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NON CREDO “Siamo una nazione di cristiani e musulmani, ebrei e indù e anche di Non Credenti” Barack Obama - presidente USA (discorso di insediamento) SOMMARIO Anno II - n.4 marzo / aprile 2010 bimestrale di cultura laica Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1, DCB Roma 3,50 ISSN: 2037-1268 La radice quadrata di dio? LIBERTÀ CULTURALE E DI PENSIERO • POLITICA E ACONFESSIONALITÀ • NATURA UMANA E PROGRESSO SCIENTIFICO IL PRIMATO DELL’ETICA LAICA • RELATIVISMO DELLE RELIGIONI • RESPONSABILE AUTONOMIA DI COSCIENZA WWW.RELIGIONSFREE.ORG L’immagine allude alle equa- zioni con le quali il grande logico-matematico Gödel tentò di dimostrare, sia pure a livel- lo soltanto concettuale e ontologico, l’esistenza di dio, da sempre esercizio euristico di filosofi e teologi, e in que- sto caso affrontato da un matematico di fama, che era anche un mistico, e di cui si parla in questo fascicolo. Però attenzione: Gödel intende per “dio” un concetto astratto, molto intrigante e problemati- camente stimolante, e non certamente alcunché in alcun modo riferito o riferibile a icone popolari come un vec- chio con la barba, un pescato- re, una colomba o altre identi- tà antropomorfiche e zoomor- fiche, tipiche creazioni della fantasia umana quando, inve- ce di “volare alto”, si lascia cadere nella più umana e quo- tidiana banalità. 45 La radice quadrata di dio 46 Colophon 46 Argomenti dei prossimi fascicoli 47 Così hanno detto 48 Una risposta sulle finalità di NonCredo 51 I Valdesi accettano l’eutanasia 52 Procede la vaticanizzazione della UE 55 Il dolore tra fisico e metafisico 58 Il primato dei paesi non credenti 60 Nasce la neuro-teologia 62 Sulla fecondazione assistita oggi 64 Le tre grandi etiche non religiose 69 Come nascono le religioni 70 La ricerca matematica di dio: Gödel 72 Biologia evoluzionistica: l’ambiente 76 Perchè il buddhismo non è religione 78 Chi è persona? E l’embrione? 83 L’islam può essere democratico? 86 Scambio di opinioni: le lettere 87 Libri consigliati 88 Chi siamo?

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NONCREDO“Siamo una nazione di cristiani e musulmani, ebrei e indù e anche di Non Credenti”

Barack Obama - presidente USA (discorso di insediamento)

SOMMARIOAnno II - n.4 • marzo / aprile 2010

bimestrale di cultura laica

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1, DCB Roma

€ 3,50

ISSN: 2037-1268

La radice quadrata di dio?

LIBERTÀ CULTURALE E DI PENSIERO • POLITICA E ACONFESSIONALITÀ • NATURA UMANA E PROGRESSO SCIENTIFICOIL PRIMATO DELL’ETICA LAICA • RELATIVISMO DELLE RELIGIONI • RESPONSABILE AUTONOMIA DI COSCIENZA

WWW.RELIGIONSFREE.ORG

L’immagine allude alle equa-zioni con le quali il grandelogico-matematico Gödel tentòdi dimostrare, sia pure a livel-lo soltanto concettuale eontologico, l’esistenza di dio,da sempre esercizio euristicodi filosofi e teologi, e in que-sto caso affrontato da unmatematico di fama, che eraanche un mistico, e di cui siparla in questo fascicolo. Peròattenzione: Gödel intende per“dio” un concetto astratto,molto intrigante e problemati-camente stimolante, e noncertamente alcunché in alcunmodo riferito o riferibile aicone popolari come un vec-chio con la barba, un pescato-re, una colomba o altre identi-tà antropomorfiche e zoomor-fiche, tipiche creazioni dellafantasia umana quando, inve-ce di “volare alto”, si lasciacadere nella più umana e quo-tidiana banalità.

45 • La radice quadrata di dio

46 • Colophon

46 • Argomenti dei prossimi fascicoli

47 • Così hanno detto

48 • Una risposta sulle finalità di NonCredo

51 • I Valdesi accettano l’eutanasia

52 • Procede la vaticanizzazione della UE

55 • Il dolore tra fisico e metafisico

58 • Il primato dei paesi non credenti

60 • Nasce la neuro-teologia

62 • Sulla fecondazione assistita oggi

64 • Le tre grandi etiche non religiose

69 • Come nascono le religioni

70 • La ricerca matematica di dio: Gödel

72 • Biologia evoluzionistica: l’ambiente

76 • Perchè il buddhismo non è religione

78 • Chi è persona? E l’embrione?

83 • L’islam può essere democratico?

86 • Scambio di opinioni: le lettere

87 • Libri consigliati

88 • Chi siamo?

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ANNO II - N. 4MARZO / APRILE 2010

Direttore responsabilePaolo Bancale

bimestrale di cultura laica

» ARGOMENTI DEI PROSSIMI FASCICOLI

COME ABBONARSI

NONCREDO

• La religione cosmica di Einstein • Noncredenza non è cinismo, nichi-lismo o scetticismo • I tanti e differenti aldilà • Antropomorfismo delledivinità • L’omosessualità e le religioni • L’infinito metafisico e quellomatematico • Le religioni del Giappone • Liberi di non credere inEuropa • Psicologia dell’illusione religiosa • Aspetti cerebrali dellameditazione orientale • L’ateismo nell’idealismo tedesco • Aspetti dellateosofia • Pensieri atei • I condizionamenti delle religioni • Che cosaci si aspetta dalla preghiera • Sociologia e religioni • Il discrimine traarte sacra e arte profana • Etica e mistica • I cibi “sacri” nella storia •

Sentimenti, spiritualità e chimica del cervello • Noncredenza e scettici-smo filosofico • Natura e origine del culto • Realtà fisica, cosmica econcetto di dio • Ambiguità e incertezza nel verbo “credere” • Gli abusidella toponomastica confessionale • Evoluzionismo e comportamento:il partner • Evoluzionismo e comportamento: la prole • Evoluzionismoe comportamento: il gruppo sociale • Evoluzionismo e comportamento:l’aldilà • Perché l’etica non ha bisogno di dio • L’utilitarismo filosoficoinglese e la religione • Empatia e biochimica cerebrale.

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Solo mettendo da parte dio si può realmente avere una vita morale. Un’etica senza dionon pretenderà mai di imporre con qualsiasi mezzo una pretesa verità morale a coloroche non la ritengono tale; il credere o no in dio e in quale dio sarà faccenda pertinentealla sfera privata. Accediamo all’etica quando la nostra condotta non è più spiegata confrasi come: «È giusto perché me lo ha detto mio padre, il mio confessore, ecc.».

Eugenio LECALDANO - filosofo

Le prime idee della religione sorsero non già dalla contemplazione delle opere dellanatura, ma dalle incessanti speranze e timori che agitarono la mente umana.

David HUME - filosofo

Le stesse ragioni che hanno fatto di una persona un anglicano a Londra, avrebberopotuto farne un buddista o un confuciano a Pechino. John Stuart MILL - filosofo

Se il mondo fosse non vuoto, non si potrebbe né ottenere ciò che non si possiede già,né mettere fine al dolore, né eliminare tutte le passioni. NAGARJUNA - filosofo indiano

Quando ci si accorge di essere d’accordo con la maggioranza è il momento di fermar-si e riflettere. Mark TWAIN - scrittore

Gli uomini governati dalla ragione non desiderano per se stessi nulla che essi non desi-derino anche per il resto dell’umanità. Baruch SPINOZA - filosofo

È bastato Galileo per insinuare il dubbio là dove prima c’erano solo solide certezze.David HUME - filosofo

Soltanto il caso è all’origine di ogni novità, di ogni creazione nella biosfera. Il caso puro, ilsolo caso, libertà assoluta ma cieca, è alla radice del prodigioso edificio della evoluzione.

Jacques MONOD - biologo, premio Nobel

L’uomo non ha limiti, e quando un giorno se ne renderà conto sarà libero anche qui,in questo mondo. Giordano BRUNO - filosofo

Vorreste forse, o monaci, tornare per la salvazione ai voti, ai riti ed alle fantasie dei soli-ti credenti, penitenti e sacerdoti? Siddharta il BUDDHA

Non si può dimostrare che qualcosa è giusto, si può solo provare che è sbagliato.Karl POPPER - epistemologo

Il principio delle cose e del dio stesso è il nulla. Giacomo LEOPARDI

Gli insegnamenti del Buddha sono stati e rimangono fra le forme più potenti e coeren-ti di “esercizio della ragione”. Il pensiero buddista è un pensiero in senso forte, unodei più ampi e profondi che la mente umana ha saputo e potuto produrre.

Giangiorgio PASQUALOTTO - filosofo

Così hanno dettoCosì hanno detto

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48 RELIGIONI?

Inostri lettori già conoscono il prof. Carlo Talenti, docente di lin-guaggio e logica delle scienze sociali presso l’Università di Torino,autore nello scorso fascicolo del saggio Credenze. Intellettuale di

alto profilo culturale, col quale spesso capita di avere arricchenti con-versazioni, proprio nel quadro dei nostri rapporti egli ha volutoinviarmi una lettera certamente impegnativa per me nel considerarele sue obiezioni. Prendo da essa le mosse per una chiarificazione, conTalenti e con i lettori, di ciò che NonCredo è, di ciò che non è, maancor più di ciò che vuole e che potrà essere.

Gentile dott. Bancale,La Sua risposta alla Signora Michela De Fusco pubblicata sul n. 2 di NON-CREDO mi offre finalmente l’occasione di precisare ciò che non condividodell’operazione messa in campo dalla Sua rivista. Le etichette di “destra”,“centro”, “sinistra” possono anche essere rimosse con una semplice denega-zione verbalistica. Ma i contenuti scelti per un confronto di idee dal respon-sabile di una rivista la collocano di fatto – fin dai primi numeri – in unaposizione ben definita dello spazio politico della società civile; anche se que-sta posizione non simpatizza esplicitamente con alcun partito politico istitu-zionalizzato. Certo, si può essere atei in una varietà di stili, di comporta-mento e di scrittura, che vanno dal più grossolano fanatismo anticlericalealla più bonaria ironia del disincanto intellettuale. Ma nessuno di questi stilipuò rimanere neutrale o ingenuamente innocente di fronte al Vaticano e allevarie istituzioni non cristiane e non cattoliche del Sacro. Sarà anche vero cheper le statistiche esistono nel mondo 1.100.000.000 di non-credenti, ma sequesti rimangono una moltitudine di individualisti dispersi e tollerati nellesocietà controllate dalle istituzioni di antica tradizione religiosa, la loro rile-vanza illuministica rimane sostanzialmente fatua, perché si riduce ad unmodello di estetismo cosmopolitico che non incide sulla consistenza conosci-tiva ed etica delle decisioni quotidiane, alle quali fanno riferimento concretole pratiche di governo. I tempi belli - se mai sono esistiti - in cui la culturaumanistico-letteraria e artistica poteva illudersi di essere la coscienza criti-ca dell’immaginario collettivo sono finiti. Il vero problema di alfabetizzazio-ne è quello che dovrebbe ridurre il crescente e accelerato divario tra le spe-cializzazioni scientifiche (a cominciare dalla biologia evoluzionistica) e l’in-sipienza diffusa nella banalità dell’esistenza quotidiana. Ad Homo Sapiensmanca una coscienza bio-antropologica in grado di analizzare e valutare laconflittualità spaventosa che ha accumulato nei millenni e che continua aprodurre con la vanagloria delle sue iniziative progettuali. Tutto qui.P.S. Consideri il testo che precede un contributo per la rubrica della Sua rivi-sta “Scambio di opinioni”.

Con viva cordialitàCarlo Talenti

Programma e finalitàuna risposta e

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49Anno II - n.4 • marzo / aprile 2010NONCREDO

Caro prof. Talenti,Lei è un filosofo, e giustamente vede i problemi e pone le questio-ni in chiave elegantemente filosofica. Personalmente io ho avutouna formazione sia umanistica che scientifica, ma qui vengo sol-lecitato nella mia posizione di fondatore e direttore di NonCredo,ruolo quindi al tempo stesso culturale ed operativo, che va dalleidee che ci hanno mosso all’inizio fino ai traguardi che contiamodi raggiungere.

NonCredo non vuole essere una rivista per atei e quindi, diciamo,filosofico-speculativa, ma una proposta di conoscenza (sapereaude!) e di discussione di stampo illuministico per noncredenti,capace innanzitutto di fare cultura e di mobilitare le coscienze dimolti cittadini italiani nella direzione della realizzazione di unPaese, di una legislazione e di una società ispirati alla conoscen-za, all’etica, alla spiritualità, alla solidarietà, alla giustizia, allalibertà, ma esenti, assolutamente esenti dagli avvilenti vincoliimposti da miti, riti, cleri, dogmi, qualsiasi ne sia la matrice, chedebbono riguardare eventuali scelte individuali senza mai perva-dere la società nel suo complesso. Questa, e solo questa, è l’ipo-tesi di progetto di NonCredo. E non perderei neppure di vista ilfatto che questa rivista è una delle molte iniziative, alcune esi-stenti (come NonCredo, il sito web, il blog e l’auditorium per idibattiti), altre in fieri (la web radio, la rivista on-line, il centrostudi filosofici, i congressi nazionali tematici, la presenza diNonCredo nelle edicole e librerie nazionali), tutte iniziative chefanno capo alla Fondazione Religions-Free, ove il free, come insugar-free o care-free, sta per “senza” (mai “contro”) le religioni.

Pertanto, l’ideale di una società di “liberi”, senza le divisioni, leimposizioni e i privilegi delle religioni, resta l’ideale dei destinataridel nostro impegno, i “noncredenti”, cioè coloro che non si ricono-scono in nessuna religione, e intendendo per “NonCredenza”nonuna rabbiosa intolleranza alla invadenza delle religioni, bensì unaconsapevole, civilissima e gioiosa libertà di pensiero e di coscienza.ReligionsFree, NonCredo, e quant’altro riusciremo a porre in esse-re, vogliono dare a quel 18 % di cittadini, quanti sono i noncreden-ti nella società italiana, una forte coscienza di appartenenza, diidentità, di gruppo e quindi anche di consapevolezza e forza: laforza del sapere che esistiamo, la forza dell’esserci nella più ampialibertà di tutti e con il massimo rispetto per tutti.Lei mi rammenta la lettera in cui negavo rilevanza a posizioni

diun impegno

NONCREDO

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politiche come centro, destra e sinistra, ma rispetto a quella mia risposta vado anche oltre: cosìcome ovunque vi sia il cartello “non fumare” ciò che rileva è solo il non fumare, e cioè che nessu-no fumi, dopodiché destra, centro e sinistra professione, nazionalità, età, genere, propensioni sen-timentali, culturali, sessuali, artistiche, politiche, partitiche, spirituali e quant’altro restano inin-fluenti; esattamente nello stesso modo per NonCredo l’ubi consistam deve essere solo la“NonCredenza”: l’aria di libertà che essa ci fa respirare, la dignità che essa ci conferisce, il pensie-ro che essa ci consente. Certo, il pianeta è tutt’ora sotto l’influenza, spesso pesante, ove più ovemeno, di tanto settarismo religioso di differenti matrici. Quanto all’Italia, per fortuna oggi non sisentono più omelie disgustose e insultanti come quella del vescovo di Prato, ma certamente, comelei accenna, vige uno status pesante ed invasivo da sopportare, che va dall’imposizione espositivadei crocifissi alla bioetica, dalle coppie di fatto al Concordato, dalla doppia morale delle infinitefestività cattoliche a spese di quelle attinenti alla Storia nazionale e al senso dello Stato, fino all’in-segnamento della sola religione cattolica.

Finita la teo-crazia, la fanno ancora da padrone la teo-politica, la teo-finanza, la teo-istruzione, lateo-sanità, la teo-bioetica, la teo-corruzione e quant’altro fino al teo-trash che a volte ci vediamointorno. Ma non voglio neanche essere frainteso: i meriti della Caritas, per esempio, sono tanti, cosìcome tanti sono anche quelli di coloro di qualsiasi religione che si prodigano per aiutare gli “ulti-mi” (gli ultimi, sì, purché per tali non si intenda vederci Gesù, Shiva, Allah, Jeova, Iside o Manitù,ma solo un fratello che soffre, e non (magari dopo averlo “convertito”) un “correligionario”, con-cetto che mi suona quasi mafioso parlando di sofferenza). Per questo considero il proselitismo isti-tuzionale e la libidine per le conversioni di molte missioni cristiane, ma soprattutto cattoliche, nelmondo come la violenza dell’uomo occidentale sull’uomo più indifeso, una volgarità culturale, unaspoliazione delle altrui radici e un’ingordigia incompatibile con il necessario amore per gli altri.Hybris, insomma, pura hybris.

Lei cita, e giustamente, il Vaticano: le dirò che per me esso ha lo stesso diritto di esistere dellaPinacoteca di Brera o dell’Accademia della Crusca, che però, va detto, non si sono mai sognate nési permettono di pretendere di influenzare la mia vita personale. Questo in Italia lo si ammetteancora purtroppo a bassa voce, per cui do grande merito agli amici della UAAR di aver rotto daanni questo silenzio correo con coraggio, intelligenza e coerenza. Ma non basta, e non bastiamoneppure noi insieme a loro: in ogni democrazia è doveroso battersi per i propri ideali, valori e dirit-ti, ma per far questo bisogna innanzitutto far numero, coordinarsi ed essere uniti.

Perciò, con onestà intellettuale e morale, vorrei rispondere alla sua lettera con questo invito: noitutti, NonCredenti della nostra libera e laica democrazia, conosciamoci, colleghiamoci, contiamo-ci, uniamoci e agiamo insieme, per costruire e garantirci quella società giusta, tollerante e laica acui aspiriamo.

Grato per ogni consiglio o proposta che da chiunque ci vorrà essere inviata al riguardo, amicoTalenti la ringrazio e la saluto con viva stima e cordialità.

50 RELIGIONI?

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51NONCREDO

La chiesa valdese nacque dal raccogliersi, attor-no al mercante Valdo, di un gruppo di predica-

tori itineranti: i Poveri di Lione. Costoro, spogliati-si dei propri beni, vivendo in castità e trovando lapropria ispirazione nella Bibbia, iniziarono unapredicazione che destò l’interesse della curia roma-na. A seguito di ciò, nel Concilio lateranense del1179, Valdo vide approvata la nuova confraternita;incerto è se ottenesse o meno il permesso di predi-care, fatto sta che egli continuò quanto intrapreso.Sarà solo con papa Lucio III, ed a causa dei contra-sti tra Valdo e il nuovo arcivescovo di Lione, che sigiungerà alla scomunica e quindi alle persecuzioniche l’Inquisizione portò avanti nei secoli successi-vi. Nonostante ciò il movimento valdese resistettee, a metà ’500, confluì nella Riforma. Ormai allar-gatasi la dissidenza anticattolica, le sorti dei valde-si risentirono dei contrasti politico-religiosi euro-pei. Coinvolti dalle ostili posizioni filofrancesi delsavoiardo Vittorio Amedeo II, i valdesi difeserodisperatamente le proprie valli non desistendoneanche quando venne loro concesso il diritto diespatrio. La risposta fu una durissima repressione,il massacro, ai cui sopravvissuti che ancora nonabiurarono venne concesso di andarsene esuli neicantoni più settentrionali della Svizzera. Sarà solola nuova guerra che impegnerà la Francia, e conessa i Savoia, a consentire ai coraggiosi valdesi dirientrare armati nelle valli natie. Questa volta,però, un cambiamento d’alleanza permetterà aiSavoia d’integrare le sparute truppe valdesi nelleproprie milizie ed emanare, nel 1694, un editto direintegrazione delle proprietà sottratte ai rientrati.

