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ANIEM
Rassegna Stampa del 17/07/2017
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INDICE
ANIEM
15/07/2017 Primo Piano Molise 11
Imprese allo stremo e fondi in ritardo, l'Acem: la Regione li sblocchi
15/07/2017 Quotidiano del Molise 12
Pagamenti lavori pubblici, l'Acem: "Non si perda altro tempo"
ANIEM WEB Il capitolo non contiene articoli
SCENARIO EDILIZIA
16/07/2017 Corriere della Sera - Brescia 14
Casazza compie 50 anni Ora il quartiere è maturo con tante potenzialità
17/07/2017 Corriere L'Economia 16
Guardando il mondo da un container (che sia made in Italy)
17/07/2017 Il Sole 24 Ore 17
I certificati volontari per gli edifici «green»
17/07/2017 Il Sole 24 Ore 19
Nuovi forfettari: limite di ricavi riferito ai mesi d'esercizio
16/07/2017 La Repubblica - Genova 22
Albenga, controlli anti caporalato nei campi
15/07/2017 La Repubblica - Torino 23
Paglia legno argilla la bio-edilizia di Green Think
17/07/2017 La Repubblica - Affari Finanza 24
Portopiccolo, Trieste sogna la sua Costa Smeralda
17/07/2017 La Stampa - Nazionale 26
Case da ristrutturare, il risparmio è fino al 35%
16/07/2017 La Stampa - Torino 27
Voci di Falchera. Come se qui non fosse Torino
17/07/2017 ItaliaOggi Sette 30
Lavoro nero? Doppie sanzioni
16/07/2017 Avvenire - Roma 32
Verso la rigenerazione urbana per rilanciare il territorio
16/07/2017 Il Fatto Quotidiano 33
Spiagge, scuole e quartieri: è l ' Italia sfregiata
16/07/2017 Il Manifesto - Nazionale 37
La storia di Mohamed, dalla Somalia all'inferno libico alla nuova vita in Italia
15/07/2017 QN - Il Resto del Carlino - Pesaro 38
«Fondi edilizia pubblica sono rimasti nel cassetto»
15/07/2017 QN - Il Giorno - Nazionale 39
L'edilizia tenta la risalita «Ma il codice appalti e il fisco frenano ancora il mattone»
15/07/2017 Il Secolo XIX - La Spezia 40
Un'offerta a 360 gradi per la "Casa della vita "
15/07/2017 Left 41
Post terremoto, manca il personale per il recupero
SCENARIO ECONOMIA
17/07/2017 Corriere della Sera - Nazionale 44
Fisco semplice ?
17/07/2017 Corriere della Sera - Nazionale 46
Le mani della Cina sui porti del mondo La Via della Seta passerà dall'Artico
16/07/2017 Corriere della Sera - Nazionale 47
la ripresa cammina il lavoro no
16/07/2017 Corriere della Sera - Nazionale 49
Il bonus da 80 euro? Oltre la metà per i consumi
16/07/2017 Corriere della Sera - Nazionale 50
Comuni, in cinque anni triplicati i dissesti Su 556 fallimenti oltre 400 sono al Sud
15/07/2017 Corriere della Sera - Nazionale 52
«L'ex premier? Un disco rotto»
15/07/2017 Corriere della Sera - Nazionale 55
Ape social e precoci, graduatorie entro ottobre
15/07/2017 Corriere della Sera - Nazionale 56
Il cantiere di Intesa Sanpaolo-Venete Ecco l'accordo sulle 4.000 uscite
15/07/2017 Corriere della Sera - Nazionale 58
Telecom, il pressing della Consob sullo scontro Vivendi-Cattaneo
17/07/2017 Corriere L'Economia 60
In 8 anni il mattone ha reso più dei btp
17/07/2017 Corriere L'Economia 63
Cambiare il fiscal compact
17/07/2017 Corriere L'Economia 64
Brexit nel bilancio? Il divorzio c'è (ma non si vede)
17/07/2017 Corriere L'Economia 66
Banche, il nodo delle nomine L'ecommerce? Strada obbligata
17/07/2017 Il Sole 24 Ore 68
Una flat tax ma ben temperata
17/07/2017 Il Sole 24 Ore 70
Nuovi voucher, i chiarimenti per le famiglie e le imprese
17/07/2017 Il Sole 24 Ore 74
Due miliardi sulla Via della Seta
17/07/2017 Il Sole 24 Ore 76
Al 5 per mille si dà sempre più credito
16/07/2017 Il Sole 24 Ore 78
Pensioni, costa 141 miliardi (fino al 2035) lo stop a 67 anni
16/07/2017 Il Sole 24 Ore 80
Rientro dei capitali a rilento: 6.500 domande (su 27mila)
16/07/2017 Il Sole 24 Ore 82
È nella Costituzione il primo no alla flat tax
16/07/2017 Il Sole 24 Ore 84
Brexit, ecco il piano delle banche
16/07/2017 Il Sole 24 Ore 86
Più investimenti corporate per rilanciare l'Italia
16/07/2017 Il Sole 24 Ore 87
Padoan: il futuro Ue non si gioca sul «sì o no» al Fiscal compact*
15/07/2017 Il Sole 24 Ore 89
Le banche, l'Europa e l'Italia convalescente
15/07/2017 Il Sole 24 Ore 91
Piaccia o no, la flat tax significa trasparenza
15/07/2017 Il Sole 24 Ore 93
Calenda: «Taglio al cuneo, sostegno agli investimenti e produttività»
15/07/2017 Il Sole 24 Ore 96
Esma all'attacco dei «furbetti» della Brexit
15/07/2017 Il Sole 24 Ore 98
Bankitalia rialza le stime: Pil 2017 +1,4%
17/07/2017 La Repubblica - Nazionale
I ricchi mandarini di Stato allergici alla trasparenza
100
16/07/2017 La Repubblica - Nazionale
I veri risparmi dello Stato con la spending review
102
16/07/2017 La Repubblica - Nazionale
Aeroporti, 2017 d'oro Nei primi cinque mesi passeggeri su del 6,4%
104
15/07/2017 La Repubblica - Nazionale
Ma ora siamo tutti più fragili
106
15/07/2017 La Repubblica - Nazionale
L'Italia ora vede la speranza "Il 2019 cancellerà la crisi"*
107
15/07/2017 La Repubblica - Nazionale
Ma così il Grande freddo ci ha cambiato la vita
109
17/07/2017 La Repubblica - Affari Finanza
Cdp, Anima e Poste alla partita del risparmio gestito
111
17/07/2017 La Repubblica - Affari Finanza
Ruggiero: "Tiscali finalmente fa utili "
113
17/07/2017 La Repubblica - Affari Finanza
Npl, la riscossa di Unicredit ora ha il portafoglio crediti più "pulito" del sistema
115
17/07/2017 La Repubblica - Affari Finanza
Atlante, la fase 3 parte con Cerved sfiderà la Sga pubblica e i fondi privati
117
17/07/2017 La Repubblica - Affari Finanza
WALL STREET TREMA IN USA ARRIVA LA CLASS ACTION CONTRO LE BANCHE
119
17/07/2017 La Repubblica - Affari Finanza
"Credito, utility, torri: è tempo di fusioni" la ricetta dei ceo a rapporto da
Mediobanca
120
17/07/2017 La Repubblica - Affari Finanza
Città d'arte, mari, monti e terme Il turismo vale il 4,2% del Pil
122
17/07/2017 La Repubblica - Affari Finanza
"Sgravi e incentivi ai manager per entrare nel capitale delle Pmi"
124
16/07/2017 L'Espresso
E sull'Ocse sventola l'uguaglianza
126
17/07/2017 La Stampa - Nazionale
LA MOSSA PER EVITARE LA CRISI
131
16/07/2017 La Stampa - Nazionale
La ripresa c'è ma ancora non la vediamo
132
16/07/2017 La Stampa - Nazionale
Così la rivoluzione digitale è fallita Anche l'anagrafe unica fa flop
133
15/07/2017 La Stampa - Nazionale
Auto, rallenta la crescita Spuntano i saldi di luglio
135
16/07/2017 Il Messaggero - Nazionale
Il Tesoro a caccia di investitori
136
SCENARIO PMI
16/07/2017 Corriere della Sera - Brescia
la ripresa al microscopio
138
17/07/2017 Corriere L'Economia
Turismo e spettacolo coppia d'assi
139
17/07/2017 Il Sole 24 Ore
Più conveniente investire in start up
141
15/07/2017 Il Sole 24 Ore
Scarpe di lusso, ricavi oltre i 2 miliardi
143
15/07/2017 Il Sole 24 Ore
Sull'Aim di Piazza Affari un'Ipo al giorno
144
15/07/2017 Il Sole 24 Ore
Accordo nel settore degli advisor Cassiopea si allea con Finer
145
17/07/2017 La Repubblica - Affari Finanza
Pattern si allarga nell'alta moda con Studio Roscini
146
15/07/2017 Milano Finanza
Chi acquista i non performing loans, chi li gestisce, chi li riscuote (e come...)
147
15/07/2017 Milano Finanza
I signori degli npl
148
15/07/2017 Milano Finanza
Il valore della selezione
152
17/07/2017 ItaliaOggi Sette
Conoscere il mondo del cliente
153
17/07/2017 Corriere del Mezzogiorno Economia
L'uomo di Netcom che sogna (al sud) la silicon valley
156
ANIEM
2 articoli
ANIEM - Rassegna Stampa 17/07/2017 9
15/07/2017
Pag. 2 Primo Piano Molise
L'appello
Imprese allo stremo e fondi in ritardo, l' Acem : la Regione li sblocchi
CAMPOBASSO. L'Acem si appella ancora una volta alla Regione. La richiesta è di sbloccare
immediatamente e senza perdere ulteriore tempo le risorse disponibili destinate agli appalti pubblici. Nelle
scorse settimane proprio dalla Regione sono arrivate rassicurazioni circa lo sblocco entro la metà di luglio
di una tranche di fondi che dovrebbe, sia pur in parte, soddisfare i crediti maturati dalle aziende per i lavori
effettuati. Essendo giunta la metà del mese, l'Acem rinnova la sua richiesta, sottolineando che «anche un
giorno è di cruciale importanza per la sopravvivenza di un'azienda, soprattutto se si tiene conto che le
risorse devono essere prima trasferite alle stazioni appaltanti e poi da queste ultime alle imprese, con
ulteriori ritardi e con il rischio di ulteriori slittamenti dovuti all'imminente periodo feriale». L'associazione
rafforza il suo allarme, infine, rimarcando che le imprese non sono in condizione di sopportare ulteriori
ritardi.
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ANIEM - Rassegna Stampa 17/07/2017 10
15/07/2017
Pag. 2
"Sbloccare subito le risorse disponibili, ogni giorno è cruciale"
Pagamenti lavori pubblici, l' Acem : "Non si perda altro tempo"
A seguito degli incontri avuti nelle scorse settimane in Regione, - scrivono dall'Acem le imprese hanno per
l'ennesima volta riposto fiducia nelle rassicurazioni circa lo sblocco entro la metà del mese di luglio di una
tranche di risorse che dovrebbe, sia pur in parte, soddisfare i crediti maturati dalle aziende per l'esecuzione
di appalti pubblici. Essendo giunta la metà del mese, l'Acem fa appello alla Regione Molise al fine di
sbloccare immediatamente e senza perdere ulteriore tempo le risorse disponibili, sottolineando che anche
un giorno è di cruciale importanza per la sopravvivenza di un'azienda, soprattutto se si tiene conto che le
risorse devono essere prima trasferite alle stazioni appaltanti e poi da queste ultime alle imprese, con
ulteriori ritardi e con il rischio di ulteriori slittamenti dovuti all'imminente periodo feriale. L'Associazione - si
chiude la nota - evidenzia che le imprese non sono in condizione di sopportare ulteriori lungaggini.
Foto: Corrado Di Niro
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SCENARIO EDILIZIA
17 articoli
SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 14
16/07/2017
Pag. 3 Ed. Brescia
diffusione:245885
tiratura:332759
La storia
Casazza compie 50 anni Ora il quartiere è maturo con tante potenzialità
Da posto poco raccomandabile a periferia ben servita Claudio Buizza
È un periodo limitatissimo rispetto alla storia millenaria delle città europee, Brescia compresa, cresciute
lentamente, attraverso sostituzioni, ampliamenti, densificazioni. Quando la città antica ha «rotto gli argini»
artificiali o naturali la crescita urbana ha invaso ed occupato la campagna. È il caso del Casazza, primo
vero esperimento, 50 anni fa, di nuovo quartiere di edilizia sociale pubblica a Brescia.
Nel 1962 fu approvata la legge 167 «Disposizioni per favorire l'acquisizione di aree fabbricabili per l'edilizia
economica e popolare». Il Comune di Brescia , attuando un politica lungimirante e per nulla scontata,
predispose i piani di zona in applicazione della legge che consentiva l'esproprio dei terreni agricoli per
favorire la costruzione di edilizia pubblica. Fino al 1970 circa Casazza era campagna prossima alla città.
Nacque perciò dal nulla.
Ogni quartiere ha una sua storia. Una storia antica per i quartieri sorti in attorno o in prossimità dei nuclei
storici. Una storia più recente per quelli nati dal nulla, che non hanno visto e vissuto le modificazioni. Ma
anche per essi è importante conoscere le origini e trasmetterla alle nuove generazioni che hanno bisogno
di storia. Gli edifici abitativi furono realizzati in gran parte dallo Iacp (oggi Aler). Sia le tipologie edilizie che i
nuovi abitanti che le abitavano furono motivo di problemi reali e presunti.
I complessi di appartamenti erano «casermoni» non in linea con le aspettative generalizzate. I villaggi
Marcolini erano sorti in tutta la cintura urbana. Le casette singole e bifamiliari rappresentavano
l'aspirazione.
Le nuove abitazioni furono destinate secondo le graduatorie a nuclei familiari numerosi e spesso con
difficoltà. I nuovi operai provenienti dal sud oppure abitanti del Carmine: i carmelitani. Ciò provocò problemi.
Il basso tasso di scolarità, la mancanza di una rete associativa locale non favorì la formazione di un tessuto
sociale equilibrato fondato sul buon vicinato. Ma Casazza nacque anche come tentativo di realizzare una
parte di città ben dotata di servizi e strutture pubbliche.
Nel 1972 il sindaco Boni, accompagnato dal professor Abba, inaugurò il primo asilo nido comunale come
risposta della condizione della donna nella società: la donna lavoratrice che ha perciò la necessità di
strutture che si prendano cura dei figli più piccoli.
A seguire fu progettato nel 1975 il primo centro sociale accanto a chiesa ed oratorio, dando così vita al
nucleo centrale del quartiere cui si aggiunsero in seguito i plessi scolastici, un bel parco pubblico ed i primi
negozi.
Nel 1976 furono appaltati i lavori per la costruzione delle due torri di dodici piani per 96 appartamenti.
La stampa dell'epoca, così come gli abitanti, le definivano «grattacieli». Così nell'arco di un decennio il
quartiere assunse la sua forma definitiva che si conservò fino all'ultimo intervento che sostituì le
falegnamerie Pè, dismesse da anni: il complesso Futura.
Ora a cinquant'anni dalla nascita è tempo di bilanci. Casazza è un esempio di piccolo quartiere nato e
costruito come progetto di urbanizzazione pubblica che ha ricercato un equilibrio tra abitare e servizi per il
quartiere. Nel corso di 50 anni la struttura della popolazione è cambiata. I residenti sono invecchiati, sono
calati di quasi mille unità tra il 1993 ed il 2014, il radicamento ed il senso di appartenenza si sono in
qualche misura affermati. Si è determinato un certo cambiamento di ceti sociali dovuto proprio al fatto che il
quartiere ha oggi raggiunto un suo equilibrio, è ben servito, ha una media densità edilizia ma è ricco di
verde.
I problemi delle origini che facevano definire Casazza un «quartiere poco raccomandabile», sono in larga
misura superati. La presenza di popolazione straniera è inferiore (13,4) alla media comunale (18,7%).
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 15
16/07/2017
Pag. 3 Ed. Brescia
diffusione:245885
tiratura:332759
Casazza è la prova provata di un principio spesso dimenticato: un nuovo quartiere per trovare un suo
equilibrio interno ha bisogno di 50 anni di vita. Che i servizi siano completati, che il verde raggiunga la
maturità, che le attività commerciali raggiungano un grado di servizio adeguato ai bisogni.
La fermata del metrobus costituisce un elemento di innovazione e ricchezza formidabili che va valorizzato.
Una rete di percorsi pedonali dal quartiere alla fermata dovrebbe costituire la nuova ossatura pubblica.
E a distanza di 50 anni si vedono però anche i limiti. Gli spazi pubblici scoperti e in struttura sono datati e
necessitano di manutenzioni ed adeguamenti: marciapiedi, attraversamenti pedonali e ciclabili, rallentatori
di velocità, spazi di sosta meglio riorganizzato, una struttura commerciale di maggior qualità. Il centro
Futura ha privilegiato il rapporto con Via Triumplina piuttosto che con il quartiere e servirebbe pensare a
qualche rimedio, il centro socio culturale va ripensato alla luce dei cambiamenti intervenuti.
Ma, nel complesso, Casazza dopo 50 anni di vita e di cambiamenti ha retto, è diventato un quartiere in cui
abitare non è più così faticoso e lo sguardo verso il futuro lascia intravvedere soprattutto possibilità di
miglioramento.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto: Zona nord della città Il quartiere Casazza e le sue case popolari (LaPresse)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 16
17/07/2017
Pag. 33 N.27 - 17 luglio 2017
Guardando il mondo da un container (che sia made in Italy)
Una città d'oro in movimento. A Jermuk, in Armenia, la Edilsider, azienda a controllo familiare dalla
provincia di Lecco, sta ultimando la costruzione di una distesa di container per 1.200 operai, impegnati a
estrarre oro dalla montagna. Gli edifici modulari «sono una città con dormitori, uffici, ospedali, mense,
bagni, estesa su 7 mila metri quadri dove vivono e lavorano 1.200 persone», racconta Carlo Spada,
amministratore delegato dell'impresa di Calolziocorte.
Con dieci brevetti e 50 milioni di fatturato, dagli anni Sessanta Edilsider produce prefabbricati e container
per edilizia e infrastrutture civili o grandi opere dell' oil&gas , minerario e militare, dall'Africa alla Georgia,
dal Canada all'Australia. Immaginate un deserto su cui, «partendo dalle fogne si deve allacciare il sistema
elettrico, l'acqua, il riscaldamento, fare strade, alzare muri e pensare agli interni». Tutto in pochi mesi. Un
campo costa in media 10 milioni. «Dipende se si usa manodopera locale, come ci è capitato per una diga in
Georgia, oppure design made in Italy, come in Armenia».
Gli isolamenti di Edilsider si adattano a tutte le temperature. Il campo d'oro in Armenia «è un reticolo di
corridoi modulari sempre coperto, vista la neve, ed è montato su palafitte che si staccano 35 centimetri dal
terreno. Una spianata di cemento armato sarebbe costata troppo», dice Spada. I container prevedono una
parte fissa e una temporanea, che si può smontare e ricollocare. Come nel caso di Expo a Milano, nel
2015. L'azienda di Lecco ha costruito gli alloggi per i lavoratori, la Regione Lombardia li ha smantellati e
venduti alla Astaldi, che lavora a una ferrovia nel Brennero. E oltre l'Armenia, quali progetti? Dice il
manager: «Abbiamo da poco concluso un campo base per i lavoratori dell'Alta velocità Milano-Genova. I
nostri competitor? Turchi e cinesi. Ma il mondo è grande e in Africa c'è ancora tanto da fare».
Barbara Millucci
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto: Carlo Spada, amministratore delegato di Edilsider, carpenteria metallica di Calolziocorte (Lecco)
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 17
17/07/2017
Pag. 15
diffusione:107465
tiratura:158319
EDILIZIA E AMBIENTE
I certificati volontari per gli edifici «green»
Silvio Rezzonico Maria Chiara Voci
pagina 21 pIn attesa di vedere se e quale seguito avrà la proposta per rendere obbligatoria la certificazione
di stabilità degli edifici - avanzata dal ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio e contestata dalla
proprietà edilizia - si diffondono in Italia i protocolli di sostenibilità per gli immobili su base volontaria.
Strumenti che sono attivi da almeno dieci anni e in crescita negli ultimi tempi, che servono a garantire le
performance di un fabbricato (residenziale, ma anche del terziario) sulla base di un ventaglio di criteri molto
più ampio di quello definito dalla norma nazionale e che hanno rappresentato e rappresentano uno stimolo
importante per diffondere la cultura dell'ecocompatibilità in edilizia, oltre che per aprire nuovi mercati.
Ottenere uno di questi sigilli comporta un costo sia in termini di maggiore investimento nella
progettazione/costruzione, sia per il rilascio della targa green. In genere le cifre sono calcolate in
proporzione alla superficie da certificare e alla complessità tecnica dell' immobile. Allo stesso modo, costa
anche per i progettisti formarsi per rispondere alle necessità di chi vuole affrontare un percorso di
validazione. I numeri Sono tre, in particolare, i protocolli di sostenibilità volontari più diffusi nel nostro
Paese: CasaClima, Leed e Passivhaus. A questi, si aggiunge il protocollo Itaca, strumento di valutazione
sviluppato dall'omonimo istituto con la collaborazione tecnico•scientifica di Itc•Cnr e dell'organizzazione no
profit iiSBE Italia, che più che un sigillo volontario è lo standard di riferimento per gli immobili realizzati a
partire da bandi e contribuzioni pubbliche. Quattro modelli, con differenze sostanziali. CasaClima, con oltre
13mila case certificate, guarda soprattutto al residenziale ed è diventato un simbolo di qualità, anche al Sud
Italia. Passivhaus arriva dalla Germania e, con numeri ancora ridotti, ma in crescita rappresenta
un'alternativa al primo. Leedè il leader incontrastato per la grande taglia (soprattutto terziaria): ottenerlo
significa esporre un marchio che ha valore in tutto il mondo. Non a caso fra i progetti che hanno ottenuto il
sigillo ci sono le sedi di Zara e Baxter a Roma, Vodafone, Morgan Stanley, Gucci a Milano, Italcementia
Bergamo, Unipol a Bologna, il grattacielo di Intesa San Paolo a Torino e la sede di Bottega Veneta a
Vicenza. Infine Itaca, sviluppato da un gruppo interregionale della Pa, rappresenta il punto di riferimento
pubblico. È stato adottato (e declinato) da 12 regioni e dalla provincia di Trento. Cosa attestano Se la
certificazione energetica nazionale si basa soprattutto sull'osservazione delle prestazioni di un edificio in
termini di risparmio energetico, i protocolli volontari spostano il proprio focus sul complesso dell'edificio.
CasaClima, ad esempio, ne valuta prima di tutto l'efficienza dell'involucro: il principio da cui è sempre
partito lo standard (che poi si è sviluppato anche su altri aspetti e con protocolli paralleli a quello base) è
che ridurre alla fonte la richiesta di energia sia il migliore modo per abbassare i consumi. Sulla performance
dell'edificio è incentrato anche Passivhaus, che prevede • quale elemento essenziale per conseguire il sigillo•
il cosiddetto Blower door test o test di tenuta all'aria. Il sistema di rating Leed • già nella sua versione base •
valuta l'impatto ambientale di un fabbricato considerando una pluralità di dimensioni: non solo l'efficienza
energetica, ma anche la scelta del sito di costruzione, la gestione efficiente dell'acqua,i materiali impiegati
negli edifici, lo smaltimento dei rifiuti, il comfort e la salubrità degli spazi interni. Così anche l'italiano Itaca: il
protocollo pesa la sostenibilità dell'edificio in funzione di un ventaglio ampio di fattori ed è basato sullo
strumento di valutazione internazionale SBTool. Chi li rilascia A seconda del protocollo, il rilascio è
centralizzato o locale. Il primo schema (quello che, sulla carta, permette un controllo più capillare) è il
modello scelto ad esempio da Casa Clima. Ma lo stesso fa Leed: il sigilloqualsiasi sia il Paese • arriva da• gli
Stati Uniti. La differenza è che nel primo caso, l'agenzia di Bolzano si avvale di una rete capillare di
professionisti abilitati sul territorio. Nel secondo, Leed ha un comitato italiano e una rete di professionisti e
aziende che si riconoscono nel marchio e lo promuovono, ma non hanno dovuto seguire corsi o superare
esami ad hoc. Nel caso di Passivhaus sono direttamente i certificatori accreditati che firmano il documento:
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 18
17/07/2017
Pag. 15
diffusione:107465
tiratura:158319
deve essere però redatto e conforme secondo gli output richiesti dal software di calcolo Phpp, distribuito in
Italia dall'istituto Zephir Passivhaus Italia. Le altre esperienze L'ultimo in ordine di tempo• tra quelli che si
sono affacciati sul mercato italiano • si chiama Well building standard ed è un sistema nato, nell'emisfero
Leed, per misurare la salubrità dell'ambiente, attraverso l'analisi della qualità di aria, acqua, alimentazione,
luce, comfort e condizione psico•fisica degli abitanti. Il più visionarioè il Living building challenge, che punta
alla costruzione di case capaci di rigenerarsi come alberi, sfruttando le sole risorse presenti sul sito in cui
sono costruite. Altri rispondono allo sviluppo in Italia di esperienze attive all'esterno: come l'inglese Breeam,
il francese Hqe o lo svizzero Minergie. A necessità di comparto: come Arca per le case in legno. O a
iniziative di professionisti, attivi nel settore della sostenibilità: è il caso degli standard Phi (Passive house
institute Italia) o da Activhouse Italia.Gli strumenti principali CASACLIMA
Promosso dall'agenzia CasaClima di Bolzano (ente della Provincia autonoma ), il protocollo esiste da 15
annie sonoo ltre 13mila gli edifici certificati nel nostro Paese (molti residenziali).È obbligatorio in Alto Adigee
volontario nel resto d'Italia. È nato con unf ocus sull'efficienza dell'involucro ma negli anniè stato ampliato
alla valutazione degli impianti. Tre le classi: B,Ae Gold. In parallelo, sono nate le certificazioni CasaClima
Nature (salubritàe comfort dell'edificio)e quelle dedicatea immobili con funzioni specifiche (hotel, scuole,
work&life, welcome peri b&b, wine per le cantine). Il certificatoè sempre rilasciato dall'agenzia, che
collabora con oltre 750 consulenti riconosciuti. Il costo base va da 1.500 euro (finoa 300 mq)a oltre 5mila
(soprai 2mila mq) LEED Arriva dagli Stati Uniti, doveè nato nel 1993 come standard per le nuove
costruzioni edè cresciuto come sistema di protocolli differenti (previsto anche un Leed sui progetti d'internie
uno sui quartieri urbani). Valuta tutti gli aspetti di un immobile: dal sito fino alla sostenibilità di tecnologie,
soluzionie materiali. Èlo standard più diffuso nel mondo: il certificatoè sempre rilasciato dall'ente terzo
riconosciutoa livello mondiale. In Italia, il Green building councilèa Rovereto. Dal 2008 sono1 66 gli edifici
certificati su 472 procedure in corso. Sono immobili soprattutto per il terziario di grandi dimensioni, anche
se si sta sviluppando il protocollo Leed for homes (taglio medio•piccolo). Il costo varia peri sociei non soci:
peri primi va da 2.850 dollari (circa 20mila mq) a 27.500 dollari (circa 70mila mq) più la registrazione (1.200
dollari) PASSIVHAUS Natoa maggio 1988 da una collaborazione tra l'università di Lund in Sveziae l'istituto
per l'ambientee l'edilizia in Germania. Sono 46i progetti validati in Italiae una sessantina quelli in
certificazione (oltre 40milaa livello mondiale). Gli standard sono due: Passivhaus per la nuova costruzionee
EnerPHit per la ristrutturazione. Le classi tre: Classic, Pluse Premium (in funzione della quota di rinnovabili
installata). A rilasciare il sigillo (che prende in esame diversi aspetti di efficienzae richiede il superamento di
un test di tenuta all'aria) sonoi certificatori, accreditati dal Passivhaus institut internazionale (circa 30 in
Italia).I calcoli si basano sul software Phpp, distribuito in Italia da Zephir Passivhaus Italia, istituto fondato
nel 2011a Pergine Valsugana.I costi variano dai 12 ai 25 euro al mq in funzione della complessità del
progetto
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CONTRIBUENTI MINIMI Il regime agevolato
Nuovi forfettari: limite di ricavi riferito ai mesi d'esercizio
Incassi «presunti» per le attività avviate in corso d'anno Paolo Meneghetti
IL QUESITO II prossimo autunno, credo con decorrenza dal 1 ° ottobre, aprirò la partita Iva per svolgere
l'attività di elettricista. Fino alla scorsa primavera ho lavorato in una ditta di elettronica e da maggio sono
disoccupato. Essendo in fase di avvio, e presupponendo di non avere inizialmente un grande giro d'affari,
vorrei sapere se potrò avere accesso al regime forfettario, quali limiti di ricavi dovrò rispettare e quali spese
potrò scaricare (affitto del locale uso magazzino in condivisione con un collega e acquisto di beni
strumentali per circa3.500 euro). C.D.-ALESSANDRIA Lattuale scenario normativo prevede che, in
presenza di determinati requisiti, si possa accedere direttamente al regime cosiddetto "forfettario"
(introdotto dalla legge 190/14), che si presenta dunque comeunregime "naturale"; e che è possibile non
applicare solo esercitando un'opzione a favore del regime semplificato a determinazione analitica dell'Iva e
del reddito. I requisiti necessari II primo requisito da verificare è rappresentato dall'ammontare dei ricavi
che si presume di incassare nella frazione di anno che va dall'inizio della attività (nella circostanza in
esame, i° ottobre) sino alla fine dell'esercizio. Infatti, a seconda del tipo di attività eseguita, vi sono tetti
massimi di ricavi che delimitano l'applicazione del forfettario. Nel caso dell'elettricista (ipotizzando che il
codice Ateco scelto sia il 43.21.0), il tetto è fissato in 25mila euro annui e va ragguagliato ai tre mesi di
esercizio dell'attivitàneboiy. In altri termini, se si prevede di incassare non più di 6.250 euro nel corso di
quest'anno, la prima condizione è soddisfatta. Gli altri requisiti consistono nel detenere, a fine esercizio
2017, un ammontare di beni strumentali non superiore a 2omila euro (esclusi eventuali immobili detenuti
nell'ambito dell'attività imprenditoriale), non aver sostenuto spese per lavoro dipendente e compensi erogati
a collaboratori per un valore superiore a 5mila euro, e non aver percepito nel 2016 redditi da lavoro
dipendente oltre i jomila euro. Nell'ipotesi in esame - trattandosi di inizio attività-i ricavi devono essere
"previsti"; l'ammontare dei beni strumentali va verificato alla data di chiusura dell'esercizio (manel quesito si
indica comunque una cifra che saràdecisamenteminorea2omilaeuro);mentreillimitemassimodireddito da
lavoro dipendente va verificato rispetto all'anno 2016. Appurati tali requisiti, il contribuente accederà in via
naturale al regime forfettario. Comunicazione e redditi Dal punto di vista pratico, in sede di inizio di attività
(modello AA9/12), è necessario comunicare l'adesione al regime forfettario. Ma questa comunicazione non
costituisce un'opzione, quindi non ha valore costitutivo, ed è richiesta soltanto ai fini di ricognizione
anagrafica (come chiarisce la circolare 10/E del 4 aprile 2016, paragrafo 2.4.2): pertanto, la sua omissione
non preclude l'accesso al regime forfettario, ma rappresenta un comportamento sanzionabile conun
importo che va da 250 a 2mila euro. Una volta entrati nel regime agevolato, occorre considerare che il
reddito viene determinato applicando ai ricavi effettivamente incassati unapercentuale che variainbase alla
categoria economica cui appartiene l'attività esercitata. Nel dettaglio, il coefficiente di redditività per l'attività
di elettricista, che appartiene al gruppo 43 dei codici Ateco, è stabilito nell'86%: vale a dire che, se nel 2017
vengono incassati mille euro, il reddito che ne deriva è pari a 860 euro. Tale modalità di determinazione
rende del tutto inutile valutare quali costi sarebbe necessario documentare, poiché si tratta di elementi
irrilevanti dal punto di vista fiscale. Circa la deducibilità dei costi (nel quesito sifariferimento ad esempio
all'affitto del capannone), la risposta è semplice: nessun costo è analiticamente deducibile, perché sono
tutti sostituiti dalladifferenzatr aricavi e coefficiente di redditività; nel caso dell'elettricista, pari a quel 14%
(complementare al coefficiente dell'86%) che permette di "ridurre" i ricavi incassati per arrivare al reddito
netto tassabile. Le aliquote di tassazione Per quanto concerne la tassazione, nel regime forfettario essa
avviene tramite un'imposta sostitutiva del 5%o deli5%, asecondadelfatto chesi tratti o meno di nuova
attività. Questo aspetto merita una riflessione, poiché nel caso in esame c'è un soggetto che intraprende sì
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una nuova attività, ma svolgendo mansioni simili a quelle che egli stesso eseguiva in qualità di lavoratore
dipendente. Lo status di nuova attività è assegnato a quelle che rispettano le condizioni indicate dall'articolo
27 del DI 98/n (ora abrogato), e richiamate dalla citata circolare 10/E/2016: «a) il contribuente non abbia
esercitato, nei tre anni precedenti l'inizio dell'attività(...), [altra] attivitàartistica, professionale ovvero
d'impresa, anche in forma associata o familiare; b) l'attività da esercitare non costituisca, in nessun modo,
mera prosecuzione di altra attività precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente o autonomo,
escluso il caso in cui l'attivitàprecedentemente svolta consista nel periodo di pratica obbligatoria ai fini
dell'esercizio di arti o professioni; c) qualora venga proseguitaun'attività svolta in precedenza da altro
soggetto, l'ammontare dei relativi ricavi e compensi, realizzati nel periodo d'impostaprecedente quello
diriconoscimento del predetto beneficio, non sia superiore ai limiti [per l'accesso al regime forfettario]». Il
controllo di tali condizioni è fondamentale, perché dall'eventuale esito positivo dipende lapossibilità di
applicare per cinque anni l'aliquota del 5%, in luogo di quella più elevata del 15%, che comunque scatterà a
partire dal sesto esercizio dellanuova attività. Nella situazione esposta dal lettore, l'elemento più delicato è
r e l a t i v o a l l a l e t t e r a b ) : c i o è d i m o s t r a r e c h e l a
nuovaattivitànoncostituiscaunameraprosecuzionediquellasvoltaprima in qualità di dipendente. Secondo la
prassi dell'agenzia delle Entrate, tale "meraprosecuzione" siverifica quando l'attività in concreto si rivolge
a l l a s t e s s a c l i e n t e l a ( p r i m a g e s t i t a d a l l ' a z i e n d a c h e e r a d a t r i c e d e l l ' a t t u a l e
lavoratoreautonomo)eutilizzandola stessa attrezzatura che in precedenza era di proprietà di quell'azienda.
Si tratta di aspetti che, nella situazione esposta, non sembrano emergere; quindi, salva la necessità di
eseguire un'indagine accurata sugli elementi sostanziali dellanuova attività, sipotrebbe affermare che siamo
di fronte a una "nuova attività", per la quale il reddito determinato forfettariamente è tassabile a titolo
definitivo con imposta sostitutiva del 5% fino al 2021. I casi risolti LA SITUAZIONE CONTABILITA
ORDINARIA CON OPZIONE NEL 2016 Un contribuente ha iniziato l'attività nel 2016 presentando i requisiti
per l'applicazione del regime semplificato. Ha invece esercitato l'opzione per la tenuta della contabilità
ordinaria. Quanto dura il vincolo tem porale di quest'opzione? CONTABILITA ORDINARIA CON OPZIONE
NEL 2017 Un contribuente ha iniziato l'attività nel 2017 presentando i requisiti per l'applicazione del regime
semplificato. Invece, ha preferito esercitare l'opzione per la tenuta della contabilità ordinaria. Qual è il
vincolo tem porale di tale opzione? REGIME SEMPLIFICATO CON OPZIONE NEL 2016 Un contribuente
ha iniziato l'attivita imprenditoriale individuale nel 2016, presentando i requisiti per il regime forfettario. Ha
però optato per l'applicazione del regime semplificato. Quale èia durata minima di questa opzione?
REGIME FORFETTARIO E NUOVA ATTIVITÀ Un architetto inizia l'attività nel 2017 con i requisiti del
regime forfettario. Egli è anche lavoratore dipendente presso un'azienda, a favore della quale segue i
cantieri aperti, con una retribuzione di 20mila euro annui. Scegliendo il regime forfettario potrà beneficiare
dell'aliquota ridotta del 5 % per i prim i cinque anni di attività? REGIME FORFETTARIO E RITENUTE
D'ACCONTO Un soggetto inizia un'attività professionale nel 2017 applicando il regime forfettario. Nel corso
dell'attività, egli pagherà altri professionisti. Dovrà subire la ritenuta d'acconto per le prestazione eseguite e
operarla nei confronti dei fornitori professionisti? RITENUTE PER LAVORI DI RISTRUTTURAZIONE Un
artigiano in regime forfettario esegue prestazioni di ristrutturazione edilizia, a fronte delle quali subisce, da
parte dell'istituto di credito attraverso cui viene eseguito il bonifico, la ritenuta d'acconto dell'8 per cento.
Come può il contribuente detrarre la ritenuta, visto che egli non dovrebbe subirla e assoggetta il reddito a
imposta sostitutiva? CESSIONE DI BENI E PLUSVALENZE Un soggetto forfettario ha acquistato nel corso
del 2015 un bene strumentale che oggi, nel 2017, vorrebbe rivendere generando una plusvalenza. Deve
assoggettare tale plusvalenza a imposta sostitutiva? E deve emettere una fattura con Iva?
LA SOLUZIONE L'opzione viene eseguita tramite comportamento concludente, cioè con la tenuta dei libri
contabili relativi al regime ordinario, e comunicata nella dichiarazione Iva. Presenta quindi un vincolo
annuale (ex articolo 3 del Dpr 442/1997), perché eseguita nel 2016, prima della modifica avvenuta nel
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2017. Anche qui l'opzione viene eseguita tramite comportamento concludente e quindi, come nel caso
precedente^ non vi sono particolari adempimenti. È stata tuttavia modificata la durata del vincolo di
permanenza nel regime optato, che a norma dell'articolo 18 del Dpr 600/73, così come rivisto dalla legge
232/16 presenta un vincolo triennale. L'opzione eseguita nel 2016 da chi era naturalmente forfettario ha
una valenza minima triennale (articolo 1, comma 70, legge 190/14). Ma il vincolo viene meno in presenza di
rilevanti modifiche normative, manifestate nel regime scelto (cioè quello semplificato, passato a
determinazione per cassa). Si può quindi abbandonare il vincolo triennale etornare nel forfettario già
nel2017. A chi inizia una nuova attività si applica il regime forfettario "start up", con imposta sostitutiva
ridotta per 5 anni al 5% (dall5% ordinario). L'attività deve essere peròin discontinuità rispetto al lavoro
dipendente svolto e quindi occorrerà attestare che i clienti non siano quelli gestiti nella veste di dipendente.
La retribuzione non oltre i30mila euro consente di applicareilforfettario. Chi aderisce alforfettario non
subisce alcuna ritenuta d'acconto sulle prestazioni che per legge sarebbero da assoggetta re a ritenuta,
come quelle professionali. E non opera alcuna ritenuta sui professionisti che eseguono prestazioni a suo
favore, anche se deveindicarneil nominativo nel proprio modello Redditi, a titolo di segnalazione anagrafica.
Nel caso delle prestazioni di ristrutturazione edilizia, la ritenuta viene comunque applicata dalle
bancheincaricate del pagamento. Per il forfettario la ritenuta va indicata nel quadro RS del modello Redditi
e poi riportata nel quadro LM (quindi scomputata dall'imposta sostitutiva), oppure nel quadro RN (e
scomputata dall'Irpef ordinaria). Il soggetto forfetta rio è escluso da Iva per tutte le operazioni eseguite
nell'ambito della sua attività. Emetterà dunque una semplice ricevuta, segnalando l'esclusione da Iva. La
plusvalenza non concorre a formareil reddito, poiché componente positivo diverso dai ricavi: quindi la
cessione del bene strumentale non sconta imposizione diretta.
Foto: L'INFORMAZIONE LA GESTIONE DELLE SPESE L'adesione va comunicata solo ai fini di
ricognizione anagrafica L'omissione è punita con una sanzione da 250 a 2mila euro I costi sostenuti non
possono essere analiticamente deducibili, perché i l coefficiente di redditività riduce già i proventi tassabili
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Pag. 7 Ed. Genova
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IL BLITZ/ UN'OPERAZIONE DEI CARABINIERI
Albenga, controlli anti caporalato nei campi
Numerose persone identificate, alcune sanzioni ma nessuna violazione grave LUCIA MARCHIO'
UN controllo ad ampio raggio, dalle 8 del mattino alle 8 di sera, per contrastare il fenomeno del 'caporalato':
è quello svolto ieri dai Carabinieri della Compagnia di Albenga in collaborazione con i colleghi del Nucleo
CC Ispettorato del Lavoro di Savona, del NAS di Genova (Nucleo Antisofisticazioni e Sanità), della
Stazione Forestale di Albenga più il supporto dell'elicottero del 15° Nucleo Elicotteri di stanza a Villanova
d'Albenga, i quali hanno attuato una capillare ispezione del territorio ingauno, in particolar modo su aziende
agricole e cantieri edili. Come già avvenuto lo scorso gennaio, pure grazie a preliminari pianificazioni info-
operative in piena sinergia con i Carabinieri Forestali ingauni, è stato possibile effettuare delle vere e
proprie 'radiografie' delle aziende agricole e dei rispettivi lotti di terreno, nonché dei cantieri edili, poi
ispezionati.
I vari reparti specializzati dell'Arma hanno così provveduto ad accurate ispezioni, dalle verifiche in materia
di lavoro - il caporalato non è un fenomeno tipicamente ligure ma, spiegano i militari, questo tipo di crimine
viene tenuto d'occhio per verificare che il fenomeno non abbia attecchito come in altre regioni italiane - a
quelle tese ad accertare la corretta gestione dei fitosanitari ovvero di quegli agrofarmaci destinati al settore
agricolo e alimentare. Ma il bilancio delle ispezioni è quantomeno rassicurante: per quanto attiene ai
controlli delle aziende agricole (siamo in piena stagione del basilico) sono state registrate solo alcune
irregolarità, sanzionate amministrativamente, circa la corretta tenuta del registro dei trattamenti fitofarmaci
ed, in un caso, l'omessa comunicazione dell'assunzione di due lavoratori stranieri. Nei guai invece sono
finite alcune aziende operanti nel settore dell'edilizia: 4 sono state le denunce per violazioni penali in
materia di sicurezza sul lavoro, come omissione controllo interventi di sicurezza del cantiere, omessa
recinzione cantiere e protezione aperture verso il vuoto e/o ponteggi inadeguati. Tali reati sono stati
accertati dal Nucleo Carabinieri Ispettorato del Lavoro nei confronti di 2 cantieri edili presenti sulla piana
ingauna, in cui operavano più ditte. Durante le verifiche sono stati identificati 52 lavoratori extracomunitari e
comminate sanzioni per oltre 6mila euro.
Foto: NAS E FORESTALI Alle verifiche ha preso parte anche l'elicottero dell'Arma
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Pag. 15 Ed. Torino
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LA VISITA
Paglia legno argilla la bio-edilizia di Green Think
LEONARDO BIZZARO
UNA CASA di legno e paglia. Non è quella dei tre porcellini che il lupo abbatte con un soffio, ma un ampio
edificio residenziale in corso di costruzione a Coazze, Casa Gucia, che potrebbe però essere edificato, con
le dovute modifiche, anche in una grande città. Il cantiere innovativo in bio-edilizia è stato messo in piedi
dal gruppo di progettazione Green Think e questa mattina si apre alle visite, per convincere amche i più
refrattari al pensiero ecologico.
Gli architetti Filippo Caggiano, Piero Bosco, Susanna Tubiana, Simone Andreis e Maurizio Allegranza, con
l'ingegnere Claudio Di Taddeo - uomini, e donna, di progetto che non esitano a sporcarsi le mani - sono
convinti che questa possa essere l'edilizia del futuro e anche del presente. Legno, paglia e argilla a
chilometro zero, per vivere più sani.
Cantiere aperto Dalle 9 alle 12 a Coazze, info 338/3070472, [email protected]
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Pag. 21 N.27 - 17 luglio 2017
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Portopiccolo, Trieste sogna la sua Costa Smeralda
APERTO TRE ANNI FA IL RESORT DEL BORGO TRA DUINO E MIRAMARE SEMBRA AVER PRESO IL VIA E IL GRUPPO DE ECCHER SI PREPARA AD INVESTIRE ALTRI 150 MILIONI Vito de Ceglia
In un paese "famoso" perlopiù per le opere incompiute e spesso inutili, tutto può accadere. Anche di
assistere ad una storia iniziata 40 anni fa, proseguita tra mille difficoltà, ostacoli burocratici ad oltranza e
passaggi di proprietà in corsa, ma poi conclusasi con un lieto fine. E' la storia di Portopiccolo: il nuovo
resort nato nella Baia di Sistiana, uno dei gioielli paesaggistici più suggestivi d'Italia che si affaccia a picco
sul mare dell'alto Adriatico. "Apri le finestre di un appartamento del borgo, e ti chiedi: come mai quasi
nessuno per tanti anni ha più considerato questo meraviglioso tratto di costa tra i castelli di Miramare e di
Duino, a una manciata di minuti da Trieste e a poco meno di un'ora da Venezia?". E' sempre questa la
domanda che arrovella Claudio de Eccher, chief strategist e azionista assieme al fratello Marco del colosso
friulano delle costruzioni Rizzani de Eccher, "contractor" internazionale nel settore dell'edilizia civile,
industriale e delle infrastrutture con un fatturato nel 2016 di quasi un miliardo di euro di cui il 95% realizzato
all'estero. Nel suo portafoglio ci sono opere come la Stazione Centrale di Milano, il grattacielo di Intesa
Sanpaolo a Torino, il Four Seasons Hotel di Baku, lo stadio di Mosca (400 milioni di euro, in fase di
realizzazione) e tanti ponti in giro per il mondo (Australia, Nord e Sud America, Medio Oriente e Vietnam). Il
gruppo friulano detiene la proprietà di Portopiccolo: un progetto che ha visto la Rizzani de Eccher
partecipare all'inizio come contractor, cioè soggetto sviluppatore dell'opera. E solo successivamente, dopo
alterne vicende, diventarne anche gestore acquisendo le quote di maggioranza dal fondo Rilke. "Chi aveva
portato avanti l'iniziativa non ha avuto la forza economica e la visione per realizzarla. Ci siamo trovati
esposti finanziariamente, e abbiamo preso tutto", spiega l'imprenditore. Una scommessa che oggi il gruppo
friulano può sostenere di avere vinto. "Nonostante le difficoltà che ci sono a lavorare in Italia, dove la
situazione nel settore edile è disastrosa", ammette de Eccher. A maggior ragione se si considera che
Portopiccolo rappresenta probabilmente uno dei più importanti progetti di riqualificazione ambientale
realizzati nel nostro Paese negli ultimi anni, per un investimento complessivo di 350 milioni di euro su
un'area di 350 mila metri quadrati. Costruito all'interno di una ex cava di pietra dismessa negli anni '70 e poi
abbandonata, la struttura - aperta al pubblico 3 anni fa - dà lavoro a circa 200 dipendenti e consta di 454
unità abitative: da 5.000 a 8.000 euro al metro quadro, a seconda della dimensione (da 50 a 500 metri
quadri) e della tipologia (casette del borgo, case a terrazza, ville e 4 penthouse), 1.220 posti auto interrati;
72 ascensori, un albergo di lusso, negozi, ristoranti, un beach club, 3 piscine, 116 ormeggi per barche fino
a 25 metri e una Spa. Il 70% del fabbisogno termico dell'intero complesso è inoltre alimentato da fonti
rinnovabili attraverso un sistema di pompe di calore che permettono di risparmiare il 45% di energia.
All'interno del resort gli unici mezzi consentiti per muoversi sono rigorosamente green. Basta un'occhiata
poi per capire che l'ispirazione architettonica, immaginata dall'architetto Francesco Luparelli, ma anche
quella del nome evoca note località turistiche di alto livello come Portofino, Porto Cervo e Porto Rotondo.
"In parte, è vero: è una rivisitazione di quei concetti", conferma de Eccher. "E' la missione che cambia:
quella di aver creato un borgo di mare dal nulla, ecosostenibile e certificato dal ministero dell'Ambiente".
Oggi il 70% degli appartamenti sono stati venduti. All'inizio gli acquirenti erano più italiani, ora sono
soprattutto stranieri: austriaci, tedeschi, belgi, sloveni, ungheresi e americani. Ma non è finita qui perché a
breve partirà la parte più "eclatante" dell'opera con 150 milioni di euro di investimenti previsti per sviluppare
la marina naturale della Baia di Sistiana, dove nascerà un porticciolo per yacht fino a 100 metri su un'area
di 250 metri quadri.
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 25
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Pag. 21 N.27 - 17 luglio 2017
diffusione:400000
Foto: Claudio de Eccher : guida con il fratello Marco il gruppo di costruzioni friulano Rizzani de Eccher
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TUTTO SOLDI
diffusione:150427
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Case da ristrutturare, il risparmio è fino al 35%
Gli alloggi rinnovati aumentano poi di valore del 19% SANDRA RICCIO MILANO
L'immobile da ristrutturare è per molti una via obbligata. Il patrimonio di edifici del nostro Paese è costituito
per oltre il 50% da case con più di 50 anni sulle spalle, le costruzioni con pochi anni sono limitate. Molti
acquirenti preferiscono però l'usato perché permette di risparmiare sul budget di acquisto. Le quotazioni per
le case usate e da rimettere in sesto, in media, sono più basse del 35%. E' quanto emerge da un'analisi del
portale di annunci Casa.it che rileva picchi anche del 67% a Milano e del 49% a Bologna mentre Roma e
Torino si fermano al 29%. Non è il solo aspetto che invoglia a guardare all'usato. Al prezzo più basso si
aggiunge, infatti, il guadagno che si ottiene dalla rimessa in sesto. Secondo i calcoli fatti da Immobiliare.it e
Prontopro.it, dopo una ristrutturazione, il valore della casa sale del 19% (12% tolte le spese). Anche l'affitto,
se si decide di locare, sarà più alto. Secondo lo studio, i canoni delle abitazioni riadattate sono più alti del
22%. Vale lo stesso per i tempi di vendita che migliorano dopo i lavori: le case rifatte trovano un nuovo
proprietario in 5,4 mesi contro i 6,6 mesi delle case non ristrutturate. Di sicuro negli ultimi anni molti hanno
scelto la ristrutturazione anche per beneficiare degli alleggerimenti dal fisco. Alcune spese, infatti, si
possono recuperare con i bonus fiscali per ristrutturazione (50%) e risparmio energetico (65%). A fine anno
però questi sconti potrebbero scadere. Meglio quindi farsi avanti per non rischiare di perdere il treno. Quali
sono gli errori da evitare se si cerca casa da rimettere a posto? Occorre prima di tutto scegliere con cura.
«Negli ultimi anni il mercato abitativo è molto cambiato e così pure la domanda che è sempre più attenta
alla qualità. Immobili costruiti anche solamente 10 anni fa non hanno le caratteristiche di risparmio
energetico, innovazioni nei materiali e nell'impiantistica di immobili progettati e costruiti oggi» dicono da
Duff&Phelps Reag. Sui lavori, meglio non lanciarsi nel fai da te. Gli esperti consigliano di rivolgersi a
personale tecnico specializzato per valutare i costi da sostenere per la ristrutturazione e le tempistiche. Le
voci da considerare sono molte. Ogni città ha tariffari diversi. Si va dai 500 ai mille euro a metro quadro nei
grandi centri per i lavori. Poi la spesa sicuramente varierà in base alle preferenze. Tra i suggerimenti che
arrivano dalle associazioni di consumatori c'è poi quello di farsi fare ogni volta più preventivi da artigiani e
professionisti. Per lo stesso tipo di miglioria, i prezzi variano anche di qualche migliaio di euro. c L'affitto I
canoni delle abitazioni ristrutturate sono più alti del 22%. E alcune spese si possono recuperare con i bonus
fiscali per ristrutturazione (50%) e risparmio energetico (65%). A fine anno però questi sconti potrebbero
scadere
Foto: La vendita Le case rifatte trovano un nuovo proprietario in 5,4 mesi contro i 6,6 mesi delle case non
ristrutturate
Foto: ANSA
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Voci di Falchera. Come se qui non fosse Torino
Alessandro Magini
Alla Falchera non si capita per caso, ci si deve proprio arrivare. Stretto tra la tangenziale e l'autostrada A4
Torino-Milano, questo quartiere circondato dai campi nell'estrema periferia Nord del capoluogo piemontese
è completamente scollegato dal resto della città. Il sobborgo è diviso in due: le rotaie del tram 4, l'unico
mezzo di trasporto pubblico che unisce Torino a questa borgata, demarcano la linea di confine tra la
Falchera Vecchia e quella Nuova. La storia
Sorto nel 1953 su progetto dell'urbanista Giovanni Astengo, il primo insediamento di edilizia popolare
faceva parte del piano Ina-Casa, ribattezzato «Piano Fanfani» dal nome dell'allora ministro del Lavoro e
della Previdenza sociale. Le case hanno appena tre piani e ogni blocco abitativo è disposto a semicerchio
per far spazio al giardino condominiale, che nell'idea del progettista sarebbe dovuto essere il luogo di
incontro e socializzazione tra gli abitanti del quartiere.
La Falchera Nuova è invece figlia della legge 167 del 1962, che introdusse in Italia i cosiddetti «Piani di
Edilizia Economica Popolare», e venne edificata nel 1973, quando il costante aumento demografico della
città rese necessaria la costruzione di nuovi alloggi popolari. Qui la fretta di costruire nuove case per gli
operai che giungevano in massa dal Sud ha fatto sì che non si rispettassero gli stessi criteri urbanistici del
primo progetto. In mezzo al nulla vennero tirati su diciannove palazzoni di dieci piani che gli abitanti del
quartiere chiamano le «torri». Ancora prima di essere assegnate attraverso le regolari graduatorie, le «torri»
erano state già occupate. I nomi degli alberi
Una periferia che invecchia. La prima cosa che si nota, camminando per le vie della Falchera Vecchia, è il
verde. Non è un caso se le strade hanno i nomi degli alberi: via delle Querce, via degli Abeti, via dei Faggi.
Le case sono basse e i giardini curati. Eppure la periferia si sente: non ci sono negozi e nonostante l'orario
di punta non passano macchine, le strade sono vuote. In giro soltanto anziani. «La Falchera sta
invecchiando, quando ero giovane questi giardini erano vivi, era pieno di bambini e ragazzi che giocavano
all'aperto, anche perché ci si conosceva tutti», racconta con un filo di tristezza Umberto Grassi, che dal
1993 si occupa di «Gente di Falchera», il mensile che viene distribuito gratuitamente agli abitanti del
quartiere. Umberto mi riceve nella redazione del giornale in Piazza Astengo, dove si trovano le uniche
attività commerciali della zona: il bar, la farmacia, la macelleria e un piccolo negozio di alimentari. I tempi
cambiano
«Ci finanziamo da soli, non abbiamo fondi, andiamo avanti grazie all'impegno dei volontari perché
crediamo sia importante informare la gente riguardo a ciò che succede nel nostro quartiere». Sul giornale
trovano spazio le lettere di protesta dei cittadini, le poesie dei bambini della scuola elementare «Leonardo
da Vinci» e le attività delle associazioni della Falchera. «Io qui ci sono nato e mi ci trovo bene - prosegue
Umberto - ma le cose sono cambiate. Quando ero bambino e si veniva dalla guerra ci si aiutava gli uni con
gli altri, oggi invece vedo che il tessuto sociale si sta sfaldando. Qualche giorno fa durante l'assemblea di
condominio è venuto fuori che ogni famiglia avrebbe dovuto versare 7 euro per la manutenzione del
giardino e un signore anziano ha detto che non li aveva. Beh, non ci crederai ma i condomini se la sono
presa con lui invece che raccogliere la sua quota, e parlo di 7 euro. La gente non si interessa più alla vita
del quartiere, temo che dopo la mia generazione nessuno si occuperà più della Falchera».
Prima di salutarmi mi regala i due libri che ha dedicato a quest'angolo dimenticato di Torino. Ripercorrono
la storia della borgata dalla sua costruzione fino ad oggi, con le foto e le testimonianze dei primi abitanti che
si insediarono qui dal Veneto, dal Mezzogiorno e dall'Istria. La fontana che non funziona
Una politica distante. Ivo Manecchia è il capogruppo del Partito Democratico nella sesta circoscrizione e
vive alla Falchera da oltre quarant'anni. Per farmi capire quanto sia forte il malcontento nei confronti della
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politica in questo quartiere, mi mostra i dati elettorali dei seggi della zona riguardo al ballottaggio tra Piero
Fassino e Chiara Appendino. Su 5713 aventi diritto di voto, soltanto in 2861 sono andati a votare. La
candidata del Movimento Cinquestelle ha preso 2010 voti, il 70%.
«Questo era un quartiere di sinistra, negli anni 80 il Pci arrivava a prendere anche il 50%. Ma la gente si è
sentita dimenticata. È vero che negli ultimi anni Torino ha vissuto una rinascita, ma questo vale solo per il
centro. Guarda quella fontana - dice indicandomi il centro di Piazza Astengo, il cuore della Falchera - è
stata inaugurata dieci anni fa e ha smesso subito di funzionare, il portico cade a pezzi e nessuno fa la
manutenzione perché non ci sono i fondi. Qui le cose vanno così, le opere si fanno giusto per
l'inaugurazione, poi il politico scompare e tutto torna come era». Quando gli chiedo quali siano le richieste
più comuni dei cittadini risponde senza un attimo di esitazione: «Il lavoro, il lavoro, sempre il lavoro». Lo
ripete tre volte, per sottolineare la drammaticità della disoccupazione che attanaglia i giovani di questa
periferia. «Sono i genitori a chiedermi di trovare un posto per i figli, forse perché i ragazzi se ne
vergognano, o forse perché sono rassegnati. I dati nazionali danno la disoccupazione giovanile al 40%, ma
qui credo sia molto peggio, probabilmente raggiunge anche il 50%. La sesta circoscrizione ha un suo
centro per l'impiego, ma possiamo fare ben poco, quasi nulla. Molti ragazzi disoccupati sono dovuti tornare
a casa dai genitori, anche giovani coppie sposate. Qui si regge tutto sul welfare famigliare, sono i vecchi a
dare una mano ai giovani. Per ora la cosa funziona perché ci sono ancora gli anziani che sono andati in
pensione con il sistema retributivo, ma quando non ci saranno più e avranno tutti il sistema contributivo non
oso immaginare cosa succederà». L'impatto della crisi, mi spiega, si è sentito più forte rispetto ad altre
zone della città ed è visibile ad occhio nudo.
«Essendo un quartiere chiuso, dove non si arriva di passaggio per andare altrove, basta osservare il
numero delle macchine parcheggiate nei condomini. Prima i posti auto erano pieni, adesso trovi sempre
parcheggio perché molti hanno dovuto rinunciare alla macchina». Dal balcone
Camminando per i giardini della Falchera noto una giovane coppia sui trent'anni, fumano affacciati al
balcone. Sono le undici di mattina, pieno orario di lavoro, ma sono in casa. Non mi invitano a salire ed io
non chiedo loro di scendere, ma dopo un'iniziale diffidenza accettano di scambiare due chiacchiere. Sono
entrambi disoccupati e si arrangiano facendo piccoli lavori in nero. Martina mi racconta che prima era
dipendente presso un centro estetico di Barriera di Milano, ma poi l'attività ha chiuso e si è trovata senza
lavoro. Simone invece ha cambiato diversi lavori, non ha mai trovato nessuno che lo assumesse in via
definitiva e adesso quando lo chiamano fa l'operaio. «Ma con la crisi dell'edilizia - mi spiega - sono più le
giornate che passo a casa rispetto a quelle in cui lavoro. Se in un mese riesco a lavorare una decina di
giorni è un miracolo». Vivono entrambi con la madre di lei, che è proprietaria della casa in cui abitano e li
aiuta con la pensione a mantenere Gaia, la bambina che hanno avuto 4 anni fa. «Ma non ci vergogniamo,
non è colpa nostra se non c'è lavoro. La maggior parte dei nostri amici vive lo stesso disagio. Certo la
situazione ci pesa, ma siamo persone oneste. Preferisco restare a casa senza far niente piuttosto che
andare a rubare». La farmacia
Alessandro Avramo è consigliere di circoscrizione. È la sua prima esperienza politica e si è candidato con
una lista civica, ma politicamente è vicino al Pd. Anche lui, come Ivo Manecchia, dice che gli abitanti del
quartiere si sentano abbandonati dalla politica. «Per l'intera durata del suo mandato, Fassino non ha mai
visitato questa borgata. Si è fatto vedere soltanto una volta, a pochi giorni dalle elezioni. Ma la gente non è
stupida, queste cose le nota e vota di conseguenza». La sua famiglia è proprietaria della farmacia della
Falchera da più di trent'anni. «Da cinque o sei anni ho notato che la gente ha smesso di curarsi. La
farmacia è un ottimo osservatorio per comprendere le difficoltà economiche degli abitanti del quartiere. Ho
clienti che arrivano per comprare un farmaco, ma al momento di pagare mi dicono che non hanno i soldi».
Alessandro è stato segretario dell'Agifar di Torino, l'Associazione dei giovani farmacisti, e conosce bene le
ricerche scientifiche che mettono in relazione la salute con il livello socioeconomico. «Qui alla Falchera la
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gente si ammala di più rispetto alle zone ricche della città. Non è solamente un discorso di povertà
economica, ma anche di povertà culturale. I meno istruiti sono i più colpiti dalla sindrome metabolica, hanno
più probabilità di sviluppare il diabete e di soffrire di ipertensione rispetto a chi è più istruito e ha una
condizione più solida. Anche l'incidenza dei tumori è più alta qui che altrove. In via Germagnano, tra la
Falchera e la Stura, ci sono continui roghi di rifiuti tossici, alcuni giornali hanno scritto che anche Torino ha
la sua terra dei fuochi».
