Riflessioni penalistiche sulla riforma delle procedure...

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SOMMARIO: 1. Questioni di metodo: politica del diritto e scienza della legislazione. - 2. Una ‘lezione non compresa’: dalla riforma della bancarotta fraudolenta societaria al nuovo ricorso abusivo al credito. - 3. La perimetrazione quantitativa della ‘no failure zone’: il nuovo “imprenditore non piccolo”. - 3.1. (Segue): i riflessi della ‘no failure zone’ sui sog - getti attivi dei reati fallimentari. - 4. Nuova revocatoria fallimentare e bancarotta preferen - ziale: interferenze e antinomie nel rapporto fra ‘preferenzialità civile’ e ‘preferenzialità penale’. - 4.1. (Segue): bancarotta preferenziale e nuove esenzioni dalla revocatoria fal - limentare. - 4.2. (Segue): i riflessi sulla bancarotta fraudolenta patrimoniale. - 5. La nuova disciplina del concordato preventivo: i riflessi sull’art. 236, comma 2, l.f. - 6. Quale tutela penale contro il mendacio e le infedeltà dichiarative del debitore nella procedura di con - cordato preventivo? - 7. Conclusioni. 1. Questioni di metodo: politica del diritto e scienza della legislazione Messa a fuoco attraverso le lenti del penalista, la riforma delle procedure concorsua- li rappresenta l’ennesima occasione mancata: o meglio, la riprova di uno strabismo meto- dologico e sistematico che da tempo caratterizza l’incedere normativo. Sarà forse una coin- cidenza, ma nello spirare della legislatura un ‘perverso’ filo conduttore lega le due impor- tanti riforme di ‘sistema’ in materia economica varate in questi anni: i nuovi reati societari introdotti dal d.lgs. 11 aprile 2002 n. 61, e l’odierno impianto delle procedure concorsuali quale scolpito dal ‘percorso a tappe’ imboccato dal d.l 14 marzo 2005 n. 35 (convertito con la legge 14 maggio 2005, n. 80) e dal d.lgs. 9 gennaio 2006 n. 5. Certo, come ben si sa, l’onda riformatrice si è alimentata su un retroterra segnato da un forte anacronismo dei modelli politico normativi di riferimento, e - quale coerente riflesso sul piano degli assetti di tutela e dei rimedi approntati - da un non più sostenibi- le livello di ineffettività ed inefficienza: giudizi unanimi nel decretare l’urgenza di un nuovo e moderno diritto delle crisi d’impresa, sia fra gli esponenti del mondo produttivo sia fra Riflessioni penalistiche sulla riforma delle procedure concorsuali Angelo Mangione Associato di diritto penale Facoltà di Giurisprudenza - LUMSA Sede di Palermo 1

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SOMMARIO: 1. Questioni di metodo: politica del diritto e scienza della legislazione. -2. Una ‘lezione non compresa’: dalla riforma della bancarotta fraudolenta societaria alnuovo ricorso abusivo al credito. - 3. La perimetrazione quantitativa della ‘no failure zone’:il nuovo “imprenditore non piccolo”. - 3.1. (Segue): i riflessi della ‘no failure zone’ sui sog -getti attivi dei reati fallimentari. - 4. Nuova revocatoria fallimentare e bancarotta preferen -ziale: interferenze e antinomie nel rapporto fra ‘preferenzialità civile’ e ‘preferenzialitàpenale’. - 4.1. (Segue): bancarotta preferenziale e nuove esenzioni dalla revocatoria fal -limentare. - 4.2. (Segue): i riflessi sulla bancarotta fraudolenta patrimoniale. - 5. La nuovadisciplina del concordato preventivo: i riflessi sull’art. 236, comma 2, l.f. - 6. Quale tutelapenale contro il mendacio e le infedeltà dichiarative del debitore nella procedura di con -cordato preventivo? - 7. Conclusioni.

1. Questioni di metodo: politica del diritto e scienza della legislazioneMessa a fuoco attraverso le lenti del penalista, la riforma delle procedure concorsua-

li rappresenta l’ennesima occasione mancata: o meglio, la riprova di uno strabismo meto-dologico e sistematico che da tempo caratterizza l’incedere normativo. Sarà forse una coin-cidenza, ma nello spirare della legislatura un ‘perverso’ filo conduttore lega le due impor-tanti riforme di ‘sistema’ in materia economica varate in questi anni: i nuovi reati societariintrodotti dal d.lgs. 11 aprile 2002 n. 61, e l’odierno impianto delle procedure concorsualiquale scolpito dal ‘percorso a tappe’ imboccato dal d.l 14 marzo 2005 n. 35 (convertito conla legge 14 maggio 2005, n. 80) e dal d.lgs. 9 gennaio 2006 n. 5.

Certo, come ben si sa, l’onda riformatrice si è alimentata su un retroterra segnatoda un forte anacronismo dei modelli politico normativi di riferimento, e - quale coerenteriflesso sul piano degli assetti di tutela e dei rimedi approntati - da un non più sostenibi-le livello di ineffettività ed inefficienza: giudizi unanimi nel decretare l’urgenza di un nuovoe moderno diritto delle crisi d’impresa, sia fra gli esponenti del mondo produttivo sia fra

Riflessioni penalistiche sulla riforma delle procedure concorsualiAngelo MangioneAssociato di diritto penale Facoltà di Giurisprudenza - LUMSA Sede di Palermo

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gli addetti ai lavori1. E tuttavia, confermando un cliché ormai consolidato, entrambi gliinterventi legislativi attestano quanto vane e talvolta velleitarie possano essere le aspira-zioni a pervenire ad una regolamentazione in campo economico che sia progettatasecondo i più moderni canoni di scienza della legislazione2. Il vizio non solo metodologi-co che aveva partorito una riformulazione dei reati societari ancor prima - e a prescinde-re - che fossero delineate le direttrici del nuovo diritto societario3, si ripropone mutatismutandis in sede di revisione delle procedure concorsuali: al profondo cambio di rottaimpresso alla disciplina civilistica, e nonostante le perplessità avanzate nei pareri parla-mentari, è rimasto deliberatamente estraneo il complemento penalistico4. Ciò nondime-no, è ancor più indiscutibile che un siffatto modo di procedere rischia di annichilire il deli-cato gioco di contrappesi che fa da architrave alle scelte di incriminazione, il qualepotrebbe ritrovarsi deprivato di quelle coordinate che imprimono senso e razionalità alruolo del gendarme penalistico.

Invero, il diritto penale dell’economia è materia eminentemente ‘artificiale’ in quanto lepiattaforme di tutela discendono naturaliter dai processi, dalle sceneggiature e dai sogget-ti che animano il teatro della competizione economica: non solo dai costumi e dai valori sto-ricamente contingenti ma soprattutto dalla loro cristallizzazione di cui è espressione il datonormativo extrapenale5. Alla radice, vi è una ideale ripartizione del lavoro che vede il ‘pena-le’ assiso sulle retrovie della sussidiarietà. In una visione moderna e razionale della politicacriminale in materia economica - ove non dovrebbe tra l’altro prescindersi dall’attribuire la

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1 Quantomeno, cfr. JORIO, Le esigenze di una nuova disciplina delle crisi d’impresa, in Dir. fall., 2003, I, p. 558ss.; TERRANOVA, Le procedure concorsuali. Problemi d’una riforma, Milano, 2004, p. 7 ss. Giudizio, com’èben noto, ancora più tranchant per l’impianto penalistico della legge fallimentare del ’42: per tutti, PEDRAZZI,Introduzione, in PEDRAZZI, SGUBBI, Reati commessi dal fallito. Reati commessi da persone diverse dal falli-to, Bologna-Roma, 1995, p. 1 ss. (ora anche in Diritto penale, IV, Scritti di diritto penale dell’economia, Milano,2003, p. 419 ss.); MAZZACUVA, False comunicazioni sociali e fallimento: un rapporto controverso tra norma-tiva vigente, interpretazione e prospettive di riforma, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2001, p. 660 ss.2 E che un tal deficit assuma ormai i connotati della ‘fisiologia’ è da ultimo comprovato dalla “nuova violenza”esercitata sul diritto penale commerciale con l’approvazione delle recenti disposizioni per la tutela del risparmioe la disciplina dei mercati finanziari (l. 28 dicembre 2005, n. 262): sulla quale, e sul relativo retroterra, v. SEMI-NARA, Considerazioni penalistiche sul disegno di legge in tema di tutela del risparmio, in Dir. pen. e proc., 2004,p. 506 ss.; ID., Nuovi illeciti penali e amministrativi nella legge sulla tutela del risparmio, ivi, 2006, p. 549 ss.3 Fra i tanti, ALESSANDRI, La legge delega n. 366 del 2001: un congedo dal diritto penale societario, in Dir.pen. e proc., 2001, p. 1545 ss.; ID., La riforma dei reati societari: alcune considerazioni provvisorie, in questaRivista, 2002, p. 993 ss.; FOFFANI, Rilievi critici in tema di riforma del diritto penale societario, in Dir. pen. eproc., 2001, p. 1193 ss.4 Con l’unica - e difficilmente comprensibile - eccezione dell’art. 218 l.f.: sui problemi aperti dalla modifica ditale delitto v. infra § 2.5 SEMINARA, Insider trading e diritto penale, Milano, 1989, p. 281 ss., e spec. p. 309 ss.; ALESSANDRI,Attività d’impresa e responsabilità penali, in questa Rivista, 2005, p. 549.

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giusta enfasi ad una sana dose di empiria6 -, la penalità interviene su territori normativa-mente strutturati: essa è tenuta a solcare quelle direttrici di disciplina già tracciate altrove7.Ruolo del diritto dell’impresa è quello di comporre le complesse trame di una architettura disistema che faccia emergere gli equilibri e le scelte di valore che reggono le istituzioni eco-nomiche: alla sanzione penale - ‘risorsa scarsa’ nel linguaggio degli economisti - il residua-le compito di scolpire su quei blocchi omogenei forgiati dal diritto commerciale i soli interes-si giuridici ritenuti meritevoli della massima tutela8.

Non senza qualche - consapevole? - ingenuità, la scelta di non ‘sdoganare’ nel portodelle riforme il complemento penalistico, ha forse fatto leva sull’auspicio che la sostanzialecomunanza dell’area presa di mira dal legislatore avrebbe di per sé condotto ad una rispo-sta autopoietica dell’ordinamento generando un processo spontaneo di riallineamento, conl’effetto di neutralizzare gli eventuali effetti collaterali9. In realtà, l’opzione prescelta apre illavoro dei penalisti - ed ancor prima dei diretti destinatari delle procedure concorsuali - adun orizzonte denso di incertezze e contraddizioni, innescando pericolosi fenomeni di slitta-mento che si coagulano in un incoerente riposizionamento dei contorni del penalmente vie-tato: processo ondivago e imprevedibile, perché a conti fatti costretto ad affidarsi al merogusto del giudice e quindi alle sue opzioni di politica criminale.

2. Una ‘lezione non compresa’: dalla riforma della bancarotta fraudolenta socie-taria al nuovo ricorso abusivo al credito

Il legislatore - il legislatore ‘modello’ - avrebbe potuto trarre utili spunti di cautela eriflessione dagli effetti collaterali innescati dalla ‘fuga in avanti’ tentata con la modifica del-l’art. 223, comma 2, n. 1, l.f., (ex art. 4, d.lgs. n. 61/2002). La pur condivisibile opera dicesello del fatto tipico della bancarotta fraudolenta societaria, nel disancorare la punibilitàdalla declaratoria fallimentare per incentrarla sulla dolosa causazione del dissesto - sep-

6 Insiste sulla necessità di spezzare il ‘cerchio idealistico’ di un normativismo integrale che nulla chiede e nulladeve al sapere empirico, DONINI, Metodo democratico e metodo scientifico nel rapporto fra diritto penale epolitica, in questa Rivista, 2001, p. 27 ss.; amplius ID., Il volto attuale dell’illecito penale. La democrazia pena-le tra differenziazione e sussidiarietà, Milano, 2004, passim.7 PEDRAZZI, Problemi di tecnica legislativa, ora in Diritto penale, III, Scritti di diritto penale dell’economia,Milano, 2003, p. 139. Volendo, MANGIONE, L’illecita influenza sull’assemblea, in GIARDA, SEMINARA, (acura di), I nuovi reati societari: diritto e processo, Padova, 2002, p. 511 s.8 Limpidamente, PEDRAZZI, Interessi economici e tutela penale, in STILE, (a cura di), Bene giuridico e rifor-ma della parte speciale, Napoli, 1986, p. 306 ss.; ID., voce Società commerciali (disciplina penale), in Dig.disc. pen., XIII, Torino, 1997, p. 349 (ora anche in Diritto penale, III, cit., risp. p. 187 ss., p. 293 ss.). Più ingenerale, da ultimo, GA. DE FRANCESCO, Programmi di tutela e ruolo dell’intervento penale, Torino, 2004.9 SANDRELLI, Prime considerazioni sui riflessi della legge 80/05 sul comparto penale della legge fallimentare,in Fall., 2005, p. 218.

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pur filtrata da una più razionale cernita dei reati societari presupposti - è rimasta del tuttoisolata e avulsa dal contesto dei reati concorsuali: sino ad ingenerare una vistosa torsio-ne degli assi del sistema, trasformando la fattispecie in una nuova ipotesi di bancarottafraudolenta prefallimentare10. Con l’effetto di implementare incomprensibili e irrazionalisquilibri - e dunque abusi di penalità - rispetto al modello affine della bancarotta fraudo-lenta propria: là dove l’ancoraggio alla sentenza di fallimento, piuttosto che al dato sostan-ziale del dissesto dell’impresa, continua a testimoniare l’adesione a programmi di tutela ilcui anacronismo e le cui stravaganze sono così note e condivise da non meritare qui nep-pure un fugace richiamo11.

Che si tratti di una lezione non compresa è dimostrato dallo stralcio - rispetto alla scel-ta ‘politica’ di lasciare immutate le disposizioni penali della legge fallimentare - operato conla riformulazione del delitto di ricorso abusivo al credito: operazione condotta in porto dallanuova legge sulla tutela del risparmio, ed a buon diritto già etichettata come “improvvida”per gli squilibri ancor più gravi cui essa dà vita12.

Sorvolando sull’estensione dei soggetti attivi del reato - dall’imprenditore agli ammini-stratori, direttori generali e liquidatori13 -, il novum si incentra sui seguenti perni. Anzitutto, lasoppressione dell’inciso “anche al di fuori dei casi di cui agli articoli precedenti”, seguitadalla resezione della formula di sussidiarietà “salvo che il fatto costituisca reato più grave”.In secondo luogo, il significativo ritocco verso l’alto della cornice edittale: dalla reclusionesino a due anni ora si attesta su un minimo di sei mesi ed un massimo di tre anni - con l’au-

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10 MUCCIARELLI, La bancarotta societaria impropria, in ALESSANDRI, (a cura di), Il nuovo diritto penaledelle società, Milano, 2002, p. 443 ss.; SCHIAVANO, La nuova bancarotta fraudolenta societaria, in Riv. trim.dir. pen. econ., 2003, p. 253 ss.; GAMBARDELLA, Il nesso causale tra i reati societari e il dissesto nella“nuova” bancarotta fraudolenta impropria: profili dogmatici e di diritto intertemporale, in Cass. pen., 2003, p.91 ss.; nonché, MANGIONE, La bancarotta fraudolenta impropria, in GIARDA, SEMINARA, (a cura di), I nuovireati societari, cit., p. 609 ss.11 Per una panoramica, PROSDOCIMI, Tutela del credito e tutela dell’impresa nella bancarotta prefallimen-tare, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1999, p. 146 ss.; COCCO, Nota introduttiva, in PALAZZO, PALIERO, (a curadi), Commentario breve alle leggi penali complementari, Padova, 2003, p. 847 ss.12 Così SEMINARA, Nuovi illeciti penali e amministrativi nella legge sulla tutela del risparmio, cit., p. 556 ss.13 Non si può invece sottacere sulla sciatteria e sull’approssimazione con cui l’estensione è avvenuta, grazieallo stupefacente difetto di coordinamento con le disposizioni penalfallimentari che all’art. 218 rinviano quan-to agli ulteriori soggetti attivi. Ed invero, da un lato l’art. 227 vi include l’institore, l’art. 222 i soci illimitatamen-te responsabili della società in nome collettivo e della accomandita semplice, l’art. 225 gli amministratori e idirettori generali delle società di capitali; dall’altro lato, l’art. 227 subordina l’inclusione dell’institore al fallimen-to dell’imprenditore, ed altrettanto richiede l’art. 222 e cioè il fallimento delle società di persone richiamate: manell’economia del nuovo art. 218 l.f. (come si dirà meglio nel testo) si è ormai definitivamente chiarito che ilfallimento non opera come condizione di punibilità. Ed ancora, mentre superflua appare l’estensione di cuiall’art. 225 - essendo amministratori e direttori già inclusi nel testo dell’art. 218 -, la norma nel restante testosi rivela persino anacronistica giacché la liquidazione coatta amministrativa, cui fa riferimento, è stata sop-pressa dalla riforma delle procedure concorsuali.

