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ANIEM Rassegna Stampa del 12/12/2014 La proprietà intellettuale degli articoli è delle fonti (quotidiani o altro) specificate all'inizio degli stessi; ogni riproduzione totale o parziale del loro contenuto per fini che esulano da un utilizzo di Rassegna Stampa è compiuta sotto la responsabilità di chi la esegue; MIMESI s.r.l. declina ogni responsabilità derivante da un uso improprio dello strumento o comunque non conforme a quanto specificato nei contratti di adesione al servizio.

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ANIEM

Rassegna Stampa del 12/12/2014

La proprietà intellettuale degli articoli è delle fonti (quotidiani o altro) specificate all'inizio degli stessi; ogni riproduzione totale o

parziale del loro contenuto per fini che esulano da un utilizzo di Rassegna Stampa è compiuta sotto la responsabilità di chi la esegue;

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INDICE

ANIEM

12/12/2014 La Citta di Salerno - Nazionale 7

Cantieri, il caso stazione marittima

ANIEM WEB

10/12/2014 informamolise.com 16:45 9

Acem: soddisfazione per proroga anticipazione 10% su appalti pubblici anche nel

2015

SCENARIO EDILIZIA

12/12/2014 Corriere della Sera - Milano 11

Paralisi delle autorizzazioni ambientali A rischio le grandi opere per il 2015

12/12/2014 Corriere della Sera - Milano 13

Metrò 4, un conto da tre miliardi e mezzo

12/12/2014 Il Sole 24 Ore 15

Dall'Italia progetti per 83 miliardi

12/12/2014 Il Sole 24 Ore 16

Da «Fabbrica intelligente» road map per sette progetti

12/12/2014 La Repubblica - Torino 17

Il costo della manodopera escluso dalle gare d'appalto

12/12/2014 Il Messaggero - Civitavecchia 18

Pecoraro: Appalti a rischio stope'Ater blocca la gara da 25 milioni

12/12/2014 Il Messaggero - Umbria 20

Sicurezza sul lavoro: le regole

12/12/2014 QN - Il Resto del Carlino - Rimini 21

L'edilizia riparte, il Comune ringrazia

12/12/2014 L'Espresso 22

La ferrovia delle beffe

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12/12/2014 L'Espresso 24

L'economia verde ai tempi di Renzi

SCENARIO ECONOMIA

12/12/2014 Corriere della Sera - Nazionale 28

Juncker: «Roma non può lamentarsi»

12/12/2014 Corriere della Sera - Nazionale 30

Prestiti Bce, le banche chiedono solo 29 miliardi

12/12/2014 Il Sole 24 Ore 32

Delude l'asta della Bce, si avvicina il Qe di Draghi

12/12/2014 Il Sole 24 Ore 34

Se non basta l'incantesimo della politica monetaria

12/12/2014 Il Sole 24 Ore 36

I fatti, i rumors e il fardello italiano

12/12/2014 Il Sole 24 Ore 37

«La finanza può diventare volano dello sviluppo»

12/12/2014 Il Sole 24 Ore 39

Fanalino di coda tra i big in Europa

12/12/2014 Il Sole 24 Ore 40

«Piano Juncker, i nodi al consiglio Ue»

12/12/2014 Il Sole 24 Ore 42

Il metodo da seguire per l'intera manifattura

12/12/2014 Il Sole 24 Ore 43

Francoforte ha concluso la valutazione E adesso?

12/12/2014 La Repubblica - Nazionale 45

Bce, nuovi prestiti alle banche Juncker: "L'Italia non si lamenti era da procedura di

infrazione"

12/12/2014 La Repubblica - Nazionale 46

Caos South Stream e mercato instabile Eni congela Saipem l'ex gioiello di casa dal

tetto lesionato

12/12/2014 La Repubblica - Nazionale 47

Benzina sotto 1,6 euro è il minimo da tre anni petrolio ancora più giù

12/12/2014 La Repubblica - Nazionale 49

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Dietrofront Ferrari: sede fiscale in Italia

12/12/2014 La Stampa - Nazionale 50

"L'Italia rispetti i patti Ue avrà fiducia sui mercati"

12/12/2014 MF - Nazionale 52

Maire corre a tutto gas negli Emirati

12/12/2014 MF - Nazionale 53

Fca brucia 1,6 miliardi in due giorni

12/12/2014 MF - Nazionale 55

In arrivo il decreto per le Fs in vista della privatizzazione di metà 2016

12/12/2014 MF - Nazionale 56

Gavio avvia il riassetto e lancia Aurelia International

12/12/2014 MF - Nazionale 57

Bpm, avanti senza associazioni

12/12/2014 MF - Nazionale 58

Il piano Mps all'esame della Bce

12/12/2014 MF - Nazionale 59

Italia, Germania e Grecia sono sulla stessa barca. È il messaggio da inviare da

Torino

12/12/2014 L'Espresso 61

Torna a casa azienda

SCENARIO PMI

12/12/2014 Il Sole 24 Ore 66

L'elettronica accelera sui mercati stranieri

12/12/2014 La Repubblica - Nazionale 67

I l Giappone alle urne la grande scommessa per rilanciare il modello di Abe

12/12/2014 Il Messaggero - Frosinone 69

Il rilancio? Ora si puntasul treno veloce per Roma

12/12/2014 Il Manifesto - Nazionale 70

Così parlò Draghi: Renzi tagli il debito non c'è solo il 3%

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ANIEM

1 articolo

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ANIEM - Rassegna Stampa 12/12/2014

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ANIEM - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 16 La Citta di Salerno - Ed. nazionale (diffusione:25000)

Cantieri, il caso stazione marittima Convegno Aniem con l'impresa che ha fatto le casseformi per la "conchiglia"

Cantieri, il caso stazione marittima

Cantieri, il caso stazione marittima

Convegno Aniem con l'impresa che ha fatto le casseformi per la "conchiglia"

Edilizia, l'esperien"Il cantiere che cambia: innovazioni e tecnologie a servizio della produttività", questo il

titolo dato al convegno tenutosi ieri pomeriggio all'hotel Mediterranea nel quale la Condor Spa, azienda

specializzata nelle più moderne soluzioni tecniche in termini di prodotti e servizi per l'edilizia (casseformi,

ponteggi e blindaggi e solai), ha presentato le sue linee guida per una gestione quanto più industrializzata

possibile dei cantieri. Anche in virtù del fatto che qui a Salerno la Condor ha fornito le attrezzature al cantiere

della stazione marittima firmata Zaha Hadid. Abbattimento delle morti bianche e aumento dell'efficienza e

della produttività della lavorazione a parità di utilizzo della manodopera, questi gli obiettivi che si pone

l'azienda con i suoi prodotti che ieri sono stati illustrati ai tanti addetti ai lavori invitati al convegno dall'Anem, l'

associazione nazionale imprese edili e manifatturiere a Salerno presieduta da Pietro Andreozzi, durante il

quale è stato affrontato, come esempio virtuoso, il case story della stazione marittima. «I fattori di criticità

sono stati molteplici perché quello per realizzare la conchiglia firmata da Hadid non è stato solo un lavoro di

fornitura, ma è partito dalla progettazione fatta a quattro mani con la impresa esecutrice dei lavori, la

Passarelli, e in più ha previsto un dialogo continuo con la direzione artistica del cantiere in quanto l'architetto

iraniano ha dovuto approvare ogni singola fase di lavorazione che prevedeva l'utilizzo dei nostri sistemi»,

questa la testimonianza di Francesco Petrosino, direttore generale della Condor Spa, intervenuto al

convegno di ieri insieme a Mario Mignone, key accaunt manager dell'azienda, e al project manager

Francesco Troilo. «La collaborazione con Condor, azienda leader nell'industrializzazione dei cantieri edili - ha

spiegato Andreozzi - testimonia l'importante ruolo della nostra associazione che mira a fornire agli associati

servizi sempre più vicini alle esigenze delle imprese e a vincere le nuove sfide lanciate dal mercato». Fiorella

Loffredo ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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ANIEM WEB

1 articolo

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9 ANIEM WEB - Rassegna Stampa 12/12/2014

10/12/2014

16:45 informamolise.com Sito Web

Acem: soddisfazione per proroga anticipazione 10% su appalti pubblici

anche nel 2015

L'ACEM (Associazione Costruttori Edili del Molise), esprime soddisfazione per l'annuncio del Governo di voler

prorogare anche per l'anno 2015 l'anticipazione del 10% sul prezzo di appalto reintrodotta nella normativa sui

lavori pubblici con la conversione in legge del decreto "del fare" nell'agosto del 2013. Nelle settimane scorse,

il Vice Presidente ANIEM Angelo Santoro aveva inoltrato alle Camere un apposito emendamento e della

questione l'ACEM aveva interessato anche il Senatore Roberto Ruta nel corso della conferenza stampa

svoltasi il 1° dicembre scorso sulla legge di stabilità presso la sede di Via Cavour."Ringrazio a nome delle

imprese iscritte il Vice Presidente nazionale Angelo Santoro - dichiara il Presidente dell'ACEM Corrado Di

Niro - per il lavoro svolto a Roma anche ai fini del ripristino della misura e mi auguro come appreso

stamattina che la norma possa trovare stabilizzazione nell'ordinamento".

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SCENARIO EDILIZIA

10 articoli

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12/12/2014 Pag. 3 Corriere della Sera - Milano (diffusione:619980, tiratura:779916)

11 SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

Paralisi delle autorizzazioni ambientali A rischio le grandi opere per il 2015

Via metà dei dipendenti incaricati del rilascio. Lettera di Podestà a Renzi: fate qualcosa Maurizio Giannattasio

Da urgenza si è trasformata in emergenza. Perché a questo punto sono a rischio le grandi opere, sia quelle

connesse a Expo come i cantieri di Cascina Merlata, la via d'Acqua Sud, la cava Triboniano, sia quelli legati

alla Teem, come la riqualificazione della Cassanese, sia la M4 con la bonifica del deposito di San Cristoforo.

In tutto 29 cantieri strategici.

La progressiva paralisi delle autorizzazioni ambientali rilasciate dalla Provincia sta creando uno sconquasso

tra imprese e aziende. Dal 10 dicembre, metà dei dipendenti a tempo determinato di Palazzo Isimbardi che si

occupano del rilascio delle autorizzazioni, sono rimasti a casa a causa dello Svuota Province, l'altra metà

terminerà il lavoro a fine dicembre. La previsione è che a fine anno si bloccheranno 3.640 permessi su 7.000.

Una situazione dirompente. Tanto che il presidente Guido Podestà ha preso carta e penna e ha scritto un

accorato appello al premier, Matteo Renzi, al governatore Roberto Maroni, al commissario straordinario

Giuseppe Sala e al presidente dell'Autorità anticorruzione, Raffaele Cantone in cui si chiede di intervenire

subito. «Vi invio questa nota per sottolineare, ancora una volta, la criticità legata al proseguimento delle

attività da portare a termine per completare in tempo le opere connesse alla realizzazione dell'Esposizione

Universale... siamo seriamente preoccupati in merito alle garanzie del mantenimento dell'operatività delle

funzioni collegate al rilascio delle autorizzazioni in corso». E giù con un elenco di «opere a rischio». «I cantieri

per i lavori a Cascina Merlata, l'ampliamento dell'autostrada A4, le bonifiche della cava di Triboniano e di

parte della Rho-Monza, i parcheggi remoti di Expo, oltre alla realizzazione di BreBeMi, Teem, M4 e M5». Non

solo. Come sottolinea lo stesso Podestà, il mancato rilascio della autorizzazioni non riguarderà solo Expo,

«ma la loro assenza causerà anche il blocco di oltre il 50 per cento delle istruttorie attualmente in corso e che

riguardano il rilascio delle autorizzazioni sia di rinnovo, sia per l'avvio di nuove attività e modifiche di quelle

esistenti, il cui mancato ottenimento, in questo difficile momento economico, sono in molti casi determinanti

per la sopravvivenza delle imprese». La richiesta finale è semplice: si trovi il modo di reintegrare il più in fretta

possibile i 24 dipendenti del settore Ambiente, oltre al direttore del settore Bonifiche e rifiuti. Incarichi

altamente qualificati e tecnici visto che per formare il personale ci sono voluti due anni di corsi. Lo stesso

tempo che ci vorrà per formare dei sostituti tra il personale a tempo indeterminato della Provincia. Ma tutto

questo tempo non c'è. E soprattutto non è arrivata nessuna risposta alla lettera da parte del governo: «Noi

tutto ciò che potevamo fare l'abbiamo fatto - conclude Podestà -. Se però non c'è attenzione rispetto al

territorio vuol dire che le riforme che hanno portato alla chiusura delle Province e all'istituzione della Città

metropolitana non hanno nulla a che fare con l'interesse dei cittadini e delle imprese. Se ci fosse la volontà,

non credo che il governo avrebbe difficoltà, nell'anno di Expo, a consentire il rinnovo di questi contratti».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Emergenza a Palazzo Isimbardi Procedimenti aperti Punti vendita ENI connessi a grandi progetti Gobba Est

Gobba Ovest Muggiano Est San Giuliano Est San Giuliano Ovest 4 MM4 1 BreBeMi 6 Teem 18 Expo Teem

Gessate (3 cantieri) Muggiano Ovest Area C Pila 17 Cerro al Lambro Tiro al Volo Via d'Acqua Sud Strada

Provinciale Rho-Monza BreBeMi Bonifica oleodotto Pioltello EXPO 2015 Bonifica sito EXPO Paderno

Dugnano Cassanese Cernusco sul Naviglio Cascina Merlata Serbatoio Monitoraggio falda Cava Triboniano

Nord Sud Cantieri A4 Arluno Sedriano d'Arco Linea 4 Forlanini 2 Deposito San Cristoforo Metropolitana di

Milano Bonifica area ex Cava Tre Castelli 29 Dimezzati i dipendenti della Provincia: a fine anno si

bloccheranno permessi su 7.000 3.640

Il dossier

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12/12/2014 Pag. 3 Corriere della Sera - Milano (diffusione:619980, tiratura:779916)

12 SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

Il presidente della Provincia Guido Podestà (foto ) ha lanciato l'allarme via lettera a Expo spa, Regione

e governo Metà dei dipendenti dell'ente locale lasciati a casa dallo «Svuota Province»:

stop a 3.640 autorizzazioni ambientali

su settemila

da concedere

Il documento

Il testo dell'appello al governo: «Siamo seriamente preoccupati: a rischio le opere connesse a Expo»

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13 SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 5 Corriere della Sera - Milano (diffusione:619980, tiratura:779916)

Metrò 4, un conto da tre miliardi e mezzo

La «blu» peserà per trent'anni sui bilanci del Comune. «Cantiere in Solari, palazzi a rischio crolli» Paola D'Amico

Tre miliardi e 461 milioni è quanto peserà M4 sui bilanci del Comune per i prossimi trent'anni. Tra mutuo e

costi di gestione, questa sarà la cifra da spalmare sulla spesa corrente fino al 2045. Senza calcolare i costi

dello Stato e dei privati. Le stime nere su bianco sono state presentate ieri, nella commissione Trasporti a

Palazzo Marino convocata dal presidente Carlo Monguzzi per fare chiarezza sui molti punti interrogativi

sollevati dalla delibera di giunta di venerdì scorso.

L'impatto della nuova linea metropolitana sarà di 10,43 milioni nel 2015 e crescerà progressivamente fino a

toccare il massimo nel 2034 con 174,18 milioni di euro. Negli undici anni successivi il costo per il Comune

oscillerà fra 99 e 122 milioni all'anno.

Martedì dovrebbe essere costituita la società mista (Comune più privati e Atm) e il giorno dopo si procederà

alla firma dei contratti. Questo è un passaggio indispensabile per andare al closing con le banche, per il maxi

prestito da 400 milioni di euro. La società mista dovrà acquistare gli asset della società che ha finora

realizzato la prima tranche di M4, da Linate a Forlanini Fs. E per questo il Comune ha chiesto una perizia

giurata sui beni della società, che valgono non meno di 60 milioni di euro. Il tempo vola e il closing deve

essere fatto entro il 31 dicembre. «Non siamo sicuri che faremo il closing - ha detto ieri il direttore generale

Tomarchio - ma per salvare 172 milioni ed evitare un inevitabile e oneroso contenzioso, cerchiamo di

chiudere».

Appena costituita la società sarà necessario l'aumento di capitale, pari a 75 milioni di euro, 50 dei quali a

carico del Comune. Lunedì la commissione tornerà a riunirsi e sarà data voce anche ai cittadini. Il Comitato

Dezza-Foppa-Solari, che aveva presentato ricorso al Tar contro l'ipotesi del cantiere di calaggio nel parco

Solari - cantiere che oltre ad essere paurosamente invasivo in una zona sottoposta a tutela potrebbe mettere

a rischio la stabilità degli edifici del Portaluppi sorti negli anni Trenta in via Foppa - ha presentato «istanza di

prelievo» per ottenere un'udienza in tempi rapidi. «È un atto dovuto, nell'interesse nostro e del Comune»,

spiega Orietta Colacicco, segretaria e portavoce del Comitato. Perché nella malaugurata ipotesi che si arrivi

ad aprire il cantiere e solo dopo il Tar decida una sospensiva sarebbe un disastro. L'assessore Franco

D'Alfonso, martedì sera, ad un'assemblea di quartiere organizzata da Milano Civica, era stato chiaro:

«L'opera non si fa se non si fa il closing, oppure se Pizzarotti vince il ricorso, o ancora se lo vincete voi

cittadini». In via Foppa ci sono palazzi con i piedi d'argilla come quello al civico 6 che pende, visibilmente. Si

presume che le fondamenta siano state fatte con palificazioni in legno, poi erose dall'acqua di falda che negli

ultimi cinquant'anni è risalita di oltre 7 metri. Negli ultimi anni sono stati oggetto di imponenti iniezioni di

calcestruzzo a pressione. Ma anche i commercianti del Lorenteggio chiedono udienza: «L'ultima volta che

abbiamo visto il progetto - dice il portavoce Gaetano Bianchi - era il 2008 e non era così invasivo».

[email protected]

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Il progetto

La linea blu attraverserà

la città da Est (capolinea a Linate )

a Sud-Ovest (stazione San Cristoforo Fs) La M4 avrà 21 stazioni

e si snoderà lungo la città per 15,2 chilometri Il costo complessivo

supererà i 2 miliardi

di euro: 1,8 senza Iva e 1,6 al netto degli ammortamenti 200 I milioni

di euro di investimento diretto dei privati (Salini Impregilo

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14 SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 5 Corriere della Sera - Milano (diffusione:619980, tiratura:779916)

e Ansaldo)

Foto: Le foto dei palazzi

di via Foppa, minacciati dai cantieri M4,

sul sito Internet milano. corriere.it

Foto: Una ricostruzione digitale del cantiere di calaggio inserito tra

il parco Solari

e le abitazioni di via Foppa realizzato

dai comitati; a sinistra, l'area di via Dezza dove saranno portate le terre di scavo

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15 SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 13 Il Sole 24 Ore (diffusione:334076, tiratura:405061)

Investimenti. Presentate 93 iniziative da finanziare

Dall'Italia progetti per 83 miliardi

Alessandro Arona

I SETTORI

Il pacchetto più rilevante riguarda Ricerca, Pmi

ed economia digitale: vale 40 miliardi. Poi l'Energia

con 13,9 e i Trasporti con 12,1

ROMA

Nell'ultima versione delle proposte italiane per il piano di investimenti della Commissione europea (il piano

Juncker) ci sono 93 "progetti" (singole opere o programmi), per un investimento previsto nel prossimo triennio

(2015-2017) da 83,7 miliardi di euro, il 16,7% del totale presentato dai 28 paesi Ue, pari a circa 500 miliardi di

euro.

Il totale delle proposte europee, anche oltre il periodo 2015-17. ammonta a 1.300 miliardi di euro, e la quota

Italia vale 165,5 miliardi (il 12,7%), ma per ora la Commissione si concentrerà sul pacchetto a breve termine.

Nei 93 progetti italiani c'è davvero di tutto, da opere pubbliche come l'alta capacità ferroviaria a opere private

nel campo dell'energia, la banda larga, la ricerca, la siderurgia, i programmi di sostegno alle Pmi.

La lista è divisa per settori. «Ricerca, Pmi ed economia digitale» vale 40 miliardi di euro di investimenti

realizzabili nel 2015-17; il settore «Energia» vale 13,9 miliardi; le proposte sui «Trasporti» 12,1 miliardi; le

«Infrastrutture sociali» (sono tutti progetti per la scuola) 6,75 miliardi; infine l'«Ambiente», vale circa 11

miliardi (il dettaglio delle proposte italiane al piano Juncker sul prossimo numero di «Edilizia e Territorio», Il

Sole 24 Ore).

Le opere pubbliche "pure" valgono 21 miliardi di euro (su 83 totali). Troviamo ad esempio molte tratte ad alta

capacità ferroviaria: 700 milioni per la Torino-Lione, 1.378 per il Brennero, un miliardo ciascuno per il Terzo

Valico di Genova e la Brescia-Padova. Poi ci sono 600 milioni per il completamento dell'autostrada Salerno-

Reggio Calabria. Ma anche gli oltre 7 miliardi di euro del piano anti-dissesto idrogeologico e 6,7 miliardi per le

scuole (4 per l'edilizia e 2,7 per altri progetti, tra anche l'assorbimento dei 150mila precari).

Il Fondo per gli investimenti (Efsi) che sarà istituito in base al Piano Juncker (si stima che possa essere

operativo per giugno prossimo) avrà una dotazione iniziale di 21 miliardi di euro, e non fornirà finanziamenti a

fondo perduto, ma solo prestiti o garanzie su prestiti. Il vantaggio per le opere pubbliche sarà dunque solo in

termini di minori tassi di interesse e anticipazione su fondi a lungo termine.

Nel pacchetto italiano ci sono poi progetti privati per 19 miliardi di euro, quali gli investimenti nel settore

aerospaziale (Ctna, 4,2 miliardi), il cluster tecnologico Spring per la chimica verde (1,7 miliardi), la banda

larga Metroweb (1,5 miliardi), il piano ambientale dell'Ilva su Taranto (1,7 miliardi). Qui il ruolo del fondo è

chiaro: finanziare progetti che per il livello di rischio e la durata non trovano prestiti sul mercato.

Ruolo analogo per le molte iniziative di partenariato pubblico privato, come il piano per la banda ultralarga

aiutato dal credito d'imposta fino al 50% (7,2 miliardi) e le autostrade in project financing (Pedemontana

Veneta, Campogalliano-Sassuolo, Orte-Mestre).

Cifre importanti sono poi indicate per vari filoni a favore delle Pmi, come il fondo di garanzia (2 miliardi), la

nuova Sabatini (7,2 mld) e gli incentivi a minibond e covered bond (500 milioni).

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16 SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 16 Il Sole 24 Ore (diffusione:334076, tiratura:405061)

Innovazione. Il cluster nazionale ha presentato al Miur e al Mise un documento per rilanciare la manifattura

Da «Fabbrica intelligente» road map per sette progetti

Matteo Meneghello

Una «road map» per mettere concretamente il manifatturiero al centro dello sviluppo del paese. Il cluster

Fabbrica Intelligente (Cfi), che comprende circa 300 associati tra imprese, università ed enti di ricerca, ha

consegnato ieri al ministero dell'Università e della Ricerca e al ministero dello Sviluppo un documento

contenente sette linee di intervento per il rilancio dell'industria manifatturiera italiana. Un gesto concreto per

contribuire all'orientamento delle politiche industriali verso le reali esigenze delle imprese, ottemperando

contemporaneamente agli obiettivi di Europa 2020.

In buona sostanza: la road map punta sulla personalizzazione delle produzione, sulla valorizzazione delle

persone nelle fabbriche, sullo sviluppo di processi e materiali innovativi, sulla capacità di adattamento ed

evoluzione. I primi quattro progetti di ricerca e formazione avviati dal cluster (ha sede a Bologna, presso il

consorzio Aster) che prevedono lo sviluppo di attività e di ricerca industriale e formazione per un valore di

circa 43 milioni (cofinanziato da Miur e dalle aziende partecipanti ai progetti) si ispirano proprio a queste linee

d'intervento.

