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L’INCHIESTA Robot Killer , algoritmi e guerre sul serio ATTUALITÀ Quel che resta dello Stato Islamico PRIMO PIANO Dopo la guerra, disgelo tra Etiopia ed Eritrea In caso di mancato recapito, restituire all’ufficio di P.T. ROMA ROMANINA previo addebito Rivista della Fondazione Missio • Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 Aut. GIPA/ C / RM • Euro 2,50 8 MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA ANNO XXXII SETTEMBRE OTTOBRE 2018 DOSSIER GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE Giovani per il Vangelo

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L’INCHIESTARobot Killer,algoritmi e guerre sul serio

ATTUALITÀQuel che restadello Stato Islamico

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Rivista della Fondazione Missio • Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 Aut. GIPA/ C / RM • Euro 2,50

8M E N S I L E D I I N F O R M A Z I O N E E A Z I O N E M I S S I O N A R I A

ANNO XXXII

SETTEMBREOTTOBRE2018

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MONDIALE

Giovaniper il Vangelo

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MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIATrib. Roma n. 302 del 17-6-86. Con approvazione ecclesiastica.

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Hanno collaborato a questo numero: Paolo Annechini, Mario Bandera, Roberto Bàrbera, Eleonora Borgia, Gaetano Borgo, PaoloBoumis, Loredana Brigante, Franz Coriasco, Angelo Esposito, FrancescaLancini, Stefano Femminis, Paolo Manzo, Enzo Nucci.

Progetto grafico e impaginazione: Alberto Sottile.

Foto di copertina: Filippo Monteforte / Afp

Foto: Michael Tewelde / Afp, Zacharias Abubeker / Afp, Afp EdwardParsons Ho / Unhcr, Inti Ocon / Afp, Carlos Herrera / Dpa, RégisDomergue / Biosphoto, Afp Photo / Yasuyoshi Chiba, Afp / Corte Di Carl,Sebastian Backhaus / NurPhoto, Agenzia Onur Coban / Anadolu,Archivio Missio, Chiara Anguissola, Paolo Annechini, Gaetano Borgo,Paolo Boumis, Raffaella Campana, Corrado Dalmonego, Agencia DeNoticias, Eneas De Troya, Angelo Esposito, Chiara Gemignani, Andes,Kevin, Esparta Palma, Giovanni Rocca, Claudio Sforza, Mario Vincoli. Abbonamento annuale: Individuale € 25,00; Collettivo € 20,00;Sostenitore € 50,00; Estero €40,00.

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Mensile associato alla FeSMI e all’USPI, Unione StampaPeriodica Italiana.Chiuso in tipografia il 05/09/18Supplemento elettronico di Popoli e Missione:www.popoliemissione.it

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Missio – giovaniSegretario nazionale: Giovanni Rocca

CON I MISSIONARI A SERVIZIO DEI PIÙ POVERI:

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C ome tradizione, questo numerodella nostra rivista è dedicatoalla Giornata Missionaria Mon-

diale il cui slogan, ispirato al Sinododei Vescovi, è “Giovani per il Vangelo”.Si tratta di tematiche ampiamente af-frontate nel Dossier che voi, cari amicilettori, trovate in queste pagine. Dettoquesto, proprio perché siamo ferma-mente convinti, come redazione mis-sionaria, che occorra investire sullefuture generazioni, non possiamo farea meno di interrogarci su quanto staavvenendo oggi nel mondo. Abbiamoinfatti una grande responsabilità alivello educativo, soprattutto nel rendereintelligibili i segni dei tempi. Ebbene, èevidente, stando ai racconti dei nostrimissionari/e, che i temi dell’economiae della sicurezza dei popoli sono semprepiù attuali nella cornice della globaliz-zazione.Diceva Frédéric Bastiat, grande filosofoed economista francese dell’Ottocento,che «dove non passano le merci, passanogli eserciti». Acceso sostenitore dellalibertà di scambio internazionale e stre-nuo oppositore di qualsiasi forma diprotezionismo, Bastiat è stato certa-mente uno dei più importanti precursoridelle moderne scuole di pensiero liberalie libertarie e avrebbe sicuramente moltoda dire sull’attuale crisi economico-fi-nanziaria globale. Da rilevare che nelfamoso “Racconto della finestra rotta”,inserito in “Quello che si vede e quello

che non si vede” (1850), Bastiat demolìil mito economico per cui “la distruzionespinge alla creazione di ricchezza” spie-gando in modo alquanto convincentecome la vittima di un danno patrimo-niale (nella fattispecie il commerciante)debba, comunque, affrontare una spesaulteriore ed imprevista (la sostituzionedel vetro rotto, appunto), rinunciandoad un acquisto pianificato preceden-temente (un paio di scarpe) o ad uninvestimento futuro. La distruzione ma-teriale, quindi, non genera nessunanuova ricchezza, ma, come suggerisceil buon senso, diminuisce il valore com-plessivo netto di questa. Per intenderci,l’esatto contrario di ciò che affermano,ancora oggi, non pochi pensatori se-condo i quali la spesa imprevista, con-seguente al danno, promuoverebbe uncircolo economico virtuoso.La questione di fondo, comunque, tor-nando alla locuzione di partenza messain positivo, è che «Dove passano lemerci, gli eserciti passano un po’ meno».E allora se da una parte dobbiamo ri-conoscere che il libero scambio dellemerci rappresenta un fattore positivoper il mercato globale, dall’altra nonpossiamo misconoscere che l’economianon può continuare ad essere un canesciolto. Attenzione: è vero che l’Europa,a parte la crisi balcanica e quella ucraina,ha goduto di pace e stabilità dalla finedella Seconda Guerra Mondiale, grazieanche al mercato comunitario.

EDITORIALE

di GIULIO [email protected]

(Segue a pag. 2)

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Il raccontodella finestra rotta

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Indice

EDITORIALE

1 _ Il racconto della finestra rotta di Giulio Albanese

PRIMO PIANO

4 _ Dopo la guerra fredda tra Etiopia ed Eritrea Un disgelo indispensabile di Giulio Albanese

ATTUALITÀ

8 _ Il nuovo presidente messicano L’incognita Amlo di Paolo Manzo11 _ A colloquio con Gabriele Del Grande Quel che resta dello Stato Islamico di Chiara Pellicci

FOCUS14 _ La repressione di Daniel

Ortega in Nicaragua

Rivoluzione tradita eChiesa ribelle

di Ilaria De Bonis

L’INCHIESTA18 _ Campagna internazionale

contro le armi autonome Robot killer, algoritmi e guerre sul serio di Miela Fagiolo D’Attilia

SCATTI DAL MONDO

22 _ V Congresso AmericanoMissionario (CAM)

Il Vangelo è gioia A cura di Emanuela Picchierini Testo e foto di Paolo Annechini

PANORAMA

26 _ La prigione di Kamiti Missione oltre le sbarre di Giulio Albanese

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Ma non è tutto oro quello che luccica. La dicelunga la genesi della povertà e la conseguenteesclusione sociale nel mondo odierno, deter-minate, in gran parte, dalla struttura usuro-cratica dell’economia planetaria, dal fatto chele guerre combattute in Africa o in altre peri-ferie del mondo servano a depredare interenazioni delle loro commodity (materie prime,fonti energetiche in primis). E cosa dire dellaspeculazione finanziaria, che nell’arco degliultimi 20 anni, ha preso il sopravvento sul-l’economia reale, determinando la crescitadel cosiddetto debito aggregato nei Paesipoveri o comunque “a rischio”, come nel casodella Grecia? Per non parlare poi del fattoche il crescente potere del sistema bancarioombra (quello che ha scatenato, da un de-cennio, la crisi finanziaria) è in flagrante vio-lazione di tutti i diritti umani e che le fontiprivate di credito, a prescindere da quellepubbliche, sono responsabili della crescentefinanziarizzazione del debito, sempre più ausura. Senza dimenticare, poi, che il valoredelle commodity, nei Paesi del Sud del mondo,è condizionato dalla speculazione finanziaria,dalle fluttuazioni incontrollate dei mercatimonetari e da regole del commercio interna-zionale sicuramente pregiudizievoli o addiritturainesistenti. Tutto questo, in pratica, è sinto-matico di un mercato planetario senza regole,cioè all’insegna della deregulation. Certamentenon saranno i dazi imposti da Donald Trumpa creare prosperità, ma non v’è dubbio che illiberismo economico sfrenato abbia generato,in questi anni, non pochi disastri, acuendo ladivaricazione tra le masse impoverite e la ric-chezza concentrata nelle mani di un manipolodi nababbi. Ecco perché è fondamentale chela sovranità degli Stati si manifesti nell’affer-mare la globalizzazione dei diritti, nel rispettodella persona umana creata ad immagine esomiglianza di Dio. Concetti, questi, che rien-trano a pieno titolo nella missione evangeliz-zatrice della Chiesa.

(Segue da pag. 1)

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DOSSIER

29 _ Ottobre mese missionario Missione, forever young A cura della Redazione

MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

37 _ Intervista a padreJacques Murad

Mar Musa non è una cattedrale nel deserto di Miela Fagiolo D’Attilia

40 _ Sud Sudan

Suor Laura e l’ospedale di Nzara di Ilaria De Bonis

42 _ Ricordo di padre Bonfitto

Musicista e missionario di Miela Fagiolo D’Attilia

44 _ Diritti Umani Nel 70esimo anniversario della Dichiarazione Universale

Blessing contro la trattadi esseri umani

di Stefano Femminis

45 _ L’altra edicola Danni dell’inquinamento Funghi e batteri, nuova

minaccia per il clima di Ilaria De Bonis

48 _ Posta dei missionari A scuola in America Latina a cura di Chiara Pellicci

RUBRICHE

50 _ Ciak dal mondo BURKINABÉ RISING

Poeti, attori e rappercambiano il

Burkina Faso di Miela Fagiolo D’Attilia

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OSSERVATORI

DONNE IN FRONTIERA PAG. 6

Souad, il nuovo sceicco di Tunisidi Miela Fagiolo D’Attilia

ASIA PAG. 7

Assam, un campodi prigionia per i musulmanidi Francesca Lancini

AFRICA PAG. 17

Boom della mobile economydi Enzo Nucci

BALCANI PAG. 20

Trump, il Montenegro e l’Europadi Roberto Bàrbera

GOOD NEWS PAG. 21

L’inculturazione e i canti ticunadi Chiara Pellicci

52 _ Libri La fede mai prigioniera di Loredana Brigante

Migrazioni: i volti dentro i numeri di Loredana Brigante

53 _ Musica ROSE La regina del calypso

di Franz Coriasco

VITA DI MISSIO

54 _ I settori di Missio L’animazione missionaria è per tutti di Chiara Pellicci57 _ Il video per la Giornata Missionaria Mondiale Giovani per il Vangelo di G.A.58 _ Giornate nazionali di formazione e spiritualità missionaria di Assisi L’evangelizzazione non ha età di Chiara Pellicci60 _ Missio Giovani Giovani custodi del mondo di Eleonora Borgia

MISSIONARIAMENTE

62 _ Intenzioni di preghiera La missione solca gli oceani di Mario Bandera

63 _ Inserto PUM Una vita per la missione di Gaetano Borgo

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PRIMO PIANO Dopo la guerra fredda tra Etiopia ed Eritrea

federata dell’Etiopia per decisione delConsiglio di Sicurezza delle NazioniUnite. Purtroppo, nel 1962, per decisioneunilaterale dell’imperatore, il Negus HaileSelassie, l’Eritrea venne nuovamente an-nessa all’Etiopia, scatenando l’inizio diuna trentennale guerra per l’indipen-denza. Il 12 settembre 1974 un colpo diStato compiuto ad Addis Abeba da ungruppo di ufficiali dell’esercito etiope

L a notizia ha avuto una risonanzanotevole in tutta l’Africa. Etiopiaed Eritrea hanno finalmente fir-

mato, lo scorso 8 luglio, una dichiarazioneche pone fine allo “Stato di guerra” trai due Paesi. A siglarla sono stati AbiyAhmed, nuovo primo ministro etiope, eil presidente eritreo, Isaias Afwerki. Ildisgelo era iniziato lo scorso aprile conl’insediamento, ad Addis Abeba, di AbiyAhmed che ha subito espresso un indi-rizzo politico all’insegna del dialogo,non solo con le opposizioni interne, maanche con la vicina Eritrea. La sorpresaè stata ufficializzata a giugno quandoAbiy ha dichiarato che il suo esecutivoavrebbe rinunciato alle rivendicazioniterritoriali in Eritrea, quelle che hanno

rappresentato l’oggetto del contenziososfociato, il primo maggio 1998, nellasanguinosa guerra fratricida tra i duePaesi.Per comprendere il significato del nuovocorso è necessario tornare indietro conla moviola della Storia. L’Eritrea, infatti,era storicamente parte del grande imperod’Etiopia, ma nel 1950 ottenne final-mente lo status di regione autonoma

di GIULIO [email protected]

Abiy Ahmed, primo ministro dell’Etiopia e Isaias Afwerki, presidente dell’Eritrea, celebrano la riapertura, dopo circa 20 anni,dell’ambasciata eritrea ad Addis Abeba il 16 luglio scorso.

Un disgeloindispensabile

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detronizzò Haile Selassie, proclamandoil 12 marzo 1975 la fine del regime im-periale e la nascita di uno Stato comu-nista. Due anni dopo prevalse l’ala piùradicale del partito guidata dal maggioreMenghiastu Hailè Mariàm, sopranno-minato il “Negus Rosso” che instaurò,per alcuni anni, un regime dispoticocontro chiunque si opponesse al suodelirio di onnipotenza. A pagare unprezzo altissimo fu la popolazione eritreache si oppose strenuamente al regimedi Menghiastu con azioni di guerriglia.Successivamente, con la caduta dell’exUnione Sovietica, iniziò un nuovo corsocon la nascita di uno Stato repubblicano,sancito ufficialmente con la nuova Co-

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Passato il tempo dell’inimicizia tra idue Stati, il leader etiope IsaiasAfewerki e quello eritreo Abiy Ahmedstanno scrivendo una nuova paginanella storia della regione africana. Siaprono così orizzonti, alleanze edinteressi internazionali, che possonooffrire nuove prospettive ai due popolivicini di casa.

Donne eritree accolgono i passeggeri all’aeroporto internazionale diAsmara con il primo volo commerciale che collega nuovamenteAddis Abeba con la capitale eritrea.

stituzione del 1995. Nel frattempo, nel1993, l’Eritrea aveva ottenuto l’indi-pendenza dopo essere stata a lungouna provincia dell’Etiopia. Inizialmentei due Paesi mantennero buone relazioni,ma nel 1998 cominciò una guerra per ilpossesso di Badme, una località sperdutaa cavallo del vecchio confine colonialeitalo-abissino. Per quella petraia sassosae polverosa morirono circa 80mila soldati,in uno scenario bellico a dir poco deva-stante. Poi dal 2000, con gli accordi diAlgeri, si giunse ad un “cessate il fuocoprovvisorio”, interrotto a tratti da scontrisporadici quanto violenti. Negli annil’interminabile “guerra fredda” tra i duePaesi, in permanente assetto di com-

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battimento, ha consentito a Isaias Afe-werki, padre-padrone dell’Eritrea, di mi-litarizzare l’intero Paese imponendo atutti la leva permanente e drenando lepoche risorse agli armamenti. Da qui lafuga di massa dei giovani verso l’Europa.Da rilevare che Afewerki ha imposto ilmonopartitismo, impedendo lo svolgi-mento di libere elezioni. E dall’indipen-denza in poi, molti oppositori politicisono stati arrestati, mentre l’economianazionale è stata fortemente penalizzata.Afewerki, con la ristretta cerchia deisuoi collaboratori più fidati, ha, ancoraoggi, il controllo di tutto: assetti istitu-zionali e militari, scelte politiche e pro-grammi economici. »

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PRIMO PIANO

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A biy Ahmed è un personaggio conosciuto e apprezzato in patria, mapraticamente ignoto all’estero. È il leader dell’Organizzazione democratica

del popolo oromo (Opdo), una delle quattro formazioni politiche su base etnicache formano la coalizione al governo, il Fronte democratico rivoluzionario delpopolo etiope (Eprdf). Nato nella città di Beshasha, nella regione dell’Oromia, il15 agosto 1976, appartiene ad una famiglia mista, nato cioè da padre musulmanoe da una madre cristiana (una condizione, questa, che potrebbe giovare aldifficile dialogo interreligioso in Etiopia). Abiy ha svolto il servizio militare nelleforze armate, raggiungendo il grado di tenente colonnello. Successivamente hafondato e diretto l’Agenzia governativa etiope responsabile della sicurezzainformatica. Ha anche ricoperto l’incarico di ministro della Scienza e dellaTecnologia nell’ultimo governo, guidato da Hailemariam Desalegn, il primoministro che si è dimesso a sorpresa lo scorso febbraio.Abiy è certamente una figura carismatica ed è visto come latore di speranza ecambiamento, anche dalla comunità dal gruppo etnico degli Oromo, che sonopiù del 40% della popolazione, ma che da anni patiscono l’esclusione sociale epolitica, oltre che economica, rispetto agli interessi generali del Paese. G.A.

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U na donna sindaco di Tunisi non si eramai vista. Invece Souad Abderraim, con

il sostegno di 26 consiglieri comunali (controi 22 a favore del suo avversario Kamel Idirdel Partito laico Nidaa Tounes), il 3 luglioscorso è diventata il primo sceicco (titoloche le spetta per l’importante incarico am-ministrativo) al femminile. Esponente delPartito conservatore Ennhadha i cui aderentisi definiscono «musulmani democratici»,Souad, 53 anni, farmacista, sposata con duefigli, al foulard sul capo preferisce il tailleurpantalone. Milita in politica da quando erastudentessa negli anni Ottanta, nel 2011(anno in cui è stato deposto il presidenteBen Alì) è entrata in Parlamento superandoin preferenze molti colleghi di partito, dopouna campagna elettorale basata sulla volontàdi cambiamento e di apertura ai valori dellamoderna democrazia. Nelle prime elezioniamministrative dell’era democratica delloscorso maggio, Abderraim ha fatto una cam-pagna per le strade e le piazze, lottandocontro la discriminazione di genere. Appenaeletta ha dichiarato subito: «Vogliamo darealle donne e ai giovani tunisini i loro diritti.La mia elezione dimostra che le donne sonocapaci di stare al primo posto. Quello dioggi è un evento storico in grado di rinnovarel’immagine della Tunisia, sulla quale siposano gli occhi del mondo». E ha aggiunto:«Questa è una grande responsabilità, man-terrò le promesse elettorali e mi impegnoperché tutti i partiti siano rappresentati aitavoli. Le azioni saranno il risultato di un la-voro di squadra». Il partito di Ennahdha in-cassa con questa nomina un grande successomediatico. Il partito islamico si era infattiimpegnato in campagna elettorale presen-tandosi sotto una veste rinnovata e menoconservatrice e con l’elezione di una donnaad un ruolo storicamente e culturalmenteha raggiunto l’obiettivo di far rappresentarei valori della tradizione da una figura ineditae per questo segno di cambiamento.

di Miela Fagiolo D’Attilia

SOUAD, ILNUOVO SCEICCODI TUNISI

OSSERVATORIO

DONNE INFRONTIERA

più come un grande riformatore.Abiy ha avviato da subito cambiamentiforti e radicali. Anzitutto ha decretatola fine dello stato d’emergenza, liberandogli oppositori politici, denunciando l’usodella tortura da parte dei servizi di sicu-rezza dello Stato. Inoltre, nei primi 100giorni del suo governo, ha licenziato ifunzionari carcerari implicati nelle vio-lazioni dei diritti umani, in ottemperanzaalle indicazioni fornite da un recenterapporto di Human Rights Watch. Haanche riformato i vertici delle forze ar-mate e avviato un processo di liberaliz-zazione dell’economia. Ma l’orizzontedel nuovo premier etiope risponde a di-namiche innovative che vanno ben oltrela cornice del Corno d’Africa. Non è uncaso se, già all’indomani della sua nomina,il neo-premier etiope si è recato nellacapitale saudita, Ryad, per incontrarel’erede al trono, il principe Mohammedbin Salman, anch’egli protagonista diuna svolta significativa nel suo Paese.Per le rispettive diplomazie, è importanteche l’asse tra Arabia Saudita ed Etiopia,non solo coinvolga l’Eritrea in unanuova era di distensione, ma spiani ilcampo alla geopolitica sunnita-saudita

IL CAMBIAMENTO IN ETIOPIAPer l’Etiopia, con oltre 100 milioni diabitanti, il continuo stato di allerta sulconfine Nord-orientale ha fatto sì chela spesa militare diventasse sempre piùonerosa. Come se non bastasse, nel de-cennio scorso, il governo di Addis Abebasi è impegnato militarmente in Somalia,per poi ritirarsi senza ottenere il risultatosperato, quello di creare a Mogadiscioun governo filo-etiopico. La crisi eco-nomica e il montare delle proteste re-gionaliste, soprattutto nell’Oromia, han-no rischiato di generare vere e proprieinsurrezioni, altamente destabilizzantiper l’Etiopia. Un clima di forte instabilitàche ha allarmato i principali investitoristranieri, in primis, il governo di Pechino,alleato di Addis Abeba. Il regime etiopicoha dunque iniziato a vacillare per lascarsa credibilità di fronte ai donor in-ternazionali. A questo punto non restavaaltra possibilità che innescare l’agognatocambiamento, affermando nei fatti unapiattaforma democratica. E ciò sta av-venendo grazie ad Abiy Ahmed, il42enne ex ministro della Scienza edella Tecnologia, con un passato nel-l’intelligence, che si sta rivelando sempre

IL CARISMA DEL COLONNELLO ABIY

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«L’ India vuole cancellare quasi settemilioni di musulmani dalla lista dei

cittadini per poi rinchiuderli in campi di pri-gionia. È così che iniziano i genocidi. È cosìche è iniziato l’incubo dei Rohingya». A lan-ciare questo terribile allarme è il movimentoglobale Avaaz.org con una petizione sullaRete. Data la gravità della denuncia, il reporterindiano Basudev Mahapatra, esperto di temi“sensibili” nel suo Paese, ci aiuta a capirecosa sta accadendo: «È vero. Si tratta diun’operazione anti-musulmana. C’è una so-miglianza con la questione dei Rohingya(musulmani perseguitati dallo Stato birmanopoiché ritenuti bengalesi o migranti illegaliin Myanmar, ndr) perché il numero dei de-tenuti è cresciuto in modo drastico dal 2014,quando il BJP, Partito fondamentalista indùdel premier Modi, è andato al potere nonsolo nel governo centrale, ma anche, attra-verso una coalizione, in quello locale del-l’Assam».In India la questione dei cosiddetti “infiltratidal Bangladesh” risale ai tempi dei conflittipost-indipendenza dagli inglesi, che hannoportato alla creazione del Pakistan e delBangladesh. Vari censimenti, dal 1951 adoggi, hanno condotto all’arresto e alla de-portazione di centinaia di migliaia di persone,forse milioni, e in minor misura a rientri vo-lontari. Basudev aggiunge che «finora i de-tenuti sono stati rinchiusi in celle di seicarceri già esistenti nell’Assam. Per la primavolta nella storia indiana, lo scorso luglio ilgoverno federale ha stanziato 6.600 dollariper la costruzione di un centro di prigionia“indipendente”». Per Avaaz vi potrebberoessere rinchiuse «intere famiglie, inclusi bam-bini, povere e senza la giusta documenta-zione». Basudev è d’accordo: «Non separatistimusulmani (attivi nell’Assam, ndr), ma pre-sunti stranieri originari del Bangladesh, Ro-hingya e davvero pochi indù. Ai rifugiatiindù in Assam, infatti, il presidente Amit Shadel BJP ha promesso la cittadinanza».

di Francesca Lancini

ASSAM, UN CAMPODI PRIGIONIA PERI MUSULMANI

OSSERVATORIO

ASIA

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Dopo la lunga guerra fredda tra Etiopia ed Eritrea

coerenza e determinazione. La confermasta nel fatto che lo scorso 8 luglio, arri-vando all’aeroporto internazionale diAsmara, abbia abbracciato Afewerki. Ungesto che ha, per così dire, bucato loschermo, sortendo un effetto straordi-nario sull’opinione pubblica dei duePaesi. La riapertura della rotta aerea di-retta tra le due capitali, Addis Abeba eAsmara, del commercio bilaterale e dellerispettive ambasciate, sono segnali in-coraggianti. E poi, inutile nasconderselo:gli interessi in comune sono molti. L’Eri-trea ha bisogno di scambi commercialicon l’Etiopia che a sua volta guarda alporto di Massaua con interesse, unosbocco al mare da alternare all’intasataGibuti e a Berbera, capitale del Somali-land, la regione separatista somala. Lungida ogni retorica, è evidente che da unaccordo di pace duraturo tra i duegoverni potrebbe davvero beneficiare,per induzione geopolitica, l’intera regionedel Corno d’Africa, una delle più instabilie povere di tutto il continente africano.Speriamo bene.

per creare un nuovo arco d’alleanze dalMar Rosso all’Oceano Indiano.

