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Reality è un magazine trimestrale che parla di te e del tuo territorio: la Toscana, terra ricca di arte e cultura! Vogliamo trasmettervi il lusso dell'informazione, del sapere, del conoscere... Articoli come dei piccoli viaggi verso nuove emozioni per riscoprire la qualità della vita, i suoi sapori, in un mondo nel quale forse non si ha più il tempo dell'essere ma solo dell'apparire. Nel 2007 Reality ha ricevuto il premio speciale per la divulgazione della cultura toscana. Un bel traguardo, che siamo riusciti a raggiungere grazie all'impegno e all'amore per la nostra terra in ben 13 anni di attività.

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Alessandro SusiniAgente procuratorePromotore finanziario

Agenzia PrincipaleVia Brunelli 13/1756029 Santa Croce sull’Arno (Pisa)Tel. uff. 0571 366072 - 360787Fax 0571 384291

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Grandi

manovre

Carissimi lettori, ben ritrovati!Anche il 2011 volge al termine, siamo arrivati alle festività di Natale e di fine anno: grandi manovre in corso, molti i preparativi, sia che si trascor-rano in casa, che si vada fuori con parenti e amici o che si decida di fare un lungo viaggio. Certo il momento economico mondiale non è dei mi-gliori, però è anche vero che se ci si arresta di colpo, tutto dietro di noi cade a domino, e per ognuno, qualsiasi vita faccia, qualsiasi cosa desi-deri, qualsiasi cosa possegga, è la fine! Si rischia di perdere tutto, dove tutto non è solo il bene materiale, ma anche la libertà e la possibilità di svolgere qualsiasi semplice cosa che oggi esercitiamo senza neanche rendercene conto.Sì, carissimi lettori: siamo chiamati a grandi impegni, per certe cate-gorie anche a grandi sacrifici, per far sì che la catastrofe non avvenga. Ognuno di noi è chiamato a esercitare la sua professione non solo per un proprio successo, ma nell’interessa della comunità intera. Oggi noi tutti, come i grandi artisti e maestri del passato, con la nostra artigiana-lità dobbiamo cercare di lasciare un segno. Grazie al nostro ingegno, alla creatività e manualità dobbiamo creare il nuovo. Forse il cuore della nostra economia sarà la piccola impresa, che proprio grazie al lavoro fatto con passione, voglia di crescere e orgoglio professionale cerca di curare ogni progetto nei minimi dettagli. Ci sarà nel pianeta produttivo del mondo globalizzato chi copierà il nostro lavoro e produrrà merce in grande quantità, ma certamente non riuscirà a clonare la qualità dei nostri prodotti originali.Creatività e qualità, sono queste le nostre risorse, le nostre materie pri-me che da sempre ci hanno fatto viaggiare e conoscere in tutto il mon-do. Oggi ancor di più esse saranno la nostra carta vincente.Confidiamo che il 2012, grazie all’impegno di noi tutti, ci porti verso un tempo nuovo radicato alla tradizione del nostro passato, ma con lo sguardo rivolto creativamente al futuro.

Grandi manovreE

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Centro Toscano Edizioni Sede legale via Viviani, 456029 Santa Croce sull’Arno (PI)

Redazione casella postale 3656029 Santa Croce sull’Arno (PI)Studio grafico via P. Nenni, 3250054 Fucecchio (FI)Tel. 0571.360592 - Fax [email protected] - www.ctedizioni.it

Direttore responsabileMargherita Casazza [email protected] artisticoNicola MicieliRedazione [email protected] grafico [email protected] [email protected]

Text Irene Barbensi, Mariantonietta Belardo, Graziano Bellini, Andrea Berti, Paola Baggiani, Brunella Brotini, Vanessa Cappelli, Pierluigi Carofano, Margherita Casazza, Carla Cavicchini, Cristiana Cei, Andrea Cianferoni, Carlo Ciappina, Gustavo Defeo, Carmelo De Luca, Elenoire, Angelo Errera, Federica Farini, Enrica Frediani, Eleonora Garufi, Luciano Gianfranceschi, Paola Ircani Menichini, Luciano Marrucci, Marco Massetani, Matthew Licht, Sergio Matteoni, Antonello Mennucci, Nicola Micieli, Claudio Mollo, Ada Neri, Stefano Pezzato, Paolo Pianigiani, Alberto Presutti, Daniela Pronesti, Giampaolo Russo, Carla Sabatini, Domenico Savini, Gaia Simonetti, Leonardo Taddei, Samuela Vallini, Valerio Vallini.

Photo Archivio CTE.

StampaBandecchi & Vivaldi s.n.c.- Pontedera (Pi)ISSN 1973-3658

Reality numero 62 - dicembre 2011Reg. Trl. Pisa n. 21 del 25.10.1998Responsabile: Margherita Casazza dal 19.11.2007

© La riproduzione anche parziale è vietata senza l'autorizzazione scritta dall'Editore. L'elaborazione dei testi, anche se curata con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali involontari errori o inesattezze. Ogni articolo firmato esprime esclusivamente il pensiero del suo autore e pertanto ne impegna la responsabilità personale. Le opinioni e più in genere quanto espresso dai singoli autori non comportano responsabilità alcuna per il Direttore e per l'Editore.Centro Toscano Edizioni Srl P. IVA 017176305001 - Tutti i loghi ed i marchi commerciali contenuti in questa rivista sono di proprietà dei rispettivi aventi diritto. Gli articoli sono di CTE 2007 - Via G. Viviani, 4 56029 Santa Croce sull’Arno (PI), tel. 0571 360592, e-mail: [email protected] - AVVISO: l’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali, involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto.

MAGAZINE D’INFORMAZIONEReality

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Rea

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Raffaele De RosaUn invitato del matrimonio di Beppe

ARTE & MOSTRE

In viaggio con De Rosa

Fantasticarte

Mito contemporaneo

Questo è il mio fiume

Dante Dainelli

Milano per l’arte

Leonardo e l’encausto

Art Around

STORIA & TERRITORIO

Una passeggiata per San Miniato

La storia di Moriolo

Le campane del Gabbro

Peccioli città delle fiabe

Il sogno d’Ascanio

Un giorno da Comics

POESIA & LETTERATURA

Andrea Zanzotto

Funerale nero

Edison vive

Booking a Book

MUSICA & SPETTACOLO

Il cinema che si affaccia sul Mondo

Il capolavoro compie 30 anni

La scuola fa storia

Caval che vince non si cambia

Il Rossignolo

Trema la penna

L’Urbe a tavola

Il cioccolato

Un olio per 10 chef

I prodotti a km zero

La signora in blu

Le eccellenze del ritratto

Bacco Tabacco e Cenere

I campioni del Calcio

EVENTI, SOCIETÀ & ECONOMIA

Emma Holmes

Calcio Solidale

Finale Nazionale Pesca

Ma che SPA...M quest’Email!

Comunicare in azienda

La pelle di moda da 25 anni

La moda in pelle al tempo della crisi

5 SENSI

Ristorante Butterlfy

Quel braccio del Garda Trentino

Lassù sulle montagne Friuliane

Moda

Idee Regalo

Padova, auto e moto

L’oroscopo

Bon Ton

L’ananas

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Raffaele De Rosa è uno dei pittori fantastici italiani di più fertile vena creativa, abile e di felice risoluzione tanto nella pittura quanto nella grafica. Egli è naturaliter illustratore, ossia dotato di un repertorio

iconografico e di uno stile come pochi altri idonei a tradurre in immagini evocative e suggestive luoghi e figure simboliche della tradizione narrativa. Specie quella favolistica, sia occidentale che dell’Estremo Oriente, facen-do perno su un nucleo ispiratore ideale: il “pianeta” Pomarino, microco-smo lunigianese di un’infanzia vissuta a occhi sgranati, a succhiare racconti popolari e crescere con dentro un bisogno pressante di favoleggiare. De Rosa ha maturato assai presto il proprio mondo di visione e gli stru-menti linguistici atti a rappresentarlo. Non ha mai avvertito il bisogno di operare mutamenti stilistici considerevoli, tanto meno svolte radicali. Certo la sua pittura ha avuto un’evoluzione, ma per cambiamenti perce-pibili solo a uno sguardo ravvicinato e comparativo. Per esempio, si è af-finato e come ammorbidito il disegno. Si è fatta più sensibile e cattivante la linea, dalla quale scaturiscono come filamenti serici quei rabeschi in cui scorgevo, un tempo, l’ordito e la trama di un tessitura, che dicevo simile a quella degli arazzi franco-borgognoni del XIII e XIV secolo. È altresì divenuto più terso e netto il colore, sia che si dispieghi in larghe campiture liquide, che lasciano scorgere, in trasparenza, la complessa rete d’un décor di memoria diffusamente simbolista e liberty, sia che si frantumi in tocchi e filamenti, nelle riprese a corpo più denso e a timbro acuto o nelle accensioni della luce. La luce che a grumi o fasci investe e attraversa l’immagine, creando sovente fascinosi giochi da acquario, se non da animazione elettronica.

di Nicola Micieli

... sono sempre stato attratto

in modo irresistibile dai mondi

paralleli degli scrittori.

Nelle loro pagine non ho mai

cercato spunti o pretesti per

far scattare il meccanismo

della mia immaginazione, ma

mi è interessato scoprire altre

possibili dimensioni della mia

personalità nei protagonisti, nei

luoghi, nelle situazioni delle loro

storie. Veramente amo questi

libri che avrei potuto scrivere

io, se fossi stato scrittore.

Ma che ho dipinto o che

dipingerò, perchè li riconosco

parte integrante del mio

mondo visionario. Gli scrittori

mi prendono per mano e mi

trasportano nel loro mondo,

facendomi spaziare su altri

pianeti, le cui immagini nuove e

singolari catturo da fotoreporter,

e le trasporto sulle mie tele,

quali cronache delle mie

emozioni, come un cantastorie...

Raffaele De Rosa

De Rosaviaggio

in

con

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La roccaforte dell’oscuro Sauron, 2004

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Anche sul piano compositivo vale il me-desimo avvertimento. Non sono manca-te le variazioni, ma occorre desumerle dal confronto delle immagini poiché riguardano soprattutto l’ampiezza e l’ar-ticolazione degli impianti architettonici, che oggi appaiono sovente maestosi e si configurano come vere e proprie rap-presentazioni o progetti di città ideali. Sono complessi per lo più sorgenti dalle acque o arroccati su coste montane, che dirupano al mare o lo lasciano presagi-re per un qualche segnale atmosferico, una luminescenza cristallina del cielo o altre ineffabili tracce. A una scenografia così grandiosa e stu-pefacente, sul “palco” non potevano corrispondere che movimenti e direi coreografie complesse e persino arti-ficiose, ordinati e con una regia assai sensibile alla macchinosità delle appari-zioni e degli “effetti speciali” finalizzati alla stupefazione e allo straniamento. L’esito è da coinvolgimento globale dello schermo o cubo scenico che dir si voglia. Si ha una impressione di affol-lamento e di estrema animazione, non solo quando lo spazio è invaso da una folla di comparse e comprimari, ma an-che quando un solo o pochi personaggi siano interessati all’azione drammatica. Che è poi sempre soprattutto un’osten-tazione di gesti, di costumi, di attrezza-

ture da grande parata gotica, più che un vero e proprio movimento. Lo spazio risulta animato nella sua tota-lità, con una sorta di barocca contiguità e proliferazione degli elementi decora-tivi che lo percorrono in ogni direzio-ne, e mutano forma trapassando l’uno nell’altro. Da quei rabeschi nasce l’on-dulazione dei flutti fluviali o marini, ai quali contrastano destrieri dalle crinie-re ricciute e dalla bardatura doviziosa-mente ornata, montati da cavalieri non meno solari nella folgorante bellezza delle loro armature finemente incise e niellate. I medesimi rabeschi disegnano un prospetto di terra invasa da lussureg-giante vegetazione, davvero invadente e ubiquitaria, capace di insinuarsi lad-dove una superficie si renda disponibile ad accoglierla come foglia o fiore o con-volvolo o ramo flessuoso. Ebbene, registrate le variazioni formali, e confermata la continuità delle soluzio-ni figurali, che De Rosa ha elaborato at-tingendo con grande capacità di sintesi a testi di alta qualificazione storica, sui quali continua ancora oggi a esercitare lo sguardo e la mano, e dico Dürer, Pa-olo Uccello, Andrea del Castagno, Man-tegna, Piranesi, rimangono da verificare i materiali poetici e simbologici di cui l’immaginazione si serve per spiegare le proprie vele. Ecco, a compulsare il

catalogo delle pièces rappresentate, il repertorio delle favole e dei miti affron-tati, mi sono convinto che quel che con-ta non è il contenuto narrativo, quanto piuttosto l’imbanditura scenica, la spet-tacolarità dell’evento visivo. Certo De Rosa non ha mancato di fare buone e specifiche letture. Non occorre affaticarsi a individuare i “sacri” testi an-tichi e moderni della sua biblioteca di af-fezione: le fonti letterarie sono evidenti e appartengono, in pratica, all’universo della favola, sterminato per quanto ri-ducibile a strutture simboliche unitarie e ricorrenti in numerose culture, come ha insegnato Propp. Se non fossero traspa-renti gli amori letterari e le filiazioni dei temi iconografici da topoi favolistici, ci pensa l’artista a dichiararli a piene lette-re, nelle intestazioni dei cicli pittorici. Un ruolo centrale nella genesi dell’immagi-nario di De Rosa lo ebbero dapprima Il villaggio della Nuova Vita di Platonov e la “trilogia degli antenati” di Calvino, libri fortemente pervasi di utopia e in-sieme straniti e stranianti, per quel loro mettere in campo figure simboliche di eroi che sembrano provenire da un altro mondo, per edificare il nuovo mondo, e che inquietano per questa loro investitu-ra. Sono seguite le storie del Ciclo Bre-tone di Re Artù e i romanzi cortesi, il du-gentesco Novellino e l’epica ariostesca

Il matrimonio di Beppe, 2011 Storia e utopia. Disordine primitvo, 2011

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Argonauti guidati da Giasone alla ricerca del Vello d’oro, 2011

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Nato nel 1940 a Podenzana in Lunigiana, vive e lavora a Livorno. Giovanissimo, si dedica alla pittura da autodidatta e comincia a esporre nel 1969, a Livorno. Negli anni successivi tiene numerose personali: Galleria Pananti, Firenze (1970); Galleria Angolare, Milano (1973), Galleria Metastasio, Prato (1974); Galleria Toninelli, Roma (1975); Fante di Picche, Livorno (1977); Galleria Santa Croce, Firenze (1981); Istituto Italiano di Cultura, Stoccolma e Copenaghen (1982); Mishkeno Shaí Ananim, Gerusalemme (1984), Galleria Maggiore, Bologna (1986); Palazzo Ambasciata Italiana, Madrid; Galerie Beau Lezard, Parigi (1988); Leonardo Arte, Roma (1988); Istituto Italiano di Cultura, Copenaghen (1989); Palazzo Marino, Rosignano M. (1994); Villa Rolandsek di Remagen, Germania (1997); Palazzo Guicciardini, Firenze. Tra le rassegne: Internationale Kunstmesse Berlino (1974); Art Expo, New York (1981); Carnevale e maschere, Viareggio (1984); Variazioni dellíimmaginario, Chiostro di San Agostino, Pietrasanta; Una maniera toscana, Casti-glione della Pescaia (1985); Medioevo e dintorni, Casa degli Artisti, Riva del Garda; Le patrimonie revisité, Maison de líUnesco, Parigi (1986); Il tempo della città, Pina-coteca Comunale, Montepulciano (1987); Padania Etruria Magna Grecia, Mirandola, San Casciano Val di Pesa, Siracusa (1994); Sulla Francigena nel Medioevo, Castello di Nozzano (1999).

Quattro artisti: Girolamo Ciulla, Raffaele De Rosa, Alfredo Sasso, Kan Yasuda, e 100 opere ospitate in luoghi eminenti della storia e dell’arte in Sicilia, sono proposti in un percorso che si intitola “Il Mito Contemporaneo”, rassegna di scultura e pittura in pro-gramma dal 15 dicembre 2011 al 28 febbraio 2011 a Lipari, Palermo, Morgantina-Aidone e Taormina. A Palermo, Raffaele De Rosa, pittore del mito, ligure, nato ad un passo dall’antico porto romano di Luni, fa rivivere antiche gesta e singolari tenzoni parlandoci di dame e cavalieri. L’ottocentesco Teatro Politeama Garibaldi, è il luogo deputato alla “resur-rezione” di un mondo onirico fatto di castelli e luoghi incantati, cavalli e cavalieri, miti e leggende che il pittore fa rivivere nelle sue grandi tele ad olio. Le opere di questo servizio sono presenti nella mostra siciliana.NO

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Storia e utopia. I tempi avanzano solo calpestando e schiacciando le folle, 2011

affrontata con un’eloquenza figurativa che ricorda la messinscena di Ronconi.Dallo schematismo robotico dei primi cavalieri, chiusi e indecifrabili nelle loro corazze puntute, minacciosi e inquietan-ti per quanto portatori di insegne che nel loro simbolismo esoterico rimandano a virtù civili e valori morali, è passato alla scioltezza e alla godibilità di una forma grafo-pittorica che, senza abbandonare l’originaria vocazione araldica e caval-leresca o neogotica che dir si voglia, si apriva a più grate e intriganti storie po-etiche, a gesta e amori che alla valentìa guerresca alternano l’effusione sentimen-tale. Il tutto ambientato in luoghi incan-tati predisposti al gioco delle simulazioni e delle magie, ove si consumano eventi inspiegabili in un intreccio indissolubile di gioco, eroismo, crudeltà, altruismo, pazzia, fede, per sciogliere come catarsi la storia. Così accade nelle fiabe. Siffatti materiali rivelano una cultura fortemente orientata, direi quasi mo-novalente. È un retroterra idoneo a qualsivoglia innesto narrativo: fondale a ricostruzioni arbitrarie di vicende sto-riche registrate, poniamo la battaglia di Campaldino, e insieme di episodi

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17Il matrimonio di Beppe, 2011

notabili della mitologia, specialmente quella greca che informa e contamina anche episodi di altra appartenenza. Per simpatia, su una ribalta così attrez-zata potrebbero esibirsi insieme, con beata indifferenza all’unità aristotelica di luogo, tempo e azione, personaggi di derivazione e valenza diversissime. Ad esempio, Don Chisciotte e Girola-mo Savonarola, eroi invasati entrambi del sacro fuoco dell’utopia, ma quanto distanti nella manifestazione della loro “follia”! Quando calcano il palcosceni-co di De Rosa, magari per una “parte-cipazione straordinaria”, lo stralunato eroe di Cervantes e l’allucinato frate fiorentino diventano personaggi conge-neri nell’ambiguità delle maschere loro assegnate dall’artista.Non si può parlare, dunque, di specifico narrativo, quanto piuttosto di una voca-zione fabulatoria che assume e metabo-lizza luoghi letterari e personaggi diver-si in un continuum visionario di ordine spettacolare. La pittura di De Rosa è una grande parata in cui protagonisti e com-primari sfilano insieme, ed esibiscono a mo’ di insegne i propri ruoli, direi le pro-prie funzioni narrative, più che sviluppa-re un’azione drammatica individuabile come storia. All’osservatore il compito di raccogliere suggerimenti e mette-re in moto la propria immaginazione,

facendo capo a un momento qualsiasi dell’immane apparecchiatura visionaria ove santi e fanti, damigelle e cavalieri, animali e piante partecipano d’un unico rito esibizionistico, e con straordinario sincretismo si sovrappongono e si inter-connettono in un pastiche così ben con-dotto da attivare imprevedibili percorsi di lettura, dilatazioni di senso, meccani-smi associativi e proiettivi.A circolare nei giardini lustrali e tra i mi-rabolanti edifici in cui si esalta e trionfa un immaginario architettonico labirin-tico e piranesiano, si capisce insomma che l’occhio allenato del pittore è rapito dal dovizioso sfoggio di armature e co-stumi e festoni fioriti. Che i personaggi chiamati a recitare a soggetto, l’inusi-tato corteggio dei cavalieri, le dame, le creature magiche e gli animali fanta-sticati sono invenzioni di un artista che prende a prestito i propri modelli dalla letteratura che li ha fissati come patri-monio della memoria collettiva. E con i personaggi assume le loro insegne aral-diche, i loro simboli quali si evincono dai portamenti e dai costumi, con i quali dà dignità e direi quasi legittimazione col-ta al proprio immaginario infantilmente stupefatto, capace di una dilatante e non neutra meraviglia. Come è nella po-etica di Fellini. L’arte fantastica, per sua natura votata

all’ambiguità, consente certo ogni tra-slato, sino le illazioni e gli arbitri, talché non senza ragione potremmo interpre-tare come allegoria della moderna ci-viltà computerizzata il fantasmagorico apparato scenico inventato da De Rosa, per esibire cimeli ed emblemi alludenti alle umane qualità e aspirazioni e neces-sità, fingendo l’incantamento e la stu-pefacente epifania di giardini e palazzi ove si muovono fantastiche creature, e si ha solo l’illusionismo inesorabile del congegno automatico. In realtà, l’artista dipinge ossessivamente solo i propri so-gni, o i propri fantasmi, che non sono necessariamente persecutori. E se Don Chisciotte, Tristano, Savonarola nel loro ostinato vagare per castelli e acquitrini, foreste e labirinti, guidati da un’ideale cometa alla ricerca della luce e della ve-rità, della Dulcinea e dell’Isotta che sono poi simboli dell’anima assediata da tra-nelli e fingimenti, da maschere e mostri; se nel tortuoso viaggio attraverso i me-andri della psiche i cavalieri per avven-tura incrociano i nostri aspri sentieri, vo-glio dire di noi uomini contemporanei, è solo perché il creatore di questi sublimi fantasmi, De Rosa, da uomo contempo-raneo vive il suo tempo, e inconsapevol-mente ne assume sino le inquietudini, figurandole nelle visioni di un sogno che sa di infanzia e di memoria incantata.

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“Il cavaliere inesistente” di Italo Calvino, 2011

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Molte le personali e collettive in Italia e all’estero. Realizza grandi sculture urbane nelle quali il continuo racconto orchestra sapientemente la surrealtà che gli è pro-pria. Protagonista delle sue opere è Gorky, il leone conosciuto al circo dall’artista ancora bambino. Rapito dalla drammati-cità dello sguardo e dalla forza fisica che esprimeva il felino da dietro le sbarre, gli restituisce libertà e dignità rendendolo incontrastato protagonista delle sue cre-

Prosegue il progetto Carismi per l’Arte promosso dalla Cassa di Risparmio di S. Miniato con una straordinaria

mostra di arte contemporanea dove dieci artisti, tra pittori e scultori, affrontano il tema del viaggio attraverso una rappre-sentazione “magica e fantastica”.

La rassegna ha luogo a San Miniato, nel polo espositivo di Palazzo Inquilini, sede della Banca promotrice, dal 12 novembre al 12 aprile 2012 ed è curata congiunta-mente da Margherita Casazza e dal critico d’arte Nicola Micieli autore dei testi critici.L’ampio e articolato show-room ha per-messo ai curatori di creare dieci aree espositive che, pur mantenendo tra loro un dialogo stilistico, quale espressione di contemporaneità e assonanze cromatiche, creano altrettante nicchie riservate favo-rendo una lettura esclusiva e privilegiata dell’autore, senza le consuete distrazioni e contaminazioni di linguaggi che inevitabil-mente le collettive presentano.Nicola Micieli nel suo testo critico, pre-senta la rassegna come «Un viaggio in dieci “stazioni” attraverso sentori e figure espressive che dalla cultura della terra, animata da presenze misteriose e vitali, trapassa alla cultura dell’oltre, nella quale le prefigurazioni sono luoghi puramente mentali e in apparenza estranei o alieni che dir si voglia».

Il visitatore nel suo percorso attraverso le dieci “stazioni” è avvolto e catturato da magiche atmosfere che scaturiscono dalle singole ambientazioni dove suggestio-ni ed emozioni lo trasportano nel luogo immaginario e fantastico dell’artista.Gli artisti invitati a partecipare a questo breve ma intenso viaggio nell’arte sono: Rinaldo Bigi, pittore e scultore, docen-te di scultura all’Accademia di Belle Arti di Carrara.

TEXT Enrica Frediani PHOTO Marco Bonucci e archivio CTE

In mostra a San Miniatola fantasia e la magia

raccontata da 10 artisti

Nella foto. in alto: Alessia D’Anteo della Cassa di Risparmio di San Miniato, Margherita Casazza, Enzo Sciavolino, Renzo Galardini, Giovanni Urti consigliere della Cassa di Risparmio di San Miniato, Raffaele De Rosa, Domenico Di Filippo, Gianfranco Rossi vicepresidente della Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato, Nicola Micieli, Rinaldo Bigi, Cesare Borsacchi, Franco Fortunato, Gianfalco Masini e Giuseppe Lambertucci. In basso al centro il sindaco di San Miniato Vittorio Gabbanini.

fantastic Artedal lunedì al venerdì dalle 9,00 alle 19,00 sabato e domenica

dalle 17,00 alle 19,00

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azioni. L’animale crea un legame emozio-nale con la parte fanciullesca presente in ognuno di noi, ma nella sua fiera fisicità, manifesta solidità emotiva e forza struttu-rale assumendo la definizione di guardia-no, testimone e compagno di avvenimenti che appartengono alla sfera emozionale dell’artista. In scultura le forme si evolvono in un assem-blaggio compositivo che traduce la fantasia e la cultura dell’autore. Forme che origina-no altre forme in un pullulare di modulazio-ni materiche che costituiscono l’ironica e ludica narrazione fiabesca di Bigi.«Bigi scultore ha sempre avuto uno spe-ciale legame con il colore e il piano super-ficie, pur praticando la pittura non al mar-gine ma certo in modo riservato rispetto alla scultura. Anzi, a mano a mano che la pittura è andata crescendo in autonomia nel suo laboratorio creativo, ha finito col transitare, per osmosi, nella scultura stes-sa. Il colore ha contaminato la nudità dei bronzi e dei marmi; ha animato la vaghez-za delle superfici polite; ha ingentilito – o evidenziato, secondo il caso – l’acutezza delle punte e degli spigoli. […] Con l’in-troduzione del segno e del colore, Bigi ha recuperato altresì la concezione originaria della scultura. Non solo quella etnica, per la quale il colore e la diversità dei mate-riali e degli oggetti sono imprescindibili dalla forma, ma la mediterranea e della Grecia classica, che conosciamo nuda e candida, ed era invece regolarmente “vestita” di colore». 1 Cesare Borsacchi, pittore, viaggia e sog-

giorna a lungo in Africa, America latina e centrale, Australia, Asia. In Ecuador fre-quenta il pittore Guayasamin, in Messico conosce Siqueiros e, in Argentina il pittore Perez Celis. Nel 1995 rientra in Italia e a Pisa, sua città natale svolge l’attività di pit-tore. Le sue tele si tingono dei caldi colori tropicali e di emozioni che rappresentano memorie dei suoi lunghi viaggi.Raffaele De Rosa, pittore, realizza molte esposizioni in campo nazionale, europeo, America ed Israele. Dal 1994 l’artista prosegue la sua ricerca

di immagini leggendarie. In mostra grandi tele dove sono raffigurate città immagina-rie da cui affiorano memorie del passato, la storia della civiltà, cavalieri e animali descritti con sapiente segno grafico.Domenico Difilippo, pittore. Dal 1973 si evidenzia un elemento singolare nelle sue opere: L’occhio abnorme che caratteriz-za i suoi personaggi, i quali diverranno Sigla totem attorno al quale si alternano simboli ancestrali densi di significati, per un “bestiario contemporaneo”. Redige a Brema, il 1° maggio 1991, Il Manifesto dell’Astrattismo magico che diviene il suo nuovo modo di pensare e fare arte e sarà proposto per la prima volta in Italia. Moltissime le personali nazionali e estere.« […] Con la messa a fuoco poetica dell’Astrattismo magico, i “paesaggi” ulteriormente si riducono a conformazioni potentemente articolate e ormai deci-samente totemiche, al cui interno, tra le commessure o ai bordi delle forme, Difilippo va selezionando e marcando di luce e di colore, segni o morfemi lance-olati, lamellari, falcati, figure astratte e primarie nelle quali l’organismo pittori-co sembra riversarsi e condensarsi. […] Il “paesaggio” nuovamente disegnato è anzi ora un luogo di eventi sospesi in un tempo mitico, e implicitamente metafisico, e di una sacralità consegnata alla presenza silenziosa delle forme, degli oggetti, delle apparecchiature che Difilippo chiama Apparizioni, sotto specie di Icone, Angeli, Paesaggi dell’anima, Isole d’Arcadia, Velli d’oro, Menhir, Manoscritti». 2

Nella foto. Gli artisti: Enzo Sciavolino, Raffaele De Rosa, Domenico Di Filippo, Renzo Galardini, Rinaldo Bigi, Cesare Borsacchi, Gianfalco Masini, Franco Fortunato, e Giuseppe Lambertucci.

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Franco Fortunato, pittore, scultore, gra-fico. Negli anni ’70 nasce il suo partico-lare metodo di lavorare per “cicli” in cui affronta il tema di Pinocchio, seguito da l’Inventario e Le città invisibili ispirato a Italo Calvino. La figura del “Vagabondo” che rappresenta una dominante della sua poetica, affiora e riaffiora autonomamente nelle sue opere. Numerose le esposizioni in Italia e all’estero. «Fortunato ha dipin-to monumentali orologi che non hanno lancette. Manca la scansione metrica, la battuta che segna il prima e il poi e deter-mina l’intervallo, la durata del vuoto che differenzia e carica di senso il pieno. Sono orologi senza meccanismo, motori immo-bili di un tempo sospeso, di una durata vir-tuale. Eretti su pedane e tralicci o sorgenti direttamente da terra, sembrano piutto-sto specchi o porte del cielo: arcobaleni, osservatori celesti che dentro e sullo sfon-do di un paesaggio chiaramente abitato dall’uomo, fanno scattare poeticamente l’immagine introducendo un’attesa, una premonizione, un memento. […] A lumi spenti egli si aggira in quel labirinto abi-tato da fantasmi, lo visita come sfogliando le pagine di un libro e si ferma a immagi-nare una scena o un momento dell’azione.

A quel punto si accendono le luci della pittura».3 Renzo Galardini, pittore, incisore, cerami-sta è stato segnalato sul catalogo Bolaffi per la grafica da Enzo Carli nel 1984 con la motivazione: «Per l’estro provocatorio ed ironico con cui la limpida tecnica grafica rievoca sia simulacri, emblemi, e simbo-li della storia, sia oggetti del presente, imprimendo loro una inedita suggestione poetica». Ha tenuto personali in Italia, e in musei in America e Germania.Giuseppe Lambertucci, pittore, grafico, scultore, ritrattista. Realizza un’importante serie di cartelle grafiche sui temi ecologici ed esistenziali. Partecipa a numerose mani-festazioni ottenendo premi e riconoscimen-ti. Espone grandi e medie tele dove sogno e poesia si uniscono per condurre il visita-tore attraverso un viaggio fantastico avvolto dai colori tenui e delicati delle sue opere.Gianfalco Masini, pittore. «Nella sua pittura la surrealtà si spinge sul terreno ambiguo, infido, in cui la forma allude a qualcosa di diverso: l’ironia. Non teme le contraddi-zioni interne alla pittura, insiste con il suo tipico spirito toscano. I paesaggi si anima-no di figure inventate, magari grottesche. La fantasia prende il volo. La realtà diventa

opere di Franco Fortunato

opere di Francesco Musante opere di Raffaele De Rosa

opere di Gianfalco Masini

opere di Rinaldo Bigi

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un pretesto». Ha esposto in personali e qualificate rassegne italiane ed estere.Francesco Musante, pittore, scultore, cera-mista, illustratore di libri, ha realizzato moltissime personali e collettive in Italia e all’estero. « […] la forma pittorica in quan-to pittura Musante la governa con mano agile ed esatta nei tracciati lineari quanto morbida e aerea nella resa della materia, che ha trasparenze da acquarello e bril-lantezza di smalto […] Le atmosfere rare-fatte e gli artifici di Musante si confanno a chi ha lo sguardo penetrante e la mente pronta a riconoscere e a prendere al volo le “occasioni” aleatorie del sogno, per agganciare il proprio vagone alla locomo-tiva del poeta. In fondo, l’artista medesimo suggerisce un’adesione ludica ai propri percorsi, affermando di essere lui il primo a divertirsi – in un modo che non parrebbe nemmeno sfiorato dall’ombra della unga-rettiana “allegria” di naufraghi alla deriva dell’esistenza, né da un palazzeschiano sorriso cinico – nel suo inesausto rigene-rare la lanterna magica e animare d’un nuovo quadro il feuilleton che narra senza apologo la favola della vita».4

Enzo Sciavolino, scultore. S’impone alla critica nel 1965 con una personale realizza-

ta a Torino dove presenta un ciclo di scul-ture dal titolo Uno spazio per vivere. Del suo repertorio fanno parte anche grandi sculture per l’arredo urbano. Sue opere si trovano in musei e collezioni pubbliche e private. «Nelle opere sino al presente Sciavolino non ha mai cessato di tentare la via della favola e dell’apologo mediate immagini di incantata semplicità. Nel tritti-co della “leggerezza” un putto alato scala una corda ancorata al cielo; un bimbo cavalca una scopa stregata; una bimba fa l’altalena, con sul capo un cielo di fronde gemmate. Più oltre la scena si popola di altri putti, eroi in sedicesimo; qui un auriga guida un destriero a dondolo; là cavalca un ippogrifo con portamento regale o fa bilanciere su una corda tirata tra due aerei trampolini, sulla vertigine del vuoto. Altrove si assiste ad altre acrobazie e sfilate e apparizioni e viaggi, nel circo della terra o sulle onde del mare, che Sciavolino ha raccolto in bacili di bronzo o sezionato nel marmo delle sue isole-stele, dove ognuno di noi vorrebbe approdare per nuovamen-te conoscersi e conoscere». 5

opere di Renzo Galardini

opere di Cesare Borsacchi

opere di Enzo Sciavolino

opere di Domenico Di Filippo

opere di Giuseppe Lambertucci

Note: 1. N. Micieli, Reality n. 2/2008; 2. N. Micieli, 2007, catalogo mostra di Trecenta-Rovigo;3. N. Micieli, Reality n. 1/2011; 4. N. Micieli, Reality n. 3/2011; 5. N. Micieli, Reality n. 3/2008.

