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NON CREDO “Siamo una nazione di cristiani e musulmani, ebrei e indù e anche di Non Credenti” Barack Obama - presidente USA (discorso di insediamento) SOMMARIO Anno II - n.3 gennaio / febbraio 2010 bimestrale di cultura laica Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1, DCB Roma 3,50 ISSN: 2037-1268 Armstrong o Munchhausen? LIBERTÀ CULTURALE E DI PENSIERO • POLITICA E ACONFESSIONALITÀ • NATURA UMANA E PROGRESSO SCIENTIFICO IL PRIMATO DELL’ETICA LAICA • RELATIVISMO DELLE RELIGIONI • RESPONSABILE AUTONOMIA DI COSCIENZA WWW.RELIGIONSFREE.ORG Il Creazionismo è quella favola ormai datata con cui l’umanità si è trastullata prima che il pensiero scientifico, con Darwin, facesse luce sulle origini del mondo e quindi anche dell’ uomo. È una favola: non dei Grimm o di Andersen, ma pur sempre la storia fantastica di un dio eccentrico, Adamo, Eva, eden, ser- penti, alberi e mele, diluvi, arche ed epifanie; nel mondo del pensiero scientifico moderno è un ingenuo “reperto fossile” precedente l’età della Ragione. L’Italia finora, per maturità epistemologica o senso del- l’umorismo, ne era rimasta immune, finché non ha fatto capolino proprio nel tempio della ricerca e della scien- za nazionale: il CNR, Consiglio Nazionale delle Ricerche. E chi è lo scienziato che, come Copernico, Darwin, Freud o Einstein ha fatto la rivoluzionaria scoperta? È un fisico, biologo, paleontologo, chimico, geo- logo, antropologo? No, è il vicepresi- dente dell’ente,, uno storico e pour cause cattolico praticante legato alla congregazione fondamentalista di estrema destra “legionari di Cristo”. Niente di male, per carità, e così la favola creazionista continua come quella del più famoso barone che andò anche lui sulla Luna. 1 Un creazionismo di rimessa 2 Colophon 2 Argomenti dei prossimi fascicoli 3 Così hanno detto 4 Non neutralità dei simboli religiosi 6 Un grande ateismo che pre-scinde 8 Fisicità della metafisica 12 Evoluzione del testamento biologico 14 La lezione dell’Europa sui crocifissi 16 L’Etica 19 Quale prezzo comporta “credere” 21 Ignoranza ed Illusione 22 Il volontariato dei noncredenti 24 Le religioni nella psiche umana 28 Diritto: in nome di un dio o del popolo? 30 Gli oppositori della modernità 31 Rapporto tra relativismo e nichilismo 34 Analisi del termine “pagano” 36 La grande svolta del deismo inglese 40 C’è scontro tra laici e cattolici? 42 Scambio di opinioni: le lettere 43 Libri consigliati 44 Chi siamo?

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NONCREDO“Siamo una nazione di cristiani e musulmani, ebrei e indù e anche di Non Credenti”

Barack Obama - presidente USA (discorso di insediamento)

SOMMARIOAnno II - n.3 • gennaio / febbraio 2010

bimestrale di cultura laica

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1, DCB Roma

€ 3,50

ISSN: 2037-1268

Armstrong o Munchhausen?

LIBERTÀ CULTURALE E DI PENSIERO • POLITICA E ACONFESSIONALITÀ • NATURA UMANA E PROGRESSO SCIENTIFICOIL PRIMATO DELL’ETICA LAICA • RELATIVISMO DELLE RELIGIONI • RESPONSABILE AUTONOMIA DI COSCIENZA

WWW.RELIGIONSFREE.ORG

Il Creazionismo è quella favolaormai datata con cui l’umanità si ètrastullata prima che il pensieroscientifico, con Darwin, facesse lucesulle origini del mondo e quindianche dell’ uomo. È una favola: nondei Grimm o di Andersen, ma pursempre la storia fantastica di un dioeccentrico, Adamo, Eva, eden, ser-penti, alberi e mele, diluvi, arche edepifanie; nel mondo del pensieroscientifico moderno è un ingenuo“reperto fossile” precedente l’etàdella Ragione. L’Italia finora, permaturità epistemologica o senso del-l’umorismo, ne era rimasta immune,finché non ha fatto capolino proprionel tempio della ricerca e della scien-za nazionale: il CNR, ConsiglioNazionale delle Ricerche. E chi è loscienziato che, come Copernico,Darwin, Freud o Einstein ha fatto larivoluzionaria scoperta? È un fisico,biologo, paleontologo, chimico, geo-logo, antropologo? No, è il vicepresi-dente dell’ente,, uno storico e pourcause cattolico praticante legato allacongregazione fondamentalista diestrema destra “legionari di Cristo”.Niente di male, per carità, e così lafavola creazionista continua comequella del più famoso barone cheandò anche lui sulla Luna.

1 • Un creazionismo di rimessa2 • Colophon2 • Argomenti dei prossimi fascicoli3 • Così hanno detto4 • Non neutralità dei simboli religiosi6 • Un grande ateismo che pre-scinde8 • Fisicità della metafisica

12 • Evoluzione del testamento biologico14 • La lezione dell’Europa sui crocifissi16 • L’Etica19 • Quale prezzo comporta “credere”21 • Ignoranza ed Illusione22 • Il volontariato dei noncredenti24 • Le religioni nella psiche umana28 • Diritto: in nome di un dio o del popolo?

30 • Gli oppositori della modernità31 • Rapporto tra relativismo e nichilismo34 • Analisi del termine “pagano”36 • La grande svolta del deismo inglese40 • C’è scontro tra laici e cattolici?42 • Scambio di opinioni: le lettere43 • Libri consigliati44 • Chi siamo?

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ANNO II - N. 3GENNAIO / FEBBRAIO 2010bimestrale di cultura laica

bimestrale di cultura laica

» ARGOMENTI DEI PROSSIMI FASCICOLI

COME ABBONARSI

NONCREDO

• Le grandi etiche a-religiose: buddhismo, epicureismo,stoicismo• Antropomorfismo delle divinità• L’omosessualità e le religioni• Rapporto tra Islam e democrazia• Liberi di non credere in Europa• Psicologia dell’illusione religiosa• Improbabilità degli dei• Aspetti della teosofia• I condizionamenti delle religioni• Che cosa ci si aspetta dalla preghiera• Perché il buddhismo non è una religione• Il discrimine tra arte sacra e arte profana• Etica e mistica• I cibi “sacri” nella storia• Il concetto di “dolore” nelle religioni• Sentimenti, spiritualità e chimica del cervello• Trattato di Lisbona e laicità in Europa• Evoluzionismo e comportamento: l’ambiente• Evoluzionismo e comportamento: il partner• Evoluzionismo e comportamento: la prole• Evoluzionismo e comportamento: il gruppo sociale• Evoluzionismo e comportamento: l’aldilà• Ambiguità e incertezza nel verbo “credere”• Nasce la neuro-teologia• Perché l’etica non ha bisogno di dio

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grazie

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Parlando di papa Wojtyla “perché la nostra fede e l’esperienza della storia ci insegna-no che anche l’autorità più alta della Chiesa non è esente da errore”.

Vincent O’KEEFE, teologo e vicario generale dei Gesuiti

La nostra fede è la fede nella fede di qualcun altro. William JAMES, psicologo

L’uomo può credere all’impossibile, ma non crederà mai all’improbabile. Oscar WILDE

Il mio tempo deve ancora venire, alcuni nascono postumi. Friedrich NIETZSCHE

Sappiamo in quali tempi della storia umana sono state create le dottrine religiose e dache tipo di uomini. Sigmund FREUD

La maggiore felicità possibile per il maggior numero di persone: questo è il fondamen-to della morale e quindi delle leggi. Jeremy BENTHAM, filosofo

Il suicidio nel nostro paese non è reato, e neppure il tentato suicidio. Allora perché unpoveraccio che si trovi in una condizione di degrado, di dolore mentale e fisico, e chechieda insistentemente di potere terminare la sua vita, non deve essere esaudito?

Umberto VERONESI, oncologo

Non essere amati è una semplice sfortuna; la vera disgrazia è non amare.Albert CAMUS, scrittore

Occorre rivedere continuamente tutto ciò che ha l’apparenza di una certezza.Theodor ADORNO, filosofo

Nel momento in cui una religione si attribuisce il monopolio della verità, automatica-mente azzera la possibilità di uno spazio alternativo e quindi di ogni dialogo.

Remo CACITTI, storico del cristianesimo

L’etica che si appoggia alla religione fa intervenire la sua promessa di un aldilà miglio-re, ma fino a quando la virtù non sarà premiata sulla terra, l’etica predicherà invano.

Antonio SEMI, psicanalista

La Chiesa cattolica da quando sono nati i diritti dell’uomo è sempre stata dall’altra parte.Josè CASTELLO, teologo

Il pensiero è la secrezione del cervello. Oskar VOGT, neuroscienziato

Non mi interessa se il mio vicino crede in un solo dio o più di uno o nessuno: mi inte-ressa che sia un buon cittadino. Thomas JEFFERSON

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Così hanno dettoCosì hanno detto

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Dicono alcune sentenze e ambienti partigiani che il crocifisso sia consono a rappresenta-re tutti gli italiani. Dicono anche che sia un simbolo neutro di cultura e di storia italia-na; dicono pure che il pensiero greco, che è ciò che ci rende “occidentali”, non lo sareb-

be, e neppure l’impronta romana che ha creato il perimetro europeo, il diritto e il senso delloStato. Insomma, tutto va in non cale tranne questo amabile visionario asiatico, ebreo di coloredella Palestina meritevole di grande rispetto, che viene effigiato sanguinante appeso ad unacroce, intesa quale mezzo di sofferenza estrema così come lo sono stati gli infiniti roghi succes-sivamente eretti in suo nome.

No: il crocifisso non è un simbolo neutro, così come di neutro non esiste nulla nel dominiodelle religioni, ove imperano rivalità, sopraffazione, libidine delle conversioni e tanta bramadi possesso. Questa è la loro storia, che fece dire a Freud: «Dove sono coinvolte questioni reli-giose gli uomini si rendono colpevoli di ogni sorta di disonestà e di illecito intellettuale». Ilcrocifisso simbolo neutro? Malafede, quanto potrebbe esserlo considerare in Germania la san-scrita svastica vedica un semplice simbolo della mistica India, ovvero ritenere la falce e il mar-tello dei georgici simboli del pacifico mondo rurale nella Russia dei gulag.

Il crocifisso, nella storia del cattolicesimo, è sempre stato l’equivalente del labaro con l’aquiladi Roma piantato ovunque le sue legioni arrivavano, distruggevano, conquistavano; anche lacroce è stata ed è simbolo di conquista e di omologazione fideistica delle popolazioni: anchequesto dicono le tantissime, immense croci che in Italia e nelle ex colonie di potenze cattoli-che vediamo sovrastare le cime di colline e montagne a simboleggiare «qui siamo noi» (pernon parlare poi dell’isola di Pasqua dove, in omaggio al nome, ne hanno piantate tre altissimeper replicare teatralmente la scena del Golgota).

I simboli religiosi non sono e non saranno mai neutri: essi producono una reattività compul-siva così come la “parola-stimolo”, dicono gli psichiatri, fa scattare il sintomo nevrotico o ilraptus psicotico. Valga un esempio incontrovertibile: dopo l’esperienza di FlorenceNightingale nella guerra di Crimea del 1854 sul soccorso ai feriti sul campo di battaglia, nel1862 si riunirono a Ginevra quattro cittadini svizzeri: il giurista Moynier, il generale Dufoure i medici Appia e Maunoir, per creare il Comitato ginevrino di soccorso dei militari feriti,chiamato anche Comitato dei Cinque, che organizzò a Ginevra nel 1863 una conferenza inter-nazionale cui parteciparono 14 Paesi. Nacque così la Società Internazionale di Soccorso (lafutura Croce Rossa), che scelse come emblema, da mostrarsi in area di guerra in segno di neu-tralità disarmata, la bandiera svizzera a colori invertiti in omaggio alla nazione dove ilComitato è nato e viene ospitato, retto da soli cittadini svizzeri a simbolo della completa neu-tralità e aconfessionalità dell’organizzazione. I fondatori tennero a specificare che la crocetta,come un segno di “più” c’era soltanto perché c’è nella bandiera elvetica, escludendo tassativa-mente qualsiasi anche mediato riferimento a simboli confessionali.

Scopo dell’organizzazione, come specifica lo statuto, è quello di «soccorrere senza discriminazio-ne di alcun genere i feriti dei campi di battaglia», missione volontaria, umanitaria e universale.

Eterogenesi dei fini e simboli

4 RELIGIONI?

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Che cosa ci può essere di più nobile? Ma, ahimé, è bastata quel-la piccola crocetta simmetrica contenuta nella bandiera svizze-ra perché popoli di religioni diverse non ne accettassero la vali-dità e la neutralità, neppure per missioni umanitarie. E così sisono dovute creare successivamente la Mezzaluna rossa per ipaesi islamici, quindi il Sole rosso per la Persia di religione parsied ultima la Stella di Davide rossa per Israele ebraico. La babe-le religiosa è così completa, tanto che si è dovuto varare il nuovosimbolo ufficiale internazionale, il Cristallo rosso approvato nel2005. Il che sta a significare che laddove tra tutti i popoli delpianeta non sono riusciti a creare disunione le radicali differen-ze di lingua, scrittura, regime politico, potenza militare, tecno-logie, tradizioni, clima, orografia, ubicazione geografica, mone-ta, colore della pelle, statura, alimentazione, abbigliamento, let-teratura, filosofia, musica e tutto quant’altro può venire inmente; ebbene, quel che null’altro ha potuto è invece riuscito inun istante ad un piccolo segno grafico interpretato, purtroppo,in chiave di simbolo religioso.

E se tutto questo avveniva nell’ambito di missioni umanitarie edi soccorso ai feriti, che cosa al mondo può mai far pensare chenon sia percepita come non equa, non neutra, provocatoria,arrogante e discriminante l’esibizione velleitaria del simbolocattolico in tutti i luoghi pubblici italiani (tribunali, scuole,caserme, uffici eccetera), là dove tutti i cittadini della nostraRepubblica hanno il diritto di sentirsi tali, a prescindere da cul-tura, religione, etnia, sesso e via dicendo, come recita la Cartacostituzionale? Siamo al politeismo dei valori alla Max Weber?

«Giorno verrà, presago e il cor mel dice» recita Andromaca sullemura di Troia con quanto segue, e mi ci associo anch’io con lasperanza che un giorno, anche con l’impegno di NonCredo,l’Italia sarà anch’essa una Repubblica laica a pieno titolo, in cuidiritti, doveri e rispetto saranno garantiti ed eguali per tutti. Eraccolgo anche quanto un grande spirito perseguitato dalle reli-gioni, l’olandese Baruch Spinoza, scriveva nel suo Trattato teolo-gico-politico: «L’esercizio del culto religioso e le forme esterioridella pietà debbono tener conto delle esigenze della pace e del-l’utilità dello Stato».

di parte

5Anno II - n.3 • gennaio / febbraio 2010NONCREDO

croce rossa

mezzaluna rossa

leone e sole rosso

stella di Davide rossa

cristallo rosso

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6 » TEOLOGIA disputationes

La cosa “Dio”, mia lunga passione, oggi quasinon m’interessa. Mi interessano altre cose: la

pace mentale, la vigile consapevolezza, la visio-ne sapienziale del cosmo e dell’uomo comeimpermanenza e splendore, la realizzazioneintuitiva del sapere scientifico, il risveglio almistero dell’essere; mi interessano l’eros e l’amo-re fedele, la bellezza della natura e dell’arte, ilviaggio e l’avventura, la tenerezza-responsabili-tà, la compassione universale per gli esseri sen-zienti, la nonviolenza nei confronti degli anima-li, l’etica e il diritto come discipline razionali-emozionali laiche; mi interessano lo sport, lapiena salute, la vita yogica all’aperto, giocareperdutamente coi nipotini eccetera, eccetera.

Quelli che proprio non mi interessano sono ivari “Dio unico” dei tre lignaggi abramitici, i fol-cloristici “Dio” rivelazionali che competono nel-l’arena dell’attuale polimonoteismo. Invece ilconcetto filosofico di Essere-Necessario-Origine-del-Mondo lo trovo ancora formidabile, uno deicapolavori acrobatici dell’intelletto umano, risor-sa eccezionale per sprofondamenti verticali ful-minei giù dal chiacchiericcio psicologico internoe dall’assediante pettegolare esterno. Solo che sepoi cerchi di pensare davvero come si può sape-re che esiste, come è fatto, come opera, ebbene titrovi immerso, direbbe il Dustin Hoffman diKramer contro Kramer, in un maledettissimomare di fottutissimi guai: “D” è un groviglio dikoan nel senso Zen, di paradossi/rompicapi che -insieme al buon senso e al principio scientificodi osservabilità sperimentale – ti butta nellebraccia dell’ateismo razionalista.

Tuttavia le due cosmogonie atee uniche pensabi-li - il mondo materiale esiste per virtù propria daun tempo infinito (a semper), esiste per virtùpropria da un tempo finito (è nato dal nulla, exnihilo) - sono entrambe tutt’altro che tranquilliz-zanti per la ragione, anzi le aprono baratri imper-corribili. Il materialismo infinitista e il materiali-smo finitista-nichilista sono ipotesi ontologichenon meno mostruose del teismo. Una delle tre èquella reale e nessuna è possibile.

Come affrontare questo naufragio della pur bennavigante ragione? Non certo col fideismo reli-gioso, e nemmeno con lo scetticismo: la ragionefunziona, ma approda all’irrappresentabile. Èquello che io nel mio gergo (fondato però suuna solida, anche se minoritaria, tradizioneinterculturale) chiamo “apofatismo”. Wittgen-stein parlerebbe senza remore, laicissimamente,di mistica: «Che il mondo è, è il mistico»; l’es-serci qualcosa invece che il nulla è il mistico.

Cosa comporta l’apofatismo per l’uso del termi-ne “ateismo”? Comporta che non può essere unuso trionfalista e aproblematico; non puoi bat-terti il petto come un gorilla proclamandotiateo; meno ancora il credulo può gloriarsi dellasua credenza. Nel mio libro Nera luce ho cerca-to di introdurre il termine “a-teo” (pronunciarealfàteo). Con a-teismo intendo non il negare Dioma il prescinderne: l’alfa non è privativo ma pre-scissivo. L’a-teismo si distanzia sia dall’ateismosia (ancor più) dal teismo razionalista o rivela-zionista. È il motivato decidere di non conside-rare decisivo il discorso o filosofico o teologico

Noncredenza e ateismo prescissivoLuigi Lombardi VallauriPROFESSORE ORDINARIO DI FILOSOFIA DEL DIRITTOPRESSO L’UNIVERSITÀ DI FIRENZE

Con dio? No, è feticistico. Contro dio? No, è donchisciottesco. Senza dio? Sì, prescindendo-ne. Che l’Uomo viva dell’Etica, fatta di Amore, Conoscenza e Liberta’. La felice e vincenteintuizione del prefisso “alfa” pre-scissivo di Lombardi Vallauri, così vicino alla filosofiaumanistica ed illuministica del buddhismo indiano delle origini, che con il suo neti… neti…(né… né…) riesce ad affrancarsi dai vincoli delle aporie razionalistiche.

