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HIRAM Rivista del Grande Oriente d’Italia n. 1/2006 EDITORIALE 3 Laicità e Postmodernità. Elementi di riflessione in margine ad un discorso intorno alle prospettive dell’identità massonica europea di fronte alla crisi del “moderno” Gustavo Raffi L’influenza della Cabalà nel Rinascimento 9 Giuseppe Abramo Maestri e confusioni. Sulla “Tradizione Italica” negli anni ‘20 33 Pietro Mander II Cinabro sintesi dello spirito 55 Bent Parodi Memoria e iniziazione in Se questo è un uomo di Primo Levi 65 Paolo Cristiani Sugli estremi biografici di Marziale Reghellini “de Schio” 73 Edoardo Ghiotto La Costituzione al tempo di Mazzini. Un dibattito del 1849 79 Roberto Balzani SEGNALAZIONI EDITORIALI 91 RECENSIONI 103

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HIRAM

Rivista del Grande Oriente d’Italia

n. 1/2006

• EDITORIALE 3

Laicità e Postmodernità. Elementi di riflessione in margine ad un discorso intorno alle prospettive dell’identità massonica europea di fronte alla crisi del “moderno”

Gustavo Raffi

L’influenza della Cabalà nel Rinascimento 9Giuseppe Abramo

Maestri e confusioni. Sulla “Tradizione Italica” negli anni ‘20 33Pietro Mander

II Cinabro sintesi dello spirito 55Bent Parodi

Memoria e iniziazione in Se questo è un uomo di Primo Levi 65Paolo Cristiani

Sugli estremi biografici di Marziale Reghellini “de Schio” 73Edoardo Ghiotto

La Costituzione al tempo di Mazzini. Un dibattito del 1849 79Roberto Balzani

• SEGNALAZIONI EDITORIALI 91• RECENSIONI 103

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Maestri e confusioni.Sulla “Tradizione Italica” negli anni ‘20

di Pietro Mander

(Università di Napoli “L Orientale”)

Crossing our e g o’s borders in order to reach the Identity with ourself, that is anintimate way of living I use to call “Esoterism”, is a really solitary journey. It takeson difficult tasks, as being totally responsible and conscious of our choices; we candraw on many different Authors considering them as “Master of thought”, but wecan never lie down their words. In the present article the Author speaks about someof the most reliable Masters and shows some of their “errors”. In fact, in the ‘20 and‘30 of the last century some esotheric authors approached the Fascist movement,thinking that in some way it would have been the right route to the restauration ofthe Traditional society. The Author shows how this idea was built on an irremedi -able misunderstanding.

§ 0. Scopo del presente articolo

on tutti i Fratelli riconosconoall’Istituzione una finalità “eso-terica”. Mi chiarisco.

Intendo, col termine “esoterico”, la ricer-ca del Sé assoluto, raggiungibile superandoquella barriera costituita dall’“Io” e dallesue pulsioni; tale scopo non può esser con-seguito operando solo individualmente, ma

necessita di un’adeguata “influenza spiri-tuale” sulla quale occorre innestare e svi-luppare un profondo lavoro interiore, lavo-ro che nessuno – né Maestro o libro – puòsostituire. Questo sforzo è quindi l’unicavia per conseguire la Conoscenza diretta,l’Intuizione del Sé assoluto, che chiamiamo“la Luce”. Ritengo questa precisazionenecessaria, perché il termine “esoterismo” èusato anche con diverse accezioni1.

1 Faivre (1994: 4-10, traduzione dall’originale francese del 1986) fornisce tre interpretazioni: a.comprensione di un senso segreto mediante sforzo personale e successivi livelli di penetrazione (p. 4);b. tipo di conoscenza proveniente da un centro spirituale raggiungibile attraverso tecniche e modi ade-guati (i b i d .); c. criterio di classificazione fattuale del materiale o c c i d e n t a l e di letteratura e tradizioni delmondo greco-romano, ebraico, cristiano e islamico, con particolare riferimento alle esperienze cultura-li dell’Europa latina del XV sec. Il senso da me scelto è prossimo al primo (a.), ma implica il raggiun-gimento di un Centro (il Sé), criterio della seconda classificazione (b.).

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In questo articolo gli attribuirò solo il sen-so da me indicato alla nota 1.

L’Istituzione Muratoria non pos-siede dottrina, ma solo Rituali(sono essi che formano lastruttura portante per ilmetodo di lavoro su sestessi) e ognuno – par-tecipandovi con ladovuta serietà – puòfarne l’uso che ritienepiù opportuno; chiscrive si colloca –con tutta evidenza –tra gli “esoterici”, ma –ribadisco – altre “letture”dei Rituali sono possibili equindi legittime2.

Qui sarà considerata la prospetti-va esoterica.

In questo intervento faremo riferimento alpensiero di importanti e significativi autoriesoterici attivi attorno agli anni ‘20 delsecolo trascorso; abbiamo scelto, per la suaimmediatezza, l’aspetto più vicino alla poli-tica, in particolare in Italia.

Il presente articolo intende indicare comequesti Maestri di esoterismo non possanosostituire – ci ripetiamo ancora – la ricercainteriore, che dev’esser compiuta – con l’in-sostituibile sostegno del Lavoro Rituale – intotale solitudine.

Lo studio delle opere di questi Maestricostituisce, senza alcun dubbio, un formi-dabile stimolo, ma esso non potrebbe dare

frutto se chi legge mantenesse unatteggiamento passivo, limitando-

si alla “metabolizzazione” deltesto recepito: gli Antichi dice-vano, e a ragione: n u m q u a miurare in verbis magistri!3

§ 1. Fiorire di pubblicazioninegli anni ‘20-’30

L’Europa si riprendeva astento dal trauma della Gran-

de Guerra, mentre regimi tota-litari, accampando pretese salvi-

fiche di età venture luminose, siaffermavano in diversi paesi. Le ditta-

ture si giustificavano alla luce di un felicefuturo che certamente non sarebbe manca-to, se i cittadini tiranneggiati avesseroaccettato la fase dolorosa della tirannide:così promettevano. D’altro canto, aspri fer-menti sconvolgevano la vita nei paesidemocratici, dove le differenze sociali edetniche causavano tensioni.

Il futuro, lungi dall’esser fulgido, vedevaaddensarsi le nubi di una ancor più terribiletempesta, la Seconda Guerra Mondiale.

Aldo A. Mola4 delinea molto nitidamentele caratteristiche di quel periodo di crisi,

2 Le due concezioni non sono affatto antitetiche, bensí “coassiali”. Coltivare la moralità (unodei cardini dell’interpretazione non-esoterica, quella morale/umanitaria) può costituire la fase inizialeprivilegiata per realizzare le finalità dell’interpretazione esoterica. Si veda a proposito l’articolo in L alettera G (n. 1/2004, pp. 15 ss.).3 Mai giurare su ciò che il maestro ha detto!, a indicare totale adesione alla sua dottrina; vd.Castiglioni - Mariotti, 1996: 705.4 Mola, 1992: 591 ss.

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riconducendo ad esse “il vigoroso impulsoverso l’esoterismo”: l’Europa industriale,dominata da una borghesia trionfante, ave-va ritenuto, fino a quel momento, di avan-zare ineluttabilmente versomagnifiche e progressive sorti,creando un mondo org a n i z z a t orazionalmente, in cui sisarebbero trovati inclusiinfine anche popoli“meno civili” (ovvero:colonizzati) e stratisociali emarginati osfruttati.

Ma la grandeguerra aveva rivelato(e determinato) unasituazione profondamentenuova. Non solo gli uomi -ni distruggevano; non solotutto ciò che andavano inventando e appre -stando [ . . . ] era subordinato e finalizzato apiani di distruzione; ma veniva in chiaro[ . . . ] che i meccanismi regolativi della socie -tà nella[ . . . ] guerra trovavano la necessariavalvola di sicurezza per uscire dalle crisir i c o r r e n t i. Occorreva avere un nemico, con-tro cui mobilitare gli apparati industriali; laguerra era sempre davanti: svaniva così ilsogno della liberazione dell’uomo. La bor-ghesia poteva solo creare società di merci-

ficazione della distribuzione dei beni, in cuila vita era coartata, repressa e diretta allaviolenza.

Ho selezionato queste poche righe,ma il passo intero è estremamente

illuminante.Non condivido pienamente tut-tavia la conclusione di Mola,

allorché spiega l’intensifica-zione di studi esotericinegli anni tra i due con-

flitti mondiali comeesito della difesanei paesi borg h e s i

d a l l ’ i m p o s t a z i o n ebolscevica della produ-

zione; secondo lo stori-co, infatti, tale difesaavrebbe condotto all’esal-

tazione della ragione signorile del potere[...] Di lì il ritorno alla superstizione5.

Certamente preoccupazioni di questogenere hanno agito – in maniera più o menoconsapevole – da stimolo nel delinearsi ditalune posizioni, ma non è solo in esse chesi devono cercare le radici del fenomeno.Infatti si potrebbero elencare nomi e org a-nizzazioni iniziatiche (o sedicenti tali) atti-ve almeno dai due secoli precedenti6, org a-nizzazioni che hanno costituito le premessedel fiorire di studi degli anni ‘20-’30.

5 Ibid., p. 593 (corsivo dell’autore).6 Cazzaniga (1999: 18 s.) riferisce come Pitagora e Platone, il neo-platonismo ellenistico e lostoicismo romano abbiano svolto il ruolo di punto di riferimento per la Massoneria del XVIII sec. perrifondare il legame sociale, di cui il più insigne esempio di realizzazione fu “la cittadinanza, dalle for-me tardo-repubblicane alla forma imperiale generalizzata”. Almeno fin qui affondano le radici della“Tradizione Italica”. Ma – per una visione più esaustiva – occorre risalire ancora più indietro, a Pleto-ne e Giulio Pomponio Leto (XV sec.): cfr. Introvigne, 1990: 345 ss. (ripreso da molti senza citazione).

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Apparvero allora gli scritti di A n n i eBesant (1847-1933), Oswald Wirth (1860-1943), Rudolf Steiner (1861-1925), Giulia-no Kremmerz (1861-1930), A n a n-da Coomaraswamy (1877-1947), Arturo Reghini (1878-1946), René Guénon (1886-1951), Julius Evola (1898-1974) e il “Gruppo diUr” (1927-1929)7, percitare solo alcuni tra ipiù conosciuti (la listapotrebbe allungarsi) ei più frequentementecitati e stimati autori, cheelenco senza entrare in giudi-zi qualitativi. Possiamo aragione ritenerli dei Maestri, alseguito del cui pensiero si sono for-mate delle vere e proprie scuole o correnti,a tutt’oggi in pieno sviluppo, ed i cui nomisentiamo spesso nelle discussioni a sogget-to esoterico.

In particolare volgeremo l’attenzioneall’Italia e al sorgervi di un fenomeno tipi-co di quel frangente storico, ovvero la for-mulazione della teoria della “Tradizione Ita-lica” (nota anche con altre denominazioni),la cui esistenza fu propugnata soprattutto daReghini, Evola, de Giorgio, Kremmerz ealtri. Di questi, solo Reghini era massone.

Tornando agli anni ‘20-’30, in quello stes-so periodo si era affermato in Italia (ma

aveva ampi consensi anche altrove, in Euro-pa) il movimento fascista. In quegli anni,assurse al potere, dando vita ad un governo

dittatoriale che durò un ven-tennio, durante il quale

compì due atti particolar-mente rilevanti per il

nostro argomento:1. Il bando delleassociazioni segre-te (con cui chiusele Logge: 19 Mag-gio 1925)2. Il concordato con

la Santa Sede (11 Feb-braio 1929).Questi due eventi ebbe-

ro, in modalità diff e r e n t i ,esiti traumatici per i fautori della

“ Tradizione Italica”. Infatti essi credetteroche il fascismo fosse – o, almeno, avrebbepotuto essere – la realizzazione storica del-l ’ a ffermazione di detta Tradizione, che,finalmente, grazie proprio al fascismo,avrebbe potuto infrangere i ceppi del predo-minio della Chiesa Cattolica. L’ i m p e r i a l i-smo “pagano”, ovvero la proiezione nellastoria della riaffermata Tradizione Italica,avrebbe dovuto avere carattere spirituale enon militare, come avranno invece leavventure condotte dal fascismo, fino a tro-vare nell’ultima di queste la sua catastrofe.Roma, centro di una élite spirituale, avreb-be sparso la sua luce sul mondo.

7 Sulle vicende di questo gruppo, e del successivo “Krur”, v. De Turris, 1987: 12-21. Un seve-ro e motivato giudizio è espresso da Di Luca, 2003: 105.

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Risulta chiaro quindi che, se la chiusuradelle Logge e la persecuzione dei massoniprocurava al regime il dissenso di Reghini(e il consenso di Evola, che anzi,nella sua lite proprio conReghini, lo segnalò all’autori-tà, esortando di inviarlo alc o n f i n o8), il Concordatocostituì la pietra tombaledei sogni dei tradiziona-listi italici9.

Il rapporto di questiMaestri con la Tr a d i z i o n eda un lato e con il fascismodall’altro mi offrono lo spuntoper alcune considerazioni:voglio mettere a fuoco il ruolodel Maestro, ovvero la sua capacità ditrascendere le contingenze storiche, nelmomento in cui si esprime pubblicamente –e soprattutto a mezzo stampa – divulgandoi tratti del proprio insegnamento esoterico.Perché, inutile negarlo, questo ci aspettiamodal Maestro, ed è difficile accettare la delu-

sione, allorché ci rendiamo conto che ancheegli scambia, come i comuni mortali “luc-ciole per lanterne”, ovvero “fascismo” per

“ Tradizione Italica”. L’ i n s e g n a-mento esoterico non puòcadere nel campo degli even-ti storici del momento e ruo-

tare attorno ad essi comeun satellite attorno adun sole. Il Maestro,quando impartisce lesue concezioni, non

dovrebbe “sentire” lastoria o la cronaca più ditanto; egli deve passarleaccanto, senza farsi da quel-

la deviare. Se – come ho detto – così non è,

ci sentiamo delusi. Ma questa delusione èun limite nostro, non del Maestro, limiteforse generato dall’inconsapevole ricerca,da parte nostra, di una guida fidata, cuidemandare scelte che invece non possonoche pesare sulle nostre spalle.

8 Cfr. Di Luca, 2003: 118 s.9 Di tutt’altra natura è il rapporto che legò alla figura dell’Imperatore la serie di governi giap-ponesi che affiancarono le potenze dell’Asse nella guerra. Con questo non si intende certo dire che queigoverni avessero realizzato ciò che per i tradizionalisti italici rimase un’illusione: si vuole solo preci-sare che le realtà sono notevolmente diverse. Come considerazione preliminare, si tenga ben presenteche “esoterismo” è un concetto meramente occidentale, del quale difficilmente si trovano corrispon-denti univoci in Oriente (cfr. Faivre, 1994: 6). In questa differenza di fondo, si consideri questo parti-colare relativo alla figura dell’Imperatore (si rammenti che l’Imperatore era ritenuto, fino al 1945, figliodella dea del Sole Amatarasu) del dibattito tra Mishima e il suo coetaneo Furubayashi Takashi, un cri-tico letterario di formazione marxista. M. (= Mishima) [...] Il sistema repubblicano è frutto di idee rela -tivistiche; come potrebbe l’Assoluto aderire al relativismo? F. (= Furubayashi) Ma anche l’Imperatore,dopotutto, è qualcosa di relativistico. M. Su questo non sono d’accordo. Come minimo è qualcosa al disopra del relativismo. In tutta quella fase del dibattito, davanti ad uno sconcertato Furubayashi, Mishi-ma continuò a sostenere il ruolo dell’Imperatore, visto chiaramente come manifestazione dell’Assolu-to, concetto che il suo interlocutore neppure riusciva ad immaginare. Cfr. Furubayashi - Kobayashi,2001: 36-44, orig. giapp. 1970, anno del suicidio di Mishima.

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Il Maestro comunica le sue idee e queste –come nel caso dei nomi che abbiamo consi-derato – meritano tutte attenzione. Ma senoi ci aspettiamo una specie di infallibilità,allora inevitabilmente ci porremo, nei con-fronti del suo insegnamento, in un atteg-giamento passivo, che è confacente adun devoto che si rivolge ad un santo,ma mai ad un Libero Muratore checerca la Luce.

In altre parole, scambieremmoun Maestro per un Profeta.

§ 2. Guénon e il rifiuto della democrazia

Il primo autore su cui desidero soff e r m a r-mi è René Guénon, la cui influenza è statacosì forte che ancora oggi esercita unacapacità di propulsione ampiamente pro-duttiva: vorrei addurne come recentissimoesempio la pubblicazione, proprio in questiultimi due anni, della rivista La lettera G,ad opera di Fratelli torinesi, ricca di artico-li interessanti, che sviluppano le linee dipensiero metafisico partendo dall’imposta-zione guénoniana.

Su questo autore molto è stato scritto enon giova certamente riassumere – neppurein linee generali – i termini del dibattito.

Mi limiterò agli aspetti pertinenti il temaparticolare qui considerato.

Le vicende umane sono considerate daGuénon sotto l’aspetto della trasmissio-

ne della Tradizione Primordiale (diorigine non-umana) che assume for-

me diverse, adattandosi ai periodie alle peculiarità sia dei popoli

che delle civiltà e culture. Tale trasmissione è inqua-drata nella legge che rego-

la la successione deicicli cosmici. Nel

momento presente ci troviamo nella faseconclusiva del ciclo, che gli indú chiamanoKali yuga, periodo in cui l’umanità è il piùlontana possibile dai Principi spirituali, deiquali ha quasi (e l’Occidente quasi comple-tamente) perduto i necessari collegamenti ela relativa sensibilità.

Se si vuole valutare il Guénon politico(ammesso che esista), si deve partire daqueste premesse.

Nel suo libro Sérant1 0 mette ben in lucecome Guénon considerasse la democraziaun’estrema degenerazione di un sistemapolitico tradizionale11, ma, con arg o m e n t a-zioni tanto ampie quanto ineccepibili,Sérant dimostra come sia assolutamente

10 Sérant, 1990: 37-66 (traduzione dall’originale francese del 1977).11 Un sistema politico tradizionale si fonda sulla discendenza dai Principi: un esempio paradig-matico è quello indú (cfr. Sérant, 1990: 57 ss.; Bizzarri, 2003: 10 s.), dove la casta dei b r a h m a n i (i sacer-doti, coloro che attingono direttamente al mondo divino attraverso i riti, quindi fonte dell’autorità spi-rituale) trasmettono la forza spirituale agli amministratori (i guerrieri), gli k s≤a t r i y a,che a loro volta diri-gono (a loro compete la funzione regale) armoniosamente il lavoro della terza casta, i mercanti v a i¢a,al di sotto dei quali si trova l’ultima casta, gli ¢u d r a, lavoratori manuali. Infine ci sono i “fuori-casta”.Bisogna precisare che però la divisione in caste è già segno di allontanamento dai Principi: in originenon c’era che una sola casta. La società riflette la cosmologia derivata dalla metafisica, in particolarecon riferimento ai tre gun≥a, ovvero le tre qualità (o condizioni, colorazioni dell’esistenza) dell’Essere:

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• 39 •Sulla “Tradizione Italica” negli anni ‘20, P. Mander

impossibile classificare Guénon quale fasci-sta12. Infatti, il riconoscimento di validità ditrasmissione spirituale, rispettivamente ini-ziatica alla Massoneria ed essotericaalla Chiesa Cattolica, e di primatoal pensiero metafisico orientale(Islam, India e Cina) costitui-scono posizioni inaccettabi-li per i sostenitori dell’i-deologia nazionalista ingenerale (si considerino leincomprensioni con la filo-occidentale Action françai -se13) e fascista in particolare.

Il Maestro francese, tuttavia,si accostò (e collaborò, inviandoarticoli che furono pubblicati) agliambienti di studiosi esoterici italiani che –sia pure in maniera diversa – simpatizzava-no o addirittura aderivano al regime: miriferisco alla collaborazione e corrispon-denza con Arturo Reghini1 4 e al rapportocon Julius Evola, rapporto quest’ultimo checondusse ad una serie di articoli pubblicatisu D i o r a m a, supplemento del Regime Fasci -sta diretto dal gerarca Roberto Farinacci15.

Indubbiamente esistevano dei fattori cheaccomunavano Guénon a quegli ambientifascisti di cui Evola costituiva l’esponente

più illustre: il rifiuto della democrazia, ladisistima dei caratteri materialisti e positi-visti assunti dal pensiero occidentale, la

valutazione del carattere assoluta-mente ingannevole dell’idea

di progresso che informa-va l’ideologia dellesocietà borghesi pote-vano ben offrire unterreno d’incontro.Ma accanto alle con-testazioni, i due autoricondivisero proposte

positive, le più impor-tanti delle quali furono l’i-

dea di un’“aristocrazia” (nelsenso letterale, ovvero “governo di

sapienti iniziati”) e il primato della spiritua-lità sulle esigenze economiche e sociali.

Guénon si esprime più volte circa l’é l i t eintellettuale e sacerdotale che egli immagi-na dovrebbe costituire il vertice della socie-t à1 6, inquadrandone aspetto e ruolo nell’in-sieme del pensiero metafisico. Egli tuttavianon fornisce soluzioni pratiche, né progettipolitici di sorta, per realizzare gli ideali pro-posti, limitandosi ad approfondire la rela-zione tra il particolare della società umanagovernata da detta é l i t e e la visione totale

S a t t w a, R a j a s, e T a m a s, rispettivamente: Luce della Conoscenza (= essenza pura dell’Essere), impulsoespansivo, oscurità. Si veda L. M., I tre guna e l’iniziazione, La lettera G 2/2005, pp. 41 ss.12 Sérant, 1990: 251-254.13 Di Vona, 1993: 69-73.14 Cfr. Bizzarri (2003), che raccoglie la traduzione degli articoli di Guénon pubblicati sulle dueriviste dirette da Arturo Reghini, Atanòr e Ignis (anni 1924-1925), oltre al “versante guénoniano” del-la corrispondenza tra Guénon e Reghini (per quanto è stato possibile recuperare).15 Questi articoli sono stati raccolti e pubblicati in traduzione italiana: si veda Guénon 1988.16 Si vedano, a proposito: Di Vona, 1993: 226; Sérant, 1990: 76 ss., 91.

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della dottrina metafisica1 7. È Evola inveceche intende trasformarla in azione18.

Questo è uno scopo che mi sem-bra irraggiungibile, poichéinfatti, secondo la dottrinadei cicli cosmici, nonpuò realizzarsi, in pienafase finale del K a l iy u g a una società org a-nizzata secondo lemodalità proprie diun’Età dell’oro. L’ u n i c oscopo raggiungibile, eGuénon ne era ben consa-pevole, consiste nel prepa-rare l’inizio del ciclo successi-vo19: da qui l’assenza di indicazioni“pratiche”, assenza che Evola ha voluto col-mare. In questa direzione, il “cambiamentodi mentalità”2 0 rimane il compito principale,e non è riduttivo, dal momento che il con-giungimento col Sé consiste in un processopur sempre conoscitivo, anche se l’Intuizio-ne che deve compierlo non è l’intuizionedella vita di tutti i giorni.

Se quindi non è concepibile il governod e l l ’é l i t e sacerdotale, il cammino attraversola democrazia appare l’unica possibilità dicrescita individuale di consapevolezza e

responsabilità, laddove fosse davvero pos-sibile conseguirla. Un potere diffuso tra

individui maturi potrebbe fungere da“brodo di coltura” o da germe per

la formazione dell’é l i t e a lmaturarsi dei tempi.

Certo, il mondo odiernoè davvero incompatibilecon le concezioni diGuénon, se egli dichiaraMassoneria e Chiesa

Cattolica (due istituzioniche non sembrano pro-

prio conciliarsi armonio-samente tra loro!) uniche vie

di legittima trasmissione spiri-tuale, per poi convertirsi all’Islam2 1,

mentre scrive per Regime Fascista di Fari-nacci. Un percorso tortuoso ed involuto,quello di Guénon, quasi come la sua prosa2 2,difficilmente comprensibile anche alla lucedelle concezioni metafisiche.

Eppure la concezione metafisica nelleopere e negli studi di Guénon è così chiara-mente delineata (sì, nella sua pur pessimascrittura!) che lo studio di Guénon costitui-sce un momento di crescita irrinunciabile.Essa dà ragione dell’importanza di questoMaestro, e dell’influenza da lui esercitata.

17 Riconosciuta come quella islamica dei Sufi (Di Vona, 1993: 24, 41 et passim) ma coincide conquella indù.18 Ibid. p. 27.19 Sérant, 1990: 78 s.20 Si veda L. M., Cambiare mentalità, La lettera G, 1/2004, pp. 15 ss.21 Gattegno (2001) intitola un paragrafo: Cristiano nell’Islàm?2 2 In Francia, dove esiste il culto dell’eleganza dello stile! Un altro punto a favore dell’inattua-lità guénoniana!

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• 41 •Sulla “Tradizione Italica” negli anni ‘20, P. Mander

§ 3. Reghini e l’imperialismo pagano

Con la figura di Reghini entriamo diret-tamente nel cuore dell’arg o-mento. Fu infatti Reghiniad introdurre questotema nel contesto delperiodo tra le dueguerre; egli formu-lò il concetto di“ i m p e r i a l i s m opagano” in piùoccasioni, accen-nandovi anche inaltre sue opere23. Gliaspetti essenziali posa-no sulla medesima con-cezione espressa da Gué-non, ovvero una manifestazionedella Tradizione Primordiale, solo che l’au-tore, acceso da un vero e proprio furoreanti-cristiano, interpreta quella manifesta-zione come conflitto secolare tra le più di-sparate scuole di pensiero e i più disparatipersonaggi storici (entrambi, scuole e per-sonaggi, rigorosamente italiani o considera-ti tali, anche contro l’evidenza) da un lato, eil Cristianesimo rappresentato dalla Chiesadi Roma, dall’altro.

Si può concepire l’estrema asprezza anti-clericale come reazione ad uno strapotere

s o ffocante esercitato per secoli sull’I-t a l i a2 4; ma, leggendo gli scritti

“politici” – ripeto: anchetenendo conto del momen-

to in cui furono scritti –si rimane interdetti.

Da un lato non si puònon godere della graf-fiante arguzia e dellav e r v e polemica (da“toscanaccio”), ma dal-

l’altro non si può igno-rare – pur nello stile scin-

tillante – l’incongruenzadella tesi esposta25.

Con riferimenti tanto audaci chebrillanti, Reghini riconosce il pitagorismocome fonte della trasmissione Tr a d i z i o n a l ein Occidente, individuandone i tratti conti-nuativi anche nella Libera Muratoria2 6. E finqui il discorso regge ed è suff i c i e n t e m e n t emotivato; anzi, è decisamente interessante.Che però Pitagora fosse “italico” (mentreera “al 100% greco”!2 7) e che la sua dottrinafosse quindi autoctona della terra italica misembra sfrenata fantasia. Di Pitagora gli

23 Il saggio si trova raccolto nel libro di Evola (2004: 303 ss.), nelle edizioni italiana e tedesca.Il volume è corredato da un importante saggio introduttivo di Claudio Bonvecchio e da due appendiciche riportano i testi di Reghini sul tema e della lite tra Evola e Reghini; chiude un saggio di Gian Fran-co Lami sul rapporto tra fascismo e cristianesimo. Insomma: un’edizione esemplare!24 Si vedano, a riguardo, i libri di Guerri 1992 e 1997. 25 Un’altrettanta brillante analisi, che “rimette le cose al loro posto” si trova in Toth, 1987: 143-155. Ad essa rinvio per un giudizio equilibrato ed esaustivo.26 C f r. Reghini 1947 (postumo), ristampato nel volume Numeri sacri e geometria pitagorica, IDioscuri, Genova 1988, pp. 9-2527 Così Toth 1987.

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antichi stessi riportano che avesse soggior-nato e studiato in Asia ed in Egitto. Ora chequesta notizia, come altre simili relative agrandi figure del pensiero greco,siano un topos letterario piutto-sto che cronaca – comeoggi si è propensi a crede-re – sarà pur vero, madire che il pensieropitagorico sia un ger-moglio della terra italicaè davvero insostenibile,anche se una tradizionelo dice di padre etrusco28.

Dopo il pitagorismo Reghinipassa alla religione di Roma.Naturalmente la religione romana costi-tuisce un pilastro dell’intera vicenda, da cuisi diparte un filone che, attraverso Vi rg i l i o ,giunge fino a Dante, l’altro pilastro dellaconcezione di Reghini.

Non si deve trascurare che nello stessoperiodo, un ex-allievo di Giovanni Pascoli,Luigi Va l l i2 9 e Adolfo Ricolfi3 0 i m p r e s s e r oun nuovo vigoroso impulso alle ricerchevolte all’interpretazione esoterica dell’ope-

ra di Dante3 1. Nello stesso periodo era niti-damente individuata l’influenza islamicasulla Divina Commedia3 2, dato questo che

i fautori della “Tradizione Italica”(sulla scia di Reghini) sottovalu-

tano con ammirevolec o s t a n z a3 3. Non mi soff e r-mo su questo versante

degli studi danteschi, inquanto non direttamentepertinente al tema. Tr o v o

invece valida la sequenzaVi rgilio–Dante e la presen-za di una numerologia che

si può legittimamente definire“pitagorica” nell’opera di quest’ul-

timo; peraltro, lo stesso schema dantescodel De monarchia, in cui la conquista delmondo ad opera dei Romani è consideratapropedeutica alla diffusione del Cristianesi-mo, offre delle notevoli assonanze per letesi di Reghini (con la cospicua dissonanzadel ruolo alla Chiesa Cattolica!).

Non mi diffondo oltre su questo arg o m e n-to, rinviando all’articolo di Toth, citato innota, per ulteriori valutazioni critiche; mi

28 A Cortona si conservano i resti di un sepolcro detto “di Pitagora”; è stato fatto osservare chepotrebbe esservi stata confusione tra “Cortona” e “Crotone”.29 Prematuramente scomparso nel 1931, mentre era in piena attività di ricerca.30 Pubblicò Studi sui ‘Fedeli d’Amore’. I . Le ‘corti d’Amore’ in Francia ed i loro riflessi in Italia;II. Dal problema del gergo al crollo d’un regno, Società Anonima Editrice Dante Alighieri, rispettiva-mente nel 1933 e nel 1940.31 Pascoli scrisse tre importanti saggi sull’argomento: Minerva oscura (1898), Sotto il velame(1900) e La mirabile visione (1902). Tutta la produzione di questa corrente interpretativa è quasi total-mente non considerata dalla critica contemporanea.32 E non solo islamica, come bene mette in luce Guénon, L’esoterismo di Dante, apparso nel1925 (oggi edito da Atanòr).33 Cfr. Miguel Asín y Palacios (Saragozza, 1871 - San Sebastián, 1944) arabista spagnolo, auto-re del saggio La escatología musulmana en la Divina Comedia (1919).

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• 43 •Sulla “Tradizione Italica” negli anni ‘20, P. Mander

preme ora invece considerare la consisten-za della tesi dell’esistenza della “Tr a d i-zione Italica”.

Nella corrispondenza tra Reghi-ni e Guénon3 4 quest’ultimo sipronuncia su tale Tr a d i z i o n e ,e v i d e n t e m e n t e3 5 a c c e t t a n d ole affermazioni di Reghini3 6

(forse per cortesia?) e chie-dendogli ulteriori illumina-zioni. Tuttavia la linea Pita-gora–Roma (Numa)–Vi rg i-lio–Dante, è solida e Gué-non l’accetta sostanzialmentesenza esitazioni37.

È difficile dire perché Guénon nonabbia considerato (se non sporadicamente)la Tradizione Occidentale dopo il Medioe-v o3 8. L’introduzione di Reghini allaF i l o s o -fia Occulta di Enrico Cornelio A g r i p p adimostra molto chiaramente la validità del-l’Ermetismo; del Ponte ha ragione, d’altraparte, quando menziona la Pax Deorumcome tratto peculiare di una Tradizione cheè certamente da esso connotata come mani-festazione di Quella Primordiale3 9. Ma l’Ita-lia di Roma, come u n i c o faro di luce inizia-

tica nel mondo, come vuole Reghini, è unatesi insostenibile.

Di nuovo ci troviamo difronte a limiti impres-

sionanti nel pensierodi chi, per altri versi,è senza dubbio daconsiderare un Mae-stro. Occorre tenerpresente che la stima

di Guénon per Reghininon poteva non essere

basata su più che solidefondamenta. Gli studi pita-

gorici e quello su Agrippa sonoletture non solo raccomandabili, ma –

così ritengo – necessarie, così come i nume-rosi articoli. Si deve però “scartare” la sto-ria della “Tradizione Italica” da Pitagora aigiorni presenti (ovvero, data l’epoca in cuiReghini scriveva, i giorni di Mussolini, epi-gono della grandezza italica!).

§ 4. L’imperialismo pagano e il fascismo

La formulazione più esaustiva si deve adEvola (che, anzi, ne fornì addirittura due,una per il pubblico italiano nel 1928 e una,

34 Cfr. Bizzarri, 2003: 120.35 Non possediamo la lettera cui questa missiva risponde.36 Guénon riconosceva per l’Occidente solo le tradizioni metafisiche di Aristotele e della scola-stica (S. Tommaso d’Aquino), ritenendole però incomplete; il suo riferimento erano le tradizioni meta-fisiche islamica, indù e cinese. Si deve osservare però che Guénon non escluse affatto l’esistenza di altretradizioni, pienamente valide come quelle orientali odierne, delle quali purtroppo sopravvivono soloscarsi frammenti. Cfr. Di Vona, 1993: 58-59 n. 27 e p. 64 n. 64.37 Bizzarri, 2003: 24 n. 14.38 Guénon considera il Rinascimento come l’inizio della lacerazione totale ed irreversibile conla Tradizione Primordiale.39 È nota la disistima di Guénon per la civiltà romana in genere.

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diversa, per quello tedesco nel 1933).Anche De Giorg i o4 0 a ffrontò il tema, cer-cando di coniugare fascismo e cristianesi-mo, ma qui mi soffermo su Evola.

Non regnava affatto accordotra questi autori: Reghini edEvola si scontrarono dura-mente, dopo un fecondoperiodo di collaborazione,giungendo financo arivolgersi agli avvocati.Guénon era sempre criti-co con gli elaborati diE v o l a4 1: un atteggiamentoben diverso da quello cheteneva con Reghini. Tu t t a v i al’intera impostazione del pensie-ro di Evola poggia sul concetto di Tradi-zione, così come esposto da Guénon; il pun-to di distacco riguarda, come s’è detto, larealizzazione di quel disegno che Guénonaveva ricavato all’interno di una concezio-

ne metafisica, disegno che Evola – come s’èdetto sopra al § 2 n. 18 – intendeva trasfor-mare in progetto4 2. Mi lascia perplesso l’a-

desione al fascismo, pur da una posi-zione molto critica4 3; non

intendo qui diff o n d e r m isugli aspetti del pensiero

di questo autore e deisuoi rapporti col pote-re, aspetti pienamentestudiati negli scritti diDi Vona e Bonvecchiocitati prima. Evola

rifiuta una validità,rispetto al suo ideale di

o rganizzazione sociale Tr a-dizionale, alla dirigenza del

P N F, duce incluso4 4, al nazionalismo, ea Hitler. Si schierò contro la guerra e la suaposizione rispetto al razzismo è davveropeculiare, ma è lontana dalla strada che poicondurrà ad Auschwitz.

40 De Giorgio (1890-1957) 1989 (pubblicato la prima volta solo nel 1973).41 Di Vona, 1993: 25 s.42 Di Luca (2003: 104 s. n. 16) riferisce un interessante brano di Veneziani, in cui si pone benein luce come il primato del guerriero, ovvero la preferenza evoliana per colui che agisce rispetto al sacer -dote – a colui che contempla e conosce attraverso l’intuizione intellettuale abbia costituito il nucleo delcontrasto con Guénon.43 Cfr. Bonvecchio, Evola e l’Impero interiore: una fine e un inizio, in Evola, 2004: 25 n. 41.44 Questa posizione di Evola è consistente con il suo pensiero; si rimane perplessi invece nel-l’apprendere degli episodi occorsi a Mussolini (cfr. Del Ponte, 1987: 33) e presentati quali sorta di inve-stitura che il duce avrebbe ricevuto (o di rituale a suo favore) da parte di custodi o entità correlate alla“Tradizione Romana”. Mi riferisco agli episodi relativi all’uomo che annunciò a Mussolini a piazza S.Sepolcro che sarebbe diventato console d’Italia (console non nel senso moderno, presumo, ovvero diagente diplomatico che cura funzioni pubbliche o amministrative all’estero, ma nel senso che il termi-ne aveva a Roma antica; solo che i consoli erano due, e l’altro console, oltre a Mussolini, chi avrebbedovuto essere? Che predizione nebulosa!) e a quell’altro, vestito di rosso, che, dopo la marcia su Roma,offrì a Mussolini un fascio littorio rinvenuto in uno scavo (clandestino, con tutta evidenza). Evola ave-va la vista ben più lunga di questi “consacratori” del duce.