ALLEANZE E INTERESSIINTERNAZIONALIA preoccupare maggiormente Ryad èl’interminabile guerra nello Yemen, maanche le manovre militari e commercialidi Turchia e Qatar in Sudan e in Somalia.Da rilevare che la cooperazione tra AddisAbeba e Ryad sta avvenendo con il be-nestare di Washington che continua aconsiderare l’Arabia Saudita un suofedele alleato, anche in funzione anti-iraniana. Inoltre gli Stati Uniti vorrebberoche Abiy si aprisse maggiormente agliinteressi a stelle strisce, scaricando gra-dualmente la pesante ingerenza cinesein Etiopia. Ma attenzione: non è tuttooro quello che luccica. Lo dimostra l’at-tentato dello scorso 23 giugno controAbiy. È avvenuto durante un comiziodel leader etiope: una granata ha fattouna vittima e 150 feriti. Ma Abiy nonvuole assolutamente cedere alle intimi-dazioni e intende andare avanti con

Abiy Ahmed, appartenente all’etnia oromo,è il primo ministro dell’Etiopia.

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ATTUALITÀ

Anaya del conservatore Partito di AzioneNazionale (PAN). È così, in modo trion-fale ma anche scontato - tutti i sondaggidella vigilia avevano previsto l’esito -che Obrador porta per la prima volta lasinistra al potere nel Paese della tequila.Una svolta storica e in controtendenzarispetto al resto dell’America Latina, dovel’ultimo archetipo di moda a sinistra - ilsocialismo bolivariano – è sempre più in

di PAOLO [email protected]

«P er il bene di tutti, prima i po-veri». Ha esordito così AndrésManuel López Obrador, 64

anni, dai più conosciuto semplicementecome Amlo, nel primo discorso da pre-sidente eletto del Messico, nazione chedi poveri ne ha oltre 53 milioni e mezzo.Un record, visto che il numero di chivive con meno di 180 dollari al mese -questo lo stipendio sotto il quale si èconsiderati poveri a queste latitudini -continua a crescere, nonostante ancheil Pil abbia segno positivo da oltre unlustro. Ma record è stata anche la vota-zione del primo luglio scorso che ha ga-rantito ad Amlo di doppiare con ampiomargine il secondo arrivato, Ricardo

L’incognitaAmloL’incognitaAmloAndrés Manuel López Obrador, detto Amlo, èpresidente dal primo luglio scorso di un Paese comeil Messico che ha un ruolo centrale negli equilibri delcontinente latinoamericano. Il suo slogan “La patriaper prima” piace alla gente ma riecheggia l’ “America

first” della presidenza di Donald Trump.

Il nuovo presidente messicano

Andrés Manuel López Obrador, detto Amlo,presidente del Messico.

Piazza della Costituzione, meglio nota comeel Zócalo, cuore di Città del Messico.

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messicano sino al 2024 mentre negli in-terminabili cinque mesi che separano ilvoto dall’insediamento del vincitore,l’unica domanda oggi davvero importanteè: avremo un López Obrador pragmatico,come quando dal 2000 al 2005 avevagovernato Città del Messico, o dobbiamoattenderci un populista di sinistra allaChávez o, peggio, alla Ortega? Quasicertamente avremo un Amlo pragmatico,anche perché lui per primo sa che adavere spinto gli elettori messicani adargli fiducia non è stata l’ideologia mala voglia di protesta contro il presidenteuscente Enrique Peña Nieto, EPN comelo chiamano tutti con l’acronimo. Forseil peggior presidente di tutti i tempi delPRI, il Partito centrista che ha governatoininterrottamente il Paese dal 1928 al2000 e dal 2012 ad oggi. Nei suoi seianni di mandato, la guerra contro icartelli della droga ha continuato a mie-tere decine di migliaia di morti, laviolenza ha raggiunto livelli mai toccatida quando l’ufficio statistico messicanoraccoglie i dati, oltre ad evidenziare imaggiori scandali di corruzione di sempre.Almeno una ventina in sei anni, unrecord anche questo. Comprese le stecchemilionarie della multinazionale Odebrecht,che altrove – basti pensare al Perù -hanno fatto arrestare e decadere presi-denti, mentre in Messico non hannofatto aprire neanche un’inchiesta allamagistratura, da sempre collusa con ilpotere politico al pari della polizia.Oltre alla protesta, ha certo aiutatoanche l’incontenibile populismo del suoomologo statunitense Donald Trump cui,peraltro, Obrador ha dedicato un »

italiana vecchia maniera e declinata in“salsa messicana”, che ad un reale partitodi sinistra.In realtà, nessuno sa quali politiche so-cio-economiche implementerà Amlo unavolta insediatosi il prossimo primo di-cembre a Los Pinos (il Quirinale messi-cano), anche perché a guardare i com-ponenti della coalizione “Insieme faremostoria” che lo ha appoggiato, conquistandoanche la maggioranza nel Parlamento,c’è di tutto un po’. A cominciare da Mo-rena, il Movimento della RigenerazioneNazionale fondato nel 2011 proprio permandare alla presidenza Amlo e che èaffiliato al Foro di San Paolo, organismopensato da Fidel Castro in ottica post-muro di Berlino, nato nel 1990 sotto ilpatrocinio del brasiliano Lula da Silva eche, almeno in America Latina, da oltreun ventennio ha scalzato l’Internazionalesocialista. Ma attenzione: a fare insiemela storia con Amlo dal prossimo dicembreci sarà anche un raggruppamento ches’ispira negli slogan al maoismo, il PT,ovvero il Partito dei Lavoratori del Messicoe, dulcis in fundo, il PES (Partido encuentrosocial), più di destra, di matrice fortementecattolica e contrario al matrimonio gaye all’aborto.

SCANDALI E CORRUZIONEQuesta, dunque, la coalizione destinataa dominare lo scenario parlamentare

crisi e si mantiene al governo solamentein Venezuela, Nicaragua e Bolivia e, neiprimi due casi, solo grazie all’uso dellaforza, inclusa quella paramilitare.Figlio di umili commercianti venuto almondo nel 1953 in un paesino di pocheanime (Tepetitán) - per farlo nascere suopadre dovette pagare un secondo medicovisto che il travaglio della mamma duròqualcosa come tre giorni - López Obradorsognava da tempo di trasformarsi nelprimo presidente di sinistra del Messico.Già, perché prima Benito Juárez (1858-1872) fu sì un presidente rivoluzionarioperò più anticlericale che di sinistra,mentre poi Pancho Villa ed Emiliano Za-pata (miti della sinistra mondiale) nonriuscirono mai ad arrivare alla guida delloro Paese, assassinati pochi anni dopola rivoluzione da loro condotta (1910-11) contro il dittatore dell’epoca, PorfirioDiaz.Il López Obrador che arriva al potereoggi, sia chiaro, non si è mai scontratocol Vaticano (come accadde invece aBenito Juárez), né con i poteri forti delMessico (come Villa e Zapata). Sconfittoperò lo è stato sì, e per ben due volte. Laprima, nel 2006, dal panista (ossia membrodel PAN) Felipe Calderón e, sei anni dopo,nel 2012, dall’uscente Enrique Peña Nieto,del PRI, quel Partito Rivoluzionario Isti-tuzionale iscritto all’Internazionale so-cialista, che però somiglia più ad una DC

Amlo con ilpresidentedell’Ecuador,Lenín Moreno, asinistra nella foto.

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vocati, tra gli altri, rappresentanti deidiritti umani, leader religiosi e dell’Onu.Una sorta di remake degli accordi dipace della Colombia che hanno fruttatoun Nobel per la Pace all’ex presidenteJuan Manuel Santos dopo l’addio allearmi delle FARC e che, in questo caso,avrebbe come obiettivo la fine della«guerra contro la droga» o, se preferite,della violenza narcos. Già, perché ilgrande fantasma con cui ogni presidenteeletto in Messico ha dovuto fare i contidagli anni Ottanta in poi resta quellodel narcotraffico.Oggi una decina di feroci cartelli si con-tendono un mercato che vale 25 miliardidi euro l’anno e che ha generato unaviolenza – secondo i dati della Segreterianazionale di sicurezza pubblica – nellamigliore delle ipotesi pari a 170milamorti tra 2006 e 2016. Il condizionale èperò d’obbligo, visto che qui le fosse co-muni sono così numerose al pari dei de-saparecidos, da rendere difficile anchela contabilità dei decessi. «Confesso lamia ambizione: passare alla storia comeun buon presidente» ha detto Obrador. IlMessico ne avrebbe tanto bisogno.

ATTUALITÀ Il nuovo presidente messicano

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curamente impattante impegno nei con-fronti della corruzione, diventata insiemeal dominio del narcotraffico il grandemacigno che incombe sulle vite deicomuni cittadini sotto il Rio Grande.«Non ci sarà confisca di beni – assicuraObrador - ma vigileremo in termini fi-nanziari e fiscali sulle imprese che hannocontratto accordi con banche nazionalie straniere. Con una particolare attenzioneal settore energetico». Inoltre, come giàdetto, «per il bene di tutti, prima i pove-ri».

SUL FRONTE DELNARCOTRAFFICOInsomma, il nuovopresidente spinge ilpiede sull’acceleratorenel volersi costruireun’immagine a metàtra Robin Hood e ilsalvatore della patria,arrivando persino adannunciare «un pianodi riconciliazione epace per il Messico»in cui verranno con-

intero libro, un instant book, ed il cuiinasprimento sul fronte migratorio hafatto discutere il mondo. E così di frontead un Trump che secondo Amlo «parladei messicani come Hitler e i nazisti» eche è arrivato a separare quasi tremilabambini dai genitori alla frontiera, eccoObrador che usa slogan semplici e mantriciper invocare l’unione azteca. «La patriaper prima» ha detto Amlo nel suo primodiscorso da vincitore, riecheggiandol’«America first» di trumpiana memoria.Per non parlare poi di un generico ma si-

Baraccopoli messicana.

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A colloquio con Gabriele Del Grande

Quel che restadello Stato Islamico

finirlo, in quanto Dawla è proprio latraduzione di “Stato”. Daesh, la parolaaraba con cui abbiamo imparato a chia-mare lo Stato Islamico, è invece l’appel-lativo sprezzante che usa chi non vi ap-partiene e lo rifugge.Per la stesura della sua opera di “giorna-lismo narrativo”, Del Grande ha in-

di CHIARA [email protected]

dello Stato Islamico che è durata circa18 mesi per il reperimento delle fonti equasi un anno per la stesura dell’operache ne è scaturita. Si tratta di un volumedi 600 pagine edito da Mondadori, daltitolo composto da una sola parola araba:Dawla. È questa l’espressione usata dagliappartenenti allo Stato Islamico per de-

C hi pensa che lo Stato Islamico sisia ormai disgregato sbaglia. Neè convinto Gabriele Del Grande,

giornalista free lance e scrittore, autoredi un’inchiesta giornalistica sulla storia

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Non è un’esagerazionedefinire Gabriele Del Grande -giornalista free lance escrittore - come uno deiprincipali esperti dello StatoIslamico. Autore del libro“Dawla”, in 600 pagine haorganizzato 200 ore diinterviste a fonti di primamano dello Stato Islamico,conosciute personalmente inTurchia e altrove. Si trovavaproprio in una zona difrontiera nel Paese delSultano, quando è statofermato da agenti turchi che lohanno tenuto incarcerato per14 giorni. Lo abbiamoincontrato a Lucca, nella suacittà natale, per lapresentazione del libro e perprovare a fare con lui il puntosu ciò che resta oggi delloStato Islamico.

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Milizie sciite e soldati dell’esercito iracheno con unsospetto membro dell'ISIS a Tal Ghaasoun in Iraq.

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ATTUALITÀ

tervistato personaggi per i quali lo StatoIslamico è Dawla, non Daesh. In altreparole lo scrittore ha raccolto le storiedegli ex affiliati: «Mi sono chiesto se va-lesse la pena ascoltare le ragioni deicarnefici, anziché quelle delle loro vittime.Poi mi sono risposto di sì: non per giu-stificarli, ma per comprendere», confessaDel Grande. Comprendere non significané sminuire, né accogliere, né scusare,né umanizzare: «Significa – chiosa l’autore– unicamente raccontare e, attraversouna storia, cercare una risposta, ammessoche ve ne sia una, a quell’antica domandasulla banalità del male che da sempreriecheggia nelle nostre teste dopo ogniguerra».Tutto quanto è descritto nelle pagine di“Dawla. La storia dello Stato Islamicoraccontata dai suoi disertori” è «assolu-tamente fedele alla realtà, anche il piùpiccolo particolare» assicura Del Grande.Che precisa: «In tutte le descrizione nonc’è un solo dettaglio inventato».

Che gli incontri del giornalista con lediverse fonti fossero assolutamente sco-modi e potenzialmente esplosivi, lo te-stimonia il fatto che sulla sua attività diinchiesta si siano posati gli occhi delleautorità turche: nell’aprile dello scorsoanno, infatti, Del Grande – che si trovain una regione di confine con la Siriaper parlare con una fonte molto impor-tante - viene fermato da uomini in bor-ghese, interrogato e portato in carcere.«Una volta in cella – dice - ho continuatoa fare interviste ai miei compagni, tuttiarabi (Del Grande parla perfettamentearabo, ndr): erano combattenti e traffi-canti di reperti archeologici e le loro te-stimonianze hanno confermato quantogià raccolto in ore e ore di intervisteprecedenti». Grazie anche all’interventodella Farnesina, il giornalista italianoviene rilasciato dopo 14 giorni di reclu-sione.Attraverso la storia di tre personaggiprincipali - di cui il libro racconta le vi-

cende personali, dal reclutamento nelDawla alla diserzione - si cerca di rico-struire gli ultimi 15 anni di Stato Islamicoe di penetrare quel meccanismo che haarruolato migliaia di persone da ogniparte del mondo, disposte ad abbandonaretutto e a compiere ogni sorta di brutalitàper il Califfato, persino a perdere lapropria vita.Nella nascita e nello sviluppo dello StatoIslamico, Del Grande non nasconde leresponsabilità del «regime siriano, la cuinarrazione, sin dalle prime manifestazioninon-violente durante la Primavera arabadel 2011, è sempre stata questa: “Al go-verno o noi (cioè la famiglia Assad, ndr)o i terroristi”. E nel frattempo venivanoemanati decreti di amnistia per i carcerati,tra cui mille detenuti appartenenti adAl Qaeda, per infiltrare la rivolta dipiazza e compiere attentati, rafforzandocosì la tesi del regime». Non solo: «Sindal 2011 chi viene arrestato perché con-trario alla dittatura siriana, subisce torture

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A colloquio con Gabriele Del Grande

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diffonde ovunque. Esecuzioni di ognitipo imperversano sotto gli occhi dellapopolazione terrorizzata, davanti a bam-bini innocenti che, a loro volta, diventanocarnefici involontari. Si diffonde ancheil mercato delle schiave del sesso: pri-gioniere di guerra (donne ezide e nonsolo) vengono vendute e comprate sulweb come merce qualsiasi. Attraverso ilconfine turco arrivano in Siria ogni set-timana centinaia di muhajirin: proven-gono da tutto il mondo per combatterenelle file del Califfato. Insieme a moltiprofughi siriani, partono per il VecchioContinente nel più totale anonimatoagenti della sicurezza esterna del Dawla,combattenti con esperienza, addestratoried esperti di esplosivi, con l’obiettivo discatenare il terrore in Europa. Solo ibombardamenti della Coalizione inter-nazionale, la resistenza curda e l’interventorusso a sostegno di Assad segnano lasconfitta del Califfato.Ma il Dawla oggi non è affatto scomparso.Anche se ha perso il 98% dei suoi territorie tutti i pozzi petroliferi, anche se ivertici dell’organizzazione sono statipressoché azzerati dagli attacchi aerei, ilcomando dello Stato Islamico si è ritiratonel deserto iracheno dell’Anbar, dovesta tentando di riorganizzarsi. Il Dawla«può contare ancora su migliaia di uominie miliardi di dollari messi in salvo chissàdove. Molti hanno trovato la via del-l’Europa e oggi sono cellule dormientisotto copertura, persone insospettabiliin attesa di nuovi ordini» riferisce DelGrande. Per quanto riguarda il futuro inquelle terre, una domanda sorge spon-tanea: come saranno domani quei bam-bini che dal 2014 al 2017 sono cresciutinelle terre del Califfato, in mezzo allepiù terribili atrocità perpetrate come sefossero la normalità quotidiana, senzauna scuola che li abbia istruiti, ma soloindottrinati dalla sharia? «Anche sefinisce la guerra – conclude Del Grande– le idee rimangono. E se l’unica loroidea di lotta è quella del salafismo jiha-dista, questa riaffiorerà. O almeno c’è ilrischio».

volto noto del movimento di protestacontro il regime siriano (vedi articolo apag.37). Era il 29 luglio 2013 quandosparì a Raqqa (capitale dello Stato Isla-mico), dove era arrivato tre giorni prima,ospite a casa di un ingegnere del movi-mento civile. Alla domanda su cosa fossevenuto a fare a Raqqa, aveva rispostoche era venuto a vedere la città liberatae, per il bene della sua gente, a recapitareun messaggio al Dawla. Ma quelle nonerano persone con cui fosse possibileinstaurare un dialogo, in quanto perloro tutti i democratici erano apostati.Padre Paolo aveva insistito e il giorno

seguente si era recato al palazzo del go-vernatore ma era stato respinto. L’indo-mani si era ripresentato alla porta delDawla: l’avevano fatto entrare e da quelmomento si erano perse le sue tracce.Nel frattempo lo Stato Islamico prendeil controllo di gran parte di Siria e Iraq,cancella il confine tra le due nazioni,spariglia tutte le altre forze anti-gover-native (come l’Esercito Libero e il FronteIslamico), scarica Al Qaeda e dichiara lanascita del Califfato: è il 29 giugno2014. I più alti ruoli di comando vengonoassegnati ad emiri sauditi e la sharia si

indicibili (nel libro descritte con doviziadi particolari raccapriccianti, ndr). A quelpunto moltissimi imbracciano le armicontro Assad, anche con l’appoggio ester-no di Paesi come Turchia, Francia, GranBretagna, Usa, Qatar, Arabia Saudita».Ma chi sono i disertori, quei personaggichiave le cui confessioni hanno permessoa Del Grande di ricostruire l’evoluzionedello Stato Islamico e rivelarne struttura,misfatti e segreti? L’autore li presentacosì: un combattente siriano, già agentedell’ufficio investigativo dei servizi segretiinterni del Dawla, emiro della poliziamorale e membro dei reparti d’assaltodei “martiri”; un hacker giordano detenuto450 giorni in una prigione di massimasicurezza del Dawla insieme ai leaderdell’opposizione interna dell’organizza-zione, di cui raccoglie le ultime confessioniprima che vengano giustiziati; un agenteiracheno dei servizi segreti esterni delDawla responsabili, tra l’altro, degli at-tentati in Europa. L’intreccio delle lorotre storie (raccolte in 70 ore di registra-zioni) costituisce il corpo del libro-in-chiesta, corredato da altre 66 intervistedi altrettanti testimoni (per un totale di200 ore di audio) incontrati in Turchia,nel Kurdistan iracheno e in tutta Europa:ex ufficiali dei servizi segreti e dell’esercitosiriano, ex combattenti dell’Esercito Liberoe del Fronte Islamico, ex prigionieripolitici, contrabbandieri di petrolio e direperti archeologici, attivisti arabi, curdi,sciiti, cristiani e alawiti, giornalisti sirianie iracheni, sfollati di guerra e gente co-mune. «Le loro storie, pur non avendotrovato spazio nel libro, sono state fon-damentali per verificare l’attendibilitàdelle mie fonti incrociando le versionidei fatti» spiega Del Grande.Tra le pieghe delle mutazioni del fronteanti-Assad, di cui originariamente fannoparte organizzazioni di ogni stampo (daquelle democratiche e laiche a quellesalafite più radicali), trova spazio ancheil racconto della vicenda di padre PaoloDall’Oglio, gesuita italiano fondatoredella Comunità monastica di Mar Musaimpegnata nel dialogo interreligioso,

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FOCUS La repressione di Daniel Ortega in Nicaragua

Rivoluzionetradita eRivoluzionetradita eChiesa ribelle di ILARIA DE BONIS

[email protected]

Dal 19 aprile scorso in Nicaragua è in atto unarepressione violentissima ad opera dellapresidenza di Daniel Ortega, trasformata negli anniin una feroce oligarchia, sostenuta dalla classeimprenditoriale. Lo scettro del potere è nelle manidel clan famigliare degli Ortega. Ma una Chiesacoraggiosa ed evangelica si oppone alla violenza.

«B isogna ammettere che leprevisioni di George Orwellerano corrette: nel corso

del Novecento si sono fatte rivoluzioniche non hanno semplicemente abbattutodittature, ma ne hanno create di nuove.Quello che mi ferisce, guardando ai re-centi sviluppi del Nicaragua, è propriol’aver dimostrato quanto sia impossibiledeporre un regime senza imporne unaltro simile». È Andrea Semplici, gior-nalista e analista, esperto di Africa eAmerica Latina, molto legato al Nica-

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rienza sandinista è stata sostanzialmentetradita da un clan familiare”». E non dapoco tempo.

LA DELUSIONE DEI RIVOLUZIONARIDELLA PRIMA ORA«Per la mia generazione – spiega ancheDario Conato, direttore del Centro Studidi Politica Internazionale CESPI - quelNicaragua rivoluzionario era vissutocome una dimensione epica. L’unica ri-voluzione di successo in America Latinadopo Cuba. Il dittatore nel 1979 fucacciato per effetto di una sollevazionepopolare senza precedenti». Eppure l’epi-logo è stato drammatico. L’analogiacon altri Paesi apparentemente distantida questa piccola Repubblica dell’Ame-rica Centrale, racchiusa tra l’OceanoPacifico e il Mar dei Caraibi, è abbastanzaimmediata. Parliamo dell’Eritrea e piùdi recente, della Siria.

«La stessa cosa – ci spiega Andrea Sem-plici - avvenne in Eritrea: queste sonostate due rivoluzioni (di matrice socia-lista, ndr) combattute in Paesi piccolissimiche riuscirono a vincere una situazioneimpossibile. Il Novecento ci aveva re-galato le rivoluzioni di Nicaragua edEritrea e poi la caduta del muro di Ber-lino». Il nuovo millennio le ribalta. Tant’èche anche l’Eritrea oggi vive una delledittature più spietate al mondo. «Vedereche tutto il lavoro fatto va a rotoli èuna ferita insanabile» commenta Sem-plici. L’analogia con la Siria degli Assadcalza dal punto di vista della manipo-lazione mediatica e della propagandache tenta di plagiare l’idea stessa di ri-voluzione. Entrambi i regimi – di Ortegain Nicaragua e di Assad in Siria nel2011 - hanno spacciato per complottointernazionale una genuina ribellionedi popolo (nel caso siriano perlomenoai suoi albori). Ma come si è giunti aquesto paradosso che ha trascinato ilNicaragua alla deriva, fino alla rivoltadi aprile scorso?