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su “D”, essendo ogni asserto su “D”, anche quel-lo magari vero (supponiamo “D non esiste”oppure “D è Padre Figlio e Spirito Santo”), unasserto altamente oscuro per l’intelligenza ecomunque non molto rilevante sul piano del-l’esperienza. Su questo piano la parola non èl’ultima parola, è necessaria ma non sufficiente.Una volta esercitata al meglio la parola dobbia-mo ancora lavorare sul nostro corpo-mente(questo prodigioso successo cosmico) in vista diuna trasformazione/illuminazione/liberazionenon discorsiva che porti con sé, esperienzial-mente, l’evidenza del proprio senso. Il sensodella vita è da cercare non tanto in proposizionigiuste - pur necessarie - quanto in stati: esisto-no stati ultimamente desiderabili. Decisivo è ilvissuto.

Qualcuno dirà che il mio apofatismo a-teo sa dibuddismo. Beh, un po’ sì. Secondo me il buddi-smo originario è stato, nei confronti del brama-nesimo, una forma di illuminismo razionalista:ha fatto piazza pulita degli dèi vedici, della pre-ghiera, del sacerdozio, del rito, del sacrificio,della crudeltà penale, militare, venatoria, carni-vora; ha concentrato l’attenzione sul mondo dicui si fa diretta esperienza e sulla riduzione deldolore. In questo atteggiamento può dirsi ateo.Ma mi sembra preferibile interpretarlo, più sot-tilmente, come a-teo, cioè come una teoria della

pratica trasformante fondata sullo scrutamentofilosofico realistico del mondo. Una simile pra-tica può ben definirsi, laicamente, non soloun’etica ma anche propriamente una mistica(nel senso di Epicuro, Lucrezio, Plotino,Spinoza, Goethe, Kant, Russell, Wittgenstein,Musil). Dunque non solo illuminismo ma – pro-prio attraverso l’illuminismo – illuminazione. Ilpensiero laico rischia l’asfissia se non cogliequesto punto fondamentale, che non posso oraapprofondire ma che mi sta vitalmente a cuore.

Ci torneremo. Intanto acquisiamo i concetti nonbanali di apofatismo e di a-teismo prescissivocome suscettibili di sviluppo anche in direzionedi un’appropriata mistica laica. L’importante ètogliersi dai solchi induriti dell’ateismo e del tei-smo soliti, cioè l’uno e l’altro dogmaticamenteignari dei baratri intellettuali che entrambi spa-lancano e della propria possibile irrilevanza sulpiano decisivo del vissuto. A mio parere l’ateo eil teista consapevoli, cioè lucidamente immersinello sgomento apofatico, sono più vicini traloro di quanto ognuno dei due sia vicino ai pro-pri confratelli parrocchiali.

_______________________________________(Per approfondimenti: Nera Luce. Saggio su cat-tolicesimo e apofatismo, Le Lettere, Firenze2001)

La forza di un giornale è proporzionale alla sua diffusione: se vi riconoscete intutto o in parte nei nostri ideali e nel nostro messaggio culturale, condividetelicon qualcuno che conoscete, parenti, amici, colleghi, ed allargate la diffusionedi NonCredo.

Un abbonamento-omaggio a NonCredo è una iniziativa di promozione dellapersonale, responsabile, etica libertà di pensiero, è un dono altruistico e nobile.

NonCredo è un nuovo Polo culturale che ci aiuta ad uscire dal disinteresse edall’inerzia delle pseudo-certezze, per riportare invece la ricerca intellettuale ela forza propulsiva del dubbio al centro del nostro modo di pensare.

LETTORE, SII NOSTRO AMICO: ABBONA UN TUO AMICO!!! GRAZIE

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8 » BIOLOGIA

Le basi organichedel comportamento

Bruna TadoliniGIÀ PROFESSORE ORDINARIO DI BIOCHIMICA E BIOLOGIA MOLECOLARE

PRESSO L’UNIVERSITÀ DI SASSARI

» L’evoluzione del comportamento

L’evoluzione delle specie è il cambiamento delfenotipo (cioè l’insieme dei caratteri morfolo-gici, comportamentali, attitudinali), che èespressione visibile e diretta del genotipo(cioè del patrimonio genetico) di quella spe-cie. Il cambiamento evolutivo permette unamigliore capacità di sopravvivenza e di ripro-duzione in un particolare ambiente: bendocumentati sono i mutamenti che hannopermesso ad antichi abitanti della terra diacquisire strutture anatomiche adatte, adesempio, al nuoto (pinne) o al volo (ali).Questi adattamenti anatomici possono essereconsiderati come il risultato dell’evoluzionefisica e strutturale di una macchina vivente,ma essi sono totalmente inutili se tale macchi-na non è in grado di usarli al momento giusto

Questo è il primo di una serie di brevi saggi finalizzati alla presentazione delle conoscenze scien-tifiche oggi acquisite sul comportamento, per anni ritenuto “al di là della fisica”, con tutta la con-seguente mitologia sconfinante immancabilmente nell’ambito del “divino”. L’intuizione di Darwin,secondo cui anche il comportamento è il prodotto di un processo evolutivo, ha permesso di inqua-drarlo nel più ampio contesto della risposta adattativa all’ambiente. Questa chiave di lettura hafornito la struttura logica per ricercare le basi organiche (molecolari, biochimiche, fisiologiche,anatomiche, tutto meno che divine) di comportamenti sempre più complessi e “metafisici”. Autricedella serie è la professoressa Bruna Tadolini, già nota ai lettori di NonCredo, e autrice altresì del-l’opera di divulgazione scientifica Dal big bang a dio: il lungo viaggio della vita, che ha messo alibera disposizione di tutti gli appassionati della materia su www.biochimicaditutti.com. L’interaserie sulla Fisicità della metafisica: le basi organiche del comportamento si compone dei seguentisei saggi che appariranno sui sei fascicoli di NonCredo del corrente anno:

Fisicità della metafisica

Parte 1° - L’evoluzione del comportamentoParte 2° - I rapporti con l’ambienteParte 3° - I rapporti con il partner

Parte 4° - I rapporti con la proleParte 5° - I rapporti col gruppo socialeParte 6° - I rapporti con l’altro mondo

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nel modo giusto. Infatti, a cosa servono pinneo ali, che permettono di catturare meglio ilcibo, se la macchina vivente non capisce diavere fame e non ha l’istinto di cercare il cibo?A cosa servono pinne o ali, che permettono dimuoversi più velocemente, se la macchinavivente non riconosce la presenza di un peri-colo e non ha l’istinto di fuggire? È evidenteche la sopravvivenza della specie è possibilesolo se la sua evoluzione fisica e anatomica èassociata sia all’evoluzione della capacità dipercepire cosa accade dentro ed intorno a sésia di dare risposte comportamentali coerenti.Quindi all’evoluzione morfologica e fisica diuna specie deve essere associata la sua evolu-zione comportamentale e metafisica.

» Cos’è il comportamento?

Il comportamento è il modo di agire e reagiredi un organismo messo in relazione conoggetti, altri organismi, o semplicemente conl’ambiente: è una espressione della mente. Macos’è la mente? Secondo alcuni essa è unaentità singola, che probabilmente ha il pro-prio fondamento nel cervello ma essenzial-mente è distinta da esso, ed ha esistenza auto-noma; la mente sarebbe quindi un’entità com-pletamente separata dal corpo, una manifesta-zione fisica dell’anima. Secondo altri la menteè soltanto un termine utilizzato per “riassu-mere” una moltitudine di funzioni cerebraliche hanno poco in comune tra loro, tranne ilfatto che gli uomini sono coscienti della loroesistenza; la mente è quindi strettamente lega-ta alle funzioni del cervello e non ha esisten-za autonoma rispetto a questo.La seconda ipotesi venne sostenuta dal pen-siero materialista della filosofia inglese facen-te capo al filosofo Thomas Hobbes, che rite-neva, nel diciassettesimo secolo, che ognievento mentale avesse il suo fondamento fisi-co. E venne supportata da T. H. Huxley, biolo-go del diciannovesimo secolo, allievo diCharles Darwin, che sostenne che i fenomeni

della mente sono di un unico genere, ed espli-cabili esclusivamente a partire dai processicerebrali. Huxley conciliò la dottrina diHobbes con quella di Darwin, dando cosìluogo alla moderna prospettiva materialista(o funzionalista).

Il comportamento è dunque una espressionedella mente: esso è innescato dalla percezionedi variazioni nell’ambiente interno e/o esternoad opera di sensori e organi di senso; è poimediato dalla valutazione e classificazione ditali stimoli interni, ad opera di “organi inte-gratori”. Esso più essere conscio o inconscio,volontario o involontario. Negli animali ilcomportamento è controllato dal sistemaendocrino e da quello nervoso e perciò la suacomplessità è legata a quella del sistema ner-voso. Generalmente, organismi con un siste-ma nervoso più complesso hanno comporta-menti più complessi, più grandi capacità diimparare nuove risposte e correggere il pro-prio comportamento.

» Evoluzione del comportamento

Poiché il comportamento è una espressionedella mente e la mente è il prodotto di unastruttura anatomica (il cervello), ne consegueche il comportamento può evolvere, come il

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10 » BIOLOGIA

nuoto o il volo o ogni altro prodotto di unastruttura anatomica. L’idea che non solo l’ana-tomia di una specie ma anche il suo compor-tamento siano il frutto di un processo evolu-tivo, non è recente. Già Charles Darwin neL’Origine dell’Uomo sostenne che gli istinti, lesensazioni, le emozioni, i sentimenti, le rego-le morali, lo spiritualismo e le religioni del-l’uomo fossero un prodotto evolutivo. Alcunisi sarebbero evoluti come strumenti che favo-riscono la sopravvivenza dell’individuo, altriper favorire la sopravvivenza della famiglia,altri ancora per favorire la sopravvivenza delgruppo sociale più o meno allargato.Di seguito sono riportate alcune sensazioni cheinnescano dei comportamenti vantaggiosi, oche fanno reiterare un comportamento vantag-gioso o evitarne uno dannoso. Esse sono basi-lari per la sopravvivenza di un individuo.

Che queste sensazioni e questi comportamen-ti non siano solo appannaggio dell’uomo maabbiano radici profonde nel passato, era evi-dente a Darwin che scriveva «gli animali infe-riori sentono evidentemente come l’uomo ilpiacere e il dolore, la felicità e l’infelicità».Darwin aveva anche ben chiaro come l’uomocondividesse con altri animali anche senti-menti ed emozioni che si sono evoluti per per-mettere la riproduzione dell’individuo e la for-mazione della famiglia, primo gruppo sociale.Scriveva Darwin «L’uomo ha pure comuni conessi alcuni istinti, come (..) l’amore sessuale,quello della madre per il piccolo» e «È certoche gli animali che vivono in società hanno unsentimento di scambievole amore che non

provano gli animali non socievoli».E non gli sfuggiva neppure come la coesio-ne di un gruppo sociale allargato, la tribù,richiedesse l’evoluzione di strumenti emoti-vi e di comportamenti morali complessiche, favorendo l’unione, favoriscono lasopravvivenza.Scriveva «Abbiamo ora veduto che i selvaggi,probabilmente come l’uomo primitivo, riten-gono buone (…) soltanto quelle azioni non

palesemente nocive al benessere della tribù -non quello della specie, e neppure quello del-l’uomo come membro individuale della tribù.Questa conclusione concorda bene con la cre-denza che il così detto senso morale derivaoriginariamente dagli istinti sociali, perchéentrambi si riferiscono dapprima esclusiva-mente alla comunità».

La chiave evoluzionistica con cui Darwininterpretava il comportamento umano nonvenne meno neppure quando egli analizzò lasuperstizione, lo spiritualismo e le religioni.Egli riteneva che questi comportamenti si fos-sero evoluti come strumenti imperfetti che

Sensazione Comportamento

Fame Ricerca del ciboSete Ricerca dell’acquaCuriosità Esplorazione del territorioPiacere Reiterazione di una azioneDolore Cessazione di una azioneStanchezza Rallentamento di una azione

Sentimento Comportamento

Desiderio di vendetta CastigoGratitudine RicompensaReciprocità Occhio per occhioSenso di giustizia Stima e BiasimoSenso di giustizia Onore e Disonore

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favoriscono la vita dell’individuo e del gruppoallargato. Cosa sono infatti la superstizione,lo spiritualismo e le religioni? Prima di tuttosono una sensazione, un sentimento: la con-vinzione che la realtà è controllata da qualco-sa o da qualcuno che può interferire con lanostra vita. A questa convinzione si dà unarisposta comportamentale che consiste neltentativo di controllare questo qualcosa oqualcuno mediante delle azioni. Il tenere uncornetto in macchina, il non passare sotto lascala, il cambiar strada se ci attraversa ungatto nero, sono un tentativo di controllare larealtà controllando il qualcosa. Le offertevotive (sacrificio di animali, ceri), o di azioniche costano fatica (andare in ginocchio fino almonastero, non mangiare il dolce che ci piacetanto) sono un tentativo di controllare la real-tà facendosi amico il qualcuno. In entrambi icasi i comportamenti sono finalizzati ad otte-nere un vantaggio, un aiuto per la sopravvi-venza.Scriveva Darwin: «Le medesime alte facoltàmentali che hanno dapprima indotto l’uomo acredere ad agenti spirituali invisibili, poi alfeticismo, al politeismo ed infine al monotei-smo dovevano infallibilmente condurlo, fin-ché la sua potenza del ragionare era ancorpoco sviluppata, a varie strane superstizioni estrane abitudini».

La nostra intelligenza ha prodotto la scienza,uno strumento che ha accumulato un corpovasto e coerente di prove a sostegno della teo-ria dell’evoluzione fisica degli organismiviventi. Le nuove tecnologie stanno ora per-mettendo di scoprire le basi organiche delfunzionamento del cervello e di attribuire il

nostro comportamento alla sua anatomia edal suo chimismo. I dati che si stanno assom-mando confermano l’intuizione di Darwinsecondo cui è stata l’evoluzione di questoorgano a produrre l’evoluzione del comporta-mento finalizzata alla sopravvivenza. Anchela metafisica ha quindi basi biochimiche,molecolari, anatomiche.

Sentimento Comportamento

Amore per il partner, gelosia Rapporto di coppiaAmore materno, Male Parental Investment Cure parentaliEmpatia, Simpatia, Pietà, Contagio emotivo Condivisione, Solidarietà, AiutoAltruismo Cooperazione

1. Ritratto di Charles Darwin

2. Microtus ochrogaster, un topo geneticamente monogamo

3. Che artista! Ptilonorhynchus violaceus che costruisce ilnido per il suo complesso rituale di corteggiamento

4. Peccati di gola o malattia genetica? Ritratto di EugeniaMartinez Vallejo, di Juan Carreno Miranda,1680 Museodel Prado;

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12 » BIOETICA LAICA etsi deus non daretur

Si è fatto un gran parlare, negli ultimitempi, sia nel dibattito pubblico sia in sedi

istituzionali, del cosiddetto “testamento bio-logico” (o “direttive anticipate”, living will ocome lo si voglia chiamare); vale a dire delladichiarazione di volontà mediante la quale unsoggetto, mentre gode della capacità di inten-dere e di volere, dispone in merito ai tratta-menti sanitari che intende accettare o, soprat-tutto, rifiutare nel caso e nel momento in cuila capacità venga meno, esercitando così invia anticipata il diritto di autodeterminazione(cosiddetto “consenso informato”) che -almeno a parole - viene da tutti riconosciutoal malato capace. Il testamento biologico rap-presenta una sorta di “protesi”, per dir così,tale da consentire l’esercizio di quel dirittofondamentale dell’individuo che potrebbealtrimenti essere compromesso o vanificatodall’impossibilità di esercitarlo in modo attua-le. In tale dichiarazione il soggetto può detta-re certe sue scelte, oppure indicare una perso-na di fiducia che compia le scelte in sue vece,oppure entrambe le cose. Se si tratta, come sitratta, di uno strumento per realizzare il dirit-to all’autodeterminazione, tali disposizionidebbono, pena la perfetta inutilità delladichiarazione di volontà, ritenersi vincolantiper i sanitari, i familiari e quant’altri, cosìcome devono ritenersi vincolanti le disposi-zioni dettate, ad integrazione della volontàdel malato, dal fiduciario da lui nominato.Infatti, se colui a cui spetta l’ultima decisioneè il sanitario, il testamento biologico divieneper il malato uno strumento per fare conver-sazione col medico per informarlo del propriopunto di vista e nulla più. Non si tratta,

insomma, di testamento biologico.Per la stessa ragione, bisogna contrastarel’idea che la finalità del testamento biologicosia quella di costruire la cosiddetta “alleanzaterapeutica” tra paziente e medico, che -chiunque si occupi di questi argomenti lo sa -non è altro che un tentativo di riproporre unaversione aggiornata del “paternalismo medi-co”, cioè proprio di quel costume beneficialeall’interno di una relazione asimmetrica checontrasta col diritto all’autodeterminazione.

» Alimentazione eAutodeterminazione

Del pari sarebbe in contrasto con il senso e lafunzione del testamento biologico escluderedalle scelte adottate in questo strumentocerte procedure, e in particolare l’idratazionee la nutrizione artificiali, sostenendo chenon dovrebbero essere considerate tratta-menti sanitari e pertanto non potrebberoessere rifiutate e anzi sarebbero dovute daparte dei sanitari. Non si comprende perchémai ciò che qualsiasi individuo capace ha ildiritto di rifiutare, come il mangiare e il bere,non possa essere anticipatamente rifiutatodall’incapace, quando la nutrizione e l’idra-tazione debbano essere somministrate trami-te complesse procedure mediche (solo inquesto Paese, per inciso, c’è ancora qualcunoche non consideri tali procedure alla streguadi trattamenti sanitari).Prendiamo pure atto che tra il principio diautodeterminazione e l’idea della sacralitàdella vita vi è una contrapposizione irriduci-bile, ma, al di là della discussione morale e

Evoluzione in atto deltestamento biologico

Valerio PocarPROFESSORE ORDINARIO DI BIOETICA E DI SOCIOLOGIA DEL DIRITTOPRESSO L’UNIVERSITÀ DI MILANO-BICOCCA

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deontologica in merito alla liceità o illiceità didisporre di sé stessi, resta il fatto che il dirittoha già operato una scelta contro il paternali-smo medico-sanitario e a favore del dirittoall’autodeterminazione. Tale diritto è ricono-sciuto a livello costituzionale (art. 13 e art. 32comma 2) e la sua espressione tramite ilcosiddetto “testa-mento biologico”trova fondamentonella Convenzione diOviedo (anche se lostrumento di ratifica,risalente al 2001,ancora non è stato etpour cause! deposita-to) e nei codici deon-tologici dei medici edegli infermieri.Ormai, insomma,non si può più legit-timamente discuteredel riconoscimento edell’estensione deldiritto all’autodeter-minazione, ma sola-mente si possono e sidevono prendere inconsiderazione lemodalità di eserciziodi questo diritto,come, ad esempio, la forma della dichiarazio-ne, la conoscibilità e la possibilità di acceder-vi, gli strumenti di soluzione di eventuali con-flitti determinati da dubbi interpretativi e viadicendo.

