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ANIEM Rassegna Stampa del 17/07/2017 La proprietà intellettuale degli articoli è delle fonti (quotidiani o altro) specificate all'inizio degli stessi; ogni riproduzione totale o parziale del loro contenuto per fini che esulano da un utilizzo di Rassegna Stampa è compiuta sotto la responsabilità di chi la esegue; MIMESI s.r.l. declina ogni responsabilità derivante da un uso improprio dello strumento o comunque non conforme a quanto specificato nei contratti di adesione al servizio.

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ANIEM

Rassegna Stampa del 17/07/2017

La proprietà intellettuale degli articoli è delle fonti (quotidiani o altro) specificate all'inizio degli stessi; ogni riproduzione totale o

parziale del loro contenuto per fini che esulano da un utilizzo di Rassegna Stampa è compiuta sotto la responsabilità di chi la

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INDICE

ANIEM

15/07/2017 Primo Piano Molise 11

Imprese allo stremo e fondi in ritardo, l'Acem: la Regione li sblocchi

15/07/2017 Quotidiano del Molise 12

Pagamenti lavori pubblici, l'Acem: "Non si perda altro tempo"

ANIEM WEB Il capitolo non contiene articoli

SCENARIO EDILIZIA

16/07/2017 Corriere della Sera - Brescia 14

Casazza compie 50 anni Ora il quartiere è maturo con tante potenzialità

17/07/2017 Corriere L'Economia 16

Guardando il mondo da un container (che sia made in Italy)

17/07/2017 Il Sole 24 Ore 17

I certificati volontari per gli edifici «green»

17/07/2017 Il Sole 24 Ore 19

Nuovi forfettari: limite di ricavi riferito ai mesi d'esercizio

16/07/2017 La Repubblica - Genova 22

Albenga, controlli anti caporalato nei campi

15/07/2017 La Repubblica - Torino 23

Paglia legno argilla la bio-edilizia di Green Think

17/07/2017 La Repubblica - Affari Finanza 24

Portopiccolo, Trieste sogna la sua Costa Smeralda

17/07/2017 La Stampa - Nazionale 26

Case da ristrutturare, il risparmio è fino al 35%

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16/07/2017 La Stampa - Torino 27

Voci di Falchera. Come se qui non fosse Torino

17/07/2017 ItaliaOggi Sette 30

Lavoro nero? Doppie sanzioni

16/07/2017 Avvenire - Roma 32

Verso la rigenerazione urbana per rilanciare il territorio

16/07/2017 Il Fatto Quotidiano 33

Spiagge, scuole e quartieri: è l ' Italia sfregiata

16/07/2017 Il Manifesto - Nazionale 37

La storia di Mohamed, dalla Somalia all'inferno libico alla nuova vita in Italia

15/07/2017 QN - Il Resto del Carlino - Pesaro 38

«Fondi edilizia pubblica sono rimasti nel cassetto»

15/07/2017 QN - Il Giorno - Nazionale 39

L'edilizia tenta la risalita «Ma il codice appalti e il fisco frenano ancora il mattone»

15/07/2017 Il Secolo XIX - La Spezia 40

Un'offerta a 360 gradi per la "Casa della vita "

15/07/2017 Left 41

Post terremoto, manca il personale per il recupero

SCENARIO ECONOMIA

17/07/2017 Corriere della Sera - Nazionale 44

Fisco semplice ?

17/07/2017 Corriere della Sera - Nazionale 46

Le mani della Cina sui porti del mondo La Via della Seta passerà dall'Artico

16/07/2017 Corriere della Sera - Nazionale 47

la ripresa cammina il lavoro no

16/07/2017 Corriere della Sera - Nazionale 49

Il bonus da 80 euro? Oltre la metà per i consumi

16/07/2017 Corriere della Sera - Nazionale 50

Comuni, in cinque anni triplicati i dissesti Su 556 fallimenti oltre 400 sono al Sud

15/07/2017 Corriere della Sera - Nazionale 52

«L'ex premier? Un disco rotto»

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15/07/2017 Corriere della Sera - Nazionale 55

Ape social e precoci, graduatorie entro ottobre

15/07/2017 Corriere della Sera - Nazionale 56

Il cantiere di Intesa Sanpaolo-Venete Ecco l'accordo sulle 4.000 uscite

15/07/2017 Corriere della Sera - Nazionale 58

Telecom, il pressing della Consob sullo scontro Vivendi-Cattaneo

17/07/2017 Corriere L'Economia 60

In 8 anni il mattone ha reso più dei btp

17/07/2017 Corriere L'Economia 63

Cambiare il fiscal compact

17/07/2017 Corriere L'Economia 64

Brexit nel bilancio? Il divorzio c'è (ma non si vede)

17/07/2017 Corriere L'Economia 66

Banche, il nodo delle nomine L'ecommerce? Strada obbligata

17/07/2017 Il Sole 24 Ore 68

Una flat tax ma ben temperata

17/07/2017 Il Sole 24 Ore 70

Nuovi voucher, i chiarimenti per le famiglie e le imprese

17/07/2017 Il Sole 24 Ore 74

Due miliardi sulla Via della Seta

17/07/2017 Il Sole 24 Ore 76

Al 5 per mille si dà sempre più credito

16/07/2017 Il Sole 24 Ore 78

Pensioni, costa 141 miliardi (fino al 2035) lo stop a 67 anni

16/07/2017 Il Sole 24 Ore 80

Rientro dei capitali a rilento: 6.500 domande (su 27mila)

16/07/2017 Il Sole 24 Ore 82

È nella Costituzione il primo no alla flat tax

16/07/2017 Il Sole 24 Ore 84

Brexit, ecco il piano delle banche

16/07/2017 Il Sole 24 Ore 86

Più investimenti corporate per rilanciare l'Italia

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16/07/2017 Il Sole 24 Ore 87

Padoan: il futuro Ue non si gioca sul «sì o no» al Fiscal compact*

15/07/2017 Il Sole 24 Ore 89

Le banche, l'Europa e l'Italia convalescente

15/07/2017 Il Sole 24 Ore 91

Piaccia o no, la flat tax significa trasparenza

15/07/2017 Il Sole 24 Ore 93

Calenda: «Taglio al cuneo, sostegno agli investimenti e produttività»

15/07/2017 Il Sole 24 Ore 96

Esma all'attacco dei «furbetti» della Brexit

15/07/2017 Il Sole 24 Ore 98

Bankitalia rialza le stime: Pil 2017 +1,4%

17/07/2017 La Repubblica - Nazionale

I ricchi mandarini di Stato allergici alla trasparenza

100

16/07/2017 La Repubblica - Nazionale

I veri risparmi dello Stato con la spending review

102

16/07/2017 La Repubblica - Nazionale

Aeroporti, 2017 d'oro Nei primi cinque mesi passeggeri su del 6,4%

104

15/07/2017 La Repubblica - Nazionale

Ma ora siamo tutti più fragili

106

15/07/2017 La Repubblica - Nazionale

L'Italia ora vede la speranza "Il 2019 cancellerà la crisi"*

107

15/07/2017 La Repubblica - Nazionale

Ma così il Grande freddo ci ha cambiato la vita

109

17/07/2017 La Repubblica - Affari Finanza

Cdp, Anima e Poste alla partita del risparmio gestito

111

17/07/2017 La Repubblica - Affari Finanza

Ruggiero: "Tiscali finalmente fa utili "

113

17/07/2017 La Repubblica - Affari Finanza

Npl, la riscossa di Unicredit ora ha il portafoglio crediti più "pulito" del sistema

115

17/07/2017 La Repubblica - Affari Finanza

Atlante, la fase 3 parte con Cerved sfiderà la Sga pubblica e i fondi privati

117

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17/07/2017 La Repubblica - Affari Finanza

WALL STREET TREMA IN USA ARRIVA LA CLASS ACTION CONTRO LE BANCHE

119

17/07/2017 La Repubblica - Affari Finanza

"Credito, utility, torri: è tempo di fusioni" la ricetta dei ceo a rapporto da

Mediobanca

120

17/07/2017 La Repubblica - Affari Finanza

Città d'arte, mari, monti e terme Il turismo vale il 4,2% del Pil

122

17/07/2017 La Repubblica - Affari Finanza

"Sgravi e incentivi ai manager per entrare nel capitale delle Pmi"

124

16/07/2017 L'Espresso

E sull'Ocse sventola l'uguaglianza

126

17/07/2017 La Stampa - Nazionale

LA MOSSA PER EVITARE LA CRISI

131

16/07/2017 La Stampa - Nazionale

La ripresa c'è ma ancora non la vediamo

132

16/07/2017 La Stampa - Nazionale

Così la rivoluzione digitale è fallita Anche l'anagrafe unica fa flop

133

15/07/2017 La Stampa - Nazionale

Auto, rallenta la crescita Spuntano i saldi di luglio

135

16/07/2017 Il Messaggero - Nazionale

Il Tesoro a caccia di investitori

136

SCENARIO PMI

16/07/2017 Corriere della Sera - Brescia

la ripresa al microscopio

138

17/07/2017 Corriere L'Economia

Turismo e spettacolo coppia d'assi

139

17/07/2017 Il Sole 24 Ore

Più conveniente investire in start up

141

15/07/2017 Il Sole 24 Ore

Scarpe di lusso, ricavi oltre i 2 miliardi

143

15/07/2017 Il Sole 24 Ore

Sull'Aim di Piazza Affari un'Ipo al giorno

144

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15/07/2017 Il Sole 24 Ore

Accordo nel settore degli advisor Cassiopea si allea con Finer

145

17/07/2017 La Repubblica - Affari Finanza

Pattern si allarga nell'alta moda con Studio Roscini

146

15/07/2017 Milano Finanza

Chi acquista i non performing loans, chi li gestisce, chi li riscuote (e come...)

147

15/07/2017 Milano Finanza

I signori degli npl

148

15/07/2017 Milano Finanza

Il valore della selezione

152

17/07/2017 ItaliaOggi Sette

Conoscere il mondo del cliente

153

17/07/2017 Corriere del Mezzogiorno Economia

L'uomo di Netcom che sogna (al sud) la silicon valley

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ANIEM

2 articoli

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ANIEM - Rassegna Stampa 17/07/2017 9

15/07/2017

Pag. 2 Primo Piano Molise

L'appello

Imprese allo stremo e fondi in ritardo, l' Acem : la Regione li sblocchi

CAMPOBASSO. L'Acem si appella ancora una volta alla Regione. La richiesta è di sbloccare

immediatamente e senza perdere ulteriore tempo le risorse disponibili destinate agli appalti pubblici. Nelle

scorse settimane proprio dalla Regione sono arrivate rassicurazioni circa lo sblocco entro la metà di luglio

di una tranche di fondi che dovrebbe, sia pur in parte, soddisfare i crediti maturati dalle aziende per i lavori

effettuati. Essendo giunta la metà del mese, l'Acem rinnova la sua richiesta, sottolineando che «anche un

giorno è di cruciale importanza per la sopravvivenza di un'azienda, soprattutto se si tiene conto che le

risorse devono essere prima trasferite alle stazioni appaltanti e poi da queste ultime alle imprese, con

ulteriori ritardi e con il rischio di ulteriori slittamenti dovuti all'imminente periodo feriale». L'associazione

rafforza il suo allarme, infine, rimarcando che le imprese non sono in condizione di sopportare ulteriori

ritardi.

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ANIEM - Rassegna Stampa 17/07/2017 10

15/07/2017

Pag. 2

"Sbloccare subito le risorse disponibili, ogni giorno è cruciale"

Pagamenti lavori pubblici, l' Acem : "Non si perda altro tempo"

A seguito degli incontri avuti nelle scorse settimane in Regione, - scrivono dall'Acem le imprese hanno per

l'ennesima volta riposto fiducia nelle rassicurazioni circa lo sblocco entro la metà del mese di luglio di una

tranche di risorse che dovrebbe, sia pur in parte, soddisfare i crediti maturati dalle aziende per l'esecuzione

di appalti pubblici. Essendo giunta la metà del mese, l'Acem fa appello alla Regione Molise al fine di

sbloccare immediatamente e senza perdere ulteriore tempo le risorse disponibili, sottolineando che anche

un giorno è di cruciale importanza per la sopravvivenza di un'azienda, soprattutto se si tiene conto che le

risorse devono essere prima trasferite alle stazioni appaltanti e poi da queste ultime alle imprese, con

ulteriori ritardi e con il rischio di ulteriori slittamenti dovuti all'imminente periodo feriale. L'Associazione - si

chiude la nota - evidenzia che le imprese non sono in condizione di sopportare ulteriori lungaggini.

Foto: Corrado Di Niro

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SCENARIO EDILIZIA

17 articoli

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 14

16/07/2017

Pag. 3 Ed. Brescia

diffusione:245885

tiratura:332759

La storia

Casazza compie 50 anni Ora il quartiere è maturo con tante potenzialità

Da posto poco raccomandabile a periferia ben servita Claudio Buizza

È un periodo limitatissimo rispetto alla storia millenaria delle città europee, Brescia compresa, cresciute

lentamente, attraverso sostituzioni, ampliamenti, densificazioni. Quando la città antica ha «rotto gli argini»

artificiali o naturali la crescita urbana ha invaso ed occupato la campagna. È il caso del Casazza, primo

vero esperimento, 50 anni fa, di nuovo quartiere di edilizia sociale pubblica a Brescia.

Nel 1962 fu approvata la legge 167 «Disposizioni per favorire l'acquisizione di aree fabbricabili per l'edilizia

economica e popolare». Il Comune di Brescia , attuando un politica lungimirante e per nulla scontata,

predispose i piani di zona in applicazione della legge che consentiva l'esproprio dei terreni agricoli per

favorire la costruzione di edilizia pubblica. Fino al 1970 circa Casazza era campagna prossima alla città.

Nacque perciò dal nulla.

Ogni quartiere ha una sua storia. Una storia antica per i quartieri sorti in attorno o in prossimità dei nuclei

storici. Una storia più recente per quelli nati dal nulla, che non hanno visto e vissuto le modificazioni. Ma

anche per essi è importante conoscere le origini e trasmetterla alle nuove generazioni che hanno bisogno

di storia. Gli edifici abitativi furono realizzati in gran parte dallo Iacp (oggi Aler). Sia le tipologie edilizie che i

nuovi abitanti che le abitavano furono motivo di problemi reali e presunti.

I complessi di appartamenti erano «casermoni» non in linea con le aspettative generalizzate. I villaggi

Marcolini erano sorti in tutta la cintura urbana. Le casette singole e bifamiliari rappresentavano

l'aspirazione.

Le nuove abitazioni furono destinate secondo le graduatorie a nuclei familiari numerosi e spesso con

difficoltà. I nuovi operai provenienti dal sud oppure abitanti del Carmine: i carmelitani. Ciò provocò problemi.

Il basso tasso di scolarità, la mancanza di una rete associativa locale non favorì la formazione di un tessuto

sociale equilibrato fondato sul buon vicinato. Ma Casazza nacque anche come tentativo di realizzare una

parte di città ben dotata di servizi e strutture pubbliche.

Nel 1972 il sindaco Boni, accompagnato dal professor Abba, inaugurò il primo asilo nido comunale come

risposta della condizione della donna nella società: la donna lavoratrice che ha perciò la necessità di

strutture che si prendano cura dei figli più piccoli.

A seguire fu progettato nel 1975 il primo centro sociale accanto a chiesa ed oratorio, dando così vita al

nucleo centrale del quartiere cui si aggiunsero in seguito i plessi scolastici, un bel parco pubblico ed i primi

negozi.

Nel 1976 furono appaltati i lavori per la costruzione delle due torri di dodici piani per 96 appartamenti.

La stampa dell'epoca, così come gli abitanti, le definivano «grattacieli». Così nell'arco di un decennio il

quartiere assunse la sua forma definitiva che si conservò fino all'ultimo intervento che sostituì le

falegnamerie Pè, dismesse da anni: il complesso Futura.

Ora a cinquant'anni dalla nascita è tempo di bilanci. Casazza è un esempio di piccolo quartiere nato e

costruito come progetto di urbanizzazione pubblica che ha ricercato un equilibrio tra abitare e servizi per il

quartiere. Nel corso di 50 anni la struttura della popolazione è cambiata. I residenti sono invecchiati, sono

calati di quasi mille unità tra il 1993 ed il 2014, il radicamento ed il senso di appartenenza si sono in

qualche misura affermati. Si è determinato un certo cambiamento di ceti sociali dovuto proprio al fatto che il

quartiere ha oggi raggiunto un suo equilibrio, è ben servito, ha una media densità edilizia ma è ricco di

verde.

I problemi delle origini che facevano definire Casazza un «quartiere poco raccomandabile», sono in larga

misura superati. La presenza di popolazione straniera è inferiore (13,4) alla media comunale (18,7%).

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 15

16/07/2017

Pag. 3 Ed. Brescia

diffusione:245885

tiratura:332759

Casazza è la prova provata di un principio spesso dimenticato: un nuovo quartiere per trovare un suo

equilibrio interno ha bisogno di 50 anni di vita. Che i servizi siano completati, che il verde raggiunga la

maturità, che le attività commerciali raggiungano un grado di servizio adeguato ai bisogni.

La fermata del metrobus costituisce un elemento di innovazione e ricchezza formidabili che va valorizzato.

Una rete di percorsi pedonali dal quartiere alla fermata dovrebbe costituire la nuova ossatura pubblica.

E a distanza di 50 anni si vedono però anche i limiti. Gli spazi pubblici scoperti e in struttura sono datati e

necessitano di manutenzioni ed adeguamenti: marciapiedi, attraversamenti pedonali e ciclabili, rallentatori

di velocità, spazi di sosta meglio riorganizzato, una struttura commerciale di maggior qualità. Il centro

Futura ha privilegiato il rapporto con Via Triumplina piuttosto che con il quartiere e servirebbe pensare a

qualche rimedio, il centro socio culturale va ripensato alla luce dei cambiamenti intervenuti.

Ma, nel complesso, Casazza dopo 50 anni di vita e di cambiamenti ha retto, è diventato un quartiere in cui

abitare non è più così faticoso e lo sguardo verso il futuro lascia intravvedere soprattutto possibilità di

miglioramento.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Foto: Zona nord della città Il quartiere Casazza e le sue case popolari (LaPresse)

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 16

17/07/2017

Pag. 33 N.27 - 17 luglio 2017

Guardando il mondo da un container (che sia made in Italy)

Una città d'oro in movimento. A Jermuk, in Armenia, la Edilsider, azienda a controllo familiare dalla

provincia di Lecco, sta ultimando la costruzione di una distesa di container per 1.200 operai, impegnati a

estrarre oro dalla montagna. Gli edifici modulari «sono una città con dormitori, uffici, ospedali, mense,

bagni, estesa su 7 mila metri quadri dove vivono e lavorano 1.200 persone», racconta Carlo Spada,

amministratore delegato dell'impresa di Calolziocorte.

Con dieci brevetti e 50 milioni di fatturato, dagli anni Sessanta Edilsider produce prefabbricati e container

per edilizia e infrastrutture civili o grandi opere dell' oil&gas , minerario e militare, dall'Africa alla Georgia,

dal Canada all'Australia. Immaginate un deserto su cui, «partendo dalle fogne si deve allacciare il sistema

elettrico, l'acqua, il riscaldamento, fare strade, alzare muri e pensare agli interni». Tutto in pochi mesi. Un

campo costa in media 10 milioni. «Dipende se si usa manodopera locale, come ci è capitato per una diga in

Georgia, oppure design made in Italy, come in Armenia».

Gli isolamenti di Edilsider si adattano a tutte le temperature. Il campo d'oro in Armenia «è un reticolo di

corridoi modulari sempre coperto, vista la neve, ed è montato su palafitte che si staccano 35 centimetri dal

terreno. Una spianata di cemento armato sarebbe costata troppo», dice Spada. I container prevedono una

parte fissa e una temporanea, che si può smontare e ricollocare. Come nel caso di Expo a Milano, nel

2015. L'azienda di Lecco ha costruito gli alloggi per i lavoratori, la Regione Lombardia li ha smantellati e

venduti alla Astaldi, che lavora a una ferrovia nel Brennero. E oltre l'Armenia, quali progetti? Dice il

manager: «Abbiamo da poco concluso un campo base per i lavoratori dell'Alta velocità Milano-Genova. I

nostri competitor? Turchi e cinesi. Ma il mondo è grande e in Africa c'è ancora tanto da fare».

Barbara Millucci

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Foto: Carlo Spada, amministratore delegato di Edilsider, carpenteria metallica di Calolziocorte (Lecco)

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EDILIZIA E AMBIENTE

I certificati volontari per gli edifici «green»

Silvio Rezzonico Maria Chiara Voci

pagina 21 pIn attesa di vedere se e quale seguito avrà la proposta per rendere obbligatoria la certificazione

di stabilità degli edifici - avanzata dal ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio e contestata dalla

proprietà edilizia - si diffondono in Italia i protocolli di sostenibilità per gli immobili su base volontaria.

Strumenti che sono attivi da almeno dieci anni e in crescita negli ultimi tempi, che servono a garantire le

performance di un fabbricato (residenziale, ma anche del terziario) sulla base di un ventaglio di criteri molto

più ampio di quello definito dalla norma nazionale e che hanno rappresentato e rappresentano uno stimolo

importante per diffondere la cultura dell'ecocompatibilità in edilizia, oltre che per aprire nuovi mercati.

Ottenere uno di questi sigilli comporta un costo sia in termini di maggiore investimento nella

progettazione/costruzione, sia per il rilascio della targa green. In genere le cifre sono calcolate in

proporzione alla superficie da certificare e alla complessità tecnica dell' immobile. Allo stesso modo, costa

anche per i progettisti formarsi per rispondere alle necessità di chi vuole affrontare un percorso di

validazione. I numeri Sono tre, in particolare, i protocolli di sostenibilità volontari più diffusi nel nostro

Paese: CasaClima, Leed e Passivhaus. A questi, si aggiunge il protocollo Itaca, strumento di valutazione

sviluppato dall'omonimo istituto con la collaborazione tecnico•scientifica di Itc•Cnr e dell'organizzazione no

profit iiSBE Italia, che più che un sigillo volontario è lo standard di riferimento per gli immobili realizzati a

partire da bandi e contribuzioni pubbliche. Quattro modelli, con differenze sostanziali. CasaClima, con oltre

13mila case certificate, guarda soprattutto al residenziale ed è diventato un simbolo di qualità, anche al Sud

Italia. Passivhaus arriva dalla Germania e, con numeri ancora ridotti, ma in crescita rappresenta

un'alternativa al primo. Leedè il leader incontrastato per la grande taglia (soprattutto terziaria): ottenerlo

significa esporre un marchio che ha valore in tutto il mondo. Non a caso fra i progetti che hanno ottenuto il

sigillo ci sono le sedi di Zara e Baxter a Roma, Vodafone, Morgan Stanley, Gucci a Milano, Italcementia

Bergamo, Unipol a Bologna, il grattacielo di Intesa San Paolo a Torino e la sede di Bottega Veneta a

Vicenza. Infine Itaca, sviluppato da un gruppo interregionale della Pa, rappresenta il punto di riferimento

pubblico. È stato adottato (e declinato) da 12 regioni e dalla provincia di Trento. Cosa attestano Se la

certificazione energetica nazionale si basa soprattutto sull'osservazione delle prestazioni di un edificio in

termini di risparmio energetico, i protocolli volontari spostano il proprio focus sul complesso dell'edificio.

CasaClima, ad esempio, ne valuta prima di tutto l'efficienza dell'involucro: il principio da cui è sempre

partito lo standard (che poi si è sviluppato anche su altri aspetti e con protocolli paralleli a quello base) è

che ridurre alla fonte la richiesta di energia sia il migliore modo per abbassare i consumi. Sulla performance

dell'edificio è incentrato anche Passivhaus, che prevede • quale elemento essenziale per conseguire il sigillo•

il cosiddetto Blower door test o test di tenuta all'aria. Il sistema di rating Leed • già nella sua versione base •

valuta l'impatto ambientale di un fabbricato considerando una pluralità di dimensioni: non solo l'efficienza

energetica, ma anche la scelta del sito di costruzione, la gestione efficiente dell'acqua,i materiali impiegati

negli edifici, lo smaltimento dei rifiuti, il comfort e la salubrità degli spazi interni. Così anche l'italiano Itaca: il

protocollo pesa la sostenibilità dell'edificio in funzione di un ventaglio ampio di fattori ed è basato sullo

strumento di valutazione internazionale SBTool. Chi li rilascia A seconda del protocollo, il rilascio è

centralizzato o locale. Il primo schema (quello che, sulla carta, permette un controllo più capillare) è il

modello scelto ad esempio da Casa Clima. Ma lo stesso fa Leed: il sigilloqualsiasi sia il Paese • arriva da• gli

Stati Uniti. La differenza è che nel primo caso, l'agenzia di Bolzano si avvale di una rete capillare di

professionisti abilitati sul territorio. Nel secondo, Leed ha un comitato italiano e una rete di professionisti e

aziende che si riconoscono nel marchio e lo promuovono, ma non hanno dovuto seguire corsi o superare

esami ad hoc. Nel caso di Passivhaus sono direttamente i certificatori accreditati che firmano il documento:

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deve essere però redatto e conforme secondo gli output richiesti dal software di calcolo Phpp, distribuito in

Italia dall'istituto Zephir Passivhaus Italia. Le altre esperienze L'ultimo in ordine di tempo• tra quelli che si

sono affacciati sul mercato italiano • si chiama Well building standard ed è un sistema nato, nell'emisfero

Leed, per misurare la salubrità dell'ambiente, attraverso l'analisi della qualità di aria, acqua, alimentazione,

luce, comfort e condizione psico•fisica degli abitanti. Il più visionarioè il Living building challenge, che punta

alla costruzione di case capaci di rigenerarsi come alberi, sfruttando le sole risorse presenti sul sito in cui

sono costruite. Altri rispondono allo sviluppo in Italia di esperienze attive all'esterno: come l'inglese Breeam,

il francese Hqe o lo svizzero Minergie. A necessità di comparto: come Arca per le case in legno. O a

iniziative di professionisti, attivi nel settore della sostenibilità: è il caso degli standard Phi (Passive house

institute Italia) o da Activhouse Italia.Gli strumenti principali CASACLIMA

Promosso dall'agenzia CasaClima di Bolzano (ente della Provincia autonoma ), il protocollo esiste da 15

annie sonoo ltre 13mila gli edifici certificati nel nostro Paese (molti residenziali).È obbligatorio in Alto Adigee

volontario nel resto d'Italia. È nato con unf ocus sull'efficienza dell'involucro ma negli anniè stato ampliato

alla valutazione degli impianti. Tre le classi: B,Ae Gold. In parallelo, sono nate le certificazioni CasaClima

Nature (salubritàe comfort dell'edificio)e quelle dedicatea immobili con funzioni specifiche (hotel, scuole,

work&life, welcome peri b&b, wine per le cantine). Il certificatoè sempre rilasciato dall'agenzia, che

collabora con oltre 750 consulenti riconosciuti. Il costo base va da 1.500 euro (finoa 300 mq)a oltre 5mila

(soprai 2mila mq) LEED Arriva dagli Stati Uniti, doveè nato nel 1993 come standard per le nuove

costruzioni edè cresciuto come sistema di protocolli differenti (previsto anche un Leed sui progetti d'internie

uno sui quartieri urbani). Valuta tutti gli aspetti di un immobile: dal sito fino alla sostenibilità di tecnologie,

soluzionie materiali. Èlo standard più diffuso nel mondo: il certificatoè sempre rilasciato dall'ente terzo

riconosciutoa livello mondiale. In Italia, il Green building councilèa Rovereto. Dal 2008 sono1 66 gli edifici

certificati su 472 procedure in corso. Sono immobili soprattutto per il terziario di grandi dimensioni, anche

se si sta sviluppando il protocollo Leed for homes (taglio medio•piccolo). Il costo varia peri sociei non soci:

peri primi va da 2.850 dollari (circa 20mila mq) a 27.500 dollari (circa 70mila mq) più la registrazione (1.200

dollari) PASSIVHAUS Natoa maggio 1988 da una collaborazione tra l'università di Lund in Sveziae l'istituto

per l'ambientee l'edilizia in Germania. Sono 46i progetti validati in Italiae una sessantina quelli in

certificazione (oltre 40milaa livello mondiale). Gli standard sono due: Passivhaus per la nuova costruzionee

EnerPHit per la ristrutturazione. Le classi tre: Classic, Pluse Premium (in funzione della quota di rinnovabili

installata). A rilasciare il sigillo (che prende in esame diversi aspetti di efficienzae richiede il superamento di

un test di tenuta all'aria) sonoi certificatori, accreditati dal Passivhaus institut internazionale (circa 30 in

Italia).I calcoli si basano sul software Phpp, distribuito in Italia da Zephir Passivhaus Italia, istituto fondato

nel 2011a Pergine Valsugana.I costi variano dai 12 ai 25 euro al mq in funzione della complessità del

progetto

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L'ESPERTO RISPONDE

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CONTRIBUENTI MINIMI Il regime agevolato

Nuovi forfettari: limite di ricavi riferito ai mesi d'esercizio

Incassi «presunti» per le attività avviate in corso d'anno Paolo Meneghetti

IL QUESITO II prossimo autunno, credo con decorrenza dal 1 ° ottobre, aprirò la partita Iva per svolgere

l'attività di elettricista. Fino alla scorsa primavera ho lavorato in una ditta di elettronica e da maggio sono

disoccupato. Essendo in fase di avvio, e presupponendo di non avere inizialmente un grande giro d'affari,

vorrei sapere se potrò avere accesso al regime forfettario, quali limiti di ricavi dovrò rispettare e quali spese

potrò scaricare (affitto del locale uso magazzino in condivisione con un collega e acquisto di beni

strumentali per circa3.500 euro). C.D.-ALESSANDRIA Lattuale scenario normativo prevede che, in

presenza di determinati requisiti, si possa accedere direttamente al regime cosiddetto "forfettario"

(introdotto dalla legge 190/14), che si presenta dunque comeunregime "naturale"; e che è possibile non

applicare solo esercitando un'opzione a favore del regime semplificato a determinazione analitica dell'Iva e

del reddito. I requisiti necessari II primo requisito da verificare è rappresentato dall'ammontare dei ricavi

che si presume di incassare nella frazione di anno che va dall'inizio della attività (nella circostanza in

esame, i° ottobre) sino alla fine dell'esercizio. Infatti, a seconda del tipo di attività eseguita, vi sono tetti

massimi di ricavi che delimitano l'applicazione del forfettario. Nel caso dell'elettricista (ipotizzando che il

codice Ateco scelto sia il 43.21.0), il tetto è fissato in 25mila euro annui e va ragguagliato ai tre mesi di

esercizio dell'attivitàneboiy. In altri termini, se si prevede di incassare non più di 6.250 euro nel corso di

quest'anno, la prima condizione è soddisfatta. Gli altri requisiti consistono nel detenere, a fine esercizio

2017, un ammontare di beni strumentali non superiore a 2omila euro (esclusi eventuali immobili detenuti

nell'ambito dell'attività imprenditoriale), non aver sostenuto spese per lavoro dipendente e compensi erogati

a collaboratori per un valore superiore a 5mila euro, e non aver percepito nel 2016 redditi da lavoro

dipendente oltre i jomila euro. Nell'ipotesi in esame - trattandosi di inizio attività-i ricavi devono essere

"previsti"; l'ammontare dei beni strumentali va verificato alla data di chiusura dell'esercizio (manel quesito si

indica comunque una cifra che saràdecisamenteminorea2omilaeuro);mentreillimitemassimodireddito da

lavoro dipendente va verificato rispetto all'anno 2016. Appurati tali requisiti, il contribuente accederà in via

naturale al regime forfettario. Comunicazione e redditi Dal punto di vista pratico, in sede di inizio di attività

(modello AA9/12), è necessario comunicare l'adesione al regime forfettario. Ma questa comunicazione non

costituisce un'opzione, quindi non ha valore costitutivo, ed è richiesta soltanto ai fini di ricognizione

anagrafica (come chiarisce la circolare 10/E del 4 aprile 2016, paragrafo 2.4.2): pertanto, la sua omissione

non preclude l'accesso al regime forfettario, ma rappresenta un comportamento sanzionabile conun

importo che va da 250 a 2mila euro. Una volta entrati nel regime agevolato, occorre considerare che il

reddito viene determinato applicando ai ricavi effettivamente incassati unapercentuale che variainbase alla

categoria economica cui appartiene l'attività esercitata. Nel dettaglio, il coefficiente di redditività per l'attività

di elettricista, che appartiene al gruppo 43 dei codici Ateco, è stabilito nell'86%: vale a dire che, se nel 2017

vengono incassati mille euro, il reddito che ne deriva è pari a 860 euro. Tale modalità di determinazione

rende del tutto inutile valutare quali costi sarebbe necessario documentare, poiché si tratta di elementi

irrilevanti dal punto di vista fiscale. Circa la deducibilità dei costi (nel quesito sifariferimento ad esempio

all'affitto del capannone), la risposta è semplice: nessun costo è analiticamente deducibile, perché sono

tutti sostituiti dalladifferenzatr aricavi e coefficiente di redditività; nel caso dell'elettricista, pari a quel 14%

(complementare al coefficiente dell'86%) che permette di "ridurre" i ricavi incassati per arrivare al reddito

netto tassabile. Le aliquote di tassazione Per quanto concerne la tassazione, nel regime forfettario essa

avviene tramite un'imposta sostitutiva del 5%o deli5%, asecondadelfatto chesi tratti o meno di nuova

attività. Questo aspetto merita una riflessione, poiché nel caso in esame c'è un soggetto che intraprende sì

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L'ESPERTO RISPONDE

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una nuova attività, ma svolgendo mansioni simili a quelle che egli stesso eseguiva in qualità di lavoratore

dipendente. Lo status di nuova attività è assegnato a quelle che rispettano le condizioni indicate dall'articolo

27 del DI 98/n (ora abrogato), e richiamate dalla citata circolare 10/E/2016: «a) il contribuente non abbia

esercitato, nei tre anni precedenti l'inizio dell'attività(...), [altra] attivitàartistica, professionale ovvero

d'impresa, anche in forma associata o familiare; b) l'attività da esercitare non costituisca, in nessun modo,

mera prosecuzione di altra attività precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente o autonomo,

escluso il caso in cui l'attivitàprecedentemente svolta consista nel periodo di pratica obbligatoria ai fini

dell'esercizio di arti o professioni; c) qualora venga proseguitaun'attività svolta in precedenza da altro

soggetto, l'ammontare dei relativi ricavi e compensi, realizzati nel periodo d'impostaprecedente quello

diriconoscimento del predetto beneficio, non sia superiore ai limiti [per l'accesso al regime forfettario]». Il

controllo di tali condizioni è fondamentale, perché dall'eventuale esito positivo dipende lapossibilità di

applicare per cinque anni l'aliquota del 5%, in luogo di quella più elevata del 15%, che comunque scatterà a

partire dal sesto esercizio dellanuova attività. Nella situazione esposta dal lettore, l'elemento più delicato è

r e l a t i v o a l l a l e t t e r a b ) : c i o è d i m o s t r a r e c h e l a

nuovaattivitànoncostituiscaunameraprosecuzionediquellasvoltaprima in qualità di dipendente. Secondo la

prassi dell'agenzia delle Entrate, tale "meraprosecuzione" siverifica quando l'attività in concreto si rivolge

a l l a s t e s s a c l i e n t e l a ( p r i m a g e s t i t a d a l l ' a z i e n d a c h e e r a d a t r i c e d e l l ' a t t u a l e

lavoratoreautonomo)eutilizzandola stessa attrezzatura che in precedenza era di proprietà di quell'azienda.

Si tratta di aspetti che, nella situazione esposta, non sembrano emergere; quindi, salva la necessità di

eseguire un'indagine accurata sugli elementi sostanziali dellanuova attività, sipotrebbe affermare che siamo

di fronte a una "nuova attività", per la quale il reddito determinato forfettariamente è tassabile a titolo

definitivo con imposta sostitutiva del 5% fino al 2021. I casi risolti LA SITUAZIONE CONTABILITA

ORDINARIA CON OPZIONE NEL 2016 Un contribuente ha iniziato l'attività nel 2016 presentando i requisiti

per l'applicazione del regime semplificato. Ha invece esercitato l'opzione per la tenuta della contabilità

ordinaria. Quanto dura il vincolo tem porale di quest'opzione? CONTABILITA ORDINARIA CON OPZIONE

NEL 2017 Un contribuente ha iniziato l'attività nel 2017 presentando i requisiti per l'applicazione del regime

semplificato. Invece, ha preferito esercitare l'opzione per la tenuta della contabilità ordinaria. Qual è il

vincolo tem porale di tale opzione? REGIME SEMPLIFICATO CON OPZIONE NEL 2016 Un contribuente

ha iniziato l'attivita imprenditoriale individuale nel 2016, presentando i requisiti per il regime forfettario. Ha

però optato per l'applicazione del regime semplificato. Quale èia durata minima di questa opzione?

REGIME FORFETTARIO E NUOVA ATTIVITÀ Un architetto inizia l'attività nel 2017 con i requisiti del

regime forfettario. Egli è anche lavoratore dipendente presso un'azienda, a favore della quale segue i

cantieri aperti, con una retribuzione di 20mila euro annui. Scegliendo il regime forfettario potrà beneficiare

dell'aliquota ridotta del 5 % per i prim i cinque anni di attività? REGIME FORFETTARIO E RITENUTE

D'ACCONTO Un soggetto inizia un'attività professionale nel 2017 applicando il regime forfettario. Nel corso

dell'attività, egli pagherà altri professionisti. Dovrà subire la ritenuta d'acconto per le prestazione eseguite e

operarla nei confronti dei fornitori professionisti? RITENUTE PER LAVORI DI RISTRUTTURAZIONE Un

artigiano in regime forfettario esegue prestazioni di ristrutturazione edilizia, a fronte delle quali subisce, da

parte dell'istituto di credito attraverso cui viene eseguito il bonifico, la ritenuta d'acconto dell'8 per cento.

Come può il contribuente detrarre la ritenuta, visto che egli non dovrebbe subirla e assoggetta il reddito a

imposta sostitutiva? CESSIONE DI BENI E PLUSVALENZE Un soggetto forfettario ha acquistato nel corso

del 2015 un bene strumentale che oggi, nel 2017, vorrebbe rivendere generando una plusvalenza. Deve

assoggettare tale plusvalenza a imposta sostitutiva? E deve emettere una fattura con Iva?

LA SOLUZIONE L'opzione viene eseguita tramite comportamento concludente, cioè con la tenuta dei libri

contabili relativi al regime ordinario, e comunicata nella dichiarazione Iva. Presenta quindi un vincolo

annuale (ex articolo 3 del Dpr 442/1997), perché eseguita nel 2016, prima della modifica avvenuta nel

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L'ESPERTO RISPONDE

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2017. Anche qui l'opzione viene eseguita tramite comportamento concludente e quindi, come nel caso

precedente^ non vi sono particolari adempimenti. È stata tuttavia modificata la durata del vincolo di

permanenza nel regime optato, che a norma dell'articolo 18 del Dpr 600/73, così come rivisto dalla legge

232/16 presenta un vincolo triennale. L'opzione eseguita nel 2016 da chi era naturalmente forfettario ha

una valenza minima triennale (articolo 1, comma 70, legge 190/14). Ma il vincolo viene meno in presenza di

rilevanti modifiche normative, manifestate nel regime scelto (cioè quello semplificato, passato a

determinazione per cassa). Si può quindi abbandonare il vincolo triennale etornare nel forfettario già

nel2017. A chi inizia una nuova attività si applica il regime forfettario "start up", con imposta sostitutiva

ridotta per 5 anni al 5% (dall5% ordinario). L'attività deve essere peròin discontinuità rispetto al lavoro

dipendente svolto e quindi occorrerà attestare che i clienti non siano quelli gestiti nella veste di dipendente.

La retribuzione non oltre i30mila euro consente di applicareilforfettario. Chi aderisce alforfettario non

subisce alcuna ritenuta d'acconto sulle prestazioni che per legge sarebbero da assoggetta re a ritenuta,

come quelle professionali. E non opera alcuna ritenuta sui professionisti che eseguono prestazioni a suo

favore, anche se deveindicarneil nominativo nel proprio modello Redditi, a titolo di segnalazione anagrafica.

Nel caso delle prestazioni di ristrutturazione edilizia, la ritenuta viene comunque applicata dalle

bancheincaricate del pagamento. Per il forfettario la ritenuta va indicata nel quadro RS del modello Redditi

e poi riportata nel quadro LM (quindi scomputata dall'imposta sostitutiva), oppure nel quadro RN (e

scomputata dall'Irpef ordinaria). Il soggetto forfetta rio è escluso da Iva per tutte le operazioni eseguite

nell'ambito della sua attività. Emetterà dunque una semplice ricevuta, segnalando l'esclusione da Iva. La

plusvalenza non concorre a formareil reddito, poiché componente positivo diverso dai ricavi: quindi la

cessione del bene strumentale non sconta imposizione diretta.

Foto: L'INFORMAZIONE LA GESTIONE DELLE SPESE L'adesione va comunicata solo ai fini di

ricognizione anagrafica L'omissione è punita con una sanzione da 250 a 2mila euro I costi sostenuti non

possono essere analiticamente deducibili, perché i l coefficiente di redditività riduce già i proventi tassabili

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16/07/2017

Pag. 7 Ed. Genova

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IL BLITZ/ UN'OPERAZIONE DEI CARABINIERI

Albenga, controlli anti caporalato nei campi

Numerose persone identificate, alcune sanzioni ma nessuna violazione grave LUCIA MARCHIO'

UN controllo ad ampio raggio, dalle 8 del mattino alle 8 di sera, per contrastare il fenomeno del 'caporalato':

è quello svolto ieri dai Carabinieri della Compagnia di Albenga in collaborazione con i colleghi del Nucleo

CC Ispettorato del Lavoro di Savona, del NAS di Genova (Nucleo Antisofisticazioni e Sanità), della

Stazione Forestale di Albenga più il supporto dell'elicottero del 15° Nucleo Elicotteri di stanza a Villanova

d'Albenga, i quali hanno attuato una capillare ispezione del territorio ingauno, in particolar modo su aziende

agricole e cantieri edili. Come già avvenuto lo scorso gennaio, pure grazie a preliminari pianificazioni info-

operative in piena sinergia con i Carabinieri Forestali ingauni, è stato possibile effettuare delle vere e

proprie 'radiografie' delle aziende agricole e dei rispettivi lotti di terreno, nonché dei cantieri edili, poi

ispezionati.

I vari reparti specializzati dell'Arma hanno così provveduto ad accurate ispezioni, dalle verifiche in materia

di lavoro - il caporalato non è un fenomeno tipicamente ligure ma, spiegano i militari, questo tipo di crimine

viene tenuto d'occhio per verificare che il fenomeno non abbia attecchito come in altre regioni italiane - a

quelle tese ad accertare la corretta gestione dei fitosanitari ovvero di quegli agrofarmaci destinati al settore

agricolo e alimentare. Ma il bilancio delle ispezioni è quantomeno rassicurante: per quanto attiene ai

controlli delle aziende agricole (siamo in piena stagione del basilico) sono state registrate solo alcune

irregolarità, sanzionate amministrativamente, circa la corretta tenuta del registro dei trattamenti fitofarmaci

ed, in un caso, l'omessa comunicazione dell'assunzione di due lavoratori stranieri. Nei guai invece sono

finite alcune aziende operanti nel settore dell'edilizia: 4 sono state le denunce per violazioni penali in

materia di sicurezza sul lavoro, come omissione controllo interventi di sicurezza del cantiere, omessa

recinzione cantiere e protezione aperture verso il vuoto e/o ponteggi inadeguati. Tali reati sono stati

accertati dal Nucleo Carabinieri Ispettorato del Lavoro nei confronti di 2 cantieri edili presenti sulla piana

ingauna, in cui operavano più ditte. Durante le verifiche sono stati identificati 52 lavoratori extracomunitari e

comminate sanzioni per oltre 6mila euro.

Foto: NAS E FORESTALI Alle verifiche ha preso parte anche l'elicottero dell'Arma

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15/07/2017

Pag. 15 Ed. Torino

diffusione:218930

tiratura:316086

LA VISITA

Paglia legno argilla la bio-edilizia di Green Think

LEONARDO BIZZARO

UNA CASA di legno e paglia. Non è quella dei tre porcellini che il lupo abbatte con un soffio, ma un ampio

edificio residenziale in corso di costruzione a Coazze, Casa Gucia, che potrebbe però essere edificato, con

le dovute modifiche, anche in una grande città. Il cantiere innovativo in bio-edilizia è stato messo in piedi

dal gruppo di progettazione Green Think e questa mattina si apre alle visite, per convincere amche i più

refrattari al pensiero ecologico.

Gli architetti Filippo Caggiano, Piero Bosco, Susanna Tubiana, Simone Andreis e Maurizio Allegranza, con

l'ingegnere Claudio Di Taddeo - uomini, e donna, di progetto che non esitano a sporcarsi le mani - sono

convinti che questa possa essere l'edilizia del futuro e anche del presente. Legno, paglia e argilla a

chilometro zero, per vivere più sani.

Cantiere aperto Dalle 9 alle 12 a Coazze, info 338/3070472, [email protected]

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 24

17/07/2017

Pag. 21 N.27 - 17 luglio 2017

diffusione:400000

Portopiccolo, Trieste sogna la sua Costa Smeralda

APERTO TRE ANNI FA IL RESORT DEL BORGO TRA DUINO E MIRAMARE SEMBRA AVER PRESO IL VIA E IL GRUPPO DE ECCHER SI PREPARA AD INVESTIRE ALTRI 150 MILIONI Vito de Ceglia

In un paese "famoso" perlopiù per le opere incompiute e spesso inutili, tutto può accadere. Anche di

assistere ad una storia iniziata 40 anni fa, proseguita tra mille difficoltà, ostacoli burocratici ad oltranza e

passaggi di proprietà in corsa, ma poi conclusasi con un lieto fine. E' la storia di Portopiccolo: il nuovo

resort nato nella Baia di Sistiana, uno dei gioielli paesaggistici più suggestivi d'Italia che si affaccia a picco

sul mare dell'alto Adriatico. "Apri le finestre di un appartamento del borgo, e ti chiedi: come mai quasi

nessuno per tanti anni ha più considerato questo meraviglioso tratto di costa tra i castelli di Miramare e di

Duino, a una manciata di minuti da Trieste e a poco meno di un'ora da Venezia?". E' sempre questa la

domanda che arrovella Claudio de Eccher, chief strategist e azionista assieme al fratello Marco del colosso

friulano delle costruzioni Rizzani de Eccher, "contractor" internazionale nel settore dell'edilizia civile,

industriale e delle infrastrutture con un fatturato nel 2016 di quasi un miliardo di euro di cui il 95% realizzato

all'estero. Nel suo portafoglio ci sono opere come la Stazione Centrale di Milano, il grattacielo di Intesa

Sanpaolo a Torino, il Four Seasons Hotel di Baku, lo stadio di Mosca (400 milioni di euro, in fase di

realizzazione) e tanti ponti in giro per il mondo (Australia, Nord e Sud America, Medio Oriente e Vietnam). Il

gruppo friulano detiene la proprietà di Portopiccolo: un progetto che ha visto la Rizzani de Eccher

partecipare all'inizio come contractor, cioè soggetto sviluppatore dell'opera. E solo successivamente, dopo

alterne vicende, diventarne anche gestore acquisendo le quote di maggioranza dal fondo Rilke. "Chi aveva

portato avanti l'iniziativa non ha avuto la forza economica e la visione per realizzarla. Ci siamo trovati

esposti finanziariamente, e abbiamo preso tutto", spiega l'imprenditore. Una scommessa che oggi il gruppo

friulano può sostenere di avere vinto. "Nonostante le difficoltà che ci sono a lavorare in Italia, dove la

situazione nel settore edile è disastrosa", ammette de Eccher. A maggior ragione se si considera che

Portopiccolo rappresenta probabilmente uno dei più importanti progetti di riqualificazione ambientale

realizzati nel nostro Paese negli ultimi anni, per un investimento complessivo di 350 milioni di euro su

un'area di 350 mila metri quadrati. Costruito all'interno di una ex cava di pietra dismessa negli anni '70 e poi

abbandonata, la struttura - aperta al pubblico 3 anni fa - dà lavoro a circa 200 dipendenti e consta di 454

unità abitative: da 5.000 a 8.000 euro al metro quadro, a seconda della dimensione (da 50 a 500 metri

quadri) e della tipologia (casette del borgo, case a terrazza, ville e 4 penthouse), 1.220 posti auto interrati;

72 ascensori, un albergo di lusso, negozi, ristoranti, un beach club, 3 piscine, 116 ormeggi per barche fino

a 25 metri e una Spa. Il 70% del fabbisogno termico dell'intero complesso è inoltre alimentato da fonti

rinnovabili attraverso un sistema di pompe di calore che permettono di risparmiare il 45% di energia.

All'interno del resort gli unici mezzi consentiti per muoversi sono rigorosamente green. Basta un'occhiata

poi per capire che l'ispirazione architettonica, immaginata dall'architetto Francesco Luparelli, ma anche

quella del nome evoca note località turistiche di alto livello come Portofino, Porto Cervo e Porto Rotondo.

"In parte, è vero: è una rivisitazione di quei concetti", conferma de Eccher. "E' la missione che cambia:

quella di aver creato un borgo di mare dal nulla, ecosostenibile e certificato dal ministero dell'Ambiente".

Oggi il 70% degli appartamenti sono stati venduti. All'inizio gli acquirenti erano più italiani, ora sono

soprattutto stranieri: austriaci, tedeschi, belgi, sloveni, ungheresi e americani. Ma non è finita qui perché a

breve partirà la parte più "eclatante" dell'opera con 150 milioni di euro di investimenti previsti per sviluppare

la marina naturale della Baia di Sistiana, dove nascerà un porticciolo per yacht fino a 100 metri su un'area

di 250 metri quadri.

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 25

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diffusione:400000

Foto: Claudio de Eccher : guida con il fratello Marco il gruppo di costruzioni friulano Rizzani de Eccher

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 26

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Pag. 19

TUTTO SOLDI

diffusione:150427

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Case da ristrutturare, il risparmio è fino al 35%

Gli alloggi rinnovati aumentano poi di valore del 19% SANDRA RICCIO MILANO

L'immobile da ristrutturare è per molti una via obbligata. Il patrimonio di edifici del nostro Paese è costituito

per oltre il 50% da case con più di 50 anni sulle spalle, le costruzioni con pochi anni sono limitate. Molti

acquirenti preferiscono però l'usato perché permette di risparmiare sul budget di acquisto. Le quotazioni per

le case usate e da rimettere in sesto, in media, sono più basse del 35%. E' quanto emerge da un'analisi del

portale di annunci Casa.it che rileva picchi anche del 67% a Milano e del 49% a Bologna mentre Roma e

Torino si fermano al 29%. Non è il solo aspetto che invoglia a guardare all'usato. Al prezzo più basso si

aggiunge, infatti, il guadagno che si ottiene dalla rimessa in sesto. Secondo i calcoli fatti da Immobiliare.it e

Prontopro.it, dopo una ristrutturazione, il valore della casa sale del 19% (12% tolte le spese). Anche l'affitto,

se si decide di locare, sarà più alto. Secondo lo studio, i canoni delle abitazioni riadattate sono più alti del

22%. Vale lo stesso per i tempi di vendita che migliorano dopo i lavori: le case rifatte trovano un nuovo

proprietario in 5,4 mesi contro i 6,6 mesi delle case non ristrutturate. Di sicuro negli ultimi anni molti hanno

scelto la ristrutturazione anche per beneficiare degli alleggerimenti dal fisco. Alcune spese, infatti, si

possono recuperare con i bonus fiscali per ristrutturazione (50%) e risparmio energetico (65%). A fine anno

però questi sconti potrebbero scadere. Meglio quindi farsi avanti per non rischiare di perdere il treno. Quali

sono gli errori da evitare se si cerca casa da rimettere a posto? Occorre prima di tutto scegliere con cura.

«Negli ultimi anni il mercato abitativo è molto cambiato e così pure la domanda che è sempre più attenta

alla qualità. Immobili costruiti anche solamente 10 anni fa non hanno le caratteristiche di risparmio

energetico, innovazioni nei materiali e nell'impiantistica di immobili progettati e costruiti oggi» dicono da

Duff&Phelps Reag. Sui lavori, meglio non lanciarsi nel fai da te. Gli esperti consigliano di rivolgersi a

personale tecnico specializzato per valutare i costi da sostenere per la ristrutturazione e le tempistiche. Le

voci da considerare sono molte. Ogni città ha tariffari diversi. Si va dai 500 ai mille euro a metro quadro nei

grandi centri per i lavori. Poi la spesa sicuramente varierà in base alle preferenze. Tra i suggerimenti che

arrivano dalle associazioni di consumatori c'è poi quello di farsi fare ogni volta più preventivi da artigiani e

professionisti. Per lo stesso tipo di miglioria, i prezzi variano anche di qualche migliaio di euro. c L'affitto I

canoni delle abitazioni ristrutturate sono più alti del 22%. E alcune spese si possono recuperare con i bonus

fiscali per ristrutturazione (50%) e risparmio energetico (65%). A fine anno però questi sconti potrebbero

scadere

Foto: La vendita Le case rifatte trovano un nuovo proprietario in 5,4 mesi contro i 6,6 mesi delle case non

ristrutturate

Foto: ANSA

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 27

16/07/2017

Pag. 48 Ed. Torino

diffusione:150427

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Voci di Falchera. Come se qui non fosse Torino

Alessandro Magini

Alla Falchera non si capita per caso, ci si deve proprio arrivare. Stretto tra la tangenziale e l'autostrada A4

Torino-Milano, questo quartiere circondato dai campi nell'estrema periferia Nord del capoluogo piemontese

è completamente scollegato dal resto della città. Il sobborgo è diviso in due: le rotaie del tram 4, l'unico

mezzo di trasporto pubblico che unisce Torino a questa borgata, demarcano la linea di confine tra la

Falchera Vecchia e quella Nuova. La storia

Sorto nel 1953 su progetto dell'urbanista Giovanni Astengo, il primo insediamento di edilizia popolare

faceva parte del piano Ina-Casa, ribattezzato «Piano Fanfani» dal nome dell'allora ministro del Lavoro e

della Previdenza sociale. Le case hanno appena tre piani e ogni blocco abitativo è disposto a semicerchio

per far spazio al giardino condominiale, che nell'idea del progettista sarebbe dovuto essere il luogo di

incontro e socializzazione tra gli abitanti del quartiere.

La Falchera Nuova è invece figlia della legge 167 del 1962, che introdusse in Italia i cosiddetti «Piani di

Edilizia Economica Popolare», e venne edificata nel 1973, quando il costante aumento demografico della

città rese necessaria la costruzione di nuovi alloggi popolari. Qui la fretta di costruire nuove case per gli

operai che giungevano in massa dal Sud ha fatto sì che non si rispettassero gli stessi criteri urbanistici del

primo progetto. In mezzo al nulla vennero tirati su diciannove palazzoni di dieci piani che gli abitanti del

quartiere chiamano le «torri». Ancora prima di essere assegnate attraverso le regolari graduatorie, le «torri»

erano state già occupate. I nomi degli alberi

Una periferia che invecchia. La prima cosa che si nota, camminando per le vie della Falchera Vecchia, è il

verde. Non è un caso se le strade hanno i nomi degli alberi: via delle Querce, via degli Abeti, via dei Faggi.

Le case sono basse e i giardini curati. Eppure la periferia si sente: non ci sono negozi e nonostante l'orario

di punta non passano macchine, le strade sono vuote. In giro soltanto anziani. «La Falchera sta

invecchiando, quando ero giovane questi giardini erano vivi, era pieno di bambini e ragazzi che giocavano

all'aperto, anche perché ci si conosceva tutti», racconta con un filo di tristezza Umberto Grassi, che dal

1993 si occupa di «Gente di Falchera», il mensile che viene distribuito gratuitamente agli abitanti del

quartiere. Umberto mi riceve nella redazione del giornale in Piazza Astengo, dove si trovano le uniche

attività commerciali della zona: il bar, la farmacia, la macelleria e un piccolo negozio di alimentari. I tempi

cambiano

«Ci finanziamo da soli, non abbiamo fondi, andiamo avanti grazie all'impegno dei volontari perché

crediamo sia importante informare la gente riguardo a ciò che succede nel nostro quartiere». Sul giornale

trovano spazio le lettere di protesta dei cittadini, le poesie dei bambini della scuola elementare «Leonardo

da Vinci» e le attività delle associazioni della Falchera. «Io qui ci sono nato e mi ci trovo bene - prosegue

Umberto - ma le cose sono cambiate. Quando ero bambino e si veniva dalla guerra ci si aiutava gli uni con

gli altri, oggi invece vedo che il tessuto sociale si sta sfaldando. Qualche giorno fa durante l'assemblea di

condominio è venuto fuori che ogni famiglia avrebbe dovuto versare 7 euro per la manutenzione del

giardino e un signore anziano ha detto che non li aveva. Beh, non ci crederai ma i condomini se la sono

presa con lui invece che raccogliere la sua quota, e parlo di 7 euro. La gente non si interessa più alla vita

del quartiere, temo che dopo la mia generazione nessuno si occuperà più della Falchera».

Prima di salutarmi mi regala i due libri che ha dedicato a quest'angolo dimenticato di Torino. Ripercorrono

la storia della borgata dalla sua costruzione fino ad oggi, con le foto e le testimonianze dei primi abitanti che

si insediarono qui dal Veneto, dal Mezzogiorno e dall'Istria. La fontana che non funziona

Una politica distante. Ivo Manecchia è il capogruppo del Partito Democratico nella sesta circoscrizione e

vive alla Falchera da oltre quarant'anni. Per farmi capire quanto sia forte il malcontento nei confronti della

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 28

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politica in questo quartiere, mi mostra i dati elettorali dei seggi della zona riguardo al ballottaggio tra Piero

Fassino e Chiara Appendino. Su 5713 aventi diritto di voto, soltanto in 2861 sono andati a votare. La

candidata del Movimento Cinquestelle ha preso 2010 voti, il 70%.

«Questo era un quartiere di sinistra, negli anni 80 il Pci arrivava a prendere anche il 50%. Ma la gente si è

sentita dimenticata. È vero che negli ultimi anni Torino ha vissuto una rinascita, ma questo vale solo per il

centro. Guarda quella fontana - dice indicandomi il centro di Piazza Astengo, il cuore della Falchera - è

stata inaugurata dieci anni fa e ha smesso subito di funzionare, il portico cade a pezzi e nessuno fa la

manutenzione perché non ci sono i fondi. Qui le cose vanno così, le opere si fanno giusto per

l'inaugurazione, poi il politico scompare e tutto torna come era». Quando gli chiedo quali siano le richieste

più comuni dei cittadini risponde senza un attimo di esitazione: «Il lavoro, il lavoro, sempre il lavoro». Lo

ripete tre volte, per sottolineare la drammaticità della disoccupazione che attanaglia i giovani di questa

periferia. «Sono i genitori a chiedermi di trovare un posto per i figli, forse perché i ragazzi se ne

vergognano, o forse perché sono rassegnati. I dati nazionali danno la disoccupazione giovanile al 40%, ma

qui credo sia molto peggio, probabilmente raggiunge anche il 50%. La sesta circoscrizione ha un suo

centro per l'impiego, ma possiamo fare ben poco, quasi nulla. Molti ragazzi disoccupati sono dovuti tornare

a casa dai genitori, anche giovani coppie sposate. Qui si regge tutto sul welfare famigliare, sono i vecchi a

dare una mano ai giovani. Per ora la cosa funziona perché ci sono ancora gli anziani che sono andati in

pensione con il sistema retributivo, ma quando non ci saranno più e avranno tutti il sistema contributivo non

oso immaginare cosa succederà». L'impatto della crisi, mi spiega, si è sentito più forte rispetto ad altre

zone della città ed è visibile ad occhio nudo.

«Essendo un quartiere chiuso, dove non si arriva di passaggio per andare altrove, basta osservare il

numero delle macchine parcheggiate nei condomini. Prima i posti auto erano pieni, adesso trovi sempre

parcheggio perché molti hanno dovuto rinunciare alla macchina». Dal balcone

Camminando per i giardini della Falchera noto una giovane coppia sui trent'anni, fumano affacciati al

balcone. Sono le undici di mattina, pieno orario di lavoro, ma sono in casa. Non mi invitano a salire ed io

non chiedo loro di scendere, ma dopo un'iniziale diffidenza accettano di scambiare due chiacchiere. Sono

entrambi disoccupati e si arrangiano facendo piccoli lavori in nero. Martina mi racconta che prima era

dipendente presso un centro estetico di Barriera di Milano, ma poi l'attività ha chiuso e si è trovata senza

lavoro. Simone invece ha cambiato diversi lavori, non ha mai trovato nessuno che lo assumesse in via

definitiva e adesso quando lo chiamano fa l'operaio. «Ma con la crisi dell'edilizia - mi spiega - sono più le

giornate che passo a casa rispetto a quelle in cui lavoro. Se in un mese riesco a lavorare una decina di

giorni è un miracolo». Vivono entrambi con la madre di lei, che è proprietaria della casa in cui abitano e li

aiuta con la pensione a mantenere Gaia, la bambina che hanno avuto 4 anni fa. «Ma non ci vergogniamo,

non è colpa nostra se non c'è lavoro. La maggior parte dei nostri amici vive lo stesso disagio. Certo la

situazione ci pesa, ma siamo persone oneste. Preferisco restare a casa senza far niente piuttosto che

andare a rubare». La farmacia

Alessandro Avramo è consigliere di circoscrizione. È la sua prima esperienza politica e si è candidato con

una lista civica, ma politicamente è vicino al Pd. Anche lui, come Ivo Manecchia, dice che gli abitanti del

quartiere si sentano abbandonati dalla politica. «Per l'intera durata del suo mandato, Fassino non ha mai

visitato questa borgata. Si è fatto vedere soltanto una volta, a pochi giorni dalle elezioni. Ma la gente non è

stupida, queste cose le nota e vota di conseguenza». La sua famiglia è proprietaria della farmacia della

Falchera da più di trent'anni. «Da cinque o sei anni ho notato che la gente ha smesso di curarsi. La

farmacia è un ottimo osservatorio per comprendere le difficoltà economiche degli abitanti del quartiere. Ho

clienti che arrivano per comprare un farmaco, ma al momento di pagare mi dicono che non hanno i soldi».

