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HIRAM Rivista del Grande Oriente d’Italia n. 4/2002 EDITORIALE 3 Alcune riflessioni a proposito del Grande Architetto dell’Universo Gustavo Raffi SCIENZE STORICO-SOCIALI 13 Considerazioni sulla guerra giusta Sergio Moravia 19 La Libera scuola di Scienze politiche di Aurelio Saffi Giovanni Greco STORIA DELLA MASSONERIA 27 Breve profilo della Massoneria russa Fabio Martelli 37 Fratelli in migrazione. Il caso di Costantinopoli Angelo Iacovella SIMBOLOGIA MASSONICA 53 Il grembiule e la continuità della tradizione primordiale Pietro Mander FILOSOFIA E ALCHIMIA 61 Alchimia: correnti filosofiche e sua attualità Carlo Paredi ESOTERISMO E PENSIERO MASSONICO 69 Il senso della visione nella poesia hermetica di William Blake Antonio D’Alonzo 83 Flauto Magico, mitologia e dintorni Giuseppe Cacopardi SALUTO DEL DIRETTORE SCIENTIFICO 89 RECENSIONI 91 SEGNALAZIONI BIBLIOGRAFICHE 93 RASSEGNA RIVISTE 95

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HIRAM

Rivista del Grande Oriente d’Italian. 4/2002

• EDITORIALE3 Alcune riflessioni a proposito del Grande Architetto dell’Universo

Gustavo Raffi

• SCIENZE STORICO-SOCIALI13 Considerazioni sulla guerra giusta

Sergio Moravia19 La Libera scuola di Scienze politiche di Aurelio Saffi

Giovanni Greco

• STORIA DELLA MASSONERIA27 Breve profilo della Massoneria russa

Fabio Martelli37 Fratelli in migrazione. Il caso di Costantinopoli

Angelo Iacovella

• SIMBOLOGIA MASSONICA53 Il grembiule e la continuità della tradizione primordiale

Pietro Mander

• FILOSOFIA E ALCHIMIA61 Alchimia: correnti filosofiche e sua attualità

Carlo Paredi

• ESOTERISMO E PENSIERO MASSONICO69 Il senso della visione nella poesia hermetica di William Blake

Antonio D’Alonzo83 Flauto Magico, mitologia e dintorni

Giuseppe Cacopardi

• SALUTO DEL DIRETTORE SCIENTIFICO 89• RECENSIONI 91• SEGNALAZIONI BIBLIOGRAFICHE 93• RASSEGNA RIVISTE 95

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HIRAM viene diffusa in Internet sul sito del Grande Oriente d’Italia: www.grandeoriente.it

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Alcune riflessioni a proposito del Grande Architetto dell’Universo*

Gustavo RaffiGran Maestro del Grande Oriente d’Italia

Nel seguente intervento vorrei affrontare un tema che potrebbe forse sembrarealquanto strano, se non addirittura provocatorio. Vorrei infatti riflettere con voi sul-l’idea - senza dubbio gravida di conseguenze e di implicazioni straordinarie - delG.A.D.U.; un’idea che costituisce di per se stessa la pietra miliare della Massoneriaregolare. Tale argomento potrebbe allora apparire - come ho già dichiarato - provo-catorio sia da un punto di vista “interno” sia “esterno”. Da una parte, al di fuori del

* Intervento presentato in occasione della Sesta Conferenza Mondiale delle GrandiLogge. Nuova Delhi, 7-8 Nov. 2002.

SOME REFLECTIONS ABOUT THE GREAT ARCHITECT OF THE UNIVERSE

In the present paper delivered at the World Conference of the Grand Lodges (NewDelhi, Nov. 7-8 2002) the Most Worshipful Great Master of the Great Orient ofItaly, Adv. Gustavo Raffi deals with the Masonic concept of the Great Architectof the Universe in the light of the multicultural and multireligious characters ofUniversal Freemasonry rising questions as: “Does Freemasonry think about God?Can the craft do it? And, if so, how?” The Great Architect remains the basic pillar of regular Freemasonry and repre-sents the indisputable rationale of Masonic research but does not reflect any spe-cial theological orientation, because Freemasonry is not a religion and does notimpose any particular philosophy or theology to its members. To the contrary theCraft focuses on the centrality of the idea of the Supreme Being and on that of thehuman research of truth stimulating a process of tolerant and respectful inter-reli-gious dialogue in the perspective of a general improvement of humanity. Thusreligious and cultural differences represent a deep richness and a strong impulsefor all the Masons, in particular today, when the process of mondialization and thenew trends of scientific researches (particularly in the field of astrophysics) risenew questions without offering definitive answers.

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circuito massonico, dove moltepersone ignorando sia i principiicontenuti nei nostri Landmarkssia le categorie ispiratrici dellanostra tradizione muratoria,talora ritengono che la Masso-neria sia un tempio dell’ateismo,oppure semplicemente immagi-nano che il mondo massonicodebba essere statutariamenteestraneo ad ogni speculazione diordine filosofico. D’altro canto,il tema da me proposto corre ilrischio di “suonare strano”anche all’interno, dove qualcu-no, molto piccato, potrebbeaffermare che un tale argomen-to costituisca di per sé una vio-lazione proprio dei nostri Land-marks.

Al contrario ritengo che alcentro dell’universo, così com’èdi fatto il tempio massonico, noiabbiamo facoltà di trattare di

qualsiasi argomento, alla precisa condizione che si sappia come discuterne; ovveronei giusti limiti dell’opportunità simbolicamente evocata nello spazio racchiuso trasquadra e compasso. Al contrario, sarebbe abbastanza curioso se proprio il principiodivino dell’operato massonico fosse un tema automaticamente vietato o da conside-rarsi tabù. Quindi, fratelli venerabili, chiedo scusa all’uditorio se il mio contributo, aparte la provocazione iniziale, risulterà alquanto prudente, giacché il mio intento nonè quello di convincere tutti, ma innanzitutto, nel solco di una tradizione di tolleranzae rispetto, di non offendere nessuno.

La Massoneria pensa Dio? Può farlo? E Come? Il fatto assodato che le Massonerie regolari abbiano messo il Grande Architetto del-

l’Universo al centro dei loro lavori è già di per sé una risposta positiva alla primadomanda, anche se essa implica un numero consistente di conseguenze interessantie stimolanti. Infatti, se la ritualità della tradizione muratoria ha per gran parte trattole proprie origini storiche in un retroterra cristiano, le vicende culturali e filosoficheemerse soprattutto durante il secolo dei Lumi sono venute senza dubbio a focalizza-re posizioni e orientamenti contrastanti, che per un verso hanno rafforzato una certatradizione cristiana (come nel caso paradossalmente estremo della tradizione scan-dinava, dove Ebrei, Musulmani etc. non hanno un accesso agevole all’istituzione

Particolare del grembiule del Rito scozzese antico accetta-to. Sec. XIX.

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massonica), per l’altro hanno coagulato una volontà di forte apertura interreligiosa emulticulturale. E’ proprio in tale contesto, ben evidenziato nell’esperienza anglosas-sone, che altre comunioni massoniche, sotto la volta arcuata del Grande Architettodell’Universo, hanno aperto via via le porte dei templi ai fedeli di altre confessioni,non necessariamente di matrice giudaico-cristiana, come Hindu, Zoroastriani, Bud-dhisti, Scintoisti, Sikhs, etc. Alcune di queste Massonerie, si sono talora orientate,almeno in certi momenti, seguendo orientamenti di tipo latitudinario o deistico, anchese mai la Massoneria si è espressamente pronunciata su una definizione teologal-mente “forte” e allo stesso tempo “rigida” o “esclusiva” dell’Ente supremo in chia-ve razionalistica. Al contrario, ancora oggi, non è inusuale il fatto che, se qualcunofacesse solo una vaga professione di deismo verrebbe immediatamente tacciato diessere “massone”, anche qualora ciò non fosse affatto vero. Come abbiamo già sot-tolineato, non si può affermare che la Massoneria sia statutariamente deistica o aper-tamente incline al deismo; tale orientamento costituisce una opzione individuale,come altre, ma non vincola l’impianto generale del pensiero latomistico. Un caso aparte, storicamente più legato all’area francese, riguarda inoltre tutte quelle Masso-nerie che, in un particolare momento della loro tradizione, hanno invece deciso didisfarsi del cosiddetto “Libro sacro” ed hanno assunto un atteggiamento che nonsarebbe corretto definire “ateo” o “agnostico”, ma semplicemente “indifferente” allaquestione della trascendenza, e che lascia piena libertà alle singole logge di operarecon o senza il riferimento al G.A.D.U., come se si trattasse di un’opzione possibile,ma non necessitante, così come invece noi reputiamo. Proprio per tale ragione noiconsideriamo tali Maestranze “irregolari”.

Non è comunque mia intenzione riproporre in questa sede una riflessione di carat-tere prettamente storico su tali diversi percorsi, ma affrontare, soprattutto alla lucedel patrimonio espresso dal Grande Oriente d’Italia, alcune riflessioni generali dicomune interesse.

La Massoneria non è una religione; per questa ragione noi non abbiamo un “Diomassonico” né una “teologia massonica”. Il G.A.D.U. rimane solo un concetto gene-rale ed universale che la Massoneria non può né deve determinare, perché di per séinesprimibile e indefinibile nel contesto di un’istituzione che si pone come luogo diincontro di diversità. Questa entità divina e suprema rappresenta pertanto un concet-to centrale, che deve essere interpretato direttamente da ciascun fratello, secondo lapropria libera coscienza e la sua fede. Un Dio massonico sarebbe di converso unacompleta assurdità, poiché ciò imporrebbe di fatto una dottrina religiosa a tutti imembri della comunione massonica distruggendo le differenti e individuali opinio-ni religiose, teologiche e filosofiche dei singoli fratelli. In questo modo la Massone-ria si trasformerebbe in una riproduzione di una setta minoritaria, con l’abbandonodel suo profondo forte retroterra interculturale e della sua intrinseca tolleranza. Perquanto sarebbe antistorico immaginare che la Massoneria delle origini fosse così“moderna” da porsi come luogo di incontro proprio per tutti gli uomini di “buonicostumi”, come invece avverrà solo più tardi, indifferentemente rispetto ad ogni pos-

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sibile differenza di razza e religione, essa, sin dai primordi produsse comunque unnotevole impatto sul processo di modernizzazione del mondo verso forti ideali dimutuo rispetto e tolleranza religiosa. Il caso della Massoneria indiana, dove genti ditradizioni religiose diverse hanno operato e operano insieme senza pregiudizi etno-religiosi, è un esempio calzante di quel che voglio significare. Mi sembra altresìopportuno puntualizzare ai molti fratelli che vivono in paesi dove forse i pregiudiziantimassonici sono di poco conto, che è necessario comprendere come questo“nostro” senso di fratellanza, tale da aprire la Massoneria a Cattolici, Protestanti edEbrei, per esempio nella Toscana nelle prime decadi del XVIII secolo, provocassepesanti reazioni da parte della Chiesa Cattolica. In un periodo di intolleranza politi-ca e di dispotismo, quando ogni forma di assembramento, se non sotto il controllodella polizia, era assolutamente interdetto, il nostro modo di lavorare, relativamenteinterclassista per l’epoca, tollerante, meta- e interreligioso e soprattutto esoterico,scevro da preclusione dogmatica alcuna, fu di fatto considerato come un eventointrinsecamente pericoloso per la sicurezza dello stato; ovviamente ciò secondo ilpunto di vista di uno “stato di polizia”. Queste ragioni ora non corrispondono più allarealtà e noi stiamo operando affinché si sfati questa falsa immagine concernente laMassoneria nella profonda speranza che gli sforzi presenti possano meglio esserecompresi al di fuori della nostra istituzione.

Ma adesso, sul cammino della fratellanza universale, che cosa è divenuto ilG.A.D.U.? Un comodo contenitore vuoto, opportunisticamente rimasto come un vec-chio marchio di garanzia della derivazione regolare? Oppure esso ha un senso, dicarattere se non altro filosofico-cosmologico, al quale riferirsi ed al quale ricondur-re una serie di principi cardinali?

Noi potremmo dire che il G.A.D.U. andrebbe innanzitutto definito come “l’ordinedel discorso”; la sua accettazione fa sì che i Massoni assumano l’esistenza di un prin-cipio comune e universale, inteso come bene, verità e ragione, al quale far riferimentoe dal quale trarre le coordinate per l’agire singolo e comune.

In altre parole, il G.A.D.U. è la logica, la ratio a priori grazie alla quale si fonda laricerca della verità; quindi un principio di ratio ma anche di philia universale, chepone nel “bene” e nella sua ricerca il fine dell’umanità e in particolare quello dellastessa Massoneria. Per queste ragioni, in quanto tale, il G.A.D.U. non viene peròeccessivamente qualificato né può esserlo, non per mero amore di relativismo, masolo perché ciò significherebbe entrare nel merito di una serie di teologoumena cheprovocherebbero solo separazione e contrasti nel suo seno e sui quali la Massonerianon intende imporre una verità unica, ritenendo tale scopo estraneo alla “sua” ragio-ne di esistere, ma altresì incoraggiando i singoli muratori alla ricerca di tale verità.La Massoneria infatti resta una comunione di “spiriti liberi” alla ricerca di una veri-tà ultima. Ma tale completa verità non si trova nelle nostre mani, né - crediamo - inquelle di ogni altra Massoneria. Se ciò non fosse vero, la Massoneria dovrebbe giàda tempo aver finito la costruzione del tempio, e di conseguenza, avendo terminatal’opera e pagati gli operai, si dovrebbe sciogliere. Ma vorrei essere più preciso su

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questo aspetto, che potrebbe apparire poco chiaro. E’ chiaro che, preso individualmente, ogni massone ha le sue intime convinzioni,

anche religiose, né egli deve affatto abbandonarle. La disciplina iniziatica non gliapre una via corruttrice delle sue credenze precedenti; al contrario, essa gli offre solola possibilità di apprendere di più grazie alle mutue differenze ed all’umana com-plessità che egli troverà in loggia, esattamente come il fratello Kipling rammentavain una sua famosa poesia dedicata proprio alla sua loggia indiana. Così noi speriamoche ciascuno di noi sia capace di offrire un contributo originale alla costruzione fina-le del tempio, che è una metafora per la costruzione del tempio interiore. Attraversoquesta esperienza noi ci auguriamo che ciascuno faccia del suo meglio per renderemigliore anche il mondo profano intorno a sé. Questa comunione di esseri imperfet-ti, operanti per un reciproco perfezionamento, ma non per la distruzione delle loro

personali differenze, rappresentaun capolavoro nella storia dell’u-manità. Le diversità ivi presentisono infatti una ricchezza, anchein campi come la teologia e lareligione, perché stimolanoriflessione e comprensione.Ovviamente i Massoni sanno cheessi non possono affrontare diret-tamente quegli argomenti teolo-gici e religiosi in modo da provo-care lacerazioni e rompere l’ar-monia della loggia. Essi peròsono anche spinti, attraverso illavoro di loggia, ad apprendere imodi i tempi e le forme relativi acome parlare anche di argomentialti e difficili, resi ancor più arduidal fatto che su tali temi si devemirare ad offrire uno stimolocostruttivo e non ad acuire sepa-razioni o scontri.

Quindi ogni massone è spintodi fatto a pensare Dio, intesoliberamente secondo le sue pro-prie convinzioni, ma anche come“principio” che incombe su tutti imembri della comunione e che èaccettato da tutti loro. Inoltreegli è altresì stimolato a cono-Robert Fludd, Utriusque Cosmi, 1619.

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scere e rispettare i modi e le differenze con cui gli altri fratelli pensano e veneranotale Dio. Per questa ragione, se una buona cultura di base non è necessariamente unrequisito essenziale per il massone, la sua presenza risulta di notevole aiuto, poichérafforza le capacità di comprendere e destreggiarsi con tutte queste differenze.

La Massoneria non può peraltro essere né conformista né unilaterale. Al contrario,una comunione latomistica che divenga il tempio vivente, dove eventualmente Cat-tolici, Protestanti, Ebrei, Musulmani, Zoroastriani, Buddhisti, Deisti e altri ancora,possano fraternamente illuminarsi nella ricerca della verità, e quindi anche e soprat-tutto nella ricerca di Dio, necessita di un continuo addestramento, morale ed intel-

lettuale, giacché ogni parolain un tale consesso devecadere come un accordoarmonico e non come un ele-mento di separazione eincomprensione.

Il mio discorso potrebbeperò generare un dubbio. Sela Massoneria cerca la verità,coloro che già appartengonoad una fede che si consideradepositaria della verità, qua-le vantaggio trarrebbero maida questa esperienza, anche esoprattutto nel loro camminodi conoscenza del divino?Non cadono essi forse incontraddizione, accettandoun’esperienza che presuppo-ne il dubbio e la ricerca,avendo già una fede e quindianche un risposta? Il quesitoè due volte grave, non essen-do affatto teorico, ma solle-vato da alcune Chiese.

Io penso che l’individualeconvinzione di possedereuna verità religiosa non esi-ma l’uomo dal porsi altredomande e da una continuaricerca, né alcuno spiritoreligioso potrebbe conside-rarsi così divinamente inspi-Bibbia moralizzata, Dio misura il mondo con il compasso, 1250 ca.

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rato da non sentire il bisogno di un dialogo profondo con i suoi fratelli, soprattuttoquelli da lui diversi. La Libera Muratoria offre quindi un’opportunità ad ogni perso-na che voglia camminare su di una strada difficile, dove il suo spirito possa esserestimolato alla tolleranza, conoscenza e rispetto. Grazie alla ritualità e all’esperienzaesoterica il Massone sarà spinto a ripensare e rimeditare molti problemi centrali nel-l’umana esistenza; gli sarà più volte richiesto di rispondere a certi interrogativi conle sue idee e non secondo un credo stabilito dalla Massoneria, ma verrà anche indot-to a operare con gli altri fratelli, molti dei quali diversi da lui per fedi e tradizioni. Perquesta ragione è chiaro che una tale strada non è per tutti, in particolare per quegliuomini che non siano interessati al dialogo con altre identità, altre culture, altre reli-gioni.

Sotto la volta del tempio, noi uniamo le nostre imperfezioni per migliorarci; se nonsiamo pronti ad ascoltare gli altri, a riflettere sulle vere differenze, come potremmoessere al centro dell’universo? Il particolare tipo di sociabilità proposto dalla Mas-soneria rappresenta oggi un forte strumento nel processo di globalizzazione del mon-do, dove i problemi appaiono enormi e la violenza e l’antagonismo molto forti. Perqueste ragioni il ruolo della Massoneria torna ad essere significativo, poiché la nostraistituzione potrebbe aiutare l’umanità sulla strada dei processi di integrazione e dipace. In presenza di una forte decadenza dei più importanti valori etici e morali nel-l’ambito delle società occidentali, basate sulle più crude leggi del profitto e del pote-re, noi costituiamo la sola istituzione non-religiosa che spinga gli uomini a meditaresu tali principii ed in particolare sull’idea di Dio, anche se nell’immagine delG.A.D.U.

Molte pseudo-religioni hanno fatto la loro comparsa nel panorama attuale; esse ingenere offrono a poco prezzo tutte le risposte necessarie; nessun interrogativo, nien-te tolleranza, ma solo un kit completo di nozioni minime basate sull’ignoranza, anchese perfettamente valide per ridurre un essere umano ad una persona stupida e acriti-ca. La Massoneria, al contrario, aiuta gli uomini ad elaborare una coscienza indipen-dente ed un pensiero autonomo attraverso il potenziamento di ogni tratto positivocontenuto anche nelle loro religioni e non contro di esse.

Non si creda peraltro che, nel nuovo contesto post-moderno, la Massoneria sia unostrumento della scienza contro le fedi. La scienza non conferma né esclude Dio e lereligioni; né le religioni possono imbrigliare i risultati della conoscenza scientifica.E qui non intendo riferirmi alle problematiche della bioetica e alle polemiche più vol-te apertesi intorno a temi scottanti come la fecondazione artificiale o simili, ma deigrandi interrogativi che la fisica e la cosmologia moderne hanno aperto, e di fronteai quali anche le fedi religiose si devono di fatto interrogare. Alcuni intellettuali,come il fisico anglicano John Polkinghorne (in particolare nella sua recente mono-grafia Credere in Dio nell’età della scienza, Milano 2000), hanno, in modo moltoaperto e stimolante, proposto una serie di riflessioni per nulla aprioristiche o teolo-galmente chiuse al riguardo delle grandi questioni dell’astrofisica e dell’origine delcreato.

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L’universo è forse eterno e indipendente dal tempo (come presupponeva la“cosmologia dello stato stazionario”, oggi molto in crisi dopo la scoperta della radia-zione cosmica di fondo), oppure è già apparso pienamente strutturato o ancora è ilprodotto di una singolarità, che ne ha generato l’espansione? Non si deve dimentica-re peraltro l’ipotesi, alquanto dubbia, ma pur sempre formulata con argomenti circo-stanziati, che l’universo potrebbe anche essere il frutto di un’emergenza temporanea,manifestatasi da un complesso diverso e sostanzialmente disordinato. La stessa Chie-sa Cattolica viene, attraverso alcuni dei suoi fisici di punta, a riflettere sulla possibi-

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lità di vita su altri mondi nel cosmo in espansione: ammissione che avrebbe, forse,salvato Giordano Bruno, ma che suppongo abbia messo in forte imbarazzo non pochiteologi più tradizionalisti o anche semplici intellettuali cristiani i quali, secondoun’ottica ancora di impianto medievale, volessero ancora sostenere che la centralitàdell’umanità terrestre debba essere ritenuta l’unica, attraverso l’incarnazione del Cri-sto, a poter dare senso compiuto alla creazione.

L’idea di un Big Bang, che peraltro non dispiacque affatto anche a Pio XII poichévi vedeva una giustificazione al creazionismo, è altresì oggetto di ampia e circostan-ziata discussione, giacché tale singolarità non appare più, almeno secondo alcuni fisi-ci, come il momento primo della creazione (si pensi alla teoria delle superstringhe oa quella dell’istantone), né d’altra parte l’idea che il tutto si concluda con un BigCrunch risulta oggi così sicura, e ciò almeno da quando si è scoperto che l’universo,anziché decelerare, è al contrario in continua accelerazione. Tale fatto sembra impli-care non solo che l’universo sarebbe infinito e piatto (ossia governato dalla geome-tria euclidea) ma addirittura che esso disporrebbe di massa insufficiente per produr-re un collassamento delle galassie in fuga verso i suoi confini.

Esiste allora un’equazione di Dio? Un linguaggio simbolico e astratto, che la logi-ca dei fenomeni interpretati dai fisici, dai matematici e dagli astronomi ha elaboratoe che ci impone una nuova riflessione, spesso interreligiosa sul volto e sul ruolo diDio?

Il fatto che l’uomo sia in grado di elaborare un linguaggio a sua volta capace diinterpretare, anche se solo in una parte, la meccanica celeste e la fisica delle parti-celle, lascia forse supporre l’esistenza di una ratio fondante? Certamente, a secondadei modelli fisici che la scienza andrà elaborando, anche la filosofia e la religione -le religioni tutte - saranno continuamente provocate e stimolate a porsi degli interro-gativi ed a riflettere a voce alta con meno pregiudizi. Le risposte come le confermeo le smentite alle varie ipotesi formulate dagli scienziati, così come al riguardo deidiversi modelli cosmologici avanzati, non verranno infatti dalle religioni né dai loroimpianti teologici, ma dovranno essere comunque reperiti all’interno del linguaggiofisico-matematico, fatto di cui gli stessi fisici “credenti” sono più che convinti. Nonè un caso che l’ultimo dei cicli promossi dall’ex Cardinale di Milano, MonsignorCarlo Maria Martini, nel quadro della “Cattedra dei non credenti”, sia stato dedicatoal “tempo” ed ai suoi interrogativi che fisica, metafisica e filosofia si pongono al suocospetto (C.M. Martini, Figli di Crono. Undicesima cattedra dei non credenti, Mila-no 2001).

Le vie del dialogo passano anche attraverso gli interrogativi posti dalla scienza, nonalla o contro la fede e le fedi, ma innanzitutto all’intelligenza umana.

In tale prospettiva, la Massoneria, come crocevia di culture, tradizioni e fedi diver-se, non può che ritrovarsi, sotto la guida della ragione e della luce che il G.A.D.U.rappresenta, come tempio del dialogo, tra e con tutte le componenti di buona volon-tà presenti nella società.

Cari Fratelli, in altri termini, il problema ritorna ad essere quello della ricerca del-

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EDITORIALE

la verità e con essa della felicità, attraverso un impegno per la riduzione della soffe-renza e del dolore umano, la cui presenza nel mondo è da sempre uno degli interro-gativi che investono la questione del divino e della sua essenza ed a cui gli uomini dibuona volontà possono dare, se non una risposta definitiva ed univoca sul piano teo-logico-filosofico, una serie di testimonianze reali e positive per il perfezionamentodel mondo.

Se quindi noi non possediamo la risposta definitiva, tutti noi, ciascuno nel suo cuo-re, possiamo fare del nostro meglio per rendere più luminosa la presenza dell’ordinedivino nel nostro mondo per la gloria del Grande Architetto dell’Universo.

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SCIENZE STORICO-SOCIALI

Considerazioni sulla guerra giusta*

Sergio MoraviaUniversità di Firenze

Prima di tutto vorrei ringraziare, soprattutto nella persona del suo Presidente delCollegio circoscrizionale di Torino, l’Istituzione che mi ha invitato a partecipare aquesto Convegno. Trovo molto significativo che la Massoneria si ponga una proble-matica quale quella che oggi ci ha qui riuniti. Il mondo massonico è sempre stato unmondo di pace. Si è battuto contro la guerra anche quando alcuni suoi membri han-no partecipato ad alcuni conflitti reputati giusti.

La domanda che è stata posta al centro della nostra riflessione odierna appare par-ticolarmente delicata. Certo, il primo impulso sarebbe di darle una risposta tran-chante: un sì o un no recisi all’esistenza di una guerra giusta. In realtà una risposta diquesto genere non appare possibile. La ragione è che la guerra è qualcosa di assaidiverso da quanto il nostro immaginario tende talvolta a credere. In una frase diven-

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* Intervento presentato in occasione del Convegno La guerra giusta? Presupposti eticie giuridici per l’uso internazionale della forza, Torino, 19 Ott. 2002.

SOME REMARKS ABOUT THE RIGHT WAR

In a period in which so many wars stain with blood our world a careful analysis ofthe different kinds of wars seems to be very important. There are, in fact, aggres-sive and defensive wars, wars of conquest and wars of liberation etc. Since theMiddle Ages the problem of the “right war” has been referred to this phenome-nology of the war. According to the author of the present article not all the warsare injust. The real question which has to be raised is “who” is intitled to judge therightness or the unrightness of a war. After the Second World War one of the mostinfluential answers has been that this subject is the Organization of the UnitedNations. From an ethical standpoint it must also be added that a war can be con-sidered as “right” only when every political effort addressed at a pacific solutionof certain controversies has been proved unsuccessful and the diverse conse-quences of the war itself have been adequately evaluated.

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SCIENZE STORICO-SOCIALI

tata celebre Clausewitz la definiva la prosecuzione della politica con altri mezzi. Lasua giusta intuizione era che la guerra è una condizione estremamente coinvolgentee complessa. L’evento della morte di un soldato non è, al limite, l’aspetto meno rile-vante. Ben più rilevante è che in guerra muoiono tanti civili, che in essa si distrug-gono fonti di sopravvivenza naturali, centri abitati, e che interi sistemi economici nerisultano sconvolti.