» Stato Etico e Stato LaicoUna considerazione, per concludere. Il dibatti-to pubblico in merito al testamento biologicoviene di regola letto come un confronto e anziuno scontro tra laici e cattolici. Non è così, nonsolo perché non si sa bene che cosa siano più i“laici” (che peraltro, per definizione, sarebberovariegati) e che cosa siano più i “cattolici”, ma

soprattutto perché si può essere cattolici e laicial tempo stesso. La contrapposizione è piutto-sto tra l’idea dello stato etico e l’idea dello statodemocratico e dunque laico. Occorre ribadirecon forza che il compito delle istituzioni non èquello di condurre per mano i cittadini in para-diso, imponendo loro per legge l’esercizio di

certe virtù ispirate acerti princìpi, ma quel-lo di garantire la paci-fica convivenza tute-lando i diritti e le liber-tà individuali. In que-sto campo, come ingenerale negli ambitieticamente sensibilinei quali si riscontri lapresenza di una plura-lità di opzioni morali,il ruolo del diritto nonè quello di identificareuna soluzione perimporre una scelta alposto di un’altra, mapiuttosto quella diindividuare norme dicarattere procedurale atutela dei terzi e più ingenerale dei soggettideboli.Non neghiamo che il

diritto sia caratterizzato da molte ombre epoche luci, ma tra queste ultime annoveriamola sua capacità di ergersi - non sempre, pur-troppo - a difesa dei soggetti deboli. Che,come già è avvenuto nel caso della legge sullafecondazione assistita, il diritto scelga invecedi opprimere proprio i soggetti più vulnerabi-li solo perché li può controllare e non offraloro i mezzi per l’esercizio di un diritto che,magari malvolentieri, non può negare ai sog-getti capaci, è di per sé un’ottima ragione perauspicare che presto una legge, beninteso unalegge laica, consenta e regoli il testamentobiologico.

Il caso emblematico: Eluana Englaro ed il padre.

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14 » DEMOCRAZIA

Crocifisso e democrazia:la lezione che ci dà l’Europa

Luigi PannaraleAVVOCATO E PROFESSORE ORDINARIO DI SOCIOLOGIA DEL DIRITTO

PRESSO L’UNIVERSITÀ DI BARI

» I fatti

La sentenza della Corte europea dei diritti del-l’uomo del 3 novembre 2009 si occupa di untema abbastanza recente nel dibattito dellasocietà italiana, cioèquello relativo all’ob-bligatorietà ovvero allanecessità o all’opportu-nità che nei luoghipubblici sia esposto ilcrocifisso.Il ricorso alla Corte diStrasburgo era statopresentato il 27 luglio2006 da una signorafinlandese, moglie diun cittadino italiano emadre di due bambini di 11 e 13 anni, che nel-l’anno scolastico 2001-02 avevano frequentatouna scuola statale italiana, nelle cui aule eraesposto il crocifisso; a parere della signora talesituazione violava i principi del secolarismo aiquali voleva che fossero educati i suoi figli.Dopo avere inutilmente informato la scuoladella sua posizione, la madre dei ragazzi si erarivolta al TAR del Veneto che, nel gennaio del2004, aveva adottato un’ordinanza di rinvio alla

Corte costituzionale del problema prospettato-gli, poiché aveva ritenuto non manifestamenteinfondata in relazione al principio di laicitàdello Stato quale risulta da numerosi articolidella Costituzione, la questione di legittimità

costituzionale degliartt. 159 e 190 del d.lgs. 16 aprile 1994 n.297, come specificatirispettivamente dal-l’articolo 119 del r. d.26 aprile 1928 n. 1297e dall’articolo 118 r. d.30 aprile 1924 n. 965,nella parte in cuiincludono il crocifissotra gli arredi delle aulescolastiche e dall’art.

676 del d. lgs. 16 aprile 1994 n. 297 nella partein cui conferma la vigenza delle disposizioni dicui innanzi (TAR Veneto Venezia, sezioneprima, 14 gennaio 2004 n. 56).

» Le precedenti sentenze in Italia

La Corte costituzionale aveva, tuttavia, forse unpo’ pilatescamente ritenuto manifestamenteinammissibile la questione prospettata, in quan-

La Corte di Strasburgo, invocata a fini di giustizia da cittadini italiani delusi da un’erme-neutica culturalmente orientata dei tribunali nazionali, porta di forza il pensiero laicoeuropeo nello stagnante clericalismo della sorpassata normativa italiana. Un noto giuristaanalizza per NonCredo i fatti di questa vicenda e li inquadra nella rete di sentenze, pur-troppo contraddittorie, che ne costituiscono i precedenti processuali. Analisi del contrastooperato dal Vaticano nell’evoluzione della società italiana.

Simboli cattolici imposti nei luoghi pubblici: la sentenza di Strasburgo

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to avente come oggetto un atto privo di forza dilegge (Corte costituzionale, 15 dicembre 2004n. 389). Reinvestito, pertanto, del problema, ilgiudice amministrativo veneto aveva rigettato ilricorso della signora ritenendo che «il crocifis-so, inteso come simbolo di una particolare sto-ria, cultura e identità nazionale, oltre che dialcuni princìpi laici della comunità, può esserelegittimamente collocato nelle aule della scuolapubblica, in quanto non solo non contrasta, maaddirittura conferma il principio di laicità delloStato» (TAR Veneto Venezia, sezione terza, 22marzo 2005 n. 1110).Contro tale decisione veniva proposto appello alConsiglio di Stato, il quale confermava sostan-zialmente la sentenza di primo grado. A pareredel giudice di secondo grado il principio di laici-tà proprio dello Stato italiano «non comportal’illegittimità delle determinazioni delle unitàscolastiche di esporre il crocifisso nelle aule diinsegnamento, attesa, da un canto, la relativaindeterminatezza di contenuto di detto princi-pio, che ha trovato differenziate realizzazioninelle diverse nazioni e, d’altro canto, soprattuttoperché il crocifisso, esposto al di fuori dei luoghidi culto e, in particolare, in ambienti educativi,non assume significato discriminatorio sotto ilprofilo religioso, ma rappresenta e richiama, informa sintetica immediatamente percepibile edintuibile (al pari di ogni simbolo), l’origine reli-giosa di valori civilmente rilevanti, e segnata-mente di quei valori che ispirano il nostro ordi-ne costituzionale, fondamento del nostro convi-vere civile, quali i valori di tolleranza, di rispettoreciproco, di valorizzazione della persona, diaffermazione dei suoi diritti, di riguardo alla sualibertà, di autonomia della coscienza morale neiconfronti dell’autorità, di solidarietà umana, dirifiuto di ogni discriminazione, che connotanola civiltà italiana» (Consiglio di Stato, sezionesesta, 13 febbraio 2006 n. 556).

» La Corte europea dei diritti dell’uomo

Esauriti pertanto gli strumenti di tutela inter-na, così come previsto dalla Convenzione

europea dei diritti dell’uomo (CEDU), lasignora si è rivolta alla Corte di Strasburgo, laquale ha drasticamente ed unanimemente con-traddetto le conclusioni alle quali erano giuntii giudici nazionali. Secondo la Corte l’esposi-zione del crocifisso in classe «è contraria aldiritto dei genitori di educare i figli in lineacon le loro convinzioni e con il diritto deibambini alla libertà di religione».«La presenza del crocifisso, che è impossibilenon notare nelle aule scolastiche - sostengonoquei giudici - potrebbe essere facilmente inter-pretata come un simbolo religioso dagli stu-denti di tutte le età, che avvertirebbero così diessere educati in un ambiente scolastico che hail marchio di una data religione». Una talesituazione - proseguono - «potrebbe essereincoraggiante per gli studenti religiosi, mafastidiosa per i ragazzi che praticano altre reli-gioni, in particolare se appartengono a mino-ranze religiose o sono atei».La Corte non riesce inoltre a comprenderecome l’esposizione, nelle classi delle scuolestatali, di un simbolo che può essere ragione-volmente associato al cattolicesimo, possa ser-vire al pluralismo educativo che è essenzialeper la conservazione di una società democrati-ca così come è stata concepita dallaConvenzione europea dei diritti umani, unpluralismo che è riconosciuto anche dallaCarta costituzionale italiana. «L’esposizioneobbligatoria di un simbolo di una data confes-sione in luoghi che sono utilizzati dalle autori-tà pubbliche, e specialmente in classe, limita ildiritto dei genitori di educare i loro figli inconformità con le proprie convinzioni e ildiritto dei bambini di credere o non credere».La Corte all’unanimità ha perciò stabilito che,nel caso prospettato, c’è una violazione del-l’art. 2 del Protocollo 1 congiuntamente all’art.9 della Convenzione.

» Fonti e presupposti della sentenza

L’art. 2 del Protocollo n. 1 prevede, infatti, che«nessuno si può vedere rifiutato il diritto

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all’istruzione. Lo Stato, nell’esercizio delle fun-zioni relative all’istruzione e all’insegnamento,rispetterà il diritto dei genitori di assicurarequell’educazione e quell’insegnamento che siaconforme alle loro convinzioni religiose e filo-sofiche». L’art. 9 della Convenzione stabilisce,invece, che «ogni persona ha diritto alla liber-tà di pensiero, di coscienza e di religione; talediritto include la libertà di cambiare religioneo credo, così come la libertà di manifestare lapropria religione o il proprio credo individual-mente o collettivamente, in pubblico o in pri-vato, mediante il culto, l’insegnamento, le pra-tiche e l’osservanza dei riti. La libertà di mani-festare la propria religione o il proprio credonon può essere oggetto di restrizioni diverseda quelle che sono stabilite dalla legge e costi-tuiscono misure necessarie, in una societàdemocratica, per la pubblica sicurezza, la pro-tezione dell’ordine, della salute o della moralepubblica, o per la protezione dei diritti e dellalibertà altrui». Come si è già accennato, il pro-blema sottoposto alla corte di Strasburgo èaffatto recente anche nella giurisprudenzanazionale. A parte un’isolata decisione dellaPretura di Roma, risalente al 17 maggio 1986,la quale aveva sostenuto che «il crocifissosotto l’aspetto giuridico è un arredo di un pub-blico istituto che non può essere rimosso senon nei casi e nei modi stabiliti dalla legge» eche, pertanto, andava respinta la domanda ten-dente ad ottenere l’adozione di un provvedi-mento d’urgenza che, ai sensi dell’articolo 700c.p.c., disponesse la rimozione del crocifissodalle aule scolastiche, le successive decisionirisalgono tutte a non prima del 2000.Le conclusioni, alle quali erano finora pervenu-ti i giudici nazionali in riferimento alla legitti-mità dell’esposizione del crocifisso nei pubbliciuffici (aule scolastiche, aule di tribunale, seggielettorali), appaiono affatto contraddittorie;alcune sono assolutamente in linea con la deci-sione adottata dai giudici della CEDU, altreinvece fanno proprie le conclusioni preferitedal Tribunale amministrativo del Veneto e dalConsiglio di Stato nelle due decisioni già citate.

» Sentenze ispirate a laicitàe successive contraddizioni

Tra quelle conformi si può ricordare una deci-sione della Corte di cassazione, nella quale sisostiene che «il principio di laicità dello Statoe di libertà di coscienza costituiscono giustifi-cato motivo di rifiuto dell’ufficio di presidente,scrutatore o segretario del seggio elettorale,qualora si individui un nesso causale fra rifiu-to addotto e contenuto dell’ufficio imposto; neconsegue che costituisce giustificato motivo dirifiuto dell’ufficio di presidente, scrutatore osegretario di seggio elettorale - ove non siastato l’agente a domandare di essere ad essodesignato - la manifestazione della libertà dicoscienza, il cui esercizio determina un con-flitto tra la personale adesione al principiosupremo di laicità dello Stato e l’adempimentodell’incarico a causa dell’organizzazione eletto-rale in relazione alla presenza nella dotazioneobbligatoria di arredi destinati a seggi elettora-li, pur se casualmente non di quello di specifi-ca destinazione, del crocifisso o di altre imma-gini religiose» (Cassazione penale, sezionequarta, 1 marzo 2000 n. 4273).

Ad identica conclusione è giunto più di recen-te anche il Consiglio superiore della magistra-tura, il quale ha affermato che «la richiesta dirimozione del crocifisso dalle aule d’udienza,avanzata da un magistrato, non appare manife-stamente infondata, in quanto la sua esposizio-ne, in funzione di solenne ‘ammonimento diverità e di giustizia’, costituisce utilizzazionedi un simbolo religioso come mezzo per il per-seguimento di finalità dello Stato, in contrastocon il principio supremo di laicità dello Stato epuò provocare nei non credenti ‘turbamenti,casi di coscienza, conflitti di lealtà tra doveridel cittadino e fedeltà alle proprie convinzio-ni’, in contrasto con la libertà di coscienza e direligione» (Consiglio superiore della magistra-tura, 23 novembre 2006). Nonostante taleaffermazione di principio, la medesima sezio-ne disciplinare ha ritenuto di dover tuttavia

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sospendere in via provvisoria dalle funzioni edallo stipendio un magistrato che si era ripetu-tamente rifiutato di tenere udienza in un’aulain cui fosse esposto il crocifisso, «consideratoche i fatti in questione hanno inciso in modoprofondo e radicale sulla credibilità del magi-strato incolpato, che non potrebbe svolgerecon adeguato prestigio le sue funzioni in nes-sun altro ufficio».

» La cosiddetta e forzata“laicizzazione del simbolo”

Tra i tribunali di merito, in una sentenza risa-lente al 2003, il Tribunale de L’Aquila così siera espresso: «poiché il principio della religio-ne cattolica come religione di Stato è venutomeno nel 1984 con l’accordo di modifica delconcordato stipulato fra l’Italia e la Santa Sedenel 1929, risultano tacitamente abrogate tuttele disposizioni che su quel principio si fonda-vano, comprese quindi, le norme che prevede-vano l’esposizione del crocifisso nelle aule sco-

lastiche. Pertanto, venuto meno il presuppostolegittimante, l’esposizione del simbolo dellacroce è un fatto lesivo del diritto alla libertàreligiosa di chi professa un credo diverso daquello cattolico» (Tribunale L’Aquila, 23 otto-bre 2003). Ma lo stesso Tribunale ha successi-vamente contraddetto la sua precedente valu-tazione: «il crocifisso non può esser considera-to simbolo esclusivamente religioso. In unasocietà, come quella italiana, definita corretta-mente di ‘antica cristianità’ e per la quale èinnegabile che i princìpi del cristianesimo fac-ciano parte del suo patrimonio storico, nonpuò escludersi il carattere anche culturale delcrocifisso in quanto espressione, appunto, delpatrimonio storico di un popolo, alla cui iden-tità culturale il simbolo va anche riferito. Ilcarattere culturale (cosiddetta laicizzazionedel simbolo) giustifica la sua esposizione inuffici pubblici anche dopo l’abrogazione delprincipio confessionale: considerando la suanatura di espressione anche di una cultura, èda escludere un contrasto fra la sua mera pre-senza e il principio di laicità dello Stato»(Tribunale L’Aquila, 1 aprile 2005).

Ancora di recente è stato ribadito che «nonsussiste alcun atto discriminatorio per motivireligiosi nei confronti di un’insegnante daparte di un dirigente scolastico, nel caso in cuiquest’ultimo, dando esecuzione alla volontàpiù volte espressa dagli alunni, abbia postonella classe il crocifisso. Tale comportamento,lungi dal configurarsi come discriminatorio,deve piuttosto essere interpretato alla luce del-l’esigenza di garantire il pluralismo culturale ereligioso, la coscienza morale religiosa, invi-tando anche i docenti al rispetto della volontàespressa dal consiglio di classe» (Tribunale diTerni, 24 giugno 2009).

» Principio maggioritarioe asservimento delle minoranze

È evidente la macroscopica confusione traprincipio maggioritario e principio democrati-

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co in cui è incorso quest’ultimo tribunale: ilprimo, infatti, può trovare un’adeguata legitti-mazione in ambito democratico solo se non sitrasformi in uno strumento per asservire leminoranze alle maggioranze.

Occorre a questo punto chiedersi come maisolo di recente si siano verificate numerosemanifestazioni di intolleranza nei confrontidella presenza del crocifisso negli uffici pubbli-ci, pur essendo tale presenza assai risalente epur non trovando riscontro la diffusa convin-zione che tali recriminazioni debbano essereattribuite a persone di recente immigrazionenel nostro paese e di appartenenza ad altre cul-ture e tradizioni, in particolare a quella islami-ca. Occorre cioè chiedersi come mai e per tantianni finora il crocifisso fosse rimasto quasiinvisibile sulle pareti degli uffici pubblici, senzasuscitare critiche o proteste di alcun genere.

» Evoluzione della società italianae interventismo delle gerarchieconfessionali

A parere di chi scrive l’invisibilità del crocifis-so è stata a lungo determinata dal ruolo sem-pre più marginale che, soprattutto a partiredagli anni ’70, i sentimenti religiosi avevanomantenuto nella società italiana. Dapprimal’introduzione della legge sul divorzio, poi diquella sull’aborto e la riforma del diritto difamiglia, tutte osteggiate fortemente dalle

gerarchie ecclesiastiche, avevano creato uncrescente senso di affrancamento dai modellidi vita imposti dai rigidi e, a volte, anacronisti-ci precetti propugnati dalla morale cattolicasoprattutto in materia di famiglia e di sessuali-tà. Anche il concilio Vaticano secondo, d’al-tronde, aveva progressivamente allontanatol’iniziativa religiosa da una diretta ingerenzanelle scelte politiche. Tale situazione mutadrasticamente con la caduta del muro diBerlino e con l’avvento della cosiddetta secon-da Repubblica: i partiti politici, ormai privi diuna forte caratterizzazione ideologica o anchesoltanto valoriale, accettano ben volentieri unalegittimazione riflessa attraverso la dimostra-zione di una contiguità con le gerarchie catto-liche, che assumono un ruolo predominante senon monopolistico nel campo delle sceltecosiddette “eticamente sensibili”.

