrevalutare caso per caso i pro e i contra, meglio sarebbe stato affidare alcuratore la valutazione circa la convenienza o meno di proseguire (44).

Del resto, che il legislatore non abbia ancora trovato un punto fermonei rapporti fra arbitrato e fallimento è dimostrato dal nuovo art. 169 bisl. fall. in tema di concordato preventivo, che adotta una soluzione oppostaa quella dell’art. 83 bis.

(42) Cass., 28 maggio 2003, n. 8545, in questa Rivista, 2004, 713 ss., con nota di TOTA, Sullalegittimazione del curatore all’opposizione ordinaria di terzo avverso il lodo arbitrale pronun-ciato nel contraddittorio del solo fallito: si trattava di una vendita non opponibile ex art. 45 l. fall.

(43) VINCRE, op. cit., p. 71 ss.; ID., Opponibilità ed efficacia nei confronti del curatore dellaclausola compromissoria, in Il fall., 2004, 527 ss.

(44) L’art. 83 bis, infatti, non sembra dare scampo e ciò nemmeno se lo si interpreti comeautomatica estinzione contestuale. Infatti non si può sostenere, a mio avviso, che riguardi solole liti successive o derivanti dallo scioglimento, perché si tratta di rapporti che non possonoessere stati dedotti prima del fallimento e la norma evidentemente lo presume. Né può ritenersiche la clausola arbitrale, pur estinguendosi, operi ex nunc, perciò resti in piedi per le litiprecedenti, perché il patto compromissrio non riguarda diritti collocabili nel tempo; inoltrevarrebbe pur sempre il principio tempus regit actum per gli atti conseguenti alla clausola.

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Significativa è anche la proposta di revisione (45) del regolamentoeuropeo sul fallimento transfrontaliero (n. 1346 del 2000): l’art. 15 (46)dovrebbe infatti prevedere che « gli effetti della procedura d’insolvenza suun procedimento giudiziario o arbitrale pendente relativo a un bene o a undiritto del quale il debitore è stato spossessato sono disciplinati esclusiva-mente dalla legge dello Stato membro in cui il procedimento è pendenteo ha sede l’arbitrato »; si aprono pertanto le porte — limitatamente aifallimenti transnazionali — ad ordinamenti non altrettanto rigorosi ri-spetto al nostro, quanto all’operatività dell’arbitrato rispetto al fallimento.

5. A questo punto occorre verificare più da vicino quali siano irisvolti processuali nel caso in cui il fallimento ricorra a processo arbitralependente.

a) Dichiarato in giudizio l’avvenuto fallimento, si discute se debbafarsi applicazione dell’art. 816 sexies (47), o dell’art. 43, comma 3º, l.fall. (48), con diverse conseguenze: eventuale sospensione del processo, nelprimo caso, interruzione obbligatoria, nel secondo caso.

Io ritengo che debba preferirsi la prima soluzione: l’art. 816 sexies èdettato specificamente per l’arbitrato e riguarda tutti i casi in cui la parte« viene meno », accezione generica in grado di ricomprendere anche ilcaso de quo; in presenza di una disciplina dettata appositamente perl’arbitrato e tesa evidentemente ad escludere l’istituto della interruzione,sarei per ritenere l’art. 43, comma 3º, l. fall. rivolto alle sole liti davanti algiudice.

Resta ferma, peraltro, l’applicabilità dell’art. 43, comma 1º, l. fall. (49),a termini della quale con il fallimento il fallito perde la legittimazione astare nel processo e ciò perché la legittimazione a stare in arbitratocoincide con la legittimazione processuale davanti al giudice statuale: diconseguenza, va escluso, a mio avviso, ogni richiamo alla diversa ipotesidella successione a titolo particolare (50).

Dunque, gli arbitri dovranno predisporre le misure idonee al ripri-stino del contraddittorio, chiamando direttamente il curatore in giudizio o

(45) COM (2012) 744.(46) Riformulato nella rubrica « Effetti della procedura d’insolvenza sui procedimenti

giudiziari o arbitrali pendenti »,(47) BOVE, op. cit., 309 ss.(48) CASTAGNOLA, Arbitrato pendente e subentro del curatore nel contratto contenente la

clausola compromissoria, in Sull’arbitrato, cit., 167 ritiene si applichi l’art. 43 l. fall., per cui ilprocedimento arbitrale è interrotto e non sospeso; conf. DE SANTIS , sull’opponibilità al curatorefallimentare della convenzione d’arbitrato stipulata dal fallito alla luce delle riforme della leggeconcorsuale, loc. cit.

(49) Diff. CASTAGNOLA, op. loc. ultt. citt.(50) Sempre CASTAGNOLA, op. loc. ultt. citt., che comunque perviene al risultato di far

prevalere l’art. 43 l. fall. in tutto il suo contenuto.

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invitando le parti a farlo. Se del caso potranno sospendere il procedi-mento, ottenendo così anche la sospensione del termine per la pronuncia(art. 820 c.p.c.).

Non va neppure esclusa l’ipotesi in cui il curatore si costituiscaspontaneamente, senza soluzione di continuità.

Se le parti, invitate a chiamare il curatore, non vi provvedano, non perciò il processo viene meno: gli arbitri potranno discrezionalmente decideredi rinunciare al mandato e peserà nella loro valutazione l’eventualità cheil lodo possa spiegare effetti al di fuori del fallimento (51).

Quanto alla posizione del curatore, tutto dipenderà dall’operatività omeno del vincolo arbitrale nei suoi riguardi.

Nei casi, già visti, in cui sia vincolato alla convenzione compromisso-ria, sarà soggetto agli effetti del lodo anche quando decida di noncostituirsi (52).

In ipotesi opposta, nulla toglie che sia notiziato del processo pen-dente, ma non lo si potrà forzare a parteciparvi, a meno che non decida diintervenire, ai sensi e nei limiti dell’art. 816 quinquies (53).

In entrambi i casi, accetterà il processo arbitrale nello stato in cui sitrova (54), senza poter influire sulla designazione degli arbitri in ipotesi giànominati, in linea con la disciplina ordinaria dell’intervento del terzo.

Il meccanismo delineato torna a far emergere l’incongruenza giàsegnalata nelle pagine precedenti. Per un verso, l’applicazione dell’art. 816sexies al sopravvenuto fallimento presuppone la perdita in capo al fallitodella legittimazione a stare in arbitrato; per altro verso, ben possono darsicasi in cui il curatore non sia vincolato a partecipare al processo arbitrale,che potrebbe continuare senza la sua presenza e senza alcun effetto neisuoi riguardi.

Ciò si spiega, ancora una volta, per la relatività della perdita dilegittimazione in capo al fallito, che conserva l’astratta idoneità al com-pimento di atti processuali, mentre perde il potere di compierli, nei solilimiti previsti dagli artt. 42 ss. l. fall.: sarà dunque possibile per il fallitocontinuare a stare in giudizio al di fuori dell’ambito devoluto al fallimento.

Nel caso in cui il curatore non succeda nella posizione del fallito,come opera tecnicamente il riferimento alla non « proseguibilità » delprocesso arbitrale?

(51) NITROLA, Arbitrato e fallimento, in I contratti, 2012, 756 ss.(52) NITROLA, op. loc. ultt. citt.(53) Ci si può chiedere se, per un intervento autonomo o principale, occorra il consenso

di ambo le parti: sarei per applicare fedelmente la norma citata, dato che in gioco vi è laconsensualità del patto arbitrale, al di fuori dei casi in cui il curatore subentra ex lege nellaclausola arbitrale.

(54) Non v’è spazio qui per approfondire tutti i problemi che l’entrata del curatorecomporta sul processo pendente, nonché i poteri processuali del medesimo, rinviandosi aVINCRE, op. loc. ultt. citt.

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A mio avviso, non si tratta di un motivo di « improcedibilità » secondol’accezione del codice di procedura civile, che lo ricollega ad un viziosopravvenuto alla proposizione dell’impugnazione; gli arbitri dovranno,con un lodo in rito, dichiarare la mancanza del presupposto processualeriguardante la legittimazione processuale del fallito (ove ciò, ovviamente,si verifichi).

Si tratta di un vizio, come tale, rilevabile d’ufficio. Diversamente, ovesi accogliesse l’interpretazione di altra parte della dottrina, secondo cui laconvenzione arbitrale si estingue insieme al contratto, l’eccezione sarebberilevabile ex parte, ai sensi dell’art. 816 c.p.c.

6. Mi occupo ora brevemente degli effetti del lodo arbitrale giàpronunciato all’atto del fallimento.

La norma di riferimento, pur non regolando il caso di specie, è l’art.96, comma 2º, l. fall., a termini del quale sono ammessi al passivo conriserva « i crediti accertati con sentenza del giudice ordinario o specialenon passata in giudicato, pronunciata prima della dichiarazione di falli-mento ». Naturalmente, il curatore può proporre o proseguire l’impugna-zione.

Sub Iulio, la Cassazione (55) aveva esteso l’analoga previsione (pre-vigente art. 95) al lodo rituale, intendendolo ricompreso nell’accezione« sentenza ».

Oggi l’assunto è confermato dall’art. 824 bis c.p.c., se non fosse chel’inciso « sentenza del giudice ordinario o speciale » contenuto nell’art. 96l. fall. complica le cose.

L’arbitro non è, infatti, né giudice ordinario, né tanto meno speciale.Sarei però propensa a superare l’ostacolo attraverso la lettura incro-

ciata delle due norme citate: se il lodo ha « effetti della sentenza pronun-ciata dall’autorità giudiziaria », avrà anche l’effetto di accertare un creditoopponibile alla massa al pari di una sentenza. (56)

Ne segue che il curatore, ove intenda contestare il credito per le stessecensure che avrebbe potuto muovere il fallito, potrà impugnare il lodo conl’impugnazione per nullità (57); parimenti potrà proseguire nell’impugna-zione già proposta dal — futuro — fallito.

(55) Cass., 26 agosto 1998, n. 8495, in questa Rivista, 1999, 705 ss., con nota di CAVALA-GLIO; contra BONSIGNORI, op. cit., 65.

(56) In tal senso NITROLA, op. loc. ultt. citt.; MONTANARI, Lodi rituali e verifica dei creditinel fallimento dopo la riforma, in Sull’arbitrato, cit., 529.

(57) Certo, ove si distingua il diritto di credito dal diritto al concorso, il lodo, tecnica-mente, non pronuncia sul rapporto del curatore, per cui questi si troverebbe ad impugnare comeuna parte, pur non essendo titolare del diritto. E tuttavia, ponendo il diritto di credito comepregiudiziale al diritto al concorso, l’opposizione di terzo revocatoria non appare uno strumentodel tutto idoneo, in quanto limitato soltanto al caso del dolo o collusione fra le parti;occorrerebbe se mai ritenere che il curatore non sia vincolato dal lodo ma ci si troverebbe incontrasto con l’art. 96 cit.

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Se invece il curatore si ponga come terzo rispetto all’oggetto dellodo (58), di cui lamenti un pregiudizio, il rimedio apposito sarà l’opposi-zione di terzo: occorrerà a tal fine distinguere i casi in cui il curatore siasoggetto all’efficacia riflessa del lodo (59), da quelli in cui sia titolare di undiritto autonomo ed incompatibile con quello deciso.

The relationship between arbitration and bankruptcy deals with differentaspects: arbitrability of disputes which concern insolvency, ability of the insolvencyadministrator to enter into arbitration agreements, enforceability of the arbitrationagreement previously entered into by the company, with specifications about thearbitral proceedings and the award.

In particular, the author proposes an interpretation of art. 83 bis of the italianinsolvency act, as an expression of a more general rule: the insolvency administratoris a third party to the contract, except in cases of succession, and therefore thearbitration agreement contained therein cannot be opposed to him.

(58) Non può neppure in ipotesi parlarsi di — pur atipica — successione: TOTA, op. cit.,723. La necessità di verificare in concreto quale sia la posizione assunta dal curatore, perverificare quale sia lo strumento impugnatorio idoneo, è affermata da Cass., 22 giugno 2005, n.13442, in questa Rivista, 2006, p. 709 ss., con nota di SANTAGADA.

(59) Cfr. DEL VECCHIO, Clausola compromissoria, compromesso e lodo di fronte alsuccessivo fallimento di una delle parti, in Dir. fall., 1986, I, 304 ss.

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L’arbitrato marittimo internazionale

ANDREA LA MATTINA (*)

1. La specialità dell’arbitrato marittimo rispetto all’arbitrato commerciale inter-nazionale. — 2. La forza espansiva dell’autonomia privata nel contesto dell’arbi-trato marittimo quale strumento interpretativo della volontà delle parti. — 3. Laforma della clausola compromissoria nella prospettiva dell’arbitrato marittimo. —4. La legge applicabile: il rilievo della lex maritima e l’emersione dello statusmercatorio. — 5. Il procedimento. — 6. Il trasporto di linea come momento criticodel sistema « arbitrato marittimo » e come conferma dei risultati dell’indagine.

1. L’arbitrato rappresenta lo « strumento privilegiato » di soluzionedelle controversie marittime internazionali (1).

Tale circostanza emerge dall’ampia diffusione delle clausole compro-missorie nei formulari contrattuali più utilizzati dagli operatori marittimie dal notevole sviluppo che hanno avuto negli ultimi decenni le istituzioniarbitrali specializzate nella risoluzione di controversie di natura marit-tima (2). Ciononostante, l’arbitrato in materia marittima non è compiuta-mente disciplinato né dalle convenzioni di diritto internazionale uniforme,né dalle legislazioni statali (3).

La notevole rilevanza dell’arbitrato quale mezzo di soluzione dellecontroversie marittime internazionali ha condotto parte della dottrina aparlare con sempre maggior frequenza di « arbitrato marittimo » per fare

(*) Docente a contratto nell’Università di Genova.(1) Così CARBONE e LOPEZ DE GONZALO, L’arbitrato marittimo, in ALPA e VIGORITI,

Arbitrato. Profili di diritto sostanziale e di diritto processuale, Torino, 2013, 1294. Nello stessosenso DELEBECQUE, L’arbitrage maritime contemporain: point du vue français, in Dir. maritt.,2004, 436; HARRIS, Maritime Arbitrations, in TACKABERRY e MARRIOT, Bernstein’s Handbook ofArbitration and Dispute Resolution Practice, London, 2003, 743; JAMBU-MERLIN, L’arbitragemaritime, in Études offertes à René Rodière, Paris, 1981, 401; LEGROS, Les conflicts de normesjurisdictionnelles en matière de contrats de transport internationaux de marchandises, in Clunet,2007, 1105, cui adde LA MATTINA, L’arbitrato marittimo e i principi del commercio internazio-nale, Milano, 2012, 1 ss.

(2) Sul punto sia consentito rinviare a LA MATTINA, L’arbitrato marittimo, cit., 17-46.(3) V. ancora LA MATTINA, L’arbitrato marittimo, cit., 46-56.

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riferimento al fenomeno in esame (4). È peraltro necessario precisare

(4) Cfr. ALCANTARA, An international panel of maritime arbitrators, in Journ. Int. Arb.,1994, 117 ss.; ALLSOP, International maritime arbitration: legal and policy issues, in J.I.M.L., 2007,398 ss.; ÁLVAREZ RUBIO, Arbitraje marìtimo y criterios de seleccìon del Derecho applicabile alfondo de la controversia. Especial referencia al settor del transporte, in Revista de la CorteEspagñola de Arbitraje, 1997, 55 ss.; AMBROSE, MAXWELL e PARRY, London Maritime Arbitration,3rd ed., London, 2009, passim; ARRADON, L’arbitrage maritime: le point de vue du praticien, in Dr.mar. fr., 2007, 389 ss.; ID., L’incorporation des clauses de charte-partie dans le connaissements, inDr. mar. fr., 2004, 883 ss.; BARCLEY, Arbitration and Shipping, in Arbitration, 1967, 3-7;BERLINGIERI, International Maritime Arbitration, in J.M.L.C., 1979, 199-247; ID., Trasportomarittimo e arbitrato, in Dir. maritt., 2004, 423 ss.; BERNINI, L’arbitrato nel diritto marittimo, inCECCHELLA (cur,), L’arbitrato, Torino, 2005, 583 ss.; BOI, L’arbitrato marittimo e commerciale inun recente convegno, in Dir. maritt., 1991, 526; CARASSO BULOW, A user’s experience of Londonand New York maritime arbitration, in Eur. Transp. L., 1998, 293 ss.; CARBONE e LOPEZ DE

GONZALO, L’arbitrato marittimo, cit.; COHEN, A New Yorker looks London Maritime Arbitration,in L.M.C.L.Q., 1986, 57-79; ID., Maritime arbitration in Asia, in J.M.L.C., 1998, 117 ss.; CRAIG,PARK e PAULSSON, International Commercial Arbitration, I, Dobbs Ferry - New York, 1984,58-59; CURTIN, Arbitration maritime cargo disputes - future problems and considerations, inL.M.C.L.Q., 1997, 31-64; DE LA VEGA JUSTRIBÒ, El arbitraje en el àmbito maritìmo, in AA. Vv.,El Arbitraje en las distintas Áreas del Derecho, I, Lima, 2007, cap. 13; DELEBECQUE, L’arbitragemaritime contemporain: le point de vue français, in Dir. maritt., 2004, 436 ss.; ESPINOSA CALABUIG,La clàusulas arbitrales marìtimas a la luz de los ‘usos’ del tràfico comercial internacional, inRevista Eletrònica de Estudios Internacionales, 2007, reperibile sul sito Internet www.reei.org, 7ss.; ESPLUGUES MOTA, Arbitraje Marìtimo Internacional, Navarra, 2007, passim; ID., Some CurrentDevelopments in International Maritime Arbitration, in BASEDOW, MAGNUS e WOLFRUM (eds.),The Hamburg Lectures on Maritime Affairs 2007 & 2008, Berlin, 2010, 119 ss.; FORCE eMAVRANICOLAS, Two Models of Maritime Dispute Resolution: Litigation and Arbitration, in Tul.Law. Rew., 1991, 1461 ss.; GLATZMAYER, Arbitration of Marine Controversies, in The ArbitrationJournal, 1937, 47-50; HAIGHT, Maritime Arbitration - the American experience, in AM. Disp. Res.Law Journ., 1995, 2-15; HARRIS, Maritime Arbitrations, cit., 744 ss.; HARRIS, SUMMERSKILL eCOCKERILL, London Maritime Arbitration, in Arb. Int., 1993, 275-288; JAMBU-MERLIN, L’arbitrageinternational en droit maritime, in Rass. arb., 1970, 1-5; ID., L’arbitrage maritime, in Étudesoffertes à René Rodière, Paris, 1981, 401-408; JARROSSON, La spécificité de l’arbitrage maritime, inDir. maritt., 2004, 444-449; JARVIS, Problems with and solutions for New York MaritimeArbitration, in L.M.C.L.Q., 1986, 535-538; LA MATTINA, L’arbitrato marittimo, cit., passim;LOPEZ DE GONZALO, La disciplina delle clausole compromissorie tra formalismo e prassi delcommercio internazionale, in Dir. maritt., 1990, 326 ss.; ID., L’esercizio della giurisdizione civilein materia di trasporto marittimo e intermodale, in Dir. maritt., 2001, 530 ss.; MARRELLA, Unità ediversità dell’arbitrato internazionale: l’arbitrato marittimo, in Dir. maritt., 2005, 787 ss.; MCIN-TOSH, The practice of maritime arbitrations in London: recent developments in the law, inL.M.C.L.Q., 1983, 235-247; MOON, New Opportunities for Maritime Arbitration and Arbitrators,in Proceedings of the XVth International Congress of Maritime Arbitrators - ICMA, London,2004, inedito, ma messomi cortesemente a disposizione dall’Avv. Mario Riccomagno; MUSTILL,Maritime arbitration: the call for a wider perspective, in Journ. Int. Arb., 1992, 51 ss.; O’CONNOR,Marittime arbitration without consent vouching, consolidation and self-execution. Will New Yorkpractice migrate to Canada?, in Journ. Int. Arb., 1993, 161 ss.; PHILLIPS, The Needs of Arbitrationfrom a Maritime Point of View, in Arbitration, 1978, 245 ss.; RAMOS MÉNDEZ, Arbitraje maritimointernacional: Confirmacìon de la doctrina jurisprudencial, in Anuario de Derecho Maritimo, vol.III, 988 ss.; REMOND-GOUILLOUD, Droit Maritime, 2ne ed., Paris, 1993; RIGHETTI (E.), L’istruzioneprobatoria nell’arbitrato internazionale commerciale e marittimo, in questa Rivista, 1993, 315 ss.;TASSIOS, Choosing the appropriate venue: maritime arbitration in London or New York?, inJourn. Int. Arb., 2004, 355 ss.; TODD, Incorporation of arbitrarion clauses into bill of lading, inJournal of Business Law, 1997, 337 ss.; TETLEY, Marine Cargo Claims, 4th ed., Cowansville, 2008,1413 ss.; TRAPPE, Maritime arbitration rules for different arbitral institutions. Some comparativeremarks, in Arbitration, 1998, 257 ss.; WAGENER, Legal Certainty and the Incorporation ofCharterparty Arbitration Clauses in Bills of Lading, in J.M.L.C., 2009, 115 ss.; ZEKOS, MaritimeArbitration and the Rule of Law, in J.M.L.C., 2008, 523 ss.; ID., International Commercial and

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preliminarmente che, nel presente lavoro, con l’espressione « arbitratomarittimo » si intende fare riferimento esclusivamente all’arbitrato marit-timo c.d. « transnazionale » (ossia all’arbitrato tra privati, avente a oggettoquestioni inerenti il diritto marittimo e caratterizzato dall’esistenza dielementi di internazionalità) e non anche né all’arbitrato marittimo c.d.interstatale (ossia all’arbitrato tra Stati, o tra Stati e privati, relativo aldiritto del mare) (5), né all’arbitrato marittimo « interno » (ossia all’arbi-trato tra privati, avente a oggetto questioni inerenti il diritto marittimo chesi esauriscono nell’ambito di un solo ordinamento giuridico) (6).

L’espressione « arbitrato marittimo » (come sopra intesa) necessitacomunque di essere « decodificata », in quanto apre le porte ad unaduplice serie di fraintendimenti.

Da un lato, si potrebbe sostenere che si è in presenza di un arbitratomarittimo semplicemente quando un arbitrato commerciale internazionale« in some way (...) involves a ship » (7): tale affermazione potrebbe farritenere che l’arbitrato marittimo non esista come istituto giuridico a sé, innulla distinguendosi da un « comune » arbitrato commerciale internazio-nale, a parte il fatto di riguardare una controversia marittima.

Dall’altro lato, all’opposto, si potrebbe sostenere che l’arbitrato ma-rittimo sia un procedimento intrinsecamente diverso e comunque auto-

Maritime Arbitration, London-New York, 2008; ZUBROD, The history of maritime arbitration inNew York, in The Arbitrator, 2001, vol. 32, n. 2, 2 ss.; ZUNARELLI e ZOURNATZI, Arbitrato nellecontroversie marittime internazionali, in Codice degli arbitrati, delle conciliazioni e di altre ADR,a cura di BUONFRATE e GIOVANNUCCI ORLANDI, Torino, 2006, 422 ss., cui adde i lavori diRICCOMAGNO, L’arbitrato marittimo, in Trasporti, 1999, vol. 79, 135-151; ID., Maritime arbitrationbetween international commercial arbitration and regional iniatives, relazione presentata allaMaritime Arbitration Conference, Dubai, 5-7 aprile 2008; ID., Maritime arbitration and interna-tional commercial arbitration, relazione presentata al XVIIth International Congress of MaritimeArbitrators, Hamburg, 5-9 ottobre 2009; ID., Lecture note on international maritime arbitration,relazione presentata all’International Dispute Resolution Institute, Londra, 29 settembre 2010,questi ultimi inediti, ma cortesemente messimi a disposizione da parte dell’Autore.

(5) Sul fatto che la distinzione tra arbitrato « transnazionale » e arbitrato « interstatale »sia « labile » e « incerta », cfr. per tutti TREVES, Le controversie internazionali. Nuove tendenze,nuovi tribunali, Milano, 1999, 35. Sull’arbitrato interstatale riguardante questioni inerenti il dirittodel mare oltre al citato lavoro di Treves (ibidem, 102 ss.) cfr., senza pretesa di completezza, ADEDE,The System for Settlement of Disputes under the United Nations Convention on the law of the Sea,Dordrecht-Boston-Lancaster, 1987; BOYLE, Dispute Settlement and the Law of the Sea Convention:Problems of Fragmentation and Jurisdiction, in Int. Comp. Law Quart., 1997, 37 ss.; CAFLISCH, Lerèglement judiciaire et arbitral des différends dans le nouveau droit de la mer, in Festschrift fürRudolf Bindschedler, Bern, 1980, 351 ss.; COQUIA, Settlement of Disputes in the UN Conventionon the Law of the Sea, in Indian Jour. Int. Law, 1985, 171 ss.; MARRELLA, Unità e diversità del-l’arbitrato internazionale, cit., 788 ss.; SCOVAZZI, The Evolution of the International Law of the Sea:New Issues, New Challenges, in Recueil des Cours, 2000, 53, 122 ss.; ZEKOS, Competition or Conflictin the Dispute Settlement Mechanism of the Law of the Sea, in Rev. hellenique, 2003, 153 ss.

(6) Stante il fatto che la stragrande maggioranza dei rapporti inerenti i traffici marittimisi svolge in una dimensione internazionale, il rilievo dell’arbitrato marittimo « interno » è deltutto trascurabile ai fini della presente analisi. In questo senso cfr. per tutti HARRIS, MaritimeArbitrations, cit., 744.

(7) Così HARRIS, SUMMERSKILL e COCKERILL, London Maritime Arbitration, cit., 275. Ladefinizione è richiamata ed accolta da AMBROSE, MAXWELL e PARRY, London Maritime Arbitra-tion, cit., 1 e, nella dottrina italiana, da RICCOMAGNO, L’arbitrato marittimo, cit., 135.

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nomo rispetto all’arbitrato commerciale internazione e ciò in quantol’oggetto di tale arbitrato, ossia il diritto marittimo (8), è una materiaautonoma rispetto al diritto « comune » (e, in particolare, rispetto aldiritto del commercio internazionale).

Nessuna di tali (opposte) ricostruzioni pare condivisibile. Infatti:(a) l’arbitrato marittimo non solo si caratterizza per avere ad oggetto

una nave, ma è un fenomeno processuale la cui fisionomia discendedirettamente ed è influenzata dalle caratteristiche (e dalle peculiarità) deldiritto marittimo sostanziale (9) e

(b) l’autonomia del diritto marittimo sostanziale è da intendersi inrealtà come specialità, nel senso che il diritto marittimo non può prescin-dere da una continua interazione con i principi di diritto comune (principispesso rinvenibili in norme di origine internazionale o nella prassi deglioperatori commerciali), in quanto esso non è una disciplina autosufficientee completa ed, in ogni caso, è inidoneo a regolare in maniera compiutaogni aspetto dei rapporti giuridici riguardanti i traffici marittimi (10).

La « permeabilità » del diritto marittimo rispetto ai principi del dirittocomune e la sua pacifica dimensione internazionale rendono evidente chetale materia altro non è che una branca del diritto del commercio interna-zionale (11).

L’arbitrato marittimo, strumento processuale « privilegiato » del di-ritto marittimo, rientra pertanto all’interno del più ampio genus dell’ar-bitrato commerciale internazionale (12), dal quale essenzialmente trae lapropria disciplina giuridica (13).

(8) Si veda, a questo riguardo, la definizione di JARROSSON, La spécificité de l’arbitragemaritime, cit., 444, secondo cui l’arbitrato marittimo è « celui d’arbitrage portant sur une questiondu fond qui relève du droit maritime ».

(9) Per considerazioni analoghe a quelle svolte nel testo cfr. DELEBECQUE, L’arbitragemaritime contemporain, cit., 435.

(10) Per queste considerazioni si veda per tutti CARBONE, Specialità della disciplina dellavoro nautico, principi di diritto comune e contrattazione collettiva, in Dir. maritt., 1984, 494-496,cui adde, anche per ulteriori riferimenti nella dottrina italiana e straniera, LA MATTINA,L’arbitrato marittimo, cit., 5-14.

(11) Il punto è pacifico. Per una recente (ri)affermazione di tale circostanza cfr. per tuttiDELEBECQUE, L’arbitrage maritime contemporain, cit., 436.

(12) In questo senso cfr. per tutti la relazione presentata da MUSTILL L.J. al Xth Interna-tional Congress of Maritime Arbitrators, Vancouver, 11 Settembre 1991, inedita, cui addeAMBROSE e MAXWELL e PARRY, London Maritime Arbitration, cit., 69; CARBONE e LOPEZ DE

GONZALO, L’arbitrato marittimo, cit.; DELEBECQUE, L’arbitrage maritime contemporain, cit., 436;MARRELLA, Unità e diversità dell’arbitrato internazionale, cit., 797; ZEKOS, Maritime Arbitration,cit., 524, nonché i lavori di RICCOMAGNO, Maritime arbitration between international commercialarbitration and regional iniatives, cit.; ID., Maritime arbitration and international commercialarbitration, cit.; ID., Lecture note on international maritime arbitration, cit. Ad ulteriore confermasi vedano anche le risposte delle principali istituzioni arbitrali marittime ai quesiti di cui al paperdi ALCANTARA, Comparative review of the arbitration schemes available in the main arbitrationcentres, cit., loc. cit.

(13) Cfr. DE LA VEGA JUSTRIBÒ, El arbitraje en el àmbito maritìmo, cit., loc. cit.; MARRELLA,Unità e diversità dell’arbitrato internazionale, cit., 787 ss.

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Sarebbe peraltro riduttivo non sottolineare che la specialità del dirittomarittimo impone una dimensione processuale « adeguata » alle propriecaratteristiche: in altri termini, in questo ambito emerge in modo partico-lare la necessità che tra diritto sostanziale e diritto processuale vi sia unrapporto simbiotico e non uno iato (14). L’arbitrato marittimo, quindi,deve farsi (e — come vedremo — in concreto si fa) « strumento » per lapiù efficace attuazione dei rapporti sostanziali del commercio marittimointernazionale.

Ciò significa che alcune specifiche caratteristiche della materia marit-tima incidono sulla fisionomia dell’arbitrato marittimo, facendolo « de-viare » dal modello dell’arbitrato commerciale internazionale « gene-rale ».

Così, ad esempio, in questo ambito non trovano generalmente postoproblemi relativi ai conflitti tra leggi sostanziali applicabili, in quanto gliarbitri marittimi decidono le controversie sottoposte al proprio esamesulla base di quella che è stata definita « lex maritima » o « generalmaritime law », la quale, pur avendo tra i propri formanti la c.d. lexmercatoria, è rappresentata da un corpus di principi speciali che si sonoalimentati soprattutto della prassi degli operatori marittimi e del dirittouniforme dei trasporti (15).

Con riguardo agli aspetti più squisitamente processuali, in campomarittimo viene poi più frequentemente utilizzata la tecnica della « con-solidation » tra arbitrati connessi al fine di consentire la partecipazione adun determinato procedimento a « terzi », formalmente estranei all’ac-cordo compromissorio, ma « parti » sostanziali dei rapporti del commerciomarittimo dedotti in arbitrato (il che accade specialmente nelle contro-versie relative alla costruzione di navi o in relazione a dispute riguardanticharter-parties tra loro collegati) (16). Ancora, le clausole compromissoriecircolano generalmente non in base ai meccanismi della cessione delcontratto, bensì attraverso lo strumento della girata della polizza dicarico (17). Infine, nell’ambito in esame gli arbitri sono prevalentemente« commercial men » (e non giuristi) e i procedimenti sono per la maggiorparte svolti nell’ambito di istituzioni arbitrali specializzate (e non vengono

(14) È questo il c.d. « principio di adeguatezza » del processo teorizzato da FOSCHINI,Sistema del diritto processuale penale, II, 2ª ed., Milano, 1968, 9. Nello stesso senso cfr. PROTO

PISANI, Tutela giurisdizionale differenziata e nuovo processo del lavoro, in Foro it. 1973, V, cc.209-210.

(15) In argomento v. le riflessioni svolte infra § 4, cui adde CORTAZZO, Developmentand Trends of the Lex Maritime from International Arbitration Jurisprudence, in J.M.L.C., 2012,255 ss.

(16) Sul punto sia consentito rinviare a LA MATTINA, L’arbitrato marittimo, cit., 282 ss.(17) V. ancora LA MATTINA, L’arbitrato marittimo, cit., 301 ss.

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invece generalmente decisi dai panels dell’ICC (18)), le quali applicanoregole flessibili che vengono modellate soprattutto tenendo conto dellavolontà delle parti (19).

È proprio la maggiore « flessibilità » delle regole del procedimentoche caratterizza la specificità dell’arbitrato marittimo rispetto agli altrisettori dell’arbitrato commerciale internazionale (20) e che consente disottolineare l’emergere di precisi « usi » del commercio marittimo inter-nazionale, i quali impongono appunto una maggiore flessibilità interpre-tativa nell’approcciare diversi rilevanti aspetti di questo tipo di arbitrato,tra cui, in particolare, il tema della validità da un punto di vista formaledelle clausole compromissorie (21).

In questo senso risulta evidente che l’arbitrato marittimo va intesocome un procedimento speciale rispetto all’arbitrato commerciale interna-zionale (22), nel quale alcuni istituti devono essere riletti non solo al fine diassecondare specifiche esigenze degli operatori marittimi internazionali,ma anche per tenere conto di precisi « usi commerciali » radicati in questoambito.

La specialità del settore marittimo determina quindi la specialitàdell’arbitrato marittimo rispetto al modello generale dell’arbitrato com-merciale internazionale, rendendo in particolare evidente l’esistenza diuna sorta di status mercatorio che caratterizza gli operatori marittimi e(almeno in parte) li differenzia dagli operatori di altri ambiti del commer-cio internazionale (23).

2. Il rilievo dell’autonomia privata è particolarmente accentuatonell’ambito dell’arbitrato marittimo. Infatti, differentemente da altri set-tori del diritto del commercio internazionale, nel contesto in esame non viè posto per forme di arbitrato c.d. « obbligatorio » (dove la rimessione diuna determinata controversia alla cognizione degli arbitri non nasce da unatto negoziale, bensì trae origine da un provvedimento normativo oregolamentare ovvero da una convenzione internazionale (24)), essendonel contesto marittimo la scelta dello strumento arbitrale sempre rimessaalla volontà delle parti (25).

(18) Sulla risoluzione nell’ambito degli arbitrati ICC di controversie marittime v. comun-que CACHARD, Maritime Arbitration under the ICC Rules of Arbitration, in ICC Bull., 2011, vol.22, n. 1, 31 ss.

(19) Cfr. LA MATTINA, L’arbitrato marittimo, cit., 227 ss.(20) In questo senso cfr. per tutti MUSTILL, Relazione al Xth International Congress of

Maritime Arbitrators, cit., 8.(21) Cfr. ESPINOSA CALABUIG, La clàusulas arbitrales marìtimas a la luz de los ‘usos’ del

tràfico comercial internacional, cit.(22) Alle medesime conclusioni pervengono, tra gli altri, CARBONE e LUZZATTO, Clausole

arbitrali, trasporto marittimo e diritto uniforme, cit., 274; DELEBECQUE, L’arbitrage maritime

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Inoltre, la grande maggioranza degli arbitrati marittimi (differente-mente dagli altri arbitrati commerciali internazionali), ancorché svoltisecondo le regole di istituzioni arbitrali, sono arbitrati « ad hoc » (26) e nonarbitrati amministrati (27), con la conseguenza che le parti mantengono unpiù forte controllo sul procedimento (28). A questo riguardo, mentre leRules of Arbitration dell’ICC (applicate nella maggior parte degli arbitraticommerciali internazionali non marittimi (29)) prevedono che le regole delprocedimento possano essere stabilite dalle parti soltanto se tali Rulespresentino una lacuna (30), i Terms della London Maritime ArbitratorsAssociation (sulla base dei quali si svolge la gran parte degli arbitratimarittimi) dispongono invece che « It shall be for the tribunal to decide all

contemporain, cit., 436; JARROSSON, La spécificité de l’arbitrage maritime, cit., loc. cit.; RICCOMA-GNO, L’arbitrato marittimo, cit., 144; TETLEY, The General Maritime Law - The Lex Maritima, inEur. Transp. L., 1996, 497-504.

(23) V. infra, § 4.(24) Tale è — ad esempio — il caso dell’arbitrato previsto dagli Accordi di Algeri del

1981 tra Iran e Stati Uniti d’America per la definizione delle pretese dei cittadini statunitensi neiconfronti dell’Iran, su cui cfr. BERNARDINI, L’arbitrato nel commercio e negli investimentiinternazionali, 2ª ed., Milano, 2008, 293 ss.; BROWER, The Iran-United States Claims Tribunal, inRecueil des cours, 1990, 123 ss.; KHAN, The Iran United States Claims Tribunal, controversies,cases and contributions, The Hague, 1990; RADICATI DI BROZOLO, La soluzione delle controversietra Stati e stranieri mediante accordo internazionale; gli Accordi tra Stati Uniti ed Iran, in Riv. dir.int., 1982, 299 ss.

(25) Nel senso di cui al testo si veda la recente decisione della Corte Suprema americanaresa nel caso Stolt-Nielsen S.A. v. Animal Feeds International Corp. ([2010] Lloyd’s Rep 360),dove è stato affermato che « Imposing class arbitration on parties who have not agreed toauthorize class arbitration is inconsistent with the Federal Arbitration Act »: la Corte Suprema haquindi ulteriormente evidenziato il rilievo centrale dell’autonomia privata in un caso riguar-dante i rapporti tra un vettore leader mondiale dei trasporti « parcellizzati » su navi cisterna(Stolt-Nielsen S.A.) e un caricatore (Animal Feeds International Corp.), rapporti regolati dadue charter-parties, redatti rispettivamente sul formulario Vegoilvoy e sul formulario Asbatan-kvoy ed entrambi contenenti una clausola arbitrale. In tale caso il caricatore agiva in proprio eper conto di « a class of direct purchasers of parcel tanker transportation services », affermandoche Stolt-Nielsen avrebbe posto in essere « a global conspiracy to restrain competition in theworld market for parcel tanker shipping services », con ciò violando la normativa federaleantitrust.

(26) Cfr. CARBONE e LOPEZ DE GONZALO, L’arbitrato marittimo, cit.; BERLINGIERI, Interna-tional maritime arbitration, cit., 217-247; RICCOMAGNO, L’arbitrato marittimo, cit., 141.

(27) In questo senso pare rilevante evidenziare che non tutti gli arbitrati istituzionali sononecessariamente arbitrati amministrati: cfr. LEW, MISTELIS e KRÖLL, Comparative InternationalCommercial Arbitration, London, 2003, 32, secondo cui « Institutional arbitration is where partiessubmit their disputes to an arbitration procedure, which is conducted under the auspices of oradministered or directed by an existing institution ». Come si è già evidenziato, peraltro, gliarbitrati svolgentisi secondo le regole della Chambre Arbitrale Maritime de Paris e della TokyoMaritime Arbitration Commission sono arbitrati « amministrati » da tali istituzioni arbitrali.

(28) V. ESPLUGUES MOTA, Arbitraje Marìtimo Internacional, cit., 32 ss., cui adde leconsiderazioni svolte infra, § 5.

(29) Sulla risoluzione nell’ambito degli arbitrati ICC di controversie marittime v. CA-CHARD, Maritime Arbitration under the ICC Rules of Arbitration, cit., 31 ss.

(30) L’art. 15.1 delle Rules of Arbitration dell’ICC dispone infatti che « The proceedingsbefore the Arbitral Tribunal shall be governed by these Rules and, where these Rules are silent,by any rules which the parties or, failing them, the Arbitral Tribunal may settle on, whether or notreference is thereby made to the rules of procedure of a national law to be applied to thearbitration ».

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procedural and evidential matters subject to the right of the parties to agreeany matter » (così Section 12, lett. a). In proposito occorre notare che, permolti anni, gli arbitrati marittimi svolti nell’ambito della London MaritimeArbitrators Association si sono sviluppati senza seguire particolari regoleprocedurali, regole che sono state invece introdotte (pur consentendo alleparti di derogarvi) soltanto a partire dal 1999 (con l’introduzione delleLMAA Procedural Guidelines) e che hanno trovato una compiuta realiz-zazione nei LMAA Terms del 2002 (oggi sostituiti dai LMAA Terms del2012) (31).

Analoghe considerazioni possono essere svolte anche in relazione aiprocedimenti arbitrali condotti secondo le Rules of Arbitration dellaGerman Maritime Arbitration Association (32), nonché agli arbitrati ma-rittimi che si svolgono in base alle Rules of the Society of MaritimeArbitrators di New York (dove, peraltro, l’autonomia privata trova unlimite nelle disposizioni « inderogabili » che conferiscono agli arbitri ipoteri « to administer the arbitration proceedings ») (33). Per contro, ovvia-mente, il rilievo dell’autonomia privata negli arbitrati « amministrati »condotti secondo il Règlement d’Arbitrage della Chambre Arbitrale Mari-time de Paris è estremamente limitato, potendo la scelta delle partiriguardare soltanto l’applicabilità del regolamento in vigore al momentodella conclusione della convenzione arbitrale piuttosto che quello vigentequando la controversia viene introdotta (34). Simile approccio è seguitoanche in relazione agli arbitrati soggetti alle Rules of Arbitration of TokyoMaritime Arbitration Commission (TOMAC) of the Japan Shipping Ex-change (35).

Il maggior rilievo dell’autonomia privata nel contesto in esame —oltre a rappresentare una conferma della « specialità » dell’arbitrato ma-rittimo rispetto all’arbitrato commerciale internazionale — consente diindividuare un canone ermeneutico fondamentale non solo nell’interpre-tazione delle convenzioni arbitrali contenute nei formulari utilizzati daglioperatori marittimi internazionali, ma anche, più in generale, nell’approc-cio che deve caratterizzare la « ricostruzione » dell’arbitrato marittimo. Inquesto ambito commerciale la volontà delle parti viene ad assumere unruolo centrale e, pertanto, la disciplina applicabile ai vari aspetti dell’ar-bitrato marittimo deve soprattutto tenere conto di come le parti hannointeso regolare un determinato aspetto del fenomeno arbitrale (36).

(31) Cfr. HARRIS, Maritime Arbitrations, cit., 762.(32) V. infra, nota 108 e testo corrispondente.(33) V. infra, nota 107 e testo corrispondente.(34) V. infra, nota 117 e testo corrispondente.(35) V. infra, nota 118 e testo corrispondente.(36) V. Harbour Assurance Co. v. Kansa General International Insurance Co. Ltd., [1992]

1 Lloyd’s Rep 81 (Q.B.), ove viene affermato che « there is the imperative of giving effect to thewishes of the parties unless there are compelling reasons of principle why it is not possible to do

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3. Gli aspetti formali della clausola compromissoria richiesti dai variordinamenti giuridici rappresentano lo strumento di accertamento presun-tivo della volontà delle parti di ricorrere all’arbitrato (37). Una parte delladottrina ha acutamente evidenziato che la pratica applicativa ha (ed, inparticolare, le decisioni dei giudici italiani hanno) spesso « sopravvalu-tato » i requisiti formali della clausola arbitrale a discapito di qualunquericerca sull’effettivo consenso delle parti a derogare alla giurisdizione infavore dell’arbitrato (38). Tale visione pare ricalcare quanto affermato daiprocessual-civilisti, i quali sono arrivati a sostenere che la validità el’efficacia degli atti processuali, mentre dipende dall’osservanza delleforme, non dipende da alcun controllo sulla formazione della volontà (39)e, addirittura, che il « formalismo », necessario ad assicurare il regolare espedito svolgimento del processo, non consente di dare alcuna rilevanzaalla reale volontà delle parti (40). La forma solenne diviene, allora, pre-sunzione assoluta del consenso: alla ricerca della volontà effettiva vienesostituita la ricerca della perfezione formale dell’atto; si passa dal « dogmadella volontà », vagheggiato dai pandettisti, al « dogma della forma ».

È necessario chiedersi se una simile ricostruzione sia coerente con ilcontesto della presente analisi. La risposta è negativa e nasce da duediversi ordini di considerazioni.

In primo luogo, la convenzione arbitrale ha natura di contratto e, purrientrando nella categoria dei c.d. « negozi processuali », essa non costi-tuisce un atto del processo, bensì un atto sostanziale con rilevanza proces-suale (41).

so ». Nello stesso senso, più di recente, la House of Lords ha sottolineato il « commercialpurpose of the arbitral clause », affermando in particolare che nel contesto dell’arbitratomarittimo le clausole arbitrali debbano essere interpretate avendo soprattutto riguardo allavolontà delle parti « as rational businessmen »: così Premium Nafta Products Ltd. and others v.Fili Shipping Company Ltd. and others, [2008] Lloyd’s Rep 254 (H.L.).

(37) Le norme che disciplinano la validità delle clausole compromissorie, siano essenazionali o si rinvengano nel diritto uniforme, richiedono generalmente l’uso di forme vincolate,in proposito si veda l’ampia ed esaustiva panoramica di BERNARDINI, L’arbitrato nel commercioe negli investimenti internazionali, 2ª ed., Milano, 2008, 37-85 e 103-106.

(38) Cfr. VAN DEN BERG, The New York Arbitration Convention of 1958, Deventer-Boston, 1981, 177.

(39) In questo senso MANDRIOLI, Diritto processuale civile, 21ª ed, Torino, 2011, 382.(40) Cfr. LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, I, 2ª ed., Milano, 1957, 189. In

verità, in qualche caso, anche i processualisti riconoscono che è consentita un’indagine sullavolontà delle parti. Sul punto si veda per tutti REDENTI, voce Atti processuali civili, in Enc. dir.,vol. IV, Milano, 1959, 115-116, secondo cui « anche nel campo del processo poss[o]no essereconsentite talvolta delle indagini circa la simulazione, il dolo, la collusione, ma quegli accidentipatologici non vengono di solito in considerazione per i singoli atti delle parti come tali, bensì inquanto abbiano sviata, traviata o inquinata la decisione finale del giudice ».

(41) In questo senso cfr. Trib. Roma 26 settembre 1980, Ditta Bartolomei Ferrina c. Soc.comp. Comm. Kreglinger, in Temi rom., 1980, 520, cui adde, in dottrina, BONELLI, La forma dellaclausola compromissoria per arbitrato estero, in Dir. maritt., 1984, 480-481, nota 6, nonché DENTI,voce Nullità degli atti processuali civili, in Nvss. Dig. It., XI, Torino, 1965, 467 ss. Contra v.

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In secondo luogo, il mondo dei traffici marittimi internazionali hapeculiarità proprie che rendono necessario un ripensamento dei criteriermeneutici comunemente invalsi in altri settori (42). Infatti:

(i) non pare ragionevole « imbrigliare » gli operatori del commerciointernazionale con prescrizioni formali che mal si conciliano con le esi-genze di speditezza che caratterizzano i loro rapporti (43);

(ii) la funzione fondamentale che il requisito della forma esplica inmateria consiste nell’accertamento che la clausola arbitrale abbia effetti-vamente costituito oggetto del consenso (44).

Il problema della validità dal punto di vista della forma delle clausolecompromissorie per arbitrato marittimo (45) deve quindi essere risoltoattraverso la comprensione della strumentalità della forma rispetto all’e-sistenza del consenso (sostanziale) delle parti a concludere l’accordocompromissorio (46).

In questo senso è possibile « rileggere » le regole in base alla qualideve essere valutata la validità formale delle clausole arbitrali relative airapporti del commercio marittimo internazionale — segnatamente, l’art.II della Convenzione di New York (47) — nella prospettiva dell’arbitrato

peraltro CARNELUTTI, Istituzioni del nuovo processo civile italiano, Roma, 1956, 265, che afferma:« La processualità dell’atto non è dovuta al suo compiersi nel processo, ma al suo valere per ilprocesso ».

(42) Significativo in proposito pare il richiamo agli insegnamenti di CARBONE, Il trasportomarittimo di cose nel sistema dei trasporti internazionali, Milano, 1976, 78-83, il quale evidenziacome nell’interpretare le norme di diritto uniforme che possano incidere sui rapporti de quibus(nel caso considerato dall’A. si trattava della Convenzione di Bruxelles sulla polizza di carico)si vada sempre maggiormente affermando come canone ermeneutico fondamentale la aderenzaalle « reali esigenze del traffico marittimo internazionale ».

(43) In questo senso già VIVANTE, Trattato di diritto commerciale, IV, Obbligazioni, 5ª ed.,Milano, 1926, 67, n. 1572 affermava che « [n]ei contratti commerciali la parola basta di regola acreare un’obbligazione ».

(44) Cfr. Cass. S.U. 14 novembre 1981, n. 6035, Jauch & Huebener c S.tè de NavigationTransoceanique, in Dir. maritt., 1982, 391 ss., con nota adesiva di MARESCA, il quale ribadisce che« lo scopo del requisito di cui all’art. II della Convenzione di New York [...] è quello di consentireall’interprete un effettivo controllo sulla esistenza del consenso dei contraenti ». Nello stesso sensocfr. Cass. 12 ottobre 1982, n. 5244, Soc. Air India c. Avanzo, in Riv. dir. int. priv. e proc., 1983,149, dove si afferma che « è legittima una indagine ermeneutica volta a ricavare dallo scritto lacomune intenzione delle parti contraenti di deferire alla cognizione dell’arbitro straniero l’esamedelle eventuali controversie derivanti dall’esecuzione del contratto ».

(45) Problema correttamente definito da CARBONE e LOPEZ DE GONZALO, L’arbitratomarittimo, cit., loc. cit., come « conflitto in larga misura irrisolto, tra l’intento di garantirel’esistenza di un effettivo consenso delle parti al deferimento delle controversie ad arbitrato e lecontrapposte esigenze di rapidità e semplificazione tipiche della contrattazione del commerciointernazionale ».

(46) Sulla « strumentalità » della clausola compromissoria rispetto al contratto cui essaaccede v. LA MATTINA, L’arbitrato marittimo, cit., 77-81.

(47) L’art. II della Convenzione di New York del 10 giugno 1958 sul riconoscimento el’esecuzione di sentenze arbitrali straniere è la norma fondamentale cui fare riferimento quantoalla forma delle clausole compromissorie per arbitrato marittimo, in quanto tali clausole —almeno dal punto di vista dell’ordinamento italiano — sono tutte clausole per arbitrato esteroe rientrano nell’ambito di applicazione inderogabile della Convenzione, giustamente definita

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marittimo. In altri termini, il problema della forma della clausola compro-missoria può (e, anzi, deve) essere risolto tenendo presente il contesto incui si muovono gli operatori marittimi internazionali. Ciò significa:

— da un lato, che i requisiti di forma previsti dalla norma in esamedovranno essere interpretati con flessibilità, al fine di venire incontro alleesigenze degli operatori marittimi internazionali (i quali, ad esempio, bendifficilmente sottoscrivono i contratti e/o i documenti di trasporto conte-nenti le clausole arbitrali, ma, semmai, si scambiano — soprattutto tramitebrokers — e-mail o fax estremamente « laconici ») e

— dall’altro lato, che particolare attenzione dovrà essere data allo« status » dei contraenti, nonché alla prassi seguita in un determinatoambito commerciale, e ciò al fine di valutare « in buona fede » l’effettivitàdel consenso di ciascuna delle parti rispetto alla clausola arbitrale (nelsenso che, ad esempio, non è possibile ipotizzare che un’impresa quoti-dianamente attiva sul mercato dei voyage charter parties possa non essereal corrente che il formulario Gencon contiene una clausola arbitrale (48),sicché — nel caso in cui i termini del Gencon siano richiamati in occasionedella conclusione di un contratto di trasporto — tale impresa non po-trebbe contestare « in buona fede » la giurisdizione arbitrale affermandodi non aver specificamente richiamato la clausola compromissoria conte-nuta nel formulario).

Insomma, in un ambito, quale quello delle operazioni del commerciomarittimo internazionale, dove l’arbitrato è considerato « lo strumentoprivilegiato » di soluzione delle controversie (49), appare del tutto fuoriluogo l’approccio « formalistico » spesso adottato dalla giurisprudenzaitaliana, la quale, interpretando rigidamente l’art. II della Convenzione diNew York, sostanzialmente ostacola l’accesso alla giustizia arbitrale daparte degli operatori, senza peraltro tutelare le parti (realmente) « de-boli » o semplicemente poco avvezze alla prassi contrattuale di un deter-minato settore commerciale (50).

Si badi, però, che la prospettiva qui proposta non intende porre indiscussione il rilievo (e la ragionevolezza) dei requisiti di forma stabilitidall’art. II della Convenzione di New York: come è stato correttamente

« ferro da lavoro essenziale per l’operatore e per il teorico che debbano occuparsi degli aspettiinternazionalistici dell’arbitrato privato » (così BRIGUGLIO, voce Arbitrato estero, in Enc. dir.,Agg. III, Milano, 1999, 216, ove ampi riferimenti in materia).

(48) Il formulario Gencon è forse il formulario di voyage charter-parties più noto e diffusoa prescindere dall’ambito merceologico di impiego.

(49) V. retro, § 1.(50) Per un’analisi della casistica italiana e straniera in materia sia consentito rinviare a

LA MATTINA, L’arbitrato marittimo, cit., 111-146, ove viene in particolare fatto riferimento aiproblemi relativi alla validità dal punto di vista formale delle clausole compromissorie perarbitrato marittimo inserite in contratti conclusi a mezzo di scambi di corrispondenza ovverotramite rappresentanti o brokers, alle clausole arbitrali per relationem, nonché alle forme tacitedi accettazione dell’accordo compromissorio.

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posto in evidenza da parte della migliore dottrina processual-civilistica, « ilformalismo non ha nulla a che fare con la forma e la critica al formalismonon si può intendere come una inconcepibile e assurda critica alle formegiuridiche » (51). In altri termini, non si vuole qui criticare l’art. II dellaConvenzione di New York, bensì sottolineare la inadeguatezza dellagiurisprudenza rispetto alle esigenze degli operatori marittimi internazio-nali e alla necessità di adottare una interpretazione ragionevolmente« evolutiva » dei requisiti di forma previsti da tale norma.

In quest’ultimo senso è possibile affermare che la forma deve limitarsia essere « strumento » di verifica della ricorrenza di un effettivo accordotra i soggetti contraenti, senza però « intralciare » i traffici commercialiinternazionali e sacrificare le esigenze degli operatori marittimi. La formadeve essere uno strumento al servizio degli operatori e non una sovra-struttura o, peggio, un « idolo » (52).

4. Una delle problematiche di maggiore interesse per chi volesseaccostarsi all’arbitrato marittimo è rappresentata dalla materia dei con-flitti di leggi (53), e ciò in quanto questo tipo di arbitrato si caratterizza perla propria spiccata vocazione internazionale, nell’ambito della quale assairaramente i rapporti giuridici si esauriscono all’interno di un unico ordi-namento statale (54).

Sotto questo aspetto l’arbitrato marittimo non si distingue da altrisettori dell’arbitrato commerciale internazionale, rispetto ai quali la dot-trina ha sempre sottolineato la rilevanza del tema dei conflitti di leggi. Inparticolare, è pacifico che ai differenti aspetti dell’arbitrato commercialeinternazionale può essere teoricamente applicata una legge differente: èinfatti possibile riscontrare una legge dell’accordo arbitrale che sia diversada quella della procedura, nonché da quella della disciplina sostanzialedella disputa ed anche da quella del lodo, e che queste ultime siano l’unanon coincidente con l’altra (55).

(51) Così SATTA, Il formalismo nel processo, relazione tenuta il 4 ottobre 1958 al quartoConvegno dell’Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile, ora in ID., Il mistero delprocesso, Milano, 1994, 86.

(52) La suggestione è ovviamente tratta da IRTI, Idola libertatis. Tre esercizi sul forma-lismo, Milano, 1985, passim.

(53) Cfr. le considerazioni svolte nel caso Mauritius Oil Refineries Ltd. v. Stolt-NielsenNederlands BV (The Stolt Sydness) [1997] 1 Lloyd’s Rep 273, nonché, in dottrina, AMBROSE,MAXWELL e PARRY, London Maritime Arbitration, cit., 61 ss.; BERLINGIERI, The law applicable bythe arbitrators, in Dir. maritt., 1998, 617-638; LA MATTINA, L’arbitrato marittimo, cit., 177 ss.;ZEKOS, Problems of Applicable Law in Commercial and Maritime Arbitration, in Journ. Int.Arb., 1999, 173-174. In generale, sui conflitti di legge nell’ambito del diritto marittimo cfr.BAATZ, The Conflict of Laws, in AA.Vv., Southampton on Shipping Law, London, 2008, 1 ss. e,da ultimo, CARBONE, Conflicts de lois en droit maritime, in Recueil des cours, 2009, t. 340, 67 ss.,ove ulteriori riferimenti.

(54) Cfr. HARRIS, Maritime Arbitrations, cit., 744.(55) Così ZEKOS, Problems of Applicable Law in Commercial and Maritime Arbitration,

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Ciò che, invece, caratterizza ed evidenzia la specialità dell’arbitratomarittimo relativamente alla materia dei conflitti di leggi sono due fon-damentali aspetti.

In primo luogo, la circostanza che il diritto marittimo sia propria-mente uno « jus commune mercatorum », un diritto cioè di origine con-suetudinaria, in larga parte recepito da convenzioni internazionali ovvero« codificato » nelle legislazioni nazionali in modo tale da assicurare solu-zioni normative sostanzialmente convergenti pur se, a volte, adottate conformulazioni non identiche a causa della diversità dei sistemi dogmaticiispiratori di ciascuna di esse (56). Tale aspetto — che distingue e caratte-rizza la materia in esame rispetto a ogni altro settore del diritto delcommercio internazionale — rende evidente che nell’ambito dell’arbitratomarittimo quale sia la disciplina applicabile al merito della controversianon determina propriamente un problema di conflitto di leggi, quantopiuttosto l’esigenza per l’arbitro di ricostruire la regola giuridica appro-priata a decidere il caso di specie, all’uopo interpretando in chiave« uniforme » (57) le norme convenzionali e/o statali tenuto conto dellarilevanza della prassi degli operatori marittimi internazionali (58). In que-

cit., 181. Sul punto cfr. ex multis GOLDMAN, Le conflict de lois en matière d’arbitrage internationalde droit privé, in Recueil des cours, 1963, II, 361 ss.; LEW, Applicable Law in InternationalCommercial Arbitration, New York, 1978, 1 ss.; MUSTILL e BOYD, Commercial arbitration, 2nd

ed., London, 1989, 61; RUSSELL, On arbitration, 23rd ed. (a cura di SUTTON, GILL e GEARING),London, 2007, 78 ss.; REDFERN e HUNTER, On International Arbitration, 5th ed. (in collaborazionecon BLACKABY e PARTASIDES), London, 2009, 165, i quali affermano che nell’arbitrato commer-ciale internazionale si è in presenza di « a complex interaction of laws ». Sul punto v., da ultimo,FERRARI e KRÖLL (cur.), Conflict of laws in international arbitration, Munich, 2011. In giurispru-denza si vedano per tutte le decisioni rese nei casi Naviera Amazonica Peruana SA v. CompaniaInternacional de Seguros del Peru [1988] 1 Lloyd’s Rep 116, Union of India v. McDonnellDouglas Corporation [1993] 2 Lloyd’s Rep 48, e Channel Tunnel Group. Ltd v. Balfour BeattyConstruction Ltd [1993] 1 Lloyd’s Rep 291.

(56) Così CARBONE e SCHIANO DI PEPE, Conflitti di sovranità e di leggi nei traffici marittimitra diritto internazionale e diritto dell’Unione europea, Torino, 2010, 3, e, nello stesso senso, giàVIVANTE, Trattato di diritto commerciale, I, Torino, 1938, 5. Sul rilievo dell’uniformità interna-zionale delle soluzioni relative alla regolamentazione del diritto marittimo nella prospettivastorica della sua « codificazione » da parte degli Stati v. i lavori pubblicati in PIERGIOVANNI (cur.),From Lex Mercatoria to Commercial Law, Berlin, 2005.

(57) Sul fatto che nei rapporti del commercio marittimo internazionale sia particolar-mente sentita l’esigenza di uniformità cfr., tra i contributi più rilevanti, ASCARELLI, Recensionea Lefebvre D’Ovidio - Pescatore, Manuale di diritto della navigazione, in Riv. dir. nav. 1950, I,159; BERLINGIERI (F. Sen.), Verso l’unificazione del diritto marittimo. Parole del Prof. A. Scialoja,in Dir. maritt., 1935, 449 ss.; ID., Verso l’unificazione del diritto del mare. Parole in replica al Prof.A. Scialoja, in Dir. maritt., 1936, 105 ss.; BERLINGIERI, Internazionalità del diritto marittimo ecodificazione nazionale, in Dir. maritt., 1983, 61 ss.; CARBONE, Autonomia privata e modellicontrattuali del commercio marittimo internazionale nei recenti sviluppi del diritto internazionaleprivato: un ritorno all’antico, in Dir. maritt., 1995, 315 ss.; ID, La c.d. autonomia del diritto dellanavigazione: risultati e prospettive, in Dir. maritt., 1975, 40 ss. Da ultimo, BARIATTI, Qualemodello normativo per un regime giuridico dei trasporti realmente uniforme?, in Dir. maritt.,2001, 486, ha sostenuto che l’uniformità nel diritto marittimo « è non solo un valore giuridicoprimario al quale tendere, ma anche un valore economicamente rilevante ».

(58) Sul punto v., da ultimo, CACHARD, Maritime Arbitration under the ICC Rules ofArbitration, cit., 40 ss.

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sto senso l’arbitrato marittimo accentua un fenomeno che è tipico di tuttoil diritto del commercio internazionale, ossia la insufficienza del metodoconflittuale tradizionale nella soluzione dei problemi riguardanti l’indivi-duazione della normativa applicabile ad un determinato rapporto giuri-dico (59), insufficienza che si manifesta in maniera ancora più rilevante incaso di deferimento ad arbitrato della soluzione di una controversia (60).

In secondo luogo, in ambito marittimo si accentua altresì la rilevanzadell’autonomia privata come strumento di « giustizia materiale » volto adisciplinare direttamente (senza i filtri delle norme di diritto internazio-nale privato) una determinata fattispecie (61).

Insomma, relativamente al tema dei conflitti di leggi, la materiamarittima conferma la propria « specialità » rispetto agli altri ambiti deldiritto del commercio internazionale, imponendo all’arbitro di determi-

(59) Per uno sguardo critico sul metodo conflittuale tradizionale nell’ambito dei rapportidel commercio internazionale cfr. ex multis CAVERS, A Critique of the Choice-of-Law Problem,in Harvard Law Rev., 1933, 173 ss.; KEGEL, The Crisis of the Conflict of Laws, in Recueil descours, 1973, II, 279 ss.; PICONE, Ordinamento competente e diritto internazionale privato, Padova,1986, 1 ss., nonché BAXTER, International Conflict of Laws and International Business, in Int.Comp. Law Quart., 1985, 538, ove afferma che « current choice-of-law techniques are in generalnot well designed for application to problems that arise in the complex and rapidly developingfield of international trade and investment ». Sul connesso problema dell’insufficienza dellelegislazioni nazionali a disciplinare adeguatamente i rapporti del commercio internazionale sirinvia, senza pretesa di completezza, a BONELL, Le regole oggettive del commercio internazionale,Milano, 1976, 8-19; CARBONE e LUZZATTO, Il contratto internazionale, in Trattato di diritto privato,diretto da RESCIGNO, vol. 12, 2ª ed., Torino, 2000, 400 ss.

(60) Sul punto cfr. VISMARA, Le norme applicabili al merito della controversia nell’arbi-trato internazionale, Milano, 2001, passim, ma specialmente 155 ss.

(61) Sul punto particolarmente chiara è l’analisi di CARBONE e LUZZATTO, Il contrattointernazionale, cit., 344-350, ove ulteriori riferimenti nella letteratura internazional-privatistica,cui adde — da ultimo — CARBONE, La disciplina applicabile ai rapporti economici internazionali:verso una unitaria funzione dell’autonomia privata in senso sostanziale e internazionalprivati-stico, in Nuova Giur. Ligure, 2013, 29 ss.

Sul ruolo dell’autonomia privata nella determinazione della disciplina applicabile airapporti del commercio marittimo internazionale cfr. ALVAREZ RUBIO, Las clausolas Paramount:Autonomia de la voluntad y seleccion del derecho applicabile en el transporte maritimo interna-cional, Madrid, 1997, passim; CARBONE, L’attuazione del diritto marittimo uniforme tra codifi-cazione e decodificazione, in ZICCARDI CAPALDO (a cura di) Attuazione dei Trattati internazionalie Costituzione italiana. Una riforma prioritaria nell’era della Comunità globale, Napoli, 2003, 153ss.; ID., Autonomia privata e modelli contrattuali del commercio marittimo internazionale neirecenti sviluppi del diritto internazionale privato: un ritorno all’antico, in Dir. maritt., 1995, 318;ID., Autonomia privata e forza « espansiva » del diritto uniforme dei trasporti, relazione tenutaal convegno « Il trasporto marittimo di persone e di cose. Novità sulla unificazione della lorodisciplina » — Genova, 19 maggio 2006, in Dir. maritt., 2007, 1053 e ss.; CARBONE e LUZZATTO,Contratti internazionali, autonomia privata e diritto materiale uniforme, in Dir. comm. int., 1993,755; CASTELLANOS RUIZ, Autonomìa de la voluntad y derecho uniforme en el transporte interna-cional, Granada, 1999; CELLE, La Paramount clause nell’evoluzione della normativa in materiadi polizza di carico, in Dir. maritt., 1988, 11 ss.; GIARDINA, L’autonomia delle parti nel commerciointernazionale, in AA. VV., Gli usi del commercio internazionale nella negoziazione ed esecu-zione dei contratti internazionali, Milano, 1987, 15; IVALDI, Diritto uniforme dei trasporti e dirittointernazionale privato, Milano, 1990, 70 e ss.; LA MATTINA, Le prime applicazioni delle Regole diAmburgo tra autonomia privata, diritto internazionale privato e diritto uniforme dei trasporti, inRiv. dir. int. priv. e proc., 2004, 597 ss.; LOPEZ DE GONZALO, L’obbligazione di consegna nellavendita marittima, Milano, 1997, 7-24.

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nare la disciplina applicabile alla singola fattispecie avuto particolareriguardo non solo alla prassi degli operatori marittimi internazionali (cherappresenta propriamente un « filtro » attraverso cui anche i giudici deisingoli Stati dovrebbero interpretare il diritto marittimo), ma anche allavolontà delle parti che — pur con le distinzioni sopra esposte — in questosettore assume il ruolo decisivo di criterio di « giustizia materiale » voltoa disegnare concretamente il background normativo del singolo rapportogiuridico.

Quest’ultima caratteristica si coglie in maniera particolare nello svi-luppo della disciplina giuridica dei trasporti marittimi, nell’ambito deiquali è però opportuno operare una distinzione tra contratti di trasportodi carico (generalmente documentati da charter parties) e contratti ditrasporto di linea (62).

Nei charter parties, ove il rapporto economico si svolge « tra pari »(essendo le parti di tali rapporti tutte operatori professionali), la regola-mentazione del fenomeno è affidata essenzialmente a formulari contrat-tuali invalsi nella prassi del commercio internazionale (63), la cui utilizza-zione conduce ad una pressoché totale « delocalizzazione » di taletipologia di rapporti, che si vengono ad affrancare dal diritto statale infavore di scelte normative rispondenti alle esigenze degli operatori eco-nomici ed al grado di internazionalità di tali negozi. In questo settore,pertanto, l’ambito di operatività dell’autonomia privata è pressoché illi-mitato, salvo il rispetto dei principi di ordine pubblico e delle norme diapplicazione necessaria degli ordinamenti collegati con l’operazione eco-nomica (64).

(62) Sulla distinzione tra trasporto di carico e trasporto di linea si vedano, fra i contributipiù significativi, BERLINGIERI (G.), Sulla distinzione tra trasporto di carico e trasporto di cosedeterminate, in Dir. maritt., 1952, 149 ss.; BERLINGIERI, Profilo dei contratti di utilizzazione dellanave, in Dir. maritt., 1961, 417 ss.; CARBONE, Contratto di trasporto marittimo di cose, 2ª ed. incollaborazione con LA MATTINA, Milano, 2010, 169 ss.; FERRARINI, I contratti di utilizzazione dellanave e dell’aeromobile, Roma, 1947, 120 ss.; GAETA, La distinzione tra trasporto di carico etrasporto di cose determinate, in Riv. dir. nav., 1972, I, 171; LEFEBVRE D’OVIDIO, PESCATORE eTULLIO, Manuale di diritto della navigazione, 9ª ed., Milano, 2000, 538 ss.; LOPEZ DE GONZALO,L’esercizio della giurisdizione civile, cit., 515-516; RIGHETTI, Trattato di diritto marittimo, II,Milano, 1990, n. 414; SPASIANO, I contratti di utilizzazione della nave: note per la revisione delladisciplina attuale, in Giur. it., 1977, IV, c. 49 ss.; TULLIO, Il contratto di noleggio, Milano, 2006,passim. Per una essenziale ed efficace ricostruzione delle differenze del sostrato economico deidue tipi contrattuali sopra richiamati v. per tutti MUNARI, Il diritto comunitario antitrust nelcommercio internazionale: il caso dei trasporti marittimi, Padova, 1993, 127-130.

(63) Su questo tema cfr. per tutti BOI, I contratti marittimi, cit., loc. cit., cui adde CARBONE,CELLE e LOPEZ DE GONZALO, Il diritto marittimo - Attraverso i casi e le clausole contrattuali, 4ª ed.,Torino, 2011, 15 ss.

(64) In questo senso CARBONE (Autonomia privata e modelli contrattuali del commerciomarittimo internazionale, cit., 318) ha constatato « un assai limitato rilievo, ed in via di estremasupplenza, della disciplina legale degli specifici ordinamenti statali nei cui ambiti devono essererealizzati gli effetti dei rapporti in esame, salvi alcuni principi di ordine pubblico e/o limitiall’autonomia privata eventualmente previsti da tali ordinamenti in virtù di norme di applicazionenecessaria ».

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Nel trasporto di linea, per contro — la cui disciplina giuridica ècontenuta in norme di diritto materiale uniforme aventi carattere indero-gabile (rappresentate, allo stato, prevalentemente dal sistema delle Re-gole dell’Aja ed, entro una cerchia ridotta di stati in via di sviluppo, dalleRegole di Amburgo (65)) — l’autonomia privata assume una diversarilevanza, in quanto essa non è uno strumento per disciplinare ogniaspetto dell’operazione economica, ma un mezzo attraverso il qualeestendere le regole materiali uniformi oltre il proprio ambito di applica-zione (tramite l’utilizzo delle Paramount Clauses (66)) ovvero predisporreun regime di responsabilità del vettore più gravoso rispetto a quelloprevisto dal diritto materiale uniforme (67). In entrambi i casi, comunque,l’esercizio dell’autonomia privata si concreta non tanto in una mera« scelta della legge applicabile » in senso internazional-privatistico, sib-bene nella concreta definizione del back-ground normativo del rapportogiuridico.

Anche in altri settori del diritto marittimo, da un lato, la massicciapresenza di convenzioni di diritto materiale uniforme ratificate dallamaggior parte degli Stati « marittimi » (si pensi alla Convenzione diBruxelles del 1910 in tema di urto di navi e alla Convenzione di Londra del1989 in tema di soccorso) e, dall’altro lato, l’esistenza di consolidati usicommerciali internazionali (quali, ad esempio, le Regole di York e An-versa in tema di liquidazione delle avarie generali (68)) confermano che,

(65) Sulla disciplina uniforme del trasporto marittimo di linea cfr. per tutti CARBONE,Contratto di trasporto marittimo di cose, cit. Sulla compatibilità dello strumento arbitrale con ladisciplina inderogabile di tale tipo di trasporto v. infra, § 6.

(66) Sulle Paramount Clauses cfr. senza pretesa di completezza BERLINGIERI, Note sulla« paramount clause », nota a App. Trieste, 3 marzo 1978, Agemar c. SIAT, in Dir. maritt., 1979,216 ss.; ID., Note sulla « paramount clause », nota a App. Trieste, 2 dicembre 1986, AdriaticShipping Company c. Prudential, in Dir. maritt., 1987, 938 ss.; CARBONE, Contratto di trasportomarittimo di cose, cit., 82 ss.; CELLE, La Paramount Clause nell’evoluzione della normativainternazionale, cit., 11 ss.; ID., Convenzione di Bruxelles del 25 agosto 1924 - Polizza emessa instato non contraente - Legge applicabile - « Paramount clause », nota a Cass. 10 agosto 1988, n.4905, Agenzia maritt. Spadoni c. Soc. Weltra, in N.G.C.C., 1989, I, 470 ss.; IVALDI, La volontàdelle parti nel contratto di trasporto marittimo: note sulla Paramount Clause, in Riv. dir. int. priv.e proc., 1985, 799 ss.; EAD., Diritto uniforme dei trasporti, cit., 70 ss.; RIGHETTI (G.), Trattato didiritto marittimo, II, Milano, 1990, 698-704; da ultimo ALVAREZ RUBIO, Las clàusolas Paramount,cit., passim ed ivi completi riferimenti alla dottrina inglese.

(67) Sul ruolo dell’autonomia privata nell’ambito dei contratti di trasporto marittimo dilinea cfr. CARBONE, La disciplina giuridica, cit., 63-67; ID., Contratto di trasporto marittimo dicose, cit., 81 ss.; GRIGOLI, Rilevanza dell’autonomia privata nella normativa del trasportomarittimo internazionale di merci, in Giust. civ., 1996, I, 691, nonché CASTELLANOS RUIZ,Autonomìa de la voluntad y derecho uniforme en el transporte internacional, cit. Assai signifi-cativamente BARIATTI, Quale modello normativo per un regime giuridico dei trasporti realmenteuniforme?, cit., 491 ha parlato di « ruolo centrale » della volontà delle parti nell’ambito in esame.

(68) Sul fatto che le Regole di York e Anversa abbiano natura di « fonte di dirittoconsuetudinario » v. Trib. Genova, 23 dicembre 1940, in Dir. maritt., 1941, 288, cui addeCARBONE, CELLE e LOPEZ DE GONZALO, Il diritto marittimo, cit., 408, secondo i quali esse, avendonatura di « veri e propri usi normativi », sarebbero « applicabili anche laddove non espressa-mente richiamate »

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negli arbitrati che hanno a oggetto controversie marittime internazionali,la « scelta della legge applicabile » non si sostanzia tanto nel mero rinvioad un ordinamento statale con l’intento che il rapporto considerato siadisciplinato in via esclusiva dalle norme di tale ordinamento, quanto nellaindicazione dell’ordinamento volto a imporre agli arbitri la applicazione (ela interpretazione conforme alla volontà delle parti) sia delle normeinderogabili di diritto materiale uniforme, sia degli usi del commerciomarittimo internazionale rilevanti in relazione alla fattispecie (69).

È in questo senso che si coglie l’importanza e il significato dellaindicazione della legge inglese quale legge applicabile da parte degliarbitri nei formulari più utilizzati dagli operatori marittimi internazionali:certamente con tale indicazione le parti dei contratti del commerciomarittimo intendono « appoggiarsi » all’ordinamento che più di tutti haconsentito lo sviluppo e la corretta interpretazione dei principi della c.d.lex maritima, la quale rappresenta — anche in mancanza di scelta ad operadelle parti (70) — il corpus normativo in base al quale gli arbitri marittimidovranno basare le proprie decisioni. Con tale espressione si intende inparticolare riferirsi alla circostanza che il diritto applicato dalle istituzioniarbitrali chiamate a decidere le controversie marittime internazionali èbasato su un corpus di principi normativi, i quali — anche laddove recepiti

(69) Sul diverso problema della rilevanza del c.d. criterio di autocollegamento, in virtùdel quale norme di applicazione necessaria (quali si configurano le disposizioni inderogabilidelle convenzioni di diritto materiale uniforme) di ordinamenti diversi rispetto alla lex causaepossono venire in rilievo nelle decisioni arbitrali, v., da ultimo, CARBONE, Iura novit curia earbitrato commerciale internazionale, in Riv. dir. int. priv. e proc., 2010, 363 ss., nonché RADICATI

DI BROZOLO, Arbitrage commercial international et lois de police, cit., 463 ss.(70) La mancata indicazione della legge applicabile ad opera delle parti è ipotesi

piuttosto rara nei rapporti del commercio marittimo internazionale. In ogni caso, come noto, inassenza di scelta della legge applicabile, la dottrina ha individuato molteplici criteri in base aiquali gli arbitri internazionali possono rintracciare la lex causae. In estrema sintesi, i principalicriteri consistono: (a) nella applicazione delle norme di conflitto ritenute più appropriate al casodi specie (come previsto, ad esempio, dall’art. VII.1 della Convenzione di Ginevra del 1961 edalla Section 46.3 dell’Arbitration Act inglese del 1996); (b) nella applicazione delle norme diconflitto della lex arbitri (il che accade di frequente nell’ambito dell’arbitrato marittimo,allorché esso abbia sede a Londra: v. AMBROSE, MAXWELL e PARRY, London Maritime Arbitra-tion, cit., 64. Tale soluzione — in linea generale e non con specifico riguardo all’arbitratomarittimo — è stata peraltro oggetto di critica: v. sul punto i riferimenti contenuti in BERLIN-GIERI, The law applicable by the arbitrators, cit., 621-622, nota 20); (c) nella applicazione« cumulativa » delle norme di conflitto degli ordinamenti con cui la fattispecie presenta uncollegamento (sul punto v. già DERAINS, L’application cumulative par l’arbitre des systèmes deconflit de loi intéressés au litige, in Rev. arb., 1972, 99 ss.); (d) nella applicazione « in via diretta »delle norme sostanziali più appropriate a disciplinare la fattispecie (v. i riferimenti contenuti inVISMARA, Le norme applicabili al merito della controversia, cit., 187 ss.). Sui criteri concreta-mente utilizzati dagli arbitri internazionali per individuare la legge applicabile in assenza discelta ad opera delle parti cfr. per tutti POUDRET e BESSON, Droit comparé de l’arbitrageinternational, cit., 616 ss., nonché, nella dottrina italiana, ancora VISMARA, Le norme applicabilial merito della controversia, cit., 173 ss. In ambito marittimo pare peraltro corretto ritenere che,in mancanza di scelta, trovino applicazione « in via diretta » i principi della c.d. lex maritima, sucui ci soffermeremo subito nel seguente paragrafo.

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o « codificati » nelle legislazioni nazionali (71) — traggono origine comunee sono costituiti da due diversi « formanti », ossia, da un lato, la lexmercatoria (che comprende sia le convenzioni internazionali in tema ditrasporti marittimi (72), sia gli usi e le consuetudini diffusi nel set-tore (73)) (74), dall’altro lato, i formulari e modelli contrattuali maggior-mente utilizzati dagli operatori marittimi internazionali (75). In questosenso, la Suprema Corte degli Stati Uniti d’America ha potuto affermare

(71) Sul punto v. CARBONE e SCHIANO DI PEPE, Conflitti di sovranità e di leggi nei trafficimarittimi tra diritto internazionale e diritto dell’Unione europea, cit., 15, secondo cui, conriferimento all’esperienza italiana, il codice della navigazione ha accolto quasi integralmente laregolamentazione internazionale di istituti fondamentali del diritto marittimo quali, ad esempio,l’urto di navi, l’assistenza e il salvataggio, l’avaria comune, il trasporto marittimo e il regime diresponsabilità del vettore, nonché i privilegi e l’ipoteca.

(72) Così LEGROS, Les conflits de normes jurisdictionnelles en matière de contrats detransport internationaux de marchandises, in Clunet, 2007, 1121. Sull’« insostituibile ruolo delleconvenzioni internazionali » nel quadro delle fonti del diritto marittimo uniforme cfr. per tuttiCARBONE e SCHIANO DI PEPE, Conflitti di sovranità e di leggi nei traffici marittimi tra dirittointernazionale e diritto dell’Unione europea, cit., 23 ss.

(73) Cfr. FALL, Defence and Illustration of Lex Mercatoria in Maritime Arbitration, inJourn. Int. Arb., 1998, 83, il quale sottolinea l’esistenza di un « corpus of customs and usagesagreed upon by the shipping community and constitutive of the law that governs the substance ofmaritime-related contracts or the merits of maritime disputes ». Nello stesso senso v. già HOUGH,Admiralty Jurisdiction — Of Late Years, in Harv. L. Rev., 1924, 529 ss., e spec. 536, secondo cui« maritime law is a body of sea customs » e che « custom of the sea includes a customaryinterpretation of contract language ». Sulla particolare rilevanza degli usi e delle consuetudiniquali « formanti » (nonché strumenti interpretativi) della lex maritima si vedano alcuni prece-denti della giurisprudenza statunitense. In particolare:

- Stolt-Nielsen v. AnimalFeeds International Corp, 559 U. S. Supreme Court (2010):« Under both New York law and general maritime law, evidence of« custom and usage » isrelevant to determining the parties’ intent when an express agreement is ambiguous »;

- Samsun Corp. v. Khozestan Mashine Kar Co., 926 F. Supp. 436, 439 (S.D.N.Y. 1996):« [W]here as here the contract is one of charter party, established practices and customs of theshipping industry inform the court’s analysis of what the parties agreed to »;

- Great Circle Lines, Ltd. v. Matheson & Co., 681 F. 2d 121, 125 (C.A. 1982): « Certainlongstanding customs of the shipping industry are crucial factors to be considered when decidingwhether there has been a meeting of the minds on a maritime contract ».

(74) In proposito cfr. TETLEY, Mixed jurisdictions: common law vs civil law (codified anduncodified), Roma, 1999 (reperibile sul sito Internet dell’UNIDROIT www.unidroit.org),secondo cui « The lex mercatoria incorporated a body of customary private maritime law, the lexmaritima, or “Ley Maryne” as it was called in French Law ». Importante notare che FALL,Defence and Illustration of Lex Mercatoria in Maritime Arbitration, cit., 84, ritiene che la lexmaritima rappresenti la « major part » della lex mercatoria. La bibliografia in tema di lexmercatoria è vastissima e, non essendo possibile darne atto in questa sede, si rinvia, anche perulteriori riferimenti, a GALGANO e MARRELLA, Diritto e prassi del commercio internazionale,Padova, 2010, passim, cui adde MARRELLA, La nuova lex mercatoria - Principi UNIDROIT edusi dei contratti del commercio internazionale, Padova, 2003, passim.

(75) Così TETLEY, The General Maritime Law, cit., loc. cit. Sulla centralità dei modellicontrattuali e, in generale, delle pratiche mercantili nel panorama delle fonti del dirittomarittimo cfr. CARBONE, CELLE e LOPEZ DE GONZALO, Il diritto marittimo, cit., spec. Introduzione;GRIGOLI, Introduzione al nuovo volto del diritto della navigazione, Torino, 1995, 217 ss. e, daultimo, BOI, I contratti marittimi. La disciplina dei formulari, cit., passim. Sul fatto che iformulari dei contratti del commercio marittimo internazionale siano una fonte di « dirittooggettivo » v. per tutti Cfr. CARBONE, Autonomia privata e modelli contrattuali del commerciomarittimo internazionale nei recenti sviluppi del diritto internazionale privato: un ritorno all’an-tico, in Dir. maritt., 1995, 318-321.

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nel caso The Lottawanna che « it happens that, from the general practice ofcommercial nations in making the same general law the basis andgroundwork of their respective maritime systems, the great mass of mari-time law which is thus received by these nations in common, comes to be thecommon maritime law of the world », sicché « the received maritime lawmay differ in different countries without affecting the general integrity of thesystem as a harmonious whole » (76).

È quindi evidente che la « prospettiva statalista » viene sempre più aperdere di rilievo nell’ambito della risoluzione delle controversie marit-time. E ciò in un triplice senso.

In primo luogo, in quanto i rapporti giuridici concernenti i trafficimarittimi hanno una « vocazione internazionale » che rende inadeguatauna loro regolamentazione basata esclusivamente su norme di dirittointerno (77).

In secondo luogo, perché, comunque, i singoli diritti marittimi nazio-nali perdono progressivamente i propri specifici tratti distintivi e si « sper-sonalizzano » in favore di una loro comune riconducibilità a un « si-stema », la lex maritima, costituita da principi che, a prescindere dallalocalizzazione della fattispecie, sono in larga parte coincidenti in ogniparte del mondo, e ciò anche perché gli ordinamenti nazionali tendono adadeguarvisi (78).

In terzo luogo, perché, anche laddove il diritto marittimo venga« codificato » dalla normativa interna di un determinato Stato con unaformulazione non esattamente coincidente a quella di cui alla lex mari-tima, esso potrà (e, anzi, dovrà) essere interpretato in modo tale daassicurare l’uniformità internazionale delle soluzioni, tenendo in debitoconto i precedenti giurisprudenziali stranieri (79).

Ciò non deve peraltro essere inteso nel senso che i rapporti delcommercio marittimo internazionale siano del tutto impermeabili rispettoagli ordinamenti statali. A questo riguardo si deve innanzi tutto tenereconto che la lex maritima può trovare terreno fertile soltanto nella misurain cui i singoli diritti statali ne consentano lo sviluppo e la applica-

(76) Così The Lottawanna, 88 US 558 (1875) at 573. Nello stesso senso v., nellagiurisprudenza inglese, la decisione resa nel caso The Tolten [1946] All. E.R. 79.

(77) Nel senso di cui al testo cfr. per tutti CARBONE, Autonomia privata e modellicontrattuali del commercio marittimo internazionale, cit., 315.

(78) Così CARBONE e SCHIANO DI PEPE, Conflitti di sovranità e di leggi nei traffici marittimitra diritto internazionale e diritto dell’Unione europea, cit., 29. Sul fatto che la lex maritima constinon solo di « principi », ma anche di « regole » cfr. per tutti TETLEY, The General Maritime Law,cit., loc. cit.

(79) Cfr. ancora CARBONE e SCHIANO DI PEPE, Conflitti di sovranità e di leggi nei trafficimarittimi tra diritto internazionale e diritto dell’Unione europea, cit., 26 e 30, cui adde quantoaffermato dalla Corte Suprema americana nel caso The Lottawanna (v., in particolare, lacitazione di cui al testo corrispondente alla nota 76).

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zione (80). Inoltre, come è stato anche di recente sottolineato, il dirittouniforme dei trasporti, così come gli usi commerciali invalsi tra glioperatori del commercio marittimo internazionale, necessitano (a) dellacontinua « integrazione » da parte di norme di diritto interno volte acolmarne le lacune ovvero a consentirne la concreta attuazione (81),nonché (b) dell’enforcement da parte dei giudici nazionali (anche in sededi riconoscimento ed esecuzione delle decisioni arbitrali) (82).

Non ci troviamo quindi di fronte ad una contrapposizione frontale fraesigenze degli operatori del commercio internazionale e ordinamentistatali, bensì siamo in presenza del progressivo riconoscimento di taliesigenze da parte di legislatori e giudici nazionali (83).

Le considerazioni sopra svolte permettono di comprendere perchél’arbitrato sia lo « strumento privilegiato » di soluzione delle controversiemarittime internazionali (84). Infatti, in un contesto dove la legislazionestatale perde quella « centralità » che normalmente riveste in altri settori

(80) In questo senso occorre sottolineare il ruolo decisivo delle corti inglesi nellosviluppo e nalla applicazione della lex maritima: v. in proposito TETLEY, The General MaritimeLaw, cit., loc. cit.. Sul rilievo del riconoscimento da parte degli ordinamenti statali del poteredegli operatori del commercio marittimo « di sottoporre in modo giuridicamente « effettivo » iloro rapporti contrattuali a complessi di norme e di principi non coincidenti con un determinatosistema giuridico statale », cfr. CARBONE, Autonomia privata e modelli contrattuali del commerciomarittimo internazionale, cit., 320-321. In generale, diverse e rilevanti pronunce della giurispru-denza italiana e straniera hanno riconosciuto l’esistenza e l’importanza della lex mercatorianell’ambito del diritto del commercio internazionale: v., ex multis, per la giurisprudenza italiana,Cass. 8 febbraio 1982, n. 722, Ditta Fratelli Damiano snc c. Ditta August Töpfer & Co. GmbH,in Dir. maritt., 1982, 644 (su cui v., da ultimo, GALGANO e MARRELLA, Diritto e prassi delcommercio internazionale, cit., 281 ss.); per quella francese, App. Paris 25 giugno 1993, in Rev.arb., 1993, 685 ss. con nota di BUREAU; per quella inglese, Deutsche Schachtsbau - undTiefbohrgesellschaft mbH v. Ras Al Khaimah National Oil Co., [1990] 1 A.C., 295 (per uncommento di questa decisione si rinvia ad HUNTER, Lex mercatoria, in L.M.C.L.Q., 1987, 277ss.), nonché, da ultimo, Premium Nafta Products Ltd. and others v. Fili Shipping Company Ltd.and others [2008] 1 Lloyd’s Rep 254 at 29.

(81) Cfr. CARBONE e SCHIANO DI PEPE, Conflitti di sovranità e di leggi nei traffici marittimitra diritto internazionale e diritto dell’Unione europea, cit., 18 e 22-23, nonché LA MATTINA, Leprime applicazioni delle Regole di Amburgo, cit., loc. cit.

(82) Cfr., in generale, GALGANO, Lex mercatoria, cit., 220, il quale ha affermato che lenorme di diritto interno statali sono il « braccio secolare » necessario per attuare i contenutidella lex mercatoria e per porre in esecuzione i lodi degli arbitrati commerciali internazionali.Sul punto v. anche CARBONE, Strumenti finanziari, corporate governance e diritto internazionaletra disciplina dei mercati finanziari e ordinamenti nazionali, in Riv. soc., 2000, 457, il qualeafferma che « il ruolo degli ordinamenti statali tende ad essere confinato piuttosto a sede, garanziae controllo della loro attuazione [delle regole del commercio internazionale] che fonte delladisciplina al riguardo applicabile. [...] Tale osservazione incide significativamente sulla, e riducegrandemente la, c.d. sovranità degli Stati ».

(83) Cfr. CARBONE, Autonomia privata e modelli contrattuali, cit., 320-321. In proposito siveda questo passaggio di Cass. S.U. 1 ottobre 1987, n. 7341, Soc. Ceam c. Wiener LandesHypothekenbank, in Foro it., 1988, I, 123, con note di VIALE e TUCCI: « il fondamentale principiodell’autonomia contrattuale consente alle parti di stipulare, nei limiti imposti dalla legge, tuttequelle intese negoziali, riconosciute dall’ordinamento giuridico, che vengano ritenute idonee allatutela dei rapporti in continua evoluzione; [...] è inoppugnabile che sia meritevole di tutelal’esigenza connessa al commercio internazionale in grande espansione ».

(84) Così CARBONE e LOPEZ DE GONZALO, L’arbitrato marittimo, cit. Nello stesso senso

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del diritto e dove l’autonomia privata assume una importanza determi-nante nella disciplina dei rapporti tra gli operatori marittimi, è evidenteche l’arbitrato assume il ruolo di sede più appropriata per dirimere lecontroversie marittime, essendo uno strumento di giustizia privata volto acomporre le controversie nell’ottica di dare « la più compiuta attuazionedei valori relativi ad una completa ed autosufficiente disciplina del rap-porto » (85). E ciò anche avuto riguardo alla specificità della normativaapplicabile a tali controversie, aspetto, quest’ultimo, che consente altresìdi comprendere perché determinate istituzioni arbitrali (e mi riferisco, inparticolare, alla London Maritime Arbitrators Association di Londra e allaSociety of Maritime Arbitrators di New York) dirimano circa il 90% degliarbitrati marittimi mondiali.

In quest’ultimo senso è altresì possibile comprendere l’importanzadell’arbitrato nello sviluppo e nella progressiva « sistematizzazione » dellalex maritima (86): è chiaro che uno strumento di giustizia privata è certa-mente più appropriato rispetto a un tribunale statale a superare unavisione « statocentrica » della regolamentazione dei rapporti giuridici e aconsentire l’applicazione di un corpus di principi comuni all’intera comu-nità degli operatori del commercio marittimo internazionale (87), principiche — conformemente a un auspicio già rivolto da parte di SCIALOJA —consentono di disciplinare il fenomeno in esame tenendo in debito contogli usi, le pratiche commerciali e le esigenze degli stessi operatori, nonché,soprattutto, i « fatti economici » che stanno alla base dei loro rapporti (88).

Quanto sopra esposto conduce, infine, ad una riflessione di ordine piùgenerale.

I fenomeni del commercio marittimo internazionale tendono semprepiù ad inquadrarsi secondo linee direttrici « centrifughe » rispetto alle

DELEBECQUE, L’arbitrage maritime contemporain, cit, 436; HARRIS, Maritime Arbitrations, cit.,743; JAMBU-MERLIN, L’arbitrage maritime, cit., 401; LEGROS, Les conflicts de normes jurisdiction-nelles en matière de contrats de transport internationaux de marchandises, cit., 1105.

(85) Così CARBONE e D’ANGELO, Cooperazione tra imprese e appalto internazionale,Milano, 1991, 188.

(86) Cfr. TETLEY, The General Maritime Law, cit., loc. cit., secondo cui « the lex maritima,or ’general maritime law’, is found more and more today in maritime arbitral awards through theworld ».

(87) Sul punto, più in generale, con riferimento all’arbitrato commerciale internazionale,v. da ultimo ANCEL, L’application d’un droit non-étatique dans l’arbitrage international, in Revuelibanaise de l’arbitrage arabe et international, 2011, 12 ss.

(88) V. in proposito SCIALOJA, Corso di diritto della navigazione, Roma, 1943, 22, il quale,nell’auspicare la necessità di una « lettura economica » del diritto marittimo, affermava che« occorre [...] trarre la visione e l’interpretazione degli istituti giuridici dalla diretta osservazionedei fatti economici ». Nello stesso senso, recentemente, la giurisprudenza inglese ha sottolineatocon particolare enfasi l’esigenza di interpretare i contratti del commercio marittimo interna-zionale dando soprattutto rilievo agli scopi economici perseguiti dalle parti: v. in propositoPremium Nafta Products Ltd. and others v. Fili Shipping Company Ltd. and others [2008] 1Lloyd’s Rep 254, nonché, da ultimo, Rainy Sky SA and Others v. Kookmin Bank [2012] 1Lloyd’s Rep 34.

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legislazioni statali. L’esistenza (e l’applicazione negli arbitrati marittimiinternazionali) di una moderna lex maritima conferma il progressivoabbandono di una « prospettiva statalista » nella regolamentazione deirapporti tra gli operatori marittimi e, conseguentemente, confermano ilsempre minor rilievo delle tecniche conflittuali nella individuazione dellenorme giuridiche volte a disciplinare tali rapporti.

Se infatti è corretto affermare che lo status esprime « l’appartenenzadel titolare ad un rapporto sociale » e che esso sia « fonte di una serie dieffetti giuridici » (89), è altrettanto corretto ritenere che gli appartenenti algruppo sociale degli operatori economici abituali del settore dei trafficimarittimi si trovino a vedere i loro rapporti non già sottoposti ad unasingola legge nazionale, ma soggetti ad un trattamento giuridico differente,uno statuto di gruppo loro particolare (consistente nella lex maritima), ilquale viene in rilievo al fine di venire incontro alle esigenze degli operatoridel settore (90). In altri termini, nel diritto marittimo transnazionale, allalegge, intesa come disciplina autoritativa con cui il singolo ordinamentostatale rivendica la propria sovranità, si sostituisce (almeno in larga parte)uno ius commune mercatorum rappresentato dalla lex maritima, applica-bile nei rapporti tra gli operatori del commercio marittimo internazionale,in funzione dello status di questi ultimi (91).

Lo status mercatorio appare quindi come « momento di sintesi » delladisciplina giuridica applicabile agli operatori del commercio marittimointernazionale « su base personale », al fine, cioè, di consentire a talisoggetti di ricevere un trattamento flessibile e improntato a soddisfare iprincipi del favor commercii e, in particolare, di veder soddisfatte leesigenze di speditezza e rapidità tipicamente emergenti con riferimento aitraffici marittimi.

5. Il rilievo dell’autonomia privata trova poi una conferma, e — anzi— una accentuazione, avuto riguardo agli aspetti in senso lato « procedi-mentali » dell’arbitrato marittimo. È ben vero che, come sottolineato daattenta dottrina, « the liberty enjoyed by the parties in fashioning theproceedings » rappresenta « the most basic hallmark » di tutti gli arbitraticommerciali internazionali (92); tuttavia, è proprio con riferimento agli

(89) Così D’ANGELO (ANT.), Il concetto giuridico di « status », in Riv. it. sc. giur., 1938, 261e 254.

(90) Sul punto cfr. CARBONE, Autonomia privata e modelli contrattuali, cit., 318 ss.(91) Sul punto sia consentito rinviare a quanto già anticipato in LA MATTINA, Clausole di

deroga alla giurisdizione in polizza di carico e usi del commercio internazionale tra normativainterna e disciplina comunitaria, in Dir. maritt., 2002, 473-474.

(92) Così COE, International Commercial Arbitration. American Principles and Practice ina Global Context, New York, 1997, 59.

Il principio di autonomia delle parti nella scelta delle regole di procedura è stato codificatosia nell’art. V(1)(d) della Convenzione di New York del 1958 (il quale prevede come motivo dirifiuto di riconoscimento o esecuzione del lodo la circostanza che la procedura d’arbitrato non

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arbitrati marittimi che le parti (direttamente o per il tramite dei propriarbitri) mantengono un più forte controllo sul procedimento, modellan-dolo in modo tale da assecondare il più possibile le proprie esigenze, allaluce delle caratteristiche della materia trattata (93).

È così che la grande maggioranza degli arbitrati marittimi (differen-temente dagli altri tipi di arbitrati commerciali internazionali), ancorchésvolti secondo le regole di istituzioni arbitrali, sono arbitrati « ad hoc » (94)e non arbitrati amministrati (95), con la conseguenza che i procedimentiarbitrali aventi a oggetto controversie marittime vengono generalmentecondotti con una notevole flessibilità procedurale e — almeno tendenzial-mente — sotto il costante controllo delle parti (96).

Questo aspetto dell’arbitrato marittimo nasce da motivi di caratterestorico. Infatti, per lungo tempo (e sino a pochi decenni fa) esso si èconfigurato come strumento di soluzione delle controversie che in largaparte prescindeva da schemi di tipo « processuale »: gli arbitri marittimierano per lo più brokers afferenti al Baltic Exchange di Londra, i qualidecidevano sulla base della propria sensibilità ed esperienza, in un con-testo privo di formalismi, e quindi senza la necessità di utilizzare regoleprocedimentali (97). A partire dal 1960 circa, l’evoluzione dell’arbitrato

sia stata conforme alla convenzione delle parti), sia nell’art. IV(1)(b)(iii) della Convenzione diGinevra del 1961 (secondo cui le parti di un procedimento arbitrale ad hoc hanno la facoltà distabilire le regole di procedura da seguirsi da parte degli arbitri). Tale principio trova inoltreconferma anche nella normativa interna in tema di arbitrato: si veda, ad esempio, l’art. 816-bisc.p.c. (secondo il quale « le parti possono stabilire nella convenzione d’arbitrato, o con atto scrittoseparato, purché anteriore all’inizio del giudizio arbitrale, le norme che le parti debbono osservarenel procedimento »), nonché la Section 34 dell’Arbitration Act inglese del 1996 (il quale prevedeche « It shall be for the tribunal to decide all procedural and evidential matters, subject to the rightof the parties to agree any matter »).

