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Prof.ssa Roberta Pezzetti Dipartimento di Economia - a.a. 2008-2009 e-mail: [email protected] Orario di ricevimento: martedì ore 17.30 – studio n. 11 I canali del marketing internazionale

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Prof.ssa Roberta PezzettiDipartimento di Economia - a.a. 2008-2009e-mail: [email protected] Orario di ricevimento: martedì ore 17.30 – studio n. 11

I canali del marketing internazionale

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1. Due possibili modelli distributivi

Il modello a struttura distributiva basata

sull’importazione

Il modello nipponico

2. Il trend: dai canali tradizionali ai canali moderni

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In una struttura di distribuzione tradizionale o struttura import-

oriented, l’importatore fornisce una quota sostanzialmente fissa di beni

e il sistema di mercato si sviluppa e ruota intorno a questa quantità; la

vendita segue tale modello: i pochi beni disponibili sono offerti a prezzi

elevati e quindi destinati a un ristretto numero di consumatori,

presumibilmente ricchi.

La penetrazione e la distribuzione di massa non si rendono necessarie

per questi ragioni:

la domanda supera strutturalmente e stabilmente la (scarsa)

offerta disponibile;

nella maggior parte dei casi, i consumatori hanno la possibilità di

rivolgersi a un numero ristretto di intermediari.

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Tale struttura influenza anche lo sviluppo quali-quantitativo degli intermediari e delle loro funzioni produttive:

i sistemi di distribuzione sono organizzati su scala locale (spesso urbana), piuttosto che nazionale;

le relazioni tra gli importatori e gli intermediari sono piuttosto diverse da quelle presenti nei sistemi di mass-marketing, più dirette ma certamente meno professionali.

Non esistono, se non in modo embrionale e comunque molto limitato, le funzioni di supporto al mercato normalmente presenti nelle infrastrutture dei mercati sviluppati e maturi.

Ad esempio: le agenzie indipendenti di pubblicità, gli istituti di ricerche di mercato, i mercati all’ingrosso e i sistemi di stoccaggio, le reti di trasporto, il sistema di finanziamento del consumo a credito ecc.

L’idea di un canale come espressione di una catena di intermediari, che espletano ciascuno delle specifiche funzioni di mercato, è poco o affatto presente.

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1. Due possibili modelli distributivi Il modello a struttura distributiva basata sull’importazione

Il modello nipponico

2. Il trend: dai canali tradizionali ai canali moderni

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Il sistema giapponese presenta quattro caratteristiche

distintive:

1. una struttura dominata da molti piccoli intermediari che

interagiscono con molti piccoli rivenditori;

2. il controllo dei canali da parte dei produttori;

3. una filosofia di mercato modellata attorno a un

contesto culturale esclusivo;

4. delle leggi che proteggono la base del sistema –

ovvero il piccolo rivenditore.

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A determinare un progressivo cambiamento del sistema

distributivo sono una serie di fattori: i cambiamenti legislativi; la globalizzazione; l’ingresso nel mercato di Wal-Mart; la proliferazione dei discount.

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1. Due possibili modelli distributivi

Il modello a struttura distributiva basata

sull’importazione

Il modello nipponico

2. Il trend: dai canali tradizionali ai canali moderni

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1. Gli operatori delle multinazionali cercano nuovi modi per individuare

alternative di canale ai segmenti di clientela oggi serviti da strutture

tradizionali poco efficienti e caratterizzate da elevati costi di

gestione della relazione distributiva.

2. Nuovi player distributivi si affacciano sullo scenario mondiale e

cambiano le regole del gioco con le loro formule di business

vincenti.

3. Il direct marketing, la vendita porta-a-porta, gli ipermercati, i centri

discount, i centri commerciali, la vendita per corrispondenza,

Internet e altri sistemi distributivi, si avvicendano come tentativi di

fornire un sistema di canali efficiente e a minori costi di gestione.