Non basta. Noi parliamo di guerra e pensiamo alla guerra standard: alla guerraguerreggiata. Ma forse si dovrebbe avere un concetto più ampio e articolato dellaguerra medesima, e ammettere che situazioni conflittuali si danno anche in condi-zioni di pace apparente: quando ceti dispotici sfruttano maggioranze sofferenti, quan-do gruppi etnici schiacciano con la forza lo sviluppo di altre etnie. Da questo puntodi vista certe guerre consistono nella reazione cruenta di popolazioni che vivono unavita iniqua.

Quest’ultimo cenno potrebbe anche costituire l’incipit di un inventario delle varieforme di guerra, capace di rivelarsi un prologo indispensabile per una riflessione sulconcetto di guerra giusta. Senza nessuna pretesa di offrire un catalogo completo, vor-rei ricordare che esistono guerre offensive e guerre difensive, guerre di repressionee guerre di liberazione, guerre ispirate da propositi di trasformazione del mondo eguerre locali, connesse con determinate e delimitate finalità politiche o economico-sociali.

Questa che chiamerò la “pluralizzazione” del concetto di guerra è il necessario pre-supposto - come ho appena detto - di un esame del concetto di guerra giusta. Si trat-ta di un concetto che ha un’origine prevalentemente teologico-religiosa. Ne hannoparlato per primi S. Agostino e S. Tommaso. Poi la nozione è stata accolta da nume-rosi pensatori laici. Nell’età moderna e contemporanea è diventata uno dei termini diriferimento obbligati delle indagini di quella disciplina che Gaston Bouthoul ha chia-mato “polemologia”.

Soltanto un esperto di tale scienza potrebbe guidarci attraverso le distinzioni dot-trinali che hanno caratterizzato lo sviluppo dell’idea di guerra giusta. Io ho però lasensazione che a molti dei presenti ciò che sta a cuore è principalmente una questio-ne di più ampio respiro intellettuale e morale. E’ la questione indicata nel titolo stes-so del nostro Convegno: si può parlare di una guerra giusta, o questa è quasi una con-traddizione in termini? Se non è così, quali sono i criteri secondo i quali noi possia-mo pensare la guerra, suddividendola poi tra giusta e ingiusta? E questi criteri sonotutti interni alla stretta essenza della guerra, o rinviano anche a matrici e contesti piùgenerali? Per quanto mi riguarda, è a queste domande che vorrei cercare di rispon-dere brevemente.

In primo luogo l’espressione “guerra giusta” non mi pare sempre e in qualsiasi casouna contraddizione in termini. Sarebbe contraddittoria se l’umanità e la sua storia fos-sero diverse da quello che sono: rispettivamente il soggetto e il teatro di vicende incui il bene e il male coesistono in una sorta di perversa concordia discors. E’ inne-gabile che i più diversi popoli, stati e paesi si sono macchiati di crimini atroci. E’

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Considerazioni sulla guerra giusta, Sergio Moravia

altrettanto innegabile che in molte circostanze altri popoli, stati e paesi hanno cerca-to di reagire anche militarmente a questi crimini. Bocciare tale reazione perchè a suavolta ha contribuito a spargere lacrime e sangue mi pare affrettato. Deprecate nel-l’iperuranio dei buoni propositi, molte guerre hanno conquistato una pur discus-sa legittimazione. Penso alla guerra anti-nazista; penso ai movimenti indipen-dentistici svoltisi nel corso del cosiddetto Risorgimento africano; penso alleparallele lotte anti-colonialiste dell’Estremo Oriente. Quando un paese è assalitoe invaso militarmente, è difficile contestargli il diritto ad una reazione; quandoun popolo si rivolta contro un regime totalitario in nome della libertà è arduonegargli il riconoscimento delle sue buone ragioni.

Il problema, piuttosto, è un altro. E’ individuare chi ha titolo per stabilire la giu-stezza o meno di una guerra. Si tratta, è chiaro, di un interrogativo assai difficile. Mava anche aggiunto che, sia pure in modo ancora insufficiente, il mondo occidentaleha perseguito una risposta il più possibile convincente a tale quesito. Si è comincia-to col separare tra loro sfere e dimensioni che andavano separate. Non è Dio, e nep-pure la Chiesa, a poter indicare cosa è giusto e cosa no nell’universo dell’umano con-tendere. Si è cercato, pur tra errori e contraddizioni, di parlare di guerra e di pace intermini non sacri ma laici. Si sono inoltre creati organismi sovranazionali - il piùrecente è l’ONU - incaricati di valutare la fondatezza di alcune iniziative belliche e,se nel caso, di intervenire anche con la forza. Il tentativo, insomma, è stato di supe-rare quella che in passato veniva chiamata l’anarchia politica internazionale. Mi siobietterà che assai spesso tali organismi - compresa l’ONU - non si sono mostratiall’altezza dei loro compiti. Risponderò riconoscendo la fondatezza dell’obiezione -ma, insieme, sottolineando che qualcosa nell’ultimo cinquantennio l’ONU ha pursaputo fare. E’ che comunque tale organizzazione addita quella strada della concer-tazione pacifica che appare l’unica in grado di contenere l’endemica malattia dellaguerra.

Non posso tuttavia tacere, cari Amici, la mia profonda angoscia. E’ stato detto chese per fare la guerra basta una volontà, per interromperla occorre essere almeno indue (istruttive, a tale proposito, le tragiche vicende israelo-palestinesi). La guerra giu-sta, poi, sembra presupporre uno scenario relativamente ragionevole, nel quale pae-si di diverse convinzioni politico-spirituali accettano almeno alcuni princìpi fonda-mentali. Ma quando questi princìpi mancano, come procedere? Senza dimenticareche l’amaro zoccolo duro della realtà è sempre pronto a deludere, a smentire le spe-ranze e gli impegni più solenni. In situazioni estreme gli uomini tendono a mostrareil loro volto irragionevole e ferino. Era forse giusto combattere Bin Laden e i suoisostenitori afgani. Ma quella guerra, diversamente da come avrebbe dovuto essere,non è stata gestita dall’ONU, non ha risparmiato migliaia di civili, e non è neppureriuscita a catturare lo stesso Bin Laden.

Ho però parlato di angoscia, non di disfattismo. Ho accennato alla necessità di esse-re in due a fare la pace, ma non ho detto che da soli non ci sia niente da fare. Da farece n’è, e molto. A cominciare proprio dall’analisi delle condizioni che rendono una

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SCIENZE STORICO-SOCIALI

guerra giusta, o almeno meno ingiu-sta possibile. A questo riguardo ilmio personale elenco di tali condi-zioni vede al primo posto una matu-ra e responsabile coscienza che lasituazione pratico-oggettiva nonammette soluzioni alternative alricorso alle armi. A sua volta ciòpresuppone che siano state esperitetutte le possibili vie di un negoziatopolitico-diplomatico, e ciò in tutte lesedi appropriate. Riguardo a talisedi, ho in mente non solo quelledelle due o più potenze direttamentecoinvolte nella crisi in atto ma anchequelle connesse coi grandi organismiinternazionali, a cominciare dall’O-NU. Torno così, ancora una volta, aevocare un ente nonostante abbia giàdetto di condividere molte delle cri-tiche che ad esso vengono mosse. Lofaccio con intenzione. Miglioriamo,anzi riformiamo - questo sì - ilPalazzo di Vetro. Conferiamogli,soprattutto, una nuova autorevolezza

e una nuova incisività. Ma non abbandoniamolo alla sua attuale condizione di fragi-lità, inseguendo magari la sirena di paesi dotati di infinitamente maggiori capacitàd’azione.

Mi sto riferendo, è chiaro, agli Stati Uniti. A loro riguardo il discorso rischia diessere imbarazzante. Nel corso del XX° secolo gli USA hanno ben due volte risoltoin modo positivo due conflitti mondiali, salvando valori che consideriamo irrinun-ciabili. Per questo noi proviamo incancellabili sentimenti di riconoscenza nei loroconfronti. Ciò tuttavia non significa accettare il ruolo “di gendarme del mondo” chequel paese è venuto sempre più acquisendo. Tanto meno significa identificare leguerre giuste col particolare tipo di guerre che esso ha intrapreso, anche in anni assairecenti. Ad esempio, una parte cospicua dell’opinione pubblica è rimasta assai sfa-vorevolmente colpita dall’arbitrarietà con cui gli USA hanno gestito in proprio laguerra contro l’Afghanistan talebano. Sono ben chiare le motivazioni che hanno spin-to il Governo di Washington ad agire in un determinato modo. Ma deve essere altret-tanto chiaro che nel nostro tempo la vendetta, la rappresaglia, il contrattacco indi-scriminato non possono più costituire le giuste modalità di una guerra giusta.

Un’ulteriore considerazione è la seguente. Una guerra giusta non può accontentar-

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Considerazioni sulla guerra giusta, Sergio Moravia

si di rispettare certe procedure politico-formali. I suoi promotori devono anche potermostrare nel teatro del mondo di possedere un’appropriata credibilità sostanziale.Orbene, che cosa ha da dire a questo riguardo l’Occidente - tanto più l’Occidenteaggregato nella galassia statunitense? Io credo che abbia da dire piuttosto poco e dafare - in senso autocritico - ancora molto. L’allusione ai lati oscuri, ai detriti marci einquietanti che ancora offuscano il nostro mondo dinanzi agli occhi degli “altri”. Gliultimi convegni dedicati ai problemi planetari della fame e della crisi eco-sistemica(Durban, Johannesburg) hanno rivelato una volta di più l’entità del rancore che cir-conda i nostri paesi, a cominciare da quello che tuttora ci egemonizza.

Non basta. Con molto disagio abbiamo dovuto scoprire le forti resistenze di certisettori dell’Occidente a prendere atto dei drammatici problemi che angustiano partiassai vaste della Terra. E’ come se i problemi del pane quotidiano, delle risorse idri-che, degli approvvigionamenti sanitari, dell’aria inquinata toccassero in modo solotangenziale la sensibilità di molti nostri governanti. I fischi assordanti rivolti a Johan-nesburg al rappresentante degli Stati Uniti da parte dei rappresentanti di decine edecine di paesi risuonano ancora nelle nostre orecchie. E non possono farci pure essiriflettere sui problemi del nostro Incontro torinese. Con quale credito potremo pro-muovere guerre giuste a parte Occidentalis quando questa parte è disprezzata e odia-ta da un’area impressionante del Pianeta? La mia tesi è insomma che la preparazio-ne di una guerra giusta debba partire da un’improcrastinabile riforma del nostro“essere occidentale” nel mondo. E mi dispiacerebbe molto che questa opinione venis-se considerata fuori tema. Non ripeterò mai abbastanza l’ovvietà che la guerra non èmeramente un evento bellico tra eserciti: è invece una forma, certo estremizzata, del-l’agire di un’intera società. E affinchè essa sia considerata con qualche serietà da chinon vi partecipa, occorre che questa società abbia saputo conquistarsi un adeguatorispetto per il proprio operato: anche di quello situato a monte dell’azione bellica. Perquesto appare urgente sottoporre tale operato a un’attenta disamina critica. Bisognache l’Occidente possa presto esibire nuove carte in regola sullo scacchiere interna-zionale. La “giustezza” di una guerra è misurata anche dalla qualità delle reazioni chene accompagnano lo scatenarsi: reazioni che investono regolarmente (ce lo insegnala storia) l’identità presente e passata del belligerante.

Come ogni civiltà, la civiltà d’Occidente è una realtà molto chiaroscurale. Sta a noivalorizzare i suoi lati luminosi e ridurre quelli bui. Se non lo faremo, ogni nostraguerra pagherà una pesante sanzione preliminare a un Tribunale che non potrà nonessere prevenuto. Le guerre sono giudicate giuste o ingiuste in rapporto a criteri chevanno molto al di là delle cause scatenanti degli eventi bellici. Il nostro mondo devetemere ciò perchè i suoi panni sporchi sono molti. Non penso soltanto all’appoggioprodigato dagli USA a tanti regimi totalitari e/o neo-colonialisti. Penso anche alle suecompromissioni in sede economica e finanziaria. Quale sistema bancario e borsisti-co ha appoggiato la resistibile ascesa del magnate pluri-miliardario Bin Laden? Qua-le sistema industriale si è avvalso unilateralmente delle ricchezze petrolifere di unaparte del Terzo Mondo?

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SCIENZE STORICO-SOCIALI

Ragioni di tempo mi obbligano a terminare queste considerazioni, e anche il miointervento. Concludo sottolineando che il concetto di guerra giusta è arduo perchèsembra implicare, almeno in qualche misura, l’esistenza di un occhio di Dio in gra-do di valutare in modo veramente equo ragioni e condizioni del conflitto. In assenzadi quest’occhio non ci resta che ricorrere a quella che Max Weber chiamava “l’eticadella responsabilità”. Una guerra sarà giusta solo se sarà stata preceduta da adegua-te valutazioni dei pericoli per l’umanità di cui una determinata potenza in armi appa-re la più che certa matrice. Sarà giusta se tale valutazione verrà compiuta non da unsingolo stato ma da un’organizzazione sovra-nazionale il più possibile rappresenta-tiva dell’opinione pubblica mondiale. Sarà giusta se verrà condotta entro un raggiod’azione il più limitato possibile, in modo che il conflitto non produca nuove cata-strofi oltre quella che già esso stesso costituisce di per sè. In effetti, mai come oggiuna guerra può generare contraccolpi e conseguenze di incalcolabile gravità: le armidi cui ormai molti paesi dispongono aumentano i rischi che una qualsiasi guerradivenga una minaccia terrificante per una parte consistente del Pianeta. Per questocredo che la prima vera giustizia riferibile a possibili eventi bellici sia una strategiaidonea ad evitarli. Da tale punto di vista, dobbiamo puntare il più possibile le nostrechances da un lato - ci voglio insistere ancora - sullo sviluppo di organismi di paceinternazionali, dall’altro (e soprattutto) sulla graduale diminuzione delle cause chesolitamente producono le guerre: disuguaglianze economiche, tensioni razziali, com-petizioni ideologiche e religiose. Se ci si pensa bene, la guerra più giusta è quella cheda ultimo si riesce a non fare.

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La Libera scuola di Scienze politichedi Aurelio Saffi

Giovanni GrecoUniversità di Bologna

Malgrado l’importanza da tutti riconosciuta all’azione e al pensiero di Aurelio Saf-fi e l’attualità ribadita persino nella delibera che ha consentito l’avvio della Facoltàdi Scienze politiche dell’Ateneo bolognese, ove si parlava di collegamento ideale conla Libera scuola di Scienze politiche di Aurelio Saffi, si registra ancora la mancanzadi una raccolta sistematica dei suoi scritti e di uno studio biografico complessivo.

A partire dall’autunno del 1848, quando le istituzioni entrarono in una crisi irre-versibile, il ruolo dei circoli popolari – autentici governi provvisori municipali rivo-luzionari – crebbe, assumendo caratteristiche d’indirizzo politico generale: la riven-dicazione di un meccanismo di selezione della classe politica democratica si saldòcol consolidato liberismo dell’élite nobiliare bolognese e forlivese, favorendo il rapi-do transito di leali sudditi di Pio IX verso sponde repubblicane. E’ il caso di AurelioSaffi, nobile riformatore della prima ora, deputato alla Costituente romana del 1849,ministro dell’Interno e poi triumviro con Mazzini e Armellini, esule in Svizzera e aLondra, protagonista dei preparativi dei moti milanesi e romagnoli nel 1853, e forseil più emblematico di un’epoca e di una generazione. Esule prima a Genova, poi aLosanna, Saffi si recò clandestinamente a Bologna nel 1853 per prepararvi una insur-rezione di appoggio a quella milanese. Fallita questa, tornò in Inghilterra, dove fuinsegnante di lingua e letteratura italiana a Oxford.

S’era verificata una certa divaricazione fra le punte di diamante intellettuali dello

THE FREE SCHOOL OF POLITICS OF AURELIO SAFFI

In spite of the importance and relevance up to the present of Aurelio Saffi’s thoughtand action, a methodical collection of his works and a comprehensive biographicalstudy have not yet been published.Moreover, Aurelio Saffi showed to be a real precursor of trends and lines of thatliberal democracy which would be consolidated towards the end of the nineteenthand the beginning of the twentieth centuries.It is not by chance that Antonio Gramsci, referring to the most important Freema-sons who desired a united Italy, wrote that Freemasonry has been the only signifi-cant institution produced by the italian middle class.

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schieramento radi-cale del Risorgi-mento (i Fabrizi edi Saffi) e gli atteg-giamenti populisticidi una porzione delnotabilato dispostaa schierarsi a sini-stra per controllareampi strati di baseurbana. E ciò si evi-denziava particolar-mente nell’universoassociativo dimatrice artigiana diBologna e di Forlì,dove erano presentisocietà di mutuosoccorso ante litte-ram tutelate daipossidenti dellecasse di risparmio.

Uomini comeCarducci, Ceneri,Baccarini, Costa eSaffi non furonosolo protagonistidel microcosmo disinistra, ma divennero la quintessenza dello spirito radicale urbano, esercitando unforte condizionamento sulle mentalità e sull’organizzazione dei nuclei emiliano-romagnoli d’opposizione alla destra.

Se è vero, secondo i dati di prefettura, che un centro dalle salde radici democrati-che come Forlì, la cui percentuale di filo-governativi rasentava il 42%, è altrettantovero che l’insistenza con la quale uomini come Carducci, Filopanti, Mercantini e Saf-fi erano richiesti in provincia, poteva suonare come la conferma della destruttura-zione dell’universo garibaldino ed, in assenza di un nucleo mazziniano, si rivelavaincapace di uscire da schemi settari.

Nel 1881 Alfredo Comandini scriveva che, a partire dagli anni sessanta, era acca-duto qualcosa di molto particolare. Numerosi notabili “rossi” erano riusciti nell’in-tento di politicizzare il preesistente associazionismo urbano di matrice popolare. El’artefice era stato proprio Aurelio Saffi, su questo punto assai critico col Mazzini,che aveva spinto i repubblicani romagnoli nel circuito dell’associazionismo legale

Aurelio Saffi triumviro. Litografia

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La Libera scuola di Scienze politiche di Aurelio Saffi, Giovanni Greco

con forti prospettive di opposizione ai moderati. Non casualmente l’attacco delladestra alla tradizione associativa romagnola, ritenuta il sito della rete di rapporti piùsignificativi fra appartenenti al popolo e il ceto medio, provocò per reazione una for-te difesa di questa risorsa della società locale. Una risorsa che un gruppo di intellet-tuali democratici, primi fra tutti Saffi e Alfredo Borgognoni avrebbero declinato insenso radicale, tentando di rappresentare un modo tutto romagnolo di considerarel’unità italiana costruita dal basso, dalle cellule del tessuto comunale, da tutto ciòche – per dirla col Saffi stesso – restava di popolare nella cosa pubblica.

Indubbiamente l’associazionismo repubblicano romagnolo portò nell’arena politi-ca locale una quota popolare destinata ad alterare i rapporti di forza all’interno degliassetti di potere municipali. Non è un caso che Forlì, dove nel 1879 i residenti erano16.000 e i rapporti di polizia parlavano di 2.500 associati, aveva usufruito di unmicrocosmo associativo nel quale talune minoranze si erano indirizzate verso unmazzinianesimo intransigente e tentavano di impadronirsi dei consigli comunali,degli istituti di credito e dei collegi elettorali. Nella prospettiva di collegare ad unarobusta presenza nell’amministrazione un associazionismo nuovo, come le coopera-tive di lavoro che potevano così essere funzionali alla conquista delle leve del coman-do. Aurelio Saffi e Antonio Fratti, il primo in modo duttile, il secondo con maggiorrigore, furono i campioni di questo schieramento, non molto numeroso ma egemonesul piano culturale, dei riti collettivi, di quelle sofisticate intelaiature simboliche cherendevano compatte le mentalità collettive e solidali le generazioni.

Non a caso Saffi era stato iniziato con Civinini, Macchi, Montecchi, Pulsky, Sineo,Zanardelli ed altri rappresentanti della sinistra nella quarta loggia fondata a Torinonel 1862, la madre loggia Dante Alighieri, di cui fu Venerabile Ludovico Frapolli, eCrispi parlerà di grandi servigi – da Saffi – prestati alla causa dell’umanità. Ma nonsempre Saffi rimase pienamente partecipe della vita massonica andando anche “insonno”; quando Adriano Lemmi a 63 anni, nel 1885, ebbe la Gran Maestranza, ten-tò di reclutare fratelli influenti o di “risvegliare” fratelli di gran peso: da Crispi a Ber-tani, da Carducci a Fabrizi, da Bovio a Saffi. E sappiamo bene che Lemmi riuscì ariunire sotto la sua giurisdizione tutti e tre gli Orienti italiani sino ad allora esistenti,con il rilevante contributo offerto proprio dal Saffi. Infatti nel 1887, a casa di Lem-mi, si riunì una commissione paritetica di 14 membri, presieduta da Saffi, al terminedei cui lavori finì l’esperienza del Supremo Consiglio di Torino, con il pieno assor-bimento dell’esistente nel Grande Oriente d’Italia. A Lemmi in particolare Saffi sirivolgeva per consigli ed orientamenti politici, tant’è che si espresse sempre più afavore di un ordinamento di un grande partito nazionale, democratico, che promuo-va, coi principi della nazionalità, quelli non meno importanti dell’avvenire, dellalibertà e della giustizia verso tutti. E per l’importante manifestazione massonica del27 gennaio 1887 veniva scelta, anche per influsso di Saffi, la capitale “di mezzo”:Firenze. In quell’occasione prendeva la presidenza il noto penalista Giovanni Bovioed il trionfatore era ancora una volta Adriano Lemmi, che alla riconferma della cari-ca di Gran Maestro univa la delega, per nove anni, di Sovrano Gran Commendatore

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del Supremo Consiglio dei 33 del Rito Scozzese, offertagli proprio da Timoteo Ribo-li e Aurelio Saffi.

Da alcuni decenni era forte il dibattito fra lo “scozzesismo” e il GOI, tant’è che il

Aurelio Saffi. Fotografia, 1880 ca.

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forlivese Alessandro Fortis, oratore della Livio Salinatore, futuro presidente del con-siglio, nel 1874 fra gli arrestati di Villa Ruffi, assertore del “pericolo clericale”, ave-va sostenuto che lo scozzesismo era la vera massoneria, mentre il GOI era una socie-tà qualunque. Del resto la terra forlivese era sempre stata fertile in questo ambito.Basti pensare che sin dal 1818, Piero Maroncelli, forlivese, iscritto alla carboneria,uomo di grandi ideali, era riuscito a determinare l’alleanza fra le sette romagnole etoscane con la conseguente trasformazione della Carboneria in Massoneria. In que-st’ultima vennero accolti tutti i carbonari ed ogni altro settario che si era distinto perzelo e fermezza, oltre ai capi dell’antico massonismo ed elementi di Parma, Modenae Reggio. A Faenza e a Forlì vennero riaperti i templi massonici, adottando il meto-do delle sezioni già utilizzato dalla Carboneria, ed a Forlì, successivamente, venneistituito il Capitolo della loggia, il corpo direzionale della Massoneria.

Saffi mostrò la stessa duttilità e flessibilità che avevano consentito anche l’anco-raggio dei repubblicani in uno stato monarchico senza relegarli in una opposizionesterile e limitata all’attesa messianica della soluzione istituzionale.

Non è casuale che quando nel 1888 re Umberto I visitò la Romagna, Saffi invitò adaccettare la presenza sovrana per rispetto della libertà dovuta alle altrui opinioni, e laprotesta nel forlivese si risolse in un semplice comizio di affermazione del tutto pla-tonica. Nello stesso tempo è proprio questa caratteristica che invitava Mazzini a rim-proverarlo perché incapace di profittare della crisi in cui si dibatteva la Monarchia,arrivando a sostenere, nel 1869, che con te differisco nel fine pratico alcuno; tendi ache si diffonda e avvalori l’idea repubblicana; poi speri nel caso, dai fatti non cal-colati anteriormente. Saffi chiariva bene il suo pensiero, in quel torno di tempo, nel-la risposta a Mazzini: Il paese non è maturo alla lotta materiale. Io non nego l’azio-ne, ma non la credo efficace, non atta a riuscire, se non esce, come frutto maturo,dall’albero che si chiama nazione, se si crede improvvisarla per fatto di frazioni. Eglid’altronde aveva sempre dimostrato una spiccata preferenza per un progresso paci-fico, senza scosse né forzature: ogni passo violento è retrocessione.

In effetti, lasciar vivere lo spirito insurrezionale e nel contempo costruire dal bas-so momenti di gestione sociale della cosa pubblica era il vero intendimento di Saffi.Ecco perché sin dagli anni settanta cominciò una capillare e solida infiltrazione deirepubblicani negli organi direttivi della città, a partire da Forlì, dove il consigliocomunale, la direzione della banca popolare, la direzione delle Opere pie divennerocentri gestiti dai repubblicani. Persino le celebrazioni del I° maggio assumevano ilsenso della resa dei conti, vissute con timore da una parte della popolazione, comesostiene Filippo Guarini nei suoi ricordi diaristici: a Forlì pochissime ortolane ven-gono in piazza, due o tre banchi di panoni e di limoni; nessuna cantina aperta; lebotteghe socchiuse [...]. Alla funzione del mese mariano in Duomo la sera non vaquasi nessuno; tutto questo per la trepidazione generale.

Anche nei moti annonari del 1874 ebbe una parte, con particolare riferimento ai fat-ti di Villa Ruffi, dove vennero arrestati tutti coloro, Saffi compreso, che lì erano con-venuti per decidere sul da farsi in merito alla ventilata azione degli internazionalisti,

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ma il popolo non si mosse.In questo quadro s’inseriscono pure i rapporti che Saffi coltivò con Michele Baku-

nin sia nella società civile che nella Massoneria, e vi è traccia di una sua lettera aPulszky dove, fra l’altro, si dice: L’amico mio Bakunin viene a passare l’inverno aFirenze. Sono certo di procurare un piacere tanto a voi che a lui, presentandovi que-sto generoso ribelle dello zar. Saffi s’impegnò molto per favorire Bakunin allor-quando lo aiutò a ritagliarsi uno spazio per riscrivere le sue memorie, quando gli pro-curò un incontro a Milano con l’editore Daelli e lo sostenne nella propaganda a favo-re della Fratellanza delle società operaie “che gli sta molto più a cuore dell’Interna-zionale”.

In realtà la Fratellanza veniva assai considerata da Saffi, che nel discorso inaugu-rale pronunciato al XVI congresso operaio di Firenze, nel 1886, affermava che laFratellanza fondata a Roma nel 1871 era la manifestazione più vasta e più promet-tente dello spirito d’associazione nel nostro paese e che era con quegli strumenti chesi poteva condurre la società italiana verso la meta di una grande e feconda egua-glianza civile.

Non venne però ripagato con la stessa moneta perché Bakunin, in una lettera a Cel-so Cerretti del 1872, ebbe a scrivere di Saffi: è una specie di sapiente mancato, undottore di una facoltà che non esiste, il Melantone di una religione nata-morta. Inrealtà anche Saffi mostrava di frequente delle remore sull’operato politico di Baku-nin e considerava le sue polemiche “acerbe e talvolta scurrili”.