La solidarietà del quartiere dimenticato. Il «sindaco della Falchera» si chiama Rodolfo Grasso, ha 75 anni
e prima della pensione ha lavorato come operaio alla Fiat. Lo hanno soprannominato così perché nel 1998
ha fondato il Comitato Sviluppo Falchera, l'associazione più presente nel quartiere. In questa periferia non
ci sono sezioni di partito, l'anagrafe rischia di chiudere per mancanza di personale e la sede della sesta
circoscrizione è lontana, così come quella dell'Atc, l'Agenzia Territoriale per la Casa. Per questo i cittadini si
rivolgono a lui. Con il suo comitato Rodolfo raccoglie segnalazioni e problemi, sforzandosi di risolverli
insieme ai suoi volontari. Tra i servizi forniti gratuitamente dall'associazione c'è lo sportello Atc». Gli sfratti
«Quello della casa è da sempre uno dei principali problemi della Falchera», mi dice mentre tira fuori da un
cassetto le notifiche di sfratto cui sta tentando di opporsi. «Questa è l'ultima, mi è arrivata una settimana fa.
Riguarda una famiglia del quartiere, gente per bene. È successo che sia il marito che la moglie abbiano
perso il lavoro nel giro di due mesi. Lui faceva il muratore, lei le pulizie in un hotel. Hanno pagato il canone
all'Atc fino a dicembre, ma poi non ce l'hanno più fatta. Ora gli hanno intimato lo sfratto, ma hanno quattro
bambini piccoli, non possiamo permetterci che finiscano per strada. Ho avviato la pratica per farli inserire
nel fondo di morosità incolpevole, dovremmo riuscirci». Il parroco
Di fronte alla sede del comitato si trova la Parrocchia di San Pio X. Qui incontro Don Adelino Montanelli,
che è arrivato alla Falchera nel 2004 e si è subito speso per migliorare la qualità della vita dei giovani del
quartiere. Mi mostra orgoglioso l'oratorio, dove una ventina di adolescenti gioca a pallone. Ripete loro che
l'istruzione è importante e mi racconta di un ragazzo che frequentava la parrocchia: «Viveva nelle case
popolari della Falchera Nuova ed è riuscito a laurearsi in medicina. Oggi fa il chirurgo alle Molinette».
Questo parroco di periferia è fiero della sua comunità: «La Falchera non è così terribile come viene dipinta,
se ne parla solamente in relazione al degrado, alla violenza e alla miseria. Certo la povertà si sente, ma
nessuno scrive mai che qui c'è anche tanta solidarietà».
Il Progetto di solidarietà fraterna ne è l'esempio. Don Montanelli racconta che i parrocchiani più agiati si
auto-tassano ogni mese per far fronte alle necessità delle famiglie più fragili. «Grazie alla loro generosità a
gennaio abbiamo impedito che due famiglie venissero sfrattate. Proprio stamattina è arrivata una ragazza
romena che vive qui vicino, non è riuscita a pagare le bollette e tra pochi giorni le avrebbero staccato la
corrente. Con il fondo comune siamo riusciti a evitarlo». Vado a Torino
Ho passato quattro giorni alla Falchera, cercando di capire cosa significhi vivere qui. A spiegarmelo,
involontariamente, è stata una ragazzina sui 14 anni. Aspettando il tram 4 al capolinea ha fatto una
telefonata: «Ciao nonna, sono uscita adesso di casa, sto andando a Torino». Come se non ci fossimo già,
come se qui non fosse Torino. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI
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Pag. 14 N.167 - 17 luglio 2017
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I chiarimenti Inl sulle conseguenze per le aziende che non dichiarano i dipendenti
Lavoro nero? Doppie sanzioni
Multa fi no a 36 mila € più il 30% dei contributi omessi CARLA DE LELLIS
Doppie sanzioni per il lavoro nero. Chi occupa lavoratori non dichiarati (per i quali, cioè, non sia stata fatta
la «Co» su cliclavoro.it) è punito con una multa il cui importo può arrivare a 36 mila euro (cosiddetta «maxi-
sanzione») e sui contributi non versati deve pagare l'ulteriore sanzione del 30% degli stessi contributi fi no
al tetto massimo del 60% (oltre si pagano gli interessi di mora). Se il datore di lavoro regolarizza i lavoratori,
è necessaria una verifi ca ispettiva in merito al corretto adempimenti degli obblighi relativi alla sorveglianza
sanitaria e alla formazione e informazione con specifi co riferimento al settore dell'edilizia. È quanto
precisano, tra l'altro, le ultime Faq dell'Inl (ispettorato nazionale del lavoro) in materia di maxi-sanzione. Il
«lavoro nero». Per lavoro nero (o sommerso) s'intende, comunemente, la situazione in cui il datore di
lavoro occupa manodopera non dichiarata, cioè lavoratori subordinati senza preventiva comunicazione
d'instaurazione del rapporto di lavoro (la Co). In questi casi, le sanzioni sono doppie: civili e amministrative.
Le sanzioni civili sono quelle connesse al mancato versamento dei contributi per la fattispecie «evasione»;
la sanzione amministrativa, invece, fa riferimento all'aspetto «contrattuale» del rapporto di lavoro ed è la
c.d. maxi-sanzione. Questa si applica a tutti i datori di lavoro privati con la sola esclusione di quelli
domestici. La misura non è unica (è stata d'importo fi sso da 1950 a 15.600 euro, più euro 195 per ciascuna
giornata di effettivo lavoro in «nero», fi no al 23 settembre 2015) ma graduata «per fasce», in relazione alla
durata del comportamento illecito: • da 1.500 a 9.000 euro per ciascun lavoratore irregolare, in caso di
impiego del lavoratore sino a 30 giorni di effettivo lavoro; • da 3.000 a 18.000 euro per ciascun lavoratore
irregolare, in caso di impiego del lavoratore da 31 e sino a 60 giorni di effettivo lavoro; • da 6.000 a 36.000
euro per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore oltre 60 giorni di lavoro. È previsto,
inoltre, che gli importi delle sanzioni siano aumentati del 20% in caso d'impiego di lavoratori stranieri non in
possesso di un valido permesso di soggiorno ovvero di minori in età non lavorativa e rispetto a essi non
trova applicazione la procedura di diffi da (di seguito indicata). La diffi da. Ai fi ni della regolarizzazione del
lavoro in nero, fermi gli adempimenti formali (istituzione o compilazione Lul, se già istituito; consegna lettera
di assunzione; comunicazione al centro per l'impiego ecc.), sono necessari: a) la stipulazione di un
contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, anche a tempo parziale con riduzione dell'orario non
superiore al 50%, o con contratti a tempo pieno e determinato di durata non inferiore a tre mesi; b) il
mantenimento in servizio dei lavoratori oggetto di regolarizzazione per un periodo non inferiore a «tre
mesi». In questi casi, l'assunzione è sottratta (evidentemente) alle agevolazioni, anche perché risulta
violata la norma che subordina l'accesso a tutti i benefi ci «normativi e contributivi» al rispetto di «altri
obblighi di legge» (art. 1, comma 1175, legge 296/06). Nei confronti dei lavoratori irregolari trovati «ancora
in forza» all'atto dell'accesso ispettivo, si ottempera alla diffi da nel termine complessivo di 120 giorni dalla
notifi ca del verbale unico, mediante la dimostrazione, da parte del datore di lavoro, dei seguenti
adempimenti: a) la regolarizzazione dell'intero periodo di lavoro prestato in «nero» secondo le modalità
accertate ivi compreso il versamento dei relativi contributi e premi; b) la stipula del contratto di lavoro; c) il
mantenimento in servizio del lavoratore per almeno «tre mesi», cioè almeno 90 giorni di calendario, da
comprovare attraverso il pagamento delle retribuzioni, dei contributi e dei premi scaduti entro il termine di
adempimento; d) il pagamento della maxi-sanzione. A prescindere dalla regolarizzazione del rapporto,
resta poi ferma la necessità di procedere al recupero delle retribuzioni eventualmente non pagate
attraverso l'emanazione di altra diffi da, quella «accertativa». Per quanto riguarda l'obbligo del periodo
minimo di tre mesi di mantenimento in servizio del lavoratore, tale periodo è computato «al netto» del
periodo di lavoro prestato in nero, il quale va comunque regolarizzato. In altri termini, il contratto (cioè
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l'assunzione alla luce del sole) decorrerà dal primo giorno di lavoro «nero», mentre il periodo di tre mesi
utile a confi gurare l'adempimento alla diffi da va «conteggiato» dalla data dell'accesso ispettivo. La verifi ca
ispettiva. A risposta di quesiti, l'ispettorato nazionale del lavoro (Inl), in una recente Faq, ha precisato che la
regolarizzazione dei lavoratori comporta una verifi ca degli obblighi relativi alla sorveglianza sanitaria e alla
formazione e informazione «con specifico riferimento al settore dell'edilizia» e cioè in quell'ambito nel quale
il personale ispettivo è «organo di vigilanza». La verifi ca di tali adempimenti va effettuata con esclusivo
riferimento alla edilizia e alle altre attività indicate all'art. 13, comma 2, del dlgs n. 81/08. Ferma restando
l'emanazione della prescrizione obbligatoria, l'Inl precisa che: - quanto alla sorveglianza sanitaria, va verifi
cata l'effettiva effettuazione della visita medica di idoneità alla mansione specifica; in assenza potrà
considerarsi suffi ciente l'esibizione della prenotazione della stessa ma in tal caso i lavoratori interessati
non dovranno essere adibiti a mansioni lavorative per le quali vi è l'obbligo di sorveglianza sanitaria fi no al
prescritto giudizio di idoneità; - quanto alla formazione: in analogia con quanto previsto dall'accordo stato-
regioni del 21 dicembre 2011, punto 10, deve ritenersi suffi ciente che la stessa sia stata programmata in
modo da concludersi entro il termine di 60 giorni e sia stata oggetto di richiesta di collaborazione con gli
organismi paritetici (art. 37, comma 12, T.u. sicurezza) ove esistenti nel territorio e nel settore nel quale
opera l'azienda; - quanto all'obbligo informativo: lo stesso dovrà essere comprovato attraverso esibizione di
idonea documentazione (dichiarazione controfi rmata dal lavoratore interessato). La maxi-sanzione per
lavoro nero Durata in nero dell'occupazione Fino a 30 giorni Oltre 60 giorni Fino a 30 giorni Oltre 60 giorni
Generalità di lavoratori impiegati in nero Da 31 a 60 giorni Da 31 a 60 giorni Sanzione per ciascun
lavoratore irregolare Importo pieno (min-max) Importo da diffida Importo ridotto (1) Da 1.500 a 9.000 euro
Da 3.000 a 18.000 euro Da 6.000 a 36.000 euro 1.500 euro 3.000 euro 6.000 euro Da 3.600 a 21.600 euro
Da 7.200 a 43.200 euro 1) Art. 16 legge n. 689/1981 con pagamento entro 60 giorni dalla contestazione 2)
Non trova applicazione la procedura di diffida 3.000 euro 6.000 euro 12.000 euro Impiego in nero di
stranieri irregolari e/o di minori (2) Durata in nero dell'occupazione Sanzione per ciascun lavoratore
irregolare Importo pieno (min-max) (1) Importo ridotto (1) Da 1.800 a 10.800 euro 3.600 euro 7.200 euro
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 32
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Pag. 32 Ed. Roma
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tiratura:137738
LAZIO dalla regione
Verso la rigenerazione urbana per rilanciare il territorio
La legge approvata dalla Pisana favorisce l'edilizia di recupero, con possibili aumenti di cubature Per ora esclusi i centri storici SIMONE CIAMPANELLA
' L '11 luglio con 28 voti a favore e 18 contrari la Pisana ha approvato la nuova legge regionale per la
rigenerazione urbana. La norma, si legge in una nota, nasce «per migliorare la qualità della vita dei
cittadini, comprende aspetti sociali, economici, urbanistici ed edilizi, anche con l'obiettivo di promuovere o
rilanciare territori in situazioni di disagio o degrado socio- economico». Non più gettare cemento ma
recuperare quello che già esiste. Un discorso difficile ad essere attuato, anche se essenziale, perché
costruire è economicamente più conveniente che ristrutturare. Per questo nei programmi di rigenerazione
urbana, che possono essere proposti ai comuni da privati e da associazioni consortili di recupero urbano, è
prevista una premialità per il rinnovo del patrimonio edilizio esistente. Nelle opere pubbliche e per le
cessioni di aree aggiuntive, si arriva fino al 35% della superficie lorda esistente, che sale al 40% se si
riduce di almeno del 10% la superficie esistente a favore di quella permeabile. Da indicare anche una quota
di almeno il 20% per cento per alloggi di edilizia residenziale pubblica e sociale. Se invece è il comune a
individuare "ambiti territoriali urbani" di riqualificazione e recupero edilizio sarà consentito un aumento del
30%. Nel caso di "interventi diretti" è consentito un incremento del 20% (10% se edifici produttivi). Questa
parte della norma vale anche per le aree agricole e per le strutture ricettive all'aria aperta. Cinema e centri
culturali polifunzionali potranno godere di premialità fino al 20%. Teatri, sale cinematografiche e centri
culturali sono ampliabili fino al 30% se saranno destinati ad attività commerciali, artigianali e per servizi. Nel
caso di interventi per l'efficienza energetica e il miglioramento sismico si può ottenere il 20% in più (fino a
un massimo di 70 metri quadrati), anche se il corpo è separato, purché non si comprometta "l'armonia
estetica del fabbricato". Nelle zone terremotate gli ampliamenti potranno essere spostati in un altro lotto
dello stesso comune, ma non in zona agricola. Al momento restano fuori i centri storici, che dovrebbero
però essere trattati durante i prossimi mesi. Si tratta di un nuovo Piano casa? No, secondo Michele Civita,
assessore regionale alle Politiche del Territorio «perché dà strumenti e più poteri ai comuni», che potranno
maturare e progettare «una idea sullo sviluppo della propria comunità». Secondo il governo regionale, la
rigenerazione si pone l'obiettivo di avviare una mentalità edilizia di qualità, sostenibilità e sicurezza. «Un
pilastro della fase legislativa della nostra Regione», dice il presidente Nicola Zingaretti, che introdurrà,
spiega l'assessore all'ambiente Mauro Buschini «norme di semplificazione e di snellimento delle procedure
al fine di garantire tempi certi nell'attuazione degli interventi». Critica l'opposizione che contesta la
debolezza della legge, non in grado di intervenire dove c'è bisogno, oltre che favorire i grandi costruttori.
Resta ora da approfondire il testo, non ancora disponibile, per comprendere i termini della tutela ambientale
e della riduzione di consumo del suolo.
Foto: Il progetto di rigenerazione urbana del Corviale
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 33
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diffusione:39814
tiratura:86689
ABUSI EDILIZI
Spiagge, scuole e quartieri: è l ' Italia sfregiata
FQ
L ' INCHIESTA A PAG. 10 - 11 ido Bruno, San Vito di Taranto. Passeggiamo sulla baia che si apre alla fine
di via Meduse - qui tutte le vie portano il nome di pesci - e lo sguardo viene rapito dall'acqua cristallina che
dal turchese sfuma nell'azzurro profondo. E a pochi metri dall'acqua, una recinzione in muratura con "
Passo carrabile " . L'area è soggetta a vincolo demaniale: sarebbe già vietato costruire, qui, com ' è
possibile ottenere dal Comune un passo carrabile? Poi il cartello: " A ffittasi appartamenti a 20 metri dal
mare solo per periodo estivo " . Telefoniamo. Fingiamo d ' essere interessati a un appartamento. " L'unica
settimana disponibile " , risponde il proprietario, " è l'ultima di agosto " . Gli affari vanno bene. " Abbiamo
letto che si trova a 20 metri dal mare - c o ntinuiamo - ma com ' è possibile? Non si può costruire così vicino
alla riva " . " E io ci sono riuscito - risponde orgoglioso - siamo proprio sul mare: se non sta attenta,
uscendo cade in acqua " . Ah. " Abbiamo anche la piscina - aggiunge - può vedere le foto su Booking e
TripAdvisor " . E dice il vero: tutto pubblicizzato su Internet. Tranne un dettaglio: non solo la struttura - sei
appartamenti da 70 metri quadrati ciascuno più piscina - è abusiva. E ' a ddirittura sotto sequestro: decreto
firmato dal gip Giuseppe Tommasino su richiesta del pm della procura di Taranto Mariano Bucconieri. FQ
L'Inchiesta segnala la vicenda in procura. La Guardia di Finanza si presenta nel resort: agli ignari
vacanzieri viene concesso il tempo utile per fare le valigie. E i sigilli tornano al loro posto. Un caso isolato?
Purtroppo no. Dalla Puglia alla Sicilia, passando per Calabria, Sardegna e Roma, ci si rende conto che
negli anni, a comandare sui piani urbanistici - violando norme e violentando paesaggi - sono stati proprio gli
abusivi. DALLA PUGLIA ALLE MARCHE Villaggi sulla sabbia e porti sconosciuti al catasto Se da San Vito
risaliamo in provincia di Foggia, su una lingua di sabbia che separa il mare Adriatico dal lago di Lesina, per
la precisione a Torre Mileto, nel comune di San Nicandro Garganico, troviamo 3mila case abusive su 12
chilometri di costa. Ora, che possa venir su una casa, senza che nessuno se accorga, è già poco credibile.
Ma che nessuno, negli anni '70, si sia accorto che nasceva un intero quartiere abusivo, va oltre ogni
immaginazione. Case senza fondamenta né allacci alla corrente elettrica. Acqua per uso domestico
prelevata da pozzi scavati in modalità " fai da te " . Il tutto nel cuore del Parco Nazionale del Gargano, zona
dichiarata dall'Ue " Sito di importanza Comunitaria " e " Protezione Speciale " , meta delle rotte migratorie di
uccelli. Divieto d ' edificazione? Qui è abusiva la Chiesa, il bar, il negozio degli alimentari. Se non bastasse,
trovi delle transenne che impediscono l'accesso al mare. Molte case recano il cartello " vendesi " - con
quale rogito notarile, vien da chiedersi, visto che sono abusive. Tredici anni fa un'ordinanza di demolizione
ne ha fatte abbattere quattro. Poi le ruspe si sono fermate, nonostante nel 2009, la Regione Puglia abbia
varato il piano di recupero ambientale, mai divenuto esecutivo, che prevede l'abbattimento di 900 case. Nel
frattempo sono piovute le richieste di condono edilizio e i proprietari pagano regolarmente le tasse. A quel
punto, hanno costituito un Comitato delle vittime di ingiustizia (sic!), poiché non ricevono servizi adeguati le
istituzioni paventano un grave pericolo sanitario. Proseguiamo per Fano, in provincia di Pesaro, dove la
GdF aeronavale di Ancona, comandata dal tenente colonnello Rocco Nicola Savino, ha sequestrato il
camping Stella Maris: costruzioni abusive per un valore di 3 milioni su un' area in parte demaniale e in parte
privata. Oltre i 24 bungalows hanno eretto anche anfiteatro in muratura. Pochi chilometri a nord, la Gdf ha
scoperto che il porticciolo turistico di " Vallugola " è sconosciuto al catasto. Paradossale? Non quanto il
seguente dettaglio: risultano comunque versati gli oneri al Comune. CALABRIA: SNATURATO IL 65 PER
CENTO DELLA COSTA Quegli 800 studenti nella scuola inagibile della ' ndranghet a Passiamo alle coste
calabresi. Legambiente ha certificato che tra il 1988 al 2011 il territorio è stato drasticamente snaturato. "
Da Reggio Calabria, fino al confine con la Basilicata, è un susseguirsi di nuove realizzazioni che hanno
occupato vuoti, cancellato importanti aree agricole, intaccato paesaggi montuosi di rara bellezza " . Dei 798
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chilometri di costa calabrese, ben 523 sono stati " trasformati da interventi antropici legali e abusivi " .
L'ennesima prova che è l'abusivismo a disegnare il vero paesaggio del Paese. L ' unica commissione d '
inchiesta che è riuscita a stilare una relazione sull ' abusivi smo a Reggio Calabria risale al 2009, guidata
Nuccio Barillà, dirigente nazionale di Legambiente. Ha censito 4.191 ecomostri: " Un ' offesa al paesaggio
ogni 100-150 metri lineari di costa " . Solo tra Bagnara e Africo, nel 2015, si contavano 686 gli ordini di
demolizione disposti dal Tribunale. Mai eseguiti. Passeggiando per Reggio - che cont 328 ordini di
demolizione non eseguiti t'imbatti nell' " È- ho te l " . Albergo in parte sequestrato dalla procura nel 2013
poiché " è integralmente abusivo " . " È evidente - scrive il pm Matteo Centini - che è stato realizzata
esclusivamente grazie alla complicità di infedeli funzionari pubblici... L'ennesimo scempio per questo
meraviglioso territorio è stato perpetrato con la complicità attiva ... ovvero silenziosa e silente ... di ogni
singolo pubblico funzionario che aveva responsabilità nella gestione e nella sua tutela " . E se dal
lungomare t ' inoltri nella periferia, puoi ammirare il " Cos ' È-hotel " , la sua struttura " gemella " , costruita
in una zona " caratterizzata da vincolo idrogeologico " . Anch'essa sequestrata perché " totalmente abusiva
" . A Bagnara, per anni, prima dell ' arrivo dei commissari prefettizi - che hanno acquisito la struttura al
patrimonio pubblico - il Comune ha pagato al proprietario del residence " Laura " , già considerato abusivo, l
' alloggio per gli ospiti del famoso premio Mia Martini. Se foste nati a Locri, invece, avreste potuto
frequentare l ' Istituto d ' arte " Panetta " o l ' Istituto professionale per l ' industria. Salvo vedervi
sequestrare le scuole, pochi mesi fa, dall ' Antimafia perché, come sostiene il procuratore De Raho, è in
pericolo " l ' incolumità di 800 studenti " . Ebbene sì, a Locri la ' ndrangheta riesce a costruire persino le
scuole. Senza un documento in mano. Senza che un solo agente della polizia municipale se ne accorga.
Manca il permesso a costruire, il collaudo, il certificati d ' agibilità. Intanto i proprietari incassavano dalla
Provincia 130mila euro l ' anno d ' af fitto. Poi l ' ente ha acquistato il tutto per 12 milioni di euro. Da soggetti
legati alle cosche. QUARTU SANT ' ELENA, LA CAPITALE DELLE CASE FAI DA TE 222 milioni di spesa
pubblica per servire gli abusi condonati La capitale dell ' abusivismo in Sardegna è invece Quartu Sant '
Elena. Attorno a quel suo mare che ti ci tufferesti già con gli occhi, centinaia di ville cresciute senza alcuno
stile, ordine e criterio. Stefano Deliperi, anima della storica associazione ambientalista sarda Gruppo di
Intervento Giuridico, la racconta così: " Quartu è una delle capitali dell'abusivismo edilizio in Italia. Negli
anni Novanta era al terzo posto dopo Napoli e Gela. Di fatto, però, è anche l'unico Comune sardo ad avere
la mappa completa dell'abusivismo edilizio sul proprio territorio: nel 1995, dopo le operazioni di condono,
risultavano 10.400 casi di abusivismo - per 70mila abitanti - dei quali 127 insanabili parziali e 486 insanabili
totali " . Lungo il mare trovi 2.858 casi di abusivismo, per la bellezza di 739.007 metri cubi realizzati nelle
zone turistiche costiere. Ai quali bisogna aggiun gere - continua Deliperi - i 490mila metri cubi dei 1.336
abusi nelle zone agricole. Totale: oltre un milione di metri cubi soltanto negli anni Novanta. Allo sfregio
ambientale e paesaggistico, bisogna aggiungere la spesa che incombe sulle casse pubbliche, per dotare di
servizi le costruzioni abusive. " Per dotare dei necessari servizi (depurazione, acqua, energia elettrica,
smaltimento rifiuti, scuole, ecc.) gli ' abusi condonati ' - conclude Deliperi - la spesa ammonta a 222 milioni,
a fronte dei 20 milioni entrati con le oblazioni di legge " . E se da Quartu ci spostiamo a Roma, il paradosso
diventa lampante: nei fatti, a disegnare un nuovo piano regolatore, sono stati convocati direttamente gli
abusivi. IL PARADOSSO DI ROMA: CHI ABUSA, DELIBERA 58mila persone fuori dal piano regolatore In
buona parte delle periferie, oltre il Grande Raccordo Anulare, prima sono state costruite le case, poi sono
arrivate le regole urbanistiche. Quartieri senza servizi che hanno ospitato la rapida crescita demografica del
secondo dopoguerra: dal ' 51, quando si contavano 1,6 milioni di abitanti, ai 2,8 milioni degli anni 90. Nel
2009, una delibera della giunta guidata da Gianni Alemanno - basata su un piano varato nel ' 97 dal
sindaco Rutelli riconosce 71 nuclei di " edilizia ex abusiva " - i cosiddetti toponimi - abitati da oltre 58 mila
persone (pari alla popolazione di Agrigento). L ' obiettivo è quello di fornire marciapiedi, strade, parcheggi o
reti idriche. Il provvedimento chiede ai residenti " la cessione delle aree pubbliche " , di cui si sono
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appropriati senza titolo, concedendo in cambio di costituirsi in consorzi e progettare il recupero urbanistico.
E così gli abusivi, nei fatti, ridisegnano il piano regolatore. " L ' Atac - si legge in una delle schede tecniche
che i consorzi hanno presentato per ottenere il risanamento - non svolge servizio all ' interno del toponimo
per le dimensioni stradali e la mancanza di continuità delle stesse... " . In sostanza, andrebbero costruite
strade adeguate e regolamentati i percorsi dei mezzi pubblici. E ' necessario, senza dubbio. Ma c ' è un
fatto evidente: chi ha violato le norme, ora ridisegna il volto della città. Se non bastasse, gli abusivi possono
usufruire di un " aumento della volumetria realizzabile " . E quindi: se da (ormai ex) abusivo, rendi al
Comune il suolo pubblico, non solo progetti i servizi, ma ottieni anche nuove cubature. Vista l'assenza di
fondi, il piano non è mai decollato. Resta il fatto che il sostegno elettorale dei consorzi edili, ormai, vale una
gran fetta del voto delle periferie. E ogni candidato sindaco, a Roma, deve farci i conti. SICILIA, VISTA
MARE CON RUSPE E SIGILLI Nel mirino delle procure lidi e ristoranti Adesso spostiamoci in Sicilia, a
Cefalù, dove lungo l ' itinerario arabo normanno i turisti di mezzo mondo si aggirano un po' spaesati fra
stabilimenti transennati e col cartello di sequestro in bella vista. Lidi spesso accomunati dall ' assenza della
necessaria certificazione paesaggistica della Sovrintendenza. Lo scorcio di paradiso in provincia di
Palermo, dal 2015 è inserita fra i siti Unesco, ha già subìto a partire dagli anni ' 50 una speculazione - non
soltanto edilizia - che ha modificato morfologia e cultura del territorio. E il commissario di polizia Manfredi
Borsellino, figlio di Paolo, ha messo nel mirino le 14 concessioni che occupano i 2 chilometri di lungomare.
In questo scorcio di stagione ha sequestrato circa la metà degli stabilimenti con i bagnanti sgomenti. " Per
quasi tutti gli stabilimenti - dice Borselllino - non è chiaro come abbiano avuto la concessione e la
necessaria certificazione paesaggistica. Nella migliore delle ipotesi, c ' è stato il parere auto-assentito della
Sovrintendenza, acquisito con la procedura del silenzio assenso. Una procedura assolutamente
inapplicabile in questa materia, ancor di più quando si tratta di opere (seppure precarie o rimovibili)
realizzate su aree sotto stringenti vincoli paesaggistici e considerate di notevole interesse pubblico. Noi
abbiamo agito seguendo l ' input dell ' Assessorato al Territorio che, ben prima dell ' inizio dell ' attuale
stagione, ha diffidato i gestori dal montare gli stabilimenti " . La madre di tutti i sequestri è stato il Poseidon
2 anni fa. Il forte groviglio d ' interessi " balneari " s ' attorciglia sempre più fra carte da bollo e ricorsi, con
gip e tribunale del Riesame che a volte confermano, altre si smentiscono a vicenda. Permangono i sigilli
per 2 lidi, per altri c ' è il processo in corso, come per il Malik, costruito su un torrente con grave rischio
idrogeologico. Fra il lungomare e il Duomo, dove affiorano le mura megalitiche erette sulla scogliera alla
fine del V secolo avanti Cristo, sono sorti invece i ristoranti più alla moda: le terrazze a mare. In particolare
una ha un ' imponente struttura sostenuta da telai di ferro e pilastri in cemento armato conficcati proprio
sotto le mure megalitiche. Borsellino ha da poco inviato una nota al riguardo all ' assessorato al Territorio e
Ambiente (e per conoscenza alla Sovrintendenza di Palermo e al Procuratore della repubblica di Termini). Il
commissario di Cefalù aspetta che l'Assessorato gli risponda, però, dice: " In 8 anni e mezzo che sono a
Cefalù non ho mai visto una demolizione". 3 - CONTINUA [email protected] opra San Vito di
Taranto Succede anche questo: la promessa è addirittura un "affitto a 20 metri dal mare" S otto Il sacco di
Cefalù In questo inizio di stagione sono stati sequestrati circa la metà degli stabilimenti balneariAl primo
ciclo di puntate (questa è la terza, la quarta e ultima la prossima domenica) hanno lavorato Sandra Amurri,
Vincenzo Iurillo, Giuseppe Lo Bianco, Andrea Managò, Antonio Massari, Lucio Musolino, Ferruccio Sansa e
Davide Vecchi. Ha collaborato Alessio Gervasi. I lettori possono inviare segnalazioni alla mail di "Red Inch"
che in inglese significa "pollice rosso" ed è l'acronimo di "redazione inchieste": lasciate la vostra impronta
scrivendo a red.inch@ ilfat - toquotidiano.it FQ L'INCHIESTA l21,7 Miliardi di euro I mancati introiti per lo
Stato dall'abusivismo, pari a 1,4 punti di Prodotto interno lordo l5,3 Milioni di pratiche Sono quelle ancora
"inevase " - su un totale di 15,4 milioni - dal primo condono del 1985
La battaglia di Cefalù Il figlio del giudice ucciso dalla mafia ora indaga sui ristoranti vista mare: " In
8 anni mai una demolizione "l348 Inter venti Quelli realizzati nei primi 5 mesi del 2017 dalla Finanza sul
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demanio marittimo S oltanto cemento Sopra, nella foto grande, Quartu Sant 'Elena. A sinistra un camping
sequestrato nelle Marche. A destra Bagnara Calabra: un km di case abusive sulla spiaggiaI LUOGHI Il
fenomeno dell'abusivismo è gigantesco Queste le tappe del nostro viaggio Calabria Reggio Calabria,
Bagnara, Locri Dei 798 chilometri di costa calabrese, ben 523 sono stati trasformati da interventi antropici
legali e abusivi Puglia San Vito di Taranto, Lago di Lesina ( Foggia) Case sequestrate dalla procura messe
in affitto su internet e interi villaggi venuti su improvvisamente sulla sabbia Marche Fano, Vallugola Dagli
anfiteatri in muratura sul demanio ai porti sconosciuti al catasto Sardegna Quartu Sant 'Elena È la capitale
dell'abusivismo in Sardegna: un milione di metri cubi nei soli anni '90 Sicilia Cefalù 12 lidi sequestrati
soltanto negli ultimi due anni. Adesso è il turno dei ristoranti con terrazza vista mare Roma Periferia oltre il
Raccordo anulare Ben 71 nuclei edilizi irregolari per 58mila abitanti: con una decisione della Giunta
Alemanno gli abusivi possono "deliberare" per ottenere i servizi mancanti, dai tram alle scuole
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NELL'AZIENDA ROLLPLAST PINTO LAVORANO SETTE RIFUGIATI
La storia di Mohamed, dalla Somalia all'inferno libico alla nuova vita in
Italia
nic. sel.
Polla (Salerno) Un sorriso per mascherare la timidezza, prima di raccontare la sua storia, un incubo che
diventa favola. Mohamed Abinur lavora da oltre un anno alla Roll Plast Pinto, azienda di Polla, in provincia
di Salerno, prodotti per applicazioni edili. Il titolare, Giuseppe Pinto, prima di informarlo dell'intervista,
confida che è il miglior impiegato della sua fabbrica, che negli anni ha accolto sette migranti. Mohamed ha
in tasca un permesso di soggiorno di cinque anni. È un rifugiato politico. A casa sua, in Somalia, c'era
(conflitto dal 1991 e ancora in atto) la guerra civile. Il pensiero alla sua famiglia avvolta dal sangue vela di
tristezza l'ultimo frammento della sceneggiatura della sua vita. Che per ora è a Polla. Una casa in affitto, un
contratto di lavoro a tempo determinato, di tre anni. Un gruppo di amici, anche connazionali, con cui
dividere il tempo libero. Sospiri di vita ordinaria per un ragazzo di 25 anni. Per Mohamed però si tratta del
lato B del suo percorso. Un sorso d'acqua e un lungo respiro, prima di mostrare il primo. «Ora mi sembra
tutto una favola, non è sempre andata così, anzi». Il primo distacco dalla Somalia avveniva per il Kenya.
«Ci viveva mia zia, a una manciata di chilometri da Nairobi, sono andato a scuola per cinque anni, ho
imparato l'inglese, lo swahili, oltre a lavorare per un'impresa edile. Ma non c'era lì un futuro per me, dovevo
andare via. Per pochi soldi però ti portavano solo in Sudan». L'inferno per Mohamed è cominciato in Libia,
la meta preferita dai migranti, terra di lavoro a un passo dall'Italia, un passpartout per un altro capitolo, o
punto di partenza per altre mete europee. Nel frattempo, c'era da lavorare duro, pochi spiccioli per
costruzioni edilizie da mettere in piedi. «Ma quante violenze, quanti episodi di sopraffazione, di prigionia
immotivata - racconta Mohamed -, ho vissuto un anno e cinque mesi prima a Bengasi, un anno in prigione
perché non avevo documenti da mostrare a un poliziotto. Come me, almeno mille, uomini e donne, finiti
dentro in un solo blitz». La nottata spesso non passava mai. «Botte, botte, violenza a tappeto, senza
motivo. Un incubo, non potevi ribellarti ai poliziotti in carcere, non avevi niente cui appigliarti. Solo ai tuoi
sogni». Poi, una volta in libertà e giorni vissuti per strada senza mangiare, Mohamed iniziava a lavorare nei
campi per un uomo che si aggirava nelle carceri, alla ricerca di manodopera. Non a pagamento,
ovviamente. Lavoro senza orari «e un solo pasto al giorno, la mattina» ricorda Mohamed. Che ben presto
tornava in carcere. Motivo? Sempre lo stesso, documenti non esibiti alle forze dell'ordine. Ancora Bengasi,
poi trasferimento a Misurata, fino a Tripoli. «Lì è cominciata la seconda fase della mia vita, sono salito su
una nave diretta a Lampedusa, ho pagato 800 euro, quello che avevo da parte. E poi da lì a Casaro, vicino
Siracusa, sette mesi, fino all'ultima meta, Polla». Un passaggio per lo Sprar di Polla, assieme ad altri
connazionali. Ed era lo stesso Sprar a inoltrare la richiesta di tirocini formativi in alcune aziende della Valle
di Diano. Sino all'arrivo alla Roll Plast, che già aveva accolto sette migranti, alcuni poi messo sotto
contratto. E sono circa 30 quelli che hanno trovato impiego, una casa, un nuovo capitolo di vita nel Cilento.
Per Mohamed, sei mesi di tirocinio e la richiesta, subito approvato dal suo titolare, di un lavoro fisso. «Ora
finalmente posso mandare soldi a casa, aiutare la mia famiglia che è ancora lì, che vorrei riabbracciare
presto, a cui penso sempre». La discussione sui migranti che avvolge l'Italia lo tocca, così come i
pregiudizi, i luoghi comuni. «Sono solo un ragazzo che voleva una vita migliore, un'opportunità, un lavoro.
Ora posso mostrare a me stesso e agli altri che sono in grado di farlo. E come me, tanti potrebbero».
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Pag. 7 Ed. Pesaro
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REGIONE L'OFFENSIVA DI MIRCO CARLONI
«Fondi edilizia pubblica sono rimasti nel cassetto»
LO SCORSO dicembre, la Regione ha approvato il nuovo piano di edilizia residenziale pubblica che
destinava alla provincia di Pesaro e Urbino sui 2,5 milioni di euro per l'acquisto di nuovi alloggi,
l'abbattimento delle barriere architettoniche negli alloggi già esistenti e per i buoni casa. «Ad oggi - rivela il
consigliere regionale Mirco Carloni (Area popolare) -, risultano spesi solo i soldi per l'abbattimento delle
barriere architettoniche, mentre i restanti 2.008.564 di euro sono tutt'ora inutilizzati». Per saperne il motivo,
il consigliere ha presentato un'interrogazione consiliare. I 2 milioni di soldi non ancora spesi, secondo
quanto comunicato dalla Regione lo scorso dicembre dopo l'approvazione del nuovo piano residenziale,
servirebbero ad acquistare una trentina di immobili invenduti da adibire a case popolari, e alla distribuzione
di buoni da 25mila euro a famiglia per l'acquisto di una casa propria. «Dopo più di sei mesi questa
promessa è stata disattesa», evidenzia Carloni . Se dal locale si passa al regionale, «sono più di 10milioni
di euro lasciati inutilizzati, visto che dei 12,5 milioni stanziati risultano spesi solo 1,5 milioni per
l'abbattimento delle barriere architettoniche - aggiunge il consigliere -. In una fase in cui ci sono poche
risorse, come si può lasciare inutilizzata per anni una cifra del genere? Un vero spreco». CARLONI parla di
anni, anziché mesi, perché sono soldi disponibili sin dal piano di edilizia residenziale approvato nel 2014.
«E modificato a dicembre perché risultava quasi totalmente inattuato», dice. Poi spiega: «Alcune azioni del
vecchio piano sono state sostituite con altri interventi proprio perché ci fosse subito un rapido impiego delle
risorse disponibili sin dal 2014. Invece anche questa promessa è stata disattesa, con un ulteriore spreco di
quelle risorse ormai disponibili da anni. E pensare poi che per i buoni casa sono stati previsti punteggi
premianti per i cittadini dei comuni colpiti dal terremoto che avrebbero assoluta necessità di beneficiarne
subito». INFINE l'attacco politico di Carloni: «L'edilizia popolare nelle Marche è ferma per colpa dell'inerzia
della vicepresidente Anna Casini che in 2 anni di legislatura non ha prodotto alcun risultato, anzi ha tenuto
bloccati milioni di euro vincolati già disponibili. Questa estenuante attesa deve finire. Occorre attuare con
rapidità le nuove linee d'intervento per limitare i danni, gli sprechi e le inefficienze derivanti dal non utilizzo
di risorse finanziarie ormai disponibili da anni e dare risposte concrete a tanti cittadini più bisognosi che,
specialmente in questo periodo - concludeono - di scarsità di risorse e di difficoltà di bilancio, vivono il
problema dell'emergenza abitativa». pa. ba.
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L'edilizia tenta la risalita «Ma il codice appalti e il fisco frenano ancora il
mattone»
di LUCA ZORLONI - MILANO - DA QUALCHE SETTIMANA ha preso in mano le redini dell'Associazione
nazionale costruttori edili. Giuliano Campana, presidente dell'omonima Campana costruzioni, che all'Expo
di Milano ha costruito il padiglione dell'Uruguay, è il nuovo numero uno degli imprenditori italiani del
mattone. Originario di Brescia, già vicepresidente con delega al settore economico, tributario e fiscale, ha
preso il timone dalle mani del dimissionario Gabriele Buia, che ha lasciato l'incarico per accelerare l'iter
verso le elezioni di Ance della prossima primavera. Campana, che in qualità di vicepresidente elettivo più
anziano, era in pole position per governare la nave, ha davanti a sé mesi decisivi per l'edilizia italiana.
Presidente, quali sono le prospettive del settore? «Adesso il mercato si è fermato, come è normale con
l'estate, ma nei mesi scorsi è stato in fermento. Avremo sensazioni più chiare a settembre. Sui lavori
pubblici e privati ad ogni modo qualcosa si muove. Siamo penalizzati sulle parti fiscale e dal nuovo codice
degli appalti. E ricordo che in Europa siamo fanalino di coda per le infrastrutture. Mentre un segnale
interessante arriva dal ministro dell'Ambiente Galletti ed è il provvedimento per la Via (valutazione di
impatto ambientale, ndr) in trenta giorni, che smuove le cose e dovrebbe accelerare i procedimenti
autorizzativi delle opere pubbliche. A fine anno inoltre scadono i bonus fiscali, tra cui quello energetico, e ci
stiamo muovendo perché siano rinnovati. Hanno fatto lavorare le piccole imprese». Il ministro Delrio sta
studiando un libretto sulla vita degli edifici per monitorarne lo stato di salute e la manutenzione. È una
proposta che vi convince? «Non si parla più di manutenzione degli edifici. Quello che ha detto Delrio va
bene, purché non sia solo sulla carta. Servono indagini dei tecnici sulle strutture. Ogni edificio deve
presentare un libretto di manutenzione, che poi si deve attuare». Claudio De Albertis, storico presidente di
Ance scomparso alla fine dello scorso anno, aveva denunciato che troppi operai sono sconosciuti alla
Cassa edile. Cosa intende fare? «Oggi per entrare in un cantiere pubblico ci sono più controlli, un operaio
deve mostrare il cartellino con la fotografia e ci sono cartelli esposti con il nome dell'impresa e dei
subappalti. Il problema sono i lavori privati. Nell'associazione ci sono pareri diversi, io ritengo che debbano
essere controllati come i cantieri pubblici. Il Durc oggi è necessario, ma se ho uno o due operai in azienda,
me lo danno anche se poi in cantiere lavorano 50 persone. Il problema non è il subappalto, ma che sia
dichiarato e che tutti gli operai siano a libro paga». Per questo motivo i voucher in edilizia erano esplosi?
«Certo. Ance si è battuta contro le aziende irregolari, che fanno concorrenza sleale a quelle regolari».
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 40
15/07/2017
Pag. 26 Ed. La Spezia
diffusione:44383
tiratura:60563
ATTIVITÀ APERTA DA OLTRE UN SECOLO
Un'offerta a 360 gradi per la "Casa della vita "
Dai materiali per l'edilizia agli articoli sanitari e di arredamento fino al " fai da te "
DA OLTRE un secolo Calevo è sinonimo di casa. Dai materiali per edilizia, ai pavimenti, rivestimenti,
sanitari, articoli per il riscaldamento, serramenti e ferramenta, fino ad arrivare al bricolage e al fai da te.
Presenti inoltre centri altamente specializzati che riguardano i settori colore e decorazioni, elettrico,
idraulico, edilizia leggera, infissi e arredo da giardino. Un magazzino edile sempre fornito e aggiornato
grazie a un'attenta ricerca e selezione dei materiali più innovativi, un'azienda in grado di fornire una
puntuale e competente consulenza al cliente che è seguito in tutte le fasi dell'acquisto da personale
specializzato. L'impegno e la filosofia odierni sono gli stessi di un tempo, quelli di offrire assistenza e
convenienza all'operatore professionale, alle imprese e ai privati, al passo con normative e tendenze che
caratterizzano il settore civile abitativo e commerciale. Un'attività a tutto tondo, insomma, che coinvolge
l'azienda in tre sedi che ospitano la produzione e la distribuzione di migliaia di referenze e soluzioni su
misura, oltre allo show room Calevo Interior Lab. Il gruppo Calevo è orgoglioso di aiutare la propria clientela
alla realizzazione di un sogno: la costruzione della "Casa della vita". S.R.
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 41
15/07/2017
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IN COPERTINA REPORTAGE
Post terremoto, manca il personale per il recupero
In viaggio nei borghi marchigiani colpiti dalle scosse del 2016. L'aver indebolito le soprintendenze territoriali ha rallentato la messa in sicurezza delle opere d'arte presenti in centinaia di edifici storici, danneggiati dal sisma e, ora, dall'incuria e dalla burocrazia Stefano Miliani
Castelsantangelo sul Nera, borgo incavato tra i maestosi monti Sibillini e devastato dal sisma dell'ottobre
2016, due campanili hanno reagito in modo radicalmente diverso alle scosse: la torre campanaria di Santo
Stefano (a sinistra guardando il paese) è in larga misura franata sulla chiesa distruggendo il presbiterio; il
campanile a destra, della chiesa di San Martino dei Gualdesi, è rimasto in piedi. «Qui si è seguita la
normativa obbligatoria dopo il terremoto del 1997 che ha indicato un buon modo di procedere e ha salvato il
bene. La dierenza è paradigmatica: dimostra che la prevenzione dà risultati. Con queste due chiese a una
cinquantina di metri l'una dall'altra possiamo vedere l'eetto». Chi pone una questione cruciale è Luca Maria
Cristini, architetto che tra l'altro ha curato il bel riallestimento del Museo civico di Sanseverino Marche,
tuttora aperto. Fino a poco tempo fa responsabile del patrimonio artistico della diocesi di Camerino, ha
battuto palmo palmo i paesi e le frazioni colpite, a fianco dei carabinieri del Nucleo tutela patrimonio
culturale di Ancona per valutare i danni e recuperare dipinti, sculture, suppellettili. Nelle Marche meridionali
prossime all'Umbria, nella Valnerina, l'epicentro ha scatenato la potenza più distruttiva. Tra le case crollate
di Castelsantangelo spicca un palazzo cinquecentesco con finestre ad arco troncato a metà. Nella frazione
di Vallinfante qualche operaio lavora in un cantiere del ministero dei Beni e attività culturali e del turismo in
una chiesa di cui, del campanile, resta il mozzicone della base coperta da un telo azzurro. Agenti della
Finanza controllano chi si avvicina. A Visso, dove qualche negozio vicino a militari e polizia brulica di vita,
all'ingresso della "zona rossa" una sorta di pupazzo bianco sul ponte pare introdurre a una porta puntellata
e d'ingresso alla cittadina. Salendo a nord lo scenario vira decisamente in meglio. A Camerino la vita scorre
normale, l'università ha tenuto bene, mentre il centro storico in alto, circondato dalle mura, è inagibile, è
"zona rossa" sorvegliata dall'esercito. Qui in una piazza Cavour desolatamente vuota tre operai entrano nel
Duomo ricostruito nell'800. Nel portico c'è qualche calcinaccio. Al capo opposto dell'abitato la chiesa di
Santa Maria in Via, di metà '600, è un cantiere con gru e macchinari. Mariano Blanchi, il parroco, è «molto
arrabbiato perché, dopo il terremoto del 24 agosto, c'erano evidenti crepe strutturali. Non è stato preso
alcun provvedimento salvo transennare, nessuno ha ascoltato. Dopo la scossa del 26 ottobre il campanile
si è spezzato sotto la cella campanaria. E la neve a febbraio ha fatto cadere un pezzo della cupola
lesionata lasciandone uno spicchio. Era decorata, una meraviglia. Si poteva salvare. Si sono rimpallati tutti
la responsabilità finché ho spedito al ministero una lettera documentata con foto e ad aprile è partito il
cantiere. Speriamo fermi il degrado. Andava fatto prima». Intanto il dipinto-icona del Rinascimento camerte,
l' Annunciazione del 1455-6 di Giovanni Angelo D'Antonio, fino al 30 luglio è agli Uzi nella mostra con opere
marchigiane dalle zone terremotate, Facciamo presto! Non è nella Pinacoteca civica perché svuotata in
quanto inagibile. Per la curatrice delle collezioni civiche e direttrice del Museo diocesano di Camerino,
Barbara Mastrocola, «serviranno tempi lunghi. Si può immaginare che nasca un polo museale unico con le
due raccolte più la biblioteca, per esempio nell'ex chiesa di San Francesco». A giudizio della museologa il
compito è immane: «Questa diocesi conta 512 chiese di cui 340 lesionate e spesso in luoghi dicili da
raggiungere. La gestione del dopo-terremoto? Capisco che i responsabili dei beni culturali non potevano
parlare con tutti i sindaci, tuttavia avrebbe dovuto esserci più condivisione. E un tempo il ministero aveva un
ispettore per l'area grosso modo della provincia di Macerata, adesso la stessa figura deve seguire più
territori. La soprintendenza da sola non può farcela». Che il Mibact abbia forze insucienti alla tutela è
opinione ampiamente diusa fra gli addetti. «Tra architetti, archeologi, bibliotecari, storici dell'arte,
restauratori e via dicendo da tutta Italia si sono avvicendate come rinforzi, a titolo volontario, perché non
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SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 42
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possiamo obbligare nessuno, circa mille persone, uno sforzo enorme», ribatte il prefetto Fabio Carapezza
Guttuso, responsabile dell'Unità di crisi del coordinamento del ministero dei Beni culturali. È ancor più diusa
la convinzione che il dicastero non abbia protetto molti edifici storici dopo il 24 agosto. «Parliamo di tre
terremoti. Con i danni del primo avremmo concluso i rilievi in sei mesi. La messa in sicurezza difende il
monumento da una scossa di un'intensità prevedibile, non da qualunque terremoto e quello del 30 ottobre è
stato dirompente. A Camerino abbiamo messo in sicurezza i due campanili del Duomo perché cadendo
avrebbero potuto sfondare alcuni presidi, ma anche se l'avessimo fatto a San Benedetto a Norcia la
basilica sarebbe crollata lo stesso. Anzi, se irrigidisci una parete rischi di provocare un danno maggiore». Il
prefetto puntualizza: «Come chiarito in incontri continui con vescovi e sindaci, un'ordinanza del
commissario alla ricostruzione Vasco Errani prevede che un Comune, una Diocesi o un privato possa
chiamare direttamente un intervento in caso di "somma urgenza" per evitare il crollo di un edificio storico».
E, sottintende, spesso questo non è avvenuto. © Tiziana Fabi/Afp/Getty Images © Pinacoteca e Museo
Civici, Camerino (Macerata)
Il ministero dà i numeri Il ministero dei Beni culturali ha conteggiato, a fine aprile, 16.111 beni mobili
recuperati di cui 8.045 nelle Marche, 5.000 in Umbria, 2.856 nel Lazio, 210 in Abruzzo; 6.921 i beni librari
messi al riparo (1.250 nelle Marche, 5.000 in Umbria); 633 le messe in sicurezza di edifici storici (441 nelle
Marche, 79 in Abruzzo, 73 in Umbria, 39 nel Lazio). Sul personale, sempre fino a fine aprile, il dicastero di
chiara di aver impegnato 300 per sone a settimana per un totale, a rotazione, di duemila unità.
Tonnellate di macerie non rimosse Sono 840mila le tonnellate di macerie prodotte dal terremoto se si
guarda anche soltanto alla r egione Marche. Fin qui ne sono state portate via 63mila tonnellate. Alla fine si
prevede che per le macerie saranno spesi almeno 42 milioni di euro. Ma il caso de L'Aquila e dei paesi
colpiti dal sisma del 2009 met te in guardia. I detriti edilizi sono ancora in buona p arte da rimuovere.
Foto: La chiesa di Sant'Antonio, presso Visso (Macerata), danneggiata dal terremoto del 26 ottobre 2016.
Nella pagina seguente, Giovanni Angelo d'Antonio (Bolognòla, Macerata, documentato dal 1443, morto tra
il 1478 e il 1481) Annunciazione , tempera su tavola Camerino (Macerata), Pinacoteca e museo civici
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SCENARIO ECONOMIA
48 articoli
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 44
17/07/2017
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Fisco semplice ?
Commercialisti in rivolta: introdotti altri 50 codici tributo e nuovi adempimenti. L'appello a Ruffini I costi Lo Stato spende meno ma sono aumentati i costi per i contribuenti e i commercialisti Isidoro Trovato
Medaglia d'oro agli europei e medaglia di bronzo ai mondiali. Disciplina, complicazione fiscale. Non c'è
l'orgoglio di bandiera in questi risultati visto che il Fisco italiano viene collocato al terzo posto della speciale
classifica stilata dell'indagine «Financial complexity index 2017» redatta da Tfm group, società
multinazionale attiva nel campo della consulenza fiscale e assicurativa. Su 94 ordinamenti tributari
analizzati in tutto il mondo, solo Turchia e Brasile superano il Fisco italiano in tema di complessità, il che ci
assegna la non invidiabile prima posizione tra le nazioni dell'Unione Europea.
Eppure questo doveva essere l'anno delle semplificazioni fiscali e del taglio dei documenti inviati
all'Agenzia delle Entrate. Invece, secondo i calcoli realizzati dai commercialisti italiani, la situazione si è
ulteriormente complicata e da questa constatazione nasce la lettera di potestà inviata dal presidente Miani
al direttore dell'Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini. Basti pensare che nel 2016 sono stati inviati
alle Entrate 177 milioni di documenti mentre quest'anno siamo a 130 milioni e si chiuderà, verosimilmente,
a 200 milioni di documenti. Ad appesantire il processo ci hanno pensato le nuove comunicazioni trimestrali
dell'Iva: al momento sono quasi 3,9 milioni in più i documenti trasmessi. Persino i codici tributari sono saliti
da 300 a 350 (anche se questo non equivale a un aumento delle tasse).
Attenzione però, nessuno vuole buttare il bambino insieme all'acqua sporca: l'introduzione del Fisco online
ha permesso evidenti risparmi di spesa (stimati intorno a 2 miliardi di euro) per le casse dello Stato,
secondo l'Ocse si tratta del risparmio più consistente realizzato in Europa negli ultimi anni. «I risparmi di
spesa per lo Stato però si sono tradotti in maggiori costi a carico dei contribuenti e dei commercialisti che li
assistono - fa notare Massimo Miani, presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti - a causa del
moltiplicarsi degli adempimenti fiscali di questi ultimi anni. Solo per citare i casi più clamorosi, si pensi ai
nuovi obblighi di comunicazione dei dati delle liquidazioni periodiche Iva e di tutte le fatture emesse e
ricevute. Responsabilmente, in questi anni, la nostra categoria, ha, con tutte le difficoltà del caso, accolto la
sfida della digitalizzazione contribuendo in modo decisivo allo sviluppo del Fisco telematico più avanzato
del mondo. Però adesso c'è bisogno di uno scatto in avanti» per evitare che la digitalizzazione si riveli un
boomerang.
Infatti se il sistema è, di fatto, diventato tra i più evoluti al mondo, l'assenza di semplificazioni rischia di
renderlo addirittura il più lento e complesso. È così i risparmi per lo Stato si traducono in maggiori spese
per professionisti e contribuenti. Se quest'anno, come sembra, si sfonderà il tetto dei 200 milioni di
documenti, si certifica il paradosso: innovare complicando.
Il simbolo di ciò è la semplificazione fiscale più significativa degli ultimi anni, il 730 precompilato:
un'innovazione di successo per i circa 30 milioni di contribuenti che ne hanno usufruito, ma solo grazie a
milioni di altri soggetti costretti a inviare al Fisco montagne di comunicazioni indispensabili per predisporre i
modelli 730 e Redditi.
Cosa cambiare? In una lunga lettera al direttore dell'Agenzia delle Entrate, Ruffini, i commercialisti hanno
indicato alcune priorità: da un razionale calendario delle scadenze fiscali, all'eliminazione dell'obbligo di
stampa dei registri Iva, dal progetto di fatturazione elettronica agli indici di affidabilità fiscale, fino alla
proroga automatica degli adempimenti tributari. Un'agenda di semplificazioni per perdere il primato delle
complicazioni.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 45
17/07/2017
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Lo Stato e le tasse Fonte: Consiglio nazionale dei dottori commercialisti Corriere della Sera Pressione
fiscale in Italia (dati in %) 36,0 37,5 39,0 40,5 42,0 43,5 45,0 1996 1998 2000 2002 2004 2006 2008 2010
2012 2014 2016 2017 2018 2019 2020 Previsioni DEF 2017 Costi degli adempimenti fiscali Studio
composto da un titolare e 2 addetti Parametri rilevati Valore Studi che fanno prevalentemente adempimenti
fiscali Studi con addetti da 1 a 3 Tempo dedicato dal titolare per gli adempimenti fiscali Tempo dedicato dai
dipendenti e dai collaboratori 73% 60% 42% 71% 0 20 40 60 80 Maggiori entrate da nuovi adempimenti 2,1
2,8 Spesometro e liquidazioni Iva trimestrali Decreto legge 193/2016 Ampliamento split payment e stretta
compensazioni Decreto legge 50/2017 2,7 miliardi 3,5 miliardi Imposte dirette di competenza 2016 (dati in
%) Irpef 71,5 IRES 16,7 Ritenute sui redditi di capitale 4,8 Ritenute sui dividendi 0,4 Sostitutive art 3 legge
662,96 1,6 IMU riserva erariale 1,3 Altre imposte dirette 3,8 Totale 264,8 miliardi
Telematico
Il Fisco telematico
ha già compiuto dieci anni. Il 2006
fu il primo anno in cui vennero introdotte
le prime comunicazioni online all'erario Ora tutti
i dati fiscali vengono acquisiti in digitale: milioni e milioni di bit, tra modelli e comunicazioni, che arrivano
al fisco tramite
Entratel,
il canale dell'Agenzia delle Entrate utilizzato dagli intermediari
come i commercialisti I professio-nisti lamentano però troppi adempimenti
730 precompilato
La scadenza
Lunedì 24 luglio scade
il termine per inviare il 730 precompilato in modo autonomo o tramite Caf
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 46
17/07/2017
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Le mani della Cina sui porti del mondo La Via della Seta passerà
dall'Artico
Sugli scali investiti 20 miliardi di euro in un anno: così cambiano le rotte commerciali Guido Santevecchi
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PECHINO La Cina ha speso venti miliardi di euro solo nell'ultimo anno per acquisire il controllo integrale o
parziale di porti stranieri lungo le rotte della sua nuova Via della Seta. I conti li ha fatti la banca
d'investimenti londinese Grisons Peak e li ha riferiti il Financial Times .
Gli approdi sui quali hanno investito recentemente i cinesi sono nove. Quattro in Malesia e uno in Indonesia
per completare il percorso marittimo che attraverso l'Oceano Indiano arriva nel Mediterraneo. Nel grande
progetto della nuova Via della Seta c'è una seconda rotta per l'Europa, che i pianificatori cinesi hanno
tracciato a Nord, lungo l'Artico che sta diventando più navigabile a causa del riscaldamento terrestre che fa
sciogliere i ghiacci.
E lungo questo passaggio nel 2016 sono stati contati investimenti di Pechino in altri quattro porti: Arcangelo
in Russia, poi Lituania, Norvegia e Islanda.
Negli anni precedenti il gioco del domino commerciale cinese aveva già coperto con la bandiera rossa
(sarebbe più preciso dire con montagne di renminbi) il porto pachistano di Gwadar, nello Sri Lanka lo scalo
di Hambantota e in Grecia il Pireo. L'Italia ha offerto di aprire Trieste e Genova ai container cinesi, come
terminali della via europea.
La Marina militare cinese ha appena inaugurato la sua prima base all'estero, a Gibuti sulla costa orientale
dell'Africa. Le navi da guerra a Gibuti servono a proteggere gli interessi commerciali di Pechino, cresciuti
enormemente; ma anche ad appoggiare le missioni internazionali di pace in Africa alle quali i cinesi stanno
partecipando sempre più attivamente.
Quando qualcuno avanza il sospetto che la base di Gibuti serva anche per mire di nuova potenza militare
globale, a Pechino replicano che nello stesso porto sono presenti le forze navali di Stati Uniti, Francia e
anche del pacifista Giappone.
Tornando ai porti commerciali, per giudicare se le decine di miliardi di investimenti cinesi saranno state un
successo o uno spreco in zone anche instabili del mondo bisognerà aspettare anni. Ma un'osservazione si
può fare subito: la nuova Via della Seta lanciata da Pechino è l'unica idea nuova in questo periodo di spinte
neo-protezioniste.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Oceano Indiano Oceano Atla n t i co Oceano Pac i fi co C I N A NORVEGIA R U S S I A LITUANIA SRI
LANKA MALESIA INDONESIA ISLANDA PAKISTAN GRECIA Melaka Gateway Kalibaru Arcangelo Kuala
Linggi Penang Kuantan Klaipeda Kirkenes Gwadar Hambantota Pireo Porti nei quali ha investito prima di
giugno 2016 Porti nei quali la Cina ha investito negli ultimi 12 mesi La rete di Pechino centimetri
Il piano
La nuova Via della Seta è un'iniziativa strategica lanciata dalla Cina nel 2013 Prevede di sviluppare
infrastrutture di trasporto e di logistica per aprire nuovi canali commerciali tra Cina, Europa e Asia Fino a
giugno 2016 gli investimenti cinesi nei porti ammontavano a 9.97 miliardi di euro Nell'ultimo anno, secondo
le stime di uno studio della banca Grisons Peak, la Cina
ha speso oltre 20 miliardi
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 47
16/07/2017
Pag. 1
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Pil e disagio sociale
la ripresa cammina il lavoro no
Dario Di Vico
L e nuove stime pubblicate dalla Banca d'Italia sul Pil 2017 hanno fatto discutere. Il numero uscito (+1,4%)
non è così distante dalle valutazioni di altri centri di ricerca o persino del Fondo Monetario ma una lista
degli ottimisti capeggiata da Palazzo Koch qualche sensazione nuova la fornisce. I più maliziosi, come
Enrico Rossi presidente della Regione Toscana e fondatore di Mdp, si sono spinti molto in avanti
ipotizzando un legame «tra l'odierno ottimismo e la scadenza degli incarichi che ci sarà ad ottobre» ma
come si sa in Italia le polemiche partono anche per molto meno. Per avere un riscontro solido bisognerà
attendere metà agosto con il dato ufficiale dell'Istat sul Pil del secondo trimestre (la Banca d'Italia prevede
+0,4%), nel frattempo però metteremmo in guardia gli esponenti della maggioranza dall'intestarsi in toto la
ripresa. Se non altro perché appare chiaro, da tutti gli studi, che la matrice è esogena ovvero è molto
influenzata dal buon ritmo dell'economia internazionale, dalla tenuta dei flussi della globalizzazione
nonostante le sparate di Donald Trump e dal ritorno di vivacità dei Paesi Bric. L'elemento endogeno
dell'accelerazione del Pil italiano è dovuto quasi interamente alle vendite di auto che in tre anni hanno fatto
segnare +40% di immatricolazioni. Ma fin quando durerà questo ciclo? È di 48 ore fa la rilevazione riferita a
giugno '17 di un rallentamento nelle vendite in Europa .
