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La proprietà intellettuale degli articoli è delle fonti (quotidiani o altro) specificate all'inizio degli stessi; ogni riproduzione totale o parziale del loro contenuto per fini che esulano da un utilizzo di Rassegna Stampa è compiuta sotto la responsabilità di chi la esegue; MIMESI s.r.l. declina ogni responsabilità derivante da un uso improprio dello strumento o comunque non conforme a quanto specificato nei contratti di adesione al servizio. ANIEM Rassegna Stampa del 30/11/2015

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ANIEM

Rassegna Stampa del 30/11/2015

INDICE

ANIEM

Il capitolo non contiene articoli

ANIEM WEB

27/11/2015 gazzettadireggio.gelocal.it 03:12

Infortuni in cantiere: calano ma soltanto perché manca lavoro9

SCENARIO EDILIZIA

29/11/2015 Corriere della Sera - Nazionale

Teheran rivede i contratti, Eni e Saipem pronte al rientro In Iran 178 imprese italiane11

30/11/2015 Corriere Economia

Saipem Alta velocità addio Cao si concentra su oil & gas12

30/11/2015 Corriere Economia

I costi del non fare 640 miliardi buttati via14

28/11/2015 Il Sole 24 Ore

Per il made in Italy si aprono le porte del mercato iraniano16

28/11/2015 Il Sole 24 Ore

Migliora la fiducia delle imprese e dei consumatori18

29/11/2015 Il Sole 24 Ore

La torre tedesca tutta italiana19

29/11/2015 Il Sole 24 Ore

Ance: inversione di rotta positiva per gli investimenti pubblici21

29/11/2015 Il Sole 24 Ore

Crescita brutale dello Yangtze22

30/11/2015 Il Sole 24 Ore

I fondi dispersi del 5 e 8 per mille24

30/11/2015 Il Sole 24 Ore

Per l'Italia in Iran focus su energia e trasporti26

30/11/2015 Il Sole 24 Ore

No all'imposta fissa all'atto d'acquisto dell'impianto sericolo28

28/11/2015 La Repubblica - Nazionale

In questa villa l'armonia è matematica29

28/11/2015 La Repubblica - Palermo

La nuova superstrada col cemento truccato Tecnis nella tempesta30

29/11/2015 La Repubblica - Bari

Molti cantieri fermi "Cambiare regole"31

30/11/2015 La Repubblica - Affari Finanza

Efficienza energetica, il bonus funziona all'appello mancano industrie ed enti32

30/11/2015 La Repubblica - Affari Finanza

Legacoop, una fusione salverà il mattone rosso34

30/11/2015 La Repubblica - Affari Finanza

"Costruzioni e Servizi: fusione in nome del mercato"36

28/11/2015 La Stampa - Nazionale

Iran, le aziende italiane in cerca di sette miliardi38

30/11/2015 La Stampa - Nazionale

«Scegliamo le azioni Ok edilizia e industria»40

29/11/2015 Il Messaggero - Rieti

I cantieri reatini restano per strada41

28/11/2015 Milano Finanza

Valorizzo dunque vendo42

28/11/2015 Milano Finanza

Fiducia per le imprese44

30/11/2015 ItaliaOggi Sette

L'inversione contabile fa meno paura: la sanzione diventa fissa46

30/11/2015 ItaliaOggi Sette

Prestazioni miste da scomporre48

28/11/2015 Libero - Milano

Il nuovo piano per Santa Giulia bloccato da due anni in Comune50

29/11/2015 L'Unità - Nazionale

Per una politica industriale52

28/11/2015 QN - Il Resto del Carlino - Imola

Oggi all'asta gru e ponteggi della Cesi In vendita beni per 1,5 milioni di euro54

28/11/2015 QN - Il Giorno - Lodi

Campus di veterinaria, via ai cantieri «Una ricchezza per tutto il territorio»55

29/11/2015 QN - Il Giorno - Nazionale

Controllo dei lavori alle paratie: l'Anticorruzione setaccia le procedure56

29/11/2015 QN - Il Giorno - Bergamo Brescia

«La concorrenza sleale: un cancro per l'edilizia»57

30/11/2015 Il Gazzettino - Udine

Soldi agli edili disoccupati58

28/11/2015 Il Mattino - Avellino

Cantieri edili irregolari, due denunce59

30/11/2015 Il Mattino - Benevento

Stop ai disagi, dopo gli scavi riapre l'Appia60

27/11/2015 Tempi

UN FRONTE COMUNE HA DATO UNA SVOLTA ALL'APPRENDISTATO61

27/11/2015 Commercio Italia

II nuovo Centro per l'Innovazione68

27/11/2015 GT Il Giornale del Termoidraulico

L'aria di rinnovo? Si riscalda con il sole70

27/11/2015 GT Il Giornale del Termoidraulico

Più integrazione fra strutture storiche e impianti termici73

SCENARIO ECONOMIA

28/11/2015 Corriere della Sera - Nazionale

Poletti non vuole misurare il lavoro in ore77

28/11/2015 Corriere della Sera - Nazionale

«Fs, che errore dal governo»79

28/11/2015 Corriere della Sera - Nazionale

Le richieste della Bce a Veneto Banca e Popolare Vicenza82

29/11/2015 Corriere della Sera - Nazionale

«La paura del terrorismo può pesare sulla crescita»83

29/11/2015 Corriere della Sera - Nazionale

Le Bcc protestano: da noi 230 milioni per coprire i dissesti degli altri86

30/11/2015 Corriere della Sera - Nazionale

Unicredit, il piano della svolta87

30/11/2015 Corriere della Sera - Nazionale

Un'economia senza ripresa?90

30/11/2015 Corriere Economia

Il dicembre caldo dei banchieri e del risparmio92

30/11/2015 Corriere Economia

Pugliese: troppo fermi si può fare di più*93

28/11/2015 Il Sole 24 Ore

L'Europa si svegli e difenda la sua industria95

28/11/2015 Il Sole 24 Ore

Il salvagente di Draghi e le nostre mancanze*96

28/11/2015 Il Sole 24 Ore

Banche, cambia il piano bad bank*98

28/11/2015 Il Sole 24 Ore

La Svizzera condanna Falciani a 5 anni100

29/11/2015 Il Sole 24 Ore

«Salari legati agli obiettivi: chi non vuol discutere lo dica»101

29/11/2015 Il Sole 24 Ore

Più spazio a produttività e decontribuzione104

29/11/2015 Il Sole 24 Ore

Un modello contrattuale che valorizzi il risultato106

29/11/2015 Il Sole 24 Ore

Bene l'abolizione Tasi, ma per le famiglie la ripresa stenta ancora107

29/11/2015 Il Sole 24 Ore

«Parigi e Berlino troppo ambigue sulla Cina»109

29/11/2015 Il Sole 24 Ore

Se il mercato è distorto difendersi è inevitabile111

30/11/2015 Il Sole 24 Ore

Privatizzazioni, Italia terza nella Ue113

28/11/2015 La Repubblica - Nazionale

Poletti: l'orario di lavoro è un vecchio attrezzo Camusso: niente scherzi115

28/11/2015 La Repubblica - Nazionale

Per una notifica sbagliata ora Nomura rischia di uscire dal processo Mps117

28/11/2015 La Repubblica - Nazionale

Le banche italiane superano i test Bce tranne le venete118

28/11/2015 La Repubblica - Nazionale

Stabilità, pacchetto per il Sud sgravi e più aiuti a chi assume120

29/11/2015 La Repubblica - Nazionale

Poletti insiste sull'orario "Parametro insufficiente" Camusso: non sa che dice121

29/11/2015 La Repubblica - Nazionale

Sulla bad bank ritardi e incognite Abi e regolatori facciano mea culpa122

29/11/2015 La Repubblica - Nazionale

Scontro sui salvataggi bancari124

30/11/2015 La Repubblica - Nazionale

In Trentino, Emilia e Lombardia le buste paga più ricche d'Italia125

30/11/2015 La Repubblica - Nazionale

Un'incognita da due miliardi sulla manovra Rischio tasse128

30/11/2015 La Repubblica - Affari Finanza

Mr. Tod's vale 2 miliardi130

30/11/2015 La Repubblica - Affari Finanza

I numeri dell'economia della paura132

30/11/2015 La Repubblica - Affari Finanza

Martina: "Giovani e bio l'agricoltura cresce e crea posti di lavoro"134

30/11/2015 La Stampa - Nazionale

Internet veloce quanti intralci136

30/11/2015 La Stampa - Nazionale

"Sugli orari di lavoro e i contratti il ministro Poletti non ha tutti i torti"138

28/11/2015 Milano Finanza

IL PIANO DEI NUOVI VERTICI PER FS IN BORSA139

28/11/2015 Milano Finanza

Quanto sono sicuri i vostri soldi in banca141

28/11/2015 Milano Finanza

ORSI & TORI144

28/11/2015 Milano Finanza

CHI SONO I SIGNORI DELLE PAY TV NEL MONDO147

SCENARIO PMI

30/11/2015 Corriere Economia

Openjobmetis: «In Borsa per crescere e per fare acquisizioni»150

28/11/2015 Il Sole 24 Ore

Siglata un'intesa tra scuola e lavoro151

28/11/2015 Il Sole 24 Ore

Emilia-Romagna, cuore dell'innovazione152

29/11/2015 Il Sole 24 Ore

Emilia-Romagna modello di «distruzione creativa»156

30/11/2015 La Repubblica - Affari Finanza

I notebook per la scuola e le Pmi157

30/11/2015 La Repubblica - Affari Finanza

La small cap pensa in grande e sbarca sul listino158

28/11/2015 Il Messaggero - Rieti

I dati Istat e Bankitalia160

ANIEM WEB

1 articolo

Infortuni in cantiere: calano ma soltanto perché manca lavoro pagerank: 7 REGGIO EMILIA. Condurre le imprese in un percorso di qualità, che migliori le condizioni di lavoro

riducendo gli infortuni e le malattie professionali. Fornire ai lavoratori una formazione meno... di Luciano

Salsi

REGGIO EMILIA. Condurre le imprese in un percorso di qualità, che migliori le condizioni di lavoro

riducendo gli infortuni e le malattie professionali. Fornire ai lavoratori una formazione meno scolastica, ma

più orientata sul problema dei rischi da evitare. Fare in modo che le conferenze di cantiere siano finalizzate

a impartire le istruzioni non solo sui compiti assegnati a ciascuno, ma anche sulle norme di sicurezza da

rispettare. Sono questi i principali suggerimenti scaturiti dal seminario dal titolo "Obblighi formali con uno

sguardo al futuro", tenuto ieri mattina dall'Associazione per la sicurezza edilizia (un ente privato sostenuto

dalle organizzazioni imprenditoriali Ance, Aniem, Cna, Confcooperative, Lapam, Legacoop e dai sindacati

di categoria) nell'auditorium del centro Loris Malaguzzi.

Gli infortuni sul lavoro si sono dimezzati negli ultimi dieci anni. Nel 2014 hanno provocato otto morti nella

nostra provincia, che s'è collocata al 57esimo posto in Italia con un'incidenza di 33,7 casi ogni milione di

occupati. Quest'anno nei soli cantieri edili si sono contati finora 160 infortuni, con due morti. Sono circa le

stesse cifre del 2014, inferiori però a quelle dei primi anni Duemila. La causa della diminuzione, infatti, è da

cercare nella crisi economica, che ha infierito soprattutto sull'edilizia, il settore che registra la maggiore

rilevanza di vittime e malattie professionali. Basti dire che alla Camera di Commercio sono iscritte ora

ottocento imprese edili contro le duemila del periodo pre-recessione. Perciò la guardia non viene abbassata

nè dagli organi di vigilanza di Inail e Ausl nè da quelli, come l'Ase, che si propongono di prevenire gli

incidenti nell'interesse dei lavoratori e delle stesse imprese.

«Il nostro compito - spiega Susanna Zapparoli, direttrice dell'Ase - è un'azione preventiva di

accompagnamento delle imprese. Cerchiamo di evidenziare i rischi che si corrono e di dare suggerimenti

per migliorare la situazione. Uno dei maggiori ostacoli è la fretta con cui si lavora, che spinge a trascurare

le misure di sicurezza. Inoltre non è facile farsi capire dai molti lavoratori stranieri. Gli infortuni più gravi

sono quelli causati da cadute dall'alto e da seppellimento nelle frane di scavi non puntellati. Il 53% degli

incidenti dipende da mancata adozione dei dispositivi di protezione individuali. Le cinture, ormai, vengono

indossate, gli elmetti molto meno". In ogni cantiere il controllo spetta al coordinatore per la sicurezza. I

sindacati insistono affinchè, nella catena degli appalti, la responsabilità di un infortunio

27/11/2015 03:12Sito Web gazzettadireggio.gelocal.it

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ANIEM WEB - Rassegna Stampa 30/11/2015 9

SCENARIO EDILIZIA

37 articoli

Missione con il viceministro Calenda Teheran rivede i contratti, Eni e Saipem pronte al rientro In Iran 178imprese italiane Francesca Basso DALLA NOSTRA INVIATA

TEHERAN Italia in prima linea per il rientro nell'Iran del dopo embargo. Hanno cominciato ieri i gruppi

dell'energia - Eni e Saipem in testa - con la partecipazione al summit internazionale sull'Oil&gas, in cui il

ministro del Petrolio Bijan Zanganeh ha presentato il nuovo modello di contratto per gli investitori stranieri

nel settore degli idrocarburi, meno penalizzante per le compagnie. Oggi tocca alla missione imprenditoriale

guidata dal viceministro allo Sviluppo economico Carlo Calenda - targata Mise, Abi, Confindustria e Ice -

che ha portato a Teheran 178 piccole e medie imprese dei settori ambiente, rinnovabili, meccanica,

attrezzature medicali, edilizia e automotive, 12 gruppi bancari e 20 associazioni, e che incasserà la firma di

tre memorandum d'intesa per i comparti medicale, marmo e concerie.

Le sanzioni, che sono ancora in vigore, saranno revocate in modo progressivo a partire dagli inizi del 2016

se saranno rispettate le condizioni dell'accordo sul nucleare del 14 luglio scorso. E le aziende si stanno già

preparando. E così pure Teheran, che finalmente dopo due anni di lavori del governo ha presentato l'Iran

Contract Model, che supera la vecchia formula in base alla quale si pagava alle compagnie straniere una

quota fissa qualunque fosse la produzione: ora saranno compensate con una propria quota del prodotto ma

contemporaneamente è previsto anche un trasferimento di tecnologia nell'industria iraniana. Con le

condizioni imposte finora, nonostante il ricco sottosuolo che posiziona il Paese al quarto posto al mondo

per riserve di greggio e al secondo per riserve di gas naturale, difficilmente il governo sarebbe riuscito ad

attirare i 30 miliardi di dollari a cui punta per finanziare i 50 progetti nell'oil&gas che oggi saranno illustrati

alle compagnie. La versione definitiva del contratto sarà presentata a Londra in febbraio.

Durante il summit, cui hanno partecipato anche Enel, Ge-Nuovo Pignone, Maire Tecnimont e Technip tra le

150 imprese di 45 Paesi, tra cui i big come l'olandese Shell, la francese Total e la russa Lukoil, il ministro

del Petrolio di Teheran ha detto che ci sono «molte compagnie europee ed asiatiche interessate ad

investire nell'industria petrolifera iraniana. Dobbiamo negoziare con loro, e non posso dire quale sia più

vicina a chiudere un contratto». Certamente Eni e Total, nel Paese dagli anni Cinquanta, godono di

un'amicizia di lunga data ma la concorrenza è elevata, inclusa quella americana. Sul fronte del made in

Italy l'interscambio tra Italia e Iran pre-sanzioni era di 7 miliardi, ora precipitato a 1,6 miliardi, di cui l'export

italiano pesa per 1,2 miliardi. Ora l'obiettivo è farlo crescere di 3 miliardi in 3 anni.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Foto: Bijuan Zanganeh, 62 anni, ministro iraniano del Petrolio dal 15 agosto 2015 sotto Rouhani

29/11/2015Pag. 31

diffusione:298071tiratura:412069

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 11

Riassetti In vendita il 52% del Consorzio per i lavori ferroviari della Milano-Verona. L'advisor è Barclays:dovrà trovare un socio-general contractor Saipem Alta velocità addio Cao si concentra su oil & gas Candidato è il gruppo Pizzarotti, socio al 24%. Atteso anche Gavio Incasso stimato: 300 milioni. Il valoreglobale dell'opera è 3,9 miliardi Banche al lavoro per finanziare 900 milioni della tratta ferroviaria Daniela Polizzi Adesso l'attenzione di Stefano Cao è puntata su Cepav2. Dietro la sigla c'è una delle più grandi opere

infrastrutturali del Pese: la realizzazione del collegamento ferroviario ad Alta velocità tra Milano e Verona, di

cui la società ha il 52%.

Il progetto

Si tratta della prima delle dismissioni che Saipem vuole varare nell'ambito del progetto annunciato a fine

ottobre e che, una volta realizzato, farà della compagnia leader di servizi nell' oil&gas un gruppo

indipendente dall'Eni che ridurrà la quota facendo spazio al Fondo strategico. E soprattutto sarà dotato di

una nuova solidità finanziaria. Mezzi assicurati dalla maxi-manovra da 8,2 miliardi - tra aumento di capitale

e rifinanziamento- che le permetterà di muoversi «da giocatore attivo» in uno scenario competitivo, come

ha spiegato anche il presidente Paolo Andrea Colombo, garante del cruciale cambio di passo, anche nella

governance.

Il focus del piano è sull'attività che in sessant'anni di storia ha fatto grande Saipem. La società si è ritagliata

una posizione di primo piano con la realizzazione di 130 mila chilometri di pipeline posate sia a terra sia a

mare e 100 progetti Epci offshore , nell'ultimo decennio. Solo per citare alcuni dei risultati inanellati dal

business ingegneria e costruzioni. Senza contare i 7.300 pozzi, di cui 1.800 a mare della divisione

perforazione. Questa resterà l'attività core . Usciranno quindi dal perimetro il business delle navi

galleggianti, il cosiddetto Fpso, e alcuni pezzi dell'attività di ingegneria. Ma in questo portafoglio c'è appunto

un tesoretto nelle infrastrutture che tra le cessioni è quella di maggior valore. Anche se non sarà una

passeggiata.

Si tratta appunto del Cepav2. È il Consorzio Eni per l'alta velocità. Quello che realizzerà la tratta Milano-

Verona per i Frecciarossa. Valore complessivo dell'opera 3,9 miliardi. Del Consorzio, Saipem ha la larga

maggioranza, affiancata dal gruppo Pizzarotti al 24%, Maltauro e Condotte d'acqua (12% a testa).

Partnership

L' investment bank che curerà la regia della cessione è stata individuata la scorsa settimana. Sarà Barclays

a tenere le fila dei rapporti con i candidati al subentro in Cepav2. In realtà un compratore naturale ci

sarebbe già. Si tratta del gruppo Pizzarotti. Appena sbarcato a New York dove si è aggiudicato i lavori per

la costruzione del secondo grattacielo più alto del Financial district , il vice presidente Michele Pizzarotti

punta a rafforzarsi anche sul mercato nazionale delle grandi opere. Ma soprattutto, è già il secondo socio

dell'Alta velocità. Fattore chiave sarà il prezzo. Qualche contatto è stato avviato all'inizio di quest'anno. Ma

l'intera partita è stata rinviata perché l'attenzione di Cao si è concentrata sul riassetto globale del gruppo di

San Donato. Dipenderà dall'esito del negoziato sulle valutazioni - che dovrebbero aggirarsi tra 200 e 300

milioni per la quota in vendita - ma anche dalle prospettive del lavoro infrastrutturale. Senza contare che

potrebbero esserci altri pretendenti. Tra i più gettonati c'è il gruppo Gavio che a fine 2014 aveva liquidità

per 1,3 miliardi, merito anche dell'incasso dalla vendita di Impregilo, alla Salini.

Grandi opere

La tratta fa infatti parte di quel pacchetto di grandi opere, circa una decina, di lavori ancora fermi in Italia.

Ed è forse la più importante per dimensioni e valore strategico. Lo sblocco è dato per imminente perché già

a giugno Cepav2 era alle battute finali per il perfezionamento dell'atto integrativo che deve fissare il prezzo

definitivo, nell'ambito di un negoziato serrato che incrocia domanda e offerta. Il Consorzio è partito da una

proposta attorno ai 3 miliardi. Mentre il gruppo Ferrovie dello Stato (che vede in campo Rfi e Italferr) ha

30/11/2015Pag. 12 N.40 - 30 novembre 2015

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 12

posto come base di partenza poco più di 2 miliardi. Posizioni che nel tempo si sarebbero avvicinate, anche

se la firma non è ancora apposta.

Ma c'è un altro nodo che andrà superato. Saipem si era aggiudicata il progetto ( E&c onshore ) nel 2011 e

da allora detiene una quota del 52% del consorzio. La società aveva già progettato e costruito la parte della

linea ferroviaria ad alta velocità e ad alta capacità tra Milano e Bologna. E di quel consorzio è general

contractor . Chi prenderà il posto di Saipem dovrà anche rivestire quel ruolo per la costruzione della tratta

Milano-Treviglio-Brescia-Verona che rientra nel più ampio progetto di collegamento tra Torino e Venezia.

Per Saipem la cessione rientra nel piano di focalizzazione sul core business . Ma è anche qualche cosa di

più. Perché il passaggio in altre mani dei lavori infrastrutturali significa anche un'operazione di

contenimento del debito. La Milano-Verona andrà infatti finanziata, almeno per la metà con prestiti bancari.

E Saipem, in qualità di socio di maggioranza, rischierebbe di cumulare altro debito.

Un pool di banche guidato da Intesa Sanpaolo a Unicredit, a giugno, aveva dato disponibilità ad allestire un

maxi-finanziamento da oltre 900 milioni per favorire l'esecuzione dei lavori. Intesa Sanpaolo e Unicredit

avrebbero parteciperebbero con 250 milioni a testa e il coinvolgimento di Bnp Paribas, Credit Agricole,

Banco Popolare e Mps. Poi lo stop innescato dal riassetto tra soci del Consorzio.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Foto: Vertici Stefano Cao, amministratore delegato di Saipem (a destra) e Paolo Andrea Colombo,

presidente

Foto: Costruttore

Michele Pizzarotti

30/11/2015Pag. 12 N.40 - 30 novembre 2015

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 13

Studi Le perdite in 15 anni per i mancati progetti strategici I costi del non fare 640 miliardi buttati via In ritardo l'85% delle opere prioritarie e costi raddoppiati Gilardoni (Agici): ora priorità assoluta alla bandalarga «Sono ottimista: per la prima volta da 15 anni c'è un cambio di passo» elena comelli L'Italia butta via oltre 40 miliardi l'anno, più di una finanziaria, per i colli di bottiglia causati dalle carenze

infrastrutturali del Paese. Oltre 640 miliardi da qui al 2030, il 2,1% del Pil nei prossimi 15 anni, è il costo

della mancata realizzazione dei progetti strategici per le telecomunicazioni e la logistica, l'energia e

l'ambiente, la viabilità e le ferrovie.

Banca dati

Ma questo potrebbe essere un anno di svolta, secondo Andrea Gilardoni, professore della Bocconi e

presidente dell'Osservatorio sui Costi del Non Fare di Agici, che calcola da una decina d'anni le ricadute del

gap infrastrutturale sull'economia del Paese. Gilardoni è ottimista, malgrado i costi orrendi che presenterà

domani a Milano e che il Corriere Economia ha potuto consultare. «Per la prima volta negli ultimi 15 anni si

percepisce un cambio di passo ai piani alti del ministero delle Infrastrutture», commenta. Oltre al passo,

sono cambiate anche le facce. Dopo l'uscita di Ettore Incalza, finito agli arresti domiciliari nell'ambito

dell'inchiesta sulle grandi opere, è stato chiamato il professore napoletano Ennio Cascetta a coordinare

l'indirizzo strategico e lo sviluppo delle infrastrutture. Le conseguenze si vedono. Le priorità del ministero

guidato dal Graziano Delrio si sono ristrette da oltre 400 a una trentina, spiega Gilardoni. Un buon inizio per

realizzarle davvero, queste priorità sempre rimaste sulla carta. «Il processo di rifocalizzazione e

razionalizzazione delle priorità infrastrutturali in corso traspare anche dai diversi piani di sviluppo pubblicati,

su porti e logistica, banda ultralarga, rifiuti», precisa Stefano Clerici, direttore scientifico dell'osservatorio.

Nella riforma del codice degli appalti, ormai alle ultime battute prima della presentazione in consiglio dei

ministri, si parla finalmente di analisi costi-benefici, un sistema razionale per l'analisi dei progetti già

indicato come prioritario da una legge mai applicata. Tutti questi segnali, insieme alle prospettive di

allentamento del Patto di Stabilità, che dovrebbe consentire delle eccezioni ai Comuni virtuosi per poter

usare i soldi che hanno in cassa, fanno pensare a una possibile accelerazione dei progetti più urgenti.

Digitale in testa

«Priorità assoluta», per lo studio, resta come negli anni scorsi la realizzazione di un rete completa a banda

ultralarga, per connettere tutta la popolazione italiana con Internet ad alta velocità. I costi della mancanza di

questa infrastruttura sono altissimi: 389 miliardi da qui al 2030, contro i 152 miliardi per i buchi nei trasporti

e nella logistica e i 99 miliardi per le carenze nell'energia e nell'ambiente. «La banda ultralarga non è

un'infrastruttura come le altre, perché ha delle ricadute trasversali su tutti i settori, dalla produttività

dell'industria alla mobilità sostenibile», rileva Clerici. Ma anche sulle prospettive di realizzazione di questa

infrastruttura strategica, che cambierebbe completamente il futuro sviluppo del Paese, Gilardoni è

moderatamente ottimista: «La comparsa sulla scena di Enel, che parla di una spesa di 6-7 miliardi per

allacciare tutti, anziché di 20, cambia completamente la situazione», sostiene. Mentre aspettiamo, però, si

aggravano i limiti del sistema. «Il blocco del cantiere della Metro C di Roma, la crisi idrica a Messina, i

dissesti idrogeologici in Liguria, in Campania e in Calabria e il crollo dei ponti in Sicilia sono alcuni esempi

dei danni causati dalla paralisi», ricorda Clerici.

Ritardi

L'85% delle opere prioritarie è in ritardo, con tempi e costi in media più che raddoppiati. Opposizioni locali

e richieste di compensazioni esorbitanti funestano quasi tutti i cantieri. «In particolare per le opere più

grandi, quelle superiori al miliardo, tempi e costi sono spesso fuori controllo», fa notare Gilardoni. All'origine

dei ritardi ci sono problemi di copertura finanziaria: si parte con i soldi per i primi 3 kilometri e poi ci si

30/11/2015Pag. 14 N.40 - 30 novembre 2015

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 14

ferma, perché mancano quelli per gli altri 60. «Per evitare i ritardi e per usare al meglio le risorse

finanziarie, ci vogliono linee-guida chiare per progettare con qualità, analizzando in anticipo i principali

fattori di rischio, ma soprattutto c'è bisogno di sviluppare un rating sociale, che possa incidere sugli

orientamenti della pubblica amministrazione e sulle scelte di molti investitori, sempre più interessati al

ritorno sociale e ambientale dei progetti», ammonisce Gilardoni. I limiti della progettualità nazionale sono

tali, che spesso mancano iniziative di qualità per intercettare i fondi disponibili. Un limite particolarmente

grave di fronte alle possibilità aperte dal Piano Juncker. Agici propone di lanciare un'iniziativa per

identificare 100 progetti per il futuro del Paese, finanziata da un fondo da 50 milioni di euro, che può

arrivare a 150 milioni con i cofinanziamenti privati. Per inventare oggi l'Italia di domani.

@elencomelli

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UN PAESE SEMPRE IN RITARDO Fabbisogni infrastrutturali e Costi del Non Fare dal 2015 al 2030. Dati

in migliaia di euro Incrementi dei tempi e dei costi delle grandi opere Totale Telecomunicazioni Energia

Ferrovie Logistica Idrico Viabilità Rifiuti 389.300.000 61.888.000 61.800.000 57.400.000 33.900.000

33.300.000 2.600.000 Opere in linea con i tempi o in anticipo Opere in ritardo Opere che non hanno subito

incrementi di costo Opere che hanno subito incrementi di costo Fonte: elaborazione Osservatorio Costi del

Non Fare su dati Silos 2014 Fonte: Osservatorio I Costi del Non Fare 15% 85% 33% 67% 640 miliardi di

euro oltre il 2% del Pil Costi per la mancata realizzazione delle infrastrutture s.F.

L'appuntamentoIl decimo workshop annuale, in cui sarà presentata l'ultima edizione dell'Osservatorio sui «Costi del non

fare» si terrà domani, 1 dicembre, dalle 9, a Palazzo Turati, a Milano, in via Meravigli 9/B.

Foto: Università Bocconi Andrea Gilardoni

30/11/2015Pag. 14 N.40 - 30 novembre 2015

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 15

Missioni. Il sistema Paese a Teheran Per il made in Italy si aprono le porte del mercato iraniano Mattioli (Confindustria): nei prossimi anni è prevista la costruzione di quattro milioni di case; opportunitàanche nei beni di consumo La prospettiva è di arrivare a un export dall'Italia di tre miliardi prima del 2020;tra i settori si punta su macchinari e biomedicale Nicoletta Picchio ROMA riodo che va da gennaio a luglio 2015 il saldo commerciale è stato di circa 387 milioni di euro,

mentre l'interscambio Italia­Iran si è attestato a quasi un miliardo di euro, 959 milioni, con una variazione

comunque positiva rispetto al periodo precedente del 30,1 per cento. Le esportazioni italiane in Iran sono

state 673 milioni, con un incremento del 13,6% rispetto a 2014, soprattutto macchinari. Le importazioni nel

gennaio­luglio 2015 del nostro paese dall'Iran ammontano invece a 287 milioni di euro, con un incremento

del 97,3% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedentee sono soprattutto prodotti chimici, materie

plastiche, siderurgia, petrolio greggio. Nei primi 7 mesi del 2015 l'Italia si è posizionata al nono posto tra i

paesi fornitori e al deciso tra quelli clienti. «Il focus della missione ­ prosegue Licia Mattioli su alcuni

comparti è stato motivato dagli obiettivi di sviluppo del governo iraniano. Devono ricostruire gran parte del

paese, c'è l'obiettivo di realizzare nei prossimi anni 4 milioni di nuove unità abitative. Quindi c'è grande

spazio nelle costruzioni, sia private che pubbliche, a partire dalle infrastrutture. Per esempio, il governo

vuole costruire due nuovi terminal nell'aeroporto della capitale». Ciò non toglie che c'è interesse anche da

parte dei beni di consumo: «Per esempio la moda nei prossimi mesi organizzerà una missione ad hoc».

Durante la visita a Teheran saranno firmati alcuni memorandum of understanding, uno dal vice ministro

Calenda che riguarda la cooperazione economica, uno tra Confindustria Assomac e l'omologa

associazione dei conciatori dell'Iran, uno nel settore del marmo tra Confindustria Marmomacchine e

l'omologa Associazione iraniana e uno in materia sanitaria, d'intesa con il nostro ministero della Sanità.

pRecuperare le quote di mercato che in questi anni sono state perse, ripristinare tra Italia e Iran quella

partnership che ha contraddistinto per anni le relazioni economico­finanziarie delle due nazioni. «Le

potenzialità sono consistenti e vanno di pari passo con la graduale eliminazione delle sanzioni dopo

l'accordo sul nucleare», dice Licia Mattioli, presidente del Comitato tecnico di Confindustria. Sonoi numeri,

che la Mattioli cita immediatamente, a dimostrarlo: «Prima del 2010 l'interscambio Italia­Iran era di 7 miliardi

di euro, di cui due il nostro export. La prospettiva che si apre oggi è di arrivare ad un export dell'Italia in Iran

di tre miliardi di euro prima del 2020». Per rafforzare i rapporti economici da oggi a lunedì 30 novembre ci

sarà a Teheran una missione di sistema italiana organizzata da Confindustria,i ministeri dello Sviluppo e

degli Esteri, Agenzia Ice, Abi, Unioncamere, per supportare le imprese italiane, in particolare le pmi. Ci

saranno 178 aziende, 370 operatori, 20 associazioni industriali, 12 banche, la Cassa Depositie prestiti,

Sacee Simest. «È la più grande missione italiana mai realizzata in Iran», continua la presidente del

Comitato internazionalizzazione. Ai primi di agosto c'era stata una visita a Teheran di carattere più

istituzionale, con i due ministri dello Sviluppo e degli Esteri, Federica Guidi e Paolo Gentiloni, alcune grandi

aziende e associazioni di categoria. Questa missione, invece, ha una connotazione più finalizzata alle Pmi

e agli incontri b2b tra le imprese, dedicata in particolare ad alcuni settori: macchinari, automotive, ambiente,

materiali da costruzione, biomedicale, energia. È prevista un'apertura istituzionale, con, oltre alla Mattioli, il

vice ministro allo Sviluppo, Carlo Calenda, il presidente Agenzia Ice, Riccardo Monti, i ministri iraniani. Poi

una serie di seminari di approfondimento sui singoli settori, incontri tra imprenditori, visite ad aziende locali.

«Il governo iraniano sta puntando su un'impostazione riformista, basata sui principi dell'economia di

mercato, privatizzando società e banche, riducendo i sussidi», continua la Mattioli. «Oggi le relazioni

economiche sono difficili, le transazioni bancarie bloccate. Ma l'Iran presenta comunque una serie di fattori

positivi e interessanti, per esempio una manodopera qualificata, con un livello medio di istruzione elevato,

con 700mila laureati all'anno di cui circa la metà in discipline scientifiche, a fronte di un salario medio di 330

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 16

dollari al mesee norme semplici di assunzione». Inoltre, spiega ancora la presidente del Comitato

internazionalizzazione, ci sono 14 free zone e 7 free trade zone già riconosciute dalle autorità governative,

all'interno delle quali gli investitori stranieri hanno benefici come esenzioni fiscali per 20 anni, assenza di

dazi all'importazione, completa libertà di movimento di capitali e profitti. Inoltre l'Iran è tra i dieci primi

produttori di petrolioe primi cinque di gas. Tutte condizioni che possono far risalire le relazioni commerciali

dalle cifre che si sono registrate ultimamente: per il pe­

Foto: Confindustria. Licia Mattioli

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Istat. Famiglie al nuovo massimo storico Migliora la fiducia delle imprese e dei consumatori Luca Orlando pAppena cinque su cento. A prevedere lo scorso gennaio sorti positive per la nostra economia era una

sparuta minoranza di italiani, mentre il 40% mostrava con convinzione pollice verso. Un "mood" oggi

completamente ribaltato, con gli ottimisti moltiplicati per cinquee l'area del pessimismo cupo a ridursi mese

dopo mese. Sensazioni raccolte per più indicatori, in una crescita corale che porta l'indice di fiducia dei

consumatori registrato dall'Istat in progresso per il quinto mese consecutivo (118,4, da 117 di ottobre), ora

al nuovo massimo storico, il top di sempre dal 1995, cioè dall'avvio della rilevazione. Se dipendesse solo

dall'ottimismo, in effetti, saremmoa posto. Perchè la crescita di fiducia delle famiglie pare coralee compatta,

diffusaa tutte le categorie prese in analisi: clima economico, personale, correntee futuro. Dati­è bene

sottolinearlo ­ raccolti in gran parte nella prima metà del mese, e che dunque non possono "registrare" i

contraccolpi del massacro di Parigi, e che sfruttano ancora l'onda lunga dei primi segnali di ripresa della

domanda interna. Il balzo più robusto dei giudizi riguarda appunto le stime sulla situazione economica

dell'Italia, dove i pessimisti prevalgono ancora di 20 punti sugli ottimisti ma il dato è più che dimezzato

rispetto alle valutazioni di un paio di mesi fa. Se poi dai giudizi si passa alle attese, alla previsione di ciò che

accadrà, il quadro migliora ancora, con una crescente prevalenza di segni più rispetto alle ipotesi di calo

(saldo positivo a quota 31). In deciso miglioramento è anche la visione prospettica del mercato del lavoro,

dove le previsioni di calo della disoccupazione si irrobustiscono, invertendo un trend negativo che durava

da anni. Dal lato delle imprese il progresso medio dell'indice di fiducia è invece minimo, appena un

decimale, con situazioni diverse all'interno dei settori: in calo per la manifattura, con previsioni di ordini

meno brillanti, giù anche il commercio, mentre cresce l'ottimismo per costruzioni e servizi di mercato.

L'indice globale si mantiene comunque al top dai livelli pre­crisi, in progresso per il terzo mese consecutivo.

Dal lato delle costruzioni il clima complessivo resta negativo, seppure in miglioramento, con un saldo sulle

attività di costruzione in rosso per nove punti, erano però più del doppio all'inizio dell'anno. Da segnalare,

per le imprese manifatturiere, il ritorno al saldo zero nelle attese sull'occupazione: ottimisti e pessimisti

sono in perfetto equilibrio. Il che è già confortante, anche se per ridurre in modo sensibile il tasso di

disoccupazione serviranno senza dubbio percentuali diverse.

Fiducia delle imprese Fonte: Istat 01/2009 09/2015 Gennaio 2009 - novembre 2015. Indici

destagionalizzati, 2010=100

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 18

MEMORANDUM La torre tedesca tutta italiana Roberto Napoletano La torre tedesca tutta italiana Sono andato domenica scorsa in una giornata fredda ma piena di sole e con

un cielo nitido, come accade sempre più spesso a Milano, all'inaugurazione della torre Allianz, una

silhouette snella di 207 metri di altezza e 50 piani di 1.100 metri quadrati ciascuno, nell'area della ex Fiera

di Milano. Mi sono ritrovato davanti a un gioco di bianco, vetri e specchi, legni di foreste certificate, pannelli

di piegatura a freddo del vetro e quattro puntoni dorati da smorzatori di vibrazioni, un modulo ricurvo di sei

piani che si ripete per otto volte ma ti trasmette la sensazione che si possa ripetere all'infinito. Biciclette,

pattini a rotelle, capannelli di adolescenti, ragazze, ragazzi, gruppi familiari, occhi all'insù e molta curiosità

intorno alla copia della Madonnina che in 57 minuti gli uomini della lecchese Colombo costruzioni tirano su,

di piano in piano, fin sopra il terrazzo di copertura della torre, che è oggi l'edificio più alto di Milano e d'Italia,

e la posano con gli occhi rivolti verso il Duomo. Percepisci il fermento buono di un quartiere tutto nuovo,

CityLife, che appartiene al piccolo sogno americano di una Milano dove il vecchio Pirellone si ritrova

circondato e superato da una famiglia di nuovi grattacieli e di nuovi quartieri, Porta Nuova/Isola e appunto

CityLife, dove lavoro e tempo libero si incontrano in un altro modo, residenze, uffici, negozi stanno bene

insieme. Mi fa piacere scoprire che il progetto della Madonnina per la Torre di Allianz ha visto la

«collaborazione sinergica» del Politecnico di Milano e della seconda università di Napoli per realizzare un

modello 3D e portare nel punto più alto di Milano una statua della Vergine tridimensionale con il metodo

della «fusione a cera persa» ideata e brevettata da giovani di talento della mia Napoli di dentro e realizzata

dai maestri nolani. Mi colpisce la carica emotiva e quello sguardo intenso che accompagnano ogni gesto

del cavaliere del lavoro, Antonio Colombo, che si muove tra gli ospiti per quello che in effetti è, come il vero

"padrone di casa", visto che è riuscito a tirare su in tempi record qualcosa di veramente unico che vale 800

km di cavi elettrici, 24mila mq di vetrate, 14mila tonnellate di acciaio, 7 ascensori di cui tre panoramici,

sistema interamente green e tecnologie digitali. "Architetto", designer e costruttore, con il genio di Arata

Isozaki e di Andrea Maffei, di una torre tedesca dove tutte (proprio tutte) le forniture sono italiane: un altro

pezzo pregiato di questa Milano capitale internazionale e motore d'Italia che solo chi non vuole vedere

potrà continuare a dire che non esiste. Arriva Mario Monti, il cavaliere Colombo saluta ma non riceve molta

soddisfazione e mi diverte seguirne la mimica e le parole quando torna a rivolgersi al Professore e gli dice:

«Sono Colombo, ma non so se se lo ricorda». Mi viene da sorridere, Colombo se ne accorge, e lui a me:

«Sa, vede tanta gente». Impeccabile, dietro queste due frasi ci sono l'orgoglio dell'imprenditore, il gusto

della fatica, ma anche qualcosa di altro che è personale e allo stesso tempo appartiene a tutti: la bandiera

italiana dell'edilizia di qualità che sventola sulla torre tedesca dell'Allianz nel palazzo più alto di Milano. Si

presenta Giuseppe Vita, presidente di Unicredit, metà settimana a Berlino metà in Italia, e mi fa: «Milano è

tornata ad essere una capitale internazionale come Londra, in Germania guardano con grande attenzione e

interesse all'Italia di oggi». Qualche giorno dopo, sempre a Milano, sono al Politecnico, dove vado ogni

volta con piacere, e mi sento chiedere dal rettore, Giovanni Azzone: «Non è che i milanesi ora che è andato

tutto bene, riprendono il loro tran tran quotidiano, tornano a ripiegarsi su se stessi?». Rispondo: «Non ho la

palla di vetro, ma so che non se lo possono permettere, non devono fare solo la Silicon Valley ma inventare

un robot che fa il giro del mondo con la targa dell'Italia, mi piacerebbe che si chiamasse Pippo e

simboleggiasse il primato italiano della tecnologia. Ci vuole un nuovo Giulio Natta e si deve sentire, in casa

e fuori, che la sfida di Milano appartiene al Paese». Qui, aggiungo: non tornate a litigare, per piacere, partiti

e non solo, anche perché il mondo si sta fermando di nuovo, il terrorismo fiacca le coscienze e rischia di

moltiplicare con la psicosi i danni di una minaccia seria e reale, la debole ripresa ha bisogno di irrobustirsi

con la spinta della sua capitale dell'innovazione. I lecchesi alla Colombo che sono lo spirito forte della

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 19

Milano di oggi, le donne e gli uomini milanesi che hanno ripulito la città armati di spugna e scope nei giorni

della furia dei black bloc, non ve lo perdonerebbero. Sono tanti e, per questo, sono fiducioso che il

cammino intrapreso non si fermerà. [email protected]

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Infrastrutture/2. Il centro studi dei costruttori: nel 2016 +0,5% dopo un taglio del 43% dal 2008 al 2015 Ance: inversione di rotta positiva per gli investimenti pubblici G.Sa. pPer gli investimenti pubblici la legge di stabilità 2016 contiene un'inversione di rotta che fa sperare i

costruttori: le nuove risorse cresceranno nel 2016 dello 0,5% in termini realie del 2,7% in termini nominali

dopo una riduzione dell'8,5% nel 2015e un taglio cumulato del 43% dal 2008 al 2015. Il dato arriva dalla

consueta e puntuale ricognizionea tutto campo che il centro studi dell'Ance fa dei contenuti e delle cifre

della legge di stabilità e del bilancio dello Stato:a pesare maggiormente sull'inversione di rotta è il forte

rifinanziamento a favore dell'Anas, paria 1.200 milioni nel 2016 che diventa di 3,8 miliardi nel triennio

2016­2018. Si ritorna ai livelli pre­2010 dopo sei anni di vacche magre e magrissime, con un sostanziale

azzeramento delle risorse avvenuto «in concomitanza con l'ipotesi, mai realizzata, del pedaggiamento di

tratte stradali convertibili in autostrade». Per al­ tro, lo stanziamento generale si deve sommare a

finanziamenti specifici per singoli interventi da 237 milioni. Un segnale positivo, quello delle risorse, che va

letto con gli altri due aspetti rivoluzionari della legge di stabilità sul versante dei lavori pubblici: la

cancellazione del Patto di stabilità interno e l'accelerazione della spesa da realizzare nel 2016 attraverso la

clausola di investimenti europea. Due battaglie storiche dell'Ance. Lo studio dà anzi una lettura innovativa

ed estensiva della flessibilità sugli investimenti. «Secondo le valutazioni dell'Ance ­ dice il rapporto ­ l'utilizzo

della clausola Ue degli investimenti, oltre all'accelerazione di alcuni progetti infrastrutturali cofinanziati

dall'Unione europea, consentirà di liberare spazi di bilancio a favore del finanziamento aggiuntivo per l'Anas

e il rilancio degli investimentia livello territoriale, conseguente all'introduzione del pareggio di bi­ lancio, con

una spesa aggiuntiva di 3,5 miliardi di spesa aggiuntiva nel 2016 rispetto al 2015». L'utilizzo della clausola

di flessibilità sulla spesa cofinanziata dalla Ue è, quindi, un'indicazione di principio, ma nella sostanza ­ per

accelerare la spesa di investimenti che anche la commissione Ue a questo punto ci chiede­ si potranno

utilizzare anche i programmi stradalie quelli dei comuni. In effetti ­ nota il documento Ance ­ «e sui documenti

di bilancio italiani, pubblicato il 17 novembre, la commissione Ue indica che verificherà con grande

attenzione che l'utilizzo della clausola di fattibilità sia concretamente utilizzata per aumentare il livello degli

investimenti pubblici». Paradossalmente, se la spesa per investimenti non sarà aumentata, la clausola di

flessibilità potrebbe essere negata, con un effetto negativo sul disavanzo.

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 21

lettera da ningbo Crescita brutale dello Yangtze Otto milioni di abitanti, infrastrutture colossali una classe media con buoni salari. E container pienid'immigrati senza diritti Giorgio Barba Navaretti Dal dodicesimo piano dell'Hotel Sofitel di Ningbo si vedono e leggono le contraddizioni della Cina

contemporanea, in transizione da nazione smodatamente a moderatamente prospera (come da piano

quinquennale appena varato), in pianta sotto i miei occhi, un mondo in miniatura. Ningbo, città di secondo

livello, nella regione del delta dello Yangtze, con otto milioni di abitanti, porto dalle acque profonde a

duecento chilometri da Shanghai. Grattacieli e cantieri a vista d'occhio. Grattacieli belli, moderni, ambiziosi.

Sotto, una strada a quattro corsie. Tutte le strade o quasi hanno quattro corsie e poi in lontananza ponti,

tunnel, sempre illuminati, un'infrastruttura colossale. Le quattro corsie sono divise da uno spartitraffico

pieno di leziosissime piantine, fiori colorati, bassi, multicolori, cipressini, piccoli pitosfori. Leziosità brutale: la

strada e il suo spartitraffico, un ricordo vago e lontano di una civiltà piena di oggetti delicati, leggeri.

Porcellane, lacche, sete, geroglifici, tetti arditi pieni di becchie beccucci. Tuttoo quasi raso al suolo per

ricostruire, per lasciare il segno monumentale di questo nuovo impero contemporaneo. Dove la brutalità

raggiunge il suo massimo c'è sempre un tocco di leziosità. "Ningbo armoniosa" è scritto su un vecchio

muro, che forse un tempo cintava un giardino lussureggiante, e ora cantieri, molti cantieri e grattacieli che

svettano. Molto traffico, ma non drammatico. automobili nuove o seminuove, soprattutto di media cilindrata,

molte di gran marca, Bmw, Lexus, Audi.... Chi c'è su quelle automobili, chi abita in quei grattacieli? Le

classi medie che lavorano nella Cina moderna, arricchite da uno Stato generoso che ha trasferito a prezzo

quasi risibile la proprietà delle case il cui valore è poi cresciuto con l'inurbamento. Classi medie che hanno

forse buoni salari, ma soprattutto risparmiano quanto possono e comperano nuove case. Quanto della

grande crescita cinese è dovuta a questi investimenti immobiliari e di infrastruttura, una crescita sfrenata di

capitale, in parte fatta dallo Stato, in parte attraverso il trasferimento dallo Stato agli operatori immobiliari di

terra a basso prezzo. E se le classi medie si sono arricchite attraverso il risparmio e l'accumulo di capitale

immobiliare, come faranno le nuove generazioni ormai tagliate fuori dall'acquisto di una casa per i prezzi

troppo elevati, almeno nelle grandi città, forse a Ningbo, certamente a Pechino e a Shanghai? Studiare e

studiare è la parola d'ordine... milioni di laureati. Su un muro al bordo della mia strada a quattro corsie un

grande cartello fa pubblicità ai corsi di preparazione per i test d'ammissione delle Università americane:

GRE, GMAT, SAT dicono i cartelli, unica scritta o quasi non in caratteri cinesi da qui all'orizzonte. Sola

compagna, un po' più in là, Kentucky Fried Chicken, la dimensione popolare del ponte verso l'Occidente. La

strada alta, l'università americana, e quella bassa, il junk food. Populismo elitario? Incontro diversi studenti

universitari in questo viaggio. Nel campus di Ningbo dell'Università di Nottingham, una delle teste di ponte

delle intense relazioni sino-britanniche. E nell'Università di Zhejiang a Hangzou, altra città di 7 milioni di

abitanti a due ore da Shanghai, antica capitale di questa regione. Gli studenti non sono tranquilli, non

pensano di avere davantia sé una carriera facile, quella che ci aspetteremmo che fosse riservataa tutti i

laureati delle buone università in un Paese in così forte crescita. I laureati sono tanti, forse troppi e

l'economia moderna non è in grado di assorbirli. Come il Paese avesse deciso di costruire e sviluppare il

capitale umano per un'economia che non è ancora pronta ad assorbirlo. Eppure tutta l'infinita e scintillante

modernità che mi circonda arriva fino a Ningbo partendo dai meravigliosi grattacieli di Shanghai come fosse

una modernità dell'hardware, le case e le infrastrutture, ma priva del software: gli ingegneri, gli economisti, i

manager non sempre sanno che fare. Sotto i miei occhi non ci sono solo le classi medie. Proprio di fronte

all'albergo lo spartitraffico si allarga e dei muri di cartongesso delimitano un'area, in terra battuta, piena di

rifiuti. In fondo c'è una specie di capanna, fuori un passeggino, e una donna che stende dei panni. Chi vive

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 22

nello spartitraffico? Dove sono i poveri, i visibilmente poveri di tutte le città del mondo? Nascosti nei

container sui cantieri? Protetti da muri di cartongesso in aree visibili solo dal dodicesimo piano? Nelle città

cinesi non si vedono o quasi mendicanti, non ci sono baraccopoli. La brutalità è una brutalità di cemento,

movimento, rumore, rapidità non di miseria. La miseria, la vedo solo laggiù nello slargo dello spartitraffico.

La crescita cinese ha tolto dalla povertà milioni di persone, anche se la disuguaglianza è per forza

aumentata. Ma poveri ce ne sono ancora moltissimi, dove? Forse in altre regioni, non nel ricco delta dello

Yangtze dove l'aspettativa di vita alla nascita è pari a quella inglese. Di fronte, oltre le quattro corsie, un

grande cantiere. Container impilati uno sull'altro: le abitazioni degli immigrati, la forza lavoro immensa che

ha costruito la Cina contemporanea. Un'economia fondata sullo spostamento della forza lavoro ha

mantenuto in vita e ancora ha in essere un sistema come lo Hukou, costruito per evitare la mobilità: le

popolazioni urbane in città, quelle rurali in campagna. Solo nel luogo di origine i cinesi hanno accesso a

servizi di base come casa, istruzione, sanità. Gli immigrati possono spostarsi, ma non hanno diritti, non

possono avere l'ambizione di costruirsi un futuro dove lavorano. Vivono nelle baracche e rimangono legati

al cantiere o alla fabbrica. Ora il sistema è in corso di riforma. Ma il paradosso rimane, la Cina

contemporaneaè stata costruita dall'inurbamento di popolazioni rurali, che inurbandosi perdevano i loro

diritti di cittadinanza. Più in là, un'infinita distesa di edifici bassi, le fabbriche. La ricchezza cinese è fondata

sulle fabbriche e sulle esportazioni, oltre che su infrastruttura e real estate. Fabbriche alimentate da milioni

di lavoratori, i maggiori produttori di valore aggiunto industriale del mondo. Ma ora questo processo ha

raggiunto un limite: la riserva di lavoro a basso costo è finita. Soprattutto nelle regioni più avanzate intorno

a Shanghai, il costo del lavoro è cresciuto moltissimo. La riserva delle campagne si è esaurita. In parte per

l'invecchiamento della popolazione, la politica demografica di un solo figlio; in parte perché i giovani che

arrivano in città non sono più interessati a lavorare in fabbrica. La manifattura non è più il simbolo della

modernità di un tempo.I nuovi idoli non sono gli assemblatori di computer come Foxconn o le infinite linee

di cucitori di vestiti. I nuovi idoli sono Alibabà, Huaweie la telefonia mobile, l'iphone (ma non il suo

assemblaggio, appunto fatto da Foxconn), i grandi magazzini pieni di luccicanti prodotti, i monomarca di

Cartier, Dolce e Gabbana o Gucci. È troppo siderale la distanza tra le luci di Cartier sulla Nanjing Avenue di

Shanghaie la linea di una fabbrica. I giovani non vogliono più lavorare, hanno modelli diversi dai loro

genitori. L'industria cinese è arrivata a un punto in cui deve trasformarsi, passare da una crescita fondata

sulla quantità, ossia investimenti e forza lavoro, a una crescita fondata sulla qualità e sulla ricerca. Certo ci

sono anche industrie alla frontiera e in molte attività ci sono segnali di un aumento rapido della produttività,

Ma il cuore della produzione industriale del Paese è comunque fatto di infinite aziende senza marca che

trasformano beni da esportazione di bassa qualità. Nella massa industriale del paese l'high tech non c'è.

Intanto la leziosità brutale che si ammira dal dodicesimo piano del Sofitel ci ricorda comunque quanti

straordinari passi avanti siano stati fatti fin qui. E che i semi di modernità piantati e già ben cresciuti

potranno forse trasformarsi in un processo di crescita più equilibrato e sostenibile. Ma allo stesso tempo ci

fanno vedere delle contraddizioni profonde che richiedono trasformazioni che non è detto che la Cina saprà

gestire nel suo prossimo futuro. [email protected]

Foto: MARKA

Foto: grandeur | Le strade a quattro corsie e i grattacieli di Ningbo, a 200 chilometri da Shanghai

29/11/2015Pag. 28DOMENICA

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 23

TASSE E SOLIDARIETÀ I fondi dispersi del 5 e 8 per mille Antonello Cherchi Il5 per mille alla cultura diventa 2 per mille,ma cambia procedure. L'obiettivo è ridargli smalto. Sono, però,

tutti i "per mille" ad avere problemi. A cominciare dal fatto che su 6,6 mi­ liardi di euro raccolti negli anni

dall'8e dal5 per mille, 2,3 miliardi non sono mai arrivati ai beneficiari. Li ha tenuti lo Stato per far fronte ai

buchi di bilancio. Serviziu pagina4 pNella famiglia dei "per mille" si preparano novità. Come annunciato

qualche giorno fa dal premier Matteo Renzi, il 5 per mille alla cultura diventa un2 per mille, ma con

procedure diverse, che dovrebbero farlo decollare. Finora il 5 per mille indirizzato alla tutela e

valorizzazione del patrimonio ha avuto ­ complice la scarsa pubblicitàe soprattutto il meccanismo di

ripartizione scarso successo. Pochi i soldi raccolti. Ma è l'intera famiglia dei "per mille" ad avere più di un

problema. Basti pensare che un terzo degli importi decisi dai contribuenti attraverso l'8 e il 5 per mille non è

mai arrivato a destinazione. Su 6,6 miliardi di euro resi disponibili dalle scelte dei cittadini ­ 2,6 miliardi

accumulati negli oltre vent'anni di vita dell'8 per mille e poco più di 4 generati dal 5 per mille a partire dal

2006, anno del debutto ­ nelle tasche dei beneficiari sono finiti 4,3 miliardi. Gli altri 2,3 miliardi si sono persi

in mille rivoli, conseguenza dei tagli per far fronte a varie esigenze del bilancio statale. Tradendo in questo

modo la scelta dei contribuenti. A soffrirne di piùè stata la quota di competenza statale dell'8 per mille.

Secondo la legge quei 2,6 miliardi avrebbero dovuto finanziare i progetti contro la fame nel mondo, per

aiutare i territori colpiti da calamità naturali, il restauro del patrimonio culturale, l'assistenza ai rifugiati e

(settore ulti­ mo arrivato) l'edilizia scolastica. In realtà,i destinatari hanno visto, complessivamente, 819

milioni. Rispetto all'importo totale di 2,6 miliardi, due terzi ­ ovvero quasi 1,8 miliardi ­ hanno preso altre

strade, costretti dalle urgenze della finanza pubblica. Discorso analogo per il 5 per mille, di cui beneficia

un'ampia platea di destinatari: dal non profit alla ricerca scientifica, dalla salvaguardia dei beni culturali allo

sport. Un elenco lungo 50mila nomi. In questo caso all'appello mancano "solo" 500 milioni su un totale di 4

miliardi e pure questa volta hanno pesato i tagli imposti dal Governo di turno. E la storia non è finita.

Almeno per l'8 per mille: nella legge di Stabilità, infatti, è prevista, a partire dall'anno prossimo, un'ulteriore

sforbiciata di 10 milioni della quota di competenza statale. Si tratterà di vedere se in futuro i beneficiari

dell'8 per mille destinato allo Stato riusciranno a portare a casa almeno i 33,5 milioni, riferiti al 2014, che

stanno per essere ripartiti. I relativi decreti sono all'esame del Parlamento (la Camera ha già dato il via

libera, mentre il Senato ha chiesto una proroga) e prevedono chea ognuno dei cinque settori vadano 6,7

milioni, che sono comunque pochi, dato che si riesce a finanziare solo 70 dei 2.508 progetti presentati. E se

questa volta il 5 per mille viene graziato, a finire nella tagliola della Stabilità è, invece, il più giovane dei "per

mille", quello destinato, dopo l'abolizione del finanziamento pubblico, a dare ossigeno alle casse dei partiti

politici. Il 2 per mille vede ridursi i tetti: nel 2016 il limite complessivo erogabile sarebbe dovuto essere di

27,7 milioni e passa a 17,7, mentre per il 2017 la decurtazione è ancora più pesante, perché dai 45,1

milioni si scende a 25,1. In buona sostanza, se dalle dichiarazioni dei redditi arriveranno contributi

superioria quei tetti, li terrà lo Stato. Eventualità, comunque, assai remota, almeno se si guarda al bilancio

dell'anno scorso, primo anno di applicazione del2 per mille: era previsto un tetto di 7,7 milioni, ma i

contribuenti hanno scelto di dare complessivamente ai partiti solo 325mila euro. Un sistema, quello dei "per

mille", di recente oggetto dell'attenzione della Corte dei conti, che ha messo sotto la lente i meccanismi dei

due contributi più rodati, il 5 e l'8 per mille. Per quanto riguarda quest'ultimo, i giudici contabili hanno

rilevato diversi punti di criticità. Per esempio, la mancanza di verifiche sull'utilizzo dei fondi ricevuti dalle

confessioni religiose. L'8 per mille di competenza statale, poi, è stato abbandonato a se stesso, senza che

lo Stato ne promuova in alcun modo la raccolta, anzi trattenendo per sé una parte consistente degli importi.

Tagli che, secondo la Corte, devono finire, perché ledonoi princìpi di lealtàe di buona fede, facendo venir

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 24

meno il patto coni contribuenti. Inoltre, ci deve essere maggiore trasparenza sulle scelte dei cittadini,

impossibilitatia controllare se il Caf trasmette al Fisco l'opzione esercitata. Stesso problema per il5 per

mille, su cui pesa anche l'estesa platea dei beneficiari. «È improcrastinabile una più rigorosa selezione»,

afferma la Corte dei conti, in modo da «non disperdere risorse per fini impropri».

2,3 I MILIARDI NON ASSEGNATI AI DESTINATARI DI 5 E 8 PER MILLE

LA PAROLA CHIAVEI «per mille» 7 I vari "per mille" (8, 5 e 2, in ordine di apparizione) consentono ai contribuenti di scegliere a

chi destinare in sede di dichiarazione dei redditi una parte (nella percentuale, appunto, dei diversi per mille)

della propria Irpef per diversi fini: confessioni religiose e Stato (8 per mille), non profit (5 per mille), partiti

politici e cultura (2 per mille)

L'erosione nel tempo 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2001 2010 2011 2012 2013 2014

2000 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 Totale Quota assegnabile Quota assegnata

Fonte: Corte dei conti, Corte dei conti e Il Sole 24 Ore Come è stata decurtata la quota statale dell'8 per

mille. In mln di euro LA SFORBICIATA2010 2011 2012 2013 2006 2007 2008 2009 2014* Totale LA DOTE

Nota: (*) stima; * Nel 2014 sono stati assegnati complessivamente 325mila euro ** A regime Gli importi del

2 per mille previsti dalla legge 13/2014 Dati in milioni di euro 7,7 9,6 27,7 45,1 2014* 2015 2016 2017**

Quota di 5 per mille assegnata ed effettivamente ripartita. In mln di euro LA DECURTAZIONE Importo

attribuito dai contribuenti Importo liquidato o liquidabile

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 25

La missione. Oggi i tavoli tra la Sace e le banche iraniane per facilitare il business dopo l'Implementationday Per l'Italia in Iran focus su energia e trasporti Micaela Cappellini GLI INCONTRI CON LE IMPRESE Ieri il Business p«L'interesse delle imprese italiane per l'Iranè in decisa crescita. Da noi stanno venendo molte aziende

medio­grandia prendere informazioni. Sono soprattutto imprese che si occupano di materie prime alimentari,

di trasportie della gestione dei rifiuti, un problema particolarmente sentito in Iran». L'avvocato Francesco

Paolo Bello, dello studio Polis di Bari, oggi è a Teheran, in compagnia di altri tre grandi studi legali di casa

nostra, per l'ultimo giorno della missione italiana in Iran guidata dal viceministro allo Sviluppo economico,

Carlo Calenda, e organizzata con la collaborazione di Ice, Confindustria, Abi e Unioncamere. «Questo

Paese può dav­ vero tornarea essere uno dei maggiori partner commerciali dell'Italia­ spiega l'avvocato­ ma

non bisogna dimenticare che le sanzioni internazionali oggi sono ancora in vigoree questo fatto impone

conoscenza delle normative e cautele nell'individuazione dell'interlocutore locale». Tra tutte le difficoltà del

fare affari in Iran, il tema dell'operatività finanziariaè forse quello prioritario. Ecco perché sul tavolo della

Sace ­ che partecipa alla missione con il suo presidente, Giovanni Castellaneta, il quale in passato è stato

ambasciatore a Teheran oggi ci saranno importanti accordi con banche iraniane, che faciliteranno la ripresa

dell'interscambio tra l'Italiae l'Iran una volta che l'Implementation day avrà dispiegato i propri effetti. Ieri per

le imprese italiane a Teheran è stato il giorno del Business forum, con quattro tavoli settoriali dedicati

rispettivamente all'automotive, alla meccanica, all'ambientee alle apparecchiature medicali e biomedicali.

