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L’INCHIESTA Il popolo del Venezuela e l’emigrazione di massa ATTUALITÀ Calamità naturali e responsabilità umane PRIMO PIANO Argentina sull’orlo del default In caso di mancato recapito, restituire all’ufficio di P.T. ROMA ROMANINA previo addebito Rivista della Fondazione Missio • Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 Aut. GIPA/ C / RM • Euro 2,50 9 MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA ANNO XXXII NOVEMBRE 2018 GIORNATA MONDIALE DEI POVERI Il grido degli ultimi

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L’INCHIESTAIl popolo del Venezuelae l’emigrazione di massa

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Rivista della Fondazione Missio • Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 Aut. GIPA/ C / RM • Euro 2,50

9M E N S I L E D I I N F O R M A Z I O N E E A Z I O N E M I S S I O N A R I A

ANNO XXXII

NOVEMBRE2018

GIORNATA MONDIALEDEI POVERI

Il grido degli ultimi

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M i è finito sotto gli occhi, re-centemente, un testo di Lu-ciano di Samosata. Lo avevo

già studiato in gioventù, ma poterlorileggere alla luce dei fatti e degli ac-cadimenti del nostro tempo, mi parepossa essere per tutti estremamente il-luminante. Il brano si intitola “L’igno-ranza acceca gli uomini” ed è trattodall’opera “Non si deve credere facil-mente alla calunnia”. Sentite un po’che cosa dice questo personaggio, diorigine siriana, celebre per la naturaarguta e irriverente dei suoi scrittisatirici: «L’ignoranza è un male vera-mente terribile e fonte di molte disgrazie,perché versa una sorta di nebbia sullenostre azioni, oscura la verità, gettaun’ombra sulla vita di ciascuno. E dav-vero assomigliamo a chi brancola nelbuio, anzi, siamo nella condizione deiciechi: sbattiamo senza riflettere controun ostacolo, un altro lo scavalchiamosenza che ce ne sia bisogno, e non ve-diamo quello vicino, proprio ai nostripiedi, mentre temiamo come se ci mi-nacciasse quello lontanissimo; insomma,non smettiamo di inciampare nellamaggior parte delle nostre azioni».Sono trascorsi quasi due millenni daquando Luciano di Samosata scrissequeste sue considerazioni che trovanooggi un infelice riscontro un po’ dap-pertutto. In effetti, assistiamo quoti-dianamente a un grave imbarbarimentodel vivere civile. I fenomeni in cui

questo si manifesta sono allarmanti:dalla evasione fiscale alla corruzione,dal razzismo al rifiuto degli immigrati,dall’omofobia alla violenza contro ledonne, dal bullismo alla inosservanzadelle regole elementari del vivere civilein ogni ambito: nel traffico, nellaraccolta della spazzatura, nella violenzacon cui molti rispondono a ogni richiamoall’osservanza delle norme.Ancora una volta la nostra società sitrova disorientata di fronte all’evoluzionedella modernità, proprio com’era giàavvenuto, per analogia, all’indomanidella prima rivoluzione industriale,quando le correnti del positivismo siconfrontarono sulla necessità di orientarei cambiamenti. La globalizzazione, in-sieme a tutto il proprio potenziale -come hanno denunciato spesso i nostrimissionari e missionarie sulle pagine diquesta rivista - sta confinando la com-plessità dell’uomo in una gabbia es-senzialmente economica o finanziaria,in cui omologazione acritica e squilibratadistribuzione della ricchezza veicolanoun senso di disorientamento e incertezza,con un impatto negativo sulla sferadei valori. È anche vero che l’attribuzionedi questo degrado è da addebitare allacrisi sistemica delle agenzie educative,a partire dalla famiglia che dovrebbeessere la prima scuola di educazione,anche civica. Naturalmente pure lascuola ha le sue responsabilità, spessoin affanno nel gestire il delicato

EDITORIALE

di GIULIO [email protected]

(Segue a pag. 2)

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L’ignoranzaacceca gli uomini

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Indice

EDITORIALE

1 _ L’ignoranza acceca gli uomini di Giulio Albanese

PRIMO PIANO

4 _ L’Argentina sull’orlo del default Nelle villas di Buenos Aires di Paolo Manzo

ATTUALITÀ

8 _ Calamità naturali e responsabilità umane Furia senza scampo di Roberto Bàrbera11 _ Il cancro del sovranismo Il freddo vento dei populismi di Pierluigi Natalia

FOCUS14 _ Due santi moderni

Paolo VI e Oscar Ro-mero, profeti del cam-biamento

di Miela Fagiolo D’Attilia

L’INCHIESTA18 _ Il popolo del Venezuela e

l’emigrazione di massa L’operazione verità dei vescovi di Ilaria De Bonis

SCATTI DAL MONDO

22 _ Palermo multietnica Moltivolti di Ballarò A cura di Emanuela Picchierini Testo di Loredana Brigante Foto di Moltivolti

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rapporto tra istruzione e trasformazione sociale,soprattutto nel rivalutare la natura stessa e ivalori dell’educazione, nonché le tradizionaliinterpretazioni educative, alla luce degli attualie problematici scenari, segnati dai continui,progressivi e crescenti passaggi generazionali.È evidente che i saperi funzionali alla societàcontemporanea dovrebbero coniugare l’aspettorelativo al “contenuto” da apprendere, conquello relativo alle “procedure” con cui ap-prendere. Una sfida, a volte disattesa anchedalle nostre stesse comunità cristiane, incapaci,spesso, a livello formativo, di cogliere ilbinomio “fede - cittadinanza”, o più precisa-mente, “dottrina sociale - educazione al benecomune”. E dire che di sollecitazioni, a questoriguardo, ve ne sarebbero a bizzeffe nellaParola di Dio, nella millenaria tradizione dellaChiesa e nel Magistero. Basti pensare all’Eu-carestia che si esprime, sacramentalmente,nella fractio panis, dunque nel pane spezzatoe condiviso che è Grazia di Dio, ma anchesegno di condivisione con i fratelli. Nel lin-guaggio di don Bosco è ricorrente, con diversevarianti, la formula «buon cristiano e onestocittadino». L’espressione appare portatrice disignificati diversi, con contenuti differenziati,ma sempre riconducibili al rigoroso rapportodi causalità tra i due termini, con l’assolutapriorità della realtà religiosa. Nella cristianacertezza, come scrive l’apostolo Pietro, di unimpegno: «Siate sempre pronti a rispondere achiunque vi domandi ragione della speranzache è in voi. Ma questo sia fatto con dolcezza,rispetto e retta coscienza». E qui la parolasperanza è fondamentale perché ogni crisinon è mai definitiva, come insegnavano gliantichi greci che utilizzavano il termine krisisper indicare una scelta da operare, unadecisione da prendere, un passaggio decisoverso una condizione migliore.

(Segue da pag. 1)

OSSERVATORI

DONNE IN FRONTIERA PAG. 6

Rifugiate Rohingya: vedove e ab-bandonatedi Miela Fagiolo D’Attilia

ASIA PAG. 7

Borse di studio cinesidi Francesca Lancini

GOOD NEWS PAG. 17

Il Congo spera nel cobaltodi Chiara Pellicci

AFRICA PAG. 20

Strage di elefantidi Enzo Nucci

MEDIO ORIENTE PAG. 21

Riapre Santa Tekla di Maaluladi Chiara Pellicci

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PANORAMA

26 _ Storica decisione per la Chiesa in Cina Superare le ferite del passato di Monica Romano

DOSSIER

29 _ Giornata Mondiale dei Poveri Il grido

degli ultimi a cura della Redazione

MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

37 _ Dare da bere agli assetati

Mukiri, il fratello dell’acqua a cura di Gigi Anataloni

40 _ Accoglienza nel cuore di Roma

Benvenuta donna! di Ilaria De Bonis

43 _ Diritti Umani Nel 70esimo anniversario della Dichiarazione Universale

Due Nobel contro la vio-lenza alle donne

di Stefano Femminis

45 _ L’altra edicola Vecchi e nuovi jihadisti tra

Burkina Faso, Mali e Niger Che fine ha fatto padre

Maccalli? di Ilaria De Bonis

47 _ Posta dei missionari Solidarietà per la Casa di Anna a cura di Chiara Pellicci

RUBRICHE

50 _ Ciak dal mondo PAPA FRANCESCO, UN

UOMO DI PAROLA La teologia dello sguardo di Miela Fagiolo D’Attilia

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52 _ Libri Cristo era uno straniero di Chiara Anguissola

Il trono scomodo di Loredana Brigante

53 _ Musica JAIN Soldatessa dell’anima di Franz Coriasco

VITA DI MISSIO

54 _ Avvicendamento alla direzione di Missio Da don Michele Autuoro a don Giuseppe Pizzoli a cura della Redazione56 _ Lettera a papa Francesco dai giovani del COMIG18 Crediamo in una Chiesa che ci ascolta58 _ Missio Ragazzi Il gioco formativo che si rinnova di Chiara Pellicci60 _ Missio Giovani I risultati di un questionario on line “In missione ho scoperto

che l’amore non ha limiti” di Miela Fagiolo D’Attilia

MISSIONARIAMENTE

62 _ Intenzione di preghiera Attivisti per la pace di Mario Bandera

63 _ Inserto PUM È Dio il coach di ogni missione di Gaetano Borgo

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PRIMO PIANO L’Argentina sull’orlo del default

la sua carriera di economista all’ex pre-sidente (oggi indagato) Sarkozy, è ad-dirittura diventata protagonista di unasit com di successo del canale El Trece,in una delle trasmissioni della tv ar-gentina di maggior successo grazie, çava sans dire, ad una sua imitatrice.«Mettersi nelle mani del FMI è semprenegativo perché significa cedere sovra-

F MI: tre lettere che in Argentinadal 20 dicembre 2001, quandol’allora presidente Fernando De la

Rua fuggì dalla Casa Rosada in elicotteroper evitare il linciaggio, sono sinonimodi fame, usura e risparmi di una vita

andati in fumo. Neanche 20 anni dopo,Mauricio Macri - l’imprenditore chedoveva rilanciare l’economia, dopo l’ul-timo mandato finito assai male dellapresidente Cristina Kirchner – ha rial-lacciato i contatti proprio con il FondoMonetario Internazionale (FMI). Rapportistretti a tal punto che Christine Lagarde,l’avvocatessa francese che deve tutta

di PAOLO [email protected]

Villa 31, baraccopoli di Buenos Aires.

Nelle villas diBuenos AiresNelle villas diBuenos Aires

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nità, oltre a voler dire che nessun altrosui mercati è disposto a prestarti denaro»spiega Javier Milei, economista consu-lente del G20, del World EconomicForum di Davos, che ama definirsi anar-co-capitalista. Assai critico verso le po-litiche economiche di Macri, Milei è di-ventato una presenza costante nei talk-show che si occupano con sempre mag-

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giore preoccupazione di economia vistoche, solo nel luglio 2018, rispetto adun anno prima il Prodotto interno lordo(Pil) è crollato addirittura del 2,6%.

LE RESPONSABILITÀ DEL PRESIDENTEMACRIQuando Macri vinse le presidenziali diottobre 2015, in molti tirarono unsospiro di sollievo perché la prospettivadi un’economia diretta da un governopopulista e travolto da scandali di cor-ruzione come quello di Cristina Kirchnerera stata esorcizzata. Ancora alla finedel 2017, nelle elezioni di midterm, lamaggioranza degli argentini diede fiduciaa Macri mentre da qualche mese aquesta parte la domanda che si fannoin molti sulle sponde del Rio de la Plataè: «Arresteranno prima l’ex presidenteKirchner per corruzione (sinora non èaccaduto solo per l’immunità parla-mentare di cui gode da senatrice, ndr)

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o toccherà invece a quell’incompetentedi Macri?». Il quesito non deve stupireper due motivi. Il primo è che, negliultimi 12 mesi, sono sempre di più “ipesi massimi” del kirchnerismo – com-presi l’ex vicepresidente di Cristina,Amado Boudou, ed il suo superministroJulio De Vido – ad essere stati arrestatiper una sfilza di reati quali appropria-zione indebita, associazione a delinquere,tangenti e riciclaggio. Il secondo è chedal 1966 - e dunque ancor prima del-l’ultimo ritorno alla democrazia nel1983 - non è mai accaduto che un pre-sidente non peronista sia riuscito aconcludere il suo mandato. Non ci riuscìRaúl Alfonsín, radicale, che per l’ipe-rinflazione fu costretto a cedere ilpotere a Carlos Saúl Menem con seimesi d’anticipo mentre la già citatafuga in elicottero dalla Casa Rosada diDe La Rúa è ancora oggi fresca nellamemoria di quanti nell’occasione

Il governo populista diMauricio Macricammina sulla stessastrada pericolosa deisuoi predecessori. E orala crisi economica inArgentina è arrivata alivelli tali da far temereun crollo simile a quellodel 2001. La Chiesa èvicina ai più poverisoprattutto nelleperiferie delle grandicittà, attraverso i preti distrada così in sintoniacon il magistero di papaFrancesco.

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Padre JoséMaria “Pepe”Di Paola.

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PRIMO PIANO

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L a crisi dei rifugiati Rohingya è la più gravedi quest’anno. Da agosto 2017 ben 720mila

persone si sono andate ad aggiungere alle213mila ammassate alle frontiere col Bangla-desh, in cui si trovano oggi i campi profughipiù popolati del mondo. Nel distretto di Cox’sBazar ogni giorno arrivano migliaia di personeesauste per le lunghe marce attraverso fiumi,montagne e giungla: metà di loro sono donnee bambine, spesso sopravvissute a proveorribili. Prove che le aspettano anche neicampi profughi dove manca tutto e anchel’accesso all’acqua e ai servizi igienici può ri-velarsi un percorso difficile.L’United Nation Population Fund, il principaleorganismo delle Nazioni Unite contro la violenzasessista in situazioni d’emergenza, è presentea Cox’s Bazar con uno shanti khana (un foyerde paix) per offrire appoggio, assistenza medicamaterna e neonatale, counseling a oltre 400milarifugiate che non hanno letteralmente nulla.Si tratta sempre più spesso di donne soleperché vedove o abbandonate con i figli piccoliavuti da mariti, impiegati nelle fila del lavoronero in Bangladesh, fuggiti dalla responsabilitàdella famiglia, o riaccompagnati con altredonne, dato che la poligamia è ampiamentepraticata in un contesto di sopravvivenza quo-tidiana senza regole stabili. Vedove o ripudiate,le donne Rohingya devono portare da solesulle spalle l’enorme peso di andare a prenderel’acqua, raccogliere e tagliare legna, allattaree crescere i figli, procurarsi il cibo necessario.La storia di Fatema è emblematica e raccontaal mondo la resilienza di moltissime soprav-vissute a quello che ormai viene apertamentedefinito «genocidio di una etnia». Aveva solo25 anni ed era incinta del terzo figlio, quandosi è lasciata alle spalle il villaggio incendiatodall’esercito in Myanmar e insieme a moltialtri ha iniziato il viaggio verso il Bangladesh.Oltrepassata la frontiera, ancora prima dipartorire, abbandonata dal marito, Fatemaha dato alla luce una bambina prematurache solo grazie alle cure degli operatori uma-nitari è riuscita a sopravvivere. Difficile resisterein un campo profughi, specialmente se si èdonne.

di Miela Fagiolo D’Attilia

RIFUGIATE ROHINGYA:VEDOVE E ABBANDONATE

OSSERVATORIO

DONNE INFRONTIERA

ministri, simbolo del fallimento di unaclasse dirigente che doveva modificaretutto in meglio (non a caso il nomescelto per il loro partito era stato Cam-biemos, ovvero “Cambiamo”) e inveceè finita nelle braccia del FMI.L’Argentina non è ancora nel baratrocome sul finire del 2001, ma intantonella via più famosa del centro diBuenos Aires, la Parigi del Sudamerica,sono ritornati gli arbolitos, cioè i cam-biavalute illegali che da fine 2015 non

persero tutto o quasi per il cosiddettocorralito, ossia la chiusura delle banchecon annessa impossibilità di prelevareda parte dei correntisti. In quell’occasionevidero svalutarsi di oltre un quarto tuttii loro risparmi. Macri è il terzo non pe-ronista alla guida dell’Argentina da 52anni a questa parte e, dunque, seriuscisse a rimanere alla presidenza sinoal 10 dicembre 2019 sarebbe un record.Le responsabilità di Macri per un’infla-zione che ormai supera a detta di tuttiil 40% come nei tempi bui del secondomandato della Kirchner, rappresenta unrischio Paese che è secondo solo aquello del Venezuela ed una svalutazionedella moneta nazionale, il peso, neiconfronti del dollaro di oltre il 100%solo nell’ultimo anno. «L’errore più gravedi Macri – racconta a Popoli e Missioneun broker di Wall Street – è quello diavere creduto troppo che il mercato loamasse», oltre a chiedere «un prestitoda 50 miliardi al FMI, che non è maiuna cosa buona, per cui avremo unfine 2018 caldissimo a Buenos Aires».

ALL’OMBRA DELLA CRISIPer capire cosa sta succedendo sul serioin Argentina conviene, però, tornare aMilei, l’economista anarco-capitalista.A suo dire «Macri ha fallito nel generarefiducia perché continua a dare la colpaal mondo quando le cause che adduce(crisi turca, aumento tassi USA, guerracommerciale tra Washington e Pechino)ci sono state per tutti ma nessuno hasvalutato, né aumentato i tassi di inte-resse, né ha perso tante riserve comel’Argentina». Gli chiediamo perché ilpeso oggi è la moneta più svalutata almondo, dopo il bolivar venezuelano, eci risponde con malcelata ironia: «Perchéè garantita dalla parola della classe po-litica argentina, forse la peggiore del-l’universo: è normale che valga quasinulla». A detta di Milei e molti altri, pergenerare un po’ di fiducia, soprattuttonella gente, Macri dovrebbe allontanareMarcos Peña, il suo capo Gabinetto dei

Mauricio Macri,presidentedell’Argentina.

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Q uasi mezzo milione di studenti stranieristudia in 31 province e regioni della

Cina. Solo nell’ultimo anno i giovani emigratinelle università cinesi sono aumentati del12%, arrivando a 317mila. Si tratta dell’aspettomeno noto della Belt and Road Initiative(Nuova via economica della seta), che haper parola d’ordine “borsa di studio”.Nel programma complessivo di un trilionedi dollari, lanciato nel 2013 dal presidente XiJinping, non ci sono solo infrastrutture im-ponenti, ma anche accordi di interscambioculturale. I Paesi coinvolti sono gli stessidella cooperazione economica: 68 nazioniche si estendono via terra dal Pacifico all’Eu-rasia (Asia Centrale ed Europa dell’Est) e viamare dalla Repubblica Popolare al Sud-estasiatico, Africa Orientale, Medio Oriente eMediterraneo. Un’area che include il 65%della popolazione mondiale e il 40% del Pilglobale.Il piano “egemonico” cinese, minato dai dazidell’amministrazione di Donald Trump, passaanche da più investimenti in ricerca, sanità eistruzione. Ed è proprio nella valorizzazionedel capitale umano, inteso come anni in cuiuna persona lavora col rendimento migliore,che gli Stati Uniti starebbero perdendoterreno. Nel primo rapporto scientifico sullivello di capitale umano, la rivista The Lancetriporta che dagli anni Novanta la Cina avrebbeguadagnato 25 posizioni collocandosi al45esimo posto, mentre gli Usa ne avrebberoperse 20 arrestandosi al 26esimo livello suun campione di 195 Paesi.L’altro settore in cui stanno gareggiandoWashington e Pechino è quello dell’Intelligenzaartificiale. Xi Jinping ha promesso che sarannospesi 150 miliardi di dollari per conquistareil primato planetario nell’high-tech entro il2030. Gli studenti che si trasferiscono inCina, infatti, non si limitano più a corsi di lin-gua, ma si iscrivono soprattutto nelle facoltàSTEM (Science, Technology, Engineering andMathematics). Con una speranza: trovareun impiego quando torneranno a casa inquell’universo economico che la Cina stacontribuendo a creare.

di Francesca Lancini

BORSE DI STUDIOCINESI

OSSERVATORIO

ASIA

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L’Argentina sull’orlo del default

apparenza senza vie d’uscita. Nelle villasdi Buenos Aires è più evidente che mai.«Se prima facevamo fatica a tirare afine mese, adesso ogni giorno è unterno al lotto» racconta con le lacrimeagli occhi Maria, una donna minutacon tre figli, abbandonata dal maritodue anni fa. L’aiuta il prete della suaparrocchia, padre José, che oltre a leidà una mano ad una ventina di famiglie.Un piccolo spicchio di una povertàormai schizzata a livelli impressionanti.Solo nei primi sei mesi del 2018, secondol’Indec, l’Istituto Nazionale di Statisticae Censo, la povertà è cresciuta del27,3% soprattutto nelle aree urbane.Una vera e propria piaga, come sottolineauno dei sacerdoti simbolo della solida-rietà umana in Argentina, José Maria“Pepe” Di Paola, della Pastorale dellevillas di San Martín. «Abbiamo scesomolti gradini - dice - e quando siscende, cresce la gente che rimane fuoridal sistema». Auspicando poi che «chigoverna e la società partano da questidati per rivedere molte cose e pensarebene quale deve essere il cammino cor-retto per superare la povertà». In uncontesto del genere, il rischio è che lacrisi favorisca l’illegalità, nella fattispecieil narcotraffico pronto ad arruolarenuove disperate manovalanze. Tantoche padre Pepe si spinge ancora più inlà nel suo discorso provocatorio controi poteri forti che stanno divorando l’Ar-gentina e sostiene che persino la cam-pagna pro-aborto, protagonista dellecronache degli ultimi mesi, esprima unavolontà del FMI di togliere ai poveril’unica grande ricchezza che hanno,ovvero i figli.In un contesto di precarietà tutti si sen-tono più fragili a partire dai giovani chenon riescono a vedere un futuro luminosonell’immediato. «Questa crisi sta togliendoenergia ad un’intera generazione, la mia»racconta il 21enne Pedro, che sogna didiventare medico. Non sa neanche se ilprossimo anno riuscirà a pagarsi gli studiuniversitari.

si sentivano gridare con così tantoardore «cambio, cambio, cambio!». Oggilo fanno esattamente come nel 2015,quando Cristina Kirchner sforava l’8%nel rapporto deficit-Pil per mantenersial potere sussidiando luce e gas, comequando il suo governo fissava i prezzi“giusti” di carne e verdure come a Ca-racas ed il cambio ufficiale con il dollaroera fisso a sei peso, mentre quello sulmercato nero, il “blue”, era il doppio.Sono tornati di gran moda perché ilcambio con la moneta statunitense èpassato dai 20 peso di fine 2017 ai 40peso di fine 2018. Un disastro che hasoprattutto eroso il potere di acquistodei lavoratori dipendenti, visto che inArgentina, dove tradizionalmente lapopolazione ragiona in dollari, la sva-lutazione porta all’aumento dei prezziin modo assai più sostenuto rispetto aquello degli stipendi.

