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ANIEM Rassegna Stampa del 03/04/2017 La proprietà intellettuale degli articoli è delle fonti (quotidiani o altro) specificate all'inizio degli stessi; ogni riproduzione totale o parziale del loro contenuto per fini che esulano da un utilizzo di Rassegna Stampa è compiuta sotto la responsabilità di chi la esegue; MIMESI s.r.l. declina ogni responsabilità derivante da un uso improprio dello strumento o comunque non conforme a

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ANIEM

Rassegna Stampa del 03/04/2017

La proprietà intellettuale degli articoli è delle fonti (quotidiani o altro) specificate all'inizio degli stessi; ogni riproduzione totale o

parziale del loro contenuto per fini che esulano da un utilizzo di Rassegna Stampa è compiuta sotto la responsabilità di chi la

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quanto specificato nei contratti di adesione al servizio.

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INDICE

SCENARIO EDILIZIA

02/04/2017 La Repubblica - Milano 17

Affitti low cost verde e mix sociale alla Barona la sfida dell'housing

02/04/2017 La Stampa - Nazionale 19

Immigrati, 500 mila lavoratori fantasma Boom di sommerso senza decreti sui flussi

02/04/2017 La Stampa - Nazionale 22

"Nei cantieri Babele costruiamo l'Italia"

01/04/2017 La Stampa - Nazionale 24

Parigi fa lo sgambetto a Fincantieri sull'acquisto di Saint•Nazaire

01/04/2017 Milano Finanza 25

Tecnis, sindacati da Delrio

01/04/2017 Il Giornale - Nazionale 26

Cdp in utile, scontro su Fincantieri

01/04/2017 Libero - Nazionale 27

Pur di non dare all'Italia i cantieri navali la Francia nazionalizza

02/04/2017 QN - Il Resto del Carlino - Modena 28

«L'assessore Vandelli sbaglia su urbanistica e aree verdi»

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02/04/2017 QN - Il Resto del Carlino - Ascoli 29

Nuova graduatoria per l'assegnazione degli alloggi

01/04/2017 Il Mattino - Caserta 30

Cantieri edili assunzione di 25 unità

01/04/2017 Il Mattino - Salerno 31

Mille immigrati nei cantieri: «Rischio sfruttamento»

SCENARIO ECONOMIA

03/04/2017 Corriere della Sera - Nazionale 34

Banche da salvare Il «fai da te» delle regole Ue

03/04/2017 Corriere della Sera - Nazionale 36

Meno bonus fiscali per famiglie e imprese

02/04/2017 Corriere della Sera - Nazionale 39

La promessa di Gentiloni, giù le tasse e il costo del lavoro

02/04/2017 Corriere della Sera - Nazionale 41

«Lloyd's, tassi ancora troppo bassi Il grande rischio sono i mercati»

02/04/2017 Corriere della Sera - Nazionale 43

I nuovi voucher: lavoro a chiamata senza limiti di età *

01/04/2017 Corriere della Sera - Nazionale 45

Tasse sul lavoro, tagli solo per i neoassunti

01/04/2017 Corriere della Sera - Nazionale 46

Cassa Depositi, balzo degli utili 2016 «Ma non partecipiamo a tutte le crisi»

01/04/2017 Corriere della Sera - Nazionale 48

Boeri: così l'Inps è diventato più trasparente

01/04/2017 Corriere della Sera - Nazionale 49

Fondo salva banche, rosso da 2,6 miliardi

01/04/2017 Corriere della Sera - Nazionale 50

Riforme e meno Irpef: la ricetta Confcommercio per rilanciare i consumi

03/04/2017 Corriere L'Economia 51

CARO MUNCHAU, IL DEBITO C'È, MA LA CRESCITA?

03/04/2017 Corriere L'Economia 52

Troppe bugie (e alibi) sull'euro

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03/04/2017 Il Sole 24 Ore 53

Regole e deroghe da Roma a Bruxelles

03/04/2017 Il Sole 24 Ore 55

Banda ultralarga, la sfida è sui distretti

02/04/2017 Il Sole 24 Ore 59

Così l'effetto Nimby ha cambiato l'oil&gas

02/04/2017 Il Sole 24 Ore 61

Produttività, sgravi alle imprese

02/04/2017 Il Sole 24 Ore 63

A2A: quattro mesi per chiudere il dossier Lombardia

02/04/2017 Il Sole 24 Ore 64

Piazza Affari, i nuovi assetti al test dei soci

02/04/2017 Il Sole 24 Ore 66

La provocazione: Borsa commissariata per evitare Brexit sui listini

01/04/2017 Il Sole 24 Ore 68

Rallenta l'inflazione. In Europa e in Italia

01/04/2017 Il Sole 24 Ore 70

Per gli investimenti hi-tech il bonus è sempre «pieno»

01/04/2017 Il Sole 24 Ore 71

«Riscrivere le regole Ue, così non si aiuta l'impresa»

01/04/2017 Il Sole 24 Ore 72

«Con più partecipazioni aumenta del 50% la potenza finanziaria di Cdp»

01/04/2017 Il Sole 24 Ore 73

Pirelli torna in utile per 147 milioni

01/04/2017 Il Sole 24 Ore 74

Credit Suisse, inchiesta su 55mila conti sospetti

01/04/2017 Il Sole 24 Ore 75

«Enav, accordo in Libia per l'aeroporto di Mitiga»

03/04/2017 La Repubblica - Nazionale 77

Spese detraibili dal 19 al 18% Così il governo vuole tagliarle

02/04/2017 La Repubblica - Nazionale 79

Ecco il piano del governo Maxi-tagli al cuneo fiscale sui redditi sotto 40 mila euro

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02/04/2017 La Repubblica - Nazionale 80

Equitalia, tutte le cartelle on line e il contatore per le rateizzazioni

02/04/2017 La Repubblica - Nazionale 81

Bper, cambio con brivido i Fondi non si accordano su otto nuovi consiglieri

01/04/2017 La Repubblica - Nazionale 82

Perché i dazi di Trump faranno male

01/04/2017 La Repubblica - Nazionale 84

Dietro il super gasdotto affari con le cosche e casseforti offshore

01/04/2017 La Repubblica - Nazionale 86

L'altolà di Hollande a Fincantieri "Gli impianti di Stx restino francesi"

01/04/2017 La Repubblica - Nazionale 88

Presidenza Telecom, de Puyfontaine in pole

01/04/2017 La Repubblica - Nazionale 89

Api prepara la svolta: famiglia in minoranza pur di rilevare TotalErg

03/04/2017 La Repubblica - Affari Finanza 91

"Basta pagamenti in ritardo" Bruxelles richiama l'Italia

03/04/2017 La Repubblica - Affari Finanza 93

L'ULIVO BUONO E QUELLO CATTIVO

03/04/2017 La Repubblica - Affari Finanza 94

Le imprese che scaldano il motore*

03/04/2017 La Repubblica - Affari Finanza 96

Banche, processo alla Vigilanza*

03/04/2017 La Repubblica - Affari Finanza

Le guerre di Leonardo e Fincantieri*

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03/04/2017 La Repubblica - Affari Finanza

ALGORITMO SALVA-ITALIA VITTORIA DI PADOAN

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01/04/2017 La Stampa - Nazionale

Casa quanto mi costi Arriva il nuovo catasto

104

03/04/2017 Il Messaggero - Nazionale

Ticket, revisione formato famiglia

106

02/04/2017 Il Messaggero - Nazionale

Sbloccati 47,5 miliardi per le opere pubbliche

108

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02/04/2017 Il Messaggero - Nazionale

«Coop, è iniziato il tratto finale sulla via del matrimonio a tre»

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01/04/2017 Il Messaggero - Nazionale

Alitalia, pronta l'operazione da 1,9 miliardi

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SCENARIO PMI

01/04/2017 Il Sole 24 Ore

A Pisa la fabbrica dell'innovazione

115

01/04/2017 Il Sole 24 Ore

Bombassei nella Automotive Hall of Fame

116

01/04/2017 Il Sole 24 Ore

Eni cede le attività gas&power retail in Belgio

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01/04/2017 Il Messaggero - Abruzzo

Sostegno alle aziende da Confidi Systema

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02/04/2017 Il Giornale - Nazionale

Anche Gentiloni fa promesse ma chiude gli occhi sull'Iva

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02/04/2017 L'Unità - Nazionale

E Gentiloni punta a ridurre il costo del lavoro

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SCENARIO EDILIZIA

11 articoli

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02/04/2017

Pag. 1 Ed. Milano

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 17

LA CASA

Affitti low cost verde e mix sociale alla Barona la sfida dell'housing

LUCA DE VITO

A PAGINA V LA SCOMMESSA è stata lanciata su basi solide: tanto verde, discreti servizi e un quartiere

che sta imparando a scrollarsi di dosso la fama di periferia degradata.

In via Voltri, alla Barona, è nato un complesso abitativo dove il mix sociale è stato creato a tavolino: affitti a

canone sociale e moderato di fianco a edifici in edilizia convenzionata. In buona parte di queste case le

persone ci vivono già. E ieri, per tutto il giorno, gli inquilini delle palazzine in affitto hanno festeggiato

l'inaugurazione di questo esperimento: torte, pizzette e bibite, in una stanza al piano terra affollata di

giovani, anziani e bambini, tra musica e parole di speranza.

Quello di via Voltri è una specie di oasi nel deserto: la nascita di case popolari (gestite da privati) in un

periodo storico in cui a Milano l'edilizia popolare è immobile da anni. Tutto comincia nel 2005, quando

l'allora sindaco Albertini aprì alla realizzazione di un complesso abitativo in quell'area con precise regole: il

25 per cento doveva essere dedicato all'housing sociale e il resto a vendite con prezzi calmierati, per un

totale di 330 appartamenti. Un progetto per cui sono arrivati i soldi della Regione che ha cofinanziato all'80

per cento gli affitti in canone sociale (57 abitazioni, il 90% andato a famiglie immigrate) e al 40 quelli a

canone moderato (56 abitazioni). La vicenda si è trascinata negli anni a causa dei continui passaggi di

mano: il vincitore della gara, la Pessina Costruzioni, ha ceduto la gestione delle case a un fondo il quale a

sua volta si è dovuto agganciare a Cassa depositi e prestiti. Dodici anni di attesa hanno portato a un

risultato anche grazie all'intervento della cooperativa "Dar Casa" che si è fatta carico della gestione e che

per la prima volta si trova a gestire inquilini a canone sociale (ovvero che pagano in base al reddito). «La

scommessa è creare un clima di persone che cerchino di stare insieme - ha detto l'assessore alla Casa

Gabriele Rabiaiotti ieri ai nuovi abitanti - . Saper stare insieme è una risorsa che non dà un ritorno

economico ma è un bene inestimabile. Molti privati che hanno i soldi non riescono a creare ambienti come

questo, riuscirete a mantenerlo se guardate al vostro vicino come a un amico e non un nemico». In anni in

cui la questione abitativa ha assunto i connotati dell'emergenza, la nascita di quartieri popolari è una buona

notizia per chi è in difficoltà economiche. Ma gli ostacoli sul percorso di integrazione e sulla creazione del

mix sociale sono da superare ogni giorno. «Il progetto di vivere insieme? Un sogno, ma ci sarà molto da

lavorare», dice Mara Ugenti, una signora che ha appena ha da poco avuto le chiavi di casa per cui paga un

affitto calmierato: 600 euro al mese per un trilocale, mentre in zona due stanze possono arrivare anche

sopra i 750. «Sono felice di essere qui - aggiunge - mi auguro che davvero possa nascere un clima di

solidarietà reciproca». La geografia del luogo, del resto, non aiuta. Le case in affitto sono colorate di

marrone, mentre quelle in vendita sono color glicine. A dividerle c'è poi una rete di ferro che di fatto

impedisce il passaggio da una parte all'altra del complesso immobiliare: per farlo, bisogna uscire sul

marciapiede ed entrare dalla porta principale.

C'è poi un piccolo caseggiato basso, nato insieme alle case, che secondo i progetti dovrebbe diventare

una delle sedi centrali del settore Servizi sociali di Palazzo Marino. Ma i tempi per l'assegnazione sono

lunghi e nel frattempo rimane vuoto.

Difficoltà, quindi, non mancano. Ma per i gestori di "Dar Casa" la scommessa è appena iniziata. «È un

traguardo perseguito per anni - dice il presidente Sergio D'Agostini - offriamo alla città oltre cento alloggi

sociali di cui più della metà assegnati a famiglie in attesa da tempo nelle graduatorie Erp del Comune.

Questo avviene all'interno di un intervento di qualità, con elevata diversificazione sociale, in un buon

contesto urbano ricco di verde e di servizi. Una sperimentazione concreta di come il privato sociale può

contribuire a coprire la domanda abitativa cittadina, anche la più disagiata, e a ridare dignità all'edilizia

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 18

popolare riscattandola dallo stigma negativo».

IL PROGETTO L'AREA PUBBLICA In via Voltri 330 case, tra le poche costruite su terreni comunali negli

ultimi dieci anni L'ATTESA Ieri una festa di inaugurazione tra i nuovi abitanti ha ufficialmente chiuso il

progetto

IL MIX ABITATIVO Il 25 per cento degli appartamenti è per housing sociale, il resto alla vendita a prezzo

calmierato

Foto: VIA VOLTRI Verde e giochi per bambini tra i nuovi palazzi inaugurati alla Barona. I 330 appartamenti

sono un esperimento di mix abitativo su terreni pubblici, con famiglie arrivate dalle graduatorie per le case

popolari e alloggi in vendita a prezzi calmierati

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 19

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Immigrati, 500 mila lavoratori fantasma Boom di sommerso senza decreti

sui flussi

Lo studio Inps: l'occupazione straniera non ha legami con i salari bassi Accettano professioni umili, sono flessibili e non rubano il posto a nessuno ALESSANDRO BARBERA

ROMA Quante volte l'avete sentito dire? Quante volte vi siete fatti irretire dalla rassicurante convinzione

che gli immigrati rubano lavoro e futuro? Lo sospetta persino Bakari, uno dei giovani africani che ogni

mattina pulisce le strade di Roma Nord nel timore di essere arrestato. Non ha bisogno di molto: una

ramazza, una paletta, due pezzi di cartone con cui - quasi scusandosi per il disturbo - chiede in italiano

qualche centesimo e una manciata di dignità. A Roma l'inefficienza dell'Ama ha raggiunto un livello tale da

trasformare truppe di irregolari nel più straordinario spot a favore dell'integrazione. Bakari si aggira attorno

a una grande struttura della Polizia, e nessuno sente il bisogno di distoglierlo dalla rimozione meticolosa

delle ortiche ai lati di un marciapiede più simile a quelli di Accra che di una capitale europea. Meno male

che Bakari c'è: secondo la più classica delle regole del mercato, colma la domanda inevasa di decoro di

una città sull'orlo perenne del collasso finanziario. Gli immigrati non rubano il lavoro agli italiani, né - se

regolari - spingono al ribasso i salari. Non è l'opinione parziale di un romano o di anime belle. Lo dice con

dati inoppugnabili una recente ricerca di tre studiosi: Edoardo di Porto dell'Università Federico II di Napoli,

Enrica Maria Martino del Collegio Carlo Alberto di Torino e Paolo Naticchioni di Roma Tre. Non è l'unico

studio sul tema, ma è il primo che censisce un intero campione di immigrati. Lo hanno fatto grazie ad una

borsa VisitInps, il progetto voluto dal presidente Tito Boeri che mette a disposizione della ricerca l'enorme

mole di dati dell'Istituto di previdenza. I protagonisti dello studio sono i 227mila lavoratori di 107.000

imprese private (esclusa l'agricoltura) emersi grazie alla più grande sanatoria mai effettuata in Italia, quella

decisa a settembre 2002 dal secondo governo Berlusconi che regolarizzò 650mila persone. Le due

sanatorie successive furono drasticamente inferiori: nel 2009 furono accolte 222mila richieste su 295mila,

nel 2012 passarono appena 60mila richieste su 134mila. Il numero di extracomunitari in rapporto alla

popolazione in Italia è volato in quindici anni: dall'1,7 per cento del 1998 all'8 del 2012. Oggi quella crescita

è azzerata o quasi: gli immigrati censiti in Italia sono poco più di cinque milioni, due terzi dei quali

extracomunitari. In Francia sono 4,3 milioni (ma con un altissimo numero di immigrati di seconda e terza

generazione), in Germania i residenti stranieri sono ben sette milioni e mezzo. Il crollo Se una volta gli

immigrati si fermavano in Italia per cercare fortuna, oggi la gran parte di loro si spinge verso nord. Fra il

2008 e il 2013 i permessi di soggiorno per lavoro sono passati da 738mila a 1.442mila, ma negli ultimi anni

la progressione è calata fino ad azzerarsi: nel 2013 sono stati appena lo 0,46 per cento in più dell'anno

precedente. Chi non ha potuto avere il rinnovo annuale del permesso è lentamente scivolato nel lavoro

irregolare. Danesh Kurosh del dipartimento immigrazione Cgil spiega che la progressiva chiusura dei

decreti flussi sta ingrossando il sommerso: oggi quelli che lavorano senza una regolare posizione

contributiva sono almeno 500mila. Cosa accadeva quando l'Italia era invece fra i principali Paesi di

destinazione e accettava di buon grado le regolarizzazioni? La novità della ricerca Inps è nella precisione

dei dati a disposizione: la sanatoria di fine 2002 imponeva alle imprese di assegnare a ciascun lavoratore

emerso un codice rimasto negli archivi dell'Istituto. I numeri A fine 2003, appena un anno dopo, nove di

quei dieci immigrati lavoravano ancora in Italia. Dopo cinque anni erano ancora l'85 per cento. Ma la cosa

ancora più sorprendente è che dopo due anni solo il 45 per cento di quel campione era impiegato nella

stessa impresa, dopo cinque più di un lavoratore su tre aveva cambiato provincia. «I dati suggeriscono che

queste persone erano e sono disposte ad una mobilità che gli italiani non hanno mai avuto», spiega Di

Porto. Per intenderci: la probabilità di cambiare impresa per un lavoratore italiano negli ultimi trent'anni è

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 20

02/04/2017

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diffusione:150427

tiratura:216821

stata appena del 15 per cento. Inoltre «la persistenza nel mercato italiano associata al rapido cambiamento

di impresa e residenza dimostra un eccesso di domanda insoddisfatta per mestieri a bassa qualifica».

Questi numeri confermano una tendenza che si noterà anche negli anni della crisi. Linda Laura Sabattini

dell'Istat ha fatto notare che mentre i posti scendevano nell'industria, nell'edilizia, nel commercio, gli

occupati stranieri aumentavano comunque nei servizi alle famiglie e nella ristorazione: riecco la domanda

inevasa. L'evidenza dei numeri Inps non solo conferma l'utilità della forza lavoro immigrata, ma smonta un

altro falso mito, ovvero la presunta spinta al ribasso dei salari. Nei dati il fenomeno emerge solo nei primi

tre mesi: le retribuzioni medie degli emersi fanno scendere di circa il 16 per cento il salario delle imprese

che li regolarizzano. Ma in meno di un anno quel gap si chiude. La sanatoria della Bossi-Fini produsse

l'emersione di due-tre lavoratori a impresa nell'arco di tre mesi. Sei mesi dopo il numero degli occupati era

lo stesso, a dimostrazione che la gran parte delle aziende, se nelle condizioni di farlo, non aveva interesse

ad occupare irregolari. Raccontare con dovizia di dettagli la storia di ieri aiuta a capire cosa fare oggi e

domani. Il ministro dello Sviluppo tedesco Gerd Mueller stima che dall'Italia solo quest'anno potrebbero

transitare fino a quattrocentomila persone, il doppio dell'anno scorso, venti volte quelle sbarcate nel 1997.

La mera chiusura delle frontiere rischia di scaricare decine di migliaia di Bakari sulle strade italiane. Il

ministro Marco Minniti propone di utilizzare i richiedenti asilo nei Comuni e per lavori di pubblica utilità, ma

in mezzo a quelle decine di migliaia di persone ci saranno molti migranti economici. Dimenticate per un

momento l'esodo di cinque milioni di siriani, o la tragedia della Libia orfana di Gheddafi. Sui barconi che dal

Mediterraneo si spingono lungo le cose siciliane ci sono anzitutto migranti in cerca di fortuna. Giovedì

scorso a Pozzallo sono arrivate su una nave 428 persone: più di trecento erano marocchini. Gli emersi

dalla sanatoria 2002 erano quasi per la metà (il 45 per cento) dipendenti in due settori, manifattura e

costruzioni. Dopo cinque anni quella percentuale era salita al 60 per cento: una conferma in più della

tendenza degli immigrati a compensare la scarsa offerta di manodopera. Liliana Ocmim è peruviana, vive in

Italia da 25 anni, ha tre figli e fa la presidente del dipartimento immigrati Cisl: «Come è possibile che i

giovani italiani all'estero siano disponibili ai lavori umili che qui rifiutano?» La risposta è amara, e dice molto

dei problemi del Belpaese. Immigrati mobili Negli anni della crisi la salvezza di quegli immigrati è stata

ancora una volta la mobilità: «Molti sono rientrati nel proprio Paese dove hanno trovato il lavoro che qui

avevano perso», racconta Mohamed Saady, edile e presidente della Anolf-Cisl. Ocmim allarga le braccia:

«Questi numeri confermano quanto siano sbagliate le politiche di chiusura. Più il lavoro è irregolare, più

aumenta la concorrenza al ribasso». La ricerca dice una cosa chiara: la sanatoria della Bossi-Fini non fu un

regalo a persone poi tornate nell'illegalità, ma un riconoscimento a chi già lavorava in Italia ed è rimasto a

lavorare in Italia. Uno dei luoghi comuni sugli immigrati vuole che siano un salasso per lo Stato. E invece è

vero il contrario. Pochi giorni fa a Biennale Democrazia Boeri ricordava che i lavoratori stranieri residenti in

Italia versano otto miliardi di contributi sociali all'anno e ne ricevono tre in prestazioni. Vero è che molti di

loro domani avranno una pensione, ma non tutti: l'Inps calcola che sin qui gli immigrati hanno regalato al

sistema previdenziale 16 miliardi di contributi. Spiega Boeri: «Chiudere le frontiere produce solo tre risultati:

più evasione contributiva, schiaccia i salari, aggrava i problemi sociali. Per far sopravvivere l'Europa

occorre una politica comune dell'immigrazione, una gestione del problema dei rifugiati e la revisione della

convenzione di Dublino. Ma è possibile crederci con i populisti al potere in cinque Paesi dell'Unione?».

Twitter @alexbarbera

Straniere 25 mila aziende agricole Campi global Un'azienda agricola italiana su 3 conta almeno un

lavoratore straniero che spesso è anche l'amministratore dell'impresa. Il «Made in Italy» agroalimentare

cresce col lavoro degli stranieri: 25mila gli imprenditori attivi nel settore che danno spinta alla crescita del

Paese, versando nelle casse dello Stato oneri fiscali (6 miliardi) e previdenziali (5 miliardi). Nei dati Cia

sono occupati nel settore 320 mila stranieri, di cui 128 mila extracomunitari, tra stabili e stagionali. Basti

pensare agli indiani Sikh, impegnati negli allevamenti e diventati abili anche nella produzione di Grana e

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Parmigiano Reggiano. I romeni invece si distinguono nella potatura di viti e ulivi, oltre che nella pastorizia,

mentre i macedoni nella vinificazione e manutenzione di piante e cantine. Gli inglesi e gli olandesi sono

specializzati nella gestione di agriturismi e maneggi. Nel turismo rurale si affacciano statunitensi e svizzeri.

Intanto l'età media dei titolari d'azienda italiani supera i 60 anni e il ricambio generazionale nei campi è

sceso sotto il 7%. Ai lettori Assieme all'Italia che funziona c'è anche un'Italia che non va. Segnalateci tutto

ciò su cui a vostro avviso vale la pena di indagare scrivendo a: inchieste@ lastampa.it 251 mila 1998 La

legge Turco•Napolitano (1998) ha fatto emergere 251mila extracomunitari 705.138 2002 Le regolarizzazioni

chieste nel 2002. Ne sono state accolte 650 mila Emersione I protagonisti dello studio sono 227mila

lavoratori di 107.000 imprese (esclusa l'agricoltura) emersi grazie alla più grande sanatoria mai effettuata in

Italia, quella voluta a settembre del 2002 dal secondo governo Berlusconi che regolarizzò circa 600mila

persone 45% Mobilità A due anni dalla regolarizzazione il 45% degli immigrati era impiegato nella stessa

impresa, dopo 5 anni più di un lavoratore su 3 aveva cambiato provincia. Negli ultimi 30 anni la probabilità

di cambiare impresa per un italiano è stata del 15%

295.130 2009 Le domande nel 2009 sono state 295.130, ne furono accolte 222 mila 134.772 2012 Le

richieste nel 2012 sono state 134.772, quelle accordate appena 60 milaLavoratori immigrati A due anni

dall'emersione, solo il 45% è ancora occupato nella stessa impresa in cui è emerso la maggior parte delle

regolarizzazioni avviene nelle grandi città Milano, Roma, Torino e Firenze contano per circa un terzo degli

emersi Il 45% emerge nel settore manifatturiero o delle costruzioni. Dopo 5 anni, più del 60% dei

regolarizzati si concentra in questi due settori: questo suggerisce uno spostamento dagli altri settori al

settore delle costruzioni, che raddoppia dal 15 al 30% Gli stranieri in Italia sono 5.026.153 ( 12.000 in più

nell'ultimo anno) 4 milioni sono immigrati che provengono da paesi non comunitari ma che hanno un

regolare permesso di soggiorno, sia di lungo sia di breve periodo 227.000 lavoratori emersi nel settore

privato (esclusa agricoltura) a seguito della regolarizzazione straordinaria associata alla Bossi Fini-

anno2003 L'85% è ancora presente dopo 5 anni nell'elenco dei dipendenti delle imprese private non

agricole in Italia. Solo il 65% resta nella stessa provincia in cui è emerso L'emersione comporta un aumento

degli occupati nelle imprese amnistianti di 2-3 lavoratori a tre mesi dall'emersione; già dopo sei mesi, le

imprese che hanno regolarizzato lavoratori non sembrano avere differenze significative nel numero di

occupati Nei primi 3 mesi dopo l'emersione, i salari medi delle imprese amnistianti sono più bassi di circa il

16% rispetto al salario medio mensile. Questo suggerisce che i nuovi entrati avessero un salario più basso

rispetto ai colleghi. Tale differenza scompare nei mesi successivi In Italia gli immigrati regolari sono l'8,3%

della popolazione In Francia sono il 6,6% In Germania il 9,3% Fonti: Istat, Inps, Edoado Di Porto, Enrica

Maria Martino, Paolo Naticchioni

- LA STAMPA

Foto: Nella foto, un uomo di origini romene pulisce il pavimento di una chiesa a Guidonia, Lazio

Foto: DIDIER RUEF/LUZ

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L'OPERAIO EDILE

"Nei cantieri Babele costruiamo l'Italia"

Azzeddine Fridhi racconta il lavoro in una azienda edile "Ad ogni nazionalità corrisponde una specializzazione" GIACOMO GALEAZZI

INVIATO A BOLOGNA In cantiere conta come lavori, non dove sei nato». A 57 anni Azzeddine Fridhi

descrive la mansione di carpentiere alla Cea, azienda edile di Calderara di Reno, come l'approdo di un

cursus honorum. Da bracciante a Trapani agli impieghi stagionali in agricoltura a Foggia, in un quarto di

secolo l'immigrato tunisino senza documenti è diventato l'orgoglioso cittadino di Monghidoro («il paese di

Gianni Morandi», precisa) e il referente della locale comunità islamica («siamo tanti»). Racconta delle notti

per strada, dei giaciglio di fortuna, dell'arte di arrangiarsi «restando sempre nella legalità». Il volto si

rasserena man mano che i fili della memoria percorrono l'Italia verso nord. «Quando sono sbarcato in

Sicilia mi sono guardato intorno e ho cominciato a lavorare in nero: frutta e verdura. La paga a giornata era

leggera e le cassette pesanti, non avevo le carte per essere messo in regola né un mestiere specifico su

cui poter contare- spiega Azzeddine-.Dopo essermi dato da fare in Puglia e aver accettato qualunque

occupazione temporanea, ho capito che se volevo dare un futuro migliore a mia moglie e ai nostri due figli

dovevo spostarmi nel settentrione». E sull'Appennino emiliano l'integrazione cammina sulle sue gambe di

apprendista manovale. Nella provincia di Bologna il 62% dei lavoratori edili non è italiano (venti punti in più

della media nazionale) e Azzeddine sperimenta cantieri-melting pot nei quali alla nazionalità corrisponde

una specializzazione professionale. «Egiziani e albanesi sono spesso trasfertisti, cioè arrivano dal

Bresciano e dal Veneto. Hanno contratti di cantiere e restano in Emilia solo per la durata dell'opera-

dettaglia con entusiasmo-.A piantare i pali nelle fondamenta degli edifici sono quasi sempre i marocchini,

mentre i pakistani montano i ponteggi e i rumeni scavano le gallerie e mettono le piastrelle». Una Torre di

Babele che all'inizio stordisce Azzeddine, abituato in mezzo a piccoli gruppi di connazionali nel

Mezzogiorno, ma che progressivamente diventa la sua casa, finché nel '97 entra stabilmente alla Cea. Col

buon senso, assicura, si appianano tutte le difficoltà di ambientamento. Snocciola episodi e problemi

superati, traendone la conclusione che «è più facile integrarsi sul lavoro che fuori». Fino al 2008, «il

mercato era affamato di muratori: altro che rubare il lavoro agli italiani, come dice certa propaganda politica,

le aziende avevano disperato bisogno di manodopera», poi la crisi. Dalla finestra della Camera del lavoro di

Bologna, Azzeddine indica i tanti immigrati che deambulano nel limbo della stazione ferroviaria. «Senza

un'occupazione, si perde la dignità», scuote la testa preoccupato. Gli occhi tornano ad accendersi non

appena il pensiero torna tra i colleghi. «Venire da culture differenti serve a imparare cose nuove-

garantisce-.Da noi in azienda gli ortodossi hanno le ferie a gennaio per andare a festeggiare in patria il loro

Natale, mentre durante il Ramadan la deroga dell'imam consente a chi ha mansioni più pericolose di non

dover aspettare il tramonto per bere e mangiare». Tanti accorgimenti, dalla pausa per la preghiera ai riposi

cumulati per permettere ai maghrebini di tornare a casa d'estate. «Qui alla variante di valico hanno lavorato

operai di ogni etnia, tanti sono rimasti ad abitare a Vergato e negli altri paesi dell'area: sono ben inseriti -

osserva-.Per costruire un palazzo o una strada servono impegno e serietà. Alle imprese interessa la

competenza non l'appartenenza religiosa o il luogo di provenienza. Le incomprensioni le trovo in giro, non

sul luogo di lavoro». Il riferimento, amaro ma senza rancore, è a quanti al bar addebitano «a qualunque

islamico i crimini commessi da pochi delinquenti», ma è presto spazzato via da ben altro lampo nello

sguardo. Gli occhi di Azzeddine diventano lucidi e fieri al solo menzionare i risultati universitari dei figli e la

considerazione conquistata nel comune di residenza. «Lì mi conoscono tutti e andiamo d'accordo senza

distinzione tra italiani e stranieri», sorride. Oltre a sfatare il luogo comune degli immigrati che rubano il

posto di lavoro alla gente del luogo («è nata a Bologna solo il 10% della manodopera edile della

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provincia»), Azzeddine giura di non essermi mai sentito discriminato. «E' falso che l'Italia sia un paese

razzista, qui mi sento a casa», rimarca. A far distinzione è soltanto il comportamento delle persone. «Per

chi si comporta bene e lavora sodo, le porte si aprono ovunque». Del resto, «sono nato vicino Cartagine e

me ne sono dovuto andare perché in patria ero troppo povero e non avevo di che vivere: da lì si vedono più

resti romani che ai Fori imperiali, come si fa a non sentirsi cittadini del mondo?». Soprattutto se allo stadio

si tifa «per il Bologna» e si incanutisce ascoltando «le canzoni di Morandi».

Foto: Appalti A costruire strade e palazzi sono maestranze specializzate provenienti soprattutto da

Romania, Marocco, Tunisia, Albania, Egitto, Pakistan Ciascuna specializzata per le varie mansioni

Foto: ANTONIO FACCILONGO/LUZ

Foto: Dalla Tunisia Prima di approdare alla Cea, dove fa il carpentiere, Azzeddine Fridhi, 57 anni, ha fatto il

bracciante a Trapani e vari lavoretti temporanei in Puglia

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il caso

Parigi fa lo sgambetto a Fincantieri sull'acquisto di Saint•Nazaire

La Francia vuol nazionalizzare il cantiere per impedire la cessione agli italiani Costamagna, presidente di Cdp: "Posizione vergognosa e inaccettabile" LEONARDO MARTINELLI

PARIGI Una possibilità reale? O l'ennesimo bluff in una partita da poker finanziario che ha stancato un po'

tutti? A Parigi girano insistenti le voci che lo Stato francese stia abbandonando Fincantieri al suo destino

nel negoziato per la cessione al gruppo italiano dei cantieri di Saint-Nazaire, sulla costa atlantica. L'idea

sarebbe una «nazionalizzazione temporanea», si legge nell'edizione di ieri pomeriggio di Le Monde, che

cita fonti interne al ministero dell'Industria. Questo, indica il quotidiano, «cercherebbe in seguito partner più

soddisfacenti di Fincantieri». Altre fonti vicine alla trattativa, in realtà, suggeriscono che Christophe Sirugue,

il ministro competente, stia ancora parlando con Giuseppe Bono, alla guida di Fincantieri. Il prestigioso Le

Monde sarebbe diventato il semplice vettore delle pressioni esercitate dal governo francese sugli italiani.

Sta di fatto che, tra poco meno di un mese, ci sono le presidenziali. E se si vuole concludere, sarà bene

farlo in fretta, perché François Hollande smobiliterà e Sirugue con lui. Ieri, intanto, a commentare le voci, è

intervenuto pure Claudio Costamagna, presidente di Cdp (Cassa Depositi e Prestiti), che controlla

Fincantieri. «È vergognosa e inaccettabile la posizione dei francesi in questa vicenda - ha detto -,

soprattutto alla luce di tutto quello che i francesi hanno fatto in Italia», alludendo al loro frenetico shopping

di aziende, negli ultimi anni. I cantieri di Saint-Nazaire erano sull'orlo della bancarotta, quando, nel 2008, li

acquisì il gruppo sudcoreano Stx. Lo Stato francese mantenne una minoranza di blocco (il 33%) e l'accordo

prevedeva che potesse rilevare, se e quando volesse, il resto del capitale. Oggi Stx sta fallendo, mentre Stx

France, come si chiama Saint-Nazaire, con 7 mila lavoratori, va a gonfie vele. All'inizio dell'anno il tribunale

di Seul, che sta vendendo a pezzi Stx, ha accettato l'offerta avanzata dal colosso pubblico Fincantieri.

Proprio pochi giorni fa avrebbe anche fissato definitivamente il prezzo, compreso fra gli 80 e i 90 milioni di

euro. Ma, nel frattempo, è partito il negoziato con lo Stato francese, che deve dare il via libera finale

all'operazione. E che, sotto la pressione dei sindacati, ha imposto varie condizioni. Non vuole che

Fincantieri detenga il 67%, come previsto. Ma che scenda, anche di poco, sotto il 50%, per diventare

azionista di riferimento ma non maggioritario. Fincantieri deve portarsi dietro un altro partner, un

connazionale se vuole, ma non deve essere pubblico e soprattutto legato al gruppo (Bono a un certo

momento aveva cercato di piazzare proprio l'ipotesi Cdp). All'apparenza finora gli italiani non hanno

soddisfatto le aspettative. E allora, secondo Le Monde, spazientito, lo Stato francese prenderebbe il

controllo del 100% per poi rivendere due quote del 20% o poco più all'italo-svizzero Msc e all'americano-

norvegese Royal Caribbean, i due maggiori clienti di Saint-Nazaire (lì stanno facendo costruire alcune delle

loro imponenti navi da crociera). Poi un 10% finirebbe nelle mani di Dcns, i cantieri militari pubblici francesi.

E una quota equivalente ai dirigenti e dipendenti dell'azienda. Da sottolineare: nessuno di questi ha

competenze nella costruzione navale privata a differenza di Fincantieri. L'eventuale nazionalizzazione,

però, dovrebbe essere decisa molto in fretta da Hollande, vista la scadenza elettorale. Se, come indicano i

sondaggi, Emmanuel Macron, dalle aspirazioni più liberiste, lo sostituirà, non è detto che confermi

quell'opzione. Potrebbe, invece, piacere a Marine Le Pen, sua rivale probabile al ballottaggio. 67 per cento

La quota dei cantieri francesi a cui punta Fincantieri 7 mila I lavoratori occupati nei cantieri di SaintNazaire

Foto: AFP

Foto: In vendita Il gruppo coreano Stx ha rilevato i cantieri francesi di Saint•Nazaire nel 2008. adesso vuole

uscirne

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LA PRESA DI POSIZIONE DEGLI EDILI DI FILLEA, FILCA E FENEAL

Tecnis, sindacati da Delrio

A margine dell'inaugurazione della nuova tratta della metro di Catania, le organizzazioni dei lavoratori hanno incontrato il ministro. Mancano all'appello 40 milioni di euro di incassi. Un vertice a Roma per le criticità Carlo Lo Re

La visita di Graziano Delrio a Catania, per inaugurare una nuova tratta di metropolitana, ha dato al ministro

la possibilità di un «update» sulle criticità del capoluogo etneo, a partire dalla vicenda Tecnis. I sindacati,

infatti, hanno colto al volo l'opportunità della sua presenza e lo hanno incontrato, avanzando specifiche

richieste. «Lo abbiamo detto al ministro e al prefetto: la Tecnis si è liberata dal fardello del debito, ma soffre

di una crisi di liquidità. Mancano all'appello quasi 40 milioni di euro di incassi per l'inerzia delle

amministrazioni debitrici». I segretari generali di Fillea Cgil (Giovanni Pistorìo), di Filca Cisl (Nunzio Turrisi)

e di Feneal Uil (Antonino Potenza), proprio in occasione dell'avvio della nuova tratta Borgo-Nesima della

metropolitana etnea, i cui lavori sono stati realizzati da Metro Catania 2013, società consortile del Gruppo

Tecnis, hanno incontrato insieme alla rappresentanza sindacale di cantiere, il sindaco della città, Enzo

Bianco, l'assessore regionale ai Lavori pubblici, Giovanni Pistorio, il prefetto di Catania, Silvana Riccio, e il

ministro Delrio. «Le nostre preoccupazioni rispetto alla occupazione attuale e alla occupabilità futura dei

dipendenti del colosso delle costruzioni catanesi, sono molto forti», hanno spiegato in una nota congiunta i

tre segretari, «in queste condizioni qualsiasi sforzo fatto potrebbe essere vanificato e potrebbe venire meno

l'occupazione in tanti delicatissimi cantieri i cui lavori sono in fase avanzata o dovrebbero avere inizio da un

momento all'altro. Ricordiamo che è di circa 1.300 milioni il volume delle commesse in portafoglio lavori».

Una cifra sicuramente ragguardevole, fondamentale per i piani di sviluppo della società di Mimmo Costanzo

e Concetto Bosco. Per i sindacati, «nel corso di quest'ultimo anno di amministrazione giudiziaria, e a costo

di enormi sacrifici, i lavoratori non hanno fatto venire mai meno il loro impegno e hanno sempre seguito

passo dopo passo l'operato degli amministratori giudiziari». Dal canto suo, il sindaco Bianco si è impegnato

a sollecitare prima possibile, insieme al prefetto, il sindaco di Roma per accelerare la pratica per i lavori

svolti da Tecnis in zona Tiburtina (20 milioni di euro). Delrio ha già interessato il presidente dell'Autorità

portuale di Genova, che solleciterà ulteriormente, in merito al premio di accelerazione dovuto a Tecnis per

avere consegnato in anticipo i lavori (11,8 milioni). I sindacati hanno anche apprezzato l'impegno

dell'assessore regionale ai Lavori pubblici, Giovanni Pistorio, sul fronte dei lavori dell'anello ferroviario di

Palermo. È evidente come i circa 40 milioni di euro che mancano oggi dalle casse di Tecnis siano centrali

per la gestione del presente e la corretta impostazione del futuro della compagnia. Nel corso dell'incontro

con il ministro, i sindacati hanno anche affrontato un'altra criticità di Tecnis, quella derivante da una vicenda

di tasse. Una interpretazione di Riscossione Sicilia avrebbe determinato un mancato incasso di circa 4

milioni di euro, somma che stava per transitare dalle casse dell'Anas a quelle della società. Il blocco non ha

permesso il saldo delle retribuzioni del mese di febbraio a molti lavoratori, con i comprensibili disagi del

caso. La prossima settimana un vertice a Roma per discutere di tutte le criticità. (riproduzione riservata)

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SVALUTATA LA QUOTA DEL FONDO ATLANTE

Cdp in utile, scontro su Fincantieri

Costamagna: «Stx? Da Francia atteggiamento inaccettabile». L'ipotesi nazionalizzazione RITORNO AL PROFITTO L'utile segna 1,1 miliardi: più risorse per eventuali operazioni di sistema Camilla Conti

«Vergognoso» e «inaccettabile». Il presidente di Cdp, Claudio Costamagna definisce così il comportamento

della Francia in merito all'interesse della controllata Fincantieri per i cantieri navali di Stx France dopo

l'indiscrezione di Le Monde secondo cui lo Stato francese sta considerando di nazionalizzare il sito di Saint-

Nazaire pur di non venderlo più. «Speriamo sia solo una manovra pre-elettorale francese e che dopo le

elezioni possa essere risolta. Come italiani abbiamo vergogna per questo atteggiamento» dei transalpini.

