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DONAZIONI E RESPONSABILITÀ CIVILEPROF. GIOVANNI SABBATO

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Università Telematica Pegaso Donazioni e responsabilità civile

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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Indice

1 LE DONAZIONI IN GENERALE ------------------------------------------------------------------------------------------ 3

2 LA DONAZIONE -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 4

2.1. FORMA ED ELEMENTI ACCIDENTALI ---------------------------------------------------------------------------------------- 5 2.2. LA REVOCAZIONE ------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 5 2.3. OGGETTO ED EFFETTI DELLA DONAZIONE --------------------------------------------------------------------------------- 6

3 LA RESPONSABILITÀ CIVILE ------------------------------------------------------------------------------------------- 7

3.1 LA STRUTTURA -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 7 3.2 LE FORME DI RESPONSABILITÀ OGGETTIVA ----------------------------------------------------------------------------------- 8

4 IL DANNO INGIUSTO: LA TUTELA ESTERNA DEL CREDITO ----------------------------------------------- 11

4.1 LA RISARCIBILITÀ DELL’INTERESSE LEGITTIMO -----------------------------------------------------------------------------12

5 IL DANNO RISARCIBILE ------------------------------------------------------------------------------------------------- 14

6 IL DANNO ESISTENZIALE ----------------------------------------------------------------------------------------------- 16

7 GLI STRUMENTI DI TUTELA DEL DANNEGGIATO ------------------------------------------------------------- 18

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1 Le donazioni in generale La donazione è un contratto inter vivos che si caratterizza per la causa di liberalità (animus

donandi) che ispira il donante.

Proprio il profilo causale, comune ad altri atti, consente di individuare la categoria degli atti

di liberalità, che sono atti a titolo gratuito, in quanto non c’è un arricchimento che si associ al

depauperamento subìto dall’autore dell’atto, ma dotati anche del suddetto profilo causale che è

assente negli atti che presentano soltanto la gratuità1.

Il rapporto quindi tra atti a titolo gratuito e atti di liberalità è un rapporto tra genus, i primi, e

species i secondi.

Esistono diverse forme di donazione, come le donazioni obnuziali, cioè fatte in vista di un

matrimonio, le donazioni manuali e le donazioni indirette.

La donazione obnuziale (art. 785 c.c.) si caratterizza per il profilo causale e il suo regime

giuridico presenta una particolarità : l’atto si perfeziona senza bisogno di accettazione, ma gli effetti

sono sospensivamente condizionati dalla effettiva celebrazione del matrimonio; si tratta, pertanto, di

un atto unilaterale.

Le donazioni manuali (art. 783 c.c.) sono quelle che hanno ad oggetto un bene di modico

valore e l’effetto traslativo si produce senza che sia necessario il rispetto del requisito formale

particolarmente rigoroso richiesto in materia di donazioni, cioè l’atto pubblico.

Le donazioni indirette, infine, sono atti diversi dal contratto di donazione, ma caratterizzati

pur essi dal fatto di essere adottati per spirito di liberalità2.

Ciò significa che vi è un’affinità causale tra donazione indiretta e donazione diretta, che se

da un lato non giustifica il necessario rispetto del requisito formale anzidetto, al quale, le donazioni

indirette si sottraggono, dall’altro comporta che queste ultime siano per il resto attratte al regime

previsto per le donazioni vere e proprie, in quanto pure esse soggiacciono, ad esempio, alla

collazione, alla riduzione, alla revocazione3.

1 G.CAPOZZI, Successioni e donazioni, tomo secondo, 1982, p. 783 ss..

2 Per un eventuale approfondimento : F. ALCARO, Le donazioni indirette,

3 Tribunale Torino, 15 luglio 2004 : Nell’ipotesi di acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente ed

intestazione ad altro soggetto che il disponente intenda in tal modo beneficiare, l’atto integra una donazione indiretta del

bene stesso, costituendo la vendita solamente lo strumento formale di trasferimento della proprietà del bene per

l’attuazione di un arricchimento del patrimonio del destinatario.

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2 La donazione Per quanto attiene la donazione, così come definita dall’art. 769 c.c., essa si caratterizza

innanzitutto per avere una struttura contrattuale e per la causa di liberalità.

Tale causa va riconosciuta in concreto quando la prestazione del donante sia effettivamente

spontanea, cosa da escludere quando si tratti di prestazioni di cortesia, o comunque di servizi resi in

conformità agli usi ( ad es. la mancia ).