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mento di un terzo qualora si tratti di società quotate. Novità, queste, di non poco rilievo inquanto, pur non essendo stata intaccata la condotta criminosa - ricorrere al credito dissimu-lando il dissesto -, concorrono a stravolgere l’orbita gravitazionale (o quantomeno la suarazionalità) esercitata sino ad oggi da un sistema repressivo articolato in una suddivisionedi ruoli fra l’art. 218 l.f. e taluni reati satellite: orbita che governava le forze in campo attra-verso quella clausola di sussidiarietà oggi cancellata, ed alla quale non era estraneo il con-tributo fornito dalla vecchia cornice sanzionatoria.

Definitivamente sciolta una delle ambiguità più vistose che segnavano l’art. 218 l.f. -e cioè l’incertezza sul ruolo assunto dalla declaratoria fallimentare: oggi del tutto irrilevan-te, potendo il reato configurarsi a prescindere dall’apertura di una procedura concorsuale14

- la riformulazione del ricorso abusivo al credito è avvenuta nel più totale disinteresse versoil delicato equilibrio che reggeva i rapporti con quei reati potenzialmente concorrenti e dislo-cati in parte nel codice penale (truffa e insolvenza fraudolenta) in parte nella legge fallimen-tare medesima (bancarotta semplice e prefallimentare).

Ed invero, con riferimento alle fattispecie codicistiche, se sul piano formale resta intat-ta la natura solo apparente del concorso formale col delitto di truffa, non così sul pianosostanziale della razionalità rispetto al valore sotteso alle due classi di condotte prese dimira. Nessun dubbio, ora come allora, sul fatto che nell’alveo della dissimulazione del dis-sesto rientrano i comportamenti omissivi e reticenti, nonché quelli attivi volti a preservare lostato d’ignoranza del creditore: condotte non sussumibili nello spettro degli artifici e raggiri,né soprattutto convogliabili nello schema dell’induzione in errore del soggetto passivo15. Inseno alla truffa, inoltre, un ruolo centrale è svolto dal danno e dal dolo di ingiusto profitto:elementi eccentrici alla tipicità dell’art. 218 l.f.16.

In questo quadro trovava coerente giustificazione la residualità del ricorso abusivo alcredito rispetto all’art. 640 c.p.: giudizio che non può più trarsi al cospetto della odierna rifor-mulazione dell’art. 218 l.f., giacché nell’identità della risposta sanzionatoria - e stante la pro-

14 Incertezza che, antecedentemente, era risolta qualificando la sentenza di fallimento alla stregua di unacondizione implicita di punibilità, ritenendo pertanto il reato configurabile solo in capo al fallito: PEDRAZZI,Commento all’art. 218, cit., p. 194 s.; nella medesima direzione, GIULIANI-BALESTRINO, La bancarotta egli altri reati concursuali, cit., p. 462 ss. In senso diametralmente opposto, ritenendo cioè configurabile il reatoa prescindere dal fallimento, dottrina e giurisprudenza prevalenti: fra i tanti, LANZI, La tutela penale del cre-dito, Padova, 1979, p. 127; COCCO, Commento all’art. 218, cit., p. 957; Cass., 9 giugno 1997, in Cass. pen.,1998, p. 2482.15 Indirizzo costante: per tutte, Cass., 22 dicembre 1987, in Riv. pen., 1989, p. 54; nonché GIULIANI-BALE-STRINO, La bancarotta e gli altri reati concursuali, cit., p. 473, ed ancor prima PROVINCIALI, Ricorso abusi-vo al credito, in Dir. fall., 1952, I, p. 197.16 PEDRAZZI, Commento all’art. 218, cit., p. 197 ss.; COCCO, Commento all’art. 218, cit., p. 956 s.; SEMI-NARA, Nuovi illeciti penali, cit., p. 556. In giurisprudenza, Cass., 13 febbraio 1986, in Cass. pen., 1988, p. 526.

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cedibilità d’ufficio del reato fallimentare - evapora il maggior disvalore della truffa. E d’altraparte, nell’economia dell’art. 218 l.f. è del tutto irrilevante l’eventuale adempimento del debi-tore e quindi, di rimando, la prospettiva del danno patrimoniale (invero centrale nella truffa):pagamento che non elide il reato giacché, oltre ad essere colpito da revocatoria, l’atto inci-de lesivamente sulla posizione degli altri creditori rivelando così una natura (penalmentesindacabile come) preferenziale17.

Su quest’ultimo piano, com’è noto, si è sempre apprezzata la specialità rispetto all’art.641 c.p.: reato comune che, a differenza di quanto richiesto dall’art. 218 l.f., postula il pro-posito di non adempiere, s’innesta su un rapporto giuridico bilaterale più ampio rispetto alricorso al credito e cioè l’obbligazione, e che trova nell’adempimento una causa estintivadel medesimo18. E quindi: o, sulla scia di un orientamento ormai tralatizio, si fa leva sullaspecialità reciproca delle fattispecie e si conclude coerentemente per l’ammissibilità delconcorso formale19; ovvero, evidenziando la comune incidenza lesiva sul patrimonio delnuovo creditore e soprattutto il differente disvalore espresso dalle cornici di pena si conclu-de per l’assorbimento dell’insolvenza fraudolenta nell’art. 218 l.f.20.

Il cespuglio di rovi che un mal’accorto legislatore ha piantato con la riformulazione del-l’art. 218 l.f. si rivela ancor più rigoglioso se si pone mente agli effetti sui rapporti con gli altrireati fallimentari.

In primo piano, brilla di nuova ma opaca luce il riflesso aperto sulla bancarotta sem-plice. Giacché da sempre fra le operazioni gravemente imprudenti atte a ritardare il falli-mento, nonché dietro la mancata richiesta di autofallimento che si riverberi causalmentenell’aggravio del dissesto (nn. 3 e 4, comma 1 dell’art. 217 l.f.), si rintraccia l’abusivo ricor-so al credito: come la prassi attesta, quest’ultima fenomenologia di comportamenti è inve-ro tipica dell’imprenditore che tenti con tutti i mezzi di risollevare le sorti aziendali da ungrave e altrimenti irreversibile squilibrio finanziario21.

Antecedentemente alla ‘novella’ di cui alla legge n. 262/2005, l’opinione più convin-cente risolveva il problema sostenendo l’assorbimento dei fatti di abusivo ricorso al creditonell’orbita della bancarotta. Nonostante la chiara affinità con quest’ultima - testimoniata,peraltro, da una antica origine comune - e nonostante l’omogeneità degli interessi patrimo-niali tutelati dalle due fattispecie, sufficientemente univoca nel dirimere la questione era la

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17 PEDRAZZI, Commento all’art. 218, cit., p. 196.18 GIULIANI-BALESTRINO, La bancarotta e gli altri reati, cit., p. 469 s.19 NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Milano, 1955, p. 414.20 Seppur da prospettive differenti, PEDRAZZI, Commento all’art. 218, cit., p. 201; GIULIANI-BALESTRINO,La bancarotta e gli altri reati, cit., 469. Altresì, SEMINARA, Nuovi illeciti penali, cit., p. 556 s.21 Ad es., cfr. Cass., 23 aprile 2004, in Cass. pen., 2005, p. 3104.

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relazione di valore espressa nella clausola “salvo che il fatto costituisca un reato più grave”che incorniciava l’art. 218 l.f.22.

Si comprende allora come il rinvigorimento sanzionatorio di cui si è giovato il ricorsoabusivo al credito - oggi con una pena più elevata nel massimo - e soprattutto la soppres-sione della clausola di riserva, riaprano ed in termini ancor più problematici la questione deirapporti fra le due fattispecie incriminatrici.

Giova sin d’ora precisare che, come di recente ben messo in luce, di scarso ausilio sirivela l’indagine sul bene tutelato dall’art. 218 l.f.23.

Anzitutto perché sempre più evanescente si manifesta la prospettiva patrimoniale: nonsolo in quanto essa si attesta da sempre su uno sfondo estremamente arretrato e cioè sullasoglia del pericolo24 - non essendo, come già detto, necessaria la verificazione del danno: l’e-rogazione del credito o la traditio della res -, ma ancor di più in quanto l’ulteriore intonazione disegno patrimonializzante si rivela effimera perché eccentrica. L’allusione corre invero all’aggra-vamento di pena, previsto dal secondo comma dell’art. 218 l.f., ove il fatto sia commesso dagliamministratori di società quotate: dove non si comprende la ragione di una tutela diversificatafra creditori, da un lato, di un imprenditore individuale o di una società non quotata e, dall’altro,di una società quotata; né d’altra parte, si comprende - in ipotesi: nella prospettiva di tutela delrisparmio assunta dalla legge n. 262/2005 - quale interesse possa coagularsi dietro l’assuntadistinzione fra debitori persone fisiche e giuridiche, nonché fra debitori società quotate e non.

Seppur plausibile - sull’onda degli ultimi scandali finanziari e sulle ben note ricadute suuna vasta pletora di risparmiatori - la focalizzazione della norma sugli emittenti bond, la visua-le assunta resta giocoforza eccentrica nella prospettiva dell’art. 218 l.f.25. Ecco allora che,segnando il distacco dalla visione patrimoniale, potrebbe acquisire nuova forza la vecchia tesiche vede il punto focale nella tutela del principio di regolarità, lealtà e sicurezza del trafficogiuridico26.

Da qui, le conseguenze in ordine al problema del concorso di reati. Mantenendo saldol’ancoraggio dell’art. 218 l.f. alla sfera patrimoniale del nuovo creditore, la soluzione si affide-rebbe alla specialità reciproca con la bancarotta semplice. Di contro, valorizzando la prospet-tiva della regolarità del traffico giuridico e dunque riconoscendo una radicale diversità fra i

22 CONTI, Diritto penale commerciale, II, Reati fallimentari, Torino, 1991, p. 362, limitatamente all’ipotesi dicui al n. 3, art. 217, comma 1, l.f.; PEDRAZZI, Commento all’art. 218, cit., p. 201. Non così NUVOLONE, Ildiritto penale del fallimento, cit., p. 419.23 SEMINARA, Nuovi illeciti penali, cit., p. 557.24 PEDRAZZI, Commento all’art. 218, cit., p. 193. 25 Lucidamente, SEMINARA, Nuovi illeciti penali, cit., p. 557.26 COCCO, Commento all’art. 218, cit., p. 955.

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beni protetti dalle due disposizioni incriminatrici, non vi sarebbero ostacoli ad ammetterne ilconcorso effettivo con la bancarotta semplice.

E tuttavia, entrambe le soluzioni si rivelano inappaganti in quanto, per un verso, confi-dano sulla validità del criterio del bene giuridico - che, com’è noto, suscita a questo proposi-to severe riserve27 -, per altro verso, rischiano di generare una eccessiva duplicazione di san-zioni e dunque abusi di penalità: eccessiva sol perché il nuovo art. 218 l.f., pur esprimendoun minor disvalore rispetto alla bancarotta, è oggi il reato più gravemente punito. Sicché,salvo voler sostenere sempre e comunque l’assorbimento nel più grave art. 218 l.f., l’auspi-cio è che - possibilmente in una prospettiva d’insieme quale sarebbe la riforma dell’interocomparto penalfallimentare - il legislatore tragga buon insegnamento e presto provvedaponendo rimedio ai guasti prodotti.

3. La perimetrazione quantitativa della ‘no failure zone’: il nuovo “imprenditorenon piccolo”.

Riflettere sull’impatto di una riforma di settore cui è deliberatamente rimasta estranea l’ap-pendice penalistica, implica anzitutto la necessità di soffermare l’attenzione sulle dinamiche chepossono innescarsi dalla significativa rivisitazione dei soggetti cui si applicano le nuove proce-dure concorsuali. Ciò in quanto è stato esteso l’ambito dei soggetti economici esenti dal fallimen-to e dal concordato preventivo: categorie che sol perciò sfuggono alla qualifica formale richiestada un impianto repressivo che affida il compito della perimetrazione della propria area d’inter-vento allo schema del reato proprio cucito addosso all’imprenditore commerciale (non piccolo)28.

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27 La tralatizia opinione per la quale il concetto di “stessa materia” ex art. 15 c.p. presupporrebbe l’identità ol’omogeneità del bene protetto dalle norme in rapporto, pur essendo tutt’ora invalsa in giurisprudenza - Cass.,S.U., 29 ottobre 1997, in Cass. pen., 1998, p. 1331 -, è da tempo abbandonata dalla prevalente letteratura:MANTOVANI, Concorso e conflitto di norme nel diritto penale, Bologna, 1966, p. 167 ss.; GA. DE FRANCE-SCO, Lex specialis. Specialità ed interferenza nel concorso di norme penali, Milano, 1980, p. 6 ss.; nellamanualistica, M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, I, Milano, 2004, p. 175 s.; MARI-NUCCI, DOLCINI, Manuale di diritto penale, Milano, 2004, p. 293; FIANDACA, MUSCO, Diritto penale, p.gen., Bologna, p. 2001, p. 632; PULITANÒ, Diritto penale, Torino, 2005, p. 531; e più da recente, B. ROMA-NO, Il rapporto tra norme penali. Intertemporalità, spazialità, coesistenza, Milano, 1996, p. 193 ss.; PAPA, Lequalificazioni giuridiche multiple nel diritto penale. Contributo allo studio del concorso apparente di norme,Torino, 1997; MUSCATIELLO, Pluralità e unità di reati, 2002.28 Che la sistematica dei reati contenuti nel capo I del r.d. n. 267/1942 sia incentrata sulla qualifica propria deisoggetti attivi è del tutto pacifico: PEDRAZZI, Commento all’art. 216, in PEDRAZZI, SGUBBI, Reati commessidal fallito. Reati commessi da persone diverse dal fallito, cit., p. 38 s.; e fra i tanti, CONTI, Diritto penale commer-ciale, II, Reati fallimentari, cit., p. 41 s.; LA MONICA, I reati fallimentari, Milano, 1999, p. 30 ss.; SANTORIELLO,I reati di bancarotta, Torino, 2000, p. 47 ss.; PERINI, in PERINI, DAWAN, La bancarotta fraudolenta, Padova,2001, p. 71 ss.; altresì, nella medesima direzione già PAGLIARO, Il delitto di bancarotta, Palermo, 1957, p. 60ss., seppur cogliendo il profilo dirimente del reato proprio nella qualifica di “fallito” piuttosto che in quella di“imprenditore”. Isolata l’opposta opinione al riguardo espressa da GIULIANI-BALESTRINO, La bancarotta e glialtri reati concursuali, cit., p. 281 ss. Da ultimo e più in generale, per un’accurata indagine sulla ‘dogmatica’ delreato proprio v. GULLO, Il reato proprio. Dai problemi “tradizionali” alle nuove dinamiche d’impresa, Milano, 2005.