(93) Per analoghe considerazioni cfr. ESPLUGUES MOTA, Arbitraje Marìtimo Internacional,cit., 510 ss.

(94) Cfr. CARBONE e LOPEZ DE GONZALO, L’arbitrato marittimo, cit.; BERLINGIERI, Interna-tional maritime arbitration, cit., 217-247; HARRIS, Maritime Arbitrations, cit., 744; RICCOMAGNO,L’arbitrato marittimo, cit., 141.

(95) In questo senso pare rilevante evidenziare che non tutti gli arbitrati istituzionali sononecessariamente arbitrati amministrati: cfr. LEW, MISTELIS e KRÖLL, Comparative InternationalCommercial Arbitration, London, 2003, 32, secondo cui « Institutional arbitration is where partiessubmit their disputes to an arbitration procedure, which is conducted under the auspices of oradministered or directed by an existing institution ».

(96) Ovviamente, anche negli arbitrati marittimi l’autonomia delle parti trova un limitein taluni principi fondamentali che vengono ad assumere il ruolo di « norme proceduraliimperative » e che trovano corrispondenza sia negli ordinamenti nazionali, sia nel dirittouniforme, sia nei regolamenti arbitrali: ci stiamo, in particolare, riferendo al principio delcontraddittorio e al principio di uguaglianza tra le parti, nonché a tutti i principi generalmentericonducibili al concetto di « ordine pubblico processuale ». A questo riguardo v., da ultimo,RADICATI DI BROZOLO, CARLEVARIS, DI GIOVANNI, SABATINI e TORNESE, L’arbitrato internazionaleed estero, in SALVANESCHI, RADICATI DI BROZOLO, CARLEVARIS, ALLAVENA e ALTRI (cur.), Arbitrato,Milano, 2012, 385-387.

(97) Cfr. HARRIS, London Maritime Arbitration, in Arbitration, 2011, 116 ss., il qualespiega che nella normalità dei casi — fino alla fine degli anni ’50 del secolo appena trascorso —ciascuna delle parti nominava un proprio arbitro tra i brokers del Baltic Exchange « to try to

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marittimo in senso sempre più « tecnico-giuridico », con il conseguentemaggior coinvolgimento di avvocati o, comunque, di soggetti muniti diesperienza nel settore legale, ha certamente incrementato la « proceduralcomplexity » di questo mezzo di risoluzione delle controversie (98), il qualeha ciononostante mantenuto un’impronta meno « processuale » rispettoad altri tipi di arbitrato commerciale internazionale.

In quest’ultimo senso si comprende perché la London MaritimeArbitrators Association - LMAA), ossia la principale istituzione arbitralemarittima del mondo, per lungo tempo non si sia neppure dotata di regoledi procedura. Tali regole, infatti, sono state introdotte soltanto a partiredal 1999 (con la pubblicazione delle LMAA Procedural Guidelines) ehanno trovato una compiuta sistematizzazione nei LMAA Terms del 2002,che vengono periodicamente aggiornati (99).

A questo riguardo, occorre peraltro evidenziare una recente evolu-zione volta a tentare di ridurre il controllo delle parti sui procedimenti chesi svolgono sulla base dei LMAA Terms: mentre fino all’edizione 2006 ditali Terms era previsto che — fermo l’utilizzo di default delle disposizionidi cui alla Schedule 2 allegata ai Terms — le regole di procedura venisserofissate dal Collegio arbitrale, « subject to the right of the parties to agree anymatter » (100)), con la conseguenza che le parti avevano la possibilità diincidere direttamente sulla disciplina del procedimento arbitrale, nell’ul-tima edizione dei LMAA Terms 2012 viene stabilito il principio in base al

reach an agreed recommendation to put to their principals ». Soltanto nel caso in cui un accordonon fosse stato raggiunto tra i due arbitri, questi ultimi avrebbero chiesto l’opinion di un « seniorbroker ». Insomma, lo svolgimento dell’arbitrato era caratterizzato dalla più completa assenzadi una « procedura » in senso giuridico-processuale e, a questo riguardo, si consideri inparticolare che l’A. sottolinea che « the discussion with the third experienced broker would takeplace at the bar, over a gin and tonic or two » [sic, 117].

(98) Cfr. HARRIS, London Maritime Arbitration, cit., 120, il quale sottolinea che la piùfrequente partecipazione di avvocati agli arbitrati marittimi a partire dal 1960 circa ha avutorilevanti conseguenze « procedimentali », e ciò in quanto « in the first place, lawyers areaccustomed to court procedures and so the informality of [maritime] arbitration was unfamiliarto them and, as they saw it, largely undesirable. They attempted to impose the procedures withwhich they were familiar from the courts upon commercial arbitration. Lawyers are also naturallycautious and do not want to risk being criticised for not having done something it might be thoughtthey should have done. This, too, means that they tend to indulge in procedural arguments whichmight otherwise not have occurred ».

(99) Cfr. ancora HARRIS, Maritime Arbitrations, cit., 762. I LMAA Terms 1997 prevede-vano soltanto norme di procedura relative agli arbitrati da condursi esclusivamente su basedocumentale (tali norme erano riportate nella Second Schedule allegata ai predetti Terms).

(100) Così la Section 12 dei LMAA Terms 2006, di cui pare opportuno riportare di seguitoil testo integrale (testo che — nella parte iniziale — corrisponde a quello della Section 34dell’Arbitration Act inglese del 1996): « (a) It shall be for the tribunal to decide all procedural andevidential matters subject to the right of the parties to agree any matter. However, the normalprocedure to be adopted is as set out in the Second Schedule. (b) In the absence of agreement itshall be for the tribunal to decide whether and to what extent there should be oral or writtenevidence or submissions in the arbitration. The parties should however attempt to agree at an earlystage whether the arbitration is to be on documents alone (i.e. without a hearing) or whether thereis to be an oral hearing ».

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quale è (solo) il Collegio arbitrale ad avere il potere di decidere « allprocedural and evidential matters », anche tenendo conto di eventualiaccordi in merito conclusi tra le parti. A queste ultime rimane peraltro ilpotere di decidere se l’istruttoria si debba svolgere esclusivamente su basedocumentale oppure se debba altresì comprendere uno hearing (101).Questa progressiva « erosione » dei poteri delle parti di organizzare « apropria discrezione » i procedimenti arbitrali svolti sotto l’egida deiLMAA Terms è la naturale conseguenza della già evidenziata maggiorecomplessità degli arbitrati marittimi e della crescente « sofisticazione »delle parti coinvolte, le quali — in tempi recenti — più difficilmente sonopropense ad avere un approccio collaborativo rispetto alle questioniinerenti la procedura (102). Pertanto, ragioni di economia processuale(particolarmente legate al risparmio dei tempi dei procedimenti) hannoimposto di dare agli arbitri « l’ultima parola » in merito ad « all proceduraland evidential matters », come del resto è stato previsto dalla stessa LMAAcon riferimento alla c.d. Intermediate Claims Procedure (ideata nel 2009 incollaborazione con la Baltic Exchange per claims di valore non superiorea $ 400.000 e sinora assai poco utilizzata da parte degli operatori (103)). Piùrigide, invece, sono le regole di procedura fissate dalla LMAA conriferimento agli altri procedimenti « minori »/« fast track », ossia la SmallClaims Procedure - SCP (ideata nel 1989 per claims di valore nonsuperiore a $ 50.000 e abbastanza utilizzata nel corso del tempo (104)) e ilc.d. Fast and Low Cost Arbitration - FALCA (ideato nel 1997 per claimsdi valore compreso tra $ 50.000 e $ 250.000 e sostanzialmente maiimpiegato nella prassi (105)): in questo tipo di giudizi — al fine di « sem-

(101) Così la Section 12 dei LMAA Terms 2012, di cui pare opportuno riportare di seguitoil testo integrale: « (a) It shall be for the tribunal to decide all procedural and evidential matters,but the tribunal will where appropriate have regard to any agreement reached by the parties onsuch matters. The normal procedure to be adopted is set out in the Second Schedule, subject to thetribunal having power at any time to vary that procedure. (b) In the absence of agreement it shallbe for the tribunal to decide whether and to what extent there should be oral or written evidenceor submissions in the arbitration. The parties should however attempt to agree at an early stagewhether the arbitration is to be on documents alone (i.e. without any oral hearing) or whetherthere is to be such a hearing ».

(102) Cfr. in proposito HARRIS, Maritime Arbitrations, cit., 762, secondo cui il tradizionale« somewhat relaxed, ad hoc approach, had become inappropriate in a large number of casesbecause it was no longer possible, in many instances, to rely upon the common understandings,the co-operative approach and the good sense that had formerly prevailed ».

(103) Nel corso del 2012 sono stati avviati soltanto 7 procedimenti (di cui nessuno si èconcluso con un lodo) basati sulla LMAA Intermediate Claims Procedure: v. il sito Internet dellaLMAA (www.lmaa.org.uk). Per un’analisi dei termini principali di questo tipo di procedimentocfr. per tutti ancora AMBROSE, MAXWELL e PARRY, London Maritime Arbitration, 3rd ed., London,2009, 8-9.

(104) Dai dati pubblicati sul sito Internet della LMAA (www.lmaa.org.uk) emerge chenegli ultimi 15 anni sono stati avviati in media oltre 120 Small Claim Proceedings e sono statiresi circa 100 lodi all’anno. Sulla Small Claims Procedure cfr. AMBROSE, MAXWELL e PARRY,London Maritime Arbitration, cit., 6-7.

(105) Nel corso del 2012 non è stato avviato nessun procedimento c.d. FALCA: v. il sito

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plificarne » lo svolgimento — le parti non hanno la possibilità di modifi-care la regolamentazione del procedimento e i poteri degli arbitri diintervenire in merito sono estremamente ridotti (106).

Sempre nel senso della tendenza volta a contemperare il principio diautonomia con esigenze di speditezza processuale devono pure esserelette le norme relative ai procedimenti arbitrali marittimi che si svolgonoin base alle Rules of the Society of Maritime Arbitrators di New YorkSMA). In tale contesto, le parti hanno il potere di « alter or modify » leregole di procedura, con l’eccezione di quelle disposizioni che conferi-scono agli arbitri i poteri di « amministrare » il procedimento arbi-trale (107). Dall’esame delle Rules non è agevole desumere quali siano ledisposizioni procedurali « inderogabili » per le parti, ma è ragionevoleritenere che tali disposizioni siano soltanto quelle relative (i) alla fissa-zione delle date e dei luoghi in cui verranno svolti gli eventuali hearings e(ii) alla individuazione del claimant nei (rari) casi in cui ciò sia dubbio(Section 21), nonché le norme (iii) sulla rilevanza delle prove ai fini dellaloro assunzione e successiva valutazione (Section 23) e (iv) sulla eventualeriapertura della fase istruttoria (Section 26).

Anche le Rules of Arbitration della German Maritime ArbitrationAssociation GMAA) consentono alle parti di incidere sulla disciplina delprocedimento. A questo riguardo, peraltro, occorre sottolineare che ilpotere delle parti di modificare le regole di procedura non incontra limitifinché gli arbitri non sono stati ancora nominati; successivamente a talemomento, invece, è ancora ben possibile procedere con delle modifiche,ma — in questo caso — è necessario non solo il consenso delle parti, maanche quello degli arbitri (108).

Simili limiti non sono invece previsti dalle regole della Association of

Internet della LMAA (www.lmaa.org.uk), dal quale risulta che tale tipologia di arbitratomarittimo è stata avviata in totale 11 volte, senza mai essersi conclusa con l’emissione di un lodo.Per un commento alle regole di questo tipo di procedura cfr. sempre AMBROSE, MAXWELL ePARRY, London Maritime Arbitration, cit., 7-8.

(106) Sia nell’ambito della Small Claim Procedure (v. Section 5.i delle regole SCP), sianell’ambito del Fast and Low Cost Arbitration (v. Section 17 delle regole FALCA) l’arbitrounico ha (o gli arbitri — nei limitati casi in cui il procedimento FALCA sia deciso da un panel— hanno) soltanto il potere di chiedere che all’esito dell’istruttoria venga svolto lo hearing. Inquest’ultimo tipo di procedimento, inoltre, l’arbitro ha il potere di variare la timetable delprocedimento (v. Section 7 delle regole FALCA).

(107) La Section 1 delle Rules of the Society of Maritime Arbitrators dispone:« Whereverparties have agreed to arbitration under the Rules of the Society of Maritime Arbitrators, Inc.,these Rules, including any amendment(s) in force on the date of the agreement to arbitrate shallbe binding on the parties and constitute an integral part of that agreement. Nevertheless, except forthose Rules which empower the Arbitrators to administer the arbitration proceedings, the partiesmay mutually alter or modify these Rules ».

(108) L’articolo 1 delle Rules of Arbitration della GMAA dispone:« Where the parties toa contract have agreed that disputes between them shall be resolved in accordance with the rulesof the German Maritime Arbitration Association (GMAA), these rules shall apply in the versionin force at the time arbitration proceedings are commenced. The parties may amend or supple-

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Maritime Arbitrators of Canada AMAC), le quali dispongono soltanto che« The Rules may only be varied by the agreement of all parties to thearbitration » (109). Tale wording è del tutto analogo a quello adottato dalleRules dell’altra istituzione arbitrale marittima canadese, la VancouverMaritime Arbitrators Association VMAA (110).

Nello stesso senso, con specifico riferimento alle regole procedurali, leArbitration Rules della Singapore Chamber of Maritime ArbitrationSCMA), come modificate nel 2009 (111), prevedono che la proceduravenga stabilita dal Collegio Arbitrale, « subject to the right of the parties toagree any matter » (112), utilizzando quindi una disposizione analoga aquella contenuta nei LMAA Terms 2006 (113).

Non solo. Le regole di arbitrato dell’International Maritime Organi-zation ICC-CMI (IMAO (114)) — pur essendo in larga parte modellatesulle Rules of arbitration della ICC (115), le quali, come noto, prevedonoun procedimento « amministrato » ove l’autonomia privata opera solo infunzione integrativa delle lacune regolamentari — lasciavano alle parti lapossibilità di modificare la disciplina dell’arbitrato secondo specifici ac-cordi relativi a ciascuna controversia, e ciò proprio in quanto con taleistituzione (ideata congiuntamente al Comité Maritime International)l’ICC intendeva proprio adeguare, in senso maggiormente flessibile, leproprie norme « processuali » alle tipiche esigenze delle controversiearbitrali marittime (116).

Al contrario, il rilievo dell’autonomia privata negli arbitrati « ammi-nistrati » condotti secondo il Règlement d’Arbitrage della Chambre Arbi-trale Maritime de Paris è estremamente limitato, potendo la scelta delle

ment these rules for the purpose of an individual dispute. In the event, however, that arbitratorshave already been appointed, such amendments or supplements shall be allowed only with theconsent of the arbitrators ».

(109) Così la Section 3 delle Arbitration Rules della AMAC.(110) Così la Section 2 delle Arbitration Rules della VMAA.(111) In proposito, nel commento alla nuova edizione di tali Rules viene sottolineato che

« the most significant change was from an institution administrating the arbitration process to amaritime industry driven entity providing a framework for maritime arbitration which gives partyautonomy »: così Commentary on the Rules of SCMA, reperibile sul sito Internet www.scma.org.sg.

(112) L’art. 25.2 delle Arbitration Rules della SCMA dispone: « Subject to these Rules, itshall be for the Tribunal to decide the arbitration procedure, including all procedural andevidential matters subject to the right of the parties to agree to any matter ».

(113) V. retro, nota 100 e testo corrispondente.(114) Su tali regole e sul loro insuccesso v. LA MATTINA, L’arbitrato marittimo, cit., 45-46.(115) V. www.iccwbo.org/uploadedFiles/Court/Arbitration/other/rules_arb_english.pdf.(116) V. l’art. 3.1 delle Rules dell’IMAO, il quale disponeva che « Where the parties have

agreed that disputes between them shall be referred to arbitration under these Rules, such disputesshall be settled in accordance with these Rules subject to such modification as the parties mayagree ».

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parti riguardare soltanto l’applicabilità del regolamento in vigore al mo-mento della conclusione della convenzione arbitrale piuttosto che quellovigente quando la controversia è stata introdotta (117).

Simile approccio è seguito anche in relazione agli arbitrati soggettialle Rules of Arbitration of Tokyo Maritime Arbitration Commission(TOMAC) of the Japan Shipping Exchange JSE), le quali, da un lato,prevedono che il richiamo di tali Rules da parte di una clausola arbitralefa sì che esse « shall be deemed to constitute part of such arbitration ...clause » (118) e, dall’altra parte, stabiliscono espressamente che le Rulespossono essere modificate soltanto dalla TOMAC su iniziativa del proprioChairman (119). Dal combinato disposto di tali regole, appare quindievidente l’impossibilità per le parti degli arbitrati assoggettati alle Rulesdella TOMAC di incidere sulla procedura.

Assai meno rigida è invece la disciplina dell’arbitrato « ammini-strato » secondo le China Maritime Arbitration Commission ArbitrationRules, in base alle quali non solo le parti possono modificare — in lineagenerale — le predette Rules « subject to consent by the ArbitrationCommission », ma inoltre esse, senza la necessità di ottenere alcun assensoda parte della Arbitration Commission, possono « shorten or extend by anagreement the procedural deadlines stipulated in these Rules or modify thearbitration procedural matters concerned to meet the special needs of theirspecific case » (120). Insomma, pur prevedendo un arbitrato marittimo

(117) L’article I del Règlement d’Arbitrage della CAMP dispone infatti che « Le Règle-ment applicable à un litige est celui en vigueur au moment où la convention d’arbitrage a étéconvenue entre parties, à moins que celles-ci par une convention spéciale ne décident que leRèglement applicable sera celui en vigueur lors de l’introduction d’instance » (così la versione invigore dall’8 giugno 2011).

(118) L’art. 3 delle Rules of Arbitration della TOMAC dispone: « Where the parties to adispute have stipulated, by an arbitration agreement entered into between them or by anarbitration clause contained in any other contract between them that any dispute shall be referredto arbitration of JSE or arbitration in accordance with its rules, these Rules (or such version ofthese Rules in force at the time the application for arbitration is referred) shall be deemed toconstitute part of such arbitration agreement or arbitration clause ».

(119) L’art. 50 delle Rules of Arbitration della TOMAC dispone: « Any amendment ofthese Rules shall be made by TOMAC at the initiative of Chairman of TOMAC ».

(120) L’art. 7 delle China Maritime Arbitration Commission Arbitration Rules di-spone:« Where the parties agree to submit their dispute for arbitration to the ArbitrationCommission, to the Logistics Dispute Resolution Center of the Arbitration Commission or to theFishery Dispute Resolution Center of the Arbitration Commission for arbitration, the arbitrationproceedings shall be conducted under these Rules; and the Special Provisions On FisheryDisputes Cases of CMAC Arbitration Rules shall also apply to fishery disputes arbitrationproceedings. However, if the parties have agreed otherwise, and subject to consent by theArbitration Commission, the parties’ agreement shall prevail. The parties may shorten or extendby an agreement the procedural deadlines stipulated in these Rules or modify the arbitrationprocedural matters concerned to meet the special needs of their specific case; and they may alsoauthorize by agreement the arbitration commission or the arbitration tribunal to make anynecessary procedural adjustment as see fit while the arbitration procedure is underway. The power

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amministrato, le Rules in esame — almeno in teoria — consentono alleparti di avere il totale controllo delle norme relative alla scansione delprocedimento (121).

In conclusione, se è ben vero che, rispetto all’inizio degli anni ’60 delsecolo appena trascorso, l’arbitrato marittimo oggi sta assumendo unafisionomia meno informale e si sta sviluppando anche presso nuovi centriove è sempre più « istituzionalizzato » (e talvolta « amministrato » (122)), èaltresì vero che — almeno allo stato — il 90% degli arbitrati marittimiattualmente sono condotti secondo procedimenti ad hoc, svolti in seno allaLMAA e alla SMA, nell’ambito dei quali le parti conservano (diretta-mente o indirettamente, per il tramite degli arbitri da loro nominati) ampipoteri di amministrazione del giudizio. E ciò rappresenta certamente unaconferma della specialità dell’arbitrato marittimo rispetto agli altri tipi diarbitrato commerciale internazionale.

6. Nei paragrafi precedenti è stato possibile verificare che, nell’am-bito dei traffici marittimi, le ragioni della prassi degli operatori incidono inmisura rilevante sulla regolamentazione dell’arbitrato, sia con riferimentoal suo momento genetico (123), sia quanto alla legge applicabile (124), siacon riferimento alla disciplina del procedimento (125).

Tale circostanza non solo consente di fare riferimento all’arbitratomarittimo qualificandolo come un « procedimento speciale » rispetto al-l’arbitrato commerciale internazionale (126), ma inoltre rende possibilericostruire il quadro dei rapporti giuridici che fanno capo agli operatori delcommercio marittimo internazionale all’interno di quello che ho definitostatus mercatorio (127). A quest’ultimo riguardo, l’analisi svolta nel corsodel presente lavoro permette di affermare che l’appartenenza di unsoggetto al « gruppo sociale » degli operatori marittimi fa sì che —nell’ambito dei rapporti conclusi inter pares con altri soggetti appartenentia tale « gruppo » — le norme rilevanti per la regolamentazione del

stays with the Arbitration Commission and/or the Arbitral tribunal to decide thereupon. Withregard to cases of ships collision, the Arbitration Commission or the arbitration tribunal maymake any necessary adjustment relating to evidentiary issues ».

(121) In questo senso non appaiono condivisibili le osservazioni di ESPLUGUES MOTA,Arbitraje Marìtimo Internacional, cit., 514, secondo cui « el Reglamento de Arbitraje de la ChinaMaritime Arbitration Commission incorpora un conjunto muy elaborado de principios yactuaciones a seguir en el procedimiento arbitral, que restringen severamente el juego de laautonomìa de la voluntad, una vez sometida las partes al mismo ».

(122) Come accade, ad esempio, con riferimento agli arbitrati marittimi che si svolgonopresso la CAMP, la TOMAC e la China Maritime Arbitration Commission.

(123) V. le considerazioni svolte nel precedente § 3 in tema di forma della clausolacompromissoria.

(124) V. retro, § 4.(125) V. retro, § 5.(126) V. retro, § 1.(127) V. retro, § 4.

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rapporto debbano trovare un’applicazione maggiormente « flessibile » evolta ad agevolare le esigenze di speditezza e di rapidità tipiche delcommercio marittimo (128). Vi è di più. È possibile affermare che, neirapporti del commercio marittimo internazionale, sia riscontrabile ungenerale favor arbitratus e ciò tenuto conto sia della diffusione dellostrumento arbitrale nell’ambito di tali rapporti, sia della circostanza chel’arbitrato si presenta come l’unico strumento in grado di garantire l’ap-plicazione di una disciplina giuridica coerente con l’operazione economicavoluta dalle parti (129).

In precedenza è stato peraltro messo in rilievo come una similericostruzione non possa essere accolta incondizionatamente e senza ledebite premesse nell’ambito del trasporto marittimo di linea, il qualepresenta tratti che lo differenziano in maniera marcata dal trasporto dicarico (generalmente documentato da charter parties) (130).

Tale considerazione nasce, in primo luogo, dal fatto che nel trasportodi linea le clausole arbitrali non presentano i caratteri di tipicità che siriscontrano, ad esempio, nei charter parties (131). In un contesto dovel’arbitrato non costituisce il mezzo di soluzione delle controversie tipica-mente impiegato dagli operatori commerciali (132), sembrerebbe ben dif-ficile poter invocare la « prassi » del commercio internazionale per giusti-ficare controlli sulla validità delle clausole arbitrali maggiormente« flessibili » e sganciati dal « formalismo » che caratterizza l’approcciodella giurisprudenza (specialmente italiana) in materia (133).

In secondo luogo, i rapporti giuridici relativi ai trasporti di linea sonoregolati in via sostanzialmente esclusiva dalla normativa di diritto uni-forme inderogabile di cui alle Regole dell’Aja (134), e ciò in quanto in

(128) Sul punto cfr. CARBONE, Autonomia privata e modelli contrattuali del commerciomarittimo internazionale nei recenti sviluppi del diritto internazionale privato: un ritorno all’an-tico, in Dir. maritt., 1995, 318 ss.

(129) Cfr. CARBONE e LOPEZ DE GONZALO, L’arbitrato marittimo, cit.; CARBONE e LUZZATTO,Clausole arbitrali, trasporto marittimo e diritto uniforme, in Dir. maritt., 1974, 252-260; LOPEZ DE

GONZALO, L’esercizio della giurisdizione civile in materia di trasporto marittimo ed intermodale,in Dir. maritt., 2001, 530-532.

(130) V. retro, il testo corrispondente alla nota 62.(131) Nel senso di cui al testo cfr. CARBONE e LUZZATTO, Clausole arbitrali e trasporto

marittimo, cit., 262; BERLINGIERI, Arbitrato marittimo e Regole di Rotterdam, in Dir. maritt., 2011,388; GARBESI, Arbitration and Ocean Marine Cargo Subrogation, in Arb. Journ., 1961, 79;JAMBU-MERLIN, L’arbitrage maritime, cit., 407; LOPEZ DE GONZALO, L’esercizio della giurisdi-zione, cit., 530; MCMAHON, The Hague Rules and Incorporation of Charter Party ArbitrationClauses Into Bills of Lading, in J.M.L.C., 1970-71, 2; O’HARE, Cargo Dispute Resolution and theHamburg Rules, in Int. Comp. Law Quart., 1980, 229, che afferma esplicitamente che « Com-mercial arbitration is a common medium for dispute settlement in charterparties, yet not socommon in bills of lading ».

(132) Cfr. TRAPPE, The Arbitration Clause in Bill of Lading, in L.M.C.L.Q., 1999, 339.(133) V. retro, § 3.(134) Le c.d. Regole dell’Aja sono costituite dalla Convenzione di Bruxelles del 1924

(resa esecutiva in Italia con R.D.L. 6 gennaio 1928, n. 1958 conv. L. 19 luglio 1929, n. 1658;operante in Inghilterra per mezzo del Carriage of Goods By Sea Act del 1924), integrata dai

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questo ambito del commercio marittimo internazionale la posizione delsoggetto interessato al carico è considerata « debole » e meritevole ditutela giuridica (135). Questa circostanza ha fatto addirittura sorgere dubbicirca la possibilità per le parti dei rapporti relativi ai traffici di linea diricorrere all’arbitrato quale mezzo di soluzione delle controversie (136).Infatti, mentre con riferimento ai rapporti commerciali inter pares l’arbi-trato è senz’altro lo strumento processuale più adatto, laddove ci si muovain un contesto di « sproporzione » fra il bargaining power di una parterispetto a quello dell’altra e, quindi, emerga la presenza di soggetticontrattuali deboli (come è il caso del trasporto marittimo di linea),l’arbitrato parrebbe non essere il migliore mezzo di soluzione dellecontroversie, poiché potrebbe tradursi in un meccanismo volto ad ostaco-lare l’accesso alla giustizia della « parte debole », la quale — specie nelmomento in cui si trovi a concludere un contratto regolato su condizionigenerali predisposte unilateralmente dall’altro contraente e contenute sulretro della polizza di carico — potrebbe non essere neppure ben consa-pevole della scelta dell’arbitrato (137).

Alla luce delle considerazioni svolte nel corso del presente paragrafosembrerebbe doversi concludere che l’arbitrato marittimo non sia unfenomeno unitario, in quanto, da un lato, troviamo rapporti del commer-cio marittimo dove l’arbitrato è largamente impiegato ed emergonoesigenze di rapidità delle forme e dove il controllo dei giudici statali sulleconvenzioni arbitrali si fa meno rigido (contratti di trasporto di caricodocumentati da charter parties), dall’altro lato, vi sono rapporti dove le

successivi Protocolli di Bruxelles del 1968, c.d. Regole dell’Aja-Visby, e del 1979 (resi esecutiviin Italia con L. 12 giugno 1984, nn. 243 e 244; attuati nell’ordinamento inglese per mezzo degliActs del 1971 e del 1992). Sull’inderogabilità (a sfavore del soggetto interessato al carico) delladisciplina di diritto uniforme relativa al trasporto su polizza di carico cfr. per tutti CARBONE,Contratto di trasporto marittimo di cose, cit., 169 ss. Sul sistema delle Regole dell’Aja cfr. fra icontributi più significativi BERLINGIERI, La Convenzione di Bruxelles 25 agosto 1924 sulla polizzadi carico, Genova, s.d., ma 1973; CARBONE, Le regole di responsabilità del vettore marittimo,Milano, 1984; ID., Il trasporto marittimo di cose nel sistema dei trasporti internazionali, Milano,1976; LEFEBVRE-D’OVIDIO, La disciplina convenzionale della responsabilità del vettore marittimo,Roma, 1939; RIGHETTI, La responsabilità del vettore marittimo nel sistema dei pericoli eccettuati,Padova, 1960; TETLEY, Marine Cargo Claims, cit., cui adde, da ultimo, CARBONE, Contratto ditrasporto marittimo di cose, cit., passim, ma spec. Capitolo III.

(135) In questo senso cfr. CARBONE, Contratto di trasporto marittimo di cose, cit., passim,ma spec. 169 ss. In tale sede gli interessati al carico nel trasporto di linea sono definiti comesoggetti « che si trovano, da un lato, in una posizione contrattualmente più debole rispetto alvettore e, dall’altro, ad accettare clausole contrattuali ‘per adesione’ senza una consapevolepartecipazione alla loro redazione e senza una chiara coscienza dei relativi contenuti ». Sulleragioni di tutela della parte debole come presupposto della normativa di diritto uniforme intema di polizza di carico cfr. per tutti PAVONE LA ROSA, Studi sulla polizza di carico, Milano,1958, 88-91, il quale sottolinea che « con la cennata Convenzione si è voluto tutelare non solo ilterzo portatore del titolo, ma anche ed anzitutto il caricatore ».

(136) Sul punto cfr. per tutti CARBONE, Il trasporto marittimo di cose nel sistema deitrasporti internazionali, cit., 98-99.

(137) In proposito sia consentito rinviare a LA MATTINA, L’arbitrato marittimo, cit., 305 ss.

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convenzioni arbitrali non vengono generalmente impiegate e nell’ambitodei quali la possibilità di ricorrere all’arbitrato è addirittura posta indubbio dalla presenza di norme inderogabili di origine internazionale atutela dei soggetti interessati al carico (contratti di trasporto di linea).

Insomma, lo status mercatorio, che ho in altra sede invocato come« momento di sintesi » delle posizioni giuridiche soggettive degli attori delcommercio marittimo internazionale (138), sembra compromesso in ra-gione della sua limitata applicabilità ai rapporti relativi ai traffici marittimidi linea.

Il trasporto di linea appare allora come momento « critico » dell’ar-bitrato marittimo, in quanto conduce a riflettere sulla configurabilità diquest’ultimo come « sistema » e suggerisce un controllo dei risultati del-l’analisi svolta nel corso del presente lavoro alla luce delle peculiarità deirapporti in esame.

I rapporti giuridici relativi ai traffici marittimi c.d. « liner » sonocertamente un momento critico per l’istituto dell’arbitrato marittimo, e ciòperché la presenza di una « parte debole » da proteggere (l’interessato alcarico) parrebbe in primo luogo compromettere la possibilità di accoglierenell’ambito di questo settore la lettura « evolutiva » (e flessibile) deirequisiti di forma delle clausole compromissorie che abbiamo suggerito inprecedenza e che trova come perno interpretativo la considerazione della« strumentalità » di tali clausole rispetto all’operazione economica perse-guita tra le parti (139).

In realtà, però, anche nell’ambito in esame è certamente da rigettareuna valutazione in chiave « rigida » dei requisiti di forma delle clausolearbitrali previsti dall’art. II della Convenzione di New York del 1958. Alcontrario, la giurisprudenza più avveduta (segnatamente, inglese e statu-nitense) ha riconosciuto proprio con riferimento ai rapporti relativi aitraffici marittimi di linea l’importanza di svolgere verifiche basate sullaragionevolezza e sulla prassi abituale degli operatori commerciali, le qualirappresentano i meccanismi maggiormente idonei ad assicurare la tuteladel contraente debole in quanto sono gli unici strumenti che garantisconol’accertamento del consenso dell’interessato al carico rispetto alle pattui-zioni compromissorie (140). In questo senso, nel trasporto di linea trovanoconferma i medesimi criteri di valutazione delle clausole arbitrali che sono

(138) Cfr. LA MATTINA, Clausole di deroga alla giurisdizione in polizza di carico, cit.,473-474.

(139) V. retro, § 3.(140) V. l’analisi della casistica riportata in LA MATTINA, L’arbitrato marittimo, cit.,

301-317.

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stati indicati (e fruttuosamente impiegati da larga parte della giurispru-denza più avveduta) nell’ambito degli altri settori del commercio marit-timo internazionale (141).

Inoltre, la normativa uniforme di applicazione necessaria posta atutela dei soggetti interessati al carico non limita la possibilità di deferiread arbitrato le controversie relative ai trasporti marittimi di linea, ma ponesoltanto (ed è stata così correttamente interpretata dalla giurisprudenza)limiti volti a impedire che, attraverso lo strumento dell’arbitrato, venga difatto « by-passato » il contenuto inderogabile di tale normativa (142). Il cheè del tutto coerente con il rilievo del canone di « buona fede » nell’inter-pretazione dell’art. II della Convenzione di New York del 1958 (143).

Anche da un punto di vista sostanziale, il « sistema arbitrato marit-timo » non pare compromesso con riferimento ai rapporti relativi aitrasporti di linea. La disciplina uniforme applicabile a questo tipo ditrasporti, infatti, non solo rappresenta pacificamente parte della lex ma-ritima, ma inoltre — fermi i propri contenuti inderogabili — non impedi-sce di valorizzare anche in questo contesto il rilievo dello status mercato-rio. E ciò nel senso che — al di là della localizzazione della fattispecie inun determinato ordinamento giuridico — la disciplina applicabile airapporti relativi ai traffici di linea sarà rinvenibile esclusivamente nellanormativa uniforme come integrata dagli usi e dalle consuetudini inter-nazionali invalsi nello specifico settore di riferimento.

Infine, le regole di procedura delle principali istituzioni arbitralipaiono certamente garantire un agevole « accesso alla giustizia » e sonostrutturate in modo tale da garantire non solo il rispetto del principio delcontraddittorio, ma anche una tempistica di risoluzione della controversiaassai celere e senz’altro più rapida di quella conseguibile davanti ai giudicidi qualsivoglia ordinamento statale.

In conclusione, alla luce di quanto sopra, l’arbitrato marittimo con-ferma anche nell’ambito del trasporto di linea le proprie caratteristiche di« strumento privilegiato » volto a garantire in maniera « adeguata » latutela giurisdizionale dei diritti delle parti dei rapporti del commerciomarittimo internazionale. In questo senso, è possibile affermare che

(141) V. retro, § 3.(142) V., ad esempio, le affermazioni contenute nel caso inglese The Morviken (The

Hollandia) [1983] 1 Lloyd’s Rep., 7 (invero riguardante il connesso tema delle clausole dideroga alla giurisdizione), nonché nella pronuncia della Corte Suprema degli Stati Uniti relativaal caso Vimar Seguros y Reseguros S.A. v. M/V Sky Reefer, 515 U.S. 528, in Am. Mar. Cases,1995, 1817, ove è stato chiarito che le clausole arbitrali contenute in polizza di carico non sonodi per sé invalide, ma, al contrario, se ne deve presumere la validità fino a quando non siadimostrato in giudizio che (a) esse si traducono per il vettore in un esonero da responsabilità oche (b) la loro efficacia limita in concreto la possibilità dell’attore di agire in giudizio per la tuteladei propri diritti (ad esempio, in quanto per effetto di tali clausole il soggetto interessato alcarico si trovi a dover sopportare i costi di un procedimento « prohibitively expensive »).

(143) V. retro, § 3, il testo corrispondente alla nota 48.

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l’arbitrato marittimo è un fenomeno « unitario », nel quale le caratteristi-che del trasporto di linea si inseriscono senza generare fratture delsistema. In questo contesto, inoltre, le peculiarità dei rapporti relativi aitraffici di linea confermano ancora una volta la specialità dell’arbitratomarittimo rispetto agli altri tipi di arbitrato commerciale internazionale.

This paper analyses the so-called “International Maritime Arbitration”, whichis the “preferential” procedural instrument in order to settle disputes betweenshipping operators worldwide. This arbitration falls under the broader genus ofinternational commercial arbitration, from where, essentially, it draws its legalregulation; however, because of certain “specific” characteristics of the shippingcontext, International Maritime Arbitration “departs” from the model of “general”international commercial arbitration. Therefore, the paper is primarily focused onillustrating the specific features of this kind of arbitration with particular attention tothe rules of the principal arbitration institutions specialized in maritime disputes(primarily the London Maritime Arbitration Association and the Society of Mari-time Arbitrators of New York).

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La perizia contrattuale

FRANCESCO CAMPIONE (*)

1. Introduzione. — 2. Come nasce il fenomeno. — 3. Perizia contrattuale traarbitrato e arbitraggio. — 4. L’autonomia della perizia. — 5. Un approccioanalitico alla prassi: fenomenologia della perizia contrattuale. — 6. Perizia con-trattuale e arbitraggio: linee distintive. — 7. La perizia contrattuale nel quadrodella composizione delle liti. — 8. La disciplina applicabile: 8.1. La clausola perperizia contrattuale; 8.2. Rapporto parti-arbitri e profili procedurali; 8.3. L’effica-cia della perizia; 8.4. Il responso peritale: natura e regime. — 9. Spunti proble-matici: brevi cenni alla nuova disciplina dell’arbitrato (irrituale). — 10. Conside-razioni conclusive.

1. Per meglio comprendere il contesto sistematico e concettualeentro il quale collocare l’istituto della c.d. perizia contrattuale (o, peralcuni autori, la perizia arbitrale (1)), occorre far riferimento al tema dellasoluzione non giurisdizionale delle controversie (relative ovviamente adiritti disponibili).

Il nostro ordinamento giuridico, infatti, riconosce e disciplina espres-samente mezzi alternativi di composizione delle liti (contrattuali e non).

Così, esso contempla figure negoziali tipiche (la transazione, la quale,ex art. 1965 c.c., comma 1, « è il contratto col quale le parti, facendosireciproche concessioni, pongono fine a una lite già cominciata o preven-gono una lite che può sorgere tra loro ») e non (si pensi al negozio diaccertamento, mediante il quale due o più parti, senza le reciprocheconcessioni, danno certezza, predisponendo regole di condotta per essevincolanti, ad un determinato rapporto o ad una determinata situazionegiuridica (2)).

Vi è poi l’arbitrato, il quale rappresenta uno strumento che bensìtrova « giustificazione » e origine nell’autonomia privata, ma può assu-

(*) Dottorando di ricerca presso la L.U.I.S.S. - Guido Carli di Roma.(1) BOVE, La perizia arbitrale, Torino, 2001.(2) AA.VV., Diritto privato, Milano, 2009, Volume II, n. 849; per una conoscenza più

approfondita della teoria dell’accertamento giuridico e delle problematiche connesse al negoziodi accertamento si veda FORNACIARI, Lineamenti di una teoria generale dell’accertamento

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mere forme molto simili a quelle tipiche della via giurisdizionale. Esso,infatti, può trovare svolgimento secondo due modalità distinte: in un caso(c.d. arbitrato rituale, artt. 806-840 c.p.c.) si ha un vero e proprio processocon uno o più giudici « privati » che emanano, all’esito di una dinamicaprocedimentale improntata al principio del contraddittorio, un atto ido-neo alla produzione degli stessi effetti della sentenza del giudice statuale;nell’altro caso (c.d. arbitrato irrituale, art. 808 ter c.p.c.), il contestoprocedimentale è (normalmente) semplificato e più flessibile, e la deci-sione finale, sempre presa da un giudicante privato, è fondamentalmenteun contratto riconducibile alla volontà delle parti in controversia.

In linea di prima approssimazione, l’arbitrato (tanto rituale quantoirrituale (3)) deve essere tenuto distinto dall’arbitraggio. Invero, quest’ul-timo istituto è previsto e regolato dal codice civile all’art. 1349 e, in lineagenerale, si differenzia dall’arbitrato in quanto sistematicamente e funzio-nalmente non destinato alla soluzione di una controversia giuridica. In-fatti, la norma ex art. 1349 consente alle parti di rimettere ad un terzo ladeterminazione della prestazione dedotta nel contratto, la quale è ritenutadirettamente riconducibile alla volontà dei contraenti, onde si viene arealizzare una cooperazione tra le parti e il terzo nell’attività di comple-tamento del regolamento d’interessi (4).

Sennonché anche l’arbitraggio può essere in un certo senso conside-rato una forma negoziale di soluzione di una controversia, giacché le partinon vogliono o non possono determinare un elemento essenziale del lororapporto contrattuale e, tuttavia, si trovano concordi nel rimettere taledeterminazione a un terzo, impegnandosi a considerare il di lui responsocome sostitutivo della propria volontà, quindi vincolante. Ma in tal caso lacontroversia non è di tipo giuridico, quanto tutt’al più lato sensu econo-mica (5).

Invero, intorno alla figura dell’arbitraggio e ai profili distintivi diquesto dall’arbitrato, possono crearsi dei « momenti » d’incertezza e dinon sufficiente chiarezza. L’attività del c.d. arbitratore, infatti, è pur

giuridico, Torino, 2002; sul negozio di accertamento in generale cfr., per tutti, FALZEA, Accer-tamento (teoria generale), in Enc. dir., I, Milano, 1958, 205 ss.; GIORGIANNI, Accertamento(negozio di), in Enc. dir., I, Milano, 1958, 227 ss.

(3) Ma si veda la ricostruzione di BOVE, Art. 808 ter, in MENCHINI (coord.), La nuovadisciplina dell’arbitrato, Padova, 2010, 65 ss. e i richiami di dottrina e giurisprudenza ivicontenuti.

(4) Cass. 25 giugno 1983, n. 4364, in Mass. giust. civ. 1983, fasc. 6, che si esprime in questitermini: « solo in presenza di un arbitraggio — che ricorre quando le parti abbiano affidato alterzo arbitratore non già l’incarico di risolvere una controversia nascente da un rapporto giuridicopreesistente e già perfetto (come nell’arbitrato rituale ed in quello libero) ma di determinare in unnegozio giuridico in via di perfezionamento, un elemento che le parti non hanno voluto o potutodeterminare, sicché l’arbitratore non dirime liti con poteri decisori, ma concorre con le parti nellaformazione del contenuto del negozio — è possibile la impugnazione del lodo per manifestainiquità ».

(5) PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, Padova, 2011.

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sempre attività di uno o più terzi, scelti dai contraenti, volta a completareun assetto d’interessi; inoltre, strutturalmente la fattispecie ex art. 1349 c.c.ben può trovare applicazione anche in ipotesi di contratti (ad es. unatransazione) finalizzati alla composizione di una lite giuridica (6).

È nel contesto sopra descritto che va correttamente (o almeno così cisembra) inserita l’analisi della perizia contrattuale, la quale — è beneprecisarlo subito a scanso di equivoci — rappresenta un istituto dai trattinon ancora ben definiti, ad onta degli autorevoli studi succedutisi inmateria e dei numerosi arresti giurisprudenziale intervenuti sulla que-stione.

In un’ottica meramente introduttiva, la perizia contrattuale è confi-gurabile come un meccanismo complesso, il quale origina da un patto(normalmente una clausola contrattuale) con cui le parti prevedono chedeterminate questioni tecniche vengano risolte e decise da uno o piùsoggetti dotati di specifiche conoscenze tecnico-scientifiche (i c.d. periti).La determinazione dei periti è dalle parti considerata vincolante.

Detto ciò, il vero problema della perizia contrattuale concerne pro-prio la sua definizione, o per meglio dire la sua individuazione, ricostru-zione e descrizione come fenomeno giuridico « unitario » e in un certosenso « autonomo ». In sostanza, si tratta di capire che cosa sia realmentela perizia contrattuale; se, cioè, integri una realtà di diritto sostanziale, unistituto giuridico di matrice processuale, ovvero un fenomeno in un certosenso duplice.

2. D’accordo con la dottrina che più di recente ha avuto modo dioffrire uno studio più organico del fenomeno e proporre un’interessantericostruzione di esso (7), pare utile muovere la disamina dell’istituto dallediverse situazioni pratiche nelle quali esso trova attuazione. L’approccio,dunque, è di tipo empirico: si vuol cioè intraprendere una strada checonduca ad un possibile inquadramento organico della perizia contrat-tuale, partendo dai casi (soprattutto tratti dall’esperienza giurispruden-ziale) ove essa è ritenuta operante.

Una prima ipotesi, che invero è quella di massima diffusione dellaperizia contrattuale e rispetto alla quale la sussistenza di essa è confermatasia in giurisprudenza sia in dottrina, è rappresentata dalla previsione,inserita in clausole apposte ad alcuni contratti di assicurazione (polizzedanni e assicurazioni contro gli infortuni, per lo più), in base alla quale, incaso di disaccordo tra le parti, uno o più elementi di particolare rilevanzatecnica (il quantum del danno prodotto; il grado di invalidità; il nesso di

(6) È a tale fattispecie, del resto, che alcuni autori (tra cui BOVE, citato in nota 4)riconducono, strutturalmente, l’arbitrato irrituale.

(7) BOVE, La perizia arbitrale, cit.; Id., La perizia contrattuale, in LUISO - GABRIELLI

(coord.), I contratti di composizione delle liti, Milano, 2005.

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causalità tra l’evento e il danno; e così via) ai fini dell’esistenza o del mododi essere di una situazione giuridica soggettiva (il diritto risarcitorio),siano oggetto della valutazione e dell’accertamento di uno o più espertidesignati dalle parti, i quali risolvono tali questioni servendosi delleproprie cognizioni tecnico-scientifiche mediante un responso che i contra-enti accettano come espressione della propria volontà (8).

Un’altra ipotesi, comunemente ricondotta dagli studiosi e dalla giu-risprudenza alla perizia contrattuale, è data dai c.d. arbitrati tecnici o diqualità. I casi concreti sono quelli di contratti in cui una parte s’impegnaa dare o fare qualcosa verso il corrispettivo di un prezzo o di un compensoe dove i contraenti stabiliscono che, in caso di divergenze maturate in faseesecutiva in ordine alla qualità delle cose fornite, dell’opera o del lavoroeffettuati, la decisione circa la corrispondenza o meno di quanto fatto aquanto previsto o promesso sia affidata ad uno o più terzi, con efficaciavincolante tra le parti (9).

Altre ipotesi nelle quali è stato ritenuto operante il meccanismooggetto di questo studio, ricavate direttamente da concreti casi sottopostia vaglio giurisprudenziale, sono le seguenti:

— sorta controversia nella fase esecutiva di un contratto di appalto,le parti stipulano una transazione ove prevedono che la valutazione e ladecisione (vincolante) in ordine al calcolo di eventuali maggiori sommespettanti all’impresa appaltatrice sia presa da un collegio di esperti nomi-nati dalle parti (10);

— sempre in tema di appalto, sorta controversia durante l’esecuzionedel rapporto, in particolare con riferimento al valore dei lavori da eseguireoggetto di capitolato, le parti incaricano della determinazione di talevalore un collegio di esperti, con responso per esse vincolante (11);

— nell’ambito di un contratto di cessione di partecipazioni azionarie,viene pattuito che il calcolo del valore reale di esse (funzionale allacorresponsione del prezzo contenente l’eventuale plusvalore rispetto alvalore nominale delle azioni) sia effettuato da tecnici di fiducia nominatidalle parti contraenti, con responso vincolante tra le stesse (12);

— due fratelli, beneficiari, mediante distinti atti di donazione, di tuttii beni immobili della madre, stipulano un contratto in virtù al quale, al finedi addivenire ad un’eguale ripartizione dei cespiti (dei quali, par varimotivi, al momento delle liberalità non era ben noto l’effettivo valore)

(8) BOVE, La perizia arbitrale, cit., 4. Per il tenore di alcune clausole inserite in contrattidi assicurazione, v. infra nel testo.

(9) BOVE, La perizia arbitrale, cit., 4; LUISO, L’oggetto del processo arbitrale, in questaRivista, 1996, 671.

(10) Cass. 24 maggio 2004, n. 9996, in questa Rivista, 2006, 4, 727, con nota di MARULLO

DI CONDOJANNI.(11) Trib. Piacenza 29 ottobre 2010, in Foro padano 2011, 1, I, 202.(12) Cass. 30 giugno 2005, n. 13954, in Foro it. 2006, 2, I, 482.

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anche in funzione della corresponsione di un eventuale conguaglio, inca-ricano un tecnico di stimare il valore dell’asse immobiliare, impegnandosia considerare il relativo responso come riconducibile alla propria vo-lontà (13).

Si ritiene inoltre necessario segnalare, ancora ispirandoci alla dottrinache più ha studiato il fenomeno della perizia (arbitrale) anche prendendospunto dal sistema tedesco (14), altri casi normalmente ricondotti allafattispecie in esame:

— due soggetti, non legati da alcun rapporto contrattuale, incaricanoun terzo, dotato di specifiche cognizioni tecniche, di accertare (in manieravincolante) l’eventuale nesso di causalità tra un sinistro e un danno, conl’ulteriore compito di determinare il quantum delle conseguenze pregiu-dizievoli in caso di esito positivo del primo accertamento;

— i contraenti incaricano il terzo-perito di accertare, con responsoper le parti vincolante, se ricorra o meno la giusta causa del recessocontrattuale;

— i contraenti stabiliscono che un terzo accerti, sempre con responsovincolante, se vi sia stata violazione di una norma contrattuale ovvero dilegge;

— conferimento al perito del compito di determinare la situazionepatrimoniale di una società, al fine di quantificare il credito del socioescluso per la liquidazione della quota;

— l’inserimento in alcuni contratti di durata di una clausola, in virtùdella quale le parti s’impegnano a rinegoziare le reciproche prestazioni nelcaso in cui si verifichino eventi che alterino in modo rilevante l’equilibrionegoziale, con affidamento ad un terzo di effettuare un accertamentovincolante in ordine alle condizioni di rinegoziazione e alla fissazione delnuovo contenuto contrattuale (15).

Infine, è stata considerata ipotesi di perizia contrattuale la clausolacon cui viene affidato ad un terzo l’accertamento dello stato di riconsegnadel fondo locato e la liquidazione del dare e dell’avere oltre che deglieventuali danni (16).

L’elencazione su esposta non può ritenersi tassativa, poiché come si è

(13) Cass. 11 novembre 2008, n. 26946, in Riv. Notariato, 2010, 1, 226, con nota diCARADONNA.

(14) Per gli esempi a seguire si veda BOVE, La perizia arbitrale, cit., 6 e le citazioni allenote 10, 11, 12 e 13; LUISO, L’oggetto del processo arbitrale, cit., 671-672, e nota 7. Gli autoricitati, in particolar modo il primo, danno conto dell’importanza del contributo della dottrinatedesca allo studio del fenomeno della c.d. perizia contrattuale, in seno alla quale è statasviluppata la figura dell’arbitratore-perito, come segnalato anche da DIMUNDO, L’arbitraggio. Laperizia contrattuale, in ALPA (coord.), L’arbitrato. Profili sostanziali, Milano, 1999, Volume I,211.

(15) Cfr. BOVE, La perizia contrattuale, cit., il quale riprende l’esempio da FAZZALARI,L’arbitrato, Torino, 1997.

(16) ZUDDAS, L’arbitraggio, Napoli, 1992, 218.

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specificato si tratta di casi riscontrati nella prassi dei traffici giuridico-commerciali. Inoltre, si tratta di situazioni nelle quali la sussistenza dellaperizia contrattuale è data per certa dalla giurisprudenza o dalla dottrina,ovvero da entrambe, ma ciò non significa che in tutti gli episodi descrittiricorra senza ombra di dubbio una perizia. In altre parole, l’obiettivo delpresente scritto è quello di riportare ordine circa la disciplina di unistituto, sicuramente noto ma ancora non ben delineato nei suoi profiligiuridici. Sicché, volendo razionalizzare e comporre il quadro, potrebbealla fine risultare che, alcuna delle fattispecie esemplificative sopra ripor-tate, descrivano una realtà diversa da quella che effettivamente rappre-senta la perizia contrattuale.

3. Secondo una parte della dottrina, la perizia contrattuale non godedi una propria « legittimazione » giuridica autonoma.

Invero, secondo una prima ricostruzione, essa è una particolare formadi arbitraggio, in quanto interviene allo scopo di colmare una lacunacontrattuale, ossia a determinare un elemento di un contratto già perfe-zionato ma, per l’appunto, incompleto. Rispetto all’arbitraggio, per cosìdire, tout court, recherebbe con sé la peculiarità della natura necessaria-mente tecnica dell’accertamento posto alla base della determinazione delterzo perito-arbitratore (17). Per questa via, pertanto, la perizia costitui-rebbe un fenomeno di diritto sostanziale. Peraltro, in quest’ottica, laperizia contrattuale è declinabile in due modi: da un primo punto di vista,come arbitraggio nel contratto di accertamento ove l’attività del perito-arbitratore ha ad oggetto l’elemento tecnico oggetto di contrasto (deline-andosi un contratto di accertamento di un fatto (18)); da altro punto divista, come necessario sviluppo, in termini di arbitraggio, del contrattobase, onde il rapporto costituito dal negozio originario non è completosino allo svolgimento della perizia (19).

Secondo un’altra tesi, il fenomeno della perizia contrattuale nasce e sisviluppa essenzialmente in seno ad episodi di vita giuridica nei qualiintercorre una controversia tra soggetti relativa a situazioni giuridichesoggettive (di guisa che occorre decidere in ordine alla spettanza del benedella vita e dei contrapposti obblighi), la cui base è rappresentata da un

(17) FAZZALARI, L’arbitrato, cit., 29; VOLPE PUTZOLU, Assicurazione, clausola arbitrale eclausola peritale, in questa Rivista, 1996, 623 ss.; in passato tale ricostruzione è stata fatta propriada ASCARELLI, I c.d. collegi arbitrali per l’accertamento del danno nell’assicurazione infortuni, inAssicurazioni, 1936, II; SCADUTO, Gli arbitratori nel diritto privato, Cortona, 1923.

(18) Cfr. BOVE, La perizia arbitrale, cit., 14 ss., ove illustra la tesi, nel senso riportato neltesto, di ASCARELLI, con i relativi richiami in nota. Per quanto riguarda la dottrina tedescaconcorde rispetto a tale ricostruzione, l’Autore citato nel testo dà conto, approfonditamente,delle tesi di WITTMAN (pp. 88 e ss., con relative note) e di WAGNER (pp. 103 e ss. e note ivicontenute).

(19) Cfr. la ricostruzione in BOVE, La perizia arbitrale, cit., e i richiami a SCADUTO (pp. 10e ss.), WEISMANN e KISCH (pp. 42 e ss. e note ivi contenute).

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rapporto giuridico preesistente (non necessariamente contrattuale) e liti-gioso. In tale contesto verrebbe a configurarsi una peculiare forma diarbitrato ad oggetto limitato (20), donde la natura processuale, o permeglio dire arbitrale, della perizia (21).

Secondo altra impostazione, probabilmente maggioritari in dottrina,la perizia contrattuale altro non è che una particolare forma di arbitratoovvero di arbitraggio a seconda che venga posta in essere per dirimere unacontroversia in forma negoziale (su una determinata questione tecnica) oper completare il contenuto di un contratto, bensì perfezionato ma carentedi uno o più elementi rilevanti nell’economia del regolamento d’inte-ressi (22). Da questo punto di vista, la particolare competenza tecnica delterzo perito non condizionerebbe la natura dell’istituto, anche se la« scientificità » dell’accertamento serve, in un’ottica definitoria, a distin-guere la perizia dall’arbitraggio e dall’arbitrato (23).

Invero, autorevole dottrina (24), ha rilevato che anche nell’ipotesidell’arbitraggio (che pure deve essere tenuto ben distinto dall’arbi-trato (25), avendo questo funzione di risoluzione di una controversiariferita ad un rapporto preesistente mediante forme processuali, ed inter-venendo quello a completamento di un rapporto contrattuale, cioè nellafase genetica della sua formazione (26)) è possibile configurare un contra-sto che, anche se spesso soltanto economico, configura un conflitto d’in-teressi. Solo che l’arbitratore non decide (stabilendo chi ha torto e chi haragione rispetto ad una situazione sostanziale), bensì, per così dire, sosti-

(20) Questa è l’idea, tra gli altri, di LUISO, L’oggetto del processo arbitrale, cit., 669 e ss.;e di BOVE, La perizia arbitrale, cit., 170 e ss.

(21) Come sostenuto dall’autore che ha dedicato alla perizia contrattuale lo studio piùapprofondito, riportato nella sua opera intitolata, per l’appunto, La perizia arbitrale.

(22) Così, tra gli altri, GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2009; DIMUNDO,L’arbitraggio, cit., 215 ss.; ZUDDAS, L’arbitraggio, cit., 217 e ss.; RUBINO SAMMARTANO, Il dirittodell’arbitrato (interno), Padova, 1991, 12; BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1987,330 ss; SCOGNAMIGLIO, Dei contratti in generale, art. 1321-1352, in Comm. cod. civ., a cura diScialoja e Branca, Bologna, 1970, 385.

(23) ZUDDAS, L’arbitraggio, cit., 220; SCHIZZEROTTO, Dell’arbitrato, Milano, 1988, 278 e ss.(24) PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., 14-15 e 16.(25) GABRIELLI, Il contratto di arbitraggio, in GABRIELLI - LUISO (coord.), I contratti di

composizione delle liti, Milano, 2005, 1152 « la differenza tra arbitrato ed arbitraggio va ricercatanel contenuto del mandato conferito dalle parti ad uno o più terzi. Mentre, infatti, nell’arbitratole parti demandano agli arbitri il compito di risolvere divergenze sorte in ordine ad un rapportoprecostituito in tutti i suoi elementi, mediante l’esplicazione di una funzione giurisdizionale, permodo che la decisione sia destinata ad acquisire efficacia pari a quella della sentenza del giudice(arbitrato rituale), oppure mediante la formazione, sul piano negoziale, di un nuovo rapportoriconducibile esclusivamente alla volontà dei mandanti, senza l’osservanza, per la natura noncontenziosa dell’incarico, delle norme contenute negli artt. 806 ss. c.p.c. (arbitrato irrituale,cosiddetto libero); nell’arbitraggio, invece, le parti demandano ad altri di determinare, in lorosostituzione, il contenuto di un contratto già concluso ma non completo, per modo chel’arbitratore, con la propria attività volitiva ed autonoma, concorre alla integrazione ed allaformazione del contenuto del negozio stesso », e i richiami a nota 28.

(26) Cfr. FAZZALARI, Arbitrato e arbitraggio, in questa Rivista, 1993, 583 ss.; PUNZI,Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., 14.

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tuisce le parti nella determinazione di un elemento del regolamentod’interessi. In tale prospettiva, la perizia contrattuale, costituendo unmeccanismo volto alla composizione di contrasti in ordine a questionitecniche, ben può corrispondere allo strumento ex art. 1349 c.c., laddoveil perito debba intervenire in fase genetica; può realizzare un arbitrato(irrituale, pare d’intendere), allorché l’accertamento tecnico sia richiestocirca questioni relative ad un rapporto giuridico preesistente e liti-gioso (27).

4. Non sono mancate opinioni, in dottrina, indirizzate verso laconfigurazione della perizia contrattuale come istituto autonomo, degnodi una propria dimensione giuridica, differente da quella dell’arbitraggio edell’arbitrato (irrituale).

Il punto centrale di questa differenza, pur considerandosi che lavincolatività del responso del terzo-perito rende il fenomeno molto vicinoalla fattispecie ex art. 1349 c.c. e all’arbitrato libero, risiederebbe nellanatura e nella qualità dei poteri conferiti al terzo: qui, invero, si avrebbeun accertamento tecnico, mancante di qualunque determinazione volitivae discrezionale, presenti invece in sede di arbitraggio e arbitrato. In-somma, con la perizia il terzo si renderebbe autore di una mera dichiara-zione di scienza (28), di una valutazione tecnica priva di qualsiasi arbitriumma semplicemente caratterizzata da discrezionalità tecnica, senza la li-bertà di giudizio di cui gode ad esempio l’arbitratore (29).

Si è segnalato (30) che l’idea della natura « autonoma » della perizia èassolutamente dominante in giurisprudenza (e ciò — va da sé — si rifletteanche in termini di disciplina giuridica, di cui poi daremo più approfon-ditamente conto, volendo per ora rimanere, come base di partenza e diinquadramento del fenomeno, su un terreno tendenzialmente definitoriodell’istituto).

In realtà, l’approccio ermeneutico della giurisprudenza, il quale sen-z’altro mostra una tendenza ad isolare l’istituto in questione tanto rispettoall’arbitraggio quanto rispetto all’arbitrato tout court, non appare semprechiaro e univoco.

Un’impostazione minoritaria ha avvicinato notevolmente la periziacontrattuale alla fattispecie di cui all’art. 1349 c.c., riscontrando peròl’essenza della prima nella natura squisitamente tecnica dell’accertamentovalido ai fini delle determinazione dell’elemento contrattuale. In altreparole, la perizia contrattuale è strumento di completamento di un con-tratto, ma si differenzia dall’arbitraggio poiché in questo il terzo svolge la

(27) PUNZI, Disegno sistematico, cit., 16.(28) BIAMONTI, voce « Arbitrato », in Enc. del dir., II, Milano, 1958, 955.(29) CATRICALÀ, voce « Arbitraggio », in Enc. Giur., 1988, 2.(30) GABRIELLI, Il contratto di arbitraggio, cit., 1160.

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sua attività secondo il criterio dell’equo apprezzamento ovvero del suomero arbitrio; mentre in quella il terzo-perito non ricorre né all’uno néall’altro criterio, dovendo soltanto conformarsi alle regole tecnico-scien-tifiche del proprio settore di competenza. E ciò si riflette in termini didisciplina applicabile, restando fuori gioco l’art. 1349 c.c. anche in puntod’impugnativa del responso del terzo (31).

Invero, sulla base dell’orientamento (tendenzialmente) costante dellagiurisprudenza, la perizia contrattuale è mezzo di composizione di uncontrasto ad opera di uno o più terzi scelti dalle parti, e a tale fine ilparadigma strutturale di riferimento è rappresentato dall’arbitrato libero.La peculiarità della perizia, idonea a distinguerla dall’arbitrato irrituale,sta nel suo oggetto, quindi nel contenuto dell’accertamento richiesto aiperiti. Qua infatti il contrasto si riferisce ad una questione di fatto dielevata pregnanza tecnica. Nell’arbitrato (libero) il contrasto invece ègiuridico, in quanto concerne il rapporto (preesistente) nel suo complesso.In sostanza, in un caso i soggetti, con riferimento ad un rapporto giuridicotra loro intercorrente ovvero ad una determinata situazione sostanziale,sono in disaccordo rispetto ad una o più questioni (rilevanti nella fatti-specie di alcuno dei diritti in gioco) il cui accertamento (e la cui soluzione)richiede competenza tecnica; nell’altro caso la lite concerne il rapporto nelsuo complesso. Ma strutturalmente, in ambo i casi, le parti s’ispirano almedesimo modello contrattuale, ossia ad un mandato a un terzo al fine dicomporre un contrasto e di realizzare un nuovo assetto di interessi di tiponegoziale. Seguendo questa (prevalente) lettura, si giunge alla conclusioneche l’autonomia della perizia sussiste solo a livello definitorio e concet-tuale, dal momento che, in termini di disciplina, si seguono le normeapplicabili all’arbitrato irrituale (ad esempio per ciò che riguarda i profilid’impugnabilità del responso del perito) (32).

5. Il quadro ricostruttivo, benché la figura della perizia contrattuale(o arbitrale) sia conosciuta da molti secoli (sin dal diritto romano (33)),appare tutt’altro che unitario. Tuttavia, la perizia come mezzo di compo-sizione di contrasti, ancorché soltanto tecnici, esiste e persiste nei trafficigiuridico-commerciali. Insomma, il fenomeno è atipico ma allo stessotempo appare dotato di una non scarsa rilevanza « sociale ».

Ciò puntualizzato, nel tentativo di razionalizzare il quadro e, per-tanto, di trovare una collocazione concettuale e una disciplina il più

(31) Cfr., tra le più recenti, Cass. n. 13954 del 2005, cit.(32) Il concetto di fondo di questa impostazione è chiaramente espresso in Cass. 5

dicembre 2001, n. 15410, in Foro it. 2002, I, 723 (con ulteriori e numerosi richiami giurispru-denziali in motivazione); in senso analogo, più di recente, Cass. 10 maggio 2007, n. 10705, inMass. giust. civ. 2007, 5.

(33) Cfr. BOVE, La perizia arbitrale, cit., 1.

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possibile unitaria dell’istituto, pare opportuno e utile ripartire, questavolta in maniera più analitica, da un approccio empirico al fenomeno. Sitratta cioè di studiarlo per come esso si sviluppa nella prassi delle relazionigiuridico-commerciali, cercando di capire quali sono le esigenze chespingono le parti a stipulare una clausola per perizia contrattuale e, quindi,qual è la ratio di fondo di questa figura. Coniugando poi le conclusioniraggiunte per questa via con le idee espresse, in particolare, dalla giuri-sprudenza, si dovrà cercare di tracciare la disciplina giuridica del feno-meno.

Innanzitutto preme segnalare che gran parte dei regolamenti delleCamere Arbitrali presentano delle clausole-tipo, non solo compromisso-rie, ma anche per arbitraggio e per perizia contrattuale (34). Confrontandotali clausole il dato rilevante che emerge è che, allorché la clausolacontiene una pattuizione per un arbitrato (tanto rituale quanto libero),l’incarico affidato al terzo è finalizzato alla risoluzione di qualsiasi contro-versia giuridica derivante dal rapporto contrattuale (ivi comprese le liticirca la validità, esecuzione, risoluzione e interpretazione del contratto);se, invece, si tratta di una clausola per arbitraggio ex art. 1349 c.c. al terzoè richiesta la determinazione di un elemento di un certo contratto, con ciòdenotandosi uno stato d’incompletezza del negozio. L’attività dell’arbitra-tore consente quindi di « ultimare » il regolamento di interessi; quando,poi, si ha a che fare con una pattuizione per perizia contrattuale, il terzoè chiamato ad effettuare un accertamento tecnico e/o la valutazione dideterminati elementi di un contratto, o, più dettagliatamente, l’accerta-mento e/o la valutazione qualitativa e/o quantitativa dello stato dei luoghi,della consistenza, qualità, condizione di beni (o di cose) riguardanti uncerto contratto (35).

Sembra allora che — tenuta da parte per ora qualunque deduzione inpunto di disciplina applicabile —, nell’ottica insita in tali regolamenti, laperizia contrattuale rappresenti qualcosa di distinto sia dall’arbitrato siadall’arbitraggio.

(34) Cfr. ad esempio i regolamenti delle Camere di Commercio di Bologna, Bolzano,Cesena, Verona, nonché dell’Istituto Arbitrale Immobiliare di Firenze.

(35) Clausola per perizia contrattuale, peraltro definita « compromissoria », contenutanel regolamento della Camera Arbitrale di Bologna:

Le parti sottoscritte convengono di demandare a n. ..........................(1) l’accertamento e/o la valutazione qualitativa e/o quantitativa dello stato dei luoghi,

della consistenza, qualità, condizione di beni (o di cose) riguardanti il presente contratto (2).Per quanto riguarda la designazione dei periti, le parti espressamente si obbligano ad

attenersi al regolamento della Camera Arbitrale Immobiliare istituita presso la Camera diCommercio Industria Artigianato e Agricoltura di Bologna che dichiarano di conoscere e diaccettare.

Le parti si impegnano sin da ora a riconoscere alla determinazione peritale gli stessi effettidi un contratto tra esse direttamente pattuito.

(1) Precisare se si intende rimettere l’accertamento ad un solo perito o a più periti: inquesta seconda ipotesi il numero dei periti deve essere dispari.

(2) Specificare l’oggetto dell’accertamento e/o della valutazione.

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Invero, essa è prevista in funzione di un accertamento rigorosamentetecnico (valutazione qualitativa e/o quantitativa) di elementi di fatto(luoghi, beni o cose) oggetto di un determinato contratto; accertamentoche non è determinazione (nel senso espresso dall’art. 1349 c.c.), giacchéqua il contratto è completo, il rapporto giuridico è perfezionato (epreesistente), e occorre effettuare una valutazione, vincolante tra le parti,in fase (almeno) esecutiva. Si noti bene che il contrasto è sulla questionetecnica, la quale comunque rileva nell’ambito del rapporto giuridicocontrattuale di riferimento, poiché incide sui diritti da esso derivanti.

Pare, peraltro, che le clausole-tipo appena analizzate concepiscano,come ipotesi per così dire standard di perizia contrattuale, i c.d. arbitratisulle qualità (36).

Proseguendo in questo iter empirico, è importante considerare laniente affatto scarsa diffusione di clausole per perizia contrattuale nel-l’ambito dei contratti di assicurazione (in particolare, polizze infortuni opolizze relative a danni cagionati da varie tipologia di sinistri, per es.incendio). E un punto di partenza fondamentale, in tale prospettiva, èdato dal rilievo che la quasi totalità delle pronunce giurisprudenziali (dimerito e di legittimità) sono intervenute in casi di controversie relativeall’applicazione di perizie derivanti da clausole contenute proprio incontratti di assicurazione.

Volendo prendere a modello esemplificativo le condizioni generaliUNIPOL (contratto di assicurazione multirischi dell’abitazione) (37), quila perizia contrattuale è prevista nell’ambito della liquidazione dei sinistriper incendio, furto e rapina. All’art. 2.3, in particolare, è previsto che« l’ammontare del danno e la determinazione dell’indennizzo può essereconcordato direttamente dalle parti, oppure, di comune accordo tra di esse,mediante periti nominati uno dalla società e uno dal contraente con appo-sito atto unico. I periti ne eleggeranno un terzo nel caso in cui nontrovassero l’accordo e le decisioni saranno prese a maggioranza. (...) ».Successivamente viene specificato il contenuto del mandato conferito aiperiti.

Essi, in particolare, devono: accertare causa, natura e modalità delsinistro; verificare l’esattezza delle indicazioni e delle dichiarazioni risul-tanti dalla polizza e stabilire se al momento del sinistro esistevano circo-stanze aggravanti il rischio non dichiarate nonché verificare se l’assicuratoha adempiuto agli obblighi di denuncia del sinistro; verificare separata-mente, per ciascuna partita colpita da sinistro, l’esistenza, la qualità, laquantità delle cose assicurate, determinandone il valore al momento delsinistro secondo i criteri di valutazione previsti dalla forma di assicura-zione e dal tipo di garanzia risultanti dalla scheda di polizza; procederealla stima del danno secondo i criteri previsti dal tipo di garanzia prescelta.

(36) Cfr. LUISO, Diritto processuale civile, Milano, 2011, V, 133.(37) Reperibile in www.unipolassicurazioni.it.

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È inoltre disposto che i risultati delle ultime due attività tecnichesopra elencate sono vincolanti tra le parti, salva l’impugnativa per vio-lenza, dolo, errore e violazione di patti contrattuali, e impregiudicata inogni caso ogni azione ed eccezione inerenti l’indennizzabilità del danno(ossia concernenti l’an del diritto risarcitorio).

Norme contrattuali come quelle appena analizzate, invero, si ritro-vano anche in altre polizze, magari con piccole variazioni in ordine aglielementi di fatto ad alto tasso di tecnicità sui quali può estendersi l’attivitàperitale (38)

Ora, il caso della perizia in ambito assicurativo è emblematico: tra leparti è operante un contratto, perfezionato e completo in tutti i suoielementi; tale contratto costituisce un rapporto giuridico, consistente inreciproci diritti ed obblighi, i quali rappresentano i tipici effetti giuridiciprodotti dal negozio; tra tali effetti tipici rientra l’obbligo per l’assicura-tore di liquidare un danno coperto dalla garanzia ricompresa nella polizza;sicché, quando interviene un sinistro e s’invoca il diritto al risarcimento, siè nella fase esecutiva del contratto di assicurazione; in tale contesto, se leparti non addivengono ad un accordo e occorre accertare alcuni elementi,di particolare pregnanza tecnica, significa che rispetto ad essi, i quali — èbene ripeterlo — incidono sull’esistenza e/o modo di essere di situazionigiuridiche derivanti dal contratto, vi è una controversia.

Dunque pure qua, come nel caso degli arbitrati sulle qualità, l’accer-tamento tecnico serve a superare un contrasto, rispetto ad una questioneo un elemento rilevante per l’esistenza o il modo di essere di un diritto, cheinterviene nella fase di esecuzione di un rapporto giuridico preesistente.

6. Sempre proseguendo con un metodo casistico, pare utile rilevareche, nei (pochi) casi in cui la Cassazione ha individuato la perizia contrat-tuale come ipotesi di integrazione (del contenuto) di un contratto, inverola controversia muoveva da fattispecie negoziali ove al terzo venivademandata una valutazione tecnica vincolante che valesse come base perla determinazione della prestazione contrattuale. Sennonché, almeno daltenore dei patti in questione, mancavano espressi riferimenti a periziecontrattuali. Si chiedeva una valutazione tecnica al fine di stabilire ilcontenuto della prestazione (39).

In altre parole, in tali (non frequenti) situazioni era controversa purel’individuazione della fattispecie. E la S.C. ha optato per la periziacontrattuale in luogo dell’arbitraggio, spiegando la differenza, come si è

(38) Cfr. BOVE, La perizia arbitrale, cit., 4 e 5, il quale riporta le condizioni generali perle polizze infortuni, danni da incendio e furto del Lloyd Italico, le quali ripetono le condizioniANIA.

(39) Si tratta dei casi decisi dalle già citate sentenze di cui a Cass. 30 giugno 2005, n.13954, cit. e a Cass. 11 novembre 2008, n. 26946, cit.

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già segnalato, in ciò, che nel caso di responsi tecnici non si applica il 1349c.c. in quanto quest’ultima norma opera laddove al terzo si chieda dideterminare un elemento di un contratto con equo apprezzamento ovverocon mero arbitrio, criteri inconcepibili in sede di determinazione tecnica.

D’altro canto, come si è cercato in precedenza di dimostrare, la prassidelle relazioni giuridico-commerciali conosce la perizia contrattuale comestrumento di composizione di contrasti, ancorché esclusivamente tecnici.Nei casi ove la Suprema Corte ha riscontrato l’operatività di una perizia inluogo di un arbitraggio, in realtà, ben si poteva immaginare la sussistenzadella fattispecie di cui all’art. 1349 c.c., con la peculiarità che in tali casil’accertamento richiesto, pur sempre finalizzato alla determinazione dellaprestazione da dedurre nel contratto per completarne il contenuto, sicaratterizzava per un’elevata dose di tecnicità, sicché in sostanza si trat-tava di incidere sulla disciplina applicabile, adattando alle particolaritàdell’attività peritale il meccanismo dell’arbitraggio con equo apprezza-mento e la regolamentazione del regime del relativo responso. Anche lacopiosa dottrina, la quale sostiene la tesi contraria all’autonomia dellaperizia (potendo questa integrare un arbitraggio ovvero un arbitrato),ritiene che nelle ipotesi di accertamento tecnico volto al completamento diun contratto non ci si trovi dinanzi ad una perizia contrattuale ma ad unarbitraggio tecnico (40). Del resto, da più parti si è segnalato che il peritotecnico-arbitratore, pur dovendo attenersi a regole scientifiche, può man-tenere un minimo di discrezionalità; e così l’arbitratore, per determinarel’elemento contrattuale, può dover far ricorso a cognizioni tecniche (41).Non sembra, dunque, assurdo concepire l’esistenza di un arbitraggioaltamente tecnico, ammettendo al più che tale conformazione si rifletta sulregime del responso, non potendo questo essere impugnato per iniquitàma per erroneità (42).

Perizia contrattuale e arbitraggio integrano due fenomeni distinti,risolvendosi la prima in un’attività di accertamento (tecnico) (43) e carat-terizzandosi il secondo per la sua funzione dispositiva; la prima intervieneal posto del giudice in sede di accertamento di una o più questioni relativead una certa controversia giuridica, il secondo interviene in luogo deicontraenti stessi (44).

(40) Cfr. DIMUNDO, L’arbitraggio, cit., 216, ove si esprime in termini di « arbitraggio diprecisione », portando ad esempio il caso del contratto per la costruzione di un’opera (somma-riamente descritta), la quale richiede le prestazioni di un esperto a cui viene dato l’incarico diredigere il progetto, considerato parte integrante dell’accordo.

(41) V. ancora DIMUNDO, L’arbitraggio, cit., 215-216.(42) DIMUNDO, L’arbitraggio, cit., 216.(43) L’accertamento vincolante può avere ad oggetto anche soltanto fatti. In questo

senso, con riferimento al negozio di accertamento, si veda l’analitica ricostruzione di FORNA-CIARI, cit., 336-337 e, sull’accertamento giuridico in generale, 216-218.

(44) BOVE, La perizia arbitrale, cit., 154-155.

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7. Sulla base della sommaria analisi delle diverse tesi proposte nelcorso degli anni e della (breve) indagine di tipo casistico, pare dunquepotersi affermare che la perizia contrattuale rappresenta un istituto fina-lizzato a comporre, in maniera vincolante, una controversia tecnica. Inol-tre il contrasto si riferisce ad una questione (tendenzialmente di fatto)rilevante per l’esistenza o il modo di essere di una situazione sostanziale,sicché l’accertamento è richiesto sempre nel contesto di un rapportogiuridico preesistente tra i litiganti.

Ora, un siffatto meccanismo, con incarico a soggetti terzi, peraltroscelti in ragione della loro competenza tecnico-scientifica, della soluzionedi un contrasto (tecnico), evoca senza dubbio lo schema dell’arbitrato. Sitratta a questo punto di stabilire se il modello di riferimento sia l’arbitratorituale di cui agli artt. 806 ss. c.p.c., oppure l’arbitrato irrituale (o libero),ora disciplinato all’art. 808 ter c.p.c. (45)

Come si è accennato, il diritto vivente, frutto della copiosa e annosaproduzione giurisprudenziale, tende ad accostare il fenomeno della periziacontrattuale all’arbitrato libero, pur sottolineando la differenza di oggettoe di contenuto dell’attività del terzo incaricato di risolvere il contrasto (46).

8. Una volta tentato di definire, in maniera auspicabilmente esaustiva,il profilo concettuale della perizia, avendo quindi ben presenti le difficoltà

(45) Partendo dall’assunto in base al quale nell’arbitrato non ci si deve conformare adesigenze di economia processuale come nel processuale statuale, essendo questo uno strumentoa carico dello Stato, al contrario di quello, mezzo legittimato dall’autonomia privata, BOVE, Laperizia contrattuale, in GABRIELLI - LUISO (coord.), I contratti di composizione delle liti, cit.,giunge alla conclusione, che invero poi risulta il punto di partenza della sua riflessione, chel’oggetto del giudizio arbitrale può anche essere una questione di fatto (o di diritto). L’A. ritienequindi la perizia contrattuale un arbitrato ad oggetto più « piccolo »; in particolare, riconducel’istituto all’arbitrato rituale, onde si applicano alla perizia le norme ex artt. 806 ss. c.p.c., fattaeccezione per quelle la cui operatività suppone un oggetto del processo arbitrale « ampio »(ossia, un diritto soggettivo disponibile); della medesima idea circa la possibilità di attivare ungiudizio arbitrale chiedendo l’accertamento di una mera questione, riconduce la perizia afenomeno arbitrale anche LUISO, L’oggetto del processo arbitrale, cit., 672 ss.; la perizia è istitutostrutturalmente riconducibile all’arbitrato irrituale per CECCHELLA, L’arbitrato, Torino, 2005, 23e 158, ove l’A. rileva la compatibilità dello strumento peritale con un’attività di risoluzione diuna questione non già di fatto, bensì di diritto (si porta l’esempio dei c.d. arbitrati interpretativi).

(46) Arresto di riferimento, in questo senso, è una decisione nella quale la Cassazione siesprime in questi termini: « la perizia contrattuale, con la quale le parti deferiscono ad uno o piùterzi, scelti per la loro particolare competenza tecnica, il compito di formulare un apprezzamentotecnico che esse si impegnano ad accettare come diretta espressione della loro volontà negoziale,si inserisce in una fattispecie negoziale diretta ad eliminare, su basi transattive o conciliative, unacontroversia insorta tra le parti, mediante mandato conferito ad un terzo, così come avvienenell’arbitrato libero, dal quale si differenzia per il diverso oggetto del contrasto, che attiene ad unaquestione tecnica, e non giuridica (come nell’arbitrato libero), ma non per gli effetti, dato che inentrambi il contrasto è superato mediante la creazione di un nuovo assetto di interessi dipendentedal responso del terzo, che le parti si impegnano preventivamente a rispettare », Cass. 30 marzo1995, n. 3791, in Rep. giust. civ., 1995, « Compromesso e arbitrato », n. 103; Per arresticonformi, cfr. GABRIELLI, Il contratto di arbitraggio, in GABRIELLI - LUISO (coord.), I contratti dicomposizione delle liti, cit., 1156, nota 41. La perizia rientra nell’ambito dell’arbitrato irritualeanche per CURTI, L’arbitrato, Milano, 2006.

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ricostruttive del fenomeno in parola, al fine di tracciare la disciplinaapplicabile all’istituto occorre in primo luogo muovere dal diritto vivente,non senza trascurare, soprattutto con riferimento ad aspetti per così direlasciati scoperti, i contributi della dottrina. Mancando una regolamenta-zione espressa, l’ottica potrebbe essere quella di ordinare le varie que-stioni rilevanti, così come affrontate in primo luogo dalla giurisprudenza,secondo una successione logica.

8.1. Il fenomeno oggetto del presente contributo consiste, invero, inun meccanismo complesso, che origina da un patto tra i soggetti inconflitto e si esaurisce, salvi eventuali profili d’impugnazione del suoprodotto, con l’emanazione di un atto da parte dei periti, mediante il qualeessi risolvono il contrasto tecnico. In senso stretto, è quest’ultima deter-minazione la vera e propria perizia. Tuttavia, il fenomeno deve necessa-riamente essere studiato nel suo complesso.

L’accordo, mediante il quale le parti stabiliscono che, in caso dicontrasto circa una questione la cui soluzione richiede specifiche compe-tenze tecniche, la determinazione sia assunta da un perito (per così diremonocratico ovvero collegiale) come diretta espressione della loro vo-lontà, il più delle volte è inserito in una clausola contrattuale. Onderisultano applicabili, per esempio con riferimento ai profili ermeneuticidella clausola stessa, le norme dettate dal codice civile in materia dicontratti.

Non risulta che sia stato espressamente affrontato il problema dellanecessità della forma scritta, la quale peraltro è adesso testualmenteprevista per il patto compromissorio irrituale dall’art. 808 ter, comma 1,c.p.c.

Un aspetto di sicuro rilievo concerne l’esatta individuazione di unaclausola per perizia contrattuale. Infatti, occorre valutare se la pattuizionesia volta a conferire al terzo l’incarico di risolvere una controversiagiuridica ovvero una o più questioni tecniche (comunque rilevanti nel-l’ambito di un rapporto giuridico preesistente). Non sempre a tal fine leindicazioni risultano chiare, sicché spesso si rivela necessario fare ricorsoalla disciplina che il codice civile detta con riguardo alla interpretazionedel contratto (artt. 1362-1371).

Che vi si giunga direttamente, mercé una chiara e precisa redazionedella clausola, oppure indirettamente, ossia mediante l’ausilio delle regoledi ermeneutica negoziale, il risultato deve essere nel senso che con taleclausola le parti hanno voluto devolvere al terzo la soluzione di unproblema tecnico, restando escluse tutte le altre questioni rilevanti nelrapporto giuridico. Così, un patto, per mezzo del quale si deferisce al terzo

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la soluzione dei problemi relativi all’interpretazione, validità ed esecu-zione del contratto base, non dà origine ad una perizia ma ad un arbi-trato (47).

D’altro canto, allorché le parti pattuiscono che il terzo sia incaricatosoltanto di decidere, mediante un accertamento sostitutivo della lorovolontà, una questione tecnica (ad esempio il quantum di un pregiudizio),la clausola così predisposta integra, o per meglio dire è alla base di unaperizia contrattuale, onde le ulteriori e diverse questioni concernenti ildiritto (si pensi agli altri profili relativi all’an o al modo di essere del dirittoall’indennizzo) sono sottratte all’attività peritale o comunque rispetto adesse il vincolo del responso non si produce.

Non sempre è agevole ricavare, dal tenore di una clausola, l’incaricodi espletare una perizia o un arbitrato, perché può succedere che il pattoconcepisca bensì una questione di elevata pregnanza tecnica, ma accantoa questa contempli anche l’accertamento di profili dai quali può dipenderela sussistenza del diritto nascente dal rapporto intercorrente tra leparti (48).

Il contrasto oggetto di clausola per perizia contrattuale e poi risoltodal perito deve avere ad oggetto una o più questioni tecniche; non èescluso che vi possa essere contrasto anche in ordine ad altri profili delrapporto, ma essi, se non sono tecnici e non sono inseriti nella clausola,possono essere superati mediante ricorso alle vie ordinarie.

Può succedere che le parti conferiscano al terzo la soluzione di unacontroversia giuridica ma la contestazione cada solo su una questionetecnica. In un siffatto caso siamo comunque di fronte ad un arbitrato,giacché ciò che rileva è l’ambito della decisione, non quello della cogni-zione.

Pare potersi ritenere che non valga, per il patto peritale, il principio diautonomia, desumibile dalla prima parte del comma 3 dell’art. 808 c.p.c.,in tema di clausola compromissoria: la validità di quest’ultima deve esserevalutata in modo autonomo rispetto al contratto al quale si riferisce.

(47) Cass. 10 maggio 2007, n. 10705, cit.; Cass. n. 13954 del 2005, cit.; occorre aggiungereche, in assenza di specificazione in favore dell’irritualità, la scelta delle parti dovrà ritenersiindirizzata all’arbitrato rituale, giacché l’art. 808 ter ha sovvertito il principio sostenuto dallagiurisprudenza fino alla riforma del 2006, ossia che, in caso di dubbio sul tenore della clausola,l’arbitrato deve ritenersi irrituale. Per questi profili Cfr., per tutti, BIAVATI, Arbitrato irrituale, inCARPI (coord.), Arbitrato, Bologna, 2007, 170-171.

(48) Cass. n. 10705 del 2007, cit.: « né appare ravvisabile nella clausola in discorso unaperizia contrattuale, (...), atteso che il complesso delle attività demandate ai periti, con particolareriferimento al controllo dell’adempimento da parte dell’assicurato o del contraente degli obblighiprevisti nelle condizioni generali di polizza e nelle clausole del contratto, che il collegio era quinditenuto ad aver presenti nell’espletamento del mandato, induce ad argomentare che ad esso nonfosse semplicemente richiesto un accertamento circa l’entità del danno denunciato, ma anche ungiudizio sulla sussistenza delle condizioni per la liquidazione di esso ».

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Benché tale principio operi anche rispetto all’arbitrato irrituale (49), èevidente che, non contemplando la clausola peritale tutte le possibilicontroversie derivanti dal contratto (comprese quelle circa la validità el’efficacia di quest’ultimo), se viene meno il contratto cade anche il pattoperitale.

È da registrare, in giurisprudenza, un contrasto intorno alla vessato-rietà della clausola per perizia contrattuale.

Il c.d. codice del consumo (D.lgs. 6 settembre 2005, n. 206) all’art. 33,comma 2, stabilisce che, nel contratto tra professionista e consumatore, siconsiderano vessatorie, fino a prova contraria (che può essere data dimo-strando, ad esempio, la trattativa individuale sulla clausola ex art. 34.Comma 4), le clausole che hanno per oggetto o per effetto, tra l’altro, di« sancire a carico del consumatore (...) deroghe alla competenza dell’au-torità giudiziaria » (art. 33, comma 2, lett. t) (50).

Per una cospicua parte della giurisprudenza di merito, la clausola perperizia contrattuale è vessatoria poiché deroga alla competenza dell’au-torità giudiziaria, ma non intesa in senso tecnico, bensì come merapossibilità di chiedere la tutela dei diritti dinanzi al giudice statuale. Ladisciplina a tutela del consumatore deve essere interpretata alla luce degliscopi prefissati dalla normativa comunitaria di riferimento (51), la qualeassicura al soggetto debole del mercato la possibilità di chiedere giustiziaagli organi statuali, senza che possa vedersi imposto il ricorso a formealternative come l’arbitrato (di cui la perizia contrattuale altro non è cheuna species). Il nuovo art. 819 ter c.p.c. sembra porre arbitri e giudici inrapporto di competenza in senso tecnico solo con riguardo alla modalitàrituale, ma la normativa europea, invero, non contempla la competenza, aifini della tutela del consumatore, in una tale accezione. Peraltro, ladichiarazione di nullità della clausola è evitabile laddove venga dimostratala specifica trattativa tra le parti (52).

Ancora, la natura vessatoria del patto per perizia contrattuale devenecessariamente sottostare alla disciplina di cui agli artt. 1341 e 1342 c.c.

Per quanto qui interessa, le due norme, ciascuna al proprio comma 2,nell’ambito, rispettivamente, delle condizioni generali di contratto e deicontratti conclusi mediante moduli e formulari, prevedono che non hannoefficacia, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioniche stabiliscono, tra l’altro, clausole compromissorie o deroghe alla com-

(49) ZUCCONI GALLI FONSECA, Art. 806, in MENCHINI (coord.), La nuova disciplina dell’ar-bitrato, Padova, 2010, 51; DE NOVA, Nullità del contratto e arbitrato irrituale, in Riv. trim. dir. eproc. civ., 1991, 404 ss.

(50) Per l’arbitrato irrituale è stata anche data rilevanza alla lett. b), laddove è vessatoriala clausola che ha per oggetto o per effetto di « escludere o limitare le azioni (...) delconsumatore (...) ». Cfr. sul punto ZUCCONI GALLI FONSECA, Art. 806, cit., 53

(51) In particolare la direttiva CE 93/13 in materia di clausole abusive.(52) Tra le altre, Trib Mantova 24 settembre 2010, in www.ilcaso.it

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petenza dell’autorità giudiziaria. Ora, dato che la Cassazione (53) hariconosciuto la natura di merito dell’exceptio compromissi rituale, rico-struendo l’arbitrato codicistico come fenomeno negoziale al pari dell’ar-bitrato libero, sarebbe logico desumerne che il comma 2 dell’art 1341 c.c.,allorché si esprime in termini di « deroga alla competenza dell’autoritàgiudiziaria », non si riferisce all’arbitrato rituale come ritenuto preceden-temente. Sennonché, di recente, ha cominciato a prendere quota unalettura dei rapporti tra arbitri e autorità giudiziaria, sulla base dell’im-pianto normativo predisposto dalla riforma del 2006, che pare avvicinarsia quella assestatasi prima della svolta « privatistica » delle Sezioni Unitedel 2000 (54). Invero, nel corso del 2013, sia la Corte costituzionale (55), siala Cassazione (56), hanno avuto modo di (ri)affermare la natura giurisdi-zionale dell’arbitrato rituale, considerando tale strumento come sostitu-tivo della giustizia pubblica e idoneo al raggiungimento di un « risultato diefficacia sostanzialmente analoga a quella del dictum del giudice statale ».

Sicuramente la specifica sottoscrizione, in caso di controversia devo-luta ad arbitri, deve investire le « condizioni che sanciscono (...) clausolecompromissorie », ciò valendo sia per l’arbitrato rituale sia per l’arbitratoirrituale. Inoltre allo stesso regime è sottoposta anche la clausola perperizia contrattuale, essendo questa istituto assimilabile, ancorché diversonei contenuti, all’arbitrato libero (57).

Senza contare che, mediante la predisposizione di una proceduraalternativa alla giurisdizione, la parte affronta costi e oneri, pertanto deveessere posta in grado di conoscere e di approvare specificamente laclausola (vessatoria) (58).

Tuttavia, per il Giudice della legittimità, la clausola per perizia

(53) Cass., Sez. un., 3 agosto 2000, n. 527, in Riv. dir. proc., 2001, 254 ss., con nota di RICCI,La « natura » dell’arbitrato rituale e del relativo lodo: parlano le Sezioni Unite; in Corr. giur.,2001, 51 ss., con note di CONSOLO, RUFFINI e MARINELLI; in Il foro padano, 2002, 34 ss., con notadi RUBINO SAMMARTANO, Vittoria di tappa - Arbitrato irrituale come processo: un sogno impos-sibile?; in questa Rivista, 2000, 704 ss., con nota di FAZZALARI, Una svolta attesa in ordine allanatura dell’arbitrato; Ma si veda il nuovo art. 819 ter c.p.c., come riformato dal D.lgs n. 40 del2006, laddove dispone che « la sentenza, con la quale il giudice afferma o nega la propriacompetenza in relazione a una convenzione di arbitrato, è impugnabile a norma degli articoli 42e 43. L’eccezione di incompetenza del giudice in ragione della convenzione di arbitrato deveessere proposta, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta ». Sul punto Cfr., ex multis,RUFFINI, Art. 819 ter, in MENCHINI (coord.), La nuova disciplina dell’arbitrato, Padova, 2010, 364ss.

(54) Sull’orientamento precedente la pronuncia delle Sezioni Unite cfr., per tutti, RUF-FINI, cit., 368.

(55) Corte cost., 19 luglio 2013, n. 223, in Dir. e giust., 2013, 22 luglio, con nota diVALERINI. Con tale decisione il giudice delle leggi ha dichiarato l’illegittimità costituzionaledel’art. 819 ter, comma 2, c.p.c., nella parte in cui esclude l’applicabilità, ai rapporti tra arbitratoe processo, di regole corrispondenti alle previsioni dell’art. 50 c.p.c.

(56) Cass. civ., sez. un., ord. 25 ottobre 2013, n. 24153, in Mass. giust. civ., 2013.(57) Trib. Nola 2 febbraio 2010, in www.iussit.eu.(58) Trib. Nola 2 febbraio 2010, cit.

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contrattuale non è vessatoria, in quanto non determina uno squilibrio trale parti; né ha carattere compromissorio o comunque derogativo dellacompetenza giurisdizionale, sicché non soggiace alla disciplina di cui agliartt. 1341 e 1342 c.c. (59)

8.2. « Tanto l’arbitrato irrituale (o libero), quanto la perizia contrat-tuale sono caratterizzati dal conferimento agli arbitri o ai periti di unmandato per una definizione negoziale, che nel primo caso attiene all’interacontroversia, mentre nel secondo caso attiene solo ad un apprezzamentotecnico. Ne consegue che (...) nella fattispecie [è] applicabile l’art. 1727 c.c.,per cui il mandatario che rinunzia senza giusta causa al mandato deverisarcire i danni al mandante » (60).

In questi emblematici termini si è espressa la Suprema Corte —ribadendo peraltro quanto già ampiamente riportato in ordine al rapportotra perizia e arbitrato libero — per descrivere, in poche righe, la figuracontrattuale di riferimento per inquadrare il rapporto tra le parti e i periti(o gli arbitri).

Lo schema è quindi quello del mandato (61).Per tutto ciò che attiene al « percorso » mediante il quale i periti

giungono al responso, la prima sede d’individuazione di eventuali regoleprocedurali è la clausola. È qui che occorre rilevare possibili indicazionicirca la nomina dei periti e le regole ai quali essi devono attenersinell’espletamento dell’incarico loro conferito (62).

In mancanza di chiare e precise formulazioni, per quanto concerne lanomina, la Suprema Corte, in particolare a far data dal noto arresto conil quale è stata propugnata la teoria negoziale anche dell’arbitrato ri-tuale (63) (con conseguenziale avvicinamento delle due figure di arbitratodal punto di vista delle norme applicabili), sembra ammettere l’operativitàanche alla perizia contrattuale dell’art. 810, comma 2 c.p.c., il quale, incaso di inerzia delle parti, consente, a quella di esse interessata, dipresentare istanza di nomina al presidente del tribunale (64).

(59) Cass. 2 febbraio 2006, n. 2277, in Mass. giust. civ. 2006, 2; Cass. 17 dicembre 2010, n.25643, in questa Rivista, 2010, 4, 687, con nota di BOVE; per la vessatorietà della clausola perperizia contrattuale cfr. GALATI, « Contratti di assicurazione, perizia contrattuale e clausoleabusive », in I contratti, 5/2007. Per Cass. 5 settembre 1992, n. 10240, in Foro italiano, 1992, I,3298 ss., non è soggetta alla disciplina ex artt. 1341 e 1342 la clausola compromissoria perarbitrato irrituale.

(60) Cass. 24 maggio 2004, n. 9996, cit.(61) Per una trattazione più approfondita circa il rapporto parti-arbitri si rimanda a

CECCHELLA, L’arbitrato, cit., passim.(62) Così, ad esempio, i paciscenti possono stabilire che il terzo sia designato dal

presidente del tribunale, salvo il rispetto da parte di quest’ultimo dei requisiti previsti nel pattoper la scelta del perito, pena l’invalidità della perizia. Cfr. in questo senso Cass., sez. III, 14marzo 2013, n. 6554, in Mass. giust. civ., 2013.

(63) Cass. Sez. Un. 527 del 2000, cit.(64) Cass. 13 aprile 1999, n. 3609, la quale afferma in via diretta che in punto di nomina

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La riconducibilità strutturale della perizia all’arbitrato libero, a suavolta avvicinato, come poco sopra rilevato, all’arbitrato rituale, ha portatola Cassazione a ritenere applicabile al fenomeno peritale gli artt. 2943,comma 4 e 2945, comma 4. Dunque l’atto mediante il quale vienemanifestata l’intenzione di avviare la procedura peritale e viene nominatoil perito è idoneo a interrompere, anche permanentemente, il termine diprescrizione del diritto (65).

Più di recente la giurisprudenza ha affermato che, rendendo il pattoperitale improponibile qualunque domanda avente ad oggetto diritti de-rivanti dal rapporto preesistente, la prescrizione rimane sospesa sinoall’esaurimento dell’attività peritale, dovendosi comunque denunciare ilsinistro (in ipotesi di contratto di assicurazione) entro un anno dall’eventodannoso (66).

In breve, circa la differenza tra arbitrato rituale e arbitrato irrituale,il discorso di fondo è che i due strumenti si distinguono, soprattutto,perché con il secondo si vuole giungere, senza tutte le formalità diprocedura prevista dal codice di rito, ad un lodo avente efficacia contrat-tuale, anziché produttivo di effetti equipollenti a quelli della sentenza esottoposto ad un peculiare regime d’impugnativa. Ad ogni modo, pare cherequisito imprescindibile dell’arbitrato libero sia il rispetto del principiodel contraddittorio (67).