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TEXT Andrea Berti

Sicilia

Quattro grandi artisti, Girolamo Ciulla, Raffaele De Rosa Alfredo Sasso, Kan Yasuda, e 100 straor-

dinarie opere ospitate nei meravigliosi templi dell’Antichità siciliana per esaltare i luoghi e compiere il percorso millenario dell’uomo tra materia, spiritualità e Mito.

Con “Il Mito Contemporaneo”, la Rasse-gna Internazionale di Scultura e Pittura in programma dal 15 dicem-bre 2011 al 28 febbraio 2011 tra le città di Lipari, Palermo, Morgantina-Aidone e Taormi-na, “Il Circuito del Mito” trova la sua declinazione contempo-ranea nel linguaggio artistico e nella visione di quattro maestri dell’oggi che interpretano la storia e la sua preistoria, il ter-reno e la mitologia. Dissemina-te, tra siti archeologici, edifici d’inestimabile valore architetto-nico e stupefacenti scorci, gran-di e medie sculture in marmo e bronzo, pitture su tela, mosaici, ed altri materiali sono pronti a stupire e ad accompagnare i turisti e i tanti appassionati di arte, storia, architettura, arche-ologia che arriveranno in Sici-lia. Le mostre saranno inoltre accompagnate da tre seminari su “Arte, Turismo e Mito” con ospiti artisti, critici e giornalisti specializ-zati, storici, archeologi, galleristi e perso-naggi del mondo televisivo che si terran-no a Taormina.A Morgantina-Aidone, Girolamo Ciulla, straordinario scultore siciliano, trapianta-to in Toscana, stupisce con le sue divinità ancestrali, ideale ponte tra mito e storia. Il Museo Archeologico è il luogo perfet-to per ospitare le opere, grandi e piccole sculture e bassorilievi, del Maestro sicilia-

no che per onorare il ritorno a casa della Dea di Morgantina, ha plasmato un pro-getto a lei dedicato.A Palermo, Raffaele De Rosa, il pittore del Mito, ligure, nato ad un passo dall’an-tico porto romano di Luni, fa rivivere anti-che gesta e singolari tenzoni parlandoci di dame e cavalieri. L’ottocentesco Teatro Politeama Garibaldi, è il luogo deputato alla “resurrezione” di un mondo onirico fatto di castelli e luoghi incantati, cavalli e cavalieri, miti e leggende che il pittore fa rivivere nelle sue grandi tele ad olio.A Lipari, le mura del Castello con il Mu-seo Archeologico, la Chiesa di Santa Ca-terina e il Chiostro Normanno, sono gli efficaci spazi espositivi per Alfredo Sasso,

poliedrico artista, italiano di nascita, ma newyorkese di adozione, scultore, pittore, mosaicista che ci porta, nel segno della Tradizione, “in un viaggio oltre il ricor-do, in quella dimensione in cui l’evane-scenza della memoria riporta alla luce soltanto gli elementi che conducono alla sostanza”. L’Area Archeologica accoglie le grandi tele, i mosaici e le piccole scul-ture dedicate appositamente al luogo e al Mito.

A Taormina, Kan Yasuda, giapponese, artista di assoluto valore mondiale, fonde arte e spazio in un unicum spontaneo e naturale. Le sue imponenti ed armoniose sculture in bronzo e marmo si rifanno alla conoscenza Zen e all’origine della vita. Nei luoghi simbolo, lungo Corso Umberto e nel meraviglioso Teatro Greco Romano, sono esposte le monumentali sculture in bronzo, e nella ex Chiesa di San Francesco di Paola e all’Hotel Metropole le opere più piccole in marmo e bronzo. Le sue opere sono il portale spirituale tra l’Antico e il Contemporaneo. La materia eterea di Kan Yasuda media tra Cielo e Terra emanando grande serenità. “Sono questi i Maestri, con le loro rispettive creazioni, chiamati a

far rivivere il Mito negli antichi luoghi. La Rassegna Internazio-nale di Scultura e Pittura che abbiamo ideato – spiega Mas-similiano Simoni, Art Director – mira a identificare la Sicilia tra i principali punti di attrazione per il turismo culturale e per tutti gli appassionati di arte contem-poranea in un periodo delicato dell’anno. Un processo di “de-stagionalizzazione” che in mol-te realtà nazionali ed estere, ha attivato un virtuoso meccanismo di curiosità che ha portato inte-ressanti flussi turistici da ogni angolo del globo in ogni perio-do dell’anno. L’Arte Figurativa Contemporanea è efficace stru-mento di promozione e valoriz-zazione al pari di musica, teatro, danza e spettacolo; condizione indispensabile per un territorio che ha ambizioni importanti ed

aspira a diventare il più grande oggetto di desiderio”. Un percorso artistico che col-lega tempi e contaminazioni che appar-tengono a momenti culturali anche lontani alla contemporaneità delle vesti artistiche scelte dagli artisti per proporre al mondo la loro personale visione del Mito. Nelle loro opere ritroviamo tutto il fascino della storia più profonda della Terra di Sicilia.

Per info www.ilmitocontemporaneo.it

Ciulla, De Rosa, Sasso e Yasuda

sulle orme del Mito contemporneo

Sono lieti di invitare la S.V. alle inaugurazioni/opening:

IL MITO CONTEMPORANEORassegna Internazionale di Scultura e Pittura in Sicilia

16 Dicembre 2011 / 28 Febbraio 2012

R.S.V.P [email protected]

RAFFAELE DE ROSA

Sabato 17 Dicembre alle ore 18,00

Teatro Politeama Garibaldi

PALERMO

KAN YASUDA

Mercoledì 21 Dicembre alle ore 18,00

ex Chiesa di San Francesco di Paola

TAORMINA

GIROLAMO CIULLA

Domenica 18 Dicembre alle ore 18,00

Museo Archeologico di Aidone

MORGANTINA – AIDONE

ALFREDO SASSO

Venerdì 16 Dicembre alle ore 12,00

Chiesa di Santa Caterina

Acropoli del Castello di Lipari

LIPARI

DANIELE TRANCHIDA

Assessore Regionale Turismo, Sport e SpettacoloSALVATORE PRESTI

Direttore Artistico “Il Circuito del Mito”

MASSIMILIANO SIMONI

Art Director

Lipari Palermo Aidone - Morgantina Taormina

Regione Siciliana

Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità siciliana

Dipartimento dei Beni Culturali e dell’Identità siciliana

itocontemporaneoM

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25Taormina

KanYasuda

Alfredo Sasso

Lipari

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Girolamo Ciulla

Palermo

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ll Centro Espositivo Villa Pacchiani di Santa Croce sull’Ar-no ospiterà dal 3 al 31 marzo una mostra dedicata al fiume Arno, organizzata da Il Grandevetro con il patro-

cinio della Provincia di Pisa e del Comune di Santa Croce sull’Arno. Essa è costruita su un’idea portante: raccontare il nostro fiume evocando suggestioni e memorie antiche attraverso pittura, scultura, fotografia, videoarte e installa-zioni. Questi sono gli spunti intorno ai quali i quarantasei artisti invitati hanno lavorato in piena autonomia e libertà.La mostra si articola in sette stanze, ognuna con un tema, un linguaggio specifico e una contaminazione. Una lunga striscia dipinta corre lungo le pareti delle stanze senza interruzione: è l’Arno che corre a pelo d’acqua par-tendo dal Monte Falterona, attraverso paesi, valli e città fino al mare. Un viaggio lungo 241 chilometri. Un viaggio nel tempo dove si incontrano secche e alluvioni, spiagge assolate, barcaioli, renaioli e morti affogati; pescatori, tuf-fatori, giochi d’acqua e lavandaie; cascate, liquami, nutrie, pesci morti, acqua torba e veleni mortali. E tutto fino al mare, fino all’immensità del mare e alla mutazione finale.Ogni stanza racconta un momento della storia del fiume che corre verso il mare: “L’Arno dal monte Falterona al mare”,“Gli affogati e i tuffatori”, “Gli incontri”, “L’uomo del Fiume”, “Gli sfollati”, “la Stanza degli ombrelli neri”, “la Stanza degli Ex-Voto” “la Stanza dell’acqua”, e “I Cen-tolibri salvati”. Infine nell’ultima stanza verrà proiettato un film-documentario dal titolo “L’arno è anche un fiume” che il Centro Viva Voce di Firenze ha restaurato, dopo averlo re-cuperato presso gli archivi dell’Istituto Gramsci di Firenze. Girato nel 1968 con la regia di Vittorio Togliatti, il filmato ci racconta l’alluvione del 1966 a Firenze con uno sguardo critico allo stato di abbandono delle campagne circostan-ti. Oltre all’interesse sociologico del documentario, note-vole è la colonna sonora inedita di Luigi Nono, restaurata anch’essa per l’occasione.

TEXT Margherita Casazza

Santa Croce sull’Arno

Questoè il miofiumeGli artisti presenti nelle varie sezioni: L’inizio. L’Arno dalla sorgente alla foce

Il percorso dell’Arno dal monte Falterona al mare: Orso Elia Frongia, Antonio Possenti, Stefano Fi-calbi, Renzo Galardini, Antonio Biancalani, Luca Macchi, Ladislao Nocentini, Gianfranco Gian-noni, Fulvio Leoncini, Andrea Meini, Giorgio Giolli, Valerio Comparini, Luca Sgherri, Giusep-pe Lambertucci, Gianfranco Pacini, Leopoldo Terreni, Delio Gennai, Paolo Lapi, Alessandro Tofanelli.Gli affogati e i tuffatori: Cesare Borsacchi, Alessandro Tofanelli, Stefa-no Tonelli, Tista Meschi, Mario Madiai, Lorenzo D’Angiolo, Giorgio Giolli, Gianfranco Giannoni, Fulvio Leoncini, Andrea Meini, Gianfalco Masi-ni, Giuseppe Lambertucci, Antonio Bobò, An-tonio Biancalani, Federico Biancalani, Nando Snozzi, Ugo Maffi, Sauro Mori, Karl Heinz Hart-mann, Giulio Greco, Pier Luigi Romani, Romano Masoni, Piero Gozzani.Gli incontri: Bernard Kaute, Milena Moriani, Luigi Fatichi.L’uomo del Fiume - Gli sfollati - La stanza de-gli ombrelli neri: Günter Dollhopf, Romano Masoni, Antonio Biancalani, Federico Biancalani, Vinicio Zappa-roli, Antonio Bobò.La Stanza degli Ex-Voto: Cesare Borsacchi, Paolo Lapi, Gianfranco Pa-cini, Ladislao Nocentini, Stefano Ficalbi, Luca Macchi, Stefano Tonelli, Tista Meschi, Lorenzo D’Angiolo, Giorgio Giolli, Gianfranco Giannoni, Fulvio Leoncini, Andrea Meini, Delio Gennai, Gianfalco Masini, Valerio Comparini, Gianluca Sgherri, Giuseppe Lambertucci, Claudio Ber-nardeschi, Renzo Galardini, Sauro Mori, Rose-mary Finckh, Giulio Greco, Simonetta Melani, Maria Grazia Morini, Mario Madiai.La Stanza dell’acqua: Installazioni di videoarte a cura di Renzo Boldri-ni e Giallomare Minimal Teatro

L’inaugurazione avrà luogo sabato 3 marzo 2012 alle ore 18.00. Durata della mostra dal 3 al 31 marzo 2012 Orario di apertura tutti i giorni dalle ore 16.00 alle ore 19.00. Chiuso il lunedì

Suggestioni e memorie

lungo le rive dell’Arno

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Non c’è materia capace di evo-care, nella sua unità di forma e sostanza, valenze simboliche e

sacrali quanto il legno, e questo spiega la straordinaria varietà di significati che esso assume nella storia dei popoli e delle culture. Primigenio e paradigma-tico materiale da costruzione, metafora ricorrente nel mito, nei testi sacri e nella letteratura, il legno è da sempre compagno dell’uomo, che l’ha usato, fin dall’antichità, per ripararsi dal fred-do, dare forma alle abitazio- ni e ai templi, trasformarlo in oggetto d’uso, modellarlo nel processo creativo per farlo diventare opera d’arte. È un sodali-zio indissolubile quello che li lega e che li rende in un certo s e n s o simili,

TEXT Daniela Pronesti

Dperché entrambi partecipi del dina-mismo naturale e dei ritmi biologici che descrivono la parabola esisten-ziale di ogni organismo vivente. Una “fratellanza”, potremmo dire, che ben si comprende in certi paesaggi medi-terranei popolati da alberi secolari, soprattutto ulivi, cui il tempo ha con-ferito, come per effetto di una miste-riosa trasformazione, una morfologia non del tutto dissimile dall’anatomia di un uomo. Percorrendo, fin da bam-bino, le colline alberate del suo luogo nativo, Dante Dainelli ha imparato a conoscere e amare gli alberi, e a fare del legno il mezzo più congeniale alle sue esigenze espressive. Reduce dal successo della mostra intitolata Legni. Vena svelata corpo della scultura, dal 5 al 18 dicembre presso la Limonaia di Palazzo Medici Riccardi a Firenze, lo scultore pisano conferma con questo evento il valore intrinseco del legno, che sotto le sue mani si carica di una sublime espressività che difficilmente trova riscontro in altri artisti del nostro tempo. La mostra, curata da Nicola Micieli, testimonia, mediante un nucleo significativo di opere abbastanza recen-ti, l’instancabile esercizio che sta dietro la sua ricerca artistica e il pieno domi-nio dei moti e delle emozioni che sol-tanto nell’incontro con la materia lignea trovano concretezza e totale appaga-mento. È una passione profonda, quasi un’ostinazione quella che, da sempre, lo spinge a preferire il legno ad ogni altro materiale. Fin dai primi anni Settanta, quando compie i suoi studi di modella-zione e intaglio nella scuola specializza-ta di Ponsacco, tradizionalmente nota per la produzione del mobile, e scolpi-sce le maschere che segnano gli esordi del suo percorso artistico. Profili umani dall’ambigua espressione psicologica che rivelano, oltre ad un contenuto fan-tastico o grottesco, un chiaro riferimen-to alla cultura africana. Nelle maschere si percepisce la forza della visione cubi-ca che contrappone le superfici l’una all’altra, e risolve la parte anteriore del volto in poche e aggettanti forme pla-

sti-c h e c h e già dimo-strano la c a p a c i t à d e l l ’ a r t i s t a di favorire la natura del legno, le sue irregolarità interne e di superficie. A distanza di poco tempo – siamo agli inizi degli anni Ottanta – comincia ad appassionarsi alla figura umana, particolarmente a quella femminile che diventa, da que-sto momento in poi, la protagonista assoluta del suo immaginario artistico, e intanto entra a lavorare come model-lista stilistico alla Piaggio, nel labora-torio di elaborazione dei prototipi di carrozzeria. Un’attività che influisce in

Danteainelli

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maniera determinante sugli sviluppi della sua scul-tura, perché gli permette di acquisire quel senso di leggerezza e di slancio dei volumi che caratterizza il design industriale. L’assoluta eccezionalità dei suoi lavori consiste, anzitutto, nel concepire l’approccio alla materia non come fase realizzativa di un dise-gno preparatorio, ma come momento integrante del processo ideativo. I lunghi anni dedicati allo studio del legno, gli hanno permesso di ca-pirne e quindi anche di rispettarne le specificità strutturali, formali ed estetiche, e di imparare, soprattutto, a considerarlo non come materia inerte, cui l’artista imprime vitalità dall’esterno, ma come forma che possiede una vita propria. È un corpo vivo il legno, un corpo che cresce e si trasforma per effetto del tempo, che acquista nuove cromie e venature con il passaggio degli anni, che s’indurisce e spesso s’aggroviglia in nodosità difficili da sfidare anche per il più abile degli scultori. Impresa in cui Dainelli riesce e si appassiona, perché ogni asperità di superficie, ogni fenditura che sembra interrompere e complicare il processo esecutivo, rappresenta per lui un’occasione preziosa per entrare, ancora più a fondo, nel mistero della materia. È un sen-timento di scoperta quello che lo accompagna nell’atto di scolpire, un sentimento che cresce ad ogni colpo di scalpello che fa vibrare il legno e ne svela l’intima struttura, che accende l’incanto di una bellezza segreta e pronta a schiudersi. Le sue figure femminili sono creature che necessitano, per rivelarsi, di uno sguardo ravvicinato che consenta di scoprirne le raffinatezze d’insieme e di dettaglio. Particolarmente le prodigiose armonie di venature, che naturalmente tracciano sulla superficie percorsi lineari, moti centrifughi e centripeti, cerchi e spirali che l’artista individua e abilmente sfrutta per accen-tuare i volumi dei corpi e le qualità cromatiche del legno. Non soltanto la vigoria della materia, ma anche la sua connaturata dinamicità ottiene risalto in queste sculture, mai statiche, anche quando il soggetto sembrerebbe richiedere una solenne gra-vità, ma sempre libere, slanciate, interagenti con lo spazio. Così facen- do Dainelli risve-glia, come per incanto, la vita-lità sopita e mai cancel-lata del legno, e ce

la restituisce come essen-za perenne “nonostan-te – come

ebbe a dire G i o r g i o Vasari – le p e r c o s s e

dell’acqua, dei venti e degli altri

accidenti della fortuna e del tempo”.

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Dal 4 novembre, il gotha dell’architet-tura milanese onora l’arte dell’Ot-tocento accogliendo nelle sale di

Palazzo Anguissola, Palazzo Canonica, Pa-lazzo Brentani, una preziosa collezione di 200 opere della Fondazione Cariplo; tanti i capolavori da ammirare, dai bassorilievi del Canova ai dipinti romantici di Hayez, dal ri-sorgimento di Induno alle vedute urbane o alle scene popolari di Molteni, Migliara, Bisi, Canella. Il Divisionismo incorona Mi-

lano centro nevralgico dell’arte italiana e la sua migliore produzione artistica dimora nel nuovo museo grazie alle opere realizza-te da Segantini, Previati, Morbelli, Boccioni, quest’ultimo presente con Officine a Porta Romana e Tre donne. Artefice del magnifico progetto non poteva che essere il Gruppo Intesa San Paolo: grazie all’alto senso civi-co, all’amor patrio, alla sensibilità verso la

TEXT Carmelo de Luca PHOTO Ufficio stampa

Mostra Gallerie d’Italia:1. Antonio Canova, Danza dei figli di Alcinoo2. Francesco Hayez, I due FoscariMostra Brera incontra il Pushkin:3. Paul Gauguin, Aha Oe Feii? (Come, sei gelosa?)4. Pierre Auguste Renoir, La pergola (Au Jardin du Moulin de la Galette)

fruizione pubblica del bello, ha deciso di spalancare le porte affinché tutti possano ammirare i suoi tesori. L’esposizione perma-nente delle collezioni appartenenti all’Istitu-zione Bancaria costituisce il gradito regalo alla città di Milano, motivato da lusinghieri propositi legati alla promozione della cultu-ra e a un nuovo spirito di identità nazionale da ricercare, per l’appunto, nella magnifica produzione artistica degli ultimi due secoli. La città meneghina, in particolare la Pinaco-

teca di Brera, accoglie un’altra importante mostra con capolavori acquistati da due grandi collezionisti: Sergei Schuckin e Ivan Morozov. Catturati dal vibrante dinamismo che caratterizza la Parigi agli albori del XX secolo, i due mercanti di tessuti diventano clienti affezionati delle migliori Gallerie della Ville Lumière, come dimostrano le importan-ti acquisizioni che, ora, adornano le sale del Museo Pushkin. Le opere collezionate nel corso dei loro innumerevoli viaggi compren-dono la migliore produzione delle correnti artistiche animanti la capitale francese, lo dimostrano le tele legate al periodo cubista di Picasso, tra le quali spicca La Regina Isa-beau, le opere realizzate da Matisse su com-missione, il Boulevard des Capucines di Mo-net, i Pierrot, Arlecchino, il Ponte sulla Marna a Creteil, creati da Cézanne, Ehaiha Ohipa appartenente al periodo tahitiano di Gau-guin, la Vista del Ponte Sèvres di Rousseau: queste meraviglie rappresentano alcuni dei capolavori presenti in mostra. L’esposizione, visitabile sino al prossimo 5 febbraio 2012, esterna la sensibilità dell’animo umano ver-

arteMilanoper l’

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so la pittura, dettata da un sentimento di estasi e gioia nell’ammirare e nel possedere un’opera d’arte.

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Un luogo comune piuttosto diffuso anche fra gli storici dell’arte è la pre-sunta incapacità di Leonardo di do-

minare le tecniche pittoriche, figlia di un innato sperimentalismo alimentato anche dai primi biografi tra i quali, ovviamente, Vasari. Anche nel fortunato best seller Il co-dice da Vinci, Leonardo viene descritto come una specie di inguaribile alchimista sempre alla ricerca di nuove ricette e solu-zioni per i suoi dipinti, ma non solo. Biso-gna ammettere che in qualche caso egli ha messo a dura prova la pazienza dei restau-ratori moderni, come nel caso limite dell’Ul-tima Cena in S. Maria delle Grazie a Milano; ma, sebbene anche questo dipinto offra qualche punto di contatto con la vicenda dell’encausto, è alla Battaglia di Anghiari che dobbiamo rivolgere la nostra attenzio-ne per sapere se Leonardo, come riportato dalle fonti, tentò di mettere in atto le sue conoscenze sull’antica tecnica pittorica dei greci e dei romani. Come è noto il dipinto, di cui non resta traccia nonostante ripetuti tentativi, anche recentissimi, di individuar-ne l’esatta ubicazione, era destinato a de-corare la parete della Tribuna nella Sala del Gran Consiglio (meglio nota come Salone dei Cinquecento) in Palazzo Vecchio a Fi-renze, sulla parete ovest nella metà esposta a sud, pendant della mai realizzata Batta-glia di Cascina di Michelangelo; e Leonar-do vi lavorò ininterrottamente (tranne un breve soggiorno a Piombino nel novembre-dicembre 1504) dal 24 ottobre 1503 al 30 maggio 1506, data in cui viene richiesto dal governatore di Milano, Carlo d’Amboise di elaborare progetti urbanistici per quella cit-tà. A detta di Newton e Spencer, due stu-diosi che a lungo si sono occupati delle vi-cende della Battaglia, Leonardo aveva compiuto buona parte dell’opera; lo si de-duce dalle testimonianze delle fonti e dai risultati delle indagini compiute sulla pare-te da parte della Soprintendenza di Firenze in collaborazione con la McCrone Associates di Chicago e dal Museum of Fine Art di Bo-ston e recentemente dall’ing. Maurizio Se-racini. Da quegli esami, realizzati con gli strumenti della termovisione, dalla strati-grafia di alcuni campioni d’intonaco e dall’impiego di una sonda endoscopica, è stato possibile constatare che le dimensio-

ni dell’opera realmente eseguita dovevano aggirarsi intorno ai 4 ½ m d’altezza e 23 di larghezza. E ancora nel 1549, giusto l’anno precedente la pubblicazione della edizione Torrentina delle Vite, in una lettera all’ami-co Alberto Lollio, Anton Francesco Doni raccontava con emozione di essere salito «nella sala grande a dare una vista a un gruppo di cavalli e di uomini […] un pezzo di battaglia di Leonardo da Vinci che vi par-rà una cosa miracolosa». Dalle numerose copie tratte sin da subito su ciò che era possibile vedere, Cecil Gould ha ragione-volmente dedotto che l’episodio raffigura-to nei due anni scarsi passati da Leonardo sui ponteggi doveva riguardare la scena centrale relativa alla presa dello stendardo, probabilmente il clou dell’intera battaglia, ma la composizione prevedeva intorno altri viluppi di cavalli e cavalieri oltre a un pae-saggio sullo sfondo. La pubblicazione da parte di Gaye dei documenti relativi ai ma-teriali richiesti per la realizzazione di quell’impresa permisero, a metà dell’Otto-cento, in pieno revival dell’encausto, di va-lutare il proposito di utilizzare su una parete di vaste dimensioni pigmenti e leganti non idonei alla pittura a fresco, aprendo interro-gativi sul tipo di tecnica adottata da Leo-

nardo che già aveva impegnato gli eruditi sette - ottocenteschi sulla interpretazione delle ragioni del rovinoso degrado dell’Ul-tima Cena in S. Maria delle Grazie. La pre-senza in quell’elenco di pece greca, gesso, olio di lino, gesso volterrano, biacca ales-sandrina, soda, olio di noce e foglia d’oro sta a significare che Leonardo considerava la parete come un grande supporto ligneo da prepararsi con un’imprimitura a base di gesso capace di garantire stesure a corpo e a velature tramite un legante oleo-resinoso chiaro e trasparente. È quanto registra Va-sari, aggiungendo le sue motivazioni della non riuscita di quel lavoro, quando afferma che Leonardo, «immaginandosi di volere a olio colorire in muro, fece una composizio-ne d’una mistura sì grossa per lo incollato del muro, che continuando a dipingere in detta sala, cominciò a colare di maniera che in breve tempo abbandonò quella, ve-dendola guastare». Se è lecito nutrire qual-che dubbio sull’imparzialità di tale giudizio rispetto alla capacità tecniche di Leonardo («fece una mistura sì grossa») dato che pro-prio al biografo aretino venne in seguito affidato l’incarico di ridipingere quella pa-rete, è utile sottolineare come anche in fon-ti precedenti il motivo della scarsa riuscita

TEXT&PHOTO Pierluigi Carofano

Perplessità sulle ricerche in merito alla Battaglia di Anghiari

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Copia da Leonardo, Battaglia di Anghiari. Tavola Doria, olio su tavola, collezione privata

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del lavoro veniva individuato nella mancata adesione della mistura legante/pigmento al supporto, con ragioni diverse da quelle fornite da Vasari, e proprio per questo assai utili. La testimonianza più antica è il Libro di Antonio Billi, testo compilato in un arco cronologico piuttosto ampio, ma assoluta-mente significativo in quanto pressoché coincidente con la fine del lavoro di Leonar-do in Palazzo Vecchio (1506): “[Leonardo] fece […] uno cartone della guerra d’i Fio-rentini quando ruppono Niccolò Piccinino, capitano del duca di Milano Filippo, ad An-ghiari; el qual cominciò a mettere in opera nella sala del Consiglio di materia che non serrava, in modo che rimase imperfetta: dettesi la colpa che lui fu ingannato nello olio del seme del lino che gli fu falsato”. Dunque, da questa testimonianza emerge non tanto una difficoltà di tenuta tra sup-porto e imprimitura, quanto di legante ava-riato («falsato») incapace di far attecchire i pigmenti tra loro, particolare scarsamente credibile per un maestro esperto e ben ad-dentro alle pratiche di bottega come Leo-nardo. Ma è un peccato che l’anonimo non ci dia la sua opinione, limitandosi a fornire quella degli altri («dettesi la colpa»), quasi una sorta di vox populi, lasciando il dubbio che avesse veramente compreso cosa ave-va visto o sentito. La seconda fonte in ordi-ne di tempo sono gli Elogia Virorum Illu-strium di Paolo Giovio (1527 c.); qui ci si limita a segnalare come Leonardo con scar-so successo avesse provato ad unire olio di noce, pigmenti e gesso. Ora, questa testi-monianza può essere interpretata in due modi diametralmente opposti: o l’umanista Giovio, prediligendo un approccio pretta-mente intellettuale (giustificato dal suo punto di vista), si disinteressò di entrare nel merito della natura del legante menzionan-do quello più diffuso ai suoi tempi oppure, e a me pare più probabile, ciò che si vede-va in quegli anni della Battaglia di Anghiari era talmente essudato ed ingiallito da far pensare all’utilizzo dell’olio di noce come legante, il quale, come è noto, ha una pig-mentazione naturale giallo-bruna ed è piut-tosto denso, causa spesso di improvvidi imbrunimenti del film pittorico. E questo ben si coniuga con un documento del 1513, in cui si dice di difendere (proteggere) le pit-ture di Leonardo che «là non sieno guaste». La terza fonte, l’Anonimo Magliabechiano, è quella più interessante perché entra spe-cificamente nei dettagli tecnici in quanto sostiene, inaspettatamente, che Leonardo cominciò a dipingere utilizzando come le-gante una vernice – evidentemente di sua composizione -, precisando successivamen-te che «di Plinio cavò quello stucco con il quale coloriva, ma non l’intese bene». Ora, lo stucco di Plinio corrisponde ad una mi-stura di cera, olio rettificato e pigmento, ov-vero l’encausto ed è a questo punto che è opportuno chiamare in causa le indagini chimiche compiute sulla parete della Sala del Consiglio ed anche quelle effettuate sull’Ultima Cena in S. Maria delle Grazie. I campioni esaminati rivelano al di sotto

dell’intonaco dell’affresco di Vasari, nell’area corrispondente alla Battaglia, uno strato di pigmento rosso piuttosto esteso da far pen-sare ad una sorta di preparazione intonata allo scopo di fare da fondo ai colori stesi successivamente. Al di sopra di questa pre-parazione vi sono da uno a cinque strati di colore con tracce di carbone (usato per il disegno), dispersi in un solvente oleoso dove sono stati individuati due pigmenti funzionali all’idea di pittura atmosferica di Leonardo. Il primo è una sorta di verderame presente anche in alcuni campioni analizzati dell’Ultima Cena di cui esiste una ricetta nel Trattato della Pittura. L’altro è azzurrite pol-verizzata a base di cobalto presente anche nei blu della Vergine delle rocce al Louvre: ulteriori indizi che il dipinto non poteva es-sere eseguito a fresco. Come Leonardo in-tendesse legare questi pigmenti all’impri-mitura e fissarli superficialmente in modo da renderli stabili rimane allo stato attuale estremamente difficile da stabilire. Possia-mo soltanto formulare alcune deduzioni sul-la scorta dei materiali elencati nel citato do-cumento fiorentino e dei trattati tecnici cinquecenteschi quali quelli introduttivi di Vasari alle edizioni delle Vite e dei Veri pre-cetti della pittura di Armenini. Col gesso semplice e quello per murare, ovvero lo stucco, egli rendeva regolare il supporto murale, poi preparava una mistura con ma-stice e gesso volterrano macinato in modo da ottenere brillantezza da quella superfi-cie. Infine stendeva i colori con un legante oleoso. Resta da definire il ruolo di un mate-riale insolito come la pece greca, messa in relazione diretta «per la pictura». Si tratta probabilmente della “zopissa” di Dioscori-de «una resina con cera raschiata dalle navi da alcuni chiamata ‘apochyma’ che ha la ca-pacità di sciogliere perché è macerata con acqua marina. Altri chiamano così la resina di pino» (Eastlake). Poiché Dioscoride la de-scrive come resina, è evidente che si tratta-va di un composto incolore, il cui ingredien-te resinoso avrebbe potuto o essere liquido per natura o, se solido, veniva probabilmen-

te sciolto aggiungendovi quell’olio essen-ziale che i balsami e le resine liquide con-tengono naturalmente. In entrambi i casi si poteva aggiungere un olio essenziale per diluire il composto e occorreva il calore per ottenere o aiutare la soluzione e la miscela-tura della cera e rendere la preparazione più asciutta. La funzione della cera mescolata con resine morbide è quello di bloccare la loro naturale tendenza a sciogliersi, anche a una temperatura molto alta, oltre a impedi-re che la superficie si screpoli. Le applica-zioni di questa complessa mistura potevano essere molteplici, anche se sono convinto, sulla scorta delle testimonianze sopra cita-te, che Leonardo la usasse come legante; e la combustione superficiale finale aveva l’ef-fetto di produrre una materia dall’aspetto vitreo che poteva essere pulita e lucidata di volta in volta quando necessario. Una parziale conferma di quanto vado di-cendo si ha dalla lettura di un breve passo di Vasari sui colori a base di cera, di solito non utilizzato nell’ambito della discussione sulla fortuna dell’encausto, probabilmente perché rubricato all’interno del capitolo dedicato allo scultura nell’Introduzione alle Vite: “non tacerò ancora che i moderni artefici hanno trovato il modo di fare nella cera le mestiche di tutte le sorti di colori: onde, nel fare ritratti di naturale di mezzo rilievo, fanno le carnagioni, capelli, i panni e tutte l’altre cose in modo simili al vero, che a cotali figure non manca, in un cer-to modo, se non lo spirito e le parole”. In questo caso Vasari si riferisce alla prati-ca assai diffusa ai suoi tempi di eseguire medaglioni e figure in cera colorata senza dilungarsi sul modo di colorare questo ma-teriale di per sé biancastro o tendente al giallo. Orbene, di fronte ad una situazione così complessa ed articolata, e dopo 500 anni, credo che poco sia rimasto del dipin-to di Leonardo: quella messa in scena dal Comune di Firenze, con tanto di sponsors, ha tutta l’aria di essere un’operazione di grande visibilità in cui il Maestro di Vinci c’entra veramente poco.

Leonardo, Ultima Cena. Milano, S. Maria delle Grazie

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Cesare Tiazziil fascino della terracotta27 novembre 201111 marzo 2012CentoPinacoteca Civica

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11 novembre 20115 febbraio 2012RomaPalazzo Venezia

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io Un omaggio all’arte dell’Urbe, tra XVI e XVII secolo, teatro dei cambiamenti nella pittura europea ad opera di Annibale Carracci, anima divulgativa del pensiero classicista, e Caravaggio, artefice di una nuova rappresentazione della realtà giocata sugli accostamenti tra luci e ombre. I capolavori presenti in mostra testimoniano l’importanza di questi pilastri nella Roma papalina del tempo, tra essi menzioniamo le due versioni della Madonna di Loreto e di S. Agostino. La loro presenza in Città attira Domenichino, Lanfranco, Guido Reni, Albani, che dal Carracci apprendono come la virtù della pittura classica possa diventare mezzo per la conoscenza del reale, mentre Artemisia Gentileschi, Carlo Saraceni, Orazio Borgianni, Bartolomeo Manfredi ammirano il naturalismo caravaggesco, espresso attraverso una plasticità figurativa ottenuta mediante l’illuminazione sul buio della scena. Le due correnti artistiche attivano contatti con gli stranieri Valentin, Vouet, Honthorst, Rubens, Ribera, presenti a Roma in tale periodo e i numerosi dipinti presenti

Egregio tributo allo scultore Cesa-re Tiazzi, maestro indiscusso della

scultura in ceramica del XVIII secolo, le cui opere costituiscono un punto di riferimento nell’arte emiliana. Dotato

di una innata capacità espressiva, il maestro rielabora la sua formazione bolognese relativa all’apprendista-

to, portando tocchi di autenticità personale a un’arte plurisecolare che trova nell’argilla la sua materia prima.