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In fedele esecuzione dell’art. 6, lett. a) n. 1 della legge delega 14 maggio 2005, n. 80,il d.lgs. n. 5 del 2006 ha provveduto a rivisitare i requisiti soggettivi di fallibilità. Con una for-mulazione dal chiaro sapore compromissorio, il secondo e terzo comma dell’art. 1 dellalegge fallimentare definiscono la figura del “piccolo imprenditore”: categoria non soggettaalle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo29. Ed invero: esula dall’alveodella nuova disciplina l’impresa - sia essa esercitata in forma individuale o collettiva nonimporta - il cui capitale investito nell’azienda non superi i 300.000,00 euro, ovvero ed alter-nativamente i cui ricavi lordi medi per anno - rilevati nell’ultimo triennio, o dall’inizio dell’at-tività in caso di durata inferiore - siano inferiori a 200.000,00 euro30.

Non si tratta, per vero, di una novità. Al requisito del capitale investito faceva già rife-rimento l’art. 1 cpv. della legge fallimentare, prima che la Corte costituzionale ne dichiaras-se l’illegittimità31. Sintomo della persistenza di una mal tollerata asistematicità - dovendosila nozione di imprenditore ricavare dall’art. 2082 c.c., e l’area di non fallibilità desumere persottrazione dagli artt. 2083 e 2221 c.c. -, l’idea di far ricorso a criteri quantitativi in chiave didelimitazione riemergeva, nel corso della legislatura, in taluni progetti di legge, sino a tro-vare la sua definitiva fisionomia nell’attuale stesura dell’art. 132.

Un dato è dunque certo: la riforma ha d’un sol colpo reciso ogni potenziale contrastointerpretativo con le norme codicistiche, in quanto il volto del piccolo imprenditore è oggiinteramente ed esclusivamente modellato dalla legge fallimentare33.

29 A rigore, sussistono altre condizioni di esonero dalle procedure concorsuali: l’art. 15, ultimo comma, dellalegge fallimentare, che stabilisce la non fallibilità dell’imprenditore il cui debito scaduto e non pagato sia inferio-re a 25.000,00 euro; l’art. 16, d.lgs. n. 96/2006, che esonera dal fallimento le società fra avvocati. Da ricordare,infine, i limiti e le speciali disposizioni in materia di fallimento previste da talune leggi, quali la disciplina dell’am-ministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi e delle grandissime imprese in crisi (rispettivamente:d.lgs. n. 270/1999, e la cd. legge Marzano).30 A differenza della proposta elaborata dal Ministero dell’Economia (e licenziata il 7 luglio 2005), quella esitatadal Ministero della Giustizia prevedeva la soppressione del riferimento all’esercizio dell’attività economica col chia-ro intento di sottoporre alle procedure concorsuali l’intera categoria “imprenditore” e cioè a prescindere dalla natu-ra - se commerciale o agricola - e dalle dimensioni dell’attività in concreto svolta. Solo in sede di redazione deldecreto delegato, la proposta del Ministero della Giustizia si arricchiva con l’inserimento del parametro dei ricavi,là dove quello approntato dal Ministero dell’Economia puntava sul requisito del capitale investito. Salomonica, dun-que, la scelta del legislatore che ha finito con l’accorpare i due parametri - seppur in forma alternativa.31 Introdotto dalla legge 20 ottobre 1952, n. 1375, e cristallizzato nell’importo di novecentomila lire, tale parame-tro, oltre che sussidiario, ben presto assunse le fattezze di un relitto economico foriero di pericolose iniquità gra-zie alla svalutazione monetaria: sino a quando, inerte il legislatore, intervenne la declaratoria di incostituzionalitàpronunciata da Corte cost., 22 dicembre 1989, n. 570. 32 Una panoramica sul dibattito sorto in seno alla Commissione Trevisanato in ordine al problema dell’esonerosoggettivo dalle disposizioni concorsuali è in FAUCEGLIA, Sull’estensione dei soggetti esonerati, in Fall., 2005,p. 990 ss.33 Per tutti, SANTANGELI, Commento all’art. 1, in ID., (a cura di), Il nuovo fallimento, Milano, 2006, p. 6 ss.;SORCI, Commento all’art. 1, in TERRANOVA ed altri, (a cura di), La nuova legge fallimentare annotata, Napoli,2006, p. 2 ss.

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A coagularsi in un possibile cono d’incertezza è, invece, la ricognizione dello spettrosemantico dei nuovi parametri quantitativi, giacché essi non sembrano possedere uno sta-tuto sufficientemente univoco e tassativo.

Ed invero, per quel che concerne il requisito del capitale investito nell’azienda, nonè chiaro se debba accedersi all’interpretazione già elaborata sotto la vigenza del vecchiocriterio di cui al cpv. dell’art. 1 l.f.: e cioè se nel capitale investito, da un lato, debbano com-prendersi oltre l’attivo circolante ed il capitale fisso anche i beni acquistati con patto diriservato dominio e quelli - ancorché non di proprietà dell’imprenditore - utilizzati nella pro-duzione (ad esempio: i beni in leasing), e, dall’altro, debba escludersi rilievo all’entità delgiro d’affari34.

Inoltre, se è vero che in teoria un buon indice ermeneutico potrebbe rinvenirsi nelbilancio d’esercizio, è ancor più vero che il problema permarrebbe pressoché intatto per leimprese non tenute alla redazione di tale documento contabile. Giacché, pur essendo inval-sa nella prassi la redazione in forma sintetica dell’inventario di fine esercizio ex art. 2217c.c. - adempimento, comunque, obbligatorio per le società di persone e le imprese indivi-duali -, la medesima disposizione richiede obbligatoriamente l’inserimento delle stime delleattività e passività nonché del conto dei profitti e delle perdite: informazioni, queste, di persé inadeguate all’obiettivo di documentare con precisione la reale situazione dell’impresa -quantomeno, nell’ottica della ricostruzione del capitale investito.

E non solo: con sano realismo occorre avvertire come anche il riferimento alle poten-zialità informative del bilancio d’esercizio rischi di rivelarsi una soluzione estremamente fra-gile per l’interprete, promettendo molto più di quanto in realtà riesca a mantenere35.

In primo luogo, perché la bagatellizzazione delle false comunicazioni sociali opera-ta con i nuovi artt. 2621 e 2622 c.c. di fatto polverizzando la carica di deterrenza del pre-sidio penale, ha depotenziato - sul versante del mercato delle informazioni - ogni prete-sa di fiducia sull’attendibilità dei bilanci sociali36. In secondo e correlativo luogo, perchéall’endemica elasticità dei criteri di valutazione di cui agli artt. 2423 bis e 2426 c.c.37, siaggiunge oggi un ulteriore segno d’opacità grazie alla straordinaria ‘manleva’ penale

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34 SANTANGELI, Commento all’art. 1, cit., p. 8 s.35 In tal caso, il parametro guida sembrerebbe essere l’attivo dello stato patrimoniale: e dunque tutte le vocielencate dall’art. 2424 c.c. - ovvero, se in forma abbreviata, ex art. 2435 bis c.c. -, le immobilizzazioni mate-riali, immateriali, finanziarie, nonché l’attivo circolante.36 Autorevolmente, PEDRAZZI, In memoria del “falso in bilancio”, in Riv. soc., 2001, p. 1369 ss. (ed ora inDiritto penale, III, cit., p. 843 ss.).37 Problema emblematicamente emerso, in sede penale, in ordine alla punibilità a titolo di false comunicazio-ni sociali delle valutazioni di bilancio: per tutti, PERINI, Il delitto di false comunicazioni sociali, Padova, 1999,p. 353 ss.

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riconosciuta ai redattori del bilancio in caso di alterazione non sensibile e di stime diffor-mi non oltre il 10% rispetto a quelle corrette38.

Infine, le esternalità negative indotte dalla riforma del falso in bilancio si inseriscono inun quadro già segnato da note incertezze, quali quelle legate ai criteri di valutazione cui farricorso per l’individuazione dell’ammontare degli investimenti: e segnatamente, i beni circo-lanti (ad es.: semilavorati, merci finite) e quelli collegati all’impresa da un vincolo di destina-zione economica ancorché di proprietà di un terzo soggetto39.

I problemi e le difficoltà emerse in sede di individuazione del capitale investito, solo inparte sembrano eludibili ricorrendo al secondo e alternativo parametro definitorio e cioèquello facente leva sui ricavi lordi.

Anche qui, in teoria, il dato si presenta di facile reperibilità, in quanto è naturaliter rica-vabile dai registri e dalle dichiarazioni iva. Non così tutte le volte in cui la contabilità dell’im-presa o le relative dichiarazioni dei redditi e dell’imposta sul valore aggiunto si rivelino inat-tendibili, oppure risultino in tutto o in parte mancanti. Infatti, l’euristica del parametro “ricavilordi” è pressoché interamente affidata alla regolarità ed attendibilità della tenuta di libri escritture, nonché al puntuale adempimento degli obblighi di natura tributaria: un modello di‘buon imprenditore’ che, come la prassi attesta, raramente si riscontra nella pur variegatafenomenologia di decotti, falliti e bancarottieri.

Di ciò il legislatore mostra piena consapevolezza: tant’è che la lett. b) del secondocomma dell’art. 1 della legge fallimentare, chiarisce che l’ammontare dei ricavi lordi vienein evidenza “in qualunque modo risulti”, facendo chiaro riferimento anche ai dati extracon-tabili e dunque alle risultanze di un’attività investigativa volta alla ricostruzione del volumed’affari e dei redditi dell’impresa in stato d’insolvenza.

Scontato allora presumere che la prassi subirà un notevole appesantimento dell’istrut-toria prefallimentare, posto che l’accertamento del requisito soggettivo di fallibilità passanon solo dalla previa soluzione di problemi di natura interpretativa, ma soprattutto dall’esi-to delle risultanze di una complessa attività d’indagine e verifica che presumibilmente richie-derà l’ausilio della polizia tributaria e di quella giudiziaria40.

38 A tal riguardo, cfr. MARINUCCI, “Depenalizzazione” del falso in bilancio con l’avallo della SEC: ma è pro-prio così?, in Dir. pen. e proc., 2002, p. 137 ss.; PULITANÒ, False comunicazioni sociali, in ALESSANDRI, (acura di), Il nuovo diritto penale delle società, cit., p. 155 ss., p. 162 ss.; ALESSANDRI, False comunicazionisociali in danno dei soci o dei creditori, ivi, p. 183 ss.; FOFFANI, La nuova disciplina delle false comunicazio-ni sociali, in GIARDA, SEMINARA, (a cura di), I nuovi reati societari: diritto e processo, cit., p. 262 ss.39 IRRERA, Le imprese soggette a fallimento e l’iniziativa per la dichiarazione di fallimento nello schema didecreto legislativo di riforma, in www.ipsoa.it/fallimento.40 Da questo punto di vista, quindi, non sembra che le esigenze di “semplificazione” prese di mira dalla leggedelega possano dirsi effettivamente rispettate: PLENTEDA, La legge delega per la riforma delle procedureconcorsuali: principi e criteri direttivi, in Fall., 2005, p. 969.

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3.1. (Segue): i riflessi della ‘no failure zone’ sui soggetti attivi dei reati fallimentariL’itinerario seguito dal legislatore nel tentativo di definire la cerchia dei fallibili e dun-

que dei soggetti attivi del reato proprio, appare costellato da non poche ambiguità e incer-tezze. Com’è agevole intuire, un siffatto impianto normativo rischia di problematizzare oltremodo il riparto di ruoli e competenze fra la giurisdizione penale e quella fallimentare,rischiando di amplificare possibili disarmonie di disciplina e dunque di esiti applicativi.

Ed invero, se è pacifico che non può il giudice penale sostituirsi a quello fallimentare,altrettanto indubbio è che l’accertamento contenuto nella sentenza di fallimento o nel decre-to di ammissione al concordato preventivo può costituire oggetto di autonomo apprezza-mento ai fini penalistici: non foss’altro perché la qualifica soggettiva - e cioè la veste diimprenditore commerciale non piccolo e dunque l’art. 1 l.f. - è parte integrante delle fatti-specie incriminatici che su di essa ruotano, e come tale dev’essere accertata in seno al giu-dizio penale41. Anche perché, com’è stato lucidamente colto, “il provvedimento del tribuna-le fallimentare fotografa la situazione del momento, mentre ai fini penali la qualifica deverisalire al tempo, non necessariamente prossimo, delle condotte tipiche”42.

Quel che rischia di mutare, rispetto al passato, è lo iato fra soluzioni divergenti in ordi-ne alla fallibilità da un lato ed al possesso della qualifica propria e dunque alla reità dall’al-tro. Certo, i parametri quantitativi previsti dall’art. 1 l.f. si candidano a guidare l’accertamen-to tanto in sede di declaratoria fallimentare quanto in sede penale: eppure, la qualificazionepartorita dall’applicazione di tali parametri dipende a conti fatti dalla previa soluzione in viainterpretativa delle numerose e complesse questioni giuridiche poc’anzi accennate. In altreparole, solo apparentemente la presenza di parametri quantitativi può convogliare su ununico binario il duplice accertamento - fallimentare e penale. Piuttosto, i due accertamentisolcheranno rotte parallele e armoniche solo se, e nella misura in cui, nei due giudizi omo-genei saranno i canoni ermeneutici ‘a monte’ adottati per la definizione del criterio “capitaleinvestito”, e solo se omogenei (com’è più probabile che sia in tal ultimo caso) saranno gliesiti delle indagini e degli accertamenti disposti in ordine al criterio dei “ricavi lordi”.

Le disarmonie che si preannunciano all’orizzonte - nell’attesa della verifica della pras-si - non appaiono evenienze improbabili. Occorre infatti sottolineare come un tratto qualifi-cante della riforma - la c.d. degiuridizionalizzazione - consista nella soppressione dei pote-ri di iniziativa del tribunale fallimentare, il quale - eccezion fatta per le ipotesi di cui agli artt.

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41 In tal senso, Cass., 1 dicembre 1990, in Cass. pen., 1991, p. 643; in letteratura PEDRAZZI, Commentoall’art. 216, cit., p. 40 s., p. 43. Non condivisibile il contrario orientamento espresso da Cass., 12 giugno 1984,in Riv. pen., 1985, p. 216, e ripreso da SANTORIELLO, I reati di bancarotta, cit., p. 39 s.42 Ancora, PEDRAZZI, Commento all’art. 216, cit., p. 41.

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162, comma 2, e 173, 179 l.f. - non può più dichiarare il fallimento d’ufficio: in quest’otticaassume rilievo il nuovo art. 7 l.f. che, sopperendo al soppresso potere d’ufficio del tribuna-le, mantiene ed arricchisce il potere di iniziativa del pubblico ministero ancorandolo a duepresupposti: “1) quando l’insolvenza risulta nel corso di un procedimento penale, ovverodalla fuga, dalla irreperibilità o dalla latitanza dell’imprenditore, dalla chiusura dei locali del-l’impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell’attivo daparte dell’imprenditore; 2) quando l’insolvenza risulta dalla segnalazione proveniente dalgiudice che l’abbia rilevata nel corso di un procedimento civile”.

Orbene, l’ultimo dei presupposti previsti dall’art. 7 sembra delineare un iter non privo diinsidie. Se, come appare plausibile, nella nozione di “procedimento civile” rientrano quelli divolontaria giurisdizione - fra cui, ad esempio, il ricorso per la nomina del liquidatore giudizia-rio nelle società di persone ex art. 2275 c.c., ovvero ai sensi dell’art. 2487 c.c. il ricorso altribunale per l’accertamento di una causa di scioglimento e per la nomina del liquidatore giu-diziario nelle società di capitali, nonché il ricorso al tribunale fallimentare poi rinunziato daicreditori - è agevole pronosticare un percorso ‘a tappe’ ove sia il giudice civile a ‘compulsa-re’ il pubblico ministero affinché questi si faccia promotore dell’istanza di fallimento.