LA CHIESA CON I POVERIPer non parlare dei poveri che in uncontesto del genere si vedono sprofon-dare in una miseria ancora più nera, in

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ATTUALITÀ

coi suoi compagni di avventura, si en-tusiasma nel parlare della passione co-mune per quello sport tanto affascinantequanto estremo. Nessuno di loro puòanche solo immaginare che di lì aqualche manciata di minuti si scateneràl’inferno.Come una maledizione, alcuni boati an-nunciano un violentissimo terremotodi magnitudo 7,5 della scala Richter, al

di ROBERTO BÀ[email protected]

quale segue uno tzunami con onde alteoltre cinque metri. Così quella che erauna città ridente, in un lampo diventaun gigantesco ammasso di detriti som-mersi dall’acqua. Intorno ed ovunquelamenti, grida, pianti, invocazioni d’aiuto.E tanti corpi ormai senza vita. Ancorauna volta la natura ha voluto far sentirela sua voce. Palu, la vicina Donggala ealtri villaggi costieri quasi non ci sono

V enerdì 28 settembre. La giornataè splendida, il cielo azzurro eduna brezza dolce rende l’aria pro-

fumata. L’ideale per Petra Mandagi, im-pegnato a Palu in una gara di parapendio.Siamo in Indonesia, in una città dellacosta centro-occidentale della grandeisola del Celebes, chiamata nella lingualocale Sulawesi. Qui i 300mila abitantihanno una sola e singolare certezza: lafoltissima comunità di coccodrilli chevive nel fiume è pacifica e non mangiamai gli umani. Il signor Mandagi è felice,è appena tornato dal suo fantasticovolo e manda un sms alla moglie nellaloro città natale, Manado, per rassicurarlae farle sapere che tutto va bene. Poi,

Furia senzascampoFuria senzascampo

Quando la natura fa sentire la sua rabbia, in pocotempo tutto può essere stravolto e trasformatoin devastazione e morte. È accaduto a settembrescorso sull’isola di Celebes in Indonesia, ma nonè raro che anche la stagione dei monsoni scatenitutta la sua energia.

Calamità naturali e responsabilità umane

Soldati indonesiani tra le maceriedi Petobo, villaggio vicino a Palu,nell’arcipelago di Sulawesi, devastatodal terremoto e dallo tzunami.

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scavato con le mani, combat-tendo contro il tempo, sco-prendo che la macchina deisoccorsi indonesiana è statatravolta, annientata. Persino inun Paese che in teoria dovrebbeessere allenato alle catastrofinaturali e abituato ad affron-tare terremoti, tzunami, vulcani, tifoni.

ISOLE A RISCHIO TZUNAMI

Il signor Sutopo ha confessato di aversaputo dello tzunami che ha inondatoPalu dai social media e dalle trasmissionitelevisive. L’alto funzionario statale haaggiunto: «I finanziamenti per i disastricontinuano a diminuire ogni anno e laminaccia delle catastrofi naturali au-menta. Le tragedie aumentano, ma ilbudget dell’Agenzia nazionale per lamitigazione dei disastri diminuisce».Joko Widodo, il presidente della Re-pubblica indonesiana, dopo aver visitatoPalu dopo 48 ore dallo scatenarsi deglieventi, ha ammesso che i soccorritoriavevano difficoltà a raggiungere le vit-time per via della carenza di attrezzaturepesanti. E scarseggiavano carburante,elettricità e cibo. Nella tragedia del 28settembre scorso migliaia di famigliesono rimaste senza casa. Mentre la follia

più. Oltre 1.300 morti, fosse comuniper evitare le epidemie, lo strazio di fa-miglie decimate, amori distrutti, figliscomparsi, genitori sgomenti. E la solitainaccettabile verità. Sutopo Purwo Nu-groho, portavoce dell’Agenzia nazionaleper i disastri naturali, dice che nessunadelle 22 boe distribuite sulle acquelibere dell’Indonesia per aiutare a mo-nitorare gli tzunami, era operativa daben sei anni.Il signor Mandagi aveva solo 35 annied il suo albergo, il Roa Roa, un tozzopalazzone di sei piani illuminato dinotte come un albero di Natale fatto diluci a led, non c’è più. Si è accartocciatosu se stesso, seppellendo 50 ospiti, tracui sei parapendisti come lui arrivati lìper gareggiare ed essere lieti. Questaparte del mondo è bellissima ed inquieta,misteriosa come i Koroway, una piccolatribù di cacciatori che vive sugli alberinella foresta della remota Papua Indo-nesiana, o surreale come le “aree naturali”della capitale Giacarta, verdi e splendentiquanto può essere solo la plastica, perchéle autorità locali dopo aver distrutto ilvero lo hanno rimpiazzato senza troppicomplimenti col falso. Sì, con boschifinti, gigantografie di tappeti di foglie,felci di materiale sintetico. A Palu hanno

delle regole burocratiche ha reso lo sce-nario ancora più tragico. Nonostante ledifficoltà della Protezione civile nazionale,agli operatori umanitari stranieri, moltopiù esperti ed attrezzati, per giorni èstato impedito di recarsi a Palu e nellealtre aree colpite, perché secondo i re-golamenti indonesiani i finanziamenti,le forniture e il personale provenientedall’estero possono iniziare ad operaresolo se il sito di una calamità viene di-chiarato “zona di disastro nazionale”.Ed il governo ha perso tempo preziosoper emanare il provvedimento.Ma non è solo Celebes ad essere arischio. Il professor Kerry Sieh, un geologoamericano grande esperto della famosafaglia di Sant’Andrea in California e di-rettore dell’Earth Observatory di Sin-gapore, sostiene che la faglia di Sumatra,sesta isola più estesa del pianeta conuna superficie di circa 470mila chilometriquadrati e terza isola più grande del-l’arcipelago indonesiano, dopo aver cau-sato il sisma del 26 dicembre 2004 (nelquale morirono 230mila persone e siprodusse uno degli tzunami più deva-stanti che la storia ricordi), sarebbeancora carica di una enorme quantitàdi energia accumulata nei secoli e quindiin condizioni di causare un terremotoeguale se non più distruttivo di quellodi 14 anni fa.

PERTURBAZIONI MONSONICHENon solo l’Indonesia è vittima delle in-temperanze della natura. L’Oceano In-diano ed i Paesi che si affacciano suquel gigantesco specchio di mare ognianno sopportano anche piogge torrenzialie tifoni. Con l’arrivo di ottobre si entranella cosiddetta fase “inter monso- »

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ATTUALITÀ Calamità naturali e responsabilità umane

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Maldive, sulle coste occidentali di Su-matra, superano l’Equatore o lambisconol’Indonesia.

RISCHI PIÙ ALTI NELLE ZONE POVERELe tempeste imperversano da novembrea marzo, con un picco fra gennaio e ilmese di febbraio. I cicloni tropicali piùaggressivi sono in particolare quelli chedall’Oceano Indiano si spingono in di-rezione delle caldissime acque superficialidel Golfo del Bengala. Qui il calorefornito dal mare rafforza con vigore lacircolazione ciclonica tropicale e la tra-sforma in un pericoloso e grande ciclonetropicale, capace di raggiungere potenzedistruttive enormi.Quando questi fenomeni naturali arri-vano su aree densamente abitate, comele città indiane, diventano veri e propriflagelli che lasciano dietro di sé unalunga scia di morti e rovine. La forzadistruttiva della natura, però, diventa

nica”, che segna l’inversione della cir-colazione dei venti, cioè il passaggiodal modello estivo a quello invernale.In questi mesi navigare nelle acque del-l’Oceano Indiano è impresa pericolosa.Non solo per l’imperversare dei pur pe-ricolosissimi pirati somali, che dallecoste del loro Paese arrivano fino alleacque territoriali indiane, di Singaporee dell’Indonesia, quanto soprattutto peril formarsi (non di rado improvviso) didevastanti cicloni tropicali che generanoventi furiosi ed ondate gigantesche,anche superiori ai dieci metri.Queste perturbazioni causano tremendedevastazioni quando raggiungono lecoste dell’India, del Bangladesh, delMyanmar e, anche se accade con minorfrequenza, quelle dell’Ovest della Thai-landia.I monsoni, venti caldi e ciclici, tipici diquell’oceano ed in grado di influenzareprofondamente il clima, arrivano alle

seminatrice di morte anche con la com-plicità dell’uomo. Perché si saccheggiail territorio, non si organizzano difeseefficaci e si specula non costruendoedifici antisismici. Specialmente nellezone nelle quali i cittadini sono più po-veri. Così nell’enciclica Laudato si’ papaBergoglio, dopo aver ricordato il con-tributo del «caro patriarca ecumenicoBartolomeo» ed il suo invito «alla ne-cessità che ognuno si penta del propriomodo di maltrattare il pianeta», ha pro-posto il modello di san Francesco, dalquale si comprende come debbano essere«inseparabili la preoccupazione per lanatura, la giustizia verso i poveri, l’im-pegno nella società e la pace interiore».Perché le grandi calamità naturali col-piscono con maggior crudeltà i piùdeboli, penalizzati da modelli di sviluppoche non garantiscono adeguate prote-zioni dai disastri a chi ha poco ed aimeno fortunati.

Soccorritori all’Hotel Roa Roa aPalu distrutto, dove hanno persola vita 50 persone.

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Il cancro del sovranismo

Il freddo ventodei populismi

di PIERLUIGI [email protected]

dagli anni di crisi nella classe media, inparticolare bianca. Le elezioni di mediotermine di novembre sono il passaggioobbligato per misurare il consenso sucui Trump può contare per i prossimianni del suo mandato, tenendo contodei buoni risultati di macroeconomia efinanza, delle diffuse proteste popolari,delle bocciature giudiziarie, della vicendadel Russiagate. Ci sono infatti semprepiù circostanziate notizie sul fatto che ilvoto del 2016 fu adulterato da interventiriconducibili al leader russo Putin.

V iviamo una stagione segnata dafenomeni a grandi linee iscrivibilial concetto di nazionalismo e a

quello ad esso collegato di populismo.Ne è un esempio il rinnovato protezio-nismo degli Stati Uniti guidati da Trump,il cui successo, a vedere la composizionedell’elettorato che lo scelse nel 2016,sembrò dovuto al sentimento di fru-strazione e di marginalizzazione provocato

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In Europa e nel mondoleader e partiti agitanonuovi fantasmiautonomisti e difondamentalismo. Siinnalzano muri ecrollano i ponti:segnali inquietanti delcambio di passopolitico, economico eculturale che si staregistrando oggi inmolte aree del mondo.

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Il presidente russo Vladimir Putin.

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ATTUALITÀ

Nel frattempo, il presidente statunitensecontinua disinvoltamente, anche libe-randosi di ogni figura della sua ammini-strazione che non approvi supinamentei suoi disegni, a smantellare sul pianointerno i diritti sociali acquisiti, compresiquelli sulla tutela della salute, e su quellointernazionale gli accordi siglati dal-l’amministrazione Obama e, più in ge-nerale, le politiche multinazionali. Pernon parlare dei diritti umani, per esempiocon la scelta di separare i bambinimigranti dalle famiglie.Il nazionalismo russo, a sua volta, è trale cause principali delle crisi militari del-l’ultimo decennio in Crimea e in Ucraina,oltre a quelle pluridecennali e mai risoltein Cecenia e in Ossezia. E proprio su na-zionalismo e populismo ha sempre pun-tato Putin per risalire la china lungo laquale a suo tempo il crollo dell’UnioneSovietica fece scivolare la Russia, oltreche per consolidare il suo potere personale.Un nazionalismo di tipo proprio, dirisposta a tentativi autonomistici e spessosu basi etniche, si registra da parte delGoverno cinese, con forti repressioni in-terne, accompagnate sul piano interna-zionale da una proiezione imperialistica

di tipo soprattutto economico, con lacrescente acquisizione di risorse in Africae di accordi commerciali in AmericaLatina, ma anche militare, come dimostral’aumento di basi nella cruciale zona delMar cinese meridionale.

INDIA E MEDIO ORIENTENell’altro grande subcontinente asiatico,l’India, se da un lato appare meno forteche in passato il nazionalismo basatosull’identità etnica e religiosa dell’induismocon il suo sistema di caste, dall’altro au-mentano le tensioni e le violenze originatedal fondamentalismo ad esso ispirato.Più complessa è la situazione medio-rientale, dove anche nei Paesi di tradi-zionale componente nazionalistica (sipensi a Turchia, Iran e Iraq) si è sovrappostaquella identitaria islamica. Con punte difondamentalismo, anche a livello go-vernativo, mai raggiunte neppure all’epocadel panarabismo seguito alla Secondaguerra mondiale, quando ad alimentarlocontribuì anche il rifiuto della nascitadello Stato d’Israele, considerato elementoestraneo ed espressione dello strapotereoccidentale.Anche in America Latina si registrano

fenomeni di chiusura – e persino nostalgiedei nazionalismi del passato sfociati indittature militari – dopo che negli ultimianni la crisi economica causata da unafinanza predatrice e irresponsabile ha ingran parte vanificato le grandi conquistesociali ottenute nell’ultimo ventennio inmolti Paesi. A partire dal Brasile, il mag-giore dell’area, ma anche in diversi altri,dal Paraguay al Venezuela, dall’Argentinaal Guatemala, dal Cile alla Colombia.In Africa la questione va ricondotta piùal fattore etnico, quando non tribale,che al nazionalismo propriamente detto.Del resto, con alcune eccezioni, primefra tutte Egitto ed Etiopia, in Africa ilconcetto di nazione è decisamente vagoe gli stessi confini sono un’astrazionegeografica figlia del colonialismo.

RIGURGITI SOVRANISTI IN EUROPAPoi c’è l’Europa, dove i nazionalismi sononati e più che altrove si sono accompa-gnati ai suoi figli naturali, il razzismo, laxenofobia, la violenza, la guerra. L’Europache proprio per risorgere e rinnegarequegli orrori si ricostruì sulla base deidiritti umani e dello Stato sociale, viveoggi un regresso valoriale evidente. Tro-vano, infatti, consensi sempre maggioriquelle forze che al nazionalismo si rifanno,magari nella sua declinazione di sovra-nismo oggi tanto di moda. Sollecitatidalle nuove incertezze e dalle paure dif-fuse, hanno trovato nuova linfa vitale, eil loro lessico di retorica violenza si vaimponendo sempre di più, come uncancro che attacca le cellule sane dellasocietà.Fenomeni analoghi si registrano prati-camente da sempre nella storia umana.Ma qualche distinzione è necessaria, persgombrare il campo da interpretazioniche appartengono più all’ideologia cheall’analisi sociopolitica. Soprattutto se sirifiuta l’espressione per meri slogan, inuna scelta purtroppo sempre più mino-ritaria in un’epoca come la nostra checonfonde, grazie alla presenza invasivadei cosiddetti social media, la propagandacon l’informazione. Se identità tribale

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Scene di guerra in Ucraina.

Il cancro del sovranismo

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Occorre precisare che nazionalismo enazione civile non solo non sono lastessa cosa, ma sono incompatibili, so-prattutto riguardo ai diritti umani. Ilprimo, in sintesi, sostiene che le differenzetra popoli sono oggettive e che ciascunonasce in una comunità di destino allaquale non può sottrarsi, mentre chi nonvi appartiene non può trovarvi tuteladegli stessi diritti. Al contrario, le nazionicivili sono quelle in cui ci si riconoscecome società nelle quali tutti coloro chene rispettano i principi fondanti devonoavere gli stessi diritti. Il passo ulteriore,mai pienamente realizzato, è la creazionedi una comunità mondiale basata suquel riconoscimento e su quelle tutele.E non è un caso che oggi siano sotto at-tacco proprio le istituzioni costruite suquesto primato dell’essere umano, a par-tire dall’Onu e, almeno nell’ispirazione,dall’Unione Europea. E per inciso, sottoattacco, in diversa misura, è anche laChiesa cattolica, che ovviamente ha unFondatore diverso, ma è proprio perquesto al servizio dell’universalità dellafamiglia umana. Un servizio, come riba-disce in ogni occasione papa Francesco,che ha come destinatari principali i piùpoveri.

tegiche, ammonendo che solo una ge-stione corretta dei fenomeni di globa-lizzazione avrebbe consentito che queiregressi di civiltà restassero una reazionedifensiva residuale e non si protraessero.Purtroppo, quel monito è rimasto alivello di speranza. Una globalizzazioneconsegnata alla proprietà e alla gestioneesclusiva della finanza, una mondializ-zazione che non ha globalizzato, maanzi ha attaccato sistematicamente idiritti umani, ha favorito il rafforzarsidi quei fenomeni. La crisi economica, omeglio finanziaria, in cui l’Occidente epiù in generale il mondo sono immersida un decennio, ha arricchito chi riccoera già, ha allargato la base di povertàassoluta, ha respinto verso il basso laclasse media in ogni nazione, ha vanificatodecenni di progressi dello Stato sociale.La risposta non è stata un rilancio politicodi solidarietà e cooperazione, ma unacapillare diffusione dello schema caro aogni ideologia nazionalista: metti loropaura e indica un nemico esterno chefaccia scordare gli errori interni, comeaccade oggi, per esempio, in Italia e nonsolo, con i migranti. Uno schema chebombarda la gente di messaggi distorcentila realtà.

ed etnica appartengono, infatti, all’interaesperienza umana, di nazionalismo pro-priamente detto si deve parlare riguardoagli ultimi tre o quattro secoli. E se nedeve parlare, con cognizione di causa eonestà intellettuale, come di una dellepiù evidenti e pericolose cause di conflittoe di regresso. Figli del nazionalismo sonoi due conflitti mondiali e in gran parte ilterzo, quello che papa Francesco chiama“guerra mondiale a pezzi”.Nell’ultimo trentennio, alla fine del bi-polarismo con l’implosione dell’UnioneSovietica, il rigurgito dei nazionalisminell’ex Jugoslavia ha riportato la guerrain Europa dopo quasi mezzo secolo dipace e di sviluppo, ad Ovest soprattutto,ma anche ad Est, nonostante sistemieconomici collettivisti di fatto ingessati.A etnicismo e tribalismo, invece, vaascritto l’altro caso di spaventosa ferociaregistrato negli anni Novanta del secoloscorso, il genocidio in Rwanda.

LE DERIVE DELLA GLOBALIZZAZIONEIn quegli anni, diversi osservatori (com-preso chi scrive) indicarono l’esplosionedei nazionalismi tra le cause principali diuna conflittualità del futuro, insiemealla lotta per il controllo delle fonti stra-

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FOCUS

Paolo VI e Oscar Romero,profeti delcambiamento

di MIELA FAGIOLOD’ATTILIA

[email protected]

La difesa dei diritti umani e l’opzione preferenzialeper i poveri. Impegni comuni ai due grandi uominidi Chiesa che oggi diventano santi nello stessogiorno. Il 14 ottobre scorso Paolo VI e OscarArnulfo Romero hanno salito insieme l’ultimogradino che ancora li separava dalla santità.

Protagonisti della grande stagionedi rinnovamento della Chiesa in-centrata sulle aperture del Concilio

Vaticano II e sui documenti che ne scatu-rirono, papa Montini e l’arcivescovo diSan Salvador si incontrarono più voltedurante le loro vite. In comune avevanoinnanzitutto la profonda spiritualità, lacentralità della fede e l’amore per la Chiesacome ben espresso già dal motto vescoviledi Romero «Sentire cum Iglesia».Nel continente segnato da dittature militarie violazioni brutali nei confronti di grandimasse di poveri, le ingiustizie sociali gri-davano contro gli abusi sulla pelle degliinnocenti ed erano al centro della nascenteTeologia della liberazione che tanto avrebbeinfluito sul pensiero religioso latinoame-ricano. Qualche rara foto resta la testi-monianza di quegli incontri in Vaticano.Il resto è storia della Chiesa del nostrotempo.

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Due santi moderni

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un uomo timido e austero nei gesti, chenon ha mai avuto paura di confrontarsicon i segni dei tempi, gettando sempreponti di dialogo. Perfino con gli «uominidelle Brigate Rosse» che nel marzo 1978avevano rapito l’amico Aldo Moro e cheignorarono la dolente lettera a loro in-dirizzata, scritta il 18 aprile 1978, apochi giorni di distanza dal ritrovamentodel cadavere dello statista. Anche perPaolo VI stava per concludersi la stagioneterrena: consumato da mesi di angoscia,muore di infarto a Castel Gandolfo il 6agosto di quello stesso anno.A 40 anni di distanza possiamo capire laprofezia di questo straordinario papache oggi si colloca nella Chiesa come unsanto moderno che ha saputo andareoltre la contemporaneità, intuendo at-traverso una raffinata sensibilità spiritualee intellettuale, i bagliori del cambiamentoverso epoche nuove in cui la Chiesa »

A fianco:

Le immagini sulla facciata della Basilica di San Pietro dei sette nuovi santi proclamati da papa Francesco il 14 ottobre scorso. Oltre a Paolo VI e monsignor Romero, don Vincenzo Romano, don FrancescoSpinelli, Nunzio Sulprizio, suor Nazaria Ignazia di Santa Teresa di Gesù e suor Maria Caterina Kasper.

IL PAPA DEL RINNOVAMENTOGiovan Battista Montini impronta i 15anni del suo papato (21 giugno 1963 - 6agosto 1978) con la profonda spintarinnovatrice del Concilio aperto dal pre-decessore Giovanni XXIII. Mette a puntouna “rivoluzione copernicana” che vadalla riforma della Curia a quella dellaliturgia, dall’istituzione del Sinodo deivescovi come organo di consultazionedella Chiesa universale, ai viaggi missionari(è il primo papa a viaggiare in aereo) inTerra Santa e in India (1964), in Turchia(1967), in Colombia (1968), in Uganda(1969), nel Sud-est asiatico e in Oceania(1970). In un’epoca in cui la rivoluzioneche sarebbe arrivata con la globalizzazioneera impensabile, Paolo VI è il primo pon-tefice a rivolgersi alle istituzioni inter-nazionali con il suo memorabile discorsoalle Nazioni Unite a New York (1965) eall’Organizzazione Internazionale del La-voro a Ginevra (1969). Riceve capi diStato e apre orizzonti di dialogo conleader di varie religioni (il patriarca diCostantinopoli Athenagora nel 1964;l’arcivescovo di Canterbuy Michael Ramseyl’anno successivo; il Dalai Lama nel 1976),ha rapporti con intellettuali come JeanGuitton e Jacques Maritain, con uominipolitici come John F. Kennedy, Alcide DeGasperi e Giorgio La Pira. Flash di unpontificato straordinario incarnato da

Cerimonia di canonizzazione dimonsignor Oscar Romero in piazzaGerardo Barrios a San Salvador.

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In quegli anni densi di eventi, Romero,considerato un tradizionalista attentoalla spiritualità prima di ogni altra cosa,comincia a confrontarsi con le emergenzesociali e politiche del suo Paese alla lucedell’Evangelii Nuntiandi, dei documentidella Conferenza di Medellin (1968) edelle istanze della Iglesia popular che inquegli anni si stava facendo strada nellasocietà, anche grazie ad un nuovo im-pegno dei laici nelle Comunità di base.Nel febbraio 1977, monsignor Romero ènominato arcivescovo di San Salvador,mentre la situazione nel piccolo Paesediventa sempre più tesa. Nel marzo diquell’anno viene ucciso a colpi di fucileil gesuita padre Rutilio Grande, insiemea due dei contadini di cui era diventatoil difensore. La perdita dell’amico e col-laboratore è un grande dolore per Romeroche, accanto al cadavere di padre Rutilio,insieme a centinaia di campesinos sente«la chiamata di Cristo a vincere la suanaturale timidezza umana e a riempirsidel coraggio dell’apostolo», come scrivemonsignor Rivera Damas, testimone diquei giorni. A ridosso di questo evento,Romero torna a Roma per incontrarePaolo VI, che nell’udienza generale del27 marzo lo riconosce e lo incoraggiadicendogli: «Coraggio, è lei che comanda».Dopo questo incontro, per i due grandiuomini di Chiesa inizia la fase più duradelle rispettive vite. Il rientro da Romadell’arcivescovo salvadoregno coincidecon una escalation di violenze controcontadini, sindacalisti e sacerdoti impe-gnati nella difesa dei diritti civili. Congrande fedeltà al magistero e ai valoricivili, monsignor Romero si dimostra unleader coraggioso nella denuncia dellerepressioni compiute dal potere politicoed economico sul popolo inerme.

sarebbe ancora e sempre stata protago-nista dell’annuncio evangelico e delladifesa della dignità umana, contro ognioffesa sociale, politica ed economica.

EL SANTO DE AMERICA

Romero era soprattutto un uomo fedelealla sua missione sacerdotale. Subitodopo la nomina di vescovo di Santiago

FOCUSFOCUS

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Papa Paolo VI in preghiera nelCenacolo sul Monte Sion,Gerusalemme, gennaio 1964.