La necessità che la donazione sia accettata lascia perplessi, in quanto essa si traduce in un

arricchimento per il donatario, ma la sua giustificazione si comprende non appena si ponga mente al

fatto che nessuno può incidere in via unilaterale sulle situazioni giuridiche altrui e che alla

donazione si riconducono anche effetti svantaggiosi come la nascita degli obblighi agli alimenti o la

possibilità di revocazione per ingratitudine.

Due sono infatti le parti che intervengono nel contratto di donazione: il donante ( cioè chi fa

il dono o coloro che fanno il dono ) e il donatario ( cioè chi lo riceve o coloro che lo ricevono ).

Poiché l’art. 774 c.c. stabilisce che "non possono fare donazioni coloro che non hanno la piena

capacità di disporre dei propri beni", sono da considerare incapaci di compiere donazioni:

1. i minori di anni 18

2. i minori emancipati e autorizzati all'esercizio di una impresa commerciale

3. gli interdetti

4. gli inabilitati

Questi soggetti incapaci non possono compiere donazioni nemmeno per mezzo del loro

legale rappresentante (genitore, tutore), o con l'ausilio della persona incaricata di assisterli (curatore).

Tale regola ammette due sole eccezioni: i minori o gli inabilitati, purché convenientemente

rappresentati o assistiti, possono fare donazioni nel loro contratto di matrimonio, a norma degli artt.

165 e 166 c.c.; sono consentite le donazioni fatte dai legali rappresentanti degli incapaci,

debitamente autorizzati dalla autorità giudiziaria, a favore dei discendenti dell'incapace e in

occasione delle loro nozze (art. 777 ). Per l'accettazione delle donazioni da parte di minori, minori

emancipati, interdetti e inabilitati, valgono le norme previste dal codice, le quali prevedono che tali

soggetti possano accettare le liberalità per mezzo dei loro legali rappresentanti o delle persone che li

assistono, previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria competente (artt. 320, 374, 394, 424, 427 c.

civ.). L'incapacità delle parti comporta l'annullabilità del contratto di donazione, nell'esclusivo

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interesse dell'incapace ed entro il termine di 5 anni dal giorno in cui è cessato lo stato di interdizione

o di inabilitazione, ovvero dal giorno in cui il minore ha raggiunto la maggiore età. La donazione

fatta da persona incapace di intendere e di volere al momento dell'atto può essere annullata su istanza

del donante, dei suoi eredi o aventi causa, entro 5 anni dal giorno in cui è stata fatta. Infine, è

necessario rilevare che la legge non richiede che il donatario esista in concreto come persona nel

momento in cui viene compiuta la donazione: infatti, è consentita la donazione anche a favore di chi

è soltanto concepito, oppure a favore dei figli di una determinata persona vivente al tempo della

donazione, benché non ancora concepiti, oppure a favore di un ente non ancora riconosciuto.

2.1. Forma ed elementi accidentali

La donazione può essere sia reale che consensuale, sia ad effetti reali che obbligatori, e può

avere ad oggetto ora un diritto ( donazione cd. reale ), ora l’assunzione di un obbligazione

(donazione obbligatoria ), ora la rinunzia ad un diritto ( donazione liberatoria ). Ma innanzitutto la

donazione è un negozio solenne in quanto richiede l’atto pubblico alla presenza di due testimoni, a

meno che si tratti di una donazione di modico valore. Come tutti i negozi, anche la donazione può

presentare una condizione, sospensiva o risolutiva, ed in particolare quella di reversibilità (è il caso

della donazione con l’obbligo di restituzione in caso di premorienza del donatario). Ma tra gli

elementi accidentali assume particolare rilievo il modus, da cui deriva il sintagma “donazione

modale”, per intendere la donazione in cui il donante impone al donatario uno specifico

comportamento. In tal caso, all’adempimento del modus il donatario è tenuto entro i limiti del valore

della cosa donata.

2.2. La revocazione

Infine, il regime giuridico della donazione si caratterizza per la revocazione della stessa per

ingratitudine o per sopravvenienza di figli.

Si tratta di cause di scioglimento del contratto previste espressamente dalla legge,

ricollegabili al generico istituto del mutuo consenso.

In altre parole, il legislatore parte dal presupposto che la determinazione del donante a

disporre del proprio patrimonio in termini di liberalità trovi fondamento o in una forma di affetto

nei confronti del donatario (che viene meno ove questi sia irriconoscente ) o nel fatto di non essere a

conoscenza di un nuovo figlio destinato a richiedere ulteriori spese e obblighi morali.