Da qui, le possibili incongruenze e disarmonie. Per un verso, non essendo stata pre-vista la possibilità per il pubblico ministero di proseguire la richiesta di fallimento già avan-zata e poi rinunziata dai creditori, questi dovrebbe dar corso ad una procedura ex novo (epresumibilmente ripetere tutti gli atti in precedenza posti in essere). Per altro e più genera-le verso, il tribunale che ‘solleciti’ il pubblico ministero dovrà spiegare le ragioni della richie-sta e dunque motivare tanto in ordine ai requisiti di fallibilità quanto sulla sussistenza dellostato di insolvenza: richiesta che potrebbe non essere accolta qualora il pubblico ministe-ro, non allineandosi alle valutazioni formulate dal tribunale, accedesse a canoni interpreta-tivi divergenti e pur plausibili stante le ambiguità presenti nell’art. 1 l.f.43.

Con un’avvertenza di fondo: che in sede penale non potranno avere ingresso, in omag-gio al principio di legalità, soluzioni ricavate in via analogica. Ed infatti, nell’impossibilità diadottare utilmente il parametro del capitale investito, a fronte di una richiesta di fallimentoche sopravvenga prima del compimento di almeno un anno di attività, la soluzione di far levasulla soglia di ricavi corrispondente alla frazione d’anno per cui si è svolta l’attività seppurlegittima in sede civile non altrettanto appare in sede penale44: giacché null’altro sarebbe che

43 Cfr. altresì infra § 5.44 Sia pur in termini problematici, ai fini della sussistenza del requisito di fallibilità, la soluzione è suggerita daSANTANGELI, Commento all’art. 1, cit., p. 10.

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il frutto di un ragionamento analogico in malam partem, essendo destinato ad ampliare lospettro semantico della fattispecie incriminatrice intervenendo a latere subiecti45.

Una perplessità di non poco conto in materia di gruppi di società. Il parametro del capi-tale investito, se calato nel contesto delle dinamiche di gruppo, potrebbe ritagliare aree d’i-napplicabilità della disciplina penal-fallimentare soprattutto a vantaggio di quelle realtà eco-nomiche medio-piccole46. Se invero appare scontato che, nell’ipotesi in cui l’investimentocoinvolga più imprese, il dato dimensionale debba essere valutato atomisticamente e cioècon riferimento alle singole società, ne discende che - centellinando con accortezza l’entitàdel capitale da immettere - sarà alquanto agevole dar vita a strategie elusive atte a sottrar-re l’impresa ed i suoi responsabili all’applicazione delle procedure concorsuali e, conse-guentemente, alla disciplina penale di complemento47.

Infine, la contrazione dell’area dei soggetti economici suscettibili di fallimento può darvita, sul piano penale, a problemi di carattere intertemporale. Si pensi all’esercente un’atti-vità commerciale che, dichiarato fallito sotto la previgente disciplina, risulti aver investitonell’azienda un capitale inferiore a 300.000,00 euro, e aver realizzato ricavi lordi calcolati inmedia negli ultimi tre anni inferiori a 200.000,00 per anno: all’evidenza, tale imprenditoreoggi - recte, a far data dal 16 luglio 2006 - non è più soggetto alle procedure concorsuali equindi non potrebbe essere dichiarato fallito in quanto, ai sensi dell’art. 1, comma 2, l.f.,“piccolo imprenditore”.

Orbene: quid iuris, qualora l’imprenditore in questione sia sottoposto a procedimentopenale per uno dei reati condizionati dalla declaratoria fallimentare? La soluzione, a mioavviso, non può che risiedere nel riconoscere l’applicabilità della disciplina dell’abolitio crimi-nis sancita nel secondo comma dell’art. 2 c.p. Anche a voler accedere ad un’interpretazionerestrittiva ed attualmente maggioritaria della successione di norme integratrici48, l’art. 1 l.f. fa

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45 Ancorché con specifico riferimento al problema dei soggetti di fatto, per analoghe perplessità v. MARRA,Legalità ed effettività delle norme penali, Torino, 2002, p. 115 ss. Più in generale, sui rapporti tra interpretazionee analogia nel diritto penale, per tutti: DI GIOVINE, L’interpretazione nel diritto penale tra creatività e vincolo allalegge, Milano, 2006. Sulla problematicità di un divieto espresso di interpretazione estensiva in materia penale -quale previsto, come ben noto, dall’art. 129, comma 3, dell’ormai abortito progetto di legge costituzionale varatodalla cd. Bicamerale il 4 novembre 1997 -, si v. i rilievi di MUSCO, L’illusione penalistica, Milano, 2004, p. 99 ss. 46 SORCI, Commento all’art. 1, cit., p. 8.47 Per la verità, anche tale questione non è affatto nuova essendo ampiamente discussa in letteratura e giuri-sprudenza sotto l’egida del vecchio art. 1 cpv. l.f.: per una panoramica, AZZOLINA, Il fallimento e le altre proce-dure concorsuali, II, Torino, 1961, p. 120 ss.; SATTA, Istituzioni di diritto fallimentare, Padova, 1964, p. 22 ss.48 Propugnata, fra gli altri, da MARINUCCI, DOLCINI, Corso di diritto penale, I, Milano, 2001, p. 273 ss.;ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, I, cit., p. 59 s.; Cass., 2 dicembre 2003, in Foro it.,2004, II, c. 275; in senso diff. FIANDACA, MUSCO, Diritto penale, cit., p. 82 s.; RISICATO, Interventi di recu-pero edilizio e successione di norme extrapenali: le cd. “modifiche mediate” della fattispecie incriminatrice, inDir. pen. e proc., 2003, p. 999.

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venir meno per un’ampia categoria di soggetti una qualificazione rilevante per le fattispeciedi reato proprio, e come tale concorre pienamente ad individuare il contenuto del precettopenale: nessun dubbio, del resto, che non rientrando più nel novero dei fallibili, non si è sog-getti alle speciali disposizioni dettate dalla legge fallimentare ed agli obblighi da queste deri-vanti, con una significativa incidenza sul disvalore astratto dei reati in essa previsti49.

A margine dei profili problematici sin qui individuati, il nuovo art. 1 l.f. presenta per ilpenalista quantomeno un aspetto da salutare con indubbio favore. E cioè trova decisa con-ferma l’orientamento restrittivo, apprezzabile specialmente nella prospettiva dell’armonizza-zione europea del diritto penale dell’economia, volto a valorizzare sempre più i reati falli-mentari quali ‘delitti d’impresa’50: prospettiva di certo già accolta dal nostro ordinamento, mache grazie ai nuovi parametri dimensionali si attesta con maggior decisione verso un pianosegnato da imprese collettive dalle dimensioni tutto sommato ragguardevoli.

4. Nuova revocatoria fallimentare e bancarotta preferenziale: interferenze e anti-nomie nel rapporto fra ‘preferenzialità civile’ e ‘preferenzialità penale’

Altra novità degna di rilievo è la modifica della disciplina della revocatoria fallimenta-re già introdotta, sulla scorta di ragioni d’urgenza, col cd. decreto sulla competitività (perl’appunto: art. 2, comma 1, del d.l. n. 35/2005). Tra gli obiettivi perseguiti con la riformula-zione dell’art. 67 l.f., vi è sia la razionalizzazione dell’istituto - tesa, da un lato, a ridurre ognipossibilità di ricorso strumentale all’azione revocatoria dimezzando i termini di decadenzae, dall’altro, ad estromettere dalla sua orbita situazioni meritevoli di tutela - sia la rimozionedi quei fattori che nell’esperienza giudiziaria avevano ingenerato incertezze e contrastiapplicativi di non poco peso.

Se volgiamo lo sguardo sul versante penalistico, gli obiettivi indicati ci rimandano un’i-stantanea dai contorni a dir poco sfocati. Come facilmente desumibile dal riflesso che ilnuovo art. 67 l.f. proietta già sulla bancarotta preferenziale: delitto che presidia la par con-dicio creditorum incriminando il fallito che, antecedentemente o in corso di procedura, ese-gua pagamenti preferenziali o simuli titoli di prelazione al fine di favorire taluno dei credito-ri a danno di altri (art. 216, comma 3, l.f.).

Com’è noto, tale fattispecie incriminatrice ritaglia da sempre un’area sostanzialmenteomogenea a quella disciplinata dagli artt. 65 e 67 l.f. - nonché dagli artt. 2901-2904 c.c. a

49 Così PULITANÒ, Diritto penale, cit., p. 718. 50 Per tutti, FOFFANI, Prospettive di armonizzazione europea del diritto penale dell’economia: le proposte delprogetto “eurodelitti” per la disciplina delle società commerciali, del fallimento, delle banche e dei mercati finan-ziari, in DOLCINI, PALIERO, (a cura di), Studi in onore di Giorgio Marinucci, III, Milano, 2006, spec. p. 2331 s.

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loro volta evocati dall’art. 66 l.f. La configurabilità del reato postula come già maturato unepilogo ben preciso: la dichiarazione di fallimento. Sul piano sostanziale il reato presuppo-ne tuttavia che al momento del negozio solutorio l’impresa versi in stato di insolvenza o -secondo un autorevole insegnamento - che questo si rappresenti già alle porte, poiché soloin un contesto di seria criticità è possibile che un atto lecito (il pagamento) col quale il debi-tore tenti di superare una difficoltà economica, possa ledere la par condicio e cioè costitui-re una sottrazione delle risorse destinate alla soddisfazione pro quota di altro creditore51.

Ora, pur nella autonomia della fattispecie penale, non vi era dubbio che il retroterranormativo rappresentato dal vecchio art. 67 l.f. costituisse in buona parte l’ambito d’elezio-ne delle condotte punibili a titolo di bancarotta preferenziale. Quel che civilisticamente rile-vava sul versante dell’incidenza dell’onere della prova - fra atti cd. anormali, per i quali èpresunto lo stato di insolvenza, ed atti cd. normali per i quali spetta al curatore la prova dellaconoscenza di tale stato in capo al terzo - sul corrispondente fronte penalistico finiva soven-te con lo svolgere una sorta di Appel-funktion, indiziando cioè in via interpretativa il mate-riale attraibile nell’orbita dell’art. 216, comma 3, l.f.: quegli atti per l’appunto revocabili inragione della loro incidenza sulla garanzia patrimoniale52. Il ruolo di effettivo selettore delpenalmente rilevante, per atti altrimenti ed unicamente inefficaci ex lege, nell’economiadella bancarotta preferenziale è sempre stato assunto in carico dal dolo specifico di danno:e ciò a buon ragione, giacché nella costruzione del tipo l’oggetto del dolo specifico - il dannoad uno dei creditori: id est l’indebita preferenza al vantaggiato53 - ne condensa appieno ilconnotato di offensività.

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51 PEDRAZZI, Commento all’art. 216, cit., p. 118 s., per il quale è sufficiente che “la situazione di sbilanciotra attività e passività … si profili come incombente”. Per la necessaria sussistenza di una insolvenza invecein atto: COCCO, La bancarotta preferenziale, Napoli, 1987, p. 157, p. 183. Parimenti, seppur in una prospet-tiva più generale volta alla riformulazione della disciplina penalfallimentare, FOFFANI, Crisi d’impresa e inter-vento penale: le linee di una riforma possibile, in PICCININI, SANTARONI, (a cura di), Crisi d’impresa e rifor-ma della legge fallimentare, Roma, 2002, p. 325.52 Con un’avvertenza: la mera revocatoria di un pagamento non rileva di per sé sulla sussistenza della ban-carotta preferenziale (CONTI, Diritto penale commerciale, II, cit., p. 188; PEDRAZZI, Commento all’art. 216,cit., p. 122), così come potrebbe non assumere rilievo ai fini penalistici la valutazione prognostica del pregiu-dizio (bensì solo ai fini della revocatoria, rilevando in sede penale l’accertamento ex post del danno intesoquale lesione della par condicio: Trib. Lecce, 30 novembre 1993, in Foro it., 1995, II, c. 669; COCCO, La ban-carotta preferenziale, cit., p. 184 s.; diff. MARINUCCI, Tendenze del diritto penale bancario, in ROMANO,STELLA, (a cura di), La responsabilità penale degli operatori bancari, Milano, 1980, p. 59 s.). Di contro, le dueazioni possono ben concorrere ma nel rispetto delle rispettive finalità e specificità: quella penale, tesa a col-pire il fallito (ed eventualmente ex art. 110 c.p. anche il creditore avvantaggiato se, a conoscenza dello statod’insolvenza del debitore, ne abbia istigato o determinato il pagamento preferenziale), quella revocatoria tesaa sanzionare il creditore (NUVOLONE, voce Fallimento (diritto penale), in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, p. 484).53 Che favoreggiamento di uno o più creditori e danno per gli altri siano termini assolutamente inscindibili eragià ben messo in chiaro da NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento, cit., p. 242.

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Orbene, il nuovo art. 67 l.f. è deliberatamente improntato ad un drastico ridimensiona-mento della forza attrattiva della revocatoria fallimentare: sia per la riduzione dei termini, siae soprattutto per le robuste - più per qualità che per quantità - esenzioni introdotte. Il punc-tum dolens risiede però nel fatto che la nuova revocatoria fallimentare rischia di incrinarel’orbita sin qui ingaggiata sul complementare versante penalistico dal tipo legale delineatodall’art. 216, comma 3, l.f.: interferenza la cui problematicità è generata dalla costruzioneautonoma del tipo penale, nel quale non v’è alcun rinvio in senso stretto al disposto dell’art.67 l.f. Precetti distinti ancorché omogenei quelli delineati dalle due disposizioni: omoge-neità, per l’appunto, in parte venuta meno a seguito della riforma del solo art. 67.

Da qui, la possibile emersione di una piattaforma di antinomie ingenerate da paga-menti non più assoggettabili a revocatoria fallimentare e pertanto da intendersi civilmenteefficaci in base al nuovo art. 67 l.f., ma che al contempo, sussistendo il dolo specifico,potrebbero continuare ad incorrere in sanzione penale in quanto ‘preferenziali’ a norma delvigente art. 216, comma 3, l.f.: si pensi ad un pagamento in denaro a fronte di un creditoliquido ed esigibile, effettuato sette mesi prima della sentenza di fallimento, con cui il debi-tore intenda favorire uno o più creditori - consapevoli del suo stato di insolvenza - a dannodegli altri (art. 67, comma 2, l.f.); a fortiori se poi la declaratoria giudiziale sia procrastinataoltre l’anno grazie ad una orchestrata strategia dilatoria del debitore, o di ritardo nella pro-posizione dell’istanza di fallimento da parte del creditore avvantaggiato54. Esiti presumibil-mente non ricercati dal legislatore della riforma eppure ben possibili nella prassi e che fini-scono col sovvertire la natura complementare e servente del penale: con buona pace delprincipio di sussidiarietà, alla riduzione dell’area della ‘preferenzialità civile’ può corrispon-dere su alcuni fronti una espansione della ‘preferenzialità penale’.

Com’è sin troppo evidente, l’antinomia venutasi a creare alimenta un germe capace diammorbare la vitalità del tessuto normativo: sul versante dell’unità dell’ordinamento giuridi-co, e - per quel che più rileva - sul versante del destinatario dei due precetti. Ora, sul terre-no penalistico è la ‘preferenzialità’ ad incarnare l’illiceità del fatto, costituendo essa l’ogget-to del dolo specifico: giacché la “psicologizzazione dell’effetto preferenziale” sta a significa-re come nel ‘fuoco’ della tutela penale entri la lesione - materiale o potenziale, qui pocoimporta - della par condicio55. Ciò nondimeno, è sul medesimo piano assiologico - in funzio-ne del rispetto della par condicio - che si muove tradizionalmente l’istituto della revocatoriafallimentare: e non sembra, per quanto fortemente innovata, che la nuova revocatoria abbia

54 SANDRELLI, Prime considerazioni, cit., p. 219.55 L’espressione è di PEDRAZZI, Commento all’art. 216, cit., p. 124.

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inteso rinnegare un tale assetto. Se così è, non è neppure ipotizzabile - sforzandosi di rico-noscere al legislatore della riforma la consapevolezza del problema e delle sue ricadute -la sussistenza di un duplice e distinto (ma malfermo) giudizio di illiceità: a taluni presuppo-sti, una illiceità civile da sanzionare con la revocatoria fallimentare; e ad altri e meno rigo-rosi una illiceità penale da colpire con l’art. 216, comma 3, l.f.