Alessandro è stato segretario dell'Agifar di Torino, l'Associazione dei giovani farmacisti, e conosce bene le

ricerche scientifiche che mettono in relazione la salute con il livello socioeconomico. «Qui alla Falchera la

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 29

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gente si ammala di più rispetto alle zone ricche della città. Non è solamente un discorso di povertà

economica, ma anche di povertà culturale. I meno istruiti sono i più colpiti dalla sindrome metabolica, hanno

più probabilità di sviluppare il diabete e di soffrire di ipertensione rispetto a chi è più istruito e ha una

condizione più solida. Anche l'incidenza dei tumori è più alta qui che altrove. In via Germagnano, tra la

Falchera e la Stura, ci sono continui roghi di rifiuti tossici, alcuni giornali hanno scritto che anche Torino ha

la sua terra dei fuochi».

La solidarietà del quartiere dimenticato. Il «sindaco della Falchera» si chiama Rodolfo Grasso, ha 75 anni

e prima della pensione ha lavorato come operaio alla Fiat. Lo hanno soprannominato così perché nel 1998

ha fondato il Comitato Sviluppo Falchera, l'associazione più presente nel quartiere. In questa periferia non

ci sono sezioni di partito, l'anagrafe rischia di chiudere per mancanza di personale e la sede della sesta

circoscrizione è lontana, così come quella dell'Atc, l'Agenzia Territoriale per la Casa. Per questo i cittadini si

rivolgono a lui. Con il suo comitato Rodolfo raccoglie segnalazioni e problemi, sforzandosi di risolverli

insieme ai suoi volontari. Tra i servizi forniti gratuitamente dall'associazione c'è lo sportello Atc». Gli sfratti

«Quello della casa è da sempre uno dei principali problemi della Falchera», mi dice mentre tira fuori da un

cassetto le notifiche di sfratto cui sta tentando di opporsi. «Questa è l'ultima, mi è arrivata una settimana fa.

Riguarda una famiglia del quartiere, gente per bene. È successo che sia il marito che la moglie abbiano

perso il lavoro nel giro di due mesi. Lui faceva il muratore, lei le pulizie in un hotel. Hanno pagato il canone

all'Atc fino a dicembre, ma poi non ce l'hanno più fatta. Ora gli hanno intimato lo sfratto, ma hanno quattro

bambini piccoli, non possiamo permetterci che finiscano per strada. Ho avviato la pratica per farli inserire

nel fondo di morosità incolpevole, dovremmo riuscirci». Il parroco

Di fronte alla sede del comitato si trova la Parrocchia di San Pio X. Qui incontro Don Adelino Montanelli,

che è arrivato alla Falchera nel 2004 e si è subito speso per migliorare la qualità della vita dei giovani del

quartiere. Mi mostra orgoglioso l'oratorio, dove una ventina di adolescenti gioca a pallone. Ripete loro che

l'istruzione è importante e mi racconta di un ragazzo che frequentava la parrocchia: «Viveva nelle case

popolari della Falchera Nuova ed è riuscito a laurearsi in medicina. Oggi fa il chirurgo alle Molinette».

Questo parroco di periferia è fiero della sua comunità: «La Falchera non è così terribile come viene dipinta,

se ne parla solamente in relazione al degrado, alla violenza e alla miseria. Certo la povertà si sente, ma

nessuno scrive mai che qui c'è anche tanta solidarietà».

Il Progetto di solidarietà fraterna ne è l'esempio. Don Montanelli racconta che i parrocchiani più agiati si

auto-tassano ogni mese per far fronte alle necessità delle famiglie più fragili. «Grazie alla loro generosità a

gennaio abbiamo impedito che due famiglie venissero sfrattate. Proprio stamattina è arrivata una ragazza

romena che vive qui vicino, non è riuscita a pagare le bollette e tra pochi giorni le avrebbero staccato la

corrente. Con il fondo comune siamo riusciti a evitarlo». Vado a Torino

Ho passato quattro giorni alla Falchera, cercando di capire cosa significhi vivere qui. A spiegarmelo,

involontariamente, è stata una ragazzina sui 14 anni. Aspettando il tram 4 al capolinea ha fatto una

telefonata: «Ciao nonna, sono uscita adesso di casa, sto andando a Torino». Come se non ci fossimo già,

come se qui non fosse Torino. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 30

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Pag. 14 N.167 - 17 luglio 2017

diffusione:88589

tiratura:133263

I chiarimenti Inl sulle conseguenze per le aziende che non dichiarano i dipendenti

Lavoro nero? Doppie sanzioni

Multa fi no a 36 mila € più il 30% dei contributi omessi CARLA DE LELLIS

Doppie sanzioni per il lavoro nero. Chi occupa lavoratori non dichiarati (per i quali, cioè, non sia stata fatta

la «Co» su cliclavoro.it) è punito con una multa il cui importo può arrivare a 36 mila euro (cosiddetta «maxi-

sanzione») e sui contributi non versati deve pagare l'ulteriore sanzione del 30% degli stessi contributi fi no

al tetto massimo del 60% (oltre si pagano gli interessi di mora). Se il datore di lavoro regolarizza i lavoratori,

è necessaria una verifi ca ispettiva in merito al corretto adempimenti degli obblighi relativi alla sorveglianza

sanitaria e alla formazione e informazione con specifi co riferimento al settore dell'edilizia. È quanto

precisano, tra l'altro, le ultime Faq dell'Inl (ispettorato nazionale del lavoro) in materia di maxi-sanzione. Il

«lavoro nero». Per lavoro nero (o sommerso) s'intende, comunemente, la situazione in cui il datore di

lavoro occupa manodopera non dichiarata, cioè lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione

d'instaurazione del rapporto di lavoro (la Co). In questi casi, le sanzioni sono doppie: civili e amministrative.

Le sanzioni civili sono quelle connesse al mancato versamento dei contributi per la fattispecie «evasione»;

la sanzione amministrativa, invece, fa riferimento all'aspetto «contrattuale» del rapporto di lavoro ed è la

c.d. maxi-sanzione. Questa si applica a tutti i datori di lavoro privati con la sola esclusione di quelli

domestici. La misura non è unica (è stata d'importo fi sso da 1950 a 15.600 euro, più euro 195 per ciascuna

giornata di effettivo lavoro in «nero», fi no al 23 settembre 2015) ma graduata «per fasce», in relazione alla

durata del comportamento illecito: • da 1.500 a 9.000 euro per ciascun lavoratore irregolare, in caso di

impiego del lavoratore sino a 30 giorni di effettivo lavoro; • da 3.000 a 18.000 euro per ciascun lavoratore

irregolare, in caso di impiego del lavoratore da 31 e sino a 60 giorni di effettivo lavoro; • da 6.000 a 36.000

euro per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore oltre 60 giorni di lavoro. È previsto,

inoltre, che gli importi delle sanzioni siano aumentati del 20% in caso d'impiego di lavoratori stranieri non in

possesso di un valido permesso di soggiorno ovvero di minori in età non lavorativa e rispetto a essi non

trova applicazione la procedura di diffi da (di seguito indicata). La diffi da. Ai fi ni della regolarizzazione del

lavoro in nero, fermi gli adempimenti formali (istituzione o compilazione Lul, se già istituito; consegna lettera

di assunzione; comunicazione al centro per l'impiego ecc.), sono necessari: a) la stipulazione di un

contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, anche a tempo parziale con riduzione dell'orario non

superiore al 50%, o con contratti a tempo pieno e determinato di durata non inferiore a tre mesi; b) il

mantenimento in servizio dei lavoratori oggetto di regolarizzazione per un periodo non inferiore a «tre

mesi». In questi casi, l'assunzione è sottratta (evidentemente) alle agevolazioni, anche perché risulta

violata la norma che subordina l'accesso a tutti i benefi ci «normativi e contributivi» al rispetto di «altri

obblighi di legge» (art. 1, comma 1175, legge 296/06). Nei confronti dei lavoratori irregolari trovati «ancora

in forza» all'atto dell'accesso ispettivo, si ottempera alla diffi da nel termine complessivo di 120 giorni dalla

notifi ca del verbale unico, mediante la dimostrazione, da parte del datore di lavoro, dei seguenti

adempimenti: a) la regolarizzazione dell'intero periodo di lavoro prestato in «nero» secondo le modalità

accertate ivi compreso il versamento dei relativi contributi e premi; b) la stipula del contratto di lavoro; c) il

mantenimento in servizio del lavoratore per almeno «tre mesi», cioè almeno 90 giorni di calendario, da

comprovare attraverso il pagamento delle retribuzioni, dei contributi e dei premi scaduti entro il termine di

adempimento; d) il pagamento della maxi-sanzione. A prescindere dalla regolarizzazione del rapporto,

resta poi ferma la necessità di procedere al recupero delle retribuzioni eventualmente non pagate

attraverso l'emanazione di altra diffi da, quella «accertativa». Per quanto riguarda l'obbligo del periodo

minimo di tre mesi di mantenimento in servizio del lavoratore, tale periodo è computato «al netto» del

periodo di lavoro prestato in nero, il quale va comunque regolarizzato. In altri termini, il contratto (cioè

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 31

17/07/2017

Pag. 14 N.167 - 17 luglio 2017

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l'assunzione alla luce del sole) decorrerà dal primo giorno di lavoro «nero», mentre il periodo di tre mesi

utile a confi gurare l'adempimento alla diffi da va «conteggiato» dalla data dell'accesso ispettivo. La verifi ca

ispettiva. A risposta di quesiti, l'ispettorato nazionale del lavoro (Inl), in una recente Faq, ha precisato che la

regolarizzazione dei lavoratori comporta una verifi ca degli obblighi relativi alla sorveglianza sanitaria e alla

formazione e informazione «con specifico riferimento al settore dell'edilizia» e cioè in quell'ambito nel quale

il personale ispettivo è «organo di vigilanza». La verifi ca di tali adempimenti va effettuata con esclusivo

riferimento alla edilizia e alle altre attività indicate all'art. 13, comma 2, del dlgs n. 81/08. Ferma restando

l'emanazione della prescrizione obbligatoria, l'Inl precisa che: - quanto alla sorveglianza sanitaria, va verifi

cata l'effettiva effettuazione della visita medica di idoneità alla mansione specifica; in assenza potrà

considerarsi suffi ciente l'esibizione della prenotazione della stessa ma in tal caso i lavoratori interessati

non dovranno essere adibiti a mansioni lavorative per le quali vi è l'obbligo di sorveglianza sanitaria fi no al

prescritto giudizio di idoneità; - quanto alla formazione: in analogia con quanto previsto dall'accordo stato-

regioni del 21 dicembre 2011, punto 10, deve ritenersi suffi ciente che la stessa sia stata programmata in

modo da concludersi entro il termine di 60 giorni e sia stata oggetto di richiesta di collaborazione con gli

organismi paritetici (art. 37, comma 12, T.u. sicurezza) ove esistenti nel territorio e nel settore nel quale

opera l'azienda; - quanto all'obbligo informativo: lo stesso dovrà essere comprovato attraverso esibizione di

idonea documentazione (dichiarazione controfi rmata dal lavoratore interessato). La maxi-sanzione per

lavoro nero Durata in nero dell'occupazione Fino a 30 giorni Oltre 60 giorni Fino a 30 giorni Oltre 60 giorni

Generalità di lavoratori impiegati in nero Da 31 a 60 giorni Da 31 a 60 giorni Sanzione per ciascun

lavoratore irregolare Importo pieno (min-max) Importo da diffida Importo ridotto (1) Da 1.500 a 9.000 euro

Da 3.000 a 18.000 euro Da 6.000 a 36.000 euro 1.500 euro 3.000 euro 6.000 euro Da 3.600 a 21.600 euro

Da 7.200 a 43.200 euro 1) Art. 16 legge n. 689/1981 con pagamento entro 60 giorni dalla contestazione 2)

Non trova applicazione la procedura di diffida 3.000 euro 6.000 euro 12.000 euro Impiego in nero di

stranieri irregolari e/o di minori (2) Durata in nero dell'occupazione Sanzione per ciascun lavoratore

irregolare Importo pieno (min-max) (1) Importo ridotto (1) Da 1.800 a 10.800 euro 3.600 euro 7.200 euro

14.400 euro

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 32

16/07/2017

Pag. 32 Ed. Roma

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LAZIO dalla regione

Verso la rigenerazione urbana per rilanciare il territorio

La legge approvata dalla Pisana favorisce l'edilizia di recupero, con possibili aumenti di cubature Per ora esclusi i centri storici SIMONE CIAMPANELLA

' L '11 luglio con 28 voti a favore e 18 contrari la Pisana ha approvato la nuova legge regionale per la

rigenerazione urbana. La norma, si legge in una nota, nasce «per migliorare la qualità della vita dei

cittadini, comprende aspetti sociali, economici, urbanistici ed edilizi, anche con l'obiettivo di promuovere o

rilanciare territori in situazioni di disagio o degrado socio- economico». Non più gettare cemento ma

recuperare quello che già esiste. Un discorso difficile ad essere attuato, anche se essenziale, perché

costruire è economicamente più conveniente che ristrutturare. Per questo nei programmi di rigenerazione

urbana, che possono essere proposti ai comuni da privati e da associazioni consortili di recupero urbano, è

prevista una premialità per il rinnovo del patrimonio edilizio esistente. Nelle opere pubbliche e per le

cessioni di aree aggiuntive, si arriva fino al 35% della superficie lorda esistente, che sale al 40% se si

riduce di almeno del 10% la superficie esistente a favore di quella permeabile. Da indicare anche una quota

di almeno il 20% per cento per alloggi di edilizia residenziale pubblica e sociale. Se invece è il comune a

individuare "ambiti territoriali urbani" di riqualificazione e recupero edilizio sarà consentito un aumento del

30%. Nel caso di "interventi diretti" è consentito un incremento del 20% (10% se edifici produttivi). Questa

parte della norma vale anche per le aree agricole e per le strutture ricettive all'aria aperta. Cinema e centri

culturali polifunzionali potranno godere di premialità fino al 20%. Teatri, sale cinematografiche e centri

culturali sono ampliabili fino al 30% se saranno destinati ad attività commerciali, artigianali e per servizi. Nel

caso di interventi per l'efficienza energetica e il miglioramento sismico si può ottenere il 20% in più (fino a

un massimo di 70 metri quadrati), anche se il corpo è separato, purché non si comprometta "l'armonia

estetica del fabbricato". Nelle zone terremotate gli ampliamenti potranno essere spostati in un altro lotto

dello stesso comune, ma non in zona agricola. Al momento restano fuori i centri storici, che dovrebbero

però essere trattati durante i prossimi mesi. Si tratta di un nuovo Piano casa? No, secondo Michele Civita,

assessore regionale alle Politiche del Territorio «perché dà strumenti e più poteri ai comuni», che potranno

maturare e progettare «una idea sullo sviluppo della propria comunità». Secondo il governo regionale, la

rigenerazione si pone l'obiettivo di avviare una mentalità edilizia di qualità, sostenibilità e sicurezza. «Un

pilastro della fase legislativa della nostra Regione», dice il presidente Nicola Zingaretti, che introdurrà,

spiega l'assessore all'ambiente Mauro Buschini «norme di semplificazione e di snellimento delle procedure

al fine di garantire tempi certi nell'attuazione degli interventi». Critica l'opposizione che contesta la

debolezza della legge, non in grado di intervenire dove c'è bisogno, oltre che favorire i grandi costruttori.

Resta ora da approfondire il testo, non ancora disponibile, per comprendere i termini della tutela ambientale

e della riduzione di consumo del suolo.

Foto: Il progetto di rigenerazione urbana del Corviale

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ABUSI EDILIZI

Spiagge, scuole e quartieri: è l ' Italia sfregiata

FQ

L ' INCHIESTA A PAG. 10 - 11 ido Bruno, San Vito di Taranto. Passeggiamo sulla baia che si apre alla fine

di via Meduse - qui tutte le vie portano il nome di pesci - e lo sguardo viene rapito dall'acqua cristallina che

dal turchese sfuma nell'azzurro profondo. E a pochi metri dall'acqua, una recinzione in muratura con "

Passo carrabile " . L'area è soggetta a vincolo demaniale: sarebbe già vietato costruire, qui, com ' è

possibile ottenere dal Comune un passo carrabile? Poi il cartello: " A ffittasi appartamenti a 20 metri dal

mare solo per periodo estivo " . Telefoniamo. Fingiamo d ' essere interessati a un appartamento. " L'unica

settimana disponibile " , risponde il proprietario, " è l'ultima di agosto " . Gli affari vanno bene. " Abbiamo

letto che si trova a 20 metri dal mare - c o ntinuiamo - ma com ' è possibile? Non si può costruire così vicino

alla riva " . " E io ci sono riuscito - risponde orgoglioso - siamo proprio sul mare: se non sta attenta,

uscendo cade in acqua " . Ah. " Abbiamo anche la piscina - aggiunge - può vedere le foto su Booking e

TripAdvisor " . E dice il vero: tutto pubblicizzato su Internet. Tranne un dettaglio: non solo la struttura - sei

appartamenti da 70 metri quadrati ciascuno più piscina - è abusiva. E ' a ddirittura sotto sequestro: decreto

firmato dal gip Giuseppe Tommasino su richiesta del pm della procura di Taranto Mariano Bucconieri. FQ

L'Inchiesta segnala la vicenda in procura. La Guardia di Finanza si presenta nel resort: agli ignari

vacanzieri viene concesso il tempo utile per fare le valigie. E i sigilli tornano al loro posto. Un caso isolato?

Purtroppo no. Dalla Puglia alla Sicilia, passando per Calabria, Sardegna e Roma, ci si rende conto che

negli anni, a comandare sui piani urbanistici - violando norme e violentando paesaggi - sono stati proprio gli

abusivi. DALLA PUGLIA ALLE MARCHE Villaggi sulla sabbia e porti sconosciuti al catasto Se da San Vito

risaliamo in provincia di Foggia, su una lingua di sabbia che separa il mare Adriatico dal lago di Lesina, per

la precisione a Torre Mileto, nel comune di San Nicandro Garganico, troviamo 3mila case abusive su 12

chilometri di costa. Ora, che possa venir su una casa, senza che nessuno se accorga, è già poco credibile.

Ma che nessuno, negli anni '70, si sia accorto che nasceva un intero quartiere abusivo, va oltre ogni

immaginazione. Case senza fondamenta né allacci alla corrente elettrica. Acqua per uso domestico

prelevata da pozzi scavati in modalità " fai da te " . Il tutto nel cuore del Parco Nazionale del Gargano, zona

dichiarata dall'Ue " Sito di importanza Comunitaria " e " Protezione Speciale " , meta delle rotte migratorie di

uccelli. Divieto d ' edificazione? Qui è abusiva la Chiesa, il bar, il negozio degli alimentari. Se non bastasse,

trovi delle transenne che impediscono l'accesso al mare. Molte case recano il cartello " vendesi " - con

quale rogito notarile, vien da chiedersi, visto che sono abusive. Tredici anni fa un'ordinanza di demolizione

ne ha fatte abbattere quattro. Poi le ruspe si sono fermate, nonostante nel 2009, la Regione Puglia abbia

varato il piano di recupero ambientale, mai divenuto esecutivo, che prevede l'abbattimento di 900 case. Nel

frattempo sono piovute le richieste di condono edilizio e i proprietari pagano regolarmente le tasse. A quel

punto, hanno costituito un Comitato delle vittime di ingiustizia (sic!), poiché non ricevono servizi adeguati le

istituzioni paventano un grave pericolo sanitario. Proseguiamo per Fano, in provincia di Pesaro, dove la

GdF aeronavale di Ancona, comandata dal tenente colonnello Rocco Nicola Savino, ha sequestrato il

camping Stella Maris: costruzioni abusive per un valore di 3 milioni su un' area in parte demaniale e in parte

privata. Oltre i 24 bungalows hanno eretto anche anfiteatro in muratura. Pochi chilometri a nord, la Gdf ha

scoperto che il porticciolo turistico di " Vallugola " è sconosciuto al catasto. Paradossale? Non quanto il

seguente dettaglio: risultano comunque versati gli oneri al Comune. CALABRIA: SNATURATO IL 65 PER

CENTO DELLA COSTA Quegli 800 studenti nella scuola inagibile della ' ndranghet a Passiamo alle coste

calabresi. Legambiente ha certificato che tra il 1988 al 2011 il territorio è stato drasticamente snaturato. "

Da Reggio Calabria, fino al confine con la Basilicata, è un susseguirsi di nuove realizzazioni che hanno

occupato vuoti, cancellato importanti aree agricole, intaccato paesaggi montuosi di rara bellezza " . Dei 798

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chilometri di costa calabrese, ben 523 sono stati " trasformati da interventi antropici legali e abusivi " .

L'ennesima prova che è l'abusivismo a disegnare il vero paesaggio del Paese. L ' unica commissione d '

inchiesta che è riuscita a stilare una relazione sull ' abusivi smo a Reggio Calabria risale al 2009, guidata

Nuccio Barillà, dirigente nazionale di Legambiente. Ha censito 4.191 ecomostri: " Un ' offesa al paesaggio

ogni 100-150 metri lineari di costa " . Solo tra Bagnara e Africo, nel 2015, si contavano 686 gli ordini di

demolizione disposti dal Tribunale. Mai eseguiti. Passeggiando per Reggio - che cont 328 ordini di

demolizione non eseguiti t'imbatti nell' " È- ho te l " . Albergo in parte sequestrato dalla procura nel 2013

poiché " è integralmente abusivo " . " È evidente - scrive il pm Matteo Centini - che è stato realizzata

esclusivamente grazie alla complicità di infedeli funzionari pubblici... L'ennesimo scempio per questo

meraviglioso territorio è stato perpetrato con la complicità attiva ... ovvero silenziosa e silente ... di ogni

singolo pubblico funzionario che aveva responsabilità nella gestione e nella sua tutela " . E se dal

lungomare t ' inoltri nella periferia, puoi ammirare il " Cos ' È-hotel " , la sua struttura " gemella " , costruita

in una zona " caratterizzata da vincolo idrogeologico " . Anch'essa sequestrata perché " totalmente abusiva

" . A Bagnara, per anni, prima dell ' arrivo dei commissari prefettizi - che hanno acquisito la struttura al

patrimonio pubblico - il Comune ha pagato al proprietario del residence " Laura " , già considerato abusivo, l

' alloggio per gli ospiti del famoso premio Mia Martini. Se foste nati a Locri, invece, avreste potuto

frequentare l ' Istituto d ' arte " Panetta " o l ' Istituto professionale per l ' industria. Salvo vedervi

sequestrare le scuole, pochi mesi fa, dall ' Antimafia perché, come sostiene il procuratore De Raho, è in

pericolo " l ' incolumità di 800 studenti " . Ebbene sì, a Locri la ' ndrangheta riesce a costruire persino le

scuole. Senza un documento in mano. Senza che un solo agente della polizia municipale se ne accorga.

Manca il permesso a costruire, il collaudo, il certificati d ' agibilità. Intanto i proprietari incassavano dalla

Provincia 130mila euro l ' anno d ' af fitto. Poi l ' ente ha acquistato il tutto per 12 milioni di euro. Da soggetti

legati alle cosche. QUARTU SANT ' ELENA, LA CAPITALE DELLE CASE FAI DA TE 222 milioni di spesa

pubblica per servire gli abusi condonati La capitale dell ' abusivismo in Sardegna è invece Quartu Sant '

Elena. Attorno a quel suo mare che ti ci tufferesti già con gli occhi, centinaia di ville cresciute senza alcuno

stile, ordine e criterio. Stefano Deliperi, anima della storica associazione ambientalista sarda Gruppo di

Intervento Giuridico, la racconta così: " Quartu è una delle capitali dell'abusivismo edilizio in Italia. Negli

anni Novanta era al terzo posto dopo Napoli e Gela. Di fatto, però, è anche l'unico Comune sardo ad avere

la mappa completa dell'abusivismo edilizio sul proprio territorio: nel 1995, dopo le operazioni di condono,

risultavano 10.400 casi di abusivismo - per 70mila abitanti - dei quali 127 insanabili parziali e 486 insanabili

totali " . Lungo il mare trovi 2.858 casi di abusivismo, per la bellezza di 739.007 metri cubi realizzati nelle

zone turistiche costiere. Ai quali bisogna aggiun gere - continua Deliperi - i 490mila metri cubi dei 1.336

abusi nelle zone agricole. Totale: oltre un milione di metri cubi soltanto negli anni Novanta. Allo sfregio

ambientale e paesaggistico, bisogna aggiungere la spesa che incombe sulle casse pubbliche, per dotare di

servizi le costruzioni abusive. " Per dotare dei necessari servizi (depurazione, acqua, energia elettrica,

smaltimento rifiuti, scuole, ecc.) gli ' abusi condonati ' - conclude Deliperi - la spesa ammonta a 222 milioni,

a fronte dei 20 milioni entrati con le oblazioni di legge " . E se da Quartu ci spostiamo a Roma, il paradosso

diventa lampante: nei fatti, a disegnare un nuovo piano regolatore, sono stati convocati direttamente gli

abusivi. IL PARADOSSO DI ROMA: CHI ABUSA, DELIBERA 58mila persone fuori dal piano regolatore In

buona parte delle periferie, oltre il Grande Raccordo Anulare, prima sono state costruite le case, poi sono

arrivate le regole urbanistiche. Quartieri senza servizi che hanno ospitato la rapida crescita demografica del

secondo dopoguerra: dal ' 51, quando si contavano 1,6 milioni di abitanti, ai 2,8 milioni degli anni 90. Nel

2009, una delibera della giunta guidata da Gianni Alemanno - basata su un piano varato nel ' 97 dal

sindaco Rutelli riconosce 71 nuclei di " edilizia ex abusiva " - i cosiddetti toponimi - abitati da oltre 58 mila

persone (pari alla popolazione di Agrigento). L ' obiettivo è quello di fornire marciapiedi, strade, parcheggi o

reti idriche. Il provvedimento chiede ai residenti " la cessione delle aree pubbliche " , di cui si sono

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appropriati senza titolo, concedendo in cambio di costituirsi in consorzi e progettare il recupero urbanistico.

E così gli abusivi, nei fatti, ridisegnano il piano regolatore. " L ' Atac - si legge in una delle schede tecniche

che i consorzi hanno presentato per ottenere il risanamento - non svolge servizio all ' interno del toponimo

per le dimensioni stradali e la mancanza di continuità delle stesse... " . In sostanza, andrebbero costruite

strade adeguate e regolamentati i percorsi dei mezzi pubblici. E ' necessario, senza dubbio. Ma c ' è un

fatto evidente: chi ha violato le norme, ora ridisegna il volto della città. Se non bastasse, gli abusivi possono

usufruire di un " aumento della volumetria realizzabile " . E quindi: se da (ormai ex) abusivo, rendi al

Comune il suolo pubblico, non solo progetti i servizi, ma ottieni anche nuove cubature. Vista l'assenza di

fondi, il piano non è mai decollato. Resta il fatto che il sostegno elettorale dei consorzi edili, ormai, vale una

gran fetta del voto delle periferie. E ogni candidato sindaco, a Roma, deve farci i conti. SICILIA, VISTA

MARE CON RUSPE E SIGILLI Nel mirino delle procure lidi e ristoranti Adesso spostiamoci in Sicilia, a

Cefalù, dove lungo l ' itinerario arabo normanno i turisti di mezzo mondo si aggirano un po' spaesati fra

stabilimenti transennati e col cartello di sequestro in bella vista. Lidi spesso accomunati dall ' assenza della

necessaria certificazione paesaggistica della Sovrintendenza. Lo scorcio di paradiso in provincia di

Palermo, dal 2015 è inserita fra i siti Unesco, ha già subìto a partire dagli anni ' 50 una speculazione - non

soltanto edilizia - che ha modificato morfologia e cultura del territorio. E il commissario di polizia Manfredi

Borsellino, figlio di Paolo, ha messo nel mirino le 14 concessioni che occupano i 2 chilometri di lungomare.

In questo scorcio di stagione ha sequestrato circa la metà degli stabilimenti con i bagnanti sgomenti. " Per

quasi tutti gli stabilimenti - dice Borselllino - non è chiaro come abbiano avuto la concessione e la

necessaria certificazione paesaggistica. Nella migliore delle ipotesi, c ' è stato il parere auto-assentito della

Sovrintendenza, acquisito con la procedura del silenzio assenso. Una procedura assolutamente

inapplicabile in questa materia, ancor di più quando si tratta di opere (seppure precarie o rimovibili)

realizzate su aree sotto stringenti vincoli paesaggistici e considerate di notevole interesse pubblico. Noi

abbiamo agito seguendo l ' input dell ' Assessorato al Territorio che, ben prima dell ' inizio dell ' attuale

stagione, ha diffidato i gestori dal montare gli stabilimenti " . La madre di tutti i sequestri è stato il Poseidon

2 anni fa. Il forte groviglio d ' interessi " balneari " s ' attorciglia sempre più fra carte da bollo e ricorsi, con

gip e tribunale del Riesame che a volte confermano, altre si smentiscono a vicenda. Permangono i sigilli

per 2 lidi, per altri c ' è il processo in corso, come per il Malik, costruito su un torrente con grave rischio

idrogeologico. Fra il lungomare e il Duomo, dove affiorano le mura megalitiche erette sulla scogliera alla

fine del V secolo avanti Cristo, sono sorti invece i ristoranti più alla moda: le terrazze a mare. In particolare

una ha un ' imponente struttura sostenuta da telai di ferro e pilastri in cemento armato conficcati proprio

sotto le mure megalitiche. Borsellino ha da poco inviato una nota al riguardo all ' assessorato al Territorio e

Ambiente (e per conoscenza alla Sovrintendenza di Palermo e al Procuratore della repubblica di Termini). Il

commissario di Cefalù aspetta che l'Assessorato gli risponda, però, dice: " In 8 anni e mezzo che sono a

Cefalù non ho mai visto una demolizione". 3 - CONTINUA [email protected] opra San Vito di

Taranto Succede anche questo: la promessa è addirittura un "affitto a 20 metri dal mare" S otto Il sacco di

Cefalù In questo inizio di stagione sono stati sequestrati circa la metà degli stabilimenti balneariAl primo

ciclo di puntate (questa è la terza, la quarta e ultima la prossima domenica) hanno lavorato Sandra Amurri,

Vincenzo Iurillo, Giuseppe Lo Bianco, Andrea Managò, Antonio Massari, Lucio Musolino, Ferruccio Sansa e

Davide Vecchi. Ha collaborato Alessio Gervasi. I lettori possono inviare segnalazioni alla mail di "Red Inch"

che in inglese significa "pollice rosso" ed è l'acronimo di "redazione inchieste": lasciate la vostra impronta

scrivendo a red.inch@ ilfat - toquotidiano.it FQ L'INCHIESTA l21,7 Miliardi di euro I mancati introiti per lo

Stato dall'abusivismo, pari a 1,4 punti di Prodotto interno lordo l5,3 Milioni di pratiche Sono quelle ancora

"inevase " - su un totale di 15,4 milioni - dal primo condono del 1985

La battaglia di Cefalù Il figlio del giudice ucciso dalla mafia ora indaga sui ristoranti vista mare: " In

8 anni mai una demolizione "l348 Inter venti Quelli realizzati nei primi 5 mesi del 2017 dalla Finanza sul

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demanio marittimo S oltanto cemento Sopra, nella foto grande, Quartu Sant 'Elena. A sinistra un camping

sequestrato nelle Marche. A destra Bagnara Calabra: un km di case abusive sulla spiaggiaI LUOGHI Il

fenomeno dell'abusivismo è gigantesco Queste le tappe del nostro viaggio Calabria Reggio Calabria,

Bagnara, Locri Dei 798 chilometri di costa calabrese, ben 523 sono stati trasformati da interventi antropici

legali e abusivi Puglia San Vito di Taranto, Lago di Lesina ( Foggia) Case sequestrate dalla procura messe

in affitto su internet e interi villaggi venuti su improvvisamente sulla sabbia Marche Fano, Vallugola Dagli

anfiteatri in muratura sul demanio ai porti sconosciuti al catasto Sardegna Quartu Sant 'Elena È la capitale

dell'abusivismo in Sardegna: un milione di metri cubi nei soli anni '90 Sicilia Cefalù 12 lidi sequestrati

soltanto negli ultimi due anni. Adesso è il turno dei ristoranti con terrazza vista mare Roma Periferia oltre il

Raccordo anulare Ben 71 nuclei edilizi irregolari per 58mila abitanti: con una decisione della Giunta

Alemanno gli abusivi possono "deliberare" per ottenere i servizi mancanti, dai tram alle scuole

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 37

16/07/2017

Pag. 24

diffusione:9830

tiratura:35851

NELL'AZIENDA ROLLPLAST PINTO LAVORANO SETTE RIFUGIATI

La storia di Mohamed, dalla Somalia all'inferno libico alla nuova vita in

Italia

nic. sel.

Polla (Salerno) Un sorriso per mascherare la timidezza, prima di raccontare la sua storia, un incubo che

diventa favola. Mohamed Abinur lavora da oltre un anno alla Roll Plast Pinto, azienda di Polla, in provincia

di Salerno, prodotti per applicazioni edili. Il titolare, Giuseppe Pinto, prima di informarlo dell'intervista,

confida che è il miglior impiegato della sua fabbrica, che negli anni ha accolto sette migranti. Mohamed ha

in tasca un permesso di soggiorno di cinque anni. È un rifugiato politico. A casa sua, in Somalia, c'era

(conflitto dal 1991 e ancora in atto) la guerra civile. Il pensiero alla sua famiglia avvolta dal sangue vela di

tristezza l'ultimo frammento della sceneggiatura della sua vita. Che per ora è a Polla. Una casa in affitto, un

contratto di lavoro a tempo determinato, di tre anni. Un gruppo di amici, anche connazionali, con cui

dividere il tempo libero. Sospiri di vita ordinaria per un ragazzo di 25 anni. Per Mohamed però si tratta del

lato B del suo percorso. Un sorso d'acqua e un lungo respiro, prima di mostrare il primo. «Ora mi sembra

tutto una favola, non è sempre andata così, anzi». Il primo distacco dalla Somalia avveniva per il Kenya.

«Ci viveva mia zia, a una manciata di chilometri da Nairobi, sono andato a scuola per cinque anni, ho

imparato l'inglese, lo swahili, oltre a lavorare per un'impresa edile. Ma non c'era lì un futuro per me, dovevo

andare via. Per pochi soldi però ti portavano solo in Sudan». L'inferno per Mohamed è cominciato in Libia,

la meta preferita dai migranti, terra di lavoro a un passo dall'Italia, un passpartout per un altro capitolo, o

punto di partenza per altre mete europee. Nel frattempo, c'era da lavorare duro, pochi spiccioli per

costruzioni edilizie da mettere in piedi. «Ma quante violenze, quanti episodi di sopraffazione, di prigionia

immotivata - racconta Mohamed -, ho vissuto un anno e cinque mesi prima a Bengasi, un anno in prigione

perché non avevo documenti da mostrare a un poliziotto. Come me, almeno mille, uomini e donne, finiti

dentro in un solo blitz». La nottata spesso non passava mai. «Botte, botte, violenza a tappeto, senza

motivo. Un incubo, non potevi ribellarti ai poliziotti in carcere, non avevi niente cui appigliarti. Solo ai tuoi

sogni». Poi, una volta in libertà e giorni vissuti per strada senza mangiare, Mohamed iniziava a lavorare nei

campi per un uomo che si aggirava nelle carceri, alla ricerca di manodopera. Non a pagamento,

ovviamente. Lavoro senza orari «e un solo pasto al giorno, la mattina» ricorda Mohamed. Che ben presto

tornava in carcere. Motivo? Sempre lo stesso, documenti non esibiti alle forze dell'ordine. Ancora Bengasi,

poi trasferimento a Misurata, fino a Tripoli. «Lì è cominciata la seconda fase della mia vita, sono salito su

una nave diretta a Lampedusa, ho pagato 800 euro, quello che avevo da parte. E poi da lì a Casaro, vicino

Siracusa, sette mesi, fino all'ultima meta, Polla». Un passaggio per lo Sprar di Polla, assieme ad altri

connazionali. Ed era lo stesso Sprar a inoltrare la richiesta di tirocini formativi in alcune aziende della Valle

di Diano. Sino all'arrivo alla Roll Plast, che già aveva accolto sette migranti, alcuni poi messo sotto

contratto. E sono circa 30 quelli che hanno trovato impiego, una casa, un nuovo capitolo di vita nel Cilento.

Per Mohamed, sei mesi di tirocinio e la richiesta, subito approvato dal suo titolare, di un lavoro fisso. «Ora

finalmente posso mandare soldi a casa, aiutare la mia famiglia che è ancora lì, che vorrei riabbracciare

presto, a cui penso sempre». La discussione sui migranti che avvolge l'Italia lo tocca, così come i

pregiudizi, i luoghi comuni. «Sono solo un ragazzo che voleva una vita migliore, un'opportunità, un lavoro.

Ora posso mostrare a me stesso e agli altri che sono in grado di farlo. E come me, tanti potrebbero».

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 38

15/07/2017

Pag. 7 Ed. Pesaro

diffusione:101787

tiratura:133899

REGIONE L'OFFENSIVA DI MIRCO CARLONI

«Fondi edilizia pubblica sono rimasti nel cassetto»

LO SCORSO dicembre, la Regione ha approvato il nuovo piano di edilizia residenziale pubblica che

destinava alla provincia di Pesaro e Urbino sui 2,5 milioni di euro per l'acquisto di nuovi alloggi,

l'abbattimento delle barriere architettoniche negli alloggi già esistenti e per i buoni casa. «Ad oggi - rivela il

consigliere regionale Mirco Carloni (Area popolare) -, risultano spesi solo i soldi per l'abbattimento delle

barriere architettoniche, mentre i restanti 2.008.564 di euro sono tutt'ora inutilizzati». Per saperne il motivo,

il consigliere ha presentato un'interrogazione consiliare. I 2 milioni di soldi non ancora spesi, secondo

quanto comunicato dalla Regione lo scorso dicembre dopo l'approvazione del nuovo piano residenziale,

servirebbero ad acquistare una trentina di immobili invenduti da adibire a case popolari, e alla distribuzione

di buoni da 25mila euro a famiglia per l'acquisto di una casa propria. «Dopo più di sei mesi questa

promessa è stata disattesa», evidenzia Carloni . Se dal locale si passa al regionale, «sono più di 10milioni

di euro lasciati inutilizzati, visto che dei 12,5 milioni stanziati risultano spesi solo 1,5 milioni per

l'abbattimento delle barriere architettoniche - aggiunge il consigliere -. In una fase in cui ci sono poche

risorse, come si può lasciare inutilizzata per anni una cifra del genere? Un vero spreco». CARLONI parla di

anni, anziché mesi, perché sono soldi disponibili sin dal piano di edilizia residenziale approvato nel 2014.

«E modificato a dicembre perché risultava quasi totalmente inattuato», dice. Poi spiega: «Alcune azioni del

vecchio piano sono state sostituite con altri interventi proprio perché ci fosse subito un rapido impiego delle

risorse disponibili sin dal 2014. Invece anche questa promessa è stata disattesa, con un ulteriore spreco di

quelle risorse ormai disponibili da anni. E pensare poi che per i buoni casa sono stati previsti punteggi

premianti per i cittadini dei comuni colpiti dal terremoto che avrebbero assoluta necessità di beneficiarne

subito». INFINE l'attacco politico di Carloni: «L'edilizia popolare nelle Marche è ferma per colpa dell'inerzia

della vicepresidente Anna Casini che in 2 anni di legislatura non ha prodotto alcun risultato, anzi ha tenuto

bloccati milioni di euro vincolati già disponibili. Questa estenuante attesa deve finire. Occorre attuare con

rapidità le nuove linee d'intervento per limitare i danni, gli sprechi e le inefficienze derivanti dal non utilizzo

di risorse finanziarie ormai disponibili da anni e dare risposte concrete a tanti cittadini più bisognosi che,

specialmente in questo periodo - concludeono - di scarsità di risorse e di difficoltà di bilancio, vivono il

problema dell'emergenza abitativa». pa. ba.

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 39

15/07/2017

Pag. 12

diffusione:43620

tiratura:65674

L'edilizia tenta la risalita «Ma il codice appalti e il fisco frenano ancora il

mattone»

di LUCA ZORLONI - MILANO - DA QUALCHE SETTIMANA ha preso in mano le redini dell'Associazione

nazionale costruttori edili. Giuliano Campana, presidente dell'omonima Campana costruzioni, che all'Expo

di Milano ha costruito il padiglione dell'Uruguay, è il nuovo numero uno degli imprenditori italiani del

mattone. Originario di Brescia, già vicepresidente con delega al settore economico, tributario e fiscale, ha

preso il timone dalle mani del dimissionario Gabriele Buia, che ha lasciato l'incarico per accelerare l'iter

verso le elezioni di Ance della prossima primavera. Campana, che in qualità di vicepresidente elettivo più

anziano, era in pole position per governare la nave, ha davanti a sé mesi decisivi per l'edilizia italiana.

Presidente, quali sono le prospettive del settore? «Adesso il mercato si è fermato, come è normale con

l'estate, ma nei mesi scorsi è stato in fermento. Avremo sensazioni più chiare a settembre. Sui lavori

pubblici e privati ad ogni modo qualcosa si muove. Siamo penalizzati sulle parti fiscale e dal nuovo codice

degli appalti. E ricordo che in Europa siamo fanalino di coda per le infrastrutture. Mentre un segnale

interessante arriva dal ministro dell'Ambiente Galletti ed è il provvedimento per la Via (valutazione di

impatto ambientale, ndr) in trenta giorni, che smuove le cose e dovrebbe accelerare i procedimenti

autorizzativi delle opere pubbliche. A fine anno inoltre scadono i bonus fiscali, tra cui quello energetico, e ci

stiamo muovendo perché siano rinnovati. Hanno fatto lavorare le piccole imprese». Il ministro Delrio sta

studiando un libretto sulla vita degli edifici per monitorarne lo stato di salute e la manutenzione. È una

proposta che vi convince? «Non si parla più di manutenzione degli edifici. Quello che ha detto Delrio va

bene, purché non sia solo sulla carta. Servono indagini dei tecnici sulle strutture. Ogni edificio deve

presentare un libretto di manutenzione, che poi si deve attuare». Claudio De Albertis, storico presidente di

Ance scomparso alla fine dello scorso anno, aveva denunciato che troppi operai sono sconosciuti alla

Cassa edile. Cosa intende fare? «Oggi per entrare in un cantiere pubblico ci sono più controlli, un operaio

deve mostrare il cartellino con la fotografia e ci sono cartelli esposti con il nome dell'impresa e dei

subappalti. Il problema sono i lavori privati. Nell'associazione ci sono pareri diversi, io ritengo che debbano

essere controllati come i cantieri pubblici. Il Durc oggi è necessario, ma se ho uno o due operai in azienda,

me lo danno anche se poi in cantiere lavorano 50 persone. Il problema non è il subappalto, ma che sia

dichiarato e che tutti gli operai siano a libro paga». Per questo motivo i voucher in edilizia erano esplosi?

«Certo. Ance si è battuta contro le aziende irregolari, che fanno concorrenza sleale a quelle regolari».

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 40

15/07/2017

Pag. 26 Ed. La Spezia

diffusione:44383

tiratura:60563

ATTIVITÀ APERTA DA OLTRE UN SECOLO

Un'offerta a 360 gradi per la "Casa della vita "

Dai materiali per l'edilizia agli articoli sanitari e di arredamento fino al " fai da te "

DA OLTRE un secolo Calevo è sinonimo di casa. Dai materiali per edilizia, ai pavimenti, rivestimenti,

sanitari, articoli per il riscaldamento, serramenti e ferramenta, fino ad arrivare al bricolage e al fai da te.

Presenti inoltre centri altamente specializzati che riguardano i settori colore e decorazioni, elettrico,

idraulico, edilizia leggera, infissi e arredo da giardino. Un magazzino edile sempre fornito e aggiornato

grazie a un'attenta ricerca e selezione dei materiali più innovativi, un'azienda in grado di fornire una

puntuale e competente consulenza al cliente che è seguito in tutte le fasi dell'acquisto da personale

specializzato. L'impegno e la filosofia odierni sono gli stessi di un tempo, quelli di offrire assistenza e

convenienza all'operatore professionale, alle imprese e ai privati, al passo con normative e tendenze che

caratterizzano il settore civile abitativo e commerciale. Un'attività a tutto tondo, insomma, che coinvolge

l'azienda in tre sedi che ospitano la produzione e la distribuzione di migliaia di referenze e soluzioni su

misura, oltre allo show room Calevo Interior Lab. Il gruppo Calevo è orgoglioso di aiutare la propria clientela

alla realizzazione di un sogno: la costruzione della "Casa della vita". S.R.

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 41

15/07/2017

Pag. 22 N.28 - 15 luglio 2017

diffusione:57256

tiratura:78653

IN COPERTINA REPORTAGE

Post terremoto, manca il personale per il recupero

In viaggio nei borghi marchigiani colpiti dalle scosse del 2016. L'aver indebolito le soprintendenze territoriali ha rallentato la messa in sicurezza delle opere d'arte presenti in centinaia di edifici storici, danneggiati dal sisma e, ora, dall'incuria e dalla burocrazia Stefano Miliani

Castelsantangelo sul Nera, borgo incavato tra i maestosi monti Sibillini e devastato dal sisma dell'ottobre

2016, due campanili hanno reagito in modo radicalmente diverso alle scosse: la torre campanaria di Santo

Stefano (a sinistra guardando il paese) è in larga misura franata sulla chiesa distruggendo il presbiterio; il

campanile a destra, della chiesa di San Martino dei Gualdesi, è rimasto in piedi. «Qui si è seguita la

normativa obbligatoria dopo il terremoto del 1997 che ha indicato un buon modo di procedere e ha salvato il

bene. La dierenza è paradigmatica: dimostra che la prevenzione dà risultati. Con queste due chiese a una

cinquantina di metri l'una dall'altra possiamo vedere l'eetto». Chi pone una questione cruciale è Luca Maria

Cristini, architetto che tra l'altro ha curato il bel riallestimento del Museo civico di Sanseverino Marche,

tuttora aperto. Fino a poco tempo fa responsabile del patrimonio artistico della diocesi di Camerino, ha

battuto palmo palmo i paesi e le frazioni colpite, a fianco dei carabinieri del Nucleo tutela patrimonio

culturale di Ancona per valutare i danni e recuperare dipinti, sculture, suppellettili. Nelle Marche meridionali

prossime all'Umbria, nella Valnerina, l'epicentro ha scatenato la potenza più distruttiva. Tra le case crollate

di Castelsantangelo spicca un palazzo cinquecentesco con finestre ad arco troncato a metà. Nella frazione

di Vallinfante qualche operaio lavora in un cantiere del ministero dei Beni e attività culturali e del turismo in

una chiesa di cui, del campanile, resta il mozzicone della base coperta da un telo azzurro. Agenti della

Finanza controllano chi si avvicina. A Visso, dove qualche negozio vicino a militari e polizia brulica di vita,

all'ingresso della "zona rossa" una sorta di pupazzo bianco sul ponte pare introdurre a una porta puntellata

e d'ingresso alla cittadina. Salendo a nord lo scenario vira decisamente in meglio. A Camerino la vita scorre

normale, l'università ha tenuto bene, mentre il centro storico in alto, circondato dalle mura, è inagibile, è

"zona rossa" sorvegliata dall'esercito. Qui in una piazza Cavour desolatamente vuota tre operai entrano nel

Duomo ricostruito nell'800. Nel portico c'è qualche calcinaccio. Al capo opposto dell'abitato la chiesa di

Santa Maria in Via, di metà '600, è un cantiere con gru e macchinari. Mariano Blanchi, il parroco, è «molto

arrabbiato perché, dopo il terremoto del 24 agosto, c'erano evidenti crepe strutturali. Non è stato preso

alcun provvedimento salvo transennare, nessuno ha ascoltato. Dopo la scossa del 26 ottobre il campanile

si è spezzato sotto la cella campanaria. E la neve a febbraio ha fatto cadere un pezzo della cupola

lesionata lasciandone uno spicchio. Era decorata, una meraviglia. Si poteva salvare. Si sono rimpallati tutti

la responsabilità finché ho spedito al ministero una lettera documentata con foto e ad aprile è partito il

cantiere. Speriamo fermi il degrado. Andava fatto prima». Intanto il dipinto-icona del Rinascimento camerte,

l' Annunciazione del 1455-6 di Giovanni Angelo D'Antonio, fino al 30 luglio è agli Uzi nella mostra con opere

marchigiane dalle zone terremotate, Facciamo presto! Non è nella Pinacoteca civica perché svuotata in

quanto inagibile. Per la curatrice delle collezioni civiche e direttrice del Museo diocesano di Camerino,

Barbara Mastrocola, «serviranno tempi lunghi. Si può immaginare che nasca un polo museale unico con le

due raccolte più la biblioteca, per esempio nell'ex chiesa di San Francesco». A giudizio della museologa il

compito è immane: «Questa diocesi conta 512 chiese di cui 340 lesionate e spesso in luoghi dicili da

raggiungere. La gestione del dopo-terremoto? Capisco che i responsabili dei beni culturali non potevano

parlare con tutti i sindaci, tuttavia avrebbe dovuto esserci più condivisione. E un tempo il ministero aveva un

ispettore per l'area grosso modo della provincia di Macerata, adesso la stessa figura deve seguire più

territori. La soprintendenza da sola non può farcela». Che il Mibact abbia forze insucienti alla tutela è

opinione ampiamente diusa fra gli addetti. «Tra architetti, archeologi, bibliotecari, storici dell'arte,

restauratori e via dicendo da tutta Italia si sono avvicendate come rinforzi, a titolo volontario, perché non

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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 42

15/07/2017

Pag. 22 N.28 - 15 luglio 2017

diffusione:57256

tiratura:78653

possiamo obbligare nessuno, circa mille persone, uno sforzo enorme», ribatte il prefetto Fabio Carapezza

Guttuso, responsabile dell'Unità di crisi del coordinamento del ministero dei Beni culturali. È ancor più diusa

la convinzione che il dicastero non abbia protetto molti edifici storici dopo il 24 agosto. «Parliamo di tre

terremoti. Con i danni del primo avremmo concluso i rilievi in sei mesi. La messa in sicurezza difende il

monumento da una scossa di un'intensità prevedibile, non da qualunque terremoto e quello del 30 ottobre è

stato dirompente. A Camerino abbiamo messo in sicurezza i due campanili del Duomo perché cadendo

avrebbero potuto sfondare alcuni presidi, ma anche se l'avessimo fatto a San Benedetto a Norcia la

basilica sarebbe crollata lo stesso. Anzi, se irrigidisci una parete rischi di provocare un danno maggiore». Il

prefetto puntualizza: «Come chiarito in incontri continui con vescovi e sindaci, un'ordinanza del

commissario alla ricostruzione Vasco Errani prevede che un Comune, una Diocesi o un privato possa

chiamare direttamente un intervento in caso di "somma urgenza" per evitare il crollo di un edificio storico».

E, sottintende, spesso questo non è avvenuto. © Tiziana Fabi/Afp/Getty Images © Pinacoteca e Museo

Civici, Camerino (Macerata)

Il ministero dà i numeri Il ministero dei Beni culturali ha conteggiato, a fine aprile, 16.111 beni mobili

recuperati di cui 8.045 nelle Marche, 5.000 in Umbria, 2.856 nel Lazio, 210 in Abruzzo; 6.921 i beni librari

messi al riparo (1.250 nelle Marche, 5.000 in Umbria); 633 le messe in sicurezza di edifici storici (441 nelle

Marche, 79 in Abruzzo, 73 in Umbria, 39 nel Lazio). Sul personale, sempre fino a fine aprile, il dicastero di

chiara di aver impegnato 300 per sone a settimana per un totale, a rotazione, di duemila unità.

Tonnellate di macerie non rimosse Sono 840mila le tonnellate di macerie prodotte dal terremoto se si

guarda anche soltanto alla r egione Marche. Fin qui ne sono state portate via 63mila tonnellate. Alla fine si

prevede che per le macerie saranno spesi almeno 42 milioni di euro. Ma il caso de L'Aquila e dei paesi

colpiti dal sisma del 2009 met te in guardia. I detriti edilizi sono ancora in buona p arte da rimuovere.

Foto: La chiesa di Sant'Antonio, presso Visso (Macerata), danneggiata dal terremoto del 26 ottobre 2016.

Nella pagina seguente, Giovanni Angelo d'Antonio (Bolognòla, Macerata, documentato dal 1443, morto tra

il 1478 e il 1481) Annunciazione , tempera su tavola Camerino (Macerata), Pinacoteca e museo civici

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SCENARIO ECONOMIA

48 articoli

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 44

17/07/2017

Pag. 6

diffusione:245885

tiratura:332759

Fisco semplice ?

Commercialisti in rivolta: introdotti altri 50 codici tributo e nuovi adempimenti. L'appello a Ruffini I costi Lo Stato spende meno ma sono aumentati i costi per i contribuenti e i commercialisti Isidoro Trovato

Medaglia d'oro agli europei e medaglia di bronzo ai mondiali. Disciplina, complicazione fiscale. Non c'è

l'orgoglio di bandiera in questi risultati visto che il Fisco italiano viene collocato al terzo posto della speciale

classifica stilata dell'indagine «Financial complexity index 2017» redatta da Tfm group, società

multinazionale attiva nel campo della consulenza fiscale e assicurativa. Su 94 ordinamenti tributari

analizzati in tutto il mondo, solo Turchia e Brasile superano il Fisco italiano in tema di complessità, il che ci

assegna la non invidiabile prima posizione tra le nazioni dell'Unione Europea.

Eppure questo doveva essere l'anno delle semplificazioni fiscali e del taglio dei documenti inviati

all'Agenzia delle Entrate. Invece, secondo i calcoli realizzati dai commercialisti italiani, la situazione si è

ulteriormente complicata e da questa constatazione nasce la lettera di potestà inviata dal presidente Miani

al direttore dell'Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini. Basti pensare che nel 2016 sono stati inviati

alle Entrate 177 milioni di documenti mentre quest'anno siamo a 130 milioni e si chiuderà, verosimilmente,

a 200 milioni di documenti. Ad appesantire il processo ci hanno pensato le nuove comunicazioni trimestrali

dell'Iva: al momento sono quasi 3,9 milioni in più i documenti trasmessi. Persino i codici tributari sono saliti

da 300 a 350 (anche se questo non equivale a un aumento delle tasse).

Attenzione però, nessuno vuole buttare il bambino insieme all'acqua sporca: l'introduzione del Fisco online

ha permesso evidenti risparmi di spesa (stimati intorno a 2 miliardi di euro) per le casse dello Stato,

secondo l'Ocse si tratta del risparmio più consistente realizzato in Europa negli ultimi anni. «I risparmi di

spesa per lo Stato però si sono tradotti in maggiori costi a carico dei contribuenti e dei commercialisti che li

assistono - fa notare Massimo Miani, presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti - a causa del

moltiplicarsi degli adempimenti fiscali di questi ultimi anni. Solo per citare i casi più clamorosi, si pensi ai

nuovi obblighi di comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche Iva e di tutte le fatture emesse e

ricevute. Responsabilmente, in questi anni, la nostra categoria, ha, con tutte le difficoltà del caso, accolto la

sfida della digitalizzazione contribuendo in modo decisivo allo sviluppo del Fisco telematico più avanzato

del mondo. Però adesso c'è bisogno di uno scatto in avanti» per evitare che la digitalizzazione si riveli un

boomerang.

Infatti se il sistema è, di fatto, diventato tra i più evoluti al mondo, l'assenza di semplificazioni rischia di

renderlo addirittura il più lento e complesso. È così i risparmi per lo Stato si traducono in maggiori spese

per professionisti e contribuenti. Se quest'anno, come sembra, si sfonderà il tetto dei 200 milioni di

documenti, si certifica il paradosso: innovare complicando.

Il simbolo di ciò è la semplificazione fiscale più significativa degli ultimi anni, il 730 precompilato:

un'innovazione di successo per i circa 30 milioni di contribuenti che ne hanno usufruito, ma solo grazie a

milioni di altri soggetti costretti a inviare al Fisco montagne di comunicazioni indispensabili per predisporre i

modelli 730 e Redditi.

Cosa cambiare? In una lunga lettera al direttore dell'Agenzia delle Entrate, Ruffini, i commercialisti hanno

indicato alcune priorità: da un razionale calendario delle scadenze fiscali, all'eliminazione dell'obbligo di

stampa dei registri Iva, dal progetto di fatturazione elettronica agli indici di affidabilità fiscale, fino alla

proroga automatica degli adempimenti tributari. Un'agenda di semplificazioni per perdere il primato delle

complicazioni.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Lo Stato e le tasse Fonte: Consiglio nazionale dei dottori commercialisti Corriere della Sera Pressione

fiscale in Italia (dati in %) 36,0 37,5 39,0 40,5 42,0 43,5 45,0 1996 1998 2000 2002 2004 2006 2008 2010

2012 2014 2016 2017 2018 2019 2020 Previsioni DEF 2017 Costi degli adempimenti fiscali Studio

composto da un titolare e 2 addetti Parametri rilevati Valore Studi che fanno prevalentemente adempimenti

fiscali Studi con addetti da 1 a 3 Tempo dedicato dal titolare per gli adempimenti fiscali Tempo dedicato dai

dipendenti e dai collaboratori 73% 60% 42% 71% 0 20 40 60 80 Maggiori entrate da nuovi adempimenti 2,1

2,8 Spesometro e liquidazioni Iva trimestrali Decreto legge 193/2016 Ampliamento split payment e stretta

compensazioni Decreto legge 50/2017 2,7 miliardi 3,5 miliardi Imposte dirette di competenza 2016 (dati in

%) Irpef 71,5 IRES 16,7 Ritenute sui redditi di capitale 4,8 Ritenute sui dividendi 0,4 Sostitutive art 3 legge

662,96 1,6 IMU riserva erariale 1,3 Altre imposte dirette 3,8 Totale 264,8 miliardi

Telematico

Il Fisco telematico

ha già compiuto dieci anni. Il 2006

fu il primo anno in cui vennero introdotte

le prime comunicazioni online all'erario Ora tutti

i dati fiscali vengono acquisiti in digitale: milioni e milioni di bit, tra modelli e comunicazioni, che arrivano

al fisco tramite

Entratel,

il canale dell'Agenzia delle Entrate utilizzato dagli intermediari

come i commercialisti I professio-nisti lamentano però troppi adempimenti

730 precompilato

La scadenza

Lunedì 24 luglio scade

il termine per inviare il 730 precompilato in modo autonomo o tramite Caf

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 46

17/07/2017

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Le mani della Cina sui porti del mondo La Via della Seta passerà

dall'Artico

Sugli scali investiti 20 miliardi di euro in un anno: così cambiano le rotte commerciali Guido Santevecchi

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE

PECHINO La Cina ha speso venti miliardi di euro solo nell'ultimo anno per acquisire il controllo integrale o

parziale di porti stranieri lungo le rotte della sua nuova Via della Seta. I conti li ha fatti la banca

d'investimenti londinese Grisons Peak e li ha riferiti il Financial Times .

Gli approdi sui quali hanno investito recentemente i cinesi sono nove. Quattro in Malesia e uno in Indonesia

per completare il percorso marittimo che attraverso l'Oceano Indiano arriva nel Mediterraneo. Nel grande

progetto della nuova Via della Seta c'è una seconda rotta per l'Europa, che i pianificatori cinesi hanno

tracciato a Nord, lungo l'Artico che sta diventando più navigabile a causa del riscaldamento terrestre che fa

sciogliere i ghiacci.

E lungo questo passaggio nel 2016 sono stati contati investimenti di Pechino in altri quattro porti: Arcangelo

in Russia, poi Lituania, Norvegia e Islanda.

Negli anni precedenti il gioco del domino commerciale cinese aveva già coperto con la bandiera rossa

(sarebbe più preciso dire con montagne di renminbi) il porto pachistano di Gwadar, nello Sri Lanka lo scalo

di Hambantota e in Grecia il Pireo. L'Italia ha offerto di aprire Trieste e Genova ai container cinesi, come

terminali della via europea.

La Marina militare cinese ha appena inaugurato la sua prima base all'estero, a Gibuti sulla costa orientale

dell'Africa. Le navi da guerra a Gibuti servono a proteggere gli interessi commerciali di Pechino, cresciuti

enormemente; ma anche ad appoggiare le missioni internazionali di pace in Africa alle quali i cinesi stanno

partecipando sempre più attivamente.

Quando qualcuno avanza il sospetto che la base di Gibuti serva anche per mire di nuova potenza militare

globale, a Pechino replicano che nello stesso porto sono presenti le forze navali di Stati Uniti, Francia e

anche del pacifista Giappone.

Tornando ai porti commerciali, per giudicare se le decine di miliardi di investimenti cinesi saranno state un

successo o uno spreco in zone anche instabili del mondo bisognerà aspettare anni. Ma un'osservazione si

può fare subito: la nuova Via della Seta lanciata da Pechino è l'unica idea nuova in questo periodo di spinte

neo-protezioniste.

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Oceano Indiano Oceano Atla n t i co Oceano Pac i fi co C I N A NORVEGIA R U S S I A LITUANIA SRI

LANKA MALESIA INDONESIA ISLANDA PAKISTAN GRECIA Melaka Gateway Kalibaru Arcangelo Kuala

Linggi Penang Kuantan Klaipeda Kirkenes Gwadar Hambantota Pireo Porti nei quali ha investito prima di

giugno 2016 Porti nei quali la Cina ha investito negli ultimi 12 mesi La rete di Pechino centimetri

Il piano

La nuova Via della Seta è un'iniziativa strategica lanciata dalla Cina nel 2013 Prevede di sviluppare

infrastrutture di trasporto e di logistica per aprire nuovi canali commerciali tra Cina, Europa e Asia Fino a

giugno 2016 gli investimenti cinesi nei porti ammontavano a 9.97 miliardi di euro Nell'ultimo anno, secondo

le stime di uno studio della banca Grisons Peak, la Cina

ha speso oltre 20 miliardi

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 47

16/07/2017

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Pil e disagio sociale

la ripresa cammina il lavoro no

Dario Di Vico

L e nuove stime pubblicate dalla Banca d'Italia sul Pil 2017 hanno fatto discutere. Il numero uscito (+1,4%)

non è così distante dalle valutazioni di altri centri di ricerca o persino del Fondo Monetario ma una lista

degli ottimisti capeggiata da Palazzo Koch qualche sensazione nuova la fornisce. I più maliziosi, come

Enrico Rossi presidente della Regione Toscana e fondatore di Mdp, si sono spinti molto in avanti

ipotizzando un legame «tra l'odierno ottimismo e la scadenza degli incarichi che ci sarà ad ottobre» ma

come si sa in Italia le polemiche partono anche per molto meno. Per avere un riscontro solido bisognerà

attendere metà agosto con il dato ufficiale dell'Istat sul Pil del secondo trimestre (la Banca d'Italia prevede

+0,4%), nel frattempo però metteremmo in guardia gli esponenti della maggioranza dall'intestarsi in toto la

ripresa. Se non altro perché appare chiaro, da tutti gli studi, che la matrice è esogena ovvero è molto

influenzata dal buon ritmo dell'economia internazionale, dalla tenuta dei flussi della globalizzazione

nonostante le sparate di Donald Trump e dal ritorno di vivacità dei Paesi Bric. L'elemento endogeno

dell'accelerazione del Pil italiano è dovuto quasi interamente alle vendite di auto che in tre anni hanno fatto

segnare +40% di immatricolazioni. Ma fin quando durerà questo ciclo? È di 48 ore fa la rilevazione riferita a

giugno '17 di un rallentamento nelle vendite in Europa .