Quest’enfatizzazione del ruolo della Chiesa hareso così visibile ciò che era rimasto per moltotempo invisibile: l’intolleranza nei confronti delcrocifisso è, in realtà, la manifestazione dell’esi-genza di una più generale ridefinizione dei rap-porti e dei ruoli tra le diverse realtà di una socie-tà complessa, in cui pure è necessario stabilire iprincipi per una pacifica convivenza tra perso-ne che si rifanno a convinzioni e a valori diver-si, nella maggior parte dei casi tutti ragionevolima pur tragicamente incompatibili tra loro. Èquesta la più grande scommessa che le societàmoderne si trovano a dover affrontare.

18 » DEMOCRAZIA

Appare più opportuno esortare alla virtù servendosi di ragionamenti per-suasivi piuttosto che di costrizioni legali. È verosimile, infatti, che si lasciandare a compiere ingiustizia di nascosto chi è fermato, in pubblico, solodalla legge, mentre non è verosimile che compia azioni che deroghino aipropri doveri né di nascosto né in pubblico chi sia persuaso a ben agire.Pertanto, chi agisce rettamente grazie al proprio giudizio e alla propriaconoscenza diviene simultaneamente virtuoso e schietto.

(Democrito, aforisma 181)

L’ETICA

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19NONCREDO

Credere è un verbo di vasta estensione, dif-fuso confusamente nel linguaggio comu-

ne senza restrizioni riferite a vincoli cognitivi.All’origine delle nostre culture troviamo quasisempre qualche divinità depositaria di unmessaggio oscuro e indecifrabile nel quale ènascosto il potere che dovrebbe garantire lanostra salvezza dai pericoli ai quali la vita ciespone. Oppure il messaggio è nascosto nel-l’ordine e nel disordine stesso delle cose delmondo, e del suo potere liberatorio dovrem-mo essere partecipi nel fondo misterioso dellanostra energia vitale.

Ma quando la rassicurazione depositata nellenostre credenze viene messa alla prova da sof-ferenze e sventure imprevedibili e ingiustifi-cate, cominciamo ad esercitare la capacità delconfronto e scopriamo l’iniquità della giustizianella quale siamo cresciuti. Allora impariamoa porre vincoli cognitivi alla nostra capacità dicredere e a mettere un po’ d’ordine nelle nostrecomparazioni, nella speranza di scoprire ilmotore nascosto che la sostiene e la alimenta.E presto ci troviamo di fronte a tre procedure:le testimonianze di coloro che ci hanno prece-duto e hanno costruito le tradizioni che con-servano la memoria delle origini; gli accerta-menti sui documenti delle tradizioni e deglieventi nei quali è depositato il messaggiodella nostra liberazione e della nostra salvez-za; le argomentazioni dei custodi della inviola-bilità delle origini. Ma queste tre procedure didifesa delle credenze sono intricate e piene diinsidie. Le argomentazioni persuasorie dipen-dono dalla scaltrezza degli emittenti e dall’in-genuità dei riceventi. Gli accertamenti storici

quasi sempre sono accessibili solo se confer-mano l’inviolabilità delle tradizioni e delleorigini. Le testimonianze – come nei proces-si in tribunale – sono credibili in base all’one-stà mentale del testimone e alla sua capacitàdi spogliarsi della rielaborazione dei propriricordi: una procedura che richiede una dedi-zione ferrea all’imparzialità.

» Potere e logica

Così, alla fine, scopriamo che soltanto le argo-mentazioni logiche sono immuni dalla tenden-ziosità, come possiamo verificare in due sem-plici esempi, accessibili al senso comune: lasomma di due numeri dispari dà semprecome risultato un numero pari; la sommadegli angoli interni di un triangolo dà semprecome risultato 180 gradi. Purtroppo dobbia-mo concludere che le argomentazioni logicheproducono certezze intellettuali, ma non rassi-curazioni contro i pericoli della nostra vita; seintanto abbiamo scoperto che le credenze nonappartengono all’universo della logica,potremmo rassegnarci a considerarle provvi-sorie e relative all’educazione che abbiamoricevuto, nei confronti della quale siamo statiper lungo tempo impotenti. E dunque ilsegreto delle credenze sta nel potere.Del potere facciamo esperienza ingenua espontanea fin dall’infanzia, quando esploriamoi nostri rapporti con coloro ai quali siamo affi-dati e con le cose che ci circondano. E prestoavvertiamo forze che ci resistono: dapprimanon sappiamo distinguere il potere di coloroche ci allevano da quello imposto dalla naturadelle cose, e solo col tempo siamo costretti ad

Che vuol dire, che cosa comporta “credere”? Quale ne è il prezzo?

CredenzeCarlo TalentiGIÀ DOCENTE DI LINGUAGGIO E LOGICA DELLE SCIENZE SOCIALI

PRESSO L’UNIVERSITÀ DI TORINO

» LINGUAGGIO

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20 » LINGUAGGIO

accettare che quest’ultimo è più forte non solodelle nostre preferenze e dei nostri desideri, maanche del potere degli adulti. Quando ciò nonaccade ci troviamo avviati sulla strada dell’in-felicità oppure su quella della prepotenza. Ciribelliamo vanamente e costruiamo un’imma-gine del mondo che sogna l’onnipotenza. Ma ipiù vivono mediocremente senza imparare acogliere le distinzioni che contano nel corsodell’esistenza.

» Rapporti asimmetrici e gerarchici

Nasciamo, cresciamo, operiamo e moriamoentro rapporti asimmetrici e gerarchici: figli difronte ai genitori, bambini e adolescenti difronte agli adulti, malati di fronte ai sani, vec-chi di fronte a donne e uomini in età lavorati-va, dilettanti di fronte a specialisti, venditoridelle nostre attitudini e delle nostre compe-tenze di fronte a signori dei mercati del lavo-ro induriti dalla concorrenza.Ma la presa di coscienza retrograda di questedipendenze arriva sempre in ritardo: quandoscopriamo i nostri desideri, le nostre prefe-renze sono già state orientate; quando sco-priamo i nostri gusti, la nostra sensibilità è giàstata educata. Quando scopriamo la nostracuriosità, la nostra immaginazione è già statasfrondata; quando scopriamo la nostra intelli-genza, l’orizzonte del nostro sapere è già statosegnato; quando scopriamo la nostra solitudi-ne, la nostra interiorità è già stata violata.Quando scopriamo la nostra socievolezza, lanostra solidarietà è diventata da tempo unavirtù domestica e di buon vicinato; quandoscopriamo la nostra socialità, il nostro impe-gno è da tempo castigato nel territorio delleazioni doverose e legali.

» Orizzonti di libertà

Così, se abbiamo successo e ne siamo felici,stiamo raggiungendo un adattamento perfettoa ciò che gli altri volevano. Se al contrario

siamo disadattati e insoddisfatti, perdiamosicurezza e siamo pronti per i ruoli della ras-segnazione, della viltà e dell’impotenza.Faticosamente e confusamente arriviamo adammettere che il potere subìto è incompara-bilmente maggiore di quello che riusciamo adesercitare. E allora gli orizzonti di libertà chele narrazioni religiose e quelle eroiche cihanno educato ad amare ci appaiono ango-sciosamente ristretti.Inevitabilmente, l’esercizio della nostra liber-tà inizia sempre con una verifica dei nostripoteri interpersonali e intrapersonali, ma siritrova sempre impegnato a gestire comporta-menti di ruolo. Ruoli dell’infanzia, dell’adole-scenza e dell’età adulta; ruoli parentali e ruolisociali, ruoli affettivi e ruoli cognitivi, ruolidell’apprendimento, del lavoro e del diverti-mento. Ruoli pubblici e privati, ruoli dell’ami-cizia, dell’amore e dell’intelligenza; ruoli dellavecchiaia e della morte annunciata. E quasimanca il tempo di chiederci che cosa dellanostra esistenza veramente ci appartiene, equando finalmente ci accorgiamo di essereattori sociali di drammi banali e dimenticati,scopriamo la differenza incolmabile tra la vitae il palcoscenico.Ma il disagio che ci procurano tutte questericognizioni può portarci ad una simulazionepiù realistica delle nostre interazioni sociali.Finalmente siamo costretti a riconoscere chela libertà è un potere minore, non di radominimo, per molti inesistente, che si annidanel corpo di un Potere maggiore: la Forza einsieme l’Autorità di far fare, far agire, far par-lare e finalmente far sentire e pensare; e dun-que anche di impedire tutte queste cose. Piùgrande del Potere esiste soltanto la Forzadella Natura, che non ha altra autorità all’in-fuori di quella che riceve dal riconoscimentodegli uomini. Senza di questo essa si presentacome pura violenza, predazione e competizio-ne sessuale, vita e morte indissolubilmentecongiunte, trasformazione impersonale esenza scopo della materia e dell’energia.

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» Potere, Arbitrio e Sacro

In fondo il Potere è il volto umano dellaViolenza Naturale: maschera quest’ultima e ladistribuisce con un’iniquità regolata, poneargini al caso e simula la necessità. Esercita unarbitrio e instaura un suo arbitrato. Privilegiaalcuni individui, ma controlla la società;legittima alcune violenze e ne esclude altre.Per questo il rito del Sacrificio (sacrum facere)fonda le culture scegliendo arbitrariamente levittime che dovrebbero garantire la sopravvi-venza in una Natura benigna.Allora non dobbiamo stupirci se l’origine delPotere coincide sempre con l’origine delSacro, che poi si perpetua nelle tradizionireligiose, e non dobbiamo stupirci se in origi-ne tutti gli arbitrati sono crudeli e legittimanopiù o meno esplicitamente la schiavitù, cioèlo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.Dobbiamo ricordarci che prima di essi c’èstata una plurimillenaria competizione del-l’uomo con le altre specie viventi. Alla padro-nanza della sua differenza specifica – cioèdella sua capacità di produrre strumentimediante precedenti strumenti indefinita-

mente – l’Homo Sapiens è giunto come uncompetitore vincente, pronto a trasferireall’interno della propria specie la competizio-ne tra le diverse culture, che egli aveva pro-dotto nel corso degli insediamenti distribuitinei luoghi più differenti del pianeta Terra.

» Contropotere e disincanto

E dunque i nostri successi culturali si riduco-no all’arbitrarietà di un Contro-Potere chemaschera anch’esso la violenza della Natura.Così, nonostante le seduzioni epiche dellenostre culture, il Potere ha sempre l’ultimaparola; anche nel suo esercizio oppositivo. Eil percorso che ci potrebbe liberare da creden-ze illusorie e crudeli per renderci disponibiliad arbitrati puramente umani - che almenoriducano l’iniquità della giustizia accumulatanei millenni sotto alla protezione del Sacro edelle istituzioni religiose che lo hanno instau-rato nella storia delle nostre culture - insom-ma il percorso del disincanto della ragione èuna lunga marcia dentro queste ultime perliberarci dal loro incantesimo e legittimarearbitrati meno autoritari e inflessibili.

Questa ignoranza è una funzione naturale del processo vitale, ma non è neces-sariamente ineliminabile; non più ineliminabile dell’innocenza di un bambino.Il problema è che noi non riconosciamo che ci stiamo muovendo in un mondodi semplici convenzioni, da cui sono determinati i nostri sentimenti, i nostripensieri e i nostri atti. Noi crediamo che le nostre idee sulle cose rappresenti-no la realtà ultima e così rimaniamo intrappolati nelle maglie di una rete.Queste idee sono radicate nella nostra coscienza e nei nostri atteggiamenti;sono mere creazioni della mente; sono categorie convenzionali, modi involon-tari di vedere, di giudicare e di comportarsi; tuttavia la nostra ignoranza leaccetta senza remore, senza dubbi, considerando esse e i loro contenuti comedati di fatto. Questa concezione errata della vera essenza della realtà è la causadi tutte le sofferenze che colpiscono le nostre esistenze.

(Buddha interpretato da Heinrich Zimmer, 1951)

IGNORANZA ED ILLUSIONE

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Raffaele Carcano STORICO DELLE RELIGIONISEGRETARIO NAZIONALE UAAR

Chi si trova, anche solo temporaneamen-te, a vivere in strutture obbliganti (carce-ri, caserme, ospedali, etc.) ha bisogno diuna forza maggiore per mantenere laserenità. Spesso non riesce a trovare leenergie in sé, e ha bisogno di un aiutoesterno; spesso (ma non sempre) l’aiutoesterno è fornito dalla religione che,comunque la si giudichi, è indubbiamen-te il mezzo più semplice e rapido in gradodi soddisfare i bisogni più immediati. Perquesto la pratica devota è stata quasisempre favorita dalle autorità politiche.

Esistono tuttavia sempre più uomini edonne che, nel condurre la vita di ognigiorno, fanno ameno di una gerarchia reli-giosa a cui rivolgersi e di testi sacri in cuitrovare conforto. È plausibile che si com-portino allo stesso modo nel momento incui il bisogno si fa più forte; ma le personenon sono tutte uguali, e in questi momen-ti si può desiderare ricevere assistenzamorale, per quanto non confessionale.

L’assistenza da riservare a pazienti privi diappartenenza religiosa è forse la più diffi-cile da praticare e, anche per questomotivo, anche la più difficile a essere pra-ticata. Le confessioni religiose dispongo-no infatti, seppur non tutte allo stessomodo, di personale specifico ‘addestrato’a consolare i propri fedeli: quella conso-latoria è una delle più importanti funzio-

Assistere moralmentechi non crede,senza credere

ni svolte dalla religione, e gli stessi fedelisono a loro volta abituati a riferirsi aiministri di culto per risolvere i propri pro-blemi esistenziali. L’incredulità nasceinvece proprio dal rifiuto di qualsivogliaorizzonte consolatorio: i pazienti senzaun’appartenenza religiosa non possonodunque accedere a tale assistenza senzafar violenza, in piccola o grande misura,alle proprie convinzioni.

Ciononostante, un’assistenza di questotipo è praticabile: anzi, è già praticata, dadecenni in Belgio e in Olanda; in questipaesi personale specializzato, formatodalle associazioni in cui si uniscono i noncredenti, presta infatti servizio all’internodegli ospedali e, più in generale, in ognistruttura obbligante.

Se, ovviamente, l’approccio è alquantodiverso da quello confessionale, comune èinvece l’obiettivo: quello di alleviare, o permeglio dire razionalizzare, la sofferenzadel paziente, in particolare quando lo statodella malattia è tale da costringerlo a pen-sare allamorte come a un evento imminen-te. L’assistenza nei confronti dei pazientiatei e agnostici è rivolta a persone abituatead affrontare la vita autonomamente: pro-prio per questo motivo, essa deve essereposta in essere solo quando si manifestaun’esplicita domanda di aiuto. Per lo stessomotivo, il tipo di approccio nei confrontidel paziente potrà solo in minima parte farriferimento a esperienze precedenti, siadel paziente che dell’assistente.

22 » VOLONTARIATO

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Un approccio umanistico all’assistenza aimalati sarà dunque basato sul rispettodella dignità di una persona che haimprontato la propria vita all’insegna del-l’autodeterminazione, e consisterà nelprestare un servizio che consenta alpaziente di maturare una chiara consape-volezza della propria situazione, ponen-dolo in condizione di prendere le propriedecisioni ponderatamente. Un assistentelaico non ha soluzioni da proporre o,peggio ancora, da imporre: ascolta ilmalato, acquisendo il maggior numero diinformazioni utili all’espletamento delproprio compito, e lo conduce pianpiano a una migliore conoscenza di sestesso, a una riflessione autonoma nellaquale deve intervenire solamente comefacilitatore. Egli è, per quanto possibile,sempre al fianco del malato, senza maifarsi latore del proprio punto di vista, ine-luttabilmente parziale. Il rispetto dell’au-todeterminazione del paziente costitui-sce pertanto sia la premessa, sia l’esitodella relazione instaurata dall’assistente:ad egli è richiesta la capacità di attivareuna forte personalizzazione del rappor-to, ma la personalizzazione deve tuttaviaessere ‘sbilanciata’ a favore del malato.

Assistere un paziente non credente signi-fica infatti valorizzare la dimensione eticache ha saputo costruirsi durante tutta unavita, in special modo se le aspettative dipoterla continuare sono ridotte al lumici-no. Come ha più volte attestato UmbertoVeronesi, chi non ha una fede è in gradodi affrontare meglio l’avvicinarsi dellamorte: questa forza non deve però esse-re data per scontata o automaticamenteestensibile a tutti i non credenti, o ancorpeggio costituire un motivo per sottova-lutare l’impegno richiesto. Non tutti gliatei e gli agnostici sono uguali, anzi:

rispetto ai fedeli appartenenti alle comu-nità religiose la differenziazione interna èenormemente più alta. Accompagnareun essere umano negli ultimi istanti dellasua vita può dunque voler dire cercare difar leva proprio su quell’autodetermina-zione che lo ha caratterizzato per tutta lasua esistenza.

L’assistenza può e deve altresì consisterenella rassicurazione che anche i passaggiche faranno seguito al decesso sarannoallineati ai desideri del defunto: troppospesso, purtroppo, l’approssimazione eun malinteso senso di attaccamento alla‘tradizione’ fanno sì che sia la commemo-razione del defunto, sia le caratteristichedel luogo di sepoltura del suo corpo nonsiano minimamente rispettosi delle sueconvinzioni.

L’assistenza ai non credenti non è ancoraufficialmente riconosciuta in Italia: leistituzioni sembrano implicitamente rite-nere che i non credenti, abituati per tuttauna vita a cavarsela da soli, non abbianobisogno di aiuto nemmeno durante lamalattia. L’UAAR ha tuttavia già organiz-zato, e continua a farlo, corsi per formareassistenti in grado di operare negli ospe-dali, e dall’ottobre 2009 un’assistente, laprima in Italia, c’è: Emilia Fabris, che pre-sta la sua opera volontaria presso LeMolinette di Torino, in seguito a una con-venzione stipulata tra il nosocomio e l’as-sociazione. Intervistata dal Corriere dellaSera, ha ricordato che «nessuno ha intasca le risposte alle grandi domandedella vita»; l’ascolto, nell’adempimentodel suo compito, è un approccio impre-scindibile. Ci si augura che anche le auto-rità ascoltino le ragioni dei non credenti,e che questo esperimento si riveli solo ilprimo di una lunga serie.

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24 » ANTROPOLOGIA

» La psicologia dell’illusione infantile

Utile per gettare le basi di questa speculazioneè il lavoro di Sigmund Freud contenuto negliscritti sull’“Illusione”, composti tra il 1926 e il1929. Freud notò, innanzi tutto, che come ilbambino in difficoltà chiede aiuto al propriopadre, visto dall’infante come un’entità potentee risolutrice, allo stesso modo l’uomo adulto,ridimensionata la figura paterna, si rivolge perla soluzione dei più profondi problemi a un“padre superiore”, a un “superuomo”. Questosi riscontra nella storia delle religioni, dove alpari dell’uomo preistorico, anche l’uomo con-temporaneo invoca un deus ex machina chedall’alto intervenga a “risolvere la situazione”.