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• 45 •Sulla “Tradizione Italica” negli anni ‘20, P. Mander

Credo che, se al termine di un percorsoferroviario, invece che alla stazione d’arri-vo, ci si trova con tutto il treno in unpantano, si debba dedurreche i binari solo apparente-mente erano paralleli, e chequindi il convoglio èderagliato. Intendodire che, se si giungea concludere che laRiforma Protestante, laTerza Internazionale,la Chiesa Cattolica eil bolscevismo sono“vittorie semitiche”, o se cisi aggroviglia tra tradizionenordica e mediterranea (aqui-la e croce), i binari su cui si è fatto scor-rere il treno delle argomentazioni non eranoproprio ben allineati. Ancor più, non si puòcriticare il Cristianesimo e riconoscere uninterlocutore nella Chiesa Cattolica, per viadel linguaggio magico e simbolico della sual i t u rg i a4 5. Il semplice buonsenso nega vali-dità a queste affermazioni.

§ 5. Roma e l’Italia (antica, anzi: antichis -s i m a )

Non accolgo la denominazione “romana eitalica” (che altri scelgono) per quella cheho fin qui chiamata “Tradizione Italica”.

In primo luogo, l’apporto pitagorico (Pita-gora è datato tra il VI-V sec. a.C.) – ritenu-to determinante, se non addirittura fondan-

te la più antica manifestazione documenta-bile di detta Tradizione – è perlomeno

“esterno” alla vita della Roma arcaica46, enon ci sono riscontri docu-mentabili per un impiantopitagorico della r e l i g i o r o m a-

na delle origini (perquel che se ne sa).

Inoltre, mi sembrapiuttosto artificiale –facendo riferimento ad

un’età così antica –separare la penisola

italiana, quale distintaunità culturale (come si pre-senta nei secoli dal Medioevoa oggi) dalle altre aree su cui

Roma esercitò il suo dominio. Sembra si voglia, con quella denomina-

zione, proiettare sulla remota antichità pre-cedente l’impero romano l’attuale Italiaunita, dalle Alpi a Lampedusa, con capitaleRoma. Ma se, proprio ai confini di Romaarcaica (e poi anche dentro, perché i Ta r q u i-ni la dominarono!), si estendeva un popolo(gli Etruschi) il cui idioma (e la lingua ècertamente un fattore culturale determinan-te di primo piano) non era neppure indoeu-ropeo come il Latino!

E che dire dei Punici? Perché quindi Liguri ed Etruschi sarebbe-

ro stati più “italiani” dei Galli o dei Tr a c i ?Solo perché abitavano regioni che sarebbe-ro entrate successivamente (ovvero secoli esecoli dopo) a far parte del territorio nazio-

45 Vd. Bonvecchio, in Evola, 2004: 47 s.46 Anche se il re Numa si dice avesse seguito gli insegnamenti del filosofo greco.

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nale? Avevano ragione i patrioti del Risor-gimento a cantare dell’Italia che “schiava diRoma Iddio la creò”, perché si riferivanoalla realtà del XIX sec. dopo Cristo!

Non mi sembrano quindi affidabili i crite-ri che basano sulla religione di Roma unatradizione che sarebbe stata comu-ne a tutti i popoli della penisola,ovvero voler vedere Roma, findai periodi più arcaici, comeparadigma o centro deipopoli italici.

Roma arcaica avevale sue peculiarità,discendenti dal mondo lati-no, etrusco e anche greco, ma eranosue e solo in parte – ed in misura e modali-tà distinte – comuni ai popoli della Peniso-la (e non a tutti).

Parlare invece di “Tradizione Italica” misembra più equilibrato, in quanto consentedi includere tanto Roma che le realtà checostituirono quella k o i n é c u l t u r a l e4 7 ( c h e ,dal II sec. a.C. diventerà la k o i n é m e d i t e r r a-nea), cui, in misura diversa e con peculiari-tà proprie, afferivano la Magna Grecia, gliEtruschi, i Liguri, i Punici, i Sanniti etc.

Ma, ribadisco, non è minimamente in dis-cussione la validità della Tradizione Roma-na, quale manifestazione della Tr a d i z i o n ePrimordiale, e, per accertarsene, è suff i-ciente studiare le fasi più antiche di quelpensiero religioso, il significato del termine

r e l i g i o, la connessione e l’equilibrio tra iconcetti di f a s, i u s (e m o s). Non si sa quasiniente per i periodi anteriori al V sec. a.C.,ma, per quanto ci è noto, non vi possonoessere dubbi.

Quanto poi alla continuità ininterrottadalla caduta degli dèi pagani ai

giorni nostri – escluden-do, per le ragionianzidette, da talecontinuità gli epi-

sodi che sarebberooccorsi a Mussolini, di

cui sopra alla n. 44 – nechiede notizia Guénon a Reghi-

ni (v. sopra) e lo affermano DeG i o rgio e Del Ponte (che sta approfonden-do questi aspetti)4 8. Al momento sono dub-bioso, ma aspettiamo di vedere prove certe.

E poi, ritorna l’Oriente. E rientra a diversilivelli. Come si può, infatti, distinguere una“tradizione romana e italica” e separarel’arte divinatoria etrusca, che tanta parte haavuto nel pensiero romano, dal Vi c i n oOriente Antico? L’aruspicina, l’arte di leg-gere il futuro nelle viscere della vittimasacrificata, è di diretta importazione babilo-nese: si veda il “fegato di Piacenza”. Ma ilconfronto potrebbe continuare.

Che dire dell’asse Pitagora–Vi rg i -lio–Dante, quando è ormai appurato chenon solo gli esordi del pensiero speculativogreco hanno origini orientali4 9, ma anche la

47 Per esempio, l’adozione diffusa di varianti dell’alfabeto di Cuma, o il culto al santuario diP y rgi (ragione per cui abbiamo una specie di bilingue in punico ed in etrusco su due lamine auree), oedificando templi (così a Roma arcaica) con evidenti criteri architettonici greci.48 Del Ponte, 1987: 17 s. e n. 8.49 Cfr. West 1993 (prima edizione del 1971).

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• 47 •Sulla “Tradizione Italica” negli anni ‘20, P. Mander

poesia omerica (modello di quella virg i l i a-na) ha pesanti debiti nei confronti della tra-dizione dell’Asia occidentale5 0? Infine,abbiamo già ricordato che perfino l’e-stremità più recente dell’asse (Dante)ha ricevuto influenze vicino-orientali(islamiche)51.

Ma, in generale, possiamo affer-mare che tutta la cultura greca emediterranea ha accolto cospi-cue e determinanti influenzeasiatiche; non mi soffermo atracciare un quadro chesarebbe vastissimo, e milimito a rinviare allavoro di Burkert52.

È chiaro che nonsi possono separarenettamente i feno-meni culturali che si sono verificati nellapenisola italiana dal mondo asiatico e quin-di è del tutto arbitrario contrapporre una“tradizione romana e italica” a tradizionidell’Asia Anteriore.

Appurato questo aspetto, chiediamoci dadove nasca l’esigenza di tracciare quell’ar-tificiale distinzione. Non è certamente uncaso che questa nasca mentre esplodono ifermenti di quel movimento che porterà ilfascismo al potere.

Concludiamo, dopo aver rilevato come siaazzardato ricollegarsi a tradizioni estinte

(molto probabilmente: aspettiamo notiziecontrarie da Del Ponte) e poco conosciute,e come la ricerca di un percorso attraversolo studio e l’azione, con l’esclusione dellaregolare trasmissione iniziatica (il che mi

appare come una forma di titanismo), siafonte di smarrimenti e confusioni: si

noti la posizione cristallina di Gué-non, che si è tenuto lontano, da un

lato, da queste contaminazioni edall’altro la contraddizione di

aver collaborato con articoli escritti ad un supplemento di

un giornale chiamatoRegime fascista!

§ 6. Alessandro e ilnodo di Gordio

Certamente, la matassa è ingarbugliata.Rifiuto della democrazia e regimi fascisti,gerarchie spirituali e razzismo, nazionali-smo e Tradizione “romana-italica”, esalta-zione militarista e ruolo cosmico dei sacer-doti-guerrieri, bolscevismo e dèi arcaici: equesta è solo una parte dei concetti che, inun periodo storico così disperato – comeabbiamo rilevato innanzi – s’intreccianoalla vigilia del più terrificante massacro del-la storia europea (e non solo).

Se ci mettessimo a dipanare i singoli temi,cercando di distinguerne percorsi, deviazio-

50 Cfr. West 1997.51 Su scala più ridotta, anche il sottoscritto ha avuto occasione di rilevare notevoli parallelismitra episodi della Divina Commedia e l’importante filone poetico mesopotamico detto Epopea di Gilga -mesh. Cfr. Gilgamesh e Dante: due itinerari alla ricerca dell’immortalità, in Placella - Palumbo [eds.],1995: 281-297.52 Burkert 1992.

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ni, assimilazioni, sdoppiamenti e altro, nonriusciremmo comunque ad uscirne con unquadro chiaro ed esauriente: inaltre parole, usando un’imma-gine storica, se facessimocosì, non avremmo maipotuto divenire signori del-l’Asia.

Alessandro il Grande,invece, dopo aver invanotentato di sciogliere iln o d o5 3, estratta la spada, lorecise. E regnò sull’Asia5 4.La spada fa parte degli stru-menti del Libero Muratore5 5:davanti a questo nodo, sguainiamo la nostraspada e tagliamo, separando la confusionedal cuore della questione.

Sul piano storico, il nodo dell’imperiali-smo romano redivivo, intrecciato col fasci-smo, a sua volta annodato al desiderio dellavolontà di potenza e alle vicende dei ritualisu cui riferisce Del Ponte, volti ad assicura-re la vittoria alle armi italiane (prima nellaGrande Guerra, poi durante il fascismo)5 6,fu reciso definitivamente a Roma dalla spa-da del 4 Giugno 1944. Da allora, dopo oltre

mezzo secolo, l’aggettivo “fascista” è di usocomune – non solo a Sinistra, ma persino a

Destra! – per definire chio ciò che si presentacome autoritario, reazio-nario, con marcata con-notazione negativa. S i csemper tyrannis!

Ma vediamo qualenodo va reciso su un pia-no esoterico.

Se, come qui si è stabi-lito quale assunto, il fine

del percorso esoterico consistenella liberazione dagli involucri

d e l l ’e g o, ovvero nel superamento dell’“Io”per l’Identificazione Suprema con il Sé,occorre subito dire che il nodo è piuttostofacile da recidere.

L’“Io” vive in un regime di dualità, qualel’opposizione tra “soggetto che conosce”(l’“Io” o e g o) e l’“oggetto conosciuto” (ilresto del mondo, ovvero l’altro).

Non è possibile ora addentrarci in una siapur breve e superficiale descrizione delleproprietà o caratteristiche dell’“Io” rispettoal Sé; dobbiamo solo, nella presente circo-

53 Si tratta del “nodo di Gordio”, custodito in un tempio, nodo del quale si diceva che chi fosseriuscito a scioglierlo avrebbe regnato sull’Asia. Alessandro, mentre avanzava col suo esercito in A s i aMinore, combattendo i Persiani, entrò nel tempio e sciolse a modo suo il nodo. Una più profonda lettu-ra del simbolo (che non interessa il livello che qui consideriamo) è fornita da Guénon, 1991: 24.54 Raccomando di leggere la versione romanzata (ma storicamente pienamente affidabile) del-l’episodio nella trilogia sulla vita di Alessandro Magno scritta da Valerio Massimo Manfredi (1998, vol.II: Le sabbie di Amon, cap. 44). Così Manfredi descrive il colpo sferrato da Alessandro sul nodo: la lamabalenò come una folgore (ibid.).55 Tanto per fare un esempio, anche il Copritore Interno impugna la spada per “ammettere” ciòche è ammissibile e “ricevere” ciò che in seguito deve svilupparsi nell’ambito del Lavoro Rituale.56 Del Ponte, 1987: 32-34

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stanza, notare come la divisione tra “Io” e“non-Io” possa assumere degli involucriesterni più ampi. Mi spiego.

Io posso dire che non mi curo tan-to di me stesso come individuo,anzi, che sacrifico volentieri mestesso, ma voglio che 1. la miapatria, 2. la mia razza, 3. la miachiesa, 4. il mio partito, etc. sia ffermino o, addirittura,sovrastino 1. le patriedegli altri, 2. le razzedegli altri, 3. le chiesedegli altri, 4. i partitidegli altri etc.

Nel dire questo, lungi dal liberarmi del-l’involucro del mio e g o, io lo rafforzo, inquanto, da un lato, scorgo di meno l’e g o(infatti dico che non mi curo tanto di mestesso) e lo desidero però trionfante, comeparte di un’unità superiore (ma sempre e g o i -c a!) perché la patria, la razza, la chiesa, ilpartito che voglio vincenti sono quelli in cuiIO mi trovo, di cui IO faccio parte, conesclusione delle analoghe unità degli altri.

La coltivazione di questi involucri esternisi oppone pertanto nettamente al percorso

esoterico, perché permette di rientrare dallafinestra a quelle pulsioni che credevo di

aver espulso dalla porta.Risulta quindi davvero curioso che

un nazionalismo, per non dire un fasci-smo, che del nazionalismo è unavariante particolare, ma che con essospartisce l’idea dell’affermazione di

un “involucro esterno dell’Io”5 7,possa fungere da sede ideologi-

ca e politica per una Tr a d i-zione (sia essa italica,romana, nordica o altro),

che è di natura esoterica.Non posso ad un tempo affer-

mare la MIA parte e tendere al superamen-to dell’e g o, perché esprimo due volontà chevanno in inconciliabile contraddizione traloro58.

E, con questa succinta considerazione,ritengo di aver assestato un primo fendenteal nodo.

§ 7. Esoterismo e “democrazia”

La Loggia massonica ha, non solo simbo-licamente, ma anche storicamente, la valen-za di un universo in sé concluso.

57 Molto più complesso del caso del nazionalismo è quello del fascismo, in cui l’individuo è fun-zionale alla società (Per il fascismo la società è fine e l’individuo è mezzo, e tutta la vita della societàconsiste nell’assumere l’individuo come strumento dei fini sociali, affermò Alfredo Rocco), ma questasi riconosce solo a livello di parcellizzazione della specie umana: che sia stato possibile confondere lasubordinazione dell’individuo a favore della società (così come concepisce il pensiero fascista) con ilsuperamento dell’ego, in funzione dell’identificazione con il Sé Supremo è davvero opera demoniaca!58 Bisogna dire che Evola prese le distanze dai presupposti di quelle teorie, allorché polemizzòcontro Gentile (Gentile non è il nostro filosofo, Ordine Nuovo I, 4-5, luglio-agosto 1955, pp. 25-30). Ildissenso verteva proprio sul tema della volontà concreta ovvero della storicità dello spirito, negando lequali quindi si contestavano le basi teoriche stesse dell’idealismo gentiliano, che militavano contro l’i-dea di imperialismo propugnato da Evola, in quanto realizzazione della Tradizione (realizzazione cheil fascismo avrebbe dovuto attuare).

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Questa dimensione storica, su cui ci sof-fermiamo, è stata ben posta in luce in studir e c e n t i5 9; in essi si è documentato come –fin dalla prima metà del Settecento – sicostituissero nelle Logge forme diauto-governo, in cui i membrigodevano di pari “fraterna”dignità, pur inquadrati inuna gerarchia meritocrati-ca che – a differenza diquella della società “pro-fana” – non derivava dallanascita. Dette formeappaiono quindi come espe-rimenti tesi a creare un nuovotipo di socialità, per molti versicontrapposto allo stato “esterno allaLoggia” del tempo, dominato dal dispoti-smo, dalla stratificazione sociale per censoe dalle chiese.

Naturalmente non si deve pensare ad unacontrapposizione netta “Mondo delle Log-ge” contro “stato della monarchia assoluti-stica, dell’aristrocazia e del clero”; la realtàera molto più sfumata e variegata. Comun-que attraverso le esperienze delle Logge sicostituì un “brodo di cultura” in cui si svi-lupparono i germi della società moderna, eda cui presero l’avvio i movimenti politicidi massa democratici quali il liberalismo eil socialismo60.

In contro-tendenza a queste spinte, si poseinvece – nella prima metà del XX secolo –il fascismo, il cui pensiero attribuí il prima-

to alla società – quale parcella della speciebiologica – sull’individuo, consi-

derato solo come mera com-ponente di quella61.

Mi chiarisco con unconfronto. Non sono pie-namente d’accordo conS é r a n t6 2 quando pole-mizza contro un concet-to di fondo formulato da

Louis Pauwels e JacquesB e rg i e r6 3, sul comune carat-

tere “universalista e ottimi-sta” delle due ideologie, pur divi-

se e contrapposte (liberalismo e comuni-smo), cui facevano riferimento i vincitoridella Seconda Guerra Mondiale. Ad essa siopponeva un’altra ben diversa concezione,pessimista sull’umanità, considerata divisatra razze superiori ed inferiori (quindi anti-universalista), che Sérant invece avvicina altotalitarismo sovietico. Egli inoltre pole-mizza con i due autori sull’accostamentodel fascismo “alle dottrine tradizionali e alloro antimodernismo”.

Sia il comunismo/socialismo che il libera-lismo – pur nelle loro deviazioni o aberra-zioni – discendono entrambi da movimenti

59 Rinvio a Jacob 1995 (trad. dall’originale del 1991) e Cazzaniga 1999.60 Cazzaniga, 1999: 18 et passim.61 Rinvio al bellissimo Reich 1974 (orig. del 1933), le cui tematiche sono poi ampliate nel suotesto del 1972 (orig. 1953). Reich ha idee originali e discutibili, ma le sue intuizioni e analisi sono cer-tamente penetranti.62 Sérant, 1990: 251-254.63 Concetto espresso nel loro libro, Il mattino dei maghi, 1963 (trad. dall’originale del 1960).

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i d e o l o g i c i6 4, che nelle Logge settecenteschehanno i loro precursori e antenati. Tr a t t ocomune ad entrambi è l’accento posto sullafelicità dell’individuo e sui suoi diritti neiconfronti dello stato6 5, e quindi Pauwelse Bergier hanno ragione al di là dellecontingenze storiche riferite daSérant, che invece rifuta di consi-derare il comunismo sovieti-co – ricordiamo che il suolibro è del 1977 – discen-dente dallo stesso cep-po delle democrazieoccidentali.

Ma ha invece ragione Sérant (e torto Pau-wels e Bergier) nel distinguere il PensieroTradizionale dall’ideologia fascista. Infattila subordinazione, ovvero la “compressio-ne” dell’“Io” è richiesta dal pensiero fasci-sta per una finalità biologica di sopravvi-venza e affermazione di quella parte dellaspecie che è la società, mentre il supera-mento delle barriere dell’e g o per consegui-re l’Identificazione Suprema ha un’incom-parabilmente diversa traiettoria e finalità.

L’errore di Pauwels e Bergier è comple-mentare a quello dei fautori dell’“imperiali-smo pagano”. Ma, per tornare alla spada diAlessandro, mi sembra semplicementeassurdo che si possa trovare un nesso cheunisca in una medesima concezione lavisione di Dio che Dante descrive nel cantoXXXIII del Paradiso6 6 e la difesa della raz-

za (Hitler, Mussolini) o, su un piano bendiverso, s’intende, la fede nei destini impe -riali di Roma contro i [...] sogni del pacifi -

smo, dell’umanitarismo, della demo -crazia, del socialismo (Reghini).

Vediamo meglio la posizione diReghini, che, a diff e-

renza dei due ditta-tori fascisti, agogna-va un primato soprat-

tutto spirituale per l’I-talia pagana.Dante nel De monarchia

aveva considerato i Romanicome popolo prescelto per unifi-care il mondo (o cospicua partedi esso, preciseremmo oggi) sot-to il loro impero, affinché il Cri-

stianesimo vi si potesse diffondere agevol-mente. Un disegno della Provvidenza divi-na, che dev’essere inquadrato sia nel conte-sto delle opere di Dante, sia nel contestopolitico del tempo, travagliato dal conflittotra papato e impero. In questa fase storica laconcezione politica dantesca discendentedal poema sul viaggio ultramondano dellaDivina Commedia, assume il suo realesignificato.

Ma Reghini recupera – soltanto in pienoXX secolo, 6 secoli dopo! – lo stesso sche-ma adottato da Dante (ma senza l ’ i n q u a d r a-mento di una Divina Commedia!), sosti-tuendo cristianesimo con paganesimo (pita-

64 Cfr. Cazzaniga 1999.65 Jacob, 1995: 32-35.66 Nell’interpretazione esoterica della Divina Commedia questo è l’episodio che rappresenta l’I-dentità Assoluta.

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gorico). Roma – e qui il deragliamento èirreversibile – è sempre Roma, o meglio l’I-talia di cui Roma è il centro, comenello schema dantesco. L’ i n a t t u a-lità è per taluni un vanto (egià Dante, nel suo XIVsec., era inattuale), maquella di Reghini (edi Evola dietro a lui) èal di là di ogni ragio-nevole eccentricità!

Fin qui abbiamospesso sfiorato, senzamai toccarlo, un altroproblema, relativo alrapporto tra “consenso”ed “investitura”, ovvero traelezione “dal basso” o “dall’al-to”, rapporto che si riflette in parte suquello “libertà, uguaglianza e fratellanza”rispetto alla “gerarchia”.

Molti Maestri hanno scritto pagine di fuo-co sull’argomento: Guénon ha parlato di“penetrazioni democratiche”, accusandoAnderson e Desaguliers (pastori protestan-ti, e quindi anti-cattolici!) di aver perpetra-to scientemente con le C o s t i t u z i o n i n e l1723 questa deviazione6 7. Reghini incolpa ilmovimento dell’E n c y c l o p é d i e per aver ini-ziato un coinvolgimento politico che culmi-nerà nella partecipazione alla RivoluzioneF r a n c e s e6 8, e, analogamente, Gastone Ve n-t u r a6 9, descrivendo l’evolversi degli avveni-

menti relativi alla Massoneria a Napolidurante la Rivoluzione Francese, scrive: La

dottrina delle nuove logge non era piùquella tradizionale: non si stu -

diava più il simbolismo neigradi superiori, la kabba -

lah, l’alchimia e le altrescienze occulte, ma siparlava di politica, dilibertà, di abbattere i

tiranni e così via.

Non è questa lasede per toccare un

a rgomento così com-plesso; ricordiamo solo

che storicamente nelle Log-ge, fin dagli inizi del XVIII

sec., non si praticava certo l ademocrazia diretta [...] [ma, anzi,] i rappre -sentanti eletti [...] governavano in modoquasi autoritario70.

Chi scrive ritiene che l’Istituzione LiberoMuratoria abbia saputo fin dai suoi esordinella sua forma moderna, coniugare armo-niosamente le due direzioni, quella del con-senso e dell’investitura: ma questo è una rgomento così vasto e complesso cherichiederà uno studio a parte.

Mi limito ad un accenno introduttivo perquesto tema.

La Massoneria è l’Istituzione cui Guénonriconosce validità iniziatica; ad essa quindi

67 Cfr. Sérant, 1990: 196-20168 Cfr. Di Luca, 2003: 137-139.69 Ventura, 1980: 30.70 Jacob, 1995: 28.

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spetta il ruolo di formare la nuova é l i t e c h e– secondo Guénon – preparerà la restaura-zione dell’ordine normale (ovvero: Tr a d i-z i o n a l e )7 1. Giustamente Essa mantiene quin-di la struttura verticistica, che consente ladiscesa dall’Alto dell’influenza spirituale,

l’unica che possa stabilire l’ordine, e,accanto ad essa, mantiene anche la demo-craticità, quale uguaglianza e armonia deitanti, tessuto della nuova era, quando, ter-minato il Kali yuga, si tornerà alla societàcon un’unica casta72.

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71 Cfr. Sérant, 1990: 76-79.72 Guénon, 1972: 16 (orig. del 1929).

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II Cinabro sintesi dello spirito

di Bent Parodi

Saggista

True Alchemy is an initiatory process, and the alchymist is, in his turn, an initi -ate, who knows that his neverending work does not aim at the profane gold, but atthe inner gold, which represents the real athanor. The Cinnabar, i.e. the sulphursulphide, is nothing but the essential symbol of a process of inner research, whichthe Author tries to describe in its complex esoteric implications.

iamo i n questo mondo senza tut-

tavia essere d i questo mondo: nonè un gioco di parole, bensì una

conquista della coscienza, che indica unmodo d’essere, quello pertinente all’inizia-to. D’altronde è ben evidente che l’i n - i r epresuppone una metànoia, una radicale“conversione” (da c u m e v e r t e r e) che èesattamente l’esito dell’Opus magnum.

È bene ricordare che il mito, il rito e ilsimbolo (quello della luce, in particolare)costituiscono il fulcro di qualsiasi esperien-za iniziatica autenticamente vissuta.

L’Esoterismo – come dicevo altrove –non è una moda che ciclicamente risorg edalle ceneri del razionalismo materialista:esso è una modalità esemplare, un approc-cio specialissimo nei confronti della realtàuniversa. In tal senso è senza tempo, s o p h i a

p e r e n n i s o sanathana dharma, per dirla allamaniera degli indù: ovvero religiosità eter-na, che si nutre e sostanzia della dialetticanascita-morte-rinascita.

Iniziato è colui che sa vivere simbolica-mente, che in ogni cosa legge costantemen-te la cifra dell’unità. Ed è proprio la r e d u c -tio ad unum la naturale propensione dell’E-soterismo, che nell’ambito d’una generaledimensione simbolica si affida a molteplicilinguaggi o metodiche.

Fra questi un ruolo essenziale è rivestitodall’Alchimia, l’arte regale. Essa non ècomprensibile senza un’adeguata decodifi-cazione simbolica. Ai più il suo caratteristi-co linguaggio suonerà astruso, infantilmen-te incomprensibile; a coloro, che hannoacquisito la chiave maestra, i suoi segretiappariranno in assoluta evidenza.

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Totius rei imperator è l’iniziato all’Al-chimia: egli, se ha ben compreso l’“arte”,non sarà mai uno stupido libertino o un ateosemplicemente perché, appresa la lezione,saprà dominarsi e dominare, plasmandonuova vita in forme inedite. In tal sensol’alchimista stesso saràdiventato Rebis, l’an-drogino ritrovatosisulla soglia delmassimo misteroconoscitivo: l’i-dentità del rea-le, l’Unità del-l’Essere.

L’autentica via che conduce alla libera-zione (la salvezza è il fine delle religionistoriche) è la “Via della parola”, il control-lo del mythos che è altra cosa dal Logos, la“parola umana” espressione della ragionediscorsiva che frammenta, rende molteplicel’unità del pensiero intatta nel m y t h o s, la“parola sacra”.

Perciò, recuperare la “parola perduta” èriacquistare la dimensione vera del mito,ovunque e comunque esso si presenti allacoscienza. L’Alchimia non può ambire dipiù: essa è tecnica della metafisica, la suatraduzione a livello sperimentale. L’ a l c h i-mista – lo ripeto – è un iniziato e ogni ini-ziato che si rispetti è un genuino alchimista:egli sa bene che sia il “vil metallo”, sial’“oro”, non cercherà il fornello ma se stes-so in se stesso, l’athanor al centro dell’esse-re profondo. Il tramite di questa riscoperta èil pensiero, fonte inesauribile di potere cheva solo disciplinato in modo conformeall’ordine cosmico, creativo: retto pensierosi esplicherà in retta azione. E questo il

Buddha l’aveva ben compreso: il Nirvana,in verità, non è una condizione di annichili-mento, bensì di indefinita espansione dicoscienza, la grande conquista dell’alchimi-sta-iniziato, che velò la verità in termini

simbolici tali che gli immatu-ri non seppero comprende-re, ma che pure eranoassai semplici (chi è quali-ficato non ha mai diff i c o l-

tà a coglierne il senso).“Fare A l c h i-

mia” non vuoldire affatto fare

sfoggio di elucubrazioni vane, ma padro-neggiare la realtà facendosi Realtà. E nonoccorre neppure leggere tanti libri, bastasolo interrogarsi nel profondo, isolandosidalle distrazioni della routine: ciascuno hain sé tutto ciò che occorre, tutto è nell’inti-mo (panta éisó, come diceva Plotino), ilmondo non è che l’autodisvelarsi dellaCoscienza.

San’a al-Kimiya, “Arte della pietra filo-sofale”, o più semplicemente al-kimiya.

II termine – come noto – è arabo, ma diispirazione vetero-egiziana: k e m i,nell’anti-ca lingua dei faraoni, sta per “terra nera”, illimo del Nilo che garantiva l’esistenza in unpaese perennemente insidiato dall’avanzaredel deserto.

Questa associazione semantica fra“Alchimia”, nel senso tradizionale dellaparola, e l’antico egiziano k e m i è del tuttogiustificata. Il limo, nero e apparentementeamorfo (corrisponde allo stato della nigre-do, l’opera al nero), celava gran varietà diforme, ricche di vita, fertilizzava il suoloormai arido dell’Egitto, puntualmente al

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• 57 •II Cinabro sintesi dello spirito, B. Parodi

mese di Luglio di ogni anno (inizio dell’i-nondazione). K e m i, dunque, rappresentavail “preformale”, il “potenziale” da cui sareb-be scaturito l’universo delle forme (al mododel rapporto essenza-sostanza, vir-tuale-effettivo).

Questo limo, sedimentazio-ne delle acque nilotiche, corri-spondeva, allo stato semili-quido, a ciò che, materia-lizzato, si definisce “pie-tra grezza”, nel linguag-gio massonico. E perciò erasuscettibile di trasmutazione, dir a ffinamento continuo in forme divita sempre più perfette e assimi-labili al modello esemplare, l’o p -t i m u m dell’individualità, la suamassima espressione.

L’Alchimia, evolutasi in ambiente ales-sandrino, non è che espressione sperimenta-le dell’insegnamento ermetico, del fondosapienzale contenuto nel Corpus Hermeti -c u m, rivelazione di Ermete Trismegisto, il“tre volte grandissimo”.

Anche l’India antica e la Cina taoistahanno conosciuto forme notevoli di A l c h i-mia, la quale perciò non è cresciuta nel-l’Occidente, ed è d’altra parte riscontrabilein nuce anche al livello di culture tribali,sciamaniche.

La verità è che la sapienza, l’unicasapienza, parla la stessa lingua in tutte lesocietà, al di là della specificità espressivadelle differenti terminologie. Ovviamente,comunque, il linguaggio dell’Alchimiamediterranea ci è più familiare e solo percomodità ci rifaremo a esso, nelle sue lineefondamentali.

Alchimia, o “Arte Reale”, è propriamen-te l’arte della trasmutazione: insegna a crea-re, modificare le forme imitando la naturadivina, i processi dinamici del Demiurgo, il

Divino impersonale. L’ a l c h i m i-sta, che deve essere necessa-riamente un iniziato, cooperacoscientemente con il piano

del Grande Architetto dell’U-niverso (per rifarci a una

definizione tipicamentemassonica).

Dal fraintendimentodel linguaggio alche-

mico, fra un tenta-tivo mal riuscito el’altro dei cosid-

detti “soffiatori”, ènata la chimica moderna: con tutto il suobagaglio tecnico, la quale perciò è storica-mente creatura spuria d’un modello a tortomalfamato (ciò che accade allorché si perdei1 senso autentico delle parole, delle formu-le). L’Alchimia, in senso letterale, è “chimi-ca trascendentale”, laddove la scienzamoderna, che ne è derivata, non è che bana-le applicazione di alcune leggi a livellofenomenico. Ciò malgrado si è confusa la“parte” con il Tutto, si è privilegiata la fra-zione applicativa con l’intero complessodell’edificio arcaico, sul quale era già cadu-ta la polvere quando fiorì l’Alchimia stori-ca di età medioevale (la “perdita del centro”risale – in realtà – al tempo del collasso delmondo antico).

La “trasfigurazione” operata dalle nor-me alchemiche è, in fondo, evidente a chisappia riflettere sul significato dei simboli,costituiti in questo caso dai caratteristici ter-

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mini della Alchimia tradizionale. Qui bastiesaminarne solo alcuni e si vedrà subito ilsenso profondo che essi prefigurano.

L’alchimista, fondamentalmente,si propone di trasformare il “vilmetallo” in “oro”, operazionetentata alla lettera nel MedioEvo. Ma l’oro, qui, ha ilsignificato evidente dell’a-nima, liberata dalle sueincrostature storiche, final-mente ricongiunta al Prin-cipio cosmico.

E l’oro alchemico non èaltro che un modo per dire“pietra filosofale”, cioè lospirito che costituisce il noc-ciolo energetico dell’animaindividuale. Questa “pietra”,ripresa dal lessico dei LiberiMuratori, equivale al “Graal” del-l’esoterismo cavalleresco di età medioeva-le: il reale per eccellenza, il “ciò che vera-mente è” di platonica memoria, l’ unica per-manenza autentica nel mobile flusso dellei m p e r-manenze fenomeniche. E che cosac’è di veramente stabile, indefinitamentedurevole, in questo universo dalle formepoliedriche?

L’ e n e rgia, o spirito per dirla al modoreligioso.

Questa forza, di matrice trascendentale,crea continuamente, è circuito integrato divita incessante. Ecco, la vita è l’espressionedell’Essere nel mondo dell’esistenza, esse-re che si “fa” atto col sacrificio mistico del-la vibrazione esemplare. Compito dell’al-chimista, come già del cavaliere del Graal,del Templare, dell’iniziato autentico d’ogni

tempo, è “riunire ciò che è sparso”, disper-so, frammentario. Si tratta di ricomporre inunità gli aspetti molteplici del mondo, odell’individuo (il che fa lo stesso, per lanota analogia fra micro e macrocosmo).Ciò vuol dire che “riunire quel che è spar-so” equivale esattamente a suturare i vari

piani del Reale.Al medesimo significato rinvia

l’altra immagine esemplare dell’Al-chimia: il Rebis. Si tratta dell’An-drogino primordiale, l’Essere ases-

suato in cui le polarità (maschile-femminile) sono compresenti in

quanto divenute unitàcompiuta.

L’operazione, acarattere trascen-

dentale, costitui-sce l’oppostoparadossale del

processo creativo, il quale per sua naturatende a differenziare, laddove la reductio adunum consiste nell’azione inversa, riporta-re la realtà molteplice all’Unico indifferen-ziato. Il segreto dell’Alchimia è celato nelmomento (intemporale) in cui l’individuo èrecuperato all’Assoluto, con un atto diappercezione metalogica. È l’assimilazioneal Divino, che nella misteriosofia ellenicacorrisponde all’identità A t m a n - B r a h m a ndella mistica indù. Questo atto costituisce ilculmine del sentiero alchemico, il suo uni-co fine: la divinizzazione dell’uomo.

Recuperare l’androginia primordiale, lacondizione sferica cui allude Platone, o labeatitudine dello stato edenico, in terminisimbolici, e perciò concreti, è l’obiettivo diogni iniziato. Per farlo occorre conoscere le

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modalità dello spirito, definibile come ener-gia indifferenziata allo stato puro o infinito,e n e rgia, tuttavia, che è protesa a “diff e r e n-ziarsi” per sovrabbondanza ontologica.L’alchimista sa bene che non è possi-bile trasfigurare la realtà, o autotra-scendersi in modo immediato (cioè“senza mediazione”).

Perciò la sua “opera” sarà rivoltaa rimodellare l’oggetto, così come loscultore crea sulla pietra informe,l’artigiano sull’argilla informe, masuscettibile di forme indefinite.

L’alchimista, che è artista esem-plare, obbedisce alla legge del s o l v eet coagula, processo di maturazione,apparente annichilimento cui faseguito una nuova “solidificazio-ne”, materializzazione del modellointuito. Dalla nigredo all’albe-do, dal “nero” (il virtuale, prefor-male assimilabile alle acque abis-sali, al chaos del linguaggio mitico) al“bianco”, la manifestazione creativa, nuovaalba del processo universale, l’alchimista faopera d’arte (e, perciò, il suo o p u s è a r sregia, arte regale). Dal sale al mercurio, dalmercurio allo zolfo, dalla materia via viamondata allo spirito ripristinato nella suainformità, la trasfigurazione, o metamorfo-si, appare itinerario graduale, che richiedepazienza e concentrazione. L’Alchimia nondeve aver fretta; in altre parole la “pietra”deve essere sgrossata con progressività, raf-finata e, infine, resa cubica, poi circolare,col segreto iniziatico della “quadratura delcerchio”, cioè del “ritorno all’Uno”, perusare una tipica espressione della filosofianeoplatonica.