» I valdesi oggi

Oggi, dopo la partecipazione al Risorgimento ed

alla Resistenza, i valdesi italiani si concentranosoprattutto in Piemonte, mentre all’estero sonodiffusi prevalentemente in Sudamerica e negliUSA, dove si sono fusi con i presbiteriani. Sepure da alcuni anni si è aperto un dialogo con lachiesa cattolica, permangono differenze notevolirispetto a questa su questioni etiche qualil’omossessualità e, soprattutto, l’eutanasia. Suquest’ultimo punto la chiesa valdese ha sviluppa-to una sua riflessione che, dall’interno del cri-stianesimo, dialoga con l’etica di una societàsempre più laica e secolarizzata. Se, difatti, il leit-motiv del rifiuto posto all’eutanasia trova spessoil suo fulcro nell’argomento della “sacralità dellavita”, i valdesi, cogliendo quella sensibilitàcomune che distingue la vita puramente biologi-ca da quella biografica, consistente di relazioni esentimenti, giungono a sostenere che «quando lavita biografica cessa, come nel caso di uno statovegetativo persistente, oppure divenga intollerabile,come nelle malattie terminali, deve essere presa inconsiderazione l’eventualità di porre termine allavita biologica». In questo modo i seguaci di Valdopervengono a considerazioni antiireniche, con-vinti che sia inutile proiettare le sofferenze inuna falsa autoredenzione e che non siano soffe-renza e dolore a produrre salvezza, i valdesi ten-tano dunque di coniugare l’estremo rispetto del-l’altro e con il sempre ricorrente interrogativoesistenziale su dio ed il male dell’esperienzaumana. «Chi sono io per sottrarre al malato ingua-ribile questo diritto di poter morire? Da quale partesta il Dio della vita e della promessa? Dalla partedel non-senso del dolore acuto di un malato ingua-ribile o dalla parte del suo umano desiderio dimorire?».

Poveri prima di Francesco d’Assisi e protestanti prima di Lutero, i valdesi rappresentanooggi una prospettiva etica di notevole interesse perché capace di dare dall’interno delladimensione religiosa cristiana risposte a quei problemi morali che, come nel caso dell’euta-nasia, dividono come uno spartiacque cattolici e non cattolici.

Una chiesa cristianache accetta l’eutanasia

Max GiulianiFILOSOFIA DELLE RELIGIONI

» VALDESI

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52 » LEGISLAZIONE

Il Trattato di Lisbona è entrato in vigore il 1°dicembre 2009. Pochi sono i cittadini europei

che se ne sono accorti e rari quelli che hanno lettoi 358 articoli che lo compongono. D’altrondeValéry Giscard d’Estaing, l’architetto del Trattatocostituzionale europeo (TCE), bocciato da Franciae Paesi Bassi, commentò il Trattato di Lisbona così:«Ciò che era già difficile da capire diventerà total-mente incomprensibile». E Giuliano Amato spiegòche i capi dell’UE avevano “deciso” di rendere ilnuovo trattato “illeggibile” per evitare che le rifor-me chiave fossero colte ad una prima lettura dandoluogo a eventuali referendum negli stati membri.Per giunta, l’UE e gli stati membri poco o nullahanno fatto per coinvolgere i cittadini europei nelprimo abbozzo dell’Europa politica, nonostantesecondo i sondaggi di Eurobarometer gli europeiavrebbero voluto una costituzione vera e propria,con tanto di inno e di bandiera.

Compito di NonCredo non è esaminare le ragioniche hanno condotto la classe dirigente europea auna simile sciagurata scelta, quanto di cercare dicapire quali nuovi elementi il Trattato di Lisbonaintroduce nella sfera dei rapporti fra l’Unioneeuropea e le istituzioni religiose. Fra queste lechiese cristiane, Vaticano in testa, hanno visto nelnuovo trattato l’occasione per raggiungere unobiettivo da lungo tempo perseguito.

Per Wojtyla prima e per Ratzinger poi la riconqui-sta di un’Europa dai valori morali labili rappresen-

tava la via maestra per acquisire presso l’UE unnuovo status, che permettesse alle gerarchie catto-liche di incidere sull’attività legislativa del parla-mento europeo. Complice l’intera classe politicatale obiettivo politico-istituzionale è stato taciutofino a danno compiuto, cioè fino all’approvazionedel TCE nel novembre 2004.

» Diplomazia vaticana al lavoro

La strada per arrivarci non è stata semplice, mavale la pena ripercorrerla per capire quale influen-za le gerarchie cattoliche sono in grado di esercita-re sulle istituzioni di Bruxelles. Nel 1996 ilConsiglio europeo tenutosi a Torino, sotto la pre-sidenza italiana della UE, aveva respinto la richie-sta della COMECE (la CEI europea) di riconosce-re un ruolo pubblico alle chiese, con la motivazio-ne che la Santa Sede – unico stato in Europa chenon ha sottoscritto la Convenzione europea per lasalvaguardia dei diritti dell’uomo – non era unostato membro dell’Unione. Nel Trattato diAmsterdam del 1997, nonostante le insistenzeaffinché lo status delle chiese fosse accolto nelcorpo del testo, il Vaticano aveva ottenuto sola-mente una dichiarazione aggiuntiva annessa alTrattato. Ma ecco che nel 2004 all’interno del TCE,appare un articolo, il 52, che riporta, ampliandola,la dichiarazione del Trattato di Amsterdam, e ciòmalgrado un folto gruppo di parlamentari ne aves-sero chiesto la soppressione. Nessuna spiegazione

L’autrice, attenta osservatrice e frequentatrice della scena politica e legislativa della UE,analizza le clausole di privilegio che uno Stato autoritario, monocratico, senza una popo-lazione da rappresentare, senza democrazia, senza elettività come il Vaticano è riuscitoinspiegabilmente ad ottenere dal maggiore raggruppamento mondiale di democrazie. Qualene è stata la contropartita occulta? Dopo l’Italia la laicità delle Istituzioni è in serio peri-colo anche in Europa. Lobbies e clericalizzazione a Bruxelles.

L’occasione perduta del Trattato di Lisbona

Procede la “vaticanizzazione”dell’Unione Europea

Vera PegnaRAPPRESENTANTE DELLA FEDERAZIONE UMANISTA EUROPEA PRESSO L’OSCE

ORGANIZZAZIONE PER LA SICUREZZA E LA COOPERAZIONE IN EUROPA

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53Anno II - n.4 • marzo / aprile 2010NONCREDO

viene data su che cosa sia successo fra il 1997 e il2004 per giustificare tale novità.L’articolo 52 si snoda sotto il Titolo della “demo-crazia partecipativa”, ovvero il modo nuovo digovernare l’Europa a più stretto contatto con i cit-tadini le cui organizzazioni sono tenute a rispetta-re determinate condizioni per dialogare con l’UE.Fra queste vi sono la rappresentatività democrati-ca, ossia elezioni interne per eleggere i propri lea-der, e la pubblicità del dialogo. Due condizioniinaccettabili per la Chiesa cattolica, sia perché isuoi rappresentanti non sono eletti dai propri fede-li, sia perché vuole dialogare con le istituzioni diBruxelles da sola e lontano da orecchie indiscrete.Per sua fortuna il TCE viene bocciato e quindi siriaprono i negoziati per un nuovo trattato euro-peo, il Trattato sul funzionamento dell’UE, cheprenderà il nome di Trattato di Lisbona.Per le gerarchie vaticane è l’ultima chance perconquistare lo status cui da tempo ambivano,quello di partner a pieno titolo delle istituzionidi Bruxelles. L’agguerrita lobby vaticana inter-viene con tenacia su due piani: il primo consistenell’assicurarsi che i posti chiave all’internodella Commissione siano occupati da servitorifedeli, il secondo nell’esercitare la massima pres-sione sui politici e sull’opinione pubblica, pre-sentandosi prima come vittima e poi come vin-citrice. Prima recrimina sul fatto che “si vuole”(chi, non si sa) impedire ai rappresentanti catto-lici di esprimersi liberamente in pubblico, poiseguono ripetute dichiarazioni sul ruolo pubbli-co delle religioni, poi sul loro ruolo politico(vedi l’ultima enciclica papale) e infine sul lororuolo istituzionale. A tale aggettivo Ratzingerantepone il sostantivo diritti e dichiara che ilTrattato di Lisbona “garantisce” alle chiese dei“diritti istituzionali”.

» Gli accordi sottobanco

È così? Non si conoscono gli accordi presi sotto-banco, ma il fatto sta che nel nuovo Trattato l’arti-colo 52 – diventato il 17 – appare non più sotto ilTitolo di “Democrazia partecipativa” accanto alleorganizzazioni della società civile, ma nella PartePrima dedicata ai Princìpi sotto il Titolo“Disposizioni di applicazione generale”. Di nuovosenza che vengano spiegate le ragioni di talepesante novità.

Per capirne il significato occorre riferirsi ad unalettera confidenziale scritta dalla COMECE alpresidente della Commissione Romano Prodi nelgiugno 2002, mentre si preparava il TCE, in cuivenivano precisate le richieste delle chiese cristia-ne. Tra l’altro vi si legge: «La Commissione euro-pea dovrebbe istituire una procedura di consulta-zione pre-legislativa che permetta alle Chiese ealle comunità religiose – insieme con altre orga-nizzazioni della società civile – di esprimere illoro parere sulle leggi in preparazione». (il gras-setto è mio). Quale sia stata la risposta di Prodinon è dato sapere, ma i “diritti istituzionali” van-tati dal papa corrispondono a quanto richiestodalla COMECE, e consentono alla Chiesa cattoli-ca di intervenire ufficialmente nei progetti dilegge prima che arrivino in aula, quindi di parte-cipare de facto al processo legislativo europeo.Non lo faceva anche prima? Sì, ma con discrezio-ne. Veniva consultata privatamente ed esercitavale sue pressioni in particolare sui singoli parla-mentari a lei fedeli, ma il solo fatto che venisseevitata ogni pubblicità significava che la separa-zione fra la sfera politico-istituzionale e la sferareligiosa rimaneva un principio saldo della nostrademocrazia. Oggi non lo è più, e il fatto che taleprincipio sia stato infranto proprio nel primoabbozzo di una costituzione europea e che ciò siaavvenuto surrettiziamente, senza dibattito pub-blico, aumenta la gravità del danno.

» Una monarchia assolutasenza democrazia elettiva

Ma qual è questo danno di cui non si parla, e chine è la vittima? Il danno consiste nell’introduzio-ne nel sistema di democrazia rappresentativa diun ente a) privato b) i cui rappresentanti nonsono eletti dalla propria base e c) senza che nesia stato fornito un motivo giustificabile in unquadro democratico. E non è tutto: l’interventoecclesiastico nel processo legislativo delegittimail parlamento, poiché sottintende l’incapacitàdegli eletti cattolici di rappresentare le istanzedei propri elettori. E infine gli elettori cattolicivengono così rappresentati due volte a scapitodel principio di uguaglianza dei cittadini. La vit-tima è lo stato di diritto, cardine della nostrademocrazia e del suo bene più prezioso: la fidu-

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54 » LEGISLAZIONE

cia dei cittadini nelle istituzioni. Non che sianomancati in passato gli interventi delle gerarchiecattoliche nella vita politica del nostro paese. Ilcardinal Ruini, al funerale per i morti diNassirya, annunciava: «A Nassiriya ci siamo e ciresteremo», scambiandosi forse per il capo delGoverno. E a proposito del referendum sulla pro-creazione assistita dichiarava: «La Chiesa nonsoltanto ha il diritto ma ha il dovere di esprimer-si su tematiche come queste. Essa, e questo è unequivoco da sfatare, non si pronuncia soltantosui princìpi ma anche sul concreto di provvedi-menti che, come questa legge, possono avere unagrande implicazione morale ed antropologica».Tuttavia i diritti istituzionali oggi rivendicati dalpapa e resi attuabili dal Trattato di Lisbona spa-lancano la porta all’intrusione della Chiesa negliaffari dello stato, tanto che il papa stesso (capodi uno stato straniero) ingiunge ai medici e far-macisti italiani di trasgredire le leggi dello Statocontrarie alla dottrina morale cattolica.Un’ingiunzione dal contenuto eversivo, accoltacon compunzione da una classe politica priva disenso dello Stato e incapace di difendere la lega-lità, principio primo dello stato di diritto, riaffer-mato anche nel Trattato di Lisbona.

» La sovversione dei valoridi ogni democrazia

Non c’è da sorprendersi, ma solo da denunciare. LaChiesa cattolica ha sempre dichiarato il suo con-cetto trascendentale dello Stato e della legge, perlei subalterni a una “legge naturale” la cui inter-pretazione è l’esclusiva della gerarchia cattolica.Dixit:- Papa Giovanni XXIII: «L’autorità è postulata dal-l’ordine morale e deriva da Dio. Qualora pertantole sue leggi o autorizzazioni siano in contrasto conquell’ordine, e quindi in contrasto con la volontàdi Dio, esse non hanno forza di obbligare lacoscienza (...); in tal caso, anzi, chiaramente l’au-torità cessa di essere tale e degenera in sopruso».(Enciclica Pacem in Terris, 1963).- Papa Wojtyla: «Alla base di questi valori [quel-li incarnati dalla democrazia] non possono esser-vi provvisorie e mutevoli “maggioranze” di opi-nione, ma solo il riconoscimento di una leggemorale obiettiva che, in quanto “legge naturale”

iscritta nel cuore dell’uomo, è punto di riferi-mento normativo della stessa legge civile.Quando, per un tragico oscuramento dellacoscienza collettiva, lo scetticismo giungesse aporre in dubbio persino i princìpi fondamentalidella legge morale, lo stesso ordinamento demo-cratico sarebbe scosso nelle sue fondamenta,riducendosi a un puro meccanismo di regolazio-ne empirica dei diversi e contrapposti interessi».(Enciclica Evangelium Vitae, 1995).JosefRatzinger: «Per la dottrina morale cattolica la lai-cità intesa come autonomia della sfera civile epolitica da quella religiosa ed ecclesiastica – manon da quella morale – è un valore acquisito ericonosciuto dalla Chiesa e appartiene al patri-monio di civiltà che è stato raggiunto». (Notadottrinale della Congregazione per la dottrinadella fede, 2002).

» Cattolico non significa suddito

Dunque occorre evitare un duplice errore: con-tinuare a ritenere che le gerarchie vaticane pos-sano condividere il nostro concetto di democra-zia, e considerare che chi è credente non possaessere laico. Tale duplice errore rafforza la pre-tesa del Vaticano di rappresentare tutti i cattoli-ci, anche quelli che ne ignorano allegramente iprecetti, e fornisce ai nostri politici l’alibi perconcedere al Vaticano privilegi di ogni genere.Mentre i fulmini delle gerarchie ecclesiastichecontro chi non crede in dio rendono improbabi-le ogni possibilità di dialogo con gli esponentivaticani, con i credenti amanti della democraziail dialogo è benvenuto.Come scrive il giurista Macrì, l’Europa politica èancora «un cantiere aperto», e aggiunge: «Nullaappare statico, poco suscita condivisione convinta,molto risulta affidato al pragmatismo, al momento.L’elemento religioso contribuisce ad accrescerequesto stato di fluidità. Ecco perché la Politicadeve (…) recuperare la sua missione (…) e riem-pire di contenuti ideali, di contrasti e dissensi lalaicità (il principio, l’idea) unico argine democrati-co alla sconfinatezza della “tecno-crazia” e della“clero-crazia”».Allora parliamone, affinché, come diceva un gran-de filosofo francese, il dicibile diventi fattibile edentri a far parte della norma e della legge.

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» Il mondo greco

L’argomento del dolore è sempre stato presentenel dibattito filosofico, fin dalle sue origini: giàEraclito di Efeso, vissuto tra il VI ed il V secoloa.C., aveva compreso che la condizione umanaera regolata e condizionata dall’armonia o disar-monia dei contrari; lo scorrere perenne dellecose ed il divenire si rivelavano come un pacifi-carsi di belligeranti, come un conciliarsi di con-tendenti. Solo contendendosi a vicenda i contra-ri davano l’uno un senso specifico all’altro: «è lamalattia che rende godibile e buona la salute,così come la fame la sazietà e la stanchezza ilriposo». Non è possibile, insomma, vivere gior-ni lieti se non si conoscono quelli tristi, comenon è possibile apprezzare la felicità se non si èprovato il senso dell’infelicità e del dolore.Socrate, dall’alto della sua saggezza, mise l’ac-cento sul legame indissolubile di piacere e dolo-re: ogni momento umano è legato o ad unasituazione di piacere o ad una situazione didolore; finito uno, subentra necessariamentel’altro; pensiero riportato da Platone nel Fedone:«Allora Socrate che era seduto sul letto, flettéuna gamba e se la stropicciò, e mentre se la stro-picciava, disse: “Come sembra strana, o amici,questa cosa che gli uomini chiamano piacere; ecome meravigliosamente si trova per natura inrapporto con quello che appare il suo contrario:

il dolore! Questi contemporaneamente così nonvogliono trovarsi insieme nell’uomo, ma d’altraparte, se una persona insegue e prende l’uno,presso a poco è sempre costretta a prendereanche l’altro, come se fossero attaccati ad unastessa cima, pur essendo due. E a me sembra”,disse, “che se Esopo avesse riflettuto su questo,avrebbe inventato una storia, [dicendo] che ildio volendo riconciliare questi in guerra, poichénon ci riusciva, legò fra loro i capi ad uno stes-so punto, e per questo motivo, quando ad uno sipresenta uno dei due, subito dopo viene dietroanche l’altro. Come appunto sembra [sia succes-so] anche a me, dopo che nella gamba c’era ildolore a causa della catena, sembra che venga,tenendo dietro, il piacere”». Anche in Epicuro ildolore è strettamente collegato al piacere: egliafferma, infatti, che il vero piacere è l’assenza didolore nel corpo (aponia) e la mancanza di tur-bamento nell’anima (atarassia). Il non provaredolore, quindi, fisico o mentale che sia, è giàsegno di piacere. Per gli stoici la felicità era rag-giungere l’apatia, cioè l’assenza di ogni passio-ne. Raggiunto lo stato di apatia, ciò che potevaapparire come male e dolore si rivelava come unelemento positivo e necessario; anche la malat-tia e la morte, quindi, andavano accettate. Pergli stoici il dolore era un qualcosa di inelimina-bile dalla vita umana, addirittura necessario,perché nel cercare di controllare, resistere,

È certamente la più umana fra le esperienze sensoriali ed emozio-nali, nasce con noi, cresce con noi, e spesso è l’invisibile compagnadella nostra fine. È l’esperienza del dolore, un’esperienza assolu-tamente personale. Nessuno infatti, nemmeno con la più grandeempatia, può sentire dentro di sé il dolore di un altro essereumano. Perché il dolore ha mille sfaccettature, il dolore può esse-re fisico, mentale, può trasformarsi in sofferenza, esser visto comeprova o addirittura come una dimensione salvifica. Un’unica espe-rienza che rilancia interrogativi fisici e metafisici.

Il dolore: tra fisico e metafisicoLuigi MazzaFILOSOFIA DELLE RELIGIONI

» SOFFERENZA

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56 » SOFFERENZA

dominare il dolore, l’uomo si allontanava daogni forma di passività esistenziale; un dolore,quindi, visto come forza vivificatrice. Come sipuò ben vedere, il piano dello studio del dolorenel mondo greco era un piano naturale, materia-le, in sintesi: umano. I filosofi greci si ponevanocome obiettivo il controllo del dolore. Controlloe non eliminazione, perché il dolore è una com-ponente naturale della vita. Essi, per primi, ana-lizzarono non solo i dolori fisici ma anche idolori psichici e cercarono una via che potessealleviare le sofferenze umane.