» La magia e lo spiritismo

Immaginando quali problemi un uomo primi-tivo dovesse affrontare, non stupisce che laprima forma di religiosità si fosse concretizza-ta nella pratica della magia. Manipolandooggetti facilmente reperibili, gli uomini ritene-vano di essere in grado di influenzare e modi-ficare per il proprio tornaconto le forze dellanatura. Nota a tutti è la “danza della pioggia”dei popoli nordamericani: una data sequenzadi passi, con una data cantilena, era in gradodi far piovere, garantendo così la sopravviven-

za della tribù nell’immediato futuro. Al mondodella magia era legato a doppio filo quellodegli spiriti, che secondo le più antiche tradi-zioni vivevano negli oggetti che la magia anda-va a manipolare. Eliade, nel suo Trattato diStoria delle Religioni, cita un caso interessanteconnesso a questo legame: «In India c’è la cre-denza che certe pietre siano nate e si riprodu-cano da sé (svayambhu = “autogenesi”); perquesto sono ricercate e venerate dalle donnesterili, che recano loro offerte». Ovviamente«il culto non è rivolto al sasso, in quantosostanza materiale, bensì allo spirito che loanima, al simbolo che lo consacra».

» L’antropizzazione della Natura

La magia però, se poteva dare l’illusione di agirepositivamente nel quotidiano, non dava rispo-ste alle grandi problematiche che gli uomini,evolvendosi, dovettero affrontare. Freud dice:«Ma nessuno cede all’illusione che la natura siaormai soggiogata (...). Ecco la terra, che trema,si squarcia e seppellisce tutto ciò che esiste diumano e ogni cosa prodotta dall’uomo; l’acqua,che sollevandosi inonda e sommerge tutto (...).Ma se negli elementi infuriano passioni comenella nostra anima (...), possiamo almeno reagi-re; anzi, forse non siamo nemmeno indifesi,possiamo impiegare contro questi violenti

Nell’anno in cui ricorre l’anniversario di Darwin, è bene ricordare come nel secolo scor-so il dibattito sull’origine delle religioni si sia arricchito di spunti evoluzionistici. Ci sidomandò se fosse possibile leggere questo fenomeno come risultato dell’evoluzioneumana, non tanto dal punto di vista biologico, quanto da quello psicologico. La religio-ne è nata e si è evoluta come diretta risposta a delle necessità?

La religione: una rispostaa necessità quotidiane

Alessandra PedrazziniARCHEOLOGA

Indagando nella storia e nella psiche dell’uomo

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superuomini esterni gli stessi mezzi di cui ciserviamo nella nostra società, possiamo tentaredi scongiurarli, di placarli, di corromperli e,intervenendo su di essi, possiamo privarli diparte del loro potere».Da qui, è semplice riscontrare nelle divinitàdel I millennio a.C. il tentativo di “umanizza-zione” degli elementi naturali.I Maya, la cui alimentazione dipendeva com-pletamente dal mais, forgiarono Centeotl, ildio Mais: sacrificavano a lui doni, speravanodi suscitare la sua benevolenza, che avrebbegarantito un raccolto abbastanza abbondanteda sfamare la popolazione. In Grecia abbiamoPoseidone, il Mare, a cui i marinai sacrificava-no per poter navigare felici: la “dimostrazio-ne” di tale dinamica (sacrificio-salvezza) èUlisse che, all’inizio dell’Odissea, non sacrifi-cò al potente dio e vagò dieci anni nelMediterraneo come punizione. L’Egitto, chedoveva la propria sopravvivenza solo edesclusivamente alle piene del Nilo, lo collegòal dio Hapi, per indurlo ad essere benevolo efecondo; di contro, fu divinizzato anche ilmaggior pericolo connesso al fiume, il cocco-drillo, adorato col nome di Soberk al fine discongiurarne gli attacchi.

» L’introspezione e l’antropizzazionedei sentimenti

Più l’umanità progrediva, più compiva passiin avanti anche la scienza, rendendo ingenui iculti naturalistici. Il bisogno di risposte sirivolse altrove. Crebbe l’interesse dell’uomoverso l’introspezione, nel tentativo di trovarel’origine (e quindi il modo di manipolarli) deisentimenti, delle proprie paure, dei propridesideri. In Grecia si venerò Venere, nontanto legata alla fecondità, quanto alle pulsio-ni, alla sensualità, al desiderio erotico: invo-candola nel modo giusto era possibile farinnamorare di sé una persona, respingerneun’altra. I popoli celtici stanziati in Lettoniaadoravano Perkunas, la dea della guerra, degli

atti eroici e del coraggio, in quanto il ricono-scimento sociale di un uomo dipendevaesclusivamente dal suo valore militare.

» Il timore della fine ultima

Tutti questi culti erano finalizzati non soloall’ottenere il favore degli déi, ma anche prote-zione: dal male, dagli sgarbi, dalla morte stessa.La paura della “perdita ultima” di tutto quellofaticosamente guadagnato, il timore di vederedistrutto il lavoro dell’intera società, portò allacreazione di religiosità sempre più complesse.In Colombia si sviluppò, per esempio, la socie-tà dei Tupi-Guaranì, il “popolo delle piante”:essi credevano che gli uomini fossero nati dallepiante e che fossero fatti di legno; l’apocalisseultima della loro società sarebbe stata quindiportata da un incendio universale. Il loro dioprincipale, Nanderuvucu, “il nostro grandepadre”, insegnò loro come costruire la casasacra e come renderla “leggera” attraverso unadanza rituale, in modo che si sollevasse da terrae potesse galleggiare sui mari, portando così ilpopolo “eletto” in salvo. Nel Mediterraneo, aseguito degli sconvolgimenti politico-socialiindotti da Alessandro Magno e successivamen-te dalla sua caduta, si iniziarono a sviluppare iculti misterici, a mezzo dei quali l’adepto entra-va in contatto diretto col dio che, ben disposto

Centeotl

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26 » SEMANTICA

dopo il rito, facilmente concedeva favori. Lacorrente più introspettiva che si sviluppò fuquella dei culti misteriosofici, nei quali i fedelierano tenuti a ripercorrere le drammatichevicende di un dio al fine di suscitarne la pietàper la compartecipazione al dolore e alla suaesperienza. Tale divinità si sarebbe quindi fattagarante per loro nella vita dopo la morte: in unAde concepito come eterna oscurità, il dioavrebbe concesso la luce. Il buddismo, che inquesti secoli mette per la prima volta per iscrit-to le proprie dottrine nei Prajnaparamita,risponde al male ultimo postulando la libera-zione da ogni desiderio come soluzione al pro-blema. La salvezza, la libertà dai dolori di que-sto mondo, si otterrà solo con il completoannullamento del sé e con l’assimilazione delproprio io al Nirvana.

» La vita dopo la morte

A cavallo dell’anno zero, il pensiero teologicomondiale si era ormai statizzato attorno allamorte. Che senso aveva pregare gli déi, seormai erano percepiti come inutili, incapaci dirisolvere il problema ultimo di tutta l’esisten-za? La richiesta, in ultima istanza, che ormai siavanzava alle divinità era quella di rifarsi dellavita ingiusta di questo mondo in un altro, per-fetto ed eternamente felice: i cristiani dilataro-no l’idea misteriosofica della luce del mondodell’aldilà proponendo un intero universo incui il giusto fedele ottenesse la paga per ladevozione dimostrata al dio. I Celti immagina-rono questa ricompensa come un eternocampo di battaglia in cui essere sempre vitto-riosi, dove la sera sarebbero stati allietati dacanti, balli, donne e alcol. In Melanesia(Oceania) era compito dell’uomo diventare ilpiù simile possibile alla divinità, in modo taleche una volta morti tale dio li riconoscessecome propri pari e li accogliesse presso di sé.Tale assimilazione avviene con l’accumulo daparte del fedele del mana, forza presente negliesseri viventi e di cui è composto il dio stesso.

Per ottenerlo, dovere del buon fedele è vincerein battaglia e cibarsi del nemico sconfitto, assi-milando in sé stesso la forza vitale dell’uomoappena ucciso: maggiore era il valore del nemi-co, maggiore sarà il mana ottenuto, maggiore lavicinanza al dio dopo la morte.

» Molte vie, nessuna via, qualche via?

All’interno della tematica della morte, è interes-sante notare come un fenomeno prettamentemediterraneo, il Cristianesimo, abbia affrontatol’argomento. Se a ridosso dell’esistenza di GesùCristo le comunità tentavano per lo meno diattenersi al suo messaggio, secondo cui il fede-le era ricompensato con la vita nell’aldilà graziealla mera conversione alla “vera” religione,abiurando le altre, nel Medioevo si svilupparo-no infinite vie per compiacere il dio, e quindiinfiniti modi per poter guadagnare la salvezza.Dal 1095 compito di ogni pio fedele era sì quel-lo di essere povero e di fare pellegrinaggi, ma ilconcetto fu modificato in “povero di pietà versogli infedeli e pellegrinaggi di conquista in TerraSanta contro l’Islam”. Dio avrebbe premiato chiavesse compartecipato maggiormente all’eradi-cazione del “male”. Nel 1116 il monaco Enricocausò quasi una secessione nella città di LeMans, in Francia, quando affermava che il verofedele non riconosceva altro potere che quellospirituale, e che quindi nessun potere tempora-le (lo stato, il re, il municipio) erano asseconda-bili. La chiesa cattolica iniziò letteralmente avendere la salvezza, con le famose indulgenze:ci si guadagnava il paradiso con le opere buonefatte in vita, ma l’acquisto delle indulgenzecreava una sorta di “scorciatoia”. Lutero, perporre un freno, nel 1517 riformulò la via dellasalvezza, affermando che era solo la fede a sal-vare: fede concretizzata nel pregare dio colnome giusto, nel modo giusto, nei tempi giustie via dicendo. Calvino, trent’anni dopo, si con-vinse che non esisteva alcun modo di salvarsi:essendo dio onnipotente e onnisciente, ancoraprima della nascita di un essere umano sapeva

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benissimo se sarebbe stato buono o cattivo, eavrebbe quindi deciso “a priori” se salvarlo omeno. Un infante di poche ore era già predesti-nato alla dannazione o alla salvezza, e niente diciò che avrebbe potuto fare in vita avrebbe cam-biato la sentenza.Al pari della confusione cristiana, possiamocitare un altro monoteismo, quello ebraico,che ancora oggi tenta di estrapolare dalleSacre Scritture una via certa per la salvezza.Di ipotesi ne esistono quattro, tutte sostenuteda eminenti rabbini e da citazioni dallaBibbia, e tutte sono legate all’idea che la sal-vezza si concretizzerà nella resurrezione dopola morte. Secondo alcuni, coinvolgerà l’interaumanità senza distinzioni, per altri solo ilpopolo ebraico, per altri ancora chiunqueviva in Terra Santa senza discriminanti, per gliultimi solo gli ebrei seppelliti nel sacro suolodi Gerusalemme. Non si pone dubbi, invece,il terzo dei grandi monoteismi, l’Islam, percui l’aldilà è concesso come ricompensa daldio solo al buon fedele, identificabile comecolui che segue ligio i cinque pilastri sacri:professare la vera fede, pregare cinque volte algiorno, fare l’elemosina, compiere almenouna volta nella vita il pellegrinaggio allaMecca e digiunare durante il Ramadam.

» Diverse risposteallo stesso problema

Non è difficile identificare la paura dellamorte come l’ultimo gradino di questo pro-cesso evolutivo che accompagna le religioni.Interessante è vedere cosa, però, ha prodottoultimamente la società moderna.Le grandi religioni sono state affiancate danuove “spiritualità” che tentano di dare unarisposta alternativa e diversa alla problemati-ca, constatando, forse, che miliardi di personeda milioni di anni pregano gli déi, e che lamaggior parte di questa massa resta inascolta-ta. Tali “teologie” moderne indicano con cer-tezza il modo di salvarsi, la via corretta, unica

e univoca che portaal superamento delmale di questomondo, distaccando-si così nettamentedalle teologie ufficia-li che, con qualcheeccezione, non rie-scono a tracciare unquadro chiaro suquesto argomentoSe le divinità non ascoltano, la Heaven’sGate, setta ufologica fondata nel 1975, pro-poneva di rivolgersi agli alieni: la salvezzadel mondo si concretizzerebbe raggiungen-doli nel loro mondo perfetto. Questo siotterrebbe non tanto con anni di preghiere,ma con un’azione diretta, umana, che ognu-no può attivamente fare: uccidersi, in modoche lo spirito, liberato dal peso del corpo,possa raggiungere la navicella aliena venutaad aiutarci. Ebbene, questo fu quello cherealmente accadde nel 1997 quando, al pas-saggio della cometa Hale-Bopp, identificatacome l’astronave madre, tutti i membridella setta si suicidarono.Altro caso è quello di Scientology che, sorvolan-do sull’aspetto ufologico (un alieno cattivointrappolò gli spiriti degli alieni buoni neinostri corpi milioni di anni fa), si prefigge ilcompito di “risvegliare” il vero potenzialeumano, schiacciato e sopito a causa dei traumie del male che ci affligge. Una volta ottenutotale risveglio, ogni singolo uomo avrebbe la

capacità di auto-sal-varsi, diventando apropria volta un dio,capace di cambiare larealtà secondo i pro-pri gusti fino a creare,se volesse, un mondoestraneo a questo dicui diventare l’unicodio, venerato e adora-to dai fedeli-umani.

Anno II - n.3 • gennaio / febbraio 2010

Il simbolo dei Raeliani, setta

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28 » DIRITTO

» Diritti naturali e leggi positivetra religione e politica

Non mancano le proposte di conciliazione e icompromessi teorici o pratici: la stessa idea dei“diritti naturali” può infatti fungere da possibilemediatrice tra autorità e ragione, o tra religionee politica, perché può significare tanto i dirittiattribuiti dalla divinità agli umani quanto i pre-sunti diritti connaturati negli umani e dagli stes-si giudicati, secondo Grozio, razionalmente evi-denti etsi Deus non esset, anche se Dio non esi-stesse. Il giusnaturalismo seicentesco e settecen-tesco, a dire il vero, può vantare una più univer-salmente umana ispirazione etica nei confrontidelle precedenti teorie sul principato moderno edel successivo positivismo giuridico, fatta ecce-zione per Kelsen e per i princìpi di diritto inter-nazionale voluti da Wilson nel 1918 e poipotenziati, nel 1948, con la Carta delle NazioniUnite. Grozio e i suoi seguaci volevano infattiinterrogarsi non più soltanto sui diritti del citta-dino in ciascuna nazione, ma anche sui dirittidei “nemici”, in pace e in guerra. Il cosmopoli-tismo della religione medievale giocava dunquea favore delle nuove idee sui diritti naturali nella

loro sfida alla moderna secolarizzazione. Maquest’ultima fa passi da gigante, e la Chiesa cat-tolica si convince a cedere qualcosa sulle sueverità per poter conservare intatta la sua autori-tà. Oggi, infatti, essa è meno ferma sul suo credoed è più intransigente sulla sua normativa cano-nica dei diritti (diritto alla vita umana, da tute-lare e protrarre senza eccezioni, diritto alla pro-creazione “naturale” ecc.). La sua è una norma-tiva autoritaria che, dopo la fine del potere tem-porale, vuole restituire alla Chiesa una potestàpolitica di fatto o almeno l’ausilio di un “bracciosecolare” moderno in alcune leggi dello Stato,specie là dove è maggiore la presenza dell’edu-cazione cattolico-romana nella società civile. «Ela Chiesa, da comunità di coloro che attendonoil ritorno del Signore, si viene sempre più tra-sformando in istituzione di garanzia e salva-guardia dei diritti»: così scrive Salvatore Natoliin Il crollo del mondo. Apocalisse ed escatologia,commentando i pensieri di Sergio Quinzio.Dopo la Rivoluzione francese, nel pensiero noninfluenzato dalla dottrina cattolica, ha il soprav-vento il giuspositivismo, che presuppone una ade-renza alle situazioni di fatto nel legislatore o nellesuemotivazioni e che respinge il concetto dei dirit-

L’età moderna tende a rifiutare ogni principio di autorità fatto derivare, in passato, dalla tradizio-ne e dal privilegio di coloro che pretendevano di interpretarla assoggettandole il sentire e l’agiredegli altri esseri umani. L’età moderna vorrebbe far valere, invece, il principio di una libera deci-sione razionale accessibile a ciascun individuo in quanto capace di regolarsi secondo la propriafacoltà intellettiva. La definizione kantiana dell’Illuminismo, infatti, può essere accolta come defi-nizione del moderno in generale, o almeno di un suo ideale regolativo. Ma la nascita e gli sviluppidella modernità sono attraversati da tendenze contrastanti e, in specie, da tentativi di ristabiliresotto nuove fattezze il principio tradizionale di autorità. Sul terreno politico, lo scontro è tra lanuova aspirazione, machiavelliana di origine, a una sovranità nazionale autonoma e la vecchia dot-trina di una superiore investitura teocratica dei regni; o tra un incipiente “positivismo giuridico”,che nega ogni emanazione pre-politica delle leggi, e i sostenitori di un diritto divino interpretatodall’autorità religiosa o di diritti naturali innati e depositati nella ragione umana in generale.

L’etica tra giusnaturalismoe positivismo giuridico

Giuseppe PrestipinoGIÀ PROFESSORE ORDINARIO DI FILOSOFIA TEORETICA PRESSO L’UNIVERSITÀ DI SIENA

In nome di un dio o in nome del popolo?

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ti naturali obiettando, polemicamente, che innatura vige soltanto il diritto del più forte. Il giu-spositivismo si diffonde soprattutto in Germaniaed ha in Hans Kelsen il suo massimo esponente.Ma Kelsen, dicevamo, vuole che le singole leggidebbano avere un fondamento in alcune normecostituzionali vincolanti, a difesa anche dai possi-bili arbitri del legislatore, del potere esecutivo o diquello giudiziario. I giusnaturalisti si attribuivanoil compito, spiega Bobbio in un suo saggio del1980, di scoprire le norme fondamentali non codi-ficate. Secondo Kelsen, invece, la Grundnormdev’essere codificata al pari delle altre leggi positi-ve che vi si conformano. Ho già accennato ai ten-tativi di costituzionalizzare, nei consessi interna-zionali, anche alcuni fondamentali “diritti umani”che, nella nuova versione di diritti positivi,dovrebbero vincolare tutte le nazioni; ma esperien-ze recenti ci mostrano a quali ipocrisie tragiche siaapprodato il nobile progetto kelseniano.