L’esposizione di Cento, nobile città nella quale Tiazzi crea buona parte

delle sue sculture, comprende opere realizzate da Giuseppe Maria Mazza,

Angelo Gabriello Piò e Andrea Ferre-ri, suoi egregi insegnanti bolognesi,

Filippo Scandellari, Ubaldo Gandolfi, Clarice Vasini, Giacomo De Maria, Giovanni Putti, scultori del suo tempo con i quali ha un prolifico

dialogo culturale. Le opere in mostra evidenziano uno struggente senso del dolore composto, come dimostra il gruppo scultoreo policromo della Pietà con San Francesco, i temi della tradizione religiosa popolare legati alla Passione, al Presepe, alla Madonna col Bambino, ai Santi, al profano.

L’evento rappresenta una occasione da non perdere per gli amanti della terracotta d’autore!

nelle sale espositive testimoniano il loro operato, che ha reso la Caput Mundi centro divulgativo della cultura agli albori del Seicento.

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3 ottobre 201115 aprile 2012

FirenzeMuseo Bardini

Tra i luoghi interessati dalla nuova edizione de Le Stanze dei Tesori merita una menzione speciale Palazzo Bardini. Orgoglio del Polo Museale Comunale, questo contenitore di meraviglie rappresenta motivo di vanto per le Istituzioni di Palazzo Vecchio e non potrebbe essere altrimenti alla luce dei capolavori custoditi nei solenni saloni dal gusto gotico-rinascimentale. Dipinti, sculture, ceramiche, importanti produzioni delle arti applicate raccontano gli splendori di Firenze sino al XVIII secolo. Innumerevoli gioielli, raccolti da Stefano Bardini durante la sua straordinaria esistenza, riempiono ambienti, pareti, corridoi della maestosa dimora, tra i quali menzioniamo la Carità di Tino da Camaino, l’Atlante del Guercino, la Madonna della Mela di Donatello, la Madonna dei Cordai di Donatello, il San Michele Arcangelo di Antonio del Pollaiolo. Inoltre, grazie al contributo dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, un sapiente restauro ha riportato al suo antico splendore il monumentale Crocifisso di Bernardo Daddi, ora esposto nella Sala dei Dipinti. Gli studi condotti sull’opera hanno individuato in essa quella che fu la croce principale della Cattedrale di Santa Maria del Fiore, scomparsa nel Quattrocento.

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Reality LA VETRINA

dallo spazio multimediale nel quale il tema della fisiognomica e della fisionomia viene studiato attraverso una riproduzione animata dell’Ultima Cena, che permette di entrare nel particolare del prezioso affresco. Come accennato, i numerosi “fans” di Leonardo potranno deliziare la vista grazie alla presenza di eccelse opere originali, basti pensare al Codice sul volo degli uccelli e i tredici fogli autografi della Biblioteca Reale di Torino o ai preziosi prestiti aventi per soggetto il volto, la natura, l’anatomia umana, le macchine: allora cosa aspettate? Venaria vi aspetta!

Leonardo, il genio, il mito

17 novembre 201129 gennaio 2012

VenariaScuderia Juvarriane

L’originale mostra di Venaria rende omaggio al genio di Leonardo attraverso selezionati disegni realizzati dal maestro, documenti inerenti al famoso Autoritratto, presente in esposizione, l’importanza della fisionomia (tema, a lui, molto caro) nella storia dell’arte raccontata grazie a una carrellata di dipinti, spazianti tra il XV e il XX secolo: a tal riguardo le scuderie dell’augusto castello ospitano importanti tele del Quattrocento, la celebre Gioconda con i baffi di Marcel Duchamp, l’Uomo Vitruviano rivisitato da Ceroli. La mostra è supportata da eccellenti approfondimenti dedicati alla meravigliosa evoluzione socio-culturale dell’artista, dalla rassegna di film a Lui dedicata, da un video curato da Piero Angela,

VENARIA

In confidenza col Sacro

10 dicembre 201126 febbraio 2012SondrioGalleria Credito Valtellinesee MVSA

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La tradizione devozionale di vestire statue di Santi fa parte del bagaglio culturale relativo alle vallate situate tra l’Alta Lombardia

e la Svizzera, così la bella mostra di Sondrio ripercorre la storia della venerazione, soprattutto Mariana, attraverso l’antico rito della

vestizione di manichini dal corpo realizzato in materiale povero, le cui parti scoperte sorprendono per la delicata naturalezza

espressiva del volto, delle mani, dei piedi, realizzati in ceramica di squisita fattura. In effetti questi simulacri sono

addobbati di tutto punto con abiti raffinati, creati da tessuti di pregio, ricami dal gusto barocco ideati attraverso l’utilizzo

di fili in seta, oro e argento. Biancheria intima, corpetti, corone regali, completano il corredo di una eredità religiosa,

Bernardo Bellotto 11 novembre 201115 aprile 2012Conegliano (TV)Palazzo Sarcinelli

Il vedutismo immortalato dalle abili mani di Bernardo Bellotto trova collocazione nell’olimpo dei grandi grazie ad una produzione artistica dalla quale si evince l’attenta osservazione delle architetture, il dinamismo impresso al cielo

CONEGLIANO

e all’acqua attraverso un attento utilizzo del colore, ai suoi drammatici chiaroscuri. Venezia, Firenze, Roma, Milano, Torino, Dresda, Vienna, Varsavia, rappresentano le muse ispiratrici delle 60 opere presenti in mostra, dalle quali si evince una forza espressiva leggibile nella

riproduzione dell’arredo urbano, nell’intensità del verde smeraldo delle acque, nella rappresentazione degli ambienti bucolici, nelle vedute romane, nel “Palazzo in Villa”, autentico capolavoro dell’arte prospettica dove la struttura, il giardino, il belvedere, diventano scenografia al servizio del principe Josef Wenzel, Consorte e Dama, egregiamente rappresentati nella bellissima tela. Il periodo polacco, particolarmente prolifico, coincide anche con la creazione di superbe incisioni o scene di vita

artistica, culturale, dal valore inestimabile. L’esposizione sondriese propone venti statue e una nutrita collezione di vestiario prezioso, gioielli, ex voto,

documentari, capaci di dare al visitatore una panoramica completa su un’usanza, purtroppo desueta, dal valore simbolico profondo: la mostra

vuole dare luce alla società contadina del luogo attraverso la valorizzazione di questo patrimonio che, spesso, rappresentava conforto e mezzo

d’intercessione per ottenere grazie o per scongiurare calamità.

quotidiana, delle quali Bellotto ne è un grande interprete. La mostra di Conegliano permette al visitatore di ammirare la migliore produzione dell’artista grazie ad importanti prestiti provenienti dall’Italia e dall’estero: non mancate a questo importante appuntamento!

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Nel Bollettino dell’Accademia degli Euteleti della città di San Miniato (Rivista di Storia, Lettere, Scienze

ed Arti, anno LVI, vol. 44, Giardini Editori e Stampatori in Pisa, 1975), abbiamo tro-vato una Guida della città di San Miniato al Tedesco del Sacerdote Giuseppe Piom-banti, San Miniato, Editore Massimo Ristori, 1894, ristampa anastatica.La riproponiamo per i lettori di Reality come un regalo di Natale per chiunque voglia fare una gita per la città immergen-dosi in un clima di tardo Ottocento.

La Stazione, che da San Miniato pren-de il nome, mezzo si trova tra il grosso paese di Fucecchio e San Miniato stesso. Si va da essa alla città, che è distan-te due chilometri, traversando il borgo del Pinocchio, la cui chiesa, dedicata a S. Stefano e Martino, fu edificata dal granduca Pietro Leopoldo nel 1780. Dal Pinocchio, sulla strada provinciale tra Pisa e Firenze, per due vie si giunge a S. Miniato. La più lunga e più agevole, passa per l’altro borgo della Scala, antica

fermata postale, e ci arriva per Nocicchio, villa Antonini, e via S. Andrea, dove fu una pieve omonima, sotto il colossale convento di S. Francesco, demolita nel 1649. La più breve e più ripida perviene al così detto ponte di S. Martino, anti-camente chiuso da porta, rimpetto alla quale sorgeva la propositura, che dette il nome alla porta stessa e a questa parte di città. Nella quale poscia tu entri pas-sando tra i pubblici ammazzatoi, costruiti nel 1884, e le carceri del circondario, che occupano parte dell’antico monastero della SS. Annunziata, mentre l’altra parte, venne ridotta a collegio. Da S. Martino, che resta a ponente, S. Miniato, sopra ameni colli, verso levante si estende, per una via di circa mezzo chilometro, fin dove fa la porta Poggighisi “onde il Ferruccio ruppe a forza nella città e ne cacciava gli Spagnuoli”. Detta via, fino a piazza Gioacchino Taddei, celebre chimi-co samminiatese, ebbe nome Faognana di sopra, ed oggi S. Martino. In essa, difaccia allo sdrucciolo S. Cosimo, fu un ospizio pei poveri sacerdoti, e, prima di

TEXT&PHOTO a cura di Valerio Vallini

entrare nella piazza suddetta, fondò uno spedale pei poveri il sacerdote Giacomo Vanni, come dice l’iscrizione in pietra che vi si legge. Un’altra via parallela alla prima, ma più bassa, si chiamò Faognana di sotto, ed ora piglia il nome dal teatro che vi si trova. Da piazza Gioacchino Taddei, ove sorge la chiesa dei dome-nicani, e l’antica casa Gucci, s’apre, a destra, la via Ser Ridolfo, che termina alla porta omonima, in memoria, come sembra, del prode Ridolfo Malpigli, fatto dal Magistrato cavaliere il 2 aprile 1307. Vedesi subito il chiostro dei domenica-ni, aperto al pubblico nel 1873, dove un’iscrizione si legge, in lode di re Vittorio e di Garibaldi, dettata nel 1886 dal prof. Augusto Conti. Poi v’ha la posta delle lettere, rimpetto alla casa Morali, dove illustri personaggi videro la luce. Prima di giungere al palazzo Formichini, si legge un’iscrizione, che ricorda aver dimorato costì il Taddei; la casa di faccia dicono appartenesse alla famiglia Borromei. Quella ultima, ora Settimanni, prima di entrare in piazza Grifoni, fu della

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San Miniatouna passeggiata per

Ottocento

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castello di Cigoli, dove una taumaturga immagine di Maria è venerata. Se tu volgi a destra, trovi un vicino pogget-to, dove fu la parrocchia di S. Maria a Fibbiastri, di cui riparleremo, e più lungi il cimitero pubblico. Dopo il quale, pas-sando sotto Montetonico, dove esistè un monastero di Agostiniane, si scende al borgo detto la Catena, confine dell’an-tico dominio samminiatese. Tornando in piazza Gioacchino Taddei, entrasi, dalla parte opposta, in via del Fondo, dove fu, presso la nuova strada che conduce alla bella passeggiata pubblica, uno spedale pei poveri, che si chiamò di S. Croce del Fondo. Proseguendo tu incontri la casa, già Roffia, e poi un grand’arco, detto del pretorio, chiuso in antico da porta. Però la parte di città, fìn qui percorsa, la chiamavano fuori di porta. Viene la piaz-za del Seminario, ora Vittorio Emanuele. Qui, in via del Fondo, e in piazza Gioacchino Taddei, fìno dai tempi della repubblica, ogni martedì, si teneva, e sì tiene pubblico mercato, che è pur luogo di convegno dai circostanti villaggi e paesi. Da piazza Vittorio per tre vie si sale all’antica piazza del Castello, oggi del Duomo: una passa sotto la pretura e la sotto-prefettura, già dimora dei vicari imperiali; una sotto il palazzo vescovile, dove pure è la Curia, e l’altra non è che una grande, scala, costruita dopoché i fiorentini concessero la riapertura al culto della Collegiata, come vedremo. Tu puoi dalla Piazza del Duomo salire al poggio più alto di S. Miniato, dove sono gli abbattuti avanzi della prima cinta del castello, sui quali si eleva la fortissima torre quadrata, dei tempi di Federigo II, che il popolo chiama la rocca. Lasciando la Piazza Vittorio, per la via di Castelvecchio, si scende al palazzo comunale, rimpetto al quale si ammira, sotto la rocca, la bella gradinata a due branche, che alla chie-sa del SS. Crocifìsso conduce. Trovasi quindi lo sdrucciolo di Gargozzi, già chiuso da porta, che ha questo indige-sto nome, perché mena giù in una valle, dove si eseguivano le impiccagioni dei delinquenti. Difaccia a questo sdruccio-lo stava la distrutta chiesa di S. Giusto e Clemente. Poi, dove tu vedi un Asilo infantile, la chiesa dell’ Arciconfraternita

famiglia Pazzi, e vi dimorò giovanetta S. Maria Maddalena. Il palazzo Grifoni, oggi Catanti, lo edificò Ugolino, maggior-domo del duca Alessandro dei Medici, coi materiali delle abbandonate fortifi-cazioni della rocca. Passata la porta Ser Ridolfo, tu vedi la Chiesa della Crocetta, nel borgo omonimo, la cura della SS. Annunziata, detta popolarmente la Nunziatina, poi il regio Conservatorio di S. Chiara, e più oltre la chiesetta di S. Maria a Fortino, dove fu un fortilizio, a difesa di S. Miniato, e uno spedale. A sinistra, per ameni colli, si va. All’antico

della Misericordia e il Ginnasio comuna-le, fa tutto un monastero di Agostiniane, dedicato alla SS. Trinità. Dopo il quale, fino alla chiesa parrocchiale di S. Stefano, dimoravano i canonici di S. Antonio, che vi aprirono uno spedale pei lebbrosi. A sinistra è la via del Poggio, che va alla gran chiesa di S. Francesco. Sulla scesa, che mette in piazza Buonaparte, di fian-co a S. Stefano, stavano le case della nobil famiglia Mangiadori, bruciate dal popolo nel 1396 dopo la loro ribellione a Firenze. Dove ora si vede il Tribunale civile e penale, e nella casa accanto, che ha un’iscrizione commemorativa, vis-sero lungamente gli antenati del gran Capitano. Sorge nel mezzo la bella statua di Leopoldo II, che prima dava il nome alla piazza. All’intorno tu vedi: la chie-setta di S. Rocco, la Cassa dei risparmi, e la casa ove nacque il vescovo di San Miniato Alli-Maccarani. Si parte da que-sta piazza anche la via S. Andrea, che alla porta omonima conduceva, sotto il con-vento di S. Francesco, demolita al pre-sente. Continuando per via Buonaparte e di Pancole, puoi vedere le case delle famiglie antiche Ansaldi e Portigiani, e, accanto a quest’ultima, il monastero di San Paolo delle Clarisse, a benefizio dell’istruzione popolare riaperto. Rimpetto alla chiesa di S. Paolo stava la parrocchia di S. Giacomo e Filippo a Pancole, ora ridotta ad abitazione, accanto alla quale fu lo spedale di S. Niccolò di Bari: ave-vano ambedue l’ingresso sulla piazzetta, che di questo santo porta il nome. S’entra in fine nella piazza S. Caterina, in cui oltre alla chiesa parrocchiale omonima, tu vedi il palazzo della nobil famiglia Migliorati e gli Spedali Riuniti. Al termine di via Poggighisi, dov’ è una latina iscrizione su Francesco Ferruccio, fu la porta fortificata dello stesso nome. Essa pur si chiamò di S. Benedetto e Senese: perche lì pres-so era un monastero di Benedettine; e perché la sua via per Castelfìorentino, Certaldo e Poggibonsi, lungo l’Elsa e la strada ferrata, a Siena conduce.

1. San Miniato, Omnibus per la Scala2. San Miniato, antico fonte del Seminario3. San Miniato, particolare del Seminario4. San Miniato, Santuario del SS. Crocifisso5. San Miniato, veduta panoramica

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Moriolo o Morioro** (Castrum Moriori) in Val d’Evola. Casale già Castello con Chiesa

Parrocchiale (San Germano), filiale della Pieve di Corazzano, Comunità e Giuri-sdizione a circa due miglia a libeccio di San Miniato, Diocesi medesima, già di Lucca, Compartimento di Firenze. Risiede sulla pendice delle colline tufacee fiancheggiate alla destra dal-la fiumana dell’Evola, lungo la strada maestra che mena da San Miniato a Volterra. Una delle più antiche rimembranze di questo luogo mi si offre per avventura in un atto pubblico del 7 maggio 786,

nel quale si fa menzione di Savezzano prope Morioro, forse il San Germano, titolare della sua chiesa. Infatti col nome di Morioro e non Mo-riolo, questo paese fu designato dallo storico samminiatese Giovanni Lelmi, sia quando nel 1313 al gran maliscalco dell’Imperatore Arrigo VII, venuto con la sua oste a San Miniato, se gli dette di prima giunta il Castel di Morioro, il quale generale innanzi la sua partenza di là fornì di gente pisana il Castello predetto in guisa che cotesta oste con-tinuamente molestava i Sanminiatesi,

TEXT a cura di Luciano Marrucci

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* Il testo è tratto da Repetti Emanuele, Dizionario Storico Fisico Geografico della Toscana,Tofani Editore, Firenze, 1833, volume III, pagg. 428-429** Quasi sicuramente si tratta di un fitonimo: Moriolo, dal latino maurus (è il gelso, le cui bacche si chiamano more) e sta a significare “Luogo del Gelso”.

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la storia*di

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contro i quali nel maggio dello stesso anno, in un conflitto davanti il Castello di Morioro, virilmente si difese. Quindi avvenne che i Sanminiatesi per vendet-ta il palazzo dei figliuoli di Cuccolo da Morioro insieme con la torre che quegli uomini avevano edificato a San Miniato nel terziere fuori di Porta, in luogo det-to al Poggio, spianarono. Il Castello di Morioro fu custodito dalle gente della Repubblica di Pisa fino alla pace di Montopoli del 12 maggio 1318, a tenore della quale i Pisani si obbliga-rono infra 50 giorni restituire al comu-ne di Sanminiato dieci castella del suo distretto, compresovi Morioro, sicché appena avuto fu dai Sanminiatesi il Ca-stello diroccato. La parrocchia di San Germano a Moriolo, o Morioro nel 1833 contava 322 abitanti.

Orcio d’oroAgli inizi degli anni ’70 gli artisti sam-miniatesi fanno circolo intorno alla ca-nonica di Moriolo, dove risiede il prio-re Luciano Marrucci. Sono: Giuseppe Fontanelli (Bissietta), Franco Giannoni, Giorgio Giolli, Sauro Mori, Pietro Mar-chesi (Tropei); saltuariamente ne fa parte anche Dilvo Lotti. In un secondo tempo si aggregano al gruppo i giova-nissimi Luca Gamucci e Luca Macchi. Il gruppo prende contatto con Enrico Magnani della cartiera di Pescia e con Vanni Scheiwiller, editore a Milano.

1. Stemma di Moriolo2. Pittura ad olio di Giuseppe Landi sulla facciata della Chiesa di San Germano a Moriolo3. Madonna con il bambino in terracotta policroma nella Cappella della Madonna4. Veduta della parte absidale con finestrone istoriato raffigurante San Germano d’Auxerre e San Pietro Igneo5. Veduta di San Miniato dal campanile di Moriolo6. Popolo di San Germano a Moriolo, Carte dei Capitani di Parte Guelfa, Firenze, 15957. Pietra con iscrizione a fianco della Canonica8. Villa Lami (già Villa de Pazzi e Villa Grifoni); costruita sulle fondamenta dell’antico Castello9. L’amanuense. Affresco di Luca Macchi sulla parete est dell’Oratorio di San Matteo10. Oratorio di San Matteo sullo sprone collinare11. Foresteria di San Germano a Moriolo

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A San Miniato sono operanti in questo periodo delle tipografie artigiane che fanno capo a Giorgio Gioncada, Fran-co Palagini e ai fratelli Altini (Tipografia Bongi). Escono produzioni soprattutto a carattere locale contrassegnate da car-te pregiate su cui vengono impresse xi-lografie tirate su legni di filo e di testa, ottenute da bosso, olivo e pero.

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La storia di Gabbro, piccolo centro sui Monti Livornesi, inizia con i re-sti archeologici della fine dell’età

del Bronzo, attraversa l’epoca romana e medievale per giungere fino ai giorni nostri con degli eccezionali protagoni-sti: le famiglie, i luoghi, il castello e il Comune che, ricordato già nel secolo XIV, fu soppresso dalla riforma di Pietro Leopoldo del 1776. A tutt’oggi gli abitanti del Gabbro han-no conservato un forte sentimento di unione e d’identità, per il consolidarsi del quale è stata fondamentale la reli-gione cattolica. La chiesa di San Miche-le sul vicino poggio di Contrino fu edifi-cata nel primo millennio, come oratorio di castello longobardo, e nel secolo XVI ricevette dagli arcivescovi pisani il titolo e le competenze della decaduta pieve di S. Giovanni Battista di Camaiano. Più vicina ai nostri tempi fu l’istituzione del-la Compagnia della Natività di Maria, avvenuta nel 1597 dentro il paese, nel luogo che oggi si dice l’«arco»; ebbe fi-nalità di devozione, di assistenza agli in-fermi e suffragio dei defunti. Nel 1761,

TEXT Paola Ircani Menichini PHOTO Corrado Palomba

per maggior comodità degli abitanti, fu spostata al Gabbro anche la sede di San Michele in un nuovo edificio progettato da Alberigo Venturi. Le attività della Compagnia, soppressa nel 1785 e ripristinata nel 1831, invece si fusero con quelle della locale Arci-confraternita della Misericordia agli inizi del Novecento.Chi oggi giunge al Gabbro provenen-do dalla statale 206, si trova di fronte la chiesa parrocchiale e il suo imponente campanile che testimonia l’importanza secolare di tale struttura per gli abitan-ti, specialmente se si considera lo svi-luppo del castello e l’ubicazione delle chiese e dei poderi dei dintorni. Ne parlano i documenti riguardo ai lavori e ai restauri che erano a spese del Comu-ne. A San Michele di Contrino la cam-pana fu rifusa nel 1666-1667 e un nuovo campanile fu fatto nel 1741, mentre per la nuova chiesa del 1761 ne fu costrui-to uno «a vela» sul tetto. Quest’ultimo aveva due piccole campane di bronzo che nel 1800 si affiancarono (o lasciaro-

no il posto) ad altre due, opera dell’arti-giano Pancrazio Bettalli di Castelnuovo dei Monti, e battezzate una con il nome di S. Michele arcangelo e l’altra con quello di S. Vincenzo Ferreri. Nel cor-so dell’Ottocento si edificò sulla piazza della pieve una struttura più adeguata: un campanile a torre che nel 1838 fu ri-fatto perché giudicato poco stabile. Nel 1893-1902 si giunse all’ultima costruzio-ne, disegnata dal gabbrigiano Giovanni Spinelli e finanziata dal popolo e dal marchese Vittorio de Ghantuz Cubbe di Livorno. A tutt’oggi porta quattro cam-pane che la ditta Magni di Lucca rifuse nel 1912.L’uso ecclesiastico e civile delle cam-pane è noto. E quelle del Gabbro non fecero eccezione. Secondo le visite pa-storali e altri documenti, suonarono a partire dal Cinquecento per chiamare alle liturgie, alle adunanze della Com-pagnia e la domenica dopo il vespro al catechismo, durante il quale s’insegna-va ai ragazzi e agli adulti l’avemaria, il paternoster e il credo in latino. Nei pri-

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campane abbrole del

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mi decenni dell’Ottocento festeggiaro-no anche l’arrivo dei vescovi di Livorno o chiamarono per qualche avvenimen-to straordinario come ad esempio nel 1832 la venuta del granduca Leopoldo II al paese. Fu un suono abituale come lo furono i riti e le preghiere cattoliche, alle quali si accompagnò nei secoli. Molto praticata al Gabbro fu la recita dell’ave Maria che i confratelli della Compagnia dicevano cinque volte il giorno, e poi a tavola, entrando in chiesa, mettendosi la cap-pa turchina, oppure proprio al suono delle campane. Quest’ultima partico-larissima devozione è testimoniata in-direttamente dalla visita pastorale fatta al vicino paese di Rosignano nel 1597, quando l’arcivescovo di Pisa Carlo An-tonio Dal Pozzo ordinò al pievano che «facci sonare l’ave Maria dell’alba et an-cora quella di mezo giorno». È una breve frase, senza altre aggiunte, che ci fa conoscere una tradizione tosca-na in verità poco documentata sui Mon-ti Livornesi. Si riferisce a quei particolari rintocchi di campana suonati all’alba, a mezzogiorno e al tramonto (o sera), chiamati proprio avemaria. Seguendo il corso del sole e le stagioni, invitava-no chi li udiva ad alzarsi e ad affronta-re la giornata, a sostare e a pranzare, a smettere il lavoro e tornare a casa per la cena. L’avemaria della sera era la più suggestiva e annunciava la ventiquat-tresima ora del giorno; il rintocco suc-cessivo era detto «una di notte». Dante la ricordò nel canto VIII del Pur-gatorio, come «squilla di lontano»:«Era già l’ora che volge il disìo / ai navi-ganti e intenerisce il core / lo dì ch’han detto a’ dolci amici addio; / e che lo nuovo peregrin [chi viaggia per la prima volta] d’amore / punge, se ode squilla di lontano, / che paia il giorno pianger che si more». Il Pascoli ne parlò nella poesia Nel Giar-dino (Myricae): «... ed al sospiro dell’avemaria,/ quando nel bosco dalle cime nude/il dì s’esala, il cuore in una pia /ombra si chiude».Altra letteratura ricorda come a quel suono ci si levasse il cappello o si pen-sasse ai propri morti. Il significato più ap-propriato comunque restò religioso. Durante i rintocchi si recitava la preghie-ra e al versetto «sancta Maria, mater Dei, ora pro nobis peccatoribus, nunc et in hora mortis nostrae» si chiedeva l’inter-cessione di Maria «per noi» gente difet-tosa e presuntuosa: ora, nel momento all’arrivo della notte terrena e in un’altra ora, quella della notte del corpo, cioè della morte, raffigurata e immaginata peggiore del buio, che a quel tempo, al contrario di oggi, era davvero nero e spaventoso. Va detto che il trasformare i piccoli avvenimenti quotidiani in poesia e preghiera fu cosa comune tra la gente di campagna.

Ne rese sopportabile la dura vita sem-pre contigua alla miseria, considera-ta l’incognita delle coltivazioni e della stagione inclemente. Anche il Gabbro conobbe questi tristi momenti. Nel 1463 era descritto dalla visita pastora-le spopolato e depresso, impossibili-tato a mantenere la chiesa e il rettore di San Michele; pertanto la cura delle anime era passata al rettore del vicino paese di San Regolo di Fauglia. Gran-de povertà è ricordata anche negli anni seguenti il venerdì santo del 1563, gior-no in cui le campane non suonarono per ricordare la Passione, e il paese fu rapinato dai turchi giunti inaspettati dal mare 1.

Nota: 1. Il 29 settembre 2011, durante i festeggiamenti patronali e la celebrazione del 250° anniversario della costruzione della nuova pieve al paese, è stato presentato il libro di Lando Grassi, Paola Ircani Menichini, Corrado Palomba, La storia della pieve di San Michele e della Compagnia della Natività di Maria del Gabbro (sec. XIV - sec. XIX) - Le pievi e le chiese di Rosignano, Vada, Castelvecchio e Castelnuovo della Misericordia nelle visite pastorali dei secoli XV - XVII, Nuovo Futuro, Rosignano Marittimo 2011.

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1. L’arco del Gabbro in una foto d’epoca. Nelle stanze sopra l’arco si trovava la sede della Compagnia della Natività di Maria.2. La pieve di San Michele del Gabbro nel 2011.3. Il campanile attuale.

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TEXT&PHOTO Irene Barbensi

Peccioli

Il pomeriggio di domenica 26 sarà ani-mato anche dalle note della Filarmonica di Peccioli e dai colori delle sue majo-rettes, da spettacoli di danza e dallo spettacolo di magia Prestige. I bambini si divertiranno a correre dietro a gigan-tesche bolle di sapone. Per il secondo anno tornerà la falegnameria di Mastro Geppetto e il suo Pinocchio. Venerdì 6 gennaio sarà la volta di Silvia Rubes con La notte è piena di stelle, una breve opera variabile in due atti di teatro di strada. Interessante il labo-ratorio Ritmo, vita e percussioni, un percorso di pedagogia musicale con i tamburi del mondo, una storia che si racconta e si fa con i bambini, un’avven-tura nella giungla dei suoni, una danza nel cerchio degli indiani. Il fuoco sarà protagonista di uno spet-tacolo di giocoleria e musica dal vivo degli Jaroda, ispirato ad una leggenda

con

del popolo sudamericano dei Guarani che racconta la conquista del fuoco rubato agli Uburu per potersi scaldare e illuminare le notti buie. Per il giorno dell’Epifania non poteva mancare la Befana che spaventerà e divertirà gran-di e piccini. Domenica 8 gennaio il Teatro dell’Arin-ga racconterà la storia di Prezzemolina in un nuovo insolito modo, in una cucina piena di pentolini, frutta, verdura, canti e musica in un’atmosfera senza tempo. La musica tornerà ad allietare i vicoli del borgo con il concerto per flauti diretto dal M° Lanini dell’Orchestra dell’Acca-demia Musicale Toscana con i ragazzi delle Scuole Medie della Valdera. Peccioli si trasformerà per una notte anche in una piccola Verona con Romeo e Giulietta, parodia musicale e farsa teatrale a cura di Scenica Frammenti. La lacrimosa storia dai versi di Shake-speare ai giorni nostri, rivista e corretta attraverso stornelli, canzoni, canzonet-te, cinema e cartoni animati. La magia continuerà con molti altri spettacoli, giochi e laboratori in un vor-tice di luce e colori che incanteranno tutti coloro che varcheranno le porte della città. Ritornerà anche quest’anno per la terza edizione il FiabesqueDanza, curato da Antonella Tronci, ritorneranno le instal-lazioni luminose LuminaFiaba e le video proiezioni architetturali sui loggiati e suoi palazzi del centro, inaugurati da un ospite di eccezione, il designer Piero Castiglioni, esperto internazionale di progetti illuminotecnici. Ottava edizione anche per il Cartoon’s Night, con ospiti di grande spessore: Marco Regina, animatore della califor-niani Dreamwork, character designer per il noto cartoon Kung Fu Panda.Un evento che, dalle colline toscane, si è fatto caleidoscopico ambasciatore nel mondo dei mille messaggi, dei mille diversi volti dell’immaginario fiabesco.

Per informazioni: www.fiabesque.org

Peccioli torna ad essere Città delle Fiabe in questo inverno che salu-ta il 2011 per trasformarsi in un

nuovo anno. Per alcuni giorni il centro storico viene invaso da streghe, saltim-banchi, mangiafuoco, cantastorie con spettacoli di magia, di luce e colori, di festa e di stupore. Promossa dal Comune di Peccioli, Fondazione Peccioliper e MBVision e giunta quest’anno alla sua ottava edi-zione, Fiabesque dal 18 dicembre torna a rianimare di poesia, luci e colori il borgo di Peccioli. E lo fa in cinque diverse giornate ricche di nuovi spet-tacoli, nuovi allestimenti e nuovi ospiti: artisti, attori, cartoonist, registi, illustra-tori (18, 26 dicembre, 6, 7, 8 gennaio).Come in una vera Città delle Fiabe, sulla soglia dei due ingressi dell’antico borgo, gli attori daranno il benvenuto a grandi e piccini, offrendo loro anche una mappa con le tantissime iniziative presenti. Il centro sarà allestito con un nuovo e fantastico impianto luci, coadiuvato da proiettori architetturali e decorazioni di luce.Il divertimento inizierà a partire dalle 15 di domenica 18 dicembre con il Gran Gioco di Fiabesque, una caccia al tesoro per grandi e piccini, e altri giochi itineranti; proseguirà con La bottega fantastica, La magia delle fiabe labo-ratori ludico-creativi attraverso i quali sarà possibile riscoprire la cittadina di Peccioli attraverso la realizzazione di manufatti artistici legati all’architettura del paese ed arricchiti con i personaggi fantastici del mondo delle fiabe. Domenica 26 dicembre sarà animata da letture di fiabe ad alta voce, dallo spettacolo teatrale L come Lamberto e dalle Avventure di Puck il follet-to. Fiabesque avrà quest’anno anche momenti più intimi, in cui tutti coloro che lo vorranno saranno invitati a rac-contarsi all’interno di un’antica stalla a luce di candela, come alla ricerca di una perduta autenticità: un incontro setti-manale per raccontare aneddoti, storie vissute e ricordi.

città delle fiabe

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A Pontedera presso il Museo Piaggio è stata realizzata una mostra che rende omaggio all’inventore della

Vespa, raccontandone la lunga vita avven-turosa e le sue mille intuizioni.Una grande mostra ideata e curata dalla Fondazione Piaggio, con l’architetto Enrico

Agonigi che terminerà il 31 gennaio 2012.Un’iniziativa nata con il patrocinio del-la Sovrintendenza per i beni archivistici dell’Abruzzo, della Regione Toscana, del-la Provincia di Pisa, del Comune di Pon-tedera, delle Province di Pescara e del Comune di Popoli. Un evento, uno dei più grandi contributi alla conoscenza dell’opera di Corradino

d’Ascanio a cui hanno contribuito Daniel Schinasi, che ha realizzato il ritratto sim-bolo della mostra, Alberto Fremura che ha disegnato quattro bozzetti a matita de-dicati alle sezioni della mostra, Mario Cri-stiani che ha scritto la lettura sotto forma epistolare che l’attore Luca Zingaretti ha recitato all’inaugurazione, accompagnato dal fisarmonicista Fabio Ceccarelli autore dei brani composti per l’occasione.La mostra si presenta ai visitatori con un percorso articolato in sezioni in cui si racconta la geniale unicità di Corradino d’Ascanio, uno tra i più grandi protagoni-

sti della storia industriale d’Italia.Quattro sezioni dedicate all’uomo, al ge-nio, al mago e al mito, raccontano la sua vita attraverso raccolte fotografiche, arre-di e documenti.Nella prima si racconta l’Uomo attraverso le foto della sua vita, dall’infanzia a Popoli agli anni passati in America fino all’arrivo alla Piaggio. Nel volume dedicato alla mostra, la nipote ricorda l’appuntamen-to di tutti gli anni in cui si ritrovavano per il pranzo del compleanno del nonno. Un rito indimenticabile, segnato da una

TEXT Angelo Errera PHOTO archivio CTE

Pontedera

Una invenzione geniale segna la storia

delle due ruote. La nascita della Vespa,

che da oltre sessant’anni affascina uomini e donne.