Non è accettabile che un paese come la Francia prenda posizione come questa, soprattutto alla luce di

tutto quello che i francesi hanno fatto in Italia», ha sottolineato ieri Costamagna alla presentazione del

bilancio 2016 di Cdp. Ricordando che i cantieri erano controllati dai coreani e adesso che arrivano degli

europei alzano la bandiera del 51%». Nel frattempo, il governo brinda ai risultati della Cassa Depositi che

ha archiviato il 2016 con un utile netto della capogruppo di 1,7 miliardi (+86% rispetto a 900 milioni nel

2015) e un utile netto di gruppo a 1,1 miliardi (rispetto alla perdita di 900 milioni del 2015). Profitti «che

tornano al Paese», ha detto Costamagna, sotto forma di dividendi per il ministero del Tesoro che controlla

Cdp con l'83% (le fondazioni hanno il 16%). L'entità della cedola verrà decisa dall'assemblea dei soci del

16 maggio. In cambio, l'azionista di maggioranza ha contribuito - seppur indirettamente - a rafforzare il

bilancio della Cassa il cui intervento potrebbe rendersi necessario in vista di eventuali operazioni di

sistema. Vediamo come. Il ruolo istituzionale di Cdp - sostenere il risparmio delle famiglie e dell'economia -

è stato a volte confuso con quello di «salvatrice» di ultima istanza di aziende in perdita tanto da vederla

paragonata all'Iri. «Durante la crisi del Monte dei Paschi leggevo che dovevamo comprare una quota ma

questo non sarebbe stato possibile perché saremmo diventati una banca. Il nostro modello sarebbe saltato

per aria e non avremmo potuto, per esempio, detenere una quota in Eni», ha spiegato Costamagna. Cdp,

però, ha anche il 35% di Poste conferito come aumento di capitale dal Tesoro lo scorso anno. Operazione

che ha permesso a Cassa spa di rafforzare il patrimonio ora pari a 23 miliardi dai 19 del 2015 per sostenere

il piano industriale. Sull'aumento degli utili ha invece inciso il margine d'interesse, circa 2,4 miliardi, che

registra una crescita del 162% nonostante un contesto di tassi di mercato sfavorevole. Gallia ha spiegato

che il 45% circa del miglioramento è dovuto all'adeguamento ai nuovi livelli di mercato della remunerazione

del conto corrente di Tesoreria. Cdp presta, infatti, al Mef 150 miliardi l'anno. «Noi diamo al Tesoro una

raccolta stabile» e via XX settembre ora remunera meglio questa stabilità», ha spiegato l'ad. Il ritorno

all'utile nel 2016 è stato dunque possibile nonostante le svalutazioni dell'investimento nel fondo Atlante, del

patrimonio immobiliare e l'aumento delle riserve a copertura crediti, hanno sottolineato ieri Gallia e

Costamagna senza però fornire i numeri sulla perdita registrata dall'investimento di circa 500 milioni fatto

nel fondo servito per salvate le ex popolari venete. «La svalutazione è stata prudente dal punto di vista di

chi fa il bilancio ma il numerino non lo dico», si è limitato ad aggiungere l'ad. Svalutata dalla controllata Cdp

Equity anche la quota in Saipem a 50-60 centesimi (rispetto a una quotazione attuale di circa 43 centesimi).

IL TESORETTO ENI TERNA (1) ITALGAS (1) Poste italiane Gli investimenti in società quotate e fondi

d'investimento 26% 76% 26% 35% Saipem Snam (1) Fincantieri 13% 30% 72% Investment Funds (1)Le

partecipazioni in Terna, Snam e Italgas sono detenute indirettamente attraverso CDP Reti

23 Il patrimonio netto di Cdp, in miliardi di euro, è aumentato di 3,7 miliardi rispetto al 2015

Foto: VERTICI Il presidente della Cassa Depositi e Prestiti, Claudio Costamagna, e l'ad Fabio Gallia

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A SAINT-NAZAIRE

Pur di non dare all'Italia i cantieri navali la Francia nazionalizza

MAURO ZANON

Eh no, les italiens proprio no. Sembrava tutto fatto per l'accordo tra Fincantieri e i cantieri navali francesi di

Saint-Nazaire (Stx), ma secondo quanto rivelato ieri dal «Monde», a Parigi stanno facendo di tutto per non

dare uno dei gioielli dell'industria nazionale al colosso italiano. Stando al quotidiano parigino, il governo

socialista avrebbe pronto da una settimana un «piano B»: una nazionalizzazione temporanea dei cantieri -

dove lavorano attualmente 7.000 persone - in seguito alla quale lo Stato, in possesso del 100% di Stx,

rivenderebbe la maggioranza delle azioni a degli «investitori più soddisfacenti», scrive il «Monde». Tra i

principali candidati a entrare in Stx ci sono la compagnia di crociere italo-svizzera Mcs e il suo concorrente

americanonorvegese Royal Caribbean: due candidati di cui già si vociferava un mese fa. È l'ultimo grande

dossier industriale del presidenteFrançois Hollande che sembra proprio essere d'accordo con quanto aveva

detto alla «Stampa», un mese fa, il ministro dell'Industria, Christophe Sirugue: «Gli italiani non possono

prendersi il 50% dei cantieri navali di Saint-Nazaire». A gennaio, il tribunale commerciale del distretto

centrale di Seul, incaricato di gestire il fallimento del gruppo sud-coreano Stx, aveva scelto di vendere la

sua filiale francese al solo offerente: Fincantieri appunto. Ma a Parigi, dopo i primi messaggi di apertura,

hanno arricciato il naso, e ora si adoperano per respingere definitivamente il colosso italiano.

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Pag. 13 Ed. Modena

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«L'assessore Vandelli sbaglia su urbanistica e aree verdi»

di LUCA SOLIANI «VOLTARE pagina? Ma così non si volta pagina per nulla, perché è tempo di fare

proprio un concetto molto semplice ma che stenta a diffondersi da noi: l'urbanistica non coincide con

l'edilizia». Non tarda arrivare la replica della consigliera regionale Giulia Gibertoni (M5s) all'assessora

comunale Anna Maria Vandelli sul nuovo piano urbanistico che andrà a ridisegnare la città. «Per quanto

sorprendente possa essere - prosegue Gibertoni - neppure la sanità coincide con l'edilizia e neppure lo

sviluppo economico coincide con lo sviluppo di cemento, a meno che non ci si concentri esclusivamente

sullo sviluppo economico di quei soggetti che soprattutto dall'edificazione di costruzioni traggono

guadagno». La pentastellata punta poi il dito contro l'annuncio di voler superare 'il concetto di standard': «È

un passo indietro». E spiega le ragioni: «La dotazione minima obbligatoria di aree pubbliche, spazi verdi,

parcheggi, scuole, dotazioni territoriali per abitante è stata una decisiva conquista rispetto a una

costruzione fine a se stessa visto che nei quartieri, oltre a spazi e cubature per i muri, servono spazi

pubblici in quantità e qualità sufficiente per le persone che ci vanno a vivere». Sostituire la pianificazione

«con la contrattazione coi privati e con le deroghe messe a sistema è un grave arretramento». Sottolinea

quindi che «non è per nulla chiaro» come una legge 'sblocca-cemento' possa contribuire «a sbloccare la

classe media dall'impoverimento o sancire una crescita comune mentre si perseguono ricette vecchie e

usurate con cemento centro di gravità permanente. Ce lo dovrebbero spiegare meglio e non limitarsi a

citare studi Cresme, sul cui sito, alla sezione 'area soci', ricorrono Ance e altre associazioni di costruttori e

imprenditori edili». «Dispiace vedere - conclude - che parte di quello che era stato impedito a Lupi, prima da

deputato di Forza Italia poi da ministro del governo Renzi nel con le sue proposte di legge urbanistica

fortunatamente bloccate, invece di suggerire un netto cambiamento di visione viene riproposto in sordina

per la terza volta e torna fuori in Emilia-Romagna, dove si sta procedendo spediti e sereni verso l'abolizione

dell'urbanistica e dove i Comuni così facilmente rinunciano al loro ruolo che anche la rigenerazione urbana

rischia di essere soltanto addensamento edilizio indiscriminato, ben lontano da qualunque reale interesse

pubblico».

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 29

02/04/2017

Pag. 6 Ed. Ascoli

diffusione:101787

tiratura:133899

EDILIZIA COME FARE DOMANDA

Nuova graduatoria per l'assegnazione degli alloggi

UNA NUOVA graduatoria per l'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica:

l'amministrazione ha indetto il bando che porterà a stilare la lista degli aventi diritto alle case popolari che si

renderanno disponibili nel territorio comunale. Possono presentare la domanda i cittadini italiani, comunitari

ed extracomunitari: in quest'ultimo caso dovranno essere in possesso del permesso di lungo soggiorno o

biennale. E' necessario avere la residenza o prestare attività lavorativa prevalente nel Comune di Ascoli,

mentre gli extracomunitari devono essere residenti da almeno dieci anni nel territorio nazionale o da cinque

nella regione. Escluso chi è titolare di proprietà o di usufrutto di abitazione in tutto il territorio nazionale. E'

necessario un reddito Isee fino a 11.513 euro, che potrà essere aumentato del 20% per le famiglie con un

solo componente. Coloro che occupano abusivamente alloggi di edilizia residenziale pubblica non potranno

partecipare all'avviso pubblico per i cinque anni successivi alla data di accertamento dell'occupazione

abusiva; mentre gli assegnatari degli alloggi parcheggio dovranno obbligatoriamente l'apposita domanda,

pena la perdita del beneficio dell'alloggio parcheggio. Le richieste per partecipare alla formazione della

graduatoria vanno presentate all'Ufficio Protocollo fino al 30 maggio.

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 30

01/04/2017

Pag. 32 Ed. Caserta

diffusione:38123

tiratura:53894

Interporto

Cantieri edili assunzione di 25 unità

Ritorno al lavoro per tutti. Sono finiti i ritardi, relativi alla procedure di autorizzazione imputabili al Comune di

Maddaloni. Partono due cantieri, per il completamento della piattaforma intermodale dell'Interporto Sud

Europa, in via Ficucella. «Entro Pasqua -annunciano i sindacati confederali Fillea-Cgil, Filca-Cisl e Feneal-

Uil- si completerà l'assunzione di 25 edili, ultimo scaglione del piano di riassorbimento di ben 70 unità».

Nell'area di Maddaloni si costruirà un capannone di 30mila metri quadrati nei pressi del «varco Ficucella» e

se completerà un altro limitrofo. «Questa opera -secondo Vincenzo Maio (Fillea-Cgil), Alfonso Petrone

(Filca-Cisl) e Andrea Martiniello (Feneal-Uil)- crea opportunità alternative soprattutto per gli edili ex Tiesse

di recente rientrati dalla cassa integrazione». L'emergenza occupazionale degli edili è finita: assunti tutti gli

operai ex Cogedi, riassorbitile le maestranze ex Tiesse, ritorna a lavoro pure l'ultimo scaglione che doveva

tornare in cantiere il 25 marzo scorso. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 31

01/04/2017

Pag. 29 Ed. Salerno

diffusione:38123

tiratura:53894

Il lavoro, il focus

Mille immigrati nei cantieri: «Rischio sfruttamento»

Un operaio su tredici è straniero, il 70% non è specializzato. Il sindacato: «Vanno qualificati» L'allarme Spinelli (Feneal Uil) «Sono pronti a svolgere qualsiasi incombenza Più controlli»

Ivana Infantino Immigrati nei cantieri, oltre quota 1.000 nel Salernitano. È quanto emerge dalla rilevazione

effettuata dalla Feneal Uil in prima linea per la tutela dei diritti e la formazione dei lavoratori. Su un totale di

quasi 13mila operai iscritti alla Cassa edile, 1.018 sono stranieri, la maggior parte dei quali, 800, risiede

stabilmente sul territorio provinciale. «I flussi di lavoratori immigrati in provincia di Salerno - commenta

Patrizia Spinelli, segretario provinciale Feneal Uil - si inquadrano in una dinamica che deve essere bene

indirizzata e costantemente monitorata al fine di evitare fenomeni di sfruttamento della manodopera a

basso tasso di specializzazione. Esiste un fronte aperto per la tutela della legalità e dei diritti che il

sindacato non può non presidiare. Avere vinto la battaglia per l'abolizione dei voucher non significa

abbassare la guardia soprattutto alla luce dei numeri che riguardano gli operai stranieri nell'ambito delle

costruzioni». Numeri importanti, come sottolineano dalla Fineal, nella maggior parte dei casi manovali.

Dalla rilevazione effettuata nel 2016, emerge, infatti, che fra gli immigrati addetti al settore edile ben 742

sono i manovali, mentre 176 sono in possesso di qualifiche, 27 sono gli specializzati e solo sette ricoprono

il ruolo di capo-cantiere. Destinati ad altre mansioni sono altri 66 addetti. Da qui la necessità per la

sindacalista della Uil, innanzitutto «vigilare per evitare situazioni di sfruttamento», ma anche, attraverso lo

strumento dell'ente scuola edile, «attivare fin da subito progetti di formazione che consentano

gradualmente di implementare il tasso specifico di competenze professionali anche per abbattere al

massimo qualsiasi rischio di infortuni dovuto all'inesperienza o alla mancanza di specifiche attitudini

lavorative». «È evidente - spiega il segretario provinciale - che siamo di fronte a persone, nella maggior

parte dei casi, disperatamente alla ricerca di occupazione e, quindi, disponibili a svolgere qualsiasi

incombenza. Ma va anche aggiunto - continua - che l'alta professionalità che esprimono i lavoratori italiani

non lascia eccessivi spazi all'ingresso nei cantieri di operai immigrati in profili più elevati». Diversi i paesi di

provenienza, dalla Romania (636) all'Ucraina (140), dal Marocco (104) all'Albania (71), dalla Polonia (34)

alla Bulgaria (20). Presenti anche lavoratori di altre nazionalità, ma con un tasso minore di radicamento

residenziale nel Salernitano. La maggior parte degli immigrati, se si analizzano i dati in base ai sub-

comprensori provinciali, si concentra nella Piana del Sele (33 a Battipaglia, 45 a Eboli, 43 a Capaccio-

Paestum), nei Picentini (21 a Pontecagnano), e nella valle dell'Irno (33 a Salerno, 24 a Fisciano), nell'Agro

(15 a San Marzano Sul Sarno, 33 a Sarno), zona in cui sono presenti in maggior numero (283). Numerosi

sono poi gli operai edili stranieri residenti nei comuni del Cilento (35 ad Agropoli), degli Alburni, nel vallo di

Diano e nell'alto e medio Sele (317). Non elevate, ma in alcuni casi ben concentrate, sono le presenze

nell'Agro Nocerino Sarnese (135), mentre pochi sono i residenti, in costiera Amalfitana, a Cava de' Tirreni

(22). «Solo con un bagaglio tecnico di elevato livello - conclude Spinelli - potranno guardare al loro futuro

con maggiore serenità, anche nel caso in cui, come dimostrano i dati sui flussi in uscita dall'Italia, rientrano

nei Paesi di origine dove è sempre forte la richiesta di addetti specializzati nella filiera delle costruzioni.

Operai, specializzati e non, che guardano con grande interesse al sindacato non solo per la tutela dei loro

diritti, ma proprio per la percezione del problema della formazione che siamo tutti insieme chiamati a

risolvere».

I numeri Operai edili stranieri residenti in provincia di Salerno Romania Ucraina Marocco Albania Polonia

Bulgaria 140 104 71 34 20 Tot. provincia di Salerno Fonte: Cassa Edile Salernitana (2016) Salerno/Piana

del Sele/ Picentini/Valle dell'Irno Cilento/Alburni/Calore/ Diano/Alto-Medio Sele Agro Nocerino

Sarnese Costiera Amalfitana/ Cava de' Tirreni Tot. provincia di Salerno 795* 22 795* *Non riportati in

tabella i dati riferiti ad altre nazionalità con presenze meno diffuse Fonte: Elaborazioni Feneal Uil su dati

Cassa Edile

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 32

01/04/2017

Pag. 29 Ed. Salerno

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Salernitana 135 636 283 317

Foto: Dossier Mille immigrati nei cantieri di Salerno e provincia, ben 742 sono manovali. Solo 176 sono in

possesso di qualifiche

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SCENARIO ECONOMIA

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 34

Aggirate o ignorate

Banche da salvare Il «fai da te» delle regole Ue

Federico Fubini

La direttiva sul «risanamento e la risoluzione» delle banche nell'Ue (Brrd) è vincolante da 15 mesi. È presto

per fare bilanci, ma un esame delle crisi bancarie in Europa mostra che le nuove regole per ora hanno

fallito. La Brrd è stata di fatto ignorata o ha prodotto più problemi finanziari, politici e costituzionali di quanti

ne abbia realmente risolti.

a pagina 16

Con discrezione, nei giorni scorsi la Banca di Spagna ha sondato una cordata di istituti privati per salvare

Bantierra, una cassa rurale dell'Aragona. Succedeva mentre le autorità italiane cercavano la strada per

sostenere nel modo meno traumatico aziende circa dieci volte più grandi, la Popolare di Vicenza e Veneto

Banca.

Non ci sarebbe legame fra le vicende della Spagna e quella ancora aperta dell'Italia, se non fosse per un

aspetto: in nessuno dei due casi le autorità nazionali o europee lavorano per far funzionare gli ingranaggi al

cuore della nuova normativa Ue sulle banche. Per l'ennesima volta, gli sforzi di tutti avevano l'obiettivo

opposto: evitare l'obbligo di colpire tutti i creditori e i depositanti sopra i 100 mila euro (il cosiddetto «bail-

in») e di far fallire qualunque banca abbia bisogno di un aiuto pubblico (la «risoluzione»). Che si cerchi di

distribuire le perdite delle banche sulle loro concorrenti, che si ricorra a complesse eccezioni di legge, o che

arrivino dall'alto indicazioni «politiche», quasi tutti i protagonisti sono puntualmente consumati da una

preoccupazione: impedire che la legge europea si applichi in pieno.

La direttiva sul «risanamento e la risoluzione» delle banche nell'Unione (Brrd) è vincolante da quindici mesi,

ma un primo bilancio su di essa è già partito: a fine anno è fissata una verifica, di cui si potrebbero

emergere i primi cenni già nell'incontro dei ministri finanziari a Malta venerdì. È presto per anticipare le

conclusioni, ma un esame delle crisi bancarie in Europa in questi anni mostra che le nuove regole per ora

hanno fallito. Dall'Austria, alla Germania, alla Danimarca, a Italia, Portogallo, Grecia o Slovenia, ovunque la

Brrd è stata di fatto ignorata, aggirata o ha prodotto più problemi finanziari, politici e costituzionali di quanti

non ne abbia risolti. Ricorda in questo la prima versione del patto di Stabilità sui bilanci: così perfetto e

rigido da rassicurare gli elettori tedeschi all'inizio, per poi saltare alla prima prova reale.

In fondo, è un paradosso. Tutti i governi e i cittadini europei concordano nel lasciare agli investitori parte dei

costi dei dissesti, tutelando i contribuenti che devono finanziarne i salvataggi. Eppure le regole non stanno

funzionando. Forse sono state introdotte troppo in fretta. Un recente rapporto della Banca mondiale

constata che in tutti i casi di crisi bancaria degli ultimi anni, «le autorità non avevano piani preesistenti per

eseguire la "risoluzione", né avevano una capacità predefinita di assorbimento delle perdite», ossia bond

emessi per essere colpiti in caso di dissesto. Eppure, nota il rapporto, queste due precondizioni sarebbero

«determinanti per un applicazione di successo del bail-in». Così la Banca mondiale lascia capire che i

Paesi europei erano impreparati; regole così draconiane avrebbero avuto bisogno di più tempo.

L'Italia è la sola nell'area euro ad aver vissuto la «risoluzione» della Brrd, nei casi di Etruria, CariChieti,

Carife e Banca Marche. Solo dopo il suicidio di un pensionato colpito dalle perdite sui bond, è emerso che i

risparmiatori avrebbero potuto ottenere un rimborso per frode: un'opzione che con la banca olandese Sns

era già stata praticata nel 2013, ma il Tesoro ignorava e la Commissione Ue inizialmente non aveva

menzionato.

La stessa Commissione Ue si è divisa quando nell'ottobre del 2015 si è deciso di consentire alla banca

tedesca Hsh Nordbank di incassare altri due miliardi in garanzie pubbliche senza colpire neppure i bond

subordinati, i più esposti. Le regole lo prevedevano, prima che scattasse la Brrd, per effetto di una

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 35

«comunicazione» di Bruxelles due anni prima. I tecnici degli aiuti di Stato avevano suggerito di far pagare

gli investitori, ma l'orientamento politico del commissario alla Concorrenza Margrethe Vestager ha fatto

valere una clausola che permetteva di aggirare i vincoli. Peraltro Hsh è stata coinvolta in un'inchiesta sul

finanziamento di un parco eolico della 'ndrangheta con parte degli aiuti di Stato ricevuti in precedenza.

In Danimarca il «bail-in» è stato applicato per Andelskassen, anche sui depositi, poi però sono partiti i

rimborsi alle famiglie con una «dote» del fondo nazionale di garanzia. In Austria nell'ottobre 2016 alcuni

fondi speculativi hanno addirittura guadagnato molto grazie alle garanzie pubbliche sui bond della «bad

bank» di Hypo Alpe Adria. In Slovenia il taglio su certi bond ha innescato una crisi politico-costituzionale. In

Portogallo il tentativo di salvaguardare i risparmiatori ha portato le autorità a discriminare a danno di grandi

investitori internazionali, che hanno abbandonato il Paese. In Grecia, come si cerca di fare in Italia su Mps,

Vicenza e Veneto, si è ricorso a complesse eccezioni di legge per evitare il «bail-in».

Cipro, non certo una potenza politica, resta il solo esempio di pieno «bail-in» dei depositi bancari (nel

2013). Ma furono colpiti soprattutto oligarchi russi, in cambio di un maxi salvataggio europeo del Paese. Il

presidente dell'Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem disse che quel caso sarebbero diventato «un modello».

Non sarebbe stata la sua ultima gaffe.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

La parola

Bail-in

Il «bail-in», letteralmente «salvataggio interno», è il principio in base al quale una banca in crisi - se non

viene liquidata - deve innanzitutto fare leva sul proprio capitale e sui propri strumenti di debito per coprire le

perdite, prima di chiedere l'aiuto dello Stato: il valore delle azioni si riduce e i bond (a cominciare dai

subordinati) vengono convertiti in azioni. La direttiva Ue che lo regola è entrata in vigore nel 2016

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 36

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Meno bonus fiscali per famiglie e imprese

Il governo studia la revisione in base al «riccometro» delle 444 agevolazioni. Saranno salvate le principali, dal mutuo alla sanità Il riequilibrio Nella riforma delle agevolazioni si terrà conto del fatto che a goderne attualmente sono più le famiglie ricche che quelle povere Lorenzo Salvia

ROMA «Revisione selettiva delle agevolazioni fiscali». La formula l'aveva usata il viceministro

dell'Economia Luigi Casero un mese fa, rispondendo a un'interrogazione. E dovrebbe tornare nel Def, Il

Documento di economia e finanza che il Consiglio dei ministri approverà nei prossimi giorni per tracciare la

strada della prossima legge di Bilancio, la vecchia Finanziaria. Cosa vuol dire? Le agevolazioni fiscali sono

gli sconti che riducono il peso delle tasse, intervenendo su voci di spesa che riguardano sia le famiglia sia

le imprese. Nel ramo famiglie si va dagli interessi sul mutuo per la prima casa ai costi sostenuti per le visite

mediche, fino ai contributi versati per le colf e le badanti. Nel ramo imprese ci sono gli sconti sul gasolio per

gli autotrasportatori, gli incentivi per gli armatori, una serie di bonus per l'agricoltura. In tutto le agevolazioni

sono 444. E sono anche in leggero aumento, nonostante i ripetuti tagli annunciati negli ultimi anni.

Aiutano di più i ricchi

Parlare di revisione «selettiva» non vuol dire solo che, almeno nelle intenzioni, si interverrà solo su una

parte delle agevolazioni. E che non saranno toccate quelle socialmente (ed elettoralmente) sensibili, come

quelle sulla casa o sulla spesa sanitaria. Vuol dire anche che, per le detrazioni sulle quale si interverrà, la

revisione non riguarderà tutti i contribuenti ma solo alcuni di loro. Quali? Il punto è che anche i ricchi

detraggono. Anzi, in media detraggono più dei poveri. E quindi sono soprattutto loro a beneficiare degli

sconti fiscali, con tanti saluti a un sistema fiscale che dovrebbe essere progressivo. È stato l'Ufficio

parlamentare di Bilancio a sottolineare che, sugli sconti fiscali, la «quota di beneficiari risulta relativamente

più alta tra le classi di reddito superiori». Un esempio? In caso di divorzio, l'agevolazione sull'assegno al

coniuge vale in media lo 0,07% del reddito per chi dichiara oltre 26 mila euro lordi l'anno. Mentre per chi è

al di sotto dei 26 mila euro il peso dello sconto rispetto al reddito crollo allo 0,01%. Sette volte di meno. Una

contraddizione più volte sottolineata. Ma sulla quale non si è mai intervenuti. Stavolta, però, c'è una

differenza. Una differenza che, dal punto di vista tecnico, rende la «revisione selettiva» meno complicata.

L'indicatore Isee

Nei piani del governo alcune detrazioni potrebbero essere legate all'Isee, l'indicatore della situazione

economica equivalente. È il famoso riccometro che misura non solo il reddito delle famiglie ma anche il loro

patrimonio. Nel calcolo non entrano solo lo stipendio o la pensione ma anche le case di proprietà, i risparmi

in banca, gli investimenti in azioni. Non è una sottigliezza. Già in passato si era parlato della possibilità di

legare la sfoltita delle agevolazioni alla «ricchezza» del contribuente. Ma ci si era sempre riferiti al reddito,

che misura solo una parte di quella ricchezza. L'Isee è un indicatore più preciso, più equo. Specie nella

nuova versione disponibile da un paio di anni, che ha ridotto lo spazio per le autodichiarazioni che

tendevano a sottostimare la ricchezza. Anche qui un esempio per capire: nei moduli della vecchia versione,

basata sulle autodichiarazioni, l'80% dei contribuenti scriveva tranquillamente di non avere un conto in

banca. E nessuno controllava. Nella nuova versione, che prevede una serie di verifiche incrociate, i

contribuenti senza conto in banca sono precipitati al 20%. Un livello più ragionevole, una fotografia più

fedele. Per questo la revisione selettiva potrebbe essere agganciata all'Isee: la riduzione degli sconti fiscali

sarebbe così concentrata sui contribuenti che secondo il riccometro stanno meglio.

L'intervento in due tempi

Una prima, piccola mossa potrebbe essere fatta con la manovrina che il governo dovrebbe approvare la

prossima settimana per evitare l'apertura di una nuova procedura d'infrazione da parte dell'Unione

Europea. Non riguarderà gli sconti per le famiglie ma solo quelli per le imprese. E sarà un lavoro di cesello

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 37

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limitato ad eliminare alcune duplicazioni che si sono stratificate nel tempo. Impatto minimo sui costi delle

imprese e sui conti pubblici. Più che un vero riordino sarebbe un segnale di buona volontà a costo zero,

rivolto a Bruxelles che continua a chiederci riforme. La vera revisione, agganciata all'Isee, potrebbe arrivare

dopo l'estate con il disegno di legge di Bilancio, la vecchia Finanziaria. Escluso che la sforbiciata tocchi gli

sconti più importanti, come quelli sul mutuo o sulle spese mediche. Potrebbe riguardare gli assegni familiari

ma solo a patto che in parallelo parta il nuovo assegno universale per i figli, che il governo sta spingendo in

Parlamento: un testo che prevede un contributo fino a 200 euro al mese per ogni figlio, sempre legato

all'Isee. La sforbiciata selettiva potrebbe concentrarsi su spese considerate meno sensibili, anche se tutto

dipende dai punti di vista, come quelle per il veterinario o per l'attività sportiva dei figli.

Il nodo politico

Di revisione delle detrazioni fiscali si parla dal 2011. Sono passati sei anni e non è successo ancora nulla.

È vero che il nuovo Isee consentirebbe di fare un intervento più mirato ed equo. Ma è anche difficile

pensare che sia proprio il governo Gentiloni a fare quello che i suoi predecessori hanno lasciato nel

cassetto. Adesso a Palazzo Chigi c'è meno ansia riformista rispetto ai tempi di Mario Monti e Matteo Renzi.

Parlare di revisione della agevolazioni nel Def e nel Piano delle riforma da inviare a Bruxelles è prima di

tutto un modo per dire all'Unione Europea che le riforme vanno avanti. Perché proprio al cammino delle

riforme è legata una delle clausole che potrebbero concederci un po' di flessibilità, l'ossigeno di cui

abbiamo bisogno per tenere i conti in ordine e stimolare la crescita. Ma l'orientamento del governo, e del

suo azionista di maggioranza Matteo Renzi, è chiaro: evitare qualsiasi aumento delle tasse in una manovra

che dovrebbe arrivare a pochi mesi dalle elezioni politiche. Gentiloni si è impegnato a non far scattare gli

aumenti dell'Iva. E, nella manovrina di aprile, non toccherà le accise sulla benzina, limitandosi a far salire

un po' quelle sul tabacco e sugli alcolici dove però in gioco entra la tutela della salute. Anche se selettivo, il

taglio delle agevolazioni fiscali è operazione delicata. Quando si parla di Fisco, uno sconto in meno è pur

sempre una tassa in più.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Le agevolazioni fiscali Irpef Beneficiari e ammontare Corriere della Sera Fonte: Ufficio parlamentare del

Bilancio Tipo di agevolazioni Quota beneficiari (% dei contribuenti) Ammontare medio per beneficiario

(euro) Detrazioni per redditi di lavoro dipendente, pensione e redditi assimilati Detrazioni per carichi di

famiglia Spese recupero patrimonio edilizio Totale spese sanitarie, spese sanitarie per portatori di handicap

e acquisto cani guida Redditi fondiari non imponibili Detrazioni per interventi finalizzati al risparmio

energetico Esenzione abitazione principale Cedolare secca al 21% Interessi mutui ipotecari abitazione

principale Previdenza complementare Assicurazioni sulla vita e contro infortuni Spese corsi istruzione

Assegno al coniuge Cedolare secca al 15% Spese mediche per portatori handicap Altri oneri deducibili

Detrazioni per canoni di locazione Contributi servizi domestici e familiari Spese funebri Altri oneri detraibili

Spese locazione per studenti fuori sede Spese attività sportive ragazzi Altre detrazioni e crediti d'imposta

Interessi mutui costruzione abitazione principale Spese per addetti assistenza personale Detrazioni arredo

immobili ristrutturati Erogazione a favore delle Onlus Interessi per prestiti o mutui agrari Spese

intermediazione immobiliare Erogazioni a favore istituzioni religiose Interessi mutui ipotecari altri immobili

Erogazione a favore di partiti e movimenti politici Interessi mutui recupero edilizio

L'agenda

La revisione delle agevolazioni è stata annunciata la prima volta nel 2011 ma non è mai arrivata al

traguardo Ora il governo che parla di «revisione selettiva» intende riproporre il tema nel Def, il Documento

di economia e finanza che traccia la strada della legge di Bilancio. La sforbiciata arriverà dunque

dopo le vacanze ma non riguarderà i bonus più importanti per le famiglie come il mutuo sulla prima casa o

la sanità

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 38

03/04/2017

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La parola

Riccometro

L'Isee, detto anche riccometro, è l'Indicatore della situazione economica del nucleo familiare. Nel calcolo

non entra solo il reddito, come lo stipendio o la pensione, ma anche il patrimonio, come gli immobili e i

risparmi

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 39

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La promessa di Gentiloni, giù le tasse e il costo del lavoro

Il premier: creati 700 mila posti, bene il Jobs act. Ma l'Istat: nel 2016 licenziamenti aumentati del 5,7% Marco Cremonesi

CERNOBBIO (Como) Il premier vuole essere nitido: «Noi continueremo a lavorare per la riduzione fiscale a

favore della ripresa dei consumi. Lo faremo in primavera e lo faremo, anche se sarà meno facile, in

autunno». Consapevole che «seguire quel percorso è decisivo».

Paolo Gentiloni è ospite del summit annuale di Confcommercio a Cernobbio. Il presidente dei

commercianti, Carlo Sangalli, lo dice chiaro: «Mai e poi mai l'aumento dell'Iva». Sì alla riduzione del cuneo

fiscale sul lavoro dipendente, ma questa non può essere finanziata «attraverso lo scambio tra imposte».

Non è l'unico richiamo dei commercianti. L'abolizione dei voucher, per esempio, è definita , un «incidente di

percorso». E anche qui, il premier vuole rendere la sua promessa solenne e parte ricordando che

«togliendo i voucher noi abbiamo voluto evitare all'Italia mesi e mesi di scontro ideologico costoso». Detto

questo, aggiunge Gentiloni, «noi non rinunceremo all'esigenza di una regolazione seria per il lavoro

saltuario e occasionale». Anzi: «Su questo siamo già al lavoro e lo faremo insieme: prendo qui l'impegno

con la Confcommercio». Pochi istanti prima che Gentiloni prenda la parola, arrivano i dati del Sistema per

le comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro. Non positivi: nel 2016 ci sono stati circa 900mila

licenziamenti con un aumento del 5,7% rispetto al 2015. Diminuite, invece, le dimissioni: circa 1,2 milioni

con un calo del 17,1% sull'anno prima. Ma nel complesso, però, Gentiloni vede il bicchiere mezzo pieno.

Perché, spiega, dal gennaio 2014 al gennaio 2017 ci sono stati 700mila occupati in più, di cui 480mila a

tempo indeterminato. «Un dato incoraggiante che ci spinge a continuare sulla strada degli strumenti

innovativi come è stato il Jobs act».

Il presidente del Consiglio parla di «economia della fiducia» e ritiene che il compito del governo consista

anche nel «rassicurare». Che significa anche «lavorare per ricucire le divisioni che attraversano la società

invece di accarezzarle e incentivarle». Tra i temi che dividono, il ruolo dell'Europa. Gentiloni parte tagliente:

«Un'Europa che si irrigidisca sui decimali non è all'altezza delle sfide che ha di fronte». Però, il premier ha

fiducia nel «realismo» dell'Unione Europea che farà in modo che «la ripresa non sia soffocata ma

incoraggiata».

Gli scambi internazionali sono «il tema del giorno» e vanno evitate le «guerre commerciali». Ma i dazi non

devono essere un «incubo incombente, la qualità dei prodotti italiani non ha frontiere». Senza nascondersi

che «solo l'aumento della domanda interna riuscirà a garantire la ripresa».

Il premier è infastidito da chi ha definito illiberale il recente decreto Minniti: «Non sarebbe stato approvato

dal mio governo e firmato dal capo dello Stato. Sono misure che ampliano i poteri dei sindaci per impedire

che alcuni comportamenti mettano a repentaglio la sicurezza e il decoro delle nostre città» .

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Il mio governo è al lavoro per dare una regolamen-tazione seria e diversa del lavoro saltuario e

occasionale. E lo faremo insieme, prendo l'impegno qui

La parola

Cuneo fiscale

Il cuneo fiscale è la somma delle imposte (dirette, indirette o sotto forma di contributi previdenziali) che

pesano sul costo del lavoro, sia per quanto riguarda i datori di lavoro, sia per quanto riguarda i lavoratori

dipendenti e autonomi e i liberi professionisti. In pratica, è la differenza tra quanto un dipendente costa

all'azienda e quanto lo stesso dipendente incassa come stipendio netto in busta paga.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 40

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Al Forum

Ieri il premier Paolo Gentiloni è intervenuto a chiusura dei lavori del Forum di Conf-commercio che si è

svolto a Villa d'Este a Cernobbio (Como) ed era cominciato venerdì

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 41

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INTERVISTA Il presidente John Nelson

«Lloyd's, tassi ancora troppo bassi Il grande rischio sono i mercati»

Il colosso assicurativo britannico apre la sede a Bruxelles: «Necessaria dopo la Brexit» Giuliana Ferraino

«Non lasciamo Londra. Apriamo una nuova base a Bruxelles, che perciò avrà diritto europeo. È una scelta

per proteggere la nostra attività e i nostri clienti», sostiene John Nelson, dal 2011 presidente dei Lloyd's, il

più grande mercato assicurativo e riassicurativo del mondo per i rischi speciali. Il segnale è chiaro: il

business non può attendere i tempi della politica.

Ma perché avete deciso di annunciare la location del vostro nuovo hub europeo proprio il giorno dopo

l'avvio ufficiale del divorzio del Regno Unito dalla Ue, con l'attivazione dell'articolo 50 del Trattato di

Lisbona?

«La data? È soltanto una coincidenza. Avevamo dichiarato pubblicamente che avremmo rivelato la

decisione insieme ai risultati finanziari del 2016, non sapevamo quale giorno la premier Theresa May

avrebbe scelto per avviare la Brexit. Abbiamo deciso di aprire una sussidiaria europea subito dopo il

risultato del referendum. Non potevamo aspettare la fine dei negoziati tra Londra e la Ue per vedere che

cosa succederà ai diritti di passaporto. La soluzione giusta era una filiale in Ue per non operare

nell'incertezza».

Perché avete scelto Bruxelles?

«Abbiamo negoziato con cinque Paesi. La città ideale avrebbe dovuto soddisfare 32 criteri, di cui 3-4

fondamentali. La scelta è caduta su Bruxelles per tre ragioni principali. E credo che altri ci seguiranno».

E quali sono le ragioni?

«La cosa più importante per una società come i Lloyd's è la presenza di un regolatore con potere,

credibilità e risorse adeguate: vogliamo non solo una buona normativa ma che sia rispettata. Poi volevamo

avere accesso a un pool di talenti per poter assumere personale: Bruxelles ci offre questa garanzia. Infine

volevamo essere al centro dell'Europa, visto che sarà la nostra base Ue».

Avete preso in considerazione Milano?

«Non posso dirlo».

Quanto persone sposterete da Londra?

«La filiale avrà personale nell'ordine delle decine più che delle centinaia: sarà una combinazione di nuove

assunzioni e trasferimenti da Londra».

Lloyd's assicura ogni genere di rischio. Avevate previsto un'assicurazione contro la Brexit?

«Non ne sono al corrente».

Molte banche e istituzioni finanziarie stanno progettando di spostare parte delle loro operazioni fuori dal

Regno Unito. Quale sarà l'impatto sulla City e sull'economia inglese?

«Penso che Londra resterà un centro finanziario molto importante e il nostro quartier generale. Nel lungo

periodo la domanda fondamentale è dove la gente sceglierà di investire se la Gran Bretagna è fuori

dall'Unione europea. È ancora troppo presto per saperlo. Nel caso dei Lloyd's solo l'11% del nostro

business è fatto in Europa. Il nostro principale mercato sono gli Usa: vale il 40% del nostro fatturato e

abbiamo una quota del 24%».

Crede che Londra dovrebbe negoziare l'accesso al mercato unico accettando un compromesso?

«Esistono alcuni questioni geopolitiche che avranno un impatto sui diritti di passaporto e sull'immigrazione.

Dal nostro punto di vista, più c'è libero mercato, meglio è. Questo vale non soltanto per la Gran Bretagna. Il

libero scambio è fondamentale per migliorare l'economia europea. Sarebbe un vero peccato se Londra non

avesse più accesso al mercato unico. Ma non c'è nessuna certezza, per questo dobbiamo prepararci.

Inoltre aprire a Bruxelles ci aiuterà a aumentare la nostra penetrazione in Europa».

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 42

02/04/2017

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I risultati 2016 segnalano utili invariati a 2,1 miliardi di sterline (2,5 miliardi di euro) e un peggioramento del

vostro combined ratio, uno degli indici usati per misurare la redditività di una compagnia, salito da 90 a

97,9%. Che cosa ha frenato la redditività?

«Il 2016 è stato il più duro degli ultimi 25 anni, con una continua pressione al ribasso sui prezzi. Anche i

nostri competitor sono sotto stress. Il ritorno sul capitale è sceso dal 9,1% all'8,1%, anche se abbiamo

registrato una performance migliore sui mercati, con un ritorno sugli investimenti passato da 400 milioni a

1,3 miliardi di sterline grazie al ribasso dei titoli obbligazionari e a guadagni sulle valute, principalmente per

la caduta della sterlina. Ma abbiamo avuto più catastrofi: il livello dei grandi sinistri - salito a 2,1 miliardi di

sterline contro 0,7 miliardi nel 2015, a causa soprattutto dell'urgano Matthew e dell'incendio a Fort

McMurray in Canada - è il quinto più alto di questo secolo».

Qual è il più grande rischio all'orizzonte?

«I mercati. I tassi di interesse sono troppo bassi».

16febbraio

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Chi sono

I Lloyd's di Londra sono il più grande mercato assicurativo e riassicurativo del mondo per i rischi speciali

Nel 2016 hanno avuto utili per 2,1 miliardi di sterline (come nel 2015), con premi lordi pari a 29,9 miliardi di

sterline (36,4 miliardi di euro), in rialzo dai 26,7 miliardi del 2015 Il 2016 è stato il quinto peggiore anno per i

grandi sinistri: 2,1 miliardi di sterline La scelta europea Nella scelta della città

ha contato non solo che avesse buone leggi ma anche che fossero applicate

Foto: John Nelson, presidente dei Lloyd's,

al lavoro nel quartier generale

del gruppo assicurativo

a Londra

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 43

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I nuovi voucher: lavoro a chiamata senza limiti di età *

L'impegno di Gentiloni sul taglio delle tasse di Lorenzo Salvia

Cancellati con il decreto legge i voucher, i buoni per pagare i lavoratori a ore, il governo punta ora su un

restyling del cosiddetto lavoro a chiamata, modulato sulle aziende medio grandi (senza limiti di età) da una

parte e sulle microimprese dall'altra. Dal summit di Confcommercio a Cernobbio, il premier Paolo Gentiloni

rilancia l'impegno a ridurre il carico fiscale.

alle pagine 2 e 3 Chiesa

M. Cremonesi, Di Frischia

5 15 25 35 45 55 - 50.000 100.000 150.000 200.000 250.000 300.000 350.000 I II III IV I II III IV I II III IV I

II III IV 2013 2014 2015 2016 Il lavoro a chiamata Il lavoro interinale I voucher nel 2016 5 15 25 35 45 55 -

50.000 100.000 150.000 200.000 250.000 300.000 350.000 I II III IV I II III IV I II III IV I II III IV 2013 2014

2015 2016 Giornate (scala destra) Lavoratori (scala sinistra) Giornate (scala destra) Lavoratori (scala

sinistra) nel quarto trimestre +7,2% nel terzo trimestre +25,3% nel secondo trimestre +32,2% nel primo

trimestre +35,7% 134 milioni i voucher venduti nel 2016 23,9 % in più rispetto all'anno precedente Fonte:

Inps, Uniemens Corriere della Sera

ROMA Il governo è pronto a introdurre due nuovi tipi di contratto per sostituire i voucher, i buoni per pagare

i lavoratori a ore, cancellati con il decreto legge che ha sbarrato la strada al referendum della Cgil.