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La revocazione per ingratitudine può aver luogo solo nei casi tassativamente previsti

dall’art. 801 c.c.

Può essere proposta quando il donatario ha commesso uno dei fatti ivi previsti, ossia si sia

reso colpevole di ingiuria grave verso il donante o abbia dolosamente arrecato grave pregiudizio al

patrimonio di lui o gli abbia rifiutato indebitamente gli alimenti, dovuti ai sensi degli articoli 433,

435 e 436 c.c.

2.3. Oggetto ed effetti della donazione

Oggetto di donazione possono essere solamente beni o diritti che fanno parte del patrimonio

del donante; per i beni futuri, il codice sancisce la nullità della donazione.

Infine, la donazione che abbia ad oggetto prestazioni periodiche si estingue, salvo patto

contrario, con la morte del donante (art. 772 c. civ.).

Gli effetti normali della donazione sono il trasferimento di un diritto del donante al

donatario, l'assunzione di un'obbligazione da parte del donante e a favore del donatario, oppure la

liberazione del donatario da un'obbligazione.

Tali effetti non si producono se il contratto viene annullato per vizio della volontà del

donante, e precisamente per errore, dolo o violenza.

Il donante, infine, non è responsabile per l'evizione della cosa donata, salvo che abbia

espressamente promesso la garanzia o che l'evizione dipenda da un suo fatto personale (art. 797 c.

civ.); è responsabile soltanto per dolo o colpa grave, in caso di inadempimento o di ritardo

nell'eseguire la donazione (art. 789 c.c.) e non risponde per i vizi della cosa donata, a meno che non

sia in dolo (art. 798 c.c.); il donatario, senza necessità di un patto apposito, è obbligato a fornire al

donante gli alimenti (art. 437 c.c.), a meno che si tratti di donazione obnuziale o rimuneratoria.

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3 La responsabilità civile La tematica è dominata dall’art. 2043 c.c., ove è detto che qualunque fatto doloso o colposo

che cagiona ad altri un danno ingiusto dà luogo all’obbligo di risarcirlo.

E’ la tematica dei cd. fatti illeciti, già individuati dall’art. 1173 quali fonti dell’obbligazione,

unitamente al contratto ed a qualunque atto o fatto giudicato a tal fine idoneo dall’ordinamento.

L’obbligazione in tal caso prodotta è quella risarcitoria, purchè però siano presenti tutti gli

elementi che connotano un fatto illecito.

Innanzitutto un comportamento, inteso come condotta attiva o omissiva causativa di un

evento dannoso, l’elemento soggettivo del dolo o della colpa, l’imputabilità, ovverosia l’essere la

condotta posta in essere da soggetto capace di intendere e di volere, e il nesso di causalità tra il fatto

e l’evento lesivo.

Tutti questi elementi, costituenti la struttura del fatto illecito, sono meritevoli di essere

approfonditi uno per uno.

3.1 La struttura

Per quanto riguarda la condotta questa può consistere sia in una azione che in una

omissione, posta in essere consapevolmente dal soggetto cd. agente.

Per quanto attiene l’elemento soggettivo, esso può consistere nel dolo o nella colpa, con la

differenza che nel primo caso il danno ingiusto provocato è voluto, nel secondo caso è involuto, ma

reso possibile per effetto della violazione di norme precauzionali il cui rispetto si imponeva

all’agente.

E’ chiaro che il dolo rappresenta un elemento soggettivo di particolare intensità e non va

confuso con il dolo quale vizio del volere, al quale pure si riconnette costituendone una

specificazione.

Tanto è vero che si distingue tra dolo generale, quale elemento soggettivo del fatto illecito, e

dolo speciale quale vizio del volere.

Vi sono poi dei casi in cui l’ordinamento radica la responsabilità civile in capo al soggetto

agente a prescindere dal fatto che questi fosse in dolo o in colpa.

Trattasi delle ipotesi di responsabilità oggettiva, tutte tassativamente previste dal legislatore

e precisamente da talune delle norme immediatamente successive al 2043 c.c.

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Per quanto attiene l’imputabilità, l’art. 2046 c.c. la fa coincidere con la capacità di intendere

e di volere : il fatto illecito, perché sia risarcibile, occorre che sia stato posto in essere da chi era

capace di intendere e di volere nel momento in cui lo ha commesso.