Nella foto. La locandina della mostra, firmata dal pittore neofuturista Daniel Schinasi.

scaniod’il sognoA

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Nella foto. MP6, prototipo di moto scooter progettato da Corradino d’Ascanio nel 1945.Enrico Piaggio, notando la parte centrale molto ampia e la “vita” stretta, esclamò: «Sembra una Vespa!»Nacque così il nome dello scooter più famoso al mondo. (foto dal catalogo della mostra)

tovaglia bianca con piccole vespe ed eli-cotteri ricamati. Nella seconda si racconta il Genio attra-verso l’esposizione di disegni e brevetti tra cui l’invenzione del prototipo di elicot-tero e la nascita della Vespa.La terza sezione è dedicata al Mago poi-ché a lui si devono i più originali e bizzar-ri allestimenti nei saloni e fiere delle due ruote a cui partecipava la Vespa, i suoi trucchi ed effetti che si possono visua-lizzare in uno spazio della mostra grazie alla tecnologia virtuale realizzata dal la-boratorio PERCRO della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Per ultima la sezione dedicata al Mito dove vengono esposti i

modelli storici realizzati oltre alle testimo-nianze di amici e colleghi. La Vespa non è solo un mezzo a due ruo-te ma è anche la storia di un Paese in cri-si all’indomani della guerra, di un Paese che deve ripartire da zero, un Paese che rinasce grazie al coraggio e lungimiranza di molti imprenditori e industriali, fra cui Enrico Piaggio, che a capo di un’industria aeronautica uscita a pezzi dal conflitto, sa rimettersi in gioco intuendo che l’uni-

co modo per salvare l’azienda è mettere sul mercato un prodotto nuovo, adatto ad un Paese affamato di novità: «voglio un mezzo che metta l’Italia su due ruote, però non voglio la solita motocicletta», dirà Piaggio.L’ingegnere d’Ascanio, non ama la moto-cicletta, unico mezzo a due ruote del tem-po, ma la considera scomoda, con limiti d’uso sia per la difficoltà nel cambiare la

ruota sia per il fatto che ci si sporca a cau-sa della catena di trasmissione.Egli allora progetta un mezzo del tutto di-verso, un veicolo con scocca portante, con un motore a presa diretta e con il cambio sul manubrio in modo da facilitarne la gui-da, la carrozzeria protegge chi guida e la posizione del guidatore è simile a colui che sta seduto in poltrona.Enrico Piaggio osservandola dice «Sem-bra una vespa!» Ecco, allora nasce il suo nome. Il giorno 24 aprile del 1946 viene depositato il brevetto a Firenze. Oggi sono oltre 17 milioni le Vespe prodotte in circa 130 modelli e vendute in tutto il mondo. La Vespa è protagonista nella storia del costume, della mobilità, del de-sign, della comunicazione e del cinema; non è solo uno scooter, ma un’autentica icona di stile diventando un elemento di unione tra generazioni e culture diverse. Un sogno che è diventato realtà.

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Mettete una città medievale tosca-na, unite la passione per il fumet-to, il gioco intelligente e il cine-

ma, condite con oltre 500 espositori, 1000 cosplayers, 600 tra eventi, mostre, incontri e showcase, mischiate il tutto con nume-rose personalità del settore nazionali ed internazionali ed avrete il Lucca Comics and Games 2011, il popolare festival che ha animato il centro storico di Lucca dal 28 ottobre al 1 novembre scorsi. Forte delle 135mila presenze registrate nel 2010, l’edizione di quest’anno ha battuto ogni record arrivando a contare 155mila visitatori che hanno invaso con animo festaiolo gli oltre 22mila metri quadri di spazio espositivo e le 7 piazze cittadine occupate dalla manifestazione. Adulti e bambini, esperti e neofiti del settore, appassionati e semplici curiosi hanno potuto godere l’atmosfera magica e sur-reale di una città popolata da personaggi che rievocano ricordi legati all’infanzia, che rimandano alla cinematografia di suc-cesso o ai videogiochi più appassionanti degli ultimi anni. Sono i cosplayers, gente comune che si trasforma per un giorno in personaggi riconoscibili vestendone i costumi ed imitandone i comportamenti. Questa pratica del travestimento, ori-ginatasi in Giappone dagli amanti dei manga e degli anime, si è diffusa nel

mondo aprendosi ai personaggi di inven-zione occidentali. A farla da padrone, quest’anno, i guerrieri della Setta degli Assassini dal noto videogioco Assassin’s Creed che, con le loro tuniche bianche ed i loro cappucci ben calati sul volto, hanno vigilato i visitatori dall’alto dei loggiati e delle mura di Lucca. Oppure la scanzo-nata ciurma della Perla Nera capeggiata dal capitano Jack Sparrow in onore della saga cinematografica “Pirati dei Carabi”. Accanto a loro una multiforme e colorata

pletora di personaggi, dai classici Lupin, Daitarn, Gaiking, Mazinga-z, Cavalieri dello Zodiaco, Dragonball, ai più recen-ti One piece, Naruto e Berserk; dagli spartani di 300 a Edward mani di forbice; da Wolverine a Iron Man; dalla famiglia Addams ai Simpson. Ma il Lucca Comics and Games si fa ricor-dare soprattutto per la ricca offerta degli espositori, dagli editori di comics più famosi quali Bonelli, Magic Press, Panini Comics, Edizioni Coconino, ai collezionisti

TEXT Samuela Vaglini PHOTO Alessio Battaglia

Lucca Comics and Games 2011

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omicsCun giorno da

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di fumetti e gadget provenienti da ogni parte d’Italia, fino ai riven-ditori dei fumetti autoprodotti. Rovistando fra i 500 stand del festival ce n’è per tutti i gusti: shonen e shojo manga (fumetti rivolti rispettivamente al pubblico maschile e femminile), kodomo e seinen manga (fumetti per un pubblico più giovane i primi e più maturo i secondi), romanzi grafici, docu-fumetti, albi, fumettistica di ogni parte del mondo e di ogni genere, comico, fantasy, horror, reportage, vampire, mistery e così via. Inoltre, questa edizione ha potuto vantare la partecipazione di celebrità del settore, naziona-li ed internazionali, che hanno incontrato il pubblico, partecipato ad incontri culturali e, in alcuni

casi, si sono cimentati dal vivo nelle loro specialità. James Phelps, interprete di uno dei gemelli Weasly nei film di Harry Potter, l’attore americano Dirk Benedict meglio noto come Templeton “Sberla” Peck nella serie televisiva A-Team, il Premio Oscar Scott Farrar realizzatore di effetti speciali per il cine-ma hollywoodiano, il regista e direttore di fotografia Marco Pontecorvo, solo per citarne alcuni. Ma anche grandi artisti del fumetto come il giapponese Jiro Taniguchi, Yoichi Takahashi (padre del cartone animato Holly e Benji) e l’ingle-se David Lloyd creatore di V… come Vendetta, misterioso rivoluzionario in una immaginaria Inghilterra dispotica, tornato alla ribalta delle recenti cronache quale simbolo del desiderio di cambiamento politico e sociale. E ancora Vince Tempera, autore di sigle di cartoni animati quali Goldrake, L’Ape Maia, Daitarn 3 e la sempreverde Cristina D’Avena in coppia con Giorgio Vanni, interprete delle sigle cartoon più amate e ancora le più cantate da grandi e piccini. Infine, non è possibile concludere questa rapida e certo non esaustiva carrellata dei topics del Lucca Comics and Games senza citare i numerosi eventi culturali organizzati in questa edizione dedicata al romanzie-re d’avventura Emilio Salgari nel centenario della sua scomparsa. A Salgari è stata dedicata una mostra delle illustrazioni delle sue opere, delle rappresen-tazioni dei suoi più celebri personaggi e degli albi originali degli anni Trenta e Quaranta. Mostre sono state dedicate anche a Manuele Fior e Davide Reviati, due autori italiani molto apprezzati da critica e pubblico; a David Lloyd uno dei maggiori disegnatori inglesi che ha lavorato anche per Marvel, DC Comics e DC Vertigo; ai disegnatori spagnoli Canales e Guarnido che hanno dato vita a John Blacksad, il gatto nero antropomorfo detective.Lucca Comics and Games di quest’anno ha mostrato anche un’anima solida-le e, se vogliamo, più nostalgica, ospitando una sezione dedicata a Sergio Bonelli, editore molto apprezzato sul panorama fumettistico recentemente scomparso, e ampliando il Japan Palace ovvero l’area espositiva riservata alla cultura giapponese, dall’oggettistica alla gastronomia tipicamente orien-

tale. Per il Giappone, funestato quest’anno da una catastrofe ine-narrabile, sono state organizzate iniziative benefiche volte a racco-gliere fondi per la ricostruzione del Paese del Sol Levante.Al visitatore, che indubbiamente è rimasto ammaliato, anche se non pago di una sola giornata per scoprire tutte le proposte della manifestazione, non rimane che dire: a rivederci alla prossima puntata!

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1. Jack Sparrow da Pirati dei Caraibi2. Guerriero di Assassin’s Creed3. stand 4. Gundam rx78, oggettistica 5. Yoshiko Watanabe al lavoro6. Lego Jedi

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Andrea Zanzotto (1921-2011), scom-parso nell’ottobre di quest’anno, nacque a Pieve di Soligo, Treviso,

si laureò a Padova in lettere ed è stato a lungo insegnante nella scuola media. Partecipò alla Resistenza occupandosi di stampa e propaganda del movimento. Nel 1950 ebbe un riconoscimento essenziale da una giuria composta da Ungaretti, Montale, Quasimodo, Sinisgalli e Sereni che gli attri-buirono il primo premio San Babila, per quello che sarà edito con il nome di Dietro il paesaggio nel 1951. Seguace di Giustizia e Libertà, scriverà per Paragone, Il Giorno, il Corriere della Sera e riviste letterarie. Della sua vasta opera si ricordano Vocativo 1957, Ecloghe 1962, La beltà 1968, Galateo in bosco 1978, Fosfeni 1983, Idioma 1986, Meteo 1996, Sovrimpressioni 2001. Una cri-tica sterminata ha seguito il suo lavoro. Fra i moltissimi interventi critici sulla sua opera riportiamo, per i lettori di Reality, un estratto di una bellissima intervista della scrittrice Elisabetta Rasy apparsa su Panorama il 17 ottobre del 1983.

Nella sua poesia, dicono, ci sono molte lingue non solo quella della tradizione poe-tica, ma anche il dialetto, tracce di lingue straniere o delle lingue classiche, e persino il linguaggio dei bambini...Ho fatto perno anche sui linguaggi privati, i linguaggi a due, quelli che univano una volta i bambini alla madre, oppure quei linguaggi che uniscono un piccolo entoura-ge, linguaggi in cui gli errori entrano come momento creativo.Per esempio?Il latino delle donnette in chiesa, fiorito di creazioni fantastiche molto interessanti. Ma poi ci sono altre risonanze nella mia poesia: i versi degli animali, i cinguettii, i rumori della strada, tutto quanto fa parte di una fascia di “conforti prelinguistici“ come li chiamo io.Poi c’è il dialetto: per lei è soltanto un veicolo di espressione o anche un valore sociale?Anche un valore sociale. Anzi, la dimo-strazione della resistenza di un certo valo-re sociale molto arcaico, passato quasi totalmente nell’inconscio ormai, che richiama quello della solidarietà tribale.

Attraverso il dialetto io posso sentire un collegamento con il sottofondo misterio-so della terra.Nella sua poesia ci sono riferimenti diversi: alla psicoanalisi da un lato e alla scienza dall’altro.Temo molto quello sguardo assolutamente neutro, almeno in teoria che proviene dal campo scientifico e che può ridurre quella carica, chiamiamola di passione [...]. La lin-gua, come la vita psichica, è una fiamma. La luce che apportano le scienze umane e in particolare la psicoanalisi rischia di essere negativa e fossilizzante se non è ripresa all’interno di questo lieve fiammeggiare.Lei si è molto interessato alle teorie di Jacques Lacan. Perché?Perché Lacan ha radicalizzato la presenza della parola nella psiche. Ma non è che io accetti tutto quello che dice Lacan; anzi certi aspetti della sua teoria mi sono sempre sembrati talmente tenebrosi da terrorizzar-mi. L’”io” per esempio: per me è spontaneo vederlo come connesso al fuoco appunto qualcosa di fiammeggiante, ignis ardens. Invece L’”io” di Lacan, un “io” capovol-to, rovesciato, che è quasi un risucchio di vuoto, mi ha sempre sgomentato.Qual è il posto dell’”io“ del poeta nella sua poesia?L’”io” muore dentro la poesia. La parola con un po’ di fortuna conserva qualcosa del fuoco dell’”io”, altrimenti è cenere e basta. Per quanto rimosso, beffeggiato, lordato, L’”io” resta sempre il punto di partenza dell’atto dello scrivere. [...]E il segno distintivo della poesia qual è?Direi che si produce poesia là dove c’è comunicazione e innovazione nel momento in cui si sta comunicando.Dicono che la sua poesia è difficile. D’accordo?Io penso che non sia né facile né difficile. Mi sembra rifletta un po’ le mie debolezze, le mie incertezze, il mio essere spezzettato...Lei ogni tanto lavora per il cinema. Fellini ad esempio. Perché lo fa?Il cinema per me è importantissimo, è l’anta-gonista della poesia.Perché?Perché il cinema lo vedo come linguag-gio universale, senza barriere, il grande

TEXT a cura di Valerio Vallini

linguaggio della pittura che è diventata movimento. Il linguaggio dello spettacolo onnicomprensivo che serve all’esquimese come al sudafricano e che quindi ha i grandi doni della poesia, senza avere i limiti della poesia che è seppellita nell’uovo narcisistico della propria lingua d’origine. [...]

Quando nel 1978, mi capitò di legge-re Galateo in bosco, nello Specchio di Mondadori, quella poesia mi colpì tanto, che sentii la necessità di esplorare questo poeta di cui gli amici di Salvo Imprevisti, rivista fiorentina diretta da Mariella Bettarini, erano entusiasti. Acquistai una piccola anto-logia dal titolo Poesie a cura di Stefano Agosti. Mi fulminò la chiusa finale dei versi nella poesia Figura. È una poesia che descri-ve un convivio e i commensali e i volti. Ecco la chiusa surreal-simbolista: «/baci e spine premono intorno,/ le candele/ alzano mura di marmo,/ sotto le mense/ muto splendido cane è la morte./».Il trauma che Zanzotto aveva avuto per la morte di una sorellina, lo segnò per tutta la vita. E la morte, la sua assurda significan-za, lo accompagneranno per tutta la vita. Ecco la sua nevrosi, l’appassionata lettura di Lacan, la fiamma della poesia come una pedagogia terapeutica. Tuttavia Zanzotto non mi sarà mai maestro, almeno consa-pevolmente. La sua poesia è uno scavo profondo nella lingua: petrarchesca, popo-lare, dialettale, futuribile. È un “fabbro” – il riferimento è al fare poesia di Pound – che sviscera i significanti, esplora la semantica, come un Livingstone nella giungla delle parole, o meglio nei suoi boschi, nelle sue valli. Dalla sua “archeologia”, non vengono però freddi reperti, ma calde visioni e imma-gini. Cito dalla Perfezione della neve: «/ Ma come ci soffolce, quanta è l’ubertà nivale/ come vale: a valle del mattino a valle/ a monte della luce plurifonte./».Parlando di Galateo in bosco, Gianfranco Contini ha sviscerato gli ingredienti di que-sta poesia: il fiumicello Soligo per dire della sua “Arcadia” domestica; l’andare “Dietro il paesaggio”, cioè oltre l’ordinarietà quoti-diana; l’affondare nel dialetto fino al gergo infantile, al petèl; gli Ipersonetti fra Tasso e Petrarca; questo e molto altro.

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Da Dietro il paesaggio (1951)

Nel mio paese

Leggeri ormai sono i sogni,da tutti amatocon essi io sto nel mio paese,mi sento goloso di zucchero;al di là della piazza e della salvia rossasi ripara la pioggiasi sciolgono i rumoried il ridevole cordoglioper cui temesti con tanta fantasiaquesto errore del giornoe il suo nero d’innocuo serpenteDel mio ritorno scintillano i vetried i pomi di casa mia,le colline sono per primeal traguardo madido dei cieli,tutta l’acqua d’oro è nel secchiotutta la sabbia nel cortilee fanno rime con le collineDi porta in porta si grida all’amorenella dolce devastazionee il sole limpido sta chinosu un’altra pagina del vento.

Da Elegia e altri versi

È un tuo ricordo

È un tuo ricordo il puro azzurro,senza fondo la quiete dei montiche il pluvioso crepuscolo accoraLe ciglia insieme suggellate e le mani,noi affannati da ieri nel tempoestraneo che indietro ci trascina;la mucida collinasul cui filo deviò la luceattende curva il brividodella dolente fredda primavera,e le rame rasentano più bassod’ogni caduta palpebraun tuo ricordo, il puro azzurro.Finito il desiderio, chiuso il suonodei fiumi e della vita,sopita la fede oscura.ch’ebbi in tutta l’apertura del mondoin tutti i nodi avventurosid’alberi crete e venti.Da acque ed acque comparse e scomparsemi ristoro a fatica, da millegenerazioni di collinecui fu contrario il solee dall’orto che nel suo senoper sempre ha ritirato il rosso frutto.Trabocca l’altipianodi felci tenebrose e frane nude,la pioggia porta a sepolturatra clivi assenti l’ultimo paese.

Da Vocativo (1949-1956)

Fiume all’alba

Fiume all’albaacqua infeconda tenebrosa e lievenon rapirmi la vistanon le cose che temoe per cui vivoAcqua inconsistente acqua incompiutache odori di larva e trapassiche odori di menta e già t’ignoroacqua lucciola inquieta ai miei piedida digitate loggeda fiori troppo amati ti disancorit’inclini e volioltre il Montello e il caro acerbo voltoperch’io dispero della primavera.

Da Ecloghe (1957-1960)

Per la finestra nuova

Brilla la finestra del verde lungamentelungamente composto, sogno a sogno,orti o prati non so; ma quanta brinaprima ch’io mi convinca, quanta neve.Verde del grano che alzi il capo e irriditra l’incerto oro e il vuoto:tu, mia finestra, e tu, ciclo, che portia me tra placidi astri gli squillanti satellitiche il gioco umano ha lanciati, con lampidi fantascienza, a vagheggiare in orbiteleggiere i colli, e li vede a pie fermoil bue sul campo arato e la vite e la luna.O mia finestra, purezza inestinguibile.Per farti spesi tutto ciò che avevo.Ora, non lieto, in povertà completa,ancora tutti i tuoi doni non gusto.Ma tra pocotutto mi darai quel che anelavo.

L’attimo fuggente“Le front comme un drapeau perdu”

Ancora qui. Lo riconosco. In orbitedi coazione. Gli altri nell’incorposaincreante libertà. Dal monteche con troppo alte selve m’affrontatento vedere e vedermi,mentre allegria irrita di lumisan Silvestro, sparge laggiù la nottedi ghiotti muschi, di ghiotte correntie.È puro vento, sola neve, ch’io toccherò tra poco.Ditemi che ci siete, tendetevi a sorreggermi.In voi fui, sono, mi avete atteso,non mai dubbio v’ha offesi.Sarai, anima e nevetu: colei che non saoltre l’immacolato tacere.Ravvia la mia dispersa fronte. Sollevami. È questo il sospiro che discriminache culmina, “l’attimo fuggente”.È questo il crisma nel cui odore io dico:sì, mi hai raccoltosu da me stesso e con te entronella fonte dell’anno.

Da La beltà (1961-1967)

La perfezione della neve(tredici versi)

La perfezione della neve Quante perfezioni, quantequante totalità. Pungendo aggiunge.E poi astrazioni astrificazioni formulazione d’astriassideramento, attraverso sidera e coelosassideramenti assimilazioni — nel perfezionato procedereipiù in là del grande abbaglio, del pieno e del vuoto,ricercherei procedimenti:risaltando, evitandodubbiose tenebrose; saprei direi.Ma come ci soffolce, quanta è l’ubertà nivalecome vale: a valle del mattino a vallea monte della luce plurifonte.

Da Galateo in bosco (1978)

Sonetto VIII (Sonetto di sterpi e limiti)

Sguiscio gentil che tra mezzo erbe serpi,diffidi guizzo che un enigma orienta,che nullo enigma orienta, e pur spaventail cor che in serpi vede mutar sterpi;nausea, che da una debil quiete scerpime nel vacuo onde ogni erba qui s’imprenta,però che in vie e vie di serpi annientaluci ed arbusti, in sfrigolio di serpi;e tu mia mente, o permanere, al limitedel furbo orrido incavo incastro rischio,o tu che a rischi e a limiti ti limi:e non posso mai far che non m’immischio,nervi occhi orecchi al soprassalto primise da ombre e agguati vien di serpe il fischio.

Sonetto XII (Sonetto di sembianti e diva)

Deh mostra a noi, mostra il tuo bel sembiante:ma sembiante non hai più che la polladi lume onde la selva là s’ammollae satolla, in se stessa vagolante;né spiarti giammai valse tra piantetu in secco aspro trapianto entro la follad’ombre che di se stessa ora s’accollasì come ora si disfa, fredda amante...Casta, diva, ulcerale stigma, erranteanzi aberrante ardir che di legamimai visti intreschi stili steli stamie ratta li rintuzzi, nel rovesciod’ogni sentir, d’ogni cognosco o nescio –mero licor di lingua, e mai-sembiante...

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AC era un posto infernale, a quell’epoca. Cioè, lo è tuttora, ma i nuovi casinò

la rendono infernale in un altro modo. Allora AC era lugubre, pericolosa. Tutta la città sembrava in procinto di scivolare dentro l’oceano. Fessi - fessi bianchi - si facevano uccidere laggiù. Fessacchiotti bianchi in cerca di figa nera professio-nista, della quale c’era una maledetta strabondanza. I fessi venivano sgozzati e squartati con piccozze e rasoi a mano libera. Questi orripilanti omicidi finivano sui giornali. Non che li legga mai, i gior-nali, ma vedevo le prime pagine sangui-nolenti mentre passavo le edicole. L’autista cinese si prese alfine una boc-cata di fumo d’erba quando eravamo già entrati nella palude dei Pine Barrens. L’erba che vende Streppy produce un fumo denso e oleoso che vaga piano per l’aria. L’autista rallentò e si fermò sul bordo dell’autostrada; spense il motore. Si potevano sentire le erbacce secche della palude e l’ululato del vento ghiac-ciato là fuori. Calvo, col pancione e gli occhi a mandorla sporgenti, si alzò, si girò verso i suoi passeggeri, raddrizzò la giacca della sua divisa, la cravatta, e marciò fino al retro del mezzo sotto il suo comando. Ora avrebbe dato una bella lezione ai tossicomani.Guardò duro il tipo nero. Con una voce alta, da donnicciola, disse, Chi fuma? Schiantai dal ridacchiare.Voi fumare. Non permesso su questo bus.Uno dei bambini del nostro nuovo amico si rimise a strillare.Io vi fare scendere da questo bus. Contro regolamento. Se ripesco voi a fumare, voi dovete pagare multa.Cliff gli disse qualcosa in cinese. Questa volta l’autista gli rispose. Tra tante altre cose disse gwai loh, che vuol dire diavo-lo bianco, questo almeno lo so. Anche i neri ci chiamano diavoli. Due diavoli bianchi andavano a un funerale nero ad Atlantic City.Alla stazione degli autobus, l’autista cinese ci fermò mentre stavamo per

scendere. Disse che dovevamo paga-re un supplemento perché avevamo oltrepassato la nostra fermata legale. Chiama la polizia degli autobus allora, gli dissi. Sapevo benissimo che non c’è pula nella Loser’s Lounge (n.d.t. la sala d’aspetto dei perdenti) alle due di mat-tina. Cazzi acidi, tipo cinese.Un uomo nero stava appoggiato ad una Cadillac verde parecchio ammaccata subito fuori dalla stazione. Era il fratello del nostro amico, oppure dicevano solo così: ehi fratello. Non era un problema se c’erano due in più, disse il tipo della Cadillac; forza, salite, montate, c’è posto per tutti. Mi trovai con un poppante nero in grembo; dormiva, sbavava. La donna nera me l’aveva appioppato così. Cliff chiese se doveva rollare un’altra canna. L’uomo che guidava disse ch’era meglio di no perché c’erano molti poli-ziotti in giro. Il posto dov’eravamo diretti non era nelle vicinanze della stazione degli auto-bus. Non era nemmeno dentro Atlantic City. Andammo di nuovo fra le paludi del New Jersey. Cominciai a sentirmi proprio assonnato. Mi sembrò di sogna-re quando vidi il posto dove ci fermam-mo: una piccola casetta fatta di legno e di lamiera ondulata quasi esattamente come la bicocca che avevo allucina-to sull’autobus. Cinquant’anni a pulire cessi in brutti hotel e devi vivere in un posto così. Macchine sgangherate erano parcheggiate alla buona tutt’attorno la capanna. Era venuta parecchia gente a dire addio alla vecchia.Era freddissimo quando scendemmo dalla macchina, c’era un vento pazzesco. Il bambino che avevo in braccio si sve-gliò e si mise un’altra volta a piangere.C’erano forse trenta persone ad affollare la sala, che era tutta la casa. Tutta quella gente produceva un bel calduccio. Avrei pensato che tutti quanti sarebbero stati a piangere e a pregare piano, ma invece chiacchieravano, mangiando e bevendo come fosse la festa del ringraziamento. Il cibo era su una tavola, che era una porta messa su cavalletti: riso, fagioli e

pollo. Un’altra donna nera mi prese il bambino che piangeva e si dibatteva. Lo levò in alto, guardandolo come fosse un diamante prezioso mentre il poppante continuò a strillare disperatamente e sbavò sul suo vestito nero d’un tessuto elastico e rilucente. La donna guardò me e disse, vai a mangiare, amore, come se fossi anch’io qualcosa di prezioso.Cliff ed io eravamo affamati, benché ci fossimo già ingozzati ad Harlem. Abbiamo riempito esageratamente due piatti di cartone e ci siamo messi a man-giare con le mani perché erano finite le forchette di plastica.Si sparse la voce, grazie al tipo che avevamo incontrato sull’autobus, che avevamo dell’ottimo fumo. Il tizio che ci aveva dato lo strappo in macchina, e un altro tipo ancora più grosso e nero di lui, non fecero per niente i timidi. Ci dissero di tirar fuori la roba.Era ovvio che la nostra scorta per un mese sarebbe andata in fumo tutta in una notte. Era quello, il prezzo d’ingres-so a quella festa.Cliff finì presto le cartine. Io non so rollare una sega; perciò non ne ho mai appresso. C’era un giornale degli ippo-dromi locali; usarono quello.Le canne si fecero più grandi. Il vino cola-va da bottiglioni con maniglie. Le canne diedero un sapore migliore al vino.La bara stava su d’un sofà veramente brut-to, tappezzato con un tessuto marrone e bianco pelosissimo, con grosse patacche scure sparse dappertutto. La bara nera luccicava come un pianoforte. Stava sco-perchiata; qualcuno aveva appoggiato il coperchio contro una parete.Ero fumato, e ora anche un po’ ubriaco; con in mano un piatto di cartone pieno di cibo unto, andai a dare un’occhiata a quel che c’era dentro la bara. Mi pare-va che tutti stessero evitandola, quella cosa. Era lì, ma invisibile.Una vecchia signora nera stava ripo-sando su d’un grosso guanciale di satin bianco; i suoi capelli erano così bianchi che scomparivano sulla stoffa. Sembrava un vecchio nero calvo che giaceva morto,

TEXT Matthew Licht

Rac

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ma con un viso di donna. I capelli della donna morta non erano la solita matassa grinzosa; erano così fini, morbidi e bianchi che mi venne voglia di toccarli, e così li toccai. Le avevano lasciato gli occhiali. Erano occhiali dalla montatura di plastica nera spessissima, del tipo che danno a gratis agli ospedali della pubblica assistenza. Forse la vecchia aveva chiesto di venir sepolta con addosso gli occhiali per poter vedere bene quant’è bello Gesù. Sembrava felice di essere morta. Il suo volto aveva l’espressione di chi ha avuto ragione da molto tempo su qualcosa, e ora tutti quanti lo sta-vano ammettendo, che aveva ragione lei. Non aveva le mani piegate sul petto, come si vede nei cartoni animati o al cinema. Le aveva in grembo, come se stesse pregando all’ingiù. Sembravano le mani d’un vecchio marinaio. Cinquant’anni a pulire cessi, tutti quei deter-sivi, tutto quello strofinare e stritolare cenci ruvidi e puzzolenti.Un’altra donna nera venne a mettermi una mano sul collo. Disse sù sù, baby. Non lo sapevo nemmeno, che stavo piangendo. Questa donna, quest’altra donna nera vivente, non poteva sapere che non avevo mai visto la morta in vita mia, che ero lì solo per caso. Teneramente, mi fece chinare la testa sulle sue poppe enormi, una sensazione bellissima. Ma poi mi vergognai di stare lì a piangere sulla sua tetta; dopo forse due minuti mi raddrizzai. Dissi, beh, ora è morta ed è tutto così triste.La donna disse, lo so, baby, lo so.Non sapevo nemmeno il nome della donna morta. Ero lì con tutta quella gente nera e non sapevo neanche uno dei loro nomi.Donne e uomini neri uscivano e rientravano di continuo. Non c’era una stanza da bagno in quella bicocca. I bambini pisciarono nei loro pannolini e i pannolini rimasero impisciati. A uno a uno, cominciavano ad addormen-tarsi dov’erano seduti, o dove c’era un posto per sdraiarsi.Qualcuno aveva rimesso il coperchio alla bara senza che me ne accorgessi. C’era uno spazio vuoto dietro il sofà che la reggeva. M’intrufolai lì, dove c’era un buio quasi totale. Dopo un po’ venne anche Cliff, dall’altro lato, e schiantammo a dormire con le nostre teste che quasi si toccavano, come gemelli siamesi.L’atmosfera era cambiata quando tutti si risvegliarono non più fumati o bril-li, ma con una brutta sbornia addosso. Cliff ed io ora eravamo degli intrusi bianchi. Non eravamo vestiti per andare ad un funerale; non eravamo più invitati al funerale.Il tipo che avevamo incontrato sull’autobus venne lì dov’eravamo accovac-ciati per terra ancora intontiti e disse che gli dispiaceva, ma d’ora in poi la festa è solo per la famiglia e amici.Volevo dare un’ultima occhiata alla vecchia donna morta, ma non sapevo come chiederglielo.Il tipo con la Cadillac color verde dollari non ci offrì un altro strappo fino ad Atlantic City. Chiusero la casa della vecchia morta con un lucchetto di quelli che si comprano in ferramenta. Aspettarono finché non c’eravamo allontanati d’un bel pezzo prima di partire anche loro nelle loro macchine per andare in quel posto dove si sarebbe svolto il funerale. Abbiamo cer-cato di fare l’autostop, ma nessuno aveva voglia di montare due capelloni dall’aria sconvolta. Quando giungemmo ad AC, andammo sulla spiaggia per cercare di scaldarci un po’ al sole.Una tipa che lavorava ad un pub irlandese sul lungomare uscì dal locale per fumarsi una sigaretta. Venne sulla spiaggia per darci un’occhiata. Si mise le mani sulle ginocchia, che aveva molto graziose, e si chinò per chiacchierare con noi. Disse, perché non venite nel bar, qua fuori fa un freddo polare. Le abbiamo spiegato la nostra situazione di essere senza un soldo.Lei si chiamava Colleen. Ci diede dello stufato irlandese, che Cliff ed io mangiammo dalla stessa ciotola. Non vi erano altri clienti nel locale e Colleen ci disse che era felice di avere un po’ di compagnia. Si sentiva qualcuno fare un gran baccano dalla cucina, gettando in giro pentole e padelle. Lei ci disse che era Larry; il locale era suo e non erano tempi buoni. Se Larry dovesse uscire dalla cucina e la pescasse che dava via a gratis il cibo, allora lei si troverebbe in un brutto pasticcio. Ma lui dalla cucina non usciva quasi mai.Colleen aveva sei gatti, a casa sua.Ero contento quando lei svegliò me la mattina seguente anziché svegliare Cliff, per chiedermi se l’avrei accompagnata al lavoro. Cliff deve averla presa a male, però. Quando tornai a casa di Colleen, verso le tre, lui non c’era più.