PAOLO VIUomo dei tempi nuoviIntelligenza, sapienza e cultura non bastano a rac-contare la forza spirituale e morale di un papa che hasaputo intuire il cambiamento dei tempi e la dimen-sione universale della Chiesa. La preghiera e l’ascol-to dei segni hanno permesso a Montini di dareun’impronta straordinaria ad un pontificato che hailluminato e illumina i suoi successori. È la figura cheemerge dal volumetto “Paolo VI, papa della moderni-tà nella Chiesa” (Edizioni Jaca Book) di Juan Maria Laboa, docente di Storia dellaChiesa presso l’Università Gregoriana di Roma. Un libro che analizza molti docu-menti e ci consegna il ritratto di una personalità discreta e insieme affettuosa,immersa nella difficile missione di servire la Chiesa come successore di Pietro.Non sempre compreso dai suoi contemporanei, Paolo VI diventa ora santo per laprofonda spiritualità e la carità vissuta e praticata con umiltà e generosità. M.F.

de Maria, il 15 ottobre 1974, si reca aRoma per incontrare Paolo VI e com-prendere gli orientamenti di quella “pri-mavera post conciliare” che la Chiesa vi-veva. Nell’udienza del 23 novembreespone al papa che definiva «autenticoavvocato dei popoli poveri», le sue per-plessità circa alcune interpretazioni delleaperture del Concilio in America Latina.

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Due santi moderni

LA VERITÀ NON HA PAURALe forze politiche lo contrastano, lo mi-nacciano e diffamano, stringendo il cer-chio intorno alla sua persona. Tanto chenell’ultima udienza da Paolo VI, il 24giugno 1978, Romero sente il bisognodi lasciare al papa una nota in cuilamenta che «nelle osservazioni presen-tatemi qui in Roma sulla mia condottapastorale prevale un’interpretazione ne-gativa che coincide esattamente con lepotentissime forze che là, nella mia ar-cidiocesi, cercano di screditare il miosforzo apostolico».Vittima di continue minacce ma fedele

al suo popolo, Romero non ha paura econtinua ad essere voce di una Chiesaperseguitata nel nome della verità. Ilgiorno prima di essere ucciso, il 23marzo 1980, il vescovo di San Salvadorinvita i militari a non usare le armi sulpopolo inerme. È l’ultimo appello: ilgiorno dopo, celebrato oggi come Gior-nata dei Martiri Missionari, Oscar Romeroviene ucciso sull’altare, durante la messanella cappella di un ospedale. Le sueparole - «Un vescovo può morire ma laChiesa di Dio, che è il popolo, non moriràmai» - sono la profezia che ancora ri-suona. E lui è ancora lì, sull’altare.

Paolo VI a Nazarethnel gennaio del 1964.

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OSCAR ROMEROPer amore delpopolo di DioQuattro gesuiti dell’America Centrale contribuiscono acompletare il corpus delle omelie pronunciate da OscarArnulfo Romero durante il suo ministero episcopale,restituendoci così la voce viva di un grande e illuminatopastore. “La voce del profeta. Vita ed opere del vescovoRomero” (Edizioni EDB) di Rolando Alvarado, Rodolfo Cardenal, Jon Sobrino e JosèMaria Tojeira ci permette di seguire le dichiarazioni, le predicazioni e le prese diposizione del vescovo martire, comprendendo il senso delle sue denunce in difesadella salvaguardia dei diritti umani. Il potere dei militari lo temeva, ma il popolo loamava. Ai suoi funerali, il teologo gesuita Ignacio Ellacurìa (assassinato nove annidopo) disse davanti ad una grande folla che «con monsignor Romero Dio è passatoper El Salvador». La gente del continente che da anni lo acclama come “il santod’America” ne è convinta ormai da diverse generazioni. M.F.

N ei prossimi 20 anni le nuove vetture elet-triche cresceranno in numero esponenziale:

solo per raggiungere gli obiettivi degli Accordidi Parigi dovranno arrivare a 600 milioni,mentre ad oggi sono solo qualche decina dimilioni. Un’ottima opportunità per i Paesi chepossiedono minerali strategici per la costruzionedei motori elettrici, che potranno avvantag-giarsene.Su questa strada sembra muovere i primi passila Repubblica Democratica del Congo (RDC),lo Stato più ricco del continente africano (daun punto di vista di risorse naturali) ma ancheil più impoverito a causa dello sfruttamentodelle commodity ad opera di soggetti esterniche beneficiano di accordi con le autorità locali,troppo spesso favorevoli per i contraenti e ca-pestri per la popolazione autoctona.Per quanto riguarda il cobalto, però, mineraleindispensabile per la costruzione delle batteriedelle auto elettriche, una buona notizia c’è: laRDC ha rivisto il codice minerario dichiarando“strategico” questo elemento e aumentandodal 2% al 10% l’imposta che lo Stato incassaper la sua estrazione.La revisione del codice minerario è stata alcentro dei lavori della terza edizione della Con-ferenza mineraria della RDC, che si è tenutadal 12 al 14 settembre scorsi a Kolwezi (provinciadi Lualaba), principale luogo di estrazione delrame e del cobalto congolesi. All’assise ha par-tecipato anche una rappresentanza della Com-missione delle Risorse Naturali della Conferenzaepiscopale congolese, guidata dal dottor HenriMuhiya. Questi, riferendosi al nuovo codice,ha sottolineato che «se ben applicato farà gua-dagnare al Paese i proventi che permetterannodi svilupparsi e di risolvere i problemi della po-polazione». Oltre alla crescita dei posti di lavoroper una sempre maggiore richiesta di cobalto,infatti, la speranza è che i proventi ricavati dal-l’aumento dell’imposta vengano messi a serviziodella collettività in termini di infrastrutture, ga-ranzie di servizi, assistenza sociale, e nonvadano ad ingrassare i già lauti compensi dellaclasse dirigente.

di Chiara Pellicci

IL CONGO SPERANEL COBALTO

OSSERVATORIO

GOODNEWS

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L’INCHIESTA Il popolo del Venezuela e l’emigrazione di massa

L a famiglia Cachon - otto persone,quattro delle quali bambini sottoi dieci anni, zaino in spalla e

borracce d’acqua in mano - camminain fila indiana. Testa bassa e resistenza.Destinazione Cucuta, tra Venezuela eColombia. Il viaggio a piedi verso lafrontiera colombiana dura giorni egiorni. Il sonno non deve avere il so-pravvento. La resilienza sì. I venezuelaniscappano dalla povertà estrema. E inmigliaia arrivano infine al ponte inter-nazionale Simon Bolivar – fotografatodai media di tutto il mondo – e poi dalì in Colombia. Fuggono per trovareuna vita più dignitosa, soprattutto peri figli. Le loro storie sono pane quotidianoper le tv e i giornali colombiani comeEl Tiempo di Bogotà, o il sito di LatinoUsa. Ma non per quelli venezuelaniche seguono la linea del negazionismo

Il Paese di Nicolas Maduro si sta svuotando:oltre tre milioni di persone hanno lasciato ilVenezuela per raggiungere la Colombia, il Perù,il Brasile e anche l’Europa. Ma il presidente negala gravità della crisi umanitaria e migratoria.I vescovi stanno portando avanti una sorta di“operazione verità”. Eccola.

di Nicolas Maduro. Per il presidenteancora in carica questo non è un Paesenel baratro.«Il Venezuela è sottoposto a un’aggres-sione mediatica - ha detto Maduro alla73esima Assemblea delle Nazioni Unite- Si è costruito un espediente per im-porre l’esistenza di una crisi umanitaria.Si è fabbricata una crisi migratoria chesi sta smontando da sola». Per la Chiesavenezuelana e per chi ogni giorno toccacon mano la sofferenza e la fame, èvero il contrario. Ed è perciò prioritarioristabilire la verità.«Io dico ai miei interlocutori del governo,“Pensate sul serio che stia mentendo?Allora venite, venite con me negli ospe-dali, venite a vedere dove manca tutto.Venite nelle case, nelle scuole, nei ne-gozi!”», ci racconta monsignor JonnyEduardo Reyes, vescovo salesiano diPuerto Ayacucho, che incontriamo amargine di un convegno organizzatodalle Missioni Don Bosco a Torino.

L’operazioneveritàdei vescovi

di ILARIA DE [email protected]

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Migranti in fuga dal Venezuelabloccati a Rumichaca, il ponteInternazionale che segna ilconfine tra Colombia ed Ecuador.

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Il populismo mistificatorio del presidenteMaduro somiglia a quello del collegaDaniel Ortega in Nicaragua o a quellodegli Assad in Siria. Ma la realtà è chela gente scappa dal Venezuela perchéaltrimenti morirebbe di stenti: negli ul-timi 18 mesi oltre un milione di personeha attraversato la frontiera venezuelanae decine di migliaia di uomini e donnecontinuano a farlo ogni giorno. In tutto,sono oltre tre milioni quelli fuggiti dalPaese. Eppure Nicolas Maduro nega chela situazione sia tanto grave da co-stringere un intero popolo all’esilio. Ac-cusando addirittura coloro che scappanodi non amare abbastanza il proprioPaese. «La maggior parte dei migrantisono giovani – dice monsignor Reyes -Chi ha fatto tanti sacrifici per studiarecome medico, ad esempio, e in Venezuelafinisce per guadagnare tre euro al mese,perché mai dovrebbe restare? Non è lasituazione ideale per chi vuole costruirsiun futuro».La Chiesa locale cerca di accompagnarela popolazione in sofferenza come può,sia quando sceglie di emigrare chequando decide di stare. E lo fa ancheattraverso iniziative ludiche. Come quelladi monsignor Víctor Manuel Ochoa Ca-david, vescovo di Cúcuta, che ogni ot-tobre organizza un torneo di calcio persacerdoti. Quest’anno i sacerdoti-cal-ciatori hanno percorso tutto il ponteBolívar distribuendo pasti e intratte-nendosi con i migranti. «Come Chiesa ecome vescovi siamo coscienti di af-frontare una situazione di emergenza,senza però volerci sostituire alla lungaal ruolo che spetta al governo. Il governodeve fare il suo», insiste monsignorReyes. «Chiaramente in questo momentoc’è bisogno di un aiuto economico in-ternazionale – aggiunge – perché c’èuna iper inflazione che non ci permettedi portare avanti nessuna iniziativa conil bolivar. È una moneta che non servepiù a niente».La svalutazione e l’inflazione alle stellerendono in effetti carta straccia ilbolivar, che ad oggi vale 0,014 euro. »

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L’INCHIESTA

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È incredibile che le campagne planetariedi sensibilizzazione (oltre ad una severa

repressione) non fermino la strage degli ele-fanti in Africa. Un eccidio senza precedenti èavvenuto in una riserva naturale in Botswana,dove sono state trovate le carcasse di 87elefanti e nelle vicinanze sono stati ancheindividuati i corpi di cinque rinoceronti uccisiper i loro corni. «Mai registrata una ecatombedel genere» denunciano le associazioni na-turalistiche. In Botswana vivono circa 130milaelefanti, la più grande popolazione al mondo,e fino a pochi mesi fa erano in vigore duremisure antibracconaggio. Dallo scorso maggio,però, le squadre destinate a contrastare icontrabbandieri sono state disarmate su or-dine del nuovo presidente, senza fornire al-cuna motivazione. Un vero e proprio regalo(che si può ipotizzare anche ben pagato)alle organizzazioni criminali che controllanoil traffico di avorio, quasi del tutto indirizzatoal mercato cinese e dell’Estremo Oriente. Inquest’area del mondo, infatti, il possesso dimanufatti d’avorio è considerato un segnodi distinzione tra le classi ricche: così comel’uso nella medicina tradizionale dei corni dirinoceronte che, secondo la superstizione,guarirebbero da malattie.L’aumento delle stragi è connesso alla crescitadella presenza cinese in Africa con le nume-rose imprese che favorirebbero i trafficiillegali. Anche se il governo di Pechino (dopoannose e importanti pressioni internazionali)ha approvato una legge per vietare il com-mercio dell’avorio, non si vedono reali cam-biamenti sul campo. Le grandi compagniecinesi, infatti, agevolano il contrabbando na-scondendo zanne e corni nei carichi dimaterie minerali che dall’Africa sono inviatinel Sud-est asiatico, in particolare Cambogiae Vietnam, dove i trafficanti li recuperanoper immetterli sul mercato nero. Secondoun censimento del 2015, nel decennio pre-cedente sono stati uccisi un terzo deglielefanti africani, mentre in Tanzania negliultimi cinque anni sono stati sterminati il60% dei pachidermi. Una strage che non siriesce a fermare.

di Enzo Nucci

STRAGE DI ELEFANTI

OSSERVATORIO

AFRICA Lo stipendio di un operaio equivale acirca un euro e 50 centesimi al mese,mentre una bottiglia d’acqua costal’equivalente di 5 centesimi di euro;inoltre gli alimenti vengono rivendutisul mercato nero, nei negozi non sitrova più nulla e gli effetti sono similia quelli di una devastante guerra civile.Inoltre i beni di prima necessità spari-scono. Come ci ha spiegato anche mon-signor Pablo Gonzalez, vescovo di Gua-sdalito: «Il governo stabilisce un prezzofisso e calmierato ad esempio per lacarne, ma chi la compra non lo fa perrivenderla in Venezuela ma per portarlain Colombia, dove ci guadagna di più.Moltissimi prodotti alimentari che cir-colano in Colombia vengono dal Vene-zuela e fanno parte dei cosiddetti “pac-chetti” che il governo riserva a prezzibassi per il mercato interno». Il mercato

nero, la speculazione e il proliferare diattività economiche illegali, soprattuttoal confine, «sono oggi il business di chirimane in Venezuela e per sopravviverenon può fare altro», dice monsignorGonzalez.Secondo i vescovi l’aiuto finanziariodall’estero in questa fase serve, ma nonè la chiave per uscire dal baratro. «LaChiesa è riconoscente per gli aiutiricevuti e spera di poterne ottenere an-cora», precisa Reyes per non rischiared’essere frainteso.Ma il punto non è questo. I vescovisanno bene che il problema è politico eche finché Maduro resterà al potere ilVenezuela non uscirà dalla sua trappo-la.Inoltre la crisi umanitaria del Venezuela«non è il frutto del caso o del destinoavverso», denuncia pubblicamente Reyes.

Gruppo di colombiani rifocillano migrantivenezuelani al confine con L’Ecuador.

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È piuttosto il risultato di scelte politichesbagliate e di un uso scellerato dellerisorse naturali: «Era una nazione riccacon prospettive di grande futuro, ma èstata impoverita fino all’estremo eadesso vive una situazione di miseriache peggiora di giorno in giorno», diceil vescovo.Come ripristinare la verità e affrontarela crisi in modo pragmatico?«La Chiesa ha una posizione di tipo po-litico – affermano i due prelati - Si ècominciato col dialogo, con un tentativodi mediazione attraverso il Vaticano,ma questa mediazione non è riuscita.È saltata quasi subito per via dell’in-transigenza governativa». La Santa Sedeaveva depositato, in effetti, una letteracon quattro richieste determinanti eimprescindibili per la Chiesa. Si va dalriconoscimento dell’Assemblea nazionale,all’indire libere elezioni, fino alla libe-razione di tutti i prigionieri politici ealla modifica della Commissione elet-torale. Nulla di tutto ciò è stato accettatoda Maduro.D’altra parte non esistono grandi alter-native al regime. «L’opposizione è statafratturata – dice anche Gonzalez - Ilgoverno ha giocato la carta del divideet impera ed è riuscito finora ad an-nientare gli altri Partiti che avevanopresentato alla popolazione un progettoalternativo a quello governativo». I dueprelati hanno scelto di rimanere in Ve-

nezuela accanto alloro popolo, e par-lano senza mezzitermini di una ma-nipolazione dellarealtà a favore diMaduro conl’obiettivo di di-storcere comple-tamente i fatti,fino a ribaltarli purdi non ammettereil fallimento di unapolitica che ha tra-scinato il Paese in

basso. Inoltre il «doppio standard divita tra ricchi (il 15% della popolazioneche non soffre la crisi) e i poveri» mostral’esistenza di due Venezuela, uno deiquali completamente al di fuori dellarealtà e insensibile alla sofferenza dimilioni di persone. Reyes ha anche messoin luce le responsabilità internazionali:«Va smontata l’ipocrisia internazionalesul Venezuela – ha denunciato – perchéil petrolio, l’oro e i minerali nel Paese cisono, stanno ancora lì, non sono spariti.Ma ci sono nazioni disposte a comprarlia bassissimo costo. Bisogna smascherareil gioco politico internazionale che con-tinua a dare sostegno al regime ditta-toriale». Le due superpotenze che so-stengono e finanziano Maduro sonoRussia e Cina: con quest’ultima il presi-dente pare aver stretto nelle scorse set-timane diversi accordi economici.«Ci sono alcuni possibili scenari per ilfuturo – concludono i vescovi - Moltidicono che questo governo arriverà adautodistruggersi; altri ancora che sarànecessario un intervento militare esterno.Forse solo il tempo e la storia ci darannoragione». Il Venezuela attende uno scos-sone, una forte pressione internazionale,un ribaltamento degli equilibri politiciinterni. Eppure lo spettro di una guerracivile ancora aleggia sul Paese che HugoChavez aveva governato fino al 2013.Da allora una china inarrestabile hapreso il sopravvento.

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Il popolo del Venezuela e l’emigrazione di massa

Venezuelani ricevono pasti eassistenza nella parrrocchiaClaret di Maracaibo.

C hissà se le suore greco-ortodosse che abi-tavano il Monastero di Santa Tekla, nel

villaggio di Maalula in Siria, avranno la pos-sibilità (o il coraggio) di tornare a vivere inquel luogo? Prima che i ribelli anti-Assad de-vastassero il sito cristiano e prima che la com-ponente jihadista prendesse in ostaggio – neldicembre 2013 - le suore del monastero di-struggendone il convento, le religiose eranosolite accogliere i pellegrini con una presenzacostante e silenziosa: alcune si affacciavanoai balconi per salutare, altre - le più anziane- sedevano sulle panchine esterne della cap-pella di Santa Tekla, stringendo tra le manirugose le grandi croci dorate e incastonatedi pietre, luccicanti sul nero dell’abito che leavvolgeva lasciando scoperto solo il volto.Una presenza orante di benvenuto assicuratoai pellegrini.Con il rapimento delle religiose e la distru-zione di uno dei monasteri più importantidel Medio Oriente, questo sito era rimastoabbandonato, nonostante che il sequestrodelle suore si fosse concluso con la loro libe-razione dopo tre mesi, in cambio del rilasciodi 153 donne incarcerate nelle prigioni si-riane. Ma Maalula, simbolo della Siria cri-stiana, arroccata a 1.500 metri sulla catenadell’Antilibano e a 56 chilometri a Nord diDamasco, era stata attaccata in ogni sua partee lasciata ferita ed umiliata tra le sue aridemontagne.Oggi, però, imponenti lavori di ricostruzionestanno per restituire il luogo di culto ai cri-stiani (e non solo). Come riferisce l’AgenziaFides, un contributo importante al restaurodel monastero Santa Tekla è arrivato dall’As-sociazione dei veterani russi “Boevoe Brat-stvo” e ciò ha permesso che le suore greco-ortodosse tornassero nel loro convento,ormai quasi completamente agibile. Non sap-piamo se a riprendere possesso del loro mo-nastero siano quelle 13 suore che hanno su-bito il rapimento. Ma è certo che nel villaggiodove una gola si aprì miracolosamente nellaroccia perché santa Tekla potesse sfuggire aisuoi inseguitori, anche oggi il coraggio di ri-cominciare non manca. E si vede.

di Chiara Pellicci

RIAPRE SANTATEKLA DI MAALULA

OSSERVATORIO

MEDIO ORIENTE

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Moltivolti di BallaròA Palermo, nei pressi di Ballarò, il mercato storico dell’Albergheria,

c’è un quartiere multietnico in cui convivono 15 comunità e siparlano 25 lingue. Qui, dal 2014, l’impresa sociale Moltivolti (con ilsuo bar ristorante siculo-etnico da 60 coperti, con 27 dipendenti euno spazio coworking) ha aperto letteralmente le porte a mondidiversi, con lo scopo di farli incontrare. L’idea non nasce dall’alto,né per caso, né da soli italiani: punti di forza di un “progetto” che èdiventato “laboratorio”.La novità, come ci racconta Claudio Arestivo, uno dei soci fondatori,«è che non si tratta di un’attività commerciale che coinvolge “anche”stranieri al proprio interno, ma è costituita direttamente da persone di varie provenienzegeografiche (Afghanistan, Bangladesh, Francia, Gambia, Italia, Senegal, Spagna eZambia) e con percorsi differenti». In 14 hanno «immaginato un modello alternativo diaccoglienza e partecipazione dove “lo straniero” viene considerato una persona con unpotenziale e gli spazi sono finalizzati a creare relazioni».«Ci sono due tavoli sociali e i clienti che vengono da soli, mentre mangiano, possonofare conoscenza»: a farcelo notare, con un grande sorriso, è Arina Nawali, delloZambia, da 18 anni in Italia. Lei lavora alla cassa e in sala e, insieme al marito(palermitano), è tra i soci: «Qui siamo tutti uguali, come in famiglia. Ci si sente a casa».Arestivo ci racconta che studenti, funzionari, turisti, comunità straniere ed esponenti delmondo della cultura sono coinvolti da questa atmosfera. Compresi i ragazzi che

S C A T T I D A L M O N D O

Lo staff di Moltivolti.

A cura di EMANUELA [email protected]

Testo di LOREDANA [email protected]

Foto di MOLTIVOLTI

Si collabora perriqualificare Ballarò.

La sala riunionidel coworkingdi Moltivolti.

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vengono a navigare in internet.Il “modello Moltivolti”, dunque, in quattroanni e mezzo è divenuto generatore di svi-luppo economico, sociale e culturale (l’as-semblea cittadina “SOS Ballarò” è uno deisuoi frutti). Con un attraente sistemavaloriale dall’identità forte ed anche inno-vativa, se perfino i reali d’Olanda nel 2017hanno voluto visitarlo.«La mia terra è dove poggio i miei piedi»si legge sulle loro magliette. E tra i vicoli diBallarò ci si fa strada tra forme interessantidi vita insieme, con episodi di intolleranzae grandi esempi di solidarietà.Il menu del ristorante non è soltanto unalista di piatti. Tra i fornelli, ci sono bencinque Paesi: Afghanistan, Senegal, Gambia,Iraq e Italia. Le contaminazioni e le riela-borazioni, perciò, sono inevitabili. PerClaudio Arestivo, «il prodotto finale è fruttodi conflitti e di mediazioni», e basta unaspezia in più per arricchirsi delle «reciprochedifferenze», come scriveva Paul Valéry.A Moltivolti, gli odori e i sapori sono veicolodi conoscenza e di cultura, ma non solo:«Non abbiamo aperto il ristorante a caso.Il cibo è per noi un collante, un punto dicontatto tra culture diverse, uno strumento

di accesso per far raccontare “chi sono,da dove vengo”». Ed ecco che il mafé nonè più solo un piatto senegalese, così comela salsa moussaka greca svela il processomigratorio del cuoco afghano che l’ha pre-parata.Mohamed Shapoor Safari, in effetti, dallaGrecia ci è passato dopo essere fuggitoda Kabul nel 2000; prima di rischiare lavita in mare su un barcone con 150migranti, ha attraversato a piedi più

PALERMO MULTIETNICA

»

“La mia terra è dove poggio i miei piedi”.

Attività SOS Ballarò.

