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MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA In caso di mancato recapito, restituire all’ufficio di P.T. ROMA ROMANINA previo addebito L’INCHIESTA Rifiuti elettronici Nuovo business FOCUS Dietro le sbarre in Malawi Zomba Prison Rivista promossa dalla Fondazione Missio • Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 Aut. GIPA/ C / RM • Euro 2,50 PRIMO PIANO L’esortazione apostolica Evangelii gaudium NELSON L’eroe della pace SPECIALE DOSSIER AFRICA ANNO XXVIII GENNAIO 2014 1

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FOCUSDietro le sbarre in MalawiZomba Prison

Rivista promossa dalla Fondazione Missio • Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 Aut. GIPA/ C / RM • Euro 2,50

PRIMO PIANOL’esortazione apostolicaEvangelii gaudium

NELSON

L’eroedella pace

SPECIALE DOSSIER

AFRICA

ANNO XXVIII

GENNAIO2014 1

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MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIATrib. Roma n. 302 del 17-6-86. Con approvazione ecclesiastica. Editore: Associazione Amici della Propaganda Missionaria (APM) Presidente (APM): MICHELE AUTUOROLa rivista è promossa dalla Fondazione Missio, organismo pastorale della CEI.Direttore responsabile: GIULIO ALBANESERedazione: Miela Fagiolo D’Attilia, Chiara Pellicci, Ilaria De Bonis. Segreteria: Emanuela Picchierini. Redazione e Amministrazione: Via Aurelia, 796 - 00165 Roma. Abbonamenti: 06 66502632. Hanno collaborato a questo numero: Chiara Anguissola, Mario Bandera,Roberto Bàrbera, F.M. C, Lucia Catalano, Francesco Ceriotti, Suor AziaCiairano, Franz Coriasco, Ilaria Iadeluca, Francesca Lancini, Patrizia Lavaselli,Luciana Maci, Paolo Manzo, Maria Giovanna Mecucci, Pierluigi Natalia, Enzo Nucci, Gian Franco Poli, Alfonso Raimo, Filippo Rizzatello, Alex Zappalà.Progetto grafico e impaginazione: Alberto Sottile.Foto di copertina: Afp Photo / Alexander JoeFoto: Afp Photo / Osservatore Romano, Afp Photo / Ria-Novosti / Pool / MikhailKlimentyev, Afp Photo / Greenpeace / Igor Podgorny, Afp Photo / Frederic J. Brown,Afp Photo / Simon Maina, Afp Photo / Pio Utomi Ekpei, Afp Photo / Alexander Joe,Afp Photo / Stephane De Sakutin, Afp Photo Mar tin Bureau, Afp Photo / Ahmad Al-Rubaye, Afp Photo / Vincenzo Pinto, Afp Photo / Anne-Christine P oujoulat, Afp Photo/ Tauseef Mustafa, Afp Photo / Mohammed Abed, Afp Photo / Timur Matahari, AfpPhoto / Khaled Desouki, Afp Photo / Tiziana F abi, Afp Photo / Pool / Ed Jones, AfpPhoto / Pedro Ugarte, Afp Photo / Saeed Khan, Afp Photo / R oberto Schmidt, PaoloAnnechini, Teresa Bello, “Happy Island Malawi", Archivio Missio.Abbonamento annuale: Individuale € 25,00; Collettivo € 20,00;Benemerito € 30,00; Estero € 40,00.Modalità di abbonamento: versamento su C.C.P. 70031968 intestato aPopoli e Missione oppure bonifico bancario intestato a Popoli e Missione

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Mensile associato alla FeSMI e all’USPI, Unione Stampa Periodica Italiana.Chiuso in tipografia il 27-12-2013Supplementi elettronici di Popoli e Missione:MissioNews (www.missioitalia.it)La Strada (www.giovani.missioitalia.it)

Fondazione MissioSezione Pontificie Opere Missionarie

Via Aurelia, 796 - 00165 Roma

Don Michele Autuoro, DirettoreDr. Tommaso Galizia, Vice DirettoreDon Valerio Bersano, Segretario Nazionale dell’Opera per la Propagazionedella Fede (C.C.P. 63062723)Don Alfonso Raimo, Segretario Nazionale dell’Opera di S. Pietro Apostolo (C.C.P. 63062772) e della Pontificia Unione Missionaria (C.C.P. 63062525)Segretario Nazionale dell’Opera dell’Infanzia Missionaria (C.C.P. 63062632)Alessandro Zappalà, Segretario Nazionale Missio Giovani (C.C.P. 63062855)

Numeri telefonici PP.OO.MM.Segreteria di Direzione 06 6650261Amministrazione 06 66502628/9P. Opera Propagazione della Fede 06 66502626/7P. Opera S. Pietro Apostolo 06 66502621/2P. Opera Infanzia Missionaria 06 66502644/5/6P. Unione Missionaria 06 66502674Missio Giovani 06 66502640Opera Apostolica 06 66502641Fax 06 66410314

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PER AIUTARE I MISSIONARI E LE GIOVANI CHIESE

La Fondazione MISSIO, costituita il 31 gennaio 2005 dalla Conferenza Episcopale Italiana, ente ecclesiastico civilmente riconos ciuto (Gazzetta Ufficiale n. 44 del 22febbraio 2006, è abilitata a ricevere Eredità e Legati anche a nome e per conto delle P ontificie Opere Missionarie. Queste le formule da usare:

PER UN LEGATO· di beni mobili

«... lascio alla Fondazione di Religione MISSIO, con sede a Roma in Via Aurelia796, a titolo di Legato la somma di €... (o titoli, polizze, ecc.) per i fini istituzio-nali dell'Ente».

· di beni immobili

«... lascio alla Fondazione di Religione MISSIO, con sede a Roma in Via Aurelia796, l'immobile sito in ... per i fini istituzionali dell'Ente».

Per ogni chiarimento si può consultare un notaio di fiducia o l'Amministrazione di MISSIO (tel. 06 66502629; e-mail: [email protected])

PER UNA EREDITÀ«... nomino mio erede universale la F ondazione di Religione MISSIO, con sedea Roma in Via Aurelia 796, lasciando ad essa tutti i miei beni (oppure specifi-care quali) per i fini istituzionali dell'Ente. Così dispongo annullando ogni miaprecedente disposizione testamentaria». È possibile ricorrere al testamento semplice nello forma di scrittura privata o condizione che

sia interamente scritto a mano dal testatore, in maniera chiara e leggibile. È necessario inol-

tre che la sottoscrizione autografo posto allo fine delle disposizioni contenga nome e cogno-

me del testatore oltre alla indicazione del luogo, del giorno, mese e anno in cui il testamento

viene scritto.

INTENZIONI SS. MESSE

l Missionari e i Sacerdoti delle giovani Chiese ringraziano per l’invio di offerte per la celebrazione di Sante Messe, anche Gregoriane. La Direzionedelle Pontificie Opere Missionarie raccomanda questo gesto di carità e di comunione con chi serve la Chiesa nei luoghi di prima evangelizzazione.

Sul ccp n. 63062855 specificare: SS. MESSE PER I MISSIONARI · BANCA ETICA - CONTO FONDAZIONE DI RELIGIONE MISSIO - CIN I -ABI 05018 - CAB 03200 - c/c115511 - Cod. IBAN IT 55 I 05018 03200 000000115511

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“F raternità, fondamento e viaper la pace”. Questo è iltema della 47esima Giornata

Mondiale della Pace. Si tratta dellaprima missiva di papa Francesco in oc-casione del tradizionale appuntamentodel primo gennaio, istituito da Paolo VI,l’8 dicembre 1967. Il messaggio di papaBergoglio, quest’anno, è tutto incen-trato sull’importanza di superare una“cultura dello scarto” e di promuoverela “cultura dell’incontro”, per camminareverso la realizzazione di un mondo piùgiusto e pacifico. All’inizio del suo mi-nistero petrino, con un messaggio chesi pone in continuità con quello dei suoipredecessori, papa Francesco propone atutti la via della fraternità, per dare unvolto più umano alla società planetaria,davvero bisognosa di redenzione. Difronte ai molteplici drammi che colpi-scono la famiglia dei popoli - povertà,fame, sottosviluppo, conflitti, migra-zioni, inquinamenti, disuguaglianza, in-giustizia, criminalità organizzata, fon-damentalismi - la fraternità è alcontempo fondamento e via per la pace.D’altronde, la cultura di un benessereincentrato sulla mercificazione delle re-lazioni umane, particolarmente in que-sto primo segmento del Terzo Millennio,fa perdere il senso della responsabilitàe della condivisione. Ecco che, laddovevi è egoismo, l’alterità appare in termini

antagonistici. Come ci raccontano i no-stri missionari, non è raro che, in unacultura globalizzata, fondata solo e uni-camente sulla massimizzazione dei pro-fitti, i poveri siano considerati una sortadi pesante fardello per la società e unimpedimento allo sviluppo. Tutt’al più,essi vengono percepiti come oggetto diaiuto assistenzialistico, all’insegna di unpaternalismo che marca, sempre e co-munque, la distanza tra il benefattoree coloro che vivono nelle periferie delmondo. Gli ultimi, allora, non sono visticome fratelli e sorelle, chiamati a con-dividere i doni del Creato, i beni del pro-gresso e della cultura, a partecipare allastessa mensa della vita in pienezza, adessere protagonisti dello sviluppo inte-grale ed inclusivo. Nella visione di papaBergoglio, la fraternità, dono che vieneda Dio Padre, sollecita all’impegno diessere solidali contro le diseguaglianzee la povertà che determinano l’esclu-sione sociale, a prendersi cura di ognipersona, specie del più piccolo ed indi-feso, ad amarla come se stessi, con ilcuore stesso di Gesù Cristo. In un mondoche assume sempre più le caratteristichedel villaggio globale, accrescendo co-stantemente al proprio interno l’inter-dipendenza, non può mancare il benedella fraternità, che vince il diffondersidi quella “globalizzazione dell’indiffe-renza”, alla quale papa Francesco ha

EDITORIALE

La globalizzazione

di GIULIO [email protected]

(Segue a pag. 2)

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della fraternitàfraternità

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Indice

EDITORIALE

1 _ La globalizzazione della fraternitàdi Giulio Albanese

PRIMO PIANO

4 _ Aung San Suu Kyi in ItaliaFragile leader dallatempra d’acciaiodi Miela Fagiolo D’Attilia

6 _ Delicata transizione democratica in MyanmarTra Occidente e Impero del dragodi Maria Giovanna Meucci

ATTUALITÀ

8 _ Putin, il papa e i dirittiLa dignità umana, anzitutto!di Ilaria De Bonis

11 _ L’esortazione apostolicaEvangelii gaudium

di papa FrancescoUna Chiesa missionaria di gioiadi Pierluigi Natalia

FOCUS

14 _ Dietro le sbarre in MalawiZomba Prison, l’inferno nelle carceridi Patrizia Lavaselli

L’INCHIESTA

18 _ Inquinamento da rifiuti elettroniciVecchi traffici,nuovo business

di Miela Fagiolo D’Attilia

SCATTI DAL MONDO

22 _ In ricordo di MandelaA cura di Emanuela PicchieriniTesto di Giulio Albanese

PANORAMA

26 _ Cam 4 a MaracaiboCoraggio America!Comparte tu fè

di Paolo Manzo

DOSSIER

29 _ Scenari geopolitici africaniAfrica e Brics, a big deal?di Giulio Albanese

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più volte accennato nel suo ma-gistero. Ecco che allora, attra-verso il dono della conversionepersonale e collettiva, siamotutti chiamati a fare spazio, colcuore e con la mente, ad una“globalizzazione della frater-nità” che pervada tutti gliaspetti della vita, compresil’economia, la finanza, la so-cietà civile, la politica, la ricerca,lo sviluppo, le istituzioni pubbli-che e culturali.La sfida, dunque, parafrasandodon Tonino Bello, è quella di af-fermare la “convivialità delledifferenze”, nella consapevo-lezza che le diversità, nella fede,sono grazia di Dio.

(Segue a pag. )d 1

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53 _ MusicaMulatu AstatkeSchizzi d’Etiopiadi Franz Coriasco

54 _ Ciak dal mondoBorderAl confine della guerradi Miela Fagiolo D’Attilia

56 _ LibriUna bici per cambiare il mondodi Lucia Catalano

56 _ Poveri ma felicidi Chiara Anguissola

VITA DI MISSIO

57 _ Giornata Missionaria dei RagazziDestinazione Mondodi Chiara Pellicci

59 _ Solidarietà delle Pontificie Opere MissionarieNella parrocchia di Lopoudi M.F.D’A.

60 _ Spazio GiovaniAnno nuovo, missione nuova!di Alex Zappalà

MISSIONARIAMENTE

61 _ Intenzione missionariaUt unum sint

di Francesco Ceriotti63 _ Osservatorio Sedos

Giovani e “modernità in polvere”di Ilaria Iadeluca

63 _ Inserto PUMIl secolo del rinnovamento della missionedi Alfonso Raimo

37 _ Filo diretto con l’economiaForeste, clima e povertàdi Ilaria De Bonis

MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

38 _ Missionaria per il SudanLa maternità spirituale di Maria Teresa Carlonidi F.M.C.

40 _ Effetto FranciscusPoveri in seminario di Chiara Pellicci

41 _ Un libro che aiuta nella vocazioneAnche la missione ha bisogno di prendersicura di se stessa di Gian Franco Poli

44 _ MutamentiGrande distribuzione e concentrazioni commercialiLe cattedrali del consumismodi Luciana Maci

46 _ L’altra edicolaEquilibri internazionaliAfghanistan-India:scenari 2014di Ilaria De Bonis

49 _ Posta dei missionariIl dono di Hama cura di Chiara Pellicci

RUBRICHE

52 _ ControcorrenteL’arma della pacedi Mario Bandera

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8OSSERVATORI

BALCANI PAG. 10

Droga, povertà, tangentidi Roberto Bàrbera

AFRICA PAG. 17

Musica contro i “signori della guerra”di Enzo Nucci

MEDIO ORIENTE PAG. 28

Arafat e il polonio 210di Ilaria De Bonis

AMERICA LATINA PAG. 39

Argentina, preti contro la drogadi Paolo Manzo

ASIA PAG. 43

Scuole galleggiantidi Francesca Lancini

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Il suo partito, la Legaper la democrazia, cherappresenta in Parla-mento dall’aprile2012, si batte per larevisione della costi-tuzione, dato che «nonè democratica e nonpossiamo spingere ilprocesso di riforme seprima queste modifiche non saranno ef-fettuate. Finché non sarà rivista, nonavremo una vera democrazia».Due i punti dolenti: l’assegnazione deiposti di governo riservati ai militari e ladiscriminazione di birmani con parentistranieri (Suu Kyi ha due figli di nazionalitàbritannica come il loro padre, MichaelAris, morto nel 1999) alla candidaturaalla presidenza del Paese in vista delleprossime elezioni del 2015. La Signora, ocome la chiama la gente Ma-Ma, grandemadre, non conosce stanchezza: «La cosapiù importante è che l’Occidente sappiaquello che sta succedendo. Spesso dal-l’esterno è difficile capire: in apparenza

4 P O P O L I E M I S S I O N E - G E N N A I O 2 0 1 4

PRIMO PIANO Aung San Suu Kyi in Italia

«Q uesto è uno dei viaggi piùbelli della mia vita» ha dettola leader birmana Aung San

Suu Kyi, ricevendo la cittadinanza ono-raria di Roma in Campidoglio il 27ottobre dello scorso anno, e ha ricordato:«Torno in Italia dopo 40 anni, quandoero una studentessa di Oxford» e la suaparticolarissima vicenda umana e politicastava per iniziare. Per oltre 20 anni agliarresti domiciliari, la figlia dell’eroe na-zionale, generale Aung San (ucciso nel1947, quando Suu Kyi aveva solo dueanni), la Signora, come tutti la chiamanoin patria, è diventata icona globalizzatadella non violenza da quando nel 1991le è stato assegnato il Nobel per la Pace,ritirato solo recentemente.Leader dell’opposizione, malgrado l’as-senza dalla scena politica nazionale do-minata dall’oppressivo re-gime militare, Suu Kyi hasempre vissuto una atti-vissima segregazione, scri-vendo libri e ricevendoospiti stranieri di tutte lenazionalità.In quei lunghi e difficilianni, alla sua porta si sonopresentati anche molti ita-liani, come ha ricordato ilministro Emma Bonino chel’ha ricevuta il 28 ottobre scorso al mi-nistero degli Esteri: «Anni fa, ero arrivatada poche ore a Rangoon come unaturista qualsiasi e subito il gentilissimoportiere dell’albergo mi chiese se ero già

andata a visitare la Signora».Nell’aprile 2013, l’allora ministro degliEsteri, Giulio Terzi, l’aveva incontrata aNaypyidaw, nuova capitale politica delMyanmar, a margine del meeting con ilpresidente Thein Sein per l’apertura direlazioni economiche, non solo com-merciali ma anche di partnership im-prenditoriali. Qualche mese dopo, a fine

ottobre, eccola in Italia, ma-gra come un’adolescente di67 anni, il capo sempreadorno di fiori freschi se-condo l’uso tradizionale del-le donne birmane. Parma,Bologna, Roma e Torino(l’attuale sindaco Piero Fas-sino è inviato speciale Ueper la Birmania) sono statele tappe del primo viaggioufficiale nel nostro Paese.

Ovunque Suu Kyi ha ringraziato, augu-randosi che gli amici italiani «rimanganosempre a fianco del mio popolo, che losostengano nel cammino verso la de-mocrazia».

di MIELA FAGIOLOD’ATTILIA

[email protected]

Il suo partito, la Legaper la democrazia, che rappresenta in Parlamentodall’aprile 2012, sibatte per la revisionedella costituzione.

Fragile leader dallatempra d’acciaio

Accolta come un capo di Stato perricevere cittadinanze onorarie elauree ad honorem chiuse da anninel cassetto, Aung San Suu Kyi èarrivata in Italia come testimonialdelle speranze democratiche delpopolo birmano. Ma anche comeambasciatrice delle prospettive disviluppo del Myanmar, per troppidecenni assente dagli scenarigeopolitici internazionali.

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la Birmania sta già attuando riformedemocratiche ma molte cose sono ancorada cambiare. Usate la vostra libertà perpromuovere la nostra».Di libertà religiosa e rispetto dei dirittiumani, Suu Kyi ha parlato nell’incontropiù importante, quello con papa Francescoche ha espresso verso di lei «apprezza-mento per l’impegno civile per la transi-zione democratica» assicurando l’impegnodella Chiesa per questa causa, senza chesi faccia «alcun tipo di discriminazioneperché la Chiesa è al servizio di tutti conle sue attività caritative». Dopo l’incontro,la leader ha detto sorridendo: «Questamattina il Santo Padre mi ha detto una

cosa sulla quale sono davvero d’accordo:le emozioni, le sensazioni come l’odio ela paura sminuiscono la vita e il valoredelle persone. Quindi dobbiamo rafforzarele emozioni più positive, l’amore e lacomprensione, il desiderio di lavorareinsieme per migliorare il nostro mondo».L’attenzione del papa verso l’Asia, e ilsuo desiderio di visitare il continente,ha dato vita ad una «grande sintonia»- come ha detto il portavoce della salastampa vaticana, padre Federico Lom-bardi - su problemi come il traffico diesseri umani, lo sfruttamento di migranti,il dialogo tra le religioni, il rispettodelle minoranze particolarmente per-

seguitate in Myanmar.Certo, anche dopo la sua partenza dal-l’Italia, gli amici italiani continuano alavorare con Suu Kyi. Soprattutto perquello che le sta più a cuore: il futurodei giovani del Myanmar. Per questo giàdue settimane dopo la sua partenza,l’Associazione Amicizia Italia Birmaniaha organizzato la visita a diverse scuoleprofessionali e università italiane di TheinLwin e Thant Lwin Maung, esperti di po-litiche scolastiche che lavorano con laleader birmana che vede nell’istruzionee nella formazione professionale i primigradini per salire verso la realizzazionedi riforme politiche.

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PRIMO PIANO

der come il suo “collega” Nobel per laPace, Obama, o come altri capi di go-verno, sembrano preferire lei come in-terlocutore al presidente birmano, TheinSein. Proprio durante la visita di SuuKyi negli Usa nel settembre 2012, Wa-shington ha revocato le sanzioni (attivedal 2007) contro il presidente Thein

D a un paio di anni Aung San SuuKyi non è più solo una iconama una protagonista attiva

nell’agone politico internazionale. Lea-

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Sein, nei giorni in cui la televisione diStato birmana diffondeva la notiziadella liberazione di 500 prigionieri, dicui 80 incarcerati per reati di opinione.È l’inizio del nuovo corso del Myanmarche nel 2014 presiede l’Association ofsouth-east asian nations (Asean) e nel2015 si recherà nuovamente alle urnecon una prestigiosa candidata alla pre-sidenza: la Signora Aung San Suu Kyi.Sono questi gli appuntamenti più im-portanti per l’ex Birmania che esce daun isolamento internazionale di oltremezzo secolo in cui la Cina è stato ilsuo più presente alleato e vicino di casa.In questo lungo lasso di tempo, unaventina di gruppi etnici armati si sonobattuti per il riconoscimento da partedei bamar, l’etnia più numerosa, conscontri e tensioni a macchia di leopardoin tutto il territorio e in particolare aiconfini con il Bangladesh e con la Cina.

di MARIA GIOVANNAMECUCCI

[email protected]

Tra Occidente eeTra Occidente eImpero del dragoImpero del drago

L’ingresso in parlamento dopo le ultime elezioni, dellaleader del partito d’opposizione Aung San Suu Kyi, èstato un segnale al mondo della volontà del Myanmardi entrare a far parte dello scacchiere geopoliticointernazionale. Il processo è complesso e deve tenereconto degli interessi cinesi nell’area del Sud-estasiatico: la presidenza dell’Association of south-east asiannations (Asean) di quest’anno e le elezioni presidenzialidel 2015 sono due appuntamenti importanti per lademocratizzazione e lo sviluppo dell’ex Birmania.

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Cina. Il gigante cinese in-fatti dipende dal petroliomediorientale portato dallenavi che attraversano glistretti di Ormuz e di Ma-lacca, facilmente control-labili da altre potenze stra-niere, tra cui gli Stati Uniti.La rotta che attraversa ilMyanmar è quindi la piùsicura, senza contare il fattoche il sottosuolo di questoPaese dispone di riserve talida garantire almeno unpaio di anni dei consumienergetici cinesi. Una retedi oleodotti collega i duePaesi mentre in regionicome il Mandalay crescesempre più la presenza ci-nese. L’Impero del drago èil principale fornitore diarmi al Myanmar: in basead un accordo del 1990l’esercito birmano è attrez-zato di equipaggiamento,blindati, artiglieria e armileggere made in China. Gliaccordi di partenariato non

si traducono però in una facile convi-venza con i “colonizzatori” cinesi cherestano chiusi nelle loro comunità locali,non parlano il birmano e sono mossisolo da interessi economici.

ETNIE IN LOTTANel giugno 2011 le autorità birmanehanno dovuto difendere gli operai cinesidel complesso idroelettrico Tarpein Hi-

dropower Project, impegnatia costruire una grande digasull’Irradwady per rifornirela provincia cinese dello Yun-nan, dagli attacchi dei guer-riglieri dell’etnia locale kachin(Kachin Indipendence Army).Da decenni il Paese non trovapace a causa delle forti di-scriminazioni dell’etnia prin-cipale (68%), i bamar, sullealtre minoritarie (9% shan,

7% karen, 4% rakhine, 3% cinese, 2%indiana e il restante 5% costituito daaltri 130 gruppi). Scontri, discriminazioni,violenze sono all’ordine del giorno,anche là dove è la religione a marcarela differenza tra una etnia e l’altra.Come nel casodella popolazionemusulmana deiRohinga, che vi-vono nella regio-ne di Rakhine,buddhisti comela maggioranzadella popolazione(89%). «C’è pauranel Paese» ha di-chiarato al-l’Agenzia Fidesl’arcivescovo diYangon, Charles Maung Bo. «Gruppiestremisti buddisti alimentano l’odio ela violenza interreligiosa verso i mu-sulmani, ma sono pochi. Alcuni dei mo-naci buddisti hanno offerto rifugio allevittime e diffuso dichiarazioni di pacee di riconciliazione. La Chiesa è impe-gnata nel promuovere il dialogo e co-struire l’armonia». Dopo la lunghissimadittatura militare durante la quale ilMyanmar si è chiuso nei suoi confini,consumandosi nelle lotte interetniche,oggi il Paese si rende conto di duegrandi esigenze: una rete di relazionicon l’Occidente e la pacificazione interna.Quest’ultima sembra la conditio sinequa non per progettare un vero sviluppodel Myanmar, anche se decenni di odioe violenze non si superano solo con ledichiarazioni di intenti. Il presidentebirmano Thein Sein durante la visitanegli Stati Uniti del maggio dello scorsoanno aveva promesso di impegnarsi«per creare una società pacifica e ar-moniosa» senza invece di fatto adottareprovvedimenti per interrompere il pro-cesso di persecuzione contro le etnieminoritarie, spesso costrette a rifugiarsioltre i confini, a Nord-est in Cina e inLaos a Ovest, per le minoranze musul-mane, in Bangladesh.