Un noto autore4 ha ritenuto l’art. 2046 suscettibile di applicazione analogica e quindi

applicabile alla generica categoria degli atti giuridici in senso stretto nel vano tentativo di fornire

una sistemazione dogmatica di tale nozione giuridica.

Ma la tesi è stata criticata.

Per quanto attiene infine il nesso di casualità, esso risponde alla necessità che l’evento

dannoso sia conseguenza immediata e diretta della condotta posta in essere.

Al fine di meglio chiarire gli esatti contorni di questa costruzione giuridica la dottrina

civilistica si è avvalsa degli apporti forniti da quella penalistica, ma alla fine si è resa conto che il

nesso causale va inteso nel senso di casualità adeguata per cui il danneggiante risponde di tutti i

rischi normalmente connessi alla condotta da lui tenuta.

Il nesso di casualità quindi va escluso solo in presenza di eventi eccezionali e straordinari

come il caso fortuito o forza maggiore.

Diverso è il discorso relativo all’ipotesi in cui vi sia stato concorso di colpa del danneggiato

: l’art. 1227 c.c. stabilisce che il risarcimento è diminuito o addirittura escluso in quanto il

danneggiato dovrà sopportare le conseguenze del suo comportamento.

In tal caso si applica alla materia della responsabilità civile una norma tipicamente prevista

per disciplinare la responsabilità del debitore.

3.2 Le forme di responsabilità oggettiva

Se l’art. 2043 rappresenta il regime ordinario di responsabilità civile altre norme

introducono regimi speciali di responsabilità per fatto altrui o responsabilità oggettiva.

La prima ipotesi si ha quando la responsabilità grava su di un soggetto diverso da colui che

ha posto in essere il comportamento lesivo : è il caso della responsabilità del genitore o del tutore

per i danni arrecati dal minore (art. 2049), del padrone o committente per i fatti commessi dai suoi

sottoposti (art. 2050 c.c.).

La seconda ipotesi si ha quando, come detto, la responsabilità si configura senza che sia

necessario accertare il dolo o la colpa, così il legislatore limitando fortemente la possibilità di

4 F.SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, 1986, pag. 106 ss.

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opporre la prova liberatoria : è il caso ad esempio della responsabilità per esercizio di attività

pericolose, ove la prova liberatoria consiste nel dimostrare di avere adottato tutte le misure idonee

ad evitare il danno (art. 2051 c.c.).

Il crinale tra responsabilità oggettiva e soggettiva non è sempre di facile evidenza e consiste

esattamente sul se la responsabilità vada a gravare sull’agente previo accertamento o meno della

violazione da parte sua di una specifica norma precauzionale.

Ad esempio la responsabilità dei genitori e del tutore, che è comunque responsabilità per

fatto altrui, secondo alcuni è oggettiva, secondo altri sarebbe soggettiva in quanto presupponente la

cd. culpa in vigilando : il genitore in tanto è responsabile, in quanto abbia omesso di vigilare sul

comportamento del proprio figlio. Di talché sarebbe pur sempre una responsabilità colposa e quindi

soggettiva, con l’unica differenza che la colpa è presunta, con conseguente inversione dell’onere

della prova.

Tale prova liberatoria è tutt’altro che agevole, in quanto deve consistere nel dimostrare di

non aver potuto impedire il fatto.

Nel caso della responsabilità dei padroni e dei committenti addirittura non è prevista alcuna

prova liberatoria per cui si atteggia non solo a responsabilità per fatto altrui, ma anche

indiscutibilmente oggettiva.

Tale responsabilità presuppone che l’autore dell’illecito, cioè il commesso, sia legato da un

rapporto di preposizione con il committente e che il danno sia stato provocato dal preposto

nell’esercizio delle incombenze cui era stato adibito.

Nel caso dell’esercizio di attività pericolose, la prova liberatoria deve consistere nel

dimostrare di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno.

Nel caso, invece, di danni cagionati da cose o animali la responsabilità grava sul soggetto

che ha la custodia della cosa o la proprietà o l’uso dell’animale e la prova liberatoria deve consistere

nel dimostrazione del caso fortuito.

Il criterio utilizzato dal legislatore al fine di concentrare la responsabilità sul proprietario è

utilizzato anche a proposito del danno cagionato da rovina di edifici.

La responsabilità grava sul proprietario a meno che questi non provi la mancanza di un

difetto di manutenzione dell’edificio o un vizio di costruzione.