Nel dettaglio, il primo progetto, battezzato Sustainable manufacturing (il referente è l'azienda varesina

Finnord), punta a introdurre nei sistemi produttivi processi in grado di minimizzare gli impatti ambientali

negativi, permettendo il risparmio di energia e di risorse naturali. La seconda linea di intervento, Adaptive

manufacturing (capofila è Scm group di Rimini) prevede lo sviluppo di tecnologie e soluzioni che rendano le

fabbriche flessibili ed efficienti, in grado di adattarsi ai veloci cambiamenti del mercato. Altra lina di intervento

è Smart manufacturing 2020: un progetto che sta sviluppando l'utilizzo di tecnologie digitali per rendere le

aziende manifatturiere più competitive, produttive e reattive alle necessità del mercato (referente industriale è

Siemens Italia). Infine il progetto High performance manufacturing sta lavorando sul settore dei beni

strumentali per l'industria, con l'obiettivo di sviluppare macchine e sistemi di produzione che contribuiscano al

concetto di «fabbrica intelligente», inteso come centro produttivo sostenibile e competitivo in grado di

fronteggiare efficacemente i rapidi cambiamenti del settore. Il referente industriale è l'azienda piacentina Mcm

machining.

«Questi progetti - ha spiegato ieri il presidente di Cfi, Tullio Tolio - sono già avviati. Per due, in particolare,

siamo in attesa di definire le ultime formalità con il ministero prima della firma definitiva».

Il manifatturiero italiano, con un fatturato superiore ai 900 miliardi di euro, oltre 425mila imprese e 4 milioni di

addetti, è uno dei più importanti in Europa, secondo solo a quello tedesco ai quali, però, spesso si invidia la

capacitò di «fare sistema» e di presentarsi compatti di fronte alle sfide della ricerca e dell'investimento in

sviluppo. «Si parla spesso di aggregazione e di fare rete - ha aggiunto Gianluigi Viscardi, vicepresidente della

Piccola industria di Confindustria -, questo è un esempio concreto. Siamo partiti con un'idea due anni fa, ora

raccogliamo i primi risultati: stiamo creando una comunità stabile di imprenditori che vogliono innovare e

mettere a fattore comune le loro conoscenze».

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17 SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 15 La Repubblica - Torino (diffusione:556325, tiratura:710716)

La città e l'economia

Il costo della manodopera escluso dalle gare d'appalto

Chi vuole lavorare per il Comune non può praticare ribassi a spese del personale I sindacati concordano: "Così le aziende dovranno risparmiare su altre voci" DIEGO LONGHIN

NON si potrà più giocare sulla paga di un operaio o di un manovale di cantiere per vincere un lavoro. Il

Comune pronto ad intervenire sugli appalti al massimo ribasso. A prendere la questione in mano l'assessore

Domenico Mangone che tra le sue deleghe ha pure quelle dei contratti e appalti.

Già ora tutti i costi che riguardano la salute e la sicurezza non possono essere oggetto di ribasso nelle gare

fatte da Palazzo Civico. Le imprese, insomma, non possono fare risparmi sulla voce specifica, calcolata e

fissata a monte, per battere la concorrenza e vincere il lavoro.

L'assessore Mangone vuole andare oltre e tenere fuori dal gioco dei ribassi il costo del lavoro.

Un aspetto su cui le aziende edili, una volta che verrà definito in maniera puntuale il provvedimento, non

potranno più intervenire limando fino all'osso la spesa di tecnicie operai per cercare di accaparrarsi le gare.

Il ribasso rispetto al prezzo base definito dal Comune si potrà applicare solo sulle altre voci.

Un modo per eliminare il rischio lavoro in nero dai cantieri.

Dal punto di vista dell'assessore Domenico Mangone, che vorrebbe arrivare alla definizione del

provvedimento tra la fine e l'inizio dell'anno, si tratta di un provvedimento che permetterebbe di arrivare ad

una concorrenza sana tra le imprese, evitando soglie di ribasso che, complice la crisi, arrivano ad oscillare

anche attorno al 3040 per cento rispetto alla base fissata dagli enti pubblici, Comune compreso. Spese ridotte

al massimo soprattutto sulle spalle degli addetti dei cantieri.

L'iniziativa di Palazzo Civico, che sarà trasformata anche in un protocollo d'intesa con le parti sociali, sia

associazioni di categoria delle imprese sia sindacati edili, è innovativa rispetto al panorama nazionale. «Un

primo passo a Torino si era fatto con la firma di un protocollo in prefettura, di sicuro la scelta del Comune di

Torino fa da apripista - spiega Marco Bosio segretario generale della Fillea Cgil - le imprese potranno agire

su altri fattori e non sulla manodopera». Il rischio che alla fine si giocherà sulle poche voci che rimangono,

come i materiali, per conquistare gli appalti? «Ma no - risponde Bosio - ci sono altri elementi. Le aziende

dovranno rivedere i modelli organizzativi, i costi non necessari. Con questo sistema ci si avvicina al sistema

dell'offerta economicamente vantaggiosa, secondo noi più sano per aggiudicare i lavori». PER SAPERNE DI

PIÙ Altre notizie e immagini su torino.repubblica.it

Foto: IN CANTIERE Qui, operai edili al lavoro. Sotto l'assessore comunale Domenico Mangone

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18 SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 53 Il Messaggero - Civitavecchia (diffusione:210842, tiratura:295190)

Pecoraro: Appalti a rischio stope'Ater blocca la gara da 25 milioni

Altolà dall'ente per l'edilizia residenziale: stavano per vincere le coop vicine a Buzzi

LA RELAZIONE

Gli appalti pubblici di Roma potrebbero essere interamente commissariati. Ad avanzare l'ipotesi è il prefetto

Giuseppe Pecoraro, ascoltato ieri dalla commissione parlamentare antimafia, proprio nel giorno in cui anche

l'Ater di Roma si aggiunge agli enti della Capitale che decidono di bloccare gare in esecuzione per

scongiurare qualsiasi tipo di ingerenza illecita, fermando un bando da 25 milioni per l'edilizia residenziale

pubblica.

18

I dipartimenti

del Campidoglio

che dovranno

essere ispezionati

Il prefetto spiega all'Antimafia la situazione, proprio nei giorni in cui lavora alla nomina dei tre commissari che

dovranno ispezionare il Campidoglio nei prossimi mesi. «Ho incontrato il presidente dell'Autorità nazionale

anticorruzione: ci potrebbe essere una richiesta di commissariamento degli appalti, se Cantone lo riterrà -

sottolinea Pecoraro - Nell'ambito dei Comuni i controlli non vengono fatti, né ci sono nelle Regioni. L'unico

controllo è quello della Corte dei conti». Secondo il prefetto, quindi, «dobbiamo rivedere l'ordinamento dello

Stato e degli enti locali: ora faremo i controlli che andavano fatti prima, ma probabilmente arriveremo tardi».

Ma sull'eventuale scioglimento del Campidoglio frena: «Nel giro di un paio di mesi avremo idea se sarà

necessario commissariare il Comune di Roma - spiega l'inquilino di Palazzo Valentini - Partiremo da Ostia e

da qualche altro Municipio: se ci saranno situazioni particolari lo segnalerò subito al ministro dell'Interno, ma

se mi dovessi augurare lo scioglimento, da cittadino direi no». Il commissariamento degli appalti, qualora

adottato, comporta la nomina di un esterno a guidare i lavori o i servizi interessati, che possono così

proseguire ma senza vantaggi economici per la società che se li è aggiudicati.

LE ASSEGNAZIONI

La moratoria sugli appalti, intanto, tocca anche l'Azienda territoriale per l'edilizia residenziale (Ater) di Roma,

ente di competenza regionale. «C'era una gara in corso per Ater per 25 milioni - dice il procuratore capo

Giuseppe Pignatone, intervenuto all'audizione all'Antimafia - Anche questa è stata sospesa in attesa in

informazioni: anche qui si profilava un'aggiudicazione a Buzzi e alle solite cooperative». Pignatone ha inoltre

ricordato che il presidente della Regione, Nicola Zingaretti, «ha ritenuto di revocare un appalto per il Recup

del valore di non meno di 60 milioni di euro: i benificiari sarebbero stati in tutto e in parte Buzzi o le sue

cooperative». Alla Pisana quindi si punta forte sulla trasparenza. Una strada seguita anche in Campidoglio,

dove sono stati già bloccati gli appalti del Servizio giardini, dopo il misterioso furto di un computer nella sede

di Porta Metronia. Ignazio Marino ha poi avviato la rotazione dei dirigenti di dipartimenti e municipi, in attesa

delle ispezioni disposte dal Viminale. «Il presidente dell'Authority anticorruzione ci fa i complimenti perché si è

applicato un metodo comune nelle aziende, cioè quello della rotazione del personale - dice il sindaco - ma io

sono stato molto criticato quando ho voluto cambiare il comandante della polizia locale, perché ho portato

una persona esterna». Ieri intanto Sabrina Alfonsi, presidente del I Municipio, ha consegnato a Marino «i

fascicoli relativi ad alcuni appalti nel settore dei servizi al Municipio I (vigilanza, Urp, comunicazione

istituzionale) relativi al triennio 2012-2014». Si tratta, spiega il minisindaco, «di appalti assegnati con il

sistema degli inviti indirizzati a numerosi operatori, tra i quali compaiono i nomi di alcune delle cooperative

coinvolte nell'inchiesta della magistratura».

Fa. Ro.

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19 SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 53 Il Messaggero - Civitavecchia (diffusione:210842, tiratura:295190)

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20 SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 53 Il Messaggero - Umbria (diffusione:210842, tiratura:295190)

Sicurezza sul lavoro: le regole

«TUTELARE I LAVORATORI MA ANCHE I COMMITTENTI» Stefano Vinti Assessore regionale

DAL PALAZZO

All'insegna del concetto che la sicurezza è cultura, metodo, rispetto delle regole, ma soprattutto non è mera

burocrazia.

L'assessore regionale Stefano Vinti ieri mattina al Centro edile per la sicurezza e la formazione (Cesf) ha

illustrato il nuovo regolamento regionale relativo alla legge regionale emanata il 17 settembre 2013 - relativa

alle "cadute dall'alto" - è entrato in vigore dal 5 dicembre con la pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della

Regione.

«Le cadute dall'alto - ha detto Vinti - rappresentano il 51 per cento degli incidenti sul lavoro e sono causa del

30 per cento delle morti bianche nella nostra regione alle quali ogni anno si aggiungono numerosissimi casi di

incidenti che provocano feriti ed invalidità anche importanti».

Ad ascoltare, ieri, una platea di rappresentanti di ordini professionali, imprese, lavoratori ed organizzazioni

sindacali. Questo il primo step, ora inizierà una campagna di informazione e sensibilizzazione. «E' il primo

regolamento di attuazione della legge 16 del 2013 che detta norme ed indica presidi di sicurezza per la

prevenzione delle cadute dall'alto ed è evidente che è l'inizio di passi importanti in questo settore - ha

sottolineato Vinti - siamo partiti con il regolamento che riguarda l'edilizia ed a questo seguiranno a breve

quelli dedicati all'industria e all'agricoltura».

Il regolamento riguarda tutte le attività in quota che si svolgono nel campo dell'edilizia, con l'obiettivo di

tutelare il lavoratore, ma anche il committente, che quasi sempre ignora le sue responsabilità di natura anche

penale, facendo in modo che, nel momento in cui si opera sulle coperture o su facciate particolari di un

edificio siano stabilite a monte le modalità con cui eseguire gli interventi e sia stabilita una procedura unica di

affidamento da parte del committente privato all'impresa o al lavoratore autonomo che sale in quota.

Luigi Foglietti

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21 SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 13 QN - Il Resto del Carlino - Rimini (diffusione:165207, tiratura:206221)

CATTOLICA HOTEL E PRIVATI RISTRUTTURANO: I SOLDI DAGLI ONERI DI URBANIZZAZIONE

L'edilizia riparte, il Comune ringrazia

In arrivo nelle casse di Palazzo Mancini cinquecentomila euro dopo anni di stop Luca Pizzagalli

IL SETTORE dell'edilizia cattolichina pare tornare a respirare e la Regina ricomincia a sperare, così pure

negli oneri di urbanizzazione per allentare nel 2015 i lacci della sua borsa, sempre più stretta. Nell'ambito

delle domande per i nuovi «Poc» (piani operativi comunali) stanno giungendo a palazzo Mancini decine di

domande di interventi, da parte di privati, ed ancora potrebbero aumentare visto che il termine per tali

domande scade al 31 dicembre. E proprio per questo l'amministrazione comunale ha previsto a bilancio, a

conferma di tutto ciò, una cifra significativa anche dagli oneri di urbanizzazione, dopo anni di vacche magre.

«Siamo fiduciosi e gli oneri di urbanizzazione - spiega Leo Cibelli, vicesindaco - potrebbero aggirarsi il

prossimo anno attorno ai 500.000 euro, una cifra importante per le casse comunali di questi tempi. Una cifra

che, unita ad altre entrate, potrebbe permetterci interventi di riqualificazione cittadina significativa nei prossimi

mesi». L'assessore fa il punto così su un settore che proviene da 4 anni durissimi: «Sino al 2010 gli oneri di

urbanizzazione rappresentavano per un Comune come il nostro una voce significativa nel settore delle

entrate dice Cibelli - si pensi che potevano superare anche un milione di euro all'anno ma poi con la crisi si è

bloccato tutto e negli ultimi anni tali oneri sono arrivati quasi allo zero, ora qualcosa pare essere cambiato».

Basti ribadire che sono almeno una quarantina le richieste di intervento nei «Poc» anche da parte di

albergatori: chi per ristrutturare e rinnovare la propria struttura, chi per farne appartamenti. Ma insomma il

settore edile dà segni di risveglio. Poi naturalmente deciderà proprio l'amministrazione, anche a livello

politico, a chi concedere cubature e appartamenti ma di sicuro i privati mostrano intenzione di investire. E gli

oneri di urbanizzazione dunque tornano a salire. Intanto pare oramai decisa pure la sorte di una farmacia

comunale. La sua vendita a privati, tramite bando, sarà ufficializzata nel consiglio comunale del prossimo 22

dicembre, data non ancora ufficiale ma proprio a poche ore dal Natale. Un affare da oltre 1 milione e 200 mila

euro e che pare oramai destinato ad essere autorizzato dal Pd in consiglio comunale. L'amministrazione

conferma la necessità di entrate: «Abbiamo oltre 20 strade da sistemare-spiega Cibelli - e da qui a fine

legislatura (giugno 2016) vorremmo mantenere i nostri impegni». I cittadini e gli operatori turistici attendono

con ansia. Ma intanto se il settore dell'edilizia torna a respirare, tutta l'economia locale torna a sorridere. Luca

Pizzagalli

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22 SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 119 L'Espresso - N.50 - 18 dicembre 2014 (diffusione:369755, tiratura:500452)

Economia opere incompiute

La ferrovia delle beffe

Doveva collegare Lugano a Malpensa. Ma mentre il tratto svizzero è già stato inaugurato, in Italia il cantiere è fermo da anni. E i costi lievitano stefano livadiotti

La scena è surreale. Un binario nuovo di zecca si ferma, in aperta campagna, davanti alla rete metallica che

segna il confne tra l'Italia e la Svizzera, al valico di Gaggiolo. Tutto intorno gruppetti di operai piantano zolle di

prato sul terriccio lasciato in eredità dal cantiere delle Ffs (le ferrovie della Confederazione elvetica),

impegnate fno a pochi giorni fa a realizzare la loro tratta di quello che avrebbe dovuto essere il nuovo

collegamento su binario tra il Canton Ticino e l'aeroporto della Malpensa. E che si è invece trasformato nella

più classica delle opere incompiute. Nel senso che i 6 chilometri di percorso svizzero sono stati completati

con qualche settimana di anticipo sulla tabella di marcia e, dopo un'inaugurazione in pompa magna lo scorso

26 novembre, da metà dicembre entreranno in esercizio. Ma senza portare nessun cittadino del cantone fino

all'hub lombardo, dove a regime dovrebbero arrivare 32 convogli al giorno. Già, perché dall'altra parte della

rete, territorio italiano, c'è solo una manciata di chilometri di cantiere a cielo aperto. Ora: non ci voleva un

veggente per immaginare che gli svizzeri (partiti dopo di noi e capaci di aprire i cantieri senza mai fermare il

traffco ferroviario: chissà cosa sarebbe successo in Italia) ci avrebbero bruciati sul tempo. Ma non a tal punto.

Tanto più che l'azienda cui sono stati affdati i lavori dalle ferrovie elvetiche è la stessa scelta da quelle italiane

per i 9 chilometri (tra raddoppio del vecchio tracciato e nuovi binari) della ArcisateStabio: la Ics Grandi Lavori

di Claudio Salini. Non solo: in qualche caso anche i tecnici che hanno guidato i due cantieri sono gli stessi. Il

fatto è che le Ferrovie dello Stato (Fs) e l'impresa hanno pensato bene di cominciare a litigare tra loro pochi

mesi dopo l'inizio delle operazioni, nel luglio 2010. Così, le ruspe si sono fermate. Dopo però che tre comuni

del varesotto (Induno Olona, Arcisate e Cantello) erano stati sventrati per lo scavo della sede destinata a

ospitare il nuovo doppio binario, che in quell'area correrà lungo lo stesso itinerario del vecchio, ma qualche

metro al di sotto della superfcie stradale. Il risultato è che i circa 25 mila abitanti dei tre paesoni sono ostaggio

delle Fs e dell'azienda di costruzioni da qualcosa come 1.600 giorni: c'è voluto molto meno, quindici anni fa,

per costruire e inaugurare i 15,9 chilometri del ponte sull'Öresund, lo stretto che separa la Svezia dalla

Danimarca. Il cantiere è talmente vicino alle case che, per sbancare la terra e sistemare le barriere anti-

rumore, è stato spesso necessario tagliare balconi, amputare giardini, modifcare gli ingressi degli

appartamenti, mettere fuori uso le rampe dei garage e persino spostare i citofoni. Certo, l'azienda si è

impegnata a rimettere tutto a posto a fne lavori e intanto a custodire ciò che è stato rimosso (in un container

della Ics è ricoverata una mega scultura di Biancaneve, con il suo contorno di sette nani, opera di un cittadino

di Arcisate). Altrettanto ovviamente, le Fs hanno pagato i terreni espropriati (16 milioni, suddivisi tra 400

persone) e indennizzato chi è stato costretto a subire un'occupazione temporanea dello spazio (per il

semplice disagio, invece, la legge italiana non prevede contropartite). Resta il fatto che chi, aspettandosi di

ricevere benefci dalla nuova infrastruttura, aveva accettato di vivere per un certo numero di mesi tra gru e

ruspe è letteralmente prigioniero da quattro anni e mezzo. E rischia di restare nella stessa condizione per

altrettanto tempo. Sì, perché, dopo essersi presi a sberle senza sosta, le Fs e l'impresa di costruzioni si

avviano a una risoluzione consensuale del contratto. Il che signifca che verrà bandita una nuova gara e

un'altra azienda dovrà subentrare nei cantieri. Campa cavallo, insomma. «I valligiani sono gente a sangue

freddo: protestano, ma senza trascendere», dice il capo cantiere della Ics. Che ammette: «In altre zone ci

avrebbero già bruciato nottetempo dormitori e macchinari». Ma la pazienza rischia di esaurirsi, avverte

Angelo Pierobon (Fi), che guida la giunta (con la Lega) di Arcisate e nei giorni scorsi ha annunciato con gli

altri sindaci una denuncia all'autorità giudiziaria, non si sa bene contro chi. L'esemplare vicenda all'italiana si

trascina da maggio 2009, quando la Ics si aggiudica l'appalto e mette nero su bianco un progetto esecutivo

da 160 milioni, che prevede la consegna dei lavori entro il 14 gennaio 2014. A luglio 2010 l'impresa parte a

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23 SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 119 L'Espresso - N.50 - 18 dicembre 2014 (diffusione:369755, tiratura:500452)

razzo. Ma nel marzo 2011 arriva la prima doccia fredda: le analisi, che evidentemente nessuno si era preso la

briga di fare prima, rivelano la presenza nei terreni di una concentrazione naturale di arsenico superiore ai

limiti indicati nelle tabelle ministeriali. Nessun pericolo, s'intende, per le coltivazioni di asparagi che sono un

vanto locale, ma la normativa ambientale italiana parla chiaro: a quella terra va trovata una sistemazione. Ed

è un bel guaio. Anche perché il progetto prevedeva che gli scavi ne producessero 1,3 milioni di tonnellate,

500 mila da riutilizzare nel cantiere e 800 mila che la Ics avrebbe potuto trasformare in calcestruzzo da

impiegare in altre opere o rivendere sul mercato. Ma c'è l'arsenico e non si può fare. Quelli dell'azienda di

costruzioni prendono carta e penna e scrivono al quartier generale delle Ferrovie. Chiedono che la montagna

di materiale in esubero (per avere un'idea: distribuita su una superfcie di 10 ettari formerebbe uno strato alto

13 metri) venga avviata a smaltimento, come secondo loro espressamente previsto dagli accordi, a spese

delle Ferrovie. Che però non hanno nessuna intenzione di farsi carico dei 27,4 milioni necessari e respingono

la palla al mittente. Inizia così il braccio di ferro che fnirà per paralizzare tutto. Anche per il buon motivo che la

Ics ha già riempito di terra i piazzali del cantiere e non può andare avanti negli scavi se non sa dove

sistemare il materiale che ne verrebbe fuori. L'arsenico, per la verità, lo scoprono in proporzioni minori anche

in Svizzera, dove però il problema (relativo a 40 mila tonnellate di terra) viene risolto in pochi minuti con uno

scambio di mail tra Ics e Ffs, che accetta senza battere ciglio di mettere mano al portafoglio per smaltire il

materiale in esubero e far avanzare i binari. In Italia invece si lavora più che altro a colpi di carte bollate. Con

Salini che per tre volte chiede la risoluzione del contratto per improcedibilità dell'appalto e, in subordine, per

eccessiva onerosità sopravvenuta. E le Ferrovie che sulla base di due diversi accordi sborsano all'azienda 28

milioni (cioè più di quanto sarebbe costato all'inizio lo smaltimento dell'arsenico) per l'impossibilità di

riutilizzare la terra e per i danni dovuti al rallentamento dei lavori. A un certo punto la soluzione sembra

miracolosamente a portata di mano. Nella primavera 2013 qualcuno si ricorda di una cava abbandonata, il

sito ideale dove sbolognare le 800 mila tonnellate di terra. Gli enti locali interessati sono d'accordo. La Ics

riprende gli scavi. Ma dura poco. Siamo in Italia: il tempo di effettuare i primi sondaggi e scoprire che la cava

è stata usata come discarica e presenta una concentrazione di idrocarburi superiore alla soglia di

contaminazione. L'impresa di Claudio Salini ferma di nuovo le ruspe. Questa volta defnitivamente, a meno di

colpi di scena. E nessuno sa con precisione quanta parte del progetto sia stata realizzata: il 45 per cento

secondo l'azienda; il 47 per cento per il committente. Vai a capire. Si arriva così al 10 novembre scorso.

Quando gli svizzeri stanno preparando la cerimonia di inaugurazione della loro tratta. E in Italia il Cipe (il

Comitato interministeriale per la programmazione economica) approva un nuovo progetto per il conferimento

(a spese delle Fs) delle terre da scavo in esubero, che in base a una normativa dalla logica imperscrutabile

non possono essere usate per il calcestruzzo, ma vanno benissimo per formare una collinetta artifciale nei

pressi del cantiere. Solo che nel frattempo la Ics ha aggiornato i suoi conti, sulla base di elementi come

l'incremento di forza-lavoro necessario a consegnare l'opera in ventiquattro mesi, il rincaro del gasolio, quello

della manodopera (da 18 a 24 euro l'ora tra il 2008 e il 2014), i maggiori oneri di sicurezza nei cantieri per

l'allungamento dei tempi di lavorazione. E ora, per fnire la ferroviaria che aiuterebbe il rilancio di Malpensa,

chiede 52 milioni in più. Le Ferrovie rispon dono picche (offrendo un solo milione), propongono una

risoluzione consensuale del contratto e annunciano una nuova gara. Insomma, si ricomincia da capo. Come

in un eterno gioco dell'oca. Fotogramma

Foto: i lavori bloccati nel tratto varesino della Ferrovia, nei pressi del comune di cantello

Foto: la nuova stazione ferroviaria di stabio, in svizzera, sulla linea completata in quattro anni

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24 SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 124 L'Espresso - N.50 - 18 dicembre 2014 (diffusione:369755, tiratura:500452)

Speciale Green Il caso Italia

L'economia verde ai tempi di Renzi

Oltre 300 mila imprese innovative: dall'agricoltura biologica all'energia sostenibile. Con fatturati record e 3 milioni di posti di lavoro. Ma il governo non aiuta Giancarlo Sturloni

L'economia verde ai tempi di Renzi C'è un green Italy che non ti aspetti. È fatto di 341 mila imprese che dal

2008 a oggi, per sopravvivere alla crisi economica e occupazionale, hanno innovato prodotti e processi

puntando sulle tecnologie verdi. Facendo di necessità virtù, hanno ridotto l'impatto ambientale e risparmiato

energia, riuscendo così a restare competitive sul mercato e a creare nuovi posti di lavoro. Il rapporto "Green

Italy 2014", appena pubblicato da Unioncamere e dalla Fondazione Symbola, mostra senza equivoci come

anche nel nostro Paese l'economia verde non sia affatto un fenomeno di nicchia: vale il 10 per cento

dell'economia nazionale, con oltre 101 miliardi di euro di valore aggiunto. E offre lavoro a tre milioni di

persone. Se un'azienda italiana su cinque ci ha scommesso è perché conviene. Nel manifatturiero, si legge

nel rapporto, un quarto delle imprese che ha investito in tecnologie verdi ha visto crescere il proprio fatturato.