Quando scoppiarono disordini a Iesi, a Ravenna, a Lugo (dove Piccinini, capo delFascio operaio venne trovato ucciso) e si giunse alla costituzione di una federazioneromagnola dell’Internazionale, che sanciva l’avvenuta lacerazione, Saffi cercò di por-si come ago della bilancia tra i settori più avanzati della sinistra costituzionale e l’In-ternazionale stessa.

Dopo aver diretto il mazziniano Popolo d’Italia, collaborò con Lemmi, alla Romadel popolo, pubblicazione diretta da Giuseppe Petroni con Ernesto Nathan, dopo che,nel 1862, aveva fatto parte di una commissione di nove membri con Nino Bixio,subito dopo la formazione del governo Farini, in ordine al problema del brigantag-gio, commissione dalla quale scaturì la relazione Massari, che – come è noto – harappresentato per anni uno degli studi più circostanziati su quel gravissimo fenome-no. Per inciso, Ernesto Nathan allorquando si conquistava un posto di rilievo nellasinistra italiana, amava discutere di politica nel suo appartamento romano di piazzaSanta Chiara 49, con alcuni fratelli fra cui spiccavano Giuseppe Petroni, AgostinoBertani, Camillo Finocchiaro Aprile e Aurelio Saffi. Lì si discuteva anche di lettera-tura e poesia, come, ad esempio, nel caso delle poesie di Lorenzo Stecchetti, inizia-to alla “Dante Alighieri” di Ravenna, o del Lucifero di Mario Rapisardi, celebratoanche dallo stesso Saffi come il terribile e insieme gentile poema, tutto corrusco dicollere e carezzato d’amore, secondo la definizione di Giuseppe Leti, nel 1925. Cul-tura quindi come matrice di libertà, libertà come garanzia di cultura.

L’ampio disegno organizzativo di Saffi toccò i ceti produttivi urbani, le professio-

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La Libera scuola di Scienze politiche di Aurelio Saffi, Giovanni Greco

ni, i contadini, la classe operaia, ma anche il mondo femminile per il quale mostròuna attenzione del tutto particolare e alla cui organizzazione si dedicò sua moglie,Giorgina Janet Craufurd Saffi, nata ed educata a Firenze, sposata a Londra nel 1857,ardente seguace del Mazzini, donna di notevole cultura e intelligenza politica. E Saf-fi si rendeva sempre più disponibile al confronto con gli interlocutori più svariati: sesi parla con chi non si deve parlare si perdono parole, ma se non si parla a chi si deveparlare, si perde l’uomo.

Negli ultimi quindici anni della sua vita, fino alla morte avvenuta nel 1890 a SanVarano, Saffi andò accentuando però l’interesse per temi e questioni che eludevanoil problema del riscatto sociale e politico delle classi popolari e si rivelò grande anti-cipatore di orientamenti e indirizzi di quella variegata democrazia che sarebbe venu-ta saldandosi verso la fine del secolo e l’inizio del novecento: dal liberismo in fun-zione antimonopolistica alla religione individuale contro ogni scuola materialista;

Brano del testamento di A. Saffi (stilato il 30 aprile 1889) con l’incarico per la moglie Giorgina didevolvere la somma di Lire 500 alla Società di mutuo soccorso Fratellanza Operaia Forlivese.

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dall’esaltazione del parlamentarismo inglese al ripudio del trasformismo; dalla dife-sa della laicità dello stato alla riaffermazione del suo magistero morale; dalla propa-ganda irredentista per Trento e Trieste all’ostilità verso il mondo germanico.

Riaffiorava e si sviluppava con maggior forza l’eredità culturale degli anni giova-nili alimentata dalla ripresa degli studi giuridici per i quali prestò la sua opera didocente presso l’Università di Bologna, ove era stato chiamato da De Sanctis nel1878. La condanna del cieco empirismo legislativo, per cui eccezioni e norme espli-cative finiscono col creare un groviglio inestricabile e contraddittorio rispetto al det-tato iniziale, ci rimandano alla grandissima attualità di questo studioso, a cui la cul-tura giuridica e politica del nostro paese deve tanto.

Non casualmente Antonio Gramsci, riferendosi agli spiriti massonici di maggiorrilievo che avevano voluto l’unità italiana, scriveva sul Mondo del 17 maggio 1925che la Massoneria è stata l’unica istituzione forte creata dalla borghesia italiana [...]e che i vinti di oggi potranno essere i vincitori di domani.

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STORIA DELLA MASSONERIA

Breve profilo della Massoneria russa

Fabio MartelliUniversità di Bologna

La massoneria è [...] la sola espressione dei lati migliori ed eterni del-l’Umanità [...] è l’insegnamento della Cristianità liberato dall’oppressione deigiovani e della Chiesa; l’insegnamento di uguaglianza, fratellanza e amore.

Queste affermazioni entusiastiche che Tolstoj in Guerra e pace mette in bocca aPierre Bezukov non significano una adesione del grande scrittore alla Massoneria,ma non sono neppure, come è stato scritto, una parodia di essa: il percorso iniziaticodi Pierre non lo conduce fuori dal labirinto della non conoscenza, anzi la guida diBazdev lo condurrà in altri labirinti e nondimeno occorre ricordare che quest’operatolstoiana si propone come fedele ricostruzione delle temperie della Russianapoleonica; l’intento di Tolstoj appare perciò ispirato ai criteri di verosimiglian-za che governano il romanzo storico come genere letterario: un uomo della con-dizione sociale di Pierre e dotato delle sue istanze etiche (questo è ciò che il grande

SHORT OUTLINE OF RUSSIAN FREEMASONRY

Freemasonry in Russia (about 1730) shows a very strong link with the Christian eso-terism (Andreae, Boheme etc.), but also with the French culture of the “Lumi”.If we want understand the muratorian Russian culture, we have to remember that forthe imperial orthodox ideology Russia was the new real Eden: the Russian “Murato-ria” uses this Christian mythology as allegory of the esoteric growning of the soul ofthe man.The lodge is the new Eden and the Freemasonry with his members try to introduce inthe Empire his programm of social justice and of legal codification for the imperialgovernment.After the great social troubles (the “Pugaciov rebellion”) and the French Revolution,the Russian Freemasonry forgets his purposal of social reform, but his members arepresents in the fight against autocracy (Pushkin, the Dekabrists).For the studies a new field is the analysis of the connection between some mythologyof the Bolscevism and muratorian culture.

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scrittore vuole in sostanza dirci) non poteva non aver cercato proprio nella Mas-soneria una risposta alle angosce esistenziali della Russia di quel tempo.

Ma quando Tolstoj pubblicava il suo capolavoro, la grande stagione della Mas-soneria russa era già finita; la libera muratoria viene introdotta nel paese già intornoal 1730, ma la sua vera espansione inizia solo tre decenni dopo.

Fortemente legata per ragioni politiche, oltre che culturali, alle Logge dell’Europadel Nord più che non a quelle inglesi, la Massoneria russa deriverà da esse una fortepropensione a connotare in termini mistici l’esperienza esoterica e dunque Boehme,Swedenborg, Saint Martin saranno le fonti di ispirazione maggiormente seguite daisuoi adepti.

Molti fattori hanno posto le basi per impedire una analisi scientifica della murato-ria russa e ciò ha prodotto numerosi fraintendimenti interpretativi, a cominciare dal-la tesi secondo cui il “moralismo” delle logge russe avrebbe da intendersi comeespressione di un pensiero anti illuministico, mentre al contrario proprio i pensatorimassonici degli anni ‘60 del XVIII° secolo introducono in Russia una diffusaconoscenza della filosofia voltairana: uomini come Dimitrev-Manonov non si accon-tentano di tradurre le opere del grande Francese, ma danno inizio ad una corrente let-teraria che, in forma di romanzo o di dialogo, si sforza di applicare alla realtà russa iprecetti dell’illuminismo francese.

In Russia tuttavia, il pensiero massonico si incontra e si fonde con le tradizioniculturali encoriche e cerca di dare risposte al diffuso malessere di una cristianitàortodossa sconcertata dalle riforme ecclesiastiche di Pietro il Grande e percorsa dapossenti fremiti millenaristici. In Russia l’ortodossia da secoli ormai era pervasa dacontraddittorie mitologie sulla “riconquista” del paradiso terrestre: se la teologiaconsiderava intangibile la nozione della Caduta dell’Uomo come stato definitivo edistingueva, ovviamente, l’antica condizione edenica dalla rigenerazione salvificaoperata dal Cristo, a partire da Ivan IV gli ideologi imperiali avevano cominciato aparlare della Russia ortodossa come “nuovo paradiso” istituito in terra grazie allapietas degli zar.

Il monarca, espressione mimetica delle divinità tra gli uomini, può trasformare laRussia nel “nuovo Oriente” dove regna una giustizia di origine divina, in grado direificare una nuova stagione di perfezione morale e teologica sulla terra. Questa con-fusa dottrina si diffonde anche nelle classi più umili per le quali l’attesa dello “zar digiustizia” si traduce nell’aspettativa di una nuova Età dell’Oro.

Si può subito osservare che la Massoneria russa recepisce e ritrasforma questimiti, traducendoli, però, in termini spirituali: già nelle prime loro opere, i massonirussi sottolineano una fondamentale coincidenza tra l’Oriente sapienziale dellatradizione muratoria e l’Oriente inteso come localizzazione di un nuovo Eden caroalla cultura ortodossa russa; nelle opere di Novikov, Schwarz, Kheraskov,Karamzin, Elagin il tema del recupero del paradiso terrestre viene così presentatocome il risultato cui l’iniziato può sicuramente pervenire: il percorso spirituale dellibero muratore, attraverso i vari gradi dell’esperienza esoterica, lo condurrà, infat-

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Breve profilo della Massoneria russa, Fabio Martelli

ti, a riscoprire in se stesso quella scintilla del divino che ancora alberga nellacoscienza di ogni uomo nonostante il peccato originale. Perciò, poichè in Russia,più che altrove, la Massoneria esplicita la propria originaria natura corrente del-

Le genie du compagnonnage faisant le tour du globe, 1848 ca.

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l’esoterismo cristiano, per Shwarz, professore dell’Università di Mosca e seguacedel rosacrocianesimo, la fonte di tale concezione è in primo luogo Sant’Agostino;fondandosi su tale autorità egli può, dunque, parlare di un percorso iniziatico che,risvegliando la scintilla divina della coscienza, porta l’uomo a riconquistare la suaperfezione perduta, ad essere di nuovo perfetta immagine di Dio ed è perciò nel-l’intimo dell’autentica conoscenza del proprio sé interiore che l’iniziato diventa unframmento di una ritrovata dimensione edenica. Ma tale percorso che conduce dal-l’uomo imperfetto del peccato all’uomo immagine di Dio, si può realizzare soloattraverso quel sapere esoterico che si diffonde in seno alle logge: esse diventano,perciò, altrettanti centri del nuovo Eden, un paradiso cui solo coloro che si sotto-pongono all’autodisciplina del percorso iniziatico possono accedere. Lopukhin,autore nel 1791 de La cavalleria spirituale, descriverà in effetti, i liberi muratoricome membri di un nuovo ordine cavalleresco che usa la conoscenza e non le armiper “imporre” ideali di fratellanza ed eguaglianza che già avevano trovato spazioteorico in alcuni degli antichi ordini medievali.

Ormai, con l’esplicito favore di buona parte della corte e della stessa Caterina II,la Massoneria diventa il nuovo credo dei più importanti pensatori russi e, più ingenerale, delle élite: Karamzin, Elagin (e forse lo stesso Lomonosov) diventanocantori ufficiali della libera muratoria, mentre anche il futuro Paolo I viene inizia-to ad essa durante il suo viaggio in Germania; in questo clima le logge si convin-cono (non senza una certa dose di ingenuità) di poter diventare la guida morale esapienziale di una nuova Russia aperta alla nazione di progresso e decisa a batter-si contro i relitti di un barbaro medioevo con l’appoggio dello Stato. La collabo-razione con l’autocrazia sembra allora una naturale conclusione di tale prospettivae perciò la Massoneria russa, piena di lealismo verso la corona, troverà naturalerendere note le logge ed i loro adepti, naturalmente solo presso quei funzionari chesono anch’essi vicini al pensiero muratorio. Del resto proprio Caterina divental’eroina dei grandi romanzi utopici, un genere che in Russia viene innovato propriodagli scrittori massonici: nelle opere di Kheraskov e Sumarokov si comincia così adescrivere una società perfetta, retta da monarchi illuminati e iniziati alla sapienzamuratoria. In questi regni domina l’eguaglianza e la fratellanza si traduce concreta-mente in istituzioni benefiche che ricordano da vicino quelle attività filantropichein cui, in effetti, i massoni russi si vanno impegnando a favore delle classi più indi-genti; d’altra parte in queste allegorie vi è ampio spazio sia per la tradizione russasia per le nuove aspirazioni morali: pur ambientate in paesi di fantasia o addiritturain altri pianeti, nel passato romano o in un remotissimo futuro, questi romanziriescono a trovare il modo di esaltare la missione del nuovo stato russo; esso è unanuova Roma, una ritrovata Bisanzio che, combattendo i turchi, riuscirà a cacciaredal mondo il dispotismo e l’ignoranza. Del resto il sapere massonico sembra darenuove risposte agli aneliti di una coscienza ortodossa oppressa dalla secolariz-zazione imposta da Pietro. Nelle logge russe si proclama, infatti, che il Cristo è ilGrande Architetto, che da lui discende la sapienza esoterica e che essa conduce a

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Breve profilo della Massoneria russa, Fabio Martelli

risvegliare una spiritualità offuscata dal vizio e dal degrado dei costumi. Con unaforte propensione al manicheismo, la Massoneria russa divide la società tra gliiniziati vincolati nel loro cammino alla più rigorosa moralità e gli “ignoranti” cherifiutando la conoscenza esoterica, vivono inevitabilmente nel più assoluto dis-prezzo di ogni etica. Caterina diventa, perciò, Astrea, l’antica figura che annuncial’Età dell’Oro: essa si batte contro la corruzione, gli abusi, le superstizioni e non ècasuale che la più parte delle logge russe sia intitolata a questa figura mitologica.Ma Caterina è adombrata anche nella figura di Numa cui Kheraskov dedica uno deisuoi più importanti romanzi iniziatici: così come l’antico re romano pose le basidella grandezza dell’Urbe dando al suo popolo le leggi su ispirazione della ninfaEgeria (trasparente metafora delle trasmissioni del sapere iniziatico muratorio)anche Caterina si accinge a dare alla Russia un moderno apparato legislativo: tra iconsiglieri impegnati in quest’opera figurano molti liberi muratori ed in effetti ilnuovo codice comprende alcune elaborate concezioni di principio che appaionodirettamente ricalcate dalle opere massoniche del tempo.

E’ l’epoca in cui si impone in Russia una corrente di pensiero volta a creare unmondo nuovo attraverso una filosofia che prende il nome di “eusofia”, evidente cal-co della “pansofia” di Andreae e di altri rosacrociani.

Ma le logge russe sentono il bisogno di entrare più concretamente nei progetti diriforma della società: nel 1748 ∏erbatov scrive il suo Viaggio in Ofiria; in essocomincia però, ad affiorare una critica al dispotismo di Caterina, al fasto della corte,alle sperequazioni sociali. Ofiria è la Russia del futuro, guidata in concordia da tuttele classi sociali; per evitare gli egoismi dei gruppi, lo stato guida l’economia, maanche i comportamenti, “costringendo” i cittadini alla moralità e alla eguaglianza.Le gerarchie si articolano in funzione del livello di conoscenza esoterica raggiuntodai singoli e i gradi più alti esercitano una rigida sorveglianza sul paese, secondoun modello che riproduce il rapporto tra i neofiti e i più alti gradi degli iniziatiall’interno delle logge. Ofiria non è, per il suo autore, lo stato massonico ideale, mapiuttosto uno stadio preparatorio che precede l’avvento di una nuova umanità:anche gli ofiriani, infatti, si preparano ancora a ricevere la suprema rivelazione del-la fede cristiana.

Ma in questo regno quasi perfetto notiamo alcune varianti significative rispettoagli ideali della prima generazione della libera muratoria russa: certo vi è una criti-ca al modello cateriniano che nasce anche dalla delusione derivante dai limiti e dalleincongruenze delle riforme che l’imperatrice sembrava voler promuovere propriosotto la guida dei pensatori massonici russi; inoltre l’atteggiamento delle logge ver-so la rivolta di Pugatchev (visto come esplosione di una barbara irrazionalità) èapparsa ambiguamente omissiva rispetto alle regioni sociali che l’hanno resa possi-bile.

Tuttavia non può non colpire il fatto che nell’opera di ∏erbatov l’abbandono deldispotismo monarchico risulta sostituito da una vera e propria egemonia delle nobiltàe dell’intellighentia: artigiani e mercanti partecipano sì al governo dello Stato, ma in

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un ruolo subordinato; i contadini, poi, non hanno parte nei processi decisionali.Anche la Chiesa deista, di chiara matrice massonica, in quest’opera si preoccupasoprattutto di guidare i cittadini verso comportamenti morali, senza che l’autore fac-cia cenno a quella crescita esoterica dell’uomo interiore che è stata invece al centrodel pensiero massonico nei decenni precedenti.

E’ certo vero che l’imperatrice ha mutato il suo iniziale favore verso la Massone-ria: le logge sono state chiuse e si moltiplicano le deportazioni dei più importantiliberi muratori; una maggiore cautela si può dunque imporre, ma non di meno èlecito parlare di una autonoma involuzione delle logge russe: le rivolte di Pugatcheve, poi, la stessa rivoluzione francese sembrano aver convinto i massoni russi ad unnuovo manicheismo: ormai si afferma infatti l’idea che l’egualitarismo anarchicorappresenta l’altra faccia del Male costituito dalla Tirannide e che, dunque, per fer-mare entrambi il nuovo esoterismo cristiano deve accondiscendere ad un’alleanzacon i ceti egemoni che necessariamente mette in secondo piano l’ideale del-l’eguaglianza.

Da Saint Martin le logge russe mutuano allora la parola d’ordine di un “patriot-tismo cristiano” che non s’impegna più nel mutamento dell’ordine esistente: con-dannata la nozione del cambiamento con la violenza, i massoni russi s’impegnanoin un cambiamento delle coscienze, del tutto intimo, che prescinde dall’idea di rifor-

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mare gli equilibri sociali, compreso il problema della servitù.L’ascesa al trono di Paolo I, massone convinto e anomalo Gran Maestro di un

Ordine di Malta, segna l’inizio di una nuova stagione di collaborazione con il Trono:anche il grande Odevski si può così impegnare nel romanzo iniziatico, vagheggian-do un mondo massonico che, nel 4338, sarà guidato da una nuova Russia, divenutal’unica grande potenza grazie al progresso scientifico e alla guida di un monarca illu-minato iniziato al sapere muratorio; è un’esaltazione della nazione che moltorecepisce dell’ideologia autocratica, anche se l’autore, descrivendo la Cina, unicagrande potenza rimasta a contrastare la Russia, ma scientificamente arretrata rispet-to ad essa, sembra proporre un’impietosa analisi della politica conservatrice di Nico-la I. Questa tendenza a farsi portavoce del nuovo imperialismo russo, ricompareanche, nelle opere di Vel’tman, brillante studioso di archeologia, che in un immagi-nario viaggio nel passato proclama i russi discendenti di Alessandro il Grande e deisuoi macedoni e che in un’altra opera, ambientata, invece, nel futuro, descrivemetaforicamente la Russia come rinascita dell’Impero bizantino: in essa non esistonopiù né la povertà, né le classi sociali anche grazie alla guida dell’imperatore Gio-vanni, nel cui nome riaffiora il ricordo di quel prete Gianni che nella tradizione mura-toria russa è uno dei propagatori dell’antico sapere iniziatico dell’Oriente.

Nonostante alcuni accenni che ritroviamo in questa opera relativamente agli antichiideali delle prime logge russe, risultano ormai dimenticati gli stimoli del passato: larinascita spirituale dell’uomo edenico come fine supremo del percorso esoterico èormai solo una incidentale rimembranza, uno stanco atto d’omaggio ad un tradizioneche non è più autenticamente sentita. La stessa critica al dispositismo conservatore èormai solo latente, mentre l’utopia massonica sembra sempre più sottomessa alleistanze del nuovo nazionalismo russo. Se il movimento decabrista, ispirato dall’in-tellighenzia massonica, ripropone i temi della giustizia sociale, è altresì vero che taliistanze vengono avanzate in seno ad una prospettiva culturale che poco ha a che spar-tire con la tradizione massonica delle origini.

Curiosamente il regime sovietico che mette al bando le logge russe riproponeinvece alcune tematiche della tradizione muratoria russa: il movimento “cosmista”1

appare infatti come cosciente continuazione dell’utopia muratoria di Odoevski eZakharyin (autori citati quasi alla lettera, seppure in forma attualizzata, dai maggioriesponenti di tale corrente).

Il principio del primato della moralità comportamentale nella costruzione dell’ho-mo sovieticus è debitore delle concezioni sociali della muratoria russa del tardo ‘700,ma soprattutto l’idea della società socialista come ordine imperfetto, in attesa ditrasformarsi nell’ordine comunista, dipende chiaramente da ∏erbatov e dalla sua

1 Cosmismo: movimento culturale della prima fase del bolscevismo, che pone al cen-tro dell’azione rivoluzionaria una ipotesi di “divinizzazione” laica dell’Uomo attraverso il pro-gresso totalizzante della Scienza e della Tecnologia.

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distopia ofiriana. Senza addentrarci in questa sede nel complesso problema dei rap-porti che il potere sovietico tenterà invano di istituire con le logge occidentali, pos-siamo concludere limitandoci ad osservare che oggi la rinascita delle logge nella nuo-va Russia appare ancora condizionata dalle complessità ideologiche dell’antico retag-gio encorico e da un’ansia di nuova occidentalizzazione che rischia di far dimenti-care una tradizione di grande ricchezza e originalità.

BIBLIOGRAFIA

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Fratelli in migrazione. Il caso di Costantinopoli.

Angelo IacovellaIstituto Italiano per l’Africa e l’Oriente

La Massoneria italiana ha travalicato - spesso e volentieri - i confini della peniso-la. Allorché - corrente l’anno 1925 - il governo Mussolini decise di mettere al bandotutte le “associazioni segrete”, i liberi muratori furono tra i primi a cadere sotto lascure dell’avanzante regime fascista. La legge Bodrero (dal nome del deputato cheaveva presentato l’ordine del giorno implicante lo scioglimento delle organizzazionimassoniche), si rivelò fatale al Grande Oriente d’Italia, le cui officine, onde sfuggireal “colpo di grazia” delle prevedibili perquisizioni, preferirono imboccare la via,meno rischiosa, del temporaneo “assonnamento”1. Per la Massoneria italiana tutta,non c’è dubbio che l’avvento del fascismo abbia rappresentato l’epilogo di una lun-ga e inarrestabile fase di espansione. La comparsa di logge italiane (o “italofone”),al di fuori del territorio nazionale e financo al di là del continente europeo, può essereconsiderata come uno degli aspetti più eclatanti e significativi di questa espansione2.

1 La nascita della Massoneria italiana unitaria viene generalmente fatta risalire alla datadell’8 Ottobre 1859, giorno di fondazione della loggia Ausonia di Torino. Fu questo il primopasso verso la creazione di un “Grande Oriente italiano” vero e proprio. Per ulteriori dettagli,si veda il volume di Mola (1992: 33 ss.).2 Già nel 1873, il più importante annuario massonico britannico segnalava la presenzadi officine italiane nelle seguenti località: Tunisi, Tripoli, Alessandria d’Egitto, Il Cairo, Suez,

BROTHERS IN MIGRATION. THE CASE OF CONSTANTINOPLE

The history of the Italian Freemasonry in the Ottoman Empire has never received,apart from a few exceptions, the scholarly attention it deserves. Therefore, in spite ofits undoubted importance, the subject still remains to be explored. The essay attemptsto analyze the role played by the Italian freemasons in Turkey, with special attentionto the Italia Risorta lodge in Constantinople (1867-1923). The report is mainly basedon the original documents gathered from the archives of the Grande Oriente d’Italia.First hand information shed a new light on the first steps of the Italian Freemasonryin the Mediterranean area, helping us to gain a better understanding of the way anItalian lodge was implanted in a Muslim country.

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La proliferazione all’esterno dei confini nazionali della Massoneria italiana, perle sue relazioni con la storia dell’emigrazione, è tema di estrema rilevanza,meritevole - a nostro avviso - di un approfondimento. Senonché, malgrado l’in-negabile interesse, il binomio Massoneria-emigrazione non sembra aver destato piùdi tanto l’attenzione degli specialisti; di conseguenza, gli studi e le ricerche suquesto specifico argomento si contano, praticamente, sulle dita di una mano3.Questo nostro lavoro nasce dal tentativo di colmare, almeno in parte, tale vacuumbibliografico. Tale proposito non si sarebbe mai concretizzato, se l’autore di questepagine, benché “profano”, non avesse incontrato la più ampia e generosa collabo-razione da parte dell’Archivio Storico del Grande Oriente d’Italia4. Il nostro lavoro,infatti, si incentra in misura prevalente sull’analisi dei fondi conservati inquest’archivio, dove ci è stato possibile attingere a una ricca documentazione origi-nale. La maggior parte dei documenti esaminati da chi scrive, tra parentesi, giace tut-tora allo stato manoscritto, a cominciare dai cosiddetti “Registri Matricolari del-l’Ordine”5, di cui ci siamo largamente avvalsi in questa sede.

Il saggio ha come intento quello di prendere in esame, in primo luogo, i diversifattori che hanno favorito l’ingresso della Massoneria italiana in Turchia duranteil periodo che coincide con la seconda metà del XIX secolo; successivamente,facendo leva sulle fonti di cui sopra e sulla pubblicistica massonica, focalizzeremola nostra attenzione sulla loggia Italia Risorta di Costantinopoli. La storia di ques-ta loggia, come è ovvio, si intreccia strettamente a quella della presenza italiananell’Impero Ottomano e in parte la riflette.

Costantinopoli, Salonicco, Smirne, Magnesia, Vathi, Lima, Buenos-Ayres, Montevideo, Salto(Argentina), e Florida (Cile); cfr. Cosmopolitan Masonic Calendar and Pocket Book for 1873(1873: 239-243). A quella data, il numero delle logge italiane all’estero era pari a 15, su untotale accertato di 150.3 Tra questi spicca, senza dubbio, il pregevole articolo di Andrew Canepa, Profilo del-la Massoneria di lingua italiana in California (1871-1966). In Studi Emigrazione, XXVII, 1990,n. 97, pp. 87-107. 4 Citato di seguito con la sigla ASGOI. 5 Il fondo “Registri Matricolari dell’Ordine” è quello che si è rivelato di maggioreutilità ai fini del presente lavoro; si tratta di numerosi volumi in folio, nei quali sono statitrascritti, in ordine progressivo di matricola, i dati personali dei circa 70.000 affiliati allelogge del Grande Oriente d’Italia tra il 1870 circa e il 1925. Lo spoglio di questi Registri ciha permesso di estrapolare un ricco manipolo di dati sulla reale entità delle logge massonicheitaliane in Turchia, sull’andamento delle affiliazioni, sulla città di origine e sulla professionedi tutti gli iscritti. Facendo leva su questi dati, che saranno discussi nel testo, cercheremo ditracciare un profilo della loggia Italia Risorta di Costantinopoli, la cui esistenza ha inizio nel1867 e si prolunga fino alla nascita della Repubblica turca (1923). Questo profilo, s’intende,non è che un modesto punto di partenza per valutare il ruolo, ben più ampio e complesso, chela Massoneria italiana ha giocato nella storia dell’Impero Ottomano.