Per quanto attiene poi all’art. 2054 c.c. i frequentissimi danni da circolazione di veicoli

senza guida di rotaie il legislatore stabilisce alcune regole fondamentali :

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1) il conducente del veicolo è responsabile dei danni prodotti a cose e persone dalla

circolazione del veicolo, salvo che non provi di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno ;

2) nel caso di scontro tra veicoli si presume uguale colpa dei diversi conducenti in ordine

al danno subito dai singoli veicoli ;

3) il conducente del veicolo infine è solidalmente responsabile insieme al proprietario del

veicolo per i danni prodotti, a meno che quest’ultimo non dimostri che la circolazione del mezzo

sia avvenuta contro la sua volontà.

Un’altra importante fattispecie di responsabilità oggettiva è quella prevista dal D.P.R. (

Decreto del Presidente della Repubblica ) 24.05.1988, n. 224, in materia di danni da prodotti

difettosi.

In tal caso la responsabilità va a cadere sul produttore e la difettosità deve consistere nella

mancanza di sicurezza del prodotto.

Per sottrarsi alla responsabilità il produttore può fornire la prova della non difettosità del

prodotto oppure può dimostrare che lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche al momento

della produzione non permetteva ancora di considerare il prodotto come difettoso.

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4 Il danno ingiusto: la tutela esterna del credito Notevole è stato il lavoro della dottrina e della giurisprudenza al fine di individuare gli esatti

contorni del danno ingiusto, nel senso di individuare le situazioni soggettive risarcibili.

Il percorso compiuto ha condotto alla progressiva estensione dell’ambito applicativo della

fattispecie, tanto da configurare l’art. 2043 come norma in bianco5.

Se, infatti, si è inizialmente ritenuto che soltanto i diritti soggettivi assoluti fossero

risarcibili in caso di lesione ad opera di un terzo, si è successivamente affermata in giurisprudenza6

la tesi della cd. lesione esterna del diritto di credito, nel senso quindi che anche i diritti di crediti,

ovverosia i diritti relativi, sono suscettibili di essere lesi dal comportamento del terzo che rende

impossibile l’adempimento della prestazione.

Laddove un soggetto, con la sua condotta, precluda ad un creditore di soddisfare il suo

interesse rendendo impossibile, in modo assoluto ed obiettivo, la prestazione cui il debitore era

tenuto, sarà chiamato a risarcire il danno, non diversamente da come accade tutte le volte in cui

viene leso, ad esempio, il diritto di proprietà.

Se è vero, dunque, che nei diritti di credito l’interesse del suo titolare può essere soddisfatto

unicamente dal debitore attraverso l’adempimento della prestazione cui egli è astretto, è altrettanto

vero che tutti i consociati sono tenuti ad astenersi dal compimento di atti che possano pregiudicare

tale soddisfacimento.

In altre parole, il rispetto del principio dell’alterum non laedere si impone alla collettività

dei consociati non solo per i diritti assoluti, siccome valevoli erga omnes, ma anche per i diritti

relativi, anch’essi considerati poste attive nel patrimonio del rispettivo titolare, suscettibili di essere

lese dal quivis de populo.

5 Corte Cost. 14 luglio 1986, n. 184

6 Il primo fondamentale tassello in ordine alla problematica della lesione del diritto di credito venne affermato, per il

caso del calciatore Meroni, da Cass. Sez.un. 26.1.1971 n. 174, in Foro it.1971, I,342 e 1284, con note di Jemolo e

Busnelli, che costituì un autentico revirement rispetto alla tradizionale impostazione adottata dalla Cassazione per il

noto caso della tragedia di Superga che colpì la squadra di calcio del Torino; successivamente, a conferma del nuovo

indirizzo giurisprudenziale, per il caso del pastificio Puddu, cfr. Cass.24.06.1972 n. 2135, in Foro it.1973,I, 99. Cfr.

inoltre Cass. 13.06.1978 n.2938; Cass. 1 aprile 1980 n. 2105; Cass. 30.10.1984 n. 5562; Cass. sez.un. 12.11.1988

n.6132; Cass.14.11.1996 n.9984. La giurisprudenza ebbe a riconoscere anche in capo al datore di lavoro il risarcimento

del danno per mancata utilizzazione dell’attività del lavoratore che abbia subito lesioni personali comportanti invalidità

a causa di un sinistro stradale avvenuto per fatto e colpa di soggetto estraneo al rapporto obbligatorio, a prescindere

dalla sostituibilità del dipendente, etichettandolo come ipotesi di lesione del credito, v. Cass. Sez. un.12.11.1988 n.