G e n e r a z i o n e - d i s s o l u z i o n e - r i g e n e r a z i o-ne: sono le tre fasi, fondamentali, del lavo-ro alchemico nell’athanor, il mitico forno

che allude al complesso dell’individuo,alla sua anima che vive il

travaglio della palingenesiiniziatica.

Il “vil metallo” che erail “profano” si trasfigura,nel tempo, in “oro”, l’inizia-

to autentico (e non virtuale)che ha conosciuto all’interno di

sé la vicenda cosmica della mor-te e della resurrezione, l’invol-versi e il ri-evolversi dello spiri-to che è in ciascuno di noi.

Il simbolismo del lessicoalchemico (bastino gli esempifin qui citati) è chiaro a chi

ha orecchie per intendere.Resta, invece, da dire mol-to sulla tecnica dell’Alchi-

mia una volta svelato il suo scopo (l’im-mortalizzazione dell’individuo, la sua rein-tegrazione nell’Assoluto). In altre parole,come si fa in concreto a trasformarsi e a tra-sformare, da “vil metallo” in “oro”? Qualera il segreto dell’artista? Una risposta com-piuta può darsi solo comprendendo a fondola natura della realtà, facendo ricorso allasuprema sapienza dell’esoterismo universa-le: il cosmo è mentale, il processo dellacreazione è, letteralmente, una ideofania,“rivelazione dell’Idea”.

Tutto il complesso dell’universo manife-stato è incessante movimento, all’apparen-za senza fine: ogni cosa, in ultima analisi, siriduce a vibrazioni, a frequenze vibratorie,più precisamente. Tutte le cose, in verità,

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sono manifestazione diretta dell’unica For-za che crea e conserva i mondi, riplasman-doli indefinitamente (l’Energia è l’Alchi-mista universale, modello di ogni ini-ziato autentico).

L’universo è una sola, grandeidea, l’Idea del Grande Architetto alquale basta pensare le cose percrearle nella varietà dei colori (sen-sazioni psichiche) e dei loro feno-meni (emergenza dell’Essere mani-festato).

Ammettiamo pure, per eccesso dicautela, che l’uomo costituisca unu n i c u m nella storia universale.Ebbene, il ragionamento di fondonon può mutare: se l’intelligenza si èmanifestata e tende ad autovaloriz-zarsi ciò vuol dire, e in modoincontrovertibile, che l’universostesso è Idea, che esso contiene i nn u c e il pensiero come possibilità supe-riore di manifestazione.

In piccolo, ciascuno di noi può aver fat-to talvolta personale esperienza del sostra-to psichico della realtà. Quante volte, infase di relax, abbiamo immaginato ciò che,poi, si è effettivamente concretizzato, inossequio alla legge della volontà, del desi-derio. Un regime simpatetico (nozione, que-sta, tipicamente ermetica) rende solidali gliesseri fra loro, lega i piani della manifesta-zione: così il simile conosce il simile, ogniconoscenza autentica risolvendosi in identi-ficazione fra soggetto che conosce e ogget-to conosciuto. E così soltanto, ammettendol’unità del Reale e l’omogeneità di tutta lacreazione, può spiegarsi la possibilità cheha il “piombo” di trasmutarsi in “oro”.

Questa conoscenza non ha nulla a chevedere col pensiero discorsivo (la ragione,

la diánoia dei Greci), è “identifi-cazione mistica”, atto transra-

zionale che si risolve – perdirla con Plotino – in unincontro di “solo a solo”. Edi conoscenza in conoscen-za si vanno saturando ilivelli della realtà “univer-

sa”, rivolta all’Uno.Ma conoscere in senso

radicale significa “realizzare”,dal momento che ogni azioneè preceduta a livello logico e

metalogico da un pensiero cor-rispondente, emanato dall’ar-

chivio cosmico della Menteinfinita che è al di là dellospazio e del tempo.

Non si ceda alla tentazionedel pampsichismo solipsista:

dire che l’universo è mentale, ideadel Divino impersonale, non signifi-

ca che tutto, almeno sul piano delrelativo, sia sogno instabile da scartareassieme al rifiuto della vita ordinaria dell’a-zione. E se anche i nostri atti individuali ecollettivi, di società, al fondo si rivelano esono manifestazione di idea e idee, ciò rive-la semplicemente la verità del processo ana-logico uomo-Dio. L’ideofania cosmica èreale, in quanto emanazione diretta del Prin-cipio, un’idea qualsiasi non ha, neppure incampo umano, minore realtà di un evento,una azione qualsiasi. Solo il suo grado direaltà è, ovviamente, più debole di quelloespresso dalla Forza trascendente, iperco-smica: sta all’individuo autotrascendersi

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• 61 •II Cinabro sintesi dello spirito, B. Parodi

alchemicamente per realizzarsi in modopiù compiuto, conforme all’idea-zione universale.

Questo progetto implica,in ogni cosa, una volontàdeterminata, il desideriocreativo; presuppone l’i -mitatio Dei secundumn a t u r a m, perché solorendendosi simili alDivino si è davverodivini nell’essenza enella manifestazioneconseguente.

La vera Alchimia èmentale, non lasciatevitrarre in inganno dalle dif-ferenze linguistiche. Quelche conta è il senso autenti-co e fondativo delle cose. Se ilmondo è musica, in quanto pro-dotto delle vibrazioni dell’unicaForza, musica come armonia dinote è il nostro pensiero, il Pensie-ro stesso come realtà autonoma. Le suevibrazioni sono di ordine più sottile, certonon percepibili a orecchio profano, oppres-so dal frastuono dei metalli vili.

L’alchimista deve dunque apprenderel’arte della trasmutazione mentale e impa-rare a vibrare su ottave sempre più elevatedella scala musicale del cosmo. Il mondo èduale nella sua espressione esteriore, unita-rio nella sua realtà interna (Dio, Allah, dico-no i Sufi islamici, è a un tempo z a h i r ebatin, “occulto” e “palese”), la materia nonè che un “precipitato” dello spirito, una suaepifania instabile, un momento del proces-so ideofanico universale.

Si sfugge al destino, agli effetti dellecause, semplicemente vibrando a una

diversa frequenza, più elevata: ilche equivale a dire che bastaimparare a pensare in modo

diverso, a manifestare undiverso stile di pensiero econoscenza per sfuggire allaruota della necessità, del

flusso incostante delle avver-sità. A tanto vale l’iniziazio-

ne, che è propriamente unoscarto ontologico, una

mutazione cosciente delproprio regime esistenziale.

Iniziarsi significa realmenteautotrascendersi, morire alla

condizione profana per rinascere aun nuovo e più puro stato di com-

prensione totalizzante.Non bisogna dunque cedere alla ten-

tazione di continuare a considerare l’alchi-mista circondato da alambicchi e provette,o con il berretto a punta. Immagine stereo-

tipata e del tutto obsoleta: fare seriamenteAlchimia non richiede alcuna esteriorità.

L’obiettivo è quello di realizzare il“cinabro”, ovvero il solfuro di mercurio.Esso è simbolo essenziale, rappresenta unmomento cruciale della ricerca interioredell’esoterista: un traguardo – certo – maanche un indizio nella riscoperta di sé, diquel Sé che è poi il vero oro filosofale. E seil Sale è la “materia prima”, la corporeità, ilMercurio l’anima e lo Zolfo lo spirito, eccoche il cinabro (variamente definito nellefonti), il cinabro dei savi è in realtà il M e r -curio sublimato, purificato, fissato al rosso,chiamato zolfo. E allora diventa quel s e r v i -

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• 62 •

tore rosso di cui parla Trevisano. Con altreparole, più moderne, il nostro “cinabro”corrisponde alla spiritualizzazione dell’ani-ma e segna la terza tappa della ascesi alche-mica, l’Opera al rossoche segue quella alnero e al bianco,egualmente indispen-sabili nella primafase della ricerca.

Con il cinabro sitratta di andare “oltrelo zero”, come ho sottoli-neato in una delle mie ultime opere. Lo“zero” non corrisponde qui al nulla e vainteso, in senso neoplatonico, come limiteestremo del mondo formale.

Con esso si varca il limite della corpo-reità, di ogni dimensione grossolana peraccedere al mundus informalis del Brah-man Nirguna, come dicono gli indù vedan-tini, l’Assoluto senza forma, il Non-essereal di là dell’Essere, la suprema potenzialitào Possibilità universale, a dirla con Guènon.

È un’impresa ardua, ma non proibitiva.La metànoia ha inizio col recupero del pen-siero intuitivo, della nóesis in luogo delladiánoia, l’estenuata ragione discorsiva eanalitica.

Con le armi del mito, del rito e del sim-bolo che alla appercezione intuitiva sonostrettamente connessi, può intraprendersi uncammino esaltante verso la “divinificazionedell’uomo”, verso la sua assolutizzazione.

Bisogna fondare una nuova gnoseologia– ricordavo in Oltre lo zero – una nuovaprassi conoscitiva che potremmo sintetizza-re in una definizione inedita: “riflessionenoetica”.

In breve, di che si tratta? A r m o n i z z a r e ,fondare nel medesimo processo la ragionediscorsiva e analitica e l’intuizione sinteticadel reale imparando a dare a quest’ultima il

primato.O c c o r r e ,

più semplice-mente, riflet-tere con lar a t i o sui datiche ci proven-gono dalla

pura appercezionetrascendentale in cui si esplicita il pensierointuitivo. Potrebbe sembrare facile, ma nonlo è. Da troppi secoli l’uomo comune del-l’Occidente ha perso la capacità di liberarele sue forze intuitive. Ma qui può aiutarlo –e in modo decisivo – l’antico pensieroorientale. Si tengano presenti i precetti sug-geriti dallo Yoga di Patanjali: l’arresto delturbinio caotico della mente, il fissare un solpunto (o oggetto, sia esso formale che infor-male), indi la concentrazione, la meditazio-ne profonda e infine l’estasi del s a m a d h i,che è propriamente una condizione di uni-versale simultaneità, di compresenza sim-patetica nel raggiungimento dell’Uno.

Aprire le porte all’intuizione comporta,innanzitutto, l’esercizio frequente dellameditazione. È solo così che la mente puòricevere la sollecitazione della coscienzacosmica che anima e presiede il Reale.

Ottenuta l’ispirazione, sarà poi possibile(e nulla lo vieta) riflettere sul dato, analiz-zarlo, ma nel modo del tutto nuovo dell’au-tentico alchimista.

La manifestazione è un arcobaleno diluce – ricorda Raphael – una combinazione

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• 63 •II Cinabro sintesi dello spirito, B. Parodi

di fuochi ritmati, condensati o radianti, cheesprime qualità focali. La massa, costituitadai fuochi condensati, deve divenire Ener-gia pura, fuoco-luce radiante,acciocché l’ente possa conqui-stare l’immortalità. La scienzaha dimostrato che la “mas-sa” può essere convertitain energia radiante ev i c e v e r s a .L’Arte peren-ne e sacra, da tempiimmemorabili, ha inse-gnato a vivere questaverità. Chi si accosta all’Arte, si accosta alFuoco, e il Fuoco può imprigionare, rende-re mortali, oppure dare la liberazione el’immortalità. Se studiamo i nostri Fuochicondensati, reazioni psicofisiologiche ego-centriche, ci accorgiamo di quanto ci abbia-no reso metallizzati, riduttivi e unilaterali.C’è da stupirsi di quanto il nostro Oro siastato costretto in una caverna di piombo.

La “Via del Fuoco” ci dice che il nostropiombo è possibile trasmutarlo in oro: il“futuro” è nelle nostre mani, la radianza è innoi e solo noi possiamo sprigionarla e ren-derla manifesta. La comprensione dei nostriFuochi interni ci svela la sintesi della nostra

vita; la comprensione dei Fuochi universalici svela il Fuoco dell’Essere; l’identità conla Essenza del Fuoco ci svela la Realtàsuprema non-manifesta. La “Via del Fuoco”

non è scritta nei libri, non èmodellata sulla carta

perché non è fruttodi erudizione. La“ Via del Fuoco”nasce, cresce e sirisolve nel viverecreativo; si matu-

ra nella sperimenta-zione diretta, nella consapevolezza di esse-re. Nella nostra “fornace” sono compresi ilFuoco, la genesi del Fuoco, la via che con-duce alla conoscenza del Fuoco e alla stes-sa soluzione del Fuoco. Non cerchiamo di“trasformare” gli altri. Trasformiamo noistessi. Solo la nostra compiutezza rendecompiuto lo spazio di vita che ci circonda.La “Via del Fuoco” è risolversi per risolve-re. La Via dell’Immortalità si svela a chi,con dignità, sa “morire” stando in piedi.

Ed è ancora Raphael a sottolineare: B e a -to colui che sa costruirsi una “tomba” conle proprie mani. La morte dei Saggi non è lamorte di coloro che ignorano l’Arte.

Riferimenti bibliografici

Burckhakdt, T. (1981) Alchimia. Guanda, Milano.

Eliade, M. (1980) Arti del metallo e Alchimia. Boringhieri, Torino.

Gilchrist, C. (1983) L’Alchimia. Xenia, Milano.

Parodi, B. (1986) L’iniziazione. Pungitopo, Marina di Patti.

Parodi, B. (1992) Oltre lo zero. Pungitopo, Marina di Patti.

Raphael (1986) La triplice via del fuoco. Asram Vidya, Roma.

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L’opera dell’artista Giorgio FacchiniIl piccolo formato della scultura in una medaglia del Bicentenario del Grande Oriente d’Italia

La medaglia è stata un ornamento, un sigillo d’arte minore. Rappresentava una didattica “storica”. A n che la medaglia degli artisti diventa una rappresentazione scultorea con le carat t e r i s t i chedi una pre-cisa visibilità moderna e contemporanea.La mini scultura re a l i z z ata dall’artista Giorgio Fa c chini per il Bicentenario della Massoneria Italiana 1805-2005, riflette nel definito labirintico simbolico, alcuni dettagli: luna, sole, occh i o, capitello, squadratura diun pav i m e n t o, terra, acqua, che evidenziano una capacità di liberarsi dalle limitazioni ogg e t t i ve, in unprogetto di un nuovo interesse visivo.La medaglia è coniata in 150 esemplari in bronzo con bagno galvanico di doratura; è inserita in un con-tenitore di perspex con una custodia a libro nera.

Per ordinare l’opera: studio di Giorgio Facchinitel. 0721.802849 Fax 0721.838609E-mail: [email protected]

Nato a Fano nel 1947. Studia a Fano e Venezia. All’età di 10 anni frequenta la bottega orafa di un grande arti-giano dove apprende le conoscenze tecniche. Successivamente, l’incontro con lo scultore Mannucci è determi-nante per la sua fo rm a z i o n e. Opera nelle Marche (a Fa n o, sua città nat a l e, ha lo studio) e Milano, dove è docentedi Discipline plastiche all’Accademia di Belle Arti di Brera. Straordinario quanto realizza nella piccola dimen-sione scultorea; gioielli, medaglistica, oggetti, un filo conduttore che si unisce all’ampiezza della grande scultura.

Foto di P. Mosconi

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HIRAM, 1/2006Direttore: Gustavo RaffiDirettore Scientifico: Antonio PanainoCondirettori: Antonio Panaino, Vinicio SerinoVicedirettore: Francesco LicchielloDirettore Responsabile: Giovanni LaniComitato Direttivo: Gustavo Raffi, Antonio Panaino, Morris Ghezzi, Giuseppe Schiavone, Vinicio Serino, Claudio Bon-vecchio, Gianfranco De Santis

Comitato Scientifico:Presidente: Orazio Catarsini (Univ. di Messina)Giuseppe Abramo (Saggista) - Corrado Balacco Gabrieli (Univ. di Roma “La Sapienza”) - Pietro Battaglini (Univ. di Napoli) - Euge-nio Boccardo (Univ. Pop. di Torino) - Eugenio Bonvicini (Saggista) - Giuseppe Cacopardi (Saggista) - Giovanni Carli Ballola (Univ.di Lecce) - Paolo Chiozzi (Univ. di Firenze) - Augusto Comba (Saggista) - Franco Cuomo (Giornalista) - Massimo Curini (Univ. diPerugia) - Eugenio D’Amico (LUISS di Roma) - Domenico Devoti (Univ. di Torino) - Ernesto D’Ippolito (Giurista) - Santi Fedele(Univ. di Messina) - Bernardino Fioravanti (Bibliotecario del G.O.I.) - Paolo Gastaldi (Univ. di Pavia) - Santo Giammanco (Univ. diPalermo) - Vittorio Gnocchini (Archivio del G.O.I.) - Giovanni Greco (Univ. di Bologna) - Giovanni Guanti (Conservatorio Musi-cale di Alessandria) - Giuseppe Lombardo (Univ. di Messina) - † Paolo Lucarelli (Saggista) - Pietro Mander (Univ. di Napoli L’Ori-entale) - Alessandro Meluzzi (Univ. di Siena) - Claudio Modiano (Univ. di Firenze) - Massimo Morigi (Univ. di Bologna) - Gian-franco Morrone (Univ. di Bologna) - Moreno Neri (Saggista) - Maurizio Nicosia (Accademia di Belle Arti, Urbino) - Marco Novari-no (Univ. di Torino) - Mario Olivieri (Univ. per stranieri di Perugia) - Massimo Papi (Univ. di Firenze) - Carlo Paredi (Saggista) -Bent Parodi (Giornalista) - Claudio Pietroletti (Medico dello sport) - Italo Piva (Univ. di Siena) - Gianni Puglisi (IULM) - MauroReginato (Univ. di Torino) - Giancarlo Rinaldi (Univ. di Napoli L’Orientale) - Carmelo Romeo (Univ. di Messina) - Claudio Saporet-ti (Univ. di Pisa) - Alfredo Scanzani (Giornalista) - Michele Schiavone (Univ. di Genova) - Giancarlo Seri (Saggista) - Nicola Sgrò(Musicologo) - Giuseppe Spinetti (Psichiatra) - Gianni Tibaldi (Univ. di Padova f.r.) - Vittorio Vanni (Saggista)

Collaboratori esterni:Giuseppe Cognetti (Univ. di Siena) - Domenico A. Conci (Univ. di Siena) - Fulvio Conti (Univ. di Firenze) - Carlo Cresti (Univ. diFirenze) - Michele C. Del Re (Univ. di Camerino) - Rosario Esposito (Saggista) - Giorgio Galli (Univ. di Milano) - Umberto Gori( U n i v. di Firenze) - Giorgio Israel (Giornalista) - Ida Li Vigni (Saggista) - Michele Marsonet (Univ. di Genova) - Aldo A. Mola (Univ.di Milano) - Sergio Moravia (Univ. di Firenze) - Paolo A. Rossi (Univ. di Genova) - Marina Maymone Siniscalchi (Univ. di Roma“La Sapienza”) - Enrica Tedeschi (Univ. di Roma “La Sapienza”)

Corrispondenti esteri:John Hamil (Inghilterra) - August C.’T. Hart (Olanda) - Claudiu Ionescu (Romania) - Marco Pasqualetti (Repubblica Ceca) - Rudolph Pohl(Austria) - Orazio Shaub (Svizzera) - Wilem Van Der Heen (Olanda) - Tamas’s Vida (Ungheria) - Friedrich von Botticher (Germania)

Comitato di Redazione: Guglielmo Adilardi, Cristiano Bartolena, Giovanni Bartolini, Giovanni Cecconi, Guido D’Andrea, OttavioGallego, Gonario GuaitiniComitato dei Garanti: Giuseppe Capruzzi, † Massimo Della Campa, Angelo Scrimieri, Pier Luigi Te n t i

Art director e impaginazione: Sara CircassiaStampa: E-Print s.r.l. - Via Empolitana, Km. 6.400 - Castel Madama (Roma)Direzione - Redazione: HIRAM - Grande Oriente d’Italia - Via San Pancrazio, 8 - 00152 Roma - Tel. 06-5899344 fax 06-5818096Direzione editoriale: HIRAM - Via San Gaetanino, 18 - 48100 RavennaRegistrazione Tribunale di Roma n. 283 del 27/6/94E d i t o r e: Soc. Erasmo s.r.l. - Amministratore Unico Mauro Lastraioli - Via San Pancrazio, 8 - 00152 Roma - C.P. 5096 - 00153 RomaOstienseP.Iva 01022371007 - C.C.I.A.A. 264667/17.09.62Servizio abbonamenti: Spedizione in Abbonamento Postale 50% - Tasse riscosse

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HIRAM viene diffusa in Internet sul sito del G.O.I.: www.grandeoriente.itE-mail della redazione: [email protected]

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EDITORIALE

Laicità e Postmodernità Elementi di riflessione in margine ad un discorso intorno

alle prospettive dell’identità massonica europea di fronte alla crisi del “moderno”

di Gustavo Raffi

Gran Maestro del Grande Oriente d Italia

Contemporary world presents a number of complex problems derived from theexplosion of religious fundamentalism, which has assumed an overwhelming socialimpact. Continuous attacks against Modernity and Statal independence in thename of the (various) theological truths open a new framework, where the laicalspace is accused of relativism, and where common social and legal rules risk to besubjected to strict confessional concepts to be imposed on the entire community. Inthis context, the traditionally tolerant and laical approch of Freemasonry comes toassume again a meaningfull cultural role, which underlines the positive functionof any religion, but in the clear respect for the independence and the autonomy ofthe laical State.

he il mondo moderno sia incrisi appare tremendamentepalese: lo scenario inter-

nazionale ha visto non solo il progressivodelegittimarsi degli organismi internazio-nali, spesso incapaci di agire oppure messiin condizione di non poter svolgere il pro-prio mandato, ma anche il ritorno semprepiù marcato delle ideologie religiose comesurrogato, di norma fondamentalista, delladialettica tra società e culture diverse. La

stessa progressiva politicizzazione dellareligione, sia sul piano mondiale, sianazionale, appare come un fenomeno diantimodernità, giacché il suo radicalismoapre scenari in cui il ruolo dello Stato e, conesso, la sua sovranità, garante del legamesociale, corrono il rischio di essere forte-mente limitati. Sebbene la difficile dialetti-ca tra libertà e sovranità, tra coscienza indi-viduale e valori propugnati dai singoli grup-pi di pressione e di influenza etico-culturale

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• 4 •EDITORIALE

e religiosa, tra pulsioni alla chiusuraautoidentitaria e multiculturalismo, costitu-isca una delle sfide necessarie e positivelungo il cammino dell’ininterrotto processodemocratico volto alla costruzione di unasocietà aperta (ma non per questoinsicura), la messa in discussionedello spazio laico dello Stato ela “ripoliticizzazione” dellefedi, tendenti in sostanza aproporsi come comunitàalternative, disegna scenarimolto pericolosi.

Di fatto, ci troviamo difronte al rischio che, in unnumero crescente di campi(matrimonio, divorzio, fecon-dazione, aborto, scuola, etc.) sivengano a limitare gli spazi di libertàindividuale. Tale fenomeno prende corposulla base non di considerazioni storico-sociali e (soprattutto in determinati contesti)scientifiche, fondate, quindi, anche sull’op-portunità e sul rispetto delle diverse sogget-tività in gioco, bensì in nome di fondamen-ti teologici, pur legittimi in se stessi (nel-l’ambito dell’autonoma autodeterminazio-ne etica dei credenti), ma che verrebberoimposti indistintamente a tutto il corpo del-la società proprio attraverso lo Stato. Que-sto tentativo di pretendere uno spazio pub-blico sempre più rilevante per le Chiese,spazio mai negato, ad esempio, proprio inItalia, a tutte le religioni, ma ora rivendica-to come se in questo paese si fosse vissutiper decenni nel periodo del Terrore aperto-si con la Rivoluzione Francese, è una chia-ra richiesta allo Stato di autoriduzione delsuo potere e delle sue prerogative a favore

delle autorità religiose; ovvero, tale aspira-zione si declina come la manifestazione diun aperto desiderio di riacquisizione di uncampo precedentemente reputato equidi-

stante (almeno in linea teorica), in cuilo Stato doveva essere l’arbitro

delle libertà e delle diversi-tà dei cittadini, mentre

oggi dovrebbe acco-gliere come un nuovocollante spirituale edidentitario il suppor-to proveniente dallegerarchie ecclesiasti-

che. In altri termini,lo Stato non dovrebbe

più cercare di consolida-re, attraverso una sua dialet-

tica interna, capace di mediarela complessità culturale del corpo sociale, ilprincipio di garanzia dell’individuo, madovrebbe attingere nelle sue deliberazioni enei suoi orientamenti alla fonte “superiore”espressa proprio dall’istanza religiosa.

Queste considerazioni possono sembra-re forti, ma le controtendenze apertesi nellasocietà contemporanea e così violentemen-te indirizzate a ridisegnare lo spazio laico,come una “Terra di Nessuno” tra fedi dallacrescente aggressività, ci lascia molto per-plessi e preoccupati. Infatti, una volta aper-to il varco, la distinzione tra fedi diversediverrà impossibile e la richiesta di conce-dere spazi ulteriori alle istanze delle comu-nità non solo cristiane, ma islamiche o dialtre fedi, spesso prive nella loro versioneoperativa di alcuna seria distinzione tra teo-logia e diritto civile, sarà inevitabile. Lafunzione fondamentale delle religioni nella

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• 5 •Laicità e Postmodernità, G. Raffi

società moderna, il cui ruolo non deve esse-re sminuito, come sottolinea lo stesso J.Habermas in modo esplicito nello stimolan-te dialogo con Joseph Ratzinger, tro-va una maggior libertà nell’au-tonomia reciproca tra Stato eChiese ed in modo parti-colare nella forte capaci-tà etico-morale dellefedi diverse di costitui-re uno spazio ulterioredi discussione e diarmonia.

Forme aggressive difondamentalismo attra-versano tanto il mondoislamico, quanto quello cri-stiano, sia cattolico sia prote-stante. La recente vicenda delle“vignette danesi” ha assunto proporzionistupefacenti, ma istruttive. Al di là di ogniconsiderazione sull’opportunità o meno del-le singole immagini, resta il principio chealla satira si risponde con la satira, con lapolemica, con l’invettiva arg o m e n t a t i v a ,non con l’incendio delle rappresentanzediplomatiche o con sfilate di bambini tra-sformati in volenterosi, quanto ignavi, mar-tiri esaltati della fede contro l’Occidenteblasfemo. La faziosità non dialoga, emettesentenze contro un intero mondo, vuoleteste e sangue; non conosce neppure l’armadella dialettica o della replica. Da questopunto di vista, quanto avvenuto mostra l’in-capacità di una società ancora pre-moderna(ossia non laica), di utilizzare, anche da unpunto di vista religioso, uno spazio laico,che preveda non il rogo, ma la discussione,la polemica e l’ironia. Mostra anche l’inca-

pacità di capire che alcuni occidentali noncondividono affatto il contenuto e/o la for-ma di tali vignette, ma riconoscono, secon-

do il principio della libertà di stam-pa, il diritto di pubblicarle,

salvo poi esprimere riserveo, se necessario, intra-

prendere altri e più cir-costanziati atti giudi-ziari contro il lorocontenuto. L’ i c o n o-clastia islamica nongiustifica la violenzamanifestata contro la

pubblicazione di talivignette, ma, in questo

caso, la politicizzazionedella sfera religiosa rende

ogni distinzione impossibile. Pro-prio per questa ragione, la difesa della laici-tà, della sua autonomia rispetto all’istanzareligiosa, che, anzi, deve, per dialogare,accettare le regole della dialettica e del con-fronto, non quelle del tribunale religioso, èimprescindibile ed estremamente attuale.Essa distingue e denota la nostra Moderni-tà, o meglio accompagna la transizione allaPost-Modernità, nonostante gli attacchimolteplici e concentrici alla sua legittimità.

Infatti, sempre in questo contesto, dob-biamo notare che alcuni pensatori di casanostra da qualche tempo si sono scagliaticon inusitata virulenza contro il relativismotipico della Modernità nel nome della veri-tà assoluta di cui sarebbero gli indiscussilatori. In tale complesso scenario, gli attac-chi contro la Massoneria si sono moltiplica-ti, giacché la Libera Muratoria viene consi-derata, a torto o a ragione, il laboratorio ori-

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• 6 •EDITORIALE

ginario di questa Modernità da imbrigliaree riportare nei limiti della “fede” e non inquelli della memorabile“ragione”, tanto tempo orsono vagheggiata da Kant.Una Ragione, quella a cui ciispiriamo, che non si con-trappone alle fedi, ma checostituisce lo spazio di liber-tà critica, in cui le diversitàdialogano tra loro e cercanodi fondare una società che sidistingua per le sue apertu-re, piuttosto che per le chiu-sure. In tal senso – è forseparadossale – la Massoneria appare piena-mente ritornata a svolgere, soprattutto neipaesi latini come in quelli islamici, un ruo-lo storico ed etico-culturale. Non club eliti-sta, bensì cenacolo interculturale, spaziodialogico, luogo di confronto tra uomini difedi e orientamenti diversi, ma, all’internodella laicità dello Stato e della democrazia,soggetti pienamente compatibili, anzimutualmente stimolanti e arricchenti.

Chi pensava, in buona o mala fede, chela Massoneria fosse un’anticaglia ammuff i-ta da secoli è costretto ora a ricredersi. Ilnostro compito storico, reso ovviamentemolto più difficile dalla complessità socialedel post-moderno e dai fenomeni di globa-lizzazione, è ritornato ad essere molto piùsignificativo di quanto si potesse vagamen-te sperare. Diversi secoli di storia ci hannoinsegnato qualche cosa; non ci interessacadere, o ricadere, in una sorta di anticleri-calismo di bandiera o violare in qualsivo-glia forma i princìpi fondamentali dellanostra sociabilità esoterica e spirituale, ma

non cesseremo di esercitare il nostro dirittodi parola e di espressione come voce atten-

ta e attuale della contempora-neità. Né mancheremo diesprimere il nostro biasimoverso quelle espressioni difondamentalismo illiberale,che intendono ridurre la filo-sofia, il diritto e soprattutto lascienza a povere ancelle dellateologia, di qualsivoglia teo-logia. Da questo punto divista, nella libertà di ricercache ciascun massone ha intra-preso, noi ci muoviamo arma-

ti di una sorta di fede filosofica, che rispet-ta le Fedi rivelate, ma che difende lo spaziolaico della libertà, inteso come il luogoaperto alle diversità, di per se stesso, per suacostituzione, garante anche delle religioni,della loro autonomia e del loro pensiero.

A più riprese abbiamo anche chiarito dinon essere affatto dei relativisti, nel sensocon cui tale termine viene inteso da alcuniteologi. La Massoneria non mette in discus-sione le verità rivelate delle diverse fedi eper giunta non nega l’esistenza di una veri-tà suprema. D’altro canto, la Libera Mura-toria ritiene che la storia abbia dimostratoche le verità religiose spesso sono stateapplicate secondo schemi relativi e contin-genti, ossia di natura storico-politica, checon la Verità poco o nulla hanno da condi-videre, mentre propugna l’idea che propriol’esercizio critico del dubbio, della ricercaaperta, abbia molto più contribuito al benes-sere della società (nonché degli stessi fede-li delle diverse religioni) della cieca obbe-dienza a verità assolute. La politicizzazione

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• 7 •Laicità e Postmodernità, G. Raffi

di tali verità teologiche, proprio perché noinon costituiamo un’associazione politica oimpegnata direttamente nell’agone politico,ci sembra una forma dannosa di relativi-smo, giacché la mancan-za di ogni disponibilitàad accettare il principiodi verifica e falsificabi-lità, proprio, ad esempio,delle teorie scientifiche efilosofiche, rende la rap-presentazione della real-tà (e soprattutto la soluzionepratica dei problemi) dog-matica e valida solo all’in-terno di uno schema pre-determinato, ovvero relati-vo e circoscritto alla“cornice” di una determi-nata e inevitabilmentelimitata prospettiva. A lcontrario, dal nostro puntodi vista, la verità resta un fine, che non pos-sediamo, ma che ci costringe ad una conti-nua ricerca e ad una inevitabile altrettantocontinua autocritica.

Il fatto di non avere un compito politico,di non essere per nulla assimilabili ad unpartito, né di voler assolutamente surrogareil compito di tali legittime istituzioni dellasocietà democratica, ci permette di avereun’autorevolezza etica straordinaria, perchéle nostre idee, le nostre proposte non sonosoggette ad un andamento elettorale, a son-daggi o a compromessi opportunistici. Pos-

siamo, quindi, permetterci di insistere conforza, come si diceva, sempre in modo cri-tico ed autocritico, su tutti i valori indero-gabili della laicità – lo ribadiamo – intesa

come forma dellaModernità demo-cratica, della cre-

dibilità dello Stato edella serenità della

società civile. A c o l o-ro ai quali non piace

la Modernità – enon piace a molti,

se le invettive acriti-che e generalizzate,

quasi da stadio, controil pensiero moderno e

illuminista, si sonoripetute con unafoga martellante –,rispondiamo che il

ritorno all’A n c i e nRégime ci sembra molto più pericoloso, enon cambierebbe molto se a guidarlo fossea questo punto una qualsivoglia autoritàreligiosa, magari nascosta dietro un poterelaico eteroguidato o continuamente “ispira-to” (spesso, non per ragioni etiche, ma solodi opportunità contingente e tattica) o, peg-gio ancora, se, in ogni Stato, le Religioni siaccordassero per spartirsi la loro fetta dispazio politico ed il loro diritto secolare,all’interno di un labirinto di comunità sepa-rate ma potenzialmente in guerra e non piùin una società veramente aperta.

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L’influenza della Cabalà nel Rinascimento

di Giuseppe Abramo

Gran Segretario del Grande Oriente d Italia

(Palazzo Giustiniani)

The wish of research and the anxiety of inquiry, peculiarities of that age so rich ofturmoils and developments, to be defined - and with some reason - “unrepeatable”in the history of thought, was not able to escape from the fascination and from theinfluence of the Cabala, a doctrine with a deep spirituality, which often, fraudu -lently or guiltily, has been ignored by the “official culture”, or it has been misin -terpreted in its real essence.After having searched for a not easy definition of the Cabala itself and of some of itsleading ideas, and after having claimed to the Jewish genius the originality of theessence of the cabalistic thought, in confrontation with other cultures, the Authoranalyzes the enormous interest caused by the Cabala, in the age of the flourishingof the Humanistic studies and of the Renaissance, and the involvement, not occa -sional, but deep and conscious, of important personalities, great protagonists of theevolution of thought, not only of that age.

Il mondo della Cabalà

Nessuna scienza può essere più efficacea dimostrare la divinità di Cristo che nonla Magia e la Cabalà.

osì affermava Pico dellaMirandola per testimoniarel’interesse che gli Umanisti del

Rinascimento riservarono alla Cabalà, del-la quale certamente subirono il fascino el’influenza, e non solo alla “magia” oall’“ermetismo” o all’“alchimia” come, raf-

finati e profondi studiosi – con particolaririferimenti alla cultura ermetica e magicadel Rinascimento senese – hanno brillante-mente documentato nei loro articoli sag-gistici pubblicati nel n. 3/2005 di H i r a m,numero quasi monografico.

Ciò premesso, anche se tra le righe diquesti scritti di H i r a m e m e rge con suff i-ciente chiarezza che la “magia” non impedìné contrastò gli studi cabalistici, l’interesseper la Cabalà, che l’impegno del quotidianonon sempre mi consente di coltivare comevorrei, mi spinge a raccogliere lo stimolo

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alla ricerca, per tentare di ritagliarmi nel-l ’ a ffascinante, pur se com-plesso mondo della Caba-là un piccolo “spazio” diriflessione e di studio,che, devo confessare, nonsembra proprio privo did i fficoltà, anche perché,in effetti, questo “spazio”forse riguarda uno deiprimi, se non il primovero e serio approcciooccidentale alla tradizio-ne ebraica e cabalista.

Tuttavia, per entrare, per così dire, nelcuore dell’argomento, è necessaria qualchepremessa.

Un’ormai antica impostazione mentale oculturale mi spinge, ogni qualvolta mi trovoad affrontare un tema di studio e di rifles-sione, a fissare, con ogni possibile chiarez-za, i termini che delimitano gli elementi daindagare.