Resta da aggiungere che la nostra crescita viaggia comunque più lentamente rispetto ai partner europei: la

Spagna è poco sotto il 3%, la Germania poco sopra il 2%, la Francia a +1,7% e la media dell'area euro a

+2,1%.

Anche i più ottimisti tra coloro che stimano un'accelerazione dei decimali del Pil italiano sanno però che il

problema di più difficile soluzione è un altro: l'effetto di trasmissione in basso non è così immediato e

meccanico. Se ci riferiamo ad almeno tre parametri «sociali» ovvero disoccupazione, povertà e salari anche

un +1,4% non sposta molto. Partiamo dall'occupazione che è cresciuta ma non nella direzione auspicata

dai sostenitori del Jobs act: dai dati Inps viene fuori che nel 2017 solo il 20% di contratti attivati ha utilizzato

le tutele crescenti mentre il 66,8% è composto da assunzioni a termine. Aggiungiamo poi che per effetto

della legge Fornero sul prolungamento dell'età pensionabile l'occupazione statistica aggiuntiva si addensa

nelle classi di età dai 50 in poi. Che fare? Il governo Gentiloni pensa di inserire nella prossima legge di

Stabilità una misura selettiva a favore dei giovani, che ne riduca strutturalmente il costo del lavoro e quindi

induca le imprese a privilegiarli. Maurizio Ferrera sul Corriere pochi giorni fa ha sostenuto la necessità di

una misura straordinaria, una sorta di 5xmille per l'occupazione giovanile. Il tema è dunque sul tappeto e i

decimali del Pil incidono poco (per ora).

In materia di povertà assoluta possiamo dirci soddisfatti di aver fermato la frana: negli ultimi due anni le

quantità sono rimaste invariate. Il guaio è però che l'indigenza italiana si addensa tra i minori e gli

adolescenti con il gravissimo rischio di consegnarci negli anni un considerevole stock di giovani poveri con

tutto quello che ne consegue in termini di esclusione, costi di welfare e contraccolpi psicologici. Il governo

Gentiloni ha colmato una lacuna storica del nostro Paese varando la prima misura anti povertà (il Reis) ma

le organizzazioni della società civile che l'hanno proposta e sostenuta sono coscienti che si tratta solo di un

intervento di pronto soccorso. C'è bisogno invece di una vera terapia anche se guidata dal criterio di

focalizzazione delle risorse e non dalla spesa a pioggia.

Per ultimo, i salari. L'Istat ci ha detto che si stanno ingrossando le fila dei working poors, tute blu che

lavorano ma non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese. La Banca d'Italia ha aggiunto che un

incremento dei salari aiuterebbe i consumi e indirettamente il Pil. Ma come abbiamo visto con gli 80 euro -

per le incertezze sul futuro - non è automatica la trasmissione tra aumenti in busta paga e maggiori

consumi e soprattutto da parte della Confindustria si teme, a ragione, che un incremento dei salari finisca

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 48

16/07/2017

Pag. 1

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per deprimere gli investimenti e l'export a causa della conseguente perdita di competitività da parte delle

imprese. Come se ne esce? A settembre piuttosto che organizzare 100 tavole rotonde sul tema, la strada

che ci sentiamo di suggerire è un'altra: rompere gli indugi sulla riforma delle relazioni industriali e pigiare il

pedale dello scambio salari-produttivit à.

Dario Di Vico

@dariodivico

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 49

16/07/2017

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La Lente

Il bonus da 80 euro? Oltre la metà per i consumi

I conguagli Secondo lo studio di Bankitalia 1,5 milioni di persone hanno restituito il bonus Fabio Savelli

Il bonus da 80 euro

«ha avuto un

significativo impatto macroeconomico». Secondo uno studio condotto da tre economisti della Banca d'Italia

(Andrea Neri, Concetta Rondinelli e Filippo

Scoccianti) le famiglie beneficiarie del bonus Irpef (deciso dal governo Renzi nel 2014) hanno «aumentato

la spesa mensile per alimentari e mezzi di trasporto di circa 20 euro e 30 euro, rispettivamente,

consumando il 50-60% del bonus nel corso dello stesso anno». Una prova a supporto di chi ha sempre

sostenuto come l'incentivo sia servito davvero per ravvivare i consumi

Il report ricorda come gli 80 euro mensili siano stati destinati ai lavoratori con redditi annui tra gli 8 mila euro

e i 26 mila.

Il governo ha puntato a una platea di dieci milioni di lavoratori, con il riconoscimento del premio tramite un

meccanismo automatico, soggetto poi a conguagli. In realtà, aggiunge il rapporto, «si stima che circa 1,5

milioni di persone ha dovuto restituire il bonus nel 2015», perché a conti fatti non rientrava nei requisiti

necessari per l'accesso. L'analisi degli economisti dell'istituto di via Nazionale, anticipata per alcuni aspetti

anche nella relazione annuale della Banca d'Italia, ha rilevato che «i consumi sono aumentati di 3,5 miliardi

di euro», con «il 40% della crescita della spesa per consumi del 2014 che si deve all'introduzione del

bonus». A distanza di tre anni da quella che l'ex premier Renzi definì «la più grande operazione di

redistribuzione fatta negli ultimi anni» arriva così l'approvazione di Palazzo Koch. Per un'iniziativa tacciata

di populismo. Per i suoi detrattori vista come una mancia elettorale. Per la quale lo stesso Renzi

recentemente ha recitato il mea culpa per averla presentata «come una televendita».

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 50

16/07/2017

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Comuni, in cinque anni triplicati i dissesti Su 556 fallimenti oltre 400

sono al Sud

Decaro (Anci): sempre meno risorse dallo Stato. L'allarme della Fondazione commercialisti Isidoro Trovato

Fine crisi mai. I Comuni italiani non vedono la luce in fondo al tunnel e da 27 anni vivono sull'orlo del

baratro economico. A certificarlo è un'indagine della Fondazione nazionale dei commercialisti che ha

raccolto i dati dal 1989 al 2016: ne viene fuori un'istantanea sconfortante di un'Italia a due velocità in cui,

dei 556 dissesti complessivi, 450 si sono verificati nel Meridione. In pratica, più del 70 % dei fallimenti

registrati dagli enti locali si rileva al Sud, con un numero di default dichiarati negli anni 2011-2015 quasi

triplicato rispetto agli anni precedenti. «Uno scenario inevitabile - commenta Antonio Decaro, sindaco di

Bari e presidente dell'Anci -, il Meridione da anni è dotato di minori risorse, ha meno gettito fiscale e quindi

meno Irpef e adesso ha una percentuale altissima di morosi che non pagano le tasse locali. Come se non

bastasse, i Comuni del Sud hanno fatto da ammortizzatori sociali assumendo precari e Lsu che hanno

pesato sui bilanci. Abbiamo subìto i tagli dello Stato e non siamo in condizione di riscuotere abbastanza dai

nostri cittadini».

Qualcuno potrebbe obiettare che, se esiste tanta differenza tra Nord e Sud, è anche perché c'è stato

qualcuno più virtuoso e qualche altro meno. «Ma ormai parliamo di danni procurati venti o trent'anni fa -

protesta il presidente dell'Associazione dei Comuni italiani -, con i controlli attuali nessuno potrebbe tornare

agli sprechi del passato, pensi che io, in un Comune come Bari, ho a bilancio un'unica consulenza da 25

mila euro l'anno. Adesso la missione è portar fuori dal pantano i Comuni in difficoltà per non penalizzare i

cittadini a cui si tagliano i servizi. Lo Stato dovrebbe concedere tassi praticabili ai Comuni che chiedono

mutui per uscire dalla crisi».

L'identikit dei commercialisti va più nello specifico e rileva che più del 60% degli enti in situazioni di

deficitarietà è concentrato dove la popolazione è inferiore a 5.000 abitanti, si tratta dunque per la

maggioranza di Comuni di piccole dimensioni (di cui circa il 40% sono enti con popolazione fino a 2.000

abitanti). Il restante 40% è concentrato nelle classi demografiche tra i 5.000 e 60.000 abitanti. «In questo

caso - continua Decaro - bisognerebbe chiedersi il perché dei tagli dei fondi anche a Comuni così piccoli: si

tratta di realtà che incidono in maniera infinitesimale sulla spesa pubblica ma che sono finiti subito in

difficoltà a causa di un gettito ridotto che non riescono più a compensare, specie se si trovano su un

tessuto sociale impoverito».

E allora come vedere la fine del tunnel? Secondo i commercialisti (che svolgono funzione di revisori dei

conti) servirebbero controlli più stringenti e un monitoraggio più efficace sulle realtà più a rischio e già in

regime di sofferenza o predissesto. «Non credo serva altro controllo - obietta il sindaco di Bari -,

servirebbero strumenti più efficaci: il nuovo ordinamento contabile risulta troppo complesso e poco incisivo.

Sarebbe auspicabile una riforma della riscossione locale: noi sindaci fronteggiamo una morosità crescente

e non abbiamo gli strumenti adatti per riscuotere il dovuto. Non si può pensare a fare solo perequazione

orizzontale, così lo scenario può solo peggiorare». E infatti la Fondazione dei commercialisti segnala che la

curva dei dissesti è di nuovo in crescita. «Alle Regioni - ricorda Decaro - sono state concesse condizioni

economiche favorevoli per sanare bilanci altrettanto disastrati, i Comuni devono fronteggiare la crisi senza

poter aumentare le tasse, per effetto del blocco della leva fiscale, senza condizioni di credito favorevoli.

Come scalare una montagna a mani nude».

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Corriere della Sera Nord I dissesti Numero dichiarato per area geografica ANNI 1989-2016 2011 2012

2013 2014 2015 2016 2 1 1 1 0 0 Centro 2 1 1 1 0 1 Sud 5 16 15 16 12 13 Isole 1 2 5 6 6 3 Fonte:

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 51

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Fondazione Nazionale dei Commercialisti Nord Isole Centro Sud 556 totale 50 38 62 406

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 52

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intervista a mario monti

«L'ex premier? Un disco rotto»

Federico Fubini a pagina 6

M ario Monti non è tipo da tirarsi indietro in una polemica, ma stavolta ne avrebbe quasi voglia. «Dibattere

con il presidente Matteo Renzi è, purtroppo, impossibile - dice il senatore a vita -. Le argomentazioni degli

altri non gli interessano. Come un disco rotto, ormai ripete senza fine i suoi slogan e le sue accuse. Il

rumore e la rissosità crescono esponenzialmente. L'impatto, in Italia e all'estero, tende asintoticamente a

zero. Pari a zero è anche il suo rispetto per gli interlocutori e per la realtà».

Però Renzi la accusa di aver approvato il Fiscal compact, lasciando ai governi successivi l'onere di

applicarlo. Vorrà pur rispondergli.

«Il Fiscal compact ha un padre, Mario Draghi, che lanciò l'idea nel dicembre 2011 appena diventato

presidente della Bce, e una madre, Angela Merkel, che la spinse politicamente. Draghi doveva accreditarsi

presso quel mondo tedesco che era preoccupato per l'arrivo al vertice della Bce di un italiano, sia pure con

ottima reputazione. Draghi decise anche di cessare gli acquisti di titoli di Stato italiani da parte della Bce,

che avevano dato ossigeno al governo Berlusconi nell'estate e autunno 2011, senza peraltro riuscire a

frenare l'impennata dello spread a causa della sfiducia dei mercati verso un governo che non era in grado

di prendere i provvedimenti necessari».

Dunque lei non lo sostenne?

«Quando a metà novembre fui chiamato a fronteggiare l'emergenza finanziaria, l'esigenza di Draghi di

presentarsi come "falco", che pure comprendevo, rendeva il compito del mio governo ancora più difficile:

fine del sostegno ai titoli italiani e corsetto ancora più stretto sui conti dello Stato. Nacque allora la strategia

del governo. Avremmo dovuto farcela senza l'aiuto della Bce, senza ricorrere a prestiti Ue o Fmi che

avrebbero messo per anni le decisioni del governo e del parlamento in mano alla troika , ma con le sole

nostre forze. Questo voleva dire: in Italia, risanamento dei conti pubblici e riforme strutturali, per riacquisire

credibilità; in Europa, uso delle nostre credenziali europee e della ritrovata credibilità dell'Italia, per spingere

la Germania e gli altri a rendere la governance dell'eurozona, più forte di fronte alla crisi finanziaria.

Contribuire in modo decisivo a migliorare l'Europa da una posizione iniziale di estrema debolezza, è stato

motivo di soddisfazione».

Dunque lei vede la stretta di bilancio di allora come inevitabile?

«Quei miglioramenti hanno portato vantaggi, in particolare all'Italia. Draghi difficilmente avrebbe potuto, di

colpo, motu proprio , annunciare nel luglio 2012 una politica monetaria espansiva e poi metterla in opera,

se non si fosse creato un contesto per lui rassicurante, tale da escludere che la Merkel prendesse

posizione contro il suo annuncio. Quel contesto si realizzò a fine giugno 2012 quando al Vertice

dell'eurozona, a seguito del pressing italiano sulla Germania, anche la Merkel si rassegnò a dare il suo

assenso allo scudo anti-spread».

Renzi dice che ha lasciato un deficit più basso di lei...

«Sulla gara a chi è stato più rigoroso, i dati annui grezzi di deficit, come il 2,3% del Pil esibito da Renzi,

hanno poco significato. Molto è dovuto alla spesa per interessi, che Renzi si è trovata fortemente ridotta per

effetto del risanamento fatto dai suoi predecessori e della politica della Bce».

Altra accusa del leader del Pd: lei non ha «saputo trattare in Europa», sulle banche oltre che sul Fiscal

compact.

«Il Fiscal compact l'ho firmato, certo. Se in quel momento l'Italia, il Paese più a rischio dell'eurozona, non

l'avesse sottoscritto, lo spread sarebbe subito tornato ben oltre i livelli ai quali l'avevo trovato. Ma l'ho

firmato in base a due considerazioni: quegli stessi vincoli su disavanzo e debito pubblico erano già stati

introdotti in forma cogente nelle regole europee, durante il governo precedente al mio; e prima di firmarlo

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 53

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eravamo riusciti a far modificare, in senso meno penalizzante per i Paesi ad alto debito, la procedura per

sanzionare gli eventuali eccessi.

E sulle banche?

«Forse Renzi ignora che il trattamento più severo della storia sulle banche tedesche fu operato quindici

anni fa, quando ero commissario europeo per la Concorrenza; che il passaggio dal bail-out al bail-in , che a

me peraltro sembra ragionevole perché credo che il denaro dei contribuenti debba essere rispettato, è stato

deciso a livello europeo con il consenso dell'Italia non durante il mio governo, ma durante i due governi

seguenti; che se vuol sentirsi spiegare ancora una volta perché, nel momento difficile in cui mi è stato

chiesto di governare, mi sono ben guardato dall'immaginare di mettere a carico dello Stato, esso stesso

quasi in default, oneri per salvare le banche da eventuali problemi che dovessero avere a seguito

dell'incompetenza o delle malefatte di politici legati a banchieri o di banchieri legati a politici, può sempre

leggere una mia lettera pubblicata dal Corriere il 2 agosto 2016. Ma dove Renzi brilla per viltà è quando mi

accusa di avere lasciato oneri a carico dei futuri governi».

Che intende dire?

«Ho accettato di governare in un momento in cui nessuno voleva prendersi quel rischio e non ho, come lui,

preteso di governare quando un collega lo stava facendo decorosamente. Il mio governo, con il conforto del

presidente Napolitano e l'appoggio del Parlamento, ha lasciato a chi è venuto dopo una finanza pubblica

riequilibrata, un Paese uscito dalla procedura di disavanzo eccessivo, integro nella sua sovranità senza

cessioni di poteri alla troik a , uno spread ridottosi ad un terzo di quello trovato, un processo di riforme

avviato, una governance europea migliore, con una Bce più libera di esprimere la propria indipendenza e

una disciplina di bilancio che per la prima volta ammetteva una certa flessibilità, limitatamente alla spesa

pubblica per investimenti. Sarà stato forse per questi motivi che un Matteo Renzi già rottamatore, ma non

ancora accecato prima dal successo e poi dall'insuccesso, scriveva nel programma delle Primarie 2012 : "A

livello europeo, l'autorevolezza di Mario Monti ha facilitato l'assunzione di decisioni importanti, che vanno

nella giusta direzione"».

Che pensa della proposta di un deficit al 2,9% del Pil per cinque anni?

«Confido che non venga fatta propria dal governo. Appartiene al genere delle improvvisazioni in cui

l'annuncio precede la riflessione, come del resto fu la strategia fiscale del governo Renzi, annunciata ad

un'assemblea Pd a Milano senza che neanche il ministro dell'Economia - scommetto, e spero per lui - ne

sapesse nulla. Anziché "tornare a Maastricht", bisogna far evolvere il patto di Stabilità introducendo uno

spazio legittimo per veri investimenti pubblici. Una volta fatto questo, si può puntare verso il pareggio (al

netto del disavanzo per investimenti), corretto per tenere conto del ciclo economico. Creare uno spazio

indiscriminato del 2,9%, dichiaratamente per ridurre le tasse in disavanzo, mi sembra una recidiva senza

senso».

E che dice dell'idea, che avanza nel Pd e nel governo, di mettere un veto all'inserimento del Fiscal compact

nel diritto dell'Unione Europea?

«Si è riusciti a rendere anche questa una questione di bandiera, per misurare chi ce l'ha più duro. Intendo,

naturalmente, il senso dell'orgoglio nazionale».

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Quando andai al governo l'esigenza di Draghi di presentarsi come «falco» rendeva il compito più difficile Da

qui la strategia di risanamen-to e riforme Confido che la proposta del segreta-rio pd sul deficit non venga

fatta propria dal governo Appartiene al genere di improvvisa-zioni in cui l'annuncio precede la riflessione Le

banche? Forse il leader dem ignora che il trattamento più severo della storia su quelle tedesche fu operato

quindici anni fa, quando ero commissa-rio alla Ue

Chi è Mario Monti, 74 anni, economista, è stato più volte commissario europeo. Dal 2011 al 2013

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 54

15/07/2017

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è stato premier italiano. Presiede l'Università Bocconi e,

dal 2011, è senatore a vita

Ho accettato di governare quando nessuno voleva prendersi quel rischio e non ho, come lui, preteso di

governare quando un collega lo stava facendo decorosamente

La parola Fiscal compact

Accordo sottoscritto da 25 dei 27 stati membri dell'Unione Europea, che vincola le parti contraenti a

rispettare una serie di regole per il contenimento del disavanzo pubblico, la riduzione del debito e il

conseguimento del pareggio di bilancio.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 55

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I dati

Ape social e precoci, graduatorie entro ottobre

Enrico Marro

ROMA A ieri erano circa 65 mila le domande presentate all'Inps da parte dei lavoratori che vogliono

accedere all'«Ape social» oppure che sono «precoci». Un risultato non distante da quello che aveva messo

in cantiere il governo quanto con l'ultima legge di Bilancio ha varato queste misure. Il termine per

presentare le domande scade alla mezzanotte di oggi, sia per gli aspiranti all'«Ape social», sia per i

«precoci».

L'Ape social è l'anticipo di pensione sotto forma di assegno fino a 1.500 euro a carico dello Stato, che viene

concesso a limitate categorie di lavoratori al compimento dei 63 anni e fino a quando essi non accedano

alla pensione normale. Per i precoci (quelli con almeno un anno di contributi prima dei 19 anni d'età) è

invece previsto l'accesso anticipato alla pensione dopo 41 anni di contributi indipendentemente dall'età.

Il governo aveva preventivato 60 mila domande in tutto. Fino a ieri ne sarebbero arrivate 65 mila: circa 39

mila per l'Ape e 26 mila per i precoci. Alcune non verranno accolte per mancanza di requisiti o irregolarità.

Dovrebbero quindi bastare i 300 milioni stanziati per quest'anno. Del resto, nel caso dell'Ape social, il

beneficio è limitato a disoccupati senza più ammortizzatori da almeno tre mesi; invalidi al 74% o più;

lavoratori in attività gravose; con disabili a carico. Oltre ad avere almeno 63 anni di età, sono richiesti 30

anni di contributi (36 per le attività gravose).

Entro il 15 ottobre l'Inps farà la graduatoria delle domande accolte in ordine d'età del richiedente. Chi

matura i requisiti dopo la chiusura del termine di oggi potrà presentare domanda entro il 30 novembre. I

sindacati hanno ottenuto per gli operai del settore edile che la certificazione dei periodi di lavoro possa

essere ottenuta anche dalle casse edili quando non sia possibile averla dal datore di lavoro. Stanno

insistendo inoltre col governo perché si modifichi la legge per consentire un accesso più facile alle donne

con figli e lavori di cura.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 56

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Il cantiere di Intesa Sanpaolo-Venete Ecco l'accordo sulle 4.000 uscite

Dai mutui al bancomat, già partita la fase di integrazione post salvataggio Paola Pica

L' accordo sindacale numero mille, un accordo storico non solo perché l'ultimo della lunga serie, è stato

siglato dove tutto è cominciato per Intesa Sanpaolo: nella sede del Nuovo Banco Ambrosiano, in piazza

Ferrari a Milano.

Se simboli hanno un senso, il cantiere delle banche venete può dirsi aperto ancor prima della conclusione

dell'iter parlamentare. Almeno ci hanno messo la firma i 100 seduti giovedì sera intorno a un grande tavolo

della sala riunioni, scelta tra quelle a disposizione nelle varie sedi del gruppo anche perché tra le poche in

grado di accogliere così tanti negoziatori. Le uscite volontarie (a regime) di 4 mila dipendenti con sostegno

al reddito e riqualificazione, la formazione professionale per chi resta, il rinnovamento delle filiali (ridotte di

numero) sono i punti più significativi di un protocollo costruito in tempi rapidissimi e con un modello di

trattativa destinato a lasciar traccia. Racconta Eliano Lodesani, capo delegazione di Intesa Sanpaolo: «è

stato un confronto straordinario con tutti i sindacati che ringrazio, a cominciare da quelli interni alle due

banche venete. A quel tavolo dove il pathos era palpabile e in certe ore drammatiche i silenzi hanno pesato

più delle parole, è stato condiviso un senso di responsabilità sociale. E la determinazione di mettere al

centro le persone e le famiglie. Come banca siamo al nostro millesimo accordo sindacale, l'esperienza non

ci manca, ma il lato umano qui è stato molto importante».

Lodesani è il chief operating officer, uno dei due manager scelti dall'amministratore delegato Carlo Messina

per condurre un'integrazione che impegnerà tutti i livelli della banca. L'altro è il responsabile della Banca

dei Territori, Stefano Barrese, alle prese in queste ore con la definizione del piano al 2019, arco di tempo

nel quale dovrà essere completata la migrazione informatica e delle persone. La squadra di Barrese è

partita subito e i primissimi segnali sono già arrivati ai clienti delle due popolari che possono già prelevare

ai bancomat della rete Intesa Sanpaolo senza costi di commissione, hanno già accesso a una buona parte

dei prodotti del risparmio gestito e dei mutui. Sulle vetrine delle venete compariranno a breve le vetrofanie

in attesa della ristrutturazione degli sportelli che resteranno (600 quelli che saranno chiudi) secondo il

nuovo modello di filiale. La migrazione informatica, il capitolo monster di tutta l'operazione, partirà già a

settembre.

Ma ancora è il momento della soddisfazione per l'accordo sindacale che raccoglie, tra gli altri, il plauso

della leader della Cgil, Susanna Camusso, per la quale «il lavoro è stato tutelato». Per lo stesso Lodesani

la «difesa dell'occupazione è la miglior base per la ripartenza». Il protocollo definisce le regole per le prime

mille uscite volontarie a partire dal mese di ottobre ed entro dicembre. Questa prima tranche di esuberi

riguarderà il personale delle banche venete, mentre previa verifica a settembre le successive 3 mila uscite

andranno calcolate sull'intera platea del nuovo gruppo bancario allargato. Le due venete. conclude

Lodesani, «torneranno a svolgere un ruolo centrale nell'economia di un territorio a forte vocazione

industriale».

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La crisi delle banche venete Popolare di Vicenza Veneto Banca AZIONISTI COINVOLTI 0 20 40 60 80 100

120 SOFFERENZE BANCARIE (in miliardi) 0 1 2 3 4 5 La messa in liquidazione di Popolare di Vicenza e

Veneto Banca miliardi di euro 12 miliardi di euro 600 26 miliardi di euro Le filiali da chiudere Le attività

buone delle venete 25,8 miliardi di euro La raccolta di PopVi e Veneto Banca I capitali versati dal Tesoro a

Intesa Sanpaolo Garanzie per i crediti in sofferenza I prepensionamenti in programma 5,2 4.000 Corriere

della Sera 119.000 87.500 4,6 3,8

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 57

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Il tavolo

Eliano Lodesani , chief operation officer di Intesa Sanpaolo ha siglato giovedì sera l'accordo con i sindacati

per l'integrazione nel gruppo di Veneto Banca e Popolare di Vicenza e 4 mila uscite volontarie. Al tavolo

riunito a Milano presso la sede dove è nato il Nuovo Banco Ambrosiano era presenti le segreterie nazionali

e le delegazioni di gruppo di Fabi, Firs/Cisl, Fisac/Cgil, Ugl Credito, Uilca e Unità sindacale, Falcri-Silcea-

Sinfub.

Foto: Ceo Carlo Messina ceo di Intesa Sanpaolo

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 58

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Telecom, il pressing della Consob sullo scontro Vivendi-Cattaneo

La Commissione ha chiesto informazioni sulle voci di dissidi al vertice. Il ruolo di Ginesh Il bilancio Cattaneo ha intenzione di portare il 27 luglio la semestrale in consiglio, poi si parlerà dell'uscita Federico De Rosa

MIlano La Consob apre un dossier sull' affaire Tim per capire cosa ci sia di vero nei rumors su uno scontro

tra Vivendi e il ceo del gruppo telefonico, Flavio Cattaneo, che viene dato sempre più vicino all'uscita. Nella

tarda mattinata di ieri dagli uffici della Commissione guidata da Giuseppe Vegas è partita una richiesta di

informazioni indirizzata alla Tim. Informazioni sulle voci che circolano sui mercati, ma avrebbe anche

chiesto direttamente a Cattaneo e al presidente Arnaud de Puyfontaine, che è pure ceo di Vivendi, di

spiegare le rispettive posizioni. Le risposte dovrebbero arrivare entro l'inizio della prossima settimana e

sulla base di quello che riceverà Vegas deciderà se e come procedere.

La richiesta è partita sulla base dall'articolo 115 del Testo unico della finanza che consente alla

Commissione di acquisire informazioni, documenti e convocare in audizioni i diritti interessati, al fine di

vigilare sulla correttezza delle informazioni fornite al mercato. Fino adesso, a dir la verità, Tim non ha

comunicato nulla sullo stato dei rapporti tra Cattaneo e Vivendi. Lo ha fatto però Cattaneo, ribadendo

pubblicamente che con Tim ha un contratto valido fino al 2020 e intende onorarlo fino all'ultimo giorno. E'

davvero così? O, per esempio, sta già negoziando l'uscita? E' quello che cercherà di accertare la

Commissione, la quale potrebbe anche convocare il ceo e il presidente di Tim, ai quali al momento tuttavia

sarebbe stata solo chiesta una memoria.

E' possibile che a breve le posizioni si chiariscano. Ieri l'agenzia Bloomberg ha scritto di una «frattura

insanabile» tra il ceo di Tim, arrivato appena un anno fa alla guida del gruppo, e Vincent Bolloré, presidente

e primo azionista di Vivendi, che non lascerebbe spazio a possibili mediazioni per una conferma del

manager. Ci sono voci che parlano di una trattativa già in corso per accelerare un divorzio milionario. Fonti

vicine al manger, tuttavia, puntualizzano che da Parigi non è arrivata alcuna proposta. In teoria il contratto

firmato l'anno scorso da Cattaneo con la società stabilisce già le modalità dell'uscita. L'accordo prevede

una retribuzione di circa 2,4 milioni tra fisso e variabile più uno «special awards», un bonus per il

raggiungimento di determinati risultati, che in quattro anni può arrivare a massimo 40 milioni di euro. La

prima tranche legata al bilancio 2016 il manager se l'è assicurata e vale poco più di 9 milioni. Cifra che, da

contratto, in caso di risoluzione anticipata del rapporto va «linearizzata» per gli anni restanti quindi, in

poche parole, va moltiplicata per quattro e pagata pronto cassa. Quindi Cattaneo quindi si porterebbe a

casa quasi 40 milioni per meno di un anno e mezzo di lavoro alla guida di Tim. Ma è chiaro che Vivendi

vorrà evitare di licenziare l'amministratore delegato, cercando, come è normale in questi casi, un accordo

sulla buonuscita.

I tempi potrebbero essere brevi, anche se difficilmente Cattaneo lascerà prima del consiglio del 27 luglio

per la semestrale. Intanto si rafforzano le voci sull'imminente arrivo a Roma di Amos Ginesh, capo delle

strategia di convergenza di Vivendi, come direttore generale di Tim. A lui Bolloré vorrebbe affidare la nuova

fase di sviluppo di Tim, in particolare sulla banda larga di cui il manager israeliano ha grande esperienza

avendo creato in Brasile Gvt, con cui ha connesso le province più remote del Paese, fino al cuore

dell'Amazonia.

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40 milioni di euro

la buonuscita che da contratto riceverebbe Flavio Cattaneo per l'uscita anticipata

da Tim

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Il gruppo

Vivendi è azionista di controllo di Tim con una quota del 23,8%. All'ultima assemblea ha eletto la

maggioranza del board

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17/07/2017

Pag. 1.36.37 N.27 - 17 luglio 2017

In 8 anni il mattone ha reso più dei btp

città e quartieri dove investire Giuditta Marvelli e Gino Pagliuca

Chi ha comprato casa ancora ai massimi, incocciando contro la peggiore recessione immobiliare del

dopoguerra, a conti fatti non si può lamentare. A luglio del 2009 un trilocale nel semicentro di Milano

costava 338 mila euro, oggi ne vale 291 mila, il 14% in meno; ma negli otto anni trascorsi si sono

risparmiati 129 mila euro di canoni, una somma che compensa ampiamente le spese legate all'acquisto,

Imu e Tasi per gli anni in cui si sono applicate e la svalutazione dell'immobile. Per la stessa tipologia di

alloggio a Roma il risultato è analogo: 357 mila il valore dell'appartamento nel 2009, 276 mila quello di oggi:

una perdita secca di quasi 80 mila euro che però si confronta con il risparmio di quasi 150 mila di canoni.

Il calcolo

Sono i numeri di un'analisi che L'Economia del Corriere ha compiuto partendo dal secondo rapporto 2017

di Nomisma presentato la scorsa settimana. L'intervallo è di otto anni perché è la durata di un contratto di

locazione residenziale a canone libero; abbiamo anche messo a confronto la performance di chi abbia

acquistato casa con chi invece avesse scelto di andare in affitto investendo la somma necessaria per

comprare, incluse le spese legate alla transazione, in Btp e a Piazza Affari e pagando l'affitto nel frattempo.

Un Btp con scadenza a otto anni nel 2009 garantiva un tasso lordo (impensabile oggi) del 4%; nel periodo

considerato al netto delle imposte il capitale ha fruttato il 28%. Per la Borsa abbiamo preso a riferimento

l'indice Comit Performance che tiene conto anche dei dividendi. La variazione netta è stata del 49,06%

grazie soprattutto al rialzo degli ultimi mesi.

Il confronto è su quattro diverse tipologie di immobili in nove grandi città; in nessun caso chi ha investito in

Btp ha battuto l'immobiliare mentre la Borsa vi riesce nella maggioranza dei casi. In particolare, se si

considera una casa da 150 metri quadrati in una zona di pregio, nella media il patrimonio di chi ha investito

in Borsa è salito da 659.500 euro a 754 mila mentre chi ha comprato casa si ritrova con un valore (prezzo

attuale dell'immobile più canoni risparmiati) di quasi 747 mila; per 120 metri in zona centrale con la Borsa ci

si ritrova 494 mila euro, con la casa 478 mila. In area semicentrale per 90 metri l'investitore di Borsa oggi

ha 273 mila euro contro 264 mila di chi ha comprato casa; infine per un immobile in periferia da 60 metri

Piazza Affari ha garantito 129 mila euro, duemila più del mattone. In tutti i casi a Roma l'immobiliare ha

battuto la Borsa e a Milano vince in tre ipotesi su quattro. Non va comunque dimenticato che chi ha

investito in Borsa o in Btp oggi è liquido, chi ha la casa deve riuscire a venderla.

Applicando lo stesso metodo si può affermare che con tutta probabilità comprando oggi e alle condizioni

fiscali attuali al termine del prossimo ciclo di otto anni l'acquisto risulterà vantaggioso. Facciamo un solo

esempio: a Milano 90 metri in area semicentrale oggi costano in media 291 mila euro, aggiungendo le

spese si sale a circa 306 mila. Otto anni di affitto a canone di mercato però costerebbero 112 mila euro.

Perché l'operazione risulti in perdita il valore della casa dovrebbe scendere del 30%. Siccome l'affitto vale il

4,8% del prezzo è chiaro che con le cedole di un Btp non si ripagheranno i canoni perché i titoli con

scadenza nel 2025 rendono attorno all'1,6% netto. Su Piazza Affari di qui a otto anni invece non è possibile

dire nulla.

Le prospettive

Sulle prospettive dei prossimi mesi per l'immobiliare si sbilancia Luca Dondi, ad di Nomisma: «Il nostro

rapporto evidenzia prezzi con variazioni semestrali in più o in meno misurabili con i decimi di punto.

Nonostante la domanda sia buona, le transazioni riguardano perlopiù immobili di qualità medio bassa,

come dimostra la crescita delle percentuali di operazioni assistite da mutuo, che riguardano in genere

immobili di valore non alto. Bisogna notare poi che se i dati macro, come Pil e produzione industriale, sono

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 61

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Pag. 1.36.37 N.27 - 17 luglio 2017

migliori delle previsioni, non sta però salendo la fiducia dei cittadini e in genere la correlazione tra sentiment

e mercato della casa è molto stretta».

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Immobili contro finanza Si ipotizza l'acquisto 8 anni fa a prezzo di mercato di un'abitazione e l'investimento

in titoli di Stato e a Piazza Affari della somma necessaria per l'acquisto. Il valore attuale del patrimonio per

chi ha puntato sul mattone è dato dal valore della casa oggi più i canoni di affitto risparmiati; per chi ha

scelto il Btp dall'investimento iniziale più le cedole maturate meno i canoni di affitto; per le azioni il capitale

iniziale rivalutato e i dividendi meno i canoni di affitto 2° Valore attuale della casa Canoni totali in 8 anni

Casa 150.400 128.800 176.000 120.800 239.200 156.000 100.000 312.000 118.400 152.800 426.070

440.620 548.990 395.340 821.110 486.000 299.440 853.060 385.120 477.680 Btp 297.152 432.992

497.344 344.224 713.696 381.600 244.064 620.736 322.432 400.928 Borsa 372.676 527.794 610.971

422.697 874.497 472.320 302.125 778.135 396.822 494.370 Bari Bologna Firenze Genova Milano Napoli

Palermo Roma Torino Medie 349.650 438.900 526.050 363.300 744.450 420.000 268.800 728.700

344.400 432.600 333.000 316.000 378.000 278.000 589.000 334.000 202.000 548.000 270.000 329.000

Investimento iniziale Valore attuale del patrimonio 150 mq in zona di pregio 1° Valore attuale della casa

Canoni totali in 8 anni Casa 210.400 189.600 271.200 188.000 371.200 266.400 150.400 466.400 171.200

232.000 611.730 637.650 829.950 646.340 1.310.740 963.140 447.660 1.376.790 589.110 746.720 Btp

417.248 610.080 703.200 572.704 1.034.624 843.744 352.256 959.584 512.896 612.032 Borsa 523.164

745.026 867.630 701.073 1.271.857 1.031.081 437.079 1.200.219 628.337 754.462 Bari Bologna Firenze

Genova Milano Napoli Palermo Roma Torino Medie 490.350 624.750 761.250 594.300 1.098.300 867.300

392.700 1.114.050 534.450 659.400 406.000 454.000 566.000 464.000 950.000 705.000 301.000 921.000

423.000 521.000 Investimento iniziale Valore attuale del patrimonio Fonte: elaborazione L'Economia del

Corriere su dati Nomisma 120 mq in zona centrale Il mattone? Ti fa Le zone dove si concentra la domanda

Come si sta muovendo il mercato I prezzi al metro quadro e le variazioni nelle principali città d'Italia

Bologna Indice Centro Storico 1,11 Costa Saragozza 1,03 Napoli Centro Storico 1,84 Rione Alto 1,05

Firenze Rifredi 1,77 Gavinana-Galluzzo 1,17 Settignano 1,71 Milano Indice Garibaldi-Isola 1,85 Cinque

Giornate-Montenero 1,77 Città Studi 1,71 Solari-Savona-Tortona 1,42 Navigli-Porta Genova 1,24 Moscova-

Repubblica 1,08 Montestella 1,05 Sempione 1,04 Var.% annua Garibaldi-Porta Venezia Famagosta-Barona

Centro Storico Fiera-De Angeli Vigentino-Ripamonti Porta Vittoria Navigli-Bocconi Cermenate-Missaglia

Lorenteggio-Bande Nere Baggio Città Studi-Lambrate Greco-Turro Vialba-Gallaratese Forlanini Comasina-

Bicocca Certosa Corvetto-Rogoredo Media cittadina 5.143 2.670 7.882 4.938 2.728 3.933 4.839 2.608

2.670 1.935 2.780 2.411 1.889 2.839 2.205 2.104 2.104 3.393 5,4 2,5 2,4 2,1 0,1 0 -0,1 -2,1 -2,7 -3 -3,5 -

4,4 -5,5 -5,7 -5,8 -8,3 -8,4 -2,8 Prezzo medio mq Milano Var.% annua Centro Isolotto-Legnaia Campo di

Marte Rifredi Gavinana-Galluzzo Media cittadina 4.225 2.896 3.409 2.817 3.291 3.403 6,2 1,9 0,4 -2,6 -5,5

1,3 Prezzo medio mq Firenze Var.% annua San Donato-Fiera Navile-Corticella Navile-Bolognina Murri

Toscana-San Ruffillo Borgo Panigale Centro Storico Saffi Media cittadina 1.976 2.251 2.008 2.878 2.355

1.906 3.208 2.586 2.623 6,2 4,6 4,3 4,2 3,3 2,4 2,4 0,2 3,8 Prezzo medio mq Bologna Fonte: idealista.it 90

mq in zona semicentrale s.F. 3° Valore attuale della casa Canoni totali in 8 anni Casa 88.000 78.400

107.200 70.400 129.600 86.400 57.600 149.600 68.800 87.200 242.080 265.870 335.080 204.600 417.220

252.340 169.160 422.030 219.930 263.910 Btp 170.048 261.632 312.128 171.520 324.672 190.464

135.936 330.208 182.528 220.576 Borsa 213.594 319.012 382.890 212.344 401.330 237.185 168.595

411.176 224.940 272.513 Bari Bologna Firenze Genova Milano Napoli Palermo Roma Torino Medie

201.600 265.650 327.600 189.000 354.900 216.300 151.200 374.850 196.350 240.450 156.000 190.000

231.000 136.000 291.000 168.000 113.000 276.000 153.000 179.000 Investimento iniziale Valore attuale

del patrimonio 60 mq in zona periferica 4° Valore attuale della casa Canoni totali in 8 anni Casa 88.000

44.000 57.600 35.200 59.200 40.800 32.000 69.600 36.000 44.000 242.080 140.670 170.070 94.380

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 62

17/07/2017

Pag. 1.36.37 N.27 - 17 luglio 2017

172.740 108.900 86.300 184.100 106.110 126.900 Btp 170.048 134.752 148.032 75.008 137.024 80.160

62.080 132.000 83.616 103.840 Borsa 213.594 164.916 182.732 93.606 170.137 100.572 77.956 166.020

103.801 128.788 Bari Bologna Firenze Genova Milano Napoli Palermo Roma Torino Medie 201.600

139.650 160.650 86.100 153.300 94.500 73.500 157.500 93.450 115.500 156.000 98.000 114.000 60.000

115.000 69.000 55.000 116.000 71.000 84.000 Investimento iniziale Valore attuale del patrimonio

L'andamento dei prezzi negli ultimi 10 anni In perdita Roma Media grandi città Milano 80 90 2009 2011

2013 2015 2017 83,7 106,1 79,4 104,1 80,0 102,0 più ricco dei Btp L'indice di idealista mette in

correlazione la presenza di annunci e il ritorno in termini di richiesta di informazioni. L'indice medio è 0,50.

Sotto l'interesse è basso, sopra 1 l'interesse è alto, sopra 1,50 è molto alto Roma Indice Roma Indice

Testaccio-Aventino 2,08 Eur 1,97 Aniene Collatino 1,52 Monti 1,58 Trastevere 1,31 Re di Roma 1,29

Salario 1,28 Axa 1,24 Ostia Antica 1,18 Balduina 1,15 Mostacciano 1,13 Colli Albani-Furio Camillo 1,08

Flaminio 1,08 Appio Claudio 1,06 Lido di Ostia 1,04 Torino Centro Storico 1,13 Var.% annua Centro Aurelio

Monte Sacro Lido di Ostia Labaro-Prima Porta Aniene-Collatino Prati Casal Palocco-Infernetto Cassia-

Flaminia Trigoria-Castel di Leva Cinecittà Appio Latino Ottavia-Primavalle Prenestino Trionfale-Monte

Mario Casilino-Centocelle Roma est-Autostrade Parioli Casalotti-Selva Nera-Valle Santa Portuense-

Magliana Gianicolense-La Pisana Malagrotta-Ponte Galeria Giustiniana-La Storta-Olgiata Media cittadina

6.395 3.374 3.155 2.495 2.074 2.783 4.872 2.393 3.602 2.668 2.566 3.724 2.642 2.519 3.445 2.331 1.749

4.910 2.165 2.855 3.526 2.126 2.171 3.188 -1,1 -2,9 -3,1 -3,2 -3,3 -5 -5,1 -5,5 -5,6 -6 -6,5 -6,9 -7 -7,3 -7,4 -

7,5 -8,2 -8,3 -8,5 -9 -9,6 -11,1 -14,4 -5,5 Prezzo medio mq Roma Var.% annua Vomero-Arenella

Poggioreale-Vicaria Centro Storico Capodimonte San Carlo all'Arena Fuorigrotta-Bagnoli Posillipo-Chiaia-

San Ferdinando Secondigliano-Capodichino Chiaiano-Scampia Pianura-Soccavo-Camaldoli Ponticelli-San

Giovanni a Teduccio Media cittadina 3.941 2.161 2.080 2.145 2.532 4.531 1.507 1.673 1.875 1.436 2.806

4,2 1,9 0,5 -3,6 -5,9 -6,7 -8,3 -8,7 -13 -17,6 -4,5 Prezzo medio mq Napoli

150 Le migliaia di euro di risparmio sull'affitto

in otto anni a Roma Luca Dondi, ad della società di ricerca. Nonostante la domanda sia buona, le

transazioni riguardano perlopiù immobili di qualità medio bassa. Il sentiment degli italiani è ancora

impostato in modo guardingo

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 63

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Pag. 1.4.5 N.27 - 17 luglio 2017

Cambiare il fiscal compact

Maurizio Ferrera e Alexander Damiano Ricci

In Germania la parola Grexit non va più di moda, sebbene, a fine giugno, il leader del Partito liberale

tedesco (Fdp), Christian Lindner, abbia auspicato un'uscita di Atene dalla moneta comune. Peraltro, come

mostra Mastaganis nell'articolo qui sotto, un eventuale ritorno alla dracma avrebbe conseguenze

catastrofiche. È piuttosto un altro Paese a destare le preoccupazioni di Berlino: l'Italia.

In primo luogo, il salvataggio di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca ha scatenato un'ondata di

valutazioni negative. Die Welt ha definito la manovra pubblica un vero e proprio peccato originale, che

porterà a un ulteriore aumento del debito pubblico. Unica nota positiva: si comincia a fare pulizia tra le

banche italiane, «anche se rimangono più di 300 miliardi di euro di crediti spazzatura». Sullo stesso

giornale persino Varoufakis ha sparato a zero su Roma. A detta dell'ex ministro delle Finanze greco «l'Italia

non può rimanere» nell'Eurozona. Lo testimonierebbe la «fuga di capitali» in corso dal Paese.

In vista delle elezioni, la Spd di Martin Schulz ha specificato che «nessun Stato Membro dell'Ue deve

essere costretto a uscire dall'euro». Ma la Cdu di Angela Merkel ha sottolineato, per l'ennesima volta, che

una condivisione del debito è fuori discussione.

Sul Fiscal Compact, Germania e Francia ne danno per scontato l' inserimento nei Trattati. Per superare

l'austerità, le ipotesi su cui si discute sono altre: più investimenti, un Fondo monetario europeo, un'Unione

sociale europea (sia Macron sia la Spd hanno idee promettenti su quest'ultima ipotesi). Dopo l'ultimo Euro-

gruppo, persino il falco Dijsselbloem ha parlato di ammortizzatori fiscali e sociali Ue, di sostegno alle

riforme strutturali tramite il bilancio comunitario, oltre che di unione bancaria e dei capitali. E' su questi temi

che Matteo Renzi dovrebbe puntare per non isolare l'Italia. E anche per contrastare il fronte interno (Lega,

5 Stelle), senza scimmiottarne le grida euroscettiche.

www.euvisions.eu

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 64

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Pag. 18 N.27 - 17 luglio 2017

I problemi dell'Europa I costi dell'addio

Brexit nel bilancio? Il divorzio c'è (ma non si vede)

Telefónica, Iberdrola, Bnp Paribas forniscono cifre esatte sul business nel Regno Unito. Molti fanno generici accenni al rischio o non dicono nulla. Mentre l'Esma... Maria Silvia Sacchi

Per ora le imprese hanno registrato solo l'incertezza. Nulla di più. D'altra parte, l'incertezza è la cifra del

negoziato su Brexit partito solo a giugno, un anno dopo il referendum con cui il Regno Unito ha deciso di

uscire dall'Unione europea. E proprio oggi inizia il nuovo round delle trattative come concordato da Michel

Barnier per la Ue e David Davis per la Gran Bretagna. In questa prima fase, che si concluderà a ottobre, la

discussione si concentrerà sui diritti dei cittadini, gli impegni finanziari (tema preliminare) e le frontiere

esterne dell'Unione.

Ma si diceva delle imprese. L'Esma, l'organismo di sorveglianza dei mercati finanziari europei, dal 2012

pubblica la lista di priorità comuni, cioè le informazioni che le società quotate europee devono inserire nei

propri bilanci perché gli investitori possano avere un quadro coerente e affidabile. E tra queste priorità lo

scorso anno ha cominciato a inserire Brexit, come ricorda Marina Brogi, vicepreside della facoltà di

Economia alla Sapienza di Roma e professore ordinario di International banking and capital markets.

Da una comparazione dei maggiori gruppi per capitalizzazione nei 5 principali Paesi europei (Francia,

Germania, Italia, Spagna e Regno Unito), emerge un quadro molto eterogeneo. Poche le società che

hanno dato informazioni dettagliate. Solo Telefónica (Spagna), Bnp Paribas (Francia) e Iberdrola (Spagna)

forniscono un'indicazione precisa di quale percentuale, rispettivamente, di fatturato, utile operativo pre-

tasse, Ebitda (margine operativo lordo) e utile è stato conseguito nel Regno Unito. Dalla parte opposta

Total (Francia), L'Oréal (Francia) ed Eni (Italia), che Brexit non l'hanno nemmeno citata. «Gli amministratori

delegati di Total e L'Oréal, tuttavia, hanno rilasciato interviste in cui sottolineano i rischi e le incertezze

derivanti da Brexit - sottolinea Brogi - mentre nel caso di Eni nella relazione sul governo societario si

informa che il tema è stato trattato dal Comitato sostenibilità e scenari».

In mezzo

La maggior parte delle società (il 68%) ha, invece, accennato a Brexit come «a un generico fattore di

rischio e di instabilità, sia pure con sfumature diverse e gradi di dettaglio diversi, a riprova della prudenza

adottata nel fare previsioni». Tra le informazioni segnalate, il Santander, che ha una partecipata importante

nel Regno Unito, ha specificato che l'indebolimento della sterlina ha ridotto il valore in euro degli utili

conseguiti da quella società nel 2016 indicando anche che Brexit potrebbe ridurre la crescita nel Regno

Unito. Anche se al di fuori del campione analizzato, Deutsche Bank ha già annunciato che sta

considerando di spostare alcune attività da Londra; mentre il bilancio di Jp Morgan specifica che,

nonostante «non ritengano di dover spostare molte persone (da Londra) nei prossimi due anni, a seguito di

Brexit ci sarà una pressione costante dall'Ue a non fornire servizi dal Regno Unito ma di continuare a

spostare persone e capacità operative in partecipate dell'Ue».

La ricerca, realizzata per L'Economia dal dipartimento di Management, facoltà di Economia, dell'Università

La Sapienza di Roma, mirava a capire quanto Brexit sia stata considerata un fattore dirompente per i big

internazionali. E i primi risultati sono la prova di ciò che alcuni analisti sostengono, ovvero che i fattori

politici hanno ormai un impatto nel breve periodo, aumentando la volatilità dei mercati, ma limitato nel lungo

dove prevalgono invece i fondamentali delle società stesse. Nel 44% dei casi, infatti, i gruppi esaminati,

anziché commentare l'impatto futuro di Brexit, hanno posto l'accento sulla caduta dei corsi azionari subita

dopo il referendum. Difficile fare previsioni in una situazione già di per sé nuova e piena di colpi di scena.

Come le elezioni, indette a sorpresa dalla premier Theresa May per avere un mandato più forte, che si

sono tradotte invece in una sua ulteriore debolezza. Ma l'ambasciatrice del Regno Unito in Italia, Jill Morris,

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 65

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Pag. 18 N.27 - 17 luglio 2017

nell'intervista sotto tende la mano.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Foto: Analisi Marina Brogi, vicepreside della facoltà di Economia alla Sapienza di Roma: il 68% delle

aziende parla di Brexit come di un rischio generico

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 66

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Pag. 28 N.27 - 17 luglio 2017

Sussurri Grida dentro e fuori il listino di piazza affari Roberto Liscia domani spiega come il commercio elettronico possa moltiplicare gli affari nel fashion, beauty e design. Veneto Banca e PopVicenza rimborsano i risparmiatori traditi: altri due casi a sentenza

Banche, il nodo delle nomine L'ecommerce? Strada obbligata

a cura di Stefano Righi [email protected]

Le imbarazzanti collusioni emerse con la crisi della Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca (ma

anche in Banca Marche, Popolare dell'Etruria, CariChieti e CariFerrara) hanno spinto Michele Calzolari,

presidente di Assosim - l'associazione che raggruppa gli intermediari dei mercati finanziari - a organizzare

in collaborazione con Nedcommunity un incontro su La disciplina degli esponenti aziendali e il ruolo chiave

del comitato nomine . L'appuntamento, che sarà moderato da Paola Schwizer, presidente di

Nedcommunity, è per mercoledì 19 dalle 9,30 nella sala convegni di Intesa Sanpaolo, in piazza Belgioioso

a Milano. Dopo gli interventi di Enzo de Angelis di Spencer Stuart e di Alberto Pera (dello studio Gianni,

Origoni, Grippo, Cappelli & Partners), parteciperanno alla tavola rotonda Maria Elena Cappello (Mps),

Giovanni Fiori (Ubi), Paola Galbiati (Bpm), Elisabetta Gualandri (Bper), Rossella Locatelli (Intesa

Sanpaolo), Fabrizio Rindi (Kairos sgr). La mattinata vedrà le relazioni di Gianmaria Marano della Banca

d'Italia, di Alessandro Rivera del Mef, di Carlo Giaj Levra di Nike consulting e di Luca Galli di Ernst &

Young.

Le idee di Netcomm

Con gli straordinari dati di vendita di Amazon nel suo Prime Day (più 60 per cento, la giornata migliore

nella storia della società), l' ecommerce ha segnato un altro gol nella partita dello shopping globale. Per le

aziende, grandi o piccole che siano, riflettere su questa rivoluzione digitale è ormai un obbligo. Se ne parla

a Palazzo Mezzanotte, a Milano, domani 18 luglio, al Netcomm Focus Lifestyle, dove verranno presentati

trend e dati aggiornati. La giornata è organizzata da Netcomm, il consorzio del commercio elettronico

italiano, e Pambianco (dalle 9 alle 16, per iscriversi: [email protected] ). Il focus è per le

aziende di fashion , beauty e design: come si evolve il consumatore digitale? Come si imposta una

strategia omnichannel ? Come il made in Italy affronta la sfida dell'export digitale? Ne parlano, tra gli altri,

Roberto Liscia, presidente di Netcomm, Daniele Lago, amministratore delegato di Lago-Mobili di design,

Andrea Ghizzoni, capo per l'Europa di WeChat, Alessandro Varisco, ceo di TwinSet. ( fra. ga. )

Il volo di Colombo

La milanese Colombo & associati entra in MidCap Alliance come partner esclusivo per il mercato italiano.

La società di financial advisory fondata da Paolo Andrea Colombo, diviene così il corrispondente italiano di

una qualificata rete internazionale che tra gli altri comprende Wells Fargo (Usa), Az Capital (Spagna),

Wagram corporate finance (Francia), Raiffeisen (Svizzera), Smith Square partners (Regno Unito) e Dx

Bank (Germania). «È un traguardo che ci permetterà di incrementare esponenzialmente la portata

internazionale della nostra società - ha detto Colombo - come pure il numero delle possibili collaborazioni

cross border ».

Le quote dell'Ilva

Am Investco Italy, la srl che ha vinto la gara per l'acquisto degli impianti delle acciaierie Ilva di Taranto,

mettendo sul piatto 1,8 miliardi di euro, risulta partecipata per l'88 per cento dagli indiani di Arcelor Mittal.

Soci di minoranza, con il 6 per cento ciascuno, sono Marcegaglia e Intesa Sanpaolo. Ognuno di questi ha

versato cento milioni di euro per la propria quota sociale.

Sportitalia va in streaming

Sportitalia, il canale televisivo dedicato allo sport diretto da Michele Criscitiello - a cui collaborano tra gli altri

Alfredo Pedullà e Giancarlo Padovan - ha chiuso un accordo pluriennale con Sportradar che metterà a

disposizione la piattaforma e la tecnologia per offrire agli spettatori lo streaming (24/7) del canale tv e

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 67

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Pag. 28 N.27 - 17 luglio 2017

tantissimi contenuti on demand attraverso Internet. Sportradar Ott è l'ultima innovazione del prodotto di

Sportradar, una piattaforma Ott personalizzabile fornita gratuitamente ai titolari dei diritti (leghe, federazioni,

club e tv sportive) che si impegnano a fornire il contenuto, mentre Sportradar si occupa dello sviluppo della

piattaforma tecnica, della monetizzazione e del marketing.

Giustizia popolare

La truffa perpetrata dalle due ex popolari venete ai danni di duecentomila risparmiatori si è da tempo

trasferita davanti ai giudici. E se a Vicenza, in casa della Popolare, le cose sembrano procedere a rilento o

addirittura non procedere, ci sono altri giudici a cui hanno fatto ricorso i molti risparmiatori che si sono visti

traditi dalla banca di fiducia. Ad esempio, l'Arbitro per le controversie finanziarie che, con due diverse

decisioni dello scorso 7 luglio ha dato torto a Veneto Banca. A due risparmiatori - entrambi seguiti

dall'avvocato trevigiano Matteo Moschini - Veneto Banca dovrà risarcire 5.880 euro su un investimento di

7.900 e 25.061 euro (in questo caso la totalità della somma investita). «Pur di riuscire a vendere le azioni

emesse - spiega Moschini - le due popolari venete hanno falsificato in modo scientifico e massivo i profili

dei loro clienti, classificando come esperti di finanza e speculatori dei soggetti con nessuna conoscenza in

materia e senza la benché minima propensione al rischio, ed hanno indotto comuni risparmiatori ad

acquistare tali azioni spacciandole per prodotti redditizi, facilmente liquidabili e a rischio zero. Non serve

alcuna commissione che stabilisca chi è stato truffato e chi no, sono le relazioni di Consob, Bankitalia e Bce

che affermano a chiare lettere che la truffa è stata perpetrata in modo scientifico e massivo ai danni della

collettività dei risparmiatori». Al momento sono quattro i ricorsi accolti, equamente divisi tra le due ex

popolari.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Foto: Il direttore Michele Criscitiello ha firmato un accordo con Sportradar che apre il canale allo streaming

e all'«on demand»

Foto: Un ruolo chiave

Foto: L'amministratore delegato della Lago, Mobili

di design, sarà domani in Borsa a Milano ospite di Netcomm

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 68

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Pag. 1

diffusione:107465

tiratura:158319

COME CAMBIA IL FISCO

Una flat tax ma ben temperata

Maurizio Leo

Negli ultimi tempi si è rianimato il dibattito su una riforma strutturale del nostro ordinamento tributario e, in

particolare, sulla tassazione delle persone fisiche. Finalmente si sta seriamente ragionando su un sistema

fiscale orientato alla flat tax, vale a dire basato su una aliquota nominale "piatta" applicabile a tutti i

contribuenti. È una buona notizia perché, per la prima volta, si sta seriamente pensando a una riforma del

nostro modello impositivo. Continua pagina 13 Una riforma che non consista in un mero intervento di

manutenzione come nel caso delle recenti innovazioni, per le quali impropriamente si è parlato di riforma

fiscale. L'erosione dell'Irpef Diversi commentatori si sono spesi sulle ragioni per le quali un sistema ad

aliquota piatta sarebbe positivo ovvero negativo. Mi pare, però, certamente condivisibile il ragionamento di

chi evidenzia che, nel corso del tempo, vi è stata una erosione, oggettiva e incontrovertibile, dell'imposta

personale onnicomprensiva e progressiva. Anche chi continua a ritenere la progressività il principio

fondamentale cui ancorare le scelte di politica fiscale, non può non considerare come la reale curva della

imposizione sia solo in (piccola) parte rappresentata dalle aliquote crescenti applicate al reddito

complessivo. Infatti, per comprendere come e in che misura concretamente si realizzi il prelievo, è

necessario tenere conto che alle regole ordinarie dell'Irpef sono già da tempo sottratte componenti di

reddito assolutamente rilevanti quali, ad esempio, i redditi dei terreni e i redditi di capitale. Negli ultimi

tempi, poi, ulteriori componenti di reddito sono state sottratte alla progressività, come segnalato anche sul

Sole 24 Ore del 10 luglio: si pensi ai redditi derivanti dalle locazioni immobiliari, per i quali è applicabile la

cosiddetta cedolare secca, ai redditi di lavoro autonomo, per i quali è applicabile,a certe condizioni, il

regime dei minimi, ai redditi esteri dei soggetti non residenti che si trasferiscono in Italia, tassati con

un'imposta forfettaria, ai redditi delle imprese individuali e delle società di persone, che possono applicare

la tassazione proporzionale prevista dalla nuova Iri. Da ultimo, molto recentemente, an• che le (spesso

consistenti) remunerazioni corrisposte ai gestori dei fondi di investimento • il cosiddetto carried interest • sono

state sottratte alla progressività propria dei redditi di lavoro dipendente, attraverso un inquadramento tra i

redditi di capitale. La ricerca di un nuovo modello Se questo è lo scenario • e così è • non si comprende

come possa essere eccepita l'inapplicabilità della flat tax, in nome di una strenua e di fatto acritica difesa

della progressività. Spesso, purtroppo, logiche politiche, peraltro passate, fanno premio sulla lucidità e

sull'attualità dell'analisi. A guardarlo bene, quello italiano, è un modello di imposizione già "appiattito", ma in

conseguenza di scelte disordinate, non organiche, incoerenti e,a volte, poco condivisibili. È giunto

certamente il momento di un ripensamento complessivo del nostro modello di imposizione dei redditi

personali che superi quello attuale, compiendo scelte ormai non più rinviabili, incentrate sulla

semplificazione e sulla riduzione della insostenibile pressione fiscale. D'altra parte, il tema di un prelievo

equilibrato si pone solo se e nella misura in cui esista un reddito da tassare. Oggi, però, anche in ragione

della enormità del carico fiscale, i redditi sono sempre di meno e sempre più esigui. Sembra, quindi,

assolutamente essenziale costruire un modello nuovo di imposizione, basato su un'aliquota unica, in cui la

progressività e la redistribuzione vengano garantite con un sistema calibrato di deduzioni, che sostituisca le

attuali tax expenditures e che tenga conto della presenza di un nucleo familiare, nonché di sussidi per gli

incapienti. Si tratterebbe di una verae propria rivoluzione copernicana che, come tale, va realizzata con la

necessaria attenzione e gradualità, passando, cioè, per una fase di progressivo allineamento al nuovo

modello. In questa fase, necessariamente breve, si potrebbe dare una prima concreta attuazione a una

imposizione incen• trata su una aliquota piatta. Si potrebbe immaginare che l'aliquota ridotta possa essere

applicata esclusivamente all'incremento del reddito complessivo sul periodo d'imposta precedente. Ad

esempio, se rispetto al reddito complessivo di 100 del 2017, si realizza un incremento di 50 (con un reddito

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 69

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complessivo del 2018 di 150), solo su questo maggior reddito (50) si potrebbe applicare una aliquota

ridotta. Inoltre, potrebbe essere previsto un ulteriore sconto di imposizione, per tutti i redditi di lavoro

autonomo o di impresa, laddove sia dimostrabile un incremento della base occupazionale con forme di

impiego stabili. Una soluzione di questo tipo avrebbe il pregio di realizzare uno stimolo alla produttività, alla

crescita nonché alla emersione di redditi in precedenza occultati all'Erario. Inoltre si consentirebbe un

migliore monitoraggio della reale ricchezza del Paese, da tassare nel nuovo modello di imposizione flat.