Analogo rilievo sembra potersi avanzare anche con riferimento allaperizia contrattuale, essendo questa finalizzata a comporre un contrasto,ancorché soltanto tecnico, ma pur sempre rilevante nell’ambito dellosvolgimento di un rapporto giuridico (68).

Ovviamente, all’atto della decisione le uniche regole che i peritidovranno rispettare sono quelle proprie del settore tecnico-scientifico lacui conoscenza è necessaria per la soluzione del contrasto.

Non pare azzardato affermare che altre regole di disciplina possonoessere, per così dire, prese in prestito, nei limiti della compatibilità, dalsistema normativo, anche come ricostruito in via interpretativa, dellefigure negoziali di riferimento: l’arbitrato irrituale e il mandato.

8.3. La perizia contrattuale deve necessariamente produrre due ef-

dei periti non si applica l’art. 810, comma 1, giacché la notifica a mezzo di ufficiale giudiziariodell’atto contenente la nomina degli arbitri è prevista solo per l’arbitrato rituale, vigendo afavore alle parti, che abbiano optato per un arbitrato irrituale, ampia libertà negoziale, sicchétale disposizione è niente affatto inderogabile. Per un ricostruzione critica della giurisprudenzasulle norme previste per l’arbitrato rituale e ritenute applicabili ovvero non applicabili all’ar-bitrato libero, Cfr. CECCHELLA, L’arbitrato, cit., 98 e, soprattutto, 136 ss.

(65) Cass. 5 dicembre 2001, n. 15410, in Foro it. 2002, I, 723(66) Cass. 13 marzo 2012, 3961, in Mass. giust. civ. 2012, 3, 329.(67) V. per tutti FAZZALARI, Arbitrato e arbitraggio, cit. 583 ss.(68) Per la giurisprudenza il mancato rispetto del contraddittorio rileva, invero, solo se

determina un’ipotesi di invalidità, ossia se produce un vizio del consenso. V. infra 8.4

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fetti: vincolare le parti in ordine all’accertamento tecnico; evitare chesull’elemento oggetto di perizia intervenga il potere cognitivo della giuri-sdizione.

La fattispecie è costruita, come si è ribadito più volte, secondo unmeccanismo mediante il quale le parti incaricano i periti di accertare, conun responso che esse considerano sostitutivo della propria volontà, una opiù determinate questioni tecniche controverse. Il vincolo sta tutto qui:mediante un atto negoziale, le parti legittimano l’espletamento di unaccertamento effettuato da terzi ma comunque riconducibile alla lorovolontà. La giurisprudenza costantemente si esprime in termini di « ac-certamento sostitutivo della volontà delle parti » (69).

In ordine al secondo effetto, occorre premettere che, in teoria, benpuò non essere necessario porsi il problema di un eventuale effettoimpediente della perizia nei confronti della giurisdizione. Infatti, essa puòmuovere dal presupposto che il contrasto abbia ad oggetto solo la que-stione tecnica dedotta nel patto, sicché, una volta risolta questa con la viaperitale, il rapporto giuridico può ben proseguire lungo i binari di unafisiologica relazione di diritto sostanziale.

Evidentemente il problema si pone quando il conflitto nasce (ovverosi estende) relativamente agli altri elementi della fattispecie costituente ilrapporto giuridico, così da generare una vera e propria controversiagiuridica. Questa, laddove non sia previsto un arbitrato, deve essere risoltadall’autorità giudiziaria, la quale, per accordare la tutela richiesta, dovràsvolgere la cognizione sulla fattispecie costitutiva della situazione sostan-ziale. Nell’ambito di questa rileva anche la questione tecnica dedotta nelpatto per perizia contrattuale.

Ora, se già si è esaurita la procedura peritale, il giudice non può faraltro che prendere atto dell’esistenza, sul punto, di un atto negoziale (70).

(69) In ordine alla possibilità di effettuare un accertamento di fatto per via negoziale, siveda la nota 43. L’A. citato, in particolare alle pagg. 322-326, afferma che la perizia contrattualesi differenzia dall’arbitrato irrituale poiché essa dà luogo ad un accertamento di fatti, mentrel’altro conduce ad un accertamento di situazioni giuridiche soggettive. Entrambi gli strumenti,peraltro, si differenziano dall’arbitraggio, il quale consiste in un’attività determinativa a carat-tere innovativo, estranea all’accertamento.

(70) Nell’ambito di una controversia giuridica, laddove essa sia oggetto di processodinanzi all’autorità giurisdizionale, può essere che sorga la necessità di effettuare degli accer-tamenti tecnici. In tal caso l’attività del CTU non vincola affatto il giudice, il quale può,congruamente motivando, discostarsi dalle risultanze peritali (iudex peritus peritorum). Vice-versa, nel caso della perizia contrattuale, l’accertamento tecnico è il prodotto di un’attivitàsvolta sul piano dell’autonomia privata e finalizzata a realizzare un nuovo assetto d’interessi ditipo negoziale. Le parti conferiscono ai periti l’incarico di dare un responso che esse stesseconsiderano vincolante, dunque si realizza una fattispecie negoziale che il giudice non può faraltro che, per così dire, recepire (salvo ogni profilo relativo alla validità/efficacia della perizia).È evidente che un siffatto meccanismo è estraneo alla CTU. Rilievi analoghi devono valereanche per il caso della consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p.c., ove il vincolo per leparti (e, quindi, per il giudice) nasce, invero, nel momento in cui in sede peritale è raggiunta laconciliazione.

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Se invece, nella fase processuale dinanzi al giudice, la perizia non èancora stata attivata ovvero è in fase di svolgimento, evidentementeall’autorità è sottratto il potere di decidere in ordine al diritto oggetto digiudizio senza prima aver atteso il responso peritale.

Sul punto il quadro in giurisprudenza non appare molto chiaro.Invero, l’idea di fondo è che la previsione della perizia per l’accertamentotecnico comporta una temporanea rinuncia alla tutela giurisdizionale deidiritti nascenti dal contratto-base, sicché la domanda giudiziale risultaimproponibile sino alla definizione dell’attività peritale. Solo che, secondouna prima ricostruzione, tale improponibilità coinvolgerebbe qualsivogliadomanda relativa a diritti contrattuali, non assumendo pertanto alcunrilevo la qualificazione della domanda giudiziale eventualmente propo-sta (71); viceversa, per un orientamento sviluppatosi nella Cassazione piùrecente, non sarebbero precluse azioni giurisdizionali finalizzate all’accer-tamento di questioni preliminari di merito (validità del contratto, opera-tività della garanzia assicurativa, e così via), incidenti quindi sull’an deldiritto contrattuale (72).

Anche nella giurisprudenza di merito si nota un certo contrasto,tuttavia in questo ambito sembra prevalere l’idea secondo la quale nonsarebbero affatto precluse, in mancanza o nel corso del procedimentoperitale, domande vertenti su questioni estranee alla clausola che istituiscela perizia, ossia su questioni (quali quella sull’an del diritto) che sipongono come preliminari rispetto alla questione di fatto oggetto diperizia (ad esempio, il quantum) (73).

Secondo la giurisprudenza più recente della Suprema Corte, conparticolare riguardo ai contratti di assicurazione, la clausola per periziacontrattuale inibisce tutte le azioni derivanti dal contratto, salvo che vengacontestata l’operatività della garanzia. Attivato peraltro un processo giu-risdizionale sul diritto, la presenza della clausola deve essere fatta valeremediante un’eccezione di merito in senso stretto, essendo per tale profilola perizia contrattuale equiparata all’arbitrato irrituale (74).

Tentando di voler concludere sul punto, il rilievo da ultimo riportatopuò essere proiettato su un piano più generale: evidentemente occorrevalutare il punto di contrasto tra le parti; la controversia può esseresoltanto tecnica (ossia sull’elemento oggetto di patto peritale) oppurecoinvolgere anche altre questioni, ponendosi come vera e propria contro-

(71) Per tutte, Cass. 22 maggio 2007, n. 11876, in Resp. civ. e prev., 2007, 11, 2438.(72) Cass. 18 gennaio 2011, n. 1081, cit.(73) Trib. Bari 18 novembre 2008, in giurisprudenzabarese.it 2008; Trib. Lucca 12

febbraio 2001.(74) Cass. 13 marzo 2012, 3961, cit.

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versia giuridica la cui soluzione richiede la cognizione (anche) dell’ele-mento oggetto di perizia, ed allora la domanda giudiziale, mutuando laterminologia giurisprudenziale, è provvisoriamente improponibile; il con-trasto, viceversa, può riguardare altri profili (del rapporto preesistente), ilgiudizio sui quali può non richiedere affatto una cognizione dell’elementodedotto nella clausola peritale, onde in tal caso la domanda giudizialerisulta proponibile.

Così, se nella fase esecutiva di un contratto a prestazioni corrispettive,nel quale è inserita una clausola peritale volta a deferire al terzo l’accer-tamento della corrispondenza del bene consegnato alla qualità promessa,una parte risulta totalmente inadempiente, evidentemente non si creal’occasione per l’espletamento della perizia, pertanto diviene pienamenteesperibile dinanzi all’autorità giudiziaria la domanda di risoluzione.

Lo si è già rilevato, ma occorre ribadire quanto segue: nell’ambito diun determinato rapporto giuridico (il più delle volte) contrattuale, coneffetti e sviluppi di notevole pregnanza tecnica, è ben possibile che le partiricorrano ad un patto peritale, magari ritenendo che solo sull’elementotecnico possa sorgere un contrasto (75). Con ciò esse tendono ad unasoluzione del conflitto più rapida e più affidabile. Non si può escludere,però, che la controversia si estenda agli altri aspetti del rapporto, insommache si presenti come vera e propria controversia giuridica. Il vincoloderivante dal patto peritale resta fermo, ma si pone il problema, affrontatocome si è testé riportato dalla giurisprudenza, di un eventuale impedi-mento all’esperibilità di una domanda al giudice statuale (76).

8.4. La perizia contrattuale è un fenomeno arbitrale (irrituale) (77).L’arbitrato irrituale può essere ritenuto, come l’arbitrato rituale, unistituto di matrice processuale, solo che, a differenza del secondo, il primoconduce ad un atto avente gli effetti e il regime di un contratto.

Sicché la perizia contrattuale è un arbitrato irrituale « ristretto »,giacché il suo oggetto è costituito da una o più questioni (normalmente di

(75) Invero, quando il contrasto concerne solo la questione tecnica, non si può escludereche il patto peritale venga stipulato successivamente, senza essere contenuto in una specificaclausola contrattuale.

(76) Da segnalare la tesi di BOVE, La perizia arbitrale, cit., 195 ss., secondo la quale,esperita domanda giudiziale, laddove il giudice accerti l’impedimento alla trattazione dellaquestione tecnica in quanto oggetto di patto per perizia contrattuale (non espletata ovvero infase di svolgimento), il provvedimento da adottare è l’ordinanza di sospensione (propria) di cuiall’art. 295 c.p.c.

(77) Sulla processualità dell’arbitrato irrituale FAZZALARI, L’arbitrato, cit.; BIAVATI, Ar-bitratrato irrituale, cit., 164 ss., alla luce del nuovo art. 808 ter c.p.c., è ancora più evidente laprocessualità dell’arbitrato libero per SASSANI, L’arbitrato a modalità irrituale, in questa Rivista,2007; contra BOVE, Art. 808 ter, cit.

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fatto) di elevata pregnanza tecnica. Non può essere un arbitrato rituale,perché questo sfocia in un atto equipollente alla sentenza del giudicestatuale (78).

La Suprema Corte rileva che il perito, il quale per giungere alresponso deve necessariamente utilizzare le proprie specifiche compe-tenze, esprime una dichiarazione di scienza, non godendo di discreziona-lità alcuna (79).

Il risultato finale è equiparabile a quello che si ottiene mediante unarbitrato a modalità irrituale: un atto che risolve un contrasto con la stessaefficacia di un contratto; un nuovo assetto di interessi di tipo negoziale.

Come tale, il responso del terzo e, quindi, il negozio giuridico che siviene a realizzare deve contenere i requisiti essenziali del contratto.

In un caso specifico, la Cassazione ha affermato che anche alla periziacontrattuale si applica l’art. 1346 c.c., ai sensi del quale l’oggetto delcontratto, oltre che lecito e possibile, deve essere determinato o determi-nabile. In particolare, secondo la S.C. « la disposizione dell’art. 1346 cod.civ. pone, infatti, una regola di diritto sicuramente applicabile, benchériferita espressamente solo ai contratti, anche agli atti unilaterali (art. 1324cod. civ.) ed alla perizia contrattuale, che, come, più in generale, il parerereso dagli arbitri (nell’arbitrato libero), non avendo il contenuto decisorioche è proprio del lodo reso nell’arbitrato rituale, agisce (...) nella sfera e coneffetti di diritto privato per procedere, in forza dei poteri conferiti dalmandato, ad un regolamento di interessi altrui sul tema in conflitto e perricollegare alla volontà delle parti il regolamento da essi deliberato connatura ed efficacia di carattere negoziale » (80).

Contro il responso del perito sono esperibili i tipici rimedi spendibiliavverso gli atti negoziali. È esclusa in radice l’applicazione del regime dellodo rituale, ossia l’impugnazione ai sensi degli artt. 827 e ss. c.p.c.

Valgono quindi, anche nei confronti della perizia contrattuale, lecause di nullità (artt. 1418 e ss. c.c.) e di annullabilità (artt. 1425 e ss. c.c.).

Con riferimento alle prime, si può, a mero titolo esemplificativo,pensare al caso giurisprudenziale poco sopra riportato: una perizia adoggetto indeterminato ovvero indeterminabile.

Per quanto riguarda i motivi di annullabilità, la giurisprudenza seguele medesime linee direttive tracciate, in parte qua, in relazione all’arbitratoirrituale (81). Dunque la perizia è annullabile per errore (del perito) sequesto, ex art. 1428 c.c., è essenziale e riconoscibile e cade su uno degli

(78) L’art. 824 bis c.p.c. stabilisce che il lodo ha « gli effetti della sentenza pronunciatadall’autorità giudiziaria ». Cfr. CECCHELLA, L’arbitrato, cit.

(79) Cass. n. 15410 del 2001, cit.(80) Cass. 12 maggio 2005, n. 10023, in Mass. giust. civ. 2005, 5.(81) V. TARZIA, Nullità e annullamento di lodo arbitrale irrituale, in Riv. trim. dir. e proc.

civ., 1991, 451 ss.

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elementi, di cui all’art. 1429 c.c., che le parti abbiano prospettato al terzo.Ciò accade quando l’errore incide sul processo di formazione della volontàdel perito, nel senso che egli « subisce » un’alterata percezione o una falsarappresentazione della realtà, omettendo di considerare alcuni elementirilevanti, supponendone altri inesistenti, o ritenendo pacifici fatti conte-stati e viceversa. Rimane esclusa, ai fini dell’annullamento, la possibilità difar valere errori di giudizio o di interpretazione giuridica. Gli eventualierrores in procedendo o in iudicando, che pure si traducano nella viola-zione del principio del contraddittorio, rilevano in quanto integrino un’i-potesi di invalidità, determinando un vizio del consenso o di risolu-zione (82)

Ovviamente la perizia è impugnabile anche per dolo o violenza (83)Va inoltre considerato, con particolare riguardo ai contratti di assi-

curazione, che le polizze spesso prevedono l’impugnazione della periziaper « errore, violenza, dolo, eccesso di mandato e violazione delle condi-zioni delle norme e i limiti delle condizioni di polizza », cioè mediante ilricorso alle tipiche azioni di annullamento e di risoluzione per inadempi-mento predisposte per i contratti (84).

9. Probabilmente la giurisprudenza tende ad accostare, almeno perciò che attiene agli effetti e al regime dell’atto finale, la perizia contrat-tuale all’arbitrato irrituale (o libero) poiché ha sempre ricondotto que-st’ultimo all’ambito dei mezzi di soluzione delle controversie di naturanegoziale. L’idea di fondo è sempre stata quella del mandato a un terzoper definire — su basi transattive, conciliative oppure attingendo alparadigma del negozio di accertamento — la lite, mediante un attodirettamente riconducibile alla volontà delle parti. Per contro, l’arbitratorituale così come modellato dal codice di rito è sempre stato consideratostrumento di decisione delle controversie perfettamente alternativo allagiurisdizione, per mezzo del quale i litiganti puntano ad ottenere un attoidoneo, mediante decreto pretorile, ad acquisire i crismi della sentenzagiurisdizionale.

In seguito le Sezioni Unite hanno affermato la natura negoziale anchedell’arbitrato rituale, costruendo la relativa exceptio compromissi comeeccezione di merito (85). Ma si è trattata, al più, di (tendenziale) opera diavvicinamento dell’arbitrato rituale all’arbitrato libero, e non viceversa,onde l’impostazione di fondo circa la modalità irrituale è rimasta intatta.

In breve, fino alla riforma dell’arbitrato operata dal D.lgs. 2 febbraio2006, n. 40, la giurisprudenza si è mostrata ferma nel distinguere arbitrato

(82) Cass. 16 marzo 2005, 5678, in Mass. giust. civ., 2005, 4.(83) Cass. n. 13954 del 2005, cit.(84) Cass. 27 settembre 2002, in Dir. e prat. delle soc., 2003, 17, 85.(85) Cass. Sez. Un. n. 527 del 2000, cit.

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rituale e irrituale in ciò, che con il primo le parti in lite vogliono lasoluzione della controversia mediante un processo (privato) che sfoci inun atto idoneo ad assumere i connotati di una sentenza; con il secondo leparti demandano all’arbitro una composizione del contrasto per mezzo diun atto riconducibile direttamente alla loro volontà. Quest’ultimo mo-dello, nell’ottica della giurisprudenza, ha ispirato anche la prassi delleperizie contrattuali.

Sennonché la riforma del 2006 ha profondamente inciso sulla disci-plina dell’arbitrato. In particolare, per quanto rileva ai fini del presentescritto, la novità più consistente concerne l’arbitrato irrituale. Esso infattiè stato finalmente previsto e disciplinato espressamente (laddove la suacostruzione storica, soprattutto in termini di arbitrato « libero », va giu-stificata proprio in ragione dell’assenza di una organica regolamentazionegiuridica).

Il nuovo art. 808 ter, comma 1, stabilisce infatti che « le parti possono,con disposizione espressa per iscritto, stabilire che, in deroga a quantoprevisto dall’art. 824-bis, la controversia sia definita dagli arbitri mediantedeterminazione contrattuale. Altrimenti si applicano le disposizioni delpresente titolo ». È ancora più interessante il disposto del comma 2, ilquale dispone che « il lodo contrattuale è annullabile dal giudice compe-tente secondo le disposizioni del libro I: 1) se la convenzione d’arbitrato èinvalida, o gli arbitri hanno pronunciato su conclusioni che esorbitano daisuoi limiti e la relativa eccezione è stata sollevata nel procedimentoarbitrale; 2) se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modistabiliti dalla convenzione arbitrale; 3) se il lodo è stato pronunciato da chinon poteva essere nominato arbitro a norma dell’articolo 812 c.p.c.; 4) segli arbitri non si sono attenuti alle regole imposte dalle parti comecondizione di validità del lodo; 5) se non è stato osservato nel procedi-mento arbitrale il principio del contraddittorio. Al lodo contrattuale nonsi applica l’art. 825.

Come si è segnalato, prima dell’espresso riconoscimento normativodell’arbitrato a modalità irrituale, il regime del lodo libero era quellotipico del contratto, sottoposto pertanto alle impugnative negoziali.

In assenza di riscontri giurisprudenziali, si pone il problema di capirese i motivi d’impugnazione del lodo ex art. 808 ter siano tassativi omeno (86).

Avendo la giurisprudenza ante riforma, in punto di impugnabilità

(86) Per BOVE, Art. 808 ter, cit., 95-96 nulla impedisce di adottare un’interpretazionepermissiva; favorevole alla tassatività dei motivi di annullabilità la dottrina maggioritaria, salvoaggiungere, in alcuni casi, la necessita di estendere i motivi d’impugnazione almeno al dolodell’arbitro e al travisamento del fatto (Cfr. BIAVATI, Arbitrato irrituale, cit., 1174-1175); perSASSANI, L’arbitrato a modalità irrituale, cit., l’art. 808 ter porta ad escludere la possibilità diimpugnare il lodo libero per motivi di nullità e per altri motivi di annullabilità, onde l’elenco è

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della perizia, ritenuto applicabile il regime vigente per il lodo irrituale, inquanto soggetto alla disciplina dei contratti, il vero nodo da sciogliere è seadesso anche la perizia contrattuale sia annullabile per i motivi di cuiall’art. 808 ter.

Invero, pur riconoscendo l’opportunità di un’approfondita indagine inmateria, si potrebbe ritenere che nulla ostacoli una lettura in chiavepositiva, che tenga eventualmente conto delle peculiarità “oggettivo-strutturali” della perizia. Tuttavia, avendo ben presente l’origine « pra-tica » della perizia contrattuale e la sua ricostruzione ad opera dei contri-buti degli studiosi e dei numerosi interventi giurisprudenziali, sembraprudente attendere che si sviluppi, sul punto, un diritto vivente.

10. Tracciare una ricostruzione analitica e sistematica della disci-plina applicabile alla perizia contrattuale è operazione niente affattosemplice, non fosse altro perché risulta già poco agevole dare un inqua-dramento di partenza al fenomeno in parola.

Con il presente contributo si è cercato principalmente di « collocare »l’istituto della perizia a livello sistematico; si è preferito poi, dopo aver« fotografato » la fattispecie, dar conto della disciplina applicabile mante-nendosi su un piano il più possibile obiettivo, e cioè proponendo una sortadi rassegna dei diversi profili di regolamentazione affrontati dalla giuri-sprudenza.

Prima di concludere si ritiene necessaria una precisazione terminolo-gica. La dottrina che più approfonditamente ha studiato il fenomeno hautilizzato l’espressione « perizia arbitrale ». In questo scritto si è ritenutafondata la ricostruzione dell’istituto come mezzo di composizione di uncontrasto (tecnico) omologabile all’arbitrato (irrituale), in linea con lagiurisprudenza prevalente. Si potrebbe essere tentati, dunque, di proporrepure in questa sede il nomen di perizia arbitrale.

Sennonché, ritenendo che il paradigma di riferimento sia l’arbitratoirrituale, e considerando che la riforma del 2006 qualifica il lodo ex art. 808ter in termini di « determinazione contrattuale », non pare illogico confer-mare la denominazione più diffusa di « perizia contrattuale ».

In this article, the Author reconstructs and analyze the institutional practice of“perizia contrattuale”. It consists in a mechanism through which two subjectscommission one or more third parties with specific technical-scientific skills — socalled “periti,” field-experts — to verify a relevant technical matter in a legalrelationship or a controversy. The verification is considered binding by the partiesinvolved, who consider it a result of their own deliberating will.

tassativo ma, anche prendendo spunto dalle vicende che, in parte qua, hanno coinvolto il lodorituale, non si può escludere l’impugnazione del lodo irrituale per contrarietà all’ordinepubblico.

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After a description of the main differences between “perizia contrattuale” andarbitration, the Author compares “perizia contrattuale” to arbitration by makingreference to the legal doctrine that has produced most in-depth studies of thephenomenon, and to recurring trends in court decisions.

Taking court decisions as a departure point, the Author will then drawstructural comparisons between perizia contrattuale and arbitration; the two struc-tures differ only with regards to the object of verification.

By putting together the insights derived from the evolution of court decisions,the Author will sketch the regulation of the phenomenon in question. The paper willconclude with a presentation of the potentially problematic questions posed by thearbitration reform of 2006, and the anticipation of a rule with regards to irritualarbitration, particularly with reference to the contenstation of “lodo”.

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I) ITALIANA

Sentenze annotate

CORTE COSTITUZIONALE, sentenza 19 luglio 2013, n. 223; GALLO Pres.; MAZZELLA

Est.; A.R. c. R.I. S.r.l.

Giudizio arbitrale - Rapporto con il giudizio ordinario - Translatio iudicii -Esclusione - Art. 819 ter c.p.c. - Incostituzionalità.

È incostituzionale l’art. 819 ter, secondo comma, del codice di procedura civile,nella parte in cui esclude l’applicabilità, ai rapporti tra arbitrato e processo, di regolecorrispondenti all’art. 50 del codice di procedura civile.

MOTIVI DELLA DECISIONE. — 1. Con ordinanza emessa il 13 novembre 2012 inBologna nel corso di un arbitrato rituale tra F.F. e la E.C. s.r.l. ed iscritta al n. 38del registro ordinanze dell’anno 2013, l’arbitro ha sollevato, in riferimento agliarticoli 3, 24 e 11 della Costituzione, questione di legittimità costituzionaledell’articolo 819-ter, secondo comma, del codice di procedura civile, nella parte incui prevede che nei rapporti tra arbitrato e processo non si applichino regolecorrispondenti all’art. 50 del codice di procedura civile.

Il rimettente afferma che, con atto di citazione notificato il 4 marzo 2011 allaE.C. s.r.l., il socio F.F. aveva convenuto in giudizio la predetta società davanti alTribunale ordinario di Bologna, impugnando la delibera assembleare del 6 dicem-bre 2010, trascritta in pari data nel libro delle decisioni dei soci. Con sentenza del13 dicembre 2011, detto Tribunale aveva dichiarato la propria incompetenza inragione della clausola compromissoria contenuta nello statuto della società cherimetteva alla decisione dell’arbitro unico, tra l’altro, le controversie relative alledeliberazioni sociali concernenti interessi individuali dei soci.

L’arbitro aggiunge che F.F., con ricorso depositato nella cancelleria delTribunale ordinario di Bologna il 10 febbraio 2012, aveva proposto domanda perla nomina dell’arbitro. Nel corso del successivo procedimento davanti all’arbitrounico designato dal Presidente del Tribunale, la E.C. s.r.l. aveva eccepito in viapreliminare la decadenza della controparte dall’impugnazione della delibera as-sembleare per decorrenza del termine di novanta giorni stabilito dall’art. 2479-terdel codice civile.

GIURISPRUDENZA ORDINARIA

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L’arbitro a quo sostiene che, ove non fossero fatti salvi gli effetti sostanzialie processuali della domanda formulata nell’atto di citazione davanti al Tribunaledi Bologna, si determinerebbe inevitabilmente una pronuncia di decadenza dal-l’azione proposta, mediante il ricorso per la nomina dell’arbitro, solamente in data10 febbraio 2012, quando era ormai scaduto il termine stabilito dall’art. 2479-terdel codice civile. Ma a tale salvezza si oppone l’art. 819-ter, secondo comma, cod.proc. civ., il quale stabilisce che nei rapporti tra arbitrato e processo non si applica,tra l’altro, l’art. 50 del cod. proc. Civ., in virtù del quale, quando la riassunzionedavanti al giudice dichiarato competente avviene nel termine fissato, il processocontinua e pertanto, al fine di verificare l’ammissibilità della domanda in relazioneai termini di decadenza cui essa sia eventualmente sottoposta, occorre far riferi-mento all’originario atto introduttivo della lite.

Ad avviso del rimettente, così disponendo l’art. 819-ter, secondo comma, cod.proc. civ., si pone in contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., perché irragionevol-mente ed in plateale disarmonia con la vigente disciplina codicistica che regola irapporti tra i giudici ordinari e tra questi ultimi e quelli speciali, violando il dirittodi difesa delle parti e i principi del giusto processo, determina, in caso di pronunciadi diniego della competenza del giudice ordinario adito in favore dell’arbitro,l’impossibilità, nel giudizio arbitrale successivamente instaurato, di far salvi glieffetti sostanziali e processuali della domanda, proposta davanti al giudice ordi-nario. Secondo il rimettente, la reciproca estraneità fra giudizio statuale edarbitrato non può giustificare, in caso di passaggio dall’uno all’altro, la mancataconservazione degli effetti dell’atto introduttivo, prevista invece nei rapporti tra ilgiudice ordinario e quello amministrativo, in forza delle pronunce della Corte dicassazione e della Corte costituzionale.

Al riguardo, l’arbitro a quo richiama la sentenza delle sezioni unite dellaCorte di cassazione n. 4109 del 2007, la quale, in base ad una lettura costituzio-nalmente orientata della disciplina della materia, ha ritenuto che nell’ordinamentoprocessuale sia stato dato ingresso al principio della translatio iudicii dal giudiceordinario al giudice speciale e, viceversa, anche in caso di pronuncia resa sulla«giurisdizione» .

Il rimettente aggiunge che, successivamente, questa Corte, con sentenza n. 77del 2007, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 30 della legge 6dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), nellaparte in cui non prevedeva che gli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalladomanda proposta a giudice privo di giurisdizione si conservino, a seguito dideclinatoria di giurisdizione, nel processo proseguito davanti al giudice munito digiurisdizione, evidenziando, nella motivazione, come il vigente codice di proce-dura civile, nel regolare questioni di rito — ed in particolare nella disciplinarelativa all’individuazione del giudice competente — si ispira al principio per cuile disposizioni processuali non sono fini a se stesse, ma funzionali alla migliorqualità della decisione di merito, senza che sia possibile sacrificare il diritto delleparti ad ottenere una risposta, affermativa o negativa, in ordine al «bene dellavita» oggetto della loro contesa.

L’arbitro a quo ricorda, poi, come il legislatore, preso atto dei descritti arrestigiurisprudenziali, sia intervenuto a regolare i rapporti tra giudici appartenenti adiverse giurisdizioni, prima con l’art. 59 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Dispo-sizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in

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materia di processo civile), e poi con l’art. 11 del decreto legislativo 2 luglio 2010,n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delegaal governo per il riordino del processo amministrativo), norme in forza delle qualioggi, nel caso in cui il giudice adito dichiari il proprio difetto di giurisdizione, se ilprocesso sia tempestivamente riproposto innanzi al giudice indicato nella pronun-cia che declina la giurisdizione, «sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processualidella domanda» .

Il rimettente afferma anche che, pur volendo riconoscere la persistenteproblematicità dell’esatta qualificazione dei rapporti fra la giurisdizione ordinariae quella arbitrale, occorre considerare che questa Corte, nella sentenza n. 376 del2001, ha chiarito che il giudizio arbitrale non si differenzia da quello che si svolgedavanti agli organi statuali della giurisdizione, essendo potenzialmente fungibilecon quello degli organi giurisdizionali.

Inoltre, con la riforma della disciplina dell’arbitrato introdotta dal decretolegislativo 2 febbraio 2006, n. 40 (Modifiche al codice di procedura civile in materiadi processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a normadell’articolo 1, comma 2, della legge 14 maggio 2005, n. 80), i rapporti tra arbitroe giudice ordinario sono stati inequivocabilmente ricondotti nell’ambito della«competenza», come riconosciuto dalla successiva giurisprudenza di legittimità.

Pertanto l’art. 819-ter, secondo comma, cod. proc. civ., nella parte in cuiprevede che non si applichi l’art. 50 c.p.c. nei rapporti tra arbitrato e processo,comportando la mancata conservazione degli effetti dell’atto introduttivo in casodi riassunzione del processo nel termine di legge, contrasterebbe con il caratteredella fungibilità della giurisdizione del giudice statale con quella dell’arbitro.Infatti, ad avviso del rimettente, pur volendo qualificare il compromesso come attodi rinuncia alla giurisdizione statale, non sarebbe possibile individuare la raziona-lità di un assetto normativo che, a fronte della medesima domanda giudizialesvolta originariamente innanzi ad un giudice ordinario, faccia conseguire la perditairrimediabile degli effetti sostanziali e processuali derivanti dalla domanda nelcaso in cui questa venga ritenuta improponibile dal giudice adito poiché dovevaessere promossa innanzi all’arbitro ed invece escluda qualsivoglia decadenzasostanziale o processuale quando sussista il difetto di competenza o di giurisdi-zione in favore di altro giudice ordinario o speciale.

2. Nel giudizio di legittimità costituzionale è intervenuto il Presidente delConsiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,il quale chiede che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.

La difesa dello Stato sostiene che nel diritto processuale positivo non sirinvengono norme che dispongano in maniera chiara la piena equiparazione delladisciplina del processo davanti al giudice togato con quella del procedimentoarbitrale. Anzi, il sistema continua a basarsi sulla perdurante diversità ed estra-neità fra giudizio statale ed arbitrato, a differenza di quanto si può affermarerispetto ai rapporti tra giudice ordinario e giudice amministrativo.

Inoltre occorre considerare che il compromesso costituisce un atto di rinunciaalla giurisdizione statale, frutto di una libera scelta delle parti che presupponenecessariamente la conoscenza delle conseguenze derivanti dalla differenziazionedelle discipline dei due tipi di giudizio previste dall’ordinamento, tra le qualirientra anche l’impossibilità della riassunzione della causa davanti all’arbitro in

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caso di dichiarazione di incompetenza resa dal giudice statale e della conseguenteconservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda.

Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, la mancata previsionedella translatio iudicii è da ricondurre alla discrezionalità del legislatore, la qualesi basa sulla non completa assimilazione del giudizio statuale e di quello arbitralein ragione della differenza ontologica derivante dalla libera scelta delle parti checaratterizza il secondo e, pertanto, non è fonte di alcuna lesione dei parametricostituzionali evocati dal rimettente. Del resto, aggiunge l’Avvocatura generaledello Stato, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 376 del 2001, ha affermatoche il giudizio di arbitrale è fungibile solo «potenzialmente» con quello degliorgani giurisdizionali.

3. Nel corso di un giudizio civile promosso da A.R. contro la R.I. s.r.l. eavente ad oggetto l’impugnazione di una delibera dell’assemblea straordinaria deisoci, il Tribunale ordinario di Catania, con ordinanza iscritta al n. 62 del registroordinanze dell’anno 2013, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost.,questione di legittimità costituzionale dell’art. 819-ter, secondo comma, cod. proc.civ., nella parte in cui prevede che nei rapporti tra arbitrato e processo non siapplichino regole corrispondenti all’art. 50 del codice di procedura civile.

Il giudice a quo espone che la società convenuta in giudizio ha eccepitol’improponibilità della domanda e la decadenza dall’azione in ragione dellapresenza, nello statuto sociale, di una clausola compromissoria.

Sulla non manifesta infondatezza della questione, il rimettente svolge argo-mentazioni identiche a quelle contenute nell’ordinanza di rimessione pronunciatadall’arbitro di Bologna riportate sopra al punto n. 1.

Sulla rilevanza, il Tribunale ordinario di Catania afferma che la pronuncia diincompetenza del giudice adito sull’impugnativa della delibera assunta dall’assem-blea straordinaria dei soci, ove non fossero fatti salvi, mediante il meccanismoofferto dall’art. 50 cod. proc. civ., gli effetti sostanziali e processuali della domandain precedenza proposta davanti al giudice ordinario, determinerebbe comunque ladecadenza dell’attrice (ai sensi dell’art. 2377, sesto comma, cod. civ.) dal potere diimpugnare la medesima delibera innanzi all’arbitro unico designando.

4. Nel giudizio di legittimità costituzionale si è costituita A.R., la qualechiede che la norma censurata sia dichiarata costituzionalmente illegittima.

La parte sostiene, anzitutto, che la questione è rilevante, perché, ove nonfossero fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda originaria-mente proposta davanti al giudice ordinario, la pronuncia di incompetenza diquest’ultimo determinerebbe la decadenza dal potere di impugnare la deliberasocietaria davanti all’arbitro designando.

Quanto al merito, A.R. afferma che, a seguito della sentenza di questa Corten. 77 del 2007 e di quella della Corte di cassazione n. 4109 del 2007, nel caso in cuiil giudice adito dichiari il proprio difetto di giurisdizione, la regola generale oggivigente nell’ordinamento è quella della possibilità di prosecuzione del processo da-vanti al giudice munito di giurisdizione con salvezza degli effetti sostanziali e pro-cessuali della domanda. Pertanto l’art. 819-ter, secondo comma, cod. proc. civ., sta-bilendo che nei rapporti tra arbitrato e processo non si applica l’art. 50 cod. proc.civ., contrasta con l’art. 3 Cost., sia perché tratta in modo diverso cittadini che versanoin situazioni identiche, sia per carenza di ragionevolezza interna ed esterna.

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Ad avviso della parte, sussiste lesione anche degli artt. 24 e 111 Cost., cheassicurano ad ogni parte il diritto ad un giusto processo, così come previsto anchedall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo edelle libertà fondamentali.

5. Nel giudizio di legittimità costituzionale è intervenuto il Presidente delConsiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,il quale chiede che la questione sia dichiarata manifestamente inammissibile omanifestamente infondata.

La difesa dello Stato sostiene che la questione è inammissibile, perché oggettodel giudizio principale è la pregiudiziale arbitrale, onde il rimettente dovrà decideresolamente sulla competenza propria o dell’arbitro, mentre la decadenza della parteattrice dal potere di impugnazione della delibera assembleare è questione che sipotrà porre nell’eventuale giudizio arbitrale successivamente instaurato.

Con riferimento al merito della questione, l’Avvocatura generale dello Statosvolge argomentazioni analoghe a quelle sostenute nell’atto di intervento nelgiudizio di costituzionalità promosso dall’arbitro unico di Bologna e riportatesopra al punto n. 2.

6. In prossimità dell’udienza di discussione, A.R. ha depositato una memo-ria nella quale ha ribadito la rilevanza della questione, affermando che, ove nonfossero fatti salvi — mediante il meccanismo previsto dall’art. 50 cod. proc. civ. —gli effetti processuali e sostanziali della domanda proposta davanti al giudiceordinario, la pronuncia del Tribunale relativa alla devoluzione ad arbitri dell’im-pugnativa della delibera dell’assemblea dei soci determinerebbe la decadenza (aisensi dell’art. 2377, sesto comma, cod. civ.) dal potere di impugnare la medesimadelibera davanti all’arbitro designando. Né potrebbe opinarsi diversamente, so-stenendo che a sollevare la questione dovrebbe essere proprio l’arbitro, perchéquesti, una volta investito del giudizio di impugnazione della delibera assembleare,si dovrebbe limitare a dichiarare l’inammissibilità della domanda per intervenutadecadenza.

Nel merito, la parte privata ripercorre l’evoluzione normativa e giurispruden-ziale in materia di translatio iudicii tra giurisdizioni diverse e aggiunge che ilprincipio di effettività della tutela giurisdizionale sancito dall’art. 24 Cost. esigeche la domanda proposta dal soggetto sia esaminata nel merito dal giudice e cheil processo si concluda con una sentenza idonea a dare una risposta in ordine albene della vita oggetto della lite.

Inoltre, con riferimento all’art. 3 Cost., ad avviso della parte debbono essereravvisate la violazione del principio di uguaglianza in senso formale e la mancataassimilazione di categorie di soggetti omogenee, nonché la carenza di ragionevo-lezza interna ed esterna della norma censurata. Questa, infatti, tratta in mododiverso cittadini che versano in analoghe o identiche situazioni, ponendo in essereuna disparità di trattamento non giustificata da ragionevoli motivi.

La parte privata aggiunge che il principio del giusto processo è oggi testual-mente consacrato nell’art. 111 Cost. come diritto di ogni cittadino di rivolgersi allagiustizia senza timore di alchimie processuali o di decisioni di rito discrezionali cheimpediscano il sereno esame della vicenda portata all’attenzione del giudice.

Considerato in diritto — 1. Il Tribunale ordinario di Catania e l’arbitro diBologna dubitano, in riferimento agli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione, della

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legittimità costituzionale dell’art. 819-ter, secondo comma, del codice di proceduracivile, nella parte in cui prevede che nei rapporti tra arbitrato e processo non siapplicano regole corrispondenti all’art. 50 dello stesso codice.

Ad avviso di entrambi i rimettenti, la norma censurata contrasterebbe con imenzionati parametri costituzionali perché, irragionevolmente e in disarmonia conla vigente disciplina del codice di rito relativa ai rapporti tra i giudici ordinari e traquesti e quelli speciali, violando il diritto di difesa e i principi del giusto processo,determina, in caso di pronuncia del giudice ordinario di diniego della propriacompetenza a favore di quella dell’arbitro, l’impossibilità di far salvi gli effettisostanziali e processuali dell’originaria domanda proposta dall’attore davanti algiudice ordinario.

2. In ragione dell’identità delle questioni sollevate, i giudizi debbono essereriuniti per essere definiti con unica decisione.

3. Successivamente alla pronuncia dell’ordinanza di rimessione, la giuri-sprudenza di legittimità si è espressa, con una isolata pronuncia, nel senso che l’art.819-ter, secondo comma, cod. proc. civ., laddove afferma che «nei rapporti traarbitrato e processo» non si applica l’art. 50 cod. proc. civ., riguarderebbe solo ilcaso in cui siano gli arbitri ad escludere la loro competenza ed a riconoscere quelladel giudice ordinario; allorquando, invece (come nel caso dei giudizi a quibus), siail giudice togato a dichiarare la propria incompetenza a beneficio di quella degliarbitri, sarebbe possibile la riassunzione dinanzi agli arbitri nel termine fissato o,in mancanza, in quello previsto dall’art. 50, con salvezza degli effetti sostanzialidella domanda (ordinanza n. 22002 del 2012).

Una simile interpretazione della norma censurata — che non costituiscediritto vivente — si basa, però, su argomentazioni fragili, fondandosi esclusiva-mente sulla constatazione che il secondo comma dell’art. 819-ter menziona irapporti «fra arbitrato e processo» e non anche quelli «fra processo e arbitrato» .È evidente la debolezza dell’argomento: l’espressione utilizzata dalla norma è taleda comprendere, in generale, qualsiasi tipo di rapporto che può intercorrere,rispetto ad una stessa causa, tra arbitri e giudici. Del resto, i giudici di legittimitànon hanno chiarito quale sarebbe la ratio della diversità di trattamento chediscende dall’interpretazione della norma da essi fatta propria e, cioè, per qualemotivo la causa potrebbe proseguire davanti all’arbitro se è il giudice a dichiararela propria incompetenza e invece dovrebbe essere riproposta ex novo davanti algiudice ove fosse l’arbitro a dichiararsi incompetente.

L’interpretazione fornita dalla Corte di cassazione è smentita, poi, da inequi-voci elementi letterali. Primo fra tutti, la rubrica della norma, intitolata, anch’essa,ai «Rapporti tra arbitri e autorità giudiziaria»; volendo seguire il ragionamentodella citata ordinanza n. 22002 del 2012, da una simile indicazione si dovrebbededurre che l’intero art. 819-ter sia dedicato al caso in cui è l’arbitro a dichiararela propria incompetenza. Al contrario, dal primo comma dell’articolo emergechiaramente che esso tratta di aspetti relativi in generale ai rapporti tra i duesoggetti e, anzi, dedica due specifiche disposizioni (il secondo ed il terzo periodo)al caso in cui è il giudice a dichiararsi incompetente. Ne deriva che il successivosecondo comma, nell’escludere l’applicabilità di una serie di norme del codice dirito in tema di competenza, ha sicuramente riguardo anche alle ipotesi in cui,appunto, la causa sia stata originariamente proposta davanti al giudice che si siapoi dichiarato incompetente. E ciò senza considerare che l’eccezione di incompe-

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tenza dell’arbitro è disciplinata specificamente dall’art. 817 cod. proc. civ., onde, sedavvero la norma espressa dal secondo comma dell’art. 819-ter avesse ad oggettoesclusivamente il caso in cui l’arbitro si dichiari incompetente, sarebbe stato piùlogico il suo inserimento nel citato art. 817.

Si deve dunque concludere nel senso che l’art. 819-ter, secondo comma, cod.proc. civ., inibisce l’applicazione di regole corrispondenti a quelle enunciatedall’art. 50 cod. proc. civ., tanto nel caso in cui sia l’arbitro a dichiararsi incom-petente a favore del giudice statale, quanto nell’ipotesi inversa.

4. Nel merito, la questione sollevata dall’arbitro di Bologna è ammissibile efondata.

Come già riconosciuto da questa Corte (sentenza n. 77 del 2007) gli artt. 24e 111 Cost. attribuiscono all’intero sistema giurisdizionale la funzione di assicurarela tutela, attraverso il giudizio, dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi edimpongono che la disciplina dei rapporti tra giudici appartenenti ad ordini diversisi ispiri al principio secondo cui l’individuazione del giudice munito di giurisdi-zione non deve sacrificare il diritto delle parti ad ottenere una risposta, affermativao negativa, in ordine al bene della vita oggetto della loro contesa. Da taleconstatazione discende, tra l’altro, la conseguenza della necessità della conserva-zione degli effetti sostanziali e processuali della domanda nel caso in cui la parteerri nell’individuazione del giudice munito della giurisdizione.

Tali principi si impongono anche nei rapporti tra arbitri e giudici, perché lapossibilità che le parti affidino la risoluzione delle loro controversie a privatiinvece che a giudici è la conseguenza di specifiche previsioni dell’ordinamento.

Questa Corte, al fine di verificare la sussistenza della legittimazione degli arbitria sollevare questioni di legittimità costituzionale, ha riconosciuto che «l’arbitratocostituisce un procedimento previsto e disciplinato dal codice di procedura civile perl’applicazione obiettiva del diritto nel caso concreto, ai fini della risoluzione di unacontroversia, con le garanzie di contraddittorio e di imparzialità tipiche della giu-risdizione civile ordinaria. Sotto l’aspetto considerato, il giudizio arbitrale non sidifferenzia da quello che si svolge davanti agli organi statali della giurisdizione, ancheper quanto riguarda la ricerca e l’interpretazione delle norme applicabili alla fat-tispecie» e ha affermato che il giudizio degli arbitri «è potenzialmente fungibile conquello degli organi della giurisdizione» (sentenza n. 376 del 2001).

Sul piano della disciplina positiva dell’arbitrato, poi, è indubbio che, con lariforma attuata con il decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40 (Modifiche al codicedi procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica edi arbitrato, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 maggio 2005, n. 80), illegislatore ha introdotto una serie di norme che confermano l’attribuzione alla giu-stizia arbitrale di una funzione sostitutiva della giustizia pubblica. Anche se l’arbi-trato rituale resta un fenomeno che comporta una rinuncia alla giurisdizione pub-blica, esso mutua da quest’ultima alcuni meccanismi al fine di pervenire ad unrisultato di efficacia sostanzialmente analoga a quella del dictum del giudice statale.

Rilevano, al riguardo: l’art. 816-quinquies (sull’ammissibilità dell’interventovolontario di terzi nel giudizio arbitrale e sull’applicabilità allo stesso dell’art. 111cod. proc. civ. in tema di successione a titolo particolare nel diritto controverso),l’art. 819-bis (nella parte in cui presuppone la possibilità per gli arbitri di sollevarequestioni di legittimità costituzionale), l’art. 824-bis (che ricollega al lodo, fin dallasua sottoscrizione, gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria).

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Anche dall’esame della disciplina sostanziale emerge che, sotto molti aspetti,l’ordinamento attribuisce alla promozione del giudizio arbitrale conseguenzeanaloghe a quelle dell’instaurazione della causa davanti al giudice. Infatti, il codicecivile, sia in materia di prescrizione (artt. 2943 e 2945), sia in materia di trascrizione(artt. 2652, 2653, 2690, 2691), equipara espressamente alla domanda giudizialel’atto con il quale la parte promuove il procedimento arbitrale.

Pertanto, nell’ambito di un ordinamento che riconosce espressamente che leparti possano tutelare i propri diritti anche ricorrendo agli arbitri la cui decisione(ove assunta nel rispetto delle norme del codice di procedura civile) ha l’efficaciapropria delle sentenze dei giudici, l’errore compiuto dall’attore nell’individuarecome competente il giudice piuttosto che l’arbitro non deve pregiudicare la suapossibilità di ottenere, dall’organo effettivamente competente, una decisione sulmerito della lite.

Se, quindi, il legislatore, nell’esercizio della propria discrezionalità in materia,struttura l’ordinamento processuale in maniera tale da configurare l’arbitratocome una modalità di risoluzione delle controversie alternativa a quella giudiziale,è necessario che l’ordinamento giuridico preveda anche misure idonee ad evitareche tale scelta abbia ricadute negative per i diritti oggetto delle controversie stesse.

Una di queste misure è sicuramente quella diretta a conservare gli effettisostanziali e processuali prodotti dalla domanda proposta davanti al giudice oall’arbitro incompetenti, la cui necessità ai sensi dell’art. 24 Cost. sembra porsi allastessa maniera, tanto se la parte abbia errato nello scegliere tra giudice ordinarioe giudice speciale, quanto se essa abbia sbagliato nello scegliere tra giudice earbitro. Ed invece la norma censurata, non consentendo l’applicabilità dell’art. 50cod. proc. civ., impedisce che la causa possa proseguire davanti all’arbitro o algiudice competenti e, conseguentemente, preclude la conservazione degli effettiprocessuali e sostanziali della domanda.

Deve essere dichiarata, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 819-ter,secondo comma, cod. proc. civ., nella parte in cui esclude l’applicabilità, ai rapportitra arbitrato e processo, di regole corrispondenti alle previsioni dell’art. 50 delcodice di procedura civile, ferma la parte restante dello stesso art. 819-ter.

5. La questione sollevata dal Tribunale ordinario di Catania è assorbita.P.Q.M. — LA CORTE COSTITUZIONALEriuniti i giudizi,dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 819-ter, secondo comma, del

codice di procedura civile, nella parte in cui esclude l’applicabilità, ai rapporti traarbitrato e processo, di regole corrispondenti all’articolo 50 del codice di proce-dura civile.

Commenti di M. Bove, A. Briguglio, S. Menchini, B. Sassani

I

Se l’arbitro (rituale) fa ciò che altrimenti farebbe il giudice statale e sel’interessato, quando si rivolge alla giurisdizione pubblica, non pagal’errore nella scelta del giudice con la perdita degli effetti sostanziali e

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processuali della domanda, lo stesso principio di salvezza deve valereanche nei rapporti tra via privata e via pubblica. Insomma, se l’attore checerca tutela per un suo diritto può usufruire di meccanismi di «trasmi-grazione» del processo da un giudice statale ad un altro, con ciò salvandoquegli effetti della domanda, non si vede perché analoghi meccanismi di«trasmigrazione», e quindi di salvezza degli effetti della domanda irritual-mente proposta, debbano essere vietati nei rapporti tra arbitro e giudicestatale. Questo ha determinato la dichiarazione di incostituzionalità del-l’art. 819-ter c.p.c. nella parte in cui appunto poneva un simile divieto.

Tale assunto, semplice e direi indiscutibile, è stato scolpito nellasentenza in commento. Ma in essa la Corte costituzionale non diceassolutamente altro, lasciando così, già oggi all’interprete, ma direi soprat-tutto al legislatore il compito di attuare il detto principio nel vuotonormativo che così si è venuto a creare. Invero, la Consulta non ha resoapplicabile qui l’art. 50 c.p.c., ma solo ha eliminato il divieto di applicareuna regola analoga a quella in questo articolo contenuta.

Un simile compito esige un chiarimento concettuale preliminare, perpoi potersi svolgere su due linee direttrici. Per quanto riguarda il chiari-mento, a me sembra che si dovrebbe partire dall’idea che i rapporti tragiudice statale e giudice privato non sono inquadrabili in termini dicompetenza, bensì di giurisdizione, perché l’arbitro non fa parte del plessoorganizzativo della giurisdizione statale, emergendo piuttosto come unaautonoma giurisdizione che l’ordinamento statale, che certo non pretendedi assumere alcun monopolio in materia, riconosce come tale, ossia, se cosìsi può dire, come altro da sé. Per quanto riguarda le linee direttrici, se laprima dovrà individuarsi in virtù dell’esigenza di disciplinare il meccani-smo di sanatoria in tutti i suoi vari tecnicismi, la seconda dovrà avere curadi stabilire i limiti dell’intervento, in particolare chiedendosi se esso esigadelle scelte consequenziali ineludibili.

Siano consentiti in questo breve spazio alcuni spunti in riferimento adentrambi gli aspetti.

Per quanto riguarda la disciplina del meccanismo di sanatoria, se lapremessa concettuale qui scelta sembra indurre a preferire quale modellodi riferimento, piuttosto che l’art. 50 c.p.c., gli articoli 59 della legge n. 69del 2009 ed 11 del codice del processo amministrativo, direi che a talproposito si debba essere cauti.

In riferimento alla forma ed al termine per la «trasmigrazione» delprocesso dal giudice sbagliato a quello giusto, a me sembra francamenteche il legislatore dovrà preoccuparsi del secondo problema e non certo delprimo. Su quale sarà il termine entro il quale dovrà compiersi l’attività insanatoria, ovviamente il legislatore avrà pieno spazio di movimento. Ma,rispetto alla forma dell’atto di «trasmigrazione», non vedo come sipotrebbe immaginare un atto di riassunzione tra giudice privato e giudicestatale, e viceversa, dovendosi piuttosto rispettare le forme disciplinate

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nell’ambito del processo che dovrà essere celebrato di fronte al giudice (adquem) riconosciuto fornito di potestas iudicandi.

Tuttavia, per diversi altri aspetti non credo che quelle norme po-tranno essere prese a modello. Soprattutto per quanto riguarda il pro-blema delle preclusioni e del valore del materiale raccolto di fronte algiudice irritualmente adito (a quo). Dal primo punto di vista, se già unanorma che pretende di fissare un effetto di trascinamento delle preclusionida un processo ad un altro (diverso) è poco ragionevole, ancor menoragionevole sarebbe una simile previsione tra arbitro e giudice statale,perché in arbitrato non si hanno preclusioni. Che senso avrebbe trascinarein arbitrato preclusioni in ipotesi maturate di fronte al giudice statale, sein arbitrato non vige il principio di preclusione? E come si potrebberotrascinare di fronte al giudice statale preclusioni che in arbitrato nonmaturano? Dal secondo punto di vista, se al giudice statale basta laprevisione dell’art. 310, 3º comma, c.p.c., all’arbitro non serve alcunadisposizione, operando di fronte ad esso il principio del puro liberoconvincimento.

Piuttosto, una scelta si imporrà al legislatore a fronte del problemadell’efficacia della declinatoria assunta in una via quando il giudiziotrasmigrerà nell’altra via. Qui rientriamo nella seconda direttrice sopracitata, sulla quale nulla ha detto la Consulta, silenzio che anzi potrebbe farsorgere il sospetto che la Corte costituzionale non voglia o quantomenonon pretenda interventi consequenziali su questo piano, nulla avendodetto in riferimento al divieto previsto ancora nell’art. 819-ter c.p.c. diapplicare norme analoghe a quella contenuta nell’art. 44 c.p.c.

A me sembra francamente inevitabile che il legislatore si occupi dellaquestione appena citata, perché la mancata previsione di un’efficaciavincolante di detta declinatoria rappresenta una seria vulnerazione all’ef-fettività del diritto di azione. Ed, allora, si tratterà di scegliere la disciplinadi essa, in riferimento alla quale non nascondo la mia preferenza per unsistema nel quale semplicemente si preveda quel vincolo, ove l’atto ditrasmigrazione sia compiuto entro un dato termine, senza attribuire algiudice ad quem il potere di sollevare conflitto negativo di fronte allaCorte di cassazione. Invero, se sulla questione della sussistenza dellapotestas iudicandi tra arbitro e giudice statale la legge non riconosce unruolo al giudice quando disciplina la relativa eccezione, in ipotesi dasollevare incidentalmente nel processo sul rapporto sostanziale in riferi-mento al quale si discute se sussista o meno un patto compromissorio, nonvedo perché dovrebbe poi attribuirsi quel ruolo a seguito di una declina-toria di giurisdizione assunta in una via.

Nulla invece ha da dire il legislatore sul complesso normativo che siriassume nell’espressione «sistema delle c.d. vie parallele» . Certo unsistema ora scelto può sempre essere rigettato in futuro. Ma ciò che qui sivuole dire è che nulla di necessitato deriva oggi dalla sentenza in com-

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mento. Il legislatore potrà scegliere se mantenere o meno quel sistema,che si fonda su una sostanziale mancanza di coordinamento preventivo trale due vie, operando solo, si ripete preventivamente, l’eccezione di pattocompromissorio, peraltro consentendo da noi, analogamente a ciò cheaccade in Germania e diversamente da ciò che accade in Francia, unacognizione piena sui presupposti della relativa decisione, salvo che sullavalida esistenza del patto compromissorio sia stato celebrato un giudizioche se ne sia occupato in via principale. A tal proposito il legislatore, semanterrà il detto sistema, sarà solo di fronte ad un dovere ed a unaopportunità.

Il dovere: disciplinare, in qualche modo, il vincolo della declinatoriadi giurisdizione, come sopra abbiamo accennato, dovere che gli derivavagià prima dall’art. 24 Cost.

L’opportunità: cogliere l’occasione per chiarire alcuni lati oscuri dellaattuale disciplina, come ad esempio quello che emerge dall’ultimo incisodel primo comma dell’art. 819-ter c.p.c., quando si dice che la mancataproposizione dell’eccezione di patto compromissorio di fronte al giudicestatale esclude la competenza arbitrale limitatamente alla controversiadecisa in quel giudizio.

MAURO BOVE

II

1. La Consulta risolve con salutare e, nel nostro caso, agevolmentepraticabile saggezza.

Saggio è altresì il metodo motivazionale o se si vuole l’approccioculturale: come già in occasione della pronuncia del 2001 sulla legittima-zione dell’arbitro alla Richterklage alla Corte costituzionale, neppure labenché minima concessione a triti discorsi sulla “natura” dell’arbitrato (ilsesso degli Angeli o quasi) ed attenzione invece al dato funzionale. Gliarbitri, non meno che i giudici, risolvono controversie in contraddittoriocon decisione destinata alla stabilità degli effetti una volta decorsi i terminidi impugnazione; l’esercizio dell’azione è tale dunque, come dinanzi algiudice, anche dinanzi agli arbitri, allorché per scelta di autonomia privatasia ad essi destinato. Perciò l’applicazione di una regola quale quellascritta nell’art. 50 c.p.c. — che garantisce l’effetto utile dell’azione impe-dendo che l’individuazione dapprima erronea poi corretta dell’organomunito di potestas iudicandi “sacrifichi” “il diritto delle parti ad ottenereuna risposta affermativa o negativa in ordine al bene della vita oggettodella loro contesa” (parole della Corte) — non può essere preclusa (come

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fa invece l’art. 819 ter), pena il contrasto con gli art. 24 e 111 Cost., quandol’errore o incertezza sulla individuazione della potestas iudicandi coin-volga, piuttosto che l’alternativa fra diversi giudici dello Stato, l’alterna-tiva pur radicale fra il giudice e l’arbitro.

In questo corretto approccio perfino il nuovo art. 824 bis, e laequiparazione effettuale piena ed ormai indiscutibile fra lodo e sentenza,rappresenta un elemento certamente di conferma, ma non un elementodecisivo per la soluzione attinta dalla Corte. La quale — senza perciò checi si debba chiedere se quella disposizione sia e quanto innovativa ovvero,come ho sempre ritenuto, nella sostanza ricognitiva della ricostruzionecorretta quoad effectum apprestabile già dopo la novella dell’arbitrato del1994 — sarebbe stata verosimilmente adottata anche prima dell’entrata invigore dell’art. 824 bis, come fu, a suo tempo, adottata quella sul rinviodella questione di costituzionalità ad opera degli arbitri.

2. In entrambi i giudizi a quibus si faceva questione di termine didecadenza sostanziale per l’impugnazione di delibera societaria e dunquedi conservazione o meno dell’effetto sostanziale impeditivo della deca-denza per la domanda erroneamente proposta dapprima all’arbitro odapprima al giudice.

Se la Consulta non avesse troncato il problema in radice, garantendodefinitivamente la conservazione anche di quell’effetto, non sarebbe ri-masto che da concentrarsi su di esso (oggi lo si dovrà probabilmente farecomunque in relazione all’arbitrato irrituale) ed appigliarsi una ancoraipotetica ma non del tutto peregrina (arg. ex art. 2965 c.c.) dottrinacivilistica dell’errore scusabile, ovvero ad una interpretazione costituzio-nalmente orientata (delle norme sulla decadenza) tale da postulare uneffetto impeditivo senza translatio anche per l’esercizio dell’azione davantia giudice “incompetente”, sì da salvare dalla decadenza anche l’azioneesercitata ex novo; così ovviando all’inconveniente più drammatico dellamancata previsione della translatio, posto che quelli relativi ai terminiprescrizionali o ad altri effetti sostanziali della domanda sono di normameno drammatici (basta pensare per tempo ad esercitare l’azione ex novodopo la declinatoria, la quale, in assenza di translatio, chiude il processo inrito, e come ogni altra chiusura in rito non estintivo, fa salvo l’effettointerruttivo permanente sul termine di prescrizione) e quelli della mancata“prosecuzione” dell’(unica) vicenda processuale con conservazione deglieffetti processuali sono, sul piano pratico, ancor più gestibili.

3. Francamente non riesco a ricostruire come e donde nacque,all’epoca della riforma del 2005/2006 l’infelice “non si applicano regolecorrispondenti... [all’art.] 50”. L’alternativa è fra la svista (indotta dallaproclamata e difficilmente discutibile inapplicabilità degli artt. 44, 45, 48

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ed all’idea che a questi dovesse aggiungersi come in un unico corpus l’art.50) ed il retropensiero circa la necessità, altrimenti, e la difficoltà didisciplinare alcuni profili della “riassunzione”, nonché circa la relativasecondarietà della conservazione degli effetti processuali e la possibilità disalvare in altro modo alcuni effetti sostanziali (v. supra).

Sia come sia la situazione andava certamente rimediata.Cass. n. 22002/2012 ha additato, nelle more fra la prima ordinanza di

rimessione ed il responso della Consulta, soluzione a senso unico: transla-tio e conservazione sì dal giudice all’arbitro, ma non viceversa. Isolata egiustamente criticata, questa pronuncia non merita però né nella forma nénella sostanza alcuni strali acutissimmi che le sono stati indirizzati, ed hainvece il merito di aver mostrato consapevolezza del problema al più altolivello di giurisdizione ordinaria e di aver aperto la strada al rimedio, siapure attraverso l’errore, né più e né meno di come l’erronea convinzionedi trovarvi le Indie aprì la strada alla scoperta dell’America.

La esibita ragione formale alla soluzione a senso unico — che il c. 2°dell’art. 819 ter menzioni solo i rapporti fra arbitrato e processo e nonviceversa — era comunque manifestamente fallace come un sofismabizantino. La Consulta lo evidenzia con puntigliosità perfino sproporzio-nata. Ci mancherebbe davvero che per impedire all’interprete un tratta-mento sperequato di due situazioni nella sostanza equivalenti il legislatoredovesse essere comicamente ridondante e scrivere: “nei rapporti fraarbitrato e processo e fra processo e arbitrato” (ed è ovviamente inutilefar dietrologia riguardo ad intenzioni recondite e parimenti irrazionalidella Cassazione di cui non si ha prova, e cioè ad una sorta di ritrosianobiliare nell’ammettere che il giudice dello Stato si prenda carico di ungiudizio già iniziato innanzi agli arbitri, potendosi invece consentire sem-mai l’ipotesi contraria; né la giustificazione implicita poteva consistere inuna rilevante maggior difficoltà di organizzare applicativamente la trans-latio in un senso piuttosto che in un altro, perché le difficoltà vi sono inentrambi i sensi e comunque superabili).

Rilevato l’errore, il gradino successivo era alla portata di un fanciullo.Si fa per dire. Altro che fanciullo: è intervenuto, grazie alla perspica-

cia dei remittenti (è vero: avrebbe potuto e dovuto pensare al rinvio anchela Corte di cassazione), l’unico organo giurisdizionale dotato di potestà di“negative” e qui anzi di “positive Gesetzgebung”, e così la vicenda si èdefinitivamente conclusa. La Cassazione aveva nel frattempo scoperto ilnervo e radicalizzato il problema: essendo la sua interpretazione dell’art.819 ter tutt’altro che salvifica (ed anzi essa pure incostituzionale perirrazionale sperequazione e violazione dell’art. 3, oltre che dell’art. 24, inrelazione al caso della declaratoria di incompetenza arbitrale) e per di piùerronea, alla Consulta non è rimasto che constatare che l’art. 819 ter erairredimibile e dichiararlo incostituzionale in parte qua.

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4. Cosa resta da fare?Salvo altro, resta da chiedersi se il nuovo e più convincente assetto dei

rapporti fra arbitro e giudice (già lodevolmente sceverati, sotto svariatiprofili un tempo problematici, dalla novella del 2006) dovrà condurre omeno ad ulteriori ripensamenti della dottrina delle “vie parallele” o del“doppio binario”. Ciò che in prima approssimazione non credo, perché ilnucleo di verità di quella dottrina risiede nella indiscutibile “alternatività”fra arbitrato (i.e. giurisdizione privata) e giurisdizione statuale e non èescluso dalla applicazione a scopo eminentemente pratico di pezzi didisciplina desunti dai rapporti di competenza fra i giudici dello Stato. Etale applicazione non comporta affatto, salvo che per i patiti della coe-renza pseudo-sistematica (ma in realtà puramente estetica) perinde accadaver, sovrapposizione di concetti.

E così la “alternatività” ed il “doppio binario” ben coesistono con ilregime della eccezione di compromesso quale disciplinata, ad instar del-l’art. 38, dall’art. 819 ter, c. 1°, o con la impugnabilità mediante regola-mento della relativa pronuncia del giudice statuale (qui sì la “alternati-vità” consente ed anzi impone la soluzione a senso unico che rende inveceimpugnabile il lodo sulla competenza arbitrale solo ex art. 829 e nonmediante regolamento). E così pure la predetta “alternatività” fra arbi-trato e giurisdizione ordinaria non è affatto esclusa da una osmosi trasmi-gratoria dell’esercizio del diritto d’azione, in modo da lasciarlo più intattoed utile possibile, sull’uno dei due versanti quando l’altro si riveli in radiceimpraticabile.

Per contro, la riconduzione del rapporto fra arbitro e giudice arapporto di competenza, ai soli effetti dell’applicazione delle regole ex art.50, è stata per la Corte costituzionale soltanto la soluzione (corretta edinevitabile) di un (evidente) problema di costituzionalità. Ma nessunasmania di coerenza sistematica ad ogni costo ha condotto la Corte adichiarare la incostituzionalità conseguenziale del divieto di applicazionedegli art. 44, 45 e 48, esso pure predicato dall’art. 819 ter.

Sicchè il teorico potrà continuare a dire, in termini generali, chel’“alternatività” ed il “doppio binario”, e cioè l’esatto e più che condivi-sibile contrario della assimilazione totale al rapporto di competenza,coesistono con frammenti di regolazione in cui arbitro e giudice vengonotrattati “come se” appartenenti allo stesso ordine in nome di esigenze ditutela e principi sovraordinati che ciò impongono.

5. Resta poi da gestire con buon senso le conseguenze pratiche dellapronuncia della Consulta.

Qui occorrerà anzitutto por mente a due differenze evidenti fra i duegiudizi, di partenza e di arrivo, della translatio. a) Una differenza èintrinseca ed imprescindibile: l’assenza di precostituzione dell’organo

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arbitrale; b) l’altra è estrinseca e contingente: la disseminazione, nelgiudizio ordinario, di preclusioni insussistenti invece, almeno a priori, inquello arbitrale (altre differenze rilevanti al nostro riguardo, salvo talunemarginalissime, non vedo: l’arbitro, se lo hanno voluto le parti, non èmeno del giudice nella funzione del far giustizia).

Conseguentemente occorrerà costruire cum grano salis il dettagliodelle “regole corrispondenti all’art. 50” per come oggi applicabili ai casiche qui ci interessano.

La espressione “regole corrispondenti”, proprio perché lascia all’in-terprete della legge ordinaria un opportuno margine di adeguamento, haevidentemente convinto la Corte — diversamente da ciò che accadde almomento della declaratoria di incostituzionalità dell’art. 30 Legge Tar amotivo del medesimo impedimento della translatio — ad affidare a quel-l’interprete la soluzione di ogni problema applicativo, senza auspicarecome allora l’intervento del legislatore “con l’urgenza richiesta dall’esi-genza di colmare una lacuna dell’ordinamento processuale”.

Ferma, e non necessitante di particolari adeguamenti di dettaglio, laconservazione degli effetti sostanziali, nonché quella del fondamentaleeffetto processuale della litispendenza in ordine alla prevenzione, si trat-terà, tenuto conto delle due differenze che si son dette, di verificare qualisiano i meccanismi idonei alla “prosecuzione” processuale dall’un ver-sante all’altro, individuando appunto regole nella sostanza corrispondenti,anche se non rigorosamente equivalenti, a quelle dell’art. 50 ed alle altread esso sistematicamente connesse.

5.1. Basterà anzitutto constatare che ove il giudice si dichiari incom-petente non si può certo “riassumere” il giudizio davanti ad un organoarbitrale che ancora non vi è, né del resto ha senso congetturare un “attodi riassunzione” sconosciuto nel processo arbitrale.

La “prosecuzione” del giudizio avverrà dunque attraverso la notificadi una normale domanda di arbitrato riproduttiva delle domande (ecce-zioni, se a riassumere è per avventura il “convenuto” in arbitrato),deduzioni e conclusioni già svolte in sede ordinaria, o ad esse facenterelatio (con riserva di depositare innanzi al costituendo organo arbitrale gliatti della precedente fase, ed eventuale delimitazione dei poteri deldifensore ai sensi dell’art. 816 bis ove lo si ritenga opportuno ed ilmandato cui ci si riferisce sia quello originariamente conferito in occasionedell’avvio del giudizio ordinario). Il tutto — affinché il giudizio “prose-gua” e si conservino gli effetti sostanziali e processuali — entro i medesimitermini legali o giudiziali previsti dall’art. 50, e decorrenti per come daquesto stabilito.

Fermi ed inalterati restano i comuni insegnamenti giurisprudenziali(v. Cass. 9.9.1993, n. 9444 ed altre) sulla utilizzabilità piena delle prove già

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assunte nel troncone processuale abortito con la declinatoria; il riferi-mento agli “argomenti di prova” di cui all’art. 59, u.c., l. n. 69/2009, in temadi translatio fra diverse giurisdizioni statuali, è un eccesso di rigoreformalistico, tutto sommato praticamente innocuo e che però non vi èragione di trapiantare nel nostro caso.

Quanto alle preclusioni occorre ancor qui non farsi fuorviare dall’art.59, c. 2° l. n. 69/2009 (del quale e dell’infelice formula “ferme restando lepreclusioni e le decadenze intervenute” è data comunque una ragionevoleinterpretazione riduttiva e salvifica). In definitiva mi sembra sensato direche, non esistendo, perfino per le domande nuove, preclusioni aprioristi-che in arbitrato (salva la possibilità per gli arbitri, una volta costituiti, difissare opportunamente termini anche perentori), tutti i nova siano per-fettamente ammissibili una volta che il giudizio trasmigri davanti agliarbitri e nonostante l’intervenuto spirare, nel precedente troncone, deitermini ex art. 183.

5.2. Nell’ipotesi inversa, ove cioè sia l’arbitro a dichiararsi incompe-tente (con eventuale indicazione di giurisdizione statuale, ordinaria oamministrativa, o perfino di giudice competente ovviamente priva dialcuna vincolatività e superabile con successiva semplice declinatoria delgiudice dello Stato, vista la perdurante inapplicabilità dell’art. 45 edinsomma il tendenziale mantenimento delle “vie parallele”), la prosecu-zione potrebbe pure avvenire — innanzi al giudice civile, non innanzi algiudice amministrativo — con un atto formalmente intitolato alla “rias-sunzione”. Ma sarà gioco forza dare a quest’atto non il contenuto pura-mente ricognitivo della originaria domanda di arbitrato (che può essere edè di solito cosa contenutisticamente diversa dall’atto di citazione), bensìquello di un vero atto di citazione.

Tanto vale allora semplificare le cose al pratico e dire anche qui chela domanda formulata si ripropone (come si dice nell’art. 59 l. 2009/69),con conservazione pur sempre degli effetti sostanziali e della litispendenzaoriginaria, sia innanzi al TAR che innanzi al giudice ordinario, ed innanzia quest’ultimo allora fors’anche potendosi scegliere la forma del ricorsosommario ex art. 702 bis.

Il problema più spinoso è poi quello del termine di riassunzione, omeglio della sua decorrenza, perché mi sembra invece pacifico che iltermine sia quello stesso di tre mesi previsto dall’art. 50 o quello diversoche lo stesso art. 50 autorizza il giudice ed allora — perché no, caduto ildivieto ex art. 819 ter — anche l’arbitro a fissare.

Vale anche in caso di declinatoria della competenza arbitrale ladecorrenza, voluta dall’art. 50, dalla semplice “comunicazione” dellapronuncia (e cioè qui della comunicazione ex art. 824 del lodo di incom-petenza anche se ancora impugnabile), ovvero occorre ritenere che la“regola corrispondente” più adeguata vada desunta per imitazione dal-

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l’art. 59 l. n. 69/2009 ed il termine decorra dalla sopravvenuta definitivitàdella declinatoria?

Sarei per la seconda risposta. Non però per una intrinseca ed auto-noma forza espansiva alla soluzione ex l. 69/2009, bensì in ossequio allospirito implicito della sentenza della Consulta e dello stesso art. 50.

In virtù di questo spirito non sembra possibile sacrificare o penaliz-zare l’attore che a fronte della declinatoria voglia, prima di proseguire coneffetti conservativi sull’altro versante, provare ad insistere in via impu-gnatoria per la competenza e perciò per il giudizio di merito del giudicanteoriginariamente adito, né sembra possibile penalizzare il suo diritto agiovarsi dell’intero termine per tale impugnazione.

Salvando questo spirito, l’art. 50 può nondimeno ben prevedere che,nella vicenda traslativa da giudice a giudice, ed oggi da giudice ad arbitro,il termine decorrà dalla comunicazione della pronuncia declinatoria “o”dalla comunicazione della pronuncia (della Cassazione) che la conferma insede di regolamento. La cosa è evidentemente razionale sul piano pratico,perché anche il termine di impugnazione mediante regolamento prendeavvio dalla medesima comunicazione della prima pronuncia ed è assai piùbreve del termine di riassunzione, di guisa che l’interessato ad impugnareha modo di riflettere, per l’intera durata del termine impugnatorio, sullaopportunità di insistere per la potestas iudicandi del primo giudice, ed incaso di mancata impugnazione ha poi ancora agio di riassumere.

Nella vicenda traslativa inversa — da arbitro a giudice — non avrebbeinvece senso una “regola” formalmente “corrispondente” a quella dell’art.50, secondo cui il termine decorresse della declinatoria arbitrale ovverodella pronuncia che definitivamente la conferma.

E ciò perché il termine per la impugnazione ex art. 828 della pronun-cia di incompetenza resa dall’arbitro può essere praticamente equivalente(90 giorni) a quello di riassunzione, e decorrere per altro da data succes-siva, quella della notificazione del lodo, ovvero può essere addirittura assaipiù lungo in caso di mancata notifica.

Non resta dunque che concludere per l’unica decorrenza dal mo-mento in cui la declaratoria della incompetenza arbitrale diviene definitivaper mancata impugnazione o per la sua conferma in sede impugnatoria.

Naturalmente, e come le Sez. Unite (22.11.2010, n. 23596) hanno giàavuto modo di chiarire in relazione all’art. 59 l. n. 69/2009, nulla impedisceall’interessato la immediata prosecuzione prima della scadenza del ter-mine e prima della definitività della declinatoria arbitrale. Le conseguenzedella contemporanea pendenza del processo proseguito innanzi al giudicee del giudizio di impugnazione instaurato dall’altra parte avverso il lodo diincompetenza saranno decifrabili sulla base della dottrina delle “vieparallele” per quel che essa attualmente è, con tutte le sue incertezze edi suoi margini di opinabilità. Voglio dire che ancor qui la sentenza della

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Corte apre un fronte pratico, prima insussistente, di applicazione di quelladottrina; non ne muta i presupposti ed i contenuti teorici.

Trasferito avanti al giudice, il giudizio olim arbitrale non porterà dinorma seco preclusioni di sorta ed il problema relativo alla vicendainversa, dunque, neppure si porrà.

Spetterà a ciascuna parte decidere se giovano ancora le memorie exart. 183 o se sia miglior partito rifarsi agli scritti già versati nel giudizioarbitrale e andare in decisione. In ogni caso riterrei che chi abbia assuntoin quel giudizio la posizione di attore possa con l’atto di riassunzione/prosecuzione, e non oltre, proporre domande nuove (ma ammetto che unapreclusione in senso opposto potrebbe essere ritenuta intrinseca ad unavicenda processuale che deve proseguire in una sede nella quale è regolaaurea che la domanda si proponga con l’atto introduttivo e non più oltre);e che il “convenuto” possa e debba con l’atto di prosecuzione o con lacomparsa con cui a quello replica, e non oltre, svolgere le attività previstea pena di decadenza dall’art. 167.

Quanto alla conservazione delle prove assunte davanti agli arbitri(ipotesi ben rara se costoro si sono poi dichiarati incompetenti), essa nonimpedirebbe la reiterazione della assunzione testimoniale ove si volesseconsiderare decisivo il maggiore metus che compulsa il testimone a dire laverità nel giudizio ordinario, ov’egli può commettere il reato di falsatestimonianza, piuttosto che nel giudizio arbitrale, ov’egli non può com-metterlo.

6. A seguito del responso all’arbitro remittente, la Corte dichiara“assorbita” la identica questione póstale del Tribunale di Catania, traen-dosi dall’imbarazzo di doverla dire inammissibile per irrilevanza. Irrile-vante, a rigore, lo era, ma per così dire di una irrilevanza a fin di bene, ose si vuole “rilevante in prevenzione”, e non in relazione agli omnes e profuturo, bensì proprio in relazione alle parti della concreta vicenda proces-suale.

Il giudice catanese si preoccupava evidentemente delle ripercussioniimmediate che la sua declaratoria di incompetenza avrebbe avuto, sull’at-tore onerato del rispetto del termine decadenziale, ove mai l’art. 819 ternon fosse stato nel frattempo dichiarato incostituzionale: l’incertezza sullaconservazione o meno dell’effetto sostanziale della originaria domanda.

Non è questo di certo il nesso di rilevanza cui pensarono i conditoresdel giudizio incidentale, ed altrettanto certamente la decisione sulla com-petenza del Tribunale di Catania (quella sola che ad esso toccava pren-dere) non era giuridicamente condizionata dalla soluzione della questionedi costituzionalità; né poteva minimamente prendersi in considerazione lastravagante pretesa del convenuto: che il giudice dichiarasse contempora-

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neamente la propria carenza di potestas iudicandi e la decadenza dall’a-zione.

Ma non è detto che la Consulta in futuro ed in situazioni analoghe —soprattutto ove questa sorta di “rilevanza in prevenzione” si ponga intermini pratici più pressanti e drammatici (nel nostro caso all’attoresarebbe bastato, per sortire dall’incertezza, semplicemente notificare neitermini di riassunzione ex art. 50 una domanda di arbitrato e porre laquestione di costituzionalità all’arbitro, ma se ci fossimo trovati invecenell’epoca in cui la questione non poteva essere rimessa dall’arbitro, bensìsolo e nei congrui casi, ed a buoi già usciti dalla stalla vale a dire a lodosfavorevole già emanato, dal giudice dell’impugnazione?) non sia dispostaad addomesticare un poco il nesso di rilevanza.

ANTONIO BRIGUGLIO

III

1. A seguito della riforma della disciplina dell’arbitrato introdottadal d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 e sulla base dell’interpretazione accoltadalla giurisprudenza di legittimità e dalla dottrina prevalenti delle dispo-sizioni generali del codice di rito e di quelle speciali in ordine al giudizioarbitrale, i rapporti tra quest’ultimo e quello di fronte al giudice dello statopossono essere così sinteticamente descritti (1).

In primo luogo, per l’art. 819-ter, comma 1, c.p.c., non opera l’istitutodella litispendenza, per cui eventuali giudizi, aventi ad oggetto la stessacausa, proposti contemporaneamente davanti al giudice privato e a quellopubblico, non subiscono alcun impedimento reciproco e debbono prose-guire entrambi in modo autonomo. D’altro canto, alla luce della regola-mentazione della sospensione, risultante dagli artt. 819-bis e 819-ter,comma 2, c.p.c., deve essere esclusa anche la possibilità che venga sospesouno dei due procedimenti, in attesa che l’altro sia definito, con provvedi-mento di merito o, eventualmente, di rito declinatorio della competenza.Ciò significa che non sussistono strumenti di raccordo preventivo tra i dueprocessi, che siano capaci di impedire il loro contemporaneo svolgimentoe la pronuncia di più provvedimenti, anche di contenuto difforme, di ritoo di merito, in ordine ad un’unica controversia.

In secondo luogo, la questione relativa alla validità, al contenuto eall’ampiezza della convenzione di arbitrato, sollevata dinanzi al tribunale,

(1) In modo più esteso, si veda MENCHINI, Il controllo e la tutela della convenzionearbitrale, in questa Rivista 2013, 363 ss., ed ivi ulteriori indicazioni e riferimenti.

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privato od ordinario, al fine di disconoscere la potestas iudicandi delgiudice adito rispetto alla domanda proposta, concerne la competenza(artt. 817 e 819-ter, comma 1, c.p.c.). La pronuncia, che risolve talequestione, è di competenza e, sempre che provenga dal giudice dello stato,è impugnabile con regolamento di competenza (art. 819-ter, comma 1,c.p.c.). Il giudice, davanti al quale è stata esercitata l’azione, ha il poteredi conoscere e di decidere circa le proprie attribuzioni rispetto alla stessae, in particolare, l’arbitro non vede incisa o eliminata tale potestà per ilsolo fatto che, in sede ordinaria, con autonoma azione, sia posta indiscussione la validità e l’efficacia della convenzione (artt. 819-bis, comma2, e 819-ter, comma 3, c.p.c.). Sulla base della communis opinio, per ciò cheattiene agli effetti prodotti dai provvedimenti sulla competenza emessi daidue tribunali, essi, sia che riconoscano la competenza sia che la neghino,non sono vincolanti al di fuori del processo in cui sono stati resi, né per ilgiudice da cui promanano né per ogni altro giudice, qualora vengariproposta la medesima causa. Al contrario, la pronuncia della Corte diCassazione, emanata in esito sia a regolamento di competenza sia a ricorsoordinario, ex art. 360, comma 2, c.p.c., ha efficacia panprocessuale e rendeincontestabile, in ogni processo e per ogni giudice (pubblico e privato),l’accertamento compiuto circa la spettanza della competenza e, primaancora, riguardo alla validità e all’efficacia della convenzione. Di conse-guenza, a meno che non sia intervenuta una decisione della SupremaCorte, possono insorgere conflitti vuoi positivi vuoi, peggio ancora, nega-tivi di competenza tra i tribunali (ordinari e privati) davanti ai quali sianostate instaurate, contestualmente o una dopo l’altra, due controversieaventi ad oggetto la stessa pretesa.

In terzo luogo, l’art. 819-ter, comma 2, stabilisce che “nei rapporti traarbitrato e processo non si applicano regole corrispondenti agli artt. 44, 45,48 e 50 c.p.c.”; l’estraneità e la diversità tra il procedimento arbitrale equello statale, ad avviso del legislatore, non consentono che il processo,erroneamente introdotto di fronte ad uno dei due organi, in qualchemodo, possa continuare o trasmigrare dinanzi all’altro, del quale il primoabbia riconosciuto la titolarità del potere di giudicare. Perciò, da un lato,diversamente da quanto previsto dall’art. 44 c.p.c. rispetto ai rapporti tragiudici ordinari, il provvedimento del giudice a quo non è vincolante perquello ad quem, ossia non rende incontestabile l’incompetenza dichiaratae la competenza dell’ufficio indicato, e, dall’altro lato, non sono fatti salvigli effetti sostanziali e processuali della domanda invalidamente propostaad organo carente di competenza. Non essendo ammessa la riassunzionedel giudizio di fronte al tribunale (arbitrale od ordinario) dichiaratocompetente, la parte è costretta a riproporre ex novo la domanda, espo-nendosi al pericolo di conflitti negativi di competenza e potendo incorrerein decadenze nel frattempo maturate.

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Dottrina e giurisprudenza hanno tentato di superare, almeno in parte,in via interpretativa, i gravi inconvenienti causati da questo sistema, sottol’aspetto della salvaguardia del diritto di azione e della sua effettività (2).

In particolare, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 6 dicembre2012 n. 22002 della sesta sezione (pres. Finocchiaro ed estensore Frasca),ha propugnato, relativamente ai rapporti tra arbitro e giudice, l’esistenzadi un fenomeno di translatio iudicii a senso unico. Infatti, per tale deci-sione, l’art. 819-ter, comma 2, c.p.c., nella parte in cui afferma che neirapporti tra arbitrato e processo non si applica l’art. 50 c.p.c., riguardasoltanto il caso in cui siano gli arbitri ad escludere la loro competenza eda riconoscere quella del giudice ordinario; invece, allorché sia il giudicetogato a dichiarare la propria incompetenza a beneficio di quella degliarbitri, oppure sia la Corte di Cassazione, adita con riferimento ad unapronuncia affermativa della competenza del giudice pubblico, a dichiararela competenza degli arbitri, è possibile la riassunzione dinanzi agli arbitrinel termine fissato o, in mancanza, in quello previsto dall’art. 50 c.p.c., consalvezza dell’effetto interruttivo c.d. istantaneo della prescrizione, ai sensidell’art. 2943, comma 3, c.c., e di quello permanente, di cui all’art. 2945,comma 2, dello stesso codice (3).

Tuttavia, la dottrina dominante ha rilevato, a più riprese, l’impossi-bilità di superare in via interpretativa l’irragionevolezza e la contrarietà aiprincipi costituzionali della disciplina dettata dal legislatore ordinario,ritenendo inevitabile l’intervento della Corte Costituzionale (4); pertanto,sono state salutate favorevolmente le ordinanze di rimessione della que-stione alla Corte del Tribunale di Catania del 21 giugno 2012 e dell’Ar-bitro unico di Genova del 13 novembre 2012 (5).

2. Con la sentenza n. 223 del 2013 la Corte Costituzionale hadichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 819-ter, secondo comma,c.p.c., “nella parte in cui esclude l’applicabilità, ai rapporti tra arbitrato e

(2) Per l’esame dei plurimi tentativi compiuti dalla dottrina, per ovviare alle criticitàdenunciate, si rimanda, da ultimi, a MENCHINI, op. cit., 391 ss., e SALVANESCHI, Translatio iudiciia senso unico nei rapporti tra arbitro e giudice?, in Riv. dir. proc. 2013, 1150 ss., specie 1152 ss.

(3) Vedi questa pronuncia pubblicata in Riv. dir. proc. 2013, 1150 ss., con nota critica diSalvaneschi, e in questa Rivista 2013, 699 ss., con nota critica di FORNACIARI, Ancora sullaconservazione degli effetti dell’atto introduttivo anche nei rapporti tra giudice e arbitro: Cassa-zione vs. Corte Costituzionale?

(4) Per tutti, si segnalano: LUISO, Effetti sostanziali della domanda e conclusione delprocesso con una pronuncia di rito, in Riv. dir. proc. 2013, 1 ss., specie10 ss.; MENCHINI, op. cit.,401 ss.; FORNACIARI, op. cit., 702 ss.; SALVANESCHI, op. cit., 1156.

(5) Si vedano tali provvedimenti pubblicati in questa Rivista 2012, 891 ss., con nota diFORNACIARI, Conservazione degli effetti dell’atto introduttivo anche nei rapporti tra giudice earbitro: sollevata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 819-ter, comma 2, c.p.c.; e inRiv. dir. proc. 2013, 467 ss., con nota di Boccagna, Translatio iudicii nei rapporti tra giudice edarbitro: sollevata la questione di costituzionalità dell’art. 819-ter c.p.c.

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processo, di regole corrispondenti alle previsioni dell’art. 50 del codice diprocedura civile, ferma la parte restante dello stesso art. 819-ter” (6).

La pronuncia del giudice delle leggi consta di due parti distinte.In un primo tempo, viene censurata, in quanto fondata su “argomen-

tazioni fragili”, l’interpretazione accolta dalla Corte di Cassazione, conl’ordinanza n. 22002 del 2012, per la quale il secondo comma dell’art.819-ter c.p.c. si occupa soltanto dei rapporti tra arbitrato e processostatuale, mentre quelli tra processo ordinario ed arbitrato sono regolatidall’art. 50 c.p.c.; invece, costituisce diritto vivente, per il giudice delleleggi, la conclusione che l’art. 819-ter, comma 2, c.p.c. inibisce l’applica-zione di regole corrispondenti a quelle enunciate dall’art. 50 c.p.c., tantonel caso in cui sia l’arbitro a dichiararsi incompetente a favore del giudicestatale, quanto nell’ipotesi inversa.

Successivamente, richiamando i propri precedenti circa la funzionedell’arbitrato (sentenza n. 376 del 2001) e in ordine alla necessità dellaconservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda nelcaso in cui la parte erri nell’individuazione del giudice munito dellagiurisdizione (sentenza n. 77 del 2007), conclude che “l’errore compiutodall’attore nell’individuare come competente il giudice piuttosto che l’ar-bitro non deve pregiudicare la sua possibilità di ottenere, dall’organoeffettivamente competente, una decisione sul merito della lite”. L’art. 24Cost. impone che l’ordinamento giuridico preveda misure idonee adevitare che la scelta sbagliata del giudice al quale è proposta la domandaabbia ricadute negative per i diritti oggetto della controversia; in partico-lare, se la parte sia incorsa in errore nello scegliere tra giudice ed arbitro,alla stessa maniera di quanto accade per i rapporti tra giudice ordinario egiudice speciale, è necessario che sia assicurata la conservazione deglieffetti sostanziali e processuali della domanda proposta davanti al giudiceo all’arbitro incompetenti.

Questa decisione ricalca quella del 2007 in materia di difetto digiurisdizione; oggi, come allora, la Corte Costituzionale sancisce la sussi-stenza del principio di salvezza degli effetti della domanda giudizialeproposta ad un ufficio che non ha il potere di giudicare, ma non si occupa,né avrebbe potuto farlo, delle modalità tecniche di applicazione di esso edi ulteriori questioni che stanno accanto o a valle di quella affrontata erisolta.

Giova evidenziare che, non essendo stata colpita dalla censura diincostituzionalità la parte del comma secondo dell’art. 819-ter c.p.c. chestabilisce la non applicabilità, nei rapporti tra giudice ed arbitro, di regole

(6) Pertanto non sono colpite dalla pronuncia di incostituzionalità le disposizionicontenute nei commi 1 e 3 dell’art. 819-ter e neppure quelle del secondo comma che escludonol’applicabilità, nei rapporti tra arbitrato e processo, di regole corrispondenti agli articoli 44, 45,48 e 295 c.p.c.

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corrispondenti agli articoli 44, 45 e 48 c.p.c., non è stata espunta dalsistema, in modo diretto dalla Corte, la regola per la quale il giudice adquem non è vincolato dal provvedimento di diniego della competenzaemesso da quello a quo e non è costretto, in caso di dissenso, a proporreregolamento di competenza d’ufficio.

Ne segue una situazione di incertezza, rispetto alla quale il soloelemento sicuro è che, anche nei rapporti tra arbitro e giudice, deve essereassicurata la conservazione degli effetti della domanda originaria, mentrerestano non definite le regole corrispondenti a quelle dell’art. 50 c.p.c. chedovrebbero essere applicate per conseguire tale risultato.

Prima di affrontare ex professo gli interrogativi ed i dubbi, deve essereancora osservato che il contenuto della sentenza della Corte e, primaancora, delle ordinanze di rimessione induce a ritenere che gli effetti dellapronuncia di incostituzionalità siano circoscritti alla disciplina dell’arbi-trato rituale e non si propaghino, invece, a quella dell’arbitrato irrituale olibero (7).

3. Quante volte si sia chiamati a disciplinare un fenomeno in sensolato di translatio iudicii, in modo tale che il trasferimento di una causa daun giudice ad un altro non pregiudichi il diritto dell’attore ad ottenere unasentenza di merito e consenta la conservazione degli effetti della domandaoriginaria, debbono essere affrontati e sciolti taluni nodi.

Innanzitutto, occorre individuare il modello di riferimento: riassun-zione-prosecuzione della causa davanti al giudice indicato, sulla falsarigadi quanto stabilito dall’articolo 50 c.p.c. con riguardo alla declinatoriadella competenza tra giudici dello stato oppure riproposizione della do-manda secondo quanto previsto per l’esercizio dell’azione di fronte alsecondo giudice e instaurazione di un nuovo giudizio, sulla base di quantoimposto, con riferimento al diniego di giurisdizione, dagli articoli 59 l.69/2009 e, in modo più coerente, dall’art. 11 d.lgs. 2 luglio 2010 n. 104 (c.d.codice del processo amministrativo)? Circa la forma dell’atto, le diffe-renze tra i due schemi non sono secondarie: la riassunzione è un mero attod’impulso processuale, con il quale è richiamato il contenuto del prece-dente atto introduttivo e che può essere compiuto da qualsiasi parte delprocesso; per contro, la riproposizione della domanda, introducendo unnuovo giudizio sebbene in continuità con quello vecchio, deve esserepredisposta secondo le tecniche e le regole del processo ad quem, puòessere effettuata soltanto dall’originario attore e deve contenere una editio

(7) Confronta, nello stesso senso, CONSOLO, Il rapporto tra arbitri-giudici ricondotto, egiustamente, a questione di competenza con piena translatio fra giurisdizione pubblica e privatae viceversa, in Corr. giur. 2013, 1109 ss., specie 1109-1110; BOVE, Sulla dichiarazione di parzialeincostituzionalità dell’art. 819-ter c.p.c., § 7, in corso di pubblicazione in Giust. proc. civ., 2013,fasc. 4.

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actionis che, pur avendo a riferimento la situazione materiale già eserci-tata con la prima domanda, dal punto di vista sia sostanziale sia proces-suale, sia in linea con le caratteristiche delle tutele azionabili di fronte alnuovo giudice (8).

In secondo luogo, è necessario regolare il procedimento di ripresadella causa davanti al giudice competente, stabilendo il momento dalquale essa possa essere riassunta o riproposta, il termine perentorio per ilcompimento delle attività necessarie e le conseguenze per la sua inosser-vanza.

In terzo luogo, deve essere dettata la disciplina di raccordo tra i dueprocessi; in particolare, si deve chiarire se: a) restano ferme oppure no lepreclusioni maturate nella fase processuale che si è svolta dinanzi algiudice a quo; b) conservano o meno effetti, ed eventualmente quali, gliatti posti in essere nel primo giudizio e, in specie, le prove raccolte in esso;c) perdono o meno efficacia le misure cautelari concesse dal primogiudice.

Infine, ci si deve chiedere se, in caso di tempestiva ripresa dellacontroversia, le parti ed il giudice siano vincolati dalla decisione resa circal’incompetenza dichiarata e la competenza affermata. In caso di rispostapositiva a tale interrogativo: a) deve essere previsto l’obbligo di indicare,nella pronuncia declinatoria della potestas iudicandi del giudice adito,quale sia l’ufficio competente; esigenza questa che si apprezza vieppiùquante volte il diniego provenga dall’arbitro e la lite appartenga allacognizione del giudice dello stato; b) deve essere specificato se il giudicead quem abbia oppure no il potere di rimettere d’ufficio la questione allaCorte di Cassazione, ove dissenta dalla decisione assunta dal primo.

Quali sono le ricadute della sentenza della Corte Costituzionalerispetto a tali problemi? E, prima ancora, qual’è la portata innovativadella stessa?

Di certo, la pronuncia in commento non introduce nell’ordinamentoregole nuove rispetto a quelli che si possono definire i “temi a valle” deltrasferimento del processo dal giudice dello stato agli arbitri e viceversa(vincolo del giudice ad quem rispetto alla declinatoria di competenza e suomodo di operare; conservazione o meno degli effetti degli atti compiuti nelprimo giudizio e dei provvedimenti emessi dal tribunale incompetente; ecosì via); la disciplina di essi è rimessa, dunque, all’intervento del legisla-tore (9).

Peraltro, sembra che anche in ordine alla tecnica della ripresa delgiudizio (riassunzione-prosecuzione oppure riproposizione della do-manda) l’interprete e il futuro legislatore abbiano le mani libere; il giudice

(8) Al riguardo, confronta LUISO, op.cit., 9-10.(9) In questo modo, già CONSOLO, op.cit., 1111-1112.

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delle leggi si è limitato a sancire la necessità dell’accoglimento, neirapporti tra giudice ed arbitro, del principio della salvezza degli effettidella domanda originaria, ma non ha inserito, in via immediata, nell’or-dinamento un regolamento identico a quello operante tra giudici dellostato con riguardo alla declinatoria di competenza, incentrato sulla rias-sunzione ex art. 50 c.p.c. e sulla traslatio iudicii, per cui anche in ordine atale decisivo aspetto sussiste oggi una lacuna che deve essere in qualchemaniera colmata. (10)

4. Non è possibile fornire in via interpretativa la soluzione di questiproblemi; è indispensabile l’intervento del legislatore, il quale deve det-tare un’apposita e specifica disciplina.

Ciò, principalmente, per due ordini di motivi.La prima ragione è rappresentata dalla considerazione che talune

scelte sono assolutamente discrezionali, prescindono dal modello generaleadottato e non sono imposte da aspetti di ordine logico e giuridicoqualificabili come condizionanti. Un esempio per tutti: una volta ricono-sciuta l’efficacia vincolante della decisione del giudice di merito a quorispetto a quello ad quem circa l’operatività o meno della convenzione diarbitrato e, quindi, in ordine all’incontestabilità da parte del secondo dellapronuncia del primo, resta da stabilire se il tribunale (pubblico o privato)di fronte al quale è trasmigrata la causa abbia o meno il potere di sollevared’ufficio la questione di fronte alla Corte di Cassazione e, in caso dirisposta negativa, quale sia lo strumento tecnico (regolamento di compe-tenza, regolamento di giurisdizione o altro ancora), quali siano i termini equali siano gli effetti prodotti sul giudizio di merito; la risposta a questedomande prescinde del tutto dallo schema generale accolto (riassunzioneovvero riproposizione della domanda), come è dimostrato, da un lato,dagli artt. 44 e 45 c.p.c. e, dall’altro lato, dagli artt. 59, comma 3, l. 69/2009e 11, comma 3, del c.p.a.

Il secondo argomento è costituito dal rilievo che entrambi i riferi-menti di diritto positivo — la riassunzione dell’art. 50 c.p.c. e la ripropo-sizione della domanda di cui agli artt. 59 l. 69/2009 e, soprattutto, 11 delc.p.a. — non si attagliano completamente ai rapporti tra arbitro e giudicedello stato.

La tecnica della riassunzione con conseguente prosecuzione del pro-cesso originario, dettata dall’art. 50 c.p.c. in caso di declinatoria di com-petenza nelle relazioni tra giudici ordinari, mal si presta ad essere utiliz-zata con riferimento ai rapporti tra giudizio arbitrale e giudizio statale, acausa della radicale diversità di regole processuali nell’uno e nell’altro. Inparticolare, specialmente nelle ipotesi di translatio iudicii dal tribunale

(10) Analogamente BOVE, op. cit., § 5; contra, CONSOLO, op. cit., 1110 ss.