Stamattina invece sarà la volta della sessione tecnica dedicata ai materiali da costruzione. In tutto, sabato

sono partite dall'Italia oltre 180 aziende, per un totale di oltre 360 partecipanti contando anche le istituzioni,

le associazioni industriali e di categoria (una ventina) e le banche (12 in tutto). Sul futuro delle relazioni

economiche tra Italia e Iran non potranno non avere un impatto gli attentati di Parigi.E in parte l'hanno già

avuto: lo scorso 14 novembre, all'indomani della strage francese, il presidente iraniano Rohani è stato

costretto ad annullare la sua visita a Roma (e poi anchea Parigi). Ma la marcia per il ritorno di Teheran nel

consesso internazionale per il momento procede: atteso per febbraio, l'Implementation Day darà il via più

concreto al progressivo smantellamento delle sanzioni all'Iran, che dovrà essere completato nell'arco di

dieci anni. Raggiunto il traguardo dell'Implementation day, per le imprese italiane si apriranno opportunità

rilevanti: l'export italiano nel paese, che nel 2014 si è attestato a 1,1 miliardi di euro, secondo l'ufficio studi

di Sace potrà crescere di quasi 3 miliardi di euro nel periodo 2015­2018.I settori che offriranno maggiori

opportunità sono l'oil & gas, l'automotive, i trasporti, il real estate e più in generale le attività legate alle

costruzioni. Dal settore dell'energia e dalle tlc provengono la maggior parte dei clienti ­ al momento,

esclusivamente grandi aziende­ che si rivolgono a The Story Group, so­ cietà di relazioni pubbliche che ha

firmato una collaborazione con una società iraniana specializzata in media relations e che a Milano ha

appena aperto l'Iran Desk: «Aiutiamo le aziende italiane a sviluppare il loro brand in Iran ­ spiega Alberto

Guglielmone, responsabile dello Strategic business development di The Story Group, che partecipa alla

missione in rappresentanza di Assorel, l'associazione italiana del settore ­ a Teheran i canali di

comunicazione sono meno diretti e spesso occorrono approvazioni e benestare da parte delle autorità

politiche competenti». Riguadagnare le quote di mercato perse in Iran però non sarà facile, considerando

che concorrenti quali Cina, India, Russia e Brasile hanno subito molti meno vincoli negli ultimi anni

guadagnandosi una posizione importante all'interno del Paese.

I NUMERI DELL'IRAN1,2miliardi L'export italiano verso l'Iran Prima dell'entrata in vigore delle sanzioni, nel 2010, l'interscambio

bilaterale fra l'Italia e l'Iran aveva raggiunto quota 7 miliardi di euro

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 26

1,3% La quota di mercato dell'Italia Il nostro Paese è il nono fornitore dell'Iran e al 10° posto tra i clienti di

Teheran, con una quota di mercato dello 0,8%

79milioni Gli abitanti dell'Iran Gli iraniani sono mediamente molto giovani: l'età mediana è di soli 27 anni e

nella fascia che va dai 15 ai 24 anni è compreso circa il 20% della popolazione. Il 73,7% degli abitanti si

concentra nelle città, il che rende questi potenziali consumatori più facili da raggiungere

181 Le aziende italiane in missione Accanto al governo e alle associazioni di settore, da ieri sono in

missione in Iran oltre 180 aziende italiane, che appartengono ai cinque settori individuati come prioritari:

ambiente, energia e rinnovabili, meccanica, apparecchiature e attrezzature medicali, materiali edili e

automotive

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 27

Ipocatastali. Dopo la legge Finanziaria del 2011 No all'imposta fissa all'atto d'acquisto dell'impianto sericolo Ferruccio Bogetti Gianni Rota pDeve essere considerato strumentale e, pertanto, sconta le imposte ipocatastali in misura proporzionale

l'impianto sericolo (utilizzato per la sericoltura, cioè l'allevamento dei bachi da seta e la produzione della

seta grezza) acquistato dalla società di leasing. Per questo tipo di acquisti da parte delle società di leasing

la legge Finanziaria 2011 ha previsto l'applicazione del prelievo in misura proprozionale al momento

dell'acquisto, in misura fissa invece al momento del riscatto. La norma vale per l'impianto sericolo, anche se

in corso di costruzione, perché costituisce un bene strumentale per natura non suscettibile di diversa

utilizzazione. Sono queste le conclusioni emerse dalla sentenza 3759/67/15 della Ctr Lombardia

(presidente Palestra, relatore Calà). La società di leasing acquistava due impianti per la produzione della

seta corrispondendo le imposte ipotecaria e catastali in misura fissa. L'amministrazione recuperava le

maggiori imposte, conteggiandole in misura percentuale. La Finanziaria 2011, infatti, aveva modificato la

norma, prevedendo il passaggio dalle ipocatastali in misura fissa a quelle proporzionali (complessivamente

del 4 per cento) per le cessione di immobili strumentali, compresi quelli da costruire o in corso di

costruzione. La società si opponeva davanti alla Ctp, contestando la mancanza del presupposto oggettivo

richiesto per il recupero per due motivi: 1 gli impianti sericoli sono in corso di costruzione, e non ul­ timati

come invece sostiene l'amministrazione; 1 la nuova disposizione riguarda solo immobili strumentali per

natura già utilizzati nel processo produttivo. Secondo l'ufficio, però, la legge Finanziaria 2011 aveva

parzialmente abrogato il decimo comma dell'articolo 35 del Dl 223/2006 e, pertanto, si poteva applicare il

regime normativo previgente, che dispone la tassazione del trasferimento immobiliare con l'imposta

ipotecaria al 3% e l'imposta catastale all'1 per cento. La norma, infatti, si applica nel caso di un

trasferimento della proprietà (o altro diritto reale immobiliare)e che ha per oggetto un bene immobile

strumentale. Pertanto non rileva che l'immobile sia in corso di costruzione. La Ctp confermava la tesi

dell'amministrazione così da costringere la società di leasing a ricorrere in Ctr. I giudici di secondo grado

respingono l'appello per i seguenti motivi: e la legge Finanziaria del 2011 ha previsto per le società di

leasing l'applicazione dell'imposta in misura percentuale al momento dell'acquisto di beni immobili

strumentali e in misura fissa al momento del riscatto; r non rileva il fatto che gli immobili strumentali per

natura siano già ultimati, in quanto per natura non idonei a essere diversamente impiegati senza una

radicale trasformazione, come appunto quelli in corso di costruzione; t un impianto sericolo, anche se in

costruzione, è un bene strumentale per natura perché non è suscettibile di diversa utilizzazione.

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 28

R CLUB In questa villa l'armonia è matematica Il rigoroso progetto dell'architetto Jacopo Mascheroni per una moderna struttura a Jesolo LAURA TRALDI «C' È UNA formula matematica che spiega perché piace questa casa».

L'architetto Jacopo Mascheroni - autore di questa villa costruita a Jesolo - ama le frasi a effetto. Ma anche

spiegarle. «Tutti qui sembra semplice, immediato. Ma la leggerezza formale, il senso di spazialità allargata

e il dialogo tra interni ed esterni è il frutto di uno studio approfondito e rigoroso.

Matematico, per l'appunto».

Basta osservare i dettagli per capire esattamente di cosa parla Mascheroni. La forma a "elle" della villa con

il lato living completamente "trasparente", la piscina a filo che riflette il cielo, i rivestimenti che collegano in

un unicum il pavimento di interni ed esterni: tutto è stato pensato per creare la sensazione di spazi che si

estendono a perdita d'occhio. «Nessuno direbbe mai che il lotto è di soli 600 metri quadrati», dice

Mascheroni. E l'illusione è tutta merito di un progetto azzeccato: l'intersecarsi di linee rette tra i vari

elementi che compongono casa e giardino e l'assenza totale di soluzioni di continuità creano infatti una

sensazione di "infinito" sottolineata anche da sapienti giochi prospettici. «Il più evidente è quello che

interessa la copertura del patio», spiega Mascheroni. «Nel soggiorno il soffitto è piano ma il suo

proseguimento esterno è sfasato verso l'alto. Da lontano, questo strano angolo fa sembrare il tetto molto

più lungo di quello che effettivamente è. Ma soprattutto esso permette di creare uno scarto tra l'esterno e

l'interno, un luogo "invisibile" dentro cui ricavare lo spazio per il mobile giorno del salotto, posizionato sul

lato più corto del parallelepipedo del living. Che, visto dall'esterno, sembra a filo della parete». Il risultato di

tutti questi accorgimenti è quel senso di spazialità, leggerezza e pulizia che affascinano chi osserva questa

casa. E che prosegue anche negli interni. L'illuminazione, per esempio, è principalmente indiretta e diffusa,

con linee di led incassati in gole a pavimento e a soffitto (le stesse dalle quali esce l'aria condizionata). E gli

arredi sono pochi ma scelti con grande accuratezza pensando più a progettare il vuoto che a riempirlo: un

tavolo ovale di Jean Marie Massaud per B&B Italia (che, a centro stanza, lascia ampio spazio per il

passaggio), cucina e salotto su misura. I pavimenti sono realizzati in lastre di gres porcellanato: «sembrano

identiche nel salotto e a bordo piscina perché colore e formato sono gli stessi; in realtà quelle usate per

l'outdoor sono bocciardate antiscivolo». Al di là dell'estetica minimalista e della cura raffinatissima delle

proporzioni, c'è però anche una bellezza nascosta in questa casa, che è importante raccontare, secondo

Mascheroni, soprattutto per sconfiggere alcuni preconcetti relativi all'edilizia: «questa villa è un

prefabbricato ed è stata realizzata totalmente in legno». Malgrado la complessità progettuale, sono passati

solo sei mesi dall'inizio del cantiere al trasloco. «È il vantaggio di questo tipo di kit house che nascendo a

pezzi in fabbrica garantisce al progettista un controllo totale sui vari elementi, eliminando completamente il

rischio delle libere interpretazioni fatte in cantiere».

Niente brutte sorprese quindi. «E, in più, la possibilità di realizzare sistemi di riscaldamento e

raffreddamento senza gas: l'impianto fotovoltaico e le pompe di calore, infatti, rendono l'edificio

completamente autosufficiente e a emissioni zero. Personalmente io credo che il futuro inizi qui».

CA SE& STI LI LO SGABELLO Intorno al bancone da cucina, sono stati scelti gli sgabelli Catifa 46 di

Lievore Altherr Molina per Arper

Foto: GLI SPAZI A sinistra, la piscina della villa di Jesolo Sotto, il soggiorno e la camera da letto

Foto: IL TAVOLO Si chiama Seven ed è di Jean Marie Massaud per B&B Italia Il piano è in rovere

Foto: IL DIVANO Disegnato ad hoc e prodotto da Radice Fedele Salotti è Hamilton di Rodolfo Dordoni per

Minotti

28/11/2015Pag. 47

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 29

I trasporti La nuova superstrada col cemento truccato Tecnis nella tempesta Sotto sequestro sei pali lungo la Agrigento-Caltanissetta Fra i 12 indagati Bosco, arrestato per lo scandaloAnas SALVO PALAZZOLO Doveva essere l'opera della svolta per la viabilità nel cuore della Sicilia. E invece si è rivelata l'ennesima

truffa. La nuova strada statale 640 Agrigento-Caltanissetta sta venendo su con cemento depotenziato e

con strutture di acciaio non regolamentari. È una scoperta shock quella fatta dai carabinieri del nucleo

investigativo di Caltanissetta, che per mesi hanno intercettato su ordine della procura nissena tecnici e

dirigenti della Tecnis, una delle società che si sono aggiudicate l'appalto da 740 milioni di euro per

l'ammodernamento e il raddoppio della statale.

Le irregolarità riscontrate sono così gravi che il procuratore reggente di Caltanissetta, Lia Sava, ha chiesto

al giudice delle indagini preliminari il sequestro di alcune opere lungo il viadotto "Salso" e la galleria

"Caltanissetta": ieri mattina i sigilli sono scattati per sei pali e sono stati notificati dodici avvisi di garanzia. In

cima alla lista degli indagati, per «concorso in frode in pubbliche forniture», c'è il patron della società

catanese Tecnis, Concetto Bosco Lo Giudice, arrestato a ottobre dalla Guardia di finanza di Roma

nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti dell'Anas. A Caltanissetta sono indagati anche i dirigenti e i tecnici

della società che si è occupata della realizzazione dell'appalto. È l'ennesima tegola per il colosso

imprenditoriale del Mezzogiorno: la società è stata di recente colpita anche da un'interdittiva antimafia

emessa dalla procura di Catania.

E, adesso, un altro scandalo.

Il tratto finito all'attenzione degli investigatori è quello che va da Canicattì a Caltanissetta. I carabinieri

hanno scoperto che per ammodernare questo tratto della statale 640 sarebbe stato utilizzato materiale

«non conforme al capitolato»: questa la contestazione agli indagati. Tutto per andare più velocemente, ed

evitare di incappare nelle penali per i ritardi. Le intercettazioni hanno fatto emergere parecchi sotterfugi

nella gestione quotidiana dei cantieri. Procura e carabinieri hanno tenuto sotto controllo l'appalto per quasi

due anni, e hanno potuto contare sulla collaborazione della direzione dei lavori. Solo una persona dello

staff era coinvolta nell'inchiesta, tutti gli altri dirigenti si sono prodigati per ripristinare le irregolarità che di

volta in volta venivano segnalate da magistrati e investigatori. Così, adesso, il sequestro dei cinque pali

all'interno di un cantiere non comporterà alcun disagio alla circolazione. E l'appalto proseguirà sotto

commissariamento della magistratura. In attesa che tutto lo stato maggiore dei lavori venga sostituito: fra i

dodici indagati ci sono infatti figure chiave per la gestione dell'opera.

Foto: www.tecnis.it www.comunepantelleria.it PER SAPERNE DI PIÙ

Foto: IL CANTIERE Un viadotto della AgrigentoCaltanissetta A sinistra Concetto Bosco

28/11/2015Pag. 6 Ed. Palermo

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 30

COMUNE Molti cantieri fermi "Cambiare regole" SILVIA DIPINTO PER concludere i lavori, mancherebbe solo la verniciatura delle pareti. Eppure il cantiere della ex Goccia

del Latte, praticamente finito, non è stato ancora consegnato. Uno stallo che va avanti ormai da più di un

mese, e che ha sollevato le proteste del comitato di Piazza Umberto. "La ditta ha ricevuto solo una minima

parte del finanziamento", spiegano gli attivisti.

A PAGINA VII PER concludere i lavori mancherebbe solo la verniciatura delle pareti. Eppure il cantiere

dell'ex Goccia del latte, praticamente finito, non è stato ancora consegnato. Uno stallo che va avanti ormai

da più di un mese e che ha sollevato le proteste del comitato di piazza Umberto. «La ditta ha ricevuto solo

una minima parte del finanziamento», spiegano gli attivisti. Circostanza confermata da Palazzo di città, che

per far fronte a situazioni così sta studiando come cambiare le regole del gioco.

Il ragionamento dell'assessore ai Lavori pubblici Giuseppe Galasso è semplice: sui piccoli cantieri, bisogna

evitare eccessivi step di pagamenti intermedi (che spesso si traducono in stop, viste le difficoltà di cassa), e

puntare direttamente al saldo finale, quando possibile.

Un'idea che non piace alle imprese edili a carattere familiare, che fanno affidamento anche su qualche

decina di migliaia di euro per pagare gli operai, in corso d'opera.

«In verità quando si vince un appalto, si presenta una fideiussione - spiega Beppe Fragasso, presidente

Ance Bari e Bat - quindi bisogna essere in grado di terminare i lavori, salvo poi chiedere i danni all'ente

locale».

Il casus belli è appunto la palazzina dell'ex Goccia del latte. I lavori, per un importo di 90mila euro, si

sarebbero dovuti concludere a ottobre. Data rimandata a novembre e ora ancora a dicembre. Nei fatti,

però, gli operai sono fermi. «Abbiamo avuto difficoltà di cassa - ammette Galasso - ma ora stiamo

recuperando i fondi». Si spera in tempo per l'inizio delle attività del Natale a Bari, che vedono piazza

Umberto ospitare la pista di ghiaccio, il teatro degli elfi e la fabbrica dei giocattoli. In verità, però, il Comune

ha pronti in cassa da liberare 1 milione e 800mila euro, che serviranno a risolvere diverse situazioni.

Non è più concepibile - è lo spunto di partenza - che si arenino cantieri di esigua portata. «Dobbiamo

evitare, senza esagerare - conferma l'assessore - stati di avanzamento dei lavori di piccoli importi: devono

invece essere proporzionati all'opera o, quando possibile, dovremmo pagare a saldo finale». In sostanza,

niente più bonifici alle imprese di poche migliaia di euro. Una piccola rivoluzione, destinata a sollevare le

proteste degli imprenditori. «Si arriva ad aspettare anche un anno e mezzo - sottolinea Fragasso - alcuni

Comuni, per esempio, immettono i fondi europei destinati ai lavori, nella spesa corrente, vincolandoli così al

patto di stabilità: le imprese, però, hanno il dovere di completare le opere, e chiedere i danni per il mancato

pagamento».

bari.repubblica.it PER SAPERNE DI PIÙ

I PUNTI

IL CASO Cantiere fermo per la palazzina ex Goccia del latte: manca solo la verniciatura I FONDI Il comune

ha recuperato 1 milione 800 mila euro per pagare le imprese LA PROPOSTA Evitare stati di avanzamento

con pagamento unico

Foto: La palazzina dell'ex Goccia del latte in piazza Umberto

29/11/2015Pag. 1 Ed. Bari

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 31

focus ambiente Efficienza energetica, il bonus funziona all'appello mancano industrie edenti SECONDO L'ENEA L'ITALIA HA GIÀ RAGGIUNTO IL 20% DELL'OBIETTIVO FISSATO PER IL 2020.EPPURE SI POTREBBE FARE MOLTO DI PIÙ NON PENSANDO SOLO ALLE RISTRUTTURAZIONIDELL'EDILIZIA RESIDENZIALE PROMOSSA ATTRAVERSO GLI SGRAVI FISCALI Valerio Gualerzi Due miliardi di euro risparmiati sulle importazioni di gas e petrolio nell'arco temporale che va dal 2007 al

2013. Un minor consumo energetico quantificabile in 7,5 milioni di Mtep tonnellate di petrolio equivalenti

che ha permesso di evitare l'emissione in atmosfera di 18 milioni di tonnellate di anidride carbonica. La

messa in efficienza dell'economia italiana ha dato sinora grandi risultati e secondo quanto certifica il quarto

"Rapporto sull'Efficienza Energetica" presentato dall'Enea nel giugno scorso, il Paese ha già raggiunto il

20% dell'obiettivo fissato per il 2020 dal Piano d'Azione per l'Efficienza Energetica redatto nel 2014. Eppure

si potrebbe fare molto di più. Basti pensare che la rivoluzione ha marciato sinora quasi esclusivamente su

una sola gamba, quella delle ristrutturazioni dell'edilizia residenziale promossa attraverso gli sgravi fiscali

previsti dagli ecobonus. Stando alle cifre fornite dall'Enea, dal 2007 al 2013 oltre 2 milioni di famiglie hanno

investito infatti 22 miliardi di euro per riqualificare energeticamente le proprie abitazioni, contribuendo tra

l'altro a creare un indotto di 40 mila occupati in media l'anno che grazie all'obbligo di fatturazione e alla

conseguente emersione del sommerso ha in buona parte colmato le mancate entrate dovute alle detrazioni.

Anche se qualche passo avanti è stato fatto, all'appello manca invece ancora in larga parte il potenziale

contributo di una più massiccia messa in efficienza del sistema industriale, dell'edilizia pubblica e dei

sistemi logistici della grande distribuzione organizzata. Un obiettivo che può ora contare però sulla spinta

dell'arrivo a scadenza di provvedimenti adottati diversi mesi fa. Il decreto legislativo 102 del 4 luglio 2014, in

attuazione della direttiva 2012/27 dell'Unione Europea, stabilisce infatti un quadro di misure per la

promozione e il miglioramento dell'efficienza energetica al fine di conseguire l'obiettivo nazionale di

risparmio energetico e prevede l'obbligo dell'effettuazione di una diagnosi energetica entro il 5 dicembre

2015 - e successivamente ogni 4 anni - per le grandi imprese e per quelle a forte consumo di energia nei

loro siti produttivi italiani. A poche settimane da questa scadenza le aziende che si sono messe in regola

risultano essere 166 e le prime quattro (divise per categorie) che hanno trasmesso all'Enea le diagnosi

energetiche dei propri impianti sono state premiate lo scorso 12 novembre a Roma. I riconoscimenti sono

andati a: Pasta Berruto Spa (prima diagnosi in assoluto); Pam Panorama Spa (prima diagnosi fra le grandi

imprese multi sito); Tessitura Mottola Srl (prima diagnosi fra le imprese energivore); Achille Pinto Spa

(prima diagnosi fra le grandi imprese). A essere esentate dall'obbligo sono le società che hanno già

adottato un sistema di gestione conforme all'Emas (Sistema comunitario di ecogestione e audit) o alla

norma ISO 50001:2011 (Sistema di Gestione dell'Energia) oppure alla norma ISO 14001:2004, purché al

suo interno sia incluso un audit energetico realizzato secondo i requisiti previsti. Eseguire la diagnosi è però

solo il primo passo, perché una volta svolto questo passaggio le aziende saranno tenute a dare progressiva

attuazione, in tempi ragionevoli, agli interventi di efficienza individuati dalle diagnosi stesse o in alternativa

a adottare sistemi di gestione conformi alla norma ISO 50001:2011. Per rendere più facilmente raggiungibili

gli obiettivi, il decreto prevede nuovi schemi di certificazione e accreditamento per l'effettuazione della

diagnosi energetica. Infatti, a partire dal 19 luglio 2016, queste potranno essere eseguite da soggetti

certificati da organismi accreditati da Accredia, l'Ente italiano di accreditamento, o da un Ente nazionale di

accreditamento di uno Stato membro. Sin qui gli obblighi della nuova normativa approvata lo scorso anno,

ma tali vincoli, dovrebbero suonare quasi superflui a leggere i tanti vantaggi che le imprese potrebbero

trarre da una maggiore attenzione all'efficienza energetica. «L'industria in Italia - ricorda Marco Chiesa

dell'Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano in una recente intervista a Qualenergia - consuma

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 32

circa 130 TWh all'anno di elettricità e circa 260-270 TWh di consumi termici, circa la metà di questi consumi

(il 51% per gli elettrici e il 54% per i termici) è imputabile alle piccole e medie imprese. E in proporzione

queste aziende sono anche quelle che pagano l'energia più cara, rispetto al residenziale e ai grandi

energivori. Nell'Energy Efficiency Report del 2013 avevamo individuato diversi interventi che coinvolgono le

tecnologie più mature con il miglior rapporto costi-benefici. Tra questi c'è il miglioramento dei sistemi di

generazione e distribuzione dell'aria compressa; il miglioramento dei sistemi di refrigerazione; gli inverter; i

sistemi di gestione automatizzata dell'energia; i sistemi di combustione efficiente; i diversi sistemi di

cogenerazione. Queste tecnologie possono dare al 2020 per le piccole e medie imprese un risparmio

elettrico di 2,83 TWh e un risparmio termico di circa 6 TWh». I campi e le modalità di intervento sono

talmente vasti che il gruppo di ricerca del Politecnico di Milano è sceso anche nei dettagli dei possibili

vantaggi settore per settore. «Ne abbiamo considerati diversi - spiega ancora Chiesa - alimentare,

metallurgia, legno, carta, chimica, petrolchimica, produzione di vetro e materiali per l'edilizia e meccanica.

L'incidenza della bolletta sul fatturato varia da un circa 1,5% del settore della meccanica, fino ad arrivare al

14% delle cartiere. Per l'alimentare è del 2,3%, per la metallurgia siamo al 10%, per il legno siamo al 4%, la

chimica e petrolchimica è il 3%, per vetro e cementifici siamo al 9-10%. Considerando il potenziale di cui

abbiamo parlato, potremmo avere riduzioni della bolletta che vanno dal 3,3% del settore della chimica, al

13% del settore della meccanica, nel quale si possono fare i migliori interventi in termini di rapporto costi-

benefici. Questo si traduce in un miglioramento della competitività, misurata in termini di margine Ebitda,

che va dal 2% per il settore chimico al 16% per l'industria del vetro». Opportunità e vantaggi che le imprese

però spesso sottovalutano o addirittura ignorano. Ed è per questo che gli obblighi di diagnosi e le nuove

figure professionali introdotte dal recepimento della Direttiva europea risultano invece fondamentali. «Le

imprese portate a fare interventi - conferma Chiesa - sono quelle che al loro interno hanno ruoli o strutture

dedicati a questi temi. È molto importante dunque diffondere la consapevolezza dei consumi e lo si fa

innanzitutto con l'audit energetico che mostra dove si può intervenire e quanto si può risparmiare. L'audit

consente di avere informazioni accurate per attività di progettazione dettagliate. Ad oggi ci sono poi

soluzioni che noi abbiamo chiamato di energy intelligence , che danno la possibilità di monitorare e

correggere i consumi in real time». ACCREDIA , S. DI MEO

L'ANNUNCIO

Certificazioni per la qualità sono arrivati due nuovi standard Le ultime arrivate tra le certificazioni di

competenza di Accredia sono le nuove norme per i sistemi di gestione della qualità dell'ambiente ISO 9001

"Quality Management Systems" (che sostituisce la ISO 9001:2008) e la ISO 14001 (che sostituisce la ISO

14001:2004). Due standard di qualità che vedono l'Italia tra i protagonisti. «Per la 9001 siamo secondi al

mondo, dopo la Cina, e primi in Europa per numero di certificazioni», sottolinea il presidente dell'Ente

italiano di accreditamento Giuseppe Rossi. Per l'entrata in vigore delle due certificazioni la International

Accreditation Forum ha fissato un periodo transitorio di 3 anni.

Foto: L'incidenza della bolletta sul fatturato delle imprese varia fino ad arrivare al massimo al 14% delle

cartiere

Foto: DUE MILIONI DI FAMIGLIE Dal 2007 al 2013 oltre 2 milioni di famiglie hanno investito 22 miliardi di

euro per riqualificare energeticamente le proprie abitazioni, contribuendo tra l'altro a creare un indotto di

40mila occupati in media l'anno grazie anche all'obbligo di fatturazione e alla conseguente emersione del

sommerso

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 33

L'INCHIESTA Legacoop, una fusione salverà il mattone rosso Enrico Miele C'era una volta il mattone "a marchio coop". Colossi dell'edilizia, soprattutto di stampo emiliano, che prima

della crisi sembravano immortali, capaci di strappare ai concorrenti appalti in tutt'Italia. E mantenere il quasi

monopolio delle commesse nei territori di riferimento, da Reggio a Bologna, passando per Modena, grazie

a una "potenza di fuoco", anche finanziaria, che ha fatto la fortuna dei cooperatori in molte stagioni. Poi lo

shock: l'impatto con la crisi per i costruttori è stato violentissimo. Paralisi del settore residenziale, invenduto

alle stelle e fatturati crollati per centinaia di milioni. Davanti ai primi scricchiolii, diventati all'improvviso

crepe, il movimento coop ha messo mano al portafoglio, provando a salvare , non senza coraggio, i suoi big

dell'edilizia . segue a pagina 8 Segue dalla prima Che erano riusciti ad accumulare, quasi in silenzio, debiti

miliardari in base allo schema classico: "Costruire per resistere". Fantasticando nel frattempo di fusioni, che

le gelosie di campanile hanno frenato e il crollo del mercato ha rimandato. Ma non è bastato: dal 2010 al

2014 la produzione delle coop edili è scesa in picchiata di oltre 2,1 miliardi (quasi il 3% del giro d'affari

Legacoop, a fine 2014 vicino agli 83 miliardi di euro). Ora si è aperto il capitolo più doloroso: gli addii dai

nomi altisonanti. Aziende decotte, incapaci di cambiar pelle, che hanno costretto anche Legacoop a

chiudere i rubinetti dei finanziamenti, spalancando un attimo dopo le porte a liquidazioni seriali. Nelle ultime

settimane hanno alzato bandiera bianca storiche aziende "rosse" come Coopsette e Coop Costruzioni: 395

milioni di fatturato in due e quasi 900 operai a spasso. Il mattone in questi anni ha così perso il treno,

restando ancorato all'edilizia vecchio stampo. Poche le eccezioni: la "mosca bianca" del movimento rimane

la coop ravennate Cmc, specializzata in grandi infrastrutture, come tunnel e autostrade, che macina profitti

e vince appalti nel mondo. Nel 2014 raggiunge 1,1 miliardi di fatturato (il suo record) e il portafoglio ordini

vale il triplo. Perde posizioni, ma regge, la modenese Cmb, in attivo nonostante i ricavi si fermino a 499

milioni (pre-crisi erano 640 milioni). Il resto è una valle di lacrime. Nella sola Emilia Romagna, epicentro

Legacoop, l'edilizia conta oltre 6 mila operai in cassa integrazione, con decine di aziende alle prese con

fallimenti e tribunali. I marchi storici sono caduti come birilli. Il primo crac, che fa tremare il palazzo, nel

2014 è del gigante Cesi di Imola, saltato su una "mina" da 464,8 milioni di debiti. Il commissario impiega un

anno per conteggiare il passivo reale e mettere in fila 2mila creditori (tra cui consulenti ed ex manager,

rimasti a bocca asciutta, che pretendono parcelle milionarie). Decine gli azzardi finanziari della Cesi. Basti

citare due centri commerciali, l'ultimo business su cui si lancia la coop prima di entrare in tribunale: Parma

Retail e Soratte Outlet di Sant'Oreste (Roma) in un solo anno, il 2013, producono un buco da 308 milioni,

tra perdite e debiti. La mappa dei default percorre l'intera via Emilia. Finisce in concordato preventivo nei

primi mesi 2015 la Cooperativa di Costruzioni, una delle più potenti della provincia modenese. Resta a galla

Unieco, che per ripulire il bilancio digerisce in due anni un "rosso" da 145 milioni. I dissesti passano da

Modena e Reggio, dove il "credo immobiliarista" è quasi intramontabile, basato su infinite contrattazioni con

gli enti locali per ottenere cubature più alte nei piani di espansione edilizia. Programmi che in molti casi la

crisi spazza via, mettendo in ginocchio le aziende. Non senza ripercussioni giudiziarie. Nel bolognese, ad

esempio, in primavera tiene banco lo stop alla "colata" di cemento di Idice: progetto da centinaia di alloggi

stralciato prima del via da un sindaco dell'hinterland, Isabella Conti del Pd. Saltato il banco, i costruttori

chiedono risarcimenti milionari e sul caso nasce un'inchiesta, che indaga imprenditori e vertici bolognesi di

Legacoop per presunte pressioni per non bloccare la new town. Questo autunno segna il punto di non

ritorno. Il bimestre ottobre-novembre è uno dei più neri. Arrivano in serie la liquidazione della reggiana

Coopsette (fatturato 239 milioni) e della bolognese Coop costruzioni (156 milioni). A Reggio Emilia, il

liquidatore, impotente di fronte a un debito da 818 milioni, chiede subito la cassa per 540 dipendenti, ma la

città vive un trauma, non senza fibrillazioni nel Pd locale. A partire da soci e pensionati che alla "loro" coop

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 34

hanno prestato milioni che non rivedranno più. L'eco del crac del gruppo, presieduto da Fabrizio Davoli,

rimbalza in tutto il Paese, dove rischiano la paralisi decine di cantieri, come il nuovo grattacielo della

Regione Piemonte (anche qui c'è un'inchiesta sull'affidamento dei lavori). Il caso che rischia di fare scuola,

in negativo, è la Coop Costruzioni di Bologna, affossata da terreni e immobili invenduti. A marzo, con le

casse vuote e il pressing delle banche, l'azienda, stordita dall'ennesima perdita da 58 milioni, tenta un taglio

draconiano. Il salvataggio passa per 200 licenziamenti, un inedito in casa coop. Fioccano proteste e

scioperi. S'invoca il dietrofront. Passa così la versione soft dei tagli: "congelati" gli esuberi, c'è la cassa

integrazione. Ma i debiti (90 milioni) e il fatturato, ormai dimezzato, restano. Scatta allora il "soccorso rosso"

di Legacoop, tramite la finanziaria FiBo, con un intervento da 40 milioni tra finanziamenti e anticipi

sull'acquisto di immobili. Nuovi manager e si riparte. La corsa, però, dura pochi mesi. A settembre,

l'azienda è di nuovo a secco. Il piano di rilancio non tiene e Legacoop fa capire che non metterà più un

euro. Lo scontro è durissimo. Alla fine l'azienda capitola e si arrende alla liquidazione. Il conto dei posti di

lavoro in fumo schizza a 340, condito dai fischi degli operai al presidente Luigi Passuti nel giorno della

bancarotta. Calato il sipario sui default annunciati, i costruttori sono al lavoro per uscire dal ruolo di "eterno

malato" nella galassia coop. Non sono gli unici ad avere grattacapi, anche l'industria non tira più come un

tempo. Senza contare le inchieste che ne hanno fiaccato l'immagine: come lo scandalo tangenti alla Cpl

Concordia, dove i vertici sono stati azzerati, o il caso della coop romana 29 giugno di Salvatore Buzzi,

associata al Consorzio Nazionale Servizi (Cns) e finita nella ragnatela di "Mafia Capitale" (nel processo

Legacoop è stata ammessa come parte civile). Ma c'è anche chi non soffre, perché in barba alla crisi

realizza affari d'oro e sbarca all'estero, da sempre miraggio delle coop tricolore. Il timore ai piani alti, spiega

chi lì dentro lavora da una vita, «è che il nostro mondo ormai viaggia a due velocità, talmente diverse da

risultare quasi incomparabili». Tra i più in salute il settore agroalimentare. Il colosso Granarolo ormai

supera agilmente il miliardo di fatturato. I ricavi delle coop sociali dal 2011 a oggi sono saliti dell'11,6%, così

come resistono le aziende di servizi (+2,3%) e le macchine automatiche Sacmi. Idem la grande

distribuzione, in questo momento la più ricca (e potente) della lega "rossa". Dopo decenni di litigi, le tre

coop dei "carrelli" - Adriatica, Estense e Nordest - daranno vita a Coop Alleanza 3.0, big da cinque miliardi

di ricavi e 22mila dipendenti. La ciliegina è Unipol, il cui controllo è blindato dalle coop, che dopo aver

inglobato Fondiaria Sai è il secondo gruppo assicurativo del mercato. Operazioni che i costruttori ammirano

solo da lontano. I casi vincenti, spiegano nei corridoi, hanno un tratto in comune: «Oggi inglobano attività e

mercati che non presidiavano prima della crisi». Granarolo vende il suo "made in Italy" in Cina e metà

Sudamerica. Coop Adriatica, assieme a frutta a verdura, offre assicurazioni, carburante e assistenza

sanitaria. Ora toccherebbe ai costruttori. Il dubbio è come ripartire: «Il modello Cmc - spiega un suo

dirigente - fatto di commesse milionarie all'estero e investimenti in tecnologia è impossibile da percorrere

senza avere spalle larghe». Tra le macerie prodotte in questi anni, nel caos di bad company e "salvatori",

qualcosa però si è mosso. Il gruppo Sicrea è una Spa, controllata al 100% dalle coop, che un po' alla volta

sta raccogliendo l'eredità dei costruttori falliti, a partire dalla Muratori Reggiolo e la CdC di Modena. Nata

come newco per rilevare i "rami" sani delle ex coop, si è trasformata in una holding di controllo con un

fatturato da 88 milioni (+18% nel 2014) e quest'anno, forse, raddoppia. Mossa che ha permesso anche di

salvare parte dei posti di lavoro. Per adesso è un esperimento su media scala. Resta da capire se, e

quanto, verrà esteso. Col paradosso che il compito di rilanciare il mattone coop, almeno in questa fase,

venga affidato a una Spa. CENTROSTUDY LEGACOOP, CONAD, ANCAB, COOP, ANCS, ANCPL, LEGA

PESCA, LEGACOOP AGROALIMENTARE, s.di meo

Foto: Qui sotto, un cantiere edile: la crisi del settore ha piegato diverse realtà coopeative di media

grandezza. Nelle altre foto, l'ingresso di un supermercato Coop e l'interno di uno stabilimento Granarolo A

lato, Carlo Zini (1) presidente della Cmb e della Ancpl, il settore costruzioni di Legacoop. Massimo

Matteucci (2), presidente della Cmc, il grande consorzio del settore appalti e opere pubbliche

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L'INTERVISTA "Costruzioni e Servizi: fusione in nome del mercato" IL PRESIDENTE LUSETTI: "NON POSSIAMO RESTARE NELLA LOGICA DEL CONSUMO DI SUOLO. ILMERGER TRA LA CCC E LA CNS CI APRIRÀ LA STRADA VERSO LE GRANDI GAREINTERNAZIONALI DI FACILITY MANAGEMENT" (e.mi.) Bologna «Le cooperative che si sono adagiate sulla bolla immobiliare ne sono state travolte. In quei casi

abbiamo registrato una sconfitta. Ora l'obiettivo è creare un grande polo, integrando costruzioni e servizi,

per aggredire i mercati esteri». Salito da oltre un anno alla guida di Legacoop, Mauro Lusetti ha dovuto da

subito fare i conti col crollo del "mattone". Il tonfo, soprattutto lungo la via Emilia, è stato fragoroso. Per

questo, dopo il default di Coop costruzioni, i vertici dell'associazione preparano la svolta: «Dobbiamo

investire su innovazione e conoscenze tecniche. Non possiamo immaginare una nuova stagione basata

solo sul consumo del suolo, sarebbe antistorico». Avete fatto il possibile per tenere in piedi Cesi, Coop

Costruzioni, Coopsette, ma alla fine sono crollate. Cosa non ha funzionato? «In questa crisi l'edilizia italiana

si è contratta del 30%, era impensabile che non venissimo toccati anche noi, ma ci sono casi come Cmc e

Cmb che mantengono inalterata la loro potenzialità, diversificando sulle infrastrutture e andando all'estero

fino al 60% del giro d'affari». Nelle coop fallite, però, avete investito milioni prima di alzare bandiera bianca.

Era troppo tardi per salvarle? «Col senno di poi si potrebbe arrivare a questa conclusione, ma quando sei di

fronte a un socio lavoratore, che deve decidere per se stesso, fatichi a prendere altre strade. Era nostro

dovere provarci e in alcuni casi siamo riusciti a salvarne pezzi importanti». Avete deciso di sostenere solo

chi sta sulle proprie gambe? «Non è così, perché in questi otto anni abbiamo fatto sforzi finanziari enormi.

Per salvare l'occupazione abbiamo diminuito la redditività. Se abbiamo meno risorse è perché le abbiamo

investite e ora dobbiamo utilizzarle in maniera più finalizzata». Per anni si è discusso di fusioni mai

realizzate, perché? «Le fusioni tra coop in crisi, senza un cambio di strategia, non sarebbero servite. Il

problema è diversificare le attività e abbandonare l'illusione dei facili guadagni sul mercato immobiliare. È

dai nostri errori che dobbiamo ripartire. Si pensi alle tre coop della grande distribuzione, Adriatica, Estense

e Nordest che non hanno certo problemi ma hanno deciso di unirsi, dando vita nel loro ramo alla più grande

coop d'Europa. Questa è la strada». Con quale obiettivo? «Per fare export bisogna raggiungere una certa

dimensione d'impresa. Il nostro mercato domestico non è più l'Italia ma Europa e America. Questo

l'abbiamo già raggiunto in diverse filiere: vitivinicola, lattiero-casearia, carni, insaccati e ristorazione». Ora

tocca al "mattone"? «Dobbiamo lavorare su grandi poli in grado di aggredire i mercati internazionali. La

dimensione degli appalti pubblici immessi sul mercato si è ridotta e spesso c'è una connotazione mista tra

opere edili e gestione di servizi. Molto presto penseremo a un'integrazione tra le nostre due grandi realtà: il

Consorzio cooperative costruzioni (Ccc) e il Consorzio Nazionale Servizi (Cns), che si occupa di servizi

integrati e facility management». Lei ha appena presentato a Bari uno studio Swg sulla Nuova Economia

Comunitaria, basata su "sharing economy" e condivisione di beni e servizi. Vi preparate a cambiar pelle?

«Ragionare su nuovi paradigmi di mercato per noi significa rimettere al centro i valori cooperativi come

elemento distintivo. Sono il nostro Dna, non un elemento di marketing. Quando li abbiamo smarriti,

abbiamo perso anche la sfida coi privati». C'è chi sostiene che con Coop Alleanza 3.0 proviate a inseguire

la redditività del gruppo Esselunga . «Sarebbe tragico dal punto di vista strategico. Noi vinciamo se ci

distinguiamo, non se rincorriamo Caprotti sul suo terreno. Coop Alleanza con la sua capacità competitiva

potrà sviluppare nuovi servizi per i soci, come parafarmacie, carburanti e assistenza sanitaria». La maxi

coop sarà il primo azionista di Unipol con una quota sopra al 20%. Era uno degli obiettivi? «No, la

semplificazione dell'assetto di Unipol è solo una conseguenza». Nel mondo Legacoop ci sono figure che

restano alla guida di aziende per oltre trent'anni. Cambierete? «Il limite dei mandati è legato alla necessità

di essere in sintonia coi cambiamenti della società. Le nostre imprese dovranno fare i conti anche con

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 36

questo». LEGACOOP, S.DI MEO

Foto: A destra, il presidente della Lega delle Cooperative Mauro Lusetti . L'universo delle cooperative rosse

sta affrontando il capitolo più duro della sua ristrutturazione, quello legato al riassetto dei settori colpiti dalla

bolla immobiliare

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LA MISSIONE Iran, le aziende italiane in cerca di sette miliardi TEODORO CHIARELLI L'obiettivo è tornare ai sette miliardi di interscambio raggiunti prima che scattassero le sanzioni. Con l'addio

alle restrizioni economiche imposte all'Iran, l'Italia si candida a tornare in forze nell'importante Paese

mediorientale, un mercato di grande interesse, forte dei suoi quasi ottanta milioni di abitanti, la metà dei

quali sotto i trent' anni, con alti livelli di istruzione, il 60 per cento dei laureati donne, una «fame » diffusa di

beni di consumo e di infrastrutture di ogni genere. economica guidata dal viceministro Carlo Calenda e

dalla vicepresidente di Confindustria, Licia Mattioli, che questo fine settimana porta a Teheran 370

imprenditori, ha obiettivi molto ambiziosi. Come racconta il presidente dell'Ice, Riccardo Monti, sono previsti

almeno 700 incontri con potenziali partner iraniani. «L'Iran ha bisogno di costruire nuove infrastrutture,

ponti, autostrade e case - spiega Licia Mattioli -. Nei prossimi anni gli iraniani avranno bisogno di 4 milioni di

unità abitative. Il mercato dell'auto passerà da 1,5 a 2 milioni di vetture l'anno. Ma non mancano le

opportunità per chi costruisce macchinari e per chi si occupa di tecnologie "verdi" e di biomedicale ». Il

settore economicamente più rilevante è ovviamente quello del petrolio, dove il soggetto coinvolto al

massimo livello è l'Eni. Il Cane a sei zampe sbarcò in Iran nel lontano 1957, ai tempi del mitico Enrico

Mattei, il cui ritratto campeggia ancora og negli uffici di Teheran della Nioc, la compagnia petrolifera di

Stato. Da allora l'Eni ha messo a segno colpi importanti, ma le sanzioni hanno di fatto bloccato ogni

sviluppo. L'ad Claudio Descalzi aspetta la revisione del sistema contrattuale e l'effettiva uscita del Paese

dalle sanzio ni, nonché una soluzione, che appare ormai vicina, in merito agli 800 milioni di arretrati dovuti

dalla Nioc. Una bozza di memorandum di intesa per l'espansione della cooperazione bilaterale nel campo

delle perforazioni petrolifere con la National Iranian Drilling Company sarebbe già stato firmata. Il report

della Sace Secondo uno studio della Sace, la fine delle sanzioni a Teheran, seguita all'accordo sul

nucleare, potrebbe portare a un incremento dell'export italiano nel Paese di quasi 3 miliardi di euro nel

quadriennio 2015-2018, con le migliori opportunità nei comparti della meccanica strumentale, dell'oil and

gas e dei trasporti. Dal 2006, quando l'ammontare dell'interscambio fra Roma e Teheran ammontava a 7,2

miliardi di dollari l'anno, l'Italia ha perso molte posizioni, pur rimanendo il nono Paese esportatore verso

l'Iran. La voglia di recuperare il terreno perduto c'è, ma ora bisogna affrontare chi nel frattempo ha occupato

la scena: prima di tutto la Cina, che si è ormai conquistata un ruolo da protagonista. L'interscambio Italia-

Iran ha subìto una forte contrazione a causa delle sanzioni internazionali. Il crollo dell'import iraniano dopo

il 2011 è diretta conseguenza del blocco al commercio di petrolio che rappresentava oltre il 90% delle

importazioni italiane dal Paese mediorientale. Dal 2011 a oggi il petrolio esportato dall'Iran si è dimezzato

(da 2,6 a 1,4 milioni di barili al giorno). Dalla sola Ue si è avuta una minore domanda per quasi 600 mila

b/g. Nel 2014 l'export italiano ha raggiunto un valore di 1,16 miliardi di euro, in aumento del 9% rispetto al

2013. Tra le voci principali dell'export made in Italy vi sono la meccanica strumentale, i prodotti chimici e

siderurgici. Le importazioni si sono invece fermate a 440 milioni di euro, una cifra pari a solo l'8% di quanto

raggiunto nel 2011. Corsa alle infrastrutture Un altro comparto ricco di opportunità è l'automotive. L'Iran ha

la necessità di rinnovare un parco circolante (14 milioni di unità) molto vecchio. In prima linea per il ritorno

nel Paese ci sono le francesi Psa e Renault, già presenti con vecchie joint venture. Anche i trasporti offrono

buone prospettive di domanda. Le sanzioni che vietano al Paese di acquistare aerei occidentali fin dagli

Anni 70 hanno contribuito a creare una flotta aerea antiquata e di scarsa qualità. L'Iran ha annunciato che

una volta tolte le sanzioni partirà il rinnovo: nei piani c'è l'acquisto di 400 aerei. Pochi giorni fa Vladimir

Putin, nel corso della sua visita a Teheran, ha «piazzato» 100 Sukhoi Superjet, nell'ambito di accordi

commerciali per 21 miliardi di dollari. Stesso discorso per treni e ferrovie. Numerosi costruttori inglesi e

francesi sono alla porta per l'ampliamento e il rinnovo della rete. Ma anche qui le aziende italiane possono

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 38

dire la loro. Tra i settori dove gli italiani possono fare business spiccano le autostrade, l'alta velocità,

l'ambiente, le rinnovabili, la meccanica, i materiali edili, il medicale, ma anche elicotteri, navi, servizi

finanziari, gioielleria, pelletteria, food. I problemi non mancano, nonostante i tentativi di sburocratizzare il

Paese e di combattere la diffusa corruzione. Bisogna fare i conti con la «Pasdaran Economy». Le Guardie

della Rivoluzione hanno ottenuto nel corso degli anni lo sfruttamento di importanti giacimenti di gas e

petrolio. Attraverso le «Bonyad», le Fondazioni, controllano attività industriali e commerciali valutate 120

miliardi di dollari. Le «Bonyad», che hanno fini istituzionali caritatevoli e di assistenza senza rinunciare ai

profitti, sono considerate la spina dorsale del potere, un mix di clientela e welfare che coinvolge milioni di

iraniani. Anche da lì si deve passare. INVIATO A TEHERAN

SETTORI DI OPPORTUNITÀ

Previsti investimenti nel settore petrolifero per 20 miliardi di dollari con un importante aumento della

produzione Previsti investimenti per 15 miliardi di dollari finalizzati alla modernizzazione dei processi

estrattivi e di lavorazione

Previsto l'acquisto di 300 nuovi aerei nei prossimi cinque anni e investimenti

per 5 miliardi di dollari2 milioni di immatricolazioni

attesa a 100 milioni di abitanti

- LA STAMPA OIL&GAS EDILIZIA entro il 2050 MINERARIO TRASPORTI AUTOMOTIVE per

l'ampliamento della metro di Teheran annue attese nel post-sanzioni Crescita della popolazione Parco

circolante (14 milioni di unità) molto vecchio;

ilioni Il numero di auto che l'Iran raggiungerà rispetto agli attuali 1,5 milioni

INTERSCAMBIO ITALIA-IRAN

miliardi di euro

Dal 2005

POTENZIALE IMPATTO RIMOZIONE SANZIONI SU EXPORT ITALIANO

I numeri chiave

1,6

-69,3

80 milioni Gli abitanti dell'Iran Il Paese torna a essere un grande mercato

EXPORT

miliardi di euro

2,30,4-852,91,2

-48

2,5 %

2005 2014 2005 IMPORT Valore export nel 2018 Export aggiuntivo 2015-2018 miliardi di euro miliardi di

euro miliardi di euro

In cerca di nuovi contratti

1,16 miliardi L'export italiano nel 2014 Il viceministro Carlo Calenda Licia Mattioli, Confindustria miliardi

L'export in più atteso fra il 2015 e il 2018

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 39

mercati e gestori/tutto SOLDI 5domande a Stefano Benzi Banca Akros «Scegliamo le azioni Ok edilizia e industria» Gli ultimi avvenimenti geopolitici hanno riportato il nervosismo sui listini. Quanto potranno condizionare i

prossimi mesi di Borsa? «Per il momento, i mercati s e m b ra n o v o l e r i g n o ra r e qualsiasi fattore

destabilizzante. La percezione è che, al presente, la minaccia terroristica non abbia una portata tale da far

deragliare le economie occidentali, limitandosi a produrre effetti confinati a pochi comparti (principalmente

turismo e linee aeree). Certo, se episodi simili ai tragici eventi di Parigi dovessero ripetersi, qualche

ripercussione sulla fiducia dei consumatori potrebbe emergere, con effetti negativi sulla già moderata

crescita dei Paesi dell'Eurozona. Comunque, gli investitori puntano sul fatto che in occasione del prossimo

meeting del 3 dicembre la Bce amplierà il suo programma di stimolo anche per far fronte a tali possibili

conseguenze». Qual è la strategia giusta da adottare in questa fase? «La liquidità derivante dall'operato

delle Banche centrali e i fattori stagionali supportano un approccio costruttivo. Il recupero dei listini dai

minimi di agosto -settembre è stato impressionante, ma riteniamo che, nelle condizioni attuali, l'azionario

sia ancora l'asset class che presenta il prof i l o r i s c h i o - re n d i m e n t o p i ù promettente». Avete

individuato delle opportunità per i prossimi mesi? «Stiamo considerando la possibilità di rivisitare alcune

tematiche industriali (macchinari da costruzione, edilizia non residenziale, trasporti), che negli ultimi mesi

sono state fortemente penalizzate dal crollo delle commodity e dalla contrazione dell'output manifatturiero

mondiale. In base alle nostre stime, il ciclo delle commodity è ancora lontano da una inversione, ma alcune

società presentano valutazioni così basse da incorporare già possibili peggioramenti dello scenario

internazionale. Qualora decidessimo di muoverci in tal senso questa componente presenterebbe un

carattere residuale». Ci sono dei temi di investimento che vi sembrano interessanti? «Già da alcuni mesi

gran parte del nostro portafoglio gestito è costituito da titoli ciclici europei e da farmaceutici e retailer

statunitensi. Questi sono i settori che riteniamo di dover continuare a sovrappesare nelle prossime

settimane». C'è qualche azienda italiana che vi piace particolarmente? «Finmeccanica può ancora

beneficiare degli effetti della ristrutturazione avviata nel 2014 e di una possibile espansione dei multipli

valutativi. Per Exor prevediamo un ulteriore restringimento dello sconto holding rispetto al valore delle

partecipazioni detenute».

30/11/2015Pag. 19

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 40

I cantieri reatini restano per strada VIABILITA'

Il pericolo corre su strada, dall'Umbria al Lazio, e porta i colori della Tecnis, l'impresa edile di costruzioni

spa che si occupa del completamento della Rieti-Terni in territorio ancora umbro (leggi il ponte sul Velino

con relativo allaccio stradale alla galleria di Pié di Moggio) e del cantiere tutto reatino posto lungo la Salaria

per Ascoli, all'altezza del comune di Micigliano. Il pericolo, traduciamo, questa volta si legge con le

consistenti difficoltà economiche che attraversa la società Tecnis (i circa 800 dipendenti della società non

prendono lo stipendio dallo scorso agosto) scossa dall'inchiesta giudiziaria che ha portato prima all'arresto

e successivamente alle dimissioni dei due soci fondatori dell'impresa - Domenico Costanzo e Concetto

Bosco Lo Giudice - e il 15 novembre scorso all'emissione di una interdittiva antimafia da parte della

Prefettura di Catania, in merito alla nota vicenda della «Dama Nera». Interdittiva che ha di fatto cadere

anche il nuovo cda della Tecnis. Ma la crisi economica avrebbe radici antecedenti, tanto che la società

aveva pensato a un piano per rientrare dai debiti già prima che scoppiasse lo scandalo giudiziario. Un

sommarsi di eventi negativi che a Terni ha portato gli operai che si occupano del completamento della

Rieti-Terni, con la costruzione del ponte sul Velino, a proclamare lo stato di agitazione. «La vicenda

giudiziaria che si è aperta ha portato la Tecnis ad accumulare forti debiti, anche nei confronti delle

maestranze - spiegano Fillea Cgil, Filca Cisl e Feneal Uil di Terni - e in attesa dello sblocco delle mensilità

arretrate di settembre, ottobre e novembre, con la mancanza di liquidità che crea problemi enormi anche

nello svolgimento dell'attività lavorativa, manca anche la benzina nei mezzi, si è deciso di proclamare lo

stato di agitazione, non escludendo altre iniziative di lotta».

IL TRATTO PER AMATRICE

In terra reatina i timori sono uguali. In più aleggia l'incubo di rivivere quando accaduto nel 2011, quando

nello stesso cantiere si verificò la stessa paradossale situazione, con la società impegnata nelle lavorazioni

che ricevette l'interdittiva antimafia per infiltrazioni di stampo mafioso. Interdittiva che portò al rallentamento

e alla definitiva chiusura del cantiere. Ciò significò la perdita di lavoro per circa 150 lavoratori e lo stallo

dell'opera pubblica più importante della provincia di Rieti. «Come allora - spiegano la Filca Cisl con

Giuseppe Zapparella, la Feneal Uil con Giuliano Simonetti, e la Fillea Cgil di Simone Di Marco - la

preoccupazione per lo stato delle cose è molto alta. Temiamo i blocco delle lavorazioni nelle quali sono

impegnati complessivamente circa ottanta lavoratori, anche se al momento in cantiere si continua a

lavorare, seppur con ritardi dovuti all'assenza delle materie prime che devono mettere a disposizione i

fornitori, preoccupati della crisi dell'azienda e dai mancati pagamenti». Vie di uscita? «La Prefettura -

informano le organizzazioni sindacali - su nostra richiesta si è attivata, convocando per domani un tavolo

con la Tecnis e l'Anas. In questo percorso si è inserita l'interdittiva antimafia. Ora solo con la nomina dei

commissari per la gestione della società, l'azienda tornerà operativa. Il Mise si è invece impegnato a

chiedere al Prefetto di Catania la nomina del commissario, e a riconvocare il tavolo in sua presenza».

Vedremo. (m.be.)

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29/11/2015Pag. 43 Ed. Rieti

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 41

CDP IMMOBILIARE Valorizzo dunque vendo Teresa Campo L'ultima operazione messa a segno è l'accordo con Rosewood per trasformare l'imponente edificio dell'ex

Poligrafico di Roma in un hotel di lusso. Ma per il braccio real estate di Cdp non è che uno degli importanti

risultati ottenuti quest'anno in quel complesso ambito che si definisce valorizzazione immobiliare, tema di

cui si parla tanto, spesso ma si conclude poco. Il compito di prendere un immobile e trasformarlo in modo

da renderlo adatto per il mercato, cioè che si vende bene e in fretta, è del resto tutt'altro che semplice,

lineare e codificato. Ma è d'obbligo in un mercato difficile come l'attuale, pena il rischio di non riuscire a far

emergere fino al 40-50% del valore dell'asset. Cdp invece in un anno ha messo mano a oltre il 10% dei 2

miliardi di euro di patrimonio (di derivazione pubblica), per 2,7 milioni di mq, incassando circa 300 milioni. Il

come lo spiega Giovanni Paviera, amministratore delegato di Cdp Immobiliare. Domanda. In un anno avete

chiuso operazioni come le Torri Fintecna all'Eur, la cessione di un pacchetto di immobili a Milano e ora il

Poligrafico, solo per dire le più importanti. Con quale approccio? Risposta. Intanto bisogna distinguere

perché per le prime siamo già alla fase di vendita e per il Poligrafico no. Ma va chiarito subito che la vendita

è solo l'ultimo step. Quello che conta è trovare per ciascun immobile la formula, anche finanziaria, per

riuscire a farne emergere il valore e solo alla fine portarlo sul mercato, formula che può richiedere tempi

lunghi. Del resto Cdp non è un investitore opportunistico. Nel caso dell'ex Poligrafico per esempio, edificio

di pregio storico, 60 mila mq in zona Parioli, la destinazione hotel e appartamenti di lusso era quasi

scontata. Abbiamo scelto Rosewood, colosso alberghiero anglosassone, perché gestisce hotel di grande

successo come il Carlyle di New York o il de Crillion di Parigi, e può contare inoltre sulla notorietà nel

mondo asiatico della controllante New World China Land ltd, plus non da poco visto che per esempio il

nuovo hotel Mandarin di Milano è quasi completamente occupato da asiatici, mentre gli americani vanno al

Four Seasons. Con Rosewood abbiamo siglato un accordo di management contracting, nel senso che ci

assisteranno in tutti gli aspetti che riguardano la realizzazione dell'hotel, 200 camere e 50 appartamenti di

lusso, dagli arredi al marketing. Ci sono poi altri 28 mila mq che la proprietà del complesso immobiliare

deciderà direttamente se destinare ad abitazioni o uffici. D. Ma chi si occuperà della ristrutturazione. E

quando si passerà alla vendita? R. L'importante era mettere a punto una soluzione interessante per gli

investitori. Quindi per ora ci stiamo occupando direttamente dello sviluppo del progetto e infatti è già stato

avviato il cantiere per il parcheggio. Ora che tutto è definito, inclusa la redditività dell'immobile e una

gestione internazionale che darà all'edificio visibilità in tutto il mondo, è facile che altri investitori vogliano

inserirsi, per fare sviluppo insieme a Cdp, per rilevare parti del complesso o per altre possibilità. Rosewood

dal canto suo si è già impegnata a corrispondere un rendimento adeguato per la parte che gestirà. D.

