prog15 12 giu
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Mercoledì 12 giugno 2019 Milano, Fabbrica del Vapore – Sala del Porcellino Ore 20,30 Andrea Sarto (1979), Tau II, per contrabbasso e ensemble (2008) Ondřej Adámek (1979), Karakuri -‐ Poupée Mécanique per voce (1) e ensemble (2011) Salvatore Sciarrino (1947), Il sogno di Stradella per pianoforte e strumenti (2017) Giovanni Bertelli (1980), Lufalafo* per soprano (2), coro non professionale e ensemble (2019) (*) Emiliano Amadori, contrabbasso Alda Caiello, soprano (1) Chiara Ersilia Trapani, soprano (2) Maria Grazia Bellocchio, pianoforte Le Nuove Voci di Divertimento Ensemble, coro Marcello Parolini, direttore del coro Sandro Gorli, direttore Lorena Nocera, coreografa
Divertimento Ensemble Carlotta Raponi, flauto Luca Avanzi, oboe Maurizio Longoni e Stefano Merighi,
clarinetti Valerio Maini, corno Jonathan Pia, tromba Raffaele Marsicano, trombone Maria Grazia Bellocchio, pianoforte
Elena Gorna, arpa Elio Marchesini e Antonio Magnatta,
percussioni Lorenzo Gorli e Andrea Mascetti,
violini Daniele Valabrega, viola Martina Rudic, violoncello Emiliano Amadori, contrabbasso
*prima esecuzione assoluta, commissione Divertimento Ensemble (*) Ascoltare Oggi -‐ Al termine del concerto, incontro con Giovanni Bertelli
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LE NUOVE VOCI Fondato nel 2017, in occasione del quarantesimo anno di attività di Divertimento Ensemble, il coro amatoriale Le Nuove Voci è nato con il duplice obbiettivo di far vivere, a chi desidera avvicinarsi alla musica contemporanea non solo come spettatore, ma anche in modo attivo, l’esperienza di interpretarla insieme ai musicisti dell’ensemble, collaborando con loro e con il compositore, e di offrire d’altra parte ai compositori uno “strumento” inusuale e certamente ricco di possibilità espressive, nonostante la sua non-‐professionalità, e una occasione di incontro e confronto con chi siede solitamente in platea. In questi tre anni il coro ha affrontato le partiture Whither would you go? di Alessandro Solbiati, Lettres comme à l’envers di Gabriele Manca e, quest’anno, Lufalafo di Giovanni Bertelli. La formazione che sale sul palcoscenico questa sera è formata da: Stefano Antonelli Alessandra Beltrami Alida Brenna Donatella Campoleoni Riccardo Casamichiela Lidia Casti Teresa Chambry Elija Chattuvakulam Maddalena De Bartolomeo Emanuele Del Castillo Emilio Elli Giulia Farina Marina Fossati Galibariggi Galibariggi Giovanna Garnieri Silvia Giliberto Giorgio Gorli
Carolina Gozzini Valeria Iamele Giovanni Iorda Sonja Liebhardt Marco Lusena De Sarmiento Aldo Maggioni Astrid Mauri Jean Megier Giuseppe Presti Enrico Profumo Roberto Rizzi Lucia Salvan Mario Scucces Pietro Tamburrini Teresa Tanini Stella Zaltieri Pirola Clarice Zdanski
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Andrea Sarto (1979), Tau II, per contrabbasso e ensemble (2008)
Da ormai dieci anni lavoro sulla relazione stretta -‐ che a volte prende i connotati di un’ovvietà di cui non si parla -‐ fra il gesto musicale e il suono da esso prodotto. Perché è ovvio dire che se si tira l’archetto su una corda (gesto), se ne cava una nota (suono). Quel che mi interessa è considerare questo fatto come la pietra sulla quale ma riflessione
compositiva inciampa e produce musica. Non ne faccio una scienza esatta, non pretendo di esaurire le possibilità che il « materiale musicale » -‐ l’oggetto delle mie manipolazioni, pur presenti -‐ offre. Forse per pigrizia, oppure perché non ho il cervello abbastanza fino per farlo. Allora mi « accontento » di prendere l’oggetto gesto/suono come il motore di una storia che voglio raccontare, incapace di farlo con le parole: la « narratività », la « retorica », due elementi con cui molti compositori / molte compositrici giocano, litigano, vengono a patti: ricordo che tre compositori noti, in perfetta coscienza e in perfetta buonafede, mi avvisarono di “stare attento” a utilizzare il ricochet sulle quinte vuote degli archi -‐ perché è retorico -‐, al ribattuto in accelerando della tromba -‐ perché è retorico -‐, al trillo d’armonici -‐ perché, lo sappiamo, è retorico. Purtroppo, sordo ai richiami, ho continuato a sbagliare strada, tant pis. L’interesse che ho nel ricochet sulle quinte vuote, nei trilli e ni ribattuti sta nel fatto che sono forme diverse di movimento, manifestazione di tre approcci diversi -‐ ma ne siamo sicuri ? -‐ dello strumentista allo strumento, tre modi di trasferire energia a un corpo sonoro: il ricochet, un guizzo rapido che si ripete passando su tutte le corde, e che se lo prolunghiamo per trenta secondi diventa un altro oggetto, assume un altro tempo; il trillo, la ripetizione di un alternarsi rapido di dita che sfiorano la corda, dove due suoni ne generano un altro; il ribattuto in accelerando, cioè un ritmo che serrandosi via via sempre più attende di diventare un altro suono. Se, al contrario, ci si limita ad attingere solamente all'antinomia retorico/non retorico, non ci si accorgerà di quanto in realtà le cose siano molto più ricche e molto più complesse (cioè, come ha detto giustamente Solbiati durante una « lezione di musica » su Radio 3, che ammettono allo stesso tempo più livelli di lettura). Mi interesso dunque al ricochet e al trillo perché i due gesti, profondamente diversi, mantengono un elemento in comune: la rapidità di un movimento. Ergo, posso creare delle relazioni fra due oggetti a priori differenti, così come posso tenere un suono in comune (sol) fra l’accordo della tonica (do mi sol) e quello della dominante (sol si re). Riferendosi a un esempio del repertorio contemporaneo, pensiamo a quello che fa Lachenmann col violoncello in Pression, e
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alla coreografia della mano sinistra che sfrega in glissando le corde raggiungendo l’archetto giù in basso, permettendo che quest’ultimo si sblocchi dalla sua posizione, e che strofini dunque le corde… in tutto questo passaggio, ciò che sentiamo e osserviamo in background è un finissimo trasferimento di un movimento, che assume forme diverse nel momento stesso in cui si attua (per cui non consideriamo la musica di Lachenmann solo dal punto di vista sonoro, guardiamola). Venendo a Tau II, in questo lavoro -‐ una cassa di risonanza cameristica del precedente Tau, per contrabbasso solo, del 2008 -‐ ho compiuto una sorta di studio sull'immobilità del suono in rapporto all'immobilità del movimento che lo genera; e qui, ahimè, devo andare sul tecnico. L'immobilità viene intesa come l'assenza di cambiamento di un oggetto nel tempo, ma tale oggetto può presentare al proprio interno un certo grado di mobilità, vale a dire di velocità dei suoi elementi. Per l'appunto, il tragitto che va dall'uno all'altro grado di immobilità è costituito dal pezzo stesso: le arcate lente dell'inizio diventano il ricochet finale. Questo è dunque, in estrema sintesi, ciò che volevo dire su Tau II (so che, come dichiara l’Ecclesiaste, l’orecchio non è mai sazio di udire, e pertanto il resto lo lascio all’ascolto).
(Andrea Sarto) Ondřej Adámek (1979), Karakuri -‐ Poupée Mécanique per voce e ensemble (2011)
Le Karakuri Ningyo sono bambole meccaniche giapponesi tipiche dell'epoca Edo (XVII-‐XIX secolo). Questo pezzo è ispirato soprattutto alle Karakuri del primo Ottocento, al loro aspetto naturale, quasi umano, e al loro meccanismo di precisione, molto complesso e articolato. La pièce si compone di quattro movimenti. Il primo prende spunto dalla visione che io ho di Hisashige Tanaka (1799-‐1881), il creatore di queste bambole. È di fronte allo specchio e si atteggia in varie pose per immaginare i movimenti di una
bambola che deve rappresentare un giovane arciere. Abbiamo così da un lato la parte vocale, che è pantomimica e, d'altra parte, l'ensemble strumentale, che interpreta il ruolo dello specchio. Non c’è quasi testo in questo movimento, solo poche parole in francese che immagino Hisashige Tanaka dica mentre lavora: gesttttte, justtte, tttttire, flèche chevauche flèche, vise la cible ...