» Una critica storica alle 2 (o 3) teoriePer mettere a fuoco i paradossi del giusnaturali-smo, Giambattista Vico lo confrontava con ilcontrattualismo, da un lato, e con il diritto posi-tivo dall’altro. Egli, come fa notare AnielloMontano, giungeva persino ad accomunare, nel-l’accusa, Machiavelli (teorico e sostenitore del-l’arbitrio “positivo” del principe-legislatorecapace di fondare o salvare una nazione),Hobbes (con la sua teoria dei primitivi in balìadi passioni omicide che, ad un tratto e per uncalcolo razionale, decidono di sottomettersi aun sovrano assoluto e insindacabile, purchégarante della pace civile), Spinoza (teorico dellepassioni come veicolo a un potere repubblicanosottoposto tuttavia a controllo popolare) e i giu-snaturalisti Grozio e Pufendorf. L’errore che liaccomuna sarebbe, secondo Vico, la mancanzadi senso storico, imputabile soprattutto al con-trattualismo, che presume una umanità tuttaferina convertitasi immediatamente in individuicapaci di calcolo razionale per uno scopo di uti-lità comune; e al giusnaturalismo che pone nellanatura, prima che negli uomini, i diritti univer-sali. Nell’opera di Pufendorf, infatti, vorrebberivelarcisi lo ius naturae et gentium. I diritti,obietta Vico, non sono nella natura, ma sono

opera umana. Le facoltà normative su diritti edoveri, come la fantasia, l’intelletto e la ragioneetica, sono in germe (per semina) già presentinell’umanità fanciulla, ancora in balìa dei sensie abitatrice delle selve. Che quei semina sianostati sin dalle origini infusi nell’animo umanodal creatore è una credenza che Vico deriva daisuoi autori greci e cristiani (Platone eAgostino): una credenza che la nostra lettura diVico può forse ignorare. Non possiamo ignora-re, invece, il suo anelito verso l’universalmenteumano, anch’esso opera della nostra volontàstorica, e il suo ideale che non si appaga di defi-nire i diritti spettanti anche ai nemici, come nelgiusnaturalismo, ma preconizza l’unità dellenazioni e la loro solidale ricerca del bene comu-ne. La comunità etica di tutti gli umani è infat-ti, per lui, agli antipodi di quella “repubblica dimercadanti” che è il modello, in specie, dei con-trattualisti nel loro vano tentativo di nobilitare,come atto di nascita di ogni società, lo scambiodi merci o le regole cui si sottopongono, nel pat-teggiare quello scambio, i “contraenti”.Un continuatore di Vico può considerarsi ilFilangieri, secondo il quale tutte le leggi (sianoconformi a ragione o dettate dal sovrano) dovreb-bero pur sempre accordarsi con l’indole e con il“genio” peculiari del proprio popolo. Ma ilFilangieri, con una tale convinzione, non cadeaffatto in una forma di relativismo estremo (si notiche egli è stato accusato di ateismo): il suo pensie-ro illuministico è piuttosto in sintonia con quellodi Montesquieu. Egli è forse attento ai processistorici che condurranno a una società planetariamulticulturale? Con lui, noi non neghiamo affat-to la necessità di ricercare, con argomenti di ragio-ne atti a convincere tutti gli umani, alcuni princì-pi comuni di convivenza universale eticamenteconnotati. Vogliamo, tuttavia, che ciascun popoloconosca e rispetti la storia e i costumi degli altripopoli, anche al fine di poter conoscere meglio edegnamente onorare la propria civiltà. Le tumul-tuose trasmigrazioni odierne suscitano situazionidi disagio anche per chi è immune da ogni xeno-fobia, ma i benefici di una convivenza multietnicapotranno essere, domani, di gran lunga maggiori,se la nostra patria (o la nostra Europa) non saràsoltanto una “repubblica di mercadanti”.

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30 » PROTESTANTESIMO

Ognireligione si confronta con ilmondo.Così ancheil cristianesimo, storicamente frammentato, si è

modulato secondo schemi di apertura, parziale disponi-bilità, vera e propria chiusura. Come ci appaiono, intanta varietà, gli Amish: un gruppo religioso che, appa-rentemente fuori dal tempo, retrogrado per il nostrogusto contemporaneo, perpetua le proprie salde convin-

zioni bibliche nel più assoluto e distaccato pacifismo?

» Chi sono gli Amish?

Discendenti del movimento anabattista perseguita-to nel ‘500 tanto dai cattolici quanto dai protestan-ti, gli amish, a più ondate, abbandonaronol’Europa per stabilirsi negli Stati Uniti. Qui, dallafine del ‘600, alcuni coloni erano giunti con ilsogno di realizzare uno Stato in cui ogni grupporeligioso potesse vivere in un clima di pace e tolle-ranza, lontano dalle persecuzioni del vecchio con-tinente. Dopo la guerra di secessione i confratellid’oltreoceano furono raggiunti da quelli rimasti inEuropa, finendo col costituire una chiesa esclusi-vamente americana. Gli amish vivono oggi preva-lentemente in Ohio, Pennsylvania, Indiana,Wisconsin dove, da sempre agricoltori, sono ormaispesso costretti a differenziare le loro attività.Considerando il disinteresse amish verso ogni tipodi proselitismo, risalta il ritmo di crescita demo-grafico di una minoranza che raddoppierebbe adun ritmo poco più che ventennale (attualmenteintorno ai 220.000 membri).

» Antindividualismo e rifiuto tecnologico“Particolari” dall’uso trilinguistico al rifiuto di ogniabbigliamento moderno, dai matrimoni endocomu-nitari alla preferenze per le cure mediche tradiziona-li (fin quando è possibile!), il distacco dal mondodegli amish risulta incomprensibile senza considera-re il fondo antiindividualistico su cui si basa. Il senso

Noti per il film Witness, gli Amish costituiscono una affascinante chiesa protestantecapace di ispirare i giudizi più disparati: dalla ritrosia verso un mondo immobile allanostalgia per valori comunitari oggi dimenticati.

Amish: un difficilerapporto con la modernità

Max GiulianiFILOSOFIA DELLE RELIGIONI

della comunità è evidente nei giochi non competiti-vi dei giovani, nel tipico prendersi cura comunitariodi anziani ed handicappati, fino alla scelta casuale(un amish direbbe forse “provvidenziale”) delle pro-prie guide religiose. Anche il rifiuto della tecnologia,spesso banalizzato dalla televisione, sarebbe incom-prensibile senza questo leitmotiv. Tale rifiuto, conse-guente ad una continua riflessione locale (e quindivariante da distretto a distretto), risponde al criteriodi salvaguardare la comunità mantenendola separataed indipendente dal mondo esterno. Ciò ha peròspesso condotto a comportamenti contraddittori: unamish non può prendere la patente ma può, senecessario, accettare un passaggio; non può usufrui-re della corrente elettrica pubblica ma può usare bat-terie; non può avvalersi del trattore nei campi mapuò usarne uno per erigere un granaio.

» La separazione tra Chiesa e StatoQual è l’idea amish nei confronti del potere mon-dano? Semplice: ribadire la radicale separazioneStato\Chiesa. Convinti che la sovranità abbia origi-ne divina, ma che dio sia prima degli uomini, gliamish hanno costituito un proprio ComitatoNazionale Direttivo per dialogare con il governofederale. Non rifiutando di dare a Cesare il dovutoessi, ad esclusione di quelle previdenziali (accordodel 1965) pagano tutte le tasse, persino quelle sco-lastiche anche se poi, da creazionisti ed antiscien-tisti convinti, mandano i propri figli in scuole pro-prie e non oltre la nostra terza media (legittima-mente, dato che nel 1972 la Corte Suprema degliUSA ha sancito la possibilità di terminare gli studia 14 anni). Coerentemente al loro pacifismo rifiu-tano l’arruolamento nelle forze armate, ma quandobisogna decidere chi deve governare lo Stato? GliAmish non si candidano ed in genere non votanoanche se in certi distretti, più liberali, è loro con-sentito... certo: è sconsigliato!!!

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31» FILOSOFIA

Propongo un sintetico excursus su storia,genesi e sviluppo dei due concetti, prima

di occuparcene in riferimento alla noncre-denza e al laicismo. Essi sono nati in ambitofilosofico, ma trovando in seguito utilizzi insociologia, in politica e in altre discipline,con il primo che concerne la relativizzazionedi conoscenza, etica e cultura, il secondo chenullifica un “valore” (concettuale, etico, reli-gioso) riconosciuto e condiviso. Va perònotato che nella storia del pensiero sonopochi coloro che hanno accettato l’aggettivodi relativisti o nichilisti, né per i loro atteg-giamenti né per le loro idee, essendo i dueconcetti perlopiù usati per colpire un avver-sario, un po’ come nell’antichità si definivacon disprezzo ateo il credente appartenente aun’altra religione.Con i due termini viene messo in discussio-ne specialmente il concetto di verità, indu-cendo riflessioni e polemiche circa concetticome il conoscere e il credere, il bene e ilmale. Da ciò l’estensione extrafilosofica asociologia e politica, pur restando la religio-ne la più coinvolta e colpita dalla relativizza-zione o dalla negazione dei suoi dogmi.D’altra parte, corrente opinione teologica èche il relativismo sia il piano inclinato cheporta irrimediabilmente al nichilismo ateomaterialista, con l’assunto che discutere leverità di fede conduce a negarle.Ma passiamo ora alla storia.

» Antichità e Medioevo

Il relativismo era tipico del sofismo diProtagora, ma Platone lo aveva osteggiatoaspramente e il cristianesimo, con le sue dog-matizzazioni conciliari, aveva poi soffocatoogni istanza relativistica o scettica che mettes-se in discussione l’assoluto di fede. Nel IVsecolo sant’Agostino teorizzava l’anti-relativi-smo in nome di un idealismo cristiano-plato-nico, ma già san Paolo, il vero creatore del cri-stianesimo, poneva dicotomie (intrinseca-mente relativizzabili o negabili) comeverità/falsità, virtù/peccato, spirituale/mate-riale, tipiche già di Platone. Per almeno diecisecoli il relativismo si eclissa, poi riapparetimidamente nel Trecento con i teologi discuola britannica, e più nettamente nelQuattro-Cinquecento col Rinascimento.

» Il Seicento

Con Shakespeare vengono alla luce nichilistiautentici, attivi, veri “genî del male”(Riccardo III, Cassio, Jago, Lady Macbeth),ma per almeno due secoli questi restano figu-re drammaturgiche prive di interesse filosofi-co. La cultura è infatti ancora dominata dallegrandi teologie filosofali di Cartesio, diSpinoza e di Leibniz, incentrate sulla defini-zione del pensiero-spirito in rapporto allamateria e assolutizzatrici di dio in senso dua-lista, panteista o provvidenzialista.

I due termini sono nati in ambito filosofico e il primo concerne l’atteggiamento di chi con-sidera relative la conoscenza, l’etica o la cultura, mentre il secondo indica quello di chi con-sidera nullo un “valore” (concettuale, etico, religioso) tradizionalmente riconosciuto. Ora,siccome ciò che viene relativizzato o nullificato è considerato un “assoluto”, rispetto ad essocol primo c’é relativizzazione, col secondo negazione.

Il relativismo e il nichilismoCarlo TamagnoneFILOSOFO

{ }STILLE DI NONCREDENZA

Analisi di due grandi e diffuse posizioni culturali del nostro tempo

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32 » PERSECUZIONI

» L’Illuminismo

Il Settecento vede le critiche filosofiche dipensatori protestanti come Pierre Bayle e diatei come La Mettrie, Helvétius e d’Holbach,anche se in quest’ultimo l’intento “sistemico”tradisce qualche residuo metafisico. SoloDiderot è da considerarsi il vero grande inno-vatore anti-metafisico in senso critico-relativi-sta: in lui tutto è problema e nessun assolutoha più legittimità teorica o etica. In ciò sta l’es-senza dell’Illuminismo: la critica “sistematica”contro ogni dogmatizzazione “sistemica”. Mac’è per contro David Hume che dà inizio a unfortunato corso di pensiero in cui le basi dellascienza sono ritenute dubbie, ma quelle dellafede assolutamente certe. Egli nega il concettodi causa fisica per fissare come indiscutibile laCausa Divina, ribadendo nei Dialoghi sullareligione naturale: «Il potere della divinità èinfinito e tutto ciò che essa vuole viene fatto».Un relativismo del conoscere e un assolutismodel credere molto equivoci che, purtroppo,affascinano ancora oggi.Kant in qualche misura si riconnette a Hume,ma dà del relativismo della conoscenza unavisione assai più complessa, in vista del pri-mato di una morale assoluta: l’imperativocategorico. La relativizzazione della cono-scenza, ristretta ai fenomeni, e l’ignoranza deinoumeni (le cose in sé note solo a dio) siaccompagnano all’assolutizzazione dellamorale e di una fede innata, però razionale esvincolata dall’ortodossia cristiana.

» L’Ottocento

Il dibattito sul relativismo si incentranell’Ottocento sulle dicotomie laicismo/reli-gione o conoscere/credere, e molti pensatoricattolici (come Franz von Baader) vedono ilprotestantesimo favorire il nichilismo inquanto troppo accondiscendente con la scien-za e la tecnologia, pervertitrici della societàcristiana. Altri esecrano il razionalismo mate-

rialista come negatore di dio e perciò nichili-sta in quanto, fuori di dio, c’è solo “il nulla”.Ma in quegli anni c’è anche chi, come MaxStirner, proclama, al contrario, che solo l’ab-bandono della religione nobilita l’individuo,affermandolo nella sua unicità e indipenden-za da ogni laccio metafisico. Dichiarando insenso materialistico-ateo e autenticamentenichilista: «io ho fondato la mia causa sulnulla» (L’unico e la sua proprietà, 1845) Stirnersarà criticato, non a torto, da Marx ed Engels(Ideologia tedesca, 1846) per il suo individua-lismo e per l’assenza di proposte socio-politi-che positive.Nichilista a suo modo è in fondo anche l’ateoilluminista Leopardi: in lui emerge un poeticoche nullifica la banalità quotidiana versol’evocazione dell’infinità cosmica, e con ciò lospirito si solleva dalla contingenza corporea edalla piattezza sociale cercando una sua sedeprivilegiata nel “nulla di credenza”, il solo cheapra la nuova esistenzialità dell’“erramentodell’anima”.Nel 1865 il positivista Herbert Spencer tentaun nuovo relativismo, adottando darwiniana-mente il primato della scienza e l’agnostici-smo religioso. Al contrario il pragmatistaWilliam James legittima il credere come utileportatore di pace interiore e ottimismo, percui il suo relativismo ha un fondamentopsico-esistenziale che relativizza i “valori”,nel senso che “vanno tutti bene” purché risul-tino utili a chi ci crede.Turgenev, in Padri e figli, delinea un nichilista-tipo: attivo, ribelle, spregiudicato, non credein nulla. È un “nuovo epocale” che trova teo-rici (Dobroljubov, Pisarev e Ne aev) che affa-scineranno anche Dostoevskij. Coinvolto inun gruppo sovversivo, egli finisce in Siberia eda tale esperienza nasce il rigetto dell’anarchi-smo e il ritorno alla fede, stigmatizzando neiromanzi del periodo 1863-1890 alcuni nichi-listi del crimine, “puri” come Stavrogin o“problematici” come Ivan Karamazov.Nietzsche, dopo il ««Dio è morto!» de La

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Gaia Scienza (1882), incarna a suo modo lospirito nichilista in un aggregato di frammen-ti noto come Volontà di potenza (1888). Ilnichilismo è svalutazione di valori e da ciòun’esistenza umana “senza senso e scopo”,condannata a un eterno ritorno (VIII, I).Segue una graduazione del nichilismo inincompleto, completo, estremo, estatico; conquest’ultimo quale via al “profondo” oltre laquale si profila il superuomo (VIII, II).

» Il Novecento

Il relativismo nel Novecento è distinto in gno-seologico ed etico e il nichilismo in esisten-zialistico e politico. Gli uni e gli altri svaluta-no concetti come dio, verità, patria. I nichili-sti negano però un assoluto in nome di uncontro-assoluto, mentre i relativisti neganoogni assoluto, rischiando in politica, daRobespierre fino a Stalin, la condanna comerevisionisti-relativisti, nemici della patriarivoluzionaria o borghesi filo-capitalisti.L’esistenzialismo spiritualista è fortementecritico e Karl Jaspers (Psicologia delle visionidel mondo) vede il nichilismo come rinunciaallo spirito per la materialità del “vissuto con-tingente”. Per Martin Heidegger il nichilismoè l’“oblio dell’essere”, appioppando l’aggettivo“nichilista” alla scienza e alla tecnica moder-ne. Con Ernst Jünger (narratore e saggistapre-nazista) egli ha un confronto sul tema inOltre la linea (1950).A livello storico, Oswald Spengler ne Il tra-monto dell’Occidente (1922) relativizza la storiain epoche “chiuse”, deducendo da ciò la non-universalità di verità e morali, avendo ogniKultur le proprie. Inoltre, le esangui cultureoccidentali saranno sostituite da quelle orien-tali. Sono le avvisaglie di un anti-occidentali-smo che sul piano etico-politico continuerà arafforzarsi nella seconda metà del ‘900.In Francia Jean-Paul Sartre scopre il “sensodel nulla” nel frustrato protagonista delromanzo La nausea (1938), smarrito di fronte

a una natura ostile, mentre in L’essere e ilnulla (1943) ne dà un’analisi filosofica ed esi-stenzialista. Dal 1946, con L’esistenzialismo èun umanismo, pone la solidarietà umana alvertice dei valori e i suoi ultimi lavori sonoimprontati a questo principio.Ancora un francese, Albert Camus, affronta iltema del nichilismo passivo nel Mito di Sisifo(1942) evocando il senso dell’assurdo, colgigante che spinge il masso in una ripetitivitàineluttabile. Nel protagonista del romanzo Lostraniero (1942) tocca il fondo nichilista del-l’ignavia e dell’indifferenza al crimine, per poisuperarla nella nobile generosità attiva deltormentato protagonista de La peste (1947).In ambito logico Ludwig Wittgenstein (1889-1951) proclama la nullità delle proposizionimetafisiche ed etiche e l’arbitrarietà del lin-guaggio. Ma anti-relativisti come KarlRaimund Popper vedono il relativismo«malattia del nostro tempo» e altri come illogico-metafisico Willard Quine e l’epistemo-logo Imre Lakatos vogliono il primato dellaverità logica contro il relativismo scientificoempirico-sperimentale.In vario modo tutti questi anti-relativisti,legati alla tradizione idealistica, sono immersiin quel riflusso metafisico e religioso checaratterizza gli anni ‘60-‘80. Un atteggiamen-to ostile al conoscere della scienza “di ricer-ca”, sempre relativo e “in divenire”, giudicatoincapace di produrre verità logico-teoriche, lesole, a loro dire, portatrici di “vera” scienza.La coppia terminologica è centrale nel dibat-tito etico-religioso e sede del confronto dia-lettico laicismo/fede, tra il “tentare di cono-scere” laico e il “credere per sapere” fideista.Incredulità e dubbi laicisti che però sonooppositivi sia a Cartesio, che dubita della resextensa ma crede alla divina res cogitans, siaal falso scetticismo di Hume, che dubitadelle cause seconde, ma assolutizza la bibli-ca causa prima.

