Magini - L'India è Vicina

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IL POLSO MENSILE DI INFORMAZIONE PER MEDICI E OPERATORI SANITARI AGGIORNAMENTO MEDICO La controversia: i farmaci nella minaccia di aborto La sindrome dell'occhio secco I tumori testicolari L'iperpiressia maligna da narcosi L'ansia, sintomo e malattia A che punto siamo con l'interferon CUL TURA E TEMPO LIBERO Psicoterapie: l'orientamento comportamentista I costi in unità coronarica Cataloghi: l'India è vicina Viaggi: destinazione Egitto Rubriche INSUFFICIENZA VENTILATORIA CRONICA Le linee essenziali di trattamento in fase acuta e nell'assistenza domiciliare in un'intervista al prof. G. Gunella di Bologna EDITRICE IL POLSO s.r.l. 20124 Milano Via A. Vespucci, 2 SPED. IN ABB. POST. GR. IH/70 ANNO 7 . .

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on analogies among indian, etruscan and roman religion

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IL POLSO MENSILE DI INFORMAZIONE PER MEDICI E OPERATORI SANITARI

AGGIORNAMENTO MEDICO

La controversia: i farmaci nella minaccia di aborto La sindrome dell'occhio secco I tumori testicolari L'iperpiressia maligna da narcosi L'ansia, sintomo e malattia A che punto siamo con l'interferon

CUL TURA E TEMPO LIBERO

Psicoterapie: l'orientamento comportamentista I costi in unità coronarica Cataloghi: l'India è vicina Viaggi: destinazione Egitto Rubriche

INSUFFICIENZA VENTILATORIA CRONICA Le linee essenziali di trattamento in fase acuta e nell'assistenza domiciliare in un'intervista al prof. G. Gunella di Bologna

EDITRICE IL POLSO s.r.l. 20124 Milano • Via A. Vespucci, 2 SPED. IN ABB. POST. GR. IH/70

A N N O 7

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L'India è vicina Duemilacinquecento anni fa A-lessandro Magno, nella sua grandiosa e folle cavalcata verso oriente, si fermò all'Indo. Da al­lora l'immenso territorio oltre quel fiume fu, agli occhi degli europei, uno dei limiti del mondo; così quando Colombo si imbatté nelle isole dei Caraibi, le chiamò Indie Occidentali non tanto perché ritenesse di aver "rag­giunto l'Oriente passando per l'Occidente" quanto perché sen­tiva di aver toccato un nuovo, ed opposto, limite del mondo. Il grande Festival dell'India, in corso a Londra, ci mostra invece che l'India, quella vera, non è poi così distante da noi, non solo fi­sicamente, ma soprattutto so­cialmente e culturalmente.

Londra, una colonia indiana

Tentare di descrivere quella che è stata negli ultimi 5.000 anni la vita di un sub­continente — è questo il termine tecnico con cui i geografi definiscono un pezzo di terra di 3.000.000 di kmq — abitato oggi da 600 milioni di persone, non è impresa da poco. Conoscere e padroneggiare l'intero materiale disponibile, selezio­narlo, suddividerlo e riproporlo incasel­lato nei diversi settori dell'archeologia e della storia dell'arte, della mitologia e della religione, della psicologia e della sociologia, è opera difficile e meritoria. Ma alla fine di tutto questo lavorio, cui hanno concorso non meno di 500 esperti di diversi Paesi, il Festival dell'India, che è in corso in questi mesi a Londra, offre

un panorama completo ed esauriente di quello che l'India è stata ed è tuttora.

Per cercare di darne anche solo una vaghissima idea al lettore abbiamo se­guito la traccia fornita dalle diverse mo­stre, e dai relativi cataloghi, in cui il Fe­stival si articola: nel numero scorso del Polso abbiamo presentato "il villaggio eterno" ovvero "India dal passato al presente", espressione che indica appun­to nel villaggio uno straordinario ele­mento di continuità che lega la millena­ria vita dell'India.

Proseguiamo qui con le presentazioni delle altre due sezioni del Festival: quella dedicata a "La percezione indiana dell'universo attraverso 2.000 anni di

pittura e scultura" e, di seguito, quella dedicata al perìodo Mogol.