Come vi siete mossi invece sugli altri progetti già portati a buon fine? R. Relativamente alle torri dell'Eur, ex

Fintecna, che rappresentavano un vero problema per Roma, abbiamo ceduto per 23 milioni il 50% della

partecipazione a Telecom Italia, che vi insedierà la sede di Tim. La società di telefonia parteciperà pro

quota all'equity stanziato per la riqualificazione, il resto verrà da finanziamenti bancari, per un investimento

totale di 100 milioni. Nel frattempo Cdp valuterà quando vendere l'altro 50%. D. E fuori Roma? R.A luglio

Cdp ha ceduto un pacchetto di sei immobili a Milano, due destinati a uffici e il resto al residenziale, di cui

abbiamo curato tutta la parte urbanistica, vale a dire che l'acquirente a quel punto doveva solo aprire il

cantiere. Abbiamo poi fatto la gara e ha vinto la cordata formata da Beni Stabili, Borio Mangiarotti e Varde

(fondo immobiliare americano al debutto in Italia), per di più puntando su un progetto di sviluppo. Le varie

operazioni hanno generato forti incassi, che servono per finanziare nuove operazioni, e un notevole indotto,

che serve a far crescere il Paese. (riproduzione riservata)

28/11/2015Pag. 30 N.235 - 26 novembre 2015

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 42

Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/cdp

Foto: L'edificio dell'ex Poligrafico a Roma, che diventerà un hotel

Foto: Giovanni Paviera

28/11/2015Pag. 30 N.235 - 26 novembre 2015

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 43

PARLA ALGERI, ALLA GUIDA DEL TERRITORIO CREDEM IN SICILIA Fiducia per le imprese Aumento degli impieghi a favore delle pmi e strumenti per affrontare l'export. Così l'istituto emilianoscommette sulla ripresa dell'Isola Antonio Giordano Un aumento del 2,4% a settembre dello stock di impieghi destinato alle pmi rispetto allo stesso mese del

2014, e una crescita del +7,4% per le erogazioni di mutui a medio termine alle imprese. Credem, l'istituto di

Credito emiliano, crede nelle possibilità delle imprese siciliane, specie quelle votate all'export. Lo dice a

Milano Finanza Sicilia Costantino Algeri, direttore territoriale dell'istituto che conta in Sicilia 61 filiali e due

centri per le imprese. Domanda. Quali sono le principali caratteristiche del tessuto economico-industriale

della regione e quali sono le prospettive per i prossimi mesi? Risposta. L'osservatorio congiunturale

dell'economia siciliana ci mostra segnali di stabilizzazione dell'econmia regionale, dove si distinguono con

performance di crescita nel terzo trimestre 2015 per le imprese di maggiore dimensione e con una

vocazione all'export. Agroalimentare e chimica sono i settori che stanno registrando importanti segnali di

ripresa, sfruttando la vendita all'estero. La petrolchimica ha subito un calo nominale degli importi per effetto

della contrazione del prezzo del petrolio, ma i volumi sono in sostanziale crescita. Anche nel campo dei

servizi commercio e turismo hanno dato segnali di ripresa per il territorio siciliano. In virtù del calo di costo

del denaro si prevede una ripresa anche nel settore immobiliare e costruzioni nell'anno prossimo. D. Dal

vostro osservatorio quali sono gli elementi più importanti oggi nel rapporto tra banca ed imprenditore? R.

Elemento fondamentale è conoscere le necessità e i progetti dei clienti per essere in grado di capire le

esigenze di ciascuno e fornire un supporto dedicato con strumenti finanziari costruiti su misura ed adatti a

favore dello sviluppo dell'impresa. Crediamo sia fondamentale sostenere le pmi, che rappresentano

l'ossatura del sistema economico siciliano, e in particolare le imprese che intendono investire in

internazionalizzazione o in innovazione. Questi, come dimostrano i numeri, sono i due principali driver per

garantire lo sviluppo delle imprese. D. Andare all'estero però non sempre è facile, specie per le imprese più

piccole. R. Gli strumenti non mancano. Abbiamo stipulato a luglio un accordo con Sace per favorire i

progetti di internazionalizzazione che prevedeva 250 milioni di euro agevolati dalla garanzia Sace fino al

50% dell'importo finanziato. Abbiamo inoltre sottoscritto con il Fei (Fondo Europeo per gli Investimenti) il

primo accordo Cosme in Italia per un plafond complessivo di 550 milioni di euro a partire dallo scorso mese

di agosto per le pmi italiane con profilo di rischio medio basso. Si tratta di un'iniziativa che beneficia del

supporto del Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici (Feis), attraverso la quale è realizzato il Piano

degli Investimenti per l'Europa voluto dalla Commissione Europea e dalla Banca Europea per gli

Investimenti (Bei). Abbiamo infine rinnovato a giugno un accordo con il Fondo Europeo per gli Investimenti

(Fei) per l'erogazione di prestiti a tassi agevolati assistiti dalla Garanzia del Fei per l'innovazione delle

imprese. D. Come sta andando il 2015 a livello di domanda di credito da parte delle imprese siciliane? R.

Le condizioni di accesso al credito sono complessivamente divenute più favorevoli nel primo semestre del

2015, con un andamento differenziato tra i vari intermediari. Per quanto ci riguarda abbiamo sempre

mantenuto livelli di patrimonializzazione tra i più alti del sistema con, a fine settembre, un Cet1 Ratio pari a

13,64% e siamo stati in grado di continuare a erogare prestiti a famiglie e imprese anche negli anni più

difficili. Lo stock degli impieghi Credem a settembre sulle imprese siciliane registra un +2,4% rispetto allo

stesso mese del 2014, e in particolare evidenziamo una crescita del +7,4% per le erogazioni di mutui a

medio termine alle imprese. Inoltre per questa ultima parte dell'anno abbiamo messo a disposizione di oltre

5 mila aziende nostre clienti un plafond predeliberato di 190 milioni di euro per finanziare le spese di fine

anno dovute ad approvvigionamenti di magazzino, tredicesime e scadenze fiscali. A ottobre abbiamo già

erogato un 30% del plafond, i nostri consulenti sono a disposizione per valutare le esigenze di imprenditori,

28/11/2015Pag. 1 N.235 - 26 novembre 2015

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 44

artigiani, agricoltori e liberi professionisti siciliani e offrire soluzione costruite su misura. (riproduzione

riservata)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 45

Novità e criticità sul reverse charge dell'Iva sulle prestazioni relative agli edifici L'inversione contabile fa meno paura: la sanzione diventa fissa FRANCO RICCA L'inversione contabile dell'Iva sulle prestazioni relative agli edifici si avvia al compimento del primo anno di

vita tra le quotidiane diffi coltà dei contribuenti, alle prese con i dubbi sulla qualifi cazione delle molteplici

operazioni potenzialmente inquadrabili tra le fattispecie alle quali la legge n. 190/2014 ha esteso il

meccanismo speciale di applicazione dell'imposta. Alle criticità storiche, come la classifi cazione

dell'operazione tra le prestazioni di servizi oppure tra le cessioni di beni, le disposizioni inserite alla lettera

a-ter) nel sesto comma dell'art. 17, dpr n. 633/72, ne hanno aggiunte altre: per esempio, la delimitazione

della nozione di edifi cio, il trattamento delle prestazioni che interessano solo in parte l'edifi cio, il regime dei

contratti con prestazioni «miste». In questo quadro obiettivamente complesso, a stemperare un po' le ansie

delle imprese e dei loro consulenti contribuiscono le novità introdotte dal dlgs n. 158/2015, le cui

disposizioni saranno applicabili dal 1° gennaio 2017 (ma il ddl di stabilità 2016 prevede l'anticipo al 1°

gennaio prossimo). Il nuovo regime sanzionatorio delineato per le violazioni in materia di inversione

contabile, applicabile retroattivamente in base al principio del favor rei, riconosce, infatti, natura formale a

tali violazioni: in base alle nuove disposizioni, inserite nei commi 9-bis1 e 9-bis2 dell'art. 6, dlgs n. 471/97,

qualora l'imposta sia assolta dal soggetto sbagliato, l'erronea modalità di applicazione sarà punita con la

sanzione fi ssa da 250 a 10 mila euro (e non più con la sanzione proporzionale del 3% dell'imposta). Di

conseguenza, in caso di plurime violazioni, si applicherà una sanzione unica in base al principio del cumulo

giuridico del «concorso materiale omogeneo di violazioni formali». Per stare tranquilli, però, occorre la

certezza che l'imposta sia stata assolta. Le disposizioni della lettera a-ter). L'art. 1, comma 629, della legge

n. 190/2014, ha ampliato l'area delle operazioni soggette all'inversione contabile, estendendo il

meccanismo speciale, a decorrere dal 1° gennaio 2015, alle «prestazioni di servizi di pulizia, di

demolizione, di installazione di impianti e di completamento relative a edifi ci», ovviamente allorquando rese

a soggetti passivi che agiscono in quanto tali. La nuova fattispecie, codifi cata nella lettera a-ter) del sesto

comma dell'art. 17, dpr 633/72, è contigua a quella della lettera a), che sin dal 2007 assoggetta

all'inversione contabile le prestazioni di servizi, compresa la prestazione di manodopera, rese nel settore

edile da soggetti subappaltatori nei confronti delle imprese che svolgono l'attività di costruzione o

ristrutturazione di immobili ovvero nei confronti dell'appaltatore principale o di un altro subappaltatore,

eccettuate le prestazioni di servizi rese nei confronti di un contraente generale a cui venga affi data dal

committente la totalità dei lavori. Riguardo all'oggetto, le disposizioni della lettera a) hanno una portata più

ampia di quelle della lettera a-ter), perché abbracciano tutte le prestazioni del settore edile; d'altro canto,

però, per la loro applicazione occorrono due presupposti che ne circoscrivono sensibilmente il raggio

d'azione e che non fi gurano nelle nuove disposizioni, essendo richiesto (i) che le prestazioni siano rese

sulla base di un contratto di subappalto e (ii) verso un committente anch'esso operante nel settore edile. La

lettera a-ter) menziona esclusivamente le prestazioni di servizi di pulizia, di demolizione, di installazione

impianti e di completamento degli edifi ci, sicché si applicherà alle suddette prestazioni alla sola condizione

che siano rese nei confronti di soggetti passivi (rapporti B2B). Secondo la circolare n. 14/2015 dell'Agenzia

delle entrate, per individuare le prestazioni interessate si deve fare riferimento alla tabella Ateco 2007, e

precisamente ai codici di attività che, nell'ambito della divisione 43 della sezione F, descrivono le

prestazioni summenzionate, analiticamente indicati dalla stessa circolare. Il riferimento ai codici di attività

ha carattere oggettivo, nel senso che le prestazioni oggettivamente riconducibili ai codici i n d i v i d u a t i

dall'Agenzia sono sottoposte all'inversione contabile a prescindere dal codice di attività con il quale i l s o g

g e t t o passivo risulta registrato e indipendentemente dalla c i r c o s t a n z a che egli operi o meno

abitualmente nel settore edile. Le prestazioni di servizi di manutenzione e di riparazione di impianti, pur

30/11/2015Pag. 6 N.284 - 30 novembre 2015

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 46

differenziandosi da quelle di «installazione» (le sole menzionate dalla norma), sono classifi cate nello

stesso codice di queste ultime, sicché, alla luce del criterio adottato dall'agenzia, devono ritenersi

assoggettate all'inversione contabile. Il meccanismo speciale si applicherà quindi anche alle prestazioni di

servizi effettuate dopo l'operazione di installazione di impianti su edifici, aventi a oggetto l'assistenza e la

manutenzione degli impianti medesimi, in esecuzione di obbligazioni assunte con il contratto principale,

oppure in via autonoma. È irrilevante, al riguardo, che dette prestazioni siano eseguite dallo stesso

soggetto che ha fornito e installato l'impianto, oppure da terzi per suo conto, oppure da terzi in via

autonoma sulla base di un rapporto diretto con il titolare dell'impianto; così come è inin uente la circostanza

che il servizio di assistenza sia pattuito in forma di abbonamento, dietro pagamento di un canone forfetario

prestabilito, indipendentemente dalle richieste di intervento, sicché la materiale esecuzione delle

prestazioni potrebbe anche mancare. Per quanto riguarda le prestazioni di completamento degli edifi ci,

l'agenzia ha osservato che il termine «completamento» viene utilizzato nella lettera a-ter) in senso atecnico,

senza alcun nesso con la defi nizione degli interventi edilizi di cui all'art. 3 del dpr n. 380/2001; di

conseguenza, per esempio, la prestazione di servizi di tinteggiatura di un edifi cio o di una sua porzione,

rientrante nel codice attività 43.34.00, è soggetta al regime dell'inversione contabile anche se resa nel

quadro di lavori di semplice manutenzione di un edifi cio esistente. Le prestazioni di servizi di pulizia sono

le uniche la cui individuazione, sempre con il criterio dei codici di attività, esula dal comparto dell'edilizia di

cui alla divisione 43 della sezione F, nella quale è menzionata solamente la «pulizia di nuovi edifi ci dopo la

costruzione» (codice attività 43.39.09). La circolare n. 14/2015 ha infatti precisato che il meccanismo

speciale si applica alle prestazioni rientranti nei codici di attività 81.21.00 e 81.22.02, limitatamente a quelle

rese sugli edifi ci (e non su altri immobili, oppure su beni mobili, o su impianti e macchinari industriali).

30/11/2015Pag. 6 N.284 - 30 novembre 2015

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 47

Prestazioni miste da scomporre È necessario scomporre le varie operazioni per individuare, ai fi ni della fatturazione, da un lato, leprestazioni da assoggettare al meccanismo speciale, che per le sue fi nalità antifrode rappresenta la regolaprioritaria e, dall'altro, le operazioni da assoggettare alle regole ordinarie Nel settore dei lavori edili accade spesso che nell'ambito di un unico rapporto contrattuale vengano

eseguite sia prestazioni di servizi rientranti nel regime dell'inversione contabile, sia operazioni diverse. In

tale eventualità, secondo la circolare n. 14/2015, si rende necessario scomporre le varie operazioni per

individuare, ai fi ni della fatturazione, da un lato, le prestazioni da assoggettare al meccanismo speciale,

che per le sue fi nalità antifrode rappresenta «la regola prioritaria» e, dall'altro, le operazioni da

assoggettare alle regole ordinarie. La circolare fornisce l'esempio del contratto che prevede l'installazione di

impianti insieme ad altre prestazioni generiche. Ma si può anche pensare a un'altra situazione, certamente

assai frequente, di compresenza tra prestazioni rientranti nell'inversione contabile e presentazioni che

invece non vi rientrano, per altra ragione: per esempio, il contratto avente per oggetto, unitariamente,

l'appalto dei servizi di pulizia di un edifi cio, dei mobili e arredi che vi sono contenuti, nonché delle aree

pertinenziali circostanti. In tali casi, si dovranno distinguere i corrispettivi per quantifi care la base imponibile

da assoggettare all'imposta con il meccanismo speciale e quella da sottoporre invece alle regole ordinarie.

Questo doppio regime dell'operazione si traduce nell'esecuzione di adempimenti differenti da parte degli

interessati, in quanto nell'inversione contabile l'imposta è applicata dal destinatario mediante integrazione

della fattura del fornitore, mentre con le regole ordinarie è addebitata dal fornitore in fattura. Di

conseguenza, nelle ipotesi in esame, al fi ne di agevolare l'esecuzione degli adempimenti contabili di

entrambi i soggetti, sarà opportuno e forse anche necessario, ancorché non vi sia un obbligo normativo,

procedere all'emissione di due distinte fatture. Le complicazioni che ne discendono sono evidenti, non solo

sul piano gestionale, ma, ancora prima, riguardo alle diffi coltà di «scomposizione» dei diversi elementi

dell'operazione unitariamente considerata per la quantifi cazione della rispettiva base imponibile;

emblematico è il caso, evocato prima, del contratto d'appalto dei servizi di pulizia globale di un fabbricato e

dei suoi impianti, arredi e spazi esterni. Sarebbe auspicabile, sul punto, che l'amministrazione

riconsiderasse la questione, valorizzando maggiormente l'eccezione di cui appresso, nell'ottica dei principi

di qualificazione delle operazione statuiti dalla corte di giustizia Ue, richiamati più avanti. Costruzione o

interventi di recupero. La circolare n. 14/2015 riconosce che il principio della scomposizione delle

prestazioni sarebbe difficilmente applicabile con riferimento all'ipotesi di un unico contratto d'appalto,

comprensivo anche di prestazioni soggette al «reverse charge», avente a oggetto la costruzione di un

edificio o interventi di restauro, risanamento o ristrutturazione ex art. 3, lett. c) e d), dpr n. 380/2001; in tal

caso, in una logica di semplificazione, la circolare ammette che si dovrà applicare solo il regime ordinario. A

proposito dell'esemplificazione, si deve però osservare che il contratto d'appalto avente a oggetto la

costruzione o la ristrutturazione completa di un edifi cio esula dal meccanismo dell'inversione contabile per

un'altra ragione prioritaria, ossia perché concretizza lo svolgimento di un'attività non riconducibile ai codici

di attività del gruppo 43 - Lavori di costruzione specializzati, individuati dalla circolare, bensì classifi cabile

nel codice attività 41.20.00 nell'ambito del gruppo 41 - Costruzione di edifi ci. Il principio riconosciuto dalla

circolare, tuttavia, ben potrebbe trovare applicazione nel caso in cui l'intervento edilizio complesso e

unitario, nell'ambito del dpr n. 380/2001, sia qualifi cabile come manutenzione.

L'inversione contabile della lettera a-ter Riguarda le prestazioni di servizi di pu• lizia, di demolizione, di

installazione di impianti e di completamento relative ad edifi ci, rese in ambito «B2B» Per l'individuazione

delle suddette • prestazioni, occorre fare riferimento oggettivo alle corrispondenti attività descritte

nell'ambito della divisione 43 della sezione F tabella Ateco 2007 Tutti i codici attività interessati • sono

analiticamente indicati nella circolare n. 14/2015 dell'Agenzia delle entrate Sono escluse le operazioni

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 48

qualifi ca• bili come «cessioni di beni» Sono escluse le prestazioni relative • a beni non riconducibili nella

nozione di «edifi cio» In presenza di un unico contratto, • comprendente sia prestazioni rientranti

nell'inversione contabile che prestazioni escluse, occorre distinguere i corrispettivi

30/11/2015Pag. 7 N.284 - 30 novembre 2015

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 49

L'area dissequestrata a luglio Il nuovo piano per Santa Giulia bloccato da due anni in Comune Il progetto da 1 miliardo di euro presentato a gennaio 2014: in stand by i cantieri di case, parco e palasport CLAUDIA OSMETTI L'investimento da 1 miliardo di euro è pronto, il nuovo piano dettagliato è stato consegnato nel gennaio

2014. Ma il via libera di Palazzo Marino al progetto Milano Santa Giulia non è ancora arrivato. L'intero

quartiere in «stand by» è Montecity-Rogoredo, periferia Sudest del capoluogo lombardo, tra la stazione di

Rogoredo e Ponte Lambro: oltre un milione di metri quadri dove dovrebbero sorgere abitazioni, esercizi

commerciali, palasport, (...) segue a pagina 35 (...) parco e poli di servizio. Ma la parte Nord, all'interno

della Zona 4, è ferma da 22 mesi, quando era partito l'iter amministrativo relativo alla variante del progetto

originario di costruzione. Il Comune aveva preso tempo già allora, volendo attendere il dissequestro

dell'area deciso a seguito dell'inchiesta sulle presunte irregolarità di bonifica del quartiere. Peccato però

che quel via libera giudiziario sia arrivato a luglio, quando il giudice del tribunale meneghino Giulia Turri ha

emesso il provvedimento di revoca del sequestro preventivo sul cantiere: d'altro canto l'indagine su Luigi

Zunino e gli altri 10 imputati era finita con un nulla di fatto. Tutti prosciolti, nessun reato ambientale

perseguibile, men che meno quello di inquinamento della falda acquifera che «non sussiste», come aveva

dichiarato il giudice preliminare di Milano Roberta Nunnari già nel 29 maggio 2014. Eppure niente: è ancora

tutto fermo. I soldi ci sono, quelli dei privati della «Milano Santa Giulia Spa», manca solo il nullaosta del

Comune. O meglio, la società milanese aspetta di chiudere l'iter con l'amministrazione comunale e quindi di

procedere con l'accordo di programma in Regione Lombardia. Come a dire: carte bollate, burocrazia. Fino

a oggi sono stati spesi circa 500 milioni di euro, tra costi di edilizia residenziale convenzionata, la sede del

colosso dell'informazione Sky e varie opere di urbanizzazione. La stima è che servirà ancora poco più che

un miliardo di euro per completare il cantiere. Quando? Probabilmente nel 2028, ma tutto sta alla data

effettiva di (ri)inizio dei lavori. E dire che, caschetto protettivo e giubbotto catarifrangente addosso, gli

operai lì ci sono dal 2006, quando è stata completata la prima tranche di sviluppo edilizio nella zona sud

dell'area: circa il 30% del progetto complessivo. Per finire la parte meridionale mancano «solo» 35mila

metri quadri, e qui le trattative con i privati sono già a buon punto. Quello che preoccupa è la zona nord: il

23 novembre scorso c'è stata la prima Conferenza dei Servizi dove è stato «consolidato» il progetto;

incassato il via libera di Palazzo Marino, poi dovrà essere ratificato l'accordo di programma a Palazzo

Lombardia. L'iter amministrativo, a questi ritmi, potrebbe allungarsi fino al 2016 scavalcando addirittura le

elezioni comunali in programa probabilmente a metà giugno. Tant'è: sulla carta quel progetto è a misura di

cittadino. Anzi, si propone di essere il primo quartiere "smart" della Milano moderna. Nel senso: non

pensate che siano solo abitazioni e condomini residenziali. Nossignori. Servizi commerciali, una piazza

mercato destinata ai sistemi di vendita al dettaglio, due business center. Ma non solo. Nei piani della Milano

Santa Giulia Spa ci sono anche un museo tecnologico e dell'innovazione dedicato ai più piccoli che avrà

una capienza di qualcosa come 600mila visitatori all'anno e un'arena polifunzionale con 15mila posti. Più

grande del Forum di Assago, per intenderci. E a poco importa che le planimetrie della Milano Santa Giulia

Spa ripecchino a pieno titolo la visione dell'amministrazione comunale in materia, visto che la società si

propone di «gestire in modo sistemico e coordinato la mobilità urbana, riorganizzando la gestione della

domanda e migliorando l'utilizzo dei servizi compresi i sistemi di sosta e parcheggio». È la stessa linea

usata da Palazzo Marino nel Framework di governance della Smart City dell'agosto 2014, un documento

che si proponeva di evidenziare il lavoro svolto dal Comune nello stesso settore. Per inciso, nel progetto

della nuova Montecity-Rogoredo sarebbero 4.500 i posti auto interrati o garantiti in struttura. Quando il

Comune darà i permessi per costruirli, ovvio.

28/11/2015Pag. 33 Ed. Milano

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 50

UN NUOVO QUARTIERE PER MILANO Una vista dall'alto del nuovo progetto di Milano Santa Giulia, alla

periferia Sudest del capoluogo lombard; in alto a sinistra una vista del parco con le residenze sullo sfondo

28/11/2015Pag. 33 Ed. Milano

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 51

Dialoghi Per una politica industriale Paolo Luca Stanzani Ghedini La politica industriale ha cattiva fama. Dove lo stato fa le cose e interviene, è opinione diusa, le fa male e il

suo intervento nell'economia produce inecienza quando non corruzione e sottogoverno. Non bisogna

"buttare via il bambino con l'acqua sporca". Va distinto fra interventi dello stato centrale e interventi locali.

Quello che manca è un'idea e un percorso gestionale chiaro per mettere insieme e realizzare con ecacia:

risorse finanziarie, infrastrutture, progetti di sviluppo. Il problema è l'assenza dello stato centrale e il

proliferare del potere locale. Bisogna riportare al centro la pianificazione dei principali progetti infrastrutturali

e di sviluppo del Paese e chiudere le inutili aziende locali. L'idea è ripensare il tutto facendo intervenire con

diversi ruoli i seguenti attori: il legislatore, con il compito di fare leggi per sottrarre responsabilità agli enti

locali e adare il controllo ad alcuni punti centrali della pubblica amministrazione e la realizzazione a grandi

imprese pubbliche e private riattivando in nuova logica i Contratti di Programma e simili; le grandi imprese

pubbliche (Poste, Ferrovie, Enel etc.) come braccio operativo dei progetti; quelle grandi private (Telecom

ed altre) anch'esse dove utile come realizzatori operativi; le grandi organizzazioni finanziarie statali (fra

tutte Cassa Depositi e Prestiti) come pianificatori e coordinatori, ma anche controllori dei progetti. Va

recuperata l'idea che in certi casi lo stato deve intervenire di più: non devono limitarsi a trovare i soldi

devono tornare a essere capaci di fare piani industriali, controllarli e contribuire a realizzarli. Esempi

concreti Agenda Digitale: mancano capacità di fare piani finanziari, simulare modelli di business,

immaginare soluzioni realizzative. Il ministero della PA non ha queste competenze e molti dei progetti

sviluppati erano astratti o velleitari. Cosa fare? Adare a grandi aziende pubbliche o private la realizzazione.

Partiamo da cosa è stato informatizzato dei servizi della PA e sviluppiamo un modello di business pubblico/

privato: esternalizziamo, ad esempio, a Poste o a Telecom l'hub dei pagamenti verso la PA girandogli parte

degli introiti pagati dagli utilizzatori dei servizi. Più stato e pianificazione per permettere, in questo caso,

un'ecace esternalizzazione di alcune attività. Larga Banda: leggi e regolamentazione "intelligenti". Chiarire

definitivamente cosa può fare il mercato e cosa no. Quello che il mercato non può fare può essere o

sussidiato o, meglio, essere oggetto di "scambio regolatorio". Definiamo una regolamentazione dove i

principali operatori che investono, iniziando da Telecom, siano incentivati perché ne hanno un vantaggio.

Individuiamo interventi finanziari, legislativi per rendere i piani economicamente convenienti per chi li deve

realizzare. Autostrade (regionali): i soldi mancano o si riescono a spendere con dicoltà. Dove ci sono le

società regionali gli appalti sono un calvario e il rischio corruzione è sempre dietro l'angolo. Gli

adeguamenti tariari sono condizionati da logiche demagogiche, aumentare i pedaggi non è popolare, ma

così i servizi stentano. Anche qui: sveltire i processi realizzativi, definire e concentrare le risorse, chiudere

le società locali, riorganizzarle e concentrarle. Tutela del territorio: l'Italia cade a pezzi, gli enti locali non

sono in grado di gestire il fenomeno: riaccentrare le responsabilità, dotarsi di capacità di programmazione e

controllo e anche di esecuzione. Alcuni interventi in ambito pubblico Cassa Depositi e Prestiti: è sempre più

una banca d'aari posseduta dallo Stato. Le banche d'aari sono utili ma servono per fare solo alcune cose.

Banche e banchieri sono poco interessati al business, alla politica industriale, agli indirizzi strategici. La

Cassa dovrebbe evolvere da asettico istituto di finanziamento ad organizzazione capace di dare indirizzi e

gestire progetti. Giustizia amministrativa e leggi: TAR, Consiglio di Stato sono all'origine di molte

lungaggini. Bisognerebbe semplificare, iniziando dall'attività legislativa. Molte leggi e decreti ministeriali

sono incomprensibili. Questo fa sì che la giustizia amministrativa supplisca con le interpretazioni. Manca

anche una visione organica. Per quotare Royal Mail hanno fatto il Postal Act, legge organica sulla posta.

Quando si è iniziato a parlare di quotare Poste ho detto che bisognava fare come in Inghilterra. Mi hanno

risposto: hai ragione, ma da noi è dicile, meglio fare qualche modifica inserendola in un'altra legge. Il

29/11/2015Pag. 14 L'Unità

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 52

consiglio era di buon senso, ma questo significa continuare ad arrangiarsi nella logica del "male minore".

29/11/2015Pag. 14 L'Unità

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 53

EDILIZIA LE BUSTE CON LE OFFERTE SARANNO APERTE IN SEDE DALLE 15 ALLE 18 Oggi all'asta gru e ponteggi della Cesi In vendita beni per 1,5 milioni dieuro CHIUDERANNO a mezzogiorno i termini per far pervenire alla sede della Cesi, in via Sabbatani, le buste

chiuse con le offerte per la prima asta indetta nell'ambito della procedura di liquidazione coatta. Ben 22 i

lotti a bando, per una base d'asta totale di un milione 487mila euro. Ma di immobili, almeno per il momento,

non si parla. All'asta, infatti, sono finiti buona parte degli strumenti e delle attrezzature di lavoro della

cooperativa edile, saltata nell'estate 2014 sotto il peso di quasi mezzo miliardo di debiti. Oggi, quindi,

finiranno in vendita escavatori, gru, ponteggi, box, quadri e gruppi elettrici, ma anche le auto usate dalla

coop, i camion e i furgoni, gli attrezzi da cantiere. NON sarà possibile presentare offerte per singoli pezzi,

ma per i lotti predisposti per l'asta e che vanno da un minimo di 2.600 euro a un massimo di 682mila. Dalle

15 alle 18, nella sede della cooperativa, davanti al notaio, verranno aperte le buste. Vige il principio che

l'offerta più alta si aggiudica il lotto, mentre a parità di offerte si procederà con rialzi, dove il minimo è

programmato. Le aste dei primi immobili e cantieri di Cesi, invece, saranno indette nel 2016. L'obiettivo di

oggi, nemmeno a dirlo, è che ogni lotto venga assegnato, consentendo alla procedura di recuperare più

liquidità possibile con la quale poi pagare i creditori. «E' STATO un gran lavoro quello svolto dagli addetti

dell'ufficio magazzino di Cesi - afferma il commissario liquidatore Antonio Gaiani -. Le perizie sono state

eseguite dal professor Marco David, che ringrazio, ma è stato fondamentale anche il lavoro dell'avvocato

Piervincenzo D'Adamo dell'ufficio aste». c. d.

28/11/2015Pag. 3 Ed. Imola

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 54

Campus di veterinaria, via ai cantieri «Una ricchezza per tutto ilterritorio» di GABRIELE GABBINI - LODI - SE NE PARLA ormai da una decina d'anni (da quando, cioè, nacque la

clinica veterinaria inaugurata da Carlo Azeglio Ciampi) ed è da sempre un punto fermo

dell'Amministrazione di Simone Uggetti. Finalmente, il 14 dicembre, verranno presentati i cantieri che

porteranno a Lodi la facoltà di Veterinaria. È ufficialmente iniziato allora il count down per il completamento

del polo universitario. Il 20 ottobre sono scattati i termini per la realizzazione del campus e delle strutture

necessarie al trasferimento integrale della facoltà di Veterinaria dell'Università Statale di Milano, la chiusura

del cantiere è prevista per maggio 2017. La presentazione avrà luogo lunedì 14 nell'aula magna del Polo di

Veterinaria, alla presenza del rettore, Gianluca Vago, e dell'autore del progetto preliminare Kengo Kuma,

con la partecipazione del presidente della Regione Roberto Maroni, del numero uno della Provincia Mauro

Soldati, del presidente della Camera di commercio Carlo Gendarini e, inevitabilmente, del sindaco di Lodi

Simone Uggetti, insieme all'ex collega e attuale segretario nazionale del Pd Lorenzo Guerini. «Si tratta di

un grande traguardo per tutto il territorio - commenta Uggetti -. Il percorso concordato procede

speditamente e a breve prenderà forma il cantiere di quella che, per valore strategico ed entità

dell'investimento, è sicuramente la principale opera pubblica realizzata nel territorio negli ultimi decenni».

Progetto e lavori sono affidati al raggruppamento temporaneo di imprese costituito da Consorzio Ciro

Menotti di Ravenna, Pro.Edil Srl di Cinisello Balsamo e Salc Spa di Milano. Per quanto riguarda la

progettazione, sarà curata da un raggruppamento di professionisti comprendente Mythos consorzio stabile

di Aosta, Team Architects Epta Srl e Geo engineering Srl. Rispetto a una base di gara di 44 milioni,

l'importo di aggiudicazione è stato pari a oltre 36 milioni di euro. L'INTERVENTO riguarda l'area adiacente

alle strutture del polo universitario di Lodi, comprendenti l'ospedale veterinario universitario e il centro

zootecnico. Il progetto del nuovo Campus (che ospiterà circa 2.470 tra studenti e personale docente e non)

è suddiviso in due lotti, relativi agli edifici per la didattica e i servizi e alle attività dipartimentali: un vero e

proprio paese dei balocchi per i ricercatori composto da 15mila metri di quadrati di laboratori. L'intervento fa

parte dell'ultimo Accordo di Programma sul Polo Universitario e della Ricerca di Lodi, che tra tutto prevede

un investimento complessivo di 62 milioni 600mila euro finanziati da Università degli Studi di Milano,

Regione, Provincia e Comune. [email protected]

28/11/2015Pag. 3 Ed. Lodi

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 55

Controllo dei lavori alle paratie: l'Anticorruzione setaccia le procedure Roberto Canali COMO DOPO AVER smontato, pezzo per pezzo, la terza variante che doveva essere il

capolavoro di Mario Lucini, l'Autorità nazionale anticorruzione (Anac) è tornata a bussare a Palazzo

Cernezzi per chiedere ulteriori chiarimenti sul cantiere delle paratie. È da un anno che i commissari di

Raffaele Cantone tengono sotto scacco l'opera più importante del Comune di Como. Gli uomini dell'Anac

sono tornati alla carica, ipotizzando una presunta incompatibilità del direttore lavori e chiedendo chiarimenti

sull'unica vasca antiesondazione finora realizzata. Una questione, quella della possibile incompatibilità

dell'ingegner Pietro Gilardoni, scelto dal Comune anche se in passato aveva svolto delle consulenze per

conto di Sacaim, l'azienda appaltatrice dei lavori sul lungolago, già sollevata anche dalle opposizioni.

SOTTO la lente d'ingrandimento prima delle minoranze e ora dell'Anticorruzione, il ruolo svolto da Gilardoni

nel 2007 e nel 2008, quando da libero professionista collaborò con il colosso veneto artefice del Mose per

uno studio dei fabbricati prospicenti il lungolago, salvo poi trovarsi pochi anni dopo a svolgere il ruolo di

controllore dello stesso cantiere per conto del Comune. «Il rapporto di collaborazione era noto prima

dell'affidamento dell'incarico pubblico - si era difeso il sindaco, confermandogli la fiducia - per questo non

abbiamo ritenuto che fosse ravvisabile alcuna incompatibilità». Entro i prossimi dieci giorni la stessa

risposta, probabilmente articolata meglio, dovrà essere spedita a Roma ai commissari dell'Anticorruzione,

ai quali bisognerà fornire anche alcune specifiche sull'unica vasca finora realizzata per raccogliere le acque

del lago in piena. Comunque vada c'è ben poco da essere ottimisti, con un cantiere fermo da ormai tre

anni, il cui costo è già raddoppiato ancor prima di finire. Non solo, ogni giorno di fermo cantiere rischia di

costare al Comune diecimila euro di penali e il conto rischia di essere ancor più salato. Se l'Anticorruzione

dovesse confermare la bocciatura alla terza variante si dovrà riprogettare tutto da capo, rimanendo

completamente fermi almeno per altri due anni. A meno di non decidere di tirare dritto, rischiando però poi

di vedersela con Cantone e i suoi di fronte al Tar, con l'aggiunta della Corte dei Conti che in passato aveva

aperto un suo procedimento sul cantiere. Qualunque sia l'esito, la storiaccia rischia d'impantanare

l'amministrazione di Como per chissà quanto ancora.

29/11/2015Pag. 23

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 56

«La concorrenza sleale: un cancro per l'edilizia» di PAOLO CITTADINI - BRESCIA - NEL BRESCIANO dallo scorso giugno sono stati aperti 4.405 cantieri.

A fornire il numero sono le cosiddette notifiche preliminari, il documento da richiedere obbligatoriamente

all'Asl quando si dà il via a un cantiere. A prima vista il dato dice poco, ma in 1.137 di questi cantieri non

sono presenti imprese edili. «Un paradosso - spiega Angelo Massimo Deldossi, presidente dell'Ente

sistema edilizia Brescia - I lavori edili dovrebbero essere eseguiti solo da imprese del settore e non come

questi numeri confermano da soggetti registrati come altre attività. In questo modo si dà vita a forme di

illegalità che mettono in difficoltà tutta la filiera dell'edilizia. Una vera e propria concorrenza sleale che

rischia di minare la timida ripresa che imboccata dal settore». UNA ZONA d'ombra ben fotografata anche

da altri numeri. «Alla Camera di commercio bresciana - aggiunge Deldossi - sono iscritte circa 5.600

imprese edili con circa 24mila addetti. Se invece prendiamo gli elenchi della Cassa edile, a cui bisogna per

legge iscriversi, scopriamo che quelle registrate sono 2.700 con 15mila addetti. Mancano all'appello 3mila

imprese e 9mila addetti che operano a vario titolo in questa zona grigia. Una situazione creata con ogni

probabilità dalla crisi e che il nostro territorio, la seconda provincia italiana per l'edilizia, non ha mai

conosciuto». I controlli fatti a campione dall'Eseb confermano i timori. «Su 50 cantieri visitati, il 68%

presentava irregolarità - ha spiegato Deldossi nel corso di un seminario che si è tenuto ieri mattina nella

sede dell'ente e che ha visto la partecipazione di molti addetti ai lavori - Quasi un cantiere su due, 23 su 50,

fa concorrenza sleale: 10 cantieri nemmeno hanno in mano la notifica preliminare e in 13 è stata riscontrata

la presenza di lavoro autonomo non genuino». Il rischio come detto è quello di peggiorare le condizioni di

lavoro, mettere a rischio il diritto a una giusta retribuzione e garantire meno sicurezza. «Ci sono casi di

partite Iva che lavorano con dipendenti ma che dichiarandosi lavoratori autonomi non sono tenuti a redigere

il Piano operativo della sicurezza - sottolinea Roberto Bocchio, vicepresidente Eseb e segretario della Filca

Cisl di Brescia - Servono i controlli che però gli enti preposti non riescono a fare». Attraverso il proprio

Comitato legalità la Loggia collabora nella realizzazione di una banca dati aggiornata in tempo reale non

solo sugli appalti pubblici e privati, ma pure sui cantieri. «Il problema però è l'incomunicabilità tra enti -

osserva il coordinatore del Comitato, Roberto Mazzoncini - Ognuno sembra voglia tenere per sé i propri

dati e così si perdono le occasioni per far emergere le illegalità».

29/11/2015Pag. 7 Ed. Bergamo Brescia

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 57

Elisabetta Batic Soldi agli edili disoccupati La Regione rinnova il proprio impegno, nell'ambito della manovra Finanziaria 2016, a sostegno del reddito

dei lavoratori del settore edile, che continua ad essere uno dei comparti più colpiti dalla crisi.

L'Amministrazione regionale è autorizzata a concedere un contributo alle Casse edili di mutualità e

assistenza delle quattro Province finalizzato al riconoscimento, a favore dei lavoratori edili iscritti licenziati

nel 2016 e disoccupati per almeno tre mesi continuativi, di un trattamento di sostegno al reddito liquidato in

un'unica soluzione che integra il sistema degli ammortizzatori sociali. La Regione compartecipa alla spesa

per l'erogazione del trattamento in misura pari al 70% fino ad un massimo di 700 euro per ciascun

lavoratore. A tal fine, nel documento contabile che approderà in aula a metà dicembre, si prevede una

spesa di 280mila euro.

Emendamenti zeppi di poste puntuali fioccheranno durante la sessione interamente dedicata al bilancio

ma, intanto, il testo della «Legge di stabilità» destina 15mila euro al Club alpino italiano del Friuli Venezia

Giulia, 150mila alla Società Cooperativa «Gestione turistiche assistenziali» di Udine per interventi di

qualificazione forestale e ambientale, 120mila all'Associazione sportiva dilettantistica DP66 per

l'organizzazione dei Campionati italiani di ciclocross che si terranno a Forgaria del Friuli il prossimo anno. E

ancora 50mila euro all'Associazione sportiva dilettantistica Polisportiva Digiemme di Campoformido per

l'organizzazione e promozione del Campionato mondiale di basket under 20 maschile e 100mila euro al

Comune di Sedegliano per eventi culturali e pubblicazioni celebrative del centenario della nascita di padre

David Maria Turoldo. All'Associazione Comuni Terremotati e Sindaci della Ricostruzione del Friuli vanno

200mila euro.

Per quanto riguarda le Unioni comunali, il fondo per sostenere e promuovere i percorsi di fusione tra

Comuni ammonta a 3 milioni di euro per il triennio 2016-2018, a 6 milioni quello di accompagnamento dei

Comuni risultati da fusione (di cui un milione per il 2016, due per il 2017 e 3 per il 2018). Concesso un

contributo straordinario di 1,6 milioni al Consorzio per lo sviluppo industriale del Friuli Centrale per la

realizzazione di un nuovo scalo ferroviario.

Un ruolo più centrale viene attribuito ai Comuni che, sentiti l'Azienda per l'assistenza sanitaria e l'Ordine

provinciale dei farmacisti, individuano le zone nelle quali collocare nuove farmacie al fine di assicurare

un'equa distribuzione sul territorio tenendo conto dell'esigenza di garantire l'accessibilità del servizio

farmaceutico anche a quei cittadini residenti in aree scarsamente abitate. Entro il dicembre di ogni anno,

dopo aver verificato se ci sono le condizioni per aprire una nuova farmacia, il Comune nè darà

comunicazione all'Azienda sanitaria territoriale che procederà a bandire e gestire il concorso delle relative

sedi farmaceutiche, comprese quelle individuate dalla Regione nelle aree a maggior transito.

30/11/2015Pag. 11 Ed. Udine

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 58

Calabritto Cantieri edili irregolari, due denunce Carabinieri impegnati a Calabritto nel controllo dei cantieri edili. Verificato l'intervento per la

delocalizzazione dell'Area Pip e la realizzazione di un impianto di depurazione. Due le imprese edili che

stavano effettuano i lavori: la ditta appaltatrice ed una seconda impresa che effettuava lavori a cottimo.

Contestata la mancata predisposizione della prescritta segnaletica di sicurezza e delle indicazioni relative a

situazioni di rischio. Risultate assenti anche le misure di sicurezza per garantire l'uso dei dispositivi di

protezione individuale, che gli operai non utilizzavano. Denunciati i legali amministratori delle due società.

28/11/2015Pag. 38 Ed. Avellino

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 59

Montesarchio Stop ai disagi, dopo gli scavi riapre l'Appia Rinvenuti importanti reperti archeologici Saranno esposti in città MONTESARCHIO. Maria Tangredi Una gradita sorIl sindaco Si è scusato per 15 giorni di intralcio alla

viabilità e il cantiere aperto in centro L'Appia Finalmente libera dal cantiere che l'aveva «ingabbiata» per

quindici giorni presa quella che nella tarda mattinata di ieri hanno trovato gli automobilisti, con la riapertura

di via Napoli. La strada era stata chiusa da oltre 15 giorni, per i lavori che sono in corso in tutto il paese, per

la realizzazione della rete fognaria. Lavori che dovevano durare solo pochi giorni, ma nel corso degli scavi

sono stati rinvenuti alcuni reperti archeologici. Lavori quindi bloccati per consentire agli esperti della

Soprintendenza di poter effettuare i loro scavi. Tanti i disagi per gli automobilisti autoctoni e non costretti ad

allungare i percorsi. Infatti, via Napoli è una principale strada cittadina che collega il paese e l'Appia. Il

prolungarsi dei lavori sono stati motivo anche di lamentele da parte dei commercianti che con la strada

chiusa hanno lamentato perdite nelle vendite. Una riapertura che comunque era stata annunciata più volte

nei quindici giorni, e soltanto qualche giorno fa era stato ipotizzato un eventuale transito a senso alternato.

Ieri la riapertura mentre era in corso l'incontro di presentazione delle recenti scoperte archeologiche.

«Montesarchio tra infrastrutture e scavi archeologici» era il tema della conferenza preceduto da un concerto

dei musicisti dell'Accademia di Santa Sofia e dei «Solisti di Napoli». Nessun annuncio ma solo «scuse per i

disagi» e ringraziamenti, da parte del sindaco Francesco Damiano sulla riapertura, aveva fatto ipotizzare

che sarebbero trascorsi ancora giorni. Invece già a mezzogiorno il cantiere di via Napoli era stato riaperto.

Poche le auto che circolavano su questa strada solitamente trafficata, proprio perchè è stata una riapertura

a sorpresa. «In questi giorni - ha esordito il sindaco intervenendo alla conferenza - ci sono stati disagi, la

città è stata tagliata in due, e per questo faccio pubbliche scuse. Ma ringrazio tutti, i cittadini ed i

commercianti che hanno comunque avuto pazienza, poichè stiamo realizzando un'opera ciclopica. Ci

stiamo dotando di un sistema infrastrutturale nuovo. Non abbiamo pensato ad opere visibili ma a realizzare

qualcosa di più importante come la rete fognaria. E poi, durante questi lavori sono state fatte scoperte

importanti che arricchiscono il nostro partimonio culturale». Damiano ha poi affermato che comunque era

stato previsto e stabilito durante la conferenza di servizio con la Soprintendenza, prima dell'inizio dei lavori,

la destinazione pur se non eccessiva, di soldi per consentire gli scavi archeologici ma ha detto «pochi forse,

rispetto a quanto è stato rinvenuto». Il sindaco ha poi voluto ringraziare le forze dell'ordine per la

collaborazione ed i controlli notturni durante gli scavi in via Napoli, «essendoci stato - ha detto - anche

qualche tentativo di furto da parte di tombaroli scoperti dalle telecamere di videosorveglianza». A

presentare i reperti ritrovati non solo in via Napoli è stata invece l'archeologa Luigina Tomay responsabile

della Soprintendenza. Naturalmente anche Tomay ha ringraziato innanzitutto l'amministrazione comunale e

poi tutti coloro che hanno collaborato. Nelle foto mostrate relative ai rinvenimenti e, ai due crateri ritrovati in

via Napoli, ritenuti di particolare importanza, l'archeologa ha evidenziato il patrimonio dell'antica Caudium.

«Un patrimonio ricco anche - ha detto - per la posizione geografica favorevole di Caudium, punto nodale di

passaggio». Poi ha illustrato nei dettagli i vasi ritrovati ed altre scoperte di necropoli.

30/11/2015Pag. 20 Ed. Benevento

diffusione:48191tiratura:71039

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 60

CAPITALE UMANO LA VIA ITALIANA AL SISTEMA DUALE / PARLA IL SOTTOSEGRETARIO LUIGIBOBBA UN FRONTE COMUNE HA DATO UNA SVOLTA ALL'APPRENDISTATO CATERINA GIOJELLI SONO STATI STANZIATI i primi finanziamenti per sperimentare il sistema duale all'italiana da parte del

ministero del Lavoro. Il fatto che tale sperimentazione abbia voluto coinvolgere anche il sistema di

istruzione e formazione professionale (IeFP) lascia pensare che le attività avranno un "sicuro" successo.

Come immaginare che dopo la sperimentazione si possa arrivare a costruire un sistema stabile e sempre a

disposizione? Per Luigi Bobba, sottosegretario di Stato presso il ministero del Lavoro e delle Politiche

sociali, «la sperimentazione nasce dalla consapevolezza che rilanciare l'apprendistato formativo e dare a

tutti gli studenti della IeFP l'opportunità di percorsi di alternanza rafforzata rimane un'impresa complesssa.

Non dobbiamo infatti dimenticare le condizioni precarie in cui versa il vecchio apprendistato, che nei suoi

due profili formativi, escludendo Bolzano, rappresenta meno di mille contratti. Inoltre la scelta compiuta dal

ministero del Lavoro di ancorare fortemente il nascente sistema duale alla filiera della IeFP, ha posto la

necessità di promuovere la sperimentazione anche per armonizzare le diverse esperienze esistenti. Essa si

regge su risorse straordinarie che ne accompagneranno lo svolgimento nel prossimo biennio, ma anche su

un riposizionamento delle tradizionali risorse dedicate all'apprendistato. Queste ultime, in caso di successo,

hanno le caratteristiche per essere dedicate permanentemente, rendendo quindi stabile questa nuova filiera

formativas. Cosa cambia rispetto al passato e quali princìpi richiama la responsabilità collettiva introdotta

dalla sperimentazione? Il cambiamento è rilevante: sui sistemi formativi che dovranno riorganizzare il

curriculum dei percorsi in modo che metà dell'orario e dell'apprendimento possa avvenire in contesto

lavorativo; nelle imprese che dovranno dotarsi di una organizzazione idonea a realizzare i nuovi contratti di

apprendistato formativo e i percorsi di alternanza rinforzata che ammonta a 400 ore annue. Non

mancheranno tuttavia adeguati incentivi per le aziende: nel caso di assunzione con contratto di

apprendistato esse potranno beneficiare di un costo del lavoro abbattuto di oltre il 60 per cento rispetto a

quello dell'apprendistato professionalizzante. Inoltre sia nel caso di avvio di un nuovo contratto di

apprendistato, sia nel caso di attivazione di percorsi di alternanza rinforzata le imprese potranno beneficiare

di un bonus a parziale copertura dei costi sostenuti per il tutor aziendale. Quale ruolo del ministero del

Lavoro e del ministero dell'Istruzione vede nella fase sperimentale e, soprattutto, successivamente? Non è

casuale che il Jobs Act e la Buona Scuola abbiano camminato insieme arrivando all'approvazione

parlamentare nel volgere di pochi mesi. La Buona Scuola introduce l'alternanza universale nel sistema

della secondaria e il Jobs Act vara il duale tramite la riforma dell'apprendistato. La sperimentazione inoltre

verrà accompagnata e monitorata da una cabina di regia congiunta tra i due ministeri. Sono finiti i tempi

delle rivalità e delle sovrapposizioni: una stagione nuova sta nascendo. Alla luce delle ultime iniziative

legislative, verrà consegnato un ruolo alle Regioni? Tutte le Regioni hanno dato l'adesione alla

sperimentazione del sistema duale. Va sottolineato che questo impegno comune non si vedeva da molti

anni. Aver deciso insieme nel vivo del dibattito parlamentare sulla riforma costituzionale, con i conseguenti

cambiamenti di competenza che essa va ridisegnando, è un ulteriore segnale di uno sforzo di coesione e

cooperazione veramente importante. Lei ha parlato di una "forte valenza educativa" che il sistema duale

vuole assolvere restituendo nuova centralità al lavoro nei percorsi formativi. Che idea si è fatto del contesto

culturale e del significato del "lavoro" nel processo di crescita dei giovani? L'intero sistema scolastico e

formativo sta riscoprendo il ruolo educativo del lavoro; in tal modo riannodando i contenuti culturali alle

competenze. Per l'Italia, con il 40 per cento di disoccupazione giovanile e con circa due milioni di Neet,

riscoprire il significato del lavoro sia sul piano educativo che su quello dell'apprendimento è certamente una

svolta importante. Servirà a ridurre la lunga transizione tra studio e lavoro e sarà utile anche per favorire il

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matching tra domanda e offerta di lavoro generando più occupazione. Da tempo esprimiamo la necessità di

consolidare in un'ottica di sistema duale e a dimensione nazionale la IeFP, quella che, purtroppo ci è

permesso di praticare veramente quasi solo nelle Regioni del Nord. Per questo raccogliamo ben volentieri

la sfida della sperimentazione e la vediamo in una logica di continuità, come sviluppo di un modello

formativo già ampiamente orientato alla dualità e alla cooperazione con le imprese, oltre che già arricchito

da funzioni di orientamento professionale e di supporto all'inserimento lavorativo dei giovani svolte di fatto

in tutti i centri di formazione IeFP, in molti casi anche formalmente accreditati presso i sistemi regionali dei

servizi per l'impiego, in alcuni casi anche con l'autorizzazione all'intermediazione. Comunque la

sperimentazione consentirà ai centri di formazione professionale, del resto in gran parte già attrezzati per la

sperimentazione, di compiere un'ulteriore evoluzione, consolidando ed espandendo da un punto di vista sia

pedagogico e didattico sia organizzativo le funzioni IeFP non solo di ponte di transizione dalla scuola

all'accesso al lavoro per i giovani, ma anche di veicolo per percorsi verticali verso l'istruzione superiore,

anche in risposta alla domanda del mercato del lavoro di sempre più elevati livelli di qualificazione

professionale. Ma restano ovviamente molte questioni aperte, tra le quali, anzitutto, quella della

inderogabile urgenza della istituzione strutturata di una forte filiera di formazione professionale fino

all'istruzione tecnica superiore post diploma (ma si potrebbe anche fino all'università). In Italia manca un

forte sistema di formazione professionale, peraltro diffuso su tutto il territorio nazionale, che integri, magari

anche con una riforma degli istituti professionali, competenze dei ministeri nazionali dell'Istruzione e del

Lavoro e competenze costituzionali delle Regioni. Non bisogna sottovalutare quanto questa integrazione

contribuirebbe a dare corpo alla linea della cosiddetta alternanza scuola-lavoro della "Buona Scuola". Del

resto in tutti i paesi germanofoni nei quali il sistema duale è tout court la forma del sistema di formazione

professionale, esso si basa su un forte sistema di istituzioni formative, oltre che su imprese capaci di

partecipare alla formazione. Da noi una seconda grande questione è quella del sistema delle imprese,

soprattutto della moltitudine delle microimprese, che rappresentano circa il 95 per cento delle imprese

italiane e circa la metà dell'occupazione, e che nell'insieme hanno scarsa tradizione e attitudine alla

formazione. La sperimentazione dovrebbe essere accompagnata da un'azione di supporto alle imprese, a

cominciare dalla formazione, anche pedagogica, dei maestri professionali delle imprese. Inoltre è da

considerare la necessità di un ampliamento dell'offerta di qualificazioni di una nuova filiera

nazionale/regionale di formazione professionale in considerazione delle nuove domande del mercato del

lavoro e della costante rivoluzione tecnologica, questione che richiede anche investimenti nelle strutture

formative, investimenti improbabili per le Regioni, che già tendono a ridurre la spesa corrente dei loro

sistemi regionali IeFP. Ma richiede anche una verticalizzazione dei livelli di qualificazione offerti dalla

formazione professionale. Per questo intendiamo utilizzare la sperimentazione per la diffusione del 4° anno

per il diploma professionale, cominciando a pensare anche al raggiungimento di un diploma di maturità

professionale che consenta l'accesso ai livelli a filiere dell'istruzione superiore di livello terziario, in

particolare non accademiche, ma anche accademiche. Le previsioni sui livelli di qualificazione richiesti dal

mercato del lavoro a livello europeo indicano un crollo della domanda dal 21 per cento di oggi al 14 per

cento del 2025 di manodopera con qualifiche triennali come quelle dell'IeFP attuale e, sempre per il 2015,

una domanda del 47 per cento di manodopera con livelli superiori di qualificazione professionale.

Sembrerebbe una sfida per la scuola in generale, in realtà è una sfida rivolta a un forte sistema di

formazione professionale, più facilmente affrontabile in una logica di sistema duale. Infine, ma non da

ultimo, è da considerare il valore e il riconoscimento sociale che si attribuiscono al lavoro professionale.

Veniamo e restiamo in una stagione di svalutazione del lavoro in generale e del lavoro professionale in

particolare, nell'illusione che solo le tecnolo • • gie e la finanza siano motore di sviluppo, quello che noi

vorremmo sostenibile ed equo. C'è una piccola rivoluzione culturale da fare, a favore della dignità del

lavoro professionale a tutti i livelli. Questa dignità richiama anche il valore delle competenze personali,

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sociali e culturali che l'IeFP deve sviluppare, non solo perché si fa carico anche dell'assolvimento

dell'obbligo scolastico decennale, ma perché ha un'importante funzione educativa per i giovani. Considero

la proposta di dare vita ad una "via italiana del sistema duale" una grande sfida per gli enti di formazione

professionale e per il (sotto)sistema di Istruzione e formazione professionale (IeFP) nel suo complesso. La

proposta si ispira al sistema tedesco che numerosi esperti, in più circostanze, hanno detto non essere

applicabile al contesto socioeconomico italiano, connotato, a differenza di quello tedesco, prevalentemente

da piccolissime, piccole e medie imprese. Nell'avviare questa sperimentazione il (sotto)sistema di IeFP

italiano, tuttavia, non parte da zero; realizza da tempo una offerta formativa strettamente connessa con

l'apporto delle imprese del territorio, dove lo stage è una delle forme più mature e strutturate. Io penso che

questa sperimentazione, se debitamente accompagnata, potrà rafforzare questo modello: i due soggetti, il

Centro di formazione professionale (Cfp) e l'impresa, ciascuno secondo il proprio ruolo, potranno svolgere

attività formative distinte e complementari. Va sottolineato, tuttavia, che la sperimentazione della "via

italiana del sistema duale" parte nel momento in cui gli enti sono più in difficoltà rispetto al passato, a causa

della progressiva riduzione dei finanziamenti attuati dalle Regioni. È noto, infatti, che questa particolare

offerta formativa, che ha registrato la soddisfazione dei giovani e delle famiglie perché non è stata

sostenuta dalla sola attività di docenza ma anche da azioni di supporto a monte e a valle, oggi soffre

maggiormente a causa dei finanziamenti che, in questi anni, sono stati progressivamente ridotti a scapito

delle misure di accompagnamento. Da anni nel dialogo con le istituzioni il CSL spinge per la realizzazione

di un sistema duale; un sistema capace di prendere quanto già fatto di buono in altri paesi e di adattarlo alla

situazione italiana. Ci sono esperienze come quella della Piazza dei Mestieri nata 10 anni fa a Torino in cui,

per ogni filone di attività educativa, si è dato vita a un settore di produzione e di vendita, così da permettere

ai giovani coinvolti di sperimentare una vera e propria situazione lavorativa già negli anni del percorso

formativo. È questa la strada maestra verso la costruzione del sistema duale italiano in cui la dimensione

molto piccola della stragrande maggioranza delle imprese richiede una forte capacità dei soggetti educativi

di affiancarle nel percorso di inserimento al lavoro dei giovani; senza quest'alleanza ben difficilmente si

potranno realizzare sia il sistema duale, sia la stessa alternanza scuola e lavoro. Riferendosi più

specificatamente all'avvio della fase di sperimentazione promossa dal ministero del Lavoro è interessante

notare che essa prevede come forma privilegiata per il raggiungimento della qualifica e del diploma

professionale l'utilizzo del contratto di apprendistato di primo livello. Si tratta di un istituto che esiste da anni

(anche se come spesso accade in Italia riformato di continuo) e che non ha mai funzionato; con la

sperimentazione per la prima volta c'è l'opportunità di far decollare davvero l'apprendistato per i giovani; le

semplificazioni e le agevolazioni previste dai decreti attuativi del Jobs Act a favore delle imprese che

accolgono giovani apprendisti e l'aver finalmente compreso che il sistema su cui investire non può che

essere prioritariamente quello della formazione professionale iniziale (IeFP) - storicamente abituato a

interagire con le imprese - è una buona base di partenza per vincere la sfida. Una sfida che riguarda in

primis le realtà formative, perché se è vero che esse sono radicate nei territori è anche vero che devono

fare un salto di qualità nei rapporti con le imprese. Bisogna che la progettazione dei percorsi formativi

scaturisca sempre più da questo dialogo e al tempo stesso vanno rafforzate le reti con tutti gli attori del

territorio per generare quelle sinergie che rendono competitivo un sistema produttivo o un'area territoriale.

Un esempio concreto di questa capacità è quello di Aslam che ha saputo coniugare ai più alti livelli

professionali la formazione in alternanza di tecnici specializzati nel settore dell'aereonautica creando

partnership stabili con tutti gli stakeholder di riferimento. Tra le tanti questioni aperte la più rilevante è quella

legata al passaggio dalla sperimentazione a un sistema strutturato; il grande limite del sistema educativo

italiano è quello di vivere di sperimentazioni che poi non si trasformano in modelli e percorsi strutturali.

Questa è anche la più grande sfida del Jobs Act e del tema delle politiche attive che in Italia, da sempre,

sono state sottovalutate e che invece sono uno strumento essenziale per combattere seriamente la

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disoccupazione e aumentare i tassi di occupazione. Tra le nostre caratterizzazioni dovrei cominciare dalla

funzione educativa in generale, perché siamo educatori di cittadini lavoratori, non solo formatori tecnici,

convinti che ciò serva anche a un buon mercato del lavoro e a uno sviluppo "buono", ma rinvio all'accenno

appena fatto. Mi limito a sottolineare anzitutto l'aderenza e la coerenza territoriale/settoriale dei nostri centri

IeFP, che vivono in simbiosi con i contesti sociali ed economici dei loro territori di riferimento. La bontà di

questa simbiosi è testimoniata dal livello elevato di occupazione dei giovani che escono dai nostri centri. In

secondo luogo devo ricordare la pedagogia professionale e la didattica basata su una sapiente

combinazione di teoria e pratica nei laboratori del centri e nei tirocini curriculari in imprese. Pedagogia e

didattica caratterizzano la nostra proposta formativa; non sono un contorno decorativo, ma elementi

pregnanti della nostra IeFP, condizioni per l'efficacia formativa nel centro di formazione e nell'impresa e per

un inserimento lavorativo qualificato. Soprattutto, sono condizioni per una professionalizzazione intesa

come sintesi di saper fare, saper essere e sapere. Esse sono state in passato condizioni anche per

l'emancipazione culturale e professionale di giovani svantaggiati, quelli provenienti dall'abbandono

scolastico, disabili, stranieri non ancora integrati. Basti ricordare che dal 2003 la percentuale

dell'abbandono scolastico è significativamente diminuita soprattutto grazie alla IeFP, ma le percentuali

dell'abbandono scolastico da qualche anno restano ferme appena al di sotto del 18 per cento; forse non è

una coincidenza che lo stallo duri da quando si è conclusa l'espansione della nostra IeFP, a causa non

della diminuzione della domanda ma di uno stallo e, talvolta, della riduzione dei finanziamenti per l'IeFP.