Non a caso ad abbracciare con più convinzione la green economy sono i comparti trainanti del made in Italy:

alimentare, legno-mobile, fabbricazione di macchinari, attrezzature e mezzi di trasporto, tessile,

abbigliamento e calzature. A cui si aggiunge il balzo in avanti, davvero sorprendente in tempi in cui si tira la

cinghia anche sulla spesa alimentare, del cibo a chilometro zero, che ha raggiunto un fatturato di 3 miliardi di

euro grazie a 7 milioni di italiani che preferiscono acquistare direttamente dagli agricoltori. Mentre il ministero

delle Politiche agricole certifca che nell'ultimo anno le coltivazioni biologiche si sono estese del 6 per cento

per tenere il passo con l'aumento della domanda. Pure nel rapporto "Ambiente in Europa 2014" di

Legambiente si parla di un'Italia più sostenibile, che emette meno gas serra e produce più energia da fonti

rinnovabili. Secondo l'associazione ambientalista si tratta però di una «conversione ambientale

inconsapevole»: frutto della recessione e della necessità di ridurre gli sprechi, più che di una precisa strategia

politica. Già, perché compiere la transizione verso la green economy richiede investimenti a lungo termine,

una programmazione industriale degna di questo nome, disincentivi per chi inquina e un'idea di sviluppo

capace di conciliare economia e ambiente. Vien dunque spontaneo chiedersi se il governo in carica stia

facendo qualcosa per sostenere questa svolta buona verso un'economia verde, da più parti invocata come

un'opportunità da non perdere per favorire la ripresa. Del resto, già all'indomani della vittoria alle primarie

Matteo Renzi aveva defnito la green economy «la chiave del futuro del Paese», creando molte aspettative tra

i fan dello sviluppo sostenibile. Nel programma dei mille giorni, tuttavia, grande assente è proprio la green

economy. E oggi le associazioni ambientaliste accusano il premier di remare in direzione opposta,

incentivando petrolio, inceneritori e autostrade, anziché pale eoliche, differenziata e mobilità sostenibile. Chi

ha ragione? Abbiamo spulciato i provvedimenti del Governo per scoprire quanta green economy c'è nel Renzi

pensiero. Competitivi e Compatibili Il primo provvedimento del governo a fnire nel mirino è stato il decreto

Competitività, meglio noto come decreto Spalma incentivi, convertito in legge lo scorso 7 agosto. Nell'intento

di sgravare del 10 per cento le bollette elettriche per le piccole e medie imprese, ha infatti tagliato gli incentivi

alle fonti rinnovabili, e per di più in modo retroattivo. Sul "Financial Times" e sul "Wall Street Journal" si è

sottolineato come la retroattività mandi in frantumi il patto di fducia con le imprese che avevano investito

sull'eolico e sul fotovoltaico, prefgurando una fuga di investimenti all'estero e una valanga di ricorsi. Un vero

peccato considerato che, secondo un rapporto elaborato dalla società Althesys per Greenpeace, nel 2013 in

Italia le rinnovabili hanno prodotto ricadute economiche per 6 miliardi di euro, dando occupazione a oltre 63

mila persone. Ora alcune associazioni di categoria come Assorinnovabili temono che molte imprese possano

fallire, mandando in fumo posti di lavoro. E Legambiente denuncia che il provvedimento non ha toccato gli

incentivi ai combustibili fossili, che tra sussidi diretti e indiretti ammontano a 12 miliardi di euro all'anno. Due

pesi e due misure che stonano rispetto agli impegni presi contro i cambiamenti climatici. Ma una luce c'è

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25 SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 124 L'Espresso - N.50 - 18 dicembre 2014 (diffusione:369755, tiratura:500452)

anche nel decreto Spalma incentivi che prevede esenzioni per gli impianti più piccoli, di potenza inferiore a 20

kW, che non pagheranno più gli oneri di sistema. Viene avvantaggiata anche la produzione di energia per

autoconsumo, con l'innalzamento da 200 kW a 500 kW della potenza massima per poter usufruire del

cosiddetto "scambio sul posto" (cioè la possibilità di cedere alla rete elettrica una parte dell'elettricità prodotta

da un impianto privato, quella che non viene consumata subito perché prodotta in eccesso, prelevandola

quindi in un momento successivo, quando se ne ha bisogno). mano libera al Cemento Ma l'opposizione degli

ambientalisti si è fatta sentire soprattutto quando è stato proposto il decreto Sblocca Italia, convertito in legge

lo scorso 5 novembre e già ribattezzato "Sporca Italia". Secondo il Wwf contiene ben 11 disposizioni che

avranno come unico effetto l'indebolimento delle tutele ambientali, lasciando mano libera agli interessi

speculativi sui beni comuni. Secondo i più critici, il provvedimento sembra pensato per sbloccare più che altro

colate di cemento, trivelle e inceneritori. Quasi la metà dei circa 4 miliardi destinati alle grandi opere servirà

infatti per costruire strade e autostrade, solo un quarto fnanzierà il trasporto su ferrovia, e meno di un decimo

andrà a reti metropolitane e tranviarie. Contestate anche le norme per snellire le procedure di autorizzazione

dei lavori edili e la proposta di creare una rete nazionale di inceneritori, che rischia di rendere meno

conveniente la raccolta differenziata. Nel libro "Rottama Italia" pubblicato da Altreconomia il fondatore di Slow

Food Carlo Petrini ha defnito l'iniziativa del governo «uno shock assoluto», un provvedimento che, senza

alcuna lungimiranza e tutto a favore delle lobby dell'edilizia, favorirà un'ulteriore cementifcazione del territorio.

Mentre, al contrario, avremmo urgente bisogno di ridurre il consumo di suolo, che continua a scomparire al

ritmo sbalorditivo di 70 ettari al giorno. Con il risultato che il terreno, ricoperto dall'asfalto e reso fragile dal

disboscamento e dall'erosione, al primo acquazzone fnisce per mandarci sott'acqua o franarci sotto i piedi.

Ma quel che meno piace agli ambientalisti del decreto sono alcuni provvedimenti per velocizzare le

autorizzazioni di sfruttamento dei giacimenti italiani di idrocarburi. Come il fatto che la concessione per le

esplorazioni e per l'attività estrattiva debba essere accordata o negata dallo Stato, limitando il ruolo

decisionale degli enti locali e delle valutazioni di impatto ambientale. non ci restano che i bonus Qualche

notizia positiva arriva invece dalla legge di stabilità, che proroga al 2015 i cosiddetti "ecobonus", le detrazioni

fscali per gli interventi di riqualifcazione energetica degli edifci. Un'effcace misura anticiclica che secondo

Ermete Realacci, presidente della Commissione ambiente territorio e lavori pubblici della Camera, l'anno

scorso ha prodotto 28 miliardi di investimenti e 340 mila posti di lavoro, tra diretti e indotto, derivati dal credito

di imposta per le ristrutturazioni e il risparmio energetico in edilizia. Nello specifco, i cittadini potranno

benefciare di detrazioni del 50 per cento per ristrutturare casa o acquistare mobili e grandi elettrodomestici di

classe non inferiore ad A+, e di detrazioni del 65 per cento per interventi di risparmio energetico qualifcato

come l'installazione di pannelli solari o di uno scaldabagno a pompa di calore. Da più parti si chiede però che

il governo stabilizzi l'ecobonus anziché rimetterlo in discussione ogni anno, con il solo risultato di creare

incertezza tra le aziende e i cittadini. Ma per una volta la decisione di estendere provvedimento al 2015 mette

tutti d'accordo: governo, imprese, lavoratori, associazioni ambientaliste. pagine 124 - 125: P. Paolini -

TerraProject / Contrasto, pagine 126 - 127: M. D'Ottavio - Buenavista, M. Borzoni - TerraProject / Contrasto,

R. Caccuri - Contrasto

Job sì, ma solo eco

Le occupazioni verdi resistono alla crisi. Secondo InfoJobs.it, società specializzata nel recruiting online, negli

ultimi cinque anni la richiesta di posizioni "green" è cresciuta del 10 per cento all'anno, con un'ulteriore

accelerazione nel primo trimestre del 2014. Le offerte provengono soprattutto dalle regioni del centro-nord:

Lombardia (28 per cento), Veneto (15 per cento), Lazio (10,5 per cento), Piemonte (10,5 per cento) ed Emilia

Romagna (9 per cento). Nel settore edile si cercano soprattutto ingegneri ambientali, architetti specializzati in

bioedilizia e tecnici certificatori. Mentre il comparto delle rinnovabili offre posizioni per esperti di

riqualificazione energetica, addetti alle vendite, progettisti e installatori di impianti fotovoltaici. Buone

opportunità anche nel settore del riciclo e dello smaltimento dei rifiuti dove, secondo l'Ocse, tra il 2000 e il

2007 l'occupazione è quasi raddoppiata. La green economy si gioca infine su un'imprenditoria più attenta

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26 SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 124 L'Espresso - N.50 - 18 dicembre 2014 (diffusione:369755, tiratura:500452)

all'ambiente che negli ultimi anni si è sviluppata nei più svariati settori: dalla biocosmesi alla produzione di

giocattoli eco-compatibili, dall'ecoturismo all'agricoltura biologica. Secondo lo studio "Green Italy 2014" di

Unioncamere e Fondazione Symbola, chi cerca lavoro ha maggiori possibilità di trovarlo nelle aziende che

hanno puntato sulla green economy: si stima che quest'anno assumeranno 234 mila persone, oltre il 60 per

cento delle nuove posizioni lavorative.

2030: fuga dai gas inquinanti

Lo scorso 23 ottobre l'Unione Europea ha fssato gli obiettivi da raggiungere entro il 2030 per mitigare i

cambiamenti climatici. Prevedono un taglio alle emissioni di gas serra del 40 per cento rispetto ai valori di

riferimento del 1990, l'impegno a portare al 27 per cento la quota di consumi energetici prodotti da fonti

rinnovabili e ad aumentare del 27 per cento l'effcienza energetica. Riuscire ad accordarsi su un taglio delle

emissioni vincolante anche per i singoli Paesi membri non era affatto scontato, soprattutto considerando le

resistenze del blocco orientale guidato dalla Polonia, ancora fortemente dipendente dal carbone. Resistenze

che però hanno fnito per annacquare gli impegni sulle rinnovabili e sull'effcienza energetica, non vincolanti e

da più parti giudicati inadeguati. Per rianimare la lotta ai cambiamenti climatici serviva un defbrillatore e

l'Unione si è presentata con una manciata di sali, accusa Greenpeace. Anche il nostro governo puntava a

rendere obbligatoria soltanto la riduzione delle emissioni, come aveva ammesso, non senza polemiche, il vice

ministro allo Sviluppo economico Claudio De Vincenti in un'audizione alla Camera lo scorso giugno. Del

resto, ridurre le emissioni è un obiettivo più facile da raggiungere in tempi di recessione, mentre incentivare le

rinnovabili e l'effcienza energetica è più arduo perché necessita investimenti. A sorpresa, il 12 novembre

anche Stati Uniti e Cina hanno annunciato un accordo bilaterale per tagliare i gas serra. Per la prima volta, i

due giganti dell'economia, responsabili di quasi la metà delle emissioni mondiali di CO2, prenderanno

provvedimenti per calmierare la febbre del pianeta. Obama ha promesso una riduzione del 25-28 per cento

entro il 2015 rispetto ai valori del 2005, mentre il presidente cinese Xi Jinping si è impegnato a porre un freno

ai gas serra a partire dal 2030. La Cina, già leader nella produzione di impianti eolici e fotovoltaici, ha inoltre

deciso di portare al 20 per cento la quota di energie rinnovabili, aprendo così un enorme mercato per le fonti

pulite. Nonostante scenari di sviluppo molto promettenti, purtroppo in Italia gli investimenti sulle rinnovabili

sono in calo e le nostre aziende fuggono verso l'estero. Il rapporto Irex elaborato dalla società Althesys

certifca che nel 2013 da noi il fotovoltaico si è contratto del 30 per cento, l'eolico quasi del 40 per cento. In un

solo anno, gli investimenti sulle rinnovabili delle aziende italiane hanno subito un tracollo di 2,3 miliardi di

euro, mentre tre quarti dei nuovi impianti sono stati realizzati all'estero. Colpa anche di politiche non sempre

oculate. Secondo Althesys il ritardo sulla Germania è dovuto soprattutto al carico eccessivo di fsco e

burocrazia. Mentre il Movimento 5 stelle calcola che negli ultimi due anni siano stati emanati almeno otto

diversi provvedimenti a danno delle rinnovabili. A cui le associazioni di settore aggiungono il decreto Spalma

incentivi del governo Renzi.

Foto: produzione di olio biologico nel salento

Foto: il primo impianto al mondo per la produzione di biocarburanti di seconda generazione, nel vicentino.

sotto: il parco eolico di capracotta

Foto: meno tutele ambientali. cemento facile. zero incentivi alle rinnovabili. e gli ecologisti bocciano il premier

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SCENARIO ECONOMIA

23 articoli

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12/12/2014 Pag. 5 Corriere della Sera - Ed. nazionale (diffusione:619980, tiratura:779916)

28 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

Juncker: «Roma non può lamentarsi»

Il presidente della Commissione: sento molte più critiche per essere stato comprensivo Il governo prepara gli emendamenti alla legge di Stabilità, meno tasse sui fondi pensione Enrico Marro

ROMA «Se c'è qualcuno che non può lamentarsi è proprio l'Italia». Parola di Jean-Claude Juncker,

presidente della Commissione europea. Che in un'intervista concessa ad un gruppo di quotidiani europei, fra

cui l'italiano Avvenire, si lamenta delle «molte lamentele» del governo italiano, nonostante «la comprensione

mostrata» da Bruxelles nel giudizio sulla legge di Stabilità. Giudizio che è stato sospeso fino a marzo per

dare tempo al nostro esecutivo di dimostrare l'efficacia delle riforme messe in campo.

Il rapporto tra il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e Juncker, resta teso, sul filo di un botta e risposta

quotidiano. Da una parte il capo della Commissione europea che ha prefigurato «conseguenze spiacevoli»

per Italia e Francia se entro marzo non daranno prova di rientrare nelle regole di bilancio comunitarie.

Dall'altra il premier italiano che attacca gli euroburocrati e li invita a privilegiare la crescita. Nell'intervista

Juncker spiega che in occasione dell'esame della legge di Stabilità la Commissione avrebbe potuto «attivare

per l'Italia una procedura per debito eccessivo», visto che lo stesso governo prevede che esso nel 2015

aumenterà (dal 131,6% del prodotto interno lordo nel 2014 al 133,1%). «Invece - continua il presidente della

Commissione - ho parlato con Renzi, per il quale nutro sentimenti di amicizia e gli ho detto: "Se voi mostrate

la volontà di intraprendere le necessarie riforme, per favore scrivetemi una lettera per dirmelo". E questo

l'Italia l'ha fatto».

Insomma, la Commissione ha «agito in modo politico, non burocratico», secondo Juncker, prendendo atto

«che l'intera situazione economica, anche a livello globale è drammaticamente peggiorata», così che si è

arrivati al punto che il Patto di stabilità «non è mai stato applicato in modo più flessibile».

In questo quadro è evidente che i margini per modificare la legge di Stabilità all'esame del Senato sono

ridottissimi. Il governo dovrebbe presentare oggi i suoi emendamenti e dare il via libera ad alcuni della

maggioranza. Tra questi ultimi dovrebbe trovare spazio la riduzione dell'aumento dell'aliquota fiscale sui

rendimenti dei fondi pensione, che non salirebbe più dall'11,5% al 20%, ma al 17%. Per venire incontro alle

richieste delle Regioni, che lamentano tagli per 4 miliardi, il governo, spiega il sottosegretario all'Economia

Pier Paolo Baretta, mette sul piatto un miliardo per allentare il patto di stabilità interno: fondi che le Regioni

dovrebbero indirizzare ai comuni per il pagamento dei debiti in conto capitale, finora bloccati perché incidono

sul debito. In arrivo anche modiche per il regime dei minimi per le partite Iva e agevolazioni Irap anche per le

imprese senza dipendenti. Ncd con il capogruppo Maurizio Sacconi propone un tetto all'Imu-Tasi, ma la

materia probabilmente sarà discussa col provvedimento sulla local tax, successivo alla Stabilità. Dei 3.800

emendamenti presentati la commissione Bilancio ne esaminerà 500.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Le novità

Con la legge di Stabilità la tassazione sui conferimenti ai fondi pensione, portata dal governo al 20 dall'11,5%,

sarà fatta scendere al 17%. Ogni punto in meno di tassazione costa alle casse dello Stato 38 milioni di euro

Per le partite Iva, il reddito massimo al quale sarà applicata l'imposta fissa del 15% salirebbe fino a 20-25

mila euro Con la Stabilità gli utili di fondazioni e onlus hanno una quota imponibile che passa dal 5% al

77,74%.

Ma un credito d'imposta potrebbe essere riconosciuto pari all'aumento della maggiore tassazione per il 2014

La local tax (Imu più Tasi), annunciata all'interno della legge di Stabilità, slitta al 2015. Stesso discorso per il

canone Rai nella bolletta della luce Confermata, invece, la possibilità di vedersi anticipare parte del Tfr nella

busta paga di ogni mese. Rimane strutturale anche il bonus da 80 euro per chi ha redditi sotto i 24 mila euro

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12/12/2014 Pag. 5 Corriere della Sera - Ed. nazionale (diffusione:619980, tiratura:779916)

29 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

annui

26,5 miliardi

di euro l'ammontare

di risorse previsto

dalla legge

di Stabilità

10,8 miliardi di euro le maggiori entrate erariali tra contrasto all'evasione

e tassa sui fondi pensione

32 miliardi l'ammontare complessivo degli impieghi previsti dalla manovra

di bilancio

20,9 miliardi le maggiori spese per lo Stato

tra bonus Irpef

e bebè e le risorse per gli ammortizzatori

16 miliardi di euro l'ammontare della spending review

per i tagli

ai ministeri

e agli enti locali

11,4 miliardi di euro le minori entrate per lo Stato derivanti dalla riduzione del cuneo fiscale (Irap)

0,2 per cento

il tasso

di inflazione

in Italia a novembre registrato dall'Istat

Foto: Jean-Claude Juncker

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30 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 6 Corriere della Sera - Ed. nazionale (diffusione:619980, tiratura:779916)

Prestiti Bce, le banche chiedono solo 29 miliardi

Nelle due operazioni Tltro un totale di 213, contro un tetto di 400. Un quarto delle richieste dagli italiani L'asta La Bce ha assegnato alle 306 banche che hanno partecipato all'asta 129,8 miliardi Francoforte «Il pieno rispetto dei requisiti del patto di Stabilità e della regola del debito» Stefania Tamburello

roma Raggiungono quasi i 29 miliardi di euro e sono i prestiti, a tassi bassissimi, che le banche italiane hanno

chiesto ieri alla Bce con il patto di destinarli al finanziamento di famiglie (esclusi i mutui immobiliari) e

imprese. Avrebbero potuto arrivare fino a 40 miliardi, ma si sono fermate prima, in linea peraltro con le

previsioni e con quanto ottenuto nella prima asta di settembre, organizzata dalla Banca centrale europea

nell'ambito del programma Tltro. In totale la Bce ha assegnato alle 306 banche europee che hanno

partecipato all'asta 129,8 miliardi, una somma superiore agli 82,6 miliardi attribuiti in settembre ma al di sotto

delle attese: complessivamente, tra settembre e dicembre, la liquidità immessa dalla Bce nel sistema ha

raggiunto i 212,4 miliardi.

Una cifra che rappresenta solo poco più della metà di quella messa a disposizione dall'Istituto di Francoforte

pari a 400 miliardi. E soprattutto non tale da far fare passi significativi nel perseguimento dell'obiettivo fissato

dal Consiglio direttivo della Bce e annunciato dal suo presidente Mario Draghi, di immettere liquidità per mille

miliardi, aumentando di altrettanto il bilancio dell'Eurotower, con le misure finora varate (tassi di interesse

vicino allo zero, Tltro, acquisti di obbligazioni bancarie garantite e di titoli cartolarizzati). Tant'è che ieri tra gli

operatori di mercato, dopo i risultati dell'asta, veniva segnalato come più vicino l'avvio del «quantitative

easing», cioè dell'acquisto massiccio di titoli di Stato, su cui peraltro permangono resistenze all'interno della

Bce, guidate dalla Bundesbank. L'Europa, del resto, si trova ad affrontare il peggioramento delle previsioni su

crescita e inflazione, richiamato ieri dal Bollettino mensile della Bce. Nell'indicare l'indebolimento delle

previsioni, già segnalato da Draghi la scorsa settimana, gli economisti di Francoforte chiedono ai governi «il

pieno rispetto dei requisiti del patto di Stabilità e della regola del debito per non mettere a repentaglio la

sostenibilità delle finanze pubbliche e preservare la fiducia dei mercati» ed esortano a realizzare «riforme

strutturali credibili ed efficaci per incoraggiare gli investimenti e anticipare la ripresa».

Le banche italiane, comunque, tra settembre e dicembre, hanno chiesto prestiti per oltre 58 miliardi a fronte di

una disponibilità (il 7% degli impieghi) di circa 70. Ieri hanno coperto «addirittura circa un quarto

dell'ammontare totale dei fondi assegnati dalla Bce all'insieme delle banche d'Europa» ed «è una ulteriore

dimostrazione dell'intenso impegno per la ripresa», ha commentato il presidente Abi, Antonio Patuelli. In

testa, nelle richieste, Intesa Sanpaolo con 8,6 miliardi, seguita, fra le altre, da Mps (3,3 miliardi), Ubi (3,2),

Banco Popolare (2,7), Unicredit (2,2), Iccrea (1,8), Popolare di Milano (1,5) Popolare di Vicenza (1,2).

© RIPRODUZIONE RISERVATA+

I fondi

Le Tltro (Targeted Longer Term Refinancing operations) sono prestiti che la Bce eroga alle banche europee

con un tasso pari a dieci punti base sopra il riferimento (0,05%), ossia lo 0,15%, con scadenza a 4 anni.

Francoforte ha avviato in settembre il programma che prevede 8 aste in due anni. Da marzo 2015 una ogni

tre mesi. L'obiettivo è vincolare i finanziamenti alle banche all'erogazione di credito a famiglie e imprese

400 miliardi chiesti dalle banche europee

nelle due aste

di settembre

e dicembre

29 miliardi

di euro richiesti dalle banche italiane alla Banca centrale europea

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31 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 6 Corriere della Sera - Ed. nazionale (diffusione:619980, tiratura:779916)

70 il plafond italiano (il 7% degli impieghi) per le due aste esaurito per l'80 per cento

0,15 per cento

il tasso

di interesse praticato

dalla Bce sui prestiti Tltro

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32 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 1 Il Sole 24 Ore (diffusione:334076, tiratura:405061)

La seconda tranche di prestiti alle banche si chiude con richieste per 130 miliardi, inferiori alle attese

Delude l'asta della Bce, si avvicina il Qe di Draghi

Gli istituti italiani prenotano un quinto della somma Alessandro Merli

La seconda asta Tltro della Bce si è chiusa con una richiesta delle banche Ue di 130 miliardi: nel complesso,

tra settembre e ieri gli istituti hanno raccolto poco più della metà dei 400 miliardi a disposizione. Ieri la

domanda più alta è arrivata dagli istituti italiani (un quinto della somma complessiva). L'esito deludente

dell'asta avvicina la prospettiva di manovre di stimolo monetario ancorapiù incisive della Bce. Già il 22

gennaio il presidente Mario Draghi potrebbe annunciare un "Quantitative easing" con l'acquisto di titoli di

Stato.