» Il pensiero buddista

Il VI secolo a.C. fu caratterizzato non solo dallanascita della Filosofia (filosofia occidentalesecondo alcuni, la “filosofia” per eccellenzasecondo altri), ma anche dalla nascita in Indiadi quel pensiero filosofico-religioso noto sotto ilnome di Buddismo. Esso è molto importantenella trattazione dell’argomento “dolore” perchéproprio dal dolore inizia la riflessione buddista.Siddh rtha Gautama, il fondatore delBuddismo, mise alla base del suo pensiero quat-tro nobili verità: 1) la verità del dolore; 2) laverità dell’origine del dolore; 3) la verità dellacessazione del dolore; 4) la verità della via cheporta alla cessazione del dolore. SecondoSiddh rtha Gautama la vita è dolore, e all’origi-ne del dolore ci sono passioni e desideri. Questopensiero, così radicalmente pessimistico direm-mo oggi, quasi schopenhaueriano, va compreso,come in ogni buona trattazione scientifica, inse-rendolo nel contesto storico di riferimento.L’India del VI secolo a.C., infatti, era un luogoparticolarmente ostile per gli esseri umani:guerre, carestie, inondazioni la facevano dapadrone, intrecciandosi negativamente con unamancanza di civiltà e di libertà basilari necessa-rie ad un’esistenza serena. Per il Buddismo ildolore non è casuale, ma nemmeno ha radici inuna divinità: il dolore nasce dentro di noi, dalnostro ricercare la felicità in un qualcosa dimateriale e transitorio. La relatività dei fenome-ni, della vita in generale, la mancata visione diun assoluto, causa la sofferenza interiore, il

dolore appunto. La via da seguire per allontana-re il dolore è quella dell’abbandono dei desideriingannevoli, dell’abbandono cioè di quei deside-ri di cose o persone che lasciano la nostra essen-za legata al fisico, al terreno. Questo distaccoavviene iniziando un percorso introspettivo cheha come parte preponderante la meditazione,una disciplina finalizzata alla comprensionedella vacuità della realtà fenomenica e quindi alsuo abbandono. Lo stato di cessazione del dolo-re viene denominato nirodha, mentre il termineultimo del percorso spirituale che porta alladispersione-estinzione del dolore è il nirvana.Esso è un’esperienza metafisica, è la fine dellesofferenze, è il distacco dai fenomeni, il distaccodalla vita terrena, è l’abbandono delle passioni edei desideri. Siddh rtha Gautama ha quindiinsegnato all’essere umano la via per emancipar-si dal dolore, cosa questa che molti secoli doponemmeno un grande pensatore comeSchopenhauer, che della tradizione filosofico-religiosa dell’India era stato un fervente ammi-ratore portandola per la prima volta all’attenzio-ne europea, riteneva possibile.

» La visione cristiana

Per il pensiero cristiano il dolore non appartie-ne alla natura dell’uomo, ma è il frutto dellecolpe del primo peccatore, Adamo. Tutti gliuomini sono figli di quel dolore, ma lo accresco-no con i peccati commessi in vita. Possiamonotare come il piano dello studio del dolore sisia spostato, rispetto all’interpretazione greca,da un piano materiale e naturale ad un pianosoprasensibile. La chiesa cattolica, più che cer-care spiegazioni al dolore, si limita ad indicazio-ni di passività, secondo l’Enciclica Salvifici dolo-ris di papa Giovanni Paolo II, ad esempio: «lasofferenza deve essere accettata come un miste-ro, che l’uomo non è in grado di penetrare finoin fondo con la sua intelligenza». Per il pensie-ro religioso il dolore eleva a dio; più la vita di unuomo è segnata da sofferenze e dolori, più egli èconsiderato meritevole della salvezza, in quantosolo le anime dei “prescelti” subiscono delleprove terribili sulla terra; questo eccesso di

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dolore non farebbe che avvicinare l’uomo aGesù, al suo sacrificio sulla croce. Cercare dilimitare il dolore sarebbe quasi un non volerpartecipare alle sofferenze del “redentore”, unafuga da dio considerata inaccettabile. Ma se lasofferenza ci avvicinasse davvero a dio, perchéinvece di desiderarla la rifuggiamo? I teologidicono, incredibilmente, che il dolore non è unavendetta di dio verso un’umanità peccatrice, maè un segno d’amore. Di certo c’è che questadimensione salvifica del dolore si presenta allosguardo razionale come innaturale ed inumana.Immediatamente una domanda sorge legittima:come può un essere definito “il sommo bene”chiedere, anzi pretendere, il dolore dall’umani-tà? Per quale motivo un dio che può tutto, cheha tutto, che ha creato dal nulla l’universo,necessita di sofferenza, tragedia e dolore?Nessuno può dare una risposta a questi interro-gativi, perché forse una risposta non c’è. Lachiesa è talmente devota a questa concezionedel dolore “necessario” da arrivare a condanna-re persino nuovi rimedi medici, nuove cure, chepotrebbero aiutare a lenire la sofferenza umana,in nome di una sacralità del dolore da mantene-re inalterata. Questo concetto di dolore come un“dono” divino, come un fardello da portare conumiltà e forza nella speranza di una vita miglio-re ha come espressione perfetta una preghiera:Nel momento del dolore, scritta dal “filosofo”Soren Kierkegaard (Diario 1840, IIIA32).«Signore Nostro Iddio. Tu conosci il nostrodolore meglio di quanto noi stessi non lo cono-sciamo. Tu sai come l’anima spaurita facilmenteinciampa in preoccupazioni intempestive eimmaginarie. Noi Ti preghiamo di darci lumeper penetrare le intempestività e l’orgoglio, perdisprezzare questi dolori che ci siamo creati colnostro trafficare; ma quel dolore che Tu stessoc’imponi dacci la grazia di riceverlo umilmentedalla Tua mano e forza per portarlo».Ragione e sentimentoNessuno di noi può negare che se la funzionedella chiesa è quella di sublimare il dolore, didare una speranza a chi sta soffrendo per la per-dita di una persona cara, di rendere meno duroil momento tragico con l’idea di una vita futura

serena, senza più sofferenza e drammaticità,allora si può anche accettare questa ars consola-toria. Ma non si deve in alcun modo pretendereche quelle parole siano considerate la “verità”.Ognuno di noi ha provato sulla propria pellecosa significa soffrire, cosa significa perdere unapersona cara, cosa significa esser violentati dauna malattia e non poter nemmeno sperare, per-ché anche la speranza ha un suo prezzo. Chi fadella ragione il proprio sentiero di vita non puòaccettare la visione salvifica del dolore, non puòaccettare che un qualcosa di essenzialmentenaturale, materiale, umano sia fatto oggetto diinterpretazioni metafisiche senza alcun fonda-mento. Sì, perché di interpretazioni si tratta: suquesto gli uomini di santa romana chiesa nonhanno, infatti, nemmeno l’appoggio della sacrascrittura. Mai Gesù, infatti, parlò del significatoultimo del dolore, in nessuno dei suoi discorsi,né pubblici né privati. A difesa di questo i teolo-gi dicono che Gesù non parlò del dolore perchélo visse sulla sua pelle. Risposta certamentepungente ma che si ritorce contro chi l’ha pro-nunciata, perché dire che Gesù ha vissuto ildolore sulla sua pelle significa riportarlo inquello che dovrebbe essere il suo ed il nostropiano, quello umano. Ognuno di noi ha vissutomomenti di dolore, ognuno di noi ha visto ildolore intorno a sé, dentro sé, ognuno di noi siè posto delle domande quando ha letto di bam-bini nati con malattie incurabili, quando ha sen-tito di uomini buoni morti fra atroci sofferenze,quando ha assaggiato il gusto amaro della rabbianel vedere l’ingiustizia regnare sovrana. Nonpossiamo, non vogliamo, non dobbiamo trasfor-mare il dolore in un pegno per un essere che,anche ipotizzandone l’esistenza, rimane impas-sibile alle urla di dolore dell’umanità.Preferiamo rimanere legati al concetto greco,alla nostra umanità, cattiva, istintiva, crudele avolte, ma anche capace di slanci di bontà estre-mi, di solidarietà, di vera speranza. Siamo uomi-ni, soffriamo, lottiamo, moriamo, ma con laragione avanti a noi che ci indica la via. ControSchopenhauer diciamo che la vita non è dolore,la storia non è cieco caso e il progresso non èun’illusione.

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Raffaele Carcano STORICO DELLE RELIGIONISEGRETARIO NAZIONALE UAAR

Recentemente Benedetto XVI ha soste-nuto che, dove manca dio, «i contrastidiventano inconciliabili», perché non èpossibile «immettere nella società queivalori etici che soli possono garantire unaconvivenza degna dell’uomo». L’idea cheogni società, per essere tale, abbia neces-sariamente bisogno di una morale di ori-gine trascendente e, preferibilmente, didiretta ascendenza divina, è sicuramentemolto antica. Se ne trova traccia nel lon-tano passato e persino in altri ‘mondi’,nelle parole dei dignitari aztechi di fronteai primi evangelizzatori cattolici.

Secondo alcuni, la religione sarebbe stataaddirittura inventata proprio con questofine da politici molto astuti. Lo sostenevagià l’ateniese Crizia, un ‘ateo devoto’ antelitteram, vissuto due millenni e mezzo fa.Ad interrompere la convinzione, quasiuniversalmente diffusa, che una religione‘serve’ alla società fu il protestante PierreBayle, che nel 1682, nei Pensieri dellacometa, arrivò a «dimostrare con esempiche gli atei non si sono distinti per la cor-ruzione dei loro costumi». Pochi decennidopo Bernard Mandeville, che all’operadi Bayle aveva attinto a piene mali, nellaFavola delle api andò oltre e coniò la for-mula «vizi privati, pubblici benefici»:sosteneva provocatoriamente che perrendere fiorente una nazione sono

Pie virtù,pubbliche virtù?

necessarie passioni (orgoglio, adulazio-ne) e comportamenti (inganno, sprechi)che le morali pubbliche sono solite vitu-perare. Non si riferiva esplicitamente allareligione Mandeville, ma le Chiese nonpersero tempo nell’attaccarlo.L’Illuminismo arriverà a ribaltare l’impo-stazione, cominciando a sostenere che lereligioni sono nefaste: tesi che troveràcompimento nel libro storico forse piùfamoso del Settecento, la Storia del decli-no e della caduta dell’Impero romano diEdward Gibbon, nel quale si affermavaapertamente che il cristianesimo, minan-do il senso civico dell’Impero, fu deter-minante per la sua decadenza. Tali teoriefurono diffusissime per tutto l’Ot-tocento, ma caddero nel dimenticatoionel Novecento, così come le teorie avver-se: quasi che l’argomento fosse diventa-to tabù, inaffrontabile.

Il dibattito, in realtà, è più vivo che mai. Ilproblema è che sembra difficile usciredall’ambito polemico ed entrare in quelloaccademico. Del resto, le evidenze esi-stenti sembrano portare sia in una dire-zione sia nell’altra: per esempio, la tesi diGibbon si può confutare ricordando che afar cadere l’Impero romano furono ipopoli germanici, cristiani anch’essi (ben-ché di fede ariana), e che soltanto unsecolo e mezzo dopo quella caduta un’al-tra religione, l’islam, fu in grado di creareun suo impero ex novo. Il problema èdunque che al quesito che ci poniamo è,

58 » SOCIETÀ LIBERAL

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di fatto, impossibile rispondere: non esi-ste infatti un metro di giudizio accettabileper tutti. Ognuno considera come fonda-mentali alcuni valori piuttosto che altri(generosità contro benessere, per esem-pio). Gli ambientalisti danno priorità allatutela dell’ambiente, i sindacalisti a quelladel lavoro, i leader religiosi alla pratica delculto. È questo un dato di fatto che puòportare a posizioni come quelle di GiulioTremonti: che in veste di economista citain continuazione il modello cinese comeesempio di efficienza (per quanto impo-sto da un regime ritenuto «ateo»), e investe di politico propone invece la frustatriade Dio-Patria-Famiglia. Una contraddi-zione solo apparente, la sua: il valore dalui ritenuto fondamentale è probabilmen-te un terzo, il dirigismo (se di tipo econo-mico o morale è indifferente).

Dan Dennett, in Rompere l’incantesimo,ha proposto di «sottoporre la religione inquanto fenomeno globale allo studiointerdisciplinare più intensivo che pos-siamo condurre, coinvolgendo i miglioriintelletti del pianeta». Studiare le religio-ni con un approccio consequenzialista,valutando cioè gli effetti che producononelle società in cui si diffondono, è anco-ra piuttosto raro, e non solo per unmalinteso senso di rispetto del sacro inambito accademico: persino negliambienti più accesamente anticlericali ilnumero di opere di questo tipo è presso-ché inesistente (specialmente se compa-rato all’autentico diluvio di testi dedicatialla vita di un oscuro profeta palestinesedel I secolo).

Benché qualche tentativo sia stato com-piuto (mi riferisco in particolare ai lavoriGregory S. Paul e di Pippa Norris eRonald Inglehart), l’interesse sembra per

ora ristretto alla sociologia: mancanoinfatti lavori di taglio storico-comparati-vo. Anche le interessanti ricerche svoltenell’ambito del capitale sociale (l’insiemedelle relazioni interpersonali di un indivi-duo ritenute socialmente rilevanti) sonogiunte a risultati non univoci per quantoriguarda la religione. Robert Putnam, inCapitale sociale e individualismo, ha con-cluso che la partecipazione alle attivitàdelle chiese ‘liberal’ aumenta il capitalesociale, mentre quella ai gruppi integrali-sti produce un risultato negativo: ingenerale, scrive Putnam, più il gruppo dicui si fa parte è chiuso, più è inadeguatoa sviluppare nell’individuo quella rete direlazioni e conoscenze fondamentali perla sua crescita. La Chiesa cattolica non hauna spiccata propensione all’aperturaverso altre realtà: e in Italia le regioni incui la sua morale è più influente (quelledel Mezzogiorno) sono anche quelledove il senso civico e il capitale socialesono meno sviluppati.

Un primo, serio tentativo di valutare ilbenessere delle varie nazioni è rappre-sentato dall’Indice di Sviluppo Umanoadottato dall’ONU, che si basa su tre indi-catori: l’aspettativa di vita, il livello diistruzione, il PIL pro capite. È interessaterilevare come, in questo Indice, i paesinei quali sono più diffusi i non credenti sicollocano ai primi posti della classifica,mentre quelli agli ultimi posti sono carat-terizzati da una popolazione quasi esclu-sivamente credente. Se è vero che l’in-credulità, per diffondersi, necessita chesi raggiungano adeguati livelli di benes-sere, istruzione, libertà di espressione, èanche vero che questi livelli non crollanoaffatto con la crescita del numero dei noncredenti. Con buona pace di quantosostiene Joseph Ratzinger.

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60 » NEUROSCIENZE

» Occam. Chi è costui?

«Non avevo bisogno di quell’ipotesi», così si diceabbia risposto il matematico Laplace quandoNapoleone Bonaparte, commentando il suoTrattato di meccanica celeste, gli disse: «SignorLaplace, mi dicono che avete scritto questo gran-de libro sul sistema dell’universo, e non avetemai nemmeno menzionato il suo Creatore». Inaltri termini, come già espresso nel concetto notocome rasoio di Occam, non vi è motivo alcunoper complicare ciò che è semplice. Così, avendoa che fare con la fisica, non si vede il motivo diappesantire la scena con la metafisica. Eppure èproprio ciò che avviene con un nuovo corso diricerca noto come neuroteologia.

L’idea di fondo è questa: se il sentimento reli-gioso è talmente diffuso, ciò deve avere dellespiegazioni obiettive. La giusta osservazioneha prodotto un interessante filone di ricercache ha però non solo perso per strada Occamal primo bivio, ma perfino superato Popper,l’epistemologo che rammentava che è scienti-fico solo ciò che è falsificabile in potenza.Come si può falsificare la metafisica? Alcuniautori, nel trovare i substrati fisici dell’espe-rienza mistica, ne hanno dedotto l’esistenza diun apparato appositamente organizzato perconsentire agli uomini di trascendere la lororealtà materiale. Fra questi, i più noti sonoAndrew Newberg e Eugene D’Aquili (1999),un neurologo ed un radiologo dellaPennsylvania University, che hanno condottouna scansione cerebrale su persone aventi

un’esperienza religiosa (meditatori buddhistie suore francescane in preghiera). I risultatihanno dimostrato che nei soggetti preganti siha un’accresciuta attività dell’area dell’atten-zione (AAA, Attention Association Area),invero piuttosto prevedibile, congiunta aduna sorprendente riduzione delle informazio-ni dirette verso la Orientation AssociationArea (OAA), l’area dell’orientamento.

Quest’ultima area è responsabile dell’orienta-mento del corpo nello spazio, e per far questonecessita di definire nettamente i confini fra ilcorpo fisico e il resto dell’ambiente, fra sé enon-sé. La sospensione di questa attività di deli-mitazione comporta un senso di unità cosmicae percezione del divino. Nel commentare ciò,Newberg e D’Aquili dicono: «Quando vedetedegli alberi o dei fiumi, c’è una serie di reazionichimiche nel vostro cervello, il che non signifi-ca che gli alberi e i fiumi siano prodotti delvostro cervello». In definitiva, gli autori affer-mano che le esperienze mistiche sono, o posso-no essere, diverse dalle allucinazioni e daglistati indotti dalla droga (che, guarda caso, inte-ressano proprio le stesse aree).

» L’elmetto di dio

In realtà l’iniziatore di questo filone di ricerca,Michael Persinger (1987), la pensava diversa-mente. Questo psicologo del NeuroscienceResearch Group della Laurentian University diSudbury, Ontario, parlava delle “esperienze didio”, cioè delle percezioni di relazioni signifi-

Correlazioni cerebrali tra epilessia, il morbo sacro e sensazioni mistiche.La metafisica invade la fisica? La spiegazione naturalistica di una realtà alternativa.

Nasce la Neuro-teologia

Se dio è un prodottodei nostri neuroni

Luigi CorvagliaDIRIGENTE PSICOLOGO DIPARTIMENTO DIPENDENZE PATOLOGICHE ASL BARI

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cative e profonde con la divinità o anche con il“Grande Tutto Cosmico”, come del «nucleodinamico di un movimento religioso». L’autoreha teorizzato che tali manifestazioni fossero ilprodotto di scariche transienti del lobo tempo-rale (TLT), cioè non sufficientemente intenseda scatenare dei veri attacchi epilettici. La cor-relazione fra epilessia (“morbo sacro”) e sensa-zioni mistiche non era certo nuova ed è stataconfermata dagli studi di VilayanurRamachandran. L’originalità del lavoro diPersinger sta piuttosto nell’“ipotesi del conti-nuo” secondo cui tutti hanno un grado variabi-le di potenziale labilità verso queste anomalietransienti e nel tentativo di mettere in relazio-ne tali fenomeni anche con i campi elettroma-gnetici.Il passo successivo è stato la realizza-zione di un elmetto in grado di stimolare particircoscritte del lobo temporale con piccolicampi elettromagnetici. L’apparato, che godedel suggestivo nome di “God helmet”, ha pro-dotto nelle persone che vi si sottoponevano percirca tre minuti sensazioni che esse traduceva-no nel linguaggio della propria religione.Alcuni parlano della presenza di dio o delBuddha, altri della percezione di unità conl’universo o di beatitudine cosmica. Persingerne conclude che tutta l’esperienza religiosa siriduce a queste anomalie elettriche. In realtà, idati prodotti dal gruppo dell’Ontario non cipermettono di concludere più di quanto i datistessi mostrino, ossia che anomalie cerebralicausano percezioni mistiche. Del resto, ancheuna lesione ipotalamica causa fame intensa.Ciò non vuol dire che la fame sia prodotta daun’alterazione ipotalamica.

Sulla falsariga degli studi fin qui descritti, sipongono i lavori di James Austin (1998), diRhawan Joseph (2000) e di Matthew Alper(2004). Tutti concordano sull’ipotesi limbica (ilsistema limbico è la parte del cervello deputataall’emozione) della percezione della divinità.

» Dio è il cavallo perdente

In definitiva, ciò che per qualcuno è un nor-

male processo neurologico che si sarebbe evo-luto per consentire agli uomini di trascenderela loro realtà materiale, per altri, più consci diOccam, potrebbe essere solo un malfunziona-mento del cervello dovuto ad una inusualedeprivazione sensoriale. Essi, come Laplace,dicono «non ho bisogno di questa ipotesi».Qui valutazioni personali non deducibili daidati inquinano la scientificità dell’affermazio-ne. La metafisica invade la fisica. Ma allora,come si fa a distinguere un’esperienza mistica“reale” da una indotta da epilessia o dallaschizofrenia? Forse che i fenomeni allucina-tori delle psicosi non sono “reali”, cioè nonhanno una controparte neurale, biochimica?Ogni evento psicologico è reale, in tal senso.