STUDENTI IN RIVOLTA A DIFESA DEI CONTADINIDa tempo la gestione degli Ortega eradiventata insostenibile per gran partedella popolazione povera e per la classemedia ed intellettuale nicaraguense:una sorta di oligarchia famigliare distampo liberista che molto aveva con-cesso al mercato e pochissimo al welfare,alla democrazia, alla lotta alla povertà.La goccia che fa traboccare il vaso è lariforma delle pensioni che toglieva quelpoco concesso ai ceti medi e meno ab-bienti. Ma l’insoddisfazione covava adogni livello.La scelta scellerata di costruire un megacanale sul modello panamense, con isoldi di finanziatori cinesi contro ognivalutazione di impatto ambientale,aveva sollevato le comunità indigene egli ambientalisti. «I contadini non vo-levano questo canale, l’incendio scop-piato in una riserva è il momento zero.Quando Ortega impone la riforma »

ragua, a commentare la svolta repressivae sanguinaria da parte del presidenteDaniel Ortega, subita dal popolo nica-raguense. L’ex guerrigliero, attualmentea capo del Fronte Sandinista di Libera-zione Nazionale, pare aver tradito com-pletamente i principi di libertà e de-mocrazia cui si ispirava la rivoluzionedel 1979 contro l’allora despota AnastasioSomoza. Il ribaltamento dei principiegalitari nel loro esatto opposto è pa-radigmatico in Nicaragua. «Fin da apriledi quest’anno – dice Semplici - il mesein cui è scoppiata la ribellione popolare,io ed altri osservatori abbiamo detto:“Guardate cosa sta accadendo: l’espe-

Andrea Semplici

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LA CHIESA PRESA DI MIRALa città di Masaya, a 30 chilometri aSud di Managua, divenuta simbolo dellaresistenza al governo del presidenteOrtega, il 17 luglio scorso viene assediatada oltre mille tra militari e agenti dipolizia. Il 16 luglio il vescovo di Estelí,Abelardo Mata, si salva miracolosamenteda un agguato armato attribuito aforze paramilitari. La repressione delgoverno sandinista è ormai apertamentediretta contro la Chiesa cattolica cheresiste. «Ascoltando l’invito di papaFrancesco ad essere un ospedale dacampo, molte delle nostre parrocchiehanno dato rifugio a quanti cercavanosicurezza e prestato soccorso ai feriti –spiega il cardinale Brenes – Questo si-curamente non è piaciuto al governo.Così come non è piaciuta la nostra sol-lecitudine nel tentare di smantellare laforza paramilitare». Il grido d’allarmedel cardinale tocca le coscienze: «Invitotutti a lanciare una catena di preghierae a sostenere concretamente i nostrisacerdoti attraverso le intenzioni diSante Messe. Molti dei ministri infatti,

dal punto di vista della propaganda«sembra di essere nella Romania di Ce-ausescu – dice Conato - dal punto divista pratico siamo nell’America del gan-gsterismo. Ortega stringe un patto coni principali operatori economici cheavranno la strada spianata, dal businessalle concessioni edilizie. È il liberismosfrenato, un modello che stava benissimoai grandi imprenditori». Per il popolo eper la classe media non c’è speranza in-vece, e in questo lasso di tempo si con-suma la crescente insoddisfazione chepreparerà la manifestazione di massadel 19 aprile scorso. Da lì in poi saràtutto un reprimere: barricate in strada,milizie paramilitari armate a bordo dicamionette e ronde; morti nelle principalicittà, terrore. Fino al vergognoso attaccofisico alle alte gerarchie ecclesiastichedi luglio scorso. Quando il cardinaleLeopoldo Brenes, monsignor Josè SilvioBaez e monsignor Weldemar StanislawSomertag sfilano in processione, a so-stegno di quanti avevano trovato rifugioin chiesa, vengono malmenati, irrisi einsultati.

del sistema pensionistico le universitàinsorgono. Gli studenti prendono inmano la leadership», spiega Conato.«Che fossero gli studenti a scendere inpiazza a difesa dei pensionati, questoproprio non se lo aspettava il regime»,conferma anche Andrea Semplici. Ma lapresidenza di Ortega, al potere dal 2007,conteneva in sé i germi dell’insoddisfa-zione popolare e della ribellione pacifica.«Quando Ortega prende il potere per laseconda volta, scwglie di mettere suamoglie Rosario Murillo a capo del di-partimento propaganda, trasformandoil partito in un partito-Stato - spiegaConato - La grafica e i colori della cam-pagna elettorale diverranno quelli delnuovo governo». La first lady RosarioMurillo è in effetti l’anima dell’attualeoligarchia e della propaganda di Stato.

LA FIRST LADY ANIMA DELLA REPRESSIONEÈ inoltre legata a gruppi spiritualisti edesoterici e dirige il partito col pugno diferro; di fatto è la Murillo a dettarel’agenda della repressione. Così, mentre

FOCUSFOCUS

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Il cardinale Leopoldo Brenes, arcivescovodi Managua e presidente della ConferenzaEpiscopale del Nicaragua e monsignorWaldemar Stanislaw Sommertag, nunzioapostolico in Nicaragua.

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E ntro il 2025 più della metà della popola-zione dell’Africa subsahariana sarà abbo-

nata ai servizi di connettività mobile. Le pre-visioni di un autorevole istituto di ricercafissano per questa data almeno 634 milionidi abbonati, pari al 52% degli abitanti rispettoai 444 milioni (ovvero il 44%) del 2017. In ter-mini economici si calcola che questo settoreraggiungerà un volume di affari pari a 150miliardi di dollari entro il 2022, pari all’8%del Pil regionale. Lo scorso anno il settoredell’economia mobile ha dato lavoro a tremilioni di persone, contribuendo al finanzia-mento del settore pubblico con 14 miliardi didollari. Cifre da capogiro in un mondo in cuila stagnazione economica sembra caratteriz-zare l’andamento dello sviluppo.Reti e servizi stanno inoltre svolgendo unruolo fondamentale nello sviluppo e nella dif-fusione di start up tecnologiche favorendonela crescita. Oggi in Africa molte start up uti-lizzano il mobile come piattaforma primariaper affrontare le nuove sfide. L’uso deglismartphone si diffonde a macchia d’olio gra-zie ai minori costi dei dispositivi che solleci-tano la migrazione verso reti e servizi di con-nettività mobile a banda larga come il 3G o il4G. Secondo le previsioni, la banda larga surete mobile rappresenterà l’87% delle con-nessioni nell’Africa subsahariana entro il2025, rispetto al 38% del 2017. Questo signi-fica che nei prossimi sette anni ci saranno300 milioni di nuovi abbonati che utilizze-ranno i device per l’accesso ai servizi inter-net.Non è casuale che il continente nero in questosettore si sia dimostrato come l’area a più ra-pida crescita del mondo, nonostante il fattoche il 40% degli abitanti abbia meno di 16anni di età, un ostacolo alla proprietà di untelefonino perché non tutti ne hanno la pos-sibilità d’acquisto. La mobile economy qui re-sta una grande occasione di lavoro e sviluppopiù che in altre parti del mondo.

BOOM DELLAMOBILE ECONOMY

AFRICAOSSERVATORIO

di Enzo Nucci

La repressione di Daniel Ortega in Nicaragua

dovendo celebrare in privato, non ri-cevono offerte e dunque non hannoalcuna forma di sostentamento».L’arcidiocesi di Managua dirama un co-municato molto duro parlando di «attocodardo condannabile ed esecrabile».Il cardinale Brenes scrive sui social:«Mai abbiamo visto in Nicaragua unasituazione così, ed è veramente triste.«La nostra missione è quella di esserepresenti a Gesù Cristo. Eravamo andatinelle parrocchie per consolare i nostrisacerdoti ed accompagnarli nel camminodi sofferenza, tuttavia abbiamo ricevutoquesto trattamento».Le proteste si fanno più massicce quandoil presidente Ortega pronuncia un di-scorso col quale sostanzialmente rigettala richiesta di elezioni anticipate eaccusa i manifestanti di tentato colpodi Stato. Sia Amnesty Internationalche Human Rights Watch divulganoreport attraverso i quali condannanosenza appello l’azione di Ortega e dei

funzionari di regime. Questa è unaChiesa molto vicina al popolo, semplicee molto poco disposta ad accettareviolenza e soprusi: «Di Ortega si eradetto che avesse stretto alleanza conla Chiesa cattolica – spiega ancora An-drea Semplici - tanto che il suo regimesi dichiara cristiano e solidale. Ma laChiesa attuale no, questa è differente!I vescovi sono pronti a rischiare la pellein prima persona».L’unica vera mediazione possibile èquella operata dall’attuale arcivescovatonicaraguense: la Chiesa qui rappresentadavvero una istituzione rimasta fedeleal Vangelo e alla difesa dei diritti di chinon ne ha, e a sostegno della vita dellagente comune. L’opera eroica di questialti prelati, assieme alla mediazione delVaticano, sono la vera via di fuga dauna crisi e da una impasse politica chenon vede alternative diplomatiche senon la soluzione estrema di una guerracivile che nessuno auspica.

Il presidente del Nicaragua Daniel Ortegaaffiancato dalla moglie, la vicepresidenteRosario Murillo, durante un incontro con isuoi sostenitori a Managua.

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L’INCHIESTA

C olpiscono l’obiettivo a mentefredda. Niente di più ovvio, datoche i killer in questione non sono

umani ma macchine: siamo di fronte anuove generazioni di armi dotate di in-telligenza artificiale, capaci di strategiebelliche basate su algoritmi. Ma ancheordigni con nuove potenzialità che inun futuro (anche prossimo) potrebbero

Sotto l’occhio dei droni e laminaccia di macchinesoldato programmate daalgoritmi, la guerra sicombatte a colpi di robot ingrado di imparare daipropri errori. Ma che,senza la definizione dileggi e di un quadroetico, rischiano didiventare una minacciaper l’umanità. Come nel più cupo dei film difantascienza.

Robot killer,algoritmi eguerre sul serio

di MIELA FAGIOLOD’ATTILIA

[email protected]

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Campagna internazionale contro le armi autonome

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sono programmate per riconoscere ecorregge i propri errori. Fattore che aprescenari inquietanti, purtroppo non piùfantascientifici ma prossimi, in cui un’ar-ma robotica potrebbe sfuggire dal con-trollo della volontà umana e scegliereautonomamente quali obiettivi colpiree distruggere.Nel campo dell’intelligenza artificialesono stati fatti grandi passi in questiultimi anni, con la realizzazione di pro-dotti sempre più sofisticati in grado diaiutare e sostituire l’uomo in molti com-piti quotidiani o che possono mettere arischio vite umane. Ma che succedequando viene applicata all’industria bel-lica? Come prevenire e gestire il rischioche le armi intelligenti possano disu-manizzare i conflitti (posto che esistanoguerre “migliori” di altre) affidando arobot programmati la selezione degliobiettivi? Gli aspetti etici e morali dellaquestione si riassumono nei dubbi sulrischio che le macchine - per quantointelligenti e capaci di imparare daipropri errori - finiscano per sostituirsialla capacità di valutare e scegliere del-l’uomo. E alle sue responsabilità: se unrobot sbaglia la sua missione e compieuna strage imprevista, di chi è la colpa?Dell’uomo che lo ha programmato? Del-l’industria che ha assemblato i chip dellamacchina? O degli esiti imprevisti del-l’algoritmo impostato?

L’APPELLO DEGLI SCIENZIATIIl tema coinvolge ricercatori, ingegneri,scienziati e grandi industrie di tecnologieapplicate all’industria bellica ed è chiaroche le risposte non toccano solo temietici di grande attualità ma forti inve-stimenti e interessi economici. Il 18luglio scorso a Stoccolma, durante l’In-ternational Joint Conference on ArtificialIntelligence c’è stata una presa di posi-zione a livello mondiale da parte deileader impegnati nel campo dell’ArtificialIntelligence (AI), con la firma di 2.400studiosi e manager di 160 industrie,università e istituzioni, di un impegno anon sostenere lo sviluppo, la produ- »

sfuggire al controllo umano. Non è unfilm di fantascienza e nemmeno un vi-deogame, ma lo scenario reale dei rischiche oggi corre la pace. E i Killer Robotssono il futuro obbligato della guerra?Se ne è parlato in un seminario che si èsvolto all’inizio dello scorso luglio pressoPalazzo Teodoli in piazza del Parlamentoa Roma, con la partecipazione di espertiinformatici, diplomatici e rappresentantidella Campagna internazionale “StopKiller Robots”. «Ci troviamo di fronte anuovi sistemi di armi letali, con prototipi

già operativi anche in maniera autonomain base ad input umani» ha spiegato ilprofessor Maurizio Simoncelli, storicoed esperto di geopolitica, vicepresidentedell’Istituto di ricerche internazionali Ar-chivio Disarmo che ha promosso l’incontroinsieme a Rete Italiana per il Disarmo eUspid onlus per rilanciare l’impegnocontro le armi nucleari, chimiche, di di-struzione di massa e ora anche controgli ordigni intelligenti, impegno per ilquale si sono mobilitate 74 organizzazioniin vari Paesi del mondo, mentre ben 26Stati ne hanno già chiesto la messa albando.Sullo scenario internazionale c’è unacontrapposizione tra Stati decisamentecontrari a queste “super-armi” e quelliche invece ne propongono un uso inqualche modo regolamentato dal dirittointernazionale. Anche la società civileinternazionale si occupa da tempo dellaquestione, in particolare tramite la Cam-pagna internazionale “Stop Killer Robots”che nell’aprile 2018 ha compiuto cinqueanni. Tale mobilitazione segue fin dalprincipio gli incontri in cui presso laConvenzione sulle armi convenzionali(CCW) Onu, a Ginevra si è discusso dellepreoccupazioni sui sistemi di armi auto-nome. Sempre più emerge la convergenzasulla necessità di norme internazionali ariguardo, in risposta alle preoccupazionidi esperti come Frank Slijper, del Tran-snational Institute Pax-Netherlands. «Sepensiamo ai droni armati e al loro cre-scente uso nei conflitti, ci rendiamoconto di come la tecnologia ha cambiatoe sempre di più sta cambiando il mododi combattere la guerra, ad esempio inYemen, Pakistan, Senegal» dice Slijper,che continua: «Questi nuovi strumenti,dotati di intelligenza robotica, dovrebberoessere usati secondo una precisa nor-mativa. E invece siamo qui a chiedercise i controllori umani dei robot sonodestinati a passare in secondo piano».

MACCHINE CHE IMPARANODAGLI ERRORILe intelligenze artificiali di questi robot

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L’INCHIESTA

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I l Montenegro è una piccola Repubblicadella ex Jugoslavia con meno di 700mila

abitanti. È indipendente dal 3 giugno 2006 edil 28 aprile 2017 è entrato nella Nato, l’Alleanzamilitare guidata da Washington. Ha un marecristallino ed una storia antica e complicata.Eppure il poco conosciuto Stato balcanico haraggiunto un alto picco di notorietà dopo chenel luglio scorso il presidente americanoDonald Trump, in una intervista a Fox News,ha detto che si tratta di «un Paese con genteforte che potrebbe diventare molto aggressivae improvvisamente ti ritrovi nella Terza guerramondiale». La dichiarazione dell’inquilino dellaCasa Bianca ha immediatamente allarmatotutti: la Russia, legata da una secolare amiciziacon i montenegrini, la Serbia, da sempre po-tentissimo confinante, ma anche la lontanissimaLettonia o la turbolenta Ungheria del premierultranazionalista Viktor Orbán. Perché Trumpsi sia lasciato andare ad una considerazionecosì allarmante non è dato sapere, forse perpura antipatia. Lo scorso anno, in occasionedell’ingresso ufficiale del Montenegro nellaNato, al momento della foto di gruppo deicapi di Stato e di governo dell’Alleanza, il pre-mier Markovic fu pesantemente strattonatodal presidente degli Stati Uniti che voleva atutti i costi essere al centro dell’inquadratura.A Podgorica, la capitale montenegrina, però,la situazione non è semplice. Dal 1991 adoggi il Paese è nelle mani di un gruppo dipotere che fa capo all’attuale presidenteMihailo Jovovic, mentre il debito pubblico nel2016 ha quasi raggiunto il 70% del Pil. Nelloscorso mese di maggio la giornalista OliveraLakic è stata gambizzata in un attentato. Il go-verno vuole a tutti i costi entrare nell’UnioneEuropea, ma la libertà di stampa è a rischio.Milo Dukanovic, caporedattore del quotidianoVijesti, ha detto all’italiana Radio Popolare:«Quando i leader politici, nel nostro caso spe-cifico anche il presidente Milo Dukanovic,dicono bruttissime cose sui giornalisti soloperché stanno indagando sugli affari deimembri delle loro famiglie, il nostro lavorodiventa difficile. Attenzione, questi sono glistessi nodi che impediscono al Montenegrodi entrare nell’Unione Europea».

di Roberto Bàrbera

TRUMP, IL MONTENEGROE L’EUROPA

OSSERVATORIO

BALCANI

zione, il commercio e l’uso di armi au-tonome letali. Tra i firmatari spiccanoGoogle DeepMind, l’University Collegeof London, XPRIZE Foundation, ClearPathRobotics, l’European Association for AI(EurAI) e personaggi come Alex Sobel,Elon Musk (potente fondatore e ammi-nistratore delegato di SpaceX e Tesla),Yoshua Bengio, Anca Dragan e TobyWalsh.Gli scienziati dichiarano che «la decisionedi eliminare una vita umana non do-vrebbe mai essere delegata ad una mac-china». Sottolineando la componentemorale dei rischi legati all’uso di robotsoldati, viene messo in luce il rischio di«lasciare alle armi autonome la selezionedegli obiettivi, creando destabilizzazionepolitica per ogni Paese e individuo.Queste armi potrebbero infatti diventarepotenti strumenti di violenza e di op-pressione, specialmente se collegati asistemi di sorveglianza e dati». E vistoche le armi autonome hanno caratteri-stiche molto diverse dalle armi nucleari,chimiche e biologiche, prosegue il do-

cumento «le azioni unilaterali di un sin-golo gruppo potrebbero innescare fa-cilmente una corsa agli armamenti chela comunità internazionale avrebbe dif-ficoltà a gestire per la mancanza distrumenti tecnici e sistemi di governanceglobale». Per questo i firmatari chiedonoai governi di creare «norme chiare eleggi internazionali contro i robots killer,senza le quali ci impegniamo a noncontribuire alla ricerca, la produzione, ilcommercio e l’uso di questo tipo diarmi. Chiediamo che le aziende e le or-ganizzazioni tecnologiche, nonché i re-sponsabili politici e i cittadini si uniscanoa noi in questo impegno».

LA NUOVA FRONTIERA DEL POTEREAnche nell’agosto dello scorso anno dal-l’IJCAI svoltasi a Melbourne in Australia,un folto gruppo di esponenti dell’industriadell’intelligenza artificiale aveva denun-ciato: «Fermate i robot, sono un pericoloper l’umanità!». Ma gli interessi economici,politici e strategici sono più forti dellelegittime paure che i ricercatori stanno

Droni utilizzati nel conflitto siriano.

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T ra un anno la Chiesa cattolica celebrerà ilSinodo dei Vescovi sulla Panamazzonia,

evento che riguarderà l’America Latina, cer-tamente, ma che proromperà anche nellavita ecclesiale universale, considerando cheuno dei più grandi desideri di papa Francescoè quello di dare alla Chiesa un volto “amaz-zonico e indigeno”. Non c’è dubbio, quindi,che ciò che scaturirà da quest’assise potràindicare all’intera Chiesa cammini da seguire,anche in contesti molto diversi da quello lati-noamericano.Con questa premessa, un piccolo successoriguardante un gruppo indigeno della foresta,quello dei Ticuna (che vive nella regione traBrasile, Colombia e Perù), è una bella notiziadegna di nota. Si tratta della stesura di cantiliturgici in lingua ticuna, la cui musica è com-posta da indigeni e suonata con strumentimusicali locali. Sembra una banalità, ma nonlo è se leggiamo questa novità come un ten-tativo di rendere concreta l’inculturazionedella liturgia, obiettivo emerso prepotente-mente dal Concilio Vaticano II e ancora pocoattuato.L’iniziativa è nata nella parrocchia di Belemdo Solimões (diocesi di Alto Solimões) doveè stato organizzato un incontro per comporrecanti per la liturgia in lingua ticuna. Da diversianni, infatti, venivano usati alcuni canti inportoghese e in spagnolo, tradotti nella lingualocale. Ma non esistevano canti locali dausare nelle celebrazioni. Così il parroco, mis-sionario cappuccino fra Paolo Maria Braghini,insieme all’équipe parrocchiale, rispondendoalla richiesta degli operatori pastorali, ha con-vocato per quasi una settimana i membri deigruppi di canto di alcune comunità, riunendocosì 30 ticunas, in gran parte giovani: insiemehanno composto nuovi canti nella linguaticuna e relative musiche.All’Agenzia Fides, che ha riportato la notizia,monsignor Adolfo Zon, vescovo di Alto Soli-mões, ha descritto quest’iniziativa come«un’esperienza che può promuovere l’incul-turazione della liturgia: il canto liturgico inlingua ticuna – ha specificato - può contribuireall’esperienza del mistero di Cristo nellacultura di questo popolo».

di Chiara Pellicci

L’INCULTURAZIONEE I CANTI TICUNA

OSSERVATORIO

GOODNEWS

16mila universitari, spiegando che «è ilfuturo, non solo per la Russia ma pertutta l’umanità… con enormi opportunitàma anche minacce che sono difficili daprevedere». E dopo la Russia, gli Usa, laCina e i Paesi con tecnologie avanzate,chi non riterrebbe necessario disporre dikiller robots per difendersi e combatteread armi pari con gli avversari?Ma come si fa a definire delle regole sele frontiere della robotica avanzano ognigiorno di più? Dovrebbero essere forse leaziende a dare dei limiti alla loro produ-zione? Improbabile, come sottolinea ladenuncia di Future of life Institute chechiede ai governi leggi di regolamenta-zione, invitando al boicottaggio dell’Isti-tuto di ricerca avanzata Kaist in Coreadel Sud, produttrice di bombe a grappolodi ultima generazione insieme all’industriabellica Hanwa. La collaborazione tra ledue sigle ha dato ora vita al “Centro diricerca per la convergenza della difesanazionale e dell’intelligenza artificiale”,in cui il settore di punta è la ricerca nelcampo delle armi intelligenti. Le appli-cazioni belliche della ricerca accademica(e non solo) sull’intelligenza artificiale, itentativi di definizione etica dell’uso diqueste nuove generazioni di soldati elet-

tronici, sono ora più che mai alcentro di un dibattito che toccarealtà come gli oltre tremila di-pendenti di Google che si sonoopposti al progetto Maven (incui sono coinvolti anche Microsofte Amazon) per fornire al Penta-gono di Washington sofisticatisistemi di riconoscimento di obiet-tivi militari da colpire.E non si tratta di un caso isolato.Un segnale tra i tanti che la fan-tascienza non riguarda più unfuturo ipotetico e probabile, rac-contato da visionari e maghidegli effetti speciali. Ma che èqui, che ci piaccia o no.

Campagna internazionale contro le armi autonome

denunciando, chiedendo una regola-mentazione dell’AI prima che diventitroppo autonoma. Un uomo potentecome Vladimir Putin esprime con pocheparole il nocciolo della questione: «Chisvilupperà la migliore intelligenza artifi-ciale, diventerà il padrone del mondo».Lo ha detto in apertura dell’anno acca-demico dello scorso anno davanti a

Elon Musk, fondatore e amministratoredelegato di SpaceX e Tesla, tra i firmatari diun impegno a non sostenere lo sviluppo, laproduzione e l’uso di armi autonome letali.

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Il Vangelo è gioia“A merica in missione, il Vangelo è gioia”: questo è stato il

tema del V Congresso Missionario Americano (CAM)che si è svolto nella città di Santa Cruz de la Sierra in Bolivia dal10 al 14 luglio scorsi. Alcuni numeri di questa quinta edizionedicono quanto la dimensione missionaria in America sia viva esentita: 2.500 delegati arrivati da tutto il continente (Nord, Sude Caraibi), 150 invitati dal mondo, 400 volontari, 160 delegatidelle commissioni, per un totale di 3.150 persone che hannopartecipato ufficialmente al V CAM di Bolivia. La diocesi diSanta Cruz, retta da monsignor Sergio Gualberti, già fidei

donum italiano di Bergamo, si è mobilitata per ospitare tuttequeste persone: 1.500 famiglie coinvolte in 56 diverse parroc-chie.Sono 11 le proposte che il Congresso consegna alle Conferenzeepiscopali per l’attuazione nei diversi contesti americani, cheportano avanti le linee dell’Evangelii Gaudium e dell’Amoris

Laetitia in ambito missionario, e della Laudato Si’ in ambito disalvaguardia del Creato, guardando all’ottobre 2019 dichiaratoda papa Francesco “Ottobre missionario straordinario” e mesedell’atteso Sinodo sull’Amazzonia. Tre di queste 11 propostesono particolarmente rilevanti: riguardano un nuovo ministerolaicale dedicato alle donne, più condivisione economica (desti-

S C A T T I D A L M O N D O

Cerimonia di apertura del V CAM

A cura di EMANUELA [email protected]

Testo e foto di PAOLO [email protected]

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nando ai poveri il 50% delle somme raccolte in ogni messa),un osservatorio ecclesiale dei diritti umani a livello continentale.Le tre proposte toccano altrettanti temi approfonditi nei cinquegiorni di assise missionaria continentale: il tema della ministerialitànella Chiesa, per rispondere ad una grande “messe” chechiede; il tema della povertà di porzioni enormi di societàcivile; il tema dei diritti umani rispetto ai quali non si intravvedonosignificativi progressi. Il nuovo ministero laicale dovrà esserespecificatamente missionario e femminile con le funzioni dellapredicazione del Vangelo, del ministero della consolazione nelvasto mondo del dolore, della corresponsabilità con il parroconelle comunità, della celebrazione dei sacramenti del battesimoe del matrimonio.