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LA COLLINELLA Casa Vacanze Bed & BreakfastVia S.Stefano, 147 - 50050 Montaione (FI)

e-mail: [email protected] www.agriturismolacollinella.it

Tel. 0571 69069 - Fax 0571 69069 - Cell. 329.5859541

Relax nel cuore della Toscana

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con la libreria Martelli nell’omonima via del centro storico fiorentino, e con molte altre in Toscana e in tutta Italia, vogliono chiuderla.Il vero problema, che sta dietro a tutto ciò, è quello della rendita immobiliare, che soffoca e immiserisce il centro sto-rico, mettendo in ginocchio la parte del commercio che investe su qualità e tra-dizione. Le istituzioni e le organizzazioni economiche di categoria devono assolu-tamente unirsi, denunciare la questione e scongiurare questo lento e, apparen-temente, inarrestabile declino.La stessa Regione Toscana dovrebbe intervenire, magari con una legge a tute-la del commercio e dei locali del centro storico, poiché queste attività costitui-scono una parte integrante del nostro patrimonio culturale. Si tratta di dichiara-re un vero e proprio stato di emergenza per la nostra città, e di capire di quali strumenti è possibile avvalerci per ope-rare immediatamente un rapido ed effi-cace intervento: una città di cultura non può assistere, impotente, alla chiusura di attività commerciali di valenza culturale come le librerie, a maggior ragione se si tratta di una realtà come Edison.In un periodo di crisi, non solo econo-mica, ma anche culturale, e non solo di Firenze e della Toscana, ma dell’Italia

TEXT Domenico Savini & Leonardo Taddei

Nel cuore della città di Firenze, in Piazza della Repubblica, si trova la sede della libreria Edison,

autentico centro di diffusione culturale del capoluogo toscano.Qui hanno presentato i propri libri, in anteprima, illustri scrittori, ma anche famosi personaggi del mondo della scienza, dell’arte e dello spettacolo, come, per esempio, Margherita Hack, Fabio Volo e Carlo Conti, per citarne solo alcuni.Ma Edison non è soltanto una semplice libreria: oltre ad offrire un vastissimo catalogo di opere di varia estrazione, infatti, l’unicità di questo meraviglio-so e magico luogo è la possibilità di sedersi ad uno dei tavolini presenti nella struttura, magari ordinando qualcosa da bere o da mangiare al bar interno, ed immergersi nella lettura di quotidiani, libri e riviste.E non è ancora tutto: la libreria è aper-ta fino a mezzanotte, sette giorni su sette. Un’assoluta rarità, particolarmen-te utile non soltanto perché crea un’al-ternativa in più per il cittadino, ma anche, soprattutto, perché costituisce un’opportunità preziosa per chi di gior-no lavora e non ha altro tempo da dedicare alla cultura, se non nelle ore serali. E adesso, come hanno già fatto

intera, in un’era in cui si assiste ad un appiattimento degli stimoli intellettivi da parte delle tv e del mondo delle realtà virtuali, sembra una follia voler togliere alle persone un angolo di para-diso, uno spiraglio di luce per il futuro: così facendo non si fa altro che gettare il centro storico e la città stessa in un baratro sempre più avvolto dalle tene-bre dell’ignoranza.E suona come un macabro paradosso che la libreria sia intitolata al celebre inventore statunitense Thomas Edison. Fu infatti lui che, per primo, seppe applicare i principi della produzione di massa al processo dell’ invenzione: grazie al suo operato, quelli che erano solo studi teorici e meri esperimenti di laboratorio furono trasportati nella realtà quotidiana delle persone comuni, entrando nelle loro vite stabilmente ed indelebilmente sottoforma di migliora-menti tecnologici di importanza storica. Così come lo scienziato americano era capace di diffondere i suoi lavori d’in-gegno alle grandi masse, l’omonima libreria fiorentina ha da sempre rive-stito il compito di inestinguibile fiam-ma divulgatrice di cultura per la città. E continuerà a farlo, fintanto che glielo consentiranno, fintanto che lo vorremo.In fondo, la libreria Edison è l’unico luogo che nessuno si stancherai mai di frequentare, né mai di ritrovare affollato ogni qualvolta, spesso più di una al gior-no, ci recheremo a farle visita. Perché Edison vive.

E vdison ive

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Isabel AllendeEl Cuaderno de MayaEdizioni: Feltrinelli

Ecco il nuovo romanzo di Isabel Allende. Protagonista è Maya Vidal, un’adolescente problematica nel turbine della droga e dell’alcol, che fugge da Las Vegas e dalla sua vita appesa a un filo, per rinascere nelle meravigliose isole del sud del Cile. Qui imparerà finalmente a conoscersi, e troverà l’amore. Si R

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Sophie KinsellaHo il tuo numeroEdizioni: Mondadori

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Poppy è una giovane fisioterapista in procinto di sposarsi. La sua vita scombinata la sta portando verso il matrimonio con un affascinante docente universitario. Tutto sembra andare verso la giusta direzione, ma una serie di eventi, in un’unica sera, cambieranno tutto.Il suo telefono con dentro tutta la sua vita e il suo matrimonio rubato, il prezioso anello di fidanzamento smarrito... e mentre rovista nella spazzatura per trovarlo, un cellulare nuovo di zecca di cui non può fare a meno di appropriarsi! Saranno proprio il nuovo cellulare e lo sconosciuto all’altro capo della linea che metteranno a soqquadro la vita e il suo “apparente” equilibrio!Kinsella torna con le sue storie frenetiche ed entusiasmanti, dove niente succede per caso.

Ecco una commedia leggera sul senso dell’amore.Brooke non ha mai creduto nell’amore a prima vista. Il destino

la smentirà una sera al Village quando sentirà cantare Julian, un

COMMEDIA

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confronterà con la sua vita passata in un lento e combattuto crescere che la porterà ad essere una donna. L’Allende torna con la sua spiritualità sud-americana per regalarci un’altra intensa storia al femminile che parla della crescita e delle crisi dei periodi che caratterizzano il percorso vero l’età adulta, affrontando con delicatezza l’importanza delle relazioni umane e come queste incidano, inevitabilmente, sul nostro essere.

Lauren Weisberger Il diavolo vola a Hollywood

Edizioni: Piemme

giovane in cerca del successo di cui s’innamora. Dopo qualche anno i due si sposano e niente scalfisce il loro

giovane amore. Brooke lavora per mantenere il sogno del suo uomo e aiutarlo a raggiungere il successo sacrificando

tutti i suoi interessi. Un giorno, la svolta! Dopo un’esibizione televisiva, Julien diviene il cantante d’America! La vita della coppia è sconvolta dall’ingresso nel circuito hollywoodiano:

luci, soldi, spettacoli, lusso! Ma Brooke non è a suo agio e non riconosce più l’uomo di cui si è innamorata e per cui

si è sacrificata. Allora che fare? Lasciarsi tentare dal mondo del successo oppure tornare alla sua vecchia vita, scaldata dal vero amore?

Lauren Weisberger ci mostra nuovamente le tentazioni del diavolo!

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Reality LA VETRINA

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TOCharles DickensCanto di NataleEdizioni: Crealibri Editore

Nicolas BarreauGli ingredienti segreti dell’amoreEdizioni: Feltrinelli

Siamo nella romantica Parigi, città dell’amore e del romanticismo. Qui vive Aurélie Bredin, giovane e attraente chef del ristorante di famiglia, Le Temps des Cerises, in rue Princesse, a due passi da boulevard Saint-Germain.Questo piccolo locale romantico immerso tra il profumo della cannella e del cioccolato, ha visto crescere la ragazza che ha ereditato la passione dal padre e il suo Menù d’amour. Ora, dopo una brutta delusione d’amore, neanche qui riesce a trovare la serenità.Sarà un libro, “Il sorriso delle donne”, nel quale si imbatterà per caso in una libreria, a farle tornare la fiducia in se stessa e nell’amore. Quella storia che sembra così tanto parlare di lei e del suo locale, la porta sulle tracce del misterioso autore inglese, di cui però sembra non esistere traccia.Andrè, l’editore, non sembra volerla aiutare... anzi! Ma Aurèlie non si lascia scoraggiare e quando finalmente riuscirà nel suo intento le cose andranno in maniera molto diversa da come le aveva immaginate. Il caso e l’amore s’intrecciano in una storia coinvolgente che vi farà venire voglia di volare a Parigi.

RACCOLTA

Marina EmanuelliIl Natale è servito

Pranzi Natalizi nel mondo

Edizioni: Collana Le Stringhe

Il Natale è un magico momento. L’albero, le luci, i doni, i profumi... l’atmosfera diviene magica e trepida d’attesa. Ma quello che più si fa per le feste di Natale è... mangiare.Ecco un libro che vi porta per le cucine del mondo in questo periodo!Un racconto itinerante dove ogni pagina ripercorre la storia di simboli, superstizioni e rituali natalizi giunti a noi dall’elegante e vicina Austria o dalla lontana e maestosa India. A completare il viaggio troverete semplici e gustose ricette tradizionali dei vari paesi, che vi saranno utili per fare una buona figura con familiari e amici o a non farvi trovare impreparati se passate le festività all’estero.

Il Natale è servito e con questo libro potrete stupire parenti e amici!

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Per chi non l’avesse ancora letto, il periodo del Natale si adatta a questa storica lettura senza tempo. Un racconto classico che ci porta nel mondo surreale dell’avaro e crudele Scrooge. Un uomo il cui cuore è diventato arido, insensibile e la cui vita è esclusivamente dedita all’accumulo delle ricchezze materiali, in una triste solitudine priva di affetti e sensibilità. Saranno tre fantasmi che nella notte di Natale lo proietteranno tra i Natali passato, presente e futuro, riportandolo così al vero senso della vita. Ne emerge un messaggio di amore e fratellanza, in un’atmosfera cupa e triste, attraverso emozioni, dolci e forti, di gioia e dolore in uno dei più bei scritti letterari sulle feste di Natale.

Dickens con questo racconto regala alla letteratura mondiale un capolavoro che segna per sempre il pensiero.

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Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamen-te prescindere, quando si pianifichi una Il

binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il bino-mio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescin-dere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelona-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelo-na-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelo-na-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelo-na-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelo-na-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelo-na-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelo-na-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelo-na-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelo-na-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelo-na-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelo-na-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelo-na-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelo-na-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelo-na-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelo-na-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere, quando si pianifichi una Il binomio Barcelo-na-Gaudí è uno dei dati di fatto dai quali non si può assolutamente prescindere,

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Festival di Roma

Una volta tanto pubblico, critici e giurati concordano sulla attribu-zione del premio come miglior

film della IV edizione del “Festival In-ternazionale del Cinema di Roma” a Un cuento chino, del regista argentino Sebastian Borensztein, storia di una amara solitudine e di una singolare con-

vivenza tra Roberto, introverso proprie-tario di un negozio di ferramenta che vive da vent’anni senza alcun contatto con il mondo, e un cinese in cerca di uno zio appena arrivato in Argentina, senza co-noscere una parola di spagnolo. Un vero trionfo per la golden lady italiana Vania Traxler che distribuisce il film argentino, ma anche il Faust di Sokurov che aveva vinto a Venezia e Kill me please vincito-re lo scorso anno a Roma. Tra gli eventi significativi da ricordare di questa edi-zione c’è senz’altro il “Marc’Aurelio” attribuito all’attore americano Richard Gere, accolto al festival con la proiezio-ne di I giorni del cielo, il film di Terence Malick che per primo gli offrì la possibi-

Miglior film l’argentino Un cuento chino

L’Italia a bocca asciutta

Cine

ma

TEXT&PHOTO Andrea Cianferoni

Ocinema

premiato il

M ndoche si affaccia sul

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lità di interpretare un ruolo da protago-nista. L’attore, incontrando il pubblico, ha ricordato l’atmosfera che si respirava nel mondo del cinema degli anni ‘70 – ‘80, un’epoca dorata durante la quale si affrontavano i progetti cinematografici con spirito da pionieri e si scommet-teva ancora sul cinema sperimentale. La giuria del festival, presieduta da En-nio Morricone e composta da Susanne Bier, Roberto Bolle, Carmen Chaplin, David Puttnam, Pierre Thoretton e De-bra Winger, ha poi attribuito due premi speciali a The eye of the storm di Fred Schpisi, storia di una vecchia signora, interpretata dalla sublime Charlotte Rampling, che pretende di decidere come morire e l’altro inedito per que-sto festival alla colonna sonora che è andato a Ralf Wengenmayr per Ho-tel Lux di Leander Haussmann. Gran premio della Giuria a Voyez comme ils dansent di Claude Miller, pluripremiato regista francese che questa volta deci-de di raccontare un menage a trois con fantasma. Marc’Aurelio al miglior docu-mentario per la sezione “L’Altro Cinema Extra” a Girl Model di David Redmon e Ashley Sabin; “Marc’Aurelio Alice” nel-la città sotto i 13 anni a En el nombre de la hija di Tania Hermida; “Marc’Au-relio Alice nella città” sopra i 13 anni a Noordzee Texas di Bavo Defurne. Infine il premio “Marc’Aurelio Esordienti”, tra-sversale a tutte le sezioni del Festival e destinato al regista della migliore opera prima è andato ex aequo a Circumstan-ce di Maryam Keshavarz e La Brindille di Emmanuelle Millet. A mani vuote tutti gli italiani, a cominciare da Pupi Avati con il suo Il cuore grande delle ragaz-ze, nonostante l’accoglienza calorosa del pubblico. Delusione per i mancati riconoscimenti all’ottimo La kriptonite nella borsa dell’esordiente - nella regia - Ivan Cotroneo. La pellicola, una friz-zante commedia agrodolce sulla “fati-cosa ricerca della felicità” come l’ha de-finita lo stesso Cotroneo, è basata sulle vere esperienze del’infanzia del regista.

Nella pagina a fianco:

Ennio Morricone

in basso da sinistra:

Piera Detassis e Ivan Cotroneo

Cristiana Capotondi e Valeria Golino

Kristin Scott Thomas

Ethan Hawke

Vinicio Marchioni e Valeria Solarino

Noomi Rapace

Kim Gyu-Ri

Olivia Newton John

Micaela Ramazzotti

In questa pagina, a destra:

Richard Gere

Aurelio de Laurentiis

Donatella Finocchiaro

Noomi Rapace, la protagonista dell’horror Babycall si è aggiu-dicata il premio come miglior attrice, grazie all’interpretazione nel film diretto da Pål Sletaune, un ruolo tormentato e visionario. No-minato come miglior attore dalla giuria del Festival Internazionale del Film di Roma Guillaume Canet, l’at-tore francese protagonista con Leila Bekhit e Slimane Khettabi della pelli-cola drammatica Une vie meilleure di Cédric Kahn, la difficile vita di un gio-vane cuoco e una cameriera alla ricerca di una svolta nella vita, l’apertura di un ristorante che, da sogno, si trasforma ben presto in un incubo di debiti e credi-tori. Soddisfazione per tutti gli organizza-tori della manifestazione romana, a partire da Gian Luigi Rondi che dall’alto dei suoi 89 anni non disdegna di ricandidarsi per un altro mandato. Anche per la direttrice Detassis potrebbe essere l’ultima edizione dato che il suo mandato scade il 31 dicem-bre di quest’anno, ma Rondi si dice ottimista e ha dichiarato che ci sono tutti i presupposti per continuare il rapporto lavorativo sia del di-rettore artistico che suo.

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Cine

ma

Nel 2012 compie trent‘anni La not-te di San Lorenzo, il capolavoro forse più conosciuto dei fratelli

cineasti Paolo e Vittorio Taviani. Un film tutto girato tra San Miniato ed Empo-li. C’è chi ricorda ancora il grande set, nella torrida estate del 1982. Un film sul dolore, sulla memoria e sulla tradizione. È un film sul dolore perché racconta i tragici fatti avvenuti in quel tragico lu-glio nel 1944, quando la crudeltà e l’in-famia provocarono l’ennesimo, atroce massacro; è un film sulla memoria, per-ché la storia è raccontata quasi con in-tento favolistico da una mamma alla sua bambina, e la mamma ricorda frammen-ti di quei giorni, e altri ne ricostruisce, perché allora non aveva che sei anni; è infine un film sulla tradizione e sulla co-scienza, perché il bambino ascolta dal-la mamma i racconti della notte di San Lorenzo di tanti anni prima, iniziando a memorizzarli per eternarli. Sua madre, alla stessa maniera, aveva imparato fi-lastrocche e canti da sua madre. Perché nulla fosse dimenticato. Mai. Torniamo ad oggi. A San Miniato è at-tivo un Centro Cinema Paolo e Vittorio Taviani, istituzione voluta dal Comune e oggi presieduta da Carlo Baroni. Un centro – che ha ricevuto fin dall’inizio della sua attività il sostegno della Fon-dazione Cassa di Risparmio di San Mi-niato – nato con lo scopo di valorizzare

TEXT Ada Neri

Fratelli Taviani - La notte di San Lorenzo

il capolavoro

l’opera dei due concittadini facendone un veicolo culturale per la città. Ecco che in occasione dei trent’anni de La Notte di San Lorenzo, nasce il progetto “Il cinema in classe” – molto apprez-zato dall’amministrazione comunale e

I fratelli Taviani a San Miniato. Sotto alcune immagini tratte dal film La Notte di San Lorenzo

sostenuto con convinzione dal vicesin-daco Chiara Rossi – e la prima edizione sarà dedicata tutta a questo trentenna-le. “Il cinema in classe” ha l’obiettivo di avvicinare i ragazzi delle scuole medie e superiori allo straordinario linguag-gio del cinema, attraverso proiezioni commentate, incontri con registi, attori,

critici, esperti della materia. Questo primo anno del

progetto è tutto dedicato a La

Notte di

compie30anni

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San Lorenzo e l’iniziati-va sarà articolata in di-verse proiezioni del film ognuna accompagnata da una lezione critica. Al termine i ragazzi, nei giorni seguenti, saran-no chiamati a realizzare uno scritto critico sulla pellicola, cercando di attualizzarne le rifles-sioni su questo tempo del terzo millennio dai rinnovati fremiti oscuri, da un nuovo bisogno di pace, di condivisione, di riscoperta del valore della memoria.Gli scritti migliori saran-no riuniti in un’antolo-gia che raccoglierà an-che le dispense dei do-centi che hanno tenuto le lezioni e servirà come materiale didattico per gli anni futuri. L’antolo-gia sarà distribuita gra-tuitamente nelle scuole ed ai cittadini. Questa prima edizione de “Il ci-nema in classe” sarà un

modo per riscoprire La notte di San Lorenzo, un progetto dalle radici lontane nel tempo. Il primo cortometraggio dei fratelli Taviani, Luglio ‘44, risalente al 1954, si fondava proprio sulla stessa drammatica vicen-da, avvenuta quando i due avevano rispettivamente tredici e quindici anni. Il principio della storia, si diceva, è una notte stellata di qualche decennio successiva al 1944. Un cielo stellato e una voce di mamma che racconta una storia al suo bambino. Ed è la storia che ha segnato la sua infanzia, e cambiato la vita dei suoi compaesani. La terra di Toscana è cornice di bellezza commovente e straordinaria; e i notturni ritratti dai fratelli Taviani sono un capolavoro pittorico che incornicia il valore su-premo della memoria. Scene di grande attualità ieri come oggi, e con uno sguardo al cielo stellato nella notte di San Lorenzo, ogni anno, sarà sempre bello esprimere un desiderio, ricordare un passato di sangue e rinnovare il desiderio di pace. Su tutto questo, ragazzi che forse non conoscono questa pellicola ed il suo valore – umano e cinematografico – saranno chiamati a riflettere. Il progetto con le scuole inizia a gennaio e si concluderà nel periodo aprile-maggio.

La Notte di San Lorenzo è il nono film diretto dai fratelli Taviani. Affresco della campagna toscana dell’agosto del 1944, che fa da sfondo ad uno dei tanti episodi di ferocia e crudeltà della nostra storia recente, raccontato guardando però alle tenerezze, la buona volontà, gli eroismi e la paura della gente comune. Il film è anche la prima occasione di collaborazione dei due registi con Nicola Piova-ni. Presentato in concorso al 35° festival di Cannes, ha vinto il Grand Prix Speciale della Giuria e il premio della giuria ecumenica. Il film è ambientato nella campagna verde della Toscana, nel 1944, quando la lotta tra partigiani e fascisti si faceva cruenta. E così è il film dei Taviani, crudo e spietato, stilisticamente adatto a mostrarci il dolore di una guerra tra fratelli. La scena più bella e paradigmantica è, infatti, quella della lotta tra i partigiani e i fascisti in un campo di grano. I combattenti si conoscono l’un l’altro, hanno probabilmente condiviso nel passato del tempo insieme e, nonostante tutto, la vio-lenza dello scontro non si attenua. La Notte di San Lorenzo è, proba-bilmente, il miglior film sulla guerra civile italiana. Scritto con Tonino Guerra, il film è una rilettura della Strage del Duomo di San Miniato, dove l’attenzione è rivolta soprattutto ai pensieri, alle

parole e ai gesti della povera gente.

Il presidente del Centro Cinema, Carlo Baroni

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Spett

acol

o

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Siamo alla fine di questo 2011, segna-to come ogni anno da eventi, accadi-menti che ci mettono a confronto.

Sicuramente quest’anno lo spirito italiano si è trovato solidale nei festeggiamenti del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, che han-no caratterizzato lo stivale e che hanno unito lo spirito nazionale cittadino.Lo scorso maggio al Teatro Verdi di Firenze gli studenti e i docenti dell’Istituto Tornabuo-ni di Firenze guidati dalla preside Sig.ra Ma-ria delle Rose, proprio in ricordo di questo anniversario hanno ideato uno spettacolo di “moda e musica”, per entrare nell’atmosfe-ra dell’Ottocento.Lo spettacolo del Tornabuoni, applaudi-to da più di 1200 persone, è iniziato con Laura, una simpatica e brava presentatrice, che ha introdotto un interessante filmato sul lavoro e la didattica di questo Istituto di Moda che oltre ad insegnare le tecniche del costume, insegna agli allievi il dialogo, l’amore ed il rispetto verso gli alunni stra-nieri, e meno abili.Punto di forza dello spettacolo la sfilata di moda: docenti ed alunni hanno sfilato con abiti progettati e realizzati nei laboratori moda. Gli abiti sono stati riproduzioni sto-riche del periodo dal 1861 ai giorni d’og-gi. Hanno sfilato costumi storici maschili e femminili, riprodotti da immagini originali del periodo risorgimentale, ed una serie di abiti moderni che traggono ispirazione da abiti ottocenteschi. I materiali utilizzati sono stati molti: cotone, sete, pizzi, passamane-rie. Estrema attenzione è stata dedicata ai particolari e alle rifiniture, nonché allo studio delle tecniche originali del tempo per la co-struzione delle intelaiature delle sottogonne degli abiti femminili. Questa interessante e bella sfilata, che ha unito la parte didattica alla storia della “nazione”, è stata organizza-

TEXT Mariantonietta Belardo

Firenze - Teatro Verdi

lafa toria

Nelle foto: In alto, a sinistra la professoressa Mariantonietta Belardo, al centro due allievi del Tornabuoni, a destra il Maestro Giovanni Meozzi; in basso a sinistra, due allievi vestiti da garibaldini; al centro il professor Gianpaolo Fenzi e il professor Mario Sassano rispettivamente nelle vesti di Mazzini e Vittorio Emanuele tra i due garibaldini; a destra, il pubblico da cui si intravede la stilista e costumista Sonya Salvini esperta esterna della scuola che ha collaborato nella realizzazione dei costumi. foto di @ Piero Alessandra photographer

scuola

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ta dalla professoressa Silvia Mazzarrini e dal signor Jacopo Mammoli, che ha scelto per la passerella delle alunne musiche classiche di opere famose e canzoni di vari periodi storici fino ad oggi.Lo stesso Teatro Verdi è stato scelto come sede dell’evento, proprio per la sua connotazione sto-rica nella formazione della nostra Nazione: co-struito per volere di Giovanni Pagliano nel 1800, inizialmente l’edificio era chiamato “carcere del-le stinche” in cui furono imprigionati Benvenuto Cellini, Giovanni Vitali, Niccolò Machiavelli ed un gran numero di illustri personalità. Anche Dante Alighieri vi passò terribili momenti. Abbattuto il carcere, il 10 settembre 1854 l’enorme teatro ritrovò la sua identità come uno tra i più grandi d’Italia e trovò, proprio dopo l’Unità, la sua massi-ma espressione artistica, mantenuta fino ad oggi grazie ai grandi artisti nazionali e internazionali che ne hanno calcato la scena. Dopo la sfilata e quasi in conclusione, c’è stata anche una recita vivace e di chiara spontaneità della “Locandie-ra” di Goldoni. Tutto si è svolto con canzoni mo-derne, pezzi di operetta e di musical. Il maestro Giovanni Meozzi, primo insegnante del tenore Andrea Bocelli, ha accompagnato poi al piano-forte il soprano professoressa Mariantonietta Be-lardo in Va pensiero, e La Vergine degli angeli di Giuseppe Verdi. La cantante ha eseguito questi pezzi con una voce delicata dimostrando grande intensità e trasporto per il senso patriottico dei testi. Quasi alla fine di questo lungo anno, ricor-dare eventi come questo deve essere il prome-moria per l’anno che verrà. Ricordare chi siamo, da dove veniamo e i sacrifici storici che ci hanno portato ad oggi, può essere un modo per mi-gliorare le attuali e critiche situazioni nazionali. I giovani e l’impegno delle iniziative scolastiche in questa direzione, sono i punti di forza per garan-tire un’educazione nazionale, di un popolo che si unisce per l’amore del suo Paese.

Nelle foto: in alto a destra, il gruppo de “I ragazzi delmusical” e il gruppo sfilanti nella parte finale del concertodurante il canto Fratelli d’Italia diretto dal maestroMeozzi; al centro la professoressa Mariantonietta Belardotra due alunne della scuola con costumi dell’800; a destrail gruppo “I ragazzi del musical”; ai lati allieve dell’istitutoaccompagnate da cavalieri in abito classico; in basso a sinistra la preside Maria Delle Rose; al centro la presentatrice Laura Jovenitti; a destra le professoresseSara Meucci, Marinella Germanelli, Stefania Del Medico, il professor Mancini e la professoressa Valeria Russo.

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Inter

vista

Cavallo di razza puro. Lo è. Alto, ele-gante, dalle buone movenze tipiche di certe zone del napoletano. Sul

palco possiede una padronanza innata, è disonvolto e ha buona mimica, tanto da essere considerato uno degli attori predi-letti della scuola di Eduardo De Filippo. Lui, Geppy Gleijeses, del grande Eduardo dice: «Un tipo molto a modo suo; non amava premi, formalità; arrivava subito all’asciutto, tanto che, una volta, in un’abitazione dove gli venne fatta notare la presenza della tele-visione, replicò: “buon elettrodomestico, lo mettiamo accanto al frigorifero?” Del teatro osservava che è vita pura, una cosa che non abbandona; quanto agli attori, sic! quelli che arrivano così… improvvisamente, da trasmissioni popolari, e si gasano pure! Il discorso cambia, è difficile riuscire a rima-nere a galla. Bisogna recitare seriamente, con impegno, amore, sudando lacrime e sangue giorno per giorno. Quindi tanto di cappello! Così si fa, lo faccio dall’età di 17 anni, e così continuerò a farlo con tutto l’impegno dovuto.»Sua moglie Marianella Bargilli viene dal Grande Fratello…Guardi che tale trasmissione viene da un principio... si scruta dalla serratura, si stu-diano situazioni: una sorta di sguardo ento-mologo, come gli insetti in cattività che si muovono in un certo modo. Nello spetta-colo-intrattenimento si rispecchiano pure lati antropologici. Da lì sono usciti Eleonora Daniele, Luca Argentero, Montrucchio, per-sone di spessore… il trucco è saper fiutare, aspettare, capire… e qui ricordo il grande Pietro Tarricone capace di rifiutare trasmis-sioni “trash” e quindi messo all’indice. Il seguito gli dette ragione, con grande stima mia e di tanti, tanti altri. Quanto a Marianella cresce giorno per giorno, è veramente brava e si merita il successo che ha.Conosce Firenze?Come no? L’adoro! Ci abiterei, ci mangerei di continuo… dicono sia città algida! Non per me, io ci rifiorisco proprio, tra l’altro proprio nella terra di Dante anni fa ricevetti un premio delle “Muse”, la mia musa era Melpomene. Lo dedicai a Marianella e a mio figlio, Lorenzo perché i figli so pezzi e core… e i figli non si pagano!

TEXT Carla Cavicchini PHOTO Federico Riva

Ecco Napoli, la “sua” Napoli. Pino Daniele quando la canta con quella melodia strug-gente, fa inumidire gli occhi… Napole mille colori…L’amo da morire come tutti i napoletani, anche se mi fa disperare vederla e sentirla così difficile, disagiata, disastrata. Micro e macrocriminalità si alternano, e pensa-re che è tutta questione di educazione, di dare la possibilità ai giovani d’istruirsi come dovrebbero... i politici dovrebbe-ro, lo sottolineo, essere l’espressione del popolo, ma io vedo una caratura trop-po bassa, poco bene comune e molto personale. Gomorra, parabola di Saviano che sconvolge, impressiona. Pur sapendo, vederle scritte certe cose, inquietano non poco. Uscì una denuncia chiara, netta: la scorta appresso è per proteggerlo, dicia-mo obbligatoria per non farlo eliminare. Mafia, camorra, ndrangheta non si sono mai fermati davanti a niente, figurarsi per Saviano... mi viene in mente il delitto Siani con le stesse matrici. Giovane e grande giornalista che pagò rivelazioni che stava per scoprire. E non è il primo.Ma Napoli è anche fantasia, allegria, risor-se...Come no? Ha dato e continua a dare grandi fenomeni artistici. Li succedono cose sempre nuove, sempre belle, è culla di cultura! Anche se Stendhal 250 anni fa di Napoli osservò: “Un paradiso abitato da diavoli”.Concorda? Gleijeses mi guarda serio. Ha una sicurezza che si taglia a fette: si morde in maniera impercettibile le labbra facendo “volare” le parole. Lei è colto e profondo. la domanda “gossippara” non gliela faccio.Perché mai? La invito!Oggi lei è un uomo felice accanto al suo amore; c’è un passato, quello con Debora Caprioglio, quando fu lasciata…Sono cose che avvengono ed avverranno sempre: si smette di amare quando si inizia ad amare un’altra persona. Sì, sono molto sereno e tranquillo. Debora si arrabbiò e non poco, ma la vita signori miei, è que-sta… poteva aver ragione lei, come del resto io. Personalmente, sul palco, credo di averle insegnato molto; lo ha riconosciuto.

Anche Klaus Kinsky le insegnò parecchio.Sicuramente. Una figura assolutamente geniale da cui imparò molto. Però sul set cinematografico.Quanti “maestri” ha avuto la bella Debora! La forza della vita. La cantava Vallesi. E che forza!

Geppy Gleijeses

non si cambiachevinceCaval

© Federico Riva - [email protected]

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Musi

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Il Rossignolo, fondato dal clavicem-balista e direttore Ottaviano Tenera-ni, insieme ai flautisti Marica Testi e

Martino Noferi, è attualmente uno dei più noti gruppi italiani specializzati nel-lo studio e nell’esecuzione della musi-ca antica. I componenti de Il Rossignolo

possono variare da piccolo complesso da camera ad una vera e propria or-chestra barocca secondo il repertorio affrontato. Apprezzati dalla critica inter-nazionale per il loro rigore filologico e la loro verve interpretativa, negli ultimi anni hanno portato alla luce rilevanti pezzi per la storia della musica antica. Il

Rossignolo mantiene un’incessante at-tività discografica, presentando le sue importanti scoperte in interpretazioni rigorosamente filologiche e con stru-menti originali, quali i Madrigali et can-zonette a cinque voci di Orazio Caccini, - Selezione CD della rivista Early Music -, le Sinfonie da camera di G.B. Marti-ni - premio CD della rivista The Classic Voice, maggio 2002 -, ed i Notturni a quattro di G.B. Sammartini (Un disco meraviglioso! - Classical Music); oppu-re in incisioni del repertorio già noto, come i Concerti e Sinfonie di Alessan-dro Scarlatti - uno straordinario diver-timento - Concerto -, i Concerti per violino et organo di Antonio Vivaldi (Il Rossignolo formazione agguerrita nel-le intenzioni e felice per colore del suo-no e precisione tecnica - Musica). Uno degli ultimi CD del gruppo, le Sonate op.2 di Benedetto Marcello / Sonate a

solo cembalo, è stato accolto come «...una entusiasmante interpretazione, così come ci si aspetta da interpreti italiani che eseguono musica italiana Music-web International», e scelto come disco dell’anno. Il Rossignolo è stato anche protagoni-sta delle prime assolute dell’opera La Caduta dè Decenviri e dell’oratorio Il Trionfo della SS. Vergine assunta in cie-lo, di Alessandro Scarlatti.I loro concerti ed incisioni sono stati re-censiti e premiati da riviste, testate e siti quali BBC Music Magazine, Amadeus, The Financial Times, American Record Guide, Le Monde de la Musique, Il Giornale della Musica, Audiophile, CD Classics, Gramophone, Orfeo, Opera, Early Music, Warner- Fonit Classic, The Classic Voice, Diapason, Musica, Opera now, Classical Music, Il Sole 24 Ore, La Stampa, Il Corriere della Sera, Libero,

TEXT Gustavo Defeo PHOTO Il Rossignolo

Rossignolo

La riscoperta del Germanico di

Georg Frederich Händel

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il

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La Nazione, La Repubblica. Il gruppo è in residence per un progetto didattico presso l’Istituto Superiore di Studi Mu-sicali Rinaldo Franci a Siena, dove co-ordina il dipartimento d’interpretazione storica, con corsi di strumenti antichi e musica d’insieme. A completamento della costante attività musicale e musi-cologica, dal 2010 Il Rossignolo ha dato vita ad una propria casa editrice, le Edi-zioni Il Rossignolo, canale privilegiato attraverso cui presentare i frutti delle varie attività di ricerca, con pubblica-zioni di Edizioni Urtext, Facsimili, Edi-zioni critiche e Studi. Nel 2007, nel corso di una ricerca su manoscritti di Vivaldi, i membri de Il Rossignolo, si trovano davanti ad una scoperta inaspettata: lo spartito del Germanico, una “serenata” a sei voci con coro che aveva sulla prima pagina la scritta “del sig. Hendl”. Quest’opera possiede diverse coinci-denze stilistiche con l’Händel di quel periodo, con passaggi che ricordano la grande permeabilità dello stile italiano nella gioventù del compositore.I membri de Il Rossignolo hanno impie-gato più di due anni negli studi di questo spartito, studi che hanno avuto per linee guida l’analisi della carta, il raffronto sti-listico, la somiglianza di certi passaggi con le opere già attribuite, e la consu-lenza di musicologi e direttori d’orche-stra esperti conoscitori del barocco, e particolarmente di quest’autore.Lo stile conferma la presunta datazione al primo periodo della permanenza di Händel in Italia, (circa 1705/1706), forse durante la sua permanenza a Venezia oppure a Firenze.Lo spartito è pervenuto completo e rac-conta il ritorno trionfale del condottiero Germanico dopo la battaglia contro Ar-minio nella foresta di Teutoburgo.Per la prima incisione mondiale del Ger-manico, Ottaviano Tenerani ha scelto

un cast con artisti altamente specializ-zati nell’esecuzione della musica baroc-ca, quali Sara Mingardo, Maria Grazia Schiavo, Laura Cherici, Sergio Foresti, Magnus Staveland e Franco Fagioli, accompagnati su strumenti originali dall’ensemble Il Rossignolo.Ad appena quattro mesi dal lancio mon-diale, il disco – inciso per l’etichetta Sony Classical International – ha raccol-to grande successo di pubblico e critica ed è già stato premiato dal BBC Music Magazine, Financial Times Deutschland e Muse Baroque. La genesi di questa scoperta fino all’inci-sione è stata oggetto d’un documenta-rio che è andato in onda su Classica TV – Sky per tutto il mese di novembre 2011 e andrà nuovamente in programmazio-ne – sempre su Classica Italia – nella prossima primavera estate. Successiva-mente il documentario sarà diffuso sulle reti culturali europee quali Artè, Mezzo, Classica Germani.