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1. Il modello di rete commerciale locale

2. Il modello di funzionamento del dettaglio

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È possibile definire una griglia analitica utile a fotografare e

comprendere il sistema distributivo di un paese:

Servizi di intermediazione;

Ampiezza della linea;

Costi e margini;

Lunghezza dei canali;

Canali assenti o paralleli;

Canali bloccati;

Politica di magazzino;

Potere e competizione.

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I comportamenti nel servizio di molti attori commerciali possono variare fortemente da paese a paese, sia a livello dei rivenditori sia dei grossisti. In un sistema elementare di scambio, lo scopo principale è gestire fisicamente il trasporto di un bene disponibile: questo è il livello minimo al quale si assesta il servizio d’intermediazione. In un sistema evoluto, sia grossisti sia rivenditori cercano di aumentare i servizi offerti per rendere i propri prodotti più attraenti agli occhi del cliente.

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L’ampiezza di referenze presenti nell’assortimento di un distributore non è la medesima in ogni paese. Il sistema distributivo di alcuni paesi è caratterizzato da alcuni intermediari – detti generalisti – che commercializzano praticamente ogni cosa; in altri, invece, ogni intermediario è specializzato nella vendita di una linea focalizzata di prodotti. Le leggi di alcuni paesi limitano la varietà di prodotti gestibili dal singolo grossista e spesso richiedono una specifica licenza per commercializzare alcuni tipi di merci.

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I livelli di costo e i margini riconosciuti agli intermediari variano

enormemente da paese a paese, a seconda della competizione

presente in loco, dei servizi offerti, delle economie/diseconomie di

scala distributive, in base al contesto territoriale e alle dimensioni di

mercato e ancora considerando il livello di potere di acquisto, i costumi

locali e altre variabili ancora, sempre importanti sebbene a un livello

inferiore.

Marketing Internazionale15

Si possono riscontrare alcune correlazioni tra gli stadi dello sviluppo

economico e la lunghezza dei canali del mercato.

In ogni paese, è più probabile che i canali siano più corti per i beni

industriali e per i beni consumer che presentano un posizionamento alto

di prezzo, rispetto ai prodotti con un posizionamento più basso.

In generale, esiste una relazione inversa tra la lunghezza del canale e il

valore dell’acquisto.

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Una delle scoperte che fanno le aziende sui modelli di distribuzione e

di canale in campo internazionale, è che in molti paesi risulta

pressoché impossibile coprire l’intero mercato attraverso un sistema di

distribuzione standard.

In molti casi non esistono canali adeguati; in altri sono disponibili solo

alcune parti del canale e oltretutto a un livello di professionalità

inadeguato.

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Agli operatori internazionali potrebbe non essere consentito l’uso del

canale che essi hanno prescelto.

La chiusura può derivare da accordi di distribuzione esclusiva dei

competitor già affermati nei vari canali, o dalle associazioni

commerciali locali, o ancora da accordi di cartello che hanno chiuso

l’accesso a determinati canali distributivi.

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1. Il modello di rete commerciale locale

2. Il modello di funzionamento del dettaglio

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Ci sono alcune variabili che, debitamente osservate, consentono

di farsi un’idea sufficientemente precisa della rete del dettaglio:

Le dimensioni;

La rilevanza del direct marketing (vendita diretta per corrispondenza,

via telefono, o porta-a-porta molto diffusi nei mercati che presentano

un sistema distributivo insufficiente o poco sviluppato) ;

Le resistenze al cambiamento.

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Il processo distributivo comprende tutte le attività,

partendo dalla produzione e terminando con la

vendita al consumatore finale. Ciò significa che il

venditore internazionale deve esercitare la propria

influenza su due diversi canali: uno all’interno del

paese di origine e uno nel mercato estero.