I cataloghi IN THE IMAGE OF MAN - The Indiar. Per-ception of the Universe through 2000 Years of Painting and Sculpture. Hayward Gallery Pu-blications, in associazione con Weidenfeld e Nicholson, Londra 1982. Pagg. 232, 487 foto b/n e 49 a colori. Lire 25.000. INDIA-PAST INTO PRESENT — A cura di Brian Durrans e Robert Knox. British Museum Publications, Londra 1982. Pagg. 96, 70 foto b/n. Prezzo: 5 sterline. THE INDIAN HERITAGE — Court Life and Arts under Mughal Rule. Victoria and Albert Museum Pubi. Londra 1982. Pagg. 176, 250 foto b/n e 50 a colori. Lire 20.000.

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I "Dentro l'immagine dell'uomo : la

percezione indiana dell'universo attra­verso 2.000 anni di pittura e scultura" dà, in capitoli successivi, un quadro di come la sapienza indiana abbia con­cepito la natura e le varie e diffe­renti forme e manifestazioni della vita, il posto dell'uomo nel cosmo e le quat­tro finalità dell'esistenza umana, la vita a corte, le forme di vita devota e il­luminata, per finire con la mitologia di Vishnu, di Shiva e di altre minori divi­nità. Ed è stato possibile mostrare tutto questo attraverso le opere d'arte, di scultura e di pittura, perché — come dice nella prefazione la dott.ssa Kapila Vatsyayan — "il soggetto dell'arte in­diana è essenzialmente l'universo in tutta la sua abbondanza di vita e di forme. E dentro e oltre a questo, è quell'onnisciente, onnipotente e tra­scendentale spirito che permea le forme e che è, esso stesso, in ultima analisi senza forma".

La conoscenza e la descrizione della natura La conoscenza del mondo naturale

prende l'avvio con la raccolta, fin dai tempi più remoti, dei sacri sassi a forma di uovo — simbolo della vita e dei suoi sempre nuovi e ricorrenti cicli — nel letto del fiume Narmada e delle am­moniti fossili reperibili sulle pendici dell'Himalaya. L'origine acquatica di questi reperti è importante perché dalle acque ha origine l'evoluzione. Le spi­rali delle ammoniti, poi. coi loro raggi ed il centro da cui partono e su cui si chiudono rappresentano i continui processi di evoluzione e di devoluzione del tempo e dell'esistenza.

Sempre dalle acque nasce il loto, collegato al mitico centro della terra con il suo lungo stelo, che, nelle morbide e sinuose movenze della decorazione, simbolizza le generazioni di uomini che fioriscono e fioriranno in un interrotta continuità. Infine accanto alle acque sotterranee, in prossimità delle radici degli alberi, vive il serpente che porta con sé buoni auspici, fertilità dei campi e delle donne.

Tutto il mondo animale è fatto og­getto di uno studio attento: si osserva che il cervo è nato per diventare preda di tutte, o quasi, le belve e lo si chiama mriga, "quello che va alla morte"; si vede che alcuni animali si riuniscono

spontaneamente in greggi — le capre, ad esempio — e le si definisce aja, "quelle che vanno col gregge, intrup­pate".

Al tempo stesso lo studio del com­portamento animale ha portato sponta­neamente ad associare le loro caratte­ristiche ed abitudini a quelle, per tanti versi simili, degli uomini. Nacquero delle storie in cui gli animali mutuavano il comportamento umano, se ne fecero delle antologie, queste furono tradotte dal Sanscrito in Pahlavi — la lingua dell'Iran medioevale — da qui in siria­co ed in arabo, ed infine in spagnolo, tedesco e francese, finché La Fontaine le scopiazzò, dal più al meno, e le fece conoscere a tutta l'Europa come le "sue" Fables.

Un'osservazione cosi acuta della na­

tura portò, già in tempi preistorici, alli definizione dei cinque elementi base che la costituiscono: terra, acqua, fuo­co, aria e — dominante su tutti, il più sottile, etereo ed alto — Yàkàsha. le "spazio", che li sovrasta e li sorveglia come il sole allo zenith sorveglia e vigila sul creato. Uàkàsha è l'altissimo ed in­visibile obiettivo verso cui lo spirito, controllato a sua volta dalla mente, tende con uno sforzo che non viene in­quadrato e descritto in una visione ma­nichea di lotta tra il principio del bene e quello del male, ma come una lenta, faticosa, difficile eppure continua asce­sa verso l'infinito.