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34 » SEMANTICA

» Il termine “Paganus”

Nonostante la diffusione nella terminologiaodierna, nessun romano o greco seguace dellatradizionale religione politeista avrebbe datodel “pagano” ad un suo correligionario. Inantico la parola non ha altra accezione, inquanto aggettivo, oltre a quella di “campa-gnolo”, “rustico”, e per traslato “rozzo”; ilsostantivo indica invece chi nella campagna(pagus designa propriamente il villaggio o unacircoscrizione territoriale rurale) vive e lavo-ra, nient’altro che il “contadino”. L’accezionereligiosa nacque molto probabilmente econobbe una grande diffusione nel IV sec.d.C., periodo in cui il cristianesimo si diffuseestesamente nell’Impero e si affermò primacome religio licita (313 d.C., cosiddetto Edittodi Milano), per diventare, con le famosedisposizioni antipagane di Teodosio del 391 e392, la religione ufficiale e l’unica consentita,con l’eccezione di una tolleranza insofferente(e con numerosi intermezzi sanguinari) neiconfronti dell’ebraismo, nel seno del quale lanuova religione era nata e si era sviluppata.Altri termini usati dai cristiani erano héll nes,éthn, gentes o gentiles (sostanzialmente quelloche i goyim costituivano per gli ebrei), soprat-tutto nel periodo in cui la loro religione costi-tuiva una minoranza nel mosaico dei vari cultipraticati al tempo; si evitava molto diplomatica-mente di scontrarsi con le convinzioni religiosedell’élite dominante, peraltro estremamente tol-

I pagani da persecutori a perseguitati e i cristiani da perseguitati a persecutori.L’apertura delle città e la resistenza conservatrice del mondo rurale.

lerante, in conseguenza della struttura conna-turata alle religioni politeistiche, le quali, inmisura maggiore o minore, riconoscevano l’esi-stenza e la dignità degli esseri divini di un altropopolo, persino del nemico. Lo slittamento aduna denominazione più sprezzante si ebbequando il cristianesimo era ormai divenuto lareligione degli imperatori (anche se inizialmen-te in un’altalena tra arianesimo e cattolicesimo)e aveva compiuto il decisivo passo di “conqui-stare” le città. Per converso, come spesso succe-de, gli ambienti più restii al cambiamento simostrarono quelli rurali: il tenace attaccamentoai vecchi culti e agli antichi dèi portò a denomi-nare per estensione i più recalcitranti al cambia-mento, contadini certo, ma anche normali citta-dini e finanche senatori, “pagani”.

» E giunsero le persecuzionida parte dei cristiani

Si giunse quindi al significato esposto inmaniera cristallina nella definizione diAgostino: «chiamiamo pagani gli adoratori difalsi dèi». Era dovere del buon cristiano com-battere i miscredenti, cercando di ricondurlialla ragione e dibattendo sul piano filosofico,agendo sul piano legislativo o arrivando, comespesso accadde, alla distruzione dei santuari oaddirittura al massacro degli stessi tenaci prati-canti del culto tradizionale. Con il passare deltempo, le sacche di resistenza si concentraronosempre più nelle campagne, ove resistettero gli

Origine persecutoriadel termine “pagano”

Giorgio FerriSTORICO DELLE RELIGIONI

VAE VICTIS! Le ragioni del vincitore

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antichi culti, alla luce del sole o progressiva-mente nascosti o dissimulati. L’accorato appel-lo di Libanio, il più eminente oratore del suotempo – “pagano” – all’imperatore Teodosio,fervente cristiano, ben mostra la situazione allafine del IV sec. d.C.: «Tutte queste violenze siosano anche in città, ma per lo più nelle cam-pagne»; i cristiani distruggono i templi, checostituiscono «l’anima delle campagne, i primiedifici in esse innalzati e attraverso molte gene-razioni affidati a noi che ora viviamo». Da unadi queste “violenze”, perpetrata più di un seco-lo dopo, prende idealmente inizio la tradizionemonastica occidentale: recatosi a Cassino,Benedetto trova che la «gente dei campi» anco-ra compiva «riti superstiziosi» e «sacrileghisacrifici» in onore di Apollo presso un tempiodedicato al dio sulla cima del monte. Senzaindugio egli «fece a pezzi l’idolo, rovesciò l’al-tare, sradicò i boschetti e dove era il tempio diApollo eresse un oratorio in onore di sanMartino e dove era l’altare sostituì una cappel-la che dedicò a san Govanni battista» (la nostrafonte sono i Dialoghi di Gregorio Magno). Imonaci d’altronde erano stati tra i più fanaticipersecutori dei “pagani” e i più implacabilidistruttori degli edifici sacri alle divinità tradi-zionali.Le tradizioni e gli usi che non poterono esse-re estirpati vennero riadattati, mascherati otrasformati parzialmente o totalmente in chia-ve cristiana. Non a caso ciò avvenne proprionelle realtà più lontane dai centri urbani, elegate agli antichi ritmi rurali: esempio lam-pante la festa di san Domenico a Cocullo(AQ), celebrata il primo giovedì di maggio. Inquesta occasione la statua del santo vienericoperta di rettili, implicita richiesta di difesadalle morsicature dei serpenti e più in genera-le contro i mali del mondo: ma tale valenzaera con tutta probabilità estranea al significa-to originario della festa, poiché determinataverosimilmente dal carattere sostanzialmentenegativo del serpente in ambito cristiano,mentre anticamente esso costituiva un simbo-

lo positivo, incarnazione materiale e visibiledel genius loci, l’essere divino che si ritenevaproteggesse ciascun luogo, dalla casa allaforesta più selvaggia (alcuni vedono nel santouna “traduzione” di Angitia, dea venerataanticamente in quei luoghi).

» Incidenza della superstizione

La storia ha dunque determinato e fissato persempre l’equivalenza paganus = superstizioso,seguace delle antiche religioni politeistiche:fondamentalmente in senso negativo, in origi-ne esplicitamente, oggi quasi del tutto in formaimplicita (potremmo dire esclusivamente eti-mologico-culturale), costituendo il secondoelemento del binomio pagano–cristiano, perindicare l’avvicendamento religioso verificatosiin Europa. In effetti oggi non abbiamo un’“eti-chetta” neutra per designare i seguaci dellereligioni tradizionali, senza ricorrere a circon-locuzioni quali quella appena impiegata. Ildiscorso sarebbe lungo, poiché ciò era la con-seguenza della struttura assai diversa dei duesistemi religiosi e di variegate contingenze sto-riche. Basti osservare in questa sede gli sforzidell’imperatore Flavio Giuliano (360-363d.C.), ultimo e strenuo difensore della religio-ne avita, che designò, in mancanza di meglio,la pratica religiosa antica con il termine “elleni-smo”; ma egli coniò altre “etichette”, ben piùsprezzanti: “Galilei” (dalla regione d’origine diGesù) e “atei” (perché disconoscevano le divi-nità tradizionali) per i cristiani e soprattutto“ossari” e “tombe” per le chiese (dall’uso, rite-nuto deplorevole, di dare sepoltura negli edifi-ci di culto cristiani). Spesso l’imperatore rivol-geva tali epiteti a dei cittadini, come nel casodel giustamente celebre Misopogon.La “nuova” religione si afferma infatti più rapi-damente e più decisamente nelle città, parten-do dal basso: dialettica dunque tra “cittadino”e “rurale”, in cui quest’ultimo elemento sioppone al cambiamento, restio alle “mode”,perché legato agli ancestrali ritmi rurali.

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36 » FILOSOFIA

» Un merito non riconosciuto

Secondo Cornelio Fabro, e noi gli diamoragione, il deismo nasce in Inghilterra a parti-re dall’opera di Herbert di Cherbury (1582-1648). Tuttavia chi ha letto Telesio, Bruno oCampanella farebbe fatica a non pensare chein questa triade, avvezza a distinguere inmaniera abbastanza netta la ragione dalla fede,non vi siano già i presupposti fondamentali diquella moderna filosofia religiosa che ha anti-cipato l’ateismo illuministico francese.A ben guardare, anzi, i primi vagiti d’ateismosi sentono in Italia con la riscoperta accade-mica dell’aristotelismo, al punto che persinoun teologo (ancora oggi “sacro” per la chiesaromana) come Tommaso d’Aquino può indi-rettamente aver contribuito, con la sua anali-si delle funzioni autonome della ragione, asviluppare un discorso razionalistico che dalpunto di vista di una fede autenticamenteevangelica andrebbe guardato sempre con uncerto sospetto.Ciò può sembrare esagerato, ma è stato pro-prio lo sviluppo urbano del cattolicesimoromano, sempre più borghese e sempre piùlontano dalla tradizione ortodossa coltivata inarea bizantina, a porre le basi di quella checinquecento anni dopo sarebbe stata la prote-sta anti-ecclesiastica più forte della storia, lariforma protestante. La quale erediterà la cre-scente laicizzazione borghese della fede catto-lica, favorendo ulteriormente il camminoverso il deismo, l’agnosticismo e l’ateismo.

Sarebbe ridicolo pensare che l’ateismo moder-no sia semplicemente un prodotto del cogitocartesiano: il terreno era già stato inconsape-volmente arato dalla Scolastica.L’Enciclopedia Britannica considera “deisti”ante litteram persino Boccaccio e Petrarca,anzi gli stessi averroisti medievali, con la loroteoria della “doppia verità”.Quando in Inghilterra nasce il deismo, inItalia era da molti secoli che si separava l’usodella fede da quello della ragione: Arnaldo daBrescia, Marsilio da Padova e tanti esponentidi rilievo dei movimenti pauperistici ereticaliavevano già smesso di credere nel potere “divi-no” della chiesa, nella sua funzione mediatricetra dio e uomo. E ciò che questi eretici delpensiero e/o dell’azione pagarono in termini ditorture, carcerazioni e sentenze capitali, per-metterà poi agli illuministi di tutta Europa dipotersi esprimere con relativa sicurezza.Persino la discussione accademica sugli“Universali”, là dove si pone come segno diuna crisi della teologia e quindi come necessi-tà di trovare spiegazioni contestuali ai fattidella vita, indica, specie nella posizione nomi-nalista, interessata a scoprire le leggi dellanatura esclusivamente all’interno della naturastessa, una sorta di cripto-materialismo favo-revole allo sviluppo della borghesia.

» Un merito da riconoscere

Ma perché allora è giusto attribuire agli ingle-si la formazione e lo sviluppo del deismo? Il

Il deismo ingleseEnrico GalavottiFILOSOFO DELLE RELIGIONI

Una filosofia religiosa che rivendicò l’autonomia di una fede sganciata da esigenze ditipo ecclesiastico, che non comportò l’accettazione di alcuna confessione particolare eche anticiperà i presupposti dell’ateismo illuministico.

Un momento alto del pensiero europeo

THOMAS HOBBES

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motivo è molto semplice: presso di loro il dei-smo s’impose come una corrente di pensierolargamente condivisa tra gli intellettuali pro-gressisti e le classi industriose, mercantili eurbanizzate. I maggiori filosofi inglesi delSeicento e del Settecento sono tutti deisti, oformalmente o per convinzione: Hobbes,Shaftesbury, Locke, Toland, Berkeley e, sevogliamo, anche Hume.Paradossalmente questa corrente di pensierosi era sviluppata in polemica con l’ateismoumanistico-rinascimentale (Pomponazzi,Bruno, Vanini ecc.), ma anche con quello diSpinoza e Bayle, cioè aveva preferito fare unpasso indietro, confidando però in quell’ap-poggio popolare che aveva perorato la causaanticattolica della Riforma.Fatta la riforma anglicana, che tolse aifeudi ecclesiastici i poteri politicied economici, e superata latentazione degli Stuart diriprendersi il potere con laforza (1688), sembravaessersi aperto uno spira-glio per le idee deistichedi Shaftesbury e Locke,costretti a emigrare inOlanda durante larestaurazione cattolicadel loro paese.Da noi gli intellettualierano invece troppo isolatiper poter diffondere il loro atei-smo: preferivano essere cortigiani dellevarie Signorie piuttosto che leader di unmovimento di protesta. Quando la chiesaromana si rese conto che non era più suffi-ciente aver distrutto tutti i fenomeni eretica-li e che, a partire dalla Riforma, si correva ilgrave rischio di trasformare l’emancipazionelaica di pochi intellettuali in un vero feno-meno di massa, decise di tornare al feudale-simo, imponendo con la forza delle armispagnole i princìpi del catechismo tridenti-no. E tutti tacquero.

» Che cos’è il deismo?

Il deismo non è che un modo di conservare lafede in un dio senza assoggettarla più allemodalità tradizionali della chiesa cristiana.Naturalmente non si tratta di credere in duedivinità diverse, ma soltanto di precisare duemodi diversi di crederci. E non si tratta neppu-re, da parte del deista, d’inventarsi un mododi credere che la storia della filosofia in gene-rale non abbia già previsto. La differenza stapiuttosto nel fatto che il deista non vuol trar-re dalla sua fede quelle conseguenze operati-ve che lo renderebbero dipendente dalle inter-pretazioni della stessa da parte del clero. Ildeista rivendica l’autonomia di una fede sgan-ciata da esigenze di tipo ecclesiastico e quindi

l’autonomia di una ragione il cui eserci-zio “religioso” non comporta

obbligatoriamente l’accetta-zione di alcuna confessioneparticolare o comunque ilcoinvolgimento in alcu-na pratica comunitaria.Il deista è un filosoforeligioso, non un cri-stiano, e tenderà a tene-re separata la chiesadallo Stato, almeno nel-

l’esercizio del potere. Nona caso Hume, nella sua

Storia della Gran Bretagna, oveperaltro fa risalire il deismo

all’epoca di Cromwell (primi decennidel sec. XVII), gli attribuisce un significatopiù etico-politico che religioso. Si rivendicauna “naturalezza” della fede per avere unacerta autonomia d’azione in campo economi-co e politico: la fede non è più qualcosa che sideve avere di fronte a un evento che, pur nonpotendo essere dimostrato, va comunque cre-duto vero, soltanto perché così è stato tra-mandato.La fede del deista è sempre nei limiti dellaragione, salvo il fatto che si continua a crede-

JO

HNLOCKE

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38 » FILOSOFIA

re in un dio. È una forma di riduzionismolaico (di matrice spinoziana) conseguente alfatto che l’esperienza cristiana medievaleviene considerata umanamente fallimentare, ele infinite guerre di religione che hannoinsanguinato l’Europa dopo il 1517 erano lì adimostrarlo.Non si tratta di una “teologia naturale”, poichél’affermazione della divinità non è fondativama accessoria allo sviluppo autonomo dellaragione. Dio è soltanto un principio metafisicoastratto, una causa cosmica da mettere nellapremessa di un discorso razionale,senza trarre da essa alcuna con-seguenza né pratica né teori-ca. Anche quando si accettal’idea cristiana di “provvi-denza”, questa ha soloun significato metafori-co di destino umano posi-tivo. Essendo di estra-zione borghese, il deistaha una fiducia cieca nelprogresso.

» Perchè il deismo facevapaura alla chiesa?

Perché il deismo faceva paura alla chiesa?Si è detto che il deismo, nel momento in cuinacque, voleva opporsi all’ateismo pagano enaturalistico di certi ambienti umanistico-rinascimentali (Hobbes chiedeva l’esilio pergli atei). Dunque perché alla chiesa anglicanao presbiteriana faceva così tanta paura?Semplicemente perché, mentre l’ateismo nonera che una posizione minoritaria di intellet-tuali che apparivano estremisti, stravaganti, ildeismo invece aveva la pretesa di ereditare ilmeglio del cristianesimo, trasfigurandolo sulpiano della razionalità.Il deismo aveva scelto una finta opposizioneall’ateismo soltanto per passare meglio tra lemaglie della critica clericale, ma il suo inten-to recondito era sostanzialmente identico:

una chiesa senza riti né dogmi, senza sacra-menti né clero, cioè una mera associazioneprivata di liberi pensatori. Infatti già alla finedel sec. XVII e soprattutto nel successivo essoprese ad attaccare direttamente l’autorità delleScritture e del Magistero, nonché la dottrinasui miracoli.Le opere di T. Woolston (condannato per bla-sfemia, morì in carcere), A. Collins (costretto aritirarsi dalla vita pubblica nazionale in seguitoagli attacchi degli anti-deisti), Th. Morgan (glivenne troncata la carriera per la sua non-orto-

dossia), Th. Chubb (costretto a lavo-ri umilianti per sopravvivere),

M. Tindal (le cui opere anti-clericali furono spesso bru-ciate in pubblico), J.Toland (perseguitatotutta la vita, morì inassoluta povertà) arriva-rono persino a eliminareogni aspetto sovranna-turale del cristianesimo,concependo la religione

come semplice “esperienzainteriore”.

Nessuna chiesa cristiana avreb-be mai potuto lasciarsi ingannare

dalle generiche affermazioni deistiche a favo-re dell’esistenza di dio. In un’epoca dominatadal cristianesimo, ogni forma di deismo appa-re necessariamente come una forma di atei-smo. In Inghilterra l’ultima condanna a morteper blasfemia porta la data del 1697.Anche Platone e Aristotele erano in un certosenso “deisti”, in quanto ritenevano che all’as-solutezza di dio si potesse arrivare con unragionamento logico (e non a caso il deismoinglese passò attraverso il neoplatonismo diCambridge), ma nessun Padre della chiesaebbe mai l’ardire di sostenere che fossero atei.Anzi, molti erano convinti che se avesseropotuto conoscere Cristo, sarebbero diventaticristiani. Dante, di Virgilio, disse la stessa cosa.Viceversa, osservando il comportamento di

D

AVIDHUME

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molti cristiani passati al deismo, nessun teologoligio alla propria tradizione cristiana, avrebbemai potuto mettere in dubbio che nella sostanzaessi fossero atei. Perché due criteri ermeneuticicosì diversi?. Semplicemente perché la fede cri-stiana non è una sorta di “gnosi” ma un’esperien-za di vita, che comporta l’adesione a riti, sacra-menti, festività, credenze consolidate, interpre-tazioni canoniche della Bibbia, dogmi sanciti neiconcili, obbedienza a gerarchie ecclesiastiche.Chiunque si opponesse anche a una sola di que-ste cose era inevitabilmente visto in odore dieresia, finiva col perdere molti diritti e rischiavaanche sanzioni penali.