L'intervento sarà un restyling del cosiddetto lavoro a chiamata, introdotto nel 2003 e utilizzabile ancora

adesso. Il primo tipo di contratto sarà riservato alle aziende medio grandi, quelle al di sopra dei 10

dipendenti. Il secondo, con adempimenti burocratici più leggeri, sarà invece dedicato alle piccole imprese,

al di sotto dei dieci dipendenti, e quindi anche ai commercianti a e agli artigiani. Questa nuova riforma del

lavoro arriverà con ogni probabilità per decreto legge. Quando? Bisognerà aspettare la conversione in

legge del decreto che cancella i voucher, e quindi il definitivo stop al referendum da parte della Cassazione.

Poi ci sono le elezioni amministrative di giugno. Vista la sensibilità politica del tema il governo non ho

ancora deciso se aspettare anche questa scadenza

Testi a cura di

Lorenzo Salvia

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Grandi imprese Le assunzioni a «chiamata» senza limiti d'età

P er le aziende con almeno 10 dipendenti ci saranno modifiche minime rispetto alle regole attuali. Oggi il

lavoro a chiamata, chiamato anche job on call , consente di assumere una persona per «svolgere

prestazioni di carattere discontinuo o intermettente» ed è diffuso nel settore dello spettacolo, negli hotel, ma

anche per gli addetti alla vigilanza e ai centralini. Come funziona?

Il lavoratore può essere assunto a giornata, non a ore come per i voucher. E non si possono superare le

400 giornate nell'arco dei tre anni. Oggi, però, ci sono due limiti d'età: possono essere assunte solo

persone che hanno meno di 25 anni o più di 45 anni. Chi è all'inizio della carriera lavorativa e chi ha ormai

superato le prime fasi. Il decreto allo studio del governo cancellerà i due limiti d'età. Il lavoro a chiamata

sarà utilizzabile per tutti. Che differenze ci sono rispetto ai voucher? Molte. Il lavoro a chiamata è un

contratto vero e proprio. Prevede le ferie, la malattia, il versamento di contributi per la pensione che non

sono infinitesimali. Resta uno strumento ad alta flessibilità. Ma garantisce di più il lavoratore: se il

dipendente supera le 400 giornate di lavoro nell'arco dei tre anni, per l'azienda scatta l'obbligo di

assunzione con contratto stabile. Un vincolo che per i voucher non esiste. Mentre alle aziende costa di più.

Se un'ora di lavoro pagata con i voucher veniva all'impresa 10 euro tutto compreso, la stessa ora pagata

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 44

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con il lavoro a chiamata costa tra i 20 e i 25 euro. La variabilità non dipende solo dal settore. Ma anche

dalla cosiddetta indennità mensile di disponibilità. Il lavoratore può dichiararsi disponibile ad accettare

comunque la chiamata dell'azienda, salvo che in caso di malattia. In questo caso ha diritto a una somma

aggiuntiva, pari al 20% della busta paga.

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Pmi e artigiani Meno burocrazia e al massimo una persona per volta

Per le imprese con meno di 10 dipendenti, e quindi anche per commercianti e piccoli artigiani, le modifiche

allo studio del governo saranno più importanti. In teoria, oggi, anche loro possono utilizzare il lavoro a

chiamata, con le stesse regole previste per le aziende più grandi, compreso il tetto massimo delle 400

giornate lavorative nell'arco di tre anni. Ma in pratica nessuno lo fa. Perché?

Il lavoro a chiamata è un contratto vero e proprio, richiede l'apertura di una posizione Inps, il conteggio

delle giornate lavorative, la gestione delle buste paga, della malattia, dell'indennità di disponibilità. Pratiche

burocratiche che sono di routine per un'azienda con una vera e propria amministrazione del personale, ma

che scoraggiano chi deve fare tutto da sé. Per questo il lavoro a chiamata delle piccole aziende sarà in

versione semplificata. Tutte le procedure saranno gestite da un portale, probabilmente quello dell'Inps. Un

carico in più per l'Istituto di previdenza, che però nel frattempo si libererà proprio della gestione dei

voucher, anche se i buoni orari già acquistati continueranno a essere utilizzabili fino alla fine dell'anno. Le

giornate di lavoro saranno tracciabili, con una comunicazione preventiva all'Inps simile a quella introdotta

solo pochi mesi per i voucher e che aveva frenato la corsa agli acquisti degli ultimi tempi. Ma non c'è il

rischio che anche il lavoro a chiamata in versione semplificata si presti a pratiche opache come per i

voucher? Su questo punto il decreto allo studio del governo prevede che le piccole aziende non possano

assumere più di un lavoratore a chiamata per volta. Anche per loro, poi, scatterà l'obbligo di assunzione

con un contratto stabile in caso di superamento delle 400 giornate di lavoro nell'arco di tre anni.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 45

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Tasse sul lavoro, tagli solo per i neoassunti

La manovra allo studio del governo. Le ipotesi sul cuneo fiscale: intervento limitato ai giovani, ma stabile Lorenzo Salvia

ROMA «Bisogna ancora scommettere sul libero mercato e la libertà di commercio», con «scelte di fondo

che non tollerano ambiguità». Il premier Paolo Gentiloni torna sull'aumento dei dazi annunciato dal

presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Ma parla anche delle decisioni di politica economica sul tavolo

del nostro governo. L'obiettivo, spiega, è «accompagnare la crescita», «consentire che abbia un ritmo più

accelerato» e fare in modo che «non ci siano effetti depressivi». Non si riferisce alla manovrina di metà

aprile chiesta da Bruxelles. L'orizzonte è quello della legge di Bilancio, da approvare dopo l'estate. Quali

sono gli effetti depressivi da escludere? Non solo l'aumento dell'Iva che scatterebbe se il governo non

dovesse trovare 20 miliardi di euro da mettere sul piatto. Il premier si riferisce a un percorso di rientro del

deficit che non può essere così rapido come chiede Bruxelles. La manovrina di aprile riporterà il rapporto

fra deficit e Pil, il Prodotto interno lordo, dal 2,4% al 2,2%. L'anno prossimo il rapporto dovrà scendere al di

sotto della soglia del 2%. Ma senza arrivare a quell'1,2-1,3% indicato dall'Ue. Spingersi così in basso

renderebbe impossibile qualsiasi intervento al di là dello stop all'aumento dell'Iva.

I margini di manovra, comunque, saranno stretti. Anche per questo, oltre che per una scelta politica,

l'intervento sul cuneo fiscale, cioè il taglio delle tasse sul lavoro, dovrebbe essere limitato e progressivo.

Riguarderà i giovani, di fatto le nuove assunzioni. Ma, a differenza dello sconto sui contributi del Jobs act

che durava al massimo tre anni, sarà strutturale: le tasse sul lavoro saranno più basse per tutta la vita

lavorativa dei nuovi assunti. In questo modo all'inizio saranno sufficienti coperture ragionevoli, non più di un

miliardo di euro. Ma i giovani assunti con un costo del lavoro più basso andranno a sostituire

progressivamente quelli che già adesso lavorano e hanno un carico fiscale in busta paga più elevato.

Una transizione simile a quella voluta dal governo Renzi per smontare l'articolo 18, con i nuovi assunti che

di fatto non ce l'hanno più, mentre lo conservano quelli che già lavoravano al momento della riforma. Ma

anche un doppio canale che renderebbe per le aziende (ancora) più appetibile assumere un giovane al

posto di un dipendente più anziano.

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37 miliardi

Il valore in euro nel 2016 dell'export italiano negli Usa. Rispetto al 2015, è salito del 2,6%

362 miliardi

L'export totale dei 28 Paesi dell'Unione Europea (con Gran Bretagna) verso gli Stati Uniti nel 2016

La vicenda

Una manovra per «accompagnare la crescita»: questo l'obiettivo del governo. Lo spazio temporale si

riferisce alla legge di Bilancio che dovrà essere approvata dopo l'estate Già sul tavolo le ipotesi che

riguardano il cuneo fiscale che dovrebbe essere limitato e progressivo. In pratica riguarderà i giovani

appena entrati nel mondo del lavoro. Una proposta che ha già avuto, nei giorni scorsi, il placet del

presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia che ha chiesto di azzerare il cuneo fiscale ai giovani per i

primi due anni Mentre la manovrina di aprile che Bruxelles ha chiesto all'Italia punterà a riportare il rapporto

tra deficit e Pil dal 2,4% al 2,2%. Con l'obiettivo l'anno prossimo di scendere sotto il 2%

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 46

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Cassa Depositi, balzo degli utili 2016 «Ma non partecipiamo a tutte le

crisi»

Costamagna: vergognosi i francesi su Fincantieri-Stx. «Poste, salire al 70% cambia poco» Fuori dal Montepaschi Il presidente: «In Mps non si poteva entrare o saremmo diventati una banca». Gallia: «Fiduciosi nel 2017» Alessandra Puato

MILANO Difesa di Saipem e Fincantieri, soddisfazione per il bilancio 2016, spinta sul venture capital e

sostanziale esclusione di un debutto in Borsa. Claudio Costamagna e Fabio Gallia, rispettivamente

presidente e amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti, hanno presentato ieri in Borsa i conti

2016 - in crescita, con ritorno all'utile del gruppo - e fatto il punto sul piano industriale. «Non siamo quotati e

non possiamo esserlo perché la nostra missione non è massimizzare l'utile, ma sostenere l'economia, nel

rispetto dell'equilibrio economico e dei vincoli burocratici», ha detto Costamagna, smorzando poi sulla

possibile privatizzazione: «La competenza è dell'azionista, il Tesoro».

Ma è chiaro che Cassa non ha intenzione di partecipare a tutti gli stati di crisi, perché non è questo il

compito di un Istituto di promozione nazionale: «C'è ignoranza, leggiamo dichiarazioni dei politici su tante

cose che Cassa non può fare».

Per esempio «entrare in Mps o saremmo diventati una banca». «No comment» su un possibile intervento in

Alitalia, quindi. E sì, su Atlante «abbiamo fatto una svalutazione conservativa», ma «avremmo avuto una

crisi di sistema ben maggiore» senza questa partecipazione.

Costamagna ha ribadito l'importanza delle partecipate Saipem e Fincantieri: «Nel bilancio di Cdp Equity ci

sarà un indebolimento su Saipem che abbiamo a 50-60 centesimi contro i 43 circa attuali. Ma la quota non

è in vendita e grazie a quell'investimento Eni, di cui siamo soci al 26%, ha mantenuto il dividendo invariato:

per noi sono 700 milioni in più». E su Fincantieri: «Molto contenti della partecipazione», ha detto il

presidente. Che ha attaccato i francesi per le barricate all'ingresso in Stx : «Posizione vergognosa,

soprattutto alla luce di quello che loro hanno fatto da noi. Speriamo sia una mossa pre-elettorale».

Cassa ha chiuso il 2016 «in linea col piano industriale - ha detto Gallia -. Guardiamo con fiducia al 2017-

2018». Nel primo anno della gestione dei due manager («Strategiche Italgas e Ilva») l'utile netto di Cdp spa

è salito dell'86% a 1,7 miliardi e quello di gruppo a 1,1 miliardi (-900 milioni nel 2015). Sul miglioramento ha

inciso per circa il 45% la rinegoziazione con il Tesoro dei tassi (rialzati) sul conto di Tesoreria (circa 360

milioni, quindi).

Il gruppo ha impegnato risorse a favore dell'economia italiana per oltre 30 miliardi (sui 160 previsti nei

quattro anni) attivando investimenti complessivi per 50 miliardi (sui 265 al 2020). Si è rafforzato il

patrimonio netto sia di Cdp a 23,2 miliardi (+3,7 miliardi) sia di gruppo a 35,7 miliardi (+1,1 miliardi), grazie

anche all'apporto del 35% di Poste. Su cui non è stata esclusa la crescita: «Avere il 70% non cambierebbe

molto», ha detto Costamagna, che ha parlato di «integrazione nella monetica con Sia». L'attivo della

capogruppo Cdp è salito del 3,7% a 357,7 miliardi, mentre la raccolta complessiva è di 331,8 miliardi

(+2,7%) dei quali 250,8 di raccolta postale. Sul web veloce proseguono i contatti per l'ingresso di F2i in

Open Fiber.

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Società del Gruppo Cdp Società quotate e fondi d'investimento La struttura e gli investimenti Corriere della

Sera Risorse mobilitate nel 2016 (miliardi di euro) 30 5,4 (18%) pubblica amministrazione, infrastrutture,

real estate 14,2 (47%) internazionalizzazione delle imprese 10,5 (35%) sostegno alle imprese mld 10

miliardi di euro Cdp reti 59% Fintecna (gruppo Cdp) 100% Cdp investimenti sgr 70% Cdp immobiliare 100%

Cdp equity 100% Eni 26% Saipem 13% Terna 30% Snam 30% Italgas 26% Fincantieri 72% Poste Italiane

35% Investment Funds Simest 76% Sace 100% 50 miliardi di euro investimenti attivati miliardi di euro 23

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 47

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Il gruppo

Cdp, che è all'83% del Tesoro e per il resto di un gruppo di Fondazioni, è l'istituto nazionale di promozione

dell'economia. Presidente è Claudio Costamagna (in alto), con Fabio Gallia (sopra) ceo Cdp spa ha chiuso

il 2016 con 1,7 miliardi di utili netti (+86%). Ha partecipazioni in Eni (26%), Terna (30%), Italgas (26%),

Poste (35%), Saipem (13%), Snam (30%) Fincantieri (72%) e partecipa a diversi fondi

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 48

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Il nuovo sito

Boeri: così l'Inps è diventato più trasparente

Sarà accessibile da lunedì 3 aprile dopo una settimana di collaudo - e lungo lavoro di riorganizzazione dei

dati - iI nuovo portale dell'Inps.

Presentando il sito web e i nuovi servizi dell'Istituto di previdenza ieri a Milano, il presidente Tito Boeri ha

sottolineato come le scelte siano state orientate dalla «trasparenza».

Sono state aumentate la tracciabilità e la profondità del portale. Da lunedì prossimo sarà dunque possibile

gestire online molti dei servizi all'utente. «È anche «un'operazione coerente con la scelta fatta di maggior

presenza sul territorio - ha detto Boeri - le sedi territoriali lavorano meglio perché possono concentrarsi su

situazioni più complesse». Tanti sono i servizi di orientamento e per la simulazione, come per l'Isee e la

pensione, ma anche per il cedolino dei pagamenti ai pensionati.

«Un trasloco di queste proporzioni, con un sito che ha 1,5 milioni di accessi giornalieri, ha avuto bisogno di

un collaudo.

Ci sono voluti due anni - ha ricordato il presidente Boeri - perché al di là del disegno del nuovo portale c'è

stato un lavoro lungo di "traduzione", per trovare un equilibrio tra rigore e chiarezza».

Nelle date di punta gli accessi al sito dell'Inps possono arrivare a 3,5 milioni. Ogni giorno sono 15 milioni le

pagine visitate.

Commentando i dati più recenti sulle pensioni, Boeri ha poi affermato che «la parte assistenziale, ci sarà

sempre come componente importante, secondo i principi di solidarietà. Che andrebbero garantiti a tutti».

Nel 2016 sono state liquidate 1.048.096 pensioni, delle quali oltre la metà (il 53,2%) di natura assistenziale.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 49

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Fondo salva banche, rosso da 2,6 miliardi

Lo strumento finanziato dagli istituti. Bilancio Bankitalia: 3,5 miliardi allo Stato I soci Bankitalia è partecipata da 115 diversi soggetti, di cui ben 74 sono nuovi azionisti Andrea Ducci

ROMA Prosegue il cambio di pelle di Bankitalia. A testimoniarlo segnali come l'anticipazione del bilancio al

31 marzo, l'ulteriore rimescolamento del capitale sociale e l'attribuzione alle riserve ordinarie dei dividendi

relativi alle quote di partecipazione oltre la soglia del 3%. La relazione del governatore di Bankitalia, Ignazio

Visco, a corredo dell'approvazione del bilancio da parte dell'assemblea, conferma le novità. Rispetto a un

anno fa il capitale della banca è più frammentato: i maggiori partecipanti hanno ceduto quote pari al 23,9%,

tanto che oggi Via Nazionale è partecipata da 115 diversi soggetti. Ben 74 sono nuovi azionisti e si contano

42 banche, 2 compagnie di assicurazione, 7 fondi pensione, 8 enti di previdenza e 15 fondazioni bancarie.

A diluire la presenza sono state le banche storicamente presenti nel capitale e le compagnie assicurative,

scese al 73,2%. A stabilirlo è la riforma varata dal governo Letta, sebbene, come ricordato da Visco, «il

processo di riallocazione» per rendere Bankitalia una sorta di public company sia da completare. Azionisti

come Generali, Intesa San Paolo, Unicredit e Carige dovranno ulteriormente dimagrire per un valore

nominale pari a 2,9 miliardi di euro. Sul fronte del bilancio Bankitalia archivia il 2016 con attivi record a

quota 774 miliardi (erano 587 nel 2015), nell'ultimo anno sono stati acquistati titoli di Stato per 115 miliardi,

portandone la consistenza totale a quota 186 miliardi. Le riserve auree si sono rivalutate per 10 miliardi e

sfiorano un valore di 87 miliardi. Il conto economico evidenzia un utile netto di 2,7 miliardi di euro. Il piano di

riparto dell'utile assegna però ai partecipanti solo 207 milioni di euro, allo Stato vanno 2,15 miliardi, oltre

che 1,3 miliardi di imposte per un totale di quasi 3,5 miliardi. La nota dolente riguarda il Fondo di risoluzione

per le banche, gestito da Bankitalia, ma alimentato dagli istituti. Nel 2016 il fondo ha registrato perdite per

2,59 miliardi, causate dalla svalutazione e dalla ricapitalizzazione di Banca Marche, Banca Etruria,

CariChieti e CariFerrara.

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I conti

La Banca d'Italia (nella foto il governatore, Ignazio Visco ) ha chiuso il 2016 con utili per 2,7 miliardi. Di

questi, 2,15 miliardi andranno allo Stato

115 I soci della Banca d'Italia. 74 sono nuovi

73,2 per cento La quota in mano alle banche

207 milioni di euro Gli utili versati ai partecipanti al capitale

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 50

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Riforme e meno Irpef: la ricetta Confcommercio per rilanciare i consumi

Sangalli: l'alternativa è una nuova stagnazione nel 2018 Fausta Chiesa

DALLA NOSTRA INVIATA

cernobbio (como) Per colpa del credit crunch , nel 2014 le imprese italiane hanno perso il 4,8% del valore

aggiunto che - in termini di Pil - significa una perdita dello 0,6% di crescita economica del Paese. La stima è

dell'Ufficio Studi di Confcommercio. Ieri durante il 18esimo Forum che si è tenuto a Cernobbio,

l'associazione guidata da Carlo Sangalli è tornata a battere sul problema del credito alle imprese, che oggi

è di circa 776 miliardi di euro contro gli 893 miliardi di fine 2011. L'equazione è semplice: senza prestiti

l'Italia non cresce e il problema si porrà soprattutto l'anno prossimo quando - detto con le parole di Sangalli

- «finirà il cortisone di Mario Draghi», cioè terminerà il programma di acquisto dei titoli da parte della Bce.

Davanti alla difesa delle banche - «Abbiamo aumentato gli impieghi dai 27 miliardi del 2014 ai 47 miliardi

nel 2016 e nei primi due mesi del 2017 continuiamo a crescere al ritmo del 20%», ha risposto Stefano

Barrese, responsabile Banca dei Territori di Intesa Sanpaolo mentre in una nota l'Abi ha sottolineato come i

dati ufficiali di Banca d'Italia e Istat «segnalano che i finanziamenti al settore del commercio a gennaio 2017

registravano un incremento su base annua del +0,7% e la quota delle domande di finanziamento accolte è

circa l'85%» - Confcommercio ha citato i dati dell'Osservatorio credito. Se è vero che scende il numero di

imprese che chiedono un prestito, scende però di più la percentuale di quelle che riescono a ottenerlo e le

più penalizzate sono le micro-aziende del Sud. Presentando le nuove previsioni, l'Ufficio Studi diretto da

Mariano Bella nell'analisi intitolata «Il ritorno dell'incertezza e il ruolo del credito bancario» ha rivisto al rialzo

la crescita economica di quest'anno da +1% a +1,1%, ma ritoccando al ribasso la crescita del Pil del 2018

allo 0,8% dall'1,2% ipotizzato nell'ottobre scorso. Tra i vari dati macro, l'anno prossimo soltanto l'inflazione

cresce ed è attesa a +2% dall'1,5% di quest'anno. Una previsione in linea con la stima preliminare su

marzo pubblicata ieri dall'Istat: l'inflazione non varia su base mensile e registra un aumento dell'1,4%

rispetto a marzo 2016. L'aumento dei prezzi rallenta dal +1,6% di febbraio, dopo 4 accelerazioni. Secondo

la Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo, sul dato hanno inciso effetti temporanei e per la media

dell'anno si stima un aumento dei prezzi dell'1,5%. A marzo l'inflazione ha frenato anche nell'eurozona

(+1,5% su base annua).

Intanto, Confcommercio constata il riemergere delle criticità strutturali dell'economia italiana, a partire dal

debito pubblico, passando per il deficit di legalità e di infrastrutture per arrivare all'eccesso di burocrazia e

di pressione fiscale. Oggi alle 12.30 a Cernobbio arriverà il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni.

«Dobbiamo accelerare le riforme economiche per rendere la ripresa più robusta - ha detto Sangalli - o ci

dovremo arrendere allo scenario del rapporto che vede i presupposti per tornare nel 2018 a una nuova

pericolosa stagnazione». Per Sangalli serve agire sulle aliquote Irpef per rilanciare la domanda interna e

bisogna superare la logica dei bonus e degli interventi spot per ridurre e riqualificare la spesa pubblica.

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Corriere della Sera Le nuove previsioni su Pil e consumi Fonte: Confcommercio 0,9 1,0 1,2 Fonti

finanziarie non bancarie per il sistema economico 23,0 72,2 36,9 Capitalizzazione azionaria, obbligazioni e

altri strumenti in % del Pil Previsioni di: marzo 2017 ottobre 2016 Pil Consumi 2016 2017 2018 2016 2017

2018 1,0 1,1 0,8 1,4 0,8 0,7 1,4 0,6 0,6 (variazioni %) 2011 2016 ITALIA Francia Germania 27,0 92,3 47,0

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 51

03/04/2017

Pag. 22 N.13 - 3 aprile 2017

CARO MUNCHAU, IL DEBITO C'È, MA LA CRESCITA?

Le responsabilità dell'Italia e quelle dell'Europa sull'urgenza legata allo sviluppo Fabrizio Saccomanni*

Caro direttore è vero, come scritto da Wolfgang Munchau su L'Economia di lunedì scorso, che c'è stata

poca attenzione della classe politica italiana al problema del debito. Soprattutto sul rispetto di quel patto

implicito che fu firmato a Maastricht: non dobbiamo ridurre il debito in assoluto, ma ridurne la crescita

rispetto al Pil. Per molti anni l'Italia l'aveva fatto e nessuno si era sognato di mettere in dubbio la nostra

sostenibilità. Ora altri Paesi dell'Europa, che pure hanno i nostri stessi vincoli, hanno ripreso a crescere più

di noi. Abbiamo questa zavorra del debito: dovremmo impegnarci di più.

Detto questo, l'accusa ai governi italiani di aver approvato patti europei senza intenzione di rispettarli mi

pare abbastanza ingiusta. Gli esempi per dimostrarlo non mancano: da quando il governo di Mario Monti,

con il sostegno della Banca d'Italia, in un confronto piuttosto duro nel Consiglio europeo del giugno 2012

pose le basi per il «whatever it takes» di Mario Draghi; a quando con il governo di Enrico Letta uscimmo

dalla procedura di infrazione e contemporaneamente sollevammo il problema dei rischi di deterioramento

della congiuntura e di un aumento della disoccupazione. Allora ci fu detto che c'erano le elezioni in

Germana e per il Parlamento europeo, quindi non si potevano prendere iniziative.

Quando si concluse questa «pausa politica», il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker

poté prendere due iniziative: il piano per gli investimenti e la flessibilità di bilancio, secondo precise richieste

da parte italiana. Quando ero ministro avviai una discussione in Europa su quest'ultimo tema. Il governo

Renzi ha continuato la battaglia e mi fa piacere che Padoan sia riuscito a vincerla. Ma non dobbiamo

dimenticare che la flessibilità è un concetto temporaneo: un elastico lo si può estendere per un po' per farlo

girare intorno a un pacco, ma se quel pacco diventa sempre più grande, l'elastico si spezza.

Ormai siamo al punto in cui il debito va fatto scendere rispetto al Pil, privatizzando e riducendo il deficit. È

un problema che le forze politiche più responsabili dovrebbero riconoscere. Se invece si corre dietro a chi

critica di più l'Europa, si commette un grave errore. Spero che alle prossime elezioni si formi una divisione

di campi fra chi pensa che è sempre tutta colpa dell'Europa e chi dice che occorre un nuovo patto italiano

per l'Europa. L'Italia si deve impegnare sul debito; in contropartita, serve un grande piano di investimenti

con fondi europei, anche con uno stretto monitoraggio.

*Ex ministro dell'Economia

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 52

03/04/2017

Pag. 22 N.13 - 3 aprile 2017

IL PUNTO

Troppe bugie (e alibi) sull'euro

Daniele Manca

D i bugie ne girano parecchie sull'euro. Una, la più insidiosa, è quella che afferma che da gennaio 1999,

anno di nascita della moneta unica, l'Italia è stata una delle nazioni che più ha subito i suoi effetti negativi.

A cominciare da quelli sulla crescita: avrebbe messo a segno il più basso tasso di sviluppo tra i suoi

partner. Come spesso accade, i numeri possono essere ingannevoli. In realtà a scorrere i grafici, si scopre

che dal 1999 al 2007, sebbene in modo non entusiasmante, è continuata la creazione di ricchezza. Anzi,

fino al 2005-2006, il Pil pro capite del nostro Paese è stato pari a circa il 98% di quello tedesco. Ogni

italiano, cioè, produceva tanto valore quanto un tedesco. La domanda da farsi è che cosa è accaduto nel

2005? È in quell'anno che iniziano in Germania a essere varate le riforme sul lavoro e sulla produttività.

Tanto da identificare quel periodo come il punto di svolta per i tedeschi, che all'epoca, va ricordato,

venivano definiti, i malati d'Europa. Il risultato è macroscopico: fatto 100 il Pil pro capite nel 1995, la

crescita è analoga per Berlino e Roma fino al 2005-2006, ma da quel momento le curve si divaricano:

l'Italia oggi è a quota 103 circa, mentre la Germania è a 130. La classe dirigente tedesca si è posta la

domanda: abbiamo l'euro, abbiamo un mercato di 550 milioni di persone che vivono nell'Unione, cosa

dobbiamo fare per sfruttare al meglio la situazione? La conferma dell'effetto propulsivo di quelle riforme è

testimoniato anche dall'andamento del costo del lavoro. Sempre in Germania, nello stesso periodo si

mantenne piatto, anzi iniziò a scendere leggermente. In Italia? È stato in costante e forte crescita fino al

2008 per poi iniziare una leggera discesa. A ulteriore dimostrazione che le sfortune o le fortune delle

nazioni, per quanto si possano ricercare alibi o capri espiatori altrove, dipendono dalle scelte più o meno

lungimiranti della sua classe dirigente. E dalla quota di statisti e non solo di politici della quale si dispone.

@daniele_manca

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 53

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CONTI PUBBLICI

Regole e deroghe da Roma a Bruxelles

Dino Pesole

Regolee deroghe. Una prassi che ben conosciamo, abituati come siamo a individuare nelle pieghe della

legislazione di casa nostra tutti i possibili varchi interpretativi. Il punto è che questa prassi sembra

affermarsi anchea Bruxelles. Regole scolpite nelle tavole dell'armamentario tecnico/giuridico che guida

scelte e raccomandazioni di politica economica rivolte a tutti i Paesi membri, che poi vengono

inevitabilmente reinterpretate in sede politicae "derogate", appunto. Un caso che ci investe direttamente,

ora che il Governo sta per approvare il Documento di economia e finanza e il Piano nazionale di riforma. Va

benissimo la flessibilità di cui peraltro il nostro paese ha già fruito per 19 miliardi nel biennio 2015/2016, cui

vanno ad aggiungersi circa 7 miliardi per l'anno in corso.E pare sacrosanto anche avviare una discussione

su ulteriori margini da spuntare nel 2018, nel confuso intreccio di parametri contabili comunque da rivedere:

deficit strutturale, deficit nominale, calcolo del Pil potenziale e rispetto della regola del debito, tanto per

citarne alcuni. Il puntoè che bisognerebbe avere il coraggioe la volontà politica di cambiarle, quelle regole,

evitando così di farle diventare materia di defatigante trattativa su qualche decimale in più o in meno di

flessibilità. Finoa che non si metterà mano seriamentea una modifica del set di regole definito per gran

parte negli anni della grande crisi (dal Fiscal compact, al Six Pack e al Two Pack), fino a spingersi a

rivedere anche i famosi parametri di Maastricht, ci troveremo tra breve nuovamentea farei conti con

numerie stime macroeconomiche inevitabilmente ad alto tasso di variabilità, anche perché basati su scenari

in progress. Il tutto andrà ricalibrato in settembre, quando si comincerà a definire l'ossatura della prossima

manovra di bilancio. Già, ma allora non ha molto senso che in maggio la Commissione Ue si pronunci sui

conti pubblici del nostro Paese (brandendo l'arma della procedura per disavanzo eccessivo, motivato dal

mancato rispetto della "regola del debito"), quando appare chiaro fin d'ora che occorrerà trattare

nuovamente sul percorso di riduzione del deficit strutturale. Continua u pagina5 u Continua da pagina 1 Il

paradosso è che ora Bruxelles impone all'Italia una correzione dello 0,2% del Pil, quando è già

sostanzialmente scritto che il tragitto previsto dalle regole europee (un taglio di almeno lo 0,5% del Pil

l'anno fino al raggiungimento del pareggio) non potrà essere rispettato, perché richiederebbe in ottobre una

manovra correttiva sui saldi di almeno 20 miliardi. Un'altra deroga all'orizzonte? Probabilmente si, ma la

Commissione Ue potrà comunque presentare in maggio ai riottosi governi rigoristi europei (Germania in

testa) il "prezioso" esito del negoziato in atto con Roma da mesi: la correzione di 3,4 miliardi che il Governo

varerà a metà di questo mese di aprile. Il tutto pur mantenendo una qualche riserva sull'esito della

flessibilità già concessa, in particolare attraverso la clausola sugli investimenti. Spostiamo l'attenzione

sull'Iva. È la stessa commissione Ue a sollecitare da tempo il trasferimento del prelievo dai fattori produttivi

ai consumi. L'occasione è offerta dalle prossime clausole di salvaguardia: 19,6 miliardi sotto forma di

incremento di Iva e accise, pronti a scattare dal prossimo anno. Aumenti che il Governo (come peraltro già

avvenuto nel 2015 e 2016) intende disinnescare. Ma il problema è che per evitare l'aumento dell'Iva

occorrerà mettere in campo nuovamente l'arma del maggior deficit. Dunque non più l'1,2% previsto dalla

Nota di aggiornamento del Def del settembre 2016, ma l'1,82%, fermo restando che andranno comunque

individuate ulteriori risorse compensative per finanziare gli interventi "espansivi" in agenda, a partire dal

taglio del costo del lavoro. Vi è dunque da attendersi un altro, acceso round negoziale tra Roma e

Bruxelles. Tanto varrebbe riconoscere che quei parametri (in primis il deficit strutturale) andrebbero rivisti

per cedere il passo a nuovi e più manovrabili indicatori (ad esempio l'andamento della spesa). L'istruttoria

avviata in anno fa all'Ecofin informale di Amsterdam è tuttora ferma ai blocchi di partenza. Nel menu della

manovra 2018 rispunta anche il dossier delle agevolazioni fiscali. Il taglio selettivo rispetto alle attuali 444

tax expenditures è stato finora regolarmente rinviato a tempi migliori. Ma in questo caso, l'Europa c'entra

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 54

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poco. Se non fosse che per verificarne l'impatto, la Commissione Ue applica il criterio del "sistema fiscale

vigente", valutando se ciascuna spesa fiscale rappresenti o meno un elemento di carattere strutturale. Per il

Governo è semplicemente uno degli addendi possibili della prossima manovra. Gli 80 concessi dal governo

Renzi ai redditi medio•bassi sono classificati peraltro come maggiori spese e non come minori entrate. Non

sarà giunto il momento di semplificare drasticamente tutta questa complessa architettura contabile

europea?

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 55

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INFRASTRUTTURE IMPRESA& TERRITORI

Banda ultralarga, la sfida è sui distretti

Andrea Biondi

Si concluderà a fine aprile la consultazione del ministero dello Sviluppo economico per mappare le aree

«grigie», in cui opera un solo operatore tlc. Qui risiede il 69% delle imprese. E qui c'è necessità di far

aumentare l'adozione dei servizi in fibra esistenti, anche in chiave di «Industria 4.0». Intanto la copertura in

ultrabroadband ha raggiunto il 61% della popolazione, ma gli utenti effettivi sono 2,3 milioni. pagina 11 pA

questo punto molti elementi fanno pensare che il 2017 potrebbe (o per meglio dire, dovrebbe) essere l'anno

della svolta sul tema della banda ultralarga. Sarà senz'altro questa l'idea di fondo che ha spinto il ministero

dello Sviluppo economico ad avviarea inizio marzo una consultazione sui servizi nelle cosiddette aree grigie

(doveè presente un solo operatore tlc) e nere (con più operatori). In sostanza Infratel, società in house del

Mise, ha chiesto agli operatori di comunicare i livelli di copertura esistenti nelle attuali aree grigiee nere al

1° marzo 2017 e i piani di copertura previsti nel triennio. La consultazione terminerà il 28 aprile e da allora a

disposizione ci sarà un tassello che può rivelarsi prezioso. Nelle aree grigie, infatti, si concentra il 69% delle

aziende italiane e solo il 17% dei Comuni che ricadono nel territorio dei distretti industriali è raggiunto dai

30 Megabit al secondo. Un ritardo, questo, che rischia di avere pesanti riflessi sulla reale implementazione

del piano «Industria 4.0». La dotazione di servizi in fibra ottica in quelle aree dovrà dunque aumentare.

Come? Con i risultati della consultazione partirà l'interlocuzione con la Commissione Ue. Nulla è da dare

per semplice o scontato. Per le aree grigie ci si starebbe orientando verso una dotazione di voucher alla

domanda: soluzione che metterebbe al riparo dal processo lungo con la Ue e che in estrema sintesi

dovrebbe mettere al riparo da possibili accuse di aiuti di Stato. Inizia a prendere sostanza, dunque, la fase2

di un Piano banda ultralarga che affonda le sue radici alle fasi iniziali del governo Renzi. Non tutto è andato

evidentemente per il verso giusto da allora e la discesa in questa arena di Enel (con la società ora diventata

Open Fiber e controllata da Enel e Cdp dopo aver inglobato Metroweb e la sua rete in Ftth) è sicuramente

servita a dare una sferzata. Che il 2017, comunque, possa a questo punto rappresentare l'anno della svolta

lo dimostra anche il fatto che a marzo è stata assegnata la prima gara Infratel per la realizzazione della rete

ultrabroadband che rimarrà statale, ma sarà data in concessione ventennale, nelle aree "bianche" (quelle in

cui gli operatori hanno dichiarato di non voler investire autonomamente) di sei regioni: Lombardia, Veneto,

Emilia•Romagna, Toscana, Abruzzo e Molise. Ci sarà da affrontare il nodo ricorsi e anche la Ue è sul tema

dopo che Telecom ha dichiarato di non partecipare al secondo bando, ma di voler investire per conto suo in

molte aree bianche (che quindi, è il ragionamento di Tim, avrebbero già un investitore e non sarebbero da

incentivare). «Non c'è nessuna preoccupazione» ha subito precisato il sottosegretario alle Comunicazioni,

Antonello Giacomelli, che respinge la tesi al mittente. Le condizioni per la sterzata sembrano comunque

esserci in un mercato che si sta polarizzando. Sulla fibra di Open Fiber confidano Wind Tre e Vodafone per

fornire i servizi alla propria clientela. L'altro principale operatore alternativo a Tim, vale a dire Fastweb, da

una parte va avanti per la sua strada e dall'altra ha creato con l'ex monopolista una joint venture per una

rete Ftth con velocitàa1 Giga in 29 città italiane. Centri, questi, che si aggiungono a quelli già coperti da Tim

e Fastweb e a quelli (una ventina in più) che l'ex monopolista coprirà per conto suo in Ftth. Da questo

mese, peraltro, la rete sarà messaa disposizione per la vendita. La tavola, insomma, è imbandita e gli chef

sono schierati. Il ritardo da recuperare però c'è. Gli utenti nell'ultrabroadband sono 2,3 milioni (il 92%è

rappresentato dagli abbonati di Tim, Fastweb e Vodafone): il 14% dei 15,56 milioni di linee fisse broadband.

La Ue, che costruisce l'indice Desi (sulla digitalizzazione dei vari Paesi), sul versante sottoscrizioni

ultrabroadband posiziona l'Italia al 25° posto su 28. Detto questo, è anche vero che la copertura sta

crescendo, come rileva anche un'indagine EY (si veda grafico in pagina). «A gennaio 2017 i servizi

ultrabroadband di rete fissa hanno raggiunto oltre 1.800 Comuni italiani e circa il 61% della popolazione. In

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 56

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particolare, Puglia e Calabria sono le regioni più coperte con valori tra il 70 e l'80%» commenta Fabrizio

Pascale, Technology, Media & Telecommunication Leader di EY in Italia. Il Sud raccoglie così i frutti dei

bandi Eurosud. Ma va sempre ricordato che si tratta di un Sud in alto in classifica in un'Italia quart'ultima nel

ranking generale 2.0 (Desi) della Ue.

La fotografia LE COPERTURE ULTRABROADBAND DI RETE FISSA Banda ultralarga di rete fissa ( 30

Mbps) gennaio 2017. Percentuale di popolazione raggiunta Puglia Cal abria Campania Lazio Li guria Si

cilia Lombardia 80 73 72 70 68 67 63 Toscana Basili cata ITALIA Emilia Romagna Fri uli Ve ne zia Gi ulia

Pie monte Ve ne to

Note: * Utenti ultra broadband fisso (in casa), 63 61 61 59 53 53 49 Umbria Marche Sarde gna Abruzzo

Moli se Tre nti no Al to Adi ge V alle d'Aosta 48 47 41 39 39 37 22 IL TREND La diffusione delle reti ultra

broadband fisse e mobili nelle famiglie italiane Famiglie UBB fisso (% famiglie internet) Famiglie Ubb fisso

(milioni) 4 0,7 2014 FISSO 7 2,3 1,2 2015 16 anni, che hanno scelto di sottoscrivere un nuovo

abbonamento fibra; ** l'82% ha percepito almeno un miglioramento 13 2016 Famiglie UBB fisso e mobile

(% famiglie internet) Famiglie Ubb Fisso e mobile (milioni) 12 2,1 2014 MOBILE 36 6,2 2015 56 10,0 2016

LE RAGIONI DELLA SCELTA * Motivi di adozione e miglioramenti percepiti con la banda ultralarga fisso.

Utenti che hanno scelto l'ultra broadband fisso. In % Quali dei seguenti motivi l'ha spinta a sottoscrivere un

collegamento in fibra? (Max 2 persone) MOTIVI DI ADOZIONE Avere prestazioni Internet migliori Usare più

apparati contemporaneamente Guardare contenuti video di alta qualità Usare più applicazioni

contemporaneamente 80 13 9 6 Da quando ha un collegamento in fibra quali dei seguenti miglioramenti ha

percepito maggiormente? (Max 2 persone) MIGLIORAMENTI PERCEPITI Le prestazioni restano elevate

anche con più apparati collegati Riesco a inviare più velocemente documenti, foto, video, eccetera 33 É

migliorata la qualità dei contenuti video che guardo su internet ** 27 20 Riesco a scaricare più velocemente

documenti, foto, video, eccetera 19 Fonte: EY Osservatorio UltraBroadband

Tim, nell'arco di Piano triennale 2017-2019, ha dichiarato di investire in Italia 11 miliardi di euro, di cui 5

dedicati all'accelerazione dello sviluppo delle reti ultrabroadband. L'ex monopolista ha raggiunto oltre il 60%

dell'Italia con la fibra ottica con oltre 14 milioni di abitazioni in circa 1.800 Comuni. L'obiettivo di copertura

del 95% della popolazione italiana con connessioni ultrabroadband sarà raggiunto alla fine del primo

semestre del 2018, mentre nel 2019 la copertura salirà al 99% anche con il contributo di tecnologie

wireless. Negli ultimi due anni la copertura del Paese in banda ultralarga fissa di Tim è passata dal 24% al

60% e ogni mese vengono connesse circa 500mila nuove unità immobiliari. Alla fine del Piano triennale,

inoltre, Tim avrà cablato le 50 maggiori città italiane in tecnologia Ftth, che abilita connessioni fino a 1 Giga

al secondo. Di queste città, 29 saranno cablate da Flash Fiber, la joint venture controllata all'80% da Tim e

partecipata al 20% da Fastweb. In totale le abitazioni coperte da Flash Fiber saranno 3 milioni (oltre 1,1

milioni nel 2017) con un investimento di 1,2 miliardi di euro

INVESTIMENTI NEL PIANO 2017•2019

Lo stato dell'arte e i piani di avanzamento degli operatori

TIM

OPEN FIBER

FASTWEB

11

2,7

13

miliardi di euro

milioni

milioni

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 57

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ALTRI OPERATORI E FIXED WIRELESS

40

città

aree

VODAFONE E WIND TRE

527 Vodafone Italia dichiara una quota del mercato in fibra pari al 22 per cento.A febbraio 2017 la

compagnia guidata in Italia da Aldo Bisio offre il servizio in fibra in 527 città per un totale 11,7 milioni di

famigliee imprese. Vodafone offre la fibra finoa1 Gigabit al secondoa Milano, Bologna, Torinoe Perugia, in

virtù della partnership con Open Fiber (che ha inglobato Metroweb). Vodafone dichiara di aver portato la

fibra con una velocità di1 Gigabit al secondo nei distretti industriali di Moncalieri (Torino), Cologno Monzese

(Milano), Carpi (Modena), Modena, Forlì Ospedaletto (ForlìCesena), Modugno (Bari), Surbo (Lecce)e

Arzano (Napoli). Wind Tre ha una partnership con Open Fiber per lo sviluppo della rete in fibra Ftth.