Cosi la lotta per la vita, per l'esistenza materiale su questa terra, finisce per avere un andamento ed uno sviluppo paralleli alla conquista della felicità

Sopra: la concezione di un cosmo ordinato e stabile viene espressa in diagrammi come questo, in cui i due cerchi rappresentano il movimento ciclico dell'universo: i tralci e i viticci che li uniscono, la natura sottomessa all'uomo: i fiori del loto e la coppia di pesci sono simboli di fortuna e di prosperità. A pag. 95: Gana, servitore di Ganesha, una figura popolare nell'arte indiana (Vsec. d.C).

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estema e della trascendenza. Questa terra, poi. è la "madre-terra",

l'elemento che ha dato e dà origine alla vita in tutte le sue forme vegetali ed animali, la dea-madre le cui immagini si ritrovano e si moltiplicano, nelle più ardite variazioni, in tutta la storia mil­lenaria dell'India.

Accanto e al di sotto della grande dea-madre, tutta una serie di divinità e di figure minori, in maggioranza fem­minili, dell'affollatissimo pantheon in­diano stanno a illustrare gli innumere­voli aspetti della vita in natura. Cosi le yakshis sono le sinuose e seducenti creature che dimorano negli alberi e la shàlabhanjikà, "colei che spezza un ra­mo dell'albero shàla", è la rappresen­tazione del risveglio primaverile del principio maschile addormentato, l'al­bero shàla, da parte dello stimolante potere della natura, la shàlabhanjikà appunto. Altre volte le splendide im­magini di giovani e flessuose donne nel pieno di una fiorente femminilità rap­presentano in termini fisici ed esplici­tamente sessuali le ricompense spiri­tuali di una vita casta.

Invece le coppie in amore, cosi fre­quenti nelle decorazioni dei templi in­diani e tanto imbarazzanti per noi eu­ropei, sono puri e semplici riflessi e proiezioni del desiderio; l'elemento ri­tuale consiste proprio nell'atto di amore stesso. Il più delle volte queste scene di amanti non sono isolate ma inserite, in infinite varianti, in interminabili fregi che corrono lungo le pareti dei templi; il ritmo visivo prodotto dalle diverse posizioni e modi e tecniche dell'amore riflette la trascinante e appassionata forza vitale della natura.

Le quattro alte finalità dell'esistenza In questa natura l'uomo deve trovare

un posto, una collocazione in termini sociali e psicologici che risponda ai due grandi interrogativi "Dove sono io?" e "Chi sono io?".

Socialmente l'uomo appartiene ad una determinata casta all'interno di un complesso sistema di ordini e gerarchie sociali che rispecchia la più vasta orga­nizzazione dell'universo; perciò l'equi­librio tra la società umana e l'ordine cosmico diventa vitale per la stabilità che consente all'esistenza di continua­re. Psicologicamente, il potenziale spi­

rituale dell'uomo è illimitato. Egli può addirittura arrivare a supe­

rare gli dei, che in definitiva sono peri­turi, utilizzandoli come puri gradini per l'ascesa ad uno stato trascendente ed eterno. Di più, il potenziale umano è ampio come l'universo e può essere opportunamente coltivato e realizzato attraverso le tecniche yoga che usano il corpo e l'intelletto e la volontà come strumenti per giungere alla moksha, la liberazione totale da tutti i condiziona­menti temporali.

Questa liberazione è la quarta, e più alta, finalità dell'esistenza umana. La prima è il dharma, "virtù" o "legge sacra", che ha diversi livelli di lettura: dal punto di vista sociale è il codice di

Devota con il "chaun " (scacciamosche) per evitare il peccato derivante dall'ingestione o dall'uccisione incidentale di insetti vaganti nell'aria notturna. Le donne indiane non han­no accesso alla salvezza brahmanica perché poste in un gradino inferiore nella scala della reincarnazione rispetto agli uomini.

condotta specifico di ogni uomo come rappresentante di una delle quattro classi o varnas, "colori", così chiamate perché ad ogni classe era assegnato un particolare colore delle vesti, — e cioè i sacerdoti, i guerrieri, i mercanti ed i servi — ed appartenente ad uno dei quattro stadi della vita o àshramas — studente (di religione) da giovane, poi capofamiglia, successivamente eremita e, da vecchio, pellegrino senza casa e senza meta. Individualmente il dharma è l'esercizio della moralità e della giu­stizia, dell'altruismo e della virtù.