Servizi pagine 2 e 3, con l'analisi di

FRANCOFORTE

Si rafforzano le attese di nuove misure di stimolo monetario da parte della Banca centrale europea, incluso

probabilmente l'acquisto di titoli pubblici, già alla riunione di consiglio del prossimo 22 gennaio, dopo che circa

300 banche dell'eurozona hanno chiesto alla Bce nuova liquidità per 129,8 miliardi di euro nella seconda asta

Tltro, creata per indirizzare nuovi finanziamenti all'economia reale. Secondo fonti monetarie e informazioni

delle banche, la domanda più alta è venuta da istituti italiani, francesi, spagnoli e, a sorpresa, tedeschi.

La somma è più o meno in linea con le aspettative di un sondaggio svolto alla vigilia dall'agenzia Reuters, ma

porta comunque il totale delle prime due operazioni a 212 miliardi di euro (la prima di 82), poco più della metà

dei 400 messi a disposizione dalla Bce. Il risultato accentua le pressioni di mercato sull'istituto di Francoforte

per il cosiddetto Quantitative easing, o Qe, già realizzato dalle altre grandi banche centrali, all'inizio del 2015,

con un annuncio già al consiglio del 22 gennaio, o al più tardi a marzo, nonostante la chiara opposizione del

presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, e alcuni altri consiglieri. Sui mercati si parla di possibili

acquisti di debito pubblico fra 500 e mille miliardi di euro.

La Bce è infatti lontana, con gli attuali strumenti, dall'intenzione dichiarata di aumentare il proprio bilancio di

mille miliardi di euro, riportandolo a circa 3mila miliardi, il livello di inizio 2012, per contrastare l'inflazione

troppo bassa, che rischia di tramutarsi in deflazione, e la stagnazione dell'economia. La Germania ha

confermato ieri l'inflazione di novembre allo 0,5%, ma l'andamento negativo in Francia fa ritenere che il dato

definitivo per l'eurozona possa essere ribassato rispetto allo 0,3% preliminare. Si tratta di valori lontanissimi

dall'obiettivo di stare sotto, ma vicino al 2 percento. L'ulteriore crollo del prezzo del petrolio fa ritenere che

l'inflazione fin dal prossimo mese possa scendere a zero, o sotto zero. Nel bollettino mensile, pubblicato ieri,

la Bce sostiene che «in linea di principio», il calo del petrolio potrebbe rivelarsi temporaneo, ma le

ripercussioni più significative potrebbero aversi sulle aspettative degli operatori sull'inflazione futura,

indicatore seguito da vicino dalla Bce. L'ulteriore rinvio di nuove misure metterebbe a rischio la credibilità

della Bce nel rispettare il mandato, punto su cui ha insistito il presidente Mario Draghi la settimana scorsa.

Oltre alle due Tltro (che saranno seguite da altre sei operazioni trimestrali da qui al giugno 2016, dalle quali

però ci si attende un impatto minore), la Bce ha finora messo in campo acquisti di obbligazioni bancarie

garantite (covered bond) per 21 miliardi di euro e titoli cartolarizzati (Abs) per soli 600 milioni di euro. Si tratta

di somme che lasciano l'istituto di Francoforte ben lontano dai mille miliardi di euro approvati dal consiglio.

Nelle prossime settimane, tra l'altro le banche rimborseranno circa 270 miliardi di euro ottenuti con i

finanziamenti triennali Ltro fra fine 2011 e inizio 2012, riducendo pertanto la liquidità.

Il risultato della seconda Tltro, ha detto Benoit Coeuré, membro del comitato esecutivo della Bce, è in linea

con le stime e le aspettative della Bce e dei mercati. «Vediamo chiaramente - ha affermato il responsabile

delle operazioni di mercato dell'Eurotower - che le Tltro (a bassissimo costo e durata quadriennale ndr)

contribuiscono a migliorare l'accesso di lungo termine delle banche alla liquidità». Coeuré ha precisato anche

che gli istituti che hanno partecipato alle prime due operazioni hanno richiesto in media l'80% della cifra

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33 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 1 Il Sole 24 Ore (diffusione:334076, tiratura:405061)

disponibile (per ciascuna banca il 7% degli impieghi in essere all'economia reale). Il fatto che in prima linea ci

siano banche italiane e spagnole sta facendo arrivare la liquidità dove è più necessaria, osservano alla Bce.

Secondo alcuni analisti, tuttavia, la domanda molto inferiore all'offerta mostra la riluttanza delle banche a fare

nuovi prestiti in una fase di domanda di credito ancora debole e sofferenze in aumento. Inoltre, a differenza

che in passato, ora che i tassi di deposito sono negativi, le banche non hanno l'opzione di «parcheggiare»

nuovamente la liquidità alla banca centrale, dato che dovrebbero pagare uno 0,20%.

Secondo molti osservatori di mercato, l'acquisto di titoli pubblici è a questo punto inevitabile, dato che si tratta

dell'unico mercato con i volumi necessari per ottenere l'espansione desiderata del bilancio della Bce, ultima

misura rimasta a disposizione per un ulteriore stimolo monetario, dato che i tassi d'interesse sono ormai a

zero. Fino ai giorni scorsi, qualcuno riteneva che la Bce avrebbe potuto allargare gli acquisti inizialmente alle

sole obbligazioni societarie, ma l'ipotesi sembra ora superata dalle parole di Draghi e dal risultato della

seconda Tltro.

© RIPRODUZIONE RISERVATA Alessandro Merli

Foto:

Finanziamento alle banche. Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea

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34 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 1 Il Sole 24 Ore (diffusione:334076, tiratura:405061)

EUROPA E CRESCITA

Se non basta l'incantesimo della politica monetaria

Giacomo Vaciago

I mercati finanziari restano «sotto l'incantesimo della politica monetaria» (la definizione è della Bri , nel

Rapporto annuale del giugno scorso).

Nel caso della Bce, parliamo di quella non-convenzionale che dovrebbe iniziare nel 2015, essendo risultata

inadeguata la politica monetaria, molto espansiva, finora condotta in modo tradizionale. Come si è visto ieri,

con la scarsa domanda della liquidità offerta dalla Bce, neppure sufficiente a compensare i rimborsi che le

banche faranno nelle prossime settimane. Ma i mercati a quella notizia hanno reagito al rialzo, confermando

che si aspettano interventi ancora più espansivi in futuro.

Ci sono però almeno due problemi che merita chiarire e affrontare.

La mancata ripresa economica dell'Eurozona può essere curata con una massiccia "monetizzazione" del

debito, privato e/o pubblico?

Le obiezioni tedesche riguardano solo lo strumento che la maggioranza del Consiglio della Bce è prossima

ad adottare?

Come vedremo, questi due problemi sono in parte connessi, e anche per questo la politica monetaria -

comunque attuata - non basta.

Monetizzazione del debito

L'aumentata dimensione del bilancio della Banca centrale, realizzata con l'acquisto di titoli di debito (privato

e/o pubblico) si accompagna a un'aumentata liquidità dell'economia e a un aumentato valore di tutte le attività

patrimoniali (finanziarie e reali). Famiglie e imprese si scoprono più ricche e quindi spendono di più, per

consumi e investimenti. E chiunque si finanzia con nuovo debito, lo potrà fare a un costo minore e quindi

spenderà di più. Non stupisce scoprire che questa monetizzazione dei debiti esistenti (anche chiamata

"Quantitative easing") sia più efficace in una struttura finanziaria basata sul mercato dei titoli ( la Banca

centrale non compra case e fabbriche, ma titoli che in qualche modo le rappresentano), e più utile a

sostenere una ripresa già iniziata che a farla partire.

Continua pagina 2

L'EDITORIALE

Continua da pagina 1

Né dovrebbe stupire che questo "effetto ricchezza" favorisca i ricchi più che i poveri. Solo aiutando la ripresa,

favorirà anche lavoratori altrimenti disoccupati.

C'è quindi un problema che riguarda l'Eurozona più di Stati Uniti e Regno Unito: sarà la Borsa, e il mercato

degli immobili, il canale di trasmissione del Qe della nostra Banca centrale che sta a Francoforte? Se

pensiamo alla struttura finanziaria precapitalista dell'Italia, i dubbi sono ancora maggiori. Soprattutto perché

sul canale principale - rappresentato dal credito bancario - continuerà ad operare la vigilanza prudenziale

della stessa Bce. Ricordiamo che Fed e Bank of England hanno avviato il loro Quantitative easing dopo aver

messo in sicurezza le banche. Noi rischiamo di avere anche nel 2015 Draghi che con la mano sinistra di fatto

disfa ciò che fa con la mano destra.

L'inflazione tedesca

Da qualche mese, il presidente della Bundesbank il giorno dopo la riunione del Consiglio della Bce commenta

ciò che il giorno prima il presidente Draghi ha letto e detto. Venerdì scorso, Weidmann ha sottolineato che «la

politica monetaria della Bce è troppo espansiva per la Germania». Problema: è l'opinione personale del

presidente della Buba (come la chiamano, con rispetto, gli amici)? Oppure, è anche l'opinione del governo di

Berlino, che davvero teme un surriscaldamento dell'economia tedesca?

Se si legge con cura l'ultimo "Bollettino mensile" della Bundesbank (dicembre 2014), si vede che l'anno si

chiude in rallentamento, con meno crescita economica (soprattutto degli investimenti) e meno inflazione,

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35 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 1 Il Sole 24 Ore (diffusione:334076, tiratura:405061)

rispetto a quanto previsto a giugno. E anche le previsioni per il 2015 e 2016 sono state appena riviste al

ribasso (meno crescita e meno inflazione) per l'economia tedesca. Non vi sono tracce di surriscaldamento (in

atto o prevedibile) in Germania: anche l'aumento dei prezzi degli immobili si è fermato nel corso dell'anno.

Quindi, qual è il problema: il presidente della Bundesbank fa politica, al posto della cancelliera Merkel e del

ministro Schaeuble? Non sarebbe la prima volta, e non sta a noi preoccuparci.

Oppure, davvero anche per il 2015 Berlino e gli altri 17 governi continuano a dimostrarsi incapaci di

cooperare?

Una politica monetaria unica che vada ugualmente bene per Paesi che sempre più divergono: quanto

possono durare speranze che mai si realizzano?

© RIPRODUZIONE RISERVATA Giacomo

Vaciago

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36 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 1 Il Sole 24 Ore (diffusione:334076, tiratura:405061)

IL COMMENTO/Fisco e made in italy

I fatti, i rumors e il fardello italiano

Paolo Bricco

di Paolo Bricco

Èbene distinguere i fatti dai rumors. E valutare le scelte strategiche sulla base della realtà effettiva. Il

mantenimento della residenza fiscale di Ferrari in Italia è una ottima notizia. Ma, dietro al fantasma del suo

trasloco all'estero, c'è il sonno pesante di un Paese che ormai ha trasformato in incubo - per tutte le sue

imprese, in particolare le piccole e le medie - il fardello fiscale. Un incubo da cui gli imprenditori italiani

rischiano di non svegliarsi più, se non con l'impulso di scappare via. Un impulso che non deve assolutamente

prevalere. Continua pagina 35

L'ANALISI

Continua da pagina 1

Ma fino a quando resisteranno a questa tentazione? Non sarà certo questo giornale a indicare la strada della

fuoriuscita delle imprese italiane all'estero. Bisogna credere e scommettere sull'Italia: sul suo capitale umano

e sulla forza di un tessuto imprenditoriale sospeso fra tradizione e modernità, abile nel collocarsi al crocevia

fra i mercati globali e i territori e capace - finora - di rigenerarsi sempre di fronte a ogni difficoltà. Occorre,

però, anche avere piena consapevolezza dei fardelli che vanno rimossi e delle vere e proprie priorità che

vanno riconosciute e perseguite. Il macigno fiscale è ormai insopportabile. La sua drastica riduzione non è più

procrastinabile. La capogruppo Fiat Chrysler ha, peraltro, scelto di collocare la sua sede legale ad

Amsterdam, in Olanda, e quella fiscale a Londra, in Gran Bretagna. Una scelta rispettabile per una duplice

ragione. Prima di tutto perché rappresenta la naturale evoluzione di una internazionalizzazione che ha avuto

come snodo principale l'acquisizione di Chrysler. A un contesto autenticamente globale possono

corrispondere scelte autenticamente globali. Sia per sfruttare profili giuridici come il voto multiplo in Olanda

(per quanto l'emissione di questo tipo di azioni sia adesso consentita anche nel nostro Paese) sia per pagare

meno imposte, sottraendosi alla forza fagocitante del fisco italiano, che con i suoi carichi eccessivi e i suoi

obblighi barocchi, produce appunto fardelli ormai insopportabili. Dunque, l'autentico metro del giudizio futuro,

su Fiat, sarà costituito dagli investimenti effettivi che essa realizzerà nelle fabbriche in Italia e sui prodotti.

L'adozione dello stesso meccanismo per Ferrari avrebbe rischiato di incrinare il profilo della nostra industria e

della nostra identità di Paese. In un piccolo e compatto gioiello come Ferrari avrebbe dischiuso il pericolo di

una slabbratura di un corpo aziendale che, oggi, a Maranello concentra le sue eccellenze manageriali,

tecnologiche e di fornitura. Per fortuna, tutto ciò non è successo. In ogni caso, anche la sola diffusione di

questi rumours fa riflettere sulle asimmetrie fiscali con gli altri Paesi europei. In Italia ogni riduzione graduale

del peso del fisco oggi rischia di essere insufficiente. Ogni policy che non metta al centro dell'azione il

bisogno fisiologico di un calo sostanziale della pressione fiscale sulle aziende - le grandi, ma anche le piccole

e le medie - potrebbe risultare velleitaria. Senza uno shock positivo - rapido nell'esecuzione e rilevante

nell'impatto quantitativo - l'economia italiana non uscirà mai più dall'officina in cui, dal 2008, è stata confinata

dalla recessione. Nel Paese delle imprese, in pochi vorranno venire. E, da esso, in tanti vorranno andarsene.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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37 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 2 Il Sole 24 Ore (diffusione:334076, tiratura:405061)

INTERVISTA Bertrand Badré Cfo della World Bank

«La finanza può diventare volano dello sviluppo»

Rossella Bocciarelli

La finanza

può essere positiva,

per esempio per combattere Ebola

Nel mondo mancano progetti validi da finanziare: per le idee buone i soldi ci sono

roma

«La crisi ha mostrato che la finanza può provocare effetti disastrosi. Ma la finanza è solo uno strumento e

come tale può avere anche effetti molto positivi. Prenda ad esempio Ebola, una malattia esiziale rispetto alla

quale si è intervenuti in ritardo. Oggi il mio lavoro è mobilizzare il denaro necessario affinché la prossima

volta si possa intervenire in modo molto più veloce ed efficace». Bertrand Badré, Cfo del gruppo World Bank

e responsabile delle strategie finanziarie e del risk management dell'istituzione nata a Bretton Woods, è

assolutamente convinto che finalità "alte", come la lotta contro Ebola o la cura della povertà estrema,

possano diventare obiettivi raggiungibili anche attraverso la finanza.

Dottor Badré, oggi tutti parlano della crescita come dell'oggetto mancante nel quadro complessivo.

C'è anche chi si spinge a parlare di decade perduta se non, addirittura, di stagnazione secolare. Quali

sono le vostre previsioni ?

Tutte le istituzioni internazionali hanno dovuto rivedere le proprie previsioni verso il basso e finora,

effettivamente, le caratteristiche della ripresa sono state deludenti. Le ultime stime WB vedono per il 2014 un

tasso di crescita globale del 2,6%, mentre solo a giugno si stimava che questo incremento sarebbe stato del

2,8 per cento. Non solo: se a livello complessivo lo sviluppo è così flebile, si deve ricordare che quel numero

è la sintesi di situazioni estremamente differenziate: negli Stati Uniti si può contare su un tasso di crescita più

robusto, in Europa e in Giappone le prospettive della ripresa sono molto più difficili. E quanto ai paesi

emergenti, se la Cina può vantare ancora un tasso di crescita del 7%, per altri non si può dire altrettanto.

Quel che è certo è che non siamo ancora tornati dov'eravamo prima della crisi e che, guardando al 2015,

possiamo sì contare anche in Europa su una prospettiva migliore, ma la ripresa sta procedendo ad un passo

molto lento. Tuttavia,un'acquisizione molto importante dell'ultimo G20 è che la crescita va considerata un

obiettivo prioritario e che deve trattarsi di una crescita inclusiva.

A proposito degli investimenti, variabile -chiave per il rilancio dello sviluppo, il presidente della Banca

mondiale Jim Yong Kim ha sostenuto che oggi il problema non è la mancanza di fondi ma la

mancanza di progetti finanziabili. Eppure, se si considerano le cose da una prospettiva europea, c'è

anche una scarsità di risorse finanziarie da destinare allo sviluppo. Del piano Juncker molti hanno

sottolineato che 300 miliardi di euro sono pochi e che questa cifra non è nemmeno credibile perché si

fa affidamento su un effetto- leva troppo elevato....

Non posso che concordare con il mio presidente: quando un progetto d'investimento è davvero buono si

finanzia sempre. Se c'è una scaletta di priorità e un progetto esecutivo ben disegnato, il denaro necessario si

trova. In giro per il mondo ci sono tante buone idee ma le idee non sono ancora progetti. Le infrastrutture, alla

fine, le pagano i contribuenti e/o gli utilizzatori. La finanza interviene per dilazionare nel tempo le modalità di

questo pagamento, non per sostituirsi ad esso. Un progetto finanziabile è una buona idea, accompagnata da

un piano credibile e strutturato su come far pagare contribuenti o utilizzatori. Con il piano Juncker e nell'ultimo

G20 si è lanciato un segnale molto importante: si afferma che le infrastrutture sono una priorità e si stabilisce

che ciascuno stato debba indicare la propria lista di progetti prioritari.

Ma lei ritiene che sia facile in una fase così instabile attrarre capitali privati per investimenti a lungo

termine?

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38 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 2 Il Sole 24 Ore (diffusione:334076, tiratura:405061)

Io credo che sia necessario. Vediamo che per molti motivi le banche in questo momento si stanno ritraendo

da questo tipo di business: ci sono le regole di Basilea tre, ci sono le conseguenze della crisi sui loro bilanci.

E, al tempo stesso, ci sono tanti soggetti istituzionali, le assicurazioni,i fondi pensione, il private equity,

potenzialmente interessati a investire, perchè hanno il lungo termine come vocazione. Il compito della Banca

mondiale, che è una vecchia signora perchè quest'anno ha compiuto settant'anni e può contare su una

vastissima esperienza sul versante pubblico e su quello privato del finanziamento dei progetti di sviluppo, è

proprio quello di agire come facilitatore degli investimenti in infrastrutture, insieme ad altre banche di sviluppo

a base nazionale o regionale. Ma si tratta di un facilitatore di tipo particolare, perchè mette in gioco anche i

propri soldi: lo scorso anno ci abbiamo messo 17 miliardi di dollari, quest'anno ne investiamo 25, il 44% in

più.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Foto:

REA

Foto:

Finanza «buona». Bertrand Badré

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39 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 5 Il Sole 24 Ore (diffusione:334076, tiratura:405061)

Fanalino di coda tra i big in Europa

L'ANALISI

D'accordo, altrove in Europa non si corre. Ma tra le grandi economie continentali la performance peggiore è

certamente la nostra. Ad ottobre, mentre la produzione industriale in Italia cede su base annua il 3%, Parigi

limita il calo a un punto, la Germania cresce dello 0,8%, ancora meglio riesce a fare la Spagna. Il che non

sarebbe in fondo troppo grave se non ci fosse per noi la storia recente, se il racconto di questi anni non

avesse avuto come esito per l'Italia il crollo di un quarto dell'output rispetto al periodo pre-crisi. Osservando i

dati Eurostat il confronto è desolante: ponendo pari a 100 i dati del 2010 la produzione italiana è a quota 90,

la Spagna due punti più in alto, Parigi sfiora la parità, Berlino è addirittura a 109.

Dal picco pre-crisi per l'area vasta della metalmeccanica italiana il gap supera i 30 punti percentuali ed è

proprio alla luce di questo divario che diventa di mese in mese più grave il rinvio a data da destinarsi della

ripresa. Che non trova appigli nei numeri, come dimostrano i dati Istat, ma neppure negli indicatori qualitativi:

la componente interna degli ordini continua a calare segnalando la perdurante debolezza della domanda

nazionale mentre le attese degli imprenditori della meccanica indicano anche per il quarto trimestre dell'anno

un saldo negativo sia per la produzione che per i livelli occupazionali.

Ottobre è amaro in particolare per la componentistica, con l'ampia area dei beni intermedi a cedere oltre

quattro punti percentuali andando ad azzerare quasi interamente i progressi dell'intero 2014.

Il quadro resta cupo, anche se è possibile individuare qualche elemento a sostegno dell'ottimismo. Ad ottobre

si è consolidato e stabilizzato il nuovo rapporto di cambio tra euro e dollaro ma per vedere la "traduzione" di

questa svalutazione in commesse aggiuntive, come è prevedibile che accada, occorrerà attendere

probabilmente ancora qualche mese. Ad ottobre si segnala in Italia anche una discesa non marginale dei

tassi di interesse, 23 punti base in meno per le nuove operazioni, con un calo ancora più spinto per gli importi

superiori al milione di euro. Nulla di clamoroso, anche se questi livelli, il 2,16% per i prestiti "big", si erano visti

in Italia l'ultima volta ben quattro anni fa.

Sarà forse anche per questo che le nuove operazioni di finanziamento proprio a ottobre hanno rialzato la

testa, portandosi a quota 37,1 miliardi di euro, quasi due miliardi in più rispetto allo stesso mese del 2013.

Solo un piccolo segnale, che andrà verificato e confermato nei prossimi mesi. Con la consapevolezza che la

montagna è ancora quasi tutta da scalare: perché a ottobre 2008, alla vigilia della crisi, i prestiti chiesti e

ottenuti dalle imprese erano pari a 67 miliardi, quasi il doppio rispetto ai livelli attuali.

© RIPRODUZIONE RISERVATA Luca

Orlando

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40 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 13 Il Sole 24 Ore (diffusione:334076, tiratura:405061)

INTERVISTA La lunga crisi IL MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE

«Piano Juncker, i nodi al consiglio Ue»

Lupi: precettazione revocata per la disponibilità dei sindacati a modificare le modalità dello sciopero Giorgio Santilli

Sulla corruzione non presenterò mie misure, ma bisogna semplificare e sburocratizzare

La Campogalliano- Sassuolo è un'opera simbolo per mettere

in rete i distretti

«Chi è intervenuto a gamba tesa è stato il sindacato, in particolare Cgil e Uil, perché bisogna tutelare il diritto

costituzionale allo sciopero ma anche quello alla mobilità. Di fronte a una segnalazione del garante sugli

scioperi che dichiarava illegittima la modalità di sciopero prescelta, io non potevo non precettare. Vedo con

soddisfazione che i sindacati hanno accettato di sedersi al tavolo per modificare alcune modalità dello

sciopero e ridurre così i disagi, soprattutto per i pendolari. Da qui nasce la revoca della precettazione. Era un

atto di responsabilità da parte mia precettare ieri e lo è ora revocare, a fronte della riduzione della durata

dello sciopero. Politicamente avrebbe pagato più il braccio di ferro, forse, ma io sono una persona

responsabile». Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Maurizio Lupi, ha speso un'intera giornata sulla

questione della precettazione diventata politicamente bollente dopo che il premier Matteo Renzi è sceso in

campo con una posizione di mediazione.

Quanto ha pesato l'intervento del premier, ministro Lupi?

Non ha pesato affatto. Con il presidente del consiglio avevo ovviamente parlato ieri (ieri l'altro per chi legge,

ndr) e mi aveva detto «non condividiamo lo sciopero ma non diamo alibi ai sindacati perché noi vogliamo

rispettare il diritto allo sciopero». Tanto più di fronte a questa raccomandazione, la mia decisione di precettare

era stata ponderata, ma non potevo non farlo di fronte alla segnalazione del garante. L'obiettivo era anche

quello di mettersi al tavolo con i sindacati per far rientrare la protesta di venerdì e quella di sabato, dichiarata

precedentemente da un'altra sigla, in un quadro di rispetto delle regole e del diritto costituzionale alla

mobilità. Così è stato.