Complessivamente l'azienda sta coprendo 13 città italiane. Milano, Bologna, Torinoe Perugia sono state già

raggiunte dal servizio. Tra le altre, in via di copertura, figurano Bari, Genova, Palermo, Venezia, Padova,

Cagliari, Catania, Napolie Firenze. Nelle città coperte sarà possibile navigare finoa1 Giga. Wind Tre ha

l'obiettivo di estendere la partnership con Open Fiber anche ad altri 80 centri urbani. Alla fine del 2017 la

fibra Wind Tre sarà disponibile per circa 2,2 milioni di abitazioni I CENTRI SERVITI DA VODAFONE Open

Fiber viene costituita da Enela fine 2015 con l'obiettivo di realizzaree gestire reti in fibra ottica. La societàè

compartecipata da Enele Cdp, dopo aver inglobato Metroweba fine 2016,e non fornirà servizi in fibra, ma

solo fibra spenta. Sono più di 281i Comuni italiani, inclusi nei clusterAeB (quelli più attrezzati), interessati

dalla prima fase del piano di Open Fibere 9,6 milioni il numero indicativo delle unità immobiliari che saranno

raggiunte per un investimento di 3,9 miliardi di euro dedicatia realizzazionee sviluppo della rete (di cui circa

l'85% entro il 2022). Open Fiber ha avviato le sue attività in un primo progetto pilota nella città di Perugia.

Negli ultimi mesi del 2016 sono stati avviatii lavoria Catania, Venezia, Cagliari, Padova, Bari, Palermo,

Napoli, Firenzee Genova.È previsto l'80% del cablaggio delle prime 10 città tra maggio 2017e aprile 2019.A

fine 2017 la società avrà cablato complessivamente circa 2,7 milioni di unità immobiliari. Va segnalato che,

grazie all'acquisizione di Metroweb, Open Fiber dispone già ora di una rete Ftth (Fiber to the home) che

copre Milano, Torino, Genovae Bologna (1,5 milioni di abitazioni) LE UNITÀ IMMOBILIARI CABLATE A

FINE 2017 Esiste un discreto numero di player che forniscono servizi su base regionalee altri

esclusivamente alle imprese.E accantoa questi, quando si parla di banda ultralarga, per completare il

quadro c'è da annoverare gli operatori del "fixed wireless". Sono quelli il cui servizio si sviluppa graziea una

rete in fibra fino alle antennee ultimo miglio radio. Il wirelessè considerato una soluzione valida in

particolare nelle aree più svantaggiate, per supplire all'assenza di reti in fibra. Questo, per esempio,è il

modello cui si rifà Eolo, presente in 13 regioni del Centroe Nord Italiae che ha recentemente acquisito, con

un investimento di 10 milioni di euro,i diritti d'uso per 224 Mhz di spettro radioa 28 GHz su scala nazionale.

Sui centri urbani di media grandezza,e sempre nel fixed wireless, punta invece Linkem, che dichiara più di

430mila clienti, raggiunge il 65% della popolazione italiana edè attiva in 18 delle 20 principali aree

metropolitane del Paese, tra cui Roma, Firenze, Palermo, Bari, Torinoe Napoli. Milano arriveràa fine anno.

Sul fixed wireless ha dichiarato di puntare anche Tiscali, dopo aver avuto in dote dal matrimonio con il

gruppo Aria le frequenze 3.5 Ghz. La società dichiara una copertura Wireless Fiber To The Home, con

capacità cioè finoa 100 Mbps, paria 1.500 Comuni al terzo trimestre 2017. L'obiettivoè raggiungere il 50%

di famigliee imprese entro il 2018. Tiscali commercializza anche servizi in fibraa1 Gb su infrastrutture di

partner (oltre 200 Comuni soprai 30mila abitanti). Sui servizi di fibra alle imprese opera la quotata Retelit,

con 218mila km di fibra in Italia, di cui circa 63mila in ambito urbano, 100 milioni di investimento previsti nel

2017•2021e 3mila siti Fastweb, società facente parte del gruppo Swisscom da settembre 2007, lo scorso

anno ha esteso la copertura della propria infrastruttura in fibraa 1,2 milioni di famiglie e imprese,

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 58

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raggiungendo un totale di 7,5 milioni, di cui 2,2 milioni con tecnologia Ftth (Fiber to the Home)e 5,3 milioni

con tecnologia Fttc (Fiber to the Cabinet, con sistema misto fibra•rame). Inoltre, grazie alla tecnologia Vplus,

Fastweb dichiara di aver raddoppiato la velocità di navigazione fino a 200 Megabit per secondo su

tecnologia Fttc, mentrea dicembre ha lanciato connessioni con velocità finoa1 Giga su tecnologia Ftth.

Fastweb forniscei propri servizi in fibra in 127 città, di cui 30 nuove nel 2017. Sempre nel 2016 la società ha

annunciato un'ulteriore espansione del piano ultrabroadband per il 2020 con l'obiettivo di raggiungere 13

milioni di famigliee imprese in banda ultralarga (circa il 50% della popolazione rispetto al 30% di fine 2016),

di cui 8 milioni con tecnologia Fttce5 milioni con tecnologia Ftth. I3 milioni di nuovi collegamenti in Ftth

saranno realizzati da Flash Fiber, la joint venture tra Fastwebe Tim, costituita ad agosto 2016 per portare

realizzare una rete Ftthe verticali nei palazzi in 29 città italiane. FAMIGLIE E IMPRESE DA COPRIRE

ENTRO IL 2020 business già collegati. La societàè presente in 40 aree industrialie ne ha già pianificate per

il 2017 ulteriori 15. Altro player in questo segmento dei servizi in fibra alle impreseè Colt, società presente,

fra le varie aree, in Italiaa Roma, Milano, Torino, Bolognae Genovae facente parte di una multinazionale Uk

che opera in 28 Paesi fra Europa, Asiae Usa. La società dichiara di fornire servizia 18 delle principali 25

banchee gruppi finanziari nel mondo. Sui servizi alle impreseè da considerare Bt, che in Italia serve 50mila

fra aziendee Pae può contare su un network di proprietà in fibra ottica che si snoda per oltre 17mila Km sul

territorio nazionale. Nel settore opera anche Interoute, società multinazionale che in Italia possiede circa

8mila km di fibra backbone edè presente nelle maggiori aree industriali del Paese. Altre due società attive

nella fornitura di fibra alle imprese sono Clouditaliae Infracom. Per quanto riguarda la prima, la società

dichiara di metterea disposizione una rete di circa 15mila km in fibra ottica, affiancata da 3.500 km di rete in

ponti radio. Infracom (gruppo Abertis), attualmente interessata da un processo di venditae con 100 milioni

di fatturato, ha 4mila km di fibrae opera in tutta Italia tranne Calabria, Siciliae Sardegna LA COPERTURA

RETELIT SULLE ZONE INDUSTRIALI

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 59

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Così l'effetto Nimby ha cambiato l'oil&gas

Jacopo Giliberto

Le compagnie studiano le nostre mappe non più per i giacimenti ma per evitare problemi di ordine pubblico.

pagina 11 RAVENNA. Dal nostro inviato Il divieto di sfruttare il giacimento Ombrina Mare potrebbe essere

pagato 2,6 euro da ciascuno dei 60 milioni di italiani se fosse confermata l'ipotesi di un danno da 160

milioni di euro per la compagnia inglese Rockhopper, la quale ha aperto un arbitrato internazionale ad

Amsterdam contro lo Stato italiano. La Rockhopper ha deciso di rivalersi dopo che, nel dicembre 2015, il

Governo aveva accolto le spinte dei comitati "no triv" e aveva fermato il giacimento in Adriatico di fronte alla

costa abruzzese. La vicenda del risarcimento che la Rockhopper intende chiedere per il danno emergente

e il lucro cessante è stato uno dei temi discussi nei giorni scorsi a Ravenna per l'Omc (Offshore

Mediterranean Conference), uno degli eventi più importanti dell'upstream petrolifero nel Vecchio Continente

e concluso ieri mattina. L'argomento comune di gran parte delle discussioni delle compagnie petrolifere non

è dove sono i giacimenti (pare che l'Italia sia piena di riserve nascoste da scoprire) bensì dove il contesto

sociale consente di usare le risorse. In altre parole: dove si può investire e dove al contrario i comitati nimby

impediscono de facto di usare le risorse. Si riuscirà per esempio a esplorare il mare a ponente della

Sardegna? In teoria, sotto al fondale fra Sardegna, Spagna e Francia potrebbero nascondersi risorse

gigantesche, qualcosa come 6mila miliardi di metri cubi di metano. Un'enormità che potrebbe cambiare la

mappa del benessere e del malessere. Se riuscirà a sfruttare quelle aree, l'Ita• lia potrebbe incassare royalty

importanti per contribuire anche alle politiche sociali, sanitarie, ambientali e così via. Secondo i geologi, nel

sottosuolo sotto i piedi degli italiani ci sono le condizioni per trovare risorse impressionanti. È una

mezzaluna immensa che dal Piemonte passa sotto Lombardia, Veneto, Emilia e Romagna fino a Basilicata

e Puglia, compreso tutto l'Adriatico, e poi il mare Ionio e il Canale di Sicilia. E il mare a ovest della

Sardegna. Le compagnie vorrebbero cercare sotto la Basilicata e il mare Ionio, ma la sensibilità locale

potrebbe non permettere di individuare molti dei giacimenti immaginati. Altri giacimenti rilevanti si

annunciano sotto i fondali dell'Adriatico, dal golfo di Venezia fino al Canale d'Otranto, ma veneti e pugliesi

paiono voler rinunciare a questa ricchezza. Sembrano meno imbarazzati nello sfruttare il sottosuolo i

siciliani, gli emiliani e i romagnoli. Chi si muove? Stanno cercando giacimenti diverse compagnie

internazionali, come l'Aleanna, l'Apennine, la Po Valley. Attive anche l'emiliana Gas Plus che sta avviando

nuovi giacimenti, l'Edison con investimenti soprattutto attorno alla storica piattaforma Vega al largo della

costa ragusana, l'Eni con le riserve nel Canale di Sicilia di frontea Gela. In Basilicata la Total sta

completando il centro oli di Tempa Rossa e la Shell di scontra con primi no dei comitati nimby per le nuove

aree di ricerca. Il solo progetto Argo che l'Eni sta sviluppando al largo di Gela potrebbe soddisfare un terzo

del fabbisogno di metano dell'intera Sicilia, con impianti realizzati nella storica raffineria di Gela senza

bisogno di brutte piattaforme in mezzo al mare. L'industria dei giacimenti si sta attrezzando per superare la

paralisi generata dalle contestazioni locali. Invece di cercare nuovi giacimenti conviene sfruttare più a fondo

i giacimenti da cui già si estrae. Fra i progetti, si studia per esempio di iniettare nei giacimenti quell'anidride

carbonica che oggi molte ciminiere disperdono nell'aria. E la CO2 compressa nel sottosuolo può fare come

fa la CO2 nei fusti di birra: spillare meglio il fluido contenuto all'interno. Greggio alla spina. 160 MILIONI €

DI DANNI PER IL PROGETTO OMBRINA MAREIl sottosuolo CARTA DELLE ISTANZE E DEI PERMESSI

DI RICERCA IN MARE Situazione a settembre 2016 Possibili giacimenti SARDEGNA Linea delle 12 miglia

dalle coste e dalle aree protette marine e costiere TRENTINO A. A. VENETO V. D'AOSTA LOMBARDIA

PIEMONTE EMILIA ROMAGNA LIGURIA TOSCANA Fonte: elaborazione Il Sole 24 Ore su dati Mise

FRIULI V. G. UMBRIA MARCHE LAZIO Istanze di permesso di ricerca (32) Permessi di ricerca (22)

ABRUZZO MOLISE PUGLIA BASILICATA CAMPANIA SICILIA CALABRIA LE RISERVE DI

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IDROCARBURI IN ITALIA Dati in percentuale al 31 dicembre 2014 Totale terra Gas naturale 59,0% 41,0%

di cui Sud 32,1% Totale mare Olio greggio 10,3% 89,7% di cui Sud 81,5%

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Le vie della ripresa LE MISURE DEL GOVERNO Il taglio del costo del lavoro Nel Piano nazionale riforme previste misure strutturali di decontribuzione Lavoro femminile Allo studio incentivi per rendere più vantaggioso il secondo reddito in famiglia

Produttività, sgravi alle imprese

In manovrina o nel Def decontribuzione per Pmi che fanno partecipazione e accordi di secondo livello L'INCENTIVO Per ora l'incentivo sarebbe limitato a 800•1.000 euro annui. Resta l'aliquota fissa al 10% per i redditi dei lavoratori fino a un tetto di 3mila euro Claudio Tucci

ROMA Passo dopo passo inizia a prender forma la proposta del governo per migliorare la normativa sui

premi di produttività, valorizzando la contrattazione di secondo livello (non solo aziendale, ma anche

territoriale) e "incentivando" il coinvolgimento paritetico dei dipendenti nell'organizzazione del lavoro, specie

nelle Pmi. L'idea allo studio dei tecnici di palazzo Chigie dei ministeri competenti (Mef e Lavoro) è quella di

fissare un tetto unico a 3mila euro per le erogazioni delle somme incentivanti, tassate,a vantaggio dei

lavoratori, con la cedolare secca al 10%; e contestualmente re•introdurre una sorta di decontribuzione a

favore delle imprese fino a 800•mille euro (della somma elargita), collegataa forme di partecipazione. Oggi,

in base alle regole introdotte dalla scorsa legge di Bilan• cio, i premi di produttività possono salire da 3mila a

4mila euro in caso di presenza di comitati paritetici; ebbene, secondoi primi dati raccolti dal ministero

guidato da Giuliano Poletti, sono state pochissime le imprese (essen• zialmente quelle medio•grandi) che

hanno elargito premi ai lavoratori di importo superiore ai 3mila euro;e anche gli accordi che hanno previsto

un piano di partecipazione sono stati 2.147 (a fronte delle oltre 20mila intese depositate al 13 marzo). Di qui

l'idea di scendere, per tutti, a 3mila euro, e premiare, in un modo nuovo, lo sviluppo della partecipazione,

allargando i premi ai lavoratori che oggi non ne godono: «Vogliamo valorizzare la contrattazione collettiva,

anche quella territoriale, in accordo con il sindacato, perchè è l'unico modo di coinvolgere le imprese più

piccole • spiega Marco Leonardi, a capo del team economico di palazzo Chigi •. Del resto, il rilancio dei premi

di produttività fatto dal governo Renzi ha funzionato, grazie proprio al gradimento delle parti sociali. Si tratta

di una leva importante per spingere crescita e compettività, come ci chiede da tempo l'Europa». Da quanto

si apprende, la nuova ipotesi di intervento (3mila euro tassati al 10% per i lavoratori, e decontribuzione fino a

800•mille euro per l'impresa) sarà discussa con le parti sociali per arrivare a un testo condiviso: già la

prossima settimana potrebbero iniziare i primi incontri tecnici per definire le nuove norme, che molto

probabilmente saranno inserite nella manovra d'autunno. In quella sede, potrebbero esserci sviluppi anche

sul capitolo "taglio del cuneo". Qui, in vista della presentazione di Defe Pnr, si ipotizzano «misure

strutturali» di decontribuzione del costo del lavoro: l'ipotesi principale allo studio dell'esecutivo, caldeggiata

dal Pd, è partire con uno sgravio pieno, stile Jobs act, per tre anni a favore del primo impiego, da

affiancare, per gli under35,a una dote formazione portabile per agevolare nuovi inserimenti occupazionali

nei casi di carriere discontinue. Resta da vedere se, in prospettiva, e risorse permettendo, si potrà arrivare

a un taglio strutturale del cuneo, per tutti, vecchi e nuovi assunti, da ripartire o in parti uguali

imprese•lavoratori, oppure due terzi imprese, un terzo lavoratori. Sempre sul fronte lavoro, si parla poi da

giorni di rafforzare la conciliazione vita•lavoro; e di interventi mirati sui redditi familiari più bassi, con

l'obiettivo di rendere "vantaggioso" il lavoro del secondo percettore di reddito (di solito, la donna). Per il

2017•2018, l'obiettivo è l'effettivo decollo delle politiche attive, con la piena operatività della nuova Agenzia

nazionale (Anpal), guidata da Maurizio Del Conte;e dell'assegno di ricollocazione (finora è partita una

sperimentazione su una platea di circa 30mila disoccupati percettori di Naspi da almeno 4 mesi). Fari

puntati, inoltre, sulla transizione scuola•lavoro, con il monitoraggio di alternanza e apprendistato (e il rilancio

di Garanzia giovani, l'iniziativa è stata rifinanziata con oltre 700 milioni di fondi Ue, ma i risultati fino adesso

sono alquanto modesti).

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 62

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LA PAROLA CHIAVE

Premi di produttività 7I premi di produttività sono elementi integrativi della retribuzione di basee consistono

in pratica in verie propri compensi aggiuntivi cui, in linea generale,è attribuita natura retributiva. Sono stati

introdotti come incentivi per far parteciparei lavoratori alla crescita della produttività aziendale. Il governo

sta studiando una misura per migliorare la normativa sui premi di produttività, valorizzando la contrattazione

di secondo livelloe "incentivando" il coinvolgimento paritetico dei dipendenti nell'organizzazione del lavoro,

specie nelle Pmi. Le misure allo studio DEF E PIANO NAZIONALE RIFORME PRODUTTIVITÀ Sgravi

anche alle imprese L'idea allo studio del governo,da discutere coni sindacati,è quella di fissare un tetto

unicoa 3mila euro per le erogazioni delle somme incentivanti, tassate,a vantaggio dei lavoratori, con la

cedolare secca al 10%;e contestualmente re•introdurre una sorta di decontribuzionea favore delle imprese

finoa 800mille euro (della somma elargita), collegataa forme di partecipazione, specie nelle pmi COSTO

DEL LAVORO Si parte dal primo impiego In vista della presentazione di Defe Pnra metà aprile, si

ipotizzano« misure strutturali» di decontribuzione del costo del lavoro: qui l'ipotesi dell'esecutivo,

caldeggiata dal Pd,è partire con uno sgravio stile Jobsc ata favore del primo impiego, da affiancare, per gli

under35,a una dote formazione portabile per agevolare nuovi inserimenti occupazionali nei casi di carriere

discontinue DONNE Incentivi sul secondo reddito Sempre sul fronte occupazione, si sta ragionando sulla

necessità di rafforzare la conciliazione vita•lavoro; e di realizzare interventi mirati sui redditi familiari più

bassi, con l'obiettivo di rendere «vantaggioso» il lavoro del secondo percettore di reddito (di solito, la

donna). Per il 2017•2018 si punta inoltre all'effettivo decollo delle politiche attive «MANOVRINA» ACCISE E

EVASIONE IVA Split paymente tabacchi Il grosso delle risorse per la correzione dei conti dovrà arrivare

dall'estensione dello split payment Iva nella Pa alle società controllate, che dal miliardo previsto dovrebbero

salirea 1,3•1,4 miliardi.Le sole accise oggetto di ritocchi dovrebbero essere quelle su tabacchi (circa 200

milioni) e, forse, alcolici. Tra le varie opzioni, anche un miniintervento sul settore dei giochi. PACCHETTO

CRESCITA Iperammortamentoe fondi Il pacchetto crescita dovrebbe prevedere il prolungamentoa tutto il

2018 per la consegna dei beni che beneficiano dell'iperammortamento. C'è poi una regola

"acchiappa•fondi", per portare in Italia attività finanziarie dopo la Brexit. Si punta infine al rilancio del direct

lending per l'erogazione diretta del credito da parte di assicurazioni, società di cartolarizzazione, Oicre fondi

alternativi di investimento. FONDO POST TERREMOTO Risorse per3 anni La terza gamba su cui poggerà

la manovrina, oltre la correzione dei conti e le misure per la crescita, è l'attivazione del fondo triennale per il

"postterremoto" da oltre 1 miliardo l'anno. Sul tema la riunione degli ambasciatori presso la Ue, svoltasi in

settimana, ha deciso di puntare a un cofinanziamento al 90%, e non integrale, degli interventi per la

ricostruzione.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 63

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Utility. Al via partnership con Acsm•Agam

A2A: quattro mesi per chiudere il dossier Lombardia

Cheo Condina

A2A rilancia sulle aggregazioni in Lombarda e lancia un progetto industriale per mettere in rete tutti i

capoluoghi di Provincia della Regione eccetto Mantova. Ieri, come riferito da una nota congiunta, il gruppo

presieduto da Giovanni Valotti ha firmato una lettera d'intenti con Acsm•Agam (multitutility controllata da

Como e Monza), Lario Reti Holding (Lecco), Aspem Varese e Azienda Elettrica Valtellina e Valchiavenna (il

cui primo socio è Sondrio) «una lettera d'intenti non vincolante finalizzata all'avvio dello studio di un

possibile percorso di partnership industriale e societaria". L'obiettivo dell'operazione, anticipata dal Sole 24

Ore di ieri, è "valorizzare le competenze, le strette relazioni con i territori serviti e la storia delle rispettive

realtà». Insomma, il modello è quello della cosiddetta "Multiutility dei Territori", che la società guidata da

Valerio Camerano ha già messo in atto nella partnership con Linea Group, di cui oggi detiene il 51%, e ha

una filosofia chiara: mettere a disposizione il know how e la solidità finanziaria e industriale di A2A per fare

crescere le realtà locali, nel rispetto dei territori e delle identità aziendali. Il progetto in questione, dopo la

partnership con Linea Group (che opera sui territori di Lodi, Pavia, Rovato e Cremona) consentirebbe ad

A2A di abbracciare tutta la Lom• bardia da Nord a Sud, portando a termine il mandato affidato dai soci al

management tre anni fa - domani, va ricordato, ci sarà il cda approvare il bilancio 2016, la proposta di

dividendo e l'aggiornamento del piano di impresa. I tempi per la nuova operazione appaiono abbastanza

definiti: «al termine dei lavori, che avranno la durata di circa quattro mesi - aggiunge la nota - le parti

potranno proseguire il percorso sottoponendo l'eventuale progetto all'esame dei rispettivi soci», cosa che

potrebbe avvenire, salvo imprevisti o possibili rallentamenti delle trattative, in autunno. Per quanto riguarda

le tecnicalità dell'operazione - per esempio sul veicolo attorno al quale ruoterà l'integrazione - sono ancora

tutte da scrivere: A2A detiene già il 23,9% di Acsm•Agam, il 9,4% di Aevv (Valtellina) e il 90% di Aspem

mentre Lario Reti Holding escluderà il business idrico dal progetto, di cui invece faranno parte vendita e

distribuzione di gas. Quel che è certo che A2A sarà il socio industriale forte, affianco al quale le quattro

multiutility, che oggi mostrano conti in ordine e buona marginalità, potranno affrontare con minori

preoccupazioni un contesto generale sempre più sfidante • a partire dalle imminenti gare gas o dalla

crescente competizione sulla vendita gas ed elettricità o nell'ambiente • in cui la loro leadership locale

potrebbe anche essere insidiata.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 64

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Verso le assemblee. In gioco gli equilibri interni di governance per molte quotate • Le partite su 190 miliardi di capitalizzazione

Piazza Affari, i nuovi assetti al test dei soci

La scelte francesi in Mediaset e Telecom, i nuovi soci in UniCredit, le mosse di Generali, Exor, Luxottica IL PARTNER FRANCESE Vivendi, socio al 23,9%, punterà ai due terzi dei posti nel board Telecom che, secondo il nuovo statuto, toccano alla lista vincente Marigia Mangano

pLa stagione delle assemblee di bilancio, mai come quest'anno, è destinata a diventare un "esame" chiave

per capire la tenuta degli equilibri di diverse società di spicco del listino italiano. Già perché l'appuntamento

annuale con gli azionisti in molti casi si preannuncia tutt'altro che "formale". Le questioni aperte sono tante

e a più livelli: dal rinnovo dei consigli di amministrazione, passaggio talvolta delicato come nel caso di

Telecom Italia, alla verifica dei rapporti di forza tra i soci storici e nuovi azionisti, vedi Mediaset•Vivendi o,

seppur in scala inferiore, Intesa Sanpaolo•Generali. Non solo. C'è grande attesa di scoprire la nuova mappa

dei soci di gruppi che hanno perfezionato importanti ricapitalizzazioni, come UniCredit che ha messo a

segno un aumento di capitale del valore di 13 miliardi, o di società come Exor che inaugurano il nuovo

passaporto olandese. In tutto, solo considerando le assemblee più attese, gli azionisti di società che

capitalizzano complessivamente circa 190 miliardi di euro saranno chiamati non solo alla verifica dei conti,

ma piuttosto a quella della stabilità azionaria. Senza contare tutto il capitolo che riguarda il giro di nomine ai

vertici delle società partecipate dallo Stato e il ruolo che quest'anno giocheranno gli investitori istituzionali.

Media e tlc alla prova soci Telecom Italia e Mediaset sono le due partite chiave che si giocheranno, anche

in sede assembleare, nei prossimi mesi. Tra di loro sono unite dalla presenza comune nell'azionariato di

Vivendi. Telecom Italia, infatti, alla prossima assemblea del 4 maggio dovrà rinnovare l'intero consiglio e la

presentazione delle liste per il cda deve essere fatta entro il9 aprile. Vivendi, socio al 23,9%, punterà ad

aggiudicarsi i due terzi dei posti nel board che, secondo le nuove regole statutarie, sono riservati alla lista

che otterrà più voti. Un punto fermo sarebbe la conferma di Flavio Cattaneo, più aperta invece la questione

della presidenza, at• tualmente affidata a Giuseppe Recchi. Ma al di la del rinnovo del cda, l'assemblea di

Telecom Italia e la posizione stessa dei francesi nel capitale si incrocia con la partita Mediaset, dove

Vivendi è socio di riferimento con il 29,9% del capitale dietro Fininvest. C'è attesa, infatti, per la conclusione

dell'istruttoria aperta dall'Agcom per verificare se sia compatibile con le regole vigenti la contemporanea

presenza dei soci d'Oltralpe nel capitale delle due società. Vivendi davanti all'Agcom ha sostenuto di non

controllare nè Mediaset, nè Telecom. Anche se il collegio sindacale di quest'ultima è convinto che ai fini

della disciplina sulle operazioni con parti correlate il ruolo dei francesi sia da considerare di controllo.

L'obiettivo del Biscioneè di ottenere, anche alla luce di questa tesi, la sterilizzazione dei diritti di voto di

Vivendi (che è arrivata al 29,9%) al di sotto del 10% in Mediaset. Un'ipotesi che, se si dovesse

concretizzare, potrebbe portare l'ad di Mediaset Pier Silvio Berlusconi a proporre il voto maggiorato alla

prossima assemblea di fine giugno. I nuovi assetti delle banche Altro capitolo chiave è rappresentato dal

mondo delle banche. Intanto per le ex popolari che si presenteranno all'appuntamento con le assemblee

come spa. In questa nicchia alcune di loro, come Banco Bpm, riunirà i soci per la prima volta dopo la

fusione e altre, come Bper, dovrà rinnovare la maggioranza del consiglio con l'incognita Assogestioni.

Altrettanto interessante si preannuncia l'assise per alcune big come UniCredite Intesa Sanpaolo. Nel primo

caso, sarà l'occasione per capire i nuovi equilibri nell'azionariato dopo la ricapitalizzazione di 13 miliardi

portata a termine con successo negli scorsi mesi. Quanto a Intesa Sanpaolo, si assisterà al ritorno nel libro

soci di assicurazioni Generali, entrata nel capitale con una quota del 3% per bloccare l'operazione, poi

congelata, dell'istituto milanese sulla compagnia triestina. Proprio quest'ultima, ironia della sorte, riunirà i

soci lo stesso giorno di Intesa Sanpaolo. E l'attesa è che l'assemblea possa diventare in entrambii casi

l'occasione per gli azionisti di chiedere lumi alla banca sulle motivazione che hanno portato a rinunciare a

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 65

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un eventuale progetto di aggregazione con Trie• ste, e alla compagnia assicurativa sulle misure in cantiere

per rafforzare la società in ottica difensiva. Infine, nel mondo delle banche compare anche Mps che riunirà i

soci il 12 aprile, assemblea che dovrà affrontare temi caldi tra cui la fase di ingresso dello Stato che entro il

mese di giugno dovrebbe acquisire oltre il 70% del capitale di Mps. Debutti e addii C'è infine un nutrito

gruppo di società le cui assemblee sono attese per altri motivi. Ne fanno parte, Exor e Ferrari, che seppur

per ragioni diverse inaugurano un nuovo ciclo. Exor, infatti, chiamerà a raccolta i soci per la prima volta

dopo il trasferimento in Olanda; Ferrari, dal canto suo, approverà il primo bilancio effettivo dopo lo spin off

degli inizi del 2016. C'è poi Luxottica che per l'ultima volta riunirà gli azionisti prima della fusione con

Essiloro Rcs che si presenterà all'appuntamento coni soci con un azionariato completamente nuovo, dove

in posizione di forza c'è la Cairo Communication che ha sostanzialmente sostituito il vecchio salotto,

ribaltando equilibri storici che hanno governato il gruppo che edita il Corriere della Sera. Infine Italmobiliare

che, dopo la vendita di fine 2015 di Italcementi, approverà il primo vero bilancio da "holding" pura, oltrea

dare il via libera al piano di riassetto appena varato che prevede il lancio di una offerta pubblica volontaria

sul 10% del capitale. Resta infine da capire se la prossima assemblea di Parmalat, appesa all'esito dell'opa

Lactalis, sarà l'ultima da quotata o no. Alcuni appuntamenti della stagione assembleare Le date di

convocazione IL CALENDARIO APRILE 08 APRILE 14 19 APRILE 20 APRILE APRILE 27 27 APRILE 28

APRILE 04 MAGGIO MAGGIO 30 GIUGNO 28 BPER FERRARI ITALMOBILIARE ITALMOBILIARE

UNICREDIT INTESA S.PAOLO GENERALI LUXOTTICA TELECOM EXOR MEDIASET BPM FCA RCS

PARMALAT Le principali quote e il flottante I GRANDI SOCI TELECOM ITALIA. In % Norges Bank Vivendì

Sa Altri MEDIASET SPA. In % Vivendi Sa Mediaset Fininvest fin. Invest. Altri ENEL. In % Mef Blackrock

Altri Compagnia di San Paolo Fondazione Cariplo Assicurazioni Generali Fondazione C.R. Padova e

Rovigo Altri 3,445 23,925 72,63 3,795 25,753 41,291 29,161 23,58 5,05 71,37 BANCA INTESA

SANPAOLO. In % 9,340 4,836 3,408 3,305 79,111

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INTERVISTA I MERCATI E IL DOPO BREXIT: PARLA GIANLUCA GARBI, EX AD DI MTS

La provocazione: Borsa commissariata per evitare Brexit sui listini

Antonella Olivieri

La SuperBorsa sull'asse Londra•Francoforte si è infranta sullo scoglio Ue che aveva posto come condizione

per il via libera non solo la cessione della parte francese del clearing della London clearing house, ma

anche quella dell'Mts, il mercato made in Italy che tratta all'ingrosso i titoli di Stato, in particolare quelli

dell'eurozona. In settimana da Bruxelles è arrivata la bocciatura della fusione tra il London Stock Exchange e

Deutsche Börse e il primo ministro britannico, Theresa May, ha inoltrato la richiesta ufficiale per il

distacco del suo Paese dall'Unione europea. I negoziati sul clearing che erano in corso con Euronext (la

federazione della Borse di Parigi, Amsterdam, Bruxelles e Lisbona) a questo punto si sono interrotti. L'Mts

resta dov'è, cioè dentro la Borsa italiana che a sua volta fa parte del gruppo Lse. Ma per la società•mercato

di Piazza Affari resta aperto il problema Brexit. Gianluca Garbi, amministratore delegato di Banca Sistema,

ex Tesoro ed ex ad di Mts, nonchè tra i pochi esperti di architettura di mercato, lancia una proposta

dirompente: commissariare Borsa italiana e le sue controllate • oltre a Mts, anche le strutture di post•trading

e cioè Cassa di compensazione e garanzia e Montetitoli • per "costringere" la City a restare ancorata alla

casa comune dell'euro. Èun bene o un male per la piazza italiana che la fusione tra le Borse di Londra e

Francoforte sia saltata? Secondo me è un bene perché escludere una gran parte delle Borse europee • mi

riferisco a Euronext • sarebbe stato sbagliato. È bene che si torni a ragionare in termini di Borsa dell'euro.

Un'aggregazione tra Deutsche Börse e Borsa italiana, che fa parte del gruppo London Stock Exchange,

non avrebbe potuto servire da base? Sì, ma c'è Londra, che è la piazza finanziaria che si pone fuori dalla

Ue. Non dico che è come avere un nemico in casa, ma è comunque un "non•amico". Ad ogni modo per noi il

problema Brexit non è risolto. La Brexit è una decisione tranchant. Sono convinto che per battere la

concorrenza dell'Asia e di altre parti del mondo, l'Europa deve unirsi. Se l'Inghilterra esce, gli altri Paesi

devono unire le forze per essere più competitivi.E le Borse sono un fattorechiave di competitività perchè

permettono alle aziende di farsi conoscere e di raccogliere capitali per lo sviluppo. È un campo dove c'è un

interesse pubblico che prevale sugli interessi privati degli azionisti delle società•mercato. Ma non è interesse

anche della Borsa di Londra mantenere, grazie a Milano, un piede nella Ue? È un interesse di Londra e

della sua comunità finanziaria mantenere un piede nella Ue, ma non è interesse dell'Italia essere ostaggio

di una situazione dove tutto rischia di restare congelato per almeno due anni. E allora come se ne esce?

C'è la possibilità di uscirne: lo prevede il Testo unico della finanza laddove consente al Tesoro di

commissariare la Borsa se ritiene ci sia un interesse nazionale prevalente sulla società•mercato stessa.

Vale anche per Mts, il mercato all'ingrosso dei titoli di Stato che fa capo a Borsa italiana? Per Mts vale

ancora di più il tema della liquidità del mercato, con la metà degli aderenti, i primary dealer, che è basata a

Londra. Ma non stanno traslocando in conseguenza della Brexit? Non è così, nessuno dei primary dealer lo

sta facendo. Gli nnunci di trasferimento riguardano attività marginali, mai il front office. I trader sono

fisicamente basati a Londra, città che offre un ambiente• in termini di mercato del lavoro, fiscalità, men• talità,

lingua • che nessun'altra città europea è in grado di offrire. Gran parte della liquidità in euro oggi è negoziata

a Londra, e non è affatto scontato che si trasferirà sulle piazze dell'euro. E dunque? Oggi questo va bene

perchè c'è una condivisione di regole che tutti rispettano. Ma nel momento in cui divorzi, non sai cosa ne

uscirà. Più Londra, che ha in mano le piattaforme di trading, controllerà i flussi e meno sarà disposta a fare

concessioni alla Ue. Pare di capire che questa è una situazione che preoccupa la Bce, anche per le

strutture di post•trading che trattano la compensazione e la liquidazione di operazioni in euro, riguardanti

anche i titoli di Stato. Assolutamente sì. Non è pensabile attuare la politica monetaria con transazioni che si

svolgono al di fuori delle aree in cui è esercitabile il controllo. Ma questo vale in generale per la vigilanza sui

mercati. Se per esempio si stabilisce di limitare lo short selling, non lo puoi fare per le transazioni fuori

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 67

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confine. O se devi indagare sull'ipotesi di abuso di mercato devi avviare una rogatoria. Commissariare i

mercati vuol dire staccarsi da Londra? Io spero si raggiunga un accordo con Londra dove tutto resta come

oggi. Commissariare i mercati italiani sarebbe un incentivo anche per Londra a negoziare gli accordi

tempestivamente. Il problema di base sono gli intermediari, la vigilanza: oggi all'interno della Ue c'è

l'obbligo di scambio di informazioni. Non potrebbe sorgere un contrasto tra i vigilanti, che hanno l'esigenza

di mantenere i controlli, e i vigilati che potrebbero essere interessatia sottrarvisi? Il rischio è che si vada

nella direzione del "regulatory shopping", che è sempre al ribasso. La Consob si è mossa, chiedendo

all'Lse di concordare con le autorità italiane tutti i passaggi della Brexit per quanto riguarda le strutture di

mercato italiane, Borsa, Mts, Cassa di compensazione e garanzia, Montetitoli. Non basta? È il Tesoro che

dispone il commissariamento, sentite Consob e Banca d'Italia. Auspicherei che questo avvenisse più prima

che poi: stimoliamo l'interesse della City a far pressione sul Governo britannico! Quindi, la proposta è: non

andiamo via da Londra, ma "costringiamo" il mercato londinese a restare in Europa? Sì, esattamente così.

COSA PREVEDE IL TUF «Se c'è un interesse nazionale prevalente, sentite Consob e Banca d'Italia, il

Tesoro può intervenire sulle società•mercato» L'UNIONE FA LA FORZA «Senza l'Inghilterra bisogna unire

le forze in Europa per essere più competitivi. E le Borse sono uno dei fattori•chiave di competitività»

Foto: Gianluca Garbi, Ad. Banca Sistema

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 68

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Rallenta l'inflazione. In Europa e in Italia

Alessandro Merli

Rallenta l'inflazione. In Europa e in Italia pagina 4 La netta scivolata dell'inflazione nell'Eurozona all'1,5%

nel mese di marzo può mettere a tacere, almeno per ora, la discussione sulla riduzione dello stimolo

monetario da parte della Banca centrale europea. All'ultima conferenza stampa il presidente della Bce,

Mario Draghi, aveva parlato di inflazione vicina al 2% per qualche mese. La velocità della discesa potrebbe

avere sorpreso quindi la Bce stessa. Il dibattito che si era avviato sui mercati, e che ha trovato eco

soprattutto in Germania, dopo che a febbraio l'inflazione aveva raggiunto la soglia fatidica del 2%, sulla

possibile riduzione anticipata dello stimolo monetario sembra destinato a placarsi almeno per il momento.

Per di più, l'inflazione di fondo (depurata di petrolio e alimentari), alla quale, come ha detto il capo

economista Peter Praet in un'intervista al Sole 24 Ore il 24 marzo, la Bce guarda con grande attenzione, è

stagnante da mesi. E oltre tutto, la prossima riunione di politica monetaria è fissata per il 27 aprile, proprio a

cavallo fra il primo e il secondo turno delle elezioni francesi. La maggioranza del consiglio, sotto la guida di

Mario Draghi, era del resto orientata, già prima del dato odierno, a mantenere invariata la rotta, che

prevede una riduzione degli acquisti di titoli (il Qe) a partire da lunedì da 80 a 60 miliardi di euro mensili fino

a dicembre e un mantenimento dei tassi d'interesse «ai livelli attuali o più bassi» fino a «ben oltre» la

conclusione del Qe. Ma cosa farà la Bce dopo dicembre? Nel giugno prossimo, il consiglio potrebbe

cominciare il cammino verso l'uscita modificando la comunicazione, soprattutto se la crescita dovesse

confermarsi su basi più robuste, come è avvenuto negli ultimi mesi e come indicano i sondaggi. L'indice

Eurocoin, elaborato dalla Banca d'Italia e dal Cepr di Londra, e che fotografa la crescita attuale, mostra una

leggera flessione a marzo, dopo nove aumenti consecutivi, ma resta su livelli ciclici alti. Ha detto ieri Benoit

Coeuré, uno dei membri del comitato esecutivo le cui parole hanno maggior peso, che «gli ultimi dati hanno

spostato l'equilibrio dei rischi per la crescita verso una posizione neutrale», mentre finora la Bce li vedeva

più chiaramente al ribasso. Dice ancora Coeuré: «Se dovessimo concludere che c'è bisogno di un

aggiustamento, non esiteremmo ad adattare la nostra comunicazione». La discussione su un eventuale

tapering, cioè la riduzione graduale degli acquisti dopo dicembre, entrerà nel vivo a Francoforte

probabilmente dopo l'estate. Sui mercati finanziari, la maggior parte degli economisti ritiene che la Bce darà

un segnale a settembre su come intende procedere. Secondo Marcel Fratzscher, presidente del centro

studi berlinese Diw e già economista della Bce, la banca cercherà di star fuori dalle inevitabili controversie

in cui verrà coinvolta nella campagna per le elezioni del 24 settembre in Germania, e potrebbe rinviare a

ottobre l'annuncio di cambiamenti della politica monetaria. Anche un super•falco come il presidente della

Banca centrale olandese Klaas Knot ha detto giovedì che il tapering accadrà nel 2018, suggerendo che

venga completato, portando cioè gli acquisti a zero, in cinque mesi. Un calendario su cui concordano gli

economisti di Prometeia, la società di consulenza di Bologna, nelle previsioni trimestrali pubblicate ieri.