Insomma, passando da questa prima fase, si potrebbe arrivare, in tempi rapidi, a un sistema strutturale

incentrato sulla applicazione generalizzata di una aliquota unica e ridotta, che comprenda anche una

sostituzione delle attuali tax expenditures, nonché sulla attribuzione di sussidi per gli incapienti. Solo

quando si fa una scelta si cambia il futuroe mi sembra ormai giunto il momento di non rivolgere la testa

all'indietro. Occorre, infatti, avere il coraggio di cambiare perché, come diceva Nelson Mandela, tutto

«sembra sempre impossibile fino a quando non viene fatto». © RIPRODUZIONE RISERVATA

IL DIBATTITO SUL «SOLE» La propostae il dibattito Sul Sole 24 Ore di domenica 25 giugno Nicola Rossi,

dell'Istituto Bruno Leoni, ha lanciato la proposta di una revisione del sistema fiscale incentrata su una sola

aliquota, fissata al 25%, sia per l'Irpef, sia per l'Irese l'Iva. Questa revisione si accompagnerebbe alla

contestuale abolizione di Irap e Imu Sulle pagine del Sole, come favorevolio contrari alla proposta di Nicola

Rossi, sono intervenuti Dario Stevanato, Enrico De Mita, Lamberto Dinie Natale D'Amico, Eugenio Somaini,

Daniele Capezzone, Vincenzo Visco, Lorenzo Codognoe Giampaolo Galli, Angelo Cremonese, Raffaello

Lupi, Armando Siri, Stefano Toso, Gustavo Piga, Sebastiano Bavetta, Vito Tanzi, Franco Gallo, Andrea

Giovanardi, Franco Debenedetti, Ugo Colombino, Vittorio Emanuele Falsitta, Giorgio Spaziani Testa,

Alberto Zanardi. A concludere il dibattito due interventi: Nicola Rossi (sul Sole 24 Ore di sabato 15 luglio)e

Enrico De Mita (ieri) Tutti gli interventi sono disponibili sul sito del Sole 24 Ore. Il dibattitoè anche sui social

media con l'hashtag #25xtutti www.ilsole24ore.com/dossier/commenti•e•idee/2017/flat•tax Il dossier con tutti

gli interventi

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 70

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Lavoro. Attività occasionali

Nuovi voucher, i chiarimenti per le famiglie e le imprese

Le risposte degli esperti al Forum online del Sole Francesca Barbieri

Nella prima settimana di utilizzo, il libretto famiglia e il contratto di prestazione occasionale hanno sollevato

numerosi dubbi tra gli utilizzatori, come emerso dal Forum online con gli esperti aperto dal Sole 24 Ore.I

limiti di oreo di reddito,i vincoli tra indennità di disoccupazione e nuovi buoni, l'impiego da parte dei

condomini sono solo alcune delle questioni sottoposte alla verifica degli esperti. A rendere più difficile il

ricorso ai nuovi strumenti c'è anche l'impossibilità di rivolgersi a un professionista, da parte di chi non ha

dimestichezza con le procedure online. pagina4 con una selezione delle risposte al Forum Come spenderei

vecchi voucher? Quali sono i limiti per il libretto famiglia e per il contratto di prestazione occasionale?

L'indennità di disoccupazione Naspi si può "sommare" ai nuovi buoni? Il "nonno•vigile" del Comune potrà

ancora essere pagato con i voucher? Sono questi alcuni dei dubbi sollevati dai lettori al Forum aperto dal

Sole 24 Ore nella prima settimana di avvio della piattaforma web dell'Inps, che di fatto rende operativo il

nuovo corso del lavoro occasionale previsto dalla manovra d'estate (Dl 50, convertito dalla legge 96/2017).

Dalle risposte degli esperti emerge che chi ha acquistato i vecchi voucher entro il 17 marzo 2017 (data di

cancellazione) potrà spenderli fino al 31 dicembre seguendo le vecchie regolee con i limiti previsti dal Jobs

act. Al tempo stesso, però, potrà anche registrarsi online per attivare i nuovi strumenti • libretto famiglia e

contratto di prestazione occasionale • e utilizzarli per il pagamento delle prestazioni di lavoro accessorio. In

assenza di precisazioni ufficiali, solo per quest'anno per chi ha vecchi voucher non ancora spesi (da

gennaio a metà marzo ne sono stati venduti oltre 28 milioni) sarà aperto un doppio binario. E anche i

lavoratori occasionali potranno essere pagati attraverso entrambi i canali. Ma non solo. Visto che né la

legge né la circolare 107 dell'Inps vietano espressamente il cumulo tra vecchi tagliandi e nuovi strumenti,

ognuno dei due strumenti resta soggetto ai rispettivi limiti (massimo 7mila euro per chi riceve i vecchi ticket;

massimo 5mila per chi viene pagato con i nuovi) e alle rispettive procedure. Ne derivano due conseguenze

importanti: da una parte, chi si trova in questa situazione deve monitorare con attenzione "doppia" il rispetto

dei massimali per evitare le sanzioni; dall'altra, i nuovi limiti fissati da libretto famiglia e contratto di

prestazione occasionale possono essere utilizzati su sei mesi e non devono essere ri• feriti a dodici mesi.

Ad esempio, una famiglia che ricorre saltuariamente a una collaboratrice domestica ha a disposizione 280

ore massime fino al 31 dicembre, che diventano circa 46 ore al mese, più di 10 a settimana. Dal 2018 in

poi, invece, se ne potranno fare, in media, al massimo 23 ogni mese. E sempre a sei mesi per il 2017 si

riferiranno i tetti economici di 5mila e 2.500 euro. Un nodo da sciogliere proprio sul libretto famiglia riguarda

il limite di 2.500 euro l'anno per le attività rese dallo stesso prestatore allo stesso utilizzatore, che però

risulterebbe di fatto non raggiungibile nel caso di "paga" oraria con buoni da 10 euro lordi, 8 euro netti. Se

dividiamo 2.500 per 8 infatti il numero di ore annue risulta 312,5, oltre il tetto di 280 fissato dalla legge, che

danno invece diritto a un compenso inferiore di 2.240 euro (280 per 8). Altra situazione incerta riguarda la

possibilità per i disoccupati titolari di Naspi di svolgere prestazioni di lavoro occasionali: tra le interpretazioni

c'è quella di chi ritiene che il "prestatore" non perde lo status di disoccupato, ma esclude la possibilità di

cumulo tra i due "compensi", per cui l'Inps dovrebbe sospendere il pagamento della Naspi nei giorni in cui

si percepiscono i nuovi voucher. Secondo un'altra lettura invece il cumulo potrebbe essere possibile

facendo riferimentoa quanto previsto dalla legge, cioé l'Inps sottrae dalla contribuzione figurativa della

Naspi gli accrediti contributivi del lavoro occasionale. Nei Comuni, invece, dovrebbe essere escluso il

lavoro occasionale dei nonni•vigili, perché non si tratterebbe di un evento "speciale" per cui la Pa ha la

facoltà di fare ricorso ai contratti di prestazione occasionale. Alcune precisazioni sono arrivate infine per

l'agricoltura: il messaggio Inps 2887 del 12 luglio ha chiarito il criterio di computo dei lavoratori occupati e

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rivisto al rialzo la misura del compenso minimo orario, che per l'area 1 è di 9,65 euro, per l'area 2 di 8,80

euro, per l'area 3 di 6,56 euro.

STRUMENTI ONLINE

Tutte le risposte visibili da domani sul sito del Forum Da domani sarannoa disposizione dei lettori,

gratuitamente, tutte le risposte fornite dagli esperti del Sole 24 Ore alle domande inviate al Forum

dell'Esperto risponde dedicato al libretto famigliae al contratto di prestazione occasionale.

www.ilsole24ore.com/nuovivoucher

I casi risolti. Le prime risposte ai quesiti del Forum del Sole 24 Ore Il condominio non può usare il libretto

famiglia Il capitano della barca pagato con il «Cpo» Per il comando di una imbarcazione (di proprietà di un

pensionato) si ricorre ad "altro personale", ai sensi del comma2 dell'articolo 49•bis del Dlgs 18 luglio 2005,

n. 171 (Codice della nautica da diporto). Si possono utilizzarei nuovi voucher? RSi ritiene possibile l'utilizzo

del contratto di prestazione occasionale perché non si tratta di attività vietate (imprese edili e l'esecuzione

di appalti di opere o servizi), purché l'impresa non abbia più di 5 dipendenti a tempo indeterminato. Calcolo

dei dipendenti se le sedi sono tante Per il calcolo dei 5 dipendenti a tempo indeterminato l'azienda va

considerata nel suo complesso,o se opera in settorie sedi diversee con diverse posizioni Inps il conteggio

potrà essere effettuato per sede/settore? RLa norma vieta espressamente il ricorso al contratto di

prestazione occasionale da parte di utilizzatori che hanno alle proprie dipendenze più di cinque lavoratori

subordinatia tempo indeterminato. La formulazione fa intendere che i dipendenti non vadano conteggiati

per reparti/ settori, ma con riferimento al numero complessivo. Il disco è verde se l'azienda è stagionale

Un'azienda stagionale con 7 dipendenti può utilizzarei nuovi voucher? RLa norma fa riferimento a 5

lavoratori subordinati assunti a tempo indeterminato. Se l'azienda è stagionale e, di conseguenza, assume

solo lavoratori a tempo determinato può senz'altro fare ricorso al contratto di prestazione occasionale.

Imprese, il costo totale orario è 12,41 euro In merito al costo orario delle nuove prestazioni occasionali per

le imprese, l'1% dei costi di gestione va calcolata sull'importo minimo di9€ (costo finale orario della

prestazione 12,38 €, comprensivo di contributi) o su 12,29 €: 9 € + contributi Inps e Inail (costo finale orario

della prestazione 12,41 €, comprensivo dei contributi)? RLa circolare 107/2017 ha chiarito che, per

individuare il costo complessivo sostenuto dall'utilizzatore, gli importi relativi agli oneri contributivie di

gestione si sommano alla misura del compenso, sul quale si calcola la percentuale dell'1% per gli oneri di

gestione. Quindi l'importo complessivoè di 12,41 euro. Nella Pa sono ammessi solo «eventi» speciali È

possibile per un Comune utilizzare i nuovi voucher per pagare la persona che accompagna i bambini

dall'uscita dallo scuolabus fino all'ingresso della scuola? RIl ricorso al nuovo lavoro occasionale è

consentito alla pubblica amministrazione solo nell'ambito di progetti speciali rivoltia specifiche categorie di

soggetti in stato di disagio (come, ad esempio, la povertà), lavori di emergenza correlati a calamità e per

l'organizzazione di manifestazioni sociali. Per il caso descritto dei "nonni vigili"e attività similari non possono

essere utilizzate il nuovo contratto di prestazione occasionale. L'agriturismo si regola come l'agricoltura In

caso di attività agrituristica quali regole vengono applicate? RSi ritiene che per l'attività agrituristica trovi

applicazione la disciplina particolare per l'agricoltura perché l'agriturismoè attività accessoria nei limiti

consentiti, conta dunque quella prevalente. Si segnala che con il messaggio n. 2887 del 12 luglio l'Inps ha

rivisto gli importi minimi. Area 1: 9,65 € orario (38,6 € giornaliero); area 2: 8,80 € orario e (35,2 €

giornaliero); area 3: 6,56 € orario (26,24 € giornaliero). Il corretto utilizzo dei vecchi buoni Sono detentore di

un piccolo importo (60 euro) dei vecchi voucher. Sono utilizzabili? In caso affermativo, si deve utilizzare la

nuova o la vecchia procedura? RI vecchi voucher sono utilizzabili esclusivamente con la vecchia

procedura, visto che le nuove regole introdotte dal decreto legge 50/2017 hanno a oggetto strumenti

contrattuali che, pur somigliando in alcuni aspetti al lavoro accessorio, non sono in continuità con la

fattispecie ormai abrogata. Ticket da 10 euro per il libretto famiglia Utilizzando il Libretto famiglia si può

corrispondere un importo orario superiore ai 10 euro, fermi ovviamente i limiti annui del monte ore e

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dell'importo? RLa rispostaè affermativa. La norma lo prevede espressamente, utilizzando multipli di 10

euro. La circolare Inps 107/17, inoltre, precisa che l'utilizzatore deve comunicare il numero di titoli utilizzati

per la prestazione lavorativa, tenendo però presente che, in tal modo, la soglia massima dei 2.500 euro

viene raggiunta in anticipo. Non c'è cumulo tra vecchi e nuovi buoni In merito ai nuovi limiti economici,

vorrei sapere se per il raggiungimento del limite massimo bisogna considerare anche quanto già utilizzato

durante l'anno con i "vecchi voucher" oppure il limite riparte da zero. RLa leggee la circolare non prevedono

il cumulo tra i compensi percepiti mediante voucherei nuovi contratti. Di conseguenza ognuno segue le

rispettive regole. Intermediari abilitati entro fine luglio Un'impresa può delegare l'intermediarioa compiere

tutte le procedure per i nuovi voucher? RLa risposta è affermativa, un'impresa che non vuole effettuare

direttamente gli adempimenti attraverso la piattaforma Inps,o avvalersi dei servizi del contact center

dell'Istituto, può delegare un intermediario abilitato. Va però precisato che questa modalità non è ancora

attiva: secondo quanto è stato annunciato, verrà resa disponibile dall'Inps entro il mese di luglio 2017. I

limiti per il docente occasionale È corretto ritenere che il docente che impartisce "insegnamento privato

supplementare" possa utilizzare il Cpo•libretto famiglia, mentre lo stesso docente che tiene la stessa

"docenza" in un corso di aggiornamento per il personale di una azienda, nel caso in cui questa abbia più

di5 dipendentia tempo indeterminato, non lo può più fare? RL'esempio è corretto, al superamento dei limiti

oggettivi previsti dalla legge non è più possibile svolgere prestazioni occasionali mediante il contratto per

prestazioni occasionali. Come conteggiare il lavoro intermittente Com'è considerato il contratto di lavoro

intermittente relativamente al prospetto della circolare Inps n.107, paragrafo 6.2? RL'articolo 18 del Dlgs

81/2015 prevede che ai fini dell'applicazione di qualsiasi disciplina di fonte legale o contrattuale per la quale

sia rilevante il computo dei dipendenti del datore di lavoro, il lavoratore intermittente è computato

nell'organico dell'impresa in proporzione all'orario di lavoro effettivamente svolto nell'arco di ciascun

semestre. Il contratto a termine non si conta per il tetto Nelle ipotesi di imprese: • con5 lavoratoria tempo

indeterminato e uno a tempo determinato; • con4 lavoratoria tempo indetermi• nato e 2 a tempo determinato;

si può usare il lavoro accessorio? RLa legge include nella base di computo dell'organico da considerare per

l'applicazione del limite solo i lavoratori subordinati a tempo indeterminato. Nella nozione rientrano, quindi, i

lavoratori part time e intermittenti (se assunti a tempo indeterminato), mentre non rientranoi lavoratoria

tempo determinato e nemmeno gli apprendisti come chiarito dal messaggio n.2887 del 12 luglio scorso.

Pertanto, negli esempi proposti si potrà procedere • ferma restando la necessità di rispettare gli altri limiti

previsti dalla leggeall'utilizzo del contratto di prestazione occasionale. Indennità Naspi e nuovi voucher Un

soggetto che sta percependo l'indennità Naspi può al contempo essere pagato con i nuovi voucher? Se sì,

entro quale limite? RLa nuova normativa per il contratto di prestazione occasionale non disciplina

espressamente la possibilità di cumulare il compenso percepito con la Naspio altre prestazioni di sostegno

al reddito. Di conseguenza si ritiene che questi non siano cumulabili, ma compatibili. In questo caso l'Inps

non dovrebbe corrispondere la Naspi per i giorni effettivamente lavorati. In riferimento al settore

dell'agricoltura si specifica che l'Inps sottrae dalla contribuzione figurativa della Naspi gli accrediti

contributivi della prestazione occasionale svolta dai percettori di Naspi. L'iter per il medico libero

professionista Vorrei sapere se un medico regolarmente iscritto all'albo e all'Enpam, che svolge prestazioni

occasionali deve registrarsi al portale dell'Inps, tenuto conto che la prestazione occasionale è soggetta alla

cassa previdenziale dei medici (Enpam). RLa legge include nella base di computo dell'organico da

considerare per l'applicazione del limite soloi lavoratori subordinati a tempo indeterminato. Nella nozione

rientrano, quindi, i lavoratori part time e intermittenti (se assunti a tempo indeterminato), mentre non

rientranoi lavoratoria tempo determinato e nemmeno gli apprendisti come chiarito dal messaggio n.2887 del

12 luglio scorso. Pertanto, negli esempi proposti si potrà procedere • ferma restando la necessità di

rispettare gli altri limiti previsti dalla legge• all'utilizzo del contratto di prestazione occasionale. Condomìni ed

enti esclusi dal «libretto» I condomìni e gli enti morali/ecclesiastici possono essere equiparati alle famiglie e

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quindi utilizzare il libretto famiglia? RLa legge include nella base di computo dell'organico da considerare

per l'applicazione del limite soloi lavoratori subordinatia tempo indeterminato. Nella nozione rientrano,

quindi, i lavoratori part time e intermittenti (se assunti a tempo indeterminato), mentre non rientrano i

lavoratori a tempo determinato e nemmeno gli apprendisti come chiarito dal messaggio n.2887 del 12 luglio

scorso. Pertanto, negli esempi proposti si potrà procedere • ferma restando la necessità di rispettare gli altri

limiti previsti dalla legge• all'utilizzo del contratto di prestazione occasionale. Il giusto calcolo dei limiti

economici I nuovi voucher sono più convenienti rispetto al job on call? Inoltre, si segnala che mentre per il

Cpo, considerati9 euro netti all'ora, 280 ore equivalgonoa 2.520 euro di compensi, se si considera il valore

netto previsto per l'utilizzatore persona fisica 10 euro, 280 ore equivalgono a 2.800 euro di compensi.

Quindiè possibile lavorare per 280 ore anche se si supera il tetto di 2.500 euro? RIn merito al confronto

bisogna valutare il costo della singola giornata di prestazione occasionale cheè di 49,64 euro (minimo4

ore)e rapportarlo al costo nel lavoro a chiamata. Quest'ultimo può variare in base al contratto collettivo

applicato. Il lavoro a chiamata può essere reso anche per meno di4 ore al giorno.Il numero delle ore

lavorabili con il Libretto famiglia sembra essere di 280 ore anche se il limite di reddito (per singolo

utilizzatore)in questo caso è inferiorea 2.500 euro (8x 280= 2.240 euro). Un aspetto che effettivamente si

potrebbe chiarire meglio. Associazioni sportive: ok ai «Cpo» Le associazioni sportive dilettantistiche

possono usare i Cpo? RSì, le associazioni in genere rientrano tra le categorie che possono ricorrere alle

prestazioni di lavoro occasionale mediante il relativo contratto. Naspi, Ape social e nuovi voucher Sono un

disoccupato che fatto la richiesta lo scorso 17 giugno di Ape social. Nel 2017 ho collaborato con imprese

coni voucher, ora potrei lavorare con i nuovi strumenti. Rischio di perdere lo stato di disoccupazionee di

conseguenza il requisito principale per la Ape Social? RNel contratto di prestazione occasionale i compensi

del prestatore sono esenti da imposizione fiscale e non incidono sul suo stato di disoccupato. Tuttavia la

norma non specifica se questi compensi siano anche cumulabili con la Naspio altre prestazioni. Sarebbe

utile che su questo aspetto il ministero del Lavoro fornisca chiarimenti. Per ora si ritiene che non siano

cumulabili. RISPOSTE A CURA DI Alberto Bosco, Giampiero Falasca, Alessandro Rota Porta e Josef

Tschöll © RIPRODUZIONE RISERVATA

A «Cuore e Denari» con l'esperto Oggi dalle 10.30 l'impatto dei nuovi voucher. Con Luca Caratti, della

Fondazione Consulenti del lavoro www.radio24.it Per l'ascolto in diretta e i podcast

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 74

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IL BILANCIO AIIB

Due miliardi sulla Via della Seta

Rita Fatiguso

La Belt & Road Initiative (Bri) cinese è un'iniziativa di dimensioni colossali• oltre 1.400 miliardi di dollari da

investire nei prossimi 5•10 anni che ha l'obiettivo di creare infrastrutture in 65 Paesi che comprendono quasi

4,5 miliardi di persone su una superficie pari al 35% del globo. Il lancio in grande stile della strategia siè

tenuto a maggio, a Pechino, ma ora è arrivato il momento di passare ai fatti. Continua pagina 7 Continua da

pagina 1 Per la Nuova Via della Seta, Pechino non bada a spese: si è dotata di strumenti finanziari

adeguati e, tra questi, sul versante dell'equity, figura il Silk Road Fund, partecipato dalla Banca centrale, su

quello della "stabilizzazione" va ricordata la New Development Bank (la cosiddetta Banca dei Brics) e,

soprattutto, la Banca asiatica multilaterale di sviluppo Aiib, attiva dal gennaio del 2016 e che, oggi, può

contare su 70 Paesi membri, orientata sui prestiti per il finanziamento di progetti infrastrutturali dedicati allo

sviluppo di aree in via di sviluppo. A un anno dall'inizio dell'operatività, l'Aiib ha appena ottenuto da Moody's

e Fitch una pagella più che lusinghiera. Moody's le ha concesso la tripla A a medio•lungo termine e, a breve,

il Prime•1, l'outlook è stabile. Di ottimo livello anche il giudizio di Fitch: l'agenzia ha dichiarato che i rating di

Aiib «sono basati sui suoi punti di forza esistenti e intrinseci». La banca è stata dotata di un capitale che,

secondo Fitch, «sosterrà la rapida espansione del prestito, l'esposizione al rischio sarà mitigata da una

serie completa di politiche e da una governance di alta qualità; Aiib gode di un eccellente livello di liquidità e

dovrebbe trarre vantaggio dal facile accesso ai mercati dei capitali». Intanto la Banca ha dovuto darsi una

struttura solida, anche dal punto di vista delle risorse umane e delle expertise specifiche; ha scelto di

lavorare anche con organismi e banche preesistenti, come l'Asian development bank e la Banca mondiale,

istituzioni certamente più collaudate. Il processo è ancora in fieri, maa livello di governance Aiib ha fatto del

suo meglio per cercare di bruciare i tempi e iniziare a lavorare. Di fatto, comunque, la Banca asiatica

multilaterale di sviluppo ha preso l'abbrivio e continua ad annunciare sem• pre nuovi progetti: i prestiti accesi

hanno toccato quota 2 miliardi di dollari. Gli ultimi in ordine di tempo finanzieranno progetti in Indonesia e in

Bangladesh. Il Board of directors ha infatti recentemente approvato tre prestiti per un totale di 285 milioni di

dollari, portando il prestito totale, appunto, a oltre 2 miliardi di dollari, sempre a sostegno dei suoi membri

che cercano di migliorare le condi• zioni di vita socio•economiche dei cittadini. Gli ultimi prestiti

contribuiranno, in Indonesia, alla sicurezza e alla funzionalità dell'approvvigionamento di acqua proveniente

dai grandi serbatoi del Paese e a migliorare l'accesso alle finanze delle infrastrutture per i Governi regionali

indonesiani, garantendo una maggiore flessibilità operativa; mentre in Bangladesh i fondi verranno utilizzati

per aumentare l'integrità della rete di trasmissione di gas. D.J. Pandian, vicepresidente e chief investment

officer di Aiib, è chiaro: «I prestiti approvati dal nostro consiglio di amministrazione hanno diversi campi di

applicazione, ma il denominatore comune è dato dai loro sforzi per sfruttare le spese infrastrutturali e per

stimolare la crescita e migliorare la qualità della vita delle comunità locali. Da qui nasce la necessità di

collaborare con i nostri partner multilaterali di banche di sviluppo per poter offrire questi finanziamenti

necessari a Paesi come l'Indonesia e il Bangladesh». Di recente l'Aiib ha aperto le porte anche a Paesi non

asiatici e nemmeno europei: Cile e Argentina, per esempio, hanno seguito la scelta di Perù e Brasile e

hanno aderito, con la prospettiva di avviare infrastrutture anche di tipo diverso, data anche la distanza,

relative in prevalenza alle telecomunicazioni. Il che accentua la dimensione globale della Banca, sempre

meno asiatica e sempre più mondiale.Il bilancio 2016 GLI INVESTIMENTI APPROVATI DALL'AIIB In

milioni di dollari e in % per settore Trasporti 25% (428,5) LE INFRASTRUTTURE NECESSARIE ALL'ASIA

Previsioni di spesa in miliardi di dollari da qui al 2030 Fonte: : Aiib Energia Trasporti Tlc Reti idriche Energia

63% (1.085)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 75

17/07/2017

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I numeri record della Nuova Via della Seta 1.400 Miliardi di dollari Investimenti previsti per i prossimi 5 anni

65 Urbano 12% (216,5) I Paesi coinvolti Le opere avranno un impatto sulla vita di 4,5 miliardi di persone

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 76

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VALORI IN CORSO

Al 5 per mille si dà sempre più credito

Elio Silva

Con uno dei tre decreti legislativi approvati il 28 giugno scorso a completamento della riforma del Terzo

settore, il Governo ha stabilizzato il 5 per mille, l'istituto fiscale più amato dagli italiani, secondo le

statistiche dell'Agenzia delle Entrate. La misura, introdotta nel 2006 in via sperimentale e poi confermata di

anno in anno con diverse modifiche, permette ai contribuenti di destinare liberamente, firmando una

specifica opzione, il 5 per mille dell'Irpef da loro dovuta a beneficio di organizzazioni senza fini di lucro,

suddivise per categorie, oppure (nel tempo scelta numericamente residuale) alle attività sociali dei Comuni.

Attraverso questo meccanismo, nei nove periodi d'imposta che intercorrono dal 2006 all'ultima annualità

consuntivata dalle Entrate, sono stati erogati a enti non profit circa 3,5 miliardi di euro, per una media

annua di 386 milioni, mentre le preferenze espresse nelle dichiarazioni dei redditi sono state in tutto 109

milioni, ossia più di 12 milioni l'anno. Con il Dlgs d'attuazione della legge 106/16 per la riforma del Terzo

settore, il5 per mille ora diventa norma permanente del nostro ordinamento tributario. Numerose le novità di

rilievo: le categorie dei beneficiari vengono esplicitamente individuatee non dovrebbero più essere soggette

all'effetto "porte girevoli" verificatosi in passato peri mutevoli orientamenti del legislatore. Vengono

introdotte misure per accelerare le pratiche di assegnazionee accreditamento delle somme. Gli obblighi di

trasparenzae rendicontazione fanno un deciso salto di qualità, diventando stringenti. Tuttaviai nodi più

delicati, che riguardanoi criteri di accesso al riparto, vengono ulteriormente demandatia un Dpcm da

adottare nei prossimi 120 giorni, il che giustifica la cautela nei giudizi fin qui espressi da operatori ed esperti

del Terzo settore. In particolare, restano da definire l'importo minimo erogabilea ciascun enteei criteri di

riparto delle scelte non espresse. Attualmente l'ammontare "inoptato" viene ripartito in proporzione alle

preferenze esplicite, per cui di fatto va ad aumentare la quota delle grandi organizzazioni. L'intento della

riformaè duplice: da un lato si intende evitare un'eccessiva frammentazione del beneficio, eliminando

quanto meno le erogazioni il cui costo amministrativoe gestionale sarebbe superiore all'importo stesso;

dall'altro, si puntaa un effetto di "perequazione", sterilizzando le modalità che hanno fin qui recato

vantaggioa chi già era avanti nelle preferenze. Il punto d'equilibrio nonè facile da trovaree la complessità

della materia ha indotto il Governo, anche dopoi prescritti pareri parlamentari,a demandare la formulazione

definitiva al Dpcm di prossima emanazione. Per orai tempi di liquidazione delle somme restano lunghi (in

media oltre 24 mesi) e, nel frattempo,i progetti delle associazioni non possono aspettare. Così, come si

rileva da una ricerca di Banca Etica, da oggi disponibile sul sito istituzionale del gruppo, siè sviluppato un

veroe proprio mercato del credito del5 per mille, che si declina principalmente in due modalità:

un'anticipazione del contributo approvatoe in corso di erogazione (in questo caso la banca anticipa all'ente,

sulla base del dato certo relativo all'importo da destinare, una quota tra l'80e il 100% dell'importo), oppure

un fido, collegato all'importo medio ricevuto dall'organizzazione negli ultimi anni, che la banca può

prenderea riferimento come approssimazione dell'importo atteso per l'esercizioa venire. Il dato evidenziato

nello studio di Banca Etica, costruito sulla base delle informazioni reperibili su siti istituzionali, in particolare

su quello del ministero del Lavoro, dimostra chei principali istituti creditizi del nostro Paese intercettano

gran parte dei flussi, con Intesae Unicredit ai primi due postie la stessa Banca Etica in terza posizione, dato

che non desta particolare sorpresa se si considera la sua specifica vocazione ai rapporti con il Terzo

settore. In generale, il 27% degli enti canalizzano il 56% delle risorse complessive su soli sette istituti

creditizi (trai quali sono incluse anche le Poste), mentre il restante 73% degli enti si affidano in modo ben

più parcellizzato alle restanti 591 banche. Anche se la riforma del5 per mille stabilizzato riuscissea

razionalizzaree velocizzare le pratiche di riparto delle somme destinate dai contribuenti, il polmone

creditizio che siè attivato in questi anni per l'oggettiva necessità delle organizzazioni di dare continuità ai

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 77

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progetti non potrà che continuare il trend di crescita. [email protected]

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 78

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INTERVISTA A BOERI (INPS)

Pensioni, costa 141 miliardi (fino al 2035) lo stop a 67 anni

Davide Colombo

pagina 2 Pensioni, costa 141 miliardi (fino al 2035) lo stop a 67 anni Bloccare gli adeguamenti dei requisiti

di pensionamento all'aspettativa di vita è sbagliato. Significherebbe restituire all'arbitrio politico un modello

basato su regole automatiche che assicurano la stabilità del sistema e, dopo la lunga stagione delle

salvaguardie per gli esodati, riaprire le maglie nel momento più delicato, visto che nei prossimi 25•30 anni la

spesa pensionistica è destinata a crescere a causa del ritiro dal mercato del lavoro dei babyboomers. Lo

spiega in questa intervista al Sole24Ore il presidente dell'Inps, Tito Boeri, che sgombra subito il campo da

un cifra circolata nei giorni scorsi: «Quel miliardo e 200 milioni di cui si parla in caso di mantenimento al

2019 del requisito di vecchiaia a 66,7 anni non esiste. Non è nelle simulazioni che stiamo preparando per il

Governo, valutazioni che sono e restano riservate». Presidente che rischi si corrono con il blocco? È

pericolosissimo toccare ora questo meccanismo. Sia guardando in avanti, sia all'indietro. Pensiamo alle

generazioni che hanno già vissuto questi adeguamenti, per esempio con l'aumento di4 mesi scattato nel

2016o prima ancora di 3 mesi scattato nel 2013. C'è chi, per esempio, ha preso l'opzione donna con

l'aspettativa che ci sarebbe stato l'aumento dei requisiti del 2019e ha subito una penalizzazione. Ora tutti

questi pensionati si troverebbero improvvisamente di frontea una situazione che cambia. Mi aspetto che si

organizzino per reclamare e sappiamo già che troveranno un mercato politico pronto ad accogliere le loro

proteste, un mercato su cui si muovono da anni gli stessi protagonisti che oggi chiedono il blocco degli

adeguamenti automatici. Guardando in avanti, invece, una volta rotto l'automatismo si ricadrebbe nei

processi discrezionali del passato: le ragioni del ciclo politico tenderanno a rinviare ogni volta qualunque

indicizzazione del sistema alla speranza di vita. Supponiamo di mantenere i 67 anni bloccati dal 2021 in

avanti, che conseguenze ci sarebbero sulla spesa? 141 miliardi di spesa in più da qui al 2035, quasi

interamente destinati a tradursi in aumento del debito pensionistico implicito, dato che l'uscita prima del

previsto non verrebbe compensata, se non in minima parte, da riduzioni dell'importo delle pensioni. Da

vedere poi come i mercati accoglierebbero lo smantellamento di una riforma, quella del 1996, che abbiamo

"venduto" in tutto il mondo come sostenibile perché basata su adeguamenti automatici alla longevità.

Senza QE sarebbe legittimo aspettarsi effetti rilevanti sul costo del debito pubblico. Chi chiede il blocco dice

che l'Italia hai requisiti di pensionamento più alti d'Europa, livelli insostenibili. Nonè vero. Bisogna guardare

all'età effettiva di pensionamento, che in Italia è più bassa che in Germania e della media europea. I dati

2014 lo dimostrano: da noi si va in pensione appena sopra ai 62 anni, mentre in Germania a 65 anni. Dal

2011 a oggi l'età effettiva di pensionamento delle donne è salita di 3,9 anni quella degli uomini di soli 9

mesi e l'anno prossimo scatta l'allineamento dei requisiti uguali per tutti, peccato che il mercato del lavoro

per donne e uomini è un po'diverso. Le donne hanno penalizzazioni molto forti, vanno il pensione con la

vecchiaia e non con l'anticipo perché le loro carriere lavorative sono più frammentate. Bisogna agire sulle

fonti di queste discontinuità, riducendo il precariato e imponendo congedi di paternità obbligatori non

simbolici come quelli attuali. Pericoloso invece tornarea regimi diversi tra uominie donne sull'età di

pensionamento. Può permettere alle imprese di ridurre ulteriormente la manodopera femminile mettendo

molte donne nella condizione di dover viverea lungo con pensioni inadeguate. La strada da seguire era

quella flessibilità in uscita che avevamo proposto a suo tempo, che dava soprattutto alle donne possibilità

più ampie, adeguatee sostenibili di uscita. Il blocco sull'età senza toccare i coefficienti di trasformazione

non mette in squilibrio il sistema? Assolutamente sì. Visto che il flusso attuale vede in uscita pensioni miste,

con una quota prevalente di calcolo ancora retributivo, i coefficienti di trasformazione hanno un ruolo

marginale nel determinare il livello delle pensioni. In prospettiva avremo invece un problema di pensioni

troppo basse, soprattutto per le donne. Si rischia infatti di incentivare uscite anticipate, imposte dal datore di

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 79

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lavoro, con assegni molto leggeri perché calcolati su aspettative di vita lunghe. Come si diceva, ci

rimetterebbero soprattutto le donne, che hanno minore potere contrattuale e maggiore bisogno di

accrescere il montante contributivo. Con lo stop sulla speranza di vita, tra l'altro, si bloccherebbe non solo il

requisito di vecchiaia ma anche quello che fa salire gli anni contributivi per l'anticipo. Con effetti importanti

sulle platee coinvolte. Io penso che se accadesse si potrebbero avere circa 200mila pensioni in più

all'anno. Proprio adesso che, a regole invariate, sappiamo già che ci aspettano due decenni di maggiore

spesa pensionistica, visto che si ritirano le grandi coorti dei lavoratori nati negli anni '50 e '60. I dati diffusi

qualche giorno fa dalla Ragioneria parlano chiaro: da qui al 2040 la spesa per pensioni sale di un punto, al

16,3% del Pil, se si somma la spesa sanitaria e quella per le cure di lungo termine si passa dal 23% di oggi

a poco più del 25,5%. E due giorni fa Istat ci ha ricordato che abbiamo 2,5 milioni di giovani con meno di 35

anni in povertà. In presenza di una concentrazione della povertà tra i giovani noi andremmo a squilibrare

ulteriormente la spesa a favore di chi ha 65 anni o più, gli unici che non hanno vissuto fenomeni di forte

impoverimento negli anni della crisi. Gli scenari della Ragioneria parlano anche in un forte calo delle

migrazioni Arrivano molti meno immigratie molti di quelli che arrivano se ne vanno e stanno uscendo molti

giovani per lavorare all'estero. Anche queste dinamiche sono determinanti nell'equilibrio del sistema. Nel

lungo periodo si stima una riduzione di un quarto del flusso netto di immigrati, con forti riduzioni delle

entrate contributive. Ultima obiezione diffusissima: come faranno i giovani a entrare nel mercato se i senior

non escono? La riforma Fornero del 2011, adottata all'improvviso e in una situazione di crisi, ha innalzato

per alcuni l'età pensionabile fino a sei anni. Imprese e lavoratori furono presi alla sprovvista e il contesto

era di una domanda di lavoro bloccata dalla peggiore recessione della storia repubblicana. Lo stopa nuove

assunzioni fu inevitabile. Oggi invece stiamo parlando di un cambiamento ultrapianificato, noto da anni, già

incorporato da tutte le previsioni delle impresee degli agenti economici, come dimostra il comportamento su

opzione donna, e che vale solo 5 mesi in più a partire dal 2019. Non solo, ora la domanda di lavoro sta

crescendo più dell'intera economia. Dunque non si può fare alcun paragone trai due momenti, siamo

lontani anni luce.La spesa per pensioni, sanità e cure di lungo termine In % del Pil 26 25 24 23 22 21 20 19

Scenario nazionale base - Aggiornamento con popolazione Istat, base 2016 Scenario nazionale base - Def

2017 2000 2010 2020 2030 2040 2050 2060 2070

Fonte: Rgs 22,2 22,4

Foto: OLYCOM Alla guida dell'Inps. Tito Boeri

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 80

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16/07/2017

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A 15 giorni dalla chiusura della voluntary•bis lontano l'obiettivo di incasso per 1,6 miliardi

Rientro dei capitali a rilento: 6.500 domande (su 27mila)

Padoan: taglio delle tasse ma sostenibile, Italia meno fragile Marco Mobili e Giovanni Parente

Voluntary•bis con il freno tirato:a 15 giorni dalla chiusura delle adesioni• il 31 luglio• le domande arrivate al

Fisco sono 6.500, contro le 27mila che servirebbero per centrare l'obiettivo da 1,6 miliardi di incassi per il

2017. Intanto dal ministro Padoan arriva una nota positiva: bisogna continuare sul taglio delle tasse in

modo sostenibile. Italia meno fragile. pagina 3 con l'analisi di Angelo Cremonese ROMA Finora la

voluntary•bis non sembra riscuotere grandi consensi. A 15 giorni dalla chiusura delle adesioni alla seconda

edizione di emersione dei capitali detenuti illegalmente all'estero (la deadline è il 31 luglio), le domande

pervenute all'amministrazione finanziaria sono di poco superiori a 6.500. Almeno stando a quanto emerge

dalle statistiche fiscali pubblicate dall'agenzia delle Entrate sul proprio sito e relative ai canali telematici di

comunicazioni tra Fisco, intermediari e contribuenti (Entratel e FiscOnline). Un dato che oggi appare ben

lontano dalla platea potenziale stimata dalla relazione alla legge di Bilancio in poco più di 27mila

contribuenti. A conti fatti, all'amministrazione finanziaria per assicurare la riuscita dell'operazione

servirebbero quasi 21mila adesioni. In sostanza le prossime dovrebbero essere due settimane di fuoco per

gli studi professionali perché dovrebbero partire circa 1.300 domande al giorno (sabati e domeniche

incluse) per centrare l'obiettivo. In molti lo ritengono irraggiungibile, anche se dai contatti informali

dell'amministrazione finanziaria con molti studi sembrerebbe emergere un nutrito numero di domande

ancora ferme ai box in attesa di essere inoltrate all'agenzia delle Entrate. Secondo le stime della relazione

tecnica, i 27mila contribuenti attesi dovrebbero portare nelle casse dello Stato per il 2017 una cifra a 1,6

miliardi. E ad aver dubbi sulla possibilità di raggiungere questa somma è stato lo stesso Governo che nella

manovrina di primavera ha previsto una clausola di salvaguardia a copertura della voluntary•bis attraverso le

maggiori entrate che potranno arrivare dalla rottamazione delle liti. I dubbi degli operatori e dei contribuenti

riguardano soprattutto i calcoli dell'autoliquidazione e le sanzioni. La vera novità di questa edizione è che il

richiedente può • per sua scelta • procedere con il «fai•da•te» dei calcoli anche se la procedura è stata finora

oggetto di molti interrogativi. Per questo l'agenzia delle Entrate ha messo a disposizione anche un

calcolatore online che, però secondo qualche segnalazione ricevuta, in alcuni casi non sembrerebbe

garantire la realizzazione dell'operazione di chiusura. Per quanto riguarda le sanzioni a ridurre l' appeal

della sanatoria c'è la questione del raddoppio per i patrimoni detenuti in Paesi che hanno concluso accordi

sullo scambio di informazioni fiscali con l'Italia prima del 24 ottobre 2016 (data di entrata in vigore della

seconda voluntary) ma diventati efficaci solo successivamente. Il caso più evidente è rappresentato da

Panama, soprattutto per il caso dei papers da cui sono emersi i nomi di molti italiani che detenevano

capitali nello Stato centroamericano e che per sanare la propria posizione dovrebbero pagare un conto più

salato. L'altro tallone d'Achille è il contrasto di interessi venuto meno rispetto alla precedente voluntary. Il

riferimento è agli accordi per lo scambio di informazioni multilaterali o bilaterali, la cui piena operatività

aveva rappresentato un deterrente per incentivare i contribuenti italiani a regolarizzare la propria posizione.

In sostanza, l'addio al segreto bancario da parte dei Paesi considerati porti sicuri per nascondere i capitali

al Fisco italiano era più efficace rispetto proprio allo scambio di informazioni. Non sembrerebbero bastate,

finora, a spingere le adesioni alla voluntary•bis le richieste collettive di dati sui titolari di conti e posizioni

all'estero avviate nei mesi scorsi dall'agenzia delle Entrate. Occorre ricordare poi che la disclosure «2.0» ha

richiesto qualche "toppa" in corso d'opera sulle regole. Con la manovrina, infatti, è stata introdotta la

possibilità di ottenere il credito per imposte pagate all'estero sui redditi di lavoro dipendente e autonomo.

Inoltre chi aderirà alla voluntarybis sarà risparmiato dall'obbligo di presentare la dichiarazione relativa

all'Ivie e all'Ivafe (le imposte su immobili e attività finanziarie all'estero) sui patrimoni regolarizzati per l'anno

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 81

16/07/2017

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2016 e per l'eventuale frazione di anno 2017 fino alla data di presentazione dell'istanza. E per tornare al

tema delicato autoliquidazione sempre la manovrina ha stabilito che non si applica la sanzione prevista nei

casi di omesso o insufficiente versamento (30%) ma la maggiorazione del 10% sugli importi indicati

nell'istanza di adesione a titolo di imposte, ritenute, contributi, interessi e sanzioni e non effettivamente

versati. Le cifre della sanatoria L'ANDAMENTO E I RISULTATI ATTESI Le domande già presentate per la

voluntary-bis... ...e gli obiettivi prefissati 2016 2017 Totale La platea potenziale 3.032 3.032 24 Entratel

FiscOnline 3.443 3.443 13 6.512 Entratel FiscOnline Fonte: elaborazione su dati Entratel, FiscOnline,

agenzia delle Entrate e Corte dei conti Maggiori entrate attese 1,6 MILIARDI DI EURO 27.090Le cifre in

gioco

L'ANDAMENTO E I RISULTATI ATTESI Le domande già presentate per la voluntary-bis... ...e gli obiettivi

prefissati 2016 2017* Totale La platea delle potenziali adesioni 3.032 3.032 24 Entratel FiscOnline 3.443

3.443 13 6.512 Entratel FiscOnline Maggiori entrate attese 1,6 MILIARDI DI EURO 27.090

IL BILANCIO DELLA PRIMA EDIZIONE I principali paesi per attività emerse Importi in miliardi di euro

Svizzera Prin. di Monaco Bahamas Lussemburgo San Marino Liechtenstein Altro Totale Le istanze e gli

accertamenti 344.000 Atti di accertamento 41,5 4,6 2,2 1,3 1,1 0,8 8,6 60,1 60,1 Le prime regioni per

incasso Importi in miliardi di euro Lombardia Piemonte Veneto Lazio Emilia R. Altre Totale (**) 129.565

Istanze pervenute 1,2 0,3 0,2 0,2 0,2 0,6 Note: (*) dato aggiornato al 15 luglio; (**) il totale è relativo solo al

2016 Fonte: elaborazione su dati Entratel, FiscOnline, agenzia delle Entrate e Corte dei conti Imposte 2,7

0,2 0,1 0,1 0,1 1,4 0,5 0,3 0,3 0,3 0,3 Sanzioni 0,9 4,1 124.000 Totale 0,6 Atti di irrogazione sanzioni

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 82

16/07/2017

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IL DIBATTITO

È nella Costituzione il primo no alla flat tax

Enrico De Mita

Il dibattito che c'è stato, su questo giornale, sull'opportunità di introdurre in Italia la flat tax ha avuto una

grave carenza: non ha tenuto conto adeguatamente dei principi costituzionali contenuti negli articoli 2 e 53

della Costituzione. C'è di più. Si è liquidato questi principi come una specie di fisima che affliggerebbe la

mente di alcuni italiani. La crisi politica italiana è caratterizzata dalla sottovalutazione dei principi

costituzionali come è dimostrato dalla vicenda del referendum costituzionale per fortuna sconfitto dagli

italiani. La politica italiana è caratterizzata dall'assenza di orientamenti in nome di una presunta priorità del

profilo tecnico delle vicende. Si affrontano i problemi senza prospettive strategiche e senza inquadramenti

organici. Così è avvenuto per la flat tax. Siamo d'accordo tutti sulla crisi del fisco. Continua pagina 16

Continua da pagina 1 Ora, il dovere fiscaleè compreso (secondo dottrinae giurisprudenza costituzionale)

frai doveri costituzionali: l'adempimento dei doveri inderogabiliè stata definita (Mortati) come una norma

chiave in quanto con essa siè voluto affermare che «non l'uomo in funzione dello Stato ma quest'ultimo in

funzione dell'uomo». Tale principioè ignorato dal governoe dalle tesi dell'opposizione.È praticamente

svuotato da alcune tassazioni sostitutive, che vanificano la tassazione progressiva, il quadro legislativo

improvvisatoe fattoa vista d'occhio. Il governoè assente. L'aspetto più grave della crisi sta nel

disorientamento del governo, nell'assenza di un'amministrazione preparata, dagli sconfinamenti

dell'agenzia delle entrate che praticamente fa tutto: l'agenziaè diventata il veroe unico dominus del fisco. La

proposta della flat tax non ha altra giustificazione al di fuori della critica del sistema fiscale sulla quale

siamo tutti d'accordo. La bontà della sua proposta starebbe nel suo profilo tecnico non nelle premesse

politichee costituzionali. Non si risolverebbe il problema delle crisi anzi l'aggraverebbe. Sicchè c'è da

chiedersi perche sia stata fatta. Mi spiace dirlo ma la proposta della flat tax persegue un obbiettivo politico

attraverso la discutibile strada tecnica. L'obbiettivo sembra non la giustizia fiscale ma vuole essere

l'eliminazione dello stato sociale voluto dall'art.2 della Costituzione. Difatti la proposta non tiene conto della

sua pratica inesistenza se non in quei Paesi come il Caucaso dove, come ci ricorda acutamente Giulio

Tremonti, la gente va in ospedale portandosi dietro copertee medicinali. Si tratterebbe di un passo indietro

rispetto ai Paesi europei dove progressivitàè codificato in Italiae in Spagnae accolto negli altri Paesi europei

come specificazione della parità di trattamento in senso sostanziale come parità di sacrificio. Secondo

l'art.2 della Costituzione «la Repubblica riconoscee garantiscei diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo

sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalitàe richiede l'adempimento di doveri inderogabili di

solidarietà politica, economicae sociale». Il dovere di concorrere alle spese pubbliche (secondo dottrinae

giurisprudenza costituzionale) è un dovere di solidarietà politica economicae sociale che richiede il criterio

della progressività. Dai sociologi ci viene fatto rilevare che l'attuale momento politicoè caratterizzato da un

forte individualismo (cui si ispira la flat tax) sicchè sembra lontana quella "nuova stagione dei doveri" senza

la quale, diceva Aldo Moro, questo Paese non si salverà. Difatti la solidarietà di cui parla l'art.2 della

Costituzioneè proprio quella unità moralee politica del Paese senzala qualeè difficile che una democrazia

possa sopravvivere. Si afferma un nuovo modo di intendere la libertà dei singoli: le situazioni derivanti dai

diritti di libertà trovano una naturale limitazione nei doveri pubblici ad essi collegati. Il concorso alle spese

pubbliche deve essere commisurato alla capacità contributiva. L'utilizzazione dell'impostaa fini economicie

sociali redistributivi in particolare realizza il principio della capacità contributiva. L'art. 53 sembra dare una

precisa indicazione programmatica quando al secondo comma prescrive «che il sistema tributarioè

improntatoa criteri di progressività» edè evidente che un tale sistema, non potendo tutte le imposte essere

progressive in quanto la progressività tecnicamente si addice solo ad alcune di esse, dovrebbe fondarsi

principalmente su quelle imposte che per loro natura si prestano ad un meccanismo di aliquote progressive.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 83

16/07/2017

Pag. 1

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La Costituzione, diceva Vanoni, deve qualificare la potestà tributaria più in senso politico che rigorosamente

tecnicoe giuridico. La posta in gioco, pertanto,è elevatissima. Se il quadro costituzionalee la politica sono

quelli descritti, toccare l'art.2 della Costituzione vuol dire mettere in discussione lo Stato democratico. Non

si può pensare ad una flat tax con la situazione che ci ritroviamo. L'inadeguatezza della propostaè

dimostrata dalla valutazione delle aliquote che l'imposta dovrebbe avere (35%• 40%) se volesse mantenerei

conti in ordine; due aliquote fortemente punitive peri piccoli reddituari. La proposta pertantoè inutile, fatta

solo ad ostentationem !A meno chei proponenti perseguano un obbiettivo molto più modesto: concorrere

alla campagna elettorale per orientare l'elettorato in una certa direzione.E si capisce di quale elettorato si

tratta; allora servirebbe ancor di piùa complicare le cose politiche in Italia. Resta il problema della attuale

tassazione progressivae dell'intero sistema fiscale, soprattutto per quanto concerne la sopportabilità. Ma

questoè un altro discorsoe siamo d'accordo con le critiche di Nicola Rossi.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 84

16/07/2017

Pag. 4

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Addio di Londra all'Ue L'IMPATTO SULLA GRANDE FINANZA Il trasloco Tra le destinazioni più gettonate ci sono Dublino, Francoforte e Parigi Il trading Derivati in euro: Milano punta a ereditare la gestione della cassa di compensazione

Brexit, ecco il piano delle banche

Rami di attività si sposteranno nella Ue: solo tra i big stimati oltre 13mila posti in meno nella City Riccardo Barlaam

PArabi, russi, cinesi, indiani. Londra che si prepara a uscire dall'Unione europea è una capitale finanziaria

che cercherà di fare dell'isolamento un punto di forza. Cercando di attrarre i capitali dei nuovi ricchi. Le

incognite sono tante nell'era dei mercati globali. Vuoi per la perdita, centrale, del clearing, (si veda l'altro

articolo), vuoi per le banche globali che stanno già ridisegnando le loro strutture, alla luce dei vari scenari,

quello "duroe puro" dell'hard brexit e l'altro, più gradualee realista, della cosiddetta soft•brexit. Tutto

dipenderà dall'entità dello «strappo», insomma. Determinanti per il futuro prossimo di Londrae della City

sarannoi negoziati tecnici di questi mesi con l'Unione europea. Una nuova maratona negoziale tra gli

sherpa di Downing Street e quelli di Bruxelles comincia proprio lunedì. A Londra, in ogni caso, stanno già

studiandoi possibili pianiB per limitarei danni. Saudi Aramco, società statale saudita, la prima compagnia

petrolifera mondiale, si sta preparando per quella che potrebbe essere la più grande Ipo della storia. A

inizio settimana, in vista della quotazione, ha annunciato che investirà 300 miliardi di dollariin dieci per

mantenere la capacità produttiva attualee per aumentare le ricerche di gas naturale. Due giorni dopo

l'annuncio di Saudi Aramco, da Londra è arrivata una mano tesa istituzionale ai sauditi e alla loro ricca

discesa in Borsa: la Financial Conduct Authority (Fca), autorità che regolai mercati ei servizi finanziari nel

Regno Unito, vuole introdurre nuove regolee un nuovo indice alla Borsa di Londra per consentire la

quotazione di società controllate da Stati sovrani, proprio come Saudi Aramco. La proposta della "Consob"

britannica è stata criticata dall'Associazione locale dei fund manager che ha espresso riserve sull'opacità

della governance di Aramco. Ma si sa • i romani lo avevano già capito • pecunia non olet. E così l'Fca spiega:

«Crediamo che investitori e mercati siano sufficientemente abili da comprendere i rischi di investimento che

ci possono essere in una società controllata da uno Stato sovrano». L'autorità dei mercati ha dato tempo

fino al 13 ottobre per raccogliere i commenti sulla sua proposta di revisione delle regole. Proposta di riforma

che, comunque la si voglia vedere, la dice lunga su come la City si sta preparando ai nuovi scenari aperti

con la Brexitei timori che si porta con sé. Le banchee le società finanziarie sono quelle che rischiano di

impattare di più sull'addio alla Ue di Londra. Con migliaia di posti di lavoro in meno per la City • alcune stime

parlano di oltre 13mila posti solo trai big del credito•e interi rami di attività che le banche globali sposteranno

a breve in altre capitali europee. L'Associazione delle banche estere in Germania prevede nei prossimi due

anni l'arrivo di 3•5mila funzionarie dirigenti bancaria Francoforte, in 12•14 banche che espanderannoo

apriranno la loro sede nella città della Bce per la Brexit. Bank ok America non ha ancora deciso, ma

Dublino sembra essere l'opzione preferita per seguire il suo business in Europa. Barlclays, come le altre

banche inglesi, dovrà ottenere una nuova licenza per operare nel continentee dovrà modificare tuttii

contratti con un'altra giurisdizione. Processo che potrebbe da un anno a 18 mesi. L'headquarter europeo di

Barclays dopo Brexit sarà Dublino. Anche Citigroup, altro big americano, ha deciso di spostare da Londraa

Dublino buona parte dello staff per seguire sales e trading. BnpParibas trasferirà 300 persone

dell'investiment bank a Parigi. Bnp ha già ridotto quest'anno il suo staff in Gran Bretagna da 3.294a 3.123

persone. Deutsche Bank si preparaa traslocarea Francoforte tutte le operazioni di securities trading: si

parla di 4mila addetti. Anche Goldman Sachs ha in programma di spostare oltre mille persone a

Francoforte. Crédit Agricole, terza banca francese, a seconda dell'entità della Brexit, si prepara a far

rientrare a Parigi da 100 a 1000 dipendenti. Jp Morgan Chase& Co. userà Francoforte come domicilio

legale per l'Europa, come ha detto il ceo Jamie Dimon, ma due mesi fa ha acquistato una sede a Dublino

con uffici per mille persone, che si aggiungono alle 500 che già lavorano per la banca americana nella

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 85

16/07/2017

Pag. 4

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capitale irlandese. Hsbc, la più grande banca europea, ha in piano di spostarea Parigi circa mille persone.

Lloyds Banking Group è vicinaa scegliere Berlino come base europea per assicurarsi un accesso ai mercati

Ue dopo la Brexit. Morgan Stanley deve trasferire mille occupati dell'European staff di Londra nei settori

sales, trading, risk management e affari legali. La scelta è orientata tra Francoforte e Dublino. La

giapponese Nomura ha già fatto richiesta di una licenza per operare a Francoforte. Il big svizzero del

wealth management Ubs sposterà 1.500 persone in Europa sulle 5.500 attuali dello staff londinese. Almeno

per ora non smobilitano da Londra le due principali banche italiane. Intesa Sanpaolo, che un anno e mezzo

fa ha inaugurato in Queen Street la nuova sede del Private Banking nella City, al momento nel polo

londinese conta circa 220 persone, destinate a restare. Discorso analogo per UniCredit: in città ha sede un

hub del Corporate & Investment banking, con 400 persone attive per lo più sui versanti dei capital marketse

del coverage su clientela, impresee istituzioni finanziarie: per ora non risultano piani di ridimensionamento.

BREXIT, LA ROAD MAP 23 GIUGNO 2016 Il referendum Il 51,9% dei britannici vota per lasciare l'Ue

contro il 48,1% che invece vuole rimanervi. 29 MARZO 2017 Il Trattato Ue Theresa May firma la lettera per

la modifica dell'articolo 50 del Trattato di Lisbona. MAGGIO 2017 La legge Uk per uscire Il Governo May

presenta il Great Repeal Bill che annulla quanto sancito nel 1972. MAGGIO•SETTEMBRE 2017 Accordo

finanziario Negoziati tecnici Ue•Uk per stabilire, tra l'altro, l'entità del debito da pagare all'Europa. MARZO

2018 Accordo commerciale Londra vuole evitare le perdite di investimenti esteri. OTTOBRE 2018 Il termine

per l'Europa Stati Ue, Parlamento europeo e Consiglio europeo devono ratificare gli accordi. 29 MARZO

2019 Londra fuori dall'Ue Con o senza intesa, la Gran Bretagna è fuori dall'Ue. Lo scenario BANCARI, CHI

RE STA E CHI VA F UORI DALLA CI TY JPMorgan Chase Deutsche Bank Ubs Goldman Sachs HSBC

Morgan Stanley Société Générale Barclays Nomura Credit Suisse Citigroup LAVO RA TO RI IN U SCITA

4.000 4.000 1.500 1.000 1.000 1.000 5.000 5.000 2.000 400 150 2.300 100 n.d. n.d. 6.000 6.000 6.600

9.000 10.000 9.000 TO TA LE D IP END EN TI UK 16.000 LA CRESCITA INGLESE POST BREXIT

Migliore e peggiore scenario sul Pil di Londra. Dati in % STIMA PEGGIORE -8 -6 -4 Oxford Economics

(2030) Tesoro Uk (2030) -2 0 Institute of Economic Affairs (2020) Open Europe (2030) 2 Centre for

economic performance-Lse (2018) PwC (2020) Fonte: European Banking Federation - The Telegraph -

Bloomberg STIMA MIGLIORE 4 6 8 ASSET DELLE BANCHE EUROPEE Dati 2015 paese per paese in %

43.380,9 Danimarca Belgio Irlanda Svezia Olanda Spagna ITALIA Germania Francia REGNO UNITO Altri

Paesi Ue mld € 2 2 3 3 6 7 9 18 19 22 9

Foto: AFP

Foto: Lo skyline di Londra La capitale britannica alle prese con le consuenze economiche e occupazionali

derivanti da Brexit

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 86

16/07/2017

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Jean•Michel Six Capo economista per l'Eurozona a Standard & Poor's INTERVISTA

Più investimenti corporate per rilanciare l'Italia

«I consumi restano il driver della crescita. Servono maggior produttività ed export» «Prospettive favorevoli ma l'Italia crescerà più lentamente degli altri Paesi dell'area euro» Vittorio Da Rold

Standard&Poor's, mai tenera con l'Italia in passato, ha rivisto al rialzo le stime di crescita del Bel Paese per

il 2017. Una buona notizia. Dalla precedente previsione di +0,9% l'agenzia, nell'analisi Global Ratings

sull'Eurozona pubblicata ieri, fissa ora la crescita del Pil a +1,2%. L'agenzia internazionale ha lasciato

invariata quella del 2018 all'1%, ma esprime qualche dubbio sul futuro se non ripartiranno gli investimenti

corporate accompagnati da un aumento della produttività . Tra i Paesi «la performance dell'Italia resta più

preoccupante nonostante la revisione al rialzo del Pil del primo trimestre a +0,4% da +0,2%, ha detto il

capo economista per l'Eurozona, Jean•Michel Six di S&P's con sede negli uffici parigini di Rue de la Victoire.

L'agenzia internazionale di rating ha alzato anche le stime della Germania a +2% e +1,7% per quest'anno e

l'anno prossimo da +1,6% e +1,5%, della Francia a +1,6% e +1,7% da +1,4% e +1,5% e della Spagna a

+3% e +2,6% da +2,5%e +2,1%. Sulla base di queste revisioni, il Pil dell'Eurozona nel complesso viene

rivisto a un rotondo +2% nel 2017 contro il +1,6% stimato a marzo e a +1,7% nel 2018 da +1,5%. Inoltre

secondo S&P, la Bce «resterà paziente ancora a lungo» allungherà il Qe al 2018 ma ad un ritmo di acquisti

più lento. Six ha accettato di rispondere a qualche domanda del Sole 24 ore. Quali sono i principali volani di

crescita dell'eurozona nel 2017? Consumi interni, export o investimenti? I consumi continuano ad essere

uno dei driver fondamentali, anche se stiamo assisten• do a trend positivi anche nel settore degli

investimenti: il settore delle costruzioni sta avendo una ripresa veloce e vediamo un trend al rialzo anche

per gli investimenti produttivi. La performance dell'esportazione è più variegata: la Spagna continua a

sovraperformare rispetto agli altri Paesi, mentre la Franciae l'Italia sono indietro in termini di commercio

estero. Come spiega il paradosso economico di un'eurozona in costante rialzo di crescita economica con la

simultanea previsione di inflazione in calo? Questo è decisamente un paradosso che però presenta alcuni

fattori da tenere in considerazione: il primo è rappresentato dai deboli prezzi internazionali delle commodity.