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ordinario a quello privato, la necessità che venga costituito il collegioarbitrale prima della eventuale prosecuzione del processo non permettonodi tener fermo l’atto introduttivo del primo giudizio e di ritenere bastevoleil compimento di un semplice atto di riassunzione. Anche la disciplinaconcernente lo svolgimento dei due processi presenta tratti di differenzia-zione troppo accentuati per ammettere una mera translatio iudicii; perconvincersi di ciò, basti pensare al regime delle preclusioni, delle prove,delle nuove domande in corso di causa, degli interventi e della chiamata diterzi (11).

Però, anche il sistema della riproposizione della domanda, nella suaforma più coerente che è quella risultante dall’art. 11 del c.p.a., essendoinvece un ibrido la disciplina risultante dall’art. 59 l. 69/2009, seppureincentrato sulla riproposizione della domanda e, dunque, sotto questopunto di vista, maggiormente adeguato a regolare il trasferimento delgiudizio dal tribunale arbitrale a quello pubblico e viceversa, presentaaspetti di criticità, allorché sia integralmente applicato ai rapporti tragiudice ed arbitro. Infatti, tali ultimi rapporti sono ricondotti dal codice dirito non alla giurisdizione ma alla competenza. Inoltre, i due giudizi, puralquanto diversi per ciò che attiene alle regole di svolgimento, hanno imedesimi caratteri e lo stesso oggetto: si tratta sempre di processi diaccertamento, che dichiarano il modo di essere delle situazioni soggettive.Ben diverso discorso vale, invece, per il processo amministrativo e perquello civile, così differenti tra di loro per la struttura e per l‘oggetto: l’unodi tipo impugnatorio e volto al controllo del potere e del suo esercizio;l’altro di natura dichiarativa ed avente per oggetto direttamente i dirittisostanziali preesistenti al processo.

In definitiva, appare non eludibile l’intervento del legislatore, che èchiamato a prevedere una disciplina ad hoc, sulla base delle peculiarità edelle caratteristiche sia dei due giudizi sia della questione che concernel’individuazione del tribunale (pubblico o privato) cui spetta il potere digiudicare.

5. La sentenza della Corte Costituzionale ha introdotto nell’ordina-mento, con operatività immediata, la regola che, nei rapporti tra giudiceed arbitro, è consentito riprendere il processo davanti all’ufficio la cuicompetenza sia stata riconosciuta, con salvezza degli effetti della domandaoriginaria.

Da questo punto in avanti, però, si brancola nel buio, in quanto, sinoa che non interverrà il legislatore, l’operatore deve ricavare in via inter-

(11) Così, ad esempio: quale sorte hanno nel giudizio che prosegue di fronte agli arbitrile domande proposte in via riconvenzionale o contro terzi chiamati, che riguardano pretese chenon rientrano nella convenzione di arbitrato?

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pretativa le modalità tecniche attraverso le quali può essere conseguitotale risultato, balzando da una norma all’altra.

Nell’auspicio che il Parlamento provveda rapidamente, nell’attesa,non si può sfuggire, tuttavia, ad una scelta tra i due paradigmi normativi:quello dell’art. 50 c.p.c. e quello degli artt. 59 l. 69/2009 e 11 c.p.a.

Due sono i capisaldi da cui prendere le mosse: da un lato, l’estraneitàe la diversità tra giudizio statale ed arbitrale sotto l’aspetto del ritoapplicabile; dall’altro lato, l’identità di oggetto, di struttura e di funzionetra i due processi, i quali, allo stesso modo, risolvono una lite insorta tradue soggetti, dichiarando l’esistenza o meno della situazione sostanzialecontroversa e dettando la regola di condotta per il futuro (12).

Entrando ora nel particolare, la tecnica per riprendere la lite è quelladella riproposizione della domanda; tale conclusione è imposta dallaradicale diversità di regole processuali nell’una e nell’altra sede (13).

È necessario, cioè, instaurare un nuovo giudizio mediante un nuovoatto introduttivo, nel rispetto delle norme processuali previste per il ritoapplicabile (14). In tale modo, sono fatti salvi gli effetti sostanziali eprocessuali della domanda originaria — del resto, oggi, la domandaproposta agli arbitri è in grado di produrre i medesimi effetti di quellaintroduttiva del processo statale — sempre che, ovviamente, il nuovo attoabbia lo stesso petitum sostanziale e processuale di quello invalidamenteradicato davanti al tribunale incompetente.

Il riferimento normativo è costituto dagli artt. 59 l. 69/2009 e 11 c.p.a.,per cui il giudizio deve essere riproposto entro il termine perentorio di tremesi dal passaggio in giudicato della pronuncia (art. 59, comma 2, l.69/2009 e art. 11, comma 2, c.p.a.).

Se la tecnica è quella della riproposizione della domanda, si dovrebbe,poi, ritenere che essa possa essere introdotta soltanto dall’attore e nonanche dalle altre parti, che debba essere conferito un nuovo mandato allegale e che l’atto debba essere notificato personalmente ai soggetticonvenuti.

Poiché i due giudizi presentano oggetti sostanziali omogenei, comeuguali sono le tecniche di tutela (dichiarativa e cautelare) che vengono incampo, è da ritenere che le misure cautelari concesse dal primo giudice

(12) La Corte Costituzionale, nella sentenza in commento, ha valorizzato quest’ultimoelemento, sostenendo che il giudizio degli arbitri è potenzialmente fungibile con quello degliorgani della giurisdizione.

(13) Così già BOVE, op. cit., § 5 ss., sulla base del rilievo che i rapporti tra giudice pubblicoe privato sono riconducibili alla giurisdizione; in forza delle premesse accolte circa la portatadella sentenza della Corte, invece, CONSOLO, op. cit., 1110 ss., ricorre allo schema dellariassunzione ex art. 50 c.p.c.

(14) Trova applicazione il comma 2 dell’art. 59 l. 69/2009, nella parte in cui dispone che“la domanda si ripropone con le modalità e secondo le forme previste per il giudizio davanti algiudice adito in relazione al rito applicabile”.

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conservino efficacia. Tale soluzione esce rafforzata dalla considerazioneche, di regola e fatto salvo soltanto il caso della sospensione delle delibereimpugnate (art. 35, comma 5, d.lgs. 5/2003), il potere cautelare appartieneal giudice dello stato, quantunque la controversia sia compromessa inarbitri.

Da escludere, invece, che le preclusioni processuali eventualmentematurate nel primo procedimento valgano anche nel secondo, posto chetalune attività nel giudizio arbitrale non possono addirittura essere com-piute (ad esempio, proposizione di domande riconvenzionali o verso terzi,relative a diritti sostanziali non ricompresi nella convenzione) e che, oveoperassero nel procedimento arbitrale le preclusioni intervenute in quelloordinario, le parti subirebbero, all’interno del primo, limitazioni ai propripoteri non stabilite con la convenzione.

Le prove raccolte davanti al giudice (pubblico o privato) possonoessere valutate per lo meno come argomenti di prova, a meno che lemodalità di assunzione delle stesse non siano incompatibili con quelleprescritte dalle norme processuali del rito applicabile davanti all’ufficio adquem; problema quest’ultimo che può porsi, specialmente, nel passaggiodal giudizio arbitrale a quello statale (art. 59, comma 5, l. 69/2009 e art. 11,comma 6, c.p.a.) (15).

Infine, è necessario che sia previsto il vincolo del giudice al quale èriproposta la domanda rispetto alla pronuncia declinatoria della potestasiudicandi; per esso è incontestabile l’incompetenza dichiarata e la compe-tenza indicata. Ciò significa, però, che l’arbitro non potrà limitarsi a statuireche la controversia appartiene al giudice ordinario, ma dovrà anche stabilirequale sia l’ufficio competente; in modo corrispondente, l’eccezione d’in-competenza formulata in sede arbitrale, sarà considerata inammissibile senon sia indicato il tribunale pubblico ritenuto competente (16).

A questo proposito, però, sorge un dubbio, non risolvibile in viainterpretativa: fatto salvo il caso in cui la pronuncia provenga dalla Cortedi Cassazione, alla quale il giudice designato non può in alcun modosottrarsi, è consentito a quest’ultimo, ove vada di diverso avviso rispetto altribunale remittente, sollevare d’ufficio il conflitto di fronte alla SupremaCorte? Poiché i rapporti tra arbitri e giudici sono assimilati alla compe-tenza per territorio derogabile, adottando il criterio dell’art. 44 c.p.c., taledomanda dovrebbe avere risposta negativa, anche se l’opposta soluzioneappare preferibile.

Come è facile intendere, l’operatore è chiamato a compiere un vero

(15) Si pensi, ad esempio, alle prove testimoniali che gli arbitri abbiano assunto con lemodalità di cui all’art. 816-ter, comma 2, c.p.c.

(16) Si applicano, dunque, in via analogica, gli artt. 59, commi 1 e 2, ed 11, comma 1,c.p.a.

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e proprio slalom, saltando da una norma all’altra, con il rischio elevatis-simo di incorrere in una buca e di cadere a terra.

Per quanto elevata sia la capacità dell’interprete di muoversi neimeandri degli istituti coinvolti nei fenomeni riconducibili in senso lato allatranslatio iudicii, è pressoché impossibile fornire risposte anche soltantorelativamente sicure a questi interrogativi.

Il pericolo che trovi applicazione il vecchio brocardo tot capita, totsententiae è elevatissimo.

L’intervento del legislatore deve essere immediato, per scongiurare cheerrori processuali causati dall’incertezza delle regole applicabili rendanodifficile o addirittura impediscano alla parte di realizzare la conservazionedegli effetti della domanda erroneamente proposta a giudice (pubblico oprivato) sfornito del potere di giudicare in ordine alla controversia.

SERGIO MENCHINI

IV

1. L’idea della potenziale fungibilità dei mezzi per il risultato haindotto la Consulta a dare corpo all’esigenza di non vanificare la prote-zione del soggetto che, esercitando il diritto di azione, incorre nella fin denon-recevoir dell’organo adito per un riscontrato difetto di competenza (insenso lato) nel rapporto giudice privato/giudice pubblico. Echeggiando latematica della competenza, la decisione aggiunge peraltro un anello allanota catena di eventi che va sotto il nome di translatio: dapprima le SezioniUnite del 2007 con immediato feedback della Corte costituzionale; diseguito l’art. 59 l. n. 69/2009 e l’art. 11 c.p.a. La direzione della sentenzanon può che trovare concordi gli interpreti, malgrado che, risolvendo unproblema di fondo, essa ne apra altri, anche in considerazione del fatto cheormai translatio è diventata una sparkling word, buona a tutto (financheall’impensabile: v. in proposito lo sproposito di Cass. S.U. n. 2312/2012).

Ecco dunque il riconoscimento che un giudizio proveniente da arbitroè potenzialmente fungibile con quello degli organi della giurisdizionestatuale: la Corte costituzionale emenda il codice di rito imponendo lapossibilità del passaggio da una tutela all’altra, in una corrispondenzabiunivoca che presuppone la reciprocità tra le due tutele. Si sa che questareciprocità era stata negata dalla ordinanza della Corte di cassazione n.22002/12 (ampiamente presa in considerazione dalla stessa Corte costitu-zionale) che, introducendo la possibilità della translatio, l’aveva peròlimitata al passaggio dal giudice agli arbitri, offrendo un facile bersaglio aicommentatori. Si può però ritenere che, in tutta la sua irragionevolezza,

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sia stata proprio questa pronuncia ad aver asfaltato la strada percorsa poifluidamente dalla Consulta. Pur immersa in una curiosa logica autarchicavolta a garantire alla sola giurisdizione (ordinaria) la possibilità di condo-nare l’errore nella scelta iniziale dell’organo di tutela, la Cassazione avevaeretto comunque un ponte tra due mondi che l’articolo 819-ter comma 2c.p.c. sembrava rendere incomunicabili: una volta gettato il ponte apparepalesemente irrazionale porre all’imbocco di uno dei lati un cartello didivieto di accesso.

2. Il secondo comma dell’art. 819-ter fu scritto per reagire alle defa-tiganti prassi domestiche, che — complice una malintesa ideologia “giu-risdizionalistica” della Cassazione — rendevano lo svolgimento del giudi-zio arbitrale ancillare rispetto alla giurisdizione pubblica e lo esponevanoal ricatto continuo della sospensione. Con il tema della sospensione ladinamica dell’art. 50 c.p.c. ha in realtà poco a che fare, ma il richiamoanche di tale articolo nel comma in discorso fu frutto della opacità delquadro, mancante all’epoca della possibilità di translatio tra organi etero-genei. In tale situazione il legislatore ammise il regolamento di compe-tenza ma, prudentemente, solo rispetto alla pronuncia del giudice. Nonsolo quindi contribuì ad adombrare la logica monodirezionale a cui si èaggrappata la pronuncia della Cassazione, ma si sentì obbligato a nonvincolarsi, attraverso la recezione della dinamica delle pronunce sullacompetenza, ad una scelta sulla natura del rapporto tra procedimentoarbitrale e procedimento giurisdizionale (se rapporto di competenza, digiurisdizione o di altro ancora). Le idee erano (e, beninteso, restano)ancora confuse sul piano classificatorio, un piano dove dominano ancorale preferenze tassonomiche degli interpreti.

La successiva attuazione dell’idea della translatio (termine che conti-nuo ad usare solo per comodità) ha alterato non poco il contesto. Ilpostulato dell’equivalenza di fondo — che non vuol dire identità — deiresponsi di tutela dei diritti attingibili tramite la tecnica “domanda/organogiudicante/contraddittorio”, inibisce di penalizzare l’errore di chi sbagliaad imboccare la via della tutela; tantopiù che la qualificazione come erroredella scelta è spesso un posterius poco visibile ex ante, l’effetto del sennodi poi, la conseguenza di decisioni interpretative difficili e, quindi, nonobbligate a priori, imprevedibili in una certa misura. In un quadro siffattonon v’è alcuna ragione perché i rapporti tra giurisdizione pubblica egiurisdizione privata facciano eccezione.

La sentenza della Consulta questo coglie e l’efficacia e la semplicitàcon cui lo mostra stanno ad indicare la naturalezza della scelta.

3. Il rapporto tra il tenore della dichiarazione di incostituzionalità e lastruttura della norma considerata apre però problemi tecnici di vario

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momento. Che deve fare la parte a cui viene sbarra la via della tutelaimboccata a favore dell’altra via? Si applicherà tout court l’art. 50 c.p.c.(riassunzione vera e propria nei termini dettati dall’articolo), ovvero sidovrà pensare alla riproposizione dell’azione con atto autonomo in luogodella ripresa della procedura falciata dalla fin de non-recevoir? La secondasoluzione sembra obbligata. Non ci si può far ingabbiare dal riferimentoall’art. 50 c.p.c., riferimento imposto alla Corte, in considerazione del testoincriminato e del tenore delle rimessioni: il divieto di passaggio dall’unaall’altra via fu formulato dal legislatore del 2006 con il richiamo a talenorma, onde il dispositivo della sentenza di accoglimento non può farealtro che esprimersi di conseguenza (“illegittimità costituzionale dell’art.819-ter, secondo comma 2, c.p.c., nella parte in cui esclude l’applicabilità, airapporti tra arbitrato e processo, di regole corrispondenti alle previsionidell’art. 50 c.p.c.”).

La soluzione della riassunzione si scontra però frontalmente con lanetta separazione del genus del procedimento di provenienza rispetto algenus del procedimento da adottare nella diversa dimensione giurisdizio-nale. La riassunzione del procedimento richiamata dall’art. 50 c.p.c. è ilmezzo per una pura e semplice continuazione: ciò presuppone una identitàprocedimentale addirittura inconcepibile nel nostro caso, un caso in cuitanto le tecniche di introduzione della controversia, quanto quelle digestione del procedimento sono totalmente diverse. Non si capisce comesi possa parlare di continuazione: cos’è che continua? A quale soggetto siaggancia il predicato?

La verità è che, parlando di translatio tra forme di tutela eterogenee(pur se unificate dal fine e dal rispetto di comuni principi) si ricorre adun’immagine generica, meramente evocativa dell’esigenza di impedire chel’errore nella scelta dell’organo produca le conseguenze irreparabili con-nesse alla mancata sterilizzazione degli eventi successivi. Per soddisfarequesta esigenza è sufficiente munire di retroattività la proposizione delladomanda all’organo sbagliato in caso di tempestiva riproposizione delladomanda all’organo corretto, senza dover immaginare l’impossibile, cioèla prosecuzione di iter procedimentali eterogenei, talmente eterogenei cheil mero atto di impulso non è neppure immaginabile: per definizione gliatti di impulso possono solo rimettere in moto un procedimento sopito manon chiuso, quindi idoneo alla riapertura aliunde. L’impulso non puòquindi mai sostituire una nuova domanda doverosamente articolata nelleforme ad hoc imposte dalla regola di procedura concretamente applica-bile. Il fatto che tale domanda veicoli la stessa cause of action su cui nonsi è potuto pronunciare il primo organo, non contraddice il fatto che ilsecondo organo deve essere investito da una autonoma domanda, confa-cente alla sua posizione e distinta rispetto a quella recapitata all’indirizzosbagliato.

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4. A ben guardare, comunque, il richiamo della Consulta all’art. 50c.p.c. è temperato dal fatto che tanto l’art. 819-ter comma 2 quanto ildispositivo della sentenza parlano (non di applicazione diretta, ma) diapplicazione di “regole corrispondenti alle previsioni” di tale articolo. Ciòagevola la possibilità di andare al nocciolo del problema che è quello dievitare la penalizzazione dell’attore che ha sbagliato strada, senza restareimpaniati in impossibili meccanismi di riassunzione. E proprio il rapportotra giurisdizione pubblica e giurisdizione privata mostra in maniera esem-plare questa impossibilità. Di che riassunzione mai si potrà mai parlarequando, a seguito della declinatoria del tribunale, occorrerà costruire exnihilo il procedimento arbitrale, a cominciare dalla nomina degli arbitri?Si veda in proposito l’art. 810 e si osservi la successione di atti: si puòqualificare riassunzione la notifica dell’atto con cui la parte “rende notaall’altra l’arbitro o gli arbitri che essa nomina, con invito a procedere alladesignazione dei propri”? Potrà mai considerarsi una vera riassunzionequel che avviene spesso (e legittimamente) nell’arbitrato amministrato,cioè il deposito della domanda presso la Camera arbitrale (in attuazionedel relativo regolamento scelto dalle parti), deposito che fa le veci delleregole di introduzione della domanda arbitrale sancite dal codice di rito?

E che dire dell’arbitrato societario dove l’attore deve adire unaappointing authority, secondo modalità spesso prescritte dallo statuto, conatto talora solo genericamente identificativo della materia del contendere?Certo, per poter fruire del beneficio della retroattività occorre un certogrado di chiarezza sulla sostanziale identità della editio actionis rispettoalla prima, ma non si vede come una simile procedura possa assimilarsialla riassunzione, termine tecnico a significato univoco (almeno fino aduna — non auspicabile — ridefinizione).

La cosa diventa poi quasi umoristica se la si guarda dall’altra sponda.Si immagini la faccia del cancelliere presso il quale si vuol riassumere ...che cosa? Un procedimento che non risulta da nessuna parte, né presso ilsuo ufficio né presso alcun altro ufficio giudiziario? E ancora più stralu-nata si presenterebbe la richiesta nello scenario prossimo venturo delprocesso telematico, che si regge sulla conformità di ogni passo a proto-colli rigidamente formalizzati, tra i quali è decisamente dubbia la reperi-bilità di files idonei a permettere il tipo di passaggio dalla dimensione dellagiurisdizione privata (“non-giurisdizione” per la burocrazia processuale)alla giurisdizione pubblica. Questione di moduli, obietterà qualcuno, ma ilprocesso è anche (sempre di più, si direbbe) un fatto di moduli (cartaceio elettronici).

La verità è che l’unica soluzione è quella, più modesta certo ma solapraticabile, di accontentarsi della mera copertura retroattiva degli effettidella prima domanda se, nei tre mesi successivi alla comunicazione delprovvedimento di chiusura in rito del procedimento contenente la nega-zione della via pubblica prescelta a favore della via privata, l’attore (non

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l’altra parte, come sarebbe possibile se di riassunzione/prosecuzione sitrattasse) compia formalmente l’atto di adizione della via privata secondole regole legali proprie del tipo di arbitrato o dettate ad hoc dalla relativaconvenzione. E, viceversa, se nei tre mesi dal lodo che dichiara l’impra-ticabilità della via privata, l’attore in arbitrato notifichi la citazione con-tenente — mutatis mutandis — l’azione già esercitata. Ovvero notifichi ilricorso al TAR se la via giurisdizionale da seguire è quella del processodavanti al giudice amministrativo.

Termini congelati, ovviamente, dalla (sempre possibile) impugna-zione del provvedimento di declinatoria, e riprendenti a decorrere dalpassaggio in giudicato del provvedimento di conferma.

5. Detto questo, si può solo accennare ad altri problemi incombentisul funzionamento del meccanismo.

Problemi seri non dovrebbero sorgere rispetto alla presenza di prov-vedimenti cautelari (o di relativi procedimenti in corso). Il cambio del-l’organo che decide il merito non altera la competenza del giudice sta-tuale, rispetto alla quale è indifferente l’attribuzione della potestàdecisoria all’uno o all’altro organo. Più incerto il tema della sopravvivenzadella sospensiva di delibera assembleare direttamente proveniente dalcollegio arbitrale in caso di arbitrato societario seguito da translatio algiudice statuale. Propenderei per la conservazione: concepibile, benchéteorico per la scansione dei tempi, il reclamo, restano pur sempre algiudice statuale la possibilità di revoca, modifica e declaratoria di ineffi-cacia.

Posto che contro la declinatoria del giudice è ammesso il regolamentodi competenza e che il suo mancato esperimento la rende definitiva eincontestabile, lo stesso dovrebbe dirsi del mancato esperimento dell’a-zione di nullità contro la declinatoria arbitrale. Ne segue che il diversoorgano successivamente adito dovrebbe attenersi alla decisione senzapossibilità di ribellione. Questo però collide tanto con la previsionedell’art. 59 l. 69/2009, che al suo terzo comma prevede l’esperibilità delregolamento di giurisdizione d’ufficio, quanto con lo stesso art. 50 c.p.c. dicui è appendice l’art. 45 sul c.d. conflitto di competenza: unica soluzionesarebbe (una volta per tutte) il riconoscimento del valore vincolante delladecisione del primo organo, nella riconosciuta inapplicabilità diretta diambedue le discipline. Non è facile raffigurarsi un consenso esteso suquesta conclusione, ma la sensibilità della dottrina in tal senso apparegrandemente accresciuta e la sua diffusione promettente.

Da ultimo. Si può scommettere tranquillamente che il meccanismopropugnato dalla Corte costituzionale verrà inteso come avente a termineesclusivo di riferimento l’arbitrato rituale. Sarà questa linea a prevalere,ma per inerzia di pensiero più che per fondatezza intrinseca. La Corte

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pone certo al centro della sua motivazione la “fungibilità di risultati” ma,mi chiedo, forse la declinatoria proveniente dal giudice pubblico si cura dichiarire la natura dell’arbitrato che funge da presupposto processualenegativo? No di certo (e se lo facesse lascerebbe il tempo che trova nonessendo certo questo l’elemento portante e vincolante). Ora, ammettiamoche l’attore abbia ottenuto un sequestro da parte del tribunale che sispoglia però del merito ritenendo valida ed efficace una convenzioned’arbitrato. è concepibile che, se tale convenzione indirizzi verso l’irritua-lità, egli, imboccando prontamente la via arbitrale, perda i benefici con-nessi alla domanda giudiziale e, con essi, lo stesso sequestro che la leggegli garantisce indipendentemente dalla ritualità o meno dell’arbitrato? Larisposta positiva (che mi aspetto verrà ripetuta in coro) non ha senso.L’art. 808-ter procedimentalizza fortemente l’arbitrato irrituale, garan-tendo il contraddittorio e la pronuncia di un organo terzo che non hameno autorità tra le parti rispetto a quella contemplata dall’art. 825 c.p.c.per il fatto che il suo eventuale annullamento deve provenire “dal giudicecompetente secondo le disposizioni del libro I”, invece che secondo il CapoV del Titolo VIII del codice di rito.

Credo di aver dimostrato in altre occasioni i presupposti di questaconclusione; non mi illudo che possa prevalere su radicati pregiudizi.

BRUNO SASSANI

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CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I civile, sentenza 10 ottobre 2011, n. 20741; FORTE

Est.; Sectram Servicos Comerciais Para Trasportes s.a. (avv. Manfredi) Millen-nium Shield s.r.l. in liquidazione (avv. Flavio Barigelletti).

Compromesso e clausola compromissoria - Interpretazione - Oggetto - « Contro-versie connesse all’esercizio dell’attività sociale » - Acquisto della qualità disocio - Attività dannosa eseguita prima dell’acquisto - Compromettibilità -Fondamento - Fattispecie.

La clausola compromissoria, contenuta nello statuto di una società che prevedala devoluzione ad arbitri delle controversie « connesse più in generale all’eserciziodell’attività sociale » deve ritenersi estesa ad una domanda risarcitoria derivante daattività svolta prima dell’ingresso nella compagine sociale da parte del socio, se idanni lamentati si sono verificati dopo l’acquisto di tale qualità e se, comunque, conla sua condotta anche anteriore, il socio abbia concorso ad impedire lo svolgimentodell’attività sociale, con comportamento violativo degli obblighi assunti con i pattiparasociali. (Nella specie il socio, titolare dell’1% del capitale sociale, era rimastoinadempiente all’obbligo di riempire il 72% della capienza della nave, di proprietàdella società, destinata a svolgere l’attività sociale di trasporto via mare di automezzipesanti).

CENNI DI FATTO. La società di diritto portoghese Sectram - Servicos ComerciaisPara Trasportes s.a. acquisiva l’1% del capitale sociale appartenente nel residuo99% alla O.T.C. Overseas Trading Consulting s.r.l. (da ora: O.T.C.) della Millen-nium Shield s.r.l. (d’ora in poi: Millennium), società costituita per realizzarel’indicato programma con una nave della società di cui era divenuta socia.

La stessa società portoghese, che già forniva nel suo paese servizi di assistenzacommerciale e amministrativa ad autotrasportatori, si era impegnata a riempire il72% della capienza della nave della Millennium da utilizzare per l’attuazione delprogramma con automezzi di clientela portoghese, garantendo con l’adempimentodi tale obbligo l’esecuzione del progetto da lei proposto e divenuto programmasocietario.

Peraltro, essendo sin dall’inizio dell’attività sociale mancato il riempimentodella nave con autoarticolati e automezzi di clienti portoghesi nella percentualeper la quale la Sectram s.a. si era impegnata (nei primi due viaggi i mezzitrasportati erano stati meno di dieci), il programma societario fatto proprio dallaMillennium era stato subito chiuso con gravi perdite e la società aveva notificatoalla socia minoritaria il 22 maggio 2001 atto di accesso a giudizio arbitrale, conrichiesta di condanna al risarcimento del danno. Non essendosi trovato tra le partil’accordo sul nome dell’arbitro unico di cui alla clausola compromissoria dellostatuto sociale, in conformità a questa, l’arbitro era stato nominato dal presidentedell’ordine dei commercialisti di Ancona e l’eccezione della Sectram di inammis-sibilità e improcedibilità del giudizio arbitrale era stata respinta nel lodo così comela sua domanda riconvenzionale di condanna dell’attrice al risarcimento del dannoad essa prodotto per avere imposto di iniziare la esecuzione del programma ditrasporto in un periodo di scarso movimento delle merci e contro la volontà dellasocia minoritaria.

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Il lodo del 27 settembre 2001 aveva invece parzialmente accolto la domandaprincipale, condannando la convenuta al risarcimento del danno per il suo ina-dempimento causa unica della fine dell’attività della Millennium. Tale lodo è statoimpugnato dinanzi alla Corte d’appello di Ancona dalla Sectram, che ha dedottoin via preliminare che la clausola compromissoria dell’art. 24 dello statuto socialenon comprendeva l’azione risarcitoria esercitata tra quelle compromettibili, percui l’arbitro non aveva il potere di decidere la controversia; la causa inoltre erastata decisa senza applicare le norme sull’arbitrato internazionale del codice di ritoitaliano e nonostante il mancato accoglimento delle istanze istruttorie dellaimpugnante.

La Corte di merito ha rigettato l’eccezione già proposta nel giudizio arbitrale,di incompetenza dell’arbitro per la inapplicabilità oggettiva della clausola com-promissoria essendo l’impugnante divenuta socia della Millennium, dopo che giàsi erano verificati i fatti a base dell’azione risarcitoria, per cui la domanda non eracollegabile alla condizione di socia della società portoghese, ma alla mera connes-sione del rapporto di agenzia di essa con la società o l’altra socia O.T.C., al di fuoridella stessa attività sociale.

Con sentenza del 10 settembre 2005, la Corte d’appello di Ancona harigettato l’impugnazione del lodo della Sectram, riconoscendo la competenzadell’arbitro sulla controversia considerata comunque connessa all’attività sociale,anche se il danno era derivato da attività precedente all’acquisto della qualità disocia della condannata, nessun rilievo avendo il fatto che si versava in una ipotesidi arbitrato internazionale, non avendo l’impugnante chiarito come in concretotale carattere del giudizio arbitrale avesse inciso sulla validità del lodo, mancandonella impugnazione ogni accenno alla nullità di quest’ultimo per effetto dellanazionalità portoghese della società impugnante, ai sensi dell’art. 838 c.p.c. nellaversione ratione temporis applicabile.

MOTIVI DELLA DECISIONE. — 1.1. Il primo motivo di ricorso di Sectramdenuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 829 c.p.c., n. 4 e art. 817 c.p.c.,anche per motivazione contraddittoria, erronea e insufficiente, in relazione all’art.360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per avere la Corte di appello di Ancona ritenutoirrilevante che i fatti posti a fondamento della domanda risarcitoria si fosseroverificati prima dell’assunzione dalla ricorrente della qualità di socia di Millenniumper l’1% del capitale, in quanto l’art. 24 dello statuto costituente clausola com-promissoria, secondo il lodo, non impone la qualità di socio delle parti comepresupposto necessario dell’azione da esercitare in sede arbitrale. La clausolarecita infatti: « le controversie che dovessero insorgere tra società e ciascun socio,ovvero tra i soci medesimi, nonché tra gli eredi del socio defunto e gli altri soci e/ola società, connesse alla interpretazione e all’applicazione dell’atto costitutivo e/opiù in generale, all’esercizio dell’attività sociale, verranno deferite alla decisionedell’arbitro unico ».

Ad avviso della ricorrente Sectram, la Corte di merito ha erroneamenteritenuto equivalenti « l’attività sociale » di cui alla clausola che precede con« l’oggetto sociale », dovendosi limitare le controversie compromettibili a quellerelative alle impugnazioni delle delibere sociali o al trasferimento di quote socialio alla esclusione di un socio, perché in tali casi è certa la loro connessione a detteattività societarie, che non comprendono ogni causa tra socio e società sul mero

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svolgimento delle attività di cui sopra come quella oggetto della presente causa.Nessuna previsione vera nell’art. 24 dello statuto sociale di un’azione risarcitoriaper l’inadempimento da un socio di un obbligo assunto nei confronti di un altrosocio, che non è qualificabile come controversia che attiene alla attività sociale,non avendo alla base l’interpretazione o applicazione dell’atto costitutivo nél’esercizio della attività sociale, anche a non considerare che, nella fattispecie,l’azione si è fondata su fatti anteriori all’acquisto della quota sociale da parte dellaricorrente e ad inadempimenti di impegni assunti prima di acquisire la partecipa-zione alla società attrice.

L’arbitro unico poteva giudicare solo di controversie che avessero la lorofonte nell’atto costitutivo della società e soltanto l’errata interpretazione dellaclausola ne ha esteso la portata ad un inadempimento da parte di un socio diobblighi non direttamente connessi a tale qualità. Afferma in replica la controri-corrente che esattamente la Corte di merito ha rilevato che la qualità di socio noncostituisce elemento qualificante delle azioni da esercitare in sede arbitrale,essendo previsto nella clausola compromissoria espressamente che tutte le causeconnesse « più in generale, all’esercizio dell’attività sociale verranno deferite alladecisione dell’arbitro unico », per cui si è esattamente negata dalla Corte di meritola fondatezza della impugnazione del lodo per il profilo che precede dell’abusodella competenza arbitrale.

1.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta violazione degli artt. 832, 833 e 834c.p.c. nella versione vigente prima dei D.Lgs. 2 febbraio 2006 n. 40, perché sisarebbe dovuta applicare la disciplina dell’arbitrato internazionale per la formadella clausola compromissoria e in specie per la previsione specifica in essa dellenorme applicabili dall’arbitro nella decisione di merito, che invece nel casocertamente mancava.

Ad avviso della ricorrente, l’art. 24 dello statuto sociale non rispetta leprevisioni dell’art. 833 c.c., avendo Sectram la sua sede in (Omissis), in quanto nonsi era stabilito quale delle normative nazionali delle parti in causa o comunitariadovesse applicarsi alla fattispecie, essendo peraltro chiara l’esclusione del criterioequitativo della decisione, adottato invece nella liquidazione dei danni dall’arbitroche su di essi ha deciso senza prove e al di fuori di ogni previsione della equitàstessa come criterio di decisione della causa nel compromesso, in violazionedell’art. 829 c.p.c., nn. 1 e 4, già richiamato nel primo motivo di ricorso. Ad avvisodella controricorrente, non vi era violazione delle norme processuali in sedearbitrale, essendosi le stesse adottate senza opposizione della società portogheseche aveva accettato il contraddittorio nei limiti di quanto chiesto da contropartegià in sede di giudizio arbitrale.

1.3. Si denuncia in terzo luogo la violazione dell’art. 829 c.p.c., per omessa einsufficiente motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per averela ricorrente inutilmente denunciato nella sua impugnazione dinanzi alla Corte dimerito la mancata prova del danno subito dalla controparte.

L’arbitro ha accolto la domanda principale, violando i limiti della clausola,per avere fatto riferimento, nel liquidare il danno subito da Millennium, alleperdite di bilancio, al lucro cessante, al danno all’immagine e persino alle spesesostenute dalla società O.T.C, socia maggioritaria, cioè ai danni di un terzo e nondella società attrice, per un accordo concluso prima dell’acquisto della quotaminoritaria del capitale da Sectram. La ricorrente è stata condannata dal lodo per

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danni non provati e comunque subiti da un terzo estraneo alla causa (ad es. lespese sostenute da O.T.C, per l’acquisto del 99% delle quote della società attrice),in violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 828 c.p.c., n. 2, non essendosi tenute inalcuna considerazione — dall’arbitro e poi dalla Corte d’appello in sede diimpugnazione — le richieste di prova di Sectram, così sottraendosi le dette duedecisioni alla esigenza di dare ragione della condanna in danno della ricorrente,disposta senza valutare le prove chieste dalle parti. La controricorrente affermache è risultato documentalmente l’inadempimento di Sectram, per non avereprocurato a Millennium i clienti autotrasportatori portoghesi nella percentualepromessa, cioè in misura tale che, con i loro mezzi, potessero occupare il 72% dellacapienza della nave della società attrice, con conseguente insuccesso dei fini dellaimpresa societaria dipeso solamente dalla condotta omissiva della ricorrente, cheha del resto proposto domanda riconvenzionale poi respinta dallo stesso arbitrocomunque in rapporto alla medesima attività sociale.

1.4. In quarto luogo è dedotta violazione di legge e omessa e/o insufficientemotivazione del lodo sul rigetto della domanda riconvenzionale della ricorrente dicondannare la Millennium a pagare Escudos portoghesi 104.460.616, da convertirein euro, non avendo la decisione dell’arbitro affermato la mancanza di prove abase della richiesta di tale condanna o l’assenza di un inadempimento nell’attivitàsociale della stessa società attrice.

La domanda riconvenzionale decisa negativamente dall’arbitro, anche seSectram non era socio, della società a l’epoca dei suoi impegni rimasti inadempiutie posti a base dell’azione nel giudizio arbitrale, è stata respinta senza evidenziaretale specifica situazione nel lodo, con difetto di motivazione di questo sul punto,che si estende anche alla sentenza della Corte d’appello sulla impugnazione pernullità.

1.5. Si lamenta infine la violazione di legge in cui è incorsa la Corte territorialeper omessa motivazione sulla eccezione di difetto di valida procura al difensoredella società appellata, avendo Sectram dedotto e provato che Millennium erastata posta in liquidazione con delibera dell’assemblea straordinaria della societàimpugnata, del 1 ottobre 2002.

La stato di liquidazione comporta per la ricorrente la necessità che la procuraal difensore sia rilasciata dal liquidatore e non consente di prorogare l’efficacia diquella sottoscritta dall’amministratore della società prima che fosse in statoliquidatorio, per cui nessun potere aveva l’originario amministratore della societàin bonis di conferire valida procura, efficace e vincolante pure per la società già infase di liquidazione, a tutela della quale solo il liquidatore poteva conferire aidifensori il potere di agire in giudizio.

La controricorrente afferma che l’impugnazione del lodo è stata proposta allaCorte territoriale quando la s.r.l. Millennium non era ancora in liquidazione, percui il mandato al difensore era stato correttamente conferito dall’amministratorein carica della società a quella data e nessuna invalidità inficiava la procura sullaquale era fondata l’impugnazione, correttamente decisa dalla sentenza oggetto diricorso.

La controricorrente richiama Cass. 26 marzo 1983 n. 2148 per la quale,provenendo la procura solo dalla società tramite i propri organi e quindi non dallegale rappresentante di essa come soggetto autonomo, il conferimento di poteri

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resta valido ed efficace anche dopo lo stato di liquidazione, con conseguenteinfondatezza del motivo di ricorso che precede.

2.1. Il primo motivo di ricorso è infondato. E’ infatti da rigettare l’eccezionegià proposta da Sectram in sede di giudizio arbitrale e con l’impugnazione allaCorte di appello relativa alla carenza di potere dell’arbitro di decidere la contro-versia relativa all’inadempimento del rapporto sorto dall’accordo che la ricorrenteaveva concluso con l’altra socia O.T.C, titolare del 99% del capitale della societàattrice per svolgere in Portogallo l’attività di agente della società.

Anche se l’obbligo di procacciare clienti in Portogallo all’attrice fu assunto daSectram prima di divenire socia, ciò non rileva per negare che la controversia fossecompromettibile, avendo l’inadempimento di tale impegno inciso negativamentesulla realizzazione dello scopo della Millennium; comunque la clausola compro-missoria nell’atto costitutivo della società vincola anche soggetti che non sianosoci, qualora abbiano acquisito tale qualità dopo l’approvazione dello statuto e delcompromesso in esso inserito come incontestatamente accaduto nella fattispecie(Cass. 11 maggio 1982 n. 2945) e inoltre allorché, come si rileva nel merito, i dannisi siano avuti successivamente all’acquisto della qualità di socio del convenuto che,con la sua condotta, ha concorso a impedire lo svolgimento dell’attività sociale,con comportamento violativo di obblighi assunti con patti parasociali.

La controversia assoggettata alla decisione dell’arbitro sorge da una domandadella società Millennium contro la socia minoritaria Sectram e per il profilosoggettivo rientra tra quelle espressamente comprese nella lettera della clausolache prevede, come compromettibili, le cause tra « la società e il socio ».

Oggettivamente la controversia si è esattamente ritenuto rientrare tra quelledell’art. 24 dello statuto perché riguarda « l’esercizio dell’attività sociale », cioè iltrasporto marittimo di automezzi e autoarticolati tra Portogallo e Italia, per ilquale, ancor prima di divenire socia, Sectram si era impegnata ad assicurareclientela portoghese che coprisse almeno il 72% della capienza della nave dell’at-trice destinata all’attività sociale.

Anche a dare una lettura restrittiva della clausola compromissoria, in ragionedella deroga alla giurisdizione ordinaria di natura comunque eccezionale (S.U. 28luglio 1998 n. 7398), Sectram deduce che la condotta a lei imputata come fonte deidanni, cioè la mancata acquisizione della clientela in Portogallo, violerebbe unobbligo sorto prima dell’acquisizione da essa della qualità di socia, ma ciò nonesclude la competenza arbitrale sulla controversia per gli effetti di tale condottasulla realizzazione del programma sociale e le ragioni sopra indicate che rendonola causa compromettibile per la clausola di cui sopra. L’inadempimento causapetendi dell’azione di Millennium dinanzi all’arbitro non si è dedotto come effettodi un contratto fonte di un rapporto diverso da quello di società, quale sarebbestato un contratto di agenzia da eseguire in favore dell’altra socia o della stessasocietà attrice, e quindi non osta alla estensione alla fattispecie della deroga allagiurisdizione ordinaria (Cass. 7 febbraio 2006 n. 2598), ove si affermi, come laCorte d’appello, con deduzione di certo logica e giuridicamente corretta, chenell’attività sociale erano da comprendere anche l’obbligo di Sectram e il suoinadempimento, tanto che la stessa convenuta in riconvenzione ha chiesto lacondanna della attrice per avere preteso l’inizio dell’attività di trasporto cui inerivail suo impegno inadempiuto, nel periodo meno adatto perché lo stesso avessesuccesso. E’ infondata la censura della ricorrente che denuncia un errore della

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Corte di merito per aver equiparato « oggetto » e « attività sociale »; infatti, aisensi dell’art. 2463 c.c., comma 2, n. 3, nelle società a responsabilità limitata, l’attocostitutivo indica « l’attività che costituisce l’oggetto sociale » con evidente equi-pollenza dei due concetti, da cui si desume che il trasferimento via mare con lanave dell’attrice tra Portogallo e Italia di automezzi pesanti e autoarticolati,costituiva il programma comune venuto meno e rimasto inattuato a causa del-l’inadempimento dalla ricorrente degli obblighi assunti anche quale socia, per cuila causa è stata correttamente ritenuta di competenza dell’arbitro.

L’obbligo della ricorrente di procacciare clienti in Portogallo per occupare il72% della capienza della nave utilizzata con mezzi di costoro, così dando esecu-zione al programma sociale, trova la sua fonte nell’attività della società e non solonell’accordo tra il socio al 99% del capitale della società e la Sectram, anteriorealla acquisizione della qualità di socia di questa, forse costitutivo di un rapporto diagenzia neppure prospettato come causa petendi della lite sia in sede di giudizioarbitrale che nell’impugnazione e nel ricorso. La violazione degli impegni dellasocietà portoghese si è correttamente esaminata dall’arbitro designato ai sensidell’art. 24 dello statuto sociale, perché tali obblighi inadempiuti hanno incisosull’oggetto sociale e come tali sono stati considerati valido contenuto dellecontroversie compromettibili, di cui correttamente ha deciso l’arbitro designato inconformità alla clausola compromissoria. Nessuna delle norme indicate nel primomotivo di ricorso risulta violata e la competenza dell’arbitro non può che riaffer-marsi, con rigetto del primo motivo di ricorso.

2.2. In ordine al secondo e terzo motivo di ricorso gli stessi sono strettamentecollegati in relazione alle censure sulle modalità di decisione del lodo e alle normeo principi in esso applicabili e comunque relativi a carenze di motivazione dellasentenza della corte territoriale, sono entrambi infondati.

Non si comprende, anche dopo il ricorso in questa sede, quale sia stata nellodo la violazione delle norme sugli arbitrati internazionali dedotta dalla ricor-rente come causa di nullità del lodo, in relazione agli artt. 833 e 834 c.p.c. nellaversione vigente alla data della impugnazione e del ricorso, né la ragione per laquale la decisione dell’arbitro avrebbe dovuto ritenersi nulla in rapporto allepredette norme.

Ad avviso di Sectram, le parti avrebbero dovuto concordare quali regole didiritto dovevano applicarsi nel giudizio arbitrale, in ragione delle discipline giuri-diche diverse dei distinti paesi cui appartengono i due soci della società interna-zionale ovvero stabilire se nella fattispecie fosse applicabile la disciplina comuni-taria, ma non risulta in ricorso quale di tali norme in concreto sia stata disattesadall’arbitro e quindi dalla Corte di merito, con conseguente genericità del ricorsoche, per tale profilo, è inammissibile.

In assenza della previsione nella clausola della specifica normativa applica-bile, non poteva che rilevare l’abrogato art. 834 c.p.c., che imponeva di applicarela legge « con la quale il rapporto è più strettamente collegato », che correttamentes’è individuato nel diritto interno italiano, cui faceva riferimento la società primadell’ingresso in essa del socio straniero per una quota assolutamente minoritaria.

La ricorrente non deduce una erronea applicazione di norme di diritto nellodo ma denuncia, nel terzo motivo di ricorso, l’errata liquidazione equitativa deidanni per cui vi è stata la condanna, dovendosi a suo avviso determinare il dovutoin base ai tradizionali canoni probatori. In assenza di espresso divieto nella

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clausola, secondo la Corte d’appello, l’arbitro ha esattamente applicato nel lodo ildiritto interno, liquidando in via equitativa i danni costituiti da perdite e speseerogate per attuare il programma societario di Millennium, tutte provate in viadocumentale e nel contraddittorio tra le parti, essendo la normativa italiana quellacui si riferiva la clausola prima ancora dell’acquisizione della quota sociale dallasocietà portoghese cui il compromesso era opponibile, nessuna obiezione essen-dosi sollevata sullo stesso con l’acquisto della partecipazione dalla società daSectram. La Corte d’appello rileva che, nell’impugnazione, la natura internazio-nale dell’arbitrato non è dedotta come ragione di nullità del lodo, deciso conl’applicazione del diritto interno e tale ratio decidendi non è censurata nel ricorso,mancando, come già detto, la specifica indicazione delle norme di diritto porto-ghese o comunitarie violate nel giudizio arbitrale e nel lodo, con conseguentecorretto rigetto per tale profilo dalla Corte territoriale dell’impugnazione pernullità (in tal senso Cass. 4 maggio 2000 n. 5583, per il diritto interno, e S.U. 14giugno 2007 n. 13894, per il diritto comunitario).

Non è dedotta dalla ricorrente violazione di alcuna delle norme inapplicabiliagli arbitrati internazionali, ai sensi dell’art. 838 c.p.c. nella versione vigenteall’epoca del ricorso, come l’art. 830 o l’art. 831 c.p.c., comma 2, anche essi oggiabrogati e, pure per tale profilo, il motivo di ricorso è da rigettare, non potendo ladeduzione della liquidazione equitativa del danno ritenersi violativa di legge,avendo la Corte di appello affermato che la stessa è avvenuta in rapporto alladocumentazione prodotta delle parti cioè su perdite dimostrate da documentisufficienti a decidere la causa ai sensi dell’art. 2697 c.c..

Nessuna violazione vi è stata dell’art. 829 c.p.c., comma 2, anche a nonconsiderare che la liquidazione equitativa del danno di cui all’art. 1226 c.c. non puòconfondersi con la decisione secondo equità dell’art. 114 c.p.c, esclusa di regolanell’arbitrato internazionale (Cass. 11 dicembre 2007 n. 25943).

Il terzo motivo di ricorso denuncia pure difetti di motivazione del lodo stessoed è, per tale profilo, inammissibile, non potendo rilevare in questa sede senza laindicazione dei fatti o delle circostanze controverse su cui la sentenza impugnatanon s’è pronunciata, e senza chiarire la erroneità delle ragioni della sentenza perle quali si è respinta infondatamente la impugnazione del lodo per le pretesecarenze motivazionali di questo.

Tale conclusione assume rilievo peculiare in rapporto ai danni che la ricor-rente afferma essersi liquidati in favore di Millennium, anche se subiti solo dallasocia O.T.C., circostanza di fatto che, dalla sentenza oggetto di ricorso non risultaessersi dedotta nel giudizio di merito, per cui, ai sensi dell’art. 366 c.p.c. anche nellaversione anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006, la prospettazione di tale circostanza perla prima volta in sede di legittimità è preclusa, non risultando comunque dallaimpugnativa in questa sede in quale fase del giudizio di merito la questione fusollevata.

2.3. In ordine al quarto motivo di ricorso che lamenta l’immotivato rigetto dallodo della domanda riconvenzionale di risarcimento proposta da Sectram, lacensura sembra colpire il lodo e non la sentenza della Corte territoriale, che harigettato l’impugnazione dello stesso. Il ricorso censura, comunque in modogenerico e quindi non valutabile in questa sede, la soluzione della questione datadalla Corte territoriale, la quale ha ritenuto assorbito ogni problema sul rigettodella domanda riconvenzionale dall’accoglimento dell’azione risarcitorìa proposta

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in via principale incompatibile da solo sul piano logico con l’eventuale fondatezzadella medesima azione in riconvenzione di Sectram; pertanto il quarto motivo diricorso di questa è inammissibile.

3.4. Deve ritenersi inammissibile anche la censura di cui al quinto motivo diricorso sul tacito rigetto dell’eccezione di Sectram, che aveva dedotto il venir menodella valida procura al difensore della società posta in liquidazione coatta succes-sivamente alla impugnazione proposta alla Corte d’appello e nel corso del giudiziosvoltosi dinanzi a quest’ultima.

A tale motivo di ricorso replica la controricorrente con il richiamo ad unagiurisprudenza (la già cit. Cass. n. 2148 del 1983), per la quale la fase di liquida-zione comporta solo una modificazione meramente formale delle modalità di vitadella società rimasta identica sul piano sostanziale, con conseguente permaneredegli effetti della procura rilasciata dagli organi di essa prima della messa nelnuovo stato liquidatorio, anche per il periodo successivo a tale nuova situazionedella vita societaria.

Il motivo di ricorso è comunque inammissibile, risultando dal ricorso la solacircostanza che la liquidazione è stata decisa nell’assemblea straordinaria dell’1ottobre 2002 della società, non emergendo peraltro se vi sia stata nel caso lacancellazione dal registro delle imprese della società e la relativa iscrizione inquesto di tale vicenda che, con la novella dell’art. 2495 c.c., comma 2 di cui alD.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, art. 4 avrebbe comportato l’estinzione di Millenniums.r.l. nel corso del giudizio di impugnazione, cioè a decorrere dal 1 gennaio 2004(S.U. 22 febbraio 2010 n. 4060).

Neppure viene chiarito in ricorso se vi è l’iscrizione nel registro delle impresedella nomina del liquidatore, che solo all’esito dell’adempimento di tale onere dipubblicità, acquisisce il potere di rilasciare procura in sostituzione dei preesistentiamministratori (Cass. 18 settembre 2003 n. 13746).

In assenza di puntuali indicazioni dalla ricorrente sulle indicate circostanzeessenziali per la decisione, il motivo di ricorso non è autosufficiente e devedichiararsi quindi inammissibile, anche a non rilevare che la posizione di impu-gnata della Millennium, ove questa sia stata realmente cancellata dal registro delleimprese, avrebbe comportato, in base alla citata novella del 2003, dal 1 gennaio2004, l’estinzione della precedente società con la fine di ogni operatività degli attidegli organi sociali che la procura avevano conferito e la conseguente improse-guibilità del giudizio d’impugnazione di Sectram non più esercitatile nei confrontidella controparte venuta meno.

Tale dichiarazione di improseguibilità della impugnazione avrebbe conclusoil giudizio, rendendo definitivo il lodo e la condanna, per cui non si comprendecome tale soluzione possa soddisfare il concreto interesse della ricorrente, coninammissibilità conseguente anche per tale profilo del quinto motivo di ricorso.

4. In conclusione, il ricorso deve rigettarsi e la ricorrente deve esserecondannata a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di cassazione,che si liquidano come in dispositivo.

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Brevi note sull’ambito oggettivo e soggettivo della clausola compromis-soria, nonché sulla sua interpretazione.

1. Il provvedimento in epigrafe affronta, grazie alla fattispecie con-creta piuttosto singolare, il delicato profilo dei limiti oggettivi (ed alcontempo soggettivi) della clausola compromissoria, anche alla luce dellepossibili interpretazioni del patto arbitrale.

Il caso sul quale la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi —rispetto al quale non si rinvengono precedenti in termini e che proprio perla peculiarità pare opportuno ricostruire — muove dai rapporti intercorsifra una società portoghese, specializzata nel proprio paese nell’assistenzacommerciale e amministrativa ad autotrasportatori, e una società italiana.La prima, infatti, proponeva alla seconda un progetto di attività impren-ditoriali di trasporto via mare di automezzi pesanti fra Portogallo e Italia.La società italiana, con sede ad Ancona, interessata al suddetto progetto(già approvato dalle competenti autorità portoghesi, nonché dalla stessaCommissione europea), volto all’alleggerimento del traffico stradale inEuropa a favore di quello marittimo, dopo lunghe trattative con la societàstraniera proponente, la quale si era impegnata a riempire per quasi dueterzi la capienza di una nave italiana con automezzi di clientela porto-ghese, decideva di costituire una società ad hoc, per la realizzazionedell’indicato piano commerciale, che assurgeva a programma societario.La società portoghese diveniva quindi socia di minoranza della nuovasocietà, la quale metteva a disposizione l’imbarcazione al fine della rea-lizzazione degli accordi presi. Lo statuto sociale della neo costituita societàconteneva una clausola compromissoria dal seguente tenore: « le contro-versie che dovessero insorgere tra società e ciascun socio, ovvero tra i socimedesimi, nonché tra gli eredi del socio defunto e gli altri soci e/o lasocietà, connesse alla interpretazione e all’applicazione dell’atto costitu-tivo e/o più in generale, all’esercizio dell’attività sociale, verranno deferitealla decisione dell’arbitro unico ».

Nonostante gli accordi, sin dall’inizio dell’attività sociale era mancatoil riempimento della nave con autoarticolati e automezzi di clienti porto-ghesi nella percentuale pattuita. Per questo motivo la società avevanotificato alla socia minoritaria la domanda di arbitrato, con richiesta dicondanna, ad una cospicua somma di denaro, a titolo di risarcimento deldanno causato con l’inadempimento dell’impegno di acquisire clientelaportoghese. La socia di minoranza si doleva, in via preliminare, dell’inam-missibilità ed improcedibilità del procedimento arbitrale, sul rilievo del-l’impossibilità di rimettere alla cognizione dell’arbitro ogni controversiacomunque connessa all’attività sociale, come l’azione nella specie pro-mossa, relativa a condotte della società portoghese tenute prima che lastessa divenisse socia. Essa tuttavia proponeva, a propria volta, domanda

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riconvenzionale di condanna dell’attrice al risarcimento del danno subito,per averle imposto di iniziare l’esecuzione del programma di trasporto inun periodo di scarso movimento delle merci e contro la propria volontà.

Il lodo che accoglieva, sia pur in misura ridotta la domanda principale,veniva impugnato dinanzi alla Corte d’appello di Ancona dalla socia diminoranza, la quale ribadiva la propria tesi secondo cui la clausolacompromissoria di cui all’art. 24 dello statuto sociale non comprendeval’azione risarcitoria esercitata tra quelle compromettibili, per cui l’arbitronon aveva il potere di decidere la controversia. Essa sottolineava altresì,a sostegno delle proprie ragioni, di essere divenuta socia solo dopo che giàsi erano verificati i fatti a base dell’azione risarcitoria, per cui la domandasi poneva al di fuori dell’attività sociale, non essendo ricollegabile allacondizione di socia della società portoghese, ma — al limite — alla meraconnessione del rapporto di agenzia con la prima società italiana con laquale aveva avuto contatti.

La Corte d’appello rigettava l’impugnazione del lodo, riconoscendo lapotestas iudicandi dell’arbitro sulla controversia.

Avverso la predetta decisione, veniva proposto ricorso per Cassa-zione, sul rilievo che la Corte di merito aveva erroneamente interpretatola clausola compromissoria, ritenendo equivalenti « l’attività sociale » dicui alla predetta clausola con « l’oggetto sociale », dovendosi invecelimitare le controversie compromettibili a quelle relative alle impugna-zioni delle delibere sociali o al trasferimento di quote sociali o allaesclusione di un socio, le sole direttamente ricollegabili all’attività socie-taria. Al contrario — si sostiene — l’azione risarcitoria per l’inadempi-mento di un socio di un obbligo assunto nei confronti di un altro socio, nonè qualificabile come controversia attinente all’attività sociale, non avendoalla base né l’interpretazione o l’applicazione dell’atto costitutivo nél’esercizio della attività sociale; senza dimenticare che, nel caso in esame,l’azione era fondata su fatti anteriori all’acquisto della quota sociale daparte della ricorrente nonché relativi ad inadempimenti di impegni assuntiprima di acquisire la partecipazione alla società attrice.

La Suprema Corte respinge il ricorso, riconoscendo la competenzadell’arbitro a decidere della controversia, trattandosi di domande fra lasocietà e la socia minoritaria, rientranti, sia sotto il profilo soggettivo siasotto quello oggettivo, nell’ambito di applicazione del patto arbitralecontenuto nello statuto.

2. Per valutare se la soluzione raggiunta dalla Cassazione sia o menocondivisibile pare necessario premettere un breve e generale inquadra-mento sui limiti che il patto arbitrale può incontrare.

Come noto, vige in materia arbitrale il principio cardine della volon-tarietà delle parti: sono queste ultime che decidono di deferire agli arbitri

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(o all’arbitro unico) la decisione della lite, che può essere eventuale efutura nel caso di clausola compromissoria, concreta ed attuale nell’ipotesidi compromesso. E, di norma, sono sempre le parti che scelgono se il pattoarbitrale sia destinato a comprendere o meno ogni possibile controversiarelativa al contratto stipulato.

Seguendo questo assunto di base, si potrebbe essere portati adaffermare che i limiti soggettivi della convenzione arbitrale sono facil-mente individuabili: essi coincidono con i soggetti che hanno firmatol’accordo. Quanto, invece, alla sfera oggettiva della convenzione è suffi-ciente considerare le controversie che le parti hanno inteso rimettere inarbitrato, ferma ovviamente la loro compromettibilità.

Basta tuttavia un minimo di esperienza e di conoscenza, dei principaliproblemi che la convenzione arbitrale pone, per comprendere l’ingenuitàe, al contempo, l’erroneità della predetta osservazione. Infatti, come èstato sottolineato da chi si è occupato ex professo del tema in oggetto (1),se da un lato sottoscrivere il patto compromissorio non significa necessa-riamente assumere la qualità di parte (si pensi al caso del subappaltatoreche sottoscriva il contratto di appalto senza assumere alcuna obbligazionescaturente dall’accordo, al mero fine di attestare l’avvenuta conoscenzadel contratto pregiudiziale al proprio), dall’altro, in determinate situa-zioni, può essere ugualmente ritenuto parte del patto arbitrale un soggettoche non l’abbia materialmente sottoscritto.

Del resto anche la prassi dell’arbitrato internazionale conosce, ed anzisi può dire ha formalmente riconosciuto in alcuni paesi, l’estensione deglieffetti della clausola compromissoria a soggetti che non l’hanno firmata (ic.d. non signatory) (2).

Ad esempio, in Francia a partire dal celebre caso Dow Chemical,deciso nel 1983 dalla Corte d’Appello di Parigi (3), si ritengono assogget-

(1) Il riferimento è all’ampio ed interessante studio monografico di ZUCCONI GALLI

FONSECA, La convenzione arbitrale rispetto ai terzi, Milano, 2004, 207 e segg.(2) Sul tema cfr., senza alcuna pretesa di esaustività, DIMOLITSA, L’« extension » de la

clause compromissoire à des non-signataires: rien de neuf, in ASA Bull., 2012, 516; GIARDINA,Gruppi di società e convenzioni arbitrali, in questa Rivista, 1993, 291; HANOTIAU, Consent toArbitration: Do We Share a Common Vision?, in Arb. int., 2011, 539; HANOTIAU, ProblemsRaised by Complex Arbitrations Involving Multiple Contracts-Parties-Issues, An Analysis, inJournal of International Arbitration, 2001, 251 e segg.; HOSKING, Non-Signatories and Interna-tional Arbitration in the United States: The Quest for Consent, in Arb. int., 2004, 289; PARK,Non-Signatories and International Contracts: an Arbitrator’s Dilemma, in Multiple Party Actionsin International Arbitration, Oxford University Press, 2009, 1; YOUSSEF, The Limits Of Consent:the Right or Obligation to Arbitrate of Non-Signatories in Group of Companies, in Dossiers VIIof the ICC Institute of Word Business Law, 2010, 71.

(3) Cour d’Appel de Paris, 21 ottobre 1983, in Rev. arb., 1984, 98, con nota di CHAPELLE,nel quale i giudici di merito francesi ai fini dell’estensione degli effetti di una clausolacompromissoria formalmente vincolante due sole società del gruppo ad altre società del gruppopartecipanti alla fase di esecuzione si sono basati, da un lato, su « usages conformes aux besoinsdu commerce international, notamment en présence d’un groupe de sociétés », dall’altro, sulla« réalité économique unique » fra tutte le società coinvolte.

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tati al vincolo compromissorio tutti i soggetti che, pur non avendo mani-festato formalmente il consenso, hanno comunque preso parte all’affare,per essere intervenuti nelle trattative oppure nella fase esecutiva (4). Laposizione d’oltralpe è stata altresì condivisa da altri ordinamenti, come laSvizzera (5), mentre è oggetto di discussione in Germania (6).

Il nostro ordinamento (sotto questa prospettiva per tradizione piùvicino a quello tedesco), pare invero piuttosto critico verso codeste formedi consenso implicito (o addirittura presunto) sulla base della naturaformale del patto arbitrale; ciò nonostante possono venire in rilievo ai finidell’estensione soggettiva del vincolo compromissorio gli istituti dellarappresentanza apparente e, in materia di società, le ipotesi della societàapparente, della società occulta, della simulazione, dell’interposizionefittizia di persona (7).

Sempre sotto il profilo soggettivo nel nuovo arbitrato societario si ècercato di ampliare il più possibile « l’area dell’arbitrabilità »: la previ-sione contenuta nell’art. 34 del d.lgs. n. 5 del 2003, secondo cui la clausola

(4) In dottrina cfr. HANOTIAU, L’arbitrage et les groupes de sociétés, in Gazette du Palais,Les Cahiers de l’arbitrage, 2002/2, 6. La posizione fatta propria con il caso Dow Chemical ha poitrovato seguito nella giurisprudenza più recente, la quale si è orientata nel senso che: « les effetsde la clause compromissoire s’étendent aux parties directement impliquées dans l’exécution ducontrat dès lors que leur situation et leur activité font présumer qu’elles avaient connaissance del’existence et de la portée de cette clause afin que l’arbitre puisse être saisi de tous les aspectséconomiques et juridiques du litige ». Così Cour d’Appel de Paris, 7 dicembre 1994, in Rev. arb.,1996, 67, con nota di JARROSSON. Conf. Cour d’Appel de Paris, 30 novembre 1988, Cour d’Appelde Paris, 14 febbraio 1989, entrambe in Rev. arb., 1989, 691, con nota di TSCHANZ; Cour d’Appelde Paris, 11 gennaio 1990, in Rev. arb., 1992, 95, con nota di COHEN. Ancora la Cour d’Appel deParis, 7 maggio 2009, in Rev. arb., 2009, 440 ha espressamente statuito che: « la clausecompromissoire insérée dans un contrat international a une validité et une efficacité propres quicommandent d’en étendre l’application aux parties directement impliquées dans l’exécution ducontrat ». Principio da ultimo fatto proprio anche dalla Corte di cassazione, nel caso Sté AlcaltelBusiness Systems et autre c/ Sté Amkor Technology et autre: Cass., 1re civ., 27 marzo 2007, inRev. arb., 2007, 788, con nota di EL ADHAB. In argomento cfr. anche Cass., 1re civ., 7 novembre2012, n 11-25.891, F-D, Sté Orthopaedic Hellas c/ Sté Amplitude, in Lexisnexis Jurisclausseur,secondo la quale: « L’effet de la clause d’arbitrage international contenue dans le contrat initials’étend aux parties directement impliquées dans l’exécution du contrat. Tel est le cas d’une sociétégrecque qui s’est substituée à une autre pour l’exécution d’un contrat de distribution en Grèceconclu avec une société française, en sorte que l’arrêt ayant annulé la sentence par laquellel’arbitre désigné conformément à la clause contenue dans le contrat initial s’est reconnu compétentpour connaître des demandes introduites par les deux sociétés grecques contre la société françaisedoit être cassé pour violation des articles 1502, 1º et 1504 du Code de procédure civile dans leurrédaction antérieure à celle issue du décret du 13 janvier 2011 ».

(5) Tribunal arbitral Suisse, 16 ottobre 2003, parti X Société Anonyme Libanaise, YSociété Anonyme Libanaise, in Rev arb., 2004, 695, con nota di LEVY e STUCKI.

(6) La dottrina tedesca è piuttosto critica sull’estensione della convenzione arbitrale nelquadro dei gruppi di società sulla base di un’accettazione presunta dell’arbitrato, sul rilievo delcontrasto con § 1031 della ZPO, che impone la forma scritta per la validità della convenzionearbitrale, come pure con l’art. 101 Al. 1 della Costituzione tedesca, poiché priva ingiustificata-mente le parti non firmatarie del loro diritto ad essere giudicate da un giudice statale. Sul punto,anche per ulteriori indicazioni dottrinali e giurisprudenziali, si vedano MÜLLER, KEILMANN,Beteiligung am Schiedsverfahren wider Willen?, in SchiedsVZ, 2007, Heft 3, 113; BUSSE, DieBindung Dritter an Schiedsvereinbarungen, in SchiedsVZ, 2005, Heft 3, 118.

(7) Cfr. ancora ZUCCONI GALLI FONSECA, op. cit., 213 e segg.

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è vincolante per la società e per tutti i soci, opera infatti non solo rispettoa coloro che si trovano a far parte della compagine sociale al momentodell’approvazione della clausola compromissoria, ma anche rispetto ai socinuovi, cioè quelli che succedono nella qualità di socio a seguito di attointer vivos o mortis causa oppure che entrino, in virtù di un atto diadesione, in un momento successivo alla costituzione della società (8).Inoltre la clausola statutaria è, per legge, sempre nell’ottica di promuoverela via arbitrale, vincolante anche nei confronti di quei soggetti la cuiqualità di socio è oggetto della controversia; il che impedisce al giudicestatale di poter procedere de eadem re, finché l’accertamento della qualitàin questione intervenga in sede arbitrale a sancire l’inopponibilità dellaclausola alla parte (9).

Infine, occorre ricordare che esistono, nel nostro sistema, financodelle ipotesi in cui il patto compromissorio produce effetti ultra partes: cosìaccade, ad esempio, per il creditore che agisce in surrogatoria (10), per ilsuccessore nel diritto di credito per effetto di surrogazione legale (11),nonché per il successore a titolo universale (12).

3. Per quanto concerne poi l’ambito oggettivo del patto arbitrale èsufficiente esaminare la copiosa giurisprudenza in argomento per rendersiconto di come sovente la questione della concreta individuazione delle liti,

(8) Sulla vincolatività della clausola rispetto a questi nuovi soci cfr. ZUCCONI GALLI

FONSECA, La convenzione arbitrale delle società dopo la riforma, in Riv. trim. dir. e proc. civ.,2003, 945 e segg.; SASSANI-GUCCIARDI, Arbitrato societario, in Digesto disc. priv., sez. civ.,Aggiornamento, III, Torino, 2007, 10 e segg.

(9) Così osserva AULETTA, Commento all’art. 34, in La riforma delle società, Il processo,a cura di Sassani, Torino, 2003, 343, il quale sottolinea altresì, alla nota 58, come « ladisposizione circa il carattere vincolante dalla clausola statutaria « per tutti i soci » può assumereun significato particolare anche là dove, come nella società semplice, l’acquisto della qualità disocio può conseguire a un contegno concludente avulso dai requisiti di forma che soddisfano lecaratteristiche del patto compromissorio sotto pena di nullità ».

(10) In argomento, Cass., 25 maggio 1995, n. 5724, in Giur. it., 1996, I, 1, 1524, con notaadesiva di MURONI, L’ambito soggettivo di efficacia della clausola compromissoria e la suaopponibilità al creditore attore in surrogatoria, e Postilla di CONSOLO, Su arbitrato, azionesurrogatoria e designazione degli arbitri, nonché in Corr. giur., 1995, 1373, con nota diversa-mente orientata di CECCHELLA, Limiti soggettivi di efficacia del patto compromissorio. Cfr. ancheTrib. Rimini, 28 marzo 2003, in Giur. it., 2004, 1655, con nota di BARBIANI, La qualificazionedella clausola compromissoria e i suoi limiti soggettivi di efficacia: il difficile cammino della nuovaconcezione negoziale dell’arbitrato rituale.

(11) Si veda, ad esempio, Trib. Reggio Emilia, 24 maggio 1996, in Giust. civ., 1997, I,2015, con nota di DI GARBO, Clausola arbitrale e surrogazione dell’assicuratore: un discutibilecaso di improponibilità dell’azione ordinaria.

(12) Secondo Cass., 27 luglio 1990, n. 7597, in questa Rivista, 1992, 269, con nota diFAZZALARI, Osservanza dovuta al patto compromissorio: quando il suo vincolo perdura dopo ladichiarazione di nullità del lodo, l’erede subentra al de cuis nel rapporto posto in essere con lastipulazione della clausola compromissoria, non così invece il legatario ex lege. Per App. Napoli,7 luglio 1997, in questa Rivista, 1998, 286 la clausola compromissoria stipulata da una regioneè vincolante per la Usl, la quale, in relazione a determinate attività, risulta essere successore atitolo universale del primo ente. La stessa soluzione è stata raggiunta, in caso di cessioned’azienda, da Cass., 28 marzo 2007, n. 7652, in Foro it., 2008, 3, I, 903.

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che le parti hanno inteso devolvere alla cognizione degli arbitri, siatutt’altro che piana.

In proposito si è detto che la determinazione dell’ambito oggettivodella clausola compromissoria — ossia l’individuazione delle controversie,nascenti dal contratto, che le parti, nell’esercizio della loro autonomiaprivata, hanno inteso compromettere in arbitri — integra un problema lacui soluzione richiede l’indagine sulla determinazione della « comuneintenzione delle parti » circa il contenuto oggettivo che le stesse hannointeso dare alla clausola medesima. A tal fine occorre interpretare laclausola secondo gli ordinari canoni ermeneutici che il codice civile dettaper l’interpretazione dei contratti agli artt. 1362 e segg. c.c., fra i quali unruolo importante gioca il canone della buona fede (13). Qualora poi il« senso letterale delle parole » in essa utilizzate non conduca univoca-mente alla individuazione della comune volontà delle parti, deve valutarsipure « il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclu-sione del contratto », e, in questo senso, darsi rilievo al comportamentotenuto dalle parti nel procedimento arbitrale, al fine di verificare lasussistenza di una inconciliabile incompatibilità tra un determinato com-portamento, che sia univocamente volto al riconoscimento della « compe-tenza » arbitrale, e la mera espressione della volontà di avvalersi dell’ec-cezione stessa (14).

Si è altresì sottolineato come ove non risulti una espressa volontà,deve ritenersi che tutte le controversie riferibili a pretese, che hanno come« causa petendi » il contratto (della cui interpretazione, applicazione edesecuzione si tratta), vanno ricomprese nell’ambito oggettivo di operati-vità della clausola compromissoria (15).

Ancora: quando con una clausola compromissoria le parti deferisconoad un collegio arbitrale le controversie relative all’applicazione o inter-pretazione di un contratto, cui la clausola accede, tale patto va interpre-tato in senso lato, se non c’è una volontà contraria, fino a ricomprendereogni controversia relativa al contratto stesso, anche in merito alla suaesecuzione o al suo inadempimento (16), inclusa la domanda di risarci-mento del danno da inadempimento, la quale, analogamente alla do-

(13) Per un quadro complessivo sull’applicabilità dei criteri di cui agli artt. 1362 e segg.c.c. ai fini dell’interpretazione della convenzione arbitrale si rinvia allo studio di OCCHIPINTI, Lacognizione degli arbitri sui presupposti dell’arbitrato, Torino, 2011, 123 e segg.

(14) In questi termini Cass., 21 settembre 2004, n. 18917, in questa Rivista, 2006, 1, 82, connota di MOTTO, In tema di clausola compromissoria: forma, oggetto, rilevanza del comporta-mento delle parti.

(15) Così Cass., 20 febbraio 1997, n. 1559, in Mass. Giust. civ., 1997, 280; Cass., 14 aprile1994, n. 3504, in Giur. it., 1994, I, 1, 1264.

(16) In questo senso Cass., 20 giugno 2011, n. 13531, in questa Rivista, 2012, 79, con notadi COMASTRI, Favor arbitrati e art. 808-quater c.p.c.

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manda di risoluzione, attiene alla fase esecutiva, implicando l’accerta-mento dell’inottemperanza delle parti alle obbligazioni assunte (17).

Alla luce dei suindicati criteri si sono considerate incluse nell’ambitooggettivo di una clausola compromissoria anche le controversie derivantida un accordo separato e successivo a quello contenente la clausolacompromissoria, che si riferisca alle controversie dipendenti dal contratto,in quanto con tale espressione si intende la complessiva operazioneeconomica (18).

L’esame dei precedenti (sia arbitrali sia giudiziali) evidenzia dunquecome la tendenza sia quella di estendere il più possibile l’ambito diapplicazione oggettivo del patto arbitrale.

Ebbene, il medesimo orientamento più favorevole alla giustizia pri-vata si ritiene valga anche rispetto all’ambito oggettivo del nuovo arbitratosocietario (19).

Da ultimo, occorre considerare il disposto del nuovo art. 808 quaterc.p.c., che introduce un preciso criterio metodologico nell’interpretazionedelle clausole compromissorie (e, più in generale, di tutti i patti arbitrali):nel dubbio, la convenzione di arbitrato deve essere interpretata nel sensoche la competenza arbitrale si estende a tutte le controversie che derivanodal contratto o dal rapporto cui la convenzione si riferisce (20).

Tale disposizione sancisce dunque il seguente canone ermeneutico

(17) Cass., 10 settembre 2012, n. 15068, in Mass. Giust. civ., 2012, 1101.(18) Coll. arbitrale, 31 ottobre 2003, in Foro pad., 2004, I, 143.(19) Cfr. SALVANESCHI, L’oggetto del nuovo arbitrato societario, in Studi di diritto proces-

suale civile in onore di Giuseppe Tarzia, III, Milano, 2005, 2221 s. Sul principio di elaborazionegiurisprudenziale in base al quale ove non risulti una espressa volontà contraria, deve ritenersiche tutte le controversie riferibili a pretese che hanno come causa petendi il contratto vadanoricomprese nell’ambito oggettivo di operatività della clausola compromissoria, ad eccezione diquelle espressamente escluse si rinvia ancora, anche per ulteriori indicazioni, a SALVANESCHI,Ambito oggettivo della clausola compromissoria e dolo incidente, in Riv. dir. proc., 2001, 659. Ingenerale per un ampio quadro sul profilo problematico dell’oggetto della controversia devol-vibile in arbitrato societario e, in particolare, sulle specifiche ipotesi controverse del trasferi-mento di quote sociali e dei patti parasociali v. ZUCCONI GALLI FONSECA, Arbitrato societario, inArbitrati speciali, commentario diretto da Carpi, Bologna, 2008, 64 e segg. Sul punto, per undiverso ordine d’idee, cfr. CORSINI, L’arbitrato nella riforma del diritto societario, in Giur. it.,2003, 1290. Sull’arbitrato societario e sui problemi che si pongono in relazione ai gruppi societarisi v. anche BRIGUGLIO, Gruppi societarie e arbitrato, in Rassegna giuridica dell’energia elettrica,2004, 725 e segg.

(20) La dottrina osserva come la locuzione normativa « controversie che derivano dalcontratto » sia più ampia di quella contenuta nell’art. 808 c.p.c. di controversie « nascenti dalcontratto »: infatti la derivazione di una controversia può aversi anche da un contratto ormaispogliato degli effetti, mentre la nascita di una controversia da quel contratto ne presuppone lavalidità ed efficacia. Così NELA, Commento all’art. 808 quater c.p.c., in AA.VV., Le recentiriforme del processo civile, commentario diretto da Chiarloni, II, Bologna, 2007, 1648, il qualesottolinea altresì come l’innovazione sarebbe da ricondurre, secondo la Relazione illustrativa aldecreto legislativo, a « ragioni di efficienza operativa e di apertura verso le procedure arbitrali »,ovvero più semplicemente ad un favore verso l’arbitrato. In argomento si v., anche per ulterioririferimenti, ZUCCONI GALLI FONSECA, Commento all’art. 808 quater c.p.c., in AA.VV., La nuovadisciplina dell’arbitrato, Padova, 2010, 102.

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teso a favorire l’arbitrato: il giudice deve ritenere comprese, nell’ambitodella clausola, tutte le controversie che derivano dal contratto, salvoespressa e diversa volontà delle parti (21).

4. La cornice normativa e giurisprudenziale sin qui esaminata dimo-stra come, sotto il profilo soggettivo, non basti alla parte che si è vistanotificare una domanda d’arbitrato eccepire di non aver materialmentesottoscritto la clausola arbitrale per ritenersi sciolta dal vincolo ed esclu-dere, di conseguenza, la competenza degli arbitri a risolvere la lite; allostesso modo, sotto il profilo oggettivo, non è sufficiente dolersi dellamancata espressa enunciazione della controversia nella clausola arbitrale,dovendosi di contro dimostrare una precisa ed inequivocabile volontà(s’intende di entrambe le parti) di esclusione.

A questo punto si può analizzare il caso di specie e agevolmentecomprendere come la soluzione raggiunta dalla Cassazione appaia condi-visibile sotto più punti di vista.

L’obbligo assunto dalla società portoghese di procacciare clienti inPortogallo con la società italiana, trasfuso sin dall’inizio nei patti paraso-ciali, era poi divenuto lo scopo stesso per la costituzione di una società adhoc, della quale la società italiana deteneva la maggioranza del capitalesociale. Esso rappresentava dunque tanto l’elemento cardine del « pro-gramma », capace di determinare nei soci la decisione di unire le lororisorse, quanto lo scopo per la cui realizzazione le suddette risorsevenivano destinate. Ne consegue che la violazione dell’obbligo in que-stione ha senz’altro inciso in via diretta ed immediata sul rapporto (daintendersi quale « attività sociale », come menzionata nella clausola com-promissoria contenuta nello statuto) derivante dall’atto costitutivo,avendo impedito la realizzazione del programma societario.

Già questo porta a ritenere che la lite, sul mancato riempimento dellanave nella percentuale pattuita, rientrava nell’ambito applicativo del pattoarbitrale, a nulla rilevando che l’impegno in questione fosse stato assuntodella socia di minoranza prima di entrare nella compagine sociale.

Del resto, come ben ha sottolineato la Suprema Corte nella sentenzain commento, l’inadempimento (causa petendi dell’azione proposta di-nanzi all’arbitro) non è stato dedotto come effetto di un contratto, fontedi un rapporto diverso da quello di società, quale sarebbe stato uncontratto di agenzia da eseguire in favore dell’altra socia o della stessasocietà attrice, bensì come effetto della mancata realizzazione dell’attivitàsociale.

(21) Autorevole dottrina (CAPPONI, Arbitrato e giurisdizione, in Il Giusto processo, 2007,52 s.) ha tuttavia segnalato i rischi collegati ad un’interpretazione troppo lata della norma inquestione.

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Si consideri poi che ai sensi dell’art. 2463, 2 comma, n. 3 c.c., nellesocietà a responsabilità limitata, l’atto costitutivo indica « l’attività checostituisce l’oggetto sociale » con evidente coincidenza fra i due concetti:il trasferimento via mare con la nave tra Portogallo e Italia di automezzipesanti e autoarticolati, costituiva il programma comune venuto meno erimasto inattuato proprio a causa dell’inadempimento dalla socia di mi-noranza, per cui la causa è stata correttamente ritenuta di competenzadell’arbitro.

Circoscrivere il concetto di attività sociale alle regole di funziona-mento della società stessa è del tutto fuorviante. Occorre difatti che quellemedesime regole siano nel concreto riferite al motivo per le quali vengonoscritte, vale a dire l’oggetto sociale.

Le conclusioni prospettate trovano ulteriore conferma nelle disposi-zioni codicistiche dettate in tema di comportamento delle parti prima dellaconclusione del contratto e durante il suo svolgimento, anche ai fini dellasua interpretazione. Il richiamo è, all’evidenza, al disposto degli artt. 1362,2º comma, 1366, 1375 c.c.

Il principio di correttezza e buona fede « richiama nella sfera delcreditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera deldebitore il giusto riguardo all’interesse del creditore », come ben ci ricordala Relazione ministeriale al codice civile. In proposito la giurisprudenza èpacifica nell’affermare che « la buona fede nell’esecuzione del contratto sisostanzia in un generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delleparti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescinderetanto da specifici obblighi contrattuali, quanto dal dovere extracontrat-tuale del neminem laedere, trovando tale impegno solidaristico il suolimite precipuo unicamente nell’interesse proprio del soggetto, tenuto,pertanto, al compimento di tutti gli atti giuridici e/o materiali che sirendano necessari alla salvaguardia dell’interesse della controparte, nellamisura in cui essi non comportino un apprezzabile sacrificio a suo ca-rico » (22).

Ed ancora, si specifica: « l’obbligo di buona fede oggettiva o corret-tezza costituisce un autonomo dovere giuridico, espressione di un generaleprincipio di solidarietà sociale, che, nell’ambito contrattuale, implica unobbligo di reciproca lealtà di condotta che deve presiedere sia all’esecu-zione del contratto che alla sua formazione ed interpretazione, accompa-gnandolo, in definitiva, in ogni sua fase » (23).

Si può ravvisare dunque nel sistema ideato dal legislatore del 1942,un’imprescindibile circolarità tra la buona fede, che deve accompagnare ilcomportamento delle parti in ogni momento (dai primi contatti fino

(22) Così Cass., 4 maggio 2009, n. 10182, in Mass. Giust. Civ., 2009, 707. Cfr. anche Cass.,15 ottobre 2012, n. 17642, in De Jure.

(23) In questi termini Cass., 5 marzo 2009, n. 5348, in Mass. Giust. Civ., 2009, 391.

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all’esecuzione del contratto) ed il principio di solidarietà sociale (o dicooperazione) che trova ancoraggio diretto nella nostra Carta Fondamen-tale, all’art. 2.

Tali principi valgono altresì nelle fasi precedenti la stesura del con-tratto, al punto tale che già nelle trattative e nella formazione del con-tratto le parti devono comportarsi secondo buona fede (art. 1337 c.c.).

Tutto ciò tutela un principio dell’affidamento nella correttezza altrui,che non può essere leso senza conseguenze.

Anche sotto il profilo codicistico, dunque, non è accoglibile la tesidella società portoghese, poiché non è ipotizzabile un limite temporale (laconclusione del contratto, nella specie la costituzione della società) dopoil quale il comportamento delle parti debba essere improntato a maggiorrigore o serietà. Avviata la trattativa, la buona fede deve essere imma-nente per l’intera durata del rapporto.

Infine una considerazione processuale e una pratica.Le parti scelgono l’arbitrato quando sono alla ricerca di una soluzione

più celere rispetto a quella statale. Orbene, proprio tale obiettivo puòdivenire uno strumento di lettura, in caso di incertezza, della volontà delleparti: pare infatti irrazionale, rispetto allo scopo prefissato, in assenza dispecifiche delimitazioni, pensare che le parti abbiano inteso ripartire lacompetenza fra arbitro e giudice ordinario su controversie riferibili apretese che hanno tutte come causa petendi il medesimo contratto. Rilevaanche, come sottolineato nel precedente paragrafo, il comportamentoprocessuale: la convenuta eccepisce l’inammissibilità dell’arbitrato e poipropone davanti all’arbitro una domanda riconvenzionale, con la qualerichiede la condanna dell’attrice per avere preteso l’inizio dell’attività ditrasporto (cui ineriva il suo impegno inadempiuto), nel periodo menoadatto perché lo stesso avesse successo. Ora, pure il suddetto comporta-mento sembra rilevante sul piano dell’interpretazione del contenuto dellaclausola compromissoria: la richiesta della parte al giudice privato diemettere una statuizione relativa al rapporto processuale dedotto ingiudizio denota la volontà di rinuncia all’eccezione proposta.

Senza dimenticare che, sotto il profilo pratico, il « frazionamento » delgiudizio sul medesimo contratto fra due autorità giudicanti diverse puòcausare gravi problemi di coordinamento; problemi che, come si è detto,il legislatore con le ultime riforme ha inteso superare con la previsionedella regola in dubio pro arbitrato.

CHIARA SPACCAPELO

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CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I civile, sentenza 6 aprile 2012, n. 5634; CARNEVALE

Pres.; RAGONESI Est.; CAPASSO P.M. (concl. diff.); Lentini (avv. Altavilla) c.Cooperativa Edilizia Simi 1977.

Arbitrato - Lodo parziale - Riserva facoltativa d’impugnazione - Ammissibilità -Esclusione.

Arbitrato - Eccezione d’incompetenza - Lodo parziale di merito - Impugnazioneimmediata - Necessarietà.

Nel procedimento arbitrale non trova applicazione l’istituto della riservafacoltativa d’impugnazione, attesa la mancanza dei presupposti pratici funzionaliall’applicabilità di tale istituto, quali la comunicazione della sentenza parziale e lafissazione di un’udienza successiva al deposito della sentenza, entro la qualeformulare la riserva.

La pronuncia con cui gli arbitri rigettano un’eccezione d’incompetenza costi-tuisce un lodo parziale di merito e, pertanto, ai sensi dell’art. 827, 3° comma, c.p.c.,deve essere impugnata immediatamente.

CENNI DI FATTO. — Sorta una controversia fra una società cooperativa e unprofessionista, questa viene devoluta alla cognizione di un collegio arbitrale. Conun primo lodo depositato il 4 luglio 2002, gli arbitri statuiscono unicamente sullaquestione di competenza e dispongono la prosecuzione del giudizio. Con lododefinitivo del 4 novembre 2003, dichiarato esecutivo in data 22 dicembre 2003, gliarbitri condannano la società al pagamento di una somma di denaro in favore delprofessionista.

Con atto di citazione notificato il 19 dicembre 2003, la società impugna pernullità entrambe le decisioni arbitrali dinanzi alla Corte d’appello di Catania. Sicostituisce in giudizio il professionista, chiedendo il rigetto dell’impugnazione eproponendo impugnazione incidentale. La Corte d’appello dichiara con sentenzala nullità di entrambi i lodi. Avverso questa sentenza viene proposto ricorso percassazione.

MOTIVI DELLA DECISIONE. — Con il primo motivo di ricorso il ricorrentededuce l’erroneità della sentenza impugnata laddove ha affermato che il lodoparziale doveva essere impugnato unitamente a quello definitivo.

Con il secondo ed il terzo motivo lamenta l’erroneità della sentenza laddoveha ritenuto che, nel caso di specie, vi sarebbero stati due diversi contratti, mentre,invece, si tratterebbe di un unico contratto stipulato nel 1982 e che questo non erastato estinto per dar luogo ad un nuovo contratto.

Con il quarto motivo contesta la pronuncia sotto il profilo del vizio motiva-zionale laddove ha ritenuto l’inesistenza di un accordo compromissorio.

Con il quinto motivo deduce che non ricorrevano le condizioni per proporreinnanzi a questa Corte regolamento di competenza.

Il primo motivo è fondato.Il lodo parziale in data 28.6.2002 ha deciso sulla « competenza » degli arbitri

a decidere della controversia ritenendo la sussistenza di una valida clausolacompromissoria.

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Tale decisione non è stata oggetto di immediata impugnazione, ma è statagravata successivamente insieme al lodo definitivo del 16.10.2003.

Il problema che si pone è se il lodo parziale doveva essere oggetto diimmediata impugnazione oppure no.

La Corte d’appello ha optato per tale seconda soluzione.La decisione deve ritenersi erronea.Va premesso che nel caso di specie deve applicarsi ratione temporis la

normativa in tema di arbitrato conseguente alle modifiche al codice di proceduracivile apportate dalla L. n. 25 del 1994, e che, secondo tale regime, il lodo parzialeè impugnabile soltanto unitamente al lodo definitivo, non essendo utilizzabile, nelprocedimento arbitrale, l’istituto della riserva facoltativa d’impugnazione (Cass., 7febbraio 2007, n. 2715; Id., 3 febbraio 2006, n. 2444), attesa la mancanza, nell’in-dicato procedimento, dei presupposti pratici funzionali all’applicabilità dell’isti-tuto predetto, quali la comunicazione della sentenza parziale da parte dellacancelleria e la fissazione di un’udienza successiva al deposito di detta sentenza,utile a segnare il termine finale per la formulazione della riserva. (Cass., 22febbraio 2002, n. 2566).

Ciò premesso, va tuttavia rilevato che l’art. 827, comma 3, prevedeva, nelvigore della normativa applicabile al caso di specie, (e prevede tuttora) che « illodo che decide parzialmente il merito della controversia è immediatamente impu-gnabile, ma il lodo che risolve alcune delle questioni insorte senza definire il giudizioarbitrale è impugnabile solo unitamente al lodo definitivo », e che in relazione a talenorma questa Corte ha avuto modo di chiarire che « il termine « lodo parziale »esige di essere interpretato in comparazione con il concetto di sentenza nondefinitiva con riferimento all’art. 277 c.p.c., comma 2, art. 278 c.p.c. e art. 279 c.p.c.,n. 4. Nel sistema del codice, sia le decisioni su questioni di giurisdizione o dicompetenza, sia le decisioni su questioni pregiudiziali attinenti al processo o suquestioni preliminari di merito, sia le decisioni non esaurienti del merito, possonocostituire materia di sentenze non definitive, ai sensi dell’art. 279 c.p.c., comma 2, n.4, in relazione ai nn. 1, 2, 3 della stessa disposizione, e la stessa caratterizzazioneriveste la « condanna generica » di cui all’art. 278; tali sentenze, infatti, si qualificanocome sentenze « non definitive » suscettibili di impugnazione immediata o differitaai sensi degli artt. 340 e 361 c.p.c. Nel procedimento arbitrale, nel quale la categoriadelle questioni incidentali assume una sua autonomia rispetto al merito in funzionedell’esigenza della discriminazione tra le questioni suscettibili di decisione ad operadegli arbitri e questioni sottratte ratione materiae alla cognizione degli arbitri,l’impugnabilità immediata viene circoscritta, per volontà del legislatore della ri-forma, alle ipotesi di decisione non totale del merito, cioè alle ipotesi corrispondentialla previsione dell’art. 279 c.p.c., comma 2, nn. 3 e 4: e di tale differenziazionesembra costituire espressione formale il mancato riferimento da parte del legislatoredel 1994 alla nozione di non definitività » (Cass., 19 maggio 2000, n. 6522; v. ancheId., 7 febbraio 2007, n. 2715).

A tale proposito si osserva in particolare che l’art. 279, comma 2, n. 4,stabilisce che il collegio pronuncia sentenza quando, decidendo alcune dellequestioni di cui ai nn. 1 (decisioni di questioni di giurisdizione o di competenza),2 (decisioni di questioni pregiudiziali attinenti al processo o questioni preliminari

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di merito) e 3 (merito), non definisce il giudizio e impartisce distinti provvedimentiper l’istruzione della causa.

Nel caso di specie, dunque, al fine di valutare l’immediata impugnabilità omeno del lodo parziale che ha escluso la nullità ovvero l’inesistenza della clausolacompromissoria, occorre valutare se questo rientra in una delle ipotesi previstedall’art. 279, comma 2, n. 4, c.p.c.

La risposta non può che essere positiva dovendosi ritenere che il lodo parzialein esame, avendo riconosciuto il potere di decidere degli arbitri in virtù dellaesistenza di una clausola compromissoria intercorsa tra le parti, ha deciso unaquestione preliminare di merito ai sensi dell’art. 279, comma 2, n. 4, c.p.c. inriferimento alla ipotesi di cui allo stesso art. 279, comma 2, n. 2.

In questo senso la giurisprudenza di questa Corte, nel vigore della normativaarbitrale conseguente alla riforma introdotta dalla L. n. 25 del 1994, applicabile alcaso di specie, aveva ritenuto pacifico il principio secondo cui, « gli arbitri, anchenell’arbitrato rituale, non svolgono comunque una forma sostitutiva della giurisdi-zione né sono qualificabili come organi giurisdizionali dello Stato per cui laquestione relativa alla loro potestas iudicandi in ragione della esistenza di unaclausola compromissoria attiene al merito e non alla giurisdizione o alla compe-tenza in quanto i rapporti tra giudici ed arbitri non si pongono sul piano dellaripartizione del potere giurisdizionale tra giudici, ed il valore della clausola com-promissoria consiste proprio nella rinuncia alla giurisdizione ed all’azione giudi-ziaria; ne deriva che, ancorché formulata nei termini di decisione di accoglimento origetto di un’eccezione d’incompetenza, la decisione con cui il giudice, in presenzadi un’eccezione di compromesso, risolvendo la questione così posta, chiude o nonchiude il processo davanti a sé va riguardata come decisione pronunziata suquestione preliminare di merito perché inerente alla validità o all’interpretazione delcompromesso o della clausola compromissoria » (Cass., Sez. Un., 3 agosto 2000, n.527; Id., 27 maggio 2005, n. 11315; Id., 28 luglio 2004, n. 14234; Id., 30 dicembre2003, n. 19865; Id., Sez. Un., 3 ottobre 2002, n. 14223; Id., 21 novembre 2006, n.24681).

Il motivo va pertanto accolto.Sulla questione quindi della esistenza nel caso di specie di una clausola

arbitrale conferente agli arbitri la potestas iudicandi deve ritenersi formato ilgiudicato.

Gli altri motivi restano assorbiti dovendo le questioni da essi poste essererivalutate, alla luce della decisione assunta dalla presente sentenza, dalla Corted’appello di Catania in sede di rinvio che, in diversa composizione, provvedereanche a liquidare le spese del presente giudizio.

(Omissis).

Sull’impugnazione del lodo dichiarativo della competenza arbitrale.

1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte di cassazione si pro-nuncia sul regime d’impugnazione del lodo con il quale gli arbitri si sianolimitati a rigettare un’eccezione di difetto di potestas judicandi senza

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decidere il merito della lite (1). La vicenda sottoposta alla cognizione deigiudici di legittimità trae origine da un procedimento arbitrale nel qualegli arbitri, con un primo lodo del 4 luglio 2002, avevano rigettato l’ecce-zione d’incompetenza sollevata da una delle parti, disponendo la prose-cuzione del giudizio. Contro tale pronuncia non era stata intrapresa alcunainiziativa (non sappiamo se, nel corso del procedimento, le parti avesseroformulato una riserva d’impugnazione); il procedimento arbitrale eraquindi proseguito con l’esame del merito della controversia ed era statopoi definito con lodo del 22 dicembre 2003. Entrambe le decisioni eranostate impugnate dinanzi alla Corte d’appello di Catania, la quale ne avevadichiarato la nullità.

La sentenza veniva impugnata con ricorso per cassazione. Essa venivacensurata nella parte in cui i giudici catanesi, ritenendo tempestiva l’ini-ziativa intrapresa nei confronti della prima decisione, avevano ammessol’impugnazione congiunta di entrambi i lodi. Al Supremo Collegio venivadunque richiesto di stabilire se il lodo con cui gli arbitri avevano risoltopositivamente la questione inerente alla loro competenza fosse o menosuscettibile di impugnazione immediata.

Al quesito la Corte di cassazione dà una risposta positiva. Nellapropria motivazione, i giudici di legittimità affermano, nell’ordine, che: a)il disposto dell’art. 827 c.p.c. rende inutilizzabile, nel procedimento arbi-trale, l’istituto della riserva facoltativa d’impugnazione; b) il lodo con cuigli arbitri decidono una questione di merito deve essere qualificato comelodo parziale; c) la questione relativa alla sussistenza della potestas judi-candi arbitrale è questione sostanziale e pertanto il lodo che la decide deveessere considerato come lodo parziale di merito.

Sulla scorta di tali argomentazioni, la Corte di cassazione accoglie ilricorso, rilevando come il primo lodo dovesse essere impugnato immedia-tamente e non già insieme al lodo definitivo e, pertanto, che all’epoca incui era stata proposta l’impugnazione per nullità, la statuizione sullacompetenza arbitrale era ormai passata in giudicato.

2. Nel proprio iter argomentativo la Corte di cassazione muove dauna premessa, ossia la non configurabilità, nel procedimento apud arbi-tros, dell’istituto della riserva facoltativa d’impugnazione (sub a). Sulpunto, la pronuncia si pone in continuità con l’orientamento giurispru-

(1) La pronuncia segue, di poche settimane, la sentenza n. 4790 del 26 marzo 2012(consultabile in Juris data), con cui la stessa Sezione, chiamata a pronunciarsi sul medesimoquesito, è pervenuta a una conclusione diametralmente opposta, qualificando il lodo dichiara-tivo della competenza arbitrale come un lodo non definitivo su questione inerente all’ammis-sibilità della domanda, impugnabile solo unitamente al lodo definitivo. Nel medesimo senso, piùrecentemente, si è espressa anche la Corte d’appello di Roma, con la sentenza dell’11 aprile2013, edita in questa Rivista, 2013, 963, con nota di MARINUCCI, Note sul contrasto fra lodo nondefinitivo e lodo definitivo nel giudizio di impugnazione per nullità.

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denziale sviluppatosi all’indomani dell’intervento riformatore del 1994,secondo il quale la distinzione operata dall’art. 827 c.p.c. (come novellatodalla riforma) fra lodo parziale di merito e lodo non definitivo su que-stione avrebbe reso tale istituto inammissibile in sede arbitrale (2). Se-condo questo orientamento, il lodo non definitivo su questione, nonessendo suscettibile di impugnazione immediata, sarebbe stato censura-bile solo unitamente al lodo definitivo e senza la necessità di alcunariserva, mentre il lodo parziale di merito avrebbe dovuto ritenersi impu-gnabile immediatamente, essendo irrilevante la riserva d’impugnazioneeventualmente formulata nel corso del procedimento (3).

(2) Cass., 26 marzo 2012, n. 4790, cit.; Id., 3 febbraio 2006, n. 2444, in Rep. Giur. it., 2006,voce « Arbitrato », n. 143; Id., 22 febbraio 2002, n. 2566, in questa Rivista, 2002, 691, con notadi BOCCIOLETTI, Note sul divieto d’impugnazione immediata del lodo parziale.