A tal proposito, Massimo Pigliucci ha scrit-to nel linguaggio del metodo Bayesiano:«Prima di tutto, le due ipotesi contendentisono che i dati neurologici siano indicatividi una realtà alternativa oppure che ci dica-no soltanto che il cervello funziona male inrisposta a stimoli sensoriali anomali. Se con-sideriamo tutto quel che sappiamo del cer-vello e le (quasi nulle) evidenze che abbia-mo dell’esistenza di una realtà alternativa,mi sembra saggio attribuire un valore inizia-le maggiore alla seconda ipotesi piuttostoche alla prima. I dati nuovi, ad esempioquelli di Newberg e D’Aquili, mi sembranoaumentare la verosimiglianza dell’ipotesidella deprivazione sensoriale, mentre lascia-no del tutto invariata la probabilità chel’ipotesi della realtà alternativa sia corretta(perché i dati verrebbero osservati indipen-dentemente dall’esistenza o meno di unarealtà alternativa). Questo aumenta le pro-babilità finali della spiegazione naturalisti-ca, e lasciano inalterate le probabilità finali(già basse) della spiegazione trascendenta-le. Ergo, alla fine di questo round, sono giu-stificato a scommettere che la spiegazionenaturalistica è il cavallo vincente. Ma cometutti i buoni Bayesiani, lascio aperta unaporta ad ipotesi alternative e aspetto datiulteriori per pensarci su».

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62 » BIOETICA LAICA etsi deus non daretur

Sono passati ormai alcuni anni e possiamo torna-re a riflettere sulla legge italiana sulla feconda-

zione assistita senza la passione che il dibattito par-lamentare prima, e la battaglia referendaria poi,avevano suscitato. Tornare a riflettervi, tuttavia,non ci fa cambiare opinione, ma ci dà la confermadelle gravi storture recate da regole che, nel lorocomplesso, rappresentano un buon esempio dicome non si deve legiferare in materie eticamentesensibili.Da un lato, infatti, la legge vìola in più punti idiritti fondamentali delle persone (si badi che nonstiamo parlando di diritti morali che ancora atten-dono riconoscimento giuridico, ma di diritti giuri-dicamente affermati, esplicitamente sanciti dallanostra Costituzione, nonché da documenti inter-nazionali) e dall’altro mostra come, pur di vince-re una battaglia ideologica e conquistare unobbiettivo ritenuto politicamente importante, legerarchie ecclesiastiche cattoliche e le forze politi-che che a queste si genuflettono non abbiano esi-tato, con una buona dose di cinismo, a sostenerescelte normative in palese contrasto con lo stessomagistero cattolico.L’elenco delle violazioni di diritti fondamentalisarebbe assai lungo e mi soffermerò pertanto solosu quelle più vistose. Anzitutto è violato per piùaspetti il diritto fondamentale alla salute delladonna per via, a tacer d’altro, della limitazione delnumero degli embrioni formabili, del divieto delladiagnosi pre-impianto, dell’obbligo imposto aimedici di intervenire con le scelte che la leggeimpone, anche se non siano quelle che di volta involta appaiono le più adatte al caso; del divietodella fecondazione eterologa e dei benefici che essapuò recare per ciò che concerne, in particolare,una cesura della trasmissione di malattie geneti-che, e via dicendo. Su alcuni di questi aspetti visono ormai alcune coraggiose, ma controversepronunce giurisprudenziali: staremo a vedere.Viene poi in generale violato il principio di egua-glianza. Porre vincoli, in nome di pretestuosi

richiami a dettami etici a dir poco controversi, allalibertà procreativa significa discriminare le donne(e gli uomini) che necessitano di pratiche medicheper riuscire a procreare rispetto a coloro che pos-sono procreare senza ausili, a scapito, merita sotto-linearlo, proprio dei soggetti più deboli, quelli cheanzitutto il diritto dovrebbe tutelare.Questa discriminazione si traduce in una viola-zione del diritto a procreare o, più precisamente,del diritto a tentare di procreare e, nel caso che visiano impedimenti, del diritto a ricorrere alle pra-tiche che il progresso biomedico mette a disposi-zione a tale scopo. Che sussista il diritto alla pro-creazione mi sembra difficile negarlo, vuoi perchéè un corollario dell’inviolabilità della libertà per-sonale, che nessuno in questo Paese ha mai ten-tato di limitare (anzi, fino a qualche tempo fa siponeva, proprio da parte dei fautori di questescelte legislative, ogni possibile ostacolo all’auto-nomia delle scelte procreative, ovvero ogni possi-bile ostacolo alla maternità e alla paternitàresponsabili), vuoi perché i documenti interna-zionali sui diritti umani, compresa anzitutto lacarta dei diritti fondamentali dell’UE, affermanoesplicitamente il diritto di ciascun individuo aformare una famiglia.Del resto appare davvero curioso – ripeto – chetale discriminazione sia sostenuta proprio da colo-ro che hanno condannato e condannano con seve-rità e in linea di principio, in nome della rettamorale naturale (?), i tentativi, compiuti qua e làsenza successo o con esiti esecrabili, di imporrelimiti alla libertà procreativa. Senza poi trascurarele ricadute di questa discriminazione sulla salute –intesa, come l’intende l’OMS, come benessere psi-cofisico – delle donne, frustrate nel loro legittimodesiderio di maternità dal divieto di accedere atutti i possibili mezzi per realizzarlo.Le infinite limitazioni poste dalla legge si traduconodi fatto in un’ulteriore discriminazione di carattereeconomico, tra le donne (o le coppie) che sono ingrado di accedere alle tecniche di fecondazione assi-

La fecondazione assistita e laviolazione dei diritti del cittadino

Valerio PocarPROFESSORE ORDINARIO DI BIOETICA E DI SOCIOLOGIA DEL DIRITTOPRESSO L’UNIVERSITÀ DI MILANO-BICOCCA

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stita al di fuori dei confini nazionali e quelle che taledisponibilità non hanno. Si parla, con fondamento,di un ormai sviluppato – e costoso – “turismo pro-creativo”, al quale non tutte possono accedere.Abbiamo ripetuto fino alla nausea che le leggi diun Paese laico e pluralista non debbono, nelle que-stioni eticamente controverse, ispirarsi all’una oall’altra opzione morale, ma debbono limitarsi adettare norme di natura procedurale (se vuoi fare,puoi fare, ma devi fare secondo certe regole), làdove debbano essere garantiti diritti o interessi diterzi o di parti deboli. La legge italiana sulla fecon-dazione assistita va esattamente nel senso opposto.Nel suo complesso la legge appare ispirata ad unaesasperata tutela dell’embrione, al quale vieneriservata un’attenzione e un riguardo addiritturamaggiori che non al feto. Infatti, il divieto di dia-gnosi pre-impianto e l’obbligo di impiantare tuttigli embrioni formati (questioni sulle quali, fortu-natamente, la giurisprudenza ha cominciato alavorare, come già detto) non escludono, e anzicomportano, che la donna, accertatasi con diagno-si prenatale la malformazione del feto o una malat-tia genetica, ricorra all’interruzione volontariadella gravidanza.Questa legge – attenzione, con lo sguardo lungo suquella che regola l’IVG – propone, in un’otticamarcatamente misogina, una contrapposizione sulmedesimo piano tra la soggettività della madre equella dell’embrione. Si è osservato, e credo conragione, che in tal modo la Chiesa abbia inteso –tramite le istituzioni di uno Stato che dimenticaspesso il principio di laicità sul quale si dovrebbefondare –riprendere in qualche modo il controllosulla donna e sul suo corpo, quel controllo che ilprocesso dell’emancipazione femminile aveva, lai-camente e democraticamente, via via ridotto, senon eliminato.Ma veniamo a considerare il significato politico diquesta legge: significato che ben doveva essereimportante se per conseguirlo non si è esitato aviolare disinvoltamente non soltanto taluni dirittifondamentali delle cittadine e dei cittadini, maanche alcuni importanti princìpi della stessa dot-trina morale cattolica. Il fatto stesso che la fecon-dazione artificiale sia ammessa, sia pure con lerigide limitazioni previste, contrasta infatti colprincipio della inscindibilità del “significato uniti-vo e procreativo” dell’atto coniugale, vale a dire, inparole povere, che si ammette, in contrasto con la

dottrina cattolica, che la procreazione sia disgiun-ta dal rapporto sessuale. Inoltre, consentendo l’ac-cesso alla fecondazione artificiale anche alle cop-pie di fatto, si nega il principio della dottrina cat-tolica secondo il quale il matrimonio sarebbe l’uni-co luogo legittimo della sessualità e della procrea-zione. Anche se forse non spetta a un laico noncredente sottolineare queste contraddizioni, risul-ta evidente che lo scopo che si perseguiva non eraneppure – e già sarebbe stato una stortura tale daindurre a rifiutare in linea di principio queste scel-te legislative – quello di produrre regole conformia una pretesa “retta morale” da imporre per leggeall’intera collettività, ma quello di ottenere unrisultato contrabbandabile come una vittoria in unpreteso scontro tra la morale cattolica (quale?) e lamorale laica (quale?).Il tutto a beneficio, e a danno, di una maggioranza dicoalizione e, ahimè, anche di una minoranza di coa-lizione. Un gioco tutto politico, nel quale la laicitàdello Stato è stata mandata in soffitta e i diritti deicittadini pure. Non si deve a questo propositodimenticare che, contrariamente all’impressione chesi è intesa dare contro il vero – impressione cheperaltro ha certamente influenzato la scelta non par-tecipativa degli elettori in occasione dei falliti refe-rendum abrogativi – le cittadine e i cittadini implica-ti siano un’esigua minoranza della popolazione. Iproblemi di infertilità e di sterilità riguardano ormai,specie nelle generazioni più giovani, quasi un quin-to della popolazione e se parliamo di infertilità o disterilità di coppia ovviamente le cifre devono esserelargamente aumentate.Non che la violazione dei diritti fondamentali diuno solo sia ammissibile, ma è solo per dire che sitratta di un problema socialmente molto rilevante.Non è mancata l’ipocrisia nella quale taluni sonoda secoli maestri. La possibilità di ricorrere al turi-smo procreativo e la non punibilità (anzi, addirit-tura il riconoscimento degli effetti) prevista percoloro che vi ricorrano, comporta che il ricorsoalle tecniche di fecondazione assistita senza limita-zioni non sia di fatto negato, sia pur con la gravediscriminazione su base economica di cui hodetto, alle cittadine e ai cittadini italiani, ma si cer-chi semplicemente – e ipocritamente – d’impedir-lo sul territorio di un Paese a sovranità moralelimitata. Come dicevano, con più liberale e simpa-tica ipocrisia, certi genitori: «Fa’ quello che ti pare,ma non nel lettone di mamma e papà».

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64 » ETICA

» Che cosa è l’etica

In un momento in cui la filosofia è asfittica, spe-cialmente in campo ontologico e gnoseologico,c’è un buono sviluppo del pensiero etico, ali-mentato da nuovi campi di riflessione come ilriscaldamento, la fame nel mondo, il rapportofra i sessi, tra governati e governanti,l’eutanasia, l’ingegneria genetica, ecc.Per quanto possa apparire a qualcunosuperfluo voglio spendere qualcheparola sul concetto poiché, com’ènoto, l’etica concerne sia gli scopiche i moventi dell’agire umano, l’ub-bidire a princìpi o sceglierli, il farsiguidare dall’esteriorità precettisticaoppure dall’interiorità coscienziale.Presiede a questi vari fattori il con-cetto di bene: ambiguo, poliedrico,opinabile, equivocabile. Bene “perchi” e per “che cosa”? Questa è ladomanda di fondo, essendo il refe-rente finale del bene a fornire l’essenza di un’eti-ca, che riposa o nella credenza in un’entità supe-riore che desidera, vuole o comanda un com-portamento, o viceversa nella mente e, perché

no, nel corpo del soggetto che si dà un’etica per-sonalizzata. Compiacere una divinità o compia-cere la propria coscienza sono due modi antite-tici di concepire l’etica: quello del credente equello del noncredente.Su tali premesse si apre la prospettiva di un’in-dagine circa quelle etiche a-religiose del passato

che hanno improntato in diversamisura le culture fino ai nostri giorni,nascendo in un arco di tempo in cuicompare anche il “Libro” a base dellacultura giudaico-cristiana-islamica,cultura “della credenza” (e in variamisura “dell’ubbidienza”) che hacombattuto ogni etica eudemonisticaprodromica alla possibile felicità del-l’homo sapiens, giudicata falsa eimmorale se non demoniaca. AOriente nel VI secolo a.c. il buddhi-smo irrompe e devasta i fondamentidella cultura brahmanica, aOccidente (due secoli dopo circa)

quasi contemporaneamente Epicuro e Zenonedi Cizio aprono due prospettive etiche post-ari-stoteliche tutt’ora presenti nell’orizzonte dellanoncredenza. Nel proporre quest’indagine sui

Al nascere delle civiltà gli addetti ai lavori delle religioni, i sacerdoti, erano i depositari e i cultori dellaconoscenza: astronomia e misura del tempo, medicina e igiene, le regole del vivere insieme in funzio-ne dell’armonia sociale, o per il presunto compiacimento degli dèi o per volontà e soddisfazione delmonarca. Questa era, prima dei filosofi, l’etica primigenia, fondamentalmente legata alle religioni, perlo più etniche. Questo collegamento religione-etica è assai duro a morire ancor oggi quando la storiaci mostra quale oceano di sofferenza, pregiudizio, persecuzione e oscurantismo, anche morale, possaessere attribuito all’operato delle religioni. Esse, ciascuna per sé e ognuna contro tutte le altre, si auto-reputano le custodi dell’etica, cioè del discrimine tra ciò che è bene e ciò che è male, e ancor oggi laloro vulgata vuole che il “senza dio” sia un malvagio mentre l’adorante sarebbe un pio anche quandoaccende il rogo sotto i piedi di un noncredente. Sapere aude! Le tre grandi etiche non religiose di que-sto studio, che hanno fatto storia, cultura e morale nella Storia umana, vanno conosciute perchéespressioni di un paradigma assai diverso che ripone il bene e il male nel profondo della coscienza edella ragione e non nel capriccio di un dio o di un clero che si è inventato quel dio.

Grandi etiche a-religiose a confronto:Buddhismo, Epicureismo, Stoicismo

Carlo TamagnoneFILOSOFO

{ }STILLE DI NONCREDENZA

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rapporti fra l’etica buddhista, l’epicurea e la stoi-ca, avverto preliminarmente che la prima pre-senta aspetti spiritualistici assenti nelle altredue; mentre queste, materialistiche, sono inveceintrise di un razionalismo che nella prima èmolto sfumato. Inoltre, mentre lo stoicismochiama a un’etica rigida, quella buddhista equella epicurea sono elastiche ed adattabili.

» L’Oriente: il buddhismoL’etica di Siddharta (VI secolo a.C.), poi detto ilBuddha (l’“Illuminato”), si sviluppa nei suoi epi-goni sino a Nagarjuna (II secolo), che ne dà unesito compiuto nella dottrina nota comeMahayana. Va ricordato che i conquistatori isla-mici nel XII secolo si preoccuperanno di sradica-re il buddhismo dal suolo indiano, troppo antite-tico all’Islam, troppo pericoloso per i suoi conte-nuti atei. Con una certa tolleranza invece per l’in-duismo, visto come un ingenuo politeismo arcai-co evolvibile in monoteismo (cosa in parte avve-nuta con lo shivaismo, il visnuismo e con il sikhi-smo). La filosofia di Siddharta troverà tuttaviasbocchi a nord-est in Nepal, Tibet e Cina, a sud aCeylon, a est nella penisola indocinese, Corea eGiappone. Ciò che la caratterizza non è solol’abolizione delle caste, ma anche la totale assen-za di figure divine di riferimento; e tuttavia, perquanto il nucleo del buddhismo sia rimasto intat-to (dolore dell’esistere e suo superamento), nonsono mancate derive devozionali con oggetto ilBuddha stesso (visto come Bodhisattva).Il “confronto” è fattibile mettendo tra parentesi lospiritualismo del buddhismo per portarlo sul pianodelle due filosofie elleniche, sicché l’analisi concer-ne il confrontabile, escludendo il senso del sacrodel buddhismo ascetico, che ha nel nirvana il suotraguardo. Dagli anni dei sermoni del Buddha, tra-smessi dapprima oralmente, quattro secoli dopovede la luce il canone, il Tripitaka, ma la primaparte di esso, il Sutrapitaka, si ritiene fedele al pen-siero dell’Illuminato. Ciò che rende il buddhismointeressante per noi occidentali non è solo l’espul-sione del divino dal suo orizzonte (accompagnataperò dalla cassazione di ogni materialismo), maanche la sua ecletticità e plasticità. Basato sul con-cetto di impermanenza (anicca) del fisico, quale

insussistenza del mondomateriale, tale ultrafisicae immateriale realtà glo-bale (anatman) a cui ten-dere è grembo accoglien-te e materno, foriero digioia del vivere (ananda)e di convivere; ma richie-de anche la negazionedell’io-sé.Aggiungo che nel rap-portare quella buddhista

alle altre due etiche occorre tener presente che inessa l’intuizione prevale sulla razionalizzazione,mentre nell’epicureismo e nello stoicismo accadel’opposto. Quando nella dottrina Mahayana (ilGrande Veicolo) Nagarjuna parla di prainà, cioèdi sapienza, questa non è “all’occidentale” unaconoscenza delle cause, ma piuttosto una consa-pevolezza-superamento pragmatico-esistenzialedi una realtà falsata dalla percezione della mate-rialità, in direzione di un’altra, vera, di natura“mentale”. Ora, siccome sia l’epicureismo sia lostoicismo vedono l’essere come materia, appareevidente che nella misura in cui quella buddhi-sta è spiritualista (o se si vuole “mentalista”) essaè anche anti-materialista; ma non irrazionalisti-ca, come sarà quella schopenahueriana. Vaaggiunto che vi sono studiosi contemporanei delpensiero buddhista che ne evidenziano elementirazionalistici, ritenendoli più o meno occultatidalle esegesi tradizionali e perciò degni di esserportati all’attenzione come nuova linfa per lafilosofia occidentale.

» La Grecia: epicureismo e stoicismo

Essendo l’epicureismo e lo stoicismo familiari milimiterò a pochi cenni, ma una differenza impor-tante va evidenziata, e cioè che il primo è basatosull’ontologia pluralistica e indeterministica natacon Leucippo, mentre il secondo è monista edeterminista come il proto-idealismo diParmenide. Nascendo lo stoicismo a Cipro,all’epoca una porta sull’Oriente, e ad opera di unnon-greco, Zenone di Cizio, sono plausibiliinfluenze panteistiche orientali. Se nell’epicurei-smo manca ogni riferimento al divino, lo stoici-

NAGARJUNA

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66 » ETICA

smo ne è intriso, ma il referente è un impersona-le dio-ragione, l gos creatore e pervasivo del-l’uno-tutto. Nella cultura romana, tendenzial-mente militaresca e austera, lo stoicismo ha cul-tori importanti in Epitteto, Seneca e MarcoAurelio; ma solo Seneca ha una visione laica dellavita (per quanto oggetto anche di esegesi teologi-stiche), mentre negli altri due se ne accentua illato religioso. L’epicureismo trova in Campania ilsuo epicentro e cultori in Virgilio e Orazio, convero grande interprete Lucrezio. Dopo di lui l’epi-cureismo perde tono sino all’eclissi col trionfo delcristianesimo e lungo 1200 anni di teocrazia (dalIV al XVI sec.), riapparendo poi in umanisti comeCosma Raimondi e Lorenzo Valla. Destinomigliore per lo stoicismo, assimilato da correntidel cristianesimo siaper il suo anti-edoni-smo sia come “etica delsacrificio”.