Ricordiamo inoltre che, all'inizio dell'anno, i prezzi del Brent in euro sono saliti del 110% anno su anno e

quest'impennata temporanea ha poi causato un aumento dell'inflazione complessiva. Oggi, con il nuovo

calo del prezzo del petrolio e con il rafforzamento dell'euro, questo fattore non sta più spingendo

l'inflazione. In secondo luogo, rispetto ai precedenti cicli economici,è venuta meno la rincorsa salariale: la

crescita dei salari rimane molto bassa. Questo succede perché nell'Eurozona c'è ancora un considerevole

ammontare di esuberi. Il potere contrattuale dei salariati non ha ancora registrato una ripresa. La Bce

estenderà al 2018 il programma di acquisti del Qe. Non pensa che il governatore della Bundesbank, Jens

Weidmann, un falco si opporrà a questa scelta? La Bundesbank guidata da Jens Weidmann potrebbe

avere dei timori a riguardo ma riteniamo che non saranno sufficienti per bloccare il piano di acquisti. I tassi

Bce sono visti fermi almeno fino al 2019, mentre c'è la possibilità di un aumento del tasso sui depositi

(attualmente a •0,4%) a fine 2018. Per ridurre il suo pesante debito l'Italia ha bisogno di crescere e le ultime

previsioni di S&P's sono più positive rispetto a quelle di marzo.È sufficiente questo revisione al rialzo o

serve dell'altro? È senza dubbio positivo poter disporre di previsioni di crescita al rialzo ma, secondo le

nostre previsioni, l'economia italiana continuerà a crescere più lentamente rispetto all'eurozona, sia nel

2017 che nel 2018. Per l'Italia è fondamentale essere in grado di incoraggiare la ripresa degli investimenti

corporate che potrebbero tradursi in un aumento della produttività e in un potenziale crescita.

Foto: AFP

Foto: Jean•Michel Six

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 87

16/07/2017

Pag. 3

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Crescita e fisco. «Va migliorato attraverso un disegno più ampio» • «Nel Def aumenteremo la stima del Pil, meno fragili anche sul debito, sulla flat tax attenzione agli effetti redistributivi»

Padoan: il futuro Ue non si gioca sul «sì o no» al Fiscal compact*

POLEMICA MONTI•RENZI «Sull'Europa il leader Pdè ormai un disco rotto»• La replica: «Con l'austerity più povertà, la crescita frutto delle riforme del mio governo» D.Col.

ROMA C'è una crescita in Italia «più che proporzionale» rispetto alle dinamiche della congiuntura

internazionale. E il fatto si spiega partendo «dalle politiche prese, che incidono sulla capacità strutturale

dell'economia di migliorarsi». Il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, non ha nascosto il suo ottimismo

ieri, intervenendo alla 5° edizione della Festa di Left Wing in corsoa Fiuggi,e ha parlato di un'Italia meno

fragile «anche dal punto di vista del debito». L'intervento del ministro è coinciso con la nuova polemica

intrecciata dal segretario del Pd, Matteo Renzi, contro chi, questa volta l'ex premier Mario Monti, critica la

sua proposta di impostare il bilancio dello Stato con un deficit attorno al 2,9%, nella prossima legislatura,

per sostenere la ripresae finanziare nuove misure di detassazione. Mario Monti, in un'intervista al Corriere

aveva criticato Renzi accusandolo di non voler ascol• tare le argomentazioni degli altri: «Come un disco

rotto, ormai ripete senza fine i suoi slogan e le sue accuse». Pronta la replica del'ex premier Dem via

Facebook: «La cultura dell'austerity ha visto aumentare il numero di famiglie in povertà, un Pil negativo e

crescere diseguaglianze. E paradossalmente in quegli anni il rapporto debito/Pil è peggiorato perché senza

crescita il debito sale, sempre». Renzi rivendica invece i risultati di questi giorni sulla crescita come frutto

della sua azione di governo. Il ministro Padoan s'è voluto tenere a debita distanza da questo scambio ma

su un puntoè interve• nuto per dire che «il futuro Ue non si gioca sul Fiscal Compact». Secondo Padoan i

nuovi parametri di convergenza adottati nel pieno della crisi dei debiti sovrani hanno problemi tecnici. Ma,

ha spiegato, «il futuro dell'Ue non si gioca sul Fiscal Compact sì o Fiscal Compact no. È possibile

immaginare come migliorarlo in modo che sia parte di un disegno più ampio. Altrimenti facciamo una

battaglia ideologica nel senso negativo del termine». Dunque bisogna lavorare sulle possibili soluzioni

tecnichee istituzionali capaci di affrontare le nuove sfide dell'Europa, a partire per esempio dall'ipotesi di

dotare l'Unione di un ministro delle Finanze: «La mia idea è che ci sono soluzioni europee che funzionano

meglio di quelle nazionali ma nell'Ue bisogna non essere da solia per portarle avanti» ha affermato,

ricordando ancora una volta la proposta fatta dall'Italia di attivare un meccanismo Ue di assicurazione

contro la disoccupazione congiunturale. Più da macroeconomista che da ministro, Padoan ha poi insistito

nel suo interventoa Fiuggi sulle componenti della ripresa in atto e che, nelle proiezioni diffuse venerdì dalla

Banca d'Italia, sarebbe proiettata verso un +1,4% quest'anno: «Vorrei fare un'annotazione qualitativa - ha

detto - que• sti numeri sono il frutto di un'accelerazione degli investimenti e quando ci sono investimenti, si

aumenta la domandae si aumenta quello che gli economisti chiamano la crescita potenziale». Queste

nuove stime cambieranno in meglio il quadro su cui si baserà l'ultima legge di Bilancio della legislatura.

Attualmente le previsioni governative sono quelle del Def di aprile e vedono una crescita programmatica

dell'1,1% con un debito/Pil al 132,5%. Nella Nota di aggiornamento di settembre i numeri saranno diversi,

ha annunciato il ministro: «Stiamo rivedendo le stime e saranno riviste al rialzo». Lo spazio fiscale non è

tuttavia ampio, e bisognerà usare al meglio le risorse: «L'obiettivo è concentrarsi ancora sull'emergenza

sociale», ha spiegato Padoan, prevedendo «un ulteriore sostegno agli investimenti» e individuando «una

priorità: accrescere l'incentivo alle imprese per assumerei giovani».E l'ipotesi di flax tax? Parliamomone

pure, ha risposto il ministro, ma con grande attenzione: «Bisogna decidere quantoè alta.È del 25%o del

15%? In un sistema come il nostro ha un'implicazione redistributiva gigantesca, chiediamoci chi ci

guadagna e chi ci perde». Insomma «chi propone la flat tax-è stata la conclusione-è pregato di dirmi a

quale livello pensa e se ha fatto i conti con gli effetti redistributivi. Dobbiamo essere molto onesti».

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 88

16/07/2017

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Foto: LAPRESSE

Foto: Pier Carlo Padoan

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 89

15/07/2017

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BAD BANK E REGOLE UE

Le banche, l'Europa e l'Italia convalescente

Marco Onado

Le autorità italiane hanno salutato il salvataggio delle banche venete come la conclusione del risanamento

di un sistema bancario che, ufficialmente definito con troppo ottimismo all'inizio della crisi finanziaria come il

più robusto d'Europa, ha rivelato una serie preoccupante di debolezze nella fascia intermedia di banche

che fino a qualche anno fa erano lodate per la loro capacità di essere vicine alla realtà produttiva di alcune

delle zone migliori del nostro tessuto economico. La valutazione è corretta e la soluzione finale emersa in

extremis con l'intervento di Intesa Sanpaoloè certamente la migliore nelle condizioni di emergenza che si

erano create. Ma la questione vera riguarda le criticità europee e nazionali che sono emerse con grande

chiarezza nel corso delle ultime, convulse settimane. Innanzitutto il regime europeo di intervento sulle crisi

è lungi non solo dall'essere una soluzione definitiva ai problemi bancari europei, m anche dall'aver

completato il suo periodo di rodaggio. Quel regime - non va dimenticato - è stato disegnato in gran fretta

perché si è scoperto con colpevole ritardo che l'unione monetaria doveva essere integrata da quella

bancaria; per motivi squisitamente politici era stato prospettato come il toccasana che avrebbe bandito per

sempre il bail•out delle banche in crisi, con relativo ricorso alle tasche dei contribuenti, imboccando la strada

opposta del bail•in, cioè del coinvolgimento dei creditori diversi dai depositanti. Il guaio è che in Italia si era

tollerato che titoli assoggettabili a perdita venissero venduti a risparmiatori privati e dunque per costoro si

cambiassero in qualche modo le regole in corsa. Ma più in generale è risultato chiaro che il principio del

bail•in - certo condivisibile - può applicarsi a crisi di singole banche, non a quelle in cui sia in gioco la

stabilità sistemica o in genere a tutti i casi in cui è significativo il rischio di contagio da una banca all'altrae

dunque di un veroe proprio run sulle passività assoggettabili a perdite. Dunque, il cantiere europeo è

ancora aperto. Continua pagina 14 Continua da pagina 1 Per quanto riguarda gli aspetti più strettamente

attinenti al caso italiano, è emerso che anche le grandi banche non hanno la robustezza patrimoniale per

farsi carico di un'altra banca in crisi. Il confronto con il caso Santander•Popular, in cui la prima si accolla

anche la parte malata della seconda e si rivolge al mercato per colmare l'inevitabile deficit patrimoniale è

quasi imbarazzante. L'Italia ha dovuto non solo ripulire accuratamente l'attivo delle banche venete, ma

anche accettare tutte le condizioni richieste da Banca Intesa, fra cui un consistente contributo finanziario a

titolo di capitale. A questa situazione senza alternative (giova ripetere: la migliore nelle condizioni date) si è

arrivati anche perché per troppo tempo si è puntato su soluzioni individuali, preferibilmente di tipo soft,

come se ogni crisi fosse un caso a sé. È per questo che si è puntato prima sulla soluzione "di sistema"

come quella di Atlante e successivamente sulla ricapitalizzazione preventiva prevista dalla direttiva

europea. Sono state escluse invece soluzioni più generali come una bad bank nazionale, possibilmente

sulla base di una matrice europea. Una via che l'Unione europea finalmente considera la migliore (si veda Il

Sole 24 Ore del 12 luglio) in quanto - sono parole di Dombrovskis -realizza «il giusto equilibrio fra l'azione

nazionale e l'azione europea», in linea con quanto proposto da tempo sia dalla Bce, sia dall'Eba, che non a

caso in una recente audizione al Senato ha avanzato critiche non secondarie alla soluzione adottata per le

banche venete. Va detto che - avendo scelto il governo di resuscitare una vecchia bad bank risalente

addirittura al caso del Banco di Napoli - sorge il problema, tutt'altro che marginale, del coordinamento fra

questa e l'altra bad bank che ha accolto la pesante eredità delle quattro banche liquidate alla fine del 2015.

Insomma, la convalescenza è ufficialmente iniziata, ma la via per uscire dall'«egro talamo» come avrebbe

detto Foscolo per l'amica risanata, è tutt'altro che semplice, anche perché, come non ha mancato di

osservare il Governatore Visco, le banche devono migliorare in modo significativo la redditività di base se

vogliono arrivare ad una congrua remunerazione del capitale. Gli avvenimenti di questi giorni hanno però

proposto un tema ancora più delicato: lo scontro fra il potere politico e la Banca d'Italia e le autorità di

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vigilanza in generale. Renzi ha detto senza mezzi termini di aver sbagliato a fidarsi del giudizio tecnico

della Banca d'Italia; il ministro Padoan ha preso le distanze dall'Eba che aveva avanzato riserve sulla

soluzione adottata per le banche venete. Il secondo tema è uno dei non pochi elementi del contenzioso fra

l'Italia e le istituzioni europee, che in questo momento crea un clima di diffidenza se non di ostilità intorno al

nostro Paese. Il primo è un segnale molto più preoccupante perché significa che nella scena del dibattito

politico, destinata a incattivirsi via via che la data delle elezioni si approssima, il nodo del credito e del

comportamento delle autorità di vigilanza occuperà il centro della scena. Il che non giova all'indipendenza

della Banca d'Italia, bene supremo che finora era stato circondato di un rispetto istituzionale pressoché

unanime, soprattutto in vista dell'imminente scadenza del mandato (rinnovabile) di Visco. Se per le banche

suona finalmente il "cessate allarme", su Palazzo Koch si addensano nubi preoccupanti.

Foto: EPA «Giusto equilibrio». Il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis

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IL DIBATTITO SULLA PROPOSTA DELL'ISTITUTO BRUNO LEONI

Piaccia o no, la flat tax significa trasparenza

Nicola Rossi

La proposta avanzata dall'Istituto Bruno Leoni (#25%pertutti) e l'ampio dibattito ospitato dal Sole 24 Ore sul

tema della flat tax ha costretto un po' tutti • ci auguriamo • a tornare a discute• re dell'impalcatura del sistema

fiscale, e non soltanto di micro•interventi, di volta in volta considerati decisivi. In questa ricca discussione le

critiche che ci sono state mosse sono state ora di merito, ora invece • sia detto senza polemica • di carattere

ideolo• gico. Considerando note le caratteristiche essenziali della proposta (aliquota unica al 25%, minimo

vitale, abolizione di alcune imposte, diverso finanziamento di alcuni servizi pubblici), vediamo le prime.

Continua pagina 14 Continua da pagina 1 Ci è stato rimproverato di voler aumentare le imposte indirette, di

voler penalizzare il ceto medio, di mettere a rischio il servizio sanitario nazionale e persino di volere una

semplificazione di facciata. Nel primo caso, siamo di frontea una lettura frettolosa della proposta. Ci siamo

limitati a ipotizzare che non vengano disinnescate le clausole di salvaguardia già in vigore che prevedono

che l'aliquota ordinaria Iva passi al 25% dal 2018 (l'aliquota ridotta al 13% nel 2020). Su questo fronte, in

altre parole, non si propone nulla di diverso da quanto già nelle cose. Nel secondo caso, invece, non si

tiene adeguatamente conto di due aspetti: la differenziazione geografica del "minimo vitale" (per cui la

perdita registrata da alcuni contribuenti meridionali non è in realtà tale in termini reali) e il bizzarro disegno

del cosiddetto bonus 80 euro (i cui beneficiari registrano comunque nel complesso una riduzione e non un

aggravio di imposta). Nel terzo caso, infine, si dimentica che il contributo sanitario richiesto ai più abbienti

verrebbe definito in ogni suo aspetto dalle singole Regioni ivi incluse le modalità di opting out: non è

francamente difficile immaginare soluzioni in grado di tenere insieme la tenuta del sistema sanitario

nazionale con il valore segnaletico dell'opting out. Infine, sulla semplificazione saremmo molto curiosi di

poter comparare le 124 pagine (da 5.500 battute ciascuna) di istruzioni del modello Redditi 2017 con quelle

che seguirebbero alla nostra proposta. Una seconda critica riguarda invece l'ipotesi che ai redditi oggetto di

integrazione al minimo vitale si applichi un'aliquota marginale al 100% (Toso, Una perdita di gettito difficile

da assorbire, 6 luglio). La questione riguarda, ad esempio, il caso di un giovane senza lavoro per il quale la

proposta prevede che il minimo vitale venga erogato per un numero limitato di anni e che, a partire dal

secondo anno, il minimo vitale venga erogato in proporzione decrescente in contanti e in proporzione

crescente sotto forma di un voucher contributivo non cedibilee utilizzabile da qualunque datore di lavoro a

fronte dei suo obblighi contributivi e fiscali derivanti dall'assunzione di quella persona. Il che, com'è ovvio,

attenua fino quasi a escluderla l'ipotesi di una aliquota marginale pari al 100%. Rimane aperta una

questione rilevante così sintetizzabile: «sarebbe bello, ma nelle condizioni date di finanza pubblica non

possiamo permettercelo» (Galli e Codogno, Bisogna ridurre la spesa, poi agire sulla pressione fiscale,4

luglio ). Certo, se non avessimo dissipato i proventi della pur timida spending review realizzata fra il 2014

ed il 2016 il tema non si porrebbe. Ma purtroppo così non è e sappiamo bene che in una prospettiva di

stabilizzazione del debito, l'avanzo primario- oggi all'1,5% circa - dovrebbe essere portato verso il 4%. Non

ci sarebbero, dunque, margini per un diverso utilizzo di eventuali ulteriori risparmi sul versante delle spese.

L'argomento è serio, ma ci sembra di avere risposto immaginando una transazione graduale al nuovo

sistema. La proposta ipotizza che il passaggio al nuovo regime non potrebbe intervenire prima di un

triennioe che gli interventi in grado di determinare un calo di gettito si produrrebbero contestualmente al

manifestarsi dei risparmi derivanti dalla revisione strategica della spesa. Si noti che il quadro

programmatico contenuto nel Def 2017 già oggi prevede per il 2020 un avanzo primario (strutturale e non)

molto vicino al 4%. Il che suggerisce che la proposta sia, in questi termini, finanziariamente praticabile.

Salvo che, naturalmente, non si ritengano del tutto infondate le previsioni del governo. Ovviamente tutto ciò

presume che già dal prossimo settembre non si continui a disperdere le poche risorse disponibili in mille

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inutili rivoli. E che la riforma venga realizzata in un contesto di disciplina e di rigore di bilancio. Che è

essenziale per la credibilità della stessa, tanto più in una condizione della finanza pubblica difficile come la

nostra. Pensiamo così di aver risposto anche alla prima critica di marca "ideologica": quella per la quale

l'aliquota sarebbe troppo elevata (il 25%) e che pertanto sia opportuno immaginare percorsi ancora più

aggressivi. È possibile che un abbassamento della pressione fiscale produca un'emersione della base

imponibile e, pertanto, un aumento del gettito. Ma non è su queste basi che si può gestire la finanza

pubblica di un Paese con un debito pubblico come quello italiano. Di converso, sarebbe un errore

sottostimare l'effetto che potrebbe avere una aliquota veramente "unica" (il 25%): abituando gli italiani a

considerare criticamente ogni aumento del prelievo. La seconda critica "ideologica" viene, per così dire, dal

fronte opposto. Riguarda la presunta superiorità etica della progressività per scaglioni. Solo la progressività

per scaglioni, si dice, aiuterebbe a fronteggiare le diseguaglianze. Premesso che- in punta di teoria • la

recente ricerca economica ha prodotto risultati molto ambigui circa il profilo delle aliquote marginali al

crescere dell'imponibile, finendo per considerare la combinazione di un'aliquota piattae di un "minimo vitale"

come quella più vicina all'ottimo, nel concreto le convinzioni dovrebbero farei conti coni fatti. Nel sistema

attuale con una mano si applicano alle fasce più abbienti della popolazione aliquote marginali piuttosto

elevate e con l'altra si concedono gratuitamente o quasi alle stessei servizi pubblici (dalla sanità

all'università fino ad arrivare - incredibile dictu - alla stessa assistenza). Non sarebbe più trasparente nei

confronti dei cittadini, chiedere ai più abbienti fra di loro di pagare i servizi di cui usufruiscono a fronte di

una diversa struttura dell'imposta personale? Il sistema vigente è sotto gli occhi di tutti per la sua

complessità, per la sua inefficienza, per la sua iniquità. La proposta Ibl disegna un sistema radicalmente

diverso. Si possono condividerne o meno i princìpi che la ispirano. Ma ci sembra che neppure i

commentatori più scettici siano riusciti a trovare argomenti davvero solidi per difendere il sistema attuale.

Forse perché non ce ne sono.

LA PROPOSTA Sul Sole 24 Ore di domenica 25 giugno Nicola Rossi dell'Istituto Bruno Leoni ha lanciato

un'articolata proposta di riforma fiscale incentrata, tra le altre cose, su una sola aliquota, fissata al 25%, per

le principali imposte del nostro sistema tributario. L'idea dell'Istituto Bruno Leoni ha innescato un vivace

dibattito sia a livello politico che tra i tecnici in materia fiscale. Sul nostro giornale sono poi intervenuti

D.Stevanato, E.De Mita, L.Dini e N.D'Amico, E.Somaini, D.Capezzone, V. Visco, L.Codogno e G.Galli,

A.Cremonese, R.Lupi, A.Siri, S.Toso, G.Piga, S.Bavetta, V.Tanzi, A.Giovanardi, F.Gallo, F.Debenedetti,

U.Colombino, V.E.Falsitta, G.Spaziani Testa e A. Zanardi. Tutti gli interventi sono disponibili sul sito

www.ilsole24ore.com. Il dibattito continua sui social media con l'hashtag #25xtutti. Sul sito www.25xtutti.it

ciascuno può calcolare il proprio vantaggio fiscale.

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L'INTERVISTA

Calenda: «Taglio al cuneo, sostegno agli investimenti e produttività»

Carmine Fotina

pagina 3 Calenda: «Taglio al cuneo, sostegno agli investimenti e produttività» Ministro, ha definito

"clamorosamente positivi" gli ultimi dati sull'export. Saremo in grado di confermarli anche a dispetto dei

"nuovi protezionismi"? Una crescita del 6,6% nei primi quattro mesi del 2017, è oggettivamente clamorosa.

E i dati rilasciati ieri che includono maggio segnano addirittura un +8% rispetto al 2016. Mi aspetto

comunque un dato annuale più "normale". Già il 2016 si era chiuso con il record e con la crescita della

nostra quota di mercato sulle esportazioni mondiali che non si vedeva dal 2011. Tutto ciò conferma che la

chiave per lo sviluppo dell'Italiaè l'aggancio alla domanda internazionale. Eppure cresce il fatturato medio

ma il numero delle aziende che esportano non aumenta più... È il vero punto di debolezza. Sono troppo

poche le imprese che esportano. Questa è la priorità del piano made in Italy insieme alla diffusione dei

prodotti italiani sulle piattaforme e•commerce. Le altre componenti del piano hanno invece dimostrato di

funzionare bene. Premiati la scelta di concentrare gli sforzi sul Nord America dove la nostra quota cresce

più dei competitorse il lavoro con la grande distribuzione che ha portato più di 800 nuove aziende sugli

scaffali dei mercati internazionali. Aggiungo che per ogni euro speso da Ice abbiamo generato 15 euro di

fatturato per le aziende. Direi che abbiamo fatto molto benea scegliere di mettere i fondi su questo tipo di

iniziativa invece che su inutili eventi "singing and dancing". Ma può bastare visti i risultati dei nostri principali

competitor? Credo che potremmo ritenerci soddisfatti solo quando il rapporto esportazioni Pil passerà

dall'attuale 31% al 50% della Germania. A quel punto potremo davvero importare in Italiai tassi di crescita

del mondo. Il rapporto Ice segnala anche l'aumento degli investimenti diretti esteri. Ma il governo li

considera tutti e sempre "buoni" o fa distinzioni? L'aumento di quasi il 50% degli investimenti diretti esteri

nel 2016è un altro dato potente attribuibile anche all'agenda di riforme, ai tagli fiscali sulle imprese, e ad

un'intensa attività di promozione e accompagnamento prima inesistente. Tra l'altro ieri con l'accordo

Ice•Invitalia si è definitivamente strutturato il processo di lavoro. Gli investimenti esteri, acquisizioni, aperture

di stabilimenti produttivi o centri di ricerca, sono sempre benvenuti e anche incentivati. Altra cosa sono gli

investimenti che io definisco predatori: quelli fatti per spogliare un'azienda strategica dai brevetti e dalle

tecnologie e esportarli in un altro paese. Questo tipo di iniziative vanno monitorate e impedite allargandoi

settori oggetto di "golden power". Stiamo lavorando con Francia e Germania in Europa per avere l'ok a

procedere in questo senso. La normaè pronta. A proposito di aziende strategiche, sul caso banda ultralarga

incontrerà Cattaneoo sta aspettando chiarezza sul vertice Tim? Certo che incontrerò Cattaneo che, per

inciso, considero un ottimo manager. Il suo lavoro è difendere l'interesse della sua azienda, il mioè quello di

difendere l'interesse pubblico che in questo caso vuol dire applicare le regole, italiane ed europee, previste

dai bandi. Quando ha usato toni non consoni al rapporto con il Governo gliel'ho fatto notare, siè scusatoe la

storiaè finita lì. Il governo pensa a una "soluzione Paese" con una società che unisca le infrastrutture di Tim

e Open Fiber? Sono favorevole ad una società delle reti e non escludo che in un futuro anche prossimo se

ne possa riparlare, ma deve esserci la volontà delle parti di farlo. Elemento che fino ad oggi è mancato.

Intanto il paese non può star fermo dunque il lavoro sulla banda larga va avanti e prima della pausa estiva

presenteremo con Giacomelli il piano di incentivi alla domanda sulle aree grigie dove risiedono il 65% delle

imprese. Oggi Bankitalia ha alzato le previsioni di crescita del Pil. Quale sarà in autunno la politica giusta

per rafforzare la ripresa e l'occupazione? Innanzitutto continuare a stimolare gli investimenti privati in

tecnologia, ricerca, formazione e internazionalizzazione. Del restoi dati di ieri di Bankitalia indicano

chiaramente che la crescita viene da investimenti in innovazione ed export. Ma anche velocizzare i tempi di

esecuzione degli investimenti pubblici, che hanno un ruolo fondamentale in questo momento storico,

riformando il Cipe e mandandoa regime il nuovo codice degli appalti; tagliare il cuneo fiscalee detassare

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ulteriormente il salario di produttività. Poi esiste un capitolo sociale altrettanto importante.I dati sulla povertà

sono inaccettabili. Va rafforzato il reddito di inclusione. A Taranto vareremo un programma pilota sul

disagio giovanile che rischia di perdere una generazione. Oggi esistono alcune aree del paese dove questo

problema è più acuto. Esattamente come abbiamo creato strumenti particolari per le aree di crisi industriale

complessa, dobbiamo fare lo stes• so per le aree di crisi sociale complessa in particolare quando colpiscei

ragazzi in età scolare. Come si faa spingere la crescita e ridurre il debito? Ricetta Visco (aumentare

l'avanzo primario), ricetta Renzi (deficit al 2,9% per 5 anni), ricetta Padoan del "sentiero stretto"? Non

esiste una risposta stile "Rischia Tutto". Con la prossima finanziaria dobbiamo chiudere il percorso avviato

dal Governo Renzi. Discesa del deficit, che peraltro Padoan ha negoziato molto bene con Bruxelles, e

provvedimenti a favore della crescita. Per quanto riguarda la proposta di Renzi non mi scandalizza, anzi,

penso però che vada invertito l'ordine dei fattori. Decidiamo dove vogliamo essere tra cinque anni, quali

sono le priorità che vogliamo perseguire, costruiamo un piano industriale per il paese che metta al centro gli

investimenti, l'internazionalizzazione e la formazione. Mettiamo in chiaro quali sono le riforme che vogliamo

implementareei provvedimenti che vogliamo adottare per abbattere il debito, poi andiamo in Europa e sui

mercatie convinciamoli cheè la strada giusta per arrivare ad un livello di crescita che sia finanziariamentee

socialmente sostenibile. Per farlo occorre anche ritrovarei contenutiei toni di un dibattito politico costruttivoe

spirito di squadra. Altrimenti meglio rimanere al sicuro nei parametri europei. Più esplicitamente: robusto

taglio al cuneo per gli under 35, detassazione per il salario di produttività, taglio dell'Irpef? Ho già risposto.

Produttività, investimenti, formazione e solidarietà. Un taglio significativo dell'Irpef non è né prioritario dal

punto di vista della crescita, né alla nostra portata. Firmerebbe il piano sul deficit di Renzi se fosse vincolato

al rilancio della competitività? Firmerei il piano industriale di cui ho parlato. Premesso che non spetterà a

me decidere, il deficit è la risultante di quello che ci faie di quanto te ne puoi permettere. Due elementi

strettamente collegati, che al momento non conosciamo. Se posso permettermi un suggerimento al Pdè

quello di iniziare subito il lavoro sul "cosa" in vista delle prossime elezioni, anche per• ché servirà un grande

sforzo di coinvolgimento dei corpi intermedi e dei cittadini. Penso che il Governo Renzi sia stato quello che

ha fatto più iniziative e riforme a favore della crescita nella storia italiana recente. È un patrimonio da non

disperdere. È stato rappresentante permanentea Bruxelles, nominato proprio da Renzi. Crede sia fondato

un problema di credibilità dell'Italia presso l'Unione europea? Dipende da come ci poniamo. Abbiamo

spesso visto alternarsi un approccio deferente, come se l'Unione fosse l'ancora anche morale di un paese

altrimenti perduto, ad uno aggressivo, dove l'Europa è rappresentata solo come tecnocrazia e poteri forti da

combattere. Entrambi questi approcci hanno una cosa in comune: considerano l'Europa qualcosa di altro

da noi. Così non è. Se siamo in grado di stare dentro una casa che è anche nostra con autorevolezza,

articolando le nostre posizioni allora non di rado indirizziamo l'agenda e troviamo soddisfazione alle nostre

richieste. Pensa ancora che sia giusto andarea votare alla scadenza naturale della legislatura? Quali sono

tre cose da fare assolutamente per evitare il rischio di galleggiare nei prossimi otto mesi? Guardi l'unica

sensazione che non ho è quella del galleggiamento. Banche, migranti, giustizia penale, ius soli, Ilva, Alitalia

eccetera, il lavoro fatto dal Governo in questi mesi è stato tutt'altro che una placida routine. Io credo che a

Gentiloni vada riconosciuto il fatto di aver dimostrato capacità di leadership e resilienza non comuni. Oltre

le tante riforme che dobbiamo completare dalla concorrenza al diritto fallimentare, dagli energivori alla

Strategia energetica nazionale, il lavoro che si fa tutti i giorni è enorme e non meno importante. Anzi le dico

di più, dobbiamo smetterla di pensare che esistano solo le riforme. L'attività fondamentale del Governoè

l'amministrazione e la gestione. Sempre di più in futuro le leggi dovranno definire gli obiettivi e lasciare

spazio per una governance rapida ed in continuo cambiamento. Ha scommesso tanto sul piano Industria

4.0. Ma come farete a salvaguardare l'occupazione nelle produzioni a più alta automazione? È la grande

questione dei nostri tempi. Globalizzazione e innovazione tecnologica ridisegnano da secoli la mappa del

lavoro, normalmente il risultato finale è positivo, ma durante il percorso si possono creare fratture profonde

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tra vincitori e vinti. Il problema è che negli ultimi cinquant'anni questi processi hanno anche preso una

velocità incredibile, rendendoli difficili da comprendere figuriamoci da governare. Spesso poi le classi

dirigenti li hanno rappresentati in maniera semplicistica e ottimistica. Anche per questo si è diffuso in

Occidente un rifiuto della modernità e una sfiducia profonda nelle classi dirigenti progressiste. Lo vediamo

sui vaccini come sull'opposizione a qualsiasi accordo di libero scambio per quanto conveniente esso sia.

Anche per questo il secondo capitolo di industria 4.0, dopo quello su investimenti e competenze, sarà

interamente dedicato al lavoro 4.0. Sono allo studio misure per la prossima manovra? Sappiamo che la

tecnologia da sola non costruisce innovazione sostenibile. Con Poletti e Fedeli stiamo lavorando per

presentare un piano alla cabina di regia di settembre e inserire le prime norme in legge di bilancio. Sulla

legge per la concorrenza si taglia il traguardo prima della pausa estiva? Resta irrisolto il nodo di servizi

pubblici locali e partecipate... Lo spero proprio. Dipende dal Pd. Sono sicuro che onorerà l'impegno preso

con i cittadini. E prima di chiudere questo capitolo sulla concorrenza non voglio parlare del nuovo. Sarebbe

poco serio.

L'EXPORT Siamo in presenza di risultati clamorosi ma saremo soddisfatti solo quando la quota sul Pil sarà

salita dal 31 al 50% come in Germania GENTILONI Il governo non galleggia: banche, migranti, giustizia

penale, ius soli, Ilva, Alitalia. Ora diritto fallimentare, energivori e strategia energetica IL GOVERNO RENZI

Con la legge di bilancio dobbiamo completare il lavoro avviato dal governo Renzi: riduzione del deficit e

crescita. Serve un piano lavoro 4.0

Foto: REUTERS Ministro. Carlo Calenda guida lo Sviluppo economico dal 10 maggio 2016

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L'addio di Londra TOLLERANZA ZERO AGLI ABUSI Rischio di trasferimenti fittizi Controlli severi per evitare che i big della finanza spostino in Ue solo la sede legale e non l'attività Turismo regolamentare La Vigilanza dovrà essere uniforme in Europa: le banche non scelgano l'authority più docile

Esma all'attacco dei «furbetti» della Brexit

L'autorità europea dei mercati detta le regole per banche e finanza che lasciano Londra per restare in Ue NIENTE TRUCCHI Quando un istituto sceglie un Paese continentale per spostare la sede, deve dimostrare di trasferirsi davvero Andrea Franceschi

La decisione della Gran Bretagna di uscire dall'Unione europea è un fatto senza precedenti che crea

tantissimi problemi di natura regolamentare. I benefici del mercato unico continueranno ad essere garantiti

alle società britanniche finché Londra non sarà ufficialmente fuori. Nell'incertezza su quello che sarà l'esito

delle trattative diversi big della finanza che oggi hanno nella City una fetta importante delle loro attività

hanno annunciato l'intenzione di spostarsi in altri Paesi dell'Unione per mantenere i benefici del passaporto

europeo. Ma il trasferimento non sarà automatico ha fatto sapere l'Esma. L'autorità europea che vigila sui

mercati ha pubblicato una serie di linee guida specifiche per il settore finanziario. I documenti riguardano in

particolare tre campi: le case di investimento, asset manager e le piattaforme di trading. Lo scopoè

individuare una serie di parametri che le authority nazionali dovranno rispettare nel vagliare le richieste di

trasferimento. Ne abbiamo selezionati sei particolarmente rilevanti. e No "letter box" Il rischio principale è

che il trasferimento dal Regno Unito all'Unione sia fittizio. L'Esma parla di «letterbox relocation». Cioè la

fattispecie per cui un'azienda trasferisce la propria sede legale (con relativa cassetta delle lettere) in Paesi

dell'Unione conservando i vantaggi dell'accesso al mercato unico ma mantenendo l'operatività nel Regno

Unito. Una «scorciatoia» alla Brexit che • segnale l'Esma • le autorità nazionali dovranno minimizzare al

massimo mettendo in atto controlli rigorosissimi che dovranno essere proporzionati al volume delle attività e

delle risorse che la società richiedente intende trasferire. r No turismo regolatorio Nelle linee guida

dell'Esma si insiste molto sulla necessità che le singole autorità nazionali seguano gli stessi criteri nel

concedere l'autorizzazione ad operare. Le authority nazionali dovranno assicurarsi che la scelta del Paese

in cui trasferirsi sia fatta per «ragioni obiettive». Si dovrà monitorare con attenzione la distribuzione

geografica delle attività del soggetto richiedente negando l'autorizzazione qualora la selezione del Paese in

cui trasferire le attività sia motivata dall'intenzione di «evadere standard più rigidi di un altro Stato

membro». Tradotto: se la società X vuole spostare le sue attività in Italia ma ritiene troppo rigida la

normativa Consob non può optare per un altro Stato membro dalla normativa più favorevole. L'arbitraggio

regolamentare dei «furbetti della Brexit» sarà contrastato. t L'esternalizzazione Un aspetto particolarmente

delicato è quello dell'esternalizzazione delle attività chiave. Un soggetto che si trasferisce nell'Unione

europea potrà mantenere alcune attività chiave in un Paese terzo (quale sarà il Regno Unito con la Brexit)

solo sotto «rigide condizioni». Se alcune attività di "back office" potranno essere mantenute scrive l'Esma • i

servizi principali come «il rapporto con i clienti o le attività di gestione del rischio» dovranno

obbligatoriamente essere gestite internamente o esternalizzate a società con sede nell'Unione europea. Il

discorso vale anche per le società comunitarie che hanno delle controllate oltremanica. Il loro utilizzo sarà

consentito solo per «ragioni oggettive». Ad esempio per erogare servizi ai clienti britannici. Per nessuna

ragione una società europea potrà servirsi di una controllata oltremanica per «erogare servizi ai clienti

nell'Unione europea». u Il personale Per quanto riguarda le case di investimento • si legge nel documento

disponibile sul sito dell'Esma • il faro illuminante dovrà essere Mifid. In ossequio alla direttiva è necessario

che i top manager e gli organismi di controllo siano sul territorio. Qualsiasi fatto possa far sospettare che le

decisioni operative siano prese altrove • segnala l'authority può essere motivo di diniego o ritiro

dell'autorizzazione. i Le risorse finanziarie Le autorità nazionali dovranno assicurarsi che «le risorse

finanziarie e non finanziarie» che l'azienda richiedente intende mobilitare siano «appropriate» in rapporto

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alle attività che intende mettere in atto. Un punto particolarmente delicato riguarda le piattaforme dove

eseguire gli ordini dei clienti. Un fondo che utilizza una sola piazza (l'Esma non la cita maè chiaro che parla

di Londra) dovrà essere in grado di dimostrare concretamente che questa scelta ha lo scopo di «fare il

miglior interesse del cliente». o La vigilanza C'è infine il capitolo della vigilanza. L'Esma segnala che le

autorità dei 27 Paesi della Ue saranno inevitabilmente soggette a un aumento di richieste con conseguente

crescente mole di lavoro. Dovranno pertanto assicurare di avere le «capacità e le risorse» adeguate a

seguire il processo di autorizzazione e supervisione. Le autority nazionali • scrive l'Esma • dovranno negare

o ritirare l'autorizzazione a società estere qualora le leggi e la regolamentazione di Stati terzi, sotto la cui

giurisdizione operano i soggetti ad essa collegati, possano costituire un ostacolo all'attività di vigilanza. I sei

«paletti» dell'Esma per chi si trasferisce in Ue 1 NESSUNA SCORCIATOIA NEL TRASFERIMENTO

L'Esma vuole evitare che le banchee le società finanziarie si trasferiscano nell'Unione europea in modo

fittizio. Cioè che spostino la sede legale, per avere i benefici dell'Ue, mantenendo l'operativitàa Londra.I

controlli saranno rigorosi. 2 EVITARE IL «TURISMO» REGOLATORIO Le Autorità di vigilanza nazionali

dovranno seguire le stesse regole nel concedere autorizzazioni. Questo per evitare che qualche società

finanziaria si trasferisca in un Paese piuttosto che un altro «per evitare standard di vigilanza più rigidi». 3 IL

PERSONALE DEVE ESSERE DOVE SI OPERA L'Esma vuole evitare che una bancao società metta la

sede in un Paese, ma poi mantenga il «cervello» altrove. Qualsiasi fatto che possa far ritenere che le

decisioni non vengano prese nella sede centrale potrà essere causa di ritiro della licenza. 4 RISORSE

«APPROPRIATE» PER L'ATTIVITÀ Le Autorità nazionali dovranno verificare che le risorse che l'azienda

intende mobilitare per il trasferimento in un Paese Ue, siano «appropriate» per l'attività che dichiara di voler

svolgere. Anche questo per evitare traslochi fittizi. 5 ATTIVITÀ ALL'ESTERO: CONDIZIONI RIGIDE Chi si

trasferisce nell'Unione europea potrà mantenere alcune attività chiave in un Paese terzo (come lo stesso

Regno Unito post•Brexit) solo sotto «rigide condizioni». Per esempio le attività di «back office». 6 LA

VIGILANZA DEVE POTER OPERARE Le Autorità di Vigilanza di alcuni Paesi potrebbero essere oberate di

lavoro. Dovranno pertanto assicurare di avere le «capacità e le risorse» adeguate a seguire il processo di

autorizzazione e supervisione.

Settore strategico La "fetta" inglese dei mercati finanziari globali. In % IL PESO DELLA FINANZA IN

GRAN BRETAGNA Asset di hedge fund 2010 2015 Derivati Otc** 2010 2015 Mercato valutario** 2010

2015 Assicurazioni marittime 2010 2015 Credito bancario internazionale 2010 2015 (*) 2014; (**) Aprile

2010/aprile 2016 19 66* 47 39 36 37 20 29* 18 16 Impiegati in ogni settore. Dati in migliaia, 2015

LAVORATORI NEL SETTORE FINANZIARIO Ser vizi professionali Servizi legali 311 Servizi di contabilità

Ser vizi finanziari 382 Consulenza manageriale Gestione fondi Altri servizi finanziari Assicurazioni Bancari

Totale 477 41 268 315 421 2.215 Fonte: TheCityUK; Nomis

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 98

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Il Bollettino. Ma l'inflazione è sotto la media dell'Eurozona • Padoan: il debito comincerà a scendere grazie alla crescita

Bankitalia rialza le stime: Pil 2017 +1,4%

Davide Colombo

ROMA La spinta al rialzo del valore aggiunto nel settore dei servizie la netta ripresa della produzione

industriale (+1% tra aprilee giugno) avrebbero garantito una crescita del Pil, nel secondo trimestre

dell'anno, in linea con il +0,4% registrato nei primi novanta giorni. Da questa previsione, messa a punto

dagli analisti della Banca d'Italia sulla base delle ultimissime informazioni congiunturali, deriva una nuova

proiezione sulla crescita annua che fissa il Pil 2017a +1,4%, contro il +0,9% di gennaio, già in parte corretto

nelle scorse settimane a +1,3% dopo la revisione del dato sul primo trimestre da parte dell'Istat. Nel

Bollettino economico diffuso ieri la Banca vede ora un aumento dell'1,3 nel 2018e dell'1,2 l'anno

successivo. Se le previsioni si avverassero nel 2019 il Pil avrebbe recuperato i livelli pre•crisi 2011 (debiti

sovrani) ma rimarrebbe ancora di tre punti al di sotto dei livelli del 2007. Sul lato degli impieghi la spinta

arriverebbe soprattutto dalla domanda interna, con una espansione dei consumi e degli investimenti «a

ritmi relativamente sostenuti». Sugli investimenti, in particolare, dopo il calo del primo trimestre forse dovuto

alle incertezze di fine 2016 per la proroga degli incentivi f iscali, il sondaggio trimestrale

Bankitalia•IlSole24Ore condotto a fine giugno prefigura un'accelerazione della spesa per cumulare nuovo

capitale produttivo da qui a fine anno, mentre i consumi si espanderebbero a rit• mi analoghia quelli del

prodottoe del reddito disponibile. Dietro questa nuova propensionea investire c'è lo stimolo degli incentivi

previsti nel Piano Industria 4.0. Ieri Bankitalia ha anche diffusoi numeri del debito, che a maggio è giuntoa

2.278,9 miliardi, in aumento di 8,2 miliardi rispetto ad aprile. Ma il dato che conta ai fini europei è il

debito/Pil ed è a questo aggregato che ha fatto riferimento Pier Carlo Padoan, intervistato al Tg1, quando

ha affermato che «il debito si è stabilizzato e comincerà a scendere proprio grazie alla crescita superiore al

previsto». Secondo il ministro per consolidare lo scenario di ripresa bisogna «continuare con gli

investimenti privatie pubblici,e sostenere l'occupazione in modo tale che la crescita non ci sia solo adesso

ma anche nel futuro». Padoan ha quindi concluso che la ricetta di politica economica non cambierà:

«Continueremo con le misure che, come dice la Banca d'Italia, hanno sostenuto gli investimenti». Tornando

al Bollettino, prospettive positive arrivano anche per il mercato del lavoro.I dati preliminari della Rilevazione

sulle forze di lavoro indicano come nella media di aprilee maggio il numero di occupati ha continuatoa

crescere (+0,2% sul bimestre precedente) trainato dai contrattia termine. Secondoi risultati delle indagini

sulle aspettative occupazionali delle imprese condotte dall'Istat e sulla base dell'indice PMI, annotano i

tecnici di palazzo Koch, «l'espansione dell'occupazione dovrebbe proseguire anche nei mesi estivi».

L'unica variabile che continuaa segnare un andamento divergente rispetto al quadro macroè l'inflazione al

consumo, che resta modesta: «sarebbe pari all'1,4% quest'annoe all'1,1% il prossimo; nel 2019 salirebbe

invece all'1,6 per effetto di una moderata accelerazione delle retribuzioni». Siamo su valori inferioria quelli

attesi per l'Eurozona. Le proiezioni di Bankitalia sono più positive di quelle delle principali organizzazioni

internazionali: «Per l'anno in corso • si legge nel documento • le differenze sono in larga misura attribuibili al

miglior andamento acquisitoa seguito delle revisioni dei dati di contabilità nazionale diffusi all'inizio di

giugno, di cui le proiezioni del Fondo monetario internazionale (+0,8%), dell'Ocse (+1%) e della

Commissione europea (+0,9%) non tengono conto». Si tratta di proiezioni che scontano un'incertezza

relativa di un decimalee che restano esposte a un rischio al ribasso: «Alle incertezze associate ai mercati

finanziari si accompagnano quelle connesse con l'evoluzione delle politiche economiche e commerciali a

livello globale». Stesso discorso vale per i prezzi, con rischi al ribasso sulle previsioni «potrebbero derivare

da una dinamica salariale più contenuta di quanto prefigurato, mentre l'evoluzione dei prezzi delle materie

prime energetiche nel prossimo futuro continuaa essere caratterizzata da un'elevata incertezza». Da

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 99

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registrare la conferma della triplaB per l'Italia con outlook stabile da parte dell'agenzia di rating Dbrs.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 100

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LA STORIA

I ricchi mandarini di Stato allergici alla trasparenza

SERGIO RIZZO

L'ULTIMA rilevazione dell'Ocse sulle retribuzioni dei dirigenti pubblici dice quanto la trasparenza sia

preziosa, e per alcuni versi anche dolorosa. Grazie a lei sappiamo che i mandarini italiani sono i più pagati

del mondo sviluppato, con la sola esclusione dell'Australia.

Affermare tuttavia che con il tetto agli stipendi dei funzionari pubblici fissato tre anni fa in 240mila euro lordi

l'anno non sia cambiato nulla sarebbe ingeneroso: qualche busta paga scandalosa (e immeritata) è stata

per fortuna ridimensionata. Ma è sempre la media, con o senza quel tetto, che continua a fregarci.

ICONFRONTI parlano chiaro.

La retribuzione media delle nostre figure burocratiche apicali è scesa fra il 2011 e il 2015 da 339.249 a

212.132 euro lordi. Il calo non è stato affatto trascurabile: meno 37,4 per cento. Nonostante una simile

sforbiciata, però, siamo ancora ben al di sopra di quella dannata media dei Paesi sviluppati che aderiscono

all'Ocse. Fissata, secondo la rilevazione di cui parliamo, in 160.627 dollari: 132.315 euro lordi.

Decisamente meglio è andata ai dirigenti di prima fascia, quelli immediatamente al di sotto del massimo

livello apicale. Dopo l'introduzione del famoso tetto le loro retribuzioni medie, sempre secondo i calcoli

dell'Ocse, sono infatti addirittura aumentate, seppur di poco: l'incremento dai 197.962 euro del 2011 ai

199.330 (lordi, ovvio) del 2015 è dello 0,7 per cento, che sale all'1,5 con la metodologia di calcolo Ocse,

che tiene conto anche dei contributi previdenziali e dell'orario effettivo di lavoro. A questo proposito

andrebbe ricordato che l'ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli, prendendo proprio spunto

dal raffronto internazionale aveva previsto risparmi di mezzo miliardo l'anno già a partire dal 2014. Ebbene,

almeno in questo caso è accaduto il contrario.

E qui siamo di nuovo al punto cruciale: la trasparenza. In questo nuovo studio, che peraltro ricalca i risultati

della precedente analisi del 2013, l'Ocse precisa che non tutti i Paesi riportano nelle loro analisi i dati

effettivi, come fa invece l'Italia. Da quattro anni, infatti, qui vige il principio della pubblicità dei compensi dei

dirigenti pubblici. È la conseguenza di un decreto, il numero 33 del 2013, che però non è stato digerito da

tutti gli interessati. Ma è nulla al confronto di ciò che è successo nel momento in cui si è deciso di estendere

l'obbligo di trasparenza anche alle informazioni patrimoniali. Allora sono scoppiate improvvise allergie.

Letteralmente incontenibili.

La battaglia comincia il 25 maggio 2016, quando la Funzione pubblica approva un decreto legislativo che

impone ai dirigenti la pubblicazione della propria situazione economica e reddituale sui siti internet ufficiali

di ogni singola amministrazione. E con le variazioni intervenute anno dopo anno. Nello stesso

provvedimento viene specificato che la cosa riguarda tutti, ma proprio tutti, gli incarichi di livello dirigenziale:

per capirci, anche quelli che vengono assegnati per decisione politica.

Tanto basta per innescare l'immancabile ricorso al Tribunale amministrativo, che il 2 marzo sospende

senza battere ciglio l'efficacia della nuova misura. Affermano i giudici che è necessario considerare la

«consistenza delle questioni di costituzionalità e di compatibilità con le norme di diritto comunitario sollevate

nel ricorso», specificando di aver preso la travagliata decisione dopo aver valutato «l'irreparabilità del

danno paventato dai ricorrenti discendente dalla pubblicazione online, anche temporanea, dei dati per cui è

causa». Non bastasse, ecco un altro ricorso, stavolta del sindacato al quale si associano pure quattro

burocrati, che contesta le linee guida emanate dall'Autorità nazionale anticorruzione per l'attuazione della

norma del 2013 che prevede la trasparenza degli atti relativi agli incarichi di natura politica e dirigenziale. A

quel punto l'Anac di Raffaele Cantone non può che fermare le macchine e sospendere tutto, in attesa del

sospirato giudizio di merito del Tar. Che si prende tutto il tempo necessario, e forse anche qualcosina in

più: sette mesi.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 101

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I giudici amministrativi hanno fissato la relativa udienza per martedì 10 ottobre 2017.

Ovvero, 222 giorni dopo aver deliberato la sospensiva e a quasi un anno e mezzo dal decreto che

imporrebbe l'obbligo di far conoscere ai cittadini anche i patrimoni dei dirigenti pubblici e la loro evoluzione

durante lo svolgimento dell'incarico. Mentre tutti continuano a ripetere che la trasparenza è il migliore

antidoto contro il cancro della corruzione.

fonte : OCSE

LE TAPPE

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2

4

IL TETTO Nel 2014 il governo introduce un limite massimo per gli stipendi dei dirigenti pubblici, fissandolo a

240 mila euro lordi, pari al compenso percepito dal Presidente della Repubblica LA TRASPARENZA Nel

2016 un decreto della Funzione pubblica impone ai dirigenti di pubblicare sui siti ufficiali i dati sulla propria

situazione economica e patrimoniale, con le variazioni annuali I RICORSI Piovono i ricorsi al Tar contro

questo provvedimento e contro le regole Anac sulla trasparenza degli incarichi. In attesa del giudizio le

disposizioni vengono sospese LA DECISIONE L'udienza del Tar è fissata per il 10 di ottobre, 222 giorni

dopo la sospensiva e quasi un anno e mezzo dopo l'approvazione del decreto sulla trasparenza dei

patrimoni

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 102

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L'ANALISI

I veri risparmi dello Stato con la spending review

ROBERTO PEROTTI

L'ULTIMA volta che ho osato fare osservazioni sui calcoli della revisione della spesa diffusi dal governo mi

sono preso dell'"accademico frustrato". Ci riprovo perché ne vale la pena.

A PAGINA 3 Il mese scorso è uscita la relazione sull'attività di revisione della spesa. È una attività

importante, portata avanti in silenzio ma con grande competenza e dedizione dal commissario Yoram

Gutgeld e dal suo team. Questo però non esime dal fare chiarezza sui numeri, sui quali c'è stata molta

confusione (causata anche, bisogna dirlo, da un modo un po' birichino di fornire informazioni da parte del

governo).

Leggendo la relazione, molti hanno concluso che tra il 2014 e il 2017 sono stati ottenuti 30 miliardi di euro

(il 2 percento del Pil) di risparmi di spesa pubblica; altri che la spesa pubblica è scesa nello stesso periodo

di 30 miliardi. La prima conclusione è fuorviante, la seconda è semplicemente errata. Non voglio entrare in

dispute semantiche sterili su cosa sia la "revisione della spesa": ognuno la definisce come vuole. Ma i

numeri non mentono, ed ecco cosa dicono. Come mostra la tabella qui sopra (ottenuta a partire dai dati

ufficiali della Ragioneria dello Stato), se sommiamo tutti i capitoli di spesa del bilancio che sono diminuiti

per intervento governativo o parlamentare fra il 2014 e il 2017 otteniamo la cifra complessiva di 40 miliardi

di euro, ancor più quindi dei 30 miliardi di cui parla la relazione sulla revisione della spesa. Senonché nello

stesso periodo il governo o il Parlamento hanno anche aumentato capitoli di spesa per una cifra

complessiva praticamente identica, 40 miliardi (al netto della spesa per gli 80 euro, di circa 9 miliardi). Il

risultato netto è una riduzione di soli 772 milioni di euro. Secondo i calcoli dell'Ufficio Parlamentare di

Bilancio gli interventi di governo e Parlamento hanno addirittura aumentato la spesa complessiva tra il 2014

e il 2017, di 1,5 miliardi.

Perché questo è importante? Ho un debito di 50 euro con il mio amico Paolo, che non riesco a ripagare.

L'anno scorso spendevo cento euro in ristoranti e cento in vestiti; decido di fare una revisione della spesa

per ristoranti, e quest'anno riesco a ridurla a 60 euro. Posso dire che la revisione della spesa ha ottenuto

risparmi del 40 per cento, un risultato eccezionale di cui vado fiero, e che comunico immediatamente a tutti

gli amici, a cominciare da Paolo. Nel frattempo, però, ho aumentato la spesa per vestiti di 40 euro. La

spesa totale era di 200 euro e tale è rimasta. Ovviamente ho tutto l'interesse a mettere in risalto il risultato

sui ristoranti e a passare sotto silenzio quello sui vestiti. Ma il mio amico Paolo non è stupido, e capisce che

dal suo punto di vista non è cambiato niente.

Il governo potrebbe comunque sostenere di aver ridotto la spesa "cattiva" e di aver aumentato quella

"buona". Può darsi: cosa è buono e cosa è cattivo è molto soggettivo (e qualunque esponente della

maggioranza, se torchiato a sufficienza, riconoscerà che alcuni aumenti di spesa sono puramente elettorali

o addirittura, in certi casi, strampalati). È anche difficile capire come si possa aver sostituito spesa buona a

cattiva perché, a parte l'azione del gruppo della revisione (che riguarda una parte limitata del totale), non

c'è stata una valutazione complessiva, che comparasse le varie spese e stabilisse delle priorità. Per

esempio, nell'anno di maggiore riduzione lorda, il 2015, metà dei 16 miliardi sono venuti da tagli agli enti

locali, un provvedimento che richiede cinque minuti senza che si possa sapere su che spese andrà

effettivamente ad incidere alla fine.

Il governo sostiene anche che, in un periodo di recessione, è riuscito almeno ad evitare un aumento della

spesa pubblica. Anche questa posizione ha una sua logica. Ma è ben diversa dall'affermare che l'azione del

governo ha ridotto la spesa pubblica di 30 miliardi.

[email protected] FONTE RAGIONERIA GENERALE DELLO STATO: "RELAZIONE

TECNICO-ILLUSTRATIVA ALLA LEGGE DI BILANCIO", VARI ANNI. LA LEGGE DI STABILITA' 2017

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 103

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INCLUDE IL DECRETO FISCALE, BANKITALIA

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 104

16/07/2017

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Aeroporti, 2017 d'oro Nei primi cinque mesi passeggeri su del 6,4%

La ripresa di Pil e turismo favorisce Malpensa e Napoli Quasi fermi Linate e Fiumicino, più legati ad Alitalia In sofferenza gli scali più piccoli che perdono la compagnia di bandiera e non attirano le low cost ETTORE LIVINI

MILANO. Alitalia continua la sua battaglia per la sopravvivenza. Il mercato del trasporto aereo italiano

invece, con buona pace dei guai dell'ex-compagnia di riferimento, sta vivendo nel 2017 un vero e proprio

boom. I numeri parlano da soli: nei primi cinque mesi dell'anno i passeggeri transitati ai check-in degli scali

nazionali - un buon indicatore dello stato di salute del Paese - sono aumentati del 6,4% a 65,3 milioni. Il

risultato è ancora più significativo leggendo in controluce i dati. Fiumicino (+0,1%) e Linate (+0,6%) - i due

hub del vettore finito in amministrazione straordinaria - segnano il passo. Frenati dal parziale

ridimensionamento operativo di Alitalia che ha fatto il lifting al proprio network tagliando un po' di rami

secchi. Il resto degli aeroporti cresce invece spesso a due cifre.

A Malpensa sono passati tra gennaio e fine maggio 8,2 milioni di viaggiatori, il 14,1% in più dello stesso

periodo dell'anno precedente.

Bergamo, che da qualche mese ha superato in pianta stabile Linate sul terzo gradino del podio dei cieli

nazionali, archivia i primi cinque mesi del 2017 con un bel +10,4%. Mentre alle sue spalle salgono a ritmi

vertiginosi Venezia, Catania (con un clamoroso + 17,5%), Bologna e Napoli (+17,7%), continuando a

scambiarsi le posizioni tra di loro. La spiegazione di questo periodo d'oro per il trasporto aereo tricolore è

chiara: nessuno è insostituibile. Nemmeno Alitalia, regina un po' decaduta del settore. Il mercato sta

facendo il suo dovere: la domanda corre, grazie anche alla ripresa di Pil e turismo. E l'offerta si adegua

sfruttando l'elasticità delle low-cost e l'arrivo di nuovi voli intercontinentali dei vettori esteri che riempiono -

se e dove si aprono - i buchi aperti dalla ex compagnia di bandiera. Ryanair è da due anni la prima

aerolinea italiana con 32,6 milioni di passeggeri trasportati da e per la Penisola, quasi dieci milioni più di

Alitalia. E i boom di Malpensa e Napoli, per dire, si spiegano con l'aumento dei collegamenti del vettore

irlandese e dei rivali a basso costo. L'onda lunga della metamorfosi potrebbe presto aiutare anche

Fiumicino, dove Norwegian, sfruttando le difficoltà di Alitalia, lancerà da Roma i nuovissimi intercontinentali

low-cost, un'altra delle novità destinate nei prossimi anni a riscrivere la mappa del settore aereo.

Non tutti, naturalmente, sorridono. Dietro il boom di questi mesi si nasconde infatti per gli aeroporti

nazionali una realtà a due facce. Gli scali più grandi, quelli in grado di attirare Ryanair & C. corrono.

Quelli più piccoli - orfani pure dei collegamenti "sociali" garantiti da Alitalia prima dell'amministrazione

controllata - soffrono. A Reggio Calabria il traffico è calato del 17,6%. Alghero (-11,8%) e Trapani (-2,4%)

pagano un pedaggio salato al braccio di ferro con il vettore irlandese, pronto ad abbandonare le due città al

loro destino se non arriveranno gli incentivi promessi. Sopravvivono invece sotto la tendina ad ossigeno

alcune realtà da anni ormai vicine all'estinzione. A Brescia Montichiari nei primi cinque mesi dell'anno sono

passati solo 5mila passeggeri (-4,6%), 37 al giorno. A Grosseto 1.573, a Foggia 187, poco più di una

persona ogni 24 ore. Vittime collaterali di una selezione darwiniana che però potrebbe regalare quest'anno

al trasporto aereo italiano il record di 120 milioni di passeggeri.

IL CONFRONTO CHI CRESCE A Malpensa tra gennaio e fine maggio sono passati 8,2 milioni di

passeggeri, ossia il 14,1% in più rispetto allo stesso periodo del 2016. Su anche Bergamo e Venezia CHI

SOFFRE Alcuni piccoli aeroporti sono a livelli di pura sopravvivenza.

A Foggia 187 passeggeri in cinque mesi, a Brescia solo 5 mila, ossia 37 ogni giorno Il boom dei cieli italiani

passeggeri gennaio-maggio 2017 (in milioni) (...) variazione % rispetto ai primi 5 mesi 2016 Pisa Bergamo

1.740.240 Torino 1.696.504 Bari 1.299.247 Cagliari 1.163.338 Treviso 1.000.075 (+14%) Verona 8.201.989

(+14,1%) Milano Malpensa 4.698.377 3.757.151 Milano Linate 3.576.039 Venezia 3.188.189 Catania

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 105

16/07/2017

Pag. 62

diffusione:218930

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3.067.458 Bologna 2.693.914 Napoli 2.429.355 Roma Ciampino 1.987.707 Palermo 1.852.443 (+10,44%)

(+0,9%) (+6,6%) (+17,5%) (+6,8%) (+17,7%) (+5,7%) (+4,5%) (+6,6%) (+8%) (+6,9%) (+7,7%) (+14,4%)

63.550.202 TOTALE (+6,4%) 15.361.060 Roma Fiumicino (+0,1%) ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 106

15/07/2017

Pag. 1

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L'ANALISI

Ma ora siamo tutti più fragili

SERGIO RIZZO

HE sia una sorpresa, è indiscutibile. Soltanto fino a qualche settimana fa pochi avrebbero scommesso un

soldo bucato su un recupero come quello di cui parla la Banca d'Italia. A PAGINA 27 LIVINI, LONGHIN E

PETRINI ALLE PAGINE 2 E 3 CHE SIA una sorpresa, è indiscutibile. Soltanto fino a qualche settimana fa

pochi avrebbero scommesso un soldo bucato su un recupero come quello di cui parla la Banca d'Italia. Per

anni siamo stati martellati dalle previsioni più nere. Basta ricordare che nel 2015 il Fondo monetario

internazionale prevedeva per l'economia italiana il ritorno ai livelli precedenti alla crisi non prima di un

ventennio. D'altra parte non c'è Paese dell'eurozona, secondo le stime dello stesso Fmi, che avrebbe

subito fra il 2007 e il 2017 un crollo reale del Prodotto interno lordo pro capite peggiore del nostro. Con le

uniche eccezioni di Grecia (-22,6 per cento) e Cipro (-12,5).

Nel decennio horribilis, la ricchezza prodotta da ogni italiano si sarebbe ridotta dell'11,5 per cento, mentre

quella prodotta da ogni tedesco cresceva invece di quasi 10 punti (9,8). Se dunque nel 2007 il divario fra il

Pil pro capite reale della Germania e quello dell'Italia non superava 2.600 euro, dieci anni dopo avrebbe

raggiunto 9.021 euro.

Un abisso. Così profondo che certo non verrebbe colmato neppure se le più rosee previsioni fossero

rispettate.

Ciò non significa che non si debba accogliere con soddisfazione la notizia che potremmo finalmente aver

lasciato la scialuppa dello zero virgola, per imbarcarci su quella dell'uno virgola. E questo pur ricordando

come il Pil del 2011, anno al quale la macchina del tempo della ripresina ci sta riportando, beneficiò di una

rivalutazione di ben 59 miliardi grazie all'introduzione di aggiornamenti statistici e al ricalcolo dell'economia

sommersa. A questa fu attribuito un peso dell'11,5 per cento, pari a 187 miliardi di euro, che superarono i

200 considerando anche il giro d'affari del traffico di droga (10 miliardi e mezzo), la prostituzione (3 miliardi

e mezzo) e il contrabbando di sigarette (300 milioni). Mancava forse il pizzo, come pure le tangenti: ma a

quello ci aveva già pensato, senza però riflessi statistici, il governo di Mario Monti misurando in un

agghiacciante 40 per cento il sovrapprezzo delle opere pubbliche dovuto alla corruzione.