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Le logge italiane muovono i primi passi in Turchia

L’Italia Risorta non fu la prima officina italiana di Costantinopoli. Essa, difatti,come chiaramente lo indica il nome, nacque dalle ceneri dell’antica loggia Italia,fondata a sua volta nel 1863, nello stesso anno in cui gli Italiani di Istanbul davanovita alla “Società Operaia di Mutuo Soccorso”6. Difficile dire esattamente chi fosseroi promotori di questa antica loggia, dal momento che una vera e propria lista diaffiliati non è stata mai reperita. Una cosa è certa. Poiché Roma non era ancoracapitale, tutti i massoni italiani obbedivano ancora al cosiddetto “Grande Orientedi Torino”, embrione di una futura Comunione nazionale, che era lungi da venire.Non c’è dubbio che la loggia in questione, a differenza della Società Operaia, fos-se ben vista dal governo piemontese, che riteneva, suo tramite, di poter arginarela crescente influenza della concorrente Massoneria francese nel Bosforo7.

Nel 1864, a otto mesi dalla sua fondazione, la loggia Italia annoverava, secondoquanto riferito dalla rivista francese Le Monde Maçonnique, oltre centoventicinqueiniziati et était en train d’instruire 40 demandes d’affiliation8. Sempre secondo lastessa rivista, la Massoneria italiana poteva vantare un excellent acquisition en la per-sonne d’un mollah musulman de 1ère classe, titre equivalent a celui d’archeveque9.

Loggia e Società Operaia, benché fossero autonome e indipendenti l’una dall’altra,rappresentavano il centro nevralgico della “colonia” italiana, che muoveva allora iprimi passi sulla via del sentimento nazionale. Dal canto suo, la loggia promosse benpresto la creazione di una scuola ad usum della colonia stessa; scuola alla qualefurono ammessi anche i figli dei membri della Società Operaia, a titolo di ringrazia-mento per l’opera che questa aveva svolto durante il colera del 1865. Mentre la ter-ribile epidemia infieriva sul Bosforo, massoni e operai organizzarono insieme unaraccolta di fondi da destinarsi “a favore dei colerosi”, unitamente a un concerto dibeneficenza che si tenne nelle sale del Caffè Concordia10.

6 Le vicende della “Società Operaia” di Costantinopoli, nei cui locali sono ancora con-servati i libri manoscritti dei Verbali delle Assemblee dal 1864 al 1934, sono al centro dellamonografia curata da Marinovich (1995). 7 [...] à peine sut-on cela à Turin qu’on s’est dépêché d’écrire à l’ambassadeur d’Italie,f[rère] Caracciolo di Belle, de protéger, de hâter la formation de cette loge. Questo brano, trat-to da un rapporto confidenziale indirizzato da Costantinopoli al Grand Orient de France, è cita-to da Zarcone (1994: 201).8 Ibidem, p. 212. 9 Ibidem.10 Anche se tutto fa pensare che molti Italiani aderissero all’una come all’altra, i con-tatti ufficiali tra la loggia e la “Società Operaia” non furono, a dire il vero, sempre idilliaci,come dimostra il seguente resoconto, stilato nei Verbali della stessa Società, in data 15 Aprile1866, in occasione del ricevimento di una delegazione massonica: Terminata la seduta, ilVice Presidente fa noto semplicemente che si attendeva una Commissione della Loggia Mas-

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Come si è visto, la loggia non era strettamente riservata agli italiani, in omaggio auna tradizione cosmopolitica mai tradita. Ne facevano sicuramente parte inglesi efrancesi, la cui identità non ci è purtroppo nota, tranne che nel caso di Louis Ami-able, avvocato di fama, nonché dignitario del Grand Orient de France a Costanti-nopoli11.

Dopo un inizio un pò lento, la Massoneria italiana prese a dilagare oltre le muradella capitale ottomana, per attecchire in Asia Minore e in Rumelia. Anche qui, ilfiorire delle logge era un fenomeno che si accompagnava alla presenza di italiani,presenza che era particolarmente rilevante a Smirne e a Salonicco. In questa secon-da città, che contava all’incirca centomila abitanti, di cui la metà ebrei sefarditi,diciassette massoni, tra i quali il vice console John Elia Blunt, fondarono un’of-ficina italiana, detta Macedonia (1864)12. Nel medesimo anno, nasceva a Smirnela loggia Stella Jonia, capeggiata dal carbonaro bolognese Anacleto Cricca 33 ,delegato del Grande Oriente per l’Asia Minore13. Come tanti suoi connazionali, ilCricca aveva preso la via dell’esilio dopo il fallimento dei moti del 1848-49, e siera rifugiato a Smirne dopo un breve soggiorno a Corfù. Fino all’avvento delSultano Abdühamid II (regno: 1876-1909), sia pure tra mille difficoltà, le loggeitaliane si moltiplicarono progressivamente su tutto il territorio.

L’incremento delle logge italiane durante il XIX secolo si configura come una cir-costanza altamente sorprendente. Lo è ancor di più se si pensa che, negli anni suc-

sonica per donare alla nostra Bandiera ed alla Società dei premi a titolo di ricordo per i servi-gi prestati nel tempo del collera, infatti alle 10 ore circa fummo onorati dalla presenza di ques-ta onorevole Commissione, unitamente al seg. C.te Greppi. Il seg. Veneziani diede lettura diun logico e bel discorso in merito alle nostre prestazioni, il quale fu ben gradito ed applauditogenralmente; ma allorquando stava per fregiare la nostra bandiera di due bellissime fascie; unnostro socio ha domandato al Vice Presidente se la Società fu [sic!] interpellata prima di accettar-le si o no, e soggiunse che l’operajo, fiero del proprio dovere, non ne dovrebbe fregiarsi, stanteche la Loggia Massonica non è superiore alla nostra [...]. Segue una discussione.11 Louis Amiable (1837-1897), Maestro Venerabile della loggia francese L’union d’Ori-ent, fu uno dei più attivi emissari della Masssoneria francese in Turchia. Egli, tra l’altro, halasciato un interessante opuscolo pubblicato nel 1895.12 Cfr. ASGOI, Fondo “Registri matricolari”, nn. 1384-1400.13 La figura di Anacleto Cricca merita, senza dubbio, una piccola digressione. Nato aBologna nel 1824, egli prese parte ai moti di Rimini e subito si rifugiò in Grecia, per sfuggirealla polizia papale; cfr. Michel 1930: 777. Nel 1849, è ancora a Corfù in qualità di esule, in com-pagnia di Luigi Mercantini, l’autore della Spigolatrice di Sapri. Da qui passa in Asia Minore,precisamente a Smirne, dove crea, sempre nello stesso anno, un “Comitato di Emigrazione” pervenire incontro ai bisogni degli esuli italiani in Turchia. Dopo il 1860, si dedica all’apostolatomassonico e fonda la loggia Stella Jonia, in cui ricopre le vesti di Maestro Venerabile. Notiziesulla sua attività di massone possono trovarsi nel Bollettino del Grande Oriente della Massone-ria in Italia, vol. II, anno III (1868-69), pp. 338 e ss., nonché nell’autobiografia dello stesso Cric-ca (1901: 105-134). Della vita di Cricca ha scritto ancora Michel (1950: 323-352).

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cessivi all’Unificazione, la comunità italo-turca non doveva, secondo le stime piùcaute, superare le ottomila unità, divise tra Costantinopoli, l’Asia Minore e i Balcani(Monastir e Salonicco)14.

Detto questo, possiamo ora concentrare il nostro sguardo su Costantinopoli, cittànella quale l’arrivo degli italiani datava, come è noto, ai primi secoli del bassoMedioevo. Infatti, prima ancora che i Turchi espugnassero le mura di Bisanzio, nelfatidico 1453, mercanti genovesi avevano già ottenuto il permesso di navigare lungole coste del Mar Nero. Purtattavia, la comunità italiana di Istanbul non raggiunse maiuna grossa consistenza, se non durante i decenni che coincidono con il Risorgimen-to; periodo nel quale la colonia fu soggetta a un notevole incremento, dovuto alsopraggiungere di esuli politici dalla penisola, all’indomani dei moti del 1821, del1848 e successivamente15. Malgrado l’apporto di questi emigrati sui generis, nellacapitale il numero degli italiani non oltrepassò le poche migliaia, fino ad arrivare, neiprimi anni del ‘900, alla cifra massima di circa undicimila persone16.

Quanto alle caratteristiche strutturali di questa colonia mediterranea, vale la penadi citare le interessanti osservazioni di un letterato italo-turco, Giuseppe Zaccagni-ni17, che, a questo proposito, si esprimeva nei termini seguenti:

Considerando l’immenso disordine che in Turchia regna, per contagio, unpoco dapertutto, e per la scarsa cura che i nostri connazionali si dànno, quan-do il bisogno non li spinga, d’iscriversi nei registri consolari, nessuno potràmai stabilire, con esattezza, la popolazione della nostra colonia. Effettiva-mente, mi dicono, gl’Italiani accertati sono circa otto mila; ma siccome non èirragionevole valutarne forse un buon terzo sfuggente a ogni controllo, cosìconviene elevar di parecchio la cifra, per avvicinarsi alla verità. Questa colo-nia, di fondo genovese e veneziano, che s’è andata ingrossando un poco fino aieri, chi la voglia considerare in diritto, è più italiana di quelle giovanissime erigogliose americane, per esempio; giacché mentre in queste i figli degli emi-grati, spesso, hanno dovuto e debbono prendere la cittadinanza del luogo,invece in Turchia, paese di capitolazioni, hanno conservato la cittadinanza d’o-rigine. Ciò però non deve illuderci. Di secoli ne son corsi parecchi da quando leitaliane repubbliche sbarcavano quaggiù uomini e armi. Nel corso degli anni,gl’incrociamenti [sic!] con le famiglie indigene, sono stati frequenti; e così, oltre

14 Secondo le stime di Leone Carpi, il numero degli Italiani residenti nella Turchia euro-pea e in quella asiatica, alla fine del 1871, era pari, rispettivamente, 6.520 e 3.698 unità; cfr.Annuario statistico dell’emigrazione italiana dal 1876 al 1925. Roma, Commissariato generaledell’Emigrazione, 1926, p. 1538.15 Cfr. Trasselli 1933: 3-9.16 Impossibile stabilire una cifra più precisa, dal momento che non tutti gli italiani era-no soggetti alla protezione consolare. A questo riguardo, vedi sotto nota 22. 17 La Vita a Costantinopoli. Torino, Fratelli Bocca Editori, 1909.

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la razza, si sono tramutati il carattere e il sentimento dei nostri connazionali,sino al punto che, in un grandissimo numero di famiglie (starei per dire nel mag-gior numero), l’italiano non è più parlato e inteso. Né è infrequente il caso ditrovare una famiglia press’a poco così composta: nonno italiano e nonna armena,padre italiano e madre greca, zio ottomano e zia russa, un figlio austriaco e unofrancese.

1867: la loggia Italia si scioglie e ... risorge

Malgrado le distanze che la separavano dalla madrepatria e malgrado le innu-merevoli difficoltà di comunicazione, anche la loggia Italia fu coinvolta nel proces-so di unificazione del Grande Oriente, a cui essa contribuì inviando un proprio rap-presentante all’Assemblea Costituente massonica, tenutasi a Napoli nel 186718. Altermine di quello stesso anno, la loggia mise fine ai suoi lavori e si sciolse.Dopodiché, fu immediatamente ricostituita e assunse il nuovo titolo di R L ItaliaRisorta. Il motivo di questo “trapasso” da una loggia all’altra, apparentementeincomprensibile, è presto detto. Poiché le officine, beninteso non solo in Turchia,venivano talvolta “infiltrate” da elementi poco affidabili, la maggioranza degliaffiliati poteva, per liberarsi degli indesiderati, decidere di “demolire” la loggia,ricostruendola in un brevissimo lasso di tempo, dopo un’opportuna “scrematura”.Fu questo proprio il caso della loggia Italia, che, a quanto pare, dovette mutarenome e veste à cause de luttes intestines19.

L’Italia Risorta, per molti versi, non si distinse granché dalla vecchia officina allaquale era succeduta, ma anzi si mosse sulla scia di quella. Ragion per cui non cessòdi promuovere le scuole laiche della colonia, di cui una sita nel quartiere di Pera(Beyoglu), l’altra in quello di Pancaldi (oggi Pangalti)20. I massoni le finanziaronoentrambe con regolarità, allo scopo di contrastare l’egemonia dei vari collegi cattolici,nei quali si impartiva agli emigrati italiani un insegnamento di stampo confessionale.Alle iniziative della loggia di Istanbul fu dato ampio risalto anche sulle colonne dellaRivista della Massoneria italiana, stampata a Roma, dove si lodarono i Fratelli dellaR L Italia Risorta per aver compiuto atto veramente civile e massonico21.

18 Cfr. il Bollettino del Grande Oriente della Massoneria in Italia, anno III (1867), vol.II, fasc. 1-5, p. 71.19 Così Daniel Ligou (a cura di), Turquie. In Dictionnaire universel de la Franc-Maçon-nerie. Paris, 1987, p. 1326.20 La zona di Pangalti si trova tra gli odierni quartieri di Harbiye e di Sisli. Il toponimoturco “Pangalti” deriva dall’espressione italiana “Pani caldi”. Questo rione deve il suo nome aiforni per il pane che vi erano stati aperti da alcuni italiani. 21 Le Scuole laiche Italiane a Costantinopoli e la R L Italia Risorta. In Rivista del-la Massoneria italiana, XXI (1890), n. 11-12, p. 181 ss.

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E’bene - continuava la Rivista - che l’atto di quella Officina sia conosciuto edammirato da tutti i Massoni del mondo [...]. Ora (la Massoneria) ad un’altraopera deve intendere e questa compiere: aprire le menti ai figli del popolo, fon-dando scuole laiche specie nelle colonie ove se ne sente più il bisogno, ove conla lingua madre l’operaio va perdendo spesso le memorie della patria [...]. LaLoggia Italia Risorta di Costantinopoli ce ne ha dato un lodevole esempio”22.

Giunti a questo punto, possiamo forse domandarci: quali furono i rapporti tra laloggia italiana e le altre officine europee che operavano nella regione? Intensi e fre-quenti, è la risposta. Massoni inglesi, francesi e italiani collaboravano spesso e volen-tieri, soprattutto quando si trattava di fini benefici, come nel caso del gran ballo difine anno, organizzato nel 1887, dalla loggia britannica Bulwer, di cui faceva parte il“Maestro Venerabile” Antonio Geraci, il quale poteva fregiarsi, tra l’altro, del titolodi franc-maçon reconnu sous la constitution anglaise23. Anche in occasione delgravissimo incendio che aveva colpito il sobborgo di Arnavütköy (luglio 1887), ledue logge si riunirono per prendere congiuntamente le dispositions nécessaires à finde pourvoir aux besoins les plus urgents des victimes de l’incendie24.

* * *

A partire dal 1867, dunque, e non dal 1868 (come ritiene erroneamente DanielLigou)25, l’Italia Risorta si dedicò, con successo, a fare proseliti tra gli abitanti diCostantinopoli. A differenza della loggia che l’aveva preceduta, essa accolse, durantei cinquantasei anni della sua attività (1867-1923), almeno 245 adepti. Tanti sono,infatti, i nominativi degli affiliati che, nell’arco di tempo suddetto, furono comuni-cati alla sede centrale per essere inscritti nei “Registri Matricolari”. Dal momento chequesti Registri hanno lo svantaggio di essere gravemente incompleti, la cifra va con-siderata senza dubbio e di gran lunga inferiore alla realtà. Mancano all’appello i“padri fondatori” della loggia, tra i quali bisogna perlomeno menzionare il celebre

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22 Ibidem.23 Bienfaisance maçonnique. In Rivista della Massoneria italiana, XVII (1887), n. 19-22, pp. 163-164; la Rivista dava conto dell’avvenimento nella rubrica Bulletin pour l’étranger,precisando quanto segue: Nous lisons dans le Journal Stamboul de Constantinople: la semainedernière, une nombreuse et intéressante rèunion de la Loge Italia Risorta a eu lieu [...] pourrecevoir une députation de la Loge anglaise Bulwer venue avec mission de présenter auVén F A. Geraci, president de la Loge italienne, le Brevet de membre de la Loge Bulwer. 24 Ibidem.25 Ligou 1987: 1326. Questo testo, per quanto attiene alle logge italiane, è incredibil-mente pieno di imprecisioni.

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medico-chirurgo Emilio Cipriani, 33 e Gran Maestro Onorario della MassoneriaItaliana26.

Nella “tornata” rituale dell’8 giugno 1885, fu dato il benvenuto a un prestigiosodignitario ottomano, il pascià Mehemet Rechad, futuro esponente di spicco del movi-mento giovane-turco27; movimento che era destinato, anche con l’aiuto della Mas-soneria italiana, a prendere il potere all’indomani della rivoluzione incruenta del1908-9.

Le affiliazioni alla loggia

Nel “piedilista” della loggia figurano molteplici personaggi che ebbero un certopeso nella vita della colonia italiana. Tra questi bisogna ricordare i seguenti28, chehanno lasciato una notevole traccia nella vita economica, sociale e culturale di queitempi. Tra gli altri: Antonio Callegari, artista e pittore di fama; Angelo Gallerini,ingegnere, fondatore della ditta “A. e G. Gallerini” (ditta attiva dal 1868 e nota peraver introdotto in Turchia per prima il sistema dei lavori in asfalto; Enrico Furlani,musicista, autore di una Rapsodia Turca e di altri lavori musicali; Carmelo Melia,addetto commerciale dell’ambasciata italiana; Raffaello (o Raffaele) Ricci, impren-ditore, nato a Pontedera, si recò a Istanbul nel 1879, dedicandosi al commercio deifilati e dei tessuti di cotone; Riccardo Zeri, medico e direttore del regio ospedaleitaliano di Costantinopoli.

Le affiliazioni proseguirono per tutto il sessantennio della vita della loggia, senzaseguire, tuttavia, un andamento regolare, come emerge dalla tabella n. 1, ricavata dal-lo spoglio dei Registri matricolari, che presentano una vistosa lacuna per gli anni1867-1883. Infatti, fino al 1884, non ci è dato di conoscere il numero degli affiliatianno per anno, dal momento che i Registri conservano esclusivamente il nome e ilcognome dell’adepto, ma non la data precisa di affiliazione, che invece è indicata neidecenni successivi. Completamente inattiva la loggia non fu mai, ad eccezione di alcu-ni periodi di ristagno, che furono causati dallo scoppio del conflitto italo turco e dalla I °Guerra Mondiale. Doveva cessare di esistere nel 1923, mentre in Italia il governo fascistasi preparava ad assumere tutti i poteri, e mentre in Turchia l’Impero Ottomano crollava,

26 Commemoranze funebri della Rispettabile Loggia Italia Risorta. In Rivista della Mas-soneria italiana, XV (1884), n. 25-28, p. 206 ss. 27 Mehemet Rechad (Resat, secondo la grafia turca moderna) fu scelto, in qualità di Con-sigliere di Stato, come membro della delegazione giovane-turca che si recò in Italia all’indo-mani della Rivoluzione del 1909. Cfr. Catellani 1910: 121-130. 28 Maggiori dettagli sulla posizione di questi personaggi nel quadro della colonia italianadi Istanbul, tra la fine dell’‘800 e gli inizi di questo secolo, possono rinvenirsi nel volume diAngiolo Mori (1906).

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lasciando spazio alla repubblica di Mustafa Kemal Atatürk.

Tabella 1: Andamento delle affiliazioni (1867-1923) alla loggia Italia Risorta

ANNI N. DELLE AFFILIAZIONI

1867-1883 ?1884 11885 21886 71887 41888 41889 011890 121891 81892 141893 31894 41895 01896 11897 11898-1908 01909 101910 141911 41912 01913 31914 81915-1918 01919 171920 01921 111922 151923 9Totale 245

Fonte: ASGOI. Elaborazione dell’Autore su dati del Fondo “Registri matricolari”.

Come emerge da questo prospetto, i “lavori” della loggia furono condizionati, enon poteva del resto essere diversamente, dal mutare delle condizioni politiche nelpaese. Così, nelle more della feroce dittatura del Sultano Abdülhamid II, tra la finedel secolo (1898) e lo scoppio della Rivoluzione dei “Giovani Turchi” (1908), leiniziazioni furono pari a zero, il che dimostra, in modo lampante, come la loggia fos-se costretta a entrare in “sonno”, per sfuggire alle eventuali persecuzioni del regime.

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La Massoneria, del resto, non era ben vista dal Sultano, che la riteneva, a torto o aragione, come uno strumento di penetrazione politica delle potenze occidentali. La“filosofia” delle logge, del resto, non poteva che entrare in aperto contrasto con ivalori più tradizionali e obsoleti della società ottomana, dal momento che i massoni,nei loro ateliers, proclamavano e praticavano il principio dell’uguaglianza di tutti isudditi senza distinzione di etnìa o di religione. Anche la Massoneria italiana si ispi-rava allo stesso principio, come si appura scorrendo i nomi degli affiliati alla loggiaItalia Risorta, di cui facevano parte Turchi e Italiani, Ebrei, Cattolici, Musulmani,oltre a un piccolo contingente di Greci e di Armeni.

Ciò che maggiormente emerge alla luce dell’elenco degli affiliati, è proprio la com-posizione cosmopolitica della loggia, nella quale ci si esprimeva in italiano. Se poiripartiamo i dati in nostro possesso in base alla città (o alla regione) di provenienzadei singoli membri, i risultati che emergono sono, a dir poco, sorprendenti. Su 245affiliati, solo 1 su 10 proveniva direttamente dalla penisola italiana. Abbiamo ripor-tato l’elenco delle città di origine nella tabella 2 (le località italiane, per maggiorecomodità di lettura, sono state evidenziate in carattere grassetto).

Tabella 2: Distribuzione degli affiliati per città o regione di provenienza

Adrianopoli 2 Lutry 1Atene 2 Magdebourg 1Barcellona 1 Malta 1Beclat - Romania 1 Marsiglia 1Beyrouth 1 Messina 1Braila 1 Metelino 2Budapest 1 Modena 1Caranchio 1 Napoli 2Castelnuovo Dalmato 1 Nussero 1Cesarea (Kaiserli) 3 Odessa - Russia 2Corfù 2 Petreny 1Costantinopoli (Istanbul) 67 Praga 1Damasco 1 Quart 1Ems - Germania 1 Ragusa 1Ferrara 2 Riga - Russia 1Firenze 1 Rimini 1Fornovo 1 Roma 2Friedirichsart 1 Russia 1Frosolone 1 Salonicco 6Galatz 1 Scutari 1Genova 2 Sebenico 1Jassi (Moldavia) 3 Smirne 3Ibraïla 1 Stiria - Gratz 1

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Jalea 1 Teschen - Austria 1Kiew - Polonia 1 Torino 1Koissar Talas - Asia 1 Trieste 1Lago Maggiore 1 Turn 1Leonforte 1 Varonitch 1Livorno 1 Verna 1Locle 1 Vienna 1

Vinani 1Toponimi non identificati 98

Fonte: ASGOI. Elaborazione dell’Autore su dati del fondo “Registri matricolari”.

Altrettanto interessanti ci paiono i dati relativi alle professioni rappresentate nel-la loggia; dati che ci forniscono uno “spaccato” interessante dell’universo socialenel quale la Massoneria italiana era inserita. I mestieri che furono trasmessi daIstanbul alla sede centrale di Roma, negli anni 1867-1923, sono questi:

Tabella 3: Elenco delle professioni

Agente marittimo 1 Impiegato alla sanità 1Agente 2 Ingegnere 3Agente di assicurazioni 1 Ispettore assicurativo 1Agente di commercio 1 Litografo 1Agente di cambio 1 Maestro di scherma 1Architetto 2 Meccanico 2Assicuratore 1 Medico 9Avvocato 2 Medico chirurgo 1Banchiere 2 Mercante-sarto 1Capitano marittimo 1 Negoziante 43Chimico 1 Negoziante-sarto 1Commerciante 5 Pachà 1Commesso viaggiatore 1 Pittore 2Commissionario 4 Possidente 4Compositore di musica 1 Procuratore bancario 1Contabile 7 Professore di musica 1Dentista 4 Professore di lingue e scienze 1Dottore 1 Rappresentante 4Funzionario pubblico 1 Ristoratore 1Gioielliere 1 Sarto 1Impiegato postale 1 Ufficiale di Fanteria 2Impiegato di banca 1 Ufficiale di Marina 1Impiegato 33 Vice Console 1Professioni non identificate 87

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Questo elenco mette in luce una grande prevalenza di professioni “liberali”. Nonmancano, però, alcuni mestieri più umili, legati al piccolo commercio (negoziante,sarto, ristoratore etc.). In linea generale, la loggia sembra fedelmente rispecchiarel’assetto della locale media e alta borghesia, nella quale l’apostolato laico dellaMassoneria italiana doveva riscuotere molto interesse. Per la stessa ragione, trovi-amo tra i nomi degli affiliati i principali esponenti delle famiglie italo-ebraiche del-la città (Goldemberg, Pardo, Viterbo, Zaccum etc.), che nelle officine all’Orientedella Sublime Porta trovavano il primo e forse unico organismo non confessionalenel quale esprimere la propria identità di Ebrei e di Italiani.

Tirando le somme, possiamo dire che, in Turchia, la Massoneria italiana rispose ingenere a due fondamentali esigenze. Da un lato, essa svolse una funzione di raccordotra l’Italia e gli emigrati di Costantinopoli, che furono in tal modo, dopo il Risorgi-mento, maggiormente coinvolti nella costruzione dello stato nazionale italiano. Dal-l’altro, essa attirò nelle sue fila gli elementi più avanzati della società turca fin de siè-cle, contribuendo indirettamente - come altrove - alla modernizzazione politica e cul-turale del paese ospitante.

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STORIA DELLA MASSONERIA

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SIMBOLOGIA MASSONICA

Il grembiule e la continuitàdella tradizione primordiale

Pietro ManderUniversità di Napoli “L’Orientale”

I fratelli sono arrivati alla spicciolata e ora, nella Sala dei Passi Perduti, indossanoil grembiule scambiandosi saluti o brevi chiacchere.