Su questo problema, che tanto è co-stato al Paese in termini di vite umane,la Signora non si è mai schierata, man-tenendo un silenzio che oggi, malgradol’innegabile fascino di “icona dei dirittiumani” l’Occidente le rimprovera. An-che gli eredi di quel pesante regime mi-litare, che l’hanno costretta agli arrestidomiciliari per due decenni, sembranoora ben lieti di vederla girare per ilmondo, mentre dallanuova capitale di cementoNaypyidaw, il presidentebirmano Thein Sein man-tiene i rapporti con laCina.

IL GIGANTE CINESEPer posizione geograficae ricchezza del sottosuolo,il Myanmar ha sempre at-tirato gli interessi della

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Delicata transizione democratica in Myanmar

Incontro tra il presidente birmano TheinSein e il presidente cinese Xi Jinping.La Cina è attualmente il principalepartner commerciale del Myanmar.

Da un paio di anniAung San Suu Kyinon è più solo unaicona ma unaprotagonista attivanell’agone politicointernazionale.

Dopo la lunghissimadittatura militareoggi il Paese sirende conto di duegrandi esigenze: unarete di relazioni conl’Occidente e lapacificazione interna.

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La dignità umana, anzitutto!

La dignità umana, anzitutto!

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ATTUALITÀ Putin, il papa e i diritti

R eligione, economia, diritti umanie sociali, conflitti, giustizia, pace.Non esistono separazioni nette

tra la gestione delle libertà religiose e lapace universale; tra la violazione deidiritti interni e la gestione delle relazioniinternazionali. Papa Francesco il principioosmotico della globalizzazione geopoliticalo conosce davvero bene e lo ha messoin pratica in modo perfetto nella letteraindirizzata allo “zar” Vladimir Putin nel

sfiorato il capitolo dei rapporti con laChiesa ortodossa, che è tra i dossier piùdelicati. E che resta ancora aperto.Il Papa sa bene che un invito da parte diPutin a raggiungerlo a Mosca sarebbe ilsegno del disgelo con la Chiesa ortodossa,e sta lavorando anche a questo.Così come sa che gli sforzi verso la pacein Medio Oriente dipendono moltissimodalla posizione che assumerà la Federa-zione russa: Putin gioca un ruolo centralenel negoziato siriano.Ma il fulcro di tutto il suo operare rimanesostanzialmente uno: le questioni interneinfluenzano non poco le relazioni inter-nazionali col resto del mondo, ed ogniviolazione dei diritti che avviene all’internodello sconfinato Paese russo è d’ostacoloe d’oltraggio al disegno di una pace uni-versale. Il fine ultimo di papa Bergoglio.

LIBERTÀ RELIGIOSA E DIRITTILa libertà e il rispetto della religione cri-

settembre scorso, quando il presidenterusso presiedeva il vertice del G20 a SanPietroburgo.«L’economia mondiale potrà svilupparsirealmente nella misura in cui sarà ingrado di consentire una vita degna atutti gli esseri umani, (…) non solo ai cit-tadini dei Paesi membri del G20, ma adogni abitante della terra», scrisse allora.E lo ha tenuto bene a mente più direcente, quando ha incontrato Putin inVaticano il 25 novembre scorso. Soprat-tutto di Siria hanno parlato il ponteficee il presidente russo; ma non solo. Hanno

di ILARIA DE [email protected]

Vladimir Putin ha incontrato papa Francesco il 25 novembredello scorso anno a Roma. L’udienza è stata centrata sultema della guerra in Siria ma si è parlato anche di relazionicon la Chiesa ortodossa e di rispetto della dignità umana,uno dei talloni d’Achille della Russia contemporanea, al topdelle classifiche internazionali per violazioni delle libertà.

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ortodosso Kirill» ma «non si sonotrattate questioni ecumeniche. Iproblemi del dialogo ortodosso-cattolico e la questione dell’in-contro tra i due primati rimangonoun affare interno alle due Chiese»,ha ricordato il segretario del Di-partimento per le relazioni in-ter-cristiane, Dmitri Sizonenko.Al papa, più che la politica insenso stretto, interessa il rispettodella dignità umana, sotto ogni profilo ead ogni latitudine. Con ogni mezzo la sipossa tutelare.Quest’incontro, ha dichiarato Sizonenko,è stato una sorta di «sincronizzazionedegli orologi» per un ulteriore sviluppodella cooperazione tra lo Stato russo e laChiesa «in nome della difesa dei valorimorali fondamentali, della vita, del rispettodella dignità della persona». Ed ecco ilvero tallone d’Achille della Russia con-temporanea. Il papanon ne ha parlatoin modo esplicito,

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ma lo ha fatto in modo indiretto. Le vio-lazioni dei diritti umani sono sotto gliocchi di tutti.Su questo fronte, negli ultimi due anni,le cose in Russia sono, se possibile, anchepeggiorate rispetto al passato. Da quandoè tornato al potere, nel 2012, il presidenteha inasprito leggi, represso dissensi,elargito pene esemplari per cosiddetti“atti vandalici”.Tanto che Amnesty International, HumanRights Watch (HRW) e Freedom Househanno stilato la lista nera delle perfor-

mance di Putin e del governo alpotere.Il World Report dell’americanaHRW dedica nove pagine allaRussia: «Dopo la sua rielezione ilpresidente Putin ha fatto regre-dire i pochi, timidi passi avantisulle libertà civili, compiuti dalsuo predecessore Dimitri Med-vedev, e ha realizzato una re-pressione senza precedenti control’attivismo. Alcune nuove leggidivulgate nel 2012 restringonole libertà d’assemblea e d’espres-sione all’interno delle ong. Nuove

leggi locali discriminano gli omosessuali».La situazione di semi-schiavitù nellecarceri, l’uso di sistemi vicini alla tortura,la repressione della libertà di stampasono tutti segnali evidenziati da Amnestyed altre ong. Che sia un caso oppure no,a pochi giorni dall'incontro con il papala Duma ha approvato un progetto diamnistia per alcuni reati di “vandalismo”che chiuderà grossi contenziosi interna-zionali, come quello con Greenpeace.Anche essere ambientalisti agguerriti erompere le uova nel paniere dei pe- »

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stiana dentro e fuori la Federazione russaè una chiave di lettura: si è parlato «dellasituazione critica dei cristiani in alcuneregioni del mondo, nonché della difesa epromozione dei valori riguardanti la di-gnità della persona, e la tutela della vitaumana e della famiglia», ha spiegatopadre Lombardi alla stampa al terminedei colloqui.Nell’udienza con papa Bergoglio il leaderrusso «ha portato il saluto del patriarca

A sinistra:

Vladimir Putin, dal 4 marzo 2012 per laterza volta ricopre la carica di Presidentedella Repubblica federale Russa.Sotto:

Dimitri “Dima” Litvinov, uno dei 30attivisti di Greepeace arrestati dalleautorità russe il 18 settembre scorso abordo della Arctic Sunrise, mentreprotestavano contro le trivellazioni dellaGazprom, prima piattaforma petrolifera adoperare in Artico. Attualmente tutti ifermati sono stati scarcerati.

Al papa, più che la politica in sensostretto, interessa il rispetto della dignità umana, sotto ogni profilo e ad ogni latitudine. Con ogni mezzo la sipossa tutelare.

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ATTUALITÀ

Una violenza, testimoniata da video, pro-teste, lettere, manifestazioni, che perònon trovano spazi di ascolto e diffusioneadeguati. Inoltre la preparazione delleOlimpiadi ha richiesto la presenza dioltre 70mila lavoratori, molti dei qualistranieri e migranti che subiscono sfrut-tamento, ricevono paghe bassissime per12 ore al giorno di lavoro, con un soloriposo al mese, e si vedono confiscare ipassaporti.Quella di Sochi è la battaglia russa nu-mero uno di HRW e c’è da scommettereche “zar” Putin abbia parecchi altriconti in sospeso con attivisti, giornalisti,legali e semplici cittadini. Peccato chefinora la comunità internazionale loabbia penalizzato ben poco per questasua mania di repressione continua e si-stematica. Certamente non lo ha fattoil nostro Paese che con Putin a finenovembre scorso ha siglato ben 28intese commerciali e sette accordi in-tergovernativi. D’altra parte, si è detto,c’è una ripresa da agganciare e inquesto senso «il rapporto con la Russiaci può dare posti di lavoro in settoriper noi strategici». Pazienza se il mercatoignora il diritto e se il business nonguarda in faccia alle libertà violate. Ilcontrario di quanto fa papa Francesco,in ognuno dei suoi approcci globali emirati alle questioni più particolari eapparentemente settoriali.

trolieri non conviene nella terra di Putin:i 30 attivisti di Greenpeace, tra cuil’italiano D’Alessandro, sono stati liberatie godranno probabilmente dell’amnistiaappena concessa. «I nostri Arctic30 sonostati accusati di vandalismo e di pirateriadalle autorità russe per aver protestatopacificamente contro le trivellazioni nel-l’Artico si legge nel sito di Greenpeace. I30 sono entrati in azione perché sannoche è sbagliato cercare petrolio in quel-l’area così delicata e importante per ilnostro pianeta. Per queste accuse assurdeora rischiano anni di carcere, pur essendosolo colpevoli di pacifismo».

ANCHE LE OLIMPIADI SENZA DIRITTILa storia meno nota e più drammatica èquella delle violazioni dei diritti umani,in preparazione dei Giochi olimpici 2014a Sochi sul Mar Nero. Le amministrazionilocali sono passate sopra i diritti dei cit-tadini lì residenti, espropriandoli. Quelloche accade a Sochi è sconcertante: perfar posto alle infrastrutture, agli hotel,alle piste, alle strade, scrive Human RightsWatch, «il governo russo ha espropriatocirca duemila famiglie ma non tuttehanno ricevuto compensazioni per gliespropri; molte di quelle trasferite altrovehanno perso la loro principale fonte disostentamento perché dipendevano dal-l’agricoltura o dagli affitti delle loro casedurante la stagione estiva o invernale».

Putin, il papa e i diritti

N el dicembre 2013, in occasione del decimoanniversario della Convenzione delle Na-

zioni Unite contro la corruzione, si è riunita aSarajevo la Conferenza regionale sulla lottaalla corruzione. L’assise, organizzata dall’Ufficiodelle Nazioni Unite per il controllo della drogae la prevenzione del crimine (Unodc) e dalMinistero della sicurezza della Bosnia ed Erze-govina, in collaborazione con la Commissioneeuropea e il Programma di sviluppo dell’Onu(Undp), ha riunito un centinaio di rappresentantidei Paesi del Sud-est europeo e numerosiesponenti di organizzazioni internazionali.L’obiettivo dell’incontro era la costruzione diuna strategia unitaria contro la corruzione. Lasfida appare molto impegnativa. Un recentestudio dell’Unodc “Affari, corruzione e criminalitànei Balcani occidentali”, ha mostrato comenel corso di 12 mesi un’azienda su dieci, nelcaso di contratti con le pubbliche amministra-zioni, sia stata costretta a pagare tangenti.Inoltre, sempre secondo Unodc, sono almeno60 le tonnellate di eroina che ogni anno, dal-l’Afghanistan, arrivano in Europa attraverso laBalkan Route, la via balcanica della droga, perun valore di 13 miliardi di dollari. Yury Fedotov,direttore esecutivo dell’agenzia Onu, ha sotto-lineato come i proventi dal narcotraffico possonoavere un effetto destabilizzante sulle economiee sullo sviluppo sociale della regione e che glieffetti di questo fenomeno possono inciderenegativamente sul percorso d’integrazione eu-ropea dei Paesi balcanici. Unodc ha lanciatoun programma di controllo dei container nelporto albanese di Durazzo, condotto intervistee analisi sul legame tra traffico di droga e cor-ruzione e preparato una bozza del nuovoPiano d’azione contro il traffico di droga e ilterrorismo in Montenegro. Secondo un son-daggio del 2010 i cittadini dei Balcani hannoposto tra i principali problemi dell’area al terzoposto la corruzione, dopo la disoccupazione ela povertà. A molti anni dalla dissoluzionedella ex Jugoslavia e dalla caduta della dittaturain Albania, le cose in quella parte del mondonon sembrano per nulla migliorate.

di Roberto Bàrbera

DROGA, POVERTÀ,TANGENTI

OSSERVATORIO

BALCANI

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Nell’esortazione apostolica Evangelii gau-dium di papa Francesco, promulgata aconclusione dell’Anno della Fede, non

c’è solo il tradizionale messaggio che i papi ri-volgono alla Chiesa dopo un sinodo dei vescovi,in questo caso quello dello scorso anno sullacosiddetta nuova evangelizzazione. Del resto, vimanca la tradizionale dicitura “post-sinodale”.Si deve, invece, a giusta ragione, parlare di unmanifesto programmatico di un pontificato chefin dai primi gesti e dalle prime parole hacolpito profondamente in questi mesi i cuori,

all’interno e all’esterno dellaChiesa. Ne fanno fede tantola dimensione - 220 paginenella versione italiana -quanto i temi trattati.Il testo, un’esortazione apo-stolica appunto, è rivoltoai cattolici (vescovi, presbi-teri, diaconi, persone con-sacrate, fedeli laici). La ti-

tolazione specifica che riguarda l’annuncio delVangelo nel mondo contemporaneo. L’espressione“nuova evangelizzazione”, pur presente nel testo,dunque non vi compare. Si tratta di un »

L’esortazione apostolica Evangelii gaudium di papa Francesco

Una Chiesa

Un documento pontificio che è soprattuttoun manifesto programmatico del nuovopapato: con l’Evangelii gaudium papaFrancesco traccia il cammino dei prossimianni per una Chiesa che vive nella gioia.

missionaria

di PIERLUIGI [email protected]

di gioia

Il papa sceglie disoffermarsi su sette punti,uniti da un preciso filoconduttore: il compitomissionario della Chiesa.

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ATTUALITÀ

aspetto significativo. Papa Francesco,infatti, fin dall’inizio del documento af-ferma di rivolgersi ai fedeli cristiani perinvitarli «a una nuova tappa evangeliz-zatrice» marcata dalla gioia che «conGesù Cristo sempre nasce e rinasce». Eaggiunge esplicitamente di voler «indicarevie per il cammino della Chiesa neiprossimi anni».La strada indicata è quella della «con-versione pastorale e missionaria». Singolicredenti e comunità ecclesiali sono chia-mati a trasformare nel profondo con-

suetudini, stili, linguaggio, strutture,orientandoli verso l’evangelizzazionepiuttosto che verso l’autopreservazione.Su questa strada serve la disponibilità afarsi permeare dalla gioia evangelica ea farsene missionari nel mondo. «Cisono cristiani che sembrano avere unostile di Quaresima senza Pasqua», scrivesubito il papa, pur aggiungendo il rico-noscimento che la gioia non si vive allostesso modo in tutte le tappe e circo-stanze della vita. «Capisco le personeche inclinano alla tristezza per le gravi

difficoltà che devono patire – dice ilpapa - però poco alla volta bisognapermettere che la gioia della fede comincia destarsi, come una segreta ma fermafiducia, anche in mezzo alle peggioriangustie».Nonostante l’imponenza del documento,il papa rinuncia a trattare «gli innume-revoli temi connessi all’evangelizzazionedel mondo attuale». Infatti dice di nonritenere opportuno «che il papa sosti-tuisca gli episcopati locali nel discerni-mento di tutte le problematiche che siprospettano nei loro territori. In questosenso, avverto la necessità di procederein una salutare “decentralizzazione”».Il papa sceglie di soffermarsi su settepunti, uniti da un preciso filo conduttore:il compito missionario della Chiesa (ilprimo punto è proprio “La riforma dellaChiesa in uscita missionaria”). Nel testonon manca la presa d’atto di situazionidi latitanza, se non di peccato toutcourt. In questo senso, tra i punti indicatidal papa figura al secondo posto quellosulle tentazioni degli operatori pastorali,dal disincanto all’autoreferenzialità.Segue la riflessione sul sacerdozio co-mune dei battezzati, nel capitolo sullaChiesa intesa come la totalità del Popolodi Dio che evangelizza. Chiara e puntualeè qui – e non solo – l’insistenza sullaricchezza insostituibile della donna e laprecisazione che quella ministeriale èuna gerarchia di servizio, non di potere,tanto meno di prevaricazione maschilista.Significativo è il riferimento al fattoche il confessionale non può essere un«luogo di tortura» e l’affermazione che«la Chiesa non è una dogana, è la casapaterna dove c’è posto per ciascunocon la sua vita faticosa». Di qui l’invitoa riscoprire la misericordia come «la piùgrande di tutte le virtù», evitando chenella predicazione «alcuni accenti dot-trinali o morali» oscurino eccessivamenteil messaggio di amore del Vangelo.Il quarto punto riguarda il ruolo specificodei pastori con particolare riferimentoall’omelia e alla sua preparazione. Se-condo papa Francesco l’omelia non deve

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nomia senza volto e senza uno scopoveramente umano. La crisi mondialeche investe la finanza e l’economia ma-

nifesta i propri squilibri e,soprattutto, la grave man-canza di un orientamentoantropologico che riducel’essere umano ad unosolo dei suoi bisogni: ilconsumo». Le responsabi-lità sono chiare e i cattolicinon possono ignorarle: ilpapa ricorda che lo squi-librio tra i pochi che hannotantissimo e i moltissimiche non hanno nulla de-riva «da ideologie che di-fendono l’autonomia as-soluta dei mercati e la

speculazione finanziaria».Su questo primato della persona umanail papa innesta anche la riflessione suldialogo con le altre confessioni e con

le diverse culture. Il documento si con-clude con le motivazioni spirituali perl’impegno missionario, perché per essereevangelizzatori con lo Spirito «non ser-vono né le proposte mistiche senza unforte impegno sociale e missionario,né i discorsi e le prassi sociali e pastoralisenza una spiritualità che trasformi ilcuore».Come ogni testo pontificio, anche l’Evan-gelii gaudium è densa di citazioni. Undocumento tanto ponderoso necessitadi studio e approfondimento reiterati.Ma un elemento appare particolarmentesignificativo già a una prima lettura:oltre ai riferimenti biblici e a quelli aipredecessori, soprattutto Paolo VI, e alConcilio, i testi richiamati vengono dalleConferenze episcopali latinoamericane,africane, asiatiche e australiane. L’ec-clesialità non è più eurocentrica. Lamissio ad gentes ha oggi nuovi ed evi-denti poli d’irradiazione.

L’esortazione apostolica Evangelii gaudium di papa Francesco

essere uno sfoggio di preparazione teo-logica o uno strumento di trasmissionedi convinzioni proprie, ma un momentopropriamente liturgico, de-stinato a contribuire al pe-renne dialogo tra Dio e ilsuo popolo. Un momentoda preparare ogni volta ac-curatamente, per farsi per-meare dalla Parola di Dio.Estremamente chiara, neicapitoli dedicati all’inclu-sione sociale dei poveri ealla pace e dialogo sociale,è la reiterazione della Dot-trina sociale della Chiesacon la denuncia di quelleche il papa chiama economiadell’esclusione e dell’iniquitàe idolatria del denaro. Papa Francescoripete con forza la sua denuncia dellaglobalizzazione dell’indifferenza dinanzial grido di dolore degli altri, della“cultura dello scarto” nella quale «siconsidera l’essere umano in se stessocome un bene di consumo, che si puòusare e poi gettare».A quasi mezzo secolo dalla Populorumprogressio di Paolo VI, papa Francescone riprende il senso profondo e toglieogni alibi, almeno per i cristiani, a quelliberismo – un pervertimento del con-cetto di libertà - che di fatto si ètradotto sempre in discriminazione. «Al-cuni – scrive - ancora difendono leteorie della “ricaduta favorevole”, chepresuppongono che ogni crescita eco-nomica, favorita dal libero mercato,riesce a produrre di per sé una maggioreequità e inclusione sociale nel mondo.Questa opinione, che non è mai stataconfermata dai fatti, esprime una fiduciagrossolana e ingenua nella bontà di co-loro che detengono il potere economicoe nei meccanismi sacralizzati del sistemaeconomico imperante. Nel frattempo,gli esclusi continuano ad aspettare».Secondo papa Francesco, l’adorazionedel biblico vitello d’oro «ha trovato unanuova e spietata versione nel feticismodel denaro e nella dittatura di una eco-

Come ogni testopontificio, anchel’Evangelii gaudium

è densa di citazioni. Un documentotanto ponderosonecessita di studioe approfondimentoreiterati.

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FOCUS Dietro le sbarre in Malawi

I l Malawi è uno dei Paesi africanipiù pacifici. Quando si arriva laggiùsi respira un’aria amichevole e sembra

strano che vi possa essere un tasso dicriminalità così alto al punto di contarecirca 13mila carcerati su una popolazionedi 15 milioni di abitanti. Purtroppomolti crimini sono una conseguenzadella povertà estrema.

Sono stata parecchi mesi nel repartofemminile del carcere di Zomba, costruitonel 1905 per accogliere un massimo di200 prigionieri. Oggi sono presenti2.300 persone che vivono al limite dellasopravvivenza. Purtroppo questa con-dizione non si verifica solo nella prigionedi Zomba, ma in tutti i carceri delMalawi dove il sovraffollamento e lecondizioni di vita estreme sono dram-matiche.Zomba sembra una fabbrica della sof-

ferenza dove la parola diritto non esiste.La macchina della legge è inadeguatae profondamente ingiusta: molti car-cerati sono in attesa di giudizio da annie non hanno speranza di potersi avvaleredi un avvocato, dati i costi. Talvoltal’attesa dura molto di più del tempodella pena da scontare.

CARCERE ANCHE PER I BAMBINIQuelli che più di tutti ne pagano leconseguenze sono i bambini, che devono

Zomba Prison,Zomba Prison,l’inferno nelle carceri

Nella prigione di Zomba, carcere di massimasicurezza in uno dei Paesi più pacifici dell’Africa, ilMalawi, si contano oltre duemila carcerati. Un’atrocee disumana fabbrica della sofferenza, dove la parola“diritti” non esiste. Neanche per i bambini.

di PATRIZIA [email protected]

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stare con le loro mamme in quell’infernoperché fuori non sempre hanno unafamiglia che può prendersi cura di loro.Nessun trattamento di favore per i pic-coli, anche se non hanno alcuna colpaa parte quella di esserenati nel posto sbagliato almomento sbagliato.Mangiano lo stesso cibotutti i giorni: polenta confagioli sconditi, qualchefoglia delle verdure del-l’orto. Gli ortaggi buonisono l’alimento delle guar-die, mentre i piccoli sof-frono di malnutrizione.Possono stare con la mamma fino alcompimento dei cinque anni. Poi, se lapena della madre è maggiore o, addi-rittura, sine die, il bambino viene al-lontanato dalla madre: spesso, però,

non c’è nessuno che può prendersi curadi lui.A volte i bambini nascono direttamentein carcere e la loro visione della vitainizia dalle pareti di mattoni circondatedal filo spinato e tracce di cielo. Dor-mono ammassati in fetide camere,chiuse dalle 15,30 del pomeriggio finoalle 5,30 del mattino, senza bagno: de-vono utilizzare dei barattoli per i lorobisogni. I muri e i materassi sono marci,infestati di scabbia e pidocchi. Di nottei topi camminano liberamente anchesui corpi dei bambini, attirati dal ciboche le madri cercano di conservare inrudimentali contenitori.