6132; Cass. 30.10.1984 n.5562, in Foro it., 195,I,149.

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La responsabilità per lesione di un diritto di credito è subordinata all’individuazione di un

duplice ordine di situazioni :

a) la connessione oggettiva tra evento imputabile al terzo e lesione del credito, che si verifica

ogni volta che l’evento consista materialmente nella sottrazione al godimento di una cosa

dedotta nel rapporto obbligatorio, ovvero nella morte o lesione provocata alla persona del

debitore;

b) la condotta colposa o dolosa riferibile casualmente al terzo, che per la natura particolare del

credito e le circostanze della sua costituzione, permanenza e realizzazione, deve

comprendere anche il pregiudizio del credito.

4.1 La risarcibilità dell’interesse legittimo

Per anni la giurisprudenza ha coltivato il dogma della irrisarcibilità della lesione

dell’interesse legittimo.

Poiché detta situazione giuridica è tipicamente riferibile ai rapporti tra i privati e la pubblica

Amministrazione, opinare diversamente avrebbe comportato l’esposizione delle casse pubbliche ad

incontrollate azioni risarcitorie ogni qualvolta fosse stato emesso un atto illegittimo.

Fermo restando che anche l’Amministrazione è un soggetto di diritto che può andare

incontro agli strali dell’art. 2043, laddove abbia posto in essere un comportamento lesivo di diritti

soggettivi del privato, l’opinione tradizionale era nel senso che in caso di lesione di interesse

legittimi non potesse configurarsi una responsabilità da provvedimento.

Il superamento di tale tesi si deve alla nota pronuncia della Corte di Cassazione7, che ha

demolito il muro della irrisarcibilità in subiecta materia, anche in virtù della rivisitazione del

concetto di interesse legittimo, non più inteso come situazione soggettiva di mero spessore

processuale, quale interesse alla legittimità dell’agire amministrativo, bensì quale posizione di

natura sostanziale, anch’essa diretta ad un bene della vita.

La posizione favorevole della giurisprudenza è stata doppiata da quella del legislatore8 che,

in sede di riforma del processo amministrativo, ha ampliato i poteri del giudice amministrativo, in

maniera da consentirgli di condannare la p.A. al risarcimento del danno da lesione di interesse

legittimo sia in sede di giurisdizione esclusiva che generale di legittimità.

7 N. 500/99.

8 L.n. 205/2000.

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Da ciò consegue l’ulteriore estensione dell’ambito applicativo dell’art. 2043, abbracciando

questa anche le posizioni di interesse legittimo, ma non manca chi ritiene che la responsabilità in

siffatti casi della p.A. sia da ricondurre alla fattispecie normativa dell’art. 1218 (cd. responsabilità

da contatto qualificato).

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5 Il danno risarcibile Molto importante è la distinzione tra danno patrimoniale e non patrimoniale, in quanto il

primo è sempre risarcibile, il secondo solo nei casi previsti dalla legge, ai sensi dell’art. 2059 c.c.

Tali casi coincidono con quelli in cui il fatto lesivo costituisce ipotesi di reato.

La dottrina e la giurisprudenza molto si sono affannate per cogliere la vera nozione di danno

non patrimoniale, restringendone l’ambito applicativo al cd. patema d’animo.

In tal modo siffatta voce di danno viene meglio indicata con il termine danno morale.

Ma il problema di individuare l’esatta distinzione tra danno patrimoniale e non patrimoniale

si è posto in quanto ben può aversi la compresenza dell’uno e dell’altro, come nel caso dei danni

subiti dalla persona umana in termini di riduzione della sua integrità psico - fisica.

E’ il cd. danno alla salute o danno biologico, in ordine al quale ci si è chiesti se esso rientri

nell’ambito applicativo dell’art. 2043 c.c., quale danno patrimoniale sempre risarcibile, o dell’art.

2059 c.c., quale danno non patrimoniale risarcibile solo nei casi legalmente previsti.

In ordine a tale seconda norma, alcuni ne hanno lamentato la possibile illegittimità

costituzionale, in quanto essa pone dei limiti alla tutela del diritto alla salute, consacrato dall’art. 32

della Costituzione, e comunque essa postula una nozione di danno alla persona ancorato al mero

sacrificio di interessi economici eventualmente conseguente agli interessi personali direttamente

provocati dal fatto illecito.