E’ questo un momento gradevole, allorché, al termine di una giornata di lavoro, cisi accinge ad intraprenderne un altro, di ben diversa natura. Allora è piacevole rin-contrarsi con i fratelli, dopo una lontananza di due settimane, e quindi ecco i saluti e

THE APRON IN THE CONTINUITY OF THE PRIMEVAL TRADITION

Before starting with the description of his journey through Paradise, Dante invokesnot only the aid of the Muses (as he did in the previous canticles: Inf. II 7-9; Purg. I 7-12), but also of the Sun-god Apollo. In this circumstance, Dante tells of how that godhad skinned Marsia alive and hung him up for having challenged him in a musicalcompetition. The Poet explicitly desires to be “made vessel” (make me so apt a vesselof thy power [Engl. transl. by L. Binyon]), in analogy with the skinned Marsia, in orderto be able to receive the divine influence of the Sun-god Apollo. Sioux warriors aswell, in occasion of the so-called “Sun dance”, were hung up by straps that had beenpassed under the skin of their breast or their shoulders in order to obtain the “vision”of Wakan-Tanka, the Great Spirit (cfr. the vision of the Holiest Trinity: Par. XXXIII85-141, actually called visione [vision] at verse 62). Therefore, to reach the SupremeKnowledge (vision), it is necessary to get out of one’s own skin, that is to say, to loseone’s own individual features. Skin is to be understood as the border of the body. Itdoesn’t really matter whether – to reach such a goal – either one’s skin is strippedaway (as in the cases of Marsia and the Sioux), or is covered by another one (theapron). The Tradition appears within forms fitting with a society’s culture and times:a present-day lawyer could never stand such a ritual like as that proper for hunters ofthe prairies! To conclude, the only preliminary way to approach Knowledge is tobehave according to justice, and for this achievement we must exit from our own skin.Dante – we come back to him again - says: DILIGITE IUSTITIAM .... QUI IUDI-CATIS TERRAM (Par. XVIII 91-93) “Love righteousness, ye that be judges of theearth!”

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SIMBOLOGIA MASSONICA

le chiacchere, momento distensivo che prepara, da un lato, alla “sintonia” della Cate-na Fraterna, dall’altro, alla gioiosa e seria concentrazione dell’incipiente LavoroMuratorio.

Va bene così, a parere di chi scrive, perché è certamente questo il modo miglioreper predisporsi a quanto stiamo per intraprendere; tuttavia, è anche bene approfon-dire la consapevolezza di quell’atto, l’allacciarsi il grembiule, anche se lo si sta com-piendo in serena allegria.

Partiamo da un Grande, perché issandoci sulle sue spalle si vedono orizzonti piùampi.

All’inizio della terza ed ultima cantica del Paradiso, Dante, come è solito fare,invoca entità divine, le Muse (Inf. II 7-9; Purg. I 7-12), affinché lo sostengano nelsuo sforzo poetico; ma in Par. I 13-36 quest’invocazione assume carattere e lun-ghezza ben diverse.

Innazitutto il Poeta si rivolge al dio del Sole Apollo, e non più alle Muse; in secon-do luogo, l’invocazione appare molto più circostanziata. Vediamone lo schema.

A. Invocazione ad Apollo. Il Poeta vuole esser recettivo come un vaso.

O buono Apollo, a l’ultimo lavoro / fammi del tuo valor sì fatto vaso, / comedimandi a dar l’amato alloro.

(Par. I 13-15)

B. Necessità di ottenere un sostegno superiore a quello fornito dalle Muse (ungiogo di Parnaso, monte sede delle Muse e di Apollo)

Infino a qui l’un giogo di Parnaso / assai mi fu; ma ora con ambedue / m’èuopo intrar ne l’aringo rimaso.

(Par. I 16-18)

C. Cuore dell’invocazione. Nuovamente il Poeta chiede di esser fatto vaso, sta-volta proponendo due immagini molto più crude, la prima nella quale il vaso è diret-tamente detto petto mio, la seconda consistente nel riferimento al mito della sfida diApollo e Marsia.

Entra nel petto mio, e spira tue / sì come quando Marsia traesti / de la vaginade le membra sue.

(Par. I 19-21)

Il mito narra come il satiro Marsia sfidasse Apollo in una tenzone musicale e comeil dio, avendo alla fine prevalso, lo appendesse ad un albero e lo scorticasse vivo.

Il riferimento al mito è condotto dal Poeta in termini assai realistici (Marsia trae-sti de la vagina de le membra sue).

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Il grembiule e la continuità della tradizione primordiale, Pietro Mander

Si noti l’impiego della metafora della vagina, organo atto a ricevere (cfr. vaso,entra nel petto mio) per poi poter generare. La generazione che si vuole ottenere èquella dell’amato alloro, coronamento (in senso non solo figurato, quindi) della rea-lizzazione poetica.

L’immagine del supplizio di Marsia sembra quindi quasi indicare come l’indivi-dualità del satiro (espressa dalla menzione del nome proprio) ingombrasse la recetti-vità che la sua persona avrebbe potuto avere. Tolto di mezzo Marsia, la vagina puòaccogliere l’influenza divina del dio del Sole, proprio ciò che il Poeta desidera entrinel vaso del suo petto.

Di fatto, possiamo ragionevolmente supporre, se non fosse stato annebbiato dallasuperbia, Marsia avrebbe potuto accogliere la solarità della musica apolinnea, anzi-ché sfidarla in un – in fondo – empio confronto.

D. Seguito dell’invocazione e preghiera (non concerne il tema qui affrontato).

Si è soliti notare come – anche se non se ne ricordi il contesto in cui ricorra – unverso qualsiasi della Divina Commedia possa essere, solo in base alla sua musicali-tà, attribuito sicuramente a quella delle tre cantiche cui appartiene.

Alla luce di questa considerazione, ancordi più si rimane colpiti dal riferimento almito di Apollo e Marsia, espresso nei termi-ni crudi di cui s’è detto, degni della primacantica, piuttosto che della terza in cui si tro-vano. I nessi bi- e tri-consonantici con /R/(/eNTRa/, /maRSia/, /TRaesti/, /meMBRa/)sono appena addolciti – nei versi 19-20,(quelli che più ci riguardano) – dall’uso del-le vocali.

All’asprezza del suono naturalmente ilPoeta unisce quella del tema cantato, loscuoiamento di un essere vivente. Perchétutto questo alle soglie del Paradiso?

L’immagne di Marsia appeso e scuoiato cene richiama alla memoria altre, che abbiamovisto nel film Un uomo chiamato Cavallo, incui viene ricostruito, con grande efficacia, ilrituale descritto nel libro di Alce Nero, Lasacra pipa (Rusconi, Milano 1986) alle pp.96-139. Il rituale – praticato dai Sioux – èchiamato Wiwanyag Wachipi nella loro lin-

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gua, ma presso di noi è noto come la “Danza del Sole”. Il momento culminante di questo rituale vede alcuni guerrieri incidersi la pelle per

far passare delle corregge di cuoio sotto le fasce muscolari del torace o delle spalle,per poi rimanere appesi (proprio quasi come Marsia), tramite queste corregge, all’al-bero attorno al quale si celebra il rituale stesso.

Scopo di questo dolorosissimo – chi scrive si sente svenire, se solo prova ad imme-desimarsi! – rituale è il raggiungimento della visione connessa a Wakan-Tanka, ilGrande Spirito, ovvero quella visione che – nella Divina Commedia – è descrittacome la visione della SS. Trinità (Par. XXXIII 85-141; il termine visione ricorreesplicitamente più in alto, al verso 62).

Così accostiamo la Danza del Sole dei Sioux al Paradiso di Dante, e, per quantobizzarro tale accostamento possa apparire, possiamo sviluppare delle considerazioniinteressanti, che spero servano da giustificazione.

La “Visione” non è certo effettuata con gli organi corporei della vista, anche se –metaforicamente – a quell’ambito, quello della vista corporea, si fa ricorso per indi-care qualcosa per sua natura altrimenti ineffabile.

E quando possiamo noi vedere nel modo più chiaro? Quando – ci riferiamo all’e-poca antica – il Sole ci consente di farlo, mostrandoci i contorni ed i colori delle cose.Coerentemente quindi la danza Sioux si chiama Danza del Sole e il dio invocato daDante è Apollo, appunto dio del Sole!

Sia Dante che i Sioux quindi usano le stesse immagini per indicare le stesse cose eentrambi forniscono un inequivocabile messaggio per spiegare quale via si debbaseguire per giungere ad esse. Per pervenire alla “Visione” occorre sgusciar fuori dal-la pelle, accogliere in sé il soffio divino, ovvero l’influenza spirituale.

Il rapporto tra l’influenza celeste, rappresentata dal soffio divino, costituisce untema assai difficilmente esprimibile. Si consideri il passo Par. XX 94-99,

Regnum celorum violenza pate / da caldo amore e da viva speranza, che vin-ce la divina volontade: / non a guisa che l’omo a l’om sobranza, / ma vince leiperché vuol esser vinta, / e, vinta, vince con sua beninanza.

(Par. XX 94-99)

dove si afferma che può l’uomo ottenere d’attrarre su di sé l’influenza spiritualeper mezzo di una volontà e desiderio totali. Ma cos’è questa volontà e desiderio senon l’abbandono delle pulsioni egoiche? Non a caso, infatti, il passo si situa nel VIcielo, quello di Giove, dominato dal motto

DILIGITE IUSTITIAM .... QUI IUDICATIS TERRAM(Par. XVIII 91-93)

e, appare ovvio, non è possibile comportarsi da uomo giusto se non si sono messeda parte quelle pulsioni.

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Il grembiule e la continuità della tradizione primordiale, Pietro Mander

Come si vede, caldo amore e viva speranza non costituiscono una proiezione del-la propria anima al di fuori di se stessi, quasi ad appenderla a qualcosa di esterno. Alcontrario, la consapevolezza di sé è requisito indispensabile per operare con giusti-zia.

Sembra, dopo che ho citato Marsia appeso all’albero, che io stia entrando in con-traddizione con me stesso. Non è così, e ora lo vedremo.

La via “mistica” insegna l’abbandono di sé e ad un osservatore superficiale potreb-be apparire questo l’unico insegnamento concreto. Tuttavia né Dante né i Sioux han-no seguito questa direzione.

Prima di procedere oltre in questa ricerca, è purtroppo necessario prendere unadeviazione, poiché dobbiamo far chiarezza sui termini; anni fa, in questa stessa rivi-sta, infatti, il prof. G. di Bernardo, intervenne in due riprese sul tema del misticismo:Misticismo e Massoneria (Hiram Nuova Serie 1-2, Gennaio – Febbraio 1991, pp. 9-15) e, un anno più tardi, René Guénon e la Massoneria (Hiram 1, Gennaio 1992, pp.9-18).

Essendo chi scrive molto critico sulle affermazioni dello studioso, dal momentoche intervengo nella stessa rivista, ritengo opportuno fare – seppur sommariamente– ciò che allora, per malinteso “spirito dicorpo”, rinunciai a fare, e cioè ad espor-re le critiche per iscritto: sbagliai. Ognu-no deve fare il proprio dovere, e io nonlo feci. Non è certo questa l’occasioneper rimediare al mio errore, ma, almenodi sfuggita, tocco l’argomento per evita-re possibili confusioni o fraintendimen-ti di quanto sto esponendo in questepagine.

Il metodo seguito dal filosofo nel pri-mo articolo, Misticismo e Massoneria, ètroppo superficiale. Egli infatti ha rac-colto tutte le testimonianze storichedefinite come mistiche e da esse haestrapolato i tratti comuni. In realtà det-to metodo è realmente anti-storico,infatti ogni fenomeno dev’essere relati-vizzato al contesto storico e culturale incui ricorre.

In parole povere, se io volessi definirele funzioni del “console” e raccogliessitutte le testimonianze, dai consoli del-

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SIMBOLOGIA MASSONICA

l’antica Roma repubblicana a quelli odierni, avrei tra i risultati che il console guidal’esercito e cura gli interessi dei compatrioti all’estero, sta in carica per un solo annocon un collega ed ha uno stato di tipo diplomatico dovendo risiedere all’estero, il che,come si vede, porterebbe a conclusioni di pura follia.

Ma questo è il percorsoseguìto dal filosofo, e, conse-guentemente, le sue conclu-sioni sono inattendibili. R.Guénon, che non è stato, néha mai voluto essere, unaccademico, ha invece evita-to l’errore in cui è incorso ilfilosofo, distinguendo tral’uso del termine nel mondogreco e romano e quello inepoca cristiana (Considera-zioni sulla via iniziatica, M.Basaia Editore, Roma 1988,pp. 27 sg.). Non ho riferitosu Guénon per spirito dipolemica, ma perché il pen-siero di quest’ultimo costi-tuisce l’oggetto del secondostudio del filosofo, RenéGuénon e la Massoneria,dove la discussione sulmisticismo viene nuovamen-te proposta. Naturalmente siriversano, in questa secondasede, gli esiti delle confusio-ni del primo articolo, invali-dando l’assetto generaleanche di quest’ultimo inter-vento.

Detto questo, con dieci anni di ritardo, tiriamo le conclusioni sulla definizione di“misticismo”, dal momento che stiamo parlando di superamento dell’individualità.

Dobbiamo riferirci a Guénon perché le sue definizioni, pur se a un filosofo possa-no apparire imperfette, sono invece di grande utilità per chi intenda operativamenteintraprendere una via di Conoscenza. Procedendo su questa linea, operiamo la distin-zione che segue.

La via seguita da Dante è costituita da una guerra contro le tenebre – tenebre del-

S. Dalì, trittico 13, Paradiso, La Croce di Marte.

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Il grembiule e la continuità della tradizione primordiale, Pietro Mander

l’ignoranza, le ombre della caverna platonica del mito di Er –, da uno sforzo consa-pevole continuo, che trova espressione nelle sue domande e nell’esplicitazione deisuoi dubbi alle guide che lo condussero nel viaggio, soprattutto Virgilio e Beatrice.Ogni passo è una faticosa conquista del pensiero e del cuore. D’altronde il Poeta stes-so lo dice ben chiaramente:

Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno / toglieva li animai che sono in terra /da le fatiche loro; e io sol uno / m’apparecchiava a sostener la guerra / sì delcammino e sì de la pitade, che ritrarrà la mente che non erra.

(Inf. II 1-6)

Siamo dunque ben lontani, in queste che oggi si chiamerebbero “dichiarazioni pro-grammatiche”, dall’abbandono passivo del mistico! E siamo, di converso, molto vici-ni alla “via secca”, “via solare” della Nostra Istituzione.

Tantomeno possiamo attribuire a misticismo la prova del dolore affrontata daiguerrieri delle praterie nord-americane!

E, sempre su questa linea, potremmo anche addurre i riti d’iniziazione sciamanica,in cui il neofita deve assistere allo smembramento del proprio corpo, o vederne loscheletro, o altro ancora. In particolare ci interessa – per esempio – l’apparizione diuna “seconda o terza pelle”, come segno della propria morte rituale (si veda EliadeM., Lo sciamanesimo e le tecniche dell’estasi. Edizioni Mediterranee, Roma, 1974,pp. 74 sg.), ma non ritengo necessario un accumulo di dati; quelli esposti ci sono suf-ficienti per capire come la Tradizione Primordiale assuma, nel divenire della storia,aspetti diversi, adatti a coloro cui è destinata la forma iniziatica particolare, e cometrovi mezzi espressivi diversi per trasmettere gli stessi messaggi.

E ora, giungiamo infine al nostro grembiule muratorio.La Massoneria è quindi la forma iniziatica adatta ai tempi attuali. Quindi il “mes-

saggio” relativo al superamento dell’individualità deve trovarsi anche in essa, e infat-ti c’è, come ora vedremo.

Certamente non avrebbe potuto assumere la forma che assunse presso i Sioux: unavvocato, per esempio, che affrontasse un’iniziazione del genere non avrebbe possi-bilità di sopravvivenza e passerebbe all’Oriente Eterno prima ancora che il rito del-la sua iniziazione fosse completato. Le cinghie nella carne erano adatte a rudi cac-ciatori delle praterie, guerrieri usi a condurre un’esistenza del tutto diversa da quel-la di un uomo del nostro mondo.

Un aspetto nel senso che abbiamo detto è senz’altro costituito dalla privazione deimetalli nelle fasi immediatamente precedenti l’iniziazione; ma il messaggio è distri-buito su diversi atti e oggetti. Il grembiule è senza meno il principale di questi e lasua apparizione interagisce con i metalli, infatti questi ultimi possono esser restitui-ti solo dopo che l’iniziato ha indossato grembiule e guanti. Il che significa che il con-seguimento di grembiule e due paia di guanti può avvenire solo se i metalli sono sta-

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SIMBOLOGIA MASSONICA

ti tolti e posti fuori portata.Il grembiule dovrebbe, secondo la tradizione, esser fatto di pelle, e l’indossarlo

quindi significa assumere una nuova pelle. Apparentemente ci troveremmo all’opposto esatto di quanto rinveniamo in Dante

e nella Danza del Sole, dove invece viene posta come condizione, per chi cerchi diconseguire la Conoscenza, che sgusci fuori dalla propria pelle.

La pelle rappresenta il confine del corpo, il limite entro il quale ci sentiamo “io”.La sua forma ci dà i connotati per cui siamo riconoscibili a vista. Queste considera-zioni trovano un riscontro anche nella scienza anatomica, infatti le impronte digita-li, usate per identificare gli individui, sono formazioni della pelle.

Coprirsi con un’altra pelle equivale quindi a nascondere, celare la propria pelle epertanto equivale in definitiva a superare i limiti della propria individualità, comeessa è rappresentata dalla propria pelle stessa.

Indossarlo, quindi, mentre attendiamo l’apertura dei Lavori, ha lo stesso valoresimbolico dello scuoiamento. Una frazione di secondo, mentre lo stringiamo ai nostrifianchi, parlando con i fratelli, per esser consapevoli che stiamo virtualmente facen-do quello che un Sioux realizzava tra atroci sofferenze.

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FILOSOFIA E ALCHIMIA

Alchimia: correnti filosofiche e sua attualità

Carlo ParediSaggista

A quale corrente filosofica appartiene l’alchimia? A parte le qualifiche di irrazionalità, o peggio, di superstizione, che sono state

attribuite all’alchimia per conto di spiriti di parte, intransigenti ed intolleranti, e deiquali non si terrà conto in questa sede, ed escludendo pure coloro che, non cono-scendo l’alchimia, la relegano, con altrettanta superficialità, sotto la veste di un ten-tativo tecnicistico operato dagli antichi, è interessante conoscere, invece, il pareredi persone serene e appassionate sul conto dell’alchimia.

A quale corrente filosofica appartiene? Secondo il giudizio di alcune persone essaè multiforme e di dubbio valore, ove ciascuno giudica secondo il suo particolare pun-to di vista, o per quello che ha potuto capire dei concetti alchimici.

Comunque, prima di abbordare i giudizi che sono stati emessi a tale riguardo, vor-

ALCHEMY: PHILOSOPHIES AND RELEVANCE

Alchemy is the only contemporary theory trying to give to the man a complete“vision of the world”. Once upon a time alchemists were mathematicians, physi-cians, scientists, psychologists, philologists and philosophers.Trying to identify which current alchemy belongs to, the nowadays philosophersspeak about pantheism (in sense of Spinoza), transcendentalism or un-rationalism. Alchemists know to be realist, but, since philosophers prefer to use “materialism”instead of “realism”, someone could see alchemists as followers of dialectical mate-rialism too.Lenin shows a dynamic conception of the knowledge, a “step-by-step” method thatis not so different from alchemy. Engels too, when he says that thought is a part tothe being, testifies the unity of the substance.Finally, even the alchemist knows that the law of the nature is the dialectic of theopposites. This union of thought and being is searched by the modern psychoso-matic medicine, too.The synthesis of this unity lays in its conception of the symbol.The present theory is totally applicable today.

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FILOSOFIA E ALCHIMIA

rei fare presente che oggi l’alchimia si propone come l’unico sistema filosofico vali-do, in quanto, filosoficamente parlando, è la sola teoria che si preoccupa di offrireuna concezione del mondo. Infatti si fa filosofia tutte le volte che si cerca di inqua-drare e dare un senso completo alla policroma realtà che ci circonda ed in cui siamoimmersi. Oggi non esiste, tanto in campo scientifico quanto in campo filosofico, unsistema che si preoccupi di avere una concezione globale del mondo, vera o falsa chesia; anzi, il concetto non viene nemmeno preso in considerazione. La parcellizzazio-

ne della scienza, che si èrisolta in tante branche esottobranche, le une avulsedalle altre, non permette anessuna di esse di giunge-re a conclusioni globali.

Finché la scienza nonsarà anche filosofia, ovve-ro, finché lo scienziatorimarrà uno specialista,confinato nel suo campospecifico di indagine e nonsi aprirà anche alle altrediscipline, non potrà maifare filosofia nel vero sen-so del termine. E quindinon riuscirà mai ad avereuna visione globale che loporti ad acquisire una con-cezione del mondo.

Si può obiettare che èoggi impossibile evitare laspecializzazione, la quale,comportando un suo lin-guaggio settoriale, diversodai linguaggi di altri cam-pi, imporrebbe al filosofoun lavoro estremamentearduo ed improbo. Se que-sto è vero, è pur vero chepassando al di sopra delleconvenzioni specifiche diogni branca, tralasciandole cerebralizzazioni inutiliche appesantiscono ogniT. Vaughan (Eugenio Filalete), Lumen de Lumine, 1693.

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Alchimia: correnti filosofiche e sua attualità, Carlo Paredi

angolo del nostro sapere, è possibile cogliere l’essenziale di ogni disciplina, ricor-rendo anche all’ausilio di quel formidabile strumento razionale che è la logica.

Sotto questo punto di vista, l’alchimia è scienza e filosofia.Gli alchimisti dei secoli scorsi furono matematici, chimici, medici, psicologi, filo-

logi e quindi filosofi. Furono chiamati i Filosofi della Natura, seguaci della Chimicafilosofale della Sostanza, e in questi termini è racchiusa tutta l’essenza dell’alchimiae la sua vera portata filosofica.

Ritornando alle qualificazioni che sono state attribuite agli alchimisti, qualcuno liha giudicati come degli immanentisti o panteisti, perché riconoscono che la Sostan-za, che gli antichi greci chiamavano anche “Uno”, è presente in tutta la manifesta-zione e ne è la sua base ontologica.

Se questo è vero, è altrettanto vero che essi cerchino di arrivare ad essa attraversola pratica alchimica, che sfrutta gli infiniti chimismi che danno origine alla manife-stazione sensibile e non. Per cui, se da un lato possono essere chiamati spinoziani,dall’altro canto possono essere catalogati tra i trascendisti, in quanto, nella loro pra-tica e nell’approccio con la realtà fenomenica, essi trovano un gran numero di gradi-ni che devono essere percorsi uno per uno per giungere alla lontana meta della cono-scenza.

Tenuto conto che essi tendono ad una conoscenza del sovrasensibile, o metafisica,gli alchimisti sono stati considerati degli irrazionalisti, nel senso filosofico del ter-mine, in quanto affermano che la vera conoscenza non viene dai sensi, ma da una tra-valicazione dei sensi medesimi.

Ma è pur vero il contrario.Gli alchimisti postulano, nel processo conoscitivo, l’intervento di quella che essi

chiamano, in termini egizi, l’Intelligenza del Cuore, solare, o diretta. Ma essa nonpuò sorgere fintantoché l’Intelligenza lunare, o riflessa, non sia perfettamente sgom-bra a tutta luce.

E l’Intelligenza lunare è quella razionale, del cervello, che è sempre stato consi-derato dall’alchimismo, in modo figurativo, come il satellite dell’uomo, capace diilluminare di luce riflessa l’uomo nella ricerca della verità attraverso le tenebre del-l’ignoranza. Ad essa seguirà, per evoluzione naturale, l’Intelligenza solare, direttaa piena luce, che gli antichi latini chiamavano Fides, termine oggi completamentetravisato, e che è la certezza che una cosa è.

Ma prima di arrivare ad essa, devono basarsi sulla realtà che i sensi offrono, e attra-verso l’affinamento progressivo della percezione, acquisita con la pratica alchimica,giungere alla conoscenza sicura.

Quindi in ultima analisi essi sono anche dei realisti.E siccome il “realismo” è stato scartato dalla filosofia moderna, a seguito della cor-

ruzione subita dal termine da parte dei positivisti a vantaggio della determinazionedi “materialismo”, gli alchimisti sono stati catalogati anche come materialisti dialet-tici.

E qui giunto, vorrei spendere qualche parola in più, dato il contesto culturale

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FILOSOFIA E ALCHIMIA

moderno in cui gli alchimisti si stanno muovendo.Come dice Lenin, a cui si deve il termine “materialista” al posto di “realista”, quan-

do si procede nel sistema conoscitivo in ogni tappa esistono dei limiti, ma questi stes-si limiti possono essere spostati man mano che si procede nell’indagine. La stessaconcezione dinamica e non statica del conoscere, che è continua acquisizione di valo-ri nuovi, allontana sempre di più dalla concezione metafisica di limite, inteso nel sen-so di barriera esistente tra due mondi tra loro strutturalmente diversi: il mondo feno-menico ed il mondo noumenico, nel senso kantiano del termine.

Questa proposizione, enunciata da Lenin nel suo Materialismo ed empiriocriticismodovrebbe essere meditata a fondo, e si adatta al caso degli alchimisti ed al loro mododi procedere.

L’Unicità della Sostanza, o un parziale riconoscimento di essa, si trova già nel pen-siero di Engels, ove viene enunciato che il pensiero fa parte dell’essere, non costi-tuisce, cioè, una forma o sostanza diversa da quella della natura materiale. Infatti nonsi potrebbe spiegare il processo conoscitivo se dovesse esserci una alterità fra esseree pensiero.

Questo assunto può dare l’avvio a due conclusioni diverse e tra loro antitetiche: laprima che riconosce il pensiero come un prodotto della materia, la seconda che vedela materia come una cristallizzazione del pensiero. Non voglio indagare per qualimotivi sia stata percorsa la prima strada, che ha dato origine alla fisiologia e psico-logia attuale, con tutte le conseguenze del caso, però nel pensiero di Engels si soste-neva non già la materialità del pensiero, bensì la spiritualità della materia.

E’ chiaro, e nessun filosofo potrebbe smentirlo, che nel pensiero di Engels venivaaccettato il materialismo, o meglio, il realismo, al solo scopo di evitare l’agnosticismo,che postula l’impossibilità da parte della nostra conoscenza di giungere a verità asso-lute che risultano sempre mutabili, come pure di combattere il dogmatismo.

Per quanto riguarda il modo di procedere dell’alchimista, nell’acquisizione dellaconoscenza possono valere, in prima istanza, i postulati engelsiani ove la dialettica,e la cosiddetta dialettica soggettiva, o pensiero dialettico, non è che il riflesso delmovimento che nella natura si manifesta sempre in opposizioni. Cioè, se i pensierisono dialetticamente legati fra di loro, anche gli oggetti della natura dovranno esse-re dialetticamente legati fra di loro.

Tutto questo bagaglio di idee, che ho cercato di esporre forse in modo troppo sin-tetico, ma credo abbastanza chiaro, senza tradire il pensiero di coloro che l’hannoconcepito, può essere considerato l’origine, per un altro verso, anche della modernaed attuale concezione medica psicosomatica.

Ponendo a confronto dialettico mente e corpo si è trovata la loro unicità, facendodell’essere un “Sé psicosomatico” che vive pensa ed evolve in funzione di rappre-sentazioni simboliche. E di questo parlerò poi.

Anche io appartengo alla categoria degli alchimisti, e ritengo di poter parlare ancheper loro.

Come “realisti” teniamo molto, come Engels, all’unione del pensiero scientifico e

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filosofico, contro il pericolodi una frantumazione delpatrimonio conoscitivo del-l’umanità in tante conoscen-ze settoriali e specialistiche.Propendiamo, come voglionoi fondatori del materialismodialettico, ad un legame aper-to tra le varie culture, perlasciare piena libertà di svi-luppo verso ciò che noi chia-miamo “vero idealismo”, nelsenso in cui lo ha intravistoLenin, secondo quanto dicenei suoi Quaderni: “L’idea-lismo, dal punto di vista delmaterialismo dialettico, èuno sviluppo di uno degliaspetti della conoscenza adassoluto, sciolto dalla mate-ria, dalla natura, divinizza-to”.