Resta da aggiungere che la nostra crescita viaggia comunque più lentamente rispetto ai partner europei: la
Spagna è poco sotto il 3%, la Germania poco sopra il 2%, la Francia a +1,7% e la media dell'area euro a
+2,1%.
Anche i più ottimisti tra coloro che stimano un'accelerazione dei decimali del Pil italiano sanno però che il
problema di più difficile soluzione è un altro: l'effetto di trasmissione in basso non è così immediato e
meccanico. Se ci riferiamo ad almeno tre parametri «sociali» ovvero disoccupazione, povertà e salari anche
un +1,4% non sposta molto. Partiamo dall'occupazione che è cresciuta ma non nella direzione auspicata
dai sostenitori del Jobs act: dai dati Inps viene fuori che nel 2017 solo il 20% di contratti attivati ha utilizzato
le tutele crescenti mentre il 66,8% è composto da assunzioni a termine. Aggiungiamo poi che per effetto
della legge Fornero sul prolungamento dell'età pensionabile l'occupazione statistica aggiuntiva si addensa
nelle classi di età dai 50 in poi. Che fare? Il governo Gentiloni pensa di inserire nella prossima legge di
Stabilità una misura selettiva a favore dei giovani, che ne riduca strutturalmente il costo del lavoro e quindi
induca le imprese a privilegiarli. Maurizio Ferrera sul Corriere pochi giorni fa ha sostenuto la necessità di
una misura straordinaria, una sorta di 5xmille per l'occupazione giovanile. Il tema è dunque sul tappeto e i
decimali del Pil incidono poco (per ora).
In materia di povertà assoluta possiamo dirci soddisfatti di aver fermato la frana: negli ultimi due anni le
quantità sono rimaste invariate. Il guaio è però che l'indigenza italiana si addensa tra i minori e gli
adolescenti con il gravissimo rischio di consegnarci negli anni un considerevole stock di giovani poveri con
tutto quello che ne consegue in termini di esclusione, costi di welfare e contraccolpi psicologici. Il governo
Gentiloni ha colmato una lacuna storica del nostro Paese varando la prima misura anti povertà (il Reis) ma
le organizzazioni della società civile che l'hanno proposta e sostenuta sono coscienti che si tratta solo di un
intervento di pronto soccorso. C'è bisogno invece di una vera terapia anche se guidata dal criterio di
focalizzazione delle risorse e non dalla spesa a pioggia.
Per ultimo, i salari. L'Istat ci ha detto che si stanno ingrossando le fila dei working poors, tute blu che
lavorano ma non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese. La Banca d'Italia ha aggiunto che un
incremento dei salari aiuterebbe i consumi e indirettamente il Pil. Ma come abbiamo visto con gli 80 euro -
per le incertezze sul futuro - non è automatica la trasmissione tra aumenti in busta paga e maggiori
consumi e soprattutto da parte della Confindustria si teme, a ragione, che un incremento dei salari finisca
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 48
16/07/2017
Pag. 1
diffusione:245885
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per deprimere gli investimenti e l'export a causa della conseguente perdita di competitività da parte delle
imprese. Come se ne esce? A settembre piuttosto che organizzare 100 tavole rotonde sul tema, la strada
che ci sentiamo di suggerire è un'altra: rompere gli indugi sulla riforma delle relazioni industriali e pigiare il
pedale dello scambio salari-produttivit à.
Dario Di Vico
@dariodivico
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 49
16/07/2017
Pag. 24
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La Lente
Il bonus da 80 euro? Oltre la metà per i consumi
I conguagli Secondo lo studio di Bankitalia 1,5 milioni di persone hanno restituito il bonus Fabio Savelli
Il bonus da 80 euro
«ha avuto un
significativo impatto macroeconomico». Secondo uno studio condotto da tre economisti della Banca d'Italia
(Andrea Neri, Concetta Rondinelli e Filippo
Scoccianti) le famiglie beneficiarie del bonus Irpef (deciso dal governo Renzi nel 2014) hanno «aumentato
la spesa mensile per alimentari e mezzi di trasporto di circa 20 euro e 30 euro, rispettivamente,
consumando il 50-60% del bonus nel corso dello stesso anno». Una prova a supporto di chi ha sempre
sostenuto come l'incentivo sia servito davvero per ravvivare i consumi
Il report ricorda come gli 80 euro mensili siano stati destinati ai lavoratori con redditi annui tra gli 8 mila euro
e i 26 mila.
Il governo ha puntato a una platea di dieci milioni di lavoratori, con il riconoscimento del premio tramite un
meccanismo automatico, soggetto poi a conguagli. In realtà, aggiunge il rapporto, «si stima che circa 1,5
milioni di persone ha dovuto restituire il bonus nel 2015», perché a conti fatti non rientrava nei requisiti
necessari per l'accesso. L'analisi degli economisti dell'istituto di via Nazionale, anticipata per alcuni aspetti
anche nella relazione annuale della Banca d'Italia, ha rilevato che «i consumi sono aumentati di 3,5 miliardi
di euro», con «il 40% della crescita della spesa per consumi del 2014 che si deve all'introduzione del
bonus». A distanza di tre anni da quella che l'ex premier Renzi definì «la più grande operazione di
redistribuzione fatta negli ultimi anni» arriva così l'approvazione di Palazzo Koch. Per un'iniziativa tacciata
di populismo. Per i suoi detrattori vista come una mancia elettorale. Per la quale lo stesso Renzi
recentemente ha recitato il mea culpa per averla presentata «come una televendita».
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 50
16/07/2017
Pag. 25
diffusione:245885
tiratura:332759
Comuni, in cinque anni triplicati i dissesti Su 556 fallimenti oltre 400
sono al Sud
Decaro (Anci): sempre meno risorse dallo Stato. L'allarme della Fondazione commercialisti Isidoro Trovato
Fine crisi mai. I Comuni italiani non vedono la luce in fondo al tunnel e da 27 anni vivono sull'orlo del
baratro economico. A certificarlo è un'indagine della Fondazione nazionale dei commercialisti che ha
raccolto i dati dal 1989 al 2016: ne viene fuori un'istantanea sconfortante di un'Italia a due velocità in cui,
dei 556 dissesti complessivi, 450 si sono verificati nel Meridione. In pratica, più del 70 % dei fallimenti
registrati dagli enti locali si rileva al Sud, con un numero di default dichiarati negli anni 2011-2015 quasi
triplicato rispetto agli anni precedenti. «Uno scenario inevitabile - commenta Antonio Decaro, sindaco di
Bari e presidente dell'Anci -, il Meridione da anni è dotato di minori risorse, ha meno gettito fiscale e quindi
meno Irpef e adesso ha una percentuale altissima di morosi che non pagano le tasse locali. Come se non
bastasse, i Comuni del Sud hanno fatto da ammortizzatori sociali assumendo precari e Lsu che hanno
pesato sui bilanci. Abbiamo subìto i tagli dello Stato e non siamo in condizione di riscuotere abbastanza dai
nostri cittadini».
Qualcuno potrebbe obiettare che, se esiste tanta differenza tra Nord e Sud, è anche perché c'è stato
qualcuno più virtuoso e qualche altro meno. «Ma ormai parliamo di danni procurati venti o trent'anni fa -
protesta il presidente dell'Associazione dei Comuni italiani -, con i controlli attuali nessuno potrebbe tornare
agli sprechi del passato, pensi che io, in un Comune come Bari, ho a bilancio un'unica consulenza da 25
mila euro l'anno. Adesso la missione è portar fuori dal pantano i Comuni in difficoltà per non penalizzare i
cittadini a cui si tagliano i servizi. Lo Stato dovrebbe concedere tassi praticabili ai Comuni che chiedono
mutui per uscire dalla crisi».
L'identikit dei commercialisti va più nello specifico e rileva che più del 60% degli enti in situazioni di
deficitarietà è concentrato dove la popolazione è inferiore a 5.000 abitanti, si tratta dunque per la
maggioranza di Comuni di piccole dimensioni (di cui circa il 40% sono enti con popolazione fino a 2.000
abitanti). Il restante 40% è concentrato nelle classi demografiche tra i 5.000 e 60.000 abitanti. «In questo
caso - continua Decaro - bisognerebbe chiedersi il perché dei tagli dei fondi anche a Comuni così piccoli: si
tratta di realtà che incidono in maniera infinitesimale sulla spesa pubblica ma che sono finiti subito in
difficoltà a causa di un gettito ridotto che non riescono più a compensare, specie se si trovano su un
tessuto sociale impoverito».
E allora come vedere la fine del tunnel? Secondo i commercialisti (che svolgono funzione di revisori dei
conti) servirebbero controlli più stringenti e un monitoraggio più efficace sulle realtà più a rischio e già in
regime di sofferenza o predissesto. «Non credo serva altro controllo - obietta il sindaco di Bari -,
servirebbero strumenti più efficaci: il nuovo ordinamento contabile risulta troppo complesso e poco incisivo.
Sarebbe auspicabile una riforma della riscossione locale: noi sindaci fronteggiamo una morosità crescente
e non abbiamo gli strumenti adatti per riscuotere il dovuto. Non si può pensare a fare solo perequazione
orizzontale, così lo scenario può solo peggiorare». E infatti la Fondazione dei commercialisti segnala che la
curva dei dissesti è di nuovo in crescita. «Alle Regioni - ricorda Decaro - sono state concesse condizioni
economiche favorevoli per sanare bilanci altrettanto disastrati, i Comuni devono fronteggiare la crisi senza
poter aumentare le tasse, per effetto del blocco della leva fiscale, senza condizioni di credito favorevoli.
Come scalare una montagna a mani nude».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere della Sera Nord I dissesti Numero dichiarato per area geografica ANNI 1989-2016 2011 2012
2013 2014 2015 2016 2 1 1 1 0 0 Centro 2 1 1 1 0 1 Sud 5 16 15 16 12 13 Isole 1 2 5 6 6 3 Fonte:
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 51
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Fondazione Nazionale dei Commercialisti Nord Isole Centro Sud 556 totale 50 38 62 406
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 52
15/07/2017
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intervista a mario monti
«L'ex premier? Un disco rotto»
Federico Fubini a pagina 6
M ario Monti non è tipo da tirarsi indietro in una polemica, ma stavolta ne avrebbe quasi voglia. «Dibattere
con il presidente Matteo Renzi è, purtroppo, impossibile - dice il senatore a vita -. Le argomentazioni degli
altri non gli interessano. Come un disco rotto, ormai ripete senza fine i suoi slogan e le sue accuse. Il
rumore e la rissosità crescono esponenzialmente. L'impatto, in Italia e all'estero, tende asintoticamente a
zero. Pari a zero è anche il suo rispetto per gli interlocutori e per la realtà».
Però Renzi la accusa di aver approvato il Fiscal compact, lasciando ai governi successivi l'onere di
applicarlo. Vorrà pur rispondergli.
«Il Fiscal compact ha un padre, Mario Draghi, che lanciò l'idea nel dicembre 2011 appena diventato
presidente della Bce, e una madre, Angela Merkel, che la spinse politicamente. Draghi doveva accreditarsi
presso quel mondo tedesco che era preoccupato per l'arrivo al vertice della Bce di un italiano, sia pure con
ottima reputazione. Draghi decise anche di cessare gli acquisti di titoli di Stato italiani da parte della Bce,
che avevano dato ossigeno al governo Berlusconi nell'estate e autunno 2011, senza peraltro riuscire a
frenare l'impennata dello spread a causa della sfiducia dei mercati verso un governo che non era in grado
di prendere i provvedimenti necessari».
Dunque lei non lo sostenne?
«Quando a metà novembre fui chiamato a fronteggiare l'emergenza finanziaria, l'esigenza di Draghi di
presentarsi come "falco", che pure comprendevo, rendeva il compito del mio governo ancora più difficile:
fine del sostegno ai titoli italiani e corsetto ancora più stretto sui conti dello Stato. Nacque allora la strategia
del governo. Avremmo dovuto farcela senza l'aiuto della Bce, senza ricorrere a prestiti Ue o Fmi che
avrebbero messo per anni le decisioni del governo e del parlamento in mano alla troika , ma con le sole
nostre forze. Questo voleva dire: in Italia, risanamento dei conti pubblici e riforme strutturali, per riacquisire
credibilità; in Europa, uso delle nostre credenziali europee e della ritrovata credibilità dell'Italia, per spingere
la Germania e gli altri a rendere la governance dell'eurozona, più forte di fronte alla crisi finanziaria.
Contribuire in modo decisivo a migliorare l'Europa da una posizione iniziale di estrema debolezza, è stato
motivo di soddisfazione».
Dunque lei vede la stretta di bilancio di allora come inevitabile?
«Quei miglioramenti hanno portato vantaggi, in particolare all'Italia. Draghi difficilmente avrebbe potuto, di
colpo, motu proprio , annunciare nel luglio 2012 una politica monetaria espansiva e poi metterla in opera,
se non si fosse creato un contesto per lui rassicurante, tale da escludere che la Merkel prendesse
posizione contro il suo annuncio. Quel contesto si realizzò a fine giugno 2012 quando al Vertice
dell'eurozona, a seguito del pressing italiano sulla Germania, anche la Merkel si rassegnò a dare il suo
assenso allo scudo anti-spread».
Renzi dice che ha lasciato un deficit più basso di lei...
«Sulla gara a chi è stato più rigoroso, i dati annui grezzi di deficit, come il 2,3% del Pil esibito da Renzi,
hanno poco significato. Molto è dovuto alla spesa per interessi, che Renzi si è trovata fortemente ridotta per
effetto del risanamento fatto dai suoi predecessori e della politica della Bce».
Altra accusa del leader del Pd: lei non ha «saputo trattare in Europa», sulle banche oltre che sul Fiscal
compact.
«Il Fiscal compact l'ho firmato, certo. Se in quel momento l'Italia, il Paese più a rischio dell'eurozona, non
l'avesse sottoscritto, lo spread sarebbe subito tornato ben oltre i livelli ai quali l'avevo trovato. Ma l'ho
firmato in base a due considerazioni: quegli stessi vincoli su disavanzo e debito pubblico erano già stati
introdotti in forma cogente nelle regole europee, durante il governo precedente al mio; e prima di firmarlo
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 53
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eravamo riusciti a far modificare, in senso meno penalizzante per i Paesi ad alto debito, la procedura per
sanzionare gli eventuali eccessi.
E sulle banche?
«Forse Renzi ignora che il trattamento più severo della storia sulle banche tedesche fu operato quindici
anni fa, quando ero commissario europeo per la Concorrenza; che il passaggio dal bail-out al bail-in , che a
me peraltro sembra ragionevole perché credo che il denaro dei contribuenti debba essere rispettato, è stato
deciso a livello europeo con il consenso dell'Italia non durante il mio governo, ma durante i due governi
seguenti; che se vuol sentirsi spiegare ancora una volta perché, nel momento difficile in cui mi è stato
chiesto di governare, mi sono ben guardato dall'immaginare di mettere a carico dello Stato, esso stesso
quasi in default, oneri per salvare le banche da eventuali problemi che dovessero avere a seguito
dell'incompetenza o delle malefatte di politici legati a banchieri o di banchieri legati a politici, può sempre
leggere una mia lettera pubblicata dal Corriere il 2 agosto 2016. Ma dove Renzi brilla per viltà è quando mi
accusa di avere lasciato oneri a carico dei futuri governi».
Che intende dire?
«Ho accettato di governare in un momento in cui nessuno voleva prendersi quel rischio e non ho, come lui,
preteso di governare quando un collega lo stava facendo decorosamente. Il mio governo, con il conforto del
presidente Napolitano e l'appoggio del Parlamento, ha lasciato a chi è venuto dopo una finanza pubblica
riequilibrata, un Paese uscito dalla procedura di disavanzo eccessivo, integro nella sua sovranità senza
cessioni di poteri alla troik a , uno spread ridottosi ad un terzo di quello trovato, un processo di riforme
avviato, una governance europea migliore, con una Bce più libera di esprimere la propria indipendenza e
una disciplina di bilancio che per la prima volta ammetteva una certa flessibilità, limitatamente alla spesa
pubblica per investimenti. Sarà stato forse per questi motivi che un Matteo Renzi già rottamatore, ma non
ancora accecato prima dal successo e poi dall'insuccesso, scriveva nel programma delle Primarie 2012 : "A
livello europeo, l'autorevolezza di Mario Monti ha facilitato l'assunzione di decisioni importanti, che vanno
nella giusta direzione"».
Che pensa della proposta di un deficit al 2,9% del Pil per cinque anni?
«Confido che non venga fatta propria dal governo. Appartiene al genere delle improvvisazioni in cui
l'annuncio precede la riflessione, come del resto fu la strategia fiscale del governo Renzi, annunciata ad
un'assemblea Pd a Milano senza che neanche il ministro dell'Economia - scommetto, e spero per lui - ne
sapesse nulla. Anziché "tornare a Maastricht", bisogna far evolvere il patto di Stabilità introducendo uno
spazio legittimo per veri investimenti pubblici. Una volta fatto questo, si può puntare verso il pareggio (al
netto del disavanzo per investimenti), corretto per tenere conto del ciclo economico. Creare uno spazio
indiscriminato del 2,9%, dichiaratamente per ridurre le tasse in disavanzo, mi sembra una recidiva senza
senso».
E che dice dell'idea, che avanza nel Pd e nel governo, di mettere un veto all'inserimento del Fiscal compact
nel diritto dell'Unione Europea?
«Si è riusciti a rendere anche questa una questione di bandiera, per misurare chi ce l'ha più duro. Intendo,
naturalmente, il senso dell'orgoglio nazionale».
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Quando andai al governo l'esigenza di Draghi di presentarsi come «falco» rendeva il compito più difficile Da
qui la strategia di risanamen-to e riforme Confido che la proposta del segreta-rio pd sul deficit non venga
fatta propria dal governo Appartiene al genere di improvvisa-zioni in cui l'annuncio precede la riflessione Le
banche? Forse il leader dem ignora che il trattamento più severo della storia su quelle tedesche fu operato
quindici anni fa, quando ero commissa-rio alla Ue
Chi è Mario Monti, 74 anni, economista, è stato più volte commissario europeo. Dal 2011 al 2013
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 54
15/07/2017
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è stato premier italiano. Presiede l'Università Bocconi e,
dal 2011, è senatore a vita
Ho accettato di governare quando nessuno voleva prendersi quel rischio e non ho, come lui, preteso di
governare quando un collega lo stava facendo decorosamente
La parola Fiscal compact
Accordo sottoscritto da 25 dei 27 stati membri dell'Unione Europea, che vincola le parti contraenti a
rispettare una serie di regole per il contenimento del disavanzo pubblico, la riduzione del debito e il
conseguimento del pareggio di bilancio.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 55
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I dati
Ape social e precoci, graduatorie entro ottobre
Enrico Marro
ROMA A ieri erano circa 65 mila le domande presentate all'Inps da parte dei lavoratori che vogliono
accedere all'«Ape social» oppure che sono «precoci». Un risultato non distante da quello che aveva messo
in cantiere il governo quanto con l'ultima legge di Bilancio ha varato queste misure. Il termine per
presentare le domande scade alla mezzanotte di oggi, sia per gli aspiranti all'«Ape social», sia per i
«precoci».
L'Ape social è l'anticipo di pensione sotto forma di assegno fino a 1.500 euro a carico dello Stato, che viene
concesso a limitate categorie di lavoratori al compimento dei 63 anni e fino a quando essi non accedano
alla pensione normale. Per i precoci (quelli con almeno un anno di contributi prima dei 19 anni d'età) è
invece previsto l'accesso anticipato alla pensione dopo 41 anni di contributi indipendentemente dall'età.
Il governo aveva preventivato 60 mila domande in tutto. Fino a ieri ne sarebbero arrivate 65 mila: circa 39
mila per l'Ape e 26 mila per i precoci. Alcune non verranno accolte per mancanza di requisiti o irregolarità.
Dovrebbero quindi bastare i 300 milioni stanziati per quest'anno. Del resto, nel caso dell'Ape social, il
beneficio è limitato a disoccupati senza più ammortizzatori da almeno tre mesi; invalidi al 74% o più;
lavoratori in attività gravose; con disabili a carico. Oltre ad avere almeno 63 anni di età, sono richiesti 30
anni di contributi (36 per le attività gravose).
Entro il 15 ottobre l'Inps farà la graduatoria delle domande accolte in ordine d'età del richiedente. Chi
matura i requisiti dopo la chiusura del termine di oggi potrà presentare domanda entro il 30 novembre. I
sindacati hanno ottenuto per gli operai del settore edile che la certificazione dei periodi di lavoro possa
essere ottenuta anche dalle casse edili quando non sia possibile averla dal datore di lavoro. Stanno
insistendo inoltre col governo perché si modifichi la legge per consentire un accesso più facile alle donne
con figli e lavori di cura.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 56
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Il cantiere di Intesa Sanpaolo-Venete Ecco l'accordo sulle 4.000 uscite
Dai mutui al bancomat, già partita la fase di integrazione post salvataggio Paola Pica
L' accordo sindacale numero mille, un accordo storico non solo perché l'ultimo della lunga serie, è stato
siglato dove tutto è cominciato per Intesa Sanpaolo: nella sede del Nuovo Banco Ambrosiano, in piazza
Ferrari a Milano.
Se simboli hanno un senso, il cantiere delle banche venete può dirsi aperto ancor prima della conclusione
dell'iter parlamentare. Almeno ci hanno messo la firma i 100 seduti giovedì sera intorno a un grande tavolo
della sala riunioni, scelta tra quelle a disposizione nelle varie sedi del gruppo anche perché tra le poche in
grado di accogliere così tanti negoziatori. Le uscite volontarie (a regime) di 4 mila dipendenti con sostegno
al reddito e riqualificazione, la formazione professionale per chi resta, il rinnovamento delle filiali (ridotte di
numero) sono i punti più significativi di un protocollo costruito in tempi rapidissimi e con un modello di
trattativa destinato a lasciar traccia. Racconta Eliano Lodesani, capo delegazione di Intesa Sanpaolo: «è
stato un confronto straordinario con tutti i sindacati che ringrazio, a cominciare da quelli interni alle due
banche venete. A quel tavolo dove il pathos era palpabile e in certe ore drammatiche i silenzi hanno pesato
più delle parole, è stato condiviso un senso di responsabilità sociale. E la determinazione di mettere al
centro le persone e le famiglie. Come banca siamo al nostro millesimo accordo sindacale, l'esperienza non
ci manca, ma il lato umano qui è stato molto importante».
Lodesani è il chief operating officer, uno dei due manager scelti dall'amministratore delegato Carlo Messina
per condurre un'integrazione che impegnerà tutti i livelli della banca. L'altro è il responsabile della Banca
dei Territori, Stefano Barrese, alle prese in queste ore con la definizione del piano al 2019, arco di tempo
nel quale dovrà essere completata la migrazione informatica e delle persone. La squadra di Barrese è
partita subito e i primissimi segnali sono già arrivati ai clienti delle due popolari che possono già prelevare
ai bancomat della rete Intesa Sanpaolo senza costi di commissione, hanno già accesso a una buona parte
dei prodotti del risparmio gestito e dei mutui. Sulle vetrine delle venete compariranno a breve le vetrofanie
in attesa della ristrutturazione degli sportelli che resteranno (600 quelli che saranno chiudi) secondo il
nuovo modello di filiale. La migrazione informatica, il capitolo monster di tutta l'operazione, partirà già a
settembre.
Ma ancora è il momento della soddisfazione per l'accordo sindacale che raccoglie, tra gli altri, il plauso
della leader della Cgil, Susanna Camusso, per la quale «il lavoro è stato tutelato». Per lo stesso Lodesani
la «difesa dell'occupazione è la miglior base per la ripartenza». Il protocollo definisce le regole per le prime
mille uscite volontarie a partire dal mese di ottobre ed entro dicembre. Questa prima tranche di esuberi
riguarderà il personale delle banche venete, mentre previa verifica a settembre le successive 3 mila uscite
andranno calcolate sull'intera platea del nuovo gruppo bancario allargato. Le due venete. conclude
Lodesani, «torneranno a svolgere un ruolo centrale nell'economia di un territorio a forte vocazione
industriale».
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La crisi delle banche venete Popolare di Vicenza Veneto Banca AZIONISTI COINVOLTI 0 20 40 60 80 100
120 SOFFERENZE BANCARIE (in miliardi) 0 1 2 3 4 5 La messa in liquidazione di Popolare di Vicenza e
Veneto Banca miliardi di euro 12 miliardi di euro 600 26 miliardi di euro Le filiali da chiudere Le attività
buone delle venete 25,8 miliardi di euro La raccolta di PopVi e Veneto Banca I capitali versati dal Tesoro a
Intesa Sanpaolo Garanzie per i crediti in sofferenza I prepensionamenti in programma 5,2 4.000 Corriere
della Sera 119.000 87.500 4,6 3,8
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 57
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Il tavolo
Eliano Lodesani , chief operation officer di Intesa Sanpaolo ha siglato giovedì sera l'accordo con i sindacati
per l'integrazione nel gruppo di Veneto Banca e Popolare di Vicenza e 4 mila uscite volontarie. Al tavolo
riunito a Milano presso la sede dove è nato il Nuovo Banco Ambrosiano era presenti le segreterie nazionali
e le delegazioni di gruppo di Fabi, Firs/Cisl, Fisac/Cgil, Ugl Credito, Uilca e Unità sindacale, Falcri-Silcea-
Sinfub.
Foto: Ceo Carlo Messina ceo di Intesa Sanpaolo
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 58
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Telecom, il pressing della Consob sullo scontro Vivendi-Cattaneo
La Commissione ha chiesto informazioni sulle voci di dissidi al vertice. Il ruolo di Ginesh Il bilancio Cattaneo ha intenzione di portare il 27 luglio la semestrale in consiglio, poi si parlerà dell'uscita Federico De Rosa
MIlano La Consob apre un dossier sull' affaire Tim per capire cosa ci sia di vero nei rumors su uno scontro
tra Vivendi e il ceo del gruppo telefonico, Flavio Cattaneo, che viene dato sempre più vicino all'uscita. Nella
tarda mattinata di ieri dagli uffici della Commissione guidata da Giuseppe Vegas è partita una richiesta di
informazioni indirizzata alla Tim. Informazioni sulle voci che circolano sui mercati, ma avrebbe anche
chiesto direttamente a Cattaneo e al presidente Arnaud de Puyfontaine, che è pure ceo di Vivendi, di
spiegare le rispettive posizioni. Le risposte dovrebbero arrivare entro l'inizio della prossima settimana e
sulla base di quello che riceverà Vegas deciderà se e come procedere.
La richiesta è partita sulla base dall'articolo 115 del Testo unico della finanza che consente alla
Commissione di acquisire informazioni, documenti e convocare in audizioni i diritti interessati, al fine di
vigilare sulla correttezza delle informazioni fornite al mercato. Fino adesso, a dir la verità, Tim non ha
comunicato nulla sullo stato dei rapporti tra Cattaneo e Vivendi. Lo ha fatto però Cattaneo, ribadendo
pubblicamente che con Tim ha un contratto valido fino al 2020 e intende onorarlo fino all'ultimo giorno. E'
davvero così? O, per esempio, sta già negoziando l'uscita? E' quello che cercherà di accertare la
Commissione, la quale potrebbe anche convocare il ceo e il presidente di Tim, ai quali al momento tuttavia
sarebbe stata solo chiesta una memoria.
E' possibile che a breve le posizioni si chiariscano. Ieri l'agenzia Bloomberg ha scritto di una «frattura
insanabile» tra il ceo di Tim, arrivato appena un anno fa alla guida del gruppo, e Vincent Bolloré, presidente
e primo azionista di Vivendi, che non lascerebbe spazio a possibili mediazioni per una conferma del
manager. Ci sono voci che parlano di una trattativa già in corso per accelerare un divorzio milionario. Fonti
vicine al manger, tuttavia, puntualizzano che da Parigi non è arrivata alcuna proposta. In teoria il contratto
firmato l'anno scorso da Cattaneo con la società stabilisce già le modalità dell'uscita. L'accordo prevede
una retribuzione di circa 2,4 milioni tra fisso e variabile più uno «special awards», un bonus per il
raggiungimento di determinati risultati, che in quattro anni può arrivare a massimo 40 milioni di euro. La
prima tranche legata al bilancio 2016 il manager se l'è assicurata e vale poco più di 9 milioni. Cifra che, da
contratto, in caso di risoluzione anticipata del rapporto va «linearizzata» per gli anni restanti quindi, in
poche parole, va moltiplicata per quattro e pagata pronto cassa. Quindi Cattaneo quindi si porterebbe a
casa quasi 40 milioni per meno di un anno e mezzo di lavoro alla guida di Tim. Ma è chiaro che Vivendi
vorrà evitare di licenziare l'amministratore delegato, cercando, come è normale in questi casi, un accordo
sulla buonuscita.
I tempi potrebbero essere brevi, anche se difficilmente Cattaneo lascerà prima del consiglio del 27 luglio
per la semestrale. Intanto si rafforzano le voci sull'imminente arrivo a Roma di Amos Ginesh, capo delle
strategia di convergenza di Vivendi, come direttore generale di Tim. A lui Bolloré vorrebbe affidare la nuova
fase di sviluppo di Tim, in particolare sulla banda larga di cui il manager israeliano ha grande esperienza
avendo creato in Brasile Gvt, con cui ha connesso le province più remote del Paese, fino al cuore
dell'Amazonia.
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40 milioni di euro
la buonuscita che da contratto riceverebbe Flavio Cattaneo per l'uscita anticipata
da Tim
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 59
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Il gruppo
Vivendi è azionista di controllo di Tim con una quota del 23,8%. All'ultima assemblea ha eletto la
maggioranza del board
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 60
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Pag. 1.36.37 N.27 - 17 luglio 2017
In 8 anni il mattone ha reso più dei btp
città e quartieri dove investire Giuditta Marvelli e Gino Pagliuca
Chi ha comprato casa ancora ai massimi, incocciando contro la peggiore recessione immobiliare del
dopoguerra, a conti fatti non si può lamentare. A luglio del 2009 un trilocale nel semicentro di Milano
costava 338 mila euro, oggi ne vale 291 mila, il 14% in meno; ma negli otto anni trascorsi si sono
risparmiati 129 mila euro di canoni, una somma che compensa ampiamente le spese legate all'acquisto,
Imu e Tasi per gli anni in cui si sono applicate e la svalutazione dell'immobile. Per la stessa tipologia di
alloggio a Roma il risultato è analogo: 357 mila il valore dell'appartamento nel 2009, 276 mila quello di oggi:
una perdita secca di quasi 80 mila euro che però si confronta con il risparmio di quasi 150 mila di canoni.
Il calcolo
Sono i numeri di un'analisi che L'Economia del Corriere ha compiuto partendo dal secondo rapporto 2017
di Nomisma presentato la scorsa settimana. L'intervallo è di otto anni perché è la durata di un contratto di
locazione residenziale a canone libero; abbiamo anche messo a confronto la performance di chi abbia
acquistato casa con chi invece avesse scelto di andare in affitto investendo la somma necessaria per
comprare, incluse le spese legate alla transazione, in Btp e a Piazza Affari e pagando l'affitto nel frattempo.
Un Btp con scadenza a otto anni nel 2009 garantiva un tasso lordo (impensabile oggi) del 4%; nel periodo
considerato al netto delle imposte il capitale ha fruttato il 28%. Per la Borsa abbiamo preso a riferimento
l'indice Comit Performance che tiene conto anche dei dividendi. La variazione netta è stata del 49,06%
grazie soprattutto al rialzo degli ultimi mesi.
Il confronto è su quattro diverse tipologie di immobili in nove grandi città; in nessun caso chi ha investito in
Btp ha battuto l'immobiliare mentre la Borsa vi riesce nella maggioranza dei casi. In particolare, se si
considera una casa da 150 metri quadrati in una zona di pregio, nella media il patrimonio di chi ha investito
in Borsa è salito da 659.500 euro a 754 mila mentre chi ha comprato casa si ritrova con un valore (prezzo
attuale dell'immobile più canoni risparmiati) di quasi 747 mila; per 120 metri in zona centrale con la Borsa ci
si ritrova 494 mila euro, con la casa 478 mila. In area semicentrale per 90 metri l'investitore di Borsa oggi
ha 273 mila euro contro 264 mila di chi ha comprato casa; infine per un immobile in periferia da 60 metri
Piazza Affari ha garantito 129 mila euro, duemila più del mattone. In tutti i casi a Roma l'immobiliare ha
battuto la Borsa e a Milano vince in tre ipotesi su quattro. Non va comunque dimenticato che chi ha
investito in Borsa o in Btp oggi è liquido, chi ha la casa deve riuscire a venderla.
Applicando lo stesso metodo si può affermare che con tutta probabilità comprando oggi e alle condizioni
fiscali attuali al termine del prossimo ciclo di otto anni l'acquisto risulterà vantaggioso. Facciamo un solo
esempio: a Milano 90 metri in area semicentrale oggi costano in media 291 mila euro, aggiungendo le
spese si sale a circa 306 mila. Otto anni di affitto a canone di mercato però costerebbero 112 mila euro.
Perché l'operazione risulti in perdita il valore della casa dovrebbe scendere del 30%. Siccome l'affitto vale il
4,8% del prezzo è chiaro che con le cedole di un Btp non si ripagheranno i canoni perché i titoli con
scadenza nel 2025 rendono attorno all'1,6% netto. Su Piazza Affari di qui a otto anni invece non è possibile
dire nulla.
Le prospettive
Sulle prospettive dei prossimi mesi per l'immobiliare si sbilancia Luca Dondi, ad di Nomisma: «Il nostro
rapporto evidenzia prezzi con variazioni semestrali in più o in meno misurabili con i decimi di punto.
Nonostante la domanda sia buona, le transazioni riguardano perlopiù immobili di qualità medio bassa,
come dimostra la crescita delle percentuali di operazioni assistite da mutuo, che riguardano in genere
immobili di valore non alto. Bisogna notare poi che se i dati macro, come Pil e produzione industriale, sono
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 61
17/07/2017
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migliori delle previsioni, non sta però salendo la fiducia dei cittadini e in genere la correlazione tra sentiment
e mercato della casa è molto stretta».
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Immobili contro finanza Si ipotizza l'acquisto 8 anni fa a prezzo di mercato di un'abitazione e l'investimento
in titoli di Stato e a Piazza Affari della somma necessaria per l'acquisto. Il valore attuale del patrimonio per
chi ha puntato sul mattone è dato dal valore della casa oggi più i canoni di affitto risparmiati; per chi ha
scelto il Btp dall'investimento iniziale più le cedole maturate meno i canoni di affitto; per le azioni il capitale
iniziale rivalutato e i dividendi meno i canoni di affitto 2° Valore attuale della casa Canoni totali in 8 anni
Casa 150.400 128.800 176.000 120.800 239.200 156.000 100.000 312.000 118.400 152.800 426.070
440.620 548.990 395.340 821.110 486.000 299.440 853.060 385.120 477.680 Btp 297.152 432.992
497.344 344.224 713.696 381.600 244.064 620.736 322.432 400.928 Borsa 372.676 527.794 610.971
422.697 874.497 472.320 302.125 778.135 396.822 494.370 Bari Bologna Firenze Genova Milano Napoli
Palermo Roma Torino Medie 349.650 438.900 526.050 363.300 744.450 420.000 268.800 728.700
344.400 432.600 333.000 316.000 378.000 278.000 589.000 334.000 202.000 548.000 270.000 329.000
Investimento iniziale Valore attuale del patrimonio 150 mq in zona di pregio 1° Valore attuale della casa
Canoni totali in 8 anni Casa 210.400 189.600 271.200 188.000 371.200 266.400 150.400 466.400 171.200
232.000 611.730 637.650 829.950 646.340 1.310.740 963.140 447.660 1.376.790 589.110 746.720 Btp
417.248 610.080 703.200 572.704 1.034.624 843.744 352.256 959.584 512.896 612.032 Borsa 523.164
745.026 867.630 701.073 1.271.857 1.031.081 437.079 1.200.219 628.337 754.462 Bari Bologna Firenze
Genova Milano Napoli Palermo Roma Torino Medie 490.350 624.750 761.250 594.300 1.098.300 867.300
392.700 1.114.050 534.450 659.400 406.000 454.000 566.000 464.000 950.000 705.000 301.000 921.000
423.000 521.000 Investimento iniziale Valore attuale del patrimonio Fonte: elaborazione L'Economia del
Corriere su dati Nomisma 120 mq in zona centrale Il mattone? Ti fa Le zone dove si concentra la domanda
Come si sta muovendo il mercato I prezzi al metro quadro e le variazioni nelle principali città d'Italia
Bologna Indice Centro Storico 1,11 Costa Saragozza 1,03 Napoli Centro Storico 1,84 Rione Alto 1,05
Firenze Rifredi 1,77 Gavinana-Galluzzo 1,17 Settignano 1,71 Milano Indice Garibaldi-Isola 1,85 Cinque
Giornate-Montenero 1,77 Città Studi 1,71 Solari-Savona-Tortona 1,42 Navigli-Porta Genova 1,24 Moscova-
Repubblica 1,08 Montestella 1,05 Sempione 1,04 Var.% annua Garibaldi-Porta Venezia Famagosta-Barona
Centro Storico Fiera-De Angeli Vigentino-Ripamonti Porta Vittoria Navigli-Bocconi Cermenate-Missaglia
Lorenteggio-Bande Nere Baggio Città Studi-Lambrate Greco-Turro Vialba-Gallaratese Forlanini Comasina-
Bicocca Certosa Corvetto-Rogoredo Media cittadina 5.143 2.670 7.882 4.938 2.728 3.933 4.839 2.608
2.670 1.935 2.780 2.411 1.889 2.839 2.205 2.104 2.104 3.393 5,4 2,5 2,4 2,1 0,1 0 -0,1 -2,1 -2,7 -3 -3,5 -
4,4 -5,5 -5,7 -5,8 -8,3 -8,4 -2,8 Prezzo medio mq Milano Var.% annua Centro Isolotto-Legnaia Campo di
Marte Rifredi Gavinana-Galluzzo Media cittadina 4.225 2.896 3.409 2.817 3.291 3.403 6,2 1,9 0,4 -2,6 -5,5
1,3 Prezzo medio mq Firenze Var.% annua San Donato-Fiera Navile-Corticella Navile-Bolognina Murri
Toscana-San Ruffillo Borgo Panigale Centro Storico Saffi Media cittadina 1.976 2.251 2.008 2.878 2.355
1.906 3.208 2.586 2.623 6,2 4,6 4,3 4,2 3,3 2,4 2,4 0,2 3,8 Prezzo medio mq Bologna Fonte: idealista.it 90
mq in zona semicentrale s.F. 3° Valore attuale della casa Canoni totali in 8 anni Casa 88.000 78.400
107.200 70.400 129.600 86.400 57.600 149.600 68.800 87.200 242.080 265.870 335.080 204.600 417.220
252.340 169.160 422.030 219.930 263.910 Btp 170.048 261.632 312.128 171.520 324.672 190.464
135.936 330.208 182.528 220.576 Borsa 213.594 319.012 382.890 212.344 401.330 237.185 168.595
411.176 224.940 272.513 Bari Bologna Firenze Genova Milano Napoli Palermo Roma Torino Medie
201.600 265.650 327.600 189.000 354.900 216.300 151.200 374.850 196.350 240.450 156.000 190.000
231.000 136.000 291.000 168.000 113.000 276.000 153.000 179.000 Investimento iniziale Valore attuale
del patrimonio 60 mq in zona periferica 4° Valore attuale della casa Canoni totali in 8 anni Casa 88.000
44.000 57.600 35.200 59.200 40.800 32.000 69.600 36.000 44.000 242.080 140.670 170.070 94.380
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 62
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172.740 108.900 86.300 184.100 106.110 126.900 Btp 170.048 134.752 148.032 75.008 137.024 80.160
62.080 132.000 83.616 103.840 Borsa 213.594 164.916 182.732 93.606 170.137 100.572 77.956 166.020
103.801 128.788 Bari Bologna Firenze Genova Milano Napoli Palermo Roma Torino Medie 201.600
139.650 160.650 86.100 153.300 94.500 73.500 157.500 93.450 115.500 156.000 98.000 114.000 60.000
115.000 69.000 55.000 116.000 71.000 84.000 Investimento iniziale Valore attuale del patrimonio
L'andamento dei prezzi negli ultimi 10 anni In perdita Roma Media grandi città Milano 80 90 2009 2011
2013 2015 2017 83,7 106,1 79,4 104,1 80,0 102,0 più ricco dei Btp L'indice di idealista mette in
correlazione la presenza di annunci e il ritorno in termini di richiesta di informazioni. L'indice medio è 0,50.
Sotto l'interesse è basso, sopra 1 l'interesse è alto, sopra 1,50 è molto alto Roma Indice Roma Indice
Testaccio-Aventino 2,08 Eur 1,97 Aniene Collatino 1,52 Monti 1,58 Trastevere 1,31 Re di Roma 1,29
Salario 1,28 Axa 1,24 Ostia Antica 1,18 Balduina 1,15 Mostacciano 1,13 Colli Albani-Furio Camillo 1,08
Flaminio 1,08 Appio Claudio 1,06 Lido di Ostia 1,04 Torino Centro Storico 1,13 Var.% annua Centro Aurelio
Monte Sacro Lido di Ostia Labaro-Prima Porta Aniene-Collatino Prati Casal Palocco-Infernetto Cassia-
Flaminia Trigoria-Castel di Leva Cinecittà Appio Latino Ottavia-Primavalle Prenestino Trionfale-Monte
Mario Casilino-Centocelle Roma est-Autostrade Parioli Casalotti-Selva Nera-Valle Santa Portuense-
Magliana Gianicolense-La Pisana Malagrotta-Ponte Galeria Giustiniana-La Storta-Olgiata Media cittadina
6.395 3.374 3.155 2.495 2.074 2.783 4.872 2.393 3.602 2.668 2.566 3.724 2.642 2.519 3.445 2.331 1.749
4.910 2.165 2.855 3.526 2.126 2.171 3.188 -1,1 -2,9 -3,1 -3,2 -3,3 -5 -5,1 -5,5 -5,6 -6 -6,5 -6,9 -7 -7,3 -7,4 -
7,5 -8,2 -8,3 -8,5 -9 -9,6 -11,1 -14,4 -5,5 Prezzo medio mq Roma Var.% annua Vomero-Arenella
Poggioreale-Vicaria Centro Storico Capodimonte San Carlo all'Arena Fuorigrotta-Bagnoli Posillipo-Chiaia-
San Ferdinando Secondigliano-Capodichino Chiaiano-Scampia Pianura-Soccavo-Camaldoli Ponticelli-San
Giovanni a Teduccio Media cittadina 3.941 2.161 2.080 2.145 2.532 4.531 1.507 1.673 1.875 1.436 2.806
4,2 1,9 0,5 -3,6 -5,9 -6,7 -8,3 -8,7 -13 -17,6 -4,5 Prezzo medio mq Napoli
150 Le migliaia di euro di risparmio sull'affitto
in otto anni a Roma Luca Dondi, ad della società di ricerca. Nonostante la domanda sia buona, le
transazioni riguardano perlopiù immobili di qualità medio bassa. Il sentiment degli italiani è ancora
impostato in modo guardingo
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 63
17/07/2017
Pag. 1.4.5 N.27 - 17 luglio 2017
Cambiare il fiscal compact
Maurizio Ferrera e Alexander Damiano Ricci
In Germania la parola Grexit non va più di moda, sebbene, a fine giugno, il leader del Partito liberale
tedesco (Fdp), Christian Lindner, abbia auspicato un'uscita di Atene dalla moneta comune. Peraltro, come
mostra Mastaganis nell'articolo qui sotto, un eventuale ritorno alla dracma avrebbe conseguenze
catastrofiche. È piuttosto un altro Paese a destare le preoccupazioni di Berlino: l'Italia.
In primo luogo, il salvataggio di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca ha scatenato un'ondata di
valutazioni negative. Die Welt ha definito la manovra pubblica un vero e proprio peccato originale, che
porterà a un ulteriore aumento del debito pubblico. Unica nota positiva: si comincia a fare pulizia tra le
banche italiane, «anche se rimangono più di 300 miliardi di euro di crediti spazzatura». Sullo stesso
giornale persino Varoufakis ha sparato a zero su Roma. A detta dell'ex ministro delle Finanze greco «l'Italia
non può rimanere» nell'Eurozona. Lo testimonierebbe la «fuga di capitali» in corso dal Paese.
In vista delle elezioni, la Spd di Martin Schulz ha specificato che «nessun Stato Membro dell'Ue deve
essere costretto a uscire dall'euro». Ma la Cdu di Angela Merkel ha sottolineato, per l'ennesima volta, che
una condivisione del debito è fuori discussione.
Sul Fiscal Compact, Germania e Francia ne danno per scontato l' inserimento nei Trattati. Per superare
l'austerità, le ipotesi su cui si discute sono altre: più investimenti, un Fondo monetario europeo, un'Unione
sociale europea (sia Macron sia la Spd hanno idee promettenti su quest'ultima ipotesi). Dopo l'ultimo Euro-
gruppo, persino il falco Dijsselbloem ha parlato di ammortizzatori fiscali e sociali Ue, di sostegno alle
riforme strutturali tramite il bilancio comunitario, oltre che di unione bancaria e dei capitali. E' su questi temi
che Matteo Renzi dovrebbe puntare per non isolare l'Italia. E anche per contrastare il fronte interno (Lega,
5 Stelle), senza scimmiottarne le grida euroscettiche.
www.euvisions.eu
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 64
17/07/2017
Pag. 18 N.27 - 17 luglio 2017
I problemi dell'Europa I costi dell'addio
Brexit nel bilancio? Il divorzio c'è (ma non si vede)
Telefónica, Iberdrola, Bnp Paribas forniscono cifre esatte sul business nel Regno Unito. Molti fanno generici accenni al rischio o non dicono nulla. Mentre l'Esma... Maria Silvia Sacchi
Per ora le imprese hanno registrato solo l'incertezza. Nulla di più. D'altra parte, l'incertezza è la cifra del
negoziato su Brexit partito solo a giugno, un anno dopo il referendum con cui il Regno Unito ha deciso di
uscire dall'Unione europea. E proprio oggi inizia il nuovo round delle trattative come concordato da Michel
Barnier per la Ue e David Davis per la Gran Bretagna. In questa prima fase, che si concluderà a ottobre, la
discussione si concentrerà sui diritti dei cittadini, gli impegni finanziari (tema preliminare) e le frontiere
esterne dell'Unione.
Ma si diceva delle imprese. L'Esma, l'organismo di sorveglianza dei mercati finanziari europei, dal 2012
pubblica la lista di priorità comuni, cioè le informazioni che le società quotate europee devono inserire nei
propri bilanci perché gli investitori possano avere un quadro coerente e affidabile. E tra queste priorità lo
scorso anno ha cominciato a inserire Brexit, come ricorda Marina Brogi, vicepreside della facoltà di
Economia alla Sapienza di Roma e professore ordinario di International banking and capital markets.
Da una comparazione dei maggiori gruppi per capitalizzazione nei 5 principali Paesi europei (Francia,
Germania, Italia, Spagna e Regno Unito), emerge un quadro molto eterogeneo. Poche le società che
hanno dato informazioni dettagliate. Solo Telefónica (Spagna), Bnp Paribas (Francia) e Iberdrola (Spagna)
forniscono un'indicazione precisa di quale percentuale, rispettivamente, di fatturato, utile operativo pre-
tasse, Ebitda (margine operativo lordo) e utile è stato conseguito nel Regno Unito. Dalla parte opposta
Total (Francia), L'Oréal (Francia) ed Eni (Italia), che Brexit non l'hanno nemmeno citata. «Gli amministratori
delegati di Total e L'Oréal, tuttavia, hanno rilasciato interviste in cui sottolineano i rischi e le incertezze
derivanti da Brexit - sottolinea Brogi - mentre nel caso di Eni nella relazione sul governo societario si
informa che il tema è stato trattato dal Comitato sostenibilità e scenari».
In mezzo
La maggior parte delle società (il 68%) ha, invece, accennato a Brexit come «a un generico fattore di
rischio e di instabilità, sia pure con sfumature diverse e gradi di dettaglio diversi, a riprova della prudenza
adottata nel fare previsioni». Tra le informazioni segnalate, il Santander, che ha una partecipata importante
nel Regno Unito, ha specificato che l'indebolimento della sterlina ha ridotto il valore in euro degli utili
conseguiti da quella società nel 2016 indicando anche che Brexit potrebbe ridurre la crescita nel Regno
Unito. Anche se al di fuori del campione analizzato, Deutsche Bank ha già annunciato che sta
considerando di spostare alcune attività da Londra; mentre il bilancio di Jp Morgan specifica che,
nonostante «non ritengano di dover spostare molte persone (da Londra) nei prossimi due anni, a seguito di
Brexit ci sarà una pressione costante dall'Ue a non fornire servizi dal Regno Unito ma di continuare a
spostare persone e capacità operative in partecipate dell'Ue».
La ricerca, realizzata per L'Economia dal dipartimento di Management, facoltà di Economia, dell'Università
La Sapienza di Roma, mirava a capire quanto Brexit sia stata considerata un fattore dirompente per i big
internazionali. E i primi risultati sono la prova di ciò che alcuni analisti sostengono, ovvero che i fattori
politici hanno ormai un impatto nel breve periodo, aumentando la volatilità dei mercati, ma limitato nel lungo
dove prevalgono invece i fondamentali delle società stesse. Nel 44% dei casi, infatti, i gruppi esaminati,
anziché commentare l'impatto futuro di Brexit, hanno posto l'accento sulla caduta dei corsi azionari subita
dopo il referendum. Difficile fare previsioni in una situazione già di per sé nuova e piena di colpi di scena.
Come le elezioni, indette a sorpresa dalla premier Theresa May per avere un mandato più forte, che si
sono tradotte invece in una sua ulteriore debolezza. Ma l'ambasciatrice del Regno Unito in Italia, Jill Morris,
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 65
17/07/2017
Pag. 18 N.27 - 17 luglio 2017
nell'intervista sotto tende la mano.
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Foto: Analisi Marina Brogi, vicepreside della facoltà di Economia alla Sapienza di Roma: il 68% delle
aziende parla di Brexit come di un rischio generico
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 66
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Pag. 28 N.27 - 17 luglio 2017
Sussurri Grida dentro e fuori il listino di piazza affari Roberto Liscia domani spiega come il commercio elettronico possa moltiplicare gli affari nel fashion, beauty e design. Veneto Banca e PopVicenza rimborsano i risparmiatori traditi: altri due casi a sentenza
Banche, il nodo delle nomine L'ecommerce? Strada obbligata
a cura di Stefano Righi [email protected]
Le imbarazzanti collusioni emerse con la crisi della Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca (ma
anche in Banca Marche, Popolare dell'Etruria, CariChieti e CariFerrara) hanno spinto Michele Calzolari,
presidente di Assosim - l'associazione che raggruppa gli intermediari dei mercati finanziari - a organizzare
in collaborazione con Nedcommunity un incontro su La disciplina degli esponenti aziendali e il ruolo chiave
del comitato nomine . L'appuntamento, che sarà moderato da Paola Schwizer, presidente di
Nedcommunity, è per mercoledì 19 dalle 9,30 nella sala convegni di Intesa Sanpaolo, in piazza Belgioioso
a Milano. Dopo gli interventi di Enzo de Angelis di Spencer Stuart e di Alberto Pera (dello studio Gianni,
Origoni, Grippo, Cappelli & Partners), parteciperanno alla tavola rotonda Maria Elena Cappello (Mps),
Giovanni Fiori (Ubi), Paola Galbiati (Bpm), Elisabetta Gualandri (Bper), Rossella Locatelli (Intesa
Sanpaolo), Fabrizio Rindi (Kairos sgr). La mattinata vedrà le relazioni di Gianmaria Marano della Banca
d'Italia, di Alessandro Rivera del Mef, di Carlo Giaj Levra di Nike consulting e di Luca Galli di Ernst &
Young.
Le idee di Netcomm
Con gli straordinari dati di vendita di Amazon nel suo Prime Day (più 60 per cento, la giornata migliore
nella storia della società), l' ecommerce ha segnato un altro gol nella partita dello shopping globale. Per le
aziende, grandi o piccole che siano, riflettere su questa rivoluzione digitale è ormai un obbligo. Se ne parla
a Palazzo Mezzanotte, a Milano, domani 18 luglio, al Netcomm Focus Lifestyle, dove verranno presentati
trend e dati aggiornati. La giornata è organizzata da Netcomm, il consorzio del commercio elettronico
italiano, e Pambianco (dalle 9 alle 16, per iscriversi: [email protected] ). Il focus è per le
aziende di fashion , beauty e design: come si evolve il consumatore digitale? Come si imposta una
strategia omnichannel ? Come il made in Italy affronta la sfida dell'export digitale? Ne parlano, tra gli altri,
Roberto Liscia, presidente di Netcomm, Daniele Lago, amministratore delegato di Lago-Mobili di design,
Andrea Ghizzoni, capo per l'Europa di WeChat, Alessandro Varisco, ceo di TwinSet. ( fra. ga. )
Il volo di Colombo
La milanese Colombo & associati entra in MidCap Alliance come partner esclusivo per il mercato italiano.
La società di financial advisory fondata da Paolo Andrea Colombo, diviene così il corrispondente italiano di
una qualificata rete internazionale che tra gli altri comprende Wells Fargo (Usa), Az Capital (Spagna),
Wagram corporate finance (Francia), Raiffeisen (Svizzera), Smith Square partners (Regno Unito) e Dx
Bank (Germania). «È un traguardo che ci permetterà di incrementare esponenzialmente la portata
internazionale della nostra società - ha detto Colombo - come pure il numero delle possibili collaborazioni
cross border ».
Le quote dell'Ilva
Am Investco Italy, la srl che ha vinto la gara per l'acquisto degli impianti delle acciaierie Ilva di Taranto,
mettendo sul piatto 1,8 miliardi di euro, risulta partecipata per l'88 per cento dagli indiani di Arcelor Mittal.
Soci di minoranza, con il 6 per cento ciascuno, sono Marcegaglia e Intesa Sanpaolo. Ognuno di questi ha
versato cento milioni di euro per la propria quota sociale.
Sportitalia va in streaming
Sportitalia, il canale televisivo dedicato allo sport diretto da Michele Criscitiello - a cui collaborano tra gli altri
Alfredo Pedullà e Giancarlo Padovan - ha chiuso un accordo pluriennale con Sportradar che metterà a
disposizione la piattaforma e la tecnologia per offrire agli spettatori lo streaming (24/7) del canale tv e
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 67
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tantissimi contenuti on demand attraverso Internet. Sportradar Ott è l'ultima innovazione del prodotto di
Sportradar, una piattaforma Ott personalizzabile fornita gratuitamente ai titolari dei diritti (leghe, federazioni,
club e tv sportive) che si impegnano a fornire il contenuto, mentre Sportradar si occupa dello sviluppo della
piattaforma tecnica, della monetizzazione e del marketing.
Giustizia popolare
La truffa perpetrata dalle due ex popolari venete ai danni di duecentomila risparmiatori si è da tempo
trasferita davanti ai giudici. E se a Vicenza, in casa della Popolare, le cose sembrano procedere a rilento o
addirittura non procedere, ci sono altri giudici a cui hanno fatto ricorso i molti risparmiatori che si sono visti
traditi dalla banca di fiducia. Ad esempio, l'Arbitro per le controversie finanziarie che, con due diverse
decisioni dello scorso 7 luglio ha dato torto a Veneto Banca. A due risparmiatori - entrambi seguiti
dall'avvocato trevigiano Matteo Moschini - Veneto Banca dovrà risarcire 5.880 euro su un investimento di
7.900 e 25.061 euro (in questo caso la totalità della somma investita). «Pur di riuscire a vendere le azioni
emesse - spiega Moschini - le due popolari venete hanno falsificato in modo scientifico e massivo i profili
dei loro clienti, classificando come esperti di finanza e speculatori dei soggetti con nessuna conoscenza in
materia e senza la benché minima propensione al rischio, ed hanno indotto comuni risparmiatori ad
acquistare tali azioni spacciandole per prodotti redditizi, facilmente liquidabili e a rischio zero. Non serve
alcuna commissione che stabilisca chi è stato truffato e chi no, sono le relazioni di Consob, Bankitalia e Bce
che affermano a chiare lettere che la truffa è stata perpetrata in modo scientifico e massivo ai danni della
collettività dei risparmiatori». Al momento sono quattro i ricorsi accolti, equamente divisi tra le due ex
popolari.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Foto: Il direttore Michele Criscitiello ha firmato un accordo con Sportradar che apre il canale allo streaming
e all'«on demand»
Foto: Un ruolo chiave
Foto: L'amministratore delegato della Lago, Mobili
di design, sarà domani in Borsa a Milano ospite di Netcomm
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COME CAMBIA IL FISCO
Una flat tax ma ben temperata
Maurizio Leo
Negli ultimi tempi si è rianimato il dibattito su una riforma strutturale del nostro ordinamento tributario e, in
particolare, sulla tassazione delle persone fisiche. Finalmente si sta seriamente ragionando su un sistema
fiscale orientato alla flat tax, vale a dire basato su una aliquota nominale "piatta" applicabile a tutti i
contribuenti. È una buona notizia perché, per la prima volta, si sta seriamente pensando a una riforma del
nostro modello impositivo. Continua pagina 13 Una riforma che non consista in un mero intervento di
manutenzione come nel caso delle recenti innovazioni, per le quali impropriamente si è parlato di riforma
fiscale. L'erosione dell'Irpef Diversi commentatori si sono spesi sulle ragioni per le quali un sistema ad
aliquota piatta sarebbe positivo ovvero negativo. Mi pare, però, certamente condivisibile il ragionamento di
chi evidenzia che, nel corso del tempo, vi è stata una erosione, oggettiva e incontrovertibile, dell'imposta
personale onnicomprensiva e progressiva. Anche chi continua a ritenere la progressività il principio
fondamentale cui ancorare le scelte di politica fiscale, non può non considerare come la reale curva della
imposizione sia solo in (piccola) parte rappresentata dalle aliquote crescenti applicate al reddito
complessivo. Infatti, per comprendere come e in che misura concretamente si realizzi il prelievo, è
necessario tenere conto che alle regole ordinarie dell'Irpef sono già da tempo sottratte componenti di
reddito assolutamente rilevanti quali, ad esempio, i redditi dei terreni e i redditi di capitale. Negli ultimi
tempi, poi, ulteriori componenti di reddito sono state sottratte alla progressività, come segnalato anche sul
Sole 24 Ore del 10 luglio: si pensi ai redditi derivanti dalle locazioni immobiliari, per i quali è applicabile la
cosiddetta cedolare secca, ai redditi di lavoro autonomo, per i quali è applicabile,a certe condizioni, il
regime dei minimi, ai redditi esteri dei soggetti non residenti che si trasferiscono in Italia, tassati con
un'imposta forfettaria, ai redditi delle imprese individuali e delle società di persone, che possono applicare
la tassazione proporzionale prevista dalla nuova Iri. Da ultimo, molto recentemente, an• che le (spesso
consistenti) remunerazioni corrisposte ai gestori dei fondi di investimento • il cosiddetto carried interest • sono
state sottratte alla progressività propria dei redditi di lavoro dipendente, attraverso un inquadramento tra i
redditi di capitale. La ricerca di un nuovo modello Se questo è lo scenario • e così è • non si comprende
come possa essere eccepita l'inapplicabilità della flat tax, in nome di una strenua e di fatto acritica difesa
della progressività. Spesso, purtroppo, logiche politiche, peraltro passate, fanno premio sulla lucidità e
sull'attualità dell'analisi. A guardarlo bene, quello italiano, è un modello di imposizione già "appiattito", ma in
conseguenza di scelte disordinate, non organiche, incoerenti e,a volte, poco condivisibili. È giunto
certamente il momento di un ripensamento complessivo del nostro modello di imposizione dei redditi
personali che superi quello attuale, compiendo scelte ormai non più rinviabili, incentrate sulla
semplificazione e sulla riduzione della insostenibile pressione fiscale. D'altra parte, il tema di un prelievo
equilibrato si pone solo se e nella misura in cui esista un reddito da tassare. Oggi, però, anche in ragione
della enormità del carico fiscale, i redditi sono sempre di meno e sempre più esigui. Sembra, quindi,
assolutamente essenziale costruire un modello nuovo di imposizione, basato su un'aliquota unica, in cui la
progressività e la redistribuzione vengano garantite con un sistema calibrato di deduzioni, che sostituisca le
attuali tax expenditures e che tenga conto della presenza di un nucleo familiare, nonché di sussidi per gli
incapienti. Si tratterebbe di una verae propria rivoluzione copernicana che, come tale, va realizzata con la
necessaria attenzione e gradualità, passando, cioè, per una fase di progressivo allineamento al nuovo
modello. In questa fase, necessariamente breve, si potrebbe dare una prima concreta attuazione a una
imposizione incen• trata su una aliquota piatta. Si potrebbe immaginare che l'aliquota ridotta possa essere
applicata esclusivamente all'incremento del reddito complessivo sul periodo d'imposta precedente. Ad
esempio, se rispetto al reddito complessivo di 100 del 2017, si realizza un incremento di 50 (con un reddito
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complessivo del 2018 di 150), solo su questo maggior reddito (50) si potrebbe applicare una aliquota
ridotta. Inoltre, potrebbe essere previsto un ulteriore sconto di imposizione, per tutti i redditi di lavoro
autonomo o di impresa, laddove sia dimostrabile un incremento della base occupazionale con forme di
impiego stabili. Una soluzione di questo tipo avrebbe il pregio di realizzare uno stimolo alla produttività, alla
crescita nonché alla emersione di redditi in precedenza occultati all'Erario. Inoltre si consentirebbe un
migliore monitoraggio della reale ricchezza del Paese, da tassare nel nuovo modello di imposizione flat.