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Paesi. Lui che in Afghanistanera a capo di un esercito e hacombattuto contro i Talebani,ora racconta il suo Paese e ilsuo viaggio con le sue ricette.«Cucinare a Palermo significaprendermi cura di chi mi haaccolto e di chi viene nelnostro ristorante. La cucina èlo spazio in cui esprimo lamia creatività e conquisto lamia dignità di lavoratore».L’identità è, tra queste mura,un tema ricorrente, tra i moltivolti dipinti ovunque e gli eventiche animano i 400 metri quadrati di via Mario Puglia.E poi c’è il coworking, con 18 postazioni indipendenti che mettono insieme Terzosettore, volontariato, turismo responsabile, ecc. Tra le associazioni presenti:Giocherenda, Arci Porco Rosso, Per Esempio, Emmaus, Kala Onlus, Libera.L’affitto viene coperto con gli utili del ristorante e loro “restituiscono” al quartiereattività sociali, promuovendo un circolo virtuoso.«La scommessa è investire tempo e risorse a disposizione di un processo», chiarisceCarmelo Pollichino. Per il presidente di Libera Palermo, infatti, «collaborare con altre

S C A T T I D A L M O N D O

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Alcuni piatti del menu (moussaka con carne -moussaka greca - brick).

L’integrazione comincia col sedersi vicini.

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organizzazioni, a Ballarò come altrove, è l’unica azione logica per avere un reale econcreto impatto sociale».Il coworking, quindi, non è solo condividere uno spazio e fare delle cose insieme, con-trastando l’individualismo che spesso dilaga anche nel mondo dell’associazionismo,ma operare nell’ottica della comunità, per la ricostruzione di una rete di rapporti. Alpopolo palermitano “crocevia di culture”, papa Francesco, nella visita del 15 settembrescorso, ha chiesto di essere «buoni idealisti». I giovani di Moltivolti lo sono, anche senon si sentono buoni: «Noi non aiutiamo nessuno, offriamo semplicemente delleopportunità. Di lavoro, di incontro, di dignità». “Albe di speranza” per un nuovo mondopossibile, dove la convivialità si fa dialogo e trasforma le relazioni.

PALERMO MULTIETNICA

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Due chiacchiere in piazzetta Ecce homo a Ballarò.

I muri del ristorante:un “libro bianco”su cui imprimere volti.

Mercato di Ballarò.

Donna colburqa almercato diBallarò.

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Dopo una lunga, complessae riservata trattativa,

a fine settembre scorso è stataresa nota la firma di un “accordo

provvisorio” tra Santa Sede e Repubblica Popolare Cinese

sulle nomine episcopali. Al contempo, la Santa Sede ha

riammesso nella piena e visibilecomunione ecclesiale i vescovicinesi ordinati senza mandatopontificio e ha eretto la nuova

diocesi di Chengde (Hebei) nonlontana da Pechino. Ce ne parla

Monica Romano, sinologa,esperta di sviluppo rurale e

co-fondatrice di TherAsia onlus.

I n un comunicato del 22 settembre scorso, la Santa Sede ha reso notoche «nel quadro dei contatti tra la Santa Sede e la Repubblica Popola-

re Cinese, in corso da tempo per trattare questioni ecclesiali di comuneinteresse e per promuovere ulteriori rapporti di intesa» si è tenuta una riu-nione tra monsignor Antoine Camilleri, sottosegretario per i Rapporti del-la Santa Sede con gli Stati, e Wang Chao, viceministro degli Affari esteridella Repubblica Popolare Cinese. «Frutto di un graduale e reciproco av-vicinamento» e di un lungo percorso di «ponderata trattativa», l’accordoè di natura provvisoria, prevedendo «valutazioni periodiche circa la sua at-tuazione».Come sottolineato dal portavoce vaticano, Greg Burke, l’accordo è piut-tosto l’inizio di un processo tra due parti che «partono da punti di vistamolto differenti». Si tratta infatti di un accordo di natura né politica né di-plomatica. Con un breve commento da Vilnius, dove si trovava per accom-pagnare il Santo Padre nel viaggio apostolico in Lituania, Lettonia ed Esto-nia, il Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, ha spiegato l’accordosecondo una prospettiva pastorale ed ecclesiale. «L’obiettivo della SantaSede è un obiettivo pastorale, cioè aiutare le Chiese locali affinché goda-no condizioni di maggiore libertà, autonomia e organizzazione, in modotale che possano dedicarsi alla missione di annunciare il Vangelo e di con-tribuire allo sviluppo integrale della persona e della società» come ha ri-portato Vatican News.Nello stesso giorno, la Sala Stampa della Santa Sede ha anche pubblica-to una nota informativa sulla Chiesa cattolica in Cina, nella quale si infor-ma che il pontefice ha riammesso nella piena comunione ecclesiale i ri-manenti vescovi “ufficiali”, cioè riconosciuti dalle autorità civili ma ordi-

Superare le feritedel passatoSuperare le feritedel passato

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nati senza mandato pontificio. Al contem-po, «nel desiderio di promuovere la curapastorale del gregge del Signore» il Papaha eretto la nuova diocesi di Chengde, suf-fraganea di Pechino.

PERDONO DEI VESCOVI “ILLECITI”Com’è noto, la questione delle nomine epi-scopali era tra le più spinose e comples-se. Sono sette i vescovi che il papa ha per-

donato: Giuseppe Guo Jincai, GiuseppeHuang Bingzhang, Paolo Lei Shiyin, Giu-seppe Liu Xinhong, Giuseppe Ma Yinglin,Giuseppe Yue Fusheng, Vincenzo ZhanSilu. Ad essi si aggiunge monsignor An-tonio Tu Shihua, O.F.M., mancato l’annoscorso, che «prima di morire avevaespresso il desiderio di essere riconcilia-to con la Sede Apostolica».Come sottolineato dal cardinale Parolin, perla prima volta dopo molti decenni, tuttol’episcopato cinese è ora in comunionecon il vescovo di Roma. Le prime ordina-zioni episcopali senza il mandato pontifi-cio (illegittime canonicamente, ma valide)avvengono nel 1958, un anno dopo lacreazione dell’Associazione Patriotticadei Cattolici Cinesi (APCC). Nel 1949 erastata proclamata la Repubblica PopolareCinese e tra il 1951 e il 1954 furono espul-si il nunzio apostolico Antonio Riberi e imissionari stranieri. Risale a quegli annil’inizio della tensione tra la comunità cat-tolica registrata presso gli organismi sta-tali e quella non ufficiale o cosiddetta “clan-

revocate nella Lettera ai Cattolici Cinesi diBenedetto XVI. Progressivamente, sotto ipontificati di Giovanni Paolo II prima e suc-cessivamente di Benedetto XVI, i vesco-vi ordinati senza mandato pontificio sonostati progressivamente riconosciuti. Que-sti sette (otto con il vescovo già decedu-to) erano gli ultimi che non avevano an-cora ricevuto la legittimazione dalla SedeApostolica.

UN NUOVO PERCORSOCon questo gesto, papa Francesco mostradi essere in piena continuità con Benedet-to XVI, che nella Lettera ai Cattolici Cine-si (2007) a sua volta richiamava il prede-cessore nell’invitarli al perdono e alla ri-conciliazione. Il pontefice – riporta lanota informativa – auspica di «avviare unnuovo percorso» per superare «le ferite delpassato realizzando la piena comunionedi tutti i cattolici cinesi», perché «la Chie-sa esiste per testimoniare Gesù Cristo el’Amore perdonante e salvifico del Padre».Il Santo Padre ha anche inviato un mes-saggio ai cattolici cinesi e alla Chiesa uni-versale. Menzionando la figura di Abramo,che «chiamato da Dio, obbedì partendo peruna terra sconosciuta», ha invitato a fidar-si di Dio e del discernimento della sua vo-lontà operato dalla Chiesa. Nel messag-gio il pontefice spiega anche che «era fon-damentale affrontare, in primo luogo, laquestione delle nomine episcopali», inquanto la Chiesa cattolica in Cina «è sta-ta dolorosamente segnata da profonde ten-sioni, ferite e divisioni, che si sono pola-rizzate soprattutto intorno alla figura del ve-scovo». Spiega il papa che l’accordo «perla prima volta introduce elementi stabili dicollaborazione tra le autorità dello Stato ela Sede Apostolica, con la speranza di as-sicurare alla Comunità cattolica buoni Pa-stori».

VESCOVI CINESI PER LA PRIMA VOLTAAL SINODODue vescovi della Cina continentale han-no partecipato - per la prima volta nella sto-ria - al Sinodo sui giovani. Si tratta di mon-signor Giovanni Battista Yang Xiaoting, ve-scovo di Yan’An (Shaanxi), e monsi- »

Messa nella parrocchia di Santa Maria aiMonti a Roma, presieduta dal cardinaleFrancesco Coccopalmerio e concelebrata dadue vescovi della Cina continentale,monsignor Giovanni Battista Yang Xiaoting emonsignor Giuseppe Guo Jincai.

In primo piano, ilcardinale FrancescoCoccopalmerio,presidente emerito delPontificio Consiglio peri testi legislativi.

destina”. La divisione si acuisce quandoa partire dagli anni Ottanta, a seguito diun’iniziativa dell’allora vescovo di Baoding,monsignor Fan Xueyan, anche nella comu-nità “sotterranea” inizia la prassi dell’or-dinazione dei vescovi senza la previa au-torizzazione della Santa Sede, in forza dialcune facoltà speciali conferite ai vesco-vi legittimi e in comunione con Roma. Talifacoltà speciali sono state recentemente

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gnor Giuseppe Guo Jincai, vescovo diChengde (Hebei), l’ultima diocesi eretta dalpapa. In occasione del Sinodo sui giova-ni, i due vescovi hanno anche concelebra-to una messa, presieduta dal cardinaleFrancesco Coccopalmerio, presidenteemerito del Pontificio Consiglio per i testilegislativi, nella parrocchia di Santa Ma-ria ai Monti a Roma. Dopo l’omelia del car-dinale, monsignor Yang ha preso la paro-la, condividendo qualche riflessione coni fedeli. Ecco le sue parole: «Come la fa-miglia costituita da marito e moglie è sem-pre unita, così è la Chiesa, che è una, san-ta, cattolica e apostolica. In Italia, in Cinao in altri Paesi, l’amore di Cristo è sem-pre lo stesso. Papa Francesco, che cono-sce molto bene la situazione della Chie-sa cattolica in Cina, non vuole lasciarci,non vuole separarci dalla Chiesa univer-sale. Noi aspettiamo sempre che il San-

to Padre possa venire in Cina, che anchevoi veniate: vi aspettiamo in Cina! Nel-l’amore di Cristo, nell’amore di Dio, sia-mo sempre una famiglia: la Chiesa univer-sale è sempre come una famiglia. Anchese siamo in Paesi diversi, anche se nellacultura, nella liturgiae in altre cose c’èuna diversità, la no-stra fede, nel Si-gnore, è sempreuna. Per questo tut-ti noi, nell’amore diDio, nell’amore diCristo, siamo uniticome una famiglia.Voi avete pregatomolto per la Chiesacinese. Vi chiedoancora un aiuto perquesta Chiesa in

PAN

ORAM

A Cina. La nostra Chiesa è come una bam-bina, non è molto matura, quindi abbiamobisogno del vostro accompagnamento, delvostro aiuto e della vostra preghiera,sempre nell’amore del Signore».

Pellegrinaggio al Santuario della Madonna di Sheshan, Shanghai.

Il Santuario marianonel villaggio di Dongergou,diocesi Taiyuan.

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GIORNATA MONDIALE DEI POVERI

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LA POVERTÀ È IL MISTERO GRANDE CHE ACCOMPAGNA LA CHIESAATTRAVERSO I SECOLI E CHE PAPA FRANCESCO HA POSTO NEL CUOREDEL SUO MAGISTERO. QUESTO DOSSIER SI APRE CON UN COMMENTOAL MESSAGGIO DEL PONTEFICE PER LA SECONDA GIORNATAMONDIALE DEI POVERI. A SCRIVERE È MATTEO MENNINI, STORICO DELCRISTIANESIMO PRESSO L’UNIVERSITÀ DI ROMA TRE, CHE SPIEGAPERCHÉ DOBBIAMO ESSERE EVANGELIZZATI DAI POVERI.

Il gridodegli ultimiIl gridodegli ultimi

A cura della [email protected]

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A leggere il testo che papa Francesco ha volutoconsegnare in occasione della Giornata Mon-

diale dei Poveri del 2018 e collegandolo a quellodello scorso anno, quando la Giornata fu promossaper la prima volta come frutto del Giubileo straor-dinario della Misericordia, si ha la nitida percezionedi essere destinatari di un magistero non occasio-nale, ma ampio e strutturato, sul tema dellapovertà. Grazie a questo messaggio per la Giornatache si celebra il 18 novembre, si possono coglierei tratti di un edificio teologico con fondamenta pro-fonde, radicate nella Sacra Scrittura e nel ConcilioVaticano II, e con la capacità profetica di far risuo-nare allʼinterno della Chiesa il grido di milioni didonne e di uomini che vivono senza dignità.Nel messaggio del 2017 papa Francesco aveva

spiegato come lʼisti-tuzione di questa Gior-nata, che si aggiungealle altre create daisuoi predecessori, vo-lesse apportare «unelemento di comple-tamento squisitamen-te evangelico, cioè lapredilezione di Gesùper i poveri». Infatti,come già aveva scritto nellʼesortazione apostolicaEvangelii Gaudium del 2013, si tratta di affermarela dimensione teologica dellʼopzione per i poveri,una dimensione che supera quella culturale, socialee politica perché vede nella condizione del povero

Papa Francesco con i poveri di Bañado Norte,baraccopoli di Asunción, Paraguay.

Matteo Mennini

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lʼesperienza di relazione in cui si forgia il discepo-lo.Va evidenziato che la citazione del salmo 34 eragià contenuta nel messaggio dello scorso anno,una connessione che richiama la saldatura tralʼaspetto teologico e quello storico, vera chiave dicomprensione del testo che il lettore deve avereben chiara: nel grido che nasce dalla condizionedi esclusione e precarietà, infatti, il messaggioinvita non semplicemente a riconoscere un appelloalla dovuta e generosa solidarietà, ma sollecitaprima di tutto ad un apprendimento, alla scopertache Dio ascolta “quel” grido: «Ascolta quanti ven-gono calpestati nella loro dignità e, nonostantequesto, hanno la forza di innalzare lo sguardoverso lʼalto per ricevere luce e conforto. Ascoltacoloro che vengono perseguitati in nome di unafalsa giustizia, oppressi da politiche indegne diquesto nome e intimoriti dalla violenza; eppuresanno di avere in Dio il loro Salvatore». In quellascoperta “mistica” cʼè una visione “storica”, cheimpara a riconoscere lʼingiustizia, smascherare laviolenza e denunciare il sopruso. Può apparirescontata al lettore questa connessione, ma inrealtà non lo è stata affatto nella storia dellaChiesa, specialmente in epoca contemporanea,quando le contraddizioni sul piano sociale ed eco-nomico accompagnavano il formarsi di un mondoglobalizzato: fu il cardinale Giacomo Lercaro allafine della prima sessione del Vaticano II, dandovoce ad un nutrito gruppo di vescovi e teologi, aporre lʼaccento sul mistero della povertà, “eterno”e “attualissimo” allo stesso tempo, domandandoche tutta la trattazione riguardo la Chiesa partissedal «grande sacramento del Cristo che si rivela,che abita, che vive e che opera fra gli uomini».Dal Concilio fino a Francesco, il lungo percorsodella “Chiesa dei poveri” ha generato significativeesperienze in ordine allʼecumenismo, alla crescitadel laicato e alla proposta missionaria; ma in par-ticolare ha saputo collocare il “povero” in primopiano nellʼeconomia del Vangelo, non in quantodestinatario dellʼazione generosa dei credenti, masoggetto attivo della salvezza, come Francesco ciricorda: «I poveri sono i primi abilitati a riconoscerela presenza di Dio e a dare testimonianza dellasua vicinanza nella loro vita. […] I poveri ci evan-gelizzano, aiutandoci a scoprire ogni giorno labellezza del Vangelo».

Matteo Mennini

lʼagire stesso di Dio, il suo modo di comunicare lasalvezza mediante lʼincarnazione di Cristo.È lungo questo asse che si colloca la scelta deltitolo: “Questo povero grida e il Signore lo ascolta”(versetto 7 del salmo 34). Significa affermare chela povertà è una realtà biblica che si presenta agliocchi del credente come costitutiva del misterodella Chiesa, da non ridurre ad un impegno moraleda assolvere o ad una pratica ascetica. Questavisione alta della povertà era il cuore del messaggiodello scorso anno, in cui lʼottica evangelica era ri-badita con decisione e chiarezza: «Per i discepolidi Cristo la povertà è anzitutto una vocazione aseguire Gesù povero. È un cammino dietro a Luie con Lui». La povertà, quindi, è lʼelementoattrattivo e paradossale che genera la sequela,

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PER PROBLEMI GLOBALI SERVONO SOLUZIONI GLOBALI

di Daniele Moschetti e Helen Saldanha

NELL’AGOSTO SCORSO SI È SVOLTA A NEW YORKLA 67ESIMA CONFERENZA DELLE NAZIONI UNITEPER LE ORGANIZZAZIONI NON GOVERNATIVE E LASOCIETÀ CIVILE IMPEGNATE NELLA LOTTA AIPROBLEMI DEL PIANETA. ERANO PRESENTI PADREDANIELE MOSCHETTI, MISSIONARIOCOMBONIANO CHE SEGUE L’ATTIVITÀ DIADVOCACY E LOBBYING PRESSO LE NAZIONIUNITE (OVVERO DI TUTELA DEI DIRITTI DI CHINON PUÒ DIFENDERSI), E SUOR HELENSALDANHA DI VIVAT INTERNATIONAL. INSIEME, INQUESTO ARTICOLO, SPIEGANO I CONTENUTI E GLIOBIETTIVI DEL FORUM INTERNAZIONALE CHELOTTA PER SPEZZARE LE POVERTÀ.

partenariato con la so-cietà civile, approcci in-novativi e tecnologie indifesa dell̓ Agenda 2030per i 17 Obiettivi di Svi-luppo Sostenibile.Questo è il più granderaduno di ong allʼOnu,organizzato ogni dueanni, e anche unʼocca-sione unica per metterein rete e condividere lemigliori pratiche a livellointernazionale. La con-ferenza esplora modi emezzi per rafforzare lacollaborazione tra le co-munità locali e le istitu-zioni globali, fornendoun forum per la costruzione di politiche per lerelazioni delle ong con le Nazioni Unite. AntonioGuterres, Segretario generale dellʼOnu, ha espressobene questa opportunità per la società civile e leorganizzazioni non governative: «Non abbiamo unpartner più importante di voi, le organizzazioni nongovernative. Insieme, possiamo aiutare a spezzarei cicli di povertà che durano da generazioni einnescare cambiamenti di trasformazione che du-reranno per le generazioni a venire. Le NazioniUnite sono impegnate a lavorare con voi per unfuturo più pacifico, giusto e prospero per tutti».“We the peoples” è la semplice introduzione nellaCarta delle Nazioni Unite che stabilisce un mandatoambizioso e nobile. Lʼimpulso per la creazione diuna tale organizzazione derivava da una compren-sione, dopo due guerre mondiali, che una strutturaglobale per lavorare insieme fosse essenziale perevitare la ripetizione di sofferenze catastrofiche.Eppure oggi lo scetticismo sta crescendo a livellomondiale sul valore del multilateralismo e le NazioniUnite affrontano la sfida di rimanere pertinenti edefficaci. António Guterres lo ha riconosciuto quandoha assunto la carica, dichiarando: «Dobbiamo riaf-fermare il valore del multilateralismo: solo le soluzioniglobali possono risolvere i problemi globali».Nei due documenti finali della 67esima Conferenza(uno di tutti i partecipanti e un altro dei giovani), si

“W e the peoples” (cioè, “Noi popoli”) è statoil tema della 67esima Conferenza delle

Nazioni Unite DPI/ONG (Dipartimento delle NazioniUnite di informazione pubblica e Comitato esecutivodelle ONG/DPI), organizzata presso la sede delleNazioni Unite di New York dal 22 al 23 agostoscorsi. Si tratta dellʼevento primario nel calendariodelle ong presso le Nazioni Unite ed ha coinvoltopiù di duemila rappresentanti di circa 300 organiz-zazioni non governative internazionali di oltre 100Paesi.È stato incoraggiante che il 40% dei partecipantifossero giovani tra i 18 e i 32 anni, provenienti dadiverse parti del mondo. Questo forum internazionaleha riunito anche personale delle Nazioni Unite dialto livello, Stati membri, ong internazionali, acca-demici, opinionisti pubblici, partecipanti della societàcivile, giovani, settore privato e media internazionaliper discutere questioni di interesse globale.La conferenza ha offerto alle ong lʼopportunità diporre una prospettiva globale su una questionespecifica. Negli ultimi anni l̓ attenzione si è concentratasui cambiamenti climatici, i diritti umani, il disarmo,la salute globale, la sostenibilità e il volontariato.Lʼobiettivo dellʼedizione di questʼanno era quello diconsentire discussioni sul valore del multilateralismo,opportunità che il nuovo sistema di sviluppo delleNazioni Unite sta cercando di offrire in un più stretto

Tutti uniti contro le povertà

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uno stretto nazionalismo che promette sviluppo peralcuni a scapito di tutti gli altri, in particolare dei piùvulnerabili. Lʼassemblea ha respinto la scelta sbagliatatra nazionalismo e globalismo. Il multilateralismocentrato sulla gente è unʼalternativa ottimista e rea-listica. I suoi processi inclusivi promuoveranno unsenso di proprietà condivisa, aumenteranno lafiducia e porteranno a una maggiore efficacia».I problemi globali vanno oltre il potere di ognisingola entità; le partnership sono essenziali percreare e facilitare cambiamenti duraturi. La societàcivile rivendica il suo spazio unico per lʼazione chetrascende le identità nazionali. Una struttura comele Nazioni Unite, che riunisce tutti i 193 Paesi delmondo con la propria società civile, dovrebbe esserelʼistituzione che rafforza e sostiene un cambiamentodi mentalità e relazioni tra le nazioni che cercano diproporre e attuare riforme. Lʼobiettivo di essere piùefficace e con più “potere morale e politico” deveessere sostenuto, incoraggiato e chiarito dallasocietà civile del mondo. Affinché il multilateralismoincentrato sulle persone possa mettere radici, lasocietà civile deve essere in grado di svolgere ilproprio lavoro critico.

P oter costruire un Nepal con condizioni di vitadignitose per tutti gli abitanti; donare la speranza

a chi non lʼha mai avuta o a chi lʼha perduta; aiutarechi è più debole e vulnerabile: a tutto questo dedicala propria vita suor Maria Luisa Cataldi nella Casadella Congregazione delle Piccole Apostole di Gesù

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Suor Maria Luisatra gli indu

DAL NEPAL NELLA CASA DELLE SORELLEPICCOLE APOSTOLE DI GESÙ

afferma che «il multilateralismo incentrato sulle per-sone richiede lʼespansione del ruolo dei partenariatidella società civile, in particolare con i giovani, perfar avanzare gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Lalegittimità delle Nazioni Unite dipende in parte dallasua capacità di costruire un consenso in un mondoin cui il potere statale è diventato più diffuso e gliattori non statali svolgono un ruolo sostanziale.Quando lʼattuale sistema multilaterale vacilla, gliopportunisti discutono contro lʼidea che la coopera-zione aiuti tutti. Al posto del multilateralismo, coltivano

a Bharoul, distretto di Sunsari,nel Sud-est del Paese, vicinoal confine con lʼIndia. Vive condue sorelle provenienti dal Bu-rundi, in una Casa fondata 15anni fa con la stretta collabora-zione della Fondazione FratelliDimenticati e dei Volontari ItalianiSolidarietà Paesi Emergenti (VI-SPE). Grazie a loro è stata realiz-zata e costruita una scuola, oggi gestita dai padriSalesiani, che permette ai bambini e ai ragazzi piùpoveri dellʼarea di frequentare almeno il cicloscolastico di base dalla prima alla decima classe. Alatere è stato avviato un progetto di sviluppo agricoloper la gente del luogo.Questa area del Nepal è una immensa pianura, ri-coperta dalla giungla e ricca di corsi dʼacqua.