DIGNITÀ NEGATALa latrina all’esterno è incondizioni disumane. An-che un filo per stenderei panni diventa un lusso.Niente sapone, niente de-tersivo. Niente di niente,solo stracci.La cucina è talmente in-tasata di fumo che non

si riesce a respirare e tenere gli occhiaperti. Niente di buono, si cucina lasolita polenta mescolata alla terra, con-dita da fagioli che non sanno di nulla,ogni giorno, per tutto l’anno. Viene »

Molti carcerati sonoin attesa di giudizioda anni e non hannosperanza di potersiavvalere di unavvocato, dati i costi.

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FOCUSFOCUS

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servita una carne, immangiabile, solodue volte l’anno, quando va bene. Tal-volta la pazzia si insinua nelle mentidelle persone più fragili e la cura piùutilizzata sono le manette ai polsi e aipiedi. Non c’è nessuna pietà per chisoffre.Le guardie, oltre a portarvia tutto ciò che è pos-sibile, si fanno servire eriverire sonnecchiandosu qualche materassosottratto alle prigioniere.Talvolta ricorrono allaviolenza fisica e a biechiricatti per ottenere pre-stazioni di altro genere.Le detenute anziane sonopenalizzate perché ammalate e allostremo delle forze. Manca quasi total-mente un’assistenza medica e non cisono medicinali. La debilitazione fisicalascia i prigionieri esposti anche allepiù semplici infezioni e malattie con-tagiose. Patologie molto diffuse sonotubercolosi, malaria, meningite, aids,

scabbia e malattie della pelle. Frequenti,quasi quotidiani, i forti dolori alla testae all’addome a causa della malnutri-zione.È molto difficile mantenere una buonaigiene del corpo in quanto manca il

sapone. Da parte del go-verno dovrebbe essernegarantito uno al mese aciascun detenuto, ma spes-so, a causa di un sistemadi corruzione e disonestàdelle guardie stesse, ai pri-gionieri viene negato anchequel sapone.Nel carcere di Zomba nonc’è nessuna speranza. Lanoia e l’inedia sono le peg-

giori nemiche: uccidono, alienano, por-tano alla pazzia o alla depressione.Tutto è sempre uguale, giorno dopogiorno.In carcere è facile esplodere, diventareimprovvisamente violenti e poi, altret-tanto velocemente, farsi sopraffare dal-l’abulia più totale, perdere il senso della

propria identità. Tutto ciò succedeperché nessuno pensa ad un vero re-cupero e riabilitazione di queste persone.Hanno sbagliato, ma stanno pagandocari i loro errori.L’unica pena di cui si occupano i re-sponsabili del carcere è di ridurre i de-tenuti ad automi autocommiseranti,senza dare loro la possibilità di rielaborareil proprio vissuto, nella maggior partedei casi consumatosi drammaticamente.

A volte i bambininascono in carcere ela loro visione dellavita inizia dalle pareti di mattoni circondatedal filo spinato e tracce di cielo.

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Dietro le sbarre in Malawi

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scuola materna per accogliere i piccoliospiti delle carceri, affinché possanoevadere dalle mura e vivere almenouna parte di giornata in modo normale,come fanno tutti i bambini del mondo.L’asilo accoglie anche i figli delle guardieche, spesso, non sanno dove lasciare iloro piccoli. Una strana convivenza aprima vista, ma assolutamente funzio-nale e costruttiva per tutti. Il nome diquesto progetto è Happy Island, perchéanche le parole aiutino a mettere afuoco con immediatezza l’obiettivo:dare ai bambini un’isola felice dovegiocare, imparare e vedersi garantitaun’alimentazione corretta. L’asilo sichiama Tikondane che, in lingua chicewa,significa “amare”. Per le aule sono statiforniti gli arredi e il materiale didattico,agli insegnanti è stata assicurata unaformazione adeguata. Ora si deve ga-rantire continuità a questo progetto,

aiutando queste donne efornendo loro un’assistenzaindispensabile per una vitapiù dignitosa. Nel frattem-po abbiamo avviato unapiccola attività artigianaledi sartoria affinché, con lavendita dei manufatti, ledetenute possano guada-gnare qualche soldo percomprare il cibo e potersialimentare in modo piùcorretto.Il responsabile del progettonella prigione di Zomba èpadre Piergiorgio Gamba,missionario monfortano,presente in Malawi da moltianni e impegnato su diversifronti nell’aiuto concretoe spirituale. È membro del-l’Ispettorato delle Prigioni,partecipa alla stesura delRapporto annuale per ilParlamento e lavora assi-duamente per migliorarele condizioni di vita deicarcerati nel Paese.

Le detenute, nonostante tutto, hannovoglia di studiare e di imparare.

UN PROGETTO PER SPERAREIl contatto diretto che ho avuto con ledonne prigioniere, fornendo il materialepittorico e dando loro la possibilità diesprimersi, ha permesso a molte di sco-prire le proprie potenzialità, la propriaidentità. Quando ciò non è accaduto,la pittura è stata comunque un’occasionedi divertimento per un’attività maisvolta prima.Abbiamo colorato insieme, si sono rac-contate, hanno ballato, cantato, recitato,giocato.L’arte è un mezzo che permette la co-municazione su differenti livelli e leprotagoniste di questo laboratorioespressivo, oltre ad essere state gratifi-cate, si sono ricordate di esistere.In questo contesto è stata allestita una

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M usica rap contro il terrorismo, rime instile hip hop per fermare i fondamen-

talisti islamici. Ma chi canta versi pacifisti ri-schia la morte. Lo sanno bene gli otto com-ponenti del gruppo Waayaha Cusub (laNuova Era) che vivono a Eastleigh, quartieredi Nairobi conosciuto come “la piccola Mo-gadiscio” per la presenza di un numero im-precisato di somali, tra i 250 ed i 500mila.Sono in maggioranza clandestini, senza do-cumenti e permessi di soggiorno, arrivatiqui a partire dal 1991 allo scoppio dellaguerra civile. Il leader e fondatore dei Waa-yaha Cusub è Shiine Akhyaar, 31 anni,giunto nel 1997 nella capitale kenyana dopola fuga con la famiglia dalla Somalia centrale.Il primo cd del 2004 denunciava i “signoridella guerra” che spadroneggiavano in pa-tria. Poi altre rime contro le Corti islamiche:troppo per gli estremisti. Così l’11 ottobre2007 un gruppo armato fa irruzione nellasua abitazione ferendolo gravemente concinque proiettili. Senza esito le indagini dellapolizia. Sei mesi di degenza in ospedale eShiine torna alla carica con un altro cd dal-l’eloquente titolo “No agli shabaab”, i fon-damentalisti somali sostenuti da Al Qaeda.Già nel novembre 2011 George Saitoti, mi-nistro kenyano della Sicurezza, dichiarò inparlamento che «gli shabaab sono un ser-pente con la testa a Eastleigh e la coda aMogadiscio» prima di morire in un miste-rioso incidente durante un trasferimento inelicottero. L’attentato al centro commercialeWestgate di Nairobi del 21 settembre delloscorso anno riporta di nuovo a Eastleigh,dove i sostenitori degli shabaab sono moltoattivi: si riuniscono in una moschea, orga-nizzano raccolte di fondi e costituiscono ilbrodo di coltura ideale per gli aspiranti ter-roristi. Nei fatti controllano il quartiere enulla possono le autorità kenyane. La can-tante dei Waayaha Cusub è stata aggreditae ferita a coltellate in strada. Ora vive inclandestinità. Sul suo capo pesa una sen-tenza di morte: ad una donna non è con-sentito cantare, meno che mai contro gli in-tegralisti.

di Enzo Nucci

MUSICA CONTRO I“SIGNORI DELLA GUERRA”

OSSERVATORIO

AFRICA

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L’INCHIESTA Inquinamento da rifiuti elettronici

Vecchi traffici, nuovo business

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L a mappa delle capitali della spazza-tura industriale localizza alcuni“buchi neri” del Sud del mondo, in

particolare in Africa e nel Sud-est asiati-co. La denuncia viene dal Blacksmith In-stitute, una organizzazione non governa-tiva americana, impegnata dal 2007 a pro-muovere progetti di bonifica dell’ambien-te in partenariato con la Croce verde in-ternazionale, fondata da Mikhail Gorbaciov.Secondo l’Organizzazionemondiale della Sanità (Oms), il23% delle morti nei Paesi po-veri è dovuto a cause am-bientali: l’esposizione prolun-gata a prodotti chimici presen-ti nella terra, nell’acqua e nel-l’aria può provocare avvelena-menti, deficienze cognitive,malformazioni fisiche, proble-mi respiratori, tumori e leuce-mie. Diverse sono le cause del-l’inquinamento, a volte so-vrapposte in una perversa si-nergia che vede in campo itraffici delle ecomafie, la di-spersione di scorie industrialinei corsi d’acqua, gli effetti di disastri nu-cleari, l’accumulo di rifiuti in discarichesempre più piene di rifiuti tecnologici.

CUPI ORIZZONTINella hit parade del Blacksmith Institutesi trovano le situazioni più critiche del pia-neta. A partire dal fiume più inquinato delmondo, il Citarum che attraversa la pro-vincia di Bandung, in Indonesia, dove an-che un altro fiume, il Kalimantan (isola delBorneo), trasporta il mercurio derivato dal-l’estrazione d’oro dalle miniere, provocan-do gravi intossicazioni agli abitanti dellazona. Anche in Argentina, l’avvelenamen-to delle acque per le scorie delle industriechimiche fa del bacino Matanza-Riache-lo il principale veicolo di inquinamento del-

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la provincia di Buenos Aires. In Africa lagrande regione del Delta del Niger è a ri-schio per lo sfruttamento del sottosuoloricco di petrolio (due milioni di barili nel2012), distribuito attraverso una rete divecchie pipelines da cui l’oro nero fuorie-sce nel terreno, contaminando gli af-fluenti. Nell’ex Unione Sovietica non man-cano zone a gravissimo rischio per la sa-lute umana e per l’ambiente. Dal vecchiosito nucleare di Cernobyl in Ucraina, dovepiù di dieci milioni di persone sono anco-ra minacciate dalle radiazioni della cata-strofe del 1987, a Dzerhinsk, in Russia, un

tempo capitale delle industriechimiche produttrici anche diarmi belliche, mentre in Sibe-ria, a Norilsk (vecchio gulag ecittà industriale creata daStalin) le miniere di nikelsono responsabili della diffu-sione nell’ambiente di unatale quantità di diossina da ri-durre l’aspettativa di vita dei135mila abitanti di un nume-ro significativo di anni. Anchein Zambia, a Kabwe, lo sfrut-tamento delle miniere dipiombo e zinco, interrottoda 20 anni, ha lasciato in ere-dità il saturnismo che afflig-

ge buona parte della popolazione dellazona, soprattutto bambini. C’è poi l’elen-co delle grandi discariche, sparse nel Suddel mondo come monumenti della pover-tà. Intorno a loro, uomini donne e soprat-tutto bambini vivono di rifiuti. E muoio-no intossicati da ciò che respirano, man-giano, bevono. Come ad Hazaribag, alla pe-riferia di Dacca, capitale del Bangladesh,dove ogni giorno aumenta di volume unamontagna di 21mila metri cubi di rifiutitossici delle concerie di pellame sprovvi-ste di impianti di smaltimento.

L’AFRICA E LE DISCARICHE DI RIFIUTI ELETTRONICIMa in nessun continente più dell’Africa siconcentrano questi “buchi neri” del »

di MIELA FAGIOLOD’ATTILIA

[email protected]

La mappa dellecapitali dellaspazzaturaindustrialelocalizza alcuni“buchi neri” delSud del mondo, in particolare in Africa e nel Sud-est asiatico.

Intere regionidell’Africa, dell’Asia,dell’America Latina edell’Europa dell’Estsono a rischio per lasalute umana acausa dellosfruttamentoselvaggio dellematerie prime, deltraffico criminale dirifiuti tecnologici,accumulati indiscariche grandicome città.Soprattutto in Africa,come denuncia ilBlacksmith Institutein un allarmanterapporto che stila lablack list mondiale deiluoghi più invivibiliper l’uomo.

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croonde, condizionatori d’aria e quant’al-tro. È ancora Greenpeace a sottolineareche «nelle discariche lavorano anchebambini di cinque anni, tutti cercano trai rifiuti a mani nude, si smontano vecchi

televisori e computer,usando sassi per aprirli,alla ricerca di metalli darivendere. La plastica e icavi rimanenti vengonobruciati o ributtati nelmucchio».Anche Benin, Costad’Avorio, Liberia e Nigeriasono diventati sversatoidei rifiuti industriali per

l’85% provenienti dall’Europa (e per il 5%circa dall’Asia, in particolare dalla Cina).Malgrado la Convenzione di Bâle (che dal1992 proibisce la circolazione di rifiuti

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pianeta. Agbobgloshie, alla periferia diAccra, è solo uno dei capolinea dei rifiu-ti tecnologici dei Paesi industrializzati. Inquella che è stata ribattezzata “Spazza-tura dell’Occidente” si ammassano ognianno 192mila tonnellate discarti elettronici “importa-ti” dal Ghana, intorno a cuilavorano oltre 40mila per-sone che, in questa formadi economia parallela, rac-colgono e rivendono metal-li e componenti dei circui-ti elettronici. «Il Ghana è di-ventato la discarica elettro-nica dell’Occidente» de-nuncia Greenpeace, che accusa le mul-tinazionali della tecnologia di sfruttarela povertà del Paese per smaltire in ter-ra africana vecchi cellulari, forni a mi-

L’INCHIESTA

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pericolosi) e quella di Bamako dell’ago-sto 2013 (sottoscritta da un gran nume-ro di Paesi africani nella capitale delMali), negli ultimi decenni i flussi di e-waste dall’Occidente sono andati aumen-tando. Lo denuncia lo studio “Where areWEee in Africa?” del Programma Am-biente delle Nazioni Unite che quanti-fica il traffico di prodotti elettronici fuo-ri mercato in 220mila tonnellate solo nel2009. Gran parte della vecchia tecnolo-gia “esportata” dalle industrie dovrebbeessere destinata alla vendita sul merca-to africano, ma molti prodotti non fun-zionano e sono destinati ad essere ab-bandonati in miniere dismesse o nelle ca-pienti e disumane discariche-monstrecome quella di Mbeumbeus, in Senegal,che da 30 anni cresce nella periferia diDakar.

Agbobgloshie, allaperiferia di Accra, è solo uno dei capolinea dei rifiutitecnologici dei Paesi industrializzati.

C he fare di chip, computer desueti e vecchi scanner recupe-rati da una discarica di Lomè? L’inventore togolese Kodjo Afa-

te Gnikou è riuscito a riutilizzare gli e-waste per costruire stam-panti low price. Solo 100 dollari (e non le centinaia di listino perquelle prodotte dalle grandi marche) per il primo prodotto che lan-cia il progetto W.Afate to Mars per creare nuovi prodotti elettro-nici non solo per il mercato ma anche per apparecchiature spe-ciali da utilizzare nei programmi delle missioni spaziali su Mar-te. «Bisogna mettere la tecnologia nelle mani di chi ha bisognoe dare all’Africa l’opportunità di non essere soltanto uno spet-tatore ma di giocare un ruolo di primo piano in una rivoluzioneindustriale più virtuosa» dice Kodjo Afate Gnikou, 33 anni, mem-bro dell’hackerspace WoeLab Community di Lomè, un centro chesi definisce «il primo spazio africano per una tecnologia demo-cratica». Il maker togolese sta dimostrando come gli scarti del-la tecnologia, che i Paesi industrializzati convogliano da decen-ni nel Sud del mondo ed in particolare in Africa, possano diven-tare una risorsa. Invertendo il trend, ormai decennale, del gra-ve inquinamento prodotto dalle discariche del mercato delle tec-nologie “avanzate”. La stampante in 3D, con la sua capacità diprodurre oggetti, è uno degli strumenti tecnologici che sarannoprotagonisti della nuova rivoluzione industriale di cui l’Africa po-trebbe diventare protagonista. M.F.D’A.

La stampante in 3D di KodjoDALLE TECNOLOGIE AVANZATE AGLI AVANZI DELLA TECNOLOGIA

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LOTTA ALLE ECOMAFIEIl mercato globale della produzione diprodotti tecnologici sempre più al-l’avanguardia lascia prevedere una cre-scita esponenziale dell’accumulo deglie-waste in Africa neiprossimi anni. Per questonel marzo 2012 si è riuni-ta a Nairobi, in Kenya, lacommissione del Pro-gramma delle NazioniUnite per l’ambiente(Pnue), per fare il puntodella situazione che airitmi attuali potrebbe di-ventare insostenibile en-tro il 2017. «Da una ton-nellata di telefoni cellula-ri da rottamare si posso-no ricavare 3,5 chili d’ar-gento, 340 grammi d’oro,140 di palladio e 130 dirame» ha detto Achim Steiner, diretto-re esecutivo del Pnue, sottolineandocome, malgrado tutto, il riciclaggio siauna occasione per acquisire una diffu-sa conoscenza tecnologica. Ma è indi-spensabile che Francia, Inghilterra e Ger-

mania, i Paesi europei maggiori “espor-tatori” di rifiuti elettronici, invertano larotta finora seguita. Lo ha decretato ilParlamento europeo che ha programma-to l’aumento dei controlli alle frontie-

re entro il 2016 e lo smal-timento interno di 45 ton-nellate di e-waste perogni 100 tonnellate dinuovi prodotti. Ma la prio-rità resta la lotta ai traf-ficanti con le mani “spor-che”, alle ecomafie di tut-te le latitudini che arma-no le navi dei veleni, chesi arricchiscono sulle rot-te dei container radioat-tivi e i camion carichi diveleni. Per tutti i crimina-li che fanno affari a spe-se della salute di personeinnocenti, parla una voce:

«Tra 20 anni saranno tutti morti» dice-va nel 1997 Carmine Schivone, il pen-tito del clan dei Casalesi, parlando de-gli abitanti delle zone del Casertano,oggi tristemente note come “terre deifuochi”.

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Inquinamento da rifiuti elettronici

Il mercato globale della produzione diprodotti tecnologicisempre piùall’avanguardia lascia prevedere unacrescita esponenzialedell’accumulo degli e-waste in Africa nei prossimi anni.

Il fiume più inquinato del mondo èil Citarum e scorre nella provinciadi Bandung, in Indonesia.

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S C A T T I D A L M O N D O

NELSON, L’EROE DELLA PACE

La morte di Nelson Mandela, il 5 dicembre scorso, esige unserio discernimento da parte di chiunque abbia davvero a cuoreil sacrosanto valore della libertà dei popoli. In un mondoglobalizzato, dove le diseguaglianze tra ricchi e poveri, unitamentead altre forme di sperequazione, acuiscono a dismisura l’indifferenza,fare memoria di questo grande statista africano significa, anzitutto,assunzione di responsabilità per contrastare ogni genere disperequazione che determini l’esclusione sociale. Ecco che alloraegli rappresenta uno straordinario modello per affermare il cam-biamento, quello che lui stesso definiva in riferimento alle sortidel continente, l’agognato rinascimento africano. In questa

prospettiva, la chiave di lettura per comprendere la statura delsuo carisma politico è tutta racchiusa in una citazione di MarianneWilliamson, durante il suo celebre discorso d’investitura apresidente del nuovo Sudafrica, nel 1994. «La nostra paura piùprofonda – disse - non è quella di essere inadeguati. La nostrapaura più profonda è di essere potenti oltre ogni limite. È lanostra luce, non la nostra ombra, a spaventarci di più...». E Mandela, congedandosi da questo mondo in cui ha vissuto in-tensamente, ha dimostrato d’essere stato sempre se stesso, an-dando al di là di ogni compromesso, con grande responsabilità.Proprio perché, citando sempre la Williamson, «quando permettiamoalla nostra luce di risplendere, inconsapevolmente diamo aglialtri la possibilità di fare lo stesso». D’altronde Mandela non è

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IN RICORDO DI MANDELA

stato solo un celebre premio Nobel, un presidente autorevole, ilpadre della patria che tutti sognavano in Sudafrica. È statosoprattutto l’eroe nella lotta contro l’apartheid, uno dei peggioriabomini perpetrati dalla colonizzazione occidentale in Africa. Siera ritirato ufficialmente dalla vita pubblica nel 1999, ma non hamai interrotto la sua indefessa azione in difesa degli ultimi,portando la sua instancabile battaglia per la pace oltre i confinidel Sudafrica. Reso fragile dall’età e dai 27 anni trascorsi nellegalere del regime segregazionista bianco, già nel 1994, all’epocadelle prime elezioni libere, Mandela era dell’idea che non fosseopportuno fare il presidente a vita. Per lui, forgiato dalla passioneimpostagli dal regime di Pretoria, l’esercizio del potere dovevaessere inteso solo e unicamente come servizio alla nazione,

lungi da qualsiasi forma di compromesso. Unanimamente ri-conosciuto come il leader africano che più ha contribuito asegnare l’epoca del riscatto dopo l’onta coloniale e le pessimeperformance di molti regimi, Mandela ha avuto il merito di scon-giurare una guerra civile che avrebbe sconvolto il Sudafrica, conconseguenze forse irreparabili.Era un giorno limpido di fine estate nell’emisfero australe, quell’11febbraio 1990, quando dal cancello del penitenziario di VictorVester, vicino Città del Capo, usciva dopo 27 anni il detenutopolitico numero “46664”. All’anagrafe risultava “Rolihlahla Dalib-hunga”, nato nel villaggio di Mzevo il 18 luglio 1918, per tuttiMandela, detto anche “Madiba”, come veniva solitamentechiamato dalla gente, con riferimento al suo clan. A dare

A cura di EMANUELA [email protected]

Testo di GIULIO [email protected]

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S C A T T I D A L M O N D O

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IN RICORDO DI MANDELA

l’ordine di liberarlo era stato Frederik Willem de Klerk, l’ultimo presidente biancodel Sudafrica e premio Nobel per la Pace con Mandela nel 1993. Certamente vaaffidato alla storia il giudizio sugli esiti della “Commissione per la Verità e la Ricon-ciliazione” voluta proprio da Mandela e presieduta dal vescovo anglicano e premioNobel per la Pace, Desmond Tutu. La consapevolezza è che i cinque volumi dirapporto, costati due anni e mezzo d’indagini, oltre a 20mila testimonianze ecentinaia e centinaia di audizioni, siano serviti, quantomeno sul piano umano, adinnescare un processo di cicatrizzazione perché le ferite causate dall’odio razzialepossano lentamente rimarginarsi. Lungi da ogni retorica di circostanza, Mandelaha, comunque, colmato un vuoto nella leadership del continente africano che siera aperto con l’uscita di scena dei “padri della patria”, dei Senghor, dei Nyerere…Dopo aver colpevolmente tollerato il razzismo per troppi anni, il mondo forseancora oggi non ha compreso l’enorme valore del miracolo che si è compiuto 20anni fa in Sudafrica. «Forse non si vuole ammettere – ha saggiamente scrittoGiampaolo Calchi Novati – che accettare e praticare il “plurale” voluto dalla storia– alla sola condizione di ripudiare il razzismo e la discriminazione – è meglio chepretendere di “territorializzare” i diritti dei popoli o le aspettative delle minoranze».Il Sudafrica, insomma, nel bene e nel male, può costituire un termine di riferimento,ancora oggi, con tutte le sue contraddizioni, per ogni politica intesa ad alleviare iproblemi della transizione in Africa.

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PAN

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“E vangelizzare è un atto d’amore”. Questo il messaggio dell’inviato spe-ciale di papa Francesco, il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Con-

gregazione per l’evangelizzazione dei popoli, al IV Congresso Missionario Ame-ricano (Cam 4) e IX Congresso Missionario Latino-americano (Comla 9). Unappuntamento importante per tutto il continente americano, che quest’annosi è tenuto a Maracaibo in Venezuela. «Sono convinto - ha detto il cardinale- che questo Congresso susciterà nelle Chiese dell’America una grande pas-sione per la missione universale, convinti come siamo che la missio ad gen-

tes, ed in particolar modo quella ad extra, sia anche il mezzo più efficace perridare vitalità ed entusiasmo alle nostre comunità cattoliche». Un entusiasmocondiviso tra gli oltre 5mila delegati, provenienti da varie parti del mondo inquelli che sono stati definiti, e a proposito, gli «stati generali della missione»nel continente americano che ad oggi rappresenta il maggior numero di cat-tolici al mondo. Su oltre un miliardo di credenti sparsi in tutto il pianeta, ben

CoraggioAmerica!Comparte tu fè

CoraggioAmerica!Comparte tu fè

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Cinquemila delegati provenientida tutto il mondo hanno

partecipato agli “stati generalidella missione” in America e inAmerica Latina. E da Maracaibo

si guarda oggi al prossimoappuntamento che si svolgerà in

Bolivia tra cinque anni.