Insomma, passando da questa prima fase, si potrebbe arrivare, in tempi rapidi, a un sistema strutturale
incentrato sulla applicazione generalizzata di una aliquota unica e ridotta, che comprenda anche una
sostituzione delle attuali tax expenditures, nonché sulla attribuzione di sussidi per gli incapienti. Solo
quando si fa una scelta si cambia il futuroe mi sembra ormai giunto il momento di non rivolgere la testa
all'indietro. Occorre, infatti, avere il coraggio di cambiare perché, come diceva Nelson Mandela, tutto
«sembra sempre impossibile fino a quando non viene fatto». © RIPRODUZIONE RISERVATA
IL DIBATTITO SUL «SOLE» La propostae il dibattito Sul Sole 24 Ore di domenica 25 giugno Nicola Rossi,
dell'Istituto Bruno Leoni, ha lanciato la proposta di una revisione del sistema fiscale incentrata su una sola
aliquota, fissata al 25%, sia per l'Irpef, sia per l'Irese l'Iva. Questa revisione si accompagnerebbe alla
contestuale abolizione di Irap e Imu Sulle pagine del Sole, come favorevolio contrari alla proposta di Nicola
Rossi, sono intervenuti Dario Stevanato, Enrico De Mita, Lamberto Dinie Natale D'Amico, Eugenio Somaini,
Daniele Capezzone, Vincenzo Visco, Lorenzo Codognoe Giampaolo Galli, Angelo Cremonese, Raffaello
Lupi, Armando Siri, Stefano Toso, Gustavo Piga, Sebastiano Bavetta, Vito Tanzi, Franco Gallo, Andrea
Giovanardi, Franco Debenedetti, Ugo Colombino, Vittorio Emanuele Falsitta, Giorgio Spaziani Testa,
Alberto Zanardi. A concludere il dibattito due interventi: Nicola Rossi (sul Sole 24 Ore di sabato 15 luglio)e
Enrico De Mita (ieri) Tutti gli interventi sono disponibili sul sito del Sole 24 Ore. Il dibattitoè anche sui social
media con l'hashtag #25xtutti www.ilsole24ore.com/dossier/commenti•e•idee/2017/flat•tax Il dossier con tutti
gli interventi
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Lavoro. Attività occasionali
Nuovi voucher, i chiarimenti per le famiglie e le imprese
Le risposte degli esperti al Forum online del Sole Francesca Barbieri
Nella prima settimana di utilizzo, il libretto famiglia e il contratto di prestazione occasionale hanno sollevato
numerosi dubbi tra gli utilizzatori, come emerso dal Forum online con gli esperti aperto dal Sole 24 Ore.I
limiti di oreo di reddito,i vincoli tra indennità di disoccupazione e nuovi buoni, l'impiego da parte dei
condomini sono solo alcune delle questioni sottoposte alla verifica degli esperti. A rendere più difficile il
ricorso ai nuovi strumenti c'è anche l'impossibilità di rivolgersi a un professionista, da parte di chi non ha
dimestichezza con le procedure online. pagina4 con una selezione delle risposte al Forum Come spenderei
vecchi voucher? Quali sono i limiti per il libretto famiglia e per il contratto di prestazione occasionale?
L'indennità di disoccupazione Naspi si può "sommare" ai nuovi buoni? Il "nonno•vigile" del Comune potrà
ancora essere pagato con i voucher? Sono questi alcuni dei dubbi sollevati dai lettori al Forum aperto dal
Sole 24 Ore nella prima settimana di avvio della piattaforma web dell'Inps, che di fatto rende operativo il
nuovo corso del lavoro occasionale previsto dalla manovra d'estate (Dl 50, convertito dalla legge 96/2017).
Dalle risposte degli esperti emerge che chi ha acquistato i vecchi voucher entro il 17 marzo 2017 (data di
cancellazione) potrà spenderli fino al 31 dicembre seguendo le vecchie regolee con i limiti previsti dal Jobs
act. Al tempo stesso, però, potrà anche registrarsi online per attivare i nuovi strumenti • libretto famiglia e
contratto di prestazione occasionale • e utilizzarli per il pagamento delle prestazioni di lavoro accessorio. In
assenza di precisazioni ufficiali, solo per quest'anno per chi ha vecchi voucher non ancora spesi (da
gennaio a metà marzo ne sono stati venduti oltre 28 milioni) sarà aperto un doppio binario. E anche i
lavoratori occasionali potranno essere pagati attraverso entrambi i canali. Ma non solo. Visto che né la
legge né la circolare 107 dell'Inps vietano espressamente il cumulo tra vecchi tagliandi e nuovi strumenti,
ognuno dei due strumenti resta soggetto ai rispettivi limiti (massimo 7mila euro per chi riceve i vecchi ticket;
massimo 5mila per chi viene pagato con i nuovi) e alle rispettive procedure. Ne derivano due conseguenze
importanti: da una parte, chi si trova in questa situazione deve monitorare con attenzione "doppia" il rispetto
dei massimali per evitare le sanzioni; dall'altra, i nuovi limiti fissati da libretto famiglia e contratto di
prestazione occasionale possono essere utilizzati su sei mesi e non devono essere ri• feriti a dodici mesi.
Ad esempio, una famiglia che ricorre saltuariamente a una collaboratrice domestica ha a disposizione 280
ore massime fino al 31 dicembre, che diventano circa 46 ore al mese, più di 10 a settimana. Dal 2018 in
poi, invece, se ne potranno fare, in media, al massimo 23 ogni mese. E sempre a sei mesi per il 2017 si
riferiranno i tetti economici di 5mila e 2.500 euro. Un nodo da sciogliere proprio sul libretto famiglia riguarda
il limite di 2.500 euro l'anno per le attività rese dallo stesso prestatore allo stesso utilizzatore, che però
risulterebbe di fatto non raggiungibile nel caso di "paga" oraria con buoni da 10 euro lordi, 8 euro netti. Se
dividiamo 2.500 per 8 infatti il numero di ore annue risulta 312,5, oltre il tetto di 280 fissato dalla legge, che
danno invece diritto a un compenso inferiore di 2.240 euro (280 per 8). Altra situazione incerta riguarda la
possibilità per i disoccupati titolari di Naspi di svolgere prestazioni di lavoro occasionali: tra le interpretazioni
c'è quella di chi ritiene che il "prestatore" non perde lo status di disoccupato, ma esclude la possibilità di
cumulo tra i due "compensi", per cui l'Inps dovrebbe sospendere il pagamento della Naspi nei giorni in cui
si percepiscono i nuovi voucher. Secondo un'altra lettura invece il cumulo potrebbe essere possibile
facendo riferimentoa quanto previsto dalla legge, cioé l'Inps sottrae dalla contribuzione figurativa della
Naspi gli accrediti contributivi del lavoro occasionale. Nei Comuni, invece, dovrebbe essere escluso il
lavoro occasionale dei nonni•vigili, perché non si tratterebbe di un evento "speciale" per cui la Pa ha la
facoltà di fare ricorso ai contratti di prestazione occasionale. Alcune precisazioni sono arrivate infine per
l'agricoltura: il messaggio Inps 2887 del 12 luglio ha chiarito il criterio di computo dei lavoratori occupati e
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rivisto al rialzo la misura del compenso minimo orario, che per l'area 1 è di 9,65 euro, per l'area 2 di 8,80
euro, per l'area 3 di 6,56 euro.
STRUMENTI ONLINE
Tutte le risposte visibili da domani sul sito del Forum Da domani sarannoa disposizione dei lettori,
gratuitamente, tutte le risposte fornite dagli esperti del Sole 24 Ore alle domande inviate al Forum
dell'Esperto risponde dedicato al libretto famigliae al contratto di prestazione occasionale.
www.ilsole24ore.com/nuovivoucher
I casi risolti. Le prime risposte ai quesiti del Forum del Sole 24 Ore Il condominio non può usare il libretto
famiglia Il capitano della barca pagato con il «Cpo» Per il comando di una imbarcazione (di proprietà di un
pensionato) si ricorre ad "altro personale", ai sensi del comma2 dell'articolo 49•bis del Dlgs 18 luglio 2005,
n. 171 (Codice della nautica da diporto). Si possono utilizzarei nuovi voucher? RSi ritiene possibile l'utilizzo
del contratto di prestazione occasionale perché non si tratta di attività vietate (imprese edili e l'esecuzione
di appalti di opere o servizi), purché l'impresa non abbia più di 5 dipendenti a tempo indeterminato. Calcolo
dei dipendenti se le sedi sono tante Per il calcolo dei 5 dipendenti a tempo indeterminato l'azienda va
considerata nel suo complesso,o se opera in settorie sedi diversee con diverse posizioni Inps il conteggio
potrà essere effettuato per sede/settore? RLa norma vieta espressamente il ricorso al contratto di
prestazione occasionale da parte di utilizzatori che hanno alle proprie dipendenze più di cinque lavoratori
subordinatia tempo indeterminato. La formulazione fa intendere che i dipendenti non vadano conteggiati
per reparti/ settori, ma con riferimento al numero complessivo. Il disco è verde se l'azienda è stagionale
Un'azienda stagionale con 7 dipendenti può utilizzarei nuovi voucher? RLa norma fa riferimento a 5
lavoratori subordinati assunti a tempo indeterminato. Se l'azienda è stagionale e, di conseguenza, assume
solo lavoratori a tempo determinato può senz'altro fare ricorso al contratto di prestazione occasionale.
Imprese, il costo totale orario è 12,41 euro In merito al costo orario delle nuove prestazioni occasionali per
le imprese, l'1% dei costi di gestione va calcolata sull'importo minimo di9€ (costo finale orario della
prestazione 12,38 €, comprensivo di contributi) o su 12,29 €: 9 € + contributi Inps e Inail (costo finale orario
della prestazione 12,41 €, comprensivo dei contributi)? RLa circolare 107/2017 ha chiarito che, per
individuare il costo complessivo sostenuto dall'utilizzatore, gli importi relativi agli oneri contributivie di
gestione si sommano alla misura del compenso, sul quale si calcola la percentuale dell'1% per gli oneri di
gestione. Quindi l'importo complessivoè di 12,41 euro. Nella Pa sono ammessi solo «eventi» speciali È
possibile per un Comune utilizzare i nuovi voucher per pagare la persona che accompagna i bambini
dall'uscita dallo scuolabus fino all'ingresso della scuola? RIl ricorso al nuovo lavoro occasionale è
consentito alla pubblica amministrazione solo nell'ambito di progetti speciali rivoltia specifiche categorie di
soggetti in stato di disagio (come, ad esempio, la povertà), lavori di emergenza correlati a calamità e per
l'organizzazione di manifestazioni sociali. Per il caso descritto dei "nonni vigili"e attività similari non possono
essere utilizzate il nuovo contratto di prestazione occasionale. L'agriturismo si regola come l'agricoltura In
caso di attività agrituristica quali regole vengono applicate? RSi ritiene che per l'attività agrituristica trovi
applicazione la disciplina particolare per l'agricoltura perché l'agriturismoè attività accessoria nei limiti
consentiti, conta dunque quella prevalente. Si segnala che con il messaggio n. 2887 del 12 luglio l'Inps ha
rivisto gli importi minimi. Area 1: 9,65 € orario (38,6 € giornaliero); area 2: 8,80 € orario e (35,2 €
giornaliero); area 3: 6,56 € orario (26,24 € giornaliero). Il corretto utilizzo dei vecchi buoni Sono detentore di
un piccolo importo (60 euro) dei vecchi voucher. Sono utilizzabili? In caso affermativo, si deve utilizzare la
nuova o la vecchia procedura? RI vecchi voucher sono utilizzabili esclusivamente con la vecchia
procedura, visto che le nuove regole introdotte dal decreto legge 50/2017 hanno a oggetto strumenti
contrattuali che, pur somigliando in alcuni aspetti al lavoro accessorio, non sono in continuità con la
fattispecie ormai abrogata. Ticket da 10 euro per il libretto famiglia Utilizzando il Libretto famiglia si può
corrispondere un importo orario superiore ai 10 euro, fermi ovviamente i limiti annui del monte ore e
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dell'importo? RLa rispostaè affermativa. La norma lo prevede espressamente, utilizzando multipli di 10
euro. La circolare Inps 107/17, inoltre, precisa che l'utilizzatore deve comunicare il numero di titoli utilizzati
per la prestazione lavorativa, tenendo però presente che, in tal modo, la soglia massima dei 2.500 euro
viene raggiunta in anticipo. Non c'è cumulo tra vecchi e nuovi buoni In merito ai nuovi limiti economici,
vorrei sapere se per il raggiungimento del limite massimo bisogna considerare anche quanto già utilizzato
durante l'anno con i "vecchi voucher" oppure il limite riparte da zero. RLa leggee la circolare non prevedono
il cumulo tra i compensi percepiti mediante voucherei nuovi contratti. Di conseguenza ognuno segue le
rispettive regole. Intermediari abilitati entro fine luglio Un'impresa può delegare l'intermediarioa compiere
tutte le procedure per i nuovi voucher? RLa risposta è affermativa, un'impresa che non vuole effettuare
direttamente gli adempimenti attraverso la piattaforma Inps,o avvalersi dei servizi del contact center
dell'Istituto, può delegare un intermediario abilitato. Va però precisato che questa modalità non è ancora
attiva: secondo quanto è stato annunciato, verrà resa disponibile dall'Inps entro il mese di luglio 2017. I
limiti per il docente occasionale È corretto ritenere che il docente che impartisce "insegnamento privato
supplementare" possa utilizzare il Cpo•libretto famiglia, mentre lo stesso docente che tiene la stessa
"docenza" in un corso di aggiornamento per il personale di una azienda, nel caso in cui questa abbia più
di5 dipendentia tempo indeterminato, non lo può più fare? RL'esempio è corretto, al superamento dei limiti
oggettivi previsti dalla legge non è più possibile svolgere prestazioni occasionali mediante il contratto per
prestazioni occasionali. Come conteggiare il lavoro intermittente Com'è considerato il contratto di lavoro
intermittente relativamente al prospetto della circolare Inps n.107, paragrafo 6.2? RL'articolo 18 del Dlgs
81/2015 prevede che ai fini dell'applicazione di qualsiasi disciplina di fonte legale o contrattuale per la quale
sia rilevante il computo dei dipendenti del datore di lavoro, il lavoratore intermittente è computato
nell'organico dell'impresa in proporzione all'orario di lavoro effettivamente svolto nell'arco di ciascun
semestre. Il contratto a termine non si conta per il tetto Nelle ipotesi di imprese: • con5 lavoratoria tempo
indeterminato e uno a tempo determinato; • con4 lavoratoria tempo indetermi• nato e 2 a tempo determinato;
si può usare il lavoro accessorio? RLa legge include nella base di computo dell'organico da considerare per
l'applicazione del limite solo i lavoratori subordinati a tempo indeterminato. Nella nozione rientrano, quindi, i
lavoratori part time e intermittenti (se assunti a tempo indeterminato), mentre non rientranoi lavoratoria
tempo determinato e nemmeno gli apprendisti come chiarito dal messaggio n.2887 del 12 luglio scorso.
Pertanto, negli esempi proposti si potrà procedere • ferma restando la necessità di rispettare gli altri limiti
previsti dalla leggeall'utilizzo del contratto di prestazione occasionale. Indennità Naspi e nuovi voucher Un
soggetto che sta percependo l'indennità Naspi può al contempo essere pagato con i nuovi voucher? Se sì,
entro quale limite? RLa nuova normativa per il contratto di prestazione occasionale non disciplina
espressamente la possibilità di cumulare il compenso percepito con la Naspio altre prestazioni di sostegno
al reddito. Di conseguenza si ritiene che questi non siano cumulabili, ma compatibili. In questo caso l'Inps
non dovrebbe corrispondere la Naspi per i giorni effettivamente lavorati. In riferimento al settore
dell'agricoltura si specifica che l'Inps sottrae dalla contribuzione figurativa della Naspi gli accrediti
contributivi della prestazione occasionale svolta dai percettori di Naspi. L'iter per il medico libero
professionista Vorrei sapere se un medico regolarmente iscritto all'albo e all'Enpam, che svolge prestazioni
occasionali deve registrarsi al portale dell'Inps, tenuto conto che la prestazione occasionale è soggetta alla
cassa previdenziale dei medici (Enpam). RLa legge include nella base di computo dell'organico da
considerare per l'applicazione del limite soloi lavoratori subordinati a tempo indeterminato. Nella nozione
rientrano, quindi, i lavoratori part time e intermittenti (se assunti a tempo indeterminato), mentre non
rientranoi lavoratoria tempo determinato e nemmeno gli apprendisti come chiarito dal messaggio n.2887 del
12 luglio scorso. Pertanto, negli esempi proposti si potrà procedere • ferma restando la necessità di
rispettare gli altri limiti previsti dalla legge• all'utilizzo del contratto di prestazione occasionale. Condomìni ed
enti esclusi dal «libretto» I condomìni e gli enti morali/ecclesiastici possono essere equiparati alle famiglie e
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quindi utilizzare il libretto famiglia? RLa legge include nella base di computo dell'organico da considerare
per l'applicazione del limite soloi lavoratori subordinatia tempo indeterminato. Nella nozione rientrano,
quindi, i lavoratori part time e intermittenti (se assunti a tempo indeterminato), mentre non rientrano i
lavoratori a tempo determinato e nemmeno gli apprendisti come chiarito dal messaggio n.2887 del 12 luglio
scorso. Pertanto, negli esempi proposti si potrà procedere • ferma restando la necessità di rispettare gli altri
limiti previsti dalla legge• all'utilizzo del contratto di prestazione occasionale. Il giusto calcolo dei limiti
economici I nuovi voucher sono più convenienti rispetto al job on call? Inoltre, si segnala che mentre per il
Cpo, considerati9 euro netti all'ora, 280 ore equivalgonoa 2.520 euro di compensi, se si considera il valore
netto previsto per l'utilizzatore persona fisica 10 euro, 280 ore equivalgono a 2.800 euro di compensi.
Quindiè possibile lavorare per 280 ore anche se si supera il tetto di 2.500 euro? RIn merito al confronto
bisogna valutare il costo della singola giornata di prestazione occasionale cheè di 49,64 euro (minimo4
ore)e rapportarlo al costo nel lavoro a chiamata. Quest'ultimo può variare in base al contratto collettivo
applicato. Il lavoro a chiamata può essere reso anche per meno di4 ore al giorno.Il numero delle ore
lavorabili con il Libretto famiglia sembra essere di 280 ore anche se il limite di reddito (per singolo
utilizzatore)in questo caso è inferiorea 2.500 euro (8x 280= 2.240 euro). Un aspetto che effettivamente si
potrebbe chiarire meglio. Associazioni sportive: ok ai «Cpo» Le associazioni sportive dilettantistiche
possono usare i Cpo? RSì, le associazioni in genere rientrano tra le categorie che possono ricorrere alle
prestazioni di lavoro occasionale mediante il relativo contratto. Naspi, Ape social e nuovi voucher Sono un
disoccupato che fatto la richiesta lo scorso 17 giugno di Ape social. Nel 2017 ho collaborato con imprese
coni voucher, ora potrei lavorare con i nuovi strumenti. Rischio di perdere lo stato di disoccupazionee di
conseguenza il requisito principale per la Ape Social? RNel contratto di prestazione occasionale i compensi
del prestatore sono esenti da imposizione fiscale e non incidono sul suo stato di disoccupato. Tuttavia la
norma non specifica se questi compensi siano anche cumulabili con la Naspio altre prestazioni. Sarebbe
utile che su questo aspetto il ministero del Lavoro fornisca chiarimenti. Per ora si ritiene che non siano
cumulabili. RISPOSTE A CURA DI Alberto Bosco, Giampiero Falasca, Alessandro Rota Porta e Josef
Tschöll © RIPRODUZIONE RISERVATA
A «Cuore e Denari» con l'esperto Oggi dalle 10.30 l'impatto dei nuovi voucher. Con Luca Caratti, della
Fondazione Consulenti del lavoro www.radio24.it Per l'ascolto in diretta e i podcast
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IL BILANCIO AIIB
Due miliardi sulla Via della Seta
Rita Fatiguso
La Belt & Road Initiative (Bri) cinese è un'iniziativa di dimensioni colossali• oltre 1.400 miliardi di dollari da
investire nei prossimi 5•10 anni che ha l'obiettivo di creare infrastrutture in 65 Paesi che comprendono quasi
4,5 miliardi di persone su una superficie pari al 35% del globo. Il lancio in grande stile della strategia siè
tenuto a maggio, a Pechino, ma ora è arrivato il momento di passare ai fatti. Continua pagina 7 Continua da
pagina 1 Per la Nuova Via della Seta, Pechino non bada a spese: si è dotata di strumenti finanziari
adeguati e, tra questi, sul versante dell'equity, figura il Silk Road Fund, partecipato dalla Banca centrale, su
quello della "stabilizzazione" va ricordata la New Development Bank (la cosiddetta Banca dei Brics) e,
soprattutto, la Banca asiatica multilaterale di sviluppo Aiib, attiva dal gennaio del 2016 e che, oggi, può
contare su 70 Paesi membri, orientata sui prestiti per il finanziamento di progetti infrastrutturali dedicati allo
sviluppo di aree in via di sviluppo. A un anno dall'inizio dell'operatività, l'Aiib ha appena ottenuto da Moody's
e Fitch una pagella più che lusinghiera. Moody's le ha concesso la tripla A a medio•lungo termine e, a breve,
il Prime•1, l'outlook è stabile. Di ottimo livello anche il giudizio di Fitch: l'agenzia ha dichiarato che i rating di
Aiib «sono basati sui suoi punti di forza esistenti e intrinseci». La banca è stata dotata di un capitale che,
secondo Fitch, «sosterrà la rapida espansione del prestito, l'esposizione al rischio sarà mitigata da una
serie completa di politiche e da una governance di alta qualità; Aiib gode di un eccellente livello di liquidità e
dovrebbe trarre vantaggio dal facile accesso ai mercati dei capitali». Intanto la Banca ha dovuto darsi una
struttura solida, anche dal punto di vista delle risorse umane e delle expertise specifiche; ha scelto di
lavorare anche con organismi e banche preesistenti, come l'Asian development bank e la Banca mondiale,
istituzioni certamente più collaudate. Il processo è ancora in fieri, maa livello di governance Aiib ha fatto del
suo meglio per cercare di bruciare i tempi e iniziare a lavorare. Di fatto, comunque, la Banca asiatica
multilaterale di sviluppo ha preso l'abbrivio e continua ad annunciare sem• pre nuovi progetti: i prestiti accesi
hanno toccato quota 2 miliardi di dollari. Gli ultimi in ordine di tempo finanzieranno progetti in Indonesia e in
Bangladesh. Il Board of directors ha infatti recentemente approvato tre prestiti per un totale di 285 milioni di
dollari, portando il prestito totale, appunto, a oltre 2 miliardi di dollari, sempre a sostegno dei suoi membri
che cercano di migliorare le condi• zioni di vita socio•economiche dei cittadini. Gli ultimi prestiti
contribuiranno, in Indonesia, alla sicurezza e alla funzionalità dell'approvvigionamento di acqua proveniente
dai grandi serbatoi del Paese e a migliorare l'accesso alle finanze delle infrastrutture per i Governi regionali
indonesiani, garantendo una maggiore flessibilità operativa; mentre in Bangladesh i fondi verranno utilizzati
per aumentare l'integrità della rete di trasmissione di gas. D.J. Pandian, vicepresidente e chief investment
officer di Aiib, è chiaro: «I prestiti approvati dal nostro consiglio di amministrazione hanno diversi campi di
applicazione, ma il denominatore comune è dato dai loro sforzi per sfruttare le spese infrastrutturali e per
stimolare la crescita e migliorare la qualità della vita delle comunità locali. Da qui nasce la necessità di
collaborare con i nostri partner multilaterali di banche di sviluppo per poter offrire questi finanziamenti
necessari a Paesi come l'Indonesia e il Bangladesh». Di recente l'Aiib ha aperto le porte anche a Paesi non
asiatici e nemmeno europei: Cile e Argentina, per esempio, hanno seguito la scelta di Perù e Brasile e
hanno aderito, con la prospettiva di avviare infrastrutture anche di tipo diverso, data anche la distanza,
relative in prevalenza alle telecomunicazioni. Il che accentua la dimensione globale della Banca, sempre
meno asiatica e sempre più mondiale.Il bilancio 2016 GLI INVESTIMENTI APPROVATI DALL'AIIB In
milioni di dollari e in % per settore Trasporti 25% (428,5) LE INFRASTRUTTURE NECESSARIE ALL'ASIA
Previsioni di spesa in miliardi di dollari da qui al 2030 Fonte: : Aiib Energia Trasporti Tlc Reti idriche Energia
63% (1.085)
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I numeri record della Nuova Via della Seta 1.400 Miliardi di dollari Investimenti previsti per i prossimi 5 anni
65 Urbano 12% (216,5) I Paesi coinvolti Le opere avranno un impatto sulla vita di 4,5 miliardi di persone
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VALORI IN CORSO
Al 5 per mille si dà sempre più credito
Elio Silva
Con uno dei tre decreti legislativi approvati il 28 giugno scorso a completamento della riforma del Terzo
settore, il Governo ha stabilizzato il 5 per mille, l'istituto fiscale più amato dagli italiani, secondo le
statistiche dell'Agenzia delle Entrate. La misura, introdotta nel 2006 in via sperimentale e poi confermata di
anno in anno con diverse modifiche, permette ai contribuenti di destinare liberamente, firmando una
specifica opzione, il 5 per mille dell'Irpef da loro dovuta a beneficio di organizzazioni senza fini di lucro,
suddivise per categorie, oppure (nel tempo scelta numericamente residuale) alle attività sociali dei Comuni.
Attraverso questo meccanismo, nei nove periodi d'imposta che intercorrono dal 2006 all'ultima annualità
consuntivata dalle Entrate, sono stati erogati a enti non profit circa 3,5 miliardi di euro, per una media
annua di 386 milioni, mentre le preferenze espresse nelle dichiarazioni dei redditi sono state in tutto 109
milioni, ossia più di 12 milioni l'anno. Con il Dlgs d'attuazione della legge 106/16 per la riforma del Terzo
settore, il5 per mille ora diventa norma permanente del nostro ordinamento tributario. Numerose le novità di
rilievo: le categorie dei beneficiari vengono esplicitamente individuatee non dovrebbero più essere soggette
all'effetto "porte girevoli" verificatosi in passato peri mutevoli orientamenti del legislatore. Vengono
introdotte misure per accelerare le pratiche di assegnazionee accreditamento delle somme. Gli obblighi di
trasparenzae rendicontazione fanno un deciso salto di qualità, diventando stringenti. Tuttaviai nodi più
delicati, che riguardanoi criteri di accesso al riparto, vengono ulteriormente demandatia un Dpcm da
adottare nei prossimi 120 giorni, il che giustifica la cautela nei giudizi fin qui espressi da operatori ed esperti
del Terzo settore. In particolare, restano da definire l'importo minimo erogabilea ciascun enteei criteri di
riparto delle scelte non espresse. Attualmente l'ammontare "inoptato" viene ripartito in proporzione alle
preferenze esplicite, per cui di fatto va ad aumentare la quota delle grandi organizzazioni. L'intento della
riformaè duplice: da un lato si intende evitare un'eccessiva frammentazione del beneficio, eliminando
quanto meno le erogazioni il cui costo amministrativoe gestionale sarebbe superiore all'importo stesso;
dall'altro, si puntaa un effetto di "perequazione", sterilizzando le modalità che hanno fin qui recato
vantaggioa chi già era avanti nelle preferenze. Il punto d'equilibrio nonè facile da trovaree la complessità
della materia ha indotto il Governo, anche dopoi prescritti pareri parlamentari,a demandare la formulazione
definitiva al Dpcm di prossima emanazione. Per orai tempi di liquidazione delle somme restano lunghi (in
media oltre 24 mesi) e, nel frattempo,i progetti delle associazioni non possono aspettare. Così, come si
rileva da una ricerca di Banca Etica, da oggi disponibile sul sito istituzionale del gruppo, siè sviluppato un
veroe proprio mercato del credito del5 per mille, che si declina principalmente in due modalità:
un'anticipazione del contributo approvatoe in corso di erogazione (in questo caso la banca anticipa all'ente,
sulla base del dato certo relativo all'importo da destinare, una quota tra l'80e il 100% dell'importo), oppure
un fido, collegato all'importo medio ricevuto dall'organizzazione negli ultimi anni, che la banca può
prenderea riferimento come approssimazione dell'importo atteso per l'esercizioa venire. Il dato evidenziato
nello studio di Banca Etica, costruito sulla base delle informazioni reperibili su siti istituzionali, in particolare
su quello del ministero del Lavoro, dimostra chei principali istituti creditizi del nostro Paese intercettano
gran parte dei flussi, con Intesae Unicredit ai primi due postie la stessa Banca Etica in terza posizione, dato
che non desta particolare sorpresa se si considera la sua specifica vocazione ai rapporti con il Terzo
settore. In generale, il 27% degli enti canalizzano il 56% delle risorse complessive su soli sette istituti
creditizi (trai quali sono incluse anche le Poste), mentre il restante 73% degli enti si affidano in modo ben
più parcellizzato alle restanti 591 banche. Anche se la riforma del5 per mille stabilizzato riuscissea
razionalizzaree velocizzare le pratiche di riparto delle somme destinate dai contribuenti, il polmone
creditizio che siè attivato in questi anni per l'oggettiva necessità delle organizzazioni di dare continuità ai
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 77
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progetti non potrà che continuare il trend di crescita. [email protected]
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INTERVISTA A BOERI (INPS)
Pensioni, costa 141 miliardi (fino al 2035) lo stop a 67 anni
Davide Colombo
pagina 2 Pensioni, costa 141 miliardi (fino al 2035) lo stop a 67 anni Bloccare gli adeguamenti dei requisiti
di pensionamento all'aspettativa di vita è sbagliato. Significherebbe restituire all'arbitrio politico un modello
basato su regole automatiche che assicurano la stabilità del sistema e, dopo la lunga stagione delle
salvaguardie per gli esodati, riaprire le maglie nel momento più delicato, visto che nei prossimi 25•30 anni la
spesa pensionistica è destinata a crescere a causa del ritiro dal mercato del lavoro dei babyboomers. Lo
spiega in questa intervista al Sole24Ore il presidente dell'Inps, Tito Boeri, che sgombra subito il campo da
un cifra circolata nei giorni scorsi: «Quel miliardo e 200 milioni di cui si parla in caso di mantenimento al
2019 del requisito di vecchiaia a 66,7 anni non esiste. Non è nelle simulazioni che stiamo preparando per il
Governo, valutazioni che sono e restano riservate». Presidente che rischi si corrono con il blocco? È
pericolosissimo toccare ora questo meccanismo. Sia guardando in avanti, sia all'indietro. Pensiamo alle
generazioni che hanno già vissuto questi adeguamenti, per esempio con l'aumento di4 mesi scattato nel
2016o prima ancora di 3 mesi scattato nel 2013. C'è chi, per esempio, ha preso l'opzione donna con
l'aspettativa che ci sarebbe stato l'aumento dei requisiti del 2019e ha subito una penalizzazione. Ora tutti
questi pensionati si troverebbero improvvisamente di frontea una situazione che cambia. Mi aspetto che si
organizzino per reclamare e sappiamo già che troveranno un mercato politico pronto ad accogliere le loro
proteste, un mercato su cui si muovono da anni gli stessi protagonisti che oggi chiedono il blocco degli
adeguamenti automatici. Guardando in avanti, invece, una volta rotto l'automatismo si ricadrebbe nei
processi discrezionali del passato: le ragioni del ciclo politico tenderanno a rinviare ogni volta qualunque
indicizzazione del sistema alla speranza di vita. Supponiamo di mantenere i 67 anni bloccati dal 2021 in
avanti, che conseguenze ci sarebbero sulla spesa? 141 miliardi di spesa in più da qui al 2035, quasi
interamente destinati a tradursi in aumento del debito pensionistico implicito, dato che l'uscita prima del
previsto non verrebbe compensata, se non in minima parte, da riduzioni dell'importo delle pensioni. Da
vedere poi come i mercati accoglierebbero lo smantellamento di una riforma, quella del 1996, che abbiamo
"venduto" in tutto il mondo come sostenibile perché basata su adeguamenti automatici alla longevità.
Senza QE sarebbe legittimo aspettarsi effetti rilevanti sul costo del debito pubblico. Chi chiede il blocco dice
che l'Italia hai requisiti di pensionamento più alti d'Europa, livelli insostenibili. Nonè vero. Bisogna guardare
all'età effettiva di pensionamento, che in Italia è più bassa che in Germania e della media europea. I dati
2014 lo dimostrano: da noi si va in pensione appena sopra ai 62 anni, mentre in Germania a 65 anni. Dal
2011 a oggi l'età effettiva di pensionamento delle donne è salita di 3,9 anni quella degli uomini di soli 9
mesi e l'anno prossimo scatta l'allineamento dei requisiti uguali per tutti, peccato che il mercato del lavoro
per donne e uomini è un po'diverso. Le donne hanno penalizzazioni molto forti, vanno il pensione con la
vecchiaia e non con l'anticipo perché le loro carriere lavorative sono più frammentate. Bisogna agire sulle
fonti di queste discontinuità, riducendo il precariato e imponendo congedi di paternità obbligatori non
simbolici come quelli attuali. Pericoloso invece tornarea regimi diversi tra uominie donne sull'età di
pensionamento. Può permettere alle imprese di ridurre ulteriormente la manodopera femminile mettendo
molte donne nella condizione di dover viverea lungo con pensioni inadeguate. La strada da seguire era
quella flessibilità in uscita che avevamo proposto a suo tempo, che dava soprattutto alle donne possibilità
più ampie, adeguatee sostenibili di uscita. Il blocco sull'età senza toccare i coefficienti di trasformazione
non mette in squilibrio il sistema? Assolutamente sì. Visto che il flusso attuale vede in uscita pensioni miste,
con una quota prevalente di calcolo ancora retributivo, i coefficienti di trasformazione hanno un ruolo
marginale nel determinare il livello delle pensioni. In prospettiva avremo invece un problema di pensioni
troppo basse, soprattutto per le donne. Si rischia infatti di incentivare uscite anticipate, imposte dal datore di
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lavoro, con assegni molto leggeri perché calcolati su aspettative di vita lunghe. Come si diceva, ci
rimetterebbero soprattutto le donne, che hanno minore potere contrattuale e maggiore bisogno di
accrescere il montante contributivo. Con lo stop sulla speranza di vita, tra l'altro, si bloccherebbe non solo il
requisito di vecchiaia ma anche quello che fa salire gli anni contributivi per l'anticipo. Con effetti importanti
sulle platee coinvolte. Io penso che se accadesse si potrebbero avere circa 200mila pensioni in più
all'anno. Proprio adesso che, a regole invariate, sappiamo già che ci aspettano due decenni di maggiore
spesa pensionistica, visto che si ritirano le grandi coorti dei lavoratori nati negli anni '50 e '60. I dati diffusi
qualche giorno fa dalla Ragioneria parlano chiaro: da qui al 2040 la spesa per pensioni sale di un punto, al
16,3% del Pil, se si somma la spesa sanitaria e quella per le cure di lungo termine si passa dal 23% di oggi
a poco più del 25,5%. E due giorni fa Istat ci ha ricordato che abbiamo 2,5 milioni di giovani con meno di 35
anni in povertà. In presenza di una concentrazione della povertà tra i giovani noi andremmo a squilibrare
ulteriormente la spesa a favore di chi ha 65 anni o più, gli unici che non hanno vissuto fenomeni di forte
impoverimento negli anni della crisi. Gli scenari della Ragioneria parlano anche in un forte calo delle
migrazioni Arrivano molti meno immigratie molti di quelli che arrivano se ne vanno e stanno uscendo molti
giovani per lavorare all'estero. Anche queste dinamiche sono determinanti nell'equilibrio del sistema. Nel
lungo periodo si stima una riduzione di un quarto del flusso netto di immigrati, con forti riduzioni delle
entrate contributive. Ultima obiezione diffusissima: come faranno i giovani a entrare nel mercato se i senior
non escono? La riforma Fornero del 2011, adottata all'improvviso e in una situazione di crisi, ha innalzato
per alcuni l'età pensionabile fino a sei anni. Imprese e lavoratori furono presi alla sprovvista e il contesto
era di una domanda di lavoro bloccata dalla peggiore recessione della storia repubblicana. Lo stopa nuove
assunzioni fu inevitabile. Oggi invece stiamo parlando di un cambiamento ultrapianificato, noto da anni, già
incorporato da tutte le previsioni delle impresee degli agenti economici, come dimostra il comportamento su
opzione donna, e che vale solo 5 mesi in più a partire dal 2019. Non solo, ora la domanda di lavoro sta
crescendo più dell'intera economia. Dunque non si può fare alcun paragone trai due momenti, siamo
lontani anni luce.La spesa per pensioni, sanità e cure di lungo termine In % del Pil 26 25 24 23 22 21 20 19
Scenario nazionale base - Aggiornamento con popolazione Istat, base 2016 Scenario nazionale base - Def
2017 2000 2010 2020 2030 2040 2050 2060 2070
Fonte: Rgs 22,2 22,4
Foto: OLYCOM Alla guida dell'Inps. Tito Boeri
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A 15 giorni dalla chiusura della voluntary•bis lontano l'obiettivo di incasso per 1,6 miliardi
Rientro dei capitali a rilento: 6.500 domande (su 27mila)
Padoan: taglio delle tasse ma sostenibile, Italia meno fragile Marco Mobili e Giovanni Parente
Voluntary•bis con il freno tirato:a 15 giorni dalla chiusura delle adesioni• il 31 luglio• le domande arrivate al
Fisco sono 6.500, contro le 27mila che servirebbero per centrare l'obiettivo da 1,6 miliardi di incassi per il
2017. Intanto dal ministro Padoan arriva una nota positiva: bisogna continuare sul taglio delle tasse in
modo sostenibile. Italia meno fragile. pagina 3 con l'analisi di Angelo Cremonese ROMA Finora la
voluntary•bis non sembra riscuotere grandi consensi. A 15 giorni dalla chiusura delle adesioni alla seconda
edizione di emersione dei capitali detenuti illegalmente all'estero (la deadline è il 31 luglio), le domande
pervenute all'amministrazione finanziaria sono di poco superiori a 6.500. Almeno stando a quanto emerge
dalle statistiche fiscali pubblicate dall'agenzia delle Entrate sul proprio sito e relative ai canali telematici di
comunicazioni tra Fisco, intermediari e contribuenti (Entratel e FiscOnline). Un dato che oggi appare ben
lontano dalla platea potenziale stimata dalla relazione alla legge di Bilancio in poco più di 27mila
contribuenti. A conti fatti, all'amministrazione finanziaria per assicurare la riuscita dell'operazione
servirebbero quasi 21mila adesioni. In sostanza le prossime dovrebbero essere due settimane di fuoco per
gli studi professionali perché dovrebbero partire circa 1.300 domande al giorno (sabati e domeniche
incluse) per centrare l'obiettivo. In molti lo ritengono irraggiungibile, anche se dai contatti informali
dell'amministrazione finanziaria con molti studi sembrerebbe emergere un nutrito numero di domande
ancora ferme ai box in attesa di essere inoltrate all'agenzia delle Entrate. Secondo le stime della relazione
tecnica, i 27mila contribuenti attesi dovrebbero portare nelle casse dello Stato per il 2017 una cifra a 1,6
miliardi. E ad aver dubbi sulla possibilità di raggiungere questa somma è stato lo stesso Governo che nella
manovrina di primavera ha previsto una clausola di salvaguardia a copertura della voluntary•bis attraverso le
maggiori entrate che potranno arrivare dalla rottamazione delle liti. I dubbi degli operatori e dei contribuenti
riguardano soprattutto i calcoli dell'autoliquidazione e le sanzioni. La vera novità di questa edizione è che il
richiedente può • per sua scelta • procedere con il «fai•da•te» dei calcoli anche se la procedura è stata finora
oggetto di molti interrogativi. Per questo l'agenzia delle Entrate ha messo a disposizione anche un
calcolatore online che, però secondo qualche segnalazione ricevuta, in alcuni casi non sembrerebbe
garantire la realizzazione dell'operazione di chiusura. Per quanto riguarda le sanzioni a ridurre l' appeal
della sanatoria c'è la questione del raddoppio per i patrimoni detenuti in Paesi che hanno concluso accordi
sullo scambio di informazioni fiscali con l'Italia prima del 24 ottobre 2016 (data di entrata in vigore della
seconda voluntary) ma diventati efficaci solo successivamente. Il caso più evidente è rappresentato da
Panama, soprattutto per il caso dei papers da cui sono emersi i nomi di molti italiani che detenevano
capitali nello Stato centroamericano e che per sanare la propria posizione dovrebbero pagare un conto più
salato. L'altro tallone d'Achille è il contrasto di interessi venuto meno rispetto alla precedente voluntary. Il
riferimento è agli accordi per lo scambio di informazioni multilaterali o bilaterali, la cui piena operatività
aveva rappresentato un deterrente per incentivare i contribuenti italiani a regolarizzare la propria posizione.
In sostanza, l'addio al segreto bancario da parte dei Paesi considerati porti sicuri per nascondere i capitali
al Fisco italiano era più efficace rispetto proprio allo scambio di informazioni. Non sembrerebbero bastate,
finora, a spingere le adesioni alla voluntary•bis le richieste collettive di dati sui titolari di conti e posizioni
all'estero avviate nei mesi scorsi dall'agenzia delle Entrate. Occorre ricordare poi che la disclosure «2.0» ha
richiesto qualche "toppa" in corso d'opera sulle regole. Con la manovrina, infatti, è stata introdotta la
possibilità di ottenere il credito per imposte pagate all'estero sui redditi di lavoro dipendente e autonomo.
Inoltre chi aderirà alla voluntarybis sarà risparmiato dall'obbligo di presentare la dichiarazione relativa
all'Ivie e all'Ivafe (le imposte su immobili e attività finanziarie all'estero) sui patrimoni regolarizzati per l'anno
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2016 e per l'eventuale frazione di anno 2017 fino alla data di presentazione dell'istanza. E per tornare al
tema delicato autoliquidazione sempre la manovrina ha stabilito che non si applica la sanzione prevista nei
casi di omesso o insufficiente versamento (30%) ma la maggiorazione del 10% sugli importi indicati
nell'istanza di adesione a titolo di imposte, ritenute, contributi, interessi e sanzioni e non effettivamente
versati. Le cifre della sanatoria L'ANDAMENTO E I RISULTATI ATTESI Le domande già presentate per la
voluntary-bis... ...e gli obiettivi prefissati 2016 2017 Totale La platea potenziale 3.032 3.032 24 Entratel
FiscOnline 3.443 3.443 13 6.512 Entratel FiscOnline Fonte: elaborazione su dati Entratel, FiscOnline,
agenzia delle Entrate e Corte dei conti Maggiori entrate attese 1,6 MILIARDI DI EURO 27.090Le cifre in
gioco
L'ANDAMENTO E I RISULTATI ATTESI Le domande già presentate per la voluntary-bis... ...e gli obiettivi
prefissati 2016 2017* Totale La platea delle potenziali adesioni 3.032 3.032 24 Entratel FiscOnline 3.443
3.443 13 6.512 Entratel FiscOnline Maggiori entrate attese 1,6 MILIARDI DI EURO 27.090
IL BILANCIO DELLA PRIMA EDIZIONE I principali paesi per attività emerse Importi in miliardi di euro
Svizzera Prin. di Monaco Bahamas Lussemburgo San Marino Liechtenstein Altro Totale Le istanze e gli
accertamenti 344.000 Atti di accertamento 41,5 4,6 2,2 1,3 1,1 0,8 8,6 60,1 60,1 Le prime regioni per
incasso Importi in miliardi di euro Lombardia Piemonte Veneto Lazio Emilia R. Altre Totale (**) 129.565
Istanze pervenute 1,2 0,3 0,2 0,2 0,2 0,6 Note: (*) dato aggiornato al 15 luglio; (**) il totale è relativo solo al
2016 Fonte: elaborazione su dati Entratel, FiscOnline, agenzia delle Entrate e Corte dei conti Imposte 2,7
0,2 0,1 0,1 0,1 1,4 0,5 0,3 0,3 0,3 0,3 Sanzioni 0,9 4,1 124.000 Totale 0,6 Atti di irrogazione sanzioni
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IL DIBATTITO
È nella Costituzione il primo no alla flat tax
Enrico De Mita
Il dibattito che c'è stato, su questo giornale, sull'opportunità di introdurre in Italia la flat tax ha avuto una
grave carenza: non ha tenuto conto adeguatamente dei principi costituzionali contenuti negli articoli 2 e 53
della Costituzione. C'è di più. Si è liquidato questi principi come una specie di fisima che affliggerebbe la
mente di alcuni italiani. La crisi politica italiana è caratterizzata dalla sottovalutazione dei principi
costituzionali come è dimostrato dalla vicenda del referendum costituzionale per fortuna sconfitto dagli
italiani. La politica italiana è caratterizzata dall'assenza di orientamenti in nome di una presunta priorità del
profilo tecnico delle vicende. Si affrontano i problemi senza prospettive strategiche e senza inquadramenti
organici. Così è avvenuto per la flat tax. Siamo d'accordo tutti sulla crisi del fisco. Continua pagina 16
Continua da pagina 1 Ora, il dovere fiscaleè compreso (secondo dottrinae giurisprudenza costituzionale)
frai doveri costituzionali: l'adempimento dei doveri inderogabiliè stata definita (Mortati) come una norma
chiave in quanto con essa siè voluto affermare che «non l'uomo in funzione dello Stato ma quest'ultimo in
funzione dell'uomo». Tale principioè ignorato dal governoe dalle tesi dell'opposizione.È praticamente
svuotato da alcune tassazioni sostitutive, che vanificano la tassazione progressiva, il quadro legislativo
improvvisatoe fattoa vista d'occhio. Il governoè assente. L'aspetto più grave della crisi sta nel
disorientamento del governo, nell'assenza di un'amministrazione preparata, dagli sconfinamenti
dell'agenzia delle entrate che praticamente fa tutto: l'agenziaè diventata il veroe unico dominus del fisco. La
proposta della flat tax non ha altra giustificazione al di fuori della critica del sistema fiscale sulla quale
siamo tutti d'accordo. La bontà della sua proposta starebbe nel suo profilo tecnico non nelle premesse
politichee costituzionali. Non si risolverebbe il problema delle crisi anzi l'aggraverebbe. Sicchè c'è da
chiedersi perche sia stata fatta. Mi spiace dirlo ma la proposta della flat tax persegue un obbiettivo politico
attraverso la discutibile strada tecnica. L'obbiettivo sembra non la giustizia fiscale ma vuole essere
l'eliminazione dello stato sociale voluto dall'art.2 della Costituzione. Difatti la proposta non tiene conto della
sua pratica inesistenza se non in quei Paesi come il Caucaso dove, come ci ricorda acutamente Giulio
Tremonti, la gente va in ospedale portandosi dietro copertee medicinali. Si tratterebbe di un passo indietro
rispetto ai Paesi europei dove progressivitàè codificato in Italiae in Spagnae accolto negli altri Paesi europei
come specificazione della parità di trattamento in senso sostanziale come parità di sacrificio. Secondo
l'art.2 della Costituzione «la Repubblica riconoscee garantiscei diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo
sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalitàe richiede l'adempimento di doveri inderogabili di
solidarietà politica, economicae sociale». Il dovere di concorrere alle spese pubbliche (secondo dottrinae
giurisprudenza costituzionale) è un dovere di solidarietà politica economicae sociale che richiede il criterio
della progressività. Dai sociologi ci viene fatto rilevare che l'attuale momento politicoè caratterizzato da un
forte individualismo (cui si ispira la flat tax) sicchè sembra lontana quella "nuova stagione dei doveri" senza
la quale, diceva Aldo Moro, questo Paese non si salverà. Difatti la solidarietà di cui parla l'art.2 della
Costituzioneè proprio quella unità moralee politica del Paese senzala qualeè difficile che una democrazia
possa sopravvivere. Si afferma un nuovo modo di intendere la libertà dei singoli: le situazioni derivanti dai
diritti di libertà trovano una naturale limitazione nei doveri pubblici ad essi collegati. Il concorso alle spese
pubbliche deve essere commisurato alla capacità contributiva. L'utilizzazione dell'impostaa fini economicie
sociali redistributivi in particolare realizza il principio della capacità contributiva. L'art. 53 sembra dare una
precisa indicazione programmatica quando al secondo comma prescrive «che il sistema tributarioè
improntatoa criteri di progressività» edè evidente che un tale sistema, non potendo tutte le imposte essere
progressive in quanto la progressività tecnicamente si addice solo ad alcune di esse, dovrebbe fondarsi
principalmente su quelle imposte che per loro natura si prestano ad un meccanismo di aliquote progressive.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 83
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La Costituzione, diceva Vanoni, deve qualificare la potestà tributaria più in senso politico che rigorosamente
tecnicoe giuridico. La posta in gioco, pertanto,è elevatissima. Se il quadro costituzionalee la politica sono
quelli descritti, toccare l'art.2 della Costituzione vuol dire mettere in discussione lo Stato democratico. Non
si può pensare ad una flat tax con la situazione che ci ritroviamo. L'inadeguatezza della propostaè
dimostrata dalla valutazione delle aliquote che l'imposta dovrebbe avere (35%• 40%) se volesse mantenerei
conti in ordine; due aliquote fortemente punitive peri piccoli reddituari. La proposta pertantoè inutile, fatta
solo ad ostentationem !A meno chei proponenti perseguano un obbiettivo molto più modesto: concorrere
alla campagna elettorale per orientare l'elettorato in una certa direzione.E si capisce di quale elettorato si
tratta; allora servirebbe ancor di piùa complicare le cose politiche in Italia. Resta il problema della attuale
tassazione progressivae dell'intero sistema fiscale, soprattutto per quanto concerne la sopportabilità. Ma
questoè un altro discorsoe siamo d'accordo con le critiche di Nicola Rossi.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 84
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Addio di Londra all'Ue L'IMPATTO SULLA GRANDE FINANZA Il trasloco Tra le destinazioni più gettonate ci sono Dublino, Francoforte e Parigi Il trading Derivati in euro: Milano punta a ereditare la gestione della cassa di compensazione
Brexit, ecco il piano delle banche
Rami di attività si sposteranno nella Ue: solo tra i big stimati oltre 13mila posti in meno nella City Riccardo Barlaam
PArabi, russi, cinesi, indiani. Londra che si prepara a uscire dall'Unione europea è una capitale finanziaria
che cercherà di fare dell'isolamento un punto di forza. Cercando di attrarre i capitali dei nuovi ricchi. Le
incognite sono tante nell'era dei mercati globali. Vuoi per la perdita, centrale, del clearing, (si veda l'altro
articolo), vuoi per le banche globali che stanno già ridisegnando le loro strutture, alla luce dei vari scenari,
quello "duroe puro" dell'hard brexit e l'altro, più gradualee realista, della cosiddetta soft•brexit. Tutto
dipenderà dall'entità dello «strappo», insomma. Determinanti per il futuro prossimo di Londrae della City
sarannoi negoziati tecnici di questi mesi con l'Unione europea. Una nuova maratona negoziale tra gli
sherpa di Downing Street e quelli di Bruxelles comincia proprio lunedì. A Londra, in ogni caso, stanno già
studiandoi possibili pianiB per limitarei danni. Saudi Aramco, società statale saudita, la prima compagnia
petrolifera mondiale, si sta preparando per quella che potrebbe essere la più grande Ipo della storia. A
inizio settimana, in vista della quotazione, ha annunciato che investirà 300 miliardi di dollariin dieci per
mantenere la capacità produttiva attualee per aumentare le ricerche di gas naturale. Due giorni dopo
l'annuncio di Saudi Aramco, da Londra è arrivata una mano tesa istituzionale ai sauditi e alla loro ricca
discesa in Borsa: la Financial Conduct Authority (Fca), autorità che regolai mercati ei servizi finanziari nel
Regno Unito, vuole introdurre nuove regolee un nuovo indice alla Borsa di Londra per consentire la
quotazione di società controllate da Stati sovrani, proprio come Saudi Aramco. La proposta della "Consob"
britannica è stata criticata dall'Associazione locale dei fund manager che ha espresso riserve sull'opacità
della governance di Aramco. Ma si sa • i romani lo avevano già capito • pecunia non olet. E così l'Fca spiega:
«Crediamo che investitori e mercati siano sufficientemente abili da comprendere i rischi di investimento che
ci possono essere in una società controllata da uno Stato sovrano». L'autorità dei mercati ha dato tempo
fino al 13 ottobre per raccogliere i commenti sulla sua proposta di revisione delle regole. Proposta di riforma
che, comunque la si voglia vedere, la dice lunga su come la City si sta preparando ai nuovi scenari aperti
con la Brexitei timori che si porta con sé. Le banchee le società finanziarie sono quelle che rischiano di
impattare di più sull'addio alla Ue di Londra. Con migliaia di posti di lavoro in meno per la City • alcune stime
parlano di oltre 13mila posti solo trai big del credito•e interi rami di attività che le banche globali sposteranno
a breve in altre capitali europee. L'Associazione delle banche estere in Germania prevede nei prossimi due
anni l'arrivo di 3•5mila funzionarie dirigenti bancaria Francoforte, in 12•14 banche che espanderannoo
apriranno la loro sede nella città della Bce per la Brexit. Bank ok America non ha ancora deciso, ma
Dublino sembra essere l'opzione preferita per seguire il suo business in Europa. Barlclays, come le altre
banche inglesi, dovrà ottenere una nuova licenza per operare nel continentee dovrà modificare tuttii
contratti con un'altra giurisdizione. Processo che potrebbe da un anno a 18 mesi. L'headquarter europeo di
Barclays dopo Brexit sarà Dublino. Anche Citigroup, altro big americano, ha deciso di spostare da Londraa
Dublino buona parte dello staff per seguire sales e trading. BnpParibas trasferirà 300 persone
dell'investiment bank a Parigi. Bnp ha già ridotto quest'anno il suo staff in Gran Bretagna da 3.294a 3.123
persone. Deutsche Bank si preparaa traslocarea Francoforte tutte le operazioni di securities trading: si
parla di 4mila addetti. Anche Goldman Sachs ha in programma di spostare oltre mille persone a
Francoforte. Crédit Agricole, terza banca francese, a seconda dell'entità della Brexit, si prepara a far
rientrare a Parigi da 100 a 1000 dipendenti. Jp Morgan Chase& Co. userà Francoforte come domicilio
legale per l'Europa, come ha detto il ceo Jamie Dimon, ma due mesi fa ha acquistato una sede a Dublino
con uffici per mille persone, che si aggiungono alle 500 che già lavorano per la banca americana nella
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 85
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capitale irlandese. Hsbc, la più grande banca europea, ha in piano di spostarea Parigi circa mille persone.
Lloyds Banking Group è vicinaa scegliere Berlino come base europea per assicurarsi un accesso ai mercati
Ue dopo la Brexit. Morgan Stanley deve trasferire mille occupati dell'European staff di Londra nei settori
sales, trading, risk management e affari legali. La scelta è orientata tra Francoforte e Dublino. La
giapponese Nomura ha già fatto richiesta di una licenza per operare a Francoforte. Il big svizzero del
wealth management Ubs sposterà 1.500 persone in Europa sulle 5.500 attuali dello staff londinese. Almeno
per ora non smobilitano da Londra le due principali banche italiane. Intesa Sanpaolo, che un anno e mezzo
fa ha inaugurato in Queen Street la nuova sede del Private Banking nella City, al momento nel polo
londinese conta circa 220 persone, destinate a restare. Discorso analogo per UniCredit: in città ha sede un
hub del Corporate & Investment banking, con 400 persone attive per lo più sui versanti dei capital marketse
del coverage su clientela, impresee istituzioni finanziarie: per ora non risultano piani di ridimensionamento.
BREXIT, LA ROAD MAP 23 GIUGNO 2016 Il referendum Il 51,9% dei britannici vota per lasciare l'Ue
contro il 48,1% che invece vuole rimanervi. 29 MARZO 2017 Il Trattato Ue Theresa May firma la lettera per
la modifica dell'articolo 50 del Trattato di Lisbona. MAGGIO 2017 La legge Uk per uscire Il Governo May
presenta il Great Repeal Bill che annulla quanto sancito nel 1972. MAGGIO•SETTEMBRE 2017 Accordo
finanziario Negoziati tecnici Ue•Uk per stabilire, tra l'altro, l'entità del debito da pagare all'Europa. MARZO
2018 Accordo commerciale Londra vuole evitare le perdite di investimenti esteri. OTTOBRE 2018 Il termine
per l'Europa Stati Ue, Parlamento europeo e Consiglio europeo devono ratificare gli accordi. 29 MARZO
2019 Londra fuori dall'Ue Con o senza intesa, la Gran Bretagna è fuori dall'Ue. Lo scenario BANCARI, CHI
RE STA E CHI VA F UORI DALLA CI TY JPMorgan Chase Deutsche Bank Ubs Goldman Sachs HSBC
Morgan Stanley Société Générale Barclays Nomura Credit Suisse Citigroup LAVO RA TO RI IN U SCITA
4.000 4.000 1.500 1.000 1.000 1.000 5.000 5.000 2.000 400 150 2.300 100 n.d. n.d. 6.000 6.000 6.600
9.000 10.000 9.000 TO TA LE D IP END EN TI UK 16.000 LA CRESCITA INGLESE POST BREXIT
Migliore e peggiore scenario sul Pil di Londra. Dati in % STIMA PEGGIORE -8 -6 -4 Oxford Economics
(2030) Tesoro Uk (2030) -2 0 Institute of Economic Affairs (2020) Open Europe (2030) 2 Centre for
economic performance-Lse (2018) PwC (2020) Fonte: European Banking Federation - The Telegraph -
Bloomberg STIMA MIGLIORE 4 6 8 ASSET DELLE BANCHE EUROPEE Dati 2015 paese per paese in %
43.380,9 Danimarca Belgio Irlanda Svezia Olanda Spagna ITALIA Germania Francia REGNO UNITO Altri
Paesi Ue mld € 2 2 3 3 6 7 9 18 19 22 9
Foto: AFP
Foto: Lo skyline di Londra La capitale britannica alle prese con le consuenze economiche e occupazionali
derivanti da Brexit
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 86
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Jean•Michel Six Capo economista per l'Eurozona a Standard & Poor's INTERVISTA
Più investimenti corporate per rilanciare l'Italia
«I consumi restano il driver della crescita. Servono maggior produttività ed export» «Prospettive favorevoli ma l'Italia crescerà più lentamente degli altri Paesi dell'area euro» Vittorio Da Rold
Standard&Poor's, mai tenera con l'Italia in passato, ha rivisto al rialzo le stime di crescita del Bel Paese per
il 2017. Una buona notizia. Dalla precedente previsione di +0,9% l'agenzia, nell'analisi Global Ratings
sull'Eurozona pubblicata ieri, fissa ora la crescita del Pil a +1,2%. L'agenzia internazionale ha lasciato
invariata quella del 2018 all'1%, ma esprime qualche dubbio sul futuro se non ripartiranno gli investimenti
corporate accompagnati da un aumento della produttività . Tra i Paesi «la performance dell'Italia resta più
preoccupante nonostante la revisione al rialzo del Pil del primo trimestre a +0,4% da +0,2%, ha detto il
capo economista per l'Eurozona, Jean•Michel Six di S&P's con sede negli uffici parigini di Rue de la Victoire.
L'agenzia internazionale di rating ha alzato anche le stime della Germania a +2% e +1,7% per quest'anno e
l'anno prossimo da +1,6% e +1,5%, della Francia a +1,6% e +1,7% da +1,4% e +1,5% e della Spagna a
+3% e +2,6% da +2,5%e +2,1%. Sulla base di queste revisioni, il Pil dell'Eurozona nel complesso viene
rivisto a un rotondo +2% nel 2017 contro il +1,6% stimato a marzo e a +1,7% nel 2018 da +1,5%. Inoltre
secondo S&P, la Bce «resterà paziente ancora a lungo» allungherà il Qe al 2018 ma ad un ritmo di acquisti
più lento. Six ha accettato di rispondere a qualche domanda del Sole 24 ore. Quali sono i principali volani di
crescita dell'eurozona nel 2017? Consumi interni, export o investimenti? I consumi continuano ad essere
uno dei driver fondamentali, anche se stiamo assisten• do a trend positivi anche nel settore degli
investimenti: il settore delle costruzioni sta avendo una ripresa veloce e vediamo un trend al rialzo anche
per gli investimenti produttivi. La performance dell'esportazione è più variegata: la Spagna continua a
sovraperformare rispetto agli altri Paesi, mentre la Franciae l'Italia sono indietro in termini di commercio
estero. Come spiega il paradosso economico di un'eurozona in costante rialzo di crescita economica con la
simultanea previsione di inflazione in calo? Questo è decisamente un paradosso che però presenta alcuni
fattori da tenere in considerazione: il primo è rappresentato dai deboli prezzi internazionali delle commodity.
Ricordiamo inoltre che, all'inizio dell'anno, i prezzi del Brent in euro sono saliti del 110% anno su anno e
quest'impennata temporanea ha poi causato un aumento dell'inflazione complessiva. Oggi, con il nuovo
calo del prezzo del petrolio e con il rafforzamento dell'euro, questo fattore non sta più spingendo
l'inflazione. In secondo luogo, rispetto ai precedenti cicli economici,è venuta meno la rincorsa salariale: la
crescita dei salari rimane molto bassa. Questo succede perché nell'Eurozona c'è ancora un considerevole
ammontare di esuberi. Il potere contrattuale dei salariati non ha ancora registrato una ripresa. La Bce
estenderà al 2018 il programma di acquisti del Qe. Non pensa che il governatore della Bundesbank, Jens
Weidmann, un falco si opporrà a questa scelta? La Bundesbank guidata da Jens Weidmann potrebbe
avere dei timori a riguardo ma riteniamo che non saranno sufficienti per bloccare il piano di acquisti. I tassi
Bce sono visti fermi almeno fino al 2019, mentre c'è la possibilità di un aumento del tasso sui depositi
(attualmente a •0,4%) a fine 2018. Per ridurre il suo pesante debito l'Italia ha bisogno di crescere e le ultime
previsioni di S&P's sono più positive rispetto a quelle di marzo.È sufficiente questo revisione al rialzo o
serve dell'altro? È senza dubbio positivo poter disporre di previsioni di crescita al rialzo ma, secondo le
nostre previsioni, l'economia italiana continuerà a crescere più lentamente rispetto all'eurozona, sia nel
2017 che nel 2018. Per l'Italia è fondamentale essere in grado di incoraggiare la ripresa degli investimenti
corporate che potrebbero tradursi in un aumento della produttività e in un potenziale crescita.