Non è una coincidenza che nel Sud i tassi di abbandono scolastico restino più elevati della media

nazionale: ormai nel Sud la IeFP è affidata prevalentemente agli istituti professionali del Miur nella forma

della sussidiarietà integrativa, riconosciuta ormai inadeguata anche dallo stesso ministero. Peraltro gli

istituti professionali, assieme a quelli tecnici, sono la fonte principale dell'abbandono scolastico. Anche per

questo non fa meraviglia che l'indagine Ocse Pisa evidenzi come, quanto a competenze di base,

soprattutto quelle matematiche, gli allievi della IeFP se la cavino meglio dei loro coetanei degli istituti

professionali del Miur. Infine, quanto all'attrattiva della IeFP per i giovani, registriamo da alcuni anni una

crescita, ormai a più del 50 per cento degli iscritti, dei giovani che scelgono l'IeFP in alternativa a percorsi

strettamente scolastici, attratti da una accogliente proposta educativa e professionalizzante che più di altre

offre sbocchi concreti, non solo in termini di occupazione, ma anche di identità personale, sociale e

professionale. Non è più vero, se mai lo è stato, che nella formazione professionale arrivano i giovani che

non hanno voglia di andare a scuola e di studiare. Questi giovani nella IeFP studiano, magari anche

imparando a leggere, scrivere, parlare e far di conto come non sono riusciti a fare nella scuola, oltre a

professionalizzarsi. Non è rarissimo il caso di giovani che, espulsi dalla scuola, attraverso la formazione

professionale rientrano a testa alta nell'istruzione tecnica e professionale dalla quale erano stati spinti fuori

o alla quale non avevano potuto accedere. I giovani che frequentano i Cfp del CNOS-FAP sono molto

soddisfatti. Lo attesta il monitoraggio che la Federazione compie ogni anno, telefonando a tutti gli allievi

qualificati e diplomati a distanza di 12 mesi, per conoscere la loro situazione formativa e occupazionale. Le

motivazioni più sottolineate dai giovani e dalle famiglie sono la presenza della comunità educativa nel Cfp, il

clima familiare creato da tutti gli operatori, la formazione attraverso il fare sostenuta anche da laboratori

attrezzati ed aggiornati, grazie ai rapporti ormai strutturali con • • aziende leader di settore (come FCA,

CNH Industriai, Schneider, DMG Mori Selci, Bosh, Siemens, Heidenhain, Sandwik) che sostengono

l'aggiornamento ricorrente dei formatori, l'innovazione didattica, ecc. I Rapporti di monitoraggio realizzati

dal ministero del Lavoro, peraltro, hanno mostrato l'attrattività di questa particolare offerta formativa

improntata a una metodologia induttiva intrisa di pratica, di esperienze laboratoriali, di stage, ecc. Il

Rapporto sul sistema IeFP presentato dall'Isfol il 23 settembre 2015 evidenzia come la presenza di molti di

questi aspetti renda attraente questa offerta. Per questo sottolineo come anche questa sperimentazione

deve far in modo di non perderli di vista. DARIO ODIFREDDI La sfida è non separare l'educazione dal

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lavoro. La vecchia concezione che si debba andare prima a scuola e all'università e poi approcciare il

lavoro è perdente, è figlia di una mentalità e di una cultura che aveva qualche ragion d'essere quando il

problema era l'alfabetizzazione del paese, quando le carriere erano statiche e si sviluppavano

prevalentemente in una sola azienda e in un solo settore. Per questo da oltre 20 anni i soci del Consorzio

Scuole Lavoro hanno strutturato un rapporto stabile con il sistema delle imprese con cui condividiamo i

programmi formativi, le attività di stage e di tirocinio e l'inserimento lavorativo. Molti giovani sono attratti dal

mettere le mani in pasta perché vedono concretamente cambiare la realtà attraverso il lavoro delle loro

mani e questo li stimola, li rende curiosi e allo stesso tempo gli fa tornare il desiderio di imparare e di

studiare. Questo vale per gli adolescenti che frequentano i corsi di qualifica e di diploma professionale,

come per quelli che frequentano gli ITS che sono percorsi biennali di formazione terziaria non accademica.

Quello che ora la "Buona Scuola" inizia a introdurre, la "Buona Formazione Professionale" lo realizza da

sempre. È questo rispetto per l'unità della persona, nel suo saper essere e saper fare, che affascina i

giovani, che li introduce alla realtà e che gli fa percepire il lavoro come amico, come strumento per mettere

alla prova i propri talenti, come desiderio di costruzione. La prima risposta alla disoccupazione è sostenere

la crescita di una personalità nei giovani che li abiliti a sentire la realtà, anche quella lavorativa, come una

sfida alla propria libertà. La vera trasformazione delle nostre realtà formative è stata negli anni quella di

approfondire il contenuto dell'originalità di questa impostazione unitamente a una accanita ricerca

dell'eccellenza professionale. PAOLA VACCHINA In fondo ho già risposto a questa domanda, soprattutto,

ma non solo, parlando del nostro pensiero pedagogico e didattico, almeno nel senso che alla "liquidità"

sociale noi rispondiamo con la "solidità", anche in termini pratici, di una proposta pedagogica e

professionale e che ai processi di esclusione rispondiamo con pratiche di inclusione. Posso solo

aggiungere che la nostra proposta formativa è costitutivamente accogliente e che l'accoglienza dei più

deboli, assieme e non alternativa alla qualità della formazione offerta e al rapporto con il mercato, è una

delle ragioni fondative del nostro essere. Ma mi preme precisare che la nostra non è una scuola ghetto per i

più disgraziati e che abbiamo una proposta formativa attraente per tutti i giovani che vogliono immaginare

in modo responsabile e coerente il loro futuro. L'efficacia della nostra proposta si manifesta soprattutto ai

margini della domanda di emancipazione attraverso il lavoro professionale e pensiamo che questa efficacia

sia coerente con la capacità di fare tout court una buona formazione per tutti. Ma c'è qualcosa in più nella

coerenza menzionata, data dalla capacità di accoglienza e di cura, ferme restando le proposte

pedagogiche, culturali e didattiche. Per questo non è un caso che a noi si rivolgano famiglie e giovani che

non trovano altrove la stessa capacità di accoglienza e di cura e le stesse opportunità di crescita personale

e professionale. Il carattere inclusivo della IeFP regionale è confermato anche dall'incidenza di stranieri e

disabili sugli iscritti, che è per i primi del 19,1 per cento (il 6,6 per cento nella istruzione secondaria di

secondo grado) e per i secondi del 5,8 per cento, contro il 2 per cento nelle stesse classi di età della

scuola. Vorrei concludere con un'ultima considerazione: tutti gli studi internazionali e nazionali rilevano una

connessione stretta tra i bassi livelli di studio e la povertà in età adulta: investire in IeFP dunque,

sconfiggendo l'abbandono scolastico e recuperando alla formazione alta quanti più giovani possibili, è

anche un investimento sul futuro sociale ed economico del paese, un investimento che darà frutti di

benessere e di vita buona per decenni. MARIO TONINI I Rapporti del ministero del Lavoro hanno mostrato

che il (sotto)sistema di IeFP si è rivelato un sistema complessivamente inclusivo. Infatti, ha "rimotivato"

all'apprendimento giovani italiani con fallimenti scolastici alle spalle, ha facilitato, attraverso una

metodologia soprattutto induttiva e laboratoriale, l'inserimento e la professionalizzazione dei giovani

immigrati, ha dato a questi giovani una formazione da spendere non solo in termini di occupabilità ma

anche di vera occupazione. Certamente questa offerta formativa da sola non può rispondere a tutte le

nuove povertà; tuttavia, nei territori dove è stata messa a regime, ha dato risposte positive ormai

ampiamente documentate. Restano, come problemi aperti da risolvere, i territori del Sud dove questa

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offerta è quasi assente e la dispersione scolastica è molto elevata e i finanziamenti che, per essere efficaci,

devono essere maggiormente correlati alla domanda dei giovani e delle famiglie per non rendere questa

offerta "contingentata". DARIO ODIFREDDI La rete del CSL nasce in Italia quasi sempre dal tentativo di

rispondere alla povertà e al rischio di esclusione sociale; tante realtà sono sorte come risposta gratuita al

bisogno e nel tempo si sono trasformate in vere e proprie realtà sociali. Una realtà che nel 2015 ha formato

oltre 40.000 persone attraverso l'erogazione di oltre 6 milioni di ore/allievo di formazione. Un caso

emblematico è quello di Cometa a Corno che nasce come luogo di accoglienza attraverso lo strumento

dell'affido e dell'adozione e solo nel tempo inizia una attività professionale in campo educativo per dare

continuità al cammino delle persone accolte. Galdus a Milano ha la sua origine in un'opera di risposta al

bisogno emergente nei quartieri più difficili, Dieffe in Veneto è fortemente legata al reinserimento delle

persone cadute nella spirale della micro criminalità, Filos a Novara sviluppa da sempre progetti per

l'integrazione di persone in condizioni di disagio, Immaginazione e Lavoro a Torino è punto di riferimento

per le scuole per la lotta alla dispersione e al bullismo, In-Presa a Carate Brianza accompagna i giovani in

difficoltà non solo nel percorso professionale, ma in tutto l'arco del passaggio dall'adolescenza all'età

adulta, Educo a Brescia ha una collaborazione strutturata con le cooperative sociali che seguono i giovani

disabili in obbligo di istruzione. E poi ci sono gli eroi del Centro - Sud, Scuole lavoro in Molise, Arche in

Sicilia, Cosvip e E.I.T.D in Campania, Ascia in Puglia, Escla in Basilicata, che mantengono vivo il lumicino

della speranza, spesso in contesti in cui non solo la povertà sociale e più forte, ma in cui le istituzioni

paiono incapaci di sostenere i tentativi di risposta che nascono dal privato sociale. Ma è tutta la rete del

CSL che diviene sempre più punto di riferimento del territorio; le scuole, i tribunali dei minori, la rete degli

assistenti sociali, le parrocchie e, sempre di più, le singole famiglie cercano nei nostri enti un aiuto e una

risposta. Da noi il significativo coinvolgimento di giovani provenienti da situazioni di guerra e di povertà

assoluta è un fatto normale, come lo sono i progetti specifici per la lotta al bullismo o a ogni altra forma di

povertà. Il limite più grande è la difficoltà culturale e politica in cui si dibatte il nostro paese. Culturale

perché non si capisce che la soluzione del problema delle nuove povertà non è il reddito di cittadinanza o la

cassa integrazione, ma creare opportunità di lavoro e al contempo sfidare la libertà delle persone,

soprattutto dei più giovani. Politica perché sono troppo pochi i territori in cui vi è una programmazione

ragionevole degli interventi per la lotta al disagio, per combattere la dispersione scolastica, per ridurre il

lungo tempo della transizione tra scuola e lavoro. Infine vale la pena notare che tutto il dibattito sulla riforma

del titolo V della Costituzione e dell'attribuzione di competenze ai diversi livelli di governo resta confuso ed

è fortemente viziato da un antistorico e incomprensibile sospetto verso la sussidiarietà orizzontale. La storia

del Consorzio Scuole Lavoro, ma più in generale di tutta la IeFP, mostra che è proprio dal privato sociale

che sono nate le più rilevanti innovazioni in campo educativo e che si sono costruite eccellenze che hanno

permesso l'integrazione sociale, valorizzando i talenti dei giovani e offrendo risposte adeguate alle imprese.

• HANNO ADERITO ALLA SPERIMENTAZIONE DEL SISTEMA DUALE. QUESTO IMPEGNO COMUNE

NON SI IVEDEVA DA MOLTI NNI. E UN SEGNALE IMPORTANTE» LUIGI BOBBA Sottosegretario di

Stato presso il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali

Come è stato accolto dagli addetti ai lavori l'avvio della sperimentazione volta a dare forma concreta alla

"via italiana del sistema duale" di apprendimento? Quali questioni restano ancora aperte? Nelle pagine

seguenti Tempi propone un approfondimento sul tema con i principali operatori della formazione in Italia.

Quali sfide e quali impegni avete raccolto con l'avvio della sperimentazione che ambisce a dare forma

concreta alla "via italiana del sistema duale" di apprendimento? Esiste una sorta di continuità ideale con le

esperienze già maturate sul territorio nel campo del raccordo tra scuola e lavoro? Quali questioni restano

aperte?

Paola Vacchina è presidente di FORMA (Associazione Enti Nazionali di Formazione Professionale) PAOLA

VACCHINAMARIO TONINI

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Mario Tonini è direttore amministrativo di CNOS-FAP (Centro Nazionale Opere Salesiane/Formazione

Aggiornamento Professionale)

Dario Odifreddi è presidente di CSL (Consorzio Scuole Lavoro) DARIO ODIFREDDIPAOLA VACCHINA

Guardando all'evoluzione dell'offerta formativa della vostra realtà, quali sono state le trasformazioni e le

esperienze che trovate più significative per raccontarvi e caratterizzarvi? Come si suscita un'attrattiva reale

per i giovani, senza ridurre l'orizzonte aperto dall'alternanza scuolalavoro a una sola e contingente risposta

alla disoccupazione?

MARIO TONINI

zione sociale? Quali sono i limiti e le nuove difficoltà incontrate, specie in rapporto con i nuovi "ultimi" che si

affacciano nella nostra realtà?

Dal 2008 ad oggi due inedite fasi recessive hanno notevolmente aggravato gli scenari delle "nuove povertà"

e del rischio di esclusione sociale che già si presentavano prima della recessione, legati alla disabilità,

all'immigrazione, alla "liquidità" e fragilità sociale dei rapporti primari e delle famiglie, all'emersione di nuovi

soggetti svantaggiati. Quanto e come sono impegnati i vostri enti in iniziative fortemente connotate

all'integra-

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AZIENDE / Doosan Infracore Bobcat Holding (DIBH) II nuovo Centro per l'Innovazione II costruttore coreano punta deciso a raggiungere il primo posto nel mercato mondiale delle macchinecompatte. Importante viatico per questo progetto, il nuovo Centro inaugurato a Dobris, in Repubblica Ceca Ettore Zanatta ] Doosan Infracore Bobcat Holding (DIBH) ha da poco inaugurato il suo nuovo Centro per l'Innovazione nello

stabilimento di Dobris, in Repubblica Ceca. Il nuovo Centro per l'Innovazione è parte integrante del

Campus Doosan di Dobris, nei pressi di Praga, che integra nello stesso sito R&D, produzione, logistica e

formazione in una combinazione unica che, nelle intenzioni dell'azienda, contribuirà a fare di Doosan il

numero uno al mondo nel mercato delle macchine compatte. La cerimonia d'inaugurazione del Centro per

l'Innovazione è stata presentata da Jose Cuadrado, vicepresidente del settore Macchine Compatte per

Europa, Medio Oriente e Africa (EMEA), e ha visto la partecipazione di Scott Park, presidente e CEO di

Doosan Infracore Bobcat Holdings (DIBH), e di Martin Knoetgen, presidente di DIBH per l'area EMEA.

All'evento ha partecipato anche l'ambasciatore coreano in Repubblica Ceca, Sua Eccellenza

l'Ambasciatore Hayong Moon. La parola ai protagonisti Nell'occasione, Jose Cuadrado ha dichiarato: "II

nuovo Centro per l'Innovazione dimostra l'impegno a lungo termine di Doosan e il coraggio con il quale

l'azienda ha deciso di investire nel mondo sull'elemento umano e sull'introduzione di soluzioni industriali e

aziendali innovative mentre l'Europa e il resto del mondo affrontavano una grave crisi economica.

Integrando ogni aspetto delle nostre operazioni e delle procedure di sviluppo dei prodotti in un unico sito -

ideazione, progettazione, fornitura di componenti, produzione, marketing, aftermarket, distribuzione e

formazione per i clienti e le concessionarie EMEA il Campus Doosan apporterà enormi vantaggi all'intera

azienda". Scott Park, invece, ha commentato: "Siamo tra i maggiori sviluppatori e produttori mondiali di

macchinar! per costruzioni e ci impegniamo per conseguire la leadership tecnologica con ingenti

investimenti nella ricerca e sviluppo in tutto il mondo. Il nuovo Centro per l'Innovazione di Dobris fa parte

della nostra rete globale dì centri R&D: è stato costruito in parallelo con i nuovi centri R&D di Incheon, in

Corea, e al centro di accelerazione tecnologica di Bismarck, negli Stati Uniti, con un investimento totale di

oltre 100 milioni dì dollari. Abbiamo costruito questa struttura perché divenisse parte integrante di Dobris e

della Boemia centrale e desideriamo essere eccellenti vicini per la gente di Dobris. La cooperazione con la

città e le nostre attività di coinvolgimento nella comunità locale sono tangibili esempi di questa volontà e del

nostro desiderio di contraccambiare. Il Campus di Dobris è una delle pietre miliari del successo globale di

Doosan e intendiamo mantenere i nostri impegni in futuro, continuando a crescere in questa regione".

L'Ambasciatore Hayong Moon ha rafforzato il concetto espresso da Scoti: Park ricordando la stretta

cooperazione tra la Corea e la Repubblica Ceca dimostrata da realtà come Doosan con iniziative

commerciali in una vasta e diversificata gamma di mercati nella Repubblica Ceca. Martin Knoetgen ha

altresì aggiunto: "Svilupperemo il Centro per l'Innovazione di Dobris per farne un centro d'eccellenza

europeo per i team di progettazione Doosan impegnati nella R&D specialistica per le pale e gli escavatori

compatti da 1-3 t. Dobroslav Rak, vicepresidente del reparto progettazione per la regione EMEA e vera

forza motrice dietro quest'iniziativa, ha convinto sia me che la dirigenza circa i benefici diretti, l'importanza

strategica e i vantaggi competitivi che la nuova struttura offrirà". La struttura del Centro II nuovo Centro per

l'Innovazione si concentrerà sulla creazione di soluzioni innovative, lo sviluppo di prodotti e le attività di

ricerca e collaudo. La nuova struttura, con oltre 8.000 m sviluppo e il collaudo dei prototipi e 1.400 m uffici,

sarà la culla di nuove tecnologie avanzate e, in alcuni casi, esclusive. La struttura ospiterà team di sviluppo

prodotto integrati e interfunzionali composti da personale dei settori gestione e progettazione prodotto,

laboratorio di prova, analisi avanzate, crescita dell'affidabilità, officina prototipi e funzioni NPD compatte,

nonché sviluppo fornitori e approvvigionamento. Nuovi complessi con laboratori di prova sono stati

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 68

realizzati per la convalida dei prodotti Doosan e Bobcat, al fine di garantirne l'elevato livello di prestazioni,

affidabilità e durata. La tecnologia allo stato dell'arte impiegata include moderni macchinari per la

prototipazione rapida in officina, laboratori a clima controllato per prove in condizioni estreme, strutture per

prove statiche e dinamiche e una nuova camera per i test di rumorosità con specifiche esclusive per

garantire a Doosan in futuro la capacità di sviluppo di macchine per l'edilizia compatte di classe superiore

sotto i marchi Doosan e Bobcat. Jose Cuadrado ha continuato affermando che "/' vantaggi dell'integrazione

delle attività a Dobris sono numerosi; tra questi, ci sono i cicli di sviluppo del prodotto molto più rapidi che,

in alcuni casi, ci permetteranno di dimezzare la durata dei progetti. Il nostro Centro per l'Innovazione dì

Dobris è collegato agli altri due centri di Bismarck (USA) e Inchon (Corea). Nonostante ciascuno di essi sia

dedicato allo sviluppo di soluzioni per i mercati locali, i tre centri condividono il medesimo piano

organizzativo tecnologico che ci permette di coordinare fattivamente la ricerca e l'innovazione nell'ambito

dei nostri progetti più avanzati. Riteniamo che puntare sull'innovazione ci farà diventare il numero uno al

mondo nel settore delle macchine compatte". Martin Knoetgen, infine, ha aggiunto: "La nostra missione a

Dobris è quella di introdurre una nuova cultura e nuovi princìpi nei processi di sviluppo del prodotto, con un

conseguente miglioramento dell'efficienza. Il nuovo Centro per l'Innovazione, con il suo ambiente e le sue

tecnologie avanzate, è fondamentale per questo cambiamento. Tutti i nuovi prodotti e i risultati delle attività

di ricerca presso il Centro per l'Innovazione saranno immediatamente applicati nello stabilimento produttivo

di Dobris, grazie all'ambiente di collaborazione interfunzionale tra progettazione, forniture, produzione e i

team di supporto. A Dobris prevediamo una crescita del 75%, pertanto abbiamo avviato anche un progetto

di espansione dello stabilimento di produzione, in modo da potenziare le nostre capacità produttive di

macchine compatte". •

Foto: IDa sinistra a destra: Martin Knoetgen, presidente di DIBH per l'area EMEA; Hayong Moon,

ambasciatore coreano in Repubblica Ceca; Scott Park, presidente e CEO di Doosan Infracore Bobcat

Holdings (DIBH); Jose Cuadrado, vicepresidente del settore Macchine Compatte per Europa, Medio

Oriente e Africa (EMEA) III nuovo Centro per l'Innovazione, parte integrante del Campus Doosan di Dobris,

è stato inaugurato da poco e dimostra l'impegno a lungo termine di Doosan, nonché il coraggio con il quale

l'azienda ha deciso di investire nel mondo sull'elemento umano e sull'introduzione di soluzioni industriali e

aziendali innovative

Foto: III nuovo Centro per l'Innovazione contribuirà, nelle intenzioni dell'azienda, a fare di Doosan il numero

uno al mondo nel mercato delle macchine compatte

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RISCALDAMENTO / REALIZZAZIONE L'aria di rinnovo? Si riscalda con il sole © di Giuseppe La Franca La sede altoatesina della Fordazione "Elisabeth und Helmut Uhi" - istituzione creata per promuovere le

relazioni fra studiosi e intellettuali di tutto il mondo - è stata completata lo scorso anno a Laives, sul

versante est delle montagne che circondano la piana di Bolzano. Progettato da Modostudio, l'edificio è

stato realizzato riutilizzando parte dei materiali recuperati dalla demolizione di un antico maso: occupa una

splendida posizione panoramica, ponendosi come esempio di reinterpretazione dei sistem costruttivi

tradizionali e di rispetto dell'ambiente. Il sofisticato impianto termomeccanico è basato su un accumulo di

acqua calda a lungo termine, alimentato de energia solare e da biomassa di origine locale. Un maso

contemporaneo A causa della pendenza del terreno, l'ingresso avviene al piano intermedio e introduce alla

zcna con le camere per gli ospiti, tutte dotate di bagno indipendente. Al piano sottostante si trovano altre

due camere e altrettanti miniappartamenti, mentre il livello superiore è costituito da un ampio ambiente

diurno collettivo con aree per soggiorno, pranzo e cucina aperta: dall'ampia terrazza si domina la Val

d'Adige. Superfici radianti a pavimento e a parete provvedono al riscaldamento invenale degli ambienti, con

la sola integrazione di una grande stufa a maiolica - memore della tradizione dell'architettura vernacolare

sudtirolese - situata al centro dello spazio collettivo. L'edificio è certificato in classe A secondo CasaClima

ma, per espressa volontà del committente, non è dotato di impianto di ventilazione meccanica controllata.

L'impianto idraulico convoglia le acque reflue in una fossa imhoff. Un secondo fabbricato è situato

leggermente più a monte, direttamente comunicante con lo spazio giorno. Si tratta di un un giardino

d'inverno con superfici trasparenti rivolte a est, sud e ovest - il cosiddetto "Diamante" - destinato alla cura

dei vegetali, che sovrasta una piccola cantina vitivinicola addossata al versante della montagna. In questo

fabbricato l'unico impianto termico è costituito da una striscia di pavimento radiante per il solo

raffrescamento estivo del Diamante, profonda circa 1 m e posta a ridosso del muro in laterizio che protegge

il volume verso nord. Anche gli spazi tecnici, disposti su due livelli, sono a ridosso del versante della

montagna. Un terzo edificio è posto a settentrione, completamente autonomo dal punto di vista energetico:

si tratta della residenza della famiglia originariamente proprietaria del maso, articolata su due livelli. Il cuore

nel serbatoio La centrale termica è composta da una caldaia a biomassa legnosa (30 kW) del tipo a

combusticine inversa a tiraggio forzato per aspirazione. Si tratta di una particolare tecnologia che utilizza il

calore prodotto dalla combustione per effettuare un processo di gassificazione della legna stessa (pirolisi),

che deve essere stata precedentemente ben essiccata all'aperto. L'iniziale degradazione termica e la

combustione anaerobica della biomassa provocano la fuoriuscita di gas combustibHe di origine naturale

che, miscelandosi con l'aria, brucia a temperature molti più alte rispetto a quelle della normale combustione

aerobica. Il processo si autoalimenta assicurando il migliore sfruttamento della biomassa, incrementando

l'efficienza della caldaia e riducendo al contempo le emissioni climalteranti. Due ampi e distinti campi solari

termici (circa 24 m 2 di superficie esposta ciascuno) si trovano sul pendio e sulla copertura dell'edificio. La

differente inclinazione dei pannelli (60° per il primo, 10° per il secondo) favorisce lo sfruttamento durante

l'intero periodo dell'anno, garantendo un'abbondante produzione di acqua calda utile anche a prevenire la

riduzione della temperatura interna in inverno, durante i periodi di non utilizzo dell'edificio. Il campo solare

termico e la caldaia alimentano due serbatoi di grande capacità destinati al riscaldamento degli ambienti

(25 m 3 all'acqua calda sanitaria (2 m L'accumulo principale è il "cuore" della sostenibilità energetica del

complesso: permette infatti di f posticipare l'accensione della cai- § daia ed evita il surriscaldamento |

dell'impianto solare termico. I

Il ruolo dello II p.i.Thomas Dissertori ha curato il progetto degli impianti termomeccanici, mentre Gùnther

Gantioler (TBZ -Technisches Bauphysik Zentrum) è stato incaricato di dimostrare l'efficienza termica del

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 70

sistema di ventilazione basato sul Diamante, previo accordo con l'Agenzia CasaClima circa la metodologia

da utilizzare. I dubbi del committente circa la qualità dell'aria, l'impatto estetico sugli ambient e i costi di

gestione e manutenzione di un impianto VMC con recupero di calore - requisito indispensabile per

CasaClima- hanno condotto all'idea di utilizzare l'aria contenuta nel giardino d'inverno (612 m invernale e

per compensare le dispersioni termiche (volume netto riscaldato: 1.893 m ). Il calcolo è stato eseguito

verificando che la differenza fra le perdite di calore di un impianto VMC con e senza recuperatore (2.130

kWh), risultasse inferiore all'apporto termico proveniente dall'aria prelevata dal Diamante che, per l'effetto

serra, di giorno si trova a una temperatura superiore rispetto a quella estema. Data la particolare posizione

dell'edificio (oltre 450 m di altitudine rispetto al centro urbano di Laives), il periodo di calcolo è stato esteso

anche ai mesi di maggio e settembre, ottenendo così il risultato atteso: l'aria proveniente dal giardino

d'inverno fornisce 2.448 kWh, perciò il Diamante svolge un ruolo attivo dal punto di vista termico, offrendo

idonee condizioni di comfort e igiene dell'aria anche nelle giornate pi j fredde delle stagioni di transizione.

Quattro ventilatori inseriti nel paramento murario settentrionale si attivano automaticamente quardo la

temperatura dell'aria dentro il Diamante è di almeno 12°C, sog ia ritenuta idonea anche a evitare

l'eccessivo raffreddamento dello spazio buffer (una semplice struttura a orditura metallica con vetri a lastra

singola) durante l'inverno.

Scheda lavori Committente: Elisabeth and Helmut Uhi Stiftung Installatore: Michael Giacomuzzi -

Giacomuzzi S.a.s. Maestro dell'Artigianato, Solarteur Caldaia a biomassa: Kob Collettori solari termici:

Winkler Solar Accumuli inerziali e a.c.s.: Ebner Solartechnik Componenti installati: • Olymp (controller

acqua per riscaldamento) • Grundfos (elettropompe) • Isodomus (superfici radianti a pavimento e parete) •

Meccatronica (sistemi oscuranti) • Gira (building management System)

L'esperienza dell'installatore «Ho iniziato a frequentare i cantieri molto giovane, come apprendista

nell'impresa patema, e ho cominciato ufficialmente la professione a diciotto anni, maturando un'esperienza

quasi ventennale. Oggi mi occupo prevalentemente di impianti solari e a energie alternative (pompe di

calore, ventilazione controllata, biomasse) e sono installatore certificato Passivhaus. Lavoro spesso con

Thomas Dissertori: in questo caso il sig. Uhi ha visitato la nostra sede, dov'è installato un impianto simile a

quello realizzato, e ha poi deciso di affidarmi la commessa. Ho installato l'intero Michael Giacomuzzi,

titolare di Giacomuzzi S.a.s., di Caldaro (BZ) impianto praticamente da solo, a fasi alterne per circa un

anno, seguendo il procedere del cantiere: prima la posa dell'accumulo, poi gli impianti sottotraccia e i

pavimenti radianti, l'impianto solare termico e infine la centrale. Il cantiere era molto ben organizzato e non

ho incontrato problemi in corso d'opera. La parte più complessa è stata la regolazione degli impianti, curata

dall'installatore dell'impianto elettrico, durante la quale è stato necessario fornirgli l'indispensabile

assistenza per la parte idronica. Il cliente è molto soddisfatto del lavoro compiuto».

Foto: L'EDIFICIO della Fondazione "Elisabeth und Helmut Uhi" si trova in posizione panoramica lungo il

versante est della Val d'Adige: in primo piano il Diamante, che svolge il ruolo fondamentale di riserva d'aria

per il ricambio igienico.

Foto: L'INVOLUCRO del Diamante non è particolarmente performante dal punto di vista termico, ma riesce

comunque a fornire aria per la ventilazione dell'edificio e 2.448 kWh termici, attraverso ventilatori posti sul

muro esposto a nord.

Foto: 1) caldaia a biomassa; 2) serbatoio accumulo 25.0001;3) serbatoio a.c.s. 2.000 l;4) e 5) collettori

solari termici; 6) bypass estivo per alimentazione pavimento radiante nel giardino d'inverno. L'INTERO

IMPIANTO è stato realizzato dall'installatore lavorando praticamente da solo, per circa un anno, seguendo

il procedere del cantiere: solo per la posa dei pavimenti radianti è stato ingaggiato un collaboratore. IL

CAMPO SOLARE TERMICO per la captazione dei raggi solari nel periodo invernale è posizionato a fianco

dell'edificio, nella zona più soleggiata: è composto da 12 collettori con inclinazione di 60° rispetto

all'orizzontale. IL COMPONENTE PRINCIPALE dell'impianto termomeccanico è il grande accumulo a lungo

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termine, che permette l'ottimizzazione del funzionamento dei generatori: la sua installazione è avvenuta

durante le prime fasi di costruzione.

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RISCALDAMENTO / REALIZZAZIONE Più integrazione fra strutture storiche e impianti termici GIUSEPPE LA FRANCA Un cantiere di restauro e consolidamento ha permesso di inserire, sotto la nuova pavimentazione, un

impianto a superfici radianti alimentato da una pompa di calore ad assorbimento a gas ed energia

rinnovabile aerotermica. Situata nel centro storico di Bitonto (Bari), la Chiesa di San Domenico è sede di tre

delle Confraternite con maggior adesione cittadina, che curano numerosi culti e venerazioni organizzando

anche alcune cerimonie molto partecipate, fra cui la famosa processione notturna dei Misteri nell'ambito dei

riti della Settimana Santa in Puglia. In quanto sede di una delle più grandi parrocchie del centro storico di

Bitonto, la Chiesa di San Domenico - il cui primo nucleo risale al XV secolo - è meta ogni giorno di un gran

numero di fedeli di ogni età, che ne impegnano i locali in modo praticamente continuativo per i riti religiosi, i

momenti di meditazione e preghiera personale e le attività parrocchiali e istituzionali delle Confraternite.

Negli ultimi anni, grazie alla lungimiranza del parroco don Ciccio Acquafredda, alla munificenza delle

Confraternite e all'interesse dell'Arcidiocesi di Bari-Bitonto, l'edificio è stato oggetto di un articolato

intervento di restauro e consolidamento antisismico, esteso dalle fondazioni (per la risoluzione dei problemi

connessi all'umidità di risalita), ai paramenti murari (per ripristinare l'originaria coesione delle strutture in

blocchi di pietra) e alle coperture (per porre rimedio ai fenomeni di infiltrazione). Integrazione tecnologica

Fra i numerosi interventi realizzati spicca quello che ha interessato il completo rifacimento delle strutture

orizzontali di sostegno della pavimentazione dell'unica navata. Rimossa quella esistente - risalente al 1959

e di nessun valore storico-architettonico - gli scavi, che dovevano scendere nel sottosuolo per circa 1

metro, hanno invece portato alla luce otto camere sepolcrali a volta di età medioevale, anticamente adibite

alla sepoltura dei frati domenicani che occupavano il monastero nel cui complesso la Chiesa di san

Domenico è inserita. Si è reso quindi obbligatorio conciliare la tutela archeologica dei reperti con le

previsioni di progetto, prevedendo tecniche di consolidamento delle fondazioni e delle camere sepolcrali, in

modo da integrare le strutture rinvenute con gli interventi strutturali ed impiantistici previsti, e ridisegnando

le aree di piazzamento delle superfìci radianti, in funzione della disposizione planimetrica delle camere

sepolcrali. Il passo delle serpentine e lo spessore del sottostante strato isolante sono stati perciò ridefiniti,

tenendo conto sia della presenza di spazi vuoti sotto le superfici radianti, per consentire un eventuale

successivo accesso da parte degli archeologi, sia di una distribuzione non più perfettamente omogenea

dell'area riscaldata. In alcuni casi lo spessore del conglomerato sovrastante l'impianto non supera 2 cm: per

evitare il rischio di danni alla nuova pavimentazione causati dalle dilatazioni termiche del massetto,

quesfultimo è stato realizzato con betonano autolivellante fibrorinforzato, gettato in opera. La posa del

pavimento La posa del pavimento è stata poi eseguita su un letto di malta bastarda impastata con polvere

di tufo locale, senza inerti calcarei, secondo un'antica tecnica tradizionale che garantisce elasticità alla

struttura e riduce i possibili fenomeni di efflorescenza legati alla presenza di sali disciolti negli inerti calcarei,

il cui rischio era altamente probabile in presenza di un sistema di riscaldamento diffuso proprio sotto il letto

di posa del pavimento stesso. La posa della nuova pavimentazione in pietra locale è stata effettuata

evitando l'impiego di prodotti sintetici, quali i collanti, con un livello di asciugatura del massetto almeno pari

al 85%. L'insieme di questi accorgimenti ha avuto non solo lo scopo di salvaguardare l'integrità statica delle

opere realizzate, ma anche di conseguire l'obiettivo della migliore funzionalità all'impianto di riscaldamento

che, oltre al comfort termico, consente un migliore controllo del microclima interno fornendo alle strutture

un'ulteriore difesa contro l'umidità. «Per gli aspetti legati al progetto termotecnico, il valore storico

dell'immobile ci ha indirizzato verso una soluzione mininvasiva dal punto di vista architettonico - spiega il

progettista, ing. Domenico Scelsi - ovvero un nuovo pavimento con sottostante componente radiante. Le

serpentine sono concentrate nella zona dei banchi, perciò riscaldano solo lo spazio occupato dai fedeli

27/11/2015Pag. 18 N.11 - novembre 2015 GT Il Giornale del Termoidraulico

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durante le funzioni». La produzione del fluido termovettore è affidata a una pompa di calore ad

assorbimento alimentata a gas ed energia rinnovabile aerotermica. «Si tratta di una tecnologia nella quale

credo fermamente, caratterizzata da elevati rendimenti e che, in questo caso, ha comportato ulteriori

vantaggi rispetto ad altre soluzioni innanzitutto dal punto di vista economico. Confrontando i consumi e i

costi di manutenzione di diverse tipologie di generatori, abbiamo infatti stimato un risparmio notevole

rispetto ad altri sistemi a gas ed elettrici. Il ricorso a questi ultimi avrebbe richiesto anche interventi edili più

incisivi sulla fabbrica storica o un aumento della potenza del contatore. La pompa di calore ad

assorbimento permette inoltre di rientrare nelle previsioni del D.Lgs 28/11, che impone il rispetto di f quote

percentuali per la produzio- l ne del calore mediante fonti ener- i getiche rinnovabili». §

Scheda lavori Committente: Parrocchia San Domenico, Bitonto Progettazione e direzione lavori: ing.

Domenico Scelsi Impresa appaltatrice: So.Ge.Ap Macchina installata: pompa di calore ad assorbimento a

gas Robur

La regolazione climatica «Inizialmente - spiega l'ing. Domenico Scelsi - abbiamo valutato la possibilità di

creare più zone, decidendo poi invece di far lavorare l'intera superficie radiante, in maniera da avere una

migliore e più completa omogeneizzazione dell'aria calda stratificata nelle zone occupate dai fedeli e dagli

utenti. L'impianto è regolato da un semplice cronotermostato, senza modulazione della potenza.

L'accensione avviene un poche ore prima, mentre lo spegnimento si verifica a metà delle funzioni, per

sfruttarne l'inerzia termica del pavimento». L'impianto è perciò estremamente semplice e funzionale...

«Considerando i vincoli architettonici esistenti sul fabbricato, ritengo che si tratti della soluzione migliore per

l'uso al quale è destinato, per la zona urbana nel quale è situato e, anche, per facilitare la gestione da parte

della Parrocchia proprietaria. Infine, ma non meno importante, queste macchine ad assorbimento sono

estremamente silenziose, di conseguenza non arrecano alcun disturbo alle abitazioni circostanti, e non

necessitano di canna fumaria, un altro elemento che avrebbe inciso pesantemente sull'immagine del

contesto». Ing. Domenico Scelsi, progettista.

L'esperienza del tecnico di cantiere Ing. Nicola Minafra, direzione cantiere presso la Chiesa di San

Domenico. «I lavori sono stati affidati all'impresa So.Ge.Ap - abilitata e certificata, fra l'altro, per le opere di

restauro - e il cantiere ha costituito un esempio estremamente efficace di connubio fra tecnologia e

archeologia. A oltre un anno dalla chiusura dei lavori il committente è soddisfatto del risultato ottenuto e i

fedeli dimostrano di gradire le condizioni di comfort che l'impianto riesce ad assicurare». Quali difficoltà

avete incontrato in corso d'installazione? «La demolizione del pavimento esistente e gli scavi necessari alla

realizzazione delle nuove strutture hanno portato alla luce reperti risalenti ad alcuni secoli fa, perciò la

Soprintendenza ha imposto la una sospensione dei lavori per il tempo necessario a completare la

campagna di ricerca archeologica. Per il resto non abbiamo riscontrato particolari problemi. La pompa di

calore a gas è stata sistemata in modo agevole su un terrazzo in copertura, nascosta alla vista, ed è stata

facilmente collegata alla rete del gas che, nel centro storico di Bitonto, corre tutta all'esterno e

generalmente nella parte superiore degli edifici. La macchina si sta dimostrando molto affidabile - ma

questa non è una novità, in quanto si tratta di dispositivi robusti e performanti -e non ha finora richiesto

particolari interventi di manutenzione. Gli interventi edili intemi all'edificio storico si sono limitati alla posa di

un semplice circuito a due tubi, che collega la pompa di calore alle superfìci radianti. Di conseguenza la

realizzazione delle tracce ha comportato interventi sicuramente meno invasivi rispetto ad altre tipologie

d'impianto».

Una soluzione Economica" e poco invasiva NL'aspetto più innovativo del nuovo impianto è costituito dal

sistema di produzione dell'acqua calda a bassa temperatura per il riscaldamento, che utilizza una pompa di

calore a gas ad assorbimento, prodotta da Robur e caratterizzata da un'elevata affidabilità. Per riscaldare e

produrre acqua calda ad alta efficienza (max 164%; classe energetica ErP: A+), la pompa di calore

modulante a condensazione utilizza gas metano ed energia rinnovabile aerotermica (39,4 %), garantendo

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fino al 40% di risparmio economico rispetto alle migliori caldaie a condensazione. Estremamente compatta

e silenziosa, la macchina presenta consumi estremamente limitati sia di gas metano, sia di energia

elettrica: con un rendimento termico superiore al 147% anche a -7 °C, è in grado di abbattere in modo

sensibile i costi di gestione. Ideali in impianti a bassa temperatura e in abbinamento alle superfìci radianti,

le specificità della pompa di calore permettono di limitare la durata dell'accensione al solo periodo di utilizzo

della struttura, garantendo il rapido raggiungimento del regime di comfort termico agli utenti ed evitando il

riscaldamento di volumi inutili d'aria.

Foto: DURANTE GLI SCAVI delle strutture fondali sono state rinvenute alcune camere sepolcrali, la cui

forma e posizione ha imposto una revisione delle previsioni progettuali circa la superficie radiante a

pavimento.

Foto: LA CHIESA di San Domenico a Bitonto risale, nelle sue parti , originarie, al XV secolo: gli interventi di

consolidamento statico e restauro hanno posto rimedio ai numerosi ammaloramenti migliorando anche il

comfort termico.

Foto: A RESTAURO COMPLETATO, l'unica navata della chiesa presenta piacevoli decorazioni in stile

barocco: il committente e i fedeli dimostrano di gradire le condizioni di comfort che l'impianto radiante riesce

ad assicurare.

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SCENARIO ECONOMIA

38 articoli

Poletti non vuole misurare il lavoro in ore Il ministro: quel metodo è un attrezzo vecchio. Camusso protesta: qui c'è gente che fatica Enrico Marro «Dovremmo essere capaci di immaginare un cambiamento dei contratti di lavoro che non abbiano più come

misura unica essenziale di riferimento l'ora di lavoro, un attrezzo vecchio». Il ministro del Lavoro Poletti

pronuncia la frase ad un convegno ed è subito bufera. I sindacati insorgono e la segretaria cgil Camusso

attacca: «La maggior parte delle persone fa lavori faticosi, dove il tempo è fondamentale».

a pagina 47

ROMA I sindacati hanno i nervi a fior di pelle. Ieri è bastato che il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, in

un convegno all'Università Luiss, dicesse che bisogna «immaginare contratti che non abbiano come unico

riferimento l'ora-lavoro» perché si scatenasse una rissa con Cgil, Cisl e Uil. Il perché è presto detto. Le tre

confederazioni hanno cominciato la scorsa settimana una difficile trattativa fra loro per mettere a punto una

proposta comune sulla riforma delle regole di contrattazione, con l'obiettivo di evitare ciò che più temono:

l'intervento del governo per legge che fissi il salario minimo. Una mossa annunciata in passato dallo stesso

presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Salario minimo per legge, come esiste in molti Paesi, che

condannerebbe a morte i contratti nazionali di lavoro - la cui funzione principale è appunto quella di fissare i

cosiddetti minimi di retribuzione - e il ruolo delle centrali sindacali (ma anche delle associazioni

imprenditoriali), ridisegnando le relazioni industriali su base aziendale.

Ma cosa ha detto esattamente ieri Poletti? «Dovremmo essere capaci di immaginare un cambiamento dei

contratti di lavoro che non abbiano più come misura unica essenziale di riferimento l'ora di lavoro, che è un

attrezzo vecchio. Come si misura l'apporto all'opera, cioè al risultato finale? Se teniamo come riferimento

l'ora di lavoro, ci troveremo un freno che blocca la nostra capacità di fare. Credo che sia un tema su cui

lavorare». Tanto è bastato per provocare la dura reazione dei sindacati. Non appena letti i flash di agenzia,

la prima a rispondere è stata addirittura la Cisl, che pure è la confederazione più disponibile a rinnovare

profondamente il modello contrattuale. Insolitamente dure, invece, le parole del segretario confederale, Gigi

Petteni, che per la Cisl sta facendo la trattativa con Cgil e Uil: «È molto meglio che il ministro si concentri

sulle politiche attive del lavoro o sull'abuso che si sta facendo dei voucher, piuttosto che dare indicazioni sul

modello contrattuale. Poletti lasci lavorare i contrattualisti del sindacato e delle altre parti sociali. Ciascuno

faccia il suo mestiere». Subito dopo è arrivato il contrattualista della Cgil, Franco Marini, che ha appunto

confermato quale è il problema, secondo i sindacati: «Il ministro vuole rottamare il contratto nazionale

proprio nel momento il cui il confronto fra Cgil, Cisl e Uil sembra essere partito col piede giusto. Viene da

pensare che la questione non sia tanto la contrattazione quanto il sindacato. Se poi si punta al

superamento dei minimi salariali definiti dai contratti per giustificare l'introduzione del salario minimo legale,

sappia il ministro che il sindacato si opporrà». Nel merito, la leader della Cgil, Susanna Camusso, dopo

aver invitato Poletti a «smetterla di scherzare con il lavoro», sottolinea: «Bisogna ricordarsi che la maggior

parte delle persone fa un lavoro faticoso, nelle catene di montaggio, negli ospedali, nelle campagne, dove il

tempo è fondamentale per salvaguardare la loro condizione». E comunque, aggiunge Marini, «sono anni

che il salario viene determinato anche in funzione dei fattori di qualità».

Ma questo lo sa anche Poletti. E quindi il punto è che il governo pensa che il baricentro della contrattazione

vada spostato in azienda per legare maggiormente salario e produttività. Si può fare questo senza

depotenziare troppo il contratto nazionale? È la scommessa di Cgil, Cisl e Uil. Ma se il sindacato non

realizzerà un effettivo spostamento della dinamica salariale sui risultati aziendali, il governo potrebbe

rompere gli indugi e varare il salario minimo legale, magari con la motivazione di raggiungere tutti quei

lavoratori oggi non tutelati dai contratti nazionali. Sarebbe solo un atto di «liberismo sfrenato», sostiene il

28/11/2015Pag. 1

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 77

leader della Uil, Carmelo Barbagallo.

Enrico Marro

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Le frasiDopo le dichiarazioni sulla scarsa utilità delle lauree in età avanzata per trovare un'occupazio-ne, il ministro

Giuliano Poletti, ha aperto un nuovo fronte sul contratto e l'orario di lavoro affermando che «l'ora-lavoro è

un attrezzo vecchio» «Bisogna smettere di scherzare quando si parla di temi del lavoro - gli ha risposto il

segretario della Cgil Susanna Camusso - infermieri, operai, la maggior parte delle persone fa un lavoro

dove il tempo è fondamentale»

Foto: Duello Il segretario Cgil Camusso con il ministro Poletti

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 78

INTERVISTA L'EX NUMERO UNO MESSORI «Fs, che errore dal governo» Daniele Manca «ho atteso invano, dopo aver rimesso le mie deleghe un anno fa, la proposta del governo sulla

privatizzazione di Ferrovie dello Stato». Così Marcello Messori al Corriere .

a pagina 45

Marcello Messori ha la voce sollevata. Si è appena dimesso da presidente delle Ferrovie dello Stato; e pare

non rimpiangere nulla del lavoro fatto, se non che la privatizzazione della società pubblica sia stata

rallentata. «Mi pare che in questi giorni si stia facendo un po' di confusione su come sono andate le cose; e

soprattutto sui motivi che hanno portato a un ricambio dei vertici della società».

Non è proprio frequente che dopo un anno e mezzo l'azionista, il governo, decapiti una delle maggiori

società pubbliche.

«Non lo è. Vorrei però sommessamente ricordare che, già nell'autunno del 2014 a pochi mesi dalla nomina,

riconsegnai le mie originarie deleghe alla privatizzazione e ne accettai il passaggio all'amministratore

delegato. Con quell'atto miravo a chiarire che, poiché la mia proposta di privatizzazione di Fs non era stata

condivisa dall'azionista, non mi sarei più occupato del problema fino al momento in cui il Mef e

l'amministratore delegato non avessero sottoposto una diversa proposta al consiglio di amministrazione».

Certo, ma Renzi e con lui credo il ministro Padoan sembrano ritenere che le divergenze tra lei e

l'amministratore delegato abbiano influito sul processo di preparazione della privatizzazione.

«Ripeto: il mio sforzo, dopo la remissione delle deleghe, è stato quello di assicurare una buona governance

al consiglio di amministrazione e alla società. Si tratta di un'attività non certo trascurabile per la

privatizzazione, e tocca uno dei parametri cruciali per la quotazione sul mercato di qualsiasi impresa.

All'interno di Fs vi era un'indubbia divergenza di vedute sulle modalità di privatizzazione; ma, dopo che ho

rimesso le deleghe, io non ho più detto una parola sul tema fino a luglio 2015».

Le divergenze su cosa vertevano?

«Ritengo che privatizzare la holding Fs senza passare per una riorganizzazione della società e per la

separazione della rete ferroviaria condanni l'operazione all'insuccesso, blocchi l'apertura alla concorrenza e

non sia sostenibile nel lungo periodo».

Ma con la separazione si incasserebbe molto meno, c'è chi dice 3 miliardi invece di 14...

«Questi numeri dimostrano quanta confusione vi sia»

Quale confusione? I numeri son numeri.

«Circa l'80% del patrimonio di Fs deriva dalla proprietà della rete ferroviaria; e le norme vigenti impongono

che la gestione dell'infrastruttura ferroviaria generi profitti solo per coprire spese di manutenzione e di

investimento relative alla rete stessa. Pertanto, la proprietà della rete non genera rendimenti di mercato; e,

come ho detto in tempi non sospetti, ciò non aumenta i ricavi ma impedisce la privatizzazione. Nella mia

ipotesi di riorganizzazione e di dismissioni parziali, sarebbe stato invece possibile risolvere il problema della

rete e aumentare gli introiti totali».

Ammetterà che un consiglio dove il presidente e l'amministratore delegato non sono d'accordo qualche

problema ce l'ha.

«Certo. Il mio sforzo è stato di evitare che tali divergenze compromettessero i lavori del consiglio di Fs».

È difficile che non accada.

«Fin da luglio 2014 i consigli di Fs non sono stati una passeggiata. Anzi, colgo l'occasione per ringraziare i

consiglieri perché il loro impegno è stato gravoso. Tale lavoro è servito a supplire alla mancanza di un

accordo strutturale sulle strategie di lungo periodo».

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 79

Quindi lungaggini ce ne sono state.

«A giudicare dal numero di delibere approvate, direi che la complessità del processo è stata più che

compensata dall'intensità del lavoro svolto dal consiglio. Nell'ultimo anno sono state assunte decisioni

importanti: per esempio, quelle relative alla cessione della rete elettrica di Fs (febbraio 2015) e alla

scissione di Grandi stazioni (agosto 2015). La mancata conclusione di questi processi da parte di FS non è

certo dipesa dal consiglio».

Tutto tranquillo allora?

«Tutt'altro, perché molte decisioni sono state frutto di un accidentato lavoro che il consiglio ha dovuto

svolgere per pervenire a scelte consapevoli. Inoltre, ho iniziato a innovare le funzioni di audit. Il che, come

ho detto prima, contribuirà a qualsiasi modalità di privatizzazione: non si può quotare una società con una

governance non trasparente. Al riguardo, la regolamentazione e il mercato sono molto esigenti. Del resto

anche la mia decisione di rimettere le deleghe, dopo che nell'agosto 2014 il Mef non aveva condiviso

l'ipotesi di privatizzazione divenuta poi pubblica nel luglio 2015, è stato un atto trasparente».

Ma da quel momento il governo non si è fatto sentire?

«Il Mef ha costituito un gruppo di lavoro sulla privatizzazione di Fs. Io ho partecipato a quel gruppo,

chiarendo subito che non avrei mai preso la parola per evitare che il consiglio fosse vincolato a processi

decisionali, in cui non era pienamente coinvolto. Ho atteso per nove mesi che quel gruppo arrivasse alla

definizione di una proposta da sottoporre alla discussione del consiglio. Ho atteso invano».

A dire il vero la scorsa estate sono trapelate molto chiaramente le sue idee, peraltro diverse da quelle

dell'amministratore delegato.

«Nel luglio di quest'anno la maggioranza dei consiglieri mi ha chiesto esplicitamente di discutere di

privatizzazione. Ho ritenuto quindi doveroso convocare una riunione informale del consiglio, nel corso della

quale ho esposto per la prima volta la mia opinione ai consiglieri. Quell'opinione è stata fatta trapelare ad

alcuni quotidiani; e le divergenze sono venute a galla. In quel momento divenne chiaro che, se l'azionista

non avesse condiviso la mia ipotesi di lavoro, il mio mandato in Fs non avrebbe più avuto senso. Così,

quando 10 giorni fa il Presidente del Consiglio mi ha espresso le perplessità del governo sulla situazione, io

ho scritto immediatamente la lettera di dimissioni».

Sì, ma adesso le Fs stanno meglio o peggio di quando lei è arrivato?

«Rispetto a un anno e mezzo fa, la governance è drasticamente migliorata anche se il processo non è

affatto concluso. Inoltre, il consiglio ha cercato di disegnare strategie più efficienti in termini di

organizzazione, di sviluppo delle attività e di rapporto con i vigilanti. Per quanto riguarda la gestione, la

domanda va rivolta all'amministratore delegato e non a me».

Ma perché la privatizzazione è rimasta al palo?

«Perché la necessaria riorganizzazione si è scontrata con posizioni di rendita difese da massimi

responsabili della gestione. E questo è ancora più grave in un gruppo, dove i lavoratori hanno un'elevata

etica del lavoro e i giovani manager di livello intermedio hanno ottime competenze e voglia di fare».

Fatto sta che l'azionista vi ha chiesto le dimissioni.

«È evidente che, quando ho rimesso le deleghe, ero già pronto ad andarmene. Non lo ho fatto perché ho

cercato, con discreto successo, di far funzionare il consiglio».

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La galassia Fs Fonte: Fs d'Arco Ministero Economia e Finanza (36,3 miliardi di azioni, pari al 100% del

capitale, al valore nominale di 1 euro ciascuna) Grandi stazioni 59,99% FS Telco 100% Busitalia Sita Nord

100% TAV 100% Trenitalia 100% Netinera Deutschland GmbH 51% Italferr 100% RFI 100%

Chi èMarcello Messori, 65 anni, è stato presidente delle Ferrovie Economista, Insegna economia alla Luiss ed è

direttore della Luiss School of European Political Economy Messori è stato consigliere economico per le

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 80

privatizzazioni e membro del Comitato degli esperti della Presidenza del Consiglio del governo D'Alema,

presidente della Società per lo sviluppo dei fondi pensione e di Assogestioni

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 81

Il test «Srep» Le richieste della Bce a Veneto Banca e Popolare Vicenza Sotto osservazione Dividendi vietati per Montepaschi e Carige, Pop. Milano rafforzi la governance Gliinterventi Ricapitalizzazioni già fissate: 1,5 miliardi per Pop.Vicenza, 1 miliardo per Veneto Banca Fabrizio Massaro MILANO Le banche italiane passano l'esame Srep della Bce, quello sulle valutazioni prudenziali relative al

patrimonio ma anche governance, liquidità rischi, modello di business.

Tutte superano la prova del patrimonio: la dotazione di capitale è già oltre i livelli minimi richiesti da

Francoforte per il 2016. Tuttavia per le banche più in difficoltà come Carige (adesso al 12% di patrimonio

rispetto al target dell'11,25%) e Mps (ora all'11,70% su un target del 10,25%) resta il divieto di distribuire

dividendi, mentre per Popolare Vicenza e Veneto Banca i requisiti saranno centrati solo con gli aumenti di

capitale da 1,5 miliardi e 1 miliardo. Alle due banche venete è stato chiesto di «rafforzare» le strutture

organizzative, i processi, le procedure e le strategie di controllo interno (già previsti dal piano industriale

dello scorso settembre). A Bpm (ora al 12,13% rispetto al target del 9%) è stato chiesto invece di rafforzare

la governance «anche in termini di equilibrio numerico degli organi», cosa che la banca ha detto avverrà

con la trasformazione in spa.

Il dato è stato comunicato ieri da quasi tutti gli istituti, anche se non vi erano obbligati, se non in caso di

bocciatura. Le banche hanno scelto la via della trasparenza in quanto serve a fare chiarezza sulla loro

robustezza patrimoniale, specialmente ora che si fa più calda la fase delle aggregazioni.

In generale le banche italiane mostrano un livello di patrimonio (il cosiddetto Cet1, common equity, cioè il

capitale di migliore qualità) attorno all'11%, ben oltre le richieste della Bce. Manca ancora il dato di

Unicredit, che arriverà più avanti in quanto l'istituto è una «global sifi», cioè una banca sistemica. Tra le

maggiori, sono ampiamente oltre i limiti Intesa Sanpaolo (al 13,4% sul target di 9,5%) e Ubi (al 12,56% con

target del 9,25%). «La notizia di un range di obiettivi fra 9% e 11% è positiva per il settore», commenta

Equita sim, «visto che definisce una volta per tutte "standard company specific " cui il mercato può fare

riferimento nella valutazione della posizione di capitale delle singole banche e non fa emergere ulteriori

deficit di capitale bensì buffer adeguati», superiori ai 100 punti base. Ma resta il nodo delle sofferenze,

arrivate oltre i 200 miliardi: «Penso che Bce abbia un focus che riguarda non solo noi ma l'intero sistema

bancario sulle posizioni di crediti deteriorati che, è evidente, in Italia sono piuttosto elevate», ha detto il

presidente di Mps, Massimo Tononi.

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Il processoLo Srep - acronimo di Supervisory Review and Evaluation Process -

è il processo

di revisione

e di valutazione che la Bce

e le autorità nazionali effettuano sulle banche sul patrimonio, governance, liquidità, rischi 13,4 per cento

il livello

del Common equity ratio

di Intesa Sanpaolo, il più alto in Italia

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 82

La crisi globale L'intervista Il ministro dell'Economia: ma al momento non abbiamo elementi concreti«Chiediamo flessibilità alla Ue sulle emergenze. Se non arriverà ci adegueremo» «La paura del terrorismo può pesare sulla crescita» Padoan: lo 0,9% è una previsione, c'è il rischio di doverla rivedere Lorenzo Salvia Il clima seguito ai terribili fatti di Parigi è negativo e questo potrà avere effetti sulla ripresa». Il ministro

dell'Economia Pier Carlo Padoan non nasconde i timori del governo sui pesanti effetti della strage. Tanto

che il dato del +0,9% di incremento del Pil indicato nella legge di Stabilità potrebbe rivelarsi irraggiungibile:

«Quella cifra è una previsione e non un obiettivo. Gli effetti sono possibili, ma al momento non abbiamo

elementi concreti che ci inducano a rivederla». Sul fronte sicurezza il premier Renzi dice che l'Italia è pronta

a inviare soldati in Siria purché ci sia una strategia. alle pagine 2 e 3 ROMA Ministro Pier Carlo Padoan, la

paura del terrorismo avrà effetti anche sull'economia? Ci dobbiamo aspettare una ripresa più debole del

previsto?

«La fiducia delle famiglie e delle imprese è un elemento essenziale per l'andamento dell'economia. Ed è

molto importante, come ci ha appena detto l'Istat, che questo dato sia in crescita».

Quel dato, però, era stato rilevato prima degli attentati di Parigi. Oggi sarebbe ben diverso, non crede?

«Certo, il clima seguito ai terribili fatti di Parigi è negativo e questo potrà avere effetti sulla ripresa. Ma gli

italiani hanno la corretta percezione che stiamo uscendo dalla crisi. E questo conta molto, sia per la fiducia

sia per l'economia».

L'obiettivo per il 2015 resta una crescita dello 0,9% del Pil, il prodotto interno lordo?

«Non è un obiettivo, è una previsione. E quando si fa una previsione c'è sempre il rischio di doverla

rivedere al rialzo o al ribasso. Non dimentichiamoci che influisce anche un rallentamento delle economie di

altri Paesi, cominciato ben prima degli attentati».

Quindi la crescita dello 0,9%, indicata dal governo nel Def, non ci sarà?

«Non ho detto questo. Degli effetti sono possibili ma al momento non abbiamo elementi concreti che ci

inducano a rivedere quella cifra. E poi bisogna tener conto anche delle misure di reazione decise dal

governo, con i 2 miliardi sugli interventi per la sicurezza e la cultura».

Buona parte della ripresa di quest'estate era stata trainata dal turismo. Difficile sperare che in quel settore

non ci siano conseguenze.

«Non è detto. Sta cominciando la stagione sciistica, e le previsioni mi sembrano ottime».

A Roma sta per cominciare il Giubileo. Turisti non ce ne sono, i ristoranti sono vuoti.

«Staremo a vedere».

Ma lei, personalmente, ha paura che accada qualcosa, ha cambiato abitudini?

«Le mie abitudini sono cambiate, molto cambiate, da quando sono diventato ministro. Ma le voglio dire una

cosa: a Parigi ho vissuto per sette anni, quando lavoravo all'Ocse. Le immagini che ho visto alla tv mi

hanno colpito parecchio, perché quelle strade le conosco bene. Se abitassi ancora a Parigi non cambierei il

mio stile di vita nemmeno di una virgola, perché quello sarebbe il primo segno di cedimento al terrorismo».

E in Italia, a Roma?

«Tanto meno».

Lei citava prima i 2 miliardi per sicurezza e la cultura. In realtà l'impegno di quelle risorse è condizionato al

via libera dell'Unione europea sulla famosa flessibilità. Il presidente dell'Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem,

dice che dall'Italia arrivano «troppe richieste di flessibilità». Non proprio un bel segnale.

«Noi non chiediamo nulla che non sia già previsto dalle regole sulla flessibilità che parlano di investimenti e

di circostanze eccezionali, come i migranti e il terrorismo. È vero che sulle clausole di flessibilità l'Italia ha

chiesto più degli altri Paesi. Non perché siamo indisciplinati ma perché gli altri Paesi non hanno le stesse

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 83

condizioni di eligibilità, cioè di accesso, per queste clausole. Sono cose che lo stesso Dijsselbloem conosce

bene: erano scritte nello statement proprio dell'Eurogruppo, di cui è presidente».

Ma cosa succederà se Bruxelles dovesse dire no?

«Ci adegueremmo alle regole, come abbiamo sempre fatto».

Nessuno sfondamento del tetto del 3% sul deficit/Pil?

«No, il deficit continuerà a scendere e da qui a primavera l'Italia dimostrerà che ci sono tutti i requisiti per il

via libera. Non ci sarà nessuna procedura d'infrazione, non siamo mica andati allo sbaraglio».

Bad bank, e il decreto di domenica scorsa per salvare le quattro banche vicine al fallimento per i crediti in

sofferenza, cioè difficili da riscuotere. Gli istituti riaprono ma azionisti e obbligazionisti hanno perso tutto.