A tacer d’altro, l’effetto complessivo sarebbe quello di un messaggio incoerente e con-traddittorio lanciato verso il debitore: ed il peso di una siffatta incoerenza sarebbe intera-mente scaricato sulle sue spalle, in quanto effettuando un pagamento (d’ora in poi) lecitocivilmente assumerebbe il gravame dell’illiceità penale nella misura in cui l’atto rientri nellapreferenzialità di cui al terzo comma dell’art. 216 l.f.56.

Certo, nel tentativo di riannodare le fila di una illiceità unitaria, si potrebbe in tal casoritenere facoltizzato e dunque scriminato ai sensi dell’art. 51 c.p. il fatto: per tal modo neu-tralizzando l’effetto diabolico di una simile antinomia sul terreno dell’antigiuridicità. Col che,però, andrebbe forse riconsiderato il senso e la portata della tipicità - quale sede sinteticadel giudizio di lesività verso il bene giuridico57 - dell’art. 216, comma 3, l.f., riconoscendo perquest’aspetto una sorta di ‘primato dell’antigiuridicità’ sul fatto58. E coerentemente, sul ver-sante civilistico, occorrerebbe intravedere nelle situazioni descritte dal terzo comma dell’art.67 l.f., non già delle mere deroghe bensì delle fattispecie ab origine lecite59.

Per converso, si potrebbe addivenire ad una soluzione radicalmente opposta dandoprevalenza al precetto penale, sulla scorta del principio logico per il quale non è pensabi-le che la medesima condotta sia comandata dal diritto civile e al tempo stesso vietata daldiritto penale60. E precisamente: considerare nulli perché in contrasto con una norma impe-rativa - per l’appunto: l’art. 216, comma 3, l.f. - quegli atti e contratti stipulati dal debitore,e solo apparentemente consentiti dal terzo comma dell’art. 67 l.f.61. Col che però se, da unlato, si neutralizza sul nascere ogni antinomia ed al contempo ogni possibile strumentaliz-zazione della nuova revocatoria fallimentare, dall’altro lato, ne risulta profondamente tra-sfigurata la disciplina dell’art. 67 l.f.: dovendosi la sua effettiva portata ricavare da una let-

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56 Lucidamente - e con un esempio straordinariamente ‘premonitore’ - VIGANÒ, Stato di necessità e conflit-to di doveri. Contributo alla teoria delle cause di giustificazione e delle scusanti, Milano, 2000, p. 340 s.57 Tutt’ora fondamentale il contributo di MARINUCCI, Fatto e scriminanti. Note dommatiche e politico-crimi-nali, in MARINUCCI, DOLCINI, (a cura di), Diritto penale in trasformazione, Milano, 1985, spec. p. 194 ss.58 Coglie bene tale processo DONINI, Il volto attuale dell’illecito penale, cit., p. 143 ss.59 BRICCHETTI, Relazione per il convegno “La disciplina della crisi di impresa e il nuovo sistema revocato-rio: la riforma del diritto fallimentare nella delega legislativa”, Foggia 9 luglio 2005, in www.ipsoa.it/fallimento.60 Ancora VIGANÒ, Stato di necessità e conflitto di doveri, cit., p. 341.61 Con l’ulteriore effetto della ripetizione delle somme corrisposte: FABIANI, L’alfabeto della nuova revocatoriafallimentare, in Fall., 2005, p. 581; nella medesima direzione, SANTANGELI, Commento all’art. 67, cit., p. 298 s.

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tura congiunta in cui, a conti fatti, un ruolo assorbente in chiave ermeneutica andrebbeassegnato alla fattispecie penale62.

4.1. (Segue): bancarotta preferenziale e nuove esenzioni dalla revocatoria fallimentareFenomeno per certi versi inverso potrebbe essere indotto dalle nuove esenzioni sta-

bilite dal terzo comma dell’art. 67 l.f.: segno di una rinnovata valutazione degli interessi ingioco e della loro meritevolezza, la riforma individua un’area di condotte che, a prescinde-re dalla situazione di insolvenza del debitore su cui insistono, non è più possibile sottopor-re a revocatoria fallimentare.

Il riflesso sulla sfera della bancarotta preferenziale sembra questa volta assumereconnotati radicalmente diversi, rispetto all’espansione lamentata poc’anzi: giacché le con-dotte beneficiate dal terzo comma dell’art. 67 rimandano ad una nuova ricomposizione del-l’equilibrio tra i beni giuridici coinvolti nel conflitto fra le ragioni del debitore e la finalità diconservazione dell’impresa o delle sue capacità produttive da un lato, e l’interesse all’inte-grale ed oltranzistico rispetto della par condicio o meglio delle priorità di trattamento garan-tite dal legislatore dall’altro. Il nuovo assetto non è dunque privo di conseguenze sul pianosanzionatorio. Perché a mutare, questa volta, è la stessa piattaforma di valori giuridici chesegnano il volto di ciò che è meritevole di tutela penale: da qui, un corrispondente riallinea-mento lungo le retrovie dell’offensività quale canone anche ermeneutico oltre che costituti-vo dell’intervento del gendarme penalistico.

Così ridefinite le coordinate dei programmi di tutela, non saranno punibili i pagamentidi beni e servizi effettuati nei termini d’uso, ancorché si traducano in un privilegio per talu-no dei creditori. Con una duplice avvertenza: che il pagamento effettuato non si manifestieccentrico rispetto all’esercizio dell’attività d’impresa, e fatta salva l’incognita interpretativarimessa alla esatta determinazione del perimetro semantico della locuzione “termini d’uso”di cui alla lett. a), terzo comma, dell’art. 67 l.f.63.

62 E da qui, un ulteriore problema collaterale. La centralità ermeneutica che si riconoscerebbe alla normapenale, nella determinazione del contenuto della revocatoria fallimentare, rischia di riverberarsi sul contenu-to del dolo eventuale rendendolo ancor più esangue - soprattutto nel suo ruolo di spartiacque fra bancarottasemplice e fraudolenta. Ed in particolare, verrebbe meno la possibilità di arricchirne il contenuto normativa-mente, avvalendosi a tal fine delle regole di prudenza che segnano l’agire del soggetto economico: regole,all’evidenza, delineate dal diritto commerciale: v. DONINI, I pagamenti preferenziali nella bancarotta (art. 216,comma 3, l. fall.): frode ai creditori e colpa grave come limiti “esterni” alla fattispecie. Il rischio non più con-sentito come elemento oggettivo “interno”, in St. iur., 1999, p. 144 s.; CANESTRARI, “Rischio d’impresa” eimputazione soggettiva nel diritto penale fallimentare, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2003, p. 547 ss.63 Sicché, ad esempio, esenti da revocatoria e dunque non punibili saranno tutti i pagamenti normali del fal-lito ai fornitori dell’impresa: non così innanzi a pagamenti per debiti personali effettuati dal fallito - o da soci illi-mitatamente responsabili per le società di persone -, ovvero a fronte di pagamenti volti ad estinguere crediti

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A fronte di un compromissorio quanto consolidato indirizzo repressivo, a tenore delquale erano revocabili e quindi punibili le rimesse su conto corrente bancario finalizzate alrientro dalla scopertura64, non è chiaro se la nuova disposizione (art. 67, comma 3, lett. b,l.f.) abbia inteso innovare sul punto. Qualora si optasse per la soluzione affermativa, rite-nendo pertanto superato il pregresso arresto giurisprudenziale - valorizzando a tal fine iltrattamento già favorevole per gli interessi e le posizioni bancarie riconosciuto anche dal-l’art. 70, comma 2, l.f.65 -, ne conseguirebbe un sensibile slittamento dell’area della sanzio-nabilità: ancorata, più che sulla natura intra- o extrafido della rimessa, unicamente sul requi-sito finalistico della consistente e durevole riduzione dell’esposizione verso la banca credi-trice66. Una rimodulazione, questa, maggiormente in linea col piano della tutela penale giac-ché in grado di arricchire ancor di più, sotto il profilo dei contenuti, il dolo specifico richiestodall’art. 216, comma 3, l.f.

Il processo di riequilibrio in atto, polarizzato verso un consolidamento dell’offerta diulteriori possibilità di salvezza dell’impresa insolvente - processo sin qui ad uno stadioembrionale ancorché già riconoscibile -, trova la sua più fedele espressione nella esenzio-ne da revocatoria prevista dalla lett. d) del terzo comma dell’art. 67 l.f.

Invero, tale disposizione garantisce la non esperibilità della revocatoria fallimentare pergli atti, pagamenti o concessioni di garanzie su beni del debitore qualora siano elementi ese-cutivi di un piano di risanamento dell’esposizione teso ad assicurare il riequilibrio della suasituazione finanziaria, e la sua ragionevolezza risulti asseverata da un’apposita relazione.L’esenzione da revocatoria è subordinata al legame finalistico degli atti dispositivi a taluni ele-

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scaduti da notevole tempo. Resta incerto se “termini d’uso” possano essere anche quelli, per quanto non gene-ralmente praticati nel mercato di riferimento, invalsi nel singolo rapporto commerciale fra il fallito ed il credito-re: col rischio, in caso di risposta affermativa, di lasciare esenti da responsabilità quelle condizioni di pagamen-to più onerose se non vessatorie imposte dal fornitore al debitore (così SANTANGELI, Commento all’art. 67,in ID., (a cura di), Il nuovo fallimento, cit., p. 277 s.). Anche per ulteriori approfondimenti, sul concetto “terminid’uso” v. DE CRESCIENZO, PANZANI, Il nuovo diritto fallimentare, Milano, 2005, p. 94 ss.; DI MARCELLO,Commento all’art. 67, in TERRANOVA ed altri, (a cura di), La nuova legge fallimentare annotata, cit., p. 115 s.64 La giurisprudenza prevalente ha sino ad oggi sostenuto la revocabilità dei soli versamenti su conto corren-te scoperto, cioè non solo passivo ma oltre il fido, sul presupposto che le rimesse entro l’affidamento fosseroda qualificarsi quale ricostituzione della provvista; ed in sede penale l’applicabilità dell’art. 216, comma 3, l.f.,alle rimesse - sempre extra-fido - delle quali per modalità e importi fosse desumibile la finalizzazione prefe-renziale verso la banca creditrice: rispettivamente v. BONELLI, La revocatoria delle rimesse bancarie in contocorrente: la giurisprudenza della Cassazione a partire dal 1982, in Giur. comm., 1987, I, p. 220 ss.; e per larilevanza penale di tali condotte v. Trib. Ferrara, 4 novembre 1991, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1991, p. 1274,annotata da SCHIAVANO.65 TARZIA, Le esenzioni (vecchie e nuove) dall’azione revocatoria fallimentare, in Fall., 2005, p. 841; SAN-TANGELI, Commento all’art. 67, cit., p. 279. Contra, DE CRESCIENZO, PANZANI, Il nuovo diritto fallimenta-re, cit., p. 101.66 Su tale clausola aperta, v. GUGLIELMUCCI, La nuova normativa sulla revocatoria delle rimesse in contocorrente, in Dir. fall., 2005, I, p. 808 ss.

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menti di garanzia: il piano di risanamento la cui ragionevolezza dev’essere ‘certificata’ anorma dell’art. 2501 bis, comma 4, c.c. E non è chi non veda, di contro, quanto labile possaessere la solidità di simili ‘garanzie’: giacché l’idoneità del piano di salvataggio a consentire ilrientro dall’esposizione debitoria ed il riequilibrio finanziario dell’impresa in crisi poggianonecessariamente su valutazioni prognostiche effettuabili cioè solo ex ante; e la relazione degliesperti, imposta dal rinvio al comma 4 dell’art. 2501 bis c.c.67, non potrà che limitarsi ad asse-verare la ragionevolezza dei criteri e delle valutazioni sfocianti nel giudizio prognostico68.

Ciò nondimeno, la norma mantiene una sua razionalità ed efficienza: non foss’altro per-ché essa è chiamata ad operare sul presupposto che tale piano si riveli - ex post - infruttuoso,sfociando la vicenda nella dichiarazione di fallimento. A differenza delle altre ipotesi, ove sivalutano rapporti assunti nel normale esercizio dell’impresa, i pagamenti e gli atti posti in esse-re dal debitore in questo caso sono adottati allo specifico fine di risanare l’impresa evitandopertanto la tracimazione nel fallimento: ragion per cui l’esenzione de qua mira unicamente afacilitare i tentativi volti a superare lo stato di crisi dell’imprenditore69. Per quest’aspetto, lanorma prende posizione a tutela di prassi ben note e finalizzate alla soluzione della crisi in viaextragiudiziaria70: tecniche di risanamento sulle quali incombeva nel passato, tanto sul debito-re quanto sui creditori coinvolti, in caso di successivo fallimento la duplice scure e della revo-catoria dei pagamenti effettuati in esecuzione dell’accordo e della bancarotta preferenziale71.Ecco perché le pretese di razionalità ed efficienza rimesse all’esenzione in parola, onde nonessere vanificate, postulano la non configurabilità della bancarotta preferenziale.

L’offerta di questa chance di recupero, e quindi la razionalità e l’efficienza della mede-sima regola, poggia su un duplice ‘salvacondotto’. E precisamente: là dove il piano di sal-vataggio fallisca, i pagamenti effettuati e le garanzie concesse non verranno resi inefficaci

67 È forse opportuno rammentare che il quarto comma dell’art. 2501 bis c.c., in caso di operazioni di levera-ged buy out - cioè fusione a seguito di acquisizione con indebitamento, ove i debiti contratti per acquisire lasocietà target vengono garantiti o rimborsati col patrimonio di quest’ultima -, richiede che una relazione pre-disposta da esperti attesti la ragionevolezza di quanto indicato nel progetto di fusione e cioè risorse finanzia-rie e modalità occorrenti per il soddisfacimento delle obbligazioni della società risultante dalla fusione.68 Con la riforma, l’accettazione del piano di risanamento da parte di tutti i creditori non costituisce più unacondicio sine qua non. Nel silenzio della norma, non è chiaro se il debitore necessiti del consenso di queicreditori nei cui confronti il piano di risanamento proposto presenti rinunce o decurtazioni. Dubbio che potreb-be sciogliersi affermativamente facendo leva sul requisito della ‘ragionevolezza’ del piano: sostenendo cioèche la mancata accettazione delle condizioni da parte della totalità o della stragrande maggioranza dei credi-tori, rappresenterebbe per ciò solo un grave elemento di irragionevolezza (PANZANI, Il D.L. 35/2005, la L. 14maggio 2005 n. 80 e la riforma della legge fallimentare, in www.ipsoa.it/fallimento, p. 30). 69 SANTANGELI, Commento all’art. 67, cit., p. 287 s.70 Cfr. FERRO, I nuovi strumenti di regolazione negoziale dell’insolvenza e la tutela giudiziaria delle intesefra debitore e creditore: storia italiana della timidezza competitiva, in Fall., 2005, p. 587 ss.71 PROIETTI, Commento all’art. 67, in TERRANOVA ed altri, (a cura di), La nuova legge fallimentare anno-tata, cit., p. 122 ss.

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dalla revocatoria fallimentare, né integreranno il fatto criminoso di cui al terzo comma del-l’art. 216 l.f. Nessuna spinta motivazionale e dunque scarsa praticabilità potrebbe mai van-tare una strategia normativa che non elimini per tabulas il rischio di incorrere in sanzione72:in caso di fallimento, quella civile dell’inefficacia dell’atto per il creditore, e quella privativadella libertà personale per il debitore73.

Ancor più che sotto la previgente normativa, i ‘dadi’ della preferenzialità penalmenterilevante si giocano oggi sul tappeto di una più stringente enucleazione dell’oggetto del dolospecifico. Che se nel passato la giurisprudenza penale configurava la bancarotta preferen-ziale, ritenendo compatibile il dolo specifico con la finalità di promuovere una composizio-ne extragiudiziaria della crisi - quale giustificazione del pagamento a vantaggio di taluni cre-ditori -, oggi tale assunto appare non più praticabile74. Sicché l’unico e residuale ambito dioperatività del delitto di cui all’art. 216, comma 3, l.f., si circoscrive alle ipotesi di fraudolen-ta preordinazione del piano (apparentemente) di risanamento ad esclusivo e preferenzialevantaggio di taluno fra i creditori. Assuma il fatto le sembianze di una trattativa, o di unapreordinata desistenza del creditore interessato all’istanza di fallimento: elementi entrambidi una strategia dilatoria che, a mezzo di una attività artificiosa, si rivela volta al persegui-mento di un fine estraneo al risanamento dell’impresa75.