IN OGNI ANGOLO DI MONDO MISSIONARI E VOLONTARI OFFRONO SE STESSI PER IPIÙ DEBOLI. RACCOLGONO IL GRIDO DI CHI NON HA DIRITTI E PROVANO A FARLOPROPRIO, VIVENDO TRA GLI ULTIMI. IN QUESTE PAGINE, DUE ESEMPI (UNO DALNEPAL, L’ALTRO DAL MOZAMBICO) PRESENTANO PICCOLE GRANDIESPERIENZE DI LOTTA ALLA POVERTÀ.

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Da qui le grandi montagne dellʼHimalaya sonolontane almeno 500 chilometri. La piccola comunitàvive in un contesto dove i cristiani sono un numeroesiguo, spesso osteggiati e mal sopportati dallefrange estremiste degli indu, dove però le tre sorellecon pazienza sono riuscite ad essere accettate eapprezzate da tutti.Quando arrivarono, le suore speravano di riuscirea permettere ai ragazzi di proseguire gli studi conla formazione agraria, anche grazie alla realizzazionedi un istituto preposto a questo. Furono acquistati

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di Giulia [email protected]

Il Laboratoriodella libertà dipadre Antonio

DAL MOZAMBICO CON GLI EX DETENUTI

11 ettari di terra da coltivare che sarebbero servitiallo scopo. Oggi su quel terreno duro e avaro difrutti, si è data vita ad una piccola azienda agricoladove lavorano stabilmente otto famiglie ed alcunistagionali reclutati nei momenti di necessità. Eʼ unaagricoltura di sostentamento che, però, consentealle suore, alle famiglie dei lavoratori e al villaggiolimitrofo di avere il necessario e anche un poʼ dimoneta circolante.Le suore vivono in mezzo alla gente e coltivano laterra, si occupano degli animali, mandano avanti lapiccola azienda. Un tipo di vita che permette loro dicondividere i problemi e la fatica delle persone delluogo e allo stesso tempo di diffondere e testimoniarela parola del Vangelo. Il sogno di suor Maria Luisasarebbe quello di rendere la comunità e il progettoagricolo autonomo (ancora ricevono dallʼItalia aiutie sostegno) e di dare lʼopportunità alle otto famigliedei lavoratori di autosostenersi e di mandare i lorofigli a scuola, poiché lʼistruzione e lʼeducazionesono lʼunico sistema per garantire un futuro soste-nibile. Suor Maria Luisa spera anche di poter prestocostruire un mulino per macinare il grano: ciò con-sentirebbe di non percorrere chilometri di stradaimpervia per recarsi a quello più vicino e di diventarecosì un polo di sviluppo per lʼintera regione.

Padre Antonio Perretta della Comunità Missionariadi Villaregia vive da cinque anni in Mozambico.

È arrivato nel continente africano da Napoli nel2000, sette anni in Costa d'Avorio prima e poicinque in Mozambico, a Maputo, la capitale. Qui èimpegnato nel Laboratorio della libertà, un percorsodi riabilitazione, condiviso con il COMIVIS, per chivoglia intraprendere un cammino di cambiamento

della propria vita da detenuto a uomo libero. NelPaese più del 70% della popolazione vive al disotto della soglia di povertà assoluta. Nella capitalela crisi economica e politica di questi ultimi anni haamplificato le condizioni precarie di vita dei più vul-nerabili, anche, e soprattutto, sul piano sociale: adiniziare con il progressivo disfacimento del tessutofamiliare.La fame e la necessità di fare fronte allʼemergenzaalimenta violenza e microcriminalità, in una dram-matica lotta per la sopravvivenza. La conseguenzapiù immediata è l'aumento della popolazione car-

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IL FALLIMENTO DEI BUONI PROPOSITI DELL’UE

I dati dellʼIstituto di statistica europeo Eurostat ciparlano di unʼEuropa socialmente fragile, fortemente

segnata da livelli di povertà ed esclusione socialesenza precedenti. Il mondo evolve nella direzionedi un “falso sviluppo” – questa è la trappola cheprima o poi vedrà tutti capitolare - che nasconde iltarlo della diseguaglianza. A fronte di miglioratistandard di crescita economica globale, ristagnanole sproporzioni di reddito tra cittadini. La StrategiaEuropa 2020 aveva lo scopo di «promuovere nellʼUeuna crescita intelligente, sostenibile e inclusiva»,ma così non è stato. E questa è una costante dimolti Paesi dellʼUnione Europea, compreso il nostro.

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ceraria, soprattutto giovanile. Secondo le statisticheufficiali, la maggioranza dei carcerati mozambicanisono giovani sotto i 30 anni, molti in prigione perreati minori. Le loro condizioni sono precarie, mancapraticamente tutto, dai vestiti al sapone. Né gliedifici penitenziari sono migliori: inadeguati comeinfrastrutture e servizi, oltre che estremamente so-vraffollati. Anche il cibo scarseggia e le condizioniigienico-sanitarie sono pessime.Il Laboratorio della libertà, realizzato da padreAntonio in Mozambico dopo la medesima esperienzain Costa d'Avorio, consente ai detenuti in procintodi uscire dal carcere e a chi ne è già fuori di avere,oltre allʼaccompagnamento psicologico, all'avvio adun'istruzione e ad una formazione professionale,anche l'offerta di percorsi per la reintegrazionesociale e familiare. Una vera e propria opportunitàdi riscatto e di cambio di vita che ha coinvolto finoracirca 500 detenuti mozambicani, ridando loro lasperanza e la convinzione che la vita non finiscenello spazio angusto di una cella. Si tratta di unariabilitazione integrata, che prevede visite settimanali,accompagnamento spirituale, formazione umana

integrale con la Scuola di Vita, distribuzione di benidi prima necessità ed apertura al mondo del lavorocon la formazione professionale ed i laboratori diartigianato, ma anche con l'ausilio dell'arte cometerapia che trasforma oggetti senza valore in opered'arte, per poi esporle in mostre o fiere di settore.Infine, cʼè la Casa della Misericordia, una anticafattoria messa a disposizione da un imprenditorelocale. Restaurata da poco, accoglie gli ex detenutiche non hanno una dimora e sono inseriti in uncammino che li prepara a rientrare nella vita socialee familiare da uomini liberi e coscienti cittadini.

di Ilaria De [email protected]

LA POVERTÀ NON È SOLO NEL SUD DEL MONDO.ANCHE NELLA RICCA EUROPA, L’EMERGENZAPOVERI È ALL’ORDINE DEL GIORNO. ADDIRITTURA- DENUNCIA LA CARITAS - IN ITALIA IL NUMERODEGLI INDIGENTI CRESCE DI ANNO IN ANNO. GLI ESEMPI DI PROGETTI ASSISTENZIALI NONMANCANO, MA SERVE UNA STRATEGIA CHE DALPUNTO DI VISTA STRUTTURALE ARRESTIL’INCREMENTO DELLA POVERTÀ.

Caritas: diseguaglianzein aumento

Caritas Italiana, organismo pastorale della Cei, nelsuo ultimo rapporto sulla povertà in Italia, “Povertàin attesa”, ricorda che dagli anni pre-crisi ad oggi ilnumero di poveri in Italia è aumentato del 182%.Un dato questo che «dà il senso dello stravolgimentoavvenuto per effetto della recessione economica».La prima evidente particolarità di questi anni riguardala questione giovanile: la povertà tende ad au- »

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mentare al diminuire dellʼetà, decretando iminori e i giovani come le categorie più svan-taggiate in assoluto, mentre solo nel 2007 iltrend era esattamente lʼopposto. In Italia –dice Caritas - il numero dei poveri assoluticontinua ad aumentare, passando dai quattromilioni e 700mila del 2016 ai cinque milioni e58mila del 2017, nonostante sul fronte eco-nomico e occupazionale si siano registratidei timidi segnali di ripresa. Risulta preoccu-pante soprattutto lo status dei minori travolti,loro malgrado, dalle vite fragili dei genitori:lʼItalia torna ad essere quella terra post-bellicadove la sofferenza era prerogativa soprattuttodei bambini, esclusi dal godimento di beni e servizi.Inoltre si attivano spesso, dice il dossier Caritas,«dei circoli viziosi che tramandano di generazionein generazione le situazioni di svantaggio». Il disagioquindi è proiettato in avanti.A pochi anni di distanza dal 2020, in Europa e inItalia, la diminuzione dei poveri non solo non cʼèstata, ma il numero di persone a rischio di povertàè pure aumentato. Nell̓ ambito della Strategia Europa2020 lʼItalia ha raggiunto solo lʼobiettivo relativoallʼarea educazione-istruzione, superando nel 2016di poco la soglia richiesta del 26% di laureati tra lapopolazione 30-34enni. Resta lʼallarme povertàeconomica che spariglia tutte le carte della politica.Scrive Federica Di Lauso, commentando i numeridell̓ ultimo dossier, che «si contano complessivamentedue milioni e 320mila poveri tra minori e giovani.Ciò sta a significare che oggi un povero su due hameno di 34 anni. Da parte loro i dati Caritas eviden-ziano nel 2017 una crescita della cronicizzazionedel disagio».Già in passato il dato riferito agli under 40 e under30 era emerso in tutta evidenza: «Il futuro di moltigiovani in Italia non è serenamente proiettato versolʼavvenire. Siamo di fronte ad una sorta di futuro in-compiuto, venato da difficoltà e arretratezze», sileggeva nel precedente report Caritas. Un “futuroanteriore” appunto, in cui si guarda avanti ma conlo sguardo rivolto al passato.La Caritas si sta attivando da tempo con una seriedi interventi mirati per tamponare gli effetti nefastidi questa povertà nel nostro Paese. In particolareper affrontare le “nuove forme di povertà” - disoc-cupazione, vittime dellʼusura, immigrati, emarginati,anziani abbandonati -. Nel corso del 2017 i “volti”incontrati dalla rete Caritas sono stati quasi 200mila.I dati e le informazioni provengono da 1.982 centri

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di ascolto di 185 diocesi. Rispetto al 2016 si registraun calo del numero medio di persone incontratema un incremento di ascolti: diminuiscono le storiedi povertà intercettate ma queste risultano più com-plesse, croniche e multidimensionali. Inoltre, tra lepersone incontrate il 42,2% è di cittadinanza italiana,il 57,8% è straniera. Il pasto alle mense non è piùsolo prerogativa dei senza fissa dimora o di personecon vite già molto border line. Oggi i più bisognosivivono quotidianità tutto sommato molto vicine allenostre: sono padri separati, mamme single, famigliesfrattate, anziani soli e ragazzi che non studiano nélavorano. Caritas ha dovuto dunque anche adeguarele sue risposte ai bisogni della gente: il tradizionale“pacco” con lʼessenziale per la spesa del mese(zucchero, caffè, pasta, biscotti, ecc.) in molti casi èstato trasformato in unʼofferta più adeguata. Perchéanche i più bisognosi hanno il diritto di scegliere edi essere assistiti in base alle esigenze specifichedi ognuno. Come accade nellʼ “Emporio dei poveridi Mira”, in Veneto, che apre i battenti a novembree dove si potrà fare la spesa gratuitamente tramiteuna tessera a punti. Si tratta di un progetto di aiutodella Caritas vicariale, sostenuto dalle parrocchiedel vicariato di Gambarare, reso possibile graziealla creazione dellʼassociazione “Ponte solidale”onlus. Gli utenti sono tutti coloro che bussano alleporte delle varie comunità e che ora troveranno ununico Centro, attrezzato, e con persone dedicate,dove poter acquistare quello di cui hanno bisognoscalandolo dalla tesserina che viene loro assegnatain base al reddito. Di progetti simili ce ne sonosvariati: la creatività degli operatori Caritas crescee si specializza in base ai cambiamenti sociali dei“nuovi poveri”. Rimane invece lʼenorme falla politicaa monte di questo incremento di povertà e disagiocronicizzato.

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Fratel Giuseppe Argese nacque a Martina Franca,cittadina della provincia di Taranto in Puglia, il10 novembre 1932. Entrò nei Missionari della

Consolata per diventare fratello missionario e fece lasua prima professione a Certosa di Pesio l’1 novembre1953. Proprio lì lasciò il primo segno delle sue capacitànella costruzione dello sbarramento sul fiume Pesioche ancora oggi dà acqua alla turbina. La sua specia-lizzazione era quella di muratore, ma le sue capacità eingegno superavano di molto quel titolo. Si era fattol’abitudine di non improvvisare mai, ma di affrontareogni nuovo problema con studio e ricerche accurate. Ilunghi portici (ora trasformati in aule scolastiche) diquello che fino agli anni Settanta è stato il Seminariodella Consolata di Varallo parlano per lui e così anchela Casa di formazione dei fratelli missionari di Alpignano,annessa al castello e - purtroppo - ora in disuso.Fratel Giuseppe partì per il Kenya nel 1957, destinatoalle missioni del Meru, a Nord-est del monte Kenya. Ilvescovo radunò attorno a sé un gruppetto di fratellilaici missionari per i bisogni della sua vasta diocesi. Là,nei suoi 60 anni di servizio missionario, Argese ha edi-ficato la cattedrale di Meru e tante altre chiese, di-spensari, scuole, orfanatrofi e tanto altro. Ma il suocapolavoro non è una cattedrale, pur bellissima. Il suogioiello è il Tuuru water scheme, l’acquedotto cheraccoglie l’acqua dalla foresta pluviale del monteNyambene e la distribuisce nella vasta area attorno almonte, cambiando la vita per migliaia di persone.

LOTTA ALLA SICCITÀAlla fine degli anni Sessanta il problema dell’acqua èestremamente grave a Tuuru, un villaggio sulle pendicidel Nyambene, uno dei tanti coni dell’enorme vulcanoche era il monte Kenya. Il terreno collinoso, copertoda uno spesso strato di ceneri vulcaniche, è fertilissimo,ma non ha fiumi, torrenti o sorgenti. Spesso la siccitàè così aspra e ostinatamente lunga che soprattutto le

Dare da bere agli assetati

Sulla catena montuosa del Nyambene inKenya si sono fermati i passi di fratel GiuseppeArgese, missionario della Consolata. Ci halasciato lo scorso 20 settembre, dopo 86 annivissuti con intensità. La gente lo chiamavaMukiri, il silenzioso, perché era un uomo dipoche parole e molti fatti. Per lui infatti parla ilcapolavoro della sua vita missionaria: non unachiesa - ne ha costruite tante - ma unacquedotto nato dalla necessità di dare acquaad un Centro per un centinaio di bambinipoliomielitici. Oggi è diventato una rete chedisseta oltre 250mila persone e 100milacapi di bestiame: è l'acquedotto di Tuuru.

A cura di GIGI [email protected]

Mukiri, il fratellodell’acqua

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

donne fanno fatica a trovare l’acquanecessaria a dissetare se stesse e i lorobambini, costrette come sono a racco-glierla goccia dopo goccia dai fianchidelle colline che spesso franano causandodisastri e morte. Nella missione c’è unCentro per l’accoglienza per bambinipoliomielitici (la polio era allora un pro-blema endemico nella regione), che hale stesse difficoltà. Bisogna trovarel’acqua, altrimenti si deve chiudere. Ilvescovo affida il compito a fratel Argeseche si è già cimentato nella costruzionedi acquedotti per alcune missioni. Con-sultati gli anziani e, scoperto che daqualche parte nella foresta del monteNyambene (alto oltre 2.300 metri) c’èuna grossa sorgente, Mukiri pianta lasua base all’ingresso della foresta stessae parte per l’esplorazione, riempiendopagine e pagine di note e osservazioni.Il problema è immane: trovare acqua asufficienza, incanalarla, farla arrivare aoltre 20 chilometri di distanza senzausare pompe e motori, passare attraversoi campi della gente senza fare troppidanni, trovare i soldi.Niente lo ferma. E il sogno prende forma.Le ingenti somme per i materiali e perle spese di costruzione vengono dalle

struisce gallerie che entrano nel ventredella collina e raccoglie l’acqua che siannida nell’humus del terreno e scivolasu un leggero strato d’argilla. Poi co-struisce un primo laghetto di raccolta, epoi un altro, e un terzo, per avere sempreacqua da distribuire - seppur razionata- anche nei lunghi periodi di siccità.Non si ferma mai, limando i difetti, mi-gliorando le prestazioni, riparando idanni. I danni non mancano: dalla genteche disbosca abusivamente la forestarubando il legname pregiato ma anchealterando il delicato equilibrio ambientale,alle piogge improvvise che creano allu-vioni e più di una volta mettono in pe-ricolo le dighe dei bacini di raccolta;dagli alberi caduti, alle frane, alle rotturedei tubi.

numerose organizzazioni, Misereor intesta, a cui ricorre con piani ben detta-gliati, con le spese previste fino allecose più minuziose, dimostrando così laserietà e necessità di questo ambiziosoprogetto. La manodopera sul posto nonmanca e lui la forma, come aveva fattogià dai tempi della costruzione dellacattedrale di Meru. Muratori, idraulici,scalpellini: non solo la gente del postolavora, ma impara un mestiere per il fu-turo. Niente ruspe per gli scavi. «Certo,fanno più veloce» diceva, ma «tolgono illavoro alla gente». Invece, pale e picconie tante mani che col loro lavoro sfamanotante famiglie.E l’acqua? La prima sorgente non bastacertamente. Scopre che il terreno dellaforesta è come una spugna e allora co-

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da lui progettata erealizzata pietra supietra in onore della“fondatrice” dei mis-sionari. Infatti, è daLei che ha imparatoe vissuto il ministerosilenzioso della Con-solazione, sugli in-segnamenti del bea-to Giuseppe Alla-mano che amava ri-petere che «il beneva fatto bene... esenza rumore».Questo lavoro dedi-cato, paziente e benorganizzato, centra-to sulla gente e isuoi bisogni, ai qualilui ha risposto usando soprattutto lerisorse che si trovavano sul posto, nellostile di uno sviluppo umano dignificantee sostenibile, ha guadagnato a fratel Ar-gese riconoscimenti un po’ ovunque. Nel1995 fu nominato Cavaliere della Re-pubblica Italiana. Nel 1996 ha ricevutoil premio missionario “Cuore amico”. Nel1999 gli fu attribuito il titolo di ServitorPacis (Servitore della Pace) dalla Missione

di Osservazione della Santa Sede pressole Nazioni Unite (Path to Peace Funda-tion).Ora, alla fine di tanti anni di missione, ilsuo silenzio parla più alto che mai, noncon le parole, ma con le opere: «Chiunquevi darà da bere un bicchiere d’acqua nelmio nome perché siete di Cristo, in veritàio vi dico, non perderà la sua ricompensa»(Mc 9,41).

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IL MIRACOLO DELL’ACQUAL’acquedotto arriva a Tuuru, per i bambinipoliomelitici, ma si ferma per via: sicreano fontane nei vari villaggi, nellescuole, nei centri sanitari… Non è più unprogetto per pochi, ma una realtà checambia la vita di tutta la regione. E oggi,dalle pendici del Nyambene, montagnasacra per il popolo che vi abita, la vitasgorga e scorre dentro le tubature e favivere migliaia di persone sulle pianurearide sottostanti. La polio è quasi scom-parsa e l’acqua non è più un bene inac-cessibile da trovare a rischio della vita.Certo i problemi rimangono, perchéun’opera così complessa richiede continuamanutenzione e soprattutto un grandesenso comunitario e onestà, che a voltevengono a mancare nel prevalere dipiccole e grandi furberie. Ma l’inconfon-dibile stile del fratello, la sua passioneper la gente, l’attenzione per i poveri, lacura del dettaglio, la donazione totalealla causa sono valori che rimangono.E dove Mukiri aveva fatto la sua base,chiamata “Chalet dell’Orso” dai suoi con-fratelli missionari, oggi sorge la missionedi Mukululu. Là, negli ultimi anni, fratelArgese ha concluso la costruzione delsantuario della Consolata, la bella chiesa

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Dare da bere agli assetati

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

del Dicastero per il servizio dello Sviluppoumano integrale – Il concetto è quellodi aprire gli spazi già vissuti ed abitatida comunità religiose, per crearne dinuovi» da destinare all’accoglienza.«L’appello di papa Francesco non ècaduto nel vuoto dunque», aggiunge il

L a parola chiave è sinergia. Maanche spazio. È infatti dallo spazio,altrimenti inutilizzato, e dalla col-

laborazione tra congregazioni femminili,che nasce il progetto Chaire Gynai,“Benvenuta donna” in greco. Una casadi accoglienza inter-congregazionale –la prima del genere a Roma, ma ne staaprendo una seconda anche nel quartieredei Parioli – per donne rifugiate e i lorobambini, provenienti soprattutto dal-l’Africa sub-sahariana.Il giorno della presentazione, in un giar-dino allestito a festa, immersi nel verdee circondati di ulivi e pini, a due passidalla Pineta Sacchetti, i bimbi eranoemozionati e felici. A colpire, la granquantità di suore, laiche e non, di almenoquattro ordini diversi e tutte proteseverso queste 16 donne, alcune musul-mane altre cristiane, e i loro sette figliche vivranno per almeno un anno tuttiassieme.Tabita, congolese, e Rehemah, della Tan-zania, mi accompagnano in casa a vederele stanze, il lungo corridoio e soprattuttola cucina. Grande, spaziosa e in pienaattività. Un odorino di sambussa, trian-golini di pasta sfoglia ripieni di carnemacinata e salvia fritta in pastella, riem-pie l’aria. La cuoca è all’opera. «Questoprogetto viene da un’idea del papa –esordisce padre Fabio Baggio, cosegre-tario della Sezione Migranti & Rifugiati

cardinale Joao Bras. Come dire che lad-dove le vocazioni languono e le casechiudono, o rimangono aperte ma nonproducono frutto, ecco che arriva vitanuova. Le famose quattro esortazionipontifice, «accogliere, proteggere, pro-muovere e integrare», qui sono riprese

Tre congregazioni di suore si sono unite per dare vita adun progetto sollecitato dal papa: accogliere le donnerifugiate nelle case religiose, che altrimenti resterebberovuote. Scalabriniane, suore missionarie del Sacro Cuoree di Nostra Signora di Lourdes accolgono in due strutturea Roma chi viene da molto lontano.

Benvenutadonna!

di ILARIA DE [email protected]

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e direttrice di Chaire Gynai - Questacasa è delle suore del Sacro Cuore, efino a poco tempo fa sarebbe rimastaquasi disabitata; mentre la sinergia chesi è creata è con noi suore Scalabrinia-ne».Ma non finisce qui: al progetto parteci-pano le suore di Nostra Signora diLourdes e poi nel network infinito dicollaboratori, ci sono le Orsoline, la con-gregazione delle Missionarie di CristoRisorto e la onlus Dun, psicoterapie aimigranti. Lavorare insieme è una scom-messa, anche perché «dobbiamo creareuna vera e propria rete di sostegno: ivolontari saranno fondamentali», ag-giunge suor Eleia. E a giudicare dal nu-mero di persone accorse all’inaugurazionenon dovrebbe essere così difficile trovaresostenitori e aiutanti materiali.La soddisfazione che trasmettono le ra-gazze parla da sé: le ospiti hanno storiediverse una dall’altra ma ad accomunarleè la condivisione di difficoltà simili. «Ilmio percorso è molto diverso da quellodi tante altre donne – racconta Rehemahche stringe la piccola Nibras – Io sonoarrivata a Roma da Kampala con unvisto nel 2016, ho chiesto asilo politicoall’aeroporto. Nel mio Paese lavoravocome archivista ma sapevo che non sa-rebbe stata una vita semplice per miafiglia, volevo per lei un futuro migliore.E così sono partita da sola, non

appieno. Il Vaticano sostiene in effettiil 50% di quest’opera. Ma anche la Fon-dazione Migrantes fa la sua parte.La seconda casa sorge nel quartiereParioli di Roma e seguirà lo stessocriterio: essere creativi, fare sinergia.«Siamo orgogliose di essere partner di“Benvenuta Donna”», dice suor BarbaraStaley, superiora delle suore missionariedel Sacro Cuore, fondate da santa Fran-cesca Saverio Cabrini.«Questo primo programma ospita donnerifugiate con e senza figli, per un periododa sei mesi a un anno, il secondo donnemigranti in situazioni di vulnerabilità –aggiunge suor Eleia Scariot, scalabriniana

Accoglienza nel cuore di Roma

»

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Sia lei che Tabita lavorano in un B&B.Con loro in casa c’è anche Constantine,una donna più grande che parla di «vitapolverizzata» e di «una visione politicasui migranti che ci dà l’impressione dinon fare la parte degli esseri umani».

MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀAccoglienza

nel cuore di Roma

Constantine è commovente quando parlae dice che «una iniziativa del genereper noi non è un regalo, non è un dirittoma è un favore e ci dà consolazione».Tabita, 21 anni, congolese, in Italia daotto anni con documento di rifugiatapolitica, racconta che lavora la mattinadalle nove alle tre e che grazie a questacasa ora sa anche a chi affidare suafiglia e questo la consola.«Qui – dice - paghiamo le spese, mal’alloggio è gratis. Ogni famiglia fa laspesa per sé. Prima lasciavo mia figliacon chiunque per poter andare a lavorarema questo come mamma mi facevastare molto male. Quando sono arrivatain Italia venivo per ricongiungermi amia mamma che era già in Italia. Treanni fa è arrivata la mia Kelly! È nataqui, è italiana». L’orgoglio e il sorrisocon cui Tabita confida che sua figlia èitaliana riempie di gioia e indica unastrada per l’integrazione che in realtà ègià tracciata.

avendo più i genitori in Africa, non co-noscevo nessuno in Italia. Ho ottenutol’asilo politico per cinque anni e a quelpunto ho potuto chiedere il ricongiun-gimento famigliare e nel 2017 è arrivatamia figlia».

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di danni fisici internicausati da stupro e chedi fatto rappresental’unico centro ospeda-liero di tutta la regionead accogliere donne vit-time degli stupri perpetrati duranteuna guerra infinita. Carattere deciso ecoraggio da leone (si è tra l’altro salvatomiracolosamente da un attentato incui è morto un suo collaboratore), Muk-wege ha ripetutamente condannatol’impunità per gli stupri di massa e cri-ticato il governo congolese e quelli dialtri Paesi per la loro inerzia.Nadia Murad la violenza l’ha vissutasulla sua pelle: è infatti una delle circaseimila donne yazide che sono statevittime di stupri e abusi da parte dell’Isisnel periodo 2014-2015, quando sem-brava che nulla e nessuno potesse fer-mare l’avanzata degli uomini di Al Ba-ghdadi. Una violenza pianificata concui i terroristi islamisti hanno intesopunire la comunità degli yazidi, consi-derati dai fanatici del Califfato «adoratoridel diavolo». Rapita nell’agosto 2014 aKocho, il suo villaggio nell’Iraq setten-trionale, Nadia Murad, allora 21enne, èstata per tre mesi vittima e insieme te-stimone: «A un certo punto non restano

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DIRITTI UMANINel 70esimo anniversario

della Dichiarazione Universale

È chiaro l’intento del Comitato cheall’inizio dello scorso ottobre hascelto, tra le 216 persone e le

115 organizzazioni candidate, i duevincitori del Nobel per la Pace 2018, ilginecologo congolese Denis Mukwegee l’attivista yazida Nadia Murad: portareall’attenzione dell’opinione pubblicamondiale l’orribile pratica dello stuprocome “arma di guerra” e denunciarne iresponsabili: certamente eserciti e milizieche si macchiano di questi crimini, maanche governi e diplomazie che nonfanno abbastanza per perseguire i col-pevoli.Diversi per molti aspetti i contesti incui i due premiati si trovano ad agire,rispettivamente Repubblica Democraticadel Congo (RDC) e Iraq, ma molto similel’obiettivo del loro impegno, per il qualehanno rischiato e rischiano la vita:mettere fine all’uso della violenza ses-suale su donne inermi durante conflittiarmati e accompagnare le vittime inun percorso di recupero psico-fisico.Nato nel 1955 a Bukavu (capoluogodella tormentata provincia del Kivu delSud, nella RDC), Denis Mukwege è unginecologo che 20 anni fa ha fondatoil Panzi Hospital, in cui è diventato ilmassimo esperto mondiale nella cura

altro che gli stupri - ha scritto nellasua autobiografia uscita anche in Italia(L’ultima ragazza) -. Diventano la tuanormalità. Non sai chi sarà il prossimoad aprire la porta per abusare di te, saisolo che succederà e che domani po-trebbe essere peggio». A differenza ditante sue compagne di sventura, Nadiaè però riuscita a fuggire e a ricevereprotezione in Germania, diventando difatto una delle prime donne a denunciareun dramma sino a quel momento igno-rato. Grazie al suo coraggio, diversiaguzzini dell’Isis sono oggi sotto processoe l’Onu l’ha nominata Ambasciatriceper la dignità dei sopravvissuti allatratta di esseri umani.Il 25 novembre, Giornata internazionaleper l’eliminazione della violenza controle donne, il mondo può contare su duetestimoni in più da ascoltare e ancorameno motivi per restare indifferente.

Stefano Femminis

[email protected]

Due Nobelcontro laviolenzaalle donne

Denis Mukwege,ginecologo, fondatoredel Panzi Hospital.

Nadia Murad, attivistayazida e scrittrice.

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L’altra edicola

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LA NOTIZIA

PADRE PIERLUIGI MACCALLIÈ STATO RAPITO IN NIGERLA SERA DEL 17 SETTEMBRESCORSO. LE NOTIZIE CHETRAPELANO SONO POCHE EFRAMMENTATE. ILMISSIONARIO È VIVO MANON SAPPIAMO DOVE SITROVI. LA STAMPAAFRICANA AZZARDA DELLEIPOTESI, LE INCHIESTERICOSTRUISCONO IL CLIMADI VIOLENZA JIHADISTACHE IMPERVERSA IN TUTTAL’AREA.

CHE FINE HA FATTO di ILARIA DE BONIS

[email protected]

«I villaggi di Diabiga e Kompienbiga, nella parte orientale del BurkinaFaso, sono finiti sotto attacco tra il 14 e il 15 settembre scorso. Bi-lancio: otto civili uccisi. Dieci giorni dopo, il missionario italiano Pier

Luigi Maccalli viene rapito a Bamangoa, in Niger, da uomini armati arrivatidal vicino Burkina. Al rapimento ha fatto seguito il 23 settembre scorso, quellodi tre impiegati, tra cui un indiano e un sudafricano, nella miniera d’oro diInata, in Burkina». Nel cercarli, tre uomini della gendarmeria subisconoun’imboscata. E muoiono. È l’inchiesta del giornale francofono Mondafriquea ricostruire nei dettagli i numerosi episodi di violenza avvenuti di recentetra Niger e Burkina, tra cui quello che riguarda il rapimento del nostro mis-sionario della Società delle Missioni Africane.Secondo Mondafrique, che titola “Un prete italiano rapito dai jihadisti”, la chia-ve di volta di tutta questa escalation di violenza è da ricercare nelle nuoveformazioni terroristiche che imperversano tra il Nord e l’Est del Burkina Faso,sconfinando in Niger, dove è facile sparire tra le sabbie di un deserto infini-to.Il giornale scrive che, fatto fuori il gruppo jihadista burkinabè Ansarul Islam,in seguito alle operazioni francesi in Mali, la piaga del terrorismo non è sta-ta per nulla risanata. Anzi. Escrescenze di ogni tipo, composte da gruppi ar-mati pericolosi e improvvisati, decisi a fare cassa, imperversano senza freno

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O PADRE MACCALLI?te per un caso di possessione! Sentivo tutto quel rumore… Pa-dre Pierluigi è uscito per vedere chi fosse e m’ha detto: “Esci,esci!”».«Hanno sfondato la porta e se lo sono portato via», ha confer-mato Thomas Codjiovi, responsabile della comunicazione del-la missione cattolica in Niger.I media locali continuano ad interessarsi del caso, se non al-tro perché questo rapimento fa parte di una serie di episodi vio-lenti e ravvicinati che inquietano le popolazioni nigerine e bur-kinabè. Le vittime sono spesso civili inermi. »

Vecchi e nuovi jihadisti tra Burkina Faso, Mali e Niger

in tutta quella zona dove i confini sono labili. Altre inchiestedicono che i jihadisti vengono dal Mali. Ognuno azzarda le sueipotesi, ma rimane il fatto che questa parte dell’Africa sub-sa-hariana, scossa da anni di interferenze francesi e di violenzesettarie e tribali, è la culla di trafficanti e terroristi improvvi-sati.Del missionario prelevato a casa, nella parrocchia di Bamoan-ga in Niger, la sera del 17 settembre scorso, hanno parlato pergiorni i giornali nigerini, tra cui l’agenzia stampa Agence Ni-gerienne de Presse.Padre Maccalli quella sera attorno alle 22 era a casa nella adia-cente parrocchia, a 125 chilometri da Niamey quando è sta-to sorpreso da un gruppetto (le ricostruzioni dicono otto per-sone) di “banditi” che hanno bussato alla porta, lo hanno pre-levato e portato via in moto, verso il confine col Burkina, se-condo alcuni testimoni.Non prima d’aver sparato in aria, a mo’ di fuori legge. In unacasa vicina c’era anche padre John Arokiya Dass intervistatodal corrispondente a Niamey di Voa Afrique (la versione afri-cana di Voice of America).«Quel lunedì mi sono addormentato attorno alle 21.30 ma trale 21.30 e le 22 ho sentito dei rumori – così racconta padre John– e ho pensato che alcune persone del villaggio fossero venu-

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si fermano: cercano altre rotte.Nel frattempo, come ci racconta un pez-zo dell’Agence Nigerienne de Presse, ar-rivano i cinesi. E fanno fuori le poche ri-sorse rimaste. La società Zijing Heu-chuang Science ha ottenuto due permes-si per esplorare le miniere di uranio in Ni-ger. In cambio della concessione gover-nativa promette di impiegare 35 perso-ne e di realizzare infrastrutture colletti-ve. La Cina, dice l’agenzia, è il primo in-vestitore in Niger con una presenza mas-

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L’altra edicolaVecchi e nuovi jihadisti

tra Burkina Faso, Mali e Niger

Un bel reportage è quello che pubblica RfiAfrique, versione africana on line della ra-dio francese Rfi, col titolo: “Niger: la dif-ficile riconversione di Agadez”. Il raccon-to è insolito perché scava in quell’univer-so spesso incompreso dei cosiddetti pas-seur, chiamati con disprezzo in Europa“trafficanti”. In molti casi si tratta di gui-de turistiche (che un tempo lavoravanonel deserto col turismo europeo) riconver-tite in accompagnatori di migranti nellerotte migratorie nel deserto, e qualche vol-ta trasformati in veri e propri sfruttato-ri e infine riconvertiti ancora in altre at-tività, dopo il recente divieto di traspor-tare esseri umani diretti in Libia.È la legge del 2016, quella che crimina-lizza il traffico di migranti, a mettere unfreno ai passeur: il racconto di Rfi ci spie-ga come alcuni di loro cercano di sbarca-re il lunario ora che questa attività è so-spesa. I finanziamenti dell’Unione Euro-pea per riconvertire il lavoro sono spes-so lenti e arrivano col contagocce: piùspesso arrivano solo a posteriori, quandol’attività è stata già avviata ma nessunoha i soldi per farlo. Così la povertà dei lo-cali aumenta e i migranti comunque non

siccia nel settore minerario, petrolifero, in-frastrutturale. Altri tre permessi il gover-no nigerino li accorda ad una secondacompagnia cinese stavolta al Nord. Insom-ma, mentre il deserto si svuota (si fa perdire) di migranti in transito, e gli occhi delmondo sono puntati sui trafficanti da ri-convertire, il sottosuolo nigerino viene pre-so d’assalto dai cinesi che in silenzio fir-mano accordi per gli anni a venire.La stampa italiana non parla mai troppodel Niger, nonostante la nostra missionemilitare in corso, né si occupa del caso dipadre Pierluigi (forse anche per via del si-lenzio imposto dalla Farnesina, tra mar-ce e manifestazioni come quella del 12 ot-tobre scorso per non dimenticare il mis-sionario rapito), però qualche pezzo dal-la zona ci arriva. Come quelli pubblicatida Avvenire che riportano le parole di unaltro storico missionario italiano in Niger:padre Mauro Armanino. In un suo arti-colo Armanino parla dell’incrementodella telefonia mobile nel Paese africano.E di come, forse, avrebbe potuto aiutareanche nella ricerca di padre Maccalli. «Ep-pure non è bastato ciò per raggiungerel’ostaggio – scrive Armanino - malgradoun’antenna che la compagnia Moov hainstallato proprio nel villaggio di Bomo-anga. Essa è però servita a comunicare, intempo reale, il rapimento del missiona-rio ad amici e autorità. A volte, dunque,riemergono i “limiti”, proprio quando nonsi vorrebbe ci fossero».

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mente, dopo 26 rocamboleschi anni pas-sati sulla strada a servire i poveri, anch’ioandrò in pensione. Mi potrò riposare,rallegrandomi in lunghe passeggiate inbici, in una preghiera fatta con regolaritàe dignità, nello scrivere poesie e lettere,nel leggere romanzi e novelle… insommanel fare tutto quello che non ho potutofare in questi ultimi decenni: dedicarmia me stesso». Poi in altri momenti,quando osservavo i volti dei miei amicimentre entravano alla mensa, mi assalivail dolore, lo sconforto. «Sì, io mi ri-

R icordo quei primi mesi del 2016.Mi proiettavo già nel 2018 quan-do, terminati i 20 anni di con-

tratto d’uso dell’edificio dove è situatoil nostro Centro Casa di Anna (nella pe-riferia di Seul, Corea del Sud, ndr),avremmo dovuto inderogabilmente la-sciare lo stabile. Un sottile senso dipiacere mi invadeva la mente: «Final-

Posta dei missionari

»

a cura diCHIARA PELLICCI

[email protected]

Solidarietà perla Casa di Anna

Nelle foto:

La cerimonia di inaugurazione dellanuova Casa di Anna, alla presenzadi 650 persone e delle autorità civilied ecclesiali di Seul.

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

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poserò ma questi miei fratelli e sorelledove andranno? Cosa faranno? Chi licurerà? Chi darà loro un pasto caldo?».Messa la coscienza a tacere, continuavocon entusiasmo e lena il mio servizioalla mensa, in attesa del fatidico 2018.Un giorno arrivò alla Casa di Anna unfunzionario del Comune che, sapendodella nostra precaria situazione, mi in-formò con soddisfazione: «Il Comuneha sciolto il vincolo dell’area verde giustoal di là della strada, proprio davanti al

vostro Centro. Lì c’è una particella di500 metri quadrati destinata ad operesociali. Se volete, la potete comprare».«E quanto costa?», gli chiesi. «Un milionedi euro». Per costruire ne sarebberoserviti altri tre. Pensai: «Beh, mi ritireròa vita privata! È impensabile iniziareun’opera del genere. È al di là delle miecapacità umane».Avevo fatto veramente tutto il possibileper non chiudere ma era inevitabile,anche se a malincuore, terminare l’espe-

rienza della Casa di Anna dopo più di20 anni di attività e due milioni di pastiserviti. Così mi consolavo al pensierodel mio non lontano pensionamento,ma notti insonni turbavano il mio spirito:«Sì, io mi riposerò. Ma questi uomini edonne dove andranno?».Così trascorsi tutta l’estate del 2016sprofondato in questo grave dilemma:«Cosa fare? Andare avanti? Ma come?Fermarmi? Ma mi piange il cuore!».Finché il 9 settembre 2016, inginocchiatodavanti al Sacramento, mi confidai conGesù: «Signore, sono consapevole chequesta mia fragile e precaria vita Ti ap-partiene. Ho sentito, in questi lunghianni, la tua tenera mano prendere lamia e guidarmi per sentieri a me scono-sciuti. Ho percepito, nell’eucarestia, iltuo abbraccio forte e sicuro che mi haprotetto da chi mi voleva male. Ho con-statato, al di là di ogni immaginazione,che mi hai elargito tutti i mezzi necessariper servire i poveri. Ho visto che mi haidonato salute e coraggio per affrontarequesta impervia vita di strada. Ho spe-rimentato nel mio intimo la felicità piùvera e grande nel donarmi agli altri.Sono cosciente di essere una personafelice. Riconosco che Tu incondiziona-tamente ami i poveri e proteggi coloroche a loro dedicano la vita. Credo checiò che è al di là delle mie poverecapacità umane sia possibile alla Tuadivina e gloriosa potenza. In questasicura fiducia, Signore, continuerò adimpegnarmi per gli ultimi e a costruireil nuovo Centro. Signore, ho fiducia inTe. Amen».Passati pochi giorni da questa drammaticae liberante decisione, per un banale estupido incidente mi ritrovai in un lettod’ospedale rovinosamente fratturato conforti dolori in tutto il corpo. Lì udii unavoce che con soavità mi sussurrava:«Non iniziare quest’opera. Vedi, non staineanche bene... È un’opera troppo grandeper te: la salute non ti reggerà. Seitroppo presuntuoso. Dove pensi di trovaretutti quei soldi? Inevitabilmente fallirai.

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ci ha preparato il progetto da costruire.Avevamo a disposizione qualche piccolorisparmio e la somma di circa 500milaeuro ricevuta come premio da unagrande associazione: Ho Am Sang. Adagosto 2017 con tanta fede nel Signoree speranza nella divina Provvidenza,sono iniziati i lavori. A novembre ungiornalista di una sconosciuta tv localemi ha contattato per un’intervista. Hoaccettato con gioia e spensieratezza:doveva essere una cosa semplice. Lasettimana seguente, quando si sono pre-sentati i giornalisti con le telecamere,mi sono reso conto che non si trattavadi una tv locale sconosciuta ma dellaKBS, la tv nazionale più importante, eche stavano lavorando per il programma“Teatro umano”, una delle più famose eseguite trasmissioni in Corea. Mi è venutoun collasso. Ho provato a dire che c’erauno sbaglio, ho provato a chiedere spie-gazioni: io mi ero preso un impegnocon una tv cittadina e nelle telefonatedi quei giorni non avevo compreso bene,

pensavo di parlarecon un giovane edinesperto giornalista,non di trovarmi da-vanti le telecameredella prima rete delPaese. C’era stato unequivoco ma per ti-rarsi indietro era trop-po tardi. Così sonoiniziate le riprese. Ilprogramma è andatoin onda nella setti-

mana di Natale per cinque giorni con-secutivi. È stato un successo enorme!Tutti parlavano della nuova Casa di Annada costruire. Si è scatenata una reazionea catena di solidarietà in tutta la nazione.In un mese ci sono arrivate offerte perpiù di un milione di euro: un vero mira-colo! Nei mesi seguenti, mentre i lavoridella nuova casa procedevano secondoi tempi stabiliti, un passa parola di con-divisione, amore e solidarietà si concre-tizzava in modo strabiliante.Il primo settembre scorso, senza alcundebito con le banche, alla presenza di650 volontari e benefattori abbiamoinaugurato il nuovo Centro. È una casasemplice ma bella, funzionale ed acco-gliente. I nostri poveri hanno la loro di-mora senza paura di essere sfrattati omessi fuori…Osservando le mie sorelle e i miei fratelliche entrano gioiosi nel nuovo edificiomi fermo e rifletto per un attimo: ilcontratto che stava per scadere; il terrenoedificabile che non c’era; i quattro milionidi euro (uno per il terreno e tre perl’edificio) che non esistevano; la saluteche se ne era andata; le intelligenti in-sinuazioni e le grandi tentazioni delmaligno; l’equivoco nell’accettare unatrasmissione tv invece di un’altra; lagara di solidarietà in tutta la nazione;l’edificio pronto… Tutte paure ed angoscesvanite nel nulla, davanti allo splenderedi Cristo risorto e vivo in mezzo a noi.Una serie di miracoli si sono succedutiin questi ultimi due anni ed ora siamodavanti a questa nuova Casa di Annache è un inequivocabile monumentoall’amore e alla generosità della gente.Rimarrà negli anni per accogliere i poverie ricordare a tutti che il cuore delle per-sone è buono. Posso dire che in questiultimi due impegnati e difficili anni, se-gnati da momenti tenebrosi e contra-stanti, non ho sentito parlare di Dio: hoincontrato Dio.

Padre Vincenzo Bordo

Corea del Sud

Posta dei missionari

Non ti sembra di essere troppo arro-gante?». È vero, pensai: non ho né salute,né esperienza, né soldi per affrontarequesto grande progetto, ma ho fiduciain Chi mi ha veramente amato e ac-compagnato con dolce forza in tuttiquesti anni. In Lui ripongo ogni miasperanza. Per questa fiducia in Lui e perl’amore delle mie sorelle e dei fratellipoveri, mi impegno a costruire la nuovaCasa di Anna.Mentre ero turbato da questi sentimenticontrastanti, mi arrivò una telefonatadel vescovo locale che mi disse: «So chedesideri continuare a servire gli ultimialla Casa di Anna ma che non hai imezzi finanziari. Ti offro un milione dieuro. Ti chiedo solo che un giorno,quando tu non potrai più continuarequesto apostolato, sia la diocesi ad oc-cuparsi di questo Centro». Accettai subitocon entusiasmo.Con stupore e gioia, alla fine del 2016,con quei soldi abbiamo comprato il ter-reno edificabile. Poi un bravo architetto

Nelle foto:

Padre VincenzoBordo, missionariodegli Oblati di MariaImmacolata, servequotidianamente ipoveri della cittànella Casa di Annache assicura cibo,riparo e accoglienzaai bisognosi.

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LA TEOLOGIADELLOSGUARDO

Papa Francesco con Wim Wenders.