Si sarebbe dunque ritornati finalmente alla fine di sei anni fa. Quando proprio il governo Monti era appena

arrivato e cominciava per molti, a partire dai pensionati, il più pesante giro di vite del secondo dopoguerra.

Ed è lecito domandarsi se oggi, al di là dei numeri, si sta meglio o peggio di allora. Il fatto è che la statistica

e la realtà dicono due cose assai diverse. Il Pil potrà anche essere tornato ai livelli del 2011, ma oggi la

situazione economica e sociale di gran parte del Paese non è affatto la stessa. Sostenere che sia migliore

sarebbe decisamente un azzardo. Il numero dei poveri è aumentato e la forbice dei redditi si è ancora

allargata, mettendo ulteriormente in difficoltà quel ceto medio che è sempre stato il motore dell'ascensore

sociale. La qualità del lavoro è peggiorata, né l'Italia è riuscita ad affrancarsi dalla maledizione di essere il

Paese sviluppato con le retribuzioni più basse in assoluto. Per di più, in discesa inarrestabile. Soprattutto, la

frattura fra Nord e Sud si è ancora approfondita. Fatto 100 il Pil pro capite italiano, Svimez dice che fra il

2007 e il 2015 quello del Sud è sceso da 67,1 a 66,4: nello stesso periodo quello del Nord Est saliva da

117,2 a 119 e quello del Nord Ovest da 121,3 a 122,4. La disoccupazione giovanile tocca livelli stratosferici

e l'emigrazione dal Mezzogiorno verso le Regioni settentrionali ha ripreso dimensioni bibliche. Fra il 2008 e

il 2015, sono ancora dati Svimez, se ne sono andate dal Sud 653 mila persone, di cui 478 mila giovani e

ben 133 mila laureati. Un problema gigantesco. E il fatto grave è che la nostra classe dirigente, impegnata

a fare i conti sull'uno virgola per grattare ancora un po' il fondo del barile, se ne mostra totalmente

disinteressata.

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 107

15/07/2017

Pag. 2

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tiratura:316086

La ripresa

L'Italia ora vede la speranza "Il 2019 cancellerà la crisi"*

Bankitalia rialza le previsioni: la crescita viaggia verso l'1,4% In ritardo su giovani e investimenti, il resto dell'Ue corre di più L'occupazione migliora Il nostro tallone d'Achille resta il debito, sempre a livelli record ROBERTO PETRINI

ROMA. L'attività economica «riprende vigore» e la crescita «si rafforza». La Banca d'Italia nel Bollettino di

luglio mette la firma su una sensazione di fiducia diffusa nelle ultime settimane. A metà anno si può dire

che l'economia italiana sta riprendendo: le proiezioni di Via Nazionale indicano che il Pil nel 2017 crescerà

dell'1,4 per cento, si tratta della stima più alta tra i centri di ricerca che viene confortata dalle proiezioni di

inizio giugno della missione dell'Fmi in Italia che ha elevato il Pil all'1,3 per cento. Positivo il commento del

ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan: «Grazie alla crescita superiore al previsto anche il debito

continuerà a scendere».

Certamente il nostro paese non può vantare una performance in linea con la crescita dell'Eurozona, che

per la Bce sta viaggiando verso il 2 per cento, ma Francia e Germania non sono più così lontane. Parigi era

all'1,4 (recentemente la Banque de France l'ha portata all'1,6 per cento) e Berlino viaggia all'1,6.

I primi sei mesi dell'anno sono stati decisivi e hanno segnato una progressione delle valutazioni sulla

nostra economia: ha cominciato l'Istat che ha raddoppiato le stime per il primo trimestre da un primo 0,2 ad

un consuntivo dello 0,4 per cento. Ora la Banca d'Italia dice che l'attività di primavera è andata bene e che

il secondo trimestre potrà fare altrettanto.

La sensazione è che ci sia un quadro internazionale più positivo, anche se permangono rischi: dal

protezionismo alle tensioni geopolitiche. Ma per l'Italia, eterno malato d'Europa, il risultato sarebbe a

portata di mano: usciremmo dal tunnel.

Nel 2019, secondo Bankitalia, il Pil «recupererebbe interamente» la caduta connessa con la crisi dei debiti

sovrani avviata nel 2011 con il caso Grecia.

Non tutto purtroppo sarà recuperato, perché rimarremo ancora con un Pil inferiore al 3 per cento rispetto al

2007, cioè la data della crisi americana dei mutui subprime e di Lehman Brothers. Lo scenario descritto da

Bankitalia tende al rosa. I consumi e l'export continuano a crescere, va bene il settore dei servizi ma

soprattutto gli investimenti industriali, che mancavano all'appello all'inizio dell'anno, sono tornati ad

affacciarsi e l'indagine di giugno condotta da Bankitalia raccoglie aspettative «ottimistiche» in tutti i

comparti. L'occupazione è aumentata nel primo trimestre dell'anno, osserva Via Nazionale, nonostante il

«venir meno degli incentivi alle nuove assunzioni a tempo indeterminato» .

La nave va? Sembrerebbe.

Anche se il debito resta alto, in maggio ha segnato un nuovo record. Ma la recente apertura di credito da

Bruxelles ci garantisce ossigeno sui conti pubblici. Attenzione, però il 2018 rappresenta ancora una sfida:

Bankitalia riduce la crescita all'1,3 per cento, calcola uno spread a livello «di guardia» di 185 con i Bund

tedeschi e nella stima non incorpora né l'aumento dell'Iva né l'alternativo intervento sui conti pubblici. Ma

per l'Italia il percorso non è mai privo di ostacoli. I PUNTI I senza lavoro e la soglia critica Nel nostro Paese,

sei anni fa, la disoccupazione era intorno all'8%. La crisi l'ha spinta oltre la soglia psicologica del 10 2011

8% 11,3% 2017 I connazionali costretti a emigrare Il numero degli italiani obbligati a espatriare in cerca di

migliori opportunità si è impennato di 30 mila unità 2011 60.635 107.000 2017La forte caduta del prezzo

delle case Il valore del patrimonio immobiliare italiano si è ridotto negli anni della seconda recessione 2011

100 2017 76 Crolla il rendimento dei Bot a 12 mesi Tra gli effetti della crisi anche il tracollo dei rendimenti

dei titoli pubblici, classico rifugio per i piccoli risparmiatori 2011 + 3,67% 2017 - 0,35% La discesa del Pil

pro capite Dal 2011 al 2017 il Pil pro capite degli italiani, cioè la ricchezza di ciascuno di noi, si è

significativamente ridotto 2011 26.869 2017 25.876

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 108

15/07/2017

Pag. 2

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Foto: GLI INVESTIMENTI INDUSTRIALI La Banca d'Italia osserva che gli investimenti industriali tornano

vigorosi, i segnali sono incoraggianti da tutti i comparti

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 109

15/07/2017

Pag. 3

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Ma così il Grande freddo ci ha cambiato la vita

Le differenze sono soprattutto per gli under 35 Là aumentano precarietà e povertà Rispetto al 2011 più debiti e meno spese. Export in corsa Nemmeno i tassi bassissimi frenano gli effetti di una lunga recessione: raddoppia il numero di chi non riesce a pagare il mutuo Crollano i redditi degli autonomi e tengono quelli dei dipendenti Bot e Btp piacciono di meno agli investitori stranieri ETTORE LIVINI

MILANO. L'Italia prepara l'operazione riaggancio. La remuntada - parola della Banca d'Italia - è iniziata. Nel

2019 il Pil nazionale tornerà ai livelli di inizio 2011, quando non avevamo ancora fatto i conti con le

fibrillazioni dei debiti sovrani e dello spread.

Unico problema: i numeri saranno (forse) quelli di allora, ma la crisi ha cambiato l'identikit della nazione. Il

Belpaese di oggi è il "gemello diverso" di quello di sei anni fa: molto più indebitato, con il 15% di famiglie in

più che vivono in povertà assoluta e un mercato del lavoro che non riesce a tenere il passo con la finanza.

Un Bengodi per chi fa affari in Borsa (Piazza Affari è già tornata ai prezzi del 2011) o può permettersi di

campare di rendite. Un disastro per chi cerca lavoro, visto che il tasso di disoccupazione è più alto del 41%

rispetto a quello di allora. Risultato: gli italiani costretti ad andare a cercar fortuna all'estero, con buona

pace delle illusioni ottiche del Pil, sono raddoppiati rispetto a sei anni fa.

Gli stranieri - abituati a leggere i numeri in controluce - hanno mangiato la foglia da tempo e non si fanno

troppe illusioni. È vero che la nostra economia dà segni di ripresa e che grazie ai piccoli miracoli quotidiani

del made in Italy esportiamo oggi il 10% in più del 2011. Ma il motore del Belpaese resta imballato. Gli

investimenti - pubblici e privati - sono crollati, il debito pubblico a carico di ogni italiano è salito dai 31.516

euro di sei anni fa ai 37.450 di oggi. E gli investitori esteri hanno tagliato drasticamente (non si sa mai) gli

acquisti di Bot e Btp: prima della crisi avevano in portafoglio il 42% dei titoli di Stato tricolori. Ora sono scesi

al 31% e hanno lasciato il cerino in mano alle banche di casa nostra.

I conti non tornano nemmeno nelle tasche degli italiani. Negli ultimi anni il crollo del potere d'acquisto del

ceto medio ha costretto gran parte delle famiglie a improvvisarsi ministri delle finanze (personali) e varare

dolorosissime finanziarie fai-da-te: abbiamo tagliato viaggi, usato meno le auto - 5mila tonnellate di

carburante "risparmiato" dal 2011 ad oggi - rimandato il cambio della lavatrice o quello della casa,

sforbiciato sfizi come ristoranti e cinema. Il 6,5% dei nostri concittadini - certifica l'Istat - è stato costretto

addirittura a rinunciare a curarsi per sbarcare il lunario. Ma è servito a poco: sei anni fa solo il 15% delle

famiglie era costretto a mettere mano ai risparmi o a indebitarsi per fare quadrare i conti di casa. Oggi sono

il 25%. Quando le cose vanno così, la crisi diventa un gatto che si morde la coda. Soldi sul conto corrente

ce ne sono sempre meno. Le entrate - complice l'aumento della disoccupazione e tanti giovani, il 37%, che

non trovano lavoro - calano. Le scadenze dei prestiti e dei mutui invece arrivano, puntuali come incubi, ogni

fine mese. E nemmeno i tassi scesi a livelli bassissimi grazie a San Mario Draghi sono bastati ad assorbire

lo choc della recessione: il numero di italiani che non riescono a onorare le rate è quasi raddoppiato: i

prestiti in sofferenza delle banche sono saliti dai 95 miliardi dell'era pre-spread ai 173 di oggi, trascinando

al crac - cronaca di queste settimane - qualche istituto di credito. La crisi, ovviamente, non è uguale per

tutti. La riduzione del Pil pro capite dai 26.869 euro del 2011 ai 25.876 di oggi nasconde una nazione che si

muove a differenti velocità. Dove chi dispone di rendite - come spiega l'Istat - può permettersi di spendere

senza pensarci troppo su, gonfiando consumi costosi come il "bio" e l'esotico. Mentre chi conta sul lavoro

sempre più precario - fatica a far quadrare i conti. La maledizione colpisce soprattutto i più giovani: il tasso

di povertà assoluta tra i 18-34 enni è molto più alto, il 10%, rispetto alla media nazionale. E il 70% degli

under-35, etichettati un po' a sproposito come bamboccioni o "choosy", è costretta a vivere con i genitori.

Lo "specchio" dei numeri del Pil, insomma, inganna. L'immagine reale dell'Italia oggi è molto diversa da

quella di sei anni fa. E molti, non a caso, preparano le valigie e vanno via: nel 2016 l'hanno fatto circa

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 110

15/07/2017

Pag. 3

diffusione:218930

tiratura:316086

120mila persone, 60mila in più del 2011.

Gli indicatori economici

Pil attualizzato a valore 2011 (in miliardi)

33.837 33.516

Debito pubblico (in miliardi)

40.177 35.675

2.525 2.488

Debito pubblico in mano a stranieri

5,3%

6,1%

Investimenti (in miliardi)

21.487 21.460

Espor tazioni (in miliardi)

173 95

Impor tazioni (in miliardi)

Spesa per consumi (in miliardi)

OCCUPAZIONE

107.000 60.635

FINANZA PUBBLICA

FAMIGLIE

1.613

Reddito medio famiglia lavoratore dipendente

1.568

Reddito medio famiglia lavoratore autonomo

2.278

1.850

Spesa media mensile per famiglia

42%

31%

ECONOMIA REALE

Famiglie in pover tà assoluta in % sul totale

313

271

FINANZA E BANCHE

420 380

Valore Borsa (indice Ftse Mib)

446 438

Prestiti soerenza banche lordi (in miliardi)

937 970

EMIGRAZIONE

Italiani emigrati nell'anno

27%

37% Tasso disoccupazione giovanile (15-24 anni) 2011 2017* 2011 2017* * ultimi dati disponibili

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 111

17/07/2017

Pag. 1 N.27 - 17 luglio 2017

diffusione:400000

finanza e borsa

Cdp, Anima e Poste alla partita del risparmio gestito

Vittoria Puledda

a pagina 19 Milano Grandi manovre sul risparmio gestito. Per ora è un film in movimento - e al centro delle

trame ci sono Anima, Poste, Aletti Gestielle e Cdp - ma è probabile che a fine anno il fermo immagine sia

ben diverso da quello iniziale. Il calcio d'avvio del risiko l'ha dato la vendita di Pioneer ad Amundi: da allora

sono passati sei mesi, ma se possibile un disegno di concentrazione del settore è diventato ancora più

urgente. Così, dopo aver sfondato la soglia di duemila miliardi di patrimonio, per fondi comuni e gestioni di

portafoglio, il mondo del risparmio gestito in Italia sta cercando un nuovo assetto. Partendo da una

considerazione: questa particolarissima industria è una delle più fiorenti nel nostro paese, ma anche una

delle più "strategiche". Basti pensare che solo nei portafogli dei fondi di diritto italiano (dati Bankitalia) su

245 miliardi di patrimonio netto circa 56 miliardi è costituito da titoli di Stato (il 23%). Poi ci sono i fondi

comuni formalmente di diritto estero ma sostanzialmente italianissimi (anche come scelte di investimento).

Se applicassimo la stessa percentuale, il 23%, all'intero paniere di fondi e gestioni venduti in italia tutto il

paniere, si arriverebbe a 460 miliardi di Btp (comprati e venduti). Ovvio quindi che ci sia un interesse

strategico a tenere la "proprietà" del risparmio degli italiani in capo a soggetti italiani, anche attraverso

operazioni di concentrazione del settore. La fotografia attuale Il quadro che emerge dai dati Assogestioni

mostra ampi spazi di aggregazione. Se i primi 5 gruppi hanno quote di mercato che sfiorano il 60%, dal

sesto al decimo le sgr arrivano appena ad un altro 14% aggregato e ancora dopo le quote sono ancora più

frastagliate, per quanto ci siano nomi di tutto rispetto, tra cui Azimut al 2,1%, Bnp Paribas all'1,8% e Arca

all'1,6%. E proprio su quest'ultima, reduce dal disastro delle due banche venete (che insieme hanno il 40%

della sgr) sono appuntate le scommesse del mercato, anche se fonti vicine al dossier ritengono che ci vorrà

almeno qualche mese prima di individuare una procedura di vendita compatibile con la procedura di

liquidazione ordinata di Popolare Vicenza e Veneto banca. Tuttavia, i compratori naturali restano Bper e

Popolare Sondrio, che insieme hanno il restante 54%. Semmai è un problema di prezzo, visto che gli

accordi distributivi con le venete sono ormai un ricordo del passato. Sullo sfondo c'è poi sempre Azimut.

Nell'ultimo paio di anni ha dimostrato grande dinamismo facendo shopping all'estero, ma in tempi non

lontani ha studiato anche qualche dossier in Italia. Un trend mondiale La tendenza ad unire le forze, del

resto, è un fenomeno mondiale, prima ancora che italiano. Anche all'estero, dove pure le dimensioni sono

ben maggiori, si va nella stessa direzione (ad esempio Henderson e Janus nel maggio scorso hanno

completato la fusione che ha creato un gruppo da oltre 330 miliardi di dollari di masse gestite). Una delle

ragioni che spingono alla concentrazione risiede nella diffusione crescente del modello di gestione passiva:

la punta dell'iceberg sono gli Etf, ma sempre più fondi hanno uno stile di gestione passivo - con la replica

automatica di un indice o di panieri di titoli e settori, con pochi costi per il cliente, pochissimi per le società di

gestione (e spesso risultati migliori per il cliente). Unire le forze significa avere grandissime economie di

scala, su prodotti in larga misura standardizzati. Collegato a questo c'è il fattore tecnologico. Avere

piattaforme aperte efficienti per vendere i prodotti, anche quando c'è una forma di intermediazione fisica da

parte del promotore, sta diventando sempre più importante - e costoso - per le sgr; senza contare la

concorrenza per ora limitata in Italia ma sempre più agguerrita del robo-advisor, la consulenza finanziaria

automatizzata. Gli investimenti necessari rendono quasi indispensabile aumentare la massa critica. La Mifid

2 Contorni e dettagli di come verrà applicata la direttiva europea non sono ancora chiari. Ma la sostanza è

delineata: ci saranno maggiori costi per le sgr (tra l'altro il prodotto andrà focalizzato sul proprio target di

clientela e il rapporto con la rete di distribuzione dovrà essere più articolato) e soprattutto ci sarà una

rendicontazione prima della vendita e poi successiva, annuale, su quanto il risparmiatore ha pagato

realmente. E il dato a consuntivo sarà forse quantificato in euro, non in percentuali (non tutto è stato già

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 112

17/07/2017

Pag. 1 N.27 - 17 luglio 2017

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definito), il che significa che a fine anno il sottoscrittore saprà se ha pagato 150 o 1.500 euro per dare i

propri soldi in gestione: l'impatto, anche solo psicologico, sarà importante. Tutti si aspettano una pressione

per ridurre le spese da "girare" al sottoscrittore e di conseguenza i margini di guadagno per il settore del

risparmio gestito si assottiglieranno. C'è poi il capitolo collegato delle commissioni di performance: Banca

Generali, 52 miliardi di masse gestite a fine giugno, ha già annunciato che sui nuovi prodotti queste

commissioni saranno calcolate su base annuale e non trimestrale; chi può sta spingendo su prodotti gestiti

assicurativi (che ancora per un po' dovrebbero godere di maggiore libertà di azione) ma la strada è segnata

e, ancora una volta, spinge alla ricerca di sinergie sul fronte dei volumi. Un report di Mediobanca dedicato

al risparmio gestito arriva a conclusioni molto chiare: i costi vanno tagliati. In particolare lo studio analizza le

quattro società di risparmio gestito quotate (Azimut, Banca Fineco, Banca Generali e Mediolanum)

prendendo in considerazione 113 fondi (pari ad un terzo delle masse gestite). Ebbene, nella media le spese

correnti e le performance fee erodono circa la metà della performance lorda dei 113 fondi analizzati. Ma

tutto sommato per un settore che da tre anni macina solo successi il futuro continua ad avere il vento in

poppa. GENERALI INTESA SANPAOLO PIONEER INV. POSTE ITALIENE ANIMA HOLDING

BLACKROCK UBI BANCA AMUNDI ALLIANZ MEDIOLANUM FONTE: ASSOGESTIONI S. DI MEO

I PROTAGONISTI Claudio Costamagna , presidente della Cdp Michele Galeotti , pres. Aletti Gestielle Ugo

Loser , amministratore delegato di Arca sgr Giuseppe Castagna , amm. delegato Banco Bpm Matteo Del

Fante , ad di Poste Italiane Marco Carreri , ad di Anima Holding

Foto: La Cassa depositi e prestiti è al centro del risiko del risparmio gestito in Italia

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 113

17/07/2017

Pag. 1 N.27 - 17 luglio 2017

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L'INTERVISTA

Ruggiero: "Tiscali finalmente fa utili "

Stefano Carli

Tiscali ce l'ha fatta: a fine anno vedrà il suo primo utile netto. Dopo 19 anni di storia, a 17 anni di distanza

da quel marzo 2000 in cui il titolo raggiunse la quotazione record di 1.197 euro, con una crescita del

2.500% sull'Ipo di 5 mesi prima. Sono poi seguiti 15 anni difficili, in cui il gruppo creato da Renato Soru le

ha provate tutte: dall'espansione in Europa fino al lancio di piattaforme tecnologiche, come una pay tv in

streaming (ma era fine anni Novanta, troppo presto), e un motore di ricerca, Istella (ma Google non

lasciava già più spazio a nessuno). segue a pagina 16 segue dalla prima Ha poi messo a punto e lanciato

un social network, Indoona, ma era impossibile fronteggiare una Facebook in piena ascesa. Oggi

riperimetrata, risanata e guidata da due anni da un manager di lungo corso come Riccardo Ruggiero, ad di

Olivetti, di Infostrada e poi, dal 2001 al 2007, al vertice di Telecom Italia, ha ritrovato la via della crescita.

Spiega Ruggiero: «Sì, per la prima volta da anni torniamo a registrare utenti in crescita sia negli accessi a

banda larga che nel mobile. E le previsioni sono positive. Oggi abbiamo 450 mila utenti a banda larga e 200

mila utenti mobili sulla nostra piattaforma di operatore mobile virtuale. Ma soprattutto abbiamo due grandi

fattori di discontinuità tecnologica che ci stanno facendo consolidare questi numeri, aumentando di 20 punti

il margine di contribuzione: la possibilità di costruire reti Lte, ossia 4G, sulle nostre frequenze ex WiMax e

l'arrivo di Open Fiber che ci mette a disposizione fibra ottica in misura crescente, rapidamente e inoltre non

è un nostro concorrente». Partiamo dall'Lte «La nuova Tiscali è nata due anni fa dalla fusione con Aria, che

aveva in portafoglio una licenza WiMax nazionale per fare il Fixed Wireless, ossia portare connessioni

internet facendo l'ultimo milgio, fino a casa degli utenti, in ponte radio, in WiMax, appunto. Costi e limiti

tecnologici ne hanno però minato le potenzialità. Che invece abbiamo ora grazie alla tecnologia Lte». La

stessa delle reti mobili 4G? «Si, ma noi la usiamo non sulle frequenze mobili ma sulle nostre, la banda 42,

tra 3.400 e 3.600 megahertz. E il vantaggio è che è una tecnologia di banda ultralarga: possiamo portare

collegamenti internet a 100 mega. Il fixed wireless ci permette di coprire rapidamente il mercato delle aree

a densità medio-bassa di popolazione, comuni sotto i 30 mila abitanti. Parliamo di un bacino potenziale tra i

10 e i 15 milioni di utenti». Grosso modo le aree bianche? «Sì ma non solo, anche molte cosiddette grigie.

E sfatiamo un'opinione scorretta: sono aree in cui c'è una domanda fortissima di connessione. Stiamo

migrando i nostri utenti sull'Lte man mano che installiamo le nuove antenne e notiamo che ogni antenna

arriva rapidamente alla saturazione e dobbiamo installarne altre. In Toscana e in Emilia ma anche in Lazio,

Campania, Puglia. In Lombardia nella zona di Sondrio è pieno di piccole e medie imprese che hanno

bisogno di connessioni di grande capacità. Oggi la banda ultralarga è come l'adsl nel 2000: chi restava con

il vecchio dial up rimaneva tagliato fuori». Quando avete iniziato la migrazione? «Lo scorso settembre. Ad

oggi abbiamo aggiornato in Lte il 70% dei nostri 600 impianti e finiremo in ottobre, Poi entro l'anno avremo

50 nuove installazioni e arriveremo a coprire il 40% del territorio. Il grande vantaggio qui è che in 6 mesi

arriviamo dal progetto all'accensione delle nuove linee e i costi sono ottimizzati di 100 volte rispetto alla

posa di nuovi cavi». Che impatto avrà sui vostri conti tutto questo? «Il nostro obiettivo più immediato è di

ottimizzare la nostra base clienti con le nuove tecnologie. Oggi dei nostri 450 mila utenti a banda larga ne

abbiamo 90 mila in bitstream ossia compriamo da Telecom la banda, e 360 mila in unbundling, ossia

affittiamo il cavo finale sempre da Telecom. Su questi clienti abbiamo il "primo margine", ossia i ricavi meno

il costo del venduto, che è per il 90% targato Telecom, che viaggia tra il 70 e il 50%. Con l'Lte arriviamo al

90-95% perché l'infrastruttura è nostra. L'obiettivo è arrivare tra due anni ad affittare linee da Telecom per

non più del 20% del portafoglio utenti. Il resto sarà tutto fixed wireless e fibra fino a casa degli utenti». Ecco,

la fibra, dove la userete? «Intanto per collegare le nostre antenne. Poi, nelle maggiori aree urbane, dove

abbiamo una buona base di clienti. E dove Open Fiber ha acceso le sue reti noi già siamo attivi. A Milano,

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 114

17/07/2017

Pag. 1 N.27 - 17 luglio 2017

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Bologna, Torino». Ma sono solo le città arrivate in Open Fiber con Metroweb? «Sono quelle più grandi, ma

Open Fiber è al lavoro a Perugia, Cagliari. Ecco, a Cagliari sulla rete Open Fiber appena aperta abbiamo

già migrato i primi 2.500 clienti. Ma siamo al lavoro anche su altre linee strategiche». Quali? «Tiscali è un

marchio che ha una storia, e ancora una forte presa in Italia. Ora siamo focalizzati sull'ultra broadband per

profittare in pieno della discontinuità tecnologica della fibra. Dobbiamo approfittare di questa congiuntura

positiva offrendo sulle connessioni ultraveloci anche dei servizi. Stiamo lavorando a partnership con chi

fornisce contenuti. Specie nel video. Con la nostra rete a 100 mega possiamo favorire l'espansione di

questo mercato fuori delle grandi aree urbane dove è finora concentrato». Il portale e il servizio di posta

elettronica rientrano nei piani? «Abbiamo 3 milioni di account mail attivi ed è una base reale su cui lavorare.

Il portale sarà di certo ancora importante, ma lavoriamo su una strategia multicanale, il web da solo oggi

vale un 30%. Ma la nostra rete di 1800 dealer, anche se non monobrand, e le agenzie sul territorio sono un

asset da valorizzare. Infine c'è il capitolo 5G, che interesserà anche la banda 42, le nostre frequenze: ci

stiamo già lavorando». È una Tiscali meno sarda oggi? «No, direi di no. Passo la maggior parte del mio

tempo in Sardegna. Aria era una realtà umbra e a Perugia abbiamo mantenuto un presidio, abbiamo uffici a

Milano, ma il cuore di Tiscali e la maggior parte dei suoi 700 addetti è qui in Sardegna». S. DI MEO1998

Renato Soru fondaTiscali: è l'effetto della liberalizzazione del mercato della telefonia fissa 2010

L'azione perde il 56% in un anno ed è il titolo peggiore di tutta Piazza Affari [ LA CRONOLOGIA 1999

Lancia Tiscali Free Net senza canone fisso. Quotazione in Borsa a 46 euro per azione 2011 Lancia il

servizio di messaggistica denominato Indoona ] 2000 Nel mese di marzo l'azione Tiscali vola a 1.197 euro :

vale quanto la Fiat 2012 Capitalizzazione ai minimi storici: un'azione vale 0,026 euro 2004 Soru lascia

l'azienda per la politica e diventa governatore della Regione Sardegna 2013 Con il Cnr mette a punto e

lancia il motore di ricerca Istella 2006 Con una campagna di acquisizioni diventa il quarto operatore internet

in Gran Bretagna 2015 Fusione con il gruppo Aria che porta in dote il WiMax. Soru esce dalla gestione ma

resta azionista 2007 Lancia Tiscali Tv , una pay tv via web su piattaforma Iptv ma dura un solo anno 2016

Cede a Fastweb Tiscali Business con dentro il contratto per l'accesso internet della Pa centrale 2009 Soru

rientra e lancia Tiscali Mobile . I debiti sono a 419 mlioni ed esce dal mercato inglese 2017 Tornano a

crescere gli utenti e ci sono le condizioni per un utile netto a fine anno

LA SCHEDA Nell'azionariato i soci russi Ict e Otkritie ma Soru resta attorno al 10% Anche Tiscali, come

Wind3, ha un cuore russo nel capitale. Sono russi i due fondi che ne controllano la maggioranza. Uno, Ict, è

un Pe emanazione della Polymetal, quarto gruppo mondiale dell'argento quotato anche a Londra. E' entrato

in Aria, la telco umbra del WiMax poi fusa in Tiscali, già dal 2001 e ne ha seguito tutto il percorso evolutivo.

Poi, per finanziare la crescita, ha cercato un altro partner e lo ha individuato in Otkritie prima banca privata

russa. Hanno rispettivamente il 16,2 e il 17,1% dei diritti di voto. Entrambi non hanno altre partecipazioni in

Italia. Renato Soru è rimasto nel capitale con una quota del 10,4% e un'altra quota fa capo direttamente a

Riccardo Ruggiero.

Qui sopra, il nuovo logo di Tiscali con il verde che sostituisce il colore viola delle origini

Foto: L'ad di Tiscali Riccardo Ruggiero

Foto: A lato, Riccardo Ruggiero ad di Tiscali Il Centro informatico di Tiscali a Cagliari in una foto del 2001 A

lato, il campus di Sa Illetta, vicino Cagliari, sede di Tiscali. Sopra, il logo di Indoona

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 115

17/07/2017

Pag. 4 N.27 - 17 luglio 2017

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Npl, la riscossa di Unicredit ora ha il portafoglio crediti più "pulito" del

sistema

UNA RICERCA DI VALUE PARTNERS SUI BILANCI DEL PRIMO TRIMESTRE DEL 2017 E SUI DUE ANNI PRECEDENTI DEI PRIMI SETTE ISTITUTI ITALIANI MOSTRA CHE I NON PERFORMING LOANS STANNO SCENDENDO MENTRE LE BANCHE SI SONO RIORGANIZZATE Adriano Bonafede

Qual è la banca con il portafoglio crediti più pulito del reame italiano? Fino a ieri avremmo risposto senza

tema di smentita Intesa Sanpaolo. Ma dal primo trimestre di quest'anno c'è una nuova stella, Unicredit,

anche se Intesa si conferma molto solida. Il ritorno del gruppo guidato da Jeanne Pierre Mustier nell'Olimpo

dei migliori istituti di credito è fotografato da Value Partners, che ha preso in esame gli aggregati di bilancio

dei primi sette gruppi bancari italiani. E ha scoperto che quanto a incidenza dei crediti deteriorati sul totale

dei crediti lordi alla clientela e per grado di "copertura" degli stessi, Unicredit sta adesso davanti a tutti.

Oltre alle due banche già citate, la ricerca, realizzata da Antonino Del Gatto e da Lorenzo Privitera, ha

preso in considerazione anche Banco Bpm, Mps, Ubi Banca, Bper e Carige. Alla fine del primo trimestre

2017 Unicredit è in cima alla classifica nei tre parametri presi in considerazione: l'incidenza dei crediti

deteriorati lordi sul totale è dell'11,4 per cento, la percentuale di copertura dei deteriorati è del 56,3 per

cento; ciò vuol dire che su un credito di 100 euro che non sarà probabilmente restituito ci sono

accantonamenti prudenziali per 56,3 euro. Inoltre, il costo del rischio di credito annualizzato (ovvero il

rapporto tra le rettifiche nette sui crediti e il volume medio dei crediti nel periodo) è di 60 basis point. Questo

dato fotografa in sostanza le perdite generate dai crediti nel primo trimestre. Intesa è subito dietro: 14,4%

l'incidenza degli Npl (non performing loans, ovvero crediti deteriorati), 48,7% la copertura di questi ultimi e

76 il costo del rischio di credito annualizzato. Dal punto di vista del valore assoluto dei crediti deteriorati

lordi, Intesa e Unicredit sono quasi appaiate: 57 miliardi la prima, 55,3 la seconda. Già questi dati

dimostrano che le ultime azioni portate avanti dall'ad Jean-Pierre Mustier sono state azzeccate, seppur

estremamente costose: l'aumento di capitale di Unicredit del 2016 è stato di 13 miliardi e, considerando

anche gli altri tre dal 2008 al 2013, si arriva a circa 28 miliardi. Al contrario - e non è un merito da poco - il

ceo di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, non ha chiesto ai propri azionisti alcun sacrificio dopo la

ricapitalizzazione prudenziale di 5 miliardi nel 2009 e ha sempre autofinanziato le rettifiche e gli

accantonamenti di bilancio. Sicuramente gli azionisti di Unicredit avrebbero ben gradito un destino simile a

quello degli azionisti di Intesa. Meglio ancora di Intesa, dal punto di vista dell'incidenza degli Npl sul totale

dei crediti, è Ubi Banca, con il 13,9 per cento, secondo i dati elaborati da Value Partners. Per l'istituto

guidato da Victor Massiah, si vede però un più basso livello di copertura dei crediti deteriorati, il 35,8%, ma

questo dato è compensato da un surplus di garanzie reali che mitiga le potenziali perdite sui crediti. Solide

anche le posizioni di Banco Bpm, con un'incidenza di crediti deteriorati lordi del 23,3 per cento e una

copertura del 48,2 per cento, e di Bper (21,7 e 45,6 per cento). Le "pecore nere" le conosciamo già, per gli

avvenimenti di cronaca di questi ultimi anni. Monte dei Paschi e Carige hanno entrambe un'incidenza molto

elevata degli Npl, 35,7 per cento la prima e 34 la seconda: ancora più di un terzo di tutti i finanziamenti in

essere sono ammalorati. Però per Mps la copertura è alta, 56,1 per cento, meno per Carige (46,4 per

cento). Il primo trimestre di quest'anno ha portato buone notizie per le principali banche presenti nel

campione esaminato da Value Partners. I crediti deteriorati sono diminuiti dell'1,8 per cento per Unicredit

(dopo la riduzione del 27,6 per cento già registrata nel 2016 prevalentemente per l'operazione Fino, la

vendita di uno stock di 17 miliardi di Npl), del 2% per Intesa (dopo una riduzione del 7,9% nel 2016), dello

0,9% per Ubi e dell'1,2% per Bper. Segno che la svolta c'è stata, almeno per gli istituti migliori. Solito ritardo

per Mps, dove questo dato è aumentato ancora, in controtendenza, con un incremento dello 0,4 per cento,

mentre per Carige la situazione non è né migliorata né peggiorata (0,0). Situazione particolare per Banco

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 116

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Bpm, dove i crediti deteriorati sono cresciuti del 12 per cento «ma per una mera operazione di

ricontabilizzazione degli stralci per circa 3,5 miliardi nelle sofferenze» - spiega il partner Antonino Del Gatto.

«Al netto di questo caso, tutto il sistema sta dimostrando una riduzione dei non performing loans e, in

particolare, delle sofferenze». Unicredit è passato da 77,8 a 55,3 miliardi di crediti deteriorati tra il 2015 e il

primo trimestre 2017. Intesa da 63,1 a 56,9 nello stesso lasso di tempo. Ubi è scesa da 13,4 a 12,4 miliardi.

Bper da 11,4 a 11 miliardi. Stock in crescita soltanto per Carige (da 6,8 a 7,3 miliardi) e per Banco Bpm (da

26,6 a 29), ma come si è detto prima ciò dipende esclusivamente da un effetto di ricontabilizzazione degli

stralci per circa 3,5 miliardi nelle sofferenze. Si può guardare adesso con maggiore ottimismo al futuro del

sistema bancario italiano. «Il picco è alle spalle. Dopo anni di lavoro - spiega Del Gatto - ci troviamo in una

situazione nuova: si stanno riducendo i crediti deteriorati e anche le sofferenze, la cui gestione richiede

però tempi più lunghi. Le banche sono riuscite ad arginare il flusso in ingresso da crediti in bonis a

deteriorati e ora stanno cominciando a lavorare sul work out , ovvero sul recupero». Per raggiungere questi

obiettivi le banche hanno dovuto ripensare alla propria organizzazione. «Se guardiamo le tre fasi del credito

- dice il partner di Value Partners - ovvero erogazione, monitoraggio andamentale (controllo e gestione

delle anomalie emergenti prima che si verifichi l'insolvenza, ndr ) e work out , vediamo che gli istituti

avevano in passato concentrato le risorse umane commerciali e creditizie nella prima fase, in termini sia

quantitativi, sia qualitativi. Nel monitoraggio, invece, pur avendo spesso sviluppato algoritmi di allerta

precoce e messo a punto processi e strumenti per la gestione tempestiva delle prime anomalie, è mancata

la capacità dell'organizzazione di attuare le strategie di mitigazione con i clienti che presentavano una

rischiosità in aumento». Per la fase di recupero, le banche non hanno mai mostrato grande attenzione:

«Hanno spesso gestito le sofferenze come attività residuali». L'esplosione delle sofferenze ha però

condotto gli istituti a rivedere la propria organizzazione: «Hanno dapprima lavorato sulla fase di

monitoraggio andamentale, per ridurre i flussi da crediti in bonis a deteriorati, e poi hanno cominciato ad

agire sulla riduzione dei volumi di deteriorati», spiega Del Gatto. «La situazione si è drasticamente

migliorata: le strutture interne di recupero crediti si sono rafforzate, sono cresciuti i servicer esterni per la

gestione degli Npl e soprattutto è cresciuta la domanda da parte di investitori pronti a comprare portafogli di

crediti deteriorati». JEAN PIERRE MUSTIER UNICREDIT CARLO MESSINA INTESA SANPAOLO

GIUSEPPE CASTAGNA BANCO BPM MARCO MORELLI MPS VICTOR MASSIAH UBI BANCA

ALESSANDRO VANDELLI BPER BANCA PAOLO FIORENTINO BANCA CARIGE FONTE: VALUE

PARTNERS S. DI MEO 218 MILIARDI DI EURO È l'ammontare dei crediti deteriorati lordi delle prime sette

banche italiane, l'incidenza sul totale finanziamenti è in media del 16,8 per cento 51,2 PER CENTO È la

copertura media dei crediti deteriorati per le sette principali banche incluse nel panel di Value Partners. Più

alta la copertura per Unicredit e per Mps

Foto: Antonio Patuelli , presidente dell'Abi

Foto: Ignazio Visco , governatore della Banca d'Italia

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L'ANALISI

Atlante, la fase 3 parte con Cerved sfiderà la Sga pubblica e i fondi privati

IL VEICOLO DI PENATI, FINITI I LAVORI SU VENETE E MPS, CHIUDE: MA QUAESTIO RILANCIA. L'EX SOCIETÀ DI GESTIONE DEL BANCO NAPOLI TORNA IN AUGE, MENTRE CBA PROPONE UN MAXI FONDO DI RISTRUTTURAZIONE Andrea Greco

Instradate nel torrido luglio le soluzioni alle crisi bancarie in Veneto e Toscana, il troppo evocato "mercato

del cattivo credito" svolta ed entra in una fase nuova. C'è ormai una varietà di operatori tra pubblici, misti e

privati, oltre a una crescente differenziazione degli interventi, tra i vari tipi di cartolarizzazione (per rivendere

in tranche i crediti rilevati dagli istituti) e le soluzioni a più ampio spettro, centrate sul riassetto delle imprese

indebitate; c'è chi prepara un "fondo di ristrutturazione nazionale", dove le banche possano conferire crediti

ricevendo quote di un veicolo che poi raccoglierà fondi di terzi per curare le situazioni critiche con tempi e

costi più efficienti, evitando cessioni massicce che penalizzino i bilanci bancari. Progetti e investitori,

comunque, ce n'è a iosa: difatti Pwc ha titolato il censimento 2016 sui Non performing loan italiani The

Place To Be , per volumi di Npl (benché in calo del 5% ancora a 324 miliardi, sui picchi europei) e per «i

profondi segnali di evoluzione e consolidamento tra gli operatori», per cui il gruppo di consulenti stima

transazioni sugli Npl oltre i 60 miliardi nel 2017. È interessante capire come si muoverà questo traffico in

aumento. Gli operatori misti Il fondo Atlante, in cui su 5 miliardi quasi uno arriva dalla mano pubblica - e 538

milioni dalle Fondazioni ex bancarie - ha aperto le danze. Usando servicer specializzati, perché il fondo di

Alessandro Penati "non gira i bulloni", ha il merito di avere rotto il velo di ipocrisia e denegazione invalso

per anni quando si parlava di crediti problematici, e di aver offerto una soluzione pragmatica per operazioni

a prezzi di mercato, ma anche rendimenti compatibili con i bilanci dei venditori: le quattro banche ponte,

Montepaschi, le tre Casse di Cesena, Rimini e San Miniato (dossier aperto). Comunque luglio dovrebbe

essere l'ultimo mese di vita per il fondo dal nome del Titano. Già in settimana i quotisti di Atlante

dovrebbero esaminare la proposta di liquidazione del fondo I, i cui investimenti da 3,5 miliardi nelle due

banche venete sono stati azzerati dalla messa in liquidazione coatta degli istituti; mentre Atlante II, attivo su

sofferenze e incagli con leva finanziaria attorno a 18 e un ritorno atteso sul 10%, con l'acquisto delle

tranche Mps dovrebbe esaurire le residue munizioni. Ma il gestore Quaestio intende restare nella nicchia,

facendo tesoro del lavoro di quest'anno: la partnership in stesura con Cerved per rilevare la piattaforma

gestionale di Mps sarà la premessa per cercare nuovi fondi privati e nuove cartolarizzazioni di crediti, con

approccio meno aggressivo rispetto agli operatori specializzati. Tra questi rimangono Fonspa e

Italfondiario, candidati a investire sulle note Mps con Atlante ma poi sfilatisi per divergenze sui prezzi.

Cerved, gruppo autonomo e quotato in Borsa, è oggi vista da Penati & C come il migliore alleato e per un

prossimo polo comune nel recupero crediti. Sga e Rev, i veicoli "pubblici" La nomina di Marina Natale come

ad della Società di gestione di attività (Sga) conferma che per il veicolo del recupero crediti del Banco di

Napoli c'è un futuro, e riguarda i miliardi - fino a 20 in prospettiva - di sofferenze e altri crediti difficili erogati

a Vicenza e a Montebelluna nel ventennio delle gestioni spensierate di Gianni Zonin e di Vincenzo Consoli.

L'esperienza campana, iniziata nel 1996, è stata positiva: dei 6,3 miliardi di Npl ne è stato recuperato il

90%. Tuttavia, erano tipologie di crediti diverse: molti debitori erano solvibili. Inoltre quei conti fatti ex post

raramente comprendono il fattore tempo, capace di limare notevolmente le performance: gli operatori

specializzati sottraggono un 10% per ogni anno ai loro ritorni attesi. Guardando al futuro per giudicare la

nuova Sga bisognerà mettere a matrice l'ampiezza dei contributi statali usati - almeno una decina di

miliardi, per finanziare gli attivi in arrivo dalle banche venete - e il valore del tempo, che s'annuncia

ultradecennale. Certo sarà ardimentoso raggiungere le curve di recupero del 55% che l'ufficio studi di

Bankitalia ha ipotizzato sugli Npl veneti. È oltre il doppio del prezzo a cui Atlante trattava l'acquisto delle

sofferenze di Vicenza e Montebelluna: ma così il Tesoro ha potuto dire che dall'operazione - che mobilita

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Pag. 5 N.27 - 17 luglio 2017

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17 miliardi pubblici - alla fine potrebbe guadagnare. La galassia Sga in prospettiva, potrebbe attirare la Rev,

che gestisce gli Npl di Banca Marche, Etruria, Carichieti e Cariferrara, proprietà del Fondo nazionale di

risoluzione (gestito da Bankitalia e alimentato dagli istituti che operano nel Paese). Rev ha sprecato il 2016

tra burocrazia e rimescolamenti al vertice, ma ora sta mandando a regime iniziative - lo ha confermato in

Commissione finanze il sottosegretario Baretta - «che comprendono la ricerca di nuovi operatori di

servicing tramite procedure di selezione, e la messa a punto di operazioni di cessione crediti sul mercato». I

fondi privati A lato dei grandi attori delle cartolarizzazioni - quella su Mps è la maggiore d'Europa - stanno le

iniziative tutte private, sul modello delle Asset management company ben viste dall'Eba di Londra, oltre che

dal governatore Ignazio Visco. Una modalità, questa, che avrebbe il significativo vantaggio di non

richiedere denaro alle banche, che ne hanno fin troppo bisogno per sé (Atlante ha fatto emergere tale

limite), e di velocizzare le procedure e razionalizzarne i costi. Lo studio Cba, con cui lavorano i principali

fondi privati operanti nella nicchia, sta sondando le istituzioni e gli operatori per avviare un Fondo di

ristrutturazione nazionale che rilanci gli istituti puntando sulla valorizzazione interna dei crediti più che sulla

loro cessione. La cornice normativa, come emerge una bozza di Cba inviata a investitori e alle istituzioni, è

il fondo di ristrutturazione, in cui le banche conferiscono i crediti a un veicolo ricevendone in cambio le

quote. Il veicolo si dota di squadre di ristrutturazione fornite dalle banche che apportano i crediti, può

raccogliere capitale di terzi (fondi o casse di previdenza) come nuova finanza per l'attività di

ristrutturazione, che svolge un management indipendente su cui nessuna banca ha il controllo. Le

distribuzioni di incassi creditizi non saranno riconducibili ai singoli prestiti, per consentire il loro

deconsolidamento dai bilanci bancari, il miglioramento degli attivi ponderati per il rischio, oltre che minori

costi di struttura e di gestione dei contenziosi per gli istituti (a vantaggio anche dei debitori). All'atto del

recupero crediti i flussi sono distribuiti alle singole banche, con allineamento dei loro interessi con gli

investitori e i gestori. Per mutualizzare i portafogli crediti, però, va trovata la volontà comune dei finanziatori

di un'azienda, e un prezzo di conferimento che li metta tutti d'accordo. Non facile, in questo litigioso paese.

Allo scopo, Cba suggerisce alcune modifiche normative come il credit drag along , già in uso

nell'ordinamento anglosassone per forzare gli istituti a cedere certi crediti a determinate condizioni. «Ha

ragione da vendere il governatore quando dice che le banche non devono pensare solo alle

cartolarizzazioni, ma a un insieme di operazioni per migliorare la qualità dei loro crediti - dice Angelo

Bonissoni, managing partner dello studio Cba - Ma abbiamo bisogno di norme nuove: non si vince questa

guerra con le cerbottane». FONTE: RAPPORTO BANCHE CER S. DI MEO

Foto: Alessandro Penati (1), presidente di Quaestio sgr, Marina Natale (2), amm. delegato della Sga e

Angelo Bonissoni (3), managing partner dello studio legale Cba. In alto, la sede della Banca d'Italia

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 119

17/07/2017

Pag. 13 N.27 - 17 luglio 2017

diffusione:400000

FAR WEST

WALL STREET TREMA IN USA ARRIVA LA CLASS ACTION CONTRO LE

BANCHE

Antonello Guerrera

Banche, consumatori e governi, un intreccio sempre più complicato. Se in Italia l'ultimo problema è il

salvataggio delle banche venete e in Europa la conseguente discussione sul destino del "bail-in", negli Stati

Uniti da giorni si parla di una riforma delle norme e soprattutto dei diritti dei clienti degli istituti di credito. La

miccia l'ha accesa Richard Cordray, il direttore del Consumer Financial Protection Bureau (Cfpb), l'agenzia

federale del governo degli Stati Uniti che si occupa della protezione del consumatore in campo finanziario.

Cordray, scelto dall'ex presidente democratico Barack Obama durante il suo secondo mandato, ha

annunciato la settimana scorsa una rivoluzione in terra americana: l'abolizione della clausola "mandatory

arbitration", e cioè le banche e le compagnie fornitrici di carte di credito, nei contratti, non potranno più

negare ai clienti il diritto di ricorrere alla class action, cioe a ricorsi collettivi, qualora reputassero violati i loro

diritti o gli istituti infrangessero le norme. Sinora questo è permesso solo ai militari e ai civili ma

esclusivamente per i contratti di mutuo. In tutti gli altri casi, e sono la stragrande maggioranza, il cliente è

costretto a denunciare da solo la banca, in arbitrati individuali, accollandosi tutte le spese legali, spesso

insostenibili. E così molti, secondo Cordray, rinunciano a far valere i propri diritti. La mossa di Cordray è

stata subito aspramente criticata dai repubblicani, che hanno già annunciato di volerla affossare al

Congresso, essendo in maggioranza sia la Camera dei Rappresentanti che il Senato. E anche Keith

Noreika, responsabile dell'ufficio di controllo valuta (l'organismo di controllo delle banche americane)

nominato da Trump, ha fatto capire che non se ne parla proprio, esprimendo "viva preoccupazione" per il

piano di Cordray: "Così si arrichiranno solo gli avvocati delle class action, ai consumatori andranno meno

soldi e la qualità dei servizi scenderà". Il fronte dei contrari è molto ampio: da quello della Camera di

Commercio al Wall Street Journal, che in un editoriale ha attaccato duramente Cordray e i "danni finanziari"

che potrebbe provocare. Ma i sostenitori della legge non mollano. E alcuni stati, come la California, stanno

già pensando di dare più libertà di denuncia ai clienti, con o senza il consenso federale. La battaglia è

appena cominciata.

Foto: Richard Cordray , direttore del Consumer Financial Protection Bureau

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 120

17/07/2017

Pag. 18 N.27 - 17 luglio 2017

diffusione:400000

"Credito, utility, torri: è tempo di fusioni" la ricetta dei ceo a rapporto da

Mediobanca

IL QUADRO CHE EMERGE DALLE TAVOLE ROTONDE A PORTE CHIUSE E DAGLI INCONTRI ORGANIZZATI DALL'ISTITUTO TRA UNA SESSANTINA DI AZIENDE E QUASI DUECENTO INVESTITORI ISTITUZIONALI È MOLTO POSITIVO PER LE PROSPETTIVE DELL'ITALIA Sara Bennewitz

Milano Mediobanca convoca gli amministratori delegati di alcune delle maggiori aziende italiane, e non

solo, per tirare le fila su come sta andando l'economia e su quali scenari si profilano all'orizzonte nei diversi

mercati. Il quadro che emerge dalle tavole rotonde - a porte chiuse - e dagli incontri tra una sessantina di

aziende e quasi duecento investitori istituzionali è molto positivo. Per prima cosa perché i fund manager

stranieri sono convinti che le aziende italiane vadano meglio del Paese, e che i risultati della seconda metà

del 2017 possano regalare buone performance. In secondo luogo perché la ritrovata fiducia degli investitori

e dei capitani d'industria darà vita a un nuova ondata di fusioni e acquisizioni. E in particolare i settori, che a

detta degli amministratori delegati presenti all'incontro di Mediobanca, necessitano di una nuova ondata di

consolidamento sono tre: quello bancario, quello delle multiutility dei servizi e quello delle torri di

trasmissione e delle infrastrutture. Banche La prima ondata di fusioni e acquisizioni che si è verificata, è

stata fatta a prezzi simbolici, dove alcuni grandi istituti si sono fatti carico di altri medio piccoli, con un forte

presidio locale e in difficoltà. Ma ora che i principali istituti hanno rafforzato il capitale e il grosso delle

pulizie di bilancio è stato portato a termine, banchieri e investitori si aspettano una nuova ondata di

consolidamenti. In un settore maturo e ciclico come quello del credito, la necessità di avere dimensioni di

scala si fa più impellente per avere un costo della raccolta più basso e per eliminare o ridurre gli

investimenti in tecnologi e i costi centrali spalmandoli su una maggiore fonte di ricavi. Infine una spinta

all'M&A arriverà anche dalla Bce, che entro fine anno chiederà ai vari istituti di migliorare la qualità dei loro

attivi. E ancora una volta nel ballo delle fusioni e delle acquisizioni, chi conduce le danze sarà premiato. In

quest'ottica, ma non solo, la lista dei titoli su cui puntare secondo gli esperti di Mediobanca si riduce a un

pocker di nomi: Bper (giudicata outperform con un target price di 5,9 euro per azione), Credem (outperform

con un obiettivo di 8,3 euro), Ubi (outperform fino al prezzo di 4,7 euro) e Unicredit (outperform con target a

20 euro). Tuttavia, gli esperti di Piazzetta Cuccia continuano a consigliare anche l'acquisto di Anima (e

Banca Generali nel risparmio gestito), e di Cerved e Ifis nella gestione dei crediti di cattiva qualità. Multi

utility Il consolidamento tra le ex municipalizzate proseguirà, e questo dovrebbe creare dei vantaggi sia per

le aziende che per i consumatori finali, che beneficeranno di un miglior servizio. C'è bisogno di più

investimenti, e anche di una maggiore regolamentazione. E in questo, il trasferimento delle competenze in

tema di trattamento dei rifiuti all'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, dovrebbe facilitare il

processo di aggregazioni, tanto più che sia nel trattamento dei rifiuti che nel settore dell'acqua, mettere

insieme le forze e fare massa critica sarà cruciale anche in vista di una crescente sensibilità per

un'economia circolare e per la riduzione degli sprechi. Ma anche nel settore del gas, c'è da attendersi

nuove fusioni e acquisizioni, Del resto lo scorporo di Itagals dalla rete di Snam era stato portato avanti

proprio per questo motivo, e la società guidata da Paolo Gallo, quotandosi sul mercato con una sua

struttura ad hoc - si prestava ad essere il veicolo che avrebbe facilitato l'aggregazione delle tante realtà

locali presenti sul territorio. E tra le vari multiutility, la preferita di Mediobanca è Iren (giudicata outperform

con un target di 2,2 euro per azione) ma anche Hera (outperform a 2,9 euro). Torri di trasmissione

Nell'attesa dell'arrivo sul mercato del quarto operatore mobile, la francese Iliad, si è riaccesa la

competizione sul mercato della telefonia mobile. L'arrivo della rete di quinta generazione, fatta di "small

cell", imporrà invece nuovi investimenti in tecnologia. Secondo gli esperti, per una rete capillare 5g, per

ogni torre ci vorranno almeno 10 small cell, il che significa che in Italia gli operatori dovranno investire 2-3

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 121

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Pag. 18 N.27 - 17 luglio 2017

diffusione:400000

miliardi in conto capitale. Questo fornirà un altra spinta al consolidamento in Italia, sia nelle torri telefoniche

che in quelle televisive, anche perché il rischio che i grandi player mondiali come Crown Castle e American

Tower sbarchino in Europa si fa più concreto. L'indiziato numero uno per agevolare lo sbarco degli

americani è la Cellnex controllata da Abertis, che se andasse in porto l'Opas di Atlantia finirebbe in mani

italiane, oltre a controllare la terza rete di torri telefoniche dopo Vodafone e la Inwit di Telecom e quella di

Vodafone. Se Cellnex dinventasse parte di un gruppo più grande, c'è da aspettarsi a cascata un nuovo

consolidamento anche per i rivali. Stesso discorso per Rai Way e la Ei Towers controllata al 40% da

Mediaset, che sono destinate a fondersi in un unica realtà a medio termine. Mediobanca consiglia di

sovrapesare sia Inwit (target a 5,86 euro), Ei Towers (fino a 64 euro) e Ray Way (target 5,76). FONTE:

MEDIOBANCA SECURITIES S. DI MEO

Foto: Paolo Gallo (1), amm. delegato di Snam e Giovanni Castellucci (2), ad di Atlantia

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 122

17/07/2017

Pag. 20 N.27 - 17 luglio 2017

diffusione:400000

Città d'arte, mari, monti e terme Il turismo vale il 4,2% del Pil

IL RAPPORTO "UNICREDIT 4 TOURISM" PER IL 2017. IL FATTURATO TOCCA I 70 MILIARDI, CON L'INDOTTO SUPERA QUOTA 170. IL CUORE DEL SISTEMA MADE IN ITALY BATTE A NORD-EST. E DALL'ESTERO SONO ARRIVATI 50 MILIONI DI VISITATORI: MA MANCANO LE STRUTTURE DI LUSSO Flavio Bini

Anche quest'anno bisognerà dire grazie a ombrelloni, lettini, agriturismi, camere d'albergo, impianti di

risalita e centri termali. Una fetta consistente della ripresa economica che ci ha riportato verso l'1% di

crescita lo scorso anno passa da qui. Le mille articolazioni di un'industria, quella del turismo, che in Italia

valeva, nel 2016, 70,2 miliardi di euro, il 4,2% del Pil, che salgono a 172,8 se si considera l'intero indotto,

dando lavoro fino a 2,7 milioni di persone. Sono alcuni dei numeri tracciati dal "Rapporto sul turismo 2017"

realizzato da Unicredit in collaborazione con il Touring Club Italiano, una panoramica sul settore costellata

di segni più. Da Nord a Sud, dal mare alla montagna, dalle grandi città ai piccoli centri, il fatturato della

Turismo Spa avanza senza sosta. Le tensioni geopolitiche Terrorismo e crisi internazionali non sembrano

arrestare una ripresa che va avanti già da molti anni. Il 2016 ha visto registrare il nuovo record a livello

mondiale con 1,2 miliardi di arrivi internazionali, in aumento del 3,6% rispetto al 2015, con incrementi in

tutte le aree del mondo ad eccezione del Medio-Oriente. L'Italia, con 50,7 milioni di arrivi stranieri, si

posiziona al quinto posto tra i Paesi più visitati del mondo dopo Francia, Usa, Spagna e Cina e registra

tassi di crescita superiori ai propri vicini europei. Le tensioni geopolitiche risultano invece determinanti nello

scatto registrato dal nostro Paese. «Questa componente è senz'altro rilevante se si si pensa che sono

diminuiti i competitor nel bacino del Mediterraneo e la Turchia ha avuto crolli del 30-40%», spiega Matteo

Montebelli, direttore del Centro Studi del Touring Club e tra gli autori del rapporto. «Se poi consideriamo gli

effetti che cominciano a sentirsi sul 2017 del calo delle presenze in Francia, si può dire che tutte queste

concause ci abbiano senz'altro dato un vantaggio. Un vantaggio che però non è strategico e che potrebbe

non durare a lungo». E se il dato sui flussi stranieri in Italia resta positivo da alcuni anni, aggiungendo la

netta ripresa del turismo interno il dato complessivo è impressionante. Per ogni cittadino residente, arrivano

in Italia circa due turisti. Sono 113 milioni gli arrivi registrati nel nostro Paese nel 2015, ultimo dato

disponibile dai rilevamenti Istat. Un dato diviso quasi a metà tra cittadini stranieri e italiani, con percentuali

in crescita rispetto all'anno precedente. Fa ben sperare la risalita dei flussi domestici (+6,2%) in costante

calo negli anni della crisi. «Le previsioni restano positive anche per i prossimi anni con prospettive di

espansione nel medio termine», spiega Giovanni Ronca, Co-Responsabile per l'Italia delle attività di

commercial banking di Unicredit. «Con il progetto "Unicredit 4 Tourism" partito ad aprile 2015, continuiamo

a supportare l'industria turistica italiana e ad oggi, all'interno del progetto, abbiamo già erogato oltre 1,3

miliardi di euro al settore turistico e acquisito circa 13.000 nuovi clienti». Se l'eccessivo surplus

commerciale spaventa alcuni Paesi europei, l'export di turisti tedeschi fa più che bene alla nostra industria.

