Pesaro, la moda e la memoria

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Sarte e sarti a Pesaro, dal XIX secolo al 1970 - ricordi e storie dei protagonisti

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Pesaro, la moda e la memoriail lavoro dei sarti 1900_1970

a cura di Cristina Ortolani

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Pesaro, la moda e la memoria - il lavoro dei sarti 1900_1970 concept, ricerche e testi Cristina Ortolaniprogetto grafico e impaginazione Ufficio Stampa CNA Pesaro - Maria Grazia Nardinicollaborazione ai testi Claudio Salvi

le fotografie e i documenti riprodotti appaiono con l’autorizzazione dei proprietari e degli aventi diritto;il materiale raccolto è stato inserito con la massima cura; tuttavia, l'editore è a disposizione per eventuali involontarie omissio-ni o inesattezze nella citazione delle fonti;i testi di Cristina Ortolani sono rilasciati sotto la licenza Creative Commons “Attribuzione Non commerciale Condividi allo stes-so modo” 2.5 Italia;in copertina: Pesaro, anni Cinquanta del ‘900: défilé al Teatro “G. Rossini” (raccolta Cristina Ortolani, Pesaro)per informazioni: CNA - Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa Associazione provinciale di Pesaro e Urbino - www.cnapesaro.com - [email protected]

Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media ImpresaAssociazione provinciale di Pesaro e Urbino

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Raccontare una storia lunga quasi un secolo, descriverne i personaggi, i luoghi, le vite, i sogni, le relazioni, le cosefatte e quelle che invece non si sono potute realizzare, non era impresa di poco conto. Ricostruire un percorsonel quale poter leggere le vicende ed i suoi protagonisti ma anche le trasformazioni di una società attraversole mode, i costumi e soprattutto gli abiti, poteva sembrare all’inizio un progetto sin troppo ambizioso.Ma attraverso la testimonianza diretta dei protagonisti ed il loro diretto contributo, questo volume sulla modae la memoria a Pesaro è diventato una sorta di grande almanacco illustrato sulla sartoria al quale ognuno havoluto dare il proprio contributo.

Grazie al lavoro certosino, paziente ed appassionato di Cristina Ortolani, Pesaro, la moda e la memoria èdiventata così la più importante ed autorevole storia sulla moda e la sartoria a Pesaro.

In queste pagine ritroveremo il racconto di una città, delle mode che l’hanno attraversata, di coloro che l’han-no resa ora distinta ed elegante, ora fantasiosa innovativa ed anticonformista.Di chi attraverso quegli abiti ha trasmesso, prima ancora dell’abilità, tutto il proprio gusto, la creatività: in unaparola “l’anima” del proprio sentire.

A tutti questi maestri del vestire, piccoli e grandi che siano stati, che hanno lavorato per anni nelle loro botte-ghe in silenzio, magari lontano dai grandi clamori delle passerelle, va oggi tutto l’omaggio ed il ringraziamentodella CNA.

In queste pagine piene di immagini e storie, che sono il frutto di un grande lavoro collettivo al quale gli stessiprotagonisti hanno in grande misura contribuito, c’è il cammino di una società, la storia ed il lavoro appassio-nato di tante donne e uomini, delle loro famiglie, dei dipendenti, di tutti coloro che li hanno aiutati a realizzarele proprie aspirazioni.

Volevamo raccontare tutto questo in un libro affinché non andasse disperso questo prezioso patrimonio e per-ché si realizzasse così quell’entusiasmante progetto che ci ha mosso sin dall’inizio: raccontare la sartoria, lamoda ed i suoi protagonisti a Pesaro. Speriamo, almeno in parte, di esserci riusciti.

Giorgio AguzziPresidente provinciale CNA

Camilla FabbriSegretario provinciale CNA

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La pubblicazione di questo volume Pesaro, la Moda e la Memoria è parte integrante di un progetto più ampiodal titolo Idee in Moda che la CNA di Pesaro e Urbino ha messo in campo fin dallo scorso anno per valoriz-zare un settore fondamentale dell’economia del nostro territorio come quello del tessile abbigliamento pur nel-l’attuale situazione di difficoltà in cui il comparto stesso versa.Idee in Moda ha come finalità quella di evidenziare le specificità e le capacità di imprenditori artigiani a crea-re un prodotto moda unico ed esclusivo.I sarti, le piccole imprese del tessile ed anche le aziende più strutturate della moda della nostra provincia, sonodepositarie di un patrimonio di tradizioni e conoscenze che hanno radici molto lontane. Si tratta di attività chesi sono sempre caratterizzate per la grande qualità del prodotto, frutto di lavorazioni manuali di grande quali-tà, che hanno trovato riscontro in tutto il mondo.Partendo da questo vero e proprio “tesoro” che la storia del nostro territorio ci ha consegnato, la CNA ha deci-so di continuare con impegno il percorso iniziato con grande entusiasmo un anno fa, cercando di porre all’ atten-zione del grande pubblico le aziende locali che producono moda e che rappresentano la continuazione natu-rale del fitto tessuto di sarte e sarti che hanno contribuito a far crescere nei decenni un’ insostituibile sapienzaartigianale. La ricerca che è alla base di questa pubblicazione è stata fatta con una cura a dir poco meticolo-sa e attraverso l’innata capacità che l’autrice, Cristina Ortolani, possiede nello scovare fotografie e documentiormai dati per dispersi. Una ricostruzione ricca di testimonianze e notizie che rendono questa pubblicazioneancor più preziosa ed inedita. Dalle pagine di questo libro traspira la passione che ha guidato Cristina Ortolaninella difficile e complessa ricerca di “verità” e storie ormai sepolte dagli anni che ritrovano splendore e il giustoriconoscimento con questa pubblicazione. La CNA di Pesaro e Urbino ha tra i propri associati autentici “artisti”che hanno acquisito specializzazioni importanti e qualificate che rappresentano un patrimonio straordinario dimanualità, ingegno e gusto.Tramandare e salvaguardare questo patrimonio d’ arte e cultura che rischia di rima-nere sconosciuto o, peggio, di andare perduto, è un preciso dovere che la CNA ha ritenuto di assumersi nellasperanza che sia di buon auspicio e sostegno per le attività che tuttora producono moda ad alto livello e chedevono confrontarsi quotidianamente con le insidie del mercato globale.Con Idee in Moda, CNA vuole fare leva su una tradizione ed una professionalità che solo i nostri artigiani edimprenditori sanno “mettere in campo”; caratteristiche che unite al gusto, alla creatività e alla qualità, li rendeancora oggi unici e inimitabili.

Moreno BordoniResponsabile provinciale

Federmoda CNA

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La moda è la sorella preferita della memoria

Su misura. Prima dell’avvento delle confezioni, della moda pronta diffusasi in Italia nel secondo dopo-guerra, tutti si vestivano su misura. Nelle grandi sartorie, con il loro corredo di riti e atmosfere rare-fatte, ma anche e soprattutto ricorrendo ad artigiani che, in genere dopo un periodo di apprendistatopresso qualche sarto o sarta di nome, intraprendevano un’attività propria rivolta al paese, al quartiereo a pochi affezionati clienti che bastavano a tirare avanti.Abiti che duravano più di una vita, e che rivol-tati, accorciati e riadattati accompagnavano le generazioni al pari dei mobili o delle foto di famiglia.

Questo volume ripropone, con consistenti integrazioni e aggiunte, i materiali presentati nell’esposizio-ne fotografica-documentaria Pesaro, la moda e la memoria_1900-1970, allestita a Palazzo Gradari nel-l’ambito del progetto Idee in moda_2007. Sarti, sarte e sartine; setaiole, tessitrici, cappellai e modiste dicittà ma anche dei paesi vicini (per non parlare degli eserciti di pantalonaie, camiciaie, asolaie, ricama-trici) che, tra aspidistre, romanzi d’appendice e binari del treno, hanno governato, avrebbe detto Irene Brin,il gusto di una città, rispecchiandone le storie e la storia nel taglio di un paletot o nella linea di un tail-leur. Un tessuto davvero composito, del quale è probabilmente impossibile determinare con esattezzale dimensioni, e che è stato in parte ricostruito grazie a testimonianze orali e materiali recuperati, talo-ra in modo fortunoso, soprattutto presso raccolte private. I documenti conservati negli archivi pubbli-ci, infatti, difficilmente recano traccia di questo pur notevole stuolo di artigiani e ci parlano prevalente-mente di realtà più articolate, come le industrie della filatura della seta, da quelle ben note diFossombrone alle meno indagate filande di Pesaro o, per restare in città, come l’industria delle treccedi paglia Scrocco o le fabbriche, ancor più lontane nel tempo, di fettuccie e nastri di cui esisteva sul fini-re dell’Ottocento una fiorente produzione.Un’ulteriore, importante indicazione metodologica: in questa prima fase della ricerca abbiamo privile-giato il punto di vista degli stessi artigiani, proponendo quasi esclusivamente materiale proveniente dagliarchivi di sarte e sarti, per focalizzare l’attenzione sulle modalità, sugli strumenti e sui ritmi di un ope-rare quotidiano dal quale, nonostante la relativamente scarsa distanza cronologica, sembra separarci untempo incolmabile.

Paillettes, jais e strass meticolosamente catalogati in un italiano incerto e come per incanto risparmiatidalla polvere nelle loro scatole di cartone; campioni lavorati secondo tecniche antiche; figurini segnatida tratti di matita per adattarli alle esigenze di un pubblico poco incline alle novità; sgabelli, squadre di

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legno,manichini; diplomi e attestati esibiti con orgoglio sulle pareti di stanze che avrebbero fatto la gioiadi Gozzano; i libri delle misure, pieni di note a margine che custodiscono i segreti di sguardi pietosi(curvo di spalle, panciuto, molto formato di fianchi, vuoto di torace). Ma ciò che più colpisce, nel percorsocompiuto, è il gran numero di forbici superstiti, miracolosamente scampate a traslochi, bombardamen-ti, passaggi di proprietà. Sono state fatte su misura da un artigiano di Brescia, all’epoca costavano più di die-cimila lire (oggi sarebbero due o tremila euro), sono tedesche, sa, le migliori, senta come pesano, mio padre leha sempre tenute con sé: se mancano i documenti e le immagini sono rare (non avevamo tempo di fare lefoto), le forbici con le loro superfici levigate dall’uso sopravvivono alle vicissitudini e alle guerre.Ancoraaffilatissime, protette da panni morbidi, sono mostrate con trepidazione, pronte come in una fiaba ariprendere il lavoro da un momento all’altro.Una suggestione che rimanda il senso più vero della ricer-ca, e che abbiamo tentato di restituire radunando nel capitolo finale strumenti e materiali del mestie-re del sarto, fotografati senza abbellimenti, così come li abbiamo trovati.

Infine, un invito: i sarti che abbiamo incontrato (i loro figli e nipoti) sono schivi, emozionati all’idea dicomparire in un libro ma, salvo rarissime eccezioni, restii a parlare di sé, segreti e selettivi come la cittàdove hanno vissuto e operato. Più che in altri casi, sta qui al lettore ricomporre in filigrana il raccontoche si snoda tra le pagine, con particolare attenzione a quei nomi riportati in chiusura, dove abbiamoriunito come in una foto di gruppo tutti gli artigiani citati nel volume.

Ringrazio la CNA di Pesaro e Urbino, che con gli altri enti promotori del progetto mi ha dato l’oppor-tunità di presentare al pubblico questo lavoro, nato da un’antica e tenace passione personale: un gra-zie va dunque a Camilla Fabbri e Giorgio Aguzzi, che hanno creduto nell’importanza di testimoniareun’attività artigianale che va scomparendo. Grazie di cuore poi ai compagni di strada Moreno Bordoni,che ha coordinato il progetto con attenzione e sensibilità, e Maria Grazia Nardini e Claudio Salvi chehanno pazientemente seguito tutte le fasi della realizzazione del volume.Soprattutto, ringrazio davvero tutti coloro che hanno accettato di condividere con noi i loro ricordi ele loro storie, per la disponibilità con cui ci hanno accolto e l’entusiasmo con cui hanno contribuito alcompletamento di questo mosaico.

Cristina Ortolani

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La vera creatrice della moda è la storia

Alfredo Panzini 1930

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Avvertenza

Le indicazioni bibliografiche e le referenze iconografiche sono date di volta in volta e compaiono tra ( ).Il corsivo identifica le citazioni da documenti, fonti a stampa e testimonianze orali; tra [ ] le note dei redattori. In cor-sivo sono indicati anche titoli di libri, articoli e riviste, siti internet, titoli di spettacoli e manifestazioni.Le citazioni da internet sono state estrapolate dai rispettivi siti il 24 maggio 2008.

Gli artigiani e le sartorie sono presentati in ordine cronologico, a seconda della data di inizio della loro attività; il volu-me si chiude con un elenco delle sartorie citate

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(…) L’en va tant a considrèCh’c’è le vest dop d’arconcèChe ce vria più d’na stmenaArconcé qualca sotèna,A pulila e pó a lavelaDop c’è bsogn anca d’stirela;E pó dop fatt sta faturaLa ‘n fa più la su figura, Mo sa vlé che la sotènaLa s’mantenga sempre sènaA m’arcmand, non ve sforzè,Fè chel pass ch’a podé fè;En ve sucedrà più gnentE a v’podrì trovè contentFina a la mort, e fè la prova;Sempre a i’avrì la vesta nova.

Odoardo Giansanti (Pasqualon), Guei ma chi tocca, 1886,da Poesie, Pesaro, 1968

E cle vest, sa v’arcordè,Quand le à cminced usè,Sa chi cerch cum i palon,Ce steva sotta ott person!(…) Dop è vnud un’antra moda:Le soten fatt sa la coda.Anca quell era poch blénDa portè tutt chel stragén!...(…) Dop useva el fioch di dria,L’era insegna dl’ostaria.Adess usa l’gonn tired;Sa i’avé ben osserved(E pó s’en credé, guardè) Quand le s’ved a caminèSarà un palma el pass dla donnaS’la ‘l fa d’più la romp la gonna!

Vestivamo alla pesaresesetaiole,sarti e sartine,1860 - 1960

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PPeessaarroo,, 11884499--11885599.. Presso molte famiglie, insieme con le singole caldaie della seta, si trovava iltelaio per la lavorazione delle fettucce, di cui v’era un buon opificio. Fiorivano le conce di pelli divia Galligarie e Vallato... e non mancavano al pari d’oggi le filande e le fabbriche di Ceramica. (...)E via Branca? - chi non rammenta d’averla sentita chiamare dal popolo, tenace nelle tradizioni:“via dei Calzolari”? - allora più storta, più sudicia, più oscura, insieme con le bottegucce dei cal-zolari, offriva parecchie ben fornite botteghe di cordami e di pannine (note tra esse quelle della“sora Ghita”, della “sora Nina” e del vecchio Frontali). Ma di quelle caratteristiche botteghe “asette”, atte a disporre in mostra la mercanzia e a dar luce all’ambiente. Vetrine? Basti il lusso diqualche scaffale, dentro, e di un bancone non indecenti (da G. Ugolini, Pesaro cinquant’anni orso-no, 1910, in Omaggio a Giorgio Ugolini, 2000).

Da pagina 16 a pagina 19; alle pagine 38 - 39, 57: Pesaro ai primi del ‘900 nelle fotografie degli album di donGiovanni Gabucci (Archivio Diocesano di Pesaro)

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Pesaro, 1883. Per quanto riguarda l’industria ed il Commercio daremo un cenno statistico deiprincipali Stabilimenti industriali dai quali si potrà fare un’idea di ciò che pro-duce il paese, e quali sono i prodotti che, in ragione della loro quantità, possonoessere esportati. Vi sono:BACHI - Uno stabilimento a confezione di seme bachi che con 40 operaj dà unprodotto di 2.000 oncie in media.FILANDE - Sei filande a vapore e 11 a fuoco diretto: le prime in tutto contano281 bacinelle, lavorano da 6 a 8 mesi circa nell’anno, impiegando 850 operaje eproducendo annualmente chili 9.000 di seta. Le seconde hanno 62 bacinelle,lavorano circa 4 mesi e con 170 operaje, producono chili 1.800 circa di seta.HOZ OTTONE - Sedici fabbriche di fetucce che vengono tutte ecclissate o quasida quella del sig. Hoz Ottone che impiega tutto l’anno in quest’industria 160 ope-raje, producendone 40,000,000 di metri all’anno, giusto il nastro che ci vorreb-be per cingere la terra all’equatore. Lo stesso Sig. Hoz tiene nel suo vasto emagnifico Stabilimento una tintoria a vapore con 50 operai (da G.Vanzolini,Guida di Pesaro, 1883).

Pesaro e dintorni,seta e setaiole ai primi del ‘900

“”

LE SETAIOLEOrario invernale dalle ore 4 e 1⁄4 fino alle 18 con soltanto un’ora di intervalloa mezzodì per mangiare pane con cipolla o grugni, allattare i bimbi che veni-vano a quell’ora portati. Lavoro duro, con mani sempre a bagno nell’acqua bollente della bacinellaper le seguenti paghe: operaia L. 0,40 al giorno; sotira: L. 0,50; maestra, L.0,60. Per tale paga le operaie, che erano in maggioranza del porto, veniva-no anche da fuori (da Saltara, Gallo ecc.) il lunedì mattina a piedi, portan-do un sacchetto di pane per tutta la settimana; pagavano a Pesaro due soldiogni notte un giaciglio. La nostra casa a Porta Rimini confinava con laFilanda Torre (detto il Francese); io ero a volte svegliato alle 4 dalla sirenache chiamava a lungo le operaie, e le conoscevo e le vedevo ogni giorno a frot-te. Non esistevano sale di riunioni per le operaie, spogliatoi ecc.; scendevanoa mangiare per la strada e sull’ingresso (da G. Ugolini, Pesaro cinquant’anniorsono, 1910, in Omaggio a Giorgio Ugolini, 2000).

Annuncio pubblicitario delRegio Osservatorio bacologicodi R. Giovanelli, da Pesaro, guidapratica illustrata, 1911

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Sin dal ‘700 la sericoltura ebbe grande diffusione nelle Marche, dove la coltura del gelso e l’allevamento del

baco erano praticati nelle campagne almeno dal XIII secolo. Inizialmente esercitata presso le stesse abitazio-

ni contadine, la trattura della seta si spostò progessivamente verso le città, organizzandosi intorno alle filan-

de, che rappresentano all’inizio dell’800 uno dei primi esempi di fabbrica attivi in Italia.

Le prime filande... sorsero nelle zone di maggior disponibilità di bozzoli,e di massima reperibilità di manodopera (soprat-

tutto femminile e minorile).Dopo un’attività di quasi due secoli, esse subirono un’irreversibile paralisi: le guerre, la nasci-

ta della seta artificiale, le scarse innovazioni tecnologiche, lo scemato entusiasmo imprenditoriale sancirono la morte

dell’industria serica (da M.F. Chiodi, Le filande marchigiane tra Ottocento e Novecento, 2003).

Nella nostra provincia, che nel 1839 era al quindicesimo posto nella graduatoria nazionale, la sericoltura si

concentrava soprattutto a Fossombrone, dove nel 1744 erano attivi 44 opifici e che resterà il primo centro

di produzione marchigiano fino al 1902, anno in cui sarà superato da Jesi.

A Pesaro i registri della Camera di Commercio elencano per il 1883 - ‘84 19 filande, 5 delle quali a vapore: la

filanda Cecchi Agostino e la filanda Fratelli Giovanelli, con 110 operai; la filanda Eredi Spinaci, con 100 operai;

la filanda Testenoire e Palluat, con 200 operai (1883); la filanda Valazzi Luigi, con 107 operai (1883). La mano-

dopera era prevalentemente femminile: nel 1884 la filanda Cecchi Agostino impiegava 105 operaie, 3 operai

e 2 fanciulli; 107 femmine e 3 maschi lavoravano presso i Fratelli Giovanelli, mentre la filanda Eredi Spinaci

contava 95 operaie, 2 maschi e 3 fanciulli. La filanda Testenoire e Palluat impiegava 160 femmine, 6 maschi e

25 fanciulli e, infine, la filanda Valazzi contava 80 operaie e 2 operai maschi.

FFiillaannddee ee iinndduussttrriiee lleeggaattee aall sseettttoorree ddeellll’’aabbbbiigglliiaammeennttoo pprreesseennttii aa PPeessaarroo ttrraa iill 11888833 ee iill 11888844 (dove pre-senti, sono riportati anche i dati relativi alla produzione media annuale; dai Registri della Camera diCommercio ed Arti di Pesaro, Archivio di Stato di Pesaro)

Filanda n° bacinelle Produzione mediaannuale in kgn° operai nel 1883 n° operai nl 1884

Cecchi Agostino 34 1.600110 (di cui 105 femmine, 3 maschi e 2 fanciulli)

Fratelli Giovanelli 34 850110 (di cui 107 femmine, 3 maschi)

Eredi Spinaci 32 750100 (di cui 95 femmine, 2 maschi e 3 fanciulli)

Testenoire e Palluat 72 2.400200 191 (di cui 160 femmine,6 maschi e 25 fanciulli)

Valazzi Luigi 36 1.400107 82 (di cui 80 femmine e 2maschi)

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FFiillaannddee aa ffuuooccoo ddiirreettttoo

Pesaro, Mercato serico, bollettino per il1 e 2 luglio 1923 (Archivio Comunaledi Sant’Angelo in Lizzola)

Filanda n° bacinelle Produzione mediaannuale in kgn° operai nel 1883 n° operai nl 1884

Bonetti Matilde 2 6 7 (6 femmine e 1 fanciullo)

17 (16 femmine e 1 fanciullo)Brunelli Luigi 6 20015

9Bruscoli Ercole (chiusa nel 1886) 4 60

Cartoceti Giocondo 3 907

Cinotti Giuseppe 14 80044 42 (tutte femmine)

Guidi Filomena 9 11

Marini Andrea 4 15010

Mariotti Marianna 8 19

Massacesi Eredi 3 307

Mini Giuseppe 4 20010

Pagnoni Terenzio 8 30019 (17 femmine e 2 fanciulli)

Roberti Terenzio 6 15 (13 femmine e 2 fanciulli)

Sponza Melchiorre 63 3.600190 (182 femmine, 4 maschi e 4 fanciulli)

Terenzi Domenico 4 17014

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IInndduussttrriiee lleeggaattee aall sseettttoorree ddeellll’’aabbbbiigglliiaammeennttoo

Industria n° operai nel 1884 Produz. media annuale in Kg

Della Costanza Raffaele, fabbrica fetuccie (sic) con10 telai e, dal 1884, anche tintoria

50016 (13 femmine per la fab-brica di fettucce e 3 maschiper la tintoria)

Fabbri Secondo, fabbrica fetuccie con 6 telai 50010 (7 femmine e 3 fanciulli)

Gennari Raffaele, fabbrica fetuccie con 8 telai e, dal1884, anche tintoria

50014 (10 femmine e 4 maschi)

Hoz Ottone, fabbrica fetuccie con 126 telai e tintoria 40.000135 (124 femmine, 8maschi, 3 fanciulli per lafabbrica di fettucce più 40per la tintoria)

Tamburini Raffaele, fabbrica fetuccie 2.00018

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Confronto delle mercedi giornaliere corrisposte agli operai nel 1860 e nel 1880 (da Tav. XXXIV - Scelsi, cit.)