Di qui la necessità dell’intervento della Corte Costituzionale9, che appunto investita della

questione di legittimità costituzione dell’art. 2059 c.c., ha affermato che “il riconoscimento del

diritto alla salute come diritto pienamente operante anche nei rapporti di diritto privato non è

senza conseguenze in ordine ai collegamenti tra lo stesso art. 32, 1° comma, Cost. e l'art. 2043 cod.

civ.”.

Conseguentemente, il collegamento dell’art. 2043 con l’art. 32 Cost. consente di risarcire,

oltre ai danni patrimoniali in senso stretto, anche quelli che almeno potenzialmente ostacolano le

attività realizzatrici della persona umana e quindi anche, autonomamente e senza alcun ipotizzabile

limite, il danno biologico inteso appunto come danno non patrimoniale.

Pertanto, solo la possibilità di tutelare aliunde le altre fattispecie faceva ritenere non fondata

la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2059 c.c. con riferimento agli artt. 2 e 3 comma

primo, 24 primo comma e 32 comma primo, Cost., in quanto limitava la risarcibilità del danno non

9 Sentenza 26 luglio 1986, n. 184

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patrimoniale derivante dalla lesione di un diritto costituzionale tutelato (nella fattispecie il diritto

alla salute art. 32 Cost.) solo se conseguente ad un reato.

La Corte costituzionale ha infine precisato che l’inclusione del danno alla salute nella

categoria considerata dall'art. 2059 c.c. non significava identificazione col danno morale soggettivo,

ma solo la riconducibilità delle due figure, quali specie diverse, al genere del danno non

patrimoniale; non essendo tuttavia il risarcimento del danno morale assistito dalla garanzia dell’art.

32 Cost., esso può essere discrezionalmente limitato dal legislatore solo alle ipotesi dell’art. 185

c.p., cui rinvia sotto questo aspetto l’art. 2059 c.c..

Invero, se il danno biologico si riconnette a condotte lesive del bene salute, inquadrabili in

ambito nosografico, il danno morale cd subiettivo consiste invece nel semplice patema d’animo,

cioè nella sofferenza psicologica conseguente al fatto illecito che, in quanto tale, non integra una

menomazione psico-fisica.

La giurisprudenza10

, dopo lunghe riflessioni - che l’hanno condotta alla rivisitazione del

concetto di patrimonio, da intendersi non più come insieme di valori di scambio facenti capo ad un

soggetto, ma come complesso di utilità giuridicamente rilevanti, anche non valutabili

pecuniariamente, appartenenti ad un determinato individuo - ha quindi concluso che il danno

biologico è risarcibile ai sensi dell’art. 2043, mentre il danno morale è sempre risarcibile nei casi in

cui il danno è conseguente alla commissione di reati.

10

C. Cassazione, Sez. III, 11 febbraio 1985, n. 1130; Corte Cost., 18 luglio 1991, n. 356; Corte Cost., 27 dicembre

1994, n. 485).

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6 Il danno esistenziale La categoria del danno esistenziale è stata riconosciuta esplicitamente dalla giurisprudenza

attraverso una ricostruzione che muove dalla struttura propria del danno biologico.

Il danno esistenziale si esplicita come la lesione dei valori costituzionali inerenti la persona

in tutte le sue manifestazioni di vita, diverse dalla lesione della salute.

Stante il rilievo costituzionale del valore uomo, ogni lesione di un diritto inviolabile

comporta automaticamente un peggioramento della qualità della vita, che non può variare nel suo

nucleo essenziale al variare del soggetto passivo, in quanto il bene persona è sempre identico,

indipendentemente dalle qualità della persona offesa, ed è proprio tale costante riflesso ad integrare

il danno esistenziale.

Il filo conduttore che accomuna le sentenze11

che diversi tribunali hanno adottato in tema di

danno esistenziale è il riferimento alla lesione di un diritto della personalità.

La dottrina si è divisa in tre schieramenti :

1) secondo una prima tesi (cd. scuola pisana), la risarcibilità del danno esistenziale

dovrebbe passare per le forche caudine dell’art. 2059;

2) per una seconda tesi (cd. scuola triestina), si dovrebbero invece applicare i criteri

individuati nell’art. 2043 c.c., letto in combinato disposto con l’art. 32, e le

norme costituzionali a tutela della persona;

3) secondo una terza tesi, infine (cd. scuola torinese) si applica sì l’art. 2043, ma il

danno esistenziale è risarcibile comunque, anche quando non vi siano danni

conseguenza.