Possono sperare in qualcosa?

«Abbiamo anticipato le procedure di risoluzione bancaria che saranno introdotte dal primo gennaio. In

questo modo è stato possibile proteggere chi aveva depositato i soldi presso quei quattro istituti».

Resta il fatto che la Germania ha usato direttamente una grande quantità di denaro pubblico per salvare le

sue banche senza incorrere nell'accusa di aiuti di Stato.

«Sì, 247 miliardi di euro. Ma l'ha fatto quando questo era possibile, prima del 2013. Quando questo

governo ha cercato di rafforzare il regime di protezione del sistema bancario le regole non lo consentivano

più».

Considerando tutte le banche le sofferenze sfiorano i 200 miliardi. Ci sarà una o più bad bank per tutto il

sistema?

«Qualcosa si sta già muovendo. Le grandi banche hanno avviato i loro meccanismi di cessione delle

sofferenze ai fondi interessati. Abbiamo accelerato i tempi per la soluzione dei crediti e messo fine al

problema dei crediti d'imposta nei confronti della pubblica amministrazione. Quello che manca è

un'eventuale garanzia per agevolare lo scambio sul mercato dei cosiddetti crediti non performanti».

Interverrà la Cassa depositi e prestiti ed è in arrivo un decreto entro dicembre?

«Ci sono varie ipotesi. Ma non decideremo entro la fine dell'anno: prima c'è da guidare in porto la legge di

Stabilità».

Ecco, uno dei nodi ancora da sciogliere è il piano per il Sud. Ci sarà? E che misure prevede?

«Ci sarà e sul tavolo ci sono tre ipotesi. Il credito d'imposta per gli investimenti che ha il vantaggio di essere

automatico, cioè non ha bisogno di essere notificato a Bruxelles. L'estensione dello sconto sui contributi per

il lavoro, che invece a Bruxelles va notificato e questo potrebbe allungare i tempi. E poi il super

ammortamento, cioè lo sconto fiscale per chi investe nella propria azienda, che al Sud potrebbe essere

ancora più forte».

Preferisce la prima ipotesi?

«Non esiste la misura ideale. Tutte hanno vantaggi e svantaggi. L'importante è che producano effetti

strutturali».

E le pensioni? Renzi ha detto che l'anno prossimo si tornerà a parlare di flessibilità. Lei è favorevole o

contrario al fatto che un lavoratore vada in pensione prima accettando un assegno più basso?

«Il nostro sistema pensionistico è molto solido. Si può migliorare e io sono aperto a ogni discussione. Ma

stiamo attenti a non indebolirlo anche perché il nostro debito pubblico, come ci ricordano ogni cinque

minuti, è molto elevato, anche se comincia a scendere dal 2016».

Per diminuirlo siete pronti anche alla privatizzazione delle Ferrovie. Quanto contate di incassare?

«Impossibile dirlo oggi. Ma, oltre a quelli sul debito pubblico, ci sono almeno altri due benefici che verranno

dall'operazione: esporre il management alle pressioni della concorrenza con vantaggi per gli utilizzatori e

ridurre i trasferimenti da parte dello Stato perché l'azienda potrà finanziarsi sul mercato».

La rete verrà scorporata?

29/11/2015Pag. 1.2.3

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 84

«La proprietà delle rete resterà pubblica, su questo c'è totale accordo. Altra cosa è la gestione della rete: ci

stiamo ancora ragionando. Ma in ogni caso è chiaro che sulla rete ci deve essere competizione».

Ha fatto discutere la frase del suo collega Poletti: l'orario di lavoro è un attrezzo vecchio. Lei è d'accordo?

«Detto così può sembrare fuori luogo. Ma leggendo tutta la frase, e conoscendo Giuliano, sono d'accordo

con lui. L'orario di lavoro rimane una variabile importante ma non è più l'unica, nemmeno per un Paese

manifatturiero come il nostro, dove però continua a crescere l'importanza dei servizi e quella che

chiamiamo l'economia della conoscenza. Introdurre strumenti di misurazione della produttività non serve a

punire il lavoratore. Al contrario, serve a trasformare la produttività in qualcosa che finisce nelle tasche del

lavoratore».

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Le prospettive Le previsioni d'autunno della Commissione europea sull'Italia Corriere della Sera 2015 2016

2017 anno 0,9 1,5 1,4 1,0 1,9 PIL (%) DEFICIT (in % del Pil) SALDO STRUTTURALE DEBITO (in % del

Pil) INFLAZIONE (%) DISOCCUPAZIONE -2,3 -1,6 -2,6 -1,5 -1,4 -1,0 133% 132,2% 130% 12,2% 11,8%

11,6% 0,2

Il bonus giovani

Berlusconi attacca: mancia disgustosa«S ono mance elettorali disgustose». Silvio Berlusconi attacca Matteo Renzi e il bonus di 500 euro per i

diciottenni. Ma anche un premier «non eletto», «che sta mettendo uomini suoi negli enti e nelle aziende di

Stato, come alle Ferrovie: è un regime».

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Il profiloPier Carlo Padoan, 65 anni, economista, è ministro dell'Economia e delle Finanze del governo Renzi dal

febbraio 2014 In passato è stato vice-segretario dell'Ocse (dal 2007 al 2014)

Foto: Non ci sarà nessuna procedura d'infrazione Il deficit continuerà a scendere

Foto: Sulle sofferenze bancarie ci sono varie ipotesi Decideremo nel 2016

Foto: L'esercito in servizio di sicurezza antiterrorismo intorno al Duomo. Il simbolo di Milano è considerato,

insieme al Teatro alla Scala, e alla città di Roma uno dei luoghi più a rischio in Italia ( foto Fracchia )

29/11/2015Pag. 1.2.3

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 85

Azzi (Federcasse) Le Bcc protestano: da noi 230 milioni per coprire i dissesti degli altri Credito cooperativo Il presidente: versiamo soldi in un fondo che non è stato creato per salvare i nostriistituti Stefania Tamburello ROMA Anche le 370 banche di credito cooperativo sono state chiamate a versare i contributi per il nuovo

Fondo di risoluzione previsto dalla normativa Ue sui salvataggi bancari. Non solo quelli della prima rata,

entro il primo dicembre, ma anche quelli delle tre rate successive anticipate al 7 dicembre per far fronte ai

costi dell'intervento a sostegno di Banca Marche, Popolare dell'Etruria, Cassa di Ferrara e Cassa di Chieti.

«Questo proprio non ci piace» dice Alessandro Azzi (foto), presidente della Federcasse, annunciando

battaglia. «Certo, pagheremo puntuali, noi le regole le rispettiamo sempre, anche se sono ingiuste come in

questo caso ma abbiamo intenzione di verificarne la correttezza in tutte le sedi» aggiunge indicando la cifra

dell'esborso complessivo per i piccoli e piccolissimi istituti di credito cooperativo: 230 milioni. Il fatto è,

spiega Azzi, che «noi viviamo questa richiesta come un'ingiustizia perché veniamo chiamati a pagare per i

dissesti di banche che, all'inverso, non hanno mai contribuito a sanare le nostre difficoltà». Il mondo delle

Bcc infatti ha finora affrontato le emergenze della categoria con un suo Fondo di tutela, distinto dal Fondo

interbancario di tutela dei depositi costituito dal resto del sistema bancario. «Noi abbiamo anche rimborsato

le obbligazioni subordinate, a differenza di quanto è avvenuto nel salvataggio delle 4 banche», sottolinea

ancora Azzi, il quale segnala un'altra incongruenza della normativa anticrisi: le Bcc, dice, contribuiscono ad

alimentare il nuovo Fondo di risoluzione ma non potranno usufruirne in caso di difficoltà «perché stando

all'interpretazione prevalente sono troppo piccole per rappresentare un interesse pubblico». Piccole, ma in

prospettiva non poi cosi tanto: a breve dovrebbe essere avviato un processo di integrazione che punta a

mantenere le autonomie sulla base di una proposta di autoriforma definita da Federcasse.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 86

INTERVISTA ECONOMIA E POLITICA Parla Ghizzoni Unicredit, il piano della svolta Nicola Saldutti «Crescita e trasformazione della nostra banca: più digitale e sostegno alla ripresa». Ecco l'obiettivo di

Federico Ghizzoni, amministratore delegato del gruppo UniCredit.

alla pagina 23

Milano «Abbiamo scelto una strada per certi versi impervia...». Poi fa una breve pausa: «Ma se i problemi

non si affrontano, da soli non scompaiono...». Federico Ghizzoni, classe '55, all'UniCredit ha speso tutta la

sua carriera professionale. Dal 1980. L'amministratore delegato è appena rientrato dal road show: «Questo

piano saremo in grado di portarlo a casa. E lo porteremo. È senza dubbio un piano sfidante perché anziché

massimizzare la profittabilità nel breve abbiamo voluto affrontare con decisione alcuni problemi. Dalla forte

riduzione dei costi per migliorare l'efficienza e il rapporto costi-ricavi, all'uscita o ristrutturazione di attività

non abbastanza redditizie ed infine alla drastica riduzione delle sofferenze - con un miglior rapporto tra

sofferenze e impieghi - che intendiamo portare avanti con decisione, come prima o poi tutte le banche

dovranno fare. Tutto questo comprime il conto economico nel brevissimo periodo ma contribuisce a creare

significativo valore nel medio. La reazione del mercato non mi ha sorpreso: alcuni investitori con ottica a

breve hanno disinvestito ma altri investitori, "long only", cioè con un orizzonte temporale più lungo, hanno

invece acquistato Unicredit. Sono certo che questi ultimi saranno ampiamente ricompensati per la loro

scelta».

Un piano di risparmi molto intenso con quasi 18 mila tagli al personale, realizzato con cessioni,

riorganizzazioni a cominciare da Bank Austria...

«Voglio dirlo subito. Le valutazioni si sono concentrate molto, forse anche troppo, sulla riduzione dei costi.

Ma il nostro è soprattutto un piano di crescita e di trasformazione della banca. Ad esempio puntiamo ad

avere un milione di clienti in più all'anno, obiettivo già raggiunto nel 2015. A consolidare la nostra

leadership sul mercato europeo del corporate e investment banking dove serviamo oltre 6.000 grandi

aziende e oltre 300.000 piccole e medie. Penso al private banking oppure al Centro-Est Europa, dove

vogliamo continuare ad essere il numero uno. E poi c'è la rivoluzione digitale: è una corsa infinita, e noi,

investendo oltre 1,2 miliardi, vogliamo arrivare tra i primi».

Ormai allo sportello le file sono un ricordo del passato.

«L'85% delle operazioni viene realizzato attraverso internet banking, telefonini, tablet. Vogliamo arrivare al

90%. Stiamo intanto ridisegnando completamente il modo di fare banca. Grazie all'utilizzo del big data e

dell'analisi delle informazioni sulla nostra clientela, puntiamo entro il 2017 al prestito istantaneo per il 40%

del credito alle famiglie».

Prestito istantaneo?

«Sarà possibile valutare l'affidabilità dei clienti in modo superveloce e concedere il prestito in pochi minuti.

Lo stesso potrà accadere nel mondo corporate a partire dalle piccole imprese. In questo caso conterà,

come sempre, la valutazione del management e la storia dell'impresa che però verrà integrata da

informazioni ricevute ed elaborate in tempo reale su tutto quello che circonda l'azienda, a partire da clienti e

fornitori. Ciò consentirà di aumentare l'offerta di credito e la sua qualità. Questa per noi è la rivoluzione

digitale».

Ci sarà bisogno di sempre meno persone allo sportello.

«In parte è vero ma ci sarà anche uno spostamento da aree di supporto ad attività di business vere e

proprie. Nei prossimi due anni ad esempio solo in Italia saranno almeno mille i colleghi che faranno questo

passaggio».

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 87

Ma il credito alle imprese va ancora al rallentatore...

«Non direi. Nel triennio contiamo di offrire 170-180 miliardi di credito nuovo. Circa 100 miliardi in Italia, 60

alle aziende e 40 alle famiglie. Solo per i mutui pensiamo che circa 250 mila famiglie italiane decideranno di

comprare casa con Unicredit».

Non le sembra di essere troppo ottimista...

«Il clima, anche se lentamente, sta cambiando. Le imprese, dopo anni di blocco, hanno ripreso gli

investimenti. Le difficoltà restano, ma i segnali positivi si rafforzano. Un anno fa su 100 euro di prestito

richiesti, 90 servivano a rifinanziare un vecchio debito. Ora il 30-40 per cento serve a piani di crescita. Una

svolta».

Ma per le banche vivere con i tassi zero è uno scenario competitivo mai visto prima.

«Fino al 2018 pensiamo che i tassi resteranno così. Ma grazie in particolare alla nostra presenza nel

Centro ed Est Europa, dove il margine di interesse è praticamente doppio rispetto agli altri Paesi del

continente e la domanda di credito è più sostenuta, il gruppo potrà crescere anche nella generazione di

margine di interesse».

A proposito della rete estera, Unicredit è forse la banca più internazionale tra gli istituti italiani. Cosa che in

una fase di turbolenza come questa, dalla Turchia, alla Russia all'Ucraina, non si sta rivelando un punto di

forza. Anzi...

«La presenza internazionale così ampia offre benefici in termini di economia di scala e di diversificazione.

Oggi le economie del Centro-Est Europa crescono quasi il doppio dell'area euro. Ci sono momenti in cui la

diversificazione geografica può creare problemi, ma su un arco temporale più lungo i vantaggi restano

molto più elevati rispetto ad una presenza solo domestica. Un numero? Dal Duemila ad oggi il Centro-Est

Europa ha dato circa 15 miliardi di utili al gruppo. Ancor di più se includiamo la Polonia».

Il piano cosa prevede per le e imprese?

«In Europa siamo la prima banca nel corporate per totale di credito erogato e per numero di clienti; siamo

tra i leader europei nel trade finance e nel capital market ormai entriamo in tutte le operazioni di investment

banking più importanti. Vogliamo crescere ancora. Ma non limitiamo le nostre ambizioni alle imprese.

Anche nel private banking, dove solo in Italia gestiamo oltre 100 miliardi di euro di cui circa 30 nella fascia

più alta della clientela, e cioè dai 5 milioni di patrimonio in su, abbiamo grandi margini di crescita. Tornando

al gruppo in tre anni puntiamo a far crescere il totale degli asset finanziari dei nostri clienti da 870 a circa

1.100 miliardi».

E Pioneer?

«Con Santander è tutto concordato. Aspettiamo solo il via libera delle autorità. Insieme a Santander saremo

tra i primi dieci gruppi in Europa, con una rete mondiale di oltre 20 mila sportelli. La nuova dimensione ci

consentirà di crescere ancora più velocemente sul segmento degli investitori istituzionali che è più costante

e meno ciclico di quello retail».

Intanto però in Italia nel sistema c'è una montagna di sofferenze da gestire...

«Pochi se ne sono accorti, ma noi nel prossimi 3 anni riduciamo i nostri crediti problematici di 31 miliardi.

Negli ultimi anni abbiamo fatto accantonamenti rilevanti e oggi abbiamo la copertura dei crediti più alta in

Italia. Uno sforzo importante per affrontare il problema. Forse più di quanto hanno fatto altri».

E il progetto per la bad bank di sistema?

«A questo punto è un confronto tra il governo e Bruxelles. O si trova una soluzione entro l'anno o è meglio

pensare ad altro. Discutere, discutere. Non capisco il comportamento legalistico della Ue».

Qualcosa però è stato fatto con il salvataggio di Banca Marche, Banca Etruria, CariChieti, CariFerrara?

«Si è voluto fare un intervento di sistema per evitare una bancarotta disordinata e una reazione scomposta

dei clienti. Era interesse di tutti farla. Dal primo gennaio entreranno in vigore le nuove regole».

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 88

Difficile resistere con Pay-pal che vi ruba il mestiere.

«Ormai per i pagamenti ci sono app, start up, trasferimenti di denaro direttamente con i cellulari. Un campo

aperto dove noi abbiamo da giocare una carta molto importante: la sicurezza. In tempi di incertezza come

questi la banca ha ancora un ruolo fondamentale: può garantire qualità e semplicità assieme alla sicurezza

del servizio. Per Unicredit il business dei pagamenti è estremamente importante. Il pagamento è in se

un'informazione, ti dice chi è il cliente, i suoi bisogni. Un'informazione utilizzata molto poco finora ma

indispensabile in ottica digitale» .

Come va il vostro investimento in Mediobanca?

«Siamo soddisfatti. Lo sviluppo all'estero funziona e anche nel retail i risultati si vedono».

Rcs?

«Stiamo aspettando il piano. Ci è stato chiesto lo stand still e l'abbiamo concesso. Aspettiamo di vedere il

progetto industriale che arriverà a dicembre».

Avete attraversato giorni complicati con l'indagine sui prestiti e il coinvolgimento del vicepresidente Fabrizio

Palenzona...

«Si sono dette e sentite molte cose. Ma ora è chiaro che la governance della banca ha tenuto, non ho

dubbi a dirlo forte. L'avvio dell'indagine interna l'ho firmata io con il presidente Giuseppe Vita e il consiglio è

stato tenuto costantemente informato. Personalmente ero pronto a prendere tutte le decisioni di mia

competenza. Poi tutto si è chiarito sia sul fronte interno che giudiziario».

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d'Arco Gli obiettivi di Unicredit TARGET A FINE 2018 Confronto sui risultati 2014 Dati in % LA MAPPA DEI

SOCI COMPOSIZIONE DELL'AZIONARIATO Per tipologia di azionisti Aabar Luxembourg S.A.R.L.

BlackRock Fondazione CariVerona Central Bank of Libya Fondazione Crt Norges Bank 2,159 2,522 2,929

3,467 5,049 5,049 Risultato operativo lordo 12,2 miliardi (+8%) 11% (+6 p.p.) Redditività (rote) 12,6%

(+2,6% p.p.) Patrimonio (cet1 ratio) 5,3 miliardi Utile netto (+27%) 50% (-10 p.p.) Rapporto costi/ricavi 67 (-

23 p.b.) Costo del rischio Investitori istituzionali 41% Azionisti stabili 33% Retail varie e investitori non

identificati 26% Fonte: Dati societari

BanchiereFederico Ghizzoni (foto ), piacentino, 60 anni, inizia in banca nel 1980 al Credito Italiano. Svolge nel gruppo

- poi diventato Unicredit - l'intera carriera, quasi tutta all'estero. Capo dell'Est Europa nel 2007, dal 30

settembre 2010 è ceo del gruppo Unicredit è

la maggiore banca italiana per attivo e la 25esima nel mondo con 867 miliardi di euro. Presente in 17 Paesi,

a Piazza Affari capitalizza 33,3 miliardi di euro Primo socio è Aabar (Abu Dhabi) con il 5,05%

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 89

Un'economia senza ripresa? L'effetto su consumi e Pil degli attentati a Parigi è il nodo da sciogliere. Mentre giovedì la Bce annuncianuove mosse ? Daveri: le economie si adattano alle nuove situazioni, anche alle peggiori. Spesso prevale ildesiderio di continuare come prima De Rita: è la crisi che ci ha cambiato la testa. Gli italiani hanno scopertoun valore che non credevano di avere: la sobrietà De Felice: in reazione al terrorismo ci sono ancheconsumi consolatori, come l'abbiglia-mento: cioè tanto vale godersela Munchau: il Lorenzo Salvia ROMA Nella prima settimana dopo gli attentati alle Torri gemelle, gli americani spesero con le carte di

credito il 20% in meno. Si era fermata l'economia della fiducia, perché quel rettangolino di plastica che

abbiamo nel portafoglio vuol dire fiducia. «Tornate a spendere, riprendete una vita normale» dicevano

George Bush e il sindaco di New York Rudolph Giuliani. Alla fine passò. Il costo economico dell'11

Settembre è stato stimato in 80 miliardi dollari. Tanto. Ma, visto quello che era successo, anche poco: lo

0,1% del Pil americano, la ricchezza prodotta in tutto il Paese. Il ministro italiano dell'Economia, Pier Carlo

Padoan, dice che gli attentati nel cuore dell'Europa potrebbero avere un effetto anche sulla nostra

economia, sui primi segnali di ripresa arrivati dopo anni con il segno meno. Ma stavolta quanto ci costerà,

se ci costerà, l'economia della paura?

Turismo, il primo fronte

Il primo dato arriva da Roma, dove sta per cominciare il Giubileo. A luglio si prevedevano 33 milioni di arrivi,

le ultime stime parlano di 10 milioni. Meno di un terzo. E il turismo ha trainato buona parte della ripresa che

abbiamo visto finora. Si apriranno qui le prime crepe? «Non è detto», dice Francesco Daveri, professore

alla Bocconi e alla Cattolica. «Le economie si adattano alle nuove situazioni e nelle persone spesso prevale

il desiderio di continuare a fare le cose di prima. Potrebbero cambiare le destinazioni, anche all'interno

dell'Italia, ma non i numeri complessivi». Meno grandi città, meno luoghi considerati a rischio. E più itinerari

alternativi, destinazioni minori. Se non ci fosse di mezzo la paura, si potrebbe anche dire che l'Italia del

turismo, tuttora concentrato nel triangolo Roma-Firenze-Venezia, ne avrebbe un gran bisogno.

Chiusi in casa?

Stavolta la paura è diversa. Non è stato colpito un simbolo, le Twin towers, ma la vita di tutti i giorni con i

bar, i ristoranti, il concerto al Bataclan. L'effetto sui consumi può essere più sottile, ma anche più diffuso e

duraturo? «Almeno per il momento molti tendono ad evitare i luoghi più affollati, come i ristoranti e i teatri»

dice il sociologo Giuseppe De Rita. «Ma il vero problema - aggiunge - è che la lunga crisi economica ci ha

cambiato la testa. Gli italiani hanno scoperto un valore che non credevano di avere, la sobrietà. E c'è poco

da fare». Una ricerca di tre studiosi americani dice che nelle 177 nazioni colpite dal terrorismo fra il 1968 e

il 2000 la crescita del Pil pro capite è stata ridotta dello 0,048% l'anno. Applicato all'Italia, con tutte le

cautele del caso, vuol dire 12 euro a testa. Poco. Il punto è che ci sono contromisure che scattano in

automatico: «Nel caso delle Torri gemelle - dice Gregorio De Felice, capo economista di Intesa Sanpaolo -

il calo della domanda durò solo tre mesi. Come reazione al terrorismo ci sono anche i consumi consolatori,

come l'abbigliamento. I consumi del tanto vale godersela, insomma». Ma c'è un altro problema ancora:

«L'impatto più forte - spiega De Felice - può arrivare dai limiti al commercio internazionale, con i blocchi e le

sanzioni. Il jet russo abbattuto dai turchi può portare conseguenze peggiori». E qui si arriva al tema delle

decisioni pubbliche.

Le scelte dei governi

L'editorialista del Financial times Wolfgang Munchau non è mai stato tenero con l'Italia. E non si smentisce:

«Certo, la paura degli attentati può avere un effetto negativo sulla crescita di tutti gli Stati europei». Ma lui

invita a guardare in profondità: «Il terrorismo è solo uno degli choc possibili per le economie moderne. Ce

ne potranno essere altri, magari di natura diversa. Quello che conta è rendere il sistema strutturalmente

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 90

solido, in modo che possa reggere l'urto». E questo, secondo Munchau, l'Italia non l'ha fatto: «Il governo ha

preferito tagliare le tasse sulla prima casa anziché spingere sulla produttività e l'efficienza. E poi quel

miliardo per la cultura: sono mosse elettorali, populiste». Governi, però, vuol dire anche Europa. La

settimana prossima la Banca centrale europea dovrebbe annunciare il potenziamento del quantitative

easing , il piano d'acquisto di titoli di Stato per immettere denaro nell'economia. Non c'è il rischio che

questa massa di liquidità alla fine generi una nuova bolla finanziaria, come già successo negli Stati Uniti

dopo l'11 Settembre e dopo il crack di Lehman Brothers, con conseguenze permanenti? Una sorta di danno

collaterale del sostegno alla ripresa e della guerra al terrorismo? «Il rischio c'è - dice Daveri, il professore

della Bocconi e della Cattolica - ma in questo momento è il male minore. E quindi lo dobbiamo mettere in

conto».

Secondo l'istituto per l'Economia e la Pace, un gruppo internazionale di esperti che ogni anno elabora

l'Indice di Terrorismo Globale se non ci fossero attentati di alcun tipo il mondo sarebbe più ricco del 30%.

Magari esagerano. Ma in fondo non è una previsione. Solo un sogno. E, almeno nei sogni, esagerare si

può .

@lorenzosalvia

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? La crescita Fonte: Commissione Ue e Istat Corriere della Sera DISOCCUPAZIONE 12,2% 11,8% 11,6%

DEBITO (in % del Pil) 133% 132,2% 130% DEFICIT (in % del Pil) -2,3 -1,6 +0,9 -2,6 +1,5 +1,4 PIL (%)

2015 2016 2017 anno Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov 101,4 94,3 107,5 97,1 110,8 102,9

108,3 102 106,1 101,9 109,8 104,5 107,1 104,4 109,6 103,7 113,1 106,2 117 107 118,4 100 Gen Feb Mar

Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov 100 Le previsioni d'autunno della Commissione europea sull'Italia Clima

di fiducia dei consumatori (base 2010=100) Clima di fiducia delle imprese (base 2010=100) 107,1

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 91

IL PUNTO Il dicembre caldo dei banchieri e del risparmio DANIELE MANCA Che settimane ci attendono. I mercati forse danno già per acquisite le scelte che faranno i banchieri

centrali. Ma mai come in questi ultimi mesi a fare le differenze saranno gli accenti e le modalità delle loro

decisioni. Tra il 3 e il 4 di dicembre ci sarà la riunione della Bce e la testimonianza della presidente della

Federal Reserve, Janet Yellen al Congresso degli Stati Uniti. Il 16 la stessa Fed renderà pubblica la sua

decisione sui tassi. E potrebbe trattarsi, stando alle cifre sull'economia e a quelle sull'occupazione Usa, di

un rialzo per la prima volta dopo 8 anni. Per risparmiatori e investitori sarà uno slalom riuscire a districarsi

in una volatilità che sicuramente la farà da padrona in questi giorni sui mercati. Ma i gestori professionali

sanno che anche in questo caso sarà Francoforte a fare da pesce pilota. Gli scettici su un allargamento

degli stimoli all'economia (Qe) da parte di Mario Draghi stanno aumentando le pressioni affinché si

attendano perlomeno le scelte di Yellen . Sottolineano che gli effetti del Qe in un sistema economico come

quello europeo più basato sulle banche che sul mercato dei capitali, Borse e dintorni, siano molto meno

chiari del previsto. Che è poi la grande differenza strutturale tra Stati Uniti ed Europa. Ma non andrebbe

dimenticato che la Bce sta lavorando sostanzialmente da sola. Le politiche di bilancio dei governi sono

tutt'altro che espansive, e questo nonostante la Francia (ma anche l'Italia) abbiano chiesto una sorta di

sospensiva sul rigore. Agli scettici andrebbe ricordato che il Qe è iniziato soltanto otto mesi fa. Conforta

quel «Faremo quello che dobbiamo» di Mario Draghi. Se non altro perché mostra quanto a Francoforte si

sia capito che il prezzo dell'inazione è ben più alto del rischio che l'Europa sta correndo nel mostrarsi ben

poco attiva non solo sul fronte dell'economia, ma anche su quello ben più pericoloso e visibile del

terrorismo.

@daniele_manca

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30/11/2015Pag. 1 N.40 - 30 novembre 2015

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 92

L'intervista Conad Pugliese: troppo fermi si può fare di più* roberta scagliarini L'Italia è il Paese meno aperto in tutta l'Unione Europea, dice Francesco Pugliese, amministratore delegato

di Conad, che ha raccolto 70 mila firme per ottenere la liberalizzazione delle vendite dei farmaci di fascia C.

a pagina 4 Ci sono già più di 70 mila firme in calce alla petizione per la liberalizzazione dei farmaci di

fascia C presentata da Conad e dall'associazione delle parafarmacie. «Le abbiamo raccolte sia online sia

nei punti di vendita - racconta il ceo di Conad, Francesco Pugliese - c'è molta sensibilità su questo tema. La

nostra sfida è far entrare le nuove regole nel disegno di legge sulla concorrenza in discussione in questi

giorni in Parlamento. C'è anche il parere favorevole del presidente dell'Antitrust, Giuseppe Pitruzzella.

Parliamo di 3.800 farmaci non considerati essenziali o salvavita, quali, ad esempio, antidolorifici,

antinfiammatori, ansiolitici, antidepressivi, anticoncezionali, che si acquistano solo con la prescrizione del

medico ma il cui costo è a carico del cittadino. Da soli valgono 2.937 milioni di euro, l'11% della spesa

farmaceutica nazionale. La liberalizzazione porterebbe a una competizione sui prezzi, così come è

accaduto per i farmaci da banco, con un beneficio per i cittadini stimato tra i 500 e i 900 milioni di euro

all'anno.

«Conad ha in funzione 100 parafarmacie su tutto il territorio nazionale, che sviluppano un fatturato di 50

milioni di euro, ma sta conducendo la battaglia insieme alle altre 3.700 parafarmacie nazionali. Riteniamo

sia necessario portare elementi di modernità e sviluppo in questo Paese - sottolinea Pugliese - è il meno

aperto della Ue, se si escludono energia e telecomunicazioni. Si sa che le liberalizzazioni portano

concorrenza, efficienza e risparmi, invece ci scontriamo con un monopolio della dispensazione

professionale di questi farmaci. Così si nega a tante famiglie la possibilità di risparmiare molte centinaia di

milioni di euro all'anno, cifra che sarebbe un'importante boccata di ossigeno. Il Paese è ostaggio di lobby

che cercano di assicurare la propria sopravvivenza anziché sostenere lo sviluppo dell'economia, far

nascere nuova imprenditorialità, creare nuova occupazione e garantire ai cittadini servizi e convenienza».

Energia

L'impegno per le liberalizzazioni di Conad è cominciato 20 anni fa con la battaglia per le pompe di benzina

nei supermercati. «Oggi abbiamo 34 distributori di carburante con livelli di efficienza superiori alla media -

ricorda il ceo -. Mentre la pompa media eroga 1,5 milioni di litri l'anno, le nostre ne erogano 10 milioni e

permettono al consumatore un risparmio di 8-10 centesimi al litro».

Conad è il secondo gruppo nazionale della grande distribuzione, dopo le Coop, con ricavi che nel 2014

sono stati di 11,7 miliardi. È una delle poche catene che sono riuscite in questi anni ad approfittare della

crisi per allargare il proprio perimetro di rete facendo acquisizioni di punti vendita (Lombardini, Billa,

Carrefour).

Quest'anno il gruppo crescerà del 5% (e dell'1% parità di rete) mentre il mercato chiuderà in pareggio. «I

consumi dopo 14 settimane di ripresa sono tornati a calare - spiega il Pugliese -. Era in atto una timida

ripresa ma gli attentati di Francia e prima ancora gli annunci dell'Oms sulla carne hanno riportato in

negativo l'indice di fiducia e quello dei consumi. Dopo gli eventi di Parigi molti consumatori evitano i grandi

spazi degli iper e dei super e preferiscono recarsi nei negozi di prossimità».

Lo scorso anno l'insegna che raggruppa 8 cooperative di dettaglianti ha siglato un'alleanza con la Finiper di

Marco Brunelli che sembra destinata a rafforzarsi. «Sta andando bene - conferma il manager -, stiamo

consolidando la partnership. Nel settore extralimentare ci scambiamo know-how, nell'alimentare è probabile

che il prossimo anno annunceremo delle novità, abbiamo grandi affinità».

Il protocollo dell'alleanza annunciata lo scorso anno e partita quest'anno ha una durata quinquennale

rinnovabile e va dallo sviluppo della logistica ai nuovi prodotti, fino ai settori a più alto tasso di innovazione

30/11/2015Pag. 1,4 N.40 - 30 novembre 2015

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 93

(gastronomia, pescheria, affettati) e a strategie di marchio coordinate. Il capitolo più importante è la

negoziazione in comune degli acquisti con una massa aggregata di oltre 14 miliardi.

La catena dei dettaglianti nel 2014 ha avviato un piano triennale di sviluppo che prevede investimenti per

950 milioni di euro con una crescita non solo sul mercato di riferimento, quello alimentare e retail, ma anche

per linee esterne. Il piano, che stima un continuo incremento dei ricavi fino al 2017 a una media annua del

+3,9%, sta andando «come previsto».

@rscaglia1

© RIPRODUZIONE RISERVATA LA CLASSIFICA Quote di mercato di super e ipermercati Sono esclusi i

discount Coop Conad Esselunga Selex Auchan Carrefour Finiper 19% 12,8% 11,8% 10,8% 8,5% 7,2%

3,6% Sigma Gruppo Pam Agorà Gruppo Sun Bennet Aspiag 2,9% 2,8% 2,7% 2,6% 2,6% 2,6% C3 Sisa

Gruppo Vege Crai Despar Indipendenti 2% 1,9% 1,3% 1,2% 1,2% 0,8% Fonte: Nielsen s.F.

Foto: Manager Francesco Pugliese, guida Conad, la seconda catena della grande distribuzione italiana

30/11/2015Pag. 1,4 N.40 - 30 novembre 2015

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 94

CONCORRENZA SLEALE L'Europa si svegli e difenda la sua industria Guido Gentili Fermiamo l'orologio della Storia e torniamo al '900, il secolo delle ideologie? E sorvoliamo sul fatto che la

Cina (dal 2001 paese membro della Wto), passati 15 anni, può acquisire a fine 2016 lo Stato di Economia

di Mercato (MES), la stessa "etichetta" che qualifica gli Usa e i paesi dell'Unione europea? La risposte

paiono scontate: due "no" tondi e scorrevoli comei fiumi dell'export cinese che vedono abbassarsi altre

dighe, le misure antidumping per garantire una concorrenza leale. Da economia non di mercato, in

transizione riformista per tre lustri, a economia di mercato. La storia avanza. E con essa la fine della difesa

commerciale europea attraverso dazi e tariffe sull'import di prodotti cinesi. In realtà la storiaè più

complicata. Le ideologie non c'entrano: dal 2001 il commercio tra Cina e Europa è cresciuto a dismisura e

gli investimenti cinesi, geostrategici e no, soprattutto dopo lo scoppio della crisi da debiti sovrani, hanno

trovato in Europa porte più che aperte (Italia secondo mercato di riferimento). Ma nonè certo terminata la

transizione riformista del Dragone, passaggio epocale all'incrocio tra modello comunista e mercatismo

primordiale, dove la ricerca del profitto non ha ancora contrappesi adeguati in termini di diritti, protezione

sociale e rispetto dell'ambiente. Da qui all'esercizio di una concorrenza sleale il passo è molto breve.

L'Europa, già a corto di una politica industriale coerente a dispetto della sua ossatura manifatturiera dove

primeggiano Germania e Italia, non può distrarsi né vagheggiare fumose formule compromissorie. Lo

"Stato di economia di mercato" assegnato alla Cina non è il traguardo finale di un automatismo normativo.E

prima di abbassare le difese vanno messi sul piatto tuttii possibili impatti, compresi quelli potenzialmente

distruttori di crescita e occupazione. La Cina è una superpotenza e la partita è ad alta sensibilità politica.

Ma anche i governi, a cominciare dall'Italia, devono esprimersi con chiarezza. Si chiama "interesse

nazionale".

Foto: .Twitter@guidogentili1

28/11/2015Pag. 1

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 95

Il salvagente di Draghi e le nostre mancanze* Marco Onado U pagina 5 L'ulteriore discesa dei tassi registrata all'asta italiana di ieri è il segnale che i mercati danno

ormai per scontato che la Bce annuncerà la settimana prossima un ulteriore ampliamento della manovra di

Quantitative easing, smarcandosi dunque rispetto alla Fed americana, ormai prossima a ridurre, sia pure

con grande cautela, i suoi interventi. La buona notizia è che, ancora una volta grazie alla Bce, l'Europa

riceve un sostegno ad una ripresa economica ancora fragile per le incertezze che vengono dai paesi

emergenti e minacciata dai tragici fatti di Parigi. Inoltre, lo sganciamento dalla politica monetaria americana,

favorisce un'ulteriore discesa del cambio e quindi una maggior competitività delle esportazioni europee:

un'ulteriore boccata di ossigeno per il settore manifatturiero, a cominciare da quello tedesco. Si tratta di una

risposta perfettamente coerente con il mandato delle banche centrali e anche con quello ristretto della Bce.

Non a caso, Mario Draghi ha cambiato parola d'ordine ed è passato dall'impegno a «fare tutto ciò che è

necessario» nel momento più tragico per l'euro, a quello di fare «tutto ciò che dobbiamo». Il rischio di

deflazione non è infatti scongiurato Dunque, intensificare la terapia a base di Quantitative easing è

pienamente aderente al mandato della Bce, che prevede che l'inflazione sia un po' al di sotto del 2 per

cento. E siccome le previsioni dicono che ancora nel 2017 i prezzi saliranno di poco più dell'1 per cento,

intervenire subito è, più che opportuno, doveroso tanto più che, come ha riconosciuto il capoeconomista

della Bce, Peter Praet, l'andamento effettivo dei prezzi è sempre stato un po' al di sotto delle previsioni di

Francoforte. La buona notizia contiene però anche quella cattiva. Se la nuova boccata d'ossigeno è più che

benvenuta, è segno che il paziente non sprizza salute da tutti i pori. La lentezza con cui i prezzi tornano

verso un livello normale è il sintomo di alcuni mali profondi dell'Europa. In particolare, è la prova di quanto

sia lento il processo di aggiustamento dei bilanci di famiglie e imprese, che devono smaltire l'eccesso di

debiti accumulati in precedenza. E dall'altro lato, di quanto sia lenta la ripresa delle banche, chiamate a loro

volta ad assorbire l'impatto del deterioramento della qualità dei crediti e della drastica riduzione della

redditività che ne deriva. Il problema è che quanto più bassa è l'inflazione, tanto più alti sono i tassi di

interesse reali e dunque le difficoltà che incontrano gli operatori ad uscire dalla trappola del debito. Il

rapporto sulla stabilità finanziaria della Bce uscito mercoledì documenta come l'eccesso di debiti del settore

non finanziario non sia stato del tutto assorbito con ovvie conseguenze per la qualità del credito delle

banche. Inoltre, lo scenario di bassi tassi di interesse comprime la redditività dell'intermediazione

tradizionale verso i minimi storici, rallentando anche per questa via la ristrutturazione del sistema bancario

europeo. Diversamente da quanto pensano gli osservatori britannici che ormai non perdono occasione per

criticare le istituzioni europee, questo non è un motivo per dimostrare che il Quantitative easing non

funziona e quindi è meglio rinunciare ad ulteriori dosi. Piuttosto, è la prova provata che occorrono politiche

nazionali e soprattutto europee capaci di espandere il reddito e in particolare di stimolare gli investimenti e

la produttività, i due elementi cruciali che oggi tengono l'output potenziale dell'area ben al di sotto del livello

pre­crisi. Non a caso, pochi giorni fa, il vice­presidente della Bce, Vitor Constâncio, ha ribadito la necessità di

avviare politiche fiscali «il più accomodanti possibile», cioè tali da rafforzare, non contrastare, l'azione della

banca centrale. E come non bastasse ha aggiunto una nota importante al solito mantra sulle politiche

strutturali che possono eliminare gli ostacoli alla crescita. Citando un'analisi dell'Ocse, ha detto che in cima

alla classifica dei paesi che hanno fatto di più ci sono i paesi periferici, a cominciare dalla Grecia, ma al

fondo si trovano Germania e Olanda, cioè quelli più solerti nell'invitare gli altri a «fare i compiti a casa». E

comunque non tutto il potenziale delle riforme già avviate è stato sfruttato, perché - come ha ricordato il

Governatore Visco a Prometeia in questi giorni - le riforme del lavoro che hanno aumentato la flessibilità

sono state usate per ridurre il costo per le imprese, ma non ancora per aumentare la produttività e quindi il

28/11/2015Pag. 1

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 96

potenziale di crescita del paese. Insomma, la Bce è pienamente consapevole della delicatezza della

situazione economica ed è disposta ad usare tutte le armi possibili. La grande abilità politica di Mario

Draghi è stata quella di rivoluzionare la politica monetaria della Bce, continuando a dichiarare di agire nel

pieno rispetto del mandato fissato dal Trattato europeo. Oggi, in uno scenario che non riesce a sbarazzarsi

dell'incubo della deflazione, l'intervento è necessario e non può trovare ostacoli (almeno in buona fede)

nell'interpretazione della norma. Dunque, la Bce agirà, con grande sollievo dei mercati che ieri hanno

appunto celebrato una sorta di Thanksgiving day rivolto a Francoforte. Ciò non toglie che, ancora una volta,

la Bce non trova nella politica dell'Europa e dei principali paesi il supporto che la gravità della situazione

richiede. E la severità dei moniti che abbiamo ricordato, dimostra che i banchieri centrali sono pienamente

consapevoli delle loro responsabilità, ma che si stanno anche stancando di essere sempre i soli ad agire o

comunque a fare tutto il necessario.LA PAROLA CHIAVEPolitica monetaria 7 La politica monetaria è l'insieme degli strumenti, degli obiettivi e degli interventi,

adottati dalla banca centrale per modificare e orientare la moneta, il credito e la finanza, al fine di

raggiungere obiettivi prefissati di politica economica, di cui la politica monetaria fa parte. Per perseguire i

propri obiettivi gli istituti centrali intervengono manovrando le variabili monetarie (tasso di interesse o

quantità di moneta). La Bce dovrebbe annunciare la settimana prossima un ulteriore ampliamento della

manovra di Quantitative easing, smarcandosi rispetto alla Fed americana, ormai prossima a ridurre i suoi

interventi.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 97

Stop al veicolo unico di sistema, si lavora per una garanzia «individuale» della Cdp Banche, cambia il piano bad bank* Marco Ferrando Alessandro Graziani PCambia radicalmente il piano per la bad bank italiana.A farsi carico dei crediti in sofferenza non sarà una

bad bank di sistema e neanche una asset management company. La soluzione allo studio di Governo,

Bankitalia e advisor prevede la costituzione di diverse newco, con un ruolo importante della Cdp, che

erogherà a prezzi di mercato la garanzia sulle obbligazioni che le diverse newco emetteranno per

finanziarsi. Ferrando e Graziani u pagine 25­27 pA farsi carico dei crediti in sofferenza delle banche italiane

non sarà una bad bank di sistema, come finora ipotizzato dalle Autorità e dagli advisor. E neanche una sola

grande asset management company, come ventilato nelle settimane scorse. Per spianare la via (e

soprattutto stringere i tempi) alla cessione in blocco delle sofferenze bancarie, Governo e Banca d'Italia,

insieme agli advisor Mediobanca e JP Morgan, avrebbero ora individuato una nuova soluzione che prevede

la costituzione di diverse newco, destinate a operare secondo lo stesso schema ma ognuna con una banca

(o gruppo di banche) diversa. E un ruolo importante, com'era già emerso nelle settimane scorse, sarà

giocato dalla Cassa Depositi e Prestiti, che probabilmente in via diretta o attraverso la controllata Sace

erogherà a prezzi di mercato la garanzia sulle obbligazioni che le diverse newco emetteranno per

finanziarsi. Secondo quanto si apprende da ambienti di mercato, la mobilitazione tra le banche sarebbe

crescente e l'intenzione del Governo sarebbe quella di intervenire con un decreto entro la fine dell'anno, in

modo da entrare nella fase operativa all'inizio del 2016. Continua u pagina 27 pNei fatti, si tratterebbe di

una scorciatoia rispetto alla soluzione del veicolo unico. Lecita, perché dal punto di vista dell'intervento

pubblico (con annesso sospetto di aiuti di stato) non presenterebbe particolari differenze rispetto all'ipotesi

del veicolo unico, che nelle ultime settimane avrebbe registrato le prime aperture da parte della

Commissione europea. E utile, perché ­ non obbligando le banche a vendere le proprie sofferenze allo

stesso compratore­ consentirebbe di costruire le newco più in fretta e su misura, senza l'onere di dover

armonizzare prezzi e caratteristiche dei crediti non performing oggetto di cessione. Ma certamente meno

risolutiva di un'unica «bad bank» che rileverebbe in blocco gran parte dei 200 miliardi di crediti in

sofferenza del sistema bancario italiano. Lo schema che Ministero dell'Economia, Bankitalia, Cdp e advisor

stanno provandoa definire con rapidità ­ come dimostra la recente partecipazione ai meeting decisionali del

vicedirettore generale di Bankitalia Fabio Panetta ­ prevede che ogni banca interessata ad alleggerire il

carico di sofferenze si attivi per trovare uno o più acquirenti di crediti, investitori istituzionali italiani o esteri.

Destinati a diventare soci di maggioranza di una nuova società veicolo, che successivamente

acquisterebbe dalla banca ampi portafogli di npl a un prezzo di mercato (e quindi inferiore a quello di carico

nei bilanci delle banche); a quel punto, la newco si fornirebbe dalla Cdp di una garanzia­ semprea prezzi di

mercato, pertanto autorizzabile dalla Commissione europea ­ che consentirebbe di coprire fino al 7080%

delle emissioni obbligazionarie con cui la società veicolo potrebbe così reperire sul mercato buona parte

delle risorse necessa­ rie ad acquistarei crediti. La parte restante, intorno al 20­30%, dovrebbe essere

coperta dall'equity. Secondo le valutazioni degli advisor, per le banche ci sarebbe il vantaggio di potersi

disfare in un colpo solo di grosse quantità di sofferenze: la cessione dovrà avvenire a prezzi di mercato e

quindi con inevitabili ulteriori svalutazioni sui valori di libro, ma dovrebbe liberarle una volta per tutte di una

zavorra che finora ha compresso la redditività e l'erogazione di nuovo credito. Elemento chiave, la

garanzia: che consentirà agli acquirenti, attraverso le newco, di reperire risorse sul mercato offrendo

rendimenti ragionevoli, e quindi di acquistare i crediti a prezzi altrettanto ragionevoli. Se sarà questa la

soluzione definitiva si scoprirà nelle prossime 4­5 settimane. Perché, nel caso, il Governo punterebbea

disciplinare l'operazione con un decreto che potrebbe essere approvato entro fine anno. Intanto, così come

richiamato dal governatore Ignazio Visco,le banche procedono nel processo di segregazione dei portafogli

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 98

di crediti non performing, preparandosi nei fatti a vendere quando ci sarà la possibilità di farlo. E anche

l'attenzione della Bce resta elevata: «Le banche devono affrontare anche problemi che sono eredità della

crisi del debito sovrano, soprattutto sotto forma di un grande stock di crediti in sofferenza», si legge nel

Rapporto sulla stabilità finanziaria pubblicato in settimana, in cui si evidenzia anche come questa situazione

«potrebbe ostacolare la capacità delle banche di fornire nuovo credito all'economia reale», rendendo gli

istituti «più vulnerabili agli shock negativi».E anche nella pagella degli Srep, consegnata mercoledì a tutte le

banche, la Vigilanza ha prescritto a diversi istituti la cessione di npl, promettendo in cambio un

alleggerimento dei ratio patrimoniali.La fotografia delle banche italiane12,4512,0412,0 10,75*9,258,7513,010,2510,53 9,5***9,257,12 ****13,4

12,7

12,2 11,25

9,55

9,5

11,44

10,25

9,0

10,25 9,25

6,8** Ubi Bpm Carige Carige MPS

Bper Veneto Banca Banco Popolare Banca Pop. di Sondrio Intesa Sanpaolo Banca Pop. di Vicenza

Mediobanca Unicredit Il Cet1 ratio. Dati in % TARGET BCE 2016 DATI AL 30 SETTEMBRE 2015

TRANSITORIO (*) Dal 31 dicembre 2016 scende al 10,2%; (**) Al 30 giugno, la banca ha annunciato un

aumento di capitale da 1,5 mld; (***) Target Bce 2015 (****) La banca ha annunciato un aumento di capitale

da 1 mld Fonte: elaborazione del Sole 24 Ore su dati Reuters e info societar ie

Foto: Focus sui crediti deteriorati. La sede della Banca d'Italia

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 99

Tribunale penale federale. La diffusione dei dati dei clienti delle banche è «spionaggio economico» La Svizzera condanna Falciani a 5 anni Angelo Mincuzzi BELLINZONA. Dal nostro inviato pCinque anni di carcere per spionaggio economico, per aver diffusoa

numerose autorità fiscali e giudiziarie straniere i dati dei clienti della Hsbc Private Bank di Ginevra. Così ha

deciso ieri il Tribunale penale federale di Bellinzona, condannando Hervé Falciani a una pena pesante ma

inferiore alla richiesta di sei anni avanzata dal pubblico ministero Carlo Bulletti. I giudici svizzeri hanno

ritenuto fondato solo uno dei quattro capi di imputazione, lo spionaggio economico, e hanno assolto l'ex

dipendente della Hsbc dalle ac­ cuse di violazione del segreto bancario (reato prescritto), violazione del

segreto commerciale e acquisizione illecita di dati. Per questi ultimi capi d'accusa, infatti, non sono state

trovate sufficienti prove per condannare l'ex dipendente della Hsbc. «Non mi aspettavo nulla di diverso»,

dichiara Falciani al Sole 24 Ore da una località imprecisata. L'ingegnere informatico italo­francese vive sotto

protezione e può spostarsi liberamente solo in Francia, Italia e Spagna. «Questa sentenza non mi fermerà ­

prosegue Falciani ­. Voglio continuare la strada iniziata da tempo e che ho condiviso con le autorità di molti

paesi: la lotta a tutti i livelli contro l'opacità finanziaria. Non ce l'ho con la Svizzera perché gli svizzeri sono

solo degli intermediari al servizio di chiè corrotto nei nostri paesi. Edèa casa nostra che dobbiamo svolgere

il lavoro più importante. In fondo, la responsabilità della corruzione e dell'evasione fiscale è in primo luogo

nostra». In base al capo di imputazione, Falciani era accusato di aver sottratto dalla memoria della banca

«almeno 13.619 file per un totale di 67 gigabyte, pari al 75% dei conti aperti presso la Hsbc Private Bank

(Suisse) alla fine del 2006». Il presidente della corte, David Glassey, ha motivato la condanna sottolineando

la «significativa energia criminale» di Falciani per gli sforzi compiuti per trasmetterei datia entità

«straniere»e ha rimarcato che il «segreto bancario è fondamentale per la piazza finanziaria svizzera». Il

processo al whistleblower si era aperto il 2 novembre e si era concluso dopo cinque udienze senza chiarire

i molti misteri della vicenda. E il procuratore federale Bulletti aveva ammesso che «non sappiamo se

Falciani si sia fatto pagare per trasmettere i dati della Hsbc ai servizi di informazione stranie­ ri». Il

procuratore si è detto comunque soddisfatto della sentenza: «Avevo chiesto sei anni, la condanna è di

cinque. Il reato di spionaggio economico era il più rilevante. Io stesso, del resto, avevo dichiarato che

nessuno ancora sa come Falciani sia riuscito a prelevare i dati». Anche la Hsbc siè «felicitata» per la

decisione del Tribunale. Le testimonianze, sostiene l'istituto britannico, «hanno dimostrato che le intenzioni

di Falciani non erano quelle di una persona che vuole lanciare un allarme». Il messaggio dei giudici svizzeri

è stato chiaro: il segreto bancario non è morto e le leggi della confederazione lo difendono. Falciani ora

dovrà decidere se presentare ricorso in appello.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 100

Intervista a Poletti. Il ministro: sull'orario no a distorsioni ­ Contratti stabili più vantaggiosi al terzo anno «Salari legati agli obiettivi: chi non vuol discutere lo dica» Manovra, su decontribuzione e premi solo limature Fabrizio Forquet «Se cambia il modo di lavorare può cambiare anche il modo di definire la retribuzione: mi sembra una cosa

ovvia, non credo di aver detto cose da extraterrestre». Il giorno dopo le sue dichiarazioni sullo

sganciamento della retribuzione dal solo orario di lavoro, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti (nella foto)

non fa passi indietro. Susanna Camusso lo accusa di voler fare Ufo Robot, lui respinge le «distorsioni e le

banalizzazioni» di «chi non vuol discutere» e spiega: «Non ero in una sede istituzionale, parlavo a un

convegno di economisti. La cosa va contestualizzata, ma ribadisco che su questo punto una riflessione va

fatta per una semplice ragione: bisogna fare i conti con la realtà». Continua u pagina 3 u Continua da

pagina 1 Susanna Camusso dice che lei si sente Ufo Robot, la Uil la accusa di liberismo più o meno

selvaggio... Non accetto né distorsioni né banalizzazioni. Io ho parlato della necessità di pensare a un

contratto che non abbia il riferimento orario come unico parametro. Ripeto: come unico parametro. Fare

questa considerazione non può esser tradotto nella volontà di abolire ogni riferimento all'orario o di

rottamare il contratto nazionale. C'è chi ha parlato di un ministro che vuole il ritorno al cottimo... Assurdo.

Bisognerebbe sempre stare alla sostanza delle cose. Se non si vuol discutere ok, ma non mi si possono

attribuire valutazioni che non mi appartengono. La rapidità con cui cambia il modo in cui si lavora e si

produce è sotto gli occhi di tutti. C'è un ritardo nel modo in cui il sindacato approccia questo cambiamento?

Non voglio polemizzare con nessuno. La questione è che in Italia la relazione tra lavoro e impresa si è

fondata storicamente sul binomio conflitto­contratto. Ma di fronte al cambiamento del lavoro, che incorpora

sempre di più elementi di responsabilità, creatività e partecipazione attiva, bisogna fare evolvere quel

binomio nella direzione di logiche più collaborative e partecipative. È un punto su cui tutti devono riflettere.

È in questo contesto che si inserisce la sua idea di una retribuzione non più solo legata all'orario e al luogo

di lavoro. In primo piano, pare di capire, ci sono i risultati, gli obiettivi che il lavoratore deve raggiungere. È

così. Dobbiamo ragionare di un lavoro organizzato più per obiettivi che per orario. Questo consente una

maggiore flessibilità e più coerenza tra tempi di vitae di lavoro. Possiamo dare priorità e riconoscimento alle

esigenze delle persone. Non stiamo parlando di sottrarre, non bisogna avere una visione negativa,

vogliamo liberare più risorse, vogliamo agevolare una organizzazione più efficace della vita dell'impresa e

dei lavoratori. Non meno diritti, ma più responsabilità condivisa. Quando si parla di lavoro si fa spesso una

generalizzazione ormai fuori tempo. Esistono forme di lavoro molto differenziate, lavori più che lavoro, è

difficile irrigidire i modelli contrattuali e fare di tutt'erba un fascio. Non sono scomparsi lavori che richiedono

modelli organizzativi fondati su orari e luoghi di lavoro rigidi. Ma queste situazioni si vanno riducendo.

L'organizzazione delle fabbriche è cambiata. In molte realtà le catene di montaggio sono state sostituite

dalle isole, dove il lavoratore contribuisce a un obiettivo e non è legato alla ripetizione meccanica di un

gesto. Recentemente ho visitato la Ducati. Lì, all'interno delle varie isole, ognuno ha un kit, ciascuno è

responsabile del proprio lavoro, conta il risultato. I lavori storici stanno cambiando. Eppoi ci sonoi lavori figli

delle nuove tecnologie. Questi sono ancor meno vincolati all'orario e alla presenza in un determinato luogo.

Lavoroa distanza, lavoro agile. Queste situazioni devono trovare modalità per definire la remunerazione più

complesse rispetto a quelle legate semplicemente all'orario e alla qualifica. Lei invoca una riflessione su

questi punti, ma il Governo è pronto a intervenire con un provvedimento di legge? Non esiste nessuna

relazione automatica tra queste riflessioni e la discussione sulla riforma degli assetti contrattuali. Ribadisco

che su questo il Governo ritiene importante che le parti sviluppino il loro confronto e che possano arrivarea

un accordo. Se questo accordo non arriverà si valuterà cosa fare. C'è una scadenza per voi? L'inizio del

prossimo anno? Abbiamo sempre detto che i tempi non sono infiniti, ma non abbiamo definito un tempo.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 101

Sollecitiamo un accordo in tempi ragionevoli. A suo avviso, questo accordo in che direzione dovrebbe

andare? Crediamo che non si possa prescindere da un ruolo importante del contratto nazionale, ma

bisogna trovare modalità nuove che promuovano e premino la produttività. Questo obiettivo è

ragionevolmente realizzabile rafforzando la contrattazione aziendale, la contrattazione vicina all'azienda.

Ma ripeto questa è materia del confronto tra le parti. Non voglio fare entrate a gamba tesa. E la delega

prevista dal Jobs Act sul salario minimo? Non è stata ancora praticata proprio per questa ragione. Lo

ribadisco: non vogliamo fare entrate a gamba tesa. E il fatto che, pur potendo agire su questo tema in base

a una delega, non lo abbiamo fatto, conferma che da parte del Governo non c'è alcuna volontà di interferire

nel confronto tra le parti introducendo elementi di problematicità. Nella legge di stabilità, intanto, si fanno

dei piccoli passi nella direzione della produttività e della contrattazione aziendale. Non si poteva fare di più?

Ritengo molto positivi la detassazione con ritenuta secca al 10% per il salario di produttività e l'intervento

sul welfare aziendale, sono misure che confermano la volontà del governo di andare in questa direzione.

Ma la detassazione ha un limite salariale di soli 2.000 euro... Vediamo cosa deciderà il Parlamento. Maè un

limite che già può essere alzato a 2.500 per quella che si può definire produttività partecipata, che non è

partecipazione agli utili ma è partecipazione organizzativa. C'è un metodo attraverso il quale i lavoratori e

l'impresa convengono su come ottenere incrementi di produttività e come e quanto premiarli. Questa è una

parte di retribu­ zione non legata alle ore ma alla produttività. Sulla decontribuzione per il Sud ci sarà

l'estensione a tre anni? La discussioneè aperta. Per il Mezzogiorno stiamo lavorando soprattutto a

un'azione di consolidamento e velocizzazione degli investimenti. Questa è la cosa più importante. Lo

faremo attraverso accordi con regioni e città, nel segno di una responsabilità condivisa. Il combinato del

Jobs Act e della decontribuzione sta producendo un aumento dei contratti a tempo indeterminato. Non

teme che man mano che si uscirà dalla decontribuzione possa esserci un contraccolpo negativo? Penso di

no. Gli andamenti delle assunzioni saranno in funzione delle dinamiche dell'economia. Spingiamo perché

attraverso i super­ammortamenti ci sia uno sviluppo degli investimenti privati oltre che di quelli pubblici. Se

le imprese hanno assunto delle persone è perché ne hanno bisogno. Se l'economia tiene e si sviluppa

questo bisogno di personale terràe aumenterà. Nessuna impresa che ha formato per tre anni un giovane ha

interesse a licenziarlo. Ma il vantaggio economico ad assumere a tempo indeterminato, con la fine della

decontribuzione, verrà meno... Non del tutto. Il contratto a tempo indeterminato costerà strutturalmente

meno delle altre tipologie contrattuali. Già ora abbiamo eliminato dall'Irap il costo del lavoro stabile, in più il

tempo indeterminato ha un differenziale di costo dell'1,4%, per un totale di vantaggio del 6 per cento. Poi a

conclusione del triennio si valuterà un ulteriore incremento di questa differenza di costo. Ministro si pensa

quindi a un nuovo intervento? Vediamo, l'orientamento è quello, per noi la stabilità dovrà essere sempre più

conveniente rispetto ai contratti precari. Ma si interverrà sulla parte contributiva o fiscale? È presto per dirlo.

Non c'è il rischio che la nuova agenzia per le politiche at­ tive si riveli un nuovo carrozzone burocratico sul

fronte pubblico? No. Ci sarà una collaborazione con le Regioni e con le agenzie private. Ci saranno le

convenzioni con le regioni per far si che ogni regione possa da una parte stare nel quadro nazionale delle

politiche attive ma dall'altra valorizzare le rispettive esperienze positive fatte, anche in collaborazione con i

privati. Sulle pensioni si tornerà a intervenire? Quello che abbiamo valutato si potesse fare è nella legge di

stabilità. Io, in particolare, credo molto nel part­time per gli ultimi tre anni di vita lavorativa. Dobbiamo

valorizzarei modelli organizzativi che consentano lavoro più flessibile nella parte finale del proprio lavoro.

Sulla proposta Boeri non ha nascosto il suo scetticismo. È una sua idea. Nessun problema. Ma credo sia

chiaro che l'Inps ha la funzione di gestire il sistema previdenziale, mentre la responsabilità delle decisioni è

del Parlamento e del Governo. Le cose sono molto chiare. Con la legge di stabilità sarà l'ultima volta che si

interviene a tutela dei cosiddetti esodati? Siamo arrivati vicini alla conclusione di questa situazione.

Dobbiamo sapere che ci sono casi che non andrebbero inserite nella tipologia degli esodati, sono gruppi di

lavoratori che con la legge Fornero si sono visti modificare in modo forte la loro condizione e quindi

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 102

vorrebbero superare quella riforma e tornare a condizioni precedenti. Ma questo nonè possibile farlo

attraverso la logica dei veri esodati. Qui c'è un problema diverso. Quando avremo dati sull'occupazione

chiari, trasparenti e soprattutto univoci? Nei prossimi giorni annunceremo un accordo che è già pronto tra

Inps, Inail, ministero del Lavoro e Istat. Ci sarà così finalmente un coordinamento strutturato nelle modalità

di presentazione delle informazioni.