CONTINENTE IMPOVERITOSecondo la commissione per l’America Latina delle NazioniUnite (Cepal), in America Latina e nei Caraibi nel 2017 lapovertà è salita dal 28,5 al 30,7%, e quella estrema dall’8,2% al10%. È il continente più diseguale al mondo, dove il 10% dellapopolazione detiene il 68% della ricchezza. Diventa doverosoper la Chiesa ripartire almeno le risorse interne e per questo c’èla seconda proposta: destinare ai poveri il 50% di quanto si rac-coglie come offerta nelle messe.La terza proposta riguarda il contesto sociale, a fronte di unevidente degrado. I conflitti aumentano, l’America Latina -

V CONGRESSO AMERICANO MISSIONARIO (CAM)

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La celebrazione presieduta dal cardinaleFernando Filoni, prefetto della Congregazioneper l’Evangelizzazione dei Popoli.

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dicono le Nazioni Unite - è la regione più violenta al mondo neiconfronti delle donne. I picchi riguardano il Centramerica e ilMessico. Il tasso di femminicidio nella regione è tra i più alti almondo. Nel 2017 il 29,8% delle donne sudamericane è statovittima di violenza in ambito familiare e il 10,7% ha subitoviolenze sessuali fuori da tale contesto. Delle 50 città piùviolente al mondo, 42 sono latinoamericane. In quest’otticanasce il terzo obiettivo del Congresso: dare vita ad un osservatorioecclesiale sui diritti umani nel continente. Prima dei dati, ildegrado della vita sociale in America Latina e nei Caraibi èevidente anche solo mettendovi piede: a Buenos Aires i negozivendono il pane e i pomodori da dietro le grate, a Fortaleza sipuò girare la sera solo sull’immenso lungomare, a Caracas leattività della Chiesa cattolica - riportano i delegati venezuelani -si fermano prima di cena. Nessuno si azzarda ad uscire dopo,troppo forte il rischio di assalti da parte di un’umanità ferita cheda tempo non ha più nulla da perdere.Di fronte a queste problematiche, la domanda centrale del Con-gresso è stata: quale missione per la Chiesa in questo contesto?C’è bisogno di un cambiamento, come invita papa Francesconell’Evangelii Gaudium: uscire dall’istituzione, dalle strutture,incontrare la gente, camminare con la gente. Il modello di evan-gelizzazione diventa il cammino verso Emmaus: la compagnia

prima dell’annuncio, l’ascoltare prima di parlare, il domandareprima di presentare la propria visione delle cose, la libertàcome condizione fondamentale per scegliere. Passare dal tra-smettere al condividere (compartir), i dolori, le angustie, legioie e le speranze. E solo dopo, afferma monsignor VittorinoGirardi, vescovo emerito in Costa Rica, eventualmente indicareun cammino nuovo che sappia ricondurre le aspettative e le in-quietudini in gioia. Ma questo sembra il compito più difficile.

MONSIGNOR BESCHI AL CAMAl V CAM era presente anche monsignor Francesco Beschi, ve-scovo di Bergamo, presidente della Commissione episcopaleper l’Evangelizzazione dei popoli e la Cooperazione tra le Chiesedella Conferenza episcopale italiana e presidente della FondazioneMissio, che ha affermato: «Ritengo un grande dono la possibilitàdi rappresentare la Chiesa italiana, la Conferenza Episcopale, laFondazione Missio, il Centro Unitario Missionario in questagrande assemblea che celebra il V Congresso MissionarioAmericano. Certamente il tema della gioia del Vangelo harisonanza per noi europei. In questo momento le parole delpapa che ispirano questo Congresso diventano anche forza eprovocazione per l’Europa che vive alcune fatiche nella dimensionedella gioia del Vangelo: le preoccupazioni, le sofferenze, le con-trarietà sembrano a volte mortificare la forza generatrice delVangelo e la testimonianza della gioia che scaturisce dall’esperienzaevangelica».

S C A T T I D A L M O N D O

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Monsignor Francesco Beschi, vescovo di Bergamo.

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V CONGRESSO AMERICANO MISSIONARIO (CAM)

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Monsignor Sergio Gualberti vescovodi Santa Cruz de la Sierra, Bolivia.

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Alla periferia di Nairobi c’è uncarcere in cui nessuno vorrebbe

trovarsi, tra detenuti per i reatipiù gravi e condizioni di vitadavvero difficili. Negli ultimi

anni qualcosa è cambiatoanche grazie ai programmi di

formazione per i giovanicarcerati che le missionarie

della Consolata sono impegnatea portare avanti nel difficile

mondo di Kamiti.

G iunti di fronte all’ingresso principale del penitenziario di Kamiti, non si hadavvero idea di cosa ci sia dentro il recinto fatto di pali, reti, muretti, filo

spinato e torrette di vigilanza. Qualcosa si può intuire, ma la vegetazione è cosìrigogliosa per cui tutto diventa intelligibile solo varcando la soglia. Nell’imma-ginario della gente comune in Kenya, Kamiti evoca una sorta di girone dan-tesco, un luogo blindato, impenetrabile, con notizie poco chiare o totalmen-te assenti, il posto peggiore in cui ritrovarsi. Dista una decina di chilometri dal-la parrocchia cattolica di Kariobangi, nell’estrema periferia di Nairobi. La si-curezza è strettissima ed è permesso l’ingresso previa autorizzazione delleautorità competenti. Situato su una superficie di oltre cinque chilometri qua-drati e vigilata da un migliaio di guardie carcerarie, Kamiti ospita oltre 4.000detenuti: 3.000 nel settore di massima sicurezza e 1.200 in quello per reatiminori. Costruito in epoca coloniale dagli inglesi durante il periodo dell’insur-rezione dei Mau Mau, successivamente, nel ventennio del partito unico (1982-2002) era il posto dove finivano i dissidenti politici, molti dei quali furono giu-stiziati senza processo. Oggi Kamiti ospita un ventaglio variegato di detenu-ti, molti dei quali hanno commesso i più efferati delitti elencati nei manuali dicriminologia.Questa famigerata prigione venne alla ribalta con l’elezione, nel 2009, del pri-

Missioneoltre le sbarreMissioneoltre le sbarre

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mo presidente Usa di origini afro, BarackObama. Suo nonno, infatti, un certo Hus-sein Onyango Obama, venne incarcerato ebrutalmente torturato dai militari britanni-ci durante la lotta di indipendenza del Ke-nya. Lo raccontarono al The Times i fami-liari keniani dell’ex leader statunitense, e inparticolare la terza moglie del nonno, chel’ex presidente Usa chiama, ancora oggi, af-fettuosamente “granny (nonna) Sarah”.Hussein Onyango Obama entrò in contat-to con il movimento per l’indipendenza dalRegno Unito, mentre lavorava come cuo-co per un ufficiale inglese. Fu arrestato nel1949, a 56 anni, e tenuto per due anni a Ka-miti in condizioni subumane. Secondo la fa-

miglia, durante quel periodo fu ferocemen-te torturato affinché fornisse informazionisugli insorti.

L’IMPEGNO DEI MISSIONARIDa allora, bisogna riconoscerlo, alcuni pro-gressi sono avvenuti e l’impegno formaledell’amministrazione penitenziaria è quellodi promuovere buone pratiche in termini dirispetto per i diritti umani fondamentali, in-tendendo con ciò la pulizia delle celle, ac-qua e cibo, assistenza sanitaria, divieto ditortura. Inoltre, da vari anni, per alcune ca-tegorie di detenuti, sono stati avviati program-mi di sostegno psico-sociale e formazioneprofessionale per il reinserimento lavorati-

vo e comunitario, soprattutto per quelli chehanno dato prova di buona condotta o sonoin uscita. C’è da considerare che il ritornoin libertà rappresenta il momento con più altaprobabilità di recidiva, in particolare per tut-te quelle persone che non sono supporta-te da una rete sociale e che non possiedo-no conoscenze spendibili nel mondo del la-voro. A differenza di quanto avviene nellastragrande maggioranza delle carceri afri-cane, a Kamiti si trovano due riformatori: unomaschile, lo Youth Correctional and Training

Centre (Yctc), e un altro femminile, il Kamae

Girls Borstal. È difficile sapere se davverotutti i minori di Kamiti siano effettivamenteseparati dagli adulti, anche perché taleprincipio per quanto sia di capitale impor-tanza, è solitamente ignorato nel sistema car-cerario africano. Formalmente, comunque,questo principio, almeno in Kenya, è rico-nosciuto e la distinzione tra prigionieriadulti e minori e di genere è sancita dalla leg-ge (Kenyan Prisons Act 2014). L’implemen-tazione di tale normativa non è tuttavia an-cora completa a causa di diversi ostacoli,come la carenza di risorse e di appropria-to coordinamento tra i centri e i diversi livel-li di governance del sistema penitenziario edi giustizia minorile e il sovraffollamentostrutturale delle strutture correzionali e de-tentive. Stando ai dati forniti da una recen-te ricerca, i detenuti minorenni presen- »

Volontari del Cefa di Bologna e della Caritas Ambrosiana impegnati in unprogetto di riabilitazione degli ex giovani detenuti del carcere di Kamiti.

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ti a Kamiti provengono prevalentemente dafamiglie delle aree rurali del Kenya e sonocresciuti in condizioni di estrema precarie-tà economica ed esclusione sociale. Lamaggior parte non ha potuto frequentare lascuola, o è stata espulsa a causa di com-portamenti indisciplinati.

PERCORSI EDUCATIVIL’alta probabilità di recidiva tra i giovani exdetenuti è dovuta ad alcuni fattori, come lamancanza di percorsi educativi e di avvia-mento al mercato del lavoro e lo stigma, cheinfluiscono sul reinserimento sociale e por-tano a recidive. Di fronte a questa sfida uma-nitaria, le missionarie della Consolata han-no realizzato la Saint Joseph Cafasso Con-

solation House (Sjcch), una casa di acco-glienza per i ragazzi ex detenuti dedicata aSan Giuseppe Cafasso, che nella sua vitaha sempre accompagnato le persone con-dannate a morte stando loro vicino, ascol-tandole, pregando con loro, preparandole adaffrontare la morte e dando loro consola-zione. Il Centro, che sorge all’interno dell’areaperimetrale di Kamiti, è stato concepito perquesti giovani affinché possano diventareparte attiva e responsabile della società. AlSaint Joseph Cafasso Consolation House,ogni ragazzo ha la possibilità di seguire unpercorso spirituale, di frequentare la scuo-la e di imparare i diversi lavori agricoli chenella comunità vengono svolti ogni giorno.

Sono infatti attive, con ilduplice obiettivo di inse-gnare un lavoro profes-sionalizzante ai ragazzi edi favorire la sostenibili-tà del progetto, diverseattività agricole tra cui: al-levamento di conigli epolli per la vendita, alle-vamento di mucche dalatte, coltivazione deicampi e di ortaggi inserra. A queste attività siè aggiunta recentemen-te la produzione e vendi-ta del pane. Ma proprioperché la solidarietà, inqueste periferie geogra-fiche ed esistenziali delnostro tempo, esige nuo-ve sinergie tra le varie re-

altà impegnate nella cooperazione allo svi-luppo, le missionarie della Consolata, conil coinvolgimento diretto e altamente quali-ficato di un’autorevole organizzazione nongovernativa italiana, il Cefa di Bologna in col-laborazione con la Caritas Ambrosiana, haavviato un progetto specifico per la riabili-tazione degli ex giovani detenuti, per aiuta-re i giovani a venire fuori da quella bolgia,per reinserirsi nella vita quotidiana. Studio,lavoro manuale di vario genere e tanta uma-

nità... Nello specifico, il progetto promuo-ve diverse attività di sostegno psicosocia-le e socioeconomico rivolte ai giovani de-tenuti del Centro per minori (Yctc) e ai gio-vani ex detenuti del Centro di accoglienza(Sjcch), attraverso sessioni di accompagna-mento psicologico (counselling), oltre all’ac-quisizione di abilità cognitive, emotive e re-lazionali di base (life skill training) e al so-stegno economico alla formazione scola-stica e professionale. I risultati si vedono già:quest’anno, ad esempio, le missionarie e ivolontari del Centro, con immensa gioia,hanno festeggiato quattro ragazzi che, dal-l’apertura della Saint Joseph Cafasso Con-

solation House, hanno terminato il ciclo distudi della scuola secondaria e ora si affac-ciano alla vita adulta scegliendo di continua-re gli studi universitari o un lavoro. Sembraincredibile a molti che quattro ragazzi usci-ti dal carcere, che avevano abbandonato glistudi e che a scuola si erano sempre fattiriconoscere per cattiva condotta, ora ce l’ab-biano fatta. Eppure è proprio così: John, Ja-mes, Patrick e Peter hanno dimostrato di es-sere un modello di determinazione, corag-gio, impegno e possibilità di cambiamen-to. La soddisfazione per questo risultato ri-guarda anche la Conferenza episcopale ita-liana (Cei) che ha cofinanziato questa ini-ziativa attraverso il sistema dell’8xmille. Sol-di davvero spesi bene!

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OTTOBRE MESE MISSIONARIO

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Missione, forever young

A cura della [email protected]

C ome molti dei nostri lettori sapranno, nel mesedi ottobre, si svolge a Roma la XV Assemblea

Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi dedicatoa “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”.Ebbene, il tema della nostra Giornata missionariamondiale 2018 (Gmm), scelto dalla FondazioneMissio (che in Italia rappresenta le Pontificie OpereMissionarie), si ispira proprio al sinodo: “Giovani peril Vangelo”. Si tratta di un virgolettato che racchiudedue dimensioni: da una parte, si riferisce ai giovaniche offrono la loro vita per l̓ annuncio e la testimonianzadel Vangelo; dallʼaltra, ci ricorda che la missioneevangelizzatrice richiede, sempre e comunque, diessere “giovani”. Dunque uno slogan missionario,squisitamente ad gentes, che si spinge oltre la co-siddetta frontiera anagrafica. È nostro compito co-niugare questi due volumi o spazi esistenziali chedir si voglia. Nel primo caso è evidente il richiamo in-centrato sulla vocazione che Dio rivolge ai giovanidel nostro tempo; nel secondo il riferimento è allʼim-

pegno di tutti, soprattutto degli adulti, a rinnovare,ogni giorno, nello spazio e nel tempo, le promessebattesimali.Papa Francesco ci suggerisce, in maniera efficace,la prospettiva teologica di questo ragionamento nellepagine di un recente libro-intervista dal titolo “Dio èGiovane”, pubblicato da Piemme (pag. 132, euro15; e-book euro 9,99). Con grande forza ed efficacia,papa Bergoglio afferma che «Dio è Colui che rinnovasempre, perché Lui è sempre nuovo: Dio è giovane!Dio è lʼEterno che non ha tempo, ma è capace dirinnovare, ringiovanirsi continuamente e ringiovaniretutto. Le caratteristiche più peculiari dei giovani sonoanche le Sue. È giovane perché “fa nuove tutte lecose” e ama le novità; perché stupisce e ama lo stu-pore; perché sa sognare e ha desiderio dei nostrisogni; perché è forte ed entusiasta; perché costruiscerelazioni e chiede a noi di fare altrettanto, è social.Penso allʼimmagine di un giovane e vedo che anchelui ha la possibilità di essere “eterno”, mettendo »

Missio Giovani in Tanzania.

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in gioco tutta la sua purezza, la sua creatività, il suocoraggio, la sua energia, accompagnato dai sogni edalla saggezza degli anziani. È un ciclo che sichiude, che crea una nuova continuità e mi ricordalʼimmagine dellʼeternità».È comunque evidente che siamo chiamati a faretesoro di queste “pro-vocazioni” del pontefice affinchéognuno di noi possa rimettersi in cammino e usciredal cerchio ristretto delle proprie abitudini e dei propripregiudizi. Questa dinamica farà maturare i giovanie ringiovanirà i meno giovani con lʼintento dichiaratodi sancire una rinnovata stagione evangelizzatrice.Insieme, giovani e anziani, possiamo, anzi, dobbiamo,offrire il Vangelo, per il bene dellʼumanità del TerzoMillennio.Animati da queste convinzioni, abbiamo raccolto,nelle pagine di questo dossier, alcune testimonianzemissionarie che manifestano concretamente il pensierodi papa Francesco, ribadito peraltro nella tradizionalemissiva per la Giornata missionaria mondiale di que-stʼanno: La «trasmissione della fede, cuore dellamissione della Chiesa, avviene per il contagio del-lʼamore, dove la gioia e lʼentusiasmo esprimono il ri-trovato senso e la pienezza della vita». Ecco perchécʼè bisogno di anime giovani per il Vangelo.

Giulio Albanese

Il fiore più fortedel deserto

ANNALENA TONELLI A 15 ANNI DALLA MORTE

di Miela Fagiolo D’[email protected]

INTERVISTA A PADRE LUCA VITALI, DIRETTOREDEL CENTRO MISSIONARIO DIOCESANO DIFORLÌ-BERTINORO, CHE SPIEGA L’IMPORTANTERIVISITAZIONE DELL’EREDITÀ SPIRITUALE DIANNALENA TONELLI A 15 ANNI DALLA SUAUCCISIONE, E PRESENTA IL CONVEGNO“GIARDINIERA DI UOMINI. UNA DONNA CHEHA FATTO FIORIRE IL DESERTO”.

Annalena Tonelli,conforta un pazientenell'ospedale da leifondato a Boroma inSomaliland.

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in memoria perché la sua eredità è un esempio divita - precisa padre Vitali -. A partire dal titolo:“Giardiniera di uomini. Una donna che ha fattofiorire il deserto”. Questi giorni dedicati a riscoprirela sua grande eredità missionaria servono a farcicontagiare dalla sua passione per Dio e per ipoveri, per diventare anche noi giardinieri di uomi-ni».Pensando alla missione di una donna «sola, biancae cristiana» vissuta nella sabbia del deserto e inun contesto ostile, la missione della Tonelli acquistail senso speciale di una esperienza di fede in fron-tiera. Anche se padre Vitali più che di frontierapreferisce parlare degli «orizzonti vasti della suamissione: orizzonte è senza muri, senza frontiere,è un luogo totale, che sfugge man mano che sicerca di avvicinarlo. Come lʼ “Ut unun sint” che leidice essere stata lʼagonia amorosa della sua vita.Voleva che tutti gli uomini fossero uno. E ha sceltoil deserto proprio per raggiungere i più isolati,esclusi tra gli ultimi. Si è collocata tra i poveri e inomadi malati di tubercolosi perché la ricerca deipiù esclusi lʼha portata fino a loro, fino ai lembi piùlontani del deserto». Il deserto era per lei il luogodel silenzio, della preghiera e del raccoglimento. AWajir, in Kenya, appena aperto il Tb Center per imalati di tubercolosi, assieme alle compagne havoluto costruire un eremo, un luogo di raccoglimentoche ha poi rimpianto in tutte le altre sedi in cui havissuto.

Dopo la sua morte è statoritrovato un biglietto con suscritto: «Non parlate di me,non avrebbe senso, dategloria a Dio per le grandiopere che ha fatto e iniziamoa servire il Signore perchéfinora non abbiamo fattomolto». Ma oggi il Convegnodi Forlì ci permette di ritro-vare fresca e intatta unaeredità spirituale di grandeattualità. Monsignor Bertin,vescovo di Gibuti, è presenteal Convegno e ricorda cheandava a celebrare con leia Natale e a Pasqua, datoche non cʼerano sacerdotiper celebrare. Sono presentimolte persone che lʼhannoconosciuta, che hanno con-diviso con lei un camminostraordinario. Spiega padreVitali: «Il Convegno si

«S e si fosseroconosciuti si

sarebbero trovati inperfetta sintonia papaFrancesco e Anna-lena. È una donnadellʼEvangelii Gau-dium, che ha saputotestimoniare con co-raggio il significatodella Chiesa poveraper i poveri, il dina-mismo della “Chiesain uscita”. È lʼiconadi una Chiesa ospe-dale da campo in cuisi accoglie e ci siprende cura dellapersona umana intutta la sua interez-

za». Così padre Luca Vitali, direttore del Centromissionario diocesano di Forlì-Bertinoro, raccontala missionaria laica a 15 anni dalla sua uccisionepresso lʼospedale di Borama in Somaliland il 5ottobre 2003. Ed è proprio la diocesi ad organizzareinsieme al Comitato per la lotta alla fame nelmondo un Convegno che dal 5 al 7 ottobre riportaAnnalena in mezzo ai suoi concittadini con testi-monianze, eventi e incontri presso il Campus uni-versitario della città romagnola. «Non è un evento

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Padre Luca Vitali, direttoreCMD di Forlì-Bertinoro.

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apre con le voci di due amici che erano con leinella Fuci, Roberto Gimelli (già presidente del Co-mitato per la Lotta alla fame) e don Sergio Saladeve la sua vocazione ad Annalena. Poi lo storicoAndrea Riccardi spiega perché Annalena è unatestimone del suo tempo, rileggendone la vita allaluce del martirio che lʼha conclusa. MonsignorMatteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, parla dellaChiesa povera per i poveri secondo la EvangeliiGaudium. Nel pomeriggio parlano gli amici, padrePietro Pagliarini e Annalena Benini, chi ha lavoratoal suo fianco come Silvio Tessari ed EmanueleCapobianco, che si dice figlio di Annalena perchéera uno dei medici che lavoravano con lei (oggi ènellʼOms): tutti spiegheranno cosa intendeva Tonelliper “care”. Lidia Maggi, pastora protestante, ricordacome Annalena, pellegrina dellʼAssoluto, si sentivain cammino anche con altre confessioni religiosein una prospettiva ecumenica. Cʼè anche il musical“Il fiore del deserto, una via di speranza e amore”,realizzato dalla compagnia giovanile forlivese“Quelli della via”, e personaggi come la giornalistaAnna Pozzi, Paolo Beccegato, vicedirettore diCaritas Italiana, e monsignor Lino Corazza, vescovodi Forlì-Bertinoro».

Tra gli YanomamiMISSIONARI DELLA CONSOLATA DA 50 ANNI A CATRIMANI

di Chiara [email protected]

DA 11 ANNI PADRE CORRADO DALMONEGO,MISSIONARIO DELLA CONSOLATA, VIVE TRA GLIYANOMAMI, INDIGENI CHE DAI TEMPIANCESTRALI ABITANO IN AMAZZONIA SULTERRITORIO OGGI DIVISO TRA BRASILE EVENEZUELA. LA SUA ÉQUIPE MISSIONARIA(FORMATA DA LUI STESSO E DA TRE SUOREDELLA CONSOLATA) OPERA NELLO STATOBRASILIANO DEL RORAIMA, DOVE LA PRESENZADELLA CONGREGAZIONE TORINESE A FIANCODEGLI YANOMAMI RISALE AL 1965.