Ma, in questo caso, ritengo di dover met-tere da parte l’antico sistema, dato che un’e-sposizione, sia pure sintetica, delle caratte-ristiche proprie della Cabalà o del Rinasci-mento rasenta l’impossibile, essendo quan-to meno necessario uno spazio assai piùampio di quanto ci si possa permettere inquesta sede.

Tuttavia, pur dovendo sacrificare l’anticaconsuetudine metodologica di studio, credoche sia necessario fare qualche sforzo peravvicinarci ad almeno uno dei due terminiin esame, vale a dire la Cabalà, e cercare diindividuare quanto più è possibile l’oggettodella nostra indagine, o almeno una suaidea-guida.

Cominciamo perciò con il definire laCabalà non solo come la

corrente più vitale edoriginale del Giudai-smo, che partendo daantichissimi movi-menti mistici arrivafino alla grande fiori-tura del classicismomoderno, ma anchecome una dottrina diprofonda spiritualitàche spesso, con doloo con colpa, è ignora-

ta dalla “cultura ufficiale” o male interpre-tata nella sua vera essenza, nonostante l’in-fluenza esercitata nei secoli su tante attivitàdel pensiero. Si può pertanto affermare che,ancora oggi, in parte anche nella culturaebraica in cui affonda le proprie radici, laCabalà sia un po’ una “Cenerentola” dellacultura e della conoscenza esoterica.

Ma che cosa significa Cabalà?Propriamente significa “tradizione”, in

un certo senso orale, di fronte alla “scrittu-ra” della Torà. Inoltre se la Torà si rivolgealla folla dei fedeli, passivamente prostratidavanti al Tabernacolo del Santo dei Santi,la Cabalà viene sussurrata all’orecchio deipiù mistici ed impegnati dei Sapienti.

Quali sono le sue fonti?Ve ne sono di leggendarie. Infatti, molti

cabalisti, negano l’esistenza di un qualun-que sviluppo storico nella Cabalà, in quan-to per molti essa è una rivelazione primor-diale concessa ad Adamo o alle prime gene-razioni. Questa particolare natura dellasapienza esoterica venne espressa in opere

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apocrife come il Libro di Enoch ed è addi-rittura riportata dallo stesso Zohar.

È anche abbastanzanota ed accettata laleggenda secondo laquale la Cabalàsarebbe la parte eso-terica della Leggedata a Mosè sulSinai.

Mosè si contrap-pone ad Aronne, ilSacerdote, perché, ad i fferenza del primo, questi poteva tradurrela verità per il popolo e talvolta ripiegare sulVitello d’Oro, più adatto a ridestare la loroobbedienza e ad accendere il loro fanati-smo. Mosè invece aveva diretto contattocon Dio, e non poteva tradire la Verità anessun costo. Pertanto ad Aronne spettava ilricorso alla Torà; Mosè invece aveva acces-so alla Torà ma soprattutto alla Cabalà, lasua essenza più profonda e nascosta.

Questo rapporto, con acuta sensibilità,direi non solo musicale, ha ben messo inevidenza A r n o l d S c h o e n b e r g nel suo M o s e sund Aaron.

Ma anche a prescindere dalle sorg e n t ileggendarie e mitiche della Cabalà, le sueradici effettivamente storiche sono nobilis-sime. Gershom Scholem, una delle massimeautorità negli studi cabalistici, in una dellesue opere più famose1 così si esprime:

[la Cabalà] […] in quanto fenomenostorico nell’ebraismo medievale, è nata inProvenza, o più esattamente nella sua par -

te occidentale in Linguadoca. Di là è statatrapiantata nel primo quarto del secolo

XIII, in Aragona e in Casti -glia, dove in seguitodoveva conoscere il suoclassico svolgimento.Essa rappresenta dun -que una manifestazionedella vita ebraica nel -l’Occidente cristiano.

Pur accettando sostan-zialmente il discorso del-

lo Scholem, che, come abbiamo visto, aff e r-ma che la Cabalà come fenomeno storiconasce nel XIII secolo, dobbiamo dire che ilsuo è uno svolgimento lungo e vario, checopre un periodo di quasi duemila anni.

Infatti, la fase iniziale, che è anche la piùlunga, si può far risalire ad almeno un seco-lo prima della nascita di Cristo, mentre lesue ultime manifestazioni giungono fino a inostri tempi.

Per comodità quindi possiamo distingue-re due periodi: il primo, quello che si esten-de fino al XIII secolo, ed è il periodo dellacrescita graduale, dello sviluppo e del pro-gresso della dottrina cabalistica, il secondoè quello che va dal XIV secolo in poi e cheha avuto alterne vicende.

Lo Z o h a r (XIII sec.), vero tesoro, sup-porto e codice del sistema, costituisce l’api-ce nella storia della Cabalà, ma non vacomunque dimenticato che la letteraturacabalistica vanta almeno tremila volumiediti ed un numero ancora maggiore di testiinediti.

1 Sholem 1965.

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Per mantenerci in un campo non leggen-dario né mitico ma, per quanto possibilestorico, possiamo individuare una primaepoca della mistica ebraica che, senza dub-bio, ebbe una non trascurabile influenza sul-lo sviluppo posteriore della Cabalà. Si trat-ta di quelperiodo che,r a c c o g l i e n d ol’eredità del-l’opera diesegesi dellaTorà iniziata-si con i S o f e -r i m a p p r o f o n-dita dai T a n n a ì m e dalle Scuole targumi -c h e, passando per l’epoca della composizio-ne della doppia redazione del T a l m u d, vedesviluppare ai margini della letteratura tradi-zionalista della Torà un’importante circola-zione d’idee che assumeranno corpo e con-sistenza dottrinaria.

Le tracce di queste dottrine sono chiara-mente riscontrabili nel T a l m u d, ma la lorogenesi è estremamente complessa, ancheperché non si può escludere una certainfluenza di correnti mistiche riservate esegrete (come del resto gli scavi di Qumranci hanno confermato e dai quali è emersocon chiarezza che gli Esseni, gli A u t o r idegli ormai famosi rotoli, avevano unaimpostazione cabalista) né di correnti dipensiero filosofico greco-alessandrino; inverità la Cabalà, come meglio vedremo, pursfiorata o coinvolta da altri sistemi di pen-siero, assorbì quel tanto o quel poco che eracongeniale alla tradizione ebraica e sostan-zialmente riespresse concetti già aff r o n t a t icome idee assolutamente originali.

La mistica ebraica ebbe origine dunquein Palestina e certamente venne praticatanelle cerchie dei più importanti rappresen-tanti della M i s h n à rabbinica ortodossa.M i s h n à significa “ripetizione, insegnamen-

to” e rappresenta ilnucleo sostanzialedella “Legge orale”del Giudaismo e del-la raccolta canonicadella giurisprudenzascritta dei Tannaìm.

Inoltre il T a l m u driferisce più volte di

discipline esoterichefiorite nell’ambito dell’esegesi biblica. Sitratta dei Sitrè Torà (“Misteri della Legge”)che assumono il doppio aspetto di M à a s e hM e r k a v a h – “Opera del Carro” o “del Tr o-no” – e di Màaseh Bereschith – “Opera del-la Creazione”.

Sempre nel T a l m u d (Hag. 12a), in temadi mistica del B e r e s c i t h, troviamo evidentitracce di quell’ideologia della parola crea-trice che tanta importanza avrà nel S e f e rY e t z i r a h (“Libro della Formazione”, unadelle più antiche opere di Cabalà) e forse leprime tracce di quelle che saranno poi ledieci Sephiroth:

Dieci cose furono create nel primo gior -no, e cioè Cielo e Terra, Deserto e Vuoto,Luce e Tenebre, Aria ed Acqua, e la Divi -sione della Notte e del Giorno.

D e v a r i m, che in ebraico significa “detti,parole”, è il termine usato per indicare que-ste dieci realtà archetipali che non sonoaltro che lo strumento creativo di cui si ser-ve la divinità. Ecco il “Verbo” di cui tanto si

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disputerà, ecco i “dieci detti” con i qualiDio crea l’universo. Se leggiamo la storiadella creazione, sebbene Dio parli più didieci volte, solo diecivolte è scritta la fraseVAIOMER ELOHIM,“e Dio disse”. La pri-ma di tutte è il fiat lux:Vaiomer Elohim iehi orve-iehi or, “e Dio dissesia la Luce e la Lucefu” (1,3).

Lasciati i lidi sicuri della storia e dellatradizione, più arduo è affrontare il mareaperto delle concezioni cabalistiche e tenta-re, non dico di penetrare, ma almeno diavvicinarsi alla Cabalà, e magari cercare didarne una definizione, il che non solo èestremamente difficoltoso, ma ogni tentati-vo in tal senso non può che essere assoluta-mente inadeguato. Infine, va anche consi-derato che la Cabalà non è un sistema unicoche può essere definito e spiegato in manie-ra sistematica, ma consiste piuttosto in unamolteplicità di sistemi con vari approccispesso separati e talora completamentediversi l’uno dall’altro.

Ciò premesso, dobbiamo, comunque,sforzarci di individuare quanto più è possi-bile l’oggetto della nostra indagine, o alme-no una sua idea-guida.

La Cabalà, per le piccole e modeste ideeche siamo riusciti a costruirci, può esseredefinita come la scienza dei rapporti con il

divino che si avvale di un complesso di tec-niche, anche rituali e talora ascetiche, perinstaurare tali rapporti.

L’idea fonda -mentale che nondeve mai essereignorata è l’as -soluta inade -guatezza dellacreatura a pene -trare il misterod e l l ’ e s s e n z aintima di Dio e

della possibilità, invece, di accedere allasfera del numinoso attraverso le manife -stazioni del divino.

Pertanto, stadi successivi di illuminazio-ne conoscitiva porteranno all’esperimenta-zione di piani e di livelli diversi dove lacontingenza storica annulla la sua presa sul-l’io che si avvicina e/o si unisce al numino-so, senza però che avvenga un totale o fina-le annullamento, come spesso accade intanti ambiti religiosi.

Nella Cabalà, anche in quella più antica,lo scopo viene raggiunto attraverso unaduplice possibilità. Si tratta di quelle chepossiamo chiamare le due anime dellaCabalà, non sempre scindibili e separabili:la tendenza estatico-profetica e quella teo-sofico-speculativa2.

La prima si connette alla via mistica edoperativa, nota come Opera del Trono o delCarro: il ritorno all’origine è realizzatoattraverso una esperienza psico-fisica tra-

2 Di Nola, 1984: 97-103.

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sformante (l’estasi), nella quale le cono-scenze intellettuali hanno un fine che pos-siamo definire preliminare, di esercitazionepreparativa all’unione mistica.

Tutta la letteratura diriferimento di questa via è ilracconto della visione di Eze-chiele: quindi viaggi fanta-stici attraverso mondi altret-tanto fantastici.

La seconda, il cabalismoteosofico e speculativo è unavia tipicamente conoscitiva,connessa all’Opera dellaCreazione, all’ideologia dellinguaggio e della scrittura: in essa si operaattraverso un’ascesi della mente, trasforma-ta nelle sue attitudini conoscitive e resacapace di accedere al luminoso.

La letteratura di riferimento di questaseconda via è il racconto della creazione: siparte dunque dalla visione cosmogonica peraggiungere poi momenti teosofici e specu-lativi di natura diversa3.

In tale ultima via conoscitiva e speculati-va, la Cabalà, oltre che come commentoalla T o r à, è anche vista come un secondosenso da attribuire alla Bibbia e di conse-guenza, in tale contesto, assume una parti-colare importanza la parola, la quale aiuta ascoprire una serie di “chiavi” adatte a spie-gare vari “modi di essere” dell’Universosensibile e di quello sottile. Ogni realtà può

essere “captata”, “sentita”, “vissuta” sudiversi piani e in diverse tonalità. La parola(orale o scritta) è una conseguenza di fone-mi o segni grafici (come forma, mai casua-

le, ma sempre portatrice diarcane significazioni) o un

simbolo, o un significato. Inogni caso essa è un’orma diDio e nello stesso tempo unmezzo strumentale evocativo.

Lo Zohar – la summa dellasapienza cabalistica – non èaltro che un commento allaT o r à, ma un commento del

tutto particolare: fattoparola per parola, o meglio lettera per lette-ra, segno per segno, che penetra in una pro-fondità d’intensa e luminosa spiritualità chesi eleva in esaltanti vicinanze con Dio.

Tuttavia, una delle prime difficoltà che siincontrano quando si affronta un testo caba-listico è l’assenza di una struttura logica, nelsenso della logica filosofica moderna.

Invece di un argomento che viene svoltoseguendo una linea sintattica e morfologicaintellettuale, troviamo una struttura assaidiversa, più intima, più legata a quella chesi potrebbe chiamare la “logica del cuore”.

La tecnica è più musicale che letteraria ofilosofica: c’è un “soggetto”, un “contro-soggetto”, un “trattamento”, uno “svilup-po”. Non mancano le “variazioni”, né il“contrappunto” – attento a tutti gli echi e

3 Solo per completezza di esposizione, ma sostanzialmente rifiutandola, insieme ai maestri cabali-sti, dovremmo far cenno della cosiddetta Cabalà pratica, e cioè quell’insieme di tecniche di magia operati-va, di difesa, di offesa, di potenza, che risulta dall’applicazione per fini utilitaristici di princìpi di cabalismoteoretico, il quale ne esce assolutamente profanato.

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alle profonde risonanze intime dell’Autore– né l’“armonia” che trasforma la lettura inun raffinato e continuo fluire di verità con-template, di sentimenti che si intrec-ciano in un tessuto finissimo.

Basta aprire, per esempio, il Librodello Splendore (lo Zohar) per com-prendere quanto sia diverso un taletesto da un’opera filosofica; maanche da un libro di rivelazione nelsenso cristiano.

Per poter analizzare le parole del-le Scritture Sacre, per scoprire isignificati nascosti nel testo letterale,i maestri cabalisti idearono una vastaserie di raffinati strumenti e di tecni-che particolari che spesso finisconocon il complicare le cose ai nonaddetti ai lavori. Tale è per esempioil n o t a r i c o n che usa le lettere comenozioni indipendenti, in modo che laparola diventa un intero concetto, unpensiero, un discorso; il siruf la “permuta-zione”, che traspone le parti componentiuna parola in tutte le possibili combinazio-ni così da trarre parole nuove; oppure, infi-ne, la ghematria che utilizza la possibilità ditrasformare le lettere in un valore numericoe quindi impiegarle a mo’ di numeri.

Con quanto precede, appare chiaro che,nonostante ogni buon volere, non siamoriusciti a dare della Cabalà se non unamodesta immagine, perché essa è innanzi-tutto e soprattutto un’atmosfera, un mezzotecnico d’integrazione dell’Io e di perfezio-ne spirituale. Attraverso la Cabalà, dice ilcabalista, si lasciano le bassezze della vitaquotidiana e ci si dilata in mondi di sconfi-nata dolcezza e di terrificante potenza.

Anche se ci fermiamo a considerare laCabalà soltanto dal suo esistere storico e nedatiamo la nascita, come fa lo Scholem, in

quel Medioevo che l’uomomoderno sistematicamente cercadi ricacciare nelle tenebre del suoinconscio collettivo, non possia-mo non ritrovare nell’introversio-ne dell’uomo medioevale il suotendere all’antinomia i n t e l l e c t u s– a s c e t i c a (Scolastica e Mistici-smo francescano) e cioè quellostesso conflitto creativo da cuitraggono origine alcune altissimeespressioni medioevali, come laDivina Commedia e le CattedraliGotiche.

Dalla terra bruciata di Spagna,all’angolo opposto di Europa, il“sapiente” ebreo – anche se avolte è detto S e f a r d i t a (o spagno-lo) e a volte A s k e n a z i t a (o tede-

sco) – vive l’antinomia ed il conflitto, e por-ta con sé la Cabalà che offre allo “studioso”di ogni regione la consolazione di una con-cezione eterna e mutevole, immensa e rac-colta, adatta per il Santo e per il peccatore,per l’eroe e per il mendicante.

È chiaro che con le rapide note innanziesposte e con una più o meno arida esposi-zione di piccolissimi frammenti della strut-tura cabalistica non ho inteso fare altro checercare di suscitare l’interesse ed il gustoper una dottrina che ha certamente avuto unsuo peso ed una sua influenza su tantemanifestazioni del pensiero.

Proprio quest’influenza sarà oggetto del-l’ulteriore sviluppo della presente ricerca,sia pure limitata, come abbiamo enunciato

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nel titolo, ad una determinata epoca storicae a quei personaggi che si sono avvicinatialla Cabalà fiduciosi di scoprire in essaun pensiero solido, capace di off r i r equalche risposta ai numerosi interro-gativi che l’Universo ci propone.

Prima di affrontare le possibiliinfluenze della Cabalà su particolaricorrenti di pensiero, credo che non siafuori tema porsi la domanda contraria,ovvero cercare di indagare se neglielementi essenziali o fondamentalidella Cabalà si possono rintracciare osi trovano, in qualche modo presenti,dottrine estranee all’Ebraismo. In altritermini è possibile individuare dottri-ne o correnti di pensiero che in modoconscio o inconscio siano rifluite nel-la Cabalà, oppure essa nel suo aspettooriginale si collega prevalentementeal genio giudaico? In particolare, ed inchiare lettere, possiamo ritenere che influs-si di natura platonica o neoplatonica, oaddirittura gnostica o cristiana o perfinoislamica abbiano permeato di sé il mistici-smo ebraico?

La vexata quaestio ha avuto protagonistiimponenti, sia culturalmente che scientifi-camente4.

Tuttavia prima di indagare se esiste qual-che analogia fra quelle dottrine e i princìpimetafisici della Cabalà, dobbiamo osserva-re che la vexata quaestio, come l’abbiamoinnanzi definita, va affrontata con un metroparticolare, in quanto l’Ebraismo e la Caba-

là, più di qualunque altra dottrina, sembra-no rispondere ad esigenze interne proprie,

che si avvalgono delle circostanze ester-ne solo per meglio essere se stesse;pertanto, esse prendono dall’esternoquel tanto o quel poco che è loro con-geniale e si esprimono in maniera deltutto originale.

Facciamo un esempio: consideriamoil tema fondamentale dell’Ebraismo (enon solo), quello del Dio Unico.

La percezione di una energia, di unaforza, di una potenza che non si prestaad alcuna figura, ad alcun oggetto, adalcun segno palpabile di antropomorfi-smo, in un mondo dall’immaginazionepopolata da centinaia di miti, è unaluce spirituale di una portata conside-revole, unica nel suo genere e costitui-sce un elemento chiave della vita nonsolo religiosa del popolo eletto. È l’in-

dizio di un processo spirituale che superain profondità gli apporti di tutte le epoche.Questa essenza astratta concentrata nel DioUno, totalità suprema, afferrata e sentita conuna intuizione penetrante, si pone d’un trat-to nel cuore stesso della più alta speculazio-ne filosofica.

Questo Dio Uno fu certamente percepitoanche da altri popoli, ma solo per l’ebreoquell’Entità unica è tale per sua stessa natu-ra e non per l’esclusiva scelta di un uomo odi un popolo, il che lo differenzia in modoassoluto dal Marduk di Hammurabi e dal-l’Aton egiziano. Questo Dio che non trovariscontro nella volontà di un uomo o di un

4 Per tutti: Scholem 1966 e dello stesso Autore 1965; Franck 1842; Serouya 1989.

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popolo è dunque per conseguenza il Diodell’Universo, dell’umanità intera, anche seun popolo solo lo conosce e lo serve.

Prescindendo comunque daqueste considerazioni cherischiano di farci appariresolo come appassionati difen-sori, magari di ufficio e peral-tro non richiesti, di una certaconcezione dell’Ebraismo,riteniamo doveroso osservareche il mondo ebraico ha sem-pre manifestato onestà intel-lettuale su quelli che ha stima-to suoi maestri o maestri ingenerale. Il T a l m u d, ad esem-pio (Trattati Rosh Hashanà e S a n e d r i n) ,non ha alcuna difficoltà ad ammettere chefurono gli Assiri che fornirono i caratteri dicui gli Ebrei si servono ancora. La Misnhànon lesina positivi apprezzamenti alla lin-gua greca. Aristotele, conosciuto con l’in-termediazione araba, è rispettato quasicome un saggio locale. Lo Z o h a r n o nnasconde la sua considerazione per libridell’Oriente che rispettano la legge divina.Ed infine il Talmud condanna chi si appro-pria di idee altrui senza citarne le fonti.

Tutto questo, dunque, per dire che se ilcabalista avesse utilizzato altri sistemi dipensiero non avrebbe avuto difficoltà adammetterlo. Pertanto la vexata quaestio v aa ffrontata e risolta alla luce di queste impo-stazioni e di conseguenza, con tutto il pos-sibile rispetto, diventa difficile accettareperfino l’approccio teorico dello Sholem,

tuttora condiviso da molti, proprio per l’au-torevolezza dell’Autore, che sostanzial-mente consiste nel far derivare molti aspet -ti del pensiero mistico giudaico dallo Gno -

sticismo, così da spiegarele dottrine cabalistiche allaluce di una categoria stori -ca e concettuale a essa ingran parte estranea 5.

È pur vero che lo Gno-sticismo, al pari dellaCabalà, nasce come spe-

culazione teologica, mapurtroppo la sua accesasimpatia per sistemi

metafisici sovraccarichi diallegorie, di reminiscenze classiche e diastruserie neo-teologiche ben presto l’al-lontanano da ogni accostamento alla tradi-zione ebraica.

Infatti, è sufficiente considerare che ilradicale dualismo di un Dio estraneo, oppo-sto ad un universo malvagio, è in totale con-traddizione con la tradizione ebraica, nellaquale la creazione divina è sostanzialmentebuona e il Dio trascendente finisce con ilconcedersi alla conoscenza della sua crea-tura. È inoltre assolutamente estranea allamistica ebraica la visione di un cosmo dovedominano il peccato e la morte e dove ilmondo divino è nettamente separato daquello della materia.

Com’è possibile inglobare nel corpo del-le dottrine cabalistiche l’influenza di temi edi esperienze il cui scopo – fra l’altro – èl’interpretazione del messaggio cristiano, e

5 Busi 1989.

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che partono dal tempo degli Apostoli pergiungere alla fine del IV secolo, ma chea ffondano le loro radici nelle concezioniastrologiche deiBabilonesi, nellamistica popolareorientale, nellamisteriosofia elle-nistica?

Al di là di certeimmediate analo-gie, o di certi rap-porti accidentali,se non artificiali,quegli enigmaticipensatori dei pri-mi secoli chelogoravano la lorovita in un’operasterile di disposizione degli e o n i, in logo-machie fantastiche ritenute di tanto valoreda indurre uomini come I r e n e o edE p i f a n i oa scrivere confutazioni voluminose, non cisembrano adatte ad animare il misticismoebraico e le risposte che esso ha dato, inquanto “visione del mondo” ai problemidell’esistenza, all’origine dell’universo ealla composizione dell’uomo.

Tuttavia, non possiamo escludere tratticomuni fra scritti cabalistici e antiche testi-monianze dello Gnosticismo, come, peral-tro, accade con altri movimenti spirituali,ma questo fa parte della storia delle idee.

Non è sufficiente la somiglianza delleidee metafisiche che sono alla base di unadottrina, per dire che sono state prese inprestito da altre scuole di pensiero; anzi alcontrario la facile percezione di affinità nondeve trarre in inganno, in quanto molto

spesso, più che di contatti storici e concretisi tratta solo di relazioni fenomenologiche.

Anche se nelle dottrine di celebri eresiar-chi gnostici, comeBasilide o V a l e n t i n onon è difficile trovareelementi caratteristicidella Cabalà – comel’unità della sostanza,il passaggio dalla con-centrazione all’espan-sione graduale dellaluce divina necessarioper formare le cose, lateoria dei quattro mon-di, le tre anime, fino alsignificato simbolicodei numeri e delle let-

tere dell’alfabeto – nonè sufficiente per codificare rapporti traCabalà e movimenti gnostici, in quanto èinaccettabile che apporti culturali esternicaratterizzati da concezioni dualisticheabbiano potuto alimentare un mondo in cuila creatività trova la sua manifestazione e lasua possibilità di espressione unicamente informe antidualistiche.

Infine, tenuto conto della stretta connes-sione tra lo Gnosticismo e il Cristianesimosi può affermare – senza timore di smentite– che tutti i princìpi metafisici e religiosiche sono serviti di base alla Cabalà sonoanteriori ai dogmi cristiani e che pertantonon possono aver influenzato, in alcunmodo diretto o indiretto, la sua dottrina fon-damentale.

L’elemento essenziale del misticismoebraico, la base indiscutibile del sistema

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cabalistico, vale a dire l’unità assoluta, puòaiutarci a dimostrare che esso resta indenneanche dalla influenza dei pensatorigreci e in particolare dal platoni-smo e dal neoplatonismo chesembrano avere una parentela piùintima con la Cabalà.

Per quanto attiene alla filosofiadi Platone, mentre ribadiamoancora che, se i cabalisti vi si fos-sero ispirati, non avrebbero esita-to a riconoscerlo, dobbiamo direche è del tutto estraneo al loromondo il dualismo tra spirito emateria, o tra causa intelligente esostanza inerte. L’unità è fonda-mentale ed irrinunciabile: Dio èin egual tempo causa, sostanza eforma di tutto ciò che è, come ditutto ciò che può essere.

Tuttavia nella lotta tra bene emale o tra spirito e materia, tra forzafisica e morale, di cui parla il profeta nellaBibbia, silenziosamente compare la dualità,che i cabalisti fanno derivare da ciò chedistingue la generazione delle cose finite daquelle infinite.

Inoltre, in nessun modo, la teoria dellei d e e di Platone può essere avvicinata alleS e f i r o t h. È vero che entrambe le teorie siriferiscono alle forme inferiori, ma la primaè fondata sulla dualità e la seconda sullapotenza dell’Unità.

Infine, le “idee” di Platone si distinguonodalla sostanza inerte, hanno per essenza ilbene, sono eterne ed incorruttibili, recanol’impronta divina, rappresentano l’essenzadegli esseri, ma escludono ciò che si riferi-sce alla materia, al principio inerte.

Invece, ricordando Spinoza per megliopenetrare il sistema, nelle S e f i r o t h p r e d o m i-

na l’essenza metafisica ma la mate-ria non è separabile dalla strutturadel Tutto.

Esse rappresentano insieme leforme dell’esistenza e del pensie-ro, gli attributi della sostanza iner-te e della causalità intelligente.

Sono i padri e le m a d r i, chederivano da un’unica fonte, l’E n -S o f, che poi si confondono nelf i g l i o, per poi separarsi nuova-mente e di nuovo confondersi.

Se non è facile separare il mon-do cabalista da quello platonico,ancor più difficile diventa porredelle distinzioni nei confronti del-la filosofia neoplatonica.

La difficoltà consiste proprionel sapere se certe idee parallele che si tro-vano in Plotino e nei suoi discepoli e negliadepti della Cabalà hanno origine da questio da quelli.

Ma lo stretto legame di queste idee conelementi biblici e midrashici dà sempre unacolorazione tanto ebraica che diventa poidifficile non assumerle come un’emanazio-ne della vita intellettuale cabalistica.

Tuttavia le somiglianze fra le due dottri-ne non sono di poco conto. Entrambe, adesempio, postulano la necessità di un prin-cipio assoluto (l’Uno) da cui è stato origi-nato il mondo. Ma si tratta di un Uno che èil più alto grado dell’astrazione, è l’ignoto,il mistero che trascende tutte le categoriedel conoscere ed è pertanto indefinibile sulpiano teologico.

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Per quanto abbiamo detto e come vedre-mo in seguito, non c’è da meravigliarsi se ilNeoplatonismo del Rinascimento si troveràstraordinariamente a suo agio a contattodella Cabalà, il chefarà dire a Frances A .Yates: se si dovessecercare il punto cul -minante del neopla -tonismo rinascimen -tale, lo si troverebbenel libro De arteC a b a l i s t i c a di Joan -nes Reuclin, pubbli -cato nel 15176.

Nonostante l’aff e r-mata e scarsa differenza che esiste fra i duesistemi innanzi indicati, dobbiamo dire chenon è facile ammettere che i dottori dellaPalestina abbiano potuto attingere alla cul-tura greca, in quanto non avevano unaconoscenza tale della lingua da poter pene-trare nel suo pensiero filosofico. Infatti, eraloro nota, solo per sentito dire, la versionebiblica dei Settanta e, non si può propriodire che essi avessero un filo diretto con gliebrei che parlavano greco e che conosceva-no la filosofia pagana.

Accantonata, in qualche modo, l’idea dirivendicare alla cultura greca e al neoplato-nismo momenti ispiratori della Cabalà, dob-biamo chiederci se non abbia esercitato, sudi essa, un’influenza diretta o indiretta ilfilosofo Filone.

Cominciamo con il precisare che Filone,pur essendo ebreo e, com’è noto, avendo

parlato di tutto e di tutti, non fa alcun cennoall’autorità giudaica, al Gran Sacerdote, aiT a n n a ì m,alle famose polemiche di Hillel eShammai; eppure sono tuttora in molti quel-

li che lo indicano comeil vero ispiratore oinventore del mistici-smo ebraico.

Anzi, anche questa èuna leggenda da sfata-re. Basterebbe soloconsiderare che, no-nostante la sua fama,non solo ad A l e s s a n-dria d’Egitto, il T a l -m u d non parla assolu-

tamente di lui, ed è completamente ignora-to dagli ebrei del Medioevo, da Sa’adià, daMaimonide, dai loro discepoli e dai cabali-sti antichi e moderni.

Fermo restando il più assoluto rispettoper Filone, dobbiamo dire che, in fondo, ilsuo sistema fu il migliore esempio di quellafusione di idee e di dottrine che si manife-starono nel centro della cultura ellenisticaallora predominante: Alessandria. Nella suafilosofia, in sostanza, entrarono elementiplatonici, stoici, rabbinici e non si può pro-prio dire che essi siano frammisti in modosempre armonioso.

Il tentare un esame completo del mistici-smo di Filone va oltre lo scopo di questolavoro. Tuttavia in questa sede è opportunorilevare quanto sia fondamentale per Filonel’idea che tutta la materia è male; perciòDio deve essere messo fuori dal mondo.

6 Yates 1982.

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Ma se questa è la sua filosofia, la suareligione, il Giudaismo, gli insegnava altri-menti. Obbligato a trovare qualche via diuscita che lo togliesse dalle difficoltà, si fer-mò sull’idea dei L o g o i,agenti divini che, puressendo in qualche sensoinerenti a Dio, sono sottoaltri aspetti ed in tempidiversi esteriori a Lui. Aquesto punto sembra piut-tosto difficile dire che egliabbia derivato questa teo-logia da fonti cabalisticheo abbia ispirato gli adeptidi questa dottrina.

In definitiva, dunque,tutto concorre ad eviden-ziare che gli scritti di Filone di cui peraltronon vi è proprio nessuna traccia né nelloZ o h a r, né nel Sefer Yetzirah, non hannoesercitato alcuna influenza sulla Cabalà.

Eliminata, per così dire, “la concorrenza”della civiltà greca di Alessandria o del Pla-tonismo, prima di definitivamente afferma-re l’originalità della costruzione cabalistica,dobbiamo ancora dare uno sguardo a possi-bili rapporti con l’Islam.

Già dal punto di vista religioso, puressendoci apparentemente delle somiglian-ze importanti, non vi è un rapporto direttofra le idee arabe e quelle ebraiche, anche sesi può ammettere che, molto probabilmentesono fiorite, attraverso vie diverse, da unafonte comune.

Inoltre, mentre la dottrina ebraica tendepiù particolarmente alla metafisica, quellaaraba si rifà ad idee di ordine generalecomuni a tutti i misticismi.

Infine c’è anche da rilevare l’assenza diogni traccia di metempsicosi nell’Islam,teoria che ha un aspetto non trascurabilenella tradizione ebraica.

Gli studi ebraici deipensatori cristiani delRinascimento

Fatte queste modestepremesse, possiamo oraa ffrontare lo studio deldavvero enorme interes-se manifestato per laCabalà all’epoca dellaf i o r i t u r adegli studi uma-nistici e rinascimentali.

Il distacco da quanto abbiamo appenaaccennato è comunque grande e, innanzitutto, il problema da chiarire, è quello dicercare di capire come le idee e i motividella Cabalà, che nella storia – almeno finoad ora – ci appaiono prevalentemente senon esclusivamente validi e vitali nell’am-bito dell’ebraismo, possono aver interessa-to i pensatori cristiani e come e perché gliebrei – in qualche modo – aprirono le por-te se non a sistemi di pensiero diversi, per-lomeno a personaggi che tali sistemi rap-p r e s e n t a v a n o .

Per penetrare il problema e per tentare diavvicinarci alla soluzione dobbiamo anda-re, per così dire, “al di là della barricata”,cioè dobbiamo cercare di sforzarci nellacomprensione del mondo ebraico, più chedi quello cristiano.

Gettando solo un rapido sguardo allasocietà e alla cultura ebraica che costituiva-

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no l’alveo naturale della Cabalà, notiamoche, come spesso accade nella storia di que-sto popolo, gli ebrei dell’epoca, pur avendoessi stessi messo inmoto un processodi evoluzione tipi-co dell’epoca di cuistiamo parlando,erano pur semprepresi dalla necessi-tà di definire lapropria identità,fatto che rendevapoi estremamented i fficile la ristruttu-razione della socie-tà e della cultura ver-so la secolarizzazione e la modernità.

Occorreva pertanto un qualcosa che faci-litasse l’operazione. Questo ruolo fu aff i d a-to alla Cabalà la quale, dopo un lungoperiodo d’incubazione esoterica, coltivatada un numero assai ristretto di seguaci, erauscita dalla clausura per occupare un postod’onore nella cultura della società ebraica,nella quale era ormai largamente penetrata.

Inoltre, essa appariva, oltre che come unsistema di pensiero, anche come una produ-zione letteraria, profondamente influenzatil’uno e l’altra da tendenze mistiche.

Sicché essa al momento si presentava, inparticolare a quella parte del mondo ebrai-co tesa verso il nuovo, come un’interpreta -zione originale, piena d’idee neo-platonichedella tradizione midrashica (la tradizioneo r a l e ) , soprattutto delle sue parti speculati -

ve, cosmogoniche e teosofiche, il che le face -va assumere un ruolo, in un certo senso,antagonista della filosofia scolastica.

A causa della crisidi quest’ultima, crisidalla quale l’interopensiero europeo uscìcompletamente rin -novato, la Cabalàebbe campo liberopresso gli ebrei.

Riempì, quindi, ilvuoto lasciato dallascolastica e penetròin tutti i campi dal -l’attività intellettuale

alla pratica religiosa quotidiana. Il suo suc -cesso, a nostro avviso risiedette, fra l’altronella sua natura ambivalente, antropocen -trica per un verso, ma al tempo stesso teo -centrica per un altro. Fu proprio quest’am -bivalenza a permetterle di fungere da agen -te di modernità rimanendo radicata nelMedio Evo, di promuovere la secolarizza -zione pretendendo di essere profondamentereligiosa, di favorire la mondanità presen -tandosi ammantata di mistica ultraterrena7.

Non fu difficile, a questo punto, avendo,come si suol dire, sistemato le cose all’in-terno delle proprie coscienze, arrivare per-fino all’insegnamento pubblico della Caba-là, sia pure con le dovute cautele.

Tornando ora alla cultura e alla societàcristiana nella quale fioriva, come sappia-mo, insieme al culto dell’antichità il Neo-

7 Bonfil 1991.

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• 23 •L’influenza della Cabalà nel Rinascimento, G. Abramo

platonismo, dobbiamo riconoscere che nonfu difficile – in un’epoca, in qualche mododi transizione, che accetta-va, talora acriticamente, itesti più strani provenientidalle tradizioni più diver-se: ermetica, zoroastriana,pitagorica – arrivare allostudio e ad un utilizzo par-ticolare della Cabalà, cheperaltro ne decretò il suc-cesso da lì un avanti.

E qui, anticipando qual-che conclusione, ed ancheper la migliore compren-sione di quanto vedremoin seguito, diciamo subitoche la Cabalà venne utilizza-ta come “strumento di ricerca” di motivi esostegni alla fede cristiana.

Ebbe così inizio un contatto umano epersonale particolare tra gli spiriti assetati disapere della cultura cristiana da una parte, edei più colti fra gli ebrei, in particolare quel-li convertiti, dall’altra.