Foto: AFP
Foto: Jean•Michel Six
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 87
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Crescita e fisco. «Va migliorato attraverso un disegno più ampio» • «Nel Def aumenteremo la stima del Pil, meno fragili anche sul debito, sulla flat tax attenzione agli effetti redistributivi»
Padoan: il futuro Ue non si gioca sul «sì o no» al Fiscal compact*
POLEMICA MONTI•RENZI «Sull'Europa il leader Pdè ormai un disco rotto»• La replica: «Con l'austerity più povertà, la crescita frutto delle riforme del mio governo» D.Col.
ROMA C'è una crescita in Italia «più che proporzionale» rispetto alle dinamiche della congiuntura
internazionale. E il fatto si spiega partendo «dalle politiche prese, che incidono sulla capacità strutturale
dell'economia di migliorarsi». Il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, non ha nascosto il suo ottimismo
ieri, intervenendo alla 5° edizione della Festa di Left Wing in corsoa Fiuggi,e ha parlato di un'Italia meno
fragile «anche dal punto di vista del debito». L'intervento del ministro è coinciso con la nuova polemica
intrecciata dal segretario del Pd, Matteo Renzi, contro chi, questa volta l'ex premier Mario Monti, critica la
sua proposta di impostare il bilancio dello Stato con un deficit attorno al 2,9%, nella prossima legislatura,
per sostenere la ripresae finanziare nuove misure di detassazione. Mario Monti, in un'intervista al Corriere
aveva criticato Renzi accusandolo di non voler ascol• tare le argomentazioni degli altri: «Come un disco
rotto, ormai ripete senza fine i suoi slogan e le sue accuse». Pronta la replica del'ex premier Dem via
Facebook: «La cultura dell'austerity ha visto aumentare il numero di famiglie in povertà, un Pil negativo e
crescere diseguaglianze. E paradossalmente in quegli anni il rapporto debito/Pil è peggiorato perché senza
crescita il debito sale, sempre». Renzi rivendica invece i risultati di questi giorni sulla crescita come frutto
della sua azione di governo. Il ministro Padoan s'è voluto tenere a debita distanza da questo scambio ma
su un puntoè interve• nuto per dire che «il futuro Ue non si gioca sul Fiscal Compact». Secondo Padoan i
nuovi parametri di convergenza adottati nel pieno della crisi dei debiti sovrani hanno problemi tecnici. Ma,
ha spiegato, «il futuro dell'Ue non si gioca sul Fiscal Compact sì o Fiscal Compact no. È possibile
immaginare come migliorarlo in modo che sia parte di un disegno più ampio. Altrimenti facciamo una
battaglia ideologica nel senso negativo del termine». Dunque bisogna lavorare sulle possibili soluzioni
tecnichee istituzionali capaci di affrontare le nuove sfide dell'Europa, a partire per esempio dall'ipotesi di
dotare l'Unione di un ministro delle Finanze: «La mia idea è che ci sono soluzioni europee che funzionano
meglio di quelle nazionali ma nell'Ue bisogna non essere da solia per portarle avanti» ha affermato,
ricordando ancora una volta la proposta fatta dall'Italia di attivare un meccanismo Ue di assicurazione
contro la disoccupazione congiunturale. Più da macroeconomista che da ministro, Padoan ha poi insistito
nel suo interventoa Fiuggi sulle componenti della ripresa in atto e che, nelle proiezioni diffuse venerdì dalla
Banca d'Italia, sarebbe proiettata verso un +1,4% quest'anno: «Vorrei fare un'annotazione qualitativa - ha
detto - que• sti numeri sono il frutto di un'accelerazione degli investimenti e quando ci sono investimenti, si
aumenta la domandae si aumenta quello che gli economisti chiamano la crescita potenziale». Queste
nuove stime cambieranno in meglio il quadro su cui si baserà l'ultima legge di Bilancio della legislatura.
Attualmente le previsioni governative sono quelle del Def di aprile e vedono una crescita programmatica
dell'1,1% con un debito/Pil al 132,5%. Nella Nota di aggiornamento di settembre i numeri saranno diversi,
ha annunciato il ministro: «Stiamo rivedendo le stime e saranno riviste al rialzo». Lo spazio fiscale non è
tuttavia ampio, e bisognerà usare al meglio le risorse: «L'obiettivo è concentrarsi ancora sull'emergenza
sociale», ha spiegato Padoan, prevedendo «un ulteriore sostegno agli investimenti» e individuando «una
priorità: accrescere l'incentivo alle imprese per assumerei giovani».E l'ipotesi di flax tax? Parliamomone
pure, ha risposto il ministro, ma con grande attenzione: «Bisogna decidere quantoè alta.È del 25%o del
15%? In un sistema come il nostro ha un'implicazione redistributiva gigantesca, chiediamoci chi ci
guadagna e chi ci perde». Insomma «chi propone la flat tax-è stata la conclusione-è pregato di dirmi a
quale livello pensa e se ha fatto i conti con gli effetti redistributivi. Dobbiamo essere molto onesti».
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 88
16/07/2017
Pag. 3
Foto: LAPRESSE
Foto: Pier Carlo Padoan
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 89
15/07/2017
Pag. 1
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BAD BANK E REGOLE UE
Le banche, l'Europa e l'Italia convalescente
Marco Onado
Le autorità italiane hanno salutato il salvataggio delle banche venete come la conclusione del risanamento
di un sistema bancario che, ufficialmente definito con troppo ottimismo all'inizio della crisi finanziaria come il
più robusto d'Europa, ha rivelato una serie preoccupante di debolezze nella fascia intermedia di banche
che fino a qualche anno fa erano lodate per la loro capacità di essere vicine alla realtà produttiva di alcune
delle zone migliori del nostro tessuto economico. La valutazione è corretta e la soluzione finale emersa in
extremis con l'intervento di Intesa Sanpaoloè certamente la migliore nelle condizioni di emergenza che si
erano create. Ma la questione vera riguarda le criticità europee e nazionali che sono emerse con grande
chiarezza nel corso delle ultime, convulse settimane. Innanzitutto il regime europeo di intervento sulle crisi
è lungi non solo dall'essere una soluzione definitiva ai problemi bancari europei, m anche dall'aver
completato il suo periodo di rodaggio. Quel regime - non va dimenticato - è stato disegnato in gran fretta
perché si è scoperto con colpevole ritardo che l'unione monetaria doveva essere integrata da quella
bancaria; per motivi squisitamente politici era stato prospettato come il toccasana che avrebbe bandito per
sempre il bail•out delle banche in crisi, con relativo ricorso alle tasche dei contribuenti, imboccando la strada
opposta del bail•in, cioè del coinvolgimento dei creditori diversi dai depositanti. Il guaio è che in Italia si era
tollerato che titoli assoggettabili a perdita venissero venduti a risparmiatori privati e dunque per costoro si
cambiassero in qualche modo le regole in corsa. Ma più in generale è risultato chiaro che il principio del
bail•in - certo condivisibile - può applicarsi a crisi di singole banche, non a quelle in cui sia in gioco la
stabilità sistemica o in genere a tutti i casi in cui è significativo il rischio di contagio da una banca all'altrae
dunque di un veroe proprio run sulle passività assoggettabili a perdite. Dunque, il cantiere europeo è
ancora aperto. Continua pagina 14 Continua da pagina 1 Per quanto riguarda gli aspetti più strettamente
attinenti al caso italiano, è emerso che anche le grandi banche non hanno la robustezza patrimoniale per
farsi carico di un'altra banca in crisi. Il confronto con il caso Santander•Popular, in cui la prima si accolla
anche la parte malata della seconda e si rivolge al mercato per colmare l'inevitabile deficit patrimoniale è
quasi imbarazzante. L'Italia ha dovuto non solo ripulire accuratamente l'attivo delle banche venete, ma
anche accettare tutte le condizioni richieste da Banca Intesa, fra cui un consistente contributo finanziario a
titolo di capitale. A questa situazione senza alternative (giova ripetere: la migliore nelle condizioni date) si è
arrivati anche perché per troppo tempo si è puntato su soluzioni individuali, preferibilmente di tipo soft,
come se ogni crisi fosse un caso a sé. È per questo che si è puntato prima sulla soluzione "di sistema"
come quella di Atlante e successivamente sulla ricapitalizzazione preventiva prevista dalla direttiva
europea. Sono state escluse invece soluzioni più generali come una bad bank nazionale, possibilmente
sulla base di una matrice europea. Una via che l'Unione europea finalmente considera la migliore (si veda Il
Sole 24 Ore del 12 luglio) in quanto - sono parole di Dombrovskis -realizza «il giusto equilibrio fra l'azione
nazionale e l'azione europea», in linea con quanto proposto da tempo sia dalla Bce, sia dall'Eba, che non a
caso in una recente audizione al Senato ha avanzato critiche non secondarie alla soluzione adottata per le
banche venete. Va detto che - avendo scelto il governo di resuscitare una vecchia bad bank risalente
addirittura al caso del Banco di Napoli - sorge il problema, tutt'altro che marginale, del coordinamento fra
questa e l'altra bad bank che ha accolto la pesante eredità delle quattro banche liquidate alla fine del 2015.
Insomma, la convalescenza è ufficialmente iniziata, ma la via per uscire dall'«egro talamo» come avrebbe
detto Foscolo per l'amica risanata, è tutt'altro che semplice, anche perché, come non ha mancato di
osservare il Governatore Visco, le banche devono migliorare in modo significativo la redditività di base se
vogliono arrivare ad una congrua remunerazione del capitale. Gli avvenimenti di questi giorni hanno però
proposto un tema ancora più delicato: lo scontro fra il potere politico e la Banca d'Italia e le autorità di
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 90
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vigilanza in generale. Renzi ha detto senza mezzi termini di aver sbagliato a fidarsi del giudizio tecnico
della Banca d'Italia; il ministro Padoan ha preso le distanze dall'Eba che aveva avanzato riserve sulla
soluzione adottata per le banche venete. Il secondo tema è uno dei non pochi elementi del contenzioso fra
l'Italia e le istituzioni europee, che in questo momento crea un clima di diffidenza se non di ostilità intorno al
nostro Paese. Il primo è un segnale molto più preoccupante perché significa che nella scena del dibattito
politico, destinata a incattivirsi via via che la data delle elezioni si approssima, il nodo del credito e del
comportamento delle autorità di vigilanza occuperà il centro della scena. Il che non giova all'indipendenza
della Banca d'Italia, bene supremo che finora era stato circondato di un rispetto istituzionale pressoché
unanime, soprattutto in vista dell'imminente scadenza del mandato (rinnovabile) di Visco. Se per le banche
suona finalmente il "cessate allarme", su Palazzo Koch si addensano nubi preoccupanti.
Foto: EPA «Giusto equilibrio». Il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis
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IL DIBATTITO SULLA PROPOSTA DELL'ISTITUTO BRUNO LEONI
Piaccia o no, la flat tax significa trasparenza
Nicola Rossi
La proposta avanzata dall'Istituto Bruno Leoni (#25%pertutti) e l'ampio dibattito ospitato dal Sole 24 Ore sul
tema della flat tax ha costretto un po' tutti • ci auguriamo • a tornare a discute• re dell'impalcatura del sistema
fiscale, e non soltanto di micro•interventi, di volta in volta considerati decisivi. In questa ricca discussione le
critiche che ci sono state mosse sono state ora di merito, ora invece • sia detto senza polemica • di carattere
ideolo• gico. Considerando note le caratteristiche essenziali della proposta (aliquota unica al 25%, minimo
vitale, abolizione di alcune imposte, diverso finanziamento di alcuni servizi pubblici), vediamo le prime.
Continua pagina 14 Continua da pagina 1 Ci è stato rimproverato di voler aumentare le imposte indirette, di
voler penalizzare il ceto medio, di mettere a rischio il servizio sanitario nazionale e persino di volere una
semplificazione di facciata. Nel primo caso, siamo di frontea una lettura frettolosa della proposta. Ci siamo
limitati a ipotizzare che non vengano disinnescate le clausole di salvaguardia già in vigore che prevedono
che l'aliquota ordinaria Iva passi al 25% dal 2018 (l'aliquota ridotta al 13% nel 2020). Su questo fronte, in
altre parole, non si propone nulla di diverso da quanto già nelle cose. Nel secondo caso, invece, non si
tiene adeguatamente conto di due aspetti: la differenziazione geografica del "minimo vitale" (per cui la
perdita registrata da alcuni contribuenti meridionali non è in realtà tale in termini reali) e il bizzarro disegno
del cosiddetto bonus 80 euro (i cui beneficiari registrano comunque nel complesso una riduzione e non un
aggravio di imposta). Nel terzo caso, infine, si dimentica che il contributo sanitario richiesto ai più abbienti
verrebbe definito in ogni suo aspetto dalle singole Regioni ivi incluse le modalità di opting out: non è
francamente difficile immaginare soluzioni in grado di tenere insieme la tenuta del sistema sanitario
nazionale con il valore segnaletico dell'opting out. Infine, sulla semplificazione saremmo molto curiosi di
poter comparare le 124 pagine (da 5.500 battute ciascuna) di istruzioni del modello Redditi 2017 con quelle
che seguirebbero alla nostra proposta. Una seconda critica riguarda invece l'ipotesi che ai redditi oggetto di
integrazione al minimo vitale si applichi un'aliquota marginale al 100% (Toso, Una perdita di gettito difficile
da assorbire, 6 luglio). La questione riguarda, ad esempio, il caso di un giovane senza lavoro per il quale la
proposta prevede che il minimo vitale venga erogato per un numero limitato di anni e che, a partire dal
secondo anno, il minimo vitale venga erogato in proporzione decrescente in contanti e in proporzione
crescente sotto forma di un voucher contributivo non cedibilee utilizzabile da qualunque datore di lavoro a
fronte dei suo obblighi contributivi e fiscali derivanti dall'assunzione di quella persona. Il che, com'è ovvio,
attenua fino quasi a escluderla l'ipotesi di una aliquota marginale pari al 100%. Rimane aperta una
questione rilevante così sintetizzabile: «sarebbe bello, ma nelle condizioni date di finanza pubblica non
possiamo permettercelo» (Galli e Codogno, Bisogna ridurre la spesa, poi agire sulla pressione fiscale,4
luglio ). Certo, se non avessimo dissipato i proventi della pur timida spending review realizzata fra il 2014
ed il 2016 il tema non si porrebbe. Ma purtroppo così non è e sappiamo bene che in una prospettiva di
stabilizzazione del debito, l'avanzo primario- oggi all'1,5% circa - dovrebbe essere portato verso il 4%. Non
ci sarebbero, dunque, margini per un diverso utilizzo di eventuali ulteriori risparmi sul versante delle spese.
L'argomento è serio, ma ci sembra di avere risposto immaginando una transazione graduale al nuovo
sistema. La proposta ipotizza che il passaggio al nuovo regime non potrebbe intervenire prima di un
triennioe che gli interventi in grado di determinare un calo di gettito si produrrebbero contestualmente al
manifestarsi dei risparmi derivanti dalla revisione strategica della spesa. Si noti che il quadro
programmatico contenuto nel Def 2017 già oggi prevede per il 2020 un avanzo primario (strutturale e non)
molto vicino al 4%. Il che suggerisce che la proposta sia, in questi termini, finanziariamente praticabile.
Salvo che, naturalmente, non si ritengano del tutto infondate le previsioni del governo. Ovviamente tutto ciò
presume che già dal prossimo settembre non si continui a disperdere le poche risorse disponibili in mille
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inutili rivoli. E che la riforma venga realizzata in un contesto di disciplina e di rigore di bilancio. Che è
essenziale per la credibilità della stessa, tanto più in una condizione della finanza pubblica difficile come la
nostra. Pensiamo così di aver risposto anche alla prima critica di marca "ideologica": quella per la quale
l'aliquota sarebbe troppo elevata (il 25%) e che pertanto sia opportuno immaginare percorsi ancora più
aggressivi. È possibile che un abbassamento della pressione fiscale produca un'emersione della base
imponibile e, pertanto, un aumento del gettito. Ma non è su queste basi che si può gestire la finanza
pubblica di un Paese con un debito pubblico come quello italiano. Di converso, sarebbe un errore
sottostimare l'effetto che potrebbe avere una aliquota veramente "unica" (il 25%): abituando gli italiani a
considerare criticamente ogni aumento del prelievo. La seconda critica "ideologica" viene, per così dire, dal
fronte opposto. Riguarda la presunta superiorità etica della progressività per scaglioni. Solo la progressività
per scaglioni, si dice, aiuterebbe a fronteggiare le diseguaglianze. Premesso che- in punta di teoria • la
recente ricerca economica ha prodotto risultati molto ambigui circa il profilo delle aliquote marginali al
crescere dell'imponibile, finendo per considerare la combinazione di un'aliquota piattae di un "minimo vitale"
come quella più vicina all'ottimo, nel concreto le convinzioni dovrebbero farei conti coni fatti. Nel sistema
attuale con una mano si applicano alle fasce più abbienti della popolazione aliquote marginali piuttosto
elevate e con l'altra si concedono gratuitamente o quasi alle stessei servizi pubblici (dalla sanità
all'università fino ad arrivare - incredibile dictu - alla stessa assistenza). Non sarebbe più trasparente nei
confronti dei cittadini, chiedere ai più abbienti fra di loro di pagare i servizi di cui usufruiscono a fronte di
una diversa struttura dell'imposta personale? Il sistema vigente è sotto gli occhi di tutti per la sua
complessità, per la sua inefficienza, per la sua iniquità. La proposta Ibl disegna un sistema radicalmente
diverso. Si possono condividerne o meno i princìpi che la ispirano. Ma ci sembra che neppure i
commentatori più scettici siano riusciti a trovare argomenti davvero solidi per difendere il sistema attuale.
Forse perché non ce ne sono.
LA PROPOSTA Sul Sole 24 Ore di domenica 25 giugno Nicola Rossi dell'Istituto Bruno Leoni ha lanciato
un'articolata proposta di riforma fiscale incentrata, tra le altre cose, su una sola aliquota, fissata al 25%, per
le principali imposte del nostro sistema tributario. L'idea dell'Istituto Bruno Leoni ha innescato un vivace
dibattito sia a livello politico che tra i tecnici in materia fiscale. Sul nostro giornale sono poi intervenuti
D.Stevanato, E.De Mita, L.Dini e N.D'Amico, E.Somaini, D.Capezzone, V. Visco, L.Codogno e G.Galli,
A.Cremonese, R.Lupi, A.Siri, S.Toso, G.Piga, S.Bavetta, V.Tanzi, A.Giovanardi, F.Gallo, F.Debenedetti,
U.Colombino, V.E.Falsitta, G.Spaziani Testa e A. Zanardi. Tutti gli interventi sono disponibili sul sito
www.ilsole24ore.com. Il dibattito continua sui social media con l'hashtag #25xtutti. Sul sito www.25xtutti.it
ciascuno può calcolare il proprio vantaggio fiscale.
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L'INTERVISTA
Calenda: «Taglio al cuneo, sostegno agli investimenti e produttività»
Carmine Fotina
pagina 3 Calenda: «Taglio al cuneo, sostegno agli investimenti e produttività» Ministro, ha definito
"clamorosamente positivi" gli ultimi dati sull'export. Saremo in grado di confermarli anche a dispetto dei
"nuovi protezionismi"? Una crescita del 6,6% nei primi quattro mesi del 2017, è oggettivamente clamorosa.
E i dati rilasciati ieri che includono maggio segnano addirittura un +8% rispetto al 2016. Mi aspetto
comunque un dato annuale più "normale". Già il 2016 si era chiuso con il record e con la crescita della
nostra quota di mercato sulle esportazioni mondiali che non si vedeva dal 2011. Tutto ciò conferma che la
chiave per lo sviluppo dell'Italiaè l'aggancio alla domanda internazionale. Eppure cresce il fatturato medio
ma il numero delle aziende che esportano non aumenta più... È il vero punto di debolezza. Sono troppo
poche le imprese che esportano. Questa è la priorità del piano made in Italy insieme alla diffusione dei
prodotti italiani sulle piattaforme e•commerce. Le altre componenti del piano hanno invece dimostrato di
funzionare bene. Premiati la scelta di concentrare gli sforzi sul Nord America dove la nostra quota cresce
più dei competitorse il lavoro con la grande distribuzione che ha portato più di 800 nuove aziende sugli
scaffali dei mercati internazionali. Aggiungo che per ogni euro speso da Ice abbiamo generato 15 euro di
fatturato per le aziende. Direi che abbiamo fatto molto benea scegliere di mettere i fondi su questo tipo di
iniziativa invece che su inutili eventi "singing and dancing". Ma può bastare visti i risultati dei nostri principali
competitor? Credo che potremmo ritenerci soddisfatti solo quando il rapporto esportazioni Pil passerà
dall'attuale 31% al 50% della Germania. A quel punto potremo davvero importare in Italiai tassi di crescita
del mondo. Il rapporto Ice segnala anche l'aumento degli investimenti diretti esteri. Ma il governo li
considera tutti e sempre "buoni" o fa distinzioni? L'aumento di quasi il 50% degli investimenti diretti esteri
nel 2016è un altro dato potente attribuibile anche all'agenda di riforme, ai tagli fiscali sulle imprese, e ad
un'intensa attività di promozione e accompagnamento prima inesistente. Tra l'altro ieri con l'accordo
Ice•Invitalia si è definitivamente strutturato il processo di lavoro. Gli investimenti esteri, acquisizioni, aperture
di stabilimenti produttivi o centri di ricerca, sono sempre benvenuti e anche incentivati. Altra cosa sono gli
investimenti che io definisco predatori: quelli fatti per spogliare un'azienda strategica dai brevetti e dalle
tecnologie e esportarli in un altro paese. Questo tipo di iniziative vanno monitorate e impedite allargandoi
settori oggetto di "golden power". Stiamo lavorando con Francia e Germania in Europa per avere l'ok a
procedere in questo senso. La normaè pronta. A proposito di aziende strategiche, sul caso banda ultralarga
incontrerà Cattaneoo sta aspettando chiarezza sul vertice Tim? Certo che incontrerò Cattaneo che, per
inciso, considero un ottimo manager. Il suo lavoro è difendere l'interesse della sua azienda, il mioè quello di
difendere l'interesse pubblico che in questo caso vuol dire applicare le regole, italiane ed europee, previste
dai bandi. Quando ha usato toni non consoni al rapporto con il Governo gliel'ho fatto notare, siè scusatoe la
storiaè finita lì. Il governo pensa a una "soluzione Paese" con una società che unisca le infrastrutture di Tim
e Open Fiber? Sono favorevole ad una società delle reti e non escludo che in un futuro anche prossimo se
ne possa riparlare, ma deve esserci la volontà delle parti di farlo. Elemento che fino ad oggi è mancato.
Intanto il paese non può star fermo dunque il lavoro sulla banda larga va avanti e prima della pausa estiva
presenteremo con Giacomelli il piano di incentivi alla domanda sulle aree grigie dove risiedono il 65% delle
imprese. Oggi Bankitalia ha alzato le previsioni di crescita del Pil. Quale sarà in autunno la politica giusta
per rafforzare la ripresa e l'occupazione? Innanzitutto continuare a stimolare gli investimenti privati in
tecnologia, ricerca, formazione e internazionalizzazione. Del restoi dati di ieri di Bankitalia indicano
chiaramente che la crescita viene da investimenti in innovazione ed export. Ma anche velocizzare i tempi di
esecuzione degli investimenti pubblici, che hanno un ruolo fondamentale in questo momento storico,
riformando il Cipe e mandandoa regime il nuovo codice degli appalti; tagliare il cuneo fiscalee detassare
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ulteriormente il salario di produttività. Poi esiste un capitolo sociale altrettanto importante.I dati sulla povertà
sono inaccettabili. Va rafforzato il reddito di inclusione. A Taranto vareremo un programma pilota sul
disagio giovanile che rischia di perdere una generazione. Oggi esistono alcune aree del paese dove questo
problema è più acuto. Esattamente come abbiamo creato strumenti particolari per le aree di crisi industriale
complessa, dobbiamo fare lo stes• so per le aree di crisi sociale complessa in particolare quando colpiscei
ragazzi in età scolare. Come si faa spingere la crescita e ridurre il debito? Ricetta Visco (aumentare
l'avanzo primario), ricetta Renzi (deficit al 2,9% per 5 anni), ricetta Padoan del "sentiero stretto"? Non
esiste una risposta stile "Rischia Tutto". Con la prossima finanziaria dobbiamo chiudere il percorso avviato
dal Governo Renzi. Discesa del deficit, che peraltro Padoan ha negoziato molto bene con Bruxelles, e
provvedimenti a favore della crescita. Per quanto riguarda la proposta di Renzi non mi scandalizza, anzi,
penso però che vada invertito l'ordine dei fattori. Decidiamo dove vogliamo essere tra cinque anni, quali
sono le priorità che vogliamo perseguire, costruiamo un piano industriale per il paese che metta al centro gli
investimenti, l'internazionalizzazione e la formazione. Mettiamo in chiaro quali sono le riforme che vogliamo
implementareei provvedimenti che vogliamo adottare per abbattere il debito, poi andiamo in Europa e sui
mercatie convinciamoli cheè la strada giusta per arrivare ad un livello di crescita che sia finanziariamentee
socialmente sostenibile. Per farlo occorre anche ritrovarei contenutiei toni di un dibattito politico costruttivoe
spirito di squadra. Altrimenti meglio rimanere al sicuro nei parametri europei. Più esplicitamente: robusto
taglio al cuneo per gli under 35, detassazione per il salario di produttività, taglio dell'Irpef? Ho già risposto.
Produttività, investimenti, formazione e solidarietà. Un taglio significativo dell'Irpef non è né prioritario dal
punto di vista della crescita, né alla nostra portata. Firmerebbe il piano sul deficit di Renzi se fosse vincolato
al rilancio della competitività? Firmerei il piano industriale di cui ho parlato. Premesso che non spetterà a
me decidere, il deficit è la risultante di quello che ci faie di quanto te ne puoi permettere. Due elementi
strettamente collegati, che al momento non conosciamo. Se posso permettermi un suggerimento al Pdè
quello di iniziare subito il lavoro sul "cosa" in vista delle prossime elezioni, anche per• ché servirà un grande
sforzo di coinvolgimento dei corpi intermedi e dei cittadini. Penso che il Governo Renzi sia stato quello che
ha fatto più iniziative e riforme a favore della crescita nella storia italiana recente. È un patrimonio da non
disperdere. È stato rappresentante permanentea Bruxelles, nominato proprio da Renzi. Crede sia fondato
un problema di credibilità dell'Italia presso l'Unione europea? Dipende da come ci poniamo. Abbiamo
spesso visto alternarsi un approccio deferente, come se l'Unione fosse l'ancora anche morale di un paese
altrimenti perduto, ad uno aggressivo, dove l'Europa è rappresentata solo come tecnocrazia e poteri forti da
combattere. Entrambi questi approcci hanno una cosa in comune: considerano l'Europa qualcosa di altro
da noi. Così non è. Se siamo in grado di stare dentro una casa che è anche nostra con autorevolezza,
articolando le nostre posizioni allora non di rado indirizziamo l'agenda e troviamo soddisfazione alle nostre
richieste. Pensa ancora che sia giusto andarea votare alla scadenza naturale della legislatura? Quali sono
tre cose da fare assolutamente per evitare il rischio di galleggiare nei prossimi otto mesi? Guardi l'unica
sensazione che non ho è quella del galleggiamento. Banche, migranti, giustizia penale, ius soli, Ilva, Alitalia
eccetera, il lavoro fatto dal Governo in questi mesi è stato tutt'altro che una placida routine. Io credo che a
Gentiloni vada riconosciuto il fatto di aver dimostrato capacità di leadership e resilienza non comuni. Oltre
le tante riforme che dobbiamo completare dalla concorrenza al diritto fallimentare, dagli energivori alla
Strategia energetica nazionale, il lavoro che si fa tutti i giorni è enorme e non meno importante. Anzi le dico
di più, dobbiamo smetterla di pensare che esistano solo le riforme. L'attività fondamentale del Governoè
l'amministrazione e la gestione. Sempre di più in futuro le leggi dovranno definire gli obiettivi e lasciare
spazio per una governance rapida ed in continuo cambiamento. Ha scommesso tanto sul piano Industria
4.0. Ma come farete a salvaguardare l'occupazione nelle produzioni a più alta automazione? È la grande
questione dei nostri tempi. Globalizzazione e innovazione tecnologica ridisegnano da secoli la mappa del
lavoro, normalmente il risultato finale è positivo, ma durante il percorso si possono creare fratture profonde
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tra vincitori e vinti. Il problema è che negli ultimi cinquant'anni questi processi hanno anche preso una
velocità incredibile, rendendoli difficili da comprendere figuriamoci da governare. Spesso poi le classi
dirigenti li hanno rappresentati in maniera semplicistica e ottimistica. Anche per questo si è diffuso in
Occidente un rifiuto della modernità e una sfiducia profonda nelle classi dirigenti progressiste. Lo vediamo
sui vaccini come sull'opposizione a qualsiasi accordo di libero scambio per quanto conveniente esso sia.
Anche per questo il secondo capitolo di industria 4.0, dopo quello su investimenti e competenze, sarà
interamente dedicato al lavoro 4.0. Sono allo studio misure per la prossima manovra? Sappiamo che la
tecnologia da sola non costruisce innovazione sostenibile. Con Poletti e Fedeli stiamo lavorando per
presentare un piano alla cabina di regia di settembre e inserire le prime norme in legge di bilancio. Sulla
legge per la concorrenza si taglia il traguardo prima della pausa estiva? Resta irrisolto il nodo di servizi
pubblici locali e partecipate... Lo spero proprio. Dipende dal Pd. Sono sicuro che onorerà l'impegno preso
con i cittadini. E prima di chiudere questo capitolo sulla concorrenza non voglio parlare del nuovo. Sarebbe
poco serio.
L'EXPORT Siamo in presenza di risultati clamorosi ma saremo soddisfatti solo quando la quota sul Pil sarà
salita dal 31 al 50% come in Germania GENTILONI Il governo non galleggia: banche, migranti, giustizia
penale, ius soli, Ilva, Alitalia. Ora diritto fallimentare, energivori e strategia energetica IL GOVERNO RENZI
Con la legge di bilancio dobbiamo completare il lavoro avviato dal governo Renzi: riduzione del deficit e
crescita. Serve un piano lavoro 4.0
Foto: REUTERS Ministro. Carlo Calenda guida lo Sviluppo economico dal 10 maggio 2016
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L'addio di Londra TOLLERANZA ZERO AGLI ABUSI Rischio di trasferimenti fittizi Controlli severi per evitare che i big della finanza spostino in Ue solo la sede legale e non l'attività Turismo regolamentare La Vigilanza dovrà essere uniforme in Europa: le banche non scelgano l'authority più docile
Esma all'attacco dei «furbetti» della Brexit
L'autorità europea dei mercati detta le regole per banche e finanza che lasciano Londra per restare in Ue NIENTE TRUCCHI Quando un istituto sceglie un Paese continentale per spostare la sede, deve dimostrare di trasferirsi davvero Andrea Franceschi
La decisione della Gran Bretagna di uscire dall'Unione europea è un fatto senza precedenti che crea
tantissimi problemi di natura regolamentare. I benefici del mercato unico continueranno ad essere garantiti
alle società britanniche finché Londra non sarà ufficialmente fuori. Nell'incertezza su quello che sarà l'esito
delle trattative diversi big della finanza che oggi hanno nella City una fetta importante delle loro attività
hanno annunciato l'intenzione di spostarsi in altri Paesi dell'Unione per mantenere i benefici del passaporto
europeo. Ma il trasferimento non sarà automatico ha fatto sapere l'Esma. L'autorità europea che vigila sui
mercati ha pubblicato una serie di linee guida specifiche per il settore finanziario. I documenti riguardano in
particolare tre campi: le case di investimento, asset manager e le piattaforme di trading. Lo scopoè
individuare una serie di parametri che le authority nazionali dovranno rispettare nel vagliare le richieste di
trasferimento. Ne abbiamo selezionati sei particolarmente rilevanti. e No "letter box" Il rischio principale è
che il trasferimento dal Regno Unito all'Unione sia fittizio. L'Esma parla di «letterbox relocation». Cioè la
fattispecie per cui un'azienda trasferisce la propria sede legale (con relativa cassetta delle lettere) in Paesi
dell'Unione conservando i vantaggi dell'accesso al mercato unico ma mantenendo l'operatività nel Regno
Unito. Una «scorciatoia» alla Brexit che • segnale l'Esma • le autorità nazionali dovranno minimizzare al
massimo mettendo in atto controlli rigorosissimi che dovranno essere proporzionati al volume delle attività e
delle risorse che la società richiedente intende trasferire. r No turismo regolatorio Nelle linee guida
dell'Esma si insiste molto sulla necessità che le singole autorità nazionali seguano gli stessi criteri nel
concedere l'autorizzazione ad operare. Le authority nazionali dovranno assicurarsi che la scelta del Paese
in cui trasferirsi sia fatta per «ragioni obiettive». Si dovrà monitorare con attenzione la distribuzione
geografica delle attività del soggetto richiedente negando l'autorizzazione qualora la selezione del Paese in
cui trasferire le attività sia motivata dall'intenzione di «evadere standard più rigidi di un altro Stato
membro». Tradotto: se la società X vuole spostare le sue attività in Italia ma ritiene troppo rigida la
normativa Consob non può optare per un altro Stato membro dalla normativa più favorevole. L'arbitraggio
regolamentare dei «furbetti della Brexit» sarà contrastato. t L'esternalizzazione Un aspetto particolarmente
delicato è quello dell'esternalizzazione delle attività chiave. Un soggetto che si trasferisce nell'Unione
europea potrà mantenere alcune attività chiave in un Paese terzo (quale sarà il Regno Unito con la Brexit)
solo sotto «rigide condizioni». Se alcune attività di "back office" potranno essere mantenute scrive l'Esma • i
servizi principali come «il rapporto con i clienti o le attività di gestione del rischio» dovranno
obbligatoriamente essere gestite internamente o esternalizzate a società con sede nell'Unione europea. Il
discorso vale anche per le società comunitarie che hanno delle controllate oltremanica. Il loro utilizzo sarà
consentito solo per «ragioni oggettive». Ad esempio per erogare servizi ai clienti britannici. Per nessuna
ragione una società europea potrà servirsi di una controllata oltremanica per «erogare servizi ai clienti
nell'Unione europea». u Il personale Per quanto riguarda le case di investimento • si legge nel documento
disponibile sul sito dell'Esma • il faro illuminante dovrà essere Mifid. In ossequio alla direttiva è necessario
che i top manager e gli organismi di controllo siano sul territorio. Qualsiasi fatto possa far sospettare che le
decisioni operative siano prese altrove • segnala l'authority può essere motivo di diniego o ritiro
dell'autorizzazione. i Le risorse finanziarie Le autorità nazionali dovranno assicurarsi che «le risorse
finanziarie e non finanziarie» che l'azienda richiedente intende mobilitare siano «appropriate» in rapporto
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alle attività che intende mettere in atto. Un punto particolarmente delicato riguarda le piattaforme dove
eseguire gli ordini dei clienti. Un fondo che utilizza una sola piazza (l'Esma non la cita maè chiaro che parla
di Londra) dovrà essere in grado di dimostrare concretamente che questa scelta ha lo scopo di «fare il
miglior interesse del cliente». o La vigilanza C'è infine il capitolo della vigilanza. L'Esma segnala che le
autorità dei 27 Paesi della Ue saranno inevitabilmente soggette a un aumento di richieste con conseguente
crescente mole di lavoro. Dovranno pertanto assicurare di avere le «capacità e le risorse» adeguate a
seguire il processo di autorizzazione e supervisione. Le autority nazionali • scrive l'Esma • dovranno negare
o ritirare l'autorizzazione a società estere qualora le leggi e la regolamentazione di Stati terzi, sotto la cui
giurisdizione operano i soggetti ad essa collegati, possano costituire un ostacolo all'attività di vigilanza. I sei
«paletti» dell'Esma per chi si trasferisce in Ue 1 NESSUNA SCORCIATOIA NEL TRASFERIMENTO
L'Esma vuole evitare che le banchee le società finanziarie si trasferiscano nell'Unione europea in modo
fittizio. Cioè che spostino la sede legale, per avere i benefici dell'Ue, mantenendo l'operativitàa Londra.I
controlli saranno rigorosi. 2 EVITARE IL «TURISMO» REGOLATORIO Le Autorità di vigilanza nazionali
dovranno seguire le stesse regole nel concedere autorizzazioni. Questo per evitare che qualche società
finanziaria si trasferisca in un Paese piuttosto che un altro «per evitare standard di vigilanza più rigidi». 3 IL
PERSONALE DEVE ESSERE DOVE SI OPERA L'Esma vuole evitare che una bancao società metta la
sede in un Paese, ma poi mantenga il «cervello» altrove. Qualsiasi fatto che possa far ritenere che le
decisioni non vengano prese nella sede centrale potrà essere causa di ritiro della licenza. 4 RISORSE
«APPROPRIATE» PER L'ATTIVITÀ Le Autorità nazionali dovranno verificare che le risorse che l'azienda
intende mobilitare per il trasferimento in un Paese Ue, siano «appropriate» per l'attività che dichiara di voler
svolgere. Anche questo per evitare traslochi fittizi. 5 ATTIVITÀ ALL'ESTERO: CONDIZIONI RIGIDE Chi si
trasferisce nell'Unione europea potrà mantenere alcune attività chiave in un Paese terzo (come lo stesso
Regno Unito post•Brexit) solo sotto «rigide condizioni». Per esempio le attività di «back office». 6 LA
VIGILANZA DEVE POTER OPERARE Le Autorità di Vigilanza di alcuni Paesi potrebbero essere oberate di
lavoro. Dovranno pertanto assicurare di avere le «capacità e le risorse» adeguate a seguire il processo di
autorizzazione e supervisione.
Settore strategico La "fetta" inglese dei mercati finanziari globali. In % IL PESO DELLA FINANZA IN
GRAN BRETAGNA Asset di hedge fund 2010 2015 Derivati Otc** 2010 2015 Mercato valutario** 2010
2015 Assicurazioni marittime 2010 2015 Credito bancario internazionale 2010 2015 (*) 2014; (**) Aprile
2010/aprile 2016 19 66* 47 39 36 37 20 29* 18 16 Impiegati in ogni settore. Dati in migliaia, 2015
LAVORATORI NEL SETTORE FINANZIARIO Ser vizi professionali Servizi legali 311 Servizi di contabilità
Ser vizi finanziari 382 Consulenza manageriale Gestione fondi Altri servizi finanziari Assicurazioni Bancari
Totale 477 41 268 315 421 2.215 Fonte: TheCityUK; Nomis
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 98
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Il Bollettino. Ma l'inflazione è sotto la media dell'Eurozona • Padoan: il debito comincerà a scendere grazie alla crescita
Bankitalia rialza le stime: Pil 2017 +1,4%
Davide Colombo
ROMA La spinta al rialzo del valore aggiunto nel settore dei servizie la netta ripresa della produzione
industriale (+1% tra aprilee giugno) avrebbero garantito una crescita del Pil, nel secondo trimestre
dell'anno, in linea con il +0,4% registrato nei primi novanta giorni. Da questa previsione, messa a punto
dagli analisti della Banca d'Italia sulla base delle ultimissime informazioni congiunturali, deriva una nuova
proiezione sulla crescita annua che fissa il Pil 2017a +1,4%, contro il +0,9% di gennaio, già in parte corretto
nelle scorse settimane a +1,3% dopo la revisione del dato sul primo trimestre da parte dell'Istat. Nel
Bollettino economico diffuso ieri la Banca vede ora un aumento dell'1,3 nel 2018e dell'1,2 l'anno
successivo. Se le previsioni si avverassero nel 2019 il Pil avrebbe recuperato i livelli pre•crisi 2011 (debiti
sovrani) ma rimarrebbe ancora di tre punti al di sotto dei livelli del 2007. Sul lato degli impieghi la spinta
arriverebbe soprattutto dalla domanda interna, con una espansione dei consumi e degli investimenti «a
ritmi relativamente sostenuti». Sugli investimenti, in particolare, dopo il calo del primo trimestre forse dovuto
alle incertezze di fine 2016 per la proroga degli incentivi f iscali, il sondaggio trimestrale
Bankitalia•IlSole24Ore condotto a fine giugno prefigura un'accelerazione della spesa per cumulare nuovo
capitale produttivo da qui a fine anno, mentre i consumi si espanderebbero a rit• mi analoghia quelli del
prodottoe del reddito disponibile. Dietro questa nuova propensionea investire c'è lo stimolo degli incentivi
previsti nel Piano Industria 4.0. Ieri Bankitalia ha anche diffusoi numeri del debito, che a maggio è giuntoa
2.278,9 miliardi, in aumento di 8,2 miliardi rispetto ad aprile. Ma il dato che conta ai fini europei è il
debito/Pil ed è a questo aggregato che ha fatto riferimento Pier Carlo Padoan, intervistato al Tg1, quando
ha affermato che «il debito si è stabilizzato e comincerà a scendere proprio grazie alla crescita superiore al
previsto». Secondo il ministro per consolidare lo scenario di ripresa bisogna «continuare con gli
investimenti privatie pubblici,e sostenere l'occupazione in modo tale che la crescita non ci sia solo adesso
ma anche nel futuro». Padoan ha quindi concluso che la ricetta di politica economica non cambierà:
«Continueremo con le misure che, come dice la Banca d'Italia, hanno sostenuto gli investimenti». Tornando
al Bollettino, prospettive positive arrivano anche per il mercato del lavoro.I dati preliminari della Rilevazione
sulle forze di lavoro indicano come nella media di aprilee maggio il numero di occupati ha continuatoa
crescere (+0,2% sul bimestre precedente) trainato dai contrattia termine. Secondoi risultati delle indagini
sulle aspettative occupazionali delle imprese condotte dall'Istat e sulla base dell'indice PMI, annotano i
tecnici di palazzo Koch, «l'espansione dell'occupazione dovrebbe proseguire anche nei mesi estivi».
L'unica variabile che continuaa segnare un andamento divergente rispetto al quadro macroè l'inflazione al
consumo, che resta modesta: «sarebbe pari all'1,4% quest'annoe all'1,1% il prossimo; nel 2019 salirebbe
invece all'1,6 per effetto di una moderata accelerazione delle retribuzioni». Siamo su valori inferioria quelli
attesi per l'Eurozona. Le proiezioni di Bankitalia sono più positive di quelle delle principali organizzazioni
internazionali: «Per l'anno in corso • si legge nel documento • le differenze sono in larga misura attribuibili al
miglior andamento acquisitoa seguito delle revisioni dei dati di contabilità nazionale diffusi all'inizio di
giugno, di cui le proiezioni del Fondo monetario internazionale (+0,8%), dell'Ocse (+1%) e della
Commissione europea (+0,9%) non tengono conto». Si tratta di proiezioni che scontano un'incertezza
relativa di un decimalee che restano esposte a un rischio al ribasso: «Alle incertezze associate ai mercati
finanziari si accompagnano quelle connesse con l'evoluzione delle politiche economiche e commerciali a
livello globale». Stesso discorso vale per i prezzi, con rischi al ribasso sulle previsioni «potrebbero derivare
da una dinamica salariale più contenuta di quanto prefigurato, mentre l'evoluzione dei prezzi delle materie
prime energetiche nel prossimo futuro continuaa essere caratterizzata da un'elevata incertezza». Da
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 99
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registrare la conferma della triplaB per l'Italia con outlook stabile da parte dell'agenzia di rating Dbrs.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 100
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LA STORIA
I ricchi mandarini di Stato allergici alla trasparenza
SERGIO RIZZO
L'ULTIMA rilevazione dell'Ocse sulle retribuzioni dei dirigenti pubblici dice quanto la trasparenza sia
preziosa, e per alcuni versi anche dolorosa. Grazie a lei sappiamo che i mandarini italiani sono i più pagati
del mondo sviluppato, con la sola esclusione dell'Australia.
Affermare tuttavia che con il tetto agli stipendi dei funzionari pubblici fissato tre anni fa in 240mila euro lordi
l'anno non sia cambiato nulla sarebbe ingeneroso: qualche busta paga scandalosa (e immeritata) è stata
per fortuna ridimensionata. Ma è sempre la media, con o senza quel tetto, che continua a fregarci.
ICONFRONTI parlano chiaro.
La retribuzione media delle nostre figure burocratiche apicali è scesa fra il 2011 e il 2015 da 339.249 a
212.132 euro lordi. Il calo non è stato affatto trascurabile: meno 37,4 per cento. Nonostante una simile
sforbiciata, però, siamo ancora ben al di sopra di quella dannata media dei Paesi sviluppati che aderiscono
all'Ocse. Fissata, secondo la rilevazione di cui parliamo, in 160.627 dollari: 132.315 euro lordi.
Decisamente meglio è andata ai dirigenti di prima fascia, quelli immediatamente al di sotto del massimo
livello apicale. Dopo l'introduzione del famoso tetto le loro retribuzioni medie, sempre secondo i calcoli
dell'Ocse, sono infatti addirittura aumentate, seppur di poco: l'incremento dai 197.962 euro del 2011 ai
199.330 (lordi, ovvio) del 2015 è dello 0,7 per cento, che sale all'1,5 con la metodologia di calcolo Ocse,
che tiene conto anche dei contributi previdenziali e dell'orario effettivo di lavoro. A questo proposito
andrebbe ricordato che l'ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli, prendendo proprio spunto
dal raffronto internazionale aveva previsto risparmi di mezzo miliardo l'anno già a partire dal 2014. Ebbene,
almeno in questo caso è accaduto il contrario.
E qui siamo di nuovo al punto cruciale: la trasparenza. In questo nuovo studio, che peraltro ricalca i risultati
della precedente analisi del 2013, l'Ocse precisa che non tutti i Paesi riportano nelle loro analisi i dati
effettivi, come fa invece l'Italia. Da quattro anni, infatti, qui vige il principio della pubblicità dei compensi dei
dirigenti pubblici. È la conseguenza di un decreto, il numero 33 del 2013, che però non è stato digerito da
tutti gli interessati. Ma è nulla al confronto di ciò che è successo nel momento in cui si è deciso di estendere
l'obbligo di trasparenza anche alle informazioni patrimoniali. Allora sono scoppiate improvvise allergie.
Letteralmente incontenibili.
La battaglia comincia il 25 maggio 2016, quando la Funzione pubblica approva un decreto legislativo che
impone ai dirigenti la pubblicazione della propria situazione economica e reddituale sui siti internet ufficiali
di ogni singola amministrazione. E con le variazioni intervenute anno dopo anno. Nello stesso
provvedimento viene specificato che la cosa riguarda tutti, ma proprio tutti, gli incarichi di livello dirigenziale:
per capirci, anche quelli che vengono assegnati per decisione politica.
Tanto basta per innescare l'immancabile ricorso al Tribunale amministrativo, che il 2 marzo sospende
senza battere ciglio l'efficacia della nuova misura. Affermano i giudici che è necessario considerare la
«consistenza delle questioni di costituzionalità e di compatibilità con le norme di diritto comunitario sollevate
nel ricorso», specificando di aver preso la travagliata decisione dopo aver valutato «l'irreparabilità del
danno paventato dai ricorrenti discendente dalla pubblicazione online, anche temporanea, dei dati per cui è
causa». Non bastasse, ecco un altro ricorso, stavolta del sindacato al quale si associano pure quattro
burocrati, che contesta le linee guida emanate dall'Autorità nazionale anticorruzione per l'attuazione della
norma del 2013 che prevede la trasparenza degli atti relativi agli incarichi di natura politica e dirigenziale. A
quel punto l'Anac di Raffaele Cantone non può che fermare le macchine e sospendere tutto, in attesa del
sospirato giudizio di merito del Tar. Che si prende tutto il tempo necessario, e forse anche qualcosina in
più: sette mesi.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 101
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I giudici amministrativi hanno fissato la relativa udienza per martedì 10 ottobre 2017.
Ovvero, 222 giorni dopo aver deliberato la sospensiva e a quasi un anno e mezzo dal decreto che
imporrebbe l'obbligo di far conoscere ai cittadini anche i patrimoni dei dirigenti pubblici e la loro evoluzione
durante lo svolgimento dell'incarico. Mentre tutti continuano a ripetere che la trasparenza è il migliore
antidoto contro il cancro della corruzione.
fonte : OCSE
LE TAPPE
1
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IL TETTO Nel 2014 il governo introduce un limite massimo per gli stipendi dei dirigenti pubblici, fissandolo a
240 mila euro lordi, pari al compenso percepito dal Presidente della Repubblica LA TRASPARENZA Nel
2016 un decreto della Funzione pubblica impone ai dirigenti di pubblicare sui siti ufficiali i dati sulla propria
situazione economica e patrimoniale, con le variazioni annuali I RICORSI Piovono i ricorsi al Tar contro
questo provvedimento e contro le regole Anac sulla trasparenza degli incarichi. In attesa del giudizio le
disposizioni vengono sospese LA DECISIONE L'udienza del Tar è fissata per il 10 di ottobre, 222 giorni
dopo la sospensiva e quasi un anno e mezzo dopo l'approvazione del decreto sulla trasparenza dei
patrimoni
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 102
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L'ANALISI
I veri risparmi dello Stato con la spending review
ROBERTO PEROTTI
L'ULTIMA volta che ho osato fare osservazioni sui calcoli della revisione della spesa diffusi dal governo mi
sono preso dell'"accademico frustrato". Ci riprovo perché ne vale la pena.
A PAGINA 3 Il mese scorso è uscita la relazione sull'attività di revisione della spesa. È una attività
importante, portata avanti in silenzio ma con grande competenza e dedizione dal commissario Yoram
Gutgeld e dal suo team. Questo però non esime dal fare chiarezza sui numeri, sui quali c'è stata molta
confusione (causata anche, bisogna dirlo, da un modo un po' birichino di fornire informazioni da parte del
governo).
Leggendo la relazione, molti hanno concluso che tra il 2014 e il 2017 sono stati ottenuti 30 miliardi di euro
(il 2 percento del Pil) di risparmi di spesa pubblica; altri che la spesa pubblica è scesa nello stesso periodo
di 30 miliardi. La prima conclusione è fuorviante, la seconda è semplicemente errata. Non voglio entrare in
dispute semantiche sterili su cosa sia la "revisione della spesa": ognuno la definisce come vuole. Ma i
numeri non mentono, ed ecco cosa dicono. Come mostra la tabella qui sopra (ottenuta a partire dai dati
ufficiali della Ragioneria dello Stato), se sommiamo tutti i capitoli di spesa del bilancio che sono diminuiti
per intervento governativo o parlamentare fra il 2014 e il 2017 otteniamo la cifra complessiva di 40 miliardi
di euro, ancor più quindi dei 30 miliardi di cui parla la relazione sulla revisione della spesa. Senonché nello
stesso periodo il governo o il Parlamento hanno anche aumentato capitoli di spesa per una cifra
complessiva praticamente identica, 40 miliardi (al netto della spesa per gli 80 euro, di circa 9 miliardi). Il
risultato netto è una riduzione di soli 772 milioni di euro. Secondo i calcoli dell'Ufficio Parlamentare di
Bilancio gli interventi di governo e Parlamento hanno addirittura aumentato la spesa complessiva tra il 2014
e il 2017, di 1,5 miliardi.
Perché questo è importante? Ho un debito di 50 euro con il mio amico Paolo, che non riesco a ripagare.
L'anno scorso spendevo cento euro in ristoranti e cento in vestiti; decido di fare una revisione della spesa
per ristoranti, e quest'anno riesco a ridurla a 60 euro. Posso dire che la revisione della spesa ha ottenuto
risparmi del 40 per cento, un risultato eccezionale di cui vado fiero, e che comunico immediatamente a tutti
gli amici, a cominciare da Paolo. Nel frattempo, però, ho aumentato la spesa per vestiti di 40 euro. La
spesa totale era di 200 euro e tale è rimasta. Ovviamente ho tutto l'interesse a mettere in risalto il risultato
sui ristoranti e a passare sotto silenzio quello sui vestiti. Ma il mio amico Paolo non è stupido, e capisce che
dal suo punto di vista non è cambiato niente.
Il governo potrebbe comunque sostenere di aver ridotto la spesa "cattiva" e di aver aumentato quella
"buona". Può darsi: cosa è buono e cosa è cattivo è molto soggettivo (e qualunque esponente della
maggioranza, se torchiato a sufficienza, riconoscerà che alcuni aumenti di spesa sono puramente elettorali
o addirittura, in certi casi, strampalati). È anche difficile capire come si possa aver sostituito spesa buona a
cattiva perché, a parte l'azione del gruppo della revisione (che riguarda una parte limitata del totale), non
c'è stata una valutazione complessiva, che comparasse le varie spese e stabilisse delle priorità. Per
esempio, nell'anno di maggiore riduzione lorda, il 2015, metà dei 16 miliardi sono venuti da tagli agli enti
locali, un provvedimento che richiede cinque minuti senza che si possa sapere su che spese andrà
effettivamente ad incidere alla fine.
Il governo sostiene anche che, in un periodo di recessione, è riuscito almeno ad evitare un aumento della
spesa pubblica. Anche questa posizione ha una sua logica. Ma è ben diversa dall'affermare che l'azione del
governo ha ridotto la spesa pubblica di 30 miliardi.
[email protected] FONTE RAGIONERIA GENERALE DELLO STATO: "RELAZIONE
TECNICO-ILLUSTRATIVA ALLA LEGGE DI BILANCIO", VARI ANNI. LA LEGGE DI STABILITA' 2017
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 103
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INCLUDE IL DECRETO FISCALE, BANKITALIA
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 104
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Aeroporti, 2017 d'oro Nei primi cinque mesi passeggeri su del 6,4%
La ripresa di Pil e turismo favorisce Malpensa e Napoli Quasi fermi Linate e Fiumicino, più legati ad Alitalia In sofferenza gli scali più piccoli che perdono la compagnia di bandiera e non attirano le low cost ETTORE LIVINI
MILANO. Alitalia continua la sua battaglia per la sopravvivenza. Il mercato del trasporto aereo italiano
invece, con buona pace dei guai dell'ex-compagnia di riferimento, sta vivendo nel 2017 un vero e proprio
boom. I numeri parlano da soli: nei primi cinque mesi dell'anno i passeggeri transitati ai check-in degli scali
nazionali - un buon indicatore dello stato di salute del Paese - sono aumentati del 6,4% a 65,3 milioni. Il
risultato è ancora più significativo leggendo in controluce i dati. Fiumicino (+0,1%) e Linate (+0,6%) - i due
hub del vettore finito in amministrazione straordinaria - segnano il passo. Frenati dal parziale
ridimensionamento operativo di Alitalia che ha fatto il lifting al proprio network tagliando un po' di rami
secchi. Il resto degli aeroporti cresce invece spesso a due cifre.
A Malpensa sono passati tra gennaio e fine maggio 8,2 milioni di viaggiatori, il 14,1% in più dello stesso
periodo dell'anno precedente.
Bergamo, che da qualche mese ha superato in pianta stabile Linate sul terzo gradino del podio dei cieli
nazionali, archivia i primi cinque mesi del 2017 con un bel +10,4%. Mentre alle sue spalle salgono a ritmi
vertiginosi Venezia, Catania (con un clamoroso + 17,5%), Bologna e Napoli (+17,7%), continuando a
scambiarsi le posizioni tra di loro. La spiegazione di questo periodo d'oro per il trasporto aereo tricolore è
chiara: nessuno è insostituibile. Nemmeno Alitalia, regina un po' decaduta del settore. Il mercato sta
facendo il suo dovere: la domanda corre, grazie anche alla ripresa di Pil e turismo. E l'offerta si adegua
sfruttando l'elasticità delle low-cost e l'arrivo di nuovi voli intercontinentali dei vettori esteri che riempiono -
se e dove si aprono - i buchi aperti dalla ex compagnia di bandiera. Ryanair è da due anni la prima
aerolinea italiana con 32,6 milioni di passeggeri trasportati da e per la Penisola, quasi dieci milioni più di
Alitalia. E i boom di Malpensa e Napoli, per dire, si spiegano con l'aumento dei collegamenti del vettore
irlandese e dei rivali a basso costo. L'onda lunga della metamorfosi potrebbe presto aiutare anche
Fiumicino, dove Norwegian, sfruttando le difficoltà di Alitalia, lancerà da Roma i nuovissimi intercontinentali
low-cost, un'altra delle novità destinate nei prossimi anni a riscrivere la mappa del settore aereo.
Non tutti, naturalmente, sorridono. Dietro il boom di questi mesi si nasconde infatti per gli aeroporti
nazionali una realtà a due facce. Gli scali più grandi, quelli in grado di attirare Ryanair & C. corrono.
Quelli più piccoli - orfani pure dei collegamenti "sociali" garantiti da Alitalia prima dell'amministrazione
controllata - soffrono. A Reggio Calabria il traffico è calato del 17,6%. Alghero (-11,8%) e Trapani (-2,4%)
pagano un pedaggio salato al braccio di ferro con il vettore irlandese, pronto ad abbandonare le due città al
loro destino se non arriveranno gli incentivi promessi. Sopravvivono invece sotto la tendina ad ossigeno
alcune realtà da anni ormai vicine all'estinzione. A Brescia Montichiari nei primi cinque mesi dell'anno sono
passati solo 5mila passeggeri (-4,6%), 37 al giorno. A Grosseto 1.573, a Foggia 187, poco più di una
persona ogni 24 ore. Vittime collaterali di una selezione darwiniana che però potrebbe regalare quest'anno
al trasporto aereo italiano il record di 120 milioni di passeggeri.
IL CONFRONTO CHI CRESCE A Malpensa tra gennaio e fine maggio sono passati 8,2 milioni di
passeggeri, ossia il 14,1% in più rispetto allo stesso periodo del 2016. Su anche Bergamo e Venezia CHI
SOFFRE Alcuni piccoli aeroporti sono a livelli di pura sopravvivenza.
A Foggia 187 passeggeri in cinque mesi, a Brescia solo 5 mila, ossia 37 ogni giorno Il boom dei cieli italiani
passeggeri gennaio-maggio 2017 (in milioni) (...) variazione % rispetto ai primi 5 mesi 2016 Pisa Bergamo
1.740.240 Torino 1.696.504 Bari 1.299.247 Cagliari 1.163.338 Treviso 1.000.075 (+14%) Verona 8.201.989
(+14,1%) Milano Malpensa 4.698.377 3.757.151 Milano Linate 3.576.039 Venezia 3.188.189 Catania
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 105
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3.067.458 Bologna 2.693.914 Napoli 2.429.355 Roma Ciampino 1.987.707 Palermo 1.852.443 (+10,44%)
(+0,9%) (+6,6%) (+17,5%) (+6,8%) (+17,7%) (+5,7%) (+4,5%) (+6,6%) (+8%) (+6,9%) (+7,7%) (+14,4%)
63.550.202 TOTALE (+6,4%) 15.361.060 Roma Fiumicino (+0,1%) ©RIPRODUZIONE RISERVATA
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 106
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L'ANALISI
Ma ora siamo tutti più fragili
SERGIO RIZZO
HE sia una sorpresa, è indiscutibile. Soltanto fino a qualche settimana fa pochi avrebbero scommesso un
soldo bucato su un recupero come quello di cui parla la Banca d'Italia. A PAGINA 27 LIVINI, LONGHIN E
PETRINI ALLE PAGINE 2 E 3 CHE SIA una sorpresa, è indiscutibile. Soltanto fino a qualche settimana fa
pochi avrebbero scommesso un soldo bucato su un recupero come quello di cui parla la Banca d'Italia. Per
anni siamo stati martellati dalle previsioni più nere. Basta ricordare che nel 2015 il Fondo monetario
internazionale prevedeva per l'economia italiana il ritorno ai livelli precedenti alla crisi non prima di un
ventennio. D'altra parte non c'è Paese dell'eurozona, secondo le stime dello stesso Fmi, che avrebbe
subito fra il 2007 e il 2017 un crollo reale del Prodotto interno lordo pro capite peggiore del nostro. Con le
uniche eccezioni di Grecia (-22,6 per cento) e Cipro (-12,5).
Nel decennio horribilis, la ricchezza prodotta da ogni italiano si sarebbe ridotta dell'11,5 per cento, mentre
quella prodotta da ogni tedesco cresceva invece di quasi 10 punti (9,8). Se dunque nel 2007 il divario fra il
Pil pro capite reale della Germania e quello dell'Italia non superava 2.600 euro, dieci anni dopo avrebbe
raggiunto 9.021 euro.
Un abisso. Così profondo che certo non verrebbe colmato neppure se le più rosee previsioni fossero
rispettate.
Ciò non significa che non si debba accogliere con soddisfazione la notizia che potremmo finalmente aver
lasciato la scialuppa dello zero virgola, per imbarcarci su quella dell'uno virgola. E questo pur ricordando
come il Pil del 2011, anno al quale la macchina del tempo della ripresina ci sta riportando, beneficiò di una
rivalutazione di ben 59 miliardi grazie all'introduzione di aggiornamenti statistici e al ricalcolo dell'economia
sommersa. A questa fu attribuito un peso dell'11,5 per cento, pari a 187 miliardi di euro, che superarono i
200 considerando anche il giro d'affari del traffico di droga (10 miliardi e mezzo), la prostituzione (3 miliardi
e mezzo) e il contrabbando di sigarette (300 milioni). Mancava forse il pizzo, come pure le tangenti: ma a
quello ci aveva già pensato, senza però riflessi statistici, il governo di Mario Monti misurando in un
agghiacciante 40 per cento il sovrapprezzo delle opere pubbliche dovuto alla corruzione.