Sarti

Cappellai

Calzolai

Orefici

Conciapelli

Canepini

Filandieri

11888800

1,50 (Fano e Urbino: 2,00)

2,00 (Urbino e Fano id)

1,50 (Fano: id; Urbino: 1,75)

1,50 (Fano: id)

1,50

1,60 (Fano: 1,50; Urbino: 1,75)

0,90 (Fano: 0,80; Fossombrone: 0,90; Mondolfo: 1,00)

11886600

1,25 (Fano e Urbino: 1,75)

1,50 (Urbino: id; Fano 1,75)

1,25 (Fano: 1,00; Urbino: 1,50)

1,30 (Fano: 1,10)

1,25

1,30 (Fano: id)

0,65(Fano: 0,80; Fossombrone: 0,80; Mondolfo: 1,00)

1881. Dalla Statistica della Provincia di Pesaro e Urbino per G. Scelsi.

Cap. VI – Industrie manufattrici - In tutta la provincia [vi sono] 12 fabbriche di cappelli ...

L’unica industria di materie animali che si mantiene in fiore è quella della seta. Sono 37, fra piccole e grandi, le

filande esistenti nella provincia, alcune delle quali, in Pesaro, Fano, Fossombrone e Urbino, di notevole importan-

za e tenute coi migliori sistemi. Vi lavorano per buona parte dell’anno non meno di 1.442 operai; e di questi 155

sono uomini, 1.000 donne e 287 fanciulli. Il loro prodotto totale è di lire 1,221,262; e da esso togliendo il valore

delle materie prime ch’è di lire 996,980, la spesa della mano d’opera in lire 106,580, e le altre spese per interessi

diversi, rimane l’utile netto di lire 71510 e la media di L. 15,38 per ogni 100 lire di capitale impiegato.

...Un’industria nascente nella provincia è quella del seme di bachi preparato col sistema Cantoni-Pasteur... ora

molto in voga. Due sole ditte, una di Fossombrone, l’altra di Pesaro, esitano una buona quantità di seme scelto col

microscopio... La spesa totale è di lire 55162 e l’utile netto di lire 29838; in ragione di L. 54,09 per ogni 100 lire

del capitale impiegato.

...Fra le 24 fabbriche di fettucce, una sola può dirsi vero e grandioso stabilimento industriale, fondato da poco tempo

in Pesaro dal signor Hoz a Porta Rimini coll’applicazione dei migliori sistemi economici. Vi è pure annessa una

tintoria. Il Municipio ha dato all’intelligente e coraggioso fabbricante ogni maniera di facilitazioni per l’appresta-

mento del locale costituito con tutte le regole dell’arte ed in forma elegante. Queste facilitazioni e il tenue costo della

mano d’opera assicurano allo stabilimento una vita rigogliosa. Il valore dei prodotti che oggidì si ottengono da tutte

le fabbriche di fettucce è di circa lire 200.000; vi lavorano, pressoché continuamente, 238 operai, per lo più donne;

la mano d’opera costa lire 126,390, e l’utile netto si fa ascendere a lire 35050; ed in media L. 22,06 per ogni 100

lire del capitale impegnato (Dalla Statistica della provincia di Pesaro e Urbino per G. Scelsi - Pesaro, 1881,

Ristampa anastatica, Provincia di Pesaro e Urbino, 1997).

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La filanda di MombaroccioLa filanda - dove si eseguiva solo la prima fase del ciclo della seta,

la trattura -, era costituita da un impianto di 80 bacinelle a fuoco

diretto, posto in un ampio ambiente del palazzo di proprietà di

Vedaste Del Monte.

L’impianto nel 1857 venne radicalmente ammodernato: scomparve-

ro gli antiquati fornelli sostituiti da 50 bacinelle riscaldate da

un’unica caldaia; fu questo il momento di maggior splendore della

fabbrica che ricevette lusinghieri riconoscimenti tra cui una meda-

glia d’argento all’Esposizione nazionale organizzata a Firenze per

celebrare l’Unità d’Italia.

Negli anni successivi la filanda declinò, anche se non ne sono chia-

ri i motivi. …Si può ipotizzare che l’atrofia dei bozzoli [malattia dei bozzoli diffusasi in tutta Italia a metà

del XIX secolo]… avesse prima diminuito e poi scoraggiato questa pionieristica attività industriale.

Nel 1868, secondo un’indagine svolta dall’amministrazione

comunale e comunicata alla Camera di Commercio di Pesaro,

su 50 bacinelle ne lavoravano solo 12 e limitatamente a 98

giorni all’anno, si impiegavano 6.400 kg di bozzoli per produr-

re circa 550 kg di organzino. Nel 1869 il volume produttivo

diminuiva ancora: lavoravano 16 bacinelle per soli 64 giorni,

trasformando complessivamente 5.000 kg di bozzoli in 370 kg

di organzino. Negli anni successivi né l’amministrazione comu-

nale né la Camera di Commercio pesarese registrarono alcuna attività, per cui si deve presumere che essa fosse ces-

sata o continuasse in maniera trascurabile (da Giorgio Pedrocco, Mombaroccio, 1800-1945, Storia di un paese tra

Risorgimento e Liberazione, 1985).

Ricordiamo che secondo il censimento 1871 Mombaroccio contava 2.704 abitanti (dalla Statistica della provin-

cia di Pesaro e Urbino per G. Scelsi - Pesaro, 1881, Ristampa anastatica, Provincia di Pesaro e Urbino, 1997).

Dati relativi al mercato serico pesarese: a sinistra, L’Idea 23 giugno 1923; a destra, La Provincia, 7 luglio 1901.

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Sant’Angelo in Lizzola (PU), 1927, operaie della locale filanda (raccolta Associazione culturale “G. Branca”, Sant’Angelo in Lizzola)

La lavorazione della seta a Sant’Angelo in LizzolaUsciti di chiesa e proseguendo sino in fondo alla via, venti anni fa saremmo stati fermati dal canto delle

filandaje che lavoravano con passione i bozzoli acquistati sul locale mercato serico allora molto fiorente. La

filanda era gestita da tre proprietari di ideali diversi che il popolo aveva ribattezzati col nome di Inferno,

Purgatorio e Paradiso.

Ora al posto della filanda è stato aperto nel 1942 l’Asilo infantile con annessa scuola di lavoro e doposcuo-

la sotto la direzione delle benemerite Maestre Pie dell’Addolorata; ed il locale accoglie provvisoriamente

anche le scuole elementari, in attesa che venga definitivamente sistemato il nuovo edificio Scolastico dedi-

cato a Branca, posto fra la Piazza Perticari ed il viale Dante Alighieri (Giovanni Gabucci, A casa nostra,

lettura al cinema “Branca”, 13 marzo 1948, Archivio parrocchia San Michele Arcangelo, Sant’Angelo in

Lizzola).

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Nel maggio 1903 il Comune di Sant’Angelo in Lizzola (2003 abitanti nel 1900) decide di istituire un pro-prio mercato serico: già dal 1883 i registri della Camera di Commercio di Pesaro segnalano nel Comunedue stabilimenti bacologici, quello di Luigi Marcolini e quello di Giobatta (Giovan Battista) Sallua. Pressolo stabilimento Marcolini sono impiegati 10 operai, e la produzione annua corrisponde a un valore di2.880 lire; lo stabilimento Sallua, che risulta fondato nel 1874, conta 15 operai, con una produzioneannua pari a un valore di lire 4.032. In quegli anni figurano nell’elenco degli Utenti Pesi e Misure ancheun sarto, Giuseppe Sora, e un tintore, Giuseppe Guidi; da ricordare che un tintore, Giuseppe Berti, com-pare nei documenti dell’Archivio Comunale sin dal 1813.Nel 1907 la Statistica dei prodotti agricoli e bestiame - Camera di Commercio ed arti in Pesaro (marzo1908) registra per il Comune di S.Angelo la produzione di 90,18 quintali di bozzoli (pari a 414 lire); nel1930, secondo i dati del censimento agricolo, la produzione complessiva dei bachi da seta è di 5.165 kg(peso complessivo dei bozzoli freschi). Il 7 maggio 1926 i Registri delle delibere consigliari riportano unaDomanda per la costruzione di un padiglione per mercato serico: Considerato che il mercato serico ilquale si svolge da tempo assai remoto in questo paese e ha assunto uno sviluppo notevolissimo, tanto chedal diritto di pesa dei bozzoli il Comune ritrae annualmente un gettito di lire 3.000 minaccia di declina-re perché il Comune non ha un luogo coperto ove possa essere tenuto, di guisa che nei giorni di pocabuona stagione i venditori, piuttosto di correre il rischio di perdere il loro prodotto, si recano a Pesaro;riconosciuto essere indispensabile - in primo luogo per non perdere i notevoli, e assai sensibili vantaggiche ritraggono il Comune e il Paese e in secondo luogo per assecondare le due fiorenti industrie dellafilatura della seta e produzione del seme bachi esistenti in questo Capoluogo - costruire un apposito padi-glione per il mercato serico, affinché questo non si debba svolgere più all’aperto lungo la via principaledel paese e sia evitato l’esodo dei venditori e lo sconcio di vedere, nei giorni di pioggia improvvisa, mer-canti e merci riparare in Chiesa; visto il progetto di massima redatto da un tecnico incaricato, dal quale

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si desume che la spesa che importerà al Comune... sarà di lire40.000 [il Consiglio Comunale] ...delibera in via di massima dicostruire nel Capoluogo un padiglione per il mercato serico. Più di un anno dopo, il 17 settembre 1927, il Consiglio delibera dichiedere al prefetto l’autorizzazione a cominciare i lavori in eco-nomia data l’urgenza di iniziare i lavori per combattere la disoc-cupazione, mentre da una delibera del 1 dicembre 1927 si ricavache i costi per la costruzione del padiglione sono saliti a 47.000 lire.Il 27 luglio 1930, tra le note liquidate dal Comune compare anchela voce Compenso agli incaricati del servizio per il mercato seri-co: ...nel passato mese di giugno durante il mercato serico presta-rono servizio le seguenti persone 1 – N.C. contabile; 2 – S.L.Pesatore; 3 – D.V.D. pesatore; 4 – C.D. registratore; 5 – G.E. sor-vegliante; ...Il servizio quest’anno fu più importante [dell’annoscorso] perché si sono incassate a beneficio del Comune L.2.376,50 mentre l’anno scorso si riscossero L. 2.089,80, e malgra-do la differenza il Commissario concede lo stesso compenso e cioè1 – N.C. contabile L. 200; 2 – S.L. Pesatore 80; 3 – D.V.D. pesatore 80; 4 – C.D. registratore 80; 5 – G.E.sorvegliante 30. Il 30 luglio 1931 le delibere riportano ancora i compensi per gli incaricati del mercatoserico, dove nel 1931 furono venduti e comprati 6.187,800 chilogrammi di bozzoli con un beneficio per

la Cassa comunale di Lire 1.237,55 per diritti di pesatura.L’ultimo riferimento al mercato serico nei registri delle delibe-re consigliari, infine, è del 1 ottobre 1931, quando sono liquida-te a C.G. 10 lire per stoffa bandiera mercato serico.Tra il 1903 e il 1906, e in misura minore anche negli anni suc-cessivi, numerose operaie della filanda di Sant’Angelo inLizzola emigrarono per il sud della Francia, dove trovaronoimpiego presso la manifattura di seta Franquebalme, aVilledieu, vicino ad Avignone.

Sopra: Sant’Angelo in Lizzola, Mercato serico, bollettino relativo al periodo 18 giugno - 2 luglio 1906 (Archivio Comunaledi Sant’Angelo in Lizzola); sotto:Avignone, Francia, primi del ‘900: la filanda Franquebalme a Villedieu (da http://www.car-tes-et-patrimoine.com/vaucluse-villedieu-c-73_168_23848.html); nella pagina a fianco: carta intestata delloStabilimento bacologico Sallua (Archivio Comunale di Sant’Angelo in Lizzola)

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Rio Salso di Tavullia, 1900 circa,Marianna Duchi Antonelli (raccoltaPro Loco Fogliense,Tavullia)

Pesaro e dintorni,il vestiario nelle campagne alla fine dell’800

“ ”I coloni non portavano scarpe, se non la domenica, ma usciti dallaChiesa o dal centro abitato se le cavavano sempre e le gettavano in spal-la per camminare meglio e non consumarle. Vestivano di cotone d’estatesenza giacca, e di bavella quasi sempre bigia d’inverno (da G. Ugolini,Pesaro cinquant’anni orsono, 1910, in Omaggio a Giorgio Ugolini, 2000).

L'allevamento [del baco da seta] di rado si fa nelle bigattiere, equasi sempre nelle case coloniche e in molte case di città; anchei braccianti di campagna allevano per solito il baco. (…) Ilvestiario in generale è di rascia, lana e filo di canapa, per l'in-verno, e di rigatino, tutto filo, per l'estate, tessuti per lo più dalledonne di casa (...) Le biancherie sono o di filo di canapa, o dicotone secondo che vennero o tessute in casa o acquistate al mer-cato. La qualità può ritenersi per buona; ma e per la poca fre-quenza onde vengono mutate, e per la nessuna cura onde vengo-no rammendate e imbiancate si rendono presto tutt'altro cheigieniche (dall’Inchiesta Jacini, 1877-1882, relativamente alvestiario dei popolani e contadini della zona di Pesaro).

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Numero dei telai presenti nei Comuni della provincia di Pesaro e Urbino nel 1885 – dati relativi ad alcuniComuni del Circondario di Pesaro (dai Registri della Camera di Commercio ed Arti di Pesaro, Archivio diStato di Pesaro)

Comune Numero di telai Fibra tessuta

Gabicce 26 Lino e canapa

Lino e canapa

Lino e canapa

Lino e canapa

Lino e canapa

Lino e canapa

Lino e canapa

Lino e canapa

Lino e canapa

Lino e canapa

Ginestreto 40

Gradara 105

Montebaroccio (sic) 170

Monteciccardo 230

Montelabbate 76

Novilara 106

Pozzo Alto 70

Sant’Angelo in Lizzola 192

Tomba (Tavullia) 170

Attiva fino a pochi anni fa, Luisa Talevi è una delle poche artigiane ad

aver continuato la tradizione della tessitura a mano di Candelara e

Novilara (due piccoli borghi del Comune di Pesaro), mantenuta viva

per tutto il ‘900 dalle Pie Artigiane Cristiane di Novilara e Candelara.

L’iniziativa, assunta sin dal 1929 dall’abate Terenzio Cecchini di

Novilara, si è successivamente sviluppata anche a Candelara grazie

all’opera del parroco monsignor Nicola Alegi, che si attivò per offrire

una formazione professionale alle ragazze in cerca di occupazione

negli anni del dopoguerra; l’attività ricevette poi ulteriore slancio dal-

l’apporto della professoressa Egizia Bazzigaluppi Bargossi. Tra gli

apprezzatissimi prodotti della tessitura di Novilara e Candelara ricor-

diamo i tappeti in lana e le tele di canapa e lino,oltre ai ricami esegui-

ti con diverse tecniche; diminuita col passare degli anni, l’attività del

sodalizio si interruppe definitivamente alla morte della professoressa

Bargossi e dei due parroci (notizie raccolte da Martina Giorgi).

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Sopra: Sant’Angelo in Lizzola (PU), Scuola di lavori femminili, 12 marzo 1922 (foto Bertozzi, Pesaro; raccoltaGabriella Giampaoli, Pesaro).Nella pagina precedente: anni Ottanta del ‘900, Candelara di Pesaro, Luisa Talevi al telaio (raccolta Famiglia Giorgi,Candelara di Pesaro)

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Camicie n. 9 padovaneAltre due camicie useUna veste di rascia [sorta di panno grossolano] color caffèUna veste di rascia color torchino con guarnigione di vellutoUna veste di rascia verdone usaUna veste di rascia verde con guarnigione di vellutoUna veste di bavella [tessuto di seta] color torchinoUna veste bavellona usaUna veste cambrino [cambrì, sottile tela di lino] fiorata usaUna veste cambrino rigata con fiori diversi usaUna veste bianca mossola [mussola] con guarnigione ed altro sottaninoUna veste tela indiana fiorata torchino usaAltra veste simile con fiori diversi fondo torchino usaUna sottana cotonina rigata torchino con corpetto usa2 zinali rigatino nuovi 2 sottane rigatinoUna veste rigatino torchinoZinali diversi, due cambrino, uno cotonina2 scialli uno di lana e l’altro cottoneUn fazzoletto di tulloUn fazzoletto da testa ricamato biancoUn bustoCalzette n. 4 paia, due bianche e due torchino2 paia scarpeLa sposa vestitaUn collo perle di file n. 8Un paia pendenti d’oroUna verga di diamanti, con anello contornato simile e verga d’oroUn filo coralliUn paia pendenti di coralloUn paia cerchietti

Dalla Nota dei panni di lana, lino, seta, biancherie, ori e perle il tutto dato in dote a T. figlia di G. e S.coniugi B., maritata con L. C. di Calibano, 1844 (raccolta privata, Pesaro)

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Pesaro,Villa Fastiggi, anni Trenta - Quaranta del ‘900: un gruppo di sarte (Archivio Biblioteca “V. Bobbato”, Pesaro/Fondo Pezzolesi)

Pesaro e dintornisarti, sarte e sartine 1900-1940

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LLuuiiggiiaa DDaammiiaannii,, ssaarrttaa iinn TTaallaacccchhiiooLuigia Damiani nasce a Talacchio di Colbordolo il 2 Novembre del 1914. Non aveva ancora ven-t’anni quando iniziò a frequentare come apprendista la sartoria della Bolognese, una delle sartepiù rinomate di Pesaro. E’ rimasta a lavorare dalla Bolognese fino al 1940, tornando successi-vamente a Talacchio, dove viveva la sua famiglia, per avviare l’attività in proprio. Ha lavoratoper più di cinquant’anni e nel suo laboratorio sono andate tantissime ragazze per imparare ilmestiere: Gina, Augusta, Mariolina, Doriana, Adriana, Clara, Anna, Lola, Pina, Filomena,Giuliana, Maria... (notizie raccolte da Anna Damiani Tontardini e Sandro Tontardini).

Nella foto, scattata nel 1941 a Talacchio, Luigia Damiani (Gigia) seduta in primo piano a sinistra con il vestito scuro, insieme con alcune sue allieve e alcuni parenti

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Montelabbate (PU), anni Quaranta del ‘900: Zina Bedetti al lavoro insieme con alcune sue colleghe (raccolta Zina Bedetti e Famiglia Bertuccioli, Montelabbate/archivio Memoteca Pian del Bruscolo)

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PPeessaarroo,, ddaall RRuuoolloo eesseerrcceennttii aarrttii,, iinndduussttrriiee ee ccoommmmeerrcciioo,, 11886699.. Antonelli Eugenio, orologiaio;Bailetti Raffaele, fabbrica di tele con telai meccanici e vendita tessuti; Battistelli Bianca inSanchioni, modista; Battistoni Carlo, corami e calzolaio; Baglini Luigi, sarto; Carletti Ugo, tes-suti; Castellani Giovanni, cappellaio; Cecconi Getulia, modista; Ceccolini Amalia, deposito mac-chine da cucire; Cecconi Adolfo, sarto-mercante; Gennari Pietro, cappellaio; Gregori Nicola,cappellaio; Giammarchi Romeo, sarto; Giovagnoli Ercole, sarto; Gattoni Salvatore, sarto;Gasperi Augusto, sarto e mercante; Mariotti Augusto, negozio di cappelli; Monacciani Agostino,sarto-mercante; Moscatelli Adolfo, calzoleria; Macchini Gaetano, calzolaio; Moretti Giuseppe,sarto; Orazi Francesco, sarto; Rossi Igino, venditore di tessuti; Raffaelli Ercole, parrucchiere;Severini Francesco, sarto-mercante; ditta Maria Salvino, manifattura cappelli di paglia;Spanocchi Cesira, modista; Servadei Pietro, cappellaio; Venturini Gino, sarto-mercante.

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In queste pagine: annunci pubblicitari, da Pesaro, Guida pratica illustrata, 1911e (Sartoria Inglese) da L’Ora, 11 aprile 1926

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Le mie predilette sono le sartine indipendenti,le isolate, che abitano una periferia percorsa dai treni, e cuciono nella stanza da letto,misurano nella sala da pranzo (c'è sempre un grosso tavolo, con tappeto di pizzo ed aspi-distra in vaso d'ottone, ed il lume trema al passaggio dei camion). Intanto la possibilitàdel miracolo l'avvolge: e non è puntuale, e non è precisa, e non accetta suggerimenti, nécritiche. Se le si porta un giornale di moda, lo sfoglia appena, di malavoglia, indugiandosoltanto sulle pagine della réclame, davanti a immagini colorate, vistose e inattuabili. Sele si affida il capo di buon taglio, che un'amica ci permette di copiare, lo solleva con duedita, lo disprezza in silenzio, lo lascia ricadere. Accetta suggestioni dal cinematografo sol-tanto, e da film americani: Loretta Young, e qualche volta Joan Crawford, sono le sueispiratrici. I suoi prezzi sono imprevedibili, talvolta si presenta di sera tardi, a esigere,aspramente, le 1.500 lire di fattura per una sottana. Talaltra rimanda, per sei mesi, lafatica di scrivere, sopra un pezzetto di carta dubbia "Conf. Prinsess lire 6.00, lampo lire380, ovattina lire 1.200, forniture varie lire 75". Può decidere di diventare ricca e celebre,e ci riesce. Più spesso sceglie la povertà anonima, ma è sempre lei, confusa, violenta, sen-sibile, che governa la moda

(da Irene Brin, Fanno loro la vera moda, 1949

“”LLee aapppprreennddiissttee ssaarrttee

Lavoravano gratis del tutto una decina d’anni presso le proprietarie delle sartorie, maestre per imparare.Soltanto per la festa annuale ricevevano un regalino di un paio di lire come un fazzolettino di seta e unamerenda (da G. Ugolini, Pesaro cinquant’anni orsono, 1910, in Omaggio a Giorgio Ugolini, 2000).