Il dharma è anche la premessa indi­spensabile per conseguire le successive, e superiori, due finalità, Yartha e il kà-

"Colpita dalla mano della mia donna, soffice come il loto 11 tu cadi, e cadi, e ti levi ancora; /1 piccola palla, io conosco il tuo desiderio, i l e come se ogni volta tu non arrivassi a baciare la sua bocca": una poesia, di sei se­coli più antica, spiega meglio di qualsiasi di­dascalia questo capolavoro dell'XI secolo.

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silliver Il Siili ver con t iene come ' rn~>- jone-:e a SSmar ina (si l ib ina, si l icrist ina, si l id ianina), p r inc ip io art va ae ScyPum mananum (L ) . pianta medicamentosa nota da ' a s i n i t à per le sue p rop r ie tà cura t ive nelle af fezioni epat iche e gastro-intestinali._ Il po te re ant iepatotoss ico delia S i : sman ia è stato accer tato irv numeros i mode l l i sper imenta l i . Ne l ' s p i e g o cl in ico il Silf iver adisce rap idamente con t r o i d i S t u f D 1 col ateraii digest iv i e vegetat iv i , t ipici del le d is funz ion i epat iche (mancanza di fo rze , inappetenza, nausea con a vo l t e v om i t o , cefalea dopo i pasti, tens ione addomina le , etc.) e mod r i ca f avo revo lmen te i reper t i di labora to r io pato log icamente al terat i . Il Siili ver unisce qu ind i al l 'at t iv i tà ant iepatotossica una az ione

. l i po t ropa (c ioè ostacola la degeneraz ione grassa del fegato) e ant inecrot ica (c ioè r iduce la degeneraz ione idropica della cellula epat ica), A Z I O N I : si r i t i ene che la si l imarina agisca stabi l izzando le membrane cel lu lar i , in modo tale da r idu rne la permeabi l i tà ad alcune sostanze tossiche, e s t imo lando la sintesi pro te ica epatoci tana, F A R M A C O L O G I A : l as i l imanna provoca una invers ione del le lesioni epat iche causate nel ra t t o da l l 'avve lenamento (0,1 mg/kg) da t e t r ac l o ru ro di ca rbon io . G l i esami al m ic roscop io e le t t ron i co mos t rano una r igeneraz ione dei m i t ocond r i e del re t i co lo endop lasmat ico dopo la sommin is t raz ione di si l imarina in 2 x 200 mg/kg per qua t t r o g iorn i . La si l imarina è efficace nel r i du r r e le elevate concen t raz ion i di S.G.O.T. e b i l i rub ina indo t te dal p raseod imio n i t ra to o dalla galattosamina. I t op i avvelenat i con 2 mg/kg di fal loidina, tossina dei funghi , hanno mos t ra to , r i spe t to ai con t ro l l i , un p ro lungamen to del tempo di sopravv ivenza ed una d im inuz ione del tasso di mor ta l i tà quando t ra t ta t i con 100 mg/kg di si l imarina per t r e g.orn i . T O S S I C O L O G I A : la tossicologia acuta orale ed endovenosa dalla si l imarina è stata de te rmina ta in va r i ' an ima l i . N o n si sono r i levat i segni di tossic i tà nel t o p o dopo 20 g/kg per via ora le o nel cane dopo 1 g/kg per via orale. Ne l ra t to , d o p o un pe r i odo di osservaz ione di 7 g iorn i , non si sono avut i segni di tossic i tà d opo dosi I.V, di 130 mg/kg. Gl i studi di tossic i tà subacuta nel ra t t o non hanno messo in luce effett i col lateral i a dosi di 1 g/kg per via o ra le per 15 g iorn i . Gl i stessi r isul tat i sono stati osservat i in p r o ve di tossici tà cron ica del la durata di 16 e 22 set t imane. Anche uno studio a lungo t e rm i ne su cani non ha mos t ra to alcuna tossicità. Dettagl iat i esami c l in ico-ch imic i ed is to-pato log ic i non hanno posto in luce alcun segno di a l teraz ioni pato logiche. I N D I C A Z I O N I : cond iz ion i di sof ferenza organica e funz ionale del parenchima epat ico di varia or ig ine ; epat i t i acute, in fet t ive e tossiche, stati post -epat i t ic i . Coad iuvan te nelle epatopat ie c ron iche da cause tossiche, metabo l iche o in fet t ive e negli stati steatosici e p rec i r ro t i c i . E F F E T T I C O L L A T E R A L I : il S i l v e r è di no rma ben to l le ra to anche quando il med ico in tende sommin is t ra r lo per per iod i di t empo p ro t ra t t i . Impiegando dosi e levate si può r iscont rare un e f fe t to leggermente lassativo e d iu re t i co : C O N T R O I N D I C A Z I O N I : ipersensib i l i tà indiv iduale accertata ve rso il p r odo t t o . Cond i z i on i di ostaco lo meccanico del le vie bi l iar i . D O S A G G I O E S O M M I N I S T R A Z I O N E : si consiglia salvo diverso parere del medico, di iniziare il trattamento con 200 mg per 2 volte al giorno dopo i pasti e per 4-6 settimane. La somministrazione ed il dosaggio sono puramente indicativi e possono essere aumentati a giudizio del medico. Ottenuto un miglioramento si può diminuire la posologia sopra indicata a 200 mg al giorno a giudizio del medico. Tale terapia di mantenimento può essere continuata per lunghi periodi di tempo. TENERE FUORI DALLA PORTATA DEI BAMBINI