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425 milioni sono infatti in Ame-rica Latina con in testa il Brasi-le, secondo i dati raccolti dal Pew

Forum on Religion & Public Life

di Washington.Quella di Maracaibo, in calenda-rio dal 26 novembre all’1 dicem-bre 2013 è stata un’esperienzanon solo di fede ma umanastraordinaria, uno specchio doveconfrontare esperienze e bisognie indicare vie nuove e più forti perl’evangelizzazione. «Sono statigiorni intensi - racconta padreJoao, brasiliano di Cacoal - in cuici siamo messi tutti in discussio-ne condividendo esperienze eimparando gli uni dagli altri».Insomma dal 1977, anno in cuiin Messico si tenne il primo

Comla (Congresso Missionario Latino-americano) limitato solo all’area latino-americana e caraibica, il Congresso non solone ha fatta di strada ma non ha perso la suavocazione originaria. Quella di essere un pun-to di incontro e un punto fermo per le po-litiche di evangelizzazione sull’intero conti-nente americano. Dopo la celebrazionedel Sinodo dei vescovi sull’America, nel1997, il Comla si è allargato, infatti, a Sta-ti Uniti e Canada, diventando, così, Congres-so Missionario Americano (Cam). Da qui ladoppia sigla Cam 4 - Comla 9. Ma al di làdelle sigle e dei numeri, quest’anno anche

su una Chiesa missionaria che ha comecompito primo l’annuncio del Vangelo e del-la misericordia di Dio, senza limiti, manife-stata nella persona di Gesù. Una Chiesa alservizio nelle periferie esistenziali, dei pove-ri e tra le piaghe della società. Una Chiesache sa essere compassionevole, tenera, dicomunione e di fraternità». Del resto pro-prio nello stesso anno del Congresso Mis-sionario Latino-americano, il papa attraver-so la Giornata Mondiale della Gioventù chesi è tenuta a Rio de Janeiro nel luglio delloscorso anno, ha mostrato tutta la forza e lamodernità del messaggio missionario.Per il boliviano padre Francisco di Santa Cruzde la Tierra c’è grande continuità tra i ge-sti del pontefice e questi eventi «come sedavvero – dice - si fosse aperto un discor-so nuovo, continuato, un libro in cui tutti noinel nostro piccolo possiamo dare il nostropiccolo contenuto». E ha da gioire padreFrancisco anche perché proprio la sua cit-tà è stata scelta come sede del prossimoCongresso missionario tra cinque anni, nel2018.Tornando alle giornate di lavoro di questoCongresso, è stato sottolineato da molti ea più riprese come sia proprio la missio ad

gentes a giustificare la natura stessa deicongressi missionari in un mondo costret-to a misurarsi e ad affrontare nuove sfide.Insomma l’evangelizzazione non è mai sta-ta come ora una missione in fieri, «co- »

la scelta del luogo ha giocato un fortissimoruolo simbolico. Maracaibo è la seconda cit-tà del Venezuela dominata per anni dal po-pulismo di Hugo Chavez e, seppur meno vio-lenta di Caracas, è davvero un luogo in cuil’evangelizzazione può più che altrove tra-sformare non solo i cuori ma anche la so-cietà. Quest’anno il tema dell’evento intor-no al quale si è costruito il dibattito era “Ame-rica missionaria, condividi la tua fede”. Ri-prendendo così gli orientamenti emersinella precedente edizione svoltasi a Quito inEcuador nel 2008, l’idea era di concentrar-si sulla sfida missionaria alla luce delle in-dicazioni della V Assemblea generale del-l’episcopato latino-americano e dei Carai-bi, tenutasi ad Aparecida nel maggio 2007,assemblea che ebbe tra i suoi principali re-gisti proprio il cardinale Bergoglio, oggi papa.E così ecco i temi della secolarizzazione edel multiculturalismo come sfondo su cuila nuova evangelizzazione deve muoversi.Come sottolineato del resto anche dallo stes-so cardinal Filoni. «Come suggerisce papaFrancesco dobbiamo lavorare – ha detto -

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Monsignor Ambrogio Spreafico, vescovodi Frosinone-Veroli-Ferentino, presidentedella Commissione per l’Evangelizzazionedei Popoli e la Cooperazione tra le Chiesedella Cei; il cardinale Fernando Filoni,Prefetto della Congregazione perl’evangelizzazione dei popoli e don AlbertoBrignoli, dell’Ufficio CooperazioneMissionaria tra le Chiese della Cei alCAM4 – COMLA9 a Maracaibo.

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stantemente aperta alle indicazioni delloSpirito e al contesto storico dei gruppiumani» come messo in luce anche dall’in-viato del papa. E non è un caso che il mes-saggio arrivi con tutta la sua forza propriodall’America Latina, tra i punti del piane-ta più martoriati da spieta-ti picchi di violenza e da undivario sociale ancora nonrisolto. Da qui ancheun’esortazione.«La Chiesa di questo con-tinente può dare e fare dipiù - ha dichiarato il cardi-nale Filoni - perché anchequi, dove esistono puretante povertà e la speran-za ha ancora un ruolo e unvigore, nessuno è tantopovero da non condivide-re nemmeno la propria fede! CoraggioAmerica, coraggio America Latina, puoidare e fare di più, per questo chiedo ai tan-ti discepoli missionari di Gesù Cristo diemergere e venir fuori! Coraggio America,comparte tu fe!». A prendere la parola neicirca 22 forum tematici e agli eventi prin-cipali del congresso sono stati in tantis-simi. Tra questi anche padre Andrea Bigot-ti, direttore delle Pontificie Opere Missio-narie del Venezuela, che ha letto la lette-ra inviata per l’occasione da papa France-sco nella quale invita a dare nuovo slan-

cio alla missione continentale promossaad Aparecida. E, ancora, si è parlato conLucas Cervino, laico argentino del mon-do di oggi, multiculturale e secolarizzato,e attraverso le parole di monsignor SilvioBaez, vescovo ausiliare di Managua in Ni-

caragua, si è sottolineatal’importanza della Parola diDio come fonte di significa-to per il mondo di oggi, an-che alla luce dell’Esortazio-ne apostolica Evangelii

Gaudium di papa France-sco. Da qui il messaggiopoi rilanciato dai missiona-ri intervenuti a condividerele loro esperienze declina-to in pochi ma crucialiconcetti. E cioè: l’importan-za del discepolato, ovvero

il bisogno di incontrare Gesù e predicar-lo come discepoli missionari. E ancora,della conversione, ascoltare la Parola e de-nunciare l’ingiustizia. Della secolarizzazio-ne, cioè la preparazione di un dialogo contutti per promuovere lo sviluppo nellavita politica, sociale, economica, cultura-le ed ecologica delle società. Infine il temadella multiculturalità, ovvero l’esigenza dipromuovere una pastorale e una liturgiache considerino la realtà culturale dei po-poli, specialmente quella dei popoli indi-geni e culturalmente emergenti.

«Anche qui, doveesistono pure tantepovertà e la speranzaha ancora un ruolo eun vigore, nessuno ètanto povero da noncondividere nemmenola propria fede!».

I l giallo di Yasser Arafat continua. E somigliasempre di più ad una spy-story mediorienta-

le: il leader palestinese dell’Olp è stato avvelena-to oppure no? Morto a 75 anni in un ospedale mi-litare di Parigi nel 2004, in seguito a quella cheapparve come un’emorragia cerebrale, Arafat faancora notizia. Confermare la morte per avvele-namento da Polonium 210 – come hanno fattogli scienziati svizzeri e in misura minore anche irussi – significa ammettere che ci sia stato un man-dante. L’Autorità palestinese dice che fu Israelee Israele ovviamente smentisce. Di recente unacommissione di esperti francesi ha messo tuttoa tacere, smontando l’ipotesi avvelenamento: «Leanalisi non ci inducono ad affermare che Arafatsia morto avvelenato con il Pholonium 210», diceil rapporto. Piuttosto, argomentano i francesi, quelpolonio trovato nei tessuti è una contaminazio-ne esterna da radon, un gas molto pesante chesi trovava nell’ambiente. Allora che è successo?La vedova Suha Arafat è convinta che non si siatrattato di morte naturale. Tra i palestinesi nonpochi sospettano che questo recentissimo rap-porto sia stato deciso a tavolino per evitare con-seguenze geopolitiche con Israele. Mediatica-mente a colpire di più in questi mesi è l’enor-me campagna investigativa lanciata dalla tv pa-naraba Al Jazeera, che ha addirittura creato unasezione apposita dentro il suo sito on line inti-tolato “Killing Arafat”. Un’incredibile e foltissi-ma raccolta di documenti, pdf, relazioni, inter-viste, opinioni di scienziati, report, video eogni sorta di prova sulla questione dell’avvele-namento. Ovviamente Al Jazeera sostiene cheil leader palestinese sia stato ammazzato. Edospita una serie di commenti per capirne il mo-tivo. Uno di questi analisti è Hatem Bazian, edi-torialista di Islamophobia Studies Journal. «Ara-fat è stato ucciso perché era troppo nazionali-sta e troppo consapevole del significato storicoe religioso della Palestina, per accettare di dive-nire il capo di una nuova piantagione colonia-le», dice Bazian. Scrive poi che dopo la PrimaGuerra del Golfo era emerso un “nuovo ordine”che normalizzava le relazioni tra Paesi arabo-isla-mici ed Israele. Cooperazione economica, mi-litare, strategica per una nuova élite. La tesi è cheArafat sia stato fatto fuori da traditori del suo cir-colo più ristretto, «manovrati da Israele e dal nuo-vo ordine arabo che aveva investito troppo perpreoccuparsi della vita di un vecchio uomo diPalestina». Troppo scomodo perchè troppoidealista.

di Ilaria De Bonis

ARAFAT E IL POLONIO 210

OSSERVATORIO

MEDIO ORIENTE

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di Giulio [email protected] 29P O P O L I E M I S S I O N E - G E N N A I O 2 0 1 4

SCENARI GEOPOLITICI AFRICANI

Africa e Brics, a big deal ?

IN AFRICA, LA GEOPOLITICA STASUBENDO CONTINUI MUTAMENTICHE ANDREBBERO VALUTATI CONGRANDE ATTENZIONE. UN TEMPO CIVOLEVANO DECENNI PERCHÉCAMBIASSE QUALCOSA NEGLIASSETTI NAZIONALI, REGIONALI E ALIVELLO CONTINENTALE, MENTREORA L’EVOLUZIONE È COSTANTE EREPENTINA. NEL NUOVO SCENARIOGEOPOLITICO IL CONTINENTE È ALCENTRO DEGLI INTERESSI DELCOSIDDETTO CARTELLO DEI BRICS(BRASILE, RUSSIA, CINA, INDIA ESUDAFRICA), MENTRE ICAMBIAMENTI INTERNAZIONALISTANNO FACENDO DELL’AFRICA ILCONTINENTE DEL FUTURO.

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possiamo dire che la fine dell’epopea coloniale, neglianni Sessanta, segnò la rigida imposizione dellelogiche della “guerra fredda” tra Usa e Urss ai popoliafricani, col risultato che il continente venne diviso indue grandi settori d’influenza. Ad esempio, lo Zaire diMobutu Sese Seko era filoccidentale, mentre l’Etiopiaera governata da Mènghistu Hailè Mariàm, detto ilNegus Rosso perché filosovietico. Naturalmente gliinteressi in gioco erano tali per cui, Cyrus Vance, exsegretario di Stato americano, ammise che «l’alleanzacon Mobutu è imbarazzante ma necessaria».Successivamente, dai primi anni Novanta, si è verificatauna vera e propria parcellizzazione del continente amacchie di leopardo, col risultato che, oltre alle expotenze coloniali e agli Stati Uniti, sono scesi incampo Paesi come la Cina, l’India, il Giappone, laCorea del Sud, la Malesia, il Canada e tanti altri. Ciòha determinato investimenti notevoli, ma ha acuito adismisura la corruzione delle leadership locali. Aquesto proposito, uno dei fenomeni più appariscentiè stato quello del land grabbing, traducibile in italianocome accaparramento dei terreni da parte di società

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S arà stato per eccesso di colonialismo o chissà perquale altra velleità, che Harold Macmillan, tornando

da un suo viaggio in terra africana, definì il continenteafricano come una sorta d’ «ippopotamo galleggiantenelle paludi». Una battuta eloquente che, da unaparte, esprimeva l’imponenza delle ricchezze africane,nascoste agli occhi degli osservatori più acuti, mentredall’altra rivelava l’indole altezzosa e per certi versi pa-ternalista di un colonialista di alto rango che non ri-nunciava al suo sarcasmo. A quel tempo, nel 1960, ilprimo ministro della Corona di Sua Maestà Britannicaebbe la brillante idea di tornare in patria dal Sudafricaa bordo di un piroscafo che impiegò ben dieci giornidi navigazione prima di avvistare le bianche scoglieredi Dover. Gli anni che seguirono crearono non pochigrattacapi agli inquilini del “Numero 10 di DowningStreet”. Harold Wilson, ad esempio, fu costretto a farei conti a malincuore con la dichiarazione unilateraled’indipendenza della Rhodesia bianca (oggi Zimbabwe),mentre James Callaghan dovette confrontarsi con lapulizia etnica contro gli asiatici, attuata dal follepresidente Idi Amin Dada. Nel complesso, comunque,

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d’olio in Africa ed è quello, comunque, che ha lasciatoi segni più evidenti. Pechino ha investito in grandiprogetti infrastrutturali, costruito porti, scuole edospedali, lanciato iniziative di training e borse distudio, e soprattutto non ha interferito nelle vicendepolitiche locali, ignorando totalmente l’agenda deidiritti umani. Nel 2000, è bene rammentarlo, ilgoverno di Pechino aveva investito appena 60 milionidi dollari in Africa. Ma da allora il flusso di capitalicinesi è cresciuto in termini esponenziali, fino a rag-giungere livelli 200 volte superiori. Non è un caso sela Banca mondiale (Bm) prevede che entro pochianni la Cina avrà “esportato” ben 85 milioni di postidi lavoro in Africa. Ma attenzione, l’Impero del Dragonenon fa beneficenza e senza altri investimenti stranieriche tengano conto non solo del profitto delle impresema anche dei diritti della gente, l’Africa continuerà adessere una terra di conquista. Comunque, nel bene enel male, dal 2010 la Cina è divenuta il primo partnercommerciale del continente africano, davanti agli StatiUniti, anche se, gradualmente, è cambiato ancoraqualcosa. Si è, infatti, andato delineando un nuovoscenario che ha avuto il suo suggello nel luglio 2012,con l’elezione della signora Nkosazana Dlamini-Zumaalla carica di presidente della Commissione dell’Unioneafricana (Ua).Sudafricana, ex moglie del presidente Jacob Zuma,da cui divorziò nel 1998, è la prima donna a ricoprirel’alta carica panafricana, ma anche il primo dirigentedi area anglofona a esercitare tale incarico.

Gli “amici” del cartello dei BricsSi è così affermato un nuovo scenario geopoliticocon il Sudafrica (ultimo arrivato dei Paesi emergentinel cosiddetto cartello dei Brics, assieme a Brasile,Russia, Cina e India) in una posizione di rilievo »

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private, fondi di investimento e governi stranieri. Talefenomeno ha determinato, alla prova dei fatti, unasvendita delle immense risorse naturali del continente,soprattutto dal punto di vista agricolo, minerario e delreperimento di fonti energetiche. A ciò si aggiunga ladebolezza delle classi dirigenti il cui operato, purtroppo,lascia, ancora oggi, molto a desiderare. Basti pensareal presidente ugandese Yoweri Museveni che dalgennaio 1986 continua a fare il bello e il cattivotempo, con la sola preoccupazione di mantenere ilpotere sine die per salvaguardare interessi dal fortesapore nepotistico. Lo stesso vale per il governo delpresidente camerunese Paul Biya, per non parlaredel congolese Denis Sassou Nguesso, del presidentenordsudanese Omar Hassan el Beshir, del burkinabéBlaise Compaoré, o della dinastia gabonese, avviatadal defunto Omar Bongo Ondimba che ha passato iltestimone al figlio Ali Bongo Ondimba.

Investimenti cinesiSta di fatto che, a partire dal Sudan, negli anniNovanta, lo strapotere cinese si è diffuso a macchia

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La fine dell’epopea coloniale, neglianni Sessanta, segnò la rigidaimposizione delle logiche della“guerra fredda” tra Usa e Urss aipopoli africani, col risultato che ilcontinente venne diviso in duegrandi settori d’influenza.

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SOPRA: Nkosazana Dlamini - Zuma, ex moglie del presidente Jacob Zuma, è dalluglio 2012 a capo della Commissione dell’Unione Africana (Ua). Si tratta dellaprima donna che ricopre l’alto incarico.

A FIANCO: I leader dei Paesi che compongono i Brics al summit del marzo 2013a Durban: da sinistra, il primo ministro indiano Manmohan Singh; il presidentedella Repubblica popolare cinese Xi Jinping e quello del Sud Africa Jacob Zuma.Infine Dilma Rousseff presidente del Brasile e Vladimir Putin a capo dellaRepubblica Federale Russa.

nelle future scelte geopolitiche del continente. Se lanomina, nel 2008, di Jean Ping a capo della Com-missione Ua (predecessore della Dlamini-Zuma,nonché figlio di padre cinese e madre gabonese)aveva sancito metaforicamente l’alleanza tra Pechinoe l’Africa, la scelta di una donna sudafricana alla guidadella Commissione Ua ha rappresentato un ulteriorecambiamento. Senza rinnegare l’amicizia col governodi Pechino, i capi di Stato e di governo africani hanno,per così dire, riconosciuto nei Brics un alleato, perloro degnamente rappresentato dal Sudafrica. D’altronde,già da tempo, diversi personaggi, come il governatoredella Banca centrale nigeriana, Lamido Sanusi (exSanusi Icona Limited - Merchant Bankers, una controllatadi Morgan Guaranty Trust Bank di New York, ex BaringBrothers di Londra), hanno apertamente criticato il“neo colonialismo” di matrice cinese in Africa. Anchei sindacati sudafricani hanno manifestato in questianni una notevole insofferenza nei confronti dei cinesiper cui si è pensato di bilanciare i pesi, dando spazioal complesso dei Brics. Non è un caso se nel marzodello scorso anno si è svolto a Durban, in Sudafrica, ilsummit di questi grandi cinque Paesi emergenti. Iloro leader politici in quell’occasione hanno parlato diinvestimenti in Africa, gettando le premesse per larealizzazione di una Banca di Sviluppo che si dovrebbeoccupare del finanziamento di infrastrutture.

Cambiamento degli scenariMa cosa si cela dietro queste manovre? L’obiettivo ècertamente quello di creare un blocco alternativo dipotere agli Usa e all’Europa; non necessariamentesecondo le dinamiche della “guerra fredda” di cuisopra, ma alternativo. Ecco che allora, se con questonuovo assetto la Cina deve comunque fare i conti, intermini generali, con i propri alleati Brics, il Sudafricadovrà comunque sottostare alle pressioni del tandemPechino-Mosca che guardano con ingordigia alle ric-chezze del sottosuolo africano, fonti energetiche inprimis. La logica di queste dinamiche è quella disempre, “del bastone e la carota”. Mosca ha cancellato,

Si è affermato un nuovoscenario con il Sudafrica inuna posizione di rilievo nellefuture scelte geopolitiche delcontinente.

ad esempio, 20 miliardi di dollari di debito dei Paesiafricani alla Russia in cambio di concessioni minerarie,mentre la Cina non ha pudore nell’intrattenere proficuerelazioni anche con i peggiori dittatori come il presidentedello Zimbabwe, Robert Mugabe. Nel frattempo,Mosca e Pechino stanno potenziando le forze con-venzionali e nucleari spinte da crescenti timori che gliangloamericani intendano muoversi verso lo scontro.Gli sforzi dei due Paesi si intrecciano, come indical’incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e il vi-cepresidente della Commissione militare cinese, XuQiliang, il 31 ottobre dello scorso anno a Mosca.Putin, secondo l’agenzia Xinhua, ha enfatizzato ilruolo cardine della cooperazione militare nella par-

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si svolgono in tutto il continente africano in funzioneantiterroristica, ma non solo. Ecco che allora il policyconcept dei Brics si sta sempre più delineando informa sì alternativa, ma anche egemonica su scalaplanetaria, con un occhio di riguardo nei confronti del-l’Africa per le sue risorse energetiche, industriali e ingenerale, geostrategiche. Naturalmente i Brics miranoanche alla creazione di un paniere di valute globali, al-ternative al dollaro e all’euro, con l’intento dichiaratodi scalzare la supremazia monetaria occidentale suscala planetaria e dunque anche in Africa. A questopunto, viene spontaneo domandarsi quali possibilitàdi manovra avranno nei prossimi anni i singoli Paesiafricani. Il rischio è quello di un acuirsi della conflittualità,anche perché, in tutto questo ragionamento, vi è unterzo incomodo, quello del salafismo di matrice sauditache minaccia la fascia sub-sahariana. Una cosa ècerta: se nel Novecento la linea di demarcazione tra

Oriente e Occidente attraversava ilMedio Oriente, oggi la faglia si staspostando gradualmente sul territorioafricano ed interessa non solo la So-malia, ma anche il territorio moltopiù ad Ovest come la regione malianadell’Azawad.

E l’Europa?Nessuno dispone di una sfera di cri-stallo per leggere il futuro. Non sap-piamo, ad esempio, se i Brics riusci-ranno davvero a collaborare tra loro.In effetti vi è un’evidente concorrenzaeconomica tra Cina, India e Brasile.Nel 2007 il premier indiano, Mo-hammed Singh, ha siglato accordicon Angola, Uganda, Ghana e Sudan.Per New Delhi, il cuore delle relazioni

economiche resta il mercato delle ma-terie prime, soprattutto carbone, uranio e petrolio. IlBrasile, invece, sta promuovendo progetti infrastrutturaliin Kenya, Angola e Mozambico. Si parla, addirittura, diun progetto di cavi sottomarini in fibra ottica percollegare il Sud America con l’Africa occidentale.Intanto gli Stati Uniti sono sempre più in difficoltà nelcontrastare il nuovo indirizzo dei Brics. E dire che lapolitica africana della Casa Bianca si caratterizzava,dagli anni della presidenza di Bill Clinton, per unnotevole pragmatismo incentrato sulla creazione dellecondizioni economiche e di mercato idonee a perseguirestrategie di globalizzazione. Ma il “modello Usa” inAfrica, con tutte le differenze pur percepibili a

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tnership strategica, esprimendo la speranza che i duegoverni possano migliorare il coordinamento nelfuturo. Dal canto suo, Xu ha confermato che la Cinadesidera approfondire gli scambi militari e la coope-razione con la Russia.

Tra Oriente e OccidenteQuali effetti avrà questo nuovo corso in Africa? Cina eRussia intendono certamente fermare l’ingerenza ame-ricana che ha portato la Nato in Bulgaria e gli StatiUniti ad allestire Africom, il comando militare Usa inAfrica, formalmente attivo dall’ottobre 2008, responsabileper le relazioni e le operazioni militari statunitensi che »

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seconda che Washington sia retta dai democratici odai repubblicani, non è avvincente come quellocinese e dei Brics in generale. Pechino, infatti, a dif-ferenza degli Usa e dei suoi alleati occidentali, offregrandi crediti, prestiti agevolati per la costruzione diinfrastrutture, al fine di generare empatia nei confrontidei governi africani. In questo modo le autorità cinesiottengono accordi economici vantaggiosissimi a lungotermine sulle materie prime provenienti dall’Africa,in cambio di aiuti e accordi per la condivisione dellaproduzione e delle royalties. A ciò si aggiunga lalogica statunitense per cui esiste una gerarchia nellerelazioni con i Paesi africani: alcuni sono consideratiaffidabili, altri meno, altri ancora per nulla. I cinesi, diconverso, trattano con tutti, infischiandosene dellamoralità dei governi o delle loro ideologie. E cosadire della vecchia Europa? Essa appare sempre piùpervasa da atteggiamenti contrastanti: in sede di

Unione europea (Ue) si enuncia il principio dellamultilateralità nelle relazioni con l’Africa, mentre isingoli governi (soprattutto Francia e Regno Unito) simuovono all’insegna del bilateralismo, come se irapporti con i singoli Stati africani prescindesserodagli impegni della Commissione di Bruxelles. Dalpunto di vista commerciale, la Ue insiste nell’imporre

L’obiettivo dei Brics ècertamente quello dicreare un bloccoalternativo di potere agliUsa e all’Europa, nonnecessariamente secondole dinamiche della “guerrafredda”, ma alternativo.