D a 50 anni Catrimani (in Roraima, Brasile) èuna missione speciale: non cʼè una comunità

cristiana locale con la sua vita parrocchiale, mamolte comunità yanomami con proprie tradizioni eculti, da accompagnare nella vita quotidiana enella difesa del territorio e dei diritti.Padre Dalmonego, 43 anni, missionario della Con-solata, in Italia per qualche settimana prima diripartire per la foresta Amazzonica, racconta diuna missione fatta di condivisione, vicinanza, com-prensione, stima vicendevoli. Lʼattività dellʼéquipedi cui fa parte (lui stesso e tre suore della Consolata)ha un piano di azione tutto dedicato agli Yanomami:formazione, educazione e studio del portoghese;produzione di materiale didattico a seguito diricerche svolte dagli stessi indigeni sulle proprieconoscenze e tradizioni; attenzione allʼassistenzasanitaria, in particolar modo per la difesa delterritorio e della salute; incontri di approfondimentosui diritti; controllo sociale sulle scelte dellʼammini-

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tra i più violati al mondo (basti ricordare che neglianni Settanta, a causa dei contatti con i non indiosdovuti alla costruzione della strada transamazzonica,in alcune regioni la popolazione yanomami fu de-

cimata per malattie fino a quel mo-mento sconosciute; sorte che si ri-peté pochi anni dopo con lʼarrivodi 40mila cercatori dʼoro). Spiegapadre Dalmonego: «Alcuni ci dicono:“Quello che fate voi potrebberofarlo anche le ong”. Ma non è deltutto vero: sono gli stessi amicidelle ong a dirci che la nostra pros-simità con gli Yanomani ci consenteuna marcia in più. Alla cerimoniachiamata reahu, un rituale, unafesta in cui radunarsi e invitarealtre comunità, momento clou dellaloro vita, noi partecipiamo e condi-vidiamo danze, balli, cibo, bevande.Siamo i benvenuti».Alla domanda se come missionarioriesce ad evangelizzare, padre Dal-monego risponde: «Cosʼè l̓ evan- »

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strazione locale e nazionale; sostegno alle lingueyanomami.Ma la prossimità nel quotidiano è il valore aggiuntodella presenza missionaria in mezzo agli indigeni

Padre Corrado Dalmonego durante un lavoro di trascrizionedi un testo con un giovane yanomami alla missione Catrimani.

Padre Dalmonego con giovani yanomamipresso una comunità indigena.

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«Nella timida risposta alla richiesta di voler vedere“il nostro Dio” cʼè un annuncio che rispetta i tempie le mediazioni degli interlocutori: sono formediverse. Una volta mi domandarono: “Io possopregare il tuo Dio?”. In una particolare situazionedi angoscia, chiesero: “Cosa dice il tuo Dio? Cherisposta dà?”. In unʼaltra occasione, mi chiesero dipregare per una persona malata. Ecco, anchequesto è annuncio!».Padre Dalmonego è certo che non si possa “co-municare” Dio con una catechesi accelerata. Econclude: «Noi ci sentiamo piccoli nel portarequesto mistero, come dice san Paolo, “in vasi dicoccio”. Io vivo e cerco di testimoniare la mia fede.Sono questioni molto delicate. A chi fa domandenoi rispondiamo con molta serenità, cercando leparole più adeguate, rispettose, senza nasconderenulla di ciò in cui crediamo».

gelizzazione? È solo insegnare il catechismo o ladottrina della Chiesa? Questa è una visione un poʼristretta. “Evangelizzazione” è annuncio della BuonaNovella che si porta con la vita». E parafrasandosan Francesco dʼAssisi, aggiunge: «Evangelizzaresempre. Se necessario anche con le parole. Ecco,i missionari là presenti hanno cercato di evangelizzarecon le loro vite. Del resto, nessuno si è mai “con-vertito” per una dottrina, ma per una vita condivisasì. Con gli Yanomami parliamo delle cose di Dio, sistabiliscono dialoghi nella convivenza, si incontranole persone durante i rituali sciamanici, nella cura diun malato, nei momenti di festa o di lutto. In unʼoc-casione particolare mi dissero: “Hai visto cheabbiamo reso presenti i nostri Spiriti ausiliari?Adesso, rendi qui presente il tuo Dio! Vogliamo ve-derlo”. In questo momento è esplicito o no lʼannun-cio?» si domanda padre Dalmonego. E prosegue:

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Il fiume Catrimani (dal quale prende il nome la missionedei missionari della Consolata) e la casa dei Waromapitheri(che significa “abitanti del villaggio di Waroma”).

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DON ATTILIO DE BATTISTI, FIDEI DONUM IN THAILANDIA

«I n Asia cʼè metà della popolazionemondiale. Non possiamo essere as-

senti. A Lamphun ci sono 50 cristiani sumezzo milione di abitanti. Come fidei donumpenso sia importante incarnarsi in questoterritorio». Ne è convinto don Attilio DeBattisti, missionario fidei donum del Trive-neto, che insieme ad altri cinque missionariè impegnato nella parrocchia di Lamphunnella diocesi di Chiang Mai (più di 400milaabitanti e una estensione di 4.500 chilometriquadrati) nel Nord-ovest della Thailandia.La missione di Lamphun è nata nel 2000come risposta dei vescovi del Triveneto al-lʼinvito di Giovanni Paolo II alla Chiese ditutto il mondo di porre lʼattenzione sullʼAsia,il continente dellʼevangelizzazione del XXIsecolo. Spiega don Attilio: «Alla diocesi diChiang Mai fanno capo città e villaggidistanti anche centinaia di chilometri, icristiani hanno tanta difficoltà a trovare un prete e afrequentare una messa. Qui la missione è soprattuttocarità e dialogo interreligioso e quindi annuncio so-lamente. Tra templi, centri di meditazione e giova-nissimi monaci, si dice che Lamphun sia il centro didiffusione del buddhismo in tutto il Nord della Thai-landia». Fino a qualche anno fa la Chiesa cattolicanon aveva una presenza strutturata, cʼerano cattolicisparsi sul territorio: è nata così lʼidea da parte deifidei donum del Triveneto di essere presenti inquesta realtà molto particolare e difficile. «Qui cʼèuna forte diffusione del buddhismo – spiega il mis-sionario – ci sono gruppi etnici provenienti da altreregioni della Thailandia, dalla Birmania e dal Suddella Cina. In questa zona cʼè una visione molto or-todossa del buddhismo, soprattutto in area urbanatra gli operai di alcuni grandi stabilimenti industrialicostruiti proprio accanto alla nostra parrocchia diSan Francesco. Ci sono migliaia di dipendenti chevengono dalla zona delle montagne, tra loro anchecattolici che hanno difficoltà di partecipare allamessa perché le fabbriche hanno orari molto lunghi,

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con turni di giorno e di notte. Sono industrie stranieredi provenienza giapponese che producono elettronica.Ci sono molti birmani che si prestano a fare mano-valanza a basso costo come operai, muratori, neilavori delle infrastrutture di questa zona che staavendo molto sviluppo da quando è entrata nelgruppo dei dieci Paesi dellʼAssociation of South-East Asian Nations (Asean)».Cʼè poi la realtà dei villaggi dei tribali sparsi tra lemontagne circostanti e in questo contesto il lavorodei missionari cambia completamente, come diceancora don Attilio: «Siamo una presenza attiva,visitiamo gli ammalati, seguiamo costantemente igruppi di cristiani nei villaggi più sperduti per orga-nizzare formazione dei laici e momenti di preghie-ra. Ci occupiamo di anziani ammalati, disabili oorfani. Visitiamo le piccole comunità cattolichesparse sul territorio, facciamo catechesi, leggiamoinsieme il Vangelo. Le distanze sono grandi espesso le strade per arrivare ai villaggi sono pocoagevoli». Ma la missione ha buone gambe percamminare.

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«L’ASIA È UNA CULLA DISPIRITUALITÀ, LÌ SIAMO NELL’ANNOBUDDISTA 2561, C’È UNA STORIACHE CI PRECEDE - DICE DON ATTILIODE BATTISTI - NON SIAMO ABITUATIAD USARE IL DIALOGO COMEMETODO MISSIONARIO. SIAMOINVECE CHIAMATI ALLA GRATUITÀ».

di Miela Fagiolo D’[email protected]

Tra i buddhistidi Lamphun

Don Attilio De Battisti,fidei donum del Triveneto,missionario nella diocesi diChiang Mai in Thailandia.

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«N ellʼimmergermi pian piano in questa realtàbrasiliana mi è stato facile, tra lʼaltro, far

mie le parole di papa Francesco: “Non manageronnipotenti, non funzionari inamovibili, non divi intournée”, non agiscono così gli autentici “messaggeridel Regno di Dio”. Che altro non usano se non un“bastone e dei sandali”, perché “il Maestro li vuoleliberi e leggeri, senza appoggi e senza favori”».A scriverlo è Raffaella Campana, della ComunitàMissionaria di Villaregia, inviata in Brasile a giugnoscorso, nella diocesi di Campo Limpo, a Sud diSan Paolo.La sento al telefono qualche giorno dopo lʼinvio diuna lettera-racconto che parla di un “mondo” poverodove si scoprono veri e propri miracoli. La voce diRaffaella è così vicina che mi pare di sentirla evederla dietro lʼangolo, e invece si trova nella «per-iferia delle periferie del mondo». Racconta il para-dosso della grande metropoli che in certi angolisperduti può diventare una trappola di disumaniz-zazione. E invece no. La sfida è restare umaniperfino quando ad assalirti è la tentazione di lasciarandare via lʼanima.Scrive la missionaria che qui «ci si sente spessopoveri: poveri di risposte, di risorse, di “piedi” cheportino il lieto annuncio nei meandri delle viuzzestrette, impervie delle baracche, in mezzo aglialberi che a volte nascondono le “invasioni”, cioèle migrazioni di popoli che continuano in cerca divita, di un futuro». Il municipio di San Paolo conta12 milioni di abitanti, ma lʼagglomerato urbanodella Regione Metropolitana arriva a 22,4 milionidi persone. Nel XX secolo la regione è stata metadi migrazioni dallʼEuropa, dal Giappone e dai Paesiasiatici dopo la Seconda guerra mondiale e, intempi più recenti, dal Medio Oriente. Dallʼinizio diquesto secolo gli immigrati arrivano invece dallʼAfricae da Haiti. Il flusso migratorio più importante è co-munque quello interno, proveniente dagli Statibrasiliani del Nord e Nord-est.Raffaella mi parla di un uomo, Jeferson, che hauna piccola impresa edile laggiù, «anche se questo

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erUNA VOCE DA CAMPO LIMPO

di Ilaria de [email protected]

RAFFAELLA CAMPANA È PARTITA PERSAN PAOLO DEL BRASILE A GIUGNOSCORSO, PER RAGGIUNGERE LACOMUNITÀ MISSIONARIA DIVILLAREGIA IN BRASILE. LA SUA ÈUNA MISSIONE NELL’UMANITÀRITROVATA E NELLA COLLEGIALITÀ.

«Noi siamouna missione»

Raffaella Campana, della Comunità Missionaria di Villaregia,dal giugno scorso svolge la sua missione nella diocesi diCampo Limpo, San Paolo del Brasile.

termine – spiega lei - è troppo altisonante per illavoro umile che svolge». Jeferson le raccontache lavora con un amico, Mario, ma «da quando siè ammalato di tumore – dice - non può più lavorare.Lui non è mai stato solo il mio socio, lui è miofratello. Così come è sempre stato tra di noi quandolavoravamo insieme, ogni mese continuo a dividerequanto guadagno in parti uguali, una per me e unaper lui. Non ce lo insegnate anche voi missionari?».Poi cʼè la storia di Dona Maria: «Le chiedo quantifigli abbia, “due nati dal matrimonio – risponde - edue de criação, adottati. Da qualche anno è conme un ragazzo che ora ha 17 anni. Ha una famigliadisastrata alle spalle, lʼho cresciuto io ed ora stalavorando con il fratello. Quando vengo qui allamissione a fare volontariato, gli lascio il pranzo giàpronto”».La risposta di Raffaella arriva dalla collegialità mis-sionaria: «Cosa faccio io a San Paolo? Cosa sonoio qui a San Paolo? Esattamente quello che ero inItalia, al SUAM o negli anni di intensa collaborazionecon Missio: sono una missione assieme a tantialtri». «Noi siamo una missione: “Io sono una mis-sione su questa terra, e per questo mi trovo inquesto mondo” (EG 273)».Parliamo dellʼimportanza di avviare processi, inAmerica Latina come in Africa e in Europa. «Maavviare processi è spesso difficile perché serveanzitutto una conversione personale». E la con-versione porta a smettere di sentirci gli unici, glieletti, porta ad una sinodalità che abbatte tutti iverticismi.

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Habashi (San Mosè l’Abissino, il principeche rinunciò al suo regno per vivere daeremita), a 80 chilometri da Damasco.Qui nel 1991 è stato il primo a condivi-dere la scelta di padre Paolo Dall’Ogliodi fondare la comunità Al Khalil (L’Amicodi Dio), affrontando una straordinariascommessa di fede nella costruzione deldialogo islamo-cristiano. Padre Murad èsiriano, figlio di famiglia di rito siro-ma-ronita di Aleppo; dopo il liceo sente lavocazione religiosa e in Seminario gliparlano dell’antico monastero di MarMusa, abbandonato da oltre 300 anni.Alla vigilia del quinto anniversario dallascomparsa di padre Paolo Dall’Oglio il29 luglio 2013 a Raqqa, padre Jacquesci riceve nel Monastero “gemello” diCori, nella campagna romana. Lo sguardodolce, la statura minuta e la voce som-messa del monaco siriano fanno

È l’unico sacerdote ad essere stato“graziato” dall’Isis in Siria. L’unicoche può raccontare le sofferenze

di cinque mesi di prigionia insieme a250 cristiani di Qaryatyn dove era par-roco. Padre Jacques Murad è monacodel monastero siriano di Mar Musa El

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Intervista a padre Jacques Murad

In un tranquillo angolodella campagna romana,a Cori nel Lazio il co-fondatore, insieme apadre Paolo Dall’Ogliodella Comunità di Mar Musa, ricorda ilconfratello e il suocarisma alla luce delledrammatiche esperienzevissute in Siria.

di MIELA FAGIOLOD’ATTILIA

[email protected]

Mar Musa nonè una cattedralenel deserto

Mar Musa nonè una cattedralenel deserto

Padre Jacques Murad

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

immediatamente percepire la diversitàda padre Paolo, a lui così vicino nellescelte e nei rischi nella Siria lacerata dauna infinita guerra civile. «Ho incontratoPaolo nel 1987, avevo 18 anni ed eroseminarista. Pensavo di diventare unsemplice parroco e invece sono stato ilprimo a seguirlo nella fondazione dellaComunità».Nel riquadro della finestra aperta sullacampagna romana il sole di luglio batteforte mentre le cicale gridano il loroinno all’estate. Padre Murad raccontadei rapporti costruiti con le comunitàmusulmane della zona intorno a MarMusa e Mar Elian (sant’Elia), dove padre

come sacerdote mi hanno accusato diblasfemia. Ma alcuni rapitori dell’Isiserano del paese e mi conoscevano bene,sapevano che non avevo fatto niente dimale, anzi, che avevo aiutato le loro fa-miglie. C’è anche il fatto che i musulmaniriconoscono di avere in comune con icristiani il fatto di essere “gente dellibro” e quindi non si può uccidere uncristiano a cuor leggero, anche solo conl’accusa di blasfemia». Dopo essere statochiuso per tre mesi in un bagno angusto,padre Murad è stato portato a Palmiradove si è ritrovato con la gente dellasua parrocchia: «Speravo si fossero salvati,vedere tutta la mia gente lì, all’inizio èstato uno choc. Poi ho capito che era lavolontà di Dio che fossi il loro pastore inun momento così difficile. Il 31 agostoAl Baghdadi ha annunciato ufficialmenteche i cristiani di Qaryatyn erano statigraziati. A causa dei bombardamenti imiliziani non li potevano più proteggeree li hanno lasciati uscire fuori città e apoco a poco si sono organizzate le retiper farli scappare dallo Stato Islamico».Resta un attimo in silenzio, poi con voceferma dice: «Questa guerra è un giocodi interessi interni e internazionali e ilpopolo paga per questo. Non potevoimmaginare come vivono i profughi neicampi in Giordania, in Libano, in Turchia,in Iraq. Davanti al mio popolo decimato,

Jacques nel 2015 aveva accolto numerosisfollati dalla città di Palmira, appenacaduta nelle mani dello Stato Islamico.Poi il rapimento, il 21 maggio, fa temereper la sua vita, dato che in quegli annisono stati sequestrati, oltre a padre Dal-l’Oglio, due sacerdoti di Aleppo e duevescovi, di cui non si sa più niente. Sonostati rapiti anche 250 cristiani di Qaryatyntre mesi dopo padre Jacques e portatinel deserto vicino Palmira. Nelle paroledi padre Murad si percepisce lo statod’animo con cui la gente, i cristiani inparticolare, ha vissuto i momenti piùcaldi del conflitto: «Nulla avrebbe potutoimpedire che mi tagliassero la testa...

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crescere, non era mai contento, ci rim-proverava, ci correggeva, a volte ci met-teva alla prova».In questi cinque anni di assenza, cosa èrimasto vivo del suo carisma?«Siamo responsabili di questa profeziache portiamo nel nostro cuore. Nellanostra missione c’è la sua vocazione, lasua testimonianza. Diceva sempre: «Stoper partire, per andare lontano. Voidovete portare avanti questa missione”».E se un giorno bussasse alla porta diMar Musa?«Sarebbe fiero di ognuno di noi. Perchéognuno fa quello che può per essere fe-dele a questa vocazione».

sento il dovere di testimoniare perchéla gente deve capire cosa è successo inquesto Paese. La mia speranza non è neipolitici e nei governi che cercano sempreil loro interesse, spero invece nel nostropopolo».Cosa pensa del silenzio che avvolge l’as-senza di padre Paolo?«Non sono io che devo rispondere aquesta domanda. Paolo è una figurascomoda per tanti, perché è semprestato la voce della verità. È un profeta eha condiviso il destino di figure evan-geliche come Giovanni, Paolo e Ignazio.Padre Paolo sfugge agli stereotipi per lasua forte umanità e il suo appassionatomisticismo. I profeti sono scomodi, certo,Paolo era scomodo anche per la Comu-nità. Era un pungolo costante per farci

Intervista a padre Jacques Murad

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impoverito, non potevo restare in silenzio.Così ho deciso come monaco, nel nomedella Chiesa, di vivere come rifugiatoinsieme ai rifugiati. Ho lasciato il mioPaese, ho sentito che ho perso tutto e

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N el Monastero di San Salvatore a Cori, ad un’ora di autoda Roma, suor Carol Cooke Eid, libanese con cittadinanza

tedesca (ha compiuto gli studi in Germania), accoglie ivisitatori con un sorriso. In una torrida mattina d’estate, la in-contriamo nella piccola Deir Mar Musa in cui vive, in quellospicchio del sogno di abuna Paolo che è qui in Italia. Raccontasuor Carol, responsabile della Comunità di Cori: «Qualcheanno dopo la nascita del Monastero in Siria, il parroco di Coriha offerto ospitalità al giovane padre Jens e a suor Houda,oggi responsabile della comunità in Siria. L’imponente strutturaviene presa in carico dalla Comunità Al- Khalil e ora accogliegli studenti della Comunità, uomini e donne in cerca dispiritualità, malati da curare portati in Italia con i canali uma-nitari».Tre i pilastri fondanti delle regole della famiglia religiosa: lapreghiera contemplativa e il lavoro manuale, il rispetto delCreato e, infine, l’ospitalità sul modello di Abramo. «Perquesto le porte dei nostri monasteri a Deir Mar Musa, a Mar

Elian (presso Qaryatayn) in Siria, a Deir Maryam (vicino aSulaymanyah) nel Kurdistan iracheno e a San Salvatore aCori, sono sempre aperte. Chi viene può partecipare allanostra vita per qualche ora, per un giorno o più: sono“monaci a tempo”».Più che di dialogo, suor Carol preferisce parlare «dell’incontrovero e proprio tra le due religioni per fare qualcosa insieme invista del Regno di Dio che si può realizzare con l’impegno ditutti. A Mar Musa prima della guerra arrivavano 30-50milapellegrini all’anno. Mentre i cristiani partecipavano alla messa

in rito siro-cattolico, ipellegrini di altre religionisi appartavano nelle vi-cinanze a meditare epregare. Padre Paolo fa-ceva una catechesi pro-lungata dopo la preghieradel mattino e tutti eranointeressati ad ascoltarlo.I primi erano i musulmani, che avevano pregato in un lato delmonastero con il proprio tappeto».Anche la storia della vocazione di suor Carol ha una tramaspessa e profonda di rapporti con l’islam, come lei stessaspiega: «Ho vissuto per 30 anni a Beirut, dove durante laguerra civile, per tre volte ho avuto la casa distrutta e sonostata profuga per anni. Una borsa di studio mi ha portatonella Germania della pre-riunificazione, dove ho studiatolegge, psicologia, lingue e teologia e sono poi tornata inLibano per un progetto di cura di persone con disagi mentalie fisici. Leggendo un libro ho scoperto l’esistenza delmonastero di Deir Mar Musa in Siria e ho conosciuto lastoria di Paolo Dall’Oglio. Ero attratta da una esperienza tantoradicale ma avevo paura dell’islam a causa di quello cheavevo vissuto durante gli anni della guerra». Poi l’incontrocon il gesuita e molti segni di una vocazione religiosa davverospeciale: «Sentivo una chiamata fortissima, più chiara dopol’incontro con padre Paolo. Ora voglio vedere dove Cristo mivuole portare». Chiara Anguissola

CAROL, MONACA DELLA COMUNITÀ AL-KHALIL

Al centro suor Carol.

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ Sud Sudan

l’Uganda, per i malati di Aids, Tbc e pol-monite in Sud Sudan.Suor Laura, 64 anni, infermiera, ma so-prattutto direttrice deus ex machina diNzara, è un fiume in piena: «I letti livorrei così – ci spiega -: semplici, perchéè più facile tenerli puliti e non far accu-mulare la polvere. Qui invece vorrei co-struire una mensa, così i medici e gli in-fermieri non devono tornare a casa perpranzo e non dovranno lasciare soli ipazienti». D’altra parte lei è una combo-niana tra le più combattive, con un’ideadi missione che prevede un’infaticabileattività, unita ad una fede incrollabile:

«Q ui vorrei poter costruireuna grande sala con fine-stre enormi, dove ricove-

rare i bambini ammalati di polmonite.Lì, vedete? Questo spazio potrebbeessere diviso in due: l’ospedale ècostruito col ferro e non c’è controsof-fitto, fa un caldo assoluto d’estate.Quando avrò i soldi rifaremo anche iltetto». Mentre scorriamo le foto chemostrano i padiglioni e il personaledell’ospedale di Nzara, in Sud Sudan,suor Laura Gemignani col pensiero è giàandata oltre. Ma le sue non sono fanta-sie campate in aria. È grazie alla suatenacia che questa struttura, costruitanel 1983, si è evoluta fino ad oggi alpunto da essere attualmente l’unicoriferimento dell’area al confine con

«Possiamo sempre scegliere: o guardiamole macerie – dice – oppure fermiamo losguardo sui fiori che crescono oggi inmezzo alle macerie. Ed è questo chevuole fare il nostro ospedale».La storia personale di Laura è un amoreinfinito per l’Africa che nasce durante laprima giovinezza: ma lei ci arriverà damissionaria solo alla fine del 1986 («L’Etio-pia era la mia terra promessa! Quandoarrivai lì, al potere c’era ancora il dittatoreMenghistu Hailè Mariàm»). Il primo con-tatto con l’Africa lo ebbe appena 15enne,tramite il campo di lavoro per l’Africa aVenegono, dove i comboniani gestivano

Una comboniana racconta la fatica direalizzare una struttura che funziona in SudSudan, e però anche la sua “visione” pertrasformarla in un polo d’eccellenza in Africa.