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1. L’intermediario locato nel medesimo paese dell’esportatore

2. L’intermediario locato in un paese straniero

3. L’intermediario affiliato al governo locale

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1. Negozi di proprietà del produttore

2. Global retailer

3. Società di export management

4. Trading company

5. Piggyback

6. Agenti export del produttore

7. Broker nazionali

8. Uffici di acquisto

9. Gruppi di vendita

10. Export merchant

11. Export jobber

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Un canale importante per molti grossi produttori è quello del negozio di proprietà,

cui si avvicina per certi versi la formula del franchising.

Disney, Benetton e molte aziende italiane dei beni di lusso utilizzano questo

approccio, collocandosi nelle strade commerciali di prima fascia (via Condotti a

Roma, Champs Elysees a Parigi, Fifth Avenue a New York e via dicendo).

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I distributori globali come Ikea, Costco, Sears Roebuck, Toys “R” Us, e la Wal-

Mart aumentano di continuo la propria penetrazione sul mercato mondiale e

stanno diventando i principali intermediari nazionali per i mercati internazionali.

Questa tipologia costituisce un grosso problema per l’industria italiana in quanto,

non disponendo il nostro paese di un retailer capace di operare a livello globale,

esse mancano del necessario supporto distributivo alla penetrazione.

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Una società di export management rappresenta una figura di

intermediazione importante per quelle aziende che presentano volumi

internazionali di venduto piuttosto ridotti, o per quelle che non sono

particolarmente inclini al coinvolgimento diretto del proprio personale

nelle funzioni internazionali.

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Le trading company possono vantare una lunga e consolidata tradizione

come intermediari nello sviluppo del commercio tra i diversi paesi. La loro

funzione principale consiste nell’organizzazione e nella gestione delle

operazioni di acquisto e di vendita di merci e servizi nell’ambito dello

scambio internazionale.

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L’espressione significa letteralmente “portare sulle spalle, a cavalcioni” e identifica

un accordo per cui un’impresa (rider) distribuisce i propri prodotti in un paese

estero servendosi della rete di distribuzione locale di un partner (carrier).

Questo tipo di accordo appare adeguato quando:

si disponga di un eccesso di capacità di penetrazione commerciale sul proprio

mercato domestico e si desideri saturarlo;

un’impresa desideri completare il proprio listino con prodotti di un’altra

impresa, magari guadagnando un reciproco impegno di distribuzione sul

paese di quest’ultima.

Il costo della distribuzione viene remunerato sotto forma di provvigione pagata dal

rider al carrier.

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È noto anche come MEA (Manufacturer’s Export Agent). È

rappresentato da un singolo intermediario, o da un’agenzia di

intermediazione, che gestisce i servizi di vendita del produttore

nei mercati di destinazione. Diversamente dalle EMC, la MEA non rappresenta una filiale

export del produttore,ma è solo una relazione a tempo

determinato e di breve periodo, gestisce solo uno o due mercati

di interesse e opera esclusivamente su commissione. Un’altra differenza fondamentale è che il MEA organizza il

mercato per proprio nome piuttosto che per nome del cliente. In

base alle responsabilità assegnate il MEA offre servizi simili a

quelli delle EMC.

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La definizione è generalmente utilizzata per i broker di import export, che

rappresentano una funzione di intermediazione tra buyer e venditore senza però

gestire mai relazioni continuative con i propri clienti.

La maggior parte dei broker è specializzato in uno o più beni commodity per i

quali mantengono il contatto con i principali produttori e buyer nel mondo.

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Alcuni intermediari si possono definire semplicemente come buyer o buyer per

l’export.

Ricercano merci da acquistare per i propri mandatarie non offrono in genere servizi

di vendita.

La loro caratteristica principale si evidenzia nella flessibilità e nella capacità di

approvvigionare qualunque tipo di merce da qualunque fonte.

Non sempre sono coinvolti in una relazione stabile con i fornitori sul territorio

nazionale e non costituiscono un elemento continuativo di rappresentanza.

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Quando diversi produttori cooperano al fine di perseguire congiuntamente la

vendita delle proprie merci all’estero.

A volte essa potrebbe assumere la forma dell’export complementare o della

vendita diretta verso gruppi associati di aziende.