Prima della legge n. 25 del 1994, la giurisprudenza, pur riconoscendo l’ammissibilità deilodi parziali su domande e dei lodi non definitivi su questioni, li riteneva entrambi impugnabilisolo unitamente alla pronuncia definitiva (Cass., Sez. Un., 2 maggio 1997, n. 3829, in Foro it.,1997, I, 1751; Id., Sez. Un., 9 giugno 1986, n. 3835, in Foro it., 1986, I, 1525 con nota senza titolodi BARONE; Id., 12 luglio 1979, n. 4020, in Giur. it., 1980, I, 1, 1695, con nota di LEVONI, Lacontroversa impugnabilità della sentenza arbitrale non definitiva). Tale orientamento era ilfrutto, da un lato, del principio di indivisibilità del lodo, il cui addentellato normativo eraravvisato nell’art. 830 c.p.c. (che, nella sua originaria formulazione, prevedeva che la Corted’appello, nell’accogliere l’impugnazione per nullità, dovesse dichiarare la « nullità del giudizioe della sentenza »); dall’altro, della convinzione che l’istituto della riserva facoltativa d’impu-gnazione, introdotto con la riforma del 1950, non trovasse applicazione in sede arbitrale.L’unica eccezione a questa regola era rappresentata dall’ipotesi in cui oggetto d’arbitratofossero più controversie relative a rapporti giuridici distinti e autonomi, le cui decisioni,proprio in quanto definitive, dovevano ritenersi immediatamente impugnabili (Id., 28 giugno1994, n. 6206, in Giust. civ., 1995, I, 462). In questo contesto si inserì la novella del 1994, con cuiil legislatore, dopo aver infranto il dogma dell’indivisibilità del lodo, introdusse, all’art. 827c.p.c., la distinzione fra « lodo che decide parzialmente il merito », immediatamente impugna-bile, e « lodo che risolve alcune delle questioni insorte senza definire il giudizio arbitrale »,impugnabile solo unitamente al lodo definitivo, prevedendo, all’art. 820 c.p.c., la possibilitàper gli arbitri che avessero pronunciato un « lodo non definitivo » di prorogare, per una solavolta e per non più di centottanta giorni, il termine per la decisione finale. Sull’argomentoCIPRIANI, Sentenze non definitive e diritto di impugnare (a proposito dell’art. 827 c.p.c.), inquesta Rivista, 1999, 225 ss. e RUFFINI, La divisibilità del giudizio arbitrale, ibid., 431 ss.; piùrecentemente, v. i contributi di DALFINO, Lodi non definitivi su questioni preliminari di merito,in AA. VV., Sull’arbitrato. Studi offerti a Giovanni Verde, Napoli, 2010, 303 ss. e di RUFFINI,BOCCAGNA, Sub art. 827 c.p.c., in Commentario breve al diritto dell’arbitrato nazionale edinternazionale, a cura di Massimo V. BENEDETTELLI, Claudio CONSOLO e Luca RADICATI DI

BROZOLO, Padova, 2010, 321 ss.(3) PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, II, Padova, 2000, 166 e 168; RUFFINI, op. ult.

cit., 440; MONTESANO, Sui lodi parziali di merito, in questa Rivista, 1994, 252; TARZIA, Sub art. 19l. 5 gennaio 1994, n. 25, in Legge 5 gennaio 1994, n. 25, a cura di Giuseppe TARZIA, RiccardoLUZZATTO ed Edoardo Flavio RICCI, Padova, 1995, 156. In senso contrario, per l’ammissibilità deldifferimento dell’impugnazione anche rispetto ai lodi parziali di merito non definitivi, v.FAZZALARI, La riforma dell’arbitrato, in questa Rivista, 1994, 10; ID., Sub art. 827 c.p.c., in Lanuova disciplina dell’arbitrato, a cura di Antonio BRIGUGLIO, Elio FAZZALARI e Roberto MA-RENGO, Milano, 1994, 194 e 195; LUISO, Le impugnazioni del lodo dopo la riforma, in questaRivista, 1995, 20. Di opinione ancora diversa CALIFANO, Il sistema d’impugnazione dei lodi nondefinitivi della nuova disciplina dell’arbitrato, ibid., 41, 42 e 56, secondo il quale l’art. 827 c.p.c.si sarebbe limitato a prevedere come meramente facoltativa la proposizione dell’impugnazioneimmediata avverso tali lodi, garantendo la possibilità di procrastinare la loro l’impugnazionesenza la necessità di formulare alcuna riserva; così pure LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e

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Con il provvedimento in esame, la Corte conferma l’orientamento inparola, individuandone il fondamento nella mancanza, nel procedimentoarbitrale, « dei presupposti pratici funzionali all’applicabilità dell’istitutopredetto (quello della riserva, n.d.r.), quali la comunicazione della sentenzaparziale da parte della cancelleria e la fissazione di un’udienza successiva aldeposito di detta sentenza, utile a segnare il termine finale per la formula-zione della riserva » (4). Invero, tale affermazione non appare pienamentecondivisibile, dal momento che, più che da ostacoli di carattere pratico (5),l’applicazione dell’istituto della riserva d’impugnazione sembra impeditadalla regola in forza della quale tutti i provvedimenti giurisdizionali sonoimmediatamente impugnabili; regola a cui, in virtù del disposto degli artt.340 e 361 c.p.c., si sottraggono soltanto l’appello e il ricorso per cassa-zione (6).

Tale orientamento sembra destinato a trovare una conferma anchenell’attuale contesto normativo. Il legislatore del 2006 si è infatti astenutodall’intervenire sul terzo comma dell’art. 827 c.p.c. e anzi ha inserito unanorma di tenore analogo nella disciplina del ricorso per cassazione (7).Pertanto, in assenza di una disposizione di segno opposto, l’alternativa

l’esperienza, Milano, 1999, 153. Recentemente, questi rilievi sono stati ripresi da VERDE,Lineamenti di diritto dell’arbitrato, 3ª ed., Torino, 2010, 187 e 188, secondo il quale, contraria-mente all’intenzione del legislatore, la formulazione dell’art. 827 c.p.c. parrebbe esprimere unamera facoltà e non un obbligo. In senso contrario v. però CIPRIANI, op. ult. cit., 240, il quale rilevache, in caso di cumulo oggettivo di domande o di litisconsorzio facoltativo, la domanda sullaquale sia pronunciato un lodo parziale è una domanda che, se proposta autonomamente in ungiudizio ad hoc, sarebbe decisa con un lodo definitivo immediatamente impugnabile, sicché nonsarebbe corretto consentire alla parte soccombente di sfruttare la presenza di altre domande perposticipare l’impugnazione.

(4) In tal senso Cass., 26 marzo 2012, n. 4790, cit.; Id., 28 agosto 1995, n. 9028, in Rep.Giur. it., 1995, voce « Arbitrato », n. 147 e Id., Sez. Un., 9 giugno 1986, n. 3835, cit., 1525.

(5) I quali non sembrano insormontabili, essendo sufficiente — in ipotesi — che inseguito alla comunicazione del lodo ed entro il termine d’impugnazione (breve o lungo, aseconda che la decisione sia notificata) la parte soccombente porti a conoscenza dell’altra, conogni mezzo idoneo, la propria volontà di differire l’impugnazione del lodo; cfr. FAZZALARI, op.loc. ult. cit. e LUISO, op. ult. cit., 22. Critico sul punto è VERDE, op. loc. ult. cit., ad avviso del qualeciò si tradurrebbe nell’imposizione di un onere (e in una conseguente decadenza) non previstodalla legge.

(6) Cfr. Cass., 22 febbraio 2002, n. 2566, cit.; in dottrina, CIPRIANI, op. loc. ult. cit. Inassenza di una previsione di tenore identico a quelle contenute nelle norme di cui al testo,l’applicazione analogica di queste ultime all’arbitrato avrebbe potuto giustificarsi solo assimi-lando l’impugnazione per nullità a uno dei due mezzi d’impugnazione (PUNZI, op. ult. cit., 167);soluzione, questa, difficilmente percorribile nel contesto successivo alla novella del 1994, nelquale il giudizio d’impugnazione del lodo era considerato come un giudizio in unico gradoavente ad oggetto la validità di un atto negoziale (Id., 1 luglio 2004, n. 12031, in Giust. civ., 2005,I, 2098; in dottrina, TARZIA, op. loc. ult. cit.).

(7) L’art. 360, 3º comma, c.p.c. (introdotto ex novo dal d.lgs. n. 40 del 2006) escludeinfatti l’immediata ricorribilità per cassazione delle « sentenze che decidono di questioni insortesenza definire, neppure parzialmente il giudizio », prevedendo che « il ricorso per cassazioneavverso tali sentenze può essere proposto, senza necessità di riserva, allorché sia impugnata lasentenza che definisce, anche parzialmente, il giudizio »; sul punto BOCCAGNA, Sub art. 827 c.p.c.,in La nuova disciplina dell’arbitrato, a cura di Sergio MENCHINI, Padova, 2010, 452.

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continua ad essere fra il lodo non definitivo su questione, la cui impugna-zione è automaticamente differita (8), e il lodo parziale di merito, la cuiimmediata impugnazione non ammette riserve (9).

3. Compiuta tale premessa, la Corte si sofferma poi sulla nozione di« lodo che decide parzialmente il merito della controversia » (sub b).

Nel contesto successivo alla novella del 1994, tale nozione, al pari diquella di « lodo che risolve alcune delle questioni insorte senza definire ilgiudizio arbitrale », va individuata sulla base del combinato dispostodell’art. 827, 3º comma, c.p.c. e dell’art. 816, ult. comma, c.p.c. (applicabileratione temporis), a mente del quale, fatta eccezione per l’ipotesi di cuiall’art. 819 c.p.c., « su tutte le questioni » che si fossero presentate « nelcorso del procedimento » gli arbitri avrebbero dovuto provvedere « conordinanza non soggetta a deposito e revocabile ».

Per la quasi totalità degli interpreti, il disposto dell’art. 827 c.p.c.confermava la distinzione fra i provvedimenti di carattere istruttorio oordinatorio, i quali avrebbero dovuto essere resi con l’ordinanza revoca-bile di cui all’art. 816 c.p.c., e i provvedimenti resi su domande, suquestioni pregiudiziali di rito e su questioni preliminari di merito (cioèquei provvedimenti con cui fossero state decise questioni idonee, ancheastrattamente, a definire il giudizio, fra i quali rientrava la pronunciasull’eccezione d’incompetenza (10)), i quali avrebbero richiesto inderoga-bilmente la forma del lodo (11). E alla distinzione operata dal terzo

(8) Fermo restando che, nell’ipotesi in cui al lodo su questione faccia seguito un lodoparziale non definitivo, la prima pronuncia deve essere necessariamente impugnata unitamentealla seconda; cfr. CALIFANO, Le vicende del lodo: impugnazione e correzione, in Diritto dell’ar-bitrato, a cura di Giovanni Verde, Torino, 2005, 480 e 481 e, più recentemente, PUNZI, Disegnosistematico dell’arbitrato, II, 2ª ed., Padova, 2012, 504.

(9) PUNZI, Disegno sistematico, cit., II, 2012, 503; ID., Il processo civile. Sistema eproblematiche, III, 2ª ed., Torino, 2010, 224; CONSOLO, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi,3ª ed., Padova, 2012, 526; COMOGLIO, Lodo parziale e lodo non definitivo dopo l’ultima riforma,in Riv. dir. proc., 2009, 610 ss. e 615 e, sia pur dubitativamente, VERDE, op. loc. ult. cit. Perl’applicazione dell’istituto della riserva d’impugnazione v. invece ZUCCONI GALLI FONSECA, Subart. 827 c.p.c., in Arbitrato. Titolo VIII libro IV codice di procedura civile - artt. 806 - 840, a curadi Federico CARPI, 2ª ed., Bologna 2007, 667 ss. Ora, non v’è dubbio che l’ultima riforma abbiaapportato un contributo non secondario al processo di « giurisdizionalizzazione » dell’arbitratorituale; tuttavia, anche nel novellato contesto normativo sembra difficile assimilare pienamentel’impugnazione per nullità del lodo all’appello o al ricorso per cassazione. Del resto, a fronte deldibattito dottrinale sull’argomento (cfr. nota 3), il legislatore del 2006 avrebbe ben potutointervenire sulla materia ed estendere l’istituto della riserva d’impugnazione al giudizio arbi-trale; il fatto che egli abbia lasciato inalterato l’art. 827 c.p.c. è un dato che non può esseretrascurato.

(10) Cfr. ACONE, Arbitrato e competenza, in questa Rivista, 1996, 243; SCHIZZEROTTO,Dell’arbitrato, 3ª ed., Milano, 1988, 544; ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, 3ªed., Napoli, 1964, 835. Per il carattere decisorio del provvedimento reso su tale eccezione v. larisalente Cass., Sez. Un., 19 luglio 1957, n. 3050, in Giust. civ., 1957, I, 1460, in motivazione.

(11) PUNZI, Disegno sistematico, cit., II, 2000, 71; TARZIA, op. ult. cit., 155; RUFFINI, op. ult.cit., 439. Secondo CALIFANO, Il sistema d’impugnazione dei lodi, cit., 39, la riprova di taledistinzione sarebbe stata rinvenibile nella diversità di formulazione fra gli artt. 816 e 827 c.p.c.:

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comma dell’art. 827 c.p.c. fra lodo parziale di merito e lodo non definitivosu questione sarebbe corrisposta la distinzione fra domanda e questione,nel senso che la prima qualifica avrebbe dovuto essere riferita ai lodi concui gli arbitri avessero deciso una o più domande o uno o più capi didomanda (dunque a lodi attributivi di un bene della vita, produttivi dieffetti giuridici nella sfera giuridica dei litiganti e idonei ad essere portatiin esecuzione nei confronti della parte soccombente (12)), mentre laseconda sarebbe stata attribuibile alle pronunce con cui gli arbitriavessero risolto in senso non ostativo alla prosecuzione del giudizio una opiù questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito (ossia a lodi lacui emanazione, pur non esaurendo il potere decisorio degli arbitririspetto alla controversia, avrebbe loro impedito loro di « ripensare »quanto deciso (13)) (14). Nella nozione di lodo parziale di merito sareb-bero quindi ricadute le pronunce rese ai sensi degli artt. 277, 2º comma e

la prima norma, nel riferirsi alle questioni postesi nel corso « del procedimento », conteneva,infatti, un implicito riferimento alla fase istruttoria, mentre la seconda, nel prevedere la formadel lodo in relazione alle questioni insorte « nel giudizio arbitrale », presupponeva il passaggioalla fase di decisione. Così anche ZUCCONI GALLI FONSECA, Sub art. 827 c.p.c., in Arbitrato.Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile - artt. 806 - 840, a cura diFederico CARPI, Bologna, 2001, 538 e RASCIO, La decisione, in Diritto dell’arbitrato a cura diGiovanni VERDE, Torino, 2005, 403, 404 e 405, secondo il quale la non fungibilità fra ordinanzae lodo non definitivo sarebbe stata suffragata dal tenore dello stesso art. 816 c.p.c., che, vietandoil ricorso all’ordinanza per le questioni pregiudiziali non compromettibili, escludeva tale formaproprio con riferimento a questioni idonee, per eccellenza, a definire il giudizio. Tale circo-stanza, secondo l’A., avrebbe circoscritto l’ambito di applicazione delle ordinanze ex art. 816c.p.c. alle sole questioni che non fossero state idonee, neppure astrattamente, a chiudere ilprocedimento. Sul punto anche CIPRIANI, op. ult. cit., 248 e 249. In senso difforme v. però LA

CHINA, op. ult. cit., 140 e 141, per il quale il grado di stabilità della decisione conseguenteall’adozione del lodo o dell’ordinanza sarebbe dipeso unicamente della volontà degli arbitri(cioè da una loro valutazione di opportunità) e non già dal tipo di questione risolta, nonchéCAVALLINI, Questioni preliminari di merito e lodo non definitivo nelle riforma dell’arbitrato, inRiv. dir. proc., 1995, 1151, per il quale sarebbe stata invece determinante la volontà delle parti,nel senso che gli arbitri avrebbero dovuto risolvere ogni questione adottando la formadell’ordinanza revocabile, salvo che le parti non li avessero autorizzati, ai sensi dell’art. 816, 2ºcomma, c.p.c., a decidere con lodo interlocutorio.

(12) LUISO, op. ult. cit., 20; CALIFANO, Il sistema d’impugnazione dei lodi, cit., 41; ID., Levicende del lodo: impugnazione e correzione, cit., 468; RASCIO, op. ult. cit., 401.

(13) Tali lodi sono infatti vincolanti nella prosieguo del giudizio arbitrale, nel senso checon il lodo parziale o il lodo definitivo che vengano resi successivamente gli arbitri non possonodisattendere la loro precedente statuizione; cfr. LUISO, op. ult. cit., 13; ID., Intorno agli effetti deilodi non definitivi o parzialmente definitivi (nota ad Arbitro unico Vercelli, 20 febbraio 1997), inquesta Rivista, 1998, 594; CAVALLINI, op. ult. cit., 1159 e, da ultimo, DALFINO, op. ult. cit., 318.Inoltre, laddove essi non siano impugnati unitamente alla pronuncia definitiva (o laddovel’impugnazione venga rigettata), il giudice, quand’anche pronunci la nullità del lodo definitivoper vizi suoi propri, non potrebbe compiere un nuovo esame delle questioni decise con lapronuncia non definitiva, la cui efficacia conformativa rimane estesa anche all’eventuale faserescissoria; cfr. RUFFINI, op. ult. cit., 443 e, più recentemente, ZUCCONI GALLI FONSECA, Sub art.827 c.p.c., in Arbitrato, cit., 2007, 670.

(14) FAZZALARI, op. loc. ult. cit.; PUNZI, Disegno sistematico, cit., II, 2000, 72; LUISO, Leimpugnazioni del lodo, cit., 18; CIPRIANI, op. ult. cit., 239; RUFFINI, op. ult. cit., 437; RASCIO, op.ult. cit., 402; CALIFANO, Il sistema d’impugnazione dei lodi, cit., 40; ID., Le vicende del lodo:impugnazione e correzione, cit., 468.

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279, 2º comma, n. 5, c.p.c. (15), mentre nella nozione di lodo non definitivosu questioni quelle riconducibili all’art. 279, 2º comma, n. 4, c.p.c. (16).

Nel provvedimento che qui si annota, la Corte di cassazione sidiscosta da tale orientamento. Richiamandosi ad alcuni propri precedenti,il Supremo Collegio afferma, infatti, che « nel procedimento arbitrale ...l’impugnabilità immediata viene circoscritta, per volontà del legislatoredella riforma, alle ipotesi di decisione non totale del merito, cioè alle ipotesicorrispondenti alla previsione dell’art. 279 c.p.c., comma 2, nn. 3 e 4 ».Nella nozione di lodo parziale di merito vengono quindi ricondotte nonsolo le pronunce rese ai sensi degli artt. 277, 2º comma e 279, 2º comma,n. 5, c.p.c. (ossia le decisioni su domande oggettivamente o soggettiva-mente connesse), ma anche le decisioni rese ai sensi dell’art. 279, 2ºcomma, n. 4, c.p.c., più precisamente quelle aventi ad oggetto « questionipreliminari di merito » di cui all’art. 279, 2º comma, n. 2, c.p.c.; decisioniche, se rese in sede ordinaria, sarebbero sottoposte al regime dellepronunce non definitive (17). Tale conclusione appare come il portatodella formulazione dell’art. 827 c.p.c., che, nel riferirsi alle decisioniparziali di merito, sembrerebbe non consentire alcuna distinzione fra lodosu domanda e lodo su questione.

La decisione in commento evidenzia una sensibile differenza rispettoalla disciplina del processo ordinario, nella quale il regime dell’impugna-zione della sentenza non definitiva prescinde dal suo contenuto (18);

(15) E ciò indipendentemente dal provvedimento di liquidazione delle spese e di sepa-razione del giudizio che gli arbitri avessero emesso contestualmente alla decisione: nessunadistinzione sarebbe stata infatti configurabile fra lodi parziali non definitivi e lodi parzialidefinitivi; cfr. PUNZI, Disegno sistematico, cit., II, 2000, 73 e 74; MONTESANO, op. ult. cit., 249 e,dopo l’ultima riforma, ZUCCONI GALLI FONSECA, Sub art. 827 c.p.c., in Arbitrato, cit., 2007, 660 e661. Ai fini dell’impugnazione, il lodo parziale di merito non sarebbe stato diverso, quindi, dallodo con cui gli arbitri avessero deciso una o più domande non connesse fra loro benchérientranti nella medesima convezione arbitrale, il quale è di norma considerato come pronunciadefinitiva (Cass., 18 aprile 2000, n. 4992, in Rep. Giur. it., 2000, voce « Arbitrato », n. 166). Ciòcontrariamente a quanto accade in sede ordinaria, dove le sentenze parziali vengono qualificatecome definitive o non definitive a seconda che il giudice disponga la separazione delle cause eprovveda alla liquidazione delle spese; cfr. Id., Sez. Un., 1 marzo 1990, n. 1577, in Foro it., 1990,I, 836. Sul punto v. COMOGLIO, op. ult. cit., 607 e 608.

(16) PUNZI, Disegno sistematico, cit., II, 2000, 74; LUISO, Le impugnazioni del lodo, cit., 18;CALIFANO, Il sistema d’impugnazione dei lodi, cit., 40 e 41; RASCIO, op. loc. ult. cit.

(17) Ad esempio, il lodo con cui gli arbitri rigettino un’eccezione di prescrizione. Ingiurisprudenza v. Cass., 7 febbraio 2007, n. 2715, in questa Rivista, 2007, 581, con nota diOCCHIPINTI, La cassazione conferma i propri orientamenti in tema di impugnazione del lodo pernullità e Id., 16 maggio 2000, n. 6522, in Giur. it., 2001, 254. In dottrina, sia pur limitatamentealle eccezioni di merito in senso proprio, la tesi è sostenuta da MONTESANO, op. ult. cit., 250 e253, da TARZIA, op. loc. ult. cit. e da LA CHINA, op. loc. ult. cit. Contra v. gli autori citati alla nota14 e, in particolare, RASCIO, op. loc. ult. cit., per il quale il tenore letterale dell’art. 827 c.p.c. nonlegittimerebbe alcuna distinzione fra eccezioni in senso stretto ed eccezioni in senso lato, postoche entrambi i tipi di eccezione danno origine a questioni astrattamente idonee a definire ilgiudizio.

(18) ZUCCONI GALLI FONSECA, Sub art. 827 c.p.c., in Arbitrato, cit., 2007, 656. Comericordato poc’anzi (cfr. nota 15), nel giudizio ordinario il regime d’impugnazione delle decisioni

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differenza le cui ragioni dovrebbero ricercarsi, ad avviso della Corte, nel« mancato riferimento da parte del legislatore del 1994 alla nozione di nondefinitività » (19).

Pur nella sua (apparentemente maggiore) aderenza al dettato norma-tivo (20), essa non presenta alcuna utilità: essa non risponde alla necessitàdi salvaguardare la posizione della parte soccombente sulla questionepreliminare dal momento che, contrariamente al caso del lodo su do-manda, non vi è alcun rischio che la decisione venga messa in esecu-zione (21); inoltre, essa paga un prezzo molto alto in termini di economiaprocessuale, posto che, stante l’inammissibilità della riserva d’impugna-zione, ogni decisione su questione preliminare di merito deve essereimpugnata immediatamente, a prescindere da una concreta soccombenzadella parte che tale questione abbia sollevato (22).

Si è già detto che la formulazione dell’art. 827 c.p.c. è rimastainalterata anche dopo l’ultimo intervento riformatore (23); è però mutatala disciplina delle ordinanze, prima contenuta all’art. 816 c.p.c. e oggitrasfusa nell’ultimo comma del nuovo art. 816 bis c.p.c. Il legislatore del2006 ha infatti modificato la vecchia disposizione, prevedendo che su tuttele questioni che si presentano nel corso del procedimento gli arbitriprovvedono con ordinanza revocabile non soggetta a deposito « se nonritengono di provvedere con lodo non definitivo ». Il tenore della normasembrerebbe rimettere agli arbitri ogni valutazione in ordine all’opportu-nità di adottare la forma del lodo piuttosto che quella dell’ordinanza; perla dottrina maggioritaria, con questa disposizione il legislatore avrebbeinfatti sancito la piena fungibilità di queste due forme rispetto alle deci-sioni sulle questioni pregiudiziali di rito e sulle preliminari di merito (24).

parziali dipende dal provvedimento di separazione delle cause e di liquidazione delle spese;circostanza, questa, che è invece irrilevante in sede arbitrale.

(19) In tal senso già Cass., 7 febbraio 2007, n. 2715, cit.(20) Secondo LUISO, L’oggetto del processo arbitrale, in questa Rivista, 1996, 677 e

RUFFINI, op. ult. cit., 443, imponendo l’immediata impugnazione del lodo su questione prelimi-nare di merito, si finisce però per costringere la Corte d’appello a « cimentarsi » su di unacontroversia che, proprio per la sua natura, in sede giurisdizionale non potrebbe essere dedottain via autonoma.

(21) LUISO, Le impugnazioni del lodo, cit., 19 e RASCIO, op. loc. ult. cit.(22) PUNZI, Disegno sistematico, cit., II, 2000, 75; così pure RUFFINI, op. ult. cit., 437, nt. 21.

Sul punto v. anche MONTESANO, op. ult. cit., 253.(23) Il che ha indotto gli interpreti a confermare il proprio pregresso orientamento in

ordine alla distinzione fra lodo parziale di merito e lodo non definitivo su questioni (v. nota 14);cfr. PUNZI, Disegno sistematico, cit., II, 2012, 387 e ZUCCONI GALLI FONSECA, Sub art. 827 c.p.c.,in Arbitrato, cit., 2007, 659 e 662; più recentemente MARINUCCI, Note sul contrasto, cit., 970.

(24) Cfr. PUNZI, Disegno sistematico, cit., II, 2012, 386; ID., Il processo civile, cit., 212;VERDE, op. ult. cit., 148; LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, 4º ed., Milano, 2011, 232;ZUCCONI GALLI FONSECA, Sub art. 827 c.p.c., in Arbitrato, cit., 2007, 658; BOCCAGNA, op. ult. cit.,452 e 453; GHIRGA, Sub art. 816 bis c.p.c., in La nuova disciplina dell’arbitrato, a cura di SergioMENCHINI, Padova, 2010, 212, secondo la quale la discrezionalità degli arbitri troverebbecomunque un limite nella regolamentazione imposta dalle parti ai sensi del medesimo art. 816bis c.p.c.

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Non mancano, tuttavia, coloro i quali, anche dopo la riforma, continuanoa ritenere che la scelta fra lodo e ordinanza dipenda dalla natura dellaquestione decisa e che, pertanto, tutte le questioni astrattamente idonee adefinire il giudizio vadano decise con la forma del lodo (25).

Stante all’ampia nozione di lodo parziale adottata dalla Corte dicassazione, è di tutta evidenza che l’opzione per l’una o per l’altrainterpretazione rileva non solo sotto il profilo dell’impugnazione delprovvedimento (26), ma anche sotto il profilo della sua stabilità nel pro-sieguo del giudizio (27).

(25) COMOGLIO, op. ult. cit., 609, per il quale anche nel novellato contesto l’ordinanzaconserverebbe natura di provvedimento ordinatorio, e G.F. RICCI, Sub art. 816 bis c.p.c., inArbitrato. Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile - artt. 806 - 840, acura di Federico CARPI, Bologna, 2007, 405 ss., secondo cui la forma dell’ordinanza revocabilemal si concilierebbe con la risoluzione di questioni « di per sé idonee a chiudere il giudizio equindi destinate ad una stabilità ». In senso conforme anche DALFINO, op. ult. cit., 315 e 316, adavviso del quale contro la tesi maggioritaria militerebbe il combinato disposto del nuovo art. 816bis c.p.c. e dell’art. 827 c.p.c., la cui formulazione è rimasta invariata. Secondo l’A., con l’inciso« se non ritengono di provvedere con lodo non definitivo » il legislatore non avrebbe fatto altroche sancire il potere degli arbitri di scegliere se risolvere immediatamente la questione (di ritoo di merito) con lodo non definitivo oppure rinviarne la decisione insieme al lodo definitivo (maper la sussistenza di un simile potere anche prima della riforma v. LUISO, Intorno agli effetti deilodi non definitivi, cit., 595 ss.), con la conseguenza che, una volta optato per la primaalternativa, nessuna discrezionalità residuerebbe in capo agli arbitri, i quali sarebbero vincolatiall’emanazione di un lodo non definitivo; così anche TOTA, Sub art. 816 bis c.p.c., in Commen-tario alle riforma del processo civile, a cura di Antonio BRIGUGLIO e Bruno CAPPONI, III, 2º tomo,Padova, 2009, 707 ss. Critico in proposito PUNZI, Disegno sistematico, cit., II, 2012, 387, secondoil quale la formulazione dell’art. 816 bis, ult. comma, c.p.c. non lascerebbe spazio a interpreta-zioni di segno diverso.

(26) Sia pur limitatamente a quello reso su questioni preliminari di merito, essendo illodo non definitivo su pregiudiziali di rito impugnabile solo unitamente al lodo definitivo.Peraltro, come rileva BOCCAGNA, op. loc. ult. cit., laddove si opti per la piena fungibilità fra lodoe ordinanza, sarebbe necessario stabilire se il lodo sia scomponibile in tante parti quante sonole questioni esaminate dagli arbitri; ciò al fine di capire se, onde evitare il passaggio in giudicatodi tutta la decisione, la parte soccombente sia comunque onerata dall’impugnare ogni singolapronuncia su questione, anche se resa con ordinanza (in tal senso RUFFINI, op. ult. cit., 443 e 444),oppure se la minima unità strutturale in grado di dar vita ad un autonomo potere (e quindi adun onere) d’impugnazione sia sempre e solo il lodo (CONSOLO, op. ult. cit., 540). In tal caso,infatti, la Corte d’appello potrebbe riesaminare le questioni tutte le volte in cui esse siano decisecon semplice ordinanza, essendo il riesame precluso solo laddove su di esse sia pronunciato unlodo e questo non sia impugnato.

(27) Come rilevato da autorevole dottrina (PUNZI, Disegno sistematico, cit., II, 2012,504), il legislatore dell’ultima riforma ha mancato di regolare la sorte del lodo non definitivo suquestione nel caso in cui il procedimento arbitrale non giunga a una pronuncia definitiva oparziale. Secondo un orientamento consolidato, i lodi non definitivi su questioni sarebberoincapaci di sopravvivere all’“estinzione” del giudizio arbitrale, essendo sforniti di quell’efficaciapanprocessuale che tradizionalmente è attribuita alle sentenze su questioni; ciò in ragionedell’impossibilità di esperire contro di essi l’impugnazione immediata e dell’assenza di normeeccezionali quali gli artt. 310 c.p.c. e 129 disp. att. c.p.c. (in argomento v. MONTESANO, op. ult.cit., 251 e CAVALLINI, op. ult. cit., 1157 ss. e 1159). Ora, se si dovesse dare continuità a taleorientamento (cfr. ZUCCONI GALLI FONSECA, Sub art. 827 c.p.c., in Arbitrato, cit., 2007, 670), lascelta fra la forma del lodo e quella dell’ordinanza esplicherebbe i propri effetti esclusivamentein ambito endoprocedimentale, rilevando solo ai fini della (im)possibilità per gli arbitri diritornare sulla questione già decisa. Se invece si accedesse all’opinione, prospettata all’indo-mani della recente riforma, secondo la quale il lodo non definitivo avrebbe gli stessi effetti

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4. Precisata la nozione di lodo parziale di merito, i giudici dilegittimità si domandano se la pronuncia con cui gli arbitri abbiano decisosolo l’eccezione d’incompetenza possa rientrare nella previsione di cuiall’art. 279, 2º comma, n. 4, c.p.c. (sub c). La risposta al quesito non puòche essere positiva, dal momento che — afferma il Supremo Collegio —la questione inerente alla sussistenza della potestas judicandi arbitraledeve essere qualificata come questione preliminare di merito. Taleaffermazione è frutto dell’orientamento consolidatosi in seguito allariforma del 1994, allorquando la Corte di cassazione, dopo aver a lungoconsiderato l’eccezione in parola come eccezione di natura proces-suale (28), attribuì all’istituto arbitrale un carattere tout court negoziale eprese a considerare l’exceptio compromissi come eccezione di naturasostanziale (29). Indipendentemente dalla condivisibilità di questo as-sunto (30), è evidente che se la questione di « competenza » integra inrealtà una questione preliminare di merito (31), allora anche il lodo che ladecide deve essere considerato a tutti gli effetti come un lodo di merito e— stante l’ampia nozione di lodo parziale adottata dalla Corte — essodeve ritenersi impugnabile immediatamente ai sensi dell’art. 827, 3º

conformativi previsti per le sentenze non definitive (in tal senso DALFINO, op. ult. cit., 321), lascelta fra la forma del lodo e quella dell’ordinanza sarebbe chiaramente foriera di ben piùrilevanti conseguenze.

(28) Riconducendo i rapporti fra arbitrato e processo ordinario alla categoria dellacompetenza; cfr. Cass., 15 settembre 2000, n. 12175, in Giur. it., 2001, I, 1, 2035, con nota diNELA, Arbitrato rituale e regolamento necessario di competenza; Id., 8 febbraio 1999, n. 1079, inForo it., 2000, I, 2308, con nota di DE SANTIS, In tema di rapporti tra giudice ordinario e arbitri;Id., 23 gennaio 1990, n. 354, in questa Rivista, 1991, 79, con nota di MIRABELLI, Regolamento oricorso per cassazione per incompetenza dell’arbitro; Id., 27 luglio 1957, n. 3167, in Riv. dir. proc.,1958, 244, con nota di COLESANTI, Cognizione sulla validità del compromesso in arbitri; Id., Sez.Un., 9 maggio 1956, n. 1505, in Foro it., 1956, I, 847, con nota di ANDRIOLI, Procedura arbitralee regolamento di giurisdizione.

(29) Aderendo così alla tesi sostenuta da una parte della dottrina (per tutti PUNZI,Disegno sistematico, cit., II, 2000, 142). In tal senso Cass., Sez. Un., 3 agosto 2000, n. 527, inquesta Rivista, 2000, 699, con nota di FAZZALARI, Una svolta attesa in ordine alla « natura »dell’arbitrato rituale; in Riv. dir. proc., 2001, 254, con nota di E.F. RICCI, La « natura »dell’arbitrato rituale e del relativo lodo: parlano le Sezioni Unite. Nello stesso senso v. lesuccessive Id., Sez. Un., 5 dicembre 2000, n. 1251, in Corr. giur., 2001, 1448, con nota di CONSOLO

e MURONI, L’eccezione di arbitrato rituale come eccezione « di merito » e la supposta inammis-sibilità del regolamento di competenza; Id., 1 febbraio 2001, n. 1403, in Giur. it., 2001, I, 1, 2035,con nota di NELA, Arbitrato rituale, cit.; Id., Sez. Un., 25 giugno 2002, n. 9289, in questa Rivista,2002, 511, con nota di BRIGUGLIO, Le Sezioni Unite ed il regime della eccezione fondata suaccordo compromissorio e in Giust. civ., 2003, 717, con nota di PUNZI, Natura dell’arbitrato eregolamento di competenza e, infine, Id., 5 gennaio 2007, n. 35, in Riv. dir. proc., 2007, 1293, connota di E. F. RICCI, La Cassazione si pronuncia ancora sulla convenzione di arbitrato rituale: tral’attaccamento a vecchi schemi e qualche incertezza concettuale.

(30) Sul punto, si vedano gli scritti di E.F. RICCI, fra cui La « natura » dell’arbitrato ritualee del relativo lodo, cit., 259 ss.; La never ending story della natura negoziale del lodo: ora laCassazione risponde alle critiche, in Riv. dir. proc., 2003, 557 ss.; La Cassazione si pronunciaancora sulla convezione di arbitrato rituale, cit., 1294 ss.

(31) In questi termini Cass., 21 novembre 2006, n. 24681, in Rep. Giur. it., 2006, voce« Arbitrato », n. 88 e Id., 28 luglio 2004, n. 14234, in Mass. Giur. it., 2004, 1118 e 1119, entrambecitate nella motivazione.

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comma, c.p.c. (32). Donde la tardività, nel caso di specie, dell’impugna-zione proposta nei confronti del primo lodo ed il conseguente passaggioin « giudicato » della decisione resa sull’eccezione d’incompetenza.

Su questo punto, non possiamo non dare evidenza di quanto statuitodalla sentenza n. 4790 del 26 marzo 2012, con cui la stessa Sezione,qualificando la questione inerente alla sussistenza della potestas judicandiarbitrale come questione pregiudiziale attinente all’ammissibilità delladomanda, ha opinato nel senso della impugnabilità del lodo dichiarativodella competenza arbitrale solo unitamente al lodo definitivo (33). A fronte

(32) Nel medesimo senso, sia pur con riferimento ad una vicenda parzialmente diversa,App. Milano, 9 giugno 1998, in questa Rivista, 2000, con nota di DANOVI, Lodi non definitivi elimiti soggettivi di efficacia del patto compromissorio. Non sembra, invece invocabile Cass., Sez.Un., 19 luglio 1957, n. 2050, cit., 1460, con cui i giudici di legittimità avevano ritenutosuscettibile di impugnazione immediata il lodo con cui gli arbitri si erano dichiarati competentia conoscere della domanda proposta in via principale, disponendo la sospensione del procedi-mento a fronte di un’eccezione di nullità di un brevetto. Tale ultimo precedente risulta infattiemesso all’indomani della novella del 1950, in un momento in cui parte della dottrina e dellagiurisprudenza di merito avevano ritenuto che, di fronte all’intervento riformatore, la regoladell’impugnabilità immediata delle sentenze dovesse trovare applicazione anche in sedearbitrale. Come noto, tale orientamento è stato poi sconfessato dalla Corte di cassazione nellecelebre sentenza n. 4020 del 12 luglio 1979, con cui la Corte, argomentando sulla basedell’inapplicabilità all’arbitrato degli artt. 340 e 361 c.p.c., confermò l’operatività in sedearbitrale del principio di concentrazione delle impugnazioni e dunque l’inammissibilità dell’im-pugnazione immediata nei confronti dei lodi parziali; cfr. Id., 12 luglio 1979, n. 4020, cit., 1707e 1708.

(33) Cass., 26 marzo 2012, n. 4790, cit. La fattispecie era pressoché identica a quelladecisa nel provvedimento in esame. Anche in questo caso, infatti, il collegio arbitrale aveva resoun primo lodo con cui si era dichiarato regolarmente costituito nonché competente a conoscerela controversia, al quale era seguita la decisione sul merito della lite ed entrambe le decisionierano state impugnate congiuntamente dinanzi alla Corte d’appello. Va tuttavia precisato che,dall’esame della motivazione, non è chiaro se la conclusione cui pervengono i giudici dilegittimità sia il frutto della natura processuale attribuita alla questione di competenza, piuttostoche di una rimeditazione della nozione di lodo su questione e di lodo parziale (su cui ci siamointrattenuti poc’anzi), anche se il richiamo alle categoria dell’ammissibilità e della procedibilitàinduce a privilegiare la prima lettura.

Nello stesso senso e sempre con riferimento alla disciplina anteriore alla riforma del 2006,v. App. Roma, 11 aprile 2013, cit. Da segnalare anche Cass., 19 agosto 2004, n. 16205, in Arch.giur. oo. pp., 2004, 265. Questa pronuncia trae origine da una fattispecie nella quale gli arbitriavevano reso un lodo con cui avevano rigettato l’eccezione di nullità della clausola compro-missoria e, al contempo, pronunciato la risoluzione del contratto sul quale era sorta lacontroversia. Per la Corte di cassazione, tale decisione costituiva un lodo parziale di merito (inforza del capo risolutorio), con la conseguenza che, data l’impossibilità di scindere in momentidiversi l’impugnazione di un unico provvedimento (sull’impugnazione dei lodi a contenuto“misto” v. COMOGLIO, op. ult. cit., 614), essa avrebbe dovuto ritenersi impugnabile immediata-mente anche nella parte con cui gli arbitri avevano rigettato l’eccezione d’incompetenza. Nellapropria motivazione, la Corte ha però specificato che detto lodo non sarebbe stato suscettibiledi impugnazione immediata laddove si fosse limitato a rigettare l’eccezione di nullità,dal momento che, in tal caso, esso non avrebbe inciso sul merito della lite. Per l’inammissibilitàdell’impugnazione proposta nei confronti del lodo dichiarativo della competenza arbitralev. anche Cass., 9 agosto 1983, n. 5311, in Rass. avv. Stato, 1983, I, 702, la cui motivazionerisulta però fondata sul principio di indivisibilità del lodo (cfr. nota 2). In dottrina la naturanon definitiva del lodo dichiarativo della competenza arbitrale è sostenuta da TARZIA, op. loc.ult. cit.

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di tale contrasto, non resta che auspicare un intervento risolutore da partedelle Sezioni Unite, nella speranza che il Supremo Collegio colga l’occa-sione per fare chiarezza sul punto anche con riferimento alla situazioneattuale, tenendo conto cioè delle significative novità introdotte con il d.lgs.n. 40 del 2006 (sulle quali ritorneremo infra).

In attesa di tale intervento, riteniamo opportuno compire un’ulterioreriflessione, che ci è indotta dal passaggio della motivazione in cui la Cortefa riferimento alla formazione del « giudicato ».

Invero, è probabile che, nell’utilizzare tale termine, i giudici di legit-timità abbiano inteso riferirsi al giudicato formale, volendo significaresoltanto la sopravvenuta insindacabilità, nell’ambito di quel giudizio, delladecisione arbitrale relativa alla questione di competenza; del resto, è notocome la Corte di cassazione abbia da sempre ritenuto che la statuizionesull’eccezione d’incompetenza non possa costituire un capo autonomodella decisione (emessa dagli arbitri o dal giudice ordinario) e che,pertanto, essa non sia idonea ad acquisire l’autorità della cosa giudicata aisensi dell’art. 2909 c.c. (34). Si consideri inoltre che, nonostante il diversoavviso della dottrina (35), tale orientamento, tradizionalmente fondato sulcarattere processuale attribuito all’exceptio compromissi e su un’interpre-tazione rigorosa del principio di Kompetenz-Kompetenz, non è parsosubire significativi mutamenti nemmeno all’indomani del revirement del2000 (36). Tuttavia, laddove si condivida l’opinione secondo la qualel’eccezione con cui si contesta la competenza arbitrale avrebbe naturasostanziale, sarebbe necessario verificare se detta eccezione dia origine aduna semplice questione preliminare o a una vera e propria questionepregiudiziale (37).

(34) Cass., 28 marzo 1991, n. 3361, in Giur. it., 1992, I, 1, 552, con nota senza titolo diFADEL; Id., 27 maggio 1961, in Giur. it., 1961, I, 1, 884, con nota senza titolo di COLESANTI, e inGiust. civ., 1961, I, 1836, con nota di SAMMARCO, Trasmigrazione del processo dall’arbitro algiudice ordinario; Id., 27 luglio 1957, in Riv. dir. proc., 1958, 247 e 258, con nota di COLESANTI,Cognizione sulla validità del compromesso in arbitri.

(35) Fra i molti LUISO, Ancora sui rapporti fra arbitro e giudice, in questa Rivista, 1997,525, BOVE, Rapporti tra arbitro e giudice statale, ivi, 1999, 420 e, sia pur de jure condendo,CONSOLO, Litispendenza e connessione fra arbitrato e giudizio ordinario (evoluzione e problemiirrisolti), ivi, 1998, 672.

(36) Si veda, infatti, Cass., 8 giugno 2007, n. 13508, in Rep. Giur. it., 2007, voce« Arbitrato », 75, nella quale la Corte ha affermato che « la mancata impugnazione dellapronuncia sulla competenza dà luogo soltanto ad un giudicato formale che preclude lariproposizione della questione davanti al giudice dello stesso processo, ma non fa stato in undiverso processo promosso dalle parti dinanzi a un giudice diverso e, meno che mai, nel giudizioarbitrale, che non costituisce prosecuzione del giudizio instaurato dinanzi al giudice incompe-tente ... ».

(37) Per comodità del lettore, ricordiamo che per questione pregiudiziale di meritos’intende la questione dalla cui definizione dipende la decisione della causa. Si tratta di unaquestione dotata di intrinseca autonomia, suscettibile di divenire causa autonoma (come taleazionabile anche in un separato giudizio), che ha ad oggetto un rapporto giuridico sostanzialediverso da quello principale, dalla cui esistenza dipende l’esistenza di quest’ultimo e la cuiinesistenza rende superfluo l’esame degli altri elementi della fattispecie; e che, ai sensi dell’art.

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Ora, è innegabile che la questione inerente alla sussistenza dellapotestas arbitrale sia dotata di una propria autonomia rispetto al rapportosostanziale cui accede il patto compromissorio: essa, infatti, riguarda unautonomo « bene della vita » (38) (l’arbitrabilità della lite) e non puòessere ridotta a mero elemento costitutivo del rapporto principale; con laconseguenza che, laddove ci si muova nell’ambito delle questioni sostan-ziali, parrebbe corretto riconoscerle il rango di questione pregiudiziale dimerito. Così opinando, la relativa statuizione potrebbe assurgere a capoautonomo della decisione (o a decisione parziale) ed esplicare un’efficaciaconformativa in tutti gli eventuali successivi giudizi (arbitrali e ordinari)in cui la questione fosse eventualmente riproposta. Ovviamente, ipotiz-zando di ricondurre la fattispecie in esame alla previsione di cui all’art. 34c.p.c., si dovrebbe concludere che, in difetto di una norma che impongauna decisione della questione con efficacia di giudicato, essa possaconseguire solo alla formulazione di una domanda di accertamentoincidentale (39). Aderendo a questa ricostruzione, anche la sentenza resadella Corte di cassazione potrebbe ritenersi corretta, sia pur in forza diuna diversa ratio: in questo modo, infatti, la decisione sull’eccezioned’incompetenza dovrebbe — in ipotesi — essere considerata non giàcome una semplice decisione su questione preliminare, bensì come unadecisione su questione pregiudiziale trasformata in causa, la quale, al paridi ogni altra decisione su domanda, sarebbe immediatamente impugna-bile ai sensi dell’art. 827, 3º comma, c.p.c. (40).

5. La ricostruzione sopra ipotizzata deve però essere verificata allaluce della disciplina positiva; disciplina di cui, come noto, il nostro codicedi procedura civile è rimasto a lungo privo e che è stata introdotta solo inoccasione dell’ultimo intervento riformatore. Questo breve scritto non ciconsente di affrontare diffusamente il tema della natura dell’eccezione concui si contesta la potestas judicandi degli arbitri e di trattare ex professo il

34 c.p.c., può essere trasformata in causa pregiudiziale (ed essere quindi decisa con efficacia digiudicato) in forza di una previsione di legge o di una domanda di parte. La questionepreliminare di merito consiste, invece, in una questione anch’essa idonea a definire il giudizio,ma riguardante un elemento costitutivo della fattispecie e, soprattutto, insuscettibile di unautonomo giudizio. Inoltre, mentre la sentenza non definitiva su questione pregiudiziale èidonea alla formazione della cosa giudicata (a condizione che la questione sia stata trasformatain causa) e, anche in caso di estinzione del giudizio, fa stato fra le parti ai sensi dell’art. 2909 c.c.,la sentenza non definitiva su questione preliminare di merito è dotata solo della c.d. efficaciapanprocessuale, nel senso che essa vale solo nei successivi giudizi fra le parti aventi ad oggettola medesima controversia; cfr. PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, 5ª ed., Napoli,2006, 195. Su questi temi si rinvia a GARBAGNATI, Questioni preliminari di merito e questionipregiudiziali, in Riv. dir. proc., 1976, 257 ss. Sul punto v. anche COMOGLIO, op. ult. cit., 602 ss. eDALFINO, op. ult. cit., 310 ss.

(38) CONSOLO, Litispendenza e connessione, cit.(39) BOVE, op. ult. cit., 421.(40) ZUCCONI GALLI FONSECA, Sub art. 827 c.p.c., in Arbitrato, cit., 2007, 670 e 672.

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problema legato all’efficacia della pronuncia sul patto compromisso-rio (41). Qui ci limitiamo a osservare soltanto che le modifiche apportateall’art. 817 c.p.c., unitamente alla novellazione dell’art. 819 ter c.p.c.,hanno indotto molti interpreti a ritenere che la questione inerente allasussistenza di un valido patto compromissorio sia oggi restituita all’ambitodelle questioni processuali, ancorché rimanga poi dubbio se essa vadaqualificata come questione di giurisdizione, di competenza o di ammissi-bilità della domanda. Il che dovrebbe indurre a confermare il pregressoorientamento giurisprudenziale circa la presunta inefficacia della pronun-cia sul patto compromissorio al di fuori del giudizio in cui questa vengaresa (42), ad opinare nel senso che essa possa essere emessa indifferente-mente con la forma dell’ordinanza o con quella del lodo e, infine, aritenere che, ove resa sotto forma di lodo, essa possa essere impugnatasolo unitamente alla pronuncia definitiva (43).

Sennonché, a fianco delle disposizioni volte a rafforzare il carattereprocessuale della questione in parola ve ne sono altre di segno opposto,che sembrano invece attribuirle il rango di autonomo bene della vita (44);intendiamo riferirci alla disposizione contenuta nell’art. 819 ter, ult.comma, c.p.c., che, ammettendo la proposizione di domande aventi ad

(41) Sul punto v. BOCCAGNA, Sub artt. 817 e 819 ter c.p.c., in Commentario breve al dirittodell’arbitrato nazionale ed internazionale, a cura di Massimo BENEDETTELLI, Claudio CONSOLO eLuca Radicati di BROZOLO, Padova, 2010, 255 ss. e 276 ss.; ACONE, Arbitrato e translatio iudicii:un parere eretico, in AA. VV., Sull’arbitrato, cit., 1 ss.; RUFFINI, Sub artt. 817 e 819 ter c.p.c., in Lanuova disciplina dell’arbitrato, a cura di Sergio MENCHINI, Padova, 2010, 281 ss. e 364 ss.;PELLEGRINELLI, Sub art. 817 c.p.c., in Commentario alle riforme del processo civile, a cura diAntonio BRIGUGLIO e Bruno CAPPONI, III, 2º tomo, Padova, 2009, 817; CAPPONI, Sub art. 819 terc.p.c., in Commentario alle riforme del processo civile, a cura di Antonio BRIGUGLIO e BrunoCAPPONI, III, 2º tomo, Padova, 2009, 873; ID., Modestino Acone, la competenza e l’arbitrato, inIl giusto processo civile, 2009, 391; G.F. RICCI, Sub artt. 817 e 819 ter c.p.c., in Arbitrato.Commento al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile — artt. 806 — 840, a cura diFederico CARPI, Bologna, 2007, 467 ss. e 500 ss.; LUISO, Rapporti fra arbitro e giudice, in questaRivista, 2005, 776; NELA, Sub artt. 817 e 819 ter c.p.c., in Le recenti riforme del processo civile,a cura di Sergio CHIARLONI, 2º tomo, Bologna, 2006, 1768 ss. e 1809 ss.; BOVE, Ancora sui rapportitra arbitro e giudice statale, in questa Rivista, 2007, 361; ID., Ricadute sulla disciplina dell’arbi-trato della legge n. 69/2009, in AA. VV., Sull’arbitrato. Studi offerti a Giovanni Verde, Napoli,2010, 81 ss.; IZZO, Appunti sull’eccezione di compromesso e sulla sentenza che la decide, in AA.VV., Sull’arbitrato, cit., 451 ss. Più di recente v. PUNZI, Disegno sistematico, cit., I, 2012, 155 ss.e MENCHINI, Il controllo e la tutela della convenzione arbitrale, in questa Rivista, 2013, 363 ss.

(42) In tal senso CAPPONI, Sub art. 819 ter c.p.c., in Commentario alle riforme, cit., 880;NELA, Sub art. 817 c.p.c., in Le recenti riforme, cit., 1771; G.F. RICCI, Sub art. 819 ter c.p.c., inArbitrato, cit., 2007, 506 ss., i quali, argomentando sulla base del carattere processuale attribuitoalla questione in parola e del principio di Kompetenz-Kompetenz di cui all’art. 817 c.p.c.(principio che del resto si pone in perfetta sintonia con la soluzione delle “vie parallele” adottatadal legislatore all’art. 819 ter c.p.c.), ritengono che l’accertamento compiuto dagli arbitri o dalgiudice ordinario in ordine alla propria competenza non sia in grado di esplicare effetti al difuori della sede in cui viene reso.

(43) Così DE ZANETTI, Il lodo, in AA.VV., Arbitrato, a cura di Bonelli Erede Pappalardo,Milano, 2012, 191, nonché MARINUCCI, op. ult. cit., 967.

(44) ZUCCONI GALLI FONSECA, Sub art. 827 c.p.c., in Arbitrato, cit., 2007, 658.

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oggetto la questione inerente alla sussistenza della potestas arbitrale (45),sembrerebbe legittimare l’idea che detta questione possa essere decisa conefficacia di giudicato anche quando sorga nell’ambito di una controversiaavente ad oggetto il rapporto giuridico sostanziale (46). Valorizzandoquesti elementi, dovrebbe ritenersi che la pronuncia sull’eccezione d’in-competenza richieda inderogabilmente la forma del lodo (47) e che essacostituisca una decisione parziale, come tale impugnabile immediata-mente (48).

Di fronte alla non univocità del dettato normativo, questa secondaopzione sembrerebbe preferibile dal momento che, pur gravando la partesoccombente dell’onere di proporre impugnazione immediata, essa è

(45) La norma, nell’escludere che in pendenza del giudizio arbitrale possano essereproposte domande giudiziali aventi ad oggetto l’invalidità o l’inefficacia della convenzioned’arbitrato, è stata interpretata a contrario nel senso che, prima di tale momento, la proposi-zione di simili domande sarebbe ammissibile; cfr. LUISO, Rapporti fra arbitro e giudice, cit., 776;BOVE, Ancora sui rapporti, cit., 361. Tale lettura ha trovato riscontro nella giurisprudenza dilegittimità; cfr. Cass., 4 agosto 2011, n. 1709, in Foro it., 2012, 1143. In senso contrario v. peròNELA, Sub art. 819 ter c.p.c., in Le recenti riforme, cit., 1821.

(46) PUNZI, Il processo civile, cit., 212; LUISO, Rapporti fra arbitro e giudice, cit., 783;RUFFINI, Sub art. 817 c.p.c., in La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 285. Ulteriori argomenti infavore del carattere autonomo della questione vengono tratti dal disposto dell’art. 817, 1ºcomma, c.p.c., a mente del quale, in caso di contestazione sulla validità, il contenuto ol’ampiezza della convenzione arbitrale, « gli arbitri decidono sulla propria competenza », nonchédalla disposizione contenuta nell’art. 830, 3º comma, c.p.c., che, nel disciplinare il passaggio allafase rescindente a quella rescissoria del giudizio d’impugnazione, prevede che « quando la corted’appello non decide nel merito, alla controversia si applica la convenzione d’arbitrato, salvo chela nullità dipenda dalla sua invalidità ». Fra coloro i quali ipotizzano che la decisione sul pattocompromissorio possa conseguire l’autorità propria del giudicato, si discute, tuttavia, se unasimile efficacia possa discendere solo dalla proposizione di una domanda di accertamentoincidentale ai sensi dell’art. 34 c.p.c. (MENCHINI, op. ult. cit., 372 e IZZO, op. ult. cit., 460 ss.) oanche alla proposizione di una mera eccezione (LUISO, Rapporti fra arbitro e giudice, cit., il qualeinvoca la teoria dell’antecedente logico necessario). In senso contrario MARINUCCI, op. loc. ult.cit., secondo la quale, in sede arbitrale, la questione inerente alla competenza del giudice privatomanterrebbe inalterato il proprio carattere processuale.

(47) ZUCCONI GALLI FONSECA, Sub art. 827 c.p.c., in Arbitrato, cit., 2007, 658. D’altro canto,opinando nel senso dell’ammissibilità dell’ordinanza ex art. 816 bis c.p.c. si determinerebbe unaforte discrasia rispetto al giudizio ordinario, dove, stante l’immutata formulazione dell’art. 819ter c.p.c., la questione di competenza continua a dover essere decisa con la forma della sentenza;sarebbe infatti piuttosto singolare che sulla medesima questione il giudice ordinario sia tenutoad adottare il provvedimento decisorio per eccellenza, mentre gli arbitri possano emettereaddirittura un provvedimento revocabile.

(48) ZUCCONI GALLI FONSECA, Sub art. 827 c.p.c., in Arbitrato, cit., 2007, 662. Del resto, sela ratio del divieto di impugnazione immediata per il lodo non definitivo su questioni è quelladi evitare di impegnare la Corte d’appello su questioni che, da sole, non sarebbero suscettibilidi accertamento davanti all’autorità giudiziaria (LUISO, L’oggetto del processo arbitrale, cit., 677)e se le controversie sulla validità e sull’ampiezza della clausola compromissoria possonocostituire oggetto di autonomo accertamento in sede giurisdizionale (cfr. art. 819 ter, ult.comma, c.p.c.), allora non vi sarebbe motivo per escludere che il lodo reso su di esse possaessere immediatamente impugnato. Naturalmente, qualora si opini nel senso che il giudicatopossa formarsi soltanto in presenza di un’esplicita domanda di parte (IZZO, op. loc. ult. cit.),ragionevolmente l’impugnazione dovrà essere proposta immediatamente solo laddove taledomanda sia stata effettivamente formulata; in caso contrario, stante la cennata distinzione fralodo su domande e lodo su questioni (cfr. note 14 e 23), la pronuncia dovrebbe ritenersiimpugnabile solo unitamente alla decisione definitiva.

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l’unica in grado di assicurare alle parti una decisione “tombale” sullaquestione di competenza. D’altronde, l’unica possibilità di risparmiare alleparti un simile incombente risiederebbe nell’estensione al procedimentoarbitrale dell’istituto della riserva facoltativa d’impugnazione.

6. L’immediata impugnabilità della decisione resa sulla questionedi competenza impone, infine, una breve riflessione sul coordinamentofra il giudizio d’impugnazione del lodo e il procedimento arbitrale (che,come nel caso di specie, prosegua con l’esame del merito della con-troversia).

La prima conseguenza dell’emanazione di un lodo non definitivo suquestione o di un lodo parziale è l’automatica proroga del termine per lapronuncia della decisione finale di ulteriori centottanta giorni (49). Sitratta, naturalmente, di uno strumento inadeguato; per cui, al fine digarantire un coordinamento fra le due sedi, non sembrano esservi alter-native a una sospensione concordata del procedimento arbitrale in attesadella definizione della questione di competenza (50). Ove, invece, il pro-cedimento arbitrale prosegua, l’accoglimento dell’impugnazione del lodoparziale determinerà, ai sensi dell’art. 336, 2º comma, c.p.c., la caducazionedel lodo definitivo che sia stato nel frattempo pronunciato (51). E dalmomento che la legge n. 353/1990 ha espunto dall’art. 336 c.p.c. il riferi-mento al passaggio in giudicato della sentenza, l’effetto espansivo esternosi produrrà immediatamente, in seguito al deposito della sentenza resadalla Corte d’appello (52); con la conseguenza che, qualora tale sentenzasia a sua volta impugnata dinanzi alla Corte di cassazione e l’impugna-zione venga accolta, non si potrà fare altro che riaprire il procedimentodavanti agli arbitri (53). Laddove, invece — per ipotesi — il lodo sia

(49) Il legislatore della riforma ha infatti modificato l’art. 820 c.p.c., rendendo automaticala proroga del termine per la pronuncia del lodo definitivo ed estendendo la previsione ancheal caso in cui venga reso un « lodo parziale ».

(50) TARZIA, op. ult. cit., 157 e 158. Non sembra invece possibile applicare analogicamenteil disposto dell’art. 279, 4º comma, c.p.c. Tale norma, infatti, potrebbe essere trasposta nelprocedimento arbitrale solo in presenza di un’esplicita indicazione delle parti; cfr. PUNZI,Disegno sistematico, cit., II, 2012, 502; ZUCCONI GALLI FONSECA, Sub art. 827 c.p.c., in Arbitrato,cit., 2007, 665 e 666.

(51) PUNZI, Disegno sistematico, cit., 2012, II, 503; CONSOLO, Le impugnazioni dellesentenze, cit., 527; così già TARZIA, op. loc. ult. cit. e MONTESANO, op. loc. ult. cit. Il lodo definitivosarà dunque travolto per effetto della dichiarazione di nullità del lodo parziale anche laddoveil primo non sia stato impugnato e sia nel frattempo divenuto incontrovertibile.

(52) TEDOLDI, Sub art. 336 c.p.c., in Codice di procedura civile commentato, a cura diClaudio CONSOLO, 4ª ed., 2010, 524.

(53) Con riferimento al procedimento ordinario v. CONSOLO, Sub art. 336 c.p.c., inCommentario alla riforma del processo civile, a cura di Claudio CONSOLO, Francesco Paolo LUISO

e Bruno SASSANI, Milano, 1996, 358.

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annullato prima della conclusione del giudizio arbitrale, gli arbitri do-vranno conformarsi alla statuizione della Corte d’appello e respingere ladomanda, prendendo atto della propria incompetenza (54).

ENRICO DEBERNARDI

(54) RUFFINI, BOCCAGNA, Sub art. 827 c.p.c., in Codice di procedura civile commentato, acura di Claudio CONSOLO, 4ª ed., 2010, 1193.

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CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I civile, sentenza 14 maggio 2012 n. 7450; CARNEVALE

Pres.; FORTE Est.; Sorrentino P.M. — Comune di Savoca c. Natoli Alfredo.

Mancata tempestiva nomina dell’arbitro di parte - Nomina giudiziale dell’arbitro,ai sensi dell’art. 810, comma 2, c.p.c. - Rispetto delle qualifiche convenzio-nalmente pattuite dalle parti - Ricusazione ex art. 815, comma 1, n. 1, c.p.c. -Impugnazione per nullità del lodo emesso dal collegio arbitrale.

Il presidente del tribunale, nel designare l’arbitro, non tempestivamente nomi-nato dalle parti ai sensi degli artt. 810 e 811 c.p.c., non è vincolato al rispetto dellecategorie professionali previste nella convenzione arbitrale. Quest’ultima vincolasolo le parti, ex art. 1372 c.c., e non può estendere i propri effetti sui poteri di nominadi cui la legge investe, nell’inerzia delle parti, l’autorità giudiziaria, il cui interventonon è, dunque, soggetto ai limiti fissati dall’autonomia privata, ma si attua con ladiscrezionalità tipica del magistrato.

CENNI DI FATTO. — La sentenza in epigrafe muove da una controversia insortatra il Comune di Savoca e Tizio, al quale è conferito l’incarico di uno studiogeologico dell’area limitrofa alla Chiesa della SS. Immacolata, oggetto di lavori diristrutturazione.

In seguito al rifiuto del Comune di pagare il conto finale dei lavori presentatoda Tizio, quest’ultimo avvia un giudizio arbitrale, in conformità all’art. 16 deldisciplinare di incarico, nominando il proprio arbitro. Nell’inerzia del Comune inmerito alla nomina dell’arbitro di parte, Tizio, ai sensi dell’art. 810, comma 2,c.p.c., chiede al Presidente del Tribunale di Messina di provvedere alla nominadell’arbitro di parte. Il collegio formato dall’arbitro nominato da Tizio e dai duearbitri nominati dal Presidente del Tribunale di Messina (l’arbitro di parte e ilpresidente del collegio arbitrale) pronuncia il lodo, riconoscendo il credito di Tizioe condannando il Comune di Savoca al pagamento della somma richiesta. Il lodocosì pronunciato viene impugnato, ai sensi dell’art. 829 c.p.c., dal Comune diSavoca, in particolare, per l’errata composizione del collegio arbitrale, il mancatorispetto dei termini di costituzione e lesione del diritto di difesa, ex art. 816 bisc.p.c. La Corte d’Appello competente rigetta l’impugnazione del lodo (con lasentenza del 18 gennaio 2006, n. 22), condannando il Comune.

MOTIVI DELLA DECISIONE. — (Omissis) 3.1. Il primo motivo di ricorso èinfondato e da rigettare. In ordine al provvedimento del Presidente del tribunaledi designazione dell’arbitro non nominato tempestivamente dal Comune di Savocaal di fuori delle categorie professionali previste nella clausola compromissoria,l’atto di nomina è censurato per avere individuato il componente del collegio privodella qualifica che avrebbe dovuto avere secondo la clausola arbitrale. (Omissis).

Peraltro la previsione limitativa dell’autonomia del Comune di Savoca con-tenuta nel compromesso, con la individuazione delle categorie di avvocato delloStato o di componente dell’ufficio legislativo e legale della Regione siciliana con laqualifica di avvocato per l’arbitro che esso doveva nominare, non può estendere isuoi effetti sui poteri di nomina di cui la legge investe il Presidente del tribunalenell’inerzia delle parti. Non avendo l’ente locale provveduto alla nomina ad esso

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spettante nel termine di venti giorni di cui all’art. 810 c.p.c. (sia prima che dopo lariforma dell’arbitrato del 2006), su istanza della parte più diligente, il Presidentedel tribunale deve procedere alla nomina del secondo arbitro come sancito dallalegge e può quindi discostarsi dalle previsioni della clausola compromissoria chevincola solo i suoi autori (art. 1372 c.c.).

Una volta che la nomina avviene a cura del Presidente per non avere la parteinteressata provveduto nei termini di legge alla designazione, l’intervento solleci-tato del presidente del tribunale per procedere a nominare il secondo arbitro, nonè soggetto ai limiti fissati dall’autonomia privata ma si attua con la discrezionalitàdel magistrato, che opera secondo legge nell’esercizio dei suoi poteri e senzavincoli di mandato. Si è già rilevato come il termine di venti giorni dall’invito anominare il proprio arbitro dopo la notifica della designazione dell’altra parte chenon vi ha provveduto, non è perentorio (Cass. 2 dicembre 2005 n. 26257), tanto chel’inadempiente può provvedere anche dopo tale termine e finché alla nuovanomina non ha provveduto il presidente del tribunale, il quale esercita un suopotere, sostituendo, in base alla legge, la volontà della parte rimasta inerte nellanomina, che quindi non è più quella di cui alla clausola arbitrale. Il presidente deltribunale non da attuazione al compromesso ma nomina l’arbitro nell’esercizio disuoi poteri giudiziari con provvedimento di volontaria giurisdizione non decisorioe neppure impugnabile (Cass. 18 maggio 2007 n. 11665, 19 gennaio 2006 n. 101, 6giugno 2003 n. 9143).

L’intervento del presidente del tribunale supera la volontà delle parti che nonvi abbiano provveduto e può aversi anche quando la nomina non sia stata accettata(così Cass. 21 luglio 2010 n. 17114); anche quando sia prevista nella convenzioned’arbitrato la categoria professionale dei soggetti tra cui nominare l’arbitro, ilpotere del magistrato non è limitato dalla volontà delle parti espressa nellaclausola, potendo designare come arbitri anche soggetti al di fuori delle categorieindicate nella clausola (così la già citata Cass. n. 15290 del 2001, cui fannoriferimento entrambe le parti). Resta quindi assorbito per irrilevanza ogni rilievodelle norme sull’interpretazione del compromesso, cui fa riferimento il primomotivo di ricorso, dovendo il presidente del tribunale esercitare il suo potere solonei limiti della legge. La designazione, con ordinanza del presidente del tribunale,del componente del collegio arbitrale scelto al di fuori delle categorie indicate nelcompromesso, non incide sulla valida e regolare costituzione del collegio, che èpienamente legittimo quando alla nomina provveda l’autorità giudiziaria, nell’e-sercizio di poteri ad essa conferiti dalla legge e non in mera sostituzione dellevolontà delle parti. Il presidente del tribunale non è soggetto ai limiti convenzio-nali che vincolano le parti, quando provvede alla nomina di arbitri, nei casi previstidagli artt. 810 e 811 c.p.c., in entrambe le versioni, anteriore e successiva al D.Lgs.2 febbraio 2006, n. 40. In ordine poi alla mancata concessione dei termini alricorrente, per consentirgli di indicare le ragioni per contestare la validità dellanomina degli arbitri operata dal giudice e comunque per svolgere, nell’ambito diun corretto contraddittorio, le sue difese, il primo motivo di ricorso è privo diautosufficienza e quindi inammissibile. (Omissis). La pretesa nullità della comu-nicazione del nome del terzo arbitro all’avv. Biondo, che ancora non era costituitodifensore del comune nel giudizio arbitrale, in mancanza di deduzioni che rendanoinvalida detta nomina dell’arbitro, resta superata dalla integrità del contradditto-rio instaurato dinanzi al collegio arbitrale (Cass. 14 febbraio 2007 n. 3269, 6

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settembre 2006 n. 19129 e S.U. 3 marzo 2003 n. 3075). Non risulta dal ricorso in chemodo si siano violati i termini a difesa o il principio del contraddittorio nel giudizioarbitrale e correttamente si è respinta la impugnazione per nullità del lodo per taliprofili. (Omissis).

3.2. In ordine al secondo, terzo e quarto motivo di ricorso, non risultaadeguatamente censurata l’affermazione, a pag. 8 della sentenza della Corte dimerito, per la quale “per le opere geognostiche e per le competenze tecnichecomplessive il comune aveva a disposizione la somma complessiva di L.519.253.929”, assai maggiore di quella poi in concreto erogata per tali prestazioni.Secondo il comune, (pag. 14 del ricorso), per la Delib. giunta n. 147 del 1993, alprofessionista si doveva corrispondere “la somma stabilita dalla tariffa per leprestazioni professionali dei geologi e, comunque, pari a quella prevista, per talescopo nel relativo progetto”, precisandosi che si doveva liquidare “l’onorariospettante dalle tariffe professionali, la cui spesa verrà affrontata, con gli appositifondi previsti nel finanziamento dell’opera e inclusi nel progetto”.

Allo stesso onorario determinato in base alla tariffa approvata con D.M. 18novembre 1971 fa riferimento anche l’art. 8 del disciplinare, anche se il successivoart. 11 prevede che il corrispettivo da versare al professionista è quello di cui alprogetto, nella misura concretamente erogata al dr. Natoli nel 1994. (Omissis). Ilsecondo motivo di ricorso è quindi infondato, non potendo applicarsi nellafattispecie il D.Lgs. n. 77 del 1995, art. 35 che regola i soli debiti fuori bilancio, percui resta legittimato l’ente locale a pagare al dr. Natoli quanto dovuto e liquidatoin base alle tariffe professionali, cui si è fatto espresso riferimento sia nella deliberadi incarico che nel disciplinare, atti in cui il richiamo alle somme previste allo scopoin progetto sembra riportato subordinatamente all’applicazione delle tariffe, conconseguente infondatezza del motivo di ricorso.

In rapporto alle carenze motivazionali denunciate nel terzo motivo di ricorso.(Omissis).

Nell’incarico e nel disciplinare, le tariffe professionali sono specificamenterichiamate, e la loro applicazione è giustificata in sentenza in ragione delleDelibere di incarico e del disciplinare, come affermato nella sentenza adeguata-mente e correttamente motivata su tale punto, con infondatezza conseguente delterzo motivo di ricorso.

Dato il corretto pagamento del compenso in conformità al contratto e poichéla somma pretesa non era maggiore dei fondi disponibili iscritti in bilancio acopertura del debito, deve negarsi non solo qualsiasi incertezza motivazionale sulpunto ma pure la dedotta violazione dell’art. 2233 c.c., con conseguente infonda-tezza, oltre che del terzo, anche del quarto motivo del ricorso.

(Omissis).

La nomina degli arbitri: capacità e qualifiche tra autonomia privata epoteri discrezionali dell’autorità giudiziaria.

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Cassazione esamina lanatura della nomina giudiziale dell’arbitro, ai sensi dell’art. 810, comma 2,

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c.p.c., e quanto incida (o possa incidere) sull’autonomia privata il potere(discrezionale) dell’autorità giudiziaria.

In via preliminare pare opportuno chiarire che « la scelta dell’arbitroè forse il momento più delicato dello svolgimento del procedimento arbi-trale: si tratta, infatti, di designare il giudice della controversia » (1). Lanomina degli arbitri costituisce uno degli atti maggiormente espressividell’autonomia negoziale delle parti (2).

Come noto, il fondamento dell’arbitrato deve rinvenirsi nella naturaprivatistica del giudizio e nella, consequenziale, matrice genetica delpotere degli arbitri di decidere la controversia altrui. L’arbitro deriva ilproprio potere di ius dicere direttamente dalla volontà delle parti: riceveil proprio incarico giudiziario dalla parte, la quale confiderà di essersiassicurata, per tale via, un « judge of his choice », un giudice attento epredisposto alle proprie argomentazioni.

La matrice volontaria della nomina del giudice privato rende lacostituzione dell’organo giudicante il momento fondante l’istituto arbi-trale (3).

Nella prassi ciascuna parte nomina un arbitro mediante una dichia-razione unilaterale di volontà, che non richiede alcuna accettazione daparte degli altri litiganti, e un terzo arbitro viene scelto di comune accordodai due arbitri nominati.

Il Tribunale arbitrale risulta, in queste ipotesi, formato da un arbitroche non è scelto da alcuna parte e due arbitri che sono scelti ciascuno dauna sola parte.

Ciascuna parte tenderà a designare come arbitro una persona checonosce, verso la quale nutre rispetto e stima, e a cui è legato da un vincolo

(1) BENATTI, Una conversazione sui criteri di nomina dell’arbitro, in Corr. Giur., 2006, 6,880. L’A. evidenzia che nella disciplina dell’arbitrato convivono norme di ordine pubblico eregole che sono espressioni dell’autonomia privata.

(2) Autorevole dottrina ha precisato che lo stesso « ricorso all’arbitrato è, negli ordina-menti democratici, la necessaria e insopprimibile conseguenza del riconoscimento dell’autonomiaprivata », VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, Torino, 2006, 4. In generale sul tema si v.AA.VV. Libertà e vincoli nella recente evoluzione dell’arbitrato, a cura di Carpi, Milano, 2006.

(3) Come è stato osservato da CARPI, Libertà e vincoli nella recente evoluzione dell’ar-bitrato, in Libertà e vincoli nella recente evoluzione dell’arbitrato, cit., 13 « La scelta e nominadell’arbitro è il momento della gelosa esplicazione della volontà delle parti ». L’analisi efficacesull’importanza della formazione dell’organo giudicante nell’istituto dell’arbitrato, si rinvienenella dottrina anglosassone: EASTWOOD, A real danger of confusion? The English Law Relatingto Bias in Arbitrators, in questa Rivista, 2001, vol. 17, n. 3, 292. Secondo l’A., in particolare:« There are two intrinsic difficulties in selecting an arbitrator which themselves may threaten theintegrity of the process. First, the method by which each party chooses one member of athree-member tribunal may cast doubt on the indipendence and impartiality of the nominee.Further, and paradoxally, the very factors which may most recommend an individual as anappropriete arbitrator (familiarity with a particolar industry, or knowledge of a specialist legal ortechnical area) may also leave him most vulnerable to a suspicion of bias ».

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fiduciario. Le relazioni, i legami e i rapporti con le parti (4) sono ilpresupposto della nomina stessa degli arbitri di parte, ma possono ancherappresentare un elemento perturbatore dell’equidistanza (5) che ogni

(4) Ovviamente i legami tra arbitri e parti devono tenere conto delle ipotesi di ricusa-zione previste dall’art. 815 c.p.c. La disposizione stabilisce che il giudice privato può esserericusato in primis se ha un interesse nella causa. Tale motivo di ricusazione si riferisce albrocardo latino per cui nemo iudex in rem propriam e comprende due forme di interesse: direttoe indiretto (DITTRICH, Incompatibilità, astensione e ricusazione del giudice civile, Padova, 1991,84 ss.). La nozione di interesse diretto è molto discussa, talvolta si è ricondotta all’interesse delgiudice quale parte formale del processo; altre volte all’interesse di cui all’art. 100 c.p.c., altreancora all’interesse che legittima l’intervento ai sensi dell’art. 105 c.p.c. In termini generali sipuò affermare che quando dalla decisione deriva necessariamente un vantaggio o un danno peril giudice saremo nel campo dell’interesse diretto, laddove, invece, il nesso tra la decisione e ilvantaggio o danno per il giudice è un nesso di semplice probabilità, l’interesse è indiretto(SATTA, voce Astensione e ricusazione del giudice (dir. Proc. civ.), in Enciclopedia del diritto,Milano, 1958, III, 203; LA CHINA, Giudice (astensione e ricusazione) voce, in Dig. Disc. Priv., sez.civ., IX, Torino, 1993, 30; DITTRICH, Incompatibilità, astensione e ricusazione del giudice statale,cit., 102). L’arbitro può essere ricusato se egli stesso o il coniuge è parente fino al quarto gradoo è convivente o commensale abituale di una delle parti, di un rappresentante legale di una delleparti, o di alcuno dei difensori. I legami affettivi e di sangue che legano il giudice privato ad unadelle parti, al loro rappresentante legale o ad alcuno dei difensori determinano la presunzioneche l’arbitro terrà una condotta parziale. L’arbitro può essere inoltre ricusato se egli o il coniugeha causa pendente o grave inimicizia con una delle parti, con un suo rappresentante legale, o conalcuno dei suoi difensori. Sebbene l’espressione causa pendente indichi una controversia e unprocedimento instauratosi prima dell’arbitrato, la giurisprudenza considera ricusabile il giudiceprivato anche quando la lite inizi durante il procedimento arbitrale (Cfr. MORTARA, Commen-tario del codice e delle leggi di procedura civile, II, Milano, 1923, 486). È possibile la ricusazioneanche ove sussista: un legame lavorativo; altri rapporti di natura patrimoniale o associativa; unlegame di tutela o curatela. La prima ipotesi riguarda i rapporti di lavoro subordinato o diconsulenza a carattere continuativo o di prestazione d’opera retribuita che intercorrono tra ilgiudice privato e uno dei litiganti o società da questo controllate, il soggetto che le controlla osocietà sottoposte a comune controllo. La seconda ipotesi considera ricusabile l’arbitro quandoricorrono altri rapporti di natura patrimoniale o associativa che ne compromettono l’indipen-denza. La norma è formulata in modo molto generico ed è foriera di molteplici interpretazioni.Il termine associazione va riferito ad ogni tipo di aggregazione tra soggetti finalizzato alraggiungimento di scopi o interessi comuni (CONSOLO, Imparzialità degli arbitri. Ricusazione, inquesta Rivista, 2005, 703 ss.). Infine ove l’arbitro abbia prestato consulenza, assistenza o difesaad una delle parti in una precedente fase della vicenda o deposto come testimone può esserericusato (Cfr. SEGRÉ, Astensione, ricusazione e responsabilità dei giudici, Commentario del c.p.c.,diretto da Allorio, Torino, 1973, 637; SCHIZZEROTTO, Dell’arbitrato, Milano, 1982, 423).

(5) Tradizionalmente (RUBINO SAMMARTANO, Diritto dell’arbitrato, Padova, 2006, 484 s.),si ritiene che l’imparzialità si componga di tre distinti sottovalori: l’indipendenza, la neutralitàe l’imparzialità strictu sensu intesa. L’indipendenza consiste nell’assenza di relazioni, precedentio attuali, dell’arbitro con una delle parti. Si tratta, dunque, di una nozione specifica chepresuppone la non dipendenza di natura economica, professionale o psicologica del giudiceprivato dalle parti o dai difensori delle stesse. La neutralità si concretizza in un atteggiamentopsicologico o intellettuale di estraneità su un piano generale, nei confronti della più ampiacategoria di cui la controversia fa parte e non in relazione alla specifica situazione in questione(RICCIARDI, La scelta degli arbitri e la costituzione del collegio arbitrale: deontologia e prassi, inquesta Rivista, 1992, 804 ss.). L’imparzialità in senso stretto è un requisito soggettivo dell’arbitropresuppone che il suo « animo » sia privo di pregiudizi nei confronti di una delle parti (BERNINI,Quale arbitrato?, Convegno AIA, L’arbitrato: un servizio per l’impresa, Torino, 10 ottobre1991). L’indipendenza e la neutralità sono requisiti preventivi volti a garantire l’imparzialità,sono cioè dei cd. valori-mezzo (BRIGUGLIO, Epigramma sulla ricusazione degli arbitri (con duenote a piè di pagina), in Giur. it., 2004, 460), solo l’imparzialità è il valore finale. Il caratteresoggettivo dell’imparzialità e la relativa difficoltà di individuare prevenzioni o pregiudizi

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giudicante dovrebbe avere nei confronti di tutti i litiganti. Le parti, infatti,nella designazione cercheranno inevitabilmente di scegliere come arbitripersone predisposte alle proprie argomentazioni e vicine alle propriedomande e che nella decisione della lite manifestino tale inclinazione. Agodella bilancia dovrebbe essere il presidente del collegio arbitrale cuirimettere la decisione concreta della lite e da cui dipenderebbe la buonaconduzione dell’intera procedura (6).

La nomina dell’arbitro (7) costituisce, quindi, esercizio di un dirittodella parte, poiché solo attraverso la libera scelta del giudice privato ègarantito il principio di ordine pubblico della imparzialità degli arbitri e laconsensualità in genere dell’istituto. Tuttavia la nomina dell’arbitro costi-tuisce al contempo un obbligo della parte (8), considerato che solo attra-verso il negozio corrispondente può essere attuato il rapporto obbligatoriocostituito dal contratto d’arbitrato. A tale obbligo corrisponde il dirittodell’altra parte di pretendere che il proprio contraddittore manifesti la suavolontà di nomina. Il rilievo dell’adempimento di tale obbligo è palesatonell’art. 810 c.p.c. ove l’ordinamento disciplina una tutela specifica rap-presentata dalla nomina giudiziale del Presidente del Tribunale, chedecide senza formalità.

2. Le regole iuris dettate per la costituzione del tribunale arbitraleappaiono orientate da due direttrici: per un verso assicurano alle parti, inmodo paritario, piena libertà nella scelta del giudice privato; per altroverso garantiscono l’effettiva esecuzione del contratto di arbitrato attra-verso la nomina giudiziale dell’arbitro in caso di inerzia di alcuna delleparti.

L’esigenza di autonomia delle parti, di libertà nella scelta e nellaformazione del tribunale arbitrale, trova un limite nella necessità che il

dell’arbitro riguardo la lite determinano, però, la necessità di trovare e disciplinare indici,circostanze, rapporti in presenza dei quali presumere la parzialità dell’organo giudicante. Leautorità statuali predispongono a tal fine rimedi quali la ricusazione, l’impugnazione del lodo eil duty of disclosure. Ma questi non sono che « tentativi di « giuridificare » la deontologiadell’arbitro » (PICARDI, Vent’anni di rivista dell’arbitrato nel ricordo di Elio Fazzalari, Atti delconvegno tenutosi in Roma, il 2 dicembre 2011). Nessuno dei rimedi predisposti come presidiodell’imparzialità del giudice privato è effettivamente idoneo ad assicurarla, in quanto l’assenzadi prevenzioni e pregiudizi riguardo alla singola lite rimane necessariamente affidata al corredoetico del singolo arbitro.

(6) Cfr. RONCO, Dialogo sulla ricusazione degli arbitri, in Giur. it., 2003, 1975.(7) Si veda GIOVANNUCCI ORLANDI, Arbitrato, a cura di Carpi, Bologna, 2001, 139 ss.;

LAUDISA, Arbitrato rituale e libero: ragioni del distinguere, in questa Rivista, 1998, 217.(8) In questo senso CECCHELLA, L’arbitrato, Torino, 2005, 136 ss., ove l’A. precisa che

all’obbligo della parte di nominare l’arbitro corrisponde il diritto dell’altra a pretendere che ilcontraddittore manifesti la volontà di nomina. Nell’eventualità di inadempimento possonoseguire la risoluzione per inadempimento del contratto (Cass. 9 novembre 1985, n. 5499, inGiust. Civ., 1986, I, 2887 con nota di Cecchella) oppure un’azione di adempimento contrattualevolta ad ottenere l’effetto dell’adempimento. La disciplina dell’arbitrato in aggiunta a questeforme di tutela offre una « speciale azione di tutela specifica, costituita dalla nomina giudiziale ».

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procedimento arbitrale abbia avvio e che non venga impedito il funzio-namento dell’istituto da tattiche dilatorie delle parti.

Sembra quindi utile esaminare anzitutto le regole a tutela dell’auto-nomia privata e quelle a presidio dell’effettività della convenzione arbi-trale.

L’autonomia privata si manifesta, in particolare, nella facoltà ricono-sciuta alle parti della convenzione arbitrale di individuare liberamente lepersone che dovranno rivestire il ruolo di giudicare la lite e le modalità diformazione del tribunale arbitrale.

Cosicché il legislatore non stabilisce espressamente i requisiti o lequalifiche che devono possedere i soggetti per rivestire il ruolo di arbitro:l’unico limite (9), imposto ex lege, è previsto dall’art. 812 c.p.c.

Prima della riforma introdotta con il d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40, ilcodice di procedura civile italiano stabiliva che « gli arbitri possono esseresia cittadini italiani sia stranieri ». La capacità degli stranieri di rivestire ilruolo di arbitro era stata introdotta solo nel 1983 nell’ordinamento giuri-dico italiano, che così si allineava alle convenzioni internazionali. Lanorma, tuttavia, non includeva, né escludeva gli apolidi. Si ritenevapossibile nel silenzio della legge che questi ultimi potessero diventarearbitri, dato che la ratio della nuova norma era di eliminare un divieto, nonintrodurne di nuovi (10).

Venivano espressamente individuate alcune incapacità specifiche al-l’assolvimento della funzione arbitrale, così non potevano esercitare talefunzione i minori, i falliti, gli interdetti, gli inabilitati e gli interdetti dai

(9) Sembra interessante il confronto con l’ordinamento giuridico spagnolo che in originerichiedeva per la valida assunzione dell’incarico di decidere una controversia il titolo diavvocato. La disposizione è stata oggetto poi di modifica ad opera della legge n. 11 del 20maggio 2011. Alle parti è riconosciuta la libertà di scegliere i requisiti degli arbitri e dunque diprescrivere o meno che abbiano un particolare titolo professionale, ma si considera necessario,nel silenzio dei privati, non più la qualifica di « abogado en ejercicio », bensì quella di «jurista».

Il nuovo testo dell’articolo 15 Ley Arbitraje 60/2003 richiede per tutti gli arbitrati didiritto, in relazione ai quali le parti non abbiano previsto alcunché, la condizione di giuristadell’arbitro se unico e di almeno uno degli arbitri nel caso di collegio formato da tre o piùsoggetti. In questo modo il legislatore spagnolo aumenta la rosa dei professionisti che possonosvolgere il ruolo di arbitro, includendovi notai, professori universitari o anche gli stessimagistrati in pensione. Il ricorso al termine « jurista » molto generico, crea notevoli dubbi elascia spazio a criteri e interpretazioni molteplici. L’intento del legislatore di sottrarre allacategoria degli avvocati un ruolo esclusivo nelle procedure arbitrali e garantirne la partecipa-zione anche ad altri professionisti ha come inconveniente l’incertezza sul significato da attribu-ire alla disposizione. L’indeterminatezza della « condición de jurista » garantisce però nuovi epiù ampi spazi all’autonomia delle parti che nelle convenzioni arbitrali non saranno più tenutea scegliere organi giudicanti all’interno della stringente categoria degli avvocati. Cfr. PÉEREZ

CONESA, Reforma de la Ley de Arbitraje introducida por la Ley 11/2011, de 20 de mayo, inAranzadi Civil-Mercantil, num. 5/2011, parte Comentario, Editorial Aranzadi, SA, Pamplona,2011, 1117.

(10) In tal senso PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, Padova, I, 2000, 308; CARPI, Gliaspetti processuali della riforma dell’arbitrato, in Riv. Trim. dir. proc. civ., 1984, 51 ss.

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pubblici uffici. L’elenco si riteneva tassativo, pertanto il divieto era limi-tato ai casi espressamente elencati (11).

Il legislatore del 2006 ha semplificato la disciplina, stabilendo, all’art.812 c.p.c., che « non può essere arbitro chi è privo, in tutto o in parte, dellacapacità legale di agire » (12). Venuta meno l’elencazione tassativa dei casidi incapacità arbitrale, si deve fare riferimento alla disciplina sostanzialedelle limitazioni della capacità di agire.

Secondo una parte della dottrina (13), non possono essere nominatiarbitri gli interdetti e gli inabilitati, ma in astratto potrebbero esserlo ibeneficiari di amministrazione di sostegno, ove la loro limitazione oinfermità non sia inerente alla fase intellettiva.

Il divieto di diventare arbitri è escluso per i falliti (14), in quanto ladichiarazione di fallimento non determina più la perdita della capacità diagire da parte del fallito, ma dovrebbe permanere per chi sia statointerdetto dai pubblici uffici, limitatamente al periodo della interdi-zione (15).

Discusso è se tale ruolo possa essere ricoperto da una personagiuridica (16).

(11) Si veda Cass., 8 agosto 1989, n. 3637, in Arch. Civ., 1990, 583.(12) La differenza tra vecchio e nuovo testo dell’art. 812 c.p.c. si rinviene già nella

rubrica: intitolata oggi « Incapacità di essere arbitro », mentre in passato « Capacità ad esserearbitro ». Il senso del cambiamento è individuato nel proporre in modo esplicito la capacitàarbitrale come regola generale, la incapacità come eccezione, con la conseguente applicabilitàad essa del criterio interpretativo dell’art. 14 delle Preleggi. Cfr. LA CHINA, L’arbitrato. Il sistemae l’esperienza, cit., 82.

(13) MANDRIOLI, Diritto processuale civile, III, Torino, 2009, 397. Di contrario avviso altraparte della dottrina che ritiene che il nuovo testo dell’art. 812 c.p.c. impedisca di rivestire il ruolodi arbitro a tutti cloro i quali sono anche solo parzialmente privi della capacità di agire e quindianche ai beneficiari di amministrazione di sostegno e ai minori emancipati. Così PUNZI, Disegnosistematico dell’arbitrato, cit., 504.

(14) Il divieto di assumere l’ufficio di arbitro per i falliti era stato introdotto nel vecchiotesto dell’art. 812, comma 2, c.p.c. ma assente nel codice del 1865. Il divieto era interpretato inmodo tassativo, di modo che non poteva ritenersi estensibile agli imprenditori ammessi alconcordato preventivo o all’amministrazione controllata (PUNZI, Disegno sistematico dell’arbi-trato, cit. 504 ss.; SATTA, Commentario al codice di procedura civile, IV, Milano, 1971, 260).

(15) La nomina dell’arbitro incapace è nulla, ma non lo è invece il compromesso, e siconsidera come tamquam non esset, ove la parte avente diritto non provveda alla nomina di unsostituto, la controparte potrà chiedere la nomina giudiziale dell’arbitro mancante. Se la nullitànon è rilevata dalle parti, né dagli arbitri il lodo emesso sarà impugnabile ai sensi del n. 3dell’art. 829 c.p.c. VERDE, Gli arbitri, in Diritto dell’arbitrato, a cura di Verde, Torino, 2000, 13.

(16) La questione della deferibilità ad una persona giuridica del ruolo di arbitro èdibattuta anche in altri ordinamenti europei. La legge arbitrale spagnola espressamente stabi-lisce che possono essere arbitri solo le persone natural nel pieno esercizio dei diritti civili. Taleruolo non può essere rivestito da persone giuridiche. La designazione di una persona giuridicasecondo la dottrina maggioritaria deve intendersi riferita al rappresentante legale della stessa.Diversamente una simile previsione determinerebbe la nullità della convenzione arbitrale,nonché l’impugnabilità del lodo per violazione di una norma imperativa, ai sensi dell’art. 41, n.4, Ley Arbitraje. Alle stesse conclusioni interpretative in assenza di una disposizione di legge adhoc, giunge altresì la dottrina tedesca, secondo cui la nomina di una persona giuridica si deveintendere rivolta al rappresentante legale della stessa. Il nuovo codice di procedura civilefrancese limita la scelta degli arbitri alle persone fisiche, ma espressamente disciplina le

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L’orientamento maggioritario in dottrina ritiene che la funzione digiudicare debba essere necessariamente svolta da una persona fisica. Lefunzioni di arbitro sono legate all’intuitus personae, che esiste solo inrelazione alle persone fisiche. Inoltre, l’attività di giudizio che i giudiciprivati svolgono presuppone necessariamente una serie di operazioniintellettuali proprie di una persona fisica.

Pertanto, discussi sono gli effetti della nomina di una persona giuri-dica in qualità di arbitro. Secondo un orientamento dottrinale tale nominadeve intendersi finalizzata ad individuare per relationem il rappresentantelegale pro tempore della persona giuridica (17).

Altra tesi (18), al contrario, considera necessario, caso per caso, inter-pretare la volontà delle parti al fine di individuare la persona dell’arbitroall’interno della struttura organizzativa dell’ente di riferimento. Partedella dottrina (19) considera, invece, possibile la designazione di personegiuridiche in qualità di arbitri, in assenza di un espresso divieto legislativo.

Dunque la disciplina codicistica della capacità dell’arbitro non pre-clude la possibilità astratta che rivesta il ruolo di arbitro un soggetto privodi cultura, sino a giungere al caso limite dell’analfabeta (20).

La tutela dell’autonomia negoziale delle parti, che in questa fase delprocedimento arbitrale impera, fa si che alle parti venga riconosciuta nonsolo la possibilità di nominare arbitri persone analfabete, ma anche lafacoltà di determinare ex ante le qualifiche che gli arbitri devono avere perrivestire tale ruolo e decidere la controversia tra loro insorta (art. 815,comma 1, n. 1, c.p.c.).

Il termine « qualifiche » sembra riferirsi a qualità tecniche, speciali-stiche o personali oggettivamente riscontrabili. Nel disposto dell’art. 815

conseguenze dell’eventuale nomina nella convenzione arbitrale di una persona giuridica. Ilsecondo comma dell’art. 1450 n.c.p.c. prevede che ove venga nominata come arbitro unapersonne morale, quest’ultima provvederà all’organizzazione dell’arbitrato stesso. Nessunaspecifica qualifica o capacità è richiesta dal legislatore inglese per l’assunzione del ruolo diarbitro, che, nel caso di incapacità fisica o mentale del giudice privato, attribuisce alle parti ilpotere di rimuoverlo.

(17) Cfr. VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, cit., 79; ANDRIOLI, Commento alcodice di procedura civile, IV, Napoli, 1964, 746.

(18) Cass. 30 giugno 1969, n. 2395, in Rep. Foro it., 1969, voce Arbitrato, 63 ss.(19) CUSA, La società di arbitrato amministrato, in Riv. Trim. dir. proc. civ., 2007, 779 ss.(20) Come ben chiarito da PUNZI, L’arbitro: modalità di nomina, criteri di selezione, in

Sull’arbitrato. Studi offerti a Giovanni Verde, Napoli, 2010, 645 ss., il problema non è quello diverificare se l’arbitro sia o meno analfabeta o quale sia il suo livello culturale, bensì se sia omeno in condizione di giudicare e decidere una determinata controversia. Un arbitro privo diqualsiasi titolo di studio potrebbe essere perfettamente capace di giudicare e decidere unacontroversia, secondo il criterio fissato dalle parti, come potrebbe essere il caso in cui le partiabbiano demandato agli arbitri il compito di decidere secondo equità. Al contrario un arbitrofornito di adeguato titolo di studio potrebbe essere del tutto incapace di giudicare secondodiritto. Si veda in proposito Cass., 7 giugno 1989, n. 2765, in Giust. Civ., 1989, I, 2345, ove le partiavevano nominato un collegio arbitrale formato da ingegneri, dunque tutti laureati, ma incapacidi decidere la controversia secondo diritto.

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c.p.c. non si dovrebbero ritenere ricomprese invece « qualità » dell’arbitroquali l’imparzialità, l’indipendenza o la fairness di giudizio, da considerarsiqualità necessarie e intrinseche « al compito di giudicare l’altrui contesa, e(che) si estende(ono), quindi, tanto al giudice statale quanto all’arbitro,prima ed a prescindere dall’imposizione normativa (21) ».

I contraenti possono dunque determinare le condizioni che gli arbitridevono soddisfare per l’assunzione dell’incarico: condizioni che di regolasi riferiscono alle « capacità » dell’arbitro, nel senso di abilità, competenzaed esperienza.

I giudici statali devono avere conseguito la laurea in giurisprudenza eaver superato un concorso pubblico per divenire magistrati. Ciò non valeper gli arbitri, che sono scelti dalle parti e possono essere anche non-giuristi. La competenza degli arbitri in materia di diritto non è dunque cosìcerta come quella dei giudici, ragion per cui il legislatore affida alle stesseparti il compito di stabilire le competenze specifiche dei giudici privati.

3. A presidio della volontà negoziale delle parti, il legislatore dellariforma del 2006 ha introdotto la mancanza « delle qualifiche espressa-mente convenute dalle parti » tra le cause di ricusazione dell’arbitro.

Come noto, il d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ha inciso in modo signifi-cativo sul testo dell’art. 815 c.p.c., in tema di ricusazione degli arbitri.

Il capo II del titolo VIII del libro IV è rubricato « Degli arbitri » ed èstato riformato ad opera dell’art. 26 del citato decreto legislativo. L’art.815 c.p.c. si compone di due parti: la prima contiene i motivi di ricusa-zione; la seconda ne disciplina il procedimento.

Prima della riforma del 2006 i motivi di ricusazione non eranoenunciati in modo espresso, ma con un rinvio ai casi previsti dall’art. 51c.p.c. per i giudici statali (22). Al contrario il testo legislativo vigente elencain modo espresso le cause di ricusazione, che corrispondono, però, in granparte a quelle previste dall’art. 51 (23) c.p.c., se pur opportunamenteintegrate e modificate.

(21) FAZZALARI, L’etica dell’arbitrato, in questa Rivista, 1992, 2.(22) Il rinvio operato dal legislatore all’art. 51 c.p.c. è stato definito « pigrizia intellet-

tuale » da VERDE, Gli arbitri, in Diritto dell’arbitrato, Torino, 2000, 155. Infatti « l’arbitro non èun giudice dello Stato, non è equiparabile a un giudice dello Stato e neppure un suo ausiliario; egliè un privato al quale le parti hanno affidato il compito di rendere giustizia su diritti controversidi cui possono disporre. » ID., La posizione dell’arbitro dopo l’ultima riforma, in questa Rivista,1997, 475.

(23) Il rinvio alle ipotesi di ricusazione dei giudici statali aveva sollevato dubbi sullaricusabilità degli arbitri anche per « gravi ragioni di convenienza », di cui al secondo commadell’art. 51 c.p.c. Sull’interpretazione del rinvio all’art. 51 c.p.c. si erano distinti due orienta-menti. Un orientamento più restrittivo, riteneva che il rinvio contenuto nell’art. 815 c.p.c.riguardasse solo le ipotesi di ricusazione del giudice statale e quindi le ipotesi di astensioneobbligatoria di cui all’art. 52 c.p.c. Cfr. BRIGUGLIO, Commento all’art. 815 c.p.c., in La nuovadisciplina dell’arbitrato, Briguglio - Fazzalari - Marengo, Milano, 1994, 90. Secondo altre vocidottrinali, al contrario, le peculiarità del giudizio arbitrale e le modalità di nomina del giudiceprivato inducevano ad un’estensione delle cause di ricusazione arbitrali rispetto a quelle

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L’attuale formulazione della norma per casistica presenta profilicritici considerato che le ipotesi di ricusabilità dell’arbitro elencate risul-tano « da un lato troppo analitiche e, al tempo stesso, inevitabilmentegeneriche e, dall’altro lato, rischiano di lasciar fuori ipotesi più rile-vanti (24) ».

Una delle principali novità della novella del 2006 è contenuta nelprimo numero, del comma 1, dell’art. 815 c.p.c., ove si chiarisce chel’arbitro può essere ricusato se manca delle qualifiche convenute dalleparti.