Anche secondo Fratzscher, il tapering avverrà in tempi rapidi. «Non vedo però un aumento dei tassi

d'interesse prima del 2019», dice. La linea ufficiale della Bce per ora è questa, e il dato di ieri la incoraggia:

nessun cambiamento della politica monetaria, forward guidance immutata, con il rialzo dei tassi che

seguirà, a distanza, la fine del Qe. Anche se Coeuré ieri ha lasciato aperto uno spiraglio. La sequenza,

come tutto il resto, dipenderà, ha detto, dalla valutazione che il consiglio farà al momento delle prospettive

di medio termine.

Variazione % mensile su base annua nell'Eurozona

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+2,3% +3,2%

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 69

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+1,5% +0,7% 1 0 -1 GEN 2008 Prezzi al consumo, tutti gli articoli Prezzi al consumo, tutti gli articoli tranne

energetici e alimentari non trasformati Marzo 2015 Inizio del Quantitative Easing (Qe) da parte della BCE

GEN 2009 GEN 2010 GEN 2011 GEN 2012 GEN 2013 GEN 2014 GEN 2015 GEN 2016 GEN 2017

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 70

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I CHIARIMENTI DI ENTRATE E MISE

Per gli investimenti hi-tech il bonus è sempre «pieno»

Paolo Meneghetti

Per gli investimenti hi-tech il bonus è sempre «pieno» pagina 9 pL' iperammortamento gioca la carta del

bonus «pieno» anche con l' interconnessione tardiva.È quanto emerge da uno degli esempi della circolare

4/E/2017. L'interconnessione Elemento essenziale per fruire dell ' iperammortamento (o

superammortamento per beni immateriali) è attestare che è avvenuta l'interconnessione. Questo elemento

va certificato dal legale rappresentante se l'investimento non supera 500mila euro, mentre nel caso

superasse tale entità va redatta perizia giurata da parte di un ingegnere, un perito industriale ovvero da

attestato di conformità rilasciato da un ente di certificazione accreditato. Può accadere che il periodo di

entrata in funzione del bene non collimi con quello in cuiè avvenuta l'interconnessione: tale circostanza,

secondo quanto si desume da un esempio della circolare, non dovrebbe produrre effetti sull'importo totale

della agevolazione (che pare restare sempre il 150% del costo), ma solo sulla sua ripartizione temporale.

Poniamo che si abbia un bene entrato in funzione nel 2017, suscettibile di iperammortamento, ma solo nel

2018 interconnesso. Nel 2017 si potrà ottenere il beneficio del 40% di variazione diminutiva (calcolata sulla

quota di ammortamento tabellare), mentre dal 2018 si potrà beneficiare dell'iperammortamento, ripartendo

il 150%, al netto di quanto già temporaneamente dedotto come super ammortamento, sugli anni residui. Ad

esempio si supponga un bene ammortizzabile al 20%, con un costo paria 100mila euro, che origina una

deduzione totale di 150mila euro da iperammortamento. Nel 2017 si ha solo l'entrata in funzione, senza

interconnessione, quindi un beneficio del 40% calcolato su metà aliquota (dato l'anno di acquisto del bene).

Nel modello Redditi 2018 (esercizio 2017) si genera una variazione diminutiva di 4mila euro (100milax

10%x 40). Dal 2018 si potrà fruire dell'iperammortamento recuperando anche la quota non dedotta nel

2017. In pratica, dal beneficio globale 150mila euro si dovranno sottrarre i 4mila euro già fruiti dividendo il

risultato per i 5 anni residui dell'ammortamento (2018•2022). L'importo che potrà essere dedotto per

iperammortamento sarà quindi paria 146.000/5= 29.200 euro annui. In tal modo emerge che viene

beneficiato l'intero vantaggio da iperammortamento (150% del costo), anche se nel primo anno non vi è

stata interconnessione. Resta da capire se lo stesso risultato si otterrebbe anche nel caso in cui

l'interconnessione fosse avvenuta in anni successivi,o addirittura nell'ultimo. Gli acconti Nell'introdurre il

superammortamento, la legge di Stabilità 2016 aveva previsto che per la determinazione dell' acconto

dovuto per il periodo d'imposta 2016 , l'imposta storica da assumere quale base di riferimento dovesse

essere depurata dal superammortamento. Istituendo l'iperammortamento, la legge di Bilancio 2017 segue

una simile impostazione con riferimento al periodo d'imposta 2018 : anche in questo caso l'imposta storica

relativa al 2017, da assumere quale base di riferimento per calcolare l'acconto del 2018, andrà depurata

degli effetti legati ai nuovi bonus. Il paragrafo7 della circolare 4/E si sofferma sul calcolo dell'acconto per

2017 quando si utilizza il cosiddetto metodo storico. Si nota infatti che nessuna norma richiede,a tali fini, un

ricalcolo dell' imposta storica 2016, la quale potrà essere stata influenzata dalla fruizione della

agevolazione da superammortamento senza che tale effetto debba essere depurato per il calcolo

dell'acconto. Vediamo questo esempio: bene acquistato nel 2015, con superammortamento di 100 che ha

generato un risparmio Ires di 27,5. Imposta totale dovuta per il 2015 paria 100, che va considerata 127,5 ai

fini del calcolo dell'acconto per il 2016. Stessa situazione nel 2016 con un risparmio che raddoppia poiché

calcolato su una quota di ammortamento al 100 per cento. Quindi risparmio Ires 55. Per il calcolo

dell'acconto 2017 si assume l'imposta storica del 2016, poniamo ancora paria 100( senza incrementarlaa

155).

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 71

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Massimiliano Giansanti Presidente Confagricoltura INTERVISTA

«Riscrivere le regole Ue, così non si aiuta l'impresa»

Annamaria Capparelli

pConfagricoltura volta pagina e si prepara a mettere in campo una strategia d'attacco per supportare le

istituzioni in un piano che aiuti il sistema agricolo italiano a recuperare competitività. Competitività è la

parola chiave della politica associativa «firmata» da Massimiliano Giansanti, 43 anni, imprenditore agricolo

romano, eletto alla presidenza della Confagricoltura (succedea Mario Guidi). Un obiettivo che va declinato

su due fronti: quello Ue, con la nuova Pac, e quello interno, con una politica fiscale mirata. «Partiamo dalla

Pac - dichiara Giansanti - e in particolare dalla revisione di medio termine. Occorre individuare le

inefficienze che rendono complesso l'accesso ai fondi. Stiamo elaborando le proposte che confronteremo

con FarmEurope e Agrinsieme. Quali gli elementi chiave? Facciamo il punto sulla globalizzazione. Il

sistema nonè in grado di reagire alla volatilità dei prezzi. La politica Ue non ha strumenti per incidere in

maniera rapida sui redditi. Servono strumenti anticrisi assicurativi, non interventi sugli ammassi, che

consentano di fronteggiare crisi momentanee e di lunga durata. Un'altra azione strategica? L'aggregazione

è fondamentale per essere competitivi. L'Italia è in sofferenza. Occorre confrontare la dimensione dei nostri

sistemi aggregati con i competitor Ue e sostenere seri processi di aggregazione per le commodity, di

crescita dimensionale. La semplificazione resta un obiettivo prioritario? Senza dubbio. La Pac così com'è

non va. È uno strumento ancora troppo burocratizzato. Consideriamo il greening, porta modesti benefici

ambientali e rappresenta un aggravio per gli agricoltori, soprattutto per le aziende superiori ai 30 ettari che

sono la maggioranza dei nostri soci. Bisogna pensare a una reale sostenibilità che non si fa solo con il

greening e ricorrere a strumenti alternativi, al biometano, alle fonti energetiche verdi. Non servono strumenti

definiti a tavolino, va ascoltata l'impresa. Va poi rivisitata la figura dell'imprenditore agricolo ed è necessario

aprire agli investimenti nell'agroalimentare Un'altra emergenza è il ricambio generazionale. Il turn over è

indispensabile per la crescita del sistema produttivo . Ma l'insediamento non può essere uno strumento

piccolo, servono mezzi e fondi importanti. Il futuro è affidato alle nuove leve che innovano, che sono

connesse. Grazie alla digitalizzazione è possibile far conoscere meglio i prodotti e cosa c'è dietro.

L'innovazione ci porta al pia• no «Industria 4.0» inaccessibile però alle imprese agricole non a bilancio È

importante aver aperto alle società di capitali agricole. Però restano fuori dalle agevolazioni le ditte

individuali. Riproporremo ai ministeri dello Sviluppo economicoe dell'Economia la richiesta di un credito

d'imposta per queste aziende. Perchèè fondamentale sostenere gli investimenti soprattutto in una

situazione di crescita del Paese ferma allo 0,8%. Ma ci sono altri capitoli su cui chiederemo azioni concrete.

Il made in Italy, per esempio, è un valore aggiunto che però offusca il vero problema dell'agroalimentare

italiano. E cioè? Il nodo è l'inadeguatezza del sistema Italia, parlo della logistica, dei costi della fiscalità

legati alla manodopera, con oneri previdenziali più elevati in Italia che in Germania, della coesione interna,

dell'approvvigionamento di energia. Così non si aiutano nella sfida della competitività le imprese che

rappresentiamo, che producono, danno lavoro e guardano al mercato. L'obiettivo deve essere la crescita

del sistema Italia nei prossimi tre anni. Nonè possibile che sia più difficile spedire le clementine calabresi a

Verona che inviare un formaggio Dop in Asia. Un altro must è la ricerca. È fondamentale rilanciarla,

dobbiamo uscire dall'oscurantismo. Anche sul fronte Ogm. Siamo in ritardoe abbiamo bisogno di

recuperare terreno velocemente: a fianco del vero made in Italy ci deve essere anche una ricerca italiana.

Non a caso oggi le sementi da cui si ottiene il grano per la pasta italiana sono di derivazione francese.

Bisogna investire in nuove tecniche per l'agricoltura.

Foto: Massimiliano Giansanti

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 72

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Riassetti. Il 35% di Poste ha elevato di 1,5 miliardi il potenziale per impieghi. L'ad: «Sulla privatizzione parla il Mef»

«Con più partecipazioni aumenta del 50% la potenza finanziaria di Cdp»

Laura Serafini

pIl trasferimento di partecipazioni industriali in società quotate dal ministero dell'Economia alla Cassa

depositi e prestiti rafforzerebbe il patrimonio della società. «Circa il 50% del valore della partecipazione»,

ha spiegato ieri l'ad Fabio Gallia, è assorbito (e dunque vincolato)ai fini prudenziali, visto che la Cassa

svolge attività di raccolta del risparmio. Il restante 50% del valore della quota, però, sarebbe considerato

come patrimonio libero consentendo alla società di assumere nuovi impegni finanziari, dunque impieghi

versoi beneficiario interventi in società o nell'economia, per equivalente valore. Il passaggio del 35% di

Postea Cdp avvenutoa titolo gratuito, come conferimento attraverso aumento di capitale, con un valore

della quota poco inferiorea3 miliardi, ha nei fatti dotato la Cassa di una maggiore potenza di intervento per

circa 1,5 miliardi. Se fossero conferite• come l'ipotesi di privatizzazione della Cdp prevede • le quote residue

di Poste, Eni ma anche il controllo di Leonardo, Enav, Enel (anche se su questa partecipazione ci sarebbe

il veto antitrust, visto che non può stare sotto la stessa holding che controlla Terna) alla Cassa arriverebbe

una dotazione di circa 20 miliardi, che garantirebbe quindi una capacità di intervento aggiuntivo di circa 10

miliardi. «Sono decisioni • ha chiosato Gallia • che spettano all'azionista . Qualora avessimo una maggiore

patrimonializzazione, noi dovremmo muoverci nel percorso del piano industriale e in coerenza con la

mission della società (definita da statuto, limiti degli aiuti di Stato, vigilanza bancaria, ndr). Siamo un istituto

nazionale di promozione, dobbiamo aumentare la redditività ma non abbiamo l'obbligo di massimizzare i

dividendi». Pressione sulla cedola che, invece, ci sarebbe qualora il Mef decidesse di cedere quote di

Cassa (l'ipotesi potrebbe arrivare oltre il 40%, con un controvalore di 20 miliardi, da incassare con tranche

di privatizzazioni, ad esempio, di 5 miliardi da spalmare su 4 anni) a soci finanziari ai quali distribuire anche

azioni privilegiate. Dunque, se il governo scegliesse di procedere su questo percorso • e al momento una

decisione non è stata assunta, anche se sembrerebbe più a favore che contro• la mission di Cdp dovrebbe

in qualche modo cambiare. Il passaggio del 30% di Postea Cdp in alternativa al collocamento in Borsa

avrebbe impatto industriale per la Cassa? «Il rapporto che abbiamo con Posteha detto Gallia • è molto

stretto, simbotico. Facciamo già molte cose assieme, altre ne potremmo fare e sono in corso valutazioni».

Se «Cdp arrivasse a possedere 65% di Poste non cambierebbe niente», ha tagliato corto il presidente

Claudio Costamagna. Qualcosa sì: il passaggio della quota è avvenuto lasciando i poteri di governance e

indirizzo al Tesoro. Una scelta obbligata: allora le Poste controllavano ancora Mcc•Banca del Mezzogiornoe

il passaggio della banca a Cdp rischiava di far ricadere la holding nella categoria di conglomerato

finanziario, richiedendo requisiti prudenziali molto più elevati. Ora che la banca è stata ceduta a Invitalia, la

seconda tranche potrebbe essere spostata con la governance conferendo poteri di indirizzo alla Cassa

sulla società dei recapiti. Si ragiona anche per superare i vincoli sulla quota di Enel: spostare quest'ultima

lasciando la governance al Mef. Costamagna ha definito il passaggio di Pioneer ad Amundi (che ha

sconfitto la cordata Poste, Animae Cdp) «un'occasione persa per il paese».

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 73

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IN BORSA NEL PRIMO SEMESTRE 2018

Pirelli torna in utile per 147 milioni

Marigia Mangano

Pirelli torna in utile per 147 milioni pagina 16 pPirelli torna in utile nel 2016, completa la trasformazione in

una «pure consumer tyre company» e conferma l'obiettivo di un ritorno in Borsa «entro il primo semestre

2018 sul listino di Milano o, comunque, su una delle maggiori piazze azionarie a livello internazionale». Nel

dettaglio, il gruppo guidato da Marco Tronchetti Provera ha chiuso con un risultato netto positivo per 147,6

milioni di euro che si confronta con un rosso di 383,5 milioni nel 2015 quando avevano pesato poste

straordinarie. Il risulta• to operativoè stato paria 724,2 milioni di euro (786,1 milioni nel 2015) e riflette

principalmente 66,6 milioni di oneri non ricorrenti e di ristrutturazione dovuti ai processi di razionalizzazione,

alla riorganizzazione del segmento Industrial e 105,8 milioni relativi agli ammortamenti di asset intangibili

derivanti dall'acquisto degli asset Pirelli da parte di Marco Polo. L'Ebit rettificato, invece, mostra un

progresso da 860,5 a 896,6 milioni. I ricavi sono stati pari a 6,06 miliardi di euro, con una crescita organica

del 7% a livello annuo e dell'8,7% nel corso del quarto trimestre. La posizione finanziaria nettaè risultata

negativa per 4,9 miliardi di euro, in miglioramento di 418,2 milioni. «Il positivo andamento• ha sottolineato

Pirelli•è riconducibile principalmente all'elevata generazione di cassa, oltre che all'incasso di 266 milioni

derivante dall'ingresso, con una quota del 38%, del fondo cinese Cinda nel capitale di Pirelli Industrial». È

infatti quasi ultimata la trasformazione di Pirelli, in linea con il progetto industriale delineato nel 2015 con

l'avvio della partnership con ChemChina. Il gruppo si è focalizzato sul settore dei pneumatici "consumer"

(gomme per auto e moto) in vista del ritorno in Borsa che, come detto, avverrà il prossimo anno. La società

si presenta così con le aree di attività Consumere Industrial separate in due distinte società e da oggi,

quando la separazione sarà formalmente completata, Pirelli Industrial verrà ribattezzata Prometeon Tyre. Ai

fini dell'indipendenza finanziaria di quest'ultimaè stato contestualmente portato a termine un rifinanziamento

di 600 milioni in favore di Pirelli Industrial con BofA Merrill Lynch, Hsbc e Ing. In questo schema, le due

società sono controllate dall'azionista comune Marco Polo International Italy in seguito all'as• segnazione a

quest'ultimo da parte di Pirelli delle azioni di TP Industrial Holding, la società in cui sono confluiti gli asset

Industrial di Pirelli. TP Industrial Holding e Pirelli risultano pertanto controllate al 100% da Marco Polo

International Italy, veicolo nel quale si realizza la partnership tra CNRC (al 65%), Camfin (al 22,4%)e

LongTerm Investments Luxemburg (al 12,6%). Il cda di TP Industrial Holding è stato rinnovato e ha

assegnato la carica di Presidente a Ren Jianxin, di Vicepresidente a Marco Tronchetti Provera e di Ceo a

Paolo Dal Pino. Intanto, il riassetto delle attività di Pirelli porta un nuovo socio nell'azionariato del polo degli

pneumatici per i veicoli industriali. Attraverso un investimento di 266 milioni di euro, il fondo High Grade

Investment Management Limited, che fa capo alla società di Hong Kong China Cinda Holdings.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 74

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INDAGINE A LONDRA, PARIGI E AMSTERDAM

Credit Suisse, inchiesta su 55mila conti sospetti

Lino Terlizzi

Credit Suisse, inchiesta su 55mila conti sospetti pagina 18 pClienti di Credit Suisse nel mirino delle autorità

fiscali di paesi europei e dell'Australia. L'inchiesta è collegata al sospetto di frodi fiscali legate a clienti della

banca svizzera e agli uffici di questa di Parigi, Londra e Amsterdam. Le autorità olandesi hanno indicato

che l'inchiesta riguarda «decine di persone, sospettate di frode fiscale e di riciclaggio, e di aver nascosto

milioni di euro alle autorità mettendoli su conti aperti presso una banca svizzera». L'inchiesta ha carattere

internazionale ed è coordinata dall'agenzia europea Eurojust, che gestisce la cooperazione giudiziaria

nell'Unione europea. Ci sono state perquisizioni giovedì in Olanda, in Gran Bretagna, in Germania, in

Francia e in Australia, ha comunicato il Fiod, il Servizio olandese di informazione e inchiesta fiscale. Due

persone sono state arrestate in Olanda e sono stati sequestrati lingotti d'oro, dipinti, denaro liquido. Il

Governo olandese avrebbe segnalato ai paesi toccati l'esistenza di 55mila conti sospetti gestiti dalla banca,

di cui 3.800 collegabili all'Olanda, secondo voci raccolte dalla stampa svizzera. Credit Suisse ha diffuso ieri

un comunicato in cui ha annunciato che i suoi uffici di Londra, Parigi, Amsterdam «sono stati contattati»

dalle autorità locali al riguardo di «affari fiscali di clienti». La banca ha aggiunto che «visite » hanno avuto

luogo in sue sedi europee e che sta comunque collaborando con le autorità. Credit Suisse ha precisato

anche che dal 2013 applica la convenzione di ritenuta alla fonte tra la Svizzera e il Regno Unito e che ha

attuato i programmi francese e olandese di autodenuncia fiscale, rompendo ogni relazione con i clienti "non

conformi" dal punto di vista fiscale. La banca elvetica ha inoltre affermato di aver messo in campo nelle

sedi europee lo scambio automatico di informazioni fiscali, un sistema che di fatto pone fine al segreto

bancario. A Londra, un portavoce della Direzione britannica delle imposte ha confermato l'apertura di una

inchiesta per evasione e riciclaggio, parlando però semplicemente di «istituzione finanziaria», senza citare

la banca svizzera. In Francia, Il Parquet nationale financier (Pnf) ha affermato che è stata aperta già da un

anno circa una inchiesta giudiziaria per frode fiscale e riciclaggio aggravato, all'interno della quale sono

emersi «molte migliaia di conti bancari aperti in Svizzera e non dichiarati» al fisco francese. L'Australia dal

canto suo ha pubblicato un comunicato in cui ha precisato che 340 australiani, con legami con banchieri

svizzeri, sono nel mirino delle autorità fiscali. La ministra australiana delle Finanze, Kelly O'Dwyer, ha

parlato di sospetti di promozione attiva di piani di evasione fiscale. In Svizzera, è emerso il disappunto della

magistratura elvetica su una operazione in cui non è stata coinvolta. Il Ministero pubblico della

Confederazione ha indicato ad agenzie di stampa di non esser stato informato e ha deplorato che le

consuetudini in materia di cooperazione internazionale e di assistenza giudiziaria in questo caso non siano

state rispettate. Il Ministero pubblico svizzero attende una spiegazione scritta da parte delle autorità

olandesi e studia il seguito da dare alla vicenda. Nel 2014 Credit Suisse aveva accettato di pagare una

multa di 2,4 miliardi di dollari al Dipartimento americano della giustizia, che lo aveva accusato di aver

favorito l'evasione fiscale di contribuenti statunitensi. Alla Borsa di Zurigo ieri l'azione Credit Suisse ha

chiuso a 14,92 franchi, con un ribasso dell'1,2% , in una seduta in cui l'indice elvetico delle blue chip, lo

Smi, ha registrato una flessione dello 0,52 per cento. Andamento del titolo a Zurigo 16,3 15,8 15,3 14,8

14,3 03/01 31/03 15,54 14,90 Credit Suisse

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intervista Trasporti. Parla l'ad Neri: nuova torre di controllo in vista della fine della no fly zone

«Enav, accordo in Libia per l'aeroporto di Mitiga»

NAVIGAZIONE AEREA «La riapertura dello spazio aereo può aumentare dell'1•2% il nostro traffico di rotta». Bene l'avvio del 2017 per la società Maggiori ricavi coni satelliti Laura Serafini

PEnav, la società dei controllori volo, firma l'accordo per ricostruire in Libia nell'aeroporto di Mitiga (l'unico

del paese operativo, quello internazionale resta chiuso), una torre di controllo e il relativo blocco tecnico,

consolidando il presidio nell'area in vista della riapertura dello spazio aereo. Il valore dell'operazioneè pari a 5

milioni di euro (su un portafoglio di 20 milioni di ordini aggiudicato nel 2016) per lavori che saranno

completati in 10 mesi. «La firma è la formalizzazione di un'attività che stiamo svolgendo da alcuni mesi, in

collaborazione con le istituzionie con il ministero degli esteri e nell'ambito dell'obiettivo fortemente voluto dal

governo libico della riapertura dello spazio aereo del paese spiega Roberta Neri, a.d. della società appena

riconfermata al vertice•. A luglio abbiamo firmato con la Libyan Civil Aviation un commercial framework per

attività di supporto al percorso di riapertura dei cieli. Tra queste rientrano la realizzazione della torre, con

nuove strutture equipaggiate per l'erogazione di tuttii servizi per la navigazione aerea, e l'attività di

formazione di 60 controllori libici che svolgiamo già dalla fine del 2016, addestrandoli nella nostra sede di

Forlì». Le attività di consulenza che Enav svolge all'estero rappresentano una quota crescente dei ricavi

non regolati della società: nel 2016 hanno raggiunto 14,6 milioni (+27,9%) su ricavi totali di 865 milioni di

euro. Il ruolo di Enav in Libia nascee si sviluppa nell'ambito della storica relazione tra il paese nordafricano e

l'Italia. «La nostra strategia in queste attività di consulenza, che vanno dal project managing, alla

progettazione degli spazi aerei, le radiomisure e la formazione • continua la manager • punta sulla possibilità

di diventare un interlocutore stabile peri paesi che si rivolgono al mercato per questi servizi». È quanto

Enav sta facendo in particolare nel Sud Est Asiatico,a Kuala Lumpur, dove la società lo scorso anno ha

ottenuto un contratto di 5 anni del valore di 12 milioni per lo sviluppo di un nuovo grande centro di controlloi

cui lavori sono iniziati due mesi fa. A Dubai la società ha partecipato a una gara molto serrata in cui ha

sconfitto gli omologhi britannici di Nats: il contratto da5 milioni di euro, di circa due anni, prevede una

consulenza per la progettazione dello spazio aereo. «È un progetto significativo continua la Neri • perché

viene realizzato nell'ambito del cielo unico degli Emirati, lo strumento con il quale quei paesi stanno

tentando una prima forma di avvicinamento tra loro. Per noi l'importanza è nell'essere riconosciuti come un

partner affidabile con il quale continuarea collaborare». Enav guarda con molto interesse alla possibilità di

una riapertura della spazio aereo libico: questo comporterebbe la riattivazione delle rotte che dal nord

Europa vanno in Africa e che transitano sull'Italia, perché è il percorso più breve. La quota più consistente

del core business della società fa perno su quest'attività:i proventi da tariffe di rotta, quelle più redditizie.

Nel 2016 il traffico di rotta in Italia è aumentato dell'1,5 per cento. «Prevedere quando lo spazio aereo libico

sarà riaperto non è facile • dice la manager• perché c'è ancora molto da fare, anche se si sta lavorando sulle

infrastrutture. Per Enav l'impatto sui flussi di traffico sarebbe importante, anche se è difficile fare una stima.

Potrebbe portare un incremento dell'1•2% sul traffico di rotta». Il 2016è stato un altro anno record per i conti

di Enav, con un utile di 76,3 milioni e una cedola (grazie all'uso delle riserve) di 95,3 milioni. È stato già

annunciato che nel 2017 la cedola salirà del 4 per cento. «I primi mesi del 2017 stanno andando bene•

rivela la Neri • anche se stagionalmente per noi sonoi più deboli:a gennaio abbiamo avuto un +0,8% e a

febbraio un +0,4% del traffico sui 28 giorni (febbraio 2016 era bisestile)». Da fine 2018 sarà attivo il nuovo

sistema di controllo satellitare del consorzio Aireon, di cui Enav possiede il 12,5% assieme Nav Canada,i

provider danesee irlandese e Iridium. «Da quel momento lo spazio aereo sorvegliato a livello globale

passerà dal 30% attuale al 100% • racconta •. Questo consentirà di aumentare la capacità di traffico nelle

aree sinora non sorvegliate. Non posso fare disclosure sulle nostre aspettative di ricavi. Parteciperemo ai

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 76

01/04/2017

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dividendi, ma avremo anche una prospettiva commerciale. Per i paesi desertici o vicini agli oceani, sarà

necessario rendere complementare l'utilizzo del sistema satellitare con quello tradizionale e noi ci

candidiamo a fare da consulenti».Ieri il titolo Enav ha toccato i massimi dall'Ipo, chiudendo a 3,81 euro.

Foto: Roberta Neri

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 77

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I conti pubblici

Spese detraibili dal 19 al 18% Così il governo vuole tagliarle

Le altre ipotesi allo studio riguardano un tetto massimo variabile, o fisso per tutti i contribuenti, alle agevolazioni fiscali. Domani Padoan vede il Pd Si lavora sulle 444 voci delle cosiddette "tax expenditures" per recuperare gettito ROBERTO PETRINI

ROMA. Si lavora a tre ipotesi sul taglio delle agevolazioni fiscali che potrebbe essere già inserito nella

manovrina. In ballo, come spiegano le bozze del Programma nazionale di riforme che sarà varato fine

settimana, ci sono 444 tax expenditures sulle quali dovrà agire il rasoio del governo. Naturalmente il

cantiere è aperto: in settimana si prevedono alcuni passaggi cruciali sulla strada di Def, Pnr e manovra-bis:

il summit Padoan-Pd di domani, il vertice di maggioranza mentre anche le parti sociali chiedono di essere

ascoltate. La materia delle tax expenditures è delicata e non è la prima volta, dopo il censimento della

Commissione Ceriani, che l'esecutivo tenta l'intervento: ci provò Monti nel 2012 e negli ultimi due anni il

governo Renzi, che arrivò ad un passo dalla soluzione, alla fine decise di fare marcia indietro. Motivo: il

taglio delle detrazioni e delle deduzioni si risolve pur sempre in un aumento della pressione fiscale.

Tuttavia la questione è ormai matura: l'Italia è il Paese che, dopo l'Austria, ha il peso maggiore di sconti

fiscali rispetto al Pil e, come ha segnalato la Corte dei Conti, da quando si parla del taglio ad oggi,

detrazioni e deduzioni invece di diminuire sono aumentate di 33 fattispecie. Il Rapporto sulle tax

expenditures, citato dal Pnr, ha individuato 444 detrazioni e deduzioni fiscali: si va dalle 111 riferite a

politiche economiche, alle 59 per la competitività delle imprese, alle 51 per diritti sociali e famiglia, fino alle

49 relative alle politiche del lavoro.

Le tre ipotesi in campo scartano tutte le detrazioni legate al lavoro, alla famiglia e al Welfare: la risoluzione

parlamentare al Def dello scorso anno pone infatti paletti ben precisi. Resta tuttavia la possibilità di

intervenire ancora su una platea molto ampia di sconti che potrebbe consentire di recuperare, in un primo

momento, qualche centinaio di milioni.

Sarebbe stata accantonata l'ipotesi di azzerare questa o quella detrazione-deduzione perché utilizzata da

pochi soggetti (meno di 300-500 mila) perché scatenerebbe scontri con singole categorie e, alla fine

genererebbe scarsi risparmi. Si pensa invece ad interventi "lineari" su tutta la platea delle agevolazioni che

attualmente prevedono che si possa detrarre il 19 per cento della spesa sostenuta fino ad un limite

massimo che varia per ciascuna agevolazione. In questa lista ci sono gli oneri detraibili per mutui casa,

assicurazioni vita, spese per i corsi di istruzione, per le spese funebri, per la palestra dei figli, per il

veterinario ecc.

L'ipotesi è quella di ridurre la detraibilità dal 19 al 18-18,5 per cento.

L'altra opzione su cui si lavora è più articolata: si tratterebbe di porre un tetto massimo, o "cap", al reddito

all'interno del quale deve stare l'intero ammontare delle detrazioni fiscali percepite dal contribuente. Il tetto

potrebbe essere dal 2 al 5 per cento e ciascun contribuente avrebbe libertà su come utilizzare il proprio

plafond di detrazioni. Ad esempio: su un reddito di 30 mila euro si avrebbe a disposizione un "fondo"

detrazioni che va dai 600 ai 1.500 euro. La terza ipotesi, che tuttavia non distinguerebbe tra redditi bassi e

alti, è simile a quella avanzata dal governo Monti nel 2012. Si tratterebbe di introdurre una franchigia di 250

euro e un tetto di 3.000 euro da applicare a tutti gli sconti fiscali.

Tutti gli oneri detraibili al 19% e i loro beneficiari Numero di contribuenti T ipologia oneri detraibili

Interessi mutui recupero edilizio Altri oneri detraibili TOTALE oneri detraibili Ammontare pro capite medio

delle detrazioni (in euro) Totale spese sanitarie, spese sanitarie per portatori di handicap e acquisto cani

guida Interessi mutui ipotecari abitazione principale Interessi mutui ipotecari altri immobili Interessi mutui

costruzione abitazione principale Interessi per prestiti o mutui agrari Assicurazioni sulla vita e contro

infortuni Spese corsi istruzione Spese funebri Spese per addetti assistenza personale Spese attività

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 78

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sportive ragazzi Spese intermediazione immobiliare Spese per locazione studenti fuori sede Erogazione a

favore delle Onlus 15.002.250 910 3.841.354 1.570 29.633 1.130 4.618 80 216.793 1.220 44.960 2.310

6.519.917 610 2.095.072 80 427.986 1.470 108.269 1,85 1.522.040 210 99.584 810 169.259 1.570

915.111 210 1.100.659 40 19.029.640 1.460

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 79

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Il retroscena. Nella Legge di Bilancio 2018 si punta a inserire agevolazioni per il lavoro pari a 10 miliardi: riguarderanno i giovani e chi guadagna meno in modo da spingere occupazione e consumi

Ecco il piano del governo Maxi-tagli al cuneo fiscale sui redditi sotto 40

mila euro

In Italia la differenza tra ciò che paga l'azienda e quel che rimane in busta paga è pari al 49% L'obiettivo è mettere insieme benefici alle assunzioni e vantaggi per chi già è occupato ROBERTO PETRINI

ROMA. Prima la manovra-bis. Poi, quando si metterà mano alla Legge di Bilancio 2018, un obiettivo

ambizioso: trovare 10 miliardi per la riduzione del cuneo fiscale che interessi i neo assunti sotto i 35 anni e i

redditi fino a 40 mila euro. La misura torna alla ribalta con il governo Gentiloni per cercare di dare una

sferzata al potere d'acquisto dei lavoratori dipendenti e alla competitività delle imprese. E' una «prima» per

l'entità dello sconto previsto, non per la misura in sè. Romano Prodi qualche tempo fa si lasciò andare ad

un moto di risentimento: «Il mio governo tagliò il cuneo fiscale di 7 miliardi e mezzo e in molti ci sputarono

sopra». Era il 2007, al fianco del Professore c'erano Tommaso Padoa-Schioppa al Tesoro e Pierluigi

Bersani allo Sviluppo economico: dopo molte discussioni si decise di dare un taglio netto al costo del lavoro

del 5%, 3% a favore delle imprese e 2% per i lavoratori.

Del resto il cuneo fiscale, cioè la differenza tra quanto costa un lavoratore all'azienda, comprese tasse e

contributi, e quanto il medesimo percepisce in busta paga, in Italia è macroscopica. L'Ocse, che stila ogni

anno il rapporto ben conosciuto ai tecnici, "Taxing Wages", ha sentenziato che nella Penisola il "cuneo" è

tra i più alti: nel 2015, ultimi dati disponibili, eravamo al quarto posto tra i Paesi più industrializzati con una

differenza del 49% tra le due voci, in crescita rispetto all'anno precedente. La colpa è della forte pressione

fiscale. Ma anche del peso contributivo.

Dunque tagliare. Ma come? Il problema di mettere più soldi nelle tasche dei lavoratori è stato ben presente

anche al governo Renzi, che tuttavia ha fatto una operazione più articolata e, secondo alcuni, non sempre

efficace. Il perno è stato uno sconto Irpef, il famoso bonus di 80 euro, limitato tuttavia ai lavoratori che

guadagnano tra gli 8 mila e i 26 mila euro. La misura è stata efficace per rilanciare potere d'acquisto e

consumi ma lo "scalino" secco che consente di accedere o meno al bonus ha lasciato molti senza il

beneficio ed è anche accaduto che ci sia stao chi ha percepito l'erogazione senza averne diritto. L'Eurostat

non ci ha mai riconosciuto l'intervento come riduzione della pressione fiscale e continua a sovrastimare il

peso delle tasse nel nostro Paese.

Sul lato delle aziende non si può dire che non si sia fatto nulla: l'Irap sul costo del lavoro è stata azzerata.

E dall'inizio di quest'anno e, anche se in pochi ne parlano, è scattata una riduzione dell'Ires, la tassa sulle

società, dal 27,5 al 24%.

I due provvedimenti tuttavia camminano su binari diversi e non si parlano. Le aziende che hanno gli sconti

non è detto che impieghino i lavoratori della fascia che percepisce il bonus. Se poi vogliono assumere

devono ricorrere ancora ad un'altra misura, ormai in esaurimento, dopo tre anni costati circa 20 miliardi: la

decontribuzione per i neoassunti che ha aumentato l'occupazione a tempo indeterminato ma spesso è stata

usata opportunisticamente. Il taglio del cuneo tornerebbe invece ad essere una misura che mette insieme

incentivi alle assunzioni (il taglio è previsto per chi assume lavoratori sotto i 35 anni) e benefici per aziende

e lavoratori già assunti con redditi fino a 40 mila euro di reddito. Dunque una grossa operazione di

redistribuzione del reddito che gira intorno alle aziende, aumenta la competitività e viene splamata sui

redditi più bassi. I 10 miliardi, la cifra su cui lavora il governo, non è di poco conto. Dovrà naturalmente

finanziarla la fiscalità generale, come sembra dal progetto: perché se si togliessero risorse ai contributi

pensionistici la strada tornerebbe in salita.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 80

02/04/2017

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Equitalia, tutte le cartelle on line e il contatore per le rateizzazioni

Nuovo servizio per incentivare la rottamazione, 600mila già iscritti e un canale dedicato ai Caf Nel 2017 il 50% delle istanze attraverso i canali digitali, superate le pratiche allo sportello ROSARIA AMATO

ROMA. Quattro milioni di accessi dall'inizio dell'anno e oltre 600.000 domande presentate: la rottamazione

delle cartelle esattoriali sta procedendo a ritmi sostenuti. E per venire incontro a chi ritiene di avere ruoli in

sospeso ma non ha più i documenti per il pagamento, Equitalia mette a disposizione Contotax, il calcolatore

digitale che permette di fare un "estratto conto" dei propri debiti con il Fisco, e di simulare anche le

eventuali rate, per verificare se sono sostenibili.

La procedura infatti, una volta avviata, non ammette ritardi o rinvii: il mancato pagamento in tempo utile

anche di una sola rata interrompe la definizione agevolata e riporta il contribuente al debito iniziale,

compreso di tasse e interessi. Entrando nell'area riservata del sito di Equitalia(alla quale si accede con le

credenziali fornite dall'Inps o dall'Agenzia delle Entrate) dunque si ha un quadro completo dei propri debiti

con l'Agenzia delle Entrate (che costituiscono il grosso delle cartelle da rottamare, circa il 70% dei crediti

dei contribuenti entrati nell'operazione), l'Inps, le Regioni o i Comuni.

Non è detto che si debba rottamare tutto, il contribuente può scegliere solo alcuni dei propri debiti, e

distribuirli come ritiene opportuno, tenuto conto del fatto che le rate sono al massimo cinque e che il 70%

del dovuto va pagato entro quest'anno, solo il 30% può essere rinviato al settembre 2018. Considerato che

finora il 50% delle istanze è stato presentato online, e il 49% agli sportelli, per quella quota di cittadini che

non hanno familiarità con Internet è previsto che la propria situazione debitoria possa anche essere

richiesta allo sportello, e non solo nelle 200 sedi di Equitalia ma anche nelle 400 dell'Agenzia delle Entrate.

La stessa possibilità di visualizzare la situazione debitoria del contribuente è offerta attraverso Equipro, la

sezione dell'area riservata di Equitalia attiva da alcune settimane per i professionisti e i Caf. Una sorta di

corsia separata per permettere agli intermediari di presentare le domande dei loro clienti senza intasare gli

sportelli: i Caf, spiegano a Equitalia, sono 200.000 e hanno una platea di 1,2 milioni di utenti, dunque per

facilitare la procedura è stato creato un canale riservato. La rottamazione delle cartelle esattoriali permette

in media un risparmio del 35% per i debiti con il Fisco e del 20% sui ruoli delle multe stradali (solo per i

cittadini dei Comuni che riscuotono i tributi tramite Equitalia, circa 3.300, o che hanno aderito

volontariamente all'operazione). Se le cartelle contengono solo sanzioni o interessi, possono anche essere

completamente azzerate, ricorda Equitalia. E se invece l'adesione alla procedura risultasse troppo onerosa

per il contribuente che già ha concordato pagamenti maggiormente diluiti, si può sempre scegliere di

tornare all'accordo precedente alla rottamazione. Il 70% dei contribuenti che ha aderito alla definizione

agevolata dei ruoli ha scelto il pagamento in cinque rate, solo il 24% ha scelto di pagare in un'unica

soluzione (mentre gli altri hanno optato per un numero di rate compreso tra due e quattro). A parte la

stragrande maggioranza che rottama debiti con l'Agenzia delle Entrate, c'è anche un 20% di importi dovuti

all'Inps, il 5,5% alle Regioni (in prevalenza bollo auto) e solo il 4,5% riguarda tasse locali e multe inflitte dai

Comuni. Il nuovo strumento per rottamare le cartelle di Equitalia xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Visualizza il

numero di partite che compone il documento e il relativo "identificativo" Premi sul "+" se vuoi vedere il

dettaglio dei tributi e degli importi xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx xxxxxxxxxxxxxxxxx xxxxxxxxxxxxxxxxx

xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Visualizza, a livello di INTERO documento,

l'importo da pagare in "definizione" Visualizza il totale del debito residuo suddiviso per partita Visualizza

l'importo residuo da pagare aderendo alla "definizione", suddiviso per partita Infine seleziona quali partite

(tutte o solo alcune) inserire nella richiesta di adesione del cliente e salva Scegli la modalità con cui

preferisci pagare Visualizza il modello, controlla i dati e invia

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 81

02/04/2017

Pag. 63

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IL CASO. ISS E GLASS LEWIS DIVISI SU LISTA ASSOGESTIONI

Bper, cambio con brivido i Fondi non si accordano su otto nuovi

consiglieri

VITTORIA PULEDDA

MILANO. Rinnovo di consiglio con "brivido" a Bper. Sabato prossimo gli azionisti della neo-spa saranno

chiamati a votare otto nuovi consiglieri su 15, che resteranno in carica per un anno; nel 2018 sarà eletto il

nuovo cda.

E proprio questo meccanismo - per l'ultima volta rinnovo parziale, come accadeva quando la banca era

ancora popolare - e per di più a termine, ha portato ad esprimere indicazioni di voto contrastanti ai due

proxy advisor più importanti. Iss infatti ha appoggiato la lista delle minoranze presentata da Assogestioni,

mentre Glass Lewis ha caldeggiato quella indicata dal cda. Per statuto, chi ottiene la maggioranza dei voti

(di capitale, stavolta) nomina sette consiglieri, mentre alla lista di minoranza ne resta uno. Ma la lista di

minoranza, quella di Assogestioni, sulla carta potrebbe avere più voti in assemblea (diventando così di

maggioranza): a quel punto nominerebbe tre consiglieri Bper (tanti ne ha presentati) mentre gli altri cinque

andrebbero alla lista del cda uscente.