Si sarebbe dunque ritornati finalmente alla fine di sei anni fa. Quando proprio il governo Monti era appena
arrivato e cominciava per molti, a partire dai pensionati, il più pesante giro di vite del secondo dopoguerra.
Ed è lecito domandarsi se oggi, al di là dei numeri, si sta meglio o peggio di allora. Il fatto è che la statistica
e la realtà dicono due cose assai diverse. Il Pil potrà anche essere tornato ai livelli del 2011, ma oggi la
situazione economica e sociale di gran parte del Paese non è affatto la stessa. Sostenere che sia migliore
sarebbe decisamente un azzardo. Il numero dei poveri è aumentato e la forbice dei redditi si è ancora
allargata, mettendo ulteriormente in difficoltà quel ceto medio che è sempre stato il motore dell'ascensore
sociale. La qualità del lavoro è peggiorata, né l'Italia è riuscita ad affrancarsi dalla maledizione di essere il
Paese sviluppato con le retribuzioni più basse in assoluto. Per di più, in discesa inarrestabile. Soprattutto, la
frattura fra Nord e Sud si è ancora approfondita. Fatto 100 il Pil pro capite italiano, Svimez dice che fra il
2007 e il 2015 quello del Sud è sceso da 67,1 a 66,4: nello stesso periodo quello del Nord Est saliva da
117,2 a 119 e quello del Nord Ovest da 121,3 a 122,4. La disoccupazione giovanile tocca livelli stratosferici
e l'emigrazione dal Mezzogiorno verso le Regioni settentrionali ha ripreso dimensioni bibliche. Fra il 2008 e
il 2015, sono ancora dati Svimez, se ne sono andate dal Sud 653 mila persone, di cui 478 mila giovani e
ben 133 mila laureati. Un problema gigantesco. E il fatto grave è che la nostra classe dirigente, impegnata
a fare i conti sull'uno virgola per grattare ancora un po' il fondo del barile, se ne mostra totalmente
disinteressata.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 107
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La ripresa
L'Italia ora vede la speranza "Il 2019 cancellerà la crisi"*
Bankitalia rialza le previsioni: la crescita viaggia verso l'1,4% In ritardo su giovani e investimenti, il resto dell'Ue corre di più L'occupazione migliora Il nostro tallone d'Achille resta il debito, sempre a livelli record ROBERTO PETRINI
ROMA. L'attività economica «riprende vigore» e la crescita «si rafforza». La Banca d'Italia nel Bollettino di
luglio mette la firma su una sensazione di fiducia diffusa nelle ultime settimane. A metà anno si può dire
che l'economia italiana sta riprendendo: le proiezioni di Via Nazionale indicano che il Pil nel 2017 crescerà
dell'1,4 per cento, si tratta della stima più alta tra i centri di ricerca che viene confortata dalle proiezioni di
inizio giugno della missione dell'Fmi in Italia che ha elevato il Pil all'1,3 per cento. Positivo il commento del
ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan: «Grazie alla crescita superiore al previsto anche il debito
continuerà a scendere».
Certamente il nostro paese non può vantare una performance in linea con la crescita dell'Eurozona, che
per la Bce sta viaggiando verso il 2 per cento, ma Francia e Germania non sono più così lontane. Parigi era
all'1,4 (recentemente la Banque de France l'ha portata all'1,6 per cento) e Berlino viaggia all'1,6.
I primi sei mesi dell'anno sono stati decisivi e hanno segnato una progressione delle valutazioni sulla
nostra economia: ha cominciato l'Istat che ha raddoppiato le stime per il primo trimestre da un primo 0,2 ad
un consuntivo dello 0,4 per cento. Ora la Banca d'Italia dice che l'attività di primavera è andata bene e che
il secondo trimestre potrà fare altrettanto.
La sensazione è che ci sia un quadro internazionale più positivo, anche se permangono rischi: dal
protezionismo alle tensioni geopolitiche. Ma per l'Italia, eterno malato d'Europa, il risultato sarebbe a
portata di mano: usciremmo dal tunnel.
Nel 2019, secondo Bankitalia, il Pil «recupererebbe interamente» la caduta connessa con la crisi dei debiti
sovrani avviata nel 2011 con il caso Grecia.
Non tutto purtroppo sarà recuperato, perché rimarremo ancora con un Pil inferiore al 3 per cento rispetto al
2007, cioè la data della crisi americana dei mutui subprime e di Lehman Brothers. Lo scenario descritto da
Bankitalia tende al rosa. I consumi e l'export continuano a crescere, va bene il settore dei servizi ma
soprattutto gli investimenti industriali, che mancavano all'appello all'inizio dell'anno, sono tornati ad
affacciarsi e l'indagine di giugno condotta da Bankitalia raccoglie aspettative «ottimistiche» in tutti i
comparti. L'occupazione è aumentata nel primo trimestre dell'anno, osserva Via Nazionale, nonostante il
«venir meno degli incentivi alle nuove assunzioni a tempo indeterminato» .
La nave va? Sembrerebbe.
Anche se il debito resta alto, in maggio ha segnato un nuovo record. Ma la recente apertura di credito da
Bruxelles ci garantisce ossigeno sui conti pubblici. Attenzione, però il 2018 rappresenta ancora una sfida:
Bankitalia riduce la crescita all'1,3 per cento, calcola uno spread a livello «di guardia» di 185 con i Bund
tedeschi e nella stima non incorpora né l'aumento dell'Iva né l'alternativo intervento sui conti pubblici. Ma
per l'Italia il percorso non è mai privo di ostacoli. I PUNTI I senza lavoro e la soglia critica Nel nostro Paese,
sei anni fa, la disoccupazione era intorno all'8%. La crisi l'ha spinta oltre la soglia psicologica del 10 2011
8% 11,3% 2017 I connazionali costretti a emigrare Il numero degli italiani obbligati a espatriare in cerca di
migliori opportunità si è impennato di 30 mila unità 2011 60.635 107.000 2017La forte caduta del prezzo
delle case Il valore del patrimonio immobiliare italiano si è ridotto negli anni della seconda recessione 2011
100 2017 76 Crolla il rendimento dei Bot a 12 mesi Tra gli effetti della crisi anche il tracollo dei rendimenti
dei titoli pubblici, classico rifugio per i piccoli risparmiatori 2011 + 3,67% 2017 - 0,35% La discesa del Pil
pro capite Dal 2011 al 2017 il Pil pro capite degli italiani, cioè la ricchezza di ciascuno di noi, si è
significativamente ridotto 2011 26.869 2017 25.876
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 108
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Foto: GLI INVESTIMENTI INDUSTRIALI La Banca d'Italia osserva che gli investimenti industriali tornano
vigorosi, i segnali sono incoraggianti da tutti i comparti
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 109
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Ma così il Grande freddo ci ha cambiato la vita
Le differenze sono soprattutto per gli under 35 Là aumentano precarietà e povertà Rispetto al 2011 più debiti e meno spese. Export in corsa Nemmeno i tassi bassissimi frenano gli effetti di una lunga recessione: raddoppia il numero di chi non riesce a pagare il mutuo Crollano i redditi degli autonomi e tengono quelli dei dipendenti Bot e Btp piacciono di meno agli investitori stranieri ETTORE LIVINI
MILANO. L'Italia prepara l'operazione riaggancio. La remuntada - parola della Banca d'Italia - è iniziata. Nel
2019 il Pil nazionale tornerà ai livelli di inizio 2011, quando non avevamo ancora fatto i conti con le
fibrillazioni dei debiti sovrani e dello spread.
Unico problema: i numeri saranno (forse) quelli di allora, ma la crisi ha cambiato l'identikit della nazione. Il
Belpaese di oggi è il "gemello diverso" di quello di sei anni fa: molto più indebitato, con il 15% di famiglie in
più che vivono in povertà assoluta e un mercato del lavoro che non riesce a tenere il passo con la finanza.
Un Bengodi per chi fa affari in Borsa (Piazza Affari è già tornata ai prezzi del 2011) o può permettersi di
campare di rendite. Un disastro per chi cerca lavoro, visto che il tasso di disoccupazione è più alto del 41%
rispetto a quello di allora. Risultato: gli italiani costretti ad andare a cercar fortuna all'estero, con buona
pace delle illusioni ottiche del Pil, sono raddoppiati rispetto a sei anni fa.
Gli stranieri - abituati a leggere i numeri in controluce - hanno mangiato la foglia da tempo e non si fanno
troppe illusioni. È vero che la nostra economia dà segni di ripresa e che grazie ai piccoli miracoli quotidiani
del made in Italy esportiamo oggi il 10% in più del 2011. Ma il motore del Belpaese resta imballato. Gli
investimenti - pubblici e privati - sono crollati, il debito pubblico a carico di ogni italiano è salito dai 31.516
euro di sei anni fa ai 37.450 di oggi. E gli investitori esteri hanno tagliato drasticamente (non si sa mai) gli
acquisti di Bot e Btp: prima della crisi avevano in portafoglio il 42% dei titoli di Stato tricolori. Ora sono scesi
al 31% e hanno lasciato il cerino in mano alle banche di casa nostra.
I conti non tornano nemmeno nelle tasche degli italiani. Negli ultimi anni il crollo del potere d'acquisto del
ceto medio ha costretto gran parte delle famiglie a improvvisarsi ministri delle finanze (personali) e varare
dolorosissime finanziarie fai-da-te: abbiamo tagliato viaggi, usato meno le auto - 5mila tonnellate di
carburante "risparmiato" dal 2011 ad oggi - rimandato il cambio della lavatrice o quello della casa,
sforbiciato sfizi come ristoranti e cinema. Il 6,5% dei nostri concittadini - certifica l'Istat - è stato costretto
addirittura a rinunciare a curarsi per sbarcare il lunario. Ma è servito a poco: sei anni fa solo il 15% delle
famiglie era costretto a mettere mano ai risparmi o a indebitarsi per fare quadrare i conti di casa. Oggi sono
il 25%. Quando le cose vanno così, la crisi diventa un gatto che si morde la coda. Soldi sul conto corrente
ce ne sono sempre meno. Le entrate - complice l'aumento della disoccupazione e tanti giovani, il 37%, che
non trovano lavoro - calano. Le scadenze dei prestiti e dei mutui invece arrivano, puntuali come incubi, ogni
fine mese. E nemmeno i tassi scesi a livelli bassissimi grazie a San Mario Draghi sono bastati ad assorbire
lo choc della recessione: il numero di italiani che non riescono a onorare le rate è quasi raddoppiato: i
prestiti in sofferenza delle banche sono saliti dai 95 miliardi dell'era pre-spread ai 173 di oggi, trascinando
al crac - cronaca di queste settimane - qualche istituto di credito. La crisi, ovviamente, non è uguale per
tutti. La riduzione del Pil pro capite dai 26.869 euro del 2011 ai 25.876 di oggi nasconde una nazione che si
muove a differenti velocità. Dove chi dispone di rendite - come spiega l'Istat - può permettersi di spendere
senza pensarci troppo su, gonfiando consumi costosi come il "bio" e l'esotico. Mentre chi conta sul lavoro
sempre più precario - fatica a far quadrare i conti. La maledizione colpisce soprattutto i più giovani: il tasso
di povertà assoluta tra i 18-34 enni è molto più alto, il 10%, rispetto alla media nazionale. E il 70% degli
under-35, etichettati un po' a sproposito come bamboccioni o "choosy", è costretta a vivere con i genitori.
Lo "specchio" dei numeri del Pil, insomma, inganna. L'immagine reale dell'Italia oggi è molto diversa da
quella di sei anni fa. E molti, non a caso, preparano le valigie e vanno via: nel 2016 l'hanno fatto circa
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 110
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Pag. 3
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120mila persone, 60mila in più del 2011.
Gli indicatori economici
Pil attualizzato a valore 2011 (in miliardi)
33.837 33.516
Debito pubblico (in miliardi)
40.177 35.675
2.525 2.488
Debito pubblico in mano a stranieri
5,3%
6,1%
Investimenti (in miliardi)
21.487 21.460
Espor tazioni (in miliardi)
173 95
Impor tazioni (in miliardi)
Spesa per consumi (in miliardi)
OCCUPAZIONE
107.000 60.635
FINANZA PUBBLICA
FAMIGLIE
1.613
Reddito medio famiglia lavoratore dipendente
1.568
Reddito medio famiglia lavoratore autonomo
2.278
1.850
Spesa media mensile per famiglia
42%
31%
ECONOMIA REALE
Famiglie in pover tà assoluta in % sul totale
313
271
FINANZA E BANCHE
420 380
Valore Borsa (indice Ftse Mib)
446 438
Prestiti soerenza banche lordi (in miliardi)
937 970
EMIGRAZIONE
Italiani emigrati nell'anno
27%
37% Tasso disoccupazione giovanile (15-24 anni) 2011 2017* 2011 2017* * ultimi dati disponibili
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 111
17/07/2017
Pag. 1 N.27 - 17 luglio 2017
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finanza e borsa
Cdp, Anima e Poste alla partita del risparmio gestito
Vittoria Puledda
a pagina 19 Milano Grandi manovre sul risparmio gestito. Per ora è un film in movimento - e al centro delle
trame ci sono Anima, Poste, Aletti Gestielle e Cdp - ma è probabile che a fine anno il fermo immagine sia
ben diverso da quello iniziale. Il calcio d'avvio del risiko l'ha dato la vendita di Pioneer ad Amundi: da allora
sono passati sei mesi, ma se possibile un disegno di concentrazione del settore è diventato ancora più
urgente. Così, dopo aver sfondato la soglia di duemila miliardi di patrimonio, per fondi comuni e gestioni di
portafoglio, il mondo del risparmio gestito in Italia sta cercando un nuovo assetto. Partendo da una
considerazione: questa particolarissima industria è una delle più fiorenti nel nostro paese, ma anche una
delle più "strategiche". Basti pensare che solo nei portafogli dei fondi di diritto italiano (dati Bankitalia) su
245 miliardi di patrimonio netto circa 56 miliardi è costituito da titoli di Stato (il 23%). Poi ci sono i fondi
comuni formalmente di diritto estero ma sostanzialmente italianissimi (anche come scelte di investimento).
Se applicassimo la stessa percentuale, il 23%, all'intero paniere di fondi e gestioni venduti in italia tutto il
paniere, si arriverebbe a 460 miliardi di Btp (comprati e venduti). Ovvio quindi che ci sia un interesse
strategico a tenere la "proprietà" del risparmio degli italiani in capo a soggetti italiani, anche attraverso
operazioni di concentrazione del settore. La fotografia attuale Il quadro che emerge dai dati Assogestioni
mostra ampi spazi di aggregazione. Se i primi 5 gruppi hanno quote di mercato che sfiorano il 60%, dal
sesto al decimo le sgr arrivano appena ad un altro 14% aggregato e ancora dopo le quote sono ancora più
frastagliate, per quanto ci siano nomi di tutto rispetto, tra cui Azimut al 2,1%, Bnp Paribas all'1,8% e Arca
all'1,6%. E proprio su quest'ultima, reduce dal disastro delle due banche venete (che insieme hanno il 40%
della sgr) sono appuntate le scommesse del mercato, anche se fonti vicine al dossier ritengono che ci vorrà
almeno qualche mese prima di individuare una procedura di vendita compatibile con la procedura di
liquidazione ordinata di Popolare Vicenza e Veneto banca. Tuttavia, i compratori naturali restano Bper e
Popolare Sondrio, che insieme hanno il restante 54%. Semmai è un problema di prezzo, visto che gli
accordi distributivi con le venete sono ormai un ricordo del passato. Sullo sfondo c'è poi sempre Azimut.
Nell'ultimo paio di anni ha dimostrato grande dinamismo facendo shopping all'estero, ma in tempi non
lontani ha studiato anche qualche dossier in Italia. Un trend mondiale La tendenza ad unire le forze, del
resto, è un fenomeno mondiale, prima ancora che italiano. Anche all'estero, dove pure le dimensioni sono
ben maggiori, si va nella stessa direzione (ad esempio Henderson e Janus nel maggio scorso hanno
completato la fusione che ha creato un gruppo da oltre 330 miliardi di dollari di masse gestite). Una delle
ragioni che spingono alla concentrazione risiede nella diffusione crescente del modello di gestione passiva:
la punta dell'iceberg sono gli Etf, ma sempre più fondi hanno uno stile di gestione passivo - con la replica
automatica di un indice o di panieri di titoli e settori, con pochi costi per il cliente, pochissimi per le società di
gestione (e spesso risultati migliori per il cliente). Unire le forze significa avere grandissime economie di
scala, su prodotti in larga misura standardizzati. Collegato a questo c'è il fattore tecnologico. Avere
piattaforme aperte efficienti per vendere i prodotti, anche quando c'è una forma di intermediazione fisica da
parte del promotore, sta diventando sempre più importante - e costoso - per le sgr; senza contare la
concorrenza per ora limitata in Italia ma sempre più agguerrita del robo-advisor, la consulenza finanziaria
automatizzata. Gli investimenti necessari rendono quasi indispensabile aumentare la massa critica. La Mifid
2 Contorni e dettagli di come verrà applicata la direttiva europea non sono ancora chiari. Ma la sostanza è
delineata: ci saranno maggiori costi per le sgr (tra l'altro il prodotto andrà focalizzato sul proprio target di
clientela e il rapporto con la rete di distribuzione dovrà essere più articolato) e soprattutto ci sarà una
rendicontazione prima della vendita e poi successiva, annuale, su quanto il risparmiatore ha pagato
realmente. E il dato a consuntivo sarà forse quantificato in euro, non in percentuali (non tutto è stato già
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 112
17/07/2017
Pag. 1 N.27 - 17 luglio 2017
diffusione:400000
definito), il che significa che a fine anno il sottoscrittore saprà se ha pagato 150 o 1.500 euro per dare i
propri soldi in gestione: l'impatto, anche solo psicologico, sarà importante. Tutti si aspettano una pressione
per ridurre le spese da "girare" al sottoscrittore e di conseguenza i margini di guadagno per il settore del
risparmio gestito si assottiglieranno. C'è poi il capitolo collegato delle commissioni di performance: Banca
Generali, 52 miliardi di masse gestite a fine giugno, ha già annunciato che sui nuovi prodotti queste
commissioni saranno calcolate su base annuale e non trimestrale; chi può sta spingendo su prodotti gestiti
assicurativi (che ancora per un po' dovrebbero godere di maggiore libertà di azione) ma la strada è segnata
e, ancora una volta, spinge alla ricerca di sinergie sul fronte dei volumi. Un report di Mediobanca dedicato
al risparmio gestito arriva a conclusioni molto chiare: i costi vanno tagliati. In particolare lo studio analizza le
quattro società di risparmio gestito quotate (Azimut, Banca Fineco, Banca Generali e Mediolanum)
prendendo in considerazione 113 fondi (pari ad un terzo delle masse gestite). Ebbene, nella media le spese
correnti e le performance fee erodono circa la metà della performance lorda dei 113 fondi analizzati. Ma
tutto sommato per un settore che da tre anni macina solo successi il futuro continua ad avere il vento in
poppa. GENERALI INTESA SANPAOLO PIONEER INV. POSTE ITALIENE ANIMA HOLDING
BLACKROCK UBI BANCA AMUNDI ALLIANZ MEDIOLANUM FONTE: ASSOGESTIONI S. DI MEO
I PROTAGONISTI Claudio Costamagna , presidente della Cdp Michele Galeotti , pres. Aletti Gestielle Ugo
Loser , amministratore delegato di Arca sgr Giuseppe Castagna , amm. delegato Banco Bpm Matteo Del
Fante , ad di Poste Italiane Marco Carreri , ad di Anima Holding
Foto: La Cassa depositi e prestiti è al centro del risiko del risparmio gestito in Italia
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 113
17/07/2017
Pag. 1 N.27 - 17 luglio 2017
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L'INTERVISTA
Ruggiero: "Tiscali finalmente fa utili "
Stefano Carli
Tiscali ce l'ha fatta: a fine anno vedrà il suo primo utile netto. Dopo 19 anni di storia, a 17 anni di distanza
da quel marzo 2000 in cui il titolo raggiunse la quotazione record di 1.197 euro, con una crescita del
2.500% sull'Ipo di 5 mesi prima. Sono poi seguiti 15 anni difficili, in cui il gruppo creato da Renato Soru le
ha provate tutte: dall'espansione in Europa fino al lancio di piattaforme tecnologiche, come una pay tv in
streaming (ma era fine anni Novanta, troppo presto), e un motore di ricerca, Istella (ma Google non
lasciava già più spazio a nessuno). segue a pagina 16 segue dalla prima Ha poi messo a punto e lanciato
un social network, Indoona, ma era impossibile fronteggiare una Facebook in piena ascesa. Oggi
riperimetrata, risanata e guidata da due anni da un manager di lungo corso come Riccardo Ruggiero, ad di
Olivetti, di Infostrada e poi, dal 2001 al 2007, al vertice di Telecom Italia, ha ritrovato la via della crescita.
Spiega Ruggiero: «Sì, per la prima volta da anni torniamo a registrare utenti in crescita sia negli accessi a
banda larga che nel mobile. E le previsioni sono positive. Oggi abbiamo 450 mila utenti a banda larga e 200
mila utenti mobili sulla nostra piattaforma di operatore mobile virtuale. Ma soprattutto abbiamo due grandi
fattori di discontinuità tecnologica che ci stanno facendo consolidare questi numeri, aumentando di 20 punti
il margine di contribuzione: la possibilità di costruire reti Lte, ossia 4G, sulle nostre frequenze ex WiMax e
l'arrivo di Open Fiber che ci mette a disposizione fibra ottica in misura crescente, rapidamente e inoltre non
è un nostro concorrente». Partiamo dall'Lte «La nuova Tiscali è nata due anni fa dalla fusione con Aria, che
aveva in portafoglio una licenza WiMax nazionale per fare il Fixed Wireless, ossia portare connessioni
internet facendo l'ultimo milgio, fino a casa degli utenti, in ponte radio, in WiMax, appunto. Costi e limiti
tecnologici ne hanno però minato le potenzialità. Che invece abbiamo ora grazie alla tecnologia Lte». La
stessa delle reti mobili 4G? «Si, ma noi la usiamo non sulle frequenze mobili ma sulle nostre, la banda 42,
tra 3.400 e 3.600 megahertz. E il vantaggio è che è una tecnologia di banda ultralarga: possiamo portare
collegamenti internet a 100 mega. Il fixed wireless ci permette di coprire rapidamente il mercato delle aree
a densità medio-bassa di popolazione, comuni sotto i 30 mila abitanti. Parliamo di un bacino potenziale tra i
10 e i 15 milioni di utenti». Grosso modo le aree bianche? «Sì ma non solo, anche molte cosiddette grigie.
E sfatiamo un'opinione scorretta: sono aree in cui c'è una domanda fortissima di connessione. Stiamo
migrando i nostri utenti sull'Lte man mano che installiamo le nuove antenne e notiamo che ogni antenna
arriva rapidamente alla saturazione e dobbiamo installarne altre. In Toscana e in Emilia ma anche in Lazio,
Campania, Puglia. In Lombardia nella zona di Sondrio è pieno di piccole e medie imprese che hanno
bisogno di connessioni di grande capacità. Oggi la banda ultralarga è come l'adsl nel 2000: chi restava con
il vecchio dial up rimaneva tagliato fuori». Quando avete iniziato la migrazione? «Lo scorso settembre. Ad
oggi abbiamo aggiornato in Lte il 70% dei nostri 600 impianti e finiremo in ottobre, Poi entro l'anno avremo
50 nuove installazioni e arriveremo a coprire il 40% del territorio. Il grande vantaggio qui è che in 6 mesi
arriviamo dal progetto all'accensione delle nuove linee e i costi sono ottimizzati di 100 volte rispetto alla
posa di nuovi cavi». Che impatto avrà sui vostri conti tutto questo? «Il nostro obiettivo più immediato è di
ottimizzare la nostra base clienti con le nuove tecnologie. Oggi dei nostri 450 mila utenti a banda larga ne
abbiamo 90 mila in bitstream ossia compriamo da Telecom la banda, e 360 mila in unbundling, ossia
affittiamo il cavo finale sempre da Telecom. Su questi clienti abbiamo il "primo margine", ossia i ricavi meno
il costo del venduto, che è per il 90% targato Telecom, che viaggia tra il 70 e il 50%. Con l'Lte arriviamo al
90-95% perché l'infrastruttura è nostra. L'obiettivo è arrivare tra due anni ad affittare linee da Telecom per
non più del 20% del portafoglio utenti. Il resto sarà tutto fixed wireless e fibra fino a casa degli utenti». Ecco,
la fibra, dove la userete? «Intanto per collegare le nostre antenne. Poi, nelle maggiori aree urbane, dove
abbiamo una buona base di clienti. E dove Open Fiber ha acceso le sue reti noi già siamo attivi. A Milano,
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 114
17/07/2017
Pag. 1 N.27 - 17 luglio 2017
diffusione:400000
Bologna, Torino». Ma sono solo le città arrivate in Open Fiber con Metroweb? «Sono quelle più grandi, ma
Open Fiber è al lavoro a Perugia, Cagliari. Ecco, a Cagliari sulla rete Open Fiber appena aperta abbiamo
già migrato i primi 2.500 clienti. Ma siamo al lavoro anche su altre linee strategiche». Quali? «Tiscali è un
marchio che ha una storia, e ancora una forte presa in Italia. Ora siamo focalizzati sull'ultra broadband per
profittare in pieno della discontinuità tecnologica della fibra. Dobbiamo approfittare di questa congiuntura
positiva offrendo sulle connessioni ultraveloci anche dei servizi. Stiamo lavorando a partnership con chi
fornisce contenuti. Specie nel video. Con la nostra rete a 100 mega possiamo favorire l'espansione di
questo mercato fuori delle grandi aree urbane dove è finora concentrato». Il portale e il servizio di posta
elettronica rientrano nei piani? «Abbiamo 3 milioni di account mail attivi ed è una base reale su cui lavorare.
Il portale sarà di certo ancora importante, ma lavoriamo su una strategia multicanale, il web da solo oggi
vale un 30%. Ma la nostra rete di 1800 dealer, anche se non monobrand, e le agenzie sul territorio sono un
asset da valorizzare. Infine c'è il capitolo 5G, che interesserà anche la banda 42, le nostre frequenze: ci
stiamo già lavorando». È una Tiscali meno sarda oggi? «No, direi di no. Passo la maggior parte del mio
tempo in Sardegna. Aria era una realtà umbra e a Perugia abbiamo mantenuto un presidio, abbiamo uffici a
Milano, ma il cuore di Tiscali e la maggior parte dei suoi 700 addetti è qui in Sardegna». S. DI MEO1998
Renato Soru fondaTiscali: è l'effetto della liberalizzazione del mercato della telefonia fissa 2010
L'azione perde il 56% in un anno ed è il titolo peggiore di tutta Piazza Affari [ LA CRONOLOGIA 1999
Lancia Tiscali Free Net senza canone fisso. Quotazione in Borsa a 46 euro per azione 2011 Lancia il
servizio di messaggistica denominato Indoona ] 2000 Nel mese di marzo l'azione Tiscali vola a 1.197 euro :
vale quanto la Fiat 2012 Capitalizzazione ai minimi storici: un'azione vale 0,026 euro 2004 Soru lascia
l'azienda per la politica e diventa governatore della Regione Sardegna 2013 Con il Cnr mette a punto e
lancia il motore di ricerca Istella 2006 Con una campagna di acquisizioni diventa il quarto operatore internet
in Gran Bretagna 2015 Fusione con il gruppo Aria che porta in dote il WiMax. Soru esce dalla gestione ma
resta azionista 2007 Lancia Tiscali Tv , una pay tv via web su piattaforma Iptv ma dura un solo anno 2016
Cede a Fastweb Tiscali Business con dentro il contratto per l'accesso internet della Pa centrale 2009 Soru
rientra e lancia Tiscali Mobile . I debiti sono a 419 mlioni ed esce dal mercato inglese 2017 Tornano a
crescere gli utenti e ci sono le condizioni per un utile netto a fine anno
LA SCHEDA Nell'azionariato i soci russi Ict e Otkritie ma Soru resta attorno al 10% Anche Tiscali, come
Wind3, ha un cuore russo nel capitale. Sono russi i due fondi che ne controllano la maggioranza. Uno, Ict, è
un Pe emanazione della Polymetal, quarto gruppo mondiale dell'argento quotato anche a Londra. E' entrato
in Aria, la telco umbra del WiMax poi fusa in Tiscali, già dal 2001 e ne ha seguito tutto il percorso evolutivo.
Poi, per finanziare la crescita, ha cercato un altro partner e lo ha individuato in Otkritie prima banca privata
russa. Hanno rispettivamente il 16,2 e il 17,1% dei diritti di voto. Entrambi non hanno altre partecipazioni in
Italia. Renato Soru è rimasto nel capitale con una quota del 10,4% e un'altra quota fa capo direttamente a
Riccardo Ruggiero.
Qui sopra, il nuovo logo di Tiscali con il verde che sostituisce il colore viola delle origini
Foto: L'ad di Tiscali Riccardo Ruggiero
Foto: A lato, Riccardo Ruggiero ad di Tiscali Il Centro informatico di Tiscali a Cagliari in una foto del 2001 A
lato, il campus di Sa Illetta, vicino Cagliari, sede di Tiscali. Sopra, il logo di Indoona
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Npl, la riscossa di Unicredit ora ha il portafoglio crediti più "pulito" del
sistema
UNA RICERCA DI VALUE PARTNERS SUI BILANCI DEL PRIMO TRIMESTRE DEL 2017 E SUI DUE ANNI PRECEDENTI DEI PRIMI SETTE ISTITUTI ITALIANI MOSTRA CHE I NON PERFORMING LOANS STANNO SCENDENDO MENTRE LE BANCHE SI SONO RIORGANIZZATE Adriano Bonafede
Qual è la banca con il portafoglio crediti più pulito del reame italiano? Fino a ieri avremmo risposto senza
tema di smentita Intesa Sanpaolo. Ma dal primo trimestre di quest'anno c'è una nuova stella, Unicredit,
anche se Intesa si conferma molto solida. Il ritorno del gruppo guidato da Jeanne Pierre Mustier nell'Olimpo
dei migliori istituti di credito è fotografato da Value Partners, che ha preso in esame gli aggregati di bilancio
dei primi sette gruppi bancari italiani. E ha scoperto che quanto a incidenza dei crediti deteriorati sul totale
dei crediti lordi alla clientela e per grado di "copertura" degli stessi, Unicredit sta adesso davanti a tutti.
Oltre alle due banche già citate, la ricerca, realizzata da Antonino Del Gatto e da Lorenzo Privitera, ha
preso in considerazione anche Banco Bpm, Mps, Ubi Banca, Bper e Carige. Alla fine del primo trimestre
2017 Unicredit è in cima alla classifica nei tre parametri presi in considerazione: l'incidenza dei crediti
deteriorati lordi sul totale è dell'11,4 per cento, la percentuale di copertura dei deteriorati è del 56,3 per
cento; ciò vuol dire che su un credito di 100 euro che non sarà probabilmente restituito ci sono
accantonamenti prudenziali per 56,3 euro. Inoltre, il costo del rischio di credito annualizzato (ovvero il
rapporto tra le rettifiche nette sui crediti e il volume medio dei crediti nel periodo) è di 60 basis point. Questo
dato fotografa in sostanza le perdite generate dai crediti nel primo trimestre. Intesa è subito dietro: 14,4%
l'incidenza degli Npl (non performing loans, ovvero crediti deteriorati), 48,7% la copertura di questi ultimi e
76 il costo del rischio di credito annualizzato. Dal punto di vista del valore assoluto dei crediti deteriorati
lordi, Intesa e Unicredit sono quasi appaiate: 57 miliardi la prima, 55,3 la seconda. Già questi dati
dimostrano che le ultime azioni portate avanti dall'ad Jean-Pierre Mustier sono state azzeccate, seppur
estremamente costose: l'aumento di capitale di Unicredit del 2016 è stato di 13 miliardi e, considerando
anche gli altri tre dal 2008 al 2013, si arriva a circa 28 miliardi. Al contrario - e non è un merito da poco - il
ceo di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, non ha chiesto ai propri azionisti alcun sacrificio dopo la
ricapitalizzazione prudenziale di 5 miliardi nel 2009 e ha sempre autofinanziato le rettifiche e gli
accantonamenti di bilancio. Sicuramente gli azionisti di Unicredit avrebbero ben gradito un destino simile a
quello degli azionisti di Intesa. Meglio ancora di Intesa, dal punto di vista dell'incidenza degli Npl sul totale
dei crediti, è Ubi Banca, con il 13,9 per cento, secondo i dati elaborati da Value Partners. Per l'istituto
guidato da Victor Massiah, si vede però un più basso livello di copertura dei crediti deteriorati, il 35,8%, ma
questo dato è compensato da un surplus di garanzie reali che mitiga le potenziali perdite sui crediti. Solide
anche le posizioni di Banco Bpm, con un'incidenza di crediti deteriorati lordi del 23,3 per cento e una
copertura del 48,2 per cento, e di Bper (21,7 e 45,6 per cento). Le "pecore nere" le conosciamo già, per gli
avvenimenti di cronaca di questi ultimi anni. Monte dei Paschi e Carige hanno entrambe un'incidenza molto
elevata degli Npl, 35,7 per cento la prima e 34 la seconda: ancora più di un terzo di tutti i finanziamenti in
essere sono ammalorati. Però per Mps la copertura è alta, 56,1 per cento, meno per Carige (46,4 per
cento). Il primo trimestre di quest'anno ha portato buone notizie per le principali banche presenti nel
campione esaminato da Value Partners. I crediti deteriorati sono diminuiti dell'1,8 per cento per Unicredit
(dopo la riduzione del 27,6 per cento già registrata nel 2016 prevalentemente per l'operazione Fino, la
vendita di uno stock di 17 miliardi di Npl), del 2% per Intesa (dopo una riduzione del 7,9% nel 2016), dello
0,9% per Ubi e dell'1,2% per Bper. Segno che la svolta c'è stata, almeno per gli istituti migliori. Solito ritardo
per Mps, dove questo dato è aumentato ancora, in controtendenza, con un incremento dello 0,4 per cento,
mentre per Carige la situazione non è né migliorata né peggiorata (0,0). Situazione particolare per Banco
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Bpm, dove i crediti deteriorati sono cresciuti del 12 per cento «ma per una mera operazione di
ricontabilizzazione degli stralci per circa 3,5 miliardi nelle sofferenze» - spiega il partner Antonino Del Gatto.
«Al netto di questo caso, tutto il sistema sta dimostrando una riduzione dei non performing loans e, in
particolare, delle sofferenze». Unicredit è passato da 77,8 a 55,3 miliardi di crediti deteriorati tra il 2015 e il
primo trimestre 2017. Intesa da 63,1 a 56,9 nello stesso lasso di tempo. Ubi è scesa da 13,4 a 12,4 miliardi.
Bper da 11,4 a 11 miliardi. Stock in crescita soltanto per Carige (da 6,8 a 7,3 miliardi) e per Banco Bpm (da
26,6 a 29), ma come si è detto prima ciò dipende esclusivamente da un effetto di ricontabilizzazione degli
stralci per circa 3,5 miliardi nelle sofferenze. Si può guardare adesso con maggiore ottimismo al futuro del
sistema bancario italiano. «Il picco è alle spalle. Dopo anni di lavoro - spiega Del Gatto - ci troviamo in una
situazione nuova: si stanno riducendo i crediti deteriorati e anche le sofferenze, la cui gestione richiede
però tempi più lunghi. Le banche sono riuscite ad arginare il flusso in ingresso da crediti in bonis a
deteriorati e ora stanno cominciando a lavorare sul work out , ovvero sul recupero». Per raggiungere questi
obiettivi le banche hanno dovuto ripensare alla propria organizzazione. «Se guardiamo le tre fasi del credito
- dice il partner di Value Partners - ovvero erogazione, monitoraggio andamentale (controllo e gestione
delle anomalie emergenti prima che si verifichi l'insolvenza, ndr ) e work out , vediamo che gli istituti
avevano in passato concentrato le risorse umane commerciali e creditizie nella prima fase, in termini sia
quantitativi, sia qualitativi. Nel monitoraggio, invece, pur avendo spesso sviluppato algoritmi di allerta
precoce e messo a punto processi e strumenti per la gestione tempestiva delle prime anomalie, è mancata
la capacità dell'organizzazione di attuare le strategie di mitigazione con i clienti che presentavano una
rischiosità in aumento». Per la fase di recupero, le banche non hanno mai mostrato grande attenzione:
«Hanno spesso gestito le sofferenze come attività residuali». L'esplosione delle sofferenze ha però
condotto gli istituti a rivedere la propria organizzazione: «Hanno dapprima lavorato sulla fase di
monitoraggio andamentale, per ridurre i flussi da crediti in bonis a deteriorati, e poi hanno cominciato ad
agire sulla riduzione dei volumi di deteriorati», spiega Del Gatto. «La situazione si è drasticamente
migliorata: le strutture interne di recupero crediti si sono rafforzate, sono cresciuti i servicer esterni per la
gestione degli Npl e soprattutto è cresciuta la domanda da parte di investitori pronti a comprare portafogli di
crediti deteriorati». JEAN PIERRE MUSTIER UNICREDIT CARLO MESSINA INTESA SANPAOLO
GIUSEPPE CASTAGNA BANCO BPM MARCO MORELLI MPS VICTOR MASSIAH UBI BANCA
ALESSANDRO VANDELLI BPER BANCA PAOLO FIORENTINO BANCA CARIGE FONTE: VALUE
PARTNERS S. DI MEO 218 MILIARDI DI EURO È l'ammontare dei crediti deteriorati lordi delle prime sette
banche italiane, l'incidenza sul totale finanziamenti è in media del 16,8 per cento 51,2 PER CENTO È la
copertura media dei crediti deteriorati per le sette principali banche incluse nel panel di Value Partners. Più
alta la copertura per Unicredit e per Mps
Foto: Antonio Patuelli , presidente dell'Abi
Foto: Ignazio Visco , governatore della Banca d'Italia
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L'ANALISI
Atlante, la fase 3 parte con Cerved sfiderà la Sga pubblica e i fondi privati
IL VEICOLO DI PENATI, FINITI I LAVORI SU VENETE E MPS, CHIUDE: MA QUAESTIO RILANCIA. L'EX SOCIETÀ DI GESTIONE DEL BANCO NAPOLI TORNA IN AUGE, MENTRE CBA PROPONE UN MAXI FONDO DI RISTRUTTURAZIONE Andrea Greco
Instradate nel torrido luglio le soluzioni alle crisi bancarie in Veneto e Toscana, il troppo evocato "mercato
del cattivo credito" svolta ed entra in una fase nuova. C'è ormai una varietà di operatori tra pubblici, misti e
privati, oltre a una crescente differenziazione degli interventi, tra i vari tipi di cartolarizzazione (per rivendere
in tranche i crediti rilevati dagli istituti) e le soluzioni a più ampio spettro, centrate sul riassetto delle imprese
indebitate; c'è chi prepara un "fondo di ristrutturazione nazionale", dove le banche possano conferire crediti
ricevendo quote di un veicolo che poi raccoglierà fondi di terzi per curare le situazioni critiche con tempi e
costi più efficienti, evitando cessioni massicce che penalizzino i bilanci bancari. Progetti e investitori,
comunque, ce n'è a iosa: difatti Pwc ha titolato il censimento 2016 sui Non performing loan italiani The
Place To Be , per volumi di Npl (benché in calo del 5% ancora a 324 miliardi, sui picchi europei) e per «i
profondi segnali di evoluzione e consolidamento tra gli operatori», per cui il gruppo di consulenti stima
transazioni sugli Npl oltre i 60 miliardi nel 2017. È interessante capire come si muoverà questo traffico in
aumento. Gli operatori misti Il fondo Atlante, in cui su 5 miliardi quasi uno arriva dalla mano pubblica - e 538
milioni dalle Fondazioni ex bancarie - ha aperto le danze. Usando servicer specializzati, perché il fondo di
Alessandro Penati "non gira i bulloni", ha il merito di avere rotto il velo di ipocrisia e denegazione invalso
per anni quando si parlava di crediti problematici, e di aver offerto una soluzione pragmatica per operazioni
a prezzi di mercato, ma anche rendimenti compatibili con i bilanci dei venditori: le quattro banche ponte,
Montepaschi, le tre Casse di Cesena, Rimini e San Miniato (dossier aperto). Comunque luglio dovrebbe
essere l'ultimo mese di vita per il fondo dal nome del Titano. Già in settimana i quotisti di Atlante
dovrebbero esaminare la proposta di liquidazione del fondo I, i cui investimenti da 3,5 miliardi nelle due
banche venete sono stati azzerati dalla messa in liquidazione coatta degli istituti; mentre Atlante II, attivo su
sofferenze e incagli con leva finanziaria attorno a 18 e un ritorno atteso sul 10%, con l'acquisto delle
tranche Mps dovrebbe esaurire le residue munizioni. Ma il gestore Quaestio intende restare nella nicchia,
facendo tesoro del lavoro di quest'anno: la partnership in stesura con Cerved per rilevare la piattaforma
gestionale di Mps sarà la premessa per cercare nuovi fondi privati e nuove cartolarizzazioni di crediti, con
approccio meno aggressivo rispetto agli operatori specializzati. Tra questi rimangono Fonspa e
Italfondiario, candidati a investire sulle note Mps con Atlante ma poi sfilatisi per divergenze sui prezzi.
Cerved, gruppo autonomo e quotato in Borsa, è oggi vista da Penati & C come il migliore alleato e per un
prossimo polo comune nel recupero crediti. Sga e Rev, i veicoli "pubblici" La nomina di Marina Natale come
ad della Società di gestione di attività (Sga) conferma che per il veicolo del recupero crediti del Banco di
Napoli c'è un futuro, e riguarda i miliardi - fino a 20 in prospettiva - di sofferenze e altri crediti difficili erogati
a Vicenza e a Montebelluna nel ventennio delle gestioni spensierate di Gianni Zonin e di Vincenzo Consoli.
L'esperienza campana, iniziata nel 1996, è stata positiva: dei 6,3 miliardi di Npl ne è stato recuperato il
90%. Tuttavia, erano tipologie di crediti diverse: molti debitori erano solvibili. Inoltre quei conti fatti ex post
raramente comprendono il fattore tempo, capace di limare notevolmente le performance: gli operatori
specializzati sottraggono un 10% per ogni anno ai loro ritorni attesi. Guardando al futuro per giudicare la
nuova Sga bisognerà mettere a matrice l'ampiezza dei contributi statali usati - almeno una decina di
miliardi, per finanziare gli attivi in arrivo dalle banche venete - e il valore del tempo, che s'annuncia
ultradecennale. Certo sarà ardimentoso raggiungere le curve di recupero del 55% che l'ufficio studi di
Bankitalia ha ipotizzato sugli Npl veneti. È oltre il doppio del prezzo a cui Atlante trattava l'acquisto delle
sofferenze di Vicenza e Montebelluna: ma così il Tesoro ha potuto dire che dall'operazione - che mobilita
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17 miliardi pubblici - alla fine potrebbe guadagnare. La galassia Sga in prospettiva, potrebbe attirare la Rev,
che gestisce gli Npl di Banca Marche, Etruria, Carichieti e Cariferrara, proprietà del Fondo nazionale di
risoluzione (gestito da Bankitalia e alimentato dagli istituti che operano nel Paese). Rev ha sprecato il 2016
tra burocrazia e rimescolamenti al vertice, ma ora sta mandando a regime iniziative - lo ha confermato in
Commissione finanze il sottosegretario Baretta - «che comprendono la ricerca di nuovi operatori di
servicing tramite procedure di selezione, e la messa a punto di operazioni di cessione crediti sul mercato». I
fondi privati A lato dei grandi attori delle cartolarizzazioni - quella su Mps è la maggiore d'Europa - stanno le
iniziative tutte private, sul modello delle Asset management company ben viste dall'Eba di Londra, oltre che
dal governatore Ignazio Visco. Una modalità, questa, che avrebbe il significativo vantaggio di non
richiedere denaro alle banche, che ne hanno fin troppo bisogno per sé (Atlante ha fatto emergere tale
limite), e di velocizzare le procedure e razionalizzarne i costi. Lo studio Cba, con cui lavorano i principali
fondi privati operanti nella nicchia, sta sondando le istituzioni e gli operatori per avviare un Fondo di
ristrutturazione nazionale che rilanci gli istituti puntando sulla valorizzazione interna dei crediti più che sulla
loro cessione. La cornice normativa, come emerge una bozza di Cba inviata a investitori e alle istituzioni, è
il fondo di ristrutturazione, in cui le banche conferiscono i crediti a un veicolo ricevendone in cambio le
quote. Il veicolo si dota di squadre di ristrutturazione fornite dalle banche che apportano i crediti, può
raccogliere capitale di terzi (fondi o casse di previdenza) come nuova finanza per l'attività di
ristrutturazione, che svolge un management indipendente su cui nessuna banca ha il controllo. Le
distribuzioni di incassi creditizi non saranno riconducibili ai singoli prestiti, per consentire il loro
deconsolidamento dai bilanci bancari, il miglioramento degli attivi ponderati per il rischio, oltre che minori
costi di struttura e di gestione dei contenziosi per gli istituti (a vantaggio anche dei debitori). All'atto del
recupero crediti i flussi sono distribuiti alle singole banche, con allineamento dei loro interessi con gli
investitori e i gestori. Per mutualizzare i portafogli crediti, però, va trovata la volontà comune dei finanziatori
di un'azienda, e un prezzo di conferimento che li metta tutti d'accordo. Non facile, in questo litigioso paese.
Allo scopo, Cba suggerisce alcune modifiche normative come il credit drag along , già in uso
nell'ordinamento anglosassone per forzare gli istituti a cedere certi crediti a determinate condizioni. «Ha
ragione da vendere il governatore quando dice che le banche non devono pensare solo alle
cartolarizzazioni, ma a un insieme di operazioni per migliorare la qualità dei loro crediti - dice Angelo
Bonissoni, managing partner dello studio Cba - Ma abbiamo bisogno di norme nuove: non si vince questa
guerra con le cerbottane». FONTE: RAPPORTO BANCHE CER S. DI MEO
Foto: Alessandro Penati (1), presidente di Quaestio sgr, Marina Natale (2), amm. delegato della Sga e
Angelo Bonissoni (3), managing partner dello studio legale Cba. In alto, la sede della Banca d'Italia
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FAR WEST
WALL STREET TREMA IN USA ARRIVA LA CLASS ACTION CONTRO LE
BANCHE
Antonello Guerrera
Banche, consumatori e governi, un intreccio sempre più complicato. Se in Italia l'ultimo problema è il
salvataggio delle banche venete e in Europa la conseguente discussione sul destino del "bail-in", negli Stati
Uniti da giorni si parla di una riforma delle norme e soprattutto dei diritti dei clienti degli istituti di credito. La
miccia l'ha accesa Richard Cordray, il direttore del Consumer Financial Protection Bureau (Cfpb), l'agenzia
federale del governo degli Stati Uniti che si occupa della protezione del consumatore in campo finanziario.
Cordray, scelto dall'ex presidente democratico Barack Obama durante il suo secondo mandato, ha
annunciato la settimana scorsa una rivoluzione in terra americana: l'abolizione della clausola "mandatory
arbitration", e cioè le banche e le compagnie fornitrici di carte di credito, nei contratti, non potranno più
negare ai clienti il diritto di ricorrere alla class action, cioe a ricorsi collettivi, qualora reputassero violati i loro
diritti o gli istituti infrangessero le norme. Sinora questo è permesso solo ai militari e ai civili ma
esclusivamente per i contratti di mutuo. In tutti gli altri casi, e sono la stragrande maggioranza, il cliente è
costretto a denunciare da solo la banca, in arbitrati individuali, accollandosi tutte le spese legali, spesso
insostenibili. E così molti, secondo Cordray, rinunciano a far valere i propri diritti. La mossa di Cordray è
stata subito aspramente criticata dai repubblicani, che hanno già annunciato di volerla affossare al
Congresso, essendo in maggioranza sia la Camera dei Rappresentanti che il Senato. E anche Keith
Noreika, responsabile dell'ufficio di controllo valuta (l'organismo di controllo delle banche americane)
nominato da Trump, ha fatto capire che non se ne parla proprio, esprimendo "viva preoccupazione" per il
piano di Cordray: "Così si arrichiranno solo gli avvocati delle class action, ai consumatori andranno meno
soldi e la qualità dei servizi scenderà". Il fronte dei contrari è molto ampio: da quello della Camera di
Commercio al Wall Street Journal, che in un editoriale ha attaccato duramente Cordray e i "danni finanziari"
che potrebbe provocare. Ma i sostenitori della legge non mollano. E alcuni stati, come la California, stanno
già pensando di dare più libertà di denuncia ai clienti, con o senza il consenso federale. La battaglia è
appena cominciata.
Foto: Richard Cordray , direttore del Consumer Financial Protection Bureau
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"Credito, utility, torri: è tempo di fusioni" la ricetta dei ceo a rapporto da
Mediobanca
IL QUADRO CHE EMERGE DALLE TAVOLE ROTONDE A PORTE CHIUSE E DAGLI INCONTRI ORGANIZZATI DALL'ISTITUTO TRA UNA SESSANTINA DI AZIENDE E QUASI DUECENTO INVESTITORI ISTITUZIONALI È MOLTO POSITIVO PER LE PROSPETTIVE DELL'ITALIA Sara Bennewitz
Milano Mediobanca convoca gli amministratori delegati di alcune delle maggiori aziende italiane, e non
solo, per tirare le fila su come sta andando l'economia e su quali scenari si profilano all'orizzonte nei diversi
mercati. Il quadro che emerge dalle tavole rotonde - a porte chiuse - e dagli incontri tra una sessantina di
aziende e quasi duecento investitori istituzionali è molto positivo. Per prima cosa perché i fund manager
stranieri sono convinti che le aziende italiane vadano meglio del Paese, e che i risultati della seconda metà
del 2017 possano regalare buone performance. In secondo luogo perché la ritrovata fiducia degli investitori
e dei capitani d'industria darà vita a un nuova ondata di fusioni e acquisizioni. E in particolare i settori, che a
detta degli amministratori delegati presenti all'incontro di Mediobanca, necessitano di una nuova ondata di
consolidamento sono tre: quello bancario, quello delle multiutility dei servizi e quello delle torri di
trasmissione e delle infrastrutture. Banche La prima ondata di fusioni e acquisizioni che si è verificata, è
stata fatta a prezzi simbolici, dove alcuni grandi istituti si sono fatti carico di altri medio piccoli, con un forte
presidio locale e in difficoltà. Ma ora che i principali istituti hanno rafforzato il capitale e il grosso delle
pulizie di bilancio è stato portato a termine, banchieri e investitori si aspettano una nuova ondata di
consolidamenti. In un settore maturo e ciclico come quello del credito, la necessità di avere dimensioni di
scala si fa più impellente per avere un costo della raccolta più basso e per eliminare o ridurre gli
investimenti in tecnologi e i costi centrali spalmandoli su una maggiore fonte di ricavi. Infine una spinta
all'M&A arriverà anche dalla Bce, che entro fine anno chiederà ai vari istituti di migliorare la qualità dei loro
attivi. E ancora una volta nel ballo delle fusioni e delle acquisizioni, chi conduce le danze sarà premiato. In
quest'ottica, ma non solo, la lista dei titoli su cui puntare secondo gli esperti di Mediobanca si riduce a un
pocker di nomi: Bper (giudicata outperform con un target price di 5,9 euro per azione), Credem (outperform
con un obiettivo di 8,3 euro), Ubi (outperform fino al prezzo di 4,7 euro) e Unicredit (outperform con target a
20 euro). Tuttavia, gli esperti di Piazzetta Cuccia continuano a consigliare anche l'acquisto di Anima (e
Banca Generali nel risparmio gestito), e di Cerved e Ifis nella gestione dei crediti di cattiva qualità. Multi
utility Il consolidamento tra le ex municipalizzate proseguirà, e questo dovrebbe creare dei vantaggi sia per
le aziende che per i consumatori finali, che beneficeranno di un miglior servizio. C'è bisogno di più
investimenti, e anche di una maggiore regolamentazione. E in questo, il trasferimento delle competenze in
tema di trattamento dei rifiuti all'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, dovrebbe facilitare il
processo di aggregazioni, tanto più che sia nel trattamento dei rifiuti che nel settore dell'acqua, mettere
insieme le forze e fare massa critica sarà cruciale anche in vista di una crescente sensibilità per
un'economia circolare e per la riduzione degli sprechi. Ma anche nel settore del gas, c'è da attendersi
nuove fusioni e acquisizioni, Del resto lo scorporo di Itagals dalla rete di Snam era stato portato avanti
proprio per questo motivo, e la società guidata da Paolo Gallo, quotandosi sul mercato con una sua
struttura ad hoc - si prestava ad essere il veicolo che avrebbe facilitato l'aggregazione delle tante realtà
locali presenti sul territorio. E tra le vari multiutility, la preferita di Mediobanca è Iren (giudicata outperform
con un target di 2,2 euro per azione) ma anche Hera (outperform a 2,9 euro). Torri di trasmissione
Nell'attesa dell'arrivo sul mercato del quarto operatore mobile, la francese Iliad, si è riaccesa la
competizione sul mercato della telefonia mobile. L'arrivo della rete di quinta generazione, fatta di "small
cell", imporrà invece nuovi investimenti in tecnologia. Secondo gli esperti, per una rete capillare 5g, per
ogni torre ci vorranno almeno 10 small cell, il che significa che in Italia gli operatori dovranno investire 2-3
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 121
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miliardi in conto capitale. Questo fornirà un altra spinta al consolidamento in Italia, sia nelle torri telefoniche
che in quelle televisive, anche perché il rischio che i grandi player mondiali come Crown Castle e American
Tower sbarchino in Europa si fa più concreto. L'indiziato numero uno per agevolare lo sbarco degli
americani è la Cellnex controllata da Abertis, che se andasse in porto l'Opas di Atlantia finirebbe in mani
italiane, oltre a controllare la terza rete di torri telefoniche dopo Vodafone e la Inwit di Telecom e quella di
Vodafone. Se Cellnex dinventasse parte di un gruppo più grande, c'è da aspettarsi a cascata un nuovo
consolidamento anche per i rivali. Stesso discorso per Rai Way e la Ei Towers controllata al 40% da
Mediaset, che sono destinate a fondersi in un unica realtà a medio termine. Mediobanca consiglia di
sovrapesare sia Inwit (target a 5,86 euro), Ei Towers (fino a 64 euro) e Ray Way (target 5,76). FONTE:
MEDIOBANCA SECURITIES S. DI MEO
Foto: Paolo Gallo (1), amm. delegato di Snam e Giovanni Castellucci (2), ad di Atlantia
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 122
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Città d'arte, mari, monti e terme Il turismo vale il 4,2% del Pil
IL RAPPORTO "UNICREDIT 4 TOURISM" PER IL 2017. IL FATTURATO TOCCA I 70 MILIARDI, CON L'INDOTTO SUPERA QUOTA 170. IL CUORE DEL SISTEMA MADE IN ITALY BATTE A NORD-EST. E DALL'ESTERO SONO ARRIVATI 50 MILIONI DI VISITATORI: MA MANCANO LE STRUTTURE DI LUSSO Flavio Bini
Anche quest'anno bisognerà dire grazie a ombrelloni, lettini, agriturismi, camere d'albergo, impianti di
risalita e centri termali. Una fetta consistente della ripresa economica che ci ha riportato verso l'1% di
crescita lo scorso anno passa da qui. Le mille articolazioni di un'industria, quella del turismo, che in Italia
valeva, nel 2016, 70,2 miliardi di euro, il 4,2% del Pil, che salgono a 172,8 se si considera l'intero indotto,
dando lavoro fino a 2,7 milioni di persone. Sono alcuni dei numeri tracciati dal "Rapporto sul turismo 2017"
realizzato da Unicredit in collaborazione con il Touring Club Italiano, una panoramica sul settore costellata
di segni più. Da Nord a Sud, dal mare alla montagna, dalle grandi città ai piccoli centri, il fatturato della
Turismo Spa avanza senza sosta. Le tensioni geopolitiche Terrorismo e crisi internazionali non sembrano
arrestare una ripresa che va avanti già da molti anni. Il 2016 ha visto registrare il nuovo record a livello
mondiale con 1,2 miliardi di arrivi internazionali, in aumento del 3,6% rispetto al 2015, con incrementi in
tutte le aree del mondo ad eccezione del Medio-Oriente. L'Italia, con 50,7 milioni di arrivi stranieri, si
posiziona al quinto posto tra i Paesi più visitati del mondo dopo Francia, Usa, Spagna e Cina e registra
tassi di crescita superiori ai propri vicini europei. Le tensioni geopolitiche risultano invece determinanti nello
scatto registrato dal nostro Paese. «Questa componente è senz'altro rilevante se si si pensa che sono
diminuiti i competitor nel bacino del Mediterraneo e la Turchia ha avuto crolli del 30-40%», spiega Matteo
Montebelli, direttore del Centro Studi del Touring Club e tra gli autori del rapporto. «Se poi consideriamo gli
effetti che cominciano a sentirsi sul 2017 del calo delle presenze in Francia, si può dire che tutte queste
concause ci abbiano senz'altro dato un vantaggio. Un vantaggio che però non è strategico e che potrebbe
non durare a lungo». E se il dato sui flussi stranieri in Italia resta positivo da alcuni anni, aggiungendo la
netta ripresa del turismo interno il dato complessivo è impressionante. Per ogni cittadino residente, arrivano
in Italia circa due turisti. Sono 113 milioni gli arrivi registrati nel nostro Paese nel 2015, ultimo dato
disponibile dai rilevamenti Istat. Un dato diviso quasi a metà tra cittadini stranieri e italiani, con percentuali
in crescita rispetto all'anno precedente. Fa ben sperare la risalita dei flussi domestici (+6,2%) in costante
calo negli anni della crisi. «Le previsioni restano positive anche per i prossimi anni con prospettive di
espansione nel medio termine», spiega Giovanni Ronca, Co-Responsabile per l'Italia delle attività di
commercial banking di Unicredit. «Con il progetto "Unicredit 4 Tourism" partito ad aprile 2015, continuiamo
a supportare l'industria turistica italiana e ad oggi, all'interno del progetto, abbiamo già erogato oltre 1,3
miliardi di euro al settore turistico e acquisito circa 13.000 nuovi clienti». Se l'eccessivo surplus
commerciale spaventa alcuni Paesi europei, l'export di turisti tedeschi fa più che bene alla nostra industria.
Con quasi 53,3 milioni di presenze (cioè numero di notti trascorse) su 196,2 totali, si confermano
stabilmente al primo posto. In altre parole, poco più di un turista su quattro è made in Germany. La vera
novità arriva però dall'Estremo oriente. Per la prima volta entra nella top ten la Cina, all'ottavo posto con 5,8
milioni di presenze, pari al 7,3% del totale. L'evoluzione delle strutture ricettive presenti lungo il nostro
territorio permette anche di capire qualcosa di più sull'identikit del turista e sulle sue esigenze. Se l'enorme
parco-hotel italiano è costituito prevalentemente da strutture a 3 stelle (circa il 46,3%), scendono
percentualmente rispetto all'anno precedente il numero di alberghi a 1 e 2 stelle, diminuiti in cinque anni
rispettivamente del 22,9% e dell'11,1%. Sale invece la domanda di strutture di lusso: gli hotel a cinque
stelle sono cresciuti dai 362 del 2010 ai 442 del 2015, con un balzo del 22,1%. L'agriturismo Incremento a
due cifre invece per gli agriturismo che segnano oltre 11 milioni di presenze, più della metà straniere, e un
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 123
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tasso di crescita rispetto al 2010 del 19%. Una realtà che piace ai viaggiatori ma che seduce anche il
mondo delle imprese, salite nel 2015 a 22 mila in aumento rispetto al 2014. Bisogna puntare lo sguardo a
Nord-Est per trovare i cuori pulsanti dell'industria turistica italiana. Gli 11.930 sanmichelini, i residenti San
Michele al Tagliamento in provincia di Venezia, possono sventolare davanti al resto del Paese un primato
da far impallidire i concorrenti. Con 80.016 posti letto - più di sette per abitante- guidano la classifica delle
località balneari, precedendo Rimini e Jesolo. Merito, soprattutto degli 11,5 chilometri della spiaggia di
Bibione che ogni anno attira turisti da tutta Europa. Più a Nord, Cortina d'Ampezzo primeggia tra le località
montane con 18.174 posti letto, staccando nettamente Castelrotto (8.778) e Badia (8.637). Ma i 70,2
miliardi di Pil dell'industria turistica non si devono soltanto a costumi da bagno e piste da sci. La ricerca di
Unicredit si sofferma anche sulle forme di turismo meno tradizionale che contribuiscono comunque in
maniera decisiva a spingere il settore. Ne sa qualcosa Montecatini Terme, reginetta italiana del turismo
termale grazie ai suoi 13.480 posti letto, che traina la crescita del segmento benessere in Italia, salito in
percentuale del 3,8% in 5 anni, toccando nel 2015 3,8 milioni di arrivi. Non secondario l'apporto fornito dal
turismo congressuale, pari a 35 milioni di presenze, poco meno del 10% dei 393 milioni totali. Rischio
"overtourism" Ma più di tutto è ancora la cultura a guidare la classifica del turismo in Italia. Il 36,2% degli
arrivi nel nostro Paese è dislocato tra le più tradizionali località storico-artistiche, con Roma, Milano e
Venezia a conquistarsi il podio. Soggiorni che alimentano in maniera consistente il salvadanaio delle risorse
affluite grazie all'industria turistica. I soli viaggiatori stranieri ad esempio riversano nei nostri bar, ristoranti,
alberghi e negozi di souvenir qualcosa come 13 miliardi di euro l'anno, quasi un punto di pil. I numeri in
crescita fissa dell'industria turistica evidenziano anche però un rischio opposto. È quello del cosiddetto
"overtourism", il rischio di sovraccarico in realtà non i grado di sopportare flussi così consistenti. Dal 1
giugno ad esempio il Parco delle Cinque Terre ha introdotto una card per limitare gli accessi ai sentieri,
cercando così di alleggerire la congestione di un'area particolarmente sotto stress. «Si tratta di un tema
rilevante - osserva Montebelli - ma che va affrontato con strumenti diversi a seconda dei casi. La card può
essere una risposta, ma quando parliamo di grandi città è evidente che la soluzione non può essere un
limite agli accessi. È fondamentale il tema informativo, cioè lavorare soprattutto per fornire ai viaggiatori
un'offerta il più possibile ampia, allargando così il bacino delle aree visitabili, soprattutto da parte dei
cosiddetti turisti di ritorno». Le grandi città si stanno già attrezzando in questo senso. «Amsterdam ad
esempio ha un grande problema di centro storico e una soluzione individuata dall'amministrazione è stata
quella di rinominare alcune aree che venivano prima percepite estranee alla città associandole al nome
Amsterdam, creando così nuovi poli di attrazione». FONTE: INDAGINE CENTRO STUDI TCI, DIC. 2016
FONTE: BANCA D'ITALIA FONTE: ISTAT FONTE: ITALIAN CRUISE WATCH 2016 FONTE: REGIONE
VENETO S. DI MEO
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 124
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"Sgravi e incentivi ai manager per entrare nel capitale delle Pmi"
INTERVISTA A GIORGIO AMBROGIONI, PRESIDENTE DELLA CIDA, LA CONFEDERAZIONE DEI DIRIGENTI, CHE VUOLE APRIRE UN CONFRONTO CON LA POLITICA: "COSÌ POTREMO AFFIANCARE LE FAMIGLIE PROPRIETARIE E CONTRASTARE I FONDI AVVOLTOIO" Adriano Bonafede
Roma «Idirigenti italiani vogliono tornare protagonisti nel dibattito sociale, politico ed economico. In Italia ci
sono 397 mila manager che finora non si sono mossi come classe dirigente del paese e che ora vogliono
cominciare a farlo». È bellicoso Giorgio Ambrogioni, presidente della Cida, la confederazione dei dirigenti
d'impresa che raggruppa e rappresenta le due federazioni, Federmanager (dirigenti industriali) e
Manageritalia (terziario e pubblica amministrazione). Avete sempre avuto la possibilità di entrare nel
dibattito. Che cosa cambia adesso? «Vogliamo cercare di dare voce a questo pezzo di classe dirigente del
paese perché pensiamo che sia sostenuta da vero senso di responsabilità e che possa dare un contributo
reale nel campo delle politiche economiche e fiscali del paese. Da settembre apriremo un confronto con la
politica e poiché saremo vicini alle elezioni contiamo di ottenere maggiore ascolto». Diciamo la verità: voi
dirigenti non siete così simpatici in questo momento di crisi. L'opinione pubblica si è rivoltata contro gli
stipendi d'oro, e anche le pensioni d'oro... «Questa demagogia delle pensioni d'oro la respingiamo in toto.