SOPRA: Una piattaforma petrolifera in Angola: il Paese africano proprio grazie ai giacimentidi greggio registra un aumento del Pil del 12 %, che però finisce esclusivamentenelle tasche dell’attuale oligarchia al potere.

A DESTRA: Le miniere africane ambitissime dall’asse Pechino – Mosca. La Russia ha cancellato20 miliardi di dollari di debito ai Paesi africani in cambio di concessioni minerarie.

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Crescita economicaMa attenzione, se qualcuno pensasse che basta disfarsidelle ingerenze dell’Occidente per risolvere i problemidell’Africa, si sbaglia grossolanamente. In altre parole,il grande continente africano che, per usare il gergodell’Economist, è passato da hopeless (senza speranza)a hopeful (speranzoso), deve fare ancora molta strada.Non solo per quanto concerne l’apertura al multiparti-tismo e l’alternanza al potere. La vera sfida rimane,infatti, quella della lotta contro l’esclusione sociale.Nella sua analisi, il settimanale britannico ha dimenticatodi stigmatizzare il forte influsso delle vecchie oligarchieafricane (molte delle quali massoniche) che continuanoad incamerare la stragrande maggioranza dei denarigenerati da un Pil continentale attestato attorno al+6% annuo. Anche perché perfino i dati positivi sullacrescita dell’economia africana vanno interpretati eper certi versi presi col beneficio d’inventario. A volte,anche solo far emergere una parte dell’economia in-formale africana, per così dire, “tracciandola” e regi-strandola all’interno degli scambi economici di questoo quel Paese, si traduce in un consistente aumentodel Pil (che oggi, grazie a nuove tecniche di rile-

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i cosiddetti Economic partnership agreements, initaliano “Accordi di partenariato economico”, meglioconosciuti con l’acronimo Epa. Un’iniziativa che vedecoinvolta l’Unione europea con 77 Paesi in via di svi-luppo, riuniti nel cartello Acp (Africa, Caraibi ePacifico), molti dei quali ex colonie europee. Morale:l’Europa chiede ai Paesi Acp di eliminare tutte lebarriere all’insegna del libero scambio, come richiestodalle norme dell’Organizzazione mondiale del Com-mercio (Wto), con l’idea che così sarà possibile in-centivare la crescita economica dei Paesi in via disviluppo e contribuire allo sradicamento della povertà.Come era prevedibile, soprattutto i Paesi africanihanno contestato duramente questo indirizzo, anchese alcuni hanno dovuto cedere. La motivazione èrintracciabile nella convinzione che gli Epa, con ilribasso progressivo delle tariffe doganali all’importazionedei prodotti europei, vadano a provocare un dannoirreversibile alle già precarie economie nazionaliafricane, duramente provate dalla crisi finanziariamondiale. Tutto questo, naturalmente, non giova allabuona reputazione dell’Europa nel grande consessoafricano. »

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vamento, consente di quantizzareciò che prima esisteva ma non eraregistrato). Mentre la realtà economicae reddituale reale della gente comune,alla prova dei fatti, non è cambiatapiù di tanto. Inoltre la semplice misu-razione della crescita del Pil non diceassolutamente nulla rispetto a quellache è la sua distribuzione. Emblematicoè il caso dell’Angola dove si registragrazie al settore petrolifero un +12%che finisce puntualmente nelle taschedell’attuale oligarchia al potere, quelladel presidente José Eduardo dos Santos.Uno stesso aumento del reddito moltevolte, come nel caso angolano, risultatutto concentrato nelle mani di una solapersona o di una sola famiglia. Occorrepoi ricordare che molti Paesi africanistanno sì crescendo, ma partendo dacondizioni di disagio economico parti-colarmente gravi. Questo in sostanza si-gnifica che gli spazi di crescita percentualepossono essere rilevanti, ma in rapportoad un Pil di partenza molto basso, para-gonabile a una piccola regione italiana.

Lungo cammino verso il futuroA livello continentale, solo il 20% della popolazioneha accesso diretto all’energia elettrica. Secondo leNazioni Unite, oltre 600 milioni di africani oggivivono senza l’accesso all’energia che servirebbe asoddisfare i loro bisogni fondamentali come la cucina,l’illuminazione e il riscaldamento. Tutto ciò rende laquestione energetica una delle grandi sfide, guardandoal futuro e soprattutto considerando che stiamo co-munque parlando di un continente che possiedenelle proprie viscere le più richieste fonti energetiche,come ad esempio il petrolio, il gas e l’uranio.Saranno i Brics capaci di affermare i diritti delle

Se qualcuno pensasse che basta disfarsi delle ingerenzedell’Occidente per risolvere i problemi dell’Africa sbagliagrossolanamente.

masse impoverite? Qualche analista di questionieconomiche guarda all’Africa oggi come ad un “bigdeal”. Forse sarebbe più corretto dire che rappresentacertamente una grande opportunità per chi fa affarie un po’ meno per gli africani che rischiano d’essere,parafrasando un proverbio nilotico, come l’erba delprato quando gli elefanti combattono. Viene spazzatavia. La sensazione è che il cammino sia ancoramolto lungo per affermare l’agognato rinascimentoafricano, tanto caro a Nelson Mandela. Molto dipenderàdalla capacità della società civile di essere il vivaio dinuove classi dirigenti. Sarà la Storia a giudicare.Vengono alle mente le belle parole di Albert Tévoédjrè,in un suo celebre libro uscito oltre 30 anni fa nellasua edizione italiana, “Povertà, ricchezza dei popoli”,pubblicato in Italia dall’Editrice missionaria (Emi).Nell’intento, per certi versi utopico, di ridisegnare lapolitica e l’economia dell’allora Terzo Mondo, l’intel-lettuale beninese apriva il quarto capitolo del suolibro con una poesia di Salvador Diaz Miròn: «Sappiatelo,sovrani e vassalli, eminenze e mendicanti, nessunoavrà diritto al superfluo, finché uno solo mancheràdel necessario». L’Africa ha indubbiamente bisognodi leader illuminati capaci d’essere, come scriveva lostesso Tévoédjrè, «prima di tutto dei dirigenti dellavita sociale», servitori della res publica intesa come“bene comune”.

In questa cartadell’Africa sonoevidenziati gliinteressi di Paesi non africani in variearee del continente.

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Filo direttoCON L’ECONOMIA

L a partnership tra la Chie-sa, il World Wild lifeFound e altre organizzazio-

ni ambientaliste si è già creataalla Giornata mondiale della Gio-ventù di Rio: papa Francesco so-stiene le campagne per la salva-guardia delle foreste. Ma stavol-ta il responsabile per l’Amazzo-nia della maggiore organizza-zione ambientalista mondiale,Claudio Maretti, si rivolge diret-tamente al pontefice e in questaintervista spiega perché è tantoimportante assumere una posi-zione forte.

In che modo i cambiamenti cli-matici affliggono i più poveri?Come responsabile dell’Amazzo-nia per il Wwf vorrei veramen-te che il papa sostenesse le po-sizioni ufficiali per la riduzionedelle emissioni nocive di gas ser-ra, perché i cambiamenti clima-tici hanno a che fare con la lot-ta alla povertà. E questa è unadelle preoccupazioni di questaChiesa. I Paesi poveri e i più po-veri tra i poveri sono coloro cherisentono di più dei cambia-menti climatici. Quello che è suc-cesso nelle Filippine ne è unesempio. Chi ha meno possibi-lità è anche chi soffre di più. L’In-

tergovernmental Panel on Climate Change delle Na-zioni Unite ha spiegato di recente che, in seguito allemutate condizioni ambientali, di cui la deforestazionedell’Amazzonia è una delle principali cause, eventi ca-tastrofici come alluvioni, cicloni e tifoni devastanti sa-ranno sempre più frequenti. Non possiamo dire chequello che è successo nelle Filippine abbia un nessodiretto con i cambiamenti climatici, ma sicuramenteun collegamento c’è.

Cosa state cercando di fare con i governi interes-sati alla questione della deforestazione in Ameri-ca Latina?Come lobby ambientalista stiamo lavorando con i go-verni del Sud America perchè si impegnino contro ladeforestazione: ad esempio il Perù si è già impegna-to per la “zero ned deforestation”. Cosa significa que-sto? Non si tratta della stessa cosa di “zero defore-station” che è in qualche modo un “no” alla defore-stazione totale. Questa formula è differente: lascia spa-zio al cambiamento nella configurazione dell’uso del-la terra e prevede delle compensazioni. Perché la ter-ra serve anche per la coltivazione, ecc. Per il Perù, adesempio, accettiamo una variazione, ma la deforesta-zione è in gran parte bloccata. In Perù ci sono le lob-by industriali delle miniere che si contrappongono anoi, e al nostro impegno.

Com’è invece la situazione in Brasile?In Brasile l’impegno è per la riduzione dell’80% delladeforestazione. Ancora dobbiamo arrivare all’impegnoper lo “zero ned deforestation”. L’uso della terra e del-le foreste in Brasile è differente rispetto al Perù: in Bra-sile non ci sono tante miniere come in Perù, l’uso èper la coltivazione e il pascolo.

L’Unione europea si sta impegnando di più o dimeno contro i cambiamenti climatici?Purtroppo la crisi economica ha rallentato moltissimol’iniziativa europea e in parte stiamo facendo passi in-dietro. L’Unione europea (Ue) aveva una delle posizio-ni più progressiste in termini di biodiversità, cambia-menti climatici ed emissioni di gas serra. Alla confe-renza sulla biodiversità nel 2010 Ue e Brasile aveva-no raggiunto degli accordi mediati dal Giappone. Poicon la crisi, i governi europei e la Commissione eu-ropea stanno tornando indietro. Non si tratta solo disviluppo ma di crescita economica. Sono sicuro chevogliono meno limitazioni, anche perché gli Stati Uni-ti per via dello shale oil stanno andando avanti con leloro trivellazioni e siamo in competizione.

Ilaria De [email protected]

L’INTERVISTA: CLAUDIO MARETTI

FORESTE, CLIMA E POVERTÀ

Claudio Maretti

LA LOTTA CONTRO ICAMBIAMENTI CLIMATICI È

ANCHE LOTTA CONTRO LAPOVERTÀ. LO SPIEGA IL

RESPONSABILE DIINICIATIVA AMAZONIA VIVA

DA REDE DEL WWF,CLAUDIO MARETTI, CHE

LANCIA UNA MEGA-CAMPAGNA PER SALVARE

LE FORESTE IN AMAZZONIAE FA UN ACCORATO

APPELLO AL VATICANO.«AIUTATECI A DIVULGARE IL

MESSAGGIO CHE RIDURRELE EMISSIONI NOCIVE E

LIMITARE LA DEFORESTAZIONE IN AMERICA LATINA

HA MOLTO A CHE FARE CONLA VITA DEI PIÙ POVERI».

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Missionaria per il SudanMISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

pegnata nella ricerca radicale percomprendere verso quale direzioneindirizzare la propria vita, fino algiugno 1951 quando decide di ini-ziare un cammino spirituale con ilsuo parroco, don Cristoforo Cam-pana (che poi diventerà il suopadre spirituale), che la porterànel dicembre 1952 a pronunciare il votodi castità e la promessa di “matrimonio”spirituale con il Signore.Inizia così un cammino di fede segnatoda fatti sovrannaturali d’intensa spiri-tualità che portano Maria Teresa a pren-dere coscienza di essere strumento del-l’amore di Cristo e ad accettare serena-mente forti sofferenze corporali, chevive come esperienza di comunione conla Chiesa e i suoi pastori, vescovi e sa-cerdoti, perseguitati nella fede. Sofferenzemanifestate nel rivivere anche fisicamentele tre ore di passione del Signore, cheavvennero tutte nel più severo nascon-dimento, tranne che per il suo padrespirituale e per ben quattro papi che se-guirono da vicino le sue sofferenze, a

M aria Teresa Carloni è stata unadonna normale che ha dimo-strato come è possibile coniu-

gare una rigorosa spiritualità mistica auna pratica costante di carità concreta,a fianco di una Chiesa, a quel tempo eancora oggi in molte aree del mondo,perseguitata. Furono 32 tra cardinali evescovi, provenienti da tutte le parti delmondo, i prelati che si recarono a farlevisita nella sua casa marchigiana di Ur-bania.Nell’antica cittadina della provincia pe-sarese Maria Teresa era nata nel 1919,dove è morta all’età di 64 anni. Orfanadei genitori a soli tre anni, viene affidata,assieme al fratello Adolfo, alla nonnamaterna che incoraggia i suoi studi. Nel1946 si laurea in pedagogia e la suavita, fino al 1950, è un percorso segnatoda esperienze che la inducono da unlato ad allontanarsi dalla fede, dall’altroad esercitare una concreta carità, pro-digandosi, tra l’altro, nella cura degliammalati e degli sfollati del Polesine.Gli anni della giovinezza la vedono im-

La maternità spirituale di Maria Teresa CarloniLa maternità spirituale di Maria Teresa Carloni

cominciare da Pio XII che affidò a MariaTeresa anche delicate missioni presso leChiese perseguitate dell’Est Europa.Dio aveva scelto questa donna convertitae poco incline ad una religiosità “tradi-zionale”, ma capace di penitenze ederoismi d’amore degni dei più grandimistici, strumenti eletti a servizio dellaChiesa nella bufera della persecuzione.È questa propensione ad un amore e aduna carità universali che spinge MariaTeresa a rendersi missionaria anche at-traverso una maternità spirituale che sirende visibile a partire dalla metà deglianni Cinquanta, quando prende contattocon i Comboniani per adottare come

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Dalle Marche all’Africa,questa donna, poco inclinead una religiositàtradizionale e al tempostesso profondamentemistica, ha lasciato unesempio di amore e caritàuniversale. La suaattenzione alle sofferenzedella Chiesa perseguitatanel mondo ha impresso unforte tratto nei sacerdoti acui per molti anni è stataspiritualmente vicina.

figlio spirituale un postulante. Le fu af-fidato un giovane sudanese, Pietro Ma-galasi, che fu sostenuto negli studi eseguito nella formazione fino alla suaconsacrazione sacerdotale. Da quell’espe-rienza di figliolanza ne seguirono moltealtre analoghe: monsignor Ireneo Dud,al tempo vescovo di Wau e poi di Juba,monsignor Giuseppe Gasi, vescovo diTombora, l’arcivescovo di Kartoum, car-dinale Gabriele Zubeir e tanti altri sa-cerdoti, tutti seguiti con affetto maternosia materialmente sia, ancor più impor-tante, spiritualmente nelle gioie e sof-ferenze. Maria Teresa andò a trovare

questi suoi “figli” del Sud Sudan nel no-vembre 1960. Fu monsignor Dud ad ac-coglierla a Wau e ad accompagnarlanelle varie missioni della diocesi.Nel 1964 il governo sudanese espelletutti i missionari stranieri, le popolazionidel Sud subiscono forti persecuzioni.Per far sì che la situazione sudanese

fosse conosciuta fuoridai confini del Paese,la Carloni si adoperòaffinché il vescovocomboniano EdoardoMason scrivesse, uti-lizzando uno pseudo-nimo, un libro che te-stimoniasse, anche secon tutte le dovuteprecauzioni per nonmettere a rischio i sa-cerdoti sudanesi, quan-to stava succedendoin quelle terre. Il librofu stampato dalla ti-pografia Bramante di

Urbania, nel 1964, con il titolo “Così vail mondo nel Sudan”.Quanto il Signore ha donato a Maria Te-resa è forse la fede “più difficile”, macertamente più autentica e genuina, cheil mondo stesso sembra esigere da noicristiani oggi, perché sia valida la nostratestimonianza, credibile il nostro mes-saggio, specifica e vitale la nostra rispostaagli interrogativi dell’umana esistenza.Una mistica a servizio della missionarietàda approfondire perché testimoniata inun periodo non lontano nel tempo e inun contesto sociale, politico e spiritualeancora molto attuale. F.M.C.

S ta assumendo dimensioni enormi il mer-cato della droga in Argentina. Le ultime

statistiche dell’Onu posizionano il Paese,sino a dieci anni fa fuori dai circuiti del nar-cotraffico, come il terzo al mondo tra i prin-cipali esportatori di cocaina. A ciò bisognaaggiunge il paco, una terribile droga checrea immediata assuefazione, costa poco esta trascinando gran parte dei giovani, so-prattutto di classe sociale bassa, a lavorareper i narcos. Rosario, la seconda città del-l’Argentina, si è trasformata in un campo dibattaglia per la raffinazione della cocainache arriva dalla Bolivia in quella che è statarinominata la “strada della coca”. Qui imorti degli scontri tra gang si contano adecine ogni settimana - sono già quasi 300da inizio anno - e si sono scoperti laboratoricapaci di raffinare ogni giorno 100 chili dicoca purissima.Duro l’allarme lanciato dalla Conferenzadei vescovi argentini che, in un comunicatoufficiale, hanno scritto: «Contro la droga ilgoverno e la società civile devono fare qual-cosa subito e con forza, altrimenti, per re-cuperare, ci vorranno molti anni e moltosangue». Il timore è che l’Argentina diventicome il Messico, con il rischio che si possatrasformare a breve in un narco-Stato, so-prattutto per la collusione di polizia, giudicied organi dello Stato con chi gestisce ilmercato degli stupefacenti. In questo scenariodesolante, un ruolo importante lo svolgonoi preti di strada come padre Núñez diRosario che, dopo avere denunciato un’edi-cola di droga davanti a casa sua - i puntivendita qui li chiamano kioscos, edicoleper l’appunto - ha ricevuto subito unarisposta da un “servitore” dello Stato chelo ha lasciato di sasso. Un giudice gli hainfatti sequestrato la mensa per bambinipoveri da lui gestita.Per la cronaca i “ragazzi soldato” dei narcosuccisi a Rosario quest’anno sono già più di 100.

di Paolo Manzo

ARGENTINA, PRETI CONTROLA DROGA

OSSERVATORIO

AMERICALATINA

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N on c’è dubbio che le parole di papa Francesco- pronunciate a Roma il 10 settembre dello

scorso anno, durante la visita al Centro Astalli per ilservizio ai rifugiati – abbiano fatto breccia nel cuoredi tanti. Il papa si rivolgeva ai religiosi e alle religiose,«a vivere con più coraggio e generositàl’accoglienza nelle comunità, nellecase, nei conventi vuoti». Chi ha tra-sformato per primo quest’invito inrealtà è monsignor Louis Raphael ISako, patriarca di Babilonia dei Caldei,che ad ottobre scorso ha annunciatola distribuzione del primo lotto di 16appartamenti ricavati dalla ristruttu-razione dell’ex Seminario patriarcaledella Chiesa caldea di Baghdad, ormaivuoto. Altre 32 unità abitative sarannoconsegnate prossimamente. Quaran-totto case in tutto, destinate a famigliebisognose cristiane.Il fatto che chi ne beneficia sia cristianonon è certamente frutto di discrimi-nazione religiosa. La spiegazione stain un dato che fa paura: prima dellaSeconda Guerra del Golfo (iniziata nelmarzo 2003 con l’invasione americana) i cristianiiracheni erano più di un milione; oggi sono circa300mila. Quello dell’esodo dei cristiani è un problemadavvero immane in Iraq. Il Patriarcato caldeo sta fa-cendo di tutto per convincere le giovani famiglie anon abbandonare la propria patria, provando afrenare quell’emigrazione che qui sta erodendo lecomunità cristiane autoctone, tutte di radice apo-stolica.Il nuovo complesso residenziale si trova nel quartieredi Dora, zona meridionale di Baghdad. In quest’areai cristiani hanno affrontato, soprattutto nel 2006,gravi difficoltà a causa del terrorismo e della guerrasettaria. Ciò ha spinto la maggioranza di loro ademigrare. Anche il Seminario, per gli stessi motivi, èstato costretto a chiudere per poi aprire ad Arbil,nel Kurdistan iracheno. L’ex Seminario è rimasto,dunque, vuoto tutti questi anni. Poi monsignor Sakoè stato eletto patriarca ed ha cercato da subito deimodi concreti per aiutare i cristiani a rimanere nel

di Chiara [email protected]

proprio Paese. Così è andato a visitare l’edificio (checonosceva bene in quanto è stato rettore del Seminariodal 1997 al 2001) ed ha deciso di trasformarlo incondominio per bisognosi.Purtroppo l’esodo dei cristiani iracheni continua,nonostante gli appelli del patriarca Sako a fermarel’emigrazione e nonostante gli aiuti concreti che sicerca di dare. D’altronde, però, i cristiani non vedonofuturo nel Paese, vivono nella povertà, non hannosperanza per sé e i propri figli.«Il Santo Padre Francesco è un buon esempio per lenostre Chiese: le sue iniziative - soprattutto in favoredei poveri - ci ispirano per aiutare i nostri bisognosi»commenta padre Albert Zarazeer, responsabile dellacomunicazione del Patriarcato caldeo di Baghdad. Eaggiunge: «Nei suoi discorsi Sua Beatitudine Sakoricorda sempre papa Francesco, invitando i sacerdotie i fedeli a seguire il suo esempio». Stavolta, conl’apertura dell’ex Seminario ai bisognosi, lo ha addi-rittura anticipato.