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A B B O T T

ma. Uartha, o "politica" nel senso di organizzazione della vita sociale, si ri­ferisce ai beni materiali, alla ricchezza ed al benessere, ai vantaggi ed al potere nella vita terrena, mentre il kdma, o "piacere", indica il godimento, in tutte le sue accezioni non esclusa quella fisi­ca e sessuale, dei piaceri della vita, dalla casa al gioco, dalla musica alla danza ed alla pittura.

In questa visione l'uomo o la donna che non intendano dedicare tutti se stessi al raggiungimento di ideali reli­giosi — e sono ovviamente la maggio­ranza — possono guardare ai propri bisogni spirituali senza il rimorso o il senso di colpa derivanti dall'aver con­travvenuto ad un codice morale che imponga obblighi superiori alle loro umane capacità.

Ma solo attraverso il conseguimento di una sensibilità estetica, che serve ad allenare la mente e i sensi all'ultima e più spirituale fase dell'esistenza, e solo arrivando poi a rinunziare, nella piena maturità dell'uomo completo, alle at­trattive ed ai piaceri derivanti daìYartha e dal kàma, è possibile giungere alla liberazione da una realtà percepita co­me illusoria.

L'uomo, la società e l'ascesi In questa cornice, che dà una strut­

tura alla vita terrena al tempo stesso ri­gida ed elastica, si inquadra l'esistenza dì un intero popolo, dall'imperatore e le sue mogli agli innumerevoli cortigiani, dalla aristocrazia militare ai contadini dei più sperduti villaggi, dai mercanti ai religiosi, ai devoti, agli asceti di tutte quelle specie e varietà che solo un paese immenso, fervido e disperato come l'India poteva produrre.

Qui l'imperatore viveva chiuso nel suo inaccessibile palazzo lontano dai sudditi, che solo di prima mattina po­tevano acclamarlo, quando egli si af­facciava da una piccola finestra a di­mostrazione e conferma del proprio buon stato di salute. All'interno del pa­lazzo imperiale era la zenana, il quar­tiere delle donne, che avevano quale compito principale, se non unico, nella loro vita, quello di fare figli — maschi soprattutto — e di allevarli. Alle donne in effetti la tradizione indiana concede ben poche chances; solo una ridottissi­ma minoranza di loro può sperare di

vivere nella realtà quell'ideale femmi­nino che vede l'eroina sfidare tutte le regole e convenzioni della società e perfino dominare gli elementi avversi della natura per raggiungere l 'amato.

La guerra non ebbe mai una grande importanza nella vita dell'India. Da una parte il paese era ben protetto dalla sua conformazione e posizione geogra­fica — l'oceano da tre lati e l'Himalaya dal quarto lo isolavano a sufficienza dai possibili aggressori — e dall'altra le due principali fedi religiose, il Buddismo e il Jainismo, predicavano con efficacia la non violenza. Questo non impedì che la seconda delle quattro caste in cui la so­cietà si divideva fosse quella dell'ari­stocrazia guerriera, gli kshatriya, che in realtà trovarono il loro massimo im­piego ed impegno al momento dell'in­vasione mussulmana (XI secolo) la

// Buddha in piedi è il redentore dell'uomo; la mano destra abbassata assicura al fedele i doni che desidera ed in particolare l'ambita salvezza. Qui l'aureola circonda l'intera figura dell'illuminato; le vesti sono ridotte a un velo etereo. Periodo Gupta, VI sec. d. C.