Sono entrambe considerate alla stregua di un contratto di agenzia quando

l’esportazione è gestita su base fissa o a provvigione.

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Sono essenzialmente dei commercianti nazionali che operano nei mercati stranieri

e, come tali, sono molto simili ai grossisti nazionali. Acquistano i prodotti da diversi

produttori, ne gestiscono la spedizione verso i mercati esteri e ne assumono piena

responsabilità di distribuzione nel mercato.

Possono avvalersi di strutture proprie, ma preferibilmente si appoggiano a degli

intermediari; possono offrire linee di produzione concorrenti, manovrano

autonomamente i listini di vendita, e non sono particolarmente fedeli ai propri

fornitori

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Gli export jobber gestiscono prevalentemente commodity;

non assumono la titolarità dei beni ma si fanno carico della

responsabilità di gestione della loro movimentazione.

Caratterizzati da forte operatività, spesso non offrono, in

termini di distribuzione, un’alternativa particolarmente

attraente per la maggioranza dei produttori.

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1. L’intermediario locato nel medesimo paese dell’esportatore

2. L’intermediario locato in un paese straniero

3. L’intermediario affiliato al governo locale

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Le principali figure:

Rappresentanti del produttore.

Distributori.

Broker stranieri.

Managing agent e Compradors.

Dealers.

Import jobber, grossisti e rivenditori.

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1. L’intermediario locato nel medesimo paese dell’esportatore

2. L’intermediario locato in un paese straniero

3. L’intermediario affiliato al governo locale

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Gli operatori del mercato devono gestire i rapporti

istituzionali in ogni paese del mondo.

I prodotti, i servizi e le commodity per lo Stato sono sempre

veicolati tramite l’ufficio acquisti della pubblica

amministrazione, statale, regionale o locale.

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1. Primo: aver chiaro cosa facciamo e perché

a. Chiara l’identificazione dei target – siano essi all’interno dei

paesi, sia in chiave trasversale a più paesi;

b. Chiara la determinazione degli obiettivi di mercato – in termini di

volumi, market share e margini obiettivo;

c. Chiaro l’impegno finanziario e di risorse umane necessarie allo

sviluppo di una struttura di distribuzione internazionale;

d. Chiari gli aspetti operativi specifici di ciascun mercato estero –

il meccanismo per realizzare il controllo, la lunghezza dei canali

locali, le condizioni di vendita solitamente praticate in loco e le

caratteristiche qualitative del canale

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2. La gestione del canale: le sei C

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1. Costo del canale;

2. Capitali richiesti;

3. Controllo;

4. Copertura;

5. Caratteristiche del mercato e dell’impresa;

6. Continuità del rapporto.

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I costi commerciali (una parte consistente dei quali è rappresentata dai costi del canale) devono essere valutati come la differenza tra il costo totale di produzione e il prezzo pagato dal consumatore finale per il bene.

Esistono due tipi di costi associati al canale distributivo e cioè:

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i costi di manutenzione del canale

il costo di attivazione e/o creazione del

canale

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L’investimento maggiore è solitamente richiesto quando un’azienda gestisce dei canali propri diretti, attraverso la propria forza di vendita.

La gestione attraverso un sistema di distributori terzi o dealer può ridurre l’investimento di capitali, ma così facendo i produttori devono spesso cedere su altri fronti che, alla fine dei conti, ne minano la marginalità – come fornire scorte iniziali in conto deposito, fidi, superfici di vendita, e altro ancora.

Maggiore è il coinvolgimento dell’azienda nella struttura distributiva e maggiore è il controllo esercitato su tutte le variabili dell’offerta e sulle attività di marketing locali.

Questo elemento si pone in relazione di trade off con i punti precedenti: costi e capitali necessari.

Ogni modello di gestione del canale distributivo all’estero presenta livelli diversi di autonomia: più il canale è allungato, più diminuiscono le possibilità di controllare i livelli di prezzo, i volumi di vendita, gli sconti e le tipologie di negozi.