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Il secondo movimento è un elenco dettagliato, in francese, dei segmenti di movimenti che questa bambola, che rappresenta un giovane arciere, deve eseguire, per esempio segmento uno: bras droit vers l’avant, segmento 2: tête tourné, segmento tre: l’avant-‐bras droit d’un mouvement brusque tire sur la flèche ecc. Il terzo movimento è costruito attorno alla ripetizione rapida di parole in lingua ceca nella loro forma diminutiva (da qui l'onnipresenza del fonema “tsch”) che designano le parti del meccanismo di bambola (kolečko kolečko kolečko kolečko, Matička Matička Matička matička, osička osička osička osička ...). Questa litania ripetitiva riflette l'altissima concentrazione, persino l'ossessione, del creatore di queste bambole. Il quarto movimento è molto ritmico e meccanico: è la bambola stessa che sta già camminando e va per le strade. Il testo sembra anche lui un po’ “grippato”, balbet-‐tante ma inesorabile: poup-‐p-‐p-‐p-‐pé mec-‐c-‐canique... Il campionatore e l'ensemble strumentale accompagnano con vari suoni e cigolii di meccanismi tintinnanti.
(Ondřej Adámek) Salvatore Sciarrino (1947), Il sogno di Stradella per pianoforte e strumenti (2017)
Un concerto non solo di suoni, bensì di risonanze più o meno lontane. Risonanze fisiche, percepibili, suscita-‐te artificialmente dal pianoforte. E soprattutto risonanze mentali, pensie-‐ri che si ripercuotono dentro di noi. Il solista si sottrae dal primo piano, nega la sua abituale supremazia per riaffermarla su altri livelli. Non sembri questa un’idea stravagante, poiché sfiora e dichiara l’essenza trascenden-‐te del linguaggio/pensiero. In quanto strumento di conoscenza l’arte ci può guidare, insegnare: ci trasforma.
Di recente il giovane Abate di San Miniato, a Firenze, ha citato miei vecchi scritti che rinnovati dall’altrui riflessione, tornano indietro ai miei occhi. Così scrivevo: “la musica è emanazione e ornamento del silenzio. La trasfigurazione sonora, l’avvicinarsi all’indistinto, genera inquietudine: il non saper distinguere fra presenza e assenza”. L’inquietudine dell’apprendimento: essenziale per la scoperta dell’universo, che di tutti noi è genitore. Perché il titolo, perché Il sogno di Stradella?
Luca Carrà, © RaiTrade
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Alcuni artisti, attraversando il proprio tempo, saltano fuori dalla nave: vanno a raggiungere le Sirene. Alessandro Stradella fa parte di questo speciale drappello. Egli feconda la sua epoca (quella del primo Barocco) e insieme si proietta molto al di là del proprio secolo. Stradella inaugura il linguaggio che sarà di Händel. Forse per questo ai primi ascolti ci risulta familiare, e ciò ostacola una corretta valutazione della sua importanza. Ma la vena creativa, le aspirazioni estetiche lo sbalzano bel oltre cent’anni avanti: verso la sensibilità romantica e l’essenzialità moderna. Noi immaginiamo che Stradella sognasse una musica strana. Immaginiamo che avesse coscienza della novità della sua musica, orientata a nomi per lui ancora privi di significato: a Chopin, a Schubert. Perfino a Satie. L’assurdo è tipico dei sogni: l’incongruenza del dettato, interruzioni, piccoli particolari fuori posto o un’atmosfera altra. O che l’inquadratura si sposti. Eppure, conta davvero nella vita la coerenza? O non piuttosto covare l’inaspettato, l’emozione della sorpresa, lo svelarsi delle cose quando risplendono diverse? La fuga sulla luna, il desiderio del mai esistito, del non ancora esistente? Ci riporti alla realtà la nostra frenesia del volo, un crimine contro l’aria pulita; ecco l’ignoranza indurita dai computer, che inquina il comportamento umano. Quando passerà tutto questo e in che modo? Non sappiamo. Curioso che applicata al pianoforte, e senza cambiamento, la scrittura di Stradella mostri una predisposizione sorprendente verso il nostro strumento principe. Figure nitide, tuttavia non appartengono ancora al passato. Tali figure suonavano già future? La prospettiva appare indeterminata poiché entriamo nel non saper distinguere fra passato e futuro. Improvviso risveglio. Galleggiano gli echi del nostro sussulto, fra i grilli di una notte stellata. C’è una finestra? Andiamo ad aprirla, affinché ci rinfreschi. La primavera è avanzata, ora annunzia l’autunno. Anche la musica di Stradella è primavera, è autunno.