Le pensioni d'oro sono quelle che non sono sostenute da contributi versati tutta la vita. Le nostre derivano
dai rendimenti dei nostri contributi, che peraltro sono decrescenti al salire del reddito. Poi i nostri pensionati
hanno dovuto sopportare cinque blocchi della perequazione automatica e svariati contributi di solidarietà».
La crisi ha fatto calare il numero dei dirigenti: siete 100 mila in meno rispetto al 2008. E ora molte imprese
preferiscono usare i quadri al vostro posto. «Quello che lei dice delle imprese è vero, ma è anche vero che
stiamo tornando a una concezione più elitaria, nel senso nobile del termine, del dirigente». I dirigenti calano
ma le piccole e medie imprese avrebbero bisogno di iniezioni di managerialità. Perché questi due mondi
non riescono a incontrarsi? «Lei ha ragione, ma noi stiamo facendo il possibile e faremo sempre di più per
convincere i piccoli imprenditori ad aprirsi ai manager esterni. C'è ancora una ritrosia da parte delle Pmi, e
quindi la nostra è prima di tutto una battaglia culturale. Alcuni semplici dati, elaborati da Federmanager,
dimostrano del resto Giorgio Ambrogioni pres. Cida che le Pmi che hanno resistito meglio alla crisi sono
quelle che avevano un manager. C'è qualcosa su questo fronte che chiedete e che il governo potrebbe fare
per aiutare le Pmi a utilizzare di più i manager esterni? «Sì, si potrebbe intervenire sotto il profilo fiscale».
Come? «Tramite uno sgravio tributario a chi vuole investire risorse per entrare nel capitale di un'impresa. I
manager dovrebbero essere incoraggiati ad acquisire quote affiancando le famiglie imprenditoriali e infine
trasformandosi essi stessi in imprenditori quando necessario. Questo potrebbe essere un valido modo per
contrastare i cosiddetti "fondi avvoltoio", ovvero il private equity che fa shopping non per investire nelle
imprese ma solo per impossessarsi di quote di mercato che poi cederanno ad altri». Fra i vostri associati ci
sono anche i dirigenti pubblici. Nei mesi passati sono nate molte polemiche sugli stipendi d'oro di molti di
loro, tanto che il governo ha stabilito un tetto di 240 mila euro. Vengono pagati troppo? «Non è così, se non
per alcune funzioni apicali. Più in generale, gli stipendi dei dirigenti pubblici di prima fascia sembrano più
alti di quelli dei manager dell'industria e del commercio, ma non è così. Perché i dirigenti privati hanno una
serie di benefit che quelli pubblici non hanno. Inoltre, se mi permette, vorrei segnalare l'esiguità delle
retribuzioni dei manager della scuola, ovvero dei presidi. Si tratta del valore più basso tra tutti i dirigenti, e
ciò stride di fronte alle loro enormi responsabilità». Però diciamo una cosa: non è che l'amministrazione
pubblica brilli per efficienza. Non è colpa anche dei dirigenti questo stato di cose? « Non è colpa loro. I
dirigenti pubblici chiedono alla politica obiettivi sfidanti, controllabili e trasparenti. E vogliono avere una
maggiore autonomia dalla politica per raggiungerli». Se ne parla da anni ma i risultati non sono finora stati
così brillanti... «I dirigenti pubblici chiedono di essere responsabilizzati. L'idea invece di essere
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 125
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colpevolizzati non l'accettano più. Ci sono fermenti, soprattutto fra i manager più giovani, che noi vogliamo
assecondare, ma la politica deve fare un passo indietro». Parliamo dei manager donna: sono sempre
sottopagate? «Intanto diciamo che sono sempre di più e che sono brave e motivate. Sottopagate un tempo
sì ma oggi sempre meno, almeno nel settore privato, dove viene sempre più premiato il merito e
l'efficienza». Dica una cosa buona che è stata fatta in questi ultimi anni dai governi. «Incentivare il welfare
aziendale è stata una buona cosa, una mossa azzeccata. Per uno come me che negli anni Settanta
contribuì a fondare il Fasi, il nostro fondo sanitario, è un bel riconoscimento».
Foto: Un'immagine della settantesina assemblea della Cida (Confederazione italiana dei dirigenti d'azienda,
sia privati che pubblici)
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 126
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Le nuove frontiere ECONOMIA
E sull'Ocse sventola l'uguaglianza
Svolta nell'organizzazione dei Paesi ricchi. La paura dei populismi fa dire basta al neoliberismo. Si parla di povertà e migranti GIANFRANCESCO TURANO
da Parigi. Una volta all'anno i giardini dello Château de la Muette a Parigi si riempiono di ministri,
diplomatici, consulenti, imprenditori, banchieri, accademici e giornalisti per il Forum dell'Oecd-Ocse,
l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo fra 35 Paesi che da soli controllano l'80 per cento del
prodotto lordo mondiale, cioè del totale della ricchezza prodotta nell'intero pianeta. L'ex villino di caccia dei
monarchi di Francia, dove Luigi XVI e Maria Antonietta trascorsero la luna di miele, si trova nel sedicesimo
arrondissement della capitale. Basta attraversare il boulevard des Maréchaux e in quattro passi si entra nel
Bois de Boulogne, il polmone verde a ovest della metropoli. Qui regnano lusso, calma e voluttà. Per dirla
con lo scrittore Éric Hazan, è un quartiere dove «i maghrebini fanno i fruttivendoli e i neri spazzano le
strade». L'Ocse dovrebbe essere, ed è stato negli scorsi anni, la punta di lancia del neoliberismo
globalizzante. Quanto meno è stato lo specchio dell'ortodos sia economico-fnanziaria. Oggi invece si parla
di "Bridging divides", cioè di costruire ponti fra le disuguaglianze di ogni genere, di tassare equamente i
grandi cartelli dell'hi-tech, i famigera ti Gafa (Google, Amazon, Facebook, Apple), di come accogliere
l'immigrazione e soprattutto di riaprire un canale di dialogo con la base democratica, che non ha mai eletto
un capoeconomista dell'Ocse come gli ex Ignazio Visco e Pier Carlo Padoan, oggi rispettivamente
governatore della Banca d'Italia e ministro dell'Economia dell'esecutivo di Paolo Gentiloni. Con il segretario
di lungo corso, il messicano Ángel Gurría in carica dal 2006, tira quasi un'aria da adunanza terzomondista
fuori tempo massimo. Cum grano salis, si capisce. Si direbbe che questa gente abbia paura. Ne ha
davvero? O combatte la più antica delle battaglie, quella del "tengo famiglia"? E quale può essere la merce
di scambio per un patto fra le grandi organizzazioni internazionali, si chiamino Onu, Nato, Ue oppure Ocse,
e i cittadini minacciati dal popu lismo? Rispondiamo per ordine, a partire dalla prima domanda. Sì, hanno
paura. Il populismo si aggira per i cinque continenti e minaccia in primo luogo i componenti di una classe
cosmopolita che ha sempre inneggiato al mainstream e che rischia di trovarsi fra l'incudine degli oligarchi
miliardari e il martello delle masse impugnato da Donald Trump, Vladimir Putin, Rodrigo Duterte, Tayyip
Erdogan, Narendra Modi, Viktor Orbán. Poliglotti, ben laureati e ancor meglio masterizzati, perfettamente
mimetizzati con un'élite che ha patrimoni infnitamente superiori ai loro, gli organizzatori internazionali
cercano di ritrovare un contatto con la base che li contesta come parassiti dediti solo all'autoconservazione,
quando non tenta proprio di aggredirli, come è avvenuto al G20 di Amburgo. Ma non sanno come fare.
Allora cercano chi lo faccia per loro. Questa edizione del Forum dell'Ocse era par ticolarmente ricca di
"ground troops", le truppe di terra spedite nel reale con i mezzi più diversi, da un sondaggio a una bicicletta.
Nel frattempo si lavora per ritrovare su basi nuove il feeling con i presidenti demagoghi, convincendoli che
nemmeno a loro conviene smontare le architetture internazionali costruite a fatica dopo la seconda guerra
mondiale. Anche se gli Stati Uniti di Trump non hanno frmato la convenzione fscale del 7 giugno alla
Muette, riservandosi di esaminare meglio il documento e sottoscriverlo in un secondo momen to, il pericolo
di chiusura dei rubinetti da parte del maggiore finanziatore dell'Ocse sembra scongiurato. «Siamo convinti»,
dice Gurría, «che gli Usa continueranno a sostenerci come hanno sempre fatto fnora. Del resto, è anche
nel loro interesse fare in modo che nelle economie sviluppate ed emergenti, vengano ridotte le disparità.
Noi continueremo a promuovere un modello di crescita che sia di vantaggio per il maggior numero di
persone senza che si crei una disuguaglianza nelle opportuni tà. E senza che si torni indietro verso la
tentazione di chiudersi in se stessi dal punto di vista della politica degli scambi commerciali». Conviene an
che a Trump ottenere un gettito fscale dal comparto dell'alta tecnologia per il suo programma di
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 127
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infrastrutture neo-keynesiano. «L'Ocse», insiste Gurría, «è fondamentale per costruire un migliore futuro
economico per il pianeta, perché ha compreso presto che doveva impostare la sua azione verso la
riduzione delle disparità». Nella culla del motto liberté, égalité, fraternité, il segretario generale rivendica un
ruolo di lunga durata della sua organizzazione. «Lo squilibrio nella distribuzione delle ricchezze, con l'uno
per cento dei più abbienti che possiede il 18 per cento della ricchezza mondiale, mentre al 60 per cento dei
più poveri resta appena al 13 per cento del totale, è un allarme specifcamente lanciato dall'Ocse nel corso
degli ulti mi anni. Lo stesso vale per la stagnazione di cui sofre la classe media». Il messaggio è chiaro. Le
organizzazioni internazionali, come la democrazia, sono il peggiore sistema di gestione del potere fra
popoli. Tranne tutti gli altri. A volte, le loro raccomandazioni possono sembrare vacue e di dubbia
applicazione, ma non c'è altra strada. È altrettanto evidente che le contraddizioni della società liquida sono
forse la maggiore ricchezza di queste grandi fere dell'amicizia fra i popoli. L'apertura del forum 2017,
durante la presidenza danese dell'Ocse, è stata afdata a Sua Altezza Reale la princi pessa ereditaria, nata
in Australia con il nome di Mary Donaldson e conosciuta dal principe in un pub di Sydney. Viceversa
Constantijn van OranjeNassau viene presentato come start-upper (Delta ed Envoy) e non come fratello del
re dei Paesi Bassi, quarto nella linea di successione al trono. Ci sono i giovani brillanti come Roxanne
Varza, 31 anni, americana di origine persiana e studi parigini, che dirige Station F, l'incubatore di Xavier
Niel (Free). E ci sono anche i potenzia li cattivi come Google, presente fra gli sponsor principali del forum
insieme ad Airbnb, che ha appena chiuso l'accordo per diventare sostituto d'imposta sui ricavi degli aftti
della piattaforma turistica. Nel gruppo dei fnanziatori mancano università e imprese italiane, sempre troppo
avanti o troppo indietro, ma c'è il consulente Maurizio Travaglini di ArchitetsOfGroupGenius, sedi a Milano
e a Boston, che organizza un brainstorming con una novantina di invitati. «Qui me lo fanno fare in tre ore»,
dice con una punta di rammarico. «A Davos il laboratorio dura quattro giorni». Non mancano i sindacati,
rappresentati da Sharan Burrow, segretaria generale dell'In ternational Trade Union Confederation. «Le
persone non sono preoccupate per l'arrivo della tecnologia, ma per il tipo di lavoro che dovranno fare e per
la paga che riceveranno. Ma i governi non stanno dialogando con le piattaforme tecnologiche», ha dichia
rato Burrow. Al castello della Muette tutto sembra muoversi in fretta. E la truppa d'élite delle organizzazioni
internazionali è già pronta a cambiare pelle. L'Espresso ha parlato con alcuni di loro. Referendum a
sorpresa Gustavo Petro, ex sindaco di Bogotà, ha detto: «Un Paese sviluppato non è quello in cui i poveri
hanno le automobili. È quello in cui i ricchi usano i mezzi pubblici». Amalia Navarro, ex Unicef e dirigente
del Segib (secretaría general iberoamericana), una sorta di Commonwealth ispano-portoghese, ha vissuto
un'esperienza interessante in un bus della capitale colombiana. «Qualche mese fa ero a Bogotà, in un
ingorgo tremendo. Ho iniziato a parlare con il mio vicino di sedile dell'imminente referendum popolare sulla
pace con le Farc, il gruppo terroristico che per decenni ha combattuto lo Stato colombiano. Il vicino mi ha
detto che avrebbe votato no al referendum. Gli ho chiesto come si potesse votare contro la pace e lui mi ha
replicato che si fdava più dei consigli della chiesa, pur essendo evangelico e non cattolico, che di quelli
dispensati dai politici». Il 2 ottobre del 2016 il no all'accordo con le Farc ha vinto, anche se di stret ta
misura. Un mese dopo è stata la volta di Trump alla Casa Bianca. Il 4 dicembre è arrivata la bocciatura
netta del referendum costituzionale proposto da Matteo Renzi a chiusura di un semestre iniziato con Brexit
(23 giugno). Le sorprese sulla volontà del popolo non sono fnite. Navarro ha coordinato una campagna
dell'Onu (MY world) partita due anni fa e mirata a conoscere gli obiettivi del cittadino com'è, invece che del
cittadino come dovrebbe essere, ossia solidale, accogliente, egualitario, democratico. Il sondaggio ha
interessato circa 10 milioni di per sone, un campione enorme. «I risultati sono stati molto chiari», dice
Navarro. «Le prime tre cose in cima alla classifca sono il lavoro, la salute e l'istruzione. A chi ha risposto al
sondaggio non interessa la politica gender, non interessa l'ambiente e, a sorpresa, nemmeno la sicurezza è
nel le parti alte della classifca». I desideri dei partecipanti al sondaggio di My World (lavoro, salute,
istruzione) asso migliano in modo impressionante a certe piattaforme di una sinistra che non esiste più,
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 128
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Pag. 56 N.29 - 16 luglio 2017
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mentre la sinistra nuova si è dedicata a picconare con brio, e in via prioritaria, proprio scuole, ospeda li e
posti di lavoro. È chiaro che la fne della discriminazione per orientamento sessuale, l'integrazione e
l'ecosistema sono questioni fondamentali. Soltanto che si trovano nella seconda linea di bisogni e per farle
passare avanti bisogna soddisfare la prima linea, come cercano di fare i cosiddetti populisti. Orgoglio
working-class J.D. Taylor, 30 anni, è l'autore di Island Story, journeys through unfamiliar Britain. Il suo libro
è stato un caso nel Regno Unito. Scritto prima del refe rendum, è uscito poco dopo il voto su Brexit.
L'autore appartiene alla classe media londinese, è di famiglia laburista e ha trascorso circa due anni in un
viaggio in bicicletta nelle varie province, pas sando dal Sud ricco all'Irlanda del Nord. Il suo obiettivo era un
percorso lento, come la bici obbliga a fare, tra le aree minerarie, i distretti deindustria lizzati o delocalizzati.
Insomma, tutto il mondo dei "left behind" della globalizzazione, quelli che sono stati bollati come i buzzurri
autori del Brexit in opposizione ai residenti delle grandi città, Londra in testa. Il periplo di Taylor si può
riassume re nella domanda che il giovane rivolgeva, nei pub o nei centri di socialità, alla gente del posto:
«Come si vive qui?» (l'Ocse ha attivato, in via indi pendente, una rilevazione proprio a partire da questo
quesito). La domanda ha avuto abbastanza raramente una risposta positiva. L'aspetto più frequente
riguarda la mancata identifcazione o l'identifcazione al passato, rispetto a mestieri che oggi non sono quasi
più disponibili sul mercato del lavoro locale. «Ero minatore». «Facevo l'operaio nell'industria
automobilistica». «Fabbricavo biciclette». «Ero titolare di un'azienda agricola» Queste risposte sono
sostituite oggi da formule nuove, che hanno tolto tutto il british pride ai lasciati indietro. «Lavoro a tempo in
un call centre». «Faccio la cassiera in un centro com merciale». «Ricordo quando ho visitato un'azienda
agricola in difcoltà nella zona meno sviluppata dello Yorkshire, a Barnsley. Nel momento in cui ho
contestato al proprietario dell'azienda che un voto a favore di Brexit lo avrebbe danneggiato perché
avrebbe tolto miliardi di fnanziamenti europei all'agricoltura, il farmer ha replicato che lui non voleva
l'elemosina e che avrebbe votato per Brexit perché desiderava ritrovare la stima di se stesso. Gli elettori di
Leave, che il resto della Gran Bretagna tratta come una massa di abbrutiti ignoranti e razzisti, hanno in
larga parte il problema di non essere più la spina dorsale della Gran Bretagna». Mazzetta globale Il focus
locale pare inconciliabile con gli obiettivi imposti dalla globalizzazione. Patrick Moulette, capo della divisione
di contrasto alla corruzione dell'Ocse, francese, ha una percezione diretta e quotidiana del fenomeno. Negli
anni la sua attività si è spostata dalla corruzione nei singoli Paesi alla corruzione transnazionale, emersa in
una serie di inchieste giudiziarie in vari Paesi, dal caso italiano dell'Eni in Nigeria a quello francese delle
gare internazionali di Alstom, fino agli scandali collegati a Petrobras, che stanno destabilizzando i vertici
politi ci a Brasilia. «Di sicuro negli ultimi anni», dice Moulette, «abbiamo riscontrato una erosione nella
fiducia verso le istituzioni pubbliche e non è un caso se l'Anac italiana, con la quale l'Ocse ha un accordo di
cooperazione, ha suscitato tante aspettative nei cittadini fn dal suo debutto. Sulla corruzione
transnazionale, rispetto a quella interna ai singoli Paesi, c'è sempre stato un atteggiamento più tollerante. I
cittadini hanno la tendenza a considerare questo tipo di corruzione come un qualcosa di normale e come
una prassi inevitabile a contatto con le autorità pubbliche di Paesi magari meno sviluppati. In altre parole, le
tangenti ai funzionari locali erano in dispensabili per assicurarsi gli appalti. Noi stiamo operando per
rovesciare questo atteggiamento chiedendo ai vari Paesi, soprattutto quelli in cui vige un sistema di civil
law, di inserire nei loro codici sanzioni più stringenti». Il prossimo 12 dicembre si celebre ranno i 20 anni
dall'introduzione delle prime convenzioni internazionali anticorruzione. Ma qual è il bilancio di questi 20 anni
di lotta alla corruzione transnazionale? «Quando abbiamo incominciato», dice Moulette, «c'era no soltanto
gli Stati Uniti, che nei loro codici prevedevano qualcuna delle nostre raccomandazioni. In altri Paesi le
imprese, prima della nostra azione, potevano apertamente mettere le tan genti in deduzione nei loro bilanci.
In Francia esisteva addirittura uno sportello, non lontano dal Louvre, che funzionava come i tax refund per
l'Iva negli aeroporti internazionali». Gli ultimi dati, aggiornati al 2015, dicono che 397 persone fsiche e 133
persone giuridiche sono state sottopo ste a sanzioni in 17 Paesi dal 1999. Ci sono stati 115 condannati a
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 129
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pene detentive e al momento ci sono 302 inchieste in corso in 28 Paesi che hanno sottoscritto la
convenzione. «Per adesso abbiamo operato molto sulla cosiddetta corruzione passiva», dice Moulette,
«cioè sulla pratica di chi paga tangenti perché è in qualche mo do obbligato a farlo per non perdere la
commessa. Personalmente credo poco nella corruzione passiva. Mi sembra un concetto mal posto.
Opporre i due aspetti è superfciale. La corruzione attiva, quella che in Italia chiamate concussione, è legata
a quella passiva. Bisogna ricordare che corrotto e cor ruttore hanno bisogno l'uno dell'altro e devono
scambiarsi costantemente informazioni. Anche se tra i frmatari della convenzione ci sono Paesi non ancora
membri, come Brasile e Russia, credo che della questione dovrebbero occuparsi in modo fattivo anche le
Nazioni Unite». Democrazia nel bilocale La risposta del mondo di alcune grandi imprese emergenti inizia ad
andare verso un adattamento all'aria nuova. Airbnb ha spedito al castello della Muette Chris Lehane,
direttore della global policy e dei public afairs. L'ex consigliere di Bill Clinton e del partito democratico Usa
ha fornito una serie di dati a sostegno della sua tesi che la piattaforma web per il turismo stia
modernizzando e democratizzando un mercato dove le grandi catene al berghiere svolgono lo stesso ruolo
monopolistico dei giganti dell'It. Sulla piattaforma Airbnb sono 191 i Paesi presenti, all'incirca il numero
degli aderenti alle Nazioni Unite, e i clienti del servizio sono di 215 nazionalità, più o meno quante
aderiscono all'or ganizzazione internazionale più popolare della terra, la Fifa. «Da qui al 2025», ha detto
Lehane, «4,7 miliardi di persone useranno il web e i millennial sono la generazione più grande di sempre in
termini nume rici, se paragonata ai baby boomers per esempio. Il 60 per cento dei viaggiatori nel mondo su
Airbnb è composto da millennial e il 94 per cento dei millennial negli Usa ha votato per Hillary Clinton. Il 30
per cento dei millennial nel mondo è preoccupato per la tenuta della democrazia e molto attento alle
politiche di un'azienda. Si preoccupa della sostenibilità del modello econo mico, dei modi in cui opera e
degli effetti sul territorio e sulle persone». Secondo Lehane il modello "corporate" tradizionale consente a
uno o comunque a pochi di guadagnare con le varie piattaforme di business. Invece l'indotto generato da
Airbnb è spalma to su vari soggetti. La famiglia che aftta in genere fa parte di una classe media che con la
crisi ha visto ridurre gli introiti e salire le spese, e che trova con l'aftto tem poraneo nuove forme di reddito
legale. Alcuni studi dimostrano che i viaggiatori di Airbnb danno impulso al commercio di prossimità, con il
50 per cento dei quattrini spesi che rimane sul territorio. Infne il nuovo modello rappresenta anche una
forma ecosostenibile di tu rismo, rispetto ai disastri ambientali del sistema dei grandi alberghi. «È
significativo che il 55 per cento delle strutture ospitanti su Airbnb», ha detto Lehane, «sia gestito da donne.
Questa presenza è una forma di compensazione rispetto alle disparità retributive di genere e dunque
funziona come ulteriore elemento di stabilizzazione e uguaglianza». Si potrà sospettare che il raccontino
aziendale sia troppo bello per essere vero, con i millennial, le donne, la democrazia, il piccolo
commerciante difeso dalla grande distribuzione e la lotta all'inquinamento. Le sindache di Parigi, Anne
Hidalgo, e di Barcellona, Ada Colau, sono molto meno incan tate dall'invasione turistica garantita dalla
presenza di Airbnb. Ma è signifcativo che una corporation emergente si dia una copertura ideologica
democratica e progressista, invece che parlare soltanto di trimestrali e bottom-line. L'assassino è il
maggiordomo Ariel Ezrachi, docente di norme sulla competizione alla facoltà di Diritto di Oxford, ha
presentato all'Ocse un testo dal titolo "Virtual competition Te promise and perils of the Algorithm driven
economy" (Harvard university press), scritto insieme al collega Maurice Stucke, professore di diritto
all'Università del Tennessee e cofondatore del Konkurrenz group. Il libro analizza i meccanismi nascosti
dietro la caccia all'afare via internet o app. La tesi di fondo è che, molto spes so, l'abbassamento del prezzo
è soltanto un'illusione. A dispetto delle norme che vietano alle società di fssare cartelli di prezzo, gli
algoritmi alimentati dai dati del browsing possono rapidamente mo nitorare i listini della concorrenza e
adattare i loro di conseguenza, in base alle predisposizioni all'acquisto e alle soglie di ogni consumatore.
Grazie a questa proflazione, le so cietà possono vendere beni al massimo prezzo che i consumatori sono
disposti a spendere. Le super-piattaforme commerciali (come Amazon e Alibaba) e i padroni dei sistemi
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 130
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operativi dei vari device sono monopoli "data-driven" che de terminano il fusso di dati personali e
stabiliscono chi ha facoltà di sfruttare i compratori potenziali. Il mercato in evoluzione sta già orientando il
potere nelle mani di po chi, come Google, Amazon, Apple, Facebook. «Stiamo correndo verso una sorta di
Truman Show», dice Ezrachi. «Probabilmente ci vorrà un algoritmo per battere questi algoritmi. Di sicuro
non è stata ancora inventata la app che protegge i consumatori. Anche gli Usa, che avevano promesso con
Obama di essere i leader di una politi ca antitrust, non hanno concluso nulla. La fgura del maggiordomo
digitale, quell'insieme di dati che contiene le nostre preferenze, i nostri gusti, i no stri orientamenti e la
nostra disponibilità a spendere all'interno di una certa banda di oscillazione, incluse le nostre mail, i nostri
messaggi e la nostra privacy in tutti i suoi aspetti, può diventare simile a quella del maggiordomo dei
romanzi gialli: il burattinaio delle nostre vite». Foto: M. Awaad - Bloomberg via Getty Images, Foto: M.
Riley-Pool - Getty Images
Dal piano Marshall alla McKinsey L'Ocse (Oecd) è un'organizzazione internazionale composta da 35
Paesi, fra i quali fgurano le maggiori potenze economiche del mondo, salvo Russia, Cina e India. La sua
origine risale a 70 anni fa (1947) quando George Marshall, segretario di Stato del presidente Usa, Harry
Truman, annunciò il piano per la ricostruzione in Europa dopo la seconda guerra mondiale. Gli Usa misero
a disposizione 13 miliardi di dollari del tempo (circa 130 miliardi di dollari ai valori attuali), sotto forma di
fnanziamenti a fondo perduto o di prestiti. Metà di questa cifra andò a Regno Unito e Francia. Altri 14
Paesi, fra i quali l'Italia, accettarono di aderire al piano Marshall. Nel 1949 entrò anche la Germania
federale, per un totale di 17 membri. Per realizzare il programma di aiuti economici nel 1948 venne creato
un organismo internazionale di cooperazione economica (Oece), con sede a Parigi, presso il castello della
Muette, nel XVI arrondissement. La struttura iniziò a promuovere anche la cooperazione fra i Paesi membri
e gli scambi, circa dieci anni prima che prendesse forma la Ceca, embrione dell'Ue. Nel 1961, una volta
portati a termine gli obiettivi del piano Marshall, l'Oece venne sostituito dall'Ocse, che gradualmente si
estese a una ventina di altri Paesi, a partire da Usa e Canada. Al momento attuale, ci sono una mezza
dozzina di Paesi in lista di attesa per essere ammessi all'Ocse, soprattutto dall'America latina (Colombia,
Argentina, Perù, Uruguay). La domanda più recente, all'inizio di giugno del 2017, è stata presentata al
segretario generale dell'Ocse, il messicano Ángel Gurría, da parte del Brasile, che è la prima fra le
economie emergenti dei cosiddetti Bric (Brasile, Russia, India e Cina) ad avanzare la sua candidatura. Oggi
l'Ocse è considerato il club dei Paesi ricchi, perché i suoi membri, circa un quinto di quelli aderenti all'Onu,
concentrano l'80 per cento del prodotto lordo mondiale e il 70 per cento delle attività commerciali globali.
L'Ocse, come l'Onu, la Nato e le altre organizzazioni internazionali maggiori, ha un budget annuale, formato
dai contributi degli Stati membri, pari a circa 363 milioni di euro per qualcosa come 2500 dipendenti. La
singola quota maggiore di questo contributo (il 21 per cento) è versata dagli Usa. Il panel corporate del
Forum 2017 dell'Ocse includeva Google, Airbnb, McKinsey, Sodexo, Johnson&Johnson, Axa, Deloitte,
Telefonica e un gruppo consistente di facoltà universitarie, dalla parigina SciencesPo all'università di
Ginevra. Nessuna azienda o università italiana era presente.
Foto: Ángel Gurría, segretario generale dell'Organizzazione
Foto: Donald Trump, presidente degli Stati Uniti L'uno per cento dei più abbienti possiede un quinto della
ricchezza. Il 60 per cento dei più poveri deve spartirsi un ottavo del totale
Foto: Negli ultimi anni è cresciuto l'impegno contro la corruzione transnazionale: 302 sono le inchieste in
corso in 28 Stati
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 131
17/07/2017
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LA MOSSA PER EVITARE LA CRISI
FEDERICO GEREMICCA
Ci sono battaglie che, piuttosto che perdere, conviene non fare. E fedele a questo antico e prudente
adagio, Paolo Gentiloni ieri ha deciso che quella sullo ius soli è precisamente una di queste: meglio
soprassedere e tornare a parlarne alla ripresa, dopo l'imminente pausa estiva, che rischiare la crisi di
governo. Il premier ha naturalmente informato della decisione Matteo Renzi, mettendo in fila gli elementi
che sconsigliavano di andare avanti. Il primo - e fondamentale - riguarda l'alto rischio di una bocciatura del
provvedimento in Senato, con conseguente caduta dell'esecutivo. Ma anche l'ingorgo di decreti da
convertire e il clima pesante nel Paese sul fronte dell'immigrazione hanno avuto il loro peso. La decisione
(che ha incassato subito critiche dai partiti alla sinistra del Pd) era un po' nell'aria e - nonostante non sembri
destinata ad aprire problemi lungo l'asse Renzi-Gentiloni - certo non ha fatto fare salti di gioia al leader del
Pd. Infatti, pur se è senz'altro vero che il segretario dei democratici aveva lasciato al premier il massimo
della libertà di movimento sulla delicata questione, è altrettanto certo che l'accantonamento dello ius soli
non rappresenta una buona notizia per il Pd ed il suo segretario. Le ragioni sono diverse ed evidenti, ma
una balza decisamente agli occhi: nel giro di 48 ore, infatti, Renzi ha visto o bocciare - o per il momento
archiviare - due dei suoi più freschi cavalli di battaglia: la richiesta di una radicale revisione del fiscal
compact e una nuova linea sull'immigrazione che, animata dall'ormai noto «aiutiamoli a casa loro», aveva
proprio nello ius soli il suo riequilibrio a sinistra. Si tratta di due stop dolorosi, anche - se non soprattutto -
per i protagonisti e le ragioni che li hanno imposti. Sul fiscal compact, infatti, è stato addirittura il ministro
Padoan a tirare il freno, con motivazioni - per altro nient'affatto contingenti: «Il futuro dell'Europa non si
gioca su Fiscal compact sì, Fiscal compact no». Quanto allo ius soli, il cedimento ai diktat del partito di
Alfano - pronto ad aprire la crisi - è così evidente da non poter essere nascosto. Alfano, ecco. Il no
irremovibile del ministro degli Esteri può esser considerato l'esempio classico di quel che può accadere
quando lastrichi la strada di nemici. In passato, infatti, il leader centrista non aveva rifiutato mediazioni
anche difficili, ma ha naturalmente cambiato totalmente atteggiamento quando si è sentito «tradito» e
scaricato da Renzi per il patto con Grillo e Berlusconi (per altro poi fallito) in materia di legge elettorale. E
proprio la folla di nemici in attesa sulla classica sponda del fiume finirà per rappresentare un serissimo
problema per Renzi in questa lunghissima campagna elettorale. I nemici, infatti, non sono solo a destra
(comprensibile) ma anche al centro (si pensi agli ultimi scontri con Alfano e Monti), a sinistra e - sempre più
agguerriti perfino all'interno del Pd. Quando si punta a cambiamenti radicali, è inevitabile incontrare ostacoli
e resistenze: e farci i conti, fa parte delle cose prevedibili. Ma dal sindacato all'Anpi, dai magistrati fino a
figure storiche della cultura di sinistra, ecco, Renzi ha fin troppo ingrossato le file dei suoi nemici. È anche
per questo, in fondo, che il leader Pd vive oggi la sindrome dell'accerchiato. È vero: Matteo Renzi è quasi
«solo contro tutti». Magari sarebbe venuto il tempo, però, di cominciare seriamente a chiedersi il perché. c
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 132
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La ripresa c'è ma ancora non la vediamo
STEFANO LEPRI
La benzina c'è, ma la macchina non corre. Gli ultimi dati sulla nostra economia, quasi tutti buoni,
contrastano con l'immagine di un Paese dove molti si sentono lasciati indietro, dove malcontenti nuovi si
sommano a quelli antichi. Resta ancora troppo lento il recupero da quello che è stato il più grave disastro
non bellico da quando l'Italia è unita. In Europa la ripresa ormai c'è; benché nell'area dell'euro, che ne è la
parte principale, gli errori commessi nel gestire la crisi del 2010-12 l'abbiano ritardata assai. Il 2% di
aumento del prodotto che probabilmente si registrerà a consuntivo del 2017 è un numero decente. In Italia
la prospettiva di una crescita del Pil all'1,4% quest'anno è certo positiva; a Milano e in altre città si avverte
una vitalità nuova. Però risaltano più di ieri le povertà, si notano le disuguaglianze. Proprio perché alcuni
cominciano a risollevarsi, altri lamentano di essere trascurati. Anche proseguendo a questo ritmo occorrerà
attendere il 2022 per ritornare dove eravamo nel 2007, quindici anni perduti. I disoccupati sono ancora
quasi il doppio rispetto a prima della crisi. L'austerità purtroppo necessaria a evitare la bancarotta dello
Stato nel novembre 2011 ha lasciato danni duraturi; ad esempio ha aggravato il ritardo tecnologico della
nostra industria manifatturiera. Tuttavia ora ciò che in una economia si può definire la benzina non manca:
le famiglie spendono un pochino di più, le esportazioni crescono, la politica di bilancio è divenuta
lievemente espansiva. Non basta a rassicurare sulle prospettive. Benché abbastanza ottimiste nei sondaggi
di opinione, e nella media in condizioni finanziarie buone, le imprese rimangono caute negli investimenti; il
recupero atteso per la seconda parte dell'anno sembra in parte influenzato dai nuovi incentivi fiscali. Il
modello italiano appare logoro. Uno studio rigoroso dell'economia non offre certezze facili, e determinare
quale sia l'esatta velocità di marcia alla portata di un sistema (il potenziale di crescita, nel gergo dei tecnici)
è arduo. Ma a questo punto - non due o tre anni fa, oggi - è abbastanza probabile che più di mancanza di
carburante la lentezza sia causata da insufficienze del motore. I partiti, preparandosi alle prossime elezioni,
sembrano promettere ognuno a suo modo più benzina. Di riparazioni o miglioramenti al motore nessuno
parla più. E soprattutto di come recuperare al Paese le energie dei giovani che, taluni per ambizione altri
per disperazione, vanno a cercare lavoro all'estero; mentre, se restano a casa, faticano per pochi soldi
oppure girano a vuoto. Una sensata politica di sinistra chiederebbe un salario minimo valido anche per i
precari; non si può, perché la Cgil non vuole. Una sensata politica liberista chiederebbe meno vincoli alle
attività di impresa, in ogni settore; non si può, perché i gruppi di interesse già insediati si oppongono. Da
ogni parte politica, spostare gli equilibri esistenti appare rischioso. L'unica iniziativa rivolta ai giovani pare
per ora raccontargli la bugia che mandando gli anziani a riposo prima ci sarà più lavoro per loro (ci saranno
invece più tasse, necessarie a pagare un maggior numero di pensioni). c
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 133
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SONO ANCORA POCHI I SERVIZI A CUI IL CITTADINO PUÒ ACCEDERE GRAZIE AL «CODICE UNICO»
Così la rivoluzione digitale è fallita Anche l'anagrafe unica fa flop
Ma la burocrazia migliora col 730 precompilato e le fatture della P.a. ROBERTO GIOVANNINI
ROMA È un quadro con più ombre che luci quello della trasformazione digitale della burocrazia. Alcune
innovazioni, in effetti, hanno avuto grande successo: ad esempio, l'operazione 730 precompilato è stato un
grande successo, visto che quest'anno nelle sole prime 2 settimane i contribuenti hanno inviato al Fisco lo
stesso numero di modelli 730 spediti nell'intero 2016. È un successo anche la fattura elettronica usata dalle
imprese nei rapporti con la Pubblica amministrazione, tanto che il governo sta pensando ad estenderne
l'utilizzo. Funziona bene anche il meccanismo di iscrizione digitale alle scuole, così come (a parte il caso
dei nuovi voucher) il sistema legato all'Inps. Ma accanto a qualche top ci sono anche diversi flop: a
cominciare dall'Anpr, l'Anagrafe Nazionale Unica della popolazione residente, o la Cie, Carta d'Identità
Elettronica. E va a rilento anche lo Spid, il Sistema Pubblico di Identità Digitale. Dovrebbe essere
l'architrave dell'intero sistema di rapporti tra cittadino e amministrazione, un codice unico per accedere a
tutti i servizi, ma per adesso i servizi utilizzabili sono davvero molto pochi. Problemi (complessi,
ovviamente) che Diego Piacentini e la sua Agenzia per l'Italia Digitale (Agid, l'organismo incaricato della
digitalizzazione della Pa) stanno cercando di risolvere. 730 precompilato Ha funzionato bene, dicono gli
addetti ai lavori. Un vantaggio per i contribuenti, ma anche per la macchina tributaria, che può utilizzare
risorse e mezzi per attività più utili e importanti, come la lotta all'evasione. Fatture elettroniche Da quando
sono state varate nel giugno 2014, la Pa ne ha gestite oltre 62 milioni. 56mila uffici pubblici la adottano nei
rapporti economici, e circa il 30% delle imprese italiane usano la procedura FatturaPA. Si sta studiando,
nell'ambito del pacchetto anti-evasione, l'ipotesi di estendere l'obbligo di fattura elettronica anche nei
rapporti tra soggetti privati. Serve però un via libera dall'Unione Europea. Iscrizioni scolastiche Come nel
caso del 730, lo switch obbligato al digitale ha prodotto ottimi risultati. Pagamenti digitali Qui cominciano i
problemi. PagoPA dovrebbe diventare il nodo unico dove i cittadini, senza più code, possono pagare multe,
tasse e imposte a tutte le realtà della Pa. In 4 anni, però le transazioni totali sono state solo 1,8 milioni.
Poche: il sistema è poco user-friendly, e vi aderiscono solo 2.000 Comuni, anche se nel complesso la
usano il 70% delle amministrazioni. In più, come ha scritto La Stampa, troppi Comuni hanno imposto per i
pagamenti una salata commissione, da 1 a 3 euro. L'obiettivo (impossibile?) dell'Agid, è arrivare a 10
milioni di transazioni entro fine anno, anche con una versione mobile del servizio. Processo telematico Il
processo civile telematico riesce a eliminare i tempi morti, i decreti ingiuntivi vengono emessi in un lampo,
ma purtroppo per adesso di vantaggi se ne vedono pochi. Perché la novità riguarda i processi «nuovi», ma
soprattutto perché restano inaccettabili i tempi «fisici» della giustizia: organici scarsi, un rito complesso, i
tempi di decisione del giudice. Carta d'identità elettronica La Cie non decolla. Dal luglio 2016 sono 300 mila
i cittadini di 199 città a essere dotati di smart card, più le 4 milioni rilasciate prima. Per ora la
sperimentazione va piano, in molte città ci vogliono mesi per averla, e la Cie «smart» costa ben 22 euro.
Anagrafe unica L'obiettivo era completare un sistema unitario di collegamento delle Anagrafi di tutti i
Comuni d'Italia entro il 2016 in un solo data center. Obiettivo largamente fallito, visto che oggi sono solo 26
(Roma e Milano sono solo osservatori) i Comuni che hanno completato il processo (tutti piccoli a parte
Cesena). Ci sono forti contrasti anche sul software da utilizzare, e non è ancora stata messa a punto la
«pulitura» dei dati anagrafici, spesso incompleti, errati o ridondanti. Spid In teoria ogni cittadino dovrebbe
disporre dell'identità elettronica Spid (Sistema Pubblico di Identità Digitale) per accedere senza registrarsi
ogni volta a tutti i servizi pubblici. Per adesso però sono solo 1.533.258 gli italiani che si sono registrati al
sistema, di cui buona parte studenti e professori che vi erano obbligati se volevano accedere ai bonus per
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 134
16/07/2017
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neo-maggiorenni e docenti. In teoria sarebbe una rivoluzione che permetterebbe anche di rendere inutile la
Cie, ma il vero problema è che per ora Spid serve a poco: solo 3720 amministrazioni lo usano, e sono
relativamente scarsi i servizi dove utilizzarla. c
26
i Comuni
300
mila
1,5
milioni Sono ancora poche gli enti che hanno completato il sistema unico di anagrafe Sono gli italiani che
hanno avuto nel 2016 le carte d'identità elettroniche I cittadini che hanno l'identità elettronica per accedere
ai servizi
Così su La Stampa Sabato su La Stampa l'inchiesta sulla burocrazia che frena l'Italia. Il flop del divorzio
breve e i tempi biblici per avere la carta d'identità elettronica.
Foto: È ancora in ritardo la trasformazione digitale della burocrazia
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 135
15/07/2017
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IN EUROPA VENDITE IN AUMENTO DEL 2,1% A GIUGNO. MA NON MANCANO SEGNALI DI ALLARME
Auto, rallenta la crescita Spuntano i saldi di luglio
Fca lancia supersconti fino al 30% per vetture Fiat e Lancia già in rete PIERO BIANCO
Continua a crescere il mercato dell'auto nell'Europa allargata», che comprende i 28 più i tre Paesi Efta
(Islanda, Norvegia e Svizzera). A giugno, con 1.540.299 immatricolazioni, ha segnato un altro +2,1%
rispetto al 2016. Positivo anche il bilancio del primo semestre (in attivo per 23 mercati) con 8.461.476
vetture vendute e un incremento del 4,6%. Ma il rallentamento del mese scorso fa riflettere, anche in chiave
nazionale. Pesa il calo del 4,8% del Regno Unito, che gli analisti indicano già come effetto collaterale alla
Brexit. «Il secondo mercato europeo dopo la Germania - spiega il presidente di Promotor, Gian Primo
Quagliano - aveva siglato il record nel 2016 ma da aprile è in difficoltà anche per un'imposta sulla Co
sempre a giugno, il calo in Germania, che comunque chiude il semestre con +3,1%». L'Italia (dove
l'accoppiata Renault-Dacia a giugno ha superato Volkswagen diventando primo marchio estero con una
quota del 10%) resta tra i Paesi trainanti, con una crescita mensile del 12,9% e semestrale dell'8,9%.
Tuttavia non bastano i numeri straordinari registrati da gennaio a giugno per giustificare l'ottimismo che ha
accompagnato i primi mesi dell'anno, spingendo le proiezioni finali alla soglia dei 2 milioni di consegne, che
non sarà raggiunta. Quel che allarma gli strateghi del marketing è piuttosto la «qualità» di questi numeri, in
gran parte sostenuti da km0 e flotte aziendali che ancora beneficiano dei superammortamenti per le auto
«a uso strumentale». Sono, queste, vendite meno redditizie. «Non è tutto oro ciò che luccica - dice il
presidente di Federauto, Filippo Pavan Bernacchi -. Secondo i nostri concessionari c'è stata una fortissima
spinta delle case per raggiungere i target del semestre. E così le km0 sono cresciute rispetto al 2016
addirittura del 30%». «Il comparto dell'auto in Italia è attivo nonostante il moderato calo delle vendite nel
canale privati», sottolinea il dg dell'Unrae (Case Estere) Romano Valente. Ma è proprio questo il problema:
sollecitare le famiglie e i giovani all'acquisto. Allora si moltiplicano promozioni di ogni tipo: sconti,
finanziamenti agevolati, offerte speciali. Fca vanta eccellenti successi in Europa: +7,9% a giugno con
106.700 immatricolazioni e una quota del 6,9%, nel semestre +10,5% con 609.100 consegne. In entrambi i
casi molto meglio della media di mercato. Ma l'obiettivo è crescere ancora (e soprattutto guadagnare di
più), così con una novità assoluta Fiat/Chrysler lancia i «saldi di luglio»: proprio come avviene
nell'abbigliamento. Per i marchi Fiat e Lancia, 15 giorni di prezzi ultrascontati che permetteranno di
acquistare le auto in pronta consegna presenti nelle concessionarie risparmiando, per alcuni modelli, anche
il 30%. «Questa operazione l'abbiamo battezzata Salti di Gioia», spiega Gianluca Italia, che ha il doppio
incarico di managing director Italy e capo di Emea Fleet e business sales Fca. «L'abbiamo studiata -
aggiunge - per sostenere le famiglie e la ripresa del Paese. Vogliamo fornire uno strumento per eliminare
dal parco circolante parte dei 14,2 milioni di vecchie auto, nemmeno Euro4, e inoltre permettere agli italiani,
che di solito a luglio comprano meno auto, di prendersene una per le vacanze a condizioni davvero
uniche». c centimetri
I numeri Immatricolazioni e variazioni % in Europa occidentale Giu 2017/giu 2016 2017/2016 Europa
ITALIA Germania Francia Spagna Regno Unito Ue + Efta -3,5 -4,8 -1,3 Fonte: ACEA; dati Ue28+Efta (Svi,
Nor, Isl) +2,1 +4,6 +3,1 +1,6 +3,0 +6,5 +7,1 GIUGNO 2017 1.540.299 GEN-GIU 2017 8.461.476 +12,9
+8,9 - LA STAMPA
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/07/2017 136
16/07/2017
Pag. 15
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tiratura:145152
IL MESSAGGIO
Il Tesoro a caccia di investitori
Parte la news letter rivolta ai mercati internazionali: «Via stretta per l'Italia, ma la posta vale la scommessa» Ribadito l'approccio equilibrato: risanamento che riduca il debito, ma senza soffocare la crescita IL CONFRONTO CON GLI ALTRI PAESI: «SOLO LA GERMANIA, COME NOI, È RIUSCITA A UNIRE AVANZO PRIMARIO E SVILUPPO» Antonio Pollio Salimbeni
BRUXELLES «The narrow path». Il sentiero stretto. Ecco lo slogan scelto dal Tesoro per il primo numero
della newsletter in inglese rivolta a un pubblico internazionale di investitori e opinion leaders. È il
condensato della sfida italiana: trovare l'equilibrio tra sostegno alla crescita e consolidamento della finanza
pubblica. In autunno la sfida dovrà essere tradotta in obiettivi e cifre della legge di bilancio 2018. Come è
noto, Bruxelles è disposta a riconoscere all'Italia massima flessibilità, ma non in mancanza di decisioni e
impegni precisi di riduzione della spesa pubblica e del debito. L'obiettivo del Tesoro è rafforzare la sua
narrazione delle cose: tra richieste di ulteriori sconti sulla manovra 2018, gestione lunga e faticosa delle
ultime due crisi bancarie e annunci da campagna elettorale dell'ex premier Renzi (che chiede un aumento
del deficit al 2,9%), non è impresa facile. Il messaggio centrale della newsletter (la testata si chiama The
italian view ) è questo: «Il governo ritiene che un aggiustamento di bilancio sia assolutamente necessario
per un paese con un alto debito come quello dell'Italia. Tuttavia, la decisione sul ritmo dell'aggiustamento è
cruciale perché potenzialmente può colpire le prospettive dell'economia settore privati incluso. E mentre un
aggiustamento lento può non dimostrarsi efficace per ridurre il debito, un aggiustamento troppo veloce può
rivelarsi dannoso per l'economia e quindi per il rapporto debito/Pil». I DATI Nella newsletter vengono messi
in fila diversi dati che servono a farsi un giudizio sull'appropriatezza o meno della politica di bilancio stretta,
appunto, fra due necessità divergenti: «Da un lato l'alto debito che implica una forte esposizione agli choc
finanziari esterni, dall'altro lato una ripresa all'inizio che deve essere nutrita». Tra il 2000 e il 2013 l'Italia ha
alternato 4 anni di recessione, 4 di crescita positiva sotto l'1%, 5 di crescita più alta fra 1 e 2%.
Successivamente, la seconda recessione, la ripresina nel 2014, proseguita a ritmi lenti nel 2015 e nel 2016.
Nel 2017 si sale all'1,3% (1,4% per Bankitalia). Andamento non soddisfacente, ma «certo un'inversione
rispetto agli incerti andamenti del passato». E veniamo ai conti. «La crescita non è il risultato di un bilancio
espansivo, ma si fonda su un surplus primario equilibrato e una riduzione costante del deficit (dal 3% del pil
nel 2014 al 2,1% nel 2017): ciò permetterà al rapporto debito/Pil di stabilizzarsi nonostante l'inflazione
molto bassa». Nel frattempo che cosa accadeva altrove? Dal 2009 Spagna, Francia e Regno Unito
crescevano di più, però avevano un deficit primario negativo mentre l'Italia è riuscita a tenere il bilancio
primario in territorio positivo dal 1993 con la sola eccezione del 2009. Solo la Germania «ha combinato
come l'Italia avanzo primario e crescita». Ecco il secondo messaggio: «La prospettiva è un aumento della
crescita con inflazione più alta, un continuo avanzo primario e un modesto debito implicito grazie alle
riforme delle pensioni del passato: tutto ciò porta a un calo del debito». LE RIFORME Terzo messaggio:
«La strada per l'aumento del potenziale di crescita è lunga, ma alcune riforme stanno cominciando a dare
frutti» (mercato del lavoro, cooperazione contribuenti-Erario, investimenti, riduzione imposte). Infine il
quarto messaggio sulle banche: gli ultimi dati indicano che le sofferenze nette sono calate del 12,4% a 77,2
miliardi (-9,6 miliardi) rispetto a fine 206 e nel 2018 Bankitalia prevede una riduzione dei non performing
loans a meno dell'8%. Morale: la via è stretta, ma l'Italia non è ferma.
L'andamento 3,0 0,0 -3,0 -6,0 1,8 0,2 0,2 1,6 0,9 2,0 1,5 -1,1 -5,5 1,7 0,6 -2,8 -1,7 0,1 0,7 0,9 1,1 -3,4 -3,1
-3,4 -3,6 -4,2 -3,6 -1,5 -2,7 -5,3 -4,2 -3,7 -2,9 -2,7 -3,0 -2,7 -2,4 -2,1 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 Fonte:
Mef PIL DEFICIT/PIL DEBITO/PIL 130 120 110 100 90
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SCENARIO PMI
12 articoli
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 138
16/07/2017
Pag. 1 Ed. Brescia
diffusione:245885
tiratura:332759
Indagine sulle imprese rezzatesi
la ripresa al microscopio
Massimo Tedeschi
Coincidenze rivelatrici. Nel giorno in cui i quotidiani riportavano con un misto di sorpresa e sollievo la notizia
che Bankitalia stima per quest'anno una crescita del Pil dell'1,4% (dato superiore alle attese) a Rezzato
veniva presentata la ricerca condotta da una giovane ricercatrice - Debora Ambrosi - sul tessuto produttivo
locale. Il comune alle porte di Brescia conta 704 attività (una ogni 19 abitanti): una su quattro appartiene al
settore manifatturiero (contro il 14,6% provinciale). A dispetto dell'apparenza di grande vetrina
commerciale, Rezzato è insomma culla di officine, fucina di fabbriche. Nonostante si trovi in un
conglomerato urbano ininterrotto che va dalla città a Bedizzole, questo paese di 13 mila abitanti conserva
un'identità, civile ed economica, anche grazie a una associazione di imprenditori (l'acronimo è Asimpre,
presidente Paolo Gares) che da vent'anni riunisce una bella fetta delle imprese locali, eroga liberalità e
borse di studio, promuove incontri. Fra le pieghe dello studio presentato ieri - promotori Asimpre, la Scuola
Vantini-Cfp e il Comune - emerge una messe di dati utile a capire quell'1,4% di crescita del Pil. È come se,
con un vertiginoso zoom, si fosse passati da una visione panoramica a una puntiforme. Dalla visione
d'insieme del gruppo dei corridori del Tour, al primo piano sui pedali di un ciclista che sta facendo
l'andatura. E che andatura. Nell'anno Ottavo della grande crisi, quella che ha bruciato un quarto della
produzione industriale nazionale, il 75% delle imprese rezzatesi guarda al futuro in modo positivo, il 60%
non è sfiorato dalla preoccupazione di un ridimensionamento, il 40% prevede di ampliare l'attività, il 35% ha
in cantiere nuove assunzioni per lo più di figure professionali portatrici di competenze innovative. Certo, la
selezione è stata durissima: rispetto a un'analoga ricerca di 5 anni fa risulta che il 55% delle aziende è
tuttora attiva, il 23% ha chiuso i battenti ma il 20% delle attività è di nuova apertura. L'ultimo dato da
evidenziare è quel 48% di imprese rezzatesi (quasi tutte piccole o piccolissime) che considerano decisivo
per il proprio futuro l'estero: prima che una sfida, l'internazionalizzazione è un valore entrato nel Dna delle
imprese. Ben vengano le macro-analisi di Bankitalia ma ben vengano anche queste ricerche al microscopio
che confermano (e consolano) indicando quanta energia, quanta capacità di ripresa, quanta voglia di fare
lievitano nelle nostre imprese. E spiegano, e trascinano, quei decimali di Pil in più.
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 139
17/07/2017
Pag. 34 N.27 - 17 luglio 2017
Piccole Medie aziende, storie persone
Turismo e spettacolo coppia d'assi
Festival della musica e del cinema, concerti, manifestazioni teatrali valgono 4 miliardi e sono un'importante forma di attrattiva per i viaggiatori. Da incentivare fiscalmente Isidoro Trovato
C'è un mondo fatto di piccole e micro imprese che ruota attorno al mondo dello spettacolo. Un settore che
fa grandi numeri: il volume d'affari è pari a quasi 4 miliardi di euro, con un incremento rispetto al 2015 di
poco superiore al 3%.
Ma è un mondo che ha anche sfaccettature diverse. Per esempio: vale circa 600 milioni di euro l'anno il
turismo legato ai festival musicali di tutti i generi, dalla classica al rock. Il trend è positivo anche in questo
caso perché le presenze turistiche legate ai festival sono cresciute del 10% durante l'ultimo anno.
«Il caso dei Festival dimostra - spiega Carlo Fontana, Presidente dell'Agis, Associazione generale italiana
dello spettacolo - in maniera inequivocabile un'altra caratteristica dello spettacolo, utile e utilizzabile a fini
turistici: essere anche decentrato e diffuso sul territorio, contribuendo quindi a valorizzare quell'Italia dei
borghi, fuori dal classico triangolo, Roma-Venezia-Firenze, imposto dal turismo globale. La qualità
complessiva dell'offerta è cresciuta sensibilmente negli ultimi anni perché sono aumentati i finanziamenti
statali per effetto del fondo unico dello spettacolo. Questo ha innescato un circolo virtuoso che ha portato a
un aumento della domanda: +4,27% di ingressi (220 mila circa), +12,02% di spesa al botteghino (2 miliardi
di euro circa) ».
Il binomio
L'interazione tra turismo e spettacolo è più evidente. Basti pensare ai casi dei Parchi di divertimento, che
creano stabilmente un indotto importantissimo nelle aree dove sono presenti. Per fornire un unico dato
esemplificativo, il più grande parco della Riviera Romagnola ha venduto nel 2014 direttamente (quindi ci
sarebbe da aggiungere le prenotazioni non direttamente gestite) più di 70 mila pacchetti turistici e oltre 220
mila pernottamenti. «Il settore della cultura e dello spettacolo - continua Fontana - oltre a svolgere da
sempre un'importantissima funzione sociale, hanno le carte in regola per diventare concreto motore di
sviluppo e di crescita».
L'accelerazione
Il ruolo dello spettacolo, quindi, se ben coordinato e sostenuto da una strategia statale, può essere
fondamentale nei confronti del settore turistico sia per aumentare la durata delle permanenze, sia per la
capacità di spesa del viaggiatore, contribuendo in maniera rilevante al potenziale «ritorno» a nel paese
visitato.
«Ma il comparto non può vivere di soli finanziamenti - osserva Fontana -. Credo nel modello americano:
negli Stati Uniti sono le aziende a finanziare o sponsorizzare grandi eventi o interi comparti del cinema e
dello spettacolo, ma lo fanno in cambio di incentivi fiscali. Uno schema replicabile anche in Italia dove si
moltiplicherebbero i potenziali investitori in un processo che ho vissuto in prima persona da sovraintendente
quando il Teatro La Scala di Milano è passato da ente pubblico a fondazione privata. La ricaduta
abbondante e certificata del comparto dello spettacolo sull'indotto fatto di migliaia di piccole e medie
imprese di tutti i settori giustificherebbe la scelta di incentivare fiscalmente gli investimenti dei privati».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Affari spettacolari 4 miliardi di euro Il volume d'affari dello spettacolo italiano, con un incremento rispetto al
2015 poco superiore al 3% +12,02% La spesa in aumento al botteghino (2 miliardi di euro circa), con una
domanda di biglietti che cresce del 4,27% 600 milioni di euro E' il valore annuale del turismo legato ai
festival, in crescita del 10% rispetto all'anno scorso Come piacciono gli integratori
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 140
17/07/2017
Pag. 34 N.27 - 17 luglio 2017
Continua a crescere il settore degli integratori alimentari che nel 2016 registra ottimi risultati sia nei canali
tradizionali che nella vendita diretta. In aumento le vendite in farmacie e supermercati che arrivano a un
valore complessivo di 3 miliardi (+ 6% sul 2015), mentre il canale distributivo diretto è stimato a circa 454,5
milioni.
Tra i più richiesti, quelli per tosse, raffreddore, modulazione dell'umore e sonno. Eventi, meno date e più
presenze
Sono diminuiti gli eventi e i congressi organizzati in Italia: nel 2016 arrivano a un totale di 386.897, con un
calo dell'1,5% rispetto al 2015. Una diminuzione mirata alla specializzazione che, secondo Federcongressi,
ha visto moltiplicarsi il numero dei partecipanti (28.173.514, più 8,4% ) e delle presenze (42.706.559, più
21,5%). Si allunga la durata media (1,41 giorni contro 1,35 giorni del 2015). 1.963.618 Tonnellate di dolci
industriali
È la produzione del 2016 (+1,4%). Secondo Aidepi, il fatturato cresce fino a 13 miliardi. Trainano gli affari il
cioccolato, che vale quasi 5 miliardi (+3,9%). In recupero la confetteria, con fatturato in rialzo (oltre un
miliardo nel 2016).
Foto: Carlo Fontana, presidente dell'Associazione dello Spettacolo
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 141
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INCENTIVI NORME& TRIBUTI
Più conveniente investire in start up
Francesco Avella
Dopo il via liberadalla Commissione europea alle agevolazioni previste per gli investimenti in start up e Pmi
innovative, diventano più interessanti le opportunità per chi intende investire in queste categorie di imprese.