E su questa frase, su cui si èmeditato troppo poco, o nien-te affatto, richiamo l’attenzio-ne dei filosofi che si procla-mano marxisti.

Ma quale può essere il mezzo per poter giungere a trascendere la realtà fenomeni-ca?

Ovvero, in quale modo si può afferrare l’essenza del fenomeno stesso? Secondo glialchimisti è il “simbolo” e tale è anche per la medicina psicosomatica, ove viene adassumere il carattere direttivo nell’analisi del fenomeno.

Possiamo osservare come il simbolo, al di là del suo significato filosofico, si siaintrodotto nella società moderna in modo massivo, pilotandone lo sviluppo, rive-stendo una capacità di azione al di là di ogni previsione. L’esempio più lampante, incampo sociale, è dato dalla carta di credito, che è simbolo per eccellenza del denaro.

Con essa non ci si trova più di fronte alla cosa in sé, al danaro, ma alla sua caratte-rizzazione simbolica.

Lo stesso discorso vale per le simulazioni che si operano in un calcolatore elettroni-co, sia in campo scientifico, statistico e previsionale.

Il fenomeno, in sé e per sé, viene sottinteso, sottaciuto, pur essendo punto di riferi-mento principale, e in sua vece sorge la funzione simbolica, che ne adombra l’essenza.

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In questo modo la ricerca del-la realtà simbolica dà al proces-so conoscitivo una accresciutapotenza di indagine, poiché per-mette di scoprire nessi, o permeglio dire, analogie, legami,identità apparentemente occultetra fenomeni a prima vista estra-nei fra di loro come possonoessere il corpo e la mente, ilmondo esterno e il mondo inter-no, l’uomo e la natura.

Da questo processo nasce unsenso di unicità ma anche direciprocità fra i vari costituentila manifestazione, che troveran-no poi la loro conferma speri-mentale, come nella psicosoma-tica, ove un processo psicologi-co è intimamente legato all’or-

gano, ed alle sue funzioni e disfunzioni, o come nel caso della Spagiria, ove un pro-dotto della natura ha la stessa signatura o caratterizzazione simbolica delle parti vita-li umane.

Senza la ricerca del simbolo, che viene a rappresentare il plasma vitale che sorreg-ge le manifestazioni, ogni ricerca rigidamente confinata nella dialettica del pensieropuò risultare sterile e fallace. Ma gli alchimisti potranno essere classificati dei “mate-rialisti dialettici” nel campo della sperimentazione, proprio perché colgono la realtàsimbolica, o funzionale, che può legare i fenomeni tra di loro. Da quanto detto risul-ta che la dialettica, spinta alle sue estreme conseguenze, può portare alla scoperta delmondo del simbolo, e quindi a quella sorta di idealismo leniniano “sciolto dalla mate-ria, dalla natura”.

Questo può senz’altro accadere, ma è anche pur vero che questo mondo dei sim-boli, questo substrato che di sé informa la realtà sensibile, è sempre stato appannag-gio delle civiltà prelogiche che hanno descritto il mondo funzionale sotto il velamedella mitologia, ove gli Dei non hanno il significato attribuito loro dalla nostra men-talità moderna, ma sono considerati stati dell’Essere, della Sostanza, simboli funzio-nali e viventi che si incarnano, si cristallizzano nella realtà esteriore.

Questo discorso porta con sé, inevitabilmente, la necessità di una revisione criticadel pensiero di tutte le antiche civiltà, ove filosofia e scienza, riunite nella mitologia,formavano un tutt’uno.

L’alchimia, abbandonati i vecchi clichées ormai logori, sta riportando alla lucequelle antiche verità che fanno già capolino nelle singole discipline.

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Ma questo mostra anche come l’alchimia si dimostri filosofia universale, e, nata inetà prelogica, oggi, nell’età nel razionalismo più spinto, cerchi la consacrazione, inmodo che logica e prelogica, in ossequio all’assioma secondo il quale gli estremi sitoccano, si tendano la mano per la costruzione di una filosofia del futuro che ci tol-ga dall’impasse in cui è caduta la conoscenza umana.

Forse oggi, più ancora che in passato, l’alchimia può rappresentare l’elemento nuo-vo capace di unificare, in una concezione globale del mondo, tutti i frammenti por-tati dalle singole discipline scientifiche, i quali, considerati singolarmente, rimango-no nel puro campo della cerebralizzazione, ma cementati fra di loro dalle concezio-ni alchimiche, possono dare una visione del mondo nello stesso tempo razionale emetafisica, ove fenomeno e noumeno vengono considerati le due facce di una mede-sima realtà.

Questo elemento di unificazione può essere messo in movimento, anche all’inter-no delle logge massoniche per realizzare, in questo ciclo terminale d’epoca, unariunificazione ideale sulla base dei più puri postulati tradizionali.

Se ci sarà reso possibile, entreremo in futuro nei dettagli teorici ed operativi, vali-di ed efficaci anche nella nostra attualità, ripercorrendo il cammino dei Maestri delPassato, quali Raimondo Lullo, Arnoldo da Villanova e Paracelso.

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Il senso della visione nella poesia hermetica di William Blake

Antonio D’AlonzoSaggista

Fino a qualche tempo fa, William Blake era sempre stato considerato un grandepoeta visionario, oltre che un eccentrico ribelle. La critica letteraria era quasi unani-me nel rintracciare nella sua poesia il filo rosso che la univa con i grandi poeti roman-tici inglesi, come Byron, Shelley, Keats, facendo così di Blake un antesignano pre-romantico, se non addirittura uno dei primi esponenti della corrente. In fondo, inquell’epoca che avrebbe percorso il sentiero che portava all’arroccamento dell’Io nel-la propria interiore liricità, non poteva certo suscitare scalpore tra i letterati, uno sti-le di vita anticonformistico, così come il parossismo di certe visioni; l’enfasi era lanorma e il riflesso dello spirito del tempo, non certo un’eccezione. Tuttavia, nel nove-cento si andava delineando anche una chiave di lettura parallela – piuttosto che alter-nativa – che vedeva nella poesia blakeiana, non solamente i germi del successivo “Io

THE SENSE OF THE VISION IN THE HERMETIC POETRY OF WILLIAM BLAKE

The author focuses on the evocative power which esoterism and mistery had in thework of the poet and painter W. Blake; he gives a short outline of the most importantstage of Blake’s cultural and artistic education, fed on estatic and hallucinating expe-riences and on cabalistic, gnostic and cataric literature.Blake, during his life and all over his work, was a great advocate of Imagination (themost relevant of all poetical faculties, an archetypal and essential source of energy)against rationalism and mecanicism. Imagination has to be continuously practiced andkept awake, so that the Poet could reach the absolute gnosis. Then the author deals with the Eternal Man (the Androgyne, Albion) and his “fall” anddisintegration in the four elements (Zoa) which inhabit the macro-microcosmos.Among the figures born after this division, Los (Time) represents creative Imagina-tion and visionary power which will free mankind from reason’s ties. On the otherhand, Enitharmon (Space) represents repressive moral and senses’ deception. InBlake’s eschatological project, Enitharmon and Los will make mankind find again thatarmony between spirit and mind which had been lost with Albion’s fall.

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ESOTERISMO E PENSIERO MASSONICO

poetante” ottocentesco, ma anche un rimando a suggestioni appartenenti al mondodell’arcano. T.S. Eliot, ad esempio, fu uno dei primi a tentare di superare la facile let-tura del “Blake visionario”, provando a riconoscere nelle sue opere i rimandi e le sug-gestioni della letteratura mitologica1. In ogni caso, questa tendenza iniziò a diffon-dersi e a trovare proseliti anche tra altre personalità della cultura accademica. Si riles-sero le sue poesie e si osservarono le sue incisioni con un interesse più marcato a que-gli aspetti simbolici e allegorici che potevano rivelare l’influenza, in essa, delle cor-renti esoteriche occidentali. Ovviamente questo non significa che non esistessero giàda tempo delle private letture esoteriche della poesia blakeiana, ma soltanto che fio-rirono una serie di studi accademici su questa tendenza, principalmente nel secoloscorso.

William Blake (1757-1827), fin dalla prima infanzia sembra essere afflitto da del-le strane apparizioni. All’età di quattro anni, ebbe la sua prima visione: Dio stessoche gli appare alla finestra. Compiuti gli otto anni, le allucinazioni diventarono ricor-renti; raccontò alla madre di aver visto il profeta Ezechiele sotto un albero. Antici-pando curiosamente in qualche similitudine il celeberrimo caso clinico freudiano del-l’uomo dei lupi, sempre nello stesso anno, sostenne di aver visto degli angeli suglialberi

2. A dieci anni, Blake comincia a scrivere le prime poesie e dimostra anche la

sua attitudine verso il disegno; frequenta una scuola artistica e compie le sue primeletture giovanili: la Bibbia, Milton, Shakespeare, Dante. A quattordici anni inizia adinterrogarsi sul tema biblico della Caduta. A ventun anni s’iscrive alla Royal Aca-demy e si specializza nella tecnica dell’incisione. Blake racconta che suo fratello,morto qualche anno prima, gli appare in sogno e gli insegna come incidere sullo stes-so foglio, poesia e disegno. La scrittura ed i disegni sono trattati sul rame con unliquido che ha la capacità di resistere agli acidi; tutto il resto della lastra, viene inve-ce attaccato dall’acido, in modo che si producano delle incisioni in cui il disegno e lapoesia restino in rilievo. Blake, nel 1795, realizza una serie di dipinti ispirati alle suetematiche preferite: Elia sul Carro di Fuoco, Newton, La casa della Morte, Elohinche crea Adamo. Negli anni successivi continua a raffinare la sua tecnica, ed inco-mincia ad assaporare il gusto di una discreta notorietà sia come artista di tempi apo-calittici e profetici, che come poeta: escono i suoi Canti d’Innocenza e d’Esperienza.Wordsworth, darà un giudizio curioso su Blake, dichiarandosi certo della sua pazzia,nondimeno dichiarandosi interessato ad essa più della salute di Byron e di WalterScott3. Nel 1782 sposa Catherine Boucher, ed i due iniziano una vita coniugale

1 Tuttavia, Eliot, essendo un uomo di fede, si arrestò di fronte alla possibilità di rin-tracciare nella poesia e nelle incisioni blakeiane dei simboli appartenenti a delle tradizioni aper-tamente sconfessate dalla dottrina cristiana.2 Cfr. Gilchrist, Life of William Blake, “Pictor Ignotus” e Wilson, The life of WilliamBlake.3 Ibidem.

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alquanto eccentrica, anche in quell’epoca che aveva conosciuto l’egocentrismo biz-zarro di Byron e di Shelley. Un amico comune di Blake e Catherine riferisce di aver-li sorpresi un giorno nudi nel giardino della loro casa, mentre incuranti di essereosservati, impersonavano le parti di Adamo ed Eva, e William recitava dei passi delParadiso Perduto di Milton. In questo periodo, Blake continua, tuttavia, con pienovigore la pubblicazione delle sue opere. Nel 1784, una stamperia aperta in compro-prietà con un amico, porta Blake finanziariamente quasi sul lastrico; è questo unperiodo di grandi difficoltà per il poeta segnato anche dalle incomprensioni con i suoioccasionali mecenati, anche per via delle sue simpatie rivoluzionarie. Riesce comun-que a terminare la pubblicazione e l’incisione dei suoi Libri Profetici. Nel 1793, Bla-ke dichiara apertamente il suo favore per i moti della rivoluzione francese, rifiutan-dosi di diventare maestro di disegno per la casa reale. Nel 1797, va incontro ad unulteriore insuccesso nel pubblicare le tavole dei Nights Thoughts di Edward Young.Nel 1803, un soldato del Reggimento dei Dragoni, sorpreso da Blake nel giardino dicasa e buttato fuori con violenza, lo denuncia con l’accusa di aver gridato frasi ingiu-riose contro il re. Blake, comunque, sebbene con difficoltà riesce ad essere assolto.Nel 1827, il poeta muore a Londra. Blake nella sua opera si presenta subito come unacerrimo nemico del razionalismo dei Lumi e un fautore dell’Immaginazione, con-cepita come una facoltà in grado di creare e di operare “magicamente”. Già da que-sta predilezione possiamo notare l’impronta teosofica, che conferiva una grandeimportanza a questa facoltà, ritenuta capace di disvelare all’uomo i mondi superioridivini (l’Immaginazione rivestiva lo stesso importante ruolo nel paracelsismo, cor-rente che storicamente precede la teosofia, e che trasmette questa concezione a que-st’ultima). Del resto, Blake è da subito influenzato dal pensiero di Jacob Boehme(1575-1624) e soprattutto da quello di Emanuel Swedenborg (1688-1772): in parti-colare la dottrina di quest’ultimo fu condivisa apertamente dal fratello di Blake, cheentrò a far parte della cerchia dei fedeli nella “chiesa swedenborghiana”. Si devericordare che Swedenborg rimase storicamente un po’ più marginale alla teosofiarispetto a Boehme, la cui ascesa coincise con il massimo fulgore della corrente. Delresto il pensiero di Swedenborg ricevette forse della linfa vitale da questa margina-lità, andando ad influenzare ecletticamente ambiti che eccedono le stesse correntiesoteriche occidentali; di sicuro Swedenborg è un pensatore di passaggio tra la rice-zione della teosofia boehmiana e quelle di Martines de Pasqually, Saint Martin, Frie-drich Christoph Oetinger. Ovviamente, questa “perifericità” non intacca l’importan-za essenziale che ha il pensiero di Swedenborg per lo studio delle correnti esotericheoccidentali, perché vi sono pensatori di passaggio destinati comunque a lasciare ilsegno.

Blake, nei suoi Canti d’Esperienza, fa immediatamente suo questo ripudio del mec-canicismo newtoniano e del razionalismo lockiano. I versi dedicati all’agghiaccian-te bellezza belluina della tigre, rivelano che ci troviamo di fronte ad un’energia pri-mordiale, al Chaos sive forma, in cui ciò che ribolle sono le forze elementari dellaNatura:

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Tigre! Tigre! Che bruci luminosa / nelle foreste della notte, / Quale fu l’im-mortale mano o l’occhio / Ch’ebbe la forza di formare / La tua agghiacciantesimmetria? / In quali abissi o in quali cieli / Accese il fuoco dei tuoi occhi? /Sopra quali ali osa slanciarsi? / E quale mano afferra il fuoco?

(The Tiger, Canti d’Esperienza)

La Tigre che brucia luminosa nelle foreste della notte è appunto questa facoltàessenziale e primordiale, l’immaginazione perduta in seguito alla Caduta, ma ancheoccultata dal razionalismo illuminista. Le foreste della notte simboleggiano il pro-fondo, il rimosso, ma anche ovviamente la contrapposizione alle illusioni dell’Auf-klarung, del rischiaramento positivista. Leggiamo nel passo successivo come que-st’energia sia in realtà un archetipo:

Quali spalle, quale arte / potè tor-certi i tendini del cuore? / E quandoil tuo cuore ebbe il primo palpito, /Quale tremenda mano? / Quale tre-mendo piede? / Quale mazza e qua-le catena? / Il tuo cervello fu in qua-le fornace? / e quale incudine? /Quale morsa robusta osò serrarne iterrori funesti?

(The Tiger, Canti d’Esperienza)

La Tigre, archetipo allegorico del-la immaginazione originaria, è statacreata da un demiurgo estremamen-te potente, perché la sua genesirichiede un complesso di qualità“terribili” e titaniche che l’arteficeproietta nella creatura. L’Immagi-nazione creatrice quindi appartienealla Tigre come al demiurgo, perchéil secondo ha trasposto nella prima isuoi poteri divini. Rispetto alladicotomica separazione hobbesianadel regno della natura (homo, homi-ni lupus) dall’ordine statale, dovenella prima si scatenano le bestialicompulsioni naturali, nella Tigreblakeiana accanto all’energia pri-mordiale è presente anche l’afflato

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demiurgico. La Tigre, allora non è solamente l’archetipo della ferocia distruttrice, maanche del potere dell’Immaginazione creatrice. Pensare la Tigre, non aiuta solamentea liberare le compulsioni del rimosso, ma anche ad evocare questa forza, questa ener-gia che apre le porte alla percezione sovrasensoriale:

Se si pulissero le porte della percezione, ogni cosa apparirebbe all’uomo come essaveramente è, infinita.

(Il Matrimonio del Cielo e dell’Inferno)

Blake quindi aderisce alla classica dottrina platonica dei due mondi, ma a diffe-renza del filosofo greco, ritiene che sia l’Immaginazione la facoltà che, contrappo-nendosi all’inganno dei sensi, può condurre l’uomo alla conoscenza assoluta. L’Es-sere divino si svela nel linguaggio del poeta e dell’oracolo, e solo in questo modo,per Sua volontà può avvenire la gnosi: ma l’uomo deve aver risvegliato ed esercita-to quella facoltà divina per accedere all’infinito. Chiunque possieda quest’Immagi-nazione è in grado di superare sia l’illusorio mondo della materia (nelle epoche del-l’immaginazione, questa ferma convinzione spostava le montagne4), che l’astrazionedella legge morale, da Blake identificata con la sottomissione passiva alle regole del-la ragione. Per certi aspetti, Blake si rivela quindi uno dei primi “immoralisti”, pre-cursore dei vari Byron, Shelley e Nietzsche, mentre la concezione demiurgica del-l’Immaginazione lo allontana, viceversa, dal glaciale e iper-razionale universo sadia-no. Sull’“immoralismo” blakeiano ritorneremo in seguito; per il momento conti-nuiamo ad intrattenerci su questo potere della visione che alberga nell’animo del poe-ta, mentre è latente in quello dell’uomo comune.

Per Blake, quindi, l’Immaginazione permette all’uomo di ricongiungersi, almenoper un momento, con l’Universale, riconoscendone l’affinità con la propria natura.Al contrario, sia l’empirismo filosofico sia la matematica applicata sono da Blakesvalutati, perché circoscrivono le loro competenze al campo fenomenico, e si priva-no così della possibilità di oltrepassare il mutevole mondo del divenire, aprendosicontemporaneamente al mondo delle essenze. In questo senso si comprende allora ilbiasimo di Blake verso Bacone, Newton, Locke, Voltaire, Rousseau: tutti strenuidifensori della ragione tranne l’ultimo, che però, in quanto padre del romanticismo,tenderà a cadere nell’eccessiva idealizzazione del regno naturale. Del resto non è cer-tamente la filosofia dei Lumi o il pre-romanticismo di Rousseau a catalizzare il pen-siero di Blake:

Poiché un nuovo cielo è incominciato, e sono passati dal suo nascere trenta-tré anni, l’Eterno Inferno rivive. Ed ecco! Swedenborg è l’Angelo seduto sulla

4 Blake, Il Matrimonio del Cielo e dell’Inferno.

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tomba; sono i suoi scritti quel lenzuolo piegato. Ora domina Edom, e Adamo faritorno in Paradiso: vedi Isaia, Capp. XXXIV e XXXV.

(Il Matrimonio del Cielo e dell’Inferno)

Abbiamo ricordato come Swedenborg possa essere considerato - pur appartenen-do a pieno titolo la terza parte della sua speculazione all’universo teosofico - comeun autore che segna un passaggio tra una fase e l’altra nella storia della teosofia, valea dire da Boehme a Martines de Pasqually e Saint Martin. In effetti, le prime due fasidella sua produzione sono consacrate ad interessi che eccedono l’ambito di ricercadei teosofi: dapprima Swedenborg si dedica alla filosofia scientista e razionalista, poiapproda al neoplatonismo che lo porta ad interessarsi agli aspetti visionari e asceticidella mistica. Successivamente, ed è questo il terzo periodo, aderisce all’impiantoconcettuale teosofico. Caratteristico del pensiero di Swedenborg è il dualismo mani-cheo che sboccia in una nitida visione soteriologica: il Male è il peccato che trasfor-ma l’anima intuitiva in coscienza razionale; la storia è la dissoluzione progressivadella prima chiesa, che raggiunge la sua punta di massimo oblio e corruzione nell’e-tà moderna, per essere infine destinata a realizzare l’avvento di una nuova unione spi-rituale dell’uomo con Dio, in cui la scissione è superata. Il Bene quindi è quella scin-tilla intuitiva originaria e divina, il Male è la deriva razionalista. Troviamo nel pen-siero di Swedenborg i capisaldi caratteristici del pensiero esoterico, cominciando dal-l’idea delle corrispondenze universali tra macro e microcosmo. Idea che conduce aduna pratica delle stesse, quindi il mondo della materia è ricco di segni e tracce diquello divino. Sono presenti anche tutti gli altri assunti: la Natura vivente, il valoredell’immaginazione e della meditazione, etc. Blake senz’altro condivide tutto que-sto: ma ci sono dei punti in cui il suo pensiero si differenzia nettamente dalla dottri-na swedenborghiana.

Leggiamo il successivo passo della poesia:

Senza Contrari non c’è progresso. Attrazione e Ripulsa, Ragione e Energia,Amore e Odio sono necessari all’Umana esistenza. Da questi contrari scaturi-sce ciò che l’uomo religioso chiama Bene e Male. Bene è la passività che obbe-disce a Ragione. Male è l’attività che scaturisce da Energia. Bene è il Cielo.Male è l’Inferno.

(Il Matrimonio del Cielo e dell’Inferno)

A prima vista sembrerebbe di essere alla presenza di una sorta di dialettica hege-liana intrinseca al divenire. Per Hegel, i contrari sono necessari al superamento delpresente e coincidono con lo stesso moto storico. Tuttavia, in questo passaggio nonappaiono richiami all’Aufhebung, alla negazione della negazione, per questo sareb-be forse più plausibile pensare ad una specie di proto “dialettica aperta” o “negati-va”: si parla sempre di contrapposti (Amore e Odio etc.), ma manca il terzo terminedella sintesi che raccoglie e supera la scansione dei primi due. Tuttavia, possiamo

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senz’altro mantenere come punto fermo della visione blakeiana il superamento delrigido manicheismo swedenborghiano: per il poeta inglese il dualismo diventa ineren-te al tessuto ontologico del Reale. Per Swedenborg il Bene ed il Male sono drasticamenteseparati, ed il cammino dello Spirito verso la salvezza è orientato unilateralmente. Nem-meno per un istante Swedenborg contempla la possibilità che nel Male sia contenuto unriflesso del suo opposto, che sia possibile una redenzione finale anche del negativo: nona caso intitola la sua opera Cielo e Inferno, mentre viceversa Blake postula letteralmen-te la possibilità di un Matrimonio tra i due termini antitetici. Nella successiva Jerusa-lem, il poeta inglese suggerirà che l’Inferno è aperto al Cielo. Per Blake il Bene è la pas-sività della Ragione, il Male invece è l’attività straripante Energia; ma appare evidenteche siamo in presenza di un rovesciamento ironico in cui la preferenza va piuttosto aquest’ultimo polo. Non a caso il capitolo successivo di Il Matrimonio del Cielo e del-l’Inferno è intitolato Proverbi Infernali. Ritroviamo la stessa ontologia energetisticaanche nel passo successivo a quello sopra riportato, in cui Blake si abbandona ad enun-ciare questa sorta di “rivelazione” satanica, emblematicamente denominata La Voce delDiavolo:

Tutte le Bibbie, codici sacri, sono state causa dei seguenti errori1. Che nell’Uomo ci sono

due principi reali di esisten-za, cioè un Corpo e un’Ani-ma.

2. Che l’energia chiamataMale, procede solo dal Cor-po, che la Ragione, chiamataBene, procede solo dall’Ani-ma.

3. Che Dio in eterno tortu-rerà l’Uomo avendo egliseguito le proprie Energie.

Ma seguenti Contrari a taliErrori sono Verità:

1. Nell’Uomo non c’è unCorpo distinto dall’Anima; ilcosiddetto Corpo è una partedell’Anima che i cinque Sen-si, maggiori antenne dell’Ani-ma in questo evo, discernono.

2. Solo l’Energia è vita, eprocede dal Corpo; la Ragio-ne non è che il confine o ilcerchio esterno dell’Energia.

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3. L’Energia è l’Eterno Pia-cere.

(Il Matrimonio del Cielo edell’Inferno)

Certamente siamo in presenzadi una sorta d’immoralismoenergetistico che potremmodefinire pre-nietzscheano; lecategorie concettuali di questopasso sembrerebbero appartene-re alle successive Lebenphiloso-phie d’inizio secolo: l’idealeascetico propugnato dal Cristia-nesimo appare così come unamortificazione degli istinti vita-li, a cui solo la riscoperta delleforze primarie e la corrispettivaliberazione delle compulsioniinibite, può porre rimedio. Ma leantitesi blakeiane corpo-ragione,ideale-vita si arricchiscono ditutto un impianto mitico attintodalla letteratura cabbalistica,gnostica, catarica. Albione è

l’Uomo Eterno, primogenito, l’Uno-Tutto, smembratosi nella Caduta nei quattro ele-menti (Zoa) che abitano all’interno del macro-microcosmo: Urizen, l’intelletto,Luvah, l’emozione, Tharmas, la sensazione, Urthona, l’immaginazione. L’UomoEterno, in un primo tempo appartiene alla categoria degli Eterni ed è quindi solo unodegli elementi dell’Universale, ma in una successiva versione del mito s’identificaintegralmente con quest’ultimo. Nelle mitologie, le successive riletture operate sul-l’originale devono essere considerate come effetti inevitabili della circolarità del pro-cesso interpretativo; la trasmissione orale stratifica il significato primario in signifi-canti addizionali, destinati a sovrapporsi irreversibilmente ai segni originari. Secon-do la prima versione, l’Uomo Eterno si stacca e cade dall’Unità divina: successiva-mente gli altri Eterni cercheranno di ricondurlo nel seno di questa; nella seconda,l’Uomo Eterno può essere identificato con l’Adam Kadmon dei cabbalisti, oppurecon l’Uomo esemplare di Boehme, o con Uomo di Swedenborg.

Comunque in tutte e due le versioni del mito, sono gli Zoa – guidati dalla ribellio-ne di Urizen – a provocare la Caduta dell’Uomo Eterno: si formano così queste quat-tro facoltà dalla disintegrazione dell’Intero, ma è la fredda e gelida ragione prome-

W. Blake, Milton a Poem, 1804.

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teica la vera radice del Male. I quattro Zoa assumono altri nomi nel regno del dive-nire: Urizen diventa Satana, Luvah si chiama Orc, Tharmas diventa Cherubino eUrthona, Los. La lotta è ora soprattutto tra Urizen-Satana e Urthona-Los: il primo hainfranto la Divina Totalità e nell’autocoscienza dà origine al mondo della Caduta.Nel riconoscimento della propria individualità distinta dal Tutto, Urizen genera ledicotomie dell’illusione fenomenica: la separazione dei sessi, la nascita e la morte, iltempo. Infatti, in un curioso slittamento di significato, Los – identificato con il Tem-po – si presenta ora come lo stesso figlio di Urizen e contribuisce fattivamente allaprogettazione demiurgica del mondo. Ma contemporaneamente si contrappone radi-calmente al principio dell’intelletto raziocinante e normativo, incarnato da Urizen:

Urizen giaceva nelle tenebre e nella solitudine, incatenato nella mente. Losafferrò il suo Martello e le sue Tenaglie: si mise al lavoro alla risoluta sua Incu-dine. Fra Rocce Druidiche indefinite e nevi di dubbio e di dialettica.