I proxy, che "raccomandano" le indicazioni di voto ai propri clienti hanno un ruolo molto importante perché

la maggior parte dei grandi investitori, soprattutto esteri, segue le analisi dei proxy. E, in linea di massima,

appoggia la lista Assogestioni. C'è un solo precedente di rilievo, in passato: quello del rinnovo per il

consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo (due mandati fa) che aveva visto forti tensioni all'interno del

Comitato dei gestori di Assogestioni (sfociate anche nelle dimissioni del presidente Guido Giubergia). Alla

fine i proxy advisor consigliarono di votare no ad entrambe le liste, di minoranza e di maggioranza.

Stavolta Glass Lewis pur non sollevando alcuna perplessità sui nomi presentati da Assogestioni, ha

caldeggiato la lista del cda uscente (considerata comunque di qualità) pensando alla fase di transizione

della banca, da poco spa, e ritenendo quindi più appropriato salvaguardare la continuità della guida ancora

per un anno. Lo schieramento potrebbe far propendere per la vittoria della lista presentata dal cda uscente,

supportata dagli azionisti storici della banca, dalle Fondazioni e da Unipol, che forte del suo 5% nella banca

non ha preso parte al Patto di sindacato ma ha espresso l'unico consigliere nuovo della lista (Alfonso

Roberto Galante, alto dirigente Ugf) per il rinnovo del consiglio.

Foto: La sede della Bper

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 82

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Il dossier. L'America importa molto più di quanto esporta. Così nessuno sarà al riparo

Perché i dazi di Trump faranno male

Acciaio tedesco e colossi cinesi gli effetti della muraglia atlantica FEDERICO RAMPINI

Tremano i colossi pubblici cinesi, l'acciaio tedesco, il made in Italy.

Nessuno al riparo dal protezionismo. Se l'America importa molto più di quanto esporta, innalzando barriere

farà male a tutti. La Cina è l'esportatore numero uno. Dietro c'è l'Europa. Dazi e multe anti-dumping sono

armi privilegiate di questa offensiva.

LA CINA

Washington prepara la sfida al Dragone È LA Repubblica Popolare ad accumulare il più vasto attivo

commerciale con gli Stati Uniti: 310 miliardi da sola, i due terzi del totale. Trump vuole istruire un dossier di

accuse sufficienti a negare alla Cina l'ambìto status di "economia di mercato" in seno al Wto. Senza quello

status - che Pechino voleva ottenere già a fine 2016 - è più facile colpire legalmente con dazi i prodotti

cinesi. Altro obiettivo di Trump: dimostrare che il governo cinese manipola la valuta nazionale - renminbi o

yuan - in modo da tenerla artificialmente debole aiutando così le sue aziende.

Poi c'è una problematica tutta interna alla Cina, che esaspera gli imprenditori Usa: il 55 per cento dei

settori industriali cinesi pratica delle "discriminazioni contro gli investitori stranieri", per esempio con norme

che li costringono a entrare in joint-venture con partner locali o a trasferire forzosamente il loro know how

tecnologico. Di fatto il mercato cinese è molto meno aperto di quello americano.

L'ITALIA

A rischio i prodotti assemblati all'estero CHI s'illudeva che Trump avrebbe concentrato la sua offensiva

protezionista su Cina e Messico, deve ricredersi.

Perfino l'accusa di svalutazione competitiva viene estesa agli europei. Peter Navarro, principale consigliere

di Trump per il commercio estero, denuncia «l'euro sottovalutato» come una distorsione del commercio fra

le due sponde dell'Atlantico.

Vengono riscoperti contenziosi antichi che l'Amministrazione Obama cercava di risolvere coi negoziati e

con il progetto di nuovo trattato Ttip, mentre Trump ha un approccio più conflittuale. I super-dazi del 100 per

cento su Vespa e San Pellegrino - nulla a che vedere coi due ordini esecutivi firmati ieri - sono allo studio

come rappresaglia per l'embargo europeo sulla carne agli ormoni. Perfino il protezionismo contro la Cina

può danneggiare l'Italia. Nel riesame delle fonti di deficit estero che Trump ha commissionato rientra anche

una caccia alle produzioni con etichetta Ue ma assemblate in Cina: spesso accade con il made in Italy

nell'abbigliamento e calzaturiero.

Flynn: testimonianza in cambio dell'immunità Michael Flynn, l'ex generale nominato da Trump (i due

insieme nella foto) consigliere per la Sicurezza Nazionale, costretto alle dimissioni per aver mentito sui suoi

rapporti con l'ambasciatore russo Sergej Kislyak, si sarebbe offerto di testimoniare davanti alla

Commissione che indaga sul "Russiagate" in cambio dell'immunità. Lo rivela il Wall Street Journal. Il

presidente della commissione Nunes - a sua volta accusato di non essere imparziale - dice però di non

aver ricevuto alcuna richiesta in tal senso

L'UNIONE EUROPEA

Svendite "sottocosto" dalla Francia al Belgio AD ESSERE accusata di dumping non è solo l'industria

cinese, in settori come l'acciaio e l'alluminio. La svendita sotto-costo, secondo il Dipartimento del

Commercio Usa, la praticano anche altri Paesi asiatici nonché i maggiori produttori europei. Nell'elenco

delle nazioni contro cui Washington ha già presentato denunce e avviato cause legali anti-dumping, prima

ancora dell'arrivo di Trump figuravano Italia, Germania, Francia, Belgio, Giappone, Corea del Sud e

Taiwan. Su questi produttori Washington vuole applicare super-dazi punitivi che vanno da un minimo del 4

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 83

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per cento a un massimo del 150 per cento. «La siderurgia americana - dice il segretario al Commercio

Wilbur Ross - è sotto attacco da parte di stranieri che ricevono sussidi. Vogliamo solo l'applicazione

rigorosa delle leggi».

Paradossalmente, è più facile multare per dumping la Cina: finché non è riconosciuta come "economia di

mercato", gli americani possono calcolare come costi di produzione "normali" quelli della propria industria.

LA BORDER TAX

Addio soft-import ora dogane più care «ALTRE nazioni - dice Trump - impongono alti dazi sui nostri

prodotti, noi quasi niente sui loro». In parte è vero. È una delle ragioni per cui la guerra commerciale non

sarà simmetrica: l'America può infliggere agli altri i danni più grossi perché il mercato Usa è realmente il più

aperto.

Lo dicono i dati del Wto sui dazi prelevati all'import: quelli cinesi sono mediamente del 10%, quelli europei

del 5%, gli americani solo il 3,5%. La sperequazione peggiora se ai dazi doganali si aggiunge l'impatto della

fiscalità complessiva. L'Unione europea e altre nazioni hanno un'Iva che di fatto agevola l'export. Se si

calcolano Iva e altre imposte, la Cina tassa i prodotti stranieri mediamente al 27%, l'Unione europea al

25%, gli Stati Uniti appena il 9%. Non a caso su un mercato come quello dell'auto la penetrazione di vetture

dall'estero è del 26% in America contro il 4% in Cina. Trump vuole introdurre una specie di Iva mirata

proprio sulle importazioni, la "border tax" o tassa al confine.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 84

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L'inchiesta. Su "L'Espresso" i retroscena del Tap che in Puglia ha scatenato la battaglia degli ulivi

Dietro il super gasdotto affari con le cosche e casseforti offshore

PAOLO BIONDANI LEO SISTI

ALL'ORIGINE del super-gasdotto che minaccia di perforare le coste del Salento c'è una storia nera. Un

intreccio di manager in affari con la mafia, valigie di contanti, oligarchi russi, affaristi italiani legati alla

politica, casseforti anonime con la targa offshore. Gli scheletri nell'armadio del Tap.

Un'inchiesta de "l'Espresso" - in edicola domani con "la Repubblica" - svela i retroscena del maxi-progetto

partendo dagli interrogativi alla base delle proteste esplose in Puglia contro lo sradicamento dei primi 231

olivi: chi ha scelto l'attuale tracciato? Perché è un consorzio privato svizzero a gestire un'opera dichiarata

strategica dalle autorità europee? È davvero necessario far passare miliardi di metri cubi di gas tra spiagge

meravigliose e oliveti secolari, anziché in zone già industrializzate? Il Tap è la parte finale di un gasdotto di

quasi quattromila chilometri che parte dall'Azerbaijan. Il costo preventivato è di 45 miliardi. In Salento, a

Melendugno, sono iniziati gli scavi del tunnel in cemento autorizzato dal ministero dell'Ambiente per

passare sotto la spiaggia. Da lì sono previsti altri 63 chilometri di condotte fino a Mesagne. Il consorzio Tap

Ag prevede di dover trapiantare, in totale, circa diecimila olivi.

L'Espresso ha potuto esaminare documenti riservati della Commissione europea, che svelano il ruolo

cruciale di una società-madre, finora ignota: l'azienda che ha ideato il Tap. Si chiama Egl Produzione Italia,

ma è controllata dal gruppo svizzero Axpo. Le carte, richieste dall'organizzazione Re:Common, dimostrano

che Egl ha ottenuto, nel 2004 e 2005, due finanziamenti europei a fondo perduto, per oltre tre milioni,

utilizzati proprio per i progetti preliminari e gli studi di fattibilità del Tap. Gli ultimi fondi pubblici sono arrivati

nel 2009. I ricercatori avevano chiesto altri atti, ma la Commissione li ha negati «per rispettare segreti

industriali, sicurezza e privacy» delle multinazionali interessate.

In questa Egl, la società-madre del Tap, anche l'amministratore delegato è un cittadino svizzero: Raffaele

Tognacca, un manager che in Italia ha lavorato anche con il gruppo Erg. Tornato in Svizzera, ha lanciato la

finanziaria Viva Transfer. Che un'indagine antimafia ha additato come una lavanderia di soldi sporchi.

Intervistato dalla tv svizzera italiana, il pm Michele Prestipino descrisse la vicenda come «un caso

esemplare di riciclaggio internazionale di denaro mafioso».

Tutto inizia nel 2014, quando la Guardia di Finanza scopre un presunto clan di narcotrafficanti collegati alla

'ndrangheta. Il gruppo, capeggiato dal calabrese Cosimo Tassone, è accusato di aver importato oltre

mezza tonnellata di cocaina. E viene intercettato mentre deve versare un milione e mezzo di euro ai narcos

sudamericani. I calabresi reclutano un promotore toscano e i suoi due figli, che accettano di «portare quei

soldi in contanti, dentro due trolley, a Lugano, nella sede della Viva Transfer», come confermano le

confessioni degli stessi corrieri poi arrestati. A ricevere i pacchi di banconote è «Raffaele Tognacca in

persona». Proprio il manager che ha tenuto a battesimo il Tap.

Tra sudamericani e calabresi scoppia anche una lite: i narcos hanno ricevuto mezzo milione in meno.

Tassone sospetta dei corrieri toscani: «Gli spacco la testa!». Un figlio del promotore viene sequestrato in

Brasile. Finché il clan si convince che è Tognacca ad aver incamerato una parcella di oltre 400mila euro («il

35 per cento!»). Quindi scattano gli arresti. Al processo, in corso a Roma, i pm hanno formulato una

specifica accusa di riciclaggio. E hanno chiesto ai magistrati svizzeri di indagare sulla parte estera.

Tognacca si è difeso pubblicamente dichiarando di «non essere stato oggetto di nessuna misura penale».

Per i pm italiani il reato resta assodato. Ma i giudici elvetici potrebbero aver archiviato per «mancata prova

del dolo»: Tognacca poteva non sapere che erano soldi di mafia. Magari mister Tap pensava di aiutare

onesti evasori.

Dopo aver ottenuto i fondi europei, la Egl è stata cancellata e assorbita da Axpo. Questo spiega perchè

oggi il gruppo svizzero è azionista della Tap Ag con l'inglese Bp, l'italiana Snam, la belga Fluxys, la

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 85

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spagnola Enagas e l'azera Az-tap.

L'articolo integrale de l'Espresso racconta molti altri retroscena. Come un accordo segreto per favorire un

oligarca russo rappresentato da amici di politici italiani. E le tesorerie offshore, documentate dai Panama

papers, dei manager di Stato in Azerbaijan e Turchia.

FOTO: ©ANSA

IN EDICOLA DOMANI CON REPUBBLICA Su L'Espresso l'inchiesta sul maxi-progetto per portare il gas

dall'Azerbaijan in Puglia , in cui spuntano manager in affari con le cosche, oligarchi russi e depositi di

denaro offshore

Foto: Momenti di tensione a Melendugno mercoledì scorso durante lo sradicamento degli ulivi

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 86

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L'altolà di Hollande a Fincantieri "Gli impianti di Stx restino francesi"

In piena campagna elettorale spunta l'ipotesi di una "nazionalizzazione a tempo" L'ira di Costamagna, presidente di Cdp, primo azionista di Trieste: "È vergognoso" Il piano rivelato da "Le Monde" non è stato né smentito né confermato dal governo di Parigi ANAIS GINORI

PARIGI. La vendita dei cantieri Stx di Saint-Nazaire rischia di rimanere intrappolata tra le maglie della

campagna elettorale.

Dopo settimane di braccio di ferro sulla cessione a Fincantieri, ora il governo fa planare addirittura l'ipotesi

di una "nazionalizzazione temporanea" nel tentativo di bloccare il passaggio all'armatore italiano che si è

aggiudicato l'affare ormai tre mesi fa.

L'indiscrezione è stata pubblicata ieri da Le Monde secondo cui il governo di Parigi avrebbe elaborato un

"piano B" in caso di mancato accordo con il gruppo triestino che dovrebbe rilevare il 67% del capitale in

liquidazione dal gruppo coreano Stx. Le autorità francesi hanno chiesto a Fincantieri di rinunciare alla

maggioranza assoluta, accontentandosi di essere azionista di riferimento, incontrando una certa ostilità da

parte del futuro proprietario.

Viste le posizioni così distanti, scrive il quotidiano francese, lo Stato potrebbe decidere di rilevare il 100%

delle quote dei cantieri navali, con oltre 7mila dipendenti, per poi redistribuirle tra nuovi potenziali

acquirenti, compresi i due gruppi inizialmente interessati, Msc e Royal Caribbean, frenati all'epoca dalle

difficoltà del consorzio con l'olandese Damen. Ora i due armatori sarebbero pronti a tornare alla carica,

rilevando ognuno 20% del capitale di Saint-Nazaire. Secondo il piano, il gruppo militare Dcns avrebbe il

10%, la stessa quota toccherebbe ai dipendenti, mentre lo Stato tornerebbe alla sua attuale partecipazione

33%.

La notizia non è stata né confermata né smentita dal ministero dell'Economia. L'ipotesi appare tutt'altro che

realistica. A poche settimane dal voto sembra difficile che il governo possa avviare un piano così

ambizioso. È piuttosto una mossa elettorale in pieno dibattito sul "protezionismo" che attraversa i

programmi di molti candidati ed è uno dei principali cavalli di battaglia di Marine Le Pen. La voce di un

"piano B" è stata fatta circolare probabilmente ad hoc come strumento di minaccia nella trattativa ed è il

segnale di quanto siano ormai compromessi i rapporti tra Parigi e Trieste. I sindacati del cantiere navale

francese fanno pressione per limitare il potere di Fincantieri, considerato un gruppo rivale più della società

coreana Stx: i lavoratori temono il trasferimento di brevetti e competenze, nonché la chiusura del sito verso

i vicini cantieri italiani in caso di diminuzione degli ordinativi. A nulla sono valse le rassicurazioni di François

Hollande qualche tempo fa nel suo incontro con il premier Paolo Gentiloni. Il capo dello Stato aveva parlato

genericamente di "azionariato molteplice", senza scendere nei dettagli. Oggi si vede che prevale l'interesse

nazionale e soprattutto il contesto delle sfida elettorale. «È vergognosa e inaccettabile la posizione dei

francesi sulla vicenda che vede protagonisti Fincantieri ed Stx», ha commentato ieri il presidente della

Cassa depositi e prestiti, Claudio Costamagna, principale azionista di Fincantieri. «Non è pensabile - ha

aggiunto - che un Paese come la Francia assuma una posizione del genere, sopratutto alla luce di tutto

quello che i francesi hanno fatto in Italia». I negoziati continuano. Tra le ipotesi avanzate dal gruppo di

Trieste per trovare un accordo con Parigi si è parlato anche di retrocedere una parte delle azioni dei cantieri

alla Cdp. La proposta è stata bocciata perché di fatto manteneva IL controllo in mano agli italiani. Secondo

Le Monde, Fincantieri starebbe facendo altri nomi di partner con cui diluire la sua quota. Intanto, l'armatore

italiano sta finalizzando l'accordo con il tribunale di Seul che ha messo in liquidazione i cantieri per una cifra

tra gli 80 e i 90 milioni di euro. La firma per il passaggio di proprietà potrebbe avvenire entro la fine del

mese. A quel punto bisognerà aspettare qualche giorno per capire chi sarà il prossimo inquilino dell'Eliseo.

E allora tutti dovranno scoprire le carte.

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I CASI AMUNDI-PIONEER E POSTE La società francese Amundi ha acquisito il risparmio gestito di

Unicredit, Pioneer, battendo la cordata guidata da Poste Italiane LUXOTTICA-ESSILOR Il gruppo guidato

da Leonardo Del Vecchio si sta fondendo con i francesi di Essilor: sarà il primo socio, ma con una

governance paritaria VIVENDI MEDIASET Fallito l'accordo di uno scambio azionario Vivendi e Mediaset

sono finite in tribunale, gli italiani temono anche una scalata ostile

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 88

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IL RETROSCENA. CRESCE L'IPOTESI DI UN FRANCESE A CAPO DEL CDA, L'AD DI VIVENDI IL PIÙ ACCREDITATO, IN ALTERNATIVA UNA DONNA

Presidenza Telecom, de Puyfontaine in pole

Recchi in lista per la società delle torri Inwit, ma il gruppo chiarisce: "Non guiderà il board" (s.b.)

MILANO. Mancano una decina di giorni e il cantiere della futura governance di Telecom Italia è ancora in

corso. L'azionista di maggioranza relativa Vivendi sarebbe propenso a indicare un cda di 15 membri, di cui

cinque sarebbero di nomina francese, cinque sarebbero italiani "di standing elevato" tra cui l'ad Flavio

Cattaneo; e cinque sarebbero appannaggio delle liste di minoranza che verosimilmente stilate da

Assogestioni. Sulla casella del presidente non è ancora stata presa una decisione definitiva, tuttavia al

momento sembra prevalere l'idea che il prossimo presidente dell'ex monopolista delle tlc sarà Arnaud de

Puyfontaine, attuale vice presidente di Telecom e ad di Vivendi. Se l'ipotesi venisse confermata, il manager

francese non avrebbe comunque deleghe operative e l'attuale presidente Giuseppe Recchi potrebbe anche

diventare il suo vice, e quindi di fatto i due manager potrebbero scambiarsi i ruoli. Intanto Recchi è entrato

anche nella lista dei candidati per il rinnovo del cda della controllata Inwit, ma fonti vicine a Telecom hanno

smentito che sia in predicato di assumere il ruolo di presidente della società delle torri di trasmissione.

«Se Recchi rimanesse presidente - aveva dichiarato l'ad Cattaneo nei giorni scorsi durante un audizione al

Senato - io sarei contento, ma non tocca a me scegliere».

Una presendenza italiana - e in questo caso quindi una riconferma di Recchi - aiuterebbe il dialogo con le

istituzioni, e potrebbe favorire i francesi ora che l' AgCom deve decidere se tra la quota in Telecom e il 29%

di Mediaset, Vivendi abbia o meno un eccesso di concentrazione ai sensi della legge (Tusmar). Da

quest'anno entrerà inoltre in vigore l'obbligo di una rappresentanza di un terzo di quote rosa del cda

Telecom, profili che saranno probabilmente presenti sia nella lista Vivendi che in quella di Assogestioni. Al

momento, su un cda composto da 16 membri, le donne sono 6 quindi, più di quanto sarebbe obbligatorio ai

sensi della normativa sulla governance. E in proposito qualcuno ipotizzava anche l'ipotesi- che non trova

riscontro- di una donna alla presidenza. Insomma tutte le carte sono ancora sul tavolo, e le riserve verranno

sciolte solo entro il 10 aprile, che è il limite massimo per presentare le liste da votare all'assemblea

convocata per il 4 maggio.

Foto: LA STAFFETTA TRA PRESIDENTE E VICE Giuseppe Recchi e Arnaud de Puyfontaine, presidente e

vice, potrebbero scambiarsi la carica

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Api prepara la svolta: famiglia in minoranza pur di rilevare TotalErg

Brachetti Peretti cerca un partner per diventare il primo gruppo nei distributori di benzina in Italia Trattative con il fondo Advent per gli asset della famiglia Garrone: la raffineria di Trecate e le attività del gas sarebbero poi cedute SARA BENNEWITZ

MILANO. Ore decisive per la famiglia Brachetti Peretti, che entro il 12 aprile dovrà formalizzare la sua

migliore offerta per le attività messe in vendita da TotalErg. Il gruppo genovese vuole cedere alcune attività,

tra cui in particolare le pompe di benzina che messe insieme alla Italiana Petroli (Ip) che fa capo alla Api dei

Brachetti Peretti, darebbero vita alla prima rete privata italiana di distributori, cambiando il profilo

dell'azienda energetica.

«Stiamo vagliando diverse offerte da parte di vari interlocutori - spiega Ugo Brachetti Peretti, presidente di

Api - prima di formalizzare l'offerta vincolante per TotalErg. Si tratta di far nascere il colosso italiano privato

della distribuzione di benzina, è una scelta importante che va ponderata a fondo».

L'operazione ha un valore d'impresa di circa 650 milioni, e la famiglia Brachetti Peretti, come molte dinastie

italiane, è di quelle che non ama l'utilizzo sfrenato della leva finanziaria. Per cui, il gruppo marchigiano - che

a quanto si apprende è la favorita ad aggiudicarsi la gara - starebbe cercando uno o più soci con cui

perfezionare l'operazione e a cui cedere in un secondo momento eventuali attività. «Tutte le ipotesi sono

ancora sul tavolo precisa Brachetti Peretti - stiamo dialogando anche con possibili partner industriali».

Resta che il fatto che il cuore del pacchetto messo in vendita dal gruppo della famiglia Garrone è quello dei

distributori TotalErg, che se messi insieme a Ip, oltre a creare il leader italiano delle pompe di benzina,

darebbero modo al compratore di realizzare notevoli sinergie. Tra le attività inserite nel pacchetto delle

dismissioni di Erg ci sarebbe anche la raffineria di Trecate (Novara) e altre asset minori nel gas e nelle

cisterne, che non sono strategici per i Brachetti Peretti che già controllano la raffineria di Falconara

Marittima. «Abbiamo investito centinaia di milioni su Falconara - precisa il presidente di Api - la raffineria

per non è strategica e sinergica al business della distribuzione». Tra queste ipotesi, secondo quanto risulta

a Repubblica, ci sarebbe quella del fondo anglosassone Advent, che insieme all'amministratore delegato di

Api Daniele Bandiera, avrebbe negoziato una proposta per rilevare una quota di maggioranza della società

che nascerebbe dall'integrazione tra le pompe di benzina di Ip e quelle di TotalErg. Quest'operazione,

lascerebbe la famiglia Brachetti Peretti il ruolo di socio industriale di minoranza e un ruolo non operativo in

azienda. «Questa è una, ma non l'unica ipotesi - precisa Ugo Brachetti Peretti - che abbiamo allo studio e

non è detto che sia quella definitiva». Api ha sondato infatti altri private equity, tra cui i fondi Apollo (gli

stessi che si stanno scontrando con i Malacalza sulla Carige), ma l'opzione Advent parrebbe quella

preferibile. L'esigenza di fare investimenti e dare al gruppo una massa critica competitiva, nasce anche dal

fatto che gli ultimi anni di Api non sono stati tra i migliori. Per questo quattro anni fa, la proprietaria del

gruppo Mila Brachetti Peretti, madre di Ugo e Ferdinando (che è presidente della holding) ha incaricato un

management esterno per portare avanti il piano di ristrutturazione del gruppo. L'unica donna in Italia che

può fregiarsi del titolo di Generale della Croce Rossa, ha ereditato l'azienda dal padre e fondatore

Ferdinando Peretti, affidando la gestione al marito Aldo Maria Brachetti a metà degli anni Settanta. Ma

arrivati alla terza generazione, la proprietaria insieme al management starebbe valutando tutte le opzioni

mettendo al primo posto il bene dell'azienda.

LA DINASTIA LA PADRONA Il Generale della Croce Rossa Mila Brachetti Peretti è la proprietaria

dell'azienda fondata dal padre Ferdinando Peretti, di cui il figlio Ugo è presidente L'AZIENDA Anonima

Petroli Italiana è un'azienda energetica privata guidata da Daniele Bandiera. Nel 2016 soprattutto grazie ai

distributori ha generato circa 3,5 miliardi di ricavi

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Foto: Ferdinando Brachetti Peretti e Ugo Brachetti Peretti

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"Basta pagamenti in ritardo" Bruxelles richiama l'Italia

DURO MONITO ESPRESSO DALLA COMMISSARIA UE ELZBIETA BIENKOWSKA: LA PA ITALIANA IMPIEGA IN MEDIA 131 GIORNI PER PAGARE I PROPRI FORNITORI CON RICADUTE A CASCATA. INDUSTRIA E PMI DEVONO REAGIRE. ORA LA PALLA PASSA A GENTILONI Luigi dell'Olio

Milano L'Italia è chiamata a darsi una mossa per affrontare il problema dei ritardi nei pagamenti. Non ha

usato esattamente questi termini, ma l'invito rivolto nelle scorse settimane al nostro Paese dalla

Commissaria europea al mercato interno, all'industria e alle Pmi, Elzbieta Bienkowska, è stato chiarissimo.

E ora tocca al governo Gentiloni offrire risposte adeguate per evitare la procedura di infrazione che

potrebbe costarci una multa salata. Sul fronte dei pagamenti pubblici molto è stato fatto negli ultimi tre anni,

con stanziamenti per 43,7 miliardi di euro destinati a ridurre lo stock, ma nuovi debiti si sono nel frattempo

creati e su questo versante non esiste una stima aggiornata. La pubblica amministrazione italiana, secondo

l'ultimo report di Intrum Justitia, impiega mediamente 131 giorni per pagare i propri fornitori e questo crea

effetti a cascata. L'impresa di pulizie o di costruzioni che ottiene l'appalto dal Comune o dalla Regione, non

solo deve trovare in via anticipata i fondi per comprare i materiali necessari a effettuare i lavori (e spesso

deve fare i conti con la resistenza degli sportelli ai finanziamenti), ma è anche chiamata a pagare gli

stipendi ai suoi dipendenti e saldare a sua volta i fornitori. Se la Pa non paga per tempo, i ritardi si

accumulano per tutti e qualcuno può arrivare fino al punto di trovarsi in tale difficoltà nel finanziamento del

circolante da dover portare i libri in tribunale non per colpa propria. Eppure, ricorda la Commissione Ue, le

direttive comunitarie impongono al settore pubblico di pagare i beni e i servizi acquistati entro 30 giorni o, in

casi eccezionali, entro 60 giorni. Lo studio di Intrum Justitia sottolinea che una maggiore puntualità nei

pagamenti avrebbe un impatto positivo sul fronte occupazionale: in Europa il 33% delle aziende (circa 7,7

milioni) sostiene che potrebbe assumere più personale se fosse pagata più velocemente. In Italia la quota è

del 28%, pari ad oltre un milione di imprese. Senza dimenticare che il problema riguarda spesso anche i

pagamenti tra le stesse aziende e non è riconducibile solo alle inefficienze del pubblico. In proposito va

comunque segnalato che lo scenario è in migliorato. L'ultima rilevazione di Cerved, relativa al consuntivo

del terzo trimestre 2016, segnala che i ritardi nei pagamenti sono scesi di due giorni nel confronto a un

anno, arrivando in media a 14,1 giorni, il minimo dal 2012, quando sono iniziate le rilevazioni. Nello stesso

periodo è aumentato il numero di società che pagano le fatture entro i tempi concordati con i fornitori, il

47%, in crescita dal 45,8% del 2015, e si è ulteriormente ridotta la quota di società in grave ritardo, casi che

possono sfociare in mancati pagamenti o veri e propri default. I comportamenti più virtuosi delle imprese

hanno riguardato tutti i settori e le aree del Paese, con miglioramenti più marcati nelle costruzioni e nel

Mezzogiorno, a lungo le due principali zavorre sulla strada della normalizzazione. Se il miglioramento del

ciclo economico è la causa principale di questo progresso, parte del merito va ascritta anche all'ideazione

di nuove soluzioni per tornare a far circolare la liquidità nell'economia reale in maniera sostenuta. Pensare

di poter tornare alle politiche generose di erogazione del credito che si sono viste fino al 2007 è illusorio,

dato che le banche non solo devono fare i conti con la massa di crediti deteriorati accumulati in bilancio, ma

anche con regole comunitarie più stringenti, ideate proprio per garantire livelli di capitalizzazione adeguati

in caso di nuove crisi. Tuttavia, grazie anche a sistemi di scoring più evoluti grazie al progresso della

tecnologia, si stanno affermando sul mercato nuove soluzioni di finanziamento. Nelle scorse settimane, la

School of Management del Politecnico di Milano ha fatto il punto sulla diffusione in Italia della supply chain

finance , insieme di soluzioni per il finanziamento del capitale circolante che fanno leva sul ruolo di

un'impresa all'interno della filiera, oltre che sulle sue caratteristiche economiche, finanziarie o di business. Il

quadro che emerge è quello di un mercato nazionale dominato da due soluzioni di tipo tradizionale:

l'anticipo fattura, cioè il finanziamento di quelle non ancora riscosse, che vale 87 miliardi di euro, il 3,3% in

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meno rispetto all'anno precedente, e il factoring, vale a dire la cessione di crediti commerciali vantati da

un'azienda verso i debitori, che vale 57 miliardi (+1,8%). Tuttavia al suo interno cresce del 7,7% a 2,8

miliardi di euro la quota del reverse factoring, la versione che permette ai fornitori di sfruttare il merito

creditizio di un'azienda cliente per ottenere prezzi più bassi. Stentano a decollare invece le soluzioni più

innovative, come la carta di credito virtuale per la gestione semplificata dei pagamenti tra buyer e supplier,

l' inventory finance , cioè il finanziamento delle scorte attraverso una linea di credito, o ancora l' invoice

auction , un'asta digitale per investire nelle fatture, e il dynamic discounting , pagamento anticipato a fronte

di uno sconto proporzionale ai giorni di anticipo. Anche se, avvertono gli autori della ricerca, lo scenario è in

evoluzione, complice la diffusione di nuove aziende che puntano sulla velocità del Web per proporre

soluzioni innovative. S. DI MEO FONTE: BLOOMBERG, EULER HERMES

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IL SISTEMA PAESE

L' edilizia pubblica (1) è uno dei settori più colpiti dai ritardi nei pagamenti, frenati anche dall'eccesso di

burocrazia (2). Una soluzione può arrivare dall'utilizzo sempre più spinto della tecnologia (3)

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Foto: Elzbieta Bienkowska (1) commissario Ue e Mikael Ericsson (2), ceo e presidente di Intrum Justitia

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L'ULIVO BUONO E QUELLO CATTIVO

Fabio Bogo

Un gasdotto di 878 chilometri e , in fondo, il muro delle comunità locali. La storia del Tap, il Trans Adriatic

Pipeline, che porterà il gas dal Mar Caspio all'Europa attraversando l'Adriatico e approdando in Puglia, è la

classica vicenda italiana di un'opera di cui viene riconosciuta l'utilità per la collettività, a patto che venga

fatta in modo diverso da quello programmato e lontano da dove è localizzata, infilandosi così in un tunnel

oscurato dai disegni politici. Un percorso al termine del quale, spesso, l'opera stessa viene abbandonata.

Che il gas sia utile, economico e pulito rispetto ad altri combustibili più inquinanti è cosa nota. Lo riconosce

persino Michele Emiliano, governatore della Puglia, candidato segretario del Pd e fiero contestatore del

Tap. A proposito dell'Ilva di Taranto, acciaieria inquinante a carbone, Emiliano diceva: "L'alternativa può

essere il gas che sta per arrivare con il gasdotto Tap, a cui siamo favorevoli". Precisando però di non

essere favorevole "al luogo di approdo". In sostanza, se un danno ambientale deve esserci, come è

sostenuto da alcune comunità locali, lo si provochi da un'altra parte. Magistrato e politico decisionista, il

governatore della Puglia in campagna elettorale ha regalato anche un altro caposaldo della sua

"Emilianomics". A Porta a Porta, davanti a Bruno Vespa, ha detto a proposito del caso Consip: "Se divento

segretario del Pd la Consip la chiudo". Sfugge il legame diretto tra il segretario di un partito e un organismo

nato con una legge dello Stato. E, nell'eventualità di un successo alle primarie del Pd e successivamente

alle elezioni nazionali, sfugge anche quello tra Consip e governo, avendo Emiliano dichiarato che "la figura

del segretario e quella del premier devono essere separate", perché deve essere "abolita l'idea di un uomo

solo al comando". Potrebbero essere considerate soltanto scaramucce legate al calendario politico, ma non

si può non considerare che un gasdotto che attraversa 4 paesi trovi opposizione solo in Italia, col risultato di

indebolire l'immagine del paese nel contesto internazionale. Giova ricordare allora cosa successe al

rigassificatore di Brindisi, altra opera giudicata strategica per il settore energetico italiano. Il progetto era

nato nel 2002 per iniziativa di British Gas, che voleva far arrivare nel porto di Brindisi 8 miliardi di metri cubi

di gas naturale, con un investimento di 500 milioni. Regione, Provincia e Comune si opposero, in un vortice

di polemiche. La storia è finita così: nel 2012 British Gas getta la spugna e ritira il progetto, dopo aver

speso 250 milioni di euro. Allora il gas che serviva al paese si arrestò davanti alla presunta difesa della

costa. Stavolta si alza la barriera di un centinaio di ulivi. Che, a differenza del vecchio partito di cui portano

il nome, sembrano concimati con cattiva politica.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 94

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L'ANALISI

Le imprese che scaldano il motore*

Giuseppe Travaglini *

Èstato battezzato Quarto Capitalismo. E' quello delle medie imprese italiane. Quello fiorito per ultimo, dopo

il capitalismo ottocentesco, dopo quello delle aziende pubbliche (ex IRI) e infine dei distretti. Da allora sono

passati 10 anni. E le medie imprese italiane resistono. Anzi crescono, come emerge dalle analisi

dell'Università di Urbino. Sono infatti le uniche imprese a manifestare in questa lunga transizione - povera

di investimenti, innovazione e competitività - voglia e capacità di espandersi. Imprese grandi, ma non

troppo, specializzate, ma flessibili, internazionali quanto basta, parzialmente riconducibili ai sistemi

produttivi locali. Multinazionali tascabili. Insomma, un gruppo di aziende d'avanguardia, di medie dimensioni

(tra 50 e 250 addetti, nella tassonomia Istat, pari a circa 21 mila imprese) che contribuiscono al Pil, alle

esportazioni, all'occupazione, al progresso tecnologico. Difendendo l'economia italiana nella competizione

internazionale. Ma purtroppo solo marginalmente. Sono difatti troppo poche. segue a pagina 18 con

un'intervista di Luciano Nigro Segue dalla prima Sono solo lo 0.5% del totale. Il 13% dell'occupazione, il

18% del valore aggiunto di industria e servizi. E' una storia di successi in controtendenza con il Paese,

dove le micro e piccole imprese (circa il 99% del totale) arrancano e le grandi (pari allo 0,1% del totale)

perdono pezzi o sono in ritirata. Ma le imprese del Quarto Capitalismo mandano importanti segnali di vita. A

sottolineare il dato è il Rapporto Istat 2017 sulla Competitività dei Settori. Tra il 2009 ed il 2014, la

contrazione del valore aggiunto nelle microimprese è stata particolarmente rilevante mentre è stata

moderata o nulla per le imprese medie e grandi. Di più, nel confronto con l'economia tedesca il differenziale

negativo di produttività riflette la diversa struttura dimensionale della manifattura nei due paesi e, a parità di

dimensione, livelli di produttività inferiori per le imprese italiane più piccole e per quelle più grandi. Campioni

di produttività Nel confronto, la produttività risulta maggiore proprio nelle imprese italiane di medie

dimensioni. Per questa fascia dimensionale la dinamica economica sembrerebbe procedere al contrario e

offrire concrete opportunità di crescita. Specialmente per le aziende orientate all'internazionalizzazione. Il

processo è fotografato da Mediobanca (che utilizza un campione rappresentativo di medie imprese basato

su addetti (tra 50 e 499 addetti) e fatturato (tra 16 e 355 milioni di euro di vendite). Per questo club di

imprese, tra il 2005 ed il 2014, anche se a fasi alterne, il successo commerciale si è concretizzato nei

mercati esteri dove le esportazioni hanno registrato notevoli progressi. Le migliori performance sono state

conseguite nella meccanica e nella metallurgia, nell'alimentare, nella carta e stampa, e nel made in Italy. La

crisi del 2009 ha però scaricato le sue tensioni anche sul sistema delle medie imprese colpendole nelle

esportazioni e nell'occupazione. Successivamente, la capacità di adattamento e diversificazione

internazionale ne ha consentito il recupero sia sul terreno dell'occupazione che del commercio

internazionale. Sono imprese che reagiscono, mettendo in campo imprenditorialità, solidità patrimoniale e

intelligenza strategica. Perciò non sorprende l'evoluzione della produttività. Anche se con differenze

importanti tra i settori tradizionali e tecnologici. A dircelo sono ancora i dati Mediobanca. Nel decennio

2005-2014 si è registrato un aumento medio della produttività del 2,7% e una crescita media del costo del

lavoro per addetto pari al 2,5%. Con un incremento di competitività quantificabile in 2,4 punti. Una

progressione che mette d'accordo investimenti, competitività e costi. Con un recupero di produttività, che è

stato trasferito in parte al lavoro (anche grazie ad adeguate relazioni industriali) preservando le retribuzioni

cresciute a un ritmo compatibile con la produttività. Dualismo territoriale Sono dunque tutte rose e fiori? No,

perché il Quarto Capitalismo presenta anche aspetti critici. Strategicamente cruciali. Primo fra tutti è la

disomogeneità, o sarebbe meglio dire il dualismo della distribuzione territoriale. Le medie imprese sono

presenti principalmente nel Nord-Est padano e nell'area Nord-Ovest della (ex) grande industria

manifatturiera. La diffusione si propaga verso Sud e diviene sempre più rarefatta fino alla Puglia e la

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 95

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Campania. Oltre vi è una sostanziale desertificazione che conferma il divario Nord-Sud del Paese. Un

secondo elemento è la fiscalità penalizzante con un tax rate che in media ha toccato il 36% nel 2014, cioè

circa nove punti sopra quello che risulta per i gruppi maggiori, e che può agire come freno agli investimenti.

Come terzo elemento critico, meno del 6% delle medie imprese è presente nell'alta tecnologia mentre il

62% opera in quella medio bassa (con il 60% delle esportazioni). Confermando, seppure in un segmento

dimensionale di eccellenza, una vocazione italiana troppo orientata ai beni tradizionali. Risultati dunque

importanti. Il tema della media impresa resta però marginale nell'agenda della politica economica tra i cui

compiti vi è quello di individuare le condizioni che favoriscono la crescita delle imprese. Per occupare nuovi

spazi di mercato. Geografici e settoriali. Per salire lungo la scala della competitività. Il Quarto Capitalismo

propone un modello dinamico, incentrato sull'internazionalizzazione ma con un rapporto privilegiato col

territorio in cui si è radicato. Politiche industriali E questo potrebbe essere il campo d'azione di nuove

politiche industriali volte a costruire condizioni che accelerino la propensione all'internazionalizzazione e al

rafforzamento territoriale delle imprese, con occupazione qualificata e investimenti anche nelle aree più

sofferenti del Paese. Esistono diversi percorsi tra loro complementari. Primo, le medie imprese sono nel

cuore del manifatturiero italiano, e conciliano obiettivi di efficienza e redistribuzione. Sono un sistema

virtuoso per molti versi antitetico a quello del capitalismo globale che tende ad esasperare la relazione tra

capitale, reale e finanziario, e lavoro. Dunque, facilitano le relazioni industriali. Secondo, sono un modello

organizzativo che consente alle imprese minori di accedere alle filiere globali. Le medie imprese si

configurano come hub per le piccole imprese orientate ai nuovi mercati, ai prodotti e processi qualificati.

Esistono già strumenti per facilitare questo percorso. Tra questi, il nuovo contratto di rete, con le sue

potenzialità, consente di realizzare raggruppamenti di imprese per la collaborazione reciproca nella

produzione e nella ricerca. E altre forme di relazione verticale per l'innovazione di prodotto e di processo.

Infine, il Quarto Capitalismo può essere la trama su cui innervare parte degli obiettivi di Industria 4.0. Per

creare (anche grazie al super ammortamento) e trasferire innovazione verso le imprese più piccole

aiutandole a interfacciarsi con la competizione globale. E tracciando un complessivo perimetro di

potenziamento. Attraverso il riequilibrio del tax rate, la defiscalizzazione degli investimenti e il rafforzamento

del grado di capitalizzazione. Misure necessarie per promuovere il sistema produttivo nazionale, non solo

quello delle medie imprese. Interventi che non ledono l'autonomia del Quarto Capitalismo. Ma che ne

amplificano le potenzialità. Alimentando un modello di sviluppo che coniughi internazionalizzazione e

territorio, imprese e lavoro, produttività e salari. * Ordinario di Politica Economica Università di Urbino Carlo

Bo mediobanca, s di meo,LA SCHEDA

Un gruppo di economisti che studia i fattori di crescita e declino Giuseppe Travaglini è professore

ordinario di Politica Economica presso il Dipartimento di Economia Società Politica (DESP) dell'Università

degli Studi di Urbino Carlo Bo. L'analisi qui riportata è parte delle ricerche condotte dal Gruppo degli

Economisti di Urbino. La loro attenzione è rivolta principalmente ai temi della crescita economica, della

produttività, della sostenibilità, del mercato del lavoro, e dei mercati finanziari. L'analisi condotta è di tipo

teorico e quantitativo. Recentemente, la linea di ricerca si è concentrata sull'individuazione dei fattori alla

base del paventato declino dell'economia italiana, focalizzando la controversa relazione tra investimenti,

innovazione e deregolamentazione dei mercati. Articoli accademici e monografie raccolgono questi studi.