Queste le cause esterne o storiche del-l’incontro, ma in realtà, dobbiamo dire chei cristiani, nel profondo della loro ricerca,aspettavano (se non pretendevano) dagliebrei un servizio e cioè quello di ottenereda loro argomenti giustificativi della veritàcristiana allo scopo di condurre a buon fineil processo d’appropriazione della Bibbiaebraica già iniziato al tempo dei Padri del-la Chiesa. In pari tempo non avevanoabbandonato l’idea di sfruttare il contestodell’incontro intellettuale per aggiungerealtre conversioni di ebrei al trionfo finaledel Cristianesimo.

Ciò premesso, cerchiamo ora di evocareo perlomeno di avvicinarci il più possibile

al clima del Rinasci-mento, epoca enor-memente ricca difermenti e di svi-luppi tanto dapoterla – e non atorto – definire“irripetibile” nellastoria del pensiero.

Fra le tante carat-t e r i s t i c h e t i p i c h edell’epoca stessaspicca quell’ardoreappassionato diricerca e di investi-

gazione dell’antichi-tà, che spingeva gli umanisti a peregrinare dipaese in paese per disseppellire, dalla polve-re delle biblioteche monastiche, i capolavo-ri dimenticati della letteratura classica.

A questa sete di conoscenza e di ricercanon potevano certamente sfuggire i monu-menti dell’antica letteratura ebraica, con-servati o consacrati nelle pagine delle SacreScritture, e le opere degli ebrei medioevaliche insieme con gli arabi erano stati, perlunghi secoli, i depositari dell’antica sapien-za ellenica.

Inoltre, da lunga data, la tradizione cri-stiana riconosceva l’utilità dello studio del-l’ebraico sia per l’esegesi biblica, sia per laconoscenza del T a l m u d, il cui contenutopoteva diventare materia di dibattito nelledispute teologiche.

Uomini come Ruggero Bacone, o R a i -mondo Lullo avevano indicato la strada dapercorrere.

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Infine, non fu estraneo all’interesse perl’ebraico, il desiderio di un approccio indi-pendente al testo biblico, mentre la Chiesacattolica del periodo rinascimentale consu-mava una crisi profonda e da più parti siauspicava la riforma dei costumi e deglia t t e g g i a m e n t ireligiosi.

Contro que-sta tendenzainsorsero anchequalificati testi-moni dello spi-rito riformatoree della letturaumanistica delTesto biblico,come Erasmo daR o t t e r d a m, che temeva, come effetto diquesto culto della lingua e della culturaebraica in genere, di veder trionfare que-st’ultima piuttosto che il Cristianesimo.

Ma numerosi umanisti italiani e stranierifurono di tutt’altro avviso: Poggio Braccio -l i n i, Giannozzo Manetti, Egidio da Viterbo,papa Leone X de’ Medici, Domenico Gri -m a n i, Francesco Zorzi, ma soprattutto M a r -silio Ficino e ancor più, come vedremo,Pico della Mirandola.

Gli umanisti italiani, per studiare la lin-gua e la letteratura greca si erano rivolti aglieredi diretti dell’antico ellenismo, cioè aidotti greci di Bisanzio, così per lo studiodella lingua e della letteratura ebraica ricor-sero all’insegnamento degli eruditi ebrei.

Firenze, in modo particolare, fu centrocospicuo di studi ebraici. Già fin dall’iniziodel Quattrocento incontriamo due umanisti,

fiorentini di elezione, che si danno allo stu-dio della lingua sacra: uno, l’abbiamo giàcitato, fu Poggio Bracciolini (1380-1459) el’altro fu Ambrogio Traversari ( 1 4 3 6 -1489), i quali entrambi si limitarono ad unaconoscenza superficiale della grammatica e

del lessico.Ma già un altro

studioso, G i a n -nozzo Manetti( 1 3 9 6 - 1 4 5 9 ) ,come ci risultadalle Vite diuomini illustridel sec. XV d iVespasiano daBisticci, ebbe unaconoscenza più

ampia e sicura della lingua e della letteratu-ra ebraica.

Senza far torto a questi eruditi personag-gi, spostiamo la nostra attenzione sui gran-di protagonisti del pensiero dell’epoca cheebbero una conoscenza vasta e non superfi-ciale degli autori ebrei.

Innanzitutto ricordiamo il maestro ed ilcapo del Neoplatonismo fiorentino M a r s i -lio Ficino (1433-1499), il quale ebbe due,ed entrambe valide, motivazioni allo studiodella cultura ebraica.

Infatti, da una parte, la sua fede cristianagli suggeriva l’approfondimento della lette-ratura ebraica sia religiosa che filosofica,allo scopo di potervisi validamente contrap-porre ed anche per scoprire elementi disostegno alla sua religione (a somiglianza diquanto si proponevano in molti e così ancheil Manetti).

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• 25 •L’influenza della Cabalà nel Rinascimento, G. Abramo

D’altra parte poi lo sconfinato amore perPlatone ed i suoi seguaci, lo spingeva apenetrare ed acquisirela conoscenza delmisticismo cabalisti-co che presentavanon pochi punti dicontatto con il misti-cismo neoplatonico.

Né Marsilio pote-va ignorare quellacorrente neoplatonicache faceva capo alsistema del celebratoautore del Fons Vitae,Shelomò ibn Gabirol, per quanto l’interagenerazione di Ficino non ne conoscessel’origine ebraica.

Tuttavia, per molti studiosi ed anche daun modesto esame che io stesso ho potutofare di qualche sua opera, appare abbastan-za chiaro che Ficino ebbe una relativa cono-scenza, diretta o indiretta, della linguaebraica. Molto probabilmente egli facevaricorso a traduzioni latine, oppure a queivasti commenti sparsi in tante opere in lati-no. Era questo il sistema al quale ricorrevanei confronti dei testi arabi; infatti, delCorano, che spesso cita nel De cristianar e l i g i o n e, e di un trattato di A v i c e n n a p o s-sedeva una traduzione che fra l’altro prestòa Pico della Mirandola e che, come risultadalle E p i s t o l e, con una lettera dell’8 settem-bre 1486, ne sollecitò la restituzione.

Dall’insieme della sua produzione lette-raria, mentre da una parte appare una indi-scussa conoscenza della cultura e della tra-dizione ebraica, dall’altra è possibile con-statare inesattezze, se non addirittura errori

che provano la mancanza di effettiva cono-scenza dell’ebraico ovvero una conoscenza

per vie indirette.Infatti, in parti-

colare nell’operainnanzi indicata, simuove con estre-ma facilità neicampi più vari del-la letteratura ebrai-ca. Cita i T a r g u -m i m, il S e d e rO l a m, il T a l m u d, iMidrashim, i com-menti biblici di

R a s h i e di N a c h m a n i d e, il Libro delle coseda credere di Sa’adia Gaon, il D e u t e r o n o -mio e la Guida dei perplessi d i M a i m o n i d ee così via.

Dimostra inoltre una non superficialeconoscenza di cose ebraiche in genere, attri-buisce il giusto valore alla venerazione delT e t r a g r a m m a t o n, all’autorità del T a r g u mpresso gli ebrei, non ignora le modalità dicomputo del calendario, e perfino episodidella storia postbiblica degli ebrei (come larivolta sotto Adriano).

Ma, nonostante tutto questo, a titolo diesempio e diciamo pure di curiosità, chenulla toglie alla statura del personaggio edei suoi studi, specialmente i nomi propricitati da Marsilio risultano assolutamentestorpiati, come quando cita C h a l c h a d i a s p e rS a ’ d i a, C a m e d r i m p e r S a n h e d r i m, C e d e rlophan per Seder Olam.

Talvolta, i titoli di trattati talmudici sonopresi per titoli di libri autonomi e qualchevolta incorre in malintesi nelle idee e neifatti (come quando parla del nome di dio

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Elohim e precisa heloym plurale est, singu -lare enim eius est heluel e non, come avreb-be dovuto dire, El).

Tuttavia nelle opereposteriori al De cristia -na religione si può direche le cose migliorano,anche perché Marsiliodiminuisce le citazioni,ed addirittura nel D evita celitus comparan -d a (1489), parlandodei sacrifici presso gliebrei, esplicitamentedichiara di volernelasciare l’investigazio-ne all’amico Pico dellaMirandola, dimostran-do di avere un relativointeresse agli studiebraici e non quel fervore e quella profon-dità, con la quale vi ci si dedicherà Pico.

A d i fferenza di Marsilio Ficino, A n g e l oP o l i z i a n o (1454-1494) ebbe nozione direttadella lingua ebraica, e pur senza addentrar-si nello studio della relativa letteratura, sep-pe certamente trar profitto dalle sue cono-scenze per accostarsi al testo ebraico dellaBibbia e ai commentatori ebrei medioevali.

Chi invece ebbe una conoscenza larghis-sima, profonda e diretta dei testi ebraici fucertamente il dotto amico del Poliziano, cheprobabilmente gli fu di valido aiuto nei suoistudi e cioè Giovanni Pico della Mirandola(1463-1494), il quale, sin da quando, giova-nissimo studente a Padova, si dedicò allostudio dell’ebraico, non abbandonò per tut-ta la sua vita, anche se fu condizionato daisuoi studi filosofici.

Infatti, in un primo periodo, quando Picoera preso dalla filosofia aristotelica, la lette-

ratura ebraica ebbe lasola funzione di facili-tare l’accesso ai pensa-tori arabi e ai loro com-menti alle opere aristo-teliche e pertanto inquesta fase furono suf-ficienti anche dellesemplici traduzioni dal-l’ebraico.

Ma ben presto Picopassò ai testi originaliquando i suoi studifilosofici assunsero unacaratteristica più eclet-tica e, fra l’altro perse-guivano, da una parte,

l’ideale di conciliarePlatone ed Aristotele, e dall’altra la religio-ne e la filosofia, nonché il desiderio di cer-care e trovare prove di verità cristiane eduna migliore comprensione della Scrittura.

Nel primo periodo egli ebbe a guida Eliadel Medigo, il quale a torto è indicato comesuo maestro di ebraico, mentre in realtà silimitò a tradurre per lui in latino opereebraiche; nel secondo, dopo aver appreso lalingua ebraica e quella caldaica o aramaicadal dottissimo convertito Samuel ben Nis -sim Abulfaraj, divenuto Raymond Monca-da e conosciuto anche come Flavio Mitrida-te, trovò, per la letteratura e per il pensieroebraico, un maestro degno di lui, in J o c h a -nan Alemanno.

Purtroppo la sede non consente di occu-parci, in modo specifico e diretto, di questipersonaggi che ebbero tanta parte nella vita

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• 27 •L’influenza della Cabalà nel Rinascimento, G. Abramo

e nella cultura del Signore di Mirandola.Essi, però, non furono i soli ebrei con i qua-li Pico ebbe rapporti per ragioni di studio. Ènoto, infatti, che a Firen-ze, Pico, teneva presso disé un giovane ebreo dinome Clemente che, poi,indotto da lui e forseancor più da GirolamoSavonarola, si convertì alCristianesimo e indossòl’abito monacale.

La vastissima dottrinaebraica che Pico acquistòcon le frequentazioni di mol-ti dotti ebrei e le larghissime letture di testiebraici, che raccolse in numero considere-vole, determinarono l’indirizzo del suo pen-siero. Anzi, oserei affermare, che proprio inquesta forte commistione di elementi ebrai -ci consiste l’originalità di Pico.

Infatti, il suo sistema filosofico, sostan-zialmente, non è che un Neoplatonismoentro il quale sono commisti svariati ele-menti eterogenei, ma con ciò non si puòancora parlare di originalità, la quale, inve-ce, scaturisce dalla fusione organica di tuttiquesti elementi – che abbiamo definito “ete-rogenei” – con la Cabalà ebraica, che tentòdi cristianizzare e di adattare alle credenzecattoliche.

D’altra parte, la Cabalà, come abbiamovisto, in alcuni suoi momenti, trova accordoo riscontro nella filosofia neoplatonica e indiversi punti delle dottrine cristiane inquanto derivate dall’Ebraismo.

Anteriormente a Pico, già c’erano statialtri tentativi di far conoscere la Cabalàebraica al mondo cristiano, ma in verità

solo il Signore diMirandola raggiun-se risultati eff i c a c inel collegamento didiverse manifesta-zioni del pensieroche diede origine aquell’indirizzo chesi chiamò appuntocon il nome diCabalà cristiana.

Lo Scholem fa risalire la Cabalà cristianaa due fonti: la prima che fu rappresentatadalle speculazioni cristologiche di un nume-ro rilevante di ebrei convertiti, speculazioniche – dato il loro scopo missionario, scoper -tamente tendenzioso – non ebbero moltapresa sugli spiritualisti cristiani seri, a diff e-renza, invece, della speculazione cristianache si sviluppò intorno all’Accademia pla-tonica fiorentina che proseguì gli orizzontiaperti dal Rinascimento.

Questi circoli fiorentini – afferma loScholem – ritenevano di aver scoperto nel-la Cabalà una rivelazione divina originaleall’umanità che era andata perduta e che oraveniva recuperata, e con l’aiuto della qualeera possibile non soltanto comprendere gliinsegnamenti di Pitagora, Platone, gli orfi -ci, da loro grandemente ammirati, ma anchei segreti della fede cattolica8.

8 Sholem 1982.

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Il vero fondatore di questa scuola diCabalà cristiana fu dunque Pico, il quale,come appare dalle sue opere, aveva acqui-stato una profondaconoscenza non solonelle dottrine cabali-stiche, ma anche inaltri rami della vasta emolteplice letteraturaebraica, e nei piùdiversi indirizzi delpensiero ebraico.

La dimostrazionemigliore di tutto ciò latroviamo nella suaproduzione letterariache può essere classi-ficata tenendo contodei diversi interessidell’Autore. Infatti,dalla conoscenza dellalingua e della lettera-tura ebraica ottenne ilrisultato e la soddisfazio-ne di poter tradurre in latino l’opera di AbuBekr ibn Tofeil: il Chaj bel Joktan.

Dai filosofi ebrei medioevali attinsemotivi e riflessioni non solo per leC o n c l u -

s i o n i, ma anche per altre opere nelle qualiappare spesso anche la menzione di medici,astronomi e astrologi ed anche di storiciebrei.

Anche dei costumi degli ebrei non solocontemporanei, del loro calendario e delleloro vicende Pico si mostra informato.

Conosceva la letteratura talmudica, cer-tamente per quanto attiene alla H a g g a d àcioè ogni insegnamento non giuridico (reli-gioso, morale, storico) con un certo caratte-

re omiletico, anche se la H a l a k a h (“via, pro-cedimento, norma”) non era sconosciuta alleopere da lui possedute. Inoltre, cita qualche

passo talmudico nel testooriginale, con esattaindicazione del luogo.

Dimostra familiaritàcon tutti gli sviluppi del-l’esegesi ebraica dalleversioni caldaiche oT a r g u m i m, ai M i d r a s h -i m (le tradizioni orali) eagli esegeti medioevalied arriva infine allo stu-dio della Bibbia, oltreche nelle antiche versio-ni caldaica, greca e lati-na, direttamente neltesto ebraico.

Questa conquista gliconsente una conoscen-za ed una penetrazionedelle Scritture molto più

profonda ed esatta di quan-to avrebbe potuto ottenere dalle versioninote alla sua epoca. Di qui all’opera esege-tica, il passo è breve. Scrive infatti un opu-scolo in difesa della versione di S. Girola-mo contro le critiche ad essa mosse da par-te degli ebrei; una difesa analoga della tra-duzione greca dei Salmi; un’illustrazionedel racconto biblico della creazione di cuiparleremo più avanti e un amplissimo com-mento ai Salmi, diretto ad illustrare il sensoletterale e i molteplici significati che sotto ilvelo della lettera egli credeva di poterriscontrare.

Ma, come abbiamo già accennato, ciòche a Pico più interessava nell’Ebraismo era

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la Cabalà. Tra le novecento Conclusioni visono due serie di argomento cabalistico:q u a r a n t a s e t t e9 sono altrettanti estratti diopere di cabalisti ebrei ealtre settantadue1 0 e s p r i-mono opinioni persona-li di Pico nel campodella Cabalà. Entrambele serie richiedono unadecisa conoscenza dellaCabalà e delle operecabalistiche.

Nonostante l’usodella Cabalà per dimo-strare la validità dellecredenze cristiane Picofu condannato dal papato e pertanto nellasua “Apologia” egli ebbe occasione, pergiustificare se stesso, di parlare ampiamen-te della Cabalà, di cui sostiene l’identità conla legge orale e di chiarire quella che secon-do lui ne era l’origine prima e cioè chesarebbe stata insegnata da Dio a Mosè insie-me con la legge scritta, e che, trasmessaverbalmente di generazione in generazione,sarebbe poi stata posta per iscritto da Ezrain libri conservati gelosamente come tesoridi segreta dottrina dei sapienti ebrei.

In questi libri cabalistici che gli ebreitramandarono attraverso i secoli, Pico cre-de di poter trovare, contro le loro credenzee da loro inconsciamente custodita, lamigliore e più efficace testimonianza dellaverità cristiana.

Infine, completamente fondata sulle dot-trine cabalistiche è l’opera di Pico intitolataHeptaplus, de septiformi sex dierum gene -

seos enarratione,dedicata a Loren-zo il Magnificonel 1489.

L’opera contie-ne sette successi-ve interpretazionidel raccontobiblico della crea-zione: nelle primequattro, con l’aiu-to delle paroledella Sacra Scrit-

tura, riscopre i quattro mondi della Cabalà;la quinta vede nel testo un accenno a tutti equattro i mondi successivamente; la sestaespone i rapporti dei mondi tra di loro, edinfine la settima mostra come tutte le cosecreate tendano a Dio, nel quale esse ritrova-no la beatitudine suprema.

Alla fine dell’opera Pico si propone didare al lettore un’idea del sistema cabalisti-co delle permutazioni delle lettere e riferi-sce a titolo di saggio quanto egli è riuscito adedurre con questo sistema dalla primaparola del testo biblico: Bereshith.

L’esempio di Pico contribuì forse adindurre allo studio dell’ebraico altri eruditifiorentini fra i quali certamente G i r o l a m oB e n e v i e n i (1453-1542), la cui passione per

9 Conclusiones cabalisticae numero XLVII secundum secretam doctrinam sampientum Haebreo -rum cabalistarum, quorum memoria sit semper in bonum.10 Conclusiones cabalisticae numero LXXI [sono però 72] secundum opinionem propriam, ex ipsisHebraeorum sapientum fundamentis Christianam religionem maxime confirmantes.

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la Cabalà giunge a fargli ritenere che perfi-no nella Guida dei perplessi, opera squisita-mente filosofica di Maimonide, sotto ilvelame della forma filosofica sipossa trovare un recondito sen-so cabalistico.

E, per finire, è il caso dicitare l’ampia erudizione ebrai-ca di Sante Pagnini ( 1 4 7 0 -1541) che consacrò la maggiorparte della sua vita, a questistudi ai quali fu probabilmenteavviato, certamente incorag-giato, da Girolamo Savonarola,dal 1494 provinciale dei dome-nicani, il quale, con vivo zelo,promosse fra i suoi frati lo stu-dio dell’ebraico e delle altre lin-gue orientali, non solo per migliorare lacomprensione dei testi sacri, ma anche alloscopo di valersi di queste conoscenze lin-guistiche per la conversione degli infedeli.

Naturalmente anche oltre le mura diFirenze e anche al di là delle Alpi la Cabalàesercitò il suo fascino e la sua caratteristicainfluenza.

Come di consueto, la sede non consentedi dilungarci più di tanto, ma non possiamoassolutamente tacere di qualche grande per-sonaggio che al pari di Pico si è lasciatoconquistare dal pensiero cabalistico.

È questo il caso di Joannes Reuclin(1455-1522), uno dei più illustri sapienti delRinascimento, che nutriva un profondo di-sprezzo per la scolastica tedesca e che trovònella Cabalà una base positiva, un fattore digrande importanza per i movimenti religio-si della Riforma.

Reuclin, ebbe occasione di soggiornare a

Firenze intorno al 1490; rimase incantatodall’aria platonica che vi spirava, raccolsel’eredità di Pico, morto giovane, ed elevò la

Cabalà a livello di scien-za filosofica platonica.

La sua profondaconoscenza della Caba-là gli consentì la pubbli-cazione, in latino, di duescritti (De verbo mirifico– Sul nome miracoloso,1494 – e De arte cabali -s t i c a – Sulla scienzadella Cabalà, 1517) chefurono le prime opere diCabalà redatte da unnon ebreo.Secondo lui la conver-

genza della Cabalà con i dogmi dell’inse-gnamento cristiano avrebbe garantito laverità dell’una e dell’altro.

L’influenza dell’opera di Reuclin sugliebrei è la prova migliore del suo impatto sulpensiero dell’epoca. Taluni, come T o d r o sha Koen si convinsero a tal punto delle veri-tà esposte da Reuclin da farne la base ideo-logica della loro conversione al Cristianesi-mo. Todros ha Koen, chiamato in seguitoLudovico Carretto, pubblicò a Parigi nel1544, un libro dal titolo Epistola LudouiciCarreti ad Iudaeos, nel quale espone le sueragioni ed invita i confratelli di un tempo aseguirlo nel suo cammino.

Invece, gran parte dei confratelli diTodros erano terrorizzati dalla pericolositàdelle teorie di Reuclin per la purezza dellefede ebraica e cercarono di dimostrarne lanon appartenenza al campo dell’elaborazio-ne cabalistica.

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• 31 •L’influenza della Cabalà nel Rinascimento, G. Abramo

Eppure, nella prima delle due opere cita-te, che è anche la più originale, Reuclin cer-ca di dimostrare che ogni saggezza e verafilosofia vengonodagli ebrei e che Pla-tone, Pitagora, Zoroa-stro hanno attinto leloro idee religiosedalla Bibbia, la cuilingua e le cui creden-ze hanno lasciatotracce nei libri sacri ditutti i popoli.

Il principale contri-buto di Reuclin fu la sua associazione deldogma della Incarnazione con una serie diardite speculazioni sui nomi divini.

È sua la tesi che la storia umana potevaessere divisa in tre periodi: nel primo, o“periodo naturale”, Dio si rivelò ai patriar-chi con il nome di tre lettere (s h i n - d a l e t - y u d= Shaddai). Nel periodo della Torà si rivelòa Mosè con il nome a quattro lettere (Yud -H e y - V a v - H e y), a proposito del quale Reu-clin riteneva possibile che la tetractys pita-gorica ne fosse un ricordo e di conseguenzaPitagora con il suo culto della decade inten-deva ricordare ed onorare le dieci Sefirothdella Cabalà. Infine, nel terzo periodo, cioèquello della redenzione, Dio si rivelerà conil nome a cinque lettere che si ottiene conl’aggiunta al Tetragrammaton di una s h i nsignificante il Logos (e quindi avremmoY u d - H e y - V a v - S h i n - H e y e cioè Y e h o s h u a oGesù).

La sostanza divina nella sua assoluta uni-tà, indicata con il nome proibito di Dio, aquattro lettere, diventa pronunciabile con ilnome Jehova.

A questo punto, purtroppo, non mi restache chiudere, senza spingere oltre le ricer-che sull’influenza che la Cabalà ha esercita-

to nei secoli.Tuttavia, pos-siamo notareche la suatendenza, isuoi simboliappaiono inmodo taloraevidente nel-le dottrine e

nel pensiero dimolti uomini illustri non solo del ‘500,come, ad esempio, mi limito solo a citare, iltedesco Teofrasto Paracelso, l’italiano G e r o -lamo Cardano, l’olandese Joannes Baptistavan Helmont, l’inglese Robert Fludd esoprattutto il mistico tedesco Jacob Boehme,la cui dottrina è considerata dagli studiositedeschi come lo Zohar per la Cabalà.

Ma di là dagli elementi mistici, gli ele-menti metafisici della Cabalà appaiono inmaniera ancora più decisa in personaggicome Giordano Bruno, S p i n o z a, L e i b n i z,Pascal, Milton, etc.

Secondo l’Enciclopedia Giudaica, Brunoha desunto molte idee dalla Cabalà. In ognimodo le sue concezioni del mondo relativead un’emanazione della monade divina, allatotalità o al Tutto che è insieme materiale eanimato, alla presenza di Dio motore inogni cosa, presentano aspetti che ricordanola Cabalà. L’onnipresenza di Dio, dove iltutto partecipa all’infinità divina, è proprioun’idea cabalista.

Il legame che collega Spinoza alla Caba-là è forse ancora più deciso, nonostante il

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• 32 •

fatto che egli ne parli in tono sprezzante nelsuo Trattato teologico-politico. È pur vero,però, che Spinoza rifiu-ta l’eccesso di imma-ginazione, l’aspettofantasioso e talorapuerile della Cabalàspecialmente pratica,ma molti elementi fon-damentali della meta-fisica della Cabalà siavvicinano larg a m e n t ealle sue idee.

Per finire, un rapi-dissimo accenno anche aLeibniz, che certamente studiò la Cabalà, dacui attinse l’idea, che fece propria, dell’uo-

mo concepito come un piccolo mondo, ununiverso in compendio, insomma un micro-

cosmo; né è estraneaalla Cabalà l’idea deltutto continuamentecreato e della sua con-servazione, che è una“creazione continua”,e senza dire dellavisione della monadecome qualcosa di com-pleto che contiene insé tutto, così comeognuna delle Sefiroth,

che pur essendo in sédefinita e completa, si ricollega a tutte lealtre, per costruire e reggere l’universo.

Riferimenti bibliografici

Bonfil, R. (1991) Gli ebrei in Italia nell’epoca del Rinascimento. Sansoni, Firenze.

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Di Nola, A.M. (1984) Cabbala e Mistica Giudaica. Carocci, Roma.

Franck, A. (1842) La Kabbale. Parigi.

Serouya, H. (1989) La Cabala. Edizioni Mediterranee, Roma.

Sholem, G. (1965) Le grandi correnti della mistica ebraica. Il Saggiatore, Milano.

Sholem, G. (1982) La Cabala. Edizioni Mediterranee, Roma.

Yates, F. (1982) Cabbalà e occultismo nell’età elisabettiana. Einaudi, Torino.

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Memoria e iniziazione in Se questo è un uomo di Primo Levi

di Paolo Cristiani

Saggista

Se questo è un uomo (1947) is a novel about memory: at the centre the tragicexperience of the Author in the Monowitz’ nazist lager, near the more famousAuschwitz. Primo Levi was one of the very few survivors and during his life he fol -lowed the civil and moral duty of testify that particular period of the history ofmankind. Primo Levi was born in Turin in 1919 and there he suicided in 1987. Inone of His last interview He said: We want to show to the world that we stillexist. If it would be necessary we will do it with our death. The book tellsabout a kind of initiation journey; there are many references to Dante’s D i v i n aCommedia, e.g. one of the most touching chapter, the “Ulysse’s chant”, is entire -ly inspired by the Commedia and elsewhere Levi underlined the fact that Evil andHell are constantly present all over the book, like in the first part of Dante’s travel.

rimo Levi muore suicida l’11aprile 1987: si lascerà cadere dalterzo piano del suo appartamento

torinese, lo stesso dove era nato il 31 luglio1919.

È sempre difficile trovare moventi intor-no a un suicidio. È una matassa che non siriesce a sbrogliare. Filosofi, sociologi, psi-cologi, psichiatri se ne occupano da tempo,tentando di volta in volta interpretazioni,spiegazioni, rimedi anche. Ma si resta sem-pre nel campo delle ipotesi. Forse la defini-zione più corretta, a mio avviso, viene da un“non addetto ai lavori”, Honoré de Balzac,il quale scriveva che ogni suicidio è un poe -ma sublime di malinconia.

Il suicidio di Primo Levi ha sicuramentea che fare con la malinconia, ma non ha

quell’alone di mistero tipico di altri suicidi.La sua scelta si deve ricondurre all’off e s aricevuta, alla impossibilità di comunicarlae ffettivamente, alla indifferenza delle nuo-ve generazioni. Significativo è l’ultimoappello dello scrittore, che dice: N o nd i m e n t i c a t e !,non “Non dimenticatemi!”. Èsignificativo altresì che egli dedichi un inte-ro capitolo (il sesto) de I sommersi e i sal -v a t i al filosofo austriaco Jean Améry (il suovero nome era Hans Mayer), torturato dallaGestapo perché aveva aderito in Belgio aun movimento della Resistenza, e deporta-to poi, perché ebreo, nel campo di Mono-witz, lo stesso dove fu prigioniero lo scrit-tore: il quale però non si ricordava di lui,mentre il filosofo lo ricordava, pur confon-dendolo con Carlo Levi. Améry morirà sui-

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cida a Salisburgo nel 1978. Levi, nel primocapitolo dello stesso libro, cita alcune frasilasciate scritte dal filosofo prima della mor-te e che avrebbe potuto scrive-re lui stesso:

Chi è stato torturato rima -ne torturato. […] Chi ha subi -to il tormento non potrà piùambientarsi nel mondo, l’abo -minio dell’annullamento nonsi estingue mai. La fiducia nel -l’umanità, già incrinata dalprimo schiaffo sul viso, demo -lita poi dalla tortura, non siriacquista più.

I sommersi e i salvati doveva essere iltitolo del primo romanzo di Levi, è invecel’ultima opera dello scrittore, una s u m m adelle sue meditazioni sul lager; opera – èstato scritto – di un grande moralista, chechiude la sua tragica esperienza umana diun momento storico tra i più terribili dellastoria dell’uomo. Assolto il suo doveremorale e civile di testimonianza, non essen-doci altro da fare, seguì la strada che oltread Améry avevano seguito il poeta PaulCelan, il critico letterario Peter Szondi e ilcritico d’arte Robert Klein. In una delle sueultime interviste, Levi aveva detto:

Vogliamo dimostrare al mondo cheancora esistiamo. Se occorre lo dimostrere -mo morendo.

Alcuni storici hanno osservato che i casidi suicidio durante la prigionia sono statirari. È vero, e lo scrittore ce ne offre unafelice motivazione in un’altra pagina del-l’opera già menzionata:

[…] Proprio per la costante immedia -tezza della morte, mancava il tempo perconcentrarsi sull’idea della morte.

E cita un passo de L acoscienza di Zeno, là doveSvevo descrive l’agonia delpadre del protagonista:

Quando si muore si ha benaltro da fare che di pensarealla morte.

Dopo la data dell’8 settem-bre (inizia così il calvario nar-rato in Se questo è un uomo)Levi si unisce a un gruppo di

partigiani operanti nelle montagne della Va ld’Aosta, ma il 13 dicembre 1943 viene arre-stato con altri due amici dai fascisti. Hadocumenti falsi e rischia la fucilazione. Perevitarla svela la sua vera identità, confes-sando di essere ebreo, e per questo vieneassegnato al campo modenese di concentra-mento di Fossoli. Nel febbraio del 1944 ilcampo è in mano ai tedeschi, i quali rin-chiudono come bestie i prigionieri ebrei neivagoni merci e li avviano ad Auschwitz.

Auschwitz era il nome che i tedeschi ave-vano dato a una cittadina polacca dell’AltaSlesia, a sud della Polonia, annessa allaGermania nazista nel 1939: a partire daquella data tutto venne ribattezzato connomi tedeschi. Il campo di Auschwitz era,per così dire, la capitale amministrativa diun complesso sistema concentrazionariocomprendente una quarantina di campi.

Dopo cinque giorni di interminabileviaggio verso il nulla, verso il fondo, Levigiunge al campo di Monowitz, situato a cir-ca sette chilometri a est di Auschwitz.

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• 67 •Memoria e iniziazione in Se questo è un uomo di Primo Levi, P. Cristiani

L’alba ci colse come un tradimento.

Questo endecasillabo in uncontesto narrativo segna ilsenso malinconico e dram-matico del primo incontrocon il lager dove, da ora inpoi, si abbatteranno su lui e isuoi compagni le violenzepiù assurde. Levi diventasubito un H a f t l i n g (è il pri-gioniero ultimo arrivato, ilniente assoluto), il suo nomesarà il numero 174517 tatua-to sul braccio sinistro. I dete-nuti in buona salute vengonoimpiegati nella Buna, una fabbrica di gom-ma annessa al campo, gli altri vengonoavviati alle camere a gas. I turni di lavorosono massacranti, la fame, la sete e le per-cosse riducono i prigionieri a larve umane,in feroce competizione gli uni con gli altri:all’interno del campo infatti vige la leggespietata della sopravvivenza, e solo chi èabbastanza astuto da eludere in parte ladisciplina (anche a spese dei compagni piùdeboli) può avere qualche possibilità di sal-varsi. La conoscenza della chimica e dellalingua tedesca permetteranno a Levi di otte-nere un incarico nel laboratorio della fab-brica, e questo segna un parziale migliora-mento delle sue condizioni di vita. Nel gen-naio del 1945 l’Autore si ammala di scarlat-tina, ma la circostanza lo salverà: infatti itedeschi, in fuga davanti alle truppe russe,abbandonano lui e tutti i malati, portandocon sé solo i prigionieri sani (che moriran-no tutti). Le ultime pagine del libro vedonoil protagonista e i compagni alle prese con ilfreddo e la fame, finché il 27 gennaio del

1945 arrivano le truppe dell’Armata Rossache porteranno loro aiuto.

In ricordo di questi eventitragici, il 27 gennaio loStato italiano, con leggedel 20 luglio 2000 n. 211 ,ha istituito il “Giorno dellaMemoria”.

È ovvio che l’intentodello scrittore è quello ditestimoniare, ricordare, etutta la sua vita ha avutopraticamente questa finali-tà: se non avesse vissuto (èlui stesso a dirlo nell’A p -

p e n d i c e del 1976 dell’edizione scolasticaeinaudiana) la stagione di Auschwitz proba-bilmente non avrebbe scritto nulla. Egli haavuto la fortuna di essere tra quel cinque percento di deportati italiani che hanno fattoritorno a casa:

Forse mi ha aiutato anche il mio inte -resse, mai venuto meno, per l’animo uma -no, e la volontà non soltanto di sopravvi -vere (che era comune a molti), ma disopravvivere allo scopo preciso di raccon -tare le cose a cui avevamo assistito e cheavevamo sopportate.

E Levi vuole raccontare tutto, vuole chela memoria dei fatti drammaticamente vis-suti sia “intera”. Nel capitolo nono, I som -mersi e i salvati (che, si è detto, in origineera il titolo del libro), pone a se stesso unadomanda: se sia bene che di questa eccezio -nale condizione umana [la vita del Lager]rimanga una qualche memoria. La rispostanon poteva che essere affermativa. Nellapoesia Se questo è un uomo, posta a epigra-

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fe del libro e che darà il titolo al romanzo(sarà il critico letterario e suo primo editoreFranco Antonicelli a sug-g e r i rglielo), Levi sirivolge direttamente ailettori invitandoli ener-gicamente a ricordare:Vi comando questeparole… Ripetetele aivostri figli. È talmenteimportante, per lui, ilricordo che la poesia sichiude con una invetti-va contro chi nondovesse ricordare: O vi sisfaccia la casa, /La malattia vi impedisca,/I vostri nati torcano il viso da voi.

Si diceva prima, memoria intera. Nellager ci sono due categorie di uomini. Laquasi totalità dei prigionieri appartiene ai“sommersi”, mentre i “salvati” sono pochi,anche se molteplici e diversissime sono lemodalità attraverso le quali ci si salva. Loscrittore cita una frase del Vangelo che cifarà da guida in questo capitolo:

A chi ha sarà dato; a chi non ha, a quel -lo sarà tolto.

È noto che la frase intende condannarecoloro che non hanno meriti o qualità mora-li davanti al tribunale di Dio. Ma nel lager,dove “ognuno è disperatamente solo”, lasentenza evangelica è ridotta nella sua cru-da immediatezza letterale. Nel lager im u s e l m a n n (i deboli, gli inetti, i votati allaselezione) sono quelli che “non hanno” ed èa loro che “sarà tolto” (la vita, sicuramente).I “salvati” sono coloro che abitano la “zona

grigia” del collaborazionismo, del compro-messo, nella logica sempre di lotta per la

sopravvivenza.E così c’è la sto-

ria di Schepschelche si arrangia afare il ciabattinodel lager, qualchevolta perfino cantae balla davanti allacapanna degli ope-rai slovacchi, chelo ricompensanocon gli avanzi del-

la loro zuppa, ma nonesita a fare la spia per migliorare di posto.C’è la storia dell’ingegner Alfred L., egoi-sta e calcolatore, che cerca di conservare unaspetto rispettabile perché, nel lager, trovala migliore garanzia per essere rispettato;perciò viene assunto nella Buna come tec-nico di laboratorio. C’è la storia di Elias, unnano forte come un Ercole, lavoratore d’ec-cezione, fisicamente indistruttibile, ed èanche una eccezione nella storia del lagervissuto da Levi, il quale dice che per quan -to ci è possibile giudicare dal di fuori, e perquanto la frase può avere di significato,Elias era verosimilmente un individuo feli -c e. C’è infine la storia di Henri, giovane col-to e intelligente, che pratica i metodi del-l ’ o rganizzazione, della pietà e del furto, poi-ché nel lager non si salva il virtuoso, mal’uomo che si “organizza” a spese del pros-simo e che sopprime ogni sentimento disolidarietà; Henri è duro e lontano, chiusonella sua corazza, nemico di tutti, inuma -namente scaltro e incomprensibile come ilSerpente della Genesi.