Georg Frederick Händel, (Halle, 23 febbraio 1685 - Londra, 14 aprile

1759) è stato uno dei personaggi più emblematici della musica barocca. “Poliglotta musicale” ha composto sia in stile nettamente tedesco, quan-to francese, italiano, inglese, talvolta adoperando sfumature e suggeri-menti fino a completi temi dei suoi contemporanei, senza perdere la sua forte personalità. Il suo viaggio in Italia è forse frutto di un incontro ad Amburgo con il Gran principe Ferdi-nado de’ Medici, che lo avrebbe inco-raggiato a questo soggiorno durato dal 1706 (non si conosce la data reale del suo arrivo) a fine 1709 /primissimi giorni del 1710. Händel frequenta in questo viaggio i suoi contemporanei Domenico Scarlatti, Arcangelo Co-relli, Benedetto Marcello tra altri. A Roma compose opere per il cardinale Pietro Ottoboni, per il Principe Fran-cesco Maria Ruspoli e per il Cardina-le Benedetto Pamphilij. A Firenze fu ospite del Gran Principe Ferdinando de’ Medici. “Rodrigo ovvero Vincer se stesso è la maggior vittoria” fu for-se la prima opera italiana di Händel, rappresentata a Firenze nel 1707. Tra i maggiori lavori del periodo, troviamo l’oratorio La Resurrezione del 1708, dove Händel scelse un vasto organico strumentale inedito per quell’epoca.

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1. Il Rossignolo, a sinistra il clavicembalista e direttore Ottaviano Tenerani, al centro Marica testi, a destra Martino Noferi.2. Il cast della prima incisione mondiale del Germanico, specializzati nell’esecuzione di musica barocca3. Copertina del Cd ©Sony Classical International

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Il 30 settembre, presso l’hotel Tower Plaza di Pisa, si è tenuta la conferen-za stampa di presentazione del libro

Questa sera Rock ‘n Roll di Maurizio Solieri, scritto a quattro mani con il giornalista ed amico Massimo Poggini. Un’analoga manifestazione era già prevista a Campi Bisenzio, in provincia di Firenze, per il successivo mese di ottobre, ma il Maestro emiliano ha molto insistito affinché una data supplementare fosse inserita nel programma, nonostante i chilometri che separano le due province toscane siano effettivamente meno di ottanta.«Pisa è magnifica, piena di giovani che vengono a studiare qui da tutta Italia per il prestigio della sua Università» ha dichia-rato Solieri, «ed io sono molto contento di presentare il mio libro in questa città.»Maurizio Solieri nasce e cresce a Concordia sulla Secchia, in provincia di Modena. All’età di dieci anni riceve come regalo dalla sorella, tornata da un viaggio in Francia, il primo disco dei Beatles: in quel momento capisce che la musica sarà la sua vita. Con la prima chitarra, dono della madre, prende alcune lezioni dal direttore della banda del paese, ma saranno le uni-che: si può dire, in realtà, che Solieri sia un autodidatta. Rapidamente si orienta sul genere di musica che ama di più, il rock. Manifesta, infatti, da subito, una grande passione per Elvis, Jimi Hendrix, per i Rolling Stones, i Led Zeppelin e i Police.Nel 1976 Solieri parte per il militare lasciando l’università, dove si era iscritto a medicina. Il suo migliore amico dell’epo-ca, Sergio Silvestri, aveva in quel perio-do fondato insieme a Vasco Rossi una delle prime radio libere dell’epoca, Punto Radio, nel cui staff c’erano altri musicisti che in seguito sarebbero diventati grandi protagonisti del panorama rock italiano, come Gaetano Curreri degli Stadio, e Massimo Riva, con cui Maurizio si sareb-be unito nella Steve Roger Band. Solieri viene avvisato da Silvestri che a Milano si sarebbero tenuti dei provini con Vasco Rossi, e decide, sfruttando un periodo di licenza, di mettersi in viaggio.Da quel primo incontro tra i due nascerà una collaborazione che, tranne per alcu-

ne brevi interruzioni, durerà fino ad oggi. Solieri parteciperà, infatti, sia in qualità di musicista che di compositore, a quasi tutti gli album di Rossi, e sarà autore di brani come Canzone, Ridere di te, Dormi dormi, Gli spari sopra, Siamo solo noi, C’è chi dice no, Bollicine e Lo show.Durante tutta la sua carriera, egli ha par-tecipato attivamente alla realizzazione di album per molti artisti italiani, come Alberto Fortis, i Nomadi e Massimo Riva, è stato musicista di grandi nomi del pano-rama canoro italiano ed internazionale, tra cui Skin degli Skunk Anansie, ed ha orga-nizzato eventi musicali come “La notte delle chitarre”. Inoltre si è dedicato all’in-segnamento, tramite la pubblicazione di DVD didattici sulla tecnica musicale della chitarra. Nel 1989 ha partecipato al Festi-val di Sanremo nella sezione “Emergenti” con la canzone Uno di noi, insieme alla Steve Rogers Band, ed è tornato sullo stesso palco nel 2006, in duetto con la cantante Dolcenera.Il 12 marzo 2010 è uscito il suo primo album da solista intitolato Volume One, che è stato anticipato dal singolo Money, uscito nel mese di dicembre 2009, in con-comitanza con i concerti italiani dei Deep Purple, aperti proprio da Solieri. L’opera

contiene 10 brani, di cui 5 strumentali e 5 cantati in inglese, la lingua del rock anglo-americano, con la partecipazione del cantante Michele Luppi.In molti erano presenti alla conferen-za, magistralmente organizzata dall’im-peccabile staff della Dott.ssa Manuela Antonucci, che si è avvalsa, per l’occasio-ne, della collaborazione di Ugo Belloni.La sala rossa dell’hotel Tower Plaza era gremita non soltanto di giornalisti tele-visivi e della carta stampata, musicisti ed addetti ai lavori, ma anche di molti, mol-tisimi fans di Maurizio Solieri e di Vasco Rossi, accorsi numerosissimi un po’ da tutta Italia, addirittura fin dalla Puglia, per strappare un autografo al loro beniamino.Alla presentazione sono intervenuti anche il Sindaco della città di Pisa, Marco Filippeschi, e l’assessore alla Cultura del Comune di Pisa, Silvia Panichi, mentre il moderatore dell’evento è stato il co-autore del libro, il giornalista e scrittore Massimo Poggini.Leggendo il libro, si incontra la figura di un grande artista, ma ci si scontra anche con quella di un uomo semplice, che affronta gioie e dolori che la vita gli riserva, tra scelte vincenti ed errate. Si riconosce in questa descrizione?

TEXT&PHOTO Leonardo Taddei

ptremalaenna

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Certamente: mi ci ritrovo in pieno. Le mie avventure, musicali e non, così come le mie disavventure, hanno contribuito a formarmi come uomo e come artista. Fa tutto parte della mia storia, del mio background. Vede, prima si parlava di gavetta, di esperienza che dovevamo maturare sul campo per essere in grado di fare il nostro mestiere a dovere. Non come oggi, dove l’unica cosa a cui si punta è il successo facile, immediato: quello che danno i programmi più segui-ti alla tv, come i talent show, o, ancora peggio, i reality show. Noi siamo partiti a fare concerti in posti dimenticati da Dio, e con solo sei o sette spettatori, non da San Siro o da Sanremo: lì ci siamo arrivati con il tempo. È questo ciò che ti fa crescere nella maniera giusta.Oltre ad essere un grande chitarrista di livello internazionale, lei è anche uno dei più importanti compositori del panorama musicale italiano. Cosa si sentirebbe di consigliare, oggi, ad un giovane autore o compositore?Per rispondere a questa domanda, la prendo un po’ alla larga. Quando ho scritto il brano Lo show, che parte da un arpeggio di mi minore, non avevo idea di che cosa sarebbe venuto fuori, ma avevo in mente di mettere qualcosa di nuovo in quella canzone, una ventata d’aria fresca. L’ispirazione me la sono dovuta andare a cercare, ed è saltata fuori da un viaggio che ho fatto in America, negli Stati Uniti, dove mi hanno molto colpito le sonorità

più metalliche, ruvide ed aspre. Ciò che voglio dire è che il consiglio che do ai gio-vani autori e compositori di oggi è quello di essere curiosi nei confronti di tutto ciò che li circonda, per poter sempre appren-dere il nuovo e l’inusuale.Ci sarà un seguito al libro?Mi piacerebbe molto. Questo libro nasce come ripresa di una precedente opera, risalente a ben 26 anni fa, dello stesso Massimo Poggini. Una continuazione che descriva i prossimi impegni di lavoro sareb-be una bella idea! Dunque, perché no!

Pause, forse di riflessione, forse di ammi-razione, da parte di tutti: pause prima delle domande, pause prima delle rispo-ste. Quei particolari, brevi e cadenzati momenti di silenzio, preziosissimi, dava-no un tono di solennità alla situazione, come se venisse naturale, per i presenti, sottolineare l’importanza della carriera del Maestro, che, a sua volta, sembrava volesse omaggiare e ringraziare il proprio pubblico con devozione.Alla fine della conferenza, una fan si avvi-cina a Solieri e, chiedendo un autografo, esclama: «Quando esce Vasco di scena, durante i suoi concerti, e rimanete lei e gli altri musicisti a suonare sul palco, il concerto regge benissimo ugualmente! Sono i momenti che preferisco: mi piace tanto ascoltare la sua chitarra.»Solieri la sente, ed un piccolo tratto sbi-lenco compare accanto al proprio nome, sul foglio su cui sta scrivendo per lei.Trema la penna, e si fa pesante persi-no nelle mani di un grande artista, che di emozioni nutre il suo pubblico e di emozionarsi lui stesso ci auguriamo non smetterà mai.«È un grande merito quello che mi stai tributando» le risponde, sorridendo. Trema la penna, ancora, per fortuna, per Maurizio Solieri.

Nella pagina a fianco. Conferenza stampa, Panichi, Filippeschi, Solieri, Poggini e BelloniSopra. La copertina del libro di Solieri con Massimo Poggini

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Cur

iosità

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Continuando l’excursus sui cibi che venivano serviti sulla tavola dei Romani, non possiamo non

citare le ostriche, i cui allevamenti fu-rono istituiti alla fine del II° secolo a.C. da Sergio Orata, un ricco patrizio che aveva ville in Campania. Si servivano

ostriche in tutti i banchetti importanti e venivano consumate crude o cucinate. Il solito Apicio le include nella lista de-gli ingredienti di piatti super raffinati. Tra parentesi, questo citatissimo Apicio fu il più raffinato gourmet dell’antichità e la sua fama era tale che già ai tempi di Tertulliano, chiamare qualcuno “Api-cius” designava la sua spiccata attitudi-ne ai fornelli.Ebbe una vita sregolata finita con il sui-cidio e lasciò diversi trattati culinari sia sulle salse e condimenti che ricette di piatti completi.Richiestissimi erano gli scampi, tanto che Apicio, avendo sentito dire che sulla costa della Libia se ne potevano trovare di grandissimi, armò una nave e navigò alla volta della Libia ma, una volta arri-vato e visto che gli scampi nelle ceste dei pescatori che si erano accostati alla sua nave, erano uguali a quelli nostra-ni, se ne tornò indietro senza neppure sbarcare...Le triglie, più erano grandi, più costa-vano. Una triglia passata alla storia è quella regalata a Tiberio e da questi mandata a vendere al mercato, così commentando: «che io possa essere dannato se questa triglia non se la com-prerà o Apicio o Ottavio!»In effetti ci fu un’asta e vinse Ottavio: la pagò 5000 sesterzi, ricevendo grande considerazione perché aveva comprato un pesce venduto dall’imperatore Ti-berio e perché aveva sconfitto Apicio. Non so a quale somma corrisponde-rebbe oggi, ma certamente un prezzo salatissimo se questo episodio è citato da Seneca.

TEXT Brunella Brotini

antica Roma

Come e cosa mangiavano i romani

1. Trattato di cucina di Apicio2. Mosaico raffigurante pesci3. Affresco di Oplontis, raffigurante un dolce

avolaaUrbe

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Comunque la mania per i pesci prese così piede che verso la fine del II° secolo a.C. numerosi ricchi patrizi si creavano personali piscine marittime; era un segno di potenza economica, evidentemente!Cicerone si prendeva gioco di questi patrizi, chiamandoli “piscinarii”. Alcuni addirittura ornavano di gioielli i loro pesci favoriti, come fece Antonia, figlia di Druso, che adornò di preziosi orecchini le branchie di una murena.Questo pesce, la murena appunto, era molto richiesta e Orazio, dà per il suo condimento una ricetta basata su uova di riccio ancora oggi usata per condire la pasta in certe parti della Sicilia.Ci sono anche altri condimenti che sono arrivati fino a noi, come il “ga-rum“ o “liquamen”, una salamoia, in pratica.In commercio oggi c’è la Worcestershire che è composta da aceto, melas-sa, liquido della salagione delle acciughe (garum), peperoncino, zenzero, soia, scalogno, aglio.Tra la frutta, l’unica che costava poco erano i fichi, sempre abbondanti, tanto che i Romani in autunno diminuivano le razioni di cibo agli schiavi lasciandogli mangiare i fichi.Comunque il loro consumo era tale che in epoca imperiale si dovette-ro importare: famosi quelli di Chios e quelli che arrivavano dalla lontana Siria (Marziale).Per quanto riguarda i dolci, a Roma non li vediamo comparire spesso nei banchetti e sono poco menzionati nella letteratura. Citato è il dolce a forma di Priapo portato su un grandissimo vassoio al banchetto di Trimal-cione, dove compaiano anche pasticcini farciti con uvetta e mele cotogne irte di spine per imitare i porcospini (Petronio). Probabilmente i dolci venivano mangiati fuori dai pasti, perché in effetti a Roma esistevano botteghe di pasticceri che usavano moltissimo miele per le loro preparazioni. Se la letteratura è scarsa abbiamo però a disposizio-ne la raffigurazione di un magnifico dolce decorato di frutta candita in un affresco di Oplontis: sembra una cassata siciliana

3

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Alim

enta

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Il cioccolato è un alimento affascinan-te con una storia antichissima e una tradizione ricca di leggende. Sembra

quasi che sia un dolce con poteri spe-ciali; è stato definito nel corso della sua lunga storia come “cibo degli dei”e ha sempre suscitato fin dalla sua scoperta notevole interesse economico, alimen-tare e scientifico. È derivato dai semi di cacao estratti dai frutti della omonima pianta originaria dell’Amazzonia.Esistono vari tipi di cioccolato che si dif-ferenziano secondo il contenuto in cacao. Il cioccolato infatti non è altro che un mix di zucchero e cacao a cui possono essere aggiunti burro di cacao, latte, miele, so-stanze aromatiche, grassi o frutta secca. A seconda della percentuale minima di cacao si distinguono:- Cioccolato al latte (come minimo 35% di cacao)- Cioccolato fondente con percentuali di

cacao che variano da 40 a 70%.Esiste inoltre il cioccolato bianco, che in realtà non è un vero cioccolato, in quan-to non contiene cacao ,ma solo burro di cacao con una concentrazione minima del 30%.Per scegliere un buon cioccolato biso-gna leggere l’etichetta nutrizionale: la percentuale di cacao non deve essere inferiore al 35% per il cioccolato al latte e al 50% per quello fondente; occorre con-trollare che tra i grassi ci sia solo il burro di cacao e diffidare invece di prodotti che contengono grassi di sostituzione come burro di karitè, mango, olio di palma per-ché sono di seconda scelta e dannosi per la salute.Il cacao ha un contenuto lipidico di ori-gine vegetale elevato variando dal 30 al 40%, con basso contenuto in acidi gras-si saturi aterogeni e alto contenuto in acidi grassi monoinsaturi dai noti effetti

protettivi per le malattie cardiovascolari come l’acido oleico; un bassissimo con-tenuto di colesterolo (da 0 nel fondente a 10 mg. in quello al latte) . Ha un alto contenuto in zuccheri semplici circa il 50% che rende conto del suo alto valore energetico. Sono presenti in esso macroelementi come calcio, magnesio e fosforo soprattutto nel cioccolato al latte; mentre si trovano oligoelementi come rame, manganese e ferro solo nel cioccolato fondente.Il contenuto in vitamine è ben rappresen-tato sia per le idrosolubili B1, B2, B6, C, sia per le liposolubili A, D, E.Il cioccolato è ricco in polifenoli antiossi-danti (flavonoidi e tannini) noti per la loro efficacia nel combattere i radicali liberi e limitare il rischio di stress ossidativo. La capacità antiossidante del cacao è due-tre volte superiore a quella del thè verde e del vino.

CTEXT Paola Baggiani PHOTO archivio CTE

il

tra mito & pregiudizii cc lat

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Per quanto riguarda le calorie per ogni cento grammi (che è il contenuto di una confezione standard) sono: Cioccolato fondente 530 kcal, cioccolato al latte 540 kcal. È quindi come noto un alimento par-ticolarmente ricco di calorie e, poiché vie-ne spesso mangiato al di fuori dei pasti canonici, rischia di indurre un eccessivo apporto energetico. Va ricordato tuttavia che anche qualsiasi altro dolce come ad esempio una fetta media di crostata alla marmellata, fornisce circa 550 calorie! Va quindi consumato con moderazione e in relazione al proprio dispendio energetico, ad esempio come snack per sportivi o per le merende dei bambini quando debbono praticare attività sportive dopo la scuola. Può essere inserito nella dieta dei bam-bini con moderazione soprattutto prima dei 2-3 anni di vita: in ogni caso è sempre preferibile scegliere cioccolato di buona qualità: quello fondente è considerato migliore in quanto contiene una più alta percentuale di cacao, ma alcune qualità come il contenuto di vitamina A e di Cal-cio si trovano solo nella varietà al latte, proprio quella preferita dai bambini. Effettivamente il cioccolato è stimolante, migliora il tono d’umore, è ”antidepressi-vo” poiché contiene sostanze endogene ad azione psicoattiva (metilxantina, tiro-xina, anandamide, feniletilammina); con-tiene inoltre teobromina e Caffeina, due metilxantine ad azione stimolante sul si-stema nervoso centrale; migliora quindi l’attività cerebrale, influenzando l’atten-

zione, la concentrazione e la prontezza dei riflessi. Inoltre il cioccolato da piace-re perché stimola la produzione di sero-tonina, un ormone che agisce sull’umore, sul sonno e sull’appetito. Esistono molti luoghi comuni da sfatare sul cioccolato.Non è vero che provoca l’insorgenza dell’acne, che nell’adolescenza è provo-cata da fattori ormonali.Non è vero che fa male ai denti, anzi è stato dimostrato che la polvere di cacao possiede un potere anticariogeno dovu-ta alla presenza di tre tipi di sostanze: i tannini che inibiscono lo sviluppo batte-rico, il fluoro e i fosfati.Non è vero che sia pesante da digerire: è anzi uno degli alimenti a più rapida di-gestione poiché studi hanno dimostrato che i tempi di permanenza del cacao nel-lo stomaco sono i più bassi in assoluto (da una a due ore).Non è vero che fa aumentare il colestero-lo, anzi non c’è traccia di colesterolo nel cacao e nel cioccolato fondente mentre in quello al latte vi è una quantità di co-lesterolo pari a quelle contenuto in uno yogurt parzialmente scremato.Non è vero che va abolito quando si è a dieta poiché una piccola quantità di cioc-colato come ad esempio 20 g. di fonden-te può essere inserita anche nelle diete ipocaloriche per la gratificazione.Il cioccolato è largamente apprezzato da una grossa fascia di consumatori per nu-merose ragioni: le stesse origini storiche,

l’alone mistico, le proprietà nutrizionali nonché il potenziale edonistico–terapeu-tico.Le proprietà nutrizionali del cioccola-to fin qui esaminate identificano un ali-mento che seppur poco dietetico, ossia ipercalorico, si può definire senza dub-bio nutrizionalmente nobile, tale da non demonizzarlo o escluderlo da un sano e corretto regime alimentare, ma stando comunque attenti agli eccessi ed aven-do molta moderazione nel consumo in accordo alle raccomandazioni dietetiche della comunità medico-scientifica. www.baggianinutrizione.it

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Alim

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Simpatica e interessante fusione tra alcuni oli di eccellenza della zona del Montalbano, quelli dell’Azien-

da Agricola Bardelli Giuliana di Larciano e un gruppo di noti chef, che han-no interpretato in alcune loro ricette le tre ti-pologie di extra-vergine prodotti dall’azienda.Un libro ricco di informazioni e im-magini curate nei dettagli. Pratico da utilizzarsi nel formato e nei suoi contenuti, realizzato dal giornali-sta e critico enogastro-nomico Claudio Mollo, non nuovo a pubblicazio-ni su cucina della tradizio-ne Toscana e produzioni agroalimentari di qualità, che collabora già da alcuni anni con Reality, seguendo la rubrica Piaceri di Palato.Il libro, pubblicato sotto il marchio del nostro “Centro Toscano Edizioni”, è stato presentato il 2 dicembre 2011 a Viareg-gio, presso le sale dell’Hotel Plaza e De Russie. Parla di una famiglia impegnata

TEXT Angelo Errera

Nelle foto: da sinistra, lo chef Paolo Lavezzini, Deborah Corsi, Claudio Mollo, Andrea Mattei

da decenni nella produzione olivicola, di territorio, di coltivazioni tipiche toscane, metodologie di lavorazione, accorgi-

menti e consigli, per arri-vare ad ottenere un olio extravergine di elevata qualità. Ci sono anche 20 ricette di chef stel-lati o emergenti, nelle quali l’olio acquista un ruolo di protagoni-sta e non soltanto di accompagnamento a un piatto finito. Ricette quindi an-che di una certa complessità, che esprimono tutta

la professionalità e la bravura dei loro autori.

Un compendio importante per chi già frequenta e apprezza la cucina di un certo livello, fatta di mille accortezze e sfumature.Non mancano all’interno del libro alcu-ne pagine dedicate alle marmellate, al-tra produzione dell’azienda, anch’esse di eccezionale qualità e particolarmen-te adatte ad abbinamenti con piatti sa-lati che possono andare dalla carne al

pesce, passando per le verdure, in una serie di proposte stagionali a dir poco incredibili.Per la cena, al Plaza e De Russie, seguita alla presentazione alla presenza del pro-prietario dell’azienda Andrea Pieraccini e di tanti ospiti, uno spettacolare menu a sei mani, visto che allo chef dell’Ho-tel, Paolo Lavezzini, si erano affiancati il neo stellato Andrea Mattei, chef del ri-storante La Magnolia del Byron di Forte dei Marmi e Deborah Corsi, chef e pro-prietaria del ristorante La Perla del Mare di San Vincenzo. Questi ultimi, presenti in rappresentanza dei 10 chef che hanno preso parte alla realizzazione delle ricette del libro. Un menu nel quale l’olio extra-vergine ha dato il meglio di sé, abbinato e lavorato con criterio e dinamismo.

Olioper

10ChefUn

Nelle foto: Andrea Pieraccini, uno dei titolari

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TEXT Graziano Bellini PHOTO Lorenzo Bellini

Ottimo successo di critica e di pub-blico per la Mostra Fotografica I Prodotti a Km 0 del gruppo

FDMDB patrocinata dal Comune di Fucecchio e dalla Condotta Empolese Valdelsa di Slow Food, che si è svolta il 12

novembre 2011 alla Querce di Fucecchio (Fi) in un luogo originale e insolito per una esposizione fotografica: all’interno di una bottega di paese, l’alimentari-macelleria “Da Paolino”, fra gli scaffali e i banconi,

Querce - Fucecchio

Quando è la foto che va dalla gente nei luoghi del vivere quotidiano

fra generi alimentari confezionati e pro-dotti freschi. La mostra è stata organizzata dal gruppo “FDMDB” (acronimo di “I Figli Della Mamma Di Bresson”) di Fucecchio, un gruppo di amici poliedrico formatosi grazie alla passione per la fotografia.La scelta di sensibilizzare i consumatori verso l’utilizzo dei prodotti legati al terri-torio, i cosiddetti I prodotti a km 0, sino-nimo di qualità, risparmio e tradizioni, è stato senz’altro uno dei motivi del succes-so dell’iniziativa in quanto esiste già una attenzione diffusa dell’opinione pubblica

per questi temi e farlo con le immagini diventa un modo diretto e affascinante per comunicarlo. L’altra motivazione della buona riuscita della mostra fotografica è stata senz’altro la scelta della location, l’originalità del luogo. Portare la foto dalla gente, vicino ai suoi gesti quotidia-ni come quello di fare la spesa, è stata senz’altro una scelta apprezzata da tutti.La qualità delle foto poi ha fatto il resto, la creatività e la passione dei fotografi che hanno partecipato all’iniziativa hanno dato risultati eccellenti.All’inaugurazione della Mostra hanno pre-senziato il sindaco di Fucecchio Claudio Toni, gli assessori Massimo Talini e Alessio Spinelli nonché Enrico Roccato, portavo-ce della Condotta Empolese Valdelsa di Slow Food, i quali tutti hanno pronunciato parole di elogio al gruppo organizza-

tore e di ringraziamento per l’ospitalità concessa dalla bottega “Da Paolino”, teatro della mostra, che nell’occasione ha regalato ai visitatori una degustazione di prodotti tipici per l’intera giornata.Il lavoro del gruppo FDMDB però non è finito con la mostra alla Querce di Fucecchio, perché l’iniziativa è nata con l’idea di diventare una “mostra itineran-te”, un work in progress di scatti e di luoghi espositivi in divenire che avranno la loro logica collocazione negli eventi e negli ambienti sensibili ai temi di salva-guardia delle tradizioni gastronomiche, ambientali e culturali dei luoghi. Infatti sabato 10 dicembre 2011 tutte le foto della mostra I prodotti a km 0 hanno fatto da cornice alla celebrazio-ne della giornata internazionale “Terra Madre Day” durante la cena organizzata

Nella foto: in alto, Enrico Roccato, Slow Food; Graziano Bellini, Fdmdb; Claudio Toni, sindaco di Fucecchio; Massimo Talini, assessore del comune di Fucecchio; Simone Civitelli, Fdmdb;In basso a destra: Claudio Toni, Paolo Pepori proprietario del negozio, Massimo Talini, Simone Civitelli

zeroI prodottia km

mostra fotografica

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I fotografi che hanno partecipato a questa iniziativa I prodotti a Km 0 del gruppo FDMDB sono: Cristina Lotti, Edoardo Marrassini, Elisa Bilanceri, Elisa Rodio, Emanuele Bertini, Enrico Panchetti, Graziano Bellini, Letizia Grazzini, Nicola Conti, Rossano Malatesti, Simone Civitelli, Veronica Paci, Veronica Santoli.

dalla Condotta di San Miniato di Slow Food presso le Cantine di Palazzo Roffia alla presenza del Presidente Regionale di Slow Food Raffaella Grana e di altre autorità ottenendo anche in quel caso attestazioni di elogio.Quando la foto si arricchisce di contenuti sociali diventa un mezzo di comunicazione importante e al tempo stesso la passione fotografica degli autori vive momenti di forte intensità emotiva nel momento in cui, come in questi casi, il pubblico e gli addetti ai lavori ne apprezzano con entu-siasmo il risultato.

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Inter

vista

Cos’è che mi deve domandare?L’inizio non è dei più promettenti. S’alza una nuvola di fumo dise-

gnando una spirale: complice la sigaretta lunga e sottile che le esce tra le mani. I capelli. Corti e turchesi colpiscono molto. Avevo letto da qualche parte che “l’azzur-ro in testa” crea un legame con gli angeli. Quest’ultimi, dal canto loro, agiscono energicamente. Ma non nel caso di Lucia Bosè appena accenno all’estroso colore.«Amo il bleu da molti molti anni, e quindi l’indosso!»Veramente …avevo letto che…Letto male!Ma, sarà, però conservo dubbi in pro-posito. Mi permetta, lei è apparsa così, all’improvviso, ed io... non è che mi sia molto preparata…Ah… perché lei lo fa in linea di massima?Beh, sì, un pochetto mi documento…Ma io non so proprio cosa raccontarle!Penso che... se non rompo il ghiaccio… e quindi memore dei ricordi di tal star…La rivedo “fidanzatina d’Italia” con Walter Chiari, nonché una delle più grandi dive del dopoguerra: i film d’allora? Le ragaz-ze di Piazza di Spagna, Cronaca di un amore, La signora senza camelie, e poi dopo, molto dopo, Metello, Cronaca di una morte annunciata, sino alla fiction Capri. Ah! Dovere. Quella foto bianco-nero con le sue labbra dipinte, sguardo assassino, sopracciglia ad ala di gabbia-no e cigarette penzolante, suscitò non poco clamore.Le ricordo il “Premio Galileo”, in quel di Firenze qualche annetto fa, avuto alla carriera.Son venuta varie volte per il “Galileo” e sempre con molto piacere.Ma la ricordiamo anche quando, giova-nissima e bella, lavorava in una pasticceria a Milano…Giusto, nel ’47, proprio lì mi notò Visconti, il grande Luchino. In via Victor Hugo; ven-devo “marron glassè” ed il regista mentre li comprava mi disse:”Ma lo sa che lei ha un volto proprio interessante? Un giorno farà del cinema”. Indovinò, anche se non lavorai mai con lui. Poi mi fecero Miss Italia… e da lì nacque tutto il resto. Senta!

ma debbo proprio raccontarle tutta la mia vita? Guardi che ne ho poca voglia: sono uscita per essere tranquilla e lei mi sem-bra un commissario che mi confessa!Sorrido per sdrammatizzare dicendole: Scusi, ma come faccio a lasciarmi scappa-re un personaggio simile?Veloce… veloce. Dunque, ai tempi di “Miss Italia”, avevo accanto la Lollobrigida, Anna Maria Canale, Eleonora Rossi Drago, insomma…Il gotha in carne ed ossa! La Loren?Arrivò l’anno dopo.È cambiata tale manifestazione nel corso degli anni?Direi... - e mi lancia un’aria commiserevo-le - Noi eravamo “nature”, normali, oggi sono tutte rifatte, plastificate e si vantano pure! Hanno vent’anni ed esibiscono i loro orrori, con quelle bocche tutte così… e mentre lo dice fa il verso aprendo la bocca come uno zero.Cosa pensa della Tivù odierna?Che è mestiere, non arte! Ai miei tempi si faceva gavetta con registi e produttori d’eccellenza. Oggi... mah…Dominguin, bellissimo marito…

Si – Il sì arriva mentre pronuncio bellissi-mo – Bello come un Dio ed affascinante. Molto. Le donne gli cadevano ai piediSpagnolito che non disdegnava il fascino femminile…Sicuramente! Una tale forza attirava e non poco!Proseguo dicendole che lasciò tutto per seguirlo in Spagna.Quando una è innamorata va anche in Alaska… io là ci ho vissuto benissimo e continuo a farlo.E cavalcava pure!Certo! Il regalo di nozze fu un cavallo e due fucili, d’altronde vivendo in campa-gna, bisognava saper “montare” e bene! Che domande!Personalmente mi sembra d’essere sul set di… più che “Sangue e arena”, “Arena e fifa”. Proseguo cautamente. Poi arrivaro-no i figli, Miguel, Lucia e Paola.Scorci per favoreAll’inizio parlo del ghiaccio rotto per “rompere” il tutto, ma questa rompe me se non scappo! Le narici son quelle d’un toro focoso. Che tempra. Addio muchaca!

TEXT Carla Cavicchini

Lucia Bosè

blula insignora

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analisi chimiche

Labostudio S.r.l. Via del Bosco, 71 - 56029 - Santa Croce sull’Arno (PI) Tel. 0571.33313 - Fax 0571.34572 www.labostudio.it - [email protected]

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Un evento speciale, di forte impat-to culturale, ha visto protagonista lo scorso 6 dicembre il British In-

stitute of Florence, il prestigioso istituto che da quasi 100 anni opera quale istitu-zione di riferimento per le relazioni cul-turali tra il Regno Unito e la Toscana.