4.2. (Segue): i riflessi sulla bancarotta fraudolenta patrimonialeIl nuovo testo dell’art. 67 r.d. n. 267/1942 potrebbe infine creare qualche incertezza in

tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, e precisamente sul versante delle condotte didistrazione quale modalità prevista dall’art. 216, comma 1, n. 1, l.f.

Il novellato art. 67, al n. 1 del primo comma, recependo un indirizzo consolidato nellagiurisprudenza civile, con riferimento agli atti a titolo oneroso compiuti entro l’anno non siaccontenta più di una “notevole” sproporzione fra le prestazioni eseguite o le obbligazioni

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72 Il problema è ben colto da LO CASCIO, La nuova legge fallimentare: dal progetto di legge delega alla mini-riforma per decreto legge, in Fall., 2005, p. 362; FORTUNATO, L’incerta riforma della legge fallimentare, ivi,2005, p. 598 s.73 Ed eventualmente, ex art. 110 c.p., anche per i creditori interessati qualora, consapevoli dello stato di insol-venza del debitore, influiscano causalmente sulla determinazione del pagamento così contribuendo anch’es-si a violare la par condicio: PEDRAZZI, Commento all’art. 216, cit., p. 132 ss.; altresì, INSOLERA, Il concor-so di persone nei reati fallimentari, in questa Rivista, 2002, p. 817 ss.; CERQUA, Il concorso del creditorefavorito nel delitto di bancarotta preferenziale, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2003, p. 565 ss.74 Assunto che, per vero, era già difficilmente sostenibile innanzi ad una rigorosa interpretazione dell’elemen-to psicologico della bancarotta preferenziale: PEDRAZZI, Commento all’art. 216, cit., p. 126 s., ed ivi richia-mi giurisprudenziali (spec. in note 23 e 25). Diversamente, ritenendo l’art. 216, comma 3, l.f., solo apparente-mente a dolo specifico: GIULIANI-BALESTRINO, La bancarotta e gli altri reati concursuali, cit., p. 454 ss.75 SANDRELLI, Prime considerazioni, cit., p. 220.

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assunte, pretendendo ai fini della revocatoria che essa sia “oltre un quarto”76. Ben note le que-stioni e i disorientamenti della giurisprudenza penale - in specie in caso di finanziamenti infra-gruppo77 - innanzi ad atti dispositivi cui corrispondeva un corrispettivo di valore inadeguato. Equindi: si attesterà domani la giurisprudenza penale sul criterio valutativo del ‘quarto’ introdot-to dall’art. 67 - accedendo per quest’aspetto alle cadenze argomentative già sperimentatesotto la vigenza del vecchio art. 2629 c.c., ove si richiamava il criterio di valutazione del ‘quin-to’ dettato dall’allora art. 2343, comma 4, c.c.78 - o preferirà adagiarsi sulle orme già tracciatee segnate da un ondivago incedere fra poli evanescenti ma elastici quali “la serietà” della con-troprestazione o la generica “congruità” del criterio economico di stima adottato dal fallito?79

Problema di non poco conto all’evidenza. Anche perché la scelta di affidarsi ad unasoglia così rigida nella determinazione dello squilibrio rilevante delle prestazioni non è esen-

76 Invero, la giurisprudenza soleva ‘concretizzare’ la notevole sproporzione muovendosi lungo una fasciacompresa tra il 20 ed il 30%: Trib. Torino, 27 giugno 1997, in Fall., 1997, p. 1038; Trib. Lecce, 11 marzo 1988,ivi, 1988, p. 823; non mancava un indirizzo in cui, sul presupposto della elasticità del criterio, la “notevole”sproporzione veniva di volta in volta ravvisata in relazione alle circostanze concrete di tempo, luogo e setto-re merceologico interessato: BARONTINI, Commento all’art. 67, in TERRANOVA ed altri, (a cura di), La nuovalegge fallimentare annotata, cit., p. 111, ove riferimenti giurisprudenziali; FABIANI, L’alfabeto della nuova revo-catoria fallimentare, cit., p. 583 s.77 Un’interpretazione alquanto lata è fatta propria, fra le tante, da Cass., 4 febbraio 2000, n. 5503, ove sisostiene l’astratta legittimità di un finanziamento a vantaggio della capogruppo, ancorché privo di immediatao apprezzabile contropartita per la singola consociata, purché sia giustificato dall’interesse del gruppo. Di con-tro una più rigorosa giurisprudenza - Cass., 19 gennaio 2000, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2000, p. 1084;Cass., 14 dicembre 2000, ivi, 2000, p. 1087 - sul presupposto dell’autonomia giuridica delle singole consocia-te ritiene penalmente rilevanti a titolo di distrazione quei finanziamenti non adeguatamente compensati dallacontroprestazione della società beneficiaria: e ciò persino nel caso in cui l’interesse ad un finanziamentosenza adeguata contropartita a favore di una consociata in stato prossimo all’insolvenza fosse unicamentedettato dall’esigenza di evitare il fallimento di quest’ultima e di rimando ‘a cascata’ quello delle altre societàcontrollate (Cass., 8 luglio 2002, ric. G.).In letteratura, quantomeno, cfr. PEDRAZZI, Dal diritto penale delle società al diritto penale dei gruppi: un dif-ficile percorso, in I gruppi di società, III, Milano, 1996, p. 1784 ss. (ed ora in Diritto penale, III, cit., p. 815 ss.);ACCINNI, La responsabilità penale degli amministratori nel gruppo di società, in Le società, 1992, p. 1635 ss.;FOFFANI, Le aggregazioni societarie di fronte al diritto penale: appunti sulle nozioni di “partecipazione rile-vante”, “collegamento”, “controllo” e “gruppo”, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1993, p. 124 ss. Una rapida ma pun-tuale panoramica è in SCAROINA, Societas delinquere potest. Il problema del gruppo di imprese, Milano,2006, p. 49 ss. Da rammentare, infine, che a seguito della riforma del diritto societario (cfr. in particolare gliartt. 2467 e 2497 bis c.c.) i finanziamenti in conto soci o i finanziamenti infragruppo concessi ad una societàche si trovi in una situazione di squilibrio finanziario - ai sensi del secondo comma dell’art. 2467 c.c. - oveeffettuati nell’anno precedente alla dichiarazione di fallimento di quest’ultima vanno restituiti.78 Problema interpretativo che si ripropone inalterato dopo la riforma dei reati societari: cfr. MORMANDO,Capitale sociale, conferimenti e legge penale, Padova, 2002, p. 43 ss.; MUSCO, I nuovi reati societari, Milano,2004, p. 187; MUCCIARELLI, La tutela penale del capitale sociale e delle riserve obbligatorie per legge, inALESSANDRI, (a cura di), Il nuovo diritto penale delle società, cit., p. 306 ss.79 Rispettivamente, fra le tante, Cass., 17 maggio 1997, in Riv. pen. econ., 1997, p. 343; Cass., 4 novembre1993, in Cass. pen., 1995, p. 1635. In dottrina, PEDRAZZI, Commento all’art. 216, cit., p. 56 ss.; COCCO, Iconfini tra condotte lecite, bancarotta fraudolenta e bancarotta semplice nelle relazioni economiche all’inter-no dei gruppi di società, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2003, p. 1033 ss.

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te da risvolti negativi. Non è chi non veda, infatti, quali rischi possano annidarsi dietro un para-metro fisso a fronte di talune tipologie di beni i cui prezzi sono stabiliti da listini: uno scosta-mento, ad esempio, del 15% nel prezzo di una partita d’oro si rivela di per sé già notevolmen-te sproporzionato; non così, invece, qualora si abbia a che fare con contratti para-aleatoridove persino uno scostamento di oltre il 30% può non essere notevolmente sproporzionato80.

5. La nuova disciplina del concordato preventivo: i riflessi sull’art. 236, comma 2, l.f.Nell’architettura complessiva della precedente disciplina, il concordato preventivo rap-

presentava una procedura ‘minore’, alternativa al fallimento e connotata da notevole rigiditàsia per le percentuali da garantire ai creditori sia per la pervasività e severità del controllo giu-diziario. L’accesso al concordato preventivo era consentito sulla base della sussistenza deirequisiti soggettivi del debitore e dell’insolvenza: condizione quest’ultima nella sostanza ana-loga, fatta salva la natura anticipatoria del concordato preventivo, a quella richiesta per il fal-limento. Da qui, secondo l’orientamento prevalente, l’equiparazione del decreto di ammissio-ne al concordato alla declaratoria fallimentare, così giustificando la previsione dell’art. 236,comma 2, nn. 1 e 2, l.f.81: e cioè l’estensione ad amministratori, direttori generali, sindaci eliquidatori di società nonché all’institore delle condotte previste dagli artt. 223, 224 e 227 l.f.82.

Il decreto sulla competitività ha radicalmente trasformato l’istituto del concordato pre-ventivo, rendendo tale procedura maggiormente funzionale all’obiettivo del risanamentodell’impresa o della restituzione al mercato di quegli asset tutt’ora appetibili83. Per quel cherileva agli effetti della disciplina penale, balza subito all’attenzione una duplice novità. Laprima: l’eliminazione di ogni riferimento sia ai requisiti personali del debitore in sede dirichiesta di ammissione, sia al giudizio di meritevolezza in sede di omologazione84. Laseconda: lo stato di crisi - in luogo del precedente stato di insolvenza - quale presuppostoeconomico-finanziario legittimante l’ammissione al concordato. Nota la ragione: agevolare

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80 FABIANI, Appunti sulla riforma della revocatoria fallimentare per prestazioni squilibrate con una lente sulmercato immobiliare, in Foro it., 2005, I, c. 1422 ss.81 CONTI, Diritto penale commerciale, II, cit., p. 430 ss.; Cass., 6 ottobre 1999, in Riv. trim. dir. pen. econ.,2000, p. 479; contra, MANGANO, Disciplina penale del fallimento, Milano, 2003, p. 211 ss.82 Estensione, quest’ultima, giudicata da buona parte della letteratura illogica, contraddittoria e foriera di nonpoche lacune e disparità di trattamento: per un tentativo teso ad una razionalizzazione in via sistematica v.COCCO, Commento all’art. 236, in PALAZZO, PALIERO, (a cura di), Commentario breve, cit., p. 1069 ss.83 Cfr. CANALE, Il concordato con cessione di beni, accollo o altre operazioni straordinarie, in Riv. dir. proc.civ., 2005, p. 897 ss.84 Come ben noto, il mancato possesso dei requisiti personali - e segnatamente l’esistenza di precedentipenali in materia di bancarotta, delitti contro il patrimonio, la fede pubblica, l’economia pubblica, il commercioe l’industria, nonché l’accertamento di fatti di frode - conduceva alla dichiarazione di fallimento e dunqueall’applicabilità in capo all’imprenditore dei reati fallimentari.

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le condizioni di accesso alla procedura e soprattutto evitare che, in caso di insolvenza o dirigetto della domanda di ammissione, il Tribunale dichiarasse per ciò solo il fallimento.

Un primo ordine di problemi può oggi scaturire dalla scelta legislativa che individuanello stato di crisi - e non più nello stato di insolvenza - il presupposto oggettivo legittiman-te la richiesta di ammissione al concordato preventivo.

Nella sua versione originaria, l’art. 160 l.f. non chiariva cosa dovesse intendersi per“stato di crisi”: problema risolto in parte dall’art. 36, comma 1, d.l. 30 dicembre 2005, n. 273,che - ponendo fine al dibattito fra coloro che vi vedevano ricompresa l’insolvenza, e coloroche invece sostenevano trattarsi di un quid minus e comunque di un fenomeno radicalmen-te diverso dal primo85 - ha inserito un secondo comma nell’art. 160 l.f., così sancendo che“per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza”.

Nessun dubbio sull’obiettivo preso di mira dal legislatore: agevolare il più possibile l’in-tervento sulle crisi d’impresa86. E precisamente, da un canto, ridurre i margini di discrezio-nalità giudiziale sulle condizioni di salute del debitore e, dall’altro, evitare che, in caso diinsolvenza o di rigetto della domanda di ammissione, il Tribunale dichiari per ciò solo il fal-limento. L’analisi letterale della disposizione lascia intendere come lo stato di crisi possaanche comprendere l’insolvenza: e dunque sia quelle situazioni di squilibrio irreversibile, siaquelle in cui l’impresa manifesta l’impossibilità di adempiere alle obbligazioni in scadenza,sia infine quelle situazioni in cui è possibile pronosticare per l’immediato futuro il verificarsidi uno degli inconvenienti or ora indicati87.

La scelta operata in merito alla definizione del presupposto oggettivo legittimante ladomanda di ammissione al concordato preventivo, se valutata col metro delle disposizionipenalistiche presenta tuttavia qualche margine di perplessità. Ciò in quanto, con straordi-naria superficialità, non si è avvertita l’esigenza di coordinare i nuovi artt. 160, 161 e 163con il vecchio e tutt’ora vigente testo dell’art. 162 l.f.88.

85 Per tutti: lungo la prima direzione, così sostenendo l’ammissibilità alla procedura sia in caso di insolvenzache di semplice squilibrio o difficoltà, JORIO, Le soluzioni concordate delle crisi d’impresa tra ‘privatizzazio-ne’ e tutela giudiziaria, in Fall., 2005, p. 14523 ss.; CANALE, Il concordato con cessione, cit., p. 900; lungo laseconda direzione, escludendo pertanto che in stato di insolvenza il debitore possa essere ammesso alla pro-cedura di concordato preventivo, G. ALESSI, Il nuovo concordato preventivo, in Dir. fall., 2005, I, p. 1134 s.;BOZZA, Le condizioni soggettive ed oggettive del nuovo concordato, in Fall., 2005, p. 954 ss.86 Come si evince chiaramente dal contenuto ‘aperto’ della norma, la quale riconosce assoluta libertà di nego-ziazione in ordine alla definizione delle posizioni debitorie all’imprenditore in crisi: ALLEGRITTI, Commentoall’art. 160, in SANTANGELI, (a cura di), Il nuovo fallimento, cit., p. 707 s., p. 711 ss.87 In tal senso mostrava già di orientarsi la giurisprudenza civile formatasi antecedentemente all’interventodell’art. 36, comma 1, d.l. n. 273/2005: Trib. Sulmona, 6 giugno 2005, in Fall., 2005, p. 793, annotata daBOZZA; Trib. Salerno, 3 giugno 2005, ivi, 2005, p. 1297, con commento di FAUCEGLIA.88 Superficialità, forse, sintomo di un malessere più profondo: stigmatizza la frettolosità e lo scadente tecni-cismo con cui si è varata la riforma, LO CASCIO, I principi della legge delega della riforma fallimentare, inFall., 2005, p. 985 ss.

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Invero, come si è già evidenziato, nel nuovo assetto impresso al concordato preventivoil tribunale non è più chiamato a valutare i requisiti personali del debitore - la cui insussisten-za in passato conduceva alla dichiarazione di fallimento - essendo in loro vece sottoposto all’e-same giudiziale la completezza e la regolarità della documentazione depositata a supporto delpiano che il debitore propone a norma del primo comma dell’art. 160 (lett. a, b, c, d). In buonasostanza, al sindacato giudiziale è ora precluso il merito della proposta limitandosi, a conti fatti,ad una verifica formale sulla sola documentazione allegata: atti e documenti fra i quali nonrientrano più le scritture contabili.