(Salvatore Sciarrino) Giovanni Bertelli (1980), Lufalafo per soprano, coro non professionale e ensemble (2019)
LuFaLaFo, L’Unione FA LA FOrza. Quando avevo chiesto a Davide Coltri di scrivere il testo per questo progetto di vagamente preciso avevo solo due idee: la prima, di mettere in musica una serie di eventi che si sarebbero scatenati in una bomba ad orologeria; la seconda, che il testo avrebbe dovuto assomigliare a una sorta di filastrocca fatta di pessimi tweet e di banalissimi post. La partecipazione di Davide è andata poi ben al di là della semplice scrittura ed è proprio grazie a questa unione che il progetto ha preso la sua
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forma attuale. Tengo comun-‐que a far notare come ogni singola parola del testo contenga una delle sillabe Lu/Fa/La/Fo.
Ma procediamo per ordine. Scrivere un pezzo per un coro non professionista offre un paradosso rimarchevolissimo: si tratta di confezionare una partitura per gente che, dichiaratamente, non può leg-‐gerla. Ora, non so se l’unione mia e di Davide abbia fatto la forza, ma sicuramente abbiamo fatto di necessità virtù. In altri termini, abbiamo cercato di trasformare questo paradosso nelle fondamenta stesse del progetto: siccome il coro non avrebbe potuto leggere la musica (almeno non quella che compongo di solito), la musica
sarebbe diventata qualcosa di diverso. Ecco quindi un fiorire di gesti (più o meno) quotidiani, di pernacchie, urla, linguacce, e di tutti quei rumori accomunati dalla loro scarsa praticabilità sociale.
Per il resto, l’impianto generale è rimasto sostanzialmente intatto sin dall’inizio. Davide ed io avevamo immaginato una sorta di rituale insensato, in cui un tot di gruppi (diventati poi sei) avrebbero compiuto un giro di orologio attorno ad altrettanti leggii. In uno di questi gruppi si sarebbe annidato un personaggio diverso: il soprano. Durante il giro la sventurata avrebbe sfidato il coro, distaccandosi progressivamente da esso. Da parte sua, il coro l’avrebbe riportata all’ordine con ogni mezzo, fino a riassorbirla una volta tornato alla disposizione iniziale. Se istintivamente avevamo concepito il rituale a tinte piuttosto fosche, come una sorta di incubo beckettiano, altrettanto rapidamente abbiamo preso la direzione opposta: la marcia è diventata trenino, la tragedia è diventata sberleffo, gli Emissari Del Male sono diventati branco di bertucce e sciame di fuchi. Insomma, abbiamo risciacquato la purezza del rituale in un tendone da circo.
Perché?
Giovanni Bertelli in un ritratto di © Sylvain Konyali
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Il precetto “l’unione fa la forza”, per quanto suoni profondamente ingiusto, non è né immorale né, soprattutto, sbagliato: fa semplicemente parte di quelle cose che sono contemporaneamente vere, quindi ingiuste. E d’altronde, quale migliore trattamento per il Male e l’Ingiusto, se non la sua reductio ad bertucciam? Credo sia stato proprio questo clima da vernacolo, applicato a una tragedia essenziale quanto inevitabile, che mi ha permesso di scorrazzare più liberamente nello spazio che desideravo esplorare, cioè la terra di nessuno a mezza via tra teatro e musica. Lufalafo è anch’esso una di quelle cose contraddittorie, sia vere che ingiuste: sia teatro che musica. Ma è altrettanto vero che, se paragonato all’illustre tradizione dell’Opera, Lufalafo non è probabilmente né del tutto musica, né niente affatto teatro. Lasciamo allo spettatore decidere per sé.