POVERI INSEMINARIO

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etto

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Un libro che aiuta nella vocazioneMISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

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O ggi più che mai si sente l’urgenza di riu-manizzare i percorsi di formazione e dicura a cui le persone attingono, perché

non siano avulsi dalla vita e dalle problematichereali che si vivono. Anche la psicoterapia ha bi-sogno di essere riumanizzata, per questo occorreche il lavoro di guarigione rientri in un programmadi vita che aiuti a riscoprire il senso di ciò che fae della propria identità profonda. Infatti nonbasta stendersi sul lettino di uno psicologo perveder sparire il malessere psichico di una persona;occorre invece scoprire le novità di valore sot-tostanti il lavoro terapeutico, e questo è possibilenella misura in cui ci si confronta con i principidi fondo della propria esistenza.Ecco di cosa parla il libro di Giuseppe Crea “Ri-umanizzare la psicoterapia” (LAS, 2013), spiegandocome la sofferenza non possa essere esorcizzatané da tecniche miracolistiche di guarigione, néda rigidi etichettamenti diagnostici. Occorrepiuttosto ricostruire un terreno nuovo di incontrotra terapeuta e paziente, un vero processo dia-logico che permetta di dare continuità al percorsodi crescita che la persona ha già conosciuto sindalla sua infanzia.Ma che c’entra tutto questo con il mondo deimissionari e della missione? Come possono coloroche per chiamata vocazionale sono naturalmenteprotesi a soccorrere gli altri (per di più nellecondizioni di estremo disagio, di povertà, malattie,ingiustizie, ecc.), avere bisogno loro stessi diaiuto?Perché questo libro tro-vi spazio (seppur mi-nimo) tra gli interessidi questi operatori diuna pastorale così spe-ciale – qual è appuntoquella della missione –dobbiamo ricorrere alleparole di san Carlo Bor-romeo: «Eserciti la curad'anime? Non trascu-rare per questo la curadi te stesso, e non darti agli altri fino al puntoche non rimanga nulla di te a te stesso. Deviavere certo presente il ricordo delle anime di cuisei pastore, ma non dimenticarti di te stesso».Solo che a volte ci si dimentica che la »

Come possono coloroche per chiamatavocazionale sononaturalmente protesia soccorrere gli altri, avere bisogno loro stessi di aiuto?

di GIAN FRANCO POLI*[email protected] la missione

ha bisogno di prendersi cura di se stessa

Anche la missione ha bisogno di prendersi cura di se stessa

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

propria umanità ha bisogno di esserecurata, soprattutto quando si è coinvoltiin un ideale di dedizione che puntatroppo in alto: la giustizia, la pace, la so-lidarietà universale, l’essere strumenti diDio. Se da una parte l'attività missionariaprende spunto dalle profonde motivazionivocazionali che la persona porta con sé,come risposta ad unachiamata di Dio per ilservizio ai fratelli, dal-l'altra questa stessa pre-disposizione potrebbe es-sere occasione di disa-dattamento quando que-sti operatori della mis-sione non tengono suf-ficientemente conto dellapropria natura umana edei limiti che, anche a li-vello psicofisiologico, vi-vono.Anche nella vita di questepersone ci possono esseremomenti in cui la loro crescita umana evocazionale viene interrotta da condizioniintrapsichiche o da fattori esterni cheoltrepassano la buona volontà del singolo,per cui si trovano a vivere condizioni disofferenza da cui non riescono più ad

uscire. Il percorso ri-umanizzato dellapsicoterapia mira a ripristinare tale pro-cesso di crescita, attraverso la condivisionedi esperienze e di valori relazionali chesostengono gli sforzi di guarigione dichi vuole riscoprire un benessere che siaintegrato con il significato vocazionaledella vita.Se il punto di partenza di questo libro èil disagio psichico delle persone, il puntoverso cui il lettore è orientato è il cam-biamento realizzato attraverso la scopertadel senso della propria esistenza. A voltesi tratta di un cambiamento faticoso eincerto, ma comunque pur sempre pos-sibile, perché realizzato attraverso letante opportunità relazionali che ognipersona ha a disposizione.In questo senso si coglie il valore tra-sformativo del cammino terapeutico,quando facilita non solo la cura deisintomi ma soprattutto la crescita della“persona totale”, nella sua identità umanae spirituale, se per spirituale si intendequello spazio di autotrascendenza cheogni individuo possiede e che facilital’apertura verso nuovi orizzonti di senso.Il luogo privilegiato che incarna questoprocesso di crescita globale è la relazione

intesa come luogo di me-diazione, per condividere,sul piano interpersonale,le tante potenzialità a di-sposizione.Infatti, così come nel suopassato la persona ha avutola possibilità di cogliere ilsenso della propria crescitaevolutiva, e di realizzarlocon l’aiuto delle personeaffettivamente “significa-tive”, anche nel percorsodi psicoterapia ci sono nuo-vi significati da scoprire eda realizzare, attraverso

quello che succede tra terapeuta e pa-ziente. È nella relazione che la personariscopre le opportunità di cambiamentoche ha a disposizione. Questa concezionediventa particolarmente curativa se alcentro dell’incontro c’è una concezione

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valoriale dell’esistenza, perché apre adun modo diverso di guardare ai mecca-nismi della psiche umana.Il libro di Giuseppe Crea spiega tuttoquesto attraverso l’incontro di due orien-tamenti teorici, cui si collegano altrettantimetodi di intervento terapeutico. Da unaparte l’Analisi transazionale di Eric Berne,e dall’altra la Logoterapia di VicktorFrankl.Se l’Analisi transazionale aiuta a vederein azione dentro ognuno di noi quelleparti autoritarie o infantili che possonosoffocare i più genuini desideri di spon-taneità ed autenticità, la Logoterapia ri-sulta di grande utilità quando si trattadi riprendere il filo interrotto del significatodell’esistenza.Ed è questa integrazione che coinvolgela persona ad assumere un atteggiamentofortemente positivo nei confronti di si-tuazioni problematiche che caratterizzanoquelle sofferenze che appaiono il piùdelle volte insanabili. «L’approccio privi-legiato - scrive Giuseppe Crea - è quellodi una concezione della terapia che nonsi ferma ai sintomi o alle categorie che lidefiniscono, ma che tiene conto della

A volte ci sidimentica che lapropria umanità habisogno di esserecurata, soprattuttoquando si è coinvoltiin un ideale didedizione che puntatroppo in alto.

Giuseppe Crea, missionariocomboniano, psicologo e psicoterapeuta.

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dimensione esistenziale che caratterizzail processo di sviluppo di ogni essere vi-vente, un processo che coinvolge con-cretamente la persona lungo tutto l’arcodella sua esistenza».Il volume, arricchito dai tanti casi clinicipresentati, è anzitutto uno strumento diriflessione per quanti vivonoil disagio psichico con lasperanza di essere aiutati,senza accontentarsi di undestino di sofferenza inevi-tabile.Ma è anche un libro che in-vita a guardare in modo di-verso al malessere, perché èpossibile cambiare nella mi-sura in cui la persona si pone alla ricercadi quella forza vitale che la orienta versonuove prospettive di senso per la propriaesistenza.Così, attraverso il confronto tra modelliterapeutici accomunati da uno stessofilo conduttore – che è appunto la ricercadi nuovi significati presenti anche nellecondizioni di sofferenza psichica – illibro facilita una visione integrativa dellavoro terapeutico. Una visione in cui la

trasmissione di valori non solo è inevitabilema è anche auspicabile per dare fonda-mento ad un lavoro che non sia solo cu-rativo dei sintomi esterni ma sia ancheeducativo dei significati profondi chesottendono l’esistenza umana.Una lettura dei casi clinici presentati

(anche di preti e suore interapia) e del loro filo con-duttore è molto utile perchiunque si interroghi sucome vivere in manieraautentica la propria voca-zione e non si accontentidi una scelta fatta unavolta per tutte, ma è di-sposto a rinnovarla anche

e soprattutto nei momenti di crisi e disofferenza psichica.In conclusione, si tratta di un libro cheaiuta a stare meglio perché invita inmodo chiaro e coinvolgente ad intra-prendere un percorso esperienziale tesoa conoscere le proprie potenzialità, uti-lizzandole in modo funzionale ed armo-nico per il proprio benessere personaleed esistenziale.

* Sacerdote, psichiatra

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Un libro che aiuta nella vocazione

A lcuni bambini attraversano la giungla coni libri sottobraccio, dirigendosi verso la

riva del fiume. Come ogni anno, in Bangladeshil monsone ha inondato le loro capanne e iterreni intorno. In altre zone le scuole sonostate distrutte o rese inagibili dalle alluvioni,ma qui, a Shidulai, i ragazzini possono saliresulle cosiddette boat school e non perdereneanche un giorno di lezione.«Entro il 2050, il 17% del territorio bengalesesarà sommerso dall’acqua. Quindi, è meglioadattarsi fin d’ora alla situazione». Così spiegaMohammed Rezwan, architetto di successoche ha inventato le classi galleggianti e cheda bambino non andò a scuola per moltotempo a causa di un’inondazione. Dopo essersitrasferito in città, nel 2006 ha deciso di tornarea Shidulai per aiutare i ragazzini che oravivono nel villaggio della sua infanzia.A raccontare il progetto del Floating EducationSystem è il capitolo 14 di The Gathering Storm(La tormenta in arrivo), una serie di docu-mentari sui problemi ambientali che si puòvedere su www.irinnews.org/film/4138/Boat-Schools, sito d’informazione umanitaria eanalisi dell’Onu. L’idea semplice ma efficacedelle boat school parte dalla consapevolezzache essendo i cambiamenti climatici semprepiù veloci ed estremi, non c’è tempo daperdere. Soprattutto in Bangladesh, Paese si-tuato sul Delta più grande al mondo, quellodel Gange, e attraversato da moltissimi suoiaffluenti, i monsoni si sono trasformati inviolenti cicloni a causa dello scioglimento deighiacciai himalayani. Se un tempo le pioggestagionali erano indispensabili per renderefertili i campi, nell’ultimo trentennio sono di-venute causa di morte e devastazione. Lo ab-biamo recentemente visto nelle Filippine e inSardegna. Ma neppure eventi così tragicihanno portato i 190 Paesi riuniti a Varsaviaalla Conferenza Onu sul Clima a trovare unaccordo. La riduzione delle emissioni di gasserra resta una chimera. In Bangladesh, intanto,dove il 5 gennaio si tengono le elezioni parla-mentari, continua il balletto politico fra KhaledaZia e Sheikh Hasina, le due donne che da unventennio si contendono il potere.

di Francesca Lancini

SCUOLE GALLEGGIANTI

OSSERVATORIO

ASIA

Il volume è unostrumento diriflessione per quanti vivono ildisagio psichico.

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Le cattedrali del consumismo

Le cattedrali del consumismo

MUTAMENTI

artigiani (Cna), che aggiunge: «Saràun’invasione che provocherà la mortedi tre negozi su 10 senza vantaggi intermini occupazionali».Invasione cominciata già da diversianni su scala mondiale. Fino agli anniSettanta - Ottanta si facevano acqui-sti nelle botteghe del quartiere, intrec-

O gni nuovo bambino che nascea Roma, da qui al 2015, avrà adisposizione oltre 500 metri

quadri di centro commerciale. La sti-ma è della Confederazione nazionale

di LUCIANA [email protected]

È un’invasione su scala mondiale, quella dei centricommerciali, che in alcuni casi diventano vere eproprie città nelle città. Nato in Occidente, il trend siè fortemente imposto nei Paesi più poveri e in quelliemergenti: siamo a rischio desertificazione sociale? ciando rapporti di cordialità con il sa-

lumiere, il tappezziere o la proprieta-ria del negozietto di abbigliamento. Poic’è stato il passaggio dalla piccola allagrande distribuzione che ha riguarda-to tutti i principali settori, dall’alimen-tare all’industria cinematografica.E in zone periferiche o semi periferiche(ma in certi casi anche nel centro del-le metropoli) sono spuntati quelli cheGeorge Ritzer ha definito in un suo sag-gio del 2005 “le cattedrali del consu-

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Grande distribuzione e concentrazioni commerciali

to, i supermercati, le grandi catene al-berghiere con le loro camere intercam-biabili, ma «anche i campi profughidove sono parcheggiati a tempo inde-terminato i rifugiati da guerre e mise-rie». Il non-luogo – sottolinea lo stu-dioso - è il contrario di una dimora, diuna residenza, di un luogo nel senso co-mune del termine. E al suo anonima-to, paradossalmente, si accede solo

fornendo una provadella propria identità:passaporto, carta dicredito. Nel proporciun’antropologia diquella che lui definisce“surmodernità”, Augéci introduce anche auna etnologia della so-litudine.La questione ha unadimensione sociale maanche significative rica-dute economiche e oc-cupazionali. In Italia laCna rileva che «unagrande catena di abbi-

gliamento occupa un addetto ogni300 metri quadri, mentre un negozio divicinato che vende gli stessi articoli per100 metri quadri dà lavoro a ben trepersone, specializzate e meglio tutela-te». Dalla Fiesa Esercenti (che rappre-senta il comparto alimentare) parte unaltro allarme: per effetto della cosid-detta desertificazione, il 62% degli8.100 comuni italiani rischia di rima-nere senza servizi primari quali la for-nitura di pane, latte o carne.Ma c’è anche il rischio che le “cattedra-li del consumo” rischino di provocare ladesertificazione della dimensione socia-le dell’individuo. «Le aperture domeni-cali indiscriminate - osserva il presiden-te di Confesercenti, Giorgio Ambrosio-ni - hanno svuotato di significato il ri-poso festivo e l’hanno sostituito con ilmeccanico rito dello shopping a tuttii costi, che non porta benessere né ma-teriale né spirituale, ma finisce solo conil favorire l’interesse di pochi».

ti, dall’ampia offerta e dalla possibili-tà di “parcheggiare” i figli presso learee-giochi, dedicando così le ore libe-re della settimana alla sola pratica delconsumo.Nato in Occidente, il trend si è forte-mente imposto nei Paesi più poveri e inquelli emergenti. Per esempio a Colom-bo, capitale dello Sri Lanka, tra i piùconsigliati c’è il Centro commercialeOdel, dove si arriva solocon taxi o tuk-tuk (sor-ta di mini taxi aperto ailati) a causa della stradaimpervia e sterrata, mache garantisce “stile oc-cidentale” e “aria condi-zionata”. A Rio de Janei-ro, dove si contano cir-ca 600 favelas, sono fio-riti enormi centri com-merciali chiaramenteispirati ai giganti statu-nitensi e c’è chi, come ilFashion Mall a São Con-rado, si vanta di propor-re “lo shopping più carodi Rio”. Anche a Nairobi, neppure a trop-pa distanza dalle aree più disagiate, sor-gono enormi shopping mall: uno diquesti è stato purtroppo teatro, nel set-tembre dello scorso anno, di un assal-to rivendicato dal gruppo terroristicosomalo al-Shabaab, durato alcuni gior-ni e costato la vita a 62 persone.Il fenomeno dei grandi centri commer-ciali, strettamente legato all’urbaniz-zazione e agli interessi delle multina-zionali, comporta profondi cambia-menti nel modo di comportarsi e dipensare delle persone. Il sociologofrancese Marc Augé, in un saggio del1992, ha coniato il neologismo “non-luoghi”, spiegando che sono “queglispazi dell’anonimato” ogni giorno piùnumerosi e frequentati da individui si-mili ma soli. Non-luoghi sono sia le in-frastrutture per il trasporto veloce(autostrade, stazioni, aeroporti), sia imezzi stessi di trasporto (automobili,treni, aerei). Sono non-luoghi, appun-

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Una grande catena diabbigliamento occupaun addetto ogni 300metri quadri, mentre unnegozio di vicinato chevende gli stessi articoliper 100 metri quadri dà lavoro a ben trepersone, specializzate e meglio tutelate.

mo”. «Nelle epoche precedenti erano imezzi di produzione a predominare, maal giorno d’oggi la supremazia è passa-ta ai mezzi di consumo, così il centrocommerciale ha rimpiazzato la fabbri-ca come struttura caratteristica del-l’epoca» scrive il docente dell’Univer-sità del Maryland, paragonando il fe-nomeno a una sorta di rito pagano col-lettivo. Ormai molte famiglie trascor-rono intere giornate negli shoppingmall, magari attirati dai prezzi ribassa-

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L’altra

Il futuro incerto e ancora tutto da giocare nei Paesi delNord Africa alle prese con la gestione delle controrivolu-zioni; la speranza di un nuovo Afghanistan dopo il ritiro

dei contingenti internazionali e le prime elezioni “libere” dal2009; il destino della popolazione indiana che si vorrebbeprotagonista di nuove scelte politiche dopo il risultato delleurne a maggio 2014.

Sono alcuni scenari che si aprono in questo scorcio di 2014appena iniziato. E sui quali occorre spostare l’attenzionedell’Occidente per capire dove va il mondo. La stampa deiPaesi Brics e in genere del Sud del pianeta è attenta alle no-vità più grosse: certamente tengono banco le elezioni in In-dia, la cui campagna elettorale è il focus mediatico dei primimesi del 2014, fino al voto di maggio. C’è voglia di novità edi nuovi leader nel sub-continente indiano. Le elezioni am-ministrative appena terminate hanno punito lo storico par-tito di Sonia Gandhi e rappresentano un test per l’appunta-

edicola

di ILARIA DE [email protected]

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LA NOTIZIA

IL 2014 SI APRE CON ALCUNIIMPORTANTI APPUNTAMENTI FISSATIPER I PRIMI MESI DEL NUOVO ANNO: LE ELEZIONI POLITICHE IN INDIA E INAFGHANISTAN, ANZITUTTO. L’AUSPICIO DELLA STAMPA È CHE LEPOPOLAZIONI LOCALI SIANOMAGGIORMENTE PROTAGONISTE DELLORO DESTINO. MA GLI SCENARIINTERNAZIONALI APERTI RIMANGONOANCORA MOLTI: UNO FRA TUTTI QUELLO DEL NORD AFRICA, ANCORA ALLA PRESE CON L’ESPLICITA LOTTAINTESTINA TRA MODERNISMO EISLAMISMO CONSERVATORE, UNBRACCIO DI FERRO TUTTO DA GIOCARE,SOPRATTUTTO IN EGITTO.

AFGHANISTAN-INDIA:SCENARI 2014AFGHANISTAN-INDIA:SCENARI 2014

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sponibili. Il Congresso èsceso a otto seggi. Un se-gnale unico di partecipa-zione dal basso, in un Paeseche si è sempre affidato aileader tradizionali. La do-manda dell’editorialista diAl Jazeera è: «Il contrac-colpo subito dal partito algoverno nelle elezioni am-ministrative indiane è soloun voto di protesta controla corruzione o è il segnaledi quello che cambierà dopole prossime elezioni nazio-nali?». Questo lo sapremosolo nella primavera del2014.L’altro grande tema eletto-rale che occupa le paginedei quotidiani internazionaliè quello del futuro dell’Af-ghanistan dopo il ritiro delletruppe americane. Il Paesedi Karzai affronta le primeelezioni popolari dal 2009,ma sono già molte le segna-lazioni di frodi. Scrive ilGuardian che «con 11 can-didati, inclusi potenti ex mi-nistri, il fratello del presi-dente in carica, HamidKarzai, e i parenti della fa-miglia reale, molti di coloroche lavorano alle elezionihanno accettato che non siaancora stata fissata unadata». Anche Geopolitica,la rivista di Alti studi in

Geopolitica e Scienze ausiliarie, scrive che «i temi della go-vernance come la corruzione o la mancanza di servizi pub-blici e sicurezza che continuano a riguardare l’amministra-zione di Karzai, rimangono tra le maggiori preoccupazioni. Ledimissioni dei ministri della Difesa e degli Interni hannoinoltre alimentato le voci su probabili lotte intestine all’in-terno dell’amministrazione».La confusione e l’insicurezza si sono acuite dopo l’assassiniodi governatori, capi di polizia distrettuali e provinciali, mem-bri dell’Alto Consiglio per la pace, inclusi il presi-

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Equilibri internazionali

mento elettorale nazionale.«Il partito di maggioranza, l’India National Congress, haperso voti, a vantaggio del nazionalista Hindu BharatiyaJanata, dell’Indian People Party e anche del nuovo AamAadmi Party che combatte la corruzione e si impegna a fa-vore della ripresa economica», scrive Al Jazeera. In effetti ildato più significativo è questa fuga dell’elettorato dal par-tito storico per approdare verso quello del “Grillo indiano”,Arvind Kejriwal, che si presentava per la prima volta nell’AamAadmi, ed ha conquistato in un colpo solo 28 seggi sui 70 di- »

L’altro grande temaelettorale che occupa le pagine dei quotidianiinternazionali èquello del futurodell’Afghanistan dopoil ritiro delle truppeamericane. Il Paesedi Karzai affronta leprime elezionipopolari dal 2009.

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L’altra edicolaEquilibri internazionali

di un nuovo volto, mediando tra modernismo e conservatori-smo, il sito del quotidiano on line Egypt Independent scriveche l’Egitto brancola nel buio.Non esiste più uno Stato degno di questo nome. Amnesty In-

ternational ha denunciato apertamente le autoritàegiziane «che non hanno dato risposte alle richie-ste della rivoluzione del 25 gennaio 2011. Il go-verno ha fallito nel proteggere in particolare ledonne e le ragazze più giovani dalle discriminazionie le comunità di minoranza» tra cui quelle cri-stiano-copte devastate da attacchi settari nel-l’agosto 2013. «Finora il ministro dell’Interno nonha ancora garantito un trattamento adeguato allacittadinanza egiziana. Non ci sono procedure perle riforme che assicurino un salario minimo e un li-vello di vita rispettabile per i cittadini», ha dichia-rato all’Egypt Independent Malek Adly, avvocatodell’Egyptian Center for Economic and SocialRights e membro della commissione che ha messoa punto il rapporto delle Nazioni Unite sull’Egitto.Il 2014 quindi si apre ancora con una grossa in-

cognita sul futuro dei Paesi che hanno preso parte attiva-mente alle rivoluzioni del 2011 e ci lascia con un punto in-terrogativo senza risposte.

dente Burhanuddin Rabbani e Arsala Rahmani nel maggio2012. Ma in Afghanistan a preoccupare anche molto è l’asso-luta mancanza di libertà di stampa e le minacce continue con-tro i giornalisti: secondo l’Afghanistan Analists Network,«varie organizzazioni professionali di giornalistiafghani sono di nuovo in allarme. Alla fine dinovembre scorso l’Afghanistan Journalists Cen-ter (AFJC) ha chiesto che le autorità del Paesesegnalassero in modo più rigoroso casi di omi-cidi e violenze contro i loro colleghi. Ha parlatodi “cultura del crimine” e di immunità».Spostando l’attenzione dall’Afghanistan alla Si-ria ancora in fiamme, il focus di gran parte deigiornali mediorientali e occidentali è puntatosulla sorte dei profughi siriani fuggiti in Libanoe in Giordania. «Nel solo Libano - scrive il sitodell’emittente Nbc news - ci sono centinaia dicampi profughi, migliaia di famiglie e oltre unmilione di rifugiati». Il blog Syrianrevolutiondi-gest racconta le storie dei bambini e delle donneapprodati nei campi allestiti dalle Nazioni Uniteche li accolgono come possono. La loro sorte nel corso del 2014dovrà necessariamente interessare sempre di più l’Occidente.Altro capitolo è quello del Nord Africa che arranca alla ricerca

Il 2014 si apre con una grossaincognita sul futurodei Paesi che hannopreso parteattivamente allerivoluzioni del 2011e ci lascia con unpunto interrogativosenza risposte.

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ Posta dei missionari

a cura diCHIARA PELLICCI

[email protected]

Il donodi Ham

Il donodi Ham

lità del villaggio, più frequentementesono piccoli nuclei, a volte una famigliao anche una persona per villaggio.Come suore saveriane siamo giunte quinel novembre 2000, quando i sacerdo-ti fidei donum del Triveneto stavano su-bentrando ai padri del Pontificio istitu-to missioni estere (Pime). Nei primianni, mentre conoscevamo la realtà epraticavamo la lingua, abitavamo nellastruttura parrocchiale. Ci siamo poi tra-sferite a 16 chilometri di distanza, aThung Chao, un piccolo villaggio.

La parrocchia dove lavoriamo, in-titolata a Maria Regina della Pace,comprende circa 200 villaggi di-

stribuiti in tre distretti della provincia diLampang: Chae Hom, Wang Nua eMuang Pan. La popolazione complessi-va, 127mila abitanti, appartiene a set-te diverse etnie con lingue e culture traloro differenti. Si parla ufficialmente lalingua thai. Siamo a 170 chilometri daChiang Mai, centro della diocesi.I cristiani che compongono la comuni-tà parrocchiale si trovano in 44 villag-gi, dislocati da un estremo all’altro del-la zona: raramente sono la quasi tota- »

In alto:

Il tempio Wat Rong Khun, interamentebianco, si differenzia dai coloratissimi templidella zona. Il bianco e i numerosissimispecchietti incastonati sulle pareti sono statipensati dall’artista per favorire giochi di luceche risultano molto suggestivi, specialmenteal mattino e al tramonto.Sopra:

Chiesa parrocchiale di Me Suei, dedicata alloSpirito Santo. Si trova nella provincia diChiang Rai (diocesi di Chiang Mai). È gestita dai padre del Pime.

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te protestante, ma non siera mai voluta interessa-re alla fede cristiana.Aveva poi sposato unbuddista del villaggioconfinante. Lavoravanosodo per costruirsi unfuturo, erano molto uni-ti ed erano felici. Poi leisi ammalò quando eramadre di una bambinadi sette anni circa. Anda-vamo a trovarla per es-serle vicine e assicurar-le l’aiuto possibile. A uncerto punto la signoraha voluto seguire uncammino di conoscenza

della fede cristiana e ha chiesto di ve-nire a pregare. L’accompagnava suomarito, Lan, un bel ragazzo di poco piùdi 30 anni, una persona molto riserva-ta. Dopo aver seguito la moglie nel sa-lone, spariva. Poi ha cominciato a seder-si sulla soglia della porta, di spalle. Or-mai conoscevo questo linguaggio: «Sononei paraggi, ma lasciami stare». Lo lascia-vo stare, ma lo osservavo.Dopo qualche tempo arrivarono in tre:papà, mamma e figlia, una bambina disesta elementare. Il papà era sempre mol-to timido, ma cominciava a familiariz-zare con gli altri. Il cambiamento si ve-

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

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larmente i villaggi e i gruppi già esisten-ti. Queste realtà, seguite più assiduamen-te, hanno cominciato a dare i loro frut-ti. Alcune persone sono arrivate alla de-cisione di diventare cristiane e ho avu-to la gioia di accompagnarle al battesi-mo: dove dieci anni fa c’erano solo duefamiglie cristiane, ora c’è una piccola co-munità. Il figlio maggiore di Bua Phat,Ciongcio, è ora in seminario maggiore,a Bangkok.Vi presento qualcuno di loro.