(Milton)

Urizen, Causa Prima del mondo materiale, è condannato lui stesso all’aridità cogni-tiva e alla morale repressiva imposta alle sue creature; è prigioniero dello stesso uni-verso autoritario e gelido, generato dalla sua ribellione individualistica e da pulsioniemancipatrici. Los è il Tempo, uno dei due figli o poli in cui Urizen si scinde – l’al-tro è lo Spazio simboleggiato da Enitharmon, principio femminile al contrario delmaschile Los –; entrambi determineranno le dimensioni esistenziali della nostra espe-rienza fisica. Come Prometeo, anche Urizen è mosso dallo stesso sentimento di insof-ferenza verso l’Ordine costituito, verso la Totalità. Mentre Prometeo disubbidisce alvolere di Zeus e ruba la folgore per donarla agli uomini, Urizen afferma la propriavolontà di potenza contro l’Unità Indivisa dell’Uomo Eterno: entrambi paladini del-la ragione strumentale contro l’amorfo ordine della metafisica. L’uomo sarebbe allo-ra quasi costretto dalla sua stessa essenza a trasgredire e ad assaggiare il frutto dellaConoscenza. Nel morso di Adamo al pomo proibito, come nel furto di Prometeo onella volontà di potenza di Urizen è celato il destino della violenza umana come lace-razione dell’ordine divino. Una prima riflessione s’impone allora. Malgrado tutte lecosmogonie e le metafisiche della storia, questo strappo, questa “volontà-di-lacera-zione” fa parte dell’essenza propriamente umana? Potrebbe l’uomo non strappar-sidall’Ordine costituito e vivere così inconsapevolmente come le bestie e gli angeli,accontentandosi della propria sorte? Oppure nella storia umana è celato un disegnofaustiano che porta gli umani a ripudiare anche i cancelli dell’Eden, in favore del-l’autocoscienza? Abbiamo quindi visto che Los rappresenta il Tempo. In particola-re, secondo Sloss-Wallis, Los avrebbe la funzione di “fissare” i mutamenti di Urizen,secondo una scansione temporale in grado di infrangere l’orizzonte inviolato dellepossibilità infinite degli Eterni5. Sloss-Wallis rovescia l’impianto classico della meta-

5 Sloss-Wallis, The Prophetic Writings of William Blake.

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fisica, perché adesso non è più il divenire a sciogliere la rigidità monista dell’Esse-re, a relativizzare la valenza ontologica dell’istante nel suo superamento diacronico.In altre parole, secondo questa lettura, il divenire non si limita a contestualizzare e arelativizzare l’accadere, ma al contrario conferisce densità al significato, traccia l’ir-reversibilità del dispiegarsi nell’evento. L’insegnamento di Los è che il nostro tem-po non deve essere letto come espressione della finitezza terrena, per questo nel fiu-me eracliteo tutto diviene e non è possibile bagnarsi due volte di seguito nelle stesseacque. Ma, viceversa, come restringimento dell’orizzonte del destino esistenziale, lascelta di una determinata possibilità comporta per converso l’esclusione di altre e laconcatenazione di successivi eventi. Nel recente film Sliding Doors, la vita futuradella protagonista dipenderà dal fatto se riuscirà o no a prendere la metropolitana. E’evidente che in quest’ultimo caso diventa più difficile parlare di scelta quando ci tro-viamo di fronte ad un evento aleatorio, come un ritardo di fronte alla partenza di untreno; ma in fondo, secondo questa concezione, alla radice della concatenazione dieventi ineluttabili c’è sempre un gesto o un atto arbitrario. Il battito delle ali di unafarfalla nella foresta equatoriale che provoca un terremoto a Los Angeles, così comeun passo più veloce per correre all’appuntamento con il treno del destino: si decidadi chiamarlo Moira o Karma. Del resto anche il procrastinare la scelta delle possibi-lità è comunque una scelta. L’esteta kierkegaardiano o il musiliano uomo senza qua-lità, scelgono la possibilità della possibilità, il rinvio, la possibilità fine a se stessa.Ma comunque sia, questa scelta comporta la possibilità di sottrarsi ad altre possibili-tà, come la vita etica o l’impegno politico, ad esempio. E’ comunque uno smacco,perché come sosteneva Heidegger è la dimensione stessa della finitezza umana, l’es-sere-per-la-morte, a impedire all’uomo di sottrarsi al tentativo di progettare il pro-prio esistere (ancora: il progettare di non fare progetti è autoreferenziale, perché ècomunque un progetto. Si tratta di un circolo vizioso del pensiero). Los quindi perBlake simboleggia il Tempo che segna la scansione del punto di non-ritorno (è cosìormai, e non può più essere altrimenti), ma contemporaneamente anche lo Spiritodella Profezia, la certezza che il gelido e arido mondo della materia determinato dal-la scissione di Urizen è destinato a finire. Los è la Visione profetica che arriva adavvertire gli uomini che stanno per essere sciolti dai legacci raziocentrici e dall’in-ganno dei sensi. In altre parole, Los è per Blake quella stessa Immaginazione crea-trice o capacità visionaria che pone fine alla Caduta nel mondo della materia. LaVisione è quindi connaturata al Tempo che annuncia la profezia: del resto è Los chegenera il mondo, sotto la costrizione di Urizen. Ma che funzione ha nel cosmo miti-co blakeiano l’altra categoria della nostra esperienza, Enitharmon, lo spazio?

Enitharmon, il principio femminile della cosmogonia, si è scissa da Los all’iniziodella lacerazione originaria di Albione, l’Uomo Eterno. L’Androgino, fusione per-fetta dei due sessi, si lacera in due principi, Los ed Enitharmon, il Tempo e lo Spa-zio. Enitharmon, lo Spazio, è in fondo il principio d’individuazione che conferisce ilsesso e la personalità agli esseri viventi. Essa incarna anche, in quanto principio fem-minile, l’inganno dei sensi e la morale repressiva. A prima vista, la lettura blakeiana

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di Sloss-Wallis sembra cadere in un evidente ossimoro, perché non si può nasconde-re la radicale contrapposizione del binomio sensualità-legge. Esiste una fiorente tra-dizione letteraria che assimila la donna ad un dono, ad un frutto della Natura. La don-na dal corpo “sessuato”, che scioglie le trecce nei fluenti capelli che cadono in bas-so e richiamano il radicamento alla Terra. Le lunghe chiome simboleggiano le radi-ci, l’attaccamento al Suolo, al mondo della Natura. Secondo Kierkegaard l’uomo èun principio dello Spirito, perché tende sempre all’assoluto, mentre la donna ha lasemplice funzione di distoglierlo dalla contemplazione delle Vette, perché il suo cor-po sensuale richiama alla semplicità ed alla naturalezza del creato6. Ovviamente sitratta di una lettura che risente degli ingenui stereotipi del tempo; nessuno oggipotrebbe più sostenere una simile tesi. Tuttavia, all’epoca di Blake queste concezio-ni erano molto radicate; ed inoltre l’arte classica, avvalendosi anche della letteraturamitologica, ha raffigurato a lungo la donna come una ninfa che si bagna nei ruscelli,o come una fata incantatrice in possesso dei segreti della natura, perché lei stessafiglia di quest’ultima. Non si deve dimenticare che l’idealizzazione della donna come“dono della natura”, risente profondamente dell’importanza assunta da questa nelneolitico in coincidenza con la scoperta dell’agricoltura. Eliade descrive molto benela rivoluzione culturale, sociale e religiosa, che porta ad assimilare il lavoro agrico-lo al rinnovamento ciclico del cosmo, al ritmo delle morti e delle rinascite che si sus-seguono incessantemente. La fecondità della terra viene allora equiparata simbolica-mente a quella della donna, con conseguente identificazione della prima con laseconda e proiezione idealizzata dell’archetipo corrispondente: la Madre-Terra (Tel-lus Mater)7. D’altro canto, nell’era moderna la rigida educazione borghese impartitaalla donna risentiva pesantemente di questo pregiudizio, perché serviva ad incanala-re l’effluvio di compulsioni selvagge, ad “addomesticare” l’elemento sensuale chedimorava pericolosamente nella donna. Si trattava quindi di rimuovere la pauraarchetipa (la “Donna-lupo”, la “Donna-vampira”), così presente nella cultura lette-raria del tempo. Nessun mistero allora che Enitharmon incarni sia l’inganno dei sen-si sia la morale repressiva. Secondo Sloss-Wallis, Enitharmon genera tre figli: il “pre-te bicorne”, la “regina dell’arco d’argento”, il “principe del sole”. I tre rappresenta-no rispettivamente, la natura animale e la corrispettiva legge morale, la luna e ladesolazione dello spirito (possibile interpretazione misogina del simbolo), ed infineil sole ed il brulicante calore dello spirito. La carne e lo spirito sono allora prodottida Enitharmon, lo Spazio, che riafferma il principio d’individualità, ponendolo però– in quanto madre – sotto la morale cristiana (Freud qui parlerebbe del conflitto tral’inconscio e i meccanismi difensivi del super-io). Da quanto letto, Blake sembre-rebbe allora suggerirci di cercare di superare la dicotomia sensualità-morale – le duefacce della stessa medaglia – per scrutare il mondo vero delle essenze: La strada del-

6 Kierkegaard, Aut-Aut; Diario del seduttore.7 Eliade, Sacro e Profano; La prova del labirinto.

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l’eccesso porta al palazzo della saggezza8. Enitharmon e Los, Spazio e Tempo, s’in-nestano però all’interno di un progetto escatologico che ha come risultato la ritrova-ta armonia tra la natura spirituale e la natura intellettuale nell’Uomo Eterno, primor-diale. La proiezione messianica, l’éschaton, è destinata a riguardare entrambe le pola-rità del principio d’interdipendenza universale, sul piano del macro come del micro-cosmo (Tavola Smeraldina: “Ciò che è in alto è come ciò che è in basso, e ciò che èin basso è come ciò che è in alto”). Nel macrocosmo la dilatazione del divenire arre-sterà la Caduta contraendosi in un segmento divino ed imperituro, che segnerà ilritorno del tempo mitico, ma questa volta eternamente e senza più sottostare alla fuganel ciclo dell’anello eterno. L’avvento del ritorno dell’età dell’oro sarà definitivo esenza più il pericolo di altre discese cicliche, perché in quell’istante il tempo si dile-guerà nell’immobile eternità del Regno. Ma anche sul piano microcosmico l’uomoritroverà la sua essenza spirituale che l’arida ragione e l’insulso empirismo avevanoimprigionato, consegnandola all’oblio. Ma l’importanza del progetto escatologiconella visione di Blake è attestato anche dalla subordinazione di Enitharmon a Los; loSpazio, semplice emanazione e scissione negativa, è destinato a non sopravviverealla frantumazione del Tempo profano nell’incontro con l’avvento dell’éschatonmessianico.

Atterrito, Los si teneva ritto sull’Abisso, e le sue membra immortali cresceva-no mortalmente pallide; divenne ciò che guardava; per via d’un rosso RotondoGlobo che gli era grondato dal Seno nell’Abisso [...]. Soffrendo mortalmente cheil Globo si sciolse in una Femmina pallida simile a nuvola che rechi neve: dal-la sua Schiena allora un fluido azzurro trasudò che si formò in Muscoli indu-rendosi nell’Abisso tanto che si sciolse in una Forma Maschile urlante di Gelo-sia.

(Milton)

E’ abbastanza chiaro il senso di questo passo. Los, il Tempo, il principio maschi-le, genera Enitharmon, lo Spazio, il polo femminile, che genera a sua volta una nuo-va forma maschile: è iniziato il processo del concepimento terrestre perché il primouomo mortale è venuto alla luce. Urlante di Gelosia, perché ovviamente aspira a quelsenso di totalità, a quel dimorare-presso-gli-dei che la Caduta gli ha impedito. Per-ché questa reintegrazione possa avvenire, perché si possano superare le categorie del-lo spazio-tempo, e riunirsi al Divino, è necessario che l’uomo potenzi la vis immagi-nativa e superi l’inganno satanico del mondo sensibile e le sue effimere lusinghe. Icontrapposti Energia-Ragione, Anima-Corpo, sono entrambi necessari, perché sen-za di essi non c’è progresso: ma questo solo sul piano storico. Sul piano messianico,viceversa, entrambi devono essere superati in favore della facoltà dell’Immagina-

8 Blake, Il Matrimonio del Cielo e dell’Inferno.

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zione attiva e creatrice, la sola in grado di accelerare il compimento di quel proces-so che avverrà comunque. E’ questo il vero senso della visione nella poesia di Wil-liam Blake. Abbiamo visto quali siano le influenze esoteriche nella poesia di Blake.Principalmente il poeta attinge dai cabalisti la suggestione dell’Uomo Eterno - da luiribattezzato “Albione” anziché Adam Kadmon - e anche l’idea che alcune parole sia-no dotate di un potere mistico (Fiat) in grado di incidere sul macrocosmo. Abbiamoanche analizzato i suoi crediti dalla dottrina swedenborghiana, così come i suoi pun-ti di divergenza. Prima di concludere, raffronteremo le elaborazioni di Blake anchecon quelle dell’altro grande esponente della corrente teosofica: Jacob Boehme.

In Boehme l’atto divino con il quale l’Assoluto esce dalla propria perfetta ed eter-na unità (Padre) per manifestarsi come determinazione (Figlio) – attraverso l’Amo-re creaturale (Spirito) – è al contempo un’espressione della sapienza divina, unMysterium Magnum, ma anche un’inevitabile allontanamento della Natura dal Prin-cipio. Dio riflette nella Natura le sue sette qualità, quest’ultima è quindi uno specchiodivino, ma nello stesso tempo è anche separata e lontana da Dio a causa dell’atto dideterminazione (Figlio). Ogni essere creato ha quindi in sé una duplice natura, il beneed il male, e questo costituisce la cifra tragica della vita. Tuttavia questa tragicità nonè radicale, perché mentre rivela all’uomo l’abisso della propria disperazione e limi-tatezza, getta al contempo anche la possibilità della redenzione. Se l’uomo assumesu di sé il senso di questa tragicità, nella consapevolezza della scissione della propriaanima nella polarità del bene e del male, allora assicura mediante un atto d’amore ilsuo ritorno a Dio. La volontà libera allora il suo anelito d’amore, e mediante la reden-zione del Figlio, l’essere finito si ricongiunge al Principio Assoluto.

Questa dialettica degli opposti boehmiana, appare senz’altro eccessivamente edul-corata rispetto a quella che scaturisce dal torbido ribellismo di Blake. Fermo restan-do che anche per Blake la contrapposizione deve essere oltrepassata nella reintegra-zione dell’origine, il poeta inglese – rispetto all’equilibrio “scolastico” della dottrinaboehmiana – sembra prediligere uno slancio volontaristico e prometeico che Hutinnon esita a definire nietzscheano9. Blake non si limita ad interiorizzare la volontà inun atto d’amore, egli vuole superare immediatamente la dicotomia e pertanto si affi-da al potere del negativo, a quella strada dell’eccesso che forzando l’equilibrio deicontrapposti, si augura di riuscire a trasmutare dialetticamente l’opposto nel suo con-trario (il castello della saggezza). Come nel Tantrismo – che certo non era scono-sciuto al poeta inglese – si crede che la trasgressione reiterata e sistematica possacondurre prima alla sazietà ed alla nausea dell’eccesso ed infine alla Liberazione.Blake suggerisce questa via come una possibilità per ritrovare l’energia soffocata dairigidi dettami morali della ragione repressiva; ma, come abbiamo visto, si tratta solodi un traguardo intermedio, perché il vero obiettivo non è la liberazione dei corpi, mala restaurazione dell’Immaginazione creatrice. Egli oppone il corpo alla ragione per

9 Hutin, Les disceples anglais de Jacob Boehme aux XVII°-XVIII siècles.

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spezzarne il predominio, ma subito abbandona anche il primo in favore del poteredella Visione. Blake aderisce invece alla dottrina boehmiana della creazione per scis-sione atomistica di elementi che affermano la propria identità nella ribellione al pote-re omologante dell’Intero. L’anelito individualista è la causa della frantumazione ori-ginale che recide dall’Intero e proietta gli elementi nella corrosione della scissionedei due mondi, il sensibile e il sovrasensibile. Per Boehme, le creature che hannodeciso di piegarsi alla volontà di Dio sono angeli, mentre gli altri – i ribelli – sonodemoni. Il gesto faustiano della resistenza all’Ordine divino, che allontana chi locompie dal Principio, è caratteristico delle creature infernali, perché è frutto di unavolontà di potenza non irradiata dall’amore: mentre solo la devozione e la sottomis-sione creaturale possono garantire il ritorno a Dio. Abbiamo visto che Blake non hamai accettato quest’ultimo punto, tuttavia anche per lui la creazione nasce da un attodi rivolta individualista, quella di Urizen verso Albione. Gli Zoa si sono scissi dalmorbido abbraccio panteista, facendoci precipitare nelle tenebre del mondo sensibi-le; ma all’Intero siamo comunque destinati a ritornare. Blake concorda con Boehmesulla diagnosi del male, per dissentire sulla scelta del rimedio terapeutico; ma su unpunto si riconcilia con il secondo. La vera trasformazione interiore può avvenire soloin virtù della forza dell’Immaginazione creatrice: ed allora che si opti per l’amore oper l’eccesso, è la ritrovata capacità visionaria ad assicurare la reintegrazione nelCentro divino.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Blake W., Tutte le opere. Varie edizioni italiane.Eliade M., Sacro e Profano. Torino, Bollati Boringhieri, 1973.Eliade M., La prova del labirinto. Milano, Jaca Books, 1979.Gilchrist A., Life of William Blake, “Pictor Ignotus”. Londra, Macmillan, 1863. Hutin S., Les disceples anglais de Jacob Boehme aux XVII°-XVIII siècles. Parigi, Ed. Denoël,

1960.Kierkegaard S., Aut-Aut. Milano, Adelphi, 1976. Kierkegaard S., Diario del seduttore. Milano, Rizzoli, 1990.Sloss-Wallis J.P.R., The Prophetic Writings of William Blake. 2 voll., Oxford University

Press, 1926.Wilson M., The life of William Blake. Londra, G. Keynes ed., 1927.

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Giuseppe CacopardiSaggista

Sono in pochi a capire che quel che dicono sarebbe importante solo se a dirlo fossero altri.

Nicolás Gómez Dávila

Come è talvolta accaduto e accade tuttora, i capolavori non sono riconosciuti all’e-sordio e uguale sorte ebbe il Flauto Magico il 30 settembre 1791, poche settimaneprima che Mozart morisse.

Presentato in cartellone come “Una grande opera in due atti di EmanuelSchikaneder”, il corrispondente da Vienna del Settimanale Musicale di Berlino potèinformare i lettori lapidariamente così:

La nuova commedia meccanizzata (Maschinenkomödie) con musica delnostro direttore d’orchestra Mozart, che è data con grandi spese e con grandespiegamento di scene e scenari, non incontra l’accoglienza sperata poichè ilcontenuto e la lingua dell’opera sono troppo cattivi.

Anche quando già era un’opera di successo del repertorio lirico, le critiche indiriz-zate al Libretto (anche in tedesco) non cessarono: oltre che il carattere fiabesco, l’im-portanza delle macchine sceniche e l’atmosfera “orientale”, erano criticate anche lerappresentazioni mistiche cariche di simboli, idee fondamentali della Libera Mura-toria1.

MAGIC FLUTE: MYTHOLOGY AND VICINITY

The author, through a detailed study of the Magic Flute’s booklet by Schikaneder,doubts that it contains basic ideas of Freemasonry and thinks that neither the threetimes stressed chords nor other particular notes are sufficient to prove it, expecially toan uninitiated eye.

1 Mystische symbolgesettigte Vorstellungen, Grundgedanken des Freimaurertums(Mozart-Böhm 1964: 4).

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Era l’epoca del rinnovato interesse per l’antico Egitto e la sua religione celata neimisteriosi geroglifici (avrebbero dovuto attendere Champollion, che li decifrò nel1822); l’epoca della diffusione dei Riti massonici prescozzesisti e di quelli teosoficie mistici (Martines de Pasqually col Rito degli Eletti Cohen; Willermoz, L.C. deSaint Martin, Swedenborg; Rito di Memphis e Mizraim etc.); l’epoca della Mas-soneria mista del Gran Cofto Cagliostro vivente e in auge, e dei Riti con finalitàpolitiche; l’epoca dell’Illuminismo tedesco filosofico-letterario e del francese politi-co-sociale; soprattutto l’epoca in cui la Rivoluzione francese doveva ancora mani-festare i suoi orrori ma aveva già sconvolto l’Europa.

Dunque subito il Flauto Magico fu giudicato portatore del pensiero fondamentalemassonico; ma anche oggi su un’enciclopedia contemporanea (1983: 863), del suoautore si legge:

Al 17852 risale l’ingresso di Mozart nella Massoneria. L’evento ebbe notevoleimportanza spirituale nella sua vita, e dette subito anche frutti diretti nella suaproduzione: di quell’anno stesso sono varie musiche di destinazione massonicaquali il lied Viaggio del compagno (K 468), per il “passaggio del padre”, lacantata La gioia massonica (K 471), la Musica funebre massonica (K 477), illied K 483 con coro e organo e il coro K 484 con organo.

Messa da parte la musica, di cui non ho alcuna conoscenza tecnica nonchè dilet-tantistica decente; preso atto dell’immediatezza con cui un genio musicale ha com-preso i princìpi fondamentali della Libera Muratoria quasi che l’iniziazione avesseavuto potere o effetto sacramentale, ho intrapreso lo studio del Libretto nell’edizioneper la Deutsche Grammophon, dal quale cito alcune note tecniche:

Adagio solenne con i suoi tre potenti accordi introduttivi martellati [...] poi unFugato a trama ingegnosa [...] (che) poi riporta di nuovo i tre accordi [...] chesi risentiranno durante l’assemblea degli iniziati [...]; gli accordi accentuantisitre volte, rappresentano come in generale il numero tre, il suo quadrato e il suodoppio i simboli fondamentali liberomuratorii nell’opera di Mozart.

Riassumo le critiche: riguardano il primo atto (dialoghi ingenui, pesante favoleg-giamento, filosofia sovraccaricata, moralismo e didattismo, carattere contradditto-rio dei personaggi importanti, impossibilità per alcuni attori di recitare, ad esempioil tenore costretto al silenzio) comparato col secondo, al punto da intravedervi l’in-tervento di mani estranee, perfino di Mozart, per elevarlo a un livello intellettualesuperiore.

Espongo adesso le mie notazioni al testo: del primo atto potrebbero apparire

2 Se non prima. Il 14 dicembre 1784 secondo Gamberini (1975: 66) e Freschi (2001: 72).

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Flauto Magico: mitologia e dintorni, Giuseppe Cacopardi

“significativi” il numero degli attori in scena, 1 o 3; nell’ottava scena le parolecantate da tre dame:

Se tutti i mentitori ricevessero un tale catenaccio sulla bocca: in luogo di odio,calunnia, veleno, regnerebbero amore e fraternità.

Moralismo? Dopo il dono di un flauto d’oro a Tamino con l’augurio che il suono esprima magia

atta a trasformare le passioni degli uomini: il taciturno diverrà contento, il misogi-no sarà trasportato dall’amore (didattismo?); entrano in scena tre ragazzi, giovani,belli, dolci e saggi che accompagneranno Tamino e Papageno alla ricerca del castel-lo di Sarastro; alla fine dell’undicesima scena altro scenario con boschetto e tre tem-pli con su scritto “Tempio della saggezza, Tempio della ragione, Tempio della natu-ra”; i tre giovani invitano Tamino a lottare virilmente, a essere saldo, paziente e dis-creto. All’ultima scena, la sedicesima, ben 77 frustate inflitte da Sarastro allo schia-vo nero Monostato innamorato di Pamina, e quindi il coro, che conclude il primo attocantando:

Quando la virtù e la giustizia spandono gloria sul passaggio dei grandi, la ter-ra è come il regno dei cieli, e i mortali sono simili agli dei.

Nessun cenno neppure indiretto alla Massoneria ma la sensazione che le critichedell’epoca non fossero malevole.

Il secondo atto apre con Sarastro che entra in processione con tre sacerdoti e dice:

O servitori consacrati agli dei Iside e Osiride. Vi annuncio con animo puroche la nostra assemblea odierna è una delle più importanti della nostra epoca:Tamino, figlio di re, si presenta al portale nord del nostro tempio; desiderasquarciare gli oscuri veli e contemplare la viva luce sacra. Il nostro dovere èoggi di osservare questo virtuoso giovane e tendergli amichevolmente la mano.

Segue un dialogo informativo tra i tre sacerdoti e Sarastro, annunciante che Pami-na - nonostante l’indegnità della madre-regina della notte - è destinata dagli dèi aTamino; ai dubbi di un sacerdote sull’idoneità di Tamino a superare le dure prove chelo attendono, pensa, è un principe, Sarastro replica: egli è di più. E’ un uomo. Allaquinta scena tornano le tre ragazze, ma bisogna attendere il finale della 25° scena perascoltare che

Il sole sta per risplendere in tutta la sua potenza. La superstizione sparirà evincerà la saggezza.

Durante la 27° scena due uomini in armatura nera dicono:

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Colui che cammina su questa strada piena di pericoli dovrà attraversare ilfuoco, l’acqua, l’aria e la terra. Se può superare l’angoscia mortale, si slanceràdalla terra al cielo. Potrà allora ricevere l’ispirazione. E consacrarsi intera-mente ai misteri di Iside.

Indi Pamina e Tamino cantano:

Noi andremo grazie alla potenza della musica con gioia attraverso le tenebredella morte.

La 29° scena termina con tuoni, fulmini, tempesta; poi appaiono Sarastro, Paminae Tamino in abiti sacerdotali circondati da tre sacerdoti e dai tre ragazzi con fiori (9attori, il quadrato di 3). La 30° scena si svolge nel tempio del Sole (?) dove Sarastrodice:

I raggi del sole hanno respinto la notte, e annientato la potenza dei dèmoni.

Indi il coro conclude:

Gloria a voi, iniziati! Voi avete vinto la notte. Grazie a te, Iside, grazie a te,Osiride. La forza ha trionfato e coronato la bellezza e la saggezza per l’eternità.

Fine dell’opera.Finita l’opera è cominciata la perplessità: non avevo scoperto pensiero fondamen-

tale nè secondario della Libera Muratoria, derivato cioè dagli strumenti dell’ArteReale interpretati in senso esoterico oppure morale; avevo percepito forse “pensieroesoterico egizio” (cagliostrano) o illuministico (sole, luce, notte; ragione; virtùmorali), l’uno e l’altro evidenti forse nella sceneggiatura “carica di simboli”. Simbolidi cui è stato facile sospettare la natura surrettiziamente massonica, tratti dalla con-gerie di Riti di cui si può avere un’idea precisa dal testo Massoneria e Illuminismo diG. Giarrizzo.