Con quasi 53,3 milioni di presenze (cioè numero di notti trascorse) su 196,2 totali, si confermano

stabilmente al primo posto. In altre parole, poco più di un turista su quattro è made in Germany. La vera

novità arriva però dall'Estremo oriente. Per la prima volta entra nella top ten la Cina, all'ottavo posto con 5,8

milioni di presenze, pari al 7,3% del totale. L'evoluzione delle strutture ricettive presenti lungo il nostro

territorio permette anche di capire qualcosa di più sull'identikit del turista e sulle sue esigenze. Se l'enorme

parco-hotel italiano è costituito prevalentemente da strutture a 3 stelle (circa il 46,3%), scendono

percentualmente rispetto all'anno precedente il numero di alberghi a 1 e 2 stelle, diminuiti in cinque anni

rispettivamente del 22,9% e dell'11,1%. Sale invece la domanda di strutture di lusso: gli hotel a cinque

stelle sono cresciuti dai 362 del 2010 ai 442 del 2015, con un balzo del 22,1%. L'agriturismo Incremento a

due cifre invece per gli agriturismo che segnano oltre 11 milioni di presenze, più della metà straniere, e un

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 123

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Pag. 20 N.27 - 17 luglio 2017

diffusione:400000

tasso di crescita rispetto al 2010 del 19%. Una realtà che piace ai viaggiatori ma che seduce anche il

mondo delle imprese, salite nel 2015 a 22 mila in aumento rispetto al 2014. Bisogna puntare lo sguardo a

Nord-Est per trovare i cuori pulsanti dell'industria turistica italiana. Gli 11.930 sanmichelini, i residenti San

Michele al Tagliamento in provincia di Venezia, possono sventolare davanti al resto del Paese un primato

da far impallidire i concorrenti. Con 80.016 posti letto - più di sette per abitante- guidano la classifica delle

località balneari, precedendo Rimini e Jesolo. Merito, soprattutto degli 11,5 chilometri della spiaggia di

Bibione che ogni anno attira turisti da tutta Europa. Più a Nord, Cortina d'Ampezzo primeggia tra le località

montane con 18.174 posti letto, staccando nettamente Castelrotto (8.778) e Badia (8.637). Ma i 70,2

miliardi di Pil dell'industria turistica non si devono soltanto a costumi da bagno e piste da sci. La ricerca di

Unicredit si sofferma anche sulle forme di turismo meno tradizionale che contribuiscono comunque in

maniera decisiva a spingere il settore. Ne sa qualcosa Montecatini Terme, reginetta italiana del turismo

termale grazie ai suoi 13.480 posti letto, che traina la crescita del segmento benessere in Italia, salito in

percentuale del 3,8% in 5 anni, toccando nel 2015 3,8 milioni di arrivi. Non secondario l'apporto fornito dal

turismo congressuale, pari a 35 milioni di presenze, poco meno del 10% dei 393 milioni totali. Rischio

"overtourism" Ma più di tutto è ancora la cultura a guidare la classifica del turismo in Italia. Il 36,2% degli

arrivi nel nostro Paese è dislocato tra le più tradizionali località storico-artistiche, con Roma, Milano e

Venezia a conquistarsi il podio. Soggiorni che alimentano in maniera consistente il salvadanaio delle risorse

affluite grazie all'industria turistica. I soli viaggiatori stranieri ad esempio riversano nei nostri bar, ristoranti,

alberghi e negozi di souvenir qualcosa come 13 miliardi di euro l'anno, quasi un punto di pil. I numeri in

crescita fissa dell'industria turistica evidenziano anche però un rischio opposto. È quello del cosiddetto

"overtourism", il rischio di sovraccarico in realtà non i grado di sopportare flussi così consistenti. Dal 1

giugno ad esempio il Parco delle Cinque Terre ha introdotto una card per limitare gli accessi ai sentieri,

cercando così di alleggerire la congestione di un'area particolarmente sotto stress. «Si tratta di un tema

rilevante - osserva Montebelli - ma che va affrontato con strumenti diversi a seconda dei casi. La card può

essere una risposta, ma quando parliamo di grandi città è evidente che la soluzione non può essere un

limite agli accessi. È fondamentale il tema informativo, cioè lavorare soprattutto per fornire ai viaggiatori

un'offerta il più possibile ampia, allargando così il bacino delle aree visitabili, soprattutto da parte dei

cosiddetti turisti di ritorno». Le grandi città si stanno già attrezzando in questo senso. «Amsterdam ad

esempio ha un grande problema di centro storico e una soluzione individuata dall'amministrazione è stata

quella di rinominare alcune aree che venivano prima percepite estranee alla città associandole al nome

Amsterdam, creando così nuovi poli di attrazione». FONTE: INDAGINE CENTRO STUDI TCI, DIC. 2016

FONTE: BANCA D'ITALIA FONTE: ISTAT FONTE: ITALIAN CRUISE WATCH 2016 FONTE: REGIONE

VENETO S. DI MEO

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 124

17/07/2017

Pag. 30 N.27 - 17 luglio 2017

diffusione:400000

"Sgravi e incentivi ai manager per entrare nel capitale delle Pmi"

INTERVISTA A GIORGIO AMBROGIONI, PRESIDENTE DELLA CIDA, LA CONFEDERAZIONE DEI DIRIGENTI, CHE VUOLE APRIRE UN CONFRONTO CON LA POLITICA: "COSÌ POTREMO AFFIANCARE LE FAMIGLIE PROPRIETARIE E CONTRASTARE I FONDI AVVOLTOIO" Adriano Bonafede

Roma «Idirigenti italiani vogliono tornare protagonisti nel dibattito sociale, politico ed economico. In Italia ci

sono 397 mila manager che finora non si sono mossi come classe dirigente del paese e che ora vogliono

cominciare a farlo». È bellicoso Giorgio Ambrogioni, presidente della Cida, la confederazione dei dirigenti

d'impresa che raggruppa e rappresenta le due federazioni, Federmanager (dirigenti industriali) e

Manageritalia (terziario e pubblica amministrazione). Avete sempre avuto la possibilità di entrare nel

dibattito. Che cosa cambia adesso? «Vogliamo cercare di dare voce a questo pezzo di classe dirigente del

paese perché pensiamo che sia sostenuta da vero senso di responsabilità e che possa dare un contributo

reale nel campo delle politiche economiche e fiscali del paese. Da settembre apriremo un confronto con la

politica e poiché saremo vicini alle elezioni contiamo di ottenere maggiore ascolto». Diciamo la verità: voi

dirigenti non siete così simpatici in questo momento di crisi. L'opinione pubblica si è rivoltata contro gli

stipendi d'oro, e anche le pensioni d'oro... «Questa demagogia delle pensioni d'oro la respingiamo in toto.

Le pensioni d'oro sono quelle che non sono sostenute da contributi versati tutta la vita. Le nostre derivano

dai rendimenti dei nostri contributi, che peraltro sono decrescenti al salire del reddito. Poi i nostri pensionati

hanno dovuto sopportare cinque blocchi della perequazione automatica e svariati contributi di solidarietà».

La crisi ha fatto calare il numero dei dirigenti: siete 100 mila in meno rispetto al 2008. E ora molte imprese

preferiscono usare i quadri al vostro posto. «Quello che lei dice delle imprese è vero, ma è anche vero che

stiamo tornando a una concezione più elitaria, nel senso nobile del termine, del dirigente». I dirigenti calano

ma le piccole e medie imprese avrebbero bisogno di iniezioni di managerialità. Perché questi due mondi

non riescono a incontrarsi? «Lei ha ragione, ma noi stiamo facendo il possibile e faremo sempre di più per

convincere i piccoli imprenditori ad aprirsi ai manager esterni. C'è ancora una ritrosia da parte delle Pmi, e

quindi la nostra è prima di tutto una battaglia culturale. Alcuni semplici dati, elaborati da Federmanager,

dimostrano del resto Giorgio Ambrogioni pres. Cida che le Pmi che hanno resistito meglio alla crisi sono

quelle che avevano un manager. C'è qualcosa su questo fronte che chiedete e che il governo potrebbe fare

per aiutare le Pmi a utilizzare di più i manager esterni? «Sì, si potrebbe intervenire sotto il profilo fiscale».

Come? «Tramite uno sgravio tributario a chi vuole investire risorse per entrare nel capitale di un'impresa. I

manager dovrebbero essere incoraggiati ad acquisire quote affiancando le famiglie imprenditoriali e infine

trasformandosi essi stessi in imprenditori quando necessario. Questo potrebbe essere un valido modo per

contrastare i cosiddetti "fondi avvoltoio", ovvero il private equity che fa shopping non per investire nelle

imprese ma solo per impossessarsi di quote di mercato che poi cederanno ad altri». Fra i vostri associati ci

sono anche i dirigenti pubblici. Nei mesi passati sono nate molte polemiche sugli stipendi d'oro di molti di

loro, tanto che il governo ha stabilito un tetto di 240 mila euro. Vengono pagati troppo? «Non è così, se non

per alcune funzioni apicali. Più in generale, gli stipendi dei dirigenti pubblici di prima fascia sembrano più

alti di quelli dei manager dell'industria e del commercio, ma non è così. Perché i dirigenti privati hanno una

serie di benefit che quelli pubblici non hanno. Inoltre, se mi permette, vorrei segnalare l'esiguità delle

retribuzioni dei manager della scuola, ovvero dei presidi. Si tratta del valore più basso tra tutti i dirigenti, e

ciò stride di fronte alle loro enormi responsabilità». Però diciamo una cosa: non è che l'amministrazione

pubblica brilli per efficienza. Non è colpa anche dei dirigenti questo stato di cose? « Non è colpa loro. I

dirigenti pubblici chiedono alla politica obiettivi sfidanti, controllabili e trasparenti. E vogliono avere una

maggiore autonomia dalla politica per raggiungerli». Se ne parla da anni ma i risultati non sono finora stati

così brillanti... «I dirigenti pubblici chiedono di essere responsabilizzati. L'idea invece di essere

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Pag. 30 N.27 - 17 luglio 2017

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colpevolizzati non l'accettano più. Ci sono fermenti, soprattutto fra i manager più giovani, che noi vogliamo

assecondare, ma la politica deve fare un passo indietro». Parliamo dei manager donna: sono sempre

sottopagate? «Intanto diciamo che sono sempre di più e che sono brave e motivate. Sottopagate un tempo

sì ma oggi sempre meno, almeno nel settore privato, dove viene sempre più premiato il merito e

l'efficienza». Dica una cosa buona che è stata fatta in questi ultimi anni dai governi. «Incentivare il welfare

aziendale è stata una buona cosa, una mossa azzeccata. Per uno come me che negli anni Settanta

contribuì a fondare il Fasi, il nostro fondo sanitario, è un bel riconoscimento».

Foto: Un'immagine della settantesina assemblea della Cida (Confederazione italiana dei dirigenti d'azienda,

sia privati che pubblici)

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 126

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Le nuove frontiere ECONOMIA

E sull'Ocse sventola l'uguaglianza

Svolta nell'organizzazione dei Paesi ricchi. La paura dei populismi fa dire basta al neoliberismo. Si parla di povertà e migranti GIANFRANCESCO TURANO

da Parigi. Una volta all'anno i giardini dello Château de la Muette a Parigi si riempiono di ministri,

diplomatici, consulenti, imprenditori, banchieri, accademici e giornalisti per il Forum dell'Oecd-Ocse,

l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo fra 35 Paesi che da soli controllano l'80 per cento del

prodotto lordo mondiale, cioè del totale della ricchezza prodotta nell'intero pianeta. L'ex villino di caccia dei

monarchi di Francia, dove Luigi XVI e Maria Antonietta trascorsero la luna di miele, si trova nel sedicesimo

arrondissement della capitale. Basta attraversare il boulevard des Maréchaux e in quattro passi si entra nel

Bois de Boulogne, il polmone verde a ovest della metropoli. Qui regnano lusso, calma e voluttà. Per dirla

con lo scrittore Éric Hazan, è un quartiere dove «i maghrebini fanno i fruttivendoli e i neri spazzano le

strade». L'Ocse dovrebbe essere, ed è stato negli scorsi anni, la punta di lancia del neoliberismo

globalizzante. Quanto meno è stato lo specchio dell'ortodos sia economico-fnanziaria. Oggi invece si parla

di "Bridging divides", cioè di costruire ponti fra le disuguaglianze di ogni genere, di tassare equamente i

grandi cartelli dell'hi-tech, i famigera ti Gafa (Google, Amazon, Facebook, Apple), di come accogliere

l'immigrazione e soprattutto di riaprire un canale di dialogo con la base democratica, che non ha mai eletto

un capoeconomista dell'Ocse come gli ex Ignazio Visco e Pier Carlo Padoan, oggi rispettivamente

governatore della Banca d'Italia e ministro dell'Economia dell'esecutivo di Paolo Gentiloni. Con il segretario

di lungo corso, il messicano Ángel Gurría in carica dal 2006, tira quasi un'aria da adunanza terzomondista

fuori tempo massimo. Cum grano salis, si capisce. Si direbbe che questa gente abbia paura. Ne ha

davvero? O combatte la più antica delle battaglie, quella del "tengo famiglia"? E quale può essere la merce

di scambio per un patto fra le grandi organizzazioni internazionali, si chiamino Onu, Nato, Ue oppure Ocse,

e i cittadini minacciati dal popu lismo? Rispondiamo per ordine, a partire dalla prima domanda. Sì, hanno

paura. Il populismo si aggira per i cinque continenti e minaccia in primo luogo i componenti di una classe

cosmopolita che ha sempre inneggiato al mainstream e che rischia di trovarsi fra l'incudine degli oligarchi

miliardari e il martello delle masse impugnato da Donald Trump, Vladimir Putin, Rodrigo Duterte, Tayyip

Erdogan, Narendra Modi, Viktor Orbán. Poliglotti, ben laureati e ancor meglio masterizzati, perfettamente

mimetizzati con un'élite che ha patrimoni infnitamente superiori ai loro, gli organizzatori internazionali

cercano di ritrovare un contatto con la base che li contesta come parassiti dediti solo all'autoconservazione,

quando non tenta proprio di aggredirli, come è avvenuto al G20 di Amburgo. Ma non sanno come fare.

Allora cercano chi lo faccia per loro. Questa edizione del Forum dell'Ocse era par ticolarmente ricca di

"ground troops", le truppe di terra spedite nel reale con i mezzi più diversi, da un sondaggio a una bicicletta.

Nel frattempo si lavora per ritrovare su basi nuove il feeling con i presidenti demagoghi, convincendoli che

nemmeno a loro conviene smontare le architetture internazionali costruite a fatica dopo la seconda guerra

mondiale. Anche se gli Stati Uniti di Trump non hanno frmato la convenzione fscale del 7 giugno alla

Muette, riservandosi di esaminare meglio il documento e sottoscriverlo in un secondo momen to, il pericolo

di chiusura dei rubinetti da parte del maggiore finanziatore dell'Ocse sembra scongiurato. «Siamo convinti»,

dice Gurría, «che gli Usa continueranno a sostenerci come hanno sempre fatto fnora. Del resto, è anche

nel loro interesse fare in modo che nelle economie sviluppate ed emergenti, vengano ridotte le disparità.

Noi continueremo a promuovere un modello di crescita che sia di vantaggio per il maggior numero di

persone senza che si crei una disuguaglianza nelle opportuni tà. E senza che si torni indietro verso la

tentazione di chiudersi in se stessi dal punto di vista della politica degli scambi commerciali». Conviene an

che a Trump ottenere un gettito fscale dal comparto dell'alta tecnologia per il suo programma di

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 127

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infrastrutture neo-keynesiano. «L'Ocse», insiste Gurría, «è fondamentale per costruire un migliore futuro

economico per il pianeta, perché ha compreso presto che doveva impostare la sua azione verso la

riduzione delle disparità». Nella culla del motto liberté, égalité, fraternité, il segretario generale rivendica un

ruolo di lunga durata della sua organizzazione. «Lo squilibrio nella distribuzione delle ricchezze, con l'uno

per cento dei più abbienti che possiede il 18 per cento della ricchezza mondiale, mentre al 60 per cento dei

più poveri resta appena al 13 per cento del totale, è un allarme specifcamente lanciato dall'Ocse nel corso

degli ulti mi anni. Lo stesso vale per la stagnazione di cui sofre la classe media». Il messaggio è chiaro. Le

organizzazioni internazionali, come la democrazia, sono il peggiore sistema di gestione del potere fra

popoli. Tranne tutti gli altri. A volte, le loro raccomandazioni possono sembrare vacue e di dubbia

applicazione, ma non c'è altra strada. È altrettanto evidente che le contraddizioni della società liquida sono

forse la maggiore ricchezza di queste grandi fere dell'amicizia fra i popoli. L'apertura del forum 2017,

durante la presidenza danese dell'Ocse, è stata afdata a Sua Altezza Reale la princi pessa ereditaria, nata

in Australia con il nome di Mary Donaldson e conosciuta dal principe in un pub di Sydney. Viceversa

Constantijn van OranjeNassau viene presentato come start-upper (Delta ed Envoy) e non come fratello del

re dei Paesi Bassi, quarto nella linea di successione al trono. Ci sono i giovani brillanti come Roxanne

Varza, 31 anni, americana di origine persiana e studi parigini, che dirige Station F, l'incubatore di Xavier

Niel (Free). E ci sono anche i potenzia li cattivi come Google, presente fra gli sponsor principali del forum

insieme ad Airbnb, che ha appena chiuso l'accordo per diventare sostituto d'imposta sui ricavi degli aftti

della piattaforma turistica. Nel gruppo dei fnanziatori mancano università e imprese italiane, sempre troppo

avanti o troppo indietro, ma c'è il consulente Maurizio Travaglini di ArchitetsOfGroupGenius, sedi a Milano

e a Boston, che organizza un brainstorming con una novantina di invitati. «Qui me lo fanno fare in tre ore»,

dice con una punta di rammarico. «A Davos il laboratorio dura quattro giorni». Non mancano i sindacati,

rappresentati da Sharan Burrow, segretaria generale dell'In ternational Trade Union Confederation. «Le

persone non sono preoccupate per l'arrivo della tecnologia, ma per il tipo di lavoro che dovranno fare e per

la paga che riceveranno. Ma i governi non stanno dialogando con le piattaforme tecnologiche», ha dichia

rato Burrow. Al castello della Muette tutto sembra muoversi in fretta. E la truppa d'élite delle organizzazioni

internazionali è già pronta a cambiare pelle. L'Espresso ha parlato con alcuni di loro. Referendum a

sorpresa Gustavo Petro, ex sindaco di Bogotà, ha detto: «Un Paese sviluppato non è quello in cui i poveri

hanno le automobili. È quello in cui i ricchi usano i mezzi pubblici». Amalia Navarro, ex Unicef e dirigente

del Segib (secretaría general iberoamericana), una sorta di Commonwealth ispano-portoghese, ha vissuto

un'esperienza interessante in un bus della capitale colombiana. «Qualche mese fa ero a Bogotà, in un

ingorgo tremendo. Ho iniziato a parlare con il mio vicino di sedile dell'imminente referendum popolare sulla

pace con le Farc, il gruppo terroristico che per decenni ha combattuto lo Stato colombiano. Il vicino mi ha

detto che avrebbe votato no al referendum. Gli ho chiesto come si potesse votare contro la pace e lui mi ha

replicato che si fdava più dei consigli della chiesa, pur essendo evangelico e non cattolico, che di quelli

dispensati dai politici». Il 2 ottobre del 2016 il no all'accordo con le Farc ha vinto, anche se di stret ta

misura. Un mese dopo è stata la volta di Trump alla Casa Bianca. Il 4 dicembre è arrivata la bocciatura

netta del referendum costituzionale proposto da Matteo Renzi a chiusura di un semestre iniziato con Brexit

(23 giugno). Le sorprese sulla volontà del popolo non sono fnite. Navarro ha coordinato una campagna

dell'Onu (MY world) partita due anni fa e mirata a conoscere gli obiettivi del cittadino com'è, invece che del

cittadino come dovrebbe essere, ossia solidale, accogliente, egualitario, democratico. Il sondaggio ha

interessato circa 10 milioni di per sone, un campione enorme. «I risultati sono stati molto chiari», dice

Navarro. «Le prime tre cose in cima alla classifca sono il lavoro, la salute e l'istruzione. A chi ha risposto al

sondaggio non interessa la politica gender, non interessa l'ambiente e, a sorpresa, nemmeno la sicurezza è

nel le parti alte della classifca». I desideri dei partecipanti al sondaggio di My World (lavoro, salute,

istruzione) asso migliano in modo impressionante a certe piattaforme di una sinistra che non esiste più,

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 128

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mentre la sinistra nuova si è dedicata a picconare con brio, e in via prioritaria, proprio scuole, ospeda li e

posti di lavoro. È chiaro che la fne della discriminazione per orientamento sessuale, l'integrazione e

l'ecosistema sono questioni fondamentali. Soltanto che si trovano nella seconda linea di bisogni e per farle

passare avanti bisogna soddisfare la prima linea, come cercano di fare i cosiddetti populisti. Orgoglio

working-class J.D. Taylor, 30 anni, è l'autore di Island Story, journeys through unfamiliar Britain. Il suo libro

è stato un caso nel Regno Unito. Scritto prima del refe rendum, è uscito poco dopo il voto su Brexit.

L'autore appartiene alla classe media londinese, è di famiglia laburista e ha trascorso circa due anni in un

viaggio in bicicletta nelle varie province, pas sando dal Sud ricco all'Irlanda del Nord. Il suo obiettivo era un

percorso lento, come la bici obbliga a fare, tra le aree minerarie, i distretti deindustria lizzati o delocalizzati.

Insomma, tutto il mondo dei "left behind" della globalizzazione, quelli che sono stati bollati come i buzzurri

autori del Brexit in opposizione ai residenti delle grandi città, Londra in testa. Il periplo di Taylor si può

riassume re nella domanda che il giovane rivolgeva, nei pub o nei centri di socialità, alla gente del posto:

«Come si vive qui?» (l'Ocse ha attivato, in via indi pendente, una rilevazione proprio a partire da questo

quesito). La domanda ha avuto abbastanza raramente una risposta positiva. L'aspetto più frequente

riguarda la mancata identifcazione o l'identifcazione al passato, rispetto a mestieri che oggi non sono quasi

più disponibili sul mercato del lavoro locale. «Ero minatore». «Facevo l'operaio nell'industria

automobilistica». «Fabbricavo biciclette». «Ero titolare di un'azienda agricola» Queste risposte sono

sostituite oggi da formule nuove, che hanno tolto tutto il british pride ai lasciati indietro. «Lavoro a tempo in

un call centre». «Faccio la cassiera in un centro com merciale». «Ricordo quando ho visitato un'azienda

agricola in difcoltà nella zona meno sviluppata dello Yorkshire, a Barnsley. Nel momento in cui ho

contestato al proprietario dell'azienda che un voto a favore di Brexit lo avrebbe danneggiato perché

avrebbe tolto miliardi di fnanziamenti europei all'agricoltura, il farmer ha replicato che lui non voleva

l'elemosina e che avrebbe votato per Brexit perché desiderava ritrovare la stima di se stesso. Gli elettori di

Leave, che il resto della Gran Bretagna tratta come una massa di abbrutiti ignoranti e razzisti, hanno in

larga parte il problema di non essere più la spina dorsale della Gran Bretagna». Mazzetta globale Il focus

locale pare inconciliabile con gli obiettivi imposti dalla globalizzazione. Patrick Moulette, capo della divisione

di contrasto alla corruzione dell'Ocse, francese, ha una percezione diretta e quotidiana del fenomeno. Negli

anni la sua attività si è spostata dalla corruzione nei singoli Paesi alla corruzione transnazionale, emersa in

una serie di inchieste giudiziarie in vari Paesi, dal caso italiano dell'Eni in Nigeria a quello francese delle

gare internazionali di Alstom, fino agli scandali collegati a Petrobras, che stanno destabilizzando i vertici

politi ci a Brasilia. «Di sicuro negli ultimi anni», dice Moulette, «abbiamo riscontrato una erosione nella

fiducia verso le istituzioni pubbliche e non è un caso se l'Anac italiana, con la quale l'Ocse ha un accordo di

cooperazione, ha suscitato tante aspettative nei cittadini fn dal suo debutto. Sulla corruzione

transnazionale, rispetto a quella interna ai singoli Paesi, c'è sempre stato un atteggiamento più tollerante. I

cittadini hanno la tendenza a considerare questo tipo di corruzione come un qualcosa di normale e come

una prassi inevitabile a contatto con le autorità pubbliche di Paesi magari meno sviluppati. In altre parole, le

tangenti ai funzionari locali erano in dispensabili per assicurarsi gli appalti. Noi stiamo operando per

rovesciare questo atteggiamento chiedendo ai vari Paesi, soprattutto quelli in cui vige un sistema di civil

law, di inserire nei loro codici sanzioni più stringenti». Il prossimo 12 dicembre si celebre ranno i 20 anni

dall'introduzione delle prime convenzioni internazionali anticorruzione. Ma qual è il bilancio di questi 20 anni

di lotta alla corruzione transnazionale? «Quando abbiamo incominciato», dice Moulette, «c'era no soltanto

gli Stati Uniti, che nei loro codici prevedevano qualcuna delle nostre raccomandazioni. In altri Paesi le

imprese, prima della nostra azione, potevano apertamente mettere le tan genti in deduzione nei loro bilanci.

In Francia esisteva addirittura uno sportello, non lontano dal Louvre, che funzionava come i tax refund per

l'Iva negli aeroporti internazionali». Gli ultimi dati, aggiornati al 2015, dicono che 397 persone fsiche e 133

persone giuridiche sono state sottopo ste a sanzioni in 17 Paesi dal 1999. Ci sono stati 115 condannati a

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pene detentive e al momento ci sono 302 inchieste in corso in 28 Paesi che hanno sottoscritto la

convenzione. «Per adesso abbiamo operato molto sulla cosiddetta corruzione passiva», dice Moulette,

«cioè sulla pratica di chi paga tangenti perché è in qualche mo do obbligato a farlo per non perdere la

commessa. Personalmente credo poco nella corruzione passiva. Mi sembra un concetto mal posto.

Opporre i due aspetti è superfciale. La corruzione attiva, quella che in Italia chiamate concussione, è legata

a quella passiva. Bisogna ricordare che corrotto e cor ruttore hanno bisogno l'uno dell'altro e devono

scambiarsi costantemente informazioni. Anche se tra i frmatari della convenzione ci sono Paesi non ancora

membri, come Brasile e Russia, credo che della questione dovrebbero occuparsi in modo fattivo anche le

Nazioni Unite». Democrazia nel bilocale La risposta del mondo di alcune grandi imprese emergenti inizia ad

andare verso un adattamento all'aria nuova. Airbnb ha spedito al castello della Muette Chris Lehane,

direttore della global policy e dei public afairs. L'ex consigliere di Bill Clinton e del partito democratico Usa

ha fornito una serie di dati a sostegno della sua tesi che la piattaforma web per il turismo stia

modernizzando e democratizzando un mercato dove le grandi catene al berghiere svolgono lo stesso ruolo

monopolistico dei giganti dell'It. Sulla piattaforma Airbnb sono 191 i Paesi presenti, all'incirca il numero

degli aderenti alle Nazioni Unite, e i clienti del servizio sono di 215 nazionalità, più o meno quante

aderiscono all'or ganizzazione internazionale più popolare della terra, la Fifa. «Da qui al 2025», ha detto

Lehane, «4,7 miliardi di persone useranno il web e i millennial sono la generazione più grande di sempre in

termini nume rici, se paragonata ai baby boomers per esempio. Il 60 per cento dei viaggiatori nel mondo su

Airbnb è composto da millennial e il 94 per cento dei millennial negli Usa ha votato per Hillary Clinton. Il 30

per cento dei millennial nel mondo è preoccupato per la tenuta della democrazia e molto attento alle

politiche di un'azienda. Si preoccupa della sostenibilità del modello econo mico, dei modi in cui opera e

degli effetti sul territorio e sulle persone». Secondo Lehane il modello "corporate" tradizionale consente a

uno o comunque a pochi di guadagnare con le varie piattaforme di business. Invece l'indotto generato da

Airbnb è spalma to su vari soggetti. La famiglia che aftta in genere fa parte di una classe media che con la

crisi ha visto ridurre gli introiti e salire le spese, e che trova con l'aftto tem poraneo nuove forme di reddito

legale. Alcuni studi dimostrano che i viaggiatori di Airbnb danno impulso al commercio di prossimità, con il

50 per cento dei quattrini spesi che rimane sul territorio. Infne il nuovo modello rappresenta anche una

forma ecosostenibile di tu rismo, rispetto ai disastri ambientali del sistema dei grandi alberghi. «È

significativo che il 55 per cento delle strutture ospitanti su Airbnb», ha detto Lehane, «sia gestito da donne.

Questa presenza è una forma di compensazione rispetto alle disparità retributive di genere e dunque

funziona come ulteriore elemento di stabilizzazione e uguaglianza». Si potrà sospettare che il raccontino

aziendale sia troppo bello per essere vero, con i millennial, le donne, la democrazia, il piccolo

commerciante difeso dalla grande distribuzione e la lotta all'inquinamento. Le sindache di Parigi, Anne

Hidalgo, e di Barcellona, Ada Colau, sono molto meno incan tate dall'invasione turistica garantita dalla

presenza di Airbnb. Ma è signifcativo che una corporation emergente si dia una copertura ideologica

democratica e progressista, invece che parlare soltanto di trimestrali e bottom-line. L'assassino è il

maggiordomo Ariel Ezrachi, docente di norme sulla competizione alla facoltà di Diritto di Oxford, ha

presentato all'Ocse un testo dal titolo "Virtual competition Te promise and perils of the Algorithm driven

economy" (Harvard university press), scritto insieme al collega Maurice Stucke, professore di diritto

all'Università del Tennessee e cofondatore del Konkurrenz group. Il libro analizza i meccanismi nascosti

dietro la caccia all'afare via internet o app. La tesi di fondo è che, molto spes so, l'abbassamento del prezzo

è soltanto un'illusione. A dispetto delle norme che vietano alle società di fssare cartelli di prezzo, gli

algoritmi alimentati dai dati del browsing possono rapidamente mo nitorare i listini della concorrenza e

adattare i loro di conseguenza, in base alle predisposizioni all'acquisto e alle soglie di ogni consumatore.

Grazie a questa proflazione, le so cietà possono vendere beni al massimo prezzo che i consumatori sono

disposti a spendere. Le super-piattaforme commerciali (come Amazon e Alibaba) e i padroni dei sistemi

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operativi dei vari device sono monopoli "data-driven" che de terminano il fusso di dati personali e

stabiliscono chi ha facoltà di sfruttare i compratori potenziali. Il mercato in evoluzione sta già orientando il

potere nelle mani di po chi, come Google, Amazon, Apple, Facebook. «Stiamo correndo verso una sorta di

Truman Show», dice Ezrachi. «Probabilmente ci vorrà un algoritmo per battere questi algoritmi. Di sicuro

non è stata ancora inventata la app che protegge i consumatori. Anche gli Usa, che avevano promesso con

Obama di essere i leader di una politi ca antitrust, non hanno concluso nulla. La fgura del maggiordomo

digitale, quell'insieme di dati che contiene le nostre preferenze, i nostri gusti, i no stri orientamenti e la

nostra disponibilità a spendere all'interno di una certa banda di oscillazione, incluse le nostre mail, i nostri

messaggi e la nostra privacy in tutti i suoi aspetti, può diventare simile a quella del maggiordomo dei

romanzi gialli: il burattinaio delle nostre vite». Foto: M. Awaad - Bloomberg via Getty Images, Foto: M.

Riley-Pool - Getty Images

Dal piano Marshall alla McKinsey L'Ocse (Oecd) è un'organizzazione internazionale composta da 35

Paesi, fra i quali fgurano le maggiori potenze economiche del mondo, salvo Russia, Cina e India. La sua

origine risale a 70 anni fa (1947) quando George Marshall, segretario di Stato del presidente Usa, Harry

Truman, annunciò il piano per la ricostruzione in Europa dopo la seconda guerra mondiale. Gli Usa misero

a disposizione 13 miliardi di dollari del tempo (circa 130 miliardi di dollari ai valori attuali), sotto forma di

fnanziamenti a fondo perduto o di prestiti. Metà di questa cifra andò a Regno Unito e Francia. Altri 14

Paesi, fra i quali l'Italia, accettarono di aderire al piano Marshall. Nel 1949 entrò anche la Germania

federale, per un totale di 17 membri. Per realizzare il programma di aiuti economici nel 1948 venne creato

un organismo internazionale di cooperazione economica (Oece), con sede a Parigi, presso il castello della

Muette, nel XVI arrondissement. La struttura iniziò a promuovere anche la cooperazione fra i Paesi membri

e gli scambi, circa dieci anni prima che prendesse forma la Ceca, embrione dell'Ue. Nel 1961, una volta

portati a termine gli obiettivi del piano Marshall, l'Oece venne sostituito dall'Ocse, che gradualmente si

estese a una ventina di altri Paesi, a partire da Usa e Canada. Al momento attuale, ci sono una mezza

dozzina di Paesi in lista di attesa per essere ammessi all'Ocse, soprattutto dall'America latina (Colombia,

Argentina, Perù, Uruguay). La domanda più recente, all'inizio di giugno del 2017, è stata presentata al

segretario generale dell'Ocse, il messicano Ángel Gurría, da parte del Brasile, che è la prima fra le

economie emergenti dei cosiddetti Bric (Brasile, Russia, India e Cina) ad avanzare la sua candidatura. Oggi

l'Ocse è considerato il club dei Paesi ricchi, perché i suoi membri, circa un quinto di quelli aderenti all'Onu,

concentrano l'80 per cento del prodotto lordo mondiale e il 70 per cento delle attività commerciali globali.

L'Ocse, come l'Onu, la Nato e le altre organizzazioni internazionali maggiori, ha un budget annuale, formato

dai contributi degli Stati membri, pari a circa 363 milioni di euro per qualcosa come 2500 dipendenti. La

singola quota maggiore di questo contributo (il 21 per cento) è versata dagli Usa. Il panel corporate del

Forum 2017 dell'Ocse includeva Google, Airbnb, McKinsey, Sodexo, Johnson&Johnson, Axa, Deloitte,

Telefonica e un gruppo consistente di facoltà universitarie, dalla parigina SciencesPo all'università di

Ginevra. Nessuna azienda o università italiana era presente.

Foto: Ángel Gurría, segretario generale dell'Organizzazione

Foto: Donald Trump, presidente degli Stati Uniti L'uno per cento dei più abbienti possiede un quinto della

ricchezza. Il 60 per cento dei più poveri deve spartirsi un ottavo del totale

Foto: Negli ultimi anni è cresciuto l'impegno contro la corruzione transnazionale: 302 sono le inchieste in

corso in 28 Stati

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LA MOSSA PER EVITARE LA CRISI

FEDERICO GEREMICCA

Ci sono battaglie che, piuttosto che perdere, conviene non fare. E fedele a questo antico e prudente

adagio, Paolo Gentiloni ieri ha deciso che quella sullo ius soli è precisamente una di queste: meglio

soprassedere e tornare a parlarne alla ripresa, dopo l'imminente pausa estiva, che rischiare la crisi di

governo. Il premier ha naturalmente informato della decisione Matteo Renzi, mettendo in fila gli elementi

che sconsigliavano di andare avanti. Il primo - e fondamentale - riguarda l'alto rischio di una bocciatura del

provvedimento in Senato, con conseguente caduta dell'esecutivo. Ma anche l'ingorgo di decreti da

convertire e il clima pesante nel Paese sul fronte dell'immigrazione hanno avuto il loro peso. La decisione

(che ha incassato subito critiche dai partiti alla sinistra del Pd) era un po' nell'aria e - nonostante non sembri

destinata ad aprire problemi lungo l'asse Renzi-Gentiloni - certo non ha fatto fare salti di gioia al leader del

Pd. Infatti, pur se è senz'altro vero che il segretario dei democratici aveva lasciato al premier il massimo

della libertà di movimento sulla delicata questione, è altrettanto certo che l'accantonamento dello ius soli

non rappresenta una buona notizia per il Pd ed il suo segretario. Le ragioni sono diverse ed evidenti, ma

una balza decisamente agli occhi: nel giro di 48 ore, infatti, Renzi ha visto o bocciare - o per il momento

archiviare - due dei suoi più freschi cavalli di battaglia: la richiesta di una radicale revisione del fiscal

compact e una nuova linea sull'immigrazione che, animata dall'ormai noto «aiutiamoli a casa loro», aveva

proprio nello ius soli il suo riequilibrio a sinistra. Si tratta di due stop dolorosi, anche - se non soprattutto -

per i protagonisti e le ragioni che li hanno imposti. Sul fiscal compact, infatti, è stato addirittura il ministro

Padoan a tirare il freno, con motivazioni - per altro nient'affatto contingenti: «Il futuro dell'Europa non si

gioca su Fiscal compact sì, Fiscal compact no». Quanto allo ius soli, il cedimento ai diktat del partito di

Alfano - pronto ad aprire la crisi - è così evidente da non poter essere nascosto. Alfano, ecco. Il no

irremovibile del ministro degli Esteri può esser considerato l'esempio classico di quel che può accadere

quando lastrichi la strada di nemici. In passato, infatti, il leader centrista non aveva rifiutato mediazioni

anche difficili, ma ha naturalmente cambiato totalmente atteggiamento quando si è sentito «tradito» e

scaricato da Renzi per il patto con Grillo e Berlusconi (per altro poi fallito) in materia di legge elettorale. E

proprio la folla di nemici in attesa sulla classica sponda del fiume finirà per rappresentare un serissimo

problema per Renzi in questa lunghissima campagna elettorale. I nemici, infatti, non sono solo a destra

(comprensibile) ma anche al centro (si pensi agli ultimi scontri con Alfano e Monti), a sinistra e - sempre più

agguerriti perfino all'interno del Pd. Quando si punta a cambiamenti radicali, è inevitabile incontrare ostacoli

e resistenze: e farci i conti, fa parte delle cose prevedibili. Ma dal sindacato all'Anpi, dai magistrati fino a

figure storiche della cultura di sinistra, ecco, Renzi ha fin troppo ingrossato le file dei suoi nemici. È anche

per questo, in fondo, che il leader Pd vive oggi la sindrome dell'accerchiato. È vero: Matteo Renzi è quasi

«solo contro tutti». Magari sarebbe venuto il tempo, però, di cominciare seriamente a chiedersi il perché. c

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 132

16/07/2017

Pag. 1

diffusione:150427

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La ripresa c'è ma ancora non la vediamo

STEFANO LEPRI

La benzina c'è, ma la macchina non corre. Gli ultimi dati sulla nostra economia, quasi tutti buoni,

contrastano con l'immagine di un Paese dove molti si sentono lasciati indietro, dove malcontenti nuovi si

sommano a quelli antichi. Resta ancora troppo lento il recupero da quello che è stato il più grave disastro

non bellico da quando l'Italia è unita. In Europa la ripresa ormai c'è; benché nell'area dell'euro, che ne è la

parte principale, gli errori commessi nel gestire la crisi del 2010-12 l'abbiano ritardata assai. Il 2% di

aumento del prodotto che probabilmente si registrerà a consuntivo del 2017 è un numero decente. In Italia

la prospettiva di una crescita del Pil all'1,4% quest'anno è certo positiva; a Milano e in altre città si avverte

una vitalità nuova. Però risaltano più di ieri le povertà, si notano le disuguaglianze. Proprio perché alcuni

cominciano a risollevarsi, altri lamentano di essere trascurati. Anche proseguendo a questo ritmo occorrerà

attendere il 2022 per ritornare dove eravamo nel 2007, quindici anni perduti. I disoccupati sono ancora

quasi il doppio rispetto a prima della crisi. L'austerità purtroppo necessaria a evitare la bancarotta dello

Stato nel novembre 2011 ha lasciato danni duraturi; ad esempio ha aggravato il ritardo tecnologico della

nostra industria manifatturiera. Tuttavia ora ciò che in una economia si può definire la benzina non manca:

le famiglie spendono un pochino di più, le esportazioni crescono, la politica di bilancio è divenuta

lievemente espansiva. Non basta a rassicurare sulle prospettive. Benché abbastanza ottimiste nei sondaggi

di opinione, e nella media in condizioni finanziarie buone, le imprese rimangono caute negli investimenti; il

recupero atteso per la seconda parte dell'anno sembra in parte influenzato dai nuovi incentivi fiscali. Il

modello italiano appare logoro. Uno studio rigoroso dell'economia non offre certezze facili, e determinare

quale sia l'esatta velocità di marcia alla portata di un sistema (il potenziale di crescita, nel gergo dei tecnici)

è arduo. Ma a questo punto - non due o tre anni fa, oggi - è abbastanza probabile che più di mancanza di

carburante la lentezza sia causata da insufficienze del motore. I partiti, preparandosi alle prossime elezioni,

sembrano promettere ognuno a suo modo più benzina. Di riparazioni o miglioramenti al motore nessuno

parla più. E soprattutto di come recuperare al Paese le energie dei giovani che, taluni per ambizione altri

per disperazione, vanno a cercare lavoro all'estero; mentre, se restano a casa, faticano per pochi soldi

oppure girano a vuoto. Una sensata politica di sinistra chiederebbe un salario minimo valido anche per i

precari; non si può, perché la Cgil non vuole. Una sensata politica liberista chiederebbe meno vincoli alle

attività di impresa, in ogni settore; non si può, perché i gruppi di interesse già insediati si oppongono. Da

ogni parte politica, spostare gli equilibri esistenti appare rischioso. L'unica iniziativa rivolta ai giovani pare

per ora raccontargli la bugia che mandando gli anziani a riposo prima ci sarà più lavoro per loro (ci saranno

invece più tasse, necessarie a pagare un maggior numero di pensioni). c

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 133

16/07/2017

Pag. 18

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tiratura:216821

SONO ANCORA POCHI I SERVIZI A CUI IL CITTADINO PUÒ ACCEDERE GRAZIE AL «CODICE UNICO»

Così la rivoluzione digitale è fallita Anche l'anagrafe unica fa flop

Ma la burocrazia migliora col 730 precompilato e le fatture della P.a. ROBERTO GIOVANNINI

ROMA È un quadro con più ombre che luci quello della trasformazione digitale della burocrazia. Alcune

innovazioni, in effetti, hanno avuto grande successo: ad esempio, l'operazione 730 precompilato è stato un

grande successo, visto che quest'anno nelle sole prime 2 settimane i contribuenti hanno inviato al Fisco lo

stesso numero di modelli 730 spediti nell'intero 2016. È un successo anche la fattura elettronica usata dalle

imprese nei rapporti con la Pubblica amministrazione, tanto che il governo sta pensando ad estenderne

l'utilizzo. Funziona bene anche il meccanismo di iscrizione digitale alle scuole, così come (a parte il caso

dei nuovi voucher) il sistema legato all'Inps. Ma accanto a qualche top ci sono anche diversi flop: a

cominciare dall'Anpr, l'Anagrafe Nazionale Unica della popolazione residente, o la Cie, Carta d'Identità

Elettronica. E va a rilento anche lo Spid, il Sistema Pubblico di Identità Digitale. Dovrebbe essere

l'architrave dell'intero sistema di rapporti tra cittadino e amministrazione, un codice unico per accedere a

tutti i servizi, ma per adesso i servizi utilizzabili sono davvero molto pochi. Problemi (complessi,

ovviamente) che Diego Piacentini e la sua Agenzia per l'Italia Digitale (Agid, l'organismo incaricato della

digitalizzazione della Pa) stanno cercando di risolvere. 730 precompilato Ha funzionato bene, dicono gli

addetti ai lavori. Un vantaggio per i contribuenti, ma anche per la macchina tributaria, che può utilizzare

risorse e mezzi per attività più utili e importanti, come la lotta all'evasione. Fatture elettroniche Da quando

sono state varate nel giugno 2014, la Pa ne ha gestite oltre 62 milioni. 56mila uffici pubblici la adottano nei

rapporti economici, e circa il 30% delle imprese italiane usano la procedura FatturaPA. Si sta studiando,

nell'ambito del pacchetto anti-evasione, l'ipotesi di estendere l'obbligo di fattura elettronica anche nei

rapporti tra soggetti privati. Serve però un via libera dall'Unione Europea. Iscrizioni scolastiche Come nel

caso del 730, lo switch obbligato al digitale ha prodotto ottimi risultati. Pagamenti digitali Qui cominciano i

problemi. PagoPA dovrebbe diventare il nodo unico dove i cittadini, senza più code, possono pagare multe,

tasse e imposte a tutte le realtà della Pa. In 4 anni, però le transazioni totali sono state solo 1,8 milioni.

Poche: il sistema è poco user-friendly, e vi aderiscono solo 2.000 Comuni, anche se nel complesso la

usano il 70% delle amministrazioni. In più, come ha scritto La Stampa, troppi Comuni hanno imposto per i

pagamenti una salata commissione, da 1 a 3 euro. L'obiettivo (impossibile?) dell'Agid, è arrivare a 10

milioni di transazioni entro fine anno, anche con una versione mobile del servizio. Processo telematico Il

processo civile telematico riesce a eliminare i tempi morti, i decreti ingiuntivi vengono emessi in un lampo,

ma purtroppo per adesso di vantaggi se ne vedono pochi. Perché la novità riguarda i processi «nuovi», ma

soprattutto perché restano inaccettabili i tempi «fisici» della giustizia: organici scarsi, un rito complesso, i

tempi di decisione del giudice. Carta d'identità elettronica La Cie non decolla. Dal luglio 2016 sono 300 mila

i cittadini di 199 città a essere dotati di smart card, più le 4 milioni rilasciate prima. Per ora la

sperimentazione va piano, in molte città ci vogliono mesi per averla, e la Cie «smart» costa ben 22 euro.

Anagrafe unica L'obiettivo era completare un sistema unitario di collegamento delle Anagrafi di tutti i

Comuni d'Italia entro il 2016 in un solo data center. Obiettivo largamente fallito, visto che oggi sono solo 26

(Roma e Milano sono solo osservatori) i Comuni che hanno completato il processo (tutti piccoli a parte

Cesena). Ci sono forti contrasti anche sul software da utilizzare, e non è ancora stata messa a punto la

«pulitura» dei dati anagrafici, spesso incompleti, errati o ridondanti. Spid In teoria ogni cittadino dovrebbe

disporre dell'identità elettronica Spid (Sistema Pubblico di Identità Digitale) per accedere senza registrarsi

ogni volta a tutti i servizi pubblici. Per adesso però sono solo 1.533.258 gli italiani che si sono registrati al

sistema, di cui buona parte studenti e professori che vi erano obbligati se volevano accedere ai bonus per

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 134

16/07/2017

Pag. 18

diffusione:150427

tiratura:216821

neo-maggiorenni e docenti. In teoria sarebbe una rivoluzione che permetterebbe anche di rendere inutile la

Cie, ma il vero problema è che per ora Spid serve a poco: solo 3720 amministrazioni lo usano, e sono

relativamente scarsi i servizi dove utilizzarla. c

26

i Comuni

300

mila

1,5

milioni Sono ancora poche gli enti che hanno completato il sistema unico di anagrafe Sono gli italiani che

hanno avuto nel 2016 le carte d'identità elettroniche I cittadini che hanno l'identità elettronica per accedere

ai servizi

Così su La Stampa Sabato su La Stampa l'inchiesta sulla burocrazia che frena l'Italia. Il flop del divorzio

breve e i tempi biblici per avere la carta d'identità elettronica.

Foto: È ancora in ritardo la trasformazione digitale della burocrazia

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 135

15/07/2017

Pag. 21

diffusione:150427

tiratura:216821

IN EUROPA VENDITE IN AUMENTO DEL 2,1% A GIUGNO. MA NON MANCANO SEGNALI DI ALLARME

Auto, rallenta la crescita Spuntano i saldi di luglio

Fca lancia supersconti fino al 30% per vetture Fiat e Lancia già in rete PIERO BIANCO

Continua a crescere il mercato dell'auto nell'Europa allargata», che comprende i 28 più i tre Paesi Efta

(Islanda, Norvegia e Svizzera). A giugno, con 1.540.299 immatricolazioni, ha segnato un altro +2,1%

rispetto al 2016. Positivo anche il bilancio del primo semestre (in attivo per 23 mercati) con 8.461.476

vetture vendute e un incremento del 4,6%. Ma il rallentamento del mese scorso fa riflettere, anche in chiave

nazionale. Pesa il calo del 4,8% del Regno Unito, che gli analisti indicano già come effetto collaterale alla

Brexit. «Il secondo mercato europeo dopo la Germania - spiega il presidente di Promotor, Gian Primo

Quagliano - aveva siglato il record nel 2016 ma da aprile è in difficoltà anche per un'imposta sulla Co

sempre a giugno, il calo in Germania, che comunque chiude il semestre con +3,1%». L'Italia (dove

l'accoppiata Renault-Dacia a giugno ha superato Volkswagen diventando primo marchio estero con una

quota del 10%) resta tra i Paesi trainanti, con una crescita mensile del 12,9% e semestrale dell'8,9%.

Tuttavia non bastano i numeri straordinari registrati da gennaio a giugno per giustificare l'ottimismo che ha

accompagnato i primi mesi dell'anno, spingendo le proiezioni finali alla soglia dei 2 milioni di consegne, che

non sarà raggiunta. Quel che allarma gli strateghi del marketing è piuttosto la «qualità» di questi numeri, in

gran parte sostenuti da km0 e flotte aziendali che ancora beneficiano dei superammortamenti per le auto

«a uso strumentale». Sono, queste, vendite meno redditizie. «Non è tutto oro ciò che luccica - dice il

presidente di Federauto, Filippo Pavan Bernacchi -. Secondo i nostri concessionari c'è stata una fortissima

spinta delle case per raggiungere i target del semestre. E così le km0 sono cresciute rispetto al 2016

addirittura del 30%». «Il comparto dell'auto in Italia è attivo nonostante il moderato calo delle vendite nel

canale privati», sottolinea il dg dell'Unrae (Case Estere) Romano Valente. Ma è proprio questo il problema:

sollecitare le famiglie e i giovani all'acquisto. Allora si moltiplicano promozioni di ogni tipo: sconti,

finanziamenti agevolati, offerte speciali. Fca vanta eccellenti successi in Europa: +7,9% a giugno con

106.700 immatricolazioni e una quota del 6,9%, nel semestre +10,5% con 609.100 consegne. In entrambi i

casi molto meglio della media di mercato. Ma l'obiettivo è crescere ancora (e soprattutto guadagnare di

più), così con una novità assoluta Fiat/Chrysler lancia i «saldi di luglio»: proprio come avviene

nell'abbigliamento. Per i marchi Fiat e Lancia, 15 giorni di prezzi ultrascontati che permetteranno di

acquistare le auto in pronta consegna presenti nelle concessionarie risparmiando, per alcuni modelli, anche

il 30%. «Questa operazione l'abbiamo battezzata Salti di Gioia», spiega Gianluca Italia, che ha il doppio

incarico di managing director Italy e capo di Emea Fleet e business sales Fca. «L'abbiamo studiata -

aggiunge - per sostenere le famiglie e la ripresa del Paese. Vogliamo fornire uno strumento per eliminare

dal parco circolante parte dei 14,2 milioni di vecchie auto, nemmeno Euro4, e inoltre permettere agli italiani,

che di solito a luglio comprano meno auto, di prendersene una per le vacanze a condizioni davvero

uniche». c centimetri

I numeri Immatricolazioni e variazioni % in Europa occidentale Giu 2017/giu 2016 2017/2016 Europa

ITALIA Germania Francia Spagna Regno Unito Ue + Efta -3,5 -4,8 -1,3 Fonte: ACEA; dati Ue28+Efta (Svi,

Nor, Isl) +2,1 +4,6 +3,1 +1,6 +3,0 +6,5 +7,1 GIUGNO 2017 1.540.299 GEN-GIU 2017 8.461.476 +12,9

+8,9 - LA STAMPA

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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 136

16/07/2017

Pag. 15

diffusione:107848

tiratura:145152

IL MESSAGGIO

Il Tesoro a caccia di investitori

Parte la news letter rivolta ai mercati internazionali: «Via stretta per l'Italia, ma la posta vale la scommessa» Ribadito l'approccio equilibrato: risanamento che riduca il debito, ma senza soffocare la crescita IL CONFRONTO CON GLI ALTRI PAESI: «SOLO LA GERMANIA, COME NOI, È RIUSCITA A UNIRE AVANZO PRIMARIO E SVILUPPO» Antonio Pollio Salimbeni

BRUXELLES «The narrow path». Il sentiero stretto. Ecco lo slogan scelto dal Tesoro per il primo numero

della newsletter in inglese rivolta a un pubblico internazionale di investitori e opinion leaders. È il

condensato della sfida italiana: trovare l'equilibrio tra sostegno alla crescita e consolidamento della finanza

pubblica. In autunno la sfida dovrà essere tradotta in obiettivi e cifre della legge di bilancio 2018. Come è

noto, Bruxelles è disposta a riconoscere all'Italia massima flessibilità, ma non in mancanza di decisioni e

impegni precisi di riduzione della spesa pubblica e del debito. L'obiettivo del Tesoro è rafforzare la sua

narrazione delle cose: tra richieste di ulteriori sconti sulla manovra 2018, gestione lunga e faticosa delle

ultime due crisi bancarie e annunci da campagna elettorale dell'ex premier Renzi (che chiede un aumento

del deficit al 2,9%), non è impresa facile. Il messaggio centrale della newsletter (la testata si chiama The

italian view ) è questo: «Il governo ritiene che un aggiustamento di bilancio sia assolutamente necessario

per un paese con un alto debito come quello dell'Italia. Tuttavia, la decisione sul ritmo dell'aggiustamento è

cruciale perché potenzialmente può colpire le prospettive dell'economia settore privati incluso. E mentre un

aggiustamento lento può non dimostrarsi efficace per ridurre il debito, un aggiustamento troppo veloce può

rivelarsi dannoso per l'economia e quindi per il rapporto debito/Pil». I DATI Nella newsletter vengono messi

in fila diversi dati che servono a farsi un giudizio sull'appropriatezza o meno della politica di bilancio stretta,

appunto, fra due necessità divergenti: «Da un lato l'alto debito che implica una forte esposizione agli choc

finanziari esterni, dall'altro lato una ripresa all'inizio che deve essere nutrita». Tra il 2000 e il 2013 l'Italia ha

alternato 4 anni di recessione, 4 di crescita positiva sotto l'1%, 5 di crescita più alta fra 1 e 2%.

Successivamente, la seconda recessione, la ripresina nel 2014, proseguita a ritmi lenti nel 2015 e nel 2016.

Nel 2017 si sale all'1,3% (1,4% per Bankitalia). Andamento non soddisfacente, ma «certo un'inversione

rispetto agli incerti andamenti del passato». E veniamo ai conti. «La crescita non è il risultato di un bilancio

espansivo, ma si fonda su un surplus primario equilibrato e una riduzione costante del deficit (dal 3% del pil

nel 2014 al 2,1% nel 2017): ciò permetterà al rapporto debito/Pil di stabilizzarsi nonostante l'inflazione

molto bassa». Nel frattempo che cosa accadeva altrove? Dal 2009 Spagna, Francia e Regno Unito

crescevano di più, però avevano un deficit primario negativo mentre l'Italia è riuscita a tenere il bilancio

primario in territorio positivo dal 1993 con la sola eccezione del 2009. Solo la Germania «ha combinato

come l'Italia avanzo primario e crescita». Ecco il secondo messaggio: «La prospettiva è un aumento della

crescita con inflazione più alta, un continuo avanzo primario e un modesto debito implicito grazie alle

riforme delle pensioni del passato: tutto ciò porta a un calo del debito». LE RIFORME Terzo messaggio:

«La strada per l'aumento del potenziale di crescita è lunga, ma alcune riforme stanno cominciando a dare

frutti» (mercato del lavoro, cooperazione contribuenti-Erario, investimenti, riduzione imposte). Infine il

quarto messaggio sulle banche: gli ultimi dati indicano che le sofferenze nette sono calate del 12,4% a 77,2

miliardi (-9,6 miliardi) rispetto a fine 206 e nel 2018 Bankitalia prevede una riduzione dei non performing

loans a meno dell'8%. Morale: la via è stretta, ma l'Italia non è ferma.

L'andamento 3,0 0,0 -3,0 -6,0 1,8 0,2 0,2 1,6 0,9 2,0 1,5 -1,1 -5,5 1,7 0,6 -2,8 -1,7 0,1 0,7 0,9 1,1 -3,4 -3,1

-3,4 -3,6 -4,2 -3,6 -1,5 -2,7 -5,3 -4,2 -3,7 -2,9 -2,7 -3,0 -2,7 -2,4 -2,1 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 Fonte:

Mef PIL DEFICIT/PIL DEBITO/PIL 130 120 110 100 90

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SCENARIO PMI

12 articoli

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 138

16/07/2017

Pag. 1 Ed. Brescia

diffusione:245885

tiratura:332759

Indagine sulle imprese rezzatesi

la ripresa al microscopio

Massimo Tedeschi

Coincidenze rivelatrici. Nel giorno in cui i quotidiani riportavano con un misto di sorpresa e sollievo la notizia

che Bankitalia stima per quest'anno una crescita del Pil dell'1,4% (dato superiore alle attese) a Rezzato

veniva presentata la ricerca condotta da una giovane ricercatrice - Debora Ambrosi - sul tessuto produttivo

locale. Il comune alle porte di Brescia conta 704 attività (una ogni 19 abitanti): una su quattro appartiene al

settore manifatturiero (contro il 14,6% provinciale). A dispetto dell'apparenza di grande vetrina

commerciale, Rezzato è insomma culla di officine, fucina di fabbriche. Nonostante si trovi in un

conglomerato urbano ininterrotto che va dalla città a Bedizzole, questo paese di 13 mila abitanti conserva

un'identità, civile ed economica, anche grazie a una associazione di imprenditori (l'acronimo è Asimpre,

presidente Paolo Gares) che da vent'anni riunisce una bella fetta delle imprese locali, eroga liberalità e

borse di studio, promuove incontri. Fra le pieghe dello studio presentato ieri - promotori Asimpre, la Scuola

Vantini-Cfp e il Comune - emerge una messe di dati utile a capire quell'1,4% di crescita del Pil. È come se,

con un vertiginoso zoom, si fosse passati da una visione panoramica a una puntiforme. Dalla visione

d'insieme del gruppo dei corridori del Tour, al primo piano sui pedali di un ciclista che sta facendo

l'andatura. E che andatura. Nell'anno Ottavo della grande crisi, quella che ha bruciato un quarto della

produzione industriale nazionale, il 75% delle imprese rezzatesi guarda al futuro in modo positivo, il 60%

non è sfiorato dalla preoccupazione di un ridimensionamento, il 40% prevede di ampliare l'attività, il 35% ha

in cantiere nuove assunzioni per lo più di figure professionali portatrici di competenze innovative. Certo, la

selezione è stata durissima: rispetto a un'analoga ricerca di 5 anni fa risulta che il 55% delle aziende è

tuttora attiva, il 23% ha chiuso i battenti ma il 20% delle attività è di nuova apertura. L'ultimo dato da

evidenziare è quel 48% di imprese rezzatesi (quasi tutte piccole o piccolissime) che considerano decisivo

per il proprio futuro l'estero: prima che una sfida, l'internazionalizzazione è un valore entrato nel Dna delle

imprese. Ben vengano le macro-analisi di Bankitalia ma ben vengano anche queste ricerche al microscopio

che confermano (e consolano) indicando quanta energia, quanta capacità di ripresa, quanta voglia di fare

lievitano nelle nostre imprese. E spiegano, e trascinano, quei decimali di Pil in più.

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 139

17/07/2017

Pag. 34 N.27 - 17 luglio 2017

Piccole Medie aziende, storie persone

Turismo e spettacolo coppia d'assi

Festival della musica e del cinema, concerti, manifestazioni teatrali valgono 4 miliardi e sono un'importante forma di attrattiva per i viaggiatori. Da incentivare fiscalmente Isidoro Trovato

C'è un mondo fatto di piccole e micro imprese che ruota attorno al mondo dello spettacolo. Un settore che

fa grandi numeri: il volume d'affari è pari a quasi 4 miliardi di euro, con un incremento rispetto al 2015 di

poco superiore al 3%.

Ma è un mondo che ha anche sfaccettature diverse. Per esempio: vale circa 600 milioni di euro l'anno il

turismo legato ai festival musicali di tutti i generi, dalla classica al rock. Il trend è positivo anche in questo

caso perché le presenze turistiche legate ai festival sono cresciute del 10% durante l'ultimo anno.

«Il caso dei Festival dimostra - spiega Carlo Fontana, Presidente dell'Agis, Associazione generale italiana

dello spettacolo - in maniera inequivocabile un'altra caratteristica dello spettacolo, utile e utilizzabile a fini

turistici: essere anche decentrato e diffuso sul territorio, contribuendo quindi a valorizzare quell'Italia dei

borghi, fuori dal classico triangolo, Roma-Venezia-Firenze, imposto dal turismo globale. La qualità

complessiva dell'offerta è cresciuta sensibilmente negli ultimi anni perché sono aumentati i finanziamenti

statali per effetto del fondo unico dello spettacolo. Questo ha innescato un circolo virtuoso che ha portato a

un aumento della domanda: +4,27% di ingressi (220 mila circa), +12,02% di spesa al botteghino (2 miliardi

di euro circa) ».

Il binomio

L'interazione tra turismo e spettacolo è più evidente. Basti pensare ai casi dei Parchi di divertimento, che

creano stabilmente un indotto importantissimo nelle aree dove sono presenti. Per fornire un unico dato

esemplificativo, il più grande parco della Riviera Romagnola ha venduto nel 2014 direttamente (quindi ci

sarebbe da aggiungere le prenotazioni non direttamente gestite) più di 70 mila pacchetti turistici e oltre 220

mila pernottamenti. «Il settore della cultura e dello spettacolo - continua Fontana - oltre a svolgere da

sempre un'importantissima funzione sociale, hanno le carte in regola per diventare concreto motore di

sviluppo e di crescita».

L'accelerazione

Il ruolo dello spettacolo, quindi, se ben coordinato e sostenuto da una strategia statale, può essere

fondamentale nei confronti del settore turistico sia per aumentare la durata delle permanenze, sia per la

capacità di spesa del viaggiatore, contribuendo in maniera rilevante al potenziale «ritorno» a nel paese

visitato.

«Ma il comparto non può vivere di soli finanziamenti - osserva Fontana -. Credo nel modello americano:

negli Stati Uniti sono le aziende a finanziare o sponsorizzare grandi eventi o interi comparti del cinema e

dello spettacolo, ma lo fanno in cambio di incentivi fiscali. Uno schema replicabile anche in Italia dove si

moltiplicherebbero i potenziali investitori in un processo che ho vissuto in prima persona da sovraintendente

quando il Teatro La Scala di Milano è passato da ente pubblico a fondazione privata. La ricaduta

abbondante e certificata del comparto dello spettacolo sull'indotto fatto di migliaia di piccole e medie

imprese di tutti i settori giustificherebbe la scelta di incentivare fiscalmente gli investimenti dei privati».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Affari spettacolari 4 miliardi di euro Il volume d'affari dello spettacolo italiano, con un incremento rispetto al

2015 poco superiore al 3% +12,02% La spesa in aumento al botteghino (2 miliardi di euro circa), con una

domanda di biglietti che cresce del 4,27% 600 milioni di euro E' il valore annuale del turismo legato ai

festival, in crescita del 10% rispetto all'anno scorso Come piacciono gli integratori

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 140

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Pag. 34 N.27 - 17 luglio 2017

Continua a crescere il settore degli integratori alimentari che nel 2016 registra ottimi risultati sia nei canali

tradizionali che nella vendita diretta. In aumento le vendite in farmacie e supermercati che arrivano a un

valore complessivo di 3 miliardi (+ 6% sul 2015), mentre il canale distributivo diretto è stimato a circa 454,5

milioni.

Tra i più richiesti, quelli per tosse, raffreddore, modulazione dell'umore e sonno. Eventi, meno date e più

presenze

Sono diminuiti gli eventi e i congressi organizzati in Italia: nel 2016 arrivano a un totale di 386.897, con un

calo dell'1,5% rispetto al 2015. Una diminuzione mirata alla specializzazione che, secondo Federcongressi,

ha visto moltiplicarsi il numero dei partecipanti (28.173.514, più 8,4% ) e delle presenze (42.706.559, più

21,5%). Si allunga la durata media (1,41 giorni contro 1,35 giorni del 2015). 1.963.618 Tonnellate di dolci

industriali

È la produzione del 2016 (+1,4%). Secondo Aidepi, il fatturato cresce fino a 13 miliardi. Trainano gli affari il

cioccolato, che vale quasi 5 miliardi (+3,9%). In recupero la confetteria, con fatturato in rialzo (oltre un

miliardo nel 2016).

Foto: Carlo Fontana, presidente dell'Associazione dello Spettacolo

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 141

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INCENTIVI NORME& TRIBUTI

Più conveniente investire in start up

Francesco Avella

Dopo il via liberadalla Commissione europea alle agevolazioni previste per gli investimenti in start up e Pmi

innovative, diventano più interessanti le opportunità per chi intende investire in queste categorie di imprese.