“NON HO PIÙ PAURA”Yii veniva da una famiglia in gran par-

La scelta di questo posto ha origini lon-tane: Ham, un signore coreano, catto-lico, si era stabilito qui per lavoro 35 annifa; aveva poi sposato una donna del po-sto, Buaphat, e avevano avuto due figli.Nel tempo, sia la moglie che i figli rice-vettero il battesimo, divenendo cosìl’unica famiglia cattolica del villaggio.Ham desiderava tanto che si avviasse nelvillaggio una comunità cristiana e ac-coglieva in casa sua, ogni domenica sera,il gruppo delle persone interessate a co-noscere Gesù. Donò poi alla parrocchiaun terreno perché un giorno vi si potes-se costruire la chiesa. Dopo la sua mor-te, avvenuta nel 1997, la moglie e i fi-gli hanno continuato nella linea delpapà. Nel 2004, su quel terreno ricevu-to in dono, la parrocchia ha costruito unsalone per gli incontri e per la celebra-zione dell’Eucaristia.

ALTRI CI HANNO PRECEDUTOPrima di noi, altri avevano seminato consacrificio in questa zona: i padri del Pime,grazie ai quali già da anni si erano for-mati gruppi che, più o meno regolar-mente, si riunivano per leggere il Van-gelo, cantare e pregare. A volte andava-no a Lampang per alcuni giorni di for-mazione.Dal 2002, abbiamo potuto visitare rego-

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Posta dei missionari

deva anche fisicamente. Finalmente en-trò anche lui nel salone e si sedette comeparte del gruppo: si metteva però sem-pre un po’ di lato al nostro cerchio, inmodo da non farsi guardare in faccia.Pian piano stava facendo il suo cammi-no. Noi facevamo il segno della croce elo faceva anche lui. Apriva il Vangelo eleggeva con attenzione. Era chiaro or-mai che non si fermava piùsolo per aspettare sua moglie.Quando gli si dava l’occasio-ne, parlava volentieri in priva-to. Più volte ebbi lunghe con-versazioni con lui, ma semprecapitate “per caso”, comequando ad esempio, finito illavoro che a volte veniva a farenella zona circostante il salo-ne degli incontri, capitavo lì e,stando in piedi o in sella al suomotorino, si parlava a volteanche più di un’ora. Proprio inuna di queste conversazioni,un giorno mi disse: «Sister, vo-

glio ricevere il battesimo! Voglio farmicristiano». Cercai di cogliere il motivo diquella decisione con domande nontroppo dirette, ma che gli permettesse-ro di raccontarsi: «Sai, adesso vado nel-la foresta e non ho più paura». Era unaspiegazione decisa e concreta, che co-municava qualcosa dell’esperienza inve-rosimile che stava facendo. Il tono del-

la voce diceva: «Guarda che cosa bellami capita!». Per la stragrande maggioran-za della gente qui la foresta è fonte divita e luogo di lavoro quotidiano, masempre anche molto insidiosa. Non èbene andarci da soli. Ci sono pericoli le-gati all’ambiente come erbe velenose, in-setti, serpenti (ci sono stati casi di per-sone inghiottite da boa o morsi da ser-penti velenosi), e pericoli legati a creden-ze religiose molto vive (perché il buddi-smo nella nostra zona è molto coloratodi animismo), come la possibilità di es-

sere invasi dagli spiriti o di essere pre-da dei loro spiacevoli tiri mancini. Ebbe-ne, Lan non aveva più paura di tuttoquesto, si sentiva protetto. Venendo acontatto con i fatti del Vangelo, senten-do come Gesù si comportava, era entra-to in relazione col Signore, era scatta-ta una reciprocità, s’era trovato in sin-tonia con Lui, l’aveva accolto. Ora Gesù

gli faceva compagnia e quando an-dava nella foresta, lo sperimenta-va vicino, al punto di non avere piùpaura.

L’ACCOGLIENZA DELLA PAROLAAlcuni cristiani da poco arrivati albattesimo, tra cui Wichai, sposatoe padre di due ragazzi, non sonomai mancati alle sessioni biblichediocesane, anche se questo com-porta ogni volta una settimanafuori casa. Sua moglie lo appoggiae collabora nel lavoro perché luipossa seguire le sessioni. Qualchetempo dopo il battesimo, duranteuna conversazione, mi disse: «Sister,se io avessi conosciuto Gesù primadi sposarmi, credo proprio cheavrei donato la mia vita a Luicompletamente, in una qualcheforma di consacrazione». Ora il suofiglio maggiore è in discernimen-to vocazionale.Anche Sii, il padre di Wichai, è in-namorato della Parola di Dio. La suaBibbia è tutta segnata e consuma-ta dal continuo sfogliare. Andan-

dolo a visitare l’ho trovato spesso con inmano il Vangelo. Una volta mi disse: «Si-ster, finalmente sto capendo la parabo-la del seminatore. Quello che Gesù dicesta avvenendo anche nel nostro villag-gio: il seme della Parola sta dando frut-to anche tra noi».Sì, sta dando frutto! E noi abbiamo tut-ta la gioia di vederlo. Non ringraziere-mo mai abbastanza per questo dono.

Suor Teresa Bello

Thung Chao (Thailandia)

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A sinistra:

Visita del vescovo di Chiang Mai adun Gruppo della Parola che si

raduna in casa del signor Wichai(nella foto è colui che offre il dono).

Alla destra di Wichai, la moglie,Khamsuk, e il papà di lui, Sii.

Sotto:

I giovani che vivono nelle strutture del tempio per studiare,

frequentano scuole buddiste. Hannoun minimo di norme da osservare e

vestono il saio del Monaco.

Disegno di NaloSengcham, giovanethailandese diWeiwat (Wangnua):raffigura laparabola delseminatore (Mc 4).

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Dall’inizio del Novecento ad oggi la voce dei pontefici non ha mai smesso di alzarsiquando l’umanità si è avvicinata pericolosamente al buco nero della guerra che ha

poi imboccato in varie riprese, lasciando alle spalle morti, distruzione, dolore e sofferenza. PioXII disse che con la pace tutto si poteva salvare, mentre con la guerra tutto era perduto. Lapietra miliare del magistero pontificio sul tema della pace resta la preziosa quanto memorabileenciclica Pacem in Terris di Giovanni XXIII, il quale affermava che «il solo pensiero delle distruzioniimmani e dei dolori immensi che l’uso di quelle armi apporterebbe alla famiglia umana rendequasi impossibile pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumentodi giustizia». Ricordiamo l’accorato appello di papa Montini quando all’Onu scandì con veemenza,per ben tre volte, il grido «mai più la guerra!». E Giovanni Paolo II, di fronte ai ripetuti episodibellici che si accavallarono durante il suo lungo pontificato, diceva che la guerra è «un’avventurasenza ritorno»; per arrivare infine a papa Francesco che ha più volte ripetuto che «guerra chiama

guerra, violenza chiama violenza». Ma si sa, ipapi sono molto applauditi, ma poco ascoltati.Se si tiene inoltre presente che dalla fine dellaSeconda guerra mondiale ad oggi ogni presi-dente americano ha dichiarato una guerra, sicapisce come in qualche modo abbiano fattoloro l’atteggiamento che i problemi, special-mente quelli più gravi, si risolvono con laguerra. L’America è l’unico Paese al mondodove si possono comperare le armi in un qual-siasi negozio aperto su strada, la lobby dellearmi è fortissima e ogni presidente deve pa-garne la cambiale dopo un’elezione vittoriosa.Difficile per uno statunitense vivere senza avereuna buona scorta di munizioni e ovviamentearmi ben oliate in casa, pronte all’uso. Recentie dolorosi fatti di cronaca purtroppo lo hannorivelato al mondo. Oggi Obama deve fare i conticon una Conferenza episcopale cattolica bendecisa a mobilitare le coscienze degli uominidi buona volontà del suo Paese in favore dellapace.Per stare ai nostri giorni, troviamo che la su-perpotenza americana si è presa la briga di in-tervenire ogni qualvolta i suoi interessi erano

in pericolo. Il papa parla di pace e mobilita credenti e non credenti con le armi della non-violenza, la preghiera e il digiuno. Credere e sperare che questa “armata-disarmata” in possessodelle armi dei semplici e degli inermi, ovvero la preghiera e il digiuno, possa cambiare le sortidel mondo, può essere un sogno utopico, ma è compito nostro far sì che questo sogno diventirealtà, che questa speranza irrealizzabile diventi luogo concreto in cui dimorare, che pace egiustizia si incontrino e si abbraccino.

Mario [email protected]

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L’arma della pace

L’arma della pace

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Astatke diverrà pre-sto il padre fonda-tore del cosiddettoethio-jazz, una formi-dabile miscela di tribalismo, funkye sonorità occidentali. Ma il giovaneetiope era (ed è rimasto) un cittadinodel mondo e ben presto migrò negliStates per divenire il primo africanoa diplomarsi alla prestigiosa BerkleySchool of Music di Boston.Col suo vibrafono continua la sua ri-cerca di sintesi tra Primo e Terzo Mon-do: un globetrotter avanguardista chearriverà alla sua prima prova disco-

grafica nel 1972 ma che re-sterà quasi sconosciuto ainon occidentali fino a che,verso la fine degli anni Ottanta,il boom della world-music co-mincerà a far circolare sui mer-cati euro-statunitensi i suoni egli artisti di Paesi fino ad alloraconosciuti solo dagli etnologi edagli antropologi della musica.Nel 2005 un regista ecletticocome Jim Jarmush lo chiamaa firmare parte della colonnasonora del film Broken Flowers,e nel 2009 lo troviamo in queldi Londra, leader di una bandformidabile, gli Heliocentric, unensemble capace di fondere an-tichi strumenti della tradizioneetiope come il krar (un lontanoparente della chitarra) con ca-denze moderniste provenientidalla black-music più recentecome dalla cultura hip-hop, dal

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Mulatu Astatke arriva da una terra po-vera e travagliata: l’Etiopia. Una terra

da cui è più facile scappare che tornare.E così ha dovuto fare anche lui, tanti de-cenni fa, ma senza mai perdere l’amoreper le proprie radici: neppure oggi che inmolti lo chiamano il McCartney etiope...Nato nel 1943 a Jimma, una delle piùgrandi città del Paese, si era poi trasferitonella capitale Addis Abeba dove avevaincontrato il grande Sun Ra, uno dei mitidel jazz africano. E quando l’ancor piùmitico Duke Ellington approdò nella ca-pitale, lo chiamò ad accompagnarlo sulpalco.

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MULATU ASTATKE

Schizzid’Etiopia

MULATU ASTATKE

Schizzid’Etiopia

funky come dalla fusion o dalla musicalatina. Successivamente approderà piùvolte anche alla corte degli Steps Ahead,band di culto del contemporary-jazz bri-tannico.Qualche mese fa l’infaticabile Mulatu èarrivato anche in Italia, al Roma Jazz Fe-stival, per presentare il suo ultimo lavoropersonale, l’album Sketches of Ethiopia,manco a dirlo un gioiello di modernità etradizione oltreché un perfetto bigliettod’ingresso per il suo fascinoso universosonoro: un bel modo per festeggiare isuoi primi 70 anni.

Franz [email protected]

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B aniyas, Siria, 2012. I bombardamentidel regime di Bashar al Assad, le ma-

cerie, i feriti, le manifestazioni di piazza,le raffiche di mitra. Immagini della catastrofesiriana che tutto il mondo ha visto, mentre100mila persone hanno perso la vita edue milioni di siriani sono profughi. Lecifre non hanno facce, voci e nomi ma ilregista Alessio Cremonini, ci regala unframmento della tragedia siriana, con lasua opera prima “Border” che ha esorditoal Festival di Toronto nel settembre delloscorso anno e successivamente è statapresentata fuori concorso al Festival in-ternazionale del Film di Roma. Il giovaneregista racconta una storia realmente ac-caduta perché le immagini dei massacrilo hanno fatto riflettere sulle colpe dell’Oc-cidente che «con la sua indifferenza, stacancellando una tragedia umanitaria ancheper l’incapacità dei media di raccontarla.L’indignazione mi ha spinto a parlarne, araccontare». E lo ha fatto grazie ad unaproduzione indipendente, con attori nonprofessionisti siriani e italiani, in una pro-

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Al confinedella guerraAl confine

della guerraduzione low cost (60mila euro, in buonaparte erogati da un gruppo di associatiche hanno creduto nel progetto) con lamaggior parte delle scene girate in arabonei boschi della Sabina, tanto simili allanatura collinare del confine turco-siriano.La giornalista italo-siriana Susan Dabbous,rapita e rilasciata lo scorso anno, ha col-laborato alla sceneggiatura, sulla base del-l’incontro che Cremonini ha avuto con una

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giovane donna siriana alla cui esperienzaè ispirato il film. È lo stesso Cremonini araccontare: «Ho incontrato la protagonistadi quella che poi è Aya nel film. L’ho in-contrata due volte, non potevo registrarla,era terrorizzata e mi ha fatto giurare di nonrivelare mai e poi mai la sua identità».La storia di due sorelle Fatima (la diciottenneSara El Debuch) e Aya (Dana Keilani, attriceper caso e architetto di professione), chefuggono da Baniyas, cittadina costiera nelNord-ovest della Siria, diventa l’esemplarepercorso di tutto un popolo ferito nellecertezze religiose, nei valori umani e neisentimenti, senza più legge oltrequella della sopravvivenza. Le duegiovani donne indossano il niqab,l’abito delle donne legate alla piùstretta tradizione islamica, e abban-donano la casa quando un certoMuhammad viene a recapitare lanotizia che il marito di Fatima staper abbandonare l’esercito per unirsiall’Esercito siriano libero. Si proponedi aiutarle (in cambio di un bel rotolodi banconote) a fuggire in Turchia

gombrante, pronto a uccidere e senzapaura d’essere ucciso. Bilal è uno shabihapentito e sente che solo la fuga può salvarlodalla vendetta degli ex compagni. Tanto ledue donne, nel rispetto delle regole religiose,sono incorrotte dai veleni della violenza,tanto Bilal ne è invece incarnazione perfetta.Insieme si confrontano sui terribili eventiche incontrano nel lungo viaggio tra i bo-schi, sempre attenti che i passi non faccianorumore sulle foglie secche. Sempre prontia sparire dietro un tronco o un masso dacui all’improvviso può spuntare la cannadi un fucile. La via da seguire tra la nottee il giorno è labile, imprevedibile, incerta.È la sottile linea di confine che separa laguerra dalla pace, il territorio della violenzada quello della libertà, le paure dei vivi dal-l’odore della morte.

Il primo film italiano su una tra-gedia che è già storia ha ungrande valore documentaristicoe non solo. Dà voce ai sirianicolpiti dalla guerra civile, rac-cogliendo testimonianze dolo-rose e che purtroppo nulla hannoa che vedere con la fiction. Diceancora Cremonini: «La Siria hamoltissime cose in comune conl’Italia; Damasco dista solo po-che ore da Roma in aereo. Sia-mo Paesi del Mediterraneo e perquesto ho sentito il bisogno diraccontare una storia di un Paesesimile al nostro e vicino a noi.E poi c’è il fatto che la Siria, adoggi, non ha cinema. Un ado-lescente siriano, che vuole ve-dere un film che racconti dellastoria del suo Paese, non ha ri-sorse, perciò questa mi sem-brava un’occasione perfetta perfarlo».

Miela Fagiolo D’[email protected]

da una zia, lungo un percorso al riparodalle rappresaglie della shabiha (gli spietatimiliziani che appoggiano il regime). Laguerra, che rende precario e rischioso ognicontatto, le vede partire nella macchinadi Farid («ma chi ci dice che questo è iltuo vero nome?» chiede Aya) su per lestradine sempre più strette e meno pattu-gliate dai soldati. Ma un nuovo, imprevistocompagno si unisce al gruppo. È Bilal,(Wasim Abo Azan, nato in Siria e immigratoin Italia anche se, dice Cremonini, «ora èin un altro Paese europeo dove ha chiestoasilo»), un giovane uomo dal passato in-

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In poco tempo tutto è cambiato a grande velocità, mentre il vecchiomodo di vivere diventava obsoleto, abbandonato o nascosto. La macchinadel benessere era alimentata dall’ “industria del consumo”, dall’ansiadi modernismo e di possesso di sempre nuovi e più evoluti frutti delmercato tecnologico (e non solo). Da allora ad oggi il consumismorampante non ha mai smesso di alimentare se stesso «in situazionicosì evolute da risultare incomparabili dal punto di vista materiale eculturale».Ora che il consumismo sembra avviato al tramonto, spiega l’autore, ètempo di capire com’è possibile imparare a vivere anche senza rincorrerele “sirene della pubblicità”, scoprendo nuovi orizzonti. Anche se questaprospettiva suscita in molte persone atteggiamenti di rifiuto e paura, igiovani possiedono le potenzialità per intraprendere un nuovo cammino.Oggi che la crescita industriale è in fortissima crisi, conoscere l’equilibriodella sobrietà può tornare utile a molti. Per più di mezzo secolo, generazionidi genitori contagiati «dal morbo della dimenticanza e del disconoscimento»hanno trascinato i loro figli in una condizione di totale «non-conoscenzae non-esperienza dello stile di vita precedente». Ma ora è urgente voltarsiindietro e ricordare alle nuove generazioni come un tempo la fantasia el’immaginazione insieme alle abilità manuali riuscivano ad ottenererisultati impensabili con pochi soldi e molta umanità in più.

Chiara Anguissola

Mirco RossiLA PARABOLA DEL CONSUMISMOMEMORIE DI UN RAGAZZO AL TEMPO DELLA SOBRIETÀ

Edizioni Emi - € 14,00

Si riparte. Ma questa volta sarà un viaggiosenza ritorno. Finisce il 13 maggio

2013, in un tragico incidente sulle stradedi Caborca, in Messico, la corsa e il sognodi Mauro Talini. Ciclista toscano, classe1964, diabetico insulino-dipendente, volevafare della sua vita un dono per gli altri. “Dia-bete no limits, povertà no limits”, uno deisuoi motti, una duplice sfida affrontata conil coraggio di chi non si accontenta. Il libro“Oltre il limite… la speranza!”, scritto inoccasione del suo tour 2010, diventa ereditàpreziosa da conoscere, da accogliere e dadiffondere. Un diario semplice, pagine vere,un testamento da rendere noto. «Sarebbeun peccato tenere la mia esperienza di vitasolo per me. In fondo, la gioia più grandeè quella condivisa», così scriveva dopoaver tagliato uno dei suoi tanti traguardi.

LIB

RI

Mauro TaliniOLTRE IL LIMITE… LA SPERANZA!DIARIO DI UN CICLISTA DIABETICO CHE HA PERCORSO IL SUD AMERICA PER SOLIDARIETÀ

Edizioni Pendragon - € 15,00

Una bici per cambiare il mondo

attento e benevolo è il segreto per ricono-scere i tesori nascosti in ogni popolo e cul-tura. «La meta è vicina, e arrivarci saràbello. Ma, come nella vita, qualsiasi percorsofacciamo, che sia la meta finale o il progettostesso che si realizza, è un’emozione». Lastessa che si prova leggendo la storia diTalini, un giovane ciclista che amava lesfide e che in una prematura volata finaleha tagliato per primo il traguardo della so-lidarietà.

Lucia Catalano

Quella volta ce l’aveva fatta. Pedala, pedala,per 9.286 chilometri, da La Paz (Bolivia) aTierra del Fuego (Argentina), in 80 giorni,all’insegna dell’essenzialità, quasi tutti insolitaria. Tanti i confini superati con la suabicicletta, sospinto dal desiderio di unire inun unico abbraccio Nord e Sud del Mondo.In tandem con l’Associazione internazionalePadre Kolbe, metro su metro per sostenereil progetto “La Città della Speranza” in favoredei meninos della favela di Riacho Grande,vicino San Paolo (Brasile), da lui spessovisitata. Tanti gli incontri sulla strada, brevi,veloci ma profondi. «In questo giro ho ve-rificato che l’accoglienza è un valore chenoi, italiani, europei, la cosiddetta “societàprogredita”, abbiamo perduto: quanto piùil Paese è povero “materialmente” tantopiù è alto il calore umano». Uno sguardo

Poveri ma felici

I n epoca di contrazione dei consumi e di pro-fondi mutamenti degli stili di vita, questo

libro di Mirco Rossi offre al lettore una serie dispunti per imparare ad evitare gli sprechi, a ri-

ciclare e a vivere contenti con quello che si ha.Con la sua autobiografia che va dagli anni Cinquanta all’inizio del Terzomillennio, l’autore testimonia e mette a confronto il cambiamento radicaleavvenuto nell’arco di tempo della sua esistenza. Pochi anni che hannoregistrato cambiamenti enormi.Il racconto inizia nel 1946, anno della sua nascita, in un quartiereoperaio della campagna attorno a Mestre. Allora la vita era semplice: lasobrietà era naturale, come il rispetto per ogni cosa, dal cibo al vestiario,dai consumi energetici all’uso del tempo libero. Così vivevano gli italianinel dopoguerra, fino al cambiamento radicale portato dal boom economico.

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Giornata Missionaria dei RagazziVITA DI MISSIO

cesco: ne sono state raccolte 20mila!In Italia, fatta salva la libertà riconosciu-ta ad ogni diocesi o parrocchia di orga-nizzarsi diversamente, la Giornata Mis-sionaria dei Ragazzi si celebra il 6

tobre dello scorso anno (Giornata mis-sionaria mondiale) i responsabili dei Ra-gazzi Missionari hanno deciso di coin-volgere i bambini chiedendo loro di scri-vere una lettera da inviare a papa Fran-

Q uella dei Ragazzi Missionari èuna vivace realtà diffusa intutti i Paesi del mondo in cui

esiste una direzione nazionale dellePontificie Opere Missionarie. Accadecosì che, all’interno degli organismi ec-clesiali di ciascuna nazione, ci sia un or-ganismo che si occupa dell’animazionemissionaria dei ragazzi, con il nome diInfanzia Missionaria o Santa Infanzia oun’altra sigla.Denominazione a parte,quello che conta è la so-stanza: attività organizza-te a livello nazionale e lo-cale affinché anche i bam-bini si sentano protagonistidella missione e imparino sinda piccoli a vivere con occhie cuore rivolti verso i lorocoetanei più bisognosi.I programmi di ogni realtànazionale sono diversi traloro. Così come la data in cuiviene festeggiata la GiornataMissionaria dei Ragazzi: uffi-cialmente questo appunta-mento è fissato per il 6 gen-naio, solennità dell’Epifania. Imagi, quindi, diventano per ibambini l’icona più immedia-ta ed esplicativa di cosa signi-fica essere annunciatori di Gesù.Ma molti Paesi del mondo celebrano laGiornata nazionale dell’Infanzia Missio-naria in un’altra occasione, scelta dal-la Chiesa locale. Come è accaduto inHonduras, per esempio, dove per il 20 ot-

di CHIARA [email protected] Destinazione

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MondoMondo

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Ma quali gesti compiere – a misura dibambino - per dire che Dio è Amore? Si-curamente la preghiera, che insegna asentire Gesù presente in mezzo a colo-ro che si ritrovano nel suo nome; ma an-che la solidarietà con le offerte che, rac-colte durante la Messa ma anche diven-tando Seminatori di Stelle o Magi chebussano alle case del quartiere (vedi il sitowww.ragazzi.missioitalia.it), si unisconoa quelle provenienti da ogni parte delmondo andando a confluire nel Fondouniversale di Solidarietà. Nel 2012 (ulti-mi dati a disposizione) sono stati raccol-ti quasi 22 milioni di dollari in tutto ilmondo, utilizzati per il sostegno di 2.700progetti a favore di bambini nei campidell’istruzione, della formazione, dell’as-sistenza alimentare e medico-sanitaria,di fornitura di abbigliamento e materia-le scolastico, di arredamenti di aule e cen-tri per l’infanzia.

che se i contenuti e i personag-gi continuano a rimanere glistessi, ecco il restyling di partedella rivista: copertina, logo del-la testata e grafica di alcune ru-briche. La nuova mano che illu-stra e confeziona il frontespizioè di Carla Manea, disegnatriceche collabora anche con altrigiornalini di area cattolica e il-lustra parecchi libri dell’editoria perragazzi.Tante novità per il prezzo immutatodell’abbonamento annuale di 14 euro.Regala la rivista ad un bambino!