Non credo che sia pensiero fondamentale la simbolica dei numeri, l’attraversa-mento dei quattro elementi, l’iniziazione della donne, Iside e Osiride, la forza checorona bellezza e saggezza, il dono dell’ispirazione etc. Ma quel che mi induce arifiutare il giudizio tanto fortunato quanto affrettato del corrispondente da Viennaè la diversità dell’iniziazione: nel Flauto Magico appare atto conclusivo, finale, altermine del quale la forza ha trionfato [...] quasi per virtù o potere sacramentale.Nella Libera Muratoria è fase iniziale, gradualmente seguita da un passaggio e daun’elevazione. Inoltre, indifferente alla religione, l’iniziazione, che è “di mestiere”,introduce a lavori con strumenti diversi in ciascun grado e, con essi operando, allapossibilità di conseguire conoscenze atte a guidarci nella vita con minore o mag-giore consapevolezza raggiungibile con e dopo lavoro continuo motivato appas-

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Flauto Magico: mitologia e dintorni, Giuseppe Cacopardi

sionato. Durante tale lavoro, al terzo grado, al termine della Massoneria Azzurra,il massone resta con la “parola perduta” e con una parola sostituita: simbolica-mente, essendo la parola perduta una parola di passo, egli non può neppure tentaredi “passare” alle grandi conoscenze, le ultime; e se esse fossero i misteri?

Da questa diversità sorge la perplessità ad accettare il termine “grande iniziato”attribuito a iniziati in Massoneria, quasi che avessero subito ricevuto l’illuminazioneconcessa a Pamina e Tamino. E’ un’altra fortunata definizione, nata forse con il bellibro di E. Schurè, I grandi Iniziati, che a me paiono grandi iniziatori. Infatti sonoRama, Krishna, Ermete, Mosè, Orfeo, Pitagora, Platone, Gesù: tranne qualche per-sonaggio mitico, sono tutti iniziatori di religioni e filosofie storiche. Di tanto in tan-to vengono proposti nomi per un secondo volume, ma forse è bene attendere quantoSchurè per scrivere il primo: la “fine della storia” non pare vicina, e non c’è fretta. Ilresto sono idee spurie inserite in alcuni rituali dell’Ordine dai Riti - lo ha ammessola Commissione Rituali con l’ultima relazione - fondendo Massoneria ed esoterismidiversi, anche estranei, quindi introducendo sincretismi talora non felicemente assor-titi.

Con semplicità, convinto da Voltaire e B. Russell che il dogmatismo fa diveniredannosa un’opinione giusta professata dogmaticamente, esprimo l’opinione che dal-la scenaggiatura originaria del Flauto Magico e dall’articolo del corrispondente (maleinformato o volutamente malevolo?) sia nato il mito dell’opera contenente i princìpifondamentali della Massoneria.

Sappiamo che la mitologia accompagna e nutre le creazioni del pensiero umano(religioni, filosofie, letterature, scienze e arti) al loro sorgere, onorando i creatoriquali dèi ed eroi; ma con il procedere della vicenda umana, mitologie e personag-gi mitici si eclissano e appare la Storia con coloro che “la fanno”. Ad essi seguonocoloro che, storicizzati - se piace, esorcizzati - dèi ed eroi e vivendo disincantati econsapevoli il loro tempo, scrivono la Storia con fas e nefas; ma, se la Storia comemaestra di vita ha pochi discepoli, gli storiografi paiono avere ancora meno lettori.

Se i genii utilizzano i miti per fondare la scienza moderna come F. Bacone o, comeMozart, per creare un capolavoro, gli uomini comuni se ne servono a fini agiografi-ci e propagandistici, per cattivare simpatie e favore, specie la mitologia massonicadel XIX° secolo, periodo di grande confusione che diede frutti avvelenati all’apparire

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ESOTERISMO E PENSIERO MASSONICO

del Fascismo.Questo è un altro discorso, ma pare pertinente l’utilità di diradare le nebbie mitiche

e spolverare la galleria degli antenati, spostare qualche quadro e rimuoverne altri:verso i nostri duecento anni un approfondimento darebbe illuminanti risposte al “chisiamo stati, da dove siamo venuti, dove siamo andati”.

Venendo ai dintorni, a noi, per dirla con G.B. Vico è finito il tempo degli dèi edegli eroi; viviamo il tempo degli uomini e potremmo trarre dal Flauto Magico degliesordi, del tempo mitico, la lezione dell’efficacia della sceneggiatura: fece meritareil blasone di opera massonica al modesto Libretto di un massone e alla musica di ungenio musicale iniziato in Massoneria. Dopo due secoli si potrebbe mettere giudizioe operare con responsabile ritualità al fine di accrescere preparazione, motivazione,consapevolezza di chi resta e ridurre il numero di quelli che vengono, vedono e se nevanno. Se lavoriamo correttamente nei tre gradi dell’Ordine, possiamo tentare dirispondere alle domande senza seguito coniugandole al singolare: chi sono (primogrado); da dove vengo (secondo grado); dove vado (terzo grado).

Il primo significato del latino templum, l’italiano “tempio”, è “parte di cielo”, dovel’indovino, osservatore del volo degli uccelli-àuspice, guardava per trarre auspici:dalla nostra parte di cielo, quello stellato del tempio dove lavoriamo, vediamo ditrarre auspici fausti per il lavoro e il triplice viaggio massonico; chiedendol’iniziazione liberamente convinti, abbiamo ascoltato e capito che essa è soltanto ilbiglietto per partire: ce ne siamo scordati, pensando ad altro?

Da parte mia, buon lavoro e buon viaggio, osservando e riflettendo, in compagniadella musica preferita.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Enciclopedia Europea, vol. 7°. Milano, Garzanti, 1983.Freschi M., Mozart, la Massoneria e il Flauto Magico. In Hiram 2/2001, pp. 71-73.Gamberini G., Mille volti di massoni. In Erasmo, 1975.Giarrizzo G., Massoneria e Illuminismo nell’Europa del Settecento. Venezia, Marsilio, 1994.Mola A.A., Storia della Massoneria Italiana dalle origini ai giorni nostri. Milano, Bompia-

ni, 1992.Mozart, W.A. - Böhm, K., Die Zauberflöte. Ed. trilingue, 1964.

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Carissimi Fratelli, gentili lettrici e lettori,

Mi sembrava doveroso occupare solo poche righe per salutarVi nel momen-to in cui mi accingo a licenziare il primo numero di Hiram redatto sotto la miadirezione. Vorrei inanzitutto cogliere l’occasione per ringraziare il Gran Maestro,Avv. Gustavo Raffi, per la fiducia che mi ha concesso affidandomi la responsabilitàscientifica della nostra rivista in un momento di particolare importanza per la sto-ria della Massoneria italiana e soprattutto della nostra comunione. Vorrei inoltreesprimere la mia riconoscenza al nuovo Direttore responsabile, Giovanni Lani, ed atutti coloro che svolgono una funzione istituzionale nei vari organi che ad Hiramafferiscono. Non posso menzionarli singolarmente, ma è ovvio che li saluto tuttifraternamente. Sento anche il desiderio di ricordare con gratitudine per il lavorosvolto in precedenza il fratello Mariano Bianca.

Come si vedrà già da questo fascicolo mi sono permesso di apportare (per orasolo alcune) piccole modifiche all’impostazione della rivista: il colore della coper-tina è mutato, gli articoli sono mediamente di lunghezza maggiore che in passato esono preceduti da una sintesi in lingua inglese, al fine di stimolarne la lettura ancheda parte di lettori stranieri, soprattutto se si tiene conto della visibilità in rete delnostro prodotto attraverso il sito del G.O.I.

Si è ritenuto inoltre più confortevole per la lettura portare le note a pié di pagi-na e curare maggiormente l’apparato bibliografico; infine si è ampliato il numerocomplessivo delle pagine di un sedicesimo (da 80 al 96 pagine). Spero peraltro dipoter accrescere maggiormente la dimensione dei singoli numeri al fine di ospitaresempre più contributi nonché anche lavori di dimensioni significative, qualora ciòrisultasse effettivamente utile. A tal proposito intenderei, col consenso del GranMaestro, inserire in ogni fascicolo una sezione monografica, ovvero una serie dicontributi dedicati ad un tema omogeneo, mantenendo invece alcune rubriche diinteresse più generale. Tali ambiti monografici potrebbero essere dedicati a temicome “Massoneria e Filosofia nel secolo dei Lumi”, “Massoneria e Dirittiumani”, “Massoneria e Pensiero storico-sociale”, “Massoneria e Movimentooperaio”, “Massoneria e Letteratura italiana”, “Massoneria e Solidarietà”,“Religioni e Massoneria”, “Il Simbolismo Massonico ed Esoterico”, “Egitto eCultura Muratoria”, “Massoneria e Diritto”, etc. I Fratelli che intendessero con-tribuire a temi come quelli proposti, oppure suggerire altre problematiche, possonocontattarmi direttamente agli indirizzi indicati alla fine di queste pagine.

L’ampliamento della rivista ed un suo maggior impatto sia all’interno sia sul mon-do della cultura e sulla società civile in generale presenta dei costi; per questaragione, si è pensato di aprire, moderatamente, ma in modo non episodico, uno

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SALUTO DEL DIRETTORE SCIENTIFICO

diAntonio Panaino

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spazio pubblicitario a pagamento, al fine di compensare un eventuale aggravio deicosti vivi di stampa. Il principio è quindi quello del reinvestimento immediato dellerisorse al fine di potenziare la rivista stessa. Le pubblicità (in questo numero solouna pagina) andranno proposte alla Redazione che le valuterà insieme all’Editore;dato il taglio della rivista è ovvio che bisognerà mantenere equilibrio e senso diopportunità, ma ciò non significa che una testata di 16.000 copie non possa rappre-sentare un “target” degno di interesse. Ringrazio sin d’ora coloro che vorrannoprendere in considerazione tale opportunità.

Hiram è uno strumento complesso, giacché si rivolge sia al mondo massonico siaa quello profano, che d’altro canto mostra sempre più interesse ed attenzione per lapluralità di voci che il G.O.I. sta esprimendo con grande autorevolezza in questianni. Appare quindi necessario che tutti coloro che vogliano contribuire ad Hiram- spero molti - siano sempre alquanto scrupolosi nella cura del loro lavoro, anchenegli aspetti formali e prettamente scientifici, al fine di non appesantire il giàgravoso onere della Redazione.

Come un apprendista che “non sa né leggere né scrivere” ho iniziato questo nuo-vo incarico con molto impegno ma anche con tanto timore di commetter errori oinavvertenze; non chiedo venia in anticipo, e mi assumo le responsabilità del caso;prego però tutti coloro che avessero critiche e suggerimenti a farsi vivi, perché larivista non è affatto del direttore, ma resta uno strumento di riflessione intellettualeche appartiene a tutto il G.O.I. e che quindi può essere migliorato con il contribu-to critico e propositivo dei Fratelli.

Con il rituale triplice fraterno abbraccio Vi auguro una buona lettura e rivolgo atutti, a nome anche della Redazione, gli auguri più sinceri per un ottimo 2003.

VostroAntonio Panaino

(Recapito personale: Circ.ne San Gaetanino n. 18 - 48100 Ravennae-mail: [email protected])

Nota ai collaboratori: si pregano tutti coloro che vogliano contribuire con articoli di inviareil proprio materiale in formato elettronico e di premettere al testo una breve sintesi dello stes-so (se possibile in inglese, altrimenti sarà cura della redazione la sua traduzione).

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Antonio C.D. Panaino, “oratore” presso la R L “La Pigneta” all’Or. diRavenna, è nella vita profana professore straordinario di Filologia Iranicapresso l’Università di Bologna; ricopre inoltre le cariche di preside dellaFacoltà di Conservazione dei Beni Culturali dello stesso Ateneo, di presidentedella Societas Iranologica Europæa e dell’International Society for Intercul-tural Studies e direttore della sezione Emilia-Romagna dell’Istituto Italianoper l’Africa e l’Oriente. Specialista di filologia e linguistica antico e medio-iranica, nonché di storia religiosa dell’Iran preislamico, A.P. è autore didiverse monografie e di numerosi contributi scientifici. Per maggiori dettaglisi veda la bio-bibliografia accademica nel sito www.cbc.unibo.it.

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Luigi GrassiaUn Italiano fra Napoleone e i Sioux - Giacomo Costantino Beltrami: il patriota,l’esploratore, il letterato.Ed. Il Minotauro; Collana Gli Italiani diretta da Rino Camilleri. Roma 2002. (pp. 289; 12,00)

L’ultimo dei Moicani era massone di Piero Gaspa

A GCB, l’italiano che nell’ottocento risalì le sorgenti del Mississippi sembra infatti esser-si ispirato James Fenimore Cooper per tratteggiare Natty Bomppo, il protagonista del suoceleberrimo romanzo, L’ultimo dei Moicani. Il nostro connazionale divenne famoso, soprat-tutto all’estero, come esploratore e scopritore, ma distinguendosi dai molti, in quei tempi diconquista del nuovo mondo, mossi dalla sola bramosia di possesso. A connotare invece Bel-trami fu la sua tensione verso il nuovo, la sua sete di conoscenza, quelle sfide cioè che uni-camente l’uomo ispirato da ideali superiori ed universali riesce a concepire e vincere. GCBera un massone.

Alla sua esperienza terrena è stata dedicata una bella biografia di recente pubblicazione, Unitaliano fra Napoleone e i Sioux ad opera di Luigi Grassia, che con equilibrio ed obiettivitàla racconta, senza risparmiare qualche frecciatina nei confronti della nostra Istituzione.

Assai vivida è la trattazione, nella prima parte del libro, del periodo italiano della giovinez-za del Beltrami. Ne emerge una nazione che sollecitata dal grande fermento liberale chegiunge da oltralpe, prima rivoluzionario e poi napoleonico, vede modificarsi rapidamenteassetti politici e culturali.

Lo spirito rivoluzionario, del cambiamento, sembra predestinare il giovane Beltrami findalla nascita nel 1779 a Bergamo. Infatti invertendo gli ultimi due numeri del suo genetlia-co, e quindi conservando l’uguaglianza numerologica, si ricava l’anno 1797 quello della“rivoluzione di Bergamo” che instaurò la Repubblica napoleonica. Lo stesso anno, il 19 mar-zo, GCB viene iniziato e nove anni dopo, a Treviso nel 1808, il giorno 29 del “sesto mese”,come riporta un documento conservato nella Biblioteca civica di Bergamo, prenderà ilbrevetto di Maestro. Grazie a qualche rudimento giuridico il ventenne Beltrami, dopo unaparentesi militare, approda nei tribunali napoleonici che gestivano bel oltre la sempliceamministrazione della giustizia. Nel bene e nel male, il tribunale assunse di fatto una fun-zione politica, data l’ampiezza interpretativa delle leggi del testo unico del neonato CodiceNapoleonico, orientando così fortemente i comportamenti sociali ed individuali. Era quindiassai facile per un giudice sconfinare nell’arbitrio o nel dogmatismo. Nell’operato di giudicedel Beltrami traspare fortemente il desiderio di incidere sul sociale, nell’applicazione degliideali di equità e tolleranza che lo condussero alla scelta massonica. GCB viene nominatogiudice a Udine nel 1807 e due anni dopo approda nelle Marche come Giudice della Cortedel dipartimento di Musone della provincia di Macerata, e viene riportato dalle cronachecome un giudice duro, anche nella repressione di moti antinapoleonici, ma equo. Inoltre, nel

RECENSIONI

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periodo marchigiano si distinse per la lotta al brigantaggio sull’Appennino, foraggiato daipapalini spodestati da quelle terre. L’abbrivio della sua vita sembrava spingere il giovane giu-dice verso i tribunali di prima linea, dove appagare la sua sete di azione, ma proprio nelleMarche, se pur non definitivamente, trova un periodo di quiete grazie alla conoscenza dellaContessa Giulia Medici Spada, che divenne di fatto la sua speculare parte lunare. Le amiciziedella nobildonna, nativa di Firenze, lo introdussero nell’ambiente fiorentino. E’ proprio nelcosmopolita salotto culturale della contessa Luisa Stolberg d’Albany, vedova del pretendenteal trono d’Inghilterra Carlo Edoardo Stuart, che Beltrami fece delle conoscenze decisive peril proprio futuro di avventuriero e scopritore.

Dalla d’Albany, dove passavano letterati come Foscolo, Chateaubriand e Lamartine, artistidel calibro di Canova e personaggi del genere di Lord Russel e Lord Byron, GCB conobbeDiego Pignatelli, Duca di Monteleone, napoletano ed ex-ambasciatore di Gioacchino Murat.Il Pignatelli, invitandolo ad accompagnarlo in un viaggio d’affari nei suoi possedimenti oltre-oceano, instilla nel Beltrami il sogno americano. Lo coronerà qualche anno dopo, quando, inseguito alla restaurazione del Regno Pontificio, ma soprattutto alla morte improvvisa delladiletta contessa Spada, la sua vita subirà una palingenesi.

All’età di 44 anni, il 21 febbraio del 1823, Beltami sbarca a Philadelfia, in America. Tra leprime, visita la più massonica delle città nordamericane, Washington, che disegnata dall’ar-chitetto massone Enfant, fu ispirata direttamente dai padri fondatori americani come Frankline Jefferson, massoni anch’essi. Già allora quella città era la capitale della Confederazione eBeltami era diretto alla Casa Bianca. Nei suoi diari ci racconta dell’incontro estremamenteinformale con l’allora Presidente Monroe e come da questi fu accolto fraternamente. Ma lasua sete di avventura lo portò ben presto a dirigersi verso lo sconfinato West, immergendosiin una realtà sconosciuta e non di rado ostile, con uno spirito fraterno e di genuina curiositàverso l’altro che lo portarono a contatto con le popolazioni autoctone, portandolo financo allacompilazione di uno dei rarissimi dizionari della lingua sioux. Il suo nome rimane comunquelegato alla scoperta delle sorgenti del fiume Mississippi, che dedicò, chiamandole Sorgentigiulie alla contessa Medici Spada. Grazie soprattutto ai suoi resoconti di viaggio, Beltramidivenne in America quasi una figura leggendaria. Ma, esaurita un’altra fase della propria vita,sentì il bisogno di tornare nel 1837 in patria. Dal 1829 al 1834 visse a Parigi, quindi durantelo spodestamento di Carlo X ad opera di Luigi Filippo che scelse come suoi ministri Laffittee La Fayette, entrambi amici di Beltrami e appartenenti al Grande Oriente di Francia. La stel-la fiammeggiante segnò fatalmente anche il suo rientro in Italia, che coincise con un momen-to di fermento politico e sociale, quello suscitato dalle promesse liberali di Pio IX. Quelloslancio liberale fu alla fine tradito, ma fu il seme che successivamente generò quel frutto lumi-noso ed imperituro che fu l’eroica esperienza della Repubblica Romana.

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SEGNALAZIONI BIBLIOGRAFICHE

GRANDE ORIENTE D’ITALIA - Palazzo Giustiniani -Sulla soglia del sacro. Esoterismo e Iniziazione nelle grandi religioni e nella tradizione mas-sonica. Firenze, 1-3 marzo 2002. Atti del Convegno di Studi, a cura di A. Panaino.Ed. Mimesis (tel./fax 02.89403935 - www.mimesisedizioni.it); Collana Il flauto magico.Milano 2002. ( 20,00)

Questo volume si propone come un’articolata riflessione sulla dimensione iniziatica ed eso-terica presente nelle grandi religioni dell’umanità dall’antica Grecia al tibet, dal mondo egizio a quel-lo indo-iranico, dall’Islam al rinascimento europeo, dalle civiltà mesopotamiche al Giappone. L’espe-rienza iniziatica, che è anche alla base della cultura e della pratica massonica, indica la strada versomodelli spirituali e aggregativi alternativi rispetto a quelli dogmatici che mirano a soggiogare lacoscienza della persona o che accentrano il senso della vita nella dimensione profana del potere e del-la ricchezza. Il contributo di studiosi diversi per formazione e campo di interessi, ma tutti accomunatida un desiderio di franco confronto e scambio intellettuale, conferma l’attenzione del G.O.I. verso temidifficili ma ineludibili per tutti coloro che credono nella possibilità di un reale progresso spirituale, eti-co e culturale.

Ovidio La PeraRiflessioni su alcuni temi di L.C. de Saint-MartinEd. Firenze Libri s.r.l. (tel. 055.2001090 - fax 055.242818 - www.firenzelibri.it); Collana Lospirito delle cose diretta da S. Calzolari, G. Favilli e V. Vanni.Firenze 2002. ( 20,14)

Per la collana lo spirito delle cose Ovidio La Pera ha avuto modo di esaminare nelle sue lineegenerali l’opera di Louis Claude de Saint Martin, insigne filosofo spiritualista della fine del ‘700. Conle presenti Riflessioni l’autore affronta alcune tematiche care al nostro filosofo, specie quelle legate almondo dei numeri, o comunque dense di significati, talvolta espresse con un linguaggio enigmatico;queste vengono esaminate però senza voler dare ad esse una spiegazione definitiva, data la loro natu-ra specificatamente esoterica, che perciò richiede una personale interiorizzazione di tipo meditativo;si tratta pertanto solo di un contributo atto ad allargare l’interesse che il pensiero e la dottrina di vitadi questo autentico illuminato desta in tutti coloro che gli si accostano. Infine viene esaminato anche ilsuo personale rapporto con il mondo femminile, che, come vedremo, è stato in totale armonia con lasua visione del mondo e del rapporto che deve intercorrere fra l’uomo e la divinità.

La Massoneria e la RivoluzioneEd. Firenze Libri s.r.l. (tel. 055.2001090 - fax 055.242818 - www.firenzelibri.it)

Una errata concezione attribuisce alla Massoneria il “complotto” per la Rivoluzione france-se e, spesso, per quante altre nella storia dell’umanità dal XVIII° secolo in poi. La Massoneria in real-tà bandisce dagli argomenti trattati nelle sue “tornate” quelli legati alla politica ed alla religione, inquanto ritiene che l’equità e l’equilibrio, che si addicono al comportamento dei fratelli nel tempio,potrebbero esser turbate ed infrante. Ma la libertà individuale dei suoi membri è tale che nessuno, nel-lo stesso tempio, potrebbe criticarne la fede religiosa e l’ideologia politica. Ma è vero nel contempo chegli ideali di libertà, fratellanza ed uguaglianza, non sono stati pure astrazioni metafisiche, ma anchevolontà di progresso ed evoluzione dell’umanità, espressi e perseguiti al di là, ma non al di sopra, del-le concezioni iniziatiche che sono l’essenza della Massoneria. Questo libro, noto nelle aule della filo-sofia e della storia in Europa è, per l’Italia, opera molto singolare ed inedita. E’un filo di Arianna checi guiderà nei labirinti percorsi da correnti sotterranee e sconosciute, che solo di tanto in tanto affio-rano, come fiumi carsici, al cielo aperto della storia. Le influenze esoteriche sul pensiero rivoluziona-rio è una tematica tuttavia nuova anche nella storiografia mondiale, che necessita ancora di un lungopercorso di studi. Il testo, corredato da un saggio storico di Silvio Calzolari, inizierà il lettore al pita-gorismo rivoluzionario ed al suo comunitarismo élitario.

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Via dei Tessitori n° 21tel. 0574-815468 fax 0574-661631

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L’ACACIARivista di Studi esoterici

N° 1/2 • Gennaio - Settembre 20021 O. Gallego, Editoriale3 A. Galoppini, Esoterismo tra arte ed ermetismo9 V. Serino, Messaggi simbolici e suggestioni pre-cristiane

in Piero della Francesca21 M. Bianca, Confluenze simbolico-noetiche tra arte ed

esoterismo33 M. Nicosia, L’armonia nascosta39 M. Neri, I rapporti tra esoterismo, essoterismo, arte,

bellezza e tradizione47 E. Lanfranco, Sekitei55 G. Thorel, L’arte esoterica59 M. Nicosia, L’attore, la maschera, il destino

IL LABORATORIO

N° 58 • Novembre - Dicembre 20022 A. Pacinotti, Editoriale5 D. Del Bino, Un caso limite d’incompatibilità9 C.L. Ciapetti, Destra e sinistra12 S. Frangioni, Revisionismo risorgimentale cattolico, sti

molo ad un revisionismo risorgimentale massonico14 G. Berni, Ascesa della montagna ed “esperienze delle

vette”16 F. Galeone, L’assistenza medica ai pellegrini nel Medioevo19 R. Wolf, Mozart e il denaro22 A. Panajia, Simboli nell’architettura e ruoli nel cantiere

gotico24 G. Scalamandrè, Il viandante25 M. Strammiello, Lo sviluppo del pensiero: arte e creatività

massonica26 S. Piazza, Memoria dell’epoca28 R. Ritorto, Antimassonismo: Animus patologico31 Notiziario

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RASSEGNA RIVISTE

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QUATUOR CORONATI - EMULATION 931Storia - Manoscritti - Comunicazioni - Opinioni - Rassegnastampa

N° 8 • Luglio - Dicembre 20022 V. Vanni, Editoriale4 G. Casolo, Gian Burrasca e Pinocchio, ovvero come edu

care l’infanzia da uomini liberi12 M. Giampaoli, Quatuor Coronati15 F. Pozzo, L’impresa polare del Duca degli Abruzzi ricor

data da Emilio Salgari17 B. Mucci, La guerra delle due rose e re Riccardo III:

colpevole o innocente?20 S. Sabatini, Donna: cittadino di pieno diritto21 Notiziario

IL PENSIERO MAZZINIANOPeriodico dell’Associazione Mazziniana Italiana-Onlus

Anno 57° - Nuova serie Luglio-Settembre 2002 Trimestrale n° 32 M. Viroli, Agli iscritti dell’AMI3 S. Mattarelli, Il rientro dei Savoia: contesti nazionali e

internazionali5 M. Viroli - R. Balzani, Sul rientro dei Savoia8 S. Mattarelli, In ricordo di AntonLuigi Aiazzi12 P. Bagnoli, Per una critica politica della transizione

incompiuta19 F. Rossolillo, Costituzione europea e potere nazionale21 M. Viroli, Scrivere la Costituzione24 A. Chiti-Batelli, Una lingua per l’Europa30 A. Pendola, Sul populismo. Una panoramica europea35 C. Giusti, Giappone e Singapore: l’inutile ferocia del pati

bolo36 L. Piccardo, Mazzini e la Russia43 I. Manzi, L’originalità delle istituzioni romane del 1849 nel

contesto dell’Europa del XIX secolo51 L. Bertuzzi, Maria Drago63 E. Costa, Genova democratica ai funerali di Maria Mazzini72 C. Passetti - C. Calabrò, Tre giornate di studio alla Domus

mazziniana di Pisa79 F. Melandri, L’utopista socratico. Una giornata di studi su

Nicola Chiaromonte84 G. Argnani, Questioni di genere; T. Mannarini, Del genere

e delle differenze94 T. Casadei, Le sfide globali95 Globalizzazione: dopo la democrazia l’Impero?105 M.C. Guberti, Il paradosso della povertà;

M.R. Rajagopalam, La globalizzazione e l’alternativa gandhiana; A.L. Aiazzi, Attualità del pensiero “globale” di C. Cattaneo

121 P. Sassetti, Investire controcorrente127 C. Flamigni, La legge sulla procreazione130 A. Brissoni, Lo scrupolo nello scienziato133 P. Caruso, La partecipazione politica dei giovani in Italia142 S. Mattarelli (a cura di), Rileggere Pinocchio. Incontro con

G. Raffi, S. Gioda.