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• 69 •Memoria e iniziazione in Se questo è un uomo di Primo Levi, P. Cristiani

Ma nel lager c’è anche chi non è riuscitoa diventare un “tristo”, vale a dire un uomoche le sventure hanno reso nonsolo triste, ma anche malvagio eodioso agli altri (definizione innota dello scrittore, To r i n o ,2002, p. 67).

È il caso di Alberto, il miglio-re amico di Primo, che “sa” chibisogna corrompere, chi bisognaevitare, chi si può impietosire, achi si deve resistere e che per-tanto incarna quel tipo di uomobuono, ma nello stesso tempoforte ed equilibrato, contro cuile forze del male non riescono aprevalere, contro cui si spunta -no le armi della notte, dice Leviriprendendo il titolo del roman-zo forse più meditato dello scrit-tore francese Vercors, Le armidella notte (ambientato pure in uncampo di sterminio), in cui il protagonistaconstata amaramente che il vero delitto deinazisti non è stato tanto quello di uccideredegli uomini, quanto quello di privarli arta-tamente della loro “qualità” di uomini.

Ma più ancora, a mio avviso, in tantadegradazione e abbruttimento nella vita dell a g e r, la “qualità” umana si manifesta inLorenzo, un operaio civile italiano che persei mesi portò al nostro autore un pezzo dipane e gli avanzi del suo rancio, gli donòuna maglia, scrisse per lui in Italia una car-tolina e gli fece avere la risposta. E per tut-to ciò non chiese mai alcuna ricompensa,perché non pensava che si dovesse fare ilbene per un compenso. Lorenzo ha donato il“superfluo” a chi ne aveva bisogno: è una

peculiarità questa che ha dato forza a Leviper superare quei momenti terribili, non tan-

to per l’aiuto materiale cheLorenzo gli ha gratuitamen-te offerto, quanto perché lasua presenza gli ha ram-mentato che esisteva ancoraun mondo giusto, non cor-rotto, non selvaggio. Il lagerè un mondo senza razionali-tà, senza dignità umana,dalle SS ai Kapos, ai promi-nenti (sono prigionieri pri-vilegiati che rivestono lecariche più alte), agli Haft-ling; Lorenzo però è al difuori di questo mondo egrazie a lui lo scrittore èriuscito a non dimenticaredi essere un uomo.

Le circostanze hannofavorito il narratore a n o n

dimenticare di essere un uomo, la fortuna haavuto pure la sua parte a farlo uscire vivo daAuschwitz, tuttavia la sua sensibilità, la cul-tura scientifica e umanistica hanno contri-buito, in parte, al superamento di quell’u n i -c u m che è stato il mondo concentrazionarionazista nella pur sanguinosa storia dell’u-manità. Certo la ferita non si è mai rimargi-nata, i tedeschi hanno vinto, anche se scon-fitti militarmente; è Levi stesso a dirlo nelpenultimo capitolo:

Distruggere l’uomo è difficile, quasiquanto crearlo: non è stato agevole, non èstato breve, ma ci siete riusciti, tedeschi.

In ogni caso egli è riuscito a darne testi-monianza attraverso un’attività durata, tra

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alti e bassi, quarant’anni. È vero (lo dice luistesso e lo abbiamo già accennato) che senon ci fosse stato Auschwitz probabilmentenon avrebbe scritto nulla, ma p r o -babilmente (adoperiamo lo stes-so avverbio) aveva in sé latentile qualità dello scrittore, che nonpossono così marcatamentee m e rgere, pure in considerazio-ne di una esperienza così amaracome quella del lager, altrimentiavremmo dovuto avere altriLevi nella moderna letteraturaeuropea, tenendo conto deisuperstiti (pochi) dei campi diconcentramento nazisti.

Da intellettuale qual era, Leviconcepisce la narrazione di S equesto è un uomo come un viag-gio iniziatico e non poteva esse-re altrimenti, perché quella situa-zione era troppo assurda e irrazionale. Pro-prio come Dante egli si trova improvvisa-mente catapultato nella “selva oscura” dell a g e r. Non è un forzare il testo, è l’autorestesso a dire che il ricordo dell’I n f e r n o c o r -re costante per tutto il libro ( c f r. nota 21dell’edizione Einaudi cit.). Non a caso ilprimo capitolo del romanzo si intitola I lv i a g g i o: alla fine del capitolo un soldatotedesco, novello Caronte, scorta i prigionie-ri destinati al lager non gridando il classicoGuai a voi, anime prave, bensì chiedendodenaro e orologi.

Nel secondo capitolo siamo davanti allagrande porta del lager, la porta dell’I n f e r n o,sulla quale anziché la scritta Per me si vanella città dolente […], campeggia l’assur-da scritta ARBEIT MACHT FREI (vale adire, “Il lavoro rende liberi”). Il lavoro che,

prima ancora che fosse a fondamento dellanostra e di ogni libera Repubblica, la Mas-soneria elevava a simbolo di utilità e perfe-

zione, considerandolo primo doveree massima consolazione dell’uomo;il lavoro sarà qui, in un luogo con-cepito per uno sterminio program-matico, mezzo per infliggere di-sumane sofferenze. Mentre nel-l ’I n f e r n o dantesco la scritta ha unasua logica coerente con il luogo di“eterno dolore” che attende coloroche in vita variamente peccarono,nel lager non ha alcun senso se nonquello della beffa. Come non hasenso il divieto di bere in presenzadell’acqua e sotto la spinta di unasete feroce; o l’obbligo di mettersiin fila nudi nel vento gelido delnord Europa; o il togliersi le scar-

pe, metterle in un angolo e poivenire uno con la scopa a spazzarle fuoridalla porta in un mucchio. Tutto è insensatonel lager, perché il fine è quello di distrug-gere l’individuo. Il nostro scrittore ha sete,vede fuori dalla finestra un bel ghiacciolo,lo stacca, ma un tedesco glielo strappa bru-talmente. Vuol sapere perché, ma gli vienerisposto: qui non c’è perché; la frase, peranalogia, gli fa pensare a due endecasillabidanteschi: […] Qui non ha loco il SantoVolto! /qui si nuota altrimenti che nel Ser -c h i o, che sono le parole con le quali i diavo-li di Malebolge si rivolgono a un dannatolucchese, a sottolineare la differenza tra ilmondo terreno e quello infero.

Il terzo capitolo si intitola Iniziazione edè pertanto abbastanza esplicito per determi-nare il carattere che Levi ha voluto dare allasua narrazione. Comincia l’inferno vero e

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proprio, e per non morire un suo amico glisuggerisce di lavarsi con energia; di dare illucido alle scarpe; di camminare senza stra-scicare gli zoccoli: gesti che pos-sono sembrare inutili ma che ser-vono a negare consenso alla pro-pria disfatta, a salvaguardare laforma della civiltà proprio làdove essa è perduta.

Un’altra efficace analogia conl ’I n f e r n o dantesco si rinvienequando Levi deve sostenere l’e-same di chimica davanti al Dok-tor Pannwitz, capo della com-missione, f o r m i d a b i l m e n t e” s e d u-to dietro una scrivania: l’avver-bio rievoca l’orribilmente e rin -ghia del giudice Minosse. Pann-witz, come Minosse, non userà laparola per esprimere il suo giudizio sul can-didato, ma segni incomprensibili che la suamano di pelle bionda scrive su una paginabianca, ed è come se scrivesse il destino delnostro scrittore.

Immagini suggerite dalla Commedia tro-viamo sparse qua e là nel romanzo, ma ilcapitolo undicesimo, uno dei più toccantidell’intero libro, intitolato Il canto di Ulis -s e, è interamente dedicato al noto passo del-l’opera dantesca.

Il protagonista di questo capitolo è Jean,ventiquattrenne studente alsaziano sopran-nominato Pikolo (vale a dire, “fattorino-scritturale”). Egli pulisce le baracche, con-segna gli attrezzi, lava le gamelle, conta leore di lavoro complessive e viene tenuto inconsiderazione dal Kapo perché gli preparail quotidiano rapporto sulle prestazionidegli operai.

Pikolo e Primo devono ritirare, a un chi-lometro di distanza, la zuppa di cavoli erape, che viene poi distribuita ai prigionieri

a ffamati: all’andata si anda-va leggeri, ma poi bisogna-va ritornare con la marmittadi cinquanta chili infilatanelle stanghe. Perciò all’an-data, scegliendo opportuna-mente una strada più lunga,fanno in modo di avereun’ora a disposizione perparlare tra loro da esseriumani. Così ricordano leloro case, i loro studi, leloro letture, le loro madri…Pikolo ama l’Italia e vorreb-be imparare l’italiano. Pri-

mo inizia la “lezione” par-landogli di Dante e della C o m m e d i a, poi glirecita a memoria alcuni versi del XXVIcanto dell’I n f e r n o: Lo maggior corno de lafiamma antica [ … ]. I versi danteschi hannoil potere di evocare una lingua musicalecontrapposta a quella “aspra e chioccia” dell a g e r. Vi è un vuoto di memoria durante ladeclamazione dei versi, ma poi riprende:[…] Ma misi me per l’alto mare aperto. Ilverso dà un senso di spazio e di pace che facontrasto con la prigionia, la tensione el’ansia sempre costanti nel lager.

Così tra lacune di memoria e pause for-zate (hanno da fare adesso un chilometrocon il recipiente pieno), Primo arriva allafamosa terzina Considerate la vostra semen -za […], che acquista un valore terribilmen-te attuale per l’autore e il suo amico, perchénel lager si vive come bruti, la “semenza”umana è calpestata, virtù e conoscenza sono

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relegate solo a momenti di pace come que-sti. Ma i versi hanno una loro valenza nonsolo per contrasto, ma soprat-tutto perché hanno la capaci-tà di evocare l’essere umanonella sua completezza mora-le: la compagna picciola da laqual non fui diserto dà il sen-so della fraternità fra gliu o m i n i , la dolcezza di figlio, i ldebito amore, la pietà del vec -chio padre, il culto della fami-glia; la montagna bruna d e lP u r g a t o r i o diventa nostalgiadella patria, facendo ricorda-re a Primo le sue montagneche comparivano nel brunodella sera quando tornavo intreno da Milano a Torino.

Ma è soprattutto il desiderio di cono-scenza che dona ai due amici un momentodi speranza: quella che al di là delle colon-ne d’Ercole del presente vi sia un mondomigliore. Intanto sono arrivati a destinazio-ne, il naufragio è in vista, la breve parente-si umana è finita, e il verso che chiude ilcanto di Ulisse, chiude anche il capitolo delromanzo: infin che ‘l mar fu sopra noi rin -c h i u s o.Per un attimo l’intelligenza ha trion-fato sulla brutalità, per un attimo Jean e Pri-mo sono dei “salvati” nel senso più nobile:non attraverso le piccole miserie umane, maattraverso la memoria culturale che si è fat-ta parola poetica, speranza della ragione perchi ha vissuto giorni in cui l’uomo è statouna cosa agli occhi dell’uomo.

Per concludere. Il viaggio iniziatico diLevi non ha avuto peculiarità catartiche, nel

senso che non dobbiamopensare a lui come a un“salvato”, ma come aduna vittima: uno che èmorto ad Auschwitz qua-rant’anni dopo. Il lager èstato per lui, come peraltri superstiti, una Uni-v e r s i t à ( c f r. I sommersi e isalvati, Torino, 1986, p.114), nel senso di averloaiutato a scrutare meglio ilmondo, a misurare gliuomini. Una Universitàche non gli ha inculcato lafede in Dio, alla quale

avrebbe potuto pur aggrap-parsi in quei giorni tremendi. Non lo ha fat-to. Solo una volta ha ceduto alla tentazionedella preghiera: nell’ottobre del 1944,davanti alla “commissione” che con un’oc-chiata doveva decidere se lui era per il gas ose era idoneo per continuare a lavorare.

Ma, dice Levi:

Non si cambiano le regole del gioco allafine della partita, né quando stai perdendo.

Per rimpiazzare la mancanza di fede inDio, Levi scelse la cultura, che non salvanessuno dalla morte né assicura una vitamigliore, aiuta però a non viver come bruti,a utilizzare coscientemente e conoscitiva-mente gli strumenti della ragione di frontealla morte e alle negatività della storia.

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Sugli estremi biografici di Marziale Reghellini “de Schio”*

di Edoardo Ghiotto

Ricercatore

The Author presents some results of his researches about Marziale Reghellini, bornin Zara on June 18th 1766, from a family whose origins were deeply rooted in Schio(Vicenza). This character has been a very important figure in the European Freema -sonry between 1700 and 1800.

el dedicare alcune pagine delsuo fondamentale saggio suLaïcité et Franc-Maçonnerie

a Marziale Reghellini “de Schio”, lo stori-co John Bartier lamentava l’incertezza incui erano immersi molti dati della suabiografia e, pur riconoscendo che alcuneinformazioni su di lui era possibilericavare dalle sue opere e dal suo carteg-gio, avvertiva della necessità di poterleconfermare per mezzo di dati raccoltinegli archivi italiani.

De ses œuvres et de sa correspon -dance on peut tirer quelques donnéesbiographiques. Mais il faudrait les

confirmer par des recherches dans lesarchives italiennes. Or, à en juger par cequ’en dit un des meilleurs spécialistes del’histoire de l’illuminisme, même dans sonpays, on sait peu chose actuellement, surReghellini1.

Anche di recente Gian Mario Cazzanigalamentava una pauvreté de données biogra -phiques ed il fatto che:

Les œuvres de Marziale Reghellini deSchio sont parfois citées mais trés peuconnues. La vie même de l’auteur consti -tue une page blanche de l’historiographielittéraire et maçonnique du XIXe siècle2.

* Il presente saggio richiama, aggiornandoli, alcuni miei precedenti scritti sull’argomento, appar-si soprattutto in Numero Unico, Schio 1992 e 1996. 1 Bartier, 1982 : 203-224, nota tuttavia che il saggio in questione è del 1964. L’Autore accennaa Francovich, 1962: 46 n. 19.2 Reggiani, 2000: 19.

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Nessuno, che io sappia, ha mai messo indubbio che Marziale Reghellini sia nato aSchio. Lo aveva sempre dichiarato lui stes-so, nel frontespiziodelle sue opere, rive-lando un commoventeattaccamento alla ter-ra d’origine. Lo avevascritto nel suo L aMaçonnerie ove ave-va “spiegato” ai letto-ri che la sua terra eracollocata entre Véro -ne et Vicence3. Loaveva confermato, tra itanti, in una sua gelida scheda bio-biblio-grafica il Rumor agli inizi del secolo scor-s o4. Lo si poteva desumere dall’acte dedécès stilato il giorno successivo alla mortesopraggiunta il 19 agosto 1853 a Ixelles5.Non lo poneva neppur lontanamente in di-scussione il Bartier visto che, dopo averriconosciuto e lamentato la carenza di datibiografici sul Reghellini, proseguiva in tut-ta serenità con le parole:

Quoi qu’il en soit, il était originaire deSchio […]6.

Eppure, i registri canonici custoditi nel-l’Archivio del Duomo di Schio e di varielocalità vicine, pur ricchi di informazioni su

suoi omonimi e paren-ti, tacevano inspiega-bilmente su di lui.

La casa Reghelli -ni – informa agli ini-zi del SettecentoGiacomo Pozzolo –è famiglia antica del -la contrada sopraSchio, chiamata liReghellini: al presen -

te vi sono il signorGiovanni e il signor Angelo, suo nipote,benestanti e buoni chirurghi; il dettosignor Giovanni è asceso al grado di ser -gente della milizia nuova, e il suddetto suonipote inoltre fa il maestro, tenendo scuo -la a fanciulli di primo latte: del resto sonocivili e vestono pari d’ogn’uno del luogo7.

Dei due Reghellini ricordati dal Pozzolointeressa, ai fini della nostra ricerca, A n g e-lo, il nonno paterno di Marziale. Nato intor-no al 1685, Angelo Reghellini viene ricor-dato da Gaetano Maccà8 come autore di una

3 Reghellini, 1842: 222.4 Rumor, 1907: 609.5 Marziale Reghellini morì nell’H o s p i c e di Ixelles, popoloso sobborgo a sud-est di Bruxelles.Giovanni Meneghini (1978: 56-57) riporta (tradotti in italiano) l’atto di morte redatto nel Comune diIxelles (n. 300) in data 20 agosto 1853 nonché quello redatto in Bruxelles, primo distretto (n. 3658) indata 11 ottobre 1853. È questo il documento citato dal Bartier (1982: 205-6 e 212) con la segnatura E t a tCiv. Bruxelles 3658/1853. Marziale vi figurava fils de Brunon Reghellini et d’Anne Decorron, veuf deJasqueline Sineck et de Blanche de Stephene, senza figli. 6 Bartier, 1982: 206.7 Pozzolo, 1876: 37. Cfr. pure Pietro Maraschin, Mss. Maraschin, VII, p. 64.8 Maccà, 1814: 90.

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• 75 •Sugli estremi biografici di Marziale Reghellini “de Schio”, E. Ghiotto

Antigrammatica per istruzione de’ princi -p i a n t i che, stampata a Vicenza nel 1725,conobbe una seconda edi-zione nel 1756, ad unanno dalla morte del suoautore. Sposato a Dome-nica Amorevoli (1695 ca.-1773), Angelo ebbe alme-no undici figli, alcuni deiquali (particolarmente l’a-bate Marziale, pievano diSan Giacomo di Rialto inVenezia, revisore allestampe dopo il 1742; Gia-no, “medico e cerusico”attivo in Padova, Firenze,Venezia, città queste ultimeove fu in contatto rispettivamente con A n t o-nio Cocchi e con il console inglese JosephSmith) raggiunsero in diversi campi grandenotorietà. Altra scelta di vita fece il settimofiglio, quel Giuseppe Brunoro, noto tuttaviacon il solo secondo nome, che vide la lucein Schio nel 1723. Di lui il Maraschin e ilconte Giovanni da Schio9 forniscono alcuneinformazioni di assoluta importanza ai finidella nostra ricerca: il primo fa sapere cheegli ebbe impiego a Zara dove fece molte ric -chezze, il secondo lo dice militare a cavallodei veneti, col grado di cornetta10, e aggiun-ge che si fece ricco a Zara. Aveva evidente-mente seguito le orme di quel Giovanni

Reghellini sergente della milizia nuova cheabbiamo sopra menzionato.

Sulla traccia del da Schio,Brunoro ebbe da Anna Decor-ron, Marziale, Angelo ed A n n aDomenica, andata sposa inSchio (1781) a Giovanni Nico-letti. Particolarmente interes-sante la pista di ricerca fornitadall’atto di morte di A n n aDomenica, stilato nel 1839: inesso la si dice di anni 78, catto -lica, possidente, fu moglie del fuGiovanni Nicoletti, nata inZara, domicialiata in Schio,contra’ Oltreponte11.

Il sospetto che non fosseSchio il luogo di nascita di MarzialeReghellini, malgrado le sue affermazioni ela concordanza di quanti alla sua biografiasi erano interessati, derivava ulteriore con-sistenza da questo atto di morte e divenivaquindi certezza una volta verificati gli scar-ni e non di rado confusi dati biografici di-sponibili.

Sulle prime tappe della sua formazioneculturale ben poco era dato sapere: il citatoRumor sorvolava sull’argomento:

[…] Lasciò in giovane età la patria[Schio] e l’Italia e si diede a girare il mon -d o . […] Non ebbe princìpi morali né reli -g i o s i.

9 Persone memorabili in Vicenza, Biblioteca Bertoliana, Vicenza, ms. Gonz. 6.10. 1-11 (3396),sub voce.10 “Cornetta” – spiega Giuseppe Boerio (1856: 199) – sotto la Repubblica Veneta era titolo diuffiziale di cavalleria, corrispondente all’alfiere nella fanteria o sia di sottotenente.11 Archivio e Biblioteca del Duomo. Schio, Registri civili. Morti, XII, anno 1839, n. 147.

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Ripeteva sostanzialmente queste paroleanche il Màntese della S t o r i adi Schio e delle M e m o r i es t o r i c h e, ma non quellosuccessivo dell’I t i n e r a r i oarchivistico ove lo definivaun uomo d’ingegno e colto;seminarista, volteriano em a s s o n e1 2. Il Bartier, a suavolta, sulla scorta di alcunenote autobiografiche rica-vate dall’Examen dum o s a ï s m e (III, Bruxelles1834, p.71) del Reghellinistesso, affermava:

Lui-même avait conquis à Padoue unelicence en droit et il gardait un souvenirému d’un de ses professeurs l ’ i m m o r t e lCesarotti.

“Seminarista” dunque; ma non a Vi c e n-za, ove i registri dedicati allo Status cleri -corum Seminarii rimanevano desolatamen-te privi di qualsiasi accenno ad un MarzialeReghellini figlio di Brunoro, bensì a Pado-va, ove figura essersi iscritto (incumbit inh u m a n i t a t e m) in data 16 novembre 1783.Vi risulta filius N.N. et N.N., de Schio, fra -trem unum habens superstitem, a n n o r u m17 circiter1 3. Non è dato sapere per ora checosa lo abbia determinato ad entrare nelSeminario di Padova accompagnato da unaqualifica così insolita (se non unica in tutto

il registro) e niente affatto promovente. Eglisi dichiara dunque nato

intorno al 1766, fattoquesto che – alla lucedegli eventi di poco suc-cessivi all’esperienza nelSeminario – appare pie-namente credibile.

Acquisito un datopressoché sicuro (ma daverificarsi) circa la datadi nascita, restava da fis-sare con certezza quello

relativo al luogo. A q u e-sto interrogativo veniva data una primaattendibile risposta grazie ad una successi-va ricerca presso l’Archivio dell’Universitàpadovana, alla quale il Reghellini si eraiscritto dopo essere uscito dal Seminario. Il30 marzo 1785 il Magistrato dei Riformato-ri, esaminata la supplica prodottagli dalloscolare uscito da codesto Seminario, Mar -ziale Reghellini, giudica conveniente di per -mettere al medesimo di poter essere ammes -so alla terza terziaria corrente in codestaUniversità, sotto la disciplina de pubbliciprofessori d’anno primo, ed in seguito dipresentarsi agli esami quallor consti condocumenti immancabili che adempito abbiaegli il corso de studi nel Seminario delle dueterziarie precedenti, e munito sia in tutto eper tutto dei requisiti prescritti1 4. Il 4 giu-

12 Màntese, 1955: 485 n. 69; Idem, 1982: 775 n. 112; Idem, 1986: 235.13 Biblioteca del Seminario di Padova. Status clericorum Seminarii patavini, ms. 864/2, n. 1097.14 Archivio Antico dell’Università. Padova (A.A.U.P.), ms. 513, alla data. Quanto al termine “ter-ziaria”, il Boerio (1856: 745), ci informa che era voce che usavasi nell’Università di Padova e che c h i a -

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• 77 •Sugli estremi biografici di Marziale Reghellini “de Schio”, E. Ghiotto

gno 1785 – ci informano i registri d’Uni-versità giurista – sostenne gli esami previ-s t i1 5. Ma furono i primi edanche gli ultimi; non pro-seguì infatti negli studi machiese ed ottenne di passa-re all’Università per letteradatata 28 novembre 1785;non risulta tuttavia averfrequentato né avervisostenuto esami16.

Ma i registri di t e r z a r í edell’Archivio Antico del-l’Università ci forniscono,oltre alle indicazioni sulmagro curriculum di studidel Reghellini, anche queidati che nei registri delSeminario non avevamo reperito: ce lodicono infatti “figlio di Brunoro” e “diZara” (corretto peraltro su “vicentino”).Nessuna informazione sulla data di nascitache purtuttavia già abbiamo visto fondata-mente collocabile nel 1766.

Una ricerca effettuata nell’archivio del-la parrocchia metropolitana della città croa-

ta, allora sotto dominazione veneziana, con-fermava contemporaneamente i due dati sul

luogo e sull’anno di nascitache gli elementi soprariportati avevano anticipa-to. In esso sono custoditigli atti di battesimo di trefigli di Brunone (Bruno-ro) Reghellini ed A n n aMaria Coronelli: Domeni-ca, Angelo Michele e, perl’appunto, Marziale. Que-sto il testo del fondamen-tale documento:

A dí 19 giugno 1766.Io don Michele Cettina

canonico e curato di questametropolitana, a motivo di imminentepericolo, ho dato l’acqua battesimale ad unbambino nato li 18 corrente, figlio delsignor Brunoro Reghellini e della signoraAnna Maria1 7 sua legittima consorte, alquale ho posto nome Marziale Catterin.Padrina la signora tenenta CatterinaSoranzo, riservate le sante preci al tempoopportuno18.

m a v a n s i terzeríe le tre fedi o attestazioni che a Natale, a Pasqua e alla fine dell’anno scolastico, ogni stu -dente doveva riportare dai rispettivi professori dell’intervento assiduo alle lezioni, per poter essereammesso agli esami annuali, e quindi al dottorato.15 A.A.U.P., Nuovo impianto di registro di terzarie. Legali, ms. 554, c. 19r.16 A.A.U.P., Nuovo impianto di registro di terzarie. Artisti, ms. 554, c. 25r.17 Il cognome della madre si ricava per esteso dall’atto di battesimo del fratello di Marziale,Angelo Michele (13 dicembre 1764). Il cognome Decorron che abbiamo sopra incontrato è una proba-bile storpiatura o adattamento di Coronelli.18 Archivio della parrocchia metropolitana di sant’Anastasia. Zara, Liber baptizatorum XIX( 1 7 6 1 - 1 7 7 7 ), p. 76. Quanto al termine “tenenta”, il Boerio (1856: 742) spiega: dicesi la moglie d’untenente militare.

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Riferimenti bibliografici

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Boerio, G. (1856) Dizionario del dialetto veneziano. Venezia.Francovich, C. (1962) Albori socialisti nel Risorgimento. Contributo allo studio delle

società segrete (1776-1835). Firenze.Maccà, G. (1814) Storia del territorio vicentino, XI/1. Caldogno (Vicenza).Màntese, G. (1955) Storia di Schio. Schio.Màntese, G. (1982) Memorie storiche della Chiesa vicentina, V/2. Vicenza.Màntese, G. (1986) Itinerario archivistico nella vita vicentina del primo Ottocento, a cura

di Vittoriano Nori. Vicenza.Maraschin, P. Moderne e antiche memorie di Schio. Biblioteca Civica “R. Bortoli”. Schio.Meneghini, G. (1978) I Reghelin nella Massoneria nel ‘700 scledense. In Numero Unico

29 giugno. Schio.Pozzolo, G. (1876) Notizie della terra di Schio scritte dall’anno 1712 al 1714. Padova.Reggiani, L. (2000) [a cura di] Les origines de la Franc-Maçonnerie dans les œuvres de

Reghellini de Schio. In Massoneria e cultura. Il contributo della Massoneria alla forma -zione della cultura nel Belgio francofono (1830-1914). Bologna.

Reghellini, M. (1842) La maçonnerie considérée comme le résultat des religions égyptien -ne, juive et chrétienne, I. Paris.

Rumor, S. (1907) Gli scrittori vicentini dei secoli XVIII e XIX, 2. Venezia.

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La Costituzione al tempo di Mazzini.Un dibattito del 1849

di Roberto Balzani

(Università di Bologna)

Giuseppe Mazzini ruled in the time between March and July 1849. He led theRoman Republic, an ephemeral democratic experiment, during the great Euro -pean revolutionary period of 1848-49. The aim of the Democrats was not to estab -lish a local alternative power different from that imposed by the Church: they weredrawing the profile of the future Italian Republic and their work was the concreteproof of the vitality of democratic ideals. This is the reason why the deputees, evenafter the fall of the Roman Republic, spended all their energy for writing a Con -stitution Act. But, how to compile a Constitution? Where to find an inspiration,in the ancient Roman tradition or in the more recent European experiences? Therewere many whirling discussion about these matters and they probably stand asone of the hightest moment in the Italian political life.

Per dirigere la guerra – così GiuseppeMazzini all’assemblea romana, il 18 mar-zo 1849, in un famoso discorso – a v e t enecessità di un potere; d’un potere che,quanto più i capi sono straordinari quan -to più l’urgenza è grave, sia rivestito dipoteri straordinari, abbia in sé un concen -tramento di facoltà straordinarie. [...]Abbiate dunque un potere uno, un poterecapace di tutta l’energia richiesta dalle cir -c o s t a n z e [...]. Voi avete dichiarato chefareste una Costituzione. Ed io vi dico cheuna Costituzione non può farsi oggi. Visono due speci di Costituzioni, Costituzio -ne italiana e Costituzione romana. Una

Costituzione romana, secondo me, nondeve farsi, una Costituzione italiana nonpuò farsi [...]. Parmi che Roma dovrebbeavere dalla Commissione che incaricaste diredigere la Costituzione, una dichiarazio -ne di principi, un’espressione di fede [ . . . ] .Una dichiarazione di principi; una serie diguarentigie, per la libertà individuale, dicoscienza, di associazione, di stampa, pertutte le libertà che costituiscono il vostrodiritto più sacro; e un’organizzazione delpotere: quando avrete queste tre cose,avrete per me tutto quello che in questomomento, pendendo la guerra [...] v o ipotete, e dovete avere1.

1 Le Assemblee del Risorgimento. Roma, III, Roma, Tipografia della Camera dei Deputati, 1911, pp.786-787. Cfr., sul 150° della Repubblica Romana, il recente fascicolo speciale della Rassegna storica delR i s o r g i m e n t o, 1999. Fra i contributi più recenti sul testo costituzionale del 1849, cfr. Bassani, 2001: 305-340; Manzi 2003.

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Il consiglio di Mazzini cadde nel vuoto.Ed egli accettò, quindi, senza grande entu-siasmo, l’idea diuna discussionesulla Costituzio-ne. Le sue letteredi quelle settima-ne non recanotracce significati-ve dei lavori: tut-to ruotava, perlui, intorno alla“questione mili-tare”, ai rapportiinternazionali e alle concrete possibilità diresistenza. Anche le relazioni epistolari congli amici inglesi e francesi, che rappresen-tavano per Mazzini uno dei canali privile-giati per “europeizzare” il moto italiano,glissano sulla Costituzione. L ’ h é r o ï s m e,scriveva, per esempio, a George Sand, il 28giugno, s’era développé dans un peuple aucontact d’une grande idée et de quelquehomme de foi2. Il punto di vista istituzionalelo interessava poco: a contare era la testi-monianza di una “fede”.

La Costituzione della Repubblica nonfu, perciò, il frutto di un impegno diretto diMazzini. Gli uomini che più ne discussero,fra aprile e giugno 1849, furono altri: Quiri-co Filopanti, Carlo Luciano Bonaparte,Aurelio Saliceti, Cesare Agostini, EnricoCernuschi, Livio Mariani, Giovanni Gril-lenzoni, Rodolfo Audinot, Giuseppe Gabus-

si, Giuseppe Galletti, e poi Ballanti e Liza-b e - R u ffoni. Siamo di fronte a un campione,

è stato scritto, di ten -denze e provenienzediverse: democraticiinfluenzati dal sociali -smo, democratici lega -ti alla tradizione gia -cobina, democraticimazziniani, liberalimoderati che avevanoaderito alla Repubbli -ca perché avevanovisto in essa l’unica

soluzione possibile in quel momento deigravi problemi che agitavano lo Stato roma -n o. Possiamo affermare, di conseguenza,che la Costituzione fu il prodotto di unincontro riuscito (dopo molti scontri) fra lediverse anime della democrazia e del libe-ralismo democratico italiano; e ciò, credo,ne aumenta notevolmente l’importanza.

Ma quale idea di Costituzione avevanoin mente i rappresentanti del “popolo roma-no”? Esistono due progetti di carta fonda-mentale. Il primo, di cui fu relatore all’as-semblea Cesare Agostini, risale ai primi diaprile del 1849, e tende – come vedremo –a praticare una “via italiana” alla democra-zia politica, sulla scorta del modello repub-blicano “classico”3. Agostini fu l’estensoremateriale di un testo che, tuttavia, fu il frut-to di una commissione costituita ad hoc, il13 febbraio 1849. In realtà, poiché molti dei

2 Mazzini, 1950: 175.3 Battaglini, 1991: 435-460.

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• 81 •La Costituzione al tempo di Mazzini. Un dibattito del 1849, R. Balzani

membri designati erano ministri o si trova-vano comunque coinvolti in attività gover-native, i lavori procedettero a rilento e vide-ro l’impegno costantesolo di alcuni deputati,fra cui Bonaparte, Sturbi-netti, Galletti e A g o s t i n i .Quest’ultimo, in assem-blea, si assunse la pater-nità del testo nelle suelinee fondamentali. Glistretti rapporti fra Mazzi-ni e Agostini, che fu suosegretario, lasciano sup-porre che l’intervento deltriumviro, almeno nellesettimane fra marzo e aprile, non fu trascu-rabile. Il 17 aprile Agostini comunicò all’as-semblea l’esito del suo lavoro, la cui di-scussione fu poi rimandata. Perché? Proba-bilmente per lo stesso impianto della Costi-tuzione, che si allontanava vistosamente daipiù celebrati modelli europei. Sta di fattoche la Costituente votò una nuova commis-sione, sui cui lavori nulla sappiamo, cheprodusse un nuovo progetto. Fu reso notonei primi giorni di giugno ed accompagna-to dalla relazione di Aurelio Saliceti, un giu-rista abruzzese di solida formazione demo-c r a t i c a4. Rispetto al primo che, come vedre-mo, prevedeva una sorta di triplo potereconsacrato dal popolo (quello legislativo,quello esecutivo e quello tribunizio), ilsecondo si qualificava, invece – forse peresplicita reazione al “modello francese”,

forse in polemica col preponderante potereesecutivo incarnato dai triumviri – per unaforte sterzata in senso assembleare del futu-

ro assetto istituzionale dellaRepubblica.

Roma antica5 e la Fran-cia contemporanea rappre-sentarono, quindi, i duemodelli presenti nei lavoridella Costituente. A g o s t i n i ,senza dubbio, aveva guarda-to alla prima per il suo pro-getto. Esso prevedeva un’u-nica assemblea; un consola-to, formato da due persone

e, soprattutto un tribunato didodici membri, tutti eletti a suffragio uni-versale. Il tribunato aveva il compito di“contenere” il potere esecutivo ed esercita-re un controllo di legittimità costituzionalesulle leggi. Rispetto a Rousseau, che nelContrat social aveva previsto un tribunatoconservateur des lois et du pouvoir législa -t i f, l’ambiente repubblicano romano del ‘49era andato oltre. I tribuni dovevano “veglia-re” a garanzia delle “leggi fondamentali”, èvero, ma potevano rinviare all’assembleaper due volte le leggi che non ritenevanocostituzionalmente fondate; giudicare i con-soli alla fine del loro mandato ed eventual-mente porli in istato d’accusa; convocare icomizi straordinari; giudicare l’operato deldittatore – figura anch’essa tratta dalla tra-dizione classica e concepita come un poterestraordinario a tempo. Non solo. Qualora i

4 Morelli, 1990: 291-296; Nocilla, 1989: 231-244.5 Cfr., a questo proposito, Treves 1962; Skinner 1998. E, nello specifico, Meloni, 1993: 187-210.

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consoli fossero stati posti in istato d’accusa,tre tribuni si sarebbero ad essi sostituiti neldisbrigo dell’amministrazione fino al termi-ne del giudizio6.