» Le tre etiche aconfronto

Sotto quali aspetti letre etiche sono raffron-tabili? Direi sei: a) ilrapporto con la morte,b) il rapporto con lasofferenza, c) il rap-porto col piacere, d) ilrapporto con la virtù,e) il rapporto colconoscere, f) il rappor-to con “l’altro” nella convivenza umana. Questacornice tematica eviterà il disperdersi in dettaglinon trattabili in un breve scritto e a rischio diequivoci. Aggiungerò che, sotteso ai sei aspetticitati, è presente in esse il fine comune del “libe-rarsi” di zavorre intellettuali, liberazione cheper il buddhismo è consapevolezza dell’imper-manenza del mondo con annullamento dell’ego,per lo stoicismo l’accesso al l gos cosmico, perl’epicureismo la cassazione della paura degli dèie della morte. Nel buddhismo liberarsi dalla sof-ferenza significa avviarsi sulla via del risveglio edell’illuminazione (bodhi), in opposizione

all’edonismo epicureo che elegge i sensi corpo-rei a guide intellettuali e morali. Per Epicuro illiberarsi dall’idea della trascendenza e calarsinell’immanenza è il passo decisivo, la presa dicoscienza di ciò che sono il dolore e il piacere ecome questi si producono; ma i piaceri dei sensivanno perseguiti con grande moderazione, infunzione di un’aponia che escluda ogni eccesso.Nello stoicismo liberarsi significa tendere allarazionalità pura, far proprie le leggi eterne chegovernano il cosmo nel suo eterno ritorno, eli-minando i turbamenti emotivi e ponendosi al disopra di essi con la ragione. Il concetto di fato oprovvidenza, escluso nel buddhismo e nell’epi-cureismo, è il fondamento stesso del “liberarsi”stoico, ingresso nel fluire ripetitivo del tutto

vincolandosi ad esso.Concetto contradditto-rio, ma non per lo stoi-co, che vede la libera-zione proprio comesottomissione allanecessità panteisticadel pervasivo dio-l gos. Elementocomune ai tre indirizziè l’apologia della liber-tà e il rifiuto dellediscriminazioni traclassi sociali, e dunquelibertà di pensiero, dimovimento e d’azioneper chiunque. Ladiscriminazione ses-

suale è estranea solo all’epicureismo, mentrenello stoicismo e nel buddhismo l’atteggiamen-to è ambiguo. Infine la castità: è consigliata nelbuddhismo ascetico, trascurata nello stoicismo,svalutata nell’epicureismo.

» La mortea) Relativamente alla morte, il buddhismo la con-sidera un passaggio tra una forma e un’altra dellarealtà in divenire, sicché essa non è liberazione,poiché lo è solo il risveglio-illuminazione(bodhi). Chi rimane “legato” al corpo e non siavvia sulla strada della bodhi utilizzando la bud-

LUCREZIO

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dhi (la funzione mentale) non evolve, ma ripete.Per lo stoicismo la morte è l’ingresso nel tutto inattesa della rigenerazione palingenetica, per cuiessa sta nel flusso eterno e necessitato della mate-ria cosmica: saggezza è realizzare il vincolo onto-logico e gnoseologico e con esso l’areté, la virtù.Se vi sono impedimenti tali da non permetterel’esercizio della libertà intellettuale allora il suici-dio è un modo di rivendicare e affermare l’aspira-zione ad essa (tema trattato da Seneca in più luo-ghi della sua opera). Per l’epicureismo la mortenon è argomento filosofico al di fuori della con-sapevolezza che “se ci siamo noi non c’è lei e sec’è lei non ci siamo noi”.

» La sofferenza

b) Per quanto concerne la sofferenza va dettoche tutte e tre le etiche sono sostanzialmenteeudemonistiche, basate sull’aspirazione alla feli-cità, ma molto differenti le vie per conseguirla.Inoltre, l’assenza di dolore nel buddhismo non èl‘aponia epicurea, ma liberazione dall’io-sé, daldesiderio e dalle pretese del corpo; mentre perl’epicureismo il desiderio è via stessa al conosce-re. Per il buddhismo la soffe-renza è oggetto della libera-zione insieme all’ignoranzadell’impermanenza (precarie-tà, insussistenza) del corpo-reo; questo ci tarpa le ali perattaccamento a lui(up d na) ed è causa primadel soffrire. Il materiale nasceda una falsa immagine dellarealtà determinata dagliinganni della Maya, quindisquarciarne il velo ingannato-re usando bene la buddhi èconseguimento della bodhi.Nelle due concezioni grecheinvece l’unica realtà è propriola materia e la sofferenzanasce dal non capirne l’essen-za; l’aver capito significa per l’epicureo consegui-re l’aponia (assenza di dolore) e per lo stoicol’atarassia (assenza di turbamento). Massimoimpedimento al capire è per l’epicureo il fantasti-

care di un divino influente sul corso delle cose,tema posto da Lucrezio fin dall’inizio del Dererum natura nei versi: «Perciò a sua volta abbat-tuta sotto i piedi la religione / è calpestata, men-tre la vittoria ci eguaglia al cielo».

» Il piacere

c) Relativamente al piacere, il buddhismo vedeprevalentemente quello spirituale, proporziona-le al grado di liberazione dal mondo e dal corpo,ostacoli all’illuminazione-liberazione. Nellostoicismo il piacere corporeo è guardato con dif-fidenza perché legato ai sensi e non alla ragione,la felicità sta nel infatti nell’eliminare l’irrazio-nalità. Nell’epicureismo i piaceri del corpo, senon smodati, sono fattore importante di unvivere appagati e sereni; ma il piacere epicureo(contrariamente a ciò che se ne dice) è assai piùintellettuale che corporeo. Epicuro invita ripe-tutamente a moderarsi sia nel sesso che nel ciboe soprattutto ad accontentarsi sempre del“bastante”, fuggendo l’eccessivo, poiché:«Niente basta a colui cui il sufficiente non

basta». Inoltre il piacere perEpicuro non è nell’“andare adesso”, com’era per i Cirenaici,ma nell’aponia, uno “stare lonta-ni dal dolore” che implica ungiusto equilibrio tra i piaceri delcorpo e quelli della mente; equi-librio ignorato nelle false vulga-tae teologali.

» La virtù

d) La virtù nel buddhismo èbodhi, poiché risvegliarsi-illumi-narsi significa nobilitarsi e lanobiltà d’animo genera virtù. Mauso per approssimazione il con-cetto di “virtù” buddhista (che èinsieme conoscenza di sé) al solo

scopo di permettere il confronto col pensierooccidentale. È infatti il dharma la guida allavirtù, che non va confuso con quello della tradi-zione brahmanica e induista. Il dharma buddhi-sta non è un “destino” fisso e pre-assegnato, ma

EPICURO

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una realtà psico-motoria dinamica e diveniente.Inoltre c’è una sorta di scala dharmica a moltigradini, ai primi l’infra-mondano (il civile) eall’ultimo il sovra-mondano (l’ascetico). I primiaccessibili alle persone comuni, aspiranti solo avivere bene e in serenità, all’ultimo l’“illumina-zione totale”. Il concetto di virtù stoica (areté) èinvece abbastanza bloccato, poiché è imposto

dal l gos in un modello fisso per cui è basilaredovere del saggio (che l’ignorante non può capi-re). È un elevarsi al di sopra della quotidianitàper entrare nell’uno-tutto-l gos escludendopassioni ed emozioni per principio, facendodella felicità un derivato della virtù. Non perl’epicureismo, che rifiuta ogni virtù non conci-liabile col piacere, essendo questo che indica lastrada ad essa e non viceversa. Lo stoicismoromano sarà più flessibile: Seneca, che conosceed è sensibile all’epicureismo, sostiene democra-ticamente che la filosofia «non respinge né pre-ferisce nessuno, ma splende per tutti».

» La conoscenza

e) Per quanto il conoscere non implichi l’eticatuttavia ne determina le modalità, ma differiscenelle tre etiche. “Capire” la realtà nascosta delmondo pilota la formulazione di un’etica conse-guente, per cui in tutte e tre conoscere la realtàè un liberarsi da ostacoli sulla strada d’approc-cio ai problemi etici. Però l’oggetto impeditivo

per il buddhismo è l’attaccamento al mondo, perlo stoicismo il dipendere dalle passioni e dalleemozioni, per l’epicureismo la paura della mortee del divino. Ma il buddhista “restare attaccati almondo” non è peccato ma ignoranza, è questa laragione per cui il buddhismo è una filosofia enon una religione. In esso la conoscenza è illu-minazione “senza rivelazione” né “grazia”, sitratta di un’auto-didattica derivante dall’auto-illuminazione, come per lo stoico e l’epicureo.Ma nello stoicismo l’elemento osservazionale edesperienziale è nullo, conoscere è logicismopuro, meccanica mentale astratta che escludel’indagine naturalistica.

» Il rapporto con l’“altro”

f) Il rapporto “con l’altro” è nel buddhismo soli-daristico e compassionevole mentre nelle dueetiche greche prevale un concetto elitario, con il“volgo” quale controparte, sì da opporre il non-filosofo (l’ignorante) al filosofo (il saggio).Discrimine tipicamente occidentale, ma proprioanche del brahmanesimo, combattuto e negatodal buddhismo, per il quale c’è interdipendenzaontologica, ovvero nulla esiste “in sé e per sé”,tutto è “connesso”. Parafrasando: io non esistosenza te, noi due non esistiamo senza gli altri ela totalità esiste con noi e noi con essa. Tale“relazionalità” esclude le autonomie; tutto è“privo-di-sé” come recita il Dhammapada.Liberarsi è accedere alla realtà dell’io-con-tutti,uomini, animali e piante, questi in me e io inloro nel non-sé generale (anatt ). Etica demo-cratica al massimo grado quindi, e distruttivadel castalismo brahmanico, ma anche oppositi-va all’elitismo stoico, col quale peraltro condivi-de il concetto di totalità ontologica continua. Lostoicismo è “per pochi” per principio, mentrel’epicureismo lo è in quanto le religioni domina-no le moltitudini, mantenendole nell’ignoranza.Le accomuna anche la scarsa considerazionedella politica e del potere, con l’individualismoepicureo lontanissimo, mentre il buddhismo hacultori come il re Ashoka e lo stoicismo impera-tori come Marco Aurelio.

68 » ETICA

IL SUICIDIO DI SENECA

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» Influenze sulla cultura moderna

Se ho raffrontato le tre etiche cercandone le cor-rispondenze non è solo per ragioni filosofiche,ma anche storiche. Ridotta la pressione culturalecristiana dal XVI secolo si sono aperti spazi peretiche a-religiose. In questo scenarioquella stoica trova cultori inMachiavellie Montaigne, poi in Federico II diPrussia, che vede austerità e abnegazio-ne nell’etica del “guerriero saggio”. Nelsecolo XVII è oltremanica che Lucrezioriceve attenzioni e c’è la prima traduzio-ne in inglese del De rerum natura daparte del poeta John Dryden, cui segueun nuovo corso esegetico in una pro-spettiva più corretta. L’epicureismo èpresente nell’illuminismo francese conLa Mettrie e Diderot, lo stoicismo con Rousseau.Su questo sfondo cominciano a delinearsi i primirapporti col pensiero buddhista grazie ai reso-conti dei viaggiatori.

Nel XIX secolo arriva quel pensatore solitario efuori schema che è Schopenhauer, il quale, infunzione anti-hegeliana, elabora una visionedel mondo pregna di buddhismo, ma in unsenso pessimistico che in esso non c’è affatto.Hegel, da parte sua, trae dal buddhismo spunti

teoretici per il suo divenirismodell’Assoluto. Poi viene Freud, che cono-sce bene le tre etiche e le utilizza comevariabili nascoste di una teoria medicaliberatoria ed eudemonistica, ed egliparla di nirvana per indicare lo stato esi-stenziale del feto nel grembo materno.Nel prosieguo del XX secolo le tre etichesi incontrano dialetticamente e si interse-cano sulla base di tre caratteristiche loroproprie: la stoica austerità di vita conintransigenza morale, l’epicurea aspira-

zione al piacere e all’appagamento, la buddhistaliberazione dallo stress tecnologico aprendo unnuovo orizzonte esistenziale e (per chi ci crede)escatologico.

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ZENONE

“Lo scarso amore che gli uomini hanno perla verità fa sì che essi per lo più non siprendano pena di distinguere quel che èvero da quel che è falso. Essi lascianoentrare nell’animo ogni sorta di discorsi edi massime, preferiscono supporli veri chesottoporli ad esame: se non li capisconovogliono credere che altri li capiscanobene; e così si riempiono la memoria diuna infinità di cose false, oscure e noncomprese, e ragionano poi in base a questiprincipi, senza quasi considerare né quelche dicono né quel che pensano. La vanitàe la presunzione contribuiscono ancoramolto a questo difetto. Si ritiene vergo-gnoso il dubitare e l’ignorare, e si preferi-sce parlare e decidere a caso, piuttosto chericonoscere di non essere abbastanzainformati delle cose da darne un giudizio.”

Logica di Port Royal ovverodell’arte di pensare di Arnauld e Nicole

Questa croce, fotogra-fata in una chiesa cat-tolica, mette volon-tariamente in eviden-za tutti gli attrezzi checontribuirono a provo-care sofferenza fisicaal fondatore del cri-stianesimo quando fu

crocifisso: tenaglie, martello, corona di spine,lancia ecc. Etica, empatia ed il proclamato“amore per il prossimo” avrebbero voluto che lanuova religione avesse ripudiato ogni mezzo cheprocura sofferenza. E invece no: la perversitàumana e la brama di potere hanno prevalso coni roghi dei vivi e le torture (la ruota, le tenaglieroventi, la corda) che sei secoli, cioè 600 anni diInquisizione cattolica, seminando il terrore,hanno inflitto senza batter ciglio ai sospettati didissenso. Lager e gulag ante litteram. Anche cosìnascono le religioni.

COME NASCONO LE RELIGIONI

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70 » TEOLOGIA

» La dimostrazione di Gödel

La principale novità introdotta da Gödel consi-ste nell’esplicitare i possibili assunti che primapotevano rimanere impliciti, e nell’usare il for-malismo e i metodi della logica modale, cioè diquel tipo di logica che tiene conto delle “moda-lità”: un’affermazione non è solo vera o falsa,ma può essere vera in modo necessario, oppurepossibile (cioè non è necessaria la sua negazio-ne), oppure contingente (cioè non è necessariané essa né la sua negazione), o altro.Semplificando, la linea della dimostrazione diGödel parte dal definire formalmente il concettodi “proprietà positive”. Intuitivamente, si trattadei classici attributi o perfezioni, come l’onnipo-tenza, l’immortalità, la giustizia, la compassionee così via. Ma di tutto ciò nel testo di Gödel nonsi fa menzione. Si descrivono le proprietà positi-ve in astratto, definendole come si fa per gli entimatematici. Si dichiara che l’unione di due pro-prietà positive è ancora una proprietà positiva,che se una cosa non è una proprietà positiva allo-ra lo è la sua negazione, e così via.Dio, o meglio la proprietà G che viene interpre-tata con il significato di “essere dio”, viene cosìdefinita come la proprietà consistente nel pos-

sedere tutte le proprietà positive.Vengono inoltre dati alcuni assiomi, i veri e pro-pri punti di partenza del ragionamento, tra cuiper esempio il fatto che l’“esistenza necessaria”sia una proprietà positiva, e che ogni proprietàche sia conseguenza di una proprietà positivasia a sua volta positiva.A partire dalle definizioni e dagli assiomi si svi-luppa una serie di passaggi che, pur costituendola dimostrazione vera e propria, paradossalmen-te ne sono la parte meno interessante e più tecni-ca rispetto all’impostazione generale e agli assun-ti scelti per dare il via al ragionamento.Applicando gli strumenti della logica modale sideduce dapprima che è possibile che esista qual-cosa che ha la proprietà G; poi che se è possibileche esista allora è necessario. Quindi, dio esiste.

» Cosa c’è che non va?

Uno dei meriti dell’operazione di Gödel è diaver precisato compiutamente i termini che siutilizzano in questo tipo di dimostrazione e irapporti tra essi. Per citare Roberto Magari, «inogni caso il lavoro di formalizzazione e, di con-seguenza, di chiarimento, fatto da [Gödel] èdegno di ammirazione anche se, sembra a me,

Kurt Gödel el’esistenza di dio

Daniele A. GewurzDIPARTIMENTO DI MATEMATICA - UNIVERSITÀ DI ROMA “LA SAPIENZA”

La ricerca matematica dell’impossibile

Kurt Gödel fu uno dei più grandi logici di tutti i tempi. Gli si devono alcuni risultati fondamentali in variambiti della logica, i più noti dei quali sono i teoremi di incompletezza, che descrivono i limiti intrinsecidi qualunque sistema formale. Tra le carte di Gödel - ne parlò a un collega nel 1970 ma probabilmenterisale a molti anni prima - si trova anche una dimostrazione, concisa (due scarse pagine manoscritte) epuramente logica, dell’esistenza di dio. Di fatto si tratta di una rielaborazione delle varie prove ontolo-giche con cui, da Anselmo d’Aosta, a Cartesio, a Leibniz, si è cercato di stabilire per via razionale lanecessità dell’esistenza di dio, partendo da una definizione astratta dell’ente supremo e mostrando checome conseguenza di questa definizione l’ente non può non esistere. Una di queste versioni, semplifican-do, consiste nel dire: «Definiamo dio come l’ente dotato di tutte le possibili perfezioni; esistere è una per-fezione (rispetto a non esistere), e quindi dio esiste».

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71Anno II - n.4 • marzo / aprile 2010NONCREDO

da tali concetti è improbabile cavar fuori qual-cosa di rilevante». Infatti, al di là dei suoi meri-ti, la dimostrazione di Gödel soffre in buonaparte dello stesso tipo di difetti di tutte le altreprove ontologiche che l’hanno preceduta, difet-ti che già Kant aveva messo in luce.Innanzi tutto il punto di partenza del ragiona-mento, cioè gli assiomi che vengono presi comebase di tutto il resto, non sono in realtà molto piùovvii o facili da accettare delle conclusioni che nevengono tratte. È stato anche rilevato che, sebbe-ne gli assiomi non portino a contraddizioni for-mali, potrebbero dar luogo a una contraddizioneuna volta interpretati in termini etici o fisici: peresempio si può non concordare sul fatto chel’unione di due proprietà positive sia ancora unaproprietà positiva, o sia anche solo concepibile(come succede per attributi non del tutto compa-tibili come la trascendenza e l’onnipresenza).Inoltre è difficile, se non impossibile, passaredal mondo puramente astratto delle idee logi-che all’esistenza concreta di qualcosa (dio, inquesto caso), deducendo questa da quelle. Ed èdiscutibile già il fatto stesso di considerare l’esi-stenza in sé come una proprietà o una perfezio-ne. Per molti filosofi si tratta semplicementedella copula di un giudizio, del verbo “essere”di una frase.Infine molti, anche credenti, non condividereb-bero il concetto di dio descritto da questo tipodi dimostrazioni, o addirittura non sarebberod’accordo con l’idea stessa che sia possibile cir-coscrivere in termini umani l’essenza di un dioe tanto meno, quindi, manipolarla con procedi-menti formali.

» Gödel e dio

E allora come è possibile che una delle piùgrandi menti del XX secolo sia caduta nellasecolare tentazione di risolvere con metodi ter-reni un problema che per sua stessa natura nonsi presta a questo approccio?Prima di tutto, stiamo parlando di un appuntoprivato. È verosimile che sia solo poco più diun esercizio, un’analisi formale di un certo

ragionamento, di cui Gödel si limitò a metterein luce la struttura e a esplicitare il contenuto,alla luce del linguaggio e dei metodi della logi-ca modale.In secondo luogo un ragionamento di questotipo, che va dal puramente logico al metafisico,è un’espressione di una certa forma mentis por-tata a un estremo. Nella logica, se un sistemaformale (un insieme di simboli e di regole permanipolarli) non contiene contraddizioni, cioèse non è possibile dedurre al suo interno siaun’affermazione sia la sua negazione, allora inqualche senso questo sistema esiste. In generequesta esistenza è del tutto astratta: è possibilecostruire un “modello” matematico che realiz-za tutte le proprietà di quel sistema formale.Normalmente non si intende che esista qualcheoggetto fisico – o metafisico –descritto dalsistema formale. Nello stesso spirito, pare cheGödel fosse interessato a studiare la non-con-traddittorietà – e quindi, in teoria, la possibili-tà – di varie teorie scientifiche e non, compre-so lo spiritismo, la sopravvivenza dell’anima ecosì via.Infine, pare che Gödel si considerasse un teistae avesse effettivamente un vivo interesse perso-nale e, potremmo dire, una grande aperturamentale nei confronti di numerose possibilità,dalla vita oltre la morte, alla trasmigrazionedelle anime, ai fenomeni paranormali. Su que-sto non si può dire molto, perché Gödel tende-va d essere schivo sulle sue opinioni personalie molto raramente le esprimeva in pubblico: lamaggior parte di quello che sappiamo viene datestimonianze di conoscenti o dalla corrispon-denza privata, tra cui alcune lettere in cui lamadre lo metteva in guardia dai possibili mil-lantatori in questo campo.