Finite le scuole elementari, si doveva decidere cosa avrei fatto. …optai per il lavoro e a 12 anni andai a impa-rare a cucire. La mia maestra era una pesarese, emigrata a Parigi dopo la guerra [la I guerra mondiale].…Consigliata dal mio sindacato mi presentai in una sartoria più grande, di Alta Moda. …Eravamo neglianni Trenta, anni di grande crisi… Alle compagne di scuola, si erano aggiunte altre amicizie come le compa-gne midinettes (sartine), le storie delle loro famiglie, i loro flirts, un ambiente nonostante tutto giocoso, alle-gro, importante, e i loro problemi come i miei, di passaggio ulteriore di qualifica professionale. Per molte diloro era arrivare a essere première main (sarta finita). Io vedevo il mio futuro… Sì, diventare una bravasarta dell’Alta Moda, ma non solo per fare dei vestiti per le collezioni e per farli indossare alle donne borghe-si, ma fare dei vestiti belli per le operaie, per le lavoratrici... (da Sparta Trivella, Sono contenta di essere natafemmina, 1990).

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”Sopra: sarte e apprendiste (1905-1910) in una sartoria pesarese (raccolta Cristina Ortolani, Pesaro); la bambina al cen-tro della prima fila è Zaira Mignoni, futura sarta in proprio; sotto: Maria Filippetti e Vincenzo Clementi in viaggio di nozze;Maria Filippetti indossa un cappotto realizzato nella sartoria di Zaira Mignoni, presso la quale fu apprendista (raccoltaGiovanna Clementi Macchini, Pesaro)

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L’industria serica, la filanda, occupava come quelladelle trecce per cappelli fatte a macchina nello stabilimento Scrocco, perla gran parte lavoranti femminili. Anche presso Scrocco le condizioni dilavoro erano nei limiti e al livello dei tempi; un lavoro duro, anche qui,retribuito modestamente come si usava, in ambienti non riscaldati (solonell’ora dedicata alla colazione le lavoranti in genere si riunivano nellostanzone dove c’era la caldaia che forniva vapore alle macchine) (daCaterbo Mattioli, Pesaro anni Trenta, 1993)“ ”

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1934. La Filanda Sociale Pesarese e la Filanda Giuliani e Vici, assorbonoi prodotti comunali dell’allevamento del baco da seta. (...) Tra le produzio-ni artistiche artigiane si ricordano Le Industrie Femminili Pesaresi per lalavorazione e confezione dei ricami

Bella e proficua iniziativa industriale pesarese si deve all'attività di PietroScrocco, i cui stabilimenti per la lavorazione del truciolo e la fabbricazionedi trecce di paglia per cappelli, senza mai aver conosciuto crisi di sorta, uniciin Italia, esportano la loro produzione in Francia, Inghilterra ed America.

[La ditta] fu fondata dal sig. Pietro Scrocco nel 1911, quando le classichetrecce di paglia di Firenze e di trucioli di salice, fatte a mano in Toscana enel Modenese, cominciavano a perdere terreno, sotto la pressione della pro-duzione tedesca e svizzera, ottenuta a macchina. (...) L'iniziativa del Sig.Scrocco, mentre in quel momento rispondeva a un bisogno dell'IndustriaItaliana delle Trecce in generale, cadeva opportuna per Pesaro, dove, permancanza di altre industrie, era disoccupata la mano d'opera femminilelocale, numerosa e diligente. Sorse così in Pesaro la fabbrica meccanicadelle trecce: un embrione di fabbrica con poche macchine e 5 operaie, che apoco a poco sviluppandosi, raggiunse i primi ranghi tra le consorelle piùanziane... (da O. T. Locchi, La Provincia di Pesaro e Urbino, 1934).

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E sa ‘l tu’ aiut preziósa j ho vestit anca ma j spóse par gì t’l’altèr a dì de sého contribuid un po’ anca mè!Pò an el so s’m’han ringrazièdao s’m’han mandèd a murì mazèda.Ma j òm molt tèmp ho dedichèd,a j ho vestid, a j ho spujèd!Adèss prò ho gambièd bandira,a j ho chius la mi’ carìra.E dat l’età un po’ vanzèdad’bacilè me so stufèda.E senza tant preocupazióna facc i cul ma i vècch’ calzón.Sant’Omobon, tmè vrà scusé,da neatre s’dic acsé!E s’en me còj nisciun malanna c’sentém anca n’antr’ann.

Aida Fabbri, 4 febbraio 1990(raccolta Mina Forlani, Pesaro)

SSaanntt’’OOmmoobboonn

A m’arcord, par la tu’ festa,sa ‘l principèl in testa,a vnémmi sò t’la chisulénapar la messa d’la maténae dop preghéd in abondanzaa rempì s’giva la panza.Dop dic’ann de sartoriaa m’so méssa par cónt miae i gratachep i sa sol Dio.Capitèva fra i client,qualch giuvnott un po’ sigènt:Maché è strétt, maché è lènt!in tla buga an butta bèn,liscia pur, mè, sa le mèn!D’cunfesèl an mè rincéscmo butèva sempre pégg’!A pensèva ma un malòcch’parché ‘l difett el crescèva a vistad’òcch’!

Sant’Omobono

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SSaanntt’’OOmmoobboonnoo ((1133 nnoovveemmbbrree))Oltre a essere patrono di Cremona,Omobono Tucenghi è protettore di mercanti,lavoratori tessili e sarti. Egli stesso, infatti, fu commerciante di stof-fe stimatissimo in città. Era abile negli affa-ri e ricco. Ma il denaro - nella sua concezio-ne della ricchezza, vista non fine a se stessa- era per i poveri. La sua azione lo portò ad essere un testimo-ne autorevole in tempi di conflitto traComuni e Impero (Cremona era schieratacon l’imperatore). Quando morì d’improvviso, il 13 novembredel 1197, durante la Messa, subito si diffu-se la fama di santità.

Innocenzo III lo elevò agli altari già due anni dopo. Riposa nel duomo diCremona (da L’avvenire, citato in www.santiebeati.it).

Sopra: Sant’Omobono, immaginetta sacra italiana, 1930 circa (raccolta privata, Pesaro); nellapagina a fianco:14 novembre 1960, le sarte di Pesaro in gita al Santuario di San Luca,a Bologna,in occasione della festa di Sant’Omobono (raccolta Cisa Paccassoni, Pesaro).I sarti della nostra città ricordano con particolare affetto un quadro di autore ignoto conservatopresso la Chiesa dell’Adorazione di Pesaro, raffigurante Sant’Omobono (Sant’Omobono veste ipoveri della città, XVIII secolo)

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Tanto di cappellola moda e gli accessori

Impossibile non dedicare almeno qualche riga all’arte delle modiste: dalla Rosina Lugli alle sorelle Negrini

fino alla Lucetta, anche a Pesaro le loro creazioni hanno segnato un’epoca, lo sguardo a metà tra suggestio-

ni gozzaniane e le luci lontane di Hollywood e Cinecittà.

Fustelle, miscele gommate la cui formula è rivelata a bassa voce, strumenti dall’aspetto misterioso per for-

mare feltri, organze e asprì: i segreti delle modiste si tramandano attraverso una sapienza delle mani (e del

cuore) e, più che in altri casi, non si lasciano facilmente fermare su carta.

In queste pagine, come in un piccolo album o in un filmato un po’ corroso dai giorni, alcuni lampi a ricordo

delle signore dei cappelli.

In questa pagina: annunci pubblicitari dei primi del ‘900.A sinistra da La Provincia, 25 dicembre 1904;a destra, sopra, da La Provincia, 29 ottobre 1910; sotto, da Pesaro Guida pratica illustrata, 1911

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Sopra: materiali e fustelle per modisteria dalla modisteria L’Arte di creare, di Loredana Della Costanza,Pesaro (1948-2008)

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LLaa CCaappppeelllleerriiaa MMaanncciinniiDai feltri modello Borsalino alle berrette,passando per i fascinosi panama, laCappelleria Mancini di Corso XISettembre in quasi un secolo di vita ha‘coronato’ le teste di molti pesaresi.La Cappelleria viene fondata negli anniDieci del ‘900 da Marino Mancini; sulfinire degli anni Quaranta suo figlio Pieroapre un negozio di abbigliamento nellocale attiguo, per ampliare la vendita diconfezioni già iniziata nella cappelleria,

che dopo la morte di Marino sarà gestita dagli altri suoi eredi. Gli anniSessanta vedono i due rami della famiglia continuare a occuparsirispettivamente di cappelli e abbigliamento, mentre negli anniNovanta Gilberto, nipote di Marino e attuale titolare unifica i duenegozi, mantenendo l’attività sotto la splendida insegna realizzata daAlcibiade Della Chiara.

Sopra, Marino Mancini davanti alla Cappelleria (1910 circa); nella pagina a a fianco, insenso orario: Piero Mancini, titolare del negozio (a destra) con il fratello Enzo e la vetrinadella Cappelleria negli anni Quaranta del ‘900; il negozio oggi e in una fotografia del 1958(raccolta Gilberto Mancini, Pesaro)

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La vera creatricedella moda è la storia

Alfredo Panzini, 1930“ ”

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Nato nel 1888 a San Nicola, località a pochi chilometri dal centro di Pesaro, Umberto Garattoni apre nel

1911 in via Petrucci la sua sartoria, una delle più antiche della città.

All’inizio degli anni Trenta del ‘900 si trasferisce in viale Zara, nell’elegante villa all’angolo con viale della

Vittoria ancor oggi abitata dalla famiglia, che fa bella mostra di sé sulle cartoline pubblicitarie della sartoria.

Nella bella stagione spesso mio nonno lavorava in giardino, racconta il nipote Giuliano, artista affermato che

custodisce con dedizione i ricordi dell’attività di famiglia: fu uno dei primi a costruire in viale Zara, all’epoca que-

sta zona era ancora quasi interamente occupata dagli orti, la città-giardino si concentrava tutta intorno al villino

Ruggeri, nell’attuale Piazzale della Libertà.

Dal 1933 Umberto Garattoni è affiancato nell’attività dal figlio Raffaele (1913 - 1992): rinunciando a malin-

cuore alla vocazione di architetto, Raffaele continuerà in grande stile la tradizione del padre, dopo aver affi-

nato il mestiere presso una nota sartoria di

Roma. L’arte resta però una costante nella

sua vita: pittore di talento, Raffaele si circon-

derà di amici artisti, gli stessi che frequenta-

vano la Bottega d’Arte di Alcibiade Della

Chiara.

Tra i più illustri clienti della sartoria Garattoni,

che arrivò a contare una quindicina di lavo-

ranti, ci fu anche il maestro Amilcare Zanella

(1873 - 1949), direttore del Liceo Musicale

“G. Rossini” dal 1905 al 1940.

Nominato Cavaliere di Vittorio Veneto nel

1970,Umberto Garattoni si spegne nel 1982.

Pesaro, anni Sessanta del ‘900: da sinistra a destra, Raffaele Garattoni ela moglie Maria Luisa Ruggeri, la signora Garattoni e Umberto Garattoni;dietro, Giuliano Garattoni, figlio di Raffaele

Umberto e Raffaele Garattoni

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Umberto e Raffaele Garattoni

Sopra: Pesaro, anni Trenta del ‘900, Umberto Garattoni sul bal-cone della sua abitazione di viale Zara; a destra: etichetta percapi di colore chiaro.Nella pagina precedente, sopra: cartolina pubblicitaria deglianni Trenta del ‘900; al centro, a sinistra: Diploma di anzianitàartigiana conferito dalla Confederazione generale italiana del-l’artigianato a Raffaele Garattoni, esercente il mestiere disarto in Pesaro dal 1933 e a destra: Bologna, maggio 1928,Umberto Garattoni riceve la medaglia d’oro alle Esposizioniriunite presso il complesso del Littoriale, per la confezioneelegante e accurata di abiti per uomo; sotto pubblicità del1911 da Pesaro, guida pratica illustrata

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In questa pagina, sotto: Bruno Baratti, ceramica raffi-gurante Sant’Omobono, protettore dei sarti: la cera-mica fu donata a Raffaele Garattoni dai suoi dipen-denti; sopra: Raffaele Garattoni, Ritratto del padreUmberto e (con i baffi) Autoritratto.Nella pagina a fianco: Alcibiade Della Chiara, insegnadella sartoria Garattoni

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Umberto e Raffaele Garattoni

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Egregio Garattoni,ho ricevuto i vestiti che man mano li proverò.Attendo la nota che spero sarà fatta da... amico.Vi avverto che i ritagli di stoffa sono troppo scarsi. Sarebbero scarsi anche se si trattasse di un vestito solo - Figuriamoci poi trattandosi di parecchi vestiti!Dunque mi raccomando...!Gradite i miei migliori saluti

Vostro Amilcare ZanellaPesaro, Liceo Musicale Rossini - 15/12/XVIII (1940)

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Umberto e Raffaele Garattoni

Viale Zara. La strada dove sono nata. La strada dei miei ricordi. Ciò chetalvolta si riaffaccia alla memoria risale agli anni ‘20 o meglio ancoraagli anni ‘30. (...) Sì, la strada c’è ancora, ma di quel tempo, di quel vive-re nulla è rimasto. Solo la memoria è l’unica testimone e la strada rivivenel ricordo. (...) Riemerge, come d’incanto, dal mondo dei miei ricordi ilgiardino fiorito del sarto Garattoni. Era proprio all’inizio, superata lanazionale. Il sarto Garattoni era noto per la sua bravura, aveva clientimolto esigenti (vedi mio fratello il dottor Cancelli) che solo lui riusciva adaccontentare e di ciò ne andava fiero. Ma io credo che la sua vera passio-ne fossero i fiori. Quando non era particolarmente intento nel suo lavoro,era particolarmente intento al suo giardino. Era molto facile vederlocurvo sull’aiuola a zappettare, sarchiare, piantare o trapiantare... fiori perogni mese, per ogni stagione, fiori per tutto l’anno. Dalle prime violette aicrisantemi. E chi passava di lì non poteva fare a meno di fermarsi adammirare quel tripudio di colori. “Che bello!” E il sarto Garattoni sorri-deva felice (Guglielmina Cancelli da Ricordo di una strada: Viale Zara).

In questa pagina, sopra: luglio 1951, gita della sartoria Garattoni alla Bettola, sul colle Ardizio; sotto: Umberto Garattoni e l’ars topiaria (tutte le immagini di questo capitolo provengono dalla raccolta della Famiglia Garattoni, Pesaro)

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Quando scelgo un tailleur, quando compro un tessuto, ancora oggi penso a mio padre: sono parole di Licia

Pezzodipane Ratti, signora dell’eleganza che dal 1945 modella con gusto sicuro lo stile dei pesaresi,

prima a fianco del marito Pietro Ratti, oggi coadiuvata dalla figlia Silvana e dalla nipote Matilde

D’Ovidio.

All’affermazione delle Boutiques Ratti, note in tutta Italia, ha certo contribuito quella particolare sen-

sibilità per la cura del dettaglio artigianale, la qualità dei materiali, la perfezione del taglio che Pietro

Ratti, tenente dei bersaglieri reduce dalla Russia in villeggiatura a Pesaro nell’immediato dopoguer-

ra, intuisce nell’allora diciannovenne Licia, figlia di uno dei più noti sarti della città: Erasmo

Pezzodipane. Sono cresciuta in sartoria, racconta la signora Licia, e sono stata la persona più vicina a mio

padre, nel suo lavoro. In sartoria lo aiutavo a decidere stoffe e colori, e devo a lui se ho imparato a ricono-

scere al tatto la composizione di un tessuto. Il ricordo delle sue giacche mi ha accompagnato per tutta la

vita, e l’attenzione scrupolosa che metteva nel suo lavoro è stata per me una lezione da non dimenticare.

Nato nel 1899 a Macerata, dove appena quindicenne fu apprendista presso la Sartoria Marconi,

Erasmo Pezzodipane arriva a Pesaro negli anni Venti del ‘900. Dopo aver brevemente collaborato con

Umberto Garattoni, Pezzodipane si mette in proprio nel laboratorio

di via Mazza, affiancando da subito alla creazione di abiti da uomo

anche la realizzazione di uniformi militari e di tailleur da donna.

Negli anni precedenti la II guerra mondiale la Sartoria Pezzodipane si

trasferisce in Corso XI Settembre, dove avrà sede sino alla chiusura,

avvenuta nei primi anni Settanta; assistito da una quindicina di lavoran-

ti, Pezzodipane serve una clientela prestigiosa: mio padre, conclude la

Sartoria Erasmo Pezzodipane,annuncio pubblicitario, daL’Ora, 15 agosto 1926

Erasmo Pezzodipane

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signora Licia, aveva molti clienti anche fuori Pesaro, gli affezionati non lo hanno mai lasciato, arrivavano da

tutta la provincia e anche da fuori, da Milano, per esempio. Tra i riconoscimenti ottenuti dal sarto nel

corso della sua lunga carriera c’è anche il Cavalierato, conferito anche alla signora Licia nel 2003.

Erasmo Pezzodipane si spegne a Pesaro nel 1978.

A destra: Sartoria Erasmo Pezzodipane, annunciopubblicitario, da Pesaro, Piccola guida, 1951.Nella pagina a fianco: Pesaro, primi anni Sessantadel ‘900, Erasmo Pezzodipane posa nella sartoriadi corso XI Settembre: sul manichino, una giaccada uomo (raccolta Licia Pezzodipane Ratti,Pesaro)

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Marcello Pezzodipane in arte Tusco (1930-2001), attore edoppiatore, con uno smoking e un completo sportivo realiz-zati dal padre Erasmo Pezzodipane (anni Sessanta del ‘900;raccolta Licia Pezzodipane Ratti, Pesaro); nella pagina accan-to: Mauro Sabatinelli, per sedici anni collaboratore di ErasmoPezzodipane, premiato nel 1968 con la medaglia d’argentonel concorso Forbici d’oro, riservato ai giovani sarti.Sabatinelli, fanese di nascita, è stato a lungo titolare di unapropria attività; dal 1985 è responsabile della sartoria inter-na della Boutique Ratti (raccolta Mauro Sabatinelli, Fano)

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La storia della sartoria Pezzodipane e quella delle Boutiques Ratti si intrecciano, oltre che nella figu-

ra di Licia, anche nella persona di Mauro Sabatinelli, sarto di classe che proprio con Erasmo

Pezzodipane imparò il mestiere e, dopo una lunga esperienza in proprio, è oggi responsabile della

sartoria interna di Ratti. Di Erasmo Pezzodipane Mauro Sabatinelli ricorda soprattutto il rigore e l’in-

stancabile ricerca della perfezione, che si traducevano in uno studio costante per aggiornare i meto-

di di taglio: Pezzodipane padroneggiava cinque o sei diversi sistemi, e da ciascuno prendeva la parte miglio-

re per arrivare al modello perfetto, all’a piombo ideale. Con me è stato generoso, mi portava ad assistere

alle prove degli abiti, e questo mi ha permesso di imparare i segreti del mestiere, cose che non si possono

apprendere sui libri.

Erasmo Pezzodipane

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E’ incredibile quanto una persona possa influire sulla vita di chi le sta vicino: noi dobbiamo molto alla ziona, se non

ci fosse stata lei le nostre vite sarebbero state di sicuro molto diverse. Era una calamita, un catalizzatore di affetti.

Così Roberto Urso, chirurgo ortopedico, ricorda la prozia Prima Paganelli, meglio nota in città come la

Bolognese. E’ seguendo il filo della sua memoria, e di quella davvero eccezionale di suo padre Luciano,

Primario di anestesia e rianimazione all’Ospedale Rizzoli di Bologna, che scegliamo di raccontare l’attivi-

tà di una donna diventata il simbolo dell’arte sartoriale a Pesaro.

Discussa e ammirata, dotata di una personalità magnetica che emerge intatta dai suoi ritratti, la Bolognese

è ancor oggi, a quasi quarant’anni dalla morte, il primo nome che si affaccia alla mente dei pesaresi quan-

Pesaro, 1935, Prima Paganelli con una copia di Harper’s Bazaar(raccolta Famiglia Urso, Bologna)

Prima Paganelli, la Bolognese

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do si parla di sarti e sartorie. Poco incline a farsi condizionare dagli eventi, che piuttosto volgeva a pro-

prio vantaggio grazie a una volontà irresistibile, Prima Paganelli era donna di grande intelligenza, ma

soprattutto di gran cuore, come testimoniano le parole dei suoi famigliari. Io sono quello che sono perché

c’è stata la zia, commenta il professor Luciano, figlio di Pia, sorella di Prima: lei mi ha dato la possibilità di

studiare medicina, una strada che volevo seguire sin dall’età di dodici anni, mentre i miei genitori avrebbero pre-

ferito che dopo la scuola industriale continuassi l’attività di mio padre, che aveva una piccola officina… La zia

Prima, poi, si interessava sempre delle vicende di noi nipoti, si era presa il ruolo di paciere famigliare, ricordo che

spesso interveniva per mediare tra noi fratelli: quando c’era qualche attrito andavamo a Pesaro, lei aggiustava tutto

e al ritorno quello che sembrava un dramma diventava una cosa semplice, era tutto risolto. Il primo viaggio della

mia vita, all’età di cinque anni, è stato proprio per raggiungere la zia Prima a Pesaro: mi hanno ‘caricato’ sul treno

e mia madre mi ha affidato a una passeggera, chiedendole di farmi scendere una volta a destinazione. Quando

mi sono laureato mi ha regalato un vaso d’argento con la dedica, era molto orgogliosa della mia laurea.

Pesaro, anni Trenta del ‘900, Prima Paganelli di fronte all’ingresso dei bagni pubblici, in via Rossini(raccolta Famiglia Urso, Bologna)

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Affabulatore nato, il professor Luciano Urso, che tra le importanti tappe della sua carriera annovera anche

le fondamenta progettuali della Clinica mobile, l’ospedale viaggiante dei piloti motociclisti creato con altri

colleghi nel 1972, ricorda ancora: le piaceva far sposare i nipoti, tra l’altro ha contribuito a organizzare il mio

matrimonio, infatti mi sono sposato alla chiesa di Cristo Re. Io ero il primo nipote, e la zia Prima aveva un affet-

to speciale per me, continua, mentre il figlio Roberto aggiunge: noi abbiamo sempre trascorso le nostre estati

a Pesaro, e tuttora io e la mia famiglia, appena abbiamo qualche giorno libero preferiamo trascorrerlo in questa

città così piena di ricordi per noi. Eravamo sette nipoti, e tutti i pomeriggi ci ritrovavamo a merenda nel giardino

della sartoria, in viale Corridoni: senza contare poi il ‘rito’ della pesatura, la ziona ci metteva sulla bilancia appena

arrivavamo e quando ripartivamo, per vedere la differenza… Era una persona estremamente generosa, aveva

sempre qualcosa per tutti, ha aiutato molte persone, sempre con grande riservatezza.