Suor Laurae l’ospedaledi Nzara

Suor Laurae l’ospedaledi Nzara

di ILARIA DE [email protected]

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mente importante: i danni sulla popo-lazione sono fisici, ma anche mentali,di relazione e umani. Il 65% delledonne, in questo Paese dove a farla dapadrone è la guerra etnica, è stato stu-prato come «strumento di guerra». Ledonne che hanno subito violenza nonvengono a farsi visitare in ospedale,ma le bambine sì.I cambiamenti si vedranno solo in futuro:«Daniele Comboni era un uomo dallavisione lungimirante – ricorda Laura –noi suore siamo le pietre nascoste nellefondamenta che tengono una struttura.I risultati di quello che facciamo sarannovisibili solo un giorno».Per ora l’ospedale di Nzara conta su unaventina di persone tra medici, paramedici,infermieri e trainer onjob, diplomati che im-parano il mestiere.«I medici sono due fissi:un dottore ugandese cheè bravissimo e che halasciato la famiglia inUganda per stare connoi, e un ragazzo delGalles che fa il volonta-rio». Il lavoro degli in-fermieri è perciò fon-damentale: ma per for-marsi devono raggiun-

l’ “Estate alternativa”, ricorda. In SudSudan invece arriva nel 2013, a dueanni dalla creazione dello Stato concapitale Juba.Qui a Nzara, nel giro di centinaia ecentinaia di chilometri non si vede altro:savana, bush, strade non asfaltate, nienteacqua, elettricità, niente rete, solo piccolivillaggi. L’unico vero ricovero, soprattuttoper curare gli ammalati di Aids (chevengono a prendere le medicine e arri-vano anche dalla capitale) è propriol’ospedale delle comboniane che, appenarientrate in Sudan, si diedero da fareinizialmente con le cliniche mobili traTombora e Nzara, finché presero in ge-stione la struttura. Curavano lebbrosi etubercolotici. «Adesso i lebbrosi sonopochi anche perché il vaccino contro laTbc ha funzionato anche per la lebbra.Ma è uscito fuori l’Aids», spiega suorLaura. E Nzara è purtroppo in pole po-sition rispetto alla peste del XXI secolo.«Dal 1983 al 2015 le consorelle hannolavorato qui senza acqua! Non ho ideadi come facessero».I padiglioni sono piccole strutture diffuse:ciò che rimane di preesistenti costruzionicoloniali britanniche, dove gli inglesivenivano a passare il loro tempo libero.Nel Sud Sudan in guerra permanenteda cinque anni, un ospedale è doppia-

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gere le scuole che distano migliaia dichilometri. Ecco perché nella vision disuor Laura rientra anche la creazione diuna scuola per infermieri, dentro o neipressi dell’ospedale. «Se i tirocinanti sonobravi oggi li mandiamo alla scuola perinfermieri. Adesso ne abbiamo 15 ma civogliono tre voli interni per raggiungerela città. Noi vorremmo mettere su unanostra scuola, il primo reparto è pediatriadove abbiamo 70 letti».Perché è così importante una scuola in-fermieri? «Per mille ragioni – spiega suorLaura – e non ultimo per facilitarel’andare a scuola delle donne. È un modoindiretto ed efficace per aiutare la famigliaa rimanere unita: le ragazze che vannoa fare la scuola infermiere devono lasciarei figli a casa per ora. Avere la scuola aportata di mano aiuta le mogli ad au-mentare il livello di istruzione e a diminuirei costi di gestione dell’ospedale».

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

L a sua musica vive. Accompagnatadai cori dei fedeli nelle messe ce-lebrate nelle chiese di tutta Italia

e non solo. Di padre Michele Bonfitto,missionario comboniano spentosi il 6ottobre dello scorso anno nella Casa deicomboniani di Firenze, ci restano nu-merose composizioni scritte nell’arcodei 95 anni della sua vita. La più celebreè senza dubbio il “Santo” (pubblicatonel 1971 in piena stagione post conciliare),un brano intonato nella liturgia eucari-stica che tutti abbiamo nelle orecchie enel cuore. Ma dal genio musicale dipadre Bonfitto sono nate opere completecome la “Messa dei fedeli per coro dipopolo e schola cantorum” la “Missa

conciliaris”, la “Missa ad unitatem Ec-clesiae” e la “Myssa martyrum” di cuicurò più volte l’esecuzione come direttored’orchestra.Missionario e musicista dalla inesauribilecreatività, padre Bonfitto è stato l’in-terprete della riforma liturgica nata dalConcilio Vaticano II, componendo unnuovo tipo di musica sacra più vicinaalla sensibilità dei fedeli e soprattuttoin italiano e non in latino, per fare inmodo che ogni parola – fedele al testodel messale - fosse comprensibile a chila pronunciava. Un cambiamento epocaleche permetteva la partecipazione ditutta l’assemblea al rito della celebrazioneeucaristica, una apertura che possiamodefinire missionaria per l’inclusione ditutti i fedeli nel messaggio salvifico delVangelo.Nato a San Marco in Lamis, nell’arcidiocesi

di MIELA FAGIOLOD’ATTILIA

[email protected]

È scomparso un anno fa ilcompositore di musica religiosapadre Michele Bonfitto,protagonista della stagione dirinnovamento liturgico nata dalConcilio Vaticano II. Un geniomusicale che ha saputo fare dellamusica il linguaggio privilegiatodel suo impegno missionario.

Musicista emissionarioMusicista emissionario

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sue composizioni sono infatti stateinserite nel repertorio di complessi coraliche ha diretto in occasione di feste percentenari, congressi pubblici, diocesani,per trasmissioni radiofoniche della BBC.Tra le sue opere più importanti, impossibilenon citare “Vergine Madre” compostasu versi di Dante Alighieri, “In spirituhumilitatis”, l’inno dei martiri inglesi“The english Martyrs Hymn” di cui furonovendute cinquemila copie in pochi mesi,l’oratorio “Alba di gloria” per coro e or-chestra, dedicato all’evangelizzazionenei vari continenti e con particolari ac-centi all’unità dei cristiani. Accanto aquesta mole di produzione musicale dialtissimo livello, padre Bonfitto ci ha la-sciato molti canti liturgici originali comequelli raccolti sotto il titolo “Sei grandenell’amore. Canti per celebrazioni litur-giche” diventati subito popolari come“Nella Chiesa del Signore”, “Beati quelliche ascoltano”, “Tuo è il Regno”, “Rimanicon noi” e molti altri.Questa produzione è stata raccolta neglianni Settanta, dopo il rientro del com-boniano in Italia, dove si trasferiscenella Casa di formazione di Carraia aCapannori in provincia di Lucca. Dal1999 fino alla fine dei suoi giorni havissuto a Firenze, dove la musica occupasolo una piccola parte delle sue energiemissionarie, spese soprattutto verso ipoveri e i malati degli ospedali dellacittà che visita frequentemente comecappellano. Gli anni non hanno spentola vitalità della sua scelta di uomo difede prima di ogni altra speciale atti-tudine o carisma. Ormai anziano e se-gnato dal tempo, lo sguardo del mis-sionario è ancora quello del ragazzobuono e innamorato di Dio che pertutta la vita ha continuato a portaredentro quel «canto che risuona nel cuo-re». Una musica infinita che è riuscito aportare al popolo di Dio come un par-ticolarissimo dono di fede.

gli studi all’Università di Durham. Aquesto punto della formazione, padreBonfitto ha già al suo attivo composizioniimportanti come l’inno corale “Dominesalvam fac” scritto nel 1953 per l’inco-ronazione della regina Elisabetta II, edeseguito durante i festeggiamenti dellaCity Hall di Newcastle. Alla creazione diquesto brano è legato un curioso aned-doto riferito dall’amico e confratellopadre Teresino Serra. Il musicista com-boniano si era rivelato il migliore tra icandidati e avrebbe dovuto vincere ilprimo premio, ma gli venne assegnatoil secondo perché non era cittadino in-glese. Il suo inno piacque tanto alla re-gina, che da Buckingham Palace arrivòper padre Bonfitto un dono speciale:una bacchetta da direttore d’orchestrain argento con dedica speciale.Non sappiamo se e quando padre Bon-fitto abbia usato la bacchetta d’argento,ma certo nella sua lunga vita non glisono mancate occasioni per farlo. Molte

Ricordo di padre Bonfitto

di Foggia-Bovino nel 1922, padre Micheleha studiato musica fin da piccolo, di-mostrando un particolare talento nelpianoforte. Entrato nel Seminario di Ve-negono nel 1940 e poi nella famigliafondata da san Daniele Comboni nel1941 con la pronuncia dei voti a Firenze,nel 1947 viene ordinato sacerdote nellacattedrale di Verona dal vescovo diallora, monsignor Gerolamo Cardinale.Dopo si trasferisce a Roma per studiareliturgia e musica sacra e nel 1948 è giàformatore nel Seminario minore di Trento.L’anno dopo è mandato in Inghilterraalla Provincial House di Sunningdale,dove studia l’inglese in vista dei futuriimpegni nelle terre di missione, mentreinizia la sua attività di compositore edirettore di cori. La musica è chiaramenteuna sua grande vocazione che cresce inparallelo a quella religiosa: nel 1960 sidiploma in musica sacra e gregoriano alTrinity College of Music di Londra econclude con la laurea in composizione

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Blessing controla tratta diesseri umani

S ono dieci, sei donne e quattrouomini, gli eroi premiati dal Di-partimento di Stato Usa, lo scorso

28 giugno, per la loro azione contro iltraffico di esseri umani: «Un problemaglobale - si legge nel documentatoTrafficking in Persons Report - da cuinessun Paese è immune, con milioni divittime sfruttate in ogni angolo delmondo», ad esempio nei lavori agricoli,nell’industria, nella prostituzione.Quella della premiazione di un numeroselezionato di protagonisti della lottaal traffico di persone è una tradizione

rario che ha raccontato efficacementenella sua autobiografia, Il coraggio dellalibertà (scritta con Anna Pozzi per leEdizioni Paoline): arrivata in Italia dallaNigeria con la promessa ingannevole diun lavoro rispettabile, Blessing è piom-bata nell’incubo della prostituzione, ri-cattata da chi aveva in mano i suoi do-cumenti e inchiodata alla strada, è sem-pre bene ricordarlo, anche dalla com-plicità di tanti “clienti” italiani.Grazie alla sua tenacia e a un provvi-denziale incontro con Casa Rut (unCentro di accoglienza delle suore orsolinedi Caserta per donne e bambini vittimedella tratta di esseri umani a fini disfruttamento sessuale), Blessing ha tro-vato il coraggio di denunciare i suoisfruttatori e di iniziare un faticoso mastraordinario percorso di ricostruzionedella propria libertà e dignità. Oggilavora come mediatrice culturale, aiutaaltre ragazze a compiere il suo stessocammino di rinascita, e svolge un pre-zioso lavoro di sensibilizzazione nellasua regione di origine in Nigeria, permettere in guardia tante ragazze.Visibilmente emozionata, dopo averericevuto il premio dalle mani del segre-tario di Stato Usa, Michael RichardPompeo, Blessing ha rivolto ai presentiun breve discorso: «Quando sei su unastrada non sei nessuno - ha detto inuno dei passaggi più commoventi -.Per il tuo trafficante sei solo una mercein vendita; per il cliente sei solo unprodotto da consumare. In questo modoinculcano anche dentro di te un senti-mento che ti fa sentire un oggetto, unrobot, la loro schiava. Per questo dob-biamo unire le nostre voci. Per dire“basta” alla tratta di esseri umani. Eper dare voce alle troppe ragazze buttatesu una strada piene di paure e concatene invisibili, che gridano in silenzioper la loro libertà».

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DIRITTI UMANINel 70esimo anniversario della

Dichiarazione Universale

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avviata negli Usa dal 2004 e che inquesti anni ha riconosciuto l’impegnodi operatori di ong, politici, funzionarigovernativi, poliziotti, ex vittime dive-nute attiviste, insomma cittadini cheimpegnano la loro vita, spesso rischian-dola, per combattere i molti volti cheassume la schiavitù nel Terzo millen-nio.E quest’anno, accanto a un avvocatodel Bahrein, un magistrato di El Salvador,un’attivista del Nepal e altri sei “eroi”,a Washington per ricevere il premio èarrivato anche un pezzo di Italia. Conla pelle nera. Blessing Okoedion hacompiuto un itinerario che accomunamolti dei premiati di questi anni, itine-

di STEFANO [email protected]

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L’altraedicola

LA NOTIZIA

Danni dell’inquinamento

FUNGHI E BATTERI,NUOVA MINACCIAPER IL CLIMA

di ILARIA DE [email protected]

L’ULTIMO STUDIO

SCIENTIFICO, DIVULGATO

DALLA RIVISTA NATURE,

METTE IN GUARDIA CONTRO

L’INQUINAMENTO DEL SUOLO

CHE CONTRIBUISCE AD

ALZARE LE TEMPERATURE

GLOBALI. IL PROBLEMA È CHE

I POLITICI NON RECEPISCONO

IL MESSAGGIO.

G li scienziati lanciano un nuovo allarme sui cambiamenticlimatici: si tratta della trappola delle temperatureelevate. Lo chiamano feedback loop ed è un meccanismo

per il quale più il clima è caldo, più le alte temperaturegenerano surriscaldamento del suolo che libera tossine ediossido di carbonio sotto forma di batteri, che a loro voltainquinano, ma soprattutto generano altro calore. E il circolovizioso si autoalimenta. La notizia è stata diffusa agli inizidello scorso agosto dalle principali riviste scientifiche e quo-tidiani di divulgazione in materia scientifica come il CityHerald,Science Daily e Phys.org. Ma cosa dicono esattamente gliscienziati? Che «sporcizia, batteri e funghi sprigionati dalsuolo peggiorano il nostro clima».Lo studio citato è stato pubblicato dalla rivista scientifica »

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L’altraNature e dice testualmente che «il sot-tosuolo è in grado di conservare duevolte la quantità di carbonio rispetto aquanto fa l’atmosfera». Gli scienziatihanno usato un database chiamato di“respirazione eterotrofica” e sono arrivatialla conclusione che più “sporchiamo”e inquiniamo il nostro terreno, più ciritorna indietro in termini di cappa ir-respirabile che uccide l’atmosfera. Lanotizia è rimbalzata sulla stampa esteraed è stata ripresa dai principali quotidianiinternazionali dal New York Times alGuardian ad Abc News. La scoperta, inrealtà, è abbastanza rilevante, poichéva a scardinare quasi del tutto le tesinegazioniste sui cambiamenti climatici,che vedrebbero nel surriscaldamentodel globo un pericolo irrisorio e inesi-stente. Scrive Abc che questi ricercatorihanno trovato, studiando i dati emessifin dagli anni Novanta, un considerevoleaumento della quantità di carbonio nel-l’atmosfera, composta da microbi edaltri microrganismi inquinanti, accumulatinella terra. Ma l’osservazione del suolo

finora era stata trascurata, dal momentoche l’attenzione era concentrata esclu-sivamente sulla qualità dell’aria e sullostudio dell’atmosfera.L’aspetto più interessante riguarda leconseguenze che a livello politico questascoperta potrebbe comportare: comefa notare il sito di informazione europeoEuractive: «Quella del suolo è una que-stione del tutto sottostimata», dice An-drea Kohl, uno dei direttori del Wwf.«Ma in realtà è essenziale nel dibattitosui cambiamenti climatici», poiché va atoccare tutte quelle pratiche che apartire dal land grabbing, sfruttano ilterreno senza prendere in considerazionegli effetti deleteri non solo sul suolo esulla qualità del cibo, ma sull’aria stessa.Insomma, quello che infiliamo nellaterra ci ritorna indietro come un boo-merang (feedback loop) in termini diaria respirata. Ed è proprio qui che deibuoni legislatori (sia a livello di parla-menti nazionali che dell’Europarlamento)dovrebbero intervenire con regolamenticomunitari e leggi che impediscano lo

sfruttamento del suolo. Ma tutto questocome viene comunicato al pubblico? Èefficace oppure no la divulgazione suitemi che riguardano in generale ilclimate change? Alcuni esperti diconoche sono mal posti. O meglio, che l’ec-cessivo allarmismo non paga, perchéscatena una controinformazione chetende a smontare (con evidenti dannisociali e scientifici) la narrazione collettivacorretta ma negativa. Un interessantearticolo di Oggi Scienza si soffermaproprio su questo aspetto. «Come spessoaccade nei dibattiti di psicologia sociale,anche in questo caso ci sono linee dipensiero diverse, basate su dati empiricidiscordanti – osserva Giuseppe Carrus,professore associato presso l’Universitàdegli Studi Roma Tre – Di base, la paurae il senso di colpa in quanto tali, po-trebbero essere dei conduttori efficaciper attuare comportamenti virtuosi, adesempio il risparmio energetico, perchéci si sente toccati in prima persona». Cisono però diverse ricerche che hannodimostrato il contrario. Se eccessivamente

edicola

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Coltivazione intensiva di soianel Mato Grosso, in Brasile.

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colpevolizzati, i cittadini potrebberosentirsi impotenti, ed essere indotti adisinteressarsi della questione, deman-dandola agli “esperti” o ai policy maker,ossia i nostri legislatori.Finora a livello di media europei, grandeattenzione al tema dei cambiamenti cli-matici è stata posta dal sito di informa-zione Euractive, con sede a Bruxelles,che infatti è stato tra i primi a scriverne.E in generale da quelli di divulgazionescientifica. Ma la stampa mainstreamoccidentale ha progressivamente relegatoil tema del climate change alle paginedi cultura e società, anziché considerarloun’emergenza a livello politico. In Europail programma Echoes, uno dei progettiche fa capo ad Horizon 2020, ha perscopo quello di capire se i comportamentivirtuosi e sostenibili siano associabilinon solo a componenti personali, maanche a una dimensione collettiva. «Vor-

remmo capire – spie-gano i ricercatori del-l’Università di Roma Tre- se i singoli individui,identificandosi in ungruppo, possano esserepiù portati a intrapren-dere uno stile di vitavirtuoso».Il gruppo di ricerca in-ternazionale, coordina-to dal Norwegian Uni-versity of Science andTechnology, è al mo-mento a metà di questoprogetto triennale, maha già raccolto dei datiinteressanti: «Per pas-sare da un consumopassivo a un consumosostenibile stiamo va-lutando l’efficacia dellaistituzione di coopera-tive energetiche e l’in-stallazione di sistemitecnologici nei luoghidi lavoro e nelle case;

spesso infatti il singolo sente di potercontribuire poco, ma la dimensione digruppo, di collettività, può essere diaiuto, rendendo i simili meno apatici epiù volenterosi».Rimane aperta la questione di fondo: losfruttamento del suolo, l’uso di pesticidi,le monocolture intensive, il land grabbinge il water grabbing, tutte quelle praticheche prescindono dalla bontà e attenzionedei singoli cittadini, sono devastanti perla nostra terra. E, come abbiamo potutovedere, incidono pure sul riscaldamentoe sulla qualità dell’aria. Un messaggioforte deve dunque essere veicolato at-traverso la stampa e le campagne di in-formazione massiccia, ai policy maker eai nostri governanti, affinché la preser-vazione della Casa comune e la cura delCreato non siano più considerate que-stioni accessorie e di secondo ordine,ma diventino una priorità politica.

Danni dell’inquinamento

Pesticidi utilizzati nelle produzioni agricole.

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La storia di Neri rappresentala situazione in cui vivono ibambini del Guatemala.Ero alla guida del mio fuori-strada e pioveva a dirotto.Sul ciglio di un burrone miaccorgo che c’è un ragazzino. È moltomagro, pallido, malvestito, grondanted’acqua. La pioggia scende in manieratorrenziale. Mi fermo e gli chiedo sevuole un passaggio. Il bambino, infred-dolito, mi sorride e sale sull’auto. Daoltre un’ora è sotto la pioggia con lasperanza che qualcuno gli dia un pas-saggio, in quanto deve recarsi da suofratello che lo aspettava alla cava dipietra. Neri ha solo 11 anni. Dalle 5 delmattino alle 13 spacca le pietre, poi sireca a scuola camminando per mezz’orasulla montagna, ritorna alla cava perriprendere il lavoro fino a sera e trascorrelì la notte per fare la guardia e rico-minciare a spaccare pietre il giornodopo. Mi mostra le mani: sono rosse,gonfie, piene di tagli. Dorme nella cava

L’ istruzione fa paura ai potenti.Questo è il motivo reale chenon permette ai poveri di cam-

biare il loro stato. A coloro che deten-gono il potere, l’ignoranza della genteconsente di sfruttare le persone e di-struggere il Creato. A Tacanà, in Gua-temala, su cento bambini che inizianoad andare a scuola, solo 38 terminanole elementari e 16 le scuole medie. Lecause di questi abbandoni scolasticisono la povertà, l’alcolismo, l’immigra-zione, la malnutrizione e la presenza dipochi insegnanti sul territorio.Per iscriversi a scuola, ogni bambinodeve possedere una divisa che ha uncosto esoso. Le classi, causa l’esiguonumero di insegnanti, sono formatedai 30 ai 40 bambini di differenti etàed i programmi scolastici sono diversi-ficati.

A scuolain AmericaLatina

A scuola

su un giaciglio di sterpaglie, studia fa-cendo i compiti con la luce di una can-dela, cena mangiando un uovo o unpiatto di fagioli. Racconta la sua storiacon tono pacato, senza piangere, senzanessun lamento, possiede una dignitàda lasciarmi senza fiato. Ha le scarperotte, la manica della camicia lacerata,il pantalone bucato alle ginocchia. Glidomando: «Dov’è la tua divisa?». «Mel’ha comprata il maestro – risponde - ela lascio a lui per non sciuparla nellacava». Abbassa lo sguardo e mi dice:«Sai, padre, sono bravo a scuola, ilmaestro mi aiuta tanto; io desidero di-ventare un dottore, voglio curare ibambini così anche loro potranno andarea scuola ed imparare. Poi diventerannoadulti istruiti e con me e altri come me

a cura diCHIARA PELLICCI

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

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Lezioniad Itacuruba

L a mia parrocchia, Itacuruba, contacirca cinquemila abitanti e sitrova nella regione brasiliana del

Sertão, isolata dalle grandi vie di co-municazione e scaldata da un sole co-cente. È molto povera ma ha una gran-dissima ricchezza: i bambini ed i ragazzi.Ad Itacuruba il 60% della popolazioneha meno di 18 anni: abbiamo ben nove

potremo cambiare questa società, cac-ciare i potenti e questi non potrannopiù sfruttarci e rubare le nostre terre».Neri mi guarda e sorride, questa voltaanche con gli occhi, e mi dice: «Fermo,padre, sono arrivato, grazie per il pas-saggio. Mi ha fatto bene parlare conte. Ora spaccherò le pietre con piùforza». Ed io gli chiedo: «Perché?». «Per-ché so che con l’aiuto di Dio, e se con-tinuerò a studiare, un giorno uscirò daquella cava!».

Don Angelo Esposito, fidei donumdella diocesi di Napoli

Tacanà (Guatemala)

no due turni: dalle 7.30 alle 12 e dalle13 alle 17.30. Per i più grandi, dai 14 ai17 anni, c’è la possibilità di frequenta-re l’Ensino Médio, una specie di liceodella durata di tre anni. L’orario è inte-grale (dalle 7,30 alle 17) e la scuola èuna delle migliori della zona. Divisescolastiche, quaderni, libri, mensa epullman sono gratuiti, perché moltinon possono permetterseli.Nonostante Itacuruba sia una dellecittà meno sviluppate del Brasile ha,però, un indice di profitto scolasticotra i più alti della regione. La sera, poi,le scuole restano aperte per gli adulti:molti di loro, infatti, non hanno potu-to frequentarle da piccoli e quindi,dopo le giornate di lavoro, vanno alezione per imparare a leggere e scri-vere. È una cosa bellissima, perchésenza cultura ed educazione non esistelibertà.Sembrerebbe tutto perfetto, ma cisono molti problemi. Per esempio: lestrutture scolastiche sono semplici edil trasporto è affidato a pullman vec-chissimi e senza vetri. Inoltre, quandogioca la Nazionale del Brasile (comenei giorni di Coppa del Mondo) tutto siferma: gli autobus non camminano, lascuola è chiusa ed i ragazzi restano acasa.

Don Paolo Boumis, fidei donumdella diocesi di Roma

Itacuruba (Brasile)

Posta dei missionari

scuole per 2.900 alunni.Qui in Brasile i bambini, a sei anni,cominciano un ciclo di nove anni diEnsino Fundamental, come le nostreelementari e medie. La maggior partedelle insegnanti sono persone dellaparrocchia. La mattina presto la città siriempie di studenti: molti arrivanoanche dai villaggi vicini. Chi viene dafuori si alza alle 6.00 perché alle 7.30bisogna stare in classe. I ragazzi seguo-

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U na delle pagine più belle della storiadel Burkina Faso arriva a Roma tra i

film in cartellone per il RomAfrica FilmFestival che si è svolto nella capitale dal18 al 22 luglio scorsi. Molti i titoli importantiin cartellone per una iniziativa dedicataall’Africa che ha raccolto un folto pubblicopresso la Casa del Cinema di Villa Bor-ghese. Molti i titoli interessanti: dalla fi-nestra sul traffico di esseri umani dall’Africaall’Occidente de “Il console italiano” diAntonio Falduto, alla Primavera dei gel-somini in Tunisia con “Era meglio domani”di Hinde Boujemaa; da “Wallay” di BerniGoldblat e la crisi del ritorno alla terrad’origine familiare delle seconde genera-zioni di migranti, a “Samba Traoré” delgrande regista Idrissa Ouedraogo, scom-parso lo scorso 18 febbraio a Ouagadou-gou in Burkina Faso dove era nato nel1954.Tra le opere più interessanti c’è “Burkinabé

Rising” della regista brasiliana di originicoreane Lara Lee, che si presenta comeun documentario ma che in realtà appar-tiene ad un genere narrativo tutto suo,

metà inchiesta, metà ricostruzionestorica, grazie a brani di cinetecain bianco e nero con i discorsi delleader Thomas Sankara. Tutto il film(due ore e 27 minuti che passanoveloci) ruota intorno al colpo diStato non violento contro il regimedi Blaise Compaoré, esploso nellepiazze di Ouagadougou il 30 e 31ottobre 2014. Date che restanoscritte nella storia del piccolo Paesedell’Africa Occidentale con 19 milionidi abitanti, vero e proprio foyer cul-turale di gruppi di artisti e cittadiniimpegnati in un cambiamento po-litico sull’esempio del leader storicoThomas Sankara. Grazie alla suaeredità, il Burkina Faso è un modellonon solo per tutta l’Africa ma ancheper il resto del mondo. Attraversola musica, il cinema, la pittura, ilteatro, l’architettura, i protagonisti della“rivoluzione creativa” incarnano lo spiritorivoluzionario di Sankara, da tutti consi-derato vivo e presente nel cuore delle ge-nerazioni che lo hanno conosciuto e amato.