Mi piace concludere con una frase tratta daitaccuini di Gödel: «Dedicarsi alla filosofia è inogni caso salutare, anche quando da ciò nonemerge alcun risultato positivo (ma io rimangosconcertato). Ha l’effetto che “il colore apparepiù brillante”, cioè che la realtà appare conmaggior chiarezza come tale».

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72 » BIOLOGIA

Perché mangiamo quando abbiamo fame obeviamo quando abbiamo sete? Perché ci

arrabbiamo quando le cose non vanno per ilverso giusto o scappiamo quando vediamo unpericolo? La risposta più comune a questedomande è che abbiamo capito di avere un “pro-blema” e ci comportiamo di conseguenza.Questa risposta rispecchia la convinzione che inostri comportamenti emotivi siano una rispostarazionale e cosciente ai cambiamenti che si veri-ficano nell’ambiente interno o esterno. Eppure èevidente a tutti che anche un ratto, un uccello oun pesce hanno dei comportamenti simili ainostri, ugualmente finalizzati alla sopravvivenza,e a nessuno sfugge che questi animali abbianoun cervello ben più primitivo del nostro.Tutto questo dovrebbe farci sorgere almeno deidubbi sul fatto che le nostre emozioni dipenda-no dalla comprensione dei “problemi”. E infattigli studi compiuti hanno confermato che ci puòessere un’emozione senza che si sia riconosciu-to lo stimolo che l’ha provocata, cioè senza chelo stimolo sia arrivato alla coscienza. Ciò è pos-sibile perché i comportamenti essenziali per lasopravvivenza, come la paura, sono sostenuti daaree cerebrali che sono comparse, nel corso del-l’evoluzione, ben prima che comparissero quel-le che determinano la coscienza. E durante

l’evoluzione successiva queste aree non sonoscomparse, ma sono state integrate nelle strut-ture che divenivano sempre più complesse.Come le fondamenta di un grattacielo non sonoun inutile retaggio del passato, ma sono anziuna parte essenziale dell’edificio, così le vestigiadel passato evolutivo che abbiamo in comunecon altri animali fanno ancora parte e partecipa-no attivamente al funzionamento del nostro cer-vello. Ed è seguendone l’evoluzione che scopri-remo come si è arrivati, ad esempio, alla perce-zione umana della paura.

» Il cervello rettiliano

Le emozioni sono prodotti evolutivi “salvavita”che fanno compiere agli animali le azioni chenel corso dell’evoluzione si sono dimostrate piùvantaggiose di altre in circostanze simili. Unqualunque vertebrato-preda che incontra unpredatore mostra le stesse manifestazioni fisichedella paura: si blocca, la pressione sanguigna sialza, aumenta la frequenza cardiaca e respirato-ria, cambia la sensibilità al dolore, i riflessi siacuiscono, aumenta la motilità intestinale, cre-sce la tensione muscolare, si liberano gli ormo-ni dello stress e via dicendo.Queste risposte fisiche, comuni a tutti i vertebrati,

PARTE SECONDA

I rapporti con l’ambiente

Le basi organichedel comportamento

Bruna TadoliniGIÀ PROFESSORE ORDINARIO DI BIOCHIMICA E BIOLOGIA MOLECOLARE

PRESSO L’UNIVERSITÀ DI SASSARI

Fisicità della metafisica

Parte 1° - L’evoluzione del comportamentoParte 2° - I rapporti con l’ambienteParte 3° - I rapporti con il partner

Parte 4° - I rapporti con la proleParte 5° - I rapporti col gruppo socialeParte 6° - I rapporti con l’altro mondo

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73Anno II - n.4 • marzo / aprile 2010NONCREDO

nell’uomo sono gestite dal midollo allungato e dal-l’ipotalamo, centri nervosi che corrispondono alcervello primitivo dei rettili. Gli output della pauranon sono quindi cambiati molto nel corso dell’evo-luzione; ciò che è cambiato, complicandosi notevol-mente, sono sia gli input sia le strutture che li elabo-rano. Nei vertebrati inferiori gli input sono soprat-tutto i segnali olfattivi, e le strutture nervose cheorganizzano e coordinano le diverse risposte meta-boliche necessarie a fronteggiare la situazione sono,principalmente, il midollo allungato e l’ipotalamo.

» Il cervello dei mammiferi inferiori

Durante l’evoluzione dei mammiferi, la perce-zione del pericolo è stata molto migliorata gra-zie allo sviluppo e all’organizzazione di aree ner-vose il cui compito è quello di raccogliere edintegrare segnali provenienti anche dagli altriorgani di senso (visivi, uditivi, tattili ecc.).Questo ha permesso di avere una rappresenta-zione migliore del segnale in arrivo e quindi didare una risposta più mirata. L’integrazione fra isegnali in arrivo è stata ottenuta inviandoli altalamo, una zona cerebrale che li elabora. Il tala-mo però non è in grado di “capire” se essi sianosegnali di pericolo o no: per questo li trasmetteall’amigdala, la cui funzione è proprio quella diidentificare, fra i segnali che riceve, quelli peri-colosi. Questo avviene confrontandoli sia conuna sua memoria innata di ciò che è pericolosoper quella specie (un gatto per i topi, un serpen-te per l’uomo) sia con una sua memoria di even-ti “pericolosi” acquisita in base all’esperienza. Sec’è corrispondenza, l’amigdala “etichetta” ilsegnale in entrata con un’emozione: la paura.

Individuato in questo modo il pericolo, l’amig-dala stimola l’ipotalamo e le altre strutture “ret-tiliane” responsabili della risposta fisica al peri-colo, di cui si è parlato precedentemente: graziea questo sistema, la risposta fisica al pericolo ènei mammiferi associata ad una emozione.La risposta emotiva talamo-amigdala-ipotalamo(Fig. 1) è rapida ma imprecisa, piuttosto stereo-tipata e certamente poco adatta ad individuare idiversi e mutevoli pericoli presenti nell’ambien-te. Nel corso dell’evoluzione dei mammiferi essa

è stata integrata aggiungendovi due importantivarianti che permettono di caratterizzare e diriconoscere meglio il segnale in entrata. Per farequesto è stato necessario evolvere altre strutturenervose, creando così un nuovo circuito piùlungo e più lento. Ma evidentemente il giocovaleva la candela: nel nuovo percorso (Fig. 2) iltalamo, oltre a mandare il segnale direttamenteall’amigdala, lo manda anche ai nuclei della cor-teccia sensoriale (visiva, uditiva, tattile ecc.)che, essendo specializzati, permetterebbero diidentificare meglio il segnale. Il condizionale èdovuto al fatto che un’identificazione è possibi-le solo se si ha a disposizione uno “schedario”,cioè una memoria di dati acquisiti in passato.Affinché questo nuovo circuito potesse funziona-re è stato necessario dotarlo di una zona cerebra-le che permettesse di costruire la memoria a lungotermine e quindi i ricordi. Se l’amigdala è la paura,l’ippocampo è la memoria. Esso è “di servizio” sulpercorso che porta i segnali dal talamo alle areecorticali, dove possono essere immagazzinati erecuperati in caso di necessità. I nuclei sensorialidella corteccia possono così identificare molto più

Figura 1

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74 » BIOLOGIA

accuratamente il segnale e, successivamente,inviarlo all’amigdala. Qui avviene l’etichettaturacon l’emozione paura e l’attivazione delle struttu-re “rettiliane” responsabili della risposta fisica alpericolo. Questo nuovo percorso talamo-ippo-campo-corteccia sensoriale-amigdala-ipotalamo,pur essendo molto migliore dal punto di vistadella qualità dell’informazione che porta all’amig-dala, non ha soppiantato il precedente in quantopiù lento: quando c’è di mezzo la vita è megliopoter sempre contare su un circuito di rispostarapida, mentre in casi dubbi è meglio essere pron-ti per ogni evenienza (percorso veloce), anche ascoppio ritardato(percorso lento).Questi due circuiti, “veloce” e “lento”, hannoanche un’altra differenza, importante dalpunto di vista teorico e pratico: poiché lo svi-luppo del nostro cervello ripercorre il percor-so fatto dall’evoluzione, il circuito veloce è giàattivo quando un componente fondamentaledel secondo (l’ippocampo = memoria) non èancora “maturo”. Questo spiega perché nonricordiamo l’origine di alcune nostre fobie: lepaure che abbiamo acquisite nei primi anni divita infatti, non passando attraverso l’ippo-campo, non sono fissate nei nostri ricordi, masono immagazzinate nell’antica memoria del-

l’amigdala e da lì condizionano la nostra vita.Esistono infatti due memorie: quella “esplicitao dichiarativa”, che possiamo richiamare acomando e che usa gli elementi immagazzina-ti grazie all’ippocampo, ed altre memorie dette“implicite o procedurali”, che sono evolutiva-mente molto più antiche e che non possonoessere richiamate. In pratica per tutte le espe-rienze che abbiamo acquisito nei primi anni divita (compreso il camminare, il parlare ecc.)dobbiamo ringraziare le antiche memorieimplicite. Tutto questo dovrebbe farci riflette-re sul fatto che nei nostri primi anni di vita,pur essendo esseri umani, in realtà abbiamousato “vecchie” strutture cerebrali che abbia-mo in comune con animali evolutivamenteben inferiori a noi; nonché sul fatto che peranni abbiamo provato paure, e dato ad esserisposte corrette, senza però esserne coscienti.

» Il cervello dei mammiferi superiori

Abbiamo visto come il nostro cervello contengadelle aree che producono emozioni, cioè elabora-zioni mentali che ci allertano quando si verificanointorno a noi delle circostanze che richiedono lanostra attenzione. L’emozione è accoppiata ad unarisposta “stereotipata” che nel corso dell’evoluzio-ne si è dimostrata come la più vantaggiosa in simi-li circostanze. Abbiamo visto come nel corso del-l’evoluzione siano stati migliorati i circuiti di pro-duzione dell’emozione, e come nulla sia statofatto sul miglioramento della risposta comporta-mentale che, praticamente, è sempre e solo una.Questa fissità nella risposta rende ragione del fatto

Figura 2

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75NONCREDO

che, fino ad un certo punto dell’evoluzione ani-male, non si sia sentita la necessità di renderecosciente l’emozione. Solo quando il cervello èstato in grado di produrre diverse opzioni fra cuiscegliere, solo allora ha avuto senso portare alivello della coscienza uno stato emotivo che ciinforma della presenza di una situazione che puòrichiedere una risposta razionale.Quindi si può ben dire che il successivo passoverso la nostra più complessa gestione dellapaura è stata l’evoluzione del cervello razionale.Non sono chiare le pressioni ambientali e/o socia-li che hanno determinato, nella linea evolutivadei primati, il grande sviluppo della neocortecciacerebrale. È chiaro invece che essa ha permessodi immagazzinare una enorme quantità di ricordiche possono essere usati sia nel riconoscimentodei nuovi segnali sia nella loro elaborazione. Ciòconsente di produrre molteplici soluzioni e divalutarle criticamente. È stato un lungo processoevolutivo che è culminato con la comparsa di unanuova funzione cerebrale: la coscienza. È graziead essa che siamo diventati emotivamentecoscienti, cioè che abbiamo un sentimento di unaemozione. La struttura nervosa responsabile diquesti cambiamenti è ancora una volta l’amigda-la che, come abbiamo visto, è da sempre quellache invia al corpo ed alla mente i segnali emoti-vamente rilevanti. Grazie alle nuove connessioniacquisite nel corso dell’evoluzione dei primati,essa non è più solo una stazione terminale sullavia dell’esecuzione di un’azione, ma invia anchesegnali di ritorno alla corteccia. Questi segnalicerebrali e corporei, di ritorno al cervello, parte-

cipano alla costruzione nella coscienza di unevento in corso, dando ad esso un contenutoemotivo. Sentiamo così la paura.

» Il cervello umanoProviamo il sentimento di paura quando il nostrocervello percepisce le variazioni prodotte nelcorpo e nella mente dall’amidgala. Il passo evolu-tivo successivo è il sentire il sentimento di paura,vale a dire, provare la consapevolezza di averepaura. Questo avviene quando il nostro cervelloaccompagna il sentimento di paura con un sensodi sé, rendendolo cosciente. Questo successivopassaggio evolutivo, neurobiologicamente ancoraabbastanza oscuro, non si sarebbe verificato senon avesse portato ad un vantaggio comporta-mentale. Ma l’avere sentimenti è di straordinariaimportanza nell’orchestrazione della sopravviven-za: permette di pianificare risposte specifiche enon stereotipate, permette la pianificazione dinuove forme di risposta adattative, su misura.È utile sentire i propri sentimenti, ora che l’evo-luzione dei processi cognitivi permette di pro-spettare diverse soluzioni al problema. Ma perpotere attuare soluzioni diverse da quelle codifi-cate nei comportamenti istintivi bisogna essere ingrado di controllare gli istinti, e questa fase del-l’evoluzione è ancora in corso. Per ora l’influenzadell’amigdala sulla corteccia è ancora superiore aquella della corteccia sull’amigdala, e l’eccitazio-ne emotiva domina e controlla il pensiero. In unfuturo, forse, la lotta fra pensiero ed emozionepotrebbe evolvere in una armoniosa integrazionefra le due e, magari, in un prevalere della ragione.

Anno II - n.4 • marzo / aprile 2010

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76 » SAPIENZA ”disputationes”

Il cosiddetto buddismo è e non è unareligione.

La è nelle versioni che ammettono culto dienti soprannaturali. Non la è nelle versioniasciutte che ammettono solo lavoro su sécorpo-mente in vista di un lucido-mistico,trasformante-sobrio rapportarsi al fatto-mistero del mondo.

In queste seconde versioni il buddismo nonsolo non è una religione, non è neanche unbuddismo: nel senso che non è, che vuolenon essere un ismo “buddismo”. Vuol esse-re non altro che - oltre nome e forma, oltreparola e dottrina - nuda diretta esperitarealtà.

Non la sola realtà che conosce la scienza,cioè la totalità coerente dell’osservabileempirico e dell’inferibile logico, ma anchela realtà che conosce - se può usarsi il ter-mine - la sapienza, cioè la totalità coerentedel significativo esistenziale.

Le due realtà, o i due aspetti dell’unica real-tà, non sono contrastanti; sono anzi insepa-rabili. Il destino di morte che caratterizza lavita umana è un osservabile biologico, il

dolore umano per questo destino è unosservabile psicologico, valutare le diverserisposte al destino di morte è compitosapienziale. Dire che la singola vita umananon è il centro dell’essere è constatare unfatto fisico, dire che il singolo io-vita si per-cepisce come il centro dell’essere è consta-tare un fatto psicologico, valutare le diverserisposte al contrasto tra l’oggettivo e il sog-gettivo, tra l’ontologico e l’egoico, è compi-to sapienziale.

Il buddismo non-religione, il buddismonon-buddismo si vuole precisamente visio-ne sapienziale realistica della realtà. Se èaltro è fallito. Sono visioni sapienziali nonrealistiche le rivelazioni religiose, le mitolo-gie antropomorfiche, molte filosofie e ideo-logie; sono visioni realistiche non sapien-ziali la scienza, le scienze. Il buddismo nonismo è docile perfetto accordo con la scien-za (comprese le incertezze, le lacune, glierrori, le autocorrezioni della scienza) manon si esaurisce nella scienza, perché consi-dera il mondo della scienza anche come uncongegno propizio, se preso dalla parte giu-sta, al conseguimento di risveglio/realizza-zione/illuminazione; considera il corpodella natura, il borgesiano aleph, anche

fremito fratto di fronde di pioppo minutesfondo di torbido turgido empito acqueoaria che frizza di spuma inarcata nel ventofuni a contrasto che sfogliano spogliano ramivoli perduti sperduti stortati su fiumeche rugge. mi è questo il buddismo

(Arno a Ellera, piena del 25.12.2009)

Perchè il buddismo non è una religioneLuigi Lombardi VallauriPROFESSORE ORDINARIO DI FILOSOFIA DEL DIRITTO PRESSO L’UNIVERSITÀ DI FIRENZE

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come dharmak ya, corpo di dolore e splen-dore capace di generare esperienza esisten-ziale di verità.

Si dirà: non c’è solo il tuo buddismo non-buddismo. Ci sono buddismi iperbuddisti -mitologici, devozionali, magici, parrocchia-li, teocratici, fanatici, settari; c’è una scola-stica buddista non meno intricata, nonmeno spaccatrice di capelli, non menoUCAS (Ufficio Complicazione AffariSemplici) della più eristica scolastica cri-stiana. Risposta: ebbene sì, basta inoltrarsianche solo nel Dizionario del Buddhismo diCornu o nei capitoli sui buddismi orientalie occidentali del quarto volume della Storiadelle religioni di Filoramo e ci si ritrovacoscienziosamente smarriti per una religio-so-cultuale, religioso-claustrale, religioso-intellettuale selva oscura.

Tuttavia:

1) anche il buddismo non-buddismo, il bud-dismo da lasciare come scala quando sei sul-l’albero o come zattera quando sei sull’altrasponda o come stadio di razzo quando sei inorbita o come docente esterno quandoormai impari dalla tua diretta personaleesperienza (“se incontri il Buddha per lastrada uccidilo”) ha solide basi dottrinali;

2) io sono uno che agli ismi preferiscecomunque la realtà, a una dottrina di paro-le la dottrina della riva di ciotoli e sabbia, ladottrina della rapida di torrente, la dottrinadella montagna.

Proviamo a terminare con un canto del mioarciguru Milarepa rivolto al curioso di tem-pli e monasteri celebri, di maestri prestigio-si e di libri Reciungpa:

Figlio mio, come Gompa può bastare il tuocorpo;Nella giusta posizione esso diventa il palaz-zo degli Dei.Come Lama può bastare la tua mente;Conoscendola essa diventa l’incarnazionedei Preziosi.Come testo può bastare il mondo esterno;Ogni apparenza è un esempio sulla via dellaliberazione.

Basta un corpo-mente nel mondo. Il gompail lama il testo sono indispensabili perché ilcorpo-mente e il mondo siano sufficienti.

Per approfondimenti:

J.L. Borges, L’Aleph (1949), ora in Tutte leopere, vol. I, Mondadori, Milano 1984; L.Lombardi Vallauri, Terre. Terra del Nulla,Terra degli uomini, Terra dell’Oltre, Vita ePensiero, Milano 1989, specialmente capi-toli 14, 15 e 17 (“Scienza ed evoluzione psi-cospirituale”); Dharmak ya, il “corpo diverità”, in AA.VV., Per uno statuto delcorpo, a cura di C.M. Mazzoni, Giuffrè,Milano 2008 (con molti errori nelle intitola-zioni dei paragrafi); P. Cornu, Dizionario delBuddhismo, Bruno Mondadori, Milano2003; AA.VV., Storia delle religioni, volumeIV, Religioni dell’India e dell’EstremoOriente, a cura di G. Filoramo, Laterza, Bari1996; B.R. Ambedkar, The Buddha and hisDhamma, Buddha Bhoomi Publication,Nagpur, Taiwan 2001; S. Batchelor,Buddhism Without Beliefs, New York 1997,tr. it. Il Buddhismo senza fede (titolo moltoinfelice), Neri Pozza, Vicenza 1998; AA.VV.,Il buddhismo contemporaneo.Rappresentazioni, istituzioni, modernità, acura di M. Sernesi e F. Squarcini, SocietàEditrice Fiorentina, Firenze 2006; TsangNyong Heruka, I centomila canti diMilarepa, Ed. “Rassegna Culturale J.M.”,Roma 1989; i versi citati sono a p. 147.