Gli incentivi sono accessibili anche per i soggetti Irpef, in base alle disposizioni contenute nella legge di
Bilancio per il 2017. Le misure originarie sono riferite alle disposizioni del 2012 e 2016 per le start up e del
2012 e 2015 per le Pmi innovative. pagina 17 Un via libera che aumenta l'interesse degli investitori verso
startup e Pmi innovative. La Commissione europea ha da poco autorizzato- ai sensie per gli effetti
dell'articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, in materia di aiuti di stato
- le agevolazioni previste per gli investimenti in startup innovative (articolo 29, Dl 179/2012 e Dm 25
febbraio 2016) e Pmi innovative (articolo 4, comma 9, Dl 3/2015, che rinvia all'articolo 29 del Dl 179/2012)
nelle misure e nei termini vigenti dopo le modifiche apportate dalla legge di Bilancio per il 2017. Misure
differenziate Le agevolazioni si differenziano a seconda della tipologia del soggetto che decide di investire
nella startup o Pmi innovativa. Nel caso in cui l'investimento sia effettuato da un soggetto Irpef (anche
eventualmente per il tramite di società di persone) l'agevolazione consiste, dal 2017, in una detrazione
dall'imposta in misura pari al 30% dell'investimento effettuato. Se il soggetto che effettua l'investimento è,
invece, un soggetto Ires, l'agevolazione consiste in una deduzione dal reddito imponibile nella misura del
30% dell'investimento effettuato. Le stesse agevolazioni spettano anche se gli investimenti sono effettuati
tramite società fiduciaria (risoluzione delle Entrate 9/E del 2015). Sul punto, si segnala che in virtù di quanto
precisato nella recente circolare 3699/C del ministero dello Sviluppo economico, pubblicata il 13 giugno
2017, i dati del fiduciante non saranno più visibili in certificato o in visura: il ministero ha infatti modificato la
modulistica e ha eliminato la sezione nella quale andavano forniti i dati del fiduciante, i cui estremi saranno
esposti in un altro modulo ad uso interno «che consente l'acquisizione dei dati relativi al fiduciante ai fini
istruttori, ma che ne evita la pubblicizzazio• ne verso terzi». I documenti Per beneficiare legittimamente delle
agevolazioni, gli investitori devono ricevere dalla start•up o Pmi innovativa e conservare: 1 una certificazione
nella quale si attesti che la start•upo Pmi innovativa non ha superato il limite massimo di conferimenti
agevolabili (si veda l'altro articolo nella pagina); 1 una copia del piano di investimento della startup o Pmi
innovativa, contenente informazioni dettagliate sull'oggetto della prevista attività della società, sui prodotti,
nonché sull'andamento, previsto o attuale, delle vendite e dei profitti. La certificazione deve essere
rilasciata entro il termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta in
cui l'investimento agevolato si intende effettuato. Cause di decadenza L'investimento agevolato deve
essere mantenuto per almeno tre anni, pena la decadenza dall'agevolazione. Costituiscono cause di
decadenza: 1 la cessione, anche parziale, a titolo oneroso, delle partecipazioni o quote ricevute in cambio
degli investimenti agevolati, inclusi gli attia titolo oneroso che importano costituzione o trasferimento di diritti
reali di godimento e i conferimenti in società, nonché la cessione di diritti o titoli attraverso cui possono
essere acquisite le predette partecipazioni o quote (nel caso di investimenti tramite Oicr e società di capitali
qualificate, ci si riferisce alle operazioni effettuate sui titoli o azioni dell'Oicr o società qualificata); 1 la
riduzione di capitale nonché la ripartizione di riserve o altri fondi costituiti con sovrapprezzi di emissione
delle azioni o quote delle start•up o Pmi innovative (nel caso di investimenti tramite Oicr e società di capitali
qualificate, ci si riferisce alla ripartizione di fondi effettuata dall'Oicr o società qualificata); 1 il recesso o
l'esclusione degli investitori; 1 la perdita di uno dei requisiti previsti per la start•up o Pmi innovativa, ad
eccezione dei casi in cui tale perdita sia dovuta a: e scadenza dei cinque anni dalla data di costituzione
della start•up innovativa (perdita fisiologica); r superamento delle soglie dimensionali previste per startup
innovative (valore della produzione annua di 5 milioni di euro) e Pmi innovative (soglie delle Pmi come
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 142
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definite dalla Raccomandazione 2003/361/Ce); t quotazione su un sistema multilaterale di negoziazione.
Non costituiscono invece cause di decadenza dall'agevolazione: 1 i trasferimentia causa di morte; 1 i
trasferimentia titolo gratuito; 1 i trasferimenti conseguenti alle operazioni straordinarie di trasformazione,
fusione, scissione, conferimenti di partecipazioni di controllo/collegamento, scambi di partecipazioni, anche
se intracomunitarie. La decadenza comporta per gli investitori l'obbligo di effettuare la recapture
dell'agevolazione fruita, restituendo le imposte risparmiate oltre agli interessi legali.
30% La detrazione o deduzione Destinata agli investimenti a partire dal 2017
LA PAROLA CHIAVE
Startupe Pmi innovativa 7 Società di capitali non quotata in possesso di specifici requisiti che denotano
l'innovatività dell'attività svolta. La startup innovativa ha limiti dimensionali più contenuti (valore della
produzione annuo non superiore a 5 milioni di euro) e deve possedere un solo requisito tra i tre indicati
dalla legge. La Pmi innovativa ha invece limiti dimensionali più elevati (ha valore della produzione annuo
non superiore a 50 milioni di euro o totale di bilancio non superiore a 43 milioni di euro) ma deve possedere
due dei tre requisiti indicati dalla legge
L'esempio 01 L'OBIETTIVO Un imprenditore intende supportare una start•up innovativa nel corso del 2017,
fruendo dei benefici fiscali connessi all'investimento. La startup innovativa necessita di2 milioni di euro per
effettuare importanti investimentie l'investitore intende massimizzarei benefici fiscali fruibili 02 L'UTILIZZO
ABBINATO A tal fine, l'imprenditore potrà: 8 investire un milione di euro privatamente (cioè il massimo
investimento agevolabile peri soggetti Irpef, essendoi benefici fiscali peri soggetti Irpef maggiori di quelli
peri soggetti Ires), ottenendo in tal caso una detrazione dall'imposta pari al 30% dell'investimento effettuato,
con un risparmio fiscale di 300.000 euro; 8 investire il restante milione di euro mediante la propria società di
capitali (restando certamente nei limiti previsti per il massimo investimento agevolabile peri soggetti Ires,
che sono paria 1,8 milioni di euro), ottenendo in tal caso una deduzione dal reddito imponibile della società
pari al 30% dell'investimento effettuato, con un risparmio fiscale pari all'aliquota Ires corrispondentea tale
deduzione, cioè 72.000 euro (1.000.000x 30%x 24%) 03 IL CALCOLO DEI VANTAGGI Così facendo,
l'imprenditore potrà investire nella start•up innovativa i2 milioni di euro necessari, ottenendo benefici fiscali
per complessivi 372.000 euro già nell'anno successivoa quello dell'investimento (nel modello Redditi 2018
relativo al 2017). Ciò rende l'investimento effettuato sostanzialmente pari ad 1.628.000 euro o, se si
preferisce, conferisce all'investimento di2 milioni di euro un rendimento pressoché immediato di circa il 18%
(372.000/2.000.000) 04 IL RISPARMIO D'IMPOSTA I benefici fiscali concessi sotto forma di detrazionee
deduzione esplicanoi loro effetti, sostanzialmente, nella dichiarazione relativa al periodo d'imposta in cui
sono effettuati gli investimentie quindi ai fini degli obblighi di versamento del saldo 2017 dovuto entro il 30
giugno 2018 (salvo tenerne conto in via previsionale già ai fini degli acconti sul 2017 versati in prima rata il
30 giugnoe in seconda rata il 30 novembre)
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 143
15/07/2017
Pag. 7
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Moda. A Padova l'assemblea dei produttori di calzature della Riviera del Brenta VENETO
Scarpe di lusso, ricavi oltre i 2 miliardi
IL FUTURO Argomento centrale dell'incontro annuale la rivoluzione 4.0 e le sue possibili applicazioni nel settore calzaturiero Katy Mandurino
PADOVA In Italia la produzione calzaturiera è diminuita nel 2016 del 2%, l'export dello 0,9%. Le aziende
sono calate di 97 unità e gli occupati di 298 addetti, con una crescita della cassa integrazione ordinaria del
10,8% (+11% quella straordinaria). Nella Riviera del Brenta, distretto veneto della scarpa di lusso, fiore
all'occhiello della produzione e della subfornitura calzaturiera made in Italy, sembra essere successo il
contrario. L'anno scorso le aziende sono aumentate di 12 unità (fino ad arrivare a 532), gli addetti sono
passati da 10.032 a 10.389, le paia di scarpe prodotte sfiorano i venti milioni (+2,1% sul 2015), per la prima
volta il fatturato ha superato i 2 miliardi di euro (+6,2%). Numeri d'eccellenza, che, però, non impedi• scono
al cluster di soffrire di alcune difficoltà. La prima è quella di apprendere appieno la sfida costituita dalla
rivoluzione industriale 4.0, tema a cui è stata dedicata l'assemblea annuale di Acrib, l'associazione
confindustriale che riunisce i produttori della Riviera del Brenta a cavallo tra le province di Padova e
Venezia. «Dobbiamo sbrigarci a cambiare • ha intimato dal palco il presidente di Acrib Siro Badon •. Prima
comprenderemo quello che abbiamo davanti e prima sapremo cogliere le opportunità che offre il
cambiamento». Ma cosa può significare la rivoluzione industriale 4.0 per il mondo dei calzaturie• ri?
«Dobbiamo puntare sulla qualità• ancora il presidente di Acrib •, interpretando il cambiamento che, ad
esempio, vede l'utilizzo sempre più diffuso delle suole di gomma anche nella fascia di lusso medio alto.
Dobbiamo costruire una nuova filiera, dobbiamo puntare sempre più sulla flessibilità, nostra arma vincente
da sempre». Grande attenzione, per Badon, va data alla formazione: «Bisogna • ha aggiunto • investire sulla
formazione dei giovani attraverso il Politecnico Calzaturiero, vero gioielloe biglietto da visita del nostro
distretto». E sul ruolo centrale del Politecnico spinge anche il presidente di Confindustria Veneto Matteo
Zoppas: «Industria 4.0è in grado di portare reale beneficio alle imprese. Va capito e colto, è una occasione
imperdibile per dare sprint all'innovazione. La Riviera del Brenta ha una marcia in più con il Politecnico, che
deve diventare il primo centro di formazione al mondo per il settore. Ne ha tutte le capacità e potenzialità».
Sulla necessità di cambiare in ottica 4.0 hanno insistito anche gli ospiti dell'assemblea, da Riccardo
Donadon, fondatore dell'acceleratore di start up H•Farm • «La rivoluzine digitale è una cosa semplice, non
siate spaventati» • a Tommaso Cancellara, direttore generale di Assocalzaturifici • l'innovazione nella
formazione è diventata centrale per i calzaturieri italiani». Ma, al di là delle difficoltà culturali, il presidente
dell'associazione Siro Badon non ha omesso di ricordare che il settore resta afflitto da problematiche
oramai divenute croniche: la burocrazia che sta soffocando il Paese e costa alle piccole e medie imprese
tra i 45 e i 190 giorni/uomo; un fisco eccessivo e ingiustificato, che ha portato la pressione al 65%, ben al di
sopra della media europea; un sistema bancario che in Veneto «sta facendo pagare alla collettività i propri
errori». «Spesso • ha concluso Badon • le occasioni per innovare non si colgono anche perché non ci sono le
risorse e la patrimonializzazione sufficiente per sostenere nuove spese». IL CLUSTER 2miliardi I ricavi Nel
2016 per la prima volta il fatturato del comparto ha superato i 2 miliardi di euro (+6,2%) 532 Le aziende del
distretto L'anno scorso sono aumentate di 12 unità, mentre gli addetti sono passati da 10.032 a 10.389 20
milioni La produzione Le paia di scapre prodotte nel 2016, con un aumento del 2,1% rispetto all'anno
precedente 65% Il fisco La pressione fiscale denunciata dai calzaturieri
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 144
15/07/2017
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Quotazioni. Per la settimana prossima attesi cinque debutti all'Aim per la Borsa milanese
Sull'Aim di Piazza Affari un'Ipo al giorno
LE PROTAGONISTE Culti Milano e Pharmanutra hanno già il via libera definitivo e la data del debutto, a seguire toccherà a Glenalta, Sprint Italy e Sit Group Mo.D.
pRound pre vacanze impegnativoa Piazza Affari sul fronte dei debutti. La prossima settima potremmo
vederne uno al giorno. Non grandi quotazioni, ma pmi che arrivano sull'Aim. Ad aprire le danze lunedì sarà
Culti Milano, società specializzata nella produzione e distribuzione di fragranze d'ambientee cosmesi del
gruppo Intek, che fa capo alla famiglia Manes. La società si presenta al mercato con un un fatturato
(pro•forma) 2017 pari a 4,967 miolioni e un margine operativo lordo (Ebitda) di 339mila e con l'obiettivo di
chiudere l'esercizio in corso con 5,854 milioni di fatturato e 1,071 milioni di Ebitda. Al mercato andrà il 30%
di capitale. Martedì sarà la volta di Pharmanutra, che conta su un fatturato attorno ai 32,8 milioni, cresciuto
del 20% rispetto all'anno precedente. La quotazione in Borsa avverrà tramite la spac di nuova generazione
Ipo Challenger 1, la pre•booking company di cui è stato anchor investor Ipo Club, fondo chiuso lanciato nel
maggio 2016 da Azimut Global Counseling ed Electa Ventures. Ai blocchi di partenza anche due Spac:
Glenalta e Sprint Italy. La prima è la "sorella" generalista di Glenalta Food, che portò a termine l'operazione
con Orsero. Se con la Spac dedicata al settore alimentare erano state raccolte adesioni per oltre 94 milioni
di euro, questa volta l'obiettivo dichiaratoè più alto: trai 120 e i 140 milioni. Sprint Italy, invece, è una Spac
promossa da Gerardo Braggiotti (33,3%), 33,3%, da Matteo Carlotti e Fineurop Soditic (33,3%). Il target
della spac sarà un'azienda italiana con un equity value tra 200 e i 400 milioni. Chi, invece, dovrebbe
debuttare la prossima settimana in Borsa proprio attraverso una Spac è Sit Group, specializzata nella
progettazione, produzione e commercializzazione di componenti per gli apparecchi a gas a uso domestico.
L'operazione avverrà tramite Industrial Stars of Italy 2, la seconda Spac promossa da Attilio Arietti e
Giovanni Cavallini, che nel maggio del 2016 aveva raccolto 50,5 milioni di euro. La società ha chiuso
l'ultimo trimestre don un margine operativo lordo (Ebitda) di 44,84 milioni, a fronte di un fatturato da 288
milioni. Piazza Affari, quindi, accelera il passo anche grazie all'effetto dei Pir sul mercato. Ad oggi le
quotazioni in Borsa in Italia sono state 18, ma c'è chi stima potrebbero arrivare a 50 per fine anni grazie
proprio alla carica delle pmi. Fra le grandi, se Ferrovie sembra destinata ad andare al prossimo anno, è
atteso il ritorno a Piazza Affari di Pirelli. Secondo indiscrezioni, poi, anche Furla potrebbe iniziare l'iter per la
quotazione a settembre. Di quest'ultima più volte si è pronosticato il debutto sul mercato e forse potrebbe
essere arrivato il momento considerato che il brand ha chiuso l'esercizio 2016 con un fatturato di 422
milioni, in crescita del 24,5% a cambi correntie del 22%a cambi costanti. Quasi doppia la crescita
dell'Ebitda (+48%), di cui però non viene comunicato il valore assoluto. © RIPRODUZIONE RISERVATA I
NUMERI 18 Ipo Nei primi mesi dell'anno Piazza Affari ha registrato 18 quotazioni in Borsa, contro le 20
dell'intero 2016, le 32 del 2015. Il trend di crescita dovrebbe essere confermato nei prossimi mesi. 5 uovi
debutti Settimana particolarmente intensa per i debutti a Piazza Affari. Lunedì arriverà in Borsa, sull'Aim,
Culti Milano, mentre martedì sarà la volta di Pharmanutra. A seguire Glenalta, Sprint Italy e Sit Group. 312
milioni Il valore dell'Ipo DoBank La quotazione più "pesante" ad oggia Milanoè stata per il 2017 quella di Do
Bank con 312 milioni, seguita da Banca Farmafactoring che ha raccolpto in Ops 274 milioni. Unieuro, poi,
ha raccolto 77 milioni, mentre per IndelB la raccoltaè stata di 32,78 milioni.
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 145
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PARTERRE
Accordo nel settore degli advisor Cassiopea si allea con Finer
(C.Fe.)
Importante accordo nel settore delle boutique dell'advisory. Cassiopea Partners ha infatti stretto un'alleanza
strategica con la Finer. Dall'accordo emerge così un rafforzato player nell'assistenza alle piccole e medie
imprese sul lato delle operazioni straordinarie. Si tratta di una operazione che conferma un trend che si sta
sempre più consolidando sul mercato italiano: lo sviluppo di boutique di pura advisory, che si stanno
rafforzando con l'ingresso di banker in uscita da grandi banche d'investimento. Proprio il mercato italiano,
del resto, si sta sempre più stratificando: oltre a leader come Rothschild e Lazard, c'è la presenza di
strutture di advisory statunitensi come Lincoln, Houlihan Lokey, Jefferieso europee come Alantra.
L'interesseè focalizzato proprio sul settore delle Pmi. Cassiopea Partners, struttura che ha tra i suoi partner
Stefano Trentinoe Marco Torresani,già specializzata in fusionie acquisizioni e ristrutturazioni, ha così
trovato un accordo strategico con Finer, che invece ha il suo core business nell'assistenza alle grandi
famiglie imprenditoriali. Fondatore di Finerè Giorgio Maria Introini, banker dal 2000 al 2013 managing
director nel dipartimento M&A e Corporate Finance di Mediobanca. Con l'accordo Introini sarà anche
partner di Cassiopea.
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 146
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Pag. 34 N.27 - 17 luglio 2017
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FOCUS
Pattern si allarga nell'alta moda con Studio Roscini
(e.m.a.)
Nel campo della moda l'unione fa la forza. Lo dimostra il caso di Pattern che acquisisce il controllo tramite
affitto di ramo d'azienda di Roscini dando vita a una "sinergia fra sperimentazione, tradizione e innovazione
nella produzione di capi di alta moda". Lo Studio Roscini è una storica società umbra anch'essa
specializzata nella fasi della modellistica, prototipia e produzione di capi di qualità. Lo Studio Roscini fu
fondato nel 1987 da Anna Maria Roscini. Le due aziende vanno così a costituire insieme "la più grande
realtà internazionale indipendente per capacità di progettazione e modellistica dedicata alle prime linee ed
ai top brand internazionali" dicono dalle società. Il nuovo gruppo Pattern - Roscini conterà poco meno di
150 tra modelliste, persone addette allo sviluppo prodotto e sarte prototipiste, e questa unione permetterà
di proseguire al meglio nell'offerta di un supporto completo, garantendo qualità e affidabilità nel servizio di
produzione in serie dei capi. Pattern, da fine 2016, è entrata a far parte del progetto Elite di Borse Italiana,
iniziativa che accelera la crescita delle migliori Pmi italiane attraverso un percorso di sviluppo organizzativo
e manageriale.
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 147
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Pag. 1 N.138 - 15 luglio 2017
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INCHIESTA / I BOSS DELLE SOFFERENZE
Chi acquista i non performing loans, chi li gestisce, chi li riscuote (e
come...)
Claudia Cervini
INCHIESTA Ic asi si contano sulle dita di una mano. Eppure c'è un crescente numero di banche che
sceglie di gestirsi gli Npl in casa senza appoggiarsi a operatori esterni specializzati. Ad aprire questa strada
è stata Intesa Sanpaolo, mentre l'ultimo caso di cronaca è quello di Unipol. Le ragioni di questa scelta sono
semplici da intuire. «Non abbiamo nessuna intenzione di regalare a operatori specializzati i valori
sottostanti i crediti e nemmeno danneggiare con operazioni frettolose le imprese debitrici», ha dichiarato il
presidente di Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros-Pietro, lo scorso aprile. «Noi contiamo da un lato sulle
professionalità dei nostri operatori, dall'altro sulla buona salute del sistema produttivo», ha aggiunto il
banchiere. «Gli npl sono per la stragrande maggioranza crediti verso Pmi. Non bisogna fermarsi all'aspetto
cartaceo o giuridico. Il nostro obiettivo è ricavare da questi crediti il maggior valore possibile». Secondo il
progetto, varato dal Cda della banca di Ca' de Sass lo scorso marzo, entro la fine del 2019 l'incidenza dei
crediti deteriorati sui crediti complessivi alla clientela dovrebbe scendere a circa il 10,5% al lordo delle
rettifiche di valore e a circa il 6% al netto, dal 14,7% e 8,2%, rispettivamente, di fine 2016. La capital light
bank (la divisione dedicata) è pienamente operativa, con 740 addetti e 22 miliardi di euro di riduzione di
attivi noncore già conseguita nel primo trimestre. Anche Ubi Banca ha scelto di gestire internamente i
crediti deteriorati senza ricorrere a vendite massive.A determinare tale scelta, la dimensione contenuta
degli stock, la forte contrazione dei nuovi flussi da crediti in bonis a crediti deteriorati (nel 2016 -70%
rispetto al picco del 2012 e in linea con il dato pre-crisi del 2007) e l'elevata capacità di recupero dei crediti
deteriorati (oltre l'8% dello stock totale di crediti deteriorati recuperato nel 2016), assieme alla solida
posizione patrimoniale (Cet1 pari all'11,4 al 31 marzo di quest'anno) e all'abbondante posizione di liquidità.
Nel piano presentato a marzo 2017 alla Bce, Ubi prevede di poter ridurre entro il 2020 il livello dei crediti
deteriorati lordi all'11,5% e di quelli netti al 7,2%. La banca dispone di un team centralizzato di circa 400
persone, di cui 130 dedicate al recupero delle sofferenze (l'unità è operativa dal 2009) e circa 270 al
recupero delle Inadempienze probabili. Ha deciso di gestire in casa i crediti non performanti pure Banco
Bpm, anche se, da piano industriale, prevede una strategia mista che include anche la dismissione di alcuni
pacchetti di Npl. In una recente intervista l'a.d. Giuseppe Castagna ha ricordato che a metà giugno è stata
ceduta una tranche di 693 milioni nella prima vera cessione di non performing loans garantiti. Cessioni a
parte l'istituto sta gestendo internamente il portafoglio «con ottimi risultati» (queste le parole dell'a.d.) e di
questo passo, oltre agli 8 miliardi concordati con la Bce, potrà venderne altri 5-6 miliardi recuperando più di
quello che avrebbe incassato vendendo «all'ingrosso». Allo scopo, va ricordato, ha assunto gestori
specializzati in modo da selezionare gli asset da vendere. Il caso più recente tra chi ha scelto di fare da sé
è quello di Unipol Banca. L'istituto ha deciso di costituire una nuova società che sarà partecipata dagli
attuali soci vale a dire Unipol al 57,75% e UnipolSai al 42,25%, con quest'ultima che detiene anche una put
su una quota del 27,5% che può esercitare nei confronti della capogruppo. All'interno della newco verrà
trasferito un portafoglio crediti in sofferenza di Unipol Banca da circa 3 miliardi di euro. Tali asset verranno
valorizzati attorno al 20% del nominale. È inoltre previsto il rafforzamento - attorno al 40% - del tasso medio
di copertura delle inadempienze probabili che rimarranno in capo a Unipol Banca. (riproduzione riservata)
Foto: Gian Maria Gros-Pietro
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 148
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Pag. 20 N.138 - 15 luglio 2017
CREDITI DETERIORATI INCHIESTA
I signori degli npl
Stefania Peveraro
diffusione:59149
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Che la gestione dei crediti in sofferenza e deteriorati più in generale sia un business in crescita lo dimostra
anche il grande successo che ha avuto tra gli investitori istituzionali l'ipo di doBank, il gruppo bancario nato
dall'ex Uccmb (la piattaforma di gestione di crediti deteriorati di Unicredit) e dalla fusione con Italfondiario.
Sbarcata venerdì 14 luglio a Piazza Affari con una capitalizzazione iniziale di 704 milioni di euro, doBank ha
chiuso in anticipo l'offerta destinata soltanto agli istituzionali il 12 luglio, a fronte di una domanda che è stata
ben 4,65 volte l'offerta. E il primo giorno di negoziazione si è chiuso con il botto: +13,89% a 10,25 euro
contro i 9 euro del collocamento. D'altra parte basta guardare al tasso di crescita delle masse di crediti
gestite dai protagonisti del settore e alla massa di crediti deteriorati che ancora sono sui libri delle banche
italiane per capire che si tratta di un settore interessante nel quale lavorare. Certo, bisogna essere bravi a
recuperare i crediti in questione, perchè poi è da quello che dipendono in ultima analisi i ricavi degli speciali
servicer, che sono appunto i soggetti che si occupano di monitoraggio, gestione e recupero dei crediti non
performing. Non solo. Nel caso in cui i crediti siano stati cartolarizzati, allora entrano in gioco anche i
cosiddetti master servicer, che si occupano di gestire le relazioni con gli organi di vigilanza. E anche in
questo caso l'attività è destinata a crescere, vista l'enorme pipeline di operazione, in primo luogo quelle di
Unicredit e di Mps, rispettivamente da 17,7 e 26,1 miliardi di euro lordi. Si tratta di portafogli enormi in arrivo
sul mercato, che portano il conteggio delle controvalore delle operazioni di compravendita di npl da inizio
anno addirittura già vicino a quota 42 miliardi (fonte BeBeez ). Peraltro, senza tenere conto dei 18 miliardi
di euro di npl in portafoglio alle due banche venete e che saranno traslocati alla Sga per essere poi ceduti
sul mercato e senza tenere conto anche delle tante piccole operazioni che di norma non vengono
comunicate. Insomma, il lavoro per i servicer è in continuo aumento in Italia e nei prossimi mesi lo sarà
ancora di più, perché le linee guida della Bce in tema di gestione delle partite deteriorate porteranno le
banche a essere molto più attente ai propri portafogli di npl, sia che decidano di cederli sia che scelgano di
lavorarli internamente. PwC nel suo ultimo report sul settore in Italia ha calcolato che a fine 2016 i servicer
indipendenti gestivano npl in portafoglio a banche, società finanziarie e investitori specializzati per un totale
lordo di circa 135-155 miliardi di euro, di cui 85 miliardi in portafoglio alle banche (o circa il 40-45% degli npl
delle banche) e il resto in portafoglio ad altri soggetti. Secondo PwC la quota di npl che verranno gestiti dai
servicer andrà crescendo nei prossimi anni, per arrivare a fine 2018 a un totale di 200 miliardi, con le
banche in particolare che faranno gestire dai servicer circa il 60% dei loro npl. E questo perché, sebbene il
valore degli npl sui portafogli delle banche sia previsto diminuire nei prossimi cinque anni, si assisterà a un
aumento delle cessioni di portafogli e quindi del lavoro per i servicer. Allo stesso modo è ragionevole
immaginare che le banche saranno sempre più favorevoli a dare in outsourcing la gestione dei portafogli di
npl, magari coinvolgendo sulle proprie piattaforme di gestione soggetti terzi. Tutto questo ha scatenato una
corsa alla concentrazione del mercato, alla ricerca delle economie di scala e di un allargamento delle
competenze, per essere in grado di trattare qualunque tipologia di credito deteriorato. Non a caso, come
già sottolineato da MF Milano Finanza nei mesi scorsi, in Italia si sta assistendo a un risiko dei servicer e
PwC prevede che l'attività di m&a nel settore continuerà. Tra gli special servicer, al momento a fare la parte
del leone è doBank, che a fine 2016 gestiva 80,9 miliardi di euro di crediti deteriorati, di cui 77,2 miliardi
erano npl. A fine marzo 2017 gli asset in gestione erano saliti a 82,5 miliardi. doBank un anno fa aveva
acquisito Italfondiario, il secondo servicer indipendente in Italia. A vendere sono stati gli stessi fondi di
Fortress (che controllavano Italfondiario all'88,75%) e Intesa Sanpaolo (che aveva in portafoglio l'11,25%
del capitale). Il valore della transazione non era stato reso noto, ma doBank aveva fatturato 90 milioni di
euro nel 2015 mentre Italfondiario aveva registrato ricavi per 56,4 milioni. La nuova realtà, guidata
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 149
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dall'amministratore delegato Andrea Mangoni, ha poi invece chiuso il 2016 con ricavi consolidati per 206
milioni, con un ebitda di addirittura 64 milioni. Certo, una fetta importante del business dipende dalla
capacità di intercettare la gestione dei grandi portafogli che saranno messi sul mercato dalle grandi banche.
In particolare il Documento di registrazione dell'offerta di doBank segnalava che a proposito cella cessione
dei 17,7 miliardi di euro di sofferenze di Unicredit, per cui sono stati firmati accordi di cessione a veicoli
controllati da Fortress e Pimco, con Unicredit che parteciperà al 49% ciascun veicolo, andrà firmato un
nuovo accordo di master servicing su crediti che attualmente sono gestiti da doBank. Detto questo, doBank
si aspetta ragionevolmente che i contenuti del nuovo accordo restino analoghi a quelli del vecchio accordo.
Al secondo posto nella classifica per asset in gestione c'è Cerved, che ha 12,4 miliardi di euro di npl in
gestione a fine 2016 e punta a crescere velocemente nel settore. I risultati trimestrali hanno evidenziato
che, sebbene la fetta più importante di ricavi e reddività di Cerved arrivi dall'attività di business information,
quella di gestione dei crediti continua a guadagnare peso sul risultato complessivo. L'attività di gestione
degli npl, in capo a Cerved Credit management, guidata da Andrea Mignanelli, è infatti ad alto valore
aggiunto. L'amministratore delegato di Cerved, Marco Nespolo, ha spiegato a MF Milano Finanza che «per
ogni miliardo di euro di npl in gestione, a commissioni di mercato si genera circa 1 milione di euro di ebitda.
Per contro, gestire crediti performing è meno remunerativo, si parla di circa 3-400 mila euro per ogni
miliardo l'anno». Lo scorso novembre Cerved era riuscito ad aggiudicarsi la gara per Juliet, la piattaforma di
gestione di npl del Monte dei Paschi, con tanto di accordo annesso per la gestione di un terzo degli npl lordi
del gruppo bancario senese, cioè 9 miliardi di quelli che allora erano 27 miliardi lordi di npl da cartolarizzare
e cedere in un'operazione che era stata strutturata contestualmente al progetto di ricapitalizzazione firmato
Jp Morgan-Mediobanca, poi naufragato. Con lo stop a quel progetto, quindi, anche l'accordo di cessione
della piattaforma Juliet era andato in soffitta. Una decina di giorni fa, però, c'è stata la svolta e, oltre a
vedere risolto il tema della ricapitalizzazione della banca, la questione Juliet si è sbloccata, con Quaestio
Holding che ha firmato un'esclusiva con Cerved per l'acquisizione congiunta di Juliet e per una partnership
industriale per le attività di special servicing sui titoli della prevista cartolarizzazione di 26,1 miliardi di euro
di npl su un totale di 28,6 miliardi in portafoglio alla banca e con un pacchetto di unsecured e leasing da 2,5
miliardi che sarà ceduto a parte. I crediti saranno venduti al prezzo di 5,5 miliardi alla società veicolo che si
finanzierà inizialmente emettendo titoli mezzanine per 1,1 miliardi. Il 95% di questi titoli saranno sottoscritti
da Atlante 2, gestito da Quaestio capital management sgr. Nei giorni scorsi Cerved ha anche portato a casa
il mandato di special servicer della cartolarizzazione da 1,4 miliardi di euro degli npl di Creval e Cerved ha
anche ottenuto dalla banca l'incarico di proseguire la gestione in outsourcing del portafoglio di sofferenze
residue. Da segnalare, infine, Prelios Credit Servicing, che se a fine 2016 aveva solo 9 miliardi di euro di
npl in gestione, quest'anno ha già firmato un contratto molto importante. La società guidata da Riccardo
Serrini ha affiancato Banca Carige come master servicer e special servicer nella cartolarizzazione di 938
milioni di euro di crediti non performing appena andata sul mercato. Sul fronte degli investimenti, Atlante 2
è certo uno dei protagonisti del settore quando si parla di cartolarizzazioni. Tuttavia chi sinora ha comprato
più portafogli è stata Banca Ifis, che da inizio anno ha annunciato otto acquisizioni per un totale lordo di
oltre 2,5 miliardi di euro di npl, dopo averne comprati per 3,1 miliardi nel 2016. Guidata da Giovanni Bossi,
la banca sta puntando decisamente molto sul settore degli npl: l'area npl, di cui è responsabile Andrea
Clamer, ha contribuito infatti al margine di intermediazione della banca per ben 187,4 milioni di euro nel
2016 (da 56,3 milioni nel 2015) su un totale di 358,6 milioni (da 408 milioni). Molto attivo quest'anno è
anche il gruppo polacco Kruk, che nei soli primi sei mesi dell'anno ha acquistato in Italia portafogli di npl per
un valore lordo di oltre 1 miliardo di euro. (riproduzione riservata)
I PRINCIPALI SERVICER ITALIANI INDIPENDENTI Nome doBank-italfondiario Cerved Credit Man. Caf
Fbs Guber Hoist Italia Sistemia Advancing Trade MbCredit Solutions Prelios Finint Revalue Kruk Italia Fire
Bayview Italia Primus Capital Link Financial Officine CST (4) Cribis Credit Man. Credito Fondiario AZ
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 150
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Pag. 20 N.138 - 15 luglio 2017
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Holding Fides Parr Credit CS Union SiCollection Gextra - Lindorff(3) Securitisation Serv. Serfin Centotrenta
Servic. Zenith Service GRAFICA MF-MILANO FINANZA Vigilanza Banca 115 Tulps 115 Tulps 106 Tub 115
Tulps 115 Tulps 115 Tulps 106 Tub/115 Tulps 106 Tub 106 Tub 106 Tub 115 Tulps 115 Tulps 115 Tulps
106 Tub 106 Tub 115 Tulps 115 Tulps Banca 115 Tulps 115 Tulps 115 Tulps 106 Tub 115 Tulps 115 Tulps
106 Tub 115 Tulps 106 Tub 106 Tub Dati al 31/12/2016 in mld euro Npl in gestione 77,2 12,4 8,1 7,9 7,4
6,6 4,9 4,3 4,1 3,3 2,9 2,7 2,6 2,2 2,2 2,1 1,8 1,4 1,2 1,1 1 0,9 0,7 0,6 0,5 0,5 0,5 Special servicing Master
servicing Crediti perf. in gestione Crediti perf. in gestione Altri deteriorati in gestione (2) 1,8 3,1 0,1 1 0,1
11,2 1,1 0,2 0,3 0,2 0,1 0,1 0,1 1,9 9,2 0,2 0,7 0,1 1,1 8,2 1,2 0,3 1,7 0,6 7,2 12,8 24,6 4,9 14,9 Ricavi
Ebitda mln di € 206 85 19 18 40 17 17 34 60 9 n.a. 40 n.a. 4 11 22 27 8 20 9 18 19 3 - 1) crediti in gestione
sia di proprietà sia di terze parti 2) inadempienze probabili e crediti scaduti 3) Gextra è stata acquisita da
Lindorff nel maggio 2017; Dati estratti dal bilancio di doBank, ma non sottratti dai numeri di doBank 4)
specializzata soprattutto in crediti verso la pubblica amministrazione 5) Officine CST is specialised mainly in
PA credit servicing Note: Tulps = Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, Tub = Testo Unico
Bancario 64,3 24,4 6,8 7,3 19,4 0,8 3,9 5,4 -0,2 0,5 nd 1,4 nd nd nd 3,9 nd nd 2,8 nd 2,5 1,8 nd 0,4 9,8 nd
0,5 - Fonte: elaborazioni di PwC su dati forniti dai servicer
CHI HA COMPRATO E VENDUTO NPL IN ITALIA DA INIZIO 2017 Data Gennaio 2017 Gennaio 2017
Gennaio 2017 Gennaio 2017 Gennaio 2017 Gennaio 2017 Gennaio 2017 Gennaio 2017 Febbraio 2017
Febbraio 2017 Febbraio 2017 Marzo 2017 Marzo 2017 Marzo 2017 Marzo 2017 Aprile 2017 Aprile 2017
Aprile 2017 Maggio 2017 Maggio 2017 Maggio 2017 Maggio 2017 Giugno 2017 Giugno 2017 Giugno 2017
Giugno 2017 Giugno 2017 Giugno 2017 Giugno 2017 Luglio 2017 Luglio 2017 Luglio 2017 Luglio 2017
Luglio 2017 Luglio 2017 Luglio 2017 01/07/2017* TOTALE Venditore Bnl BnpParibas Banca Ifis Banco
Bpm Banco Desio e Pop. Spoleto Credito Trevigiano Bcc Utility B. Marche, Etruria e Lazio, Chieti Unicredit
Bulgaria Barclays Italia Intesa Sanpaolo Provis Heta Unicredit Ungheria Creval Deutsche Bank Banco
Santander Fondo intern. distressed Fondo intern. distressed Intesa Sanpaolo Banca Mediocredito Fvg
Banca Sella Barclays Unicredit Deutsche Bank Findomestic Consel (Gr. Banca Sella) Yapi Kredit (Unicredit
Turchia) Nuova CR Ferrara Unicredit Banco Bpm Banca Carige Unicredit Utility Banca Ifis Banca Ifis Mps
Creval Unicredit Milioni di € lordi 1.000 750 641 150 48 35 2.200 93 177 280 570 138 50 413 160 112 302
2.500 400 126 190 500 132 321 17 132 343 450 693 938 240 nd 152 98 26.100 1.405 17.700 41.856 Tipo
di Npl Unsec. Corp. e retail Unsecured Unsecured Unsec. Corp. e retail Secured Unsecured Deteriorati
Secured Secur. Perfor. e npl vs pmi Contratti di leasing Immobili e leasing Secured Secured Secured e
unsecured Unsecured retail Unsecured retail Unsecured retail Sec. (Beyond the Clouds) Npl e utp secured
Secured e unsecured Unsec. npl e performing Leasing Unsecured retail Unsecured retail Unsecured retail
Nd Secured e unsecured Unsecured retail Secured (project Rainbow) secured Corporate unsecured
Unsecured Deteriorati unsec. retail Crediti re-performing Secured e unsecured Secured e unsecured Sec. e
unsec. (prog. Fino) Acquirente Banca Ifis Kruk Group Hoist Finance Creditech nd Creditech Atlante II B2
Holding Anacap Credito Fondiario Bain Capital Credit Balbec Capital e Aps Holding investitore
specializzato Banca Ifis Banca Ifis Banca Ifis Banca Ifis CRC e Bayview Bain Capital Credit B2 Holding
Banca Ifis MBCredit Solutions Kruk Group Banca Ifis Banca Ifis società di asset management Atlante II
MBCredit Solutions Algebris Npl fund II cartolar. con possibile Gacs Kruk Group Kruk Group fondo
internazionale distressed Lcm Partners cartol. con poss. Gacs, Atlante II* cartolar. con possibile Gacs
Fortress, Pimco, Unicredit Nota: Sono stati esclusi i 18 mld di crediti deteriorati di Veneto Banca e B.
Popolare di Vicenza che passeranno alla Sga,* in chiusura a settimane ** Mezzanine e junior Fonte:
BeBeez
Foto: Andrea Mangoni
Foto: Giovanni Bossi
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 151
15/07/2017
Pag. 20 N.138 - 15 luglio 2017
diffusione:59149
tiratura:117908
Foto: Marco Nespolo Quotazioni, altre news e analisi su www.milanofinanza.it/npl
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 152
15/07/2017
Pag. 34 N.138 - 15 luglio 2017
FONDI SPECIALIZZATI/ FOCUS PIR
Il valore della selezione
Marco Fusi
diffusione:59149
tiratura:117908
MF-DowJones Symphonia sgr conferma il suo tradizionale focus sulle piccole e medie imprese italiane
grazie al fondo azionario small cap Italia, tra i migliori nella categoria sall&mid cap (fonte Lipper analytics) a
cui ha affiancato recentemente il fondo Patrimonio Italia Risparmio, strumento che prevede un'esposizione
massima all'equity al 30%. Sono queste le soluzioni d'investimento Pir compliant della sgr: Symphonia
azionario small cap Italia (fondo azionario puro), e Symphonia Patrimonio Italia Risparmio, categoria
flessibile, massimo 30% azionario. «Sono i nostri due prodotti Pir», spiega a MF-Dowjones Guido
Crivellaro, responsabile investimenti azionari Italia, «è un fondo small cap puro. Il nostro, già ben prima
dell'avvento dei Pir, era uno dei pochissimi prodotti azionari al 100%, quindi esposto solo su titoli non
appartenenti al paniere dell'indice Ftse Mib. Negli ultimi anni questo fondo, molto legato al segmento Star,
ha fatto molto bene». Domanda. A quale tipo di trasformazione è stato sottoposto? Risposta. Questo fondo
è stato aperto alla classe Pir, ma di fatto era già di suo Pir compliant, ne aveva cioè le caratteristiche, con
un profilo di rischio relativamente alto. Da quest'anno poi, sempre sul fronte dei Piani individuali di
risparmio, abbiamo lanciato un nuovo prodotto: si tratta di Patrimonio Italia Risparmio, che invece ha una
bassa volatilità e una quota di azionario contenuta. D. Quale accoglienza hanno ricevuto i prodotti da parte
degli investitori? R. Positivi, visto anche l'ottimo track record del fondo azionario small cap (5 stelle rating
MorningStar e 5 stelle Cfs Rating), i feedback della clientela. Abbiamo avuto e abbiamo un riscontro molto
importante. Il nostro fondo azionario puro negli ultimi cinque anni è risultato il migliore. Abbiamo raccolto
molto e stiamo raccogliendo ancora tanto anche con l'altro fondo. L'onda lunga dei Pir prosegue e
continuiamo a beneficiarne. D. Mentre il suo giudizio sui Pir come strumento di sostegno alle pmi italiane?
R. Il giudizio sul provvedimento è positivo, era il pezzo che mancava nel mosaico della finanza italiana.
Adesso il punto è che questi soldi devono arrivare al mercato primario, alle aziende. Non potendolo fare
direttamente,è stata escogitata una forma che portasse liquidità arrivando quindi anche al mercato primario.
Mi aspetto che ci siano nuove operazioni di collocamento societario e che anche che l'offerta si ravvivi
anche dal punto di vita delle emissione obbligazionarie. I soldi ci sono. Bisogna fare in modo che non
rimangano solo sul secondario. D. I Pir risolvono i problemi dell'Aim Italia, ossia il segmento di Borsa
Italiana dedicato alle Pmi ad alto potenziale? R. Come sappiamo uno dei grossi problemi era la liquidità.
Con il suo aumento, per certi versi una parte dei problemi si è risolta. Su Aim però in alcune fasi sono
arrivate anche società che non avrebbero meritato l'accesso al mercato, serviva una migliore opera di
selezione. Anche le aziende sane, comunque, hanno risentito della scarsa liquidità. Ora invece si è creata
l'occasione per affinare la ricerca e lo stock picking da parte dei money manager. D.È difficile quest'opera?I
gestori, nella media, sono in grado di svolgerla nel modo migliore? R. Se bisogna fare selezione, è
necessario che vi siano le competenze giuste, che chiaramente non si improvvisano. Anche perchè quello
che va monitorato è un mondo molto ampio, le small cap in circolazione sono tante. Sul mercato si trova di
tutto: da aziende con grandissima qualità e che richiedono multipli alti - e su queste non ci aspettiamo una
correzione, ma vediamo comunque un potenziale di rialzo meno elevato - a imprese che sono cresciute
semplicemente grazie alla maggiore liquidità, per arrivare a quelle società i cui multipli non esprimono
ancora il loro effettivo valore. È un universo ampio e ovviamente anche il segmento più interessante a cui
può rivolgersi un gestore di patrimoni. (riproduzione riservata)
Foto: Guido Crivellaro
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 153
17/07/2017
Pag. 27 N.167 - 17 luglio 2017
diffusione:88589
tiratura:133263
Il rapporto con chi fruisce delle consulenze sta mutando. Spazio anche a partnership
Conoscere il mondo del cliente
Il legale entra in azienda per offrigli un servizio ad hoc EDEN UBOLDI
Il legale si toglie la toga ed entra in impresa per offrire un servizio su misura. Ecco come il nuovo approccio
di alcuni innovativi studi legali in un contesto di mercato, che negli ultimi dieci anni è molto mutato (si veda
ItaliaOggi Sette del 14 marzo 2016). Secondo il report annuale 2017 sullo stato del mercato legale
pubblicato ai primi di gennaio scorso dalla Georgetown University Law Center for the Study of the Legal
Profession, gli studi devono trovare nuove strategie per adattarsi e rimanere competitivi, abbandonando i
vecchi modelli di servizi e ridisegnandoli in base alle esigenze dei clienti. Fra gli aspetti analizzati dal report,
è stato osservata, a partire dal 2007, l'erosione di parte del consueto mercato degli studi legali, a favore
dell'internalizzazione nelle imprese di figure esperte di diritto e la costituzione di nuove realtà, che insieme
a consulente specializzate in più campi, forniscono servizi in ambito legale. Più a rischio sono, quindi, gli
studi che non riescono a trovare la loro vocazione, rischiando di scomparire in un ambiente concorrenziale
in cui è necessario offrire risposte efficaci e concrete, distinguendosi dagli altri competitor. Gli avvocati
Agostino Crosti e Mirella Manera, fondatori dello studio Legale Crosti Manera operante nel settore del diritto
penale, hanno ideato e sviluppato un nuovo approccio per affrontare le problematiche delle aziende clienti.
Svolgendo l'attività di docente sui temi relativi alla sicurezza nei luoghi di lavoro e ai connessi profili di
responsabilità penale presso alcune importanti associazioni industriali, Crosti ha costato la necessità di
interfacciarsi in modo nuovo con le realtà imprenditoriali, sensibili a tali problematiche ma in difficoltà sul
piano attuativo. «Il decreto legislativo 231/2001, oggi sempre più applicato nel contesto dei processi penali
riguardanti incidenti sul lavoro prevede importanti sanzioni per l'azienda che non dimostri di essersi
organizzata adeguatamente per prevenire i reati in materia antinfortunistica. Un infortunio in ambito
lavorativo oggi comporta forti ricadute negative sull'immagine, sul patrimonio e sul business dell'azienda,
nonché sulla vita professionale e umana dei manager, che possono subire severe condanne penali, tali da
comportarne addirittura l'incarcerazione, come dimostra la giurisprudenza più recente; si pensi al processo
ThyssenKrupp, conclusosi nel 2016, che ha visto la condanna definitiva dei dirigenti a pene fino ad oltre
nove anni di reclusione», spiega Manera. Nell'ultima relazione annuale Inail sull'andamento degli infortuni
sul lavoro, con i dati dell'anno 2015, si segnala l'andamento decrescente del numero degli infortuni: sono
637 mila le denunce di infortuni registrate, in diminuzione del 4% rispetto al 2014. Ma, dall'altra parte, sono
in aumento le denunce di infortunio con esito mortale: 1.246 nel 2015, contro le 1.152 nel 2014. Durante un
incontro dedicato al tema, tenutosi il 28 giugno 2016, davanti ai rappresentanti del Parlamento e della
Commissione europea, Christa Sedlatschek, direttrice dell'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul
lavoro, ha dichiarato che, benché le micro e piccole imprese rappresentino quasi il 99% delle imprese
europee, «sono in ritardo rispetto alle loro controparti di dimensioni maggiori in materia di disposizioni per la
sicurezza e salute sul lavoro, dato che il 30% delle microimprese non effettua regolarmente le valutazioni
dei rischi, contro solo il 3% delle imprese con 250 o più dipendenti. Inoltre, delle micro e piccole imprese
che non effettuano le valutazioni dei rischi, oltre l'80% ritiene che "i rischi e i pericoli siano già noti"o che
"non vi siano grossi problemi"». A dire di Manera, nel settore industriale italiano vi è la sensibilità per questi
argomenti ed è percepita l'urgenza, sia dotarsi di modelli organizzativi validi, che di mettere in atto best
practice che evitino incidenti e relative condanne. «Noi operiamo specialmente nelle aziende
manifatturiere», racconta Crosta, osservando come queste per aumentare il livello di sicurezza investano in
presidi ipertecnologici, sforzi vanificati poi da un utilizzo non responsabile dei macchinari da parte degli
addetti. Notando il forte scollamento fra le figure dirigenziali, al vertice, e gli operai, il metodo CrostiManera
come prima cosa verte sulla sensibilizzazione dell'itero organigramma dell'azienda sul tema della
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 154
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sicurezza, colmando il gap conoscitivo di tutte le parti attive nel processo produttivo. Entrando nell'azienda
e rigettando una comunicazione dall'alto, i due avvocati si interfacciano direttamente con i lavoratori, che,
finalmente pienamente consci dell'importante ruolo che rivestono nei processi di messa in sicurezza,
diventano i primi a rivelare criticità riscontrare sul campo e soluzioni percorribili. Secondo Crosta, «per
scongiurare gli scenari penalmente più seri previsti dal Codice penale e dal dlgs 231/0», bisogna,
«raggiungere le fasce operative e stimolare dal basso la comunicazione dei problemi verso i ruoli dirigenti,
che solo avendo una chiara conoscenza dei rischi sommersi potranno compiere scelte manageriali
adeguate e idonee a prevenire infortuni, reati e connesse sanzioni penali». Si tratta di una metodologia,
mutevole a seconda delle esigenze del cliente e capace di incidere nelle dinamiche psicologiche e
comportamentali delle persone. Anche secondo Lorenza Morello, partner di Morello consulting, fondata nel
2011, il legale deve conoscere profondamente il contesto in cui operano le aziende clienti, dotandosi anche
di competenze relative all'economia, alla comunicazione e al management e, se necessario, entrando
nell'impresa per analizzare le criticità segnalate e quelle che potrebbero sopraggiungere nel futuro
prossimo. Attingendo dalle esperienze maturate negli Stati Uniti, Morello, sicura che un approccio
preventivo ai problemi tipici che incontra una azienda nel suo ciclo produttivo sia più proficuo rispetto
all'esperimento del contenzioso, ha identificato degli appositi servizi che favoriscano la risoluzione dei
conflitti in modo extragiudiziale e strutturino le attività del cliente in modo da evitare l'insorgere di tutta una
serie di problematiche peculiari. Per aiutare la governance dell'azienda, offre anche un ricco programma di
formazione, perché, come osserva Morello, le carenze conoscitive della dirigenza posso influire
negativamente sulle performance produttive. Qualsiasi problema venga riscontrato, le soluzioni offerte sono
variegate a seconda del tipo di cliente, declinando i servizi a favore di una maggiore «personalizzazione».
«Oltre 500 chilometri», dice l'avvocato Sasha Picciolo dello studio legale Trevisan & Cuonzo Avvocati
riferendosi alle tratte macinate ogni settimana per raggiungere i propri clienti nelle loro sedi, per visionarne
showroom e laboratori e interfacciarsi con il loro ambiente di business. Trevisan & Cuonzo Avvocati,
fondata nel 1993, è una delle primarie law firm italiane in materia di diritto commerciale e della proprietà
intellettuale, mentre Picciolo è la responsabile di 4Innovation, programma dedicato alle start up e alle pmi
innovative attive nel campo dell'innovazione tecnologica, dell'agroalimentare, delle life sciences e della
creatività, nato da una sua intuizione nel 2013 e pienamente sposato dallo studio. Il progetto, operativo a
partire dai primi mesi di gennaio 2014, è stato pensato per valorizzare le idee più meritevoli e supportare gli
imprenditori di domani affiancandoli in tutte le fasi necessarie per inserirsi nel mercato. «Per crescere sono
necessari, oltre allo spirito imprenditoriale, sostegno economico e solidi strumenti legali», racconta
l'avvocato. Secondo l'ultima rielaborazioni dell'ufficio studi della Cgia, l'associazione degli artigiani di
Mestre, il 55,2% delle imprese innovative italiane chiude entro i primi 5 anni di vita. A dire del coordinatore,
Paolo Zabeo, i principali motivi sono le tasse, la burocrazia, l'assenza di liquidità e la mancanza di know
how imprenditoriale dei fondatori. Un sondaggio del progetto Life project, finanziato dalla Commissione
europea e diffuso nel settembre scorso, mette in luce nella i problemi che le start up incontrano in quattro
momenti (scoperta, validazione, efficienza e crescita) del loro percorso. Nella prima fase, insieme alle
difficoltà nella creazione del team lavorativo e delle risorse finanziarie, i neoimprenditori devono affrontare
la complessità del quadro normativo. Anche nella fase crescita, superate le difficoltà nel reperimento di
finanziamenti, gli intervistati riferiscono di aver dovuto affrontare nuovi problemi legali, specialmente in
merito ai contratti sottoscritti con fornitori e clienti. Consapevoli sia delle debolezze in materia di marchi,
brevetti e know how che della penuria di capitale finanziario, il team di 4Innovation, capitanato dalla
dottoressa Picciolo, offre entrambe le soluzioni: da una parte, predispone le forme contrattuali più
opportune a seconda delle esigenze, tessendo una efficace struttura di tutela della proprietà intellettuale e
suggerendo le strategie da percorrere, dall'altra cerca di favorire l'incontro e le relazioni fra le realtà con alto
potenziale e gli investitori. «Il rapporto che intercorre con i nostri startupper è ribaltato rispetto a quello con i
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 155
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clienti tradizionali. Grazie alla nostra rete sinergica, di cui fa parte anche Equinvest (ndr, società
internazionale di venture capital), BackToWork24 (società del Gruppo 24 Ore che accompagna gli
investitori nella ricerca di realtà ad alto potenziale, ndr) e QVC (primario network televisivo e retailer
globale, che cura la distribuzione dei prodotti più interessanti, ndr), creiamo circoli virtuosi volti ad
accelerare i vari processi di crescita, distribuzione e sviluppo. Noi li seguiamo in ogni momento del
percorso, anche quando l'idea è ancora in fase embrionale. In quello che facciamo c'è anche una forte
dimensione umana: oltre all'assistenza legale, c'è tutta una attenzione alla persona, necessaria per
costruire un rapporto di mutua fiducia».
Entrando nell'azienda e rigettando una comunicazione dall'alto, gli avvocati si interfacciano
direttamente con i lavoratori
Il rapporto che intercorre con i nostri startupper è ribaltato rispetto a quello con i clienti tradizionali
Servizi che strutturino le attività del cliente in modo da evitare l'insorgere di tutta una serie di
problematiche l
Foto: Lorenza Morello
Foto: Agostino Crosti
Foto: Sasha Picciolo
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 156
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Pag. 5 N.26 - 17 luglio 2017 Corriere del Mezzogiorno Economia
Il personaggiodomenico lanzo
L'uomo di Netcom che sogna (al sud) la silicon valley
È presidente e ad del gruppo campano leader nel comparto delle telecomunicazioni e trasporti con 20 sedi e 600 dipendentiOra fa shopping al Nord e compra la piemontese Core informatica Paolo Picone
La squadra, il fattore umano, lavorare divertendosi. Sono i punti fondamentali della filosofia d'impresa di
Domenico Lanzo, presidente ed amministratore di Netcom Group. Laureato in fisica, sì certo, ma
fondamentalmente un innovatore ed anche un grande motivatore, con una professionalità da anni mirata ad
aumentare lo sviluppo delle imprese e la gestione delle risorse umane. «Per noi è importante - racconta
Lanzo - che le persone lavorino in serenità e che si divertano lavorando. In questo gruppo è fondamentale il
fattore umano e tre caratteristiche in particolare: lealtà, collaborazione e condivisione». Il metodo «NetCom
Group» creato da Lanzo consiste proprio in questo, privilegiare su ogni cosa proprio il fattore umano.
Metodo che ha ben funzionato se oggi NetCom Group, azienda napoletana doc, vanta sedi in tutta Italia ed
anche all'estero, con un fatturato che sfiora i 20 milioni di euro annui e con un trend di crescita del
personale del 27% e neo assunti per lo più laureati con una età media di 31 anni. Ma la storia di Netcom
Group viene da lontano, dal 2006 quando Netcom Engineering , società di Consulenza e System
Integration, si colloca sul mercato con l'acquisizione da parte di Domenico Lanzo del 40% di quote della 3S
srl (costituita nel 1997) e la partecipazione di Metoda Spa al restante 60%.
La prima denominazione sociale, data dal connubio dell'esperienza nel settore dell'Ingegneria e della
partecipazione di Metoda, fu «Metoda-Engineering» in vece dell'originaria 3S srl. Dopo il primo anno di
attività Metoda Engineering opta per un ampliamento societario accogliendo manager di provata
esperienza commerciale.
La conoscenza di una gestione commerciale multinazionale e la valorizzazione della competenza di
personale con alto profilo di esperienza tecnologica, sono frutto dell'operatività di manager provenienti da
un noto gruppo di consulenza internazionale francese. Applicando i principi e i processi conosciuti nella
precedente esperienza si punta a curare con attenzione la prestazione di servizi di consulenza
ingegneristica focalizzando l'attività esclusivamente in ambito Telecomunicazioni, Media ed Automotive.
Una riorganizzazione societaria porta poi la Netcom Engineering (precedentemente Metoda-Engineering) al
controllo di maggioranza delle quote rispetto alla partecipante Metoda spa. È nel 2014 che NetCom
Engineering si trasforma in gruppo. Nasce la denominazione Netcom Group che rappresenta l'integrazione
di tre società attive nel comparto dell'IT, delle telecomunicazioni e dell'automotive. Importanti know how
integrati hanno dato origine a un gruppo industriale diventato una delle aziende leader nel settore delle
telecomunicazioni e dei trasporti. Si presenta così la realtà tutta campana di NetCom Group.
Ricerca e innovazione sono gli asset strategici che hanno consentito al Gruppo di ottenere rapidamente
ottimi risultati, dopo essere stato costituito nel 2006 con una vocazione all'internazionalizzazione. Forte di
una squadra composta tutta da ingegneri specializzati nei vari indirizzi, NetCom Group ha vinto la
scommessa di coniugare l'alta qualità con il contenimento dei costi puntando su «uno spirito imprenditoriale
teso alla costruzione di rapporti industriali - spiega Lanzo - un'organizzazione che sa adattare alle Pmi
locali il meglio della gestione tipica delle grandi industrie internazionali; un gruppo aziendale in grado di
sostenere l'impegno finanziario per l'avvio dell'attività».
Nel suo portafoglio clienti NetCom Group vanta brand di caratura internazionale riferiti ai diversi settori di
riferimento: Mbda Italia, gruppo Fiat, Maserati, Jaguar, Magneti Marelli Automobili Lamborghini, Italdesign
Giugiaro, Sky Italia, Vodafone, Huawei, Cisco System solo per citarne alcuni. Insomma un gruppo solido e
che ha anche mire espansionistiche non indifferenti.
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 157
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Pag. 5 N.26 - 17 luglio 2017 Corriere del Mezzogiorno Economia
Proprio sabato scorso in occasione del meeting annuale estivo organizzato per tutti i dipendenti nella
splendida cornice del Castello Aragonese di Baia a Bacoli, Lanzo ha annunciato una svolta fondamentale
per il gruppo che guida, e cioè l'acquisizione della maggioranza di Core Informatica srl, azienda con sede in
Piemonte ad Ivrea, specializzata nei servizi di supporto tecnico alle infrastrutture informatiche e che offre
una vasta gamma di servizi principalmente per aziende di medie e grandi dimensioni.
E così il gruppo crescerà nel corso di quest'anno sia in termini di fatturato che di personale. Oltre 40 milioni
di euro il fatturato annuo e più di 600 il numero complessivo dei dipendenti. «Quest'acquisizione - afferma
Lanzo - deve essere vista come la costruzione di un asse tecnologico tra Nord e Sud che potrebbe
rappresentare una vera dorsale italiana. Uniamo cioè l'alta capacità produttiva del Nord con la grande
creatività e dinamicità del Sud. Con l'acquisizione di Core Informatica realizziamo un'integrazione delle
nostre attività con altre che non possedevamo e che ora unite ci consentiranno di raggiungere un mercato
sempre più vasto. È la conseguenza positiva di due eccellenze che si uniscono».
Tra gli obiettivi di Lanzo c'è quello sicuramente ambizioso di trasformare NetCom Group in una
multinazionale, ma non solo. «In un futuro non troppo lontano - svela il manager-imprenditore - vorrei
realizzare una Silicon Valley dei cervelli italiani con base al Sud».
Chi conosce Lanzo, sa che le sue idee hanno sempre un seguito. Come ad esempio quella avuta sei mesi
fa di creare una web radio, «Netcom Radio», dedicata ai temi dell'innovazione tecnologica e che ogni
settimana produce un magazine di approfondimento con interviste ai protagonisti del mondo del lavoro,
dell'università, dell'economia, dell'industria e delle istituzioni.
E nel corso del meeting estivo di sabato, Netcom Radio ha lanciato le sue app gratuite in cui oltre ad
ascoltare la radio si possono leggere notizie di approfondimento sui temi specifici.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
1995La carriera
2006Le acquisizioni
2014La trasformazione
2015La piattaforma
2016Il personale
2017L'intesa
Foto: Domenico Lanzo inizia la sua carriera professionale vincendo l'Ata award (Automotive Association,
Fiat Group)
Foto: Nasce NetCom: acquisisce il 40% di quote della 3S srl e del 60% di Metoda
Foto: NetCom Engineering si trasforma in gruppo, nasce la denominazione Netcom Group
Foto: Partecipa al Gsma Mobile World Congress 2015 di Barcellona per la piattaforma di Automation Test
M3
Foto: L'azienda di Lanzo arriva a 280 unità che nel 2017 hanno superato la soglia delle 300
Foto: NetCom Group ha acquisito la maggioranza di Core srl, società informatica di Ivrea
Chi è
Domenico Lanzo è presidente
ed amministratore delegato
di NetCom Group Spa.
Ha 52 anni ed è laureato in fisica.
Ha iniziato la sua carriera nel 1995 con il premio Ata ed ha seguito alcuni progetti di simulazione
per l'esecuzione
di un veicolo virtuale.
Ha continuato le sue esperienze in Farfisa come progettista di software per architetture parallele. Mi
piacerebbeun giorno realizzareuna strutturaper accoglierei cervellimeridionali Condivisione,collaborazionee
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/07/2017 158
17/07/2017
Pag. 5 N.26 - 17 luglio 2017 Corriere del Mezzogiorno Economia
lealtà:ecco i fattorifondamentaliper poterlavorarecon serenità
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