Tale ipotesi di ricusazione arbitrale, a differenza delle altre divisatedall’art. 815 c.p.c., non è volta a tutelare e garantire l’imparzialità el’indipendenza del collegio arbitrale, bensì ad assicurare la capacità del-l’arbitro rispetto alla lite. Le ipotesi di ricusazione tassativamente elencatenell’art. 815 c.p.c. attengono alla garanzia dell’imparzialità o dell’indipen-denza, ma non assicurano la competenza o l’esperienza dell’arbitro: laricusazione è il tipico strumento a presidio dello « iudex suspecuts », nondi « iudex inhabilis ».

Il primo comma dell’art. 815, al n. 1, c.p.c. è, invece, finalizzatoproprio ad assicurare che l’organo giudicante presenti i requisiti di com-petenza considerati essenziali dalle parti in lite.

La citata disposizione svolge la funzione di garantire che l’organogiudicante corrisponda a quanto scelto dalle parti e che venga, in defini-tiva, rispettata la matrice volontaristica dell’arbitrato.

Tale ratio consente di equiparare l’ipotesi in cui le parti abbianoespressamente concordato le qualifiche arbitrali, a quella in cui le partiabbiano espressamente escluso che l’organo giudicante abbia talune qua-lifiche (25).

La disposizione così interpretata ben si sarebbe relazionata al novel-lato art. 812 c.p.c., che individua « la capacità legale di agire » qualerequisito unico di capacità dell’arbitro, con la conseguenza che la man-canza di una qualifica voluta dalle parti avrebbe inciso sulla capacità diessere arbitro.

Il legislatore nazionale al contrario ha ritenuto opportuno tutelarel’autonomia negoziale delle parti, manifestata nella richiesta di qualificheespresse dell’arbitro, attraverso un istituto, la ricusazione, integralmenterimesso alla stessa volontà delle parti.

giudiziali. Un argomento a sostegno di tale tesi veniva ravvisato anche nel dato letterale dell’art.815 c.p.c. che non distingueva tra astensione e ricusazione giudiziale ma si limitava a rinviare aldisposto dell’art. 51 c.p.c. In tal senso CONSOLO, La ricusazione dell’arbitro, in questa Rivista,1998, 20; SALVANESCHI, Sull’imparzialità dell’arbitro, in Riv. dir. proc., 2004, 415.

(24) VERDE, Bastava solo inserire una norma sui rapporti tra giudici e arbitri, in Guida aldiritto, 2006, f. 8, 82.

(25) In tal senso in particolare BERGAMINI, Sub art. 815, in Commentario alle riforme delprocesso civile, a cura di Briguglio - Capponi, Padova, 2009, vol. III, tomo II, 657 ss.

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La scelta nazionale è in realtà in linea con gli ordinamenti stranieri:l’assenza delle qualifiche pattuite dalle parti è considerata causa di ricu-sazione dell’arbitro anche nell’ordinamento giuridico tedesco dal par.1036 (26), secondo comma, ZPO (27) e in quello spagnolo all’art. 17 Ley deArbitraje (28), per il legislatore inglese è motivo di removal dell’arbitro,secondo la section 24 Arbitration Act del 1996 (29). Il legislatore francesenon disciplina espressamente la violazione delle qualifiche convenute dalleparti per la nomina dell’arbitro, ma il vizio, opportunamente rilevato allaprima udienza di discussione successiva alla scoperta dello stesso, po-trebbe trasformarsi in motivo di impugnazione del lodo, ai sensi dell’art.1492, n. 2, n.c.p.c.

(26) Il par. 1036 ZPO dispone che: « (1) Eine Person, der ein Schiedsrichteramt angetra-gen wird, hat alle Umstände offen zu legen, die Zweifel an ihrer Unparteilichkeit oder Unabhän-gigkeit wecken können. Ein Schiedsrichter ist auch nach seiner Bestellung bis zum Ende desschiedsrichterlichen Verfahrens verpflichtet, solche Umstände den Parteien unverzüglich offen zulegen, wenn er sie ihnen nicht schon vorher mitgeteilt hat.(2) Ein Schiedsrichter kann nurabgelehnt werden, wenn Umstände vorliegen, die berechtigte Zweifel an seiner Unparteilichkeitoder Unabhängigkeit aufkommen lassen, oder wenn er die zwischen den Parteien vereinbartenVoraussetzungen nicht erfüllt. Eine Partei kann einen Schiedsrichter, den sie bestellt oder andessen Bestellung sie mitgewirkt hat, nur aus Gründen ablehnen, die ihr erst nach der Bestellungbekannt geworden sind ». Dunque le parti, nell’esercizio della propria autonomia negoziale,possono stabilire nella convenzione d’arbitrato che il giudice privato possegga determinatecaratteristiche o qualifiche. Secondo un’autorevole Dottrina la nomina di un soggetto che nonabbia tali requisiti è inefficace (HENN, Schiedsverfahrensrecht, Heidelberg, 2000, 68).

(27) La legge tedesca prevede che un arbitro può essere ricusato solo quando sussistonoelementi che fanno sorgere dubbi giustificati sulla sua imparzialità o indipendenza oppurequando non soddisfa i requisiti fissati dalle parti (par. 1036, comma 2, ZPO). La disposizione sirivolge esclusivamente gli arbitri e non interessa soggetti diversi. In particolare non sussiste lapossibilità di ricusare i soggetti che sono chiamati a nominare gli arbitri. La convenzionearbitrale potrebbe, ad esempio, avere rimesso a una determinata autorità il potere di nominaregli arbitri: tale persona non può essere ricusata; mentre ben potrà essere successivamentericusata la persona nominata. In tal senso SANGIOVANNI, La ricusazione dell’arbitro nella legge enella giurisprudenza tedesche, in Riv. Dir. Proc., 2010, f. 4, 891 ss.; GEIMER, Commento al § 1036,in Zöller (a cura di), Zivilprozessordnung, Köln, 2009, 2604.

(28) L’art. 17 della Ley de Arbitraje n. 60 del 2003 è rubricato « Motivos de abstención yrecusación » prevede espressamente che « Todo árbitro debe ser y permanecer durante elarbitraje independiente e imparcial. En todo caso, no podrá mantener con las partes relaciónpersonal, profesional o comercial. 2. La persona propuesta para ser árbitro deberá revelar todaslas circunstancias que puedan dar lugar a dudas justificadas sobre su imparcialidad e indepen-dencia. El árbitro, a partir de su nombramiento, revelará a las partes sin demora cualquiercircunstancia sobrevenida. En cualquier momento del arbitraje cualquiera de las partes podrápedir a los árbitros la aclaración de sus relaciones con algunas de las otras partes. 3. Un árbitrosólo podrá ser recusado si concurren en él circunstancias que den lugar a dudas justificadas sobresu imparcialidad o independencia, o si no posee las cualificaciones convenidas por las partes. Unaparte sólo podrá recusar al árbitro nombrado por ella, o en cuyo nombramiento haya participado,por causas de las que haya tenido conocimiento después de su designación. 4. Salvo acuerdo encontrario de las partes, el árbitro no podrá haber intervenido como mediador en el mismoconflicto entre éstas ».

(29) La section 24 dell’Arbitration Act del 1996 prevede, in particolare, che: « (1) A partyto arbitral proceedings may (upon notice to the other parties, to the arbitrator concerned and toany other arbitrator) apply to the court to remove an arbitrator on any of the following grounds— (a) that circumstances exist that give rise to justifiable doubts as to his impartiality; (b) that hedoes not possess the qualifications required by the arbitration agreement; (...) ».

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4. Come abbiamo anticipato, l’autonomia privata nella nomina del-l’arbitro e nella costituzione del tribunale arbitrale trova il suo limitenell’effettività dell’esecuzione del contratto di arbitrato. Il legislatoreitaliano non si limita a riconoscere ai privati la libertà di formare l’organogiudicante, ma detta le regole da applicare nell’ipotesi in cui l’inerzia dialcune delle parti dell’arbitrato impedisca il corretto funzionamento del-l’istituto. L’art. 810 c.p.c. (30) prevede, pertanto, un meccanismo di nominadegli arbitri sostitutivo della volontà delle parti, operante nelle ipotesi diinadempimento, nel termine di venti giorni dalla notifica della nomina, diuna delle parti della convenzione di arbitrato. Ormai la giurisprudenza èorientata a considerare l’art. 810 c.p.c. norma suppletiva (31), come taleapplicabile tutte le volte in cui le parti non abbiano espressamentedisciplinato nella convezione arbitrale l’ipotesi della propria inerzia. Lanomina giudiziale sostitutiva (32) è espressamente estesa all’omissionedella nomina da parte di un terzo a ciò esplicitamente demandato (art.810, comma 4, c.p.c.).

La disposizione richiamata prevede che la parte che ha notificato

(30) Nel vigore della disciplina dell’arbitrato antecedente alla l. n. 25/1994, e, in parti-colare, ai sensi dell’art. 809 c.p.c., la convenzione di arbitrato doveva contenere a pena di nullitàla nomina degli arbitri oppure l’indicazione del loro numero e delle modalità di nomina. Inpresenza di tale dettato normativo, autorevole Dottrina faceva discendere dal mancato accordodelle parti l’inefficacia della convenzione arbitrale e riteneva necessaria un’interpretazionerestrittiva dell’art. 810 c.p.c. In particolare, si tendeva ad escludere che Presidente del tribunalepotesse nominare l’arbitro unico ove la convenzione di arbitrato prevedesse la designazione suaccordo delle parti, perché « l’accordo delle parti sulla nomina dell’unico arbitro è un elementoessenziale del patto compromissorio ed il raggiungimento dell’accordo è condizione della suaefficacia ». In tal senso, VECCHIONE, Clausola compromissoria apparente e nomina dell’arbitrounico nel dissenso fra le parti, in Giur. it., 1954, I, 1, 478.

(31) L’art. 810 c.p.c. è da ritenersi una disposizione suppletiva. Le norme suppletivefanno parte del genus delle norme relative e devono intendersi come le norme « che provvedonoa colmare le lacune lasciate dalle parti nella disciplina da loro stesse dettata », mentre quelledispositive, anche esse parte del genus norme relative, « entrano in applicazione soltantonell’ipotesi in cui manchi una disciplina delle parti ». IRTI, Introduzione allo studio del dirittoprivato, Padova, 1990, 88 ss.

(32) La Corte di Cassazione ha, inoltre, considerato applicabile l’art. 810 c.p.c. anche alleipotesi arbitrato irrituale, nella sentenza a sezioni unite n. 3189, del 3 luglio 1989 (in Giust. Civ.,1990, 1, 178, con nota di CICCOTTI, Esigenza di effettiva tutela dei diritti ed estensione dellostrumento analogico: note minime a margine di una importante sentenza delle sezioni unite inmateria di arbitrato), ove si chiarisce che l’art. 810 c.p.c. (ai sensi del quale, ove una parte nonprovveda alla nomina dell’arbitro, consente all’altra di rivolgersi al Presidente del tribunale,onde ottenere in via surrogatoria tale nomina, ancorché dettato con riferimento all’arbitratorituale) deve ritenersi applicabile in via analogica all’arbitrato libero od irrituale. Ciò inconsiderazione sia della somiglianza strutturale e funzionale dei due istituti; sia dell’ammissi-bilità di un intervento di volontaria giurisdizione anche per supplire a un’inerzia di tiponegoziale; sia soprattutto dell’esigenza di assicurare l’attuazione del compromesso e quindi diconservare gli effetti del contratto. Ciò si giustifica anche in quanto il rispetto del vinculum iuris,nei limiti in cui esso può realizzarsi alla stregua della disciplina positiva e dei principifondamentali dell’ordinamento, è valore giuridico la cui diretta attuazione va senz’altro perse-guita e sarebbe aberrante premiare il contraente che, pur essendosi impegnato con il compro-messo all’arbitrato irrituale divenga inadempiente, o a maggior ragione punire entrambi icontraenti per un fatto estraneo alla loro volontà.

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l’invito all’altra parte e, se la nomina spetta ad un terzo, qualsiasi delleparti, trascorso invano il termine di venti giorni previsto dal secondocomma dell’art. 810 c.p.c., può proporre ricorso al Presidente del Tribu-nale nel cui circondario ha sede l’arbitrato o, se le parti non hannodeterminato la sede dell’arbitrato, al Presidente del Tribunale del luogoove è stata stipulata la convenzione arbitrale o, infine, se tale luogo èall’estero al Presidente del Tribunale di Roma (33).

L’iniziativa, nella nomina giudiziale sostitutiva, è ovviamente dellaparte non inadempiente e non può essere promossa d’ufficio (34).

La ratio sottesa all’art. 810 c.p.c. consiste nell’impedire la « paralisi »del giudizio arbitrale per mancata nomina degli arbitri (35). Si tratta quindidi un intervento sostitutivo del Presidente del Tribunale previsto a garan-zia dell’attuazione del principio di conservazione del patto compromisso-

(33) Il Presidente adito è tenuto a provvedere alla nomina giudiziale sostituiva dell’ar-bitro, salvo che la convenzione arbitrale non sia inesistente o non preveda espressamente unarbitrato estero. Il provvedimento assume la forma del decreto, salvo che non sia instaurato ilcontraddittorio tra le parti, ipotesi nella quale il provvedimento assume la forma dell’ordinanza.Il Presidente del Tribunale incaricato della nomina sostitutiva dell’arbitro, secondo la letteraoriginaria, con il contraddittorio solo eventuale delle parti decideva con ordinanza non impu-gnabile.

La legittimità costituzionale della soluzione (in virtù degli artt. 24 e 111 Cost.) dipendevadalla natura del procedimento, se contenzioso o meno. L’incertezza sull’impugnabilità dell’or-dinanza si è palesata in giurisprudenza che in alcuni casi ha negato in assoluto l’impugnabilità(Cass. 27 luglio 1957, in Giust. civ., 1957, I, 2098 e Foro it., 1957, I, c. 1618); in altri ha ammessoun reclamo camerale innanzi alla corte di appello (App. Torino 15 gennaio 1951, in Giur. it.,1952, I, 2, c. 40; App. Milano 7 novembre 1955, in Giur. it., 1957, I, 2, c. 259), in altri ancora unarevocabilità da parte dello stesso giudice che ha pronunciato (App. Milano 16 gennaio 1956, inGiur. it., 1957, I, 2, c. 259; Trib. S. Maria Capua V. 15 dicembre 1953, in Riv. avv. Stato, 1954,154), sino alla impugnabilità in Cassazione (Cass. 2 giugno 1983, n. 495. In senso contrario, Cass.11 febbraio 1998, n. 1413, in Foro it., 1998, I, c. 740; Cass. 14 aprile 1994, n. 3513, in questaRivista, 1994, 703). Stessa incertezza si riscontra in dottrina. Secondo un orientamento dottri-nale (GHIRGA, in Tarzia, Luzzatto e E.F. Ricci, La legge 25 gennaio 1994, n. 25, Padova, 1995,48 ss.) infatti, la sostituzione giudiziale della nomina integra un provvedimento costitutivo dellavolontà mancante della parte, fondato su di un inadempimento contrattuale e necessita quindidi un accertamento della esistenza del contratto d’arbitrato e dell’inadempimento ad esso(quanto all’obbligo di nominare l’arbitro) di una parte. La discrezionalità del giudice neldisporre la convocazione dell’altra parte e la non impugnabilità, che certamente era indice diinappellabilità e di non reclamabilità in sede camerale, ma non di inimpugnabilità in sede dilegittimità, mediante ricorso straordinario era considerata assolutamente discutibile.

L’orientamento maggioritario in dottrina è di contrario tenore, ritenendo che dellavalidità del contratto d’arbitrato dovranno e potranno trattare solo gli arbitri, e concludendo nelsenso della natura non decisoria del provvedimento emesso dal Presidente del tribunale ai sensidell’art. 810 c.p.c. Cfr. PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., 392; VERDE, Il dirittodell’arbitrato, Torino, 2005, 76; SATTA, Commentario al codice di procedura civile, IV, 2, Milano,1971, 254.

(34) In tal senso Cass. 6 maggio 1953, n. 1242, in Giust. civ., 1953, I, 1516. Né può esserepromossa dagli arbitri nominati, Cass. 19 luglio 1957, n. 3028, in Mass. Foro it., 1957, 592, v.Arbitrato.

(35) Cfr. BRIGUGLIO, sub art. 810, in Briguglio, Fazzalari, Marengo, La nuova disciplinadell’arbitrato. Commentario, Milano, 1994, 39; CECCHELLA , L’arbitrato, Torino 1991, 122; LA

CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, cit., 81 ss.

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rio e ispirato al favor arbitrati, volto a supplire a carenze delle parti (36).Tale ratio ha influenzato il dibattito relativo alla natura del termine diventi giorni previsto dall’art. 810 c.p.c.

La giurisprudenza di legittimità è orientata a considerare il termine diventi giorni, previsto dall’art. 810, primo comma, c.p.c., per la nominadell’arbitro ad opera della parte che ha ricevuto il relativo invito, come untermine non perentorio. L’art. 152, comma 2, c.p.c. prevede, infatti, che “itermini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa lidichiari espressamente perentori”. In assenza, dunque, di un’espressa pre-visione legislativa, il termine di venti giorni, di cui all’art. 810 c.p.c., deveconsiderarsi meramente ordinatorio e non perentorio.

Ne consegue che la parte inadempiente può provvedere alla nominaanche successivamente alla scadenza di tale termine, e sino a quando nonsia intervenuta la nomina ad opera del Presidente del Tribunale surichiesta della controparte, ai sensi del secondo comma del richiamato art.810 c.p.c. Il collegio composto dall’arbitro nominato in via sostitutiva dalPresidente del Tribunale in presenza di precedente — ancorché tardiva —nomina notificata dalla parte interessata alla controparte, la quale hal’onere di informare della nomina sopraggiunta il Presidente del Tribunaleda essa adito, deve considerarsi costituito in modo irregolare (e, conse-guentemente, il lodo pronunciato deve ritenersi nullo) (37).

5. La sentenza in epigrafe suggerisce un approfondimento sullaquestione (38) relativa alla necessità che l’arbitro nominato dal Presidente

(36) Cfr. VERDE, Diritto dell’arbitrato rituale, Torino, 1997, 81; PUNZI, Disegno sistematicodell’arbitrato, cit., 359.

(37) Cass., 2 dicembre 2005, n. 26257, in Giur. It., 2006, 7, 1463, con nota di SANGIOVANNI,Sulla natura del termine per la notificazione da parte del convenuto delle generalità dell’arbitro exart. 810 c.p.c. (e sull’obbligo della Corte di cassazione di motivare le proprie sentenze). Nellacitata sentenza, la Cassazione afferma che « la disciplina dettata dall’art. 810 c.p.c. non imponela notificazione né la comunicazione all’altra parte, che non ha provveduto alla nomina neltermine di venti giorni, del ricorso al presidente del tribunale per la nomina dell’arbitro insostituzione. Tale parte, quindi, non è posta in grado di sapere se, a seguito della propriainadempienza, l’altra parte abbia proposto ricorso (...) non vi è ostacolo a ritenere (...) chepermanga in capo alla parte il potere, integrativo del compromesso (della clausola compromis-soria), di nominare il proprio arbitro pur dopo la scadenza del termine di venti giorni previstodall’art. 810, comma primo, c.p.c. ».

(38) Il problema dei limiti del potere di intervento del Presidente del tribunale inrelazione alla nomina degli arbitri e alla costituzione del tribunale arbitrale era stato in originesollevato in merito alla nomina dei componenti mancanti dei collegi arbitrali in materie di operepubbliche. Si veda ALIBRANDI, L’art. 810 c.p.c. e la composizione del collegio arbitrale negliappalti di opere pubbliche, in Riv. Giur. Edil., 1968, I, 742 ss. La questione si riferiva all’alloravigente art. 45 del Capitolato generale di appalto per le opere di competenza del Ministero deilavori pubblici approvato con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 che attribuiva alle parti il potere dinomina di due arbitri. La composizione del collegio era disciplinata in modo dettagliato conl’indicazione delle professionalità e competenze richieste alle persone per assumere il ruolo diarbitro e si consentiva il rinvio all’art. 810 c.p.c. per le ipotesi di inerzia delle parti. Sollevata laquestione del potere del Presidente del tribunale in sede di nomina sostituiva degli arbitri si

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del Tribunale, ai sensi dell’art. 810 c.p.c., possegga le qualifiche espressa-mente convenute dalle parti nella convenzione e alla possibilità in caso dimancanza delle qualifiche, che lo stesso arbitro venga ricusato (39), ai sensidell’art. 815, comma 1, c.p.c. o il lodo pronunciato sia impugnato pernullità.

La Corte di Cassazione considera pienamente legittimo il provvedi-mento del Presidente del Tribunale che, ai sensi degli artt. 810 e 811 c.p.c.,proceda alla designazione dell’arbitro, non nominato tempestivamente dauna delle parti, al di fuori delle categorie professionali previste nelcontratto d’arbitrato.

La convenzione arbitrale produce effetti vincolanti esclusivamente trale parti e non può estendere i suoi effetti sui poteri di nomina di cui lalegge investe, nell’inerzia delle parti, l’autorità giudiziaria.

L’intervento sostitutivo del Presidente del Tribunale non è soggetto ailimiti fissati dall’autonomia privata, vincolante solo per gli autori degli attiche ne costituiscono esercizio a norma dell’art. 1372 c.c., ma si attua conla discrezionalità tipica del magistrato, che opera secondo legge nell’eser-cizio dei suoi poteri e senza vincoli di mandato.

sono distinte due opinioni. Alcune voci hanno escluso limitazioni al potere discrezionaledell’autorità giudiziaria, in quanto il potere trova la sua fonte direttamente nella legge e nonsoffre limitazioni che non siano imposte dalla legge stessa (Lodo 10 luglio 1967, Riv. Giur. Edil.,1968, I, 742-743). Altre invece hanno ritenuto che la concreta determinazione del Presidente deltribunale debba ritenersi vincolata alla volontà delle parti. L’ordinanza del Presidente hacarattere sostitutivo di un’attività manchevole delle parti, e anche se in modo mediato deveessere a tale volontà collegata, nel senso che al giudice viene attribuito il potere di porre inessere l’atto occorrente per perfezionare la fattispecie; ma l’atto in quanto destinato a prendereil posto di una manifestazione di volontà privata non potrà avere altro contenuto imperativo chequello risultante dalla determinazione autonoma delle parti. Dunque, quando l’indicazionedell’arbitro fosse predeterminato in qualche modo il contenuto dell’ordinanza non potrebbediscostarsi da quello del precetto dell’autonomia privata.

(39) La sentenza della Corte di Cassazione in epigrafe deriva dall’impugnazione pernullità del lodo emesso dal collegio arbitrale ai sensi dell’art. 829, comma 1, n. 2 c.p.c. Dallasentenza non si evince in modo nitido se effettivamente la parte ricorrente aveva dedotto il vizionella formazione del tribunale arbitrale nel corso del procedimento, come prescritto dall’art.829 c.p.c. Infatti anche a voler considerare l’ordinanza del Presidente del tribunale viziata e,conseguentemente, il lodo censurabile ex art. 829, comma 1, n. 2 c.p.c., l’impugnazione potrebbeugualmente essere rigettata in applicazione del novellato art. 829, comma 2, c.p.c., ai sensi delquale la parte che ha rinunciato a un motivo di impugnazione « non può per questo motivoimpugnare il lodo ». In effetti, la parte la quale davvero non voglia rinunciare a nominarel’arbitro può, anche dopo la presentazione del ricorso al Presidente del tribunale, accordarsi perla designazione prima che a ciò provveda il Presidente del tribunale (la Cassazione ha deciso nelsenso della validità della nomina effettuata in pendenza del giudizio instaurato con il ricorso alPresidente del tribunale ex art. 810 c.p.c. Cfr. sul punto Cass. 2 dicembre 2005, n. 26257, in Giur.it., 2006, 1463). Si potrebbe, pertanto, argomentare che la parte che, anche in seguito allapresentazione del ricorso al tribunale, non si attivi per la nomina dell’arbitro abbia rinunciatoall’impugnazione del lodo per violazione delle norme relative alla nomina degli arbitri. Sulpunto MARINUCCI, L’impugnazione del lodo arbitrale dopo la riforma. Motivi ed esito, Milano,2009, 238 ss.; ID., Sulla nomina giudiziale del terzo arbitro in caso di mancato accordo tra le parti,in Riv. dir. proc., 2010, 703 ss.; BERGAMINI, sub art. 810, in Briguglio - Capponi (a cura di),Commentario alle riforme del processo civile, volume III, tomo II, Padova, 2007, 590.

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Il Presidente del Tribunale non attua il compromesso e non dàesecuzione a quanto ivi previsto, ma nomina l’arbitro nell’esercizio deipropri poteri giudiziari con un provvedimento di volontaria giurisdizionenon decisorio e neppure impugnabile (40). Il potere sostitutivo dell’auto-rità giudiziaria supera la volontà delle parti espressa nella convenzionearbitrale.

L’orientamento seguito dalla Cassazione nella sentenza in epigrafenon è affatto isolato (41).

In una nota sentenza le sezioni unite della Corte di Cassazione (42)hanno chiarito che le parti nella convenzione arbitrale possono stabilireliberamente le qualifiche, le professionalità o le competenze che devonoavere gli arbitri per poter ricoprire tale carica. Tuttavia la determinazionedelle qualifiche operata dalle parti non vincola l’autorità giudiziaria even-tualmente chiamata a nominare un arbitro quando risulti essere contralegem.

All’autorità giudiziaria spetta il potere-dovere di verificare se, rispettoalla categoria indicata, sussistano cause d’incompatibilità e, nell’ipotesi incui le parti non abbiano previsto modalità sostitutive ai sensi dell’art. 811c.p.c., il rinvio operato da tale norma all’art. 810 implica che l’autoritàgiudiziaria provveda comunque alla nomina dell’arbitro al di fuori dellacategoria indicata.

Non è esigibile che il giudice faccia luogo alla nomina dell’arbitro inmodo non conforme alla legge o comunque secondo modalità che possanoviziare l’atto di nomina stesso. Ne consegue che nell’attribuzione norma-tiva del potere di nomina in sostituzione delle parti deve ritenersi com-preso il potere di provvedere anche in via diretta alla nomina di soggettonon appartenente alla categoria indicata (in assenza di diverse disposizionidel compromesso o della clausola compromissoria), quando l’indicazionedelle parti circa la categoria nel cui ambito operare la scelta non possaaver seguito a causa di ragioni ostative.

Difatti per poter affermare che il Presidente del Tribunale sia tenutoal rispetto delle clausole e delle condizioni preventivamente predispostedalle parti nella convenzione arbitrale si dovrebbe considerare l’attivitàdel Presidente ai sensi dell’art. 810, comma 2, c.p.c. come un’attivitàmeramente sostitutiva di un’attività negoziale predeterminata nel suo

(40) In questo senso Cass. 18 maggio 2007, n. 11665, in Rep. Foro it., 2007, voce Arbitrato,n. 136.

(41) In senso conforme Cass. 21 luglio 2010, n. 17114, in Mass. Foro it., 2010, 783, v.Arbitrato.

(42) Cass. 4 dicembre 2001, n. 15290, in Rep. Foro it., 2001, voce Arbitrato, n. 175 ove, laclausola compromissoria prevedeva la nomina di un magistrato, il Presidente aveva valutato dinon poter scegliere un magistrato in servizio essendo tale scelta in contrasto con le disposizionidel C.S.M. ed aveva proceduto alla nomina dell’arbitro al di fuori di tale categoria; la S.C. haconfermato la decisione di merito che aveva ritenuto validamente costituito il collegio arbitrale.

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contenuto (43). Al contrario la disposizione sopra citata attribuisce alPresidente un potere di nomina dell’arbitro con carattere sostitutivodell’inerzia delle parti (o meglio di un’attività negoziale manchevole delleparti) ma non predetermina il contenuto dell’attività negoziale manche-vole né direttamente, né indirettamente. Solo ove un precetto normativoimponesse al Presidente di determinare la scelta dell’arbitro tra apparte-nenti a determinate categorie si potrebbe dire il Presidente vincolato a taledictum. L’attività sostitutiva del Presidente non sarà però vincolata alleprevisioni limitative relative alle qualità degli arbitri contenute nel con-tratto di arbitrato.

Secondo un orientamento dottrinale, la ricusabilità dell’arbitro nomi-nato dall’autorità giudiziaria competente sarebbe anche ostacolata dallacircostanza che la ricusazione sarebbe disposta dalla stessa autorità che haprovveduto alla nomina dell’arbitro ricusando (44). In tal senso si doman-derebbe allo stesso organo che ha provveduto alla nomina dell’arbitro diverificare la correttezza della nomina, la presenza dei requisiti e dellenecessarie competenze dell’arbitro: in altre parole si domanderebbe algiudice di verificare l’atto che egli stesso ha pronunciato.

6. Alle argomentazioni addotte dalla Corte di Cassazione a sostegnodella validità della nomina giudiziale dell’arbitro sprovvisto delle qualifi-che richieste dalle parti si potrebbe obiettare che la nomina dell’arbitro adopera del Presidente del Tribunale ha una natura sostitutiva: sopperiscecioè ad un’attività mancante di rigore rimessa alla volontà delle parti.

Così considerato il potere giudiziale di nomina dell’arbitro, si po-trebbe affermare che il Presidente chiamato a sostituirsi alla volontà delleparti è tenuto a rispettare i requisiti validamente concordati dalle parti eche alle parti è riconosciuto il potere di ricusare l’arbitro di matricegiudiziale privo delle richieste qualifiche.

(43) In tal senso PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., 596 ss.; ALIBRANDI, L’art.810 c.p.c. e la composizione del collegio arbitrale negli appalti delle opere pubbliche, in Riv. Giur.Edil., 1968, I, 742 ss.

(44) In questo senso RUFFINI - POLINARI, Sub articolo 815, in Codice di procedura civileCommentato, a cura di Consolo - Luiso, Milano, 2007, 5832. Questa difficoltà potrebbe esseresuperata se della ricusazione venisse incaricato un sostituto diverso da quello che ha provvedutoalla nomina dell’arbitro ricusando (così GIOVANNUCCI ORLANDI, Sub art. 815 Ricusazione degliarbitri, in Arbitrato, a cura di Carpi, Bologna, 2001, 293). In realtà la problematica richiama lanecessità che la decisione sulla ricusazione arbitrale venga rimessa ad un organo giudicanteassolutamente imparziale, anche apparentemente, ma è superata in altri ordinamenti europeimeno timorosi come la Spagna che considera competenti a decidere sulla ricusazione gli stessiarbitri. La Ley de Arbitraye 60/2003 attribuisce la competenza a decidere sull’istanza diricusazione agli stessi arbitri, ove la controparte non accetti la ricusazione e l’arbitro non rinunciall’incarico. Nella Exposición de Motivos de la Ley de Arbitraye 60/2003 si riconosce che oltreal criterio legale predisposto consistente nell’attribuire la competenza dell’istanza di ricusazioneagli stessi arbitri, potevano essere astrattamente previste altre alternative che avrebberomaggiormente garantito l’imparzialità, ma che allo stesso tempo potevano incentivare tattichedilatorie ad opera delle parti.

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Unico limite all’autonomia privata si dovrebbe riconoscere nell’ipo-tesi in cui i requisiti pattiziamente convenuti possano determinare un viziodella nomina. In tal caso, infatti, non si potrebbe consentire di piegare lostrumento giudiziario ad un risultato contra legem (45).

Ammettendo per ipotesi che il Presidente del Tribunale nell’eserciziodella funzione prevista dall’art. 810 c.p.c. sia tenuto a rispettare la volontàespressa dalle parti nella convenzione arbitrale resterebbe da interrogarsisui rimedi esperibili avverso la nomina giudiziale che violi il patto arbitralee l’autonomia dei privati.

La questione giuridica della impugnabilità del provvedimento giudi-ziale di nomina dell’arbitrato è stata oggetto di dubbi, in dottrina come ingiurisprudenza (46).

Prima della recente riforma arbitrale il provvedimento assumeva laforma dell’ordinanza non impugnabile e non avendo contenuto decisoriose ne escludeva sia la reclamabilità ai sensi dell’art. 739 c.p.c. sia laimpugnabilità per Cassazione con ricorso straordinario ai sensi dell’art.111 Cost.

A seguito della eliminazione del riferimento alla non impugnabilitàdell’ordinanza non dovrebbero residuare dubbi sull’assoggettabilità areclamo dell’ordinanza presidenziale (47).

Ciò considerato, la dottrina non è concorde sugli strumenti utilizzabiliper impugnare il provvedimento presidenziale che violi la volontà delleparti espressa nel patto compromissorio.

Secondo autorevoli autori (48) il provvedimento di nomina giudizialenon potrebbe essere impugnato con lo strumento della ricusazione, bensìsarebbe soggetto esclusivamente a reclamo ai sensi dell’art. 739 c.p.c.

Con tale rimedio le parti potrebbero lamentare la mancanza nell’ar-bitro nominato dall’autorità giudiziaria delle qualifiche convenute espres-samente da loro stesse.

Altri Autori (49) ritengono invece che ove il Presidente del Tribunalenomini arbitro un soggetto che manchi delle caratteristiche volute dalleparti queste avrebbero a disposizione tre rimedi: proporre reclamo av-verso l’ordinanza di nomina ex art. 739 c.p.c.; contestare all’arbitro inte-ressato il difetto dei requisiti richiesti al fine di provocarne le dimissioni ed

(45) In tal senso Cass. 4 dicembre 2001, n. 15290, in Giur. It., 2002, 1275.(46) Sul tema si v. PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., 589 ss.; VALENTI, Sulle

modalità di sostituzione degli arbitri e sui rimedi avverso i provvedimenti presidenziali disostituzione, in questa Rivista, 2003, 841 ss.

(47) Il provvedimento qualunque ne sia la forma, decreto o ordinanza, finisce colrientrare tra quelli di volontaria giurisdizione ed è quindi reclamabile. Cfr. VERDE, Lineamentidi diritto dell’arbitrato, cit., 78.

(48) Così RUFFINI - POLINARI, sub art. 815, in Codice di procedura civile commentato,diretto da Consolo, Milano, 2010, 1775.

(49) In tal senso GIOVANNUCCI ORLANDI, in A.A.V.V. Arbitrato a cura di Carpi, Bologna,2007, 293.

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evitare un lodo impugnabile ai sensi dell’art. 829, comma 2, n. 2, c.p.c.;presentare un’istanza di ricusazione dell’arbitro nominato dal Presidentedel Tribunale.

7. Sembra, quindi, che dall’interpretazione dell’art. 810 c.p.c. possapervenirsi a tre risultati ermeneutici.

Secondo una prima lettura, ispirata al principio dell’autonomia (chepotremmo indicare come tesi dell’autonomia), i criteri e le qualifichestabilite nella convenzione arbitrale dalle parti vincolano anche il terzo(privato o giudice) chiamato a nominare l’arbitro. In mancanza dellequalifiche espressamente convenute dalle parti, il provvedimento di no-mina dovrebbe dirsi viziato e reclamabile e l’arbitro nominato potrebbeessere ricusato.

Una diversa lettura, che per brevità diremo dell’eteronomia, si fondasul principio della relatività degli effetti del contratto, di cui all’art. 1372c.c. Secondo tale tesi dell’eteronomia, il giudice non è tenuto a rispettarela volontà negoziale delle parti, che produce i suoi effetti solo inter partes,ma non vincola i terzi e tanto meno il giudice. La nomina giudizialedell’arbitro carente delle qualifiche stabilite dalle parti nella convenzionearbitrale sarebbe valida e l’arbitro, così nominato, non ricusabile.

Alle letture citate e descritte nei paragrafi precedenti sembra potersiaggiungere una tesi intermedia.

La tesi muove dalla distinzione tra: modalità di nomina e selezionedegli arbitri, da un lato, e status soggettivo dell’arbitro, dall’altro.

La modalità di nomina dell’arbitro si esaurisce nel procedimentoscelto dalle parti o imposto dalla legge per la selezione del giudice dellalite. Il procedimento di nomina giudiziale è affidato dall’art. 810 c.p.c. invia esclusiva al Presidente del Tribunale, il quale vi provvederà in modoautonomo, attenendosi alle regole imposte per i procedimenti in camera diconsiglio.

Lo status soggettivo dell’arbitro comprende le qualifiche, qualità ecompetenze individuate dalle parti. La determinazione di tale elemento èe resta nella piena disponibilità delle parti della convenzione di arbitrato.

Si dovrebbero, dunque, distinguere due ambiti. La modalità di no-mina resterebbe esclusiva competenza del giudice, sulla quale le sceltedelle parti non potrebbe incidere.

Lo status, al contrario, potrebbe essere deciso dalle parti, ma nonpotrebbe essere modificato dal Presidente del Tribunale.

Seguendo tale tesi, il Presidente del Tribunale che nomini l’arbitro,rispettando le norme di cui agli artt. 737 c.p.c., ma discostandosi dallostatus prescelto dalle parti, emanerebbe un provvedimento valido e nonreclamabile, almeno per violazione della volontà della parti.

Alle parti spetterebbe, però, il potere di ricusare l’arbitro validamente

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nominato dal giudice ma non dotato delle qualifiche convenzionalmentestabilite, ai sensi dell’art. 815, n. 1, c.p.c.

La ricostruzione avrebbe il pregio di garantire il rispetto dell’autono-mia privata e al contempo la discrezionalità del giudice, ma si sostanziacomunque in una limitazione alla discrezionalità del magistrato e sembraessere espressione della tesi dell’autonomia.

La giurisprudenza di legittimità (50) ha, infatti, chiarito che l’inter-vento del Presidente non può dar vita ad una nomina viziata. Il Presidenteè cioè tenuto ad emettere un provvedimento di nomina dell’arbitro nonsolo valido ma anche efficace, che sia cioè in grado di produrre gli effettiper cui è pronunciato, ossia costituire un organo giudicante che decida unalite.

In questo modo, invece, il Presidente del Tribunale finirebbe con ilnominare un arbitro, consapevolmente, ricusabile in quanto privo dellequalifiche previste dalle parti.

Le letture dell’art. 810 c.p.c. sembrano necessariamente ridursi a due.L’autonomia dei privati vincola l’operato del giudice o è dallo stesso

superata.Non sembra possibile distinguere tra modalità di nomina e status

essendo entrambi oggetto della libera determinazione delle parti. Lascelta è un concetto di secondo grado presupponendo necessariamente unoggetto sul quale la stessa si deve esercitare. Nel caso in esame, l’oggettodella scelta è la categoria delle persone nominabili come arbitri. Le partipossono decidere di autolimitare la categoria prescrivendo delle qualifi-che, ma la limitazione non potrà vincolare l’autorità giudiziaria adita. Peril Presidente la categoria delle persone nominabili non è ristretta al campoindividuato dalle parti, ma coincide con il « chiunque » ed è, quindi,comprensiva di tutte le persone fisiche dotate della capacità legale di agire.Tale limitazione, intanto, vincola il Presidente, in quanto espressamenteimposta dalla legge e, precisamente, dall’art. 812 c.p.c.

8. Sebbene in un istituto di matrice privatistica come l’arbitrato, lalimitazione dell’autonomia privata teorizzata dalla Corte di Cassazionenella sentenza in epigrafe appaia significativa, la tesi può essere varia-mente argomentata.

L’intervento del giudice in sede di volontaria giurisdizione (51), pre-

(50) Cass. 4 dicembre 2001, n. 15290, cit. nt. 42.(51) In questa sede non si può dare conto delle perplessità dottrinali sulla nozione stessa

di volontaria giurisdizione e sui procedimenti che ivi vanno ricompresi. Si tratta, come noto, deiprocedimenti disciplinati dagli artt. 737 ss. c.p.c. che si concludono con decreto o talvolta conordinanza. La funzione di tali procedimenti consiste nell’esercizio di un controllo preventivodelle determinazioni dei privati affinché risultino conformi alla legge. La volontaria giurisdi-zione rappresenterebbe il dominio della discrezionalità giudiziaria. Cfr. FAZZALARI, Istituzioni didiritto processuale, VII ed., Padova, 1994, 523 ss.

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visto dall’art. 810, comma secondo, c.p.c., non rappresenta certamente ununicum nell’ordinamento, basti pensare in modo non esaustivo alla sceltadel beneficiario di un legato fra le persone o gli enti indicati dal testatore(art. 631, u.c., c.c.), o alla scelta nelle obbligazioni alternative (art. 1287,u.c., c.c.), o alla determinazione del prezzo nell’ipotesi prevista dall’art.1473 c.c.

Il riferimento a un’attività sostitutiva e integrativa del giudice, in casodi inerzia o di volontà contraria di una parte alla nomina di un arbitrosecondo il meccanismo previsto dalla clausola compromissoria, non èquindi una fattispecie isolata nell’ordinamento giuridico.

Dal punto di vista sostanziale, il potere di intervento del Presidentedel Tribunale, ai sensi dell’art. 810 c.p.c., come interpretato dalla sentenzain epigrafe, sembrerebbe doversi inquadrare tra le fonti di eterodetermi-nazione (52) del contratto (53).

(52) « In definitiva, con l’eterointegrazione (o, come più semplicemente si dirà da ora inpoi, con l’integrazione) si allude a forme di intervento sul contratto che vanno al di là del purampio svolgimento della logica della dichiarazione e che, quindi, si aggiungono all’attività delleparti nella costruzione del definitivo regolamento contrattuale. » RODOTÀ, Le fonti di integrazionedel contratto, Milano, 2004, 9.

(53) Come noto la convenzione d’arbitrato è un contratto che ha ad oggetto il diritto deisingoli di far decidere le proprie controversie da privati. Talvolta si è avvicinato il pattocompromissorio al pactum de foro prorogando, ma quest’ultimo ha un oggetto esclusivamenteprocessuale, il patto compromissorio « riguarda lo stesso modo di essere della tutela e, talvolta,i criteri di giudizio adoperabili, così che deve escludersi che abbia rilievo solo processuale ». Siritiene preferibile considerare la convenzione alla stregua di un contratto nominato (artt. 806ss. c.p.c.) il cui oggetto consiste nella controversia da decidere e la causa è il farla decidere daterzi. VERDE, La convenzione di arbitrato, in Diritto dell’arbitrato, a cura di Verde, Torino,2005, 71 ss.

Dalla convenzione di arbitrato nasce il « potere-onere di nominare o far nominarel’arbitro o gli arbitri ». La nomina dell’arbitro è dunque un atto diverso dal contratto di arbitroche si pone come una proposta che deve, o può, essere accettata dal destinatario per iscritto (aisensi dell’art. 813, comma 1, c.p.c.). Dopo l’accettazione degli arbitri nasce con le parti unrapporto contrattuale in forza del quale i primi assumono l’impegno di decidere la controversiae i secondi di corrispondere loro il corrispettivo. Tale rapporto contrattuale è stato qualificatocome mandato, come contratto d’opera (ai sensi dell’art. 2222 c.c.), come un negozio misto, cherisulterebbe dalla combinazione tra mandato e contratto d’opera. Sembra preferibile conside-rare il contratto fra le parti e gli arbitri alla stregua di un contratto nominato disciplinato nei suoicaratteri essenziali dagli artt. 806 ss. c.p.c. Cfr. VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, cit., 67ss. Rilevante è anche il rapporto che si instaura tra l’accordo compromissorio e il contratto diarbitrato, tra parti ed arbitri. Si distingue così tra collegamento genetico e funzionale e tracollegamento volontario e necessario (NARDI, Frode alla legge e collegamento negoziale, Milano,2006, 48; C.M. BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 2000). Il collegamento geneticoricorre quando un negozio esercita un’azione vincolativa o meno sulla formazione di altro o dialtri negozi; pertanto, in tal caso, l’influenza che un negozio spiega sull’altro si esaurisce nelprocesso di formazione dei negozi stessi. Il collegamento, invece, si definisce funzionale quandol’influenza che un negozio esercita sull’altro opera sullo svolgimento e sul funzionamento delrapporto, che da tale negozio nasce (GASPERONI, Collegamento e connessione tra negozi, in Riv.dir. comm., 1955, I, 357). In dottrina, poi, emerge la necessità di distinguere le ipotesi in cui ilcollegamento deriva direttamente ed indispensabilmente dalla legge (collegamento necessario),da quelle in cui la fonte del collegamento risiede nella volontà dei contraenti (collegamentovolontario) (RAPPAZZO, Il collegamento negoziale nella società per azioni, Milano, 2008, 20). Ladottrina distingue inoltre tra collegamento unilaterale e collegamento bilaterale (C.M. BIANCA,

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Il problema di fondo che pone l’art. 810 c.p.c. sembra riguardare,quindi, l’ambito di estensione dell’autonomia privata e, più in particolare,se questa si estenda fino alla determinazione dei concreti effetti giuridiciderivanti da un determinato atto o, al contrario, se la produzione di effettigiuridici costituisca una prerogativa dell’ordinamento giuridico (54).

Sul punto la Relazione al Codice civile, a commento dell’art. 1372 c.c.,afferma il principio « secondo cui la volontà privata non può creare inmodo indipendente effetti giuridici » (55).

Diritto civile, III, Il contratto, cit., 483). Nella prima ipotesi, la sorte di un rapporto si ripercuotesull’altro ma non viceversa; nella seconda, la sorte di ciascun rapporto è legata alla sortedell’altro (ZUCCONI GALLI FONSECA, Collegamento negoziale e efficacia della clausola compro-missoria: il leasing e le altre storie, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2000, 1094).

Il rapporto esistente tra contratto di arbitrato e accordo compromissorio potrebbe essereinterpretato quale nesso di interdipendenza funzionale e necessaria. Il primo profilo si giusti-ficherebbe in funzione del risultato pratico a cui tende il coordinamento e la combinazione dientrambi i negozi: infatti, accordo compromissorio e contratto di arbitrato sono diretti almedesimo risultato finale, costituito dalla conclusione del procedimento arbitrale (MARULLO DI

CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, Milano, 2008, 16). Il contratto di arbitrato sarebbeaccessorio rispetto all’accordo compromissorio. In particolare, si tratterebbe di accessorietàbilaterale; quindi, non solo le vicende del negozio principale si ripercuotono su quello acces-sorio, ma, in senso contrario, anche il primo subisce l’influenza del secondo.

Tuttavia come osservato da autorevole dottrina (IRTI, Introduzione allo studio del dirittoprivato, IV edizione, cit., 19-21), il legislatore talvolta costruisce fattispecie di contratto checontengono, tra i propri elementi di fatto, gli effetti prodotti da altri negozi; in questi casi, nonsi pone un problema di collegamento, ma viene in rilievo la necessità che la situazione iniziale,su cui si innestano gli effetti del negozio, sia interamente venuta ad esistenza. Seguendo, quindi,tale impostazione il rapporto tra i due negozi si esaurisce nel fatto che il contratto di arbitratoreca tra i suoi presupposti un valido ed efficace accordo compromissorio; quest’ultimo si ponequindi come un elemento fattuale della più ampia fattispecie « contratto di arbitrato ». Ilrapporto parti-arbitri sarebbe del tutto autonomo dalla convenzione arbitrale (in tal senso v.MARULLO DI CONDOJANNI, Il contratto di arbitrato, cit., 20).

(54) Su questa problematica si possono riscontrare diverse teorie. La pandettisticatedesca, nell’ottica del Willensdogma, parte dall’idea che la volontà dell’uomo, manifestatasiall’esterno, possa realizzare effetti giuridici conformi al suo contenuto; in questo senso, VON

SAVIGNY, Sistema del diritto romano attuale, trad. it. da Scialoja, Torino, 1888-1891, III, 123 ss.;WINDSCHEID, Diritto delle pandette, trad. a cura di Fadda e Bensa, Torino, 1930, 202. Un’ideaconforme a quest’ultima è sostenuta anche da STOLFI, Teoria del negozio giuridico, Padova,1947, secondo il quale sarebbe la volontà dei privati a dar vita agli effetti giuridici. Si veda, aquesto proposito, anche GIORGIANNI, Volontà (dir. priv.), in Enc. Dir., XLVI, Milano, 1993, 7.

Un’impostazione diversa e ampiamente sostenuta in dottrina, nega ai privati la compe-tenza a produrre l’effetto giuridico in quanto la creazione degli effetti giuridici sarebbe riservataesclusivamente alla legge. Come riferisce CATAUDELLA, Sul contenuto del contratto, Milano,1988, 47, « gli effetti giuridici sono la risposta dell’ordinamento all’atto di autonomia privata,conseguente alla sua valutazione »; mentre le parti possono liberamente determinare il conte-nuto contrattuale, l’identificazione e la produzione degli effetti giuridici sarebbe riservataall’esclusiva competenza della legge. In questo senso, anche BETTI, Teoria generale del negoziogiuridico, Torino, 1943, 82. Cfr. sul tema IRTI, Letture bettiane sul negozio giuridico, Milano,1991, 27 ss.; ID., Introduzione allo studio del diritto privato, cit., 93 ss.; MARANI, La simulazionenegli atti unilaterali, Padova, 1971, 117 ss. Di particolare interesse è anche la prospettivaesaminata da SCIALOJA, Negozi giuridici, Roma, 1933, 36.

(55) Relazione del Guardasigilli al Codice civile, n. 627, la quale continua « Questoprincipio afferma l’immanente e perenne soggezione della volontà individuale al comando dellalegge. E se ne intende la necessità, in base alla considerazione che il riconoscimento dellagiuridicità si fonda sulla valutazione dell’utilità generale degli effetti che ne derivano; il compito

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L’art. 1374 c.c. (56) indica, in modo espresso, il generale principio dicorrispondenza tra contenuto dell’atto e contenuto degli effetti giuri-dici (57), cioè, ferma restando la distinzione tra contenuto dell’atto edeffetti giuridici prodotti dall’atto stesso (58), le modificazioni delle situa-zioni di diritto, conseguenti ad un atto di autonomia privata, sono con-formi a quelle espresse dalle parti con l’atto di autonomia privata stesso.

Partendo dal dato normativo e in base alle premesse indicate sipossono effettuare alcune considerazioni.

In base all’art. 1374 c.c. e all’art. 1322 c.c., le parti possono determi-nare il contenuto contrattuale di un determinato atto e il « contrattoobbliga le parti », in primis, « a quanto è nel medesimo espresso » (59). Iprivati sono liberi di stabilire un determinato regolamento contrattuale e,quindi, di scegliere uno schema e di determinarne e specificarne il conte-nuto nei limiti indicati dalla norma, ma « lo schema prescelto e gli effettispecificati sono offerti dal legislatore » (60). È, quindi, il legislatore aindicare e a predisporre gli effetti giuridici, « la norma è...il “motore” deglieffetti » (61).

di fare questa valutazione non può attribuirsi al singolo senza porre l’uniformità a cui deveispirarsi, senza cioè far luogo ad una relatività di giudizi che scompone disordinatamente gliscopi della pluralità organizzata ».

(56) Attribuisce a tale norma una funzione sostanzialmente interpretativa, FERRI, Causae tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966, 286 ss.; ID., La « cultura » del contratto ele strutture del mercato, in Riv. dir. comm., 1997, I, 867 s.

(57) IRTI, Introduzione allo studio del diritto privato, Torino, 1974, 93, secondo il qualetale norma « enuncia, nella sua elementare semplicità, il principio dell’autonomia privata, che,sul piano tecnico, non è altro dalla corrispondenza tra contenuto dell’atto e contenuto deglieffetti giuridici », richiamando l’art. 1322, comma primo, c.c.

(58) Il concetto di contenuto del contratto e il suo rapporto con gli effetti giuridici èpiuttosto complesso. Alcune dottrine utilizzano l’art. 1322 c.c. come punto di partenza perdefinire il contenuto come « precetto dell’autonomia privata » comprensivo quindi di tutte esolo le determinazioni dettate dagli autori stessi per regolare i propri interessi; in questo modo,si esclude dalla nozione di contenuto tutto ciò che non costituisce esplicazione dell’autonomiaprivata delle parti. In questo senso BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, cit., 156. Altriautori utilizzano una nozione di contenuto molto più estesa intesa come il complesso di elementiche concorrono a formare la fattispecie contrattuale, anche se estranei all’autonomia contrat-tuale: CONFORTINI, Problemi generali del contratto attraverso la locazione, Padova, 1984, 216;ALLARA, La teoria generale del contratto, Torino, 1955, 82. In una prospettiva autonoma ediversa si pone RODOTÀ, Le fonti d’integrazione del contratto, Milano, 1969, 78, il quale,indicando la nozione di regolamento contrattuale, pone l’accento sul confluire di varie fontinella determinazione delle regole che disciplinano l’assetto di interessi tra le parti del contratto:l’attività delle parti, la determinazione legale, la determinazione ad opera del giudice. CosìCass., 22 aprile 2000, n. 5286, in Foro it., 2000, I, 2180.

(59) Le parti, stipulando il contratto, mirano alla costituzione, modificazione o estinzionedi un rapporto (ex art. 1321 c.c.); esse esternano una volontà ed un atto di autodeterminazionecontrattuale con lo specifico intento di produrre un risultato, un effetto, e, in questo senso, leparti e l’autonomia privata sono spesso indicate in dottrina come fonti di produzione di effettigiuridici. C.M. BIANCA, Diritto civile, 3. Il contratto, Milano, 2000, 318.

(60) IRTI, La scuola di Messina in un libro sui fatti giuridici, Prefazione a Pugliatti (1945),rev. e agg. a cura di Falzea, Milano, 1996, VI.

(61) AA. VV., Dieci lezioni introduttive a un corso di diritto privato, Torino, 2006, 125 s.,dove si osserva che l’effetto giuridico è una « creazione esclusiva della norma, mentre il fatto,

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Gli effetti giuridici possono non coincidere in concreto con il conte-nuto dell’atto di autonomia privata. La produzione degli effetti giuridici èsubordinata ai limiti e ai requisiti di legge e, in questo senso, diverse sonole modalità con cui il legislatore o, più in generale, l’ordinamento giuridicolimita e vincola l’autonomia privata, non solo in negativo, cioè con la meraimposizione di divieti, ma anche in positivo, sostituendo la propria valu-tazione a quella posta in essere dalle parti (62). Questo è il fenomenodell’eteronomia (63) o dell’eterodeterminazione, da intendersi come ilpotere di determinare dall’esterno i rapporti tra i privati (64). Emblematicaè, a questo proposito, la disciplina dell’art. 1339 c.c. (65), che introduce unmeccanismo sostitutivo di clausole contrattuali con delle clausole impostedal legislatore, nonché la previsione dell’art. 1374 c.c. che, dopo avereindividuato il generale principio di corrispondenza tra contenuto delcontratto e contenuto degli effetti, aggiunge che il contratto obbliga leparti « ...anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o,in mancanza, secondo gli usi e l’equità ».

L’intervento del Presidente del Tribunale, ai sensi dell’art. 810 c.p.c.,seppur con delle differenze, sembra, quindi, avvicinarsi alle ipotesi previ-ste dagli artt. 1339 e 1374 c.c. (66) e volto all’integrazione di un elementodel contenuto negoziale nell’interesse di tutte le parti della convenzionearbitrale: al giudice viene infatti richiesto di intervenire con un provvedi-mento che sostituisca un’attività negoziale manchevole delle parti.

Vero è che la legge (ossia l’art. 815 c.p.c.) attribuisce alle parti lafacoltà di scegliere le qualifiche dell’arbitro e la stessa legge riconosce duestrumenti di tutela a presidio della loro volontà (ricusazione e impugna-

anche quando consiste in manifestazioni di volontà, si risolve tutto in se stesso e non in unasupposta attitudine, attuale o potenziale, a determinare l’effetto. Il fatto, pertanto, nasceneutro: la sua giuridicità, che, in sostanza, coincide con la sua effettività è un portato dellanorma ».

(62) Il legislatore, nel momento in cui interviene in un dato settore della realtà sociale,pone in essere una valutazione di opportunità politica sulla meritevolezza di tutela di un datointeresse in rapporto ad un altro. Un’analisi delle varie modalità in cui può concretizzarsi taleintervento è realizzata da CONFORTINI, Problemi generali del contratto attraverso la locazione, cit.,134 ss.

(63) Come espressamente rilevato da ORLANDI, Autonomia privata e autorità indipen-denti, in L’autonomia privata e le autorità indipendenti: la metamorfosi del contratto, a cura diGitti, Bologna, 2006, 275 ss, l’eteronomia costituisce un fenomeno « correlato e complemen-tare » a quello di autonomia, nel senso che i due concetti si « delimitano a vicenda, dove finiscela sfera di autonomia inizia quella dell’eteronomia, e viceversa ».

(64) Si parla a questo proposito di fonti o regole eteronome, in grado di negare, quindi,la simmetria fra volontà e risultato giuridico. M. CONFORTINI, Problemi generali del contrattoattraverso la locazione, cit., 134 ss.; SACCO, La parte generale del diritto civile. 1. Il fatto, l’atto ilnegozio, in Tratt. dir. civ., diretto da Rodolfo Sacco, Torino, 2005, 128; GIORGIANNI, La crisi delcontratto nella società contemporanea, in Riv. dir. agr., 1972, I, 385 ss.; ORLANDI, Autonomiaprivata e autorità indipendenti, cit., 273 ss.

(65) Da questa norma sorge una serie alquanto complessa ed articolata di problematicheche non possono essere affrontate in questa breve nota.

(66) In tal senso STESURI, Gli arbitri. Mandato, responsabilità e funzioni, Milano, 2001, 16.

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zione per nullità), introducendo quindi un vincolo al rispetto dell’autono-mia delle parti — quanto meno indirettamente tutelato dallo stesso art.815 c.p.c. —, tuttavia, il potere-dovere di intervento dell’autorità giudizia-ria, ai sensi dell’art. 810 c.p.c., è, e resta, discrezionale.

La discrezionalità del giudice civile non è del tutto libera, presentasenz’altro dei limiti. Il giudice, infatti: deve operare in conformità allalegge (67), ai sensi dell’art. 101 Cost.; è vincolato al dovere di imparzialità,nei riguardi delle parti e degli interessi dedotti in giudizio (68); è tenutoall’obbligo di motivare il provvedimento pronunciato (69), ai sensi dell’art.111 Cost.

Nessuna norma sembra vincolare però il Presidente del Tribunale alrispetto delle clausole concordate tra le parti.

D’altra parte, esaminando alcune delle ipotesi in cui il legislatoreattribuisce all’autorità giudiziaria il dovere di intervento e di integrazionedel contenuto negoziale di un atto privato, si evince che i limiti alladiscrezionalità giudiziaria (70) devono essere normativamente imposti: è lalegge a vincolare il giudice, e non le parti.

Basti pensare all’ipotesi della nomina dell’amministratore di sostegno

(67) Il dovere di operare in conformità alla legge oltre ad essere espressamente impostoal giudice dall’art. 101 della Costituzione, deriva dal collegamento tra il giudice e la sovranitàpopolare. Cosicché il vincolo che promana dalla legge si impone al giudice anche quale presidioal rispetto che deve alla comunità sovrana. Cfr. MARENGO , La discrezionalità del giudice civile,op. cit., 63 ss.

(68) L’imparzialità del giudice deve essere intesa non solo come estraneità riguardo agliinteressi dedotti in giudizio, ma anche come rispetto della parità dei litiganti. Il giudice devegarantire la piena equidistanza dagli interessi cui le situazioni sostanziali dedotte in giudizio inconcreto possono ricondursi. Sul tema v. FAZZALARI, La imparzialità del giudice, in Studi inmemoria di Furno, Milano, 1973, 336 ss.

(69) La ratio dell’art. 111 Cost. consiste nel facilitare il controllo, in fatto e in diritto, delprovvedimento, coincidente con l’obbligo, in concreto, di dar conto delle ragioni che hannocondotto all’adozione del provvedimento. L’obbligo di motivazione sussiste anche quandol’attività imposta dalla norma sia discrezionale, in quanto il giudice con la motivazione deve darconto anche del corretto uso dei criteri oggettivi di riferimento all’osservanza dei quali è tenuto.Cfr. TARUFFO, La motivazione della sentenza, Padova, 1975, 407; CECCHERINI, Il principiogenerale della motivazione dei provvedimenti giurisdizionali e l’informatica giuridica, in Giust.Civ., 1989, II, 54 ss.

(70) Il dibattito relativo alla nozione di discrezionalità è sorto principalmente nel campodel diritto amministrativo, ove è approdato alla considerazione che l’attività dell’organopubblico è caratterizzata dal limite interno costituito dagli interessi pubblici, dalla comparazionedegli interessi pubblici e privati rilevanti nel caso concreto e dalla sindacabilità dei relativiprovvedimenti. Il vincolo dell’interesse pubblico rappresenterebbe quindi il discrimen tradiscrezionalità e autonomia privata (BARONE, Discrezionalità (diritto amministrativo), in Enc.Giur., vol. XI, Roma, 1989; ZANOBINI, Autonomia pubblica e privata, in Scritti giuridici in onoredi Carnelutti, vol. VI, Padova, 1950, 185 ss.). Con riguardo alla discrezionalità del giudice civileoccorre considerare che l’attività del giudice è composta da doveri: tutti gli atti del giudice sonodisciplinati dalle relative norme come doverosi, in quanto l’organo pubblico deve sempreassolvere al compito per cui è preposto. Si parla quindi di « dovere discrezionale » (MARENGO,La discrezionalità del giudice civile, Torino, 1996, 59 ss.) intendendosi che l’organo pubblico hamargini di scelta quanto al contenuto della condotta da tenere, ma pur sempre nell’ambitodell’esercizio di uno specifico dovere.

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di cui all’art. 404 c.c. (71). Il potere di nomina riconosciuto all’autoritàgiudiziaria non è libero, ma vincolato anche alla volontà della parteincapace (che può disporre in prospettiva della propria incapacità). In taleipotesi, il limite al potere giudiziario trova sempre la sua fonte nella legge:è la legge a stabilire i criteri per la nomina dell’amministratore di sostegno,ed è sempre la legge a stabilire, come criterio di scelta dell’amministratore,la volontà delle parti (art. 408 c.c.).

Non sembra potersi pervenire a diversa conclusione dall’esame del-l’art. 1349 c.c. (72).

Il primo comma della disposizione attribuisce al giudice il potere dideterminare la prestazione dedotta nel contratto indicandone tuttavia ipresupposti e i limiti. Infatti, ai sensi della norma citata, l’autorità giudi-ziaria può intervenire solo nel caso in cui la determinazione del terzoarbitratore sia stata manifestamente iniqua o erronea o sia del tutto

(71) Nella fattispecie l’intervento giudiziario non sopperisce a un’inerzia delle parti.(72) L’art. 1349 c.c. non potrebbe neppure essere applicato in via analogica all’ipotesi di

nomina sostitutiva dell’arbitro ad opera del Presidente del tribunale. L’art. 810 c.p.c. disciplinain modo esaustivo il potere di intervento dell’autorità giudiziaria, stabilendo che al verificarsidell’inerzia di una delle parti il Presidente sarà tenuto a nominare un arbitro attraverso unprocedimento camerale. Nel caso in esame mancherebbe il presupposto per il ricorso allostrumento dell’analogia ossia la lacuna. Ciò che « si indica come lacuna tecnica è, o una lacunanel senso originario della parola, cioè una differenza fra diritto positivo e diritto desiderato,oppure è quell’indeterminatezza che risulta dal carattere schematico della norma » (KELSEN,Lineamenti di dottrina pura del diritto, Torino, 2000, 127, con trad. di Treves). La distinzione traalcuna ideologica e reale corrisponde alla distinzione tra « lacune proprie e improprie ». Ove « lalacuna propria è una lacuna del sistema o dentro il sistema; la lacuna impropria deriva dalconfronto del sistema reale con un sistema ideale ». In un sistema caratterizzato dalla presenzadi norme particolari inclusive, ossia di norme che regolano determinati casi e norma generaleesclusiva, « cioè dalla regola che esclude (per questo esclusiva) tutti i comportamenti (per questogenerale) che non rientrano in quello previsto dalla norma particolare », non vi posso esserelacune improprie. Il caso non regolato rientra nella norma generale esclusiva (così BOBBIO,Teoria generale del diritto, Torino, 1993, 238 - 273). Così definita la lacuna, l’art. 810 c.p.c. nonsembra una disposizione lacunosa. Con quest’ultima il legislatore ha affidato all’autoritàgiudiziaria il compito di scegliere l’arbitro, non nominato dalla parte, secondo modalità tipichedei procedimenti camerali. La scelta del giudice, e di qualsiasi terzo, è una scelta libera che nonpuò essere vincolata alla determinazione contrattuale di altre parti (secondo il generaleprincipio sancito dall’art. 1372 c.c.) e comprende ovviamente non solo l’individuazione dellapersona dell’arbitro ma anche il suo status (quindi le qualifiche e competenze). Mancherebbeinoltre l’identità di ratio tra l’ipotesi disciplinata, ossia l’art. 1349 c.c., e l’ipotesi, asseritamentenon disciplinata, ossia l’art. 810 c.p.c. Infatti, il cosidetto arbitraggio presuppone il conferimentodi un mandato, avente ad oggetto una prestazione professionale, al terzo che, accettatol’incarico, si atterrà alle istruzioni impartite, vincolato dal contratto di mandato e dalle legge cheprescrive il ricorso al criterio dell’equo apprezzamento nello svolgimento dell’incarico. Anchequando il giudice interviene, perché l’arbitratore non ha provveduto o ha malamente provve-duto, il suo incarico è vincolto ex lege al rispetto dell’« equo apprezzamento » (da intendersi, mipare, in senso soggettivo). L’attività svolta dall’arbitratore, terzo o giudice, consiste, inoltre,nella determinazione della prestazione dedotta in contratto. Al contrario il potere di nominaattribuito al Presidente del Tribunale deriva direttamente dalla legge e dalla legge è disciplinato.Le parti non possono vincolarne l’operato, in quanto la legge conferisce al Presidente un poterelibero, salvo non sia diversamente previsto. L’incarico inoltre che il Presidente è chiamato asvolgere consiste nella scelta del giudice di una lite.

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mancata e solo quando risulti che le parti non vollero rimettersi al suomero arbitrio.

In queste ipotesi è il legislatore a predeterminare il criterio di giudizioal quale l’autorità giudiziaria dovrà attenersi nella determinazione dell’og-getto del contratto: ossia l’equo apprezzamento.

Il limite alla discrezionalità giudiziaria è normativamente previsto edè rappresentato dal criterio da seguire nella determinazione della presta-zione. Infatti nell’ipotesi in cui le parti rimettano la determinazionedell’oggetto del contratto al « mero arbitrio » del terzo, l’intervento delgiudice non è consentito e il contratto è nullo (73).

Sembra quindi che, quando il legislatore ritenga opportuno vincolarela discrezionalità giudiziaria all’autonomia privata, lo disponga espressa-mente: ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit.

Condividendo l’interpretazione della Corte di Cassazione nella sen-tenza in epigrafe, risulta necessario considerare il potere sostitutivo delPresidente del Tribunale, ai sensi dell’art. 810 c.p.c., come un poterediscrezionale, autonomo e non vincolato alla volontà delle parti.

L’autonomia delle parti, manifestata nella scelta delle qualifiche edelle competenze dell’arbitro nominando, incontra il suo limite nel poteresostitutivo dell’autorità giudiziaria, che supera la volontà delle parti e neè del tutto libero.

Un vincolo alla discrezionalità giudiziaria nell’esercizio del poterericonosciuto dall’art. 810 c.p.c. si potrebbe realizzare solo con un’espressaprevisione normativa che sottoponga il potere del giudice alla volontàdelle parti della convenzione arbitrale.

Ne consegue che, ove il precetto dell’art. 810 c.p.c. non venga inte-grato o modificato da altro precetto normativo che imponga al Presidentedi effettuare la scelta dell’arbitro tra appartenenti a una data categoria olo vincoli alla scelta effettuata dalle parti nella convenzione arbitrale,l’intervento sostitutivo dell’autorità giudiziaria non sarà limitato dalleprevisioni contrattuali aventi ad oggetto le qualifiche dell’arbitro.

9. A tenore della sentenza della Corte di Cassazione, quindi, l’au-tonomia delle parti (74) incontra un limite nel decisum giudiziale, le parti

(73) Il secondo comma dell’art. 1349 c.c. stabilisce, infatti, che se manca la determina-zione del terzo e le parti non si accordano per sostituirlo il contratto è nullo e il giudice non puòintervenire. Questa conclusione si giustifica tenendo conto che le parti hanno voluto affidarsi almero arbitrio di una terza persona evidentemente riponendo particolare fiducia nella risposta diquesta e per la volontà di regolare il loro rapporto prescindendo da quella che potrebbe esserela normale equità. Cfr. NATOLI, Significato e limiti dell’intervento del giudice nella determinazionedella cosa e del prezzo (1947), in Diritti fondamentali e categorie generali. Scritti di Ugo Natoli,Milano, 1993, 836-837.

(74) Sulla evoluzione del concetto di autonomia negoziale cfr. ALPA, Autonomia delleparti e libertà contrattuale, oggi, in Riv. critica dir. priv., 2008, vol. 26, 571 ss., secondo l’A.: « Alprincipio di libertà contrattuale si affidano così due ruoli tra loro in conflitto: da un lato, si

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non sarebbero più libere nemmeno di accordarsi sulle qualifiche degliarbitri in caso di inerzia. L’inerzia delle parti determinerebbe una sosti-tuzione ad nutum della volontà delle stesse con quella dell’autorità giudi-ziaria; volontà, quest’ultima, libera, non costretta a sottostare ai limitidella convenzione arbitrale e vincolata solo dalla discrezionalità giudi-ziale.

Questa rigorosa interpretazione della « libera » discrezionalità giudi-ziaria, condivisa nella sentenza in epigrafe, dovrebbe però tenere contoche la funzione che il Presidente del Tribunale è chiamato a svolgere, aisensi dell’art. 810 c.p.c., consiste nell’« indirizzo e nell’integrazione dell’at-tività dei privati » (75).

Allo svolgimento della funzione in oggetto, l’autorità giudiziariadovrebbe procedere mediante la comparazione, in concreto, dell’interessefissato dalla norma (ossia la garanzia dell’effettività della convenzionearbitrale) con gli altri interessi sui quali l’atto è destinato a incidere (e trai quali l’interesse delle parti, entrambe, a vedere decisa la controversia daun giudice privato munito delle qualifiche pattuite).

La scelta dei requisiti del giudice della controversia è un interessedelle parti dal quale il provvedimento del Presidente del Tribunale nonsembra dover o poter prescindere, se non quantomeno in presenza diun’adeguata motivazione (76) che rappresenti le ragioni della scelta del-

vorrebbe costruire sul contratto l’unico sistema (libero e sovranazionale) di regolazione deirapporti tra i privati, tendendosi a considerare il contratto come un semplice « affare tra privati »,preclusivo di ogni integrazione, valutazione, controllo proveniente dall’esterno; in questo sensolibertà contrattuale, cioè libertà per i contraenti di effettuare qualsiasi scelta essi desiderino, purchésia condivisa, coincide perfettamente con l’autonomia, cioè con la legge privata, delle parti;dall’altro si vorrebbe affidare al contratto compiti di giustizia correttiva e distributiva, diprotezione della persona, di efficiente allocazione delle risorse che un tempo spettavano esclusi-vamente al legislatore, e quindi la libertà contrattuale, in questo senso intesa come libertà « dalcontratto come strumento vincolante della parte più debole, si allontana dalla autonomia, inquanto il contratto è integrato, valutato, controllato ab externo ». (...) Insomma, le espressioni« libertà contrattuale » e « autonomia delle parti » debbono essere contestualizzate, per poternecomprendere adeguatamente il significato; che è — inevitabilmente — un significato relativo. E’un significato che deve essere ricostruito anche alla luce delle tradizioni che hanno solcato lacultura giuridica nel corso dei tempi, sicché, nella prospettiva di una armonizzazione del dirittoprivato europeo, appare molto difficile il compito di quanti si sono proposti di redigere testi cheraccolgono una terminologia univoca, una armatura concettuale adattabile a tutte le vicende,principi generali e astratti formulati a mo’ di regole di un « codice » ».

(75) MARENGO, La discrezionalità del giudice civile, op. cit., 292.(76) Il provvedimento pronunciato dal Presidente dovrebbe rientrare nell’alveo della

volontaria giurisdizione. Ivi, come noto, l’atto conclusivo del procedimento camerale ha formadi decreto motivato, salvo che la legge disponga diversamente (ex art. 737 c.p.c.): ed è questaclausola legale di riserva uno dei poli normativi da cui si diramano, a scioglimento di essa, leserie di norme in deroga che danno vita ai modelli camerali atipici. Cfr. MALTESE, I procedimentiin camera di consiglio: profili generali, in Riv. dir. civ., 1997, n. 4, 565 ss. In ogni caso ilprovvedimento con cui si pronuncia l’autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 810 c.p.c. dovrebbeessere almeno succintamente motivato in ossequio all’art. 111 Costituzione: Tutti i provvedi-menti giurisdizionali devono essere motivati. Il generico contenuto della citata disposizione nedetermina l’applicazione anche ai provvedimenti di volontaria giurisdizione.

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l’arbitro e dell’interesse prevalente che si è ritenuto di perseguire con ilprovvedimento di nomina (77).

RITA TUCCILLO

(77) Sembra quindi che il provvedimento dell’autorità giudiziaria che nomini l’arbitrodiscostandosi dalla volontà delle parti espressa nella convenzione arbitrale e non motivi talescelta potrebbe essere reclamato dalla parte interessata per carenza di motivazione.

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CORTE D’APPELLO DI MILANO, Sez. I civile, ordinanza 12 marzo 2013; SODANO

Pres., FIECCONI Est.; Ruggero (avv. Favalli, Tona) c. Advisorfin S.r.l. ora DeloitteFinancial Advisory S.r.l. (avv. Rescigno).

Lodo rituale - Impugnazione per nullità - Applicabilità dell’art. 348-bis c.p.c. -Plurime ragioni d’inammissibilità - Esclusione.

Qualora il convenuto con l’impugnazione per nullità del lodo abbia dedottofondatamente plurime ragioni di inammissibilità, è impedita, formalmente e lette-ralmente, la definizione attraverso l’ordinanza prevista dall’art. 348-bis c.p.c.

CENNI DI FATTO. — Con atto di citazione notificato alla parte appellata in data9 novembre 2012, l’odierno appellante chiede la dichiarazione di nullità del lodoarbitrale rituale sottoscritto il 16 settembre 2011, come da richieste di cui in atti.All’appello è seguita la costituzione della parte appellata nei termini ritualimediante separata comparsa con la quale sono state rassegnate le conclusioni dicui in atti. Nella comparsa di risposta la parte appellata chiede preliminarmenteche la Corte valuti l’ammissibilità dell’appello ai sensi della nuova disciplinaintrodotta con l’art. 348-bis c.p.c. La parte impugnante si oppone deducendol’inammissibilità di detta procedura all’impugnazione di lodo arbitrale rituale.

MOTIVI DELLA DECISIONE. — 1) La norma di cui all’art. 348-bis c.p.c. disponeche “fuori dei casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l’inammissibilità ol’improcedibilità dell’appello, l’impugnazione è dichiarata inammissibile dal giu-dice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta”,aggiungendo che “il primo comma non si applica quando: a) l’appello è propostorelativamente a una delle cause di cui all’articolo 70, primo comma; b) l’appello èproposto a norma dell’articolo 702-quater”.

2) L’articolo 828 c.p.c. dispone che l’impugnazione per nullità del lodo sipropone davanti alla corte d’appello nel cui distretto ha avuto sede l’arbitrato. Lanorma dunque disciplina il principale mezzo di impugnazione esperibile contro illodo rituale, ossia l’impugnazione per nullità.

3) Occorre dunque valutare se la richiamata disciplina del filtro dell’appellosia applicabile al procedimento d’impugnazione di lodo rituale pur in assenza diuna formale esclusione di detta possibilità.

4) La Corte ritiene che, nel caso di specie, prevale la considerazione chedall’appellato sono state dedotte plurime ragioni d’inammissibilità dell’impugna-zione per nullità del lodo che, formalmente e letteralmente, paiono impedire chela questione sia definita nel merito con ordinanza d’inammissibilità di cui all’art.348-bis c.p.c., non prevista nel caso di pronuncia d’inammissibilità dell’impugna-zione.

P.Q.M. — la Corte d’appello di Milano, sezione prima civile, a scioglimentodella riserva assunta all’udienza del 12 marzo 2013: rigetta l’istanza di pronunciad’ordinanza d’inammissibilità dell’impugnazione ex art. 348 bis c.p.c.; ritenendo lacontroversia matura per la decisione, rinvia all’udienza del 31.3.2015.

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Sulla applicabilità del filtro all’impugnazione del lodo arbitrale rituale

1. Premessa. — 2. La nuova veste della « inammissibilità ». — 3. Segue: la naturadell’impugnazione per nullità quale fattore ostativo? — 4. Segue: anche l’impu-gnazione del lodo arbitrale rituale in Cassazione? — 5. Il precedente storico. — 6.La prima pronunzia sul tema. — 7. Epilogo.

1. Forse a causa di un difetto di coordinamento, gli artt. 348-bis ed828 c.p.c. nulla dispongono quanto all’applicazione del nuovo sistema delfiltro (1) al giudizio d’impugnazione per nullità del lodo arbitrale. Larelazione di accompagnamento al d.l. 22 giugno 2012 n. 83, con il quale èstato introdotto questo nuovo modulo decisorio, si riferisce infatti unica-mente all’appello avverso i provvedimenti resi dal giudice di primo grado.Tutto lascerebbe intendere, quindi, dal giudice statale, escludendo così inapicibus l’operare del filtro in caso di impugnazione del lodo rituale (2).

Sennonché, il problema sembra annidarsi nel fatto che se è vero chel’impugnazione per nullità rappresenta un rimedio ordinario sui generisper censurare i vizi propri di un singolare tipo di provvedimento (3), èaltrettanto vero che si tratta comunque di un giudizio che si celebradinanzi alla corte d’appello e al quale si ritengono perciò applicabili,quanto meno in linea di massima, le regole che debbono osservarsi nelgiudizio di secondo grado. Di qui il (ragionevole) dubbio che l’impugna-zione ex artt. 828 ss. c.p.c. non possa essere sottratta a priori alle nuoveregole che disciplinano il giudizio d’appello, ma che, piuttosto, la suaeventuale incompatibilità con il meccanismo operativo del filtro debbaessere prima vagliata sulla scorta di indici di sistema.

2. Conviene innanzitutto ricordare che la struttura del filtro inappello prevede, come è a tutti noto, che, fuori dei casi in cui deve esseredichiarata con sentenza l’inammissibilità o l’improcedibilità, l’appello èdichiarato inammissibile (con ordinanza succintamente motivata ex art.348-ter c.p.c.) dal giudice competente quando non ha una ragionevoleprobabilità di accoglimento, secondo quanto dispone l’art. 348-bis, comma1, c.p.c. (4).

(1) Introdotto, attraverso i nuovi artt. 348-bis e 348-ter c.p.c., dall’art. 54 d.l. 22 giugno2012, n. 83, recante « Misure urgenti per la crescita del Paese » e convertito (con modificazioni)nella legge 7 agosto 2012, n. 134.

(2) Lo nota anche PANZAROLA, Commento all’art. 348-bis c.p.c., in Commentario alleriforme del processo civile: dalla semplificazione dei riti al decreto sviluppo, a cura di MARTINO

e PANZAROLA, Torino, 2013, 626, nota 7.(3) V. per tutti VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato2, Torino, 2006, 163, ove si legge

che quella contemplata dall’art. 829 c.p.c. rappresenta « un’impugnazione processuale suigeneris da modellare secondo la disciplina dell’appello, là dove la stessa sia compatibile con lepeculiarità del rimedio o non sia espressamente derogata ». V. anche infra, testo e note 18 e 22.

(4) Nel giudizio ordinario, peraltro, la disciplina del filtro non trova applicazione, perespressa previsione, in due ipotesi: 1) quando l’appello è proposto relativamente ad una delle

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Ed è altrettanto noto come il metodo prescelto per selezionare ex ante— ossia in via preliminare rispetto alla trattazione dell’appello — leimpugnazioni meritevoli di essere trattate e decise celi, in realtà, sotto laforma di una valutazione di rito un giudizio (prognostico) che attieneinvece al merito dell’impugnazione proposta (5). Quindi, come è statoprontamente fatto notare dalla dottrina, quel che il nuovo meccanismomette in mostra è null’altro che una sovrapposizione del piano dei viziformali con quello del merito dell’impugnazione (6), giacché l’oggettodella discussione non riguarda certamente l’esistenza di un vizio formaleche correda il gravame dalla sua fase genetica o, se si preferisce, la carenzadi un presupposto processuale apprezzabile ai fini del valido esercizio delpotere d’impugnazione (7); viceversa, quel che, dopo i controlli di rito exart. 342 c.p.c., assume rilevanza ai fini del superamento del vaglio preven-tivo ex art. 348-bis c.p.c. concerne esclusivamente la fondatezza, più omeno manifesta, dell’impugnazione nel merito (8), tale cioè da renderenecessaria o no la sua decisione (con sentenza) (9).

Ciò premesso — e pare questo un dato da tenere ben presente inriferimento all’impugnazione per nullità del lodo rituale — per effetto del

cause nelle quali è obbligatorio l’intervento del pubblico ministero, a norma dell’art. 70, comma1, c.p.c.; 2) quando l’appello riguarda cause svolte secondo il rito sommario di cognizione, anorma degli artt. 702-bis ss. c.p.c. (art. 348-bis, comma 2, c.p.c.). Viceversa, il nuovo meccanismoha il suo spazio applicativo nel rito laburistico, come chiaramente dispone l’art. 436-bis c.p.c., ein quello locatizio, stante l’espresso richiamo che l’art. 447-bis c.p.c. opera all’art. 436-bis,nonché in caso di appello proposto avverso le sentenze del giudice di pace e di impugnazionedelle sentenze non definitive: v. BALENA, Le novità relative all’appello nel d.l. n. 83/2012, inGiusto proc. civ., 2013, 341.

(5) V. per tutti BALENA, Le novità relative all’appello, cit., 338; BRIGUGLIO, Un approcciominimalista alle nuove disposizioni sull’ammissibilità dell’appello, in Riv. dir. proc., 2013, 578.

(6) Senza considerare che un giudizio prognostico basato sulla « ragionevole » probabi-lità di accoglimento del gravame rischia di tradursi, nei fatti, in una « impressione » delgiudicante (così SASSANI, Alla difficile ricerca di un « diritto » per il processo civile, in www.ju-dicium.it), o di sfociare comunque in una pronunzia di inammissibilità allorquando unaprobabilità di accoglimento esista, ma al giudice appaia non « ragionevole » (così CAPONI,Contro il nuovo filtro in appello e per un filtro in cassazione nel processo civile, in www.judi-cium.it, § 6; BALENA, Le novità relative all’appello, cit., 342).

(7) Analogamente a quanto era accaduto, relativamente al filtro nel giudizio di cassa-zione, con l’introduzione dell’art. 360-bis c.p.c. ad opera della l. 18 giugno 2009, n. 69. Sulproblema v. per tutti GRAZIOSI, Riflessioni in ordine sparso sulla riforma del giudizio inCassazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, 40 s.

(8) Su questo aspetto la dottrina è compatta: v. MONTELEONE, Appendice di aggiornamentoal manuale di diritto processuale civile, VI ed., Padova, 2012, 3; COSTANTINO, La riforma dell’appello,in Giusto proc. civ., 2013, 29; BALENA, Le novità relative all’appello, cit., 338; CONSOLO, Nuovi edindesiderabili esercizi normativi sul processo civile: le impugnazioni a rischio di « svaporamento »,in Corr. giur., 2012, 1135; SCARSELLI, Sul nuovo filtro per proporre appello, in Foro it., 2012, V, 287s.; CAVALLINI, Verso una giustizia « processuale »: il tradimento della tradizione, in Riv. dir. proc.,2013, 325; R. POLI, Il nuovo giudizio di appello, ibid., 132; IMPAGNATIELLO, Pessime nuove in temadi appello e ricorso in Cassazione, in Giusto proc. civ., 2012, 749; COMASTRI, Note sulla recenteriforma della cassazione e dell’appello, in Nuove leggi civ. comm., 2013, 702.

(9) Sulle prime applicazioni del filtro in appello, v. le osservazioni di COSTANTINO, in Foroit., 2013, I, 969; PANZAROLA, Le prime applicazioni del c.d. filtro in appello, in Riv. dir. proc., 2013,715 ss.

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nuovo modulo decisorio le inammissibilità che possono colpire l’appellosono plurime, ancorché endemicamente difformi tra loro. Vi è, infatti,una (prima) inammissibilità che riguarda il rito e che si sostanzia, a normadell’art. 342 c.p.c., nel mancato rispetto dell’assolvimento degli oneriimposti all’appellante nella redazione dell’atto introduttivo (10) e che, inragione di ciò si riallaccia alla carenza, nella fase genetica dell’impugna-zione, di caratteri squisitamente formali. Vi è, poi, un altro genered’inammissibilità, che è quella che attiene, per l’appunto, ad una previ-sione di (in)fondatezza nel merito del gravame e che viene dichiarata aisensi del nuovo art. 348-bis c.p.c. solo quando non sussistono altre caused’inammissibilità, per così dire, più classiche (11). In ragione di questaprofonda divergenza esistente tra le cause che possono oggi condurre allachiusura in rito del giudizio d’appello, il legislatore ha diversificato laforma del provvedimento, disponendo che l’inammissibilità vada dichia-rata con sentenza quando l’appello è inficiato da un vizio di forma-contenuto e con ordinanza succintamente motivata (e quindi in modoteoricamente più semplificato) quando non ha una ragionevole probabi-lità di accoglimento.

È da credere, peraltro, che il diverso statuto normativo trovi la suaprecipua ragion d’essere nella deroga all’effetto sostitutivo tipico dellapronunzia d’appello, con annessa reviviscenza di quella sentenza di primogrado, che diviene così direttamente ricorribile per cassazione ex art. 360c.p.c. Ma all’interprete non può sfuggire che, per come la si è congegnata,la novità è così spuria che neppure è facile trovarle un qualche precedentecui apparentarla (12).

E se il sistema de quo già si palesa come una tecnica che sporgerispetto alla normale dinamica del giudizio d’appello (13), farne un mo-

(10) Sulle modifiche che hanno interessato l’art. 342 c.p.c. e sulla sua « somiglianza » conl’esperienza del Berufungsbegründung di cui al § 520, Abs. 3º , nn. 1) e 2), ZPO, v. VERDE, Dirittodi difesa e nuova disciplina delle impugnazioni, in www.judicium.it, § 1; COSTANTINO, Le riformedell’appello civile e l’introduzione del « filtro », in www.treccani.it/magazine/diritto, par. 3;CAPONI, L’appello nel sistema delle impugnazioni civili (note di comparazione anglo-tedesca), inRiv. dir. proc., 2009, 631 ss.; TEDOLDI, I motivi specifici e le nuove prove in appello dopo la novella« iconoclastica » del 2012, id., 2013, 149 ss.

(11) In sostanza, per poter essere trattato e deciso, il gravame deve oggi superare undoppio esame, il cui scopo è, però, profondamente diverso, riguardando l’uno il rito, l’altro ilmerito. Sul punto v. diffusamente CAPONI, La riforma dell’appello civile dopo la svolta nellecommissioni parlamentari, in www.judicium.it, § 4, il quale ben pone in risalto la differenzastrutturale tra i due filtri: mentre per applicare l’art. 348-bis, comma 1, il giudice deve compiereuna attività, seppur minima, di apprezzamento sulla fondatezza dei motivi, nel caso dell’art. 342è tenuto semplicemente a riscontrare la rispondenza, in concreto, dell’appello rispetto allafattispecie legale richiesta dalla disposizione.

(12) V. per tutti CAPONI, Contro il nuovo filtro in appello, cit.(13) Giacché, oltretutto, il sistema del filtro presuppone (recte impone) un doppio studio

del fascicolo, tenuto conto che ex art. 348-bis c.p.c. il giudice dell’impugnazione deve dichiararel’inammissibilità del gravame privo di ragionevole probabilità di accoglimento prima di intra-prenderne la trattazione ex art. 350 c.p.c.: v. MONTELEONE, Il processo civile in mano al governo

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dello che tagli orizzontalmente l’impugnazione per nullità e, per tuttacoerenza, la revocazione del lodo arbitrale rituale finisce per sottendereuna sua qualificazione come regola. Il che, vista la pluralità di ragioni chemilitano a favore di una sua lettura in termini di eccezione, è tutto daverificare, come subito si avrà modo di evidenziare.

3. Un primo fattore che fa stonare l’ipotesi di una operatività delfiltro in relazione all’impugnazione per nullità potrebbe essere ravvisatonella natura di siffatto giudizio.

Difatti, pur trattandosi di un rimedio (ordinario), l’impugnazione pernullità del lodo rituale viene solitamente ricostruita dalla dottrina allastregua di un’impugnazione di secondo grado a natura mista, per mutuarei suoi tratti essenziali in parte dal ricorso per cassazione ed in partedall’appello (14). Peraltro, la novella del 2006, pur avendo chiarito che allodo arbitrale rituale compete, indipendentemente dall’exequatur, la me-desima efficacia imperativa che pertiene alla sentenza del giudice statale,non è stata comunque decisiva per sopire il dibattito relativo alla naturadel rimedio de quo (15).

Tuttavia — ed è questa una notazione condivisa in dottrina —l’attribuzione all’impugnazione per nullità del lodo arbitrale di una fun-zione affine all’appello civile (16), se per un verso finisce col trascurare le

dei tecnici, in www.judicium.it, 2; BALENA, Le novità relative all’appello, cit., 374. Sul grado diapprofondimento che il giudice deve riservare al materiale di causa per valutare la ragionevoleprobabilità di accoglimento del gravame, v. MAFFEIS, L’esame, molto approfondito dell’appello,ai fini del filtro, in Il filtro dell’appello, a cura di MAFFEIS, RAINERI, MANIACI e TEDOLDI, Torino,2013, spec. 3 ss. Peraltro, come si è prontamente fatto notare, il nuovo congegno processuale fasì che la decisione dei gravami meritevoli di accoglimento venga posticipata rispetto a quelliegualmente ineccepibili in punto di rito, ma che non presentano identiche prospettive diaccoglimento: v. DE CRISTOFARO, Appello e cassazione alla prova dell’ennesima « riformaurgente »: quando i rimedi peggiorano il male (considerazioni di prima lettura del d.l. n. 83/2012),in www.judicium.it, § 3; PANZAROLA, Commento all’art. 348-bis c.p.c., in Commentario alleriforme del processo civile, cit., 631; R. POLI, Il nuovo giudizio di appello, cit., 133.

(14) Essendo un’impugnazione sì a motivi limitati, ma che assomma in sé fase rescindentee fase rescissoria: v. per tutti PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile5, Napoli, rist.2010, 773 s. V. inoltre CONSOLO, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi3, Padova, 2012, 528,per il quale l’analogia prevalente è con il ricorso per cassazione. In questo senso, in giurispru-denza, v. Cass. 7 febbraio 2007, n. 2715, in Foro it., Rep. 2007, voce Arbitrato n. 186; Cass. 3febbraio 2006, n. 2444, id., Rep., 2006, voce cit., n. 183.

(15) Benché, a seguito dell’introduzione dell’art. 824-bis c.p.c., avvenuta per l’appunto adopera del d. lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, non dovrebbero più residuare dubbi circa l’inquadra-mento di tale rimedio tra le impugnazioni processuali. Cfr. CONSOLO, Le impugnazioni dellesentenze, cit., 528; BOCCAGNA, L’impugnazione per nullità del lodo, Napoli, 2005, I, 79 ss.; ID.,Commento all’art. 828 c.p.c., in La nuova disciplina dell’arbitrato, a cura di MENCHINI, Padova,2010, 454 s., testo e nota 1; MARINUCCI, L’impugnazione del lodo dopo la riforma, Milano, 2009,4 ss., ove ulteriori indicazioni.

(16) In realtà, su questo punto, la giurisprudenza non è costante. Vi sono, infatti, alcunepronunzie nelle quali la suprema Corte dà per scontato che debbano applicarsi le regole chegovernano il giudizio di secondo grado (cfr., ad es., fra le più recenti, Cass. 4 giugno 2012, n.8919, in Foro it., Rep., 2012, voce Arbitrato n. 199; Cass. 1º marzo 2012, n. 3229, ibid., voce cit.,

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differenze concretamente sussistenti tra i due rimedi (17), d’altro cantoinduce però a ritenere che a siffatto rimedio debbano egualmente appli-carsi, ovviamente nei limiti della compatibilità, le regole proprie chegovernano il giudizio d’appello (18).

Perciò, nell’attuale cornice normativa di riferimento, l’impugnazioneper nullità del lodo rituale si configura come un rimedio processuale (19);e, in quanto tale, utilizzabile per censurare tanto gli errores in procedendoquanto gli errores in iudicando in iure laddove le parti lo abbiano previstoex art. 829, comma 3, c.p.c. (20). Di talché, questo rimedio, pur noncostituendo un comune appello avverso la pronunzia degli arbitri, essendolimitato all’accertamento dei vizi previsti dall’art. 829 c.p.c. dedotti con ilmezzo di gravame (senza cioè rivalutare il merito della decisione), finisceper essere in qualche misura assimilabile ad un procedimento giurisdizio-nale nel quale, in difetto di indicazioni contrarie, non possono che valerele norme processuali ordinarie, ossia le norme dettate per le impugnazionidelle sentenze (21). Il tutto, però, come più su accennato, rigorosamentenei limiti della compatibilità con la disciplina specifica delle impugna-zioni (22); formula, questa, che il legislatore non a caso utilizza quando duesituazioni, pur avendo la medesima natura, mostrano delle differenze cheorientano selettivamente il novero delle disposizioni in concreto applica-bili (23).

L’impugnazione per nullità del lodo, infatti, mima ma non è un

n. 200; Cass. 23 aprile 2008, n. 10576, id., Rep., 2008, voce cit., n. 117; Cass. 10 agosto 2007, n.17631, id., Rep., 2007, voce cit., n. 190), cui se ne affiancano altre che mettono invece in evidenzale differenze esistenti fra i due rimedi (v., ad es., Cass. 7 febbraio 2007, n. 2715, cit.; Cass. 3febbraio 2006, n. 2444, cit.; Cass. 13 aprile 2005, n. 7702, in questa Rivista, 2006, 309, con notadi G. SANTAGADA, Sulla legittimazione degli arbitri a proporre opposizione di terzo avverso lasentenza di annullamento del lodo tardivo; Cass. 1º luglio 2004, n. 12031, in Giust. civ., 2005, I,3098; Cass. 22 febbraio 2002, n. 2566, in questa Rivista, 2002, con nota di BOCCIOLETTI, Note suldivieto d’impugnazione immediata del lodo parziale).

(17) Differenze che, al contrario, paiono tutt’altro che trascurabili: basti pensare al fattoche l’impugnazione per nullità è a critica vincolata; che non ammette la censurabilità dei giudizidi fatto; e che esclude una pronunzia sostitutiva allorquando l’annullamento del lodo siaavvenuto per le ipotesi di cui ai nn. 1), 2), 3), 4) e 10) dell’art. 829, comma 1, c.p.c. Sul puntov. BALENA, Istituzioni di diritto processuale civile2, Bari, 2012, III, 344.

(18) V. per tutti PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, Padova, 2000, II, 180, per ilquale l’impugnazione per nullità, pur non essendo un giudizio di secondo grado, è comunquesoggetta alle norme che regolano lo svolgimento del giudizio dinanzi al giudice adito e, quindi,indirettamente almeno ad alcune delle regole che disciplinano l’appello.

(19) Sulla correlazione tra la natura dell’impugnazione per nullità e gli effetti che codestorimedio tende a rimuovere, v. diffusamente BOCCAGNA, L’impugnazione per nullità, cit., I, spec.212 ss.

(20) Cfr. BALENA, Istituzioni, cit., III, 343 s.(21) V., tra le più recenti, Cass. 1º marzo 2012, n. 3229, in Foro it., Rep. 2012, voce

Arbitrato n. 200.(22) Oppure con « le residue peculiarità del lodo »: così BALENA, Istituzioni, cit., III, 342.

Nello stesso senso v. BRIGUGLIO, Un approccio minimalista alle nuove disposizioni, cit., 580;BOVE, La giustizia privata, Padova, 2009, 197 s.

(23) V. per tutti IRTI, Per una lettura dell’art. 1324 c.c., in Riv. dir. civ., 1994, I, 559 ss.

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appello (24): ed il fatto che nel corso del tempo sia stata progressivamenteassimilata ad un vero e proprio gravame, funge da fattore che spiegal’estensione alla stessa di alcune disposizioni codicistiche previste inmateria di impugnazioni (ad es. artt. 329, comma 2 (25); 331-335 (26); 336,comma 1 (27); 344 (28)), senza che questo possa però esimere l’interpretedallo scandagliare le ragioni che fondano la sua esclusione dalla nuovamodalità decisoria del giudizio di secondo grado. Ragioni nelle quali siradica per l’appunto quel distinguo che giustifica l’esclusione del bloccodelle nuove norme previste per l’appello.

4. Difatti, l’elemento che mostra come proprio non regga l’idea diritenere il sistema del filtro applicabile all’impugnazione per nullità è dato,come si è più su accennato, dalla deroga che quel sistema ha apportatoall’effetto sostitutivo tipico del giudizio di secondo grado. Si è altresìricordato che tale deroga si giustifica con la volontà di consentire lareviviscenza della pronunzia di primo grado, che a seguito del nuovomodulo decisorio diviene perciò (direttamente) censurabile in sede dilegittimità.

Stando così le cose, ove si ammettesse l’operare del filtro all’impu-gnazione per nullità, si dovrebbe pure riconoscere che in caso di inam-missibilità dichiarata ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c. la conseguenza direttaed immediata sarebbe quella di dovere considerare il lodo ricorribile percassazione. Il che appare però, almeno allo stato attuale delle cose, unassurdo sistematico per almeno due ordini di motivi.

Il primo.Di là da ogni querelle relativa alla natura del lodo, quel che in questa

sede preme rilevare è che l’impugnazione per nullità si configura comun-

(24) V., ad es., Cass. 8 giugno 2007, n. 13511, in Foro it., Rep., 2008, voce Arbitrato n. 116.(25) V. BALENA, Istituzioni, cit., III, 342; BOCCAGNA, L’impugnazione per nullità, cit., I,

136 s.(26) Così già ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile2, Napoli, 1947, III, 574,

per il quale in sede di impugnazione per nullità devono applicarsi anche altre disposizioni delc.p.c., come l’art. 328, sulla decorrenza dei termini contro gli eredi della parte defunta, e l’art.338, sugli effetti dell’estinzione del giudizio d’impugnazione.

(27) V. LUISO, Le impugnazioni dopo la riforma, in questa Rivista, 1995, 29; CONSOLO, Leimpugnazioni delle sentenze, cit., 540; RUFFINI, La divisibilità del lodo arbitrale, Padova, 1993,283 ss.; BOCCAGNA, L’impugnazione per nullità, cit., I, 132 ss. Viceversa, per ZUCCONI GALLI

FONSECA, in Arbitrato2, a cura di CARPI, Bologna, 2007, 792, non v’è la necessità di ricorrere aduna applicazione analogica dell’art. 336, comma 1, c.p.c., in quanto l’art. 830, comma 1, contienegià « una regolamentazione specifica dell’effetto espansivo interno della sentenza emessa aseguito dell’impugnativa per nullità, salva[ndo] dalla scure della nullità le parti « scindibili » daquella annullata ».