Sopra e a destra: Pesaro, anni Quaranta del ‘900,Prima Paganelli insieme con il nipote Luciano Urso(raccolta Famiglia Urso, Bologna)

la Bolognese

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Nata a San Lazzaro di Savena (Bologna), Prima Paganelli arriva a Pesaro nel 1923. Prima di quattro figli

(oltre a lei, Pia, Ettore, Antonio), è registrata nei pochi documenti che ci restano come vedova di

Ermenegildo Mattei. Assai scarse anche le testimonianze che parlano della sua attività, iniziata in quegli

anni con pochi mezzi e in brevissimo tempo cresciuta fino a raggiungere le dimensioni di un vero e pro-

prio atelier, organizzato come le case di moda delle grandi città.Non sappiamo le motivazioni del suo tra-

sferimento a Pesaro, chissà, magari ci è passata una volta per caso, le è piaciuta e ha deciso di fermarsi, dice il

professor Luciano, aggiungendo non mi meraviglierebbe, sarebbe stata una cosa degna di lei.Aveva imparato il

mestiere nella Sartoria Policardi di Bologna, una delle più importanti della città; a Pesaro la sua attività ebbe la

prima sede in via Manzoni. Successivamente si trasferì in via Rossini, nel palazzo della Fabbrica Scrocco, e quindi

in viale Corridoni, all’angolo con viale Zanella.Qui è rimasta fino alla fine, al piano terra c’era il laboratorio, al primo

piano la sartoria vera e propria con i salottini per le prove e gli specchi, i tessuti e gli accessori e al secondo l’abi-

tazione. Mi ricordo ancora il numero di telefono, era il 268: la casa di viale Corridoni aveva appartamenti molto

spaziosi, circa duecentotrenta metri quadri per ogni piano.

Luogo di eleganza e riti d’antan, la Sartoria Bolognese arrivò a contare nei periodi di maggior successo

oltre cento lavoranti, tra apprendiste e maestre, il cui lavoro era coordinato dalle première. In molti ricor-

dano lo sciamare delle sartine fuori dalla villa tra viale Corridoni e viale Zanella: le più belle, quelle con il

portamento, assurgevano poi per il tempo di un défilé al ruolo dorato di mannequin, popolando i sogni dei

ragazzi in bicicletta che attendevano davanti ai cancelli, come nei film dei telefoni bianchi.

La zia aveva una grande manualità, creava i suoi modelli partendo da un drappeggio provato sul manichino, e

quando c’era nell’aria qualche festa importante cominciavano a girare queste stoffe, che poi diventavano vestiti.

Ma di Prima Paganelli va sottolineata innanzitutto la decisa capacità imprenditoriale e di gestione, che

insieme a una grande attenzione all’immagine e a una certa schietta diplomazia tutta emiliana le

hanno consentito di crearsi una clientela ragguardevole, sia a Pesaro sia in

città come Roma,Venezia, Perugia. Cordiale ed estrover-

sa, la Primetta, come affettuosamente la chiamavano le

clienti più vicine, sapeva consigliare a ciascuna il modello

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più adatto o i colori più donanti: a volte, continua divertito il professor Urso, certe clienti diciamo così, di

una certa opulenza, volevano a tutti i costi i modelli visti sfilare indosso alle mannequin, e la zia con un grande

savoir-faire riusciva a convincerle ad apportare le modifiche necessarie. Le clienti le erano molto affezionate, con

loro la zia instaurava un rapporto di amicizia: a Pesaro l’alta borghesia si serviva da lei, e tra le clienti di fuori c’era-

no molte personalità del bel mondo, la famiglia del prefetto di Venezia, la contessa Prampolini e Sofia, la prima

moglie del generale Badoglio. Della parte amministrativa della sartoria si occupava il suo compagno Lelio Agostini,

originario di Mercatello sul Metauro. Lelio aveva impiantato anche una tintoria, in via Castelfidardo, gestita poi dal

fratello di zia Prima,Antonio.

Pesaro, 1934. Prima Paganelli al mare (raccolta Famiglia Urso,Bologna); pagina precedente, etichetta, anni Trenta del ‘900

la Bolognese

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Pesaro, 14 luglio 1935. Gita agli abeti; nella pagina a fianco: anni Trenta del ‘900, Prima Paganelli in posa con la sua Lancia Artena ai piedi del San Bartolo (raccolta Famiglia Urso, Bologna)

Due volte l’anno Prima Paganelli presentava le collezioni, tagliate su modelli acquistati a Parigi o creati ex

novo, proponendo anche pellicce e accessori, che la Bolognese faceva realizzare appositamente da artigia-

ni della sua città d’origine. I défilé pesaresi erano accompagnati dai rinfreschi della pasticceria “Gino”, ma

erano le sfilate romane quelle che più contribuivano ad accrescere la fama della sartoria: si partiva in treno,

cariche di bauli, la signora Paganelli accompagnata dalla première e dalle mannequin, per andare a sfilare all’Hotel

Excelsior, di fronte ai personaggi che riempivano le cronache mondane. E ci scappava anche il tempo per un caffè

da Doney, prima di ripartire.

L’attività della sartoria continuò per tutti gli anni Cinquanta - Sessanta, sempre con grande successo, fino

a cessare nell’agosto 1969, un anno prima della morte della titolare.

Fedele alla città che le aveva dato il successo, Prima Paganelli scelse di riposare per sempre nel cimitero

di Pesaro.

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Anni Cinquanta - Sessanta del ‘900, sopra: lavoranti a un tavolo della sartoria Bolognese (raccolta Lucia AmantiniMaggiulli, Pesaro); sotto: Prima Paganelli insieme con le sue dipendenti durante un pranzo per Sant’Omobono,

(raccolta Anna Gaudenzi Mariotti, Pesaro)

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Anni Cinquanta del ‘900: la villa all’angolo tra viale Corridoni e viale Zanella, sede della Sartoria Bolognese; sotto: anniQuaranta del ‘900, foto di gruppo davanti alla sartoria e, al centro, un’altra immagine della sede di viale Corridoni, che

reca sul retro l’annotazione di Prima Paganelli La mia casa 12.6.1954 (raccolta Famiglia Urso, Bologna)

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MMooddaa aauuttaarrcchhiiccaaNel 1935 il regime fascista varò l’Ente Nazionale della Moda che aveva il compito di italianizzareil guardaroba femminile e di adeguarlo ai comandamenti dell’autarchia. Era appena stata scate-nata la guerra d’Etiopia. (…) A Ginevra, la Società delle Nazioni, prima e più irresoluta edizionedell’Onu, aveva dichiarato l’Italia “Stato aggressore”, deliberando le sanzioni economiche e l’em-bargo per certi prodotti. Roma aveva risposto lanciando l’ideologia del “bastiamo a noi stessi”, del-l’autarchia. Il popolo italiano doveva “consumare Italia” e felicemente indossare lana di caseina,la lanital, e cotone tratto dalle fibre di ginestra. Entravano in produzione i tessili dell’indipenden-za e anche la moda doveva rendersi indipendente dai diktat di Parigi, doveva italianizzarsi comecerte parole mutuate dall’inglese e dal francese: amoretto invece di flirt, arzente invece di cognac. Toccava ai sarti creare un’eleganza nazionale. Non ne furono entusiasti. A pestare in questo mor-taio, ci si era messo lo stesso Mussolini e ancora prima delle sanzioni che avevano obbligato l’Italia

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a fare da sé. Il duce, sporgendo la mascella da un podio sullo sfondo del milanese Castello Sforzesconel maggio del ‘30, aveva proclamato: “Una moda italiana nei mobili, nelle decorazioni, nel vestia-rio non esiste ancora: crearla è possibile, bisogna crearla”. E di slancio erano state organizzate le“adunate della moda”. Nell’aprile del 1933, Torino, eletta capitale dell’eleganza, aveva organizza-to mostre e sfilate all’insegna dell’italianità e Mussolini aveva telegrafato: “Se l’inizio è buono, ilseguito sarà migliore: si tratta di avere fede”... Ma i sarti e le sarte nicchiavano, perché le clientipretendevano Parigi o qualcosa che avesse almeno quell’aria... Allora, l’Ente della Moda inventòil marchio di garanzia da assegnare solo a modelli “di ideazione e produzione italiana”. In una collezione, almeno il 50 per cento degli abiti doveva poter esibire quell’attestato di italiani-tà, pena una multa da 500 a 2 mila lire. Spesso le Case, ottenuto il marchio di verginità, lo nascon-devano alle clienti perché, se no, i modelli rimanevano a invecchiare negli armadi, invenduti. Labugia poteva costare da 1000 a 5 mila lire di ammenda (stangata durissima nei tempi che cantava-no “se potessi avere mille lire al mese”), ma salvare una collezione valeva il rischio. (…) Raccontala giornalista Elisa Massai: “L’autarchia ebbe almeno il merito di obbligare le case di moda alasciarsi almeno un po’ alle spalle la comodissima abitudine di acquistare a Parigi, moltiplicare inItalia e vendere”. Finiva che tutti compravano le stesse cose. Sì, c’erano due, tre disegnatori che usavano Parigi ericreavano, Pascali, Pelizzoni, Elio Costanzi. Ma nessuno si sarebbe messo in testa di fregarsenedei grandi francesi. Se no, addio alla clientela… Al di là delle forzature, l’idea nazionalista di una moda italiana non era affatto sballata. Il nostroartigianato era di prim’ordine. Avevamo, nelle sartorie, mani preziose. I nostri sarti da uomoerano fra i migliori del mondo. Spesso i tessuti, che passavano per inglesi, di inglese avevano solol’etichetta. Erano prodotti nostri, salvo alcuni cachemire che noi abbiamo cominciato a lavoraresolo negli anni ‘50. Il progetto di una nostra moda, di una moda che non pagasse tributi allaFrancia, non era affatto peregrina. C’erano un humus adatto, un entroterra favorevole. Lo hadimostrato, a partire dal febbraio 1951, dalla prima sfilata di Firenze, il nostro prêt-à-porter. Nelperiodo dell’autarchia della guerra, qualcosa si mosse: modelli un po’ scopiazzati ma con dentroun che di nuovo” (da http://dellamoda.it/dizionario_della_moda/m/moda_autarchica.php).

la Bolognese

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Nella zona prima della villa Ugolini, dopo la “nazionale” allora

c’era un altro luogo che ci faceva sognare: era la Bolognese: la sar-

toria della gran moda negli anni Trenta. Era spesso al centro delle

conversazioni, specialmente degli uomini perché si diceva che

impiegasse splendide modelle. Andavamo ad appostarci per atten-

dere l’uscita delle ragazze... Dietro quelle indossatrici correvano i

nostri sogni ma si spegnevano presto... (da Caterbo Mattioli, Pesaro

anni Trenta, 1993).“”

Pesaro, anni Quaranta del ‘900: Adriana Tangucci Filippetti in posa da mannequinper la Bolognese (raccolta Adriana Tangucci Filippetti, Pesaro); a pagina 82: un’im-magine dall’album di Prima Paganelli (raccolta Famiglia Urso, Bologna)

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Qui a fianco, Maria Amantini, per lungo tempo collabora-trice di Prima Paganelli. Abilissima sarta, autodidatta,Maria emigrò in Francia nel 1929, insieme con il marito(raccolta Lucia Amantini Maggiulli, Pesaro)

PPrreemmiièèrreeRuolo sartoriale per i capi su misura, per l’alta moda. La première èuna sorta di traduttrice, perché in effetti traduce lo schizzo del dise-gnatore nel modello in tela e lo prova sulla mannequin d’atelier (altrafigura simbolo, la cosiddetta “fissa”), per stabilire quale tessuto emodello scegliere per valorizzare meglio la linea. È una figura chiave.Ogni buona sartoria ne ha diverse, secondo la specializzazione. C’èinfatti una première per ogni reparto (da http://dellamoda.it).

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In questa pagina: la Bolognese con alcune lavoranti all’uscita dalla sartoria; sotto, a sinistra, Prima Paganelli (a destranella foto) e, al suo fianco, Maria Amantini e Dina Veronesi, per lungo tempo première della sartoria (raccolta LuciaAmantini Maggiulli, Pesaro; a destra: raccolta Famiglia Urso, Bologna)

la Bolognese

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Pesaro, anni Venti - Trenta del ‘900, alcune immagini dall’album della Famiglia Urso

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Sopra, Ferro alla patria, 1936 (raccolta Famiglia Urso, Bologna).Durante lo sfollamento, nel periodo dei bombardamenti, la zia fu ospitata dal veterinario di Mombaroccio (il bologneseAntonio Romagnoli, in un appartamento di Palazzo Del Monte), ma dappertutto aveva immagazzinato bauli con imateriali della sartoria e con gli oggetti più preziosi, racconta Luciano Urso (tra gli esemplari che la Bolognese riu-scì a sottrarre alla furia della guerra un imponente vaso di ceramica Molaroni con il suo piedistallo, che oggi fabella mostra di sé nella sua abitazione bolognese); la sartoria aveva sospeso l’attività già dal ‘41 - ‘42, ma alla fine dellaguerra la zia poté subito riprendere a lavorare perché aveva stipato due casse di spolette e di tessuti nei sotterranei delsuo ex atelier in via Rossini; a Montelabbate presso alcuni conoscenti aveva qualche valigia, tutti materiali che le permi-sero di ripartire dopo la guerra. Durante lo sfollamento aveva accumulato anche cioccolate per noi nipoti, sorride il pro-fessor Luciano, vicino alla zia anche negli anni di guerra.

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Gita alla Bettola, 3 agosto 1940: Prima Paganelli è lasignora con l’abito a pois a sinistra nella foto; di fronte alei Bianca Spadoni, un’altra prèmiere della sartoria e,seduto all’ultimo posto, con l’abito bianco, il fratello diPrima Paganelli (raccolta Lucia Amantini Maggiulli, Pesaroe, a destra, Famiglia Urso, Bologna).Nella pagina successiva: anni Cinquanta - Sessanta del‘900. La signora Giordana Mazzanti Urso, moglie del pro-fessor Luciano, con alcuni modelli realizzati dalla SartoriaBolognese; a pagina 93: Prima Paganelli in un’immaginedel 1958 - ‘59 (raccolta Famiglia Urso, Bologna)

la Bolognese

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la Bolognese

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Se la moda pesarese degli anni Trenta del ‘900 è dominata dalla figura di Prima Paganelli, la rinomata

Bolognese, non mancano in città altre sarte di spicco, tra cui Luisa Rossi Giuliani (1899 - 1981), attiva dalla

metà degli anni Venti fino al 1944 e di nuovo, sebbene in misura minore, dopo il 1950.

Prima della guerra mia madre, aveva la propria sartoria presso Palazzo Avezza, all’angolo tra corso XI Settembre

e via Tortora, racconta Fiora Giuliani, primogenita di Luisa e Corrado, in un edificio tuttora esistente, ma che

è stato ricostruito dopo i danni provocati dai bombardamenti. Nel periodo di maggior successo, negli anni Trenta-

Quaranta, la sartoria contava una decina di lavoranti, e i clienti erano prevalentemente i notabili della città, le mogli

del Prefetto, del Questore, del Provveditore; c’era anche la signora Zandonai (il maestro Riccardo Zandonai fu

nominato nel 1940 direttore del Conservatorio “G.

Rossini” di Pesaro, e nella nostra città rimase fino alla

morte, avvenuta nel 1944).

Ricordo che queste signore venivano in sartoria a provare gli

abiti intorno all’ora di pranzo, verso le 13, continua Fiora:

quello della sarta era un mestiere senza orario, e mia madre,

che era conosciuta per la puntualità nelle consegne, era molto

attenta ad assecondare le esigenze delle clienti, con le quali

instaurava rapporti di amicizia oltre che professionali. Dopo gli

inizi, con l’attività ben avviata, il rapporto con le clienti, la scel-

ta dei modelli e dei tessuti, le prove, occupavano quasi comple-

tamente mia madre, e così il lavoro venne organizzato come

negli atelier di alta moda: la lavorazione dei capi tagliati era

affidata alla direttrice della sartoria, che coordinava le ragaz-

ze. Gli abiti erano tagliati su modelli che mia madre prendeva

fuori, soprattutto a Milano, anche se poi apportava sempre

qualche modifica. Specialmente nei primi tempi, però, le piace-

Roma, 1949: un primo piano di Luisa Rossi Giuliani

Luisa Rossi Giuliani

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va anche crearli ex novo, ricordo certi bellissimi abiti da sera... E pensare che aveva iniziato per hobby, spiega

Fiora: a quindici anni ha cucito il primo abito per sua madre, e poi pian piano ha trasformato la sua passione in

un lavoro. Del resto quella del sarto era un’arte di famiglia, suo zio Filippo Rossi aveva una sartoria in via

Castelfidardo, poi trasferita in via Petrucci e infine per il Corso. Per un breve periodo alla sartoria collaborò anche

Sonia, la futura moglie del ceramista Bruno Baratti.

Molte vicende, oltre a quella di Sonia Baratti, si intrecciano alla vita di Luisa Rossi Giuliani, prima fra tutte

la storia della famiglia del marito, Corrado Giuliani, ceramista

per Molaroni e, successivamente, insegnante di ceramica al

carcere minorile.Artista versatile, Corrado Giuliani collaborò

a lungo con il fratello Amanzio, fondatore della Mobili e

Ceramiche d’Arte Fratelli Giuliani, importante fabbrica di

mobili intagliati per la quale Corrado realizzava le decorazio-

ni in maiolica; anche Violetta, sorella dei due, fu ceramista

presso le due più note manifatture pesaresi, Mengaroni e

Molaroni, collaborando anche all’attività dei fratelli, e con la

ditta Effeenne di Nino Falcioni. Il fratello Alcide lavorò a lungo

come elettricista presso il Teatro - Cinema “Duse”; noto per

il suo impegno politico, infine, l’altro fratello Lottaldo, presi-

dente della nostra Provincia tra il 1959 e il 1968.

Dopo lo sfollamento, negli anni successivi alla guerra Luisa

Giuliani si trasferì a Roma, tornando a Pesaro nel 1950. A

Roma entrò in contatto con diverse famiglie originarie della

nostra città o che comunque con Pesaro mantenevano dei

legami, magari per la villeggiatura estiva; molte di loro divennero

anche sue clienti quando, dopo la guerra,mia madre riprese a lavo-

rare nella sua abitazione di traversa Monte Ardizio, vicino alla villa

dei Ninchi, conclude Fiora, sottolineando è stato anche grazie al

lavoro di mia madre, alla sua capacità organizzativa nel gestire la

propria attività che durante la guerra siamo riusciti a far fronte alle

difficoltà della vita.

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Sopra: Pesaro, anni Sessanta - Settanta del ‘900, Luisa Rossi Giuliani con il marito Corrado Giuliani; nella pagina precedente:Pesaro, 1933, Luisa Rossi Giuliani posa sulla spiaggia (tutte le immagini di questo capitolo provengono dalla raccolta FioraGiuliani Moretti, Pesaro)

Luisa Rossi Giuliani

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Occhi acuti e ridenti, tempra d’acciaio, Giuseppina Francolini Magnelli (1903-2004) ha vestito per anni le

signore dell’alta borghesia pesarese con la stessa eleganza raffinata e nonchalante che caratterizzava la sua

figura svelta, in tarda età inseparabile da quella della cagnolina Laika, anche lei sempre très chic con il suo

collarino rosso.

Dopo aver appreso le prime nozioni di taglio a Firenze, Giuseppina Francolini torna a Pesaro, dove sul

finire degli anni Trenta del ‘900 comincia l’attività in proprio in un piccolo appartamento di viale Cialdini,

spostandosi successivamente in via Manzoni e, con l’ampliarsi della clientela, nella più spaziosa sede di viale

XXIV Maggio.

Se i documenti sulla sua attività sono piuttosto scar-

si, assai vivi sono invece nella memoria delle clienti e

delle sue più giovani colleghe la verve e lo stile della

signora Giuseppina: era bravissima, conferma Anna

Maria Montagnoli, valente sarta formatasi proprio

presso l’atelier della Magnelli; i suoi modelli erano lavo-

rati alla perfezione, era attentissima a ogni particolare,

ma soprattutto aveva una classe e un’eleganza rare. Era

l’unica, all’epoca, che potesse competere con la

Bolognese, era molto estrosa, e sapeva sempre cosa fare

per valorizzare ogni cliente. Aveva una clientela impor-

tante, che amava i suoi modelli molto particolari, conti-

nua la nuora Antonia, che insieme con il marito

Giuliano, figlio della signora Giuseppina, ci ha aiutato

a ricostruire il suo profilo.

Proprio da una serie di fotografie appartenute a

Giuseppina Francolini Magnelli, scattate durante l’edi-

zione 1954 o 1955 del Festival della Moda al Teatro

Giuseppina Francolini Magnelli in una foto degli anniCinquanta - Sessanta del ‘900

Giuseppina Francolini Magnelli

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“G.Rossini” di Pesaro, è partita la ricerca che ha portato

a questa pubblicazione: ve le proponiamo alle pagine

seguenti, trascrivendo anche le meticolose annotazioni

che la signora riportò sul retro di ciascuna stampa.

Documenti che, tra Prati fioriti in organdis di seta, gonne da

Gitana in nastro di paglia, e Folletti in ottoman di cotone

restituiscono intatto il sapore di un’epoca, quando la

moda attingeva alla poesia, e raccontava la vita con i

colori dei film e dei sogni di un’Italia appena uscita dalla

guerra.Ma anche una testimonianza periferica e per que-

sto da non dimenticare, della vitalità dello stile italiano, che proprio allora andava muovendo i primi passi

con le creazioni di Schubert, Pucci e delle sorelle Fontana.