"CONTRATTI

Sulla contrattazione aspettiamo le parti: ma va promossa la produttività con più spazio all'aziendaleAGENZIA LAVORO

Rischio carrozzone pubblico? No, lavorerà rispettando le migliori esperienze localiFoto: Ministro del Lavoro. Giuliano Poletti .@fabrizioforquet

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 103

La ripresa difficile Bonus sui nuovi assunti al Sud Due opzioni aperte: un anno in più di esonero contributivoo aumento della percentuale In commissione Bilancio Oltre 5mila emendamenti. Per il Mezzogiorno ancheun intervento per gli investimenti LA MANOVRA IN PARLAMENTO Più spazio a produttività e decontribuzione Correzioni al rialzo alla Camera - Sul patent box possibili modifiche in caso di perdite Potrebbe essereritoccata al rialzo la cedolare secca che oggi è prevista sui premi fino a 2mila euro lordi (2.500 euro in casodi comitati paritetici) Carmine Fotina Giorgio Pogliotti pDopo il ripristino del premio di produttività e la conferma della decontribuzione per le nuove assunzioni

effettuate nel 2016, nella legge di stabilità si lavora a parziali correzioni "al rialzo" per queste due misure.

Contemporaneamente, sul fronte sviluppo, spunta anche una correzione al regime "patent box" sulla

proprietà intellettuale. Per quanto riguarda la produttività, la reintroduzione della cedolare secca sui premi

finoa 2mila euro lordi (2.500 euro nelle aziende che hanno co­ mitati paritetici), per i redditi fino a 50mila

euro, potrebbe essere ritoccata all'insù: dal governo arrivano aperture in tal senso. Secondo il viceministro

all'Economia, Enrico Morando, sono possibili aggiustamenti, anche se compatibilmente con le risorse

disponibili. Un emendamento su cui Ap fa quadrato, proponendo di ripristinare a quota 5.500 euro (6mila

euro per le aziende che coinvolgono pariteticamente i lavoratori) il tetto d'importo detassato. «Se vogliamo

far crescere i salari dobbiamo affidarci ad essi affinché si colleghino con la produttività ­ sostiene Maurizio

Sacconi (Ap) ­. Ragione in più per alzare il plafond del salario detassato dai 2.500 euro previsti dalle legge

di stabilità ai 6mila euro già vigenti fino al 2011». Quanto alla decontribuzione per le nuove assunzioni con

contrattoa tempo indeterminato effettuate nel 2016, la legge di stabilità ha previsto l'esonero contributivo

biennale (rispetto all'attuale durata triennale) per un importo pari al 40%, ovvero fino a 3.250 euro (rispetto

agli 8.060 euro previsti per le assunzioni effettuate nel 2015). Per il Sud un emendamento del Pd chiede di

confermare l'esonero contributivo fino a 8.060 euro annui per un biennio, in alternativa si sta ragionando su

una conferma dell'attuale durata triennale per la decontribuzione nel Mezzogiorno. «È importante per noi­

spiega Cesare Damiano (Pd) ­ che nella legge di stabilità sia riconosciuto che il Sud ha pagato un prezzo

più alto della crisi, con il 70% dei disoccupati che sono meridionali». Tra gli emendamenti del Pd si chiede

anche l'anticipo al 2016 della No tax area per i pensionati, e l'uscita anticipata per le lavoratrici che

sarebbero state escluse dall'«opzione donna» che termina a fine anno. Sono solo alcune delle proposte

nella selva di 5.082 emendamenti presentati da maggioranzae opposizione in commissione Bilancio. Tra le

novità che in queste ore si starebbero confezionando spunta anche un nuovo intervento (potrebbe essere

presentato direttamente dal governo) per chiarire il regime di detassazione per redditi da proprietà

intellettuale, il cosiddetto "patent box". Il nuovo regime fiscale, a lungo atteso dalle imprese per beneficiare

della detassazione dei redditi derivanti dalla concessione in usoe dall'utilizzo diretto di beni immateriali

come brevetti, marchi e know how, appare ancora incompleto sotto alcuni aspetti regolamentari nonostante

il decreto attuativo della scorsa estate. Da parte dello staff economico di palazzo Chigi ci sarebbe ancora

qualche riserva sull'opportunità di un intervento legislativo, tuttavia al Tesoro spingono per un

emendamento che faccia chiarezza sull'applicazione quando lo sfruttamento dei beni determina una perdita

anziché un reddito agevolabile, ad esempio nel caso di brevetti che vengono sviluppati per fasi e che nel

periodo iniziale fanno segnate solo costi di ricerca. Una delle ipotesi in corso di valutazione sarebbe

consentire la deducibilità immediata delle perdite dal reddito d'impresa, ma facendo scattare un recupero

del beneficio negli esercizi in cui vengono realizzati effettivamente i redditi agevolabili da patent box.

Sempre viva, poi, la possibilità che ricevano disco verde le proposte che per il Sud puntano sugli

investimenti, in aggiunta alla decontribuzione rafforzata. Gli strumenti (tra loro però alternativi) sarebbero

due: un'ulteriore maggiorazione dei superammortamenti sui beni produttivi (al 160% anziché il 140%

previsto dalla manovra) o un credito d'imposta per gli investimenti da varare in versione light (forse il 10%)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 104

e con un perimetro molto ben definito delle spese agevolabili, ad esempio per creazione o ampliamento di

stabilimenti o diversificazione produttiva.

I possibili correttivi alla manovraSUD Oltre al rafforzamento della decontribuzione, si valuta anche un intervento pro investimenti. Con due

opzioni: un'ulteriore maggiorazione dei superammortamenti sui beni produttivi (al 160% anziché il 140%

previsto dalla manovra) o un credito d'imposta per gli investimenti da varare in versione light (forse il 10 per

cento).

BREVETTI E MARCHI Allo studio un emendamento che faccia chiarezza sull'applicazione quando lo

sfruttamento dei beni determina una perdita anziché un reddito agevolabile. Una delle ipotesi sarebbe la

deducibilità immediata delle perdite dal reddito d'impresa, salvo un recupero del beneficio negli esercizi in

cui vengono realizzati effettivamentei redditi agevolabili.

LAVORO Per incentivare la produttività, potrebbe essere ritoccata al rialzo la cedolare secca sui premi già

prevista. Doppia opzione poi per rafforzare la decontribuzione sui nuovi assunti nel 2016 nel Mezzogiorno:

un anno in più di esonero contributivo (36 mesi anziché 24) o una percentuale di beneficio fiscale più alta

PENSIONI Torna alla ribalta alla Camera il tema pensioni su cui le prime proposte erano già arrivate al

Senato. Il Pd insiste per anticipare al 2016 l'ampliamento della no tax area dei pensionati. Emendamenti

dem anche sugli esodati e sull'uscita anticipata per le lavoratrici che sarebbero state escluse dall'«opzione

donna» che termina a fine anno

SICUREZZA Il l presidente del Consiglio ha annunciato un investimento di un miliardo di euro per la

sicurezza su quattro linee: 150 euro sulla cybersecurity; l'estensione del bonus 80 euro per le forze

dell'ordine; 50 milioni di euro per la strumentazione e 500 milioni per la difesa. Un pacchetto legato alla

concessione della clausola per eventi straordinari già invocata dalla Francia

CULTURA E GIOVANI Per il pacchetto cultura 300 milioni andrebbero ai neodiciottenni con l'estensione

della carta bonus da 500 euro oggi prevista per i professori. Cinquecento milioni sono previsti per progetti di

intervento sulle periferie, 150 milioni per consentire di donare il 2 per mille a una specifica associazione

culturale, 50 milioni al diritto allo studio e alle borse di studio

PROVINCE Allo studio un nuovo blocco annuale peri mutuie del bilancio, già "sperimentato" l'anno scorso

(ma così facendo resterebbe il miliardo di tagli sul 2017 per le Province). Un altro aiuto potrebbe arrivare

dall'utilizzo libero degli avanzi emersi dai consuntivi, accompagnato da un mini­rinvio ai bilanci solo per le

Province (i consuntivi si approvano entro fine aprile,ei termini peri preventivi 2016 sono ora fissati al 31

marzo)

DECRETO BANCHE Nella Stabilità dovrebbe confluire il decreto sul salvataggio di quattro banche italiane

(Banca Marche, Cassa di Ferrara, Banca Etruria e CariChieti) approvato dal consiglio dei ministri il 22

novembre. L'operazione permettera' la costituzione di quattro nuove banche ripulite da tutti i crediti in

sofferenza e in grado potenzialmente di operare da subito

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 105

L'ANALISI Un modello contrattuale che valorizzi il risultato Giorgio Pogliotti Un modello contrattuale che valorizzi il risultato, sia sul versante della retribuzione che della partecipazione

dei lavoratori all'utile aziendale. Dietro le frasi pronunciate dal ministro del Lavoro, c'è una precisa strategia

del Governo, che trova applicazione anzitutto in tre misure contenute nella legge di stabilità all'esame della

Camera. La manovra 2016 reintroduce la detassazione del premio di risultato, nonchè delle somme erogate

sotto forma di partecipazione agli utili di impresa. Insieme all'esenzione fiscale per le prestazioni di welfare

contrattatate in azienda. Il coro di critiche con cui i sindacati hanno accolto le dichiarazioni di Poletti

rappresentano un segnale tangibile della delicatezza del tema, che investe anzitutto le relazioni tra le parti

sociali. Tra le imprese, al contrario, c'è chi come il vicepresidente di Federalimentare, Leonardo Colavita,

ha accolto le frasi del ministro come un «contributo per superare schemi e approcci oramai troppo rigidi

rispetto al mutato contesto». Il Governo sulla materia per il momento ha scelto di non intervenire, per

consentire a sindacati e imprese di trovare un accordo complessivo sul nuovo modello contrattuale. Dopo

diversi stop and go al tavolo di confronto, la novità è rappresentata dalla volontà espressa dai sindacati di

trovare una posizione comune, con il tentativo di elaborare una proposta unitaria da presentare a

Confindustria. Si vedrà nelle riunioni tecniche del 2 e del 9 dicembre se effettivamente i sindacati

riusciranno a superare le divergenze ricompattandosi su un'unica posizione. Altrimenti, in assenza di un

accordo interconfederale, il Governo è pronto a intervenire, esercitando l'ultima delega (rimasta ancora

sulla carta) del Jobs act, che prevede l'introduzione del compenso orario minimo nei settori non regolati dai

contratti collettivi. Palazzo Chigi potrebbe spingersi più in là introducendo anche in Italia per via legislativa il

salario minimo, in sostituzione dei minimi retributivi fissati dai contratti nazionali, e regolando tutta la

materia della contrattazione. Nei piani dell'Esecutivo c'è un modello contrattuale che sposta il baricentro

sulla contrattazione decentrata per legare sempre più la retribuzione all'andamento dei risultati aziendali,

incentivando fiscalmente le quote di salario legate alla crescita di produttività, o al miglioramento delle

performance aziendali. In Italia la contrattazione aziendale è poco diffusa tra le piccole imprese e al Sud.

Uno studio della Banca d'Italia evidenzia che nel periodo 2002­2012 la quota del salario eccedente i minimi

sul totale della retribuzione è stata pari in media al 10,5%, questa quota cresce al crescere della

dimensione d'impresa ed è più elevata nell'industria (11,1%). Da questi numeri prende spunto il

ragionamento su un possibile riequilibrio delle voci contrattuali che faccia crescere il peso della quota del

salario "variabile", per aumentare il peso della quota contrattata in azienda e, con essa, la partecipazione

dei lavoratori ai risultati aziendali.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 106

L'economia. Il 54,7%: giusto togliere la tassa prima casa per tutti Bene l'abolizione Tasi, ma per le famiglie la ripresa stenta ancora Disoccupazione e precariato rappresentano per il 49% degli italiani i problemi più urgenti che il governodeve affrontare oggi Il 65,7% del campione non registra variazioni significative della situazione economicaper la propria famiglia Dino Pesole Il governo incassa un ampio consenso sulla misura che più ha caratterizzato la lagge di stabilità in

discussione alla Camera, l'abolizione della tassa sulla prima casa: per il 54,7% degli intervistati è giusto

abolirla «per tutti tranne che per le case di lusso» (proprio quel che ha fatto il governo), il 27% ritiene che

sarebbe stato giusto abolirla «solo per le case più economiche» e un 18% dice cheè sbagliato abolirla e

l'avrebbe lasciata per tutti. Se si guarda oltre questa misura specifica, però, il sentimento più diffuso resta

quello di difficoltà rispetto alla situazione economica, soprattutto sul fronte del lavoro. Stando al sondaggio

realizzato dal Centro italiano di studi elettorali (Cise) per Il Sole 24 Ore su un campione nazionale

composto da 1.522 intervistati (rappresentativo della popolazione italiana con 18 anni e oltre), infatti, lavoro,

disoccupazione e precariato continuano a rappresentare il problema più rilevante che il Governo deve

affrontare oggi. È così per il 49% del campione, con la questione tasse sorprendentemente solo al 2,8% e

l'evasione fiscale allo 0,6%. Non è una sorpresa del resto. Per un Paese che a fatica sta provando a uscire

da oltre tre anni di recessione, il problema numero uno resta l'occupazione, come attestano i dati che

parlano di circa 1 milione di posti di lavoro persi dal 2007 al primo trimestre del 2015. La ripresa in atto, se

si consoliderà nel 2016, potrà cominciare ad avviare l'economia su un sentiero più virtuoso ma

evidentemente occorre del tempo perché gli effetti dell'inversione di tendenza siano tangibili e percepiti.

Dalla rilevazione condotta da Demetra nei giorni dal 16 al 24 novembre 2015 emerge chea parere del

39,3% degli intervistati la situazione economica nell'ultimo anno «è rimasta uguale», mentre per il 26,7% «è

abbastanza peggiorata». Dati che confermano la sensazione prevalente di un cambiamento non ancora

percepito, con il 18,8% del campione che intravvede una situazione economica «abbastanza migliorata»e il

14,6% «molto peggiorata». Se l'oggetto dell'indagine si circoscrive all'ambito familiare, la percezione della

sostanziale invarianza della situazione diviene dominante. Per il 65,7% del campione non si registrano

variazioni significative, con il 22,6% che ritiene al contrario che si sia in presenza di un sostanziale anche

se contenuto peggioramento. Il 6,6% è invece dell'idea che la situazione economica del proprio nucleo

familiare sia molto peggiorata, mentre il 4,6% pensa sia «abbastanza migliorata» e solo lo 0,5% la descrive

come «molto migliorata». In economia, è noto, contano molto le aspettativee la percezione generale nei

confronti delle prospettive di medio periodo dell'economia. Alla domanda su come si ritiene che la

situazione economica del Paese evolverà nei prossimi 12 mesi, il 67,8% del campione si dice convinto che

non si registreranno variazioni di rilievo (rimarrà in sostanza «uguale» rispetto all'anno in corso). Quanti

ritengono al contrario che ci si potrà aspettare una situazione «abbastanza migliorata» si attestano al

15,2%, con il 13,4% decisamente più pessimista (la situazione economica del Paese risulterà alla fine del

2016 «abbastanza peggiorata»),e il 2,9% «molto peggiorata». Il campione si divide sul giudizio complessivo

da assegnare all'azione di politica economica del Governo: per il 40,2% l'esecutivo ha gestito l'economia

«abbastanza male», per il 36,1% «abbastanza bene». Consistente anche la percentuale di intervistati il cui

giudizio è nettamente negativo: per il 22,8% il Governo ha gestito finora l'economia «molto male». Di un

certo interesse il capitolo relativo alla lotta all'evasione fiscale. Il Governo sta facendo il possibile per

combattere questo endemico fenomeno che sottrae risorse all'economia e accresce il peso effettivo del

prelievo per chi al contrario le tasse le paga regolarmente? Il 31,5% si dice «poco d'accordo» con questa

affermazione, il 28,2% «per niente d'accordo», il 25% «abbastanza d'accordo», mentre la percentuale di

quanti si dicono «molto d'accordo» si attesta al 15,2 per cento. E i tagli alla sanità? Il Governo ha fatto bene

a contenere in 111 miliardi lo stanziamento per la spesa sanitaria delle Regioni quando ne aveva promessi

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 107

113, concentrando al tempo stesso nella legge di stabilità buona parte dei tagli sul fronte delle Regioni? Il

63,1% si dichiara «per niente d'accordo», il 17,3% «poco d'accordo», il 14,1% «abbastanza d'accordo».

L'economia è un banco di prova per i leader politici: il 27% ritiene che sia il Pd di Matteo Renzi in grado di

far ripartire l'economia, mentre per il 20,8% dovrebbe entrare in gioco il Movimento 5 Stelle.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 108

INTERVISTA Mercati globali Intesa solo sull'acciaio «Sulla siderurgia c'è stata convergenza con tedeschi,francesi e anche inglesi» Conflitto d'interessi «Francesi e tedeschi hanno delocalizzato, se cadono i dazi,ne trarranno vantaggi» IL CASO CINESE E I RISCHI IN EUROPA «Parigi e Berlino troppo ambigue sulla Cina» Ferrarini (Confindustria): «L'Europa non può accettare lo status di economia di mercato» «Verso laCommissione e il Consiglio competitività il viceministro Calenda ha usato gli argomenti giusti, così comeBusinesseurope» Paolo Bricco P«La Germaniae la Francia pongano fine alle ambiguità. Il rischio Cina è imminente. Se l'Unione europea

dovesse riconoscerle lo status formale di economia di mercato, dal forte indebolimento dei dazi

antidumping comunitari si genererebbe un flusso commerciale di prodotti cinesi inarrestabile verso

l'Europa, alimentato da pratiche che nella sostanza sono tutt'altro che di mercato. Le conseguenze più gravi

ricadrebbero soprattutto sul nostro Paese. Non voglio pensare alla ceramica e al tessile, alla calzatura e

alla chimica. Ma gli effetti sarebbero profondi per tutta l'industria europea». Lisa Ferrarini, vicepresidente di

Confindustria, ha la delega ai rapporti con l'Unione europea. Alla prospettiva che, dal settembre 2016, i dazi

antidumping vengano di fatto quasi del tutto depotenziati, la sua preoccupazione è temperata soltanto dalla

reazione coesa delle classi dirigenti italianee della rappresentanza dei sistemi industriali europei. In una

partita così strategica e ancora tutta da giocare, le nostre classi dirigenti si sono dunque mosse nella stessa

direzione? Sì.A dimostrazione che, quando esiste un interesse generale, si possono fissare e perseguire

obiettivi comuni. Nei confronti della Commissione europea e del Consiglio competitività, il viceministro allo

Sviluppo economico Carlo Calenda ha usato gli argomenti giusti. Noi, come Confindustria, ci siamo fatti

sentire. Businesseurope, l'organismo presieduto da Emma Marcegaglia che raduna le confindustrie

europee, sta ponendo con energia la questione. Qual è, invece, il suo dubbio sull'atteggiamento francese e

tedesco? Nonè un dubbio.È una semplice constatazione. Sull'acciaio, tutti si sono subito resi conto che il

problema cinese avrebbe prodotto conseguenze gravi. E, dunque, si è costruito un blocco in cui, all'Italia e

alla Germania, si sono aggiunti gli altri Paesi di tradizione siderurgica, in particolare la Francia,e perfino una

realtà che sta riscoprendo la manifattura come la Gran Breta­ gna, dove un ulteriore abnorme arrivo di

acciaio cinesea prezzi stracciati avrebbe portato alla perdita di altre decine di migliaia di posti di lavoro.

Questo sentire comune e questa rapidità d'azione, nei confronti dell'ipotesi che la Cina sia accreditata dello

status di economia di mercato, non ci sono stati. Ha prevalso, in queste prime ore, un atteggiamento di

attendismo: i francesiei tedeschi vogliono capire, sottilizzano, fanno intendere che parti dei loro sistemi

industriali potrebbero trarne benefici. In che senso? Nel senso che, nei decenni passati, soprattutto i

tedeschi hanno delocalizzato in Cina pezzi importanti delle loro produzioni. Quelle imprese cino­tedesche o

cino­ francesi potrebbero, in caso di caduta dei dazi antidumping, importare in Europa senza pagare alcun

dazio. E, dunque, averne un significativo vantaggio particolare. Se, poi,a questo si aggiunge che gli Stati

scandinavi, caratterizzati da una minore importanza della manifattura, non hanno per definizione una

sensibilità eccessiva su questo tema, ecco che il rischio di scelte poco ponderate e poco sagge da parte

della Commissione europea potrebbe concretarsi. Anche la tecnocrazia comunitaria sembra orientata ad

accettare una sorta di ineluttabilità dell'accreditamento della Cina quale economia di mercatoe della caduta

dei dazi. La commissaria al Commercio, Cecilia Malmström, ha mostrato un atteggiamento prudente.

Troppo secondo la nostra visione delle cose. L'ufficio giuridico della Commissione pare orientato a pensare

che sia corretto l'automatismo di questo particolare accreditamento per la Cina. A questo punto, va

costruita una road­map in grado di fare prendere una decisione corretta. Tutto nasce da una interpretazione

dell'articolo 15 del protocollo di ingresso della Cina nel Wto? Benissimo: allora rivolgiamoci al Wto per

avere l'interpretazione autentica di queste disposizioni, perché secondo noi questo automatismo

assolutamente non c'è. Non indulgiamo in pigri automatismi. In secondo luogo, cerchiamo di capire bene

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 109

quali effetti la caduta dei dazi produrrebbe su una Europa che, da quindici anni, ha scelto la manifattura

quale suo baricentro economico e civile, politico e sociale. Circolano già delle stime, complessive e

disaggregate per singoli Paesi.E vanno bene. Sia il Governo italiano sia la Commissione hanno affidato a

dei centri studi le compilazioni di report. E anche questo va bene. Allora perché la Commissione europea,

prima di decidere di compiere modifiche legislative che rimpiangeremmo amaramente, non fornisce una

sua analisi d'impatto che consideri le implicazioni di questa scelta? Peraltro, tutto questo avviene in un

passaggio delicato. Il Ttp, l'accordo di libero scambio del Pacifico, non ha incluso la Cina. Qualcosa vorrà

dire. Vorrà dire molto. Gli Stati Uniti, che dell'accordo del Pacifico sono il perno, hanno tenuto fuori la Cina.

Ed è soprattutto con gli Stati Uniti che, su questi temi, l'Unione europea deve coordinarsi. La Cina è un

tassello essenziale nel mosaico della nuova globalizzazione. Ma non possiamo non considerare chei suoi

investimenti produttivi sono sussidiati dall'economia pubblica. Né possiamo trascurare che, all'estero, in

virtù della centralità dell'export la Cina, quando le viene permesso, mette in atto una politica aggressiva di

prezzi più bassi rispetto alla produzione così da conquistare quote di mercato. Per non parlare del dumping

ambientale, che in quel Paeseè un elemento costitutivo dell'industrializzazione e, dunque, della

competitività non sana delle imprese. Siamo davvero a un passaggio decisivo. Per tutte queste ragioni, il

nostro Paese deve fare comprendere alla Commissione che, in gioco, c'è il futuro dell'industria: non solo

italiana, ma europea.

L'interscambio Ue­Cina 359,6 176,8 292,1 144,2 280,1 148,2 164,8 302,0 -147,9 -182,8 -131,9 -137,3

Import Ue Export Ue Fonte: Commissione Ue (*) stime Economic Policy Institute Commercio di beni.

Miliardi di euro

Foto: Imprese in allarme. Lisa Ferrarini, vicepresidente di Confindustria

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 110

L'ANALISI Se il mercato è distorto difendersi è inevitabile L'intreccio è ancora molto forte in Cina e le aziende locali contano sull'intrusività della classe politicaOccorre distinguere tra i settori dove le interferenze sono limitate e quelli dove il dumping è forte Giorgio Barba Navaretti La Cina non è un'economia di mercato. Né lo sarà l'11dicembre 2016 quando scadrà il sub­paragrafo

15(a)(ii) del protocollo di accessione alla WTO, che la definisce appunto come un'economia non di mercato.

Allo stesso tempo, lo status attuale dell'impero di mezzo garantisce ai paesi importatori margini di

discrezionalità molto elevati nell'adottare misure anti dumping che, pur avendo il sacrosanto obiettivo della

salvaguardia delle produzioni nazionali, devono evitare di dare luogo ad ingiustificate azioni

protezionistiche. La delicatezza delle relazioni commerciali e politiche con la Cina e l'evoluzione

dell'economia e delle istituzioni del paese nei quindici anni di appartenenza alla WTO dovrebbero dunque

indurre a molta cautela nell'identificare le misure da adottare entro il dicembre 2016. Qualunque sia la

soluzione, non sarà né politicamente possibile né economicamente corretto ragionare in termini dicotomici,

economia di mercato si o no. Lo spazio per soluzioni intermedie flessibili c'è e va sfruttato al meglio. Come

procedere dunque? Intanto, perché la definizione é così cruciale? Nel caso di economie di mercato la

valutazione dell'esistenza di un comportamento di dumping da parte di un'azienda (esportazione a prezzi

sottocosto), viene valutata sulla base dei costi effettivi di quell'impresa nel paese in cui produce. Se

un'economia é non di mercato, invece, dato che i prezzi domestici sono distorti, si deve ricorrere ad altri

parametri, come per esempio i costi di produzione in altri economie di mercato ad un simile livello di

sviluppo. Per la, Cina, ad esempio, si potrebbero applicare i costi di produzione del Brasile. Per quanto non

sia possibile identificare altre procedure convincenti, questo meccanismo dà facilmente luogo a valutazioni

aleatorie e può diventare una potente arma protezionistica. Ad esempio non é chiaro quanto la richiesta da

parte di molti produttori di acciaio del vecchio continente alla Commissione Europea di avviare un'azione

antidumping verso la Cina sia effettivamente mossa da un dumping di prezzo o piuttosto dalla necessitá di

proteggere un'industria comunque afflitta da sovracapacità nelle economie mature. Detto questo, se a

partire da fine 2016 venisse riconosciuto lo status di economia di mercato, diventerebbe molto più difficile

attivare azioni di difesa nei confronti di un paese con un'economia comunque ancora molto distorta.

L'intreccio tra comando e mercato rimane tale. La crescita delle imprese Cinesi dipende certo dalla

capacità di essere competitive, ma anche da condizioni di contesto garantite da una classe politica intrusiva

che ha ancora moltissime leve per favorire i propri produttori e per concedere vantaggi non compatibili con

le regole della libera concorrenza. Dunque, il riconoscimento immediato dello status di mercato darebbe in

effetti alle imprese cinesi un vantaggio non equo. E allora? Economia di mercato si o no? La soluzione sta

probabilmente nella media via. Il quadro é comunque molto diverso di quello di quindici anni fa. L'industria

cinese é a un difficile punto di transizione verso le produzioni ad alto valore aggiunto. I margini competitivi

immensi, dal basso costo del lavoro al dumping ambientale, si sono erosi considerevolmente. Questa

transizione verso la produttività elevata rende i cinesi meno minacciosi, nel senso che dovranno competere

su terreni a noi più favorevoli, con le nostre stesse armi: qualità, tecnologia, produttività. Questa

considerazione oltre all'effettiva maggiore diffusione del mercato indotta dalle riforme, potrebbe portare a

trattare la questione del dumping con un approccio caso per caso. Ossia garantire lo stato di mercato solo

ad imprese o settori dove effettivamente le distorsioni sono limitate, e invece continuare a mantenere le

procedure non di mercato dove chiaramente persistono distorsioni. Questo approccio darebbe anche un

forte incentivo alle autorità Cinesi ad accelerare la transizione verso il mercato, alla ricerca di fattori di

competitività veri e non dovuti alla benevolenza della classe politica.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 111

SINDROME CINESE Economia di mercato Lo status di economia di mercato viene riconosciuto ai Paesi

nei quali le decisioni relative a investimenti, produzione e distribuzione e i prezzi si basano su domanda e

offerta e sulla libera interazione tra cittadini e imprese e dove l'intervento del Governo e la pianificazione

economica sono ridotti al minimo Si tratta di un sistema opposto all'economia pianificata, nella quale invece

le decisioni del Governo determinano la maggior parte dell'attività economica del Paese Il vaglio della Ue

Alla fine del 2016, l'Unione europea dovrà decidere se riconoscere alla Cina lo status di economia di

mercato: questo significherebbe cancellare le misure anti­dumping che Bruxelles adotta per difendere le

proprie produzioni da una competizione sleale Secondo i dati della Commissione, oltre il 40% delle imprese

europee difese dai dazi antidumping sono italiane Pechino sostiene che questo riconoscimento le spetti in

via automatica in virtù di una interpretazione dell'articolo 15 del protocollo di accesso all'Organizzazione

mondiale per il commercio, siglato 15 anni fa Usa, Canada, Giappone e India non riconoscono alla Cina lo

status di economia di mercato L'impatto Secondo l'Economic policy institute, la concessione dello status a

Pechino metterebbe a rischio 1,7 milioni di posti di lavoro nell'Unione europea nell'ipotesi di un aumento

dell'import dalla Cina del 25% nei successivi tre anni

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 112

STATO E MERCATO IMPRESA& TERRITORI Privatizzazioni, Italia terza nella Ue Chiara Bussi U pagina 19 L'Italiaè al terzo posto nella Ue per proventi da privatizzazioni nei primi8 mesi del 2015, dopo

Gran Bretagnae Svezia.A livello mondiale il primato indiscussoè però della Cina, dove vengono realizzatii

due terzi delle entrate mondiali. Lo rivela il Privatization Barometer della Fondazione Enrico Matteie di

Kpmg che stima per l'intero 2015 un livello record delle entrate mondialia 320 miliardi di dollari. pPrima il

collocamento in Borsa di Poste Italianea metà ottobre. Poi l'annuncio della privatizzazione del 40% di

Ferrovie dello Stato nel 2016. L'Italia rispolverai suoi "gioelli di famiglia"e li mette sul mercato, ma nonè un

caso isolato. Nel 2014e nei primi otto mesi del 2015 siè registrato un vero e proprio boom a livello

mondiale: lo scorso anno sono state realizzate 441 dismissioni con entrate in aumento del 12% a quota

216,8 miliardi di dollari rispetto al 2013. Il trend è proseguito anche da gennaio ad agosto di quest'anno con

354 dismissioni totali che hanno consentito di raccogliere un tesoretto di 213 miliardi di dollari (circa 188

miliardi di euro). Lo rivela il «Privatization Barometer» realizzato da Fondazione Mattei e Kpmg, che vede il

nostro Paese al quarto posto nella classifica euro­ pea del 2014e medaglia di bronzo in quella del 2015.A

livello mondiale il primato indiscussoè della Cina che ha raccolto 55,7 miliardi di euro con 188 operazioni lo

scorso anno­ pari a un terzo del totale­e 123 attraverso 247 offerte in quello in corso ­ ben due terzi delle

entrate complessive ­ grazie alla fase positiva del mercato di Borsa finoa maggio. I record delle singole

dismissioni sono però tutti europei: nel 2014 spetta alla prima tranche di ri­privatizzazione dei Lloyds, la

storica banca nazionalizzata nel 2009, che ha raccolto circa5 miliardi di euro. Nei primi otto mesi del 2015

l'operazione più fruttuosaè stata invece la cessione delle centrali elettriche in Svezia del gruppo finlandese

Fortuma una cordata di fondi pensione svedesie alla canadese Borealis per 6,6 miliardi di euro. Record a

parte, sottolinea Alessandro Carpinella, partner di Kpmg e curatore del Barometro «è iniziata una nuova

fase più matura: aumenta il numero di deal, si riduce la dimensione delle aziende sul mercatoe si assistea

medie privatizzazioni nei settori industriale, della finanza e delle infrastrutture. Nei Paesi emergenti si tratta

di un ulteriore passo di avvicinamento al merca­ to con una diminuzione del ruolo dello Stato nell'economia,

in quelli europei la privatizzazione è un modo per fare cassae portare ossigeno ai conti pubblici». A livello

europeo il Barometro, che monitora tutte le operazioni di cessioneo di trasferimento di quote da un soggetto

di matrice pubblicaa un soggetto privatoo al mercato retail, assegna il primo posto per valore di dismissioni

alla Gran Bretagna nei due anni considerati. Londra ha messoa segno 20 operazioni nel 2014 e 8 nei primi

otto mesi del 2015 che in entrambi i casi hanno consentito di raggranellare oltre 12 miliardi di euro. La

Spagna si situa al secondo posto lo scorso anno con 13 operazionie al quarto nel 2015 (con 2 dismissioni).

La Svezia, che non compare nella «Top 5» nel 2014, quest'annoè seconda. L'Italia avanza di un gradino

nella classifica: nel 2014 è quarta con 9 dismissioni per 5,5 miliardi di euro e nel 2015 terza con3 per 6,1

miliardi. Quest'anno la prima operazione per controvaloreè stata la cessione sul mercato secondario del

5,7% di Enel realizzata a febbraio per circa 2,1 miliardi di euro. Nel complesso i governi europei hanno

raccolto circa 56 miliardi di euro nel 2014e 34,9 nel 2015. Questi importi rappresentano rispettivamente il

36e il 20% del totale, ben al di sotto della media di lungo periodo delle privatizzazioni europee. Numeri

ancora piccoli rispetto a quelli realizzati nel resto del mondo. Qui dopo Pechino seguono, ma a distanza,

India, Usa, Arabia Sauditae Malaysia. La vendita al pubblico di azioniè lo strumento più utilizzato e ha

riguardato oltre il 90% delle operazioni in entrambi gli anni. Tra le altre procedure figurano aste, vendita di

assete riacquisto di azioni. «Le privatizzazioni più riuscite­ spiega Carpinella ­ sono quelle studiate con i

tempi dell'economia e non della politica. È inoltre necessario evitare che i passi avanti compiuti con

l'apertura del capitale di un'azienda pubblica vengano accompagnati da un passo indietro sulle

liberalizzazioni». La febbre da privatizzazioni è proseguita anche negli ultimi mesi di quest'anno. «Secondo

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 113

le nostre stime ­ conclude Wiliam Megginson, docente di finanza all'Università dell'Oklahoma e curatore del

Barometro ­ la nuova ondata porteràa entrate paria 320 miliardi di dollari a fine 2015, il livello più alto di

sempre».

La fotografia Mondo Unione Europea

GLI INTROITI I proventi delle privatizzazioni nel mondo e nella Ue a 25 Paesi dal 1988 al 2015*. Valori

espressi in miliardi di dollari2014 Italia Grecia Spagna Francia Regno Un.

Nota: i dati sul 2015 si riferiscono ai primi 8 mesi dell'anno Valore delle privatizzazioni (in miliardi di euro) e

numero di operazioni LA TOP 5 NELLA UE

Valore delle privatizzazioni (in miliardi di euro) e numero di operazioni LA TOP 5 EXTRA-UE

Fonte: Privatization Barometer

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 114

Il progetto Poletti: l'orario di lavoro è un vecchio attrezzo Camusso: niente scherzi "Misuriamo nei contratti l'apporto delle prestazioni d'opera". Sindacati in rivolta: "Liberismo sfrenato" Ilministro: "Superiamo il riferimento unico della retribuzione oraria". Cgil: "Schiaffo a chi fatica" VALENTINA CONTE ROMA. «L'ora-lavoro è un attrezzo vecchio che non permette l'innovazione», la butta lì il ministro del

Lavoro Giuliano Poletti. «Dovremmo immaginare contratti che non abbiano come unico riferimento la

retribuzione oraria». Ma è subito bufera. «Basta scherzare sul lavoro», tuona a stretto giro Susanna

Camusso, segretaria Cgil.

«L'orario è fondamentale per salvaguardare la condizione dei lavoratori, specie di chi sta nelle catene di

montaggio, fa la raccolta nelle campagne, le infermiere negli ospedali». Ancora più duro il comunicato del

sindacato di sinistra: «Poletti ha deciso di rottamare il contratto nazionale». Reagisce pure il numero uno

della Uil, Carmelo Barbagallo: «Questo è liberismo sfrenato, spacciato per modernità. E in ogni caso, un

ministro del Lavoro non può pensare di affrontare temi del genere con annunci spot».

La temperatura dunque si alza, benché l'uscita di Poletti non sia nuova («posizione nota», specifica in

serata il ministero). E più che una gaffe (come la frase di due giorni fa sul laurearsi in fretta anche con voto

basso) faccia pensare a una provocazione. Il ministro lo considera un «tema culturale su cui lavorare» e lo

spiega così, parlando a un convegno alla Luiss sul Jobs act, organizzato dall'Aiel (Associazione italiana

degli economisti del lavoro): «Il lavoro oggi è un po' meno cessione di energia meccanica ad ore e sempre

più risultato. Per molti anni i ritmi biologici e di vita si sono piegati agli orari fissi, ma con la tecnologia

possiamo guadagnare qualche metro di libertà». Come a dire che i parametri da considerare per la busta

paga non possono limitarsi alle sole ore effettuate, ma misurare pure «l'apporto dell'opera». A questo

scopo, sarebbero d'aiuto «forme di partecipazione dei lavoratori all'impresa».

E saranno «economisti e giuslavoristi a immaginare il futuro su questo tema».

Ma «la maggior parte delle persone fa un lavoro faticoso», gli replica la Camusso. In questi casi - è il

ragionamento - la durata oraria diventa anche tutela.

«Non capisco perché le forme di partecipazione devono essere sostitutive degli strumenti di regolazione

della prestazione dei lavoratori», insiste la leader Cgil. «Altrimenti si finisce come col sistema dei voucher:

teoricamente dovrebbe essere orario, ma invece scopriamo che si paga un voucher e si fa tanto nero».

L'altro sospetto lo adombra poi il segretario nazionale della stessa Cgil, Franco Martini: «Il ministro del

Lavoro ha deciso di rottamare il contratto nazionale, proprio nel momento in cui il confronto tra Cgil, Cisl e

Uil sembra essere partito col piede giusto». Il timore è che la frase di Poletti sia il passe-partout per altro.

«Se vi fosse un retro pensiero che punta al superamento dei minimi salariali definiti dai contratti con il

salario minimo legale, allora il sindacato si opporrà». Osserva infine Cesare Damiano, presidente

commissione Lavoro della Camera: «Se il ministro si riferisce a flessibilità negli orari e nella prestazione,

siamo d'accordo.

Purché non si torni al concetto di lavoro esclusivamente retribuito senza parametri di riferimento. Altrimenti,

perché abbiamo eliminato il lavoro a progetto? Perché il governo prevede, per i non contrattualizzati, un

compenso orario minimo?». I PUNTI IL LAVORO AGILE Accanto ai lavori tradizionali, grazie alla tecnologia

si sta diffondendo un nuovo tipo di lavoro, slegato da tempo, luogo e cartellino, che potrebbe dare più

libertà al lavoratore e più flessibilità all'azienda. Questo è il tipo di lavoro che il governo vuole incentivare

NON PIÙ PARAMETRO UNICO L'invito del governo alle parti sociali è quello di non considerare più la

retribuzione oraria come l'unico parametro di misurazione, e di introdurre nuovi parametri, più legati agli

obiettivi di produttività che si vogliono raggiungere

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 115

IL MINISTRO

L'ora-lavoro frena l'innovazione, serve la condivisione e la partecipazione dei lavoratori ai risultatiaziendali GIULIANO POLETTI

42,039,3

38,0

37,5

37,2

36,9

36,5

35,4

35,3

30,0 FONTE OCSE Le ore lavorate in Europa Media settimanale, anno 2013 Grecia Portogallo Spagna

Francia UE media Italia Regno Unito Irlanda Germania Paesi Bassi

IL SEGRETARIO CGIL

La smetta di fare battute, si ricordi che la maggior parte delle persone fa un lavoro faticosoSUSANNA CAMUSSO

34 SALARIO DI PRODUTTIVITÀ Già nella legge di stabilità si premia con aliquota secca del 10 per cento

la produttività contrattata tra lavoratori e azienda, fino a un tetto di 2.500 euro. Azienda e sindacati

contrattano cioè i vari parametri. Il governo vuole estendere questi incentivi a ogni tipo di "lavoro agile"

TUTELA DEGLI ALTRI LAVORI Tutto questo non significa, secondo il governo, rinunciare al parametro

dell'orario di lavoro per l'occupazione più tradizionale, né eliminare il salario minimo orario, che anzi,

secondo l'esecutivo, va applicato a tutti i lavoratori

www.lavoro.gov.it www.istat.it PER SAPERNE DI PIÙ

28/11/2015Pag. 1.14

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 116

IL PUNTO Per una notifica sbagliata ora Nomura rischia di uscire dal processo Mps Ma la procura ha tempo fino al 2018 per rimediare ed evitare la prescrizione WALTER GALBIATI MILANO. Un difetto di notifica e il rischio di prescrizione, ma a cui le autorità giudiziarie milanesi, se

saranno veloci, potranno comunque rimediare. La corsa contro il tempo della procura potrebbe valere un

tassello nella disputa civile e penale che contrappone i nuovi vertici del Montepaschi al colosso nipponico

della Nomura sul derivato Alexandria, confezionato per occultare le perdite del bilancio 2009. I pm di

Milano, Stefano Civardi, Mauro Clerici e Giordano Baggio hanno inviato l'avviso di chiusura indagini al

domicilio sbagliato, quello del legale Guido Alleva, che allora aveva la nomina solo per il procedimento

senese e non per quello milanese imperniato sulla responsabilità oggettiva dell'ente in virtù della Legge

231.

Da qui il difetto di notifica che ha spinto il giudice per l'udienza preliminare Livio Cristofano a estromettere

l'imputata Nomura dal procedimento Mps a carico degli ex vertici dell'istituto di credito senese,

dell'amministratore delegato della banca giapponese e della stessa Mps. Il giudice, accogliendo l'eccezione

della difesa, ha rimandato gli atti alla Procura che ora dovrà rinotificare l'avviso di conclusione dell'inchiesta

e richiedere il processo. Si teme il rischio prescrizione, ma che in realtà potrebbe essere evitato

tranquillamente con una rapida notifica e la successiva richiesta di rinvio a giudizio. Il reato di falso in

bilancio, legato al derivato Alexandria si riferisce all'esercizio 2009, chiuso ad aprile 2010. Ma l'influsso del

derivato sui conti, attraverso la sua svalutazione, si è protratto fino al gennaio 2012. Per cui la procura per

non far cadere il reato in prescrizione ha tempo cinque anni dal mese di chiusura del bilancio 2012,

avvenuto ad aprile 2013. I magistrati milanesi hanno tempo quindi fino allo stesso mese del 2018 per

notificare l'avviso di chiusura indagini o la richiesta di rinvio a giudizio, a seconda della giurisprudenza. Un

tempo che anche una tartaruga come la macchina della giustizia italiana riuscirebbe a percorrere in tempo.

Foto: EX MANAGER Giuseppe Mussari era presidente di Mps quando stipulò con Nomura il contratto

"Alexandria"

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 117

Le banche italiane superano i test Bce tranne le venete Gli esami Srep promuovono Mediobanca, Intesa, Bpm Per Popolare Vicenza critiche a gestione e controlliDividendi vietati per Carige, come a Siena Ubi è "incoraggiata" sul percorso delle fusioni ANDREA GRECO MILANO. Quasi tutte le 13 banche italiane hanno superato il secondo test di vigilanza "Srep", con cui la

Bce scrutina l'adeguatezza dei presidi patrimoniali e organizzativi dei rischi. Ma i numeri inviati

dall'Eurotower dopo mesi di analisi e controdeduzioni mostrano uno stato di salute difforme. E confermano

che la vigilanza macroprudenziale è il nuovo strumento della moral suasion dei controllori: anche per

dirigere il consolidamento, giudicare dall'incoraggiamento incassato da Ubi, che con Mediobanca è l'unica a

veder scendere le richieste di patrimonio dal primo esame (Ubi è anche l'unica popolare già trasformata in

spa, e lanciata sul percorso di fusioni tracciato dal governo). Manca Unicredit, che come tutte le banche

sistemiche non ha ancora gli esiti.

Due premesse: nessuna banca italiana è nella prima fascia "top", e la solidità si misura dallo scarto tra

capitale Cet1 richiesto e dato reale. Tre istituti sono in seconda fascia. Mediobanca, che vede limare le

richieste di fondi all'8,75% dell'attivo ponderato per il rischio: dato vicino al limite regolamentare (8%), e

lontano dal Cet1 effettivo (12,45%). In fascia due ci sono Banca popolare di Milano, con capitale Srep

confermato al 9% e Cet1 reale dell'11,44%, e Intesa Sanpaolo, gruppo di altra stazza e rischi, che ha visto

la richiesta salire dal 9% al 9,50% ma ha un capitale tra i massimi in Europa (13,40%). In fascia tre quasi

tutte le altre, a partire da Ubi - con richieste scese al 9,25% e Cet1 reale al 13% - e una potenziale "sposa":

Banco popolare, con Srep al 9,55%, poco sopra il vecchio, e patrimonio vero al 13,4%. E' sceso molto il

capitale chiesto a Mps: 10,20%, benché a fine 2016 la Bce lo indicherà al 10,75% (ora è il 12%). Mps è tra i

pochi rialzi di Borsa, +1,92%. In terza fascia c'è poi Bper, con richieste al 9,25% e un reale 11,62%. E

Carige, con obiettivo sceso di 25 punti base all'11,25%, vicino al 12,2% effettivo: perciò la Bce ha vietato

(come a Siena) di distribuire dividendi. Note dolenti per le due popolari venete, sole in quarta fascia.

Vicenza ha uno Srep del 10,25%, in lieve calo da gennaio ma molto sotto al Cet1 di settembre del 6,94%

(difatti ha in cantiere l'aumento da 1,5 miliardi); e la Bce ha chiesto di rafforzare le strutture organizzative e i

controlli interni. Simili note per la Veneto che a ieri sera non aveva fornito i risultati, ma prepara un

aumento. «Alcuni sostengono che, mentre la politica monetaria cerca di rilanciare l'economia, la Bce

costringa le banche ad aumentare il patrimonio frenandola - ha detto martedì Danièle Nouy, capo della

vigilanza, in un convegno in cui ha difeso con forza gli Srep -. Non vi stupirà che la veda diversamente: la

maggior parte delle banche detiene riserve sopra i minimi, perciò le decisioni Srep avrebbero impatti non

significativi sul credito, e limitati sull'economia». Tra l'altro Nouy non gradiva l'uscita dei dati; ma dopo la

sollecitazione Consob le banche italiane li hanno diffusi, uniche in Europa con la belga Kbc.

Indice Cet 1 transitorie al 30-9-2015 (%)

12,458,759,009,259,509,5510,209,2511,25

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 118

10,2511,44 13,00 13,40 13,40 12,00

11,62 12,20

6,94 I risultati dei test Srep Mediobanca Società Indice Cet 1 chiesto dalla Bce nel 2016 (%) Banca

Popolare di Milano Ubi Banca Intesa Sanpaolo Banco Popolare Mps Bper Carige Popolare di Vicenza

Foto: Bce POCHI BOCCIATI L'Eurotower ha promosso quasi tutti gli istituti italiani chiesti interventi a

Veneto Banca, Pop Vicenza e Carige

28/11/2015Pag. 26

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 119

IL PROVVEDIMENTO Stabilità, pacchetto per il Sud sgravi e più aiuti a chi assume ROBERTO PETRINI ROMA. Il governo cerca di superare l'impasse post-Parigi rafforzando in legge di stabiità le misure per il

Sud e gli investimenti. Ieri il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti e il

viceministro dell'Economia Morando hanno assicurato che il pacchetto Sud arriverà. Un «mix» di

decontribuzione rafforzata per i nuovi assunti e credito d'imposta. E' possibile che si agisca sulla durata

dello sconto contributivo che potrebbe restare triennale per il Mezzogiorno o sull'aumento del bonus che nel

2016 viene ridotto al 40 per cento (degli 8.000 euro iniziali). Sul tavolo anche lo sconto fiscale sotto forma di

credito d'imposta per l'intero ammontare degli investimenti. Sulla politica del governo è intervenuto i premier

Matteo: «Leggo commenti surreali, sul fatto che i provvedimenti del nostro governo sarebbero fatti per

comprarsi il voto degli italian. Un modo di pensare offensivo per gli italiani». Nel tentativo di sostenere la

ripresa, frenata dai bagliori di guerra, l'esecutivo cerca di utilizzare al massimo i fondi europei: De Vincenti

ha assicurato che si arriverà al 100 per cento a fine anno (ad ottobre eravamo all'88 per cento), peraltro

condizione essenziale per avere nel 2016 lo sconto sul deficit dell'Europa. Il pacchetto di agevolazioni sul

deficit-Pil resta la chiave della legge di Stabilità e ieri in una intervista al Sole 24 Ore il «falco» Jeroen

Dijsselbloem, presidente dell'Eurogruppo, ha rilevato che l'Italia sta chiedendo troppe forme di flessibilità ed

è stato l'unico paese a farlo (riforme, investimenti, migranti, sicurezza). L'ipotesi di una bocciatura non è

considerata dal governo, tuttavia l'Upb nel suo rapporto di novembre ha avvertito che nel caso la flessibilità

non fosse accolta dalla Ue verrebbe aperta la procedura d'infrazione per deficit eccessivo. D'altra parte i

margini restano stretti: l'Upb ha calcolato che il taglio sulla sanità nel periodo 2015-2019 sarà di 8 miliardi.

Cifra ritenuta «insostenibile» dalla minoranza Pd.

Il tutto mentre sul fronte dell'economia si alternano luci ed ombre: dopo il passo falso di ordinativi e

fatturato di settembre, ieri è giunto il dato dell'Istat sulla fiducia dei consumatori a novembre abbia battuto

un nuovo record (quota 118,4) da vent'anni dopo quello di ottobre. La rilevazione è avvenuta, come nota la

Confesercenti, prima dell'attentato di Parigi e dunque anche in Europa - dove una analoga stima segnala i

massimi - si aspetta il dato di dicembre per trarre le conclusioni. Su tutto agisce l'ombrello di Mario Draghi

che la prossima settimana lancerà il Qe2: gli effetti già si scorgono da giorni sui titoli di Stato e, dopo i tassi

negativi di Bot e Ctz, ieri il Btp a 5 anni è sceso al minimo storico di 0,37%.

Foto: L'ATTACCO "Offende gli italiani dire che i bonus - dagli 80 euro, alla casa al Sud - sarebbero fatti per

comprarsi il voto" Così il premier Renzi ieri ha risposto alle opposizioni

28/11/2015Pag. 27

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 120

Il lavoro Poletti insiste sull'orario "Parametro insufficiente" Camusso: non sa chedice Il ministro: "Ma quale attentato ai diritti, il mondo sta cambiando" Landini: "Offesa ai lavoratori". Furlan:"Uscita estemporanea" LA GIORNATA VALENTINA CONTE ROMA. Il ministro del Lavoro insiste e si difende: «Non è un attentato ai diritti, figuriamoci». Ma la Camusso

lo paragona a «Ufo robot che vuole risolvere tutti i problemi dei lavoratori», quando però «le condizioni non

vanno che peggiorando». La polemica sull'ora-lavoro non si placa, dunque. Poletti torna a ribadire da

Fagagna, in provincia di Udine, che l'orario «non può essere l'unico parametro per misurare il rapporto tra

lavoratore e opera realizzata, viste le novità che avanzano nel mondo». La leader Cgil lo addita, dalla

manifestazione degli statali a Roma, come «un ministro che non conosce com'è fatto il lavoro» e che vuole

«apparire come Ufo robot», ma senza «migliorare le condizioni quotidiane della gente normale».

«Forse un ministro del Lavoro dovrebbe sapere di cosa parla», rincara la segretaria Cgil. E poi confessa,

riferendosi alle frasi insistite di Poletti: «Per qualche ora ci siamo augurati che fosse uno scherzo e che

quindi sarebbe arrivata una smentita, ma non è stato così. A questo punto restano solo due ipotesi. O il

ministro non sa cosa vogliono dire il lavoro e il rapporto tra fatica e tempo lavorato, e allora cambiamo

ministro. Oppure ha deciso che i lavoratori non debbano avere più né una giusta retribuzione né diritti

contrattuali». Duro anche il leader della Fiom, Maurizio Landini: «Sinceramente questa idea di superare

l'orario di lavoro è una offesa alle persone, che anzi per quanto lavorano sono retribuite troppo poco».

In linea anche le altre sigle sindacali. «Il ministro è entrato a gamba tesa sul rinnovo dei contratti e questo

non va bene», è la lettura di Carmelo Barbagallo, segretario generale della Uil. «Se pensano di fare un

attacco ulteriore alla contrattazione, hanno sbagliato tempo e modo». Netta la leader Cisl, Annamaria

Furlan: «Un'uscita estemporanea su un tema delicatissimo, battute non condivisibili su un argomento

troppo serio». Ma Poletti spiega ancora: «La valutazione oraria c'è e io ho solo detto non consideriamola

come l'unico metro attraverso il quale si può misurare la relazione tra una persona e l'opera». E come

esempio cita la Ducati che «ha fatto un contratto di lavoro con un integrativo pieno di elementi di

innovazione, decisi insieme da sindacato e impresa». Lo difende l'ex ministro Maurizio Sacconi:

«Constatazione persino banale sui cambiamenti in atto». Dietro le sue parole, «c'è tanta verità», per

Alberto Bombassei, presidente di Brembo e parlamentare di Scelta Civica. Mentre il governatore della

Toscana Enrico Rossi invita a rileggere la Costituzione, articolo 36: «Il lavoratore ha diritto ad una

retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé

e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa».

IL CARTONE UFO ROBOT Chissà se sprinta tra le stelle e mangia insalate di matematica. Fatto sta che a

Susanna Camusso, con il suo attacco all'ora di lavoro, il ministro Poletti appare come un nuovo Goldrake:

"Un Ufo robot che vuole risolvere tutti i problemi del lavoro"

Foto: INDUSTRIA Un operaio al lavoro nel laminatoio di un'acciaieria

29/11/2015Pag. 16

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 121

IL MERCATO Le proteste contro Bruxelles servono a mascherare gli errori italiani Sulla bad bank ritardi e incognite Abi e regolatori facciano mea culpa L'operazione esaurisce le risorse del fondo E in caso di futuri dissesti? L'aiuto di Stato da noi eraimpossibile, il debito pubblico è troppo alto ALESSANDRO PENATI In zona Cesarini, Governo e Banca d'Italia hanno varato la bad bank (BB) per risolvere il dissesto di quattro

banche regionali: dal 1 gennaio i loro depositanti e obbligazionisti rischiavano di rimetterci in proprio.

Depositi e prestiti in bonis delle quattro banche vengono trasferiti ad altrettante entità ponte, gestite da

commissari, che le devono vendere quanto prima al miglior offerente. I prestiti in sofferenza sono trasferiti a

due entità: quelli con possibilità di recupero, sono svalutati a 17 centesimi per euro (per un totale di 1,5

miliardi) e conferiti alla BB, che dovrà venderli sul mercato entro 18 mesi; quelli con probabilità di recupero

basse o nulle, a una seconda entità a fronte del debito subordinato delle banche insolventi.

Il nuovo Fondo di Risoluzione (FR): 1) assorbe la perdita di 1,7 miliardi dovuta alle sofferenze con

probabilità di recupero quasi nulle (cedute al veicolo dei subordinati); 2) fornisce 1,8 miliardi alle banche

ponte per dotarle del capitale necessario e finanziare la cessione dei prestiti alla BB da 1,5 miliardi; e 3)

costituisce il capitale della BB per 140 milioni. In totale, un salvataggio da 3,6 miliardi; in realtà sono 4

perché ci sono altri 400 milioni di prestiti al Fondo, garantiti dalla Cassa DDPP (come da comunicato Intesa

e Comunità europea, ma non Bankitalia). Il Fondo è finanziato dal versamento anticipato dei contributi di

tutte le banche nazionali previsti per i prossimi tre anni.

Per poter operare immediatamente le maggiori banche erogano un prestito da 2,350 miliardi a fine 2015, e

uno da 1,650 miliardi a 18 mesi (totale 4 miliardi).

Quale è il rischio del salvataggio per le banche? Nullo sulla BB. Probabilmente hanno selezionato loro i

prestiti da trasferire alla BB e stabilito il valore. Il rischio è poi asimmetrico: se li cederanno a meno di 17

centesimi scatta la garanzia della Cassa DDPP; se a più di 17, rimborsano il prestito alle banche ponte e la

plusvalenza va al loro FR. Il rischio viene dal prezzo di cessione delle banche ponte: il FR va in pari se

vende a un prezzo vicino al patrimonio tangibile. Ma tutte le banche italiane (tranne Intesa) trattano oggi a

sconto perché non c'è certezza che le sofferenze abbiano raggiunto il culmine, e perché tra banche in

vendita, in cerca di fusione o alle prese con mega aumenti c'è un eccesso di offerta di azioni bancarie, e il

settore è in declino irreversibile. Un altro rischio è che il FR esaurisca con questo salvataggio le risorse nei

prossimi anni, dando così per scontato che non ci saranno più dissesti: non ne sarei così sicuro. Le banche

finanziano il FR a "tassi di mercato", ma non si sa quali siano. Nulla si sa del criterio che ha stabilito quali

sofferenze trasferire alla BB, e quali al veicolo dei subordinati. Lo schema assicura che un'eventuale

vendita delle sofferenze da parte della BB a prezzi superiori a quelli di conferimento vada a beneficio

esclusivo del FR (le banche), a scapito dei creditori subordinati.

Gli azionisti delle banche dissestate protestano perché hanno perso tutto. Ma hanno nominato loro i vertici

che hanno distrutto le banche, e i consiglieri che avrebbero dovuto vigilare. Fare il socio non significa solo

poltrone e potere, ma responsabilità e rischi. Protestano i creditori subordinati: quelli istituzionali avrebbero

dovuto conoscere il significato di "subordinato"; ma i risparmiatori hanno mille ragioni. E' solo l'ultimo

esempio della pratica scorretta delle banche che rifilano titoli rischiosi a correntisti inconsapevoli; e che

dura ininterrotta dai tempi del crac Parmalat. Un mea culpa da parte di Abi e regolamentatori sarebbe il

minimo. Ai risparmiatori non resta che la class action, ma dubito che quella all'italiana serva a qualcosa. E

contro chi? Le vecchie banche in liquidazione? Protestano infine banchieri, Governo e politici contro

l'Europa a guida tedesca, un paese dove lo Stato ha aiutato le sue banche, mentre ora proibisce qualsiasi

aiuto pubblico alle nostre. La crisi finanziaria è del 2008. Prima si è negato toccasse le nostre banche. Poi,

quando è diventata palese, e la BB di Stato era l'unico modo per uscirne rapidamente (come negli Usa, UK

29/11/2015Pag. 24

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 122

o Germania), in Italia non si è potuta fare perché non c'erano investitori disposti a sottoscrivere nuovo

debito pubblico italiano, in quanto già troppo elevato. Si poteva ricorre agli aiuti di CE e Bce, ma avrebbe

comportato la condizionalità: si è scelto di non farlo. Che ora non si dia la colpa ai tedeschi.

29/11/2015Pag. 24

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 123

Scontro sui salvataggi bancari Patuelli: "Legnata per il sistema". Nicastro: "Difesi depositi e stipendi" VITTORIA PULEDDA MILANO. Il salvataggio delle quattro banche commissariate con l'intervento del Fondo di risoluzione è una

«legnata per le banche italiane», secondo il presidente dell'Abi Antonio Patuelli; ma anche l'unico modo per

evitare il peggio per Roberto Nicastro, il presidente unico delle quattro "good bank" di CariFerrara,

CariChieti, Banca Marche e Popolare dell'Etruria. Un meccanismo che ha permesso alle banche di riaprire

il lunedì successivo al decreto governativo (di una settimana fa) difendendo un milione di depositanti; un

risultato non scontato «così come non era scontato il pagamento degli stipendi il 27», ricorda ancora

Nicastro. La sfida è appena partita: domani, ha annunciato il presidente, ci sarà l'avvio, «il kick off

dell'attività operativa» per le quattro banche. Con due obiettivi: «rimettere a pieno regime il motore delle

banche in rapporto ai rispettivi territori e procedere alla cessione delle good bank in tempi rapidi», una

condizione messa espressamente da Bruxelles.

Con l'attivazione del Fondo di risoluzione si sono evitati gli strali di Bruxelles per aiuti di Stato, ma non è

stata una soluzione indolore. «Siamo imbestialiti» con la Commissione, «non è questa l'Europa che

sognavamo», dice ancora Patuelli. Secondo il presidente dell'Abi il conto per le banche italiane è ben più

salato (grosso modo 4 miliardi) di quanto sarebbe stato l'intervento diretto del Fondo interbancario per

ripatrimonializzazione i quattro istituti. «I bisbigli delle burocrazie Ue» hanno rallentato questo intervento,

ricorda Patuelli, costringendo alla fine Bankitalia e governo ad intervenire con il decreto. «I tedeschi

possono salvare i propri istituti con i soldi pubblici - dice ancora Patuelli - l'Italia no, in un'Europa che salva

una banca di Amburgo proprio con gli aiuti di Stato». Altrettanto risentito il presidente di Federcasse,

Alessando Azzi: «Questo scherzetto costa alle Bcc 230 milioni».

Il conto della crisi delle quattro banche non è lieve per nessuno. A partire da quei 10 mila sottoscrittori di

obbligazioni subordinate dei quattro istituti, che hanno visto azzerato il proprio gruzzoletto (così come è

accaduto agli azionisti): «Faremo quanto possibile per essere loro vicini - ha detto Nicastro - è necessario

che per dissesti di questo tipo le responsabilità vadano accertate con energia e accuratezza. Non appena

le banche avranno recuperato la loro solidità, guardare alle azioni di responsabilità è un tema che sarà alla

nostra attenzione».