La rivista dell'Ateneo Argomenti di Economia Cultura e Ricerca Sociale partecipa alla riflessione su questi

temi.

Foto: Il ministro per lo Sviluppo Economico Carlo Calenda (1) e Alberto Baban (2) presidente della Piccola

Industria di Confindustria, di cui è anche vicepresidente

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 96

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Banche, processo alla Vigilanza*

Massimo Giannini

LA VIA CRUCIS DEL CREDITO, DA MPS ALLE BANCHE VENETE: MA NON È STATA SOLO COLPA

DEI MANAGER FRAUDOLENTI. NEL MIRINO PER L'EFFICIACIA DEI CONTROLLI ANCHE BANKITALIA

E CONSOB, OLTRE AL TESORO «La crisi delle banche non esiste. Esistono alcune banche in crisi, che è

una cosa molto diversa». Chi in questi mesi di credit crash tricolore avesse l'occasione di scambiare due

chiacchiere con Ignazio Visco, lo troverebbe "serenamente preoccupato", per usare un ossimoro moroteo.

Preoccupato perché almeno una decina di istituti traballano. Ma sereno, perché secondo il governatore

«non è a rischio il sistema». segue a pagina 2 con un'intervista di Eugenio Occorsio segue dalla prima Mps,

Popolare Vicenza, Veneto Banca, Etruria e le altre tre banche "in risoluzione", Carige, e poi Cassa di

Cesena, Rimini, Popolare di Bari. Le difficoltà ci sono, ma a determinarle è stata "una crisi economica

straordinaria". In otto anni, si dice a Palazzo Koch, il crollo effettivo del Pil è stato del 30% e le sofferenze

nette sul totale dei prestiti sono salite di 3 punti. Risultato: 600 miliardi di caduta del Pil hanno generato 60

miliardi di aumento dei crediti avariati. Un disastro, ma "quasi fisiologico". Messa in questi termini, la crisi

bancaria italiana è come le sette piaghe d'Egitto. Ti arriva addosso, e non puoi farci niente. Ma è davvero

così? Come diceva Prezzolini, gli "apoti" questa "non la bevono". Non è colpa solo della Grande

Recessione, se l'Italia con il suo bel 18% di crediti deteriorati lordi rispetto agli impieghi resta la maglia nera

d'Europa. Se dopo 30 miliardi di ricapitalizzazioni dilapidate solo per quella "sporca dozzina" di istituti, e

dopo uno "scudo" da 20 miliardi creato a fine 2016, gli analisti stimano un ulteriore fabbisogno di capitali tra

40 e 55 miliardi. Oggi le banche "salvate" sono ancora "sommerse". Vuol dire che nella politica qualcosa

non ha funzionato. Solo nel "triangolo delle Bermude" Mps-Popolare Vicenza-Veneto Banca sono

scomparsi 65 miliardi di depositi in 5 anni, e un milione e mezzo di risparmiatori ci ha rimesso quasi 15

miliardi. Certo, i "furbetti del credito" hanno anche rubato. Ma i controllori non hanno controllato. Tutti hanno

un pezzo di colpa, nella via crucis bancaria di questi anni. Ora la politica, con la sua cattiva e tardiva

coscienza, ha inventato un ridicolo Golgota finale: la commissione parlamentare d'inchiesta, che non

scoprirà un bel niente (come tutte le commissioni d'inchiesta, da Ustica a Bnl Atlanta). Sarà un inutile

ricettacolo di veleni e di vendette. Il groviglio di Siena La prima "stazione" della via crucis è a Rocca

Salimbeni, madre di tutte le sciagure del "socialismo municipale". Mps, "groviglio armonioso" diventato

"rovinoso". Rovina nel dicembre 1999, quando ingoia per 1,3 miliardi un boccone rancido come Banca 121

(già Banca del Salento, cassaforte dalemiana). Rovina nel novembre 2007, quando ingoia un boccone

enorme come Antonveneta (vale 6 miliardi, ma il Santander gliela rifila per oltre 9 miliardi). Due "uova del

serpente", che nella pancia senese generano 18 miliardi di debiti. L'ineffabile Mussari li occulta con le truffe

in derivati ("Fresh" e "Santorini", nascosti in cassaforte). Deflagra lo scandalo giudiziario. Nel frattempo, un

tourbillon di aumenti di capitale (9 miliardi tra 2014 e 2015). Fino al caos odierno: decreto legge di fine

dicembre e salvataggio pubblico da 20 miliardi. Secondo Pierluigi Piccini, ex sindaco di Siena, «Mps

l'hanno ucciso le faide interne al Pd, D'Alema che sbagliò a nominare Mussari e Veltroni che non capì

l'enorme scontro finanziario in atto nell'Italia di quegli anni». Ma premesso questo: dov'era la Banca d'Italia

di Antonio Fazio, ai tempi dell'indigestione Banca 121? Dov'era la Banca d'Italia di Mario Draghi, ai tempi

del bagno di sangue su Antonveneta? E dov'era la Consob di Lamberto Cardia, ai tempi dell'intossicazione

da derivati? Dal 2010 la fuga dei depositi ha raggiunto i 50 miliardi. La politica continua a offrire il peggio di

sé. Renzi, che usa la commissione d'inchiesta come una clava contro D'Alema e i Ds, da premier ha

combinato altrettanti pastrocchi. Si è inopinatamente fidato di Jp Morgan per la ricapitalizzazione privata da

5 miliardi, cacciando l'ex "ad" Viola e imponendo Morelli. Di fronte al fiasco ormai certo, ha rinviato

l'intervento pubblico (che a luglio 2016 la Ue gli avrebbe consentito), per evitare schizzi di fango prima del

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 97

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referendum costituzionale. Il governo Gentiloni ci ha messo una pezza alla vigilia di Natale. Ma il

salvagente dello Stato non è ancora scattato, per un kafkiano cortocircuito con Bce e Bruxelles. Per dare

via libera all'aumento di capitale "precauzionale", Mps deve dimostrare di possedere "i requisiti patrimoniali

minimi". Cioè, per avere l'autorizzazione Bce sugli 8,8 miliardi di capitali chiesti dalla stessa Bce, Siena

deve prima dimostrare di non averne bisogno. Siamo fermi a questo paradosso, di cui il silente ministro

Padoan non sembra in grado di venire a capo. La trappola di Etruria Renzi se ne fa ancora un vanto

(sorvolando tartufescamente sul conflitto d'interessi di papà Pierluigi Boschi): «Il salvataggio delle 4 banche

regionali ha messo al sicuro i risparmi di 1 milione di correntisti e obbligazionisti, per un controvalore di 12

miliardi». La fa troppo facile: anche in questo caso la politica di impicci ne ha combinati tanti. Il decreto di

"risoluzione" per Etruria, Banca Marche, Cariferrara e Carichieti (seconda "stazione" della via crucis) piove

sulla testa degli italiani il 22 novembre 2015, quando scattano per la prima volta il "bail in" e il "burden

sharing". È una pioggia gelata. Fino ad allora (nonostante perdite per 1,7 miliardi e crediti deteriorati per 6)

non si sapeva granché del buco delle quattro "banchette". E fino ad allora (nonostante una gestazione

comunitaria iniziata nel 2013 «con l'accordo di tutti i governi compreso quello italiano», come Mario Monti

ricorda all'immemore Matteo) non si sapeva nulla della "rivoluzione" in arrivo. A dicembre 2015 è il caos. I

risparmiatori (spesso costretti a sottoscrivere quote in cambio di prestiti) scendono in piazza. Un

pensionato-cliente di Etruria si suicida. E allora si svegliano tutti. Renzi dice che senza il suo decreto

sarebbe scoppiata l'Armageddon. Il presidente dell'Abi Patuelli obietta che «il bail-in è incostituzionale». La

Banca d'Italia ricorda che il governatore andò per primo a illustrare alle Camere le criticità del bail in e la

necessità di applicarlo gradualmente. Sindrome bail-in A Palazzo Koch si racconta che a negoziare con

l'Europa, fino al 2014, «furono Grilli, Saccomanni e Padoan, tre ministri diversi, mentre per i tedeschi c'era

sempre e solo Schaeuble». Si sottolinea che la comunicazione fatta a Bruxelles prevedeva di falcidiare

dell'8% tutti (correntisti, subordinati e non) e poi liquidare le quattro "banchette", e questo "grandguignol" è

stato evitato solo grazie a Bankitalia. E si aggiunge, infine, che se tutto è precipitato in fretta, nel novembre

nero 2015, è perché la legge sul "burden sharing" (che ha recepito la direttiva Brrd e ha consentito di

distinguere tra le diverse categorie di risparmiatori) fu approvata dal Parlamento nel luglio 2015 con 7 mesi

di ritardo, e rimase parcheggiata a Palazzo Chigi per altri 4 mesi. Gli scenari della Consob Dunque, ancora

una volta la politica ha fatto i suoi errori. Ma dov'erano gli "sceriffi", mentre i "gangster" Fornasari e Bianconi

piazzavano a carissimo prezzo i loro "junk bond" agli ignari clienti? A Banca Etruria la prima ispezione

Bankitalia è del 2010, e il commissariamento solo del febbraio 2015. In mezzo, altre ispezioni, irregolarità,

lettere come quelle che Visco scrive il 5 dicembre 2013, in cui parla di "degrado irreversibile" dell'istituto.

Ma questi rilievi non finiscono nel prospetto informativo autorizzato dalla Consob (che pochi giorni dopo

accompagna la nuova emissione di obbligazioni) perché «non assumono in ogni caso un'entità tale da

pregiudicare il mantenimento dei requisiti prudenziali"» Dunque, un "degrado irreversibile" nella gestione di

Etruria non è bastato, per Banca d'Italia e Consob, a lanciare un allarme ai risparmiatori? Non solo. Fino al

2011, per le obbligazioni subordinate, la Consob accludeva ai prospetto informativi gli "scenari

probabilistici", con i quali si spiegava ai clienti quanto fosse alta la probabilità di perdere parte del capitale

investito (30, 50, 70%, a seconda della rischiosità dell'obbligazione). Perche dal 2012 il presidente

Giuseppe Vegas fa eliminare questa informazione dai prospetti? La Consob risponde che «gli scenari

probabilistici sono stati più volte bocciati in sede europea...». Suona quasi come una "fake news": la Ue

non "boccia" niente e non obbliga nessuno. Intanto la crisi delle quattro banche (finite in carico a Ubi e

Bper) è tutt'altro che risolta. I manager "popolari" La terza stazione è a Genova. Le "banche del territorio"

dovevano essere il polmone finanziario delle economie locali, e invece si sono rivelate il "caveaux del

malaffare". Il ragionier Giovanni Berneschi (ex presidente di Carige appena condannato a 8 anni e 2 mesi)

è "l'eroe brechtiano": quello che capisce che per fare soldi, invece di rapinare una banca, conviene

amministrarla. Nel 2006 è stato indagato per l'appoggio dato a Consorte e Fiorani nella scalata su

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 98

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Antonveneta. A Genova, fino all'arresto del 2014, è successa la qualunque. Truffe immobiliari, prestiti agli

amici. Tra 2013 e 2015, due aumenti di capitale da 1,6 miliardi polverizzati e perdite cumulate per quasi 3

miliardi. Si riaffaccia il dubbio amletico? Bankitalia dov'era? E dov'era mentre dilagavano i buchi delle

Popolari? Domande che riaprono la contesa tra politici e authority. Renzi rivendica: se il suo governo non

"avesse prontamente realizzato la riforma" oggi sarebbe saltato per aria "l'intero sistema bancario italiano".

La Vigilanza di Via Nazionale, guidata da Carmelo Barbagallo, racconta l'esatto contrario. È Palazzo Koch

che si è battuta per far passare la riforma, mentre il Parlamento la osteggiava e difendeva il voto capitario.

È Palazzo Koch che ha lavorato ai fianchi i cda e a tavolino con le Procure. Ma ci sono voluti tre anni per

far arrestare Berneschi a Genova, tre anni per rimuovere Consoli da Vicenza, due anni per far fuori

Bianconi da Banca Marche. Troppi: il "sacco bancario" si era già compiuto. L'abisso delle venete L'ultima

stazione della via crucis porta nel Nord Est. La Popolare di Vicenza del cavalier Gianni Zonin (ex re del

Prosecco interrogato dai pm martedì scorso per 11 ore) in tre anni ha bruciato 6,2 miliardi di valore,

lasciando carta straccia in mano ai 118 mila poveri azionisti. La Veneto Banca del ragionier Vincenzo

Consoli (abituato a volare sul suo Learjet Executive 60 XR, agli arresti domiciliari da agosto 2016 e appena

scarcerato) di miliardi ne ha bruciati 5, con lo stesso meccanismo delle "operazioni baciate" imposte a 90

mila risparmiatori ridotti sul lastrico. Che dice la Consob? Dipende da Bankitalia. Che dice Bankitalia?

Dipende dalla Consob. Via Nazionale ha agito dietro le quinte. Ispezioni a raffica, dal novembre 2013,

rimozione di Consoli, "moral suasion" per far fondere i due istituti. Poi, da dicembre 2014, è subentrata la

Vigilanza Bce, e il bubbone è scoppiato. Ora la fusione c'è di fatto, sotto le insegne del Fondo Atlante

guidato da Alessandro Penati. Ma è già alla canna del gas pure quello. Finanziato per 3,4 miliardi dalle altre

grandi banche (che non vogliono buttarci dentro neanche un euro in più) Atlante alza le mani di fronte ad

altri 1,9 miliardi di perdite 2016 di Vicenza. I nuovi "ad", Viola e Carrus, chiedono con urgenza la

ricapitalizzazione "precauzionale", cioè l'intervento pubblico come per Mps. E dunque si profila anche per

loro il micidiale "Comma 22" con Bce e Ue. Servirebbe anche in questo caso una guida forte al governo e al

Tesoro. Ma di Gentiloni e Padoan non si hanno notizie. E le due banche affondano nella palude

dell'incertezza. Dal 2013 si sono volatilizzati depositi per 11 miliardi a Vicenza, per 4 miliardi a

Montebelluna. Avanti così, il Golgota è vicino. cerved, s. di meo, banca d italiaIGNAZIO VISCO È diventato

Governatore della Banca d'Italia nel 2011 a seguito della nomina del suo predecessore, Mario Draghi, a

presidente della Banca centrale europea

GIUSEPPE VEGAS È uno dei pochi che ha fatto il salto dalla politica a un ruolo tecnico. Già esponente di

Forza Italia, è stato nominato nel 2010 presidente della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa

MARIO DRAGHI Dopo le esperienze come direttore generale del Tesoro, Governatore della Banca d'Italia

e presidente del Financial Stability Board, è ora a capo della Bce LAMBERTO CARDIA Già presidente di

sezione della Corte dei Conti, aveva ricoperto numerosi incarichi istituzionali prima di essere presidente

della Consob, tra il 2003 e il 2008IL CASO I tempi lunghi della commissione d'inchiesta Procede a rilento

(ora è al Senato dopo l'approvazione della Camera) la creazione della commissione bicamerale d'inchiesta

che avrà il compito di verificare gli effetti della crisi sul sistema bancario italiano e soprattutto la gestione

degli istituti bancari che anche in relazione alla crisi stessa sono finiti in dissesto e sono stati destinatari a

qualche titolo di risorse pubbliche. Inoltre dovrà essere verificata l'efficacia dell'attività di vigilanza sul

sistema bancario e finanziario degli organi preposti.LA SCHEDA

Crediti deteriorati quella zavorra sul sistema Paese La bassa redditività e gli alti costi sono gli stessi che

assillano le banche degli altri Paesi europei, basti pensare al caso Deutsche. Ma sulle banche italiane c'è

una zavorra in più, quella dei 198 miliardi di sofferenze lorde, che diventano un po' meno di 100 al netto

delle coperture: e così, secondo la maggior parte degli addetti ai lavori, si spiega il quoziente aggiuntivo di

rischio assegnato in media dal mercato agli istituti italiani. Dal 2008, inizio della crisi che ha travolto il

Paese, il volume dei crediti deteriorati è aumentato del 20% l'anno fino al 2015.LE CRISI MONTE PASCHI

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 99

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Dall'acquisto di Banca 121, a quello dell'Antonveneta, passando per le operazioni in derivati: così in 18 anni

è crollata Mps, la banca più antica del mondo. Un crollo in cui molto peso ha avuto la gestione di Giuseppe

Mussari. Ora la banca, Bce permettendo, sarà salvata dallo Stato italiano. Giuseppe Mussari , ex

presidente del Monte Paschi ]

POPOLARE VICENZA Tre anni di perdite rovinose, dai 750 milioni del 2014 agli 1,4 miliardi del 2015 fino a

1,9 miliardi nel 2016. Ma l'eredità di Gianni Zonin potrebbe non fermarsi qui: lo smaltimento dello stock di

Npl è una partita complessa che può produrre anche nel 2017 sostanziose rettifiche che finiranno per

erodere i ricavi e porteranno a nuove perdite. Gianni Zonin , ex numero uno della Popolare di Vicenza

VENETO BANCA Piegata dalla gestione Consoli, attende il via libera alla ricapitalizzazione precauzionale e

alla fusione con BpVi. Manca l'assenso della Bce che sta esaminando la possibilità di dare via libera sia

all'integrazione fra le due banche che agli aiuti pubblici, indicando quale dovrà essere il capitale che lo

Stato potrà versare. Vincenzo Consoli , già numero uno di Veneto Banca CARIGE La Cassa di risparmio di

Genova pochi giorni fa, dopo il quarto bilancio in rosso (- 313,6 milioni ) ha varato un nuovo piano di

risanamento. Azionista di riferimento è Vittorio Malacalza. Per la truffa ai danni del ramo assicurativo che

causò il crack, l'ex presidente Berneschi è stato condannato in primo grado a 8 anni e 2 mesi. Giovanni

Berneschi , ex presidente di Carige BANCA MARCHE Fa parte, con Popolare Etruria, CariChieti e

CariFerrara del "quartetto" di banche "risolte" nel novembre 2015 con un'anticipazione sul bail-in, in seguito

alla gestione di Bianconi. Poche settimane fa è stata finalmente perfezionata la vendita delle prime tre a Ubi

per 1 euro. La quarta, Cari Ferrara è andata a Bper. Massimo Bianconi , ex ad di Banca Marche

Foto: Il presidente Consob Giuseppe Vegas con Ignazio Visco (Banca d'Italia)

Foto: Nei grafici di questa pagina la situazione delle sofferenze bancarie italiane, frutto delle gestioni "facili",

delle carenze di controlli ma anche della lunghissima recessione che ha attraversato il Paese dal 2008

all'inizio del 2015 Roberto Nicastro , che fu nominato amministratore delegato delle quattro banche

liquidate l'anno scorso (1); Alessandro Penati , a capo del fondo Atlante, che ha tentato un primo

salvataggio di Veneto Banca e Popolare Vicenza andato a vuoto (2)

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03/04/2017

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 100

Le guerre di Leonardo e Fincantieri*

Gianluca Di Feo

La corsa agli armamenti lanciata da Donald Trump rischia di sorprendere le industrie italiane in una

posizione un po' scomoda. Leonardo e Fincantieri - le due realtà di maggiore peso nel settore militare

hanno un piede negli States e l'altro nei paesi arabi, ma se dovessero scivolare si ritroverebbero senza un

cuscinetto europeo per attutire la caduta. Il mercato bellico non è mai apparso così dinamico: tutta l'Asia è

in cerca di caccia, missili, elicotteri, fregate. Se ne ha un'idea dal salone Idex di Abu Dhabi dello scorso

febbraio. segue a pagina 4 segue dalla prima Una fiera sterminata, con 1.235 società di 57 paesi che

esibivano ogni genere di ordigno. Solo in Medio Oriente l'import è schizzato dal 2012 al 2016 dell'86 per

cento: nel 2015 lo shopping del Qatar ha raggiunto i 17 miliardi di dollari e l'Arabia Saudita ne ha spesi 12.

Ma i prossimi budget saranno ancora più ricchi. La concorrenza però è feroce. E c'è una sola certezza: gli

affari importanti, quelli che valgono miliardi, sono appannaggio di pochi e non vengono discussi con le

aziende ma con gli Stati. Inoltre si tratta di pacchetti completi: oltre le macchine, i compratori chiedono

addestramento, assistenza e tecnologia da gestire in patria. Due contratti d'oro Per i produttori italiani il

presente è roseo. Nel 2015 l'export bellico è arrivato 8 miliardi e 247 milioni, il 197 per cento in più rispetto

al 2014, mentre il bilancio dello scorso anno dovrebbe essere altrettanto munifico. Sono stati vinti due

contratti d'oro. Quello con il Kuwait per 28 caccia Eurofighter vale circa 8 miliardi (di cui il 60 per cento

andrà a Leonardo). E quello con il Qatar per un'intera flotta da guerra: 4 corvette, una nave comando

tuttoponte, due pattugliatori, più un assortimento di radar e missili con un importo superiore a sei miliardi

spartiti tra Fincantieri e Leonardo. La cura di Mauro Moretti ha rivoluzionato Finmeccanica, tornata al

dividendo: conti ripuliti e organigramma razionalizzato nel segno della One Company. Nome nuovo, vita

nuova e una serie di piani che ora passano nelle mani di Alessandro Profumo. Anche Fincantieri ha

riscoperto l'attivo e adesso si concentra sulla gara per le fregate australiane da 30 miliardi di dollari. E di

questi risultati a cascata beneficiano un migliaio di società, spesso piccolissime, con 159 mila occupati - 80

mila esclusivamente nel militare - che generano 11,6 miliardi di euro di valore aggiunto e garantiscono 4,9

miliardi di entrate allo Stato. Ma il futuro appare grigio. In teoria, da qui al 2020 c'è una torta che potrebbe

toccare i 50 miliardi - tra vendite dirette e licenze - che però va protetta da rivali agguerriti. Una sfida che

evidenzia la questione delle dimensioni: Leonardo rischia di essere troppo piccola per sfidare le holding

globali come Lockheed, Boeing, Airbus o i colossi statali di Mosca e Pechino. E c'è il peso delle scelte dello

scorso decennio, con le risorse maggiori non investite nella ricerca ma nello shopping di altre compagnie

negli Usa, rimaste però separate dalle case madri italiane. Così Fincantieri realizza con Lockheed negli

scali del Wisconsin le Littoral Combat Ship per l'Us Navy che poi si ritrovano potenzialmente concorrenti

delle fregate made in Italy, mentre i 4,6 miliardi con cui Finmeccanica nel 2008 ha rilevato a carissimo

prezzo Drs non gli hanno permesso di accreditarsi globalmente sul mercato statunitense. Oggi il rapporto

con l'America è lo snodo fondamentale. Da vent'anni l'Italia si tiene fuori dai programmi europei

prediligendo la collaborazione con Washington. Se l'Aeronautica ha così ottenuto subito mezzi validi a costi

contenuti, l'industria ha perso occasioni per alimentare innovazione, allontanandosi dal triangolo

aerospaziale che unisce Parigi, Londra e Berlino. Il simbolo è il supercaccia F-35, un progetto Lockheed

che sarà il domani dei nostri piloti ma riporta all'altroieri i nostri ingegneri, ridimensionati a sub-fornitori e

assemblatori di velivoli Usa. Il rapporto con gli Usa L'analisi di Guido Crosetto, passato da sottosegretario

berlusconiano a presidente dell'Aiad, l'associazione delle imprese del settore, è lapidaria: «La nostra

industria ha sempre dato molto agli Stati Uniti, ma in cambio ha ricevuto poco o niente», ha dichiarato al

sito Analisi Difesa. In America si gioca pure la partita più importante per la produzione aeronautica tricolore:

la gara del Pentagono da 16 miliardi di dollari per 350 aerei da addestramento. Leonardo ha uno dei mezzi

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 101

migliori, erede della leggenda Aermacchi: l'M346 Master, acquisito pure da Israele. Ma a fine gennaio ha

rotto con il partner locale Raytheon: sono pochi adesso a scommettere sulle chance di battere il T-50

Golden Eagle, frutto delle nozze tra Lockheed e la Kai coreana. Sarebbe un bel guaio, visto che l'M346 è

stato il perno della strategia di Moretti. Gli altri aerei nel catalogo infatti sono datati. Per quanto aggiornato e

potenziato, l'Eurofighter è stato disegnato negli anni '80 mentre l'ultimo prototipo di addestratore - il piccolo

jet M-345 - è basato sulla cellula del Siai 211 concepita addirittura negli anni '70. Certo, ormai velivoli, navi

e tank contano meno degli apparati elettronici installati a bordo. E su questo fronte le cose vanno meglio: la

scelta di Selex Es - una divisione di Leonardo - di puntare sui radar "piatti" con tecnologia Aesa si è tradotta

in ottime vendite. Persino i francesi - i nostri rivali più spietati - hanno scelto per i loro droni il Picosar: pesa

solo 10 chili e sorveglia tutto nel raggio di 20 chilometri. Il segno che quando un sistema funziona si riesce

a venderlo a chiunque. Carte vincenti Eppure ci sono altre carte vincenti che non sono state giocate. Dal

2003 l'azienda di piazza Monte Grappa ha un prototipo unico: un convertiplano, che decolla come un

elicottero e vola alla velocità di un aereo. Ma lo sviluppo dell'Agusta-Westland 609 è rimasto fermo fino al

2011 e ha ricevuto impulso solo dal 2015: si spera di completare la certificazione il prossimo anno, dopo tre

lustri sprecati. I fondi pubblici si sono rarefatti e sempre più raramente i lenti programmi delle nostre forze

armate danno vita a bestseller. Invece un elicottero concepito in casa Agusta come l'AW-139 è stato un

successo: pochi giorni fa Piazza Affari ha premiato il nuovo ordine del Pakistan e c'è un accordo con

Boeing per proporlo all'Us Air Force. Chi ha saputo trasformare l'inventiva in un trionfo commerciale,

rischiando in proprio, è l'Iveco Defence: ha venduto quasi 4000 esemplari della camionetta Lince, primo

veicolo tattico progettato per salvare l'equipaggio dalle mine. La società Fiat adesso punta molto sulle

varianti dell'autoblindo Freccia. Il Guarani a sei ruote motrici è stato adottato dal Brasile: una commessa da

2,5 miliardi per oltre 2000 mezzi. E il SuperAv è finalista nella competizione per il blindato anfibio dei

Marines americani: il vincitore intascherà mezzo miliardo e credenziali senza pari. La differenza però viene

dagli accordi che impegnano l'intero "sistema paese", coinvolgendo aziende, governo e forze armate. Nel

2009 ci siamo riusciti con gli Emirati: per sostenere l'acquisto di 48 M-346 l'Aeronautica ha persino allestito

una copia locale delle Frecce Tricolori, poi è sfumato tutto, pare per l'incapacità di Finmeccanica di

mantenere le promesse sulle compensazioni tecnologiche. Con Kuwait e Qatar lo sforzo collettivo sembra

andato a buon fine. Mentre l'onda lunga degli scandali ha chiuso le porte dell'India, il maggior acquirente

mondiale, incenerendo la prospettiva di commesse per 5 miliardi e mettendo in luce un altro problema.

L'introduzione del reato di corruzione internazionale, unita all'obbligatorietà dell'azione penale, di fatto si

sono trasformati in un handicap per le imprese italiane. In campo bellico le tangenti sono un vizio senza

frontiere: l'ultimo caso riguarda la Rolls-Royce britannica. Ma altrove le indagini restano segrete fino alla

sentenza o vengono bloccate dal controllo governativo sulla magistratura, mentre da noi tutto esplode al

primo avviso di garanzia. Il peso dei governi Una soluzione possibile è quella di affidare le trattative allo

Stato, tagliando fuori mediatori e furbetti. In questi giorni la Commissione Difesa del Senato sta proprio

cercando di definire un modello normativo per intese "governo-governo". «Si tratta di trovare strumenti

analoghi a quelli che altri paesi concorrenti hanno adottato e che attualmente li pongono in una posizione di

vantaggio sui mercati internazionali», spiega il presidente Nicola La Torre: «Sempre più nazioni infatti

invocano la garanzia dello Stato italiano al momento della stipula dei contratti. Per questo occorre

implementare un approccio alle esportazioni basato sull'assunzione di responsabilità del Paese, costruendo

una credibilità che superi le singole vendite e accordi, con strumenti di garanzia e tutelando a tutto campo

l'immagine italiana». Perché in competizioni miliardarie e senza esclusioni di colpi, la credibilità conta

quanto la qualità. sipri, s. di meo8,24

30 MILIARDI DI EURO È il valore dell'export militare italiano nel 2015: vale il 197 per cento in più rispetto al

2014, e i numeri del 2016 dovrebbero attestarsi su valori simili. Sono stati infatti vinti due contratti d'oro in

Kuwait e nel Qatar MILIARDI DI DOLLARI È il valore di una maxi commessa del governo australiano per la

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03/04/2017

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 102

fornitura di 9 fregate. Si contendono l'assegnazione tre società. Sono la Fincantieri e due concorrenti,

entrambi europei: la britannica Bae e la spagnola Navantia IL CASO Trump: 84 miliardi in più alla Difesa in

dueanni

Il presidente Usa Donald Trump ] "Ho inviato al Congresso un piano di bilancio pubblico che rappresenta

uno dei più grandi aumenti di budget della storia americana in materia di spese per la Difesa". Donald

Trump ha reso noto nelle scorse settimane, nell'ambito delle linee guida che adotterà in materia di bilancio

pubblico, che non tutte le voci del budget federale sono destinati a sostanziosi tagli. Il presidente ha infatti

annunciato l'intenzione di procedere ad un massiccio aumento degli stanziamenti per il settore della Difesa

che potrebbe ricevere un benefit di ben 54 miliardi di dollari. Gli obiettivi di spesa a cui destinare le nuove

risorse vedono al primo posto la lotta all'Isis, seguita subito dopo dal "miglioramento" della preparazione

delle truppe, come riportato dalla Cnn, e dall'acquisto di nuovi aerei e navi. All'interno dei una proposta di

budget pubblico complessivo da 1.100 miliardi per il 2018, l'aumento delle spese militari è nell'ordine di un

più 10%. L'aumento andrà quindi in vigore dal prossimo anno, ma Trump vuole lasciare la sua impronta sul

settore fin da subito e ha già sottoposto al Congresso una richiesta supplementare per uno stanziamento

aggiuntivo al budget 2017 della Difesa per ulteriori 30 miliardi di dollari.

Foto: Qui sopra, un Aermacchi M346 Master

Foto: IL "GIOIELLO" L' Aermacchi M346 Master è un aereo da addestramento ed è uno dei modelli di

punta della gamma di Leornardo, la ex Finmeccanica SCENARIO Nel grafico a lato, le quote di mercato

mondiale degli armamenti sia dal punto di vista dei paesi produttori che da quello dei paesi acquirenti. Da

qui al 2020 il valore del mercato toccherà i 50 miliardi Alessandro Profumo (1) dal prossimo maggio nuovo

ceo di Leonardo Giuseppe Bono (2) ad di Fincantieri Franco Gussalli Beretta (3) presidente e ad di

Fabbrica d'armi Pietro Beretta

Foto: Qui sopra, un elicottero Agusta AW139 . Ha appena incassato un nuovo ordine dal Pakistan. Nella

foto in alto, un "veicolo blindato medio" Freccia della Iveco Defence

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 103

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PALAZZO EUROPA

ALGORITMO SALVA-ITALIA VITTORIA DI PADOAN

Andrea Bonanni

Mentre l'Italia, dopo la bocciatura referendaria, si accinge a dotarsi di un sistema elettorale che difficilmente

potrà garantire una governabilità di lungo periodo, da Bruxelles arriva una notizia che dovrebbe farci

riflettere. Nell'eterno braccio di ferro sui conti pubblici per alleggerire le richieste di austerità, il ministro

Padoan è vicino a conquistare un punto importante. A settembre, infatti, l'Ecofin potrebbe dare il via alla

revisione di quella che in gergo si chiama "Matrix", cioè un algoritmo in base al quale si calcola il deficit

strutturale di ciascun Paese. Per un effetto perverso che gli ideatori di Matrix non avevano considerato,

questo sistema di calcolo penalizza quei Paesi, come l'Italia, che dopo un lungo periodo di recessione

cominciano a vedere una sia pur debole crescita economica. L'inghippo è eminentemente tecnico. Ma le

sue conseguenze sono altamente politiche, perché in pratica realizza un paradosso in base al quale più

bassa è stata la tua crescita in passato, meno potrai fare politiche favorevoli alla crescita in futuro. Per anni

il ministro Padoan si è battuto in splendida solitudine perché la Commissione e il Consiglio accettassero di

rivedere la "Matrix" con criteri meno penalizzanti per i Paesi più deboli. Poi, a marzo dell'anno scorso, sette

Paesi si sono uniti all'Italia (Spagna, Portogallo, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Slovenia e Slovacchia)

firmando con Padoan una lettera al presidente dell'Eurogruppo Dijsselbloem in cui chiedevano di

correggere l'algoritmo. Come sempre succede nelle questioni controverse, venne formata una

commissione di studio per approfondire il problema. Ora però, visto che anche altri governi rischiano di

essere penalizzati dal sistema di calcolo, all'ultima riunione dei ministri Ecofin è emersa una maggioranza

favorevole alla riforma. E a settembre è probabile che il nuovo algoritmo venga adottato. Questo

permetterebbe all'Italia di ridurre di tre o quattro decimi di punto lo sforzo di risanamento richiesto dalle

regole europee. Un risultato certo non risolutivo, visto che il problema principale del nostro Paese è la

mancanza di competitività, ma comunque importante. Vale comunque la pena di notare che tutto ciò non

sarebbe stato possibile se, come avveniva in passato ai tempi del proporzionale, l'Italia avesse cambiato

tre o quattro ministri dell'Economia nel giro di pochi anni. Solo la lunga permanenza di Padoan nel suo

incarico, infatti, gli ha consentito di ottenere il rispetto e la considerazione dei colleghi e di condurre con

successo la battaglia per la riforma del sistema di calcolo.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 104

01/04/2017

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Le inchieste

Casa quanto mi costi Arriva il nuovo catasto

PAOLO RUSSO

A PAGINA 11 Casa quanto mi costi Arriva il nuovo catasto Riforma del catasto, chissà se questa è la volta

buona. Il governo ci riprova: la prossima settimana con il Def approverà anche il Piano nazionale sulle

riforme, già spedito a Bruxelles, che prevede di rivoluzionare il calcolo degli estimi catastali, facendo pagare

di più a chi oggi ha case di pregio in centro e meno ai proprietari delle case nuove, ma magari periferiche

con le quali il fisco è invece più severo. Una riforma che l'Europa chiede da anni perché i nostri valori

catastali non si aggiornano da quarant'anni e che il governo ha già bella e pronta con tanto di calcoli e

algoritmi. È il decreto che in attuazione delle delega fiscale, Renzi era pronto ad approvare nel giugno del

2015, rimasto poi nei cassetti, per paura di scontentare i proprietari delle case di lusso con una mazzata.

Oggi come allora la riforma dovrà essere ad «invarianza di gettito». Quindi chi oggi paga troppo poco

verserà di più, chi versa molto sborserà di meno. Prestazioni sociali Le simulazioni elaborate per La

Stampa dai geometri fiscalisti dell'Agefis dicono che con i nuovi metodi di calcolo in media le rendite

catastali raddoppieranno, ma non per questo verseremo anche il doppio delle tasse, visto che le aliquote

Imu, Iva, Irpef e dell'imposta di registro verranno riviste verso il basso. Dove invece si rischia la stangata è

su prestazioni sociali come asili nido, sconti sulle bollette o sugli abbonamenti di treni e bus, che scattano

sotto una certa soglia di reddito Isee, che con l'aumento delle rendite rischia di impennarsi. Finendo per

tagliare fuori da importanti agevolazioni sociali anche i proprietari di prime case, pensionati in testa. Rendite

rivalutate Addio vecchie A1, A2 o A3, le categorie che nei rogiti ancora classificano le nostre case come

«signorili», «civili» o «economiche». Le abitazioni degli italiani rientreranno tutte in una lettera, la «O» di

ordinarie. Ma soprattutto per valutare la rendita non si terrà più conto dei vani, bensì dei metri quadri e di

tutte quelle caratteristiche, come piano, ascensore, balconi e quant'altro determina il valore commerciale

dell'immobile. Secondo le previsioni dei geometri fiscalisti dell'Agefis per molte abitazioni di periferia o di

nuova costruzione classificate oggi come di tipo economico (A3) o civile (A2) alla fine si pagherà meno,

visto che spesso si tratta di abitazioni di modesta metratura ma divise in molti vani. Tremeranno invece i

polsi di chi possiede case nei pregiati centri storici, ma classificate come popolari o ultrapopolari, o dei

proprietari dei rustici trasformati in ville. La Uil Servizio politiche territoriali stima che i 4,6 milioni di immobili

classificati nelle più modeste categorie A4 e A5 potrebbero vedere addirittura quadruplicate le proprie

rendite catastali. Per gli altri immobili il valore medio sarebbe di circa 168 mila euro, il doppio di quello

attuale. Ricadute fiscali Le stime Agefis dei nuovi valori catastali nelle principali città, dicono che i maggiori

aumenti si verificherebbero per le abitazioni di tipo civile, oggi classificate A2, di Milano (+310% sia in zona

periferica che centrale), Napoli (+223% anche qui in entrambe le due zone), Roma (+222% in zona semi

centrale e più 163 altrove), mentre l'aumento più contenuto sarebbe a Torino (+51% in centro e periferia,

solo +24 in zona semi centrale). Per le abitazioni di tipo economico il vero boom sarebbe in centro a Milano

(+379%), Venezia (+329%) e Napoli (+246%). Lievi gli aumenti in periferia a Torino (+16%).In zona

semicentrale le rendite salirebbero del 29%, mentre in centro raddoppierebbero. Più o meno dove le rendite

raddoppiano è presumibile che si pagheranno di più Imu sulla seconda casa, Irpef per i possessori sempre

di seconda abitazione, Iva per l'acquisto dai costruttori e imposta di registro per chi compra da privati. Dove

le rendite aumentano meno ci sarà invece un risparmio. «Sicuramente lasciare tutto com'è significherebbe

continuare a favorire le grandi proprietà e penalizzare le famiglie monoproprietarie», commenta il

presidente dell'Agefis, Marco Mion. La stangata Isee Ma il rischio stangata è sulle prestazioni sociali alle

quali si accede se si ha un reddito Isee basso. «Cosa impossibile se la rendita catastale sale, visto che il

patrimonio immobiliare con il nuovo indicatore di ricchezza pesa di più», spiega il segretario confederale

della Uil politiche sociali, Guglielmo Loy. Che fa l'esempio di un pensionato con una sola casa di tipo

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 105

01/04/2017

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diffusione:150427

tiratura:216821

economico, 91 metri quadri in zona centrale. La sua rendita catastale verrebbe più che raddoppiata e il suo

reddito Isee balzerebbe da 2216 a oltre 16 mila euro. E così addio assistenza sociale, casa di riposo e

sconti in bolletta. La simulazione A2 Le normali abitazioni, con rifiniture semplici di impianti e servizi A3

Abitazioni con caratteristiche e rifiniture economiche di piccole dimensioni Bologna Cagliari Genova Milano

Napoli Palermo Roma Torino A2 Superficie media (mq) Rendita catastale attuale 156,81 266.112 137,32

178.080 124,58 219.912 140,56 248.640 124,52 155.904 143,41 88.200 108,56 202.440 118,93 216.384

Fonte: AGEFIS AUMENTI RENDITA CATASTALE CON LA RIFORMA Zona Centrale Zona Semicentrale

533.145 100 % % 308.975 74 % 386.195 76 % 1.019.047 310 % 504.308 223 222.280 152 % 531.927 163

% 327.067 51 % 486.103 219.991 83 322.708 117.163 81 % % Zona Periferica 100 74 % % 317.676

10.559 44 % 76 % 625.484 53.560 152 % 310 % 280.171 155.397 80 % 223 % 175.673 94.643 99 651.340

128.658 222 % 152 267.601 30.403 24 % % 51 % 163 % % A3 Superficie media (mq) Rendita catastale

attuale 92,94 135.912 106,26 75.432 93,67 115.248 83,03 108.360 100,56 85.008 110,05 52.248 88,33

147.672 83,88 112.224 AUMENTI RENDITA CATASTALE CON LA RIFORMA Zona Centrale Zona

Semicentrale Zona Periferica 283.455 109 379 246 % % 203.739 77 % 518.960 % 294.140 120.506 131 %

222.284 98 % SE SI SUPERA IL 100% PROBABILE UN AUMENTO DI IMU E IRPEF 255.575 260.221 88

% 207.203 164.700 175 % 91 % 118 % 173.295 149.877 50 % 30 % 290.618 128.702 168 153.355

175.981 80 92.443 101.247 77 % % % 19 % 107 94 % 144.694 130.015 29 % 229.669 56 16 % % %

- LA STAMPA

Foto: Il record I maggiori aumenti, fino a 310%, si verificherebbero per le abitazioni di tipo civile, oggi

classificate A2, di Milano, non soltanto nel centro

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 106

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La spesa dello Stato L'INCONTRO

Ticket, revisione formato famiglia

Via alla trattativa tra governo e Regioni per riformare la compartecipazione dei cittadini alla sanità pubblica Tra le ipotesi allo studio nuovi criteri che tengano conto del numero dei componenti di un nucleo L'OBIETTIVO È CANCELLARE GLI ATTUALI SQUILIBRI TERRITORIALI SALVAGUARDANDO LE FASCE DEBOLI NEL 2015 I CITTADINI HANNO SPESO 1,4 MILIARDI ALTRI 1,1 SE NE VANNO PER LE PRESTAZIONI INTRAMOENIA Carla Massi

R O M A Ticket sanitari, primi passi verso la revisione. Per arrivare, come ha annunciato il ministro della

Salute Beatrice Lorenzin, ad una possibile abolizione. In arrivo, dunque, l'ennesima riforma per la tassa su

esami, analisi e visite mediche introdotta nel 1982. LA TRATTATIVA Mercoledì, dopodomani,

appuntamento tra il ministro e le Regioni. Avvio delle trattative. Obiettivo: tutela delle fasce deboli della

popolazione. Quei 12 milioni di italiani che, secondo l'ultimo rapporto del Banco Farmaceutico (ente

assistenziale che dà medicine a chi non se lo può permettere) nel 2016 hanno dovuto limitare il numero

degli accertamenti per motivi economici. In un anno le richieste di aiuto per le cure al Banco sono

aumentate dell'8,6%. Le visite specialistiche ambulatori Asl e ospedali hanno subìto un calo del 10% negli

ultimi due anni. LE RISORSE Tre le ipotesi sul tavolo: la revisione della compartecipazione in base ai

componenti della famiglia o alla condizione lavorativa (disoccupazione), il recupero di sprechi, senza tagli,

accompagnato da una migliore applicazione della spending review oppure vincolare le risorse per le

famiglie numerose, gli anziani fragili, gli invalidi. La settimana scorsa è stata avviata, in tutta Italia, la

petizione popolare per l'abolizione del ticket. Che incidono per tre miliardi di euro sui 113 del fondo

sanitario. Un cifra considerata bassa dalla casse dello Stato ma importante come l'ossigeno nelle Regioni

dove la compartecipazione permette di organizzare i servizi base. Senza la tassa, dicono gli amministratori

in difficoltà, potrebbero essere necessari dei tagli. Lo squilibrio tra le diverse realtà regionali ha sicuramente

portato ad un forte gettito da parte di alcune come la Valle d'Aosta e un magro gettito da altre come la

Sicilia. Cifre che, per le famiglie, vogliono dire 50 euro a persona in Valle d'Aosta, 40 nel Lazio, 36 in

Toscana 10 in Campania e 9 in Sicilia. La media nazionale è di 23 euro a testa. Come documenta il

rapporto Agenas, l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari. LE ESENZIONI Circa 1,4 i miliardi di euro

sborsati dagli italiani nel 2015 per i ticket. Cifra alla quale vanno aggiunti gli 1,1 miliardi pagati per

l'intramoenia. Qualunque strada decidano di seguire durante l'incontro di mercoledì certo è che le esenzioni

dovranno essere messe sotto la lente. Proprio in questi giorni, nella maggior parte delle Regioni, stanno

scadendo le autocertificazioni per reddito. Questo significa che coloro che nel 2016 avevano presentato

l'autocertificazione ora sono invitati a verificare la correttezza della nuova posizione economica, che è stata

assegnata, invece, in base all'incrocio dei dati con l'Agenzia delle entrate. L'ipotesi è che le regioni del Sud

si trovino zavorrate dalle esenzioni che sono per patologia, invalidità o reddito-età. Riguardano chi ha meno

di 6 anni o più di 65 e un reddito familiare sotto i 36mila euro all'anno. In alcune zone del Sud circa l'80% di

coloro che si rivolgono al servizio sanitario hanno un certificato di esenzione. I PREZZI La Campania

incassa circa 56 milioni di euro l'anno dalla piccola tassa su visite ed analisi mentre l'Emilia Romagna, che

ha un milione di abitanti in meno, conta su un ticket di 159 milioni annui. ` «Togliere tre miliardi al fondo

sanitario - sono le parole di Antonio Saitta coordinatore degli assessori regionali alla Sanità - potrebbe

rappresentare un problema. Vorrebbe dire dover ridurre l'attività nell'ambito dello stesso fondo per la sanità.