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Sopra: Pesaro, anni Cinquanta - Sessanta del ‘900, foto di gruppo in sartoria per Sant’Omobono;nella pagina a fianco, anni Trenta del ‘900, alcune immagini di Giuseppina Francolini Magnelli:

in alto in posa con un suo cappotto; in basso a sinistra, con il figlio Giuliano (1938 circa) e, a destra, con il marito

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L’8 maggio 1955 ha luogo al Teatro “G.Rossini” la seconda edizione del Festival della Moda (la prima si era svolta il 28 marzodell’anno precedente). Sopra: da Il Resto del Carlino, 8 maggio 1955 e, a sinistra, Jula De Palma, ospite d’onore al Festivaldella Moda 1955.Nella pagina precedente, sopra: due abiti da sposa; sotto due immagini di Giuseppina Francolini MagnellioliniMagnelli: qui (----) con il figlio Giuliano, intorno al 1938; sopra in posa con un suo cappotto; (---) con il marito

Giuseppina Francolini Magnelli

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FFiirreennzzee,, 11995511.. NNaassccee llaa mmooddaa iittaalliiaannaaIl 12 febbraio 1951 Giovan Battista Giorgini, segugio del bello, del raffinato e compratore su commissio-ne organizza nella propria villa di via dei Serragli a Firenze un défilé per proporre a un gruppo di buyersamericani una selezione di capi di alta moda prodotti da sarti e artigiani. E’ l’atto di nascita dello stileitaliano nella moda, di uno stile autonomo rispetto alla secolare sudditanza nei confronti di Parigi. (...)Giorgini aveva un bel rivendicare le antiche credenziali dei guardaroba etruschi, dell’italiana eleganzadi Caterina de’ Medici, del ‘700 di Venezia e quelle più spendibili di un riconosciuto primato dei nostritessutai, delle nostre mani al tombolo, della nostra sapienza nel lavoro d’ago e filo, sapienza da paesepovero, da società di abiti fatti in casa, di vestiti delle madri riadattati per le figlie. Una moda italiananon esisteva. Aveva soltanto vagito negli anni dell’autarchia, quando Mussolini impose che i nostri ate-lier disegnassero in proprio, senza ispirarsi a Parigi o copiare, almeno il 50 per cento delle collezioni.(...) Mentre Giorgini pensava a un’eleganza firmata Italia, le nostre Case, le nostre sarte spendevanomigliaia di franchi, di quelli vecchi e pesantissimi, a Parigi per comperare tele, modelli, esclusive daDior, da Balenciaga, da Fath, da Patou, per sfamare gli appetiti delle italianissime clienti, voraci, dopola lunga dieta di guerra, di moda francese, di moda-moda si diceva, come si era detto caffè-caffè perdistinguerlo dai surrogati. Perché, in quell’inizio del decennio ‘50, con il paese ancora ansimante e feri-to dai 5 anni di guerra, avrebbe dovuto riuscirci Giovanni Battista Giorgini a incrinare quel graniticomonopolio o almeno a correggere una seco-lare tendenza? Forse perché il terreno erastato concimato da quei primi tentativiautarchici. Senza dubbio perché la suaidea di incitare le sartorie, i nascenti stilisti,a un’autonomia creativa, senza plagi,senza vassallaggi, di organizzarli, di dareloro una comune strategia non puntava almercato interno, elitario, snobistico, condi-zionato dalla tradizione francese, maall’America, anch’essa, in fatto di altamoda, riverente verso Parigi, ma capace dipragmatismo commerciale. (...) [Giorgini]Proponeva alle sartorie di essere creative,di tentare uno stile italiano e di presentarlo

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tutte insieme, in uno stesso luogo e immediatamente dopo le sfilatedi Parigi. Tre rivoluzioni in una. Era rara, quasi inesistente la crea-tività sartoriale. Mai le Case si erano alleate per défilé in comune.Da sempre sfilavano molte settimane dopo le collezioni di Parigi,per avere così il tempo di tradurre ed elaborare le indicazioni e lelinee che la capitale della moda imponeva. Quell’immediatamentedopo, indispensabile per convincere i buyer a prolungare il viaggioeuropeo da Parigi a Firenze, era di per sé una garanzia che l’altamoda italiana non sarebbe stata una fotocopia dell’ultimo gridofrancese: magari non sarebbe stata sublime, ma di certo non avreb-be fatto scomodare i compratori per una scopiazzatura. (...) I capierano imprevisti, giovani, freschi, portabili. I colori, un inaspettatotripudio. La qualità sorprendente. I prezzi incredibilmente interes-santi. I compratori capirono subito che stava aprendosi un settoredi mercato di vaste prospettive. Seppero subito riconoscere l’affareed ebbero occhi attenti e ben disposti anche per le creazioni d’alta

moda... All’ultimo modello, venne l’applauso. Ma non era ancorauna prova. Poteva essere un applauso di stima, come s’usa in tea-tro quando un buon attore non azzecca la serata. Giorgini si avvi-cinò ai buyer: “Funziona? Qual è la vostra impressione?”. StellaHanania, la compratrice di I. Magnin disse: “Parigi non ci ha emo-zionato così”. Gertrude Ziminsky di B. Altman disse: “Valeva ilviaggio”. Stilisti, sarte, première, piscinine, stiratrici, vestiariste siaffacciarono al salone, raggianti. Era nata la moda italiana(Guido Vergani, voce Giorgini, dahttp://dellamoda.it/dizionario_della_moda/g/giorgini.php).

Giuseppina Francolini Magnelli

Pesaro, 1954 o 1955,Teatro “G.Rossini”,Festival della Moda. Le fotografie alle pagi-ne 104 - 111 portano sul retro le dettagliate annotazioni della signora Magnelli (cheperò non indicò purtroppo la data della manifestazione), riproposte fedelmente. Inqueste pagine, tre immagini del modello Marinella - completo spiaggia in tela dicotone, sfumature dal bluette - celeste - bianco (nei calzoncini c’è un ricamo apesciolini rossi)

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Sopra, a sinistra: completo estivo formato da abito con bretelline e giacca; a destra: modello Pinguino in organdis di setabianco a grandi righe in raso nero - motivi di garofani eseguiti con valencienne in rilievo; nella pagina a fianco: treimmagini del modello Prato fiorito - abito in organdis di seta a fiori bianco-giallo-verde-nero

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In questa pagina, dall’alto in senso orario: modello Ore 17, elegantissimo abito in georgette di lana nero e taffetà seta puranero, completamente plissettato à soleil a ciuffi incrociati (ancora, la signora aggiunge in calce: questo è splendido, pecca-to che nelle foto non si veda nulla, ma è il capo che à destato più ammirazione per la sua ampiezza); tailleur in lana colorbanana con manica kimono; abito in jerseyrosso; sotto: tailleur; nella pagina a fianco,sopra: due immagini del modello Turismo,paletot di lana blu foderato in cinz rossoa bolli bianchi - tailleur in jersey di coto-ne bianco; sotto: due immagini del modelloGitana (questa gonna è una meravigliaannota sul retro la signora FrancoliniMagnelli): gonna in paglia grezza eseguitacon 36 metri di nastro di paglia - 39metri di vellutina bluette e m. 12 dibordo a fiori (tirolese)

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L’uscita finale del défilé di Giuseppina Francolini Magnelli; sotto, tre immagini del modello Serad’estate - abito da gran sera in organdis di seta blu a bolli bianchi e jersey di seta bianco,fibbia, collier e pendente in strass

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Le sarte sul palco al termine della serata: nella foto sotto si riconoscono Iolanda Secchiaroli (la primaa destra) e Giuseppina Francolini Magnelli (l’ultima a sinistra, con gli occhiali)

Giuseppina Francolini Magnelli

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Roma, anni Sessanta del ‘900: due modelli di Giuseppina Francolini Magnelli (fotoAngelini, Roma; le immagini di questo capitolo provengono dalla raccolta FamigliaMagnelli e dalla raccolta Cristina Ortolani, Pesaro)

Giuseppina Francolini Magnelli

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Nato in provincia di Chieti, Nicola D’Amario apre la sua sartoria a Pesaro negli anni immediatamen-

te precedenti la II guerra mondiale, dopo aver svolto nella nostra città il servizio militare. La prima

sede della sua attività, racconta oggi il figlio Marco, era in via Mazza; poi mio padre si trasferì al 93 di

corso XI Settembre e, infine, in via Branca, dove la sartoria si trasformò pian piano in un negozio di con-

fezioni.

Esponente della rinomata scuola abruzzese, Nicola D’Amario aveva fatto pratica presso un’impor-

tante sartoria di Roma: molte le personalità pesaresi presenti nel suo Libro delle misure, mentre tra

le sue creazioni, oltre agli impeccabili abiti da uomo nei quali era maestro, ci sono anche giacche per

tailleur femminili.

Nicola D’Amario al tavolo da lavoro

Nicola D’Amario

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In questa pagina, sopra: Nicola D’Amario lascia la presidenza dell’Artigianato Provinciale, da L’Artigianato provinciale,22 febbraio 1964; sotto: annuncio pubblicitario, da Pesaro, Piccola Guida 1951. Nella pagina a fianco: etichetta per capidi colore scuro (tutte le immagini di questo capitolo provengono dalla raccolta Famiglia D’Amario, Pesaro)

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Quello che intendiamo come stile italiano della sartoria è venuto in gran partedall’Abruzzo. Abruzzese fu Nazareno Fonticoli (1906-1981), fondatore della sar-toria Brioni e come tale ambasciatore dell’estetica italiana nel mondo. AbruzzeseDomenico Caraceni (1880-1940), a tutti noto per i suoi meriti, patriarca di unadinastia ancora attiva e creatore di quel paradigma stilistico universalmenteapprezzato che miscelò la densità britannica con la morbidezza mediterranea.(...) Come dice Guido Vergani nel suo Sarti d’Abruzzo, già con D’Annunzio avevacominciato a spirare una brezza di patriottismo estetico. Sorta in Abruzzo colVate, si sarebbe diffusa in tutto il paese per diventare una tempesta. A questo siaggiunga l’inconcepibile quantità di sartorie, a volte decine in paesi di milleanime, che furono a lungo una miniera dai cui recessi spuntava di tanto in tantoqualche pietra particolarmente preziosa e brillante (da www.noveporte.it).

Nicola D’Amario

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Noto per la vitalità e per la sua prontezza di spirito quanto per l’abilità di sarto, Ezio Poderi, per tutti

Ruggero (1916-1989), originario di Pozzo Alto, fu titolare tra la fine degli anni Trenta e il 1965 di una sar-

toria situata sopra l’Arco di Porta Rimini prima e al civico 244 di corso XI settembre poi, nella zona del

Borgo. Aveva imparato il mestiere in un atelier di Roma, nella capitale la madre era stata alle dipendenze della

Contessa Spanocchi, esordisce Stefano, figlio di Ruggero, e probabilmente fu grazie a questi contatti che mio

padre scelse Roma per il proprio apprendistato. Una curiosità: mia nonna raccontava che a casa Spanocchi aveva

lavorato come maggiordomo Beniamino Gigli, e che ogni tanto gli chiedevano Beniamino canta qualco’.

Tornato da Roma Ruggero si mise in proprio negli anni immediatamente precedenti la II guerra mondiale,

guadagnandosi sin dai primi tempi un’ottima clientela, che ne apprezzava la simpatia oltre all’abilità di taglia-

tore. Poderi poté contare per tutto l’arco della sua carriera su clienti affezionati, in larga parte pesaresi ma

anche provenienti da altre città, tra cui Fano e Ancona.

Nella sua attività mio padre fu sempre aiutato da mia madre Onelia, continua Stefano, anzi, era lei, con la sua

grande capacità lavorativa, a coordinare le dipendenti, a tenere le fila della sartoria, mio padre era quasi sempre

impegnato con il taglio, le prove degli abiti e nei rapporti con i clienti. E in più, come tutte le donne della sua gene-

razione, ha saputo mandare avanti la casa, crescere i figli e seguire la famiglia. Sarta ella stessa, prima di colla-

borare con il marito Onelia è stata dipendente della Sartoria Sgrignani.Anche nella memoria di Stefano

hanno un posto importante le veglie, ossia le nottate trascorse dai genitori a lavorare febbrilmente per

far fronte alle consegne nei periodi più impegnativi, come i giorni del Natale; molti altri sarebbero gli aned-

doti da raccontare, conclude Stefano,da quando mio padre, in

ritardo nella realizzazione di una giacca, misurò al cliente

quella destinata a un’altra persona, assicurando al malcapita-

to che con un colpo di ferro tutto si sarebbe sistemato (e la

giacca era di un altro colore!), a quando dovette salire su uno

sgabello per provare la giacca al primo giocatore americano

della pallacanestro pesarese. Nottambulo per vocazione, mi

piace ricordarlo con una frase che ripeteva spesso: quando

morirò, avrò vissuto il doppio degli anni, tanti di giorno quanti

di notte.

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Ruggero Poderi

Pesaro, Ruggero Poderi nella sua sartoria

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Pesaro, anni Trenta - Quaranta del '900. Le lavoranti della Sartoria Sgrignani: tra loro, ancheOnelia Poderi, moglie di Ruggero (le immagini di questo capitolo provengono dalla raccoltaFamiglia Poderi, Pesaro)

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Pesaro, anni Quaranta del ‘900, Sebastiano Buttafarro al lavoro nel laboratorio di via Zongo

Di origini siciliane, Sebastiano Buttafarro (1910-1973) arriva a Pesaro negli anni Trenta del ‘900. Nel

1940 i registri segnalano l’apertura della sua sartoria in via Zongo 45; poco dopo lo raggiunge a

Pesaro il fratello Antonio, detto Nino, anch’egli sarto. Nino avvierà in seguito una propria attività in

via Giordano Bruno, mentre Sebastiano, che resterà a lungo uno dei più conosciuti sarti da uomo

della città, si trasferirà in via Sabbatini 30, a pochi passi da via Zongo.

Appassionato fotografo (oltre che motociclista), Sebastiano Buttafarro è l’autore di alcune delle

immagini di questo capitolo, come quelle che ritraggono un gruppo di sarti pesaresi in gita a Venezia.

A questo proposito il figlio Gaetano ricorda con particolare simpatia i momenti conviviali che vede-

vano i sarti e le loro famiglie ritrovarsi in occasione della festa di Sant’Omobono: prima ogni artigia-

no offriva il pranzo ai propri lavoranti, spesso in qualche ristorante ‘fuori porta’, nei dintorni di Pesaro; poi,

dimenticate la rivalità e la concorrenza, i titolari delle sartorie si riunivano a loro volta per festeggiare con

le famiglie al seguito.

Sebastiano Buttafarro

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Alcune immagini della Sartoria Buttafarro in viaZongo; etichetta per capi di colore chiaro e unbiglietto da visita della sartoria

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Sebastiano Buttafarro

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Venezia, 1950 circa: i sarti pesaresi in gita (altre fotografie scattate in quella occasione sono presenti alla pagina 135)

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Pesaro, 1949-1950. Foto di gruppo per i sarti pesaresi. Nell’immagine si riconoscono: sedu-to a terra, in primo piano, un giovanissimo Marcello Sili; alle sue spalle, da sinistra: MarcelloTusco,Denizio Guerra e Nino Buttafarro; seduto, in prima fila, all’estrema destra Pino Tebaldi.Nella fila centrale: il secondo da sinistra è Antonio Foti e, alla sua sinistra, Ernesto Lamberti;con il fiocco nero, il signor Mancini; sempre nella fila centrale, all’estrema destra SebastianoButtafarro e, alla sua destra, Nicola D’Amario. Nell’ultima fila, da sinistra, Ruggero Poderi,Luigi Sgrignani (con gli occhiali) e Pino Mecchi (tutte le immagini di questo capitolo proven-gono dalla raccolta di Loretta e Gaetano Buttafarro, Pesaro)

Sebastiano Buttafarro

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Una caratteristica di mio padre era quella di riuscire a tagliare un abito impiegando la minima quantità di tes-

suto necessaria, esordisce Ivana Lamberti, maggiore dei cinque figli del sarto Ernesto e, insieme al fra-

tello Giuseppe, loro portavoce per l’occasione; prerogativa, questa, che negli anni difficili del dopoguerra

era particolarmente apprezzata.

Ideatore di un metodo di taglio che consentiva di realizzare un completo maschile con soli due metri

di tessuto, contro i due metri e trenta-due metri e mezzo di solito richiesti, Ernesto Lamberti vendet-

te poi il suo brevetto a un’azienda di confezioni: mio padre era molto abile nell’elaborazione dei modelli,

aggiunge il secondogenito Giuseppe, addirittura per un periodo collaborò con una ditta francese realizzan-

do i prototipi sui quali venivano poi prodotte le collezioni. In famiglia sia lui sia mia madre ci hanno sempre

raccontato di una notte in cui riuscì a tagliare e cucire un com-

pleto da sposo tutto da solo; il suo ‘occhio’, poi, era leggendario,

tanto che riusciva a fornire ai clienti gli abiti finiti senza nemme-

no una prova.

Originario di Vergato, paese dell’Appennino tosco-emiliano

in provincia di Bologna, Ernesto Lamberti (1918-1966) si

avvicina al mestiere a soli sette anni, quando inizia a fre-

quentare il laboratorio di un sarto bolognese riconosciuto

tra i migliori a livello internazionale: era il più giovane tra gli

apprendisti della sartoria, e secondo il suo maestro anche il più

bravo, ricorda ancora Giuseppe. A soli quattordici anni ha

tagliato e cucito interamente da solo il suo primo abito da ceri-

monia, il completo da sposo per il suo futuro cognato. Dopo aver

lavorato sei anni presso il sarto D’Aurizio, nel capoluogo emilia-

no, a 17 anni mio padre è partito volontario per imbarcarsi sul-

l’incrociatore “Giuseppe Garibaldi”, continua Ivana, si è sposato

e ha finito il servizio militare a Venezia durante i giorni del viag-

Ernesto Lamberti

Ernesto Lamberti

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gio di nozze. Appena sposato, nei primi anni Quaranta ha aperto la

sartoria di via Tortora, dietro piazzale I maggio. Nel tempo la sartoria,

che realizzava sia abiti da uomo sia da donna, ha avuto diverse sedi:

dopo una breve parentesi bolognese siamo tornati a Pesaro e ci siamo

stabiliti in via Borgomozzo, con il laboratorio allestito nella mansarda,

quindi in via Tebaldi,poi in via Mazza, in via Sabbatini e, infine, in via Milite

Ignoto. Purtroppo mio padre è mancato solo una settimana dopo il tra-

sloco, ricorda Ivana, era tanto orgoglioso della sua nuova casa…

Oltre all’abilità di sarto, di Ernesto Lamberti va sottolineato

anche l’impegno politico: dopo gli anni di guerra, nei quali partecipò

alla lotta partigiana, mio padre restò fedele al proprio ideale, con una

militanza appassionata. Del resto la nostra famiglia è sempre stata in

prima linea nelle lotte politiche, a partire dalle bisnonne, emiliane di

gran carattere che, per non sentire i morsi della fame, inventavano cori

anarchici.

Ernesto Lamberti ha cessato l’attività nei primi anni Sessanta,

lasciando strumenti e segreti del mestiere ai suoi allievi. Gli erano

molto affezionati, conclude Ivana, anche perché li rispettava: per

esempio, un segno di questo suo atteggiamento altruista e generoso

era la puntualità nei pagamenti, ogni sabato saldava i conti delle pantalonaie e delle lavoranti esterne, cono-

sceva le esigenze delle famiglie e anche in questo era coerente con i propri principi.

Nel periodo di maggiore espansione dell’attività, la Sartoria Lamberti contava una dozzina di dipenden-

ti e circa trenta collaboratrici esterne. Tra gli allievi di Ernesto anche Console Costantini e Davide

Camilli: quest’ultimo prima di aprire una propria attività a Pesaro, collaborò con il suo maestro nella

sartoria di Bologna.

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Sopra, Pesaro, primi anni Cinquanta: i modelli realizzati da Ernesto Lamberti con soli due metri di tessuto, esposti nei locali della Cameradi Commercio, in corso XI Settembre.Tra le innovazioni studiate da Lamberti anche una giacca maschile senza tagli sulle spalle; nellapagina precedente:Pesaro,1949:Ernesto Lamberti con i figli Ivana e Giuseppe durante una Festa de L’Unità agli Orti Giuli; sotto:SartoriaLamberti, un’etichetta degli anni bolognesi (tutte le immagini di questo capitolo provengono dalla raccolta Famiglia Lamberti, Pesaro)

Ernesto Lamberti

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Numerosi erano i sarti che a Pesaro, negli anni a cavallo della II guerra mondiale, esercitavano la loro atti-

vità nella zona del Borgo, in fondo a corso XI Settembre: tra loro anche Elso Perugini (1924-1976), atti-

vo dalla metà degli anni Quaranta fino al 1969. Pesarese del Porto, Elso Perugini è figlio di Carlo, noto in

città come Bicicletta, marinaio e abilissimo costruttore di brigantini e bastimenti in miniatura.

Dapprima apprendista presso Erasmo Pezzodipane, Elso apre la sua sartoria all’angolo tra corso XI

Settembre e via della Pace poco prima del matrimonio con Bruna Battistelli, avvenuto nel 1948.Mia madre

era filandaia e sarta, dice la figlia Daniela, fedele custode delle memorie famigliari e dopo essersi sposata col-

laborò a tempo pieno con mio padre in laboratorio, aggiunge, ricordando del padre la meticolosità e l’amore

per il lavoro. Mio padre era sarto da uomo, anche se cedeva ogni tanto alle richieste di realzzare capi per me

speciali, su mio disegno: alcuni li conservo ancora con commossa

nostalgia, prosegue Daniela sfogliando le pagine degli album di

famiglia, dove le immagini di una Pesaro che non c’è più si

sovrappongono a quelle, rare e struggenti ma fortemente vita-

li nel loro bianco e nero un po’ confuso, che mostrano il sarto

al lavoro nella sua bottega.

L’aria che respiravo nel laboratorio era verace e famigliare. Ricordo

con affetto alcuni dei lavoranti della sartoria, in particolare Remo

Pugliese che fin da piccola ho visto in casa; Remo mi accompagna-

va all’asilo e mi faceva scherzi: l’ho sempre considerato un fratello

acquisito, a cui i miei genitori erano affezionati e di cui mi hanno

sempre tessuto le lodi, conclude Daniela.

Pesaro, anni Quaranta - Cinquanta del ‘900, ElsoPerugini al lavoro nella sua sartoria di corso XISettembre

Elso Perugini

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Pesaro, anni Quaranta - Cinquanta del ‘900: alcune immagini della Sartoria Perugini; nella fotogrande anche un giovanissimo Remo Pugliese (il bambino in seconda fila a sinistra)

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In questa pagina e alla seguente, alcune immagini dall’album della Famiglia Perugini: sopra, una foto scattata davanti alla sar-toria; nella pagina seguente: sopra, Elso Perugini e sua moglie Bruna Battistelli; sotto: appassionato di moto e di lirica, ElsoPerugini era anche un abile suonatore di mandolino

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Elso Perugini

Venezia, 1950 circa: i sarti pesaresi in gita (altre fotografie scattate in quella occasione sono presenti alla pagina 124

(tutte le immagini di questo capitolo provengono dalla raccolta della Famiglia Perugini, Pesaro)

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Pesarese del Borgo, formatasi nell’atelier di Giuseppina Francolini Magnelli, dove ha lavorato dal 1935

al 1940,Anna Maria Montagnoli si mette in proprio negli anni immediatamente seguenti alla II guer-

ra mondiale, lavorando in casa, in via della Maternità, a pochi passi dal Conservatorio “G.Rossini”.

Dopo qualche anno, nel 1951, Anna Maria Montagnoli si sposa e si trasferisce in via Sabbatini, dove

la sartoria resterà fino al 1960, per approdare poi definitivamente nell’ampio appartamento di piaz-

zale Albani, dietro il Teatro “G.Rossini”.

A mia madre dicevo sempre che volevo essere una sarta, ma una sarta brava come quelle che vanno a

Parigi! racconta la signora Anna Maria, elegantissima in seta blu, in un completo – naturalmente! – di

sua mano; e per questo ho deciso di andare a perfezionarmi a Bologna, negli anni tra il 1941 e il 1942,

frequentando la Scuola di taglio Ferri Bagnoli. Appena tornata a Pesaro ho cominciato a tagliare e cucire i

miei vestiti da sola, quando camminavo per strada le persone mi chiedevano dove li avessi comprati, e così

ho cominciato pian piano a farmi conoscere. La cosa che mi piace ricordare è che molte clienti le ho vesti-

te per quaranta-cinquant’anni, siamo cresciute insieme, continua la signora, si fidavano del mio gusto, addi-

rittura a chi non abitava a Pesaro spedivo gli abiti finiti senza nemmeno fare una prova.