Sarà un modo per rinnovare il tuodono ogni mese e diventare promo-tore della “buona stampa”. Quella chefa bene a chi la legge (e non solo!).

Ormai sono passati sei anni emezzo da quando “Il Ponte

d’Oro”, il mensile dei Ragazzi Mis-sionari, è uscito con una veste edi-toriale tutta nuova. Era il giugno2007 e personaggi come Gira-mondo, Abuna, Mama Mukasi diven-tavano i compagni di lettura dei pic-coli abbonati. Quattro anni fa ar-rivava anche Kabàka, l’amico dot-to, che da allora continua ad ac-compagnare di pagina in pagina,spiegando i concetti che possonorisultare più difficili.Con il numero di gennaio 2014, an-

Il mensile dei RagazziMissionari si rinnova

Giornata Missionaria dei Ragazzi

missionaria mondiale dell’ottobre 2013:«La missionarietà non è solo una questio-ne di territori geografici, ma di popoli, dicultura e di singole persone, proprio per-ché i confini della fede non attraversa-no solo luoghi e tradizioni umane, ma ilcuore di ciascun uomo e di ciascuna don-na». In altre parole, per essere RagazziMissionari non serve né una mappa néun navigatore: serve un cuore grande, chesa amare chiunque. Solo così si navighe-rà con Gesù diventando «compagni diogni persona che incontriamo, un’ami-cizia tra gli uomini con lo stile di Gesùin cui l’altro non è un “forestiero” ma unfratello; non è un “nemico” ma un ami-co, un dono prezioso che arricchisce lamia esistenza umana e a cui dire con gio-ia, più con i gesti che con le parole, cheDio è Amore e Padre» spiega don Miche-le Autuoro, direttore della FondazioneMissio, nella presentazione dell’Anima-tore Missionario n.4/2013 (rivista trime-strale di animazione missionaria, con l’ul-timo numero interamente dedicato allaGiornata Missionaria dei Ragazzi).

gennaio. Quest’anno lo slogan scelto -“Destinazione Mondo” - indica che lameta è tutto il pianeta o, meglio, tutti gliuomini che abitano la Terra, nessunoescluso. Ma quali strade del mondovanno percorse? A rispondere è papaFrancesco nel messaggio inviato a tut-ta la Chiesa in occasione della Giornata

VITA DI MISSIO

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Vademecum del Centro missionario diocesano

ziare il restauro e la realizza-zione di alcuni edifici, uno deiquali interamente da costrui-re, per ospitare un piccolocentro di primo aiuto sanita-rio accanto alla parrocchia.«Il nostro progetto è arrivato abuon fine nel 2011. Grazie aquanto ci avete messo a disposizione ab-biamo potuto realizzare il restauro conuna impresa di costruzioni locale» scri-vono le suore, rendicontando l’utilizzodel finanziamento ricevuto, circa 15milaeuro. A latere della documentazione in-viata, le suore ringraziano la generosi-tà degli amici lontani e l’attenzione delSegretariato internazionale della Propa-gazione della Fede con parole semplicie sincere, da vere missionarie sulle

COSTA D’AVORIOCOSTA D’AVORIO

L’ educazione, la formazione deigiovani e l’assistenza agli anzia-ni sono gli impegni a cui le suo-

re dell’istituto Notre Dame de l’Incar-nation si dedicano nella città di Dabou(Sud della Costa d’Avorio) e nei villag-gi rurali della zona. La parrocchia rura-le di Lopou è animata da suor Eliane Ag-bassi che dal 2007 è impegnata nellaformazione umana e spirituale dei gio-vani, molti dei quali non alfabetizzati.Per realizzare un Centro di formazione,una biblioteca e un dispensario, le suo-re hanno inoltrato la richiesta di aiutoeconomico al Segretariato generaledella Propagazione della Fede per finan-

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CHI FA UN’OFFERTA PER LA MISSIONE

UNIVERSALE ATTRAVERSO LE PONTIFICIE

OPERE MISSIONARIE CONTRIBUISCE ALLA

SOLIDARIETÀ UNIVERSALE CHE ARRIVA FINO

AGLI ESTREMI CONFINI DELLA TERRA. BASTA

APRIRE L’ATLANTE DELLA MISSIONE PER

SCOPRIRE DOVE UOMINI, DONNE E BAMBINI DI

TUTTE LE ETNIE E LE CULTURE RICEVONO

L’AIUTO CHE PARTE DALL’ITALIA.

PER AIUTARE I MISSIONARI E LE CHIESEDEL SUD DEL MONDO ATTRAVERSO LE PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE:- Bonifico bancario sul c/c n. 115511

intestato alla Fondazione Missio pressobanca Etica (IBAN: IT 55 I 05018 03200 000000115511)

- Conto Corrente Postale n. 63062855intestato a Missio-Pontificie OpereMissionarie, via Aurelia 796 – 00165 Roma

(informazioni: [email protected] –06 66502620)

Sono l’organismo ufficiale della Chiesa cattolica per aiutare le missioni e le Chiesedel Sud del mondo nell’annuncio del Vangelo e nella testimonianza di carità.Approvate e fatte proprie dalla Santa Sede nel 1922, sono presenti in 132 Paesi. InItalia operano nell’ambito della Fondazione Missio, organismo pastorale dellaConferenza Episcopale Italiana.Attraverso un fondo di solidarietà costituito dalle offerte dei fedeli di tutto il mondoprovvedono a: • finanziare gli studi e la formazione di seminaristi, novizi, novizie e catechisti • costruire e manteniamo luoghi di culto, seminari, monasteri e strutture parroc-

chiali per le attività pastorali• promuovere l’assistenza sanitaria, l’educazione scolastica e la formazione cristia-

na di bambini e ragazzi• sostenere i mass-media cattolici locali (Tv, radio, stampa…)• fornire mezzi di trasporto ai missionari (vetture, moto, biciclette, barche)

PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE

Nella parrocchiadi Lopou

GRAZIE AMICIGRAZIE AMICISolidarietà delle Pontificie Opere Missionarie

frontiere dei bisogni materiali e spiritua-li della persona umana. «Tutto è bene ciòche finisce bene. I risultati ottenuti per-mettono oggi alla nostra comunità diraggiungere molti degli obiettivi che siproponeva di realizzare. È a voi che dob-biamo tutto questo. E dobbiamo dirvigrazie per l’apertura del cuore e per lagenerosità. Grazie, grazie per il vostroprezioso contributo alla costruzionedella giovane parrocchia di Lopou».

M.F.D’A.

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DIALEX ZAPPALÀ* - [email protected]

D al primo gennaio sono aperte le iscrizioni alla nostraprossima esperienza estiva che quest’anno si terrà inMadagascar, come sempre nel mese di agosto.

L’esperienza è rivolta a 15 giovani di tutta Italia, formati edinviati dai loro Centri missionari diocesani. Saremo ospiti deimissionari fidei donum di Sassari, dei padri vincenziani e del-le suore nazarene, che da anni svolgono un lavoro di evan-gelizzazione e di promozione umana in terra malgascia.

Il sopralluogo effettuato nel novembre dello scorso annoci ha mostrato una terra splendida ed accogliente, dai pae-saggi di sconfinata bellezza. Il popolo malgascio è l’incon-tro tra l’Africa e l’Asia, i tratti somatici delle persone infat-ti ricordano quelli indonesiani in alcuni e afro in altri.La gente purtroppo vive con circa un euro al giorno e sequesto nelle zone rurali comporta difficoltà e povertà, nel-le città spesso sfocia in miseria, dove la vità è più costo-sa e dove la solidarietà del villaggio lascia il posto all’in-differenza della folla. Il lavoro dei missionari, che opera-no sul territorio da più di 60 anni, si alterna (come sem-pre in tutto il mondo) tra evangelizzazione e promozio-ne umana. Se è vero che non mancano campanili, è veroanche che in ogni villaggio c’è una scuola e un dispensa-rio. Risorse preziosissime per una terra dove i collegamen-ti sono assai lenti e spesso impervi. Missio Giovani sarà ospi-tata in piccoli villaggi nel centro-sud dell’isola, dove inter-net e i telefoni sono ancora sconosciuti ma, a dire il vero,anche le strade sono inesistenti. I collegamenti fra i mis-sionari avvengono via radio e quasi sempre la loro jeep èdavvero l’unico mezzo di trasporto "veloce" in tutto il cir-condario.Nei dispensari gli ammalati (molti bambini) riescono ad ar-rivare solo dopo giorni di cammino e spesso troppo tar-di per ricevere cure adeguate per rimettersi in piedi. Lascuola statale esiste ma gli insegnanti no. Sono pochissi-mi coloro che rinunciano alla vita in città per insegnare neivillaggi più sperduti: ma che colpa ne hanno? In fondo gua-dagnano solo 40 euro al mese!Perché Missio Giovani si recherà in Madagascar? Non cer-to per provare a risolvere i problemi della gente; piutto-sto per condividerli. Per sentire sulla nostra pelle la diffi-coltà di una vita vissuta di stenti. Per conoscere i sogni deigiovani che vivono qui e così edificarsi a vicenda. E so-prattutto per scambiare la propria fede con quella di que-sto popolo e venirne così arricchiti. Noi forse crediamo diavere tutto ma certamente siamo estremamente bisogno-si di una fede pura e viva come la loro e questa esperien-za potrebbe rivelarsi una buona occasione per rinascere!Scriveteci e per maggiori informazioni visitate il nostro sito:www.giovani.missioitalia.itVi aspettiamo!

*Segretario nazionale Missio Giovani

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SPAZIOGIOVANI

ANNONUOVO,MISSIONENUOVA!

ANNONUOVO,MISSIONENUOVA!

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T erminando il suo ultimo di-scorso, Gesù rivolge al Pa-dre una preghiera non solo

per i discepoli, ma anche per colo-ro che crederanno in lui, chiedendoche «tutti siano una cosa sola: cometu Padre sei in me e io in te, siano an-ch’essi in noi, perché il mondo cre-da che tu mi hai mandato» (Gv17,21). Camminare verso l’unitàvoluta da Cristo è, per i cristiani del-le diverse confessioni, un doverosoimpegno per realizzare quanto Gesùchiede al Padre.La preghiera vissuta secondo l’inten-zione di questo mese è un preziosoaiuto ai fratelli delle diverse confes-sioni, perché compiano il camminoverso l’unità, superando le even-tuali difficoltà.Il fatto che Gesù preghi il Padre per-ché questa unità si compia, eviden-zia che per i seguaci di Cristo prega-re perché tale cammino si realizzi èun fondamentale dovere, pur sapen-do che la chiave di tale unità sta nel-la potenza di Dio. Il fatto che il rap-porto tra il Padre e il Figlio sia pre-sentato da Gesù come modello del-l’unità tra quanti credono in lui, sot-

tolinea che l’unità tra i cristiani di di-verse confessioni, per la quale si è in-vitati a pregare, debba essere vitale,organica.La preghiera vissuta secondo l’inten-zione del mese, oltre che un aiuto aicristiani delle diverse confessioni, èun provvidenziale stimolo a riflette-re sul fatto che quanti sono stati bat-tezzati, sono una cosa sola tra loro,

sono tralci dell’unica Vite, che è GesùCristo. Nel battesimo tutti hanno ri-cevuto la vita dalla medesima Sorgen-te, Dio: Padre, Figlio e Spirito San-to. Ovviamente una simile riflessio-ne richiede che la fede, donataci dalbattesimo, sia attiva, venga veramen-te vissuta come punto di riferimen-to dell’agire, lungo il cammino chesi compie sulla terra.

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di FRANCESCO [email protected]

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I N T E N Z I O N E M I S S I O N A R I A

Ut unumsint “

PERCHÉ I CRISTIANI DELLEDIVERSE CONFESSIONIPOSSANO CAMMINARE VERSOL’UNITÀ VOLUTA DA CRISTO.

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Intenzioni missionarie

di ILARIA IADELUCA*[email protected]

momento in cui decidono di abban-donare le loro terre d’origine per “tuf-farsi” senza salvagente nel nostromondo. Un mondo che credono si-curo e pacifico, lontano da odii esofferenze, guerre e privazioni. Inquell’incontro del Sedos (All’ascoltodei giovani: credenti senza Chiesa),emerse che i più giovani non sentonodi appartenere alla Chiesa in sensoecclesiale. Riflettemmo molto: so-prattutto quando una religiosa, invi-

tandoli ad aprirsi e a bussare alleporte della Chiesa, si sentì rispondereche quelle porte troppo spesso ri-mangono chiuse. È davvero così?In un successivo seminario affron-tammo il tema da un punto di vistapiù strettamente sociologico: utilis-simi spunti di riflessione sulla real-tà giovanile di un’epoca che il socio-logo Mario Pollo definisce come “se-conda modernità” o “supermoderni-tà” o “modernità in polvere”. Un’epo-ca di passaggio, insomma, all’inter-no della quale la complessità socia-le, la difficoltà di rapportarsi al fu-turo e ad avere fiducia, il rifiuto diuna scelta religiosa precisa che ren-da irreversibile l’impegno con Dio,ha alterato tutti i contatti e i rappor-ti umani, tanto da indurci ad esserechiusi e spaventati dal domani. Inquesto contesto, per nulla incorag-giante, si intrecciano le storie di ra-gazzi, venuti da lontano e quasiprigionieri di un mondo nel qualecercano di integrarsi e che allo stes-so tempo li ha imprigionati. PapaFrancesco ripete spesso: «Andate, sen-za paura, per servire». Ma la stradaè ancora così lunga…

Un filmato interessante esconvolgente, trasmesso dalSedos qualche tempo fa nel

corso di un incontro, si intitolava“Come un uomo sulla Terra”(http://www.youtube.com/watch?v=icV7wzHwhNQ) e il protagonistaera l’etiope Dagmawi Ymer. Quelfilm mise in luce la cruda realtà delviaggio e delle privazioni che tantigiovani, provenienti da diversi Paesiafricani (e non solo), subiscono nel

Giovani e“modernità in polvere”

O S S E R V A T O R I O S E D O S

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“ “GIORNATA MONDIALEDELLA GIOVENTÙ, LUGLIO2013. PAPA FRANCESCONELLA SUA OMELIA DICE:«SAPETE QUAL È LOSTRUMENTO MIGLIORE PEREVANGELIZZARE I GIOVANI?UN ALTRO GIOVANE. GESÙNON HA DETTO: “SEVOLETE, SE AVETE TEMPO”,MA HA DETTO: “ANDATE EFATE DISCEPOLI TUTTI IPOPOLI”». ADESSO, SUBITO.

*Segreteria amministrativa del Sedos (ServizioDocumentazione e Studi sulla Missione)

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di ALFONSO [email protected]

del mondo protestante e l’evolu-zione del pensiero cattolico, impo-nevano un ripensamento della mis-sione. Alla Chiesa del Concilio,saggia come lo scriba elogiato daGesù per aver saputo trarre dal suotesoro cose nuove e cose antiche,venne affidato il compito di armo-nizzare il patrimonio tradizionalecon gli impulsi provenienti dal re-cente pensiero teologico. Nel Con-cilio la Chiesa acquisì una nuova

coscienza di se stessain riferimento a Cri-sto e al Regno e ciòstabilì il suo modo diessere nel mondo e direalizzare la sua mis-sione nella storia. Èevidente il contributoofferto dal ConcilioVaticano II nellacomprensione dellamissione, non piùconsiderata una delletante attività della

Chiesa, ma la sua stessa ragion d’es-sere. Giovanni Paolo II riconobbeche molti sono stati i frutti missio-nari del Concilio, e presentò alcune

I N S E R T O P U M

delle sue intuizioni come germoglidi una “nuova primavera” del cri-stianesimo. Sorge spontanea la do-manda: come si arriverà a definirequesto secolo? Sarà, come naturalesviluppo del processo di crescita at-tivato dallo Spirito, il secolo delrinnovamento e del rilancio dellamissione o, come alcuni segnalifanno temere, il secolo del rilassa-mento o del ripiegamento dellamissione, per mancanza di tensioneo interesse, per marcata tendenzaall’autoreferenzialità o per timoredel nuovo? Fu lo stesso ponteficenella Redemptoris Missio a lanciare ilgrido di allarme denunciando unatendenza negativa che deve preoc-cupare tutti i cristiani. Diversa-mente da quanto insegnato dal »

Il secolo XIX può essere defi-nito il secolo del risveglio dellamissione dopo la crisi che ha

caratterizzato i decenni precedenti,carichi di tensioni politiche e per-meati dalla cultura illuministica.Papa Gregorio XVI nella Probe no-stis, in un’epoca definita funesta perla persecuzione contro la Chiesacattolica e le continue aggressionialla verità rivelata, trovò motivo diletizia e consolazione nella ritrovatavivacità missionaria enell’entusiasmo cheanimava l’opera dipropagazione dellafede. Il secolo succes-sivo, non meno tra-vagliato e inquieto,può essere conside-rato il secolo del ri-pensamento dellamissione. I rapidicambiamenti succes-sivi alla SecondaGuerra mondiale,con la fine della visione e gestionecolonialista della politica interna-zionale, il passaggio dalle missionialle Chiese locali, le provocazioni

«SI APRONO NUOVE PORTE ALVANGELO E SI VA

ESTENDENDO NELMONDO L’ANELITO

VERSO UNAUTENTICO

RINNOVAMENTOSPIRITUALE E

APOSTOLICO».(BENEDETTO XVI)

Il secolo del rinnovamentodella missione

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P O N T I F I C I A U N I O N E M I S S I O N A R I A

Concilio e dal magistero successivo,la missio ad gentes sembra in fase dirallentamento. Invitando tutta laChiesa ad un «rinnovato impegnomissionario» riconobbe che questodeve essere il secolo del rinnova-mento e del grande rilancio dellamissione. Mai rinnegando il suopassato che è ricco di slanci entusia-stici e di commoventi sacrifici, malibera dal fardello della malinconiae del rimpianto, essa guarda avantisospinta dal vento dello Spirito chegonfia le vele e increspa la superfi-cie del mare da attraversare. Le dif-ficoltà interne e gli ostacoli esterni,che di fatto hanno indebolito loslancio missionario della Chiesa

L’ articolo di don Alfonso Raimo ci provo-ca a “osare di più”, nella logica evange-

lica che nulla è da conservare per noi, matutto è da donare per la vita dei fratelli.Ci sono ancora sorelle, “tanto utili” qui nel-le nostre istituzioni, inviate per un servizio dicooperazione missionaria, talvolta a due adue come i primi discepoli, perché le nuo-ve fondazioni hanno sempre più la caratte-ristica di un inserimento in mezzo alla gen-te: “una casa tra le case”, aperta a tutti e dacui si esce per cercare l’incontro, visitandobaracche, condividendo momenti di gioia edi dolore della gente, partecipando allamissione pastorale della parrocchia, in col-laborazione con i laici e le istituzioni locali.Abbiamo conosciuto suor Mara e suorElsa, attraverso i “racconti” inviati in Italia percoinvolgere tutti nell’avventura missionaria,iniziata il 17 settembre 2011 nella diocesi diBrazzaville (Congo), a Mafouta, parrocchiaSan Pio X. Appartengono alla congregazio-ne delle Suore Figlie di Sant’Eusebio, fonda-ta il 29 marzo 1899 a Vercelli, con l’apertu-ra della “Casa Eusebiana” per accogliere i po-veri più poveri. Negli anni Ottanta l’invio inBrasile, poi in Perù e in Congo Brazzaville.

Qui toccano con mano il dono della frater-nità tra congregazioni diverse e l’accoglien-za dei fratelli congolesi per vivere una mis-sione davvero comunitaria: si mettono in-sieme idee, disponibilità, spazi, pur di ser-vire i piccoli e i poveri. Ci si fa “prossime”nel campo degli sfollati a seguito dell’incen-dio dell’arsenale militare e delle devastantiesondazioni causate dalle piogge, si vive ilNatale servendo alla mensa dei poveri, si uti-lizza lo spazio aperto di un orfanotrofio perpromuovere una iniziativa di sostegno sco-lastico per i bambini delle baracche lungoil fiume.E ogni giorno si ricevo-no lezioni di vita propriodai bambini: «La miasveglia – scrive suorMara - si chiama Espoir:una bambina di 7 o 8anni che tutte le mattineguida per mano il non-no cieco per venire allamessa. Due occhioniluminosi e una mano si-cura, che non molla. Eil nonno si lascia con-

durre fiducioso perché sa che mai Espoir lolascerebbe, soprattutto nel pericolo».Come non fidarsi della Trinità che ci abita in-teriormente e la cui icona è al centro dellacappella? Qui sta il segreto del coraggio edella gioia delle missionarie: “L’amore del Cri-sto ci possiede” (vedi 2Cor 5,14), ci invia,non ci abbandona. Per questo continuiamoa sciogliere le vele, dando il nostro “poco”che oggi, forse, è proprio “tutto”.

Suor Azia CiairanoResponsabile animazione

missionaria USMI

RELIGIOSE

L’AVVENTURA MISSIONARIADI SUOR MARA E SUOR ELSA

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VISITA AL SEMINARIO DI MOLFETTA

I l 19 novembre dello scorso anno si è tenuto un incontro conil Gruppo di animazione missionaria in seminario (Gamis) del

Pontificio Seminario regionale Pugliese Pio XI di Molfetta, guida-to da don Antonio Andriulo, formatore della diocesi di Oria e daMarino D’Amore, seminarista della diocesi di Taranto. A visita-re il Gamis sono stati don Alfonso Raimo, segretario nazionaledi Missio Consacrati - Pontificia Unione Missionaria e della Pon-tificia Opera di San Pietro Apostolo, e padre Fernando Domingues,missionario comboniano, segretario internazionale della Ponti-ficia Opera di San Pietro Apostolo. L’incontro, con la partecipa-zione di un nutrito numero di seminaristi, è stata l’occasione perapprofondire il concetto di solidarietà missionaria, nella sua du-plice dimensione: universale, proposta dalle Pontificie Opere Mis-sionarie internazionali, e par ticolare, curata dalla Direzione na-zionale delle PP.OO.MM. che all’interno della Fondazione Missiosono espressione della Chiesa italiana, come organismo pasto-rale della Cei.I temi trattati hanno destato par ticolare interesse nei seminari-sti che hanno dato vita ad un vivace dibattito sul “come” poter-li riproporre in modo efficace all’interno delle proprie comunità,dal seminario, alle diocesi, alle parrocchie. Al termine dell’incon-tro, come segno di comunione tra le Chiese, don Alfonso ha vo-luto affidare spiritualmente a tutto il seminario di Molfetta, e in

Dalla Puglia all’India

modo particolare al suo gruppo Gamis, il Seminario Sacro Cuo-re di Poonamallee, nel distretto del Chennai, arcidiocesi di Ma-dras-Mylapore, in India, sostenuto dalla Pontificia Opera di SanPietro Apostolo (vedi Popoli e Missione n.9/2013 pag. 58). L’ado-zione spirituale di un seminario in terra di missione vuole esse-re una proposta concreta di condivisione da parte della Pontifi-cia Unione Missionaria rivolta a tutti i seminari italiani, e questoimpegno, accolto con entusiasmo dal seminario pugliese, vuo-le essere, nelle intenzioni del segretario nazionale, l’inizio di quel-lo che - si auspica - diventerà una solida tradizione.

Filippo Rizzatello

verso i non cristiani, vanno salutaticome provvidenziali stimoli e op-portunità per rinnovare stili dievangelizzazione e modalità di an-nuncio. Fummo introdotti nelprimo secolo del nuovo millenniodall’evangelica esortazione Duc inaltum! con la quale eravamo spro-nati «a vivere con passione il pre-sente, ad aprirci con fiducia al fu-turo». Questo è il secolo dellanuova evangelizzazione, intesacome evangelizzazione alimentatada un “dinamismo nuovo”, laddove«si aprono nuove porte al Vangelo esi va estendendo nel mondo l’ane-lito verso un autentico rinnova-mento spirituale e apostolico» (Be-nedetto XVI). M

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