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grande protagonista della storia della Chiesae del nostro tempo.Presentato fuori concorso il 13 maggioscorso all’ultimo Festival di Cannes, il do-cumentario-intervista racconta con unaformula inedita il papa che tutti conosciamoe che, proprio grazie a questo film, sco-priamo di non conoscere abbastanza. Nonè il primo film su papa Bergoglio (“Chia-matemi Francesco, il papa della gente” del2015; “Francesco: il padre Jorge” 2018)ma una chiacchierata “faccia a faccia”, sipotrebbe dire, con un uomo che ogni giornoè sotto gli occhi del mondo. Per ascoltarele sue “parole” in tema di amore, famiglia,guerra, povertà e morte, fede in Dio, stu-pore, contemplazione del Creato e ricercadella verità.L’ultimo film di Wenders è una produzioneindipendente francese, tedesca e svizzerarealizzata grazie al materiale del Centro Te-

U no sguardo profondo che arriva direttoal cuore di ogni uomo e donna del

pianeta. E che interpella ognuno con amoree coraggio della verità. È quello di papaBergoglio ingigantito dallo schermo nelfilm del regista tedesco Wim Wenders“Papa Francesco, un uomo di parola” checi regala il ritratto limpido e intimo di un

levisivo Vaticano che ha fornito documen-tazione dei viaggi del papa in molti Paesi,sapientemente ricucita nella narrazione delregista dell’indimenticabile “Il cielo sopraBerlino” (1987). Per un’ora e mezza riper-corriamo i momenti salienti dei cinque annidi uno straordinario pontificato che ha por-tato il cardinale di Buenos Aires a diventareil successore di Pietro vicino ai poveri delleperiferie dimenticate ma anche sul podiodelle Nazioni Unite, tra i profughi a Lesbo,con i leader della Terra, nelle terre di conflitto,sotto la pioggia insieme alle vittime dellotzunami nelle Filippine, sorridente tra i gio-vani, addolorato nelle denunce dei malidella Chiesa. Il papa stesso si raccontacome un “missionario h24”, 365 giornil’anno, impegnato a costruire ponti ovunquelo porti il suo ministero itinerante. Semprefedele all’annuncio del Vangelo, in missionein ogni contesto e cultura, egli stesso spe-ranza incarnata e memento della fedeltàal mandato petrino. Istantanee di un lungoe appassionato abbraccio all’umanità, sulmodello del Poverello di Assisi di cui hapreso il nome. Proprio all’inizio del film ri-vediamo il santo negli unici inserti in biancoe nero dell’opera che prendono vita dagli

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Il regista, don Dario Viganò e lo staffdi produzione del film ad una anteprima.

affreschi di Giotto ad incarnare l’icona diuna fede semplice, povera, sempre inno-vatrice e rivoluzionaria. Una figura moltoamata da Wenders per le scelte radicali:la povertà evangelica, il rispetto del Creato,la fiducia nel dialogo, l’amore per la pace.Temi centrali nell’era della globalizzazionedell’indifferenza, della solitudine delle co-scienze, della «terza guerra mondiale apezzi».Spiega il regista tedesco: «Sono rimastocommosso quando il 13 marzo 2013 hosentito l’annuncio dal balcone della basilicadi san Pietro. Il nuovo papa appena elettodal Conclave aveva scelto il nome di Fran-cesco. Ho capito subito quello che volevadire, per me è stato uno choc. Francescoera il nome dell’unico santo che ho cono-sciuto durante l’infanzia. Non potevo credereche quest’uomo ancora sconosciuto avesseil coraggio di scegliere questo nome. Nes-sun papa aveva mai osato. San Francesco

è stato il riformatore più radicale della Chie-sa. Poi ho ascoltato quel “Buonasera!” delnuovo papa e ho riso insieme alla genteche era in Piazza San Pietro. Quando sonostato invitato a fare questo film ho sentitoche avrei iniziato a girare proprio dallascelta del nome che prometteva solidarietàcon i poveri e gli esclusi. Il papa non cidice soltanto di fare questo ma ci mostracome farlo, dando l’esempio».Contattato nel 2013 da monsignor DarioViganò (all’epoca direttore del Centro Te-levisivo Vaticano), Wenders ha iniziato alavorare a questa nuova opera nel 2015,dopo il Festival di Venezia. Le riprese neigiardini vaticani hanno visto il regista te-desco (non cattolico, formato alla scuolateatrale di Weimar) faccia a faccia con ilpapa per quattro volte nell’arco di due anni,per raccogliere le “parole di questo uomodi parola”. Per la prima volta nella storiadel cinema (e della Chiesa) un papa haaccettato di farsi intervistare per ribadirecon chiarezza e semplicità i temi a lui cari.«Ho sentito parlare di lei ma non ho vistonessuno dei suoi film. Come può imma-ginare, non vado al cinema» ha detto il

pontefice a Wenders incontrandolo per laprima volta. Di questa esperienza interioreprima che artistica, il regista dice: «Nem-meno nei sogni più folli avrei pensato difare un film su un papa. Ancora meno suun papa così straordinario. Incontrarlo,parlare direttamente con lui così a lungomi ha veramente sconvolto. A parte i tempidi registrazione delle interviste, ho lavoratoal montaggio per molti mesi e sono statosempre con lui. Questo mi ha cambiatodentro».Il film segue due registri differenti: quellodi una conversazione personale, che sifonde con quello di uno sguardo sul mondo,campo dell’azione evangelizzatrice di papaFrancesco. I due linguaggi si amalgamanoin un’unica testimonianza di fede, comesottolinea Wenders: «L’energia positiva,la fiducia in Dio, l’umiltà, il coraggio maanche la gentilezza accogliente di que-st’uomo, tutto questo è stato per me fontedi ispirazione e di contagio. Oggi sento diessere un “cristiano ecumenico” convinto.Ma non so se questa definizione esiste».

Miela Fagiolo D’[email protected]

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F ino a che punto siamo capaci di resisterealla diversità? Quanti stranieri può sop-

portare una società senza perdere la propriaidentità? L’autore di “Ero straniero e miavete accolto”, Anselm Grün, monaco be-nedettino, uno dei più apprezzati scrittoricristiani del nostro tempo, risponde a questee ad altre domande d’attualità esaminandoil tema dell’essere straniero da tre punti divista differenti: storico, psicologico e dellafede. Una società che ha perduto la propriaidentità - scrive Grün - non è capace di ac-cogliere stranieri e di integrarli nel propriotessuto vitale perché ne ha paura. Per su-perare la paura del diverso non servonoappelli moralistici - ammonisce nella pre-fazione - ma il confronto con lo stranieroche è dentro di noi.Lo psicanalista Carl Gustav Jung aveva ela-borato il modello dell’ombra per spiegarela paura e l’odio verso lo straniero. Questoci permetterebbe di capire che lo stranieroci mostra o rispecchia a noi stessi ciò che

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ancora non conosciamo ma è dentro dinoi: serve l’humilitas per accettarlo e inte-grarlo, scrive l’autore. Quando parliamo diospitalità dobbiamo ricordare anche le me-ditazioni di san Benedetto che insegnavaad accogliere ogni straniero come Cristoin persona, con umiltà: «Con capo chino oprostrati con tutto il corpo a terra, si adoriin essi il Cristo che si accoglie».Il libro riporta anche storie di integrazionepositive e ben riuscite già ai tempi dell’AnticoTestamento. Nella storia più recente tra ilIV e il VI secolo dopo Cristo, i Vandali e iGoti si trasferirono dal Nord al Sud dell’Eu-ropa col risultato che «noi europei siamo ilrisultato di questi flussi di migrazione».Infine vengono esaminate le nuove sfidealla luce dell’arrivo dei tanti profughi, persone

«C ome esercitare il potere amando? Come comandare conamore?». È quanto chiede a se stesso e ai lettori, ne “Il

potere nella Chiesa: quale profezia?”, don Vincenzo Zambello, 53anni di sacerdozio, di cui 37 trascorsi in Brasile come missionariofidei donum. Sono i poveri la fonte di ispirazione del suo libro e,allo stesso tempo, i destinatari privilegiati. E, prima ancora, amuovere il suo pensiero – tra citazioni bibliche e richiami a diversi“profeti” della Chiesa - sono il Vangelo e i principi ispirati dal ConcilioVaticano II.Come si legge in copertina, il libro è un «tentativo di comprendereil potere e di accogliere la pratica del servizio di Gesù», che comecristiani dovremmo riconoscere maggiormente come Maestro,anche nella pratica dell’autorità. Il sacerdote veronese, in primalinea in Amazzonia contro lo sfruttamento delle foreste e dellerisorse idriche, ha toccato con mano gli effetti devastanti di unpotere abusato e cerca, quindi, di offrire «piccoli esempi di unesercizio di potere alternativo» che si ponga al servizio degli altri.Rivoluzionario e visionario, questo libro trova la sua reale collocazionenel titolo dell’ultimo capitolo “Tra speranza e profezia” con ottimi

compagni di viaggio, quali dom

Hélder Câmara, don Tonino Belloe Alex Zanotelli, di cui si può leg-gere in appendice un contributosulla “Chiesa povera per i poveri”il cui spirito, per papa Francesco, è «cercare e toccare la carne diCristo». Nella sua prefazione, monsignor Bettazzi, ultimo vescovovivente del Concilio, scrive che «quel che sembra una contestazionealla nostra Chiesa in realtà è un invito a tutti a riflettere sul Vangelo»che, preso sul serio, deve provocare nuovi stili di vita e modi diversidi gestire il potere. È la Croce del Signore – ricorda don Zambello –il “trono scomodo” da cui tutto si ribalta, perché il primo si faultimo, in una dimensione di umiltà, di vicinanza, di dono totale.

Loredana Brigante

Il trono scomodoVINCENZO ZAMBELLOIL POTERE NELLA CHIESA:QUALE PROFEZIA?Gabrielli Editori - € 13,00

Cristo era uno straniero

da non considerare mai come un peso, masempre come una buona opportunità perimparare qualcosa di nuovo, per conosceremeglio se stessi e per allargare il proprioorizzonte spirituale. Il nostro compito èquello di cercare, sulla base delle nostreradici cristiane, un dialogo aperto tra le re-ligioni e con gli stranieri, facendolo diventareun arricchimento per entrambi.

Chiara Anguissola

Anselm GrünERO STRANIERO E MI AVETE ACCOLTOCOME AFFRONTARE LA PAURA DELL’ALTROEdizioni Messaggero Padova - € 15,00

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SOLDATESSADELL’ANIMAS ouldier. Un neologismo che mette in-

sieme la parola soul, che significaanima (ma che identifica anche una dellegalassie della musica nera), e soldier,che sta per soldato. Così s’intitola il recenteritorno discografico di uno dei personaggiemergenti della nuova world music. Untitolo che è già tutto un programma, divita oltreché di carriera. A firmarlo è JeanneLouise Galice – in arte Jain - una graziosafanciulla d’origine malgasce, ma nata inquel di Tolosa, poi cresciuta in Congo enegli Emirati Arabi (seguendo il lavoro delpadre in una società petrolifera) per poitornare in Francia, nella multietnica Pa-rigi.Aveva debuttato un paio d’anni fa conZanaka, un ottimo esordio che l’avevasubito imposta all’attenzione generaleper l’originalità e la varietà dello stile(un bel pinzimonio in continua oscil-lazione sonora tra Africa e Medio Orien-te). Ma se quel disco era una sortadi biglietto da visita che mostrava lenumerose influenze ricevute durante

la sua formazione artistica, ora dimostradi essere cresciuta in personalità, originalitàe precisione espressiva, aggiungendo allesonorità del debutto precedente, speziereggae e hip-hop, soul e scampoli d’elet-tronica pop: «Souldier è stato scritto inviaggio – ha dichiarato - mentre incrociavonazioni e culture differenti, che mi hannodecisamente ispirata. Volevomostrare qualcosa di piùdi me stessa: l’obiettivoera quello di allargare lemie influenze, sia quelle del-

la mia giovinezza, che quelle attuali. Sonouna grande fan di Kendrick Lamar, delsuono soft di Tito Puente, dell’eleganzadi Fairouz (la Mina del Medio Oriente, ndr)e delle melodie di Bob Marley: partendodalla musica che amo ho cercato di arri-vare ad un suono mio. Souldier è natocosì, con il desiderio di combinare quelche mi piace con argomenti contempo-ranei e altri senza tempo». Il risultato èun intrigante melting pot sonoro che hatutto ciò che serve per consacrare unacarriera già molto promettente. A comin-ciare dalla copertina, che ben esprimel’essenza del suo approccio: gioiosità so-lare, desiderio di pace e fratellanza uni-versale e l’amore inteso come bussolaessenziale per ammortizzare le inquietudinidel presente. «Adesso dobbiamo metterciin testa che l’amore ha sempre ragione– canta nella title-track ispirata alla stragein un locale di Orlando nel 2016 –. Sì,dobbiamo metterci in testa che l’amoreè la nostra forza». Anche se non tutte lesue canzoni esprimono gioia di vivere esolarità, non c’è dubbio che Jain racconticon la sua musica un senso positivo edottimistico del vivere, quello di una giovanedonna del suo tempo, indipendente e vo-litiva, che usa il web e i social ma ne de-nuncia le derive, che odia i nazionalismie la xenofobia ma non ha smesso di spe-

rare che tante oscuritàdell’oggi possano es-sere rischiarate, ancheattraverso la forza co-smopolita e transge-nerazionale delle can-zoni.Ha già fatto tour inben 18 nazioni esarà anche in Italiaal Fabrique di Mi-

lano: un’ottima occa-sione per verificarne ispirazione e ma-

turazione, oltreché per immergersi peruna sera fra i suadenti panorami del suomondo.

Franz [email protected]

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presso San Pancrazio al Porto dal 1984al 1989, anno in cui ha ricevuto l’inca-rico di vicerettore del Seminario mi-nore di Verona presso cui è rimastofino al 1991.Successivamente è stato vicario parroc-chiale nella parrocchia di San Massimoa Verona e nel 1993 è partito come mis-sionario fidei donum in Brasile, a JoãoPessoa, capitale dello Stato di Paraiba,dove è rimasto per dieci anni fino al2003. Al rientro in Italia è stato parro-co presso la parrocchia di Santa MariaAssunta e nel 2007 ha assunto la gui-da del Centro missionario diocesano di

L’ inizio dell’Ottobre missionarioha coinciso con l’avvicenda-mento del direttore generale

di Missio. Don Michele Autuoro hapassato il testimone a don GiuseppePizzoli della diocesi di Verona, nomi-nato direttore dell’Ufficio nazionaleper la Cooperazione missionaria tra leChiese dal Consiglio permanente dellaConferenza Episcopale Italiana. Nato il31 agosto 1959 a Bovolone (VR), donPizzoli ha una lunga esperienza incampo missionario. Ordinato sacerdoteil 9 giugno 1984, ha svolto inizial-mente servizio di vicario parrocchiale

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VITA DI MISSIO

Da don Michele Autuoroa don Giuseppe Pizzoli

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Avvicendamento alla direzione di Missio

poli. È con la celebrazione eucaristicadell’1 ottobre scorso che don MicheleAutuoro ha voluto salutare i dipenden-ti della Fondazione Missio, ricordando,nel giorno della festa di Santa Teresa diGesù Bambino, patrona delle Missioni,che «con questa Messa, elevazione dilode a Dio, vogliamo ringraziare il Si-gnore per questi anni trascorsi insieme,per quanto abbiamo realizzato, perquanto avremmo voluto realizzare, maanche per il senso di famiglia che ab-biamo imparato a costruire». In questaoccasione, dalla piccola cappella dellasede della Fondazione, ancora una vol-ta il pensiero è andato a tutti i missio-nari sparsi in ogni angolo del mondo,a padre Pierluigi Maccalli, rapito lo scor-so 17 settembre in Niger, al dramma chesta vivendo l’Indonesia (Paese nel qua-le don Michele si è recato spesso in mis-sione) a seguito dello tzunami che hafatto più di duemila vittime.Una preghiera speciale si è elevata aMaria per la protezione della Chiesa dalMale, in linea con la richiesta di papa

Verona. Nel 2013 si è aperta una nuo-va stagione missionaria con l’impegnopresso la missione diocesana di Bafa-tà in Guinea Bissau. Il servizio e l’espe-rienza ad gentes di don Pizzoli si sonosvolti dunque in due continenti che tan-to hanno avuto bisogno e ancor di piùhanno dato alla missione: dieci anni inAmerica Latina prima e cinque in Afri-ca poi, lo hanno portato a contatto conculture e mondi diversi, arricchendo ilsuo vissuto di parroco a contatto conla quotidianità della vita della gente an-che in Italia.L’importante incarico che gli vieneconferito oggi apre un nuovo orizzon-te missionario, ampliando l’esperienzadi direttore del Centro missionariodiocesano di Verona, città che da sem-pre è caratterizzata da grande genero-sità e sensibilità missionaria.Con l’arrivo del nuovo direttore diMissio si conclude il servizio di don Mi-chele Autuoro che torna nella sua re-gione, la Campania, a fare il parroco inuna grande parrocchia del centro di Na-

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Francesco. A lei è stato affidato in par-ticolar modo anche l’impegno di donGiuseppe Pizzoli, per il nuovo importan-te impegno al servizio dell’evangelizza-zione nel mondo.

a cura della Redazione

Don Giuseppe Pizzoli

Don Michele Autuoro

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VITA DI MISSIO

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la missione lo stile per vivere da cristia-ni. Ci rivolgiamo a Lei, Santità, colmi digioia per le parole che ci ha rivolto conil Messaggio per la Giornata Missiona-ria Mondiale 2018. Ha scaldato i no-stri cuori regalandoci uno slancio nuo-

Caro Papa Francesco,siamo i giovani che attraverso i percor-si di animazione e formazione dellaFondazione Missio e della Direzione na-zionale delle Pontificie Opere Missio-narie in Italia hanno scelto di fare del-

Crediamo in una Ch

DAL 28 APRILE ALL’1 MAGGIO SCORSI SI È SVOLTO A SACROFANO IL

V CONVEGNO MISSIONARIO GIOVANILE (COMIG18). LA PRESENZA DI

GIOVANI PROVENIENTI DALLE DIOCESI ITALIANE E DAGLI ISTITUTI MIS-

SIONARI È STATA L’OCCASIONE PER RITROVARSI E RIFLETTERE, PRE-

GARE E SOGNARE UN MONDO MIGLIORE. IL TEMA DEL CONVEGNO

“SULLA TUA PAROLA GETTERÒ I MIEI SOGNI” INTENDEVA SOTTOLINEA-

RE PROPRIO L’AFFIDAMENTO DELLE VITE DEI GIOVANI NELLE MANI DI

DIO. DAI LAVORI DEL CONVEGNO - RELAZIONI, LABORATORI, MOMEN-

TI DI SCAMBIO E CONDIVISIONE - È NATO UN DOCUMENTO FINALE, IN-

VIATO A PAPA FRANCESCO IN FORMA DI LETTERA, COME CONTRIBU-

TO DEI GIOVANI MISSIONARI AL SINODO DA POCO CONCLUSOSI.

vo nell’annuncio del Vangelo di Cristo.Dal 28 aprile al 1 maggio come giova-ni missionari ci siamo ritrovati a Sacro-fano per celebrare il V Convegno Mis-sionario Giovanile (COMIG18). Lo slo-gan che ci ha accompagnato in queigiorni è stato “Sulla tua Parola gette-rò i miei sogni”.Ci siamo interrogati sui temi del Sino-do dei Vescovi “I giovani, la fede e il di-scernimento vocazionale”, ripercor-rendo le vicende e le scelte di due fi-gure che sentiamo molto vicine alla no-stra storia: “Maria, giovane promessa”e “Giuseppe, il falegname”.In seguito all’esperienza del COMIG18- occasione di preghiera, formazione,confronto e dialogo - ci sentiamo di po-

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Lettera a papa Francesco dai giovani del COMIG18

consapevoli che mai come in questomomento storico, noi giovani missio-nari attraversiamo una crisi profonda.Da un nostro recente studio è emersoche centinaia di ragazze e ragazziitaliani ogni anno si mettono in viag-gio per vivere esperienze in terra di mis-sione. Al rientro ci ritroviamo stracol-mi di entusiasmo, che vorremmo met-tere a frutto per la collettività, metten-doci al servizio e spendendo i nostri ta-lenti accresciuti dall’esperienza. Acca-de però che questo ardore possa esse-re spento da consuetudini troppo vec-chie, che comprendiamo ma non riu-sciamo a condividere, o peggio che cisi debba misurare con la totale indif-ferenza da parte di chi guida le nostrecomunità.Il 15 e il 16 settembre ci siamo ritro-vati a Roma presso il Centro Interna-zionale di Animazione Missionaria(CIAM) di Propaganda Fide per l’annua-le Assemblea nazionale di Missio Gio-vani e abbiamo continuato questa ri-flessione. Siamo consapevoli dei suoimolteplici impegni ma vorremmo co-munque chiederLe di rivolgerci qualcheparola di incoraggiamento risponden-do a questa lettera. Ora più che mai ab-biamo bisogno di una bussola che ci in-dichi la strada da percorrere.Sogniamo di poterLa incontrare ma ciaccontenteremo anche solo di sapereche il Papa prega per i giovani con lamissione nel cuore, proprio come noifacciamo sempre per Lei.

Con l’affetto di figli

I giovani missionari

nella fedeltà al messaggio evangelico,una “Chiesa del grembiule”, discepolache cammina sulle orme di Cristo conla voglia e la capacità di sporcarsi lemani con gli “ultimi della Terra”, nellacondivisione delle gioie e dei dolori, nel-la verità e nella giustizia perché ciascu-no abbia vita in pienezza. Vogliamo unaChiesa povera con i poveri, che sia ilfaro che illumina per guidarci versonuovi cammini.Crediamo in una Chiesa che non ci de-luda, che sappia avere occhi nuovi e so-stare nelle incertezze per dare vita alnuovo; una Chiesa missionaria che sap-pia stare là dove la gente vive, per di-struggere i muri dell’indifferenza eaccogliere. Una Chiesa che unisca isti-tuzione e carisma, liturgia e azione, ca-pace di relazione, ascolto profondo, dia-logo e confronto.Siamo consapevoli di dover essere i pri-mi a “rimboccarsi le maniche”, ad es-sere discepoli credibili, a saper anda-re controcorrente per fare della nostravita un capolavoro. Tutti portiamo ingrembo dei sogni, ma per davvero ap-propriarci di essi, accettiamo di perder-li come nostri per ritrovarli in Dio.Vogliamo essere forza vitale per uncambiamento, nella perseveranza, nel-l’autenticità e nella fiducia del futurosempre nuovo di Dio. Vogliamo spiega-re le vele con entusiasmo, per supera-re le intemperie e credere in grande,portando semi di pace e fratellanzauniversale, consapevoli che noi e l’uma-nità intera siamo il grande sogno di Dio.Santità, se queste da un lato sonograndi motivazioni, dall’altro siamo

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Chiesa che ci ascolta

ter affermare con certezza che noi gio-vani sogniamo ancora, nonostante lasocietà attuale non mostri sicurezza maprecarietà in ogni ambito.Abbiamo grandi sogni per la Chiesa, maanche il bisogno di testimoni credibi-li che incarnino il sogno di Dio perl’umanità, aiutandoci a realizzare il so-gno di Dio per ciascuno di noi. Comelaici e giovani vorremmo essere coin-volti maggiormente nella vita delle no-stre Chiese particolari affinché possia-mo testimoniare la gioia del Vangelo,dell’unità, dell’amore di Dio per tutti,non solo per alcuni, per essere quinditestimoni di pace in mezzo alle donnee agli uomini di questo tempo.Sogniamo una Chiesa che si impegni

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Agli occhi dei bambi-ni è solo un “gioco”che comincia con l’ini-zio delle attività del-l’anno pastorale e siconclude a giugno.Ma, in verità, “Co-struisci un Ponte mon-diale” è molto più cheun semplice gioco. È un percorso for-mativo che insegna ai più piccoli a vi-vere i quattro pilastri del RagazzoMissionario. Come? Facendoli diverti-re con attività e giochi pensati ad hoc.Ecco che la preghiera, che unisce i Ra-gazzi Missionari di tutto il mondo e in-segna a diventare amici di Gesù, la con-divisione, che aiuta a non dimentica-

C ome coltivare lo spirito missio-nario nei bambini? Come edu-carli sin da piccoli a guardare

verso l’orizzonte, a non essere chiusi, adiventare annunciatori del Vangelo? Larisposta è contenuta nella proposta cheMissio Ragazzi – espressione in Italiadella Pontificia Opera dell’InfanziaMissionaria - ha lanciato anche que-st’anno a tutti gli educatori (animato-ri di gruppi, catechisti, insegnanti, ge-nitori, ecc.): “Costruisci un Ponte mon-diale”, uno strumento completo cheaiuta i ragazzi a vivere la dimensionemissionaria.