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quale, d'altronde, interessò solo una porzione del territorio.

Per il resto il piccolo villaggio rurale, disposto in prossimità di un corso d'ac­qua, con un po' di terra coltivabile, qualche pascolo intorno vasti boschi e dense foreste appena più distanti, ri­mase, e rimane tuttora, l'elemento ca­ratteristico del paesaggio e della società indiani.

1 boschi e le foreste — le stermi­nate oscure selve dell'India — vedono nascere e svilupparsi un particolare tipo di vita ascetica e sapienziale che trova il suo modello, di una perfezione proba­bilmente irraggiungibile, nella figura del Buddha.

Il messaggio di Buddha l'Illuminato

"Due opposti estremi devono essere evitati: l'indulgenza al piacere dei sensi e l'auto-mortificazione. Tra i due corre una via di mezzo che. seguita, porta pace, superiore saggezza, illuminazione

e recide quei legami che separano da un tale stato. La via mediana è come una strada fatta di otto parti — la prospet­tiva e l'aspirazione, la parola e l'azione, il sostentamento e la fatica, la diligenza e la concentrazione — che devono condurre, tutte, all'eliminazione della sofferenza.

La sofferenza è un fatto immutabile. Essa si manifesta nelle seguenti forme: la nascita, la crescita, la malattia, la morte, il coinvolgimento con quanto è spiacevole, la separazione da quanto è piacevole, il mancato raggiungimento di quanto è desiderabile. In altre parole la sofferenza è una funzione inerente alla nostra esistenza in quanto tale e per natura le è unita. Io ho visto il signifi­cato dell'esistenza di questo fatto della sofferenza; io ho riconosciuto il biso­gno di capire la sofferenza; ed io ho fatto in modo di farlo capire a me stes­so".

Queste sono le parole di un uomo che parla ai suoi primi compagni nel Parco dei Cervi a Varanasi. Siamo intorno al 528 a. C. e l'uomo, il cui stato civile è:

nome Siddhàrta della casa di Gautama della tribù di Shàkyas, nazionalità na-palese, età anni 35, dà inizio alla sua peregrinazione ed al suo insegnamento. Discendente da nobili rappresentanti dell'aristocrazia guerriera, egli ha ab­bandonato la famiglia, la casa, i beni per darsi ad una vita ascetica ed erran­te. In un momento in cui la società in­diana conosce una rapida urbanizza­zione ed un'accentuata sottomissione alla casta sacerdotale dei bràhman, le­gati alla rigida lettura ed interpretazio­ne dei sacri testi vedici, l'impatto dell'insegnamento del Buddha — "L'Illuminato" come venne presto e giustamente chiamato — è enorme. Il suo messaggio, centrato sulle semplici, e difficili, regole della non violenza, della verità, dell'onestà, del disinteres­se, insegna all'individuo come cercare da solo la propria strada verso la sal­vezza, senza far ricorso all'aiuto e all'intermediazione di nessuno.

Dai potenti re e principi ai ricchi borghesi fino agli ultimi contadini, tutti fanno a gara per vedere e ascoltare

Com'era ricco il Terzo Mondo!

Visitando la mostra — ma anche solo sfogliandone il bel catalogo — dedicata a "L'eredità dell'India: la vita di corte e le arti durante l'Impero Mogol" la prima cosa che colpisce il "povero"osservatore è la fantastica, incredibile, straordinaria ricchezza, e fasto e sontuosità, che pro­manano da ogni pezzo esposto.

E non solo, naturalmente, dai capola­vori della gioielleria dove l'oro e l'argen­to e le pietre preziose o le più modeste pietre dure vengono profuse senza ri­sparmio, ma anche dagli oggetti in vetro e in ceramica, da quelli in legno e in avorio, dai vestiti, dai tessuti di arreda­mento e dai tappeti, fino alle opere di pittura e di miniatura e decorazione del libro. Insomma in ognuno dei quasi 600 "articoli" presentati dalla splendida esposizione si ritrova almeno un fram­

mento dì quella mitica "Montagna di Luce"— /'/ Koh-i-Noor appunto, come si chiama il più grande diamante del mon­do, trovato in India ma qui non esibito — che avvolse l'Impero dei Mogol fin dalla metà del sedicesimo secolo.