Gli incentivi sono accessibili anche per i soggetti Irpef, in base alle disposizioni contenute nella legge di

Bilancio per il 2017. Le misure originarie sono riferite alle disposizioni del 2012 e 2016 per le start up e del

2012 e 2015 per le Pmi innovative. pagina 17 Un via libera che aumenta l'interesse degli investitori verso

startup e Pmi innovative. La Commissione europea ha da poco autorizzato- ai sensie per gli effetti

dell'articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, in materia di aiuti di stato

- le agevolazioni previste per gli investimenti in startup innovative (articolo 29, Dl 179/2012 e Dm 25

febbraio 2016) e Pmi innovative (articolo 4, comma 9, Dl 3/2015, che rinvia all'articolo 29 del Dl 179/2012)

nelle misure e nei termini vigenti dopo le modifiche apportate dalla legge di Bilancio per il 2017. Misure

differenziate Le agevolazioni si differenziano a seconda della tipologia del soggetto che decide di investire

nella startup o Pmi innovativa. Nel caso in cui l'investimento sia effettuato da un soggetto Irpef (anche

eventualmente per il tramite di società di persone) l'agevolazione consiste, dal 2017, in una detrazione

dall'imposta in misura pari al 30% dell'investimento effettuato. Se il soggetto che effettua l'investimento è,

invece, un soggetto Ires, l'agevolazione consiste in una deduzione dal reddito imponibile nella misura del

30% dell'investimento effettuato. Le stesse agevolazioni spettano anche se gli investimenti sono effettuati

tramite società fiduciaria (risoluzione delle Entrate 9/E del 2015). Sul punto, si segnala che in virtù di quanto

precisato nella recente circolare 3699/C del ministero dello Sviluppo economico, pubblicata il 13 giugno

2017, i dati del fiduciante non saranno più visibili in certificato o in visura: il ministero ha infatti modificato la

modulistica e ha eliminato la sezione nella quale andavano forniti i dati del fiduciante, i cui estremi saranno

esposti in un altro modulo ad uso interno «che consente l'acquisizione dei dati relativi al fiduciante ai fini

istruttori, ma che ne evita la pubblicizzazio• ne verso terzi». I documenti Per beneficiare legittimamente delle

agevolazioni, gli investitori devono ricevere dalla start•up o Pmi innovativa e conservare: 1 una certificazione

nella quale si attesti che la start•upo Pmi innovativa non ha superato il limite massimo di conferimenti

agevolabili (si veda l'altro articolo nella pagina); 1 una copia del piano di investimento della startup o Pmi

innovativa, contenente informazioni dettagliate sull'oggetto della prevista attività della società, sui prodotti,

nonché sull'andamento, previsto o attuale, delle vendite e dei profitti. La certificazione deve essere

rilasciata entro il termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta in

cui l'investimento agevolato si intende effettuato. Cause di decadenza L'investimento agevolato deve

essere mantenuto per almeno tre anni, pena la decadenza dall'agevolazione. Costituiscono cause di

decadenza: 1 la cessione, anche parziale, a titolo oneroso, delle partecipazioni o quote ricevute in cambio

degli investimenti agevolati, inclusi gli attia titolo oneroso che importano costituzione o trasferimento di diritti

reali di godimento e i conferimenti in società, nonché la cessione di diritti o titoli attraverso cui possono

essere acquisite le predette partecipazioni o quote (nel caso di investimenti tramite Oicr e società di capitali

qualificate, ci si riferisce alle operazioni effettuate sui titoli o azioni dell'Oicr o società qualificata); 1 la

riduzione di capitale nonché la ripartizione di riserve o altri fondi costituiti con sovrapprezzi di emissione

delle azioni o quote delle start•up o Pmi innovative (nel caso di investimenti tramite Oicr e società di capitali

qualificate, ci si riferisce alla ripartizione di fondi effettuata dall'Oicr o società qualificata); 1 il recesso o

l'esclusione degli investitori; 1 la perdita di uno dei requisiti previsti per la start•up o Pmi innovativa, ad

eccezione dei casi in cui tale perdita sia dovuta a: e scadenza dei cinque anni dalla data di costituzione

della start•up innovativa (perdita fisiologica); r superamento delle soglie dimensionali previste per startup

innovative (valore della produzione annua di 5 milioni di euro) e Pmi innovative (soglie delle Pmi come

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 142

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definite dalla Raccomandazione 2003/361/Ce); t quotazione su un sistema multilaterale di negoziazione.

Non costituiscono invece cause di decadenza dall'agevolazione: 1 i trasferimentia causa di morte; 1 i

trasferimentia titolo gratuito; 1 i trasferimenti conseguenti alle operazioni straordinarie di trasformazione,

fusione, scissione, conferimenti di partecipazioni di controllo/collegamento, scambi di partecipazioni, anche

se intracomunitarie. La decadenza comporta per gli investitori l'obbligo di effettuare la recapture

dell'agevolazione fruita, restituendo le imposte risparmiate oltre agli interessi legali.

30% La detrazione o deduzione Destinata agli investimenti a partire dal 2017

LA PAROLA CHIAVE

Startupe Pmi innovativa 7 Società di capitali non quotata in possesso di specifici requisiti che denotano

l'innovatività dell'attività svolta. La startup innovativa ha limiti dimensionali più contenuti (valore della

produzione annuo non superiore a 5 milioni di euro) e deve possedere un solo requisito tra i tre indicati

dalla legge. La Pmi innovativa ha invece limiti dimensionali più elevati (ha valore della produzione annuo

non superiore a 50 milioni di euro o totale di bilancio non superiore a 43 milioni di euro) ma deve possedere

due dei tre requisiti indicati dalla legge

L'esempio 01 L'OBIETTIVO Un imprenditore intende supportare una start•up innovativa nel corso del 2017,

fruendo dei benefici fiscali connessi all'investimento. La startup innovativa necessita di2 milioni di euro per

effettuare importanti investimentie l'investitore intende massimizzarei benefici fiscali fruibili 02 L'UTILIZZO

ABBINATO A tal fine, l'imprenditore potrà: 8 investire un milione di euro privatamente (cioè il massimo

investimento agevolabile peri soggetti Irpef, essendoi benefici fiscali peri soggetti Irpef maggiori di quelli

peri soggetti Ires), ottenendo in tal caso una detrazione dall'imposta pari al 30% dell'investimento effettuato,

con un risparmio fiscale di 300.000 euro; 8 investire il restante milione di euro mediante la propria società di

capitali (restando certamente nei limiti previsti per il massimo investimento agevolabile peri soggetti Ires,

che sono paria 1,8 milioni di euro), ottenendo in tal caso una deduzione dal reddito imponibile della società

pari al 30% dell'investimento effettuato, con un risparmio fiscale pari all'aliquota Ires corrispondentea tale

deduzione, cioè 72.000 euro (1.000.000x 30%x 24%) 03 IL CALCOLO DEI VANTAGGI Così facendo,

l'imprenditore potrà investire nella start•up innovativa i2 milioni di euro necessari, ottenendo benefici fiscali

per complessivi 372.000 euro già nell'anno successivoa quello dell'investimento (nel modello Redditi 2018

relativo al 2017). Ciò rende l'investimento effettuato sostanzialmente pari ad 1.628.000 euro o, se si

preferisce, conferisce all'investimento di2 milioni di euro un rendimento pressoché immediato di circa il 18%

(372.000/2.000.000) 04 IL RISPARMIO D'IMPOSTA I benefici fiscali concessi sotto forma di detrazionee

deduzione esplicanoi loro effetti, sostanzialmente, nella dichiarazione relativa al periodo d'imposta in cui

sono effettuati gli investimentie quindi ai fini degli obblighi di versamento del saldo 2017 dovuto entro il 30

giugno 2018 (salvo tenerne conto in via previsionale già ai fini degli acconti sul 2017 versati in prima rata il

30 giugnoe in seconda rata il 30 novembre)

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 143

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Moda. A Padova l'assemblea dei produttori di calzature della Riviera del Brenta VENETO

Scarpe di lusso, ricavi oltre i 2 miliardi

IL FUTURO Argomento centrale dell'incontro annuale la rivoluzione 4.0 e le sue possibili applicazioni nel settore calzaturiero Katy Mandurino

PADOVA In Italia la produzione calzaturiera è diminuita nel 2016 del 2%, l'export dello 0,9%. Le aziende

sono calate di 97 unità e gli occupati di 298 addetti, con una crescita della cassa integrazione ordinaria del

10,8% (+11% quella straordinaria). Nella Riviera del Brenta, distretto veneto della scarpa di lusso, fiore

all'occhiello della produzione e della subfornitura calzaturiera made in Italy, sembra essere successo il

contrario. L'anno scorso le aziende sono aumentate di 12 unità (fino ad arrivare a 532), gli addetti sono

passati da 10.032 a 10.389, le paia di scarpe prodotte sfiorano i venti milioni (+2,1% sul 2015), per la prima

volta il fatturato ha superato i 2 miliardi di euro (+6,2%). Numeri d'eccellenza, che, però, non impedi• scono

al cluster di soffrire di alcune difficoltà. La prima è quella di apprendere appieno la sfida costituita dalla

rivoluzione industriale 4.0, tema a cui è stata dedicata l'assemblea annuale di Acrib, l'associazione

confindustriale che riunisce i produttori della Riviera del Brenta a cavallo tra le province di Padova e

Venezia. «Dobbiamo sbrigarci a cambiare • ha intimato dal palco il presidente di Acrib Siro Badon •. Prima

comprenderemo quello che abbiamo davanti e prima sapremo cogliere le opportunità che offre il

cambiamento». Ma cosa può significare la rivoluzione industriale 4.0 per il mondo dei calzaturie• ri?

«Dobbiamo puntare sulla qualità• ancora il presidente di Acrib •, interpretando il cambiamento che, ad

esempio, vede l'utilizzo sempre più diffuso delle suole di gomma anche nella fascia di lusso medio alto.

Dobbiamo costruire una nuova filiera, dobbiamo puntare sempre più sulla flessibilità, nostra arma vincente

da sempre». Grande attenzione, per Badon, va data alla formazione: «Bisogna • ha aggiunto • investire sulla

formazione dei giovani attraverso il Politecnico Calzaturiero, vero gioielloe biglietto da visita del nostro

distretto». E sul ruolo centrale del Politecnico spinge anche il presidente di Confindustria Veneto Matteo

Zoppas: «Industria 4.0è in grado di portare reale beneficio alle imprese. Va capito e colto, è una occasione

imperdibile per dare sprint all'innovazione. La Riviera del Brenta ha una marcia in più con il Politecnico, che

deve diventare il primo centro di formazione al mondo per il settore. Ne ha tutte le capacità e potenzialità».

Sulla necessità di cambiare in ottica 4.0 hanno insistito anche gli ospiti dell'assemblea, da Riccardo

Donadon, fondatore dell'acceleratore di start up H•Farm • «La rivoluzine digitale è una cosa semplice, non

siate spaventati» • a Tommaso Cancellara, direttore generale di Assocalzaturifici • l'innovazione nella

formazione è diventata centrale per i calzaturieri italiani». Ma, al di là delle difficoltà culturali, il presidente

dell'associazione Siro Badon non ha omesso di ricordare che il settore resta afflitto da problematiche

oramai divenute croniche: la burocrazia che sta soffocando il Paese e costa alle piccole e medie imprese

tra i 45 e i 190 giorni/uomo; un fisco eccessivo e ingiustificato, che ha portato la pressione al 65%, ben al di

sopra della media europea; un sistema bancario che in Veneto «sta facendo pagare alla collettività i propri

errori». «Spesso • ha concluso Badon • le occasioni per innovare non si colgono anche perché non ci sono le

risorse e la patrimonializzazione sufficiente per sostenere nuove spese». IL CLUSTER 2miliardi I ricavi Nel

2016 per la prima volta il fatturato del comparto ha superato i 2 miliardi di euro (+6,2%) 532 Le aziende del

distretto L'anno scorso sono aumentate di 12 unità, mentre gli addetti sono passati da 10.032 a 10.389 20

milioni La produzione Le paia di scapre prodotte nel 2016, con un aumento del 2,1% rispetto all'anno

precedente 65% Il fisco La pressione fiscale denunciata dai calzaturieri

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 144

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Quotazioni. Per la settimana prossima attesi cinque debutti all'Aim per la Borsa milanese

Sull'Aim di Piazza Affari un'Ipo al giorno

LE PROTAGONISTE Culti Milano e Pharmanutra hanno già il via libera definitivo e la data del debutto, a seguire toccherà a Glenalta, Sprint Italy e Sit Group Mo.D.

pRound pre vacanze impegnativoa Piazza Affari sul fronte dei debutti. La prossima settima potremmo

vederne uno al giorno. Non grandi quotazioni, ma pmi che arrivano sull'Aim. Ad aprire le danze lunedì sarà

Culti Milano, società specializzata nella produzione e distribuzione di fragranze d'ambientee cosmesi del

gruppo Intek, che fa capo alla famiglia Manes. La società si presenta al mercato con un un fatturato

(pro•forma) 2017 pari a 4,967 miolioni e un margine operativo lordo (Ebitda) di 339mila e con l'obiettivo di

chiudere l'esercizio in corso con 5,854 milioni di fatturato e 1,071 milioni di Ebitda. Al mercato andrà il 30%

di capitale. Martedì sarà la volta di Pharmanutra, che conta su un fatturato attorno ai 32,8 milioni, cresciuto

del 20% rispetto all'anno precedente. La quotazione in Borsa avverrà tramite la spac di nuova generazione

Ipo Challenger 1, la pre•booking company di cui è stato anchor investor Ipo Club, fondo chiuso lanciato nel

maggio 2016 da Azimut Global Counseling ed Electa Ventures. Ai blocchi di partenza anche due Spac:

Glenalta e Sprint Italy. La prima è la "sorella" generalista di Glenalta Food, che portò a termine l'operazione

con Orsero. Se con la Spac dedicata al settore alimentare erano state raccolte adesioni per oltre 94 milioni

di euro, questa volta l'obiettivo dichiaratoè più alto: trai 120 e i 140 milioni. Sprint Italy, invece, è una Spac

promossa da Gerardo Braggiotti (33,3%), 33,3%, da Matteo Carlotti e Fineurop Soditic (33,3%). Il target

della spac sarà un'azienda italiana con un equity value tra 200 e i 400 milioni. Chi, invece, dovrebbe

debuttare la prossima settimana in Borsa proprio attraverso una Spac è Sit Group, specializzata nella

progettazione, produzione e commercializzazione di componenti per gli apparecchi a gas a uso domestico.

L'operazione avverrà tramite Industrial Stars of Italy 2, la seconda Spac promossa da Attilio Arietti e

Giovanni Cavallini, che nel maggio del 2016 aveva raccolto 50,5 milioni di euro. La società ha chiuso

l'ultimo trimestre don un margine operativo lordo (Ebitda) di 44,84 milioni, a fronte di un fatturato da 288

milioni. Piazza Affari, quindi, accelera il passo anche grazie all'effetto dei Pir sul mercato. Ad oggi le

quotazioni in Borsa in Italia sono state 18, ma c'è chi stima potrebbero arrivare a 50 per fine anni grazie

proprio alla carica delle pmi. Fra le grandi, se Ferrovie sembra destinata ad andare al prossimo anno, è

atteso il ritorno a Piazza Affari di Pirelli. Secondo indiscrezioni, poi, anche Furla potrebbe iniziare l'iter per la

quotazione a settembre. Di quest'ultima più volte si è pronosticato il debutto sul mercato e forse potrebbe

essere arrivato il momento considerato che il brand ha chiuso l'esercizio 2016 con un fatturato di 422

milioni, in crescita del 24,5% a cambi correntie del 22%a cambi costanti. Quasi doppia la crescita

dell'Ebitda (+48%), di cui però non viene comunicato il valore assoluto. © RIPRODUZIONE RISERVATA I

NUMERI 18 Ipo Nei primi mesi dell'anno Piazza Affari ha registrato 18 quotazioni in Borsa, contro le 20

dell'intero 2016, le 32 del 2015. Il trend di crescita dovrebbe essere confermato nei prossimi mesi. 5 uovi

debutti Settimana particolarmente intensa per i debutti a Piazza Affari. Lunedì arriverà in Borsa, sull'Aim,

Culti Milano, mentre martedì sarà la volta di Pharmanutra. A seguire Glenalta, Sprint Italy e Sit Group. 312

milioni Il valore dell'Ipo DoBank La quotazione più "pesante" ad oggia Milanoè stata per il 2017 quella di Do

Bank con 312 milioni, seguita da Banca Farmafactoring che ha raccolpto in Ops 274 milioni. Unieuro, poi,

ha raccolto 77 milioni, mentre per IndelB la raccoltaè stata di 32,78 milioni.

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 145

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PARTERRE

Accordo nel settore degli advisor Cassiopea si allea con Finer

(C.Fe.)

Importante accordo nel settore delle boutique dell'advisory. Cassiopea Partners ha infatti stretto un'alleanza

strategica con la Finer. Dall'accordo emerge così un rafforzato player nell'assistenza alle piccole e medie

imprese sul lato delle operazioni straordinarie. Si tratta di una operazione che conferma un trend che si sta

sempre più consolidando sul mercato italiano: lo sviluppo di boutique di pura advisory, che si stanno

rafforzando con l'ingresso di banker in uscita da grandi banche d'investimento. Proprio il mercato italiano,

del resto, si sta sempre più stratificando: oltre a leader come Rothschild e Lazard, c'è la presenza di

strutture di advisory statunitensi come Lincoln, Houlihan Lokey, Jefferieso europee come Alantra.

L'interesseè focalizzato proprio sul settore delle Pmi. Cassiopea Partners, struttura che ha tra i suoi partner

Stefano Trentinoe Marco Torresani,già specializzata in fusionie acquisizioni e ristrutturazioni, ha così

trovato un accordo strategico con Finer, che invece ha il suo core business nell'assistenza alle grandi

famiglie imprenditoriali. Fondatore di Finerè Giorgio Maria Introini, banker dal 2000 al 2013 managing

director nel dipartimento M&A e Corporate Finance di Mediobanca. Con l'accordo Introini sarà anche

partner di Cassiopea.

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 146

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FOCUS

Pattern si allarga nell'alta moda con Studio Roscini

(e.m.a.)

Nel campo della moda l'unione fa la forza. Lo dimostra il caso di Pattern che acquisisce il controllo tramite

affitto di ramo d'azienda di Roscini dando vita a una "sinergia fra sperimentazione, tradizione e innovazione

nella produzione di capi di alta moda". Lo Studio Roscini è una storica società umbra anch'essa

specializzata nella fasi della modellistica, prototipia e produzione di capi di qualità. Lo Studio Roscini fu

fondato nel 1987 da Anna Maria Roscini. Le due aziende vanno così a costituire insieme "la più grande

realtà internazionale indipendente per capacità di progettazione e modellistica dedicata alle prime linee ed

ai top brand internazionali" dicono dalle società. Il nuovo gruppo Pattern - Roscini conterà poco meno di

150 tra modelliste, persone addette allo sviluppo prodotto e sarte prototipiste, e questa unione permetterà

di proseguire al meglio nell'offerta di un supporto completo, garantendo qualità e affidabilità nel servizio di

produzione in serie dei capi. Pattern, da fine 2016, è entrata a far parte del progetto Elite di Borse Italiana,

iniziativa che accelera la crescita delle migliori Pmi italiane attraverso un percorso di sviluppo organizzativo

e manageriale.

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 147

15/07/2017

Pag. 1 N.138 - 15 luglio 2017

diffusione:59149

tiratura:117908

INCHIESTA / I BOSS DELLE SOFFERENZE

Chi acquista i non performing loans, chi li gestisce, chi li riscuote (e

come...)

Claudia Cervini

INCHIESTA Ic asi si contano sulle dita di una mano. Eppure c'è un crescente numero di banche che

sceglie di gestirsi gli Npl in casa senza appoggiarsi a operatori esterni specializzati. Ad aprire questa strada

è stata Intesa Sanpaolo, mentre l'ultimo caso di cronaca è quello di Unipol. Le ragioni di questa scelta sono

semplici da intuire. «Non abbiamo nessuna intenzione di regalare a operatori specializzati i valori

sottostanti i crediti e nemmeno danneggiare con operazioni frettolose le imprese debitrici», ha dichiarato il

presidente di Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros-Pietro, lo scorso aprile. «Noi contiamo da un lato sulle

professionalità dei nostri operatori, dall'altro sulla buona salute del sistema produttivo», ha aggiunto il

banchiere. «Gli npl sono per la stragrande maggioranza crediti verso Pmi. Non bisogna fermarsi all'aspetto

cartaceo o giuridico. Il nostro obiettivo è ricavare da questi crediti il maggior valore possibile». Secondo il

progetto, varato dal Cda della banca di Ca' de Sass lo scorso marzo, entro la fine del 2019 l'incidenza dei

crediti deteriorati sui crediti complessivi alla clientela dovrebbe scendere a circa il 10,5% al lordo delle

rettifiche di valore e a circa il 6% al netto, dal 14,7% e 8,2%, rispettivamente, di fine 2016. La capital light

bank (la divisione dedicata) è pienamente operativa, con 740 addetti e 22 miliardi di euro di riduzione di

attivi noncore già conseguita nel primo trimestre. Anche Ubi Banca ha scelto di gestire internamente i

crediti deteriorati senza ricorrere a vendite massive.A determinare tale scelta, la dimensione contenuta

degli stock, la forte contrazione dei nuovi flussi da crediti in bonis a crediti deteriorati (nel 2016 -70%

rispetto al picco del 2012 e in linea con il dato pre-crisi del 2007) e l'elevata capacità di recupero dei crediti

deteriorati (oltre l'8% dello stock totale di crediti deteriorati recuperato nel 2016), assieme alla solida

posizione patrimoniale (Cet1 pari all'11,4 al 31 marzo di quest'anno) e all'abbondante posizione di liquidità.

Nel piano presentato a marzo 2017 alla Bce, Ubi prevede di poter ridurre entro il 2020 il livello dei crediti

deteriorati lordi all'11,5% e di quelli netti al 7,2%. La banca dispone di un team centralizzato di circa 400

persone, di cui 130 dedicate al recupero delle sofferenze (l'unità è operativa dal 2009) e circa 270 al

recupero delle Inadempienze probabili. Ha deciso di gestire in casa i crediti non performanti pure Banco

Bpm, anche se, da piano industriale, prevede una strategia mista che include anche la dismissione di alcuni

pacchetti di Npl. In una recente intervista l'a.d. Giuseppe Castagna ha ricordato che a metà giugno è stata

ceduta una tranche di 693 milioni nella prima vera cessione di non performing loans garantiti. Cessioni a

parte l'istituto sta gestendo internamente il portafoglio «con ottimi risultati» (queste le parole dell'a.d.) e di

questo passo, oltre agli 8 miliardi concordati con la Bce, potrà venderne altri 5-6 miliardi recuperando più di

quello che avrebbe incassato vendendo «all'ingrosso». Allo scopo, va ricordato, ha assunto gestori

specializzati in modo da selezionare gli asset da vendere. Il caso più recente tra chi ha scelto di fare da sé

è quello di Unipol Banca. L'istituto ha deciso di costituire una nuova società che sarà partecipata dagli

attuali soci vale a dire Unipol al 57,75% e UnipolSai al 42,25%, con quest'ultima che detiene anche una put

su una quota del 27,5% che può esercitare nei confronti della capogruppo. All'interno della newco verrà

trasferito un portafoglio crediti in sofferenza di Unipol Banca da circa 3 miliardi di euro. Tali asset verranno

valorizzati attorno al 20% del nominale. È inoltre previsto il rafforzamento - attorno al 40% - del tasso medio

di copertura delle inadempienze probabili che rimarranno in capo a Unipol Banca. (riproduzione riservata)

Foto: Gian Maria Gros-Pietro

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 148

15/07/2017

Pag. 20 N.138 - 15 luglio 2017

CREDITI DETERIORATI INCHIESTA

I signori degli npl

Stefania Peveraro

diffusione:59149

tiratura:117908

Che la gestione dei crediti in sofferenza e deteriorati più in generale sia un business in crescita lo dimostra

anche il grande successo che ha avuto tra gli investitori istituzionali l'ipo di doBank, il gruppo bancario nato

dall'ex Uccmb (la piattaforma di gestione di crediti deteriorati di Unicredit) e dalla fusione con Italfondiario.

Sbarcata venerdì 14 luglio a Piazza Affari con una capitalizzazione iniziale di 704 milioni di euro, doBank ha

chiuso in anticipo l'offerta destinata soltanto agli istituzionali il 12 luglio, a fronte di una domanda che è stata

ben 4,65 volte l'offerta. E il primo giorno di negoziazione si è chiuso con il botto: +13,89% a 10,25 euro

contro i 9 euro del collocamento. D'altra parte basta guardare al tasso di crescita delle masse di crediti

gestite dai protagonisti del settore e alla massa di crediti deteriorati che ancora sono sui libri delle banche

italiane per capire che si tratta di un settore interessante nel quale lavorare. Certo, bisogna essere bravi a

recuperare i crediti in questione, perchè poi è da quello che dipendono in ultima analisi i ricavi degli speciali

servicer, che sono appunto i soggetti che si occupano di monitoraggio, gestione e recupero dei crediti non

performing. Non solo. Nel caso in cui i crediti siano stati cartolarizzati, allora entrano in gioco anche i

cosiddetti master servicer, che si occupano di gestire le relazioni con gli organi di vigilanza. E anche in

questo caso l'attività è destinata a crescere, vista l'enorme pipeline di operazione, in primo luogo quelle di

Unicredit e di Mps, rispettivamente da 17,7 e 26,1 miliardi di euro lordi. Si tratta di portafogli enormi in arrivo

sul mercato, che portano il conteggio delle controvalore delle operazioni di compravendita di npl da inizio

anno addirittura già vicino a quota 42 miliardi (fonte BeBeez ). Peraltro, senza tenere conto dei 18 miliardi

di euro di npl in portafoglio alle due banche venete e che saranno traslocati alla Sga per essere poi ceduti

sul mercato e senza tenere conto anche delle tante piccole operazioni che di norma non vengono

comunicate. Insomma, il lavoro per i servicer è in continuo aumento in Italia e nei prossimi mesi lo sarà

ancora di più, perché le linee guida della Bce in tema di gestione delle partite deteriorate porteranno le

banche a essere molto più attente ai propri portafogli di npl, sia che decidano di cederli sia che scelgano di

lavorarli internamente. PwC nel suo ultimo report sul settore in Italia ha calcolato che a fine 2016 i servicer

indipendenti gestivano npl in portafoglio a banche, società finanziarie e investitori specializzati per un totale

lordo di circa 135-155 miliardi di euro, di cui 85 miliardi in portafoglio alle banche (o circa il 40-45% degli npl

delle banche) e il resto in portafoglio ad altri soggetti. Secondo PwC la quota di npl che verranno gestiti dai

servicer andrà crescendo nei prossimi anni, per arrivare a fine 2018 a un totale di 200 miliardi, con le

banche in particolare che faranno gestire dai servicer circa il 60% dei loro npl. E questo perché, sebbene il

valore degli npl sui portafogli delle banche sia previsto diminuire nei prossimi cinque anni, si assisterà a un

aumento delle cessioni di portafogli e quindi del lavoro per i servicer. Allo stesso modo è ragionevole

immaginare che le banche saranno sempre più favorevoli a dare in outsourcing la gestione dei portafogli di

npl, magari coinvolgendo sulle proprie piattaforme di gestione soggetti terzi. Tutto questo ha scatenato una

corsa alla concentrazione del mercato, alla ricerca delle economie di scala e di un allargamento delle

competenze, per essere in grado di trattare qualunque tipologia di credito deteriorato. Non a caso, come

già sottolineato da MF Milano Finanza nei mesi scorsi, in Italia si sta assistendo a un risiko dei servicer e

PwC prevede che l'attività di m&a nel settore continuerà. Tra gli special servicer, al momento a fare la parte

del leone è doBank, che a fine 2016 gestiva 80,9 miliardi di euro di crediti deteriorati, di cui 77,2 miliardi

erano npl. A fine marzo 2017 gli asset in gestione erano saliti a 82,5 miliardi. doBank un anno fa aveva

acquisito Italfondiario, il secondo servicer indipendente in Italia. A vendere sono stati gli stessi fondi di

Fortress (che controllavano Italfondiario all'88,75%) e Intesa Sanpaolo (che aveva in portafoglio l'11,25%

del capitale). Il valore della transazione non era stato reso noto, ma doBank aveva fatturato 90 milioni di

euro nel 2015 mentre Italfondiario aveva registrato ricavi per 56,4 milioni. La nuova realtà, guidata

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 149

15/07/2017

Pag. 20 N.138 - 15 luglio 2017

diffusione:59149

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dall'amministratore delegato Andrea Mangoni, ha poi invece chiuso il 2016 con ricavi consolidati per 206

milioni, con un ebitda di addirittura 64 milioni. Certo, una fetta importante del business dipende dalla

capacità di intercettare la gestione dei grandi portafogli che saranno messi sul mercato dalle grandi banche.

In particolare il Documento di registrazione dell'offerta di doBank segnalava che a proposito cella cessione

dei 17,7 miliardi di euro di sofferenze di Unicredit, per cui sono stati firmati accordi di cessione a veicoli

controllati da Fortress e Pimco, con Unicredit che parteciperà al 49% ciascun veicolo, andrà firmato un

nuovo accordo di master servicing su crediti che attualmente sono gestiti da doBank. Detto questo, doBank

si aspetta ragionevolmente che i contenuti del nuovo accordo restino analoghi a quelli del vecchio accordo.

Al secondo posto nella classifica per asset in gestione c'è Cerved, che ha 12,4 miliardi di euro di npl in

gestione a fine 2016 e punta a crescere velocemente nel settore. I risultati trimestrali hanno evidenziato

che, sebbene la fetta più importante di ricavi e reddività di Cerved arrivi dall'attività di business information,

quella di gestione dei crediti continua a guadagnare peso sul risultato complessivo. L'attività di gestione

degli npl, in capo a Cerved Credit management, guidata da Andrea Mignanelli, è infatti ad alto valore

aggiunto. L'amministratore delegato di Cerved, Marco Nespolo, ha spiegato a MF Milano Finanza che «per

ogni miliardo di euro di npl in gestione, a commissioni di mercato si genera circa 1 milione di euro di ebitda.

Per contro, gestire crediti performing è meno remunerativo, si parla di circa 3-400 mila euro per ogni

miliardo l'anno». Lo scorso novembre Cerved era riuscito ad aggiudicarsi la gara per Juliet, la piattaforma di

gestione di npl del Monte dei Paschi, con tanto di accordo annesso per la gestione di un terzo degli npl lordi

del gruppo bancario senese, cioè 9 miliardi di quelli che allora erano 27 miliardi lordi di npl da cartolarizzare

e cedere in un'operazione che era stata strutturata contestualmente al progetto di ricapitalizzazione firmato

Jp Morgan-Mediobanca, poi naufragato. Con lo stop a quel progetto, quindi, anche l'accordo di cessione

della piattaforma Juliet era andato in soffitta. Una decina di giorni fa, però, c'è stata la svolta e, oltre a

vedere risolto il tema della ricapitalizzazione della banca, la questione Juliet si è sbloccata, con Quaestio

Holding che ha firmato un'esclusiva con Cerved per l'acquisizione congiunta di Juliet e per una partnership

industriale per le attività di special servicing sui titoli della prevista cartolarizzazione di 26,1 miliardi di euro

di npl su un totale di 28,6 miliardi in portafoglio alla banca e con un pacchetto di unsecured e leasing da 2,5

miliardi che sarà ceduto a parte. I crediti saranno venduti al prezzo di 5,5 miliardi alla società veicolo che si

finanzierà inizialmente emettendo titoli mezzanine per 1,1 miliardi. Il 95% di questi titoli saranno sottoscritti

da Atlante 2, gestito da Quaestio capital management sgr. Nei giorni scorsi Cerved ha anche portato a casa

il mandato di special servicer della cartolarizzazione da 1,4 miliardi di euro degli npl di Creval e Cerved ha

anche ottenuto dalla banca l'incarico di proseguire la gestione in outsourcing del portafoglio di sofferenze

residue. Da segnalare, infine, Prelios Credit Servicing, che se a fine 2016 aveva solo 9 miliardi di euro di

npl in gestione, quest'anno ha già firmato un contratto molto importante. La società guidata da Riccardo

Serrini ha affiancato Banca Carige come master servicer e special servicer nella cartolarizzazione di 938

milioni di euro di crediti non performing appena andata sul mercato. Sul fronte degli investimenti, Atlante 2

è certo uno dei protagonisti del settore quando si parla di cartolarizzazioni. Tuttavia chi sinora ha comprato

più portafogli è stata Banca Ifis, che da inizio anno ha annunciato otto acquisizioni per un totale lordo di

oltre 2,5 miliardi di euro di npl, dopo averne comprati per 3,1 miliardi nel 2016. Guidata da Giovanni Bossi,

la banca sta puntando decisamente molto sul settore degli npl: l'area npl, di cui è responsabile Andrea

Clamer, ha contribuito infatti al margine di intermediazione della banca per ben 187,4 milioni di euro nel

2016 (da 56,3 milioni nel 2015) su un totale di 358,6 milioni (da 408 milioni). Molto attivo quest'anno è

anche il gruppo polacco Kruk, che nei soli primi sei mesi dell'anno ha acquistato in Italia portafogli di npl per

un valore lordo di oltre 1 miliardo di euro. (riproduzione riservata)

I PRINCIPALI SERVICER ITALIANI INDIPENDENTI Nome doBank-italfondiario Cerved Credit Man. Caf

Fbs Guber Hoist Italia Sistemia Advancing Trade MbCredit Solutions Prelios Finint Revalue Kruk Italia Fire

Bayview Italia Primus Capital Link Financial Officine CST (4) Cribis Credit Man. Credito Fondiario AZ

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 150

15/07/2017

Pag. 20 N.138 - 15 luglio 2017

diffusione:59149

tiratura:117908

Holding Fides Parr Credit CS Union SiCollection Gextra - Lindorff(3) Securitisation Serv. Serfin Centotrenta

Servic. Zenith Service GRAFICA MF-MILANO FINANZA Vigilanza Banca 115 Tulps 115 Tulps 106 Tub 115

Tulps 115 Tulps 115 Tulps 106 Tub/115 Tulps 106 Tub 106 Tub 106 Tub 115 Tulps 115 Tulps 115 Tulps

106 Tub 106 Tub 115 Tulps 115 Tulps Banca 115 Tulps 115 Tulps 115 Tulps 106 Tub 115 Tulps 115 Tulps

106 Tub 115 Tulps 106 Tub 106 Tub Dati al 31/12/2016 in mld euro Npl in gestione 77,2 12,4 8,1 7,9 7,4

6,6 4,9 4,3 4,1 3,3 2,9 2,7 2,6 2,2 2,2 2,1 1,8 1,4 1,2 1,1 1 0,9 0,7 0,6 0,5 0,5 0,5 Special servicing Master

servicing Crediti perf. in gestione Crediti perf. in gestione Altri deteriorati in gestione (2) 1,8 3,1 0,1 1 0,1

11,2 1,1 0,2 0,3 0,2 0,1 0,1 0,1 1,9 9,2 0,2 0,7 0,1 1,1 8,2 1,2 0,3 1,7 0,6 7,2 12,8 24,6 4,9 14,9 Ricavi

Ebitda mln di € 206 85 19 18 40 17 17 34 60 9 n.a. 40 n.a. 4 11 22 27 8 20 9 18 19 3 - 1) crediti in gestione

sia di proprietà sia di terze parti 2) inadempienze probabili e crediti scaduti 3) Gextra è stata acquisita da

Lindorff nel maggio 2017; Dati estratti dal bilancio di doBank, ma non sottratti dai numeri di doBank 4)

specializzata soprattutto in crediti verso la pubblica amministrazione 5) Officine CST is specialised mainly in

PA credit servicing Note: Tulps = Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, Tub = Testo Unico

Bancario 64,3 24,4 6,8 7,3 19,4 0,8 3,9 5,4 -0,2 0,5 nd 1,4 nd nd nd 3,9 nd nd 2,8 nd 2,5 1,8 nd 0,4 9,8 nd

0,5 - Fonte: elaborazioni di PwC su dati forniti dai servicer

CHI HA COMPRATO E VENDUTO NPL IN ITALIA DA INIZIO 2017 Data Gennaio 2017 Gennaio 2017

Gennaio 2017 Gennaio 2017 Gennaio 2017 Gennaio 2017 Gennaio 2017 Gennaio 2017 Febbraio 2017

Febbraio 2017 Febbraio 2017 Marzo 2017 Marzo 2017 Marzo 2017 Marzo 2017 Aprile 2017 Aprile 2017

Aprile 2017 Maggio 2017 Maggio 2017 Maggio 2017 Maggio 2017 Giugno 2017 Giugno 2017 Giugno 2017

Giugno 2017 Giugno 2017 Giugno 2017 Giugno 2017 Luglio 2017 Luglio 2017 Luglio 2017 Luglio 2017

Luglio 2017 Luglio 2017 Luglio 2017 01/07/2017* TOTALE Venditore Bnl BnpParibas Banca Ifis Banco

Bpm Banco Desio e Pop. Spoleto Credito Trevigiano Bcc Utility B. Marche, Etruria e Lazio, Chieti Unicredit

Bulgaria Barclays Italia Intesa Sanpaolo Provis Heta Unicredit Ungheria Creval Deutsche Bank Banco

Santander Fondo intern. distressed Fondo intern. distressed Intesa Sanpaolo Banca Mediocredito Fvg

Banca Sella Barclays Unicredit Deutsche Bank Findomestic Consel (Gr. Banca Sella) Yapi Kredit (Unicredit

Turchia) Nuova CR Ferrara Unicredit Banco Bpm Banca Carige Unicredit Utility Banca Ifis Banca Ifis Mps

Creval Unicredit Milioni di € lordi 1.000 750 641 150 48 35 2.200 93 177 280 570 138 50 413 160 112 302

2.500 400 126 190 500 132 321 17 132 343 450 693 938 240 nd 152 98 26.100 1.405 17.700 41.856 Tipo

di Npl Unsec. Corp. e retail Unsecured Unsecured Unsec. Corp. e retail Secured Unsecured Deteriorati

Secured Secur. Perfor. e npl vs pmi Contratti di leasing Immobili e leasing Secured Secured Secured e

unsecured Unsecured retail Unsecured retail Unsecured retail Sec. (Beyond the Clouds) Npl e utp secured

Secured e unsecured Unsec. npl e performing Leasing Unsecured retail Unsecured retail Unsecured retail

Nd Secured e unsecured Unsecured retail Secured (project Rainbow) secured Corporate unsecured

Unsecured Deteriorati unsec. retail Crediti re-performing Secured e unsecured Secured e unsecured Sec. e

unsec. (prog. Fino) Acquirente Banca Ifis Kruk Group Hoist Finance Creditech nd Creditech Atlante II B2

Holding Anacap Credito Fondiario Bain Capital Credit Balbec Capital e Aps Holding investitore

specializzato Banca Ifis Banca Ifis Banca Ifis Banca Ifis CRC e Bayview Bain Capital Credit B2 Holding

Banca Ifis MBCredit Solutions Kruk Group Banca Ifis Banca Ifis società di asset management Atlante II

MBCredit Solutions Algebris Npl fund II cartolar. con possibile Gacs Kruk Group Kruk Group fondo

internazionale distressed Lcm Partners cartol. con poss. Gacs, Atlante II* cartolar. con possibile Gacs

Fortress, Pimco, Unicredit Nota: Sono stati esclusi i 18 mld di crediti deteriorati di Veneto Banca e B.

Popolare di Vicenza che passeranno alla Sga,* in chiusura a settimane ** Mezzanine e junior Fonte:

BeBeez

Foto: Andrea Mangoni

Foto: Giovanni Bossi

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 151

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diffusione:59149

tiratura:117908

Foto: Marco Nespolo Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/npl

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 152

15/07/2017

Pag. 34 N.138 - 15 luglio 2017

FONDI SPECIALIZZATI/ FOCUS PIR

Il valore della selezione

Marco Fusi

diffusione:59149

tiratura:117908

MF-DowJones Symphonia sgr conferma il suo tradizionale focus sulle piccole e medie imprese italiane

grazie al fondo azionario small cap Italia, tra i migliori nella categoria sall&mid cap (fonte Lipper analytics) a

cui ha affiancato recentemente il fondo Patrimonio Italia Risparmio, strumento che prevede un'esposizione

massima all'equity al 30%. Sono queste le soluzioni d'investimento Pir compliant della sgr: Symphonia

azionario small cap Italia (fondo azionario puro), e Symphonia Patrimonio Italia Risparmio, categoria

flessibile, massimo 30% azionario. «Sono i nostri due prodotti Pir», spiega a MF-Dowjones Guido

Crivellaro, responsabile investimenti azionari Italia, «è un fondo small cap puro. Il nostro, già ben prima

dell'avvento dei Pir, era uno dei pochissimi prodotti azionari al 100%, quindi esposto solo su titoli non

appartenenti al paniere dell'indice Ftse Mib. Negli ultimi anni questo fondo, molto legato al segmento Star,

ha fatto molto bene». Domanda. A quale tipo di trasformazione è stato sottoposto? Risposta. Questo fondo

è stato aperto alla classe Pir, ma di fatto era già di suo Pir compliant, ne aveva cioè le caratteristiche, con

un profilo di rischio relativamente alto. Da quest'anno poi, sempre sul fronte dei Piani individuali di

risparmio, abbiamo lanciato un nuovo prodotto: si tratta di Patrimonio Italia Risparmio, che invece ha una

bassa volatilità e una quota di azionario contenuta. D. Quale accoglienza hanno ricevuto i prodotti da parte

degli investitori? R. Positivi, visto anche l'ottimo track record del fondo azionario small cap (5 stelle rating

MorningStar e 5 stelle Cfs Rating), i feedback della clientela. Abbiamo avuto e abbiamo un riscontro molto

importante. Il nostro fondo azionario puro negli ultimi cinque anni è risultato il migliore. Abbiamo raccolto

molto e stiamo raccogliendo ancora tanto anche con l'altro fondo. L'onda lunga dei Pir prosegue e

continuiamo a beneficiarne. D. Mentre il suo giudizio sui Pir come strumento di sostegno alle pmi italiane?

R. Il giudizio sul provvedimento è positivo, era il pezzo che mancava nel mosaico della finanza italiana.

Adesso il punto è che questi soldi devono arrivare al mercato primario, alle aziende. Non potendolo fare

direttamente,è stata escogitata una forma che portasse liquidità arrivando quindi anche al mercato primario.

Mi aspetto che ci siano nuove operazioni di collocamento societario e che anche che l'offerta si ravvivi

anche dal punto di vita delle emissione obbligazionarie. I soldi ci sono. Bisogna fare in modo che non

rimangano solo sul secondario. D. I Pir risolvono i problemi dell'Aim Italia, ossia il segmento di Borsa

Italiana dedicato alle Pmi ad alto potenziale? R. Come sappiamo uno dei grossi problemi era la liquidità.

Con il suo aumento, per certi versi una parte dei problemi si è risolta. Su Aim però in alcune fasi sono

arrivate anche società che non avrebbero meritato l'accesso al mercato, serviva una migliore opera di

selezione. Anche le aziende sane, comunque, hanno risentito della scarsa liquidità. Ora invece si è creata

l'occasione per affinare la ricerca e lo stock picking da parte dei money manager. D.È difficile quest'opera?I

gestori, nella media, sono in grado di svolgerla nel modo migliore? R. Se bisogna fare selezione, è

necessario che vi siano le competenze giuste, che chiaramente non si improvvisano. Anche perchè quello

che va monitorato è un mondo molto ampio, le small cap in circolazione sono tante. Sul mercato si trova di

tutto: da aziende con grandissima qualità e che richiedono multipli alti - e su queste non ci aspettiamo una

correzione, ma vediamo comunque un potenziale di rialzo meno elevato - a imprese che sono cresciute

semplicemente grazie alla maggiore liquidità, per arrivare a quelle società i cui multipli non esprimono

ancora il loro effettivo valore. È un universo ampio e ovviamente anche il segmento più interessante a cui

può rivolgersi un gestore di patrimoni. (riproduzione riservata)

Foto: Guido Crivellaro

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 153

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Il rapporto con chi fruisce delle consulenze sta mutando. Spazio anche a partnership

Conoscere il mondo del cliente

Il legale entra in azienda per offrigli un servizio ad hoc EDEN UBOLDI

Il legale si toglie la toga ed entra in impresa per offrire un servizio su misura. Ecco come il nuovo approccio

di alcuni innovativi studi legali in un contesto di mercato, che negli ultimi dieci anni è molto mutato (si veda

ItaliaOggi Sette del 14 marzo 2016). Secondo il report annuale 2017 sullo stato del mercato legale

pubblicato ai primi di gennaio scorso dalla Georgetown University Law Center for the Study of the Legal

Profession, gli studi devono trovare nuove strategie per adattarsi e rimanere competitivi, abbandonando i

vecchi modelli di servizi e ridisegnandoli in base alle esigenze dei clienti. Fra gli aspetti analizzati dal report,

è stato osservata, a partire dal 2007, l'erosione di parte del consueto mercato degli studi legali, a favore

dell'internalizzazione nelle imprese di figure esperte di diritto e la costituzione di nuove realtà, che insieme

a consulente specializzate in più campi, forniscono servizi in ambito legale. Più a rischio sono, quindi, gli

studi che non riescono a trovare la loro vocazione, rischiando di scomparire in un ambiente concorrenziale

in cui è necessario offrire risposte efficaci e concrete, distinguendosi dagli altri competitor. Gli avvocati

Agostino Crosti e Mirella Manera, fondatori dello studio Legale Crosti Manera operante nel settore del diritto

penale, hanno ideato e sviluppato un nuovo approccio per affrontare le problematiche delle aziende clienti.

Svolgendo l'attività di docente sui temi relativi alla sicurezza nei luoghi di lavoro e ai connessi profili di

responsabilità penale presso alcune importanti associazioni industriali, Crosti ha costato la necessità di

interfacciarsi in modo nuovo con le realtà imprenditoriali, sensibili a tali problematiche ma in difficoltà sul

piano attuativo. «Il decreto legislativo 231/2001, oggi sempre più applicato nel contesto dei processi penali

riguardanti incidenti sul lavoro prevede importanti sanzioni per l'azienda che non dimostri di essersi

organizzata adeguatamente per prevenire i reati in materia antinfortunistica. Un infortunio in ambito

lavorativo oggi comporta forti ricadute negative sull'immagine, sul patrimonio e sul business dell'azienda,

nonché sulla vita professionale e umana dei manager, che possono subire severe condanne penali, tali da

comportarne addirittura l'incarcerazione, come dimostra la giurisprudenza più recente; si pensi al processo

ThyssenKrupp, conclusosi nel 2016, che ha visto la condanna definitiva dei dirigenti a pene fino ad oltre

nove anni di reclusione», spiega Manera. Nell'ultima relazione annuale Inail sull'andamento degli infortuni

sul lavoro, con i dati dell'anno 2015, si segnala l'andamento decrescente del numero degli infortuni: sono

637 mila le denunce di infortuni registrate, in diminuzione del 4% rispetto al 2014. Ma, dall'altra parte, sono

in aumento le denunce di infortunio con esito mortale: 1.246 nel 2015, contro le 1.152 nel 2014. Durante un

incontro dedicato al tema, tenutosi il 28 giugno 2016, davanti ai rappresentanti del Parlamento e della

Commissione europea, Christa Sedlatschek, direttrice dell'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul

lavoro, ha dichiarato che, benché le micro e piccole imprese rappresentino quasi il 99% delle imprese

europee, «sono in ritardo rispetto alle loro controparti di dimensioni maggiori in materia di disposizioni per la

sicurezza e salute sul lavoro, dato che il 30% delle microimprese non effettua regolarmente le valutazioni

dei rischi, contro solo il 3% delle imprese con 250 o più dipendenti. Inoltre, delle micro e piccole imprese

che non effettuano le valutazioni dei rischi, oltre l'80% ritiene che "i rischi e i pericoli siano già noti"o che

"non vi siano grossi problemi"». A dire di Manera, nel settore industriale italiano vi è la sensibilità per questi

argomenti ed è percepita l'urgenza, sia dotarsi di modelli organizzativi validi, che di mettere in atto best

practice che evitino incidenti e relative condanne. «Noi operiamo specialmente nelle aziende

manifatturiere», racconta Crosta, osservando come queste per aumentare il livello di sicurezza investano in

presidi ipertecnologici, sforzi vanificati poi da un utilizzo non responsabile dei macchinari da parte degli

addetti. Notando il forte scollamento fra le figure dirigenziali, al vertice, e gli operai, il metodo CrostiManera

come prima cosa verte sulla sensibilizzazione dell'itero organigramma dell'azienda sul tema della

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 154

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sicurezza, colmando il gap conoscitivo di tutte le parti attive nel processo produttivo. Entrando nell'azienda

e rigettando una comunicazione dall'alto, i due avvocati si interfacciano direttamente con i lavoratori, che,

finalmente pienamente consci dell'importante ruolo che rivestono nei processi di messa in sicurezza,

diventano i primi a rivelare criticità riscontrare sul campo e soluzioni percorribili. Secondo Crosta, «per

scongiurare gli scenari penalmente più seri previsti dal Codice penale e dal dlgs 231/0», bisogna,

«raggiungere le fasce operative e stimolare dal basso la comunicazione dei problemi verso i ruoli dirigenti,

che solo avendo una chiara conoscenza dei rischi sommersi potranno compiere scelte manageriali

adeguate e idonee a prevenire infortuni, reati e connesse sanzioni penali». Si tratta di una metodologia,

mutevole a seconda delle esigenze del cliente e capace di incidere nelle dinamiche psicologiche e

comportamentali delle persone. Anche secondo Lorenza Morello, partner di Morello consulting, fondata nel

2011, il legale deve conoscere profondamente il contesto in cui operano le aziende clienti, dotandosi anche

di competenze relative all'economia, alla comunicazione e al management e, se necessario, entrando

nell'impresa per analizzare le criticità segnalate e quelle che potrebbero sopraggiungere nel futuro

prossimo. Attingendo dalle esperienze maturate negli Stati Uniti, Morello, sicura che un approccio

preventivo ai problemi tipici che incontra una azienda nel suo ciclo produttivo sia più proficuo rispetto

all'esperimento del contenzioso, ha identificato degli appositi servizi che favoriscano la risoluzione dei

conflitti in modo extragiudiziale e strutturino le attività del cliente in modo da evitare l'insorgere di tutta una

serie di problematiche peculiari. Per aiutare la governance dell'azienda, offre anche un ricco programma di

formazione, perché, come osserva Morello, le carenze conoscitive della dirigenza posso influire

negativamente sulle performance produttive. Qualsiasi problema venga riscontrato, le soluzioni offerte sono

variegate a seconda del tipo di cliente, declinando i servizi a favore di una maggiore «personalizzazione».

«Oltre 500 chilometri», dice l'avvocato Sasha Picciolo dello studio legale Trevisan & Cuonzo Avvocati

riferendosi alle tratte macinate ogni settimana per raggiungere i propri clienti nelle loro sedi, per visionarne

showroom e laboratori e interfacciarsi con il loro ambiente di business. Trevisan & Cuonzo Avvocati,

fondata nel 1993, è una delle primarie law firm italiane in materia di diritto commerciale e della proprietà

intellettuale, mentre Picciolo è la responsabile di 4Innovation, programma dedicato alle start up e alle pmi

innovative attive nel campo dell'innovazione tecnologica, dell'agroalimentare, delle life sciences e della

creatività, nato da una sua intuizione nel 2013 e pienamente sposato dallo studio. Il progetto, operativo a

partire dai primi mesi di gennaio 2014, è stato pensato per valorizzare le idee più meritevoli e supportare gli

imprenditori di domani affiancandoli in tutte le fasi necessarie per inserirsi nel mercato. «Per crescere sono

necessari, oltre allo spirito imprenditoriale, sostegno economico e solidi strumenti legali», racconta

l'avvocato. Secondo l'ultima rielaborazioni dell'ufficio studi della Cgia, l'associazione degli artigiani di

Mestre, il 55,2% delle imprese innovative italiane chiude entro i primi 5 anni di vita. A dire del coordinatore,

Paolo Zabeo, i principali motivi sono le tasse, la burocrazia, l'assenza di liquidità e la mancanza di know

how imprenditoriale dei fondatori. Un sondaggio del progetto Life project, finanziato dalla Commissione

europea e diffuso nel settembre scorso, mette in luce nella i problemi che le start up incontrano in quattro

momenti (scoperta, validazione, efficienza e crescita) del loro percorso. Nella prima fase, insieme alle

difficoltà nella creazione del team lavorativo e delle risorse finanziarie, i neoimprenditori devono affrontare

la complessità del quadro normativo. Anche nella fase crescita, superate le difficoltà nel reperimento di

finanziamenti, gli intervistati riferiscono di aver dovuto affrontare nuovi problemi legali, specialmente in

merito ai contratti sottoscritti con fornitori e clienti. Consapevoli sia delle debolezze in materia di marchi,

brevetti e know how che della penuria di capitale finanziario, il team di 4Innovation, capitanato dalla

dottoressa Picciolo, offre entrambe le soluzioni: da una parte, predispone le forme contrattuali più

opportune a seconda delle esigenze, tessendo una efficace struttura di tutela della proprietà intellettuale e

suggerendo le strategie da percorrere, dall'altra cerca di favorire l'incontro e le relazioni fra le realtà con alto

potenziale e gli investitori. «Il rapporto che intercorre con i nostri startupper è ribaltato rispetto a quello con i

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 155

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clienti tradizionali. Grazie alla nostra rete sinergica, di cui fa parte anche Equinvest (ndr, società

internazionale di venture capital), BackToWork24 (società del Gruppo 24 Ore che accompagna gli

investitori nella ricerca di realtà ad alto potenziale, ndr) e QVC (primario network televisivo e retailer

globale, che cura la distribuzione dei prodotti più interessanti, ndr), creiamo circoli virtuosi volti ad

accelerare i vari processi di crescita, distribuzione e sviluppo. Noi li seguiamo in ogni momento del

percorso, anche quando l'idea è ancora in fase embrionale. In quello che facciamo c'è anche una forte

dimensione umana: oltre all'assistenza legale, c'è tutta una attenzione alla persona, necessaria per

costruire un rapporto di mutua fiducia».

Entrando nell'azienda e rigettando una comunicazione dall'alto, gli avvocati si interfacciano

direttamente con i lavoratori

Il rapporto che intercorre con i nostri startupper è ribaltato rispetto a quello con i clienti tradizionali

Servizi che strutturino le attività del cliente in modo da evitare l'insorgere di tutta una serie di

problematiche l

Foto: Lorenza Morello

Foto: Agostino Crosti

Foto: Sasha Picciolo

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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 156

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Pag. 5 N.26 - 17 luglio 2017 Corriere del Mezzogiorno Economia

Il personaggiodomenico lanzo

L'uomo di Netcom che sogna (al sud) la silicon valley

È presidente e ad del gruppo campano leader nel comparto delle telecomunicazioni e trasporti con 20 sedi e 600 dipendentiOra fa shopping al Nord e compra la piemontese Core informatica Paolo Picone

La squadra, il fattore umano, lavorare divertendosi. Sono i punti fondamentali della filosofia d'impresa di

Domenico Lanzo, presidente ed amministratore di Netcom Group. Laureato in fisica, sì certo, ma

fondamentalmente un innovatore ed anche un grande motivatore, con una professionalità da anni mirata ad

aumentare lo sviluppo delle imprese e la gestione delle risorse umane. «Per noi è importante - racconta

Lanzo - che le persone lavorino in serenità e che si divertano lavorando. In questo gruppo è fondamentale il

fattore umano e tre caratteristiche in particolare: lealtà, collaborazione e condivisione». Il metodo «NetCom

Group» creato da Lanzo consiste proprio in questo, privilegiare su ogni cosa proprio il fattore umano.

Metodo che ha ben funzionato se oggi NetCom Group, azienda napoletana doc, vanta sedi in tutta Italia ed

anche all'estero, con un fatturato che sfiora i 20 milioni di euro annui e con un trend di crescita del

personale del 27% e neo assunti per lo più laureati con una età media di 31 anni. Ma la storia di Netcom

Group viene da lontano, dal 2006 quando Netcom Engineering , società di Consulenza e System

Integration, si colloca sul mercato con l'acquisizione da parte di Domenico Lanzo del 40% di quote della 3S

srl (costituita nel 1997) e la partecipazione di Metoda Spa al restante 60%.

La prima denominazione sociale, data dal connubio dell'esperienza nel settore dell'Ingegneria e della

partecipazione di Metoda, fu «Metoda-Engineering» in vece dell'originaria 3S srl. Dopo il primo anno di

attività Metoda Engineering opta per un ampliamento societario accogliendo manager di provata

esperienza commerciale.

La conoscenza di una gestione commerciale multinazionale e la valorizzazione della competenza di

personale con alto profilo di esperienza tecnologica, sono frutto dell'operatività di manager provenienti da

un noto gruppo di consulenza internazionale francese. Applicando i principi e i processi conosciuti nella

precedente esperienza si punta a curare con attenzione la prestazione di servizi di consulenza

ingegneristica focalizzando l'attività esclusivamente in ambito Telecomunicazioni, Media ed Automotive.

Una riorganizzazione societaria porta poi la Netcom Engineering (precedentemente Metoda-Engineering) al

controllo di maggioranza delle quote rispetto alla partecipante Metoda spa. È nel 2014 che NetCom

Engineering si trasforma in gruppo. Nasce la denominazione Netcom Group che rappresenta l'integrazione

di tre società attive nel comparto dell'IT, delle telecomunicazioni e dell'automotive. Importanti know how

integrati hanno dato origine a un gruppo industriale diventato una delle aziende leader nel settore delle

telecomunicazioni e dei trasporti. Si presenta così la realtà tutta campana di NetCom Group.

Ricerca e innovazione sono gli asset strategici che hanno consentito al Gruppo di ottenere rapidamente

ottimi risultati, dopo essere stato costituito nel 2006 con una vocazione all'internazionalizzazione. Forte di

una squadra composta tutta da ingegneri specializzati nei vari indirizzi, NetCom Group ha vinto la

scommessa di coniugare l'alta qualità con il contenimento dei costi puntando su «uno spirito imprenditoriale

teso alla costruzione di rapporti industriali - spiega Lanzo - un'organizzazione che sa adattare alle Pmi

locali il meglio della gestione tipica delle grandi industrie internazionali; un gruppo aziendale in grado di

sostenere l'impegno finanziario per l'avvio dell'attività».

Nel suo portafoglio clienti NetCom Group vanta brand di caratura internazionale riferiti ai diversi settori di

riferimento: Mbda Italia, gruppo Fiat, Maserati, Jaguar, Magneti Marelli Automobili Lamborghini, Italdesign

Giugiaro, Sky Italia, Vodafone, Huawei, Cisco System solo per citarne alcuni. Insomma un gruppo solido e

che ha anche mire espansionistiche non indifferenti.

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Proprio sabato scorso in occasione del meeting annuale estivo organizzato per tutti i dipendenti nella

splendida cornice del Castello Aragonese di Baia a Bacoli, Lanzo ha annunciato una svolta fondamentale

per il gruppo che guida, e cioè l'acquisizione della maggioranza di Core Informatica srl, azienda con sede in

Piemonte ad Ivrea, specializzata nei servizi di supporto tecnico alle infrastrutture informatiche e che offre

una vasta gamma di servizi principalmente per aziende di medie e grandi dimensioni.

E così il gruppo crescerà nel corso di quest'anno sia in termini di fatturato che di personale. Oltre 40 milioni

di euro il fatturato annuo e più di 600 il numero complessivo dei dipendenti. «Quest'acquisizione - afferma

Lanzo - deve essere vista come la costruzione di un asse tecnologico tra Nord e Sud che potrebbe

rappresentare una vera dorsale italiana. Uniamo cioè l'alta capacità produttiva del Nord con la grande

creatività e dinamicità del Sud. Con l'acquisizione di Core Informatica realizziamo un'integrazione delle

nostre attività con altre che non possedevamo e che ora unite ci consentiranno di raggiungere un mercato

sempre più vasto. È la conseguenza positiva di due eccellenze che si uniscono».

Tra gli obiettivi di Lanzo c'è quello sicuramente ambizioso di trasformare NetCom Group in una

multinazionale, ma non solo. «In un futuro non troppo lontano - svela il manager-imprenditore - vorrei

realizzare una Silicon Valley dei cervelli italiani con base al Sud».

Chi conosce Lanzo, sa che le sue idee hanno sempre un seguito. Come ad esempio quella avuta sei mesi

fa di creare una web radio, «Netcom Radio», dedicata ai temi dell'innovazione tecnologica e che ogni

settimana produce un magazine di approfondimento con interviste ai protagonisti del mondo del lavoro,

dell'università, dell'economia, dell'industria e delle istituzioni.

E nel corso del meeting estivo di sabato, Netcom Radio ha lanciato le sue app gratuite in cui oltre ad

ascoltare la radio si possono leggere notizie di approfondimento sui temi specifici.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

1995La carriera

2006Le acquisizioni

2014La trasformazione

2015La piattaforma

2016Il personale

2017L'intesa

Foto: Domenico Lanzo inizia la sua carriera professionale vincendo l'Ata award (Automotive Association,

Fiat Group)

Foto: Nasce NetCom: acquisisce il 40% di quote della 3S srl e del 60% di Metoda

Foto: NetCom Engineering si trasforma in gruppo, nasce la denominazione Netcom Group

Foto: Partecipa al Gsma Mobile World Congress 2015 di Barcellona per la piattaforma di Automation Test

M3

Foto: L'azienda di Lanzo arriva a 280 unità che nel 2017 hanno superato la soglia delle 300

Foto: NetCom Group ha acquisito la maggioranza di Core srl, società informatica di Ivrea

Chi è

Domenico Lanzo è presidente

ed amministratore delegato

di NetCom Group Spa.

Ha 52 anni ed è laureato in fisica.

Ha iniziato la sua carriera nel 1995 con il premio Ata ed ha seguito alcuni progetti di simulazione

per l'esecuzione

di un veicolo virtuale.

Ha continuato le sue esperienze in Farfisa come progettista di software per architetture parallele. Mi

piacerebbeun giorno realizzareuna strutturaper accoglierei cervellimeridionali Condivisione,collaborazionee

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lealtà:ecco i fattorifondamentaliper poterlavorarecon serenità

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