Il rischio di incorrere nella tagliola degli aiuti di Stato ha finora bloccato la nascita di una bad bank di

sistema, per risolvere il nodo delle sofferenze bancarie. Si stanno studiando formule alternative, compresa

la nascita di più bad bank, che si finanzierebbero sul mercato per rilevare crediti in sofferenza dalle banche,

affiancate dalla Cdp, da cui comprerebbero la garanzia sui crediti a prezzi di mercato.

Così si aggira il no di Bruxelles, ma rischia di essere troppo oneroso il meccanismo per le banche (che

dovrebbero cedere i crediti a prezzi molto scontati). Mef, Bankitalia, Cdp e tecnici sono al lavoro.

Antonio Patuelli, Abi

I NUMERI

3,6 mld10% IL SALVATAGGIO Il costo dell'intervento per salvare le quattro banche, a carico degli istituti "sani" IL

COSTO Per Intesa e Unicredit il salvataggio "pesa" quasi il 10% degli utili pre-tasse

29/11/2015Pag. 25

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 124

L'INCHIESTA In Trentino, Emilia e Lombardia le buste paga più ricche d'Italia RAFFAELE RICCIARDI RICCIARDI A PAGINA 19 In testa c'è Milano Al Sud meno 30% La Milano rinfrancata nell'immagine

dall'Expo è la provincia che paga meglio i dipendenti del settore privato. La Madonnina svetta con una

retribuzione annua lorda media di 34.508 euro (circa 2.575 al mese) e scava un solco dalla seconda in

classifica, Bolzano che si ferma a 32.897 euro. Gli assegni più poveri si trovano nel medio-campidano: si

scende sotto 22.500 euro (poco meno di 1700 euro al mese), per una sforbiciata di un terzo dell'assegno

meneghino.

E' il risultato dell'Osservatorio JobPricing e Repubblica.it, da oggi consultabile integralmente sul sito,

costruito attraverso 140mila rilevazioni su 350mila utenti. Un'analisi dei redditi dei dipendenti del settore

privato, registrati nel luogo della loro produzione. E' di fatto un'indicazione per chi, in cerca di lavoro, vuole

capire dove indirizzarsi per spuntare condizioni migliori. L'Istat, invece, quando parla di redditi delle famiglie

considera più fonti di guadagno (da lavoro dipendente, da pensione, da attività in proprio, da rendite), per

poi suddividerli per i componenti della famiglia.

Roma si trova all'undicesimo posto, con assegni da 30.126 euro. La capitale risolleva le sorti dell'intero

Lazio, con un valore molto alto rispetto alle altre province. Per trovarle, bisogna scendere nella seconda

metà della classifica: Latina al 52esimo posto, con 27.258 euro, poi Viterbo al 63esimo, Frosinone al

73esimo e Rieti al 79esimo.

Nel complesso delle Regioni non stupisce il trio di testa: per 100 euro guadagnati in media (dove il reddito

annuo lordo in Italia è di 28.653 euro), in Lombardia si sale a 108,8, in Trentino Alto Adige a 107,5 e in

Emilia Romagna a 104,3. In Calabria, fanalino di coda, non si arriva a 82 euro. D'altra parte, a testimoniare

la frattura Nord-Sud ci pensano anche i dati forniti recentemente dall'Istat nell'approfondimento sui Conti

economici territoriali del 2014. Numeri che corroborano il nesso tra remunerazione dei lavoratori e

produttività tanto che il Nord-ovest è l'area con il Prodotto interno lordo (che considera la ricchezza di tutti i

soggetti economici) per abitante più elevato: con 32.500 euro, già l'anno scorso ha segnato una leggera

risalita rispetto al 2013, anticipando la timida ripresa che si sarebbe manifestata a livello nazionale solo

quest'anno.

Il divario con il Mezzogiorno è impressionante: il Sud si ferma a 17.600 euro, poco più della metà della

parte settentrionale del Paese. Se si parla di valore aggiunto per abitante, cioè la cifra che sintetizza la

crescita del sistema economico in termini di nuovi beni e servizi messi a disposizione della comunità,

Milano svetta ancora con 45mila euro, seguita da Bolzano e Bologna. Al fondo di quest'altra classifica gli

ormai soliti noti: Medio Campidano, Barletta-Andria-Trani, Carbonia-Iglesias, Vibo Valentia e Agrigento, con

circa 13mila euro per abitante, contro i 23.900 a livello nazionale. Non è un caso che proprio le regioni

meridionali, lo scorso anno, abbiano patito anche il maggior calo di occupazione e consumi. Per Mario

Vavassori, professore aggiunto al Mip - Politecnico di Milano - e responsabile dell'Osservatorio JobPricing,

«L'Italia dei campanili emerge anche da questi dati». Va ricordato che «c'è una correlazione anche tra il

reddito e il costo della vita: il caro-vita del Nord Italia, maggiore di quello del Centro-Sud, rispecchia in parte

questa differenza delle retribuzioni, soprattutto per i dipendenti del settore privato». Ma si aprono anche

altre questioni, si pensi all'uscita del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, di pensionare il concetto di "ora-

lavoro", stroncata da molti.

Il giudizio di Vavassori riapre la riflessione: «Si fa sempre più strada una concezione del lavoro

'individuale'. Resta da verificare se i sistemi di tutela rappresentati dai contratti nazionali siano ancora lo

strumento migliore per comprendere e valorizzare questa realtà».

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 125

Retribuzione media annua lorda in euro

Da 28.000 a 29.999

Gli stipendi nelle regioni

29.259

Province: la top e la fop 5 dei salari29.4832°30.80331.1796°29.4735°1°28.8039°3°29.8947°28.42810°27.82911°13°25.41124.66027.04325.54814° 4° 17°15°25.23012°19°26.31023.87618°20°25.02124.11023.46516°8°

29.615 Retribuzione media annua lorda in euro FONTE JOBPRICING PER REPUBBLICA Oltre 30.000

Milano 34.508 Bolzano 32.897 Genova 31.404 Parma 31.273 Medio Campidano 22.438 Da 26.000 a

27.999 Meno di 24.000 Da 24.000 a 25.999 1ª 2ª 3ª 4ª Reggio Emilia 30.913 5ª Toscana Lombardia Liguria

Emilia Romagna Piemonte Friuli Venezia Giulia Veneto Campania Basilicata Calabria Marche Puglia

Abruzzo Lazio Umbria Molise Sicilia Sardegna Val d'Aosta Trentito -Alto Adige 110ª Crotone 22.736 109ª

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 126

Messina 22.771 108ª Oristano 22.992 107ª Lecce 23.029 106ª

www.jobpricing.it www.repubblica.it PER SAPERNE DI PIÙ

I NUMERI

28.65382 euro

30.126 L'ITALIA La retribuzione media annua in in Italia. A Milano, prima, sono 34.500, nel Medio

Campidano 22.500 IL DIVARIO Fatto 100 euro il nostro reddito medio, in Lombardia se ne guadagnano

108,8 in Calabria 82 LA CAPITALE Roma si trova all'undicesimo posto tra le province più ricche, con

30.126 euro di reddito annuo

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 127

Le misure Un'incognita da due miliardi sulla manovra Rischio tasse Bonus su cultura e sicurezza coperti dalla flessibilità Ue, ma se Bruxelles dirà di no possibili aumenti fiscaliCon i 500 euro ai diciottenni e gli 80 euro ai militari il premier Renzi sfida le critiche della Commissione sulleuna tantum VALENTINA CONTE ROMA. Una mina da due miliardi pende sulla legge di Stabilità appena arrivata alla Camera. L'uno più uno

che il premier Renzi vuole mettere su sicurezza e cultura, dopo gli attacchi di Parigi, non solo è destinato a

stravolgere il dibattito parlamentare da qui a Natale. Ma corre sul filo della scommessa, appeso com'è al sì

di Bruxelles previsto in primavera. E se invece arrivasse un no o un sì parziale? Cosa ne sarebbe dei conti

pubblici? Rischieremmo nuove tasse? Nessuna risposta, per ora. Alla Camera, dove nel frattempo gli

emendamenti sono già oltre quota 5 mila, si guarda con scetticismo al pacchetto di Palazzo Chigi (ancora

da formulare, tra l'altro). I deputati di sicuro si preparano a mettere in discussione quantomeno la logica del

bonus: sia gli 80 euro alle forze dell'ordine che guadagnano sopra i 1.500 euro mensili, sia la card da 500

euro per i neo diciottenni. Se due miliardi devono essere, si può pensare di distribuirli in modo più efficace,

è il ragionamento. Sia in chiave di sicurezza pensando alle dotazioni, ad esempio, più che alle buste paga.

Sia in chiave di periferie da "rammendare", di ricerca e diritto allo studio da potenziare (anziché regalare

biglietti per il cinema). Tra l'altro, si fa notare, si tratta di misure una tantum. Valgono per il 2016 e poi stop.

E Bruxelles? Dopo lo sgarbo sulla cancellazione della Tasi- preferibile una riduzione del costo del lavoro -

queste una tantum potrebbero essere malviste. E non trovare piena accoglienza nell'ambito dell'ex clausola

migranti, ora diventata clausola sicurezza. L'Italia aveva già messo in conto una richiesta di 3,3 miliardi per

la gestione dei flussi migratori. Una "circostanza eccezionale" ora destinata a inglobare i 2 miliardi per il

rafforzamento dell'intelligence e della difesa, per la cyber security, ma anche per la riqualificazione delle

periferie e il due per mille alle associazioni culturali. Di tutto un po'. D'altro canto, la promessa è stata fatta.

Gli architetti sono già in moto, entro dicembre depositano i progetti per le città. I militari attendono rinforzi

economici da gennaio.

In questo clima, le speranze di ritoccare la legge di Stabilità si riducono al lumicino.

Dei 300 milioni a disposizione delle Camere per limare i saldi (la manovra vale 28,7 miliardi e si arriva a

31,8 con la clausola fin qui chiamata migranti), un centinaio è stato usato dal Senato. Il resto servirà per le

piccole mediazioni politiche alla Camera. I temi sul tavolo però sono molti. Il primo è il pacchetto per il Sud.

Tutte le forze politiche vogliono rafforzare la decontribuzione per i nuovi assunti (piena e per tre anni).

Molte aggiungono anche il credito di imposta e il super ammortamento al 160% anziché 140 (soluzione

preferita dal ministero dell'Economia perché poco costosa). Poi ci sono i giochi, dove il tutti contro tutti è

garantito: più o meno tasse, più o meno slot. E le Province che non riescono a chiudere i bilanci e

avrebbero bisogno di altri 200 milioni. Infine il pacchetto della commissione Lavoro: estendere l'opzione

donna, per aiutare altre 7 mila lavoratrici ad andare in pensione (500 milioni extra), rifinanziare la Discoll

per i precari, garantire la Naspi agli stagionali anche per il 2016, anticipare la no tax area dei pensionati.

Su tutto pendono le tre clausole chieste a Bruxelles: riforme, investimenti e migranti-sicurezza. In tutto, 16

miliardi da escludere dal deficit e dunque usare per coprire la manovra e finanziarne le poste, tutt'altro che

scontati. E non solo sul fronte sicurezza. Anche le riforme sono in bilico. «Dopo il Jobs Act, Bruxelles se ne

aspetta altre in grado di aumentare il Pil potenziale, dunque privatizzazioni, pubblica amministrazione,

servizi pubblici locali», osserva l'economista Giacomo Vaciago, docente alla Cattolica di Milano. «Se così

non sarà, saremo costretti ad aumentare le imposte nel momento sbagliato, con una ripresa ancora fragile

e timida».

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 128

I nuovi obiettivi di fnanza pubblica132,1-0,2132,8 131,4 127,9 123,73,94,74,34,34,14,1-1,1

-2,2

-2,6

-3,0

3,0

2,0

1,7

1,6 Indebitamento netto 2014 2015 2016 2017 2018 Saldo primario Interessi Debito pubblico (al lordo dei

prestiti esteri) 2014 2015 2016 2017 2018 IL MINISTRO ll responsabile del dicastero dell'Economia, Pier

Carlo Padoan La legge di stabilità inizia oggi il suo iter alla Camera dei Deputati L'EUROPA Il presidente

della Commissione europea, Jean-Claude Juncker In primavera Bruxelles deciderà se concedere all'Italia

maggiore flessibilità sui parametri dei conti pubblici PERSONAGGI

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 129

LA FINANZA Mr. Tod's vale 2 miliardi Sara Bennewitz A pagina 15 Milano Quanto vale l'impero della famiglia Della Valle? Difficile dirlo con precisione, vista la

notevole ramificazione di società (ormai quasi tutte italiane) che ruotano intorno alla Tod's. La

partecipazione del 56,7% nel marchio del lusso marchigiano ai valori di Borsa vale 1,35 miliardi ma è

destinato a salire con la recente acquisizione di Roger Vivier. La griffe francese è stata sviluppata

parallelamente dalla famiglia Della Valle che ora vendendola alla Tod's incasserà 415 milioni, di cui 207

milioni in cash mentre gli altri 207 milioni saranno reinvestiti in azioni Tod's. Tenendo presente che una

grossa parte dei 300 milioni di plusvalenza se ne andrà in tasse la convenienza finale dell'operazione

dipenderà dall'andamento futuro del titolo della società di Sant'Elpidio a mare. L'operazione tra parti

correlate, tra l'altro, è stato il frutto di una spigolosa trattativa tra la famiglia venditrice e i rappresentanti del

compratore, cioè dirigenti e consiglieri della Tod's. Diego Della Valle avrebbe preferito quotare Vivier in

Borsa in una società a parte, con un aumento di capitale sul mercato per raccogliere le risorse sufficienti a

rilevare da Tod's alcuni cespiti strategici, come la rete distributiva, e con cui finanziare lo sviluppo futuro. IL

PREZZO DI VIVIER. Alcuni analisti invece stimano che il prezzo pagato da Tod's per Vivier sia di lusso.

Tutti concordano sul fatto che l'acquisizione creerà valore nel tempo, ma Tod's pagherà 415 milioni più iva:

togliendo l'accordo di esclusiva (25 milioni) e aggiungendo il negozio di Parigi (20 milioni) il gruppo anticipa

subito l'equivalente di 40anni di licenze. Non poco, ma i banchieri fanno notare che per valutare un marchio

di lusso ci sono tanti metodi ed è anche difficile paragonare una griffe con un'altra. Tod's, ad esempio, vale

un terzo in meno rispetto al multiplo riconosciuto per Vivier, mentre il marchio più simile alla griffe francese,

Jimmy Choo, vale il 28% in meno. Fatto sta che toccherà ai soci di minoranza dire l'ultima parola in

assemblea sull'operazione (la procedura white wash prevede che la famiglia Della Valle non voti). E se il

voto sarà positivo Tod's diventerà sempre più un un polo di scarpe di lusso, con Vivier (15% del fatturato

consolidato) stella emergente, i mocassini a pallini la nave ammiraglia (55% dei ricavi), mentre Hogan e

Fay (circa il 30%) brand che ancora faticano a diventare internazionali nel panorama del lusso. E così è

possibile che prima o poi Tod's quoti separatamente da un lato Vivier e dall'altro Hogan e Fay, continuando

a sviluppare la produzione, ma facendo emergere il valore intrinseco ad ogni singola griffe. Intanto, salvo

nuove tempeste di mercato, il 2016 dovrebbe essere un anno positivo per il gruppo, in quanto molti timori

legati alla Cina sono destinanti a rientrare, e anche se l'acquisto di Vivier diluirà gli utili 2016 di un 2-3% la

situazione dovrebbe migliorare già nel 2017. Agli attuali prezzi di Borsa gli analisti restano neutrali o

negativi, con target che oscillano dai 69 euro di Fidentis agli 87 di Mediobanca. Ma se il titolo dovesse

calare i Della Valle sono pronti a rastrellare salendo anche oltre il 64,2% che avranno dopo l'operazione

Vivier. OLTRE LA TOD'S. La Tod's è il core business dell'impero della dinasty marchigiana, non a caso la

loro partecipazione nell'azienda sul mercato capitalizza 1,35 miliardi e rappresenta buona parte del loro

patrimonio. Ma più di una volta i Della Valle hanno investito in altre aziende italiane e non, con sorti alterne.

L'acquisto della quota di Bnl, poi rivenduto nel 2006 ai francesi di Bnp Paribas fruttò alla dinasty

marchigiana circa 250 milioni di plusvalenza. Stesso discorso per i grandi magazzini Usa, Saks, che nel

2013 hanno generato 150 milioni di guadagni. Discorso opposto per l'investimento nelle caffettiere Bialetti

(rilevate in Ipo nel 2007 per circa 15 milioni, e la cui quota oggi vale 0,3 milioni) e per la partecipazione

nella Rcs (7,3%). In Borsa la quota nel gruppo che pubblica il Corriere della Sera vale 21 milioni, meno

della metà dei 45 versati due anni fa da Mr Tod's con l'ultima ricapitalizzaizone. L'investimento in Piaggio (il

5,5% del capitale oggi vale 45 milioni) risale al 2007, ma è di quelli di lungo termine perché Diego Della

Valle crede molto nel potenziale del gruppo, che peraltro paga anche cedole generose. L'esperienza nel

patto di sindacato di Mediobanca (di cui i Della Valle sono soci con lo 0,5% per 46 milioni di

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 130

capitalizzazione) e nel consiglio delle Generali sono servite a dare robuste spallate ai salotti buoni ma non

hanno dato particolari soddisfazioni dal punto di vista economico. Infine tra le attività non quotate c'è la

partecipazione nei treni Ntv (salita al 18%, dopo il recente aumento di capitale fino a 100 milioni) che

quest'anno dovrebbe avere un margine operativo positivo, la squadra di calcio della Fiorentina e il marchio

della stilista italiana Elsa Schiapparelli. Ma in quest'ultimo caso chi conosce Della Valle suole ripetere che

Schiapparelli è l'ultima sua passione e che non la venderà mai alla Tod's. RCS, PIAGGIO, NTV, BIALETTI,

TOD'S, s.di meo

Foto: Qui sopra, le principali partecipazioni azionarie che fanno capo a Diego Della Valle A sinistra, Diego

Della Valle , presidente Tod's

30/11/2015Pag. 1,15 N.40 - 30 novembre 2015

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 131

I numeri dell'economia della paura Paolo Griseri Il ponte levatoio è stato sollevato, si fortificano le mura del castello. Perdono i signori dell'industria del

viaggio, della ristorazione e del divertimento, coloro che fanno affari su tutto ciò che si sposta e ha il sapore

delle aggregazioni di massa. Vincono i signori della guerra e della difesa. A due settimane dagli attacchi di

Parigi i primi effetti economici del terrore si fanno sentire, anche se una misurazione più precisa del costo

della paura si avrà solo a fine mese. Parigi e Bruxelles sono state, ovviamente, le città più colpite. segue a

pagina 4 segue dalla prima AParigi il crollo delle prenotazioni turistiche e delle spese in locali e ristoranti è

stato verticale nei giorni immediatamente successivi al massacro. Il ministero delle finanze francese

prevede che gli attacchi potrebbero abbassare il pil di due miliardi di euro, lo 0,1 per cento. Gli effetti

potrebbero durare molto a lungo. Nella prima parte dell'anno le agenzie turistiche d'oltrape hanno ripreso il

trend di vendite fisiologico solo nel giugno scorso, a sei mesi dall'attacco alla redazione di Charlie Hebro. E

c'è da immaginare che dopo le carneficine nei ristoranti, vicino allo stadio e nella sala concerti del Bataclan,

i tempi per tornare alla normalità saranno ancora più lunghi. Se non altro perché gli obiettivi dell'ondata di

attacchi di novembre erano proprio luoghi pubblici e indistinti passanti. Ma l'effetto non sarà limitato questa

volta alla sola Francia. «Quel che accade a Parigi influenza molto l'andamento del turismo italiano», spiega

Giuseppe Roscioli, presidente di Federalberghi Roma. Parigi, insieme a Francoforte e Londra è uno degli

hub più importanti d'Europa. Nelle ore immediatamente successive al venerdì nero nella capitale francese

sono piovute le disdette da tutte quelle agenzie tursitiche che per i loro clienti avevano previsto un viaggio

che facesse anche solo scalo a Parigi. «Molti turisti giapponesi o cinesi o americani ricorda Roscioli - in

quei giorni hanno rinunciato al volo finendo inevitabilmente per coinvolgere tutte le mete del viaggio». Per il

pacchetto che prevede il tour delle capitali (Parigi, Roma, Londra), l'effetto economico degli attentati è

assicurato anche a migliaia di chilometri di distanza. Gli ultimi dati disponibili sull'occupazione degli alberghi

romani per il ponte dell'Immacolata, quello che coincide con l'apertura della Porta Santa di San Pietro e

l'avvio del Giubileo della Misericordia, dicono che le stanze prenotate sono appena il 52 per cento del

disponibile. In tutto, calcola Federlaberghi, l'effetto terrorismo sul turismo nella capitale italiana è stato un

calo di prenotazioni intorno al 20 per cento. «Anche se - osserva Roscioli - negli ultimi giorni si assiste a

una lenta ripresa». E' evidente che molte agenzie turistiche torneranno a far viaggiare i loro clienti

escludendo la tappa parigina, almeno fino a quando l'allarme non sarà cessato del tutto. E' quel che era

accaduto a marzo a Tunisi, all'indomani dell'attacco terroristico al museo del Bardo, quando le società

armatrici avevano immediatamente escluso la città dalle rotte delle crociere nel Mediterraneo contribuendo

a mettere in ginocchio una delle principali fonti di reddito del piccolo paese africano. In quella occasione la

sola decisione delle compagnie armatrici privò di colpo Tunisi di 6.000 turisti alla settimana. Crollo pesante

anche a Madrid, all'indomani degli attentati alla metropolitana che nel marzo 2004 uccisero 191 persone. In

quella occasione ci vollero tre mesi per tornare al normale flusso turistico. In generale l'insicurezza

raffredda l'industria turistica anche a prescindere dal fatto che questa o quella meta sia stata teatro di

assalti e massacri. In questi giorni il Codacons calcola che il terrore abbia fatto scendere del 15 per cento le

prenotazioni degli italiani per i viaggi all'estero nel periodo di Natale. Gli osservatori economici sembrano

concordi nel prevedere che nel medio periodo le conseguenze del terrore verrano assorbite dal sistema

economico. In parte perché senza nuovi attentati la tendenza è quella di dimenticare in fretta: al diminuire

della paura il pil torna ad aumentare. E in parte perché nella crisi c'è anche chi ci guadagna. Nei giorni

immediatamente successivi al 13 dicembre il traffico privato sulla tangenziale parigina è raddoppiato

mentre diminuivano i passeggeri della metropolitana. E' evidente che il rifugio nell'auto privata, considerata

più sicura del mezzo pubblico, è una soluzione temporanea che oltretutto la capitale francese non sembra

30/11/2015Pag. 1,4,5 N.40 - 30 novembre 2015

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 132

in grado di reggere stabilmente. Ma il trend di medio periodo, anche complice la generale diminuzione dei

prezzi dei carburanti, potrebbe essere influenzato invece dalla scelta del mezzo privato anche per gli

spostamenti che attualmente avvengono in treno. Così, se cambiassero stabilmente le abitudini, l'industria

dell'automobile potrebbe averne dei vantaggi. Altrettanto potrebbe accadere per le società di consegna a

domicilio della spesa: nei giorni successivi agli attentati, quando Parigi era sotto assedio,ricorrere al

fattorino del supermercato per fare acquisti al sicuro è stata una delle risposte più diffuse alla paura. Gli

analisti, solitamente restii all'ottimismo, non spostano in questo caso le previsioni di crescita delle economie

mondiali. Valentijn van Nieuwenhuijezen, responsabile delle analisi marco di NN Investment Partners

prevede che nel 2016 il pil europeo possa crescere dell'1,9 per cento, ben al di sopra del consensus

comunque positivo: 1,6 per cento. Anche in Italia le previsioni sono positive. Secondo i dati diffusi dll'Istat lo

scorso venerdì, l'indice di fiducia dei consumatori italiani è salito ai massimi da quando esiste la rilevazione,

cioè dal 1995. Un dato su cui influisce relativamente l'effetto degli attentati parigini perche la maggior parte

dei questionari sono stati fatti prima del 13 novembre. Certamente vedono roseo i titolari e i dipendenti delle

aziende che operano nei settori della sicurezza e della difesa. Sono loro i veri vincitori del dopo Parigi. La

Borsa lo ha capito subito. Lunedì 16, primo giorno di apertura delle contrattazioni dopo i massacri jiadisti,

Finmeccanica ha guadagnato l'1,6 per cento, Thales il 2,3, Loockheed l'1,9, Rheinmetall, la maggiore

azienda militare tedesca (quella che produce, ad esempio, i carri armati Leopard) è cresciuta del 3,1. Non

per caso nella stessa seduta di Borsa crollavano i titoli delle compagnie aeree: Air France ha perso il 5,6

per cento e Aeroports de Paris il 3,7. L'attesa delle commesse da parte del settore della difesa è giustificata

dagli stessi annunci dei governi. La Francia prima ma gli altri Paesi subito a ruota (Italia compresa) si sono

affrettati a chiedere all'Unione europea sforamenti nel patto di stabilità per poter far fronte alle accresciute

necessità di armamenti e sistemi di controllo. Nel settore della sicurezza si stanno attrezzando anche le

società di assicurazione e di riassicurazione. Sempre più spesso infatti i turisti chiedono polizze che

coprano dal rischio attentanti. Ci sono paesi che per la loro storia hanno da tempo questa possibilità. E' il

caso della Gran Bretagna che ha polizze di questo tipo dagli anni '90, ai tempi della guerra nell'Ulster, e

della Spagna che ha forme di assicurazione contro il terrorismo dall'epoca della guerra civile che consegnò

il Paese al dittatore Francisco Franco. In Uk, dopo gli attentati di Londra del 2005, è stata rinforzata una

società già esistente dai tempi della guerriglia dell'Ira, la Pool Re, che riassicura le compagnie assicuratrici

britanniche per danni derivanti da atti terroristici che superino le 100 mila sterline. Negli Usa e in Germania

esistono forme di intervento pubblico per i casi in cui le riassicurazioni private non siano in grado da sole di

far fronte a danni particolarmente gravi determinati dagli attentati. Tra le curiosita dell'economia ai tempi

dell'Isis c'è il repentino aumento dell'acquisto di televisori e home teather previsto nei giorni scorsi dagli

analisti di Credit Suisse: quando si alzano le mura del castello e ci si attrezza ad una vita da reclusi nel

maniero, bisogna almeno provare a renderlo confortevole. s.di meo

ALBERGHI L'effetto della tragedia di Parigi è stato un calo delle prenotazioni alberghiere anche in Italia: -

20% calcola Federalberghi CHI PERDE ] RISTORANTI Più che la paura vera e propria di attacchi, si

diffonde un pessimismo che non induce ad andare a cena fuori AEREI Il più tipico bersaglio: la popolazione

non si fida neanche delle accresciute misure di sicurezza negli aeroporti

POLIZZE Fiorisce il mercato delle assicurazioni contro qualsiasi rischio, dagli atti vandalici al

danneggiamento personale CHI VINCE ] AUTO La paventata esposizione di treni e metropolitane agli

attacchi rende la macchina privata il mezzo più sicuro SICUREZZA Boom degli affari per aziende di

vigilanza private, produttori di porte e cancelli blindati, fornitori di apparati per la videosorveglianza

Foto: La Grand Place di Bruxelles presidiata dalle forze speciali nei giorni scorsi Giuseppe Roscioli,

presidente di Federalberghi Roma

Foto: Mauro Moretti, ad di Finmeccanica (1); Marillyn Hewson (2), Ceo Lockheed: le aziende della difesa

prevedono aumenti dei ricavi

30/11/2015Pag. 1,4,5 N.40 - 30 novembre 2015

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 133

INTERVISTA Martina: "Giovani e bio l'agricoltura cresce e crea posti di lavoro" PARLA IL MINISTRO MARTINA "STANZIATI FONDI PER SGRAVI FISCALI, NUOVI TRATTORI, EXPORTMANAGER E ADOZIONE DI TECNOLOGIE AVANZATE NELLA PRODUZIONE". L'OCCUPAZIONE ÈRIPARTITA CERCANDO NUOVI PROFILI PROFESSIONALI Gloria Riva Milano Volano le esportazioni dell'agroalimentare italiano. Nei primi nove mesi di quest'anno l'Italia ha

esportato 27 miliardi di euro fra cibo e ortaggi, in crescita dell'8%rispetto all'anno scorso. «E' un record

assoluto», afferma Maurizio Martina, il ministro delle Politiche Agricole, secondo il quale è anche merito di

Expo se l'agroalimentare ha messo il turbo. «Seicentomila agricoltori hanno attraversato i padiglioni di

Expo, hanno partecipato a 50 mila incontri sul tema dell'agricoltura sostenibile, hanno accolto i buyer

internazionali nei loro distretti produttivi. Si sono fatti conoscere, confermando l'idea, che gli stranieri già

avevano, di un'Italia leader nella qualità dei prodotti alimentari, patria della buona cucina e del cibo

biologico». E per dare altra benzina al motore del settore, il ministro snocciola una serie di iniziative, alcune

prossime a partire, altre già in atto: «Nella legge di Stabilità il governo si è impegnato a investire 800 milioni

euro nel settore primario, che consentiranno di togliere l'Irap, l'Imu sui terreni delle imprese agricole e

aumentare le compensazioni Iva e le assicurazioni contro le calamità. Inoltre, 45 milioni andranno a chi

investe nell'acquisto di nuove macchine agricole», dice Martina, che racconta come all'interno della

manovra agricola ci sarà spazio anche per un Piano straordinario per l'internazionalizzazione

agroalimentare: «Con Expo abbiamo scoperto che le nostre pmi sono molto brave a raccontare il made in

Italy e così abbiamo dedicato 70 milioni per rendere competitive le nostre imprese all'estero promuovendo

una campagna sull'eccellenza italiana che partirà dagli Stati Uniti e dal Canada. I piccoli imprenditori

saranno supportati nella svolta alle esportazioni, sostenuti anche con voucher per l'assunzione di export

manager». Sono iniziative che danno fiducia alle imprese tant'è che l'occupazione ha già cominciato a

crescere. Se nel 2014 l'agricoltura ha accolto l'1,6% di forza lavoro in più, tra gennaio e giugno di

quest'anno sono stati creati 16 mila posti di lavoro, più 2% rispetto al 2014, meglio di quanto abbia fatto

registrare il manifatturiero. Stando ai dati pubblicati da "La filiera agroalimentare", studio realizzato dalla

Fondazione Obiettivo Lavoro, si tratta di lavoratori di alto profilo, per lo più tecnici (49%) e laureati (16%), in

grado di contaminare i campi agricoli italiani con l'innovazione sostenibile. L'indagine racconta che l'80%

delle imprese ha realizzato innovazioni di prodotto e di processo per migliorare le performance

economiche, aumentare il rispetto dell'ambiente e la vita sociale. Inoltre il 97% delle aziende

dell'agroalimentare intende introdurre innovazioni sostenibili nei prossimi tre anni. Si punta soprattutto

sull'utilizzo di fonti di energia rinnovabili (il 74,6%), il riciclaggio e il riutilizzo delle risorse materiali (il 52,2%),

l'introduzione di tecnologie in grado di ridurre i consumi energetici, i rifiuti prodotti, l'inquinamento

atmosferico (il 65,7%) e la digitalizzazione (il 55,2%). Sono i giovani con profili professionali elevati ad aver

dato il via al progressivo abbattimento delle barriere all'innovazione sostenibile. «Nel progetto "Human

Technopole, Italy 2040", quello che consentirà la creazione di centri di ricerca all'avanguardia nell'area

Expo, ci sarà spazio per una piattaforma di ricerca sulla nutrizione, il cibo e l'agri-tech. Abbiamo già avviato

un piano nazionale per l'agricoltura di precisione: l'utilizzo di satelliti per monitorare le coltivazioni,

aumentare la produzione agricola e ridurre gli sprechi. Inoltre la Bei ha stanziato 50 milioni di euro per le

start up agroalimentari italiane e altrettanti a favore del fondo per la meccanizzazione agricola», dice il

numero uno del ministero dell'Agricoltura, che vede nel biologico la punta di diamante dell'Italia. Il bio è

favorito proprio da agricoltori spesso diplomati e laureati che hanno migliorato i processi produttivi con un

occhio di riguardo per l'ambiente, ad esempio, favorendo la rotazione delle colture e l'equilibrio

idrogeologico. A tal proposito Martina spiega che l'Italia è leader nel biologico: «Oggi un ettaro ogni 10 è bio

e dà lavoro a 55 mila addetti ed è soprattutto il Sud ad aver investito su questa carta vincente. Per favorire

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 134

il processo di passaggio dalla agricoltura tradizionale a quella biologica, che è più redditizia, il governo ha

messo a punto i Piani di sviluppo rurale, con un investimento di 1,5 miliardi di euro da qui al 2020 per

favorire l'estensione del biologico», racconta il ministro, convinto che l'agricoltura e le industrie alimentari,

che valgono il 6% del Pil, possano essere un motore trainante per il Paese. S.DI MEO, FONDAZIONE

OBIETTIVO LAVORO

Foto: Nel disegno, il ministro per le Politiche Agricole Maurizio Martina visto da Massimo Jatosti

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 135

DIARIO Internet veloce quanti intralci Massimo Russo A PAGINA 15 Servono 23 permessi ogni 10 km. Calabria regione più coperta La banda ultralarga in Italia

cammina all'esasperante lentezza di 23 permessi ogni 10 chilometri di fibra ottica posata. Vale a dire

un'autorizzazione ogni 432 metri di cavo. Sì perché, nonostante il piano che prevede fondi strutturali (2,1

miliardi), finanziamenti del governo (circa cinque), investimenti privati (altri cinque), c'è da fare i conti con la

burocrazia, che mette i bastoni tra le ruote ai lavori. Il che aiuta a spiegare come mai l'Italia sia al 25esimo

posto nell'Europa a 28 dell'indice I-Com sulla banda larga, avanti solo a Bulgaria, Grecia e Romania. La

missione impossibile A questo ritmo - anche ammesso che gli operatori accelerino - è impossibile rispettare

gli impegni di Europa 2020, ovvero la copertura con collegamenti maggiori ai 30 megabit per tutta la

popolazione e superiori ai 100 per almeno la metà dei cittadini. Una fotografia poco lusinghiera, che riserva

molte sorprese: tra le regioni più virtuose - grazie al piano Euro Sud e ai bandi Infratel - per una volta

troviamo il Mezzogiorno, con Calabria e Campania che negli ultimi mesi sono cresciute in modo

significativo. Al contrario, languono sia il Nordest, con Veneto, Friuli e Trentino, sia il Nord Ovest con

Piemonte e Val d'Aosta. In tutte queste regioni il numero di case raggiunte dal servizio è inferiore alla

media nazionale. Procedure complesse La tecnica utilizzata per la posa di questi cavi si chiama

minitrincea. L'impatto sulla strada è contenuto: un buco del diametro di una decina di centimetri, profondo

circa 40. Nel giro di qualche ora si scava, si posano le canalette con la fibra e si chiude tutto, ripristinando il

manto danneggiato. Un sistema molto diverso dai lavori tradizionali. Per questo motivo due anni fa, con il

cosiddetto regolamento scavi, si è semplificata radicalmente la procedura. Ma, poiché non ci sono sanzioni,

i comuni non applicano il regolamento e domandano agli operatori la stessa documentazione necessaria

per la posa dei tubi di gas e fognature. Sommate Anas, vari uffici comunali, Arpa, Asl, enti provinciali,

privati, e arrivate a 23 permessi. Con un'aggravante. Per tutelarsi da possibili danni, le amministrazioni

chiedono agli operatori fidejussioni che possono arrivare fino a 4 milioni di euro per 10 chilometri. Garanzie

che - una volta svolti i lavori - non vengono sbloccate, trasformandosi così in pesanti fardelli finanziari. La

situazione è a macchia di leopardo. Nella stessa regione, la Puglia, ci sono comuni come Parabita, in

provincia di Lecce, che hanno concesso subito le autorizzazioni e hanno messo a disposizione degli

operatori le tubature già esistenti per la posa. Altri, come San Severo, in provincia di Foggia, dove l'iter

burocratico è stato sfiancante. Lo stesso si può dire per le regioni. In Calabria in due mesi è stato stilato un

accordo di programma, e i lavori in nove mesi sono stati completati. In Puglia, invece, sei mesi di

discussioni non sono stati nemmeno sufficienti per arrivare a un'intesa. Tutto ciò si traduce in costi - alla

fine i ritardi possono pesare sui lavori per il 50 per cento del valore totale dell'opera - e nell'impossibilità per

imprese e famiglie di disporre di un servizio essenziale. Oggi la Calabria, secondo le stime ICom, è la

regione italiana più cablata, con il 64% delle case e quasi la metà dei comuni raggiunto dalla banda

ultralarga. Al contrario la Puglia è al 26% delle abitazioni e al 4,7 dei comuni. Gli obiettivi 2020 restano

lontani. «Bisogno di semplicità» «Abbiamo un gran bisogno di semplicità», spiega Dina Ravera, presidente

di Asstel, l'associazione di categoria di Confindustria che rappresenta gli operatori. «Significa da una parte

favorire con una serie di semplificazioni normative le opere d'infrastrutturazione, dall'altra far sapere a

cittadini e imprese quali vantaggi e benefici potranno trarre dalle nuove reti. Occorre fugare il rischio che la

burocratizzazione soffochi lo sviluppo, e introdurre nel sistema strumenti facili e convincenti per accelerare

e incoraggiare la "conversione al digitale" di cittadini e imprese».

La mappa delle regioni0,9 19,6

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 136

3,2 29,65,2 22,74,2 20,88,8 39,81,6 15,43,7 21,94,7 26,347,9 64,34,7 38,9

1,4 13

2,3 36,3

4,3 42,6

6,5 22,7

12,5 33

4,8 57,9

1,6 18,3

29,3 61,3

2,3 20,9

4,4 35,2 Liguria Umbria Lazio Sicilia LA STAMPA Veneto Molise Puglia Valle d'Aosta Piemonte Toscana

Lombardia Sardegna Campania Basilicata Trentino Alto Adige Emilia Romagna Marche Abruzzo Calabria

Friuli Venezia Giulia Numero di comuni coperti (in%) Case raggiunte dalla banda larga (in %)

L'agenda digitaleGli obiettivi europei n Secondo l'Agenda digitale europea entro il 2020 tutta la popolazione deve essere

collegata alla banda ultralarga. il 100% ad una connessione con una velocità di almeno 30 Megabit al

secondo, il 50% a una velocità da 100 Megabit al secondo. La fibra fino a casa n Tra i modi più efficaci per

portare la banda ultralarga agli utenti è il ricorso ai cavi di fibra ottica da portare fino a casa o quantomeno

all'edificio (Ftth o Fttb). Una rete del genere sarà sviluppata anche da una società creata ad hoc dall'Enel. Il

ruolo del rame n Anche il rame può adattarsi alla rete superveloce. La tecnologia Fttc utilizza la fibra fino

all'armadietto stradale. Gli ultimi 3400 metri che mancano all'abitazione vengono coperti con la vecchia rete

in rame.

I numeri chiave

25° posto L'Italia nella classifica Ibi di I­Com che misura lo sviluppo della banda larga è al quartultimo posto

in Europa

64 per cento La Calabria, secondo le stime è la regione italiana più cablata, con il 64% delle case e quasi la

metà dei comuni raggiunti

432 metri Sono i metri dopo cui scatta in media la necessità di chiedere una nuova autorizzazione per

procedere nei lavori

Foto: Al lavoro Tecnici di Telecom Italia al lavoro In Italia il piano della banda larga prevede fondi strutturali

(2,1 miliardi), finanziamenti del governo (circa cinque), investimenti privati (altri cinque) ma c'è da fare i

conti con la burocrazia REUTERS Ai vertici Dina Ravera presidente dell'associazione Asstel

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 137

INTERVISTA "Sugli orari di lavoro e i contratti il ministro Poletti non ha tutti i torti" Parla Bentivogli, il capo dei metalmeccanici Cisl PAOLO BARONI ROMA Poletti? Su orari e contratti non ha tutti i torti», sostiene il segretario generale dei metalmeccanici della Cisl,

Marco Bentivogli. «Solo chi gira al largo dalle fabbriche non sa che per molti lavoratori italiani la dimensione

spazio temporale di quella che si chiamava la "prestazione lavorativa" è già radicalmente cambiata, " l a v o

r o a g i l e " e s m a r t working si stanno diffondendo ad una velocità incredibile soprattutto nelle imprese

più innovative e competitive». La Cgil è in rivolta, dice il governo punta ad affondare il contratto nazionale.

«E' un'alzata di scudi che per me non ha senso, perché così si perpetua solo una sensazione di stato

d'assedio al limite del ridicolo. Quando al contratto nazionale è chiaro che se rischia di difendere solo pezzi

residuali del lavoro, mentre tutto il lavoro è cambiato, è un errore non modificarlo. Certo è sbagliato

intervenire a gamba tesa con le leggi, ma sarebbe anche ora che il sindacato non arrivasse sempre dopo i

cambiamenti». Insomma Poletti ha ragione. «Se guardiamo al lavoro di oggi, non a quello che descrivono i

futurologi, vediamo già che in tante imprese il lavoro si svolge con modalità completamente nuove rispetto

a quelle che prevedevano una disciplina di orari rigidi. Ed in queste situazioni le 8 ore rischiano di essere

più un problema per il lavoratore, anziché una tutela». Il collegamento salari­produttività però fatica ad

affermarsi. «Col solito sindacato che vede il bicchiere mezzo vuoto seguire questa strada significa caricare

sul lavoratore il rischio d'impresa. Se però la vediamo in maniera positiva possiamo immaginare imprese e

lavori completamente diversi, dove l'ingaggio cognitivo del lavoratore è più elevato e la sua autonomia è

sempre più ampia. Come facciamo noi sindacati ad essere contrari? Vogliamo restare legati al modello del

lavoratore alienato, dell'operaio massa? Per me è sbagliato». Per il segretario della Fiom Landini il governo

dovrebbe incentivare il contratto nazionale anziché quelli di secondo livello. «La Fiom è rimasta legata ad

un'idea del lavoro industriale che andava bene negli anni 50. Semmai oggi bisogna fare in modo che il

contratto nazionale non sia d'ostacolo alla definizione di contratti aziendali e territoriali». Di tutto questo

nuovo cosa avete messo nella piattaforma per il rinnovo del vostro contratto? «Prima di tutto il diritto

soggettivo alla formazione, perché bisogna di colmare il gap di competenze che oggi ci vede in fondo alla

classifica europea. E poi chiediamo che ci siano orari "a menù", un meccanismo che aprirebbe spazi molto

ampi di conciliazione vita/lavoro. Quindi ci sono partecipazione e inquadramento professionale: tutte partite

che guardano alla fabbrica intelligente. Dove il lavoro a sua volta deve essere intelligente, autonomo e

responsabile. E dove anche il sindacato deve essere intelligente, deve studiare, fare rice rc a e ce rc a re d

i g i o c a re d'anticipo come vogliamo fare noi con Industry 4.0».

L'alzata di scudi Cgil perpetua solo una sensazione di stato d'assedio al limite del ridicolo Marco

Bentivogli leader dei metalmeccanici della Cisl

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 138

IL PIANO DEI NUOVI VERTICI PER FS IN BORSA Luisa Leone IL PIANO DEI NUOVI VERTICI PER FS IN BORSA Dieci anni fa la mission impossible era risanare i conti

delle Ferrovie, oggi la versione moderna di quella sfida è condurne in porto la privatizzazione. Si perché

giovedì 26 novembre, con le dimissioni in blocco del consiglio di Fs, non è andata in scena solo la fine della

breve stagione Elia, amministratore delegato nominato alla guida del gruppo solo a maggio 2014, ma

un'era ben più lunga, l'era Moretti. Non è un mistero infatti che la nomina di Michele Mario Elia, già alla

guida di Rfi, sia stata fortemente sostenuta dal suo predecessore Mauro Moretti, intanto planato sulla tolda

di comando di Finmeccanica. Una nomina che ha significato continuità all'interno del gruppo, tanto che Elia,

come il suo predecessore, ha fortemente sostenuto la via della privatizzazione in blocco per il gruppo.

Punto su cui si è scontrato con il presidente Marcello Messori, a cui era stata affidata la delega per

l'apertura ai privati, ma che ha rinunciato ben presto all'incombenza, senza per questo cambiare idea circa

il fatto che l'operazione avrebbe dovuto invece riguardare i singoli business e non l'intera azienda. Uno

scontro che ha certamente rallentato l'iter della missione affidata ai due manager e che, secondo i rumors,

avrebbe pesato sulla decisione dell'esecutivo di azzerare e rinominare i vertici del gruppo. Sebbene a dire il

vero tra i due ministeri competenti, Economia (azionista al 100%) e Trasporti (vigilante), fino a pochi giorni

fa sul punto non ci fosse maggiore unità di vedute di quella ai piani alti delle Fs. Ma questa ormai è acqua

passata. Venerdì 27 novembre, si è infatti tenuta a tempo di record l'assemblea per la nomina del nuovo

consiglio di amministrazione (a sette e non più a nove membri) che avrà come nuovo amministratore

delegato Renato Mazzoncini, già ad della controllata BusItalia, mentre alla presidenza, in perfetto stile

renziano, è invece andata una donna, che già sedeva nel board uscente, Gioia Ghezzi. Gli altri componenti

del consiglio sono Daniela Carosio, Giuliano Frosini, Simonetta Giordani, Wanda Ternau e Federico

Lovadina. A questo punto il board, con cui si apre una nuova era in Ferrovie, potrà subito iniziare a

cimentarsi con la sfida della privatizzazione, non meno impegnativa di quella toccata a Moretti al suo arrivo

alla guida delle Fs per il risanamento del bilancio del gruppo, in cronica perdita. Innanzi tutto Mazzoncini e

suoi partono con una tabella di marcia su cui si è già cumulato un ritardo di ben un anno. Quando

l'operazione è stata lanciata, sul finire del 2014, si prevedeva infatti che l'impalcatura fosse pronta entro la

fine del 2015, per arrivare al debutto in borsa già nel primo semestre del 2016. Da allora però è andato tutto

storto. L'operazione è ferma alla definizione del perimetro, anche se su questo punto parrebbe finalmente

essere stato raggiunto un accordo di massima tra il ministero dei Trasporti e quello dell'Economia, che

come accennato avevano visioni diametralmente opposte in merito. Accordo che ha permesso

l'approvazione, nel Consiglio dei ministri di lunedì 23 novembre, dell'atteso decreto che avvia la

privatizzazione. Ha quindi alla fine prevalso la linea sostenuta dal responsabile delle Infrastrutture Graziano

Delrio, ovvero quella di scorporare la rete ferroviaria prima di mettere il gruppo sul mercato. La prima

ragione alla base della scelta, che potrebbe comportare il ritorno dell'infrastruttura direttamente allo Stato, o

come ha suggerito qualcuno a Cassa Depositi e Prestiti, è dovuta alla volontà di non coinvolgere soggetti, e

quindi interessi privati, nella proprietà di un asset il cui obiettivo non deve essere produrre utili ma garantire

sempre migliori collegamenti nel Paese. Senza contare la rendita di posizione che si potrebbe trarre

dall'avere in mano una rete di questo tipo. Insomma il dado pare ormai tratto: la rete rimarrà pubblica, ma

resta ancora da chiarire il destino di Rete Ferroviaria Italiana. Nella prima ipotesi circolata nei mesi scorsi, e

anticipata da MF-Milano Finanza, il progetto allo studio dell'esecutivo prevedeva appunto la retrocessione

della rete allo Stato la cui gestione sarebbe però rimasta in capo a Rfi. Ad ogni modo questa non è l'unica

questione da affrontare. Una volta che sarà definito lo schema di gestione dell'infrastruttura, sarà

importante lavorare al quadro regolatorio, perché è ovvio che gli investitori guarderanno ai ritorni e alla

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 139

certezza che il business potrà garantire e quindi i contratti di servizio e programma con Trenitalia e Rfi, ma

anche quelli per il cargo, per la lunga percorrenza e i contratti con le Regioni dovranno tutti essere definiti

prima di portare Ferrovie in borsa, come pare essere l'intenzione dell'esecutivo. Un lavoro non da poco per

il nuovo management, i contratti di programma per esempio dovranno indicare quanto lo Stato si impegna a

sborsare ogni anno per investimenti e manutenzione, per la sicurezza, senza contare la delicatezza del

contratto per il servizio pubblico e il fatto che per le Regioni l'intenzione sembra essere quella di procedere

all'affidamento tramite gare. Insomma il compito del nuovo amministratore delegato e della sua squadra

sarà quindi decisamente impegnativo, visto che l'obiettivo è quotare le Fs entro il 2016. E se per entrare nel

merito di queste questioni servirà qualche mese, praticamente subito si dovranno invece affrontare i dossier

della cessione di Grandi Stazioni Retail e della rete elettrica a Terna. Entrambi file, nell'iniziale tabella di

marcia della privatizzazione di Fs, avrebbero dovuto essere chiusi entro la fine del 2015, ma la vendita

delle attività commerciali nelle stazioni, detenute insieme ai privati (Caltagirone, Benetton e Pirelli), è stata

più laboriosa del previsto e anche l'operazione con Terna non era ancora stata approvata dal consiglio di

amministrazione che si è dimesso giovedì 26 novembre. La palla, a questo punto passa al nuovo board,

che sarà anche chiamato a dare il via libera al nuovo piano industriale, praticamente già pronto, che

prevede al 2020 una crescita media annua dei ricavi del 3,4%, un con un ebitda margin del 25,1% e un

margine ebit del 10%, pari a 1 miliardo di euro. (riproduzione riservata)

I GRANDI NUMERI DELLE FERROVIEGLI OBIETTIVI DEL PIANO INDUSTRIALE AL 2020 Dati in milioni di euro GRAFICA MF-MILANO

FINANZA Preconsuntivo 2015 Consolidato 2014 Variazione Fatturato Ebitda Utile netto 8,6 mld 1,9 mld

500 mln 8,4 mld 2 mld 300 mln +2% -5,6% +60% Crescita media annua ricavi Ebitda margin al 2020 Ebit

margin al 2020 3,40% 25,10% 10,10%

Foto: Renato Mazzoncini Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/fs

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 140

BAIL-IN Quanto sono sicuri i vostri soldi in banca Il salvataggio delle quattro banche in dissesto ha protetto i depositi ma ha azzerato l'investimento di

migliaia di obbligazionisti. Ecco i bond bancari più blindati e convenienti sul mercato Chissà, forse la parola

inglese bail-in diventerà il ritornello di una sigla d e l t g s a t i r i c o Striscia la Notizia di Canale 5, così

come era accaduto alla parola spread nel 2011. Non è accaduto ai subprime, ma solo perché Antonio Ricci

allora non ci aveva pensato. In realtà il concetto è simile. Si tratta di questioni da addetti ai lavori che

all'improvviso si abbattono sul destino dei risparmiatori sino a quel momento ignari della loro esistenza, un

po' per ignoranza loro e un po' per furbizia di altri. Ne sanno qualcosa in questi giorni i circa 15 mila

sottoscrittori dei bond subordinati delle quattro banche salvate per decreto domenica 19 novembre. Il

governo, con una corsa contro il tempo per evitare che il primo gennaio 2016 entrasse il vigore la versione

più severa della nuova normativa di vigilanza bancaria internazionale, ha annunciato che gli attivi di Banca

Marche, Banca Etruria, Carife e CariChieti fossero distribuiti tra quattro nuove good bank e un'unica bad

bank. In quest'ultima saranno convogliate tutte le sofferenze in portafoglio ai quattro istituti oltre appunto

solo ai bond subordinati emessi dalle banche, mentre i bond senior, così come i depositi e i conti correnti di

tutte le taglie saranno trasferiti alle rispettive good bank. La stessa decisione era stata presa l'anno scorso

dai portoghesi quando era andato in default il Banco Espirito Santo. «A partire dal primo gennaio 2016,

invece, con l'introduzione del bail-in i detentori di titoli senior unsecured e subordinati potranno essere

coinvolti nel salvataggio delle banche in crisi», spiegano a MF-Milano Finanza Massimo Bianchi e

Michelangelo Rovagnati del dipartimento debt capital markets area financial institutions di Société

Générale. Tuttavia, aggiungono, «realisticamente i governi tenderanno a non voler coinvolgere in un bail-in

i titoli senior unsecured delle banche, perché in quel caso ci sarebbe il rischio di creare una crisi sistemica,

soprattutto se la banca emittente fosse di grandi dimensioni», In verità nulla è ancora davvero chiaro, se

non il fatto che fino al 31 dicembre 2018 le obbligazioni senior e i depositi bancari delle large

coporatedovrebbero avere le stesse tutele, mentre dal primo gennaio 2019 tutti i depositi sarebbero più

protetti rispetto ai bond senior unsecured. In ogni caso è vero che questi ultimi, comunque, conterranno un

potenziale di rischio maggiore. Per evitare di coinvolgere troppi risparmiatori in situazioni potenzialmente

rischiose, da qualche tempo le banche italiane hanno iniziato a ridurre il collocamento a privati dei bond

subordinati tramite la rete, mentre non si segnala lo stesso trend per le obbligazioni senior, che continuano

tranquillamente a essere collocate anche per la rete. «Le banche, anche quelle di medie dimensioni, hanno

iniziato a ridurre le emissioni subordinate collocate alla clientela tramite la rete e contemporaneamente

hanno iniziato a emettere titoli subordinati sul mercato, avendo come target gli investitori istituzionali.

Ovviamente in questo caso stiamo parlando anche di emissioni di dimensioni contenute attorno ai 150-250

milioni di euro», dicono ancora gli esperti di SocGen, che per il 2016 si aspettano un volume crescente di

emissioni subordinate bancarie sul mercato rispetto al 2015. Quest'anno le emissioni subordinate da parte

delle banche italiane si sono limitate a soli 2 miliardi di euro (su un totale di 72,4 miliardi a livello europeo)

dai 5,4 miliardi del 2014 (su un totale di 83,5 miliardi). Quanto ai senior unsecured, le emissioni italiane

sono state un po' più corpose: 17 miliardi contro i 270 miliardi complessivi degli emittenti europei. Difficile

conoscere con esattezza le dimensioni complessive delle emissioni bancarie condotte attraverso la rete.

Sebbene di solito si tratti di emissioni comunque corredate di un prospetto informativo Consob (la soglia

minima per emettere senza prospetto è di 5 milioni di euro in un anno per ogni singolo prodotto e massimi

150 investitori non qualificati), non esiste un database completo pubblico e si dovrebbero censire le

emissioni consultando fisicamente i siti internet di tutte le banche. Così, per esempio, lo scorso giugno il

Banco Popolare ha lanciato il collocamento di un bond subordinato Tier II da 500 milioni di euro a scadenza

2022 con cedola variabile pari al tasso euribor 3 mesi più 437,5 punti base. Lo scorso febbraio, invece,

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 141

Unicredit aveva piazzato sulla rete 2,5 miliardi di euro di bond Tier II a scadenza 2025 con cedola variabile

pari al tasso euribor 3 mesi più 275 pb. Mentre Mediobanca, a inizio settembre, non avendo sportelli, ha

collocato sul Mot Mediobanca Valore, un bond subordinato da 300 milioni destinato agli investitori retail a

scadenza 2025 con cedola euribor a 3 mesi più 225 pb, per un tasso minimo del 3%. «Le emissioni

subordinate bancarie troveranno certamente parecchio interesse da parte degli investitori istituzionali,

perché i rendimenti offerti sono in media più elevati di 100-200 punti base rispetto a quelli offerti dai titoli

senior unsecured degli stessi emittenti, il che con gli attuali tassi di mercato è un fatto molto attraente». E

aggiungono Bianchi e Rovagnati, «stiamo parlando di un 3,5-4,5% per i bond subordinati a 7-10 anni di

banche classificate come national champion, i cui titoli senior unsecured sono investment grade, e di un 5-

7% per i bond subordinati delle banche minori che invece anche a livello di senior debt sono classificate

con rating speculativo. Per le prime la platea degli investitori è molto ampia ed è rappresentata

sostanzialmente da tutti gli asset manager che trattano debito, mentre la platea si restringe nel secondo

caso soprattutto a gestori di fondi dedicati a emissioni high yield con sede a Londra. A questi si aggiungono

i gestori italiani, che hanno una percezione del rischio più bassa della media dei loro colleghi stranieri,

quando si tratta di investire in Italia, perchè hanno una conoscenza più diretta degli emittenti». La forte

domanda di bond subordinati sarà comunque ben compensata dall'aumento dell'offerta di cui si diceva

prima, così concludono Bianchi e Rovagnati, «c'è da attendersi che gli investitori selezionino molto bene i

bond nei quali andranno a investire, aspettando quelli che ritengono più interessanti». (riproduzione

riservata) (segue da pag. 8)

UNA SELEZIONE DI BOND BANCARI EUROPEI EMESSI NEL 2015I BOND SUBORDINATI BANCARI

I BOND SENIOR UNSECURED BANCARI GRAFICA MF-MILANO FINANZA Popolare Vicenza Popolare

Vicenza Veneto Banca Popular Espanol Rbs Societe Generale Barclays Intesa Sanpaolo Rbs Santander

UK Bank of Ireland Bnp Paribas Allied Irish B. Ubs Group Veneto Banca Ubs Group Bbva Standard Chart.