A fronte di un siffatto controllo cartolare, il superstite art. 162 l.f. consente al tribunale, condecreto non reclamabile, di dichiarare inammissibile la proposta, ed al secondo comma con rigi-do automatismo di dichiarare il fallimento del debitore. Sorvolando sull’incongruenza di un pote-re di rigetto che l’art. 162, comma 1, continua ad ancorare ad un soppresso sindacato di meri-to - “se non ricorrono le condizioni previste dal comma 1 dell’art. 160 o se … la proposta di con-cordato non corrisponde alle condizioni indicate nel comma 2 dello stesso articolo” -, quel chedesta seria preoccupazione è altro. E precisamente: posto che il debitore può presentare la pro-posta di concordato preventivo anche in condizioni di non insolvenza e cioè in stato di crisi,stante il rigido automatismo che - ex art. 162, comma 2, l.f. - avvince inammissibilità della pro-posta e declaratoria di fallimento, ne consegue che in tal caso il fallimento verrebbe dichiaratoper un quid minus rispetto all’insolvenza. Da qui, un grave vulnus nel cuore del sistema: a partel’evidente assurdità di un fallimento in condizioni di non insolvenza, quel che emerge è unaintollerabile disparità di trattamento sul piano penale. Ed invero, premesso che, per opinioneconsolidata, la metastasi economico-finanziaria che innesca la procedura costituisce oggetto diaccertamento da parte del giudice penale89, una frammentazione semantica lungo i poli (in talcaso distinti) della crisi e dell’insolvenza ancorerebbe l’estensione punitiva di cui all’art. 236,comma 2, l.f., ad un presupposto meno grave: lo stato di crisi. Con l’effetto di attribuire all’inter-vento repressivo il duplice connotato dell’arbitrarietà e dell’irrazionalità, giacché solo ed unica-mente in sede di concordato preventivo l’area del penalmente rilevante - delineata dai richia-mati artt. 223, 224 e 227 l.f. - si attesterebbe su un quid minus. E da qui, l’ulteriore irragionevo-lezza di un trattamento sanzionatorio che, stante l’identità delle comminatorie edittali, non riu-scirebbe - se non in sede di dosimetria della pena ex art. 133 c.p. - a dar conto del diversodisvalore di un fatto ancorato rispettivamente allo stato di crisi e allo stato di insolvenza.

Nel tentativo di recuperare la ‘razionalità perduta’ e nell’attesa che il legislatore provvedaa risolvere il problema, si potrebbero ravvisare tre rimedi interpretativi.

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89 Al pari di ogni altro elemento costitutivo o presupposto dell’incriminazione: MANGIONE, La bancarottafraudolenta, cit., p. 611.

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Il primo: violentando lo ‘spirito’ della riforma, si potrebbe riconoscere un notevole sin-dacato di merito al tribunale, peraltro smussando l’automatismo della declaratoria fallimen-tare; il che avverrebbe ritagliando un ‘doppio giudizio’: una prima volta, in sede di ammis-sione al concordato preventivo, ove sarebbe sufficiente lo stato di crisi; una seconda volta,e cioè in caso di rigetto della domanda, il fallimento andrebbe dichiarato non già de planobensì solo previo accertamento della sussistenza dello stato d’insolvenza.

Il secondo: consentire al giudice penale un più disinvolto esercizio del suo potere di accer-tamento autonomo sino a sindacare la dichiarazione di fallimento che fosse pronunciata in statodi crisi, e per tal modo ritenere non configurabile il reato ad essa formalmente ancorato.

Il terzo: obliterando l’interpretazione autentica di cui al secondo comma dell’art. 160l.f., appiattire semanticamente lo stato di crisi sino a farlo coincidere in toto con lo stato diinsolvenza90.

Certo, non va sottaciuto come le possibili letture alternative qui abbozzate si presen-tino tutte alla stregua della ‘coperta troppo corta’. Ed invero, la prima e la terza, a parte l’e-vidente slabbratura del dettato normativo, finirebbero col ridimensionare l’appetibilità delconcordato preventivo, reintroducendo un potente sindacato di merito che inevitabilmentefarebbe risorgere una temibile ‘barriera’ all’accesso al concordato: di certo, il volto dell’isti-tuto ne uscirebbe significativamente trasfigurato e con esso vanificati gli obiettivi persegui-ti dal legislatore della riforma. La seconda via, oltre a lasciare immutata la segnalata irra-zionalità di fondo sul versante civilistico - e ritenendo superato il problema del cd. giudica-to implicito della sentenza fallimentare91 - avrebbe l’inconveniente di stabilizzare una discra-

90 Si potrebbe, a tal fine, argomentare dalla equiparazione fra dissesto ed insolvenza, la cui sostanziale iden-tità di contenuti (già enucleata da PEDRAZZI, Commento all’art. 224, cit., p. 335) trova oggi conferma nellariformulazione della bancarotta fraudolenta impropria ex art. 4 d.lgs. n. 61/2002, e da qui sostenere infine laconsonanza di significato fra dissesto e stato di crisi.91 Sulla scia di Cass., 1 dicembre 1990, cit., p. 643. Da segnalare, inoltre, come a tal proposito il progetto dilegge n. 7497 del 14 dicembre 2000 a firma dei deputati Veltroni, Mussi ed altri, recante “Delega al governoper la riforma delle procedure della crisi d’impresa” - a differenza del testo licenziato dalla CommissioneTrevisanato il 20 giugno 2003 e trasmesso il 3 luglio 2003 ai Ministri della Giustizia e dell’Economia (oveall’art. 16, comma 10, lett. e) viene rimarcata la prevalenza del giudicato fallimentare nel processo penale) -prevedesse l’eliminazione della pregiudiziale fallimentare: condivisibile il giudizio positivo espresso da FOF-FANI, La riforma delle procedure concorsuali: profili penali (in margine alla proposta di legge n. 7497 del 14dicembre 2000, per la riforma delle procedure della crisi d’impresa), in Crit. dir., 2001, p. 102 ss.; MANNA,Dalla riforma dei reati societari alla progettata riforma dei reati fallimentari, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2003,p. 701 s. Più in generale, per una rimeditazione dei rapporti tra accertamento penale e sentenza fallimenta-re, v. BUSETTO, Giudice penale e sentenza dichiarativa di fallimento, Milano, 2000; PERDONÒ, Fatti di ban-carotta e declaratoria di fallimento: dal problematico inquadramento dogmatico ad una proposta de iure con-dendo, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2004, p. 447 ss. Alla luce della recente presa di posizione delle SezioniUnite - 24 maggio 2004, n. 29951 - favorevole alla ‘prevalenza del penale’ in materia di cautela reale, si v.PACILEO, Sui rapporti tra procedimento penale e procedura fallimentare, in Cass. pen., 2005, p. 2437 ss.

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sia nei rapporti fra il dictum del tribunale fallimentare e il giudizio penale: discrasia, come sisa, sempre latente ma che in tal caso assurgerebbe al rango di pericolosa costante delsistema. Tutto ciò, ad ogni modo, non toglie che dalla visuale del penalista - e di sicuro daquella del debitore - sia forse preferibile sostenere il costo insito in queste esternalità disistema, col vantaggio però di mantenere salda la responsabilità penale che la legge incen-tra sulla declaratoria fallimentare a condizioni sostanziali di insolvenza.

6. Quale tutela penale contro il mendacio e le infedeltà dichiarative del debitorenella procedura di concordato preventivo?

La riforma della procedura di concordato preventivo pone al penalista un ulteriore edirimente tema di riflessione: la tutela della correttezza delle informazioni sulla situazionepatrimoniale, economica e finanziaria del debitore. Si è già sottolineato come il nuovo testodell’art. 163 l.f. sottragga al Tribunale quel penetrante fascio di poteri che lo conducevanoa sindacare nel merito la proposta di concordato. La disciplina introdotta infatti ritaglia deli-beratamente al giudice un ruolo formale, che si risolve nella mera validazione del ricorsoattraverso la verifica della “completezza e regolarità della documentazione”. In poche paro-le, con una scelta ben precisa, dal proscenio della procedura è stato estromesso quelgatekeeper che l’esperienza applicativa aveva visto esercitare il proprio ruolo con una seve-rità ed intransigenza ritenuta da taluni eccessive.

Il quadro normativo testé richiamato, all’evidenza, riacutizza la questione del control-lo sulla serietà e soprattutto sull’attendibilità delle informazioni e dei documenti su cui ripo-sa la proposta di concordato preventivo - o degli ulteriori ragguagli forniti in corso di proce-dura -, nonché sulla serietà e affidabilità della ‘certificazione’ resa da un professionista o dauna società di revisione. Per quanto nelle prime pronunce la giurisprudenza mostri di nonessere tanto disposta a subire una così drastica sterilizzazione del proprio potere di con-trollo92, di sicuro un ruolo incisivo è per quest’aspetto assegnato al commissario giudiziale,il quale - oltre a redigere l’inventario, relazionare sulle cause del dissesto, sulla condotta deldebitore, sui contenuti della sua proposta e sulle garanzie offerte ai creditori - è tenuto a

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92 Facendo leva sul concetto di fattibilità, il controllo giudiziario sulla documentazione e soprattutto sulla cer-tificazione dell’esperto o della società di revisione viene sagacemente esteso alla ricerca dei connotati diserietà ed affidabilità del piano di risanamento esposto dal debitore, non mancando di sindacare l’iter logicodell’argomentazione che sorregge la relazione dell’esperto: cfr. ALLEGRITTI, Commento all’art. 161, in SAN-TANGELI, (a cura di), Il nuovo fallimento, cit., p. 720 s., ove riferimenti giurisprudenziali. Non manca, poi, chi,sempre al fine di arricchire lo spettro del controllo giudiziale, richiede che la relazione dell’esperto debbanecessariamente prendere in esame anche le scritture contabili (MANDRIOLI, Il piano di ristrutturazione nelconcordato preventivo tra profili giuridici ed aspetti aziendalistici, in Fall., 2005, p. 1343): documenti che - èbene precisare - il debitore non è tenuto a depositare in allegato alla domanda di ammissione.

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sorvegliare l’attività del debitore (cui è rimessa l’amministrazione dei beni e dell’impresa).Là dove (ex art. 173 l.f.) accerti l’occultamento, la dissimulazione anche parziale dell’attivo,l’omessa denuncia di crediti, ovvero l’esposizione di passività inesistenti, la commissione diatti di frode e comunque il compimento di atti non autorizzati o diretti a frodare le ragioni deicreditori, il commissario ne dà comunicazione al giudice delegato che, svolte le opportuneindagini, promuove dal Tribunale la dichiarazione di fallimento.

Ora, il ‘non liquet’ in materia penale che ha segnato la riforma delle procedure concor-suali, una volta soppresso il severo filtro rappresentato dal sindacato di merito delTribunale, apre pericolose lacune di tutela su un versante caratterizzato da un corposofascio di informazioni economiche e finanziarie la cui infedeltà o incompletezza, oltre ad infi-ciare il concordato, si riflette lesivamente sulle ragioni dei creditori.

Infatti, il rimedio apprestato dall’art. 236, comma 1, l.f., - col quale si punisce il debito-re che, allo scopo di essere ammesso alla procedura di concordato preventivo, si attribui-sce attività inesistenti, ovvero al fine di influire sulle maggioranze simuli crediti anche inparte inesistenti - appare largamente insoddisfacente.

In primo luogo, la fattispecie configura un reato proprio dell’imprenditore individuale e, nonessendo consentito il ricorso all’analogia - in tal caso in malam partem -, non è possibile esten-dere la norma incriminatrice ai soggetti di gestione e controllo delle società commerciali93.

In secondo luogo, l’art. 236, comma 1, l.f., si limita a punire l’esposizione di attività ine-sistenti: fatto che può essere commesso dal debitore sia in sede di presentazione dellarichiesta di ammissione al concordato, sia in un momento successivo ove cioè fornisca ulte-riori ragguagli o elementi documentali - ma comunque antecedentemente alla approvazio-ne della procedura. Esulano invece dal ‘fuoco’ del fatto tipico le ben diverse - e più insidio-se: quantomeno perché di difficile individuazione - condotte di sopravvalutazione di attivitàesistenti, sottovalutazione di passività esistenti ed occultamento di passività esistenti94.

Non vi è cioè integrale corrispondenza fra le condotte che, ex art. 173 l.f., possono con-durre alla dichiarazione di fallimento e quelle che, ex art. 236, comma 1, l.f., all’accertamentodi responsabilità penale del debitore. Nella valutazione del legislatore del ’42, non tutti i fattilesivi dei creditori bensì soltanto quelli che si risolvono in una agevolazione processuale sonotenuti a viaggiare lungo i binari del ‘penale’: non per caso il dolo della fattispecie incriminatri-

93 Fra i tanti, NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento, cit., p. 188; GIULIANI-BALESTRINO, La bancarot-ta e gli altri reati reati concursuali, cit., p. 481; COCCO, Commento all’art. 236, cit., p. 1067 ss.; Cass., 2 giu-gno 1989, in Riv. pen., 1990, p. 792.94 Cass., 3 luglio 1991, in Foro it., 1992, II, c. 146; Cass., 26 gennaio 2000, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2000,p. 1082. In dottrina, già, NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento, cit., p. 190; più da recente, COCCO,Commento all’art. 236, cit., p. 1067 ss.

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ce de qua è ritagliato unicamente sullo scopo di essere ammessi alla procedura di concorda-to preventivo95. Ma il non corrispondente perimetro riservato alle due aree solo apparentemen-te trova giustificazione nel rispetto dei principi di frammentarietà e sussidiarietà del dirittopenale: perché se è vero che solo i fatti più insidiosi meritano la sanzione penale, è ancor piùvero che in tal caso sono proprio quest’ultimi a sgusciare indenni tra le maglie della repressio-ne. Nihil novi sub soli - si dirà -, poiché la palese irrazionalità di un impianto punitivo incapacedi fronteggiare le condotte elusive più insidiose rappresenta un punctum dolens ben noto datempo. Il novum è però che tale irrazionalità oggi è ancor più intollerabile, una volta franato ilbaluardo sino a ieri rappresentato dal sindacato di merito del giudice fallimentare.

Né, infine, sembra agevole (e comunque soddisfacente) colmare le lacune evidenzia-te ricorrendo a talune fattispecie satellite.

Di certo, con riferimento al mendacio commesso dai soggetti investiti di funzioni ammini-strative o di controllo delle società, non è praticabile la via delle false comunicazioni sociali -pur richiamate dall’art. 223, comma 2, n. 1, l.f. E ciò per una nutrita serie di ragioni. Una su tutte:dopo la riforma del 2002, anche a voler ritenere superabili gli ostacoli delle soglie quantitative,della tolleranza sulle valutazioni e della ‘sovrabbondanza’ del dolo, eccezion fatta per i bilancile comunicazioni fornite per l’ammissione al concordato preventivo - senz’altro da qualificarsi‘sociali’ -, non sono dirette al ‘pubblico’ in quanto il loro destinatario è per definizione determi-nato o comunque determinabile a priori (gli organi della procedura e soprattutto i creditori)96.

Non avendo il mendacio del debitore natura materiale bensì prettamente ideologica,è da escludersi l’applicabilità del delitto di falso in scrittura privata di cui all’art. 485 c.p.97.Parimenti è a dirsi per quanto concerne l’ipotesi prevista dall’art. 483 c.p.: salvo voler soste-nere che la relazione del debitore costituisca un “atto pubblico” “destinato a provare laverità” di quanto in esso dichiarato98.