Di qui la necessità dell’intervento autorevole della Corte di Cassazione che, dopo aver

inizialmente ricondotto il danno esistenziale all’art. 2043, con due sentenze gemelle12

, ha invece

ritenuto applicabile l’art. 2059, con conseguente soggezione ai limiti che ne derivano (risarcibilità

nei soli casi previsti dalla legge).

In conclusione, secondo gli ermellini del 2003 il danno esistenziale è da qualificarsi danno

non patrimoniale.

11

Tra le tante, la Corte di Cassazione (Cass., Sez. I, 7.6.2000, n. 7713) ha riconosciuto l'esistenza di un danno

esistenziale nel caso di ritardato adempimento degli obblighi di mantenimento da parte del genitore naturale, in quanto

causativo di una lesione di diritti fondamentali inerenti la qualità di figlio e di minore. 12

nn. 8827 e 8828 del 31 maggio 2003.

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La giurisprudenza successiva del Supremo Collegio si è a sua volta divisa tra i sostenitori

della nozione di danno esistenziale come fattispecie autonoma di danno e i sostenitori della tesi

contraria, mentre i giudici di merito si sono mostrati favorevoli al risarcimento dei danni cd. micro-

esistenziali13

.

Il tema è arricchito dalle riflessioni successive della Cassazione14

, la quale ha rimesso in

discussione l’esistenza ontologica del danno esistenziale.

Si è riproposta cioè la tesi anti-esistenzialista sottolineando che “ai fini dell'art. 2059 c.c.,

non può farsi riferimento ad una generica, categoria di "danno esistenziale", poiché attraverso

questa via si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell'atipicità, sia pur attraverso

l'individuazione dell'apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale”.

Secondo tali decisioni “mentre per il risarcimento del danno patrimoniale, con il solo

riferimento al danno ingiusto, la clausola generale e primaria dell'art. 2043 c.c. comporta

un'atipicità dell'illecito, come esattamente affermato a seguito degli arresti della S.C. nn. 500 e 501

del 1999, eguale principio di atipicità non può essere affermato in tema di danno non patrimoniale

risarcibile, infatti la struttura dell'art. 2059 c.c. limita il risarcimento del danno non patrimoniale

ai soli casi previsti dalla legge”.

La categoria del danno esistenziale in quanto tale, può essere estesa anche alle persone

giuridiche, pur tenendo conto delle peculiarità che impediscono per ovvie ragioni di far riferimento

al danno alla salute, data l'incompatibilità logica e giuridica che lega la persona giuridica alla salute.

13

Ad es. Giudice di pace di Bari sent. 22 dicembre 2003, in ordine al danno da intasamento della cassetta delle lettere. 14

Con due successive sentenze : Cassazione 17.7.2006 n. 15760 e 9.11.2006 n. 23918

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7 Gli strumenti di tutela del danneggiato A questo punto non resta che puntualizzare la differenza tra responsabilità extracontrattuale

e contrattuale.

A livello di disciplina, essa si fonda sui seguenti punti :

1) l’onere della prova nel fatto illegittimo spetta al danneggiato, mentre

nell’inadempimento spetterà al debitore dimostrare che esso sia dovuto ad una

causa a lui non imputabile ;

2) nella responsabilità extracontrattuale sono risarcibili tutti i danni, mentre nel caso

di quella contrattuale sono risarcibili solo i danni prevedibili, a meno che

l’inadempimento o il ritardo siano dolosi ;

3) l’azione risarcitoria da illecito extracontrattuale è soggetto al termine di

prescrizione di 5 anni, mentre quella da illecito contrattuale si prescrive in 10

anni.

Ultimo accenno si impone per l’ipotesi del concorso tra responsabilità contrattuale ed extra

contrattuale :

La legge in taluni casi consente tale concorso nonostante si tratti di due forme di

responsabilità così diverse.

Classico è l’esempio della responsabilità del vettore che è contrattuale per il ritardo e

l’inadempimento nella esecuzione del trasporto, ma extracontrattuale per i sinistri che colpiscono la

persona del viaggiatore durante il viaggio o per la perdita o l’avaria delle cose che il viaggiatore

porta con sé.

Altra ipotesi è quella, già a suo tempo esposta, in materia dei cd. obblighi di protezione, ai

quali il debitore è tenuto durante la esecuzione della prestazione, con conseguente responsabilità

extracontrattuale (oltre che contrattuale) nel caso di loro violazione.