Ing Groep Hsbc Holdings Bnp Paribas Ing Groep Danske Bank Ubs Group Dnb Bank Abn Amro Bank

Santander UK Rabobank Swedbank AB Lloyds B.g Gr. Nordea Bank Rabobank Abn Amro Bank Santander

UK Societe Generale Deutsche Bank Credito Emiliano Intesa Sanpaolo nd nd CCC nd B BB+ BB+ B+ B B+

BBB+ nd BB nd BB nd BB nd nd BB+ nd BB+ BB BBBBB BB+ nd BBBBBBBBB BBB+ A BB+ BBB BBBnd

BB nd nd nd nd B1 Ba2 Ba2 Ba3 B1 nd B2 Ba1 nd nd nd nd Ba2 Ba1 Ba2 Baa3 Ba1 Ba2 nd nd nd nd

Baa2 Baa3 nd Baa2 nd A3 A2 Baa2 Baa3 Ba1 nd Ba1 11,00 11,00 10,50 8,25 8,00 8,00 7,88 7,70 7,50

7,38 7,38 7,38 7,38 7,13 7,43 6,88 6,75 6,50 6,50 6,38 6,13 6,00 5,88 5,75 5,75 5,75 5,75 5,58 5,50 5,31

5,25 5,28 4,78 4,84 4,80 4,55 3,19 2,86 9,5 9,5 9,5 8,25 8 7,875 7,7 7,5 7,375 7,375 7,375 7,375 7,125

6,95 6,875 6,75 6,5 6,5 6,375 6,125 6 5,875 5,75 5,75 5,75 5,625 5,5 5,5 5,3 5,25 5,25 4,75 4,75 4,75 4,5

3,125 2,855 Tier II Tier II Tier II Tier I Tier I Tier I Tier I Tier I Tier I Tier I Tier I Tier I Tier I Tier I Tier II Tier I

Tier I Tier I Tier I Tier I Tier I Tier I Tier I Tier I Tier I Tier I Tier II Tier I Tier I Tier II Tier I Tier II Tier II Tier II

Tier II Tier II Tier II Tier II Euro Euro Euro Euro Dollaro Dollaro Sterlina Dollaro Dollaro Sterlina Euro Dollaro

Euro Dollaro Euro Dollaro Euro Dollaro Dollaro Dollaro Euro Dollaro Euro Euro Dollaro Euro Dollaro Euro

Dollaro Dollaro Dollaro Dollaro Dollaro Dollaro Dollaro Dollaro Euro Euro 200 50 200 750 1.150 1.250 1.000

1.000 2.000 750 750 1.500 500 1.250 51 1.575 1.500 2.000 1.250 2.450 750 1.000 750 1.000 750 1.000

500 1.500 750 500 550 1.250 1.500 1.000 1.000 1.500 200 500 29/09/2020 2/10/2020 1/12/2020

29/09/2025 15/09/2022 17/03/2026 24/06/2022 18/06/2020 19/08/2025 3/12/2015 19/02/2020 25/02/2020

7/08/2025 18/02/2020 2/04/2020 16/04/2025 30/03/2025 17/06/2022 16/04/2020 6/04/2022 19/02/2022

26/03/2020 22/09/2020 29/06/2020 17/03/2020 13/09/2021 29/09/2025 13/03/2020 29/09/2025 2/10/2025

1/12/2025 perpetuo perpetuo perpetuo perpetuo perpetuo perpetuo perpetuo perpetuo perpetuo perpetuo

perpetuo 25/02/2025 perpetuo perpetuo perpetuo perpetuo perpetuo perpetuo perpetuo perpetuo perpetuo

perpetuo perpetuo 15/09/2045 perpetuo perpetuo 1/12/2045 perpetuo 4/08/2045 28/07/2025 15/09/2025

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 142

24/11/2025 1/04/2025 13/03/2025 23/04/2025 F Tipo Valuta Milioni Call Date Scadenza Emittente S&P

Moodys Rendim. Cedola 2007 2008 2003 2009 2004 2000 2010 2005 2001 2011 2006 2002 2012 2014

2013 2015 Volumi subordinati emessi per anno - In miliardi di euro In miliardi di euro 0 200 400 600 800

1.000 Altri Paesi Europei Italia 2007 2008 2003 2009 2004 2000 2010 2005 2001 2011 2006 2002 2012

2014 2013 2015 0 200 400 600 800 1.000 1.200 00 00 00 Altri Paesi Europei Italia

IL BAIL-IN IN PILLOLECHE COS'ÈIN CHE MODO AGISCEFINALITÀPROCONTROVINCOLI NON SCRITTI

ENTRATA IN VIGORE

ATTIVITÀ COINVOLTE

ATTIVITÀ ESCLUSE Il Bail-in è uno strumento di risanamento interno delle crisi bancarie, che consente di

svalutare e convertire azioni e crediti per assorbire le perdite bancarie e ricapitalizzare l'istituto in difficoltà

Dando alle autorità di risoluzione gli strumenti necessari per un intervento precoce e diretto, riducendo

l'impatto del dissesto sull'economia e sul sistema finanziario generale Evitare liquidazioni disordinate che

possono amplificare effetti e costi della crisi bancaria Divieto di utilizzare fondi pubblici dei contribuenti per

risanare il dissesto di un ente privato. Notevolmente limitata è quindi la possibilità di finanziamenti statali

Tale modalità di risoluzione pesa su coloro che danno fiducia alla banca (azionisti, obbligazionisti e

correntisti) e che stringono con questa rapporti di fiducia Necessità per il cliente di maggiore informativa

rispetto all'istituto e agli strumenti disponibili (genere, rischio e categoria d'appartenenza) prima della

sottoscrizione di prodotti finanziari 1 gennaio 2016 Strumenti finanziari ad alto rischio (riserve, azioni

bancarie, obbligazioni convertibili in azioni, warrant), titoli di debito subordinati e derivati, obbligazioni non

garantite, depositi oltre 100 mila euro Obbligazioni bancarie garantite, titoli ceduti a garanzia delle

obbligazioni (pegno su titoli), fondi comuni di investimento promossi dalla banca ma con patrimonio

autonomo e fondi pensioni aventi patrimonio separato, cassette di sicurezza, fondi d'investimento alternativi

protetti all'interno della procedura concorsuale, rapporti fiduciari, conti correnti inferiori a 100 mila euro,

attività con durata residua inferiore a 7 giorni, remunerazione dei dipendenti e versamenti per benefici

pensionistici, pagamenti verso fornitori di beni e servizi essenziali alla normale attività dell'ente, conto titoli

(separato dalla banca) e strumenti finanziari della clientela, conto deposito inferiore a 100 mila euro

Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/bond

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 143

ORSI & TORI Paolo Panerai Danièle Nouy è una donna minuta, con l'aria della zia non sposata. A dispetto della immagine che proietta,

è una donna molto potente, anche se per esserlo deve seguire nella sostanza le indicazioni che arrivano

dalla Germania in generale e dalla cancelliera Angela Merkel in particolare. È infatti presidente (Chair,

come amano definirsi molte donne in carriera per non dover usare la nomenclatura maschile) del

Supervisory board of the Single Supervisory Mechanism della Banca centrale europea (Bce). Il nome è

complicato ma corrisponde alla vigilanza unificata sui sistemi bancari europei. Vale a dire l'organismo che

non lascia passare giorno senza dare un giro di vite ai ratio patrimoniali, e non, delle banche europee,

secondo la logica assurda del rigore preteso dalla Germania per tutti gli istituti di credito del continente

meno che per le banche tedesche, che la cancelliera Merkel ha provveduto a ricapitalizzare prima che il

Supervisory Mechanism entrasse in vigore. E nel mirino ci sono soprattutto le banche italiane e quelle

portoghesi, che appunto non hanno ricevuto per tempo i capitali pubblici e ora soffrono maledettamente

non potendo, per le regole, trasmettere alle imprese e alle famiglie l'enorme liquidità che il presidente della

Bce, Mario Draghi, con la quasi unanimità nel consiglio dei governatori sta immettendo nel sistema

europeo. Per questo c'era molto interesse martedì 24 nell'aula magna dell' Università Cattolica di Milano ad

ascoltare le parole della minuta Chair francese. Una sola parola che va ripetuta almeno tre volte, per

trasmettere l'enfasi di madame Nouy nel non cedere di un millimetro le posizioni dure che i banchieri hanno

imparato a conoscere in questo primo anno di attività della vigilanza europea unificata: rigore, rigore,

rigore... Prima di lei aveva preso la parola Fabio Panetta, vicedirettore generale della Banca d'Italia, la

persona che con più competenza e determinazione tenta di contenere il rigorismo assurdo di madame

Nouy e dei suoi mandanti tedeschi, finlandesi, olandesi che si sono impossessati della cabina di comando

della vigilanza unificata dopo aver perso, per l'abilità di Draghi, la gestione della politica monetaria della

banca. Panetta era il padrone di casa, sia pure a sua volta ospite della Cattolica, perché a organizzare il

convegno è stata la Banca d'Italia. Come ospite ha usato parole felpate, ma inequivocabili come quelle

della conclusione del suo intervento: «... I responsabili delle politiche micro e macro prudenziali dovranno

individuare un modus operandi che contempli obiettivi solo in apparenza in contrasto fra loro come la

patrimonializzazione delle banche e la loro solidità (la cosiddetta stabilità) con la crescita economica... Si

tratta di una questione fondamentale per l'area dell'euro e per l'Italia, dove il credito bancario rappresenta il

principale canale di finanziamento dell'economia reale...». Appunto: «I responsabili delle politiche micro e

macro prudenziali dovranno individuare...». Cioè non li hanno ancora individuati. L'incoraggiamento di

Panetta a madame Nouy è stato totalmente disatteso. Rigore, rigore, rigore... Tre volte rigore non è certo

conciliabile con lo sviluppo dell'economia reale dopo una crisi profondissima che dura da quasi otto anni. E

soprattutto le regole, durissime, sono state fissate prima ancora che venissero armonizzati i sistemi creditizi

nazionali, uno diverso dall'altro e quello italiano diverso da tutti perché, come ha scritto Panetta, i

finanziamenti alle imprese e alle famiglie dipendono quasi totalmente dal credito bancario. Buon senso

avrebbe voluto che prima si armonizzassero i sistemi creditizi e poi si fissassero le regole oppure che si

fissassero pure le regole ma lasciando un periodo di grazia durante il quale i singoli parlamenti e le singole

autorità di controllo avvicinassero le strutture nazionali del credito al modello unificato, ritenuto più efficace.

Non è stata scelta né l'una né l'altra strada perché la Germania in primo luogo ha messo una fretta assoluta

condizionando le scelte di politica monetaria largheggiante di Draghi, con resistenze varie, alla creazione

del sistema unico di vigilanza. Tanto la Germania aveva già immesso oltre 300 miliardi di euro nelle

Landesbank, parecchi miliardi in Commerzbank, seconda banca del paese praticamente vicina al fallimento

e ora in ripresa, nonché nella stessa Deutsche Bank protagonista di una performance dello stesso valore

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 144

morale delle emissioni di gas dei motori Volkswagen, avendo manipolato i mercati tanto da meritare una

multa di 6 miliardi di dollari dalle autorità statunitensi. Solo le banche italiane, per scelta dei governi

precedenti a quello attuale, non hanno avuto gli aiuti che perfino un paese veramente liberale e a economia

privata come gli Usa aveva concesso alle maggiori banche perché non fallissero. In ciò vi è una netta

corresponsabilità del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, autore dei Tremonti bond concessi a tassi

quasi da usura, e della Banca d'Italia, incapace di comprendere che se era vero che le banche italiane

fossero sostanzialmente esenti dagli effetti negativi dei titoli tossici (i subprime) che avevano fatto scoppiare

la crisi, proprio perché largamente finanziatori delle imprese italiane gli istituti di credito avrebbero

inevitabilmente subito le conseguenze delle crisi aziendali per la caduta dell'economia, accumulando crediti

incagliati o iscritti a sofferenza, o se si preferisce usare il termine tecnico inglese non performing loans

(npl). Per questo Panetta ha fatto benissimo a pronunciare, sia pure con garbo, parole di stimolo a madame

Nouy perché la vigilanza unica si adoperi in primo luogo per armonizzare le norme e per tenere conto

dell'esigenza di sviluppo che l'Europa ha prorompente. Invece di dare una apertura esplicita per il

raggiungimento di questi obiettivi, la Chair del supervisory board ha preferito ribadire più volte che solo il

rigore può far ripartire l'economia. Basterebbe che guardasse i dati della sua Francia e della Germania,

confrontandoli con quelli che gli Usa hanno raggiunto, per capire quanto la vigilanza unica sia un

impedimento decisivo al ritorno delle banche alla loro attività di fare credito. Basterebbe che leggesse i dati

dell'agenzia Fitch, la quale ha calcolato che da quando Draghi ha cominciato a immettere liquidità nel

sistema con il Ltro sono arrivati 4 mila miliardi di euro ma il credito in tutta Europa è crescito solo di 40

miliardi. Esclusivamente per i balzelli, le trappole, i vincoli imposti alle banche dalla vigilanza unitaria, in

nome del rigore e della solidità. ( In pratica, la politica di vigilanza ha fatto esattamente una politica

contraria a quella monetaria, al punto che lo stesso presidente Draghi in alcune circostanze non ha esitato

a dire che di fatto esistono due Bce: quella che è gestita da lui, dal consiglio direttivo e dal board dei

governatori delle varie banche centrali nazionali e quella della vigilanza, nella quale madame Nouy fa da

paravento alla Germania e ai suoi alleati profondamente contrari all'immissione di liquidità nel sistema. La

cancelliera Merkel è stata pesantissima nel tentare di impedire il Qe quando Draghi lo ha annunciato,

mentre era stata relativamente tollerante nei confronti dell'Ltro, lasciando la posizione di attacco a Draghi al

presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, suo adepto e compagno di partito, alla cui attività partecipa

regolarmente come non fosse rappresentante di una istituzione del livello della banca centrale tedesca. Per

di più, da novembre egli è anche presidente della Bri (Banca dei regolamenti internazionali) di Basilea, che

ha il compito di fissare le regole anche per le banche non europee attraverso le varie Basilea 1, 2, 3 e

quelle che seguiranno. In questo modo la Germania o per interposta persona (Nouy) o direttamente, ha la

guida dei due regolatori micro e macro. Per fortuna, alla Bri partecipano anche gli Stati Uniti e quindi

Weidmann, detto signor No, dovrà contenersi, il che comunque non elimina il paradosso per cui,

storicamente, la Bri nacque nel 1930 per fare eseguire i pagamenti dei danni della prima guerra mondiale

da parte della Germania. Ora la Germania tenterà di usare questa nobile istituzione per rafforzare

comunque la politica del rigore. Si determina così una situazione sempre più pericolosa per la ripresa

europea e sostanzialmente insostenibile all'interno della Bce, dove il superadvisory board ha il solo obbligo

di periodici report sul suo operato al consiglio dei governatori. Se i governatori ritenessero (e in molti casi

ritengono) che la politica di vigilanza sia di forte impedimento alla ripresa, a Draghi e agli altri capi delle

banche centrali favorevoli all'Ltro e al Qe non rimarrebbe soluzione che aprire un conflitto davanti al

Parlamento europeo. Ipotesi irrealistica, come ha segnalato Draghi in un recente passato: vi immaginate

infatti che la gestione di una crisi bancaria sia discussa coram populo? L a g o v e r n a n c e c h e

Germania & C. hanno imposto all'interno della Bce per i rapporti con il supervisory board è assurda. In ogni

banca centrale nazionale, prima dell'unificazione, il capo della vigilanza è sempre stato il governatore,

anche se con l'aiuto di un direttore addetto. Quando nell'aula magna della Cattolica si è aperta la finestra

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 145

delle domande da rivolgere a madame Nouy, ho posto personalmente la richiesta di spiegare come era

possibile che all'interno della Bce ci fossero due realtà separate, mentre la logica imporrebbe che il

consiglio d'amministrazione potesse controllare l'operato di chi effettua la vigilanza. La risposta di madame

Nouy non c'è stata, limitandosi ella a spiegare il processo burocratico di governance e confermando di fatto

che il supervisory board è completamente autonomo, salvo che non sia chiamato a rispondere al

Parlamento. La stessa mia domanda è stata posta anche nell'intervista fatta alla Nouy dal direttore di

ClassCnbc tv, Andrea Cabrini. Anche in questo caso madame non ha risposto. Lo sguardo di Panetta era

più che eloquente del suo dissenso, come di tutti i banchieri che hanno a cuore il benessere dell'Europa e

non solo della Germania, che non si piega neppure dopo la serie di pessime figure fatte dai motori

Volkswagen al crollo di Deutsche Bank, al pagamento della tangente da parte di Franz Beckenbauer per

ottenere i campionati di calcio a Berlino nel 2006. La Germania si è indebolita ma non molla: basti pensare

che per la prima volta (o quasi) da dopo la fine della seconda guerra mondiale, ha deciso di mandare aerei

e soldati al fianco della Francia per cercare di sconfiggere il Califfato. La mossa ha sorpreso il mondo intero

e appare come il gesto estremo, dopo anni di totale neutralità di fatto sul piano militare, per recuperare il

rapporto con François Hollande. Sconfiggere il Califfato, anzi fare in modo che non esista più, è importante,

importantissimo, ma non è meno importante far ripartire l'economia, determinare la crescita, che senza la

possibilità delle banche di aumentare il credito è pia illusione. Specialmente per l'Italia che, a causa del

dominio sul terreno delle banche da parte della Germania, non è ancora riuscita a poter varare una banca o

una struttura che possa liberare le banche italiane dal fardello dei crediti non performanti, liberando così

capacità di credito che ora viene negata da madame Nouy. (riproduzione riservata) Paolo Panerai segue da

pagina 3

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 146

MEDIA CHI SONO I SIGNORI DELLE PAY TV NEL MONDO Andrea Montanari Alle pagine 24 e 25 Il bacino nel quale operare è ampio e in costante crescita: oggi è rappresentato da più

di 45 milioni di clienti ( vedere dati dettagliati in tabella ), in aumento rispetto ai quasi 43 milioni di neppure

un anno fa. A stimolare questo trend è il numero crescere di operatori televisivi e telefonici che, sfruttando

la tecnologia e le infrastrutture, stanno combattendo una guerra all'ultima offerta. Per fare un semplice

esempio di politica commerciale particolarmente aggressiva, venerdì 27 novembre, il cosiddetto Black

Friday, in Spagna Vodafone - sbarcata nel marzo dello scorso anno con un investimento di 7,2 miliardi di

dollari per rilevare l'operatore Ono ha offerto a chi sottoscritto un abbonamento integrato cavo e telefonia

(Vodafone One) un anno di visione gratuita della propria pay tv per cercare di conquistare il maggior

numero di nuovi abbonati e rosicchiare quote di mercato al leader incontrastato, Telefonica Questo anche

se il mercato iberico è il più piccolo, in termini di dimensioni delle offerte televisive a pagamento, dei cinque

principali Paesi europei. Ma è certamente uno dei più stimolanti in chiave prospettica soprattutto se si

pensa all'enorme ed esteso bacino potenziale di telespettatori di lingua spagnola in Sud America. Dove,

infatti, è già ben piazzata (Brasile, Cile, Perù, Colombia e Venezuela) la compagnia telefonica presieduta

da Cesar Alierta, divenuta il patria il big da combattere dopo l'acquisizione a metà dello scorso anno per

una cifra complessiva vicina al miliardo di euro della piattaforma Digital+ (della quale era azionista anche

Mediaset España). E sempre il mercato spagnolo è quello nel quale, in termini di offerta televisiva pay, si

stanno sfidando tre gruppi di tlc, seppure integrati e multipiattaforma. Sempre un altro player telefonico, Bt,

sta cercando a fatica, e investendo parecchio (2 miliardi solo per l'acquisto di due dei sette pacchetti dei

diritti tv della Premier League in asta), di contrastare la storica egemonia di Sky Plc, il braccio operativo

europeo della 21st Century Fox di Rupert Murdoch, primo operatore continentale con 21,1 milioni di

abbonati, più della metà dei quali, esattamente 12 milioni, in Inghilterra e Irlanda. Ma la compagnia

telefonica britannica non molla, visto che nel novembre di due anni fa ha speso poco di 1 miliardo (il doppio

di quanto pagato da Sky per il triennio precedente) per strappare alla pay del tycoon australiano i diritti per

tre stagioni della Champions e dell'Europa League. Nonostante questa sfida, Oltremanica i telespettatori

continua ad apprezzare l'offerta della tv a pagamento di Murdoch visto che, dati alla mano, il 30 settembre

scorso, al termine del primo trimestre dell'esercizio fiscale 2015-2016, i sottoscrittori dei pacchetti Sky

erano cresciuti del 4,6% rispetto allo stesso periodo precedente. Distanziando enormemente Bt, che oggi

vale un decimo, in termini di mercato, del leader di mercato, nonostante abbia registrato nell'ultimo

trimestre l'incremento record di sottoscrizioni: +106 mila rispetto allo scorso giugno. La pay dello Squalo

australiano domina anche perché è l'unico operatore satellitare di fatto in Germania: questa posizione le

permette di incrementare costantemente il bacino, salito oggi a 4,37 milioni di clienti. Sky rallenta invece in

Italia da due trimestri, e a fine settembre il numero di clienti è sceso a 4,69 milioni. Una delle cause può

essere certamente riscontrata nel potenziamento dell'offerta, in particolar modo calcistica, del competitor, la

pay tv digitale Mediaset Premium, salita a 1,815 milioni clienti (+112 mila rispetto allo scorso luglio, un

balzo quindi superiore a quello di Bt) e che ora viaggia verso gli 1,9 milioni di abbonati. La pay del Biscione,

nel cui capitale figura Telefonica con l'11%, ha speso tanto (1,8 miliardi per i diritti triennali della serie A e

della Champions League, quest'ultima in esclusiva) per questa guerra calcistico-televisiva, che a fine

settembre ha fruttato ricavi per 406,1 milioni (+0,9%) a fronte di costi per 769,4 milioni (+10%). Ma nel

futuro di Premium potrebbero esserci novità strutturali, visto che da tempo si parla di un interessamento di

Vivendi, primo socio di Telecom con oltre il 20%, mentre in passato erano circolate indiscrezioni circa

offerta, poi rifiutate, da parte di Sky. E proprio il gruppo francese di Vincent Bolloré deve guardarsi le spalle

sul mercato domestica. I contendenti in questo campo sono Orange, che oltre all'offerta pay può contare

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 147

sul bacino rappresentato dai clienti dell'iptv, e l'emittente del Qatar BeIn (gruppo Al Jazeera), è già arrivata

a 2,5 milioni di clienti con l'obiettivo di toccare la soglia dei 3 milioni con i prossimi Europei di calcio a

giugno e luglio. Una guerra che ha fatto perdere, anno su anno, 88 mila abbonati a Vivendi. (riproduzione

riservata)

GLI ABBONATI ALLE PAY TV GLOBALI GRAFICA MF-MILANO FINANZA Fonte: elaborazione MF-

Milano Finanza su dati di bilancio societari * Dichiarazione management alla stampa francese Spagna

Brasile Cile Perù Colombia Venezuela Spagna Francia Spagna Polonia Francia TELEFONICA

VODAFONE ORANGE BEIN SPORTS (Al Jazeera) 1.600 1.786 634 1.090 444 480 824,4 6.150 137 761

2.000 2.500 1.829 641 1.147 471 482 902 6.270 215 774 2.500 Gen-set '14 Gen-set '15 Gen-giu '15 Gen-

set '15 Gen-giu '15 Gen-set '15 Gen-giu '15 Gen-set '15 2014* Gen-set '15* Regno Unito e Irlanda

Germania e Austria Italia Regno Unito Italia Francia Polonia Vietnam Africa SKY PLC BRITISH TELECOM

MEDIASET PREMIUM CANAL+ (Vivendi) 11.546 3908 4704 1.194 1.703 6.014 2.154 678 1.272 12.078

4374 4688 1.300 1.815 5.926 2.084 778 1.744 1° trim eserc. 2014-2015 1° trim eserc. 2015-2016 Dati in

migliaia 1° trim eserc. 2015-2016 1° sem eserc. 2015-2016 31 lug '15 Gen-set '15 Gen-set '14 Gen-set '15

Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/televisione

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 30/11/2015 148

SCENARIO PMI

7 articoli

Lavoro interinale Openjobmetis: «In Borsa per crescere e per fare acquisizioni» michele avitabile Il lavoro interinale arriva in Piazza Affari . Protagonista dell'operazione l'agenzia Openjobmetis, che il 20

novembre scorso (scadenza oggi) ha fatto partire un'offerta pubblica di vendita e sottoscrizione (Opvs) per

un ammontare di circa 5 milioni di azioni che saranno collocate a un prezzo compreso tra un minimo 6 e un

massimo 7 euro per azione, con una raccolta complessiva compresa fra 30 e 35 milioni. Il 60% di tale

somma è destinato all'aumento di capitale. Equita è il global coordinator. Il 3 dicembre lo sbarco in Borsa

con la quotazione al segmento Star delle piccole di qualità

Quali le ragioni che hanno spinto Openjobmetis che nel 2014 ha fatturato circa 400 milioni di euro, il 60%

grazie alle piccole e medie imprese, a compiere il grande passo? «L'obiettivo principale è dare ulteriore

rilievo al nostro impegno nel mondo del lavoro - riferisce Rosario Rasizza, amministratore delegato della

società (nella foto) -. Per farlo con maggiore efficacia, nel 2013 abbiamo iniziato un processo di

concentrazione nel mercato. Grazie alla quotazione avremo la possibilità di fare nuove acquisizioni».

Strategia d'attacco all'interno di un settore molto frammentato.

«In Italia operano circa cento agenzie per il lavoro - spiega Rasizza -. Una cinquantina di queste fattura in

media meno di 50 milioni di euro. É necessario continuare nelle strategie di consolidamento».

Tuttavia la decisione di puntare alla quotazione ha anche altri obiettivi. «Presentarsi in Borsa in un

segmento ad alti requisiti come lo Star sarà l'occasione per garantire ai nostri clienti la massima

trasparenza operativa», afferma il manager. Oltre a puntare sull'acquisizione di nuove imprese

Openjobmetis è pronta ad aprire nuove filiali nelle aree territoriali che lo richiederanno. Senza trascurare gli

investimenti destinati a sviluppare le competenze del personale e i ricavi aziendali della clientela.

«Attraverso Forma.temp - aggiunge Rasizza - il Fondo per la formazione e il sostegno al reddito dei

lavoratori in somministrazione, finanziato con il contributo delle agenzie del lavoro, nel 2014 abbiamo

erogato otto milioni di euro in corsi di formazione professionale. Risorse che in futuro potranno crescere in

linea con l'aumento del giro d'affari». Lo scenario del settore, del resto è in movimento. «Negli ultimi diciotto

mesi è aumentata la richiesta di lavoratori da parte delle piccole e medie imprese che devono far fronte alla

necessità di riportarsi al livello occupazionale che avevano prima della crisi. La crescita sarà tanto più

rapida quanto meglio le imprese sapranno valorizzare i loro prodotti sui mercati internazionali e sapranno

avvalersi di manager esperti in cerca di ricollocazione e di nuove opportunità», conclude Rasizza.

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Foto: Lavoro Rosario Rasizza

30/11/2015Pag. 30 N.40 - 30 novembre 2015

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 30/11/2015 150

PROTOCOLLO MIUR­CONFINDUSTRIA Siglata un'intesa tra scuola e lavoro Eugenio Bruno u pagina 14 pScuolee imprese in campo per rafforzare il link tra istruzionee lavoro. Puntando innanzitutto

sull'alternanza in azienda per gli studenti delle superiori, che la Buona Scuola ha reso obbligatoria fino a un

massimo di 400 ore nei tecnicie nei professionali (200 nei licei) e che può contare su un tassello in più: il

protocollo siglato ieria Verona nel corso di Job&Orienta 2015 da Confindustriae Miur. In una paese che

vanta, da un lato, il 40% di disoccupazione giovanile e, dall'altro, l'impossibilità delle imprese di trovare sul

mercato 76mila profili tecnici (come sottolineato dall'ultima istantanea di Unioncamere e ministero del

Lavoro) rafforzare le partnership scuola­impresa e garantire l'effettiva opportunità degli studenti di formarsi

sul lavoro­ come punta a fare l'accordo sottoscritto ieri ­ sono due momenti fondamentali. Con il protocollo,

che avrà durata triennale, le parti si impegnano a potenziare le attività di co­progettazione dei percorsi di

alternanzaea diffondere le buone pratiche già esistenti.A cominciare da quelle citate dal documento:

Traineeship, T­Tep (Technical Education Program) e Desi (Dual education System Italy). Senza che questo

impedisca ai sotto­ scrittori di elaborare eventualmente nuovi modelli per sostenere l'attuazione e il

monitoraggio della formazione on the job. L'importanza dell'accordo viene sottolineata da Alberto Baban,

presidente Piccola Industria Confindustria: «Sviluppare il talento dei giovaniè la chiave del successo

nell'era dell'economia della conoscenza. È necessario che anche in Italia la formazione sia incentrata sulle

competenze sia trasversali che specifiche: una formazione che la scuola da sola non può dare». Per Baban

«anche le Pmi sono impegnate da molti anni sull'alternanza». Come dimostra il recente Pmy daye le 850

imprese che «si sono aperte e hanno ospitato oltre 35.000 studenti». Ma con la Buona scuola il discorso

cambia­ fa notare ­ visto che saranno coinvolti circa un milione e mezzo di studenti. «Con l'intesa firmataa

Verona­ aggiunge ­ ribadiamo la volontà di aprire le porte ai giovani affinchè venga loro data l'opportunità di

imparare lavorando senza dimenticare che non sono ancora lavoratori ma sono all'interno di un processo

formativo». Aprire loro le porte delle imprese significa spalancare una finestra sul mondo e «avviare ­

conclude ­ un cambiamento culturale». Un concetto evidenziato anche da Marco Gay, presidente dei

Giovani Imprenditori di Confindustria: «L'alternanza scuola­lavoro è una grande opportunità sia per i ragazzi

che apprendono nuove competenze sia per le imprese che possono confrontarsi con giovani menti

creativee innovarsi».A suo giudizio, siamo davanti a «una svolta culturale perché, da domani, le scuole

assolveranno la loro funzione educativa non solo trasmettendo sapere ai propri ragazzi ma anche "saper

fare".È un'occasione ­ spiega ­ per il nostro Paese e un cambio di paradigma, perché alla cultura di impresa

si somma la pratica di impresa. Come Giovani Imprenditori ­ garantisce ­ faremo il nostro massimo per

contribuire a trasformare l'idea della "buona scuola" in una ottima praticae aprire le aziende italiane ai

ragazzi». Imprese ­ evidenzia Gay ­ che dal canto loro «potranno entrare in contatto coni lavoratori di

domani, gli imprenditori di domanie anche i consumatori di domani». Soddisfatta infineè anche la ministra

Stefania Giannini. Che definisce l'alternanza «una tappa decisiva verso una maggioree migliore

occupabilità dei giovani» oltre che «un grande salto verso un orientamento che mostra subito ai ragazzi la

strada per individuare e potenziarei loro talenti».

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 30/11/2015 151

Viaggio nell'Italia che innova LE DUE GIORNATE DI BOLOGNA Emilia-Romagna, cuore dell'innovazione Il suo tessuto imprenditoriale racchiude il passato, sintetizza il presente e lascia intuire il futuro delcapitalismo L'export della Regione si è attestato nel 2014 a 53 miliardi di euro, il 4,3% in più rispetto al2013, quasi il doppio del +2,2% italiano Paolo Bricco Benvenuti in Emilia­Romagna. Qui trovate spina dorsale tecno­manifatturiera, che garantisce stabilitàe

coesione a tutto il sistema economico e sociale, e cuore - tanto cuore - che ogni giorno fa correre dieci,

cento, mille eredi di una tradizione fondata da Enzo Ferrari e Ferruccio Lamborghini, Serafino Ferruzzi e

Pietro Barilla, Filippo Marazzi e Achille Maramotti. Qui, nonostante i segni lasciati da una recessione

durissima, trovate soprattutto innovazione. L'innovazione che, in una ricerca non ansiogena ma divertita del

futuro - propria dell'antropologia morbida e brillante di queste terre­ riduce la faticae produce le intuizioni,

migliora costantemente la produttività e prospetta le visioni. L'Emilia­Romagna, con la sua miscela di

specializzazioni produttivee il talento di applicare la sua umanissima "joie de vivre" all'esperienza

dell'impresa, rappresenta una delle lettere fondamentali dell'alfabeto economico italiano, reso più fragilee

sfarinato dalla crudezza di una recessione che ha posto in rilievo ed esacerbatoi ritardiei difetti di una

transizione italiana di lungo periodo iniziata con la globalizzazione dei primi anni Novanta e continuata con

lo shock della moneta unica. Questo tessuto imprenditoriale - con il suo mix di meccanica strumentalee

automotive, agroalimentare e wellness, packaging e farmaceutica, moda e logistica - racchiude il passato,

sintetizza il presente e lascia intuire il futuro del capitalismo produttivo italiano. Il 1 marzo 1962, da Carpi,

Giorgio Bocca scriveva sul Giorno di Italo Pietra: «Tortellini burroe oro? Yes, please. Al signore ci facciamo

un bel misto di lingua, cotechino e zampone? Ja, bitte. Non resta che mangiare, in questa città che fornisce

al mondo le maglie Made in Italy, ristoranti affollati, un'ora per trovare il tavolo, ancora mezza per attaccare

il pasto, e intanto un'occhiata al giornale, alle bionde placide e alle brune proterve, equamente divise fra

commessi di viaggi d'affari. Il carrello dei bolliti è più lucido e grande del primo Sputnik, gli ospiti stranieri

pranzano rintronati dalla cagnara che li circonda». Da Carpi, coni suoi magliari, Boc­ ca raccontava gli anni

del boom: «Se Carpi non esistesse bisognerebbe inventarla. Per spiegare ai posteri che cosa ha potuto

essere il "miracolo" all'italiana». Ora la ripresa italiana non può non passare dall'Emilia­Romagna. Il profilo

competitivo è basato sulla ambizione non vana dell'innovazione disruptivee main stream generata nei centri

di ricerca e la realtà solida dell'innovazione combinatoria vecchio stile figlia della tradizione degli istituti

tecnici e professionali. Secondo la Fondazione Edison, l'export dell'intera regione si è attestato nel 2014 a

53 miliardi di euro, il 4,3% in più rispetto al 2013: quasi il doppio del +2,2% italiano. Nel primo semestre del

2015, l'export regionale ha fatto registrare un +4,3% rispetto allo stesso periodo del 2014. In particolare, a

trainarlo sono state le province di Bologna (+6,9%) e Parma (+6,8%). Utilizzando il paradigma dei distretti,

la capacità emiliano­romagnola di stare con agio e forza sui mercati globali appare ancora più evidente:

sempre secondo la Fondazione Edison, per citare alcune delle principali dinamiche tendenziali di queste

specifiche economie di territorio, le piastrelle di Sassuoloe di Reggio Emilia hanno messo a segno nel 2014

rispettivamente un incremento dell'export del 7,5%e dell'8,2%, il caseario di Parma del 6,2% e le macchine

per imballaggio di Bologna del 5,1%, l'automotive di Maranello del 19,6%e gli apparecchi medicali di

Mirandola del 9,7%, le pompe di Reggio Emilia del 5,5% e le macchine utensili di Rimini del 9,1 per cento.

Nel mosaico complesso ed equilibrato di piccolee di medie imprese e di aziende a controllo italiano e a

controllo straniero, uno degli elementi che contribuisce ad una fisiologia particolarmente stabile del sistema

emiliano­roma­ gnolo è costituito appunto dal canone del Quarto Capitalismo. Nell'analisi dell'ufficio studi di

Mediobanca, le medie imprese ultrainternazionalizzate appaiono segnate da una resilienza e da un

dinamismo rilevanti. Costruendo un bilancio consolidato delle 492 medie imprese, il fatturato aggregato era

nel 2004 pari a 22,3 miliardi di euro: nel 2013 ammontava a 22,8 miliardi. In nove anni, con in mezzo il

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 30/11/2015 152

mondo cheè cambiato, questo sistema di imprese ha visto il Mol assestarsi dal 7,9 al 7,4% e il capitale

netto salire - in maniera virtuosamente difensiva - da 5,9 a 9 miliardi di euro. Il risultato netto d'esercizioè

passato dall'1,2 al 2,2%, il Roi dall'8,9 al 7,8%e il Roe dal 4,8 al 6,1 per cento. Assolutamente non male,

per usare un eufemismo. Altrettanto importanti i risultati dell'analisi compiuta dall'ufficio studi di Mediobanca

sui cosi detti dati cumulativi (edizione 2015, monitoraggio di 2.055 società italiane): fra il 2005e il 2014 il

segmento emiliano­romagnolo, che include non solo medie ma principalmente grandi imprese, ha visto il

fatturato netto consolidato aumentare da 41a 54 miliardi di euro, gli investimenti- essenziali per ogni forma

di politica per l'innovazione formale e informale - rimanere stabilia 1,6 miliardi di euro, il Mol passare dall'8,5

al 7,8%e il risultato netto salire dal 2,7 al 3,2 per cento. Questa competitività è il risultato di una robusta

radice innovativa. Il sistema industriale emiliano­romagnolo ha le migliori, recenti, performance innovative.

Secondo l'ufficio studi di Intesa Sanpaolo, fra 2010 e 2012 il tasso di crescita cumulato degli investimenti in

R&S delle impreseè stato pari al 21%, sette volte la media italiana. Questo sistema industrialeè il secondo,

dopo il Piemonte, per investimenti in ricerca e sviluppo: valgono l'1,09% del Pil, contro lo 0,71% nazionale.

La leadership dell'Emilia­Romagna si percepisce anche nel rapporto con la base demografica, evidenziato

dai dati dell'Assessorato alle Attività produttive della Regione: 353 euro di R&S privata procapite (seconda

solo di nuovo al Piemonte), a fronte dei 187 euro italiani. Tornando ai dati dell'ufficio studi di Intesa

Sanpaolo, l'indice di intensità brevettuale, calcolato come numero di brevetti depositati presso lo European

Patent Office per milione di abitanti, appare doppio rispetto all'Italia: 163,5 contro 76,7. Nella generazione di

nuova imprenditorialità, l'Emilia­Romagna ha 1,34 start­up ogni mille imprese, contro le 0,93 dell'Italia. Il

capitale umano non ha paragoni: qui ci sono 18,7 laureati in discipline tecnologiche e scientifiche ogni mille

abitanti fra i 20 e i 29 anni, contro i 13,2 medi dell'Italia. Ogni mille abitanti si trovano 6,2 persone che

lavorano nella R&S delle imprese, a fronte delle 4 della media italiana. Lo stesso si può dire anche per gli

spin­off universitari: 107 in EmiliaRomagna alla fine dell'anno scorso, la quarta performance dopo Toscana,

Lombardia e Piemonte. L'incidenza relativa degli spin­off è maggiore rispetto alla media nazionale: 2,6 ogni

diecimila imprese, contro i 2,2. Non c'è solo l'Italia. C'è anche il resto d'Europa. Nello specifico segmento

delle società di capitale, in uno studio di Unioncamere Emilia­Romagna sulla banca dati Bureau Van Dijk,

questo tessuto industriale regge il paragone con quelli delle principali regioni manifatturiere europee,

identificate nella Catalogna, nel Rhône­Alpes, nel Baden­Württemberg, nel Nordrhein­Westfalen e nel West

Midlands. L'Emilia­Romagna, che ha una dimensione media di impresa di 5,8 milioni di euro di fatturato

annuo e di 29 addetti (analoga al RhôneAlpes e alla Catalogna, rispettivamente di 5,8 milioni e 37 addetti e

di 4,6 milioni e di 21 addetti), ha un risultato netto ante­imposta del 6,4%, di poco inferiore all'8,2% della

regione francesee al 7,3% di quella spagnola. La portata innovativa dell'Emilia­Romagna è, però, più solida

e coesa. Il 10,6% delle aziende brevetta, contro il 6% del Rhône­Alpes e il 7,4% della Catalogna. L'8,9%

della aziende dell'Emilia­Romagna ha un marchio, contro il 4,3% del Rhône­Alpes e il 6,6% della Catalogna.

Al di là della comparazione internazionale, l'elemento interessante - nel senso di una innovazione vissuta in

presa diretta in ogni segmento del tessuto produttivo-è rappresentato dalla quota di fatturato consolidato

riferibile a imprese che brevettano e che detengono marchi: il 40,8% e 46,6 per cento. Questa quota non è

particolarmente alta. Il che dimostra come, in Emilia­Romagna, anche le piccole imprese- con piccoli giri

d'affari ­ brevettino e sviluppino una politica di brand. L'eccezionalità del sistema produttivo

emiliano­romagnolo è che, alla fine, accontenta tutti: sia gli assertori dell'essenzialità dell'innovazione

formalizzata siai sostenitori della creatività informale. Nella complessità e nella ricchezza delle cose,

riecheggiano le parole con cui Pier Vittorio Tondelli, lo scrittore di Correggio, chiude il romanzo "Altri

libertini": «Nella mia terra, solo ciò che sono mi aiuterà a vivere». Fare impresa, per fare impresa. Con

l'innovazione, per l'innovazione. Ecco quello che qui, nel cuore disteso dell'Italia, si è e si sa fare.

L'EDITORIALE DI GIOVEDÌ «L'Italiaè un Paese di innovatori, ma ancora prima la seconda manifattura

d'Europa, il genioe il talento di un unicum assoluto dove si mescolano scienzae digitale con arte, che vuol

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 30/11/2015 153

dire creatività, design, moda, artigianato, ma anche più propriamente con il manufacturing e, cioè, quel mix

inimitabilee tutto italiano di bellezzae tecnologia, il segno di una cultura cosmopolita....Vi racconteremo da

Bologna la prima tappa del Viaggio nell'Italia che innova con lo scopo dichiarato di demolire attraversoi fatti,

donne, uomini in carnee ossa, macchinee talenti che si possono toccare, il più terribile,e infondato, dei

luoghi comuni che dipinge l'intera classe imprenditoriale italiana come poco lungimirante, ripiegata in

difesa, incapace di fare innovazionee ricerca».

Appuntamento lunedì e martedì La prima tappaa Bologna L'impresa italiana ha una straordinaria

capacità di trasformare, di combinare in modo originale tradizionee sofisticata tecnologia, di occupare

nicchiee generare prodotti unici, di cogliere opportunità di mercatoe di innovarei modelli di business. Per

scopriree raccontare il mondo dell'innovazione delle imprese italiane a 360 gradi, Il Sole 24 Oree

Confindustria, in collaborazione con EY, organizzano «Viaggio nell'Italia che innova». Un percorso costruito

su più "tappe", in tutta Italia, che prenderà il via dall'Emilia Romagna,a Bologna, lunedì 30 novembree

martedì1 dicembre, il primo giorno presso l'Opificio Golinelli, via Paolo Nanni Costa 14, il secondo presso il

MAST in via Speranza, 42. La due giorni prenderà le mosse dal racconto di quanto già oggi le imprese nei

territori stanno facendo sul fronte della ricerca e dell'innovazione, attraverso la voce dei protagonisti

dell'imprenditoriae del governo nazionalee localee la condivisione di storie di successo, necessarie per

alimentare il più ampio processo di innovazione dell'intero Paese. I protagonisti All'evento prenderanno

parte, tra gli altri, il Ministro dell'Economiae delle Finanze Pier Carlo Padoan, il Ministro dello Sviluppo

Economico Federica Guidi, il Ministro per la Semplificazionee Pubblica Amministrazione Marianna Madia, il

Presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, il Presidente Romano Prodi, il Presidente Cassa depositie

prestitie Fondo Strategico Italiano Claudio Costamagna, il Presidente della Regione Emilia Romagna

Stefano Bonaccini. Gli interventi In particolare lunedì 30 (alle 16) l'intervento del ministro dello Sviluppo

Economico Federica Guidi;a seguire l'intervista del direttore del Sole 24 Ore Roberto Napoletano al

Presidente Romano Prodi. Chiude alle 16,45 l'intervento di Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria.La

seconda giornata inizia con l'introduzione di Donato Iacovone, ad EY, sui fattori di contorno. Alle 13,15 il

direttore del Sole 24 Ore Roberto Napoletano intervista il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan. Alle

17,30 le intervistea Gaetano Maccaferri (Vice Presidente Confindustria)ea Marianna Madia (ministro per la

Semplificazionee Pubblica Amministrazione). Interverranno inoltre imprenditorie amministratori delegati sia

di eccellenze del mondo imprenditoriale che di importanti aziende presenti sul territorio tra cui Vodafone,

Canon, Cisco, SisalPaye giovani di talento promotori di start up. Tra le sezioni previste «Crescere» per

competere meglio, «Conoscere» (più conoscenza nelle imprese), «Connettersi» (società connessae

manifattura digitale), «Creare» (la ricchezza creativa dell'industria italiana). Il martedì alle 17 le proposte

per il Manifesto dell'Innovazione saranno discusse da Patrizio Bianchie Maurizio Marchesini (Presidente

Con f indus t r i a Emi l i a Romagna , s i veda a r t i co lo i n ques ta pag ina ) . I n fo rmaz ion i

[email protected] www.ilsole24ore.com/vii www.nova­ilviaggio.com tel. 02 25547610

Numeri da record398,9 356,9206,8 189,053,0 30,327,5 16,2 SPAGNA 0,88 0,77 REGNO UNITO 2,37 FRANCIA 1,46 1,58 ITALIA 1,00 Veneto 0,70 0,70

Lazio Sicilia Liguria ITALIA Veneto Umbria Marche 1,51 0,52 1,09 0,82 0,75 0,94 0,71 0,54 0,60 0,62 0,70

0,23 0,23 0,27 0,41 1,20 0,43 2014 2015 2015 2014 ITALIA (+2,2) (-1,1) (+4,7) (+4,5) (+4,3) (+5,5) (+4,3)

(+5,2) Catalogna GERMANIA Lombardia Toscana Abruzzo Piemonte Campania Friuli V. G. Lombardia

Rhone-Alpes West Midlands Emilia Romagna Trentino A. A. Emilia Romgna Nordrhein-Westfalia Baden-

Wurttemberg EMILIA ROMAGNA Export Import 0,54 0,61 0,67 0,43 0,60 0,76 0,67 0,63 0,36 0,66 0,64

0,58 0,39 Fonte: Direzione Studi e Ricerche Intesa Sanpaolo. LE PRINCIPALI REGIONI

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 30/11/2015 154

MANIFATTURIERE Grado di apertura estero. Anno 2013 LE 15 REGIONI ITALIANE A PIÙ ELEVATA

INTENSITÀ DI R&S R&S in percentuale del Pil. Dati 2012 LA BILANCIA COMMERCIALE DELL'ITALIA E

DELL'EMILIA ROMAGNA Anno 2014 e I semestre 2015 (miliardi di euro e var. % sull'anno prec.)

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 30/11/2015 155

L'intervista. Franco Mosconi, docente di Economia industriale all'Università di Parma: «La Regione è oggiun crocevia strategico per gli Ide italiani, sia in entrata sia in uscita» Emilia-Romagna modello di «distruzione creativa» Fra Bologna e Modena è nato un vero e proprio distretto dell'Ict che il monitor dei distretti di IntesaSanpaolo censisce fra i nuovi poli tecnologici italiani Andrea Biondi «Nel sistema manifatturiero emiliano­romagnolo è pienamente visibile uno dei più potenti concetti della

teoria economica che ha resistitoa decenni di crisi. Mi riferisco alla "distruzione creativa" di Schumpeter.

Che qui ha prodotto e sta producendo i suoi effetti». Franco Mosconi, 53 anni, docente di Economia

industriale all'Università di Parma, è un profondo conoscitore del sistemae del tessuto imprenditoriale

emiliano­romagnolo. Nel 2012 ha pubblicato "La metamorfosi del Modello emiliano. L'Emilia­Romagna e i

distretti industriali che cambiano" (Il Mulino). Un modello fatto di distretti, andato poi oltre i distretti puntando

sulle filieree sui territori, ma che ha reso questa regione un epifenomeno del manifatturiero in grado di

imporsi in passatoe ancora oggi in grado di avanzare in un contesto globalizzato. «Ci sono specializzazioni

nuove che sono emerse e altre che stanno emergendo». Quali sono? Il Rapporto 2015 della Banca d'Italia

sull'economia regionale ha preso a esame il periodo 2007­2013. Insomma, gli anni della crisi in cui la

struttura del manifatturiero emiliano­romagnolo siè modificata. Chimicae farmaceutica, per esempio, hanno

aumentato il loro peso. Faccio presente che si tratta di settori estremamente innovativi e, se guardiamo alla

farmaceutica, in Emilia­Romagna c'è un leader di settore, mi riferisco alla Chiesi, cheè però solo la punta di

un iceberg in un contesto in evoluzione. Penso ad esempio al biomedicale. Il distretto di Mirandola ha

dovuto fare i conti con il terremoto del 2012. Ma si è ripreso e rafforzato, virando anche verso una

specializzazione nella cura delle malattie cardiovascolari e andando quindi oltre i più semplici dispositivi

medici. Ma poi, quantoa nuove specializzazioni anche in quelli che sono considerati cluster tradizionali, c'è

ad esempio il distretto delle piastrelle di Sassuolo con multinazionali come Mapei e Kerakoll che hanno

spinto su prodotti innovativi ed ecosostenibili. Poi c'è la "Wellness Valley" cresciuta attorno alla

Technogym, senza dimenticare la meccatronica, il packaging, l'automotive: tutte specializzazioni che

mettono insieme meccanica, elettronicae It. L'Emilia­Romagna resisterà all'avvento dell'industria «4.0»?

L'Emilia­Romagnaè già forte nella manifatturaa più elevato valore aggiunto. Fra Bologna e Modena è nato

un vero e proprio distretto dell'Ict che il Monitor dei distretti di Intesa Sanpaolo censisce fra i nuovi poli

tecnologici italiani. A Parma c'è poi il noto spin off universitario VisLab che sta studiando l'auto­robot edè

stato acquisito dall'americana Albarella.E gli esempi potrebbero continuare. In generale è un sistema che

ha avuto fortuna in passato e può resistere anche in futuro. Graziea cosa? C'è senz'altro un buon equilibrio

fra piccole e medie imprese, spesso raggruppate in distretti, da una parte e grandi imprese dall'altra. Per

fare investimenti in ricercae sviluppo servono spalle larghe, mai vantaggi poi si trasferiscono a tutto il

sistema. All'interno del Regional Competitiveness Index, su 262 regioni d'Europa la Ue ha messo la

Lombardia al 128esimo posto e l'Emilia­Romagna al 141esimo. Tuttavia uno degli indicatori dove

l'Emilia­Romagna balza intorno alla 50esima posizioneè quello che la Ue chiama "business sofistication": ci

sono attività sia manifatturiere, sia di servizi alle imprese, ad alto valore aggiunto che fanno la differenza.

Uniscoa tutto ciò un ulteriore aspetto: quello degli investimenti diretti esteri. L'Emilia­Romagna è oggi un

crocevia strategico per gli Ide italiani sia in entrata, sia in uscita. Siamo terreno di conquista. Lo ritiene un

buon segnale? Gli Ide in entrata sono un indicatore di competitività positivo, sinonimo di un'economia che

ha talenti e di una società aperta. Vuol dire anche che viè capitale umano di qualitàe che all'estero,

Germania, Stati Uniti, Asia, si ha fiducia in un territorio che esprime cultura d'impresa.

Foto: Franco Mosconi Docente di Economia industriale

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 30/11/2015 156

MULTIMEDIA DIGITAL WORLD a cura di Claudio Gerino TOSHIBA I notebook per la scuola e le Pmi SONO I NUOVI SATELLITE PRO A30-C, SATELLITE PRO A40-C E SATELLITE PRO R40-C DESTINATIA UN'UTENZA SEMIPROFESSIONALE O CHE HA BISOGNO DI AMPIA PORTABILITÀ CON MOLTAPOTENZA Toshiba Europe GmbH propone i nuovi Satellite Pro A30-C, Satellite Pro A40-C e Satellite Pro R40-C.

Ideali per essere utilizzati da studenti e piccole-medie imprese, le nuove serie Satellite Pro aumentano

produttività ed efficienza quando si utilizzano i notebook in classe, in ufficio o durante viaggi e spostamenti.

Disponibili nei formati da 33,8 cm (13") o 36,6 cm (14") per rispondere a tutte le esigenze, questi nuovi

notebook offrono elevati livelli di affidabilità e sicurezza . Tutti i nuovi modelli Satellite Pro sono progettati

per il business, dal design leggero fino alle diverse configurazioni disponibili e alle funzionalità integrate. I

Satellite Pro A30-C e R40-C sono dotati di processori Intel® Core™ di 6a generazione per garantire la

combinazione ottimale di prestazioni e durata della batteria, offrendo la migliore tecnologia wireless per

docking e displaying. Per migliorare ulteriormente la produttività e ridurre i riflessi, tutti i modelli hanno uno

schermo anti-riflesso per poter essere utilizzati all'esterno o in uffici molto illuminati. Il Satellite Pro A30-C

da 33,8 cm (13") permette a studenti e professionisti di utilizzarlo ovunque si trovino, mentre il Satellite Pro

A40-C, con schermo da 36,6 cm (14"), offre il giusto mix tra mobilità e produttività, un vero desktop

replacement. Sottili, leggeri e comodi da portare con sé, con display HD o Full HD, entrambi i notebook non

scendono a compromessi su prestazioni, connettività e resistenza. La batteria garantisce un'autonomia di 8

ore , permettendo di usare i Satellite Pro A30-C e A40-C per tutta la giornata. Inoltre, i modelli Satellite Pro

A30-C e A40-C offrono la Reliability Guarantee di Toshiba che permette alle aziende di acquistare questi

notebook con la sicurezza che in caso di eventi indesiderati o guasti Toshiba garantirà la riparazione

gratuita e il rimborso del prezzo di acquisto. Le aziende possono essere sicure che le proprie informazioni e

dati saranno mantenuti riservati, grazie all'integrazione opzionale di un lettore Smartcard per il login protetto

e del Trusted Platform Module 2.0 (TPM) per la crittografia dei dati. Il Satellite Pro A40-C integra anche il

lettore di impronte digitali per un ulteriore livello di sicurezza. Quando gli utenti vogliono, invece,

condividere le informazioni, possono farlo in modo semplice grazie alle numerose opzioni di connessione

dongle-free e full size, tra cui HDMI® e RGB per visualizzare le presentazioni, USB 3.0 e uno slot SD card

per trasferire velocemente i contenuti e Intel® premium Wi-Fi che garantisce l'accesso a tutto quello che

serve anche in movimento Ideale per le scuole secondarie e le PMI, il Satellite Pro R40-C con display HD

anti-riflesso da 36,6 cm (14") è un dispositivo entry-level che offre tutto il necessario per soddisfare le

esigenze quotidiane. Le numerose opzioni di connessione, come quelle dei Satellite Pro A30-C e a40-C,

permettono di archiviare, condividere e visualizzare i contenuti senza preoccuparsi di aggiungere dongle o

cavi. I dati sono protetti grazie al sensore 3D di impatto dell'HDD in caso di cadute accidentali, mentre

l'ampia tastiera è perfetta per chi cerca un desktop replacement per elevati livelli di produttività. Saranno

disponibili in Italia a partire dal febbraio. (MdA)

Foto: I nuovi Satellite Pro proposti da Toshiba sono ideali per essere utilizzati da studenti e piccole e medie

imprese

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 30/11/2015 157

RAPPORTO IMPRESE La small cap pensa in grande e sbarca sul listino LA CRESCITA DEL 199% DI BIO-ON È LA MIGLIORE PERFORMANCE DA IPO DI UNA PICCOLASOCIETÀ IN BORSA MA NON È L'UNICA AUMENTA IL NUMERO DI AZIENDE CHE SI PREPARANO ALDEBUTTO SULL'AIM Luigi dell'Olio Una crescita del 199% in undici mesi è valsa al titolo Bio-On il premio come migliore performance da Ipo,

assegnato da Borsa Italiana in base ai dati registrati fino al 30 settembre scorso. Fondata a Bologna nel

2007 e specializzata nella produzione di bio-plastica biodegradabile naturalmente (in acqua e suolo al

100%), la società guidata da Marco Astorri ha registrato questa performance grazie soprattutto alle ultime

innovazioni, come l'annuncio di aver messo a punto una tecnologia per ottenere bioplastiche dal glicerolo.

Con la conseguenza che ora l'azienda è pronta a concedere le licenze d'uso per realizzare i primi impianti

che si basano su questa innovazione. Bio-On ha ottenuto il riconoscimento nel corso della Small Cap

Conference, organizzata per facilitare il dialogo tra investitori e società quotate su Aim Italia, il listino nato

sull'esempio dell'omonimo londinese con l'obiettivo di avvicinare le piccole e medie imprese al mercato

finanziario. Il tutto attraverso incentivi fiscali e semplificazioni burocratiche: in particolare, il processo di

quotazione viene seguito da un advisor finanziario che prende il nome di Nomad (nominated advisor), al

quale tocca valutare l'appropriatezza delle società che richiedono l'ammissione e, successivamente,

assisterle nel corso della loro permanenza sul mercato. Mentre le autorità (Consob e Borsa Italiana) si

limitano a testare la completezza dei documenti. Inoltre sono previste semplificazioni sia in fase di

ammissione (flottante minimo 10%, nessun requisito minimo in termini di capitalizzazione, governo

societario e anni di esistenza, mentre il prospetto informativo viene sostituito dal documento di ammissione

ed è necessaria la certificazione dell'ultimo bilancio se esistente) e post quotazione (non sono previsti

resoconti intermedi di gestione). Secondo una ricerca di Ir Top, le aziende quotate all'Aim nel corso del

2014 hanno visto crescere il loro fatturato mediamente del 23%, mentre l'Ebitda ha registrato un

incremento medio del 9%. Il merito non può ovviamente essere solo della presenza sul mercato

regolamentato, ma sicuramente la visibilità offerta da questo strumento può aver aiutato in termini di

trasparenza e visibilità nei confronti dei potenziali partner e fornitori. «Quotarsi significa raccogliere capitali

per finanziare la crescita, comunicando con trasparenza risultati e obiettivi» spiega Barbara Lunghi,

responsabile mercati Pmi per Borsa Italiana. Nel corso della Small Cap Conference è stata premiata anche

BioDue, azienda fiorentina che produce e commercializza dispositivi medici, prodotti dermocosmetici e

integratori alimentari. Altra società molto apprezzata dal mercato nelle ultime sedute, dopo aver diffuso i

dati sulle vendite nei primi nove mesi dell'anno, che hanno registrato una crescita del 16,4% rispetto allo

stesso periodo del 2014. Il riconoscimento, in questo caso, è stato motivato dalla media giornaliera degli

scambi nei primi nove mesi dell'anno, pari a 672mila euro. «Si tratta di un numero importante, che dimostra

l'interesse degli investitori per questo listino», spiega Lunghi. Che pure ricorda come i numeri non possano

essere paragonati a quelli del listino principale (Mta), dato che sull'Aim Italia sono presenti piccole e

piccolissime imprese. Alcune delle quali guardano a questo listino come primo step per poi passare al

mercato principale, una volta cresciute. Un passo compiuto ad esempio da Sesa, società It che nei mesi

scorsi è passata allo Star. «Abbiamo raggiunto il numero di 72 aziende quotate, 19 delle quali hanno fatto il

loro debutto nell'anno in corso, con una capitalizzazione che si avvicina ormai ai 3 miliardi di euro»,

aggiunge Lunghi. L'auspicio è "di accogliere altre quattro o cinque società tra fine anno e le prime

settimane del 2016". I nuovi arrivi potrebbero provenire da Elite, iniziativa lanciata dalla stessa Borsa

Italiana che funziona come una palestra nella quale le aziende si allenano a comunicare con il mercato e

ad adottare regole di governance utili da subito nei rapporti con finanziatori, partner e clienti, anche in

prospettiva di una potenziale quotazione. Nei giorni scorsi sono entrate 26 nuove imprese nel programma

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tra cui nomi noti come Diesse (industria), Fonderie di Montorso (industria), Panino Giusto (food), Siit

(alimentari) e Salumificio Fratelli Beretta (alimentari), portando il totale a oltre 220 aziende italiane. Quante

di queste realtà decideranno di fare il grande passo dipenderà ovviamente anche dalle condizioni del

mercato. S. DI MEO

Foto: Il processo di quotazione viene seguito da un advisor finanziario che prende il nome di Nomad

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I dati Istat e Bankitalia Marco Fortis

Dai Conti territoriali dell'Istat e dal Rapporto congiunturale regionale della Banca d'Italia è emersa, forse un

po' a sorpresa ma in realtà non troppo, l'immagine di Lazio che "tira".

Una locomotiva non solo del Centro Italia ma dell'intera economia nazionale. Infatti nel 2014, mentre il Pil

italiano è diminuito dello 0,4% rispetto al 2013 e quello del Centro Italia è cresciuto dello 0,4% , il Pil del

Lazio è aumentato addirittura in termini reali dell'1,4% (primato di crescita condiviso con la piccola Valle

d'Aosta). La dinamica economica laziale e in minor misura delle Marche (+0,5%) ha contribuito a più che

compensare i risultati fortemente negativi di Toscana e Umbria (entrambe con un -0,9%). Sicché, grazie

principalmente al Lazio, il Centro Italia è stata l'unica macroregione italiana a non sperimentare un calo

aggregato del Pil nel 2014, a differenza di Nord-Ovest (-0,8%), Nord-Est (-0,2%) e Mezzogiorno (-1,1%).

Leggendo i dati Istat scopriamo che la forte crescita del Pil del Lazio dello scorso anno è stata guidata dai

consumi delle famiglie, cresciuti dell'1,3%: il miglior risultato in Italia assieme a quello della Lombardia (il cui

Pil è però calato dello 0,9% rispetto al 2013). Ma le sorprese non finiscono qui: anche per crescita degli

occupati il Lazio nel 2014 ha fatto registrare il miglior risultato tra le regioni italiane, con un significativo +3%

sul 2013, rispetto a una media nazionale in aumento soltanto dello 0,1%, combinazione di un calo dello

0,3% del Nord Ovest, di un aumento dello 0,5% del Nord Est, di una riduzione dello 0,9% del Mezzogiorno

e di un espansione dell'1,4% del Centro trainata principalmente dal Lazio stesso e in minor misura dalle

Marche (+1,6%). Grazie al buon andamento del 2014 il Pil del Lazio, rispetto al 2011, contiene il calo

causato dalla recessione 2012-13 in un -3,9% sicuramente ancora pesante da recuperare ma notevolmente

inferiore al -5,7% del Nord Ovest, al -4,3% del Nord Est, al -5,6% del Mezzogiorno e al -5% dell'Italia nel

suo insieme. In più, rispetto al 2011 il Lazio è l'unica regione assieme alla Provincia autonoma di Trento ad

avere registrato una dinamica positiva dell'occupazione, rispettivamente +1,9% e +1,6%, a fronte di un calo

del 2% dell'Italia con picchi negativi al Nord Ovest (-2,2%) e al Mezzogiorno (-4,2%). Le ragioni della

migliore reattività e resilienza del Lazio durante la recente crisi economica rispetto ad altre aree d'Italia

vanno ricercate nella struttura stessa dell'economia della regione, più orientata ai servizi che all'industria.

Inoltre, all'interno dell'industria stessa, che comunque è presente ed importante nella regione, va

considerato che il Lazio è più specializzato di altre parti del nostro Paese (anche del Nord sviluppato) in

settori hi-tech che hanno meno sofferto la recessione, come la farmaceutica e la chimica: due industrie che

hanno nelle province di Latina e Frosinone dei cluster di livello mondiale. Pertanto, poiché la crisi del 2012-

14 in Italia ha colpito duramente soprattutto l'industria e le costruzioni, il Lazio, con il suo forte settore dei

servizi e una industria tecnologica meno esposta al calo della domanda interna ed estera, ha potuto

reggere meglio. Va osservato che il Lazio è la regione d'Italia in cui i servizi hanno il maggior peso sul totale

valore aggiunto (con una quota dell'84,5%) . Ma, nonostante ciò che molti potrebbero pensare, i servizi del

Lazio non sono solo Roma capitale e pubblica amministrazione, ma anche commercio, turismo, finanza,

attività professionali e scientifiche. Secondo i dati Istat, nel 2014 il valore aggiunto del Lazio dell'insieme di

commercio, alberghi, ristoranti, trasporti e comunicazioni è già tornato in termini reali su valori superiori a

quelli del 2012. Idem per l'aggregato delle attività finanziarie e assicurative, immobiliari, professionali,

scientifiche, tecniche ed amministrative private. Nel 2015, poi, secondo l'ultima indagine congiunturale della

Banca d'Italia, la ripresa del Latium Oeconomicum è proseguita. L'occupazione complessiva, dopo lo scatto

del 2014, nel primo semestre del 2015 è rimasta invariata nella regione rispetto allo stesso periodo

dell'anno precedente. Ma i servizi e l'export manifatturiero hi-tech continuano a spingere il Lazio. Infatti,

secondo Via Nazionale, nel settore regionale dei servizi nei primi tre trimestri del 2015 il saldo percentuale

positivo tra la quota di imprese che ha registrato un fatturato in aumento e quella che ha registrato un calo

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ha raggiunto quasi i 20 punti. Un risultato nettamente migliore di quelli medi del Centro Italia e dell'Italia nel

suo complesso. Mentre nel primo semestre del 2015, dopo l'aumento dello scorso anno, il valore delle

esportazioni regionali è cresciuto ancora del 14,4%. Le vendite all'estero sono state trainate in particolare

dal settore farmaceutico (+17,2%) e da quello chimico (+4,2%). Roma non è soltanto scandali e pasticci

politici. E il Lazio non è solo Roma.

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