Tra flash mob e performance di street

dance, la rivolta popolare ha cuore e mentigiovani, riunite nel movimento “Balai Ci-

toyen”, in cui l’utopia della democrazianon è il testo di una canzone rap, e il ri-

POETI, ATTORI ERAPPER CAMBIANOIL BURKINA FASO

B U R K I N A B É R I S I N G

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del Paese. È la scintillache dà fuoco allo scon-tento generale e ai dub-bi sul politico ma so-prattutto sull’uomo cheaveva organizzato l’in-cidente aereo in cui nel1987 morì Sankara(aveva 38 anni), a lui legato da amiciziafraterna. Le immagini del giovane capitanoThomas, chiamato per il suo carisma “ilChe africano”, si rincorrono in tutto il do-cumentario, dai fotogrammi dei suoi di-scorsi di piazza al viso stampato in millemodi diversi sulle magliette addosso allagente del Burkina, che significa “Paesedegli uomini integri”.La capacità di un popolo di risorgeregrazie alla coscienza delle radici che locostituiscono (sono 60 le etnie presenti)e la capacità di ricostruire la democraziausando la creatività di ogni forma di culturasono la base del film della Lee, impegnatanel progetto “Cultures de resistence Net-

work”, artista poliedrica dal «cuore bur-kinabé» come lei stessa dichiara. Premiatoal Cine Droit Libre 2017 di Abidjan, daAmnesty International al Festival “Sici-liAmbiente” del luglio scorso, miglior do-cumentario all’Ischia Film Festival diquest’anno, “Burkinabé Rising” (copro-duzione Burkina-Usa-Bulgaria) tocca anche

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il tema del rispetto dei cicli di produzionestagionali della natura. Il Paese rifiuta l’in-troduzione di coltivazioni Ogm, e moltemultinazionali del settore, in primis laMonsanto, non sono riuscite a fare affaricon questo lembo di terra africana. Spiegala regista, attivista del movimento Slow

Food: «In Burkina Faso, il movimento perla resistenza alimentare è incredibilmentedinamico e forte. Si oppone all’abuso del-l’agricoltura industriale e, invece di ar-rendersi, presenta alternative valide e modidiversi di coltivare cibo e nutrire le propriecomunità. Questo mi fa sperare che lepersone in altre parti del mondo seguanol’esempio del movimento burkinabé e ini-zino a promuovere l’agro-ecologia, la giu-stizia e la sovranità alimentare nel lorostesso Paese. Il popolo burkinabé ci hadato una lezione di resilienza e anche ilcibo è una parte importante di questastessa cultura della resistenza».

Miela Fagiolo D’Attilia

[email protected]

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spetto della tradizione è riconosciuto comeelemento identitario. Cosa già evidentedalla scelta del nome del movimento, ispi-rato dal balai, il particolare mestolo dacucina usato per preparare il to, il piattoprincipale della cucina burkinabé. Proprioal loro ruolo nella società il film riservauno spazio speciale con le testimonianzedi attiviste per la parità tra i sessi e per ildiritto allo studio per le bambine. Piazzepiene di donne di tutte le età, armate dimestoli e coperchi come se fossero mazzee scudi, si ripetono nel film, intercalateda dichiarazioni di grande impegno e par-tecipazione sociale da parte di artiste,studentesse, madri di famiglia.Anche questa è rivolta popolare. Tutto co-mincia il 18 gennaio 2014, quando Com-paoré (dopo 27 anni di governo e benquattro mandati presidenziali) annunciala volontà di modificare l’articolo 37 dellaCostituzione per restare ancora alla testa

Al centro della foto laregista del film, Lara Lee.

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U n romanzo per raccontare la speranzache si è saputa tradurre in una singola

vita reale, intrecciandosi con altre esistenze.Pagine intense in cui l’autrice, Teresa Gu-tiérrez de Cabiedes, racconta in manieraincalzante i 13 anni di prigionia di François-Xavier Nguyen Van Thuan (1928-2002),vescovo aggiunto di Saigon, l’antica capitaledel Vietnam caduta il 30 aprile 1975. Arre-stato il 15 agosto dello stesso anno, conl’accusa di propaganda imperialista dai co-munisti al potere, e liberato il 21 novembre1988, Van Thuan si conferma uomo dallafede incrollabile e contagiosa e pastore di«una Chiesa che abbraccia il mondo intero»,nonostante il carcere, il campo di rieduca-zione e l’isolamento cui è costretto ingiu-stamente. Il lettore, infatti, si ritrova prestocatapultato da una storia cruda e dolorosa

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a un “lieto fine”che si va co-struendo graziealla testimonian-za cristiana.“Van Thuan. Libero tra le sbarre” non sorvolasulle sofferenze e le paure di un uomo nésulle angherie e contraddizioni di un’ideologiae di un periodo storico, ma narra soprattuttoi voli che riesce miracolosamente a compierel’anelito di libertà. È la “rivoluzione” che hamantenuto in vita il vescovo di Hue, oggidichiarato venerabile per le sue virtù eroiche:la rivoluzione «che rende libero il cuore» eche ha anche toccato compagni di prigionia,guardie, esponenti del governo, convertendolie dando loro «uno spirito nuovo».Commoventi i racconti sulla croce di legnonascosta in una saponetta o sulla pettorale

M etti un titolo provocatorio, un autore fuori dagli schemi e iltema attuale e scottante dei migranti. Ed ecco che un libro

“a rischio buonismo” diventa un necessario pugno nello stomaco.“Animali da circo. I migranti obbedienti che vorremmo” è l’invito didon Luca Favarin ad aprire le gabbie mentali che rinchiudono un’idea

dello straniero acuita dal pressing

degli ultimi mesi. Lo stereotipo degliimmigrati “controllati e controllabili”,comparse ammaestrate a soddisfaregli interessi della società che li ac-coglie (?) e a tornare poi al loro po-sto.Per il fondatore di Percorso Vita on-lus, invece, «i casi sono persone, inumeri sono un volto, un nome» esolo la conoscenza potrà liberarcida timori e pregiudizi e aiutarci a

comprendere. «È un processo, un cammino del cuore – scrive ilsacerdote patavino – una specie di migrazione dell’anima versol’essenza dell’umanità, al di là di moralismi e della logica dell’assi-stenzialismo».Dal libro ti aspetti storie dolorose di approdi in Occidente ma l’autorefa, invece, un percorso a ritroso e ci racconta l’Africa che ha cono-sciuto nei suoi viaggi. Quel continente da cui partono i migrantiche stanno “invadendo” i nostri spazi senza che noi diamo spazioalla domanda “perché?”.Don Favarin ci offre una narrazione personale ma onesta, e l’Africache ci presenta non è perfetta, seppure intrisa di bellezza, umanitàe un senso profondo delle relazioni. È sfaccettata e complessa.Valori e tradizioni che si mescolano a piaghe profonde, strascichidi uno sfruttamento perenne.Gli spaccati di vita e gli incontri svelati in queste pagine non fannoche ricordarci che quegli elenchi di morti in mare o nel deserto e disbarcati erano/sono persone, con un vissuto e dei progetti, sospese

tra la nostalgia delle radici e il desiderio di ali nuove. Percapirlo, «non abbiamo bisogno di retorica ma di intelligen-za… Abbiamo bisogno di infinito, di sguardi allargati, didilatare il cuore».

Loredana Brigante

Migrazioni: i volti dentro i numeri

LUCA FAVARINANIMALI DA CIRCOI MIGRANTI OBBEDIENTI CHE VORREMMOEdizioni San Paolo - € 18,00

La fede mai prigionieraTeresa Gutiérrez de CabiedesVAN THUANLIBERO TRA LE SBARRECittà Nuova Editrice - € 20,00

realizzata con del filo di ferro insieme aduno dei suoi carcerieri. Così come lo stra-tagemma della «medicina per il mal di sto-maco» per celebrare l’eucaristia durante ladetenzione, o i fogli di carta recuperati perscrivere. Perle di una storia di libertà co-nosciuta, ora, in tutto il mondo.

Loredana Brigante

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ROSE

La reginadel calypso

Settantotto anni e un sorriso irresistibile;una ventina di album all’attivo e oltre

800 canzoni in repertorio. Nativa di Tobago,Rose è da decenni l’indiscussa regina delcalypso, la musica caraibica per eccellenza,l’antenato del reggae esportato nel mondodall’indimenticabile Henry Belafonte.Ma Rose non è soltanto una delle tante re-gine dell’esotico. Fin dagli anni Settantas’impose in un ambito (e in una terra) quasiinteramente dominato dagli uomini, perportare avanti la sua lotta come portavocedei diritti delle donne. E così ha continuatoa fare anche in epoche molto recenti, comeun paio d’anni fa quando con la popstar

Manu Chao ha pubblicato la spumeggiante

Leave me alone, gioioso manifesto di unanuova presa di coscienza delle donne diTrinidad; un’impresa che con l’album Far

from home le è valsa anche il Victorie de

la Musique, una specie di Grammy tran-salpino, nonché la nomina ad “artista del-l’anno” dal prestigioso Womex, l’istituzionepiù significativa nell’ambito della world-

music planetaria.Oggi l’infaticabile Rose (vero nome LindaMcArtha Sandy-Lewis) è di nuovo sui mer-cati con un nuovo album, “So Calypso!”,che sta portando in giro per il mondo(quest’estate s’è esibita anche all’ArianoFolk Festival nell’avellinese). Ma non haperso il suo ruolo di attivista sociale e d’am-basciatrice dei valori umanitari nel mondo,tanto da venire considerata una sorta diMiriam Makeba dei Caraibi; come quandodenunciò con la canzone No Madame lamiserrima condizione delle domestichelocali che lavoravano per 20 dollari al mese;quella volta convinse il primo ministro diTrinidad e Tobago a varare una legge inloro tutela.Ma veniamo al nuovo album, al solito pienodi ritmi, sinuosità, calore e di colori caraibici.

Un bel mix di cover memorabili ripropostein stile calypso come la celeberrima I say

a little prayer e la rilettura di Calipso Blues

di Nat King Cole, a ribadire la sua vocazionecosmopolita e il legame con il rhythm’n’-

blues e il pop statunitense; ma ci sonoanche sei brani originali pescati dal suosterminato repertorio. Un disco gioioso estruggente, ballabilissimo e melanconicoinsieme, dai suoni molto vintage che paionoschizzare da un vecchio giradischi del se-colo scorso.Calypso Rose, classe 1940, è figlia di unpastore battista e calca le scene dal 1955.Dopo aver accresciuto la sua popolarità intutta la zona, migrò a New York dove tutt’orarisiede quando non è in tour. Una donnastraordinariamente determinata che ha do-vuto combattere anche battaglie personali,come quella con un cancro al seno e unoallo stomaco. Ma è sopravvissuta a tutto etutti e oggi più che mai è lei l’indiscussaregina del calypso, un genere musicalenato agli inizi del Novecento, figlio delle tri-bolazioni degli schiavi “importati” nella zonadall’Africa; divenuto elemento caratterizzantedel patrimonio folklorico locale, è soprav-vissuto alla commercializzazione occidentalesenza snaturarsi più di tanto e mantenendonel tempo la propria forza di denuncia deiguasti socio-politici circostanti, tanto davenire a lungo osteggiato dalle classi do-minanti. Ma oggi come allora nelle nostreorecchie resta soprattutto un’esplosioned’allegria contagiosa, di dolcezza e di gioiadi vivere: anche in questo Rose ne è inter-prete così perfetta che definirla regina risultaperfino banale.

Franz Coriasco

[email protected]

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di CHIARA [email protected]

VITA DI MISSIO

L’animazione m

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S ono i bambini e gli adolescenti da 8 a 14 anni d’età, i destinatari di Mis-sio Ragazzi, settore della Fondazione che rappresenta la Pontificia Ope-

ra dell’Infanzia Missionaria (Poim) in Italia. L’obiettivo è quello di aiutare i piùpiccoli ad essere protagonisti della missione nei propri ambienti di vita quo-tidiana. Come? Mettendo in pratica i quattro impegni fondamentali del “Ra-gazzo Missionario”: preghiera, annuncio, condivisione, fraternità. Per fare que-sto è stato lanciato un nuovo gioco formativo dal titolo “Costruisci un Pon-te Mondiale”: si tratta di una proposta di animazione missionaria che ac-compagna i bambini durante tutto l’anno pastorale, singolarmente o in grup-po. Dopo l’iscrizione on line (sul sito www.pontemondiale.missioitalia.it) siaccede all’area riservata, dove trovare iniziative e attività per vivere nel con-creto, divertendosi, i quattro impegni che caratterizzano un “Ragazzo Mis-sionario”.C’è da sottolineare che Missio Ragazzi non chiede un’iscrizione all’opera, néprevede un’appartenenza: in altre parole, non propone attività separate da-gli altri gruppi ecclesiali o associazioni cristiane, ma si pone al loro servizio,

come stimolo all’azione missionaria. Volendo, il parroco può scegliere dicostituire nella propria comunità un gruppo di ragazzi missionari, ma chine farà parte continuerà a vivere la catechesi parrocchiale e gli altri ser-vizi di evangelizzazione offerti dalla realtà ecclesiale locale.Oltre al nuovo gioco formativo, sono vari gli strumenti che Missio Ra-gazzi offre ai bambini e ai rispettivi educatori/animatori. Tra questi se-gnaliamo il sussidio annuale di animazione missionaria, pensato comeun compendio a percorsi di iniziazione cristiana o ad altri percorsi giàstrutturati (ACR, Scout, Araldini, ecc.). Il titolo dell’edizione 2018/2019è “Vivi e …#PassaParola”: riprende lo slogan scelto per la Giornata Mon-diale dell’Infanzia Missionaria 2019, giornata che si celebra ogni annoil 6 gennaio ed invita alla preghiera e alla condivisione tra tutti i bam-bini del mondo, perché si sentano partecipi del cammino gli uni deglialtri. Le due esortazioni -“vivi” e “passa Parola” – ricordano che es-sere cristiani significa comunicare agli altri il Vangelo, che unisce ededuca a fare il bene. L’itinerario formativo che il sussidio propone èorganizzato in cinque tappe, ciascuna costituita da un brano evan-

gelico accompagnato da un quiz che svela la paro-la chiave su cui verte l’in-tera scheda con spunti diriflessione, dinamiche digruppo, box interculturale,scuola di fraternità.Per maggiori info e materia-li da scaricare: www.missioi-talia.it

Missio Ragazzi e il gioco formativoIdestinatari dell’animazione missio-

naria proposta da Missio, organismopastorale della Conferenza episco-

pale italiana, non sono solo i bambini ei giovani. I vari settori in cui la Fonda-zione si suddivide, prevedono il coinvol-gimento di tutti: ragazzi, sì, ma anchefamiglie, adulti, consacrati e chiunquevoglia vivere la fede come annunciocostante del proprio incontro con Gesù.La missione, infatti, non è per addetti ailavori, esperti o pochi intimi. È per tutti.Ecco perché la Fondazione Missio –espressione italiana delle PontificieOpere Missionarie – promuove l’ani-mazione missionaria di ragazzi, giovani,consacrati, adulti e famiglie. Come?Realizzando strumenti, attività, propo-ste, risorse da mettere a servizio di tutti.Ed ogni settore lo fa con il proprio spe-cifico.

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I settori di Missio

missionaria è per tutti

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Missio Adulti&Famiglie rappresenta in Italia la Pontificia Opera della Propa-

gazione della Fede (Popf) che si dedica all’animazione missionaria di adul-

ti, famiglie e comunità. L’invito proposto è di quello di impegnarsi in due tipi di

solidarietà: quella spirituale, con l’offerta della preghiera e la vicinanza ai mis-

sionari, e quella materiale, mediante la raccolta di offerte per le Chiese di mis-

sione più povere, da effettuare durante la Giornata Missionaria Mondiale (GMM)

che si celebra ogni anno nella penultima domenica di ottobre.

Per l’animazione Missio Adulti&Famiglie propone specifici sussidi, soprattut-

to in preparazione all’ottobre, mese che la Chiesa universale dedica alla missio-

ne per eccellenza. “L’Animatore Missionario 2/3” – in distribuzione in tutte le dio-

cesi - contiene sia gli strumenti per parroci e collaboratori per vivere al meglio

le cinque settimane che compongono l’Ottobre missionario, sia il sussidio an-

nuale di animazione missionaria 2018/2019 che accompagna il cammino delle

comunità ecclesiali lungo tutto il corso dell’anno pastorale. Il titolo “Giovani per

il Vangelo” richiama lo slogan della 92esima GMM che si celebra il 21 ottobre pros-

simo, mentre i contenuti propongono l’incontro con cinque personaggi che – una

volta incontrata la Parola viva, cioè Gesù – scoprono le risposte ai loro interro-

gativi e fanno scelte fino a quel momento impensabili.

Per maggiori info e materiali da scaricare: www.missioitalia.it

Adulti, famiglie, comunità in missione

C’è anche un settore della Fondazione Missio che non si carat-terizza per i destinatari a cui si rivolge, ma per l’attività che

propone: il sostentamento economico in maniera costante e re-golare necessario alla costruzione dei Seminari e al mantenimen-to dei seminaristi nelle Chiese del Sud del mondo. Questo setto-re è il segretariato nazionale della Pontificia Opera di San PietroApostolo (Pospa), che sostiene le vocazioni sacerdotali in tuttoil pianeta e favorisce lo sviluppo delle giovani Chiese di missioneaiutando la formazione del personale apostolico locale.In poco più di cento anni l’Opera è riuscita a raccogliere attornoa sé migliaia di persone, che versano una propria offerta con re-golarità in un fondo universale di solidarietà. Chi desidera accom-pagnare il cammino vocazionale di un giovane africano, asiatico, la-tinoamericano o dell’Oceania fino alla sua ordinazione sacerdota-le, può farlo accogliendolo come un vero e proprio figlio “adottivo”attraverso l’adozione missionaria: si tratta di pregare con costan-za per lui e di sostenerne gli studi economicamente.Per maggiori info: www.missioitalia.it

La Pospa per le Chiese sorelle

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VITA DI MISSIO I settori di Missio

Seminaristi, religiosi e religiose,

sacerdoti, diaconi. Sono loro i

destinatari dell’animazione missio-

naria di Missio Consacrati, che rap-

presenta in Italia la Pontificia

Unione Missionaria (Pum), l’ope-

ra che si propone di animare alla

missione gli uomini e le donne che

hanno donato totalmente la

propria vita a Dio. Le iniziative

pensate sono varie. Tra le più im-

portanti c’è la formazione mis-

sionaria dei giovani che si pre-

parano al sacerdozio, ai quali

vengono proposti il Convegno

annuale dei seminaristi (que-

st’anno in programma a Firen-

ze dal 2 al 5 maggio), i Grup-

pi di animazione missionaria

(Gamis) all’interno di ciascun

Seminario, il sussidio di ani-

mazione missionaria per

Seminari e Case di forma-

zione, che esce come supple-

mento de “L’Animatore Missionario 2/3”.

Le proposte di Missio Consacrati si rivolgono anche a chi

si è già consacrato al Signore. Tra queste: il Corso di for-

mazione missionaria per religiose; la Giornata di spiritua-

lità missionaria delle religiose, che si celebra l’1 ottobre di

ogni anno, in collaborazione con l’Unione delle Superiore Mag-

giori d’Italia (Usmi); la Giornata di spiritualità missiona-

ria dei sacerdoti e dei religiosi, che si celebra il 3 dicembre;

la Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina, fissata per

il 24 maggio; la Giornata di preghiera per la Santificazio-

ne sacerdotale che coincide con la Solennità del Sacratis-

simo Cuore di Gesù.

Dallo scorso anno, una novità importante è il fiore all’oc-

chiello della formazione missionaria offerta da Missio Con-

sacrati. Si tratta del Corso di missiologia on line per sa-

cerdoti, seminaristi, religiosi/e, collaboratori dei Centri mis-

sionari diocesani, studenti universitari e chiunque sia in-

teressato: in collaborazione con la Pontificia Università Ur-

baniana di Roma, gli iscritti seguiranno via web con caden-

za regolare le lezioni tenute dai professori universitari nel

secondo semestre dell’anno accademico 2018/2019, rice-

vendo il materiale didattico utile per sostenere l’esame fina-

le on line. L’attestato di partecipazione, rilasciato alla fine del corso dopo il superamento della prova con-

clusiva, è riconosciuto dall’Università Urbaniana, mentre nelle altre università italiane il corso può esse-

re accreditato come “opzionale”.

Per maggiori info: www.missioitalia.it

Formazione missionaria per i consacrati

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C ome ogni anno, la FondazioneMissio mette a disposizione,grazie al contributo di Luci nel

Mondo Onlus e della Redazione di Po-poli e Missione, un video di animazionemissionaria, in vista della tradizionalecelebrazione della Giornata MissionariaMondiale.Diciamo subito che la produzione diquest’anno non è stata inviata per po-sta nel formato dvd ai Centri missionaridiocesani ma è possibile scaricarla di-rettamente dal sito web del nostro or-ganismo pastorale all’indirizzowww.missioitalia.it. La titolazione delvideo coincide con lo slogan scelto perl’occasione dalla direzione della Fonda-

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Il video per la Giornata Missionaria Mondiale

Giovaniper il Vangelo

zione Missio: “Giovani per il Vangelo”. Letestimonianze dei nostri missionari ingiro per il mondo (Repubblica Demo-cratica del Congo, Etiopia, Tanzania,Argentina) non fanno che confermare,da una parte, l’esigenza di giovani di-sposti a consacrarsi per la causa delRegno e, dall’altra, la consapevolezzache per poter essere annunciatori e te-

stimoni del Vangelo occorre sempre ecomunque avere un cuore giovane, in-dipendentemente dall’età anagrafica.Oltre al video ufficiale, sarà possibilescaricare anche le interviste integralidei missionari incontrati dalla troupetelevisiva di Luci nel Mondo. Riteniamoche questo materiale possa così essereutilizzato non solo nell’Ottobre missio-nario, ma in generale durante tuttol’anno pastorale soprattutto con i gio-vani e le famiglie. G.A.

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di CHIARA [email protected]

VITA DI MISSIO

Non potevano che essere i giova-ni i protagonisti della 16esimaedizione delle Giornate naziona-

li di formazione e spiritualità missiona-ria svoltesi alla Domus Pacis di Assisi dal26 al 29 agosto scorsi e organizzate dal-l’Ufficio CEI per la Cooperazione missio-naria tra le Chiese. E così è stato: non soloper una significativa presenza dei giova-ni tra i 230 partecipanti provenienti dal-le diverse diocesi italiane, ma anche peril tema scelto, dal titolo: “Giovani per ilVangelo. Rinnovarsi tutti nella Parola diGesù”.Come ha sottolineato sin da subito don

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fede e il discernimentovocazionale”.La presenza dei giovanialle giornate di Assisi èstata coinvolgente: ora pro-tagonisti nella Tavola roton-da dal titolo “Quali passi per

un’evangelizzazione giovane?”, ora testi-moni negli otto laboratori biblici da lorointrodotti e indirizzati, ora ideatori e gui-de della Veglia di preghiera preparata dalCentro missionario diocesano di ReggioEmilia.Stimoli, ripensamenti, provocazioni, in-terrogativi, rovesciamenti di luoghi co-

L’evangelizzazionenon ha età

Michele Autuoro, direttore dell’Ufficio CEIe della Fondazione Missio, papa France-sco nel messaggio per la Giornata Mis-sionaria Mondiale si è rivolto proprio aigiovani «con l’obiettivo di parlare atutti attraverso di loro». Inoltre, un mo-tivo in più per porre l’attenzione sulla re-altà giovanile è stato l’imminente Sino-do dei vescovi dedicato a “I giovani, la

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Giovanni Rocca, Segretario nazionaledi Missio Giovani.