E si capisce facilmente come esso ab­bia a suo tempo colpito tanto violente­mente le fantasie degli Europei da far

arrivare l'immagine del Gran Mogol fino alle non meno mitiche, ma ahimé tanto più modeste, figurine del Grande Con­corso Perugina. Un immenso crogiolo

Ma vediamo meglio cosa ci offre il catalogo. Intanto siamo nel periodo che va dal primo '500 alla metà dell"800, nei

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questo grande saggio, in cui rivive l'an­tichissima tradizione sapienziale india­na, e uomini di ogni posizione sociale, fino alle più alte, ed anche molti bràh-man abbandonano tutto quel che han­no di più caro pur di vivere ed imparare la via alla liberazione e all'illuminazio­ne accanto al Buddha.

Ancora oggi, a 2.500 anni da quei lontani eventi, il suo insegnamento forma il credo e regola la condotta di vita di milioni e milioni di fedeli e nes­suna figura, più della sua, si identifica con l'anima stessa dell'India. Eppure, quando si vada ben a guardare, non è difficile riconoscere che l'illuminazione a 35 anni in una "selva oscura", il di­stacco dai beni materiali, l'amore per la verità e la regola della non violenza — in una parola tutto quanto il Buddha chiama "via mediana" — ricordano troppo da presso gli insegnamenti della sapienza occidentale, i precetti di Ora­zio, di Dante e di Francesco, perché non si veda che veramente, a dispetto della lontananza, l'India è vicina.

Leonardo Magini

Ràvana, il dio-demone che aveva rapito Sila, moglie di Rama, una reincarnazione di Vishnu, è stato ucciso. Ma Rama non può accettarla di nuovo al suo fianco fin quando non sarà dimo­strata la sua castità.Siìà si sottopone dunque alla prova del fuoco per fugare ogni traccia di dubbio. E' una scena del più popolare poema epico indiano, il "Ramàyama", che descrive le vicissitudini del principe Rama e la sua abdicazione come erede legittimo al trono.

tre secoli e mezzo cioè in cui una dinastia di origine mongola — di qui il nome di Mogol — che discendeva direttamente da Gengis-Khan e da Tamerlano, scac­ciata dalle proprie terre a nord-est dell'Iran fi impadroni di una regione nell'India centrale, tra Delhi e Agra. Partendo da questa base, in poche decine di anni di dure lotte e di successi militari sui Rajputs — i signorotti locali di ori­gine indiana — e sui principi mussulma­ni delle regioni della costa occidentale, i Mogol seppero costruire un impero in cui uomini di diverse origini, culture, lingue e religioni poterono convivere fianco a fianco in pace e con reciproca utilità.

Intorno a questo crogiolo di popoli si accavallavano, inserivano e sovrappone­vano le spinte culturali ed economiche più diverse: dalle steppe dell'Asia Cen­trale giungevano a portare le loro merci rare e preziose le carovane cinesi o mon­gole, dall'Altopiano Iranico venivano chiamati a lavorare nelle officine di corte — le cosiddette kar-khana — abili arti­giani e celebrati artisti persiani mentre dai deserti dell'Arabia arrivavano i mer­canti di spezie. Infine dalla lontana Eu­ropa, attraverso la via del Capo di Buona Speranza aperta da Vasco de Gama nel

Fig. 1 (qui in alto): questa coppa di vino è un autentico capolavoro del periodo Mogol; la fusione di elementi vegetali —// frutto che dà la forma alla coppa —e animali —la testa di capra — ricorda i prodotti del Manierismo europeo. Fig. 2 (a sinistra): un vero intreccio di stili questo cucchiaio d'oro tempestato di pietre preziose, dalla linea europea e dalla decora­zione tipicamente persiana. Fig. 3 (a pag. 100): la pesatura del principe ereditario nel giorno del suo compleanno av­viene alla presenza dell'Imperatore Jahangir nella residenza di Kabul.

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1947, Portoghesi, Olandesi e, soprattut­to, Inglesi facevano conoscere i nuovi e strani prodotti dell'occidente: orologi, guanti, occhiali, armi da fuoco e, ap­prezzati più di ogni altra cosa, i giochi meccanici, che del resto all'epoca face­vano impazzire di entusiasmo le corti di tutta Europa.