Parliamo di infrastrutture, ministro. Cosa pensa del piano Juncker?

Penso che sia un piano ancora in chiaroscuro perché le risorse messe a disposizione in ambito europeo sono

ancora scarse, ma al tempo stesso ci sono indiscutibili punti positivi di svolta. Per la prima volta si mettono

risorse a disposizione di una politica per la crescita e si dà un arco temporale concreto, tre anni, per

spenderle. Le infrastrutture materiali e immateriali sono al centro di questa politica. Per la prima volta si

deroga al patto di stabilità, escludendo le risorse aggiuntive che confluiranno dagli Stati dal conteggio del

deficit. Il Consiglio dei ministri europei dei Trasporti del 3 dicembre ha approvato all'unanimità, tedeschi

compresi, un documento di sostegno a questo piano e la ragione principale è che, dopo anni di piani

infrastrutturali europei, Tnt, core network, eccetera, tutti con orizzonti lunghissimi, 2020 e oltre, ora abbiamo

un piano stringente che ci consente di accelerare le priorità.

Quali sono ancora i nodi da sciogliere?

Anzitutto bisogna evitare di arretrare rispetto allo scorporo dal deficit delle risorse destinate dagli Stati. Ci

sono spinte in questo senso ma non passeranno. In secondo luogo è fondamentale capire come saranno

distribuite le risorse del fondo e quelle aggiuntive degli Stati perché è evidente che bisogna incentivare

l'assegnazione di risorse del singolo Stato a progetti sul suo territorio. È un meccanismo decisivo ai fini del

funzionamento del piano Juncker.

Quando saranno prese queste decisioni?

Al Consiglio europeo del 18-19 dicembre si farà un passo decisivo.

Il piano italiano è un buon piano, che ha all'interno priorità importanti come la banda larga o gli assi

ferroviari fondamentali interni e di collegamento con l'Europa, ma 93 interventi per 84 miliardi sono

ancora troppi.

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41 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 13 Il Sole 24 Ore (diffusione:334076, tiratura:405061)

Non c'è dubbio che bisogna fare ancora una scrematura ma il lavoro di coordinamento del Mef è stato ottimo

nella prima fase. L'Italia ancora una volta si dimostra più avanti degli altri Paesi europei perché il nostro piano

seleziona opere davvero prioritarie e in gran parte cantierabili, legando in modo coerente con il filo della

crescita i vari capitoli, la ricerca, l'innovazione, le infrastrutture, l'energia. In questo piano c'è il riflesso del

duro lavoro che abbiamo fatto in questi mesi per selezionare vere priorità. Dimostriamo ancora una volta di

essere più avanti come successo anche con la vicenda Alitalia.

La vicenda Alitalia?

Con Alitalia abbiamo dimostrato di saper sfidare l'Europa sui temi di cui l'Europa ha fatto una bandiera: siamo

andati verso un'alleanza di mercato, con un piano di investimenti da 1,7 miliardi di mercato. Avrebbero avuto

ragione Lufthansa e Air France a sollevare la questione a Bruxelles se fossimo andati avanti con gli aiuti di

Stato. Invece, siamo andati in direzione opposta, quella dell'Europa, quella del mercato.

Tornando alle infrastrutture, avete sbloccato anche la convenzione della bretella autostradale in

project financing Campogalliano-Sassuolo, opera a servizio di un distretto industriale con una gara

rimasta boccata per otto anni.

Speriamo sia l'ultima volta che sblocchiamo una convenzione per cui la gara è rimasta bloccata otto anni.

Bisogna accelerare i progetti e la spesa delle risorse, superare le contrarietà e revocare le risorse se gli

ostacoli permangono. Questo deve valere anche per i concessionari privati. Le risorse vanno spese in tempi

certi. Quanto alla Campogalliano-Sassuolo, è un'opera simbolo di quello che l'Italia deve fare: mettere in rete

distretti industriali di eccellenza, collegarli ai mercati esteri con infrastrutture fondamentali. Dobbiamo aiutare

le imprese italiane che sono eccellenze e fanno export, che oggi è la nostra ancora di salvezza. Ma dobbiamo

farlo in tempi celeri e certi perché quelle imprese non possono aspettare anni.

Un'altra priorità che ultimamente lei ha imposto è quella dei collegamenti ferroviari veloci con gli

aeroporti. Ha superato una resistenza storica di Fs. Complimenti.

Non mi pare un caso... Comunque è vero, Fs sta facendo la sua parte. D'altra parte la politica deve tornare a

svolgere il suo ruolo. Le aziende pubbliche devono essere bracci operativi per realizzare le politiche che il

governo decide. In questo caso, avremo i progetti entro il 31 dicembre, come stabilito. Per Venezia sarà più

facile, non essendoci il collegamento ad alta velocità. Sarà più difficile recuperare i guasti del passato su

Roma e Milano, ma stiamo studiando soluzioni.

Domani (oggi per chi legge, ndr) il Cdm dovrebbe varare misure anticorruzione. Gli appalti sono uno

dei settori più inquinati. Ha intenzione di presentare sue misure di legge?

Ho apprezzato il giudice Nordio che in questi giorni ha dichiarato che, se si vuole combattere la corruzione,

bisogna smetterla di fare altre leggi. Non presenterò mie misure, ma al Consiglio dei ministri dirò che per

combattere la corruzione bisogna semplificare, sburocratizzare, fare molta prevenzione, garantire certezza

del diritto, dei tempi, assicurare la massima trasparenza informando i cittadini con la rete. Se pensiamo che

inasprire le pene sia sufficiente per combattere la prevenzione, facciamo un buco nell'acqua.

Una polemica politica del suo partito contro le proposte di Renzi?

Il presidente del consiglio ha convocato il Cdm dicendo che dobbiamo dare un segnale forte. Siamo

totalmente d'accordo. Ci confronteremo sulle proposte che meglio raggiungono lo scopo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Foto:

IMAGOECONOMICA

Foto:

Maurizio Lupi , ministro delle Infrastrutture e dei Tasporti

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42 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 15 Il Sole 24 Ore (diffusione:334076, tiratura:405061)

Il metodo da seguire per l'intera manifattura

L'ANALISI

Parlare di svolta per un settore che prevede di chiudere l'anno con un calo del fatturato del 2,7% può

sembrare paradossale. Ma se si esce dalla stretta logica dei numeri e si analizzano a freddo i fattori che

hanno determinato l'andamento del mercato, si capisce che il caso del legno-arredo può essere

paradigmatico per l'intera manifattura italiana.

Dopo anni di perdite pesanti, dovute al crollo del mercato interno, quest'anno, grazie all'effetto del bonus

mobili, il settore ha infatti registrato un'inversione di tendenza. Il mercato interno ha iniziato a rispondere agli

stimoli e, accoppiato al tradizionale buon andamento delle esportazioni, ha determinato il recupero che lascia

intravedere per il 2015 il ritorno alla crescita dei ricavi. Un risultato insperabile solo due anni fa, quando al

Salone del Mobile di Milano si respirava un'aria di «de profundis» e si percepiva una rabbia che gli

imprenditori e gli operatori del settore non facevano niente per nascondere.

Adesso non bisogna alterare il quadro. Bisogna spingere sull'acceleratore delle esportazioni e non perdere

l'abbrivio sul mercato interno. Per questo diventa fondamentale la conferma del bonus fiscale sull'acquisto di

mobili e sarà determinante non sprecare le risorse destinate alla promozione delle esportazioni. Inutile

disperdere i 220 milioni destinati al made in Italy in mille rivoli, inutili spenderli in Italia utilizzandoli per l'Expo.

Vanno dati alle imprese, sui mercati.

Il segnale che arriva dalla Cina, l'Italia supera la Germania, è di buon auspicio. Le imprese sono sul pezzo.

Non lasciamole sole.

© RIPRODUZIONE RISERVATA Lello

Naso

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43 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 30 Il Sole 24 Ore (diffusione:334076, tiratura:405061)

CRISI/2

Francoforte ha concluso la valutazione E adesso?

Leonardo Totaro e Marco Vettori

Il Comprehensive Assessment svoltosi tra novembre 2013 e lo scorso ottobre ha avuto nel complesso un

impatto contenuto, a conferma della relativa solidità del sistema bancario europeo.

I numeri in gioco erano impressionanti: sotto esame 130 banche con 22 trilioni di Euro di attivi (l'82% del

totale attivi sotto la supervisione dell'Ssm - Single Supervisory Mechanism, la Vigilanza Unica Europea).

Analizzati in dettaglio, da oltre 6mila esperti, più di 800 portafogli creditizi, 120mila creditori, 180mila attivi in

garanzia e 5mila attivi a fair value.

L'esercizio ha però identificato rettifiche di valore per "soli" 47,5 miliardi di Euro, lo 0,2% del totale attivi

analizzati. Ha inoltre evidenziato una carenza complessiva di capitale rispetto alle soglie minime Bce pari a

24,6 miliardi, buona parte dei quali già raccolti con gli aumenti di capitale effettuati dopo la data di riferimento

del 31.12.2013; parliamo comunque di qualche decimo di punto percentuale rispetto alla capitalizzazione del

settore bancario europeo.

In Europa, quindi, scenario confortante. E in Italia? Il nostro sistema bancario ne esce penalizzato, con il più

alto livello di aggiustamenti di valore dovuti all'Asset Quality Review (più di un quarto del totale europeo: 12

miliardi di Euro su 47,5) e la più alta carenza di capitale rispetto alle soglie minime Bce (40% del fabbisogno

complessivo: 9,7 miliardi su 24,6). Inoltre, l'Italia conta il numero più alto di banche che non hanno superato

l'esercizio (9 su 25) prima delle misure di rafforzamento patrimoniale adottate da fine 2013 a oggi.

La valutazione del rischio sistemico (rischio "paese") ha chiaramente giocato un ruolo rilevante, come

evidenziato anche dagli altri paesi con impatto negativo (Grecia, Portogallo e Cipro), mentre il risultato

positivo della quasi totalità degli operatori dei paesi nordici - anche quelli più sbilanciati sulla finanza

sofisticata - ha lasciato perplessi. Nel Sud Europa, comunque, la Spagna ha fatto eccezione, con un impatto

del Comprehensive Assessment tra i più limitati, grazie agli interventi attivati dal governo nel 2012 anche con

il supporto del Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes). Tra questi vanno ricordati i decreti sull'adeguamento

delle coperture (in particolare su credito e attivi tossici immobiliari), le iniezioni di capitale nelle banche in

difficoltà a opera del fondo pubblico di ristrutturazione (Frob) e la creazione della bad bank di sistema per

favorire la pulizia dei bilanci.

Pensando al caso spagnolo, o ancor più ai molti casi di intervento statale nelle banche del nord Europa,

sembra quasi che la principale virtù del nostro sistema bancario - sopravvissuto alla crisi senza ricorrere a

ingenti aiuti pubblici e interventi esterni - si sia trasformata nella sua debolezza. Ciò detto, le operazioni di

mercato avvenute da inizio anno (per un totale di 15 miliardi di aumenti di capitale) hanno già ridotto il

numero di banche italiane con carenza patrimoniale da 9 a 2.

E ora? Purtroppo, ci si deve attendere che le banche che hanno superato di poco l'esercizio siano portate a

ridurre il loro loan to deposit ratio, diminuendo progressivamente gli impieghi a favore dell'economia in modo

da consumare minor capitale. È inoltre lecito attendersi una crescente attenzione dei Regulator (nazionale ed

europeo) su governance, capacità di generazione di utili sostenibili e capacità autonoma di raccolta di capitali

delle banche italiane, che porterà nel tempo a un inevitabile processo di consolidamento tra le banche di

dimensione regionale.

Per superare i nuovi "esami" previsti dal Supervisory Review and Evaluation Process (Srep - ovvero il

principale strumento che la Bce utilizzerà per valutare le banche Europee in futuro), le nostre banche

dovranno comunque dotarsi di processi, competenze e strumenti in grado di abilitare una migliore gestione

prospettica e integrata della strategia e dei rischi; il dialogo con il nuovo supervisore unico rappresenterà allo

stesso tempo una sfida culturale e un'opportunità di confronto e di crescita. Le implicazioni sul sistema paese

saranno in prospettiva rilevanti: sarà bene che le banche italiane non siano lasciate da sole.

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44 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 30 Il Sole 24 Ore (diffusione:334076, tiratura:405061)

Leonardo Totaro è Managing Director McKinsey Mediterraneo

Marco Vettori è Partner McKinsey & Company

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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45 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 19 La Repubblica - Ed. nazionale (diffusione:556325, tiratura:710716)

L'ANALISI

Bce, nuovi prestiti alle banche Juncker: "L'Italia non si lamenti era da

procedura di infrazione"

Ma la risposta degli istituti di credito è tiepida: richiesti solo 130 miliardi, 28 dagli italiani Borsa di Atene: - 7,35%, Samaras: "Se vince Syriza nuova crisi finanziaria" ANDREA TARQUINI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE

BERLINO. Doppio attacco all'Italia. Dal presidente della Commissione Ue, Juncker, che dice: «Roma non si

lamenti, avrei potuto attivare una procedura d'infrazione per debito eccessivo». E c'è poi la Bce che lamenta

«obiettivi di disavanzo meno severi rispetto a progetti precedenti» del Paese. Jean-Claude Juncker,

presidente dell'esecutivo comunitario, parla a tre quotidiani europei, tra cui il nostro Avvenire . Nella intervista

in edicola oggi, Juncker spiega: «Se c'è qualcuno che non può lamentarsi è proprio l'Italia. Avremmo potuto

attivare una procedura per debito eccessivo. Invece ho parlato con Renzi, per il quale nutro sentimenti di

amicizia, anche al G20 in Australia e gli ho detto: "Se voi mostrare la volontà di intraprendere le necessarie

riforme, per favore scrivetemi una lettera per dirmelo. E questo l'Italia l'ha fatto». Juncker spiega che la

Commissione, nel caso dell'Italia e della Francia, ha «agito in modo politico, non burocratico. Dobbiamo

prendere atto che l'intera situazione economica anche a livello globale è drammaticamente peggiorata».

Secondo siluro per Roma dalla Bce, che chiede «il pieno rispetto dei requisiti del Patto di Stabilità e della

regola del debito per non mettere a rischio la sostenibilità delle finanze pubblichee preservare la fiducia nei

mercati. Purtroppo per il prossimo anno il governo italiano siè invece posto obiettivi di disavanzo meno severi

rispetto ai progetti precedenti». Nel Bollettino mensile della Bce, diffuso ieri, si legge che «il Documento

programmatico di bilancio prevede un obiettivo di disavanzo del 2,6% del prodotto interno lordo (Pil) nel 2015,

dunque un traguardo meno severo rispetto a quello dell'1,8% stabilito nell'aggiornamento del Programma di

Stabilità per lanno che volge alla fine. Il progetto di bilancio», continua la Eurotower, «prevede fra laltro una

riduzione dei contributi previdenziali per i neoassunti, una riduzione dell´Irap e il trasferimento in forma di

sgravio fiscale ai lavoratori a basso reddito. Queste misure espansive saranno solo in parte compensate da

una riduzione della spesa pubblica, specie a livello locale.

Nel complesso, il progetto di bilancio comporterebbe un aumento del fabbisogno finanziario netto dello 0,4

per cento del pil nel 2015».

Nuovo avvertimento europeo a Renzi, dunque, nello stesso giorno in cui la Eurotower ha assegnato 129,84

miliardi di euro nel secondo round di prestiti a lungo termine (Tltro) alle banche al tasso dello 0,15%. Tiepida

la domanda degli istituti, solo 28 miliardi sono andati agli italiani. Nelle stesse ore, nonostante Francoforte sia

pronta a strumenti non convenzionali anti-emergenza, ha creato panico nei mercati la prospettiva di un

"Grexit", di un´uscita della Grecia dall´euro, evocata dal premier conservatore ellenico Samaras in caso di

vittoria della sinistra radicale Syriza alle prossime elezioni. La Borsa di Atene ha incassato un tonfo del meno

7,35% (con Londra in calo ma solo dello 0,24%, Milano piatta a meno 0,09%, Parigi a meno 0,05% e

Francoforte leggermente positiva a più 0,64).

PER SAPERNE DI PIÙ www.mef.gov.it www.ecb.europa.eu

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46 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 36 La Repubblica - Ed. nazionale (diffusione:556325, tiratura:710716)

IL PUNTO

Caos South Stream e mercato instabile Eni congela Saipem l'ex gioiello di

casa dal tetto lesionato

Il socio al 43% blocca la vendita per rilanciare profitti e patrimonio Il nodo dei 5 miliardi di debito ANDREA GRECO

MILANO. «Recentemente le condizioni di mercato sono divenute instabili e pertanto, pur confermando la

strategia, la valutazione delle opzioni è sospesa». La voce del padrone non ha tardato a farsi sentire, chiara e

tempestiva. Dopo averla messa in vetrina cinque mesi fa, Eni congela la vendita di Saipem, prospettata a

luglio.

Scelta logica e sensata: non si vende una casa con il tetto rotto. E Saipem, dopo un 2013 orribile, da luglio

ha preso altre botte. Prima quelle, comuni al settore costruzioni petrolifere, legate al crollo del greggio che ha

messo in forse i progetti più arditi e costosi piombando le quotazioni. Poi quelle prese da sola (-13% l'ultima

settimana) perché i russi hanno dato per morto il gasdotto South Stream, mentre Saipem ne aveva già

comprato i tubi essendone grande contrattista con 2,5 miliardi di ricavi attesi.

Ci sono le penali, ma non somiglieranno agli utili sperati. Torniamo al padrone (Eni). Era autolesionismo

procedere con la vendita di un'azienda che a metà 2012 quotava 40 euro ad azione, a luglio 2014 era sui 20

e ieri ha chiuso a 8,68 euro. Ma come aggiustare il tetto? Saipem, pur avendo tenuto vivo il portafoglio ordini

e clienti in questa fase buia, ha problemi di redditività ed equilibrio finanziario. La prima subirà un impatto

«non marginale» dai nuovi fattori, ha detto l'ad Umberto Vergine, e renderà il 2015 anno «ancora di

transizione in salita, mentre doveva essere di consolidamento». Il 16 febbraio Saipem darà le nuove stime,

c'è poco da stare ottimisti. Poi va risolto il nodo del debito, 5 miliardi prestati da Eni che con il suo rating fa

risparmiare a Saipem almeno 50 milioni l'anno. Meno debiti, più capitale è la strada: e un aumento non lo

esclude neanche l'ad Vergine, ormai.

Ma su tutto incombe il management Eni, e l'intensità della terapia cui vorrà sottoporre Saipem prima di

rimetterla in vetrina.

Foto: L'ad dell'Eni Claudio Descalzi

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47 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 1,36,37 La Repubblica - Ed. nazionale (diffusione:556325, tiratura:710716)

Benzina sotto 1,6 euro è il minimo da tre anni petrolio ancora più giù

Rispetto a 12 mesi fa un pieno costa fino a 9 euro di meno Diesel vicino a quota 1,5. Wti a 59,85 dollari, come nel 2009 La fase di ribasso dei prezzi dei carburanti proseguirà anche nei prossimi giorni LUCIO CILLIS

ROMA. Carburanti senza freni, ma per fortuna ancora al ribasso.

Benzina e gasolio in queste ore stanno segnando i minimi da tre anni così come il petrolio prosegue la sua

discesa verso i 40 o 50 dollari al barile, livello che secondo molti analisti è a portata di mano. L'ultima volta

che ai distributori italiani si erano visti prezzi al di sotto della soglia psicologica di 1,6 euro al litro per la verde

e prossimi a 1,5 per il diesel, era esattamente 36 mesi fa, l'11 dicembre del 2011. Oggi è saltato anche quel

limite e gli automobilisti - rispetto a un anno fa - già risparmiano tra gli8ei9 euro per ogni pieno, pari a 6 litri di

gasolio (almeno 72 chilometri di autonomia in più) o a 5 di benzina (circa 60 chilometri in più per un pieno).

Basta fare un piccolo passo indietro per comprendere la portata di questo vero e proprio crollo dei listini: il 6

gennaio scorso, in pieno boom dei prezzi, per riempire il serbatoio di un'auto a benzina da 60 litri servivano

circa 104 euro e poco meno di 100 euro per il pieno di gasolio. Oggi, secondo i dati forniti dal ministero dello

Sviluppo economico, occorrono rispettivamente 96 euro per un pieno (meno 8 euro rispetto a gennaio) e 90

euro (meno 9 euro).

Secondo le rilevazioni del Mise il prezzo medio della verde è sceso a 1,596 euro (nella settimana all'11

dicembre 2011 eraa 1,575), mentre il gasolioè calato a 1,506 euro (1,501 nella prima settimana di novembre

2011).

Ma la fase di ribassi sui carburanti non è ancora terminata. I mercati internazionali del greggio sono ancora

in forte calo, e ieri Eni e Esso hanno nuovamente messo mano ai listini tagliando benzina e diesel di 1,5

centesimi al litro. Sul territorio, di conseguenza, i prezzi praticati continuano la loro discesa dappertutto, per

un fine settimana che con ogni probabilità vedrà anche nuove riduzioni, con ulteriori cali attesi a breve,

proprio durante la caotica settimana natalizia.

Secondo il campione di impianti utilizzato da Quotidiano energia il prezzo medio servito della benzina va da

1,644 euro al litro a 1,669 mentre i distributori no-logo oscillano attorno a 1,507. Per il diesel si passa

dall'1,571 euro a 1,598 con le pompe bianche a 1,423.

Il petrolio, infine, prosegue la scia di ribassi. Ieri anche la Casa Bianca ha detto di «monitorare con

attenzione» la questione dei prezzi particolarmente moderati del greggio che ha toccato i minimi da oltre

cinque anni. Un calo «indubbiamente positivo per l'economia americana» ha detto ieri il segretario Usa al

Tesoro Jack Lew. Un "declino" definito «uno sgravio fiscale per l'economia». Lew ha anche detto che la super

produzione di greggio degli Stati uniti è «una storia di successo». Ecco quindi che il Wti light crude ieri è

sceso sotto i 60 dollari al barile, a 59,85, livello che non toccava dal 2009, mentre il Brent, petrolio di

riferimento europeo, ha perso altri 27 centesimi, scivolando a 63,97 dollari. Una quota raggiunta dopo aver

toccato i 63,70 dollari, cifra non lontana dal minimo segnato nell'ottobre del 2009 di 63,56 dollari.

Carburanti, il crollo dei prezzi 6 gennaio 2014 Benzina

60

103,74

60

60

60

99,42

95,76

90,36 euro per un pieno da litri euro per un pieno da litri Gasolio euro per un pieno da Meno 7,98 euro per un

pieno rispetto a gennaio, pari a 5 litri risparmiati Meno 9,06 euro per un pieno rispetto a gennaio, pari a 6 litri

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48 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 1,36,37 La Repubblica - Ed. nazionale (diffusione:556325, tiratura:710716)

risparmiati litri 8 dicembre 2014 Benzina euro per un pieno da litri Gasolio FONTE MINISTERO SVILUPPO

ECONOMICO

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49 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 39 La Repubblica - Ed. nazionale (diffusione:556325, tiratura:710716)

L'operazione

Dietrofront Ferrari: sede fiscale in Italia

Nota Fca: nessun progetto di delocalizzazione all'estero. Il titolo della capogruppo crolla del 6,2 per cento dopo l'annuncio del prezzo di collocamento in Usa a 11 dollari. Consob indaga sulle vendite di azioni prima del pricing PAOLO GRISERI

TORINO. Alle 18,30, dopo 36 ore di indiscrezioni non commentate, Fca smentisce con un comunicato di

quattro righe l'intenzione di trasferire all'estero il domicilio fiscale di Ferrari, di pagare le tasse della Rossa

fuori dall'Italia. «La stampa - dice il comunicato - ha riferito di voci secondo le quali Ferrari spa avrebbe allo

studio il trasferimento della propria residenza fiscale all'estero. Si tratta di voci prive di fondamento. Non vi è

alcun piano o intenzione di trasferire all'estero la residenza fiscale di Ferrari».