» La sconfitta del deismo

Il deismo inglese, che si sviluppò dalla secon-da metà del secolo XVII alla prima metà delsecolo XVIII, era una filosofia borghese chevoleva apparire radicale, cercando però di evi-tare, in nome di una comune, ancorché astrat-ta, fede nel dio cristiano, che scoppiasse unaguerra di religione. Si illudeva che le sue teo-rie rivoluzionarie in campo teologico potesse-ro trovare ampi consensi negli ambienti istitu-zionali inglesi, visto il successo della riformaanglicana e calvinista.Il deismo voleva porre le basi della libertà dicoscienza, della separazione tra chiesa e Stato;voleva eliminare le pretese di dare definizionidogmatiche della divinità, aveva ridicolizzato le

descrizioni evangeliche che fanno del Cristo unextraterrestre dotato di poteri sovrumani, inau-gurando una lettura critica delle Sacre Scritture;aveva dato un impulso straordinario alle scien-ze e alla produzione economica borghese.Per quale motivo tutto questo, in manieracosì esplicita e radicale, non poteva essereaccettato? Qui le risposte sono due: da un latola borghesia inglese protestante non volle maiimpegnarsi in una sanguinosa guerra civilecontro l’aristocrazia terriera cattolica (comeaccadrà di lì a poco in Francia); dall’altro sia iborghesi che gli aristocratici sentivano di averbisogno dell’appoggio della chiesa per potersviluppare il capitalismo, agrario e industria-le. La Gran Bretagna, per quanto intollerantefosse nelle proprie colonie, era maestra didiplomazia al proprio interno.Anche quando apparve lo scettico Hume, checontribuì a radicalizzare ulteriormente il dei-smo, sostenendo che tutte le religioni si basava-no sulla superstizione e sulla paura, ormai perla politica inglese era assodato il fatto che leopinioni in materia di religione non potevanomettere in discussione il fatto che una partico-lare confessione, quella anglicana, dovesserestare alle piene dipendenze dello Stato, ilquale però si sarebbe guardato bene dal discri-minare tutte le altre. Gli illuministi francesi nonriuscirono mai a capire questo strano concettodi “Stato laico” e provvidero a realizzare unapiù coerente separazione del civile dal religioso.

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40 » CONFESSIONALISMO

» Lo scontro tra laici e cattolici nonesiste: è un errore sistematico deimedia e dei giornalisti

Troppo spesso siamo abituati a sentir parlare imedia di “contrapposizioni” o “scontri tralaici e cattolici”, ma tra tutte le interpretazio-ni dei problemi contemporanei da parte degliorgani di informazione, nessuna è più sbaglia-ta di questa.Il contraltare della laicità, infatti, non è il catto-licesimo, ma nessuno si è piuttosto mai preoc-cupato di definire cosa si intenda per laicità.Addirittura negli ultimi anni è stato inventatoun nuovo termine, “laicismo”, che secondoalcuni sarebbe qualcosa di diverso dalla laicità.Questo termine, spesso presentato anchecome “laicismo integralista” o “laicismobigotto”, è in realtà uno slogan strumentale.In origine, l’etimologia del vocabolo “laicità”descriveva semplicemente la non appartenen-za ad ordini religiosi; se però allora l’unicoelemento di distinzione che poteva esisterecon il clero cattolico era la non appartenenzaad esso, oggi l’accezione è molto cambiata,perché la società non è più composta solo daappartenenti e non appartenenti al clero cat-tolico, ma è composta anche da cittadini chefanno riferimento ad altre confessioni e danon credenti.

» L’evoluzione del termine laicitàrispetto alla sua origine etimologica

È quindi importante definire cosa si intendaoggi con il termine “laicità”, dato che la suaaccezione è stata ampliata rispetto alle sue ori-gini etimologiche. Laicità non significa “liber-tà di parola” o “volontà della maggioranza”,come spesso qualcuno si sente affermare, e

La realtà falsata dai terminiFrancesco PaolettiINGEGNERE

soprattutto non è negazione della religione.La religione è una scelta individuale e sogget-tiva, un’interpretazione personale della realtàche può avere basi condivise su larga scala omeno, perché ciascuno è libero di interpreta-re secondo la propria libertà di coscienza ogniconcezione del mondo ed anche di staccarsidalle tradizioni religiose di una collettività,perché la religione non è diritto e non puòessere confusa con esso come nelle teocrazie.La laicità è bensì una convenzione oggettiva,condivisa e non interpretabile: è un codicecomportamentale attraverso il quale una per-sona o un contesto sociale si relaziona conqualsiasi altro essere umano, soprattuttoquando non tutti hanno la stessa interpreta-zione personale della realtà; la necessità di unconfronto e di un ragionamento sono fonda-mentali per costruire questa convenzioneaffinché sia condivisa da tutti, e non certo pervolontà di rimetterne in discussione le basiuna volta che queste sono state già formulate.

» La laicità come convenzionecondivisa e richiestadi rispetto reciproco

Laicità non significa neanche “tolleranza”:essa è piuttosto “rispetto dell’altro”, del suodiritto ad essere diverso e a non condividereper forza la nostra concezione della realtà, maè anche “rispetto dall’altro” e del nostro dirit-to ad essere diversi da lui e a non condividereper forza la sua concezione della realtà.Affinché si possa parlare di laicità, questorispetto non si può concretizzare impedendoa qualcuno di esprimere la propria opinione,e nemmeno permettendo a chiunque diimporre la propria arbitrariamente agli altri(anche se è libero di esprimerla).

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41Anno II - n.3 • gennaio / febbraio 2010NONCREDO

Dunque il contraltare della laicità consiste intutto quanto neghi i diritti appena esposti;Andrea Canevaro lo ha definito “spirito setta-rio”, che si oppone all’incontro e al confron-to, e che quindi esprime il suo carattere pre-varicatore come vero nemico della laicità.Questa mancanza di rispetto dell’altro e deisuoi diritti non viene necessariamente dallereligioni, ma da qualsiasi imposizione dottri-nale diretta o indiretta di carattere politico,culturale, sociale o di altra natura.

» La laicità contrapposta non allareligione ma al confessionalismo

Per restare nell’ambito religioso, in paesicome le teocrazie o i regimi totalitario-dottri-nali la libertà di pensiero è di fatto delegitti-mata di ogni diritto (la stessa Albania dell’exblocco comunista, che imponeva l’ateismo distato, da questo punto di vista non potevacerto definirsi uno stato laico).Al momento, in Italia, questo ruolo di “estre-mismo settario” è ricoperto da una posizioneideologica rappresentata da uno schieramentopolitico e culturale (che poco o nulla ha a chevedere con la religione e la fede personale dimilioni di cittadini) dotato di una inusitatatrasversalità partitica, e che ha eletto tra le suefinalità quella di costruire un vero e proprioconformismo di pensiero, nonché quellaancor più grave di sostituire i diritti umanifondamentali con i dogmi dettati dalla religio-ne cattolica ed in particolare dalla CEI, fino arenderli (per via diretta o indiretta) norme dilegge o precetti di vita quotidiana e pensierounico per tutti i cittadini (anche per coloroche non si riconoscono nel cattolicesimo).A questa posizione ideologica è stato dato ilnome di “confessionalismo”.Negli ultimi anni questo schieramento è cresciu-to oltre ogni accettabile misura, tanto che la por-tata delle sue azioni si sta lentamente trasforman-do in una seria minaccia latente per la democra-zia e la libertà di pensiero nel nostro Paese.

» Il confessionalismo non èprerogativa dei credenti, così comela laicità non lo è dei non credenti

Date queste premesse, chiunque sostenga ilsuddetto schieramento confessionalista, vi siriconosca, ne assuma una o più posizioniideologiche, politiche e culturali, ne condivi-da una o più finalità, non può definirsi laico,anche qualora non facesse parte del clero edanche se amasse definirsi (o venisse definitodalla stampa) laico, ateo e/o non credente;infatti per essere confessionalisti non è neces-sario essere credenti, come personaggi dellospessore di Giuliano Ferrara, Marcello Pera ela fu Oriana Fallaci continuano a dimostrare.Di conseguenza, chi è cattolico non può certoriconoscersi automaticamente in tale schiera-mento se, indipendentemente dalla propria fedepersonale, non ne condivida le finalità e le posi-zioni ideologiche, politiche e culturali: non sonopochi infatti i personaggi dichiaratamente cre-denti che non hanno problemi a manifestare lapropria laicità e la propria opposizione ad ogniforma di confessionalismo, come MarcoTravaglio, Charles De Gaulle, e un uomo di chie-sa come l’ex parroco di Pinerolo Franco Barbero.

» Perché la stampa non parla mai di“scontro tra laici e confessionalisti”?

È chiaro, a questo punto, che il concetto dilaicità va ben al di là dell’abito che ciascunoindossa, ma si focalizza essenzialmente sulcomportamento che si saprà assumere, sia inpubblico sia in privato, in ogni circostanza, edin particolare in merito alle scelte che riguar-dano la collettività. A fronte di quanto espo-sto, non è difficile poter correggere l’espres-sione “scontro tra laici e cattolici” adottatocon tanta enfasi dalla stampa, con la locuzio-ne “scontro tra laici e confessionalisti”, cheinvece tutti gli addetti del settore sembranotanto restii ad utilizzare in ogni circostanza.

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Caro dottor Bancale,

sono perfettamente d’accordo con quanto lei ha scritto nel primo fascicolo di NonCredosull’intolleranza, nata nelle religioni col monoteismo. Diversamente da questo, infatti, il poli-teismo è un sistema religioso tendenzialmente tollerante. Il motivo è semplice: laddove il primonega l’esistenza di altre divinità oltre al dio unico, il secondo opera in senso opposto. Ciò includeanche il riconoscimento e il rispetto degli dèi del nemico. La religione romana, ad esempio, eraparticolarmente «aperta» ed «inclusiva». Tra le conseguenze di questa impostazione vi era nonsolo l’accettazione e la dignità dell’«altro» sul piano divino, bensì, di più, una continua tendenzaall’omologazione e all’assunzione delle divinità straniere. Nessun dio, per quanto «straniero», eraaccostato senza il dovuto rispetto, rischiando dunque che si adirasse, né se ne negava l’esistenza:al massimo, come nel caso del Cristianesimo, ci si opponeva a possibili conseguenze sociali e poli-tiche ma non si contestava mai la realtà delle altre divinità. Altro esempio rivelatore: soprattuttoin età arcaica, quando i Romani assediavano una città, ricorrevano talvolta ad un particolare rito,l’evocatio, tramite il quale si provvedeva ad ottenere che la divinità tutelare della città abbandonas-se la propria sede e i suoi protetti, acconsentendo a trasferirsi a Roma. I Romani infatti, distin-guendo attentamente tra abitatori umani e divini del luogo, non potevano prescindere dall’assen-so divino alla conquista: diversamente si sarebbe commessa un’empietà e messa a rischio la paxdeorum («la pace data dagli dèi»), cioè il patto che legava Roma ai propri dèi.

Giorgia Ferri

Gentile Sig.ra,grazie per il suo contributo. Sono d’accordo con lei: la logica del monoteismo è un peggioramento dellaregola del terzo escluso, perché esso implica anche che secundum non datur; è un aut-aut velleitario emetafisico che riflette un desiderio di potere assoluto su tutto e su tutti. Il “patto dell’alleanza” con cui ilpopolo ebraico fantasticò di essere l’unico popolo “eletto”, pour cause, da un certo loro dio è forse il piùriuscito esempio di narcisismo collettivo ed etnico della storia, dopo di che “lo Stato sono io” o “dopo dime il diluvio” diventano quasi trascurabili. Nei vangeli cristiani la frase perentoria “o con me o contro dime” detta da Gesù di Nazareth è ben scandita e chiara e la storia ci è testimone delle sue conseguenze,mentre la lotta agli “infedeli” del monoteismo dell’islam non è da meno. Mi perdoni la divagazione, male sue considerazioni mi fanno ricordare la frase con cui Carducci rivendicava la sua genuina credenzanella religione greco-romana e nel suo umanizzato politeismo, ma anche il Pirandello di “Uno, nessuno,centomila”, dove io, se il numero si riferisse agli dèi, opterei per il nessuno, ritenendo però che anche ilcentomila mi garantirebbe bene dai danni dell’uno.

Sono credente, Cattolico Romano, e spero che un giorno anche voi ritroverete la Fede in NostroSignore. Questa sera pregherò per voi e per la vostra conversione. A.C.

Voi predicate la desertificazione delle anime che sono l’elemento distintivo fra gli uomini e le bestie.Voi uccidete, oltre che la Tradizione, la gioia e la speranza. Voi siete i figli della Ragione e quindidella nefanda rivoluzione francese. I vostri successi, purtroppo oggi innegabili, sono la morte dellaciviltà. I miei valori sono assolutamente antitetici ai vostri e si ispirano a Dio, alla Patria, allaMonarchia. Con voi nessun dialogo, mai. Non voglio neanche sentirvi nominare. U.d.A.

Amicus Plato sed magis amica veritas.

scambio di opinioni Scriveteci a: [email protected]

Lettere sono anche pubblicate sul sito: www.religionsfree.org

Evocatio e tolleranza del politeismo

Anche questa è l’ItaliaPubblichiamo con rispetto due lettere ricevute

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FEDE RELIGIOSA E FEDE LAICAIN DIALOGOAutori vari, Guerrini Editore, pp. 142

Laico e religioso rappresentano due grandi universidifficilmente sintetizzabili, al loro interno frastaglia-ti e disomogenei. I molti interventi pro e contro con-tenuti in questo libro meritano tutti una lettura eduna riflessione.

EROS, MORTE ED ESPERIENZARELIGIOSAdi Sabino Acquaviva, Laterza, pp. 290

L’evoluzione della società e della cultura ha allontana-to le prospettive di morte, mettendo in crisi la religio-ne istituzionale ma mostrando nel contempo l’esisten-za di una religiosità “naturale”. Sessualità, genetica,morte, miracoli e torture: ampia e documentata l’ana-lisi di questo sociologo.

UNA LIBERTÀ COMPARATAdi Stefano Ceccanti, Il Mulino, pp. 250

Libertà religiosa, fondamentalismi e società multiet-niche, visitate e analizzate alla luce del diritto pub-blico comparato da un docente di questa disciplina:Ceccanti trova che il modello della libertà religiosasia sufficientemente elastico da potersi adattare aquasi tutte le istanze delle nuove realtà geopolitichesenza snaturarsi. Inoltre: diritto penale, sette e laici-tà dello Stato.

SPIEGARE I MIRACOLIdi Maurizio Magnani, Edizioni Dedalo, pp. 290

Interpretazione critica di prodigi, guarigioni miracolo-se, reliquie eccezionali da parte di un medico specia-lizzatosi in questo settore: per trovare spiegazioni cre-dibili è indispensabile rinunciare alla prospettiva fidei-stica, esercitare il pensiero critico e affidarsi ai metodidella ricerca scientifica.

LE TANTE LAICITÀ NEL MONDOdi Jean Baubérot, Luiss University press, pp. 115

Libro agile e ben documentato scritto da un sociologodelle religioni, è quanto mai raccomandabile ai lettoridi NonCredo. Si articola in capitoli autoconclusivi:Protostoria della laicità; Fondamenti filosofici della lai-cità; Dispotismi illuminati, rivoluzioni e laicità; Laicitàe modernità trionfante; Società secolarizzate e laicità;Geopolitica della laicità; Felicità e sfide del XXI secolo.

L’ESSENZA DEL CRISTIANESIMOdi Ludwig Feuerbach, Universale Feltrinelli, pp. 290

Assieme a un altro libro dello stesso autore, Essenzadella religione, rappresentò un documento fondamenta-le a metà del XIX secolo per la comprensione del feno-meno religioso e dei tanti mitologemi che tutti assiemecostituiscono la base fantastica ed irrazionale dellamitologia cristiana, ed ancor più di quella cattolica.Un’analisi squisitamente antropologica del problema.

IL DIRITTO DI MORIREdi Umberto Veronesi, Mondadori, pp. 102

Il celebre oncologo, già ministro della Sanità, ed alfie-re dei diritti civili correlati al dolore e al fine vita, cosìsintetizza lo spirito di questo libro contenente anchemolti confronti internazionali: «L’eutanasia non puòche essere il diritto di morire, che, come tutti i dirittidella persona, fa capo unicamente al soggetto (…). Ildiritto di ogni uomo all’autodeterminazione: il dirittoalla libertà».

DIO E L’IMPRESA SCIENTIFICAdi Claude Allègre, Cortina Editore, pp. 220

L’autore, professore universitario e già ministro dellaRicerca scientifica in Francia, tratta del millenario con-flitto tra religione e scienza. Qualche centinaio di annifa, egli dice, quando il mondo era ossessionato dallapresenza di dio, un pugno di uomini lottò per fareposto alla scienza. Oggi, di fronte alle conquiste del-l’impresa scientifica e al successo tecnologico, c’èancora posto per dio? E parla anche dei maggioriscienziati perseguitati dalle Chiese.

Libri consigliati

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CHI SIAMO?» Sala Convegni di “NONCREDO”

1. I NONCREDENTI, pari al 18% della popolazione italiana, cioè 11 milioni di persone,sono corretti cittadini che nel rispetto delle leggi, dell’etica condivisa e della solidarie-tà umana optano responsabilmente per la cultura del dubbio, per la consapevole auto-nomia della coscienza e per la libertà di pensiero. Essi sono sparsi trasversalmente suidue sessi, in tutto l’arco politico, in tutte le attività e professioni, a tutti i livelli cultu-rali, presenti ovunque sul territorio nazionale, dalle città alle campagne, ed in tutte legamme di età.

2. La NONCREDENZA significa non riconoscersi in alcuna delle tante religioni istituzio-nalizzate, dogmatiche e gerarchiche esistenti: essa è una consapevole identità socio-politico-culturale, tale a qualsiasi titolo e quale che sia la motivazione interiore, cultu-rale, politico-sociale o spirituale che la ha motivata.

3. Il NONCREDENTE è un cittadino non necessariamente agnostico o ateo o anticleri-cale, né è non spirituale o non sentimentale, né è edonista o cinico o iperrazionalista.Il NONCREDENTE è un cittadino etico e leale che non ha altri padroni se non la pro-pria coscienza ed il proprio paese, e che pertanto non si troverà mai nel pericoloso con-flitto di dover scegliere tra essi e gli interessi di una religione e di un clero, quali cheessi siano.

4. La rivista NONCREDO: nel liberale, illuministico e tollerante rispetto per tutte le fedi,opinioni e credenze, è la legittima, democratica, identitaria, voce culturale di quellavasta categoria di ottimi cittadini laici che sono i NONCREDENTI.

5. La Fondazione RELIGIONSFREE Bancale Onlus, editrice della rivista NONCREDO,è una libera istituzione culturale non-profit che intende significare e promuovere unafilosofia di vita che postula: proviamo ad essere giusti, buoni, spirituali, etici, raziona-li soltanto per forza interna nostra, per messaggio profondo di un pensiero spogliatodelle divisive pulsioni dell’ego e che crede nell’amore come energia che ci fa vivere.Tale interiorità non necessita affatto di mediazioni ideologiche, organizzate e nondisinteressate, quali sono le tante religioni esistenti, con tutte le loro contraddittoriediversità e gli interessi delle loro gerarchie. Riscopriamo, invece, e coltiviamo il con-cetto nobile, socratico, stoico di virtù, che è essa stessa premio a sé stessa, che vienedal profondo di un pensiero centrato sull’uomo, soltanto sull’uomo arbitro della suapace interiore e di quella con tutti gli altri esseri e con il mondo che lo circonda.