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78 » BIOETICA MEDICA

Questa proposizione contiene riflessionee motivazione di ripensamenti. La

domanda Chi è persona? potrà essere inter-pretata diversamente, destando sconforto orifiuto. Potrà altresì destare accoglimento eadesione secondo la posizione culturale diognuno, cioè secondo il paradigma cheognuno di noi si costruisce.È necessario spiegare brevemente il concettodi “paradigma”, perché tale concetto giusti-ficherà alcune asserzioni che verranno pre-sentate, e che appunto potranno essereaccolte o rifiutate proprio per il paradigmaassunto.Paradigma è uno schema di pensiero o mododi organizzare un discorso che permea ilnostro atto di vedere e sentire.Ciascuno di noi, crescendo in un datoambiente culturale, ne acquisisce il relativoparadigma (cioè lo schema di pensiero), equesto diviene il modo di “vedere” credendoche quel modo di vedere sia la realtà.Non pensiamo che possa essere diversa: larealtà è quella che ci viene trasmessa dalparadigma. Quest’ultimo come schema men-tale di interpretazione si radica profonda-mente in noi e diventa consolidato circa laconoscenza dei fatti.Anche per il concetto di persona vale il para-digma, cioè lo schema di pensiero che siinserisce in noi e viene appreso nel tempocome ci viene insegnato.

» Ma “persona” chi è?

Bisogna definire chi è persona, bisogna vederequali sono gli attributi della persona.Il concetto stesso di persona, così come la suadefinizione, ha una lunga storia che non pren-derò in considerazione, ma soffermo l’atten-zione su due affermazioni: “non tutti gli esseriumani sono uguali” e “le persone, non gli esse-ri umani, sono speciali”.Questo doppio asserto deriva dal fatto cheTommaso d’Aquino definisce persona «ogniindividuo dotato di natura razionale», mentreKant dice che «l’uomo è persona in quantoportatore della legge morale» e Hegel sostieneche «persona è detentore di diritti».

È evidente che non tutti gli esseri umani sonoautocoscienti e capaci di avere “attività supe-riori”, come l’esecuzione di processi logici oanche l’espressione di biasimo o di lode.Si vuol perciò dire che esistono adulti capaci diintendere e volere, adulti fortemente ritardatimentalmente, feti, neonati, individui in statovegetativo permanente (che hanno definitiva-mente perso le “capacità superiori”) che costi-tuiscono esempi di non-persone umane.Ciò che è importante in noi, in quanto umani,non è l’appartenenza alla specie homo sapiensin quanto tale, ma il fatto di essere persone,ossia l’appartenenza alla categoria degli esseriritenuti possessori delle eccellenze.

«Nulla è o buono o cattivo, il pensiero lo fa tale» (Shakespeare, Amleto, atto II, scena 2)

Chi è persona? Anche l’embrione?Gianfranco VazzolerPRIMARIO PEDIATRA-NEONATOLOGO, LAUREE IN BIOETICA ED IN FILOSOFIA

Per Tommaso d’Aquino persona è «ogni individuo dotato di natu-ra razionale», per Kant «l’uomo è persona in quanto portatoredella legge morale» e per Hegel «persona è detentore di diritti».

Foto nel titolo - Sul paradigma: vaso e due persone che si guardano. Non si possono vedere le due figure istantaneamente,o l’una o l’altra. Un nuovo paradigma scelto con “un salto” è adesione a un nuovo modo di vedere le cose.

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79Anno II - n.4 • marzo / aprile 2010NONCREDO

Perciò dobbiamo avere, per essere persone,quelle caratteristiche proprie della persona,che sono,come affermato da Tommasod’Aquino, Kant, Hegel (e numerosi altri pensa-tori, ad esempio Rita Levi Montalcini, NormanFord, Evandro Agazzi):

• capacità di autocoscienza;• senso morale;• razionalità.

Chi possiede queste proprietà è una persona,ma affinché sia riconosciuto come tale devemostrare queste proprietà in modo “attuale”.Ciò vuol dire che persona è chi de facto o “inatto” ha le proprietà che la caratterizzano comeportatrice di diritti, e può decadere dallo statusdi persona se perde queste proprietà.Mostrare queste proprietà in modo “potenzia-le” non è sufficiente. È come dire che il figliodel re è re;invece diverrà re, ma non lo è fin da subitosolo per il fatto di essere figlio di re, e quindi ilfiglio del re non ha i doveri e i diritti del re,così come non ne ha le qualifiche.Se X è un potenziale Y, ne consegue che non èun Y. Ad esempio, se i feti sono persone poten-ziali, ne consegue chiaramente che non sonopersone. Di conseguenza X non ha i dirittiattuali di Y, ma li possiede solo potenzialmente.Se i feti sono solo persone potenziali, nonhanno i diritti delle persone “attuali”.Se X è un presidente potenziale, da quel solofatto consegue che X non ha ancora i diritti ele prerogative dei presidenti attuali.

Analogamente un essere umano è personaquando ha “in atto” le proprietà caratteristichedella persona.Questa precisazione è decisiva, perché la nozio-ne di persona è considerata come centro didiritti e connessa con la dovuta tutela.Per questo, al riguardo, si può ragionare nelmodo seguente:a) le persone sono portatrici di diritti;b) questo individuo è una persona;

c) questo individuo è portatore di diritti.

a - è un concetto descrittivo (le proprietà dellapersona), è una premessa;

b - è un concetto ancora descrittivo che stabi-lisce che de facto quel soggetto possiede quelleproprietà che fanno la persona;

c - è la conclusione, è un concetto normativo eindica come trattare quell’individuo che è por-tatore di diritti “in atto”, ossia gode dei dirittipropri della persona.

Solo le persone hanno problemi e obblighimorali. Il mondo stesso della morale è resopensabile dalle persone.Il problema è che non tutti gli esseri umanisono persone.Le persone sono autonome (self-legislating),scelgono per sé stesse. Non è così nel caso deifeti, degli infanti, dei ritardati mentali gravi,dei soggetti in stato vegetativo permanente.Viene allora attribuito un senso “sociale” dipersona alla vita umana biologica non perso-nale, cioè “essere una persona per considera-zioni sociali”. Si giustifica un senso sociale dipersona sull’utilità della pratica di trattarecerte entità come se fossero persone. Se unapratica del genere potrà essere giustificata, siavrà un senso sociale di persone sulla base divarie considerazioni consequenzialistiche, uti-litaristiche e non.

Esiste quindi “un senso stretto di persona” e“un senso sociale di persona”.Gli attributi di persona si acquisisconodiversi anni dopo la nascita; affermiamo chequesti attributi si possono perdere, cioè sipuò perdere autocoscienza, senso morale,razionalità, decadendo dallo status di perso-na. Queste persone “decadute” sono perso-ne in senso sociale. Ciò vuol dire che siamonoi che attribuiamo la qualifica di persona(il senso di persona) a chi persona ontologi-camente non è.

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80 » BIOETICA MEDICA

Qui è da rivisitare ciò che abbiamo detto per ilconcetto di “paradigma” e vien da citare anco-ra Amleto:“Nulla è o buono o cattivo, il pensiero lo fa tale”.

» Il ruolo del pre-embrionee dell’embrione

È stato presentato in Parlamento un progetto legi-slativo che vuole attribuire il dettato dell’art. 1 delCodice Civile al momento del concepimento.Nell’ordinamento italiano sono persone fisiche gliesseri umani che con la loro nascita diventano sog-getti rilevanti ai fini del diritto, in quanto, secon-do l’art. 1 del Codice Civile, divengono titolari didiritti e doveri, ovvero acquisiscono la capacitàgiuridica. La soggettività della persona fisica iniziacon la sua nascita e cessa con la sua morte; l’ordi-namento può quindi attribuire la titolarità disituazioni giuridiche al nascituro o concepito,condizionandola al fatto che nasca sicché, primadella nascita, tali situazioni giuridiche sono solopotenziali. Ciò esclude che si possa parlare, inquesti casi, di capacità giuridica del concepito.Quando si parla di diritti umani si parla del-l’uomo o meglio della persona. Questa distin-zione non è impropria ed è di fondamentaleimportanza quando si argomenta sui diritti

umani e sull’antropologia che li sostiene.Sappiamo che “ «non è possibile dedurre da unqualsivoglia concetto di natura umana, intesacome dato univoco, costante e immodificabile,i diritti che spettano all’uomo in quantouomo». E non è possibile perché l’uomo nonha una natura definita e determinata, e perchéla deduzione – questo modo di procedere delpensiero proprio delle scienze logico-matema-

tiche – non è applicabile all’umano.Nel campo morale non si danno “fondazioni”,ossia dimostrazioni assolute e ultime, bensì“giustificazioni”, ossia motivazioni plausibili oragionevoli di una determinata tesi. Tanto piùproblematico diventa il concetto di “naturaumana” quando si ha che fare, in modo bioeti-

co o scientifico, con una “struttura” o “ogget-to” proprio dell’origine della vita, ovvero ilpre-embrione (o ootide).

Per la comprensione delle critiche che si faran-no in seguito è opportuno richiamare alcunenozioni di embriologia umana capaci di deli-mitare l’intervento ragionativo:- avvenuta la fecondazione si costituisce ciòche chiamiamo zigote;- 30 ore dopo la fecondazione lo zigote, persegmentazione, raggiunge lo stadio di due bla-stomeri;- 60 ore dopo la fecondazione lo zigote, per-corsa la tuba di Falloppio, quando raggiungelo stadio da 12 a 16 blastomeri, prende l’aspet-to di “morula” e raggiunge la cavità uterina;- al quarto giorno si forma una cavità detta bla-stocele e si ha una formazione chiamata “bla-stula” con 64 cellule;- al sesto giorno inizia la penetrazione nellamucosa uterina, ed è questa la fase embrionale.

Sappiamo anche dalla embriologia e dallagenetica che il pre-embrione ha cellule “toti-potenti”, cioè capaci di dare inizio alla forma-zione di tessuti, organi e anche gemelli; questovuol dire che non vi è ancora una identità indi-viduale, pur avendo una identità genetica; signi-fica che non vi è ancora un piano individuale dicostruzione autonomo da riferire a un embrio-ne. L’embrione può essere considerato ontolo-gicamente tale solo al suo impianto in utero,cioè a partire dal sesto giorno.Quali diritti, intesi come diritti umani, può van-tare un “ente” siffatto? Qui nasce il problema diorigine aristotelica, cioè se l’embrione sia poten-zialmente un uomo. Si chiama in causa la dottri-na della potenza e atto di Aristotele.La questione è interessante ed importante, epone problemi sui diritti o mancati tali del-l’embrione. L’embrione è potenzialmente unuomo, si chiedeva Aristotle in mancanza delconcetto di persona, o no? Più propriamente

oggi diciamo: è una persona o no? La Chiesa,

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81Anno II - n.4 • marzo / aprile 2010NONCREDO

oggi, fa riferimento, per definire il concetto diuomo e di persona, all’anima. Aristotele affer-ma che l’embrione possiede inizialmente l’ani-ma vegetativa, e quindi non è ancora animale,che successivamente acquista l’anima sensitivadivenendo animale, infine l’anima razionale,

che proviene dall’“esterno”, dal “di fuori”.L’anima sensitiva fa sì che l’embrione diventianimale, l’anima razionale fa sì che l’embrionediventi uomo in potenza, ed è acquisita al qua-rantesimo giorno. Tommaso d’Aquino haaccolto questa tesi aggiungendo, comeAristotele non avrebbe potuto, che l’anima ècreata da dio e quindi infusa.

» Perchè quarantesimo giorno?

Perché fino ad allora l’embrione può dividersiancora e generare dei gemelli, quindi perTommaso non rispetta la definizione di Boezio,cioè «la persona è una sostanza individuale dinatura razionale» e perciò, non essendo indivi-duale in ragione del potenziale sdoppiamentogemellare, non è persona. L’animazione tardivaè giustificata dal fatto che fintanto che non si èformata la corteccia cerebrale non si può “fon-dare” la persona, e ciò viene dedotto per ana-logia: un bambino che nasce con anencefaliapuò essere chiamato (se sopravvivesse) essereumano o persona sia pur in potenza?Il filosofo tomista A. D. Sertillanges (1947)affermava, per la stessa giustificazione, chel’animazione avviene tra il sesto e l’ottavomese; padre Norman Ford abbraccia la tesisecondo cui, fino al quattordicesimo giornodal concepimento, l’embrione umano non èancora un individuo separato, perché puòancora dividersi in più individui (gemelli).Non essendo un individuo, esso non è ancora

persona. Evandro Agazzi, filosofo cattolico,sostiene che l’embrione può essere consideratopersona solo in una fase ancor più avanzata delsuo sviluppo, ossia quando esistono le condi-zioni per l’instaurarsi della “razionalità” dellasua natura umana; Jacques Maritain, anch’egli

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82 » BIOETICA MEDICA

filosofo cattolico, afferma che «è assurdo chia-mare “bebè” un ovulo fecondato;si vuol dire che “un seme non è una pianta».Giovanni Reale, ancora un altro filosofo cattoli-co, sostiene che «l’embrione non è ancora unuomo in atto ma ha la potenzialità di diventar-lo», e tanto meno l’embrione è “persona” finchéresta in provetta: sopprimerlo diventa “omici-dio” solo dopo che esso sia stato impiantato nelluogo giusto, cioè nell’utero materno. Se ne

deduce che prima dell’impianto tutto sia lecito,quindi: pre-embrioni, embrioni e persone in poten-za hanno diritti?

Sulla questione ontologica e bioetica del-l’embrione, dopo la decisione presa da treStati – Svizzera, Regno Unito e Spagna – chepermettono l’indagine genetica sugliembrioni si è innescata la discussione apertatra posizioni di diverso orientamento etico.C’è chi afferma e sostiene che l’embrione (etanto più il pre-embrione) non è un essereumano perché, facendo riferimento adAristotele , si chiama “potenza” la capacitàdi essere o fare qualcosa, e questa capacità èchiamata anche “in potenza”. L’embrione èinteso da alcuni (cattolici) essere già uomo inpotenza, altri invece sostengono che l’em-brione non è ancora uomo in atto (laici). Inquesto secondo caso la sua soppressione nonè omicidio, nel primo caso sì.Si fa osservare che Aristotele afferma che «ciòche è in potenza è in potenza gli opposti»: que-sto vuol dire che se l’embrione può diventareun uomo in atto, proprio perché lo può e non lodiventa ineluttabilmente, può anche diventarenon uomo, cioè qualcosa che uomo non è.L’embrione, si dice, è in potenza un essere giàuomo, ma si è visto, proprio perché è “inpotenza” uomo, che l’embrione è in potenzaanche non uomo. Pertanto è in potenza ancheun essere-già-non-uomo. È già uomo e anchenon uomo. Proprio per questo l’embrione nonè un esser uomo.Se un colore è insieme un rosso e un non rosso,tale colore non è il color rosso.

Analogamente, se l’embrione è in potenzaquel esser già uomo che è necessariamenteunito all’esser già non-uomo, ne consegueche l’embrione non è già un uomo; non ècioè quell’essere autenticamente uomo cherifiuta di unirsi all’essere non-uomo. Questoautentico esser uomo non è pertanto conte-nuto nell’unità potenziale dell’esser uomo edel non-esser uomo. Non essendo l’uomocontenuto nell’embrione, non si può quindidire che sopprimendo l’embrione si uccidel’uomo. Quindi i diritti del pre-embrione edell’embrione non sono quelli riservatiall’uomo come persona.

» Conclusione

Per quanto riguarda i diritti umani, cioè idiritti dell’uomo che hanno come fondamentola teoria della “natura umana”, è facile isti-tuirli. I diritti vanno attribuiti indistintamen-te ad ogni uomo, «Tutti gli uomini partecipa-no infatti del logos e tutti quindi hanno paridignità». Problematico diviene il riconosci-mento di “uomo” all’embrione e al pre-embrione, e problematico diviene il riconosci-mento del “diritto” di cui si dice.Le posizioni teoretiche sono contrapposte sul-l’interpretazione dell’uomo come persona; è l’in-terpretazione della persona e il suo fondamentoche non permettono un congiungimento delleparti in causa.Difficile modificare un percorso che sembra esse-re come “due binari”. Difficile per il carattere di“potenzialità” e di “attualità” che si attribuiscealla persona, e per il definire quando si attuano le“qualifiche” di persona. L’Essere umano non è datutti considerato sinonimo di persona; si può, peralcuni, appartenere alla specie umana senza esse-re ancora o senza essere più persona, per cui sipuò non avere diritti umani o perdere questidiritti.

Che senso ha allora spostare il dettato dell’art. 1del Codice Civile al momento del concepimen-to come detto all’inizio di questo scritto?

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» La via del diritto, la via del dovere

Per gli uomini occidentali del terzo millennio iltermine democrazia è un concetto “normale”,un concetto “acquisito”, ma per una buonaparte del mondo, ancora oggi, democrazia rima-ne una parola sconosciuta, ascoltata in qualchediscorso alla televisione, riportata dai giornali,ma mai assolutamente vissuta, una parola affa-scinante ma spesso priva di qualsiasi contenuto.Il concetto di democrazia, al giorno d’oggi, èvisto in modo dinamico, come una necessità perla forma di governo di adattarsi agli sviluppieconomici e sociali in modo da garantire alpopolo i diritti fondamentali.Il termine democrazia deriva dal greco démos(popolo) e krátos (potere-forza), ed etimologi-camente significa “governo del popolo”. I popo-li occidentali del terzo millennio identificano lademocrazia con un qualcosa di assolutamentepositivo, ma questa idea positiva è stata il fruttodi uno sviluppo millenario. Sul concetto moder-no di democrazia hanno avuto grossa influenzale idee illuministe, le rivoluzioni dei secoliXVIII e XIX (in particolare la Rivoluzione fran-cese), la carta costituzionale americana del 1787e quella francese del 1791, che vertevano sulprincipio della separazione dei poteri.Agli antipodi della democrazia vi è, però, un altromodo di governare, un altro modo di intendere ilpotere: la teocrazia. Questa è una forma di gover-no in cui il potere politico è stabilito su base reli-

giosa. Anche il termine teocrazia deriva dal greco:theós (dio) e krátos (potere-forza), ed etimologica-mente significa “governo di dio”. Il creatore deltermine teocrazia fu lo scrittore e storico romanoGiuseppe Flavio, che dette un’impronta greca adun concetto teologico ebraico. La teocrazia si svi-luppò nel corso dei secoli in differenti forme edalterne fortune. Calvino, ad esempio, riorganizzòla città di Ginevra instaurando una teocrazia: chidissentiva dalla dottrina ufficiale, improntata a unrigido autoritarismo fisico e morale, veniva esilia-to e talvolta messo a morte. Al giorno d’oggi, ilpotere teocratico viene esercitato direttamente dalclero, come in Iran con gli âyatollâh, o indiretta-mente, come avviene nel caso dei re per dirittodivino. La teocrazia è concepita in antitesi allademocrazia, che fonda la legittimità del poterepolitico e la fonte del diritto sulla volontà delpopolo, e non sul volere di dio. Nel terzo millen-nio il termine teocrazia è riferito quasi esclusiva-mente ai regimi islamici e viene associato a formepolitiche irrazionali o sottosviluppate.Che la maggior parte dei paesi islamici sianoStati teocratici è un dato di fatto, ma bisognacapire se è un dato incontrovertibile o se invecevi è la possibilità anche per i paesi musulmani diprogredire verso la democrazia. Per capire imotivi che hanno portato i musulmani a rimane-re ancorati, tranne poche eccezioni come laTurchia e l’Indonesia, ad una forma di governoteocratico, bisogna risalire sino all’originedell’Islam, bisogna risalire all’anno zero islamico.

ISLAM dalla teocraziaalla democrazia:un cammino possibile?

Alan MarriFILOSOFIA DELLE RELIGIONI - ISLAMISTA

«La democrazia è incompatibile con l’idea che la religione abbia una legittimità superiorealle leggi dell’uomo. L’obiettivo mondiale deve essere lo Stato laico, perché non appena siviene a creare un’istituzione religiosa che si pone al di sopra di ogni dubbio, allora si mani-festano la tirannia, il controllo del pensiero ed un’assenza di spirito critico che impedisco-no il progresso intellettuale e morale».