Una marcia indietro in piena regola anche se ufficialmente Torino e Maranello si erano limitate a non

smentire le indiscrezioni che giovedì erano rimbalzate dall'America, dov'erano in corso gli incontri tra i

banchieri e i vertici di Fca. Perché smentire con 36 ore di ritardo (nonostante le numerose richieste di

chiarimento) una indiscrezione tanto destabilizzante per l'immagine del gruppo in Italia? E per quale motivo,

se le voci erano davvero «prive di fondamento», non stroncarle subito? Più probabilmente i vertici di Fca

hanno scelto di lasciare circolare l'indiscrezione per saggiare le reazioni in Italia dove un'analoga scelta

compiuta all'atto della fusione tra Fiat e Chrysler, nei mesi scorsi, non aveva prodotto grandi proteste. Ma Fca

è un'azienda globale, la somma di storie diverse. Ferrari invece continua ad essere vissuta come uno dei

motivi di orgoglio della Penisolae l'idea che vadaa farsi tassarei profitti a Londra non è stata digerita bene.

Così nelle ultime ore sarebbe intervenuta anche la politica a cercare di far cambiare idea ai vertici di Torino.

Che ieri pomeriggio hanno deciso di mettere la parola fine alle polemiche.

Chiuso in questo modo il capitolo sulla sede fiscale di Ferrari, rimane invece aperto quello dell'indagine della

Consob sui «movimenti anomali» del titolo Fca negli ultimi due giorni. Sotto osservazione le ore a cavallo

dell'annuncio del pricing del pacchetto da 87 milioni di azioni (estendibilea 100 milioni) vendute sul mercato

Usa. Accanto a questa operazione Marchionne intende raccogliere 2,5 miliardi di dollari con un prestito

convertendo a scadenza 2016 la cui cedola sarà del 7,8 per cento annuo. Il comunicato ufficiale con il prezzo

delle azioni vendute sul mercato Usa è stato pubblicato all'alba di ieri mattina e annuncia un prezzo di 11

dollari, 8,8 euro per azione. Ma nella mattinata di mercoledì, quasi un giorno prima dell'annuncio, la vendita di

un consistente pacchetto di Fca ha innescato la corsa al ribasso. Mercoledì il titolo era ancora vicino ai

massimi di 11 euro. In due giorni ha perso oltre il 12 per cento allineandosi quasi al valore del pricing: ieri ha

chiuso a 9,2. Chi ha venduto mercoledì mattina a 11 euro ha realizzato una consistente plusvalenza. Su

questo movimento Consob ha acceso il faro.

Nel comunicato sul pricing, Exor conferma che farà la sua parte nel convertendo acquistando per 886 milioni

di dollari per proteggersi dalla diluizione e mantenere la sua quota intorno al 30 per cento. I NUMERI

2,5 mld IL BOND È la cifra che Fca punta a raccogliere con il bond convertibile

7,875% LA CEDOLA È questa la cedola annua del bond convertendo da 2,5 miliardi di dollari

11 $ IL PREZZO È questo il prezzo con il quale saranno collocate le azioni Fca sulla Borsa Usa PER

SAPERNE DI PIÙ www.fcagroup.com www.conad.it

Foto: AL TIMONE Sergio Marchionne

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50 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 7 La Stampa - Ed. nazionale (diffusione:309253, tiratura:418328)

"L'Italia rispetti i patti Ue avrà fiducia sui mercati"

Il bollettino Bce: avanti con le riforme e la riduzione del debito MARCO SODANO

Se l'Italia teme gli scossoni dei mercati finanziari e le bizze dello spread (ieri stabile a 137 punti), è sufficiente

che «assicuri il pieno rispetto dei requisiti del Patto di stabilità e crescita e della regola del debito per non

mettere a repentaglio la sostenibilità delle finanze pubbliche e preservare la fiducia». L'ultimo bollettino Bce la

mette lì come se fosse una soluzione, ma è chiaro che è solo l'enunciazione del problema. I numeri di

Francoforte combaciano con quelli diffusi da Bruxelles martedì: rispetto agli impegni presi con l'Europa, nel

bilancio 2015 manca una cifra che equivale allo 0,4% del Pil (circa sei miliardi). E poi c'è la riduzione del

debito, anche questa più lenta del previsto. Anche le conclusioni sono simili a quelle circolate tra Ecofin e

dintorni: per Italia e Belgio «se la Commissione europea confermerà la propria valutazione di violazione della

regola del debito» si potrebbe aprire «una procedura per i disavanzi eccessivi, a meno che si rilevino fattori

attenuanti». Viceversa la Francia rischia che si apra la «fase successiva» della procedura per i disavanzi

eccessivi «ivi comprese eventuali sanzioni». Tanta attenzione ai guai dei paesi deboli dell'eurozona, si spiega

con le previsioni generali per il futuro. Che non sono buone: crescita quasi piatta, prezzi ancora in caduta. Le

stime sull'inflazione nel 2015 sono state tagliate da +1,1 a +0,7%, il prezzo del petrolio ai minimi fa sentire i

suoi effetti. C'è una schiarita sul fronte della disoccupazione. «Dalla primavera del 2013 il mercato del lavoro

dell'area dell'euro è migliorato» scendendo da un picco del 12% raggiunto a metà 2013, all'11,5 del terzo

trimestre 2014. Da allora la disoccupazione si è ridotta «seppure in misura lieve, e a fine 2013 è tornata in

territorio positivo». E anche se restano «marcate differenze tra paesi, benché più contenute rispetto al 2013»

nella maggior parte delle economie dell'area dell'euro resta in positivo. Negli ultimi mesi del 2014 però il clima

è peggiorato, così la Bce parla di «moderazione della crescita» e di «stabilizzazione», per poi concludere che

comunque il tasso dei disoccupati «dovrebbe mostrare un ulteriore calo moderato nei prossimi trimestri».

Sulla crescita i toni restano preoccupati. «Le indagini congiunturali arrivate fino a novembre confermano il

quadro di un profilo di crescita più debole nel prossimo futuro. Permangono le prospettive di una modesta

ripresa dell'economia nell'area dell'euro». La domanda interna dovrebbe essere favorita dalla politica

monetaria espansiva, dal risanamento dei conti pubblici, delle riforme, e infine dal «calo significativo dei

prezzi dell'energia, che sostiene il reddito disponibile reale. Inoltre, la domanda di esportazioni dovrebbe

trarre beneficio dalla ripresa mondiale». Sul fronte opposto peseranno la disoccupazione alta, la capacità

produttiva inutilizzata (resta «cospicua») e le cure dimagranti ai bilanci pubblici e, di conseguenza, a quelli

privati. Si arriva così al leit-motiv delle riforme. L'Eurotower spiega che «diversi paesi devono imprimere

slancio a un'attuazione risoluta delle riforme dei mercati dei beni e servizi e del lavoro, nonché agli interventi

volti a migliorare il contesto in cui operano le imprese». Il ritratto dell'Italia: e sono le condizioni perché «il

Piano di investimenti per l'Europa annunciato dalla Commissione europea lo scorso 26 novembre sostenga la

ripresa». La Bce sta fornendo un forte sostegno all'economia (e resta pronta a altri interventi, che saranno

tempestivi se necessario) ma «per rafforzare l'attività di investimento, favorire la creazione di lavoro e

aumentare la crescita è necessario che gli altri settori di politica economica forniscano un contributo

decisivo».

Se la Commissione confermerà una violazione sul debito, potrebbe avviare una procedura di

infrazione

Le indagini arrivate fino a novembre confermano il quadro di un profilo di crescita più debole dal Bollettino

Bce di novembre 2014

I numeri della giornata 137 Lo spread Ieri è rimasto stabile: venerdì scorso aveva segnato un minimo record

a 119, poi è risalito fino a 141 (mercoledì) +0,7% I prezzi La stima dell'Eurotower per il 2015, tagliata ieri.

Prima la banca centrale ipotizzava una crescita quattro decimali più alta (+1,1) 60 Dollari Ieri a New York il

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51 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 7 La Stampa - Ed. nazionale (diffusione:309253, tiratura:418328)

prezzo di un barile di petrolio è sceso sotto i 60 dollari per la prima volta dal 2009: il crollo rallenta

ulteriormente l'inflazione

Foto: KAI PFAFFENBACH /REUTERS

Foto: Il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi

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52 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 1 MF - Ed. nazionale (diffusione:104189, tiratura:173386)

Maire corre a tutto gas negli Emirati

Contratto da 2,2 mld $ per impianto petrolifero ad Abu Dhabi Colamartino a pagina 13 di Francesco

Colamartino Tecnimont, società controllata da Maire Tecnimont, ha firmato un contratto di Epc (engineering,

procurement e construction) da 2,25 miliardi di dollari con Abu Dhabi Company for Onshore Oil Operations

(Adco) per la realizzazione della fase 3 del progetto Al Dabb'iya Surface Facilities ad Abu Dhabi. La fase 3 è

parte del programma di sviluppo del campo petrolifero North East Bab (Neb) di Adco, società del gruppo

Adnoc, una delle più grandi compagnie petrolifere al mondo, e operatore del giacimento di Al Dabb'iya,

situato a 40 chilometri a sud-ovest di Abu Dhabi. Secondo quanto previsto dal contratto, Tecnimont svolgerà

le attività di Epc (fino ai performance test) per l'espansione dell'impianto esistente, compresi la raccolta

dell'olio greggio attraverso una rete di pipeline, la realizzazione di un impianto centrale di processo e delle

relative export pipeline per il petrolio e il gas associato. Per dimensione e contenuti tecnici questo può essere

considerato il progetto-bandiera del gruppo Maire Tecnimont nel business dell'oil & gas, a valle del successo

del progetto Habshan 5, il più grande impianto di trattamento del gas mai realizzato ad Abu Dhabi,

recentemente completato per Gasco. «Quello dell'oil & gas è un settore molto promettente per noi», ha detto

Pierroberto Folgiero, amministratore delegato di Maire Tecnimont, a MFMilano Finanza, «anche se va

precisato che è soprattutto il gas, e nello specifico lo shale gas, a trainare questo mercato». Per quanto

riguarda i Paesi più promettenti per questo business, Maire sta guardando in primo luogo agli Stati Uniti,

patria dello shale gas, ma anche all'area dell'Africa subsahariana e alle repubbliche caucasiche ex sovietiche,

che, in un momento in cui la Russia sta attraversando una situazione complessa, stanno diventando sempre

più autonome e determinanti nel mercato. Maire ha mosso i primi passi negli Emirati Arabi Uniti negli anni 70

nel settore degli idrocarburi e delle infrastrutture e negli ultimi cinque anni il giro d'affari nel Paese si è

attestato a 5,75 miliardi di dollari. In scia alla maxi-commessa il titolo Maire a Piazza Affari ieri ha chiuso in

rialzo dello 0,88% a 1,94 euro, in controtendenza rispetto a un Ftse Mib che ha lasciato sul campo lo 0,09%.

(riproduzione riservata)

MAIRE TECNIMONT quotazioni in euro

Foto: Pierroberto Folgiero Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/maire

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53 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 1 MF - Ed. nazionale (diffusione:104189, tiratura:173386)

EFFETTO CONVERTENDO DOPO IL -6,5% DI MERCOLEDÌ, IERI A PIAZZA AFFARI IL LINGOTTO HA LASCIATO SUL TERRENO UN ALTRO 6,3%

Fca brucia 1,6 miliardi in due giorni

Il bond e il collocamento azionario a sconto pesano sul titolo della casa automobilistica. La capitalizzazione

scende verso quota 11 miliardi. Marchionne smentisce il trasloco di Ferrari: non vogliamo trasferire all'estero

la sede fi scale della Rossa (Mondellini a pagina 9) Un calo del titolo Fca del 6,3% a 9,2 euro sulla borsa di

Milano e una flessione del 2.9% a 11,15 dollari su quella di New York è stata la risposta dei mercati alla

fissazione, arrivata all'alba di ieri, del prezzo del nuovo collocamento azionario del Lingotto e sulle condizioni

del prestito convertendo da 2,5 miliardi di dollari annunciati nelle settimane scorse. Il risultato borsistico di ieri,

sommato a quello di mercoledì, quando nell'imminenza del lancio del convertendo sono cominciate le

vendite, ha fatto sì che nelle ultime due sedute il titolo Fca abbia lasciato sul campo il 12,5% circa alla borsa

di Milano, bruciando 1,6 miliardi in termini di capitalizzazione che scende così dai 12,8 miliardi di martedì sera

agli 11,2 di ieri. Non stupisca nemmeno in questo quadro la differenza di andamento tra la borsa di Milano e

quella di New York, visto che quest'ultima aveva registrato nella giornata di mercoledì un calo molto più

pesante del titolo Fca; ieri la borsa milanese si è adeguata ai movimenti di quella newyorchese Bisogna

sottolineare infatti che numerosi operatori hanno realizzato prese di beneficio nel momento della

realizzazione del convertendo, dato che il titolo del Lingotto dal 29 ottobre, data in cui Marchionne ha

annunciato la separazione di Ferrari da Fca, aveva guadagnato circa il 30%. Non solo, ma come ha fatto

notare ieri una casa di brokeraggio milanese «il titolo Fca negli ultimi due giorni ha sofferto della decisione di

assegnare le azioni a un prezzo scontato rispetto all'ultima quotazione». Ieri infatti Fca ha comunicato che

collocherà 87 milioni di azioni ordinarie costituite da azioni proprie detenute dalla stessa società e da ulteriori

azioni derivanti dall'esercizio del diritto di recesso a 11 dollari. Un prezzo inferiore del 4,1% rispetto alla

chiusura di Wall Street di mercoledì, quando il titolo aveva terminato le negoziazioni a 11,47 dollari dopo

avere subito un crollo del 9,5% nel corso della giornata, ma soprattutto inferiore del 13% nei confronti della

chiusura di martedì a 12,67 dollari sempre a New York. Questa operazione, che consentirà quindi al Lingotto

di incassare una cifra di circa 957 milioni di dollari, ovvero 769 milioni di euro, rappresenta però una parte

soltanto delle operazioni di finanziamento varate ieri. Fca infatti ha anche annunciato le condizioni del

convertendo da 2,5 miliardi di dollari (2 miliardi di euro circa) necessario per rafforzare patrimonialmente il

Lingotto in vista delle future sfide strategiche. L'obbligazione, su cui le banche collocatrici (JP Morgan,

Goldman Sachs, Barclays, Ubs, Citi, BofA Merrill Lynch e Morgan Stanley) hanno l'opzione di acquistare da

Fca un ulteriore ammontare nozionale fino a 375 milioni di dollari, avrà durata due anni con un rendimento del

7,875% e verrà convertita il 15 dicembre 2016 tra 11 e 12,925 dollari per azione (il premio massimo è stato

stabilito a +17,5% dalle quotazioni del titolo alla chiusura di mercoledì a New York). Il tasso di conversione

massimo sarà di 9,0909 titoli Fca per ciascun titolo obbligazionario mentre il tasso minimo sarà di 7,7369. A

queste condizioni, hanno fatto notare i broker, a fine operazione, il numero totale di azioni salirà dalle attuali

1,2 miliardi a 1,4 miliardi. Inoltre, al termine di tutti gli interventi la posizione finanziaria netta industriale è

attesa in miglioramento a -7,5 miliardi rispetto al -6,6 miliardi di fine 2013. Queste operazioni, che frutteranno

complessivamente 2,7 miliardi alle casse della casa torinese, hanno come obiettivo quello di dare mezzi

freschi alla casa torinese per poter finanziare il piano industriale al 2018, reputato ambizioso da numerosi

operatori, con cui Marchionne vuole rilanciare brand come Alfa Romeo e Maserati di qui al 2018. Sempre ieri,

intanto, il Lingotto ha smentito l'intenzione di trasferire la sede fiscale della controllata Ferrari al di fuori dei

confini italiani con l'obiettivo di risparmiare sul carico imponibile. «La stampa ha riferito di voci secondo le

quali Ferrari. avrebbe allo studio il trasferimento della propria residenza fiscale all'estero. Si tratta di voci prive

di fondamento. Non vi è alcun piano o intenzione di trasferire all'estero la residenza fiscale di Ferrari, né alcun

progetto di delocalizzare le sue attività italiane, che continueranno ad essere soggette al regime fiscale

italiano», spiega una nota di Fca. L'indiscrezione era stata rivelata a un'agenzia americana da alcuni

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54 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 1 MF - Ed. nazionale (diffusione:104189, tiratura:173386)

investitori istituzionali statunitensi dopo un incontro con Marchionne durante il roadshow per il convertendo.

L'indiscrezione è trapelata mercoledì mattina ma il Lingotto ha smentito solo nella serata di ieri. Un intervallo

di quasi due giorni in cui l'allarme di una Ferrari all'estero ha riempito le prime pagine di tutti i giornali italiani e

irritato non poco l'opinione pubblica nazionale (riproduzione riservata)

FCA quotazioni Italia in euro

Foto: Sergio Marchionne Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/fca

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55 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 1 MF - Ed. nazionale (diffusione:104189, tiratura:173386)

GOVERNO

In arrivo il decreto per le Fs in vista della privatizzazione di metà 2016

Luisa Leone

(Leone a pagina 5) Il governo fa sul serio sulla privatizzazione di Ferrovie. È vero che i tempi non potranno

essere brevissimi e che i nodi da sciogliere sono molti, ma forse proprio per questo motivo l'esecutivo non ha

intenzione di perdere tempo e, secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, è pronto a portare in Consiglio

dei ministri il decreto per dare avvio alla valorizzazione del gruppo. Il via libera al Dpcm, secondo

indiscrezioni, potrebbe arrivare già entro la fine di dicembre o al massimo a inizio gennaio, e sarebbe il primo

atto concreto sulla strada della privatizzazione, come già successo per Poste Italiane ed Enav e poi anche

Rai Way. Certo, le prime due si sono poi arenate sulle spiagge del cambio di management, ma Ferrovie, il cui

cda è stato rinnovato la scorsa primavera, non dovrebbe correre lo stesso rischio. Vero è che qualche screzio

al vertice tra l'amministratore delegato, Michele Elia, e il presidente, Marcello Messori, c'è già stato proprio

sulla questione della privatizzazione, tanto da portare il presidente a rimettere le deleghe sulla materia. Ma

proprio per evitare lo stallo, il governo ha deciso di costituire una task force composta da rappresentanti del

ministero dell'Economia, dei Trasporti e delle Ferrovie, che seguirà passo passo il processo di valorizzazione,

che non potrà essere breve. È stato proprio Elia, qualche giorno fa, a indicare nella prima metà del 2016 il

periodo buono per concretizzare la vendita di una quota di Fs. Nel 2015, invece, si dovrebbe chiudere la

struttura dell'operazione e finalizzare la cessione di Grandi Stazioni (di cui Ferrovie ha il 60%) e della rete

elettrica, che dovrebbe essere ceduta a Terna. Saranno quelli provenienti da queste due cessioni, dunque, gli

incassi su cui il governo potrà contare nel 2015, naturalmente pro-quota visto che in Grandi Stazioni il 40%

delle azioni è in mano ai privati. Spiccioli in confronto ai circa 5 miliardi che si spera di ottenere dalla cessione

del 40% dell'intero gruppo, che secondo indiscrezioni potrebbe essere ceduto tramite gara piuttosto che

portato in borsa. Il decreto che avvierà formalmente l'iter di cessione, che come detto è atteso a breve,

dovrebbe indicare entrambe le forme di valorizzazione, ma al momento la strada dell'ipo sembra poter

complicare ancora di più il percorso. Ad ogni modo, i prossimi passi saranno definiti nella riunione della task

force prevista per il prossimo gennaio. Come anticipato da MF-Milano Finanza lo scorso 3 dicembre, la prima

questione da affrontare è quella dell'infrastruttura ferroviaria, che si vorrebbe scorporare da Rfi, facendola

tornare allo Stato, lasciando però la gestione alla società delle Fs. Per questo, il passo successivo sarà

proprio quello di definire un adeguato contratto di programma con la società, così come con Trenitalia, con le

aziende che si occupano del servizio merci, e anche per il trasporto locale, dove i contratti sono siglati

Regione per Regione. Un vero ginepraio regolatorio, insomma, che non sarà affatto facile districare. Intanto si

dovrà anche fare in modo che vadano avanti le prime due operazioni di valorizzazione interne al gruppo,

Grandi Stazioni, che dovrebbe finire sul mercato non prima del prossimo giugno, e la cessione della rete ad

alta tensionea Terna. Per quanto riguarda quest'ultimo dossier, il fatto che il compratore designato ci sia già

non significa che non ci siano complicazioni, a partire dalla remunerazione che sarà riconosciuta alla rete.

(riproduzione riservata)

Foto: Michele Elia Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/fs

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56 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 1 MF - Ed. nazionale (diffusione:104189, tiratura:173386)

Gavio avvia il riassetto e lancia Aurelia International

Andrea Giacobino

(Giacobino a pagina 12) Si chiamerà Aurelia International srl la nuova capogruppo dei Gavio per il business

delle costruzioni, mentre Aurelia srl, attuale holding, continuerà a operare nelle concessionarie autostradali,

nella logistica e nei trasporti. La nuova riorganizzazione della dinastia alessandrina guidata da Beniamino

Gavio è contenuta in dettaglio nell'articolato progetto di scissione parziale di Codelfa, appena depositato, e

che «fa parte di un più ampio progetto di riorganizzazione», si legge nel documento, «con l'obiettivo di

separare l'attività di costruzione da quella relativa gli altri settori». Tutto ruota attorno a Itinera, nella quale è

stato appunto concentrato questo business già alla fine dello scorso anno, quando la società fatturò quasi

530 milioni di euro. «Il progetto complessivo verrà realizzato attraverso tre successive operazioni di scissione

destinate a concentrare in un'unica beneficiaria, di nuova costituzione, i rapporti partecipativi che

attribuiscono il controllo di Itinera». Quindi, innanzitutto, Codelfa (controllata da Argo Finanziaria, a sua volta

detenuta da Aurelia srl) scinde parzialmente a favore della newco Partecipazioni Costruzioni il suo 9,4% in

Itinera per un patrimonio netto complessivo di 18,6 milioni; successivamente Argo Finanziaria conferisce nella

newco Finanziaria di Costruzioni il 43,8% di Itinera e l'83,5% della già citata Partecipazioni Costruzioni; infine

Aurelia srl scinde parzialmente a favore della newco Aurelia International il 100% di Finanziaria di

Costruzioni. Per effetto di queste tre operazioni Aurelia International avrà il controllo di Itinera col 53,3%,

mentre il 29,6% resterà a Satap e il rimanente 17% alla quotata Astm. (riproduzione riservata)

SIAS quotazioni in euro

Foto: Beniamino Gavio Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/gavio

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57 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 10 MF - Ed. nazionale (diffusione:104189, tiratura:173386)

IL CEO CASTAGNA FRENA SUL MOVIMENTISMO INTERNO: SIAMO STATI BENE ANCHE SENZA

Bpm, avanti senza associazioni

Da gennaio partirà il cantiere sulla governance. Confronto anche con la Bce. Il progetto potrebbe ricalcare quello arrivato in assemblea nell'aprile scorso. Nessuna richiesta extra dopo gli stress test Luca Gualtieri

Il consigliere delegato Giuseppe Castagna prende le distanze dallo spontaneismo associativo che in queste

ultime settimane sta vivacizzando il sottobosco della Banca Popolare di Milano. «Penso che la banca abbia

funzionato benissimo quest'anno senza che ci fosse nessuno che parlava di governance, di fondazioni e di

associazioni», ha spiegato ieri il banchiere a margine di un evento dedicato allo sport organizzato dall'istituto.

Sono almeno quattro le iniziative spuntate dal basso tra ottobre e oggi: l'associazione Lisippo guidata dall'ex

consigliere Giovanni Bianchini, il gruppo Per la Cooperativa, sorto sulle ceneri dell'omonima lista che

nell'assemblea del dicembre scorso candidò Piero Giarda alla presidenza, il comitato Per le banche popolari

e indipendenti promosso dagli ex consiglieri Ruggiero Cafari Panico, Maurizio Cavallari ed Enrico Castoldi e il

comitato Il Patto promosso dai pensionati. Sullo sfondo ci sarebbe anche l'ipotesi di un intervento dei

sindacati nazionali del credito per arginare le fronde e promuovere una nuova organizzazione che potrebbe

assumere la forma giuridica della fondazione. Tanti nomi insomma, ma ancora pochi programmi, se si

eccettua qualche slogan ed è proprio questo il senso delle parole spese ieri da Castagna: «Sento che ci sono

delle potenziali associazioni di cui non conosco i programmi, né sinceramente l'efficacia giuridica. Aspettiamo

un po' che arrivi il momento giusto. Se ci vengono a parlare e ci raccontano che idea hanno e cosa vogliono

fare noi parliamo con piacere con tutti. Se qualcuna di queste associazioni è in linea con noi ci fa molto

piacere», ha spiegato Castagna. Il clima all'interno di Piazza Meda è stato vivacizzato dall'imminente apertura

del cantiere sulla governance sul quale ieri si è soffermato il consigliere delegato. «Sulla governance non c'è

ancora nessun pronunciamento ufficiale. Pensiamo che da gennaio inizieremo a lavorare e a capire che

esigenze ha la Bce in tema di governance per tutte le popolari, non solo per Bpm», ha puntualizzato il

banchiere. Le modifiche statutarie dovrebbero poi essere presentate all'assemblea degli azionisti di aprile.

Quanto ai contenuti, le linea guida dovrebbero restare quelle tracciate lo scorso anno quando però il

documento venne inaspettatamente bocciato dai soci. Nello specifico, quella riforma appariva come un

compromesso efficace tra una fisiologica apertura alle logiche di mercato e lo spirito della cooperativa. Anche

se l'aggregato dipendenti avrebbe mantenuto la maggioranza in consiglio di sorveglianza, il vero elemento di

novità andava ricercato nell'accresciuta influenza dei soci di capitale. Il documento messo in votazione in

assemblea stabiliva infatti che gli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (gli oicvm, in sostanza

i fondi di investimento) avrebbero potuto presentare almeno tre liste. Quanto ai rapporti con la Bce dopo

l'esito del comprehensive assessment, ieri Castagna ha spiegato che Bpm non ha ricevuto nuove richieste di

accantonamenti su crediti alla luce dei risultati dell'asset quality rewiev. Negli ultimi giorni infatti Francoforte

avrebbe chiesto a diversi istituti di credito italiani di contabilizzare integralmente i risultati dell'asset quality

review nei bilanci del 2014, quindi non solo quella parte derivante dalla credit file review. (riproduzione

riservata)

POPOLARE MILANO quotazioni in euro 0,55 € -2,23% IERI

Foto: Giuseppe Castagna

Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/bpm

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58 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 11 MF - Ed. nazionale (diffusione:104189, tiratura:173386)

LA MANOVRA DI RAFFORZAMENTO PATRIMONIALE AL VAGLIO DEL SUPERVISORY BOARD

Il piano Mps all'esame della Bce

Ma il verdetto potrebbe non essere immediato. Sul tavolo l'aumento di capitale da 2,5 miliardi che copre più del deficit calcolato. In attesa anche gli altri istituti che hanno presentato il capital plan Luca Gualtieri

La discussione sulle strategie di Banca Mps e degli altri istituti di credito italiani che hanno dovuto presentare

un capital plan alla Bce (tra cui l'altra bocciata, Banca Carige) dovrebbe entrare nel vivo oggi, anche se il

verdetto potrebbe non arrivare subito. È quanto trapela alla vigilia della riunione del supervisory board della

Banca Centrale Europea, un appuntamento molto atteso a Siena per definire le prossime tappe del processo

di rafforzamento patrimoniale. Come noto, il Monte non ha superato il comprehensive assessment e ha

dovuto mettere a punto in due settimane un capital plan per coprire il deficit patrimoniale da 2,11 miliardi.

L'iniziativa principale messa sul tavolo dalla banca è un aumento di capitale da 2,5 miliardi che dovrebbe

servire non solo per coprire lo shortfall, ma anche per rimborsare gli 1,07 miliardi di Monti bond ancora in

portafoglio in largo anticipo rispetto alla scadenza del 2017. La scelta di raccogliere sul mercato capitale di

elevata qualità («un'operazione trasparente e semplice», come l'ha definita l'amministratore delegato Fabrizio

Viola in una recente intervistaa MFMilano Finanza) va proprio nella direzione suggerita da Francoforte e

difficilmente ci saranno intoppi su questo aspetto. Meno scontata sembra invece la luce verde sulla richiesta

di mitigazione del deficit per 390 milioni avanzata dalla banca. Questo valore rappresenta infatti la differenza

positiva tra gli utili operativi stimati per il 2014 e i medesimi valori stimati nello scenario avverso dello stress

test della Bce. Su questo specifico punto, secondo indiscrezioni trapelate alla fine di novembre, ci sarebbe

stato un approfondimento tra il gruppo di lavoro guidato Daniele Nouy e Rocca Salimbeni, anche se è difficile

prevedere l'esito della discussione. Altro aspetto del capital plan è quello che riguarda le misure di capital

management, stimate in circa 220 milioni, rappresentate da «cessioni di partecipazioni non core e attivi del

portafoglio proprietario ad alto assorbimento patrimoniale, senza impatti significativi sulla redditività

prospettica della banca». Ovviamente l'attenzione del mercato è concentrata soprattutto sull'aumento di

capitale che dovrebbe arrivare a stretto giro dopo quello da cinque miliardi lanciato nell'estate scorsa. Salvo

sorprese, le nuove azioni dovrebbero essere offerte in opzione ai soci, anche se per il momento l'unica

adesione ufficiale pervenuta è quella di Axa. Gli occhi sono puntati soprattutto sui pattisti che insieme

blindano il 9% del capitale della banca. Anche se finora il presidente della Fondazione Mps, Marcello Clarich,

non si è mai sbilanciato, difficilmente Palazzo Sansedoni accetterà di recidere il legame con la conferitaria,

sancito peraltro anche dallo statuto. Soprattutto se si pensa che la Fondazione ha oggi in cassa oltre 400

milioni di liquidità e che, in caso di una ricapitalizzazione da 2,5 miliardi, l'esborso potrebbe aggirarsi intorno

ai 62,5 milioni. Più sfumata appare invece la posizione dei due pattisti stranieri, Fintech e Btg Pactual. Finora

i due investitori hanno impegnato 505 milioni nell'avventura senese e oggi l'attenzione va soprattutto alla

remunerazione dell'investimento. La bocciatura della Bce è stata una doccia gelata per questi operatori i cui

vertici, in via informale, avrebbero espresso profonda apprensione per l'accaduto. (riproduzione riservata)

MONTE PASCHI SIENA

Foto: Fabrizio Viola

Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/mps

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59 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 16 MF - Ed. nazionale (diffusione:104189, tiratura:173386)

Italia, Germania e Grecia sono sulla stessa barca. È il messaggio da

inviare da Torino

Angelo De Mattia

Ieri è iniziato a Torino il vertice tra Germania e Italia, con l'intervento dei rispettivi capi di Stato, Joachim

Gauck e Giorgio Napolitano. La speranza è che l'incontro giovi non solo alle relazioni tra i due Paesi ma

anche alla convergenza su una visione dell'Europa coerente con le finalità dei Paesi fondatori, non

dimenticando il principio di sussidiarietà, che consenta il superamento di distanze, a volte rilevanti, soprattutto

nelle strategie di politica economica e sociale e, più da vicino, valga a rasserenare questa fase in cui si

dovrebbe avviare l'abbandono dell'austerity e agevolare, non contrastare, l'azione della Bce. Nel frattempo,

Matteo Renzi, ha dichiarato che se il suo governo fallisce dopo ci sarà la Troika. Nella stessa circostanza ha

sottolineato che, se anche il Fmi, che non è una sezione del Partito comunista negli Usa, chiede che l'Europa

adotti politiche espansive per la crescita, i partner dell'Ue dovranno pure cominciare a farsi qualche domanda.

È bene riflettere, data la provenienza, su queste affermazioni. È sempre un azzardo dore après moi le

déluge. Nel caso di specie, poi, non si fa un gran servizio al Paese perché, così indirettamente

presentandolo, lo si assimila involontariamente alla situazione greca e, comunque, si finisce con l'evocare,

volenti o nolenti, uno stato assai critico dell'economia italiana, svalutando quanto fatto finora dallo stesso

governo, peraltro pubblicizzato enfaticamente dai suoi componenti. Al contrario la condizione italiana, pur

difficile, non è certo tale da rendere necessario il sostegno del Fmi, della Bce e dell'Unione europea. Il punto

centrale resta la crescita. Nel prossimo vertice dei capi di Stato e di governo che inizia il 17 è su questo tema

che si dovrebbe davvero dare battaglia. E anche se il dialogo Germania-Italia ha una finalità assai più

elevata, il vertice dovrebbe essere servire anche a preparare una riunione del Consiglio europeo del 17, che

chiude di fatto il semestre di presidenza italiana dell'Unione, meno accademica delle solite. Queste riunioni

non possono essere più meramente rappresentative di istanze, lamentazioni e annunci di battaglie, poi

neppure tentate. Devono essere impegnative e produttive di risultati effettivi, non la ricorrente contesa priva di

conseguenze. Continuare a decantare, come fa Juncker, il piano di investimenti da lui promosso con la

costituzione di un fondo di 21 miliardi, dalla cui realizzazione, per di più, si è ancora lontani, significa essere

lontani dalla percezione delle effettive esigenze dell'Unione, dalla responsabilità verso i singoli Paesi e verso

il contesto globale, ora che difficoltà più o meno gravi toccano Cina, Giappone, Russia e altri Paesi

emergenti. In questo senso il Fondo monetario ha ragione. Ma non si può dimenticare che è lo stesso

organismo che, quando deve passare dal predicare al razzolare, dimostra l'enormità della distanza tra le due

azioni. La prova regina la offre con il rigorismo esacerbato quando fa parte, come nel caso della Grecia, dei

soggetti che hanno deciso aiuti ai Paesi in crisi. La riapertura della vicenda greca è anche attribuibile alle

valutazioni rigoristiche, permanentemente proprie di una strategia di austerity talebana, del Fondo i cui

esponenti, nei convegni, declamano l'urgenza delle politiche espansive e danno frequentemente i voti alla

Bce, ma, quando sono chiamati alla prova dei fatti, restano asserragliati sull'austerity vecchia maniera. Se,

come Renzi ha detto dopo il colloquio con il direttore generale del Fondo, Christine Lagarde, questa

istituzione vuole effettivamente politiche per la crescita da parte dell'Europa, cominci a dare, essa per prima,

dimostrazione di voler perseguire, quando è chiamata all'esercizio di proprie competenze, un contributo a una

tale strategia. La riproposizione della vicenda greca chiama in causa (oltre all'Fmi) l'intera Unione e

l'Eurozona. L'accelerazione di interventi per la crescita, la trasformazione del piano-topolino Juncker in uno

veramente adeguato alle urgenze di questa fase, l'esclusione degli apporti dei singoli Paesi al computo del

deficit, la previsione di equi criteri per la destinazione delle risorse e la promozione del Quantitative easing,

da parte della Bce - insomma una strategia antideflazione e antirecessione - sono cruciali per le ragioni

generali tante volte espresse su queste colonne, ma valgono pure a contribuire alla soluzione tempestiva dei

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60 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 16 MF - Ed. nazionale (diffusione:104189, tiratura:173386)

problemi della Grecia, che non si possono continuare ad affrontare con la cecità dell'austerità. Il destino della

Grecia è in mano ai greci, ma anche, e in questa fase soprattutto, all'Europa. Evocare le catastrofi di un

cambio di governo, ora che anche Syriza si dichiara disponibile a una linea che tenga conto dell' importanza

delle relazioni finanziarie, non significa altro che dare una spinta verso il baratro, cosa che dovremmo

considerare pericolosissima se non altro per l'effetto-domino, i cui primi segnali sono giunti in questi giorni,

ma anche ieri l'impatto sulla Borsa ateniese è stato rilevante. In Germania, come hanno dimostrato recenti

dichiarazioni del capogruppo Ppe al Parlamento europeo, espressione della Cdu, ci si comincia a rendere

conto che il governo deve promuovere una crescita degli investimenti e un sostegno alla domanda interna:

sono ammissioni rilevanti. Ecco perché, la comunione dei destini dei partner europei dovrebbe diventare il

tema centrale dell'Unione e, prima ancora, del dialogo iniziato ieri a Torino. Noi dovremmo comunque sapere

che una caduta della Grecia immediatamente farà spostare l'occhio del ciclone sull'Italia. (riproduzione

riservata)

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61 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 110 L'Espresso - N.50 - 18 dicembre 2014 (diffusione:369755, tiratura:500452)

Economia made in italy

Torna a casa azienda

Conviene ancora delocalizzare? Alcuni imprenditori pensano di no. E stanno riportando le produzioni in Italia. "L'Espresso" è andato a incontrarli. Scoprendo che al declino si può reagire maurizio maggi e stefano vergine

Torna a cassa azienda Torna a cassa azienda Avolte, ritornano. Gli economisti lo chiamano "back-shoring", o

"re-shoring", termini inglesi che riempiono la bocca più dell'italico "rilocalizzazione". In Nord America dicono

che il fenomeno si stia diffondendo a macchia d'olio. E l'Italia, ancora con piccoli numeri, è in prima linea nel

giocarsi il rientro a casa. In un'epoca caratterizzata dalle fabbriche che chiudono una dopo l'altra, anche pochi

casi di manifattura che torna a colorarsi di verdebiancorosso, ricordano un po' la storiella del postino che

morde il cane. Nessuno può dire con precisione quante lavorazioni vengano effettivamente riportate sul suolo

domestico. La parte del leone la fanno la meccanica, in tutte le sue sfaccettature, e la moda, che si appoggia

sulla rete di laboratori esterni ai brand, rendendo problematica la contabilizzazione del fenomeno. Per toccare

con mano i primi, pionieristici esempi, "l'Espresso" ha percorso l'Italia, dal Veneto all'Abruzzo. Per raccontare

storie che non autorizzano facili entusiasmi, ma che seminano qualche speranza sulla resistenza, se non sul

rilancio, dell'industria tricolore. A Fabbrico, nella Bassa Reggiana, a pochi chilometri da dove è nato il

cantante Ligabue, dal 1884 si producono trattori. Siamo nel cuore della "Motor valley" emiliana, e nel pieno

centro della cittadina ha sede la Argo Tractors. Fino al 2011, le trasmissioni dei McCormick, marchio di punta

del gruppo controllato dalla famiglia Morra , venivano prodotte in Francia e i trattori assemblati in Gran

Bretagna. Ora, invece, si fa tutto in Italia. Il settore ha sofferto assai la crisi cominciata nel 2008, ma da allora

il gruppo è passato da 1.600 a 1.650 dipendenti, e il fatturato, che nel 2010 era stato di 430 milioni di euro,

quest'anno non è lontano da quota 500 milioni, per l'85 per cento realizzato con l'export. «Qui esistono le

competenze, la passione, le scuole tecniche giuste. E aver concentrato in zona l'intera produzione è motivo di

grande soddisfazione per tutti noi dipendenti», racconta Antonio Salvaterra, il capo del marketing, che nel giro

di ricognizione in fabbrica spiega: «Vede queste linee di assemblaggio? Sono state recentemente

ammodernate in chiave Kaizen, per adeguarsi al sistema della "produzione snella". E qui, dove poche

settimane fa c'era un terreno inutilizzato, l'area spedizioni ha raddoppiato la superfcie», dice mentre suona la

sirena della pausa pranzo. ruggisce il TOsAerBA Un paio d'ore al volante verso Nord ed ecco la zona

industriale di Castelfranco Veneto, la città del Giorgione, in provincia di Treviso. Uffci e capannoni della GPP -

Global Garden Products - sono circondati da prati curati come campi da golf. Ovvio, siamo nel quartier

generale del leader europeo dei tosaerba, un fatturato di 450 milioni di euro e 500 addetti che diventano 800

nei picchi stagionali. Meno scontata la marcia indietro inserita di recente dal gruppo veneto che, tra il 2005 e

2008, aveva aperto stabilimenti in Slovacchia e Cina, mantenendo solo parte della produzione in Italia e

contando su una gamba svedese, dopo l'acquisizione dei tosaerba Stiga. «Negli ultimi mesi abbiamo

concentrato tutte le funzioni più importanti qui a Castelfranco, riportando in Italia l'alto di gamma, che prima

era assemblato in Svezia, e assumendo una trentina di ingegneri e tecnici», racconta Massimo Bottacin, capo

delle risorse umane. Uno dei nuovi è Varna Vallone, ingegnere, l'unica donna del team di ricerca e sviluppo in

cui lavora. «Mi sono laureata a Udine, ho 26 anni e sono felice di essere qui perché nel trevigiano non ci sono

tante imprese che puntano sulla ricerca, mandando i giovani come me a formarsi con i migliori esperti

d'Europa», racconta con la voce rotta dall'emozione, maneggiando un sofsticato strumento di rilevazione.

Sono già centinaia i nuovi posti di lavoro creati e quelli vecchi salvati dalle operazioni di rimpatrio avvenute o

in divenire nella più classica manifattura industriale. Secondo un pool di docenti di diverse università, guidato

da Luciano Fratocchi (vedi l'intervista qui sopra), il reshoring avrebbe coinvolto una novantina di aziende,

anche se in alcuni casi per ora si tratta di promesse. PIù raPIdI dEI CINESI Del resto neppure negli Stati

Uniti, dove dell'auspicata tendenza si parla da tempo, i numeri sono clamorosi. «I più citati dati sul back-

shoring arrivano da un sondaggio con 300 amministratori delegati di aziende, che talvolta hanno dato per

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62 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 110 L'Espresso - N.50 - 18 dicembre 2014 (diffusione:369755, tiratura:500452)

realizzata quella che era solo un'idea», dice Francesco Stefanelli, ricercatore che ha studiato il tema al Mit di

Boston. Negli Usa, le imprese che sono tornate o intendono farlo sono stimolate da una burocrazia light, ma

soprattutto da un costo dell'energia che è calato nettamente, regalando un grande vantaggio competitivo.

Condizioni che in Italia non si sono verifcate: chi è rientrato o vuol farlo, sia nella meccanica sia nella moda,

lo fa spinto dall'accoppiata velocitàqualità. Il Made in Italy piace perché è sinonimo di pregio,

nell'abbigliamento come nella meccanica, e il cliente ha sempre più fretta. I tempi di trasporto dal Far East

non sono più compatibili con questa accelerazione e i tecnici bravi, così come gli artigiani esperti nel trattare

cuoio o tessuti di pregio, stanno in Italia. Quindi si rimpatriano soprattutto le produzioni più costose e

complicate. Se Svezia, Gran Bretagna e Francia non sono Paesi dove la manodopera è economica, la

Repubblica Ceca è uno di quei posti dove fnora si delocalizzava per risparmiare sulle paghe. Ora, i costi si

possono comprimere anche in Abruzzo. Lo stabilimento della Fiamm, leader europeo delle batterie per auto,

è alla periferia di Avezzano, 40 mila abitanti circondati dai monti della Marsica. Quando si entra nel reparto

fusioni l'odore di piombo pervade le narici. Gli operai lavorano su tre turni, 24 ore al giorno, una rarità

nell'Italia attuale. La Fiamm, che realizza all'estero il 70 per cento dei suoi 550 milioni di fatturato, fno a

cinque anni fa aveva una fabbrica in Boemia, a fanco allo storico impianto della Skoda. Ora, ad Avezzano, ci

sono 140 dipendenti in più rispetto ad allora. E l'impianto di Mladá Boleslav ha chiuso. Quando deve spiegare

i motivi della scelta controcorrente, Stefano Dolcetta, titolare del gruppo oltre che vice presidente di

Confndustria, precisa che è stata fatta in virtù di situazioni particolari. «L'impianto abruzzese era in disuso,

stavamo per chiuderlo. Al contempo anche nella Repubblica Ceca avevamo problemi: la fabbrica era poco

produttiva e i nostri operai erano attirati dalla vicinissima Skoda, per cui per trattenerli dovevamo alzare le

paghe». Ecco l'idea: contrattare con i sindacati una riduzione dei salari, in cambio di un investimento da 30

milioni di euro per rifare lo stabilimento. In soldoni, il costo medio per un operaio è sceso da 24 a 18 euro.

«La manodopera, ad Avezzano, resta comunque più cara di quasi tre volte rispetto a Mladá Boleslav»,

precisa Dolcetta, «ma questa differenza è compensata dalla maggiore produttività e dalla riduzione degli

scarti». pinna gialla parla sardo A Olbia, in Sardegna, gli scarti si riutilizzano. «Li trasformiamo in cibo per

gatti», spiega Giovanni Placido, direttore dello stabilimento sardo della Asdomar, indicando un nastro che

trasporta piccoli pezzi di tonno dentro un cassone. Vito Gulli, azionista di maggioranza del gruppo Generale

Conserve, che controlla anche marchi come Manzotin e De Rica, quando ha scelto di puntare sull'Italia

invece che sul Portogallo sapeva che non avrebbe risparmiato sulla manodopera. «Un operaio lì costa 5,5

euro l'ora, quasi un quarto rispetto a qui», dice, «ma personalmente credo in un'altra strada: il consumatore

premierà sempre più chi dà lavoro agli italiani. La crisi della nostra economia è stata gran parte causata

proprio dalla delocalizzazione. E tanti altri imprenditori seguiranno il nostro esempio». Che cosa ha fatto,

Gulli? Ottenuto il controllo di Asdomar, ha deciso di spostare la lavorazione del tonno a pinna gialla dalle

Azzorre, in Portogallo, a Olbia. Dove nel frattempo era stata chiusa la fabbrica del Tonno Palmera. Dopo

averne rilevato i macchinari, Gulli ha costruito uno stabilimento nuovo di zecca, assumendo i 200 lavoratori

che la Palmera aveva lasciato a spasso. È per questo che oggi, a ridosso delle spiagge della Costa

Smeralda, tre uomini in tuta blu e caschetto rosso scaricano da un camion decine di tonni congelati. Pescioni

da 50 chili l'uno. Pronti per essere tagliati, cotti e inscatolati. «Una svolta costosa, 25 milioni di euro investiti,

ma non romantica: il tonno Made in Italy», dice Gulli, «è apprezzato e i clienti sono disposti a pagarlo un poco

di più. Lo dimostrano le nostre vendite, che aumentano del 5-10 per cento all'anno. E intanto, siamo arrivati a

trecento dipendenti». ORGOGLIO mOntanaRO A essere pignoli, quello fatto da Gulli è più un salvataggio

industriale che un reshoring, visto che lui la produzione all'estero non l'aveva trasferita. L'esempio della

trevigiana Aku, invece, è da manuale: l'azienda, che produce scarponi da montagna, come altre in Veneto

aveva delocalizzato in grande stile, trasferendo il 90 per cento della produzione da Montebelluna a Cluj, in

Romania. Tre anni fa il cambio di rotta: ha rimpatriato alcune linee e ora realizza a Montebelluna il 30 per

cento dei suoi scarponi. «Un operaio in Romania costa ancora il 40 per cento in meno rispetto all'Italia»,

racconta il titolare, Paolo Bordin, «ma nel nostro settore, che è di nicchia, non si può guardare solo alla

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63 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 110 L'Espresso - N.50 - 18 dicembre 2014 (diffusione:369755, tiratura:500452)

convenienza: dobbiamo lavorare sulla qualità, e questo lo possiamo fare meglio da noi». Anche nell'indotto

auto, assicura Massimo Carboniero, contitolare della vicentina Omera - un centinaio di addetti, 20 milioni di

ricavi e ordini in crescita pure per il 2015 - si muove qualcosa: «Non posso fare nomi ma negli ultimi 12 mesi

alcuni clienti italiani hanno ripreso a ordinare le nostre presse per star dietro alle richieste di case

automobilistiche europee, anche in Germania e Spagna», dice Carboniero, che è vicepresidente dell'Ucimu,

l'associazione dei produttori di macchine utensili. Le nuove commesse sono arrivate perché, per certe

lavorazioni, gli europei, e gli italiani soprattutto, raggiungono una qualità che altrove non c'è. «In qualche caso

i fornitori italiani dei gruppi automobilistici hanno incrementato i dipendenti», aggiunge l'industriale veneto.

Che il settore evidenzi segnali di risveglio lo confermano i numeri: la componentistica automotive italiana

(2.400 aziende), nei primi sei mesi del 2014 ha esportato prodotti per 10,2 miliardi, il 5 per cento in più

dell'anno scorso. Corre invece su due ruote, l'operazionerientro della bolognese Wayel. È la scommessa di

Giorgio Giatti, che una trentina d'anni fa ha iniziato importando condizionatori Mitsubishi e ora fattura 40

milioni di euro. Fino a l'estate scorsa Wayel importava dalla Cina bici a pedalata assistita e motorini elettrici.

Oggi, in un laboratorio di Borgo Panigale, a pochi metri dalla sede delle moto Ducati, quei mezzi sono montati

da una manciata di operai appena assunti: quattro, ai quali si aggiungono tre giovani piazzati negli altrettanti

negozi aperti a Milano, Firenze e Bologna. Poca cosa, al momento. Per vedere il futuro bisogna andare

dall'altra parte di Bologna, vicino al nuovo grattacielo Unipol. Due ruspe gialle aspettano la fne del temporale

per ricominciare a spianare il terreno. È qui che a fne 2015 sorgerà lo stabilimento: 12 milioni investiti, 35 mila

pezzi all'anno tra motorini e bici elettriche. E 39 posti di lavoro. «Il mercato ha grandi prospettive, soprattutto

nel Nord Europa, e i concorrenti sono pochi», dice Giatti. Perché produrre a Bologna invece che a Shanghai?

«Per vendere in quei mercati ci vuole la qualità del Made in Italy. E poi la Cina non è più quella di prima: gli

stipendi degli operai crescono del 20 per cento l'anno e la moneta si sta rivalutando. I costi della manodopera

restano più bassi dei nostri, ma con i risparmi logistici e la maggiore automazione contiamo di compensare il

differenziale». MOTORE LOMBARDO Di qualità e Cina parla volentieri anche Matteo Colombo, uno dei

titolari del gruppo Felm. Il suo quartier generale sta all'estremità della zona industriale di Inveruno, in

provincia di Milano, non distante da Malpensa. Fondata dal nonno Michele, la Felm è specializzata in motori

elettrici. È stata tra le prime a puntare sulla produzione in Cina, nel lontano 1984. E pure tra le prime, però, a

innestare - parzialmente - la retromarcia. La parte più redditizia dell'attività, per la società milanese, è la

personalizzazione di motori speciali, ad alta potenza, destinati agli impieghi più vari: dagli acquedotti alle navi

da crociera. «Un business che richiede progettazione personalizzata, tecnici che la sanno lunga e una

maniacale attenzione al controllo della qualità», dice Alessandro Alberti, capo della produzione, mentre

guarda quasi con affetto una macchina speciale messa a punto per un grande ventilatore, e prova a spiegare

quanto sia importante il ruolo della cosiddetta "avvolgeria" (il flo di rame avvolto sul lamierino magnetico è il

fulcro dei motori elettrici). Dall'azienda escono manufatti da 150 euro, standard, ma vengono messi a punto

pure bestioni che possono costare oltre 100 mila euro. E che non devono avere problemi: «Anche se, per

ogni evenienza, siamo pronti a salire su un aereo persino il venerdì pomeriggio, se un cliente ha bisogno di

noi». Alla Felm lavorano in 35, di cui nove tecnici e ingegneri. Se le cose continueranno ad andar bene (il

fatturato quest'anno si aggira intorno ai 20 milioni di euro), nei prossimi mesi qualche assunzione potrebbe

scapparci, lascia intendere il titolare. E la moda, simbolo del Made in Italy? I graditi ritorni coinvolgono vestiti,

scarpe, accessori e gli annunci foccano, anche se, per ora, la ricaduta occupazionale sembra modesta.

Sergio Tegon, patron della veneziana Seventy - pantaloni, camicie, giacche - ha detto di aver riportato una

bella fetta della produzione in Italia, affdandola a fornitori che, ha dichiarato in un'intervista a un giornale

locale, «hanno revisionato le vecchie macchine spente per la delocalizzazioni e le hanno rimesse in moto».

Un altro veneto, Alberto Baban (che è anche il presidente dei "piccoli" di Confndustria), insieme ad altri soci -

tra cui l'ex amministratore dell'Eni, Paolo Scaroni - ha rilevato la Gta Moda, che da mezzo secolo sforna

pantaloni classici e sportivi, promettendo che la produzione rientrerà in Italia dalla Romania. Alla Gaudì di

Carpi, nel modenese, dicono invece di aver riportato in Italia dalla Cina, già un paio di anni fa, «alcune

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64 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 110 L'Espresso - N.50 - 18 dicembre 2014 (diffusione:369755, tiratura:500452)

produzioni di prima fascia, ora realizzate tra l'Emilia e la Toscana». L'attività è stata affdata a due laboratori

esterni che, ironia della sorte, appartengono ad artigiani cinesi. Foto: Xxxxxxxxxx

Caro dipendente Francia Austria Germania ITALIA Spagna Regno Unito Slovenia Polonia Romania UE 28

(media) Retribuzione lorda Contributi e altre voci

Componenti del costo del lavoro orario nelle imprese con più di 10 dipendenti (dati in euro) 0 10 20 3 0 4 0 F

Che corsa la Polonia ITALIA Germania Francia Svezia Austria Slovenia Spagna Slovacchia Polonia UE 28

(media) 19,0 6,1 14,7 20,7 23,4 24,5 29,3 32,1

Incremento del valore aggiunto lordo per ora lavorata nel settore manifatturiero tra il 2005 e il 2013 (in punti

percentuali) 60,0

Su www.lespresso.it

Le voci degli imprenditori che sono rientrati in Italia potranno essere ascoltate sul sito de "l'Espresso", in una

serie di video girati all'interno delle loro fabbriche.

Foto: fase di produzione di un motore elettrico alla felm di inveruno, nel milanese

Foto: UN ALtro MotorE FELM, A INvErUNo. IN ALto: LA GLoBAL GArdEN dI CAstELFrANCo vENEto

Foto: sopra: la argo tractors. nell'altra pagina, in alto: la asdomar di olbia e un motorino wayel; in basso: la

Fiamm di avezzano

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SCENARIO PMI

4 articoli

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12/12/2014 Pag. 16 Il Sole 24 Ore (diffusione:334076, tiratura:405061)

66 SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/12/2014

Internazionalizzazione. Quest'anno l' export chiuderà con un più 1,4 % - Nel 2015 previste 32 missioni estere

L'elettronica accelera sui mercati stranieri

Franco Vergnano

«Sono le singole aziende, con la loro specifica capacità competitiva, a "pesare" sui mercati esteri, non tanto i

settori o il cosiddetto sistema Paese». Così Fabio Sdogati, del Politecnico di Milano, ha "arringato" gli

imprenditori dell'elettronica e dell'elettrotecnica che discutevano le loro iniziative di internazionalizzazione. Un

tema che è stato sviluppato, a suon di grafici, da Stefania Trenti di Banca Intesa: «Nell'ultimo decennio c'è

stata una generale perdita di peso dell'industria come percentuale sugli occupati. Ma l'Italia resta tra i più

importanti paesi manifatturieri, con il secondo posto Ue (dopo la Germania) e la quarta piazza mondiale,

preceduta solo da Giappone e Corea. Il tutto calcolando la produzione industriale pro-capite in dollari Usa.

Tra i nostri punti di forza c'è - e resta - la meccanica e la robotica, tra cui le aziende che aderiscono all'Ucimu.

Nel complesso il made in Italy è sempre più orientato all'estero: l'export manifatturiero consoliderà nel

prossimo anno i cento miliardi di euro. Significa che, in media, vendiamo sui mercati esteri poco meno del

50% di quel che produciamo».

Ma l'elettronica, tra l'altro incorporata in tantissima meccanica strumentale nei macchinari che piazziamo

all'estero, sta marciando a passo veloce sull'internazionalizzazione, oltre ad assumere (si veda Il Sole 24 Ore

del 9 dicembre).

I dati Anie confermano il primato dell'export nella generazione del fatturato: quest'anno si chiuderà con un

incremento delle vendite estere dell'1,4% sul 2013. E per il prossimo anno si prevede un'ulteriore

accelerazione, con una progressione di un altro 2 per cento. L'export registra quindi un rafforzamento e

influisce in maniera positiva sul fatturato totale del settore. Tra le aree individuate come più promettenti per

l'industria elettrotecnica, spiccano gli Usa con un +10,8% dell'export 2014. Quadro meno bello per

l'elettronica, un comparto dove solo l'Asia è in crescita (+6%). In questo contesto macroeconomico, il

programma 2015 delle attività internazionali di Anie Confindustria sarà intensificato, con ben 32 appuntamenti

in calendario.

L'incontro è stato chiuso dal presidente dell'Anie, Claudio Andrea Gemme: «In un contesto di stagnazione

della domanda interna, guardare ai mercati esteri è diventato una necessità per sopravvivere».

Alla fine del 2013, ultimi dati statistici disponibili, l'incidenza dell'export sul fatturato ha raggiunto il 55% e il

saldo della bilancia commerciale è risultato attivo per oltre 16 miliardi di euro. «L'industria elettrotecnica ed

elettronica - ha sottolineato con orgoglio imprenditoriale Gemme - detiene il primato come settore a più

elevata incidenza delle esportazioni sul fatturato totale, e questo perché le aziende del settore vantano un

know-how competitivo e avanzato. Il made in Italy è anche questo: eccellenza tecnologica, ricerca e sviluppo,

innovazione senza pari. Si tratta di caratteri distintivi del manifatturiero italiano all'estero. Ora è tempo che

questi livelli di eccellenza trovino adeguato riconoscimento anche da parte della domanda interna».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Variazione % annue (*) (*) genn.-sett. 2014/ genn.-sett. 2013 Fonte: elaborazioni Anie su dati Istat ©

RIPRODUZIONE RISERVATA 0 Australia e Oceania -0,8 Asia orientale 3,0 Asia centrale 4,1 Medio Oriente -

6,3 America 10,8 Africa 2,0 Altri paesi extra Ue -2,5 Unione Europea 2,8 Le esportazioni dell'elettrotecnica

Foto:

Le esportazioni dell'elettrotecnica

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67 SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 25 La Repubblica - Ed. nazionale (diffusione:556325, tiratura:710716)

Tokyo Il voto. Il debito stellare, la recessione che vola, lo spettro default: domenica le politiche, tra gli esperti è allarme "Se il premier perderà la sua partita, sarà una catastrofe"

I l Giappone alle urne la grande scommessa per rilanciare il modello di

Abe

"La strategia del governo come quella dei samurai: se ce la fai bene, altrimenti è un suicidio" Le scelte economiche ultra-espansive per ora hanno svuotato i negozi "È la paura del futuro" GIAMPAOLO VISETTI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE

PECHINO «RICORDA la superstrada interrotta? Finisce contro il mercato del pesce. È un delitto storico, i

pescatori sono indignati: tornare indietro però non si può». Il sociologo Masahira Anesaki è stato il primo a

definire l'Abenomics come "Sistema Tsukiji", dal nome del più antico mercato del pesce del pianeta. Per far

posto alle Olimpiadi 2020, le autorità di Tokyo hanno condannato uno dei luoghi-simbolo della nazione.I

giapponesi, posti davanti al fatto compiuto, non hanno alternative. Con la sua politica economica

ultraespansiva, e domenica con le elezioni anticipate per la Camera bassa, il premier conservatore Shinzo

Abe ha applicato alle lettera il "Sistema Tsukiji". «È la versione contemporanea - dice il decano degli architetti

Fumihiko Maki- del harakiri dei samurai. Se ce la fai bene, altrimenti è un suicidio».

Per la terza economia mondiale è uno degli appuntamenti più drammatici dal dopoguerra. Sette primi ministri

in otto anni, terzo voto anticipato in cinque. Deriva Weimar e spettro default. Il debito pubblico è al 241%, la

recessione nell'ultimo trimestre ha toccato quota 1,9%, il ritorno alla deflazione è a una passo. Lo yen,

nonostante tre giorni di rimbalzo, è ai minimi da sette anni. Tokyo ha subìto anche l'umiliazione del taglio del

rating da parte di Moody's, mentre Fitch lo annuncia. «In simili condizioni- dice l'economista Tsunemasa

Tsukada - la scelta è obbligata: o funziona l'Abenomics, o nulla può funzionare». È lo scenario che spaventa

la popolazione più invecchiata della terra: la scelta tra «il salto mortale con Shinzo Abe» e «il salto nel vuoto

con Banri Kaieda», leader dell'opposizione democratica. «Gli elettori - dice Masazumi Watanabe, docente di

finanza alla Waseda - premiano il rinvio delle tasse, i mercati il rigore di bilancio. Abe deve tenere un piede

sull'acceleratore e l'altro sul freno. È la combinazione peggiore: gli effetti collaterali possano rivelarsi più

dannosi della cura».

A decidere le elezioni di domenica sarà dunque la risposta a una domanda semplice: perché il profeta

dell'Abenomics ha improvvisamente obbligato i giapponesi a spendere 500 milioni di dollari per tornare alle

urne? «Se la gente si convincerà che l'ha fatto per completare le riforme economiche e riagganciare la

crescita - dice il politologo Kiichi Fujiwara - il partito liberaldemocratico (Ldp) del premier di rafforzerà. Se

crederà che Abe è mosso solo dall'opportunità personale di vincere, eliminando gli avversari interni, si

rivelerà un boomerang». Gli ultimi sondaggi premiano la terza possibilità: fiducia al premier nazionalista

piuttosto di far risorgere il partito democratico (Dpj), demolito da post-tsunami e catastrofico aumento dell'Iva.

«Tutti sanno che chiudere le centrali atomiche e risanare i conti pubblici - dice il sociologo Akinari Horii - era

necessario. Nessuno però vuole pagare il prezzo della salvezza».

L'anticipato referendum sull'Abenomics dovrebbe così assicurare al premier altri quattro anni di tempo. Il suo

Ldp oscilla tra il 28 e il 37%, prossimo all'obiettivo di 300 seggi sui 475 della Camera bassa. Il DpJè tra il9e il

13%, staccati il New Komeito e gli ultra-nazionalisti del sindaco di Osaka, Toru Hashimoto. «Se Abe perdesse

la scommessa elettorale - dice il politologo Shoichiro Tahara - per Tokyo sarebbe un disastro, ma per le

Borse mondiali un colpo fatale».

Il premier, crollato nel gradimento dopo rimpasto di governo e scandali in serie, ha chiesto carta bianca sia al

partito che ai giapponesi. Obiettivo: uscire dalla recessione, inflazione al 2% e riforme strutturali. «Il

messaggio - dice l'economista Eisuke Sakakibara - è chiaro: per completare il recupero serve un mandato

pieno». Per l'opposizione democratica Abe è invece un «pericoloso pifferaio magico». «Non ha mantenuto la

parola su addio all'atomo e aumento dell'Iva - dice l'ex premier Naoto Kan - e trascina la nazione al fallimento

con lo yen debole, che ingrassa i colossi dell'export e stritola piccole e medie imprese».I templi dello

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68 SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 25 La Repubblica - Ed. nazionale (diffusione:556325, tiratura:710716)

shopping, tra Ginzae Shibuya, confermano che non è stato solo l'aumento dell'Iva in aprile a spingere verso

l'estinzione il consumatore più accanito del mondo. «Per la prima volta - dice la commessa Emiko Ueno - i

clienti non spendono perché hanno paura del futuro». Negozi e ristoranti vuoti sono uno shock più forte del

timore di una deriva nazionalista e autoritaria, o dell'annunciato riarmo. «Abe ha deviato l'attenzione

sull'economia - dice lo storico Koichi Nakano - e i giapponesi sono convinti di tornare alle urne per rinviare al

2017 un secondo aumento dell'Iva. Invece votano per aprire il Paese a donne e immigrati, per scegliere tra

atomo ed energie rinnovabili, per ridefinire i rapporti con Cina e Usa, per restare potenza di pace o investire

nell'autodifesa, per continuare a fare debiti, o puntare su ricerca, tecnologia e nuovi prodotti». La campagna

elettorale-lampo conferma che il referendum sull'Abenomics è una formidabile trovata di consulenti stranieri,

ma che il grande malato dell'Asia si confronta in realtà con un cambio epocale. «Il Giappone - dice la giurista

Mayumi Taniguchi - pare diviso tra chi spera nella crescita e chi ha nostalgia del rigore. La scelta invece è tra

nazionalismo e riformismo». Spiazzato anche il governatore della banca centrale Haruiko Kuroda, fedelissimo

di Abe. Aveva appena investito altri 94 miliardi di dollari in titoli di Stato, quando il premier ha sciolto la

Camera bassa per rinviare l'Iva al 10%.

«È questa disinvoltura - dice il capo dei sindacati Nobuaki Koga - a dividere gli stessi imprenditori». Carta

bianca al «nuovo Koizumi», o precoce addio all'Abenomics? Un Giappone spaccato tra anziani spaventati e

giovani impoveriti, è costretto infine a dare un voto al "Sistema Tsukiji". Alternative zero. Dalla misura del

successo di Abe questa volta non dipende solo lo skyline delle Olimpiadi, ma la possibilità della ripresa anche

in Europa.

I PUNTI LA CONSULTAZIONE Domenica è previsto il voto anticipato per rinnovare i 475 deputati della

Camera bassa sciolta a novembre I partiti in corsa sono undici I PARTITI I socialdemocratici (Lpd) del

premier Abe potrebbero ottenere il 28-37% dei voti, il 9-13% i democratici (Dpj) Con questi numeri non ci

sarebbe maggioranza IL "REFERENDUM" Abe ha trasformato il voto in una sorta di referendum sulla

"Abenomics", la sua politica economica ultra espansiva per rilanciare la crescita e l'inflazione al 2%

L'ECONOMIA Tokyo è sotto pressione per la svalutazione dello yen, al suo minimo in 7 anni. La crisi è

esplosa dopo l'aumento dell'Iva all'8% lo scorso aprile DEMOCRAZIA TUNISINA Il protagonismo delle donne

nel paese ha dato il via alle Primavere arabe L'ESPRESSO PER SAPERNE DI PIÙ www.asahi.com/english

www.japantimes.co.jp

Foto: IN BILICO Manifesti elettorali nel centro di Tokyo dove si andrà alle urne domenica anziché nel 2016

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69 SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 45 Il Messaggero - Frosinone (diffusione:210842, tiratura:295190)

Il rilancio? Ora si puntasul treno veloce per Roma

LA SFIDA LANCIATA DAGLI IMPRENDITORI E' STATA RACCOLTA ORA TUTTI IN PRESSING SU REGIONE E TRENITALIA

ECONOMIA

Collegare il sistema economico e sociale della provincia di Frosinone a quello metropolitano di Roma: è la

sfida che Federlazio Frosinone ieri sera ha lanciato alla politica in una tavola rotonda con il presidente della

Provincia Antonio Pompeo, il sindaco di Frosinone Nicola Ottaviani e i consiglieri regionali Mario Abbruzzese

e Marino Fardelli. A fare gli onori di casa il presidente dell'associazione delle pmi Alessandro Casinelli e il

direttore Roberto Corbo. «Avremmo potuto fare il solito bilancio di fine anno - ha detto Casinelli - ma abbiamo

voluto invece focalizzare su quest'argomento cruciale per la rinascita dell'economia della provincia. Questo

consentirebbe infatti di attrarre investimenti sul territorio, rilanciare l'offerta abitativa e quindi quel settore,

l'edilizia, che storicamente rappresenta il volano dell'economia». I progetti di cui si parla da anni sono tre. Il

primo è quello legato all'Aeroporto che prevedeva anche la realizzazione di una stazione che, in connessione

con la Tav, avrebbe consentito di raggiungere Roma in 25 minuti. Progetto però fermo dopo la messa in

liquidazione di Adf spa. C'è poi l'idea dell'associazione Roma-Cassino Express che prevede l'utilizzo, per i

treni provenienti da Cassino, della linea della Tav all'altezza dello snodo di Sgurgola. L'altra proposta,

avanzata dal sindaco di Frosinone Nicola Ottaviani consiste in una riorganizzazione delle corse attuali,

prevedendo una corsia preferenziale per Frosinone. Ottaviani ieri ha spiegato come sia già in essere un

dialogo con Trenitalia su questo. «Accade già a Viterbo - ha detto - E per realizzarlo non occorrono

investimenti, ma solo una spinta politica per modificare il contratto di servizio con Trenitalia. Il nostro oro nero

è la vicinanza con Roma, nient'altro». Insomma, i grandi interlocutori chiamati in causa sono Regione e

Trenitalia. Per questo Federlazio ha in programma a gennaio un evento di spessore con Governo, Regione e

Trenitalia, seduti attorno a un tavolo per decidere una volta per tutti quale sia la strada da seguire. Anche

perché le stesse condizioni sulla linea attuale sono ormai insostenibili: ieri pomeriggio, per fare un esempio, i

treni in partenza da Roma hanno accumulato oltre due ore di ritardo (vedi altro articolo in prima).

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70 SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 12/12/2014

12/12/2014 Pag. 3 Il Manifesto - Ed. nazionale (diffusione:24728, tiratura:83923)

ECONOMIA/BCE

Così parlò Draghi: Renzi tagli il debito non c'è solo il 3%

Mario Pierre ROMA

Non solo deficit al 3%. L'Italia deve anche ridurre il debito pubblico record nell'Eurozona dello 0,5% del Pii nel

2015. È inflessibile, l'austera Banca Centrale Europea di Mario Draghi nel bollettino mensile diffuso ieri.

Poche righe telegrafiche che ristabiliscono il verbo monetaris'ta e scuotono il dibattito italiano che guarda il

dito (il deficit al 3% del Pii) e non la luna: il debito va ridotto dal 133% e rotti al 60% nei prossimi vent'anni, lo

dice il «Fiscal Compact». Per l'Italia «è importante assicurare il pieno rispetto dei requisiti» del Patto di

Stabilità «per non mettere a repentaglio la sostenibilità delle finanze pubbliche e preservare la fiducia dei

mercati» scrivono i banchieri di Francoforte. A Renzi e Padoan la Commissione Uè, il braccio esecutivo che

realizza i dettami del Vangelo, ha dato tre mesi di tempo. A marzo dovranno trovare una soluzione. Non

basta tenere sotto controllo il cavallo del deficit, bisogna domare una volta per tutte il leone del debito. Di

questo si tace in Italia, ma gli occhiuti sorveglianti europei non sembrano voler mollare la presa. Il bollettino di

Draghi ieri era tutto, tranne che un successo. Nel 2015, nessuna buona notizia per la crescita dell'Eurozona.

«C'è rischio di ribassi». Per il «mercato del lavoro» viene usato un eufemismo: «è atteso un modesto

miglioramento». Le stime, che oggi son desideri, prevedono un aumento nella seconda metà dell'anno. Si

tratta di un aumento della precarietà (con il Jobs Act e i contratti a termine Poletti che in Italia tentano di

truccare le carte per dimostrare che l'occupazione c'è - non importa di che tipo si tratti. Una cosa è certa,

ammette la Bce: «la disoccupazione resterà su livelli ben superiori a quelli pre-crisi». Questo significa che la

crescita non ci sarà e non produrrà nuova occupazione fissa. È la maledizione della «jobless recovery». Ieri i

dati Istat sulla produzione industriale di ottobre in Italia hanno aggiunto un altro tassello in questo mosaico

terrificante. Il crollo è stato del 3%, per trovare un dato peggiore bisogna tornare ad agosto del 2013. È la

quarta frenata mensile consecutiva, in piena era Renzi. Nella corsa verso il baratro (in 10 mesi è stato

bruciato quasi un punto del bilancio), stavolta il contributo è stato dato dal calo dei beni di consumo e dei

prodotti intermedi. In precedenza era stato il comparto energetico a falcidiare la produzione. Al di là delle

formule, questo significa che perde terreno il santificato «made in Italy». Non quello della moda, ma quello

della manifattura. Scenari da incubo per il comparto alimentare: disperso, con meno di due punti. Il Centro

Studi di Confindustria valuta una crescita della produzione industriale dello 0,1% a novembre. Poca roba: il

quarto trimestre 2014 resta negativo (-0,6%). Il Pii arretra nell'autunno. Come del resto aveva fatto in estate.

Probabilmente la notizia più importante contenuta nel bollettino Bce è l'ufficializzazione del fallimento del mari

prestito alle banche europee denominato «TTtro». Avrebbe dovuto rianimare il credito all'economia reale e

inondare di speranza il principale soggetto scelto dalla governance europea per il rilancio dell'economia: le

piccole e medie imprese. Invece è stato un buco nell'acqua. Gli istituti di credito dovevano ricevere 400

miliardi di euro, ne hanno ritirati solo circa 213 miliardi, la metà o poco più. Non si investe, non si produce,

non si consuma. Si chiama recessione. A gennaio il prudente Draghi dovrà, forse, mettere mano al

«bazooka». I «mercati» vogliono il denaro a go go del «Quantitative Easing». Ieri la furia delle borse era

placida.

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