Il principio su cui fondavail progetto repubblicano era laderivazione di ogni poteredirettamente dal popolo. Nonera neppure presa in conside-razione l’idea di un consolatoresponsabile nei confronti del-l’assemblea, e dunque da essain qualche modo controllabi-le. La divisione delle funzioni,garantita dai tribuni – gli uni-ci a poter interpretare ruolidiversi, in caso di necessità –era ritenuta argine suff i c i e n t eal dispotismo o alla formazio-ne di oligarchie. I deputatiduravano in carica tre anni; i tribuni cinqueanni, ed erano rieleggibili; i consoli scade-vano ad anni alterni, e non erano immedia-tamente rieleggibili. Non v’è dubbio che,grazie ad uno straordinario potere d’interdi-zione e di controllo, i tribuni dovesseroesercitare un potere davvero decisivo nellaRepubblica. Agostini, professore di storia,non si poneva il problema di un eventualeconflitto d’interessi e non prevedeva la for-mazione di partiti: da mazziniano, egli rite-neva che il “popolo”, nella sua globalità, sisarebbe spontaneamente indirizzato verso lascelta degli individui più adatti. Non a caso,

quando nel testo si parlava di “responsabili-tà”, non si trattava mai di responsabilitàpolitica: la responsabilità in questione era,

piuttosto, quella morale,connessa alle inevitabilicadute morali dei magi-strati nell’esercizio delleloro funzioni. E, per laverità, questa impostazio-ne risultava prevalenteanche presso buona partedell’assemblea7.

L’enfasi posta sul tribu-nato dipendeva dal valoreeducativo attribuito allaCostituzione. Una Costi -tuzione repubblicana –aveva sentenziato A g o s t i-ni, presentando il suo pro-

getto – utilizzando e perfe -zionando quanto v’ha di buono nella vita diun dato popolo, e ravviando e dirigendoquanto v’ha d’imperfetto e di male, deveeducare il popolo al miglioramento delleproprie condizioni morali, intellettuali epolitiche affinché possa progredire nella suavita e giungere un giorno ad incarnare nelfatto quell’idea di perfetta democrazia, che èvera fratellanza, con la semplicità dell’ele -mento patriarcale e la robustezza dell’ele -mento romano8. I tribuni, in quest’interpre-tazione formativa e formatrice della Repub-blica, acquisivano perciò il ruolo di censori,di maestri, di vigili, si potrebbe dire, del

6 Battaglini, 1991: 440-441.

7 Ibidem, p. 450 ss.8 Le Assemblee del Risorgimento. Roma, IV, Roma, Tipografia della Camera dei Deputati, 1911, pp.190-191.

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traffico delle emozioni e dei sentimenti cheattraversavano lo spazio del potere.

La chiave etica è decisiva per compren-dere il debito culturale che ilnuovo repubblicanesimoaveva contratto con l’antico.Lettori di Machiavelli, icostituenti del ‘49 avevanoin mente un mondo fatto nontanto di pesanti interessio rganizzati, quanto di perso-nalità avide e malvagie. Ilt o p o s retorico e letterariodell’Italia corrotta dall’egoi-smo individuale e dalla bra-ma di ricchezza e di potereprevaleva sull’analisi di unarealtà non ancora evidentema in formazione, nella qua-le l’opinione pubblica andavaprendendo corpo, dividendosi non solo sul-la base delle idee, ma anche di robusti inte-ressi collettivi.

Agostini aveva ben presente, ovviamen-te, la Costituzione francese del ‘48. Ma essa– osservava – non lusingava già troppo lanostra attenzione, perché una Costituzionedi nuova Repubblica, la quale lascia apertaal Potere esecutivo la via di abbandonare lacausa dei popoli generosi che si sollevanoper la libertà, non è certo una Costituzioneper noi, per noi che onoriamo ogni diritto dinazionalità, e vogliamo proclamato il prin -cipio della fratellanza dei popoli9. Ma il casoromano non era paragonabile con quello

transalpino anche per un’altra, fondamenta-le ragione: N o i – da intendersi come n o ir o m a n i – non abbiamo storia. Un’aff e r m a-

zione paradossale, soprattut-to se fatta nella città capita-le di un antico e grandeimpero. Agostini spiegava:il governo clericale avevacompresso il popolo, loaveva costretto ad un ruolosubalterno, ma lo avevalasciato per secoli in unacondizione, per così dire,d’infanzia politica. Nienteclassi sociali, nessuna ari-stocrazia di sangue; un’“ari-stocrazia delle ricchezze”non organizzata. Il commer -cio e l’industria ha formato

– proseguiva – poche grandifortune. D’altronde le condizioni economi -che dello Stato sono eminentemente agrico -le; soppressi i vincoli dei passaggi alle pro -prietà fondiarie, usato giustamente ed equa -mente il cospicuo patrimonio nazionale emobilizzando eziandio le proprietà con del -le provvide istituzioni, può asseverarsi chela vera aristocrazia delle ricchezze è fra noiimpossibile, impossibile quindi l’organizza -zione di una classe che demoralizza e rovinai popoli concentrando in poche mani i benimateriali della vita, e condannando le mas -se a fremere, a piangere, a odiare l’umanità.No, questo snaturamento non è pel nostropopolo!10

9 Ibidem, p. 194.10 Ibidem, p. 193.

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La proverbiale arretratezza italianadiventava agli occhi di Agostini una risorsa.Niente sviluppo, quindi nien-te lotta di classe, niente bor-ghesia rapace, niente partiti“sociali”. Il popolo ingenuodelle origini, dell’età medie-vale, sopravviveva cristal-lizzato dall’ignoranza e pre-servato nella sua integritàdal dominio clericale. Rottol’incantesimo dei preti, eccola Repubblica, come il prin-cipe delle favole, risvegliarela principessa addormentata.Qui l’astrattezza ideologicasi sposa con un poderosomito culturale: quello dei“secoli d’oro”, della miticaetà incorrotta e felice nella quale sarebberovissuti, un tempo, gli uomini. Agostini eraun isolato? Come vedremo, no. La matriceculturale e letteraria del Risorgimento indu-ceva a questo tipo di valutazioni, che spes-so convivevano con analisi assai accurate ecredibili di quanto accadeva fuori d’Italia.La Francia, dunque, aveva anzitutto unastoria con la quale fare i conti; la storia delpopolo italiano, invece, incominciava inquel momento.

L’utopia del popolo puro, del popolo“buono” avrebbe comunque prevalso, inseno alla Costituente. Diverso il destino del-l’impostazione neo-romana e moralisticadel progetto Agostini, che invece sarebbestata drasticamente ridimensionata dalla

commissione Saliceti, nella quale avrebbeprevalso un disegno marcatamente assem-

bleare. Secondo il nuovo pro -g e t t o – riassumeva Salicetiall’assemblea, il 10 giugno :Ne’ Comizi il suffragio èpubblico; Non v’ha Tribuna -to; I Consoli son tre; L’As -semblea li nomina; Hannoun Ministero responsabile;Non si riconosce dittatura.L’eliminazione del tribunatoe la prevalenza della Came-ra, moderata solo dalla dop-pia lettura richiesta per l’ap-provazione delle leggi, eranogli assi portanti del nuovomodello. Che cos’era stato il

tribunato classico? – si chie-deva Saliceti. Una “conquista della plebesulla tirannia patrizia”. Ebbene, se la d i s t i n -zione fra plebei e patrizi […] [aveva fatto]del Tribunato una necessità – sillogizzavail relatore – essendo a noi ignota quelladistinzione, ed essendo noi tutti eguali, nondovevamo accettare l’idea d’un Tribunato11.Come si può osservare, la posizione di par-tenza era analoga a quella di Agostini: l’i-nesistenza, cioè, di un popolo frammentatoin classi. Posto che Roma godeva di questainsperata e favorevole condizione, sarebbestato inutile inserire nell’ordinamento unelemento di frazionamento e di complica-zione istituzionale, giustificabile solo all’in-terno di una società organizzata sulla basedi classi contrapposte, e quindi bisognosa di

11 Le Assemblee del Risorgimento. Roma, IV, cit., pp. 749-750.

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un assetto “misto”, di una mediazione fra lediverse forze in campo.

Quanto alla funzione digaranzia attribuita daAgostini al tribunato,Saliceti la consideravaillusoria. La sola possibilegaranzia contro gli abusid e l l ’ A s s e m b l e a – diceva –sta nell’ordine giudiziario[...]; e nella natura stessadell’Assemblea, la qualeessendo nominata consuffragio diretto ed uni -versale deve presumersi laparte più sana del paese.Il caso francese dimostra-va, del resto, che non era-no possibili altri correttivi formali:

Ove un paese abbia la sventura di esse -re tradito dalla sua Assemblea, dite pureche la corruzione presso quel popolo ègiunta a sì alto grado da rendere impossi -bile una buona elezione; ed allora, malgra -do tutti gli Statuti del mondo, tutte lemaggiori previsioni, e tutte le più sottiliguarentigie, la libertà sarà ancor dessaimpossibile, e la Repubblica una menzo -gna. Allora quel governo, se costituziona -le, andrà a distruggere le Costituzioni, serepubblicano andrà a strozzar le Repub -bliche; e nell’assassinio politico, balzatodal primo posto, andrà carnefice in secon -do a tenere legata la vittima che altri devesgozzare12.

Evidente la correzione di rotta dopo l’in-tervento francese: dannosa l’elezione diret-

ta dell’esecutivo; temi-bile la dittatura (V i o -lare la Costituzioneper salvarla è comeuccidere per camparla vita1 3); inutile ilcontrollo di legitti-mità. Meglio punta-re tutto sulla mora-lizzazione dell’as-semblea, eletta perdi più – e questa eraun’ingenuità neo-romana che benmetteva a nudo l’in-sussistenza di una

riflessione matura sul problema della rap-presentanza – a suffragio palese. D’altron-de, il suffragio palese era un riflesso delmoralismo populistico che già abbiamomesso in evidenza: il popolo “bambino” èuno, e va educato alla Repubblica. Farlovotare pubblicamente è un modo per inse-gnargli i rudimenti della democrazia.

Il 16 giugno 1849 cominciò l’esame delnuovo testo in aula. E subito, attraverso leparole di un deputato, Livio Mariani, ricom-parve l’incubo del “modello francese”.Mariani si schierava risolutamente dallaparte del tribunato. La Costituzione france-se del ‘48 era “imperfetta” proprio perché,a suo giudizio, q u a n d o [era] unito Presi -dente, Assemblea e Ministerio, si [ p o t e v a ]

12 Ibidem, p. 751.13 Così ancora Saliceti: ibidem, p. 752. Sul bonapartismo, Cassina 2001.

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calpestare impunemente la Costituzione. Diqui l’opportunità di un “potere conservato-re” e di uno spirito di moderazione cheMariani avrebbe vistoall’opera anche nellariduzione dei consolida tre a due, inomaggio a un princi-pio di collegialitàche la storia dram-matica dei triumvira-ti romani aveva inve-ce ampiamente scon-fessato. Ma era veropure il contrario: equalcuno non tardò ar i c o r d a rgli che il numero di due era [ . . . ]un’evocazione classica, una reminescenzadella patria storia non più proponibile nellam o d e r n i t à1 4. Per Carlo Luciano Bonaparte,invece, il tribunato doveva essere d’ostaco-lo all’“onnipotenza parlamentaria”, facile atrasformarsi in tirannia. Il tribunato nonpassò. La tendenza ad accentuare la centra-lità simbolica dell’assemblea, enfatizzatadall’assedio francese a Roma, finì per trion-fare su altre considerazioni di funzionalità edi garanzia costituzionale.

Ma è soprattutto su un elemento, legatodirettamente al confronto con la realtà d’Ol-tralpe, che mi preme in questa sede soff e r-

marmi: la “questione della repubblica”. Iltesto redatto dalla commissione Salicetiparlava chiaro: La Sovranità è per diritto

eterno nel popolo. Ilpopolo dello Statoromano è costituito inRepubblica democrati -ca pura1 5. Esso riassu-meva, per così dire, icommi I e II del p r é a m -b u l e (La France s’estconsituée en Républi -q u e [...]; La Républiquefrançaise est démocrati -que, une et indivisible)e l’art. 1 del testo costi-

tuzionale del 4 novembre 1848: La souve -raineté réside dans l’universalité des cito -yens français1 6. Bonaparte, in un emenda-mento, proponeva semplicemente: L aSovranità risiede unicamente nel popolo1 7. Ealtri – Ballanti e Grillenzoni – invece: L asovranità è per diritto eterno nel popolo. Ilpopolo dello Stato romano è costituito inRepubblica; e ancora: La Repubblica ha perprincipi la libertà, l’uguaglianza, la fratel -lanza, ha per base la giustizia e per iscopo ilmiglioramento progressivo morale e mate -riale di tutto il popolo1 8. Che era, parzial-mente modificato, il calco del IV punto delp r é a m b u l e, da cui si discostava per una

14 Così Ballanti, il 17 giugno, in Le Assemblee del Risorgimento. Roma, IV, cit., p. 853.15 Ibidem, p. 754.16 Per le citazioni relative alla Costituzione francese del 4 novembre 1848, cfr. Godechot, 1970: 263ss. Cfr., inoltre, Craveri 1985.17 Le Assemblee del Risorgimento. Roma, IV, cit., p. 842.18 Ibidem, p. 891.

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• 87 •La Costituzione al tempo di Mazzini. Un dibattito del 1849, R. Balzani

maggiore astrattezza. Nel modello, infatti,si legge: [La République] a pour base laFamille, le Travail, la Propriété, l’Ordrep u b l i c. Più espliciti gliemendamenti di QuiricoFilopanti, il più “sociali-sta” dei deputati romani:La Repubblica colle leggi,colle istituzioni, coll’edu -cazione cura il migliora -mento delle condizionimorali e materiali di tuttii cittadini; La Repubblicadee, secondo i limiti de’suoi mezzi, assicurare la sussistenza dei cit -tadini necessitosi, procurando il lavoro aquelli che non hanno altro modo di procac -ciarsene, e fornendo sussidi a coloro che nonne possono avere dalla loro famiglia, e chesono impotenti al lavoro1 9. Anche in questocaso, era trasparente il riferimento ai puntiVII e VIII del préambule.

Battaglia sui princìpi, dunque. E non sitrattò di una battaglia puramente accademi-ca. Bonaparte non voleva definire la Repub-blica; non voleva evocare entità metagiuri-diche. Non voleva rifondare il patto sociale,come pure sarebbe piaciuto a qualche costi-tuente. La Costituzione doveva essere lafotografia nitida di una realtà giuridica. Lasovranità risiedeva unicamente nel popolo.Questo era un fatto. Si voleva aggiungere“imprescrittibile” e “inalienabile” (comenell’art. 1 della Costituzione francese del‘48)? Bene. Ma non si dicesse “eterno”: di

“eterno” non c’era nulla. E quella, quindi,non era una v e r i t à. Obiettava Saliceti: l’e -t e r n i t à era una menzogna, se riferita alla

legge. Ma c’era undiritto più alto, natu-rale, sinonimo dellaragione consideratacome regolatrice delleazioni umane, cheera “eterna” perchéveniva da Dio. A q u e-sta base occorrevaagganciare la sovra-nità popolare per ren-

derla legittima. Quantoalla Repubblica democratica pura, già aff e r-mata nel decreto fondamentale del 9 feb-braio 1849, essa era una necessaria specifi-cazione. Di repubbliche potevano essercenetante, e non necessariamente democratiche.Nel lessico giuridico-politico era ancora invoga, fino agli inizi del secolo, la propen-sione ad usare il vocabolo “repubblica”semplicemente per “governo” regolato.Nessuna superfluità, dunque, nella specifi-cazione “democratica”, e soprattutto nell’e-piteto p u r a, che designava unaR e p u b b l i c adove non [era] frammisto alcun elementoaristocratico, alcun elemento monarchico.“Pura”, cioè, e non “mista”, in base ad unadefinizione funzionale-sociale dalla radice,ancora una volta, classica (Ogni scienza hale sue distinzioni, e l’ha ancora la politica.Essa vi distingue il Governo in monarchia,democrazia, aristocrazia. Nulla di meno fat -

19 Ibidem, p. 844.

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te queste tre divisioni vi possono essere deiGoverni intermedi, i quali mentre appar -tengono ad una for -ma, partecipano anco -ra de’ caratteri diun’altra, ecc.)2 0. Chesi trattasse, però, diuna declinazione tec-nico-giuridica un po’r é t r o e non così diff u-sa, lo testimoniò,sempre il 24 giugno,l’intervento del Bal-lanti, cui l’aggettivosuonava pericoloso: Di più questa parolap u r a, abbenché il senso che ci si vuole attac -care sia giusto, sia retto (ed io non mioppongo) pure in bocca di taluni che profes -sano teorie comunistiche o le multiformispecie di socialismo è parola usata comesegno di uguaglianza di beni, di uguaglian -za di salari, di comunione di vita. Una vol -ta adunque che questa parola è stata usatain questo senso, e che noi vogliamo cheabbia in senso tutto diverso, io non so vede -re la ragione per cui si debba mettere laparola pura come epiteto alla Repubblica.Saliceti obiettò che la tutela delle persone edelle proprietà, solennemente prevista dallaCostituzione, allontanava qualsiasi equivo-co di comunismo21. Anche Agostini era del-la stessa opinione (e infatti la democrazia

romana restò “pura” fino al 1° luglio, quan-do, nel testo definitivamente promulgato,

scomparve misteriosa-mente). Mi fermo qui.

Concludendo: che cosafu la Costituzione dellaRepubblica romana? Ave-va senza dubbio ragioneNino Cortese quandoponeva in risalto la “deri-vazione dialettica” dallacarta francese del ‘482 2:molte norme erano statevotate per impedire il rin -

novarsi a Roma di quegli sviluppi che ave -vano avuto o stavano per avere in Francia lesituazioni interne. Di qui, ad esempio, lascelta assembleare. Giocò molto, senzadubbio, anche l’esperienza del triumvirato,un governo forte, soprattutto quando a diri-gerlo era stato un uomo come Mazzini. Madel modello classico originario non soprav-visse granché: le denominazioni delle magi-strature, non la sostanza. Dunque, nessunaspecifica “via italiana” al costituzionalismodemocratico. Piuttosto, un ibrido frutto del-le tensioni e delle crisi del momento: unibrido che trovava la sua parte migliore,come del resto aveva immaginato Mazzini,nei princìpi fondamentali. Che erano poiquelli, in sostanza, ispirati alla luminosaesperienza della Francia repubblicana.

2 0 I b i d e m, pp. 907-908. Sulla teoria del governo misto e sulla sua ricezione in età umanistica, cfr.Sasso 1987.

21 Le Assemblee del Risorgimento. Roma, IV, cit., pp. 909-910.22 Cfr., a questo proposito, Rusconi, 1850: 121-146, che alla Costituzione romana, e al suo “model-lo” francese, dedica un’acuta analisi. Cfr., inoltre, Cortese 1951.

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Treves, P. (1962) L’idea di Roma e la cultura italiana del secolo XIX. Ricciardi, Milano-

Napoli.

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Segnalazioni editoriali

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In risposta alle ricorrenti banalità letterarie e volgarità culturaliche trovano spazio nei libri, nei m e d i a e nelle istituzioni, scriveredella Cavalleria, nei suoi multiformi aspetti, significa soff e r m a r el’attenzione su qualcosa di importante e di particolare. Non solo perché la Ca- valleriarappresenta una cospicua parte della storia politica, religiosa, culturale e letteraria del-l’Occidente, ma anche perché si presenta come un punto di riferimento ed un sicurorichiamo identitario. Un richiamo apparentemente fuori da ogni schema e forse dallastessa realtà, che sembra una delle tante utopie. Tuttavia, “l’utopia cavalleresca” – o ilsuo sogno – non ha soltanto infiammato gli animi di una stagione storica, il Romanti-cismo, e creato una moda culturale che giunge sino al presente. Ha dato anche corpo evita simbolica a quell’archetipo dell’eroe che costituisce la personalità di cia- scuno ela cui assenza provoca sicuro disagio, nonché il rischio strisciante di nascoste psicopa-tologie. La Cavalleria si presenta allora - ben lungi dall’essere la saga romanzata diun’epoca forse inesistente - come il racconto cifrato, ma fondante, di quello che l’uo-mo dovrebbe essere per diventare ciò che è. Che poi abbia o non abbia il crisma dellacosiddetta realtà poco importa. In questo – come in altri consimili casi – è opportunoribadire che l’unica realtà è quella che ciascuno sente dentro di sé. La sua sintonia conl’esterno dipende esclusivamente dalla simpatia che l’uomo ha in comune con ciò chelo circonda e non con le proiezioni ideologiche che troppo spesso egli produce.

A CURA DI CLAUDIO BONVECCHIO

Il Sacro e la CavalleriaScritti di Claudio Bonvecchio, Maria Luisa Picascia, Paola SchulzeBelli, Vincenzo Ahmad ‘Abd al Wa l i y y, Teresa Tonchia, Pio Filippani-Ronconi, Ezio Albrile, Alessandra Anteghini, Paolo Bellini, Va l e n t i n a

Tirloni.

Mimesis, Milano 2005, pp. 211 17,00

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Il nichilismo costituisce uno dei problemi centrali del tempo pre-sente. L’Autore di questo lavoro ha voluto affrontarlo utilizzan-do in modo originale l’ottica “immaginale” di James Hillman, apartire da alcune domande fondamentali.Osservando in trasparenza le principali interpretazioni delnichilismo, è ancora possibile sostenere che la civiltà occidentale,

nel suo complesso, doveva necessariamente divenire la “terra del Nulla”? In qualemisura i fondazionismi metafisici che hanno costituito la strada maestra della storiaoccidentale hanno rappresentato l’altra faccia di un bimillenario processo di rimozionedell’immaginazione e dei suoi prodotti?In che senso la “tradizione immaginale” del pensiero rinascimentale si è sottratta all’e-sito nichilistico che ha interessato la corrente istituzionale del sapere filosofico occi-dentale? E come si configurano gli ambiti in cui la “civiltà del nulla” si esprime piùclamorosamente, ovvero la cultura di massa e il sapere accademico?Nel corso della riflessione, l’autore cerca di ricostruire quella matrice immaginale dal-la cui sistematica rimozione, a partire dal T i m e o di Platone, si è costituito il destinonichilistico occidentale. Accostandosi a quella “spazialità immaginale” (C h˛r a) che è

FABIO BOTTO

Madre della Filosofia. L’inganno consueto.Parte prima. Nichilismo e immaginazione.Mimesis, Milano 2005, pp. 131 13,00

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La Filosofia ermetica, riconducibile a Ermete Trismegisto e allatradizione egiziana, è considerata da molti autori una “filosofiaeterna”, rimasta sostanzialmente immutata nel tempo a pre-scindere dalle trasformazioni storico-culturali. Malgrado l’alonedi segretezza che ha da sempre circondato questa tradizione eso-terica, nel corso della storia delle idee è possibile rintracciarnealcuni frammenti significativi. Guidato dai bagliori di questa au-tentica Stella di Hermes che dall’antichità fino al XVIII secolo

riappare nell’opera di svariati autori, il testo ripercorre le tracce della teoria platonico-ermetica che rappresenta uno degli assi fondamentali della Filosofia della Natura.

MIRKO SLADEK

La Stella di Hermes. Frammenti di Filosofia Ermetica.Mimesis, Ermesiana, Milano 2005, pp. 175 15,00

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Nell’opera, l’Autore presenta le seguenti tematiche: I 7 gradiniall’Oriente; La catena d’unione (bocca-orecchio, orecchio-boc-ca); Sole e Luna; Il testamento iniziatico; Colpi attenuati diMaglietto; L’abbraccio tra il neofita e il Venerabile; Gli 8 passi;La lettara G al centro del Pentalfa; L’uovo sodo; Il +; Tempio al

VINCENZO TARTAGLIA

Oltre il velo. Simboli, espressioni velate, arcani della Massoneria iniziatica.Bastogi Editrice Italiana, Foggia 2005, pp. 132 12,50

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sua “Madre”, il l ó g o s filosofico deve cedere il passo a un “immaginare chorasofico”. La psi-cologia archetipica potrà riconoscersi come legittima erede di quel “contro-movimentoimmaginale” che – da Eraclito a Jung, passando per il pensiero musulmano-ebraicomedievale e per la tradizione alchemica rinascimentale – sembra offrire uno dei più fecon-di e suggestivi approdi per chi ritenga che la cultura occidentale non si identifichi senzaresiduo con le sue manifestazioni più clamorose e di superficie.

[…] Ai tempi di Platone aumenta sempre di più il numero di co-loro, le cui anime erano pronte per accogliere “razionalmente”,chiaramente la saggezza, e che potevano perciò imprimere allastoria del pensiero umano quella svolta che nel linguaggio mas-sonico corrisponde al passaggio di un Apprendista a CompagnoMuratore: devo dire che la razionalità ha relazione con il 4, quindi con il quarto annomuratorio e con il quarto “passo”. Appunto l’epoca di Socrate e Platone ha stretti rap-porti con questo numero.La fase di evoluzione del Compagno, dal terzo al quinto anno muratorio, è assimilabileall’evolversi dell’uomo dalla fase sensitiva (sensazioni) a quella della vera conoscen-za, attraverso la razionalità. Allo scopo di accelerare tale evoluzione sorsero nell’anti-chità le scuole iniziatiche, e per l’analogo motivo Platone fu dagli esseri superiori inca-ricato di scrivere i suoi libri spiritualizzanti, capaci di elevare l’anima umana verso lapiù alta meta: l’immortalità. […]

dalla Prefazione dell’Autore

VINCENZO TARTAGLIA

Misticismo Platonico Esoterismo Massonico.La sapienza platonica e la sapienza massonica espressione dellamedesima luce.Bastogi Editrice Italiana, Foggia 2005, pp. 116 12,00

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buio, nella semioscurità, illuminato; Il gallo; Passaggio del neofita dalla testa della Colon-na dei Compagni all’ultimo posto a Settentrione del Tempio; La musica; Il Tau; Sala deipassi perduti; Il Gabinetto di riflessione; La Luce accesa dal 2° Sorvegliante dopo l’aper-tura dei Lavori; La Stella Fiammeggiante (a cinque punte) o Pentalfa dei Pitagorici; I Guan-ti bianchi; L’elemento terra; L’acqua; L’aria; L’intuizione che trascende il raziocinio; Mi-nerva; Venere; Il Tronco della Vedova; Il fuoco.

[...] È ragionevole che uno o più cabalisti abbiano redatto ilLibro di Bahir tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo. A l c u-

ni concetti contenuti nel testo si adattano perfettamente al clima culturale dell’Europameridionale in epoca medievale. Allo stesso tempo bisogna ammettere che le originipre-cabalistiche di altri elementi ci restano in parte o del tutto sconosciute. [...] Te n t e r òdi dimostrare che il redattore del testo utilizzò di proposito un linguaggio simbolico li-mitato, talvolta mescolato con metafore per conferire alle teorie cabalistiche ivi espresseun senso più “allusivo”. Verranno analizzati da un lato alcuni elementi linguistici eretorici riconducibili a precisi contesti storico-culturali e dall’altro il testo sarà letto eordinato secondo alcune aree tematiche generali che riflettono gli interessi e le prospet-tive mistiche del redattore. [...]

dalla Prefazione del Curatore

THE BOOK OF BAHIR

Flavius Mithridates’ Latin Translation, the Hebrew text, and anEnglish VersionEdited by Saverio Campanini with a Foreword by Giulio BusiThe Kabbalistic Library of Giovanni Pico della Mirandola, GiulioBusi General Editor, 2Nino Aragno Editore, Torino 2005, pp. 563 60,00

Quali sono le oscure origini delle migrazioni precolombiane eda dove arriva l’enigmatica civiltà dei Costruttori di tumuli inNordamerica, per lungo tempo sottovalutata in nome di un ma-linteso eurocentrismo? Chi ha scoperto “davvero” l’America:Cristoforo Colombo, i vichinghi, i celti, i cinesi, gli africani ouna delle dodici Tribù perdute di Israele?

KENNETH L. FEDER

Frodi, miti e misteri. Scienza e pseudoscienza in Archeologia.Avverbi Edizioni, StoricaMente 5 coll. diretta da S. De SantisRoma 2004, pp. 426 14,00

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I libri dedicati alla cosiddetta archeologia misteriosa affollano gli scaffali delle librerie enon c’è quasi giorno che nuove, audaci ipotesi non si affaccino dalle pagine dei giornali odelle riviste sui buchi neri del nostro passato ancestrale. Ma quanto c’è di vero in questestuzzicanti supposizioni? Quanto di scientificamente provato e quanto di falso?

Scienze e arti nella Bologna dei Lumi.La storia della cultura artistica bolognese del Secolo dei Lumivista attraverso il cannocchiale dello scienziato, ovvero nuoveriflessioni sul divenire dell’arte nella seconda città dello StatoPontificio. I saggi di questo volume conducono a un’ineditainterpretazione delle vicende intrecciatesi tra l’Accademia delleScienze e l’Accademia Clementina di Pittura, Scultura eArchitettura sotto l’egida dell’Istituto delle Scienze, organismo di punta dell’Europasettecentesca ed esempio per i cenacoli intellettuali d’avanguardia, nei due momentivitali della sua storia: la fondazione, voluta dal generale Luigi Ferdinando Marsili, e larifondazione attuata da Benedetto XIV. A ffrontato da un inedito punto di vista i rapportitra le arti del disegno, nelle figure di Giuseppe Maria Crespi, Donato Creti, di ErcoleLelli, e le scienze di natura, si evidenzia del Settecento bolognese la vivacità e l’inter-nazionalità, favorita dalla presenza di due mecenati di straordinaria lungimiranza. Lanuova chiave interpretativa del periodo preso in esame è volta alla chiarificazione delruolo della cultura anche pittorica bolognese nell’Europa illuminista.

A CURA DI DONATELLA BIAGI MAINO

L’immagine del Settecento.Da Luigi Ferdinando Marsili a Benedetto XIVUmberto Allemandi & C., Torino 2005, pp. 159 18,75

Il Comitato Nazionale per le Celebrazioni del 250° A n n i v e r s a r i odella nascita di Vincenzo Monti (19 febbraio 1754), costituitopresso il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha sostenutola pubblicazione degli Atti di tutti i Convegni svoltisi sotto l’Alto Patronato del Presi-

A CURA DI GENNARO BARBARISI

Vincenzo Monti nella cultura italianaVolume I*, I**Università degli Studi di Milano, Facoltà di Lettere e FilosofiaQuaderni di Acme 74Cisalpino Istituto Editoriale Universitario, Milano 2005, pp. 1154

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dente della Repubblica. In questo primo volume, diviso in due tomi, sono raccolti, in for-ma riveduta e talvolta consistentemente arricchita, i testi di tutti gli interventi presentati neiConvegni di Alfonsine (19 febbraio 2004), Ferrara (20 febbraio 2004), Ravenna (21 feb-braio 2004), Forlì (12-13 marzo 2004), Milano (27 maggio 2004) curati da Alfredo Cotti-gnoli, William Spaggiari, Arnaldo Bruni, Franco Gavazzeni, col coordinamento di GennaroBarbarisi. La figura di Vincenzo Monti in queste occasioni è stata affrontata sotto vari aspet-ti, dalla prima formazione emiliano-romagnola alle opere più complesse della sua lungaattività critica e poetica, dai suoi profondi rapporti col mondo classico ai crescenti interes-si linguistici e filologici: particolare attenzione è stata dedicata alla sua presenza nella vitaletteraria del suo tempo ed alla contrastata fortuna critica. Superati definitivamente ipregiudizi moralistico-risorgimentali nei confronti di un personaggio troppo calato nellarealtà del suo tempo per sapersene distaccare con la ferma coerenza che fu di pochi, inumerosi studiosi che si sono impegnati nel non facile compito di interpretare nuovamentela sua multiforme opera ne hanno globalmente evidenziato l’alto valore letterario ed il pesoche ha esercitato sulla tradizione italiana. L’ininterrotta presenza ha pesato anche sull’operadi grandi autori combattuti fra il riconoscimento della sua imprescindibilità e la necessitàdi procedere oltre. I Convegni successivi intendono concentrare l’attenzione sui periodi e iluoghi fondamentali della sua attività: Roma, Parigi, Milano.

Viviamo nella società dei consumi. E sempre di più, a fianco diuno sfruttamento esasperato delle risorse del nostro pianeta,cresce la quantità di rifiuti e scarti di merce considerata “noncommerciabile”. Tonnellate e tonnellate di prodotti alimentariprossimi alla data di scadenza vengono così distrutti, con enormespreco di risorse e danno ambientale.

Questo libro racconta di come un professore universitario e un gruppo di studentiabbiano osservato attentamente questo fenomeno e siano riusciti a organizzare una verae propria struttura imprenditoriale che ritira questi “scarti” e li fa arrivare sulla tavoladei più bisognosi. I supermercati risparmiano i costi dello smaltimento, gli enti assi-stenziali ricevono cibo gratuitamente, e noi viviamo in un ambiente più sano, perché cisono meno rifiuti. Un clamoroso esempio, unico al mondo, di “cibo della solidarietà”.Nelle azioni di recupero possono entrare in gioco anche i prodotti non alimentari: oggi

ANDREA SEGRÈ

Lo spreco utile. Il libro del cibo solidale.Trasformare lo spreco in risorsa con i Last Minute Market: foodand book.Edizioni Pendragon, Bologna 2004, pp. 189 13,00

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i libri destinati alle comunità italiane all’estero (Last Minute Book: il libro della solidari-età); domani, grazie a un disegno di legge in corso di discussione in Parlamento (“Leggeanti-sprechi”), anche altri prodotti che serviranno a completare l’assistenza a chi neabbisogna. I Last Minute Market o ffrono beni e servizi, diffondono valori etici e di legame,innescano un’economia solidale che pone la gratuità e il dare al centro del suo operato.Con i contributi di: F. Ambrosini, S. Angelini, P. Avanzi, M. Barbieri, D. Bedin, O. Buriani,P.U. Calzolari, P. Castagnotto, A. Chiappini, I. Cremonini, V. Donato, V. Errani, L. Fala-sconi, S. Golinelli, R. Grandi, M. Guidi, M. Mantini, B. Missanelli, A. Modonesi, S. Mor-ganti, R. Nigido, P. Orsatti, E. Pavani, M. Prestamburgo, E. Raisi, D. Regazzi, P. Stefanini,G. Tacchini, W. Vitali.

Anch’io avevo una mamma / ma la granata l’ha fatta a pezzi /

avevo anche un fratello / ma le granate gli hanno staccato una

gamba, / Chissà se un giorno vedrò apparire mio padre! / A che serve il sogno / se poi

non si avvera?

Questa è una poesia per la mamma scritta da una bambina bosniaca. Ma potrebbe esserescritta dai bambini afghani, israeliani, palestinesi, iracheni… le ferite delle guerre,quelle del corpo e quelle dell’anima, sono tutte uguali. L’urlo del dolore che chiede aiu-to è un urlo universale.Il testo descrive sei anni di lavoro clinico e di formazione: vengono raccontati traumidi guerra, sofferenze individuali e collettive, lacerazioni del tessuto sociale e civile,implicazioni etnico-religiose; viene descritta la nascita e la crescita di un gruppo mul-tidisciplinare e interculturale.

ASSOCIAZIONE ONDE AMICHE

PATRIZIA BRUNORI, GIANNA CANDOLO, MADDALENA DONÀ DALLE

ROSE, MARIA CHIARA RISOLDI

Traumi di guerra. Un’esperienza psicoanalitica in Bosnia-Erzegovina.Presentazione di Silvia Amati SasPiero Manni s.r.l., Lecce 2003, pp. 254 15,00

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Come lo stesso titolo indica, la silloge scorre tutta sul filo dellamemoria, una sorta di incessante ritorno, non ordinato, generatoda luoghi, da gesti, da riflessioni e da creature care, o vive oscomparse, che erano e sono, la sfera degli affetti, esplicitate nonsoltanto nella figura del padre e della madre, ma per

omologazione all’umano, nella tenera immagine dei gatti. Ombre, talvolta, e voci,suoni, immagini, scolpite nel cuore e nella mente, che si proiettano sugli oggetti e sul-lo stesso corpo, che ne sente la presenza e il flusso vitale. Spirano venti, avvertibili solodall’anima, come da non luoghi; voli ed ali, che sono forse il segno di ciò che è eternoed è spirito puro, il tramite fra l’umano e il divino. Ritorno che non è solo memoria pre-gressa, ma anche una sorta di nostalgia e di ritorno al futuro, in una tensione teleologi-ca e di non scalfibile fede, conquista di pace e salvezza dall’assurdo, preludio alla finedell’erranza, alla comprensione del tempo e l’eternità, con l’equilibrio sancito dallanudità della preghiera. Il poeta interroga e si interroga, riferisce, descrive, annota, re-gistra: campo di azione e di osservazione è la vita, attraversata dagli eventi e dalla sto-ria, ancorata al presente ma volta anche al futuro, in una proiezione non lineare, spes-so casuale e discontinua, ma resa coesa dall’equilibrato telaio della coscienza: ordito etrama si incrociano per tessere la realtà, che è il mondo come teatro degli eventi e l’uo-mo come persona, o singola o collettiva, come umanità in senso lato.