Importante è arrivare ad una omogenizzazione del sistema su tutto il territorio nazionale. I ticket sugli esami

diagnostici sono alti e questo porta ad una concorrenza del privato che offre prezzi sempre più bassi. E un

punto sul quale dobbiamo intervenire presto». QUANTO SPENDONO GLI ITALIANI Valori in migliaia di

euro Piemonte Valle d'Aosta Lombardia Provincia aut. Bolzano Provincia aut. Trento Veneto Friuli Venezia

Giulia Liguria Emilia Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 107

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Calabria Sicilia Sardegna ITALIA Fonte: Agenas Ticket 120.766 6.138 227.982 19.471 19.465 177.851

45.343 42.544 159.785 137.463 28.168 42.680 118.597 35.235 5.091 56.730 50.657 10.514 26.707 44.358

28.381 1.403.626 Prestazioni intramoenia 112.582 2.788 236.175 2.706 10.893 115.669 26.550 38.033

133.736 109.977 14.046 37.341 113.527 15.626 4.429 45.269 34.727 4.403 9.616 36.482 13.820

1.118.395 L A SPESA SANITARIA PUBBLICA IN ITALIA Valori in miliardi di euro 120 100 80 60 68,2 61

75,3 79,6 82,3 '99 '00 '01 '02 '03 '04 '05 '06 '07 '08 '09 '10 '11 '12 '13 '14 '15 Fonte: Istat 111,7 90,4 96,5

101,9 101,9 108,6 110,7 112,8 111,6 110 109,3 110,6

Foto: Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin

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Il rilancio GLI INTERVENTI

Sbloccati 47,5 miliardi per le opere pubbliche

Decreto crescita subito dopo il Def: tra gli obiettivi l'apertura dei cantieri Il governo ripartirà il nuovo fondo per gli investimenti infrastrutturali Luca Cifoni

R O M A Un uno-due a distanza ravvicinata. Questo lo schema su cui si sta muovendo il governo per le

prossime scadenze di politica economica: lunedì 10 dovrebbe essere approvato il Documento di economia

e finanza (Def) e un paio di giorni dopo il decreto che punta a correggere i conti per il 2017 ma anche a

dare una nuova spinta alla crescita. Proprio con questo obiettivo il provvedimento d'urgenza dovrebbe

essere accompagnato da il Dpcm (decreto del presidente del Consiglio dei ministri) per ripartire i 47,5

miliardi del nuovo "Fondo per il finanziamento di investimenti in materia di infrastrutture" istituito a Palazzo

Chigi con l'ultima legge di bilancio. Obiettivo, l'apertura dei cantieri per tentare di dare una spinta decisiva al

settore dell'edilizia. LE INDICAZIONI Il Def non è un testo legislativo e dunque come sempre conterrà

indicazioni programmatiche insieme alle previsioni economiche e di finanza pubblica aggiornate. E sarà

integrato dal dettagliato Programma nazionale di riforma da inviare a Bruxelles. Anche su questo aspetto

l'esecutivo deve giocare la sua partita perché una delle obiezioni che a Bruxelles vengono mosse al nostro

Paese, anzi forse la più sostanziale, è proprio quella che riguarda il rallentamento del percorso riformatore.

Dunque saranno messi nero su bianco gli interventi possibili, da quello sulla concorrenza alla piena

attuazione del riassetto della pubblica amministrazione. E verranno delineate le scelte di fondo della politica

economica per il 2018 e gli anni successivi. La prima è naturalmente la volontà di evitare inasprimenti fiscali

e dunque di scongiurare anche per il 2018 che scattino gli aumenti di Iva e accise previsti dalle clausole di

salvaguardia. In tutto sono quasi 20 miliardi e per compensarli il governo punterà a ottenere ulteriori margini

di flessibilità: uno 0,5-0,6 per cento di Pil oltre l'obiettivo di deficit fissato finora all'1,2 per cento. Nonostante

questo aiuto, che comunque dovrà essere discusso con l'Unione europea, le residue risorse a disposizione

saranno limitate. La scelta di ridurre le tasse sul lavoro è confermata ma verrà probabilmente articolata in

una nuova decontribuzione triennale riservata ai giovani (sotto i 35 anni) che iniziano il loro primo lavoro

stabile. Molto più complesso dal punto di vista finanziario sarebbe mettere in piedi un taglio strutturale della

contribuzione, pur se limitato, riservato alla generalità dei lavoratori. Tra le risorse da prevedere ci sono

anche quelle per il contratto dei dipendenti pubblici, 1,2 miliardi ulteriori rispetto a quelle già messe in

cantiere con la legge di bilancio. La stima di crescita sarà fissata all'1,1 per cento. Dopo il Def arriverà il

decreto che originariamente doveva essere correttivo, ribattezzato ora Dec, "decreto crescita" (dallo stesso

Gentiloni) o "ripresa 2.0". I pilastri sono quattro. Ci saranno misure che puntano a migliorare il clima

economico con strumenti finanziari definiti in collaborazione tra Mef e Mise (ad esempio sul fronte delle

cartolarizzazioni); il fondo per le spese del terremoto che vale un miliardo l'anno per tre anni; la correzione

dei conti pubblici che vale 3,4 miliardi sul 2017, come richiesto dall'Unione europea; e infine, in uno stesso

pacchetto, il Dpcm per la ripartizione delle risorse del fondo per gli investimenti. L'obiettivo in quest'ultimo

caso è naturalmente ridare slancio all'edilizia, settore ancora sofferente ma fondamentale per una ripresa

veramente convincente. I VINCOLI Per quanto riguarda la manovra correttiva vera e propria, sarà accolta la

richiesta del Pd di non prevedere nuove tasse, con l'unica eccezione di un ritocco delle accise sui tabacchi

che vale circa 200 milioni, nell'ambito di un riordino generale di questa voce. Il resto delle risorse arriverà

dal potenziamento dello split payment (versamento anticipato dell'Iva da parte dei fornitori dello Stato) e in

generale del contrasto all'evasione dell'imposta sul valore aggiunto e da una serie di tagli di fondi nei bilanci

di ministeri, che potrebbe essere accompagnato da una limitata revisione delle agevolazioni fiscali.

NEL PROVVEDIMENTO ANCHE ULTERIORI STRUMENTI FINANZIARI PER LE IMPRESE

CORREZIONE DEI CONTI SENZA NUOVE TASSE

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IL DOCUMENTO DI ECONOMIA E FINANZA PREVEDERÀ RISORSE AGGIUNTIVE PER I CONTRATTI

DEI DIPENDENTI PUBBLICI

I più indebitati al mondo

ITALIA Cifre del debito pubblico in % del Pil Giappone Grecia Por togallo Cipro 248,0 176,9 132,7 129,0

108,2 Fonte: Fmi (dati a fine 2015) Belgio Usa Singapore Spagna Francia 106,1 105,2 104,7 99,3 96,1

Paesi Ue Canada Austria Slovenia Irlanda Altri Paesi Regno Unito 91,5 89,0 86,2 83,1 78,7 Germania

Islanda Olanda Israele Malta 71,0 67,6 65,1 64,1 64,0

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/04/2017 110

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L'intervista Mauro Lusetti

«Coop, è iniziato il tratto finale sulla via del matrimonio a tre»

Il presidente di Legacoop: «La ripresa lenta non ci impedisce di puntare tutto sul lavoro» «Con la politica rapporto di autonomia, al governo parliamo con una voce sola» Luca Cifoni

n una fase in cui il ritorno alla crescita è ancora faticoso, il modello cooperativo può rappresentare un

esempio per il resto del mondo produttivo, sia sul fronte del lavoro che su quello dell'innovazione. Mauro

Lusetti, presidente di Legacoop, è impegnato nel complesso percorso di unificazione della rappresentanza

del mondo della cooperazione: dalla sua posizione è in grado di dare uno sguardo d'insieme alle difficoltà e

alle opportunità del mondo produttivo italiano. Presidente Lusetti, il percorso di Alleanza delle cooperative è

iniziato da tempo, ma ancora non si vede il traguardo. «Dal 2014 ci stiamo misurando con i problemi e le

criticità di questa sfida. Il punto è che non ci interessa fare un semplice coordinamento ma arrivare ad

un'unità organica, ad un'unica organizzazione. La divisione tra noi di Legacoop, Confcooperative e Agci

rispecchia una situazione storica e politica del passato. Il nuovo assetto ci consentirà di avere con le

istituzioni un rapporto autonomo e maturo, come è già successo nel caso del referendum istituzionale, sul

quale non ci siamo schierati, promuovendo però il dibattito tra le ragioni del sì e quelle del no. E l'autonomia

è la condizione per poter fare la nostra strada». Quali sono le difficoltà che state affrontando? «La

complessità è la stessa che si ritrova nella fusione di due o più imprese: si tratta di mescolare modalità

operative, culture, rappresentanza sul territorio. E poi naturalmente ci sono le aspettative delle persone, ma

non è una banale questione di poltrone. Già adesso comunque ci presentiamo insieme quando si tratta di

far sentire la nostra voce al governo, è successo ad esempio con la legge di bilancio. Ora abbiamo avviato

la due diligence e abbiamo già messo in comune alcuni servizi a livello centrale, come quello che si occupa

dei rapporti con l'estero, il legale, le relazioni industriali e l'ufficio studi. Il percorso sta andando avanti, anzi

entra nel vivo». Intanto, pur essendo uscito dalla recessione, il Paese vive ancora una ripresa lenta. Qual è

la situazione dal vostro punto di vista? «I nostri dati ci dicono che nel 2015 e poi nel 2016 - anche se

sull'ultimo anno abbiamo più un sentiment che cifre definitive - c'è stata una buona tenuta.

Complessivamente fatturato, occupazione ed anche export sono cresciuti, pur con settori che hanno

sofferto molto, come l'edilizia. Il nuovo codice degli appalti ha contenuti innovativi e noi abbiamo contribuito

a realizzarlo. Ma è stato bloccato dalla pubblica amministrazione, che spesso non è in grado di applicarlo,

di fare i progetti esecutivi. Sulla profonda recessione che aveva già bloccato gli investimenti infrastrutturali

si è innescato lo stallo determinato dal codice. Ora arrivano i correttivi, che si muovono nella direzione

giusta, ma allo stesso tempo dimostrano che le criticità c'erano davvero». E sul fronte dei consumi delle

famiglie, che voi presidiate in modo importante? «L'andamento delle nostre coop è molto positivo e questa

tendenza favorevole la vediamo anche nei primi due mesi del 2017. In generale però nel Paese c'è ancora

stagnazione, servirebbe un clima di maggiore fiducia. I consumatori un tempo facevano scorte,

approfittavano delle offerte. Oggi invece un po' per ragioni demografiche con il cambiamento del modello di

famiglia, un po' per le minori disponibilità, l'approccio è diverso». Qual è il ruolo dell'impresa cooperativa in

una fase di questo tipo? Oggi anche le imprese private parlano di sviluppo sostenibile, di etica: sono valori

che noi abbiamo nel Dna, per le cooperative non è una questione di marketing. Anche l'innovazione, anche

Industria 4.0 ha bisogno di valori cooperativi. Investire in cultura, in conoscenza, è l'unico modo di

compensare il differenziale con altre aree del mondo in termini di costo del lavoro: questo ci può

proteggere, non certo le barriere. C'è un altro tema che vorrei sottolineare, la ristrutturazione dello Stato: il

welfare universale non regge più, ma ciò non vuol dire che non ci sia un bisogno esteso di protezione

sociale. Noi su questo siamo interlocutori importanti». Proprio sul tema del sociale il lavoro delle

cooperative è a volte al centro di polemiche: succede ad esempio quando si parla della gestione

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dell'immigrazione. «La polemica può essere stata motivata anche da errori fatti in passato. Ma devo dire

che noi complessivamente forniamo servizi allo Stato per una quota pari a non più del 20 per cento dei

migranti. Abbiamo fatto la scelta di non partecipare più alle gare per i grandi centri. Preferiamo la

dimensione più piccola degli Spra, centri che non diventano ghetti». La lunga crisi è stata anche e forse

soprattutto una storia di perdita di posti di lavoro, poi almeno in parte recuperata negli ultimi tre anni. Voi

come l'avete vissuta? «Sul fronte dell'occupazione abbiamo resistito perché è nella nostra natura,

nonostante alcune chiusure dolorose ma inevitabili. Complessivamente tra 2008 e 2016 abbiamo avuto una

crescita del 6 per cento. Da noi conta anche l'intergenerazionalità, la necessità di passare il testimone.

Questo ci porta a rischiare di meno. Ci sono anche alcune storie che possono diventare un esempio

virtuoso, come quelle di workers buyout , lavoratori che hanno rilevato l'azienda: è successo almeno in una

cinquantina di casi, con cooperative nate dal fallimento di imprese private. Penso possa diventare un

modello».

«TRA IL 2008 E IL 2016 L'OCCUPAZIONE DA NOI È CRESCIUTA DEL 6% CON IL WORKERS

BUYOUT AZIENDE FALLITE SALVATE DAI DIPENDENTI»

Foto: Il presidente Mauro Lusetti

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IL SALVATAGGIO

Alitalia, pronta l'operazione da 1,9 miliardi

Sì al piano finanziario, ma solo dopo l'accordo con i sindacati Possibile intervento con una garanzia anche da parte della Cdp Vertice a Palazzo Chigi tra governo, azionisti e istituti di credito I soci italiani confermano il sostegno alla compagnia di bandiera SONO 4 LE LINEE DI INTERVENTO: AUMENTO DI CAPITALE, CONVERSIONE DI BOND, RINEGOZIAZIONE CREDITI E NUOVI PRESTITI A. Bas.

ROMA I soci e le banche sono pronte a sostenere l'operazione di salvataggio e rilancio di Alitalia. Ieri si è

svolto un vertice a Palazzo Chigi al quale hanno preso parte il premier Paolo Gentiloni, il ministro delle

infrastrutture Graziano Delrio, quello dell'Economia, Pier Carlo Padoan, quello dello Sviluppo economico,

Carlo Calenda, il presidente esecutivo in pectore del gruppo aereo Luigi Gubitosi, quello uscente Luca

Cordero di Montezemolo, il numero uno di Intesa Sanpaolo Carlo Messina, il capo dei rischi di Unicredit

Massimiliano Fossati (l'ad Mustier è in viaggio negli Stati Uniti) e l'amministratore delegato di Atlantia

Giovanni Castellucci. I soci italiani, Ethiad e le banche hanno confermato il loro impegno a sostegno della

compagnia, spiegando al governo di essere pronti ad una nuova operazione del valore complessivo di 1,9

miliardi. La struttura di questo nuovo rafforzamento finanziario sarà basata su quattro pilastri: un aumento

di capitale, la trasformazione di obbligazioni in equity, la rinegoziazione delle vecchie linee di credito e la

concessione di nuovi finanziamenti. Gli 1,9 miliardi di euro saranno divisi più o meno a metà tra Etihad e le

banche. All'interno della cifra ci sarà anche una sorta di "fondo cuscinetto", una fideiussione di 400 milioni

di euro da utilizzare nel caso in cui il piano industriale non dovesse dare tutti i risultati previsti. Anche

questo cuscinetto sarà diviso equamente tra la compagnia emiratina e gli istituti di credito. Anche se le

banche avrebbero opposto qualche resistenza su questo punto, rendendosi disponibili a stanziare i loro 200

milioni di euro solo a fronte di una garanzia pubblica da parte della Cassa depositi e prestiti. LA

CONDIZIONE La "conditio sine qua non" perché l'operazione possa partire è il raggiungimento di un

accordo con i sindacati sul piano entro il prossimo 13 aprile. Questa è considerata una data invalicabile,

oltre la quale le banche potrebbero ritirare il loro sostegno. Dunque la parte difficile, la trattativa con le sigle,

inizia adesso. Per capire quanto questo sia vero, basta leggere le dichiarazioni di ieri di Nino Cortorillo, il

segretario nazionale della Filt-Cgil. «È ormai definitivo il giudizio sul piano industriale», ha detto il

sindacalista, «ridotto a essenziali elementi, privi di criteri di sviluppo ma utile solo al vero piano che tiene

insieme gli azionisti rappresentato dal taglio dei costi tra occupazione e salari». Secondo il dirigente

sindacale «il taglio occupazionale di 2.037 persone resta ancora tale ed il numero delle attività terziarizzate

non prevede al momento, fatta salva una parte della manutenzione, alcun passaggio di personale. È facile

ridurre i costi attraverso terziarizzazioni che, oltreché spesso sbagliate, non prevedono nemmeno il

passaggio di personale». Secondo i sindacati, che ieri sono stati ricevuti al ministero dello Sviluppo, circa la

metà delle 813 esternalizzazioni previste dal piano industriale di Alitalia rischiano di fatto il licenziamento.

Circa 400 esternalizzati, prevalentemente impiegati nella manutenzione, verrebbero presi da altre imprese,

mentre per i restanti 413, attivi in una ventina di settori tra cui finanza, personale e call center, è prevista

solo la cessione dell'attività senza passaggio dei lavoratori. La certezza di un passaggio in continuità di

lavoro, secondo quanto si apprende, riguarda i 314 dipendenti di Maintenance, per i quali ci sarebbe una

trattativa con Atitech che dovrebbe rilevare tutta la manutenzione in esubero di Alitalia. Nel corso del tavolo

tecnico, secondo quanto riferiscono fonti sindacali, oltre al tema degli esuberi ed esternalizzazioni si è

parlato anche del rinnovo del contratto nazionale del settore. Da quanto emerso, per quanto riguarda la

parte relativa al personale di volo (piloti e assistenti) i risparmi previsti dall'azienda sono pari a circa 78

milioni, attraverso le stesse richieste presentate dall'azienda ad inizio febbraio: ovvero, taglio lineare del

30% di tutte le voci retributive, diminuzione delle ferie e riposi, abolizione degli scatti di anzianità e riduzione

del personale di bordo.

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Il piano Riduzione annua delle uscite entro il 2019 1 miliardo di euro 1/3 dal costo del lavoro Esuberi di

personale (su 12.500 dipendenti) Naviganti 400 piloti e assistenti di volo Riduzioni salario Piloti medio

raggio 28% Assunzioni di naviganti (piloti e assistenti di volo) fino a 500 dal 2019 2/3 da altre spese

Lavoratori di terra 2.037 1.338 558 a tempo indet. 141 all'estero Piloti lungo raggio 22% Nuove rotte 10 a

tempo determinato Assistenti di volo 32% Nuovi aeromobili di lungo raggio 14

Foto: Luigi Gubitosi, presidente esecutivo in pectore di Alitalia

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SCENARIO PMI

6 articoli

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01/04/2017

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 03/04/2017 115

Il caso. La Scuola superiore Sant'Anna, forte dell'esperienza accumulata nella ricerca e nella robotica, si avvia a diventare il competence center dell'Italia centrale TOSCANA FIRENZE

A Pisa la fabbrica dell'innovazione

FIANCO A FIANCO L'obiettivo è creare un luogo fisico in cui imprese e ricercatori possano lavorare insieme allo sviluppo di prototipi e nuovi servizi Silvia Pieraccini

pParte il progetto operativo del "competence center" dell'Italia centrale firmato dalla Scuola superiore

Sant'Anna di Pisa, uno dei sette poli universitari indicati dal ministero dello Sviluppo economico per

spingere il piano Industria 4.0 attraverso la creazione di centri che assistano le aziende nella

trasformazione verso la quarta rivoluzione industriale. Nell'attesa che si chiariscano i criteri per accedere ai

finanziamenti statali dei competence center, Sant'Anna gioca d'anticipo e, forte dell'esperienza accu• mulata

nella ricerca applicata e nella robotica, avvia il primo nucleo del progetto. Ieri a Pontedera, patria della

Piaggio e della Vespa, è stata presentata la "research factory" che nascerà in un edificio messo a

disposizione dal Comune, da trasformare in "fabbrica d'innovazione" con un primo stanziamento da

750mila euro. «Vogliamo creare un luogo fisico in cui imprese e ricercatori possano lavorare insieme allo

sviluppo di prototipi e nuovi servizi», spiega Paolo Dario, direttore dell'Istituto di Biorobotica del Sant'Anna e

coordinatore del competence center. «Questo è il primo passo- aggiunge• anche se non sarà l'unica sede

del centro di competenza». Sant'Anna sta lavorando da tempo a progetti di Industria 4.0 con le grandi

aziende, da Piaggio a Comau, da General Electric a Ericsson, da Tim a StMicroelectronics fino a Eni. Ora

la sfida del competence center sarà coinvolgere le piccole e medie aziende del territorio. «Industria 4.0 per

noiè una sfida- spiega il rettore del Sant'Anna, Pierdomenico Perata- per trasferire sempre più le

competenze verso il mondo delle piccole e medie imprese». «Sviluppare il manifatturiero ad alta

tecnologiaè essenziale per il futuro della Toscanae per mantenere posti di lavoro», aggiunge Dario

rivendicando la lunga esperienza del Sant'Anna in questo campo e sottolineando come elemento

rafforzativo il fatto che la Regione Toscana abbia deciso di aggiungere risorsea quelle statali dedicate

all'Industria 4.0. «Uno dei limiti dell'approccio comune all'Industria 4.0 - aggiunge Dario • è che l'innovazione

debba essere nella fabbrica, mentre l'innovazione deve essere anche nel prodotto: occorre fare il miglior

prodotto del mondo nella migliore fabbrica nel mondo, e noi vogliamo aiutare le imprese piccolee mediea

fare questo». La prospettiva è riuscire a coinvolgere una cinquantina di aziende, nelle quali introdurre

«tecnologie che non sono iperuraniche ma sono già disponibili». «L'industria è uscita dalla crisi più

consapevole di fare innovazione- aggiunge Dario- anche se oggi solo il 5% delle industrie ha tecnologie

4.0». Ma se l'obiettivo principale del centro di competenza del Sant'Anna sarà quello di estendere l'utilizzo

delle tecnologie Industria 4.0 al maggior numero possibile di imprese, così da recuperare il terreno che ci

separa da Paesi come la Germania, l'istituto universitario toscano ne fissa anche un altro: «Visto che le

Università progettano il futuro - conclude Dario • noi vogliamo progettare Industria 5.0, cioè tecnologie

ancora più avanzate per immaginare un futuro in cui le industrie italiane non siano solo all'inseguimento di

quelle tedesche».

LA PAROLA CHIAVE

Competence center 7 Il piano che il Governo sta mettendo a punto su Industria 4.0 intende individuare

alcuni centri di ricerca o università in Italia che siano deputati a diventare competence center e, accanto a

questi, alcuni digital innovation hub. L'obiettivo è operare concretamente nel trasferimento tecnologico tra

atenei e mondo dell'impresa. Un decreto attuativo in corso di definizione stabilirà i requisiti per individuare i

competence center. Previste risorse pubbliche pari a 20 milioni per il 2017 e 10 milioni per il 2018

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 03/04/2017 116

01/04/2017

Pag. 13

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IL RICONOSCIMENTO

Bombassei nella Automotive Hall of Fame

Paolo Bricco

Ora, a Detroit, c'è un " car guy" che nonè di Detroit. Alberto Bombassei, nato a Vicenza settantasei anni fa,

ha sviluppato la sua Brembo nelle valli bergamasche e, da ultimo, al Kilometro Rosso di Stezzano. Le sue

radici sono, dunque, in quel Nord manifatturiero che, fra la dorsale padana che collega Torino a Venezia e

la Via Emilia delle auto da corsa, rappresenta una delle varianti più originali e redditizie del modello italiano,

fatto di meccanicae di estetica. Bombasseiè entratoa far parte della Automotive Hall of Fame, che ha sede

a Dearborn, nel cuore della Detroit Area. Un riconoscimento non da poco, nella comunità dell'auto che • fra

la Detroit " Motor City"e la Auburn Hills di Chrysler, la Flint del primo stabilimento della General Motorse la

Dearborn della Ford- ha sempre accolto gli stranieri, ma ha valorizzato soprattutto lo spiritoe le personalità

americane. Nei suoi ottanta anni, la Automotive Hall of Fame ha premiato 800 figure, fra cuii fondatori delle

principali case automobilistiche: Henry Ford (nel 1967), Ferdinand Porsche (1987)e André Citroen (1998).

Prima di Bombassei, vi sono entrati otto italiani: Enzo Ferrari e Ettore Bugatti (entrambi nel 2000), Giovanni

Agnelli e Giorgetto Giugiaro (nel 2002), Battista "Pinin" Farina (2004), Nuccio Bertone (nel 2006), Sergio

Pininfarina (nel 2007)e Luca Cordero di Montezemolo (2015). Dopo i costruttori di autoei carrozzieri,

adesso toccaa un componentista puro come Bombassei,a indicare l'evoluzione virtuosa di una specia•

lizzazione italiana che, grazie all'internazionalizzazione, non è rimasta sotto le macerie della crisi Fiat, fra la

fine degli anni Novantaei primi anni Duemila. La Brembo opera negli Stati Uniti dagli anni '80 In una prima

fase solo nell'assistenza e nell' after market. Da dieci anni con gli investimenti industriali. La prima sede

della Brembo- puramente commercialee tecnica-è stataa Costa Mesa, in California, terra di Ferrari che

montano componenti Brembo. Dal 2007, con lo stabilimento produttivo di Homer vicino a Detroit, ha

investito l'equivalente di 600 milioni di euro. Il giro d'affari americano sviluppato nel corso di questi dieci

anniè stato di poco meno2 miliardi di euro. «La crisi dell'auto americana - riflette Bombassei-è stata una

crisi di costo del lavoro, maè stata anche una crisi organizzativae di scarsa produttività. Dall'Italia, abbiamo

trasferito nel Michigan la nostra esperienza di fabbrica. E, in molti, ci hanno guardato con considerazione».

L'ultima operazione è la fonderia di dischi freno in ghisa, sorta a fianco dello stabilimento. «Abbiamo creato

- aggiunge Bombassei una fonderia asettica e funzionale, mentre per gli americani le fonderie non

potevano che essere sporche e impolverate. Con umiltà, abbiamo portato là la lezione italiana ed

europea». L' automotive americano significa manifattura alla ricerca di una nuova identità. Ma significa

anche comunicazione. «Negli Stati Uniti • spiega Bombassei - conta non poco il racing. E noi siamo fornitori

di molte competizioni». Fra le altre, per le auto la Formula Indy, la Nascare la 500 miglia di Indianapolis e,

per le moto, l'American Superbike. Nel 2016, su ricavi consolidati pari a 2,3 miliardi di euro, 637 milioni di

euro sono stati ottenuti nell'area Nafta, Stati Uniti più Canada e Messico. La Germania vale 530 milioni di

euro. «Nessuna preoccupazione direttae immediata per Trump - riflette Bombassei - negli Stati Uniti

importiamo pochissimo. Facciamo tutto in loco. La situazione sarebbe diversa in caso di una guerra

commerciale scatenata dalla Casa Bianca contro la Germania». A luglio, negli Stati Uniti si terrà la

premiazione del" car guy" di Bergamo che, con le pinze e i dischi dei freni, dall'Italia ha trasformato la

meccanica in estetica e l'estetica in manufatto industriale.

Foto: AGF

Foto: L'imprenditore. Alberto Bombassei

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 03/04/2017 117

01/04/2017

Pag. 15

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DISMISSIONI FOCUS Energia

Eni cede le attività gas&power retail in Belgio

Ce. Do.

La strada era stata indicata,a Londra, in occasione della presentazione del piano strategico 2017•20,

quando l'ad di Eni, Claudio Descalzi, aveva spiegato che, all'interno dei 5•7 miliardi di ulteriori dismissioni da

portarea casa nell'arco di piano, una piccola fetta (tra 500 milionie un miliardo), sarebbe arrivata dalla

razionalizzazione di asset nel business mid•down stream. Così ieri il gruppo ha vendutoa Eneco le attività

gas&power retail in Belgio. Eni ed Eneco hanno firmato un accordo che prevede la cessionea Eneco del

100% di Eni Gas& Power NV/SA (e della sua controllata Eni Wind Belgium NV/SA). L'Eni non ha diffuso il

valore del deal, ma secondo fonti di mercato si aggirerebbe sui 300 milioni di euro. L'azienda ceduta serve

attualmente circa 850mila punti di allacciamento di energia elettricae gas che riforniscono famigliee piccole

e medie imprese, con una quota di mercato di circa il 10% e uno staff di circa 200 unità.

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 03/04/2017 118

01/04/2017

Pag. 40 Ed. Abruzzo

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Sostegno alle aziende da Confidi Systema

CHIETI Sbarca in Abruzzo il Confidi Systema, intermediario vigilato da Banca d'Italia, nato come

emanazione diretta di Confartigianato, Confindustria e Confagricoltura e dalla fusione di cinque confidi

lombardi, ed opererà in Abruzzo e Molise grazie ad un accordo di collaborazione sottoscritto con Creditfidi,

il Consorzio Fidi di Confartigianato Imprese Chieti: oltre un miliardo di euro di finanziamenti erogati nel 2016

ed un indice di solidità del 23,15% al 31 dicembre, Creditfidi potrà offrire alle piccole e medie imprese

garanzie a prima richiesta, nella misura massima dell'80% dell'importo richiesto, con possibilità di ottenere

prefinanziamenti del 90% direttamente da Confidi Systema in soli 15 giorni. «In un momento di persistente

stretta creditizia sottolinea Daniele Giangiulli, direttore generale di Creditfidi e di Confartigianato imprese

Chieti riusciamo a garantire alle imprese abruzzesi le migliori opportunità per pianificare correttamente

esigenze finanziarie con rapidità e costi di accesso alla garanzia di gran lunga inferiori ai principali

competitors esistenti sulla piazza».

A.D'A.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 03/04/2017 119

02/04/2017

Pag. 4

diffusione:64278

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IL NODO ECONOMIA Le mosse di Palazzo Chigi LA GIORNATA

Anche Gentiloni fa promesse ma chiude gli occhi sull'Iva

Il premier ai negozianti: ridurremo la pressione fiscale Nessuna smentita del temuto aumento dell'imposta TORNA LA CONCERTAZIONE Il capo del governo: con le parti sociali scriveremo le norme del dopo voucher Stefano Filippi

nostro inviato a Cernobbio (Co) Aquelli di Confcommercio sarebbe piaciuto ascoltare da Paolo Gentiloni tre

paroline magiche: «Non aumenterò l'Iva». Invece il premier è stato prudente, almeno in pubblico, perché a

tu per tu con Carluccio Sangalli, presidente dei commercianti, sarebbe stato più esplicito. Ma a loro va bene

lo stesso perché il capo del governo è atterrato in elicottero a Villa d'Este di Cernobbio, dove ha chiuso il

Forum di Confcommercio, per dire che «proseguiremo nella riduzione della pressione fiscale già cominciata

con la defiscalizzazione dei redditi bassi, la riduzione dell'Ires e la nuova Iri». Meglio nessuna promessa

accompagnata da un occhiolino d'intesa che le solite sparate renziane non mantenute. Sangalli chiede tagli

all'Irpef e sforbiciate agli sprechi pubblici destinando i risparmi ad abbassare le tasse. Vede come una

catastrofe il rincaro dell'Iva perché si abbatterebbe come una mannaia sui consumi già depressi. Gentiloni

non si sbilancia con impegni formali, ma parla mezz'ora per rassicurare, incoraggiare, dare fiducia. «Il

nostro compito è dare stabilità, mettere in sicurezza le riforme, ricucire le divisioni anziché esasperarle», è

la premessa. È l'opposto del protagonismo di Renzi. E forse mai come ieri il premier ha marcato la

differenza da chi l'ha preceduto, beninteso senza mai citarlo. Lui non vuole dividere; riscriverà «insieme con

le parti sociali» la legge sul lavoro occasionale (quella che sostituirà i voucher) e lo farà presto; combatterà

l'evasione fiscale «senza operazioni propagandistiche»; difenderà «il diritto ad avere città dove ci si sente

protetti» garantendo l'impegno per la sicurezza. Un Gentiloni rassicurante ma anche prudente.

Confcommercio è una platea importante, gente che ha il polso del Paese, una fitta rete di piccole imprese

che regge l'economia. Davanti a questo pubblico il premier difende il made in Italy e la sua «qualità senza

frontiere», critica le guerre commerciali ed esalta il valore dell'export che ha permesso a molte aziende di

attraversare la crisi. Ma qui la chiave per fare breccia è un'altra: i commercianti non esportano, o molto

poco; il loro mercato non è il mondo ma l'Italia. Ecco il punto. «Solo aumentando la domanda interna

potremo garantire una massiccia ripresa economica», dice il capo del governo. E tra le misure per

sorreggere la domanda elenca appunto «la riduzione della pressione fiscale a vantaggio dei consumi», il

taglio del costo del lavoro, la messa in sicurezza del sistema bancario con una «ricapitalizzazione

precauzionale» («non è un favore alle banche ma la difesa dei risparmi degli italiani»), il contenimento del

disagio sociale attraverso il reddito di inclusione e interventi per le pensioni più basse. Fiducia, garanzia,

sicurezza, coesione. Il vocabolario di Gentiloni davanti a Confcommercio contiene soltanto parole a senso

unico. Sangalli invece era stato più realista: ha parlato di incertezze, sfiducia, debolezze strutturali che ci

espongono al rischio di una nuova turbolenza finanziaria. I timori di una maggiorazione dell'Iva non sono

completamente fugati e non un accenno è stato fatto dal premier a un intervento sugli sprechi della spesa

pubblica. Per lui il Paese va tranquillizzato, anche se non illuso come ai tempi di Renzi, e con l'Europa i toni

sono distesi, non belligeranti come nell'ultima parte della parabola renziana: Gentiloni rivendica il dovere

delle celebrazioni per i 60 anni delle istituzioni comunitarie, anche se «un'Europa che si irrigidisce sui

decimali non è all'altezza della sfida». Priorità Lavoriamo per ridurre le tasse e sostenere la domanda

interna

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Page 113: ANIEM · Piazza Affari, i nuovi assetti al test dei soci 02/04/2017 66Il Sole 24 Ore La provocazione: Borsa commissariata per evitare Brexit sui listini 01/04/2017 68Il Sole 24 Ore

SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 03/04/2017 120

02/04/2017

Pag. 1

diffusione:22216

tiratura:57915

E Gentiloni punta a ridurre il costo del lavoro

Natalia Lombardo

P. 4 Il premier conferma l ' impegno per il sisma e la sostituzione dei voucher «Lavoriamo per abbassare la

pressione fiscale e favorire la crescita»: è questo l ' impegno che ha assicurato il premier Paolo Gentiloni

nel suo intervento al Forum della Confcommercio a Cernobbio. L ' obiettivo del governo è quello di

«ricostruire un clima di fiducia nel Paese», per non assecondare le paure che nascono nel clima di

incertezza globale. Ridare fiducia, dunque, è una vera «urgenza» per «far lievitare la crescita» che già

mostra dei segnali positivi nei dati Istat sulla fiducia dei consumatori. L ' azione del governo, quindi, «ha

innanzitutto l ' obiettivo di garantire la stabilità, mettere in sicurezza e completare le riforme avviate in questi

anni e consolidare i risultati positivi ottenuti». Un programma a largo raggio che ha bisogno di una

prospettiva ampia fino alla fine della legislatura, sembra essere il messaggio di Gentiloni. Il cui governo

continuerà a lavorare per ridurre la pressione fiscale, ha assicurato il premier: «Solo aumentando la

domanda interna riusciremo a garantire una ripresa massiccia della nostra economia, solo così si esce

definitivamente dalla crisi e l ' Italia riparte davvero». Gentiloni ha rassicurato «chi è preoccupato per le

prossime misure del governo» (e il primo a temerlo è Matteo Renzi) assicurando che sarà ridotta la

pressione fiscale già da adesso, nella manovrina di primavera, e in autunno, anche «se forse in autunno

sarà un po ' più difficile». Nel giorno in cui ad Arquata e sulla Salaria hanno protestato le popolazioni colpite

dal sisma, Gentiloni conferma che «l ' impegno per il terremoto è una priorità assoluta» che si vedrà con l '

ap provazione del Def «con le risorse necessarie». Ci sono poi le misure come la legge sulla povertà,

approvata dal Parlamento e il reddito di inclusione che, «non sono tutto ma è un inizio fondamentale». Sui

voucher il premier ha preso a Cernobbio «l ' impegno con la Confcommercio» per trovare insieme nuovi

strumenti che possano sostituirli: «Togliendo i voucher abbiamo evitato all ' Italia mesi di scontro

ideologico» con il referendum «ma non rinunceremo a regolare il lavoro saltuario». Gentiloni conferma la

validità del Jobs act: «I dati sul lavoro parlano chiaro. Negli ultimi tre anni gli occupati sono cresciuti di

700mila unità. Cifra che incoraggiano e che ci spingono a proseguire sulla strada degli strumenti innovativi

come il Jobs act». Anche la messa in sicurezza del sistema bancario «è fondamentale», ha detto il premier,

convinto che «se ci sono stati degli errori da parte delle banche bisogna trovare dei meccanismi perché

questi errori vengano riconosciuti e pagati, ma non facendone pagare il prezzo ai risparmiatori». Un

sistema bancario risanato è altro punto fermo, perché le piccole e medie imprese non hanno altre forme di

finanziamento sul mercato e hanno bisogno dei prestiti dalle banche. Per ritrovare un clima di fiducia

secondo il premier deve esserci anche una tranquillità sul fronte sicurezza. Il decreto Minniti «non ha profili

illiberali come qualcuno ha detto», ha spiegato il premier, assicurando che «non sarebbe stato approvato

da questo governo o firmato dal presidente della Repubblica. Sono misure che ampliano i poteri dei sindaci

per impedire che i comportamenti di singoli e gruppi» mettano a ferro e fuoco le città. «Abbiamo il diritto di

avere un Paese in cui le città sono luoghi in cui ci si sente protetti». Sulla politica estera e le imposizioni dei

dazi da parte degli Usa di Trump, al G7 di Taormina Gentiloni punta alla «coesione», a partire dall ' Europa,

e «non alla guerra commerciale», puntando «sugli scambi e sulla qualità senza frontiere dei nostri

prodotti», anche perché «sono convinto che la qualità non abbia frontiere», ha aggiunto. Da affrontare con

cautela anche il processo della Brexit.

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