Pesaro, un recente ritratto di Anna Maria Montagnoli

Anna Maria Montagnoli

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Gli abiti da sposa erano il mio forte, ricorda Anna Maria Montagnoli, in tutta la mia vita ne avrò fatti più di duecento,

tante volte lavoravamo anche di notte, per finire e consegnare in tempo.

Il laboratorio, attualmente trasformato in grande sala da pranzo-salotto, ospitava fino a 20 ragazze:

accompagnandoci in quello che era il salottino di prova, la nipote acquisita Dorothy Willoughby, inte-

rior designer, ci fa notare i tavoloni consumati dall’uso, segnati a intervalli regolari dalla presenza delle

lavoranti che vi appoggiavano i piedi. La zia aveva molti clienti anche da fuori, e un suo abito, indossato

dalla moglie di un diplomatico, è persino arrivato a Londra, a un ricevimento di corte della regina Elisabetta,

aggiunge Dorothy, grande fan della zia, mostrandoci con orgoglio alcune fresche vestine in cotone

che la signora Anna Maria ha recentemente creato per i nipotini.

Insomma, posso dire di essere soddisfatta di quello che ho fatto: ho lavorato tanto, troppo forse, ma sono

contenta perché a me piaceva fare delle cose belle, conclude la signora Anna Maria.

Pesaro, 16 luglio 1960, Teatro “G. Rossini”, gli abiti di Anna Maria Montagnoli sfilano nel corso di un défilé organizzatodall’Artigianato Provinciale. In questa pagina e alle seguenti, i modelli di Anna Maria Montagnoli. I tessuti li prendevo aMilano, da Galtrucco, oppure a Bologna da Valli, dice la signora Anna Maria; mi piaceva molto giocare con i colori, spe-cialmente con il double-face, anche se è una lavorazione abbastanza complicata (raccolta Anna Maria Montagnoli, Pesaro)

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Anna Maria Montagnoli

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A destra: Pesaro, 16 luglio 1960, Teatro “G.Rossini”, gli abitidi Anna Maria Montagnoli sfilano nel corso di un défiléorganizzato dall’Artigianato Provinciale (raccolta AnnaMaria Montagnoli, Pesaro); sopra: l’elenco dei modelli pre-sentati da Anna Maria Montagnoli (raccolta DomenicaFabbri)

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Sopra, una selezione di modelli presentati da Anna Maria Montagnoli nelcorso di una delle sfilate organizzate dal Gruppo Sarti al Teatro“Sperimentale” di Pesaro (1975);nella pagina a fianco,un modello del 1981,presentato in una sfilata a Roma (raccolta Anna Maria Montagnoli, Pesaro)

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Iolanda Secchiaroli (1915-2005) inizia la propria attività in via della Battaglia, negli anni immediatamen-

te precedenti la II guerra mondiale, dopo aver imparato il mestiere lavorando a fianco della sorella mag-

giore, Rosina.

Ultima di quattro fratelli, due dei quali morti in giovane età, la signorina, come tutti la chiamavano, nel

1955 trasferisce la propria attività nella vicina palazzina di viale Marsala 21, da lei stessa fatta costrui-

re: al primo piano trova posto la sartoria, con il laboratorio e il salottino per le prove; al piano supe-

riore c’è invece l’abitazione.

Le ragazze arrivavano, lasciavano la bicicletta nel seminterrato e poi salivano in sartoria, ci hanno detto alcu-

ne sue ex lavoranti, che della signorina ricordano affettuosamente la gentilezza d’animo e la grande

capacità lavorativa. Il lavoro è la miglior cura, ripeteva spesso Iolanda Secchiaroli, riferendosi alle difficol-

tà che aveva dovuto affrontare nel corso della sua vita; al pari delle colleghe Iolanda non si tirava indie-

Iolanda Secchiaroli, al centro nella foto, con le sue collaboratrici e con alcune clienti (anni 1955 - 1965, raccolta Famiglia Cesarini e Wanda Giombini Cesarini, Pesaro)

Iolanda Secchiaroli

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tro se c’era da fare le notti in piedi, per le consegne più urgenti: spes-

so, ricorda Wanda Giombini Cesarini, dal 1947 collaboratrice

della sartoria, prima come apprendista poi come première, la

signorina cenava con una bella bistecca, diceva che le dava forza per

lavorare fino a tardi.

Tra le clienti, sebbene presente in modo occasionale, Ave Ninchi, che a Iolanda

Secchiaroli commissionò un cappotto. Specializzata nei tailleurs e negli abiti da sera, che le sono valsi

numerosi premi in manifestazioni di moda,

Iolanda Secchiaroli era tra le poche sarte pesare-

si in grado di realizzare anche capi in pelliccia.

Le foto che la ricordano si riferiscono in gran

parte a occasioni conviviali: in molte di esse la

signorina appare circondata dai fiori, una delle sue

grandi passioni insieme con la lirica e i viaggi. Le

clienti sapevano di questo suo amore per i fiori, e per

la festa di San Francesco, il 4 ottobre (data in cui a

Pesaro si tiene la tradizionale Festa dei fiori), la

venivano a trovare portandole una pianta, aggiunge

Wanda, che è rimasta fino alla fine accanto alla

signorina.

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In queste pagine, Maria Bacchiani, una cliente diMontelabbate, con due modelli realizzati da IolandaSecchiaroli: il cappotto bianco è del 1946 (indossato duranteil viaggio di nozze a Roma); il completo nella pagina prece-dente è del 1942 (la fotografia è stata scattata aMontelabbate; raccolta Stefania Bacchiani, Montelabbate)

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Gigliola Gori indossa due abiti realizzati da IolandaSecchiaroli; il modello in questa pagina è stato disegnatoda Emilio Schubert (1904-1972), il grande creatore dimoda amato dalle dive, noto tra l’altro per gli sfarzosicostumi indossati da Wanda Osiris nei finali delle sue rivi-ste (raccolta Gigliola Gori, Pesaro)

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Altre due immagini di Iolanda Secchiaroli, sopra con una cliente nel salottino della sartoria; sotto,durante una riunione conviviale (raccolta Famiglia Cesarini e Wanda Giombini Cesarini, Pesaro)

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Massimo Cesarini, figlio di Wanda Giombini Cesarinidavanti allo specchio per le prove degli abiti nella sarto-ria di via Marsala; (raccolta Famiglia Cesarini); sotto:Iolanda Secchiaroli insieme a Adriana Mancini Soliman,sua cliente e amica (raccolta Marta Soliman Bonali,Pesaro)

Lettera a una cara amica

A volte il destino aiuta due persone che si sono incontrate per anni per levie della città, senza conoscersi, un saluto fugace, qualche amicizia comu-ne. Mia madre Adriana sognava di poter un giorno indossare quei meravi-gliosi vestiti che la signorina Iolanda creava nel suo atelier, un sogno poidiventato realtà. Un viaggio le ha fatte incontrare per caso ed è stata subi-to amicizia, un’amicizia durata anni, anni felici, fatta di altri viaggi insieme,di simpatiche visite, di affettuose telefonate e di tanti abiti che le sue manid’oro hanno creato per mia madre, modelli unici, moderni, spiritosi e sem-pre alla moda. Grazie Iolanda per la tua amicizia, per quella persona spe-ciale che sei stata per mia madre - Marta Soliman, maggio 2008

Iolanda Secchiaroli

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Schivo e riservato, Domenico Ciarrocchi comincia l’attività in proprio nel 1951, due anni dopo il suo

arrivo a Pesaro, dopo aver collaborato brevemente con uno dei capostipiti della sartoria maschile pesa-

rese, Erasmo Pezzodipane.

Originario di Ascoli Piceno, Domenico Ciarrocchi aveva imparato il mestiere a Macerata, presso la sar-

toria dei fratelli Virgili: da un rappresentante di tessuti aveva saputo che a Pesaro Pezzodipane cercava col-

laboratori esperti e aveva deciso di spostarsi, ci racconta la moglie Amelia, sempre al suo fianco anche nel-

l’attività lavorativa. La prima sede del laboratorio è in via Perfetti (una piccola traversa di corso XI

Settembre): tre anni dopo l’apertura il lavoro aumenta al punto da spingere il sarto a trasferirsi in un

appartamento più grande, nella vicina via Mazzolari, presso Palazzo Cecchi, ove la sartoria arrivò a

impiegare fino a una quindicina di lavoranti.

Tra i clienti, dice ancora Amelia Ciarrocchi, molti pesaresi che hanno fatto strada, come Arnaldo Pomodoro,

Sanremo anni Sessanta - Settanta del ‘900: Domenico Ciarrocchi insieme con la moglie Amelia

Domenico Ciarrocchi

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che spesso ci ospitava a Milano per le prove dei vestiti; da ricordare anche le uniformi (soprattutto per gli

ufficiali superiori) realizzate dalla Sartoria Ciarrocchi e, tra le occasioni professionali più prestigiose, le

sfilate al Grand Hotel di Riccione. Anche se, aggiunge la signora Amelia, mio marito non ha mai amato

molto le sfilate e le altre occasioni pubbliche, e a Sanremo (dove dagli anni Settanta del ‘900 il Gruppo Sarti

di Pesaro prendeva parte al Festival della Moda) ci andavamo per vedere il lavoro dei colleghi ma, soprat-

tutto, per goderci i pochi giorni di vacanza.

Ricordo che spesso i miei genitori lavoravano in sartoria anche la notte di Natale, ricorda la figlia Maria Teresa,

che al pari di molti altri figli di sarti contribuiva all’attività famigliare consegnando gli abiti ai clienti.

Nel 1964 la sartoria si trasferisce in via del Corpus Domini, dove Domenico Ciarrocchi eserciterà il

mestiere di sarto per altri vent’anni: sempre attento all’aggiornamento professionale, fu tra i primi a

dotarsi delle macchine che potevano alleggerire le fasi più pesanti della lavorazione, come per esem-

pio i tavoli da stiro aspiranti o le macchine “Strobel” per i punti invisibili.

Consigliere dell’Artigianato provinciale, Domenico Ciarrocchi è scomparso nel 2002, dopo aver inse-

gnato il mestiere a molti sarti della generazione successiva, tra cui Piero Battisti e Console Costantini;

il suo congedo ai ragazzi che lasciavano la sartoria per mettersi in proprio era sempre lo stesso: ti augu-

ro di lavorare tanto come ho lavorato io, conclude Amelia Ciarrocchi, sottolineando subito dopo che il suc-

cesso della sartoria si deve all’impegno e alla grande dedizione profusi dal marito nell’attività lavorativa.

In chiusura ci piace ricordare, come in una sorta di ideale passaggio del testimone, che una nipote di

Amelia e Domenico lavora oggi a Milano, per uno tra i più noti marchi italiani di moda.

Sartoria Ciarrocchi: etichette per capi di colore scuro e chiaro(tutte le immagini di questo capitolo provengono dalla raccolta della Famiglia Ciarrocchi, Pesaro)

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Nata a Pesaro il 5 maggio 1923, Domenica Fabbri trascorre l’infanzia e la fanciullezza a Milano, restan-

do dai 5 ai 14 anni presso un collegio di religiose. Nel giugno del 1937 torna a Pesaro, dove inizia un

periodo di apprendistato presso il laboratorio di Rosina Secchiaroli Balducci, sorella di Iolanda, in via

Castelfidardo.

Qualche tempo dopo apre un’attività in proprio che manterrà fino al termine della II guerra mondia-

le, con una breve interruzione nel periodo dello sfollamento da Pesaro. Nel 1947 Domenica è chiama-

ta da Iolanda Secchiaroli a dirigere la sua sartoria, in via Marsala: all’epoca il laboratorio della signorina

Secchiaroli conta otto dipendenti, arrivando poi fino a venti. Lasciata Pesaro per una breve parentesi in

Romagna, dove nell’agosto 1952 nasce a Cesenatico sua figlia Marina, Domenica torna nella città nata-

le alla fine del 1953, per riprendere l’attività sartoriale in proprio nel piccolo appartamento di viale

Trento 74. L’8 maggio 1955 prende parte al II Festival della Moda, organizzato dall’Unione Artigiani al

Teatro “G.Rossini”, dove i suoi modelli riscuotono un grande successo.Tra il 1956 e il 1957 Domenica

si trasferisce a Villa Olga, nell’appartamento preso in affitto dalla famiglia Ruggeri; dal 1957 al 1967 svol-

ge la sua attività nel laboratorio di via Picciola 14, poco distante dall’ex stazione delle corriere: è di que-

Domenica Fabbri nella sua sartoria di via Picciola

Domenica Fabbri

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sto periodo (1966) il Diploma d’onore, conferito dal settimanale Amica alle sarte più votate nel referen-

dum nazionale indetto dalla stessa rivista. Con l’affermarsi della propria sartoria Domenica Fabbri si

trasferisce nella villa di proprietà della famiglia Recchi in viale della Repubblica 8, dove rimane fino al

1989, anno in cui decide di cessare l’attività artigianale per dedicarsi al nuovo gratificante ruolo di

nonna dell’adorato nipote Andrea (notizie raccolte e ordinate da Marina Fabbri).

Sorridente ed estroversa, Domenica Fabbri è ricordata con grande affetto dalle clienti – amiche: era la

più brava, dicono ancora oggi, con una punta di rimpianto per quegli abiti dallo stile estremamente fem-

minile, sempre attentissimi alla moda del momento ma capaci di durare nel tempo. I rari modelli che

Domenica conserva nei suoi armadi stupiscono per la perfezione del taglio ma anche per l’elevata qua-

lità dei tessuti, da sempre uno degli atout della sartoria Fabbri: i tessuti li sceglievo da Gandini, a Milano,

racconta Domenica, mentre ripercorriamo con la figlia Marina le tappe della sua lunga attività di fron-

te a un tavolo ingombro di fotografie; per i modelli mi ispiravo a “Vogue” o ad “Harper’s Bazaar” ma alla

fine aggiungevo sempre qualcosa di mio, mi piaceva personalizzare con un dettaglio, una linea particolare…

Ogni anno partecipavo a diverse sfilate, sia a Pesaro sia fuori, a Roma per esempio, e nell’autunno 1968 ne

ho organizzata una anche nella mia sartoria, in viale della Repubblica, con indossatrici professioniste e la modi-

sta Zerri di Bologna. Nella vastissima produzione di Domenica occupano un posto particolare gli abiti

da sera e, soprattutto, quelli da sposa e da cerimonia, anche per bambini (spesso mi invitavano alle feste,

le clienti mi volevano molto bene, ero quasi la mascotte della sartoria, dice Marina): da segnalare poi, tra gli

abiti per bambini, i deliziosi costumi per Carnevale, per i quali Domenica vinse anche alcuni premi.

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In questa pagina, a sinistra Domenica Fabbri e IolandaSecchiaroli durante un viaggio di lavoro a Milano, fine anniQuaranta del ‘900; sotto, a sinistra: due etichette; a destraDomenica Fabbri entra nell’Albo d’oro delle Sarte italianeistituito dal settimanale Amica (1966).Nella pagina precedente: provincia di Pesaro, fine anniQuaranta del ‘900: foto di gruppo per Iolanda Secchiaroli ele sue lavoranti presso la casa di campagna di una cliente.Nella pagina seguente: alcuni modelli di Domenica Fabbri sfi-lano nella II edizione del Festival della Moda, organizzatodall’Unione Artigiani di Pesaro al Teatro “G.Rossini” (1955)

Domenica Fabbri

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Domenica Fabbri, poesia di Emma Corvo (1963)

Domenica Fabbri

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Pesaro, 16 luglio 1960, Teatro “G.Rossini”: défilé di moda organizzato dalla Confederazione Generale Italianadell’Artigianato - Artigianato proviciale di Pesaro; alla pagine seguente, due modelli di Domenica Fabbri: sopra,Cappuccino, sotto: Mattinata

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Domenica Fabbri

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Pesaro, 16 luglio 1960, Teatro “G.Rossini”: défilé di moda organizzato dalla Confederazione Generale Italianadell’Artigianato - Artigianato proviciale di Pesaro; pagina precedente: Città di Pesaro (modello composto da un abito pren-disole e un costume in lino nelle sfumature dell’azzurro con applicazioni e ricami); sopra: Fuochi d’artificio; alla pagina164, sopra, Via Veneto sotto, Bosforo; alla pagina 165, Pistacchio.A pagina 166 in senso orario: Vernissage, Derby, Calypso, Sayonara (foto G. Pandolfi, Pesaro).Pagina 167: sopra, Cerasella e Conchiglia (questo modello - ricorda la signora Domenica - era di un bellissimo broc-cato bianco e oro, mentre Cerasella era rosso con un orlo in tulle plumetis); sotto, gli stessi modelli sfilano alla CorteMalatestiana di Fano, il 17 luglio 1960

Domenica Fabbri

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Domenica Fabbri

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Marina Fabbri, figlia di Domenica, posa con alcuni costumi diCarnevale e abiti realizzati dalla madre. In questa pagina:Pesaro, 1957: sopra, a sinistra una coppia di contadinelli(Marina è en travesti); a destra: Marina, ancora nelle vesti dipiccola modella, sfila al Cinema - Teatro “Nuovo Fiore” duran-te una manifestazione organizzata per promuovere il cotoneValle Susa.Nella pagina precedente, sopra, Pesaro, 1958: i costumi diDomenica Fabbri premiati nel corso di una sfilata al Teatro“G.Rossini” e, in basso a destra, Marina nei panni di una cine-sina; al centro, Cappuccetto Rosso (primi anni Sessanta del‘900) e, a sinistra, una damina, 1959 (tutte le immagini diquesto capitolo provengono dalla raccolta Domenica Fabbri)

Domenica Fabbri

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Ho sempre fatto quel che sentivo cercando di dar forma alle idee e ai miei gusti senza accettare compro-

messi. Anna Maria Lugli, una delle firme più prestigiose dell’abbigliamento in città, rivendica il corag-

gio e la tenacia con cui ha costruito negli anni una delle attività commerciali più longeve e blasona-

te del centro. Oggi, aiutata nella gestione delle sue boutique che si snodano lunga via Morselli e via

Giovannelli dalle quattro figlie, la signora Anna non ha perso la grinta e quel suo grande spirito di

indipendenza e libertà che ha sempre contraddistinto la sua vita.

Ho cominciato a lavorare a sedici anni. Avevo una zia che faceva la sarta, si chiamava Alda Lugli e aveva

una quindicina di lavoranti; insomma, una bella sartoria. Fu mia nonna Emma a spingermi verso quella stra-

da: Vai e impara a cucire! mi disse. Io stetti lì qualche mese, cercando di imparare a fare orli, ricami, ma

mia zia, che era molto esigente, mi disse che forse era meglio se avessi fatto altro. Avrei considerato chiu-

sa quell’esperienza se non fosse stato per mia mamma - Santina Masetti - che, invece, insistette.Ambiziosa,

elegante, dedicava tanto tempo anche a noi e ai miei fratelli per vestirci bene e con cura. Fu così che mi

spinse ad imparare il lavoro nella sartoria di Maria Cardellini.

Anna Maria Lugli in una recente immagine

Anna Maria Lugli

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Fu proprio nel laboratorio della brava sarta in via Cavour che

Anna Maria Lugli iniziò senza saperlo la sua carriera alla fine

degli anni Cinquanta. Mi impegnai moltissimo e in meno di sei mesi

divenni una delle più brave; avevo imparato a fare di tutto, e solo in

quel momento decisi di mettermi in proprio. Mi ricordo che fu mio

padre, a diciassette anni, ad anticiparmi dei soldi per una macchina

da cucire che dovetti pagare poi a rate. Iniziai così a cucire facendo

dei vestiti alle mie amiche e poi dei baschi di velluto. Il mio primo vero

lavoro fu confezionare abiti alle figlie dei colonnelli del 6° Car della

Caserma in occasione delle feste del Circolo Pesarese dove vinsi dei

premi. Fu proprio in quell’anno che partecipai a una sfilata al Teatro

Rossini. Io, la più giovane, in mezzo a tante sarte molto più esperte

e famose, riuscii a conquistare la giuria e il pubblico. Fu in quella sfi-

lata che la bellissima attrice del cinema Anna Maria Pierangeli volle

acquistare a tutti costi uno dei miei abiti. Insomma, cominciai così, divertendomi.

Ma a plasmare la vita professionale di Anna Lugli fu senz’altro Milano. Volevo imparare la bellezza dello stile,

conoscere l’alta e altissima moda, vedere sfilate. Fu proprio a Milano che iniziò la mia frequentazione con la fami-

glia Dogle-Farè esclusivista di Yves Saint Laurent e Christian Dìor. Entrai nelle loro grazie e in quegli anni vidi le più

belle creazioni della moda internazionale. Fu una palestra eccezionale perché lì affinai il mio gusto e la mia visio-

ne del vestire. Decisi a quel punto che era l’ora di aprire un’attività commerciale senza però abbandonare com-

pletamente l’attività sartoriale.

Tornata a Pesaro l’intraprendente Anna Lugli decide di aprire la sua prima attività commerciale senza però

tralasciare l’attività di sartoria. Mio marito era contrario, non voleva che lavorassi. Ma io decisi a quel punto di

fargli firmare una sorta di contratto-statuto in base al quale ognuno decideva di vivere la sua vita in piena libertà

e autonomia, soprattutto dal punto di vista professionale, purchè questo non andasse a discapito della famiglia

qualora avessimo avuto dei figli. Lui accettò e firmò.

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Era il 1959 e scelsi di aprire la mia prima boutique in

viale Trieste, sotto l’Hotel Principe. Anche in quel caso,

come ho sempre fatto nella mia vita, ho creduto che

fosse importante dare un’impronta personale a un’atti-

vità commerciale: ecco perché decisi di arredare tutto da

sola, in base alle mie idee e ai miei gusti. Devo dire che

fu proprio un bell’inizio.Ma di lì a poco decisi di spostar-

mi in via Rossini. Fu una sistemazione temporanea per-

ché poi mi innamorai di via Morselli e di quello splendi-

do giardino segreto di Casa Mancini.

Fu proprio in questa via fino ad allora non molto

valutata di Pesaro, che Anna Maria Lugli decise, come sempre contro il parere di tutti, di stabilire il suo

nuovo atelier e dare così libero sfogo a tutto il suo gusto nell’arredare e ristrutturare appagando allo stes-

so tempo il suo amore innato per l’architettura e l’arredamento. Pareti con porzioni di mattoni a vista,

soffitti in legno d’abete, mobili antichi, cristalli, sculture di Pomodoro e Facchini, quadri di Ceroli, Burri,

De Carolis, Lugli, Basile. Insomma Anna Maria Lugli ha vissuto ogni suo negozio quasi come fosse la nasci-

ta di un figlio. Dai pavimenti ai soffitti, dalle pareti agli arre-

di, dalle porte alle luci. Nulla lasciato al caso ma alla fanta-

sia, al gusto, alla classe. Boutique con un’anima, impregnate

di eleganza ma anche di cultura, raffinate e per una cliente-

la “illuminata”. Era il 1961 e tutto questo allora sembrava

pura avanguardia. E’ stato proprio in via Morselli che Anna

Maria Lugli ha dato sostanza alle sue passioni e alla sua

intelligenza: l’alta moda, l’architettura, l’arredamento. Una

prima boutique,e poi un’altra e un'altra ancora.Fino a quat-

tro (uomo, donna, bambino e borse), in poche decine di

metri a dare un segno d’eleganza a un angolo bellissimo

della città. Tutte nate con entusiasmo, fantasia, gusto:

Sono riuscita a creare con tenacia e passione un lavoro che

è diventato per me anche un adorabile passatempo.