FRANCESCO PULLIA

Ciò che ritorna quando s’affaccia l’albaPoesie dell’evidenzaA cura del Circolo Rhegium JuliiVilla San Giovanni 2005, pp. 59

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La storia che sto per narrare accadde molti e molti anni fa, in queitempi lontani ed incantati in cui il giorno del Santo Natale diNostro Signore trascorreva, immancabilmente, in una magicaatmosfera, sotto un manto di neve splendente. Non chiedetemi,ve ne prego, quale sia la fonte da cui attinsi questa mirabilevicenda, giacché essa mi giunse avvolta in un mistero che nonposso qui svelare.

FEDERICO GARBEROGLIO

Il gioioso camposantoNuove Amadeus Edizioni, Fontaniva (PD) 1993, pp. 43 9,00

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[…] Come presentare degnamente, con parole concrete e chiare,un autore effimero e indecifrabile come uno scrittore di fiabe?[…] siamo tanto presi dal mondo delle realtà contingenti(parolone che vogliono dire: affari, soldi, lavoro, cibo, abitudini)che ci riesce difficile entrare in quegli altri mondi, nei mondi effimeri e impalpabilidelle fiabe (così dicono i concreti uomini).Entrare nei Mondi Remoti appunto, come indica la collana in cui il giovane editoreRienzi sta cominciando ad infilare le perle che vorrà conservare. Perle che hanno ilcompito lieve e importantissimo di sollevarci da questo mondo delle realtà apparenti,per trasportarci nel mondo delle realtà concrete della fantasia. Rendere più lievi, puri ecolmi d’amore i brevi istanti di questa nostra vita, che ci viene donata, e che è nostrodovere nobilitare e rendere unica.

dalla Presentazione di Alfred Twice

FEDERICO GARBEROGLIO

Le tre fiabe dell’incantesimoIllustrazioni di Sira ZuffiRienzi Editore, Collana I Mondi Remoti I, Ferrara 1997pp. 70 7,50

Corbin racconta la storia degli odori tra Settecento e Ottocento,ma molte e preziose notizie ci racconta attorno alla lunga carrie-ra degli aromi, dei profumi, dei tanfi, delle puzze, degli incensi,delle mofete e delle acque di rosa. Non v’è dubbio, per il bene eper il male, noi viviamo in un’epoca postodorosa. Peggio: quel che ci resta di odoratoci serve essenzialmente a metterci in guardia contro cibi deteriorati, acque inquinate,aria tossica.La lettura di questa dotta, un po’ elegante, storia degli odori ci suggerisce quel che pareovvio, ma può venir trascurato: cioè, che l'igiene è un prodotto del tutto artificiale e tec-

ALAIN CORBIN

Storia sociale degli odoriIntroduzione di Piero CamporesiTraduzione di Francesco Saba SardiParavia Bruno Mondadori Editori, Milano 2005, pp. 332 15,00

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nologico, ed esige una organizzazione centralizzata, scientifica, aggiornata. È una tecnica[...], una ideologia artificiale, ignara della puzza collettiva, e intesa a punire i tanfi indivi-duali; ha in sé qualcosa di maniacale, come la ginnastica e la dietetica.Temo che qualunque decorosa proposta di miglioria del cosmo debba cominciare con unacarezza sulla repulsiva testolina del malodore, e un brindisi al liquame.

Giorgio Manganelli

La Storia dell’ero t i s m o, di cui qui si presenta la prima edizio-ne italiana, è un testo centrale nell'opera di Georges Bataille.Essa costituisce infatti la seconda sezione della P a rte maledet -

ta. Saggio di economia generale, ovvero del grande progetto distoria culturale ed economica dell’uomo pensato da Bataillecome l’esito ultimo del suo lavoro. L’erotismo (ES, 1997) nonne è la versione compiuta, ma un libro sensibilmente diverso in

cui molti temi vengono attenuati. Questo è invece una sorta di cantiere aperto e risultasotto vari aspetti, come spiega Franco Rella nella sua ricca introduzione, in modo mol-to interessante.Nella Storia dell’ero t i s m o Bataille affronta un paradosso. L’uomo, per essere tale, devedistaccarsi dall’animalità, ponendosi dunque divieti che riguardano il sesso, la morte,le deiezioni. Ma ciò che differenzia la mera sessualità dal’erotismo è che in esso i divie-ti vengono posti e contemporaneamente trasgrediti. È questa trasgressione la trasfigu-razione specificamente umana della sessualità: rappresenta la nudità dell’uomo di fron-te all’altro, la ferita che lo apre alla “comunità inconfessabile”, una sorta di vertigine incui si giunge al culmine del possibile. È un “lusso della vita”, un’affermazione di vitapronunciata fin nel cuore della morte. L’erotismo è dunque la “parte maledetta pereccellenza” e scriverne una storia è, come sostiene lo stesso Bataille, un compito real-mente all’altezza del “tempo maledetto”, vale a dire sella sua e della nostra contempo-raneità in cui qualsiasi possibile comunità è stata distrutta.L’edizione italiana proposta, nel suo rigore e nella sua completezza, restituisce Batail-le a se stesso e ai suoi interlocutori. Il testo è arricchito da un saggio di Susanna Matisul rapporto teorico di Bataille con Hegel, oggetto di un confronto costante e dramma-tico lungo tutta la riflessione del pensatore francese.

GEORGES BATAILLE

Storia dell’erotismoA cura di Franco RellaFazi Editore, Roma 2006, pp. 211 19,50

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[...] Come ha osservato Erwin Panofsky, fin dai primi anni War-b u rg aveva definito abbastanza bene quello che sarebbe poidiventato determinante e fatale per la sua attività: la lucida visio-ne per cui era necessario collegare tra loro le vie quasi del tuttodistinte dell’analisi formale, del significato iconografico e dell’esegesi delle fonti. Epoi: l’attenzione assoluta per i dettagli meno significanti, nella analisi accorta dei qua-li egli aveva scorto sempre la premessa di ogni conoscenza. Ma pure la volontà, megliola necessità di considerare la vicenda della cultura alla stregua di una storia delle pas-sioni umane, che nella loro orrida semplicità – volontà di possedere, di donare, di ucci-dere, di morire – permanevano identiche in uno strato profondo della esistenza umanache solo in apparenza è imbiancata dalla civilizzazione. [...]La via che Wa r b u rg credeva di riconoscere nella storia dello spirito moderno – cioè lastrada che conduce per monstra ad sphaeram –, egli fu costretto a percorrerla non solonel suo lavoro, ma anche nella sua stessa vita. Perciò i testi presentati in questo volumecostituiscono solo una prima, pallida testimonianza di questo costante e ossessivo S t re -

b e n, di quel demone che, come ha scritto Panofsky, aveva caratterizzato non solo la suaricerca, ma la sua intera vita: Chi, prima di un discorso su Aby Wa r b u rg, intendesse

apporre un motto sulla sua vita, conclusasi il 26 ottobre 2929, forse non potrebbe sce -

g l i e re che questa meravigliosa frase di Leonard o: non torna indietro chi è legato ad unastella. Giammai, come in questo caso, il cammino di un’esistenza dedicata allo studio,

che sembrava condurre non solo a ciò che non era stato ancora affrontato, ma perfino

quello che si doveva ancora affro n t a re, era stato guidato infatti così fermamente da una

forza ineluttabile e immutabile. Né mai una mente aveva potuto trasformare così per -

fettamente un tale dovere demoniaco in una volontà consapevole.

dalla Nota ai testi di Maurizio Ghelardi

ABY WARBURG

Opere ILa rinascita del paganesimo antico e altri scritti (1889-1914)A cura di Maurizio GhelardiNino Aragno Editore, Torino 2004, pp. 700 40,00

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M. Raffo, Editoriale

L. Sacchi, Lettere al Direttore

G.P. Berra, Orizzonti della Bioetica, la questione della vita

P. Brute, La Foresta Magnifica

A.R., Il silenzio nel Tempio

L.E. Fontana, Il pavimento del Tempio

M.M. Brighenti, Hiram: l’infinito si nasconde in una parola (II parte)G. Gabotto, Re Davide e Joab

F. Ponzana, L’eresia mistica

A. Macchioni, Il viaggio e il viaggiatore

G. Brunod, Le parti del mondo secondo la geografia qualitativa medioevale

G. Maccari, Le cattedrali del mistero

M. Talpone Enrietti, L’Ordine della Stella d’Oriente

J. Routier, Cronaca massonica dell’Alto Delfinato 1775-1816

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L’IPOTENUSA

n. 7 - Solstizio d’Inverno 2005, quinta serieEdito a cura del Centro di Documentazione Ipotenusa diPinerolo

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GIORGIO GIANNINI

Il Giorno della Memoria. Per non dimenticare.Edizioni Associate, Roma 2005, pp. 404 18,00

a cura del Servizio Biblioteca del GOI

Con questo suo ultimo lavoro, il prof. Giannini, autore di altri saggi a carattere storico edi un centinaio di articoli sulla Obiezione di Coscienza al Servizio Militare e sulla Resi-stenza popolare non armata, quali L’obiezione di coscienza. Saggio storico-giuridico ( E d i-zioni Dehoniane, Napoli 1986) e Lotta per la libertà. Resistenza a Roma 1943-1944 ( E d i-zioni Associate, Roma 2001), ha inteso dare un contributo concreto per la conservazionedella Memoria delle tragedie compiute nel secolo scorso dal nazifascismo, affinché non sia-no dimenticate e restino come monito per le nuove generazioni, come dispone la Legge 20luglio 2000 n. 211, che ha istituito il Giorno della Memoria, celebrato il 27 gennaio di ognianno, soprattutto nelle scuole.

Il libro si compone di cinque parti. La prima, Dall’antisemitismo alla Shoah, tratta del-le origini dell’antisemitismo in Europa, dall’antigiudaismo cristiano alle secolari discrimi-nazioni e persecuzioni degli ebrei, fino all’antisemitismo nazista, che ha portato al tentati-vo di genocidio del popolo ebraico (la Shoah).

La seconda parte tratta del Genocidio dimenticato dei Rom, che in oltre 300.000 periro-no nei campi di sterminio nazisti, raccontando anche la secolare persecuzione da essi sop-portata fin dal loro arrivo in Europa nel XII secolo.

La terza parte tratta delle Vittime dimenticate del regime nazista: i Testimoni di Geovae gli omosessuali. I primi furono duramente perseguitati per il loro rifiuto di onorare la ban-diera, di rendere il saluto nazista e soprattutto per il loro rifiuto di prestare il servizio mili-tare. Anche gli omosessuali furono discriminati duramente fin dall’Ottocento e poi perse-guitati dai nazisti per il loro “modo di essere diversi”.

La quarta parte tratta delle Leggi razziali, introdotte dal fascismo nel 1938 alla fine diuna lunga campagna antisemita condotta sulla stampa e fomentata in particolare dalla Rivi-

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sta La difesa della razza, che portarono alla progressiva discriminazione degli ebrei dallasocietà italiana ed alla loro deportazione nei campi di sterminio nazisti dopo l’occupazionemilitare tedesca del nostro Paese, in seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943.

La quinta parte tratta degli Internati militari italiani in Gemania, ossia della tragicavicenda degli oltre 630.000 soldati italiani catturati dopo l’8 settembre in Italia e sui varifronti di guerra e deportati nei campi di prigionia del Terzo Reich con la qualifica non diprigionieri di guerra, bensì di “internati militari”, fattispecie non prevista dalle Convenzio-ni Internazionali e quindi con un peggioramento del loro status giuridico e materiale.

Ogni parte è arricchita da documenti e da molte note, che consentono di approfondiregli argomenti trattati. Sono anche illustrati i simboli antisemiti, nazisti e fascisti. Si conclu-de con una ricca bibliografia, utile per approfondire gli argomenti trattati.

Il lavoro, inoltre, presenta un’A p p e n d i c e, nella quale è raccontata la storia dei due piùimportanti uomini “Giusti” italiani, riconosciuti dallo Stato di Israele: Giorgio Perlasca eGiovanni Palatucci.

LUIGI POLO FRIZ E GIOVANNI ANANIA

Rispettabile Madre Loggia Capitolare Trionfo Ligure all’Oriente di Genova. Uno sguardoalla Massoneria ligure dall’Unità ad oggi. Ed. Associazione Culturale Trionfo Ligure, Genova 2005.

a cura di M. Elisabetta Tonizzi (Università di Genova)

Da studiosa della società e dell’associazionismo genovese nell’Ottocento accolgo congrande piacere e interesse la pubblicazione del libro curato da Polo Friz e Anania, che copreun’oggettiva lacuna storiografica. Infatti, a differenza di altre città e regioni della Penisola,Genova e la Liguria, se si esclude un contributo di Luigi Polo Friz, erano pressoché assen-ti dal panorama della storiografia sulla Massoneria italiana. Mi sono testé riferita a “Geno-va e Liguria” in quanto il volume, anche se il lettore ne è avvertito molto sommessamentesoltanto nel sottotitolo, non contiene esclusivamente i risultati della ricerca riguardante levicende interne della singola Loggia Trionfo Ligure ma è anche, e direi tutto sommato nonmeno, uno studio che verte in generale sulla Massoneria genovese e ligure dall’Unificazio-ne ai giorni nostri. Ciò mi offre la possibilità di ampliare il raggio delle mie riflessioni.

La lettura del libro mi ha consentito di rispondere in maniera documentata ad un quesi-to che mi ponevo circa un anno fa presentando il lavoro di Fulvio Conti sulla Massoneriaitaliana tra Risorgimento e epoca fascista. Dalle numerose tabelle e grafici di questo si vedecome, nella ranking list della presenza massonica in Italia, la Liguria sia ai primissimi posti;la Loggia Trionfo Ligure (nata nel 1856) è poi tra le prime a rispondere, nel 1859, alle istan-

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ze per la formazione del Grande Oriente. La nostra è in sostanza un’area ad altissima “inten-sità massonica”: tra secondo Ottocento e primi Novecento è infatti sempre al terzo postodopo Sicilia e Toscana e nel 1902 passa al secondo, superando la Toscana. Se consideriamoche la Liguria è nettamente più piccola delle altre due regioni citate, il tasso relativo di pre-senza della Massoneria risulta ancor più accentuato anche se, a quanto mi risulta, nel perio-do storico considerato né liguri né genovesi assumono posizioni di vertice.

Nel tentativo di individuare i fattori che potevano spiegare questo dato, richiamavo lapresenza a Genova, durante il “decennio di preparazione” 1849-1859, di molti esuli politi-ci che vi avevano trovato rifugio grazie allo Statuto Albertino. Tra questi molti personaggiche, seppur non ancora iniziati sarebbero diventati di lì a non molto esponenti di spicco del-la Massoneria, come Adriano Lemmi, Gran Maestro del GOI dagli anni Ottanta al 1896,Giuseppe Civinini, Luigi Orlando, Agostino Bertani.

Negli anni Cinquanta dell’Ottocento sono presenti a Genova anche Mauro Macchi eAusonio Franchi (pseudonimo di Cristoforo Bonavino, figura su cui abbiamo, tra gli altri,studi di Polo Friz), anch’essi in procinto di divenire massoni importanti, i quali diff o n d o n oin città il pensiero razionalista che apre la via al positivismo imperante nella seconda metàdel XIX secolo. Durante il Risorgimento Genova è inoltre, come ben noto, una centraleo rganizzativa del movimento democratico mazziniano, e se Mazzini non era massone, loera invece quasi tutto il suo stato maggiore, dal genovese Federico Campanella, al nongenovese Aurelio Saffi. Massoni sono anche, sempre per rimanere nell’ambiente democra-tico, Nino Bixio, membro della Trionfo Ligure dal 1858; Giuseppe Garibaldi, che nella spe-dizione dei Mille utilizza due navi della compagnia Rubattino fornitegli dall’amministra-tore di quest’ultima G.B. Fauché, anch’egli massone; Stefano Canzio, garibaldino, generodell’“Eroe dei due mondi” e, nel 1903, primo presidente del Consorzio Autonomo del Por-to (CAP), ente di gestione nato, sotto gli auspici del liberalismo giolittiano, grazie alla col-laborazione tra la borghesia d’idee più avanzate progressiste e l’area socialista più riformi-sta. Teniamolo a mente perché ci torneremo più avanti.

Quella che però, a mio avviso, doveva essere la principale e più convincente ragionedell’alta diffusione della Massoneria a Genova era il carattere aperto e cosmopolita dellacittà, grande centro marittimo, di rilievo primario nel Mediterraneo, sede di una vivacecomunità di uomini d’affari stranieri e luogo d’origine di un vasto fenomeno migratorio,molto in anticipo rispetto alla Grande migrazione otto-novecentesca dal sud d’Italia, diret-to soprattutto verso l’America meridionale. Lo studio di Polo Friz e Anania confermaappieno questa ipotesi. Infatti, se guardiamo ai prospetti che riportano i nomi dei membrifondatori della Loggia Trionfo Ligure troviamo, oltre a vari cognomi stranieri, un’ampiarappresentanza delle dinastie dell’armamento e del commercio marittimo (particolarmen-te fiorente quello del grano sulle rotte verso il Mar Nero e la Crimea) del capoluogo ligu-re e delle aree vicine. Ricordo che nel 1856 siamo ancora in prima età della propulsioneeolica con scafo in legno, quando le figure dell’armatore, capitano di nave e commercian-

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te marittimo si assommano in un’unica persona; la separazione dei ruoli si avrà solo versoil concludersi dell’Ottocento, con l’affermazione della navigazione a vapore con scafo inferro e più tardi acciaio.

Il radicamento e la presenza della Massoneria a Genova, così intenso e precoce comeabbiamo appena sottolineato, perdura durante tutto il secondo Ottocento e gli anni che pre-cedono la Grande Guerra, tanto è vero che il noto giornalista Luigi Arnaldo Vassallo (1852-1906), che aveva chiesto l’iscrizione alle logge cittadine negli anni Settanta dell’Ottocen-to, scrive nel 1904 sul Secolo XIX, di cui è direttore dal 1897 al 1906, che la Massoneriavale, come si diceva, anche per la seconda metà dell’Ottocento, in cui essa esprime un for-te coinvolgimento nella vita politico-amministrativa genovese. Dalla metà degli anni Set-tanta infatti una ragguardevole compagine di massoni siede in Consiglio comunale, tra que-sti Jacopo Vi rgilio, Emanuele Celesia, Giuseppe Berio, Ugo Carcassi etc., e si impegna stre-nuamente per la laicizzazione dei cimiteri, la cremazione, l’“umanizzazione” della vita del-le prostitute, la promozione dell’istruzione popolare, l’eliminazione dell’insegnamento reli-gioso nelle scuole elementari, proposta, quest’ultima, che in quello stesso periodo è pre-sentata in Parlamento dall’allora Gran Maestro Giuseppe Mazzoni. In sostanza, i consigliericomunali massoni si fanno portavoce di istanze volte alla secolarizzazione dello Stato, alprogresso sociale e all’affermazione della libertà di coscienza. Al loro fianco si schieranoalcune testate giornalistiche: l’importanza della presenza massonica nella stampa cittadinaè giustamente sottolineata dal volume di Polo Friz e Anania. Mi limito quindi a ricordare ilC a f f a r o, fondato nel 1875, diretto dal massone Anton Giulio Barrili che fino a quell’annoera stato il direttore del Movimento, foglio d’ispirazione garibaldina molto ideologizzato.Al C a f f a r o collaborano, tra gli altri, l’iniziato Ugo Carcassi e Luigi Arnaldo Vassallo, chetra il 1887 e il 1894 sostituirà Barrili alla direzione. Il giornale esprime una posizione disinistra costituzionale e si colloca in posizione intermedia tra la stampa democratico-repub-blicana-radicale e quella liberal-conservatrice. Il Commercio di Genova, continuazione delCommercio-Gazzetta di Genova, esce dal 1889 al 1891, ha una posizione liberal-moderatae si occupa soprattutto di temi industriali, commerciali e marittimi: lo dirige Antonio Gran-dis, massone anch’egli. Dal 1884 al 1887 esce il giornale la Stella d’Italia, di orientamentodemocratico-repubblicano, accesamente anticlericale; in politica estera è irredentista e quin-di contro la Triplice Alleanza (stipulata tra Germania, Austria-Ungheria e Italia nel 1882),sostiene il principio di nazionalità e di conseguenza disapprova le imprese coloniali in cuil’Italia è impegnata proprio a partire da quegli anni. Vale comunque la pena di richiamareanche l’impegno in campo giornalistico di Giacomo dall’Orso, esponente di rilievo dellaLoggia Stella d’Italia, che, tra gli anni Settanta e i primi anni Ottanta dell’Ottocento, colla-bora attivamente a numerose, per quanto effimere, testate genovesi d’ispirazione democra-tico-repubblicana.

Le seppur molto concise indicazioni riguardo al diverso orientamento di queste testateci restituisce efficacemente uno dei tratti caratterizzanti della fisionomia della Massoneria

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genovese, come di quella italiana nel suo complesso, e cioè la divisione politica interna e icontrasti che scuotono la compagine delle logge genovesi. Il libro non manca di diffonder-si sui gruppi più legati alla sinistra liberale e costituzionale e altri d’ispirazione repubblica-no-radicale. Il collante era dato dall’anticlericalismo, da intendersi però, almeno a Genova,come insofferenza nei riguardi dell’invadenza del “fanatismo vaticanesco”, per usare la ter-minologia dell’epoca, e non in senso anti-religioso.

Divisioni a parte, l’operato della Massoneria assume particolare spicco anche nella pro-mozione della realizzazione e posa del monumento a Giuseppe Mazzini nella sua città nata-le. La statua, realizzata dallo scultore Pietro Costa ancor oggi visibile nei pressi di PiazzaCorvetto, viene collocata nel 1882, nel decennale della morte di Mazzini e rimane per lun-ghissimo tempo l’unica in Italia. La Massoneria, a Genova come nel resto d’Italia, si pro-pone quindi come attivo agente della nazionalizzazione e integrazione dei ceti medi nelloStato unitario; la pedagogia patriottica attuata dalle logge genovesi è rivolta soprattuttoall’assunzione del principale esponente della democrazia, Mazzini appunto, nel Pantheondei “padri della patria”. Nel primo decennio del Novecento, nel quadro di fondo della poli-tica giolittiana, si assiste anche a Genova alla conciliazione tra la borghesia liberal-pro-gressista e le forze del radicalismo e del socialismo riformista in nome della modernizza-zione. Frutto principale del nuovo clima politico è il Consorzio Autonomo del Porto (CAP),cui già si è fatto cenno, il cui primo presidente è il massone Stefano Canzio, garibaldino egenero dell’“Eroe dei due mondi”: lo affianca, come segretario generale del Consorzio,Cesare Festa, anch’egli membro delle logge genovesi.

Resta da ricordare il ruolo svolto dalla Massoneria nella promozione di nuovi org a n i-smi associativi e nell’integrazione dei reticoli associativi esistenti. È ben nota la presenzamassonica nell’associazionismo operaio di carattere solidaristico che fa capo alla sinistramazziniana; il libro richiama spesso questi aspetti su cui non mi dilungo. È invece assaimeno conosciuto e studiato il ruolo di questa nei riguardi dell’associazionismo borg h e s eliberal-progressista. Mi riferisco in particolare alla Società di letture e conversazioni scien-tifiche, nata nel 1866 nei locali della libreria Beuf, oggi libreria Bozzi. Scopo esplicito del-l’associazione è riunirsi per leggere e dibattere su argomenti riguardanti le scienze e il pub-blico benessere ai fini di confrontarsi con i problemi derivanti dallo sviluppo economicoe contribuire in modo concreto al progresso civile di Genova. Gemmazione della Societàdi letture e conversazioni scientifiche sono, negli anni Settanta dell’Ottocento, il Circolofilologico e stenografico e il Comitato ligure per l’educazione del popolo, impegnati nel-la diffusione della conoscenza delle lingue straniere e dell’istruzione dei ceti popolari(compresa la componente femminile), intesa, secondo una visione gradualistica, umanita-ria e filantropica delle relazioni tra le classi, come principale fattore di emancipazionesociale ed economica.

I membri di queste società rappresentano dunque un gruppo di osservatori attenti e diattori propositivi della modernizzazione della città, animati da una forte volontà di prota-

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gonismo politico e civile. La presidenza delle Letture scientifiche e del Circolo filologicoè ricoperta dall’economista, docente universitario, amministratore comunale, giornalista emassone Jacopo Virgilio.

Nella base associativa la presenza dei massoni è di tutto rilievo, mi limito a ricordarnealcuni con riferimento agli anni Settanta-Ottanta dell’Ottocento: Giuseppe Berio, PaoloBoselli, Nino Bixio, Anton Giulio Barrili, Michele Giuseppe Canale, Stefano Canzio, Mau-rizio Caveri, Emanuele Celesia, Lazzaro Gagliardo, Edoardo Maragliano, Paolo Mante-gazza, Piero Tortarolo. I lettori mi scuseranno per questa noiosa lista di nomi, che i geno-vesi non avranno difficoltà a ricollegare in molti casi a vie cittadine, ma si tratta di perso-naggi importanti, impegnati nella vita amministrativa, scientifica e culturale locale e chespesso ricoprono responsabilità politiche a livello nazionale. Molti di quelli che ho nomi-nato infatti sono, sono stati o saranno, deputati o senatori a riprova dell’esistenza di un fit-to n e t w o r k di relazioni personali, di cui l’appartenenza alla Massoneria rappresenta uno deidenominatori comuni, potenzialmente utilizzabili ai fini della promozione in sede istitu-zionale degli interessi della città.

Il giorno 8 maggio ricorre, e viene festeggiato in tutta Europa, l’anniversario della finedella seconda guerra mondiale e della sconfitta del nazismo. Per concludere non posso farea meno di ricordare un momento cruciale della storia di Genova cui non sono mancati gliapporti da parte di esponenti della Massoneria. Mi riferisco alla liberazione della città dalnazismo e dal fascismo repubblicano suo alleato, avvenuta tra il 23 e 25 aprile del 1945. Tr agli esponenti, in rappresentanza del Partito Repubblicano, del Comitato di LiberazioneNazionale che si pone alla guida della liberazione di Genova, troviamo Vittorio BartolomeoAcquarone, affiliato alla Massoneria ai primi del Novecento e nel secondo dopoguerra alungo Maestro Venerabile della Loggia Trionfo Ligure. Giulio Bertonelli, membro delComando Militare Regionale Unificato e organizzatore delle formazioni partigiane Giusti-zia e Libertà, è anch’egli già iniziato al momento dell’avvento del fascismo e sarà MaestroVenerabile della Trionfo Ligure nel 1945-1946.

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ANTONIO BRESCIANI

Lionello o delle Società SegreteA cura di Moreno NeriNota bio-bibliografica e Postfazione di Virginio Paolo GastaldiRaffaelli Editore, Rimini 2005, pp. 344, 20,00

a cura di Claudio Bonvecchio

Ad onta dei giudizi stilistico-storici di Benedetto Croce e diquelli ideologico-politici di Antonio Gramsci, padre Antonio Bre-sciani S.J. mostra, tuttora, un qualche interesse. Rappresenta – senon altro – un interessante esempio di retorica ottocentesca, chiesastica ed antipatriottica,cui faceva da contraltare una non meno stucchevole retorica anticlericale e risorgimentali-stica. Oggi fortunatamente – come mette in rilievo nella sua acuta P o s t f a z i o n e Vi rginio Pao-lo Gastaldi – il quadro culturale è profondamente mutato, facendo sì che ci si possa acco-stare al romanzo di padre Bresciani senza tema di passare per gesuita o massone: a secon-da dei casi e degli ambienti. Semmai, si può essere giudicati meritevoli per l’abnegazione,la pazienza e il coraggio con cui si scorrono le pagine – talora frizzanti ma per lo più grevi– di questo gesuita, intelligente comunicatore e acuto propagandista dei suoi valori: anchese, troppo spesso, in malafede.

Il bersaglio privilegiato (e ossessivo) di padre Bresciani – da cui “brescianesimo” –sono, infatti, le Società Segrete: la Carboneria, la Giovane Italia e, naturalmente, la LiberaMuratoria. Tuttavia, come supporto per il suo livore di legittimista, conservatore e anti-libe-rale non utilizza gli strumenti “classici” della reazione del suo tempo. Nulla, insomma, haa che vedere con le cupezze teoriche di un Donoso Cortes o con la lucidità teorica di un DeMaistre. Per mettere in guardia giovani e meno giovani dalle Società Segrete – “sentina” diogni disordine morale – si serve della letteratura e dello stile romanzesco. È uno stile espli-citamente (e parossisticamente) romantico che – malgrado l’antiromanticismo professatodal Bresciani – del romanticismo possiede molte caratteristiche: dalle “atmosfere” gotichealle descrizioni leziose e bucoliche della natura, dall’impianto del Bildung Roman a l l esventure famigliari, dagli inserti di “cappa e spada” all’introspezione soggettiva e così via.In più ci mette, però, un g r a n d g u i g n o l i s m o ante litteram ed un compiacimento estetico-decadente che non sarebbe dispiaciuto a Huysmans. Tutto ciò è funzionale a confezionareun “prodotto” certo ostico e farraginoso per il lettore moderno, ma che si presenta sicura-mente accattivante, fascinoso e, comunicativamente, intrigante per quello a lui coevo. Inquesto lo aiuta la trama – almeno apparentemente elementare – in cui un giovane (ovvia-mente) nobile, ricco, bello e pure generoso viene traviato da cattive compagnie, da amicimalvagi e da frequentazioni pericolose e spiritualmente sospette. Complice il lassismo deltempo, l’ideologia illuminista e l’onnipotente presenza di Satana, il protagonista – Lionel-

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lo – si travia irrimediabilmente, finendo nelle grinfie delle aborrite (da padre Bresciani)Società Segrete: le già citate Carboneria e Giovane Italia, alle cui spalle s’intravvede la mal-vagia presenze della Massoneria. Esse, ovviamente, sono “infettate” – e qui l’influenza diBarruell è esplicita – dall’esempio nefasto dell’Ordine degli Illuminati di Baviera e del “sul-fureo” Weishaupt: concepiti acriticamente come la “minaccia del secolo” e come la formaattualizzata delle più antiche e perverse eresie gnostiche e templari. In un drammatico cre-scendo di orrendi crimini commessi dal depravato Lionello si giunge – in fine – all’epilo-go “faustiano” della vicenda: il suicidio del protagonista, solo e disperato, in una squallidacamera d’albergo.

In questo scenario barocco e orrifico (e per questo pedagogico), padre Bresciani si muo-ve con consumata e provetta abilità, evocando scene da “sabba” che sembrano anticipare ideliri demonico-massonici di Leo Taxil, di qualche decennio posteriori. Con fantasia sfre-nata, minuziosità inquisitoriale e sensibilità da anatomo-patologo, padre Bresciani raccon-ta di presenze e patti diabolici, cannibalismi ed omicidi rituali, orge di sangue e crudeltà.Sono tutti messi in conto alle Società Segrete che vengono presentate come vere e proprie“sinagoghe di Satana”: anche se ammantate dai “veli” della cultura illuminista.

Di fronte a questo apparato da “film dell’orrore”, verrebbe spontaneo – di primo acchi-to – di archiviare i deliri antimassonici e l’esasperato conservatorismo del Bresciani neglipsicologismi di una epoca contraddittoria, non oggettiva, polemica a dismisura e di “torbi-do” sentire. In realtà, il “brescianesimo” rappresenta qualcosa di più interessante ed inquie-tante. Rappresenta, infatti, per un verso l’ansioso ripiegamento su di sè di un mondo fragi-le ed insicuro: un mondo che non osava misurarsi con la crisi dei suoi valori e con le dina-miche socio culturali che ne erano causa e moltiplica. E che, per questo proiettava acritica-mente, come un’ombra, le sue paure sulle Società Segrete. Società Segrete, a loro volta, che– se di questo nuovo che avanzava erano le punte più audaci – in realtà concordavano, assaipiù di quanto potesse immaginare il Bresciani, su molti di quei valori di cui voleva ergersidifensore. Dall’altro verso, il “brescianesimo” è indicativo di un atteggiamento che tende,costantemente, a riprodursi: indipendentemente dalle epoche e dalle culture e quindi dal“brescianesimo” stesso. È quell’atteggiamento “debole” che preferisce demonizzare il sup-posto avversario piuttosto che affrontarlo con le armi della dialettica, dell’intelligenza e del-la tolleranza. Virtù queste che sono estranee a padre Bresciani che preferisce la politica dei“colpi bassi”, l’arma della menzogna, l’arte delle allusioni, e la pratica delle insinuazioni edel discredito: utilizzando, con ciò, ogni possibilità, anche quelle teoricamente poco signi-ficative e culturalmente improprie. In questa direzione, padre Bresciani è un interessanteanticipatore di quella che sarà – indipendentemente dall’antimassonismo – il polemismopolitico (e culturale) del Novecento: un polemismo non più indirizzato a pochi sapienti maalle masse. Si tratta di un polemismo – simile a quello confuso e confusionario del Bresciani– che non è più sorretto da una robusta cultura, ma solo dal desiderio di stupire, che non uti-lizza il ragionamento ma solo facili immagini e immediate suggestioni, destinate a colpire

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la fantasia più che a far pensare. In questo, padre Bresciani – con la disinvoltura di unmoderno scrittore di f a n t a s y – accosta il vero ed il falso, interpreta la storia, attribuiscepatenti e, purtroppo, colpe e responsabilità.

Indagare la natura di siffatto stile in cui insicurezza, ipocrisia, buona (qualche volta) ecattiva fede (più spesso), violenza verbale e sottigliezza propagandistica si mescolano insie-me è, pertanto, particolarmente utile. Serve, certo, a comprenderne il significato recondito,ma anche a capire un meccanismo – quello del “capro espiatorio” – che è scattato molte vol-te e che è destinato, drammaticamente, a scattare ancora. Dovrebbe servire anche – si spe-ra – ad evitarne la ripetizione.

È merito, dunque, del curatore Moreno Neri aver riproposto il romanzo di padre Bre-sciani – all’epoca largamente diffuso (fu pubblicato a puntate sulla rivista Civiltà Cattolicaed in seguito, come libro, ampiamente tradotto in Francia ed Inghilterra e più volte ristam-pato) – ma che, oggi, è di difficile reperibilità. Ed è merito di Vi rginio Paolo Gastaldi aver-ne illuminato il contesto storico-teorico nella sua Postfazione. Diverrà merito del lettore –se lo farà – leggerlo con intelligente attenzione: non per deprecare, ma per imparare comenon si deve cadere nel “brescianesimo”.

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GINO BERTINI

Da Chartres a Rosslyn. Alla Ricerca della Verità.Documentario DVD - durata 32'

Inizia così il nuovo lungometraggio dell’autore-regista Gino Bertini che, dopo averesplorato con la sua cinepresa il mondo dei templari, con i due documentari I Templari.Monaci e guerrieri e I Templari. Misteri e leggende, adesso si cimenta nella descrizione diun altro aspetto legato a questi guerrieri leggendari: le cattedrali gotiche e il loro simboli-smo. Bertini cerca di leggere tali libri di pietra, nei quali sono nascosti segreti di sapienza econoscenza, che parlano il misterioso linguaggio della mistica e della tradizione esoterica.

Nella seconda parte il documentario si sofferma in maniera dettagliata sulle immaginidella Collegiata di San Matteo, vicino ad Edimburgo, meglio conosciuta come la cappelladi Rosslyn. Vengono evidenziati tutti i particolari di cui è ricca questa meravigliosa costru-zione, tempio della spiritualità e del misticismo, monumento commemorativo dell’Ordinedel Tempio, con una quantità di simboli che continuano a turbare il sonno di storici ed eso-teristi, e che affascinano la fratellanza massonica ed i suoi membri che arrivano da tutto ilmondo per esaminarli con attenzione.

Il documentario, DVD, della durata di 32' è stato scritto, diretto e prodotto dal Fr G i n oBertini della Loggia Francesco Burlamacchi nr 1113 Or di Lucca.Il costo è di 15 Euro (più le spese di spedizione), parte dei quali vanno in beneficenza.

Per ordini rivolgersi a:Gino Bertini – Via San Filippo 504 – 55100 LUCCATel. 335 6658140 – 0583 48296E-mail: [email protected]

La verità è unica, immortale ed eterna e l’uomo, alla continuaricerca di essa, in accordo tra spirito e ragione, può soltantoimmaginarla, idealizzandola.