(28) V. FAZZALARI, in BRIGUGLIO - FAZZALARI - MARENGO, La nuova disciplina dell’arbi-trato. Commentario, Milano, 1994, 200 s.; PUNZI, Disegno sistematico, cit., II, 179; RUFFINI,L’intervento nel giudizio arbitrale, in questa Rivista, 1995, 647 ss.; ID., Intervento principaledel terzo nel giudizio di impugnazione per nullità della sentenza arbitrale, in Giur. merito, 1992,317 ss.

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que alla stregua di una impugnazione a critica vincolata, atteso che puòessere esperita solo se il vizio da cui risulta inficiato il lodo rientra nellagriglia dei vizi predisposta dall’art. 829 c.p.c. In altre e più semplici parole,l’art. 829 c.p.c. formalizza una verifica di legittimità del lodo: l’estensionea questo rimedio del meccanismo del filtro potrebbe perciò avere un sensose e nella misura in cui la nuova disciplina coniasse un diverso modulodecisorio, specificamente vocato a sindacare la giustezza in sé del lodoarbitrale rituale, al pari di come è per l’appello.

Se non fosse che il disposto dell’art. 829 c.p.c. obbedisce ad una ratioche impinge su motivi di legittimità, rendendo, rebus sic stantibus, del tuttoincoerente una siffatta opzione interpretativa. Per conseguenza, nell’at-tuale contesto, il filtro avrebbe tutto il sapore di un doppione, carente diuna qualsiasi giustificazione razionale, giacché la nuova veste impugnato-ria postula uno schema ancipite avente ad oggetto, paradossalmente, deivizi che, almeno in larga parte, risulterebbero sovrapponibili gli uni aglialtri. Naturalmente, si può argomentare anche in senso contrario: ma, perfarlo, come si è puntualmente osservato, occorre muovere dalla premessadi un art. 348-bis c.p.c. che rende l’impugnazione per nullità del lodo percerti versi « più agevolmente “filtrabile” » rispetto ad altri gravami (29). Ilche, come si è subito fatto notare, implica, però, il conio di una singolareimpugnazione del lodo dinanzi alla Cassazione; soluzione, questa, comesubito si avrà modo di vedere, che non è certo fuor di luogo bollare come« extravagante » (30).

A ciò si aggiunga, quale elemento a fortiori, che mentre l’appello è ungravame avente natura sostitutiva, l’impugnazione per nullità del lodo è,viceversa, un rimedio di tipo prevalentemente rescindente (31). Di talché,si ha un’alterità tale tra i due rimedi da non consentire estensioni di sortadella nuova disciplina all’impugnazione per nullità.

Il secondo.A questo punto, siccome tout se tient, logica allora vuole — come

appena anticipato — che si ammetta pure una impugnazione del lododinanzi alla suprema Corte per motivi di legittimità; motivi, come si èappena visto, che risulterebbero peraltro solo in parte sovrapponibili aquelli contemplati dall’art. 829 c.p.c. Come si è scritto, è questa infatti unavia di fuga obbligata, in quanto prevista dall’art. 348-ter c.p.c. ogniqual-volta il gravame venga dichiarato inammissibile a norma dell’art. 348-bisc.p.c. (32).

(29) Così BRIGUGLIO, Un approccio minimalista alle nuove disposizioni, cit., 581.(30) BRIGUGLIO, op. loc. cit.(31) Per una completa disamina delle ipotesi nelle quali al giudizio rescindente non segue

quello rescissorio, v. LUISO, Diritto processuale civile6, V, Milano, 2011, 203 s.(32) V. ancora BRIGUGLIO, op. cit., 581.

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Se, però, come la dottrina non ha mancato di avvertire in relazioneall’appello, la soluzione di una revivivescenza del provvedimento impu-gnato al fine di consentirne la sua ricorribilità è del tutto inedita nelpanorama processuale italiano (33), a fortiori l’idea di un controllo dilegittimità del lodo in Cassazione appare, almeno nella realtà odierna, unatecnica difficilmente praticabile. Oltretutto, l’effetto collaterale (ma nonper questo certamente secondario) che discenderebbe da siffatta sceltasarebbe quello di un aggravio del carico di lavoro della supremaCorte (34): incremento che quest’ultima, con ogni probabilità, sarebbe benpoco propensa ad assecondare.

Peraltro, in questo ideale catalogo di perplessità al decampare appli-cativo dei nuovi artt. 348-bis ss. c.p.c., segue l’ulteriore rilievo che l’esten-sione della suddetta disciplina non potrebbe fermarsi all’impugnazioneper nullità del lodo arbitrale rituale, ma dovrebbe estendersi anche al casodella revocazione (straordinaria (35)) del lodo di cui all’art. 831 c.p.c.Questa infatti, si celebra pur sempre dinanzi alla corte d’appello (compe-tente per l’impugnazione per nullità) (36) e, non foss’altro per una esigenzadi coerenza logica, avrebbe ben poco senso sostenere che il giudizio direvocazione vada esente dal nuovo modulo decisorio.

Sennonché, proprio per l’alto tasso di vischiosità già insito nel sistemadel filtro, sarebbe consigliabile un self-restraint dell’interprete, onde evi-tare il moltiplicarsi di inutili concettualismi.

5. Residua l’argomento storico, considerando che nel vigore del c.p.c.del 1865 il ricorso per cassazione contro le sentenze degli arbitri affette daerrori di diritto era espressamente riconosciuto (art. 31 c.p.c. 1865) (37).

Orbene, il fatto è che la previsione generale dell’art. 31 conosceva treeccezioni: due di queste — la rinunzia espressa delle parti ad avvalersi delricorso e l’autorizzazione conferita agli arbitri a pronunziare in qualità diamichevoli compositori — non possono attualmente avere un peso speci-fico dirimente, mentre la terza — nel caso la sentenza degli arbitri fosseimpugnata con l’azione di nullità, ossia con il rimedio speciale stabilito

(33) V. per tutti MONTELEONE, Il processo civile in mano al governo dei tecnici, cit., 2.(34) Così, a proposito dell’appello civile, v. PROTO PISANI, I processi a cognizione piena in

Italia dal 1940 al 2012, in Foro it., 2012, V, 338; CAPONI, La riforma dell’appello civile dopo lasvolta nelle commissioni parlamentari, cit., § 3; DE CRISTOFARO, Appello e cassazione alla provadell’ennesima « riforma urgente », cit., § 2.1.; IMPAGNATIELLO, Pessime nuove in tema di appello,cit., 753. Con specifico riferimento all’impugnazione per nullità del lodo rituale v. BRIGUGLIO, Unapproccio minimalista alle nuove disposizioni, cit., 581.

(35) Sui dubbi di costituzionalità derivanti dall’esclusione della revocazione ordinariadall’impugnazione per nullità del lodo rituale v., da ultimo, BOCCAGNA, Commento all’art. 831c.p.c., in La nuova disciplina, cit., 476.

(36) V. per tutti LUISO, Diritto processuale, cit., 205.(37) V. per tutti MATTIROLO, Trattato di diritto giudiziario civile italiano5, rist., I, Torino,

1931, 728 ss.

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dall’art. 32 c.p.c. 1865 (38) — questo peso, viceversa, lo ha e non sembraneppure trascurabile.

Per effetto dell’attuale art. 829 c.p.c. si è infatti assistito ad una sortadi « generalizzazione » del rimedio dell’impugnazione per nullità (39), chesenz’altro costituisce oggi lo strumento « specificamente previsto per illodo » (40). Perciò, riesumare la ricorribilità in Cassazione del lodo per iltramite del sistema del filtro avrebbe il significato di contravvenire ad unaregola logica prima ancora che giuridica, in quanto oggetto del giudizio dilegittimità diverrebbe per l’appunto il lodo e non già la sentenza dellacorte d’appello senza, peraltro, quell’omisso medio che il codice previ-gente contemplava (41).

6. Per il vero, neanche sembra tanto probante il riferimento all’or-dinanza ambrosiana in epigrafe, a quanto consta l’unica al momento adessersi espressa circa l’applicabilità degli artt. 348-bis ss. c.p.c. all’impu-gnazione del lodo arbitrale rituale. Per quanto, infatti, la genericitàdell’enunciato della corte meneghina, secondo cui i plurimi profili d’inam-missibilità dell’impugnazione dedotti dall’appellato « paiono impedire chela questione sia definita nel merito con ordinanza » (42), si presti a dire che,almeno in linea generale, non è stata esclusa in radice una possibileapplicazione del filtro anche in materia arbitrale (43), l’impressione è chel’ordinanza nel suo tenore generale non debba venire enfatizzata. Nonviene infatti affermata una generale applicabilità o, al contrario, ungenerico esonero del sistema del filtro all’impugnazione per nullità,

(38) A tenore dell’art. 32 c.p.c. 1865, la sentenza arbitrale, nonostante qualunquerinunzia, poteva essere impugnata per nullità nelle seguenti ipotesi: 1) qualora fosse statapronunziata su un compromesso nullo o scaduto, oppure fuori dei limiti del compromesso; 2)laddove non avesse pronunziato sopra tutti gli oggetti del compromesso o contenesse disposi-zioni contraddittorie; 3) quando fosse stata pronunziata da chi non poteva essere nominatoarbitro, oppure da arbitri non autorizzati a decidere in assenza di altri; 4) per inosservanza delleprescrizioni imposte dagli artt. 21 e 22, relativi ai requisiti di forma-contenuto della sentenzaarbitrale; 5) per inosservanza nel procedimento delle forme richieste nei giudizi a pena dinullità, ogniqualvolta queste forme fossero state specificamente indicate nell’atto di compro-messo.

(39) Per una puntuale disamina storica, anche diacronica, dell’azione di nullità contem-plata dal c.p.c. 1865, v. amplius BOCCAGNA, L’impugnazione per nullità, cit., I, 7 ss.

(40) Così LUISO, Diritto processuale, cit., 205.(41) Attualmente, infatti, la giurisprudenza di legittimità esclude un diretto apprezza-

mento della pronuncia arbitrale in Cassazione, potendo esaminare (soltanto) la decisioneemessa nel giudizio di impugnazione: v., ad es., Cass. 12 agosto 2010, n. 18644, in Giust. civ.,2010, I, 2762; Cass. 8 giugno 2007, n. 13511, in Foro it., Rep. 2007, voce Arbitrato n. 119; Cass.3 maggio 2007, n. 10209, ibid., voce cit., n. 202; Cass. 7 febbraio 2007, n. 2715, ibid., voce cit., n.36; Cass. 6 novembre 2006, n. 23670, ibid., voce Contratti pubblici n. 1496.

(42) Così App. Milano, 12 marzo 2013 (ord.).(43) V. AUTELITANO - UCCELLA, Impugnazione di lodo arbitrale e filtro in appello, in Il

filtro dell’appello, cit., 88.

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quanto piuttosto una soluzione che, in assenza di una formale esclusionedi questa possibilità, senz’altro privilegia il profilo pragmatico (44).

Quel che infatti l’ordinanza in oggetto statuisce è che le varie ragionidi (tradizionale) inammissibilità dell’impugnazione per nullità del lodoagiscono, vuoi da un punto di vista formale vuoi da un punto di vistaletterale, da fattore ostativo a che l’impugnazione venga definita nelmerito con ordinanza ex art. 348-bis c.p.c. Ma è questa una considerazioneche ben si attaglia alla disciplina del filtro in generale, cioè quella inerenteall’appello, e a fortiori non può non valere per l’impugnazione per nullità:le eventuali cause d’inammissibilità che inficiano il gravame valgonosenz’altro ad escludere l’operare del nuovo art. 348-bis. Peraltro, il tenoreletterale della disposizione è univoco al riguardo, laddove statuisce che ilnuovo modulo decisorio si applica solo allorquando il giudicante nondebba procedere (con sentenza) ad una declaratoria delle ipotesi ordinariedi inammissibilità e dunque quando il gravame abbia superato, in con-creto, tutti i consueti controlli di rito (45). Nulla di più.

Da qui, però, a dedurne che la disciplina del filtro possa estendersi deplano all’impugnazione per nullità del lodo arbitrale rituale il passo èlungo e, probabilmente, neanche auspicabile (46).

7. Come si può notare, la sequenza delle obiezioni all’estensione delregime del filtro all’impugnazione per nullità del lodo rituale è fitta eciascuna sembra avere una valenza sistematica spiccata e, perciò, difficil-mente superabile.

A questo punto, il nodo sul quale interrogarsi diviene però un altro.Per quale ragione, pur in difetto di una espressa previsione in tal

senso, si dovrebbe estendere in via interpretativa il nuovo modulo deci-sorio all’impugnazione per nullità del lodo arbitrale rituale? Detto in altromodo, di là da quelle che potrebbero essere le utilità (poche) e le disutilità(tante) sottese ad una siffatta estensione, c’è un qualche dato testuale chepotrebbe fungere da addentellato formale?

Ebbene, per quanto prima facie possa sembrare una disposizionespuria, il pensiero corre senz’altro a quella contenuta nell’art. 48, comma1, d.l. 83/2012, ove è statuito che, nei giudizi arbitrali per la risoluzione dicontroversie relative a lavori pubblici, forniture o servizi, « il lodo èimpugnabile davanti alla Corte d’appello, oltre che per motivi di nullità,anche per la violazione delle regole di diritto relative al merito della

(44) Così anche AUTELITANO - UCCELLA, op. loc. cit.(45) V. supra, § 2.(46) Secondo BRIGUGLIO, Un approccio minimalista alle nuove disposizioni, cit., 581, ove

si propenda per la soluzione opposta, una trasposizione del controllo di legittimità del lodo inCassazione, con le dovute limitazioni, potrebbe giovare all’arbitrato, senza comportare unsensibile aggravio del carico di lavoro di quest’ultima.

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controversia ». Ovviamente il senso della norma, con la quale si è volutogeneralizzare un regime processuale che già era previsto per le controver-sie derivanti dalla sola esecuzione dei su citati contratti (art. 5 d. lgs. 20marzo 2010, n. 53), non andrebbe enfatizzato. Pur tuttavia, è innegabileche l’art. 48 d.l. 83/2012 ha finito con l’ampliare il raggio delle ipotesi perle quali è consentito rivolgersi alla corte d’appello, coniando, accanto alcatalogo dei motivi di nullità, una seconda classe di casi — le regole didiritto relative al merito della controversia — per così dire a compassoallargato (47). E, in quest’ottica, la disposizione, nella misura in cui attri-buisce al giudice ad quem la possibilità di un riesame a maglie più largherispetto a quella tipica dei lodi rituali, potrebbe indurre a pensare che nonsia del tutto peregrino estendere il modulo decisorio di cui all’art. 348-bisc.p.c. all’impugnazione di questa categoria di lodi.

Quale sia l’effetto, però, è evidente: in un ventaglio di situazioni sifinirebbe per assistere ad una sostanziale equivalenza tra sentenza diprimo grado e lodo, che poi non potrebbe non determinare a sua volta unaparità di trattamento anche sul regime processuale della relativa impu-gnazione.

Dopo di che, viene facile domandarsi: per quale ragione, trattandosidi provvedimenti pressoché isoformi, il filtro dovrebbe valere per la primama non anche per il secondo? Indubbiamente, pensare che il sistema delfiltro possa operare per l’impugnazione del lodo sui contratti aventi adoggetto lavori pubblici, non invece ad es. per quella avverso un lodo resodall’arbitro unico in tema di validità delle delibere assembleari di societàdi capitali (48) è — a dir poco — sorprendente. Certo, la possibilità diestendere il sindacato sugli errori di giudizio commessi dagli arbitri non èdi per sé sinonimo di una perfetta assimilazione dell’impugnazione per

(47) Difatti, ai sensi dell’art. 48, comma 2, d.l. 83/2012, « la disposizione di cui al comma1 si applica anche ai giudizi arbitrali per i quali non sia scaduto il termine per l’impugnazionedavanti alla Corte d’appello alla data di entrata in vigore del presente decreto ». Quindi, unaapplicazione immediata della disposizione, che finisce con il rendere l’interrogativo sollevato neltesto ancora più stringente.

(48) Proprio come nel caso sottoposto all’attenzione della corte d’appello di Milano.Peraltro, in materia di arbitrato societario, l’art. 36 d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 — daconsiderarsi tutt’ora vigente in quanto lex specialis, destinata perciò a sopravvivere pur a seguitodell’abrogazione del rito societario ad opera della l. 69/2009 (v. CONSOLO, Spiegazioni di dirittoprocessuale civile2, Torino, 2012, II, 183) — dispone che l’impugnativa delle delibere assemble-ari può essere sempre devoluta alla cognizione degli arbitri, i quali, indipendentemente da ognicontraria pattuizione delle parti, devono decidere secondo diritto e con lodo impugnabile ancheper violazione di legge. In argomento v. BOCCAGNA, Commento all’art. 36, in Commentario breveal diritto dell’arbitrato nazionale ed internazionale, a cura di BENEDETTELLI, CONSOLO E RADICATI

DI BROZOLO, Padova, 2010, 418 ss.; MAJORANO, Commento all’art. 36, in I procedimenti in materiacommerciale, a cura di COSTANTINO, Padova, 2005, 803 s.; AUTELITANO - UCCELLA, Impugnazionedi lodo arbitrale, cit., 90, per i quali disposizioni come quella dell’art. 36 d. lgs. 5/2003, volte agarantire un’ampia e completa possibilità di riesame da parte del giudice dell’impugnazione,risulterebbero oggi incompatibili con una decisione di merito sommaria.

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nullità all’appello (49). Però, il dubbio che l’art. 48, comma 1, si presti, inqualche maniera, ad intorbidire la questione, persiste.

E tuttavia, a quale funzione può mai rispondere una estensioneall’impugnazione per nullità del lodo quel che già per l’appello ordinariosembra scaturito dalla Zauberkiste del legislatore? L’impressione, allora, èche, allo stato, il quesito rimanga insolubile. Sarà probabilmente la prassiad orientare per il futuro il ragionamento dell’interprete.

SIMONA CAPORUSSO

(49) Soprattutto se tiene conto del fatto che l’impugnazione per nullità per violazionedelle regole di diritto relative al merito è sempre ammessa nelle controversie di lavoro ex art.409 c.p.c. (art. 829, comma 4, n. 1) c.p.c.).

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I) ITALIANA

Lodi annotati

COLLEGIO ARBITRALE (Aponte Pres., Di Nanni, Rascio), nella controversia traSocietà X s.n.c. e Comune Y; lodo reso in Napoli il 20 giugno 2013.

Arbitrato - Parziale versamento anticipato spese prevedibili - Versamento antici-pato del compenso del segretario del Collegio oltre il termine fissato dagliarbitri - Conseguenze.

Il versamento anticipato ad opera delle parti entro il termine fissato dagli arbitridei soli esborsi a carico del segretario del Collegio arbitrale per far fronte - inesecuzione del suo incarico - a pagamenti per bolli, notifiche etc. deve considerarsiparzialmente satisfattivo delle spese « di segreteria » e non può, quindi, ritenersiidoneo a paralizzare gli effetti sanzionatori prescritti dall’art. 816-septies c.p.c.

Costituisce un dato pacifico nella giurisprudenza di legittimità, che nell’ambitodelle cosiddette « spese prevedibili » rientra anche la remunerazione al segretario perla prestazione della sua attività, ritenuta necessaria dagli arbitri per la realizzazionedel processo arbitrale.

Nessun effetto sanante può essere conferito al tardivo pagamento effettuatodalle parti a titolo di acconto sul compenso del segretario del collegio arbitrale, nonessendo i contraddittori più vincolati alla convenzione di arbitrato dal dì dellascadenza del termine fissato dagli arbitri per il versamento anticipato delle speseprevedibili.

MOTIVI DELLA DECISIONE. — (Omissis). — 14. Il presente procedimento èstato introdotto (...) dalla s.n.c. X con rito arbitrale, in applicazione della clausolacompromissoria contenuta nell’art. 8 del contratto stipulato in data 03/07/2006(rep. 963/1) — ai sensi dell’art. 45-bis del codice della navigazione — tra il ComuneY e la Società X s.n.c. Clausola il cui testo così di seguito recita: « ogni controversiache potesse insorgere tra le parti in ordine alla esecuzione, interpretazione, validitàed efficacia del presente contratto, dovrà essere risolta mediante giudizio arbitrale,affidato a tre arbitri di cui i primi due nominati da ciascuna delle parti ed il terzo confunzioni di Presidente, scelto di comune consenso entro il termine di 15 giorni dallanotifica dell’atto di ingresso arbitrale che una parte farà all’altra; in mancanza o incaso di disaccordo, il terzo arbitro verrà designato dal Presidente del Tribunale di

GIURISPRUDENZA ARBITRALE

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Ischia. Gli Arbitri decideranno la controversia in maniera irrituale e secondo equità,con pronuncia inappellabile ».

15. L’ufficio Arbitrale si è ritualmente costituito secondo le regole previstenella citata clausola compromissoria, ponendo in essere attività procedimentali informale osservanza delle disposizioni di cui agli art. 813, 816, 816-bis 1º e 3º commac.p.c. come dianzi riferito.

Gli Arbitri — nominati rispettivamente dalla Società attrice e dal convenutoComune nelle persone del Prof. Avv. Carlo Di Nanni e del Prof. Avv. NicolaRascio, nonché dal Presidente del Tribunale di Napoli nella persona dell’Avv.Aldo Aponte — accettate le rispettive nomine in data 26/02/2013, si sono conte-stualmente costituiti in Collegio procedendo quindi: alla designazione della sedearbitrale; all’impianto dell’ufficio di segreteria; all’assegnazione dei termini per losvolgimento del contraddittorio; alla fissazione dell’udienza di comparizione delleparti ai fini del tentativo di bonario componimento della lite e, in caso di esitonegativo di tale esperimento, per la trattazione e per l’eventuale discussione orale.

16. Il procedimento si è svolto nel rispetto delle regole sancite dalla leggeprocessuale.

Va ricordato che l’art. 816-bis attribuisce agli arbitri il potere di regolare losvolgimento della procedura nella quale sono chiamati a decidere, laddove —come nella fattispecie di che trattasi — le parti non abbiano stabilito nellaconvenzione arbitrale o anteriormente all’inizio del giudizio, con atto scritto, leregole del procedimento. L’unico limite a tale potestà consiste — come categori-camente sancito nell’ultima parte del comma 1 di detto articolo — che, in ognicaso, deve essere garantito l’esercizio del contraddittorio, con concessione alleparti di ragionevoli ed equivalenti possibilità di difesa.

Nel caso concreto, tali criteri sono stati puntualmente osservati dal Collegioche, subito dopo essersi costituito, con le modalità innanzi indicate, con suoiprovvedimenti dispose — ai fini della corretta instaurazione del contraddittorio trale parti — regole da seguire nel corso della procedura con cadenze temporali, talida consentire alle parti stesse: di esporre i rispettivi assunti; di conoscere le provedocumentali prodotte da ciascuna di esse; di presentare memorie, repliche e divenire a cognizione, in tempo utile, di istanze e richieste avverse.

17. Pregiudizialmente richiamando quanto evidenziato nel verbale di causadel 30 aprile 2013, in merito agli adempimenti richiesti alle parti per acconti suicompensi agli Arbitri e sulle spese da affrontare nel corso del giudizio — così comecontemplato nelle citate ordinanze nn. 1 e 2, non compiutamente eseguite daicontraddittori entro i termini ivi fissati — il Collegio deve farsi carico di decideresulla proseguibilità o meno del presente processo, rispondendo su tale punto,anche alle eccezioni formulate in proposito dal convenuto.

17.1. Occorre premettere che non può trovare accoglimento la richiestadella Società attrice (avanzata, per la prima volta, nel corso della udienza del30/04/2013), e finalizzata ad ottenere proroga di ulteriori giorni quindici deltermine — già scaduto il precedente 22 aprile — per consentirle di provvedere alpagamento dell’acconto per la remunerazione dell’opera professionale affidatadagli Arbitri all’Avv. Farina, in qualità di Segretario.

Resta preclusa, ben vero, ai sensi dell’art. 154 c.p.c., la invocata prorogabilità,subordinata al mancato decorso del termine ordinatorio, già precedentementefissato.

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Presupposto di prorogabilità carente nella specie, poiché l’istanza in parolaseguì di otto giorni la intervenuta scadenza della data già precedentemente fissatadal Collegio con l’ordinanza n. 2 del 27/03/2013.

Né vale comunque opporre (come esplicitato dalla difesa della Società nellastessa udienza del 30/04) che quella data del 22 aprile non integrava « un terminedecadenziale per ottemperare al pagamento dei compensi e delle spese di segrete-ria ».

Costituisce regola del nostro sistema giuridico il principio secondo cui alladecadenza legale resti affiancata (oltre quella negoziale) la decadenza giudizialeche, in casi determinati, la legge consente al giudice di stabilire. Evenienzaquest’ultima sussistente nella fattispecie in esame, caratterizzata da fissazione di unprevisto termine da parte degli Arbitri con l’ordinanza n. 2, ove venne fattospecifico richiamo agli effetti che, in caso di inottemperanza ai prescritti adempi-menti ivi indicati, si sarebbero verificati ai sensi dell’art. 816-septies c.p.c. (in lineacon il disposto del 1º comma dell’art. 152 c.p.c.).

18. Tanto premesso, passando ad esaminare le articolate difese dei partecipial giudizio sulla prospettata questione di proseguibilità del processo, devesirilevare che nel dibattito, seguito alla concessione di termini per la redazione dimemorie difensive e di replica sull’argomento — ai fini dell’osservanza delle regolesul contraddittorio — le parti sono pervenute a discordanti conclusioni.

18.1. Nella memoria depositata il 13/05/2013, i legali del Comune (...)sostengono: che, non essendo stato adempiuto — entro i tempi fissati nelleordinanze collegiali — all’integrale pagamento degli acconti per spese, si sarebbeverificata — al di là di ogni ragionevole dubbio — l’estinzione dell’accordocompromissorio che aveva dato origine al procedimento arbitrale di che trattasi. Atal riguardo non dovendo trascurarsi di considerare che, in base a precise regole didiritto, la remunerazione per il lavoro commissionato al Segretario (« per laredazione degli atti e dei verbali del giudizio, per la custodia degli stessi, per lecomunicazioni e notificazioni alle parti ed ai loro procuratori, per le attestazionirelative al deposito ed allo scambio delle produzioni etc. ») integra a tutti gli effetti« spesa », non identificabile né rientrante nei « compensi e negli onorari spettantiagli arbitri ».

19. La difesa della Società (...), di contro, nella memoria depositata ilsuccessivo 15/05/2013, oppone:

— che il convenuto Comune — sollecitato con l’ordinanza n. 2, al pagamentodegli acconti per compensi e spese, come specificato nell’ordinanza n. 1 — erarimasto del tutto inadempiente, onde la propria cliente aveva provveduto a pagare,entro il termine assegnato dagli Arbitri, le spese vive di segreteria nella misura dieuro 500,00, così come testualmente indicato nei provvedimenti collegiali;

— che tale cifra per « spese » di segreteria trovava riscontro nell’enunciatodegli Arbitri, riferibile — secondo il suo testuale tenore — ai soli esborsi incom-benti sul Segretario per « notifiche, bolli sull’emanando lodo in duplice copia etc. »;

— che sulla base di una tale interpretazione letterale del provvedimento,doveva considerarsi superato ogni problema in discussione sulla proseguibilità delprocedimento, non potendo annoverarsi tra le « spese », indicate nel dettato dellarichiamata norma processuale sulla disciplina del procedimento arbitrale, anche i« compensi » spettanti ai componenti dell’ufficio Arbitrale, compreso il Segretarionominato dagli Arbitri;

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— che, ad ogni buon fine, nel medesimo giorno del deposito di quellamemoria (15/05/2013), la Società (...) aveva accreditato sul conto corrente delSegretario Avv. Farina altro bonifico per un ammontare di euro 2.116,80 a titolodi anticipo « compenso » (in conformità delle menzionate ordinanze arbitrali) coni correlativi oneri fiscali;

— che essa Società si riservava di corrispondere ulteriori versamenti peranticipazioni sui compensi agli Arbitri (così come, poi, eseguito in data 30/05/2013a mezzo assegni circolari).

20. Prendendo atto di quanto precede, il Collegio, come sopra costituito, amaggioranza dei suoi componenti — stante il dissenso dell’Arbitro Prof. Avv.Carlo Di Nanni, come di seguito motivato con nota aggiunta al presente Lodo —ritiene di non poter condividere il ragionamento dianzi sviluppato dalla societàattrice.

Nella trattazione che segue sull’argomento in esame deve intendersi perciòsottintesa la citata locuzione « maggioritaria » in aggiunta alla voce « Collegio »,correlata alla composizione numerica di quest’Organo decidente.

Ciò posto, mette conto rilevare, sulla scorta delle precedenti esposizioni, cheentro il citato termine stabilito da questi Arbitri nella ordinanza n. 1, la parteistante — per difficoltà economiche rappresentate dal suo difensore con letteraraccomandata (a mano) del 27/03/2013 — non potette ottemperare (neppureparzialmente) alla corresponsione degli acconti sui compensi e sulle spese disegreteria (comprensive queste ultime — come di seguito sarà precisato — dellaremunerazione al Segretario). Cosicché questi Arbitri, in pari data 27 marzo, conordinanza n. 2, stante la regola della solidarietà delle parti sull’obbligo al paga-mento delle spese e degli onorari ex art. 814 c.p.c., posero a carico del convenutoComune di far fronte all’adempimento in discorso, in sostituzione della contro-parte. All’uopo provvedendo con l’ordinanza n. 2: con fissazione di un nuovotermine al 22/04/2013 per assolvere a tale incombente; subordinando la prosecu-zione del processo alla puntuale osservanza di tale prescrizione, « fermo restandol’effetto automatico previsto dall’ultimo comma dell’art. 816-septies c.p.c. » qualora(...) non si fosse « ottemperato a detta anticipazione da alcuna di dette parti ».

Alla scadenza fissata, con quest’ultimo provvedimento, il Comune Y èrimasto inadempiente, mentre la Società X si è limitata a corrispondere all’Avv.Farina la somma di euro 500,00, prevista sia pur esplicitamente nell’ordinanza n.1 per « spese », palesemente però riferibili — ad avviso di questo Collegio — ai soliesborsi a carico di esso Segretario per far fronte — in esecuzione del suo incarico— a pagamenti per bolli, notifiche etc. (come riconosciuto dalla stessa parte istantenella citata memoria difensiva del 15 maggio).

Tale adempimento della società attrice deve considerarsi parzialmente sati-sfattivo delle spese « di segreteria » e non può, quindi, ritenersi idoneo a paraliz-zare gli effetti sanzionatori prescritti dalla ripetuta norma processuale in tema diarbitrato.

Costituisce un dato pacifico nella giurisprudenza di legittimità, che nell’am-bito delle cosiddette « spese prevedibili » rientra anche la remunerazione al Segre-tario per la prestazione della sua attività, ritenuta necessaria dagli Arbitri per larealizzazione del processo arbitrale.

È questo un principio ripetutamente affermato dalla Suprema Corte (Cass.nn. 14182/2004; 10141/2004), secondo cui nell’arbitrato convenzionale il Segretario

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del Collegio Arbitrale è direttamente nominato dai componenti del Collegiomedesimo, in ragione di una loro soggettiva valutazione sulla necessità di avvalersidi un ausiliario per l’espletamento delle attività certificativa, esecutiva ed organiz-zativa, funzionalmente collegate con quelle del Collegio; sicché è con costoro chesi instaura un rapporto di prestazione d’opera intellettuale del tutto estraneo alleparti litiganti. In quest’ottica, il compenso dovuto al Segretario deve essereinquadrato quale passività correlata allo svolgimento dell’attività degli arbitri e variconosciuto quale esborso di « spesa » affrontato o da affrontare dai componentidel Collegio per il funzionamento dell’Ufficio Arbitrale e, quindi, per lo svolgi-mento del processo.

Una spesa, quindi, inquadrabile tra quelle « prevedibili », discendenti dallavoro di segreteria svolto in forza di un rapporto di prestazione d’opera estraneoalle parti litiganti. Talché gli unici soggetti contrattualmente obbligati alla remu-nerazione nei confronti del Segretario sono gli Arbitri, con esposizione di « spesa »a loro carico, che va anticipata o rimborsata dalle parti in causa e che va, quindi,riconosciuta tra quelle di cui all’enunciato dettato dell’art. 816-septies c.p.c.

Principi questi di diritto e di giurisprudenza di legittimità, che non potevanoessere ignorati dalle parti in causa, assistite da legali di indiscussa competenzaprofessionale e di cospicua esperienza giudiziaria.

Nella fattispecie in esame, pertanto, non avendo esse parti adempiuto —entro il termine del 22/04/2013, fissato con l’ordinanza n. 2 — al pagamento dellaprevista spesa per la remunerazione dell’opera commessa al Segretario Avv.Farina, è da quella data che deve intendersi divenuto improseguibile (ai sensi delcitato art. 816-septies) il procedimento arbitrale, non essendo più vincolate lemedesime alla convenzione trasfusa nella clausola compromissoria richiamatanell’atto di accesso alla controversia, oggetto del presente procedimento.

Né alcun effetto sanante può essere conferito al tardivo pagamento effettuatoil 13/05/2013 dalla Società X all’Avv. Farina a titolo di acconto sul suo compenso,non essendo più vincolati essi contraddittori alla convenzione di arbitrato dal dìdella scadenza del detto termine al 22/04/2013. (Omissis).

Alcune riflessioni in merito all’art. 816-septies c.p.c.

1. La decisione in esame è particolarmente importante perché rap-presenta una delle prime pronunce in ordine alla portata, operatività edeffetti dell’art. 816-septies c.p.c.

Sebbene rimasto in ombra nella decisione che si annota, attenta adichiarare l’improcedibilità del giudizio per il venire meno del vincolocompromissorio delle parti, si ritiene di dover fin da subito evidenziarecome la norma, inserita nel codice di rito dalla novella del 2006, si pongal’obiettivo di risolvere due differenti questioni di ordine pratico: quelladella legittimità della rinuncia degli arbitri all’incarico, nonché quelladell’effettività della tutela giurisdizionale dei diritti, perseguita attraverso

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la previsione di una nuova ipotesi di cessazione dell’efficacia dell’accordoarbitrale (1).

Segnatamente, l’art. 816-septies c.p.c. è strutturato in modo tale daconsentire l’effetto finale ovvero la liberazione delle parti dal vincolocompromissorio al verificarsi di determinati presupposti quali, in partico-lare, la subordinazione ad opera degli arbitri della prosecuzione delprocedimento al versamento anticipato delle « spese prevedibili », la lorodeterminazione « salvo diverso accordo » del « la misura dell’anticipazionea carico di ciascuna parte », nonché l’assenza, nel caso in cui la parteonerata non presti « l’anticipazione richiestale », dell’operare della solida-rietà dell’altra parte diretta ad « anticipare la totalità delle spese ».

Vediamo dunque innanzitutto se, nel caso presentatosi all’attenzionedella decisione del Collegio arbitrale che si annota, si siano verificati gliindicati presupposti di applicazione della disposizione in oggetto (2).

2. In estrema sintesi, la questione di fatto si articola nei seguentitermini. In applicazione della clausola compromissoria contenuta nelcontratto intercorso tra un Comune ed una Società in nome collettivo sicostituiva, in seguito all’accettazione della nomina, Collegio arbitrale che,dopo aver nominato il segretario, provvedeva a pronunciare un’ordinanzaper ottenere l’anticipazione delle spese nonché dei compensi di arbitri esegretario. Il mancato totale versamento nel termine stabilito dagli arbitridei compensi e delle spese di procedura induceva il Collegio ad affrontarela questione relativa alla prosecuzione del giudizio.

Più in particolare, il Tribunale arbitrale, dopo aver pronunciato unaprima ordinanza con cui disponeva la totalità delle anticipazioni a caricodella Società, stante il suo inadempimento, ne pronunciava una secondacon cui, fissando il termine di adempimento, segnalava alle parti leconseguenze previste dall’art. 816-septies c.p.c. discendenti dalla mancataerogazione anticipata delle spese prevedibili.

Allo scadere del termine previsto dagli arbitri nella seconda ordi-nanza, la Società versava la somma corrispondente ai soli esborsi a caricodel segretario, ma non al suo compenso, per il cui pagamento chiedeva,alla successiva udienza, ulteriore termine, provvedendo al saldo in unmomento successivo ancorché anteriore alla pronuncia del lodo.

Da quanto esposto appare chiaramente la presenza nel caso in esamedei presupposti di applicazione dell’art. 816-septies c.p.c. Ed infatti, men-

(1) Invero, l’inefficacia della convenzione di arbitrato, ex art. 816-septies, ultimo comma,c.p.c., come espressamente statuito, riguarda non già le ulteriori eventuali liti future, quantopiuttosto solamente la singola controversia che ha dato origine al procedimento in cui ilversamento delle anticipazioni non è stato regolarmente eseguito.

(2) Tale evento è stato messo in dubbio dalla nota di dissenso aggiunta al lodo che sicommenta, pronunciato non già all’unanimità, ma a maggioranza dei membri del Collegio.

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tre il richiamo nella seconda ordinanza alla disposizione di cui all’art.816-septies c.p.c. è indubbiamente idoneo a manifestare la volontà degliarbitri di subordinare la prosecuzione del procedimento al versamentoanticipato delle spese prevedibili, la loro ripartizione tra le parti è corret-tamente prevista nella prima ordinanza del Collegio.

Se dalla previsione normativa della possibilità di diverso accordo deicompromittenti, della determinazione, ad opera degli arbitri, della misuradell’anticipazione, gravante su ciascuna parte, nonché della facoltà con-cessa alla controparte di chi non ha prestato l’anticipazione richiesta dipagare la totalità delle spese prevedibili, si può, infatti, chiaramenteevincere come questa, a differenza dell’adempimento dell’obbligazione dipagamento del compenso degli arbitri, non sostanzi un’obbligazione soli-dale, quanto piuttosto un’obbligazione parziaria, ciò non significa, però,anche che la distribuzione pro-quota debba avvenire in parti uguali,potendo gli arbitri — come nel caso in esame — anche disporre a caricodi uno solo dei contendenti l’intero versamento delle anticipazioni. Ciò,purché ovviamente sia rispettato il criterio di ragionevolezza (3), nonnecessariamente assente — come invece, pur in assenza di specifici rilievievidenziato nella nota di dissenso aggiunta al lodo — nel provvisorioaccollo in capo ad uno solo dei contendenti della totalità delle anticipa-zioni.

Inoltre, il versamento ad opera delle parti, nel termine indicato dagliarbitri, dei soli esborsi a carico del segretario veniva considerato dalCollegio parzialmente satisfattivo delle spese processuali e conseguente-mente inidoneo a paralizzare gli effetti sanzionatori dell’art. 816-septiesc.p.c., in quanto l’attuazione dell’arbitrato era di fatto resa impossibile dalmancato funzionamento della solidarietà tra le parti in relazione al ver-samento anticipato dei costi della giustizia privata.

3. Il Collegio ha, dunque, nel caso in esame affrontato la questione,centrale nell’interpretazione dell’art. 816-septies c.p.c., relativa all’indivi-duazione dell’oggetto dell’anticipazione, posto che la norma espressa-mente si riferisce alle « spese prevedibili ».

Nel vigore della previgente disciplina, pur in assenza di una disposi-zione analoga all’art. 816-septies c.p.c., se solida era la prassi (4) secondo

(3) Sulla ragionevolezza della distribuzione tra le parti del peso delle anticipazioni v.MALAVASI, Il procedimento arbitrale, a cura di BONELLI EREDE PAPPALARDO, Milano, 2012, 100.

(4) V.: BRIGUGLIO-FAZZALARI-MARENGO, La nuova disciplina dell’arbitrato, Commentario,Milano, 1994, 80; SCHIZZEROTTO, Dell’arbitrato, Milano, 1988, 403; VERDE, Diritto dell’arbitratorituale, in AA.VV. a cura di VERDE, Torino, 1997, 90. Da ultimo ricordano questa prassiCOMASTRI-MOTTO, Sub art. 816-septies c.p.c., in AA. VV. La nuova disciplina dell’arbitrato, acura MENCHINI, Padova, 2010, 273.

Contra LA CHINA, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, Milano, 1995, 62, secondo cui gliarbitri avrebbero diritto al rimborso delle spese, così come al compenso, solo al momento della

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cui — salvo diversa volontà o usi contrari — agli arbitri spettasse il dirittodi ottenere l’anticipazione delle spese il cui mancato versamento si rite-neva rappresentare, ex art. 813, comma 2, c.p.c., un giustificato motivo dirinuncia all’incarico, diverse erano le opinioni espresse in ordine allalegittimità della loro rinuncia nel caso di mancato versamento anticipatodegli onorari (5).

Sebbene l’art. 816-septies c.p.c., riprendendo l’orientamento maggio-ritario della dottrina ed invalso nella prassi, abbia fugato ogni dubbio inordine alla legittimità della rinuncia degli arbitri che non abbiano, neltermine indicato, ottenuto il versamento anticipato delle spese da soste-nere per l’esecuzione dell’incarico conferitogli (6), nulla ha invece espres-samente statuito in merito alla legittimità della loro rinuncia nel caso in cuile parti si siano astenute dal pagargli anticipatamente gli onorari (7).

In proposito si sono, pertanto, consolidati diversi orientamenti (8). Edinfatti, accanto a quanti (9) ritengono che gli arbitri possano subordinare

conclusione dell’attività. Per la legittimità della rinuncia degli arbitri all’incarico nel caso dimancata corresponsione degli acconti v. in giurisprudenza: Cass., 21 marzo 1969, n. 899, in Foroit. Rep., 1969, voce Arbitrato, 93.

(5) Invero alla base dei diversi orientamenti della dottrina in ordine alla legittimarinuncia degli arbitri all’incarico nel caso di mancato versamento anticipato degli onorari siponeva il diverso inquadramento del contratto parti-arbitri in termini di contratto di mandatoo locatio operis. Più in particolare, se una parte della dottrina (RIVA SANSEVERINO, Sub art. 2234c.c., in Commentario al codice civile, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1963, 238;CAMPAGNOLA, Il compenso degli arbitri nella più recente giurisprudenza: qualificazione giuridicae quantificazione, in questa Rivista, 1993, 550 ss., spec. 555; ORLANDI, Diritti degli arbitri, inCommentario Arbitrato, a cura di F. CARPI, Bologna, 2000, 193), inquadrando il contrattoparti-arbitri nel contratto di mandato, mentre, ex art. 1719 c.c., non aveva nessun problema ariconoscere legittima la rinuncia degli arbitri all’incarico nel caso di mancata anticipazione dellespese vive, ponendosi, invece, qualche dubbio solo in relazione all’omesso versamento antici-pato dell’onorario, una diversa opinione riteneva di contro legittima la rinuncia anche in taleultima ipotesi. Così BERNARDINI, Il diritto dell’arbitrato, Bari, 1998, 65, nonché in giurisprudenzaCass., 21 marzo 1969, n. 899, che, inquadrando il contratto parti-arbitri nella locatio operis,riconoscevano, stante l’applicazione dell’art. 2234 c.c., al prestatore d’opera il diritto di ottenerel’anticipazione non solo delle spese occorrenti al compimento dell’opera, ma anche dellacorresponsione, secondo gli usi, degli acconti sul compenso, ammettendone, in caso d’inadem-pimento del cliente, la legittima rinuncia all’incarico.

(6) Occorre peraltro sottolineare come il problema in ordine alla legittimità dellarinuncia degli arbitri per mancata anticipazione del compenso si presentasse solo in riferimentoall’arbitrato ad hoc, dal momento che la quasi totalità dei regolamenti delle Camere arbitrali,già prima della novella del 2006, prevedeva, a maggior garanzia del diritto di credito dell’Isti-tuzione e degli arbitri, che il mancato deposito, ad opera delle parti, delle somme richieste comeanticipo rappresentasse un giusto motivo di sospensione del termine per la pronuncia del lodoovvero d’interruzione della stessa procedura arbitrale.

(7) In verità nella relazione illustrativa alla riforma del codice di rito in materia diarbitrato si è espressamente previsto come la disposizione di cui all’art. 816-septies c.p.c. siriferisca solo all’anticipazione delle spese e non anche degli onorari spettanti agli arbitri.

(8) L’incertezza circa il contenuto delle anticipazioni costituisce, invero, una problema-tica di notevole rilievo, posto che l’assenza di un giustificato motivo di rinuncia all’incaricoespone gli arbitri all’azione di responsabilità di cui all’art. 813-ter c.p.c.

(9) In tal senso v.: VERDE, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, II ed., Torino, 2006, 83;RAMPAZZI, Commento breve al codice di procedura civile, a cura di CARPI-TARUFFO, Padova, 2006,2204; BOVE, La giustizia privata, Padova, 2013, 94.

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la prosecuzione del procedimento non solo al versamento delle spese, maanche dell’acconto sugli onorari, si è posta l’opinione di chi (10), nonavendo gli arbitri, per la determinazione degli onorari, alcun potere divincolare i contendenti (11), posto che, ex art. 814, comma 2, c.p.c., la loroliquidazione « non è vincolante per le parti se esse non l’accettano », allostesso modo ritiene che questi non avrebbero il potere di rinunciareall’incarico in seguito all’omesso versamento delle anticipazioni sui com-pensi unilateralmente predisposti (12).

In altri e più precisi termini, secondo l’interpretazione da ultimoproposta la distinzione tra spese e compensi sarebbe rinvenibile nellostesso art. 814 c.p.c. che, riconoscendo agli arbitri il diritto al rimborsodelle spese ed al pagamento dell’onorario per l’opera prestata, implicita-mente contrapporrebbe la remunerazione della prestazione intellettuale,vincolante per le parti solo ove accettata, al rimborso delle spese mate-rialmente sostenute, a cui queste sarebbero sempre, a prescindere daesplicita accettazione, obbligate.

Di tale ultimo avviso sembra essere anche la decisione in commentoche, sebbene nulla esprima in ordine al rapporto parti-arbitri, ricollega,invece, le conseguenze sanzionatorie dell’art. 816-septies, ultimo comma,c.p.c. alla mancata corresponsione delle sole spese prevedibili necessarieal funzionamento dell’arbitrato, ricomprendendo tra queste però anche ilcompenso spettante al segretario del Collegio (13).

4. Più in particolare nella decisione che si annota si specifica chenell’arbitrato ad hoc il segretario, lungi dall’essere normativamente pre-visto (14), origina da una prassi applicativa che ne ammette la nomina

(10) Cfr. LUISO, in LUISO-SASSANI, La riforma del processo civile, Milano, 2006, 295; G.F.RICCI, Anticipazione delle spese, in Arbitrato Commentario, diretto da CARPI, Bologna, 2007, 464.

(11) In tal senso v. per tutti Cass., 23 giugno 2008, n. 17034, in Giust. civ. Mass., 2008, 6,1011, secondo cui « l’art. 814 c.p.c. configura un meccanismo contrattuale di determinazione delcompenso spettante agli arbitri, scandito dall’autoliquidazione, effettuata dagli stessi arbitri,avente valore di proposta contrattuale che, per vincolare le parti del giudizio, deve da queste essereaccettata e che non è revocabile liberamente dai proponenti, ma rimane ferma sinché, in difetto diaccettazione, ad essa succeda la determinazione giudiziale su richiesta degli stessi arbitri, ondeacquisire un titolo (non contrattuale ma) giurisdizionale e quindi imperativo ed esecutivo ».

(12) Invero, ci si chiede se la presenza di un accordo sui compensi tra arbitri e partipotrebbe comportare un superamento dell’indicata ricostruzione, posto che, in tal caso, le partisarebbero contrattualmente vincolate al pagamento del compenso che, liquidato in via pattizia,non dovrebbe essere oggetto di successiva liquidazione da parte del Presidente del Tribunale.

(13) Nel ricomprendere tra le spese del procedimento arbitrale anche le spettanze delsegretario si esprimono anche i regolamenti arbitrali. V., per tutti, l’art. 31, comma 2, Regola-mento di arbitrato A.I.A. 2012, secondo cui « la Corte, tenendo conto della Tariffa dei serviziarbitrali e di ogni altro elemento utile, determina gli onorari e le spese degli arbitri (incluse lespettanze dell’eventuale segretario), nonché i diritti amministrativi dell’A.I.A., come pure l’ono-rario e le spese del consulente nominato dal tribunale arbitrale e infine, ove del caso, le spese legaliragionevolmente sostenute dalle parti per la loro difesa ».

(14) La figura del segretario del Collegio è espressamente regolata solo agli artt. 241 e ss.D. lgs. n. 163/2006 e successive modifiche, nonché negli arbitrati amministrati sia interni che

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direttamente ad opera degli arbitri in ragione della loro soggettiva valu-tazione circa la necessità di avvalersi di un ausiliario per l’espletamento diattività funzionali al procedimento quali, in particolare, la tenuta delfascicolo d’ufficio, la verbalizzazione delle udienze, la trasmissione delleordinanze rese fuori udienza, la raccolta e l’archiviazione dei documenti,l’estrazione di copie etc.

Da ciò, a detta del Collegio, discenderebbe che il rapporto, instauratotra arbitri e segretario, del tutto estraneo ai litiganti, integra un onere sudi loro gravante solo indirettamente, dal momento che gli unici soggetticontrattualmente obbligati alla sua remunerazione sono gli arbitri (15).

In quest’ottica il compenso dovuto al segretario non può che essereinquadrato tra le passività correlate allo svolgimento dell’arbitrato, ovverotra gli esborsi di spesa che i componenti il Collegio devono affrontare peril regolare funzionamento dell’ufficio arbitrale.

La ricostruzione proposta nel lodo in commento è, peraltro, avvalo-rata anche dalla giurisprudenza che, nel respingere la domanda di liqui-dazione dell’onorario ex art. 814 c.p.c., proposta dal segretario (16), statu-isce la necessità che a liquidarne il compenso siano gli arbitri (17), conl’avvertimento che, ove tale liquidazione non sia accettata dalle parti,occorra, alla stregua di ogni altra spesa relativa al procedimento, sudomanda degli arbitri, chiederne la congruità al Presidente del Tribu-nale (18).

In altri e più precisi termini, è sempre a causa dell’assenza di unrapporto giuridico contrattuale tra segretario e parti che la giurisprudenzanega al segretario la legittimazione attiva alla liquidazione del compensodi cui all’art. 814 c.p.c., consentendo tale richiesta, congiuntamente aquella di liquidazione del loro onorario, solo agli arbitri (19). Con ciò,

internazionali. V. in tale ultimo senso: ALLOTTI, Spese di arbitrato, in BRIGUGLIO-SALVANESCHI,Regolamento di arbitrato della Camera di Commercio internazionale, Milano, 2005, 524.

(15) Cass., 28 luglio 2004, n. 14182, in Mass. Giur. it., 2004.(16) Sul punto v. Cass., 26 maggio 2004, n. 10141, in Corr. Giur., 2004, 874 e in Foro it.,

2005, I, 782, con nt. CAPONI, Orientamenti giurisprudenziali in tema di procedimento di liquida-zione delle spese e dell’onorario arbitrali (art. 814 c.p.c.), secondo cui « l’importo della spesa delsegretario, costituente esborso affrontato per il funzionamento del Collegio (e riconoscibile neilimiti in cui esso sia ritenuto necessario), può essere liquidato soltanto agli arbitri, e nondirettamente al segretario ». Conforme Trib. Roma, 12 settembre 1995, in Giur. Merito, 1996,682.

(17) Cass., 22 aprile 1994, n. 3839, in questa Rivista, 1995, 75, con nt. BRIGUGLIO, Questionivarie in tema di liquidazione delle spettanza arbitrali.; Cass., 8 settembre 2004, n. 18058, in questaRivista, 2005, 83 con nt. AULETTA, La tutela giurisdizionale dei diritti del segretario dell’arbitrato.

(18) Cfr. Cass., 27 maggio 1984, n. 4722, in Arch. Giur. oo. pp., 1987, 1325; Cass., 22aprile 1994, n. 3839, cit., 75.

(19) Cass., 26 maggio 2004, n. 10141, cit. e in dottrina BIANCHI, L’arbitrato nelle contro-versie societarie, Padova, 2001, 233.

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annoverando chiaramente il compenso spettante al segretario tra le spesedi funzionamento dell’arbitrato (20).

Nessun legittimo dubbio può, invece, sollevare quell’orientamentogiurisprudenziale che, in considerazione del fatto che sono gli arbitri ascegliere di nominare il segretario, condiziona l’accoglimento della do-manda, nonché la determinazione dell’entità del compenso, alla valuta-zione discrezionale del Presidente del Tribunale circa l’effettiva utilitàdell’opera prestata dallo stesso ausiliario per il funzionamento dell’arbi-trato (21). Ed infatti, la congruità delle spese di segreteria, alla stregua diogni altra spesa sostenuta per il funzionamento del giudizio privato,quando non accettata dalle parti, deve essere avallata dal Presidente delTribunale.

Concludendo, se unitamente all’onorario vengono liquidate anche lespese necessarie al funzionamento dell’arbitrato ovvero le spese debita-mente documentate, sostenute dagli arbitri per l’adempimento della loroprestazione, nel cui ambito deve essere ricompreso anche l’eventualecompenso dovuto al segretario (22), la mancata anticipazione di quest’ul-timo, entro il termine indicato, non potrà che sostanziare la presenza diuno dei presupposti di applicazione dell’art. 816-septies c.p.c. (23), ovverodel mancato versamento delle parti delle « spese prevedibili ».

(20) Cass. 8 settembre 2004 n. 18061, in Giust. civ. Mass., 2004, 9, afferma infatti che: « laquantificazione del compenso spettante al segretario del Collegio arbitrale è riservata all’apprez-zamento del giudice del merito che provvede alla liquidazione del compenso degli arbitri ai sensidell’art. 814, c.p.c., in quanto è riferibile alle spese che le parti sono tenute a rimborsare agliarbitri ».

(21) Cass., 26 maggio 2004, n. 10141, cit.; Cass., 27 maggio 1987, n. 4722, in Giust. civ.Mass., 1987, fasc. 5; Cass., 22 aprile 1994, n. 3839, cit.

(22) Analogo discorso si ritiene debba essere fatto nel caso in cui gli arbitri si avvalganodell’opera di un consulente tecnico d’ufficio, anche se sul punto la giurisprudenza non è univoca.Se, infatti, a volte si afferma (Trib. Roma, 2 maggio 1995, in Gius, 1995, 1415) che la richiestadi pagamento delle spese e dell’onorario, inviata dal CTU alle parti dell’arbitrato, implical’accettazione per facta concludentia della liquidazione dell’onorario operata dagli arbitri,facendo in tal modo intendere che la spesa per il consulente tecnico è trattata alla stregua di ognialtra spesa del procedimento arbitrale e che, quindi, tra parti e consulente non si instauri alcundiretto rapporto contrattuale, altre volte, rilevando che il « professionista ha diritto al pagamentodelle spese e dell’onorario verso le parti del giudizio » (Trib. Roma, 2 maggio 1995, cit.), si fa, dicontro, intendere che tra parti e consulente si instauri un rapporto contrattuale diretto.Partendo da tale ultima considerazione la dottrina (ORLANDI, Diritti degli arbitri, in ArbitratoCommentario, a cura di CARPI, cit., 197) ha, poi, avanzato l’idea che il professionista possa agiredirettamente nei confronti delle parti, sia utilizzando il procedimento per ingiunzione siainstaurando un processo ordinario di cognizione. Invero, VIGORITI, L’onorario degli arbitri, inquesta Rivista, 2005, 189 ss., spec. 192, nega al CTU la possibilità di utilizzare lo specialeprocedimento di cui all’art. 814 c.p.c., anche se la sua nomina sia avvenuta con il consenso delleparti o addirittura su loro esplicita richiesta. La prassi, sia nell’arbitrato amministrato che inquello ad hoc, imponendo alle parti la liquidazione anticipata delle spese di consulenza(ORLANDI, Diritti degli arbitri, in Arbitrato Commentario, a cura di CARPI, cit.,196-197), hasemplificato e superato ogni dubbio in ordine all’inquadramento di tali spese tra le passivitàcorrelate allo svolgimento dell’arbitrato.

(23) Di diverso avviso appare l’arbitro dissenziente secondo cui il Collegio arbitraleindicando, nell’ordinanza anticipi, come spese solo gli esborsi di segreteria, avrebbe configurato

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Definito, dunque, il contenuto dell’anticipazione, non resta a talpunto che capire se il suo adempimento tardivo, avvenuto nel caso speciein un momento successivo alla scadenza del termine indicato dagli arbitriancorché anteriore alla pronuncia del lodo, possa in qualche modo pro-durre effetti sananti.

Per fare ciò, occorre però partire da una spiegazione teorica delparticolare rapporto tra accordo compromissorio e contratto parti-arbitriintrodotto dalla disposizione in oggetto, capace di fugare ogni dubbio inordine alla qualificazione del versamento anticipato delle spese prevedibiliin termini di presupposto processuale necessario al proseguimento delgiudizio ovvero di giusto motivo di rinuncia all’incarico arbitrale cuiconsegue l’effetto estintivo, ex lege, del patto compromissorio.

5. Come a tutti noto alla base del fenomeno arbitrale si pongonodue fattispecie contrattuali: la convenzione di arbitrato stipulata dalleparti per la risoluzione del conflitto e il contratto che le parti stipulano congli arbitri incaricandoli, dietro pagamento di un corrispettivo, della pro-nuncia del lodo (24).

Tali contratti, sebbene distinti ed autonomi, sono invero tendenzial-mente tra loro collegati nel senso che solo le vicende del contrattoprincipale (convenzione di arbitrato) sono idonee ad incidere il contrattoaccessorio (contratto parti-arbitri), mentre non è possibile il contrario. Ilcollegamento contrattuale esistente tra convenzione di arbitrato e con-tratto parti-arbitri è, in altre parole, normalmente un collegamento unila-terale (25), dal momento che solo le vicende relative al mancato perfezio-namento della convenzione di arbitrato o il suo successivo venire menosono idonee a travolgere il contratto parti-arbitri, ma non viceversa.

Ed infatti, anche nel particolare caso in cui l’attribuzione del giudizioad un certo arbitro, direttamente nominato nella convenzione di arbitrato,sia elemento essenziale della deroga alla giurisdizione statale, per cui,l’impossibilità di attribuire a quella data persona la decisione della con-troversia, comporti la caducazione, non solo del contratto parti-arbitri, maanche dello stesso accordo sulla scelta della via arbitrale (26), non si è difronte ad un collegamento negoziale bilaterale tale per cui le vicende

il compenso del segretario alla stregua di quello degli arbitri quale pagamento a carico delleparti.

(24) La netta separazione, cronologica oltre che sostanziale, tra i due contratti, è statamessa in luce, tra i primi, da CARNELUTTI, Istituzioni del nuovo processo italiano, Roma, 1951, 70.

(25) Due negozi si dicono collegati quando mantengono la propria individualità e il fattodell’unione in un unico atto, diretta alla realizzazione di uno scopo pratico unitario, non toccala disciplina dei singoli negozi. Sul collegamento negoziale v. in dottrina: SCHIZZEROTTO, Ilcollegamento negoziale, Napoli, 1983; DEL PRATO, I regolamenti privati, Milano, 1988.

(26) V. BOVE, L’estinzione del patto compromissorio, in questa Rivista, 1998, 681, spec.697.

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estintive del negozio accessorio influiscano su quelle del negozio princi-pale (27). In tale ultima situazione si è, invero, semplicemente di fronte allamancata realizzazione di un fatto determinante la validità e l’efficaciatanto dell’accordo arbitrale che del contratto parti-arbitri.

Coerentemente a quanto sinora indicato, ovvero, all’inidoneità dellevicende relative al contratto parti-arbitri d’incidere sulla scelta della viaarbitrale si è espressa quell’idea della dottrina (28) secondo cui, nel caso inesame, l’estinzione dell’accordo compromissorio non conseguirebbe alpuro e semplice fatto-inadempimento delle parti del versamento deglianticipi nel termine fissato dagli arbitri, quanto piuttosto al verificarsi dialtra fattispecie estintiva dello stesso accordo compromissorio (29). Ciòchiaramente avverrebbe, non già in presenza di ogni mancato versamentodelle anticipazioni, ma solo quando da tale fatto possa desumersi « o chele parti abbiano voluto concordemente liberarsi da quella scelta oppure checi si trovi in una situazione che rende ormai impossibile il raggiungimentodello scopo del patto compromissorio » (30). Situazione quest’ultima —secondo l’opinione in parola — legata alla sopravvenuta impossibilità diuno dei contendenti, a causa di un peggioramento della propria situazioneeconomica, di sostenere i costi del giudizio arbitrale. Il mancato accollo adopera della controparte della totalità delle anticipazioni comporterebbe,dunque, nella situazione da ultimo descritta, la riviviscenza della giustiziastatale per l’impossibilità di raggiungere lo scopo dell’accordo arbitrale.

Se tale ricostruzione è perfettamente rispettosa del principio, propriodelle codificazioni moderne, dell’autonomia ed indipendenza della sceltadella via arbitrale dalle vicende relative il rapporto parti-arbitri, secondochi scrive, questa non rappresenterebbe, però, in considerazione soprat-tutto del suo scopo, la volontà del legislatore del 2006 (31).

Quest’ultimo, con il prevedere come conseguenza del mancato ver-

(27) Il reciproco collegamento tra due negozi crea in tutti i casi una specie di dipendenzatale che le vicende del rapporto principale si riflettono necessariamente anche sul rapportoaccessorio. Accanto, però, al collegamento negoziale unilaterale, si pone il collegamentobilaterale, per il quale il brocardo simul stabunt, simul cadent perde ogni rilievo. Per un’analisidelle diverse forme di collegamento, sia per ciò che concerne la struttura sia per quanto riguardagli effetti, v. MESSINEO, Contratto collegato, in Enc. Dir., X, Milano, 1962, 52 ss.; ORLANDO,CASCIO - ARGIROFFI, Contratti misti e contratti collegati, in Enc. Treccani, IX, Roma, 1988, 1 s.;DI SABATO, Unità e pluralità di negozi (contributo al collegamento negoziale), in Riv. Dir. Civ.1959, I, 428.

(28) BOVE, La giustizia privata, cit., 65 ss.(29) Più in generale sull’analisi delle diverse ipotesi di estinzione della convenzione di

arbitrato v. BOVE , L’estinzione del patto compromissorio, cit., 681.(30) Sono parole di BOVE, La giustizia privata, cit., 66.(31) Occorre peraltro sottolineare come nel caso in esame anche l’accoglimento della tesi

da ultimo riportata non sposti i termini della questione. E difatti, è, nel lodo, espressamenteindicato come la Società abbia, con lettera raccomandata recapitata a mani al Collegio dal suolegale, rappresentato la presenza di difficoltà economiche tali da impedirgli il versamento, anchesolo parziale, non solo degli acconti relativi ai compensi degli arbitri, ma anche delle spese dellaprocedura.

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samento delle anticipazioni nel termine indicato dagli arbitri l’inoperati-vità della convenzione di arbitrato, ne avrebbe, invece, voluto introdurrenell’ordinamento una nuova peculiare ipotesi di cessazione dell’efficaciache, indipendente dalla causa del ricorso alla giustizia privata, sarebbe,invece, legata alle vicende estintive del contratto parti-arbitri. Ed infatti,diversamente, non avrebbe ancorato lo scioglimento del vincolo compro-missorio delle parti alla volontà degli arbitri di subordinare il procedi-mento al versamento anticipato delle spese del giudizio.

Se il legislatore, in altri e più precisi termini, in deroga a quello chenormalmente sembra essere il legame esistente tra convenzione di arbi-trato e contratto parti-arbitri, ha voluto introdurre nel sistema un’ipotesiin cui le vicende relative al rapporto tra giudici e contendenti si estendanoallo stesso accordo compromissorio, il mancato versamento degli anticipi,lungi dal costituire una sorta di presupposto processuale necessario allaprosecuzione dell’arbitrato, non può che sostanziare il motivo legittimantela rinuncia degli arbitri all’incarico. Rinuncia a cui consegue, con l’obiet-tivo ad un tempo di sanzionare il comportamento dei contendenti e diassicurare l’effettività della tutela giurisdizionale dei diritti, automatica-mente, ex lege, la cessazione dell’efficacia della convenzione di arbi-trato (32).

6. Scopo della disposizione di cui all’ultimo comma dell’art. 816-septies c.p.c. è, infatti, consentire alle parti di agire di fronte al giudiceordinario, senza che sia possibile, in detta sede, fondatamente eccepire lapresenza di una convenzione arbitrale ostativa alla pronuncia di merito. Inaltri e più precisi termini, la norma de quo tende a superare l’empasse chesi potrebbe verificare nel caso in cui una parte, dopo aver bloccato losvolgimento del procedimento arbitrale, proposta domanda di fronte algiudice ordinario, sollevi, in detta sede, l’exceptio compromissi, impe-dendo, con gravi conseguenze sull’effettività della tutela giurisdizionale,anche il processo di fronte al giudice ordinario (33).

(32) Tale effetto della norma in parola veniva visto con sfavore dai primi commentatoridella riforma: Cfr. BOVE, La nuova disciplina dell’arbitrato, cit., 66; RUFFINI, Patto compromis-sorio, in questa Rivista, 2005, 711 ss., spec. 724; BERNARDINI, Ancora una riforma dell’arbitratoin Italia, in Dir. Comm. Int., 2006, 277.

(33) Al fine di evitare la carenza dell’effettività della tutela giurisdizionale, pur in assenzadi una disposizione normativa analoga all’art. 816-septies c.p.c., il BGH, con sentenza del 14settembre 2000, n. 33, in NJW, 2000, 3720, ha dichiarato infondata l’eccezione di pattocompromissorio proposta dal convenuto nel procedimento di fronte al giudice statale, quandoa causa del mancato versamento degli anticipi non sia stata possibile la risoluzione dellacontroversia ad opera dei giudici privati, essendo, in tal caso, il patto compromissorio divenutoinattuabile (die Schiedsvereinbarung sei undurchführbar). Più in particolare, secondo i giudicitedeschi, ciò si verificherebbe non già in presenza del puro e semplice mancato versamento deglianticipi, quanto piuttosto di una giusta causa ovvero dell’impossibilità oggettiva, ancorchésopravvenuta, di una o di entrambe le parti di sostenere i costi della giustizia privata.

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Se quello indicato è lo scopo sotteso alla previsione dell’estinzione delvincolo compromissorio, invero — come indicato — l’operatività dell’ul-timo comma dell’art. 816-septies c.p.c. è, però, ancorata alla volontà degliarbitri di subordinare la prosecuzione del procedimento al versamentoanticipato dei costi del giudizio, posto che la stessa consegue alla lorolegittima rinuncia all’incarico conferitogli.

E difatti, come espresso anche in una delle prime pronunce sultema (34), l’art. 816-septies c.p.c. è indubbiamente posto « a tutela degliarbitri e non delle parti », di guisa che, ove i primi non subordinino laprosecuzione del procedimento al versamento delle anticipazioni e, dun-que, non rappresentino la volontà di esercitare il potere di rinunciareall’incarico conferito, il fatto-mancato versamento degli anticipi ad operadelle parti di per sé non produrrebbe alcun effetto estintivo della conven-zione di arbitrato (35), conseguente solo alla rinuncia, per i motivi anzi-detti, degli arbitri all’incarico.

Se è, dunque, nella libera disponibilità degli arbitri subordinare laprosecuzione del giudizio al versamento anticipato delle spese prevedibilientro un determinato termine, il mancato verificarsi dell’evento comporta,invece, l’automatica cessazione dell’efficacia, per rinuncia, del contrattoparti-arbitri, che, a sua volta produce l’estinzione, ex lege, della conven-zione di arbitrato. Con ciò impedendo, dunque, efficacia sanante ad ognitardivo adempimento.

Pertanto, giustamente nel caso di specie il Collegio ha ritenuto iltardivo versamento da parte della Società dell’acconto sui compensi delsegretario incapace di produrre effetti sananti. Ed infatti, l’estinzione delcontratto parti-arbitri e, conseguentemente, dell’accordo compromissoriosi era già verificata dal dì fissato dagli arbitri quale momento ultimo per ilversamento anticipato delle spese prevedibili (36).

7. Quanto sin qui indicato conduce a disconoscere in capo agli

(34) Collegio Arbitrale (lodo), 3 luglio 2008, in PQM, 2008, 3, 134.(35) Ed infatti, come affermato nella decisione citata nella nota precedente « diversa-

mente argomentando si dovrebbe giungere all’aberrante conclusione che per una parte sarebbesufficiente, per liberarsi delle conseguenze negative emerse nel corso del giudizio arbitrale, nonprovvedere al versamento delle somme indicate per svincolarsi dalla clausola arbitrale (...) ».

(36) Non appare invece accoglibile la motivazione addotta nel lodo, secondo cui l’inca-pacità sanante dell’adempimento tardivo sarebbe stata conseguenza della perentorietà deltermine di adempimento che, peraltro, come giustamente indicato nella nota di dissensoaggiunta al lodo, era già stato oggetto di proroga. Inoltre, chi scrive ritiene di nessun pregioanche l’idea espressa nella nota aggiunta al lodo che si annota secondo cui il mancatoversamento, nel termine fissato, delle spese prevedibili configurerebbe « soltanto un ulteriorelegittimo motivo di rinunzia ai sensi dell’art. 816-sexies co. 2 c.p.c. », tale che il suo realizzarsi noncomporterebbe l’automatica rinuncia degli arbitri all’incarico, perché non tiene conto del fattoche al momento dell’adempimento la vincolatività sia del contratto parti-arbitri che dellaconvenzione di arbitrato era già venuta meno.

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arbitri — anche in presenza dell’eccezione di parte (37) — il potere distatuire in ordine alla cessazione dell’efficacia della convenzione di arbi-trato.

Più in particolare, se l’estinzione della convenzione di arbitrato so-stanzia un effetto automatico, ex lege, della legittima rinuncia all’incarico,questa non potrà essere dichiarata dagli arbitri che dovranno limitarsi,piuttosto, a liberarsi dal vincolo assunto nei confronti delle parti conl’accettazione dell’incarico. Ed infatti, anche in presenza di eccezione diparte, mancherebbe negli arbitri il potere di pronunciarsi in ordine allavalidità ed efficacia dell’accordo compromissorio a causa del venire meno,per il realizzarsi della loro rinuncia, dello stesso contratto parti-arbitri.

Tale ricostruzione è coerente con lo scopo dell’ultimo comma dell’art.816-septies c.p.c.: se questo si sostanzia nel garantire l’effettività dellatutela giurisdizionale, evitando ostacoli alla proposizione della domandain sede ordinaria, allora può realizzarsi anche ove la dichiarazione dellacessazione dell’efficacia della convenzione di arbitrato, con riguardo allalite che ha dato origine al procedimento in cui le parti non hannoprovveduto al versamento anticipato delle spese, sia effettuata in altrodiverso procedimento. Segnatamente, si ritiene che questa possa esseredichiarata nell’ambito tanto del giudizio ordinario, in cui sia eccepita lapresenza del patto compromissorio, che del nuovo procedimento arbitrale,instaurato sulla base dello stesso accordo estinto per il verificarsi, nelprecedente giudizio arbitrale, dei presupposti di applicazione dell’art.816-septies c.p.c. e sempre che sia stata proposta eccezione di parterelativa alla sua validità ed efficacia.

Di diverso avviso sembra, invece, essere il Tribunale arbitrale nel casoin esame: questo non si è limitato a rinunciare all’incarico conferitogli, ma— in presenza dell’eccezione di parte circa il venire meno della propriapotestas iudicandi — ha scelto di pronunciare un lodo dichiarativo del-l’impossibilità di proseguire il giudizio, a causa del venire meno delvincolo delle parti « alla convenzione trasfusa nella clausola compromis-soria richiamata nell’atto di accesso alla controversia, oggetto del procedi-mento » (38). Con ciò forse proponendo una diversa interpretazione dellanorma in oggetto ovvero interpretando il fatto-mancato versamento delle

(37) È altresì chiaro come, in assenza di qualsivoglia eccezione di parte, manchi negliarbitri il potere di pronunciarsi in ordine alla validità ed efficacia dell’accordo compromissorio.Ciò in perfetta conformità all’espressa previsione dell’art. 817 c.p.c. che, lungi dal riconoscere aigiudici privati poteri ufficiosi in ordine alla propria potestas iudicandi, li subordina allacontestazione, nel corso del giudizio, ad opera delle parti della validità, del contenuto odell’ampiezza della convenzione di arbitrato.

(38) In ordine all’efficacia della statuizione relativa allo scioglimento del patto compro-missorio per il giudice statale, chiamato a pronunciarsi sull’eccezione di patto compromissorio,ovvero per l’arbitro successivamente adito sulla base di quella stessa convenzione di arbitrato,v., per tutti: LUISO, Rapporti tra arbitro e giudice, in questa Rivista, 2005, 773, spec. 785; BOVE,Ancora sui rapporti tra arbitro e giudice statale, in questa Rivista, 2007, 361 ss.

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anticipazioni nel termine come costituente esso stesso — indipendente-mente cioè dal venire meno del rapporto parti-arbitri — causa di sciogli-mento del patto compromissorio. Conseguentemente, in quest’ottica, alverificarsi del fatto-mancato versamento degli anticipi si realizzerebbe inogni caso, ovvero, anche in assenza della rinuncia degli arbitri all’incarico,il venir meno dell’accordo compromissorio.

Una tale interpretazione appare, invero, a chi scrive, però, non solocontrastare con la lettera delle legge, posto che l’ultimo comma delladisposizione in oggetto non può che essere letto alla luce del suo primocomma, ma anche essere immotivatamente diretta ad attribuire agli arbitrila facoltà di scegliere, al verificarsi del mancato versamento delle antici-pazioni, di rinunciare o meno all’incarico assunto con l’accettazione dellanomina. Ed infatti, solo ove si riconoscesse in capo agli arbitri, al realiz-zarsi dell’evento, la facoltà di non rinunciare all’incarico, questi potreb-bero pronunciare — chiaramente in presenza dell’eccezione di parte —lodo dichiarativo dell’improseguibilità del giudizio per il venire meno delpatto compromissorio.

Tuttavia, l’attribuzione agli arbitri di tale facoltà non sarebbe priva diconseguenze, posto che alla pronuncia del lodo conseguirebbe la possibi-lità, non solo di ottenere la liquidazione presidenziale dei compensi di cuiall’art. 814 c.p.c. (39), ma anche di rendere più difficoltosa l’eventualeazione di responsabilità proposta nei loro confronti. Ed infatti, se nel casodi rinuncia all’incarico questa può essere proposta senza ostacoli, ove gliarbitri abbiano pronunciato un lodo, la sua proposizione è, invece, ai sensidell’art. 813-ter, comma 4, c.p.c., subordinata all’« accoglimento dell’impu-gnazione con sentenza passata in giudicato e per i motivi per cui l’impu-gnazione è stata proposta ».

FRANCESCA TIZI

(39) Presupposto per attivare lo speciale procedimento camerale, che consente agliarbitri di ottenere in tempi assai ridotti un provvedimento immediatamente esecutivo, è, infatti,secondo la giurisprudenza, la risoluzione della controversia con la pronuncia del lodo. Cfr.:Cass., 6 marzo 1998, n. 2494, in questa Rivista, 1998, 707; Cass., 17 ottobre 1996, n. 9074, in Giust.Civ., 1997, I, 964; Cass., 14 marzo 1996, n. 2124, in Riv. Trim. App., 1996, 706. Nel caso in cuiil procedimento si concluda senza la pronuncia del lodo, gli arbitri possono, invece, servirsi delprocedimento di cognizione ordinario. In altri termini, a questi non si nega il diritto al compensoper l’opera prestata, ma solo il diritto di servirsi dello speciale strumento tutela di cui all’art. 814,comma 2, c.p.c. Cfr.: Cass., 3 aprile 1995, n. 3907; Cass., 7 aprile 2006, n. 8222, in Giur. It. Mass.,2006; Cass., 31 marzo 2006, n. 7623, in Giur. it. Mass., 2006. Peraltro, secondo Cass., 26 agosto2002, n. 12536, in Giust. Civ., 2003, 1039, con nt. RUFFINI, Equivoci sulla determinazionegiudiziale delle spese e degli onorari degli arbitri che si siano limitati a risolvere questioni dicompetenza o di ammissibilità del procedimento arbitrale, anche nel caso di pronuncia di un lodonon definitivo su questione pregiudiziale, gli arbitri non potrebbero chiedere la liquidazionegiudiziale dei compenso ex art. 814, comma 2, c.p.c. Tale orientamento si fonda sulla conside-razione che, là dove non sia pronunciato lodo definitivo, manchino al Presidente del Tribunalegli elementi necessari di valutazione per la determinazione del compenso spettante agli arbitri.

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Arbitrato e accordi di ristrutturazione dei debiti: una convi-venza possibile? (*)

TOMASO GALLETTO

1. Premessa.

L’oggetto della presente indagine riguarda la possibilità (e, in subordine,l’opportunità) del ricorso allo strumento arbitrale per la risoluzione dellecontroversie nell’ambito degli accordi finalizzati alla risoluzione negoziatadelle crisi di impresa.

Lo spunto per una riflessione sul tema nasce dalla constatazione che nellaprassi gli accordi di ristrutturazione dei debiti che hanno interessato impor-tanti imprese, anche quotate, non contengono convenzioni arbitrali per larisoluzione delle controversie che possano insorgere successivamente allaomologazione di tali accordi da parte della autorità giudiziaria.

A fronte di tale constatazione è ragionevole interrogarsi sulle ragioni delmancato ricorso allo strumento arbitrale.

Più precisamente il quesito riguarda l’individuazione di possibili ragionidi ontologica incompatibilità dello strumento arbitrale rispetto alla risoluzionenegoziale della crisi di impresa e, nell’ipotesi in cui si possa ritenere insussi-stente tale incompatibilità, i motivi che inducono le parti a non derogare, inipotesi di controversie, alla competenza dell’autorità giudiziaria.

È invero opinione diffusa che lo strumento arbitrale, connotato daflessibilità e libertà di forme, rappresenta una alternativa maggiormentecompetitiva rispetto al processo proprio con riferimento alla risoluzione dicontroversie che riguardino l’attività della impresa.

Il disfavore per l’opzione arbitrale nell’ambito degli accordi di ristruttu-razione dei debiti dell’impresa, desumibile dalla prassi che non prevedeinserimento di convenzioni d’arbitrato in tali accordi, rappresenta quindi unaanomalia le cui ragioni meritano di essere approfondite.

(*) Testo della relazione, con l’aggiunta di un corredo essenziale di note, presentataal Seminario organizzato dalla Camera Arbitrale di Milano il 3 luglio 2013 sul tema« L’Arbitrato ai tempi della crisi. Giustizia arbitrale, crisi d’impresa, riduzione di costi etempi delle controversie ».

RASSEGNE E COMMENTI

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In questa prospettiva risulta necessario, sia pure nei limiti imposti dalpresente lavoro, un inquadramento della natura e degli effetti degli accordifinalizzati alla risoluzione negoziata delle crisi d’impresa.

2. Autonomia privata e regolazione della insolvenza.

In Italia, la disciplina dell’insolvenza dell’imprenditore commerciale (esolo di questi) attraverso l’apertura di procedure concorsuali aventi naturaconservativa (amministrazione controllata e concordato preventivo) o liqui-datoria (fallimento e liquidazione coatta amministrativa, quest’ultima appli-cabile alle sole imprese indicate dalla legge in ragione degli interessi pubbli-cistici coinvolti) è rimasta saldamente ancorata, per oltre 60 anni, alledisposizioni del R.D. 267/1942 (la « legge fallimentare »).

Nel corso dei decenni diverse autorevoli ipotesi di riforma della leggefallimentare si sono susseguite nel tentativo di adeguare la disciplina concor-suale alla mutata realtà economica e sociale, ma nessuna di esse è statatrasformata in un testo legislativo.

Soltanto con riferimento alle grandi imprese è stata introdotta, nel 1979,una specifica procedura concorsuale (l’amministrazione straordinaria) che hatrovato peraltro una disciplina sistematica soltanto nel 1999 (con il D.lg.vo n.270/99) con integrazioni con riferimento alle « grandissime imprese » nel 2004(c.d. « Decreto Marzano ») e, in epoca più prossima, con la speciale disciplinadella insolvenza del vettore aereo ALITALIA (Legge 27 ottobre 2008, n. 166).

Per il resto si è mantenuto l’impianto della legge fallimentare del 1942,interpolato con le modificazioni conseguenti ai ripetuti pronunciamenti dellaCorte Costituzionale che hanno inciso in senso garantista, coerente con laCostituzione del 1948, sull’assetto autoritario dell’originario dettato norma-tivo.

Sulla spinta degli enti esponenziali dell’economia reale (banche, associa-zioni di imprese) il legislatore è stato costretto ad intervenire nella materiadell’insolvenza confrontandosi con il profondamente mutato contesto socio-economico attuale, che non trovava più risposte efficienti nella legge fallimen-tare del 1942.

Si è così giunti ad una prima riforma nel 2006 (con il D.lg.vo 5/2006) allaquale hanno fatto seguito una (limitata) correzione nel 2007, nonché successiviinterventi — specialmente con riferimento alle questioni qui esaminate — nel2010, nel 2012 e da ultimo con il recentissimo decreto legge n. 69 del 21 giugno2013.

Nell’ambito della riforma è scomparsa una procedura concorsuale c.d.minore (l’amministrazione controllata), è stato profondamente modificato ilconcordato preventivo (reso più flessibile) e sono stati introdotti strumentialternativi di risoluzione delle crisi aziendali (accordi di ristrutturazione, pianiattestati di risanamento) ritenuti più confacenti alle esigenze del mercato,anche alla luce delle esperienze di altri ordinamenti.

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Non è possibile in questa sede approfondire il contenuto della riforma aldi là dei limiti segnati dagli argomenti specificamente esaminati.

Un dato, peraltro, prevale su tutti e connota l’intervento riformatore:adeguandosi alla visione fatta propria dagli ordinamenti ad economia avan-zata la gestione dell’insolvenza non è più considerata strumento di controllodell’estinzione dell’impresa e di distribuzione del residuo attivo ai creditori,ma una fase (patologica) della vita dell’impresa, alla quale, nei limiti delpossibile, deve essere concessa la possibilità di una « nuova partenza » (« newstart » secondo l’impostazione tipica degli U.S.A.) nell’interesse dei creditorie del mercato.

La gestione negoziata delle situazioni di « crisi » aziendale, siano essepotenzialmente destinate a sfociare nell’insolvenza o già ascrivibili alla fatti-specie « insolvenza » di cui all’art. 5 legge fall., costituisce — non solo in Italia— la nuova frontiera del diritto concorsuale.

Sulla base della diffusa constatazione che la procedura fallimentare,pervasa dall’intervento della giurisdizione, mortifica le (residue) opportunitàdi ripresa dell’attività imprenditoriale e costituisce al contempo — in ragionedella sua eccessiva durata — un ostacolo alla competitività, il legislatore dellariforma del 2006 ha ridisegnato la procedura di concordato preventivo ed haaltresì individuato nuovi strumenti idonei a gestire la crisi dell’impresa edalternativi alla procedura fallimentare.

L’obiettivo dichiarato della riforma è stato quello di ricondurre — perquanto possibile — la gestione della crisi d’impresa nell’ambito dell’autono-mia privata, riducendo correlativamente gli spazi di intervento pubblicistico,attraverso la giurisdizione (1).

Si è trattato di un lungo percorso che ha preso le mosse dalla constata-zione di una diffusa prassi che a partire dagli anni ’80 del secolo scorso avevaindividuato negli accordi con il sistema bancario lo strumento privilegiato perla soluzione negoziata della crisi di imprese di notevoli dimensioni, e nelcontempo aveva evidenziato diffuse criticità principalmente addebitabili allamancanza di un quadro di riferimento normativo idoneo a scongiurare ilrischio, in caso di insuccesso del piano di risanamento, di rilevanti conse-guenze penali (ricorso abusivo al credito, distrazione) e civili (revocatoria diatti disposizione patrimoniale).

Ma il più grande ostacolo che si contrapponeva alla percorribilità diaccordi finalizzati a rimuovere lo stato di insolvenza di una impresa eracostituito dalla diffusa opinione che predicava l’indisponibilità dell’insolvenza.

Per la verità a partire dagli anni ’90 del secolo scorso il fronte compatto

(1) Per un’analisi della riforma e delle sue linee essenziali v. JORIO, « Le linee generalidella riforma ... riformata », in « Il fallimento ... atto terzo: primi spunti di dottrina e giurispru-denza », a cura di PANZANI, 2008, 13. MINUTOLI, « L’autonomia privata nella crisi d’impresa tragiustizia contrattuale e controllo di merito » in « Il Fallimento », 2008, 1047.

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che negava la possibilità di una rimozione dello stato di insolvenza attraversostrumenti negoziali si era incrinato, tanto in dottrina quanto in giurispru-denza (2).

La riforma, accentuando la « privatizzazione » della gestione della crisid’impresa attraverso il negoziato tra il debitore e i creditori ( anche una partedi essi) finalizzato a ricercare la migliore soluzione possibile del dissesto,consente — secondo la maggioranza degli interpreti — di ritenere superata laquestione della (presunta) indisponibilità dell’insolvenza, anche se non man-cano autorevoli inviti a considerare con prudenza la materia, che si presta apossibili distorsioni a danno della par condicio creditorum (3).

In questa prospettiva il dibattito si sposta su un altro piano, quello deilimiti dell’autonomia privata in una materia che in re ipsa coinvolge rilevantiprofili di ordine pubblico economico e dei confini da assegnare all’interventodell’autorità giudiziaria.

Il principale strumento che il legislatore offre all’autonomia privata pergiungere ad una composizione negoziale dell’insolvenza è rappresentato dagli« Accordi di ristrutturazione dei debiti » disciplinati dagli articoli da 182-bis a182-quinquies della legge fallimentare.

La disciplina legislativa, peraltro, è frammentaria e riguarda quasi esclu-sivamente l’aspetto procedimentale; nulla è previsto in ordine alla naturagiuridica dell’accordo, alle conseguenze dell’inadempimento anche parziale,all’ammissibilità di azioni di annullamento per vizi di volontà e, più ingenerale, alla riferibilità a tali accordi della disciplina civilistica.

3. Gli accordi di ristrutturazione dei debiti: natura ed effetti.

La dottrina prevalente ritiene che gli accordi abbiano natura essenzial-mente privatistica, nonostante il necessario decreto di omologazione (ele-mento di natura pubblicistica). Sul punto si è affermato che anche nel sistemaprivatistico l’autonomia negoziale non è illimitata ed è soggetta a controlliesterni.

Se l’accordo è stipulato con i creditori rappresentanti almeno il 60% deicrediti può conseguire l’omologazione da parte del tribunale, ove constil’idoneità del piano di risanamento ad assicurare il regolare pagamento deicreditori estranei.

Sono qui evidenti le peculiarità di tale strumento che, da un lato, non è

(2) Per una lucida disamina del problema v. ROVELLI, I nuovi assetti privatistici nel dirittosocietario e concorsuale e la tutela creditoria, in Il Fall., 2009, 1029 ss., spec. 1033-34.

(3) Per una sintesi del percorso che ha portato al riconoscimento di spazi per l’autonomiaprivata nella gestione delle crisi d’impresa v., se vuoi, GALLETTO, Nuove prospettive nel dirittofallimentare italiano: il gruppo insolvente e la risoluzione negoziata delle crisi di impresa,relazione presentata al Congresso del Conseil National des Administrateurs Judiciaires et desMandataires Judiciaires — CNAJMJ — tenutosi a Roma il 7 maggio 2010, in Rass. forense,2/2010, 267 ss.

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obbligatorio per tutto il ceto creditorio, ma solo per coloro che aderisconoall’accordo, e, da altro lato, consente pagamenti preferenziali, non soggettialla disciplina del concorso, in favore dei creditori estranei all’accordo, ipotesiche in passato era pacificamente riconducibile al paradigma della bancarottapreferenziale, in caso ovviamente di successivo fallimento.

Le ragioni che sono poste a fondamento della natura privatistica degliaccordi di ristrutturazione tale da differenziarli nettamente dal concordatopreventivo in cui coesistono momenti pubblicistici e privatistici, risiedonosostanzialmente nella assenza di un decreto di ammissione alla procedura, dinomina di organi deputati alla gestione e al controllo di essa, dalla mancataprevisione di una votazione dei creditori e dalla mancata estensione deglieffetti degli accordi ai creditori dissenzienti.

La recente riforma del 2012, peraltro, ha previsto la possibilità di inne-stare gli accordi di ristrutturazione del debito in un percorso aperto da unadomanda di concordato c.d. « in bianco » finalizzata alternativamente allaformalizzazione successiva e alternativa di una proposta di concordato o diaccordi di ristrutturazione del debito (4).

Queste ultime previsioni normative hanno consentito la riviviscenza diquelle opinioni che tendono ad ascrivere anche gli accordi di ristrutturazioneall’area della concorsualità, ipotizzando un apparentamento di questi ultimi alconcordato preventivo.

Ma, nonostante le suggestioni che possono essere suscitate dal richiamatointervento legislativo, sembrano tuttora persuasive le opposte tesi che distin-guono nettamente gli accordi di ristrutturazione dal concordato preventivorispetto al quale, nonostante il recente intervento delle Sezioni Unite con lanota decisione n. 1521 del 23 gennaio 2013, resta irrisolta la questione dellaprevalenza della natura negoziale o pubblicistica dell’istituto (5).

Ferma restando la già sottolineata differenziazione tra gli accordi diristrutturazione ed il concordato, tuttavia, occorre riconoscere che la tesi cheascrive gli accordi all’area della concorsualità in senso lato non è priva disignificativi supporti rinvenibili nella stessa frammentaria disciplina legislativa.

Il divieto di iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patri-monio del debitore, ovvero di acquisire titoli di prelazione se non concordati,che consegue alla pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese (e chepuò essere anche ottenuto dal tribunale prima della formalizzazione dell’ac-cordo, durante il corso delle trattative per la formalizzazione di esso) induce

(4) Per un accurato esame delle novità della riforma del 2012 v. AMBROSINI, Gli accordidi ristrutturazione dei debiti dopo la riforma del 2012 in Il Fall., 2012, 1137 ss.

(5) Sulla incerta natura giuridica del concordato preventivo, nonostante l’interventodelle Sezioni Unite con la decisione richiamata nel testo, v. LO CASCIO, Concordato preventivo:natura giuridica e fasi giurisprudenziali alterne in Il Fall., 2013, 525 secondo il quale si è di frontead un orientamento ondivago nel cui ambito è venuta anche meno la prospettiva di privatizzarela procedura di concordato preventivo ed è tramontato ancora una volta il tentativo di unacostruzione unitaria della sua natura giuridica (ivi p. 534).

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a riflettere sulla effettiva estraneità del fenomeno all’area concorsuale, edanaloghe riflessioni conseguono alla constatazione del differimento dei ter-mini di pagamento dei creditori estranei all’accordo entro 120 giorni dallaomologazione di esso, in caso di crediti già scaduti a quella data, ovvero di 120giorni dalla scadenza qualora a quella data non ancora scaduti.

D’altra parte, come è stato recentemente rilevato, anche gli accordi diristrutturazione attuerebbero l’esigenza dell’universalità in quanto coinvol-gono l’intero patrimonio del debitore, con una caratteristica che è comune atutte le procedure concorsuali. Anche il profilo della par condicio creditorumnon sarebbe contraddetto dalla disciplina degli accordi in quanto essa riceve-rebbe tutela indiretta nelle previsioni che da un lato consentono di regolareconvenzionalmente la soddisfazione dei creditori aderenti all’accordo e, daaltro lato, obbligano alla integrale soddisfazione dei creditori non aderenti (6).

Non può quindi negarsi una certa ambiguità quanto alla natura degliaccordi di ristrutturazione, rispetto ai quali non può escludersi l’emersione diprofili di matrice pubblicistica che, senza alterarne la natura privatistica, lirendono comunque di incerta collocazione sistematica.

Pur nella ambiguità della quale si è fatto cenno in precedenza, la naturacontrattuale degli accordi di ristrutturazione non sembra discutibile.

In questa prospettiva è opportuno un cenno, nei limiti funzionali all’in-dagine qui condotta e riferita alla utilizzabilità dello strumento arbitrale, allaquestione relativa alla causa di tali accordi ed alla struttura di essi.

Merita di essere condivisa l’opinione che ascrive alla rimozione negozialedello stato di crisi o insolvenza la causa concreta degli accordi di ristruttura-zione del debito, con ciò confermandosi il superamento del dogma dellaindisponibilità dell’insolvenza (7).

Se sulla funzione (intesa quale causa concreta) degli accordi di ristruttu-razione del debito nel senso che essi perseguono lo scopo di superare,rimuovendola, la situazione di crisi o di insolvenza si riscontra un ampioconsenso, assai più dibattuta è invece la questione relativa alla tipologiastrutturale dei menzionati accordi.

In estrema sintesi può dirsi che, quanto alla struttura negoziale degliaccordi, si contendono il campo due tesi principali : secondo la prima sitratterebbe di contratti plurilaterali con comunione di scopo mentre secondol’altra si tratterebbe invece di un fascio di contratti bilaterali, collegati fun-zionalmente tra loro.

Non è certamente possibile in questa sede approfondire la questione (8).

(6) In questo senso v. DELLE MONACHE, Profili dei « nuovi » accordi di ristrutturazione deidebiti, in www.judicium.it spec. 9 ss.

(7) In argomento v. ROPPO, Profili strutturali e funzionali dei contratti « di salvataggio » (odi ristrutturazione dei debiti d’impresa), in Dir. Fall., 2008, 1, 289

(8) Per una interessante analisi dei profili strutturali e funzionali degli accordi diristrutturazione dei debiti v. INZITARI, Gli accordi di ristrutturazione ex art. 182 bis legge fallim.:natura, profili funzionali e limiti dell’opposizione degli estranei e dei terzi, in Dir. Fall., 2012, 13

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Nei limiti funzionali all’economia al presente lavoro può rilevarsi che inpassato, con riferimento all’ipotesi del concordato stragiudiziale privo diregolazione, ma diffuso nella prassi, la giurisprudenza di legittimità si eraespressa nel secondo senso e cioè nel riconoscere in tali accordi « un fascio dicontratti remissori » (Cass. 18 marzo 1979 n. 1562).

Questa ricostruzione è posta in discussione da coloro che osservano chedal punto di vista funzionale la collocazione dell’accordo di ristrutturazionedei debiti nella categoria dei contratti plurilaterali corrisponderebbe meglioalle pratiche di cooperazione tra i vari soggetti interessati, senza dimenticareperaltro che così facendo l’intera convenzione resta assoggettata alle vicendeche possano riguardare un singolo creditore qualora la sua partecipazioneall’accordo debba considerarsi essenziale (arg. ex art. 1420 cod. civ.).

L’elemento di maggiore criticità per una siffatta configurazione è rappre-sentato tuttavia dalla discutibile configurazione di una comunione di interessitra tutti i partecipanti all’accordo, finalizzata al conseguimento di uno scopocomune, che è elemento imprescindibile per la configurabilità di un contrattoplurilaterale, almeno nel senso fatto proprio dalla giurisprudenza.

È anche stata avanzata, per la verità, una diversa opinione che ravvisauna posizione antagonistica tra creditori ed imprenditore in crisi e conseguen-temente raggruppa le posizioni dei primi in un unico centro di interesse,contrapposto a quello rappresentato dall’imprenditore.

In questa ipotesi, allora, il contratto sarebbe unico, bilaterale ma carat-terizzato da una parte soggettivamente complessa (i creditori aderenti).

Ciascuna delle ipotesi in precedenza sinteticamente richiamate presentaspunti di interesse che meriterebbero approfondimenti qui non consentiti: unprofilo rilevante ai fini della qualificazione tipologia degli accordi è peraltrocostituito dalla constatazione della variabilità del contenuto degli stessi,circostanza che rende oltremodo difficile (e probabilmente non esaustivo) untentativo di classificazione generale.

Proprio l’estrema flessibilità e variabilità del contenuto concreto che nellaprassi assumono gli accordi di ristrutturazione del debito può consentire, divolta in volta, la iscrizione all’una o all’altra delle categorie. Si tratta, in altritermini, di accordi che potrebbero essere definiti a « struttura variabile », aseconda del loro effettivo e concreto contenuto e rispetto ai quali, allora, unadefinizione generale ed astratta sotto il profilo tipologico risulta non appa-gante.

ss. Una accurata analisi dei profili civilistici degli accordi di ristrutturazione è contenuta inNOCERA, Architettura strutturale degli accordi di ristrutturazione: una analisi di diritto civile, inRiv. trim. dir. proc. civ., 2011, 1129 ss. ed ivi i necessari riferimenti bibliografici. Dello stessoAutore v., più recentemente, Gli accordi di ristrutturazione come contratto privatistico: il dirittodella crisi d’impresa oltre le procedure concorsuali, in Dir. Fall., 2012, 376 ss., ove si sviluppa piùcompiutamente la tesi della natura essenzialmente privatistica degli accordi di ristrutturazionedei debiti, anche in questo caso con il corredo di una ampia bibliografia.

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Per quanto in questa sede rileva il dato significativo consiste nellaconstatazione, sia pure con diversa graduazione, della interdipendenza tra gliadempimenti a carico delle parti al fine della corretta attuazione dell’accordo.

Sia che si tratti di contratto plurilaterale, sia che si tratti invece di unfascio di contratti bilaterali avvinti da collegamento negoziale sia infine che sipropenda per il contratto bilaterale con parte soggettivamente complessa (lapluralità di creditori aderenti) è evidente come nella patologia dell’accordosiano destinati ad emergere rilevanti profili di criticità.

L’inadempimento dell’imprenditore nei confronti di uno dei creditoriaderenti ovvero di quest’ultimo nei confronti dell’imprenditore è suscettibiledi alterare la fisiologia dell’adempimento dell’accordo, incidendo negativa-mente sugli interessi di coloro ai quali l’inadempimento non è imputabile (9).

4. Gli accordi nella prospettiva del legislatore.

Venendo ora ad un sintetico esame della scarna disciplina dettata dallegislatore è agevole constatare che nessun aiuto può trarsi da tale disciplinaai fini della qualificazione tipologica.

Come si è in precedenza ricordato, infatti, la normativa è finalizzata adisciplinare gli aspetti procedimentali e gli effetti degli accordi ex art. 182-bisl.f. e demanda al tribunale la verifica della idoneità dell’accordo ad assicurarel’integrale pagamento dei creditori estranei.

Le modalità attraverso le quali l’imprenditore proponente ed i creditoriaderenti si prefiggono di perseguire le finalità proprie dell’accordo, come inprecedenza ricordate, sono rimesse all’autonomia negoziale delle parti, cosìsottolineandosi il diverso approccio, di stampo tendenzialmente privatistico,di composizione della crisi d’impresa che è stato fatto proprio dal legislatore.