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95 Da qui, correttamente, la conclusione dell’eccentricità del delitto rispetto allo schema della bancarotta e loslittamento dell’offensività verso il polo assiologico dell’amministrazione della giustizia: rispettivamente, GIU-LIANI-BALESTRINO, La bancarotta e gli altri reati concursuali, cit., p. 481; NUVOLONE, Il diritto penale delfallimento, cit., p. 188.96 Sulla direzionalità offensiva delle “altre comunicazioni sociali”, v. FOFFANI, La nuova disciplina delle falsecomunicazioni sociali, in SEMINARA, GIARDA, (a cura di), I nuovi reati societari, cit., p. 258 ss. E già, sottola vigenza del vecchio art. 2621, n. 1, c.c.: PEDRAZZI, Un concetto controverso: le “comunicazioni sociali”, inquesta Rivista, 1977, p. 1565 ss. (ora in Diritto penale, III, cit., p. 731 ss.); CRESPI, La comunicazione socie-taria con unico destinatario, in Riv. soc., 1988, p. 1129 ss.; GIUNTA, Lineamenti di diritto penale dell’econo-mia, Torino, 2001, p. 123; PERINI, Il delitto di false comunicazioni sociali, cit., p. 108 ss.97 Tesi avanzata da NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento, cit.., p. 188, e correttamente superata siadalla dottrina che dalla giurisprudenza: CONTI, Diritto penale commerciale, II, cit., p. 424, in nota 2; Cass., 2luglio 1965, in Cass. pen. Mass. ann., 1966, p. 376; Cass., 3 dicembre 1976, ivi, 1977, p. 352; Cass., 25 mag-gio 1984, ivi, 1985, p. 1823.98 Sia pur in altro contesto, ma con implicazioni valide in questa sede: Cass., 12 febbraio 1976, in Cass. pen.Mass. ann., 1978, p. 28.

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Ed ancor più fragile è la tesi che propende per l’applicabilità degli artt. 479 e 480 c.p.al professionista la cui relazione accompagna, asseverandola, la proposta del debitore99. Daun lato, siffatte disposizioni avrebbero quale soggetto attivo del reato l’esperto e non il debi-tore - la cui responsabilità andrebbe definita lungo l’orizzonte del concorso di persone nelreato proprio. Dall’altro e più dirimente lato, le norme codicistiche presuppongono la qualifi-ca pubblicistica del soggetto attivo. E che tale veste possa assumere il professionista inca-ricato di redigere la relazione è da escludere100. Né d’altra parte appare possibile utilizzarel’estensione di cui all’art. 64 del codice di rito civile, in quanto tale norma speciale è circo-scritta al solo esperto nominato dal presidente del tribunale: fattispecie nella quale non rien-tra, salvo il ricorso all’analogia in malam partem, il professionista incaricato dal debitore.

Perplessità di apprezzabile rilievo sussistono inoltre sulla configurabilità dell’art.2624 c.c., qualora la proposta di ammissione al concordato preventivo, proveniente dauna società di capitali, si giovi della relazione - facoltativa o obbligatoria poco importa101 -di una società di revisione102. Premesso che la disposizione consente di colpire anche leipotesi di mendacio cd. valutativo, vanno subito evidenziati taluni potenziali limiti. Il primo:si tratta di un reato proprio dei responsabili della revisione, sicché ancora una volta laposizione del debitore andrebbe ricavata sulla scorta degli artt. 110 e ss. c.p. Il secondo:la sclerotica (ed eccentrica nella prospettiva di tutela della fedeltà della revisione contabi-le) strutturazione del dolo - ove unitamente alla consapevolezza della falsità occorre sial’intenzione di ingannare sia il perseguimento della specifica finalità di ingiusto profitto persé o per altri - riduce notevolmente le chances applicative della norma. Qualora il menda-cio del debitore così asseverato si risolva in un pregiudizio a danno dei creditori, il fattoparrebbe attratto nell’orbita del comma 2 dell’art. 2624 c.c. E quivi sorgerebbe un terzo

99 Così invece, SANDRELLI, Prime considerazioni, cit., p. 221.100 Come del resto attestato dall’esperienza maturata con riferimento alla responsabilità penale per la falsarelazione di stima dell’esperto nominato dal presidente del Tribunale in sede di valutazione di beni in naturao conferimenti: lacuna, com’è noto, colmata dal legislatore estendendo le disposizioni dell’art. 64 c.p.c., ovesi rinvia alle fattispecie penali in tema di periti e consulenti tecnici: MUSCO, I nuovi reati societari, cit., p. 191s.; per ulteriori approfondimenti v. MORMANDO, Capitale sociale, conferimenti e legge penale, cit., p. 117 ss.101 Così qualora si ritenga applicabile l’art. 2624 c.c. anche alla revisione contabile stabilita dal codice civi-le per le società non quotate nonché per la revisione cd. volontaria: MUSCO, I nuovi reati societari, cit., p.141; SIMONI, Falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione, in ALESSANDRI, (acura di), Il nuovo diritto penale delle società, cit., p. 228. Contra, però v. le puntuali osservazioni di SEMI-NARA, Le falsità nell’attività di revisione contabile, in SEMINARA, GIARDA, (a cura di), I nuovi reati socie-tari, cit., p. 347 s.102 Sui riflessi proiettati sull’ambito di operatività dell’art. 2624 c.c. dall’art. 35 della legge 28 dicembre 2005,n. 262 - che ha introdotto le nuove ipotesi criminose di cui gli artt. 174 bis e 174 ter nel corpo del d.lgs. 24febbraio 1998, n. 58 -, v. SEMINARA, Nuovi illeciti penali e amministrativi nella legge sulla tutela del rispar-mio, cit. spec. p. 559 ss.

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ostacolo: e precisamente, la difficoltà di individuare in un parere o giudizio su fatti altrui -in cui si sostanzia la revisione - il fattore causale del pregiudizio economico subito daidestinatari (e fra questi dai creditori)103.

In definitiva, la tutela penale della correttezza del flusso di informazioni economichee finanziarie che concorrono ad ammantare di serietà la proposta di concordato preven-tivo, finisce con l’essere rimessa per buona parte all’operatività del delitto di truffa - pos-sibilmente aggravata ex art. 61 n. 7, e dunque procedibile d’ufficio104. E dunque l’occulta-mento o la sottovalutazione di passività o l’esagerazione di attività esistenti realizzate daldebitore nella domanda di ammissione - nonché dal professionista nella relazione diaccompagnamento105 - troveranno collocazione sotto l’ombrello punitivo dell’art. 640 c.p.,configurabile, a seconda dei casi, nella forma tentata o consumata106.

Ben poca cosa, si dirà, attesa l’importanza degli interessi in gioco: eppure si trat-tava di esiti largamente prevedibili, in quanto molte delle questioni - e le relative soluzio-ni - erano già sul tappeto anche in una prospettiva de lege ferenda. Tant’è che lo“Schema di disegno di legge recante delega al Governo per la riforma organica delladisciplina della crisi di impresa e dell’insolvenza” licenziato dalla CommissioneTrevisanato, all’art. 16, n. 8, aveva quantomeno mostrato consapevolezza del proble-ma, prevedendo a tal specifico riguardo che l’incriminazione ruotasse su comportamen-ti fraudolenti consistenti, fra l’altro, nell’esposizione di informazioni false o nell’omissio-ne di quelle imposte dalla legge107.

7. ConclusioniQualche breve considerazione, infine, a chiusura di queste riflessioni in attesa della

riprova dei fatti. Anzitutto trova conferma la sensazione che la deflagrazione delle patologiedell’attività economica, quale culminante nel pregiudizio ad una cerchia così ampia di sog-getti sotteso all’epilogo fallimentare dell’iniziativa imprenditoriale, non sembri destare unaparticolare cura in capo al legislatore. Ben al di là della fretta e delle lacune che segnano

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103 SEMINARA, Le falsità nell’attività di revisione contabile, cit., p. 359 ss.104 Vale forse la pena di ricordare che, per definizione, il danno patrimoniale in tal caso sarà sempre supe-riore ai 25.000,00 euro: infatti, ai sensi dell’art. 15, ultimo comma, l.f. se il debito scaduto e non pagato del-l’imprenditore insolvente è di importo inferiore non si dà luogo all’applicazione delle procedure concorsuali.105 SEMINARA, Nuovi illeciti penali e amministrativi nella legge sulla tutela del risparmio, cit., p. 560.106 GIULIANI-BALESTRINO, La bancarotta e gli altri reati concursuali, cit., p. 481 s.107 Su tale articolato, S. FIORE, Gli orientamenti della commissione Trevisanato per la riforma dei reati falli-mentari: una prima (disilludente) lettura, in AA.VV., Crisi dell’impresa e insolvenza, Milano, 2005, p. 277 ss.Altresì, in una prospettiva de iure condendo, cfr. FOFFANI, La riforma delle procedure concorsuali: profilipenali, cit., p. 98 ss.; ID., Crisi d’impresa e intervento penale: le linee di una riforma possibile, cit., p. 319 ss.

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la riforma - nonché, con riferimento al nuovo art. 218 l.f., la legge n. 262/2005 -, la scelta(invero tutta ‘politica’) di non dar seguito ai numerosi e autorevoli moniti circa la necessitàe l’indifferibilità di una radicale rivisitazione dell’assetto penalistico a corredo del diritto fal-limentare, si rivela ancor più miope.

Ed invero occorre prendere atto che, ancora una volta, è rimasta elusa, in un settoreche tradizionalmente rappresenta l’originario nucleo storico del diritto penale dell’economia,quella che a ben vedere è la questione principale, l’unica che dà succo e sostanza alle scel-te di politica del diritto e segnatamente di politica criminale: quella del ruolo del diritto pena-le nella regolamentazione dell’economia e delle sue derive patologiche108. Questione chenon può di certo affrontarsi ‘in astratto’ e cioè senza soffermarsi a valutare il contesto eco-nomico-sociale, senza soppesarne accuratamente le contrapposte tensioni e soprattutto ladisciplina di base che di quei modelli è espressione.

Tant’è che ci si potrebbe anche esimere dallo scendere nel dettaglio per rimarcarequanto abissale sia la distanza che separa oggi il superstite penalistico dal contesto di sfon-do della nuova legge fallimentare - assetti economici, composizione di conflitti e tavole divalori concretizzati in una riforma che, nell’abbandonare il dogma dell’indisponibilità dell’in-solvenza per sposare quello della ‘privatizzazione’ della crisi d’impresa, sembra quasi trarreispirazione da VON HAYEK e cioè dal mito dell’ordine spontaneo del mercato e dei suoi atto-ri109. Non foss’altro perché il volto più genuino e tutt’ora immutato del primo è calibrato sulle“cadenze fobiche del rituale espiatorio, reazione istintuale del sistema al trauma dell’insol-venza e ai conseguenti clamori”110: riflesso fedele della precedente disciplina concorsuale,come ben noto ispirata ad una finalità essenzialmente liquidatoria dell’impresa insolvente ecaratterizzata da una tutela ‘ad oltranza’ dei creditori, sino al punto da confezionare una inte-grale incapacitazione e spoliazione del patrimonio del fallito. Di contro, la riforma ribalta radi-calmente tali assunti e, con riferimento al fallito, abbandona ogni istanza sanzionatoria111 e

108 ALESSANDRI, Attività d’impresa e responsabilità penali, cit., p. 536 ss.109 ROVELLI, Quale competitività per le imprese dopo le “trasformazioni” della legge fallimentare, in Fall.,2006, p. 106.110 PEDRAZZI, Introduzione, cit., p. 1.111 Come si evince, ad esempio: dalla soppressione del riferimento al “tenore di vita del fallito e della suafamiglia” nella relazione particolareggiata che il curatore è tenuto, ex art. 33 l.f., a redigere e trasmettere entrosessanta giorni dal fallimento al giudice delegato e, successivamente, in forma riepilogativa anche al pubbli-co ministero; dalle disposizioni non più vessatorie in materia di corrispondenza, ove - superando i notori dubbidi incostituzionalità della previgente disciplina - l’obbligo di consegna al curatore è oggi dall’art. 48 l.f. circo-scritto unicamente a quella afferente i rapporti attinti dal fallimento; ed ancora, dalla modifica dell’art. 49 l.f.che non prevede più l’obbligo di residenza e l’accompagnamento coattivo a carico del fallito, sostituiti dall’ob-bligo di comunicazione dell’eventuale trasferimento di residenza nonché, in caso di impossibilità a presenzia-re personalmente, dalla possibilità di avvalersi allo scopo di un mandatario.

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propende verso l’obiettivo del recupero dell’attività economica sino al punto da favorirne, neilimiti del possibile, un suo fresh start112. Scontata allora l’incoerenza del complemento pena-listico: l’orbita attrattiva dei fatti di bancarotta a dir poco eccessiva; lo straordinario rigoredelle comminatorie edittali, peraltro improntate ad un non più giustificato dominio della penadetentiva113; l’ancor più pervasivo corredo di pene accessorie, finalizzate alla (tendenzial-mente) radicale estromissione del fallito dalla scena economica; l’assenza di cause di ripa-razione dell’offesa post-factum (l’integrale soddisfazione dei creditori all’esito della procedu-ra) da poter spendere vuoi sul quantum di pena vuoi, sulla scia tracciata dalla riforma deireati societari, sull’an della punibilità stessa114.

Certo, abbozzata per tal modo la cornice del problema, il giurista è chiamato a farvalere il suo ruolo e cioè tentare di pervenire, arando i possibili itinerari ermeneutici, a solu-zioni coerenti sotto il profilo sia dogmatico sia sistematico. Ben consapevoli, anzitutto, dellaestrema difficoltà che si cela dietro il tentativo di saggiare la tenuta epistemica di fattispe-cie incriminatrici, quali quelle penalfallimentari, la cui sistematica continua dopo oltre ses-sant’anni a rappresentare un dato evanescente. E ben consapevoli, inoltre, della naturaprovvisoria degli esiti conseguibili: le disarmonie e le stravaganze annunciate, quale effet-to della collisione di una disciplina così rivoluzionaria con le vecchie ed immutate disposi-zioni penali, dovranno fare i conti con l’immaginazione e l’imprevedibilità della prassi.

Ciò non toglie, comunque, che la sostanza dei problemi via via emersi rimanga elusa.Problemi, a ben vedere, di ampio respiro nella misura in cui si candidano a coinvolgeretanto l’applicazione della parte penalistica quanto l’impianto civilistico di base. Ed invero:quale la reale e complessiva efficienza del nuovo sistema delle procedure concorsuali seesso, come pur pare - quantomeno negli snodi più innovativi -, subirà l’effetto frenante rap-

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112 Con l’ulteriore conseguenza di contenere le ben note prassi elusive ove il ‘reinserimento’ del fallito nelmercato avveniva a mezzo di prestanome: GUERNELLI, Linee guida della riforma del diritto fallimentare: dallalegge delega allo schema di decreto legislativo, in St. iur., 2006, p. 11.113 Per una radicale contestazione del ruolo di prim’attore svolto dalla pena detentiva nell’attuale sistemapenale: EUSEBI, La privazione della libertà nel diritto penale e la Costituzione, in Quest. giust., 2004, p. 473ss.; già ID., Brevi note sul rapporto tra anticipazione della tutela in materia economica, extrema ratio ed opzio-ni sanzionatorie, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1995, p. 743 ss. Nella medesima direzione, lungo un itinerarioculturale che dalla mera pena detentiva si spinge sino a reclamare ‘un passo indietro’ dell’intero diritto pena-le, si v. i fondamentali contributi di STELLA, Giustizia e modernità. La protezione dell’innocente e la tuteladelle vittime, Milano, 2003, e nella letteratura tedesca di LÜDERSSEN, Sulla sostituzione graduale della penadetentiva, in ID., Il declino del diritto penale, trad. it., Milano, 2005, p. 65 ss.114 In questa direzione si muovevano i progetti di riforma allora sul tappeto. E precisamente: alle condotteriparatorie veniva riconosciuto effetto estintivo del reato dal cd. progetto Cola (CD, n. 2342 del 14 febbraio2002, primo firmatario on. Cola), mentre tanto lo schema licenziato dalla Commissione Trevisanato (20 giu-gno 2003) quanto quello messo a punto dal gruppo Ds (CD, n. 7497 del 14 dicembre 2000, primo firmatarioon. Veltroni) qualificavano la riparazione dell’offesa in termini di circostanza attenuante.

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presentato dalle possibili bizzarrie di un complemento penalistico sempre più alla deriva? equale la razionalità e persino l’equità di un diritto penale dell’impresa costretto a convivere,dopo la riforma dei reati societari - le cui cornici edittali sono state ritoccate verso il basso,talvolta con effetti criminogeni -, con due modelli culturali così distanti l’uno dall’altro?

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