Giornate nazionali di formazione e spiritualità missionaria di Assisi

Don Michele Autuoro, direttore della Fondazione Missio.

Il biblista Luca Moscatelli.

Don Rossano Sala,

Segretario speciale del Sinodo 2018 dedicato ai giovani.

lo che conta – ci dicono - è la pienezzadi vita»; l’idea di camminare insieme, cioèdi costruire fraternità, che è la sfida delprossimo futuro della Chiesa: cammina-re insieme è il riconoscersi a vicenda, ilvedere i giovani come specchio, l’esse-re disposti come adulti a mettersi in gio-co.Ma quali sono le condizioni di possibi-lità di successo della fraternità? Certa-mente il risvegliare immagini di frater-nità attraverso la Parola, l’ascolto, la me-ditazione, le esperienze di Chiesa mul-tiforme nell’alterità, nelle diversità di ca-rismi. Ma anche il sentirsi sempre in unostato permanente di conversione, che si-gnifica disponibilità a cambiare, ed il nu-trire gratitudine per sentirsi una mino-ranza qualificata, una comunità cheresiste: è fondamentale cambiare il risen-timento e la lamentazione in bellezza del-la riconoscenza.Per realizzare la fraternità è importan-te anche mettere a fuoco quali sono ledifficoltà che la ostacolano. Per esempio:le frontiere invisibili che separano di fat-to i giovani dagli adulti (come il linguag-gio, le risposte sempre pronte, il non far-si domande, il non ascoltare); le ferite vis-sute e non rielaborate; il narcisismo, chenon è il vedere in maniera demoniacal’autorealizzazione di sé, ma è il dimen-ticare il pronome “noi”, la gratuità e ildono; il giudizio reciproco, tirando con-clusioni affrettate sulle alterità.Tutti suggerimenti da rielaborare perso-nalmente e nei propri ambienti ecclesia-li, non certo una ricetta da applicare. Cosìha spiegato don Michele Autuoro, diret-tore di Missio: «Queste giornate non vo-levano essere un incontro di pastoralegiovanile su come approcciare i giova-ni. Piuttosto, invece, si sono aperte pro-spettive e processi a cui dare seguito al-l’insegna di una fiducia e di una speran-za proprie del mondo giovanile».A sintetizzare al meglio il mandato del-le giornate di Assisi è stata una giova-

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ne partecipante, che insieme ad altri suoicoetanei ha condiviso la propria rifles-sione biblica con gli adulti nei laborato-ri, ed ha guidato uno dei gruppi di lavo-ro: «Non è scontato – ha detto Chiara -incontrare persone disposte a mettersi ingioco con noi giovani: vi ringrazio perquesta occasione e per averci chiesto diessere qui. Credo, infatti, che si debbauscire da una dinamica di confronto chelogora vicendevolmente, per abbraccia-re una dinamica di dialogo, che è quel-lo che abbiamo fatto in questi giorni tragiovani e adulti insieme».

muni hanno pungolato i convegnisti (co-munque di età media alta), convinti checoncentrarsi su discernimento e vocazio-ne sia un cammino che, oltre ai giova-ni, coinvolge tutta la Chiesa. Ed in par-ticolare la missione. Sì, perché – peresempio - non c’è dubbio che i viaggi inPaesi del Sud del mondo assicurinoun’esperienza forte a chi li vive, che pos-sono stimolare nel cuore dei giovani ri-flessioni sulla propria vocazione. Ma oc-corre anche tenere presente che al rien-tro è indispensabile una rielaborazionedi quanto vissuto, attraverso un discer-nimento approfondito che va oltrel’esperienza, ha spiegato nel suo inter-vento don Rossano Sala, segretario spe-ciale del prossimo Sinodo.I quattro passi che hanno caratterizza-to le Giornate di Assisi - vocazione, fu-turo, profezia, nuovi esodi – sono statisviscerati da un punto di vista biblico gra-zie alle lectio tenute dal biblista Luca Mo-scatelli. Quattro passi ma un unico filorosso che li tiene uniti: la Parola di Dio,emersa sempre di più come una realtà ir-rinunciabile. Una Parola che grazie alcontributo dei vari relatori è stata pre-sente con sincerità, autorità e competen-za ed è servita per abbattere muri e crea-re ponti tra giovani e adulti, laici e sa-cerdoti, uomini e donne, tutti e ciascu-no.Numerose le sollecitazioni raccolte. Peresempio: ascoltare il grido dei giovani,perché essi sono stanchi delle banalità:«Non c’è bisogno di tante parole: quel-

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VITA DI mIssIo

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GIOVANI CUSTODIDEL MONDOGIOVANI CUSTODIDEL MONDO

Il sussidio, disponibile online sul sito www.missioitalia.itnella sezione Giovani, è strutturato in sette schede che ac-compagnano l’anno pastorale. Ciascuna scheda è com-posta da una riflessione tematica, una riflessione biblica,il focus sul periodo corrispondente con annesse celebra-zioni e proposte di animazione. Le tracce suggerite pos-sono essere utilizzate in toto, oppure in parte, in base alleesigenze di ciascun gruppo.Il mese di ottobre, focus straordinario della FondazioneMissio, costituisce la scheda 0 del sussidio. Consideratoche ottobre è anche il mese in cui si tiene il Sinodo deivescovi sui giovani, il titolo della prima scheda “Giovaniprotagonisti del mondo” mette in evidenza l’importanzariservata alla Giornata Missionaria Mondiale che quest’an-no ha proprio come tema “Giovani per il Vangelo”. La di-seguaglianza trattata in questa prima sezione è relativa alledifferenze sostanziali tra i giovani nel mondo, agevolati indiverse circostanze in alcune zone della Terra, ostacola-ti in tantissime altre. Un riferimento particolare è riservatoa due figure di spicco per il mondo missionario: monsi-gnor Oscar Romero e papa Paolo VI che nel mese di ot-tobre sono canonizzati.La scheda 1, intitolata “Giovani risorsa del mondo”, intro-

I l titolo del nuovo percorso formativo di Missio Giova-ni è “Giovani custodi del mondo”. Non a caso abbiamo

inserito la parola “custodi”: noi giovani abbiamo l’obbli-go di custodire il mondo in cui ci è stata data la possibi-lità di abitare.Il mondo è diventato un villaggio globale solo in apparen-za. I fenomeni economici dettano sempre le regole delgioco. I fenomeni politici seguono di conseguenza le modedel momento. E a farne le spese sono sempre i più de-boli. Si acuiscono in tal senso le differenze tra quelli cheun tempo potevano essere definiti il Nord e il Sud del mon-do: tra ricchi e poveri, in ogni parte del mondo.A partire dalla presa di coscienza delle diseguaglianze esi-stenti, è stata istituita la Campagna “Chiudiamo la forbice”,promossa da varie realtà ecclesiali tra cui la FondazioneMissio. Per questo, come Missio Giovani, abbiamo ritenu-to opportuno improntare il percorso di formazione pergiovani ed adolescenti 2018/2019 proprio su alcune te-matiche della Campagna.

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Consulta nazionale, un organismoche riunisce la segreteria centrale,

alcuni rappresentanti di Istituti

missionari e i referenti diocesani eregionali.Tra gli strumenti di formazione eanimazione missionaria proposti,

ricordiamo l’esperienza di visitamissionaria in Paesi del Sud del

mondo da fare in estate vivendo in-sieme ai missionari italiani presen-ti in quelle realtà, e l’Assemblea na-zionale, che quest’anno si svolge dal

15 al 16 settembre a Roma pressoil Centro Internazionale Animazio-ne Missionaria (Ciam). È l’occasio-ne per diffondere pubblicamente il

comunicato finale del ConvegnoMissionario Giovanile (Co.Mi.Gi)svoltosi a Sacrofano dal 28 apri-le all’1 maggio scorsi, documentoche viene consegnato a papa Fran-cesco in vista del prossimo Sino-do sul tema “I giovani, la fede e il di-scernimento vocazionale”.

C.P.

Missio Giovani e la sua mission

Agorà per adolescenti e giova-ni che vogliono maturare nella

vita cristiana e partecipare alla mis-sione universale della Chiesa. Èquesta, in estrema sintesi, la de-scrizione di Missio Giovani, setto-re della Fondazione Missio, chepromuove a livello diocesano, regio-nale e nazionale la comunione, lacorresponsabilità e l’impegno tra lediverse realtà missionarie di carat-tere giovanile. A tal fine è attiva la

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duce al mese di novembre quando, per volontà di papaFrancesco, si celebra la Seconda Giornata dei poveri. Se-guendo lo schema precedentemente presentato, viene trat-tata la diseguaglianza economica: secondo il rapporto Ox-fam 2015, l’1% dei ricchi del mondo possiede quanto ilrestante 99%.“Giovani speranza del mondo” è il tema della scheda 2per l’Avvento-Natale. La speranza che siamo chiamati adinterpretare è quella che il Bambino di Betlemme porta almondo con la sua venuta, la speranza di poter credere incose nuove. La diseguaglianza esaminata, sull’esempio del-la famiglia di Nazareth, è quella familiare, insieme alle te-matiche legate a parità dei sessi, vita politica, istruzione.La scheda 3 “Giovani viandanti nel mondo” è la più com-plessa da inquadrare considerato che il mese di genna-io vede la Chiesa impegnata in diverse iniziative: la Gior-nata della pace, la Giornata Missionaria dei Ragazzi, la Set-timana per l’unità dei cristiani e la Giornata mondiale del-la Gioventù di Panama. Le tematiche relative alle disegua-glianze trattano le problematiche dei conflitti dimentica-ti, il dialogo interreligioso e la buona informazione, fon-damentale per portare alla luce le storture ma anche le tan-te bellezze di questo mondo.Nel mese di febbraio, in cui si celebra la Giornata del ma-lato, nella scheda 4 intitolata “Giovani cura del mondo” vie-ne approcciato il tema della sanità, dei servizi pubblici es-senziali e più in generale della dignità umana spesso com-promessa in molte aree del mondo.La scheda 5 “Giovani luce del mondo” è legata ad un tem-po particolare: la Quaresima, al cui interno celebriamo la

27esima Giornata di preghiera e digiuno in memoria deimissionari martiri (il 24 marzo) e la Pasqua. Le proposte dianimazione per il tempo di Quaresima e della Giornata deiMartiri, istituita dalle Pontificie Opere Missionarie proprioin memoria dell’uccisione di monsignor Oscar Romero, sa-ranno disponibili nel sussidio “L’Animatore Missionario01/19”. A questa ricorrenza è legato un progetto di soli-darietà per un Paese che vive il martirio in questo tempo.La scheda 6 riprende il titolo del percorso “Giovani custo-di del mondo” nel senso più stretto del termine: giovanicustodi del pianeta. La Giornata della Terra è protagoni-sta di questa sezione: riprendendo le tematiche della Lau-dato Si’ ciascuno può trarne spunti di riflessione per as-sumere uno stile di vita evangelico che rispetti l’uomo edil Creato.Il percorso formativo si conclude con la scheda 7 “Gio-vani testimoni nel mondo” a partire dal brano biblico diinvio missionario di Gesù ai discepoli. Nel mese di mag-gio la Giornata per le comunicazioni sociali ci aiuta a ri-flettere sulla diseguaglianza legata al diritto di informazio-ne, tema per noi forse scontato ma ancora negato in mol-te aree del Pianeta.

Eleonora Borgia

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di MARIO [email protected]

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Si dice che l’Africa oggi sia il contenente con più gio-vani. In molti Paesi del Continente nero la maggio-

ranza della popolazione è composta da persone che nonhanno ancora raggiunto i 30-40 anni di età. Accantoa questa situazione che potrebbe essere di per sé favo-revole per un armonico sviluppo di queste nazioni, esi-ste un problema grande come una casa, ovvero l’edu-cazione scolastica e la formazione professionale per lenuove generazioni affinché possano trovare uno sboc-co lavorativo nei loro Paesi. Per quanto riguardal’istruzione scolastica, sappiamo molto bene che i varigoverni dell’Africa non investono molto sul mondo del-la scuola e nessuno si preoccupa dell’abbandono sco-lastico dopo pochi anni di frequenza. Occorre dunqueun’inversione di rotta per mettere un freno a questa si-tuazione, ponendo l’istruzione scolastica al primo po-sto nei programmi di governo.Le risorse che alcuni Paesi destinano all’acquisto di ar-mamenti per portare avanti guerre intestine regiona-li, sono davvero uno scandalo al quale bisogna mette-re fine. Se i soldi spesi per finanziare una guerra regio-nale venissero utilizzati per incentivare programmi disviluppo, metterebbero nella giusta direzione molti Pae-si africani aprendo interessanti prospettive di lavoro perle nuove generazioni.

Di fronte alla vastità della missio ad gentes, la Provviden-za lungo i secoli ha suscitato figure straordinarie di uo-

mini e donne che hanno saputo offrire alla Chiesa l’urgen-za e la necessità di portare con fervore il Vangelo “fino agliestremi confini della terra”. Solo pensando agli ultimi seco-li della storia della Chiesa, ricordiamo che schiere di perso-ne hanno solcato mari e oceani, percorso strade e sentierifra i più impervi dei cinque continenti per annunciare la Buo-na Notizia di Gesù di Nazareth a tutti i popoli del mondo.Nel grande libro della missione una delle peculiarità che ca-ratterizzava questi apostoli del Vangelo era l’attenzione, pernon dire la predilezione, verso gli ultimi, i poveri, gli emar-ginati; molte volte essi sono diventati i portavoce di colo-ro - che a causa della loro emarginazione - non avevano nes-sun diritto di parola. Ancora oggi più che mai abbiamo bi-sogno di persone che abbiano queste caratteristiche. Il fer-vore missionario che ha caratterizzato secoli interi della vitadella Chiesa non può affievolirsi, né venire meno, ma conla partecipazione di tutti deve crescere sempre più fra gli ope-ratori della missione che ancora oggi continuano la meri-toria opera di coloro che hanno avviato e accompagnato que-sta stupenda avventura.

“““

“SETTEMBRE“PERCHE’ I GIOVANI DEL CONTINENTE AFRICANOABBIANO ACCESSO ALL’EDUCAZIONE E AL LAVORONEL PROPRIO PAESE”. OTTOBRE

“PERCHE’ I CONSACRATI E LE CONSACRATERISVEGLINO IL LORO FERVORE MISSIONARIO E SIANOPRESENTI FRA I POVERI, GLI EMARGINATI E COLOROCHE NON HANNO VOCE”.

La missione solcagli oceani

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di GAETANO BORGO*[email protected]

Non importa se arrivi daQuito o da Guayaquill,perché le ore di automobi-

le per raggiungere Esmeraldas sonosempre tante. Ma il tempo passa trauna parola e l’altra, tra uno sguar-do che si perde all’orizzonte, e alpensiero di quanta vita anche oggiincontrerò. Mi accompagna Massi-mo, un giovane laico fidei donumche con la moglie Silvia sta dedican-do due anni alla missione, assiemeai loro figli. Ci stiamo inoltrandoverso il Nord dell’Ecuador, a ridos-so della frontiera con la Colombia,sulla Costa del Pacifico, nel vicaria-to di Esmeraldas. È qui che incon-tro padre Ottorino Poletto, un gi-gante di uomo. Infatti i miei occhidevono salire parecchio prima di in-contrare il suo grande sorriso, isuoi due metri di altezza però nonincutono paura. È un padre Com-boniano e assieme ad altri confratel-li opera in una delle tre parrocchiedella città di San Lorenzo. Il caldotorrido della costa del Pacifico si sen-te addosso, lo respiri, qui non c’è darompere il ghiaccio per iniziare il rac-conto.

Una vita perla missione

fiume di incontri e vicende, è un li-bro aperto sulle scoperte che la vitagli ha offerto ed è un abbraccio to-talizzante ad ogni umanità incontra-ta: «Considero il periodo africanoquello centrale della mia vita. In uncontesto sociale di guerriglia, pover-tà, abbandono, calamità naturali,ebbi modo di dedicarmi all’attivitàpastorale e insieme alla promozionesociale delle categorie più fragili. Sul-l’esempio di Gesù, anche per mel’annuncio del Vangelo era unachiamata alla conversione per tutti,e insieme un’esigenza di migliorarele condizioni di vita della gente. Inaltre parole, l’evangelizzazione »

Padre Ottorino Poletto

Padre Ottorino parte da lontano, dal1980. «È il terzo “servizio missiona-rio” che mi viene affidato dopo lamia partenza dall’Italia, 38 annifa. Il primo “servizio” durato ottoanni, lo vissi come fidei donum di Pa-dova, sempre in Ecuador, nella dio-cesi di Tulcan, sulla Sierra. Fuun’esperienza molto ricca che mipermise di capire che la mia vocazio-ne missionaria non era ad tempusbensì ad vitam. Questa scopertami portò alla decisione di far partedei missionari Comboniani, nel de-siderio di dedicare il resto dellamia vita alla missione, in un conte-sto spirituale e organizzativo più ap-propriato e di preferenza in situazio-ni sociali particolarmente esigenti.Questa maturazione nella mia voca-zione missionaria mi aprì mente ecuore per dedicarmi a piene mani al“secondo servizio” missionario di 24anni, vissuto in Mozambico, nellazona Sud della diocesi di Beira».

VANGELO E PROMOZIONEUMANADal Sud America all’Africa, poi an-cora in Ecuador. Il suo racconto è un

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una Chiesa viva, ricca di iniziativee proposte nel campo dell’evangeliz-zazione e della formazione, conuna forte presenza nel settore edu-cativo. Infatti, in quasi in tutte leparrocchie, il vicariato gestisce scuo-le e collegi di vari indirizzi e livellia cui si aggiunge l’Università Catto-lica dell’Ecuador che ha una sua sedeprestigiosa anche in Esmeraldas.Ci sono poi molte iniziative e pro-getti nel campo della promozione so-ciale, nel settore sanitario, nella di-fesa dell’ambiente, nella lotta alladroga, nell’assistenza ai carcerati, nelcampo delle comunicazioni (comela radio diocesana Antena libre).Una cosa è chiara: la gente sente che,nonostante limiti e difetti, la Chie-sa è dalla sua parte e in particolaredalla parte dei poveri. Anche se i pre-ti sono pochi e i laici impegnati do-vrebbero essere più numerosi e oc-cupare maggiori spazi, non possia-mo negare che Esmeraldas sia real-mente una Chiesa “in uscita”».La Chiesa che mi fa respirare padreOttorino è concreta, è in uscita, èsulla strada, è dentro alle esistenzeumane più difficili. Capisco dal

punto di vista religioso, sono le stes-se. A 67 anni posso dire che la fedeha dato un senso alla mia vita: il fat-to di annunciarla mi riempie ilcuore e mi ha permesso di sentirmiutile alla gente che la Provvidenza miha dato di incontrare».

CON I POVERI DI ESMERALDASMi spiace interrompere la vivacitàdelle sue parole, perché l’esperien-za di padre Poletto è molto signifi-cativa, mi comunica un colore diuna fede molto intensa e delicata,allo stesso momento. Gli chiedoquale pastorale quotidiana si vive inparticolare nel vicariato di Esmeral-das e come si può coniugare con laChiesa “in uscita” che papa France-sco desidera tanto. «Esmeraldas – ri-prende - è un vicariato assai vivacedal punto di vista pastorale. Benchénon possa contare su una tradizio-ne secolare e ben consolidata, rela-tivamente alla religiosità popolare,alla ricezione dei sacramenti, alla vi-sione cristiana della famiglia, comein gran parte delle diocesi dellaSierra, Esmeraldas si presenta come

era promozione integrale della per-sona. Nacquero molte piccole comu-nità cristiane nei villaggi e sorseroopere sociali e progetti per la forma-zione dei giovani, l’assistenza dei ma-lati e il miglioramento delle condi-zioni di vita della gente».Incalzo padre Ottorino per appro-fondire che cosa l’ha portato alcontatto concreto con una terra, colquotidiano della gente. Cosa gli hasvelato l’aver trascorso quasi una vitain missione? «In questi anni – ri-sponde - ho capito che la fede è il te-soro che dà serenità e coraggio nel-la vita e quando annuncio il Vange-lo sento che la mia fede cresce e miriempie di gioia. Ho avuto pure lachiara esperienza che ogni personae ogni popolo hanno il diritto di sa-pere che Dio li ama e, anche se spes-so sembrano indifferenti, in realtàmostrano con segni diversi la neces-sità di questo amore. Il Signore cichiama a spendere tutte le nostreenergie per facilitare l’incontro del-le persone con Lui, ma la fede è soloun suo dono. Le differenze di storiae cultura tra Ecuador e Mozambicosono grandi, ma le esigenze delcuore di ogni popolo, anche dal

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fondamentale che nell’invio di pre-ti fidei donum ci sia una vera aper-tura ai doni dello Spirito. Ci sonopreti che vivono con gioia il loro ser-vizio ad altre Chiese e poi tornanoarricchiti e si rimettono al serviziodella loro Chiesa di origine. È ungrande dono dello Spirito. Ma c’èanche chi, e lo dico per esperienza,partendo come fidei donum si apread un servizio missionario ad vitamche potrà essere vissuto sempre da fi-dei donum o entrando in una con-gregazione missionaria. Anche que-ste due possibilità sono da conside-rarsi doni dello Spirito. È perciò fon-damentale che ogni missionario alservizio di altre Chiese si senta ac-compagnato e sostenuto nel discer-nimento della volontà di Dio sullasua vita. Nel mio caso partii 38 annifa da fidei donum con l’assoluta cer-tezza che sarei rientrato in diocesi einvece, vivendo il servizio missiona-rio, ebbi modo di scoprire che il Si-gnore mi chiedeva non solo alcunianni ma il resto della vita e così en-trai, con la benedizione del vescovodi allora, tra i missionari Combonia-ni. Tutto il cammino vissuto è sta-to un dono di Dio».Ringrazio padre Ottorino. Non mirimane che rimettermi in strada, conle parole del missionario che mi ri-suonano nel cuore come un canto.Una canzone forse non tanto orec-chiabile per tutti, ma reale, concre-ta, presente nell’aria. Ancora una vol-ta ringrazio il Signore, perché attra-verso uomini e donne di buona vo-lontà segna la storia in modo inde-lebile e generoso. Anche oggi ne hoavuto la prova.

alla gente. Non si sa cosa potrà suc-cedere nel futuro. Si vive una situa-zione di grande incertezza».

I DONI DELLO SPIRITOPadre Poletto vive sulla sua pelle que-sta realtà, le parole vibrano nellastanza dove ci troviamo. Rompo ilsuo racconto che mi apre un mon-do inaspettato, chiedendo comevede dal suo osservatorio e dalla sualunga esperienza la missio ad gentesoggi in Italia e nelle nostre diocesi.Risponde: «Tutto ciò che è ad gen-tes e apertura e collaborazione conaltre Chiese, è grazia di Dio. È

suo racconto che il territorio di SanLorenzo in questi mesi sta vivendouna situazione sociale assai diffici-le. Da decenni c’è assenza di inizia-tive e controllo da parte del Gover-no. Tutti sanno che si tratta di unazona di intenso traffico di droga (so-prattutto cocaina) che si coltiva inabbondanza nella zona Sud della Co-lombia, dove chi realmente gestisceil potere e le attività economiche del-la gente non è il governo colombia-no ma i guerriglieri dissidenti delleFarc che non condividono l’Accor-do di Pace firmato lo scorso anno.«Negli ultimi mesi – spiega il mis-sionario - la situazione è diventatadrammatica per l’esplosione in va-rie zone di bombe anche di notevo-le potenza, con lo scoppio di un or-digno a Mataje che provocò la mor-te di quattro militari, il sequestro nel-la stessa località di tre giornalisti, bar-baramente uccisi pochi giorni dopo.Tutto questo naturalmente ha mes-so in allarme il Paese e il governo eha militarizzato tutta la zona di fron-tiera. La Chiesa e i missionari nonhanno abbandonato il campo mahanno assicurato in modi diversi so-lidarietà, condivisione e vicinanza

*Direttore del Centro missionariodiocesano di Padova

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