Insieme a questi prodotti "esotici", in molti casi vennero introdotte anche le tecniche di produzione, come ad esempio la soffiatura del vetro, la laccatura, la fabbricazione delle tegole, la fusione delle bocche da fuoco, la fabbricazione degli orologi. Ed anche attività che noi oggi siamo portati a considerare tipica­mente indiane, come la fabbricazione dei tappeti, vennero in realtà importate in quel torno di tempo dall'esterno; nel caso dei tappeti, non c'è bisogno di precisarlo, dalla Persia. Lo stile Mogol

Il risultato di quella che potremmo definire una non comune forma di coo­perazione internazionale fu uno "stile" composito ed eclettico, a volte straordi­nariamente fine ed elegante, altre volte pesante e barocco, che è caratteristico dell'India dei Mogol.

Ne abbiamo uno splendido esempio nella coppa da vino appartenuta a Shah Jahan, il costruttore del celeberrimo Taj Mahal, sotto il cui regno l'Impero Mogol raggiunse il massimo splendore. E' un oggetto in giada datato 1657 (fig. 1 a pag. 101) in cui la forma è di origine cinese, il piedistallo a foglie di acanto e fiori di loto unisce elementi europei ed indiani, mentre la testa caprina ha lon­tani e sicuri ascendenti iranici.

Anche il cucchiaio (fig. 2 a pag. 101) in oro, rubini, smeraldi e diamanti — e scusate se è poco — nasce da una com­mistione di stili; la linea è europea men­tre la decorazione è tipicamente persiana e la tradizione locale si limita al modo di incisione dell'oro tra le pietre preziose del dorso.

In alcuni casi, come è naturale, i mo­tivi di origine straniera si incontrarono e si fusero felicemente con la particolare sensibilità indiana; cosigli "erbari" eu­ropei — ed in generale tutta l'arte della decorazione del libro — trovarono una rispondenza eccezionale nell'animo degli illustratori locali.

Il medesimo ignoto artista ci dà una prova della straordinaria qualità del suo lavoro anche nell'esecuzione di una sce-

Fig. 4 (in alto): particolare di un dipinto rap­presentante il principe Salim con studiosi e amici in giardino (1625 circa). Fig. 5 (a destra): una piccola bottiglia in giada verde con intarsi in oro, rubini e smeraldi: un capolavoro di oreficeria. Fig. 6 (sotto): la base di una huqqa — la pipa ad acqua — decorata a smalti blu e verde, caratteristici della produzione di Lucknow.

na caratteristicamente indiana: la pesa­tura del principe ereditario allo scadere di un compleanno (fig. 3 a pag. 100). L'oro e l'argento corrispondenti al peso del principe venivano distribuiti ai pove­ri, mentre l'erede presentava al padre una serie di splendidi doni: gioielli, armi, va­sellame d'oro, stoffe di seta, tutti accu­ratamente riprodotti nella gouache che illustra il Libro di Memorie dell'Impe­ratore Jahangir.

Dominano, in scene come questa, cal­ma e lusso — sembra mancare la volupté, che però era certo ben presente nella vita reale — e li ritroviamo anche nell'im­magine del Principe Salim con studiosi e amici in un giardino (fig. 4). Qui l'au­stero e compreso atteggiamento dei par­tecipanti al dotto consesso è sottolineato ed esaltato dalla presenza dei conforts dì origine straniera, dalle coppe in porcel­lana cinesi agli oggetti in vetro europei ed ai tendaggi in velluto ottomani.

Il lusso è dappertutto: nelle bottiglie in

giada intarsiate in oro, rubini e smeraldi (fig. 5) o nei bicchieri in argento, nei contenitori in oro e smalto o nelle huqqa — le pipe ad acqua — in argento, oro e smalto (fig. 6).

La calma — e, perché no, la voluttà — la si cerca, e la si trova, al riparo delle tende riccamente decorate con motivi floreali ed a colori vivacissimi, che ave­vano cosi larga parte nella vita di rela­zione, e negli spostamenti, della famiglia imperiale e dei suoi potenti vassalli. Splendide soprattutto quelle appartenute al celebre Tippu Sahib, forse l'ultimo dei grandi oppositori al lento ma inarresta­bile prevalere del dominio inglese.

Ma, con l'arrivo degli europei, la cal­ma prima e poi, più lentamente, il lusso erano destinati a venir meno. Sarebbero bastati cento anni di "illuminata" colo­nizzazione britannica a trasferire in ma­ni inglesi i quattro quinti dei preziosi oggetti presenti in questa mostra.

L.M. 103