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La copertura distributiva del mercato rappresenta la porzione di punti vendita che sono raggiunti dal nostro prodotto rispetto al totale degli stessi. Ciò può richiedere di intervenire nel corso del tempo per apportare delle modifiche nel sistema pregresso, a seconda dei paesi o del momento storico contingente.

In generale la copertura distributiva è difficilmente estendibile, sia nelle aree particolarmente sviluppate che nei mercati non particolarmente sviluppati – i primi per la forte competizione e quest’ultimi per la mancanza di canali adeguati.

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Il sistema di canali prescelto e realizzato deve essere adattato alle caratteristiche dell’azienda e dei mercati nei quali si vuole investire. I primi elementi a essere considerati sono la deperibilità e la gestione logistica del prodotto, la complessità della vendita, i servizi di vendita associati e il valore (prezzo) del prodotto. Ciò crea la necessità di modificare continuamente il proprio approccio, per adattarlo alle mutevoli condizioni competitive esterne.

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L’individuazione dell’intermediario adatto comporta:

1. L’analisi del mercato;

2. La determinazione dei criteri di valutazione delle

figure la presenti:

produttività o volumi di vendita;

capacità finanziaria;

stabilità e capacità manageriale;

natura e reputazione.

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Internet va sempre più rapidamente configurandosi come una canale di

distribuzione importante per le compagnie multinazionali ed è una fonte

di approvvigionamento di beni e di servizi, sia per i professionisti che

per i consumatori.

Conferisce potenzialmente al consumatore un grado di controllo del

mercato mai sperimentato nel passato”.

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1. Internet riduce i costi di approvvigionamento facilitando la scelta del fornitore più conveniente e riduce le spese delle transazioni;

2. Permette una migliore gestione della catena di approvvigionamento;

3. Permette un controllo più attento delle scorte.

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1. Cultura. Il sito web e i prodotti offerti devono essere culturalmente neutrali o adattati a rappresentare le unicità del mercato, poiché l’elemento culturale è fondamentale.

2. Adattamento. Idealmente un sito web va tradotto in tutte le lingue del mercato target. Se l’azienda intende consolidare nel lungo periodo le proprie vendite all’estero, il sito deve essere progettato (in tutti i suoi aspetti – colore, modalità di utilizzo ecc.) per quello specifico mercato.

3. 3. Contatto locale. Le aziende pienamente coinvolte nei mercati esteri stanno creando degli uffici virtuali all’estero, comprando spazi su server e creando dei siti mirror, ovvero delle copie del sito ospitate sul server, dove l’azienda offre un punto di riferimento come una segreteria telefonica o un numero di fax disponibile per i mercati principali. I clienti stranieri sono generalmente più inclini a visitare i siti web nel proprio paese e nella propria lingua.

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4. Pagamenti. Il consumatore deve essere in grado di poter utilizzare la propria carta di credito - sia via web (attraverso una pagina criptata e sicura) o per fax o per telefono.

5. Pubblicità. Anche se il web nasce essenzialmente come strumento di comunicazione e promozione, se si intende assumere un ruolo rilevante nell’e-commerce è indispensabile anche comunicare la propria presenza e i prodotti offerti.

Come possono essere attirati i visitatori di altri paesi nei propri siti web?

Esattamente come avviene localmente – ma usando la stessa lingua del consumatore:

◦ La registrazione ai motori di ricerca;◦ i comunicati stampa;◦ i forum e i newsgroup locali;◦ i link e i banner pubblicitari;

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Marketing Internazionale

McDonald’s utilizza il franchisingper entrare nei mercati globali; oltre il 70% delle vendite è realizzato fuori dagli Usa

Page 48: Prof.ssa Roberta Pezzetti Dipartimento di Economia - a.a. 2008-2009 e-mail: roberta.pezzetti@uninsubria.itroberta.pezzetti@uninsubria.it Orario di ricevimento:

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