5. L’omologa giudiziale.

Il momento pubblicistico che connota gli accordi di ristrutturazione deldebito è costituito dalla omologa da parte del tribunale, dalla quale derivanorilevanti effetti, non altrimenti conseguibili.

L’accordo omologato esenta da revocatoria i pagamenti effettuati inconformità ad esso, consente a determinate condizioni di assicurare la prede-ducibilità dei crediti conseguenti alla erogazione di nuovi mezzi finanziariall’imprenditore ed esclude l’applicazione delle norme in tema di bancarottapreferenziale e di bancarotta semplice con riferimento ai pagamenti ed alleoperazioni compiute in conformità all’accordo omologato.

(9) Sull’importante tema dell’inadempimento del debitore rispetto agli accordi stragiu-diziali ex art. 182 bis l.f. v. l’approfondita analisi di CAPOBIANCO, Gli accordi stragiudiziali per lasoluzione della crisi di impresa. Profili funzionali e strutturali e conseguenze dell’inadempimentodel debitore, in Banca, borsa, tit. cred., 2010, I, 295 ss. al quale si rinvia per i necessariapprofondimenti.

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L’ambito oggettivo della valutazione demandata al tribunale sul conte-nuto dell’accordo, inoltre, è graduato a seconda della presenza o meno diopposizioni alla omologazione.

In assenza di opposizioni, infatti, al tribunale è demandato sostanzial-mente un controllo di mera legittimità, intesa quale corrispondenza dell’ac-cordo al paradigma legale, senza possibilità di sovrapporre un giudizio pro-gnostico di fattibilità a quello risultante dalla relazione dell’esperto che devenecessariamente accompagnare la documentazione dell’accordo, a meno che— ovviamente — l’impossibilità della corretta esecuzione dell’accordo emergaictu oculi.

In presenza di opposizioni, invece, al tribunale è demandata la respon-sabilità di verificare la concreta fattibilità del piano alla luce delle contesta-zioni ad esso mosse ed il controllo giudiziario si configura conseguentementeassai più pregnante (10).

6. L’adempimento e le vicende successive all’omologa.

Un aspetto particolarmente rilevante che connota la disciplina legislativadegli accordi di ristrutturazione del debito è costituito, come già è statorilevato, dalla assenza di un momento pubblicistico di controllo dell’adempi-mento dell’accordo omologato.

L’adempimento e le vicende successive alla omologazione ricadono, adogni effetto, nella sfera privatistica e sono conseguentemente momenti de-mandati all’autonomia delle parti.

Anche le modificazioni successive al contenuto degli accordi sarebbero,nella interpretazione prevalente in dottrina e giurisprudenza, sottratte ad unnuovo controllo in sede giurisdizionale (11).

In questa prospettiva la prassi negoziale ha introdotto nell’ambito degliaccordi pattuizioni specificamente dedicate alla gestione delle sopravvenienzee delle criticità sorte a valle della omologa, nella fase di adempimentodell’accordo.

Si tratta di previsioni negoziali idonee ad assicurare nella maggior misurapossibile la flessibilità del piano di attuazione dell’accordo al fine di gestire levicende sopravvenute.

In questo ambito le parti, anche attraverso la predisposizione di idoneiflussi informativi, si obbligano ad una gestione negoziata, per quanto possibile,delle sopravvenienze.

(10) Una accurata ricognizione dei limiti del controllo giurisdizionale in sede di omolo-gazione degli accordi di ristrutturazione può leggersi in CARMELLINO Accordi di ristrutturazionee controllo giudiziale, in Il Fall., 2013, 625 ss.

(11) Una interessante analisi delle vicende relative alla fase esecutiva degli accordi diristrutturazione può leggersi in FABIANI, Fase esecutiva degli accordi di ristrutturazione e variantidel piano e dell’accordo, in Il Fall., 2013, 769 ss.

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È peraltro evidente che non tutte le sopravvenienze e/o gli inadempi-menti successivi alla omologa possono essere definitivamente risolti attraversostrumenti negoziali.

In questa prospettiva assume un autonomo rilievo (anche sotto il profilofunzionale ed economico) la gestione dell’eventuale contenzioso.

7. La patologia degli accordi: le controversie nella fase successiva all’omo-loga.

Le controversie nella fase successiva all’omologa dell’accordo possononaturalmente essere di diversa natura.

Accanto alle controversie che riguardano la validità e l’efficacia dell’ac-cordo in sé vi sono quelle originate da inadempimenti imputabili all’una oall’altra parte dell’accordo.

Si è detto in precedenza che, almeno con riferimento agli accordi diristrutturazione del debito resi conoscibili al pubblico, non è rinvenibile alcunaprevisione di arbitrabilità delle relative controversie. Queste ultime risultanodemandate alla cognizione del tribunale che ha provveduto alla omologazionedell’accordo.

Si tratta allora di verificare se questa scelta sia determinata da ragioni diimpossibilità di ricorrere allo strumento arbitrale ovvero da ragioni di oppor-tunità che militino in favore della sottoposizione della controversia all’autoritàgiudiziaria ordinaria.

I due profili meritano di essere separatamente indagati.

8. Arbitrabilità o meno di tali controversie.

Il primo quesito che sorge spontaneo dalla constatazione che la prassiriconduce alla competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria tutte le contro-versie comunque originate dalla stipulazione e/o dall’esecuzione degli accordidi ristrutturazione del debito omologati riguarda la possibile non arbitrabilitàdelle relative controversie.

Sotto questo profilo non sembra rinvenibile nel sistema un divieto diarbitrabilità. Ai sensi dell’art. 806 c.p.c., invero, la non arbitrabilità di unacontroversia discende alternativamente dal rilievo che essa abbia ad oggettodiritti indisponibili ovvero dalla sussistenza di un espresso divieto di legge.

Dalle considerazioni che precedono emerge con sufficiente evidenza che,anche a seguito della riforma della legge fallimentare e della conseguenteespressa previsione di una disciplina negoziale di componimento delle crisid’impresa, in questa materia non sia predicabile l’indisponibilità dei diritti,nemmeno sotto il profilo che attiene alla rimozione delle cause dell’insol-venza.

Non vi sono quindi ostacoli costituiti dalla presenza di diritti indisponibili,

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né la presenza di momenti pubblicistici di controllo del contenuto degliaccordi ai fini dell’omologa è suscettibile di rendere indisponibili i dirittipatrimoniali connessi alla stipulazione degli accordi.

Sotto un diverso profilo, non è rinvenibile alcun espresso divieto di leggein ordine alla arbitrabilità delle controversie che abbiano ad oggetto accordi diristrutturazione del debito. Anzi, proprio dal mancato richiamo dell’art. 186l.f. in tema di risoluzione e annullamento del concordato dovrebbe desumersiche il legislatore non ha inteso dettare una regola che imponga il necessarioricorso al tribunale per le controversie originate dagli accordi di ristruttura-zione dei debiti.

Ancora, non può ritenersi non arbitrabile una controversia ricollegata adun accordo di ristrutturazione dei debiti in considerazione della possibileascrivibilità di quest’ultimo all’area delle procedure concorsuali in senso lato.

L’arbitrato, invero, non è ontologicamente incompatibile con una proce-dura concorsuale ed a riprova della correttezza dell’affermazione sarà suffi-ciente richiamare quelle disposizioni della legge fallimentare che autorizzanoil curatore alla stipulazione di compromessi, previa autorizzazione del comi-tato dei creditori (art. 35 l.f.) e più in generale il pacifico orientamento delladottrina e della giurisprudenza che esclude l’arbitrabilità esclusivamente conriferimento a specifiche tipologie di controversie endofallimentari o comun-que tali da incidere sulla verifica dello stato passivo (12).

La natura e l’oggetto degli accordi di ristrutturazione dei debiti, quindi,non impediscono il ricorso allo strumento arbitrale per la risoluzione dellecontroversie che possono insorgere con riferimento a tali accordi.

Questa constatazione, naturalmente, non implica la insussistenza di pro-fili di criticità della scelta arbitrale.

9. I profili di criticità: a) la formulazione della convenzione di arbitrato ed iproblemi dell’arbitrato multiparte; b) arbitrato e litisconsorzio necessario;c) coobbligati, fideiussori del debitore e obbligati in via di regresso.

L’incerta struttura tipologica degli accordi di ristrutturazione del debito(contratto plurilaterale, fascio di contratti, oppure contratto bilaterale conparte soggettivamente complessa) della quale si è fatto cenno in precedenza siriverbera immediatamente, quale profilo di criticità, sulla opzione di devol-vere in arbitrato le controversie originate da tali accordi.

a) Un primo profilo di criticità si rinviene nella constatazione che lecontroversie originate da accordi ex art. 182-bis l.f. tendenzialmente coinvol-gono più di due parti.

(12) Sul tema, assai delicato, relativo ai limiti dell’arbitrabilità delle controversie inambito fallimentare v. recentemente BOVE, Arbitrato e fallimento, in www.judicium.it. Sull’ar-gomento v. altresì le considerazioni enunciate da ZUCCONI GALLI FONSECA, in Arbitrato, com-mentario diretto da F. Carpi, Bologna, 2007, sub art. 806, 110 ss.

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Ciò è sicuramente vero se si ritiene che l’accordo sia un contrattoplurilaterale, ma è vero anche se si propende per una qualificazione di essoquale pluralità di contratti collegati funzionalmente ed ancora se si ragiona intermini di contratto bilaterale ma con parte soggettivamente complessa.

Nella generalità dei casi, quindi, la controversia darà luogo ad un arbi-trato con più di due parti.

Da tale constatazione deriva la necessità di una attenta formulazionedella convenzione di arbitrato, idonea a dare vita ad un arbitrato multiparte.

Sono note in proposito le delicate questioni che si sono poste in passatoe che tuttora impegnano gli arbitri e le istituzioni che amministrano l’arbitratoquando la controversia coinvolge una pluralità di parti.

A riprova della importanza e della complessità delle questioni suscitatedall’arbitrato che vede coinvolte più di due parti ovvero una pluralità dicontratti tra le stesse parti può richiamarsi il nuovo Regolamento di Arbitratodella ICC, entrato in vigore il 1º gennaio 2012, il quale dedica una intera (enuova) sezione alle questioni in oggetto.

Non è possibile in questa sede approfondire le scelte operate dal citatonuovo regolamento della ICC, ma può essere significativo ricordare chenell’ultimo decennio gli arbitrati amministrati dalla ICC con più di due partisono stati superiori al 30% del totale e che quasi ogni anno viene amministratoun arbitrato con più di venti parti (13).

Gli accordi di ristrutturazione del debito sembrano costituire una ipotesiparadigmatica di arbitrato multiparte (si pensi, a solo titolo di esempio, allecontroversie che riguardino la validità di tali accordi, necessariamente coin-volgenti tutti i soggetti che li hanno sottoscritti).

È noto, in proposito, che il legislatore della riforma dell’arbitrato del 2006si è posto il problema (precedentemente ignorato dal codice di procedura)dell’arbitrato con pluralità di parti.

L’art. 816-quater c.p.c. dispone che quando più di due parti siano vinco-late dalla stessa convenzione di arbitrato ciascuna parte può convenire tutte oalcune delle altre nel medesimo procedimento arbitrale se si verifica una delleseguenti circostanze:

(i) la convenzione di arbitrato devolve ad un terzo la nomina degliarbitri;

(ii) se gli arbitri sono nominati con l’accordo di tutte le parti, ovvero(iii) se le altre parti, dopo che la prima ha nominato l’arbitro o gli arbitri,

nominano d’accordo un ugual numero di arbitri o ne affidano ad unterzo la nomina.

Se non si verificano le circostanze sopra indicate il procedimento arbitralesi scinde in tanti distinti procedimenti quante sono le parti chiamate inarbitrato.

(13) Per un commento al nuovo regolamento della ICC v. MAZZA Il nuovo regolamentodi arbitrato della ICC in questa Rivista, 2013, 43 ss. . In particolare, con riferimento alle nuoveregole introdotte in tema di arbitrato con pluralità di parti v. p. 59 ss.

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Nell’ipotesi di litis consorzio necessario, peraltro, se non si verificano lecircostanze in precedenza indicate [sub (i), (ii) e (iii)] l’arbitrato è improce-dibile.

Quest’ultima previsione è particolarmente insidiosa come dimostranorecenti esperienze nelle quali è stata dichiarata l’improcedibilità dell’arbitratoper difetto delle condizioni in precedenza richiamate, nonostante l’interventovolontario del litis consorte pretermesso.

Non è possibile in questa sede discutere sulla correttezza della declara-toria di improcedibilità dell’arbitrato nell’ipotesi sopra ricordata, questioneche vede divisi i numerosi, autorevoli commentatori di tale decisione (14).

Ai fini della presente indagine è sufficiente sottolineare la delicatezzadella questione per le conseguenze che ne possono derivare sulla procedibilitàdell’arbitrato.

Una soluzione idonea ad evitare l’insorgere di insidiose questioni ècertamente quella della stipulazione di una convenzione di arbitrato nell’am-bito dell’accordo di ristrutturazione del debito, che demandi ad un terzo lanomina degli arbitri, così soddisfacendosi una delle condizioni poste dall’art.816-quater c.p.c.

In questa prospettiva può essere particolarmente opportuna l’utilizza-zione della clausola modello della Camera Arbitrale di Milano con la previ-sione ulteriore che tutti gli arbitri saranno nominati dalla Camera.

Il regolamento della Camera Arbitrale, per parte sua, è in grado diconsentire una corretta amministrazione dell’arbitrato multiparte.

b) Si è già rilevato che le controversie nascenti da accordi di ristrut-turazione del debito sono suscettibili di dare luogo ad ipotesi di litis consorzionecessario, vicenda tra le più dedicate nell’ambito dell’arbitrato multiparte.

Ma anche in questa ipotesi, che deve ritenersi tendenzialmente fisiologicacon riferimento agli accordi di ristrutturazione del debito, la scelta dell’arbi-trato amministrato dalla Camera Arbitrale, sulla base di una convenzione diarbitrato che devolva a quest’ultima la nomina degli arbitri è in grado disuperare le criticità sollevate dal litisconsorzio necessario.

Una residua criticità, tuttavia, persiste in relazione all’ipotesi di litisconsorzio necessario nell’ipotesi in cui il litis consorte non sia chiamato findall’inizio nel procedimento arbitrale.

(14) Il riferimento è al lodo pubblicato in Riv. dir. proc., 2011, 943 ss., con nota critica diSASSANI, Sull’esclusione del litis consorte necessario dal giudizio arbitrale, ivi 951 ss.; commentafavorevolmente il lodo GRAZIOSI, Consenso delle parti e intervento del litisconsorte necessariopretermesso, in arbitrato rituale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2012, 293 ss. In senso critico v.CONSOLO, I terzi e il procedimento arbitrale, in Riv. dir. proc., 2012, 858 ss.; sempre in sensocritico, v. altresì GRADI, Adesione del litis consorte necessario pretermesso al collegio arbitrale giàcostituito e dissenso di uno dei litis consorti originari: uno « strano caso » di improcedibilitàdell’arbitrato, in Giust. civ., 2012, I, 2863 ss. In senso dubitativo, ma tendenzialmente favorevolealla soluzione prescelta dal citato lodo v. recentemente BRIGUGLIO, Amleto, la pluralità di partisopravvenuta e la nomina degli arbitri, in Riv. dir. proc., 2012, 1533 ss. Più in generalesull’intervento litisconsortile nell’arbitrato v. CORSINI, L’intervento del litis consorte necessarionel procedimento arbitrale, in Riv. dir. proc., 2013, 589 ss.

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Le norme in tema di intervento di terzi, di cui all’art. 816-quinquies c.p.c.,infatti, dispongono che la chiamata in arbitrato di un terzo può avveniresoltanto con l’accordo del terzo e delle parti e con il consenso degli arbitri,essendo sempre ammesso l’intervento del litis consorte necessario. In ciò lanorma codicistica si differenzia dall’arbitrato societario, nell’ambito del qualela chiamata in causa ai sensi degli artt. 106 e 107 c.p.c. è ammessa fino allaprima udienza di trattazione e non necessita quindi dell’assenso di tutte leparti e degli arbitri (arg. ex art. 35 comma 2 d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 5).

Nella disciplina ordinaria, dunque, se il litis consorte necessario non èchiamato in arbitrato sin dall’inizio, ovvero non interviene spontaneamente,nella sussistenza delle condizioni poste dall’art. 816-quater c.p.c., l’integra-zione del contraddittorio può risultare impossibile perché necessita del con-senso del chiamato, di tutte le altre parti e degli arbitri.

Anche con riferimento a questo delicato profilo, peraltro, è possibilerinvenire una soluzione nel regolamento della Camera Arbitrale.

L’art. 22 del regolamento, sotto la rubrica « poteri del Tribunale Arbi-trale » prevede infatti (comma 5) il potere del Tribunale Arbitrale, sentite leparti, di disporre, se richiesto, la partecipazione di un terzo al procedimento(naturalmente il terzo potrà essere chiamato qualora sia vincolato dalla stessaconvenzione d’arbitrato, ipotesi che qui si assume per verificata in quanto laconvenzione di arbitrato risulterebbe apposta nell’accordo di ristrutturazionedei debiti).

c) Un ulteriore profilo di criticità, oggettivamente ineliminabile, ri-guarda la posizione dei co-obbligati, dei fideiussori del debitore e degliobbligati in via di regresso.

Salvo che non sia diversamente disposto nell’ambito dell’accordo diristrutturazione dei debiti, infatti, la posizione di questi soggetti risulta estra-nea alla regolazione negoziale della crisi d’impresa e l’efficacia dell’accordocertamente non si estende alla loro posizione soggettiva.

La questione è analogamente regolata, con riferimento al concordatopreventivo, dall’art. 184 l.f. il quale come è noto dispone che l’efficaciaobbligatoria del concordato omologato per tutti i creditori anteriori allapubblicazione nel registro delle imprese del ricorso per l’ammissione allaprocedura non pregiudica i diritti di questi ultimi contro i co-obbligati, ifideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso.

La soluzione più razionale è, evidentemente, quella di coinvolgere ico-obbligati o obbligati in via di regresso del debitore nell’accordo. Anchesotto questo profilo, dunque, il connotato plurilaterale della eventuale con-troversia emerge con evidenza.

10. Le due opzioni possibili: arbitrato e processo a confronto.

Le considerazioni che sono state svolte in merito alla astratta arbitrabilitàdelle controversie che traggano la loro origine nella stipulazione di accordi di

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ristrutturazione del debito depongono univocamente in senso favorevole allascelta arbitrale, pur nella consapevolezza delle difficoltà insite nella gestionedi un procedimento arbitrale che coinvolge tendenzialmente più parti.

Esclusa quindi una ontologica incompatibilità dello strumento arbitralenella gestione dei conflitti originati dalla composizione negoziale dell’insol-venza dell’impresa, l’indagine sulle ragioni della mancata utilizzazione dell’ar-bitrato nell’esperienza pratica degli accordi ex art. 182-bis l.f. deve necessa-riamente volgersi ai profili di opportunità che possano giustificare questascelta.

L’indagine non può che riguardare un sintetico confronto tra le duepossibili opzioni per la gestione del contenzioso originato dagli accordi diristrutturazione del debito.

Il confronto riguarda da un lato la scelta in favore del processo civileordinario (privilegiata dalla prassi conosciuta) e, dall’altro, la scelta per lostrumento arbitrale.

La comparazione tra processo arbitrale e processo ordinario è impietosaper quest’ultimo: alla rapidità e relativa stabilità dell’esito del primo sicontrappone la lentezza ed imprevedibilità dell’esito del secondo (statistica-mente, oltre il 50% delle sentenze civili di primo grado impugnate in appelloè oggetto di riforma) (15).

Come è stato correttamente rilevato, tuttavia, la crescita della domandadi arbitrato riscontrata a livello europeo (e senza considerare l’amplissimadiffusione dell’istituto negli Stati Uniti) non può essere spiegata soltanto inragione della durata contenuta del relativo procedimento, dal momento che ilfenomeno arbitrale è in crescita anche in quegli ordinamenti in cui la duratadel processo civile è del tutto ragionevole (16).

La durata contenuta del procedimento arbitrale, quindi, è soltanto unadelle ragioni del crescente successo dell’istituto; la scelta arbitrale è orientataanche da considerazioni sulla specifica competenza e preparazione degliarbitri in determinate materie, caratterizzate da elevata complessità anchesotto il profilo tecnico, e sulla maggiore flessibilità dello strumento arbitralerispetto al processo ordinario con riferimento sia alla procedura sia ai mezzi diprova utilizzabili.

In altri termini, è l’ampio potere dispositivo che l’arbitrato assicura alleparti del relativo procedimento a segnare la profonda differenza con ilgiudizio ordinario e a rendere preferibile, in molti casi, la scelta arbitrale.

Sono quindi molteplici le ragioni che rendono l’arbitrato maggiormente

(15) Secondo le rilevazioni dell’Ufficio Statistica della Corte di Cassazione per l’anno2011, inoltre, il 35% dei provvedimenti ulteriormente impugnati in sede di legittimità è statooggetto di annullamento, con o senza rinvio.

(16) In argomento v. le interessanti considerazioni di VIGORITI, Criteri di scelta tragiudizio ordinario e arbitrato, in RUBINO SAMMARTANO (a cura di), Arbitrato, ADR, conciliazione,Bologna, 2009, 3 ss..

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competitivo rispetto al giudizio ordinario, ma non vi è dubbio che — almenonel contesto italiano — la celerità con la quale in sede arbitrale si giunge aduna pronuncia sul merito della controversia è il principale elemento cheorienta la scelta di stipulare una convenzione arbitrale.

La consapevolezza che il « fattore tempo » è una condizione imprescindi-bile del « rendere giustizia », in particolare in un sistema economico integratonel quale le scelte imprenditoriali includono nell’analisi degli investimentianche l’efficacia e la rapidità della risposta giudiziale è sottolineata, ancorarecentemente, nella Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno2012 predisposta dal Primo Presidente della Suprema Corte di CassazioneErnesto Lupo (17).

I dati statistici che si rinvengono nella menzionata Relazione sonotuttavia sconfortanti: la durata media dei procedimenti nelle Corti di appelloè pari a 1051 giorni, quella nei tribunali a 463 giorni e quella presso i giudicidi pace a 378 giorni.

Si tratta peraltro di dati statistici che ricomprendono nella media tutte letipologie di procedimenti che si svolgono in sede di merito e che conseguen-temente non rispecchiano l’effettività della situazione dei giudizi di cogni-zione, la durata dei quali è oggettivamente maggiore di quella risultante dalmero dato statistico.

D’altra parte è sufficiente prendere in considerazione il dato relativo alnumero dei procedimenti pendenti di merito al 30 giugno 2012 (pari a5.388.544) per rendersi conto che questo arretrato è « una montagna insensi-bile alla pur costante e generosa attività di erosione posta in essere nei diversiprogrammi di gestione » (18).

In questo contesto si colloca il rinnovato interesse dei giuristi e persinodel legislatore rispetto alla risoluzione in sede arbitrale delle controversiecivili in materia di diritti disponibili, testimoniato ad esempio dalla previsionedella istituzione di Camere Arbitrali, di Conciliazione e ADR costituite daiConsigli Circondariali degli Ordini degli Avvocati presso ciascun tribunale aisensi dell’art. 29 lett. n) della legge 31 dicembre 2012 n. 247, recante la nuovadisciplina dell’ordinamento della professione forense.

11. Per la convenienza della scelta arbitrale.

Nella comparazione tra processo ordinario e processo arbitrale assumeun particolare rilievo la gestione del fattore tempo.

Accanto all’ampia libertà e flessibilità che l’ordinamento consegna all’au-tonomia delle parti in ordine alla gestione del « processo » arbitrale, altrifattori concorrono a determinare la maggior competitività dell’arbitrato ri-spetto al giudizio ordinario.

(17) Cfr. Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2012, Roma, 25 gennaio2013, 71 in www.cortedicassazione.it.

(18) Così, testualmente, la Relazione sopra citata, 72.

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Fra questi rileva in primo luogo il fattore « tempo ».Il tempo necessario per conseguire la pronuncia arbitrale evidenzia la

maggior competitività dell’arbitrato rispetto al giudizio ordinario sotto duedistinti profili:

(i) la prevedibilità e(ii) la disponibilità.Per quanto riguarda il primo profilo, la legge dispone che se non è fissato

un termine per la pronuncia del lodo questo deve essere pronunciato entro240 giorni dalla accettazione della nomina da parte degli arbitri (art. 820c.p.c.).

Le parti sono quindi poste in grado di conoscere, sin dalla stipulazionedella convenzione arbitrale (o del compromesso), il tempo necessario perottenere la decisione della controversia.

È vero che determinati eventi (o ragioni sopravvenute) possono compor-tare uno slittamento del tempo della decisione finale degli arbitri (assunzionedi mezzi di prova o licenziamento di consulenza tecnica, pronuncia di un lodonon definitivo o parziale, modificazione della composizione dell’organo arbi-trale), ma anche in queste ipotesi i tempi della proroga sono scanditi dallenorme e sono quindi anch’essi prevedibili.

La prevedibilità del tempo della decisione è certamente un valore rile-vante, di particolare interesse per le parti in conflitto: essa consente, quantomeno, una programmazione delle attività che possono essere incise dalladecisione arbitrale in funzione dei prevedibili tempi di essa.

Ma anche il secondo profilo evidenziato, relativo alla disponibilità deltempo dell’arbitrato, è assai rilevante.

Le parti possono, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, nonsoltanto prevedere ex ante (con la convenzione arbitrale o il compromesso) iltermine per la pronuncia del lodo in misura maggiore o minore di quellogeneralmente previsto dalla legge, ma anche — con il consenso dell’organoarbitrale — prorogare una o più volte il termine.

All’interno del procedimento arbitrale, poi, le parti possono modularecome meglio ritengono le scansioni temporali per l’espletamento delle attivitànecessarie per giungere alla decisione arbitrale.

I tempi del processo arbitrale non sono rigidamente scanditi come nelprocesso ordinario e, ciò che più conta, essi sono disponibili, in quanto anchesotto questo profilo vige il principio che privilegia l’autonomia delle parti.

Si è quindi in presenza di una straordinaria flessibilità del tempo delprocesso (a seconda della convenienza delle parti) alla quale si contrappone larigidità delle scansioni temporali del processo civile.

In altri termini, mentre nel giudizio ordinario i tempi sono eterodiretti(dalla legge, dal giudice), nel processo arbitrale essi sono dettati dall’autono-mia delle parti.

La circostanza che, con la riforma del 2006, il termine per la pronuncia dellodo possa essere prorogato, anche su istanza degli arbitri (o di una sola

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parte), ad opera del Presidente del Tribunale (art. 820, comma 3, lett. b) c.p.c.)rappresenta una eccezione alla regola generale che vede nelle parti i soggettilegittimati a disporre del tempo dell’arbitrato.

Non vi è dubbio, allora, che il dominio ad opera delle parti del fattoretempo (nel procedimento e nella decisione arbitrale) è elemento che caratte-rizza l’arbitrato e contemporaneamente ne esalta la competitività rispetto alprocesso ordinario (19).

Un aspetto che è spesso sottolineato dai detrattori della scelta arbitraleriguarda l’eccessivo costo di questo strumento di risoluzione delle controver-sie.

È opinione diffusa (e risalente) che l’arbitrato sia uno strumento dirisoluzione delle controversie civili molto costoso e, in quanto tale, elitario.

Tale opinione merita di essere rivisitata (e rivista) alla luce dell’evolu-zione che il fenomeno arbitrale ha conosciuto negli ultimi decenni.

Le iniziative assunte dagli organi comunitari già nell’ultimo decennio delsecolo scorso, intese a favorire il ricorso a metodi alternativi di risoluzionedelle controversie civili e commerciali, hanno fatto emergere le potenzialitàdell’arbitrato anche con riferimento a controversie di valore non particolar-mente elevato, ferma restando la cautela, suggerita anche dalla Corte diGiustizia, rispetto alla generale applicazione dell’arbitrato nella materia deidiritti dei consumatori (20).

L’indagine dal punto di vista del diritto comparato, inoltre, consente dirilevare una generale tendenza volta a favorire il ricorso allo strumentoarbitrale.

In questa prospettiva il problema dei costi dell’arbitrato assume unparticolare rilievo, poiché l’onerosità della procedura può costituire effettiva-mente un deterrente rispetto alla scelta arbitrale.

La questione, tuttavia, deve essere affrontata distinguendo le varie com-ponenti del costo dell’arbitrato.

Innanzi tutto dalle voci del costo dell’arbitrato deve essere scomputataquella riferita all’assistenza legale (non obbligatoria, tra l’altro, ma ora adifferenza del passato, riservata agli avvocati nell’ambito dell’arbitrato ritualeex art. 2, comma V, della legge n. 247 del 2012) posto che il costo di essa è deltutto analogo a quello da sostenersi in un ordinario processo di cognizione.

(19) Condividono l’opinione che il tempo della decisione costituisca un fattore dicompetitività dell’arbitrato rispetto al processo civile ALPA-V. VIGORITI (Arbitrato (nuovi profilidell’) in Digesto IV, Discipline privatistiche, Sez. Civile, Aggiornamento, 2011, 38 ss., spec. 71),ma sottolineano nel contempo la tendenza, specialmente nell’arbitrato amministrato, a sottrarrealle parti il controllo del termine per la pronuncia del lodo. La constatazione è condivisibile, manon è a mio avviso ostativa alle conclusioni enunciate nel testo.

(20) Per un inquadramento delle delicate questioni che si pongono in tema di arbitratodelle controversie dei consumatori v., se vuoi, GALLETTO, Arbitrato e conciliazione nei contrattidei consumatori, in (a cura di ALPA-VIGORITI) Arbitrati. Milano, 2012, Sezione IV, Cap. I, 92 ss.Particolarmente importanti sono, in proposito, le decisioni della Corte di Giustizia Mostaza, 26ottobre 2006, C-168/05 e Asturcom, 6 ottobre 2009, C-40/08.

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Il costo per la gestione amministrativa dell’arbitrato, riferibile alla fun-zione di segreteria, è invece effettivamente più elevato — in generale —dell’importo del contributo unificato dovuto per le cause in sede ordinaria, mail servizio reso non è in alcun modo paragonabile a quello effettuato dallecancellerie dei tribunali (21).

Il costo relativo alla remunerazione dell’organo arbitrale, infine, è pecu-liare della procedura prescelta e non comparabile con un analogo costoriferito al processo ordinario.

Tale costo, peraltro, non è altro che il riflesso, sotto il profilo patrimo-niale, della circostanza per cui nell’arbitrato sono le stesse parti (direttamenteo in via mediata) a scegliere il/i componente/i dell’organo giudicante.

I vantaggi di questa opportunità, che consente di individuare i soggettiastrattamente più idonei (per capacità, esperienza) a dirimere il conflitto, nonnecessitano di particolari sottolineature e valgono certamente a giustificare lamaggior onerosità, sotto questo profilo, della scelta arbitrale (22).

D’altra parte, anche nel processo arbitrale vige il principio della soccom-benza, in base al quale i costi del processo devono essere rimborsati alla partevincitrice.

In questa prospettiva deve essere disapprovata la tendenza degli arbitri(per la verità oggi meno diffusa che in passato) a compensare tra le parti i costidella procedura anche in assenza di plausibili ragioni giustificative di talescelta. Quest’ultima, tra l’altro, poteva forse in passato trarre spunto da unainesatta percezione del fenomeno arbitrale, da taluno inteso quale strumentovolto a perseguire una soluzione in senso lato transattiva della controversia.

Oggi una tale visione dell’arbitrato non è più sostenibile, anche alla lucedella recente riforma del 2006 che ha fortemente accentuato la connotazioneprocessuale dell’arbitrato (emblematica è, in proposito, l’equiparazione — dicui all’art. 824-bis c.p.c. — del lodo, quanto agli effetti, alla sentenza civile).

La tendenza dell’ordinamento processuale civile, tra l’altro, è evidente-mente orientata a considerare eccezionale l’ipotesi di compensazione (par-ziale o totale) delle spese di causa (v. artt. 91 e 92 c.p.c. nel testo novellato nel2009), e non vi è ragione per una diversa soluzione nell’ambito del processoarbitrale.

(21) Questa affermazione di maggiore onerosità del costo della gestione amministrativadell’arbitrato rispetto al costo del contributo unificato dovuto per le cause in sede ordinaria èsuscettibile di essere messa in discussione in conseguenza del vertiginoso aumento degli importidel contributo unificato che, rispetto alla originaria quantificazione al momento della suaintroduzione nel 2002 risultano alla data odierna incrementati del 500% come è stato rilevatoda una recente indagine pubblicata il 28 gennaio 2013 da Il Sole-24ore.

(22) Si è in proposito rilevato che « L’affermazione corrente che l’arbitrato sia oneroso, eche lo sia in misura incomparabilmente superiore al processo ordinario, risponde dunque al vero,ma si spiega con la complessività dell’apparato. In ogni caso essa vale solo nell’ottica dell’esborsodi denaro, e non tiene conto dei costi che derivano dall’immobilizzazione dei capitali e dall’in-certezza dei rapporti esasperata dalla durata del processo civile. » (ALPA - VIGORITI, Arbitrato(nuovi profili dell’), cit., 67).

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Attraverso il corretto uso del potere di allocare le spese originate dallacontroversia, allora, il maggiore costo della procedura arbitrale dovrebbetendenzialmente fare carico alla parte soccombente, rendendo neutri per laparte vincitrice gli effetti patrimoniali della scelta arbitrale, in astratto piùonerosa di quella del giudizio ordinario.

Anche l’opzione per un organo arbitrale monocratico può contribuire adiminuire la maggiore onerosità dei costi arbitrali rispetto a quelli del giudizioordinario e questa scelta, in effetti, è sempre più privilegiata nell’ambitodell’arbitrato amministrato, naturalmente ove la natura della controversia e laconvenzione di arbitrato lo consentano.

L’arbitrato amministrato, per parte sua, si propone quale scelta privile-giata sia in ragione della prevedibilità dei costi della procedura (generalmentepiù competitivi di quelli risultanti dalle tariffe forensi), sia per la maggiorprofessionalità del servizio complessivamente reso alle parti.

Come è stato rilevato da autorevole dottrina « in questa materia lafunzione delle Camere arbitrali è veramente preziosa e porta ad esaltare laconvenienza dell’arbitrato amministrato e a giustificarne la preferenza rispettoall’arbitrato ad hoc.

Invero la formazione e la diffusione di tabelle contenenti le misure minimee massime delle spese dell’arbitrato nonché delle spese amministrative, e deicompensi agli arbitri, coniugate con la sottrazione agli arbitri e il conferimentoagli organi delle istituzioni arbitrali del potere di determinare queste spese equesti compensi sono la risposta più idonea alle critiche e ai sospetti che, inmateria di costi dell’arbitrato, hanno investito, soprattutto in questi ultimi tempi,l’arbitrato, giungendo sino a provocare provvedimenti legislativi per vietarnel’applicazione e proclamare la nullità dei relativi patti compromissori.

Tutto ciò significa che l’arbitrato amministrato rappresenta la forma piùevoluta di arbitrato, adeguata al nostro tempo e capace di rispondere all’attesadi soluzioni delle controversie rapide ed efficienti, e di garantire e soddisfare ladomanda di giustizia di tutti, soggetti pubblici e privati.

Arbitrato amministrato, dunque come « servizio », ma anche come « uffi-cio » socialmente elevato, strumento di giustizia a vantaggio della collettività esegno di progresso e di civiltà » (23).

In ogni caso, e conclusivamente sul punto, deve rilevarsi che, come è statorecentemente sottolineato, l’arbitrato è un genus ricco di molte species, atte agarantire tutela anche in caso di ridotta importanza economica delle aspetta-tive (24).

(23) In questo senso, testualmente, PUNZI, Brevi note in tema di arbitrato amministrato inRiv. trim. dir. proc. civ., 2009, 1325 ss. spec. 1337.

(24) Cfr. ALPA - VIGORITI, Arbitrato (nuovi profili dell’), cit., 67, i quali osservano che « Ilconfronto fra processo ordinario e arbitrato in punto di costi non può essere quindi impostato intermini semplicistici, segnando solo la dispendiosità del secondo, perché l’arbitrato sa esserefunzionale anche alla tutela di interessi minori, con oneri addirittura inferiori a quelli del processoordinario. ».

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Merita infine un cenno, nella prospettiva qui sostenuta della convenienzadella scelta arbitrale, la questione della fiscalità nell’arbitrato.

Esula certamente dalle finalità dell’intervento (e dalle capacità del suoautore) una approfondita disamina dei profili fiscali riconducibili al fenomenoarbitrale.

I complessi meccanismi dell’imposizione indiretta in tema di arbitratoformano oggetto di indagini specialistiche che, ancora recentemente, ne hannochiarito l’ambito applicativo; ad essi è quindi opportuno fare rinvio per unaesaustiva trattazione (25).

L’attenzione al profilo fiscale in questo contesto, invece, è incentrata sullaverifica della sussistenza o meno di ragioni che, dal punto di vista tributario,inducano a preferire lo strumento arbitrale al giudizio ordinario.

In disparte i profili relativi all’imposta di bollo, alla quale sono soggettitutti gli atti e i provvedimenti del procedimento arbitrale, salva diversaregolamentazione, mentre nel processo civile ordinario l’imposizione avvienesu base forfettaria (il c.d. contributo unificato), ciò che maggiormente rilevaattiene all’imposta di registro.

Con riferimento a quest’ultima, a seguito delle riforme introdotte nelcodice di rito in materia di arbitrato, risulta che il solo lodo arbitrale omolo-gato è soggetto ad imposizione di registro secondo quanto disposto dall’art. 8Tariffa, Parte I, allegata al T.U. n. 131/1986, purché emesso nel territorio delloStato.

Un’imposizione, quindi, sostanzialmente analoga a quella applicabile allesentenze del giudice civile ordinario.

Del tutto diversa, invece, l’ipotesi del lodo arbitrale non omologato, cheè soggetto a tassazione solo in caso d’uso (art. 2, Tariffa, Parte II).

In questa prospettiva emerge un aspetto di maggior competitività dell’ar-bitrato.

Come è stato correttamente rilevato, infatti, « tale disposizione rappre-senta certamente l’aspetto caratterizzante dell’imposizione sull’arbitrato, inquanto finisce per rimettere all’interesse delle parti l’imposizione sul lodo,consentendo così di giungere alla soluzione della controversia e ad una spon-tanea attuazione del lodo senza l’aggravio di costi fiscali. In tal modo èl’interesse delle parti a condizionare l’imposizione, ricadendo sul soccombenteanche l’onere dell’imposta di registro, evitabile in presenza della prevenzionedella procedura esecutiva e della preventiva dichiarazione di esecutività del lodofinalizzata a ciò.

(25) Per una completa disamina dei profili fiscali dell’arbitrato v. per tutti DOMINICI,Aspetti tributari in ALPA-VIGORITI (a cura di), L’arbitrato. Profili di diritto sostanziale e di dirittoprocessuale, Torino, 2012, 1481 ss.

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Con tale sistema di imposizione si è in effetti incentivato in modo rilevanteil ricorso alla giustizia privata, sottraendo l’imposizione sul processo agliautomatismi propri della funzione pubblica svolta dagli organi dell’ammini-strazione della giustizia » (26).

La maggior appetibilità dello strumento arbitrale sotto il profilo dell’im-posizione indiretta, peraltro, si esaurisce nei limiti sopra indicati (lodo nonomologato che non necessiti del ricorso alla esecuzione forzata).

Il legislatore non ha sinora ritenuto opportuno introdurre norme agevo-lative della fiscalità indiretta nell’arbitrato, come invece ha fatto ad esempio inmateria di procedimenti di mediazione finalizzati alla conciliazione dellecontroversie civili e commerciali, di cui al D.lg.vo 28 del 2010.

Ai sensi dell’art. 17 del menzionato Decreto, infatti, i verbali di concilia-zione redatti presso organismi abilitati sono esenti dall’imposta di registroentro il limite di valore di 50.000 euro, e l’imposta è dovuta solo per la parteeventualmente eccedente (l’intero procedimento, poi, è esente da imposta dibollo e sono previsti crediti di imposta, sino a 500 euro, per le indennitàcorrisposte agli organismi di mediazione).

È evidente come la previsione di una analoga agevolazione fiscale perl’arbitrato potrebbe conseguire il risultato di incentivare le parti a fare ricorsoallo strumento arbitrale, con conseguente effetto deflattivo del contenziosocivile ordinario.

Pur non essendo possibile individuare l’importo in termini di minorgettito tributario di una siffatta previsione normativa, se si rammentano i costiper la collettività della inefficienza della giustizia civile (che la Banca d’Italiacalcola in un punto percentuale del P.I.L. annuo) ne deriva che il minor gettitoriveniente dalla imposizione indiretta applicata alle sentenze civili sarebbeampiamente compensato dal minor costo globale del « servizio giustizia ».

In questa prospettiva non sembra allora azzardato auspicare un inter-vento del legislatore fiscale inteso ad agevolare — nei limiti compatibili con leesigenze di bilancio — il ricorso allo strumento arbitrale per la risoluzionedelle controversie civili e commerciali, contribuendo così a completare ilquadro normativo che, come si è cercato di illustrare, determina la maggiorecompetitività dell’arbitrato rispetto al giudizio civile ordinario.

Questo intervento agevolativo avrebbe, tra l’altro, l’effetto di invogliarele parti a ricorrere allo strumento arbitrale (in ipotesi all’arbitrato ammini-strato) con corrispondente diminuzione dell’accesso alla giustizia ordinaria.

Se è pacifica l’impossibilità per il legislatore di prevedere ipotesi diarbitrato obbligatorio, non altrettanto può dirsi di iniziative incentivanti sottoil profilo fiscale, idonee ad orientare la libera determinazione delle parti diavvalersi dello strumento arbitrale.

(26) Cfr. TINELLI, Profili tributari dell’arbitrato, in questa Rivista, 1993, 29, spec. 38.

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12. Conclusioni.

Alla luce delle considerazioni svolte in precedenza è possibile cercare ditrarre le fila del discorso per giungere ad alcune sintetiche conclusioni.

Per quanto riguarda la astratta percorribilità della scelta arbitrale per laregolazione delle controversie che traggano origine da accordi di ristruttura-zione del debito non sembra siano rinvenibili ostacoli che impediscano ilricorso all’arbitrato nella materia considerata.

Per quanto concerne le eventuali ragioni di inopportunità dell’opzionearbitrale, l’esito della sintetica comparazione tra processo ordinario e processoarbitrale che è stata svolta in precedenza depone significativamente in favoredell’arbitrato.

La maggior competitività dell’arbitrato rispetto al giudizio ordinarioquanto ai tempi di conseguimento di una decisione sul merito della lite èoggettivamente innegabile, anche a fronte delle statistiche sulla durata mediadi un giudizio di primo grado che sono state precedentemente ricordate.

L’aspetto sul quale è opportuno riflettere, peraltro, non è solo quellodella velocità della conclusione del procedimento: altrettanta importanza,infatti, deve essere riconosciuta alla disponibilità dei tempi del processoarbitrale che è riservata alle parti e che è un vero e proprio valore aggiuntopeculiare dello strumento arbitrale.

Anche per quanto riguarda il fattore costo, rispetto al quale non puònegarsi una potenziale maggiore onerosità dell’arbitrato rispetto al giudizioordinario, deve rilevarsi il profilo economico dei numerosi vantaggi indirettiche sono offerti dall’arbitrato.

La possibilità di scegliere il giudice più adatto a risolvere una determinatacontroversia, invero, non ha termine di comparazione con il giudizio ordinarioe costituisce un valore suscettibile di quantificazione economica.

La decisione assunta da persona competente, infatti, tende ad assicuraremaggiore stabilità alla pronuncia ed a scoraggiare l’impugnazione, con evi-denti vantaggi per la parte vittoriosa in termini di tempo necessario adottenere l’adempimento dell’obbligazione controversa.

In questa prospettiva, allora, il maggior costo della procedura arbitrale sidissolve a fronte del costo riconducibile al protrarsi per molti anni (in qualchecaso oltre un decennio) delle controversie davanti al giudice ordinario conconseguente impossibilità di programmazione basata sull’esito della lite.

L’arbitrato, specialmente se amministrato con conseguente controllosulla regolarità formale della procedura, esce vincitore anche nella sfida sulcosto, per le ragioni sinteticamente ricordate in precedenza.

Certo il cammino per una compiuta affermazione dell’arbitrato è ancoralungo, ma non è senza significato che — in un recente convegno — ilVice-Presidente della Corte Costituzionale abbia avuto modo di osservare che

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« intermediazione preventiva e arbitrato possono anche lasciare scorgere, na-turalmente in lontananza, lo scenario, eventuale e probabile, di un futuroprivatistico della stessa giustizia civile e amministrativa » (27).

Non vi sono allora ragioni per escludere la possibile convivenza traaccordi di ristrutturazione dei debiti e strumento arbitrale, specialmente sel’opzione in favore di quest’ultimo è accompagnata dall’ulteriore scelta del-l’arbitrato amministrato che garantisce ex ante la conoscibilità delle regole delprocesso e dei costi della procedura.

In questa prospettiva non sembrano rinvenibili oggettive ragioni, né sottoil profilo giuridico, né sotto quello dell’opportunità, che giustifichino la man-cata opzione in favore dello strumento arbitrale per la risoluzione dellecontroversie originate da accordi ex art. 182-bis l.f.

D’altra parte, e conclusivamente, è singolare la constatazione che vede daun lato gli operatori escludere il ricorso allo strumento arbitrale nell’ambitodei menzionati accordi e, dall’altro, le banche sottoporre a giudizio arbitrale lecontroversie che possano tra loro insorgere in relazione agli obblighi derivantidal « Codice di comportamento tra banche per affrontare i processi di ristrut-turazione atti a superare le crisi d’impresa », predisposto dalla AssociazioneBancaria Italiana (circolare serie legale n. 9 del 3 aprile 2000).

Anche per queste ragioni non può che auspicarsi che in futuro gli accordidi ristrutturazione dei debiti contemplino il ricorso alla soluzione arbitrale,mediante procedura amministrata, per la risoluzione delle controversie che daessi traggano origine.

(27) MAZZELLA, Riflessioni sulla giustizia tra teoria e prassi, intervento al Convegno « Lagiustizia: teoria e prassi », organizzato dalla Scuola Superiore di studi avanzati Università degliStudi di Roma « La Sapienza », Roma, 6 marzo 2013, pag. 12 del dattiloscritto.

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La riforma dell’arbitrato in Belgio

Si riporta qui di seguito il testo francese della legge belga del 24 giugno2013, pubblicata il 28 giugno 2013 ed entrata in vigore il 1° settembre 2013, cheha riformato la disciplina dell’arbitrato.

Loi modifiant la sixième partie du Code judiciaire relative à l’arbitrage(Loi 24 juin 2013)

CHAPITRE 1er. Disposition générale

Article 1er. - La présente loi règle une matière visée à l’article 78 de laConstitution.

CHAPITRE 2. - Modifications de la sixième partiedu Code judiciaire relative à l’arbitrage

Art. 2. Dans le Code judiciaire, les articles 1676 à 1723 de la sixièmepartie, intitulée “L’arbitrage”, insérée par la loi du 4 juillet 1972 et modifiéepar les lois des 27 mars 1985 et 19 mai 1998, sont abrogés.

Art. 3. Dans la même partie du même Code, il est inséré un chapitre 1er

intitulé “Chapitre 1er. Dispositions générales”.

Art. 4. Dans le chapitre 1er inséré par l’article 3, il est inséré un article1676 rédigé comme suit:

“Art. 1676. § 1er. Toute cause de nature patrimoniale peut faire l’objetd’un arbitrage. Les causes de nature non-patrimoniale sur lesquelles il estpermis de transiger peuvent aussi faire l’objet d’un arbitrage.

§ 2. Quiconque a la capacité ou le pouvoir de transiger, peut conclure uneconvention d’arbitrage.

§ 3. Sans préjudice des lois particulières, les personnes morales de droitpublic ne peuvent conclure une convention d’arbitrage que lorsque celle-ci apour objet le règlement de différends relatifs à une convention. La convention

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d’arbitrage est soumise aux mêmes conditions quant à sa conclusion que laconvention qui fait l’objet de l’arbitrage. En outre, les personnes morales dedroit public peuvent conclure une convention d’arbitrage en toutes matièresdéterminées par la loi ou par arrêté royal délibéré en Conseil des ministres.Cet arrêté peut également fixer les conditions et les règles à respecter relativesà la conclusion de la convention.

§ 4. Les dispositions qui précèdent sont applicables sous réserve desexceptions prévues par la loi.

§ 5. Sous réserve des exceptions prévues par la loi, est nulle de plein droittoute convention d’arbitrage conclue avant la naissance d’un litige dont letribunal du travail doit connaître en vertu des articles 578 à 583.

§ 6. Les articles 5 à 14 de la loi du 16 juillet 2004 portant le Code de droitinternational privé s’appliquent en matière d’arbitrage et les juges belges sontégalement compétents lorsque le lieu de l’arbitrage se trouve en Belgique ausens de l’article 1701, § 1er, lors de l’introduction de la demande.

Tant que le lieu de l’arbitrage n’est pas fixé, les juges belges sontcompétents en vue de prendre les mesures visées aux articles 1682 et 1683. §

7. Sauf convention contraire des parties, la sixième partie du présentCode s’applique lorsque le lieu de l’arbitrage au sens de l’article 1701, § 1er,est situé en Belgique.

§ 8. Par dérogation au § 7, les dispositions des articles 1682, 1683, 1696 à1698, 1708 et 1719 à 1722 s’appliquent quel que soit le lieu de l’arbitrage etnonobstant toute clause conventionnelle contraire.”.

Art. 5. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1677 rédigé commesuit:

“Art. 1677. § 1er. Dans la présente partie du Code, 1° les mots “tribunalarbitral” désignent un arbitre unique ou plusieurs arbitres; 2° le mot “com-munication” désigne la transmission d’une pièce écrite tant entre les partiesqu’entre les parties et les arbitres et entre les parties et les tiers qui organisentl’arbitrage, moyennant un moyen de communication ou d’une manière quifournit une preuve de l’envoi.

§ 2. Lorsqu’une disposition de la présente partie, à l’exception de l’article1710, permet aux parties de décider d’une question qui y est visée, cette libertéemporte le droit pour les parties d’autoriser un tiers à décider de cettequestion.”.

Art. 6. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1678 rédigé commesuit:

“Art. 1678. § 1er. Sauf convention contraire des parties, la communicationest remise ou envoyée au destinataire en personne, ou à son domicile, ou à sarésidence, ou à son adresse électronique ou s’il s’agit d’une personne morale,à son siège statutaire, ou à son établissement principal ou à son adresseélectronique.

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Si aucun de ces lieux n’a pu être trouvé après une enquête raisonnable,la communication s’effectue valablement par sa remise ou son envoi audernier domicile connu ou à la dernière résidence connue, ou s’il s’agit d’unepersonne morale, au dernier siège statutaire connu ou au dernier établisse-ment principal connu ou à la dernière adresse électronique connue.

§ 2. Sauf convention contraire des parties, les délais qui commencent àcourir à l’égard du destinataire, à partir de la communication, sont calculés:

a) lorsque la communication est effectuée par remise contre un accusé deréception daté, à partir du premier jour qui suit;

b) lorsque la communication est effectuée par courrier électronique oupar un autre moyen de communication qui fournit une preuve de l’envoi, àpartir du premier jour qui suit la date indiquée sur l’accusé de réception;

c) lorsque la communication est effectuée par courrier recommandé avecaccusé de réception, à partir du premier jour qui suit celui où le courrier a étéprésenté au destinataire en personne à son domicile ou à sa résidence, soit àson siège statutaire ou son établissement principal ou, le cas échéant, audernier domicile connu ou la dernière résidence connue soit au dernier siègestatutaire connu soit au dernier établissement principal connu;

d) lorsque la communication est effectuée par courrier recommandé, àpartir du troisième jour ouvrable qui suit celui où le courrier a été présentéaux services postaux, à moins que le destinataire apporte la preuve contraire.

§ 3. La communication est présumée être effectuée au destinataire le jourde l’accusé de réception.

§ 4. Le présent article ne s’applique pas aux communications échangéesdans le cadre d’une procédure judiciaire.”.

Art. 7. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1679 rédigé commesuit:

“Art. 1679. Une partie qui, en connaissance de cause et sans motiflégitime, s’abstient d’invoquer en temps utile une irrégularité devant letribunal arbitral est réputée avoir renoncé à s’en prévaloir.”.

Art. 8. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1680 rédigé commesuit:

“Art. 1680. § 1er. Le président du tribunal de première instance, statuantcomme en référé, sur requête unilatérale présentée par la partie la plusdiligente, désigne l’arbitre conformément à l’article 1685, §§ 3 et 4.

Le président du tribunal de première instance statuant comme en référé,sur citation procède au remplacement de l’arbitre, conformément à l’article1689, § 2.

La décision de nomination ou de remplacement de l’arbitre n’est passusceptible de recours.

Toutefois, appel peut être interjeté contre cette décision lorsque leprésident du tribunal de première instance déclare n’y avoir lieu à nomination.

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§ 2. Le président du tribunal de première instance statuant comme enréféré, sur citation, se prononce sur le déport d’un arbitre conformément àl’article 1685, § 7, sur la récusation d’un arbitre conformément à l’article 1687,§ 2, et sur la carence ou l’incapacité d’un arbitre dans le cas prévu à l’article1688, § 2. Sa décision n’est susceptible d’aucun recours.

§ 3. Le président du tribunal de première instance statuant comme enréféré, peut impartir un délai à l’arbitre pour rendre sa sentence dans lesconditions prévues à l’article 1713, § 2. Sa décision n’est susceptible d’aucunrecours.

§ 4. Le président du tribunal de première instance statuant comme enréféré prend toutes les mesures nécessaires en vue de l’obtention de la preuveconformément à l’article 1709. Sa décision n’est susceptible d’aucun recours.

§ 5. Sauf dans les cas visés aux §§ 1er à 4, le tribunal de première instance,est compétent. Il statue, sur citation, en premier et dernier ressort.

§ 6. Sous réserve de l’article 1720, les actions visées au présent article sontde la compétence du juge dont le siège est celui de la cour d’appel dans leressort duquel est fixé le lieu de l’arbitrage.

Lorsque ce lieu n’a pas été fixé, est compétent le juge dont le siège estcelui de la cour d’appel dans le ressort duquel se trouve la juridiction qui eutpu connaître du litige s’il n’avait pas être soumis à l’arbitrage.”.

Art. 9. Dans la même partie du même Code, il est inséré un chapitre IIintitulé “Chapitre II. Convention d’arbitrage”.

Art. 10. Dans le chapitre II inséré par l’article 9, il est inséré un article1681 rédigé comme suit:

“Art. 1681. Une convention d’arbitrage est une convention par laquelleles parties soumettent à l’arbitrage tous les différends ou certains des dif-férends qui sont nés ou pourraient naître entre elles au sujet d’un rapport dedroit déterminé, contractuel ou non contractuel.”.

Art. 11. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1682 rédigé commesuit:

“Art. 1682. § 1er. Le juge saisi d’un différend faisant l’objet d’uneconvention d’arbitrage se déclare sans juridiction à la demande d’une partie,à moins qu’en ce qui concerne ce différend la convention ne soit pas valableou n’ait pris fin. A peine d’irrecevabilité, l’exception doit être proposée avanttoutes autres exceptions et moyens de défense.

§ 2. Lorsque le juge est saisi d’une action visée au § 1er, la procédurearbitrale peut néanmoins être engagée ou poursuivie et une sentence peut êtrerendue.”.

Art. 12. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1683 rédigé commesuit:

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“Art. 1683. Une demande en justice, avant ou pendant la procédurearbitrale, en vue de l’obtention de mesures provisoires ou conservatoires etl’octroi de telles mesures ne sont pas incompatibles avec une conventiond’arbitrage et n’impliquent pas renonciation à celle-ci.”.

Art. 13. Dans la même partie du même Code, il est inséré un chapitre IIIintitulé “Chapitre III. Composition du tribunal arbitral”.

Art. 14. Dans le chapitre III inséré par l’article 13, il est inséré un article1684 rédigé comme suit:

“Art. 1684. § 1er. Les parties peuvent convenir du nombre d’arbitrespourvu qu’il soit impair. Il peut y avoir un arbitre unique.

§ 2. Si les parties ont prévu un nombre pair d’arbitres, il est procédé à lanomination d’un arbitre supplémentaire.

§ 3. A défaut d’accord entre les parties sur le nombre d’arbitres, letribunal arbitral est composé de trois arbitres.”.

Art. 15. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1685 rédigé commesuit:

“Art. 1685. § 1er. Sauf convention contraire des parties, une personne nepeut, en raison de sa nationalité, être empêchée d’exercer la fonction d’arbi-tre.

§ 2. Sans préjudice des §§ 3 et 4 ainsi que de l’exigence généraledindépendance et d’impartialité du ou des arbitres, les parties peuvent con-venir de la procédure de désignation de l’arbitre ou des arbitres.

§ 3. Faute d’une telle convention;a) en cas d’arbitrage par trois arbitres, chaque partie désigne un arbitre

et les deux arbitres ainsi désignés choisissent le troisième arbitre; si une partiene désigne pas un arbitre dans un délai d’un mois à compter de la réceptiond’une demande à cette fin émanant de l’autre partie, ou si les deux arbitres nes’accordent pas sur le choix du troisième arbitre dans un délai d’un mois àcompter de la désignation du deuxième arbitre, il est procédé à la désignationdu ou des arbitres par le président du tribunal de première instance statuantsur requête de la partie la plus diligente, conformément à l’article 1680, § 1er;

b) en cas d’arbitrage par un arbitre unique, si les parties ne peuvents’accorder sur le choix de l’arbitre, celui-ci est désigné par le président dutribunal de première instance statuant sur requête de la partie la plus dili-gente, conformément à l’article 1680, § 1er;

c) en cas d’arbitrage par plus de trois arbitres, si les parties ne peuvents’accorder sur la composition du tribunal arbitral, celui-ci est désigné par leprésident du tribunal de première instance statuant sur requête de la partie laplus diligente, conformément à l’article 1680, § 1er.

§ 4. Lorsque, durant une procédure de désignation convenue par lesparties,

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a) une partie n’agit pas conformément à ladite procédure; oub) les parties, ou deux arbitres, ne peuvent parvenir à un accord confor-

mément à ladite procédure; ou un tiers, y compris une institution, ne s’acquittepas d’une fonction qui lui a été conférée dans ladite procédure, l’une oul’autre partie peut demander au président du tribunal de première instancestatuant conformément à l’article 1680, § 1er, de prendre la mesure voulue, àmoins que la convention relative à la procédure de désignation ne stipuled’autres moyens pour assurer cette désignation.

§ 5. Lorsqu’il désigne un arbitre, le président du tribunal tient compte detoutes les qualifications requises de l’arbitre en vertu de la convention desparties et de toutes considérations propres à garantir la désignation d’unarbitre indépendant et impartial.

§ 6. La désignation d’un arbitre ne peut être rétractée après avoir éténotifiée.

§ 7. L’arbitre qui a accepté sa mission ne peut se retirer que de l’accorddes parties ou moyennant l’autorisation du président du tribunal de premièreinstance statuant conformément à l’article 1680, § 2.”.

Art. 16. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1686 rédigé commesuit:

“Art. 1686. § 1er. Lorsqu’une personne est pressentie en vue de sadésignation éventuelle en qualité d’arbitre, elle signale toute circonstance denature à soulever des doutes légitimes sur son indépendance ou son impar-tialité. A partir de la date de sa désignation et durant toute la procédurearbitrale, l’arbitre signale sans délai aux parties toutes nouvelles circonstancesde cette nature.

§ 2. Un arbitre ne peut être récusé que s’il existe des circonstances denature à soulever des doutes légitimes sur son indépendance ou son impar-tialité, ou s’il ne possède pas les qualifications convenues par les parties. Unepartie ne peut récuser l’arbitre qu’elle a désigné ou à la désignation duquelelle a participé que pour une cause dont elle a eu connaissance après cettedésignation.”.

Art. 17. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1687 rédigé commesuit:

“Art. 1687. § 1er. Les parties peuvent convenir de la procédure derécusation d’un arbitre.

§ 2. Faute d’un tel accord:a) la partie qui a l’intention de récuser un arbitre expose par écrit les

motifs de récusation à l’arbitre concerné, le cas échéant aux autres arbitres sile tribunal en comporte, et à la partie adverse. A peine d’irrecevabilité, cettecommunication intervient dans un délai de quinze jours à compter de la dateà laquelle la partie récusante a eu connaissance de la constitution du tribunalarbitral ou de la date à laquelle elle a eu connaissance des circonstances viséesà l’article 1686, § 2.

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b) Si, dans un délai de dix jours à partir de la communication de larécusation qui lui est faite, l’arbitre récusé ne se déporte pas ou que l’autrepartie n’admet pas la récusation, le récusant cite l’arbitre et les autres parties,à peine d’irrecevabilité, dans un délai de dix jours, devant le président dutribunal de première instance statuant conformément à l’article 1680, § 2.Dans l’attente de la décision du président, le tribunal arbitral, y comprisl’arbitre récusé, peut poursuivre la procédure arbitrale et rendre une sen-tence.”.

Art. 18. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1688 rédigé commesuit:

“Art. 1688. § 1er. Sauf convention contraire des parties, lorsqu’un arbitrese trouve dans l’impossibilité de droit ou de fait de remplir sa mission, ou,pour tout autre motif, ne s’acquitte pas de sa mission dans un délai raisonna-ble, son mandat prend fin s’il se retire dans les conditions prévues à l’article1685, § 7, ou si les parties conviennent d’y mettre fin.

§ 2. S’il subsiste un désaccord quant à l’un quelconque de ces motifs, lapartie la plus diligente cite les autres parties ainsi que l’arbitre visé au § 1er

devant le président du tribunal de première instance qui statue conformémentà l’article 1680, § 2.

§ 3. Le fait qu’en application du présent article ou de l’article 1687, unarbitre se retire ou qu’une partie accepte que la mission d’un arbitre prennefin, n’implique pas reconnaissance des motifs mentionnés à l’article 1687 oudans le présent article.”.

Art. 19. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1689 rédigé commesuit:

“Art. 1689. § 1er. Dans tous les cas où il est mis fin à la mission de l’arbitreavant que la sentence finale ne soit rendue, un arbitre remplaçant est désigné.Cette désignation est effectuée conformément aux règles qui étaient applica-bles à la désignation de l’arbitre remplacé, à moins que les parties n’enconviennent autrement.

§ 2. Si l’arbitre n’est pas remplacé conformément au § 1er, chaque partiepeut saisir le président du tribunal de première instance, statuant conformé-ment à l’article 1680, § 1er.

§ 3. Une fois désigné l’arbitre remplaçant, les arbitres, après avoirentendu les parties, décident s’il y a lieu de reprendre tout ou partie de laprocédure sans qu’ils puissent revenir sur la ou les sentences définitivespartielles qui auraient été rendues.”.

Art. 20. Dans la même partie du même Code, il est inséré un chapitre IVintitulé “Chapitre IV. Compétence du tribunal arbitral”.

Art. 21. Dans le chapitre IV inséré par l’article 20, il est inséré un article1690 rédigé comme suit:

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“Art. 1690. § 1er. Le tribunal arbitral peut statuer sur sa propre com-pétence, y compris sur toute exception relative à l’existence ou à la validité dela convention d’arbitrage. A cette fin, une convention d’arbitrage faisantpartie d’un contrat est considérée comme une convention distincte des autresclauses du contrat. La constatation de la nullité du contrat par le tribunalarbitral n’entraîne pas de plein droit la nullité de la convention d’arbitrage.

§ 2. L’exception d’incompétence du tribunal arbitral doit être soulevée auplus tard dans les premières conclusions communiquées par la partie quil’invoque, dans les délais et selon les modalités fixées conformément à l’article1704.

Le fait pour une partie d’avoir désigné un arbitre ou d’avoir participé àsa désignation ne la prive pas du droit de soulever cette exception.

L’exception prise de ce que la question litigieuse excèderait les pouvoirsdu tribunal arbitral doit être soulevée aussitôt que cette question est formuléedans le cours de la procédure.

Dans les deux cas, le tribunal arbitral peut recevoir des exceptionssoulevées tardivement, s’il estime que le retard est justifié.

§ 3. Le tribunal arbitral peut statuer sur les exceptions visées au § 2 soiten les traitant comme des questions à trancher préalablement soit dans sasentence au fond.

§ 4. La décision par laquelle le tribunal arbitral s’est déclaré compétentne peut faire l’objet d’un recours en annulation qu’en même temps que lasentence au fond et par la même voie.

Le tribunal de première instance peut également, à la demande d’une desparties, se prononcer sur le bien fondé de la décision d’incompétence dutribunal arbitral.”.

Art. 22. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1691 rédigé commesuit:

“Art. 1691. Sans préjudice des pouvoirs reconnus aux cours et tribunauxen vertu de l’article 1683, et sauf convention contraire des parties, le tribunalarbitral peut, à la demande d’une partie, ordonner les mesures provisoires ouconservatoires qu’il juge nécessaires.

Le tribunal arbitral ne peut toutefois autoriser une saisie conservatoire.”.

Art. 23. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1692 rédigé commesuit:

“Art. 1692. A la demande de l’une des parties, le tribunal arbitral peutmodifier, suspendre ou rétracter une mesure provisoire ou conservatoire.”.

Art. 24. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1693 rédigé commesuit:

“Art. 1693. Le tribunal arbitral peut décider que la partie qui demandeune mesure provisoire ou conservatoire fournira une garantie appropriée.”.

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Art. 25. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1694 rédigé commesuit:

“Art. 1694. Le tribunal arbitral peut décider qu’une partie communiquerasans tarder tout changement important des circonstances sur la base desquel-les la mesure provisoire ou conservatoire a été demandée ou accordée.”.

Art. 26. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1695 rédigé commesuit:

“Art. 1695. La partie qui poursuit l’exécution d’une mesure provisoire ouconservatoire est responsable de tous les frais et de tous les dommages causéspar la mesure à une autre partie, si le tribunal arbitral décide par la suite qu’enl’espèce la mesure provisoire ou conservatoire n’aurait pas dû être prononcée.Le tribunal arbitral peut accorder réparation pour ces frais et dommages àtout moment pendant la procédure.”.

Art. 27. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1696 rédigé commesuit:

“Art. 1696. § 1er. Une mesure provisoire ou conservatoire prononcée parun tribunal arbitral est reconnue comme ayant force obligatoire et, saufindication contraire du tribunal arbitral, est déclarée exécutoire par le tribunalde première instance, quel que soit le pays où elle a été prononcée, sousréserve des dispositions de l’article 1697.

§ 2. La partie qui demande ou a obtenu qu’une mesure provisoire ouconservatoire soit reconnue ou déclarée exécutoire en informe sans délail’arbitre unique ou le président du tribunal arbitral ainsi que de touterétractation, suspension ou modification de cette mesure.

§ 3. Le tribunal de première instance à qui est demandé de reconnaître oude déclarer exécutoire une mesure provisoire ou conservatoire peut ordonnerau demandeur de constituer une garantie appropriée si le tribunal arbitral nes’est pas déjà prononcé sur la garantie ou lorsqu’une telle décision estnécessaire pour protéger les droits du défendeur et des tiers.”.

Art. 28. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1697 rédigé commesuit:

“Art. 1697. § 1er. La reconnaissance ou la déclaration de la force exécu-toire d’une mesure provisoire ou conservatoire ne peut être refusée que:

a) à la demande de la partie contre laquelle cette mesure est invoquée:i) si ce refus est justifié par les motifs exposés à l’article 1721, § 1er, a), i.,

ii., iii., iv. ou v.; ouii) si la décision du tribunal arbitral concernant la constitution d’une

garantie n’a pas été respectée; ouiii) si la mesure provisoire ou conservatoire a été rétractée ou suspendue

par le tribunal arbitral ou, lorsqu’il y est habilité, annulée ou suspendue par letribunal de l’Etat dans lequel a lieu l’arbitrage ou conformément à la loi selonlaquelle cette mesure a été accordée;

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oub) si le tribunal de première instance constate que l’un des motifs visés à

l’article 1721, § 1er, b) s’applique à la reconnaissance et à la déclarationexécutoire de la mesure provisoire ou conservatoire.

§ 2. Toute décision prise par le tribunal de première instance pour l’undes motifs visés au § 1er n’a d’effet qu’aux fins de la demande de recon-naissance et de déclaration exécutoire de la mesure provisoire ou conserva-toire. Le tribunal de première instance auprès duquel la reconnaissance ou ladéclaration exécutoire est demandée n’examine pas, lorsqu’il prend sa déci-sion, le bien fondé de la mesure provisoire ou conservatoire.”.

Art. 29. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1698 rédigé commesuit:

“Art. 1698. Le juge des référés dispose, pour prononcer une mesureprovisoire ou conservatoire en relation avec une procédure d’arbitrage,qu’elle ait ou non lieu sur le territoire belge, du même pouvoir que celui dontil dispose en relation avec une procédure judiciaire. Il exerce ce pouvoirconformément à ses propres procédures en tenant compte des particularitésde l’arbitrage.”.

Art. 30. Dans la même partie du même Code, il est inséré un chapitre Vintitulé “Chapitre V. Conduite de la procédure arbitrale”.

Art. 31. Dans le chapitre V inséré par l’article 30, il est inséré un article1699 rédigé comme suit:

“Art. 1699. Nonobstant toute convention contraire, les parties doiventêtre traitées sur un pied d’égalité et chaque partie doit avoir toute possibilitéde faire valoir ses droits, moyens et arguments dans le respect du contradic-toire. Le tribunal arbitral veille au respect de cette exigence ainsi qu’aurespect de la loyauté des débats.”.

Art. 32. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1700 rédigé commesuit:

“Art. 1700. § 1er. Les parties peuvent convenir de la procédure à suivrepar le tribunal arbitral.

§ 2. Faute d’une telle convention, le tribunal arbitral peut, sous réservedes dispositions de la sixième partie du présent Code, fixer les règles deprocédure applicable à l’arbitrage comme il le juge approprié.

§ 3. Sauf convention contraire des parties, le tribunal arbitral apprécielibrement l’admissibilité des moyens de preuve et leur force probante.

§ 4. Le tribunal arbitral procède aux actes d’instruction nécessaires àmoins que les parties ne l’autorisent à y commettre l’un de ses membres.

Il peut entendre toute personne. Cette audition a lieu sans prestation deserment.

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i une partie détient un élément de preuve, le tribunal arbitral peut luienjoindre de le produire selon les modalités qu’il détermine et au besoin, àpeine d’astreinte.

§ 5. A l’exception des demandes relatives à des actes authentiques, letribunal arbitral a le pouvoir de trancher les demandes de vérification d’écri-tures et de statuer sur la prétendue fausseté de documents.

Pour les demandes relatives à des actes authentiques, le tribunal arbitraldélaisse les parties à se pourvoir dans un délai déterminé devant le tribunal depremière instance.

Dans l’hypothèse visée à l’alinéa 2, les délais de l’arbitrage sont suspen-dus jusqu’au jour où le tribunal arbitral a eu communication par la partie laplus diligente de la décision coulée en force de chose jugée sur l’incident. ”.

Art. 33. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1701 rédigé commesuit:

“Art. 1701. § 1er. Les parties peuvent décider du lieu de l’arbitrage. Fauted’une telle décision, ce lieu est fixé par le tribunal arbitral, compte tenu descirconstances de l’affaire, en ce compris les convenances des parties.

Si le lieu de l’arbitrage n’a pas été déterminé par les parties ou par lesarbitres, le lieu où la sentence est rendue vaut comme lieu de l’arbitrage.

§ 2. Nonobstant les dispositions du § 1er et à moins qu’il en ait étéconvenu autrement par les parties, le tribunal arbitral peut, après les avoirconsultées, tenir ses audiences et réunions en tout autre endroit qu’il estimeapproprié.”.

Art. 34. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1702 rédigé commesuit:

“Art. 1702. Sauf convention contraire des parties, la procédure arbitralecommence à la date à laquelle la demande d’arbitrage est reçue par ledéfendeur, conformément à l’article 1678, § 1er, a).”.

Art. 35. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1703 rédigé commesuit:

“Art. 1703. § 1er. Les parties peuvent convenir de la langue ou des languesà utiliser dans la procédure arbitrale. Faute d’un tel accord, le tribunal arbitraldécide de la langue ou des langues à utiliser dans la procédure. Cet accord oucette décision, à moins qu’il n’en soit convenu ou décidé autrement, s’appli-que à toute communication des parties, à toute procédure orale et à toutesentence, décision ou autre communication du tribunal arbitral.

§ 2. Le tribunal arbitral peut ordonner que toute pièce soit accompagnéed’une traduction dans la ou les langues convenues par les parties ou choisiespar le tribunal arbitral.”.

Art. 36. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1704 rédigé commesuit:

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“Art. 1704. § 1er. Dans le délai et selon les modalités convenues par lesparties ou fixées par le tribunal arbitral, les parties développent l’ensemble deleurs moyens et arguments à l’appui de leur demande ou de leur défense ainsique les faits au soutien de celle-ci.

Les parties peuvent convenir ou le tribunal arbitral peut décider l’é-change de conclusions complémentaires, ainsi que de ses modalités, entre lesparties.

Les parties joignent à leurs conclusions toutes les pièces qu’elles souhai-tent verser aux débats.

§ 2. Sauf convention contraire des parties, chaque partie peut modifier oucompléter sa demande ou sa défense au cours de la procédure arbitrale, àmoins que le tribunal arbitral considère ne pas devoir autoriser un telamendement, notamment en raison du retard avec lequel il est formulé.”.

Art. 37. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1705 rédigé commesuit:

“Art. 1705. § 1er. A moins que les parties n’aient convenu qu’il n’y auraitpas de procédure orale, le tribunal arbitral organise une telle procédure à unstade approprié de la procédure arbitrale, si une partie lui en fait la demande.

§ 2. Le président du tribunal arbitral règle l’ordre des audiences et dirigeles débats.”.

Art. 38. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1706 rédigé commesuit:

“Art. 1706. Sauf convention contraire des parties, si, sans invoquerd’empêchement légitime,

a) le demandeur ne développe pas sa demande conformément à l’article1704, § 1er, le tribunal arbitral met fin à la procédure arbitrale, sans préjudicedu traitement des demandes d’une autre partie;

b) le défendeur ne développe pas sa défense conformément à l’article1704, § 1er, le tribunal arbitral poursuit la procédure arbitrale sans pouvoirconsidérer cette carence en soi comme une acceptation des allégations dudemandeur;

c) l’une des parties ne participe pas à la procédure orale ou ne produit pasde documents, le tribunal arbitral peut poursuivre la procédure et statue surla base des éléments dont il dispose.”.

Art. 39. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1707 rédigé commesuit:

“Art. 1707. § 1er. Le tribunal arbitral peut, sauf convention contraire desparties,

a) nommer un ou plusieurs experts chargés de lui faire rapport sur lespoints précis qu’il détermine;

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b) enjoindre à une partie de fournir à l’expert tous renseignementsappropriés ou de lui soumettre ou de lui rendre accessible, aux fins d’examen,toutes pièces, toutes marchandises ou autres biens pertinents.

§ 2. Si une partie en fait la demande ou si le tribunal arbitral le jugenécessaire, l’expert participe à une audience à laquelle les parties peuventl’interroger.

§ 3. Le paragraphe 2 s’applique aux conseils techniques désignés par lesparties.

§ 4. Un expert peut être récusé pour les motifs énoncés à l’article 1686 etselon la procédure prévue à l’article 1687.”.

Art. 40. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1708 rédigé commesuit:

“Art. 1708. Une partie peut avec l’accord du tribunal arbitral, demanderau président du tribunal de première instance statuant comme en référéd’ordonner toute les mesures nécessaires en vue de l’obtention de preuvesconformément à l’article 1680, § 4.”.

Art. 41. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1709 rédigé commesuit:

“Art. 1709. § 1er. Tout tiers intéressé peut demander au tribunal arbitrald’intervenir dans la procédure. Cette demande est adressée par écrit autribunal arbitral qui la communique aux parties.

§ 2. Une partie peut appeler un tiers en intervention.§ 3. En toute hypothèse, pour être admise, l’intervention nécessite une

convention d’arbitrage entre le tiers et les parties en différend. Elle est, enoutre, subordonnée, à l’assentiment du tribunal arbitral qui statue à l’unani-mité.”.

Art. 42. Dans la même partie du même Code, il est inséré un chapitre VIintitulé “Chapitre VI. Sentence arbitrale et clôture de la procédure”.

Art. 43. Dans le chapitre VI inséré par l’article 42, il est inséré un article1710 rédigé comme suit:

“Art. 1710. § 1er. Le tribunal arbitral tranche le différend conformémentaux règles de droit choisies par les parties comme étant applicables au fond dudifférend.

Toute désignation du droit d’un Etat donné est considérée, sauf indica-tion contraire expresse, comme désignant directement les règles juridiques defond de cet Etat et non ses règles de conflit de lois.

§ 2. A défaut d’une telle désignation par les parties, le tribunal arbitralapplique les règles de droit qu’il juge les plus appropriées.

§ 3. Le tribunal arbitral statue en qualité d’amiable compositeur unique-ment si les parties l’y ont expressément autorisé.

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§ 4. Qu’il statue selon des règles de droit ou en qualité d’amiablecompositeur, le tribunal arbitral décidera conformément aux stipulations ducontrat si le différend qui oppose les parties est d’ordre contractuel et tiendracompte des usages du commerce si le différend oppose des commerçants.”.

Art. 44. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1711 rédigé commesuit:

“Art. 1711. § 1er. Dans une procédure arbitrale comportant plus d’unarbitre, toute décision du tribunal arbitral est, sauf convention contraire desparties, prise après délibération à la majorité de ses membres.

§ 2. Les questions de procédure peuvent être tranchées par le présidentdu tribunal arbitral, si ce dernier y est autorisé par les parties.

§ 3. Les parties peuvent également convenir que, lorsqu’une majorité nepeut se former, la voix du président du tribunal arbitral est prépondérante.

§ 4. Au cas où un arbitre refuse de participer à la délibération ou au votesur la sentence arbitrale, les autres arbitres peuvent décider sans lui, saufconvention contraire des parties. L’intention de rendre la sentence sansl’arbitre qui a refusé de participer à la délibération ou au vote doit êtrecommuniquée aux parties d’avance.”.

Art. 45. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1712 rédigé commesuit:

“Art. 1712. § 1er. Si, durant la procédure arbitrale, les parties s’entendentpour régler le différend, le tribunal arbitral met fin à la procédure arbitrale et,si les parties lui en font la demande, constate par une sentence l’accord desparties, sauf si celui-ci est contraire à l’ordre public.

§ 2. La sentence d’accord-parties est rendue conformément à l’article1713 et mentionne le fait qu’il s’agit d’une sentence. Une telle sentence a lemême statut et le même effet que toute autre sentence prononcée sur le fondde l’affaire.

§ 3. La décision par laquelle la sentence est déclarée exécutoire est sanseffet dans la mesure où l’accord des parties a été annulé.”.

Art. 46. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1713 rédigé commesuit:

“Art. 1713. § 1er. Le tribunal arbitral statue définitivement ou avant diredroit par une ou plusieurs sentences.

§ 2. Les parties peuvent fixer le délai dans lequel la sentence doit êtrerendue ou prévoir les modalités selon lesquelles ce délai sera fixé et le caséchéant, prolongé.

Faute de l’avoir fait, si le tribunal arbitral tarde à rendre sa sentence etqu’un délai de six mois s’est écoulé à compter de la désignation du dernierarbitre, le président du tribunal de première instance peut impartir un délai autribunal arbitral conformément à l’article 1680, § 3.

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La mission des arbitres prend fin de plein droit lorsque le tribunal arbitraln’a pas rendu sa sentence à l’expiration du délai imparti.

§ 3. La sentence arbitrale est rendue par écrit et signée par l’arbitre. Dansune procédure arbitrale comprenant plusieurs arbitres, les signatures de lamajorité des membres du tribunal arbitral suffisent, pourvu que soit mention-née la raison de l’omission des autres.

§ 4. La sentence arbitrale est motivée.§ 5. La sentence comprend notamment, outre le dispositif, les mentions

suivantes:a) les noms et domiciles des arbitres;b) les noms et domiciles des parties;c) l’objet du litige;d) la date à laquelle la sentence est rendue;e) le lieu de l’arbitrage déterminé conformément à l’article 1701, § 1er,

ainsi que le lieu où la sentence est rendue.§ 6. La sentence arbitrale liquide les frais d’arbitrage et décide à laquelle

des parties le paiement en incombe ou dans quelle proportion ils sont partagésentre elles. Sauf convention contraire des parties, ces frais comprennent leshonoraires et frais des arbitres et les honoraires et frais des conseils etreprésentants des parties, les coûts des services rendus par l’institution char-gée de l’administration de l’arbitrage et tous autres frais découlant de laprocédure arbitrale.

§ 7. Le tribunal arbitral peut condamner une partie au paiement d’uneastreinte. Les articles 1385bis à octies sont d’application mutatis mutandis.

§ 8. Après que la sentence arbitrale a été rendue, un exemplaire estcommuniqué, conformément à l’article 1678, § 1er, à chacune des parties parl’arbitre unique ou par le président du tribunal arbitral, qui s’assure quechaque partie reçoive en outre un original de la sentence si le mode decommunication retenu conformément à l’article 1678, § 1er n’a pas emportéremise d’un tel original. Il en dépose l’original au greffe du tribunal depremière instance. Il informe les parties de ce dépôt.

§ 9. La sentence, a, dans les relations entre les parties, les mêmes effetsqu’une décision d’un tribunal.”.

Art. 47. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1714 rédigé commesuit:

“Art. 1714. § 1er. La procédure arbitrale est close par la signature de lasentence arbitrale qui épuise la juridiction du tribunal arbitral ou par unedécision de clôture rendue par le tribunal arbitral conformément au § 2.

§ 2. Le tribunal arbitral ordonne la clôture de la procédure arbitralelorsque:

a) le demandeur se désiste de sa demande, à moins que le défendeur yfasse objection et que le tribunal arbitral reconnaisse qu’il a un intérêtlégitime à ce que le différend soit définitivement réglé;

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b) les parties conviennent de clore la procédure.§ 3. La mission du tribunal arbitral prend fin avec la clôture de la

procédure arbitrale, la communication de la sentence et son dépôt, sousréserve des articles 1715 et 1717, § 6.”.

Art. 48. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1715 rédigé commesuit:

“Art. 1715. § 1er. Dans le mois de la réception de la sentence conformé-ment l’article 1678, § 1er, à moins que les parties ne soient convenues d’unautre délai,

a) une des parties peut, moyennant communication à l’autre, demanderau tribunal arbitral de rectifier dans le texte de la sentence toute erreur decalcul, toute erreur matérielle ou typographique ou toute erreur de mêmenature;

b) si les parties en sont convenues, une partie peut, moyennant commu-nication à l’autre, demander au tribunal arbitral de donner une interprétationd’un point ou passage précis de la sentence.

Si le tribunal arbitral considère que la demande est fondée, il fait larectification ou donne l’interprétation dans le mois qui suit la réception de lademande. L’interprétation fait partie intégrante de la sentence.

§ 2. Le tribunal arbitral peut, de son propre chef, rectifier toute erreur dutype visé au § 1er, a), dans le mois qui suit la date de la sentence.

§ 3. Sauf convention contraire des parties, l’une des parties peut, moyen-nant communication à l’autre, demander au tribunal arbitral, dans le mois quisuit la réception de la sentence conformément à l’article 1678, § 1er, de rendreune sentence additionnelle sur des chefs de demande exposés au cours de laprocédure arbitrale mais omis dans la sentence. S’il juge la demande fondée,le tribunal arbitral complète sa sentence dans les deux mois, même si les délaisprévus à l’article 1713, § 2 sont expirés.

§ 4. Le tribunal arbitral peut prolonger, si besoin est, le délai dont ildispose pour rectifier, interpréter ou compléter la sentence en vertu du § 1er

ou § 3.§ 5. L’article 1713 s’applique à la rectification ou l’interprétation de la

sentence ou à la sentence additionnelle.§ 6. Lorsque les mêmes arbitres ne peuvent plus être réunis, la demande

d’interprétation, de rectification ou de compléter la sentence arbitrale doitêtre portée devant le tribunal de première instance.

§ 7. Lorsque le tribunal de première instance renvoie une sentencearbitrale en vertu de l’article 1717, § 6, l’article 1713 et le présent article sontapplicables mutatis mutandis à la sentence rendue conformément à la décisionde renvoi.”.

Art. 49. Dans la même partie du même Code, il est inséré un chapitre VIIintitulé “Chapitre VII. Recours contre la sentence arbitrale”.

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Art. 50. Dans le chapitre VII inséré par l’article 49, il est inséré un article1716 rédigé comme suit:

“Art. 1716. Il ne peut être interjeté appel contre une sentence arbitraleque si les parties ont prévu cette possibilité dans la convention d’arbitrage.Sauf stipulation contraire, le délai pour interjeter appel est d’un mois à partirde la communication de la sentence, conformément à l’article 1678, § 1er.”.

Art. 51. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1717 rédigé commesuit:

“Art. 1717. § 1er. La demande d’annulation n’est recevable que si lasentence ne peut plus être attaquée devant les arbitres.

§ 2. La sentence arbitrale ne peut être attaquée que devant le tribunal depremière instance, par voie de citation, et elle ne peut être annulée que dansles cas énumérés au présent article.

§ 3. La sentence arbitrale ne peut être annulée que si:a) la partie en faisant la demande apporte la preuve:i) qu’une partie à la convention d’arbitrage visée à l’article 1681 était

frappée d’une incapacité; ou que ladite convention n’est pas valable en vertudu droit auquel les parties l’ont soumise ou, à défaut d’une indication à cetégard, en vertu du droit belge; ou

ii) qu’elle n’a pas été dûment informée de la désignation d’un arbitre oude la procédure arbitrale, ou qu’il lui a été impossible pour une autre raisonde faire valoir ses droits; dans ce cas, il ne peut toutefois y avoir annulation s’ilest établi que l’irrégularité n’a pas eu d’incidence sur la sentence arbitrale; ou

iii) que la sentence porte sur un différend non visé ou n’entrant pas dansles prévisions de la convention d’arbitrage, ou qu’elle contient des décisionsqui dépassent les termes de la convention d’arbitrage, étant entendu toutefoisque, si les dispositions de la sentence qui ont trait à des questions soumises àl’arbitrage peuvent être dissociées de celles qui ont trait à des questions nonsoumises à l’arbitrage, seule la partie de la sentence contenant des décisionssur les questions non soumise à l’arbitrage pourra être annulée; ou

iv) que la sentence n’est pas motivée; ouv) que la constitution du tribunal arbitral, ou la procédure arbitrale, n’a

pas été conforme à la convention des parties, à condition que cette conventionne soit pas contraire à une disposition de la sixième partie du présent Code àlaquelle les parties ne peuvent déroger, ou, à défaut d’une telle convention,qu’elle n’a pas été conforme à la sixième partie du présent Code; à l’exceptionde l’irrégularité touchant à la constitution du tribunal arbitral, ces irrégularitésne peuvent toutefois donner lieu à annulation de la sentence arbitrale s’il estétabli qu’elles n’ont pas eu d’incidence sur la sentence; ou

vi) que le tribunal arbitral a excédé ses pouvoirs; oub) le tribunal de première instance constate:i) que l’objet du différend n’est pas susceptible d’être réglé par voie

d’arbitrage; ou

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ii) que la sentence est contraire à l’ordre public; ouiii) que la sentence a été obtenue par fraude.§ 4. Hormis dans le cas visé à l’article 1690, § 4, alinéa 1er, une demande

d’annulation ne peut être présentée après l’expiration d’un délai de trois moisà compter de la date à laquelle la partie introduisant cette demande a reçucommunication de la sentence conformément à l’article 1678, § 1er, a), ou, siune demande a été introduite en vertu de l’article 1715, à compter de la dateà laquelle la partie introduisant la demande d’annulation a reçu communica-tion de la décision du tribunal arbitral sur la demande introduite en vertu del’article 1715, conformément à l’article 1678, § 1er, a).

§ 5. Ne sont pas retenues comme causes d’annulation de la sentencearbitrale les cas prévus au § 2, a), i., ii., iii. et v., lorsque la partie qui s’enprévaut en a eu connaissance au cours de la procédure arbitrale et ne les a pasalors invoquées.

§ 6. Lorsqu’il lui est demandé d’annuler une sentence arbitrale le tribunalde première instance peut, le cas échéant et à la demande d’une partie,suspendre la procédure d’annulation pendant une période dont il fixe la duréeafin de donner au tribunal arbitral la possibilité de reprendre la procédurearbitrale ou de prendre toute autre mesure que ce dernier juge susceptibled’éliminer les motifs d’annulation.”.

Art. 52. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1718 rédigé commesuit:

“Art. 1718. Les parties peuvent, par une déclaration expresse dans laconvention d’arbitrage ou par une convention ultérieure, exclure tout recoursen annulation d’une sentence arbitrale lorsqu’aucune d’elles n’est soit unepersonne physique ayant la nationalité belge ou son domicile ou sa résidencehabituelle en Belgique, soit une personne morale ayant en Belgique, son siègestatutaire, son principal établissement ou une succursale.”.

Art. 53. Dans la même partie du même Code, il est inséré un chapitreVIII intitulé “Chapitre VIII. Reconnaissance et exécution des sentencesarbitrales”.

Art. 54. Dans le chapitre VIII inséré par l’article 53, il est inséré un article1719 rédigé comme suit:

“Art. 1719. § 1er. La sentence arbitrale, rendue en Belgique ou à l’étran-ger, ne peut faire l’objet d’une exécution forcée qu’après avoir été revêtue dela formule exécutoire, entièrement ou partiellement, par le tribunal de pre-mière instance conformément à la procédure visée à l’article 1720.

§ 2. Le tribunal de première instance ne peut revêtir la sentence de laformule exécutoire que si la sentence ne peut plus être attaquée devant lesarbitres ou si les arbitres en ont ordonné l’exécution provisoire nonobstantappel.”.

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Art. 55. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1720 rédigé commesuit:

“Art. 1720. § 1er. Le tribunal de première instance est compétent pourconnaître d’une demande concernant la reconnaissance et l’exécution d’unesentence arbitrale rendue en Belgique ou à l’étranger.

§ 2. Le tribunal territorialement compétent est le tribunal de premièreinstance du siège de la cour d’appel dans le ressort duquel la personne contrelaquelle la déclaration exécutoire est demandée a son domicile et, à défaut dedomicile, sa résidence habituelle où, le cas échant, son siège social, ou àdéfaut, son établissement ou sa succursale. Si cette personne n’a ni domicile,ni résidence habituelle, ni siège social ni établissement ou succursale enBelgique, la demande est portée devant le tribunal de première instance dusiège de la cour d’appel de l’arrondissement dans lequel la sentence doit êtreexécutée.

§ 3. La demande est introduite et instruite sur requête unilatérale. Lerequérant doit faire élection de domicile dans le ressort du tribunal.

§ 4. Le requérant doit fournir l’original de la sentence arbitrale ou unecopie certifiée conforme ainsi que l’original de la convention d’arbitrage ouune copie certifiée conforme.

§ 5. La sentence ne peut être reconnue ou déclarée exécutoire que si ellene contrevient pas aux conditions de l’article 1721.”.

Art. 56. Dans le même chapitre, il est inséré un article 1721 rédigé commesuit:

“Art. 1721. § 1er. Le tribunal de première instance ne refuse la recon-naissance et la déclaration exécutoire d’une sentence arbitrale, quel que soitle pays où elle a été rendue, que dans les circonstances suivantes:

a) à la demande de la partie contre laquelle elle est invoquée, si cette ditepartie apporte la preuve:

i) qu’une partie à la convention d’arbitrage visée à l’article 1681 étaitfrappée d’une incapacité; ou que ladite convention n’est pas valable en vertude la loi à laquelle les parties l’ont subordonnée ou, à défaut de choix exercé,en vertu de la loi du pays où la sentence a été rendue; ou

ii) que la partie contre laquelle la sentence est invoquée n’a pas étédûment informée de la désignation d’un arbitre ou de la procédure arbitrale,ou qu’il lui a été impossible pour une autre raison de faire valoir ses droits;dans ces cas, il ne peut toutefois y avoir refus de reconnaissance ou dedéclaration exécutoire de la sentence arbitrale s’il est établi que l’irrégularitén’a pas eu une incidence sur la sentence arbitrale; ou

iii) que la sentence porte sur un différend non visé ou n’entrant pas dansles termes de la convention d’arbitrage, ou qu’elle contient des décisions quidépassent les termes de la convention d’arbitrage, étant entendu toutefoisque, si les dispositions de la sentence qui ont trait à des questions soumises à

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l’arbitrage peuvent être dissociées de celles qui ont trait à des questions nonsoumises à l’arbitrage, seule la partie de la sentence contenant des décisionssur les questions soumises à l’arbitrage pourra être reconnue et exécutée; ou

iv) que la sentence n’est pas motivée alors qu’une telle motivation estprescrite par les règles de droit applicables à la procédure arbitrale dans lecadre de laquelle la sentence a été prononcée; ou

v) que la constitution du tribunal arbitral, ou la procédure arbitrale, n’apas été conforme à la convention des parties ou, à défaut d’une telle conven-tion, à la loi du pays où l’arbitrage a eu lieu; à l’exception de l’irrégularitétouchant à la constitution du tribunal arbitral, ces irrégularités ne peuventtoutefois donner lieu à refus de reconnaissance ou de déclaration exécutoirede la sentence arbitrale s’il est établi qu’elles n’ont pas eu d’incidence sur lasentence; ou

vi) que la sentence n’est pas encore devenue obligatoire pour les parties,ou a été annulée ou suspendue par un tribunal du pays dans lequel ou en vertude la loi duquel elle a été rendue;

vii) que le tribunal arbitral a excédé ses pouvoirs;oub) si le tribunal de première instance constate:i) que l’objet du différend n’est pas susceptible d’être réglé par arbitrage;

ouii) que la reconnaissance ou l’exécution de la sentence serait contraire à

l’ordre public.§ 2. Le tribunal de première instance surseoit de plein droit à la demande

tant qu’il n’est pas produit à l’appui de la requête une sentence arbitrale écriteet signée par les arbitres conformément à l’article 1713, § 3.

§ 3. Lorsqu’il y a lieu à application d’un traité entre la Belgique et le paysoù la sentence a été rendue, le traité prévaut.”.

Art. 57. Dans la même partie du même Code, il est inséré un chapitre IXintitulé “Chapitre IX. Prescription”.

Art. 58. Dans le chapitre IX inséré par l’article 57, il est inséré un article1722 rédigé comme suit:

“Art. 1722. La condamnation prononcée par une sentence arbitrale seprescrit par dix années révolues, à compter de la date où la sentence arbitralea été communiquée.” .

CHAPITRE 3. - Disposition transitoire

Art. 59. La présente loi s’applique aux arbitrages qui commencentconformément à l’article 34 après la date d’entrée en vigueur de la présenteloi.

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La sixième partie du Code judiciaire, telle qu’elle était rédigée avantl’entrée en vigueur de la présente loi, reste d’application aux arbitrages quiont commencé avant la date d’entrée en vigueur de la présente loi.

La présente loi s’applique aux actions qui sont portées devant le juge,pour autant qu’elles concernent un arbitrage visé à l’alinéa 1er.

La sixième partie du Code judiciaire, telle qu’elle était rédigée avantl’entrée en vigueur de la présente loi, reste d’application aux actions pendan-tes ou introduites devant le juge relativement à un arbitrage visé à l’alinéa 2.

CHAPITRE 4. - Entrée en vigueur

Art. 60. La présente loi entre en vigueur le premier jour du troisièmemois qui suit celui de sa publication au Moniteur belge.

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In memoria del giudice Bernard Corboz

Il 24 settembre 2013 è deceduto a Ginevra il giudice federale BernardCorboz. Da sempre interessato ai problemi dell’arbitrato, il Giudice Corbozha partecipato come relatore a numerosi convegni, anche nel nostro Paese,dedicati a questa materia. Da ultimo, lo abbiamo incontrato alcuni mesi fa aMilano in occasione di un convegno dedicato alle prospettive in Italia dell’ar-bitrato internazionale, dove ha avuto modo di illustrare, con l’abituale chia-rezza, la disciplina svizzera dell’arbitrato.

Membro ordinario del Tribunale federale svizzero dal marzo 1990 eVice-Presidente dello stesso Tribunale dal dicembre 2004, Bernard Corboz èstato tra i maggiori artefici della giurisprudenza del Tribunale federale. Lacompetenza di questo Tribunale in materia di ricorsi per l’annullamento disentenze arbitrali rese in Svizzera e la grande diffusione dell’arbitrato inquesto Paese hanno consentito a Bernard Corboz di esprimere al meglio le suequalità di giurista raffinato, contribuendo alla enunciazione di una serie diprincipi e regole che fanno della giurisprudenza del Tribunale federale unmodello di chiarezza e coerenza nell’interpretazione della legge, oltreché digrande apertura ai problemi pratici dell’arbitrato.

Come attestato dal comunicato del decesso da parte dello stesso Tribu-nale federale, “Monsieur le Juge fédéral Corboz possédait une capacité detravail hors du commun et a influencé la jurisprudence du Tribunal Fédéral demanière durable“.

L’Associazione Italiana per l’Arbitrato e la Rivista dell’arbitrato sonovicine alla comunità svizzera dell’arbitrato nel rimpianto per la perdita di unapersonalità tanto eminente e sensibile ai problemi dell’arbitrato. [P.B.]

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Notizie libri

Si deve a Ferdinando Emanuele e Milo Malfa (con collaborazioni di L.Marvasi, G. Gosi, C. Santoro, L. Bergamini, F. Gesualdi, P. Bertoli e P.D’Elia, ed autorevole prefazione di Guido Alpa) una notevole guida in linguainglese alle principali questioni in materia di arbitrato internazionale vistenella prospettiva della cultura giuridica italiana: “Selected Issues in Interna-tional Arbitration: the Italian Perspective”, London, 2014, XV - 329, edito daCleary Gottlieb Steen & Hamilton per i tipi della Thomson Reuters.

Utile come veicolo, nel latino di oggi, di elaborazioni, riflessioni e concettialtrimenti destinati a ben poca diffusione, il volume è in proposito assaiaccurato e meditato (si pensi alla abilità linguistica e concettuale con cui, apag. 64 ss., è decifrato per i non italiani il mistero di ciò che si cela dietro ilnomen “arbitrato irrituale”, mistero pari solo, per inesplicabilità all’estero esopravvenuta obsolescenza, a ciò che si cela dietro “interesse legittimo”).

Ma i pregi non sono solo quelli didascalici e divulgativi, ché molti temi direcente emersi (la litispendenza innanzi ad arbitri e giudici o innanzi ad arbitri,la disclosure, il Merger remedy arbitration di origine comunitaria ed altro)sono trattati con consapevolezza scientifica nei vari capitoli, nonché nelleappendici (alcune delle quali in lingua spagnola). [A.B.]

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