(Giovanni Bertelli)
Lufalafo, Davide Coltri -‐ Giovanni Bertelli
Lu fa la fo Lu fa la forma L’uno disfa la forma L’uno fa (e) disfa la formula L’uno è l’informe Lo forma e riforma La fo fo
La fo fa lu La folla fa lu La folle fa luce Folla sfalda la luce Folle fomenta la luce Falla fallire, falciate la folle, Fallo Luce sfatata falciata Folle falena Facciamo un Falò
Lu fo la fa Luce fo la fa Luce confonde la fa Luce conforme alla truffa Confondila, fallo, fa luce Fasciala e sfasciala Delude la luce Fanatica
Folle folla trallalà Fola fola fa fa fa
Fallo Rotola folle Lurida rotola folle Lurida ladra loffia Srotola favole
Sfondala Luce sprofondala L’unica favola Sfatala, fottila
Sfavillano sforzi superflui plurale famelico, bolla infoiata Affossi la lucida favola Tra superflue favelle e fandonie forzate
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Fanfara d’allarme Fanfara formale
Allarme Allarme Allarme formale
Illusi soffocate
Béffala Beffa la fogna schifosa Schifo fatto farfalla Falla affogare sfondata Goffa Grufola goffa Coprofaga Beffa Blatta Falla Ladra Beffata Folle Sfatta fata
Fifa fu Fuffa fa la Fuffa fa la fallita Fa la fallita Falla sfogare la fallita Foga la fa Foga fagocita Sfoga fallita Fu fuffa Fu fifa Fu falla Fu fluffer Sfumò
Forza tumefacetemi Silurate la formula, facinorosi Profanate la fonte Sfasciate la foce Fate fate pullulate Ludibrio dello sfogo mi si confà In fondo ludica filosofavo, filosofeggiavo Fate fate ululate Come non fosse più infausta Qualunque folla Fosca Folle Fusa Famelica Esclusa Esclusiva Involuta Plumbea Inconcludente Collusa Assolutistica Assoluta Lugubre Insalubre Mollusca Riluttante Dissoluta Confusa Allucinata Calunniata Stralunata Infangata Illusa
Fo lu la fa Rinforza la folla Folle Fluisci uniforme Fai forza
Lu fa fo la Lu fa forza là Flusso fa forza, la falla sforza Folle fluisci
Illusa: folle sfollarla Fluisce la forza la folla uniforma Confluisce la folle nell’uniforme
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Fai folla Glu glu glu Lu fa la fo Glu fa la fo Glu fa la fossa Glu glu glu Fa la folle Glu fa la fo
Forza folla Forza, fallo
L’unione fa la fo L’unione fa la fossa L’unione fa la folla L’unione fa la forza
Lu fa la fo Lu favorite la fo Favorite Lu favorite la folle Luce fa la folla Lu favorite la fossa Lu fa la fo Lu favorite la folle Lu favorite la fo Luce fa la folla Lu favoritela fo
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GLI APPUNTAMENTI ESTIVI DI RONDÒ Sabato 6, sabato 13 e domenica 14 luglio – Bobbio, Auditorium Santa Chiara
Un concerto inaugurale con musiche di B. Maderna, M. Kagel e I. Stravinskij interpretate dalle cantanti selezionate dal Call for Young Performers 2019, masterclass di canto tenuta dal soprano Alda Caiello per IDEA-‐International Divertimento Ensemble Academy. Due concerti con le composizioni dei 12 allievi che avranno partecipato all’International Workshop for Young Composers che si svolge a Bobbio nella seconda settimana di luglio, sempre nell’ambito di IDEA. ***** 7-‐17 settembre Monferrato
Sette concerti frutto ancora delle attività di IDEA-‐International Divertimento Ensemble Academy. Si terranno ad Asti, Casale Monferrato, Grazzano Badoglio, Moleto, Moncalvo, Serralunga di Crea, Vignale con i direttori del XV Corso di direzione d’orchestra per il repertorio d’ensemble dal primo Novecento ad oggi e con i pianisti e le cantanti dei Call for Young Performers 2019 di pianoforte, tenuto da Maria Grazia Bellocchio, e di canto, tenuto da Alda Caiello.
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PROSSIMI APPUNTAMENTI A MILANO Mercoledì 18 settembre Milano, Teatro Litta ore 19 Alessandro Solbiati (1956), Vivente per ensemble (2007) Analisi di Vivente ad opera dell’autore (1) Alessandro Solbiati (1956), Vivente per ensemble (2007) ore 21 George Benjamin (1960), At first light (1982) (1) Anton Webern (1883-‐1945), Konzert op. 24 (1931-‐1934) Mauricio Kagel (1931-‐2008), Finale (1981) Divertimento Ensemble Direttori selezionati dal Corso di Direzione per il repertorio d’ensemble dal primo Novecento ad oggi (1) Ascoltare Oggi: dal 18 agosto sul sito di Divertimento Ensemble, analisi di At first light, altri materiali analitici e proposte di ascolto