Nell’elegante Biblioteca del British (cir-ca 50.000 i volumi conservati), si è tenu-to un dibattito sulla ritrattistica contem-

TEXT&PHOTO Marco Massetani

British Institute of Florence

Illustrata a Firenze l’edizione del BP Portrait

Award 2012 con una conferenza alla presenza

di ospiti prestigiosi

poranea inserito nel programma Culture Lab, promosso dall’istituto con lo scopo di valorizzare le eccellenze delle attività culturali britanniche. in coincidenza con l’annuncio dell’apertura per la presen-tazione delle domande per il BP Portrait Award 2012 da parte della National Por-trait Gallery di Londra.Proprio in occasione della presentazio-ne del concorso in Italia per la prima volta, hanno preso parte alla conferenza – moderata da Mark Roberts dell’Istitu-to Britannico di fronte a una vasta platea di ospiti italiani e stranieri – Peter Mon-kman (vincitore del premio nel 2009), Giovanna Giusti (Galleria degli Uffizi) e Charles Cecil (Charles Cecil Studios). L’incontro è stato interessante proprio per aver affrontato, coinvolgendo il pub-blico, alcuni temi legati alla ritrattistica.

itrattodelrIl BP Portrait Award è infatti il concor-so di ritratto più prestigioso del mondo che ha l’obiettivo di promuovere le ec-cellenze del ritratto contemporaneo.Nelle scorse 23 edizioni, il premio si è dimostrato la rampa di lancio delle carriere di molti artisti poi affermatisi in quest’arte. Questo anche grazie alla BP che sostiene le arti e la cultura nel Regno Unito da più di 30 anni e attual-mente concentra il suo sostegno a lun-go termine su quattro istituzioni d’ec-cellenza: The British Museum, The Na-tional Portrait Gallery, The Royal Opera House e Tate Britain (nel 2010 più di 2,4 milioni di persone nel Regno Unito hanno partecipato alle attività sostenu-te dalla BP che sostiene il BP Portrait Awards dal 1990 ed è il più antico part-ner della National Portrait Gallery).

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«Lo scopo del nostro istituto è di pro-muovere le relazioni culturali fra il Re-gno Unito e l’Italia – ha dichiarato Sara Milne, direttrice del British Institute of Florence nonché da poco nominata

Console Onorario del Regno Unito – Il programma Culture Lab inviterà a Fi-renze conferenzieri di eminenti istituti culturali britannici e nel futuro speria-mo di organizzare altri simili incontri nel

Regno Unito per presentare centri di eccellenza italiani. Il BP Portrait Award 2012 alla National Portrait Gallery è un esempio dinamico della creatività britannica nelle arti. Nel contesto attuale è un’occasione fan-tastica per gli artisti sconosciuti di con-dividere il palco con gli artisti affermati e di avviare una carriera nel ritratto.»Fondato nel 1917 e insignito della Ro-yal Charter nel 1923, il British Institute ha come scopo la mutua promozione e comprensione culturale fra l’Italia e il Regno Unito. L’Istituto non riceve finanziamenti pub-blici e dipende da donazioni per il programma culturale, per la biblioteca e per l’archivio. Ha due sedi nel centro di Firenze. Il Centro Culturale ospita un archivio storico e letterario che testimonia la presenza dei britannici a Firenze, la bi-blioteca Harold Acton, con la collezione di libri in inglese più grande dell’Europa continentale, e il Dipartimento di storia dell’arte. Il Centro Culturale organizza, inoltre, un programma stimolante di eventi cultu-rali. Il Centro Linguistico promuove l’in-segnamento dell’inglese e dell’italiano a tutti i livelli.

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1. L’artista Peter Monkman, vincitore del BP Portrait Award nel 20092. La Biblioteca del British Institute con gli ospiti intervenuti all’incontro

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Il giorno 17 novembre la Lapi Group SpA e il Lions Club di San Miniato hanno dato avvio al secondo anno del con-

corso Bacco, tabacco e cenere con un primo incontro presso le Scuole Medie di Fucecchio, Castelfranco di Sotto e Santa Croce sull’Arno. L’incontro con le altre tre classi a San Miniato, San Romano-Montopoli e Ponte a Egola, è previsto nei giorni 13 e 16 dicembre.Il concorso ha avuto inizio l’anno scorso ed ha coinvolto ben 800 studenti delle prime classi delle scuole medie del Comprenso-rio del Cuoio ai quali è stato spiegato, da medici esperti, quali danni può apportare l’abuso di fumo e alcol. I ragazzi, in base a ciò che gli è stato detto, hanno realizzato dei cartelloni pubblicitari e tra i 36 elaborati presentati ne sono stati prescelti 6, uno per ogni scuola.In questo secondo anno, le sei classi vinci-trici dovranno creare uno spot indirizzato ai

alla popolazione in generale e ai fumatori in particolare. Fumo e Alcol due proble-mi con conseguenze gravi. Pensiamo che l’Organizzazione Mondiale alla Salute ha definito il fumo di tabacco come “la più grande minaccia per la salute nella Regio-ne Europea” dato che provoca più decessi di A.I.D.S., droghe, incidenti stradali ed è uno dei fattori di rischio che incide note-volmente sulla popolazione. Inoltre un’in-dagine effettuata su un campione di 200 studenti di età tra 15 e 19 anni ha messo in evidenza che più del 70% dei ragazzi beve alcolici ma solo il 15% ha dichiarato di met-tersi alla guida dopo aver bevuto.

Lyons Club e Lapi Group

coetanei, sulle problematiche della dipen-denza da fumo e alcool.Per sostenerli in questo impegno, gli orga-nizzatori faranno incontrare i ragazzi dei 6 Istituti del Comprensorio, innanzitutto con il dott. Silva, del Dipartimento di Educazione alla Salute della AUSL 11, e con esperti in comunicazione e immagine: il Dott. Luigi Patruno dell’agenzia Comma P di Roma ed il Sig. Luca Palatresi dell’Agenzia Keyartes di Fucecchio per dare ai ragazzi informa-zioni, metodi e tecniche su come creare un vero spot pubblicitario. Dopo gli incontri con gli esperti i ragazzi si impegneranno nella preparazione degli elaborati che con-segneranno alla giuria entro la fine di feb-braio; alla classe vincitrice sarà interamente pagata la gita scolastica della terza media. Anche quest’anno verranno consegnate a due Istituti in gara le LIM da parte della Lapi Group. Continua così l’impegno di Lapi Group e del Lions Club di San Miniato nei confronti dei giovani per cercare di dare un valido contributo affinché i nostri ragazzi possano avere un futuro migliore.Da molti anni l’Educazione alla Salute dell’AUSL 11 promuove interventi di pre-venzione primaria nei confronti del fumo soprattutto nelle scuole, ma anche rivolti

Nella foto: organizzatori, presidi insieme al sindaco Umberto Marvogli di Castelfranco di Sotto - Pisa

BaccoeCenere

Nella foto: la locandina del concorso

Nella foto: Marco Nuti presidente Lions Club di San Miniato, insieme a Roberto Lapi, presidente di Lapi Group Spa

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Classi vincitrici 2010: 1. 1° F, Scuola secondaria F. Sacchetti, San Miniato; 2. 1° premio 1° G, G. Montanelli Fucecchio; 3. 1°A, Scuola secondaria C. Banti, Santa Croce sull’Arno; 4. 1° B, Scuola secondaria Galielo Galilei, Montopoli in Val d’Arno 5. 1° B, Scuola secondaria Leonardo Da Vinci Castelfranco di Sotto; 6. 1° C, Scuola secondaria M. Buonarroti, Ponte a Egola; Quest’anno le stesse classi, diventate classi seconde, parteciperanno alla produzione di uno spot

Nella foto a fianco: Dott. Alberto Silva usa la LIMSopra: la LIM

Il dato più inquietante è che il 41% dei sog-getti ha dichiarato di aver avuto almeno un incidente stradale, come guidatore o come passeggero, per guida in stato di ebbrezza. Se consideriamo, infine, la forte pressione del consumo di fumo ed alcol sui giovani, soprat-tutto attraverso la pubblicità, ci rendiamo conto di come questi due fattori rappresenti-no un problema di difficile risoluzione. Proprio per questo, in questi ultimi anni, si stan-no facendo strada nuovi sistemi edu-cativi e comunicativi che riguardano due concetti fondamentali: l’acquisizione delle abilità di vita (life skills) e la comunicazione alla pari. Nel primo caso ci riferiamo alla necessità di utilizzare metodolo-gie diverse dalle solite, di lavorare sulla lettura critica degli articoli scientifici, abbandonando i concetti basati sulle certezze (il fumo fa male, provoca il cancro, ecc.): è stato dimostrato come con questi metodi è più facile acquisire conoscenze utili allo sviluppo della personalità e delle relazioni come ad esempio la capacità di risolvere i problemi, di sentire empatia, di leggere criticamente la realtà. L’obiettivo non è convincerli a non fumare o a non bere ma renderli consapevoli delle conseguenze a cui vanno incontro nel momento in cui decideran-no di “provare”. Così come per l’educazione alla pari o peer education. Essa consiste nella capacità che deve avere l’educatore di trovare concetti comuni ai target di riferimento e di riu-scire ad esporli con il loro stesso linguaggio in modo che possano essere assimilati a ragazzi non del tutto formati e comunque non ancora maturi. Dal momento che, nonostante tutto, il fumo è anche la prima causa evitabile di morte e che una buona educazione può ridurre l’abuso di alcol, l’obiettivo di questo progetto consiste nel prevenire l’iniziazione di giovani al fumo e all’alcol attraverso la promozione di

atteggiamenti e comportamenti “consapevoli e responsabili”; attraverso il passaggio, dagli educatori ai ragazzi, peer to peer, di esperien-ze e conoscenze, di sentimenti ed emozioni ma soprattutto attraverso l’insegnamento di nozioni utili per l’acquisizione di competenze ed abilità dirette agli stili di vita. Esperti in comunicazione, medici, addetti all’educazione si sono impegnati nel portare a questi ragaz-

zi le loro esperienze e le loro conoscenze, nel dare loro tutte le indicazioni, anche tec-niche, perché possano

capire profondamente il problema ed essere in grado di prendere autonomamente e con-sapevolmente le loro decisioni. Questo pro-getto triennale, con azioni differenziate, pro-muove le abilità dei ragazzi come la capacità comunicativa e creativa e stimola a modelli di comunicazione di messaggi più efficaci e, appunto, alla pari: da un elaborato sulla pro-mozione dei corretti stili di vita (primo anno) si è passati alla definizione ed alla creazione di un messaggio, un corto o uno spot o una locandina, che ha come target di riferimento proprio i loro coetanei, per finire, il prossimo anno, con l’assunzione da parte dei ragazzi del ruolo di una azienda di pubblicità che intende lanciare sul mercato il prodotto misurandone anche l’impatto. La Lapi Group e il Lions Club di San Miniato non potevano rimanere insensibili davanti a questo grosso problema e, nel loro piccolo, hanno pensato di aiutare il più possibile a far passare questo messag-gio: migliorare gli stili di vita si può, aiutare i ragazzi a farlo si deve. Si sono appoggiati all’esperienza della ASL che da anni va nelle scuole a cercare di sensibilizzare i ragazzi sull’argomento e se anche una piccola parte degli 800 studenti coinvolti nel progetto rifletterà su ciò che è stato detto loro, sarà per gli organizzatori motivo di orgoglio.

Il sapere comunicare è senz’altrouna delle abilità fondamentali

per poter vivere meglio.

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Even

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L’uomo simbolo del Manchester Uni-ted, il Gallese Ryan Giggs, ha vinto il premio internazionale alla carriera

Golden Foot 2011. Il Golden Foot è un pre-mio internazionale alla carriera attribuito annualmente ai più grandi calciatori di sem-pre nel Principato di Monaco, con l’Alto Pa-trocinio di S.A.S. il Principe Alberto II. Gli or-ganizzatori sono la World Champions Club, società di management sportivo, e l’Ufficio del Turismo di Monaco. Il giocatore galle-se è stato il candidato più votato via web nella rosa dei dieci selezionati dalla giuria internazionale del premio e ha preceduto nell’ordine Javier Zanetti, Samuel Eto’o e Xavi Hernandez. Giggs conquista l’ambito calco in oro con stella di diamanti dopo nu-merose candidature nelle scorse edizioni e una carriera straordinaria, ricca di trofei e di record, a cui mancava il sigillo ricevuto nel Principato di Monaco. Dopo aver ricevuto il premio dalle mani di S.A.S. il Principe Alber-to II, Giggs ha lasciato le proprie impronte nel cemento per la Champions Promenade, la Walk of Fame del calcio mondiale sul lun-gomare del Principato. Insieme a Giggs è stato premiato come leggenda del calcio il campione argentino Javier Zanetti. La mo-tivazione: ”Le vittorie conseguite sul cam-po, il raggiungimento delle mille gare da professionista, il record di presenze di tutti i tempi con la maglia dell’Inter e l’ormai pro-verbiale fair-play fanno di Javier Zanetti una leggenda vivente del calcio mondiale”. Za-netti, quinto argentino a ricevere il Golden Foot dopo Maradona - 2003 - Di Stéfano - 2004 - Kempes - 2007 - e Varallo - 2010 - è stato premiato accanto ad altri grandi nomi del calcio mondiale come Luis Figo Porto-gallo, Ruud Gullit Olanda, Rabah Madjer Algeria e Abedì Pelé Ghana. La votazio-ne web per eleggere il vincitore 2011 del premio internazionale alla carriera Golden Foot si è conclusa con un record assoluto di

TEXT&PHOTO Giampaolo Russo

Montecarlo

Nelle foto: Skyline di Montecarlo; Javier Zanetti; Il Principe Alberto con Ryan Giggs; Luis Figo; Ruud Gullit; La premiazione; S.A.S. il Principe Alberto II

campioni

voti ricevuti, più di 326,000. Il premio è sta-to consegnato durante una serata di gala all’hotel Fairmont di Montecarlo durante la quale si è svolta un’asta in favore di Special Olympics. Insieme a Giggs e Zanetti hanno lasciato le impronte sulla Champions Pro-menade di Montecarlo, Luis Figo Portogal-lo, Ruud Gullit Olanda, Rabah Madjer Alge-ria, Abedi “Pelé” Gana.

del

festeggiai

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Mod

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Il marchio Used nasce nel 2009 dalla idea dello stilista Samuele Senesi di rivisitare autentici capi anni Sessanta

e Settanta attualizzandoli allo stile dei giorni nostri producendo anche scarpe e stivali in pelle di elevata qualità, intra-prendendo un processo di costruzione e di lavorazione del prodotto, tipico di 50 anni fa delle zone del cuoio, ma ag-giornato da linee stilistiche attuali.

Lo stile inconfondibile di Used è un new vintage nel quale le lavorazioni di un tempo, si fondono con la quali-tà dei materiali ed una cura moderna del dettaglio.Il crescente affermarsi del marchio e la necessità di migliorare e rendere più capillare la distribuzione hanno portato Senesi a cercare un partner che lo aiu-ti a far fronte al forte sviluppo che sta avendo. Da ciò nasce l’accordo con il Gruppo Lapi. Questo incontro crea una sinergia tra Samuele Senesi ed il gruppo industriale nato oltre 60 anni fa, che è radicato con varie aziende nel territorio toscano, ma non solo, essendo presente anche nei poli conciari del Veneto e della Campania. Il Gruppo Lapi è infatti attivo nel setto-re chimico-conciario dal 1951 ed occu-pa ad oggi ca. 180 dipendenti suddivisi nelle varie aziende. Tra queste ci sono aziende storiche, quali la società chimica Figli di Guido Lapi, ma anche società nate nell’ultimo decennio, proprio per la volontà della famiglia Lapi di dare la giusta opportu-

nità a nuove idee ed iniziative, anche al di fuori del proprio core-busi-

ness, offrendo supporto non solo economico,

ma anche gestio-nale ed organiz-zativo.

TEXT a cura di ElenoireHEmma

olmes

Queste caratteristiche mi hanno colpito in lui ancor prima di valutare il progetto, poi visto il percorso di successo fatto in così breve tempo e le potenzialità del marchio USED abbiamo deciso di inizia-re questa meravigliosa avventura, anche se al di fuori del nostro core business che resta la chimica, poiché siamo sicuri ci porterà grandi soddisfazioni.La nuova colleziona a cosa sarà ispirata?Per questa nuova collezione ho trat-to ispirazione dagli anni settanta, e dall’utilizzo di materiali originali di quel periodo. Lane Scottish pregiate, tessu-ti cerati e spalmati, si fondono insieme alla qualità della pelle e della lavora-zione manuale che cottradistingue da sempre il nostro brand. Stivali cinture e capispalla sono realiz-zati in pellami ricercatissimi e rifiniti con minuziosi particolari e dettagli come i punti di cucitura fatti a mano. Negli stivali sono partito dai classici model-li biker e cavallerizzi con forme snelle e pulite puntando molto sul materiale originale vintage, mentre i tagli dell’ab-bigliamento sono decisi e di stile. Il pregiato tessuto Tartan Scozzese, ori-ginale degli anni ‘70 e scovato grazie ad una meticolosa ricerca, accomuna tutti gli elementi della collezione e fa da sfondo ai colori utilizzati che sono sia quelli caldi della terra, come il testa di moro e il cachi, sia quelli più vibranti e intensi, come il ruggine e il lavagna.

Che cosa si aspetta Samuele Senesi da questa unione?Abbiamo raggiunto questo accordo per la volontà comune di portare un brand giovane e toscano nelle più belle vetri-ne del mondo, per valorizzare i nostri prodotti, che sono patrimonio del no-stro territorio e da sempre numero uno nella pelle e nelle sue lavorazioni. Cre-do che grazie al supporto gestionale,

organizzativo ed economico del Grup-po Lapi, forte di 60 anni di esperienza, saremo capaci di entrare in modo con-vincente e deciso sui mercati, puntando

più rapidamente ad obbiettivi ambiziosi. Da gennaio presen-teremo la prima col-lezione Uomo con la Emma Holmes al Pitti Uomo e successiva-mente a marzo sare-mo a Parigi per pre-sentare la collezione

Donna.Credo molto

in questo p ro g e t t o che in soli 2 anni ha

già dato le sue piccole

soddisfazioni e sono convinto che da ora avremo la possibilità di crescere an-cor più rapidamente di quanto fatto in questo primo periodo.La stessa domanda la rivolgiamo anche a Roberto Lapi, presidente della Lapi Group SpALa principale ragione, che mi ha spinto verso questa iniziativa, è la fiducia che ho nei giovani, soprattutto se, come Sa-muele, sono brillanti, pieni di energia e voglia di fare.

Il 16 dicembre 2011 nasce la EMMA HOLMES srl che sarà titolare del marchio USED e continuerà

ad operare e ad espandersi sia in Italia che all’estero.

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Sport

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Quando il calcio lancia messag-gi positivi e fa rima con sociale. Quando il calcio fa scendere in

campo l’amicizia e fa vincere la voglia di confrontarsi sul rettangolo di gioco.Alla fine della partita resta la foto di grup-po. L’obiettivo fissa l’abbraccio del team azzurro e di quello palestinese e un sorri-so fa da cornice. È l’immagine di un libro che si chiude, ma che verrà riaperto a bre-ve per scrivere un nuovo capitolo. Fanno da sfondo alla foto un cielo azzurro che domina il campo verde e il sole che illu-mina il rettangolo di gioco dello stadio Migaghelli di Santa Maria degli Angeli ad Assisi. È qui che è stata disputata la gara di calcio tra Italia Lega Pro e Palestina.In campo c’erano ragazzi di venti anni con un solo pensiero: giocare tra amici, annul-lando le distanze. Il 23 novembre si è giocato una partita, vinta dagli azzurri per 1-0 con gol del ca-pitano Walter Zullo, che resta nella storia, tra Italia Lega Pro e Nazionale olimpica palestinese. «È stata un’ulteriore testimonianza di cosa può fare il calcio, di come può abbattere le distanze e di come sa lanciare bei se-gnali che restano» ha dichiarato, soddi-sfatto per la riuscita di una partita evento, Mario Macalli, presidente della Lega Pro, la Lega calcio professionistico.«I nostri giovani non solo giocano a cal-cio – ha detto Macalli – ma sono coinvol-ti in iniziative che aiutano a crescere e a formarsi. In campo ad Assisi non c’erano avversari, ma amici, con i quali si condivi-deva la passione per uno strumento che ha un potere magico: il pallone. È questa la filosofia della Lega Pro che costruisce

con i giovani: il calcio deve insegnare». I pullmann stanno per ripartire per un nuovo viaggio. Ci salgono gli azzurri per raggiungere le loro città e i giocatori pale-stinesi per tornare al loro Paese. Sono sta-ti quattro giorni all’insegna dell’amicizia. È un arrivederci che non ha il sapore dell’addio. Ora prende più forza il sogno: poter giocare senza ostacoli, un giorno non troppo lontano. Assisi è stata una tappa di un percorso difficile, irto, compli-cato. Ma gli occhi sono fissi al traguardo e riescono a intravederlo.

TEXT&PHOTO Gaia Simonetti

Under 20 Lega Pro in Palestina

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1. La gara di calcio al check point tra Betlemme e Gerusalemme con Matteo Vezzoni (maglia bianca Under 20 Lega Pro) in azione con l’ex calciatore Fabio Pecchia2. Un’immagine della Marcia della Pace da Betlemme a Gerusalemme con il giocatore dell’Under 20 Lega Pro, Michele Drago con la torcia3. Foto di gruppo4. Lo stadio di Dura, a dieci chilometri da Hebron, con 25mila spettatori per la gara di andata Palestina-Italia Lega Pro5. La delegazione della Lega Pro al Muro del Pianto a Gerusalemme6. L’esultanza per il gol del capitano azzurro, Walter Zullo (maglia numero 5)7. L’arbitro della gara di Assisi, Silvia Tea Spinelli

olidaleScalcio...

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Sport

Sabato 3 e domenica 4 dicembre si è svol-to nello scenario autunnale del lago di San Donato di Santa Maria a Monte la finale del

“Campionato Italiano a box di pesca alla trota con esche vive in lago 2011”.Le tecniche di pesca di questa disciplina si basano sulla rotazione dell’esca. La rotazione e movimento dell’esca hanno lo scopo di stimolare il più possibile il pesce all’abboccata, tenendo conto della stagione, le correnti, la temperatura, la profondità. L’azione di pesca prevede il lancio e la caduta della lenza, a cui segue un tempo di caduta calcolabile in secondi. Il recupero viene svolto cercando di garantire all’esca un movimento credibile con continui saliscendi, accelerazioni e pause, cercando comunque di mantenere la corsia prescelta.Gara combinata in due prove a squadre formate da quattro concorrenti. Hanno partecipato alla finale 50 squadre, le prime tre classificate

dell’anno precedente e 47 arrivate da selezioni svoltesi in tutto il territorio nazionale, per un totale di 200 concorrenti. Nonostante la pioggia abbia caratterizzato tutto il weekend, la finale si è svolta con il massimo impegno agonistico da parte delle squadre che si sono sfidate alla pesca del maggior numero di trote, spostandosi a rotazione nelle diverse postazioni del lago.La premiazione si è svolta domenica all’ora di pranzo alla presenza del Sindaco David Turini e dell’assessore ai lavori pubblici del comune di Santa Maria a Monte e di GianCarlo Falaschi, pro-prietario del lago e del ristorante “Oasi al lago”. A salire sul gradino più alto del podio è stata la squadra Lo Squalo di Varese, a cui sono andate le maglie azzurre e lo stemma tricolore della FIP-SAS, Federazione Italiana Pesca Sportiva e attività subacquee; si è classificata seconda la squadra Oasi al lago, la squadra di casa, e terza la squadra i Soffritti di Verbania.

Finale Campionato Nazionale di

Pesca Trotaal lagoTEXT&PHOTO Cristiana Cei

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Tecn

olog

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economico e molto spesso anche efficace in misura alquanto maggiore di quello che potremmo essere portati a pensare. L’E-Mail Marketing per funzionare però deve sottostare a delle regole ben preci-se, alcune banali come ad esempio l’inse-rire all’inizio della E-Mail la possibilità di dissociarsi da successivi invii (de-registrar-si), altre più sofisticate come la gestione dei feedback loop, delle segnalazioni inviate all’ISP quando il cliente clicca sul pulsante “Segnala come spam” e che vengono rinviate al server di origine che, se correttamente gestito, provvederà a non inviare più mail all’indirizzo che ha eseguito la segnalazione. Questo salvaguarderà la reputazio-ne dell’azienda che ha inviato la E-Mail pubblicitaria e farà in modo che la sua corrispondenza elettronica non venga cassata definitivamente andando a fini-

re in una black list. Quindi ancora una volta utilizzando un sistema di

Customer Relationship Management (CRM) che gestisca le campa-

gne pubblicitarie, anche in forma di E-Mail Marketing,

in manie-ra corretta, si

potrà far cono-scere la nostra

azienda, i nostri ser-vizi ed i nostri prodotti

al mondo intero senza correre il rischio di andare contro la legge sulla tutela della priva-

cy ed ottenendo degli ottimi risultati.

TEXT Sergio Matteoni

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In questo numero vi propongo un argo-mento particolarmente sentito oggi giorno, l’uso delle E-mail informative e

lo spam. Con l’avvento delle nuove tec-nologie che ci permettono di comunicare tra di noi in maniera semplice e veloce e soprattutto con i costi sempre più con-tenuti che hanno i dispositivi mobili (non si possono chiamare più cellulari) come gli Smartphone di ultima generazione, la ricezione di E-mail non gradite è diventa-to un problema importante, soprattutto se riceviamo queste E-Mail sui nostri dispositivi utilizzando la rete dei cellulari con dei costi che spesso sono relativi ad ogni megabyte scaricato. In ambito aziendale le E-Mail hanno preso il posto dei fax perciò spesso ci troviamo centina-ia di E-mail informative alcune inviate dai nostri legittimi fornitori, altre da fornitori che si stanno proponendo per la prima volta, altre ancora da sistemi di invio di E-mail spazzatura (SPAM). Tutto questo causa una perdita di fiducia nello “strumento” e conseguentemente l’abbandono di percorsi che portino a proporre la propria azienda con l’ausi-lio di quello che viene chiamato E-Mail Marketing. L’E-Mail Marketing invece è un fantastico strumento che se utilizzato in maniera appropriata è effi-ciente,

SPA...Mquest’E-mail!

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Form

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Perché apprendere uno stile comunicativo efficace nel luogo di lavoro?

Viviamo nell’epoca che ha fatto della comunicazione l’elemento principale di scambio interpersonale e aziendale.I vantaggi del saper comunicare in modo positivo sono oggetto sia di manager che di lavoratori poiché il benessere organiz-zativo è il fine da perseguire sia per un vantaggio personale, che per l’organizza-zione stessa.Un buon clima interpersonale migliora infatti il rendimento dei singoli e dei gruppi e incrementa l’efficienza comples-siva. Di contro, un ambiente di lavoro caratterizzato da rapporti interpersonali freddi e conflittuali, non solo danneggia i singoli individui, ma influenza negativa-mente l’organizzazione.

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Il corso si rivolge a chi occupa posti di responsabilità nelle organizzazioni aziendali, soprattutto dal punto di vista della gestione delle risorse umane. Si rivolge inoltre a educatori, formatori e capi settore impegnati nel difficile compito di gestire gruppi di lavoro.

Saper comunicare: caratteristiche della comunicazione verbale, ascolto attivo, la comunicazio-ne non verbale e il linguaggio del corpo, analisi delle barriere alla comunicazione e strategie per superarle.La comunicazione nell’esercizio della leadership.Saper gestire: metodologie di conduzione dei gruppi e tecniche di gestione dei conflitti (metodo del consenso, arte del negoziare, correzione degli errori).La riunione di lavoro come strumento di costruzione e consolidamento del gruppo di lavoro.Capacità e Qualità: Capire e trasformare gli stati emotivi del collaboratore.Gestire e motivare l’individuo nella sua prospettiva.La delega come strumento di motivazione e di crescita: come esercitarla per motivare ed avere successo. La valutazione delle persone: come condurre il colloquio di valutazione e aiutare i collaboratori nella autovalutazione.

Formare figure specializzate nel favorire il buon esito dei processi comunicativi e relazione e nella prevenzione e gestione dei conflitti. Le tematiche oggetto del corso si propongono di far acquisire ai partecipanti tecniche, strumenti e buone pratiche per svolgere il ruolo di conduttore di gruppi all’interno del mondo aziendale , delle organizzazioni sociali e della formazione.

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Referente: Carla Sabatini Tel. 0571/367749 Cell. 3484405321

TEXT Carla Sabatini & Vanessa Cappelli

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Indu

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TEXT Luciano Gianfranceschi

La pelle di moda nasce qui. Da 25 anni. I clienti, chiedono ogni stagione qual-cosa di nuovo. “Qualcosa? Abbiamo di

tutto, di più. E anche a metà stagione rin-noviamo l’offerta. Predisporre il campionario e aspettare i clienti non basta più, occorre essere propositivi: in maniera da anticipare le tendenze”, osserva Roberto Pellegrini, le cui mazzette grandi sembrano l’enciplope-dia Treccani. «Si fanno tutti articoli moda, e l’azienda ha un nome perché tutti gli anni proponiamo 60-70 articoli nuovi, diversi, e cerco sempre qualcosa d’inusuale per la superficie, per la manualità, in ogni aspetto della pelle».

D’altronde è ciò che ha consentito all’azien-da di festeggiare in quest’anno 2011 i primi 25 anni d’attività, con una festa nelle strut-ture del residence Corte Francigena. Un evento in grande stile. «In effetti sono inter-venuti i musicisti e i tenori del Maggio Musi-cale Fiorentino, per un concerto che non ha precedenti a Fucecchio, dove peraltro c’è la passione per la musica» conferma il tito-lare. Dunque una manifestazione all’altezza dell’operato di Pellegrini Group, azienda conciaria che produce articoli di tendenza su croste e mezzi vitelli, capre e bufali, al cromo e al vegetale, per calzature e pellet-teria. La sede è nella nuova zona artigianale di Fucecchio, in via Magellano, (dirimpetto a Prada).

«Quando mi viene un’idea, un’intuizione, la vedo già sul pellame – continua-. Anche se talvolta sembrano tecnicamente difficili, non voglio sentir dire che sono impossibili: come le pelli moda che sembrano opera del grande pittore Pollock, che stanno avendo successo anche all’estero» E tra le tante novità che hanno avuto succes-so a Lineapelle tra i clienti, l’azienda ha cre-ato e presentato anche un articolo speciale.

«Si tratta di una rifinizione che sostituisce la fodera su qualsiasi tipo di pellame. e dun-que maggiore velocità nel taglio, perché ne basta uno soltanto anziché due, e non oc-corre acquistare il pellame da fodera.»Su come ha iniziato l’attività, rievoca: «Sono partito pian piano, io sono uno che ha sem-pre fatto passi corti. Ero nato ragioniere, impiegato alla conceria Cormorano. Oltre a occuparmi dell’amministrazione, parlavo con il tecnico della rifinizione, ho allargato l’orizzonte sul mestiere del conciatore. Poi, conoscendo le lingue, seguivo l’estero e l’export, anche per l’altra azienda del grup-po, la Sciarada. Finché a un certo punto ho pensato che potevo anche mettermi per conto mio.»E l’ha fatto nel 1986, con il fratello Aldo, am-ministratore, mentre Roberto è il presidente e ora anche direttore stilistico. Il mercato ri-chiede sempre il nuovo, per vendere. E chi va da Pellegrini Group è sicuro che lì trova una miriade di campioni, pronti ad essere consegnati. Il pronto moda è servito!

foto di Mario Rossi e www.videoprovettorato.it

Tra le tante novità, anche il pellame già con la fodera

Conceria Pellegrini Group S.r.l.Via F. Magellano snc50054 Fucecchio (FI)Tel. 0571 23602, 0571 22734 Fax 0571 260955 www.conceriapellegrini.com [email protected]

25alla

daanni

la pelle di moda

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LA MODA IN PELLESono i pellami pregiati per il pronto

moda che fanno muovere il mercato. E il fashion word pretende creatività e

innovazione senza limiti, come si è visto a Li-neapelle, a Bologna. Ora si parla addirittura di pelli… trattate con proteine seriche? Anticipa Franco Donati, (ft 6) tecnico e presidente di Assoconciatori «Abbiamo preso delle proteine che vengono fuori dal riutilizzato proteico, che a sua volta viene fatto con gli scarti di pelle in conceria, dunque dal carniccio. Tali proteine le abbia-mo arricchite e un po’ trasformate, e le ab-biamo adoperate per fare da riconciante nel ciclo della concia, come riempiente della pel-le». Oltre che avviarle, come già avviene, in

agricoltura, un’altra strada al recupero. L’ap-plicazione è già in fase avanzata presso il Po-teco, diretto da Domenico Castiello.RED CARPET ALLA CONCIA BIANCA. Un rinnovamento, la conciatura che la manager Marcella Peruzzi, Biokimica group, in foto con l’imprenditore Gaetano De Maio, anticipa così: «Si tratta di un procedimento chimico che consentirà di trattare contemporanea-mente pellami e tessuti, abbinati per l’abbi-gliamento. Una soluzione molto attesa nei due comparti, affini, che la moda vuole sem-pre più vicini». (ft 7)DOTTORESSA MARTINA. Ad accogliere la clientela, Martina Squarcini, terza generazio-ne in azienda, con il babbo Curzio e il nonno

Dario. Ha partecipato alla fiera nonostante stesse per laurearsi. Come è accaduto bril-lantemente due giorni dopo all’università di Pisa. Mostrava «uno stivaletto in pelle concia-ta al vegetale, con la pelliccia calda interna ed elegante esterna. Tutto naturale». (ft 3)CLIENTI TEDESCHI. «Il primi giorno in fiera abbiamo visto più stranieri, anche tedeschi, che italiani. S’è seminato bene, anche con clienti da nazioni in via di sviluppo, prevedo un lavoro in aumento – aggiunge, alla conceria La Conchiglia, Renzo Botrini, con Alessandro Pacini, Luciano Brucini e Mauro Pacini. (ft 4)LE GRIFFE SON TORNATE. Al consorzio D&Co (concerie Golf-pH, Lufran, Upimar) c’è l’imprenditore Riccardo Bandini. «Altre d

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AL TEMPO DELLA CRISI

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volte l’affluenza era forse maggiore ma ora coloro che vengono sono veramente inte-ressati, in azienda contano e possono deci-dere. La clientela ha recepito il messaggio che la qualità ha un costo, ma dà sicurezza ai clienti finali. Se le griffe sono tornate è an-che per questo».VOGLIA DI PRODURRE. Secondo il vice pre-sidente di Assoconciatori, Alessandro Fran-cioni, «tra le griffe c’è voglia di produrre, e le concerie stanno rispondendo molto bene alle sollecitazioni del mercato, che richiede innovazioni teologiche e oltre che di moda».DOUBLE FACE. Tra i materiali innovativi, Romano Benericetti ha presentato una capra «in pelle double face, trattata con le carte

e poi grattando il fiore. Ma senza sfondarlo si ottiene un vintage elegante, fortemente caratterizzante, dovuto a maestrìa a livello artigianale». LA VACCHETTA. Non passa mai di moda. «La vera vacchetta ingrassata, tradotta in cal-zature – osserva Nicola Matteoli alla conceria Lo Stivale – dà articoli distaccati dalla massa, come stivali tipo camperos e buttero, country o sportivi».CUOIOARREDO. Anche il cuoio, s’inventa nuove strade. Luigi Caponi, del cuoificio Bisonte, è responsabile del marketing alla sezione Cuoioarredo, «che anima gli spazi». I gropponi esposti alla parete sono serigra-fati, oppure stampati, e vengono venduti a

mattonelle, per interni e per imbarcazioni lussuose. VEDI VOGUE, E POI... Alla conceria di fami-glia, «Samanta» l’emergente fashion designer Azzurra Gronchi ha esposto anche le borse pubblicate su Vogue accessori. Un gran bel ser-vizio, perché la moda della prossima stagione non può fare a meno di una creativa, cresciuta tra le pelli stampate rettile e colorate a mano. CERTIFICAZIONE. Valerio Testai, alla conceria Vecchia Toscana, conferma la tendenza «a pelli, la cui naturalezza è un nostro pregio. E aggiungiamo la certificazione della non pre-senza di sostanze nocive, fin dall’ambiente durante la lavorazione, e poi a chi porterà le scarpe, la borsa o un capo in pelle».