Alla luce degli attuali eventi interni in Iran

NONCREDO » RELIGIONI

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84 » RELIGIONI

» L’origine della sottomissione:dallo shirk alla rahma

La libertà di opinione e di religione, di cui parlala democrazia, ai musulmani richiama l’idea diqualcosa di estremamente negativo, qualcosa cheessi hanno voluto e dovuto dimenticare e rinne-gare, il periodo della razionalità, dell’individuali-smo sfrenato, gli anni bui della jahiliyya (il perio-do pre-islamico), il caotico mondo pagano cheprecedette l’Islam. Gli arabi pre-islamici resistet-tero per molti secoli al monoteismo che era diffu-so nei paesi vicini, preferendogli una molteplici-tà di dèi che non esitavano ad insultare e minac-ciare se non soddisfacevano i loro desideri.Nel tempo della jahiliyya, alla Mecca vi erano360 dèi insediati nella Ka‘ba, ma erano soprat-tutto tre dee a regnare su tutti gli altri, dee chesi nutrivano di sacrifici e di sangue, dee di guer-ra e di morte: al-‘Uzza, il cui nome significa“potere” nel senso militare della parola; Manat,il cui nome deriva dalla stessa radice di maniyya(morte); al-Lat, che è una contrazione di ilahat(dee). Queste divinità erano le più potenti econdividevano il titolo di taghiya (tiranno).Quando Maometto entrò alla Mecca nel 630,tutti gli dèi della Ka‘ba vennero cancellati. Aquel punto il contratto sociale dell’Islam venneconcluso: pace in cambio di libertà, rahma incambio di shirk. Maometto promise pace alprezzo del sacrificio, il sacrificio non solo dellalibertà ma anche dell’egoismo individuale e deldesiderio (hawa). L’hawa era considerata dalProfeta la fonte della discordia e della guerra,l’hawa era la crepa attraverso la quale il disordi-ne poteva infiltrarsi, e doveva quindi essere eli-minata. Da quel fatidico e nefasto momento lata‘a (obbedienza a dio) divenne l’unica possibi-le scelta per i musulmani. Il ra’y (l’opinione per-sonale), l’ihdath (innovazione) e l’ibda‘ (creazio-ne) vennero banditi come blasfemi e pericolosi.Da quel momento la vera pace sarebbe stata ilfrutto della rinuncia alla libertà di pensiero, allalibertà di religione, all’individualismo, all’opi-nione personale, alle passioni; queste caratteri-stiche pre-islamiche sarebbero state sostituitedalla rahma, una sensibilità profonda nei con-

fronti degli altri, nei confronti dell’intera comu-nità (‘Umma). I tradizionalisti sostengono chenon si può essere musulmani ed abbracciare lademocrazia (dimuqratiyya) allo stesso tempo,perché essa è straniera alla cultura islamica.

» Le colpe dell’Occidente:la democrazia fra desiderio e paura

Se gli attuali regimi teocratici islamici possonoessere spiegati con l’abbandono della ragione e lafusione di religione e politica, questo non esimegli Stati occidentali dall’ammettere le propriepesanti colpe nella formazione e nell’aiuto eco-nomico e militare agli stessi regimi.Nell’Ottocento e per buona parte del Novecentogli Stati occidentali hanno colonizzato intereregioni islamiche, imponendo la propria forzapolitica, economica e militare. L’Occidente nonha portato nelle zone musulmane il suo sviluppoe le sue conoscenze in campo tecnologico per farcrescere quelle nazioni, per farle uscire dall’arre-tratezza, ma solo per poterle sfruttare. Inoltre gliStati occidentali si sono guardati bene dall’espor-tare la democrazia, preferendo avere come inter-locutori autocrati fantocci, facilmente controlla-bili. Il risultato è stato un impoverimento dellerisorse naturali di quelle nazioni e soprattutto unimpoverimento delle risorse finanziarie. Gli Statiislamici, nel secolo scorso, hanno acquistatodalle potenze occidentali quasi il 40% di tutte learmi vendute nel mondo, sprecando in questomodo importanti risorse che avrebbero potutoessere destinate allo sviluppo industriale, tecno-logico, culturale, e soprattutto avrebbero potutoeliminare la piaga peggiore, la disoccupazione,che è stata la causa degli spostamenti di popola-zione, quasi di massa, degli ultimi vent’anniverso i paesi europei.Per Tariq Ramadan, docente di filosofia ed isla-mistica all’università di Friburgo, vi sono duepassi fondamentali da fare per la democratizza-zione dei paesi islamici. Il primo passo è quellodell’intervento dei paesi occidentali: «Sono ipaesi liberi che devono denunciare in modocostruttivo le ingiustizie che si consumano neipaesi dittatoriali, e non stipulare accordi coi dit-

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tatori e le petro-monarchie». Il secondo passo è:«una mobilitazione della realtà civile per ricon-ciliarsi con la politica, riappropriandosi di essaper potersi battere per i propri valori; lottarecontro la discriminazione dei poveri, delledonne, perché non è possibile tacere di fronteall’analfabetismo e al delitto d’onore». TariqRamadan spiega che il processo di democratiz-zazione passa per la presa di coscienza del valo-re di ogni uomo e di quello delle donne all’inter-no della società, citando come esempio positivole esperienze di microcredito promosse inBangladesh da Mohammad Yunus, banchiere edeconomista, nonché premio Nobel per la Pace2006, che confermano che il processo di svilup-po cammina di pari passo col processo di demo-crazia. I teocrati musulmani, invece, cercano diassociare la paura dell’Occidente, insita nellapopolazione musulmana, con l’idea stessa didemocrazia. Essi vogliono identificare la demo-crazia con una malattia occidentale; manipolanola paura popolare dell’ignoto cercando di bolla-re come nemica e straniera una forma di gover-no che li farebbe cadere dai loro troni dorati.

» Democrazia:tra speranza e possibilità

La democrazia non è incompatibile con l’Islam,né con un’altra religione. La democrazia èincompatibile con il fondamentalismo, sia essodi matrice islamica, cristiana o ebraica.D’altronde l’Inquisizione ed i papi guerrierierano lontani dalla democrazia, tanto quanto losono oggi le teocrazie islamiche. La democrazianon è incompatibile nemmeno con i partiti reli-giosi: ve ne sono in Israele, negli Stati Uniti, inItalia, in Turchia. La democrazia è incompatibi-le con l’idea che la religione abbia una legittimi-tà superiore alle leggi dell’uomo.L’esperienza storica dimostra che puntare sullademocrazia paga, sia in termini di progressosociale, sia in termini di sviluppo tecnologico, siain termini di benessere economico. NelNovecento la democrazia sembrava impossibile inEuropa. E quando crollarono le democraziedell’Europa meridionale e orientale, tutte a mag-

gioranza cattolica, gli analisti conclusero che lademocrazia era compatibile soltanto con il prote-stantesimo, non adatta ai popoli latini.Esattamente come ora si dice che non sia compa-tibile con l’Islam o con gli arabi. Il 90% dei paesicattolici oggi è amministrato da governi elettidemocraticamente. La speranza è che fra pochidecenni si potrà dire la stessa cosa dei paesi isla-mici, ma per far ciò si deve eliminare la compo-nente fondamentalista e violenta.Gli scettici con-vinti che la democrazia in medio oriente nonpotrà attecchire perché non c’è mai stata, sidimenticano che se fosse vero, la democrazia nonesisterebbe in nessun luogo e non sarebbe mainata, perché la dittatura e l’oppressione sono piùantiche della democrazia e della libertà. Prima diessere liberi, siamo stati tutti oppressi. Esiste unasperanza che un giorno il mondo possa vivere unapace duratura, guidato da Stati democratici cherispettino i diritti umani e producano sviluppo enon morte, ma per realizzare questo sogno biso-gnerà trovare soluzioni diplomatiche forti, biso-gnerà cercare la via del compromesso, bisogneràrispettare il “diverso”, chiunque esso sia.L’obiettivo mondiale deve essere lo Stato laico,perché non appena si viene a creare un’istituzio-ne religiosa che si pone al di sopra di ogni dub-bio, allora si manifestano la tirannia, il controllodel pensiero ed un’assenza di spirito critico cheimpediscono il progresso intellettuale e morale.

Shirk dal punto di vista etimologico significa sempli-cemente “associare”, “partecipare”. Ha una connota-zione negativa perché viene utilizzato per descrivereil disordine e la confusione precedenti l’anno 630, ladata della conquista della Mecca. Lo shirk è il poli-teismo, è associare altre divinità a dio. Lo shirk è lalibertà di pensare e di scegliere la propria religione; èil più grande peccato che si possa commettere.

Rahma è un concetto ampio con molteplici sfaccetta-ture: sensibilità, tenerezza e anche perdono. È tutto ciòche è dolce e tenero, nutriente e sicuro, come un grem-bo. Rahma ha la sua radice, infatti, in rahm (utero).

Non c’è una parola araba per il termine demo-crazia e per questo anche nel mondo araboviene usato il termine greco, dimuqratiyya.

Anno II - n.4 • marzo / aprile 2010NONCREDO

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Egregio direttore,

sono un insegnante di lettere e mi colpisce la frequenza con cui lei cita un nostro grandepoeta e premio Nobel, Giosuè Carducci, che oggi però nelle scuole è quasi caduto nell’oblio.C’è un particolare motivo? Grazie.

Nicola PalaiaGittò la tonaca Martin Lutero, gitta i tuoi vincoli uman pensiero.A te, dell’essere principio immenso,materia e spirito, ragione e senso;sacri a te salgano incensi e voti! Hai vinto il Geova dei sacerdoti.

Questo è il Nostro. E le sembra poco?

Gentile dottor Bancale,

Ammiro ed apprezzo la sua rivista NonCredo, ne condivido i temi, ma quali possono esserne ifini? La Chiesa cattolica resta così incombente in Italia, vi impera da circa due millenni, non èpiù un impero o un regno ma il suo potere, mutatis mutandis, mi sembra più o meno inalterato.Non ci sono precedenti nel mondo di “rivoluzioni” contro le religioni: secondo lei chi o che cosace la può togliere da dosso? E cosa fare?

Michela AndreiGentile Sig.ra Andrei,Vi sono degli assoluti biologici che vanno onorati: nutrirsi per sopravvivere, accoppiarsi per assicurare lacontinuità della specie, coltivare amore, libertà e giustizia affinché vivere possa avere un senso, comprende-re la natura della sofferenza per poterla superare. Ma dove è scritto mai che si debbano subire le capriccio-se ideologie di tanti disparati cleri e religioni di cui, per giunta, se d’un tratto scomparissero, non se ne accor-gerebbe nessuno e tutto proseguirebbe normalmente sul sentiero dell’evoluzione e della Storia? Che è poi ciòche è sempre ed infinite volte avvenuto nel corso dell’avvicendarsi e susseguirsi di civiltà e culture umane apartire innanzitutto dalle loro religioni: veda Greci ed Atzechi, Sumeri ed Inca, Egizi e Romani, Vichinghi,Etruschi, Minoici, Navajo, Inuit, Ittiti, Celti, Bon e via. La morale? Signora, bisogna saper attendere.

Gentile direttore,

Da molti anni mi sono riavvicinato alla Chiesa Cattolica e traggo serenità dalla Fede. Non com-prendo per quale motivo si debba propagandare l’Ateismo contro le diverse Religioni. Perchétogliere la Speranza in chi crede? Con i migliori saluti.

Alberto BertolucciGentile Sig. Bertolucci,Togliere la speranza sarebbe un atto velleitario e nonmorale, e non si fa. Non lo farei mai io e non lo fa NonCredo,che si limita a proporre cultura ad un pubblico adulto e colto. La ricerca della verità possibile, invece, è una cosadiversa: non vuole togliere speranza, ed è fatta con serenità come nella filosofia, o con seria ricerca come nellescienze. A me dà molta serenità interiore e partecipativa, e non mi toglie la libertà di indagare senza scafandridogmatici. Partecipare al mondo, secondo me, è anche guardarlo con occhi propri autonomi. La funzione diNonCredo è solo quella di proporre visioni diverse alla libera valutazione del lettore. La fede? Secondo me ognifede, proprio perché tale, consiste nella fede in una fede altrui, che è arrivata fino a noi in qualche modo. Ho ilpiù grande rispetto per la sensibilità di chiunque, e cerco soltanto di fare anche conoscere la bellezza del pensarein proprio in un amorevole orizzonte etico e noetico. Non vivo in funzione del problema di dio-sì o dio-no, matrovo che le religioni istituzionalizzate, dogmatiche e gerarchiche, oltre a dividere tragicamente gli uomini, postu-lano una totale abdicazione in ambito cognitivo ed etico. Mi piacciono i personaggi che “cer-cano”, come Ulisse e Prometeo, e aborrisco l’obbedienza religiosa, per fede, che èarrivata ad armare la mano di padri contro figli per compiacere il pro-prio dio, come nei miti di Ifigenia e di Isacco.

scambio di opinioni Scriveteci a: [email protected]

Lettere sono anche pubblicate sul sito: www.religionsfree.org

Perchè Carducci?

Speranza, Obbedienza e Libertà

Quanto durano le religioni?

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MANUALE DI STORIA DELLE RELIGIONIdiG.Filoramo,M.Massenzio,M.Raveri,P.Scarpi, Laterza,pp.594

Un buon manuale per un’introduzione a vasto raggio allastoria delle religioni. Quattro specialisti in campi diversi fon-dono le loro conoscenze: Filoramo è uno studioso del cri-stianesimo, Scarpi del politeismo, Raveri del pensiero orien-tale, Massenzio dell’antropologia della religione. Un ottimomanuale a più mani che offre un panorama interpretativoesauriente in questo campo.

TEMPO DELLE COSE, TEMPO DELLAVITA, TEMPO DELL’ANIMAdi Edoardo Boncinelli, Laterza, pp. 152

Il noto biologo e filosofo si interroga sulla natura del tempo,della memoria e della coscienza, alla luce della biologiamolecolare e della neurobiologia. Un affascinante viaggionella materia vivente e nella mente dell’homo sapiens, conle sue nozioni, certezze, credenze e illusioni circa una real-tà sempre sfuggente che cerca di decifrare.

STORIA DELL’ATEISMO

di Georges Minois, Editori Riuniti, pp. 670

In realtà è una storia dell’incredulità, la quale solo in partesi esprime come vero ateismo. L’opera, dal punto di vistastorico, analizza a fondo il contesto francese e più sinteti-camente gli altri. Minois tende ad includere l’agnostici-smo nell’ateismo e spesso anche l’irreligiosità generica.Un ottimo excursus storico sull’evolvere dell’opposizioneal cristianesimo tra il XV e il XIX secolo.

LA RIVOLUZIONE DIMENTICATA

di Lucio Russo, Feltrinelli, pp. 477

Interessante rilettura rivalutativa della scienza ellenistica, ein particolare alessandrina, con l’intento di evidenziarecome l’occultamento di essa in epoca cristiana abbia resola falsa immagine di un “inizio” del sapere moderno conscienziati cristiani come Galileo e Newton mentre, in real-tà, ha radici più antiche, in epoca ellenistica e pagana.

POLITEISMO

di Dario Sabbatucci, Bulzoni 1998, 2 voll., pp. 820

Un saggio esteso e approfondito sui politeismi avvicendati-si in luoghi e tempi diversi. Gli dèi in Mesopotamia, Egitto,Grecia, Roma, Germania, Iran, Cina, Corea, Giappone inuna rassegna esaustiva. In un linguaggio accessibile l’auto-re ci introduce allo studio delle forme religiose basate supluralismo e diversificazione delle entità divine.

LA CREAZIONE DEL SACROdi Walter Burkert, Adelphi, pp. 249

Un’interessante indagine sulla nascita della sacralità da unpunto di vista socio-biologico, ma di tipo eretico. Burkertconosce molto bene l’argomento e i suoi anfratti problema-tici, occupandosi da sempre del fenomeno, ma in questosaggio scava in esso per scoprirvi funzionalità e moduliricorrenti della sua fenomenologia. L’analisi trova rispostealla domanda: «Perché la religione funziona così bene?».

STORIA DELLE CREDENZEE DELLE IDEE RELIGIOSEdi Mircea Eliade, Sansoni, 3 voll., pp. 1435

Un classico dell’antropologia culturale concernente ilfenomeno religioso, su come nasce, si sviluppa e si con-nota nella dimensione individuale e sociale. Eliade offrela sua interpretazione storico-assiologica, poiché eglipensa essere la religiosità l’esperienza più preziosa dataall’essere umano nel superamento della contingenza in

una prospettiva olistica e panteistica.

LA FILOSOFIA E LA TEOLOGIAFILOSOFALEdi Carlo Tamagnone, Clinamen, pp. 217

La demistificazione delle teologie fatte passare impropria-mente per filosofie è il tema del saggio del filosofo. Leequivocità e le manipolazioni di un’ermeneutica di matri-ce idealistica dominante la storia della filosofia, capace dioccultare e mistificare sotto i formalismi logico- dialetticile inconsistenze cognitive della metafisica, ribattezzata

qui teologia filosofale.

ANTROPOLOGIA DELLE RELIGIONIdi Alessandra Ciattini, Carocci, pp. 335

Una panoramica sistematica sugli indirizzi ermeneuticipassati e recenti circa il pensiero religioso da parte diun’antropologa della religione. La religiosità è colta comeforma fondamentale, costante e ubiquitaria del pensareumano della trascendenza. Da ciò l’evidenziazione dellemotivazioni, delle credenze, dei riti e dei miti accumula-

tisi nella storia.

POSSESSIONI DEMONIACHEE MANIFESTAZIONI MISTICHEdi Fernando Liggio, Clinamen, pp. 147

Miracoli, possessioni mistiche, isterie e deliri su base reli-giosa visti da uno psichiatra. Una ricognizione sui docu-menti, volutamente occultati, relativi al frequente fonda-mento erotico delle visioni dei mistici cristiani, sino a veree proprie perversioni sessuali in santi come Teresa d’Avila,Caterina da Siena, sant’Antonio eremita sino a padre Pio.

Libri consigliati

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CHI SIAMO?» Sala Convegni di “NONCREDO”

1. I NONCREDENTI, pari al 18% della popolazione italiana, cioè 11 milioni di persone,sono corretti cittadini che nel rispetto delle leggi, dell’etica condivisa e della solidarie-tà umana optano responsabilmente per la cultura del dubbio, per la consapevole auto-nomia della coscienza e per la libertà di pensiero. Essi sono sparsi trasversalmente suidue sessi, in tutto l’arco politico, in tutte le attività e professioni, a tutti i livelli cultu-rali, presenti ovunque sul territorio nazionale, dalle città alle campagne, ed in tutte legamme di età.

2. La NONCREDENZA significa non riconoscersi in alcuna delle tante religioni istituzio-nalizzate, dogmatiche e gerarchiche esistenti: essa è una consapevole identità socio-politico-culturale, tale a qualsiasi titolo e quale che sia la motivazione interiore, cultu-rale, politico-sociale o spirituale che la ha motivata.

3. Il NONCREDENTE è un cittadino non necessariamente agnostico o ateo o anticleri-cale, né è non spirituale o non sentimentale, né è edonista o cinico o iperrazionalista.Il NONCREDENTE è un cittadino etico e leale che non ha altri padroni se non la pro-pria coscienza ed il proprio paese, e che pertanto non si troverà mai nel pericoloso con-flitto di dover scegliere tra essi e gli interessi di una religione e di un clero, quali cheessi siano.

4. La rivista NONCREDO: nel liberale, illuministico e tollerante rispetto per tutte le fedi,opinioni e credenze, è la legittima, democratica, identitaria, voce culturale di quellavasta categoria di ottimi cittadini laici che sono i NONCREDENTI.

5. La Fondazione RELIGIONSFREE Bancale Onlus, editrice della rivista NONCREDO,è una libera istituzione culturale non-profit che intende significare e promuovere unafilosofia di vita che postula: proviamo ad essere giusti, buoni, spirituali, etici, raziona-li soltanto per forza interna nostra, per messaggio profondo di un pensiero spogliatodelle divisive pulsioni dell’ego e che crede nell’amore come energia che ci fa vivere.Tale interiorità non necessita affatto di mediazioni ideologiche, organizzate e nondisinteressate, quali sono le tante religioni esistenti, con tutte le loro contraddittoriediversità e gli interessi delle loro gerarchie. Riscopriamo, invece, e coltiviamo il con-cetto nobile, socratico, stoico di virtù, che è essa stessa premio a sé stessa, che vienedal profondo di un pensiero centrato sull’uomo, soltanto sull’uomo arbitro della suapace interiore e di quella con tutti gli altri esseri e con il mondo che lo circonda.