Anna Maria Lugli

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Pesaro, 16 luglio 1960,Teatro “G.Rossini”: défilé di modaorganizzato dall’Artigianato provinciale; sopra: l’elenco deimodelli presentati da Anna Maria Lugli (raccoltaDomenica Fabbri, Pesaro); nella pagina a fianco i modellidi Anna Maria Lugli.Alla pagina 172:Anna Maria Lugli, bambina; alla pagina173, in alto: Milano, Anna Maria Lugli riceve un premioalla Camera di Commercio; sotto: con la figlia Giorgia (rac-colta Anna Maria Lugli, Pesaro)

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In questa pagina, sopra: Pesaro, due interni delle boutique Lugli, progettati dalla stessaAnna Maria Lugli, che per questo suo lavoro è apparsa come progettista e designer nelvolume Nuovi negozi in Italia, ed. L’Archivolto, 1997.Nella pagina a fianco, quattro abiti da sposa: in alto a sinistra, un modello di Yves SaintLaurent durante una sfilata della boutique Lugli svoltasi nel giardino di Casa Mancini; indue delle immagini si intravedono le quattro figlie della signora Anna Maria, Camilla,Giorgia, Micol e Uga. Micol ha ereditato la passione materna per la moda e lavora comestylist per importanti settimanali italiani (raccolta Anna Maria Lugli, Pesaro)

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Sono nato in sartoria, dice Remo Pugliese (1941), riferendosi scherzosamente alla giovanissima età alla

quale ha iniziato il proprio apprendistato: a soli dieci anni, infatti, Remo entra nel laboratorio di Elso

Perugini, in Corso XI Settembre, nel Borgo. L’arte del taglio è nel DNA di Remo: il fratello di sua nonna

materna (l’elegante signora ritratta nella foto alla pagina seguente) era sarto, così come due suoi cugi-

ni per parte di padre.

Successivamente titolare di una sartoria in via Cavallotti, Remo Pugliese a ventisei anni diventa model-

lista e prototipista presso la ditta Coronet-Salvaterra, dove resta per circa sette anni; la voglia di spe-

rimentare e il desiderio di mettere a frutto le esperienze acquisite lo spingono a intraprendere la stra-

da delle confezioni di qualità, aprendo un’azienda artigiana di produzione in serie. Attiva dal 1973 al

2006, nei momenti di maggior impegno la sua azienda ha

avuto una quarantina di dipendenti.

Come molti colleghi anche Remo Pugliese ha svolto paralle-

lamente al mestiere di sarto un’intensa attività nel campo

della formazione: nel 1989 ha iniziato la sua collaborazione

con la Scuola Regionale di Pesaro, e oggi ha al suo attivo ben

cinquantacinque corsi tra Italia ed estero. Accanto ai corsi

tenuti in numerose località della nostra provincia, Pugliese ha

insegnato l’arte e i segreti del taglio in Basilicata e Abruzzo

e, all’estero, in Romania, Tunisia e, nel 2001 persino in

Kazakistan, dove è stato chiamato nell’ambito di un proget-

to TACIS, promosso dall’Unione Europea e incentrato sul-

l’alta formazione. Attualmente affianca all’impegno nel set-

tore della formazione l’attività di consulente tecnico per

aziende italiane ed estere.

Remo Pugliese fotografato con un abito realizzatodurante un corso di formazione

Remo Pugliese

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Ci piace segnalare, infine, che Remo Pugliese ha contribuito in modo decisivo alla nostra ricerca, indi-

candoci tracce, ripescando nella memoria nomi e indirizzi e riallacciando molti dei fili che ci hanno per-

messo di recuperare, almeno in parte, volti e vicende delle sartorie pesaresi.

A sinistra, dall’album di famiglia di Remo Pugliese: la raffinata signora èla nonna di Remo, originaria di Orense, nel nord-ovest della Spagna;sopra: Remo Pugliese al lavoro presso la Coronet-Salvaterra.Nella pagina a fianco: alcune immagini del corso di formazione adAlmaty, capitale del Kazakistan (2001; tutte le immagini di questo capi-tolo provengono dalla raccolta Remo Pugliese, Pesaro)

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Pesaro, padiglioni fieristici di Campanara, anni Ottanta del ‘900:alcuni componenti del Gruppo Sarti (raccolta Romeo Fiorà, Pesaro)

Il Gruppo Sarti

Tra gli anni Sessanta e Novanta del ‘900 la storia delle sartorie pesaresi coincide quasi del tutto con quel-

la del Gruppo Sarti, un’associazione nata da diverse esperienze di consorzi provinciali e regionali che riu-

niva artigiani di tutta la provincia.

Per tutti gli anni Sessanta - Settanta il Gruppo Sarti, in collaborazione con le Associazioni di Categoria, la

Camera di Commercio e altri Enti cittadini, promuoverà il lavoro degli associati attraverso una serie di

sfilate al Teatro “Sperimentale” di Pesaro, le Rassegne della Moda, la cui prima edizione si svolse il 23 ago-

sto 1969. Dalla metà degli anni Ottanta fino ai primi Novanta le sfilate si spostano in Piazza del Popolo,

dove attirano un pubblico numerosissimo, anche grazie al puntuale e frizzante coordinamento dell’agen-

zia Intercontact di Silvia Cordella e Simonetta Campanelli. In quegli anni le sfilate si ripetono anche in altre

piazze della provincia, tra cui Fano e Cagli, oltre che presso i padiglioni fieristici di Campanara, nelle diver-

se edizioni della fiera Pesaro produce (successivamente Marche producono), alle quali il Gruppo Sarti pren-

de parte sin dagli inizi, nei primi anni Settanta. Da ricordare anche la partecipazione del Gruppo Sarti a

molte edizioni del prestigioso Festival della Moda di Sanremo.

La generale crisi del su misura, i cui molteplici aspetti emergono dalle testimonianze presentate nelle pagi-

ne che seguono, provoca insieme con altri

fattori la progressiva chiusura di quasi tutte le

sartorie cittadine, delle quali assai poche

restano oggi in attività.

I sarti della nostra città sono però tuttora

molto legati: alcuni di loro si ritrovano per

festeggiare Sant’Omobono o in altre occasio-

ni, e non mancano parole affettuose per chi

non c’è più. Rispettando il loro desiderio, pre-

sentiamo le sartorie legate all’esperienza del

Gruppo Sarti in un unico capitolo, a rappresen-

tare la moda pesarese degli ultimi trent’anni.

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Pesaro. 7 febbraio 1972. Si costituisce il Comitato Sarti (futuro Gruppo Sarti). Dal comunicato stampa

(raccolta Aleardo Asdrubali): Si è riunito a Pesaro l’esecutivo del Gruppo Provinciale sarti e sarte, per esamina-

re problemi specifici di categoria e per provvedere alla nomina degli organi direttivi che sono stati così distribuiti:

presidente, Asdrubali Aleardo; Vice presidente: Righetti Bruno; Segretario, Garattoni Raffaele; Vice segretario:

Macchniz Elsa; Cassiere: Camilli Francesco; Consiglieri: Fabbri Domenica, Scatassa Alba, Sabatinelli e Gualazzi,

Tonucci Renato,Vichi Gianfranco.

Il Consiglio si è poi incontrato con i rappresentanti delle Organizzazioni Sindacali Artigiane per illustrare l’atteggia-

mento del Gruppo e le sue prospettive di lavoro. E’ stata ribadita la volontà di affrontare solo problemi tipici e pro-

mozionali di categoria, mentre è stato riconosciuto insostituibile l’impegno delle organizzazioni sindacali a risolve-

re i problemi di fondo che investono la realtà artigiana.

Dalla bozza di statuto del Gruppo Sarti

Art. 1 - L’Associazione di categoria dei Sarti e Sarte della provincia di Pesaro è libera da qualsiasi influenza ester-

na e non si sostituisce alle organizzazioni sindacali esistenti nella Provincia.

Art. 2 - L’Associazione non ha scopo di

lucro, ma solo iniziative promozionali di

categoria.

Art. 3 - I Sarti e le Sarte conservano l’ade-

sione alle organizzazioni artigiane di pro-

venienza, impegnandosi alla individuazio-

ne, allo studio e alla soluzione dei proble-

mi tipici della categoria; lasciando alle

rispettive organizzazioni i compiti più

generali di difesa della categoria e degli

artigiani.

Ancona, 1971: il Gruppo Sarti riunito in occasione della Giornata della Sartoria (raccolta Rosetta Sili Mueller, Pesaro); nellapagina a fianco: 1971, un articolo sulle sfilate del Gruppo Sarti da una rivista di settore (raccolta Elsa Macchniz, Pesaro)

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Il Gruppo Sarti

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Pesaro, anni Settanta del ‘900: il Gruppo Sarti al termine di una sfilata al Teatro “Sperimentale”(raccolta Rosetta Sili Mueller, Pesaro)

Impossibile nominare tutti coloro che hanno preso parte alle sfilate del Gruppo Sarti tra gli anni Settanta e Novanta del‘900; dalla pubblicistica relativa a quelle manifestazioni ricaviamo i nomi di alcuni altri componenti pesaresi dell’associa-

zione: Maria Bocci, Bruno Righetti, Anna Maria Severi, Gianfranco Vichi e Tonino Vichi

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DDaall ssuu mmiissuurraa aallllaa ccoonnffeezziioonneeAlla fine degli anni Cinquanta, la confezione in serie italiana appariva ancora sot-todimensionata se paragonata al resto dell’industria europea. Nel 1959, ad esem-pio, la produzione olandese di abiti e tailleurs per signora era pari a quasi tre voltequella italiana (che produceva soltanto per un terzo del mercato interno), mentrela Germania Occidentale, con oltre 25 milioni di pezzi, la superava di quasi ventivolte. Il mercato italiano era dominato ancora da grandi couturiers, sarti e sarti-ne. L’abito sartoriale (spesso riciclato, riadattato e riutilizzato) manteneva anco-ra un ruolo predominante rispetto a quello confezionato industrialmente, di bassoprezzo, ma anche di qualità e vestibilità inferiori. Tuttavia, nel corso degli anniSessanta, la domanda interna si riprese: i confezionisti italiani assimilarono meto-di produttivi e formule distributive provenienti dall’industria confezionista ameri-cana, accrescendo la qualità dell’offerta pur mantenendo i prezzi a livello compe-titivo (i primi lotti in uscita dalla nuova produzione costavano un terzo di quelli sumisura). Il prestigio della confezione seriale italiana si accrebbe ulteriormente gra-zie alla realizzazione di alcune ben congegnate idee promozionali, come quella delSAMIA (Salone Mercato Internazionale dell’Abbigliamento) di Torino, e grazie alsuccesso americano della riproduzione seriale di modelli derivanti dall’alta modae dalla moda boutique. L’interesse verso il pronto attirò anche i singoli sarti, chenon si limitarono più solo a cedere i propri modelli ai department stores e allemanifatture americane, ma iniziarono a sviluppare loro stessi produzioni serialid’alta moda, l’alta moda pronta, realizzando convenzioni con industrie italiane o,come una delle sorelle Fontana, aprendone di nuove loro stessi (da Ivan Paris, Lanascita della Camera Nazionale della Moda Italiana e il suo ruolo nello sviluppodel Sistema Italiano della Moda, in Balbi sei, Rivista digitale e on-line delDipartimento di storia moderna e contemporanea Università degli Studi di Genova,n. 0 del 2004, http://www.balbisei.unige.it/Paris.pdf)

Il Gruppo Sarti

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Profuga triestina (non esule, sottolinea), nata in Liguria e in tempo di guerra rifugiatasi con la famiglia in

Garfagnana (la zona tra l’Appennino tosco emiliano e le Alpi Apuane, in provincia di Lucca), Elsa

Macchniz è una delle più note sarte della nostra città.Arrivata a Pesaro nel 1945, alla fine della II guer-

ra mondiale, Elsa è sposata con Emilio Vichi, pesarese doc (la sua famiglia è originaria del Porto) ma

cresciuto a Parigi e rimpatriato ugualmente a causa della guerra. Un incrocio di culture e atmosfere

che ha profondamente influenzato la moda di Elsa Macchniz, intessendo i suoi abiti e i suoi colori.

Dopo un breve periodo di pratica presso la sartoria di Tina Fiorani, Elsa continua il suo apprendistato

nell’atelier di Giuseppina Francolini Magnelli: ma tu cosa pretendi - mi chiese la signora Magnelli quan-

do andai da lei per il colloquio, e io risposi - niente, solo di imparare il mestiere. Ed è proprio quello che è

successo, da lei ho imparato il mestiere e di questo ancora le sono grata.

Grazie alla sua abilità nell’arte del ricamo, appresa dalla suore di Portorose a Trieste, Elsa salta tutti i

passaggi dell’apprendistato, e dopo tre anni e mezzo, decide di lasciare la sua maestra per iniziare l’at-

tività in proprio: nel 1948 può già contare su una base di clienti di circa venticinque famiglie.

Nel 1955, a venticinque anni e con un figlio di uno, Elsa Macchniz si reca a Milano, all’Istituto

“Marangoni”, uno dei più rinomati d’Europa, a perfezionarsi nel taglio: è qui che il suo stile già forma-

to troverà quell’apertura verso la moda internazionale che caratterizza le sue creazioni, e che contri-

buirà a farle guadagnare numerosi premi e rico-

noscimenti (impossibile citarli tutti, ricordiamo

qui solo il prestigioso Oscar della moda “Città di

Rimini” vinto nel 1971).

A ventisette anni Elsa Macchniz partecipa al suo

primo défilé: è l’inizio di una serie ininterrotta di

successi, che la porteranno a sfilare in tutta

Italia, spesso anche in rappresentanza della

nostra provincia e della nostra regione.

Elsa Macchniz festeggia Sant’Omobono insieme con GiuseppinaFrancolini Magnelli (la signora vestita di bianco)

Elsa Macchniz

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Molto attiva anche nel settore della forma-

zione, Elsa Macchniz ha collaborato con

l’Istituto d’Arte “F. Mengaroni” di Pesaro e,

dopo essere stata chiamata come esperta

da diversi istituti professionali, è stata

assunta con lo stesso ruolo dalla Regione

Marche.

Sempre curiosa, si è cimentata inoltre

nella conduzione di due programmi tele-

visivi, Eva 78 e Eva oggi, dedicati al mondo

delle donne dall’emittente locale Telepesaro;

tra i successi di Elsa Macchniz ci sono infi-

ne anche due spettacoli teatrali, La Barba

del Conte (Pesaro - Teatro “G.Rossini”,

1991) e La storia di un povero fantasma, con la scuola media di Villa San Martino (Pesaro).

Molto importante è stato per Elsa Macchniz l’im-

pegno all’interno delle associazioni di categoria:

tra i suoi incarichi ricordiamo quelli di vicepresi-

dente e poi presidente della Cooperativa artigiana

di garanzia, ruoli che ha ricoperto per vent’anni

ottenendo importanti risultati; la vicepresidenza

del Gruppo Sarti di Pesaro, durante la presidenza

di Console Costantini e, infine, l’attività svolta

come consigliere della Confartigianato e del

Consorzio Istruzione Tecnica.

In questa pagina: Pesaro,Teatro “G. Rossini”, 16 luglio 1960, alcuni modelli di Elsa Macchniz; nella pagina a fianco da un quo-tidiano dell’epoca un articolo sulla stessa sfilata

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In questa pagina, anni Cinquanta - Settanta del ‘900, dasinistra in senso orario: uno dei primi abiti realizzati da ElsaMacchniz; un modello fotografato nella Sartoria di piazza-le Collenuccio; lo stand di Elsa Macchniz al SAMIA -Salone Mercato Internazionale dell’Abbigliamento di Torino;nella pagina a fianco: anni Settanta - Ottanta del ‘900, alcunimodelli di Elsa Macchniz.A pagina 196 due ‘uscite’ di ElsaMacchniz che destarono scalpore: in una sfilata a temafloreale, la Macchniz presentò dei modelli realizzati converi fiori e foglie; sotto a destra: Elsa Macchniz conMariolina Cannuli e Silvan (tutte le immagini di questocapitolo provengono dalla raccolta Elsa Macchniz,Pesaro)

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Elsa Macchniz

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Nel mio piccolo sono consape-vole che, pur vivendo in unacittadina come Pesaro, hocontribuito a tenere alto ilnome dell’alta moda italiananel mondoElsa Macchniz, giugno 2007“

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Alba Scatassa

Grande lavoratrice, talmente perfezionista da far ritardare le spose all’altare per dare gli ultimi tocchi a

un orlo, a una manica o un pizzo, dotata di una fervida creatività che si esprimeva al meglio negli abiti da

sera e da sposa e che è ricordata come la sua cifra distintiva: Alba Scatassa ha lasciato un segno forte

nella moda pesarese.

Le fotografie ce la restituiscono vitale e anche un po’ diva, come tutte le grandi sarte: nata nel 1923, pesa-

rese di Villa Fastiggi,Alba impara il mestiere affiancando in giovane età la madre Giuseppina Bertuccioli

Scatassa, anch’ella sarta. Dopo essersi perfezionata presso la Bolognese,Alba Scatassa si mette in proprio

nei primi anni Cinquanta, aprendo un laboratorio in via Battelli. Ha dedicato tutta la sua vita alla sartoria,

racconta la cognata Bianca Taini Scatassa, e ha continuato a lavorare fino agli ultimi anni. Quando c’erano le

consegne più urgenti restavamo in piedi tutta la notte, e Alba chiedeva a noi della famiglia, alle persone più vici-

ne, di darle una mano per finire in tempo. Persino il marito Luigi Pratelli, consapevole di avere al fianco un’artista,

si era adeguato ai ritmi di lavoro di Alba, e l’assecondava in tutto.

Si teneva aggiornata, anche in età avanzata continuava a documentarsi sulle novità, e quando trasmettevano le

sfilate di moda in tv prendeva appunti, disegnava degli schizzi, aggiunge la nipote Anna che, occasionalmente,

da ragazza ha fatto da mannequin alla zia. Sempre atten-

ta agli aspetti promozionali del proprio lavoro, Alba

Scatassa non perdeva una sfilata, dagli esordi, con il

Festival della Moda al Teatro “G.Rossini” alle Rassegne

della moda degli anni Settanta - Novanta, insieme con il

Gruppo Sarti, passando per i défilé al Circolo cittadino.

Orgogliosa della propria attività,Alba Scatassa guadagnò

nel corso della sua lunga carriera (quasi cinquant’anni)

numerosi riconoscimenti, tra i quali i premi vinti nelle

due edizioni del Festival della Moda al Teatro “G.Rossini”

e il Diploma d’onore, conferito dalla rivista Amica alle sarte

più votate in un referendum nazionale.

Pesaro, anni Settanta del ‘900, un primo piano di Alba Scatassa

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Tra le creazioni della sartoria anche pellicce e cappelli coordinati, com-

pleti da mare e accessori, dei quali Alba Scatassa curava personalmente il

disegno. Da sottolineare, specie negli abiti più importanti, la scelta di tes-

suti di alta moda, acquistati presso le principali case italiane, oltre all’ac-

curata lavorazione delle decorazioni in pietre, paillettes e strass, applica-

ti pazientemente uno a uno secondo disegni preparatori tracciati su

carta velina.Per i suoi modelli utilizzava anche dei figurini di grandi atelier, che

però personalizzava sempre con qualche modifica, anche per adattarli alle esi-

genze delle clienti, continua Anna: in sartoria c’era sempre un andirivieni di signore che venivano a provare, e io stes-

sa ho ancora qualche abito che mi ha cucito la zia Alba, sono sempre attualissimi, hanno una linea classica ed ele-

gante che li rende senza tempo. Alle clienti forniva un servizio completo,dal tessuto alla personalizzazione dei model-

li, con risultati degni degli atelier delle grandi città. Fantasiosa e brillante,Alba Scatassa è ricordata in tutto come

un’artista della moda: se le si poteva muovere un appunto, conclude la cognata Bianca, era quello di inseguire la

perfezione fino all’ultimo momento, le sue consegne erano al cardiopalma, anche se poi, di fronte al capo finito, tutti

restavano meravigliati del risultato; ricordo che una volta una sposa è arrivata in chiesa con un bel po’ di ritardo per-

ché Alba voleva a tutti costi ritoccare l’abito fino agli ultimi minuti prima della cerimonia!

Alba Scatassa al lavoro nella sartoria di via Battelli; sopra: Pesaro,1954,Alba è madrina al battesimo di una nipote

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Pesaro, 1954-1955, Alba Scatassa partecipa alle primedue edizioni del Festival della Moda al Teatro “G.Rossini”;sotto: il diploma conferito ad Alba Scatassa dalla rivistaAmica nel 1966 e due etichette

Alba Scatassa

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Pesaro, 1968, due modelli di Alba Scatassa fotografati davan-ti al Kursaal; nella pagina a fianco: Pesaro, anni Settanta-Ottanta del ‘900, modelli di Alba Scatassa presentati in diver-se edizioni della Rassegna della moda al Teatro“Sperimentale”

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Alba Scatassa

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In questa pagina, quattro figurini; nella pagina a fianco, Pesaro, anni Sessanta - Settanta del ‘900:quattro modelli di Alba Scatassa presentati durante le sfilate al Circolo Pesarese

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Anni Settanta del ‘900, due modelli di Alba Scatassa (tutte le immagini di questo capitolo provengono dalla raccolta della Famiglia Scatassa, Pesaro)

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L’attività di Aleardo Asdrubali inizia sotto il segno di una prestigiosa vittoria, il I Premio Assoluto al

Concorso Nazionale Fliselina, indetto nel 1955 dall’Associazione nazionale dell’abbigliamento su misu-

ra e della moda insieme con l’Associazione italiana degli industriali dell’abbigliamento per lanciare un

nuovo prodotto, la fliselina, una sorta di tela utilizzata per dare sostegno ai tessuti. Il premio, consi-

stente in un diploma e in una macchina per cucire Necchi, è solo il primo di una serie di riconosci-

menti che il sarto pesarese otterrà nel corso

della sua carriera. Primo presidente del

Gruppo Sarti di Pesaro, esperienza grazie alla

quale resterà sempre un punto di riferimento

per i suoi colleghi,Asdrubali entrerà nel 1979,

nell’Accademia dei Sartori di Roma in qualità

di membro partecipante e delegato regionale.