6 75

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Cris

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Cei

IL GRAND HOTEL. Per la conceria Valdarno, Massimo Baldini, Biokimica group, insieme a Stefano hanno riprodotto il Grand Hotel, un’attrazione per pelli che sono davvero a... cinque stelle. Tra gli articoli la concia al vegeta-le vintage, lavorazione per invecchiare le pelli, in modo da ottenere pelli old style naturale.ISTITUZIONI. E’ fiducioso il sindaco santa-crocese Osvaldo Ciaponi, presente con la vice Giulia Deidda e l’assessore Alessandro Valiani: «Anche nella produzione di calzature e pelletterie, i brand stanno stanno tornando in Italia. Perché più la pelle è di qualità, e più richiede maestrìa nell’essere lavorata». (ft 5)PELLE + 2011. Gli stand del consorzio vera pelle italiana conciata al vegetale

erano individuabili dal marchio consortile proiettato all’entrata d’ogni stand. Il sin-daco di San Miniato, Vittorio Gabbanini, in visita alla conceria Tempesti, ha sotto-lineato: «La pelle al vegetale è una risorsa che viene dal passato, e che ha un futuro. Il concorso Pelle+ dimostra che oltre alle tradizionali pelletteria e calzature, nella mente di architetti e designer prende più ampia versatilità». (ft 1)ISPIRAZIONE. Accompagnato dal vice Gabriele Toti «per un creativo, certi pellami sono un’ispirazione al solo vederli, toccar-li», il sindaco di Castelfranco di Sotto Um-berto Marvogli, ha rievocato di aver avuto «esperienza produttiva diretta in conceria,

e di aver visto in fiera realizzazioni moda im-pensabili». (ft 2)PROSPETTIVE. «Le condizioni del mercato sono favorevoli – conclude Piero Maccanti, di-rettore di Assoconciatori – e le proposte delle nostre aziende stanno trovando ottimi riscontri fra i compratori. In questo contesto, le pro-spettive per la prossima stagione produttiva sono positive».TENDENZE. Per la fascia alta è importante la produzione per l’invernale – si parla del 2012-13 – essendo una stagione lunga il doppio rispetto all’estivo. E anche realizzare gli stiva-li richiede molo più pellame dei sandalini. Le tendenze? Pellami morbidi, e colori dal biondo al grigio anche mescolati fino al tono ruggine.

Alberto Licostini sportello Carismi in fiera

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TECNOLOGIE MANGUSTA PELLAMI SRLViale Antonio Meucci, 6 - 56029 S. Croce sull’Arno (Pisa)Tel. 0571 33436 - Fax 0571 [email protected]

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Conceria dal 1973

V E R YM A D EI N I TA LY

LE CUIR A PARIS 14-16 Febbraio 2012:

Hall n° 4 / Stand n° F37 Bis

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SensiPer quanto mi riguarda, nulla so con certezza

ma la vista delle stelle mi fa sognar.

di Margot

Vincent Van Gogh (1853-1890)

pittore

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Ristorante Butterfly

TexT&phoTo Claudio Mollo

S t e l l a l u c c h e s e d i g u s t o e d e l e g a n z a

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RISTORANTE BUTTERFLY S.S.12 del Brennero, 192 - MARLIA – Lucca - Tel. +39 0583 307573

hi non conosce il Butterfly, il ristorante che si incon-tra sulla strada statale del Brennero, quella che per intenderci da Lucca inizia

a salire verso la Garfagnana e l’Abetone. Ecco, venendo da Lucca, poco prima dell’incrocio con Marlia, sulla sinistra, si trova il Butterfly, un nome che per gli appassionati di opere liriche evoca un grande capolavoro di Puccini mentre per gli appassionati della buona cucina ricorda un locale che tra quelli presenti sul territorio lucchese si è conquistato un posto tra i migliori ristoranti della Toscana e del resto d’Italia.Fabrizio Girasoli chef e proprietario, è l’artefice del successo di una cucina coraggiosa, che quando finì all’attenzio-ne della cronaca ruppe gli schemi di una ristorazione classica, profondamente intri-sa nella grande tradizione gastronomica lucchese nella quale si esaltano i sapori

di antiche ricette avendo a disposizione, nell’intera provincia, prodotti eccezionali. Nonostante queste profonde radici “ali-mentari”, Fabrizio iniziò a incamminarsi su una strada diversa e chiaramente in salita, iniziando a proporre una cucina innovativa, dove la fantasia aveva un ruolo importante, una cucina foriera di modernità e voglia di cose nuove nel piatto, fermi restando i legami con il ter-ritorio e i suoi prodotti. Insieme a lui, la moglie Mariella, che si occupa della sala e che da brava padrona di casa, del fasci-noso cascinale riadattato a ristorante, ha sapientemente arredato, in stile rustico elegante, le diverse sale disposte su più piani, compresa una romantica e intima

Cmansarda, colorata e accogliente, dotata di un unico tavolo e raggiungibile dal primo piano salendo qualche scalino in più. Colori caldi e punti luce ben disposti rendono gli ambienti veri e propri salotti del gusto, nei quali si serve una cucina raffinata ed elegante che ha fatto del Butterly una meta ambita da piccoli e grandi gourmet provenienti soprattut-to dal resto della Toscana. Una Stella Michelin, che brilla ormai da diversi anni sta a suggellare queste virtù.Fabrizio lavora con abilità, sia carne che pesce, con cotture misurate, armonia tra gli ingredienti e buon equilibrio gustati-vo. La sua è una cucina creativa e intri-gante, dove ogni piatto non tradisce mai il palato, dove chi cerca un attimo di relax gastronomico, lo trova; accompagnato dal piacere di sentirsi come a casa pro-pria. La carta dei vini è importante, all’al-tezza delle pietanze proposte. Presenti in quantità i vini della provincia, cru in testa;

non manca il resto d’Italia e qualche stra-niero, ed è sempre Mariella a occuparsi dei vini richiesti dalla clientela o sugge-riti a coloro che hanno voglia di lasciarsi guidare, coadiuvata dallo staff di sala.Nel giardino all’inglese che fa da cor-nice al cascinale, si trovano due grandi gazebo sotto i quali, in estate, si può mangiare, in mezzo a bellissime piante e fiori colorati, nel fresco della campagna, fino a tarda ora. Evoluzione gastronomi-ca e piaceri di palato sembrano essere le due linee guida che Fabrizio Girasoli sta seguendo ormai da diversi anni, sempre più proteso verso un’eccellenza nel piatto che lui cerca in modo mania-cale e professionale.

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Una terra ricca di storia, arte, natura, attenta all’ospitalità, al ricco patri-monio costituito da una rigogliosa

flora, paesaggi da favola, borghi incante-voli, che rendono il Garda Trentino una meta appetitosa. Le vacanze natalizie rap-presentano un’ottima occasione per visi-tare questo eden lambito dalle acque del lago più grande d’Italia, nel quale novità e tradizioni si fondono come dimostrano i celebri mercatini ricchi di addobbi per l’albero, il raffinato artigianato, la celebre gastronomia o l’innovativo restyling della falesia di Baone, grazie al quale le perso-ne diversamente abili usufruiscono di par-cheggio riservato, un percorso progettato per i non vedenti, tabelloni tattili indicanti come arrivare alla parete attraverso un sentiero percorribile anche in carrozzina. Cosa dire dell’entroterra? Fantastico! La valorizzazione del medesimo trova supporto nell’operato della Comunità Alto Garda e Ledro insieme all’Azienda per il Turismo Alto Gardesano, che si ado-perano con successo nel ricercare l’anello di congiungimento tra le bellezze della ri-viera e l’incontaminato paesaggio interno ricco di unicum. In effetti, se Riva incanta per la Rocca, la Torre Apponale, il Palazzo Pretorio, Nago colpisce per essere sede dei forti austro-ungarici, ingresso alla Val d’Adige, custode dei pozzi glaciali deno-minati Marmitte dei Giganti, senza conta-re la vicinanza con Torbole, ridente pae-sino di pescatori dove ha sede la Vecchia Dogana e Casa Buest. L’interno accoglie anche Tenno conosciuto per il lago balne-abile, le spiagge, l’austero castello medie-vale, ma non dimentichiamo Arco, deno-minata città giardino, città liberty, capitale mondiale del free-climbing. Nelle vicinan-ze si trova Dro, ricca di portali scolpiti, torri, chiese, enormi rocce denominate “Le Ma-rocche” e, a una manciata di chilometri, ecco apparire l’austero maniero di Drena, orgoglioso del suo onorato passato! Ah, dimenticavo il bellissimo lago di Ledro ricco di piste ciclabili, viste panoramiche, prati, boschi, memorie storiche legate alla preistoria, terza guerra d’indipendenza, prima guerra mondiale: assolutamente da non perdere!

Dopo cotanta fatica è auspicabile rige-nerare il corpo ma anche la mente, a tal riguardo il territorio offre una variegata offerta wellness & relax; in effetti numero-se strutture ricettive possiedono palestra, bagno turco, sauna, piscina riscaldata, permettono trattamento massaggi, este-tica, cromoterapia, basti nominare il Gar-da Thermae di Arco o blasonati alberghi come il Grand Hotel Liberty, Parco Flora, Astoria Park Hotel di Riva, Piccolo Mondo di Torbole, Al Frantoio e Olivo di Arco. Al-lora gente, ho stuzzicato la voglia di parti-re? Penso di si!

quel bracciodelGardaTrentino...

1. Arco2. Rocca di Riva di notte3. Mercatino di natale a Arco4. Fuochi d’artificio a Arco

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TEXT Carlo Ciappina PHOTO Ufficio stampa LOCOMIA

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Vanitosi, sfrontati, orgogliosi delle antichissime origini, i monti friulani guardano arcignamente le splen-

dide valli che li delimitano, creando uno scenario di straordinaria suggestione. Candide d’inverno, verdi e ingentilite da coloratissimi fiorellini d’estate, le vette al-pine offrono un aspetto superbo nel cor-so di tutto l’anno, non a caso le Istituzioni locali si adoperano affinché tale paesag-gio venga goduto nella sua interezza dai numerosi turisti promuovendo una serie di offerte decisamente vantaggiose; a tal riguardo nonni e nipotini troveranno con-veniente frequentare le piste da sci dei cinque comprensori della Regione: per loro, sono completamente gratuite! Tra le tante mete, consigliamo Sella Ne-vea, dove praticare sci da discesa, di fon-do, snowboard, pattinaggio su ghiaccio, trekking e l’alpinismo trova un punto di forza negli incantevoli itinerari accurata-mente studiati per gli appassionati. A proposito, non dimenticate di visitare Tarvisio, rinomato per la sua foresta de-maniale, la fauna ricca di caprioli, cervi, ca-mosci, stambecchi, il Santuario del Monte

Lussari; qui i ragazzi possono praticare lo sleddog tra una vegetazione incantevole lasciandosi trasportare da vigorosi husky. Gli amanti della velocità devono asso-lutamente recarsi a Piancavallo, presso lo Snow Park Collalto Fun, attrezzato per praticare snowboard e alpine co-aster, mentre Foni di Sotto assicura il divertimento grazie a gobbe di neve, tunnel, gommoni, grandi attrattive del Fantasy Snow Park. Ma le famose Dolo-miti con il loro Parco cosa offrono? Direi tantissimo! Innanzitutto il paesaggio è un museo a cielo aperto con una natura incontaminata, dove il grigio statuario delle monumentali rocce di forma pira-midale contende il primato di bellezza alle formazioni carsiche dalle geometrie bizzarre, ai depositi di antichi ghiacciai, agli innumerevoli boschi ricchi di abeti rossi e bianchi faggi, larici, mughi e una fauna ricchissima. In questi magici luoghi hanno sede rino-mati campi scuola dove imparare a cono-scere il magico mondo della neve, dalla sua formazione alla realizzazione di pic-cole strutture con tale candido materiale,

praticare giocose escursioni, passeggiare di notte avvolti sotto un manto di stelle lucenti. Per gli amanti delle esperienze uniche, soprattutto durante le festività natalizie, la montagna del Friuli Vene-zia Giulia rappresenta il luogo ideale e, quanto sinora descritto, ne rappresenta degnamente la prova tangibile.

1. Piancavallo arrivo seggovia Tremol2. Monte Zoncolan - Cubo3. Monte Zoncolan sciatori

TEXT Carlo Ciappina PHOTO Ufficio stampa agenzia turismo FVG

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montagnelassùsulle

friuliane

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ModaReality

E ccoci alla seconda uscita della nostra nuova rubrica! Potevamo decidere di parlare delle tendenze della nuova moda primavera-esta-

te, come presentano le passerelle, ma abbia-mo deciso di mettere ogni cosa a suo tempo!Quindi parleremo della moda di Natale, con-siglieremo alle nostre lettrici i capi Chanel per le feste, racconteremo di Jimmy Choo che fe-steggia i suoi 15 anni con un libro, e parleremo un po’ dei bambini che in questo periodo sono i veri protagonisti!In più dedicheremo un inserto con qualche idea regalo alla portata di tutti i portafogli!Per quanto mi riguarda spero che lo spirito che accompagna questo periodo, possa mantener-si il più a lungo possibile, più a lungo delle fre-netiche tendenze che cambiano di continuo!Non dovremmo darci all’assalto dei regali ma sarebbe ipocrita sostenere il contrario. Il mec-canismo ormai è parte della cultura e della so-cietà di chi se lo può permettere e tutti quanti ne siamo vittime!Quindi ricordiamoci semplicemente che que-sto è sicuramente il tempo dei bambini, che credono e vivono di fantasia, e aspettano la mattina di Natale con trepida attesa riuscendo perfino a sentire il profumo di Babbo Natale e l’odore delle renne! Cerchiamo almeno di mantenere vivo il pensiero dei buoni propositi per tutto l’anno e di vivere un po’ di magia an-che noi grandi, sempre troppo preoccupati e troppo realisti!

«Ho sempre pensato al Natale come ad un bel momento. Un momento gentile, caritatevole, piacevole e dedicato al perdono. L’unico momento che conosco, nel lungo anno, in cui gli uomini e le donne sembrano aprire consensualmente e liberamente i loro cuori, solitamente chiusi.» Charles Dickens

MODA in festAPer il 15°anniversario della maison, Jim-

my Choo ha ideato un libro dei ricordi edito da Rizzoli Jimmy Choo XV.

Disponibile soltanto all’interno dei negozi Choo del mondo, e da febbraio 2012 dispo-nibile all’interno di tutte le librerie anche nel formato deluxe!L’autrice è la giornalista di moda Colin McDo-well, mentre, l’introduzione è stata curata da Tamara Mellon, fondatrice e responsabile cre-ativo di Jimmy Choo da ben 14 anni. I quindici anni delle scarpe e degli accessori più fashion degli ultimo decennio attraverso la creatività di un artista geniale che ha ideato le “zeppe” più glamur dei red carpet, che hanno vestito i piedi di Carrie di Sex and the City e hanno dato fama e notorietà al marchio!Fotografie, immagini accattivanti dagli scatti di Mario Testino e Terry Richardson, scatti ce-lebri di paparazzi ma anche schizzi e studio di design per mostrare al lettore il mondo dietro queste meravigliose creazioni.Il libro diviso in otto capitoli, racconta come l’oggetto si sia legato la brand, e come le icone, della moda, del cinema Keira Knight-ley, Hilary Swank, dello spettacolo lo abbiano fatto divenire simbolo e stemma della moda, garanzia di femminilità, fiducia e stile.L’intero guadagno di questa vendita sarà de-voluto alla Jimmy Choo Foundation, ente be-nefico della stessa maison! Un bellissimo ricordo per tutte le lettrici che amano le famo-se scarpe fir-mate Jimmy Choo!

HAPPY HAPPYJIMMY CHOO

Una nuova idea del marchio che veste i bambini da bambini! Il Gufo

scrive un libro di ricette per farvi passare un po’ di tempo con i piccoli uomini e farli avvicinare al cibo con rispetto e divertimento! L’arte di apparecchiare la tavola, stendere la pasta, intagliare

formine, mescolare il purè e affettare la mozzarella, per il brunch domenicale, la merenda con gli amici o le feste in famiglia. Cucinare diventa un momento di gioco da condividere. I bambini imparano che il mangiar bene italiano è uno stile di vita positivo da coltivare fin da piccoli. Nato da un’idea di Giovanna Miletti, fon-datrice dell’azienda, e sua figlia Alessandra Chiavelli, retail & marketing manager del brand, Mamma, adesso cucino io! è disponibile in italiano e inglese presso selezionate librerie internazionali, con un prezzo al pubblico di 26 euro. «Imparare a mangiare e a far da mangiare rappresenta per noi il miglior inizio di una vita felice. Ecco perché abbiamo voluto realizzare questo progetto educativo e divertente, un libro di ricette facili che esprima qualità attraverso tutti i suoi aspetti. Con la stessa passione che mettiamo ogni giorno nel vestire i nostri bambini da bambini», come dichiarano Giovanna e Alessandra nella prefazione del libro.

IL GUFOMETTE AI FORNELLII NOSTRI BAMBINI

Foto: eu.jimmychoo.com

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www.ilgufo.itVIA S.PACINOTTI, 8 R

50131 FIRENZE (FI)Tel: +39 055 588213

abbigliamentoPUCCI GIOVANNA

MODA in festA di Eleonora Garufi

Mai come in questo periodo il pensiero delle donne va tra tessuti, colori, acces-sori, pizzi, trasparenze e pellicce! Perché

la domanda di tutte è: cosa indosseremo per le feste, al pranzo di Natale, a Santo Stefano alla cena di auguri di lavoro e soprattutto l’ul-timo dell’anno?La moda segnala, trasparenze, pizzi e pelle. I colori possono essere vivaci, rosso, verde, blu ma il fucsia sembra dominare la scena, an-che se imbattibile resta l’oro... tutto nel brio della femminilità!Lasciamo a voi l’arduo compito di creare il vo-stro look, ma per accessori e dettagli, i nostri consigli arrivano direttamente dalla maison Chanel per essere uniche e preziose!Per la Vigilia, gli accessori sfoggiano toni accesi e colori pastello. Le perle di vetro si tramutano in charm su bracciali o collier e si uniscono agli strass di un anello o di un brac-ciale manchette. La pelletteria con motivo matelassé si tinge di un delicato blu lavanda o di un tenue rosa cipria. I fiori naif e preziosi, s’imprimono su un foulard di seta multicolore o s’imprimono su un sandalo. La camelia in pelle si illumina di un petalo in metallo.Per Natale, Chanel regala un cocktail di nero, strass e argento. I portafogli in pel-le matelassé si rivestono di accenti futuri-stici e preziosi. Gli orecchini scintillano come sfere sfaccettate. La doppia Chanel brilla su una décolleté in tweed mentre una pochette in satin è impreziosita da un fermaglio bijou. La camelia, il fiore di Mademoiselle Chanel, risplende di bagliori di luce e si trasforma con un pavè di strass su un anello, una spilla o un bracciale in resina nera.Per Capodanno, bianco e nero: un bino-mio al tempo stesso classico e rock. Un brac-ciale manchette in pelle matelassé nera accom-pagna le perle di cui Mademoiselle adorava la lucentezza, su una collana lunga o,barocche, su un paio di orecchini. La pelle si declina in molteplici effetti: opaca su un portagioie, in vernice su un portafoglio o lucida come lacca su una borsa. Gli occhiali da sole neri profilati d’argento invitano a una notte bianca, hollywoodiana.

i DETTAGLI PER LE FESTECHANEL

foto CHANEL Boutique Chanel - Piazza della Signoria, 10/a - 50122 Firenze

YEAR 2012

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Idee ReGALO

Reality1. Set da viaggio Deluxe Collection - Ghd Scarlet2. Blackberry Bold 9900 glitters Swarovski3. Microbag portamonete in nappa - Miu Miu4. Porta Ipad - Benetton5. La pedana plantare - Innofit6. Balena porta monete - Gucci7. Dama in pelle guccissima soft marrone scuro - Gucci 8. Borsa cavallo a dondolo - Braccialini 9. Lettore Mp3 - Nilox SwimSonic - Federica Pellegrini10. Cerchietti - Miu Miu Jewels

Anouk - Chilli red - Jimmy Choo

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Padova 2011 fine ottobre, dal 27 al 30 ottobre si svolge la mostra scambio auto e moto epoca, per noi un importante appuntamento internazionale al quale partecipiamo da diversi anni. A nostro parere è la mostra più inte-

ressante e di categoria, dato non solo dai vari espositori e mezzi ma anche per la grande organizzazione professionale dello staff. Molti appassionati e collezionisti riempiono i padiglioni, chi per vendere, chi per scambiare, chi per comprare e chi per cercare oggetti di confronto per restaurare i propri mezzi. Immediati affari si fanno nei vari banchetti di accessori d’epoca e modernariato, i quali in questa edi-zione ci hanno incuriosito molto, sicuramente dettando e riconfermando mode. Le vendite di moto e auto sono interessanti ma una buona parte, dato il valore del mezzo, e verifica di originalità, avviene nel post fiera, dopo lunghe, scrupolose visite e trattative. Possiamo dire che oggi nonostante la crisi le cose belle ed origi-nali sono sempre ricercate, e fortunatamente anche oggetti italiani fanno pulsare il mercato dell’epoca che per noi rappresenta non solo moda o lusso ma cultura ingegno e tradizione. Text Angelo Errera & Photo Stefano Maffei

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Quando il gelo invernale lascia posto ai primi raggi promaverili, ecco dischiudersi il segno zodiacale dei Pesci, che nelle vite prece-

denti non è stato in grado di gestire in modo soddi-sfacente le proprie emozioni e i sentimenti, per cui nell’attuale esistenza si ritrova sempre impegnato a disciplinare la sua emotività, spesso lottando con-tro stati d’animo troppo estremi, altalenanti, dalla gioia più accesa alla tristezza più cupa, imprigio-nato più nell’immaginazione che nella realtà stessa. Il pianeta governatore del dodicesimo segno, Net-tuno, lo rende delicatamente recettivo, romantico e sognatore. Gli ambienti ideali dei Pesci dovrebbero evocare sensibilità: gamma di colori azzurri (in ricor-do della tonalità del mare), tessuti soffici e delicati. Le pietre del dodicesimo segno, dalla gamma azzurra a quella violacea, ci sono state donate in preziosi cristalli da collezione da una famosa isola, perla del Mar Tirreno: l’Isola d’Elba. Esse si regala-no al mondo sotto forma di Ametista, che esalta la capacità introspettiva e la saggezza interiore, e di Acquamarina (che la leggenda vuole la pietra delle sirene, spesso indossata dai marinai come amuleto portafortuna), capace di favorire la lungimiranza, la crescita interiore e la medianità, qualità tipica del dodicesimo e ultimo segno dello Zodiaco.

Nelle profondità dell’inverno più rigido ecco fare capolino il segno zodiacale del Capri-corno, simbolo di forza, resistenza, deter-

minazione. Come l’astrologia karmica ci svela, il decimo segno eredita dalle vite passate un karma che si contraddistingue per essere stato troppo dispersivo e agitato, a causa del quale nell’attuale esistenza il Capricorno tende a dedicarsi totalmen-te al lavoro, nell’ambizione, nella preparazione e nella tenace volontà - dominato da Saturno, dio severo e rigoroso che rappresenta la maturità e la saggezza attraverso le prove della vita-, senza tut-tavia eludere il fine spirituale - rappresentato dalla capra, animale sì di terra, che simboleggia la salita verso la vetta della montagna, ma anche icona di rinascita spirituale, espiazione e purificazione-. Per-fetta sintesi dello spirito capricorniano Lorenzo di Piero de’ Medici – nato il 1 gennaio 1449 –, detto Lorenzo il Magnifico, signore di Firenze dal 1469 alla morte, superbo letterato e mecenate, “ago della bilancia” che contribuì con determinazione e grazia a riportare equilibrio fra le varie potenze italiane del periodo, senza dimenticare l’importan-za delle arti e della letteratura che resero celebre l’epoca rinascimentale italiana.

Alla severità capricorniana si oppone l’eccentricità spiazzante dell’Acqua-rio, sempre pronto a trasformare se

stesso per sopperire al karma delle vite passate, nelle quali troppo spesso si è dimostrato prigioniero di idee statiche, ste-rili e comode, a causa del quale nell’attuale esistenza cerca di distinguersi, a volte con marcato orgoglio, buttandosi senza freni nell’estrema difesa della libertà in tutte le sue espressioni: dalla vita indipendente, anticonvenzionale, spesso pericolosa, lot-tando contro la ripetitività e la noia. Ospite socievole, allegro e conviviale, l’unicesimo segno sa essere un cuoco fantasioso e fuori dalle righe. Perfetta la ricetta della zuppa di farro perlato della Toscana al sapore di menta, composta da brodo vegetale misto a farina di farro e pecorino a cubetti, sciolti e insaporiti con foglie essiccate di menta, che regalano alla pietanza un sapore fresco e insolito come solo l’Acquario sa essere.

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oda

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dei futuri

a cura del Maestro di cerimonie Alberto Presutti

www.albertopresutti.it

Il Bon Ton matrimoniale, suggerisce, ma forse sarebbe il caso di dire, impone, ai futuri sposi di non incentrare la propria attenzione solo ed esclu-

sivamente sulle proprie aspettative, specie in mo-menti afferenti all’organizzazione delle nozze, quan-do le fibrillazioni emotive sono ad alto voltaggio. È fondamentale per una buona riuscita del matri-monio che i futuri sposi sappiano dialogare tra loro, per poter perfezionare ogni aspetto dell’organiz-zazione nuziale, nel rispetto dei reciproci desideri, ciascuno esponendo all’altro, nella massima fran-chezza, quanto è imprescindibile da farsi, secondo la propria visione dell’evento. Il matrimonio va sem-pre deciso in due, e solo in due, niente imposizioni o suggerimenti interessati, di parenti, amici, genitori! Se uno dei due futuri sposi ha – per esempio – un ca-rattere introverso, è insensato ed ingiusto imporgli di accettare un matrimonio eccessivamente festo-so e movimentato, dove inevitabilmente dovrebbe partecipare a balli e scherzi, a lui non consoni. In una evenienza simile occorre, infatti, riuscire, con pazien-za, a trovare un compromesso che non spenga la vivacità della cerimonia e del successivo banchetto, alla presenza di pochi, ma buoni, veri amici, con cui festeggiare senza esagerazioni goliardiche. I futuri sposi possono anche correre il rischio di dive-nire burattini di altrui volontà o richieste, da loro non condivise, magari accettando la presenza di invitati a loro non graditi o liste di nozze comprendenti og-getti che non si addicono al loro stile e gusto, o peg-gio di finire impigliati nella rete delle priorità proprie del formalismo genitoriale. Un suggerimento che il Bon Ton delle nozze dà, è quello di saper gestire l’organizzazione del proprio matrimonio con un toc-co personale dove buon senso ed inventiva si spo-sino, anche loro! Non si ascoltino, poi i bisbiglii di amiche o amici che dall’alto di una vera o presunta esperienza, vogliono intromettersi ostinatamente in scelte e date. O peggio, in grottesche scaramanzie!Per quanto riguarda la suddivisione delle spese, il Bon Ton prevede che la si debba affrontare, sin dall’inizio dei preparativi nuziali, in modo chiaro e franco, perché dal tenore degli investimenti econo-mici consegue, poi, il livello e la qualità dell’evento.Sconsigliabilissimo è l’accendere un mutuo per far sì che le proprie nozze siano “da sogno” o miglio-ri di quelle di qualcun altro! Nell’individuazione dei testimoni, invece, non si dovrà mai far riferimento ad amici o parenti che economicamente si trovino in pur momentanee difficoltà, non potendo così ac-quistare quel regalo importante che, per tradizione, il testimone di nozze è tenuto a fare.

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TEXT Paolo Pianigiani PHOTO Alena Fialová

Pine apple, lo chiamano gli inglesi, alla lettera: mela di pino… ma le tribù Guarani del sud del Brasile lo

chiamavano anana, con il nome che poi piacque a Linneo, che così lo battezzò: ananas. È uno dei regali che Colombo riportò in Europa, dopo averlo scoperto durante il suo secondo viaggio nell’Ame-rica del sud, nel 1493. Questo frutto, rite-nuto regale per la corona verde che aveva in testa, fu subito accolto con favore da chi poteva permetterselo. Quel ciuffo di foglie spinose, la corteccia a scaglie, il sapore dolce e “agresto” come si diceva allora, ne facevano una rarità per le tavo-le più altolocate. Appena se ne conob-be le qualità nutrizionali, fu compagno di via per i lunghi viaggi per nave, data l’alta presenza della vitamina C, che era indispensabile per scongiurare la malattia dei naviganti che si avventuravano fra gli oceani: lo scorbuto. Si tentò anche la ri-produzione, piantando in terra la parte su-periore, come si fa ancora oggi. Ma se non si utilizzavano le apposite serre riscaldate, non era possibile la coltivazione con qual-che speranza di successo. Da questi pri-mi esperimenti alla produzione commer-ciale vera e propria passò quasi un secolo. Infatti, intorno alla metà dell’Ottocento comparvero le prime piantagioni; ma solo nel 1901, a Wahiawa, un giovane america-no di nome James Drummond Dole, sta-bilitosi alle Hawaii nel 1899, iniziò il com-mercio degli ananas: prima freschi e poi inscatolati, con il marchio “Hawaiian”.E a Oakland, in California, una piccola industria di inscatolamento e confeziona-mento, scelse il nome per una nuova li-nea di prodotti e nel 1897 apparve il pri-mo “ananas Del Monte”. Era nato lui, l’Uomo del Monte.

Oggi alle Hawaii, rimane ben poco del-le piantagioni di un tempo, a causa de-gli alti costi della manodopera: infatti, sia il trapianto della corona nel terreno, sia la raccolta dei frutti, sono sempre ef-fettuati a mano. La coltivazione dell’ananas è attualmen-te diffusa nella zona tropicale di tut-to il mondo; grazie ai perfezionati mez-zi di trasporto, questi come altri frutti tro-picali, vengono richiesti in grandissime quantità e sono diventati una delle prin-cipali risorse per i paesi produttori. E nel recente passato, il nostro ananas, non contento della sua attuale diffusione, ha voluto essere il protagonista anche di un bel mistero. Lascio la parola a Fulco Pratesi, che l’ha scoperto per primo…

Corriere della Sera - 20 dicembre 1998Compare un ananas “impossibile” in un mosaico dell’antica Roma. Pochi giorni fa, visitando il Palazzo Massimo alle Ter-me a Roma – ove è stata da poco aperta una grande sezione del museo nazionale romano – e soffermandomi nella galleria

del secondo piano, quello dedicato agli affreschi, mosaici e stucchi del mondo classico, ho notato un pavimento a mosai-co – datato tra la fine del I secolo avanti Cristo e gli inizi del I secolo dopo Cristo, proveniente dalla località Grotte Caloni, presso Roma – che mi ha letteralmente stupefatto. In esso, al centro di un piace-vole motivo geometrico in bianco e nero, compare un riquadro centrale dove com-pare un cesto di frutta dove compaiono, partendo da sinistra, alcuni fichi, delle mele cotogne, un grappolo di uva nera, alcune melagrane e... un ananas. Non ci possono essere dubbi. Si tratta proprio di questo frutto tecnicamente un sincarpo, con le sue brave squame, il ciuffo termina-le di foglie e il colore giallino verdastro. Un ananas “impossibile” perché questa pianta Ananas sativus, della famiglia del-le Bromeliacee, vive allo stato selvaggio nel Messico, nella regione di Panama, nella Guyana, in Brasile, eccetera, e arrivò nel Vecchio Mondo dopo i viaggi di Co-lombo. Si può favoleggiare di spedizioni oltreoceano o di importazioni nell’Africa occidentale, ove l’ananas è coltivato so-prattutto nelle regioni tropicali atlantiche, ma di certo ci deve essere una spiegazio-ne meno fantasiosa. Un’ipotesi plausibile è che l’ignoto mosaicista abbia tentato di raffigurare una pigna di pino domestico (Pinus pinea), ornandola con un incon-gruo ciuffo di foglie lanceolate e giungen-do così ad un risultato del tutto singolare e ingannatore. Altra possibilità è che il mosaico sia stato sottoposto in passato a un restauro integrativo che ha portato all’inopinata presenza. Sarebbe interes-sante sapere cosa ne dicono gli esperti di arte musiva, di storia romana e, perché no, di coltivazioni tropicali.

Ananasla mela che sembra una pina

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© Foto Alena Fialová

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