VITA DI MISSIO

Il giocoformativo chesi rinnova

re i bambini più bisognosi, l’annuncio,che porta la Parola di Dio nella vitaquotidiana, e la fraternità, che invitaa diventare amici di tutti, entrano fa-cilmente nella vita quotidiana dei ra-gazzi.Come già lo scorso anno, il cammino èstrutturato attraverso un percorso chesegue l’anno liturgico: dall’inizio finoa gennaio si propone di vivere l’annun-cio e la condivisione con l’Avvento, ilTempo di Natale e la Giornata Missio-naria dei Ragazzi (che la Chiesa propo-ne di celebrare in concomitanza dellasolennità dell’Epifania); da febbraio allafesta di Pasqua si concentra l’attenzio-ne sulla preghiera, valorizzando laGiornata Mondiale del Malato (11 feb-braio), la Giornata di Preghiera e Digiu-no per i Missionari Martiri (24 marzo)e il Tempo di Quaresima; dalla festa diPasqua a giugno, infine, si propone divivere la fraternità, con la gioia che ca-ratterizza il Tempo di Pasqua, la solen-nità di Pentecoste e il “compleanno”della Santa Infanzia (ovvero l’anniver-

di CHIARA [email protected]

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Missio Ragazzi

Il gioco è per tutti: per i nuovi e per co-loro che già lo scorso anno si sono re-gistrati.I neofiti accompagneranno lo svolgi-mento delle attività proposte, co-struendo concretamente un puzzle 3Din cartoncino che raffigura un ponte aquattro rampe, una per ogni impegno:si tratta di montare, passo dopo passo,la struttura del “Ponte mondiale” (in-viata dal segretariato di Missio Ragaz-

sario della fondazione dell’Opera, checade il 19 maggio). Trasformando inazioni questi quattro impegni, i Ragaz-zi Missionari si prefiggono di costrui-re un “Ponte Mondiale”, fatto di fede,amicizia e solidarietà con i bambini delmondo.Concretamente il “gioco” viene propo-sto a livello comunitario (gruppo mis-sionario, catechismo, scout, AzioneCattolica, classe scolastica, ecc.) o in-dividuale (un singolo ragazzo che di suavolontà aderisce all’iniziativa). Occor-re registrarsi sulla pagina www.ponte-mondiale.missioitalia.it fornendo i pro-

COSA NON È• Una strana costruzione in

cartoncino• Un gadget di Missio Ragazzi• Una delle tante proposte

di Missio Ragazzi• Un sito web

COSA È• La proposta di Missio Ragazzi

per educare i bambini alla dimensione missionaria

• Un cammino annuale che comprende tutte le varie iniziative che Missio Ragazzi propone

• Un gioco formativo completoche aiuta i bambini a vivere iquattro impegni del RagazzoMissionario

Radiografia di “Costruisci un Ponte mondiale”

pri dati (per ilgruppo bastanoquelli di un refe-rente; per il singo-lo, quelli di un ge-nitore) ed accederead un’area riservatacostituita da tante paginequante sono gli impegni da vivere: manmano che l’anno liturgico procederà,qui verranno pubblicate proposte di at-tività/giochi/dinamiche di gruppo/ini-ziative ad hoc da realizzare comunita-riamente o individualmente per met-tere in pratica la condivisione, l’annun-cio, la preghiera e la fraternità.

zi), da esporre nella sede del gruppo otenere in un punto ben visibile dellacasa (se l’iscrizione è individuale) e com-pletarlo man mano che l’anno avanzae il gruppo/singolo vive gli impegni pro-posti.Per chi, invece, è già un “esperto pon-tefice” (poiché lo scorso anno ha già co-struito il proprio “Ponte mondiale”), èstata ideata un’ulteriore proposta: sitratta di collegarsi nelle pagine riser-vate del sito web, scaricare le attivitàper gruppi o singoli (ignorando quel-le già vissute lo scorso anno e concen-trandosi sulle nuove e su quelle pen-sate solo per “esperti pontefici”), cimen-tarsi nella costruzione delle strade chescendono dalle rampe del ponte. Lastrada è sinonimo di cammino; sullastrada si vive la solidarietà, l’essenzia-lità, l’adattamento, la fatica, lo stupo-re, ma soprattutto si fanno degli incon-tri. La nuova avventura, proposta a chilo scorso anno ha già vissuto il giocoformativo, invita a far tesoro di dieciincontri con personaggi biblici chehanno qualcosa da insegnare: ecco cheallora i Magi spronano a mettersi incammino verso Betlemme, il buon Sa-maritano accompagna verso Gerico, sanPaolo verso Damasco, ecc.Insomma, tutti sono invitati a metter-si all’opera, perché coltivare nei picco-li quello spirito missionario di cui par-la sempre papa Francesco, è un’avven-tura che non finisce mai.

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VITA DI MISSIO

H a 25 anni, è una ragazza, ha finito di studiare e la-vora. Ama la missione e ha preparato la valigia (con

dentro l’essenziale) per andare a conoscere di personai missionari che vanno alle frontiere del mondo per an-nunciare il Vangelo. Quasi la metà di chi parte sceglie l’Afri-ca come destinazione, sapendo che andrà a risiedere neivillaggi, condividendo le condizioni di vita dei missiona-ri presenti in loco. E la missione non è una destinazionecome le altre perché prima della partenza bisogna prepa-rarsi con cura e affrontare un anno di preparazione nei Cen-tri missionari diocesani o presso gli Istituti missionari. Que-sto genere di esperienze non prevede “missionari per caso”ma ragazzi in cerca di segni di Vangelo.Sono alcuni tratti dell’identikit di chi parte per esperienzemissionarie che emerge dal campione di ricerca interpel-lato da Missio Giovani insieme a Fesmi e Suam, attraversoun questionario messo on line nei mesi scorsi. La ricerca èstata ideata e condotta come un contributo dal mondo mis-sionario al Sinodo dei vescovi sui giovani, svoltosi ad ot-tobre scorso. Dalle risposte raccolte emerge il profilo di ra-gazzi e ragazze italiane che in quest’anno hanno scelto didedicare una parte del loro tempo per fare una esperien-za significativa, incontrando culture diverse, ma soprattut-to accompagnando i missionari sul campo. Per tornare a casacambiati, cresciuti in speranza e conoscenza dell’altro. Edare dei volti a parole come mondialità, solidarietà, ami-cizia. Ma soprattutto speranza.«Sono tornato arricchito dall’incontro con l’altro, è stata im-portante soprattutto la relazione con le persone che ho in-contrato ogni giorno, l’amicizia che ho stretto con loro e con

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“IN MISSIONEHO SCOPERTOCHE L’AMORENON HA LIMITI”

I RISULTATI DI UN QUESTIONARIO ON LINE

“IN MISSIONEHO SCOPERTOCHE L’AMORENON HA LIMITI”

I RISULTATI DI UN QUESTIONARIO ON LINE

i missionari, con i laici anche di altre nazionalità» è una del-le tante voci raccolte. Un’altra testimonianza da Bari dice:«Questa esperienza mi ha allargato gli orizzonti facendo-mi uscire dal giardino di casa mia, ha alimentato la vogliadi mettermi al servizio degli altri, ravvivando il mio rappor-to con Dio».Per molti il viaggio missionario è una esperienza unica nel-la vita, che lascia un segno indelebile. Dice una ragazza:«Dopo il viaggio ho preso in mano le mie scelte, rivoluzio-nando il modo di vivere e dando spazio diverso ad alcunivalori. Mi ha fatto capire cosa voglio da me stessa e che l’amo-

Giovanni Rocca, Segretarionazionale Missio Giovani.

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re non ha limiti». Uno studente di Parma invece sot-tolinea che «la scoperta dell’altro, l’apertura versoil prossimo mi ha insegnato a conoscere meglio mestesso e i miei sentimenti. Ampliare gli orizzonti si-gnifica cambiare prospettiva, decentrarsi». Per al-cuni giovani il viaggio è così coinvolgente che alritorno li aspetta una grande fatica per reinserirsinella quotidianità. Le stesse parrocchie di prove-nienza non sembrano a volte preparate ad acco-gliere e valorizzare la ricchezza dell’esperienza

dei ragazzi tornati dalla missione. Spiega Giovanni Roc-ca, che ha messo Missio Giovani a servizio di questa inte-ressante iniziativa: «Il dato che mi ha colpito di più nell’in-dagine è che due terzi dei giovani che partono in missio-ne, tornando assumono un impegno nella propria comuni-tà. A dimostrazione che questi viaggi non sono l’occasio-ne per fare una esperienza esotica, ma un momento di ri-flessione personale che incide profondamente nelle scel-te di una persona, arrivando perfino a cambiarne l’orienta-mento. Quando abbiamo organizzato il questionario è emer-

sa con chiarezza la difficoltà di tracciare le scelte succes-sive al rientro di ogni ragazzo, per la difficoltà di seguire isuoi campi di impegno dalla parrocchia, ai movimenti ec-clesiali, fino agli organismi di volontariato. Molti restano im-pegnati nell’ambito missionario, ma non sono pochi quel-li che si mettono a disposizione dell’assistenza ai migrantinei centri di accoglienza e non solo. Per questo si è pensa-to di inserire delle domande che ci aiutassero a chiarire lescelte successive all’incontro diretto con la missione».Cosa viene fuori dall’incontro con i missionari? «E’ la scoper-ta di una dimensione umana nuova, per molti sconosciuta.Incontri caratterizzati dall’entusiasmo che restano dentro pertutto il resto della vita» commenta il segretario di Missio Gio-vani.I dati di questa ricerca sono importanti per progettare le espe-rienze future da proporre alle diocesi già dalla prossima esta-te. Si tratta comunque di una ricerca “in progress” i cui ag-giornamenti sono disponibili sul sito www.missioitalia.it

Miela Fagiolo D’Attilia

Con quale destinazione?

16%

27%

15%

40%

2%

Oceania Africa Asia America Europa

Organizzate da qualerealtà/organismo?

14%

3%

6%

8%

29%

40%

Centro Missionario Diocesano Istituto religioso ParrocchiaMissio Giovani Scout altro

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PIETRO, PESCATORE

DI GIOVANIPronti per il prossimo viaggio

Nel mese di agosto, come da tradizione, Missio Giovani organizza un’espe-

rienza di visita ai missionari. Non si tratta di un campo di lavoro, di un’espe-

rienza di volontariato propriamente detto, ma di un’opportunità di co-

noscenza, crescita e formazione umana e spirituale insieme ai missiona-

ri. La proposta per il 2019 è la Thailandia. In gruppo – 20 giovani – si par-

tirà per ANDARE e per STARE, non per FARE. L’esperienza è così orga-

nizzata: dopo due/tre giorni di conoscenza generale della situazione po-

litico-sociale-culturale del Paese, trascorsi nella capitale, il gruppo si di-

viderà in piccole unità che andranno a vivere per 15 giorni in missioni

diverse, sparse sul territorio da Nord a Sud. Ci si ritroverà di nuovo in-

sieme gli ultimi tre giorni, per condividere quanto vissuto, confrontarsi

e concedersi qualche momento di relax prima del rientro.

Se vuoi metterti in viaggio con noi o semplicemente ricevere qualche in-

formazione scrivi a [email protected]. G .R .

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IntenzioniN O V E M B R E

I N T E N Z I O N E D I P R E G H I E R AM

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ION

AR

IAm

ente

di MARIO [email protected]

C he tipo di dialogo possonoportare avanti le armi losappiamo benissimo: è il

dialogo del vincitore sul vinto, perchèchi ha un’arma in mano vuole avereragione ad ogni costo. Tutto ciò av-viene sia a livello personale che – pur-troppo - a livello mondiale. Infatti par-lare di dialogo delle armi significa ca-dere in un ossimoro, dato che la cro-naca di ogni giorno sia a livello nazio-nale che mondiale è lì a documenta-re come il potere dell’industria belli-ca sia presente nel nostro mondo.Papa Giovanni XXIII nell’enciclicaPacem in terris, con una forte ed ine-quivocabile affermazione, diceva aicristiani e a tutti gli uomini di buo-na volontà che «con i mezzi di distru-zione oggi in uso e con le possibili-tà di incontro e di dialogo, ritenereche la guerra possa portare alla giu-stizia e alla pace è alienum a ratione,fuori dalla ragione». Ragionare sul-la guerra secondo lo spirito del mon-do è «roba da matti», affermava unaltro alfiere della pace: don ToninoBello, l’indimenticabile vescovo diMolfetta, presidente per lunghi annidi Pax Christi.

che se divergono dalle nostre, e cheil ricorso alla violenza sia bandito dal-le nostre coscienze.Possiamo guardare al futuro anima-ti da buone intenzioni e rimanereinerti e impassibili di fronte ai pro-blemi del mondo. Ma oggi più chemai, non abbiamo bisogno di gen-te che si limita ad osservare come vail mondo, bensì di uomini e donneche agiscono di fronte ai problemi,di persone che vogliono darsi da fare,capaci anche di alzare la voce quan-do è necessario. Abbiamo bisogno dipersone che si battano e si esponga-no in prima persona, in ogni circo-stanza, per il rispetto dei valori col-lettivi. Dobbiamo avere il coraggiodi assumere, tutti assieme, un com-pito comune per il futuro che ci stadavanti.

Attivisti perla pace

Purtroppo subdolamente, la tentazio-ne della violenza si annida spesso e vo-lentieri nell’animo umano ed è sem-pre disponibile ad essere utilizzata peraffermare le proprie ragioni sia a li-vello personale che a livello mondia-le. Perché il linguaggio del cuore e deldialogo si radichi sempre più nell’ani-mo delle persone e dei popoli, è ne-cessario far crescere (fin dalla più te-nera età) una visione della vita doveil rispetto e la tolleranza verso gli al-tri diventino un patrimonio perogni individuo. Ai credenti è chiestodi dare testimonianza che questo per-corso è possibile: è necessario e piut-tosto urgente che nei componentidelle comunità ecclesiali prevalgasempre più un atteggiamento di ac-coglienza, rispetto e comprensioneper le altrui opinioni e posizioni, an-

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“PERCHÉ IL LINGUAGGIO DEL CUOREE DEL DIALOGO PREVALGA SEMPRESUL LINGUAGGIO DELLE ARMI

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men

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di GAETANO [email protected]

F isico asciutto, volto quasi asia-tico, cammina scalzo anche acasa, nel breve tempo di pas-

saggio in famiglia in Italia. Incontropadre Domenico Rodighiero, missio-nario Oblato di Maria Immacolata,nel bel mezzo di una torrida estate ita-liana. Ma il caldo per lui non è cer-to un problema, anzi, abituato com’èal clima della terra thailandese doveopera da 20 anni.Terminati gli studi formativi pressol’Università Lateranense di Roma ematurata la prospettiva concreta del-la missione all’estero, padre Domeni-co si perfeziona con una licenza inmissiologia che ha concluso nel 1997presso l’Università Gregoriana. «Que-sto ulteriore approfondimento - spie-ga padre Domenico - è stato moltoproficuo sia dal punto di vista intel-lettuale, perché mi ha dato un’ideapiuttosto chiara di come la Chiesa havissuto la missione ad gentes nei seco-li; sia perché ho potuto approfondi-re la conoscenza delle maggiori tra-dizioni culturali e religiose. Poi hoconcluso con un anno di esperienzain Africa come completamento del-la formazione e verifica della mia pro-

pensione alla missio-ne».Parla quasi al presentepadre Rodighiero, ep-pure sono passati 20anni di vita missionariain Thailandia.Che cosa ha significa-to l’incontro con cultu-re, popoli lontani?Cosa la missione hacambiato in te?«Avevo chiesto di andare in Asiaproprio per vivere un’esperienza d’in-contro con culture diverse e di tradi-zione millenaria. Il mio desiderio è sta-to accolto e questi anni sono stati unasfida straordinaria. Tutto ciò che hovissuto mi ha obbligato a rivedere ilmio modo di credere, mi ha aiutatoa scoprire cosa è essenziale e invececosa è accessorio. Mi ha aiutato acomprendere le persone che vengo-no da una tradizione diversa e non rie-scono a vivere la fede come me, per-ché anche il mio modo di vivere lafede è condizionato dalla mia cultu-ra. Mi ha dato una visione più am-pia dell’intervento di Dio nel nostromondo: Lui è presente nel cuore e nel-

P O N T I F I C I A U N I O N E M I S S I O N A R I A

È Dio il coachdi ogni missione

la vita di persone che non hanno lamia fede; la missione è camminare in-sieme per scoprire più chiaramentecome Dio vuole questa nostra uma-nità».

VITA NEI VILLAGGIPer padre Domenico una cosa è benchiara: è Dio il coach, il maestro e for-matore costante della missione, le per-sone invece contribuiscono in varimodi, nel momento presente, alla suamissione. Idee così chiare che nonsempre possiamo trovare in chi ope-ra sul campo. I lunghi anni vissuti inThailandia hanno cambiato radical-mente la sua visione delle cose, la suasensibilità, e questo è frutto di un »

PadreDomenico Rodighiero

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cammino di prossimità, di fraterni-tà con una umanità differente, ma checerca Dio.«Vivo ora in un villaggio a 1.500 me-tri sul livello del mare e mi occupo dipiccole stazioni missionarie sparse nel-la zona. La mia attività è semplice: vi-sita regolare a tutte le piccole comu-nità e preparazione ai sacramenti; vi-sita alle famiglie e formazione dei ca-techisti per la comunità cristiana, nonsolo a livello di fede, ma anche sot-to il profilo umano (sensibilizzazio-ne alla cura dell’ambiente, alla gestio-ne delle risorse economiche, alla sa-lute personale e altro); visita a cristia-ni che vivono in villaggi totalmentebuddisti. Poi aiuto (ma il tempo èsempre poco) un confratello in un uf-ficio che produce emissioni radio perle tribù Hmong, emittente associataa Radio Veritas».Nei campi profughi ci sono situazio-ni di vita al limite: ci sarà un possi-bile riscatto? Quali potrebbero esse-re le strade più percorribili? Quantoforte è per te la frase di Gesù: “I po-veri saranno sempre con voi”?«Il Vangelo è certamente un libro checi parla di Dio, ma anche di noi! Hosperimentato la verità della frase: “Ipoveri saranno sempre con voi”. Ilmessaggio cristiano ci chiede di lavo-rare per redimere quest’umanità e daredignità ad ogni uomo, ma questo tro-va una resistenza che sembra insor-montabile. Trasformare il cuore del-l’uomo per renderlo più compassio-nevole, più solidale, più disposto aduna fraternità universale, meno egoi-sta, meno centrato sulla ricerca delbene personale (o tribale) è una sfi-da che ci accompagnerà fino alla finedei tempi. Io, come credente e comemissionario, accetto questa sfida di co-struire un mondo redento, non mi

P O N T I F I C I A U N I O N E M I S S I O N A R I A

faccio molte illusioni sui tempi neiquali questo disegno si realizzerà. Cre-do che la Chiesa abbia il compito dimostrare che i semi di un’umanità re-denta sono già stati gettati nel terre-no e crescono, poco a poco, ma cre-scono. Quando sono nel villaggio e,con umiltà e rispetto (cosciente deimiei limiti), mi metto a servizio diquesta povera gente, le persone per-cepiscono la forza del Vangelo. Quan-

P O P O L I E M I S S I O N E - N O V E M B R E 2 0 1 8

do lavoriamo per i loro diritti (qual-che anno fa li abbiamo aiutati ad ave-re la cittadinanza), anche le autoritàsi sentono interpellate a fare qualco-sa. La via percorribile è stare insiemea loro e lavorare per loro, perché que-sto è un segno che il Vangelo è vero.La missione, a mio avviso, ha ilcompito di porre dei segni e accetta-re, con fede, la debolezza di questi se-gni».Sulla scia di queste parole forti e co-raggiose chiedo al padre missionarioin che modi la Chiesa, e in partico-lare la Chiesa missionaria, si sta ado-perando per alleviare queste situazio-ni.«La Chiesa in Thailandia fa molto peri poveri. La Chiesa missionaria, cioèi religiosi, è all’avanguardia, la Chie-

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può essere preti, religiosi e perfino cri-stiani senza un cuore missionario e,oserei dire, senza una concreta espe-rienza missionaria ad gentes, cioè unincontro vero, reale con persone di-verse da noi. Credo che sia questo in-contro a cambiarci la vita e ad aiutar-ci a fare scelte radicali non pensate atavolino, ma che vengono dalla gio-ia di lasciarsi interpellare, cambiare dacolui che è diverso perché anche luiè portatore di valori. Credo che la scel-ta missionaria di un giovane non na-sca più solo dal bisogno di portare unmessaggio sperimentato personal-mente come vero, ma anche dalla gio-ia di lavorare insieme con altri per co-struire una casa comune. Mi sembrache i giovani abbiano già questa sen-sibilità perché vivono in un mondomolto più piccolo di quello nel qua-le ho vissuto io. Sono più liberi da pre-giudizi, più abituati alla diversità, piùabili nella comunicazione. Magarihanno una minore propensione al ri-schio e non vogliono lasciarsi scomo-dare, ma nessuno è perfetto. Comun-que, credo che la missione sia propo-nibile ad un giovane».

traddizioni) dalle giovani Chiese aquelle prettamente occidentali. LaChiesa in generale ha grande difficol-tà a trovare una lingua capace di co-municare con le giovani generazioni,anche in Thailandia. Le forme con lequali esprime la sua fede sono spes-so poco comprensibili o, semplice-mente, non interessano perché ven-gono da un mondo molto lontano daquello dove i giovani vivono. Mi sem-bra ci sia bisogno di ripensare la pa-storale del primo annuncio. Non ba-sta conservare ciò che rimane, non ser-ve aumentare il numero dei battezza-ti; la gente ha bisogno di capire il va-lore del messaggio di cui siamo me-diatori e accoglierlo dentro il suomondo tradizionale per poterlo espri-mere secondo la sua cultura».Come fare? Potrebbe essere un ulte-riore interrogativo di fronte allo sce-nario che padre Rodighiero ci ha aper-to. La cosa certa è che tutto questo èuna sfida da qui in avanti…Insomma padre Domenico, la mis-sione ha certamente cambiato la tuavita. Che messaggio possiamo fargiungere alle nuove generazioni, cheattendono una missione possibileanche per loro?«Fare una scelta missionaria oggi è dif-ficile, non è più di moda, ma non si

sa locale segue, forse perché manca unpo’ di esperienza e fantasia. Comedappertutto si potrebbe fare di più…Questa Chiesa lavora con i cristianie vive con loro nei villaggi sparsi nel-le province. Si occupa dei più lonta-ni nelle montagne del Nord con unlavoro missionario consistente. Pen-sa alla formazione dei giovani conscuole di qualità, aiuta i ragazzi piùpoveri dando loro borse di studio eaccogliendo in convitti quelli che vi-vono in aree remote. Si prende curadegli anziani che ospita, spesso gra-tuitamente, in case di accoglienza.Aiuta regolarmente coloro che cerca-no asilo».

GIOVANI PER L’AD GENTESIl pensiero di padre Domenico scor-re fluido e la sua fresca analisi è mol-to sincera e oggettiva. Mi incoraggiaad incalzarlo con un approfondimen-to proprio sull’ad gentes delle Chie-se di antica tradizione.Come e cosa vede dal suo punto divista nel futuro prossimo della mis-sionarietà?«Mi sembra di vedere una certa con-trazione della sensibilità missionariaad gentes delle Chiese di antica tradi-zione e, d’altra parte, si vede una mis-sionarietà inversa (con ombre e con-

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È la rivista che dà voce ai Paesi del Sud del mondo e

alle giovani Chiese,raccontando le mille storie che

arricchiscono il grande libro della missione. In una società globalizzata

tenersi informati su cosa accade al di là delle nostre frontiere

è un diritto-dovere di ognuno, per essere in grado di raccogliere

le sfide del futuro.

È la rivista che dà voce ai Paesi del Sud del mondo e

alle giovani Chiese,raccontando le mille storie che

arricchiscono il grande libro della missione. In una società globalizzata

tenersi informati su cosa accade al di là delle nostre frontiere

è un diritto-dovere di ognuno, per essere in grado di raccogliere

le sfide del futuro.

Sessantacinque pagine a colori fanno di questa rivista - ricca di analisi, reportage,interviste, testimonianze da ogni angolo remoto del globo - una finestra aperta sul mondo.

Abbonati per un anno versando 25,00 €sul conto corrente postale n. 63062855 intestato a Missio Pontificie Opere Missionarie.

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È possibile anche effettuare abbonamenti collettivi per più copie della rivista, spediteall’indirizzo di una sola persona che si incarica di consegnarle personalmente agli altriabbonati, al costo annuale è 20,00 €.

Richiedi una copia omaggio a: [email protected] sfogliare un numero arretrato vai sul sito: www.missioitalia.it