Ho cominciato subito dopo le elementari da

Antonio Foti, che aveva una sartoria in via

Castelfidardo, e ho continuato il mio apprendistato

da Nino Buttafarro: il suo laboratorio si affacciava

su via Giordano Bruno, ci si conosceva tutti e non

è stato difficile crearmi una clientela, così a metà

degli anni Cinquanta ho potuto aprire la mia atti-

vità in proprio.

Dapprima situata in viale Trento, la Sartoria

Asdrubali si trasferisce successivamente nella

più spaziosa sede di via Cavallotti: il lavoro era

molto, è capitato che alcuni clienti dovessero

aspettare mesi prima che potessi soddisfare le

loro richieste, continua Asdrubali.

Pesaro, 1945:Aleardo Asdrubali insieme con alcuni colleghi

Aleardo Asdrubali

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Appassionato cultore di storia locale con l’hobby della fotografia (le immagini che illustrano questo

capitolo sono amorosamente ordinate in grandi album, dove le tappe principali della sua carriera si

alternano a immagini significative di Pesaro, la sua città), Aleardo Asdrubali chiude la sartoria nel

1999, dopo oltre quarant’anni nei quali ha vestito con occhio attento e mano sicura generazioni di

pesaresi.

Luglio 1955, Aleardo Asdrubali vince il I Premio Assoluto alConcorso Nazionale Fliselina, indetto dall’Associazione nazio-nale dell’abbigliamento su misura e della moda insieme conl’Associazione italiana degli industriali dell’abbigliamento. Cosìrecita la motivazione: Giacca di perfette proporzioni e di lineamolto netta. L’interno è costituito da un fusto di cammellocon toppa di Fliselina 100 applicata in modo semplice e pre-ciso. (...) Il rever e il bordo sono rinforzati da un’unica stri-scia di Fliselina 50 tra il cammello e la stoffa. L’effetto conse-guito con tale ottima lavorazione è ben visibile…

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Pesaro, 24 giugno 1952: l’interno della Sartoria Nino Buttafarro, in via Giordano Bruno. Aleardo Asdrubali è il ragazzointento a cucire a destra nella fotografia

Aleardo Asdrubali

FFlliisseelliinnaaTessuto non tessuto, privo cioè dei tradizionali elementi di ordito e trama, costruito confibre artificiali e sintetiche. Di aspetto simile al feltro, ma molto più sottile e leggero, puòavere consistenza molto rigida. Fliselina è in realtà, il nome commerciale di un prodottodella ditta tedesca Freudenberg, anche se ormai è esteso a tutte le stoffe con uguali carat-teristiche. Esiste anche in versione termoadesiva, come elemento di rinforzo nell’abbiglia-mento (da http://dellamoda.it/dizionario_della_moda/f/fliselina.php).

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AAccccaaddeemmiiaa NNaazziioonnaallee ddeeii SSaarrttoorriiNasce dall’Antica Università dei Sartori che fu fondata a Roma pervolontà del Papa Gregorio XIII nel 1575. La sua prima sede era in viadella Consolazione, vicino al Campidoglio, dove sorgeva la Chiesa diS. Omobono, tuttora esistente e luogo di culto dei sarti. L’edificio fu più

volte distrutto e ricostruito subendo numerosi restauri. Nel 1574 la chie-sa di S. Omobono venne concessa come sede sociale e religiosa alla corpo-

razione. L’Università dei Sartori iniziò proprio qui la sua attività nel 1575 mediante uncanone annuo di 20 scudi e 20 libbre di cera lavorata da versare allo Stato Pontificio. Nel1801, tutte le corporazioni, compresa quella dei Sartori, vennero soppresse per ordine delPapa Pio VII con la conseguente chiusura dell’Università. Nel 1938, durante il periodofascista, la chiesa venne restituita ai sarti e dal ‘40 al ‘42 fu anche restaurata a spese delcomune di Roma. Nel ‘47 il maestro sarto Amilcare Minnucci decise di continuare la tradi-zione dell’Università dando vita all’attuale Accademia Nazionale dei Sartori. Nel ‘48, dopo373 anni dalla fondazione dell’Antica Università, non sarà più l’edificio di S. Omobono aospitare i Sartori ma un locale di Piazza San Silvestro dove viene presentata la prima sfila-ta di moda promossa dall’associazione. Nel ‘60 la sede è trasferita in via Due Macelli e nel‘67 in Largo dei Lombardi dove è tuttora operante. Al principio del nuovo millennio sono intutto 250 le sartorie che fanno capo all’Accademia dei Sartori (dahttp://dellamoda.it/dizionario_della_moda/a/accademia_nazionale_dei_sartori.php).

Febbraio 1963, una riunione conviviale: insieme con Aleardo Asdrubali si riconoscono ErasmoPezzodipane, Domenico Ciarrocchi, Sebastiano Buttafarro

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In questa pagina, sopra, Pesaro, 23 agosto 1969: al Teatro“Sperimentale” si svolge la prima Rassegna di AltaModa, organizzata dall’Artigianato provinciale insiemecon l’Azienda Autonoma di Soggiorno. Nella foto in bian-co e nero, un completo sportivo. A destra, in alto, Pesaro,2 settembre 1972, Teatro “Sperimentale”, Rassegna diAlta Moda: l’indossatore porta un completo da sera dellaSartoria Asdrubali. Il disegno a quadri sul gilet è realizza-to con applicazioni di cordoncini in seta rossa, che ripren-dono il colore della fodera della giacca.A destra, in basso,un modello di Aleardo Asdrubali fotografato nella sartoriadi via Cavallotti (1970 circa)

Aleardo Asdrubali

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In questa pagina, Pesaro, 14 maggio 1973: il Gruppo Sarti sfilacon una selezione di modelli nell’ambito della XIII Mostra delMobile presso i padiglioni fieristici di Campanara. Da un quoti-diano dell’epoca: Gemellaggio tra moda e mobili. Successodel défilé presentato da Gabriella Farinon nel padiglionecentrale della mostra. Di alta classe i modelli presentati daisarti pesaresi Mina Forlani, Elsa Macchniz, AnnamariaMontagnoli, Resy (creazioni tricot),Aleardo Asdrubali, PieroBattisti, Console Costantini, Giovanni Costanzi, GianfrancoMagi, Bruno Righetti, Marcello Sili, Alessandro Spadoni,Graziano Torcoletti, Gianfranco Valli, Tonino Vichi, CoiffeurOrfeo, calzature Moscatelli. (...) Particolarmente festeggiatal’affascinante presentatrice Gabriella Farinon. Oltre millespettatori (altrettanti fuori per mancanza di spazio).Nella pagina accanto: Pesaro, anni 1980-1990: un completo ele-gante della Sartoria Asdrubali; il gilet è realizzato con un intarsiodi strisce di tessuto in seta bianco/nero (tutte le immagini di que-sto capitolo provengono dalla raccolta Aleardo Asdrubali, Pesaro)

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Titolare di una sartoria attiva per circa un ventennio, Gianfranco Magi inizia a lavorare ad appena undi-

ci anni come apprendista presso Romano Oliva, nel laboratorio di viale Cialdini. Romano Oliva aveva una

sartoria ben avviata, ricorda Gianfranco: quando rilevò l’attività del collega Sgrignani, in via Gramsci, aveva

una decina di dipendenti, più avanti trasferì la sede della sartoria in piazzale Collenuccio.

Nel 1958 Magi si mette in proprio, nei locali presso l’abitazione di via Flaminia, proprio di fronte alla

centrale telefonica: allora via Flaminia era molto meno trafficata, casa mia confinava con i vigneti, e negli anni

abbiamo assistito alla trasformazione di questa zona; all’epoca in Piazza Redi c’erano ancora i campi, e anche

tutt’intorno, racconta insieme alla moglie Alfonsa.

Figlio di una sarta,Anna Livi, che per un lungo periodo collaborerà con lui, Gianfranco Magi chiude la

sartoria nel 1975, per dedicarsi a un’altra attività: quando ho deciso di cambiare settore, osserva, si senti-

vano i primi segni della crisi dell’abito su misura ma il lavoro aveva un buon ritmo, avevo parecchi clienti; però

non c’erano prospettive di sviluppo: i miei collaboratori erano tre pensionati, già scarseggiavano i giovani che

volevano imparare il mestiere, e così ho

deciso di cogliere un’opportunità che mi

veniva offerta in tutt’altro campo. Anche

Gianfranco ricorda con simpatia il rap-

porto creato con i clienti: dopo un po’ si

diventava amici, e passavano da me anche

solo a far due chiacchiere,come dal barbiere.

Tra le tappe principali dell’attività di

Gianfranco Magi ci sono, negli anni

Sessanta - Settanta del ‘900 le sfilate

insieme con i colleghi del Gruppo Sarti,

alle quali si riferiscono gran parte delle

immagini di queste pagine.

1971,Ancona, Gianfranco Magi premiato durante l’edizione di quell’anno della Giornata della Sartoria

Gianfranco Magi

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In questa pagina, sopra: Pesaro, Sartoria Gianfranco Magi: una giacca in prima prova e un cappotto finito.Nella pagina precedente, sopra: 1971, Ancona, Giornata della Sartoria, due capi della Sartoria Gianfranco Magi; sotto:Gianfranco Magi (il primo da destra nella foto) insieme con alcuni colleghi a Sanremo, durante un’edizione del Festival dellaModa (1970-1975).A pagina 216, Pesaro,Teatro “Sperimentale” 1970-1975: alcuni capi della Sartoria Gianfranco Magi e, apagina 217, sotto: il Gruppo Sarti al termine di una sfilata; sopra, Pesaro, agosto 1972: padiglioni fieristici di Campanara, lostand del Gruppo Sarti alla prima mostra-mercato Pesaro produce (la futura Marche Producono) (tutte le immagini diquesto capitolo provengono dalla raccolta Gianfranco Magi, Pesaro)

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Ancona, 2000.Console Costantini durante una premiazione

Console Costantini

I sartor j’è tutt mez sciaparèl [I sarti sono tutti mezzi matti] -Giovanna & Console Costantini“ ”Così, con grande senso dell’ironia Console Costantini e sua moglie Giovanna riassumono quasi cinquan-

t’anni di attività, segnata da grandi successi che hanno portato l’Atelier Console ai vertici dell’arte sarto-

riale in Italia e all’estero. Originario di Monteguiduccio, frazione di Montefelcino (PU), Console Costantini

comincia il suo apprendistato presso un sarto del paese natale trasferendosi poi a Pesaro, presso Raffaele

Farina, dove da subito si guadagna il posto di primo lavorante: con Farina sono rimasto dieci anni, ero uno di

casa, abitavo anche con loro e ancora sono in contatto con i suoi figli. Salernitano, Farina è annoverato tra i prin-

cipali sarti della città nel dopoguerra. Nel 1959 Costantini apre il suo primo atelier in via Rossini; tre anni

dopo decide di perfezionarsi nel metodo di taglio presso l’Accademia dei Sartori di Roma, conseguendo

al termine dei due anni di corso il Diploma di Maestro tagliatore: il mio maestro era l’abruzzese Ciro Giuliano,

con Caraceni era uno dei due più importanti sarti italiani, tra gli altri aveva vestito anche Mussolini. E’ l’inizio di

una carriera che porterà Costantini a lavorare per importanti personalità internazionali del mondo della

televisione, dell’industria e dell’arte: un nome per tutti, Bruno Bruni, il pittore e scultore tedesco d’adozio-

ne ma originario della nostra provincia, considerato tra i maggiori esponenti dell’arte contemporanea.

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Tuttora in attività, Costantini da circa 35 anni collabora con clienti tedeschi, soprattutto nelle città di

Berlino e Francoforte: nonostante negli ultimi tempi abbia rallentato un po’ il ritmo, ho molti clienti in

Germania, attualmente servo circa venti-venticinque persone, in passato erano molti di più. Mi sono fatto cono-

scere grazie al passaparola, e continuo a fare la spola con la Germania un paio di volte al mese. Caratteristica

di Console Costantini è proprio questa grande vitalità, grazie alla quale i suoi vestiti sono arrivati in

tutto il mondo, da Mosca a Manhattan: per 14 anni l’Atelier Console ha avuto una sede a New York,

nei pressi della prestigiosa Madison Avenue. Tra i clienti ho avuto l’onore di annoverare David Nemad, un

gallerista molto noto; ogni due mesi andavamo a Manhattan, a consegnare, ci fermavano quindici giorni per

prendere gli ordini, tornavamo in Italia a realizzare i capi e dopo quarantacinque giorni eravamo di nuovo a

New York per le consegne.Ancora oggi lavoro a domicilio, prima presento al cliente i campionari di tessuti, poi

torno con l’abito in prova e, infine, per consegnare il capo finito.

Un servizio completo, che insieme all’elevatissima qualità della lavorazione ha consentito a Console

Costantini di mantenere nel tempo una clientela affezionata, affrontando la crisi del settore senza troppi

problemi. Sempre coadiuvato dalla moglie Giovanna, nota tra gli amici come Consolina, Costantini ha par-

tecipato a un gran numero di sfilate (quante non ce lo ricordiamo neanche più,dice Giovanna), prima tra tutte

quella svoltasi all’inizio degli anni Sessanta del ‘900 al Casinò de la Vallée di Saint-Vincent.

In questa pagina e alle seguenti: Saint Vincent, Casinò de la Vallée, 1960 circa, alcune immagini della prima sfilata dell’Atelier Console;nella pagina a fianco,sopra:Console Costantini insieme a Otis Redding;Giovanna Costantini insieme a Ricky Gianco;sotto: Otis Redding(foto Palopoli e foto Dall’Acqua,Torino)

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Poi… poi c’è da dire che io ho la malattia dei tessuti, aggiunge Console di fronte a una selezione di pezze

di cachemire che occhieggia dagli scaffali del laboratorio di via Gramsci, attuale sede della sartoria; sono

soprattutto tessuti da uomo, ma nel mio atelier ho sempre confezionato anche giacche, pantaloni e abiti clas-

sici da donna, anzi, ho ancora qualche cliente che preferisce farsi realizzare le giacche da me, come una

volta.Vincitore di numerosi premi, Costantini ha ricoperto anche diversi incarichi all’interno delle asso-

ciazioni di sarti: negli anni Settanta del ‘900 membro del Consiglio direttivo del Festival della Moda di

Sanremo, è stato presidente del Gruppo Sarti di Pesaro e di altre associazioni marchigiane; nel 1972 gli

è stata conferita la medaglia d’oro della Fondazione Maestrelli di Milano (rubata dal quadro dove la conser-

vavo, ricorda mostrando lo strappo nell’attestato).

Per finire, una nota curiosa: devo il mio nome al regime fascista, racconta divertito il sarto, quando sono

nato, nel 1935, alle madri di due gemelli veniva corrisposto un assegno cospicuo, che era consegnato dal

Federale insieme ai nomi scelti direttamente da Roma, così io all’anagrafe sono Consolo, mentre il mio fratello

gemello, purtroppo scomparso in giovane età, si chiamava Canzio, due nomi legati alla classicità latina. Canzio,

in ricordo dello zio, è anche il nome di uno dei figli di Giovanna e Console, attualmente

dirigente per il Sud-est asiatico di una grossa industria del riminese;

l’altra figlia, Cristina, ha invece seguito le orme

paterne, lavorando a lungo come stilista presso

Missoni, Krizia, Rena Lange a Monaco, Calvin Klein

a New York e, infine, Dolce & Gabbana a Milano.

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In questa pagina, Console e sua moglie Giovanna insieme con Mario Cagna, titolare della ditta di tessuti Scotland house, in alto aLondra nel 1972; sotto, a Parigi, nel 1977 (foto Mossotti, Milano)

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Console Costantini

CCoonnssoollee CCoossttaannttiinnii ee RReennaattoo TToonnuucccciiInsomma, la mia vita è un libro, conclude Console mentre, ancora una volta aiutato dallamoglie Giovanna, dà gli ultimi tocchi a una giacca, discutendo sui tipi di crine per infusti-re i tessuti e sulla loro resa. Su Console Costantini ci fermiamo qui: insieme a lui dedichiamo queste ultime righe a unodei suoi colleghi, Renato Tonucci, grande amico di Console e suo collega.

Tra tutti noi era il migliore, ecco cosa si può dire di Renato. Lo ricordo con molto affet-to. Con Marcello [Sili] e Renato eravamo proprio amici, quasi un gruppetto a parte, ciscambiavamo i modelli e ci passavamo consigli, una cosa piuttosto rara in questoambiente. Gran lavoratore, me lo ricordo come una specie di mascotte del gruppo, erabuffo con i suoi baffoni e le camicie colorate, aveva una vena poetica che sbucava neimomenti più inaspettati. Ed era una persona di una profonda umanità, sanguigno, viva-ce, con un cuore grande così. Renato sarebbe contento che si ricordasse di lui anche lapassione per la pallacanestro: nel 1988, proprio per festeggiare la vittoria nel campiona-to della sua squadra del cuore, la Scavolini, Tonucci si tagliò i baffi chilometrici, cheerano un po’ il suo marchio di fabbrica, e oggi c’è un club di tifosi che porta il suo nome.

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In queste pagine, alcuni capi realizzati tra il 1970 e il 1975 fotografati nell’atelier di via Rossini (foto G. Pandolfi, Pesaro; tuttele foto di questo capitolo provengono dalla raccolta Console Costantini, Pesaro)

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Console Costantini

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I colleghi lo ricordano con un sorriso, e la sua verve traspare anche dalle fotografie, dove sin da giova-

nissimo esibisce un’aria scanzonata e giocosa: elegante, allegro e impeccabile nell’attività lavorativa,

Marcello Sili (1931-1990) è stato per circa trent’anni uno dei più attivi sarti pesaresi.

Era molto allegro, conferma la moglie Rosetta Mueller, ma anche molto serio nel suo lavoro: ha iniziato come

apprendista da suo zio, il sarto Guido Curina, nel laboratorio di via Petrucci 30; a diciotto anni è andato a Roma,

dove ha lavorato fino al 1963 per uno dei principali atelier della città, che serviva tutto il jet-set internaziona-

le e contemporaneamente ha frequentato la scuola di taglio Accademia, per perfezionarsi. Poi è tornato a

Pesaro, e ha rilevato la sartoria dello zio. Anche il nonno materno era sarto, continua Rosetta, e così sua

madre, Elvira Ricci, che ha aiutato Marcello nel suo lavoro per molto tempo. Del resto anch’io, nei momenti libe-

ri ho dato una mano a mio marito in sartoria, aggiunge Rosetta, a lungo impegnata nel settore del turi-

smo.

Creativa, amante degli animali, Rosetta Sili Mueller è di origine svizzera, e vive tra ready-made e quadri

da lei stessa realizzati, insieme con la gatta Mitzi, fascinosa trovatella persiana (ma il suo piccolo zoo

comprende anche cani, tartarughe e una capretta).

La sua passione per le storie di famiglia è contagiosa, e si esprime in grandi album dove sono raccolti

momenti e immagini della sua famiglia e di quella del marito Marcello, in un intreccio tra Pesaro e la

Svizzera che davvero basterebbe da solo a riempire le pagine di un romanzo: in molte di quelle imma-

Marcello Sili in sartoria: a sinistra, settembre 1984; a destra: agosto 1988

Marcello Sili

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gini compaiono anche le collaboratrici di Sili, tra le quali Rita Innocenti e Ivana Battilana, vicine al sarto

per molti anni, ‘storiche’ colonne della sartoria che con i loro ricordi hanno contribuito a comporre

queste pagine.

Grande appassionato di pallacanestro, passione che condivideva con il collega Renato Tonucci, Marcello

Sili ha animato con le sue creazioni sempre à la page le iniziative del Gruppo Sarti, dalle sfilate pesare-

si a quelle di Sanremo; anche per Sili, il ‘testimone’ della passione per la moda è stato raccolto dalla

figlia Vanessa, che lavora per una tra le principali stiliste italiane.

Guido Curina (1889-1977), zio di Marcello Sili e suo maestro.Guido Curina, che lavorò anche come sarto teatrale per il Teatro“G. Rossini”, era figlio di Ermete, la cui sartoria risulta attiva giànel 1911. Nella pagina a fianco: Marcello Sili a Roma (1955-1963)

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Pesaro, anni Settanta del ‘900. Due fotografie dall’album di famiglia di Rosetta Sili Mueller: sopra, la Sartoria Sili al completo, riunitaper il matrimonio di Ivana, collaboratrice di Marcello Sili. Nella foto, da sinistra: Elvira Ricci, madre di Marcello; Rosetta Sili Mueller,Marcello Sili; Ivana Battilana e il marito Claudio Gasparri; Anna Bellini, Rita Innocenti e suo marito Walter. Sotto, da sinistra: con il bic-chiere in mano Rosetta Sili Mueller, Marcello Sili, il piccolo Riccardo Battisti, sua madre Rosanna, e il padre, il sarto Piero Battisti.

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Sopra: Gite di sarti e sarte per Sant’Omobono, anni Sessanta - Settanta del ‘900. Eravamo dei gruppi molto numerosi,ricorda Rita Innocenti, per dodici anni collaboratrice di Marcello Sili, e le gite erano organizzate da padre Gambini dellaparrocchia di San Pietro (Villa Fastiggi)

Marcello Sili

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In queste pagine, Pesaro Teatro “Sperimentale”, settembre 1971: Marcello Sili, Francesco Camilli eRenato Tonucci posano in occasione della Rassegna della Moda

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Pesaro, 1989: un completo di Marcello Sili e un abito di Mina Forlani(tutte le immagini di questo capitolo provengono dalla raccolta Rosetta Sili Mueller, Pesaro)

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Originari di Pedaso, in provincia di Ascoli Piceno, Francesco e Gabriele Camilli fondano nel 1959 la

Sartoria Camilli, pochi anni dopo il loro arrivo a Pesaro. Gabriele ha già lavorato per un anno con un

sarto della città natale e ha proseguito il proprio apprendistato con Orlando Talevi, in corso XI

Settembre: in sartoria si occuperà soprattutto della lavorazione dei capi, mentre Francesco si dediche-

rà, sempre insieme a Gabriele, alle pubbliche relazioni e ai contatti con clienti e fornitori, impegno par-

ticolarmente pressante durante i periodi delle sfilate, sia a Pesaro sia fuori provincia.

L’attività dei Fratelli Camilli segue da vicino lo sviluppo della località di Borgo Santa Maria, tra Pesaro

e Tavullia, dove la sartoria ha avuto sede dal 1963 fino alla chiusura, avvenuta negli anni Novanta del

‘900: la nostra fu la seconda casa costruita a Borgo Santa Maria, racconta Gabriele, e quando i suoi locali

divennero troppo piccoli per ospitare l’attività, ci trasferimmo nella nuova sede all’interno del centro commer-

ciale della zona.

Molto legato ai colleghi del Gruppo

Sarti, Gabriele Camilli ricorda con pia-

cere i momenti conviviali, dalle gite agli

incontri per Sant’Omobono, dei quali

conserva nel proprio album molte

immagini