ANIEM...2014/10/08  · Con le riforme l'India può diventare il nuovo peso massimo del mercato...

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La proprietà intellettuale degli articoli è delle fonti (quotidiani o altro) specificate all'inizio degli stessi; ogni riproduzione totale o parziale del loro contenuto per fini che esulano da un utilizzo di Rassegna Stampa è compiuta sotto la responsabilità di chi la esegue; MIMESI s.r.l. declina ogni responsabilità derivante da un uso improprio dello strumento o comunque non conforme a quanto specificato nei contratti di adesione al servizio. ANIEM Rassegna Stampa del 08/10/2014

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parziale del loro contenuto per fini che esulano da un utilizzo di Rassegna Stampa è compiuta sotto la responsabilità di chi la esegue;

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Rassegna Stampa del 08/10/2014

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INDICE

ANIEM

08/10/2014 Gazzetta di Modena - Nazionale

Metti una sera al Baluardo con Modena e Bruninho6

08/10/2014 Prima Pagina - Modena

Internazionalizzazione, il ruolo di Simest7

08/10/2014 Prima Pagina - Modena

Tra sport, lavoro e università Un sistema di valori8

ANIEM WEB

Il capitolo non contiene articoli

SCENARIO EDILIZIA

08/10/2014 Corriere della Sera - Milano

Aler, recuperati 400 alloggi «Consegne entro fine mese»10

08/10/2014 Il Sole 24 Ore

Archimede solar energy: «Ora intervenga Renzi»11

08/10/2014 Il Sole 24 Ore

A Pavimental (senza gara) la terza pista di Fiumicino12

08/10/2014 La Repubblica - Palermo

Scavi sospesi, espropri in ritardo e dirigenti senza qualifica così le maxi-opere vannoin tilt

13

08/10/2014 La Stampa - Cuneo

Incentivi dal municipio hanno favorito l'edilizia15

08/10/2014 La Stampa - Cuneo

Cantiere nel "triangolo" di piazza Garibaldi16

08/10/2014 La Stampa - Vercelli

Forte: "Sì al museo dello sport"17

08/10/2014 ItaliaOggi

Precisazioni sull'edilizia sociale18

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07/10/2014 Specchio Economico

PAOLO BUZZETTI: SI CHIAMA EDILIZIA LA MESSA IN MOTO DELLA RIPRESAECONOMICA

19

SCENARIO ECONOMIA

08/10/2014 Corriere della Sera - Nazionale

I cinesi comprano l'olio toscano Sagra e Berio al fondo di Pechino24

08/10/2014 Corriere della Sera - Nazionale

Moleskine, i taccuini e l'integrazione con il web Adobe25

08/10/2014 Corriere della Sera - Nazionale

Crediop, 90 anni di storia e i sindacati oggi in Bankitalia26

08/10/2014 Il Sole 24 Ore

Volkswagen, robot al posto di chi va in pensione27

08/10/2014 Il Sole 24 Ore

Il piccone di Renzi e la verità dei fatti28

08/10/2014 Il Sole 24 Ore

Ora la frenata è strutturale29

08/10/2014 La Repubblica - Nazionale

Manovra da 24 miliardi tutta destinata alla ripresa metà verrà dal deficit più alto30

08/10/2014 La Repubblica - Nazionale

In Mediobanca gli stipendi parlano inglese Bonus a Londra Milano a secco32

08/10/2014 La Repubblica - Nazionale

Telecom stringe sull'Argentina per conquistare la brasiliana Oi E Vodafone puntaFastweb

33

08/10/2014 La Repubblica - Nazionale

La Camusso resta in trincea: noi in piazza, non finisce qui*35

08/10/2014 La Repubblica - Nazionale

Eni, l'accusatore ai pm "Tangenti anche ai politici"*37

08/10/2014 La Stampa - Nazionale

"Il problema di Bruxelles non è il debito pubblico ma quello delle banche"39

08/10/2014 MF - Nazionale

Fondazione Mps batte cassa alle banche per il prestito del 201141

08/10/2014 MF - Nazionale

La rivoluzione del Fmi che torna a scoprire Keynes. Finalmente42

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08/10/2014 MF - Nazionale

Ma Weidmann insiste sul nein43

08/10/2014 MF - Nazionale

Il Job act fa più forte Renzi, ma in un vertice nel quale non si affrontano i veri nodi45

08/10/2014 MF - Nazionale

Anche Amazon nel mirino Ue per il Lussemburgo46

08/10/2014 MF - Nazionale

Iol non fa sconti e rinuncia all'ipo**47

08/10/2014 MF - Nazionale

Fiat a Wall Street, la Famiglia adesso è solo una famiglia48

08/10/2014 MF - Nazionale

Con le riforme l'India può diventare il nuovo peso massimo del mercato mondiale deibond

50

08/10/2014 MF - Nazionale

DAL CASO ITALIAONLINE DUE BRUTTI SEGNALI PER IL SISTEMA-PAESE52

SCENARIO PMI

08/10/2014 Il Sole 24 Ore

Tutti i rischi dello stop tedesco54

08/10/2014 Il Sole 24 Ore

Le scarpe in coccodrillo che sfidano la gravità56

08/10/2014 Il Fatto Quotidiano

Il ritorno dell'industria La lezione degli inglesi57

08/10/2014 ItaliaOggi

Dopo gli ordini, crolla anche la produzione tedesca59

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ANIEM

3 articoli

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Metti una sera al Baluardo con Modena e Bruninho Volley. Dalle ore 19 la presentazione in Cittadella. Cisono anche i City Ramblers E lunedì la società ha incontrato Claudio Lucchese, numero 1 del Gruppo Florim Metti una sera al Baluardo con Modena e Bruninho Metti una sera al Baluardo

con Modena e Bruninho

Volley. Dalle ore 19 la presentazione in Cittadella. Ci sono anche i City Ramblers

E lunedì la società ha incontrato Claudio Lucchese, numero 1 del Gruppo Florim

Quella di lunedì è stata un giornata ricca di impegni per Modena Volley, nei quali si è parlato di progetti,

innovazione e sviluppo che vanno al di là del semplice aspetto sportivo. Alla mattina, nella sala stampa del

PalaPanini, con il nuovo partner Tempor - Agenzia per il Lavoro S.p.A. si è parlato della condivisione dei

principi etici che collegano il mondo dello sport a quello del lavoro, dei progetti da svolgere congiuntamente

nelle scuole e nelle università, e della volontà di Modena Volley di divenire un centro di sviluppo e

collegamento tra scuole, università e mondo del lavoro. Infine, nella splendida cornice della Florim Gallery,

Modena Volley è stata ospite dell'azienda del Dr. Claudio Lucchese, Presidente del Gruppo Florim, in un

evento che ha coniugato le eccellenze del territorio, sportive e industriali. La serata, magistralmente condotta

da Leo Turrini, ha visto presenti sul palco i due soci di Modena Volley, Catia Pedrini e Dino Piacentini, il

direttore sportivo Andrea Sartoretti e Luca Vettori in rappresentanza della squadra. Davanti a una platea

composta dai partner della società e dalle più importanti realtà del mondo imprenditoriale del territorio,

Modena Volley si è presentata per quello che vuole essere al di là dell'aspetto sportivo, cioè un sistema

valoriale e progettuale basato sui principi di responsabilità sociale, lungimiranza, solidarietà, inclusione e

rispetto. Modena Volley vuole essere un punto di riferimento per il territorio, costruendo partnership

innovative per la realizzazione di progetti innovativi, diffondendo e declinando i valori dello sport e creando un

modello nuovo di sviluppo sociale basato sulla responsabilità sociale del territorio e di tutti coloro che vi

operano. La serata si è conclusa con Sartoretti nell'inedito ruolo di valletta, che ha brevemente introdotto tutti

gli atleti che parteciperanno al prossimo campionato di SuperLega UnipolSAI. TUTTI AL BALUARDO Questa

sera alle ore 19, presso il Baluardo della Cittadella in piazza Tien An Men 5, Modena Volley al gran completo

si presenterà a tutti i tifosi. Alla serata presenzieranno anche il sindaco, Giancarlo Muzzarelli, e l'assessore

allo sport del comune di Modena, Giulio Guerzoni. Inoltre saliranno sul palco i Modena City Ramblers, che

suoneranno in anteprima, dal vivo, il nuovo inno di Modena Volley. Nell'occasione sarà presentata anche la

maglia da gioco che i giocatori indosseranno durante il campionato, maglia presentata dagli Irriducibili

Gialloblù. La serata si concluderà al Ristorante "Da Noi", dove sarà possibile cenare al tavolo con i giocatori,

lo staff di Modena Volley e i Modena City Ramblers: per partecipare alla cena è necessario prenotare

chiamando lo 059.427.0745, pochi posti ancora disponibili.

08/10/2014 37Pag. Gazzetta di Modena - Ed. nazionale(diffusione:10626, tiratura:14183)

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ANIEM - Rassegna Stampa 08/10/2014 6

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Parla l'amministratore delegato di Simest Massimo D'Aiuto. Oggi pomeriggio convegno a ModenaINTERVISTA Internazionalizzazione, il ruolo di Simest «Possiamo contribuire a superare i limiti dimensionali delle aziende italiane» AD Massimo D'Aiuto: «Simest può acquisire partecipazioni di minoranza nelle imprese all'estero sia

investendo direttamente, che attraverso il Fondo pubblico di Venture Capital» «Adesso ripartiamo. Simest e

le Pmi per la crescita e l'inter nazionalizzazione». E' questo il titolo del convegno che si terrà oggi pomeriggio

a partire dalle 15.30 all'a u d itorium di Apmi Confimi in via Pasolini a Modena. Un incontro al quale

parteciperà il presidente di Confimi Modena Gi ovanni Gorzanelli , il direttore generale di Confimi Impresa

Fabio Ramaioli , l'a mministratore delegato di Simest Massimo D'Aiuto e il vicepresidente nazionale di

Confimi Dino Piacentini . A riguardo abbiamo intervistato lo stesso ad D'A i u t o. Ingegner D'Aiuto, Simest

nasce nel 1991, a quale scopo? «La legge 100 del 1990 istituisce SIMEST con lo scopo di promuovere

società miste all'estero, fuori dell'Unione Europea, e di sostenerle sotto il profilo tecnico e finanziario. Nel

corso degli anni poi la Società ha allargato la propria attività, assumendo la gestione di tutti i principali

strumenti finanziari pubblici a sostegno dell'i nter nazionalizzazione». Quali sono le principali attività e

strumenti con cui operate? «Simest può acquisire partecipazioni di minoranza nelle imprese all'e s t e ro sia

investendo direttamente, che attraverso il Fondo pubblico di Venture Capital. Dal 2011, poi, possiamo

acquisire a condizioni di mercato e senza agevolazioni, partecipazioni di minoranza nel capitale sociale di

imprese italiane o loro controllate nell'Unione europea che sviluppino investimenti produttivi e di innovazione

e ricerca, con effetti positivi sia sulle esportazioni che sull'o c c upazione. Questa nuova linea di attività ha

avuto un notevole successo tra le imprese italiane, raggiungendo volumi interessanti e ci ha permesso di

assumere il ruolo di finanziaria per lo sviluppo della competitività delle aziende italiane. A questo affianchiamo

la gestione dei fondi pubblici finalizzati all'inter nazionalizzazione delle imprese italiane per lo sviluppo

commerciale, gli studi di fattibilità, l'export credit, il supporto alla patrimonializzazione delle PMI e la

partecipazione a fiere internazionali. La nostra attività, infine, è rivolta anche alla consulenza e assistenza per

tutte le attività legate all'i n t e rnazionalizzazione». Quando si pensa a Simest si immagina spesso azioni

mirate per grandi imprese. Per le aziende medie e piccole Simest prevede azioni specifich e ? «Le PMI

rappresentano la maggioranza delle aziende che lavorano con noi in termini di numero. E gli strumenti che

mettiamo a loro disposizione sono spesso tarati proprio sulle esigenze delle aziende di piccole e medie

dimensioni che, più di altre, vanno accompagnate e sostenute in un momento come quello attuale. Gran

parte dei nostri strumenti agevolativi, infatti, sono prevalentemente rivolti alle PMI, che possono ottenere

condizioni più favorevoli rispetto alle GI e, uno di questi, ovvero il finanziamento per la patrimonializzazione, è

solo per le PMI esportatrici che, attraverso questo strumento, possono consolidare la propria struttura

finanziaria. Se un numero sempre crescente di aziende si rivolge a noi è perché possiamo contribuire a

superare i limiti dimensionali delle aziende italiane aumentando gli sforzi anche in direzione dell'ulteriore

sviluppo dei processi di aggregazione fra le imprese». L'inter nazionalizzazione può giocare un ruolo per

aiutare le aziende a trovare nuovi m e r c at i ? «Sicuramente l'inter nazionalizzazione (sia come sviluppo

commerciale che come investimento produttivo) è stata fondamentale per molte imprese, e continua ad

esserlo, per mantenere quote di mercato in Italia. Il nostro impegno è anche rivolto, infatti, alla ricerca di

mercati sempre più promettenti nei quali poter offrire alle imprese italiane interessanti opportunità di sbocco,

grazie anche alla collaborazione e alle sinergie con le altre componenti del "Sistema Italia"».

08/10/2014 22Pag. Prima Pagina - Modena

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ANIEM - Rassegna Stampa 08/10/2014 7

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IL PROGETTO GIALLOBLÙ Lunedì serata alla Florim Tra sport, lavoro e università Un sistema di valori Quella di lunedì è stata un giornata ricca di impegni per Modena Volley, nei quali si è parlato di progetti,

innovazione e sviluppo che vanno al di là del semplice aspetto sportivo. Alla mattina, nella sala stampa del

PalaPanini, con il nuovo partner Tempor - Agenzia per il Lavoro S.p.A. si è parlato della condivisione dei

principi etici che collegano il mondo dello sport a quello del lavoro, dei progetti da svolgere congiuntamente

nelle scuole e nelle università, e della volontà di Modena Volley di divenire un centro di sviluppo e

collegamento tra scuole, università e mondo del lavoro. Infine, nella splendida cornice della Florim Gallery,

Modena Volley è stata ospite dell'azienda di Claudio Lucchese, presidente del Gruppo Florim, in un evento

che ha coniugato le eccellenze del territorio, sportive e industriali. La serata, condotta da Leo Turrini, ha visto

presenti sul palco i due soci di Modena Volley, Catia Pedrini e Dino Piacentini, il direttore sportivo Andrea

Sartoretti e Luca Vettori in rappresentanza della squadra. Davanti a una platea composta dai partner della

società e dalle più importanti realtà del mondo imprenditoriale del territorio, Modena Volley si è presentata per

quello che vuole essere al di là dell'aspetto sportivo, cioè un sistema valoriale e progettuale basato sui

principi di responsabilità sociale, lungimiranza, solidarietà, inclusione e rispetto. Modena Volley vuole essere

un punto di riferimento per il territorio, costruendo partnership innovative per la realizzazione di progetti

innovativi, diffondendo e declinando i valori dello sport e creando un modello nuovo di sviluppo sociale basato

sulla responsabilità sociale del territorio e di tutti coloro che vi operano. La serata si è conclusa con Sartoretti

nell'inedito ruolo di valletta, che ha brevemente introdotto tutti gli atleti che parteciperanno al prossimo

campionato di SuperLega UnipolSAI. FIORANO Sopra una suggestiva immagine della serata, a fianco la

squadra e la presidente Pedrini con Vettor i

08/10/2014 30Pag. Prima Pagina - Modena

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ANIEM - Rassegna Stampa 08/10/2014 8

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SCENARIO EDILIZIA

9 articoli

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Aler, recuperati 400 alloggi «Consegne entro fine mese» L'assessore Bulbarelli: spesi 25 milioni, Comune in ritardo sui lavori Gianni Santucci Lavori chiusi per i primi 400 alloggi. I cantieri sono praticamente al termine ed entro la fine di ottobre le case

popolari potranno andare in consegna. È il primo risultato del piano su cui la Regione ha investito 25 milioni di

euro. Con un doppio obiettivo: assicurare un appartamento alle famiglie che ne hanno bisogno (e diritto);

contrastare le occupazioni abusive. Perché l'illegalità nei quartieri di periferia aumenta per una ragione

fondamentale: troppe case restano vuote e diventano preda del racket. «Questo è il primo fronte del nostro

impegno», attacca Paola Bulbarelli, assessore regionale alla Casa.

C'è un dato a testimoniare la drammatica crisi sociale nei caseggiati popolari: dall'inizio dell'anno, in 9 mesi,

sono state occupate oltre 700 case. Alla base c'è la crisi di bilancio ereditata dalla nuova dirigenza dell'Aler,

che ha rallentato i lavori per ristrutturare gli alloggi e poterli riassegnare. Così il «soccorso» della Regione s'è

concentrato prima di tutto su questo fronte: «i 25 milioni che abbiamo destinato alle ristrutturazioni sono del

tutto a fondo perduto - continua l'assessore - e vanno sia all'Aler, sia al Comune di Milano, per le loro case di

proprietà. Anche se Palazzo Marino inizierà a gestire in proprio il suo patrimonio, noi continueremo a dare i

finanziamenti perché il tema della casa è troppo importante ed è necessario che le istituzioni facciano fronte

comune per aiutare i cittadini». Il conto è questo: alla sola città di Milano sono destinati oltre 16 milioni, 9,7

all'Aler e 6,6 al Comune (in media, 15 mila euro ad alloggio). Il 70% delle risorse è stato già trasferito. Il primo

lotto prevede 400 case ristrutturate da Aler (sono quasi pronte, e grazie ai ribassi sugli appalti l'azienda

riuscirà a finanziare altri 108 cantieri) e 268 appartamenti sistemati dal Comune. Termine lavori fissato a fine

anno, ma il Comune ha chiesto una proroga di 4 mesi per la consegna delle prime case.

La seconda parte dei lavori è prevista per aprile 2015 (259 case Aler e 173 del Comune). In tutto fanno 1.100

alloggi «sottratti alle occupazioni e assegnati alle famiglie», conclude Bulbarelli, che ieri ha incontrato i

sindacati, verso i quali ha preso impegni su risorse e tempi per gli interventi. La giunta regionale ha anche

deliberato il primo passaggio per i nuovi aiuti all'Aler: «È una situazione di difficoltà economica che abbiamo

ereditato - spiega l'assessore - ma il piano di risanamento prevede nuovi fondi per 66 milioni, oltre ai 30

versati». Risorse vitali anche per pagare i debiti con i fornitori.

L'ultimo filone di risanamento è quello dei contratti di quartiere, i più importanti interventi di ristrutturazione in

città: «Sono contratti del 2002 e che grazie alla "cabina di regia" istituita in Regione stiamo riattivando»,

conclude Paola Bulbarelli. Si tratta di 96 milioni per 1.600 alloggi. I primi cantieri ripartiranno in Molise-

Calvairate, Corvetto e San Siro.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

700 Le case dell'Aler occupate abusivamente dall'inizio

del 2014 259 I nuovi alloggi

Aler pronti

ad aprile; altri 173 saranno sistemati

dal Comune 16,3 I milioni

della Regione destinati

a Milano:

9,7 all'Aler e

6,6 al Comune

Foto: Al Pirellone Paola Bulbarelli è assessore regionale

a Casa e Housing sociale

08/10/2014 7Pag. Corriere della Sera - Milano(diffusione:619980, tiratura:779916)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 10

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Il caso. La società si appella alla giurisprudenza per sbloccare il progetto SARDEGNA Archimede solar energy: «Ora intervenga Renzi» Cristina Casadei Tanto fecero i visionari imprenditori che hanno pensato di portare il solare termodinamico in Sardegna, nei siti

di Flumini Mannu e Gonnosfanadiga e di fare dell'Italia la vetrina mondiale del settore, che sono ancora

bloccati. Non dai capitali che mancano, come spiega Tiziano Giovannetti, amministratore delegato di Fintel

che con Gianluigi Angelantoni presidente di Archimede solar energy è l'anima di questo progetto, ma dalla

burocrazia. Il progetto che alla fine del 2013 sembrava essersi sbloccato, con il cambio del governo e degli

interlocutori si ritrova così al punto di partenza. Sembra un po' come il gioco dell'oca, questo andare avanti

nelle richieste di autorizzazioni per poi ritrovarsi allo start. Il problema è che «ci sono investitori giapponesi, la

Chiyoda corporation, che hanno dato la loro disponibilità a investire mezzo miliardo di euro e a questo punto

rischiamo veramente di perdere una grande opportunità», dice Giovannetti.

Gli imprenditori che sostengono l'Archimede solar energy però non si danno ancora per vinti e visto che

l'inghippo sembra essere politico e burocratico si appellano al D.Lgs 152/2006 e in una lettera chiedono

l'attivazione del potere sostitutivo da parte del Consiglio dei Ministri relativamente alla procedura di VIA

nazionale dell'impianto solare termodinamico da 55MWe di Flumini Mannu e di Gonnosfanadiga. Soltanto la

centrale di Flumini Mannu, secondo le stime del progetto, occuperebbe nela fase di cantiere circa 2mila posti

di lavoro per i 3 anni di costruzione e messa in funzione. E poi nel sito per la gestione operativa e la

manutenzione servirebbero altre 100 persone impiegate in maniera stabile.

Gli imprenditori scrivono al presidente del Consiglio Matteo Renzi, «per evitare che un importante

investimento estero nel nostro paese, del valore di un miliardo di euro, e la possibilità di sfruttamento

commerciale su scala mondiale di una tecnologia italiana di eccellenza, in grado di trainare un qualificato

aumento delle esportazioni e dell'occupazione, vengano cancellati dalle lungaggini e dai ritardi dei

procedimenti autorizzativi che hanno violato tutti i termini temporali previsti dalle leggi».

Il riferimento è al procedimento di VIA nazionale attualmente in corso presso il ministero dell'Ambiente e dei

Beni culturali. E riguarda il progetto della centrale elettrica di tipo solare termodinamico a sali fusi da 55 MWe

di Flumini Mannu che costituisce il primo esempio mondiale di realizzazione di impianti su scala commerciale

che utilizzano la tecnologia solare termodinamica a sali fusi sviluppata dall'Enea e per la quale sono previsti

nel mondo investimenti complessivi per molti miliardi di dollari. Se l'Italia riuscisse ad aquisire nel 2020 solo il

10% di questo mercato, secondo le stime dell'Archimede solar energy, significherebbe che le imprese italiane

potrebbero fatturare oltre 2 miliardi di euro all'anno. E l'Italia con i progetti di Flumini Mannu e di

Gonnosfanadiga potrebbe fare da vetrina mondiale. Eppure ancora una volta qualcosa si è inceppato. Il

procedimento autorizzativo in corso, si legge nella lettera, ha violato tutti i termini temporali previsti dalla

legge sulla VIA che è di 150 giorni, di ben oltre 100 giorni.

Proprio per questo motivo gli imprenditori chiedono che venga attivato il potere sostitutivo del Consiglio dei

ministri per una rapida approvazione. E fanno notare che nei 24 mesi in cui sono stati impegnati nella

procedura di approvazione del progetto hanno «incontrato la totale irragionevole opposizione dei funzionari

della Regione Sardegna coinvolti nello screeningi di VIA». Un atteggiamento ritrovato anche al ministero

dell'Ambiente e al MiBACT.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

L'INCHIESTALa denuncia sul Sole 24 Ore

Il 2 ottobre del 2013 l'inchiesta che ha portato

alla luce uno dei diversi casi

di sviluppo bloccato del nostro paese, quello dell'Archimede solar energy in Sardegna, che, secondo le stime

dei progettisti, continua a mantenere bloccato un investimento da un miliardo

08/10/2014 12Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 11

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Adr «in house» A Pavimental (senza gara) la terza pista di Fiumicino G.Sa. ROMA

Aeroporti di Roma ha affidato in house, senza gara, a Pavimental, l'impresa di lavori del gruppo Atlantia,

l'appalto per la terza pista dell'aeroporto di Fiumicino. Il lavoro - uno dei più importanti della nuova

convenzione - valeva da progetto 84,9 milioni, ma l'Enac ha preteso comunque un robusto ribasso in linea

con quello dei lavori aeroportuali più recenti, vicino al 28%, che ha portato il prezzo dell'opera intorno ai 62

milioni . L'avvio del cantiere, per cui non dovrebbero esserci problemi autorizzativi, conferma l'accelerazione

impressa da Atlantia ai lavori dopo l'approvazione della convenzione Adr e anche dopo la fusione Atlantia-

Gemina che ha trasferito di fatto al gruppo autostradale guidato da Giovanni Castellucci la responsabilità dei

cantieri nello scalo.

A confermare il nuovo tratto impresso da Castellucci anche l'affidamento a Pavimental, già protagonista

numero uno nell'in house autostradale. Un approccio che non di rado ha creato tensioni con i costruttori

dell'Ance, sostenitori di una proposta - anche in sede Ue - di obbligo di affidamento a terzi e con gara del

100% dei lavori gestiti da concessionari. Per rendere l'affidamento in house in aeroporto a norma di legge,

per altro, il controllo di Pavimental è stato recentemente spostato dalla concessionaria autostradale Aspi, alla

capogruppo Atlantia che la controlla con il 59,4%, mentre Aspi e Adr, a loro volta controllate da Atlantia,

detengono oggi di Pavimental ciascuna una quota del 20%.

08/10/2014 16Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 12

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Scavi sospesi, espropri in ritardo e dirigenti senza qualifica così le maxi-opere vanno in tilt sa.s. QUANDO le ruspe cominciano a scavare, può davvero succedere di tutto. L'ultimo imprevistoè capitato alla

Tecnis, l'azienda che per conto di Rfi sta iniziando i sondaggi per la realizzazione dell'anello ferroviario: il

lavoro dei metal detector - che prima della partenza del cantiere vero e proprio doveva occuparsi di verificare

la presenza di ordigni bellici nel sottosuolo di via Emerico Amari - si è rivelato ben più complesso del previsto:

altro che bombe, sotto il manto stradale c'era un groviglio di cavi tale da mandare in tilt l'attrezzo che suonava

ad ogni metro. «Un inconveniente che richiederà un più accurato studio dei dati raccolti», conferma Rfi che

però assicura che rispetterà «la tabella di marcia» anche se, è un fatto, il cantiere atteso in via Amari dai primi

di settembre non è ancora partito.

Non solo anello ferroviario: se gli scavi per la realizzazione del passante, la mega-infrastruttura da un

miliardo di euro, si sono fermati per appena 60 metri all'altezza della galleria sotterranea nella zona del

tribunale, per sbloccare l'intero impianto organizzativo del tram manca ancora la figura più importante: quella

del direttore d'esercizio, che tocca all'Amat nominare, è senza il quale, come una nave senza comandante,

non può partire nessuna delle attività necessarie alla messa in funzione delle vetture a cominciare, tanto per

dirne una, dalla formazione degli autisti. Intoppi burocratici, sorprese geologiche e scoperte sotterranee:

completare le grandi infrastrutture per la mobilità è una sorta di gioco dell'oca.

L'ANELLO IN VIA AMARI Gli scavi più attesi sono quelli che interesseranno, un pezzo alla volta, via Emerico

Amari: ma, stando alle indiscrezioni, i lavori nei pressi del Teatro Politeama entreranno nel vivo solo tra un

mese. Prima la società dovrà decifrare l'enorme mole di informazioni raccolte dal metal detector che doveva

accertare che non ci fossero ordigni bellici nel sottosuolo ma che ha invece registrato un surplus di materiale

"sospetto" da analizzare, probabilmente quasi tutti cavi di rame aggrovigliati tra loro.

L'opera - la chiusura del circuito della metro-ferrovia - costerà 152 milioni, 76 milioni in più di quanto previsto

sette anni fa quando i lavori sarebbero dovuti partire. Oltre che in via Amari, le ruspe scaveranno in piazza

della Pace e viale Campania: l'unico cantiere allestito al momento è quello in piazzetta della Pace. TRAM

SENZA DIRETTORE A ostacolare l'evolversi dei lavori delle tre linee di tram al momento è soprattutto la

burocrazia, a cominciare dal ritardo nell'iter degli espropri che non ha ancora permesso al Genio militare di

iniziare a montare il ponte provvisorio sul quale verrà deviato il traffico diretto in centro: solo quando sarà

pronto, pare sia questione di giorni, piazza Scaffa potrà chiudere al traffico per consentire la realizzazione del

nuovo ponte sull'Oreto che completerà la linea1 Roccella-stazione centrale. Ma una volta che i binari saranno

ultimati chi guiderà le 17 vetture? Al momento - nonostante in 100 all'Amat abbiano dato la propria

disponibilità per il nuovo incarico - è impossibile saperlo. L'azienda non ha ancora nominato il direttore

d'esercizio, la figura tecnica più importante che per legge deve coordinare tutte le attività legate alla messa in

circolazione del tram a cominciare dalla formazione degli autisti. Da mesi l'azienda lo cerca ma prima ha fatto

i conti con bandi andati a vuoto e poi con candidati che non avevano tutti i requisiti richiesti dalla normativa.

Adesso Amat assicura di aver individuato il nome e di stare «completando le procedure di selezione». La Sis

freme: senza il direttore d'esercizio l'accelerazione nei lavori rischia di essere inutile. Intanto, prima della

chiusura di piazza Scaffa, un vera rivoluzione, da lunedì partiranno nuovi divieti destinatia creare malumore

tra gli automobilisti: chiuderà un pezzo di piazza Ottavio Ziino costringendo chi proviene da via Malaspina a

deviare obbligatoriamente in direzione stazione Notarbartolo. Da ieri è stata ridotta pure la circolazione in via

Modica a Borgo Nuovo.

GIALLO IN GALLERIA Lavori fermi sulla tratta A e nuova cassa integrazione in vista per 110 operai: il

passante ferroviario, al momento, rischia di restare una incompiuta. Rfi, stazione appaltante della più grande

08/10/2014 3Pag. La Repubblica - Palermo(diffusione:556325, tiratura:710716)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 13

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infrastruttura per i trasporti cittadini che si sta realizzando, ha chiamato adesso un docente del Poltitecnico di

Torino, Giovanni Barla, sperando trovi la soluzione per terminare la galleria sotterranea che da piazza Lolli

arriva a via Imera. Nella zona del tribunale i lavori sono fermi da un anno e mezzo perché le ruspe tirano su

solo un fiume di acqua e sabbia: cinquanta famiglie sono state costrette a lasciare le loro case.

I LUOGHI /1 IL TRAM In alto lavori in piazza Ziino per la realizzazione della linea del tram. Sotto il collaudo

delle prime vetture I LUOGHI /2 IL METROTRENO In alto via Emerico Amari, sotto il cantiere di una galleria

per i l raddoppio del passante ferroviario PER SAPERNE DI PIÙ www.comune.palermo.it

www.palermo.repubblica.i t

Foto: AL LAVORO Un operaio al lavoro in strada sopra Palazzo delle Aquile sede centrale del Comune

08/10/2014 3Pag. La Repubblica - Palermo(diffusione:556325, tiratura:710716)

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SANTO STEFANO BELBO. piano regolatore Incentivi dal municipio hanno favorito l'edilizia MANUELA ARAMI Nonostante la crisi economica, a Santo Stefano Belbo il settore edile «tira». Il Consiglio comunale ha

approvato una variazione di bilancio che presenta un'entrata di oneri di urbanizzazione maggiore del 20%

rispetto all'anno scorso. Questo significa che in paese «si costruisce di più», complici molto probabilmente

l'economia del moscato che sta tenendo il mercato e le agevolazioni a favore degli utenti adottate dal

Comune. «La situazione - spiega il sindaco Luigi Genesio Icardi - mostra come da noi, a differenza di altre

zone, l'attività edilizia ha subito cali meno drammatici, anche grazie all'operato dell'Amministrazione

comunale che, attraverso vari strumenti, come varianti al Piano regolatore, piani di recupero e lo sbocco dei

Piani edilizi, ha creato presupposti favorevoli alla costruzione o al recupero di fabbricati e dunque allo

sviluppo del centro abitato».

Merita attenzione anche un'altra variazione al bilancio. Il documento approvato evidenzia un ulteriore taglio

alle entrate comunali da parte del Governo centrale di circa 65 mila euro. Taglio a cui il Comune farà fronte

con gli introiti della Tasi e con una riduzione delle spese.

Inoltre tasse e imposte comunali che non subiranno alcun aumento. «Questo è possibile grazie a una

gestione oculata - aggiunge Icardi - che in fase di costruzione del bilancio di previsione ha valutato tutte le

criticità, permettendoci oggi di non ritoccare alcuna aliquota».

08/10/2014 55Pag. La Stampa - Cuneo(diffusione:309253, tiratura:418328)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 15

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saluzzo. restyling da avviare entro marzo Cantiere nel "triangolo" di piazza Garibaldi Entro fine mese dovrebbe partire il cantiere per la riqualificazione di piazza Cavour, a Saluzzo. Entro marzo

sarà avviato un intervento di restyling anche sulla vicina piazza Garibaldi. L'ha annunciato il sindaco Mauro

Calderoni nell'ultimo Consiglio comunale: «Abbiamo partecipato a un bando per la riqualificazione delle aree

mercatali. L'intervento è stato finanziato per 400 mila euro: 320 mila da restituire in 8 anni, 80 mila a fondo

perduto. Si tratta di denaro fuori dal Patto di stabilità».

Il cantiere riguarderà il cosiddetto «triangolo» rialzato di fianco al duomo e non la parte più grande di piazza

Garibaldi, quella adibita a parcheggio, all'interno dell'alberata. «Con questi lavori - spiegano dall'Ufficio

tecnico -, che riprendono lo stile di corso Italia e via Pellico, completiamo l'anello con pavimentazione a pietra

che comprende anche la nuova piazza Cavour e via Ludovico. Nell'area sarà anche spostata la fontana, ora

al centro della piazza, e al suo posto sarà realizzata un'aiuola».

Non ci sono ancora date certe per l'avvio del cantiere. «Bisogna attivarlo entro sei mesi - confermano dal

municipio - e l'intenzione è di iniziare al più tardi possibile, per evitare di accavallarsi con i lavori di piazza

Cavour».

Dubbi e curiosità fra i commercianti della zona. Luca Bertero è uno dei soci del «Turn over», bar che si

affaccia sul futuro cantiere: «Siamo stati informati dal Comune del progetto e lo vediamo in maniera positiva,

perché crediamo andrà a migliorare l'aspetto della piazza. Non sappiamo, però, ancora nulla del

cronoprogramma, ma ci auguriamo che i lavori siano in inverno, perché se non fosse possibile montare il

dehors estivo sarebbe un grave danno economico per la nostra attività». [a. g.]

08/10/2014 58Pag. La Stampa - Cuneo(diffusione:309253, tiratura:418328)

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opere pubbliche. l'amministrazione fa causa all'azienda che ha abbandonato il cantiere Forte: "Sì al museo dello sport" raffaella lanza Potrebbero riaccendersi molto presto i motori delle gru nel cantiere del Museo dello Sport, dove a oggi i lavori

sono fermi. L'impresa che aveva vinto l'appalto ha rescisso il contratto ed è stata citata in giudizio

dall'amministrazione comunale: «L'azienda si è defilata dopo tre anni di lavoro nel cantiere, che ha subito

rallentamenti per i ritrovamenti archeologici nel sottosuolo. In base al contratto stipulato l'azienda non

avrebbe potuto rescindere unilateralmente, per questo come Comune le abbiamo fatto causa - spiega il

sindaco Maura Forte -. Ora interpelleremo la seconda classificata per vedere se è disposta a proseguire i

lavori. Confidiamo che questa empasse sia risolta al più presto».

Il Museo dello Sport, che ha visto ostacoli fin dalla posa della prima pietra, sorgerà, volente o nolente, a

Vercelli. Non è possibile pensare di dire stop al progetto che porterà alla costruzione di un palazzetto

multifunzionale, nonostante tutte le traversie attraversate dal cantiere: «Non possiamo pensare a una

destinazione diversa dei fondi stanziati a suo tempo per questo progetto - spiega il sindaco -. Non si può

cambiare destinazione, né decidere di accantonare l'idea».

Se il Museo dello Sport fa dormire sonni poco tranquilli a Maura Forte, il primo cittadino di Vercelli si dovrà

occupare, se la Pro consoliderà la serie B, a metà 2015, anche dell'ampliamento del Piola, necessario ai

Bianchi per poter giocare a Vercelli le gare future nella serie cadetta: «Ci sarà tempo per parlare di questo -

dice il sindaco -. Prima guardiamo i risultati della Pro, che mi auspico sempre positivi. Quando si presenterà il

momento di parlare dell'ampliamento del Piola incontreremo i dirigenti. Non è giusto trattare questo

argomento senza aver parlato prima con loro».

08/10/2014 48Pag. La Stampa - Vercelli(diffusione:309253, tiratura:418328)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 17

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LETTERA Precisazioni sull'edilizia sociale Sergio Urbani, Condirettore Generale Cdp Investimenti Sgr L'articolo «Edilizia sociale, fondi non utilizzati», pubblicato ieri su ItaliaOggi, non tiene conto delle seguenti

considerazioni: 1) ad oggi il Fia ha già impegnato il 64% delle risorse disponibili. Infatti, Cdpi Sgr ha

deliberato a titolo defi nitivo 1,3 miliardi di euro su 24 fondi locali, fi nalizzati a realizzare 188 progetti per

complessivi 12.500 alloggi sociali e 6.400 posti letto in residenze temporanee e studentati; 2) non è corretto,

inoltre, parlare di fondi non utilizzati in quanto il Fia è un fondo «a richiamo», che chiede ai sottoscrittori di

versare le somme impegnate solo quando l'attività genera un fabbisogno legato all'acquisizione di immobili o

allo stato di avanzamento dei lavori edili. Questo proprio per evitare che le risorse vengano immobilizzate

inutilmente e consentire ai sottoscrittori di tenerle investite in altri strumenti a reddito il più a lungo possibile;

3) per la natura del settore di riferimento, lo sviluppo dell'attività di fondi come il Fia non è lineare: dopo i primi

anni dedicati all'individuazione delle opportunità di investimento è seguita una fase incentrata sull'impegno

delle risorse e sull'attivazione di Fondi locali che a livello geografi co coprono tutte le regioni italiane. Gli ultimi

anni del periodo di investimento del Fia, fi no alla fi ne del 2017, saranno pertanto caratterizzati da una forte

accelerazione della realizzazione delle iniziative di housing sociale; 4) i tempi del Fia sono in linea con la

normale durata delle iniziative di sviluppo immobiliare sia nel settore dell'edilizia sociale, sia nel libero

mercato.

08/10/2014 23Pag. ItaliaOggi(diffusione:88538, tiratura:156000)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 18

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PAOLO BUZZETTI: SI CHIAMA EDILIZIA LA MESSA IN MOTO DELLARIPRESA ECONOMICA PAOLO BUZZETTI: SI CHIAMA EDILIZIA LA MESSA IN MOTO DELLA RIPRESA ECONOMICA Parte dallacasa, dal dissesto del territorio, dalle infrastrutture, la ricetta dei costruttori per avviare il rilancio di un settore,quello dell ' edilizia, capace di trainare una serie di attività e di ricreare numerosi posti di lavoro a cura di ANNA MARIA CIUFFA ato a Roma, laureato in Ingegneria Civile idraulica nell'Università Sapienza, Paolo Buzzetti è presidente

dell'Ance dal settembre 2006. Amministratore dell'impresa di famiglia Iab spa che opera nel settore delle

opere pubbliche e private e del restauro, ha ricoperto numerosi incarichi di prestigio nel sistema associativo

dell'Ance, Associazione nazionale dei costruttori edili, a cominciare dalla presidenza del Comitato nazionale

dei Giovani imprenditori edili che ha assunto, per primo, dalla nascita del Comitato nazionale e che ha

ricoperto dal 1992 al 1995. A questo incarico è seguita, dal 1997 al 2000, la vicepresidenza alle Opere

pubbliche dell'Ance nazionale. Dal 1995 al 2001 ha inoltre guidato, in qualità di presidente, l'Acer,

Associazione dei costruttori romani. Dal gennaio 2002 al novembre 2005 Buzzetti è stato presidente di

Ambiente e Territorio, azienda speciale della Camera di Commercio di Roma, e dal maggio 2002 al maggio

2006 presidente di Tecnocons. Attualmente è membro di Giunta della Camera di Commercio di Roma, del

Consiglio generale dell'Unioncamere Lazio e consigliere della Tirreno-Brennero. È stato anche presidente

della Federcostruzioni, consigliere di amministrazione dell'Unicredit Banca di Roma, dell'Isveur e

dell'Italconsult. Domanda. Quali sono i contraccolpi della crisi economica sulle costruzioni? Risposta. Sono

drammaticissimi dopo 6-7 anni di rallentamento del settore dell'edilizia. Hanno chiuso decine di migliaia di

aziende, sono scomparsi 800 mila posti, cifre impressionanti, gente che ha perduto il lavoro, non solo operai

ma anche personale qualificato. Abbiamo previsto che, anche quando l'attività riprenderà, il fenomeno dei

«cinquantenni a spasso» avrà un riscontro negativo per la mancata trasmissione nelle aziende del sapere di

prima. Dal 2011 ad oggi c'è stata una riduzione di oltre il 60 per cento del credito erogato alle imprese e alle

famiglie per acquistare casa. La diminuzione ha superato il 50 per cento nei finanziamenti per opere

pubbliche, lo vediamo nella manutenzione del territorio. Si sono chiusi i rubinetti dei lavori pubblici. Con il

Patto di Stabilità i Comuni, anche quando dispongono di risorse, non possono pagare le opere. Il dissesto del

territorio ha causato vittime anche dove i sindaci avevano i fondi per progetti che di fatto non potevano

realizzare. D. E nel settore privato? R. Anche in questo si investe di meno, gli imprenditori che avrebbero

iniziative, oggi, per le difficoltà di credito e le preoccupazioni per un mercato completamente fermo, non fanno

nulla. Sono le conseguenze della crisi e dei provvedimenti adottati. La tassazione sulla casa è diventata un

bancomat, una vera imposta patrimoniale disposta quando c'è necessità di fare cassa. Dal 2011 a oggi il

gettito complessivo in Italia è salito da 9 miliardi di euro a 26 miliardi; chi ha una seconda casa sembra un

ricchissimo possidente, perché è tassata fino al 18 per cento, ed è colpita da Imu, Tasi e dalla confusione che

peggiora la situazione. In Francia si può acquistare una casa, affittarla per 8 anni a canone concordato ed

usufruire di una detrazione fiscale fino al 20 per cento del valore. Questa formula ha avuto un successo

eccezionale, inoltre sono stati incentivati i mutui. Da noi è stata avviata e poi cancellata l'introduzione di un

regolamento edilizio unico per tutta l'Italia, che renderebbe trasparenti, chiare ed evidenti le norme. Il risultato

è che ogni città ha il proprio, e che da città a città variano le dimensioni minime di un bagno o di una stanza.

Ogni Comune è una repubblica a sé. D. Quali sono gli effetti della Tasi? R. Con la Tasi i Comuni fanno

pagare ai costruttori i servizi anche per le aree edificabili. Ma a un fabbricato da ristrutturare o a capannoni

abbandonati quali servizi possono fornire? Inoltre le società proprietarie di immobili da affittare non possono

detrarre le spese di manutenzione, consistenti in somme ingenti e in crescita esponenziale in questi tempi.

Quindi gli effetti sono finora disastrosi. In tutto il mondo l'edilizia è aiutata perché è il traino per far ripartire il

mercato interno, completamente fermo. D. Che pensa l'Ance delle misure adottate dal Governo Renzi nel

07/10/2014 8Pag. Specchio Economico - N.10 - ottobre 2014(diffusione:40000, tiratura:50000)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 19

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settore immobiliare e delle infrastrutture, nominate «Sblocca Italia» e «Piano Italia»? R. Bisogna distinguere

tra grandi riforme e ripresa economica; le prime sono quelle del mercato del lavoro, del costo del lavoro, della

Pubblica Amministrazione, le riforme istituzionali che risalgono al 1960, quindi le grandi riforme che la crisi e

la globalizzazione ci obbliga a fare, dolorose e complicate. Ma mille giorni per le nostre imprese sono troppi e

lo Sblocca Italia è stato un'occasione persa per rilanciare l'edilizia. Per questo ora bisogna puntare sulla

Legge di Stabilità. D. Qual è allora il vero problema? R. La questione economica, sulla quale pesa l'errore,

compiuto da tutti i Governi, di seguire una politica europea che ha perseguito un rigore estremo legato al

pareggio di bilancio, politica che è stata inserita anche nella nostra Costituzione. Una delle più grandi illusioni,

un rigore fine a stesso. Recentemente si è scoperto che quel 3 per cento di deficit concessoci dalla

Commissione europea, rispetto al prodotto interno, è stato inventato da un funzionario francese per

rispondere a una domanda del presidente francese di allora, ma in realtà senza una giustificazione. Ciò

dimostra che le politiche fin qui seguite dall'Unione Europea sono sbagliate, hanno depresso l'economia, fatto

crescere il nostro deficit del 136 per cento, causato un aumento della spesa corrente, una diminuzione degli

investimenti in infrastrutture e manutenzione del territorio, un aumento costante delle tasse, mancati

pagamenti della Pubblica Amministrazione per lavori eseguiti da imprenditori. D. Il presidente del Consiglio

Matteo Renzi che cosa fa? R. Afferma di voler fare le riforme, ma non è un obiettivo di domani mattina,

costeranno lacrime e sangue e occorrerà del tempo. Quando vengono applicate, le riforme di per sé

rallentano l'economia. Da anni si annunciano semplificazioni con decreti legge che cancellano questo o

quello, creando solo una grande confusione. Ritengo che le riforme vadano fatte solo su punti essenziali e

con attenzione, ma nel frattempo bisogna far ripartire l'economia, e in questo lo «Sblocca Italia» ha deluso

perché l'ammontare delle risorse a disposizione è irrisorio: il 60 per cento dei 3,9 miliardi di euro destinati ad

opere pubbliche sarà speso dal 2018, adesso viene speso solo l'11 per cento, per cui ai fini della ripresa non

c'è niente. Vogliamo pensare alla NapoliBari? Va bene ma non sia spacciata come ripartenza dell'economia.

Non sono state finanziate le opere anti-dissesto del territorio, e se nessuno fa nulla i morti vanno considerati

vittime di delitti di Stato. D. Il dissesto non è dovuto alla mancanza di controlli? R. È dovuto alla mancata

manutenzione dei corsi d'acqua. Si sono rotti i meccanismi di controllo, si è persa la catena di comando, tutti

si deresponsabilizzano, il meccanismo non funziona, il problema va affrontato al più presto. Le risorse sono

insufficienti e non sono destinate alle opere minori di manutenzione. D. Quanto pesano sul «mattone»

incertezze e instabilità politiche? R. L'instabilità politica pesa moltissimo, ma anche quella normativa. Il

Codice dei contratti pubblici continuamente viene rimesso in discussione, le regole sugli appalti stanno per

essere ricambiate perché dobbiamo di nuovo recepire la normativa europea, ed anche per i fatti emotivi del

Mose veneziano. L'instabilità normativa è drammatica per il settore edilizio. In campo fiscale si assiste alla

proliferazione e al cambiamento continuo delle regole. Il motivo è non far capire niente alla gente, non c'è

altra spiegazione. D. Che pensa delle tasse sulla casa? R. Non si può pensare che, se uno ha avuto una

casa in eredità o ha una seconda casa che non affitta per trascorrervi la vacanza, sia così ricco da poter

sostenere gli aumenti fiscali; se l'affitta, paga lo stesso le tasse e magari non può mandar più via l'inquilino.

L'idea di togliere all'italiano il reddito della casa è disastrosa. Hanno sbagliato le valutazioni

macroeconomiche ritenendo che la crisi fosse finita, che si superasse agganciandoci ai mercati internazionali,

che gli investitori stranieri tornassero. Come può riprendere un mercato interno di gente spaventata e

sfiduciata che reagisce all'aumento delle tasse risparmiando e tenendosi stretto il denaro? Renzi non ha

avuto il coraggio di dire all'Europa: «Noi usciamo». Dirlo non è una follia; non abbiamo la bomba atomica, ma

abbiamo l'uscita dall'euro. D. Stiamo vendendo l'Italia? R. Gruppi economico-finanziari vogliono comprare

meglio, quindi per loro, più andiamo peggio, meglio è. I tedeschi ci considerano spreconi come greci, spagnoli

e portoghesi, e ritengono di rimetterci a posto adesso o mai più; non si rendono conto che, in attesa di

riforme, la situazione è peggiorata e che anche la Germania comincia ad avere qualche difficoltà. E i

professori che stanno a Bruxelles non conoscono la realtà di tutti i giorni, sono dei teorici. D. Lei avrebbe

preferito che l'Italia restasse fuori dell'Europa? R. Giulio Andreotti diceva: «Amo tanto la Germania, che

07/10/2014 8Pag. Specchio Economico - N.10 - ottobre 2014(diffusione:40000, tiratura:50000)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 20

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preferisco ne esistano due». Ogni popolo ha le proprie qualità e i propri difetti, ma i tedeschi hanno la

tendenza ad imporre la loro egemonia; caduto il Muro di Berlino, non si è fatta un'Europa politica ma

monetaria, e siamo finiti in una guerra economica. La soluzione migliore sarebbe restare in Europa, ma fuori

dall'euro. D. Si dice che il «mattone» è un volano per l'economia. A quali condizioni? R. Siamo in ritardo nelle

grandi infrastrutture che però non producono subito occupazione; la rete metropolitana in tutta Italia,

sommando tutte le linee, è inferiore a quella parigina; nell'alta velocità eravamo i primi in Europa, ora siamo

gli ultimi; tutto il Sud è isolato dal resto del Paese e ha solo il 3 per cento di turisti; il territorio è in preda a

frane, smottamenti, esondazioni, alluvioni; c'è un patrimonio vetusto da ristrutturare e l'edilizia, con risorse

pubbliche e private, potrebbe dare una spinta al Paese. Però bisogna farla partire. D. Qual'è la situazione

dell'edilizia scolastica, economica e popolare? L'invenduto indica che si è costruito non essendo necessario?

R. La situazione delle scuole è drammatica, 15 mila sono da abbattere e ricostruire, occorrerebbero 5 miliardi

di euro, ma l'importante è cominciare. La nostra storia è fatta di improvvisi, grandi programmi dello Stato

centrale, ferrovie, strade, centrali elettriche. Oggi basterebbe lanciare un paio di grandi programmi, su scuole

e dissesto idrogeologico, invece si continua a parlare. Nell'edilizia economica e popolare non si fanno le

nozze con i fichi secchi, gli interventi della Cassa Depositi e Prestiti o dello Stato che ha creato il «fondo dei

fondi» non funzionano perché, se si vuole l'«housing sociale» da imprenditori che hanno comprato un terreno

e pagato l'urbanizzazione, anche se fossero disposti non possono farlo, a causa dei prezzi e delle

remunerazioni troppo tirate. Si sta pensando come utilizzare lo stock di invenduto, ma non sono operazioni

semplici. In Italia in alcune opere sprechi e costi sono troppo alti, nella media è tutto tirato. Da dopo

Tangentopoli si pagano male le imprese, si praticano ribassi notevoli, non si creano le condizioni per

realizzare un vasto programma di edilizia sociale utilizzando anche l'invenduto. Si è fermata molto la

domanda. All'inizio della crisi si stava costruendo troppo; l'Ance puntava invece alla riqualificazione del

patrimonio esistente, al blocco del consumo del territorio. Occorrono due anni per costruire un fabbricato, e a

quello che chiamiamo «invenduto» si è dato inizio dopo il 2011, con prospettive difficili per le vendite a causa

dei tagli, delle collocazioni, delle situazioni. Inoltre sono sorte novità nei mutui, nelle norme, con la Tasi, che

hanno allontanato gli obiettivi. D. Cos'altro impedisce di realizzare opere pubbliche, oltre alla burocrazia? R.

Mancano le risorse e le regole sono legate alla burocrazia che le rallenta. Per un'opera occorrono sui 50

milioni di euro e 8 anni tra l'ideazione, i progetti e la realizzazione, ma i progetti arrivano già vecchi, si perde

tempo su dove non deve passare l'infrastruttura, poi si pretende di far presto nelle gare e nella realizzazione,

e ci si lamenta se le imprese presentano troppi ricorsi. Le risorse sono fondamentali, non bisogna solo farsi

prendere dall'Expo, invitare meno ditte alle gare, farle meno regolari. Si devono responsabilizzare politici e

amministratori che perdono 2 o 3 anni in chiacchiere. D. Per un Paese come l'Italia, con rischio sismico e

idrogeologico, quanto è importante intervenire sul già costruito? R. È fondamentale, anche perché le mappe

sismiche sono state estese moltissimo. Gli sgravi fiscali consentono di intervenire nelle aree sismiche; sul

dissesto idrogeologico si tratta di avviare un programma per le case che cominciano ad avere una certa età

essendo state per il 55 per cento costruite tra il 1946 e il 1981, inoltre vi sono quelle del 1900. Dobbiamo

imparare ad acquistare case nuove, come per le auto che, se sono d'epoca, devono essere perfettamente

restaurate. Non è solo la posizione, la vista o la vicinanza ai mezzi di trasporto da tenere in conto, ma anche

la qualità. Occorre un cambio di mentalità. Non lancerei allarmi drammatici, non tutto rischia di cadere domani

mattina, ma bisognerà stare attenti anche quando si fanno lavori condominiali. D. Quali misure sarebbero

urgenti per rilanciare il settore? R. Impegnare risorse nelle opere pubbliche essenziali che danno

immediatamente slancio; favorire l'impiego di denaro privato negli interventi di riqualificazione; attribuire alla

casa, attraverso le tasse, un valore chiaro; restituire fiducia e tranquillità al cittadino; lasciare fare al mercato.

Siamo arrivati ad un momento decisivo in Europa ma, se si continua così, ci si impoverisce; si perde la

capacità del piccolo imprenditore, dell'artigiano, della media impresa; veniamo comprati e deindustrializzati. In

passato l'Italia è andata bene perché faceva tutto, turismo, moda, industria, artigianato specializzato; se

buttiamo a mare questo, resta poco. È un'illusione vivere di solo turismo che, tra l'altro, viene poco

07/10/2014 8Pag. Specchio Economico - N.10 - ottobre 2014(diffusione:40000, tiratura:50000)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 21

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valorizzato. Serve un grande salto costituito dalle riforme che richiederanno tempo, e nell'attesa ciò

comporterà diminuzione del prodotto interno e grandi sacrifici. D. Quale consiglio darebbe al presidente

Renzi? R. Di fissare un ordine di riforme definitivo e chiaro, partendo da quella del lavoro, che è la più

importante soprattutto dal punto di vista del costo. Anticipare quelle che richiederanno molto tempo; forzare

l'Europa. Se il debito pubblico supererà il 3 per cento del prodotto interno, che cosa potranno farci? Io

impiegherei un po' di risorse nelle scuole e nel dissesto e farei chiarezza nella tassa sulla casa. L'Italia ha

recepito il «pacchetto clima-energia 20-20-20» dell'Unione Europea in base al quale ogni anno il 3 per cento

delle superfici di edifici pubblici deve essere adeguato e risistemato dal punto di vista energetico. Perché non

vi hanno inserito subito le scuole e gli ospedali, ma soltanto edifici di proprietà statale? Per di più è stato

stanziato un fondo di 308 milioni di euro, che sono del tutto insufficienti.

Foto: L ' ing. Paolo Buzzetti,

Foto: presidente dell ' Ance, Associazione nazionale dei costruttori edili

Foto: Un momento della più recente assemblea dell'Ance

07/10/2014 8Pag. Specchio Economico - N.10 - ottobre 2014(diffusione:40000, tiratura:50000)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 22

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SCENARIO ECONOMIA

21 articoli

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I cinesi comprano l'olio toscano Sagra e Berio al fondo di Pechino Salov passa alla controllata del gruppo Yimin (14 mila supermercati) L'allarme Coldiretti: marchi storici per 10miliardi sono in mani straniere D. Pol. Da Shanghai a Lucca per assicurarsi l'olio made in Italy. C'è riuscito il governo di Pechino che attraverso la

controllata Bright Food ha rilevato la maggioranza del gruppo Salov. Come dire uno dei maggiori produttori

nazionali di olio d'oliva e semi con i marchi Sagra e Filippo Berio per un giro d'affari stimato a quota 330

milioni. A cedere la maggioranza sono i tre rami familiari, quarta generazione del produttore toscano, le

storiche famiglie di Dino Fontana e Filippo Berio.

Da tempo la Salov cercava una sponda cui attraccare l'attività per darle nuovo impulso e facilitare il

passaggio generazionale. Numerosi sono stati i candidati acquirenti dell'azienda che produce 330mila litri di

olio al giorno ed è proprietaria di 270mila metri quadrati di terreni. Ma l'alchimia giusta il presidente Alberto

Fontana l'ha trovata con Wu Tonghong, presidente della Yimin, la controllata nella distribuzione del colosso

che macina 17 miliardi di dollari. Vero e proprio braccio armato del Governo di Pechino nell'alimentare.

Complice l'intermediazione dell'advisor di Salov, Mediobanca ma soprattutto il prezzo che ha battuto le offerte

dei concorrenti. Ma anche i numeri di Bright Food: 14mila supermercati e che faranno arrivare sugli scaffali

cinesi i marchi Sagra e Berio.

L'intenzione degli acquirenti è mantenere le produzioni in Italia e canalizzare i prodotti su tutta la Greater

China . Con l'obiettivo di migliorare l'alimentazione della popolazione ma anche per afferrare la nascente

passione dei consumatori cinesi per i marchi made in Italy. Per Salov è l'opportunità di sbarcare su un

mercato che cresce del 5-6% l'anno, con picchi del 50% nell'olio di oliva. In allarme la Coldiretti che spiega

come superi i 10 miliardi «il valore dei marchi storici dell'agroalimentare italiano passati in mani straniere

dall'inizio della crisi -. Il mercato dell'olio Made in Italy è sempre più straniero dopo l'acquisizione di Bertolli,

Carapelli e Sasso da parte del fondo Cvc». Dura la reazione della Confederazione agricoltori che ha parlato

di «scippo da parte straniera». Salov sarà un polo per nuove acquisizioni - spiegano fonti vicine a Bright Food

- anche in altri settori dell'alimentare. La campagna acquisti non è finita.

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Gli investimenti cinesi in Europa Dati in miliardi di dollari Fonte: rielaborazione su Heritage Foundation d'Arco

Agricoltura Energia Finanza Immobiliare Tecnologia Trasporti Altro TOTALE ITALIA Francia Germania

Spagna Regno Unito 0,6 0,5 6,6 0,5 0,9 2,3 0,7 1,0 0,6 - - - - - - - - - - - 0,1 3,5 0,5 2,4 0,5 2,4 0,9 1,5 2,3 4,9

4,8 0,2 1,7 2,7 7 10,6 5,9 2,4 7,1 23,6

I brandLa Bright food è il secondo gruppo alimentare cinese. Ha comprato l'inglese Weetabix nei cereali, in Australia

la Manassen negli alimenti per l'infanzia e la Synlait in Nuova Zelanda.

310 milioni Il giro d'affari del gruppo toscano Salov registrato quest'anno330 mila litri

di olio al giorno

la produzione dei marchi Sagra e Berio

08/10/2014 28Pag. Corriere della Sera - Ed. nazionale(diffusione:619980, tiratura:779916)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 24

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La Lente Moleskine, i taccuini e l'integrazione con il web Adobe Fabio Savelli Dal taccuino griffato Moleskine al software di ritocco Adobe Photoshop il passo (da oggi) può essere breve.

L'intermediazione tra i due linguaggi (analogico-digitale) passa per un'applicazione mobile in grado di

catturare le realizzazioni impresse su carta trasferendole su un dispositivo mobile in grado di modificarle

mediante i programmi più conosciuti della software house americana, come Illustrator e, appunto, Photoshop.

Potremmo chiamarle «prove di convergenza creativa» e passano soprattutto per il nuovo corso inaugurato

dall'azienda californiana che ha appena lanciato una serie di applicazioni per il sistema operativo di Apple.

Tutte in chiave di cloud computing (la nuvola informatica, in sostanza la possibilità di virtualizzare le memorie

dati). Tecnologia in grado di far "girare" (non appesantendo il dispositivo di approdo) anche l'articolato

Premiere Pro (programma di montaggio video) su smarthphone . In teoria sarà possibile prendere appunti

sulla famosa agendina made in Italy, parole, testi, ritratti che diventeranno semplicemente bit pronti per la

(loro) trasformazione digitale. A una lettura più approfondita potremmo affermare che si tratti di un altro

esempio di alleanza tra marchi italiani e hi-tech americane, dopo quello recente tra Luxottica e Google per gli

occhiali a realtà aumentata di Mountain View. Anche qui vecchio e nuovo mondo insieme. A sorpresa.

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08/10/2014 28Pag. Corriere della Sera - Ed. nazionale(diffusione:619980, tiratura:779916)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 25

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Sussurri & Grida Crediop, 90 anni di storia e i sindacati oggi in Bankitalia ( c.d.c. ) Era stata fondata nel 1919, mentre Gabriele d'Annunzio guidava l'impresa di Fiume e la Germania

firmava il trattato di Versailles addossandosi la responsabilità della prima guerra mondiale. E oggi Crediop, la

banca italiana entrata a far parte dal 1999 del gruppo Dexia, rischia grosso. Mentre la capogruppo franco-

belga si sta avviando alla cessazione delle attività, le organizzazioni sindacali stanno chiedendo che Crediop

«continui nella sua attività creditizia e che vengano tutelati i livelli occupazionali che la banca ha creato in

oltre 90 anni di attività». Oggi i sindacati del Dexia Crediop saranno ricevuti in Banca d'Italia per trovare

possibili soluzioni «affinché - hanno fatto sapere - la decisione della Commissione europea, che ha imposto al

gruppo franco-belga la cessazione delle attività, non porti alla cessazione della controllata Italiana con

un'ulteriore perdita di attività e di posti di lavoro nella Regione Lazio».

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Montanino all'Atlantic Council

(a. pu.) Andrea Montanino ( nella foto ) se ne va dal Fmi, ma resta a Washington con incarico apicale nel

super-pensatoio Atlantic Council: unico italiano ai vertici di un think-tank americano. Dal primo novembre l'ex

dirigente generale del Tesoro lascerà a Carlo Cottarelli, commissario alla spending review in uscita da via XX

Settembre, il posto di direttore esecutivo per l'Italia al Fondo monetario internazionale. Se anche il ministro

dell'Economia, Pier Carlo Padoan, avesse anche scelto di offrirgli un incarico in Italia, Montanino - che a

Washington ha trasferito casa e figli - avrebbe scelto, dice chi gli è vicino, di proseguire l'esperienza

internazionale in solitaria. Non sembra cascare male. Sarà infatti il direttore del Global programme business

& economics, il programma di analisi economica di Atlantic Council. Che è l'organismo indipendente delle

analisi politico-economiche a un passo dalla Casa Bianca, con 150 occupati. Presieduto da Fred Kempe, 30

anni al Wall Street Journal , l'Atlantic Council è stato di recente citato dal New York Times per il modello dei

finanziamenti con donazioni private: da aziende come Chevron, Coca Cola, Allianz, ma anche benestanti

privati cittadini. O governi come la Norvegia e il Qatar. Montanino dovrà fare fund raising, raccogliere cioè

finanziamenti. Per fare opinione. Suo obiettivo è l'espansione delle analisi economiche all'Europa e anche

nello specifico all'Italia. È atteso in visita, venerdì 10, il presidente dell'Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem.

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Fondi Ue, 20 miliardi non spesi

( an.duc .) Uno sforzo enorme per spendere 20,2 miliardi di euro al più presto. In Italia l'inefficienza delle

amministrazioni pubbliche continua a frenare l'utilizzo dei fondi Europei. Le cifre non lasciano dubbi. «Il

residuo al 16 settembre, che va speso entro il 31 dicembre 2014, è di 20,2 miliardi di cui 15,3 miliardi nelle

regioni di convergenza». A ribadirlo è il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio. E,

intanto, in ballo c'è anche la ridefinizione della quota di cofinanziamento italiano ai Fondi europei per la

programmazione del periodo 2014-2020.

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08/10/2014 33Pag. Corriere della Sera - Ed. nazionale(diffusione:619980, tiratura:779916)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 26

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VINCOLO DEMOGRAFICO E COMPETITIVITÀ Volkswagen, robot al posto di chi va in pensione Andrea Malan «Quando gli operai nati con il baby boom andranno in pensione li sostituiremo (almeno in parte) con dei

robot». L'annuncio shock arriva da Horst Neumann, capo del personale della Volkswagen, il quale - in un

articolo per la "Sueddeutsche Zeitung" - spiega che tra il 2015 e il 2030 Vw in Germania perderà per

pensionamento 32mila dipendenti più che nella media di lungo periodo. «Per questo abbiamo la possibilità di

sostituire le persone con i robot e ciononostante di assumere giovani ai livelli attuali» spiega Neumann.

Andrea Malan

Il manager Volkswagen ricorda sì che i robot sostituiscono per lo più compiti monotoni e fisicamente pesanti

(«Non bisogna rimpiangerli, se ci sono alternative migliori»); ma il motivo della sostituzione è naturalmente

economico: «Non potremmo rimpiazzare tutti questi lavoratori con altri assunti» perché occorre contenere i

costi. «Nell'industria automobilistica tedesca il costo del lavoro è superiore ai 40 euro all'ora, nell'Europa

dell'Est sono 11, in Cina 10 - scrive Neumann -: ma già oggi il costo di un sostituto meccanico per lavori di

routine in fabbrica si aggira intorno ai cinque euro. E con la nuova generazione di robot diventerà

presumibilmente ancora più economico».

La sostituzione del lavoro manuale con i robot non è naturalmente una novità; generalmente avviene per

ondate tecnologiche ed è correlata al costo relativo dell'automazione rispetto alla manodopera (più elevata

dove la manodopera costa di più). Il conto di Volkswagen sui robot comprende tutti i costi, e Neumann ricorda

come il progresso nei robot stessi li renderà in grado in futuro di svolgere compiti sempre più delicati, come

per esempio alcune attività di montaggio all'interno della vettura.

Quanti sono i lavoratori alle catene di montaggio di Volkswagen? «Circa metà di quelli che lavorano alla

produzione». Il "buco demografico" della forza lavoro in Germania arriva dunque a proposito per il gruppo:

permetterebbe infatti a Vw di sostituire gli operai con i robot senza aumentare il tasso di disoccupazione. Il

titolo dell'articolo di Neumann ("Una grossa chance per il lavoro: nei prossimi anni i baby boomers andranno

in pensione") suona però ironico, se si pensa agli anni - lontanissimi - in cui a Wolfsburg affluirono decine di

migliaia di italiani, turchi e slavi a produrre il Maggiolino.

Il discorso di Neumann ha due spiegazioni. Da un lato, pur con una quota dominante in Europa, Vw ha

margini non molto superiori alla concorrenza (c'è chi li stima vicini al pareggio), proprio a causa

dell'inefficienza delle fabbriche tedesche. Dall'altro Neumann (che essendo nato nel 1949 andrà in pensione

prima di tutti i baby boomers) può permettersi di fare un discorso simile poiché Volkswagen ha le fabbriche

che girano in Germania, se non a pieno regime, almeno a una velocità tale da non ingolfare i conti: l'utilizzo

della capacità produttiva nel 2014 è stimato all'82% dai consulenti di AlixPartners, contro un 46% in Italia.

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08/10/2014 1Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 27

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LAVORO E MANOVRA Il piccone di Renzi e la verità dei fatti Guido Gentili Il premier Matteo Renzi, vicino alla volata finale del semestre europeo a timone italiano che oggi ospita a

Milano il vertice sul lavoro, s'affaccia sul curvone decisivo. Dove non può fare errori di guida sulla strada

promessa del cambiamento.

Riforma del lavoro, Legge di stabilità, confronto in Europa. Sono le tre emergenze che si incrociano sullo

sfondo di una congiuntura europea in peggioramento, Germania compresa. E lo scontro tra la Bundesbank,

contraria alle politiche innovative della Bce, e il Fondo Monetario, che sollecita la Bce in senso inverso,

alimenta tensioni e incertezze. In ogni caso, l'Italia non può contare sulla sola ciambella monetaria per tirarsi

fuori dai guai.

Renzi porta a Milano l'elenco delle riforme messe in campo in questi mesi, la ripresa del confronto con

sindacati e imprese, l'approvazione in un ramo del Parlamento della delega per la riforma del mercato del

lavoro. È un passaggio importante, che buca un muro di conservatorismi diffusi ed è possibile che la

Cancelliera Angela Merkel metta sul piatto un incoraggiamento usando una parola che le è cara in questi

frangenti: "impressionante".

Ma "impressionante" lo sarà davvero, nei fatti, se al momento-chiave della stesura dei decreti non ci saranno

compromessi al ribasso, articolo 18 compreso. "Impressionante" sarà la manovra del governo se la Legge di

stabilità abbasserà le tasse sul lavoro in modo percepibile e comprimerà le spese. "Impressionante" sarà il

risultato se l'oggetto del desiderio dei governi, il Tfr, entrerà nelle tasche dei lavoratori senza procurare danni

alle imprese medio-piccole.

Un muro bucato non è un muro crollato. Se usato bene, il piccone di Renzi, in Italia come in Europa, può

molto. Ma non tutto. Perché i cambiamenti si misurano con i fatti e con i numeri, molti dei quali mancano oggi

all'appello della ripresa. E perché l'economia reale si muoverà se ne saranno convinti i protagonisti, a partire

da famiglie e imprese. Il loro sostegno è decisivo, e non c'entra la "concertazione". Qui si tratta anzi di

nuotare in mare aperto, ciascuno con le sue braccia e le sue idee, ma nella stessa direzione.

@guidogentili1

08/10/2014 1Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 28

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L'ANALISI Ora la frenata è strutturale Giorgio Barba Navaretti Sarebbe sbagliato considerare la frenata dell'industria tedesca in agosto come episodica e non strutturale. La

deflazione europea e l'assenza di politiche di rilancio della domanda ormai frenano anche la magnifica

industria della Germania.

Il mercato unico è fondamentale per la crescita di tutta l'industria continentale. E nessuno dei suoi membri

può evitare di risentire del passo lento degli altri. Siamo tutti nella stessa barca. Neanche la Germania può

fare a meno di considerare una politica seria e a vasto raggio di rilancio dell'economia europea. Sarebbe

davvero folle voltare le spalle allo scambio tra flessibilità di bilancio e serie riforme strutturali. Il rallentamento

tedesco potrebbe rendere questo compromesso possibile (per quanto le dichiarazioni di ieri di Weidmann

contro le recenti mosse della Bce non lascino ben sperare) e bene fa Renzi a perseguirlo presentandosi al

summit europeo oggi a Milano avendo fatto passi significativi sulle regole del lavoro.

Diversi commentatori derubricano la frenata di agosto a un eccesso di vacanze scolastiche. Ma il crollo

persiste anche se si considerano i dati depurati dagli effetti stagionali. Il meno 5,7% negli ordini e il meno 4%

nella produzione rispetto a luglio rappresentano le maggiori cadute mensili da gennaio 2009. Il dato però più

preoccupante è la relativa stagnazione di lungo termine degli indici, che in sostanza sono fermi ai livelli di

inizio 2011 e di fine 2008. Meglio dell'Italia, che continua ad essere circa del 20% sotto, ma non una rampa di

lancio. La Germania aveva recuperato a fine 2010 i livelli pre-crisi e con la dinamica delle esportazioni extra-

Ue ha superato indenne lo shock dei debiti sovrani. Ma ora che i mercati extraeuropei frenano, il traino

dell'Europa è essenziale. Il 57% delle esportazioni tedesche vanno nell'Unione e la Francia pesa per il 10%.

La svalutazione dell'euro non basterà a rilanciare l'export della Germania. Il calo degli ordini di agosto deriva

soprattutto da una caduta della domanda internazionale, nonostante nel mese la valuta avesse già iniziato e

perdere terreno. I contenuti di qualità e tecnologia delle esportazioni tedesche rendono la loro domanda poco

influenzata dalle variazioni dei prezzi internazionali. Infine, se anche le imprese tedesche riuscissero a

guadagnare quote di mercato, gli immensi surplus commerciali che hanno già accumulato limitano la capacità

del paese di erodere spazio altrui senza creare ulteriori squilibri nell'area.

Dunque, la ripresa di ordini e produzione per la Germania può avvenire solo attraverso la crescita del

mercato unico nel suo complesso. La frenata dell'industria più dinamica del continente è un ennesima

conferma di come la mancanza di crescita sia il primo squilibrio da correggere. L'abbraccio tra riforme

strutturali e politiche di rilancio della domanda è ora indispensabile per far ripartire gli investimenti e

riqualificare l'offerta. Soprattutto per togliere dalle spalle della costruzione europea il manto di incertezza che

il cicaleccio politico e la mancanza di obiettivi condivisi hanno continuato a inspessire. C'è da augurarsi che

proprio l'incespicare tedesco possa convincere la politica europea a ritrovare la strada della crescita.

barba @unimi.it

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08/10/2014 1Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 29

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Le misure Manovra da 24 miliardi tutta destinata alla ripresa metà verrà dal deficit piùalto Negoziato tra governo e banche per il Tfr in busta paga assicurata la neutralità fiscale sia per l'Irpef che perl'Isee ROBERTO PETRINI ROMA. Renzi scopre le carte sulla legge di Stabilità: sarà di 2324 miliardi. Il presidente del Consiglio,

incontrando i sindacati Cgil, Cisl e Uil, ha confermato l'architettura della manovra 2015 che era

sostanzialmente emersa nei giorni scorsi. Nel frattempo si continua a trattare per l'anticipo del Tfr in busta-

paga: restano le perplessità delle banche, già espresse nei giorni scorsi che si troverebbero ad impegnare

oltre 10 miliardi per l'anticipo di liquidità alle piccole e medie imprese: proseguono comunque serrati contatti

con il governo.

«Tfr in busta-paga solo se le banche garantiranno le Pmi e se le piccole imprese saranno d'accordo», ha

detto ieri il premier. Intanto l'esecutivo ha assicurato ai sindacati che l'operazione se avverrà avrà la garanzia

della "neutralità fiscale" sia ai fini Irpef (si manterrà mensilmente lo schema della tassazione finale: aliquota

media degli ultimi cinque anni e imposta sostituiva dell'11 per cento sulla parte rivalutata), sia ai fini Isee che

consente di accedere ai servizi sociali; inoltre la tassazione separata farà in modo che sarà salvaguardata la

soglia di accesso al bonus degli 80 euro. L'incontro di ieri ha tuttavia visto posizioni «aperturiste» del mondo

delle imprese: il presidente della Confindustria Squinzi è tornato sui suoi passi, Rete imprese e l'Alleanza

delle cooperative hanno ribadito che il via libera ci sarà anche se gli interventi non dovranno togliere liquidità

alle imprese.

Tornado alla manovra è ormai certa la riconferma del bonus da 80 euro per chi guadagna più di 1.500 euro

al mese (costo 7,2 miliardi più 2,7 che sono già a bilancio). Il pacchetto che riguarda la nuova indennità di

disoccupazione costerà 1,5 miliardi; per la scuola sarà stanziato 1 miliardo; per gli investimenti dei Comuni

circa 1 miliardo. Poi c'è la nuova riduzione del costo del lavoro che potrebbe richiedere risorse per 2-3 miliardi

e articolarsi su un ulteriore taglio dell'Irapo su una sforbiciata ai contributi.

Da recuperare 5-6 miliardi per le cosiddette spese inderogabili (5 per mille, missioni militari). Infine le ultime

entrate nel menù: gli incentivi per gli investimenti in ricerca e la proroga di bonus energetico e ristrutturazioni

(in tutto 500 milioni). Come assicurato ieri da Renzi ai sindacati di polizia ci saranno anche le risorse, circa 1

miliardo, per lo sblocco del tetto agli stipendi delle forze di polizia anche se il governo lavora

contemporaneamente ad accorpamenti e razionalizzazioni trai vari corpi. Mentre sullo sblocco dei contratti

dell'intero comparto degli statali il ministro della Pubblica amministrazione Madia non ha chiuso la porta:

"Vedremo se ci sono margini, il discorso è aperto".

Sul fronte del recupero delle risorse in primo piano c'è l'operazione di spostamento dell'assicella del deficit

del 2015 dal 2,2 tendenziale al 2,9 in modo da recuperare spazio di manovra per 11,5 miliardi. L'operazione

di spending review sui ministeri è ancora aperta e potrebbe dare dai 3 ai 6 miliardi, mentre un taglio di 2-3

miliardi arriverà per Regioni e Comuni, si cercano anche 700-900 milioni dalla sanità e dagli enti previdenziali

(500 milioni).

Resta da esplorare l'intervento sul fisco: in parte verrà dalla lotta all'evasione con l'introduzione del reverse

charge per l'Iva delle grosse transazioni, mentre altre risorse verranno dalla rimodulazione delle agevolazioni

fiscali (buona parte dell'intervento sulle tax expenditures andrà a coprire la cosiddetta clausola di

salvaguardia a meno che non si procederà con i 3-4 miliardi di spending review aggiuntiva lasciata in eredità

dal governo Letta).

La possibile manovra 2015

7,3

08/10/2014 6Pag. La Repubblica - Ed. nazionale(diffusione:556325, tiratura:710716)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 30

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1,5

2-3

5-6

0,3 0,2

3-4

SPESE21-24 Valori in miliardi di € Bonus 80 euro TOTALE Sussidio di disoccupazione Scuola Investimenti Comuni

Riduzione costo del lavoro Spese inderogabili Bonus ristrutturazione ed energia Incentivi alla ricerca Clausola

salvaguardia Letta

21-24RISPARMI ED ENTRATE11,5

3-6

0,7

0,7

2,0 0,7-0,9 Valori in miliardi di € TOTALE Margini deÞcit-Pil Regioni e Comuni beni e servizi Spending review

ministeri Revisione agevolazioni Þscali Sanità Enti previdenziali Altro

Foto: AL TIMONE Il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan

08/10/2014 6Pag. La Repubblica - Ed. nazionale(diffusione:556325, tiratura:710716)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 31

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IL PUNTO In Mediobanca gli stipendi parlano inglese Bonus a Londra Milano a secco Per Nagel e Pagliaro emolumenti invariati a 2,25 milioni l'anno Premiato il capo della City, Marsaglia GIOVANNI PONS NON è stato sufficiente al top magement di Mediobanca realizzare ottimi risultati sul fronte dell'investment

banking per portare a casa il bonus secondo i canoni previsti dalle nuove politiche di remunerazione. E così

l'ad Alberto Nagel, il presidente Renato Pagliaro e gli altri tre manager presenti anche nel cda della banca

hanno dovuto accontentarsi della sola retribuzione fissa. Per carità, qui non si parla di 80 euro in più a fine

mese in busta paga, ma di 2,25 milioni a testa per ad e presidente, di 1,9 milioni per il direttore generale

Saverio Vinci, di 1,56 milioni per Massimo Di Carlo e di 1,46 milioni per Maurizio Cereda. C'è comunque da

essere contenti. Ma qualche mugugno c'è, soprattutto sul fronte italiano della banca. Per prendere anche il

bonus i banchieri di piazzetta Cuccia avrebbero dovuto centrare quattro obbiettivi specifici: 1) un profitto

economico della divisione Wholesale banking positivo; 2) un bilancio consolidato in utile; 3) un core tier 1

ratio superiore alla soglia regolamentare; 4) un adeguato livello di "liquidity coverage ratio". Ma nell'ultimo

esercizio solo tre obiettivi sono stati raggiunti poiché la divisione Wholesale Banking ha registrato un risultato

lordo negativo «per la contrazione del margine di interesse, dei proventi da negoziazione (trading) e da

elevate rettifiche su crediti». A riequilibrare la situazione non è bastato l'aumento del 25% delle commissioni

sugli aumenti di capitale e sulle emissioni di bond.

Ma pur nella rigidità delle nuove regole, Nagel ha trovato comunque il modo di remunerare gli uomini

dell'investment banking che hanno lavorato bene. A 22 di loro è stato erogato un bonus a scopo di "retention"

(cioè per evitare di farseli strappare dalla concorrenza) pari a 14 milioni e al loro capo, Stefano Marsaglia,

approdato alla sede di Londra nel dicembre scorso sono andati 2,05 milioni di cui 1,46 sotto forma di

compenso straordinario pattuito al momento dell'assunzione. Un altro segnale che Mediobanca parla sempre

più inglese.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 32

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IL RETROSCENA Telecom stringe sull'Argentina per conquistare la brasiliana Oi E Vodafonepunta Fastweb Il primo passo sarà la vendita del 17% di Sofora mentre l'altro 50% verrà ceduto in 30 mesi Swisscom pensadi cedere il gruppo italiano Inglesi in pole position guardando a Metroweb SARA BENNEWITZ MILANO. Telecom trova una soluzione per sbloccare la delicata vendita di Telecom Argentina e libera nuove

risorse da investire in Brasile per sostenere la crescita della controllata Tim Partecipacoes. Mentre in Italia,

Vodafone prova un'altra volta a conquistare Fastweb per rispondere così alla mossa dell'ex monopolista che

starebbe preparando un'offerta per Metroweb.

In queste ore l'ad di Telecom Marco Patuano sta mettendo a punto gli ultimi dettagli di un accordo che punta

a finalizzare la vendita del secondo operatore di Buenos Aires al finanziere messicano David Martinez. Dopo

aver ricevuto dal cda del 26 settembre un mandatoa intavolare una nuova trattativa, Patuano e il numero uno

di Fintech avrebbero trovato un compromesso che prevede il passaggio immediato del 17% di Sofora, la

scatola societaria che controlla l'operatore di Buenos Aires, per acquistare entro i prossimi 30 mesi anche il

restante 50,1%. Fintech e Telecom non escludono che, in caso si palesassero nuovi ostacoli con le autorità

locali, insieme i due soci di Sofora possano trovare un terzo compratore uscendo così dall'impasse che si

andrebbe a creare sulla governance del primo socio di Telecom Argentina.

Questa soluzione permetterebbe a Telecom Italia di incassare subito da Fintech un'altra parte dei 960 milioni

di dollari pattuiti per il controllo del gruppo telefonico, e di essere anche garantita da una penale nel caso in

cui per motivi indipendenti da Martinez l'operazione non potesse essere conclusa entro due anni e mezzo.

Questa penale è stata quantificata in 150 milioni di dollari e servirebbe a garantire a Telecom "un adeguato

ristoro" per mancato guadagno nel caso in cui Fintech non potesse tenere fede agli impegni presi con il

gruppo italiano. Risultato finale: tra 109 milioni di dollari già incassati nel dicembre 2013, la cessione del 17%

di Sofora e l'eventuale penale, Patuano si sarebbe assicurato un incasso certo pari a circa la metà dei 960

milioni di dollari pattuiti quasi un anno fa, restando per i prossimi 30 mesi socio al 50% della scatola che

controlla Telecom Argentina.

Le risorse che saranno incassate dalla vendita del 17% di Sofora verrebbero subito reinvestite in Brasile,

dove Telecom vuole accelerare sui servizi di quarta generazione. Questo non significa che dopo il mancato

acquisto di Gvt la società non sia interessata a esplorare anche nuove operazioni straordinarie come una

fusione carta contro carta con il quarto operatore locale Oi. Tuttavia, dopo essere convolata a nozze con

Portugal Telecom e aver portato a termine un aumento di capitale per procedere al matrimonio con l'ex

monopolista di Lisbona, il gruppo carioca avrebbe comunque troppi debiti e una rete in rame da

ammodernare con ingenti investimenti per potersi permettere acquisizioni di peso.

Di qui la necessità di vendere alcuni asset tra cui la quota di controllo di Africatel, ma anche quella nella

stessa Portugal Telecom.

In Italia, Telecom dovrà invece vedersela con il suo avversario più pericoloso. Secondo quanto riportato

dall'agenzia Reuters , Vodafone avrebbe fatto una offerta di 5 miliardi per Fastweb, acquistata nel 2007

dall'ex monopolista svizzero Swisscom per 4,2 miliardi (poi svalutata a 2,9 miliardi). Nel 2013 un primo

tentativo da parte di Vodafone, ma la trattativa non si chiuse proprio perché Swisscom non voleva scendere

sotto i 2,9 miliardi. In gioco c'è il futuro delle connessioni ultraveloci, partita nella quale Telecom si è portata

avanti, con il cda che ha dato mandato a Patuano di presentare un'offerta per Metroweb, la società che ha

fatto di Milano la metropoli più cablata d'Europa. Con Fastweb, invece, Vodafone si assicurerebbe

collegamenti ad alta velocità già presenti in 23 città, con un piano di espansione da 1 miliardo per altre 84. ©

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 33

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Foto: INCHIESTA UE SU AMAZON La Commissione europea ha aperto un'inchiesta approfondita sul

trattamento fiscale di Amazon in Lussemburgo.

E' lo stesso tipo di inchiesta condotta dall'Antitrust europeo nei casi Fiat Finance and Trade, Apple e

Starbucks.

Bruxelles ritiene che il livello di tassazione applicato ad Amazon potrebbe violare le regole europee

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 34

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IL RETROSCENA/2 La Camusso resta in trincea: noi in piazza, non finisce qui* GOFFREDO DE MARCHIS ROBERTO MANIA LA CGIL resta da sola all'opposizione del governo. Cisl e Uil si staccano e decidono di "andare a vedere" le

carte di Renzi. I sindacati si dividono al primo incontro a Palazzo Chigi. Susanna Camusso conferma la

manifestazione del 25 ottobre e annuncia che «non finirà lì». La replica è il solito «ce ne faremo una

ragione». A PAGINA 7 ROMA. La Cgil resta da sola all'opposizione del governo. Cisl e Uil si staccano e

decidono di "andare a vedere" le carte di Renzi.

I sindacati si dividono al primo incontro con il governo nella Sala Verde del terzo piano di Palazzo Chigi.

Susanna Camusso conferma la manifestazione contro le politiche del governo per il 25 ottobre a piazza San

Giovanni. Preannuncia al premier «che non finirà lì» e riceve come replica l'ormai classico renziano: «Ce ne

faremo una ragione». Quella di ieri non è certo stata la giornata della ripresa della concertazione. Nulla di

questo era ed è nella strategia del premier. Però qualcosa è successo.

Ha detto Renzi ai sindacati: «Se evitate di ripetere le solite cantilene qui potrete aver voce in capitolo. Per

troppi anni non avete compreso il cambiamento che si stava producendo nella società. Ora vi do l'opportunità

di cambiare insieme a noi».

E dunque dopo le polemiche sferzanti dei mesi scorsi, Renzi ha scelto di imboccare una strada diversa. Ha

scelto la via del dialogo sul modello europeo con le parti sociali. O almeno qualcosa che a quell'idea di ispira.

Ha illustrato a tutti (associazioni delle imprese e organizzazioni sindacali) gli interventi sul lavoro, le ipotesi

per anticipare il Tfr ai lavoratori che lo vorranno con l'obiettivo di provare a stimolare la domanda interna, ha

aperto al confronto (lo sosterrà il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti) sui decreti attuativi del Jobs Act, ha

fissato per il 27 ottobre un nuovo appuntamento sulla legge di Stabilità (ci sarà il titolare dell'Economia, Pier

Carlo Padoan), anche se per quella data sarà già stata varata dal governo. Più avanti toccherà anche alla

pubblica amministrazione con il ministro Marianna Madia. In tutto questo la Cisl, che oggi eleggerà

Annamaria Furlan («Sono Furlan Annamaria della Cisl», si è presentata ai giornalisti nella sala stampa di

Palazzo Chigi) segretario generale al posto di Raffaele Bonanni, ha visto gli elementi di «una svolta» nei

rapporti tra il governo e le organizzazioni sindacali.

E anche la Uil, per quanto più cauta, non ha escluso «l'inizio di un nuovo corso». «Perché l'idea che si possa

cambiare l'Italia dall'alto a colpi di voti di fiducia e di leggi delega comincia a mostrare la corda», ha detto

Luigi Angeletti con accanto il suo successore designato Carmelo Barbagallo il quale quando intorno al tavolo

della Sala Verde ha provato a prendere la parola è stato più o meno zittito da Renzi con l'invito: «Lei chi è?

La prossima volta dia la delega e si faccia rappresentare dal suo segretario generale Angeletti».

Inflessibile è rimasta invece la Cgil, ormai proiettata verso la manifestazione del 25 ottobre a Roma («Sono

sicuro che porterete tre milioni in piazza - ha detto Renzi alla Camusso - diremo al sindaco Marino di

accoglierli con il dovuto riguardo...»). Di fronte al premier, Susanna Camusso, ha sostenuto che

bisognerebbe «discutere di investimenti anziché impelagarsi in questa discussione demenziale sull'articolo 18

che avete aperto». Renzi ha replicato sulla stessa linea di dialogo difficile: «Io vi dico: svegliatevi.

Vi offro una serie di temi sui potete dare un contributo con proposte concrete. Si possono fare dei passi

avanti insieme». Poi, in sala stampa, il segretario della Cgil ha in tutti i modi marcato le differenze con la Cisl

e la Uil: «Oggi nessuno può dire che si è aperta una stagione di contrattazione. Non c'è stato nessun passo

avanti. E la scelta fatta dal governo di porre al fiducia radicalizza ancor di più il fatto che non c'è un confronto

con le parti sociali». Ma forse a Renzi serve proprio una Cgil così, alleata nei fatti con la minoranza del Pd e

con l'opposizione di Sel, sulla stessa linea dei duri della Fiom di Maurizio Landini, per dimostrare agli

organismi europei (oggi a Milano ci sarà il vertice Ue proprio sul lavoro) e a quelli internazionali (ieri l'Fmi ha

espresso apprezzamento sullo «spirito» del Jobs Act) l'efficacia della riforma del lavoro e la discontinuità, in

particolare con l'intervento sull'articolo 18 e l'introduzione del contratto a tutele crescenti, rispetto alle misure

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 35

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del passato.

Nemmeno le imprese hanno alzato le barricate sull'operazione anticipo del Tfr. Confindustria, Rete Imprese,

Cooperative non muovono obiezioni se l'intervento sarà fatto a costo zero per le aziende. Renzi ha ribadito

che non si farà nulla se le piccole imprese (che utilizzano il Tfr dei lavoratori per autofinanziarsi a costi bassi)

dovessero essere contrarie. D'altra parte il governo sta lavorando proprio su un'ipotesi che non avrebbe alcun

impatto sulle imprese.

Piuttosto i "piccoli" temono che la riforma degli ammortizzatori sociali comporti per loro maggiori oneri mentre

oggi la cassa integrazione in deroga che utilizzano è finanziata dalla fiscalità generale. E temono pure la

legge sulla rappresentanza sindacale perché loro i sindacati in azienda continuano a non volerli. Ma d'altra

parte la legge sulla rappresentanza non la vogliono nemmeno Cisl e Uil. Su questo gli alleati di Renzi si

chiamano Camusso e Landini. Alleanza senza prospettiva. © RIPRODUZIONE RISERVATAPERSONAGGI

SUSANNA CAMUSSO Segretario Generale della Cgil ANNAMARIA FURLAN Oggi sarà eletta leader della

Cisl dopo l'addio di Raffaele Bonanni LUIGI ANGELETTI Segretario generale della UilPER SAPERNE DI PIÙ

www.mef.gov.it www.cgil.it

Foto: Giorgio Squinzi

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 36

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Eni, l'accusatore ai pm "Tangenti anche ai politici"* CARLO BONINI E EMILIO RANDACIO UNA somma di denaro enorme: 200 milioni di dollari su un contratto da un valore complessivo di poco più di

un miliardoe 300 milioni. Pagata dal gruppo Eni tra il 2010 e il 2011, senza un'apparente motivo. Il sospetto

che prende sempre più forma è che dietro alla licenza ottenuta per accaparrarsi il giacimento petrolifero

nigeriano Opl245 ci siano state tangenti. A PAGINA 20 ROMA. L'affare nigeriano resta inchiodato a un

numero. Macroscopico.

200 milioni di dollari di mediazione su un contratto dal valore complessivo di poco più di un miliardo e 300

milioni.

Riconosciuta dal gruppo Eni tra 2010 e 2011,a un "signor nessuno" di nome Emeka Obi. Mediazione priva di

un logico motivo. Perché di nessuna economicità. E sprovvista di una spiegazione persuasiva, quantomeno

di mercato. Almeno per quello sin qui accertato in poco più di due mesi di indagine dalla Procura di Milano.

Si irrobustisce così l'ipotesi che il prezzo della licenza ottenuta per acquisire il giacimento petrolifero Opl245 ,

sia stato caricato da una maxi tangente. Come accredita Vincenzo Armanna, l'ex dirigente Eni indagato dalla

Procura di Milano, di cui Repubblica ha pubblicato ieri il racconto. Un j'accuse che si fa ancora più affilato nel

verbale di interrogatorio del 30 luglio, non fosse altro perché coinvolge altri uomini di Eni. «Della sorte del

denaro pagato da Eni - spiega l'ex responsabile per il Medio Oriente ai pm - , ho parlato con Casula (Roberto,

oggi capo dello sviluppoe delle operazioni del «cane a sei zampe», ndr ) e con il direttore finanziario di Naoc (

Nigerian Agip Oil Company ). Eravamo consapevoli che una buona parte sarebbe andata a beneficio degli

sponsor politici dell'operazione».

«Sponsor politici», dunque. Quando Armanna pronuncia quelle parole, davanti all'ex manager dell'Eni, in

quel giorno afoso di fine luglio, sono seduti tre magistrati della procura milanese: De Pasquale, Fusco e

Spadaro. Non chiedono nulla di più all'indagato. E le domande restano in attesa di risposte. Su quali basi si

fonda questa convinzione? Quali prove possono comprovare l'accusa? Armanna è stato allontanato dal

gruppo petrolifero nel maggio 2013 e, ora, sono indagati con lui per corruzione internazionale l'ex numero

uno di Eni, Scaroni e il suo successore De Scalzi. In un ennesimo scandalo che ha come proscenio la

Nigeria. I magistrati milanesi, annotano a verbale quell'indicazione. «Sponsor politici».

Apparentemente, senza fare una piega. Non ci sono nomi, riferimenti a partiti, o altre indicazioni. Eppure,

sull' affaire nigeriano, l'ombra di una nuova tangentopoli sia fa sempre più spessa. Con un'indagine che

marcia a fari spenti,e che, per quel che si intuisce, sta prendendo rapidamente forma, grazie soprattutto a

una pignola ricostruzione dei flussi di denaro, al contributo di rogatorie internazionali.

L'Eni e i suoi vertici sono alla finestra. Provano a ragionare su quale direzione stia prendendo l'indagine. E

affidano la loro reazione a un comunicato di poche righe: «Eni ribadisce l'estraneità dell'azienda da qualsiasi

condotta illecita in relazione all'acquisizione del blocco Opl 245 in Nigeria. Prende atto delle dichiarazioni di

Armanna a Repubblica che hanno evidenti profili diffamatori e che daranno seguito a tutte le azioni legali a

tutela dell'immagine di Enie dei suoi manager». Scelta cui si associa anche l'ex numero uno Paolo Scaroni,

che, affidandosi a un portavoce, bolla come «false» le dichiarazioni di Armanna e «ribadisce la sua totale

estraneità a qualsiasi comportamento illecito a lui riferito». Salvo concedersi un affondo - anche questo

condiviso con Eni: «Si sottolinea che Armanna fu licenziato per interessi personali e gravi violazioni del

codice etico». E proprio su quest'ultimo punto, Armanna, attraverso il suo legale, decide di non lasciar cadere

un'accusa che, evidentemente, ne dovrebbe minare la complessiva credibilità, accreditando la sua

ricostruzione della vicenda nigeriana con Repubblica e la Procura di Milano come una vendetta. «Le

affermazioni dell'Eni e del portavoce di Paolo Scaroni sul licenziamento di Armannae sulle ragioni che lo

avrebbero motivato - dice Siggia, avvocato di Armanna - sono semplicemente destituite di qualsiasi

fondamento. Armanna ha lasciato Eni con un accordo di uscita remunerata che si pone in contrasto con le

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gravi accuse che ora gli vengono mosse di violazione del codice etico aziendale. È il mio assistito che si

riserva ogni azione legale a tutela della sua persona e della sua immagine professionale».IL GRANDE

ACCUSATORE Ieri su Repubblica le rivelazioni di Vincenzo Armanna ex dirigente Eni ai pm di Milano. "Il rais

nigeriano mi disse: Descalzi è ai miei ordini" SU "REPUBBLICA"LE TAPPE L'OFFERTA 2009: l'Eni riceve la

proposta di vendita del giacimento Opi245 da parte di un intermediario, Emeka Obi, che si presenta a nome

dell'ex ministro del petrolio Dan Etete L'ACCORDO 2010: a febbraio l'Eni firma un accordo confidenziale con

Obi. Affare da 1.300 milioni: prevista una provvigione del mediatore da 200 milioni

LA PROVVIGIONE Per la procura di Milano la provvigione nasconde una maxi-tangente: indagati Scaroni,

Descalzi, Casula e lo stesso ArmannaPER SAPERNE DI PIÙ www.eni.it www.repubblica.it

Foto: INDAGATO Claudio Descalzi, 59 anni, ad dell'Eni indagato dalla procura di Milano, qui ritratto durante

la consegna degli Eni Award 2014 al Quirinale

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INTERVISTA "Il problema di Bruxelles non è il debito pubblico ma quello delle banche" Gaël Giraud, economista gesuita, si batte in Francia per separare il credito dalla finanza: in Europa ci sonomolte bombe a orologeria L'austerità di bilancio è un'enorme sciocchezza. Ciò che la Germania ha fatto condue guerre mondiali, lo sta rifacendo sul piano economico Se vogliamo ritrovare la prosperità, dobbiamocreare un'economia delle energie rinnovabili e forse - è un dibattito democratico - del nucleare Gaël Giraud,44 anni economista e gesuita francese CESARE MARTINETTI TORINO Non esiste un'«economia cattolica», ci dice padre Giraud, esiste un «forum pubblico mondiale nel quale si

discutono le opzioni politiche. In questo forum gli economisti hanno un ruolo importante nell'aiutare la

ripartizione delle risorse». La voce del quarantenne gesuita Gaël Giraud, che prima di diventare gesuita ha

studiato da economista nelle alte scuole parigine (Normale e Polytechnique), ha un suo peso in questo

«forum» e - ovviamente - una sua originalità. Non solo per la denuncia del «cinismo» di molti colleghi

economisti. E non solo per la personale battaglia contro il costume perverso di banche e politica nel far

ricadere sulla collettività gli errori dei banchieri. Premiato nel 2009 da Le Monde come miglior giovane

economista, padre Giraud è diventato un ascoltato protagonista del dibattito pubblico francese e un

interlocutore del presidente Hollande. Finora - ammette - senza grande successo. A Torino ha esposto le sue

tesi nel convegno «Economia e teologia» organizzato alla Casa Valdese dal centro di cultura «Pascal» e dal

centro studi «Pareyson». Padre Giraud, perché ce l'ha tanto con le banche? «Come molti economisti io credo

che una delle cause più forti della crisi sia nel settore bancario. Le grandi banche in Europa, Paribas in

Francia, Deutsche Bank in Germania, Montepaschi in Italia sono delle bombe a scoppio ritardato per le

economie dei loro paesi e per l'Ue. Bisogna assolutamente separare l'attività di credito da quella di affari, se

quest'ultima fallisce lo Stato non deve sentirsi obbligato a compiere costosi salvataggi per proteggere i

depositi dei risparmiatori. François Hollande si era impegnato durante la campagna elettorale, ma in realtà ha

fatto una finta legge di separazione». Come ha reagito il sistema alla sua denuncia? «Le banche francesi

erano furiose con il prete gesuita che denunciava manipolazioni e imbrogli e mi hanno procurato un sacco di

guai. Il fatto è che le nostre grandi banche hanno un peso talmente forte da esercitare un potere di ricatto nei

confronti della politica. Paribas ha un bilancio che ha lo stesso peso del Pil francese. Ci vuole una politica

coraggiosa che sappia liberarsi dell'ipnosi delle banche». Però il grande problema delle economie europee -

Francia, Italia - è oggi il debito pubblico. Non è d'accordo? «Io penso che il debito privato sia molto più

importante di quello pubblico. In particolare il debito delle banche e il debito a corto termine. In effetti le

banche sono le più indebitate in Europa e sono in situazione molto rischiosa. L'austerità di bilancio secondo

me è un'enorme sciocchezza. Avere debito pubblico è molto meno grave di avere del debito privato. Per me

la vera priorità è lo sdebitamento delle banche». La Franciaèoggialcentrodelloscontro con Bruxelles sul

rientro del deficit. Eppure il ministro delle Finanze Sapin ha presentato una finanziaria 2015 con molti tagli e

dunque molta austerità. Come la giudica? «Potevano fare ancora più austerità, ma fortunatamente non hanno

fatto di più. È un falso dibattito, l'austerità nei bilanci non è assolutamente la priorità oggi in Europa a causa

della deflazione. Se tutti rientrano dal debito contemporaneamente, il debito reale - debito meno inflazione -

aumenta. È particolarmente paradossale ma è una trappola. Prendiamo la Grecia, l'abbiamo uccisa

spaccando la società e ci vorrà una generazione per ricostruirla, ma il debito greco continua ad aumentare. E

rischiamo di fare la stessa cosa in Italia e in Francia. L'austerità di bilancio secondo me è un'enorme

sciocchezza. Ciò che la Germania ha fatto con due guerre mondiali, lo sta rifacendo sul piano economico».

Padre Giraud, lei fa anche parte della commissione nazionale per la «transition écologique». Di cosa si

tratta? «Se vogliamo ritrovare la prosperità in Europa, dobbiamo passare dall'economia di oggi che dipende

molto dal petrolio, dal carbone e dal gas verso un'economia delle energie rinnovabili e forse - è un dibattito

democratico - del nucleare. È un grande progetto di società che è davanti a noi, è un grande progetto politico

per l'Europa, né di destra né di sinistra. Crea lavoro, una società verde, meno inquinante più accogliente per

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l'umanità e tutta la natura. In Francia abbiamo fatto un grande lavoro, sappiamo che cosa si può fare fin da

subito». Ma avete soluzioni concrete o si tratta di quelle proposte affascinanti che sconfinano nell'utopia?

«Per niente, sono concrete, si comincia con il restauro termico degli edifici, poi con la mobilità verde,

automobili elettriche, ibride, a gas, più treni che aerei, riorganizzazione del territorio, agricoltura pulita nei

dintorni delle piccole città, ristrutturazione della produzione agricola e industriale. Tutto ciò è quantificato, si

sa quello che costa, si possono trovare i finanziamenti». E allora quali sono le difficoltà? «Le paure dei politici

che non sanno dare il via. Tre settimane fa sono stato a pranzo con il presidente della Repubblica, François

Hollande, gli ho spiegato tutto, gli ho detto che avevamo la possibilità di farlo. Ma lui esitava. Mi ha detto:

bisogna trovare il buon momento politico». Che non arriva mai, però. «Il problema è politico e ancora una

volta bancario. Le banche non vogliono finanziare questi progetti, perché sono a lungo termine e non danno

profitti immediati. Preferiscono continuare a giocare sui mercati finanziari dove rischiano ma guadagnano

molto e quando fanno crac paga sempre il contribuente». Padre Giraud, è possibile, qui sulla terra,

un'economia giusta? «Sì, è il neoliberalismo che cerca di farci credere da una trentina-quarantina d'anni che

l'economia obbedirebbe a una logica naturale, indipendente da tutte le questioni di giustizia e di politica. Dal

mio punto di vista l'economia è una disciplina politica e dunque deve essere sottomessa alla deliberazione

democratica e dunque ci sono dei criteri di giustizia in economia». E la sua fede cosa le dice? «Mi fa sperare

nelle capacità di dialogo dell'umanità e nella possibilità di realizzare soluzioni ragionevoli». @cesmartinetti

Foto: Una protesta di qualche anno fa (2011) davanti alla sede della banca LCL (Credit Lyonnais) a Nizza, in

Francia

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 40

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CHIEDE 286 MILIONI Fondazione Mps batte cassa alle banche per il prestito del 2011 Luca Gualtieri (Gualtieri a pag. 15) Fondazione Mps batte cassa alle banche per il prestito del 2011 Ammonta a 286 milioni

il cospicuo risarcimento che la Fondazione Monte dei Paschi ha chiesto al gotha finanziario italiano e

internazionale per presunte irregolarità sul prestito da 600 milioni del 2011. La notizia è contenuta nella

relazione al bilancio 2013-14 di Mediobanca. La resa dei conti con i creditori che misero alle corde l'ex primo

azionista di Mps fu una delle iniziative più clamorose di Antonella Mansi, presidente di Palazzo Sansedoni

fino all'estate scorsa. I vertici dell'ente deliberarono infatti un'azione di responsabilità contro ex vertici, advisor

e istituzioni finanziarie per alcune presunte irregolarità commesse tra il 2008 e il 2011. Il prestito 2011 fu uno

dei capitoli della resa dei conti. L'operazione, decisa quando ai vertici della Fondazione sedeva Gabriello

Mancini, servì per finanziare l'adesione pro quota all'aumento di capitale da 2,1 miliardi della banca. Il pool

dei creditori, che ottennero in pegno azioni Mps, comprendeva grandi nomi della finanza italiane ed

internazionale: Barclays (che finanziò l'ente per 50 milioni), Bnp Paribas (60 milioni), Credit Agricole (50

milioni), Deutsche Bank (60 milioni), Goldman Sachs (30 milioni), Intesa san Paolo (60 milioni), Jp Morgan

(60 milioni), Mediobanca (60 milioni), Natixis (60 milioni), Royal Bank of Scotland (50 milioni) e Unicredit (60

milioni). Questo macigno andò peraltro a sommarsi all'esposizione da circa 500 milioni che già faceva capo a

Mediobanca (200 milioni) e Credit Suisse (300 milioni), controparti del derivato total return swap che era

servito a finanziare l'acquisto del Fresh 2008. Il peso di quel debito e l'assenza di dividendi da parte della

banca trascinarono la Fondazione nel baratro in pochi mesi. Nel corso dell'autunno successivo la situazione

si aggravò a seguito del crollo del titolo Mps, che fece saltare i covenant sui titoli dati in garanzia: a quel

punto le banche creditrici, pur rifiutandosi di escutere il credito per senso di responsabilità, chiesero garanzie

aggiuntive rispetto alle azioni in pegno (tutta la quota detenuta dalla Fondazione nella banca, pari al 50,2%

del capitale). La trattativa fu assai complessa, anche perché il fronte dei creditori era portatore di interessi

molto diversi a causa del groviglio di garanzie e pegni che l'ente senese aveva concesso negli anni ai diversi

istituti. L'accordo di moratoria raggiunto a fine 2011 prevedeva che la Fondazione condividesse con gli istituti

finanziatori un piano di ribilanciamento economicofinanziario di medio termine, focalizzato sulla svendita dei

gioielli di famiglia. Sotto la gestione Mansi, la Fondazione ha voluto avviare una resa dei conti con i suoi ex

creditori. L'iniziativa fa il paio con quella relativa alla sottoscrizione dell'aumento 2008 (in particolare il prestito

Fresh). A questo punto sarà interessante scoprire se la Fondazione riuscirà a portare a casa almeno una

parte di quel risarcimento, che rappresenterebbe senza dubbio una risorsa preziosa in tempi di vacche

magre. (riproduzione riservata) Marcello Clarich

MONTE PASCHI SIENA7 lug '14 7 ott '14 0,9 1,3 1,1 1,5 quotazioni in euro 1 € +0,1% IERI

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 41

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La rivoluzione del Fmi che torna a scoprire Keynes. Finalmente Guido Salerno Aletta L'aggiornamento del World Economic Outlook, diffuso ieri dal Fmi, lancia un segnale di allarme violentissimo

per l'economia dell'Eurozona. Ci sono tre indicatori congiunturali, in netto peggioramento rispetto alle

previsioni di aprile scorso, che destano preoccupazione: nell'Eurozona, le probabilità di una recessione tra il

terzo trimestre dell'anno in corso ed il secondo trimestre del 2015 sono cresciute di ben quindici punti,

passando dal 22,5% al 37,5%. Le probabilità di deflazione, che sono invece pari a zero in tutto il resto del

globo, sono passate dal 22,5% al 30%. In Europa, il danno derivante dalla combinazione di

stagnazione/recessione, alta disoccupazione, scarso sostegno creditizio al sistema produttivo e ridotta

dinamica dei prezziè rappresentato dall'andamento di due curve, le cui tendenze si incrociano

pericolosamente: mentre quella che definisce il rapporto tra debito privato e reddito disponibile non accenna a

scendere, e invece cala vistosamente sia negli Usa sia in Giappone, quella che individua l'andamento del

credito anno su anno al settore privato dell'economia tende ancora a collocarsi nel quadrante negativo, in

particolare in Italia e Spagna. È una dinamica pericolosa, perché se da una parte c'è meno credito disponibile

per gli investimenti delle imprese e per le famiglie, e ciò influisce sulla crescita, dall'altra il peso del debito non

si riduce rispetto al reddito, perché quest'ultimo rimane stabile. Paradossalmente, ora, le famiglie americane

hanno un rapporto debito/reddito inferiore a quelle dell'Eurozona: ciò è dipeso dal differenziale di crescita

reale e nominale, tutto a favore degli Usa. Le diverse politiche delle banche centrali, Fed e Bce, hanno

determinato un andamento molto diverso nella valorizzazione degli asset privati, sia per quanto riguarda la

ricchezza delle famiglie, sia per quanto riguarda gli immobili: negli Usa, dopo la caduta registrata dopo il

2009, sia i prezzi delle case sia la ricchezza delle famiglie misurata come multiplo dei redditi sono in piena

ripresa. Il recupero dei corsi di Wall Street è stato completo, consentendo di recuperare la perdita subìta con

la crisi, mentre per i prezzi delle case c'è ancora un forte divario, visto che l'indice è a quota 115 (anno base

2000) rispetto al picco di circa 140 registrato nel 2008. Nell'Eurozona, invece, l'andamento dei prezzi degli

immobili è ancora in calo, mentre è stagnante il rapporto tra valore della ricchezza e reddito disponibile. Il

giudizio del Fmi non è mai stato così netto: la ripresa nell'Eurozona rimane debole, il tasso di disoccupazione

eccede i livelli di equilibrio in molti Paesi, l'inflazione è troppo bassa, segnalando una pervasiva carenza di

domanda. Ciò comporta la necessità di ulteriori azioni da parte della Bce, rispetto a quelle positive, già

decise: se l'inflazione prevista non dovesse crescere e le aspettative dovessero ancora puntare ancora verso

il basso, la Bce dovrebbe fare di più, anche comprare titoli del debito sovrano. Naturalmente, servono

cospicui investimenti in infrastrutture, non solo in Germania. Siamo a un epilogo, inimmaginabile fino a pochi

mesi fa: è una svolta keynesiana in piena regola. Ci si è resi conto che il sistema bancario non può

rappresentare il canale idoneo a far affluire la liquidità necessaria in economie fortemente provate dalla

recessione, perché li esporrebbe nuovamente ai rischi sistemici da cui con tanta fatica, tra Asset quality

review, Stress teste sistemi di risoluzione unificata, li si sta pilotando fuori. Aver ridotto a zeroi tassi di

riferimento, anche rendendo disponibili al sistema bancario cospicue risorse, con le T-Ltro, non è sufficiente:

la liquidità ristagna, e anche i rendimenti ormai risibili dei titoli di Stato rappresentano un porto sicuro

ancorché del tutto inadeguato per un corretto funzionamento dei mercati. Acquistare titoli di Stato, da parte di

una Banca centrale, significa: immettere liquidità nel circuito economico senza esporre il sistema bancario

con finanziamenti alle imprese che sarebbero poco sostenibili in un contesto macroeconomico così negativo;

consentire agli Stati di sostenere la crescita attraverso investimenti che migliorino le infrastrutture, e quindi

l'offerta e il prodotto potenziale. Sono spese che si traducono stipendi e profitti per le imprese. Per l'Europa,

ormai, non si tratta di cambiare le regole del Fiscal Compact, ma di cambiare finalmente gioco. (riproduzione

riservata)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 42

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INTERVISTA IL PRESIDENTE BUNDESBANK AL WSJ: LA BANCA CENTRALE NON PUÒ FARE LE VECIDEI POLITICI Ma Weidmann insiste sul nein La politica monetaria può essere efficace solo se tutti gli attori fanno bene la propria parte. L'acquisto delleAbs è già un notevole passo verso un quantitative easing. E c'è il serio rischio di strapagarle Brian Blackstone e Hans Bentzien In questa intervista il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, ribadisce la sua opposizione all'acquisto

di titoli di Stato da parte della Bce, e mette in guardia dai pericoli di eccessive pressioni politiche sulle banche

centrali. Domanda. Le ultime mosse della Bce sono sufficienti a portare l'inflazione sotto il 2%? Risposta.

Abbiamo deciso diverse misure di vasta portata. Il Direttivo si aspetta che queste portino l'inflazione vicino al

target di medio termine. D. Ma perché lei si oppone all'acquisto di Abs? R. Con le ultime decisioni l'approccio

alla politica monetaria della Bce è cambiato: da manovre volte a facilitare l'erogazione di credito si è passati

all'espansione monetaria. È un notevole cambio di passo, e la necessità di un simile slittamento è stata

dibattuta, non senza polemiche, nel Consiglio, visto che si sta per procedere alle T-ltro. Considerato l'obiettivo

annunciato, 3 mila miliardi di euro, per gli asset in bilancio, io vedo il rischio di strapagare tali strumenti. Ciò

finirebbe per trasferire il rischio dalle banche e dagli altri investitori, alle banche centrali e, in ultima istanza,

sui contribuenti. D. Le garanzie governative le farebbero cambiare parere? R. Certamente farebbero la

differenza. Trattandosi di rischi di cui i contribuenti pagherebbero il conto, la decisione giustamente

spetterebbe ai politici eletti. D. La bassa inflazione aumenta l'urgenza di un intervento? R. C'è il rischio di

tassi d'inflazione troppo bassi per troppo tempo. Ma si può dissentire sull'urgenza di un intervento. Gli attuali

tassi di inflazione sono dovuti soprattutto ai prezzi del cibo e dell'energia e alle politiche di aggiustamento di

alcuni Paesi. Prevediamo che la ripresa graduale farà ripartire i prezzi. D. L'acquisto di titoli di Stato rientra

nel mandato Bce? R. Quelli sul mercato secondario non sono vietati in quanto tali. E il mandato della Bce è

poco più limitato di quello di altre banche centrali. Il finanziamento monetario del debito pubblicoè vietato per

buoni motivi, e non dovrebbe essere permesso aggirare questo divieto con gli acquisti sui mercati secondari.

Tali preoccupazioni si fanno più forti ogniqualvolta la banca centrale compra titoli di Stato più rischiosi. Ma

non saranno automaticamente dissipate se insiemea bond italianie spagnoli si comprano Bund tedeschi. D.

Ciò aiuterebbe l'economia? R. Il costo del denaro non è il principale ostacolo alla ripresa. I governi si

finanziano a tassi mai visti prima, anche se il debito pubblico cresce ancora. Inoltre, i prestiti alle società sono

davvero a buon mercato. Il nodo è la necessità di riforme strutturali. L'efficacia di una politica monetaria si

basa sul fatto che gli altri attori facciano bene la loro parte. D. La Commissione Ue dovrebbe bocciare la

bozza di bilancio della Francia e trattare i Paesi grandi con la stessa severità riservata a quelli piccoli? R. Sì,

è importante che le norme fiscali siano rispettate. Solide finanze pubbliche sono fondamentali per la stabilità

monetaria. Inoltre i Paesi che rispettano le norme non gradiscono che i grandi Stati siano trattati

diversamente. La Francia, il secondo Paese dell'Eurozona, è determinante e fa da modello. D. L'economia

globaleè ancora troppo dipendente da politiche monetarie superespansive? R. Stati Uniti ed Eurozona hanno

sentieri divergenti di politica monetaria. Ciò è legato alla ripresa economica degli Usa mentre in Eurolandia la

politica espansiva continuerà per un certo periodo. Ma è rischioso credere che la politica monetaria sia l'unica

soluzione. Essa non può ovviare ai problemi strutturali, che comportano rischi per la stabilità finanziaria più

forti di quelli di una politica monetaria severa. D. Con tassi vicini a zero il cambio diventa più importante? R.

Differenti rotte di politica monetaria si riflettono sul cambio. Ma la speranza che un deprezzamento dell'euro

sostenga la competitività di alcuni Paesi membri è irrealistica. D. Perché l'Europa non ha seguito gli Stati Uniti

nel quantitative easing? R. L'Eurozona non è comparabile agli Usa. L'Unione monetaria non ha un assetto

federale, e il Qe implicherebbe ingenti acquisti di debito pubblico di singoli Paesi. Ben Bernanke si è rifiutato

di comprare debito di singoli Stati Usa. La penserei diversamente se Eurolandia fosse un'unione politica. Ma

anticipare una simile unione con il bilancio delle banche centrali è pericoloso. D. Non è facile per il presidente

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 43

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della banca centrale tedesca opporsi alle misure della Bce senza proporre alternative? R. Ho fatto la mia

parte nel definire le misure della Bce, compresa la T-ltro. Ma non posso sostenere o accettare misure che

vedono Eurotower sconfinare nell'ambito della politica fiscale. Ho chiarito molte volte che su alcune questioni

sono i politici, e non l'Eurosistema, a dover offrire soluzioni. La banca centrale non dovrebbe compensare le

mancanze della politica.

Foto: Jens Weidmann

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 44

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Il Job act fa più forte Renzi, ma in un vertice nel quale non si affrontano iveri nodi Angelo De Mattia Oggi si tiene a Milano l'attesa Conferenza sul lavoro, a conclusione di giornate in cui in Italia, il tema

dominante è stato la modifica dell'art.18 dello Statuto dei lavoratori concluso con l'apposizione della fiducia

sul disegno di legge delega riguardante il cosiddetto Jobs act. La scelta può essere stata determinata anche

dalla volontà, soprattutto del Premier Matteo Renzi, di presentarsi alla odierna Conferenza con un risultato

parlamentare acquisito. Più in generale, la richiesta della fiducia, con la prova di forza a essa sottesa è stata

una scelta che ha avuto un significato ultrattivo, destinato a descrivere l'immagine di ciò che il Governo vuole

essere e a utilizzare la conclusione dell'iter legislativo come prova, per Bruxelles, di affidabilità della politica

delle riforme. Ma, mentre accade ciò, le conseguenze dell'insediamento a novembre della nuova

Commissione Ue rappresentano una vera incognita per l'accettazione dello slittamento del pareggio di

bilancio e dell'ottemperanza alla regola del debito, se si deve ricavare qualche indizio, ob relationem,

dall'atteggiamento negativo che si profila nei riguardi della Francia - già nell'orbita della procedura di

infrazione - che non ha alcuna intenzione di scendere dal 4,3% del rapporto deficit/pil al 3%. Subito il

pensiero va, allora, all'Italia e alla capacità del Governo di mantenere il suddetto rapporto al 3%, come si è

previsto, posto che la programmata discesa del disavanzo strutturale è risultata irrealizzabile (e già questo

contrasta con gli impegni a suo tempo assunti con la Commissione). Pur avendo presenti i benefici di

immagine e l'effetto-annuncio della linea seguita per il Jobs act, se fosse stato dedicato lo stesso tempo

impiegato per le ipotesi di modifica dell'articolo in questione a un programma organico, solido, di politica

economica, tuttora mancante, e a un chiarimento profondo del rapporto tra l'azione dell'Esecutivo e le regole

e i vincoli europei - senza escludere la possibilità di sforare il ricordato parametro - i risultati sarebbero stati

migliori: se non altro, sul piano della trasparenza e dell'accountability. Improvvisamente, nell'agenda

dell'Esecutivo l'art.18 ha acquisito una centralità a viva voce negata solo poche settimane prima, mentre dalla

stessa sono scomparsi temi quali il debito pubblico, la produttività, la competitività, l'innovazione e, con

riferimento all'Europa, la richiesta di ottenere dalla Commissione in una con l'esplicitazione dello «arcano»

della flessibilità, il pur possibile richiamo della Germania (e poi l'assoggettamento a sanzione) per squilibri

macroeconomici, con riguardo alle partite correnti della bilancia dei pagamenti il cui attivo è superiore

addirittura a quello cinese. Per di più, la conferenza milanese, che è informale e, come tale, non prevederà

alcun documento finale impegnativo si svolge in giornate nelle quali si avviano le riunioni del Fondo

monetario internazionale e della Banca mondiale che analizzeranno anche la situazione dell'Europa, si

preparano le successive sedute dell'Eurogruppo e dell'Ecofin, va predisposta la legge di Stabilità, mentre, il

14 ottobre, Mario Draghi sarà sentito dalla Corte di giustizia europea sulla nota querelle innescata dalla Corte

costituzionale tedesca a proposito della legittimità delle operazioni Omt: insomma, dominano problemi e

circostanze di grande rilievo, ma noi ci rinchiudiamo in una discussione defatigante dell'art.18. Parlando poi

dell'incontro odierno, i temi più volte agitati della flessibilità e degli investimenti rischiano di rimanere nello

sfondo e non si sa quanto possa essere produttivo il tentativo di utilizzare le necessità di una politica europea

per l'occupazione come elemento che legittimi l'introduzione di una connessa flessibilità. D'alto canto, i

segnali di rallentamento dell'economia tedesca - ad agosto la produzione industriale ha segnato -4% -

dovrebbero aiutare una resipiscenza, ancorché tardiva. Speriamo, comunque, che i fatti della Conferenza di

oggi smentiscano le non isolate dosi di pessimismo. Ma, soprattutto, si rifletta molto sugli impegni incombenti

nei prossimi giorni: una bocciatura europea della legge di Stabilità sarebbe un gravissimo smacco, soprattutto

dopo che si è deciso, dall'Esecutivo, di mantenere ferma l'osservanza dei parametri. (riproduzione riservata)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 45

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Anche Amazon nel mirino Ue per il Lussemburgo Alberto Battaglia Il Granducato del Lussemburgo è nuovamente incalzato dalla Commissione europea per nuove violazioni

delle norme comunitarie sugli aiuti di Stato; questa volta ad averne beneficiato sarebbe il gigante dell'e-

commerce Amazon. Nuove violazioni, si fa per dire, perché gli accordi risalgono a 11 anni fa. La stessa sorte

era toccata pochi giorni fa anche al ramo finanziario della Fiat (la Fiat Finance and Trade), oltre che ad Apple

in Irlanda e Starbucks nei Paesi Bassi, per contestazioni molto simili. Al centro delle indagini della

Commissione c'è la controllata Amazon EU sàrl che dal 2003 paga una royalty deducibile dalle tasse a una

sas lussemburghese non soggetta alla tassa sui profitti delle società «col risultato che la maggioranza degli

utili di Amazon sono registrati in Lussemburgo, dove nono sono tassati», ha precisato la Commissione.

Perché grazie alle manovre di transfer pricing è proprio la controllata lussemburghese di Amazon a registrare

il grosso degli affari europei della società: si parla di 28,8 milioni di utili transitati, nel 2013, verso la centrale

operativa in Lussemburgo. E secondo il Financial Times questo trucco avrebbe permesso alla società

americana di pagare tasse pari ad appena l'1% degli introiti europei. Per queste ragioni la Commissione ha

invitato il Granducato a fornire ulteriori informazioni sui trattamenti di favore che sarebbero stati accordati ad

alcune società, informazioni che, in precedenza, il governo aveva rifiutato d'inviare appellandosi alla

segretezza fiscale. Adesso, però, le autorità lussemburghesi sono dispostea collaborare: il Granducato ha

fatto sapere che il ministero delle Finanze «coopererà pienamente con la Commissione nel quadro

dell'indagine la cui apertura non pregiudica per nulla le conclusioni»; viene ribadita, pertanto, l'estraneità a

trattamenti di tipo preferenziale. Il commissario Ue alla concorrenza, Joaquin Almunia, precisa che non sono

le norme fiscali lussemburghesi a essere sotto indagine, ma si vuole accertare «se le autorità del paese sono

state troppo accomodanti nei confronti di una società specifica». La raffica d'indagini fiscali riserverà altre

sorprese? Almunia, che lascerà il proprio ufficio entro il mese prossimo, ha lasciato spazio ai dubbi: non è

esclusa l'apertura di nuove indagini. (riproduzione riservata)

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NIENTE QUOTAZIONE PER IL GRUPPO CHE CONTROLLA LIBERO.IT E VIRGILIO.IT CAUSAVOLATILITÀ Iol non fa sconti e rinuncia all'ipo** Accoglienza fredda da parte degli investitori istituzionali che giudicavano alta la forchetta di prezzo Il gruppo el'azionista Sawiris vanno avanti con il piano di investimenti e sviluppo sul mercato interno Andrea Montanari Italiaonline fa dietrofront. Il gruppo controllato dal magnate egiziano Naguib Sawiris e che gestisce i portali

Libero.it e Virgilio.it non debutterà sul segmento Star di Borsa il prossimo 14 ottobre. Tutto cancellato. O

rinviato a dato da destinarsi. Un brutto colpo per Piazza Affari che ora attende con ansia e qualche

preoccupazione le altre matricole sulla rampa di lancio: Intercos (make up), Massimo Zanetti Beverage Group

ovvero il caffè Segafredo, Favini e Fedrigoni (cartiere), Rai Way (infrastruttura tv), Sorgente Res (immobiliare)

e Aeroporto di Bologna (aviation). Ma la rinuncia di Iol alla borsa non è la prima. Nel dicembre scorso si ritirò

Savino del Bene (trasporti marittimi), lo scorso luglio hanno rinunciato Sisal (scommesse) e Rottapharm

(farmaceutico), quest'ultima finita poi alla svedese Meda per 2,27 miliardi. E nei primi mesi dell'anno aveva

passato la mano il gruppo Mossi&Ghisolfi (pet e chimica), candidato alla borsa di Hong Kong. «Italiaonline ha

un grande potenziale», ha commentato l'addio al progetto di ipo, il presidente di Iol, Khaled Bichara, manager

di fiducia di Sawiris. «La decisione di ritirare l'operazione non influenza minimamente i nostri piani di

espansione», che dovrebbero passare da una crescita per linee esterne nei settori della pubblicità locale, dei

servizi internet e dei contenuti. Ma lo dovrà fare senza i 75-90 milioni che la società stimava di incassare con

lo sbarco a Piazza Affari. Ma che cosa ha portato gli investitori istituzionali, ai quali era rivolto il 90% del

collocamento, e il resto del mercato a snobbare la società leader in Italia nei business dell'email advertising e

della pubblicità online? Una delle cause, secondo quanto emerso da una rapida ricognizione nelle sale

operative, è stato il prezzo. Una valorizzazione ritenuta eccessiva (oltre 7 volte l'ebitda) per un'azienda in

crescita ma concentrata esclusivamente in Italia, uno dei mercati che più di altri in Europa ha sofferto per la

crisi degli investimenti in comunicazione e per il ritardo infrastrutturale e commerciale del mezzo web rispetto

a Francia, Germania e Regno Unito. Così, con ogni probabilità, per approdare sul listino milanese Iol avrebbe

dovuto accettare di abbassare la forchetta di prezzo, compresa tra 5 o 6 euro, o andare in borsa al minimo

della valutazione. E la soglia massima dei 6 euro corrispondeva a una valorizzazione del gruppo pari a 250

volte l'utile del 2013 (1,18 milioni) per una market cap post aumento di capitale che poteva arrivare a oscillare

tra i 325 e i 390 milioni. «La nostra società è caratterizzata da una storia di sviluppo: con l'acquisizione di

Matrix e la successiva fusione abbiamo dimostrato di saper crescere velocemente e in maniera sostenibile»,

ha però tenuto a precisare l'ad di Iol, Antonio Converti. «Oggi siamo un gruppo in crescita sia in termini di

ricavi che di marginalità e di generazione di cassa. Nel primo semestre di quest'anno abbiamo generato un

fatturato di 47,6 milioni con un ebitda margin del 32,7% e una posizione finanziaria positiva di 19,1 milioni».

Ed è proprio questo che ha lasciato qualche perplessità sul mercato. Ma perché un'azienda sana,

patrimonializzata, con una solida generazione di cassa, zero debiti bancari (la causa principale del ritiro delle

ipo di Sisal e Rottapharm), con dati di assoluto rispetto, una posizione di leadership e con potenzialità di

sviluppo elevate in un mercato interessante come quello del web, non è riuscita a trovare 130-140 milioni, tra

vendita di parte della partecipazione totalitaria di Sawiris e aumento di capitale? È questa la domanda che

tutti oggi si pongono. Probabilmente la forte esposizione al rischio-Paese Italia e un settore ancora da

sviluppare ma sul quale operano come player-predatori Google e Facebook hanno frenato l'entusiasmo degli

investitori. (riproduzione riservata)

Foto: Antonio Converti e Khaled Bichara

Foto: Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/italiaonline

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Fiat a Wall Street, la Famiglia adesso è solo una famiglia Riccardo Ruggeri Nelle scorse settimane, commentando la conferenza stampa di Maranello, ove Marchionne ha formalizzato il

licenziamento di Montezemolo, avvenuto un paio di giorni prima a Cernobbio, avevo anticipato la giustezza

della decisione. Montezemolo, in Fiat, aveva sempre avuto uno status curioso: era sì un manager, ma pur

non essendo un membro (di sangue) della famiglia Agnelli, in qualche modo ne faceva parte, era quello che i

romani chiamavano familiaris. Come noto, nel business contano solo i numeri: i suoi in Ferrari, straordinari, lo

collocano nella fascia alta dei grandi manager italiani. Curiosamente, i media non gli hanno mai dato il

riconoscimento che meritava. Nell'ottica della quotazione a New York di Fca i numeri esaltanti di Ferrari

dovevano far dimenticare quelli imbarazzanti di Fiat, in Europa e ora anche in Brasile. Montezemolo era

quindi troppo ingombrante col processo che si era avviato; motivi tattici, logici, hanno consigliato di metterlo

da parte. Il processo si conclude il 13 ottobre (lunedì prossimo) a New York. Wall Street certificherà la

trasformazione di una società famigliare come Fiat, governata per quattro generazioni dagli Agnelli, in una

public company americana. Anche per me si conclude un ciclo, da molti anni scrivo su Fiat in un'ottica di

investitore (come ovvio col supporto tecnico-professionale-culturale dell'essere stato un ex) e proprio il 13

ottobre prossimo uscirà Fiat, una storia d'amore (finita). Da anni aspettavo il momento dell'ipo per avere

conferma di ciò che scrivo fin dal 2009: l'establishment americano, quello che aveva allora deciso di salvare,

con i quattrini dei contribuenti americani e la sottomissione forzosa dei sindacati Usa, la fallita Chrysler e, già

che c'era, pure la Fiat Auto, non poteva non riportare in terra americana l'investimento fatto. Quando ci sono

di mezzo i quattrini gli americani non scherzano. La logica sottesa all'ipo è il futuro, si tende a enfatizzare gli

aspetti positivi del business, piuttosto che i risultati del passato (in questo senso Fca sarà avvantaggiata), la

tentazione di buttare, come si dice, il cuore oltre l'ostacolo è spesso presente. In questo caso, John Elkann e

Sergio Marchionne hanno deciso che il roadshow avvenga dopo il 13 ottobre e che sia rapido (secondo

Marchionne due cambi di biancheria bastano). Personalmente lo interpreto come un messaggio di sicurezza

che inviano al mercato. Adesso è chiaro perché è anni che sostengo che Marchionne, in possesso di un'alta

managerialità di tipo societario-finanziario, fosse la persona giusta per questa operazione, che si avvia alla

conclusione. Un tipo di managerialità che nulla aveva a che fare (come veniva spacciato dai media e dagli

esperti) con gli aspetti di innovazione prodotti, industriali, tecnologici, produttivi, alla base di Fabbrica Italia.

Occorreva preparare un contenitore societario-finanziario perfetto, dargli una strategia di respiro

internazionale, mantenere quello che serviva, espellere il superfluo. E lui l'ha fatto, con il giusto tasso di

cinismo richiesto. Gli investitori che hanno creduto a questa sua specifica professionalità, tra i quali mi

colloco, gliene sono grati, avendo avuto un interessante ritorno sugli investimenti fatti. In quest'ottica, risulta

evidente che la sostituzione di Montezemolo, non con John Elkann ma con Marchionne, era doverosa. Nel

momento in cui la Famiglia ha scelto il protocollo Marchionne, ha automaticamente perso per sempre la

maiuscola, è diventata una famiglia molto benestante (il valore economico diviso per 200-300 nuclei famigliari

comunque è quello che è), che funge da azionista di riferimento. Non lasciamoci ingannare dal trucchetto dei

doppi voti (come previsto dalla legislazione olandese), la Famiglia, al momento giusto, potrà vendere, in

parte, o tutta la sua partecipazione, ed Exor sarà una normale holding di private equity . Si verificherà pure

(avendolo lui stesso dichiarato) la successiva uscita di Marchionne, per un motivo ovvio: ha costruito il

contenitore, ha dato all'azienda una strategia; ora Fca ha responsabilità ben chiare, deve progettare,

costruire, vendere automobili nel segmento Premium, il più difficile. A parte che questo non è il suo mestiere,

oltretutto credo che Marchionne non sia neppure il tipo da anelare a un tal ruolo. Ve lo assicuro, è un ruolo

molto noioso, a meno che uno non abbia avuto, fin da adolescente, il fuoco sacro, tipico dei car guy.

Esaminando i concorrenti, ormai questo fuoco lo trovi solo negli uomini Volkswagen e Toyota, che non per

nulla sono leader assoluti: fanno auto che appartengono a un altro pianeta. Una domanda si pone il cittadino:

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 48

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quale sarà il nuovo rapporto Fiat-Italia? Ovvia la risposta: l'Italia resta un mercato, ma il «Terra, Mare, Cielo»

dell'Avvocato è scomparso, sostituito dalla crudele definizione dell' Economist: «Fiat? Una casa d'auto

brasiliana con alcune fabbriche in Europa». Il peso politico degli Agnelli in Italia è ridimensionato: qualche

stabilimento, la partecipazione in Rcs, la Juventus. Per chi studia i comportamenti organizzativi delle

leadership, Fca è stato un affascinante business case, e per me pure la fine (serena) di un amore durato 80

anni. Meritava di essere raccontato in un libro. Ho cercato di farlo. [email protected]

Foto: John Elkann

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 49

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COMMENTI&ANALISI Con le riforme l'India può diventare il nuovo peso massimo del mercatomondiale dei bond Viktor Hjort* Il risultato di elezioni che si sono rivelate decisive per l'India ha creato il potenziale per alcune riforme

strutturali, il cui esito potrebbe essere quello di generare nel prossimo decennio un tasso di crescita del pil

vicino al 7%, grazie alla maggiore liberalizzazione del mercato, mentre le iniezioni di capitale potrebbero

consentire alle banche di finanziare tale crescita. Tutto ciò avrebbe implicazioni significative per il mercato dei

titoli a reddito fisso in India. I dati recenti sembrano già più incoraggianti rispetto alle dinamiche che avevano

portato a una stagflazione: la bilancia dei pagamenti del Paeseè migliorata, stimolata dal deprezzamento

della valuta e dalle misure non convenzionali della Reserve Bank of India (Rbi); le prospettive di crescita ora

sono moderatamente positive; infine l'accumulazione di prestiti inesigibili potrebbe essere in via di

attenuazione, anche nelle banche pubbliche. Le condizioni dei mercati indiani avevano cominciato a

migliorare ancor prima delle elezioni. Dopo la seconda fase della liberalizzazione economica dell'India e le

riforme sugli investimenti diretti esteri (Fdi) a partire dal settembre 2012, questi ultimi costituiranno

probabilmente un fattore di primo piano per un balzo degli investimenti privati. Tuttavia, nonostante gli

allentamenti dei limiti agli Fdi, il loro livello in India è stato frenato in parte da vincoli amministrativi. Riteniamo

che con la riduzione di questi ostacoli i flussi di capitali dall'estero saranno il fattore trainante di un boom degli

investimenti nel prossimo decennio, simile a quello vissuto dalla Cina a metà anni 90. Prevediamo che

aumenteranno in media al 2,5% del pil nel periodo 2014-2024 rispetto a una media dell'1,5% negli anni dal

2008 al 2014. Questo afflusso di capitali esteri darà un sostegno significativo alla bilancia dei pagamenti

indiana. L'economia indiana resta focalizzata sul mercato nazionale e le sue importazioni prevalgono sulle

esportazioni. Prevediamo che il ritmo di crescita delle prime aumenterà parallelamente alla ripresa della

crescita interna e alla revoca da parte del governo delle limitazioni straordinarie sull'import e le rimesse verso

l'estero. I servizi sono stati la principale voce dell'export, nello scorso decennio la quota dell'India del mercato

mondiale è aumentata di 2,5 volte. È probabile che nel lungo termine l'India mantenga un deficit netto delle

partite correnti stabile, pari al 2,5% del pil. Questo dato è vicino al livello di deficit storicamente sostenibile, il

2% circa del pil. L'influenza positiva degli afflussi di capitali stranieri, contrastando l'ampliamento della forbice

delle partite correnti, sosterrà la valuta, determinando un andamento stabile del tasso di cambio effettivo

reale (Reer), a fronte di un andamento più debole in termini nominali, perché penalizzato dall'elevato

differenziale d'inflazione tra l'India e i principali partner commerciali. Anche se storicamente c'è una

correlazione positiva tra la bilancia dei pagamenti indiana e la variazione del cambio reale effettivo della

rupia, è probabile che la Rbi continui sul lungo termine a puntare su acquisti di dollari contro rupie,

assorbendo una parte significativa degli afflussi netti di capitale. Tenendo conto degli interventi della Rbi,

prevediamo che nel lungo periodo il Reer si manterrà all'interno di una fascia di ampiezza pari a più o meno

una deviazione standard. Se la variazione dell'indice dei prezzi al consumo (cpi) negli Stati Uniti rimarrà

vicina all'obiettivo del 2% l'anno, e nei prossimi anni l'India seguirà politiche deflazionistiche, il differenziale di

inflazione rispetto agli Usa sarà comunque equivalente a un calo del 30-35% in termini di parità di potere

d'acquisto della rupia, in base alla nostra stima di un valore equo nominale a 10 anni compreso in un range

75-85. I volumi di credito in India triplicheranno entro il 2019, in parte come riflesso della crescita e del

fabbisogno di capitale, ma soprattutto a causa del maggiore ricorso ai mercati del debito. L'India potrebbe

diventare il secondo emittente di obbligazioni (in dollari Usa, yen e euro) dell'Asia, toccando 160 miliardi di

dollari entro il 2018 - con l'emissione di bond per 100 miliardi di dollari da parte di società non finanziarie -

poiché il ricorso ai mercati dei capitali da parte di queste ultime crescerà rispetto a una base di partenza

molto bassa - e di obbligazioni finanziarie per 60 miliardi di dollari. Il mercato obbligazionario indiano nelle tre

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 50

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valute prima citate dovrebbe registrare, in media, emissioni annuali lorde per più di 30 miliardi di dollari entro

il 2018. Quanto ai tassi, i mercati obbligazionari locali potrebbero beneficiare del successo della lotta

all'inflazionee del potenziale allentamento dei limiti agli investitori esteri, ma sarà necessario che anche i

rendimenti reali aumentino per ottenere un tasso di risparmio stabilee un conseguente rafforzamento della

crescita. Una bella sorpresa peri mercati indiani del debito potrebbe venire da un'inclusione negli indici

obbligazionari internazionali. Se ciò avverrà, l'India può diventare un peso massimo nell'ambito degli stessi,

data la grande capitalizzazione del suo mercato dei titoli di Stato, circa 600 miliardi di dollari. L'impatto di tale

mossa potrebbe incentivare investimenti dall'estero per 20-30 miliardi di dollari sul mercato indiano dei bond.

Infine, il rating sovrano dovrebbe restare invariato nel breve termine. Un eventuale upgrade richiederebbe

forti progressi sull'inflazione e i saldi di finanza pubblica e delle partite correnti. (riproduzione riservata) *head

of Asia Fixed Income Research, Morgan Stanley

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 51

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CONTRARIAN DAL CASO ITALIAONLINE DUE BRUTTI SEGNALI PER IL SISTEMA-PAESE Italiaonline (Iol) è una società che fattura uasi 100 milioni e ha un utile di poco più di 1 milione. Non quindi

l'Eni o la Fiat-Fca. Eppure la sua mancata quotazione o meglio il ritiro del progetto di ipo da parte dell'azienda

digitale che fa riferimento a Naguib Sawiris, già mister Wind ed esponente di una delle famiglie più ricche

d'Egitto, è un doppio brutto segnale per il sistema-Paese. Innanzitutto perché il flop del gruppo proprietario

dei portali Libero. it (il primo per accessi d'Italia, 15,3 milioni in media nei primi sei mesi del 2014, e per page

view, 2,5 miliardi) e Virgilio. it dimostra che il rischio-Italia resta elevato. Si consideri che Iol vanta una

posizione finanziaria netta positiva per quasi 20 milioni, genera cassa, è quindi solida dal punto di vista

patrimoniale e avrebbe usato l'incasso della quotazione per fare shopping. Inoltre genera tutti i suoi ricavi dal

business maturo delle newsletter via e-mail, sul mercato interno. Insomma, una sorta di campione nazionale

in miniatura. Che è stato bocciato. Per di più, il pollice verso è giunto dagli investitori istituzionali, soggetti ai

quali spesso ci si rivolge, in questi momenti di magra dei mercati, come àncora di salvataggio. C'è poi un altro

fattore da tenere in considerazione, quello relativo al business. Se è vero che la parte core di Italiaonline è

rappresentata per l'appunto dalla cara, vecchia e-mail, ma anche del cosiddetto display advertising (pop-up,

banner, rich media e altro), è altrettanto vero che sul mercato pubblicitario dominano colossi internazionali

quali Google e Facebook che però drogano il mercato. Infatti su un monteinvestimenti stimato per l'Italia di

1,5 miliardi, più della metà, almeno 800 milioni (ma il dato può lievitare a 1 miliardo), finisce al colosso di

Mountain View. Mentre il social network di Mark Zuckerberg dovrebbe viaggiare sui 100 milioni di raccolta. È

in questo universo digitale ancora molto nebuloso (Google e Facebook incassano in Irlanda e Olanda) che si

muove Italiaonline, assieme ad altri operatori nazionali quali Rcs Mediagroup, il gruppo L'Espresso, Microsoft,

Yahoo, la Banzai di Paolo Ainio, prossima alla quotazione in borsa. Un settore compresso che vede troppi

operatori spartirsi una torta sempre più piccola, perché dominata dai big americani. Ma le speranze di Sawiris

e del management di Iol erano tutte (lo sono tuttora nonostante la momentanea marcia indietro) per

l'accrescimento della fetta della torta pubblicitaria a favore del web e del digital, visto che per il momento

l'advertsing online con i suoi 272 milioni di raccolta (dato Nielsen a fine luglio che non tiene conto di Google,

Facebook&C) pesa solo per il 7,5% del monte-investimenti complessivi nel mercato della Penisola. Una

percentuale nettamente inferiore a quella del mercato francese, tedesco e soprattutto inglese, dove il web da

anni ha superato la televisione, che da noi assorbe il 60% della spesa in comunicazione. Insomma, siamo

molto indietro sulla Rete, non solo dal punto di vista infrastrutturale, rispetto agli altri principali mercati

d'Europa. Un gap, difficilmente colmabile senza investimenti e senza il sostegno del governo, che poi

provoca queste reazioni. Dal dicembre 2013 Iol è la quarta ipo che salta. All'orizzonte però ce ne sono altre

sette che dovrebbero vivacizzare i prossimi mesi di Piazza Affari: speriamo che il buongiorno non si veda

dalla e-mail del mattino.

Foto: Naguib Sawiris

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 08/10/2014 52

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SCENARIO PMI

4 articoli

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Congiuntura. Gomma-plastica, metalli e alimentari i settori più esposti in rapporto all'export totale Tutti i rischi dello stop tedesco Nel 2014 impatto ridotto sul made in Italy ma ora sale l'allarme LE IMPRESE Snaidero (Federlegno): «Pesal'effetto delle sanzioni Ue nei confronti della Russia» L'automotive resiste grazie alle vendite dei big in Asia Luca Orlando «Preoccupato? Direi, è da qualche mese che la Germania rallenta e lì c'è una fetta importante del nostro

fatturato». I timori di Luigi Carlon, imprenditore veneto della gomma-plastica, sono comuni a molti suoi

colleghi. Per i quali certamente il problema maggiore è la domanda interna, che ancora latita. Subito dopo,

però, arriva Berlino. Per la manifattura italiana rappresenta il primo mercato di sbocco estero (in qualche caso

primo mercato anche rispetto all'Italia), capace di assorbire lo scorso anno 48,4 miliardi di merci, più del 12%

rispetto al nostro export totale. Fetta rilevante (siamo quinto paese fornitore) di una "torta" che vale quasi 900

miliardi di euro di acquisti e che negli ultimi anni ha interrotto la propria corsa. Dopo un balzo di 13 punti nel

2011 e un magro +0,4% l'anno successivo, le importazioni tedesche si sono ridotte lo scorso anno di un

punto e il mini-rimbalzo del primo semestre 2014 è messo ora a rischio dalla performance degli ultimi mesi:

un calo frazionale a maggio, una crescita di un punto e mezzo a giugno e luglio.

Solo statistica? In questo caso proprio no perché vendere a Berlino un punto percentuale in più o in meno si

traduce per l'industria italiana in mezzo miliardo di euro di ricavi, la stessa variazione rispetto alla Cina ha un

impatto cinque volte inferiore.

Per il sistema produttivo italiano il rallentamento tedesco non è a maggior ragione gradito in una fase in cui

Berlino rappresenta uno dei pochi "motori" del nostro export nel 2014. Tra gennaio e luglio infatti i tedeschi

restano ancora buoni clienti, aumentando gli acquisti di prodotti italiani del 4,5% (1,3 miliardi in più), il

quadruplo rispetto alla ben più debole performance globale, frenata dalle tante aree di crisi e di rallentamento:

dalla Russia all'Ucraina, dall'India al Giappone, dal Medio Oriente alla Turchia. Quest'anno la Germania per

noi vale il 13% dell'export, oltre 30 miliardi di euro tra gennaio e luglio a fronte di vendite totali nel mondo per

235 miliardi. Una media che vede però singoli settori molto più esposti. Anzitutto la gomma-plastica, il settore

in cui opera la Index di Carlon, che piazza verso la Germania il 19,1% delle esportazioni totali, seguita da

metalli di base e alimentari.

Tra i settori manifatturieri i segni meno dell'export per ora sono limitati (bevande, mobili e legno) mentre

altrove le performance sono positive, in qualche caso anche a doppia cifra come per la farmaceutica oppure

le piastrelle (+15,7%) o ancora la siderurgia (+11,9%). La frenata del Pil di Berlino, a cui si aggiungono ora i

cali di ordini e produzione ad agosto, non è certo una buona notizia per le nostre imprese, anche se i segnali

dell'economia sono ancora incerti, come spiega Giuseppe Pasini di Feralpi, proprietario di un'acciaieria in

Germania legata alle costruzioni. «Per ora di rallentamenti non ne vediamo - racconta - e anche l'edilizia

pubblica continua a sostenere gli acquisti: lì realizziamo mezzo miliardo di euro di ricavi e il quadro per ora

resta positivo. Speriamo continui». I rischi maggiori sono per i settori che si rivolgono al consumo interno,

come alimentari, abbigliamento, mobili. «Purtroppo era un calo che ci aspettavamo - spiega il presidente di

Federlegno Arredo Roberto Snaidero - perché da un lato la domanda interna tedesca comincia ad avere dei

problemi, dall'altro la situazione russa inizia a pesare anche per loro».

Chi è invece legato alle filiere dell'auto, dei macchinari e dell'elettronica, continua a sfruttare la forza

esportativa tedesca, dove la frenata della domanda interna ha per ora un impatto limitato e contano

soprattutto le maxi-commesse in Asia. «Per noi la Germania vale 40 milioni di ricavi - spiega il presidente

della lombarda Omr Marco Bonometti - e quest'anno stiamo crescendo a tassi del 20%». Omr sfrutta il traino

dei nuovi modelli Mercedes, Volkswagen, Bmw o Audi e questa possibilità vale per molti componentisti

nazionali. «In Germania continuiamo a crescere - racconta il presidente della piemontese Sigit Pierangelo

Decisi - perché abbiamo più componenti inseriti nelle loro produzioni. Tuttavia c'è preoccupazione per quanto

08/10/2014 17Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 08/10/2014 54

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sta accadendo, soprattutto alla luce della situazione in Russia, Paese in cui la Germania è molto esposta sia

come esportazione che in termini di produzione diretta». «La Germania? È una domanda che ci poniamo,

anche perché quel mercato vale i tre quarti dei nostri ricavi - aggiunge Giancarlo Dallera della lombarda

Cromodora Wheels - ma devo dire che al momento noi non vediamo alcuna avvisaglia di rallentamento, anzi i

volumi verso Berlino crescono e proprio con l'export riusciamo a compensare la frenata del nostro mercato

interno».

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Germania primo mercato Le principali destinazioni dell'export italiano (in % sul totale). Dati gennaio- giugno

2014 Fonte: Ministero dello sviluppo economico Turchia 2,4 Polonia 2,5 Cina 2,6 Belgio 3,3 Spagna 4,6

Svizzera 4,8 Gran Bretagna 5,1 Stati Uniti 7,3 Francia 11,0 Germania 13,0 La posta in gioco

MONDO&MERCATI DORSOESTRAIBILE Ilpeso (in euro ein percentuale) el'andamento dei principali settori

dell'export italiano inGermania La posta in gioco MONDO&MERCATI DORSOESTRAIBILE Ilpeso (in euro ein

percentuale) el'andamento dei principali settori dell'export italiano inGermania

Foto: Un mercato nell'obiettivo. Prodotti biologici al Biofach di Norimberga

Foto: - Fonte: Istat

08/10/2014 17Pag. Il Sole 24 Ore(diffusione:334076, tiratura:405061)

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 08/10/2014 55

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Università della scarpa |Pmi |Finanziamenti Ue | Le scarpe in coccodrillo che sfidano la gravità di Francesca Cerati

a Belle, preziose e col marchio made in Italy. Le scarpe in pelli pregiate commissionate ai calzaturifici italiani

dagli emiri per le loro (numerose) mogli vengono concepite e realizzate utlizzando i programmi di sforzo

differenziali impiegati per i razzi. Costando migliaia di euro, non ci si può permettere che le singole scaglie di

coccodrillo si scollino o si deformino dopo averle indossate. Da qui, l'idea di utilizzare per la modellizzazione

3D e il calcolo dei punti di rottura delle pelli i software usati per lo spazio.

Ma questo è solo uno degli aspetti del progetto "Idea Foot", finanziato dalla Commissione europea

nell'ambito del 7° programma quadro "ricerca per le piccole e medie imprese". Si tratta di un progetto

innovativo che si è posto l'obiettivo di ridurre il time to market e accrescere la produttività. Lo scopo è quello

di migliorare la qualità del prodotto attraverso l'integrazione e la riorganizzazione dei processi di

progettazione e di produzione, sfruttando le potenzialità offerte dalle tecnologie. È stato così possibile

sviluppare un'automazione intelligente che non intacca nè l'estetica nè la creatività, ma ne esalta i contenuti.

Idea-foot è nato dall'aggregazione di 9 partner europei: quattro Pmi, un consorzio e quattro enti di ricerca.

Capofila è BzModa di Stra, nel Veneziano.

La sfida all'innovazione rientra nel campo della ricerca applicata e dei sistemi di automazione. «L'uomo viene

sostituito solo in quelle operazioni ripetitive nelle quali l'attività meccanica raggiunge una continuità di

precisione mediamente superiore a quella umana - precisa Franco Ballin, presidente del Politecnico

Calzaturiero -. Ottenere questi primi risultati non è certo stato semplice, ma siamo riusciti a mettere insieme,

in un dialogo costruttivo, il mondo della ricerca e il sistema delle imprese. Abbiamo individuato le migliori

competenze e utilizzato la strumentazione più avanzata a livello mondiale».

Non è un caso che attorno allo stesso tavolo virtuale si siano trovati il Cisas (Centro europeo di ricerca

spaziale dell'Università di Padova), il Cnr-Itia di Milano (centro di ricerca specializzato nella calzatura),

l'Inescop (agenzia nazionale spagnola operante nel campo della formazione e ricerca per il settore

calzaturiero) e il Politecnico Calzaturiero.

«Dopo due anni di lavoro abbiamo realizzato un impianto unico a livello mondiale, che permette di contenere

i costi, mantenendo inalterata la qualità - aggiunge Ballin -. In questo modo supportiamo le aziende

calzaturiere del distretto del Brenta nel ripensare la propria strategia competitiva e trovare o rafforzare forme

di collaborazione e di integrazione tra di loro per poter affrontare con più forza la competizione globale».

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Foto: Oltre il lusso. All'Università della scarpa di Riviera del Brenta per la modellizzazione 3D e il calcolo dei

punti di rottura vengono usati programmi di sforzo differenziale impiegati per costruire i razzi

08/10/2014 23Pag. Il Sole 24 Ore - Nova 24(diffusione:334076, tiratura:405061)

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MODELLI Produrre in Asia è meno conveniente di una volta, e così in Gran Bretagna rinasce la manifatturagrazie a un costo del lavoro inferiore alla media europea Il ritorno dell'industria La lezione degli inglesi Valeria Cipollone In Europa la manifattura può ancora essere competitiva e la Gran Bretagna lo dimostra, proponendo un

modello valido anche per gli altri Paesi, tra cui il nostro. Nel 2013, il Regno Unito ha infatti registrato il costo

manifatturiero più basso dell ' Europa Occidentale, come rivela un rapporto della Boston Consulting Group,

mentre le regioni oltreoceano - mete tradizionali dell ' offshoring - hanno perso terreno. L ' Inghilterra ha

battuto la Spagna in termini di costo del lavoro, con un valore di 20.90 euro all'ora, decisamente inferiore alla

media europea, pari a 23.70 (Eurostat). UNA MISCELA DI ELEMENTI alimenta il vantaggio anglosassone. Il

costo del lavoro, cresciuto nel resto d ' Europa, si è mantenuto pressoché stabile tra il 2008 e il 2013. A

questo si aggiungono altri elementi, come i contributi sociali (versati dai datori di lavoro), storicamente più

bassi nel Regno Unito che negli altri paesi dell ' Unione e una produttività manifatturiera in crescita. L '

Inghilterra ha inoltre le tasse più basse d ' Europa e un mercato decisamente flessibile, che ha permesso al

settore di adeguarsi più facilmente ai mutamenti economici. Anche il crollo della sterlina durante la crisi

finanziaria ha giocato poi un ruolo importante per la competitività del paese. Con questi presupposti il

meccanismo di crescita si innesca facilmente: scende il costo, arrivano gli investimenti. Quelli nazionali, prima

di tutto. L ' in dustria automobilistica inglese vive un momento di forte ripresa. La Jaguar Land Rover sta

espandendo la produzione e prevede di creare 1400 nuovi posti di lavoro a marzo 2015, attraverso i nuovi

impianti di Wolverhampton a ovest del paese, e ulteriori 1700 entro la fine del prossimo anno. Anche dall '

estero guardano con interesse all ' isola felix europea. Secondo i calcoli del Financial Times , dal 2010 alcune

compagnie automobilistiche - tra cui Nissan, Honda e la Mini - hanno annunciato quasi 17 miliardi di dollari di

investimenti nel Regno Unito. Il prodotto del settore, già cresciuto del 50% dal 2009, dovrebbe incrementare

ulteriormente di un terzo entro il 2017, arrivando a 2 milioni di unità, destinate in gran parte all ' export.

FORSE L ' E F F E T TO più sorprendente di questa evoluzione sarà il ritorno dell ' etichetta Made in Britain.

Le stesse aziende che più di dieci anni fa spostavano la produzione, principalmente nell ' est Europa, Sud-est

asiatico e in America Latina, oggi si riavvicinano al Regno Unito programmando una filiera produttiva più

corta. L ' elevato costo della manodopera ha giustificato l ' esodo industriale, ma se la forbice tra i salari si

riduce, restare all ' estero può diventare troppo oneroso. Trasporti cari e una logistica complicata impediscono

infatti alle imprese di modificare velocemente un prodotto in base alla risposta del mercato. Cambiare il colore

delle giacche o lanciare una nuova linea di gonne diventa più semplice su una scala regionale anziché

globale. La manifattura in Scozia conta mediamente di più che nel resto della Gran Bretagna. È importante a

tal punto da aver avuto un ruolo di primo piano anche nel dibattito pre-referendum. Lo scorso giugno, il Partito

nazionale scozzese aveva infatti proposto un piano per il lavoro post indipendenza, che prevedeva una

reindustrializzazione della regione. Rientrare in Gran Bretagna non significa però migrare al contrario,

progettando le nuove fabbriche inglesi sullo stile di quelle asiatiche. In uno scenario auspicabile, le aziende

potrebbero spingersi verso un modello misto, che integri le diverse realtà sfruttandone i relativi vantaggi. La

produzione a maggiore valore aggiunto potrebbe trovare sempre più spazio in Gran Bretagna e al contempo

la presenza di manodopera specializzata - a prezzo conveniente - potrebbe stimolare la parte più innovativa

della filiera. Questa evoluzione rappresenta un passo avanti per tutto il Vecchio Continente, perché prospetta

spazi più consistenti per l ' industria. Anche a Bruxelles si discute da tempo del futuro della manifattura.

Durante il mandato della Commissione ora uscente, il commissario Antonio Tajani ha puntato molto sulla

politica industriale, che ha un importante anche all ' interno della Strategia 2020. I Paesi europei sono infatti

chiamati a raggiungere l ' obiettivo del 20 per cento di Pil manifatturiero entro i prossimi sei anni, anche se nel

2013 il contributo del settore si fermava al 15. L ' ESEMPIO INGLESE dimostra che un ambiente favorevole

all ' impresa - non solo in termini fiscali - con un mercato del lavoro flessibile e integrato costituiscono una

08/10/2014 14Pag. Il Fatto Quotidiano(tiratura:100000)

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base imprescindibile per la competitività della manifattura. Solo così il mercato di scegliere liberamente le

attività a maggior valore aggiunto, senza bisogno di ulteriori orientamenti. Rinunciare a interventi verticali non

vuol dire però astenersi dall ' azione tout court. L ' Europa ha il compito fondamentale di creare un campo da

gioco orizzontale, con due caratteristiche. Da un lato, deve avere regole semplici e uniformi, per permettere a

imprese di paesi diversi di interagire. Dall ' altro, deve avere infrastrutture - anche digitali e tecnologiche - di

cui beneficino più settori contemporaneamente.

08/10/2014 14Pag. Il Fatto Quotidiano(tiratura:100000)

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 08/10/2014 58

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Dopo gli ordini, crolla anche la produzione tedesca Il pil della Germania del terzo trimestre è a rischio dopo che il dato sulla produzione industriale ha messo a

segno una contrazione peggiore delle attese. L'ipotesi è per altro controversa: secondo gli analisti di Société

générale, infatti, il dato pubblicato ieri potrebbe non avere un impatto signifi cativo. «I consumi e le

esportazioni nette sono migliorati notevolmente» tra luglio e settembre, dicono in Sg. Di conseguenza, «il pil

dovrebbe rimanere positivo», con una lettura leggermente inferiore allo 0,3% t/t. In agosto l'output

dell'industria tedesca è sceso del 4% a livello mensile e del 2,8% su base tendenziale, contro un calo atteso

dell'1,5% m/m. La produzione del settore manifatturiero è diminuita del 4,8% m/m e quella del comparto

costruzioni del 2% m/m. L'esito, sommato alla brutta performance degli ordini alla manifattura di lunedì (-

5,7%), implica «chiari rischi al ribasso» per il pil del paese del terzo trimestre, come afferma Evelyn

Herrmann, economista di Bnp Paribas. L'istituto francese attualmente stima un rialzo dello 0,2% t/t. «Nella

migliore delle ipotesi, l'economia tedesca è rimasta in stagnazione nel terzo trimestre», ha ribadito Ralph

Solveen, economista di Commerzbank. «In base ai numeri, potrebbe essere messo a segno anche un altro

declino, il che riporterebbe (la Germania, ndr) in recessione». Leggermente più rosea la visione di Andrea

Rees, economista di Unicredit, secondo il quale «non ci sono motivi di panico». L'attività industriale si

contrarrà nel terzo trimestre, ma altri indicatori diffusi fi nora hanno inviato «messaggi piuttosto positivi»,

come le vendite al dettaglio, +0,8% tra luglio e agosto, o le esportazioni nette a luglio (+5% m/m). Detto

questo, «l'industria tedesca è chiaramente entrata in una fase di rallentamento, dovuta non solo a fattori

esterni, tensioni geopolitiche e frenata della domanda dall'Europa orientale, ma anche domestici»,

sottolineano gli analisti di Intesa Sanpaolo. «Il dato introduce il rischio che il pil tedesco cresca al meglio di

0,1% t/t nei mesi estivi». L'esito di ieri «conferma i segnali recenti sul fatto che l'attività dell'Eurozona sta

rallentando di nuovo» e manda un messaggio preoccupante per il resto dell'area euro, come evidenziano gli

analisti di Rabobank. Domani sarà la volta della Spagna, mentre le lettura di Italia e Francia sono in agenda

per venerdì. © Riproduzione riservata

08/10/2014 29Pag. ItaliaOggi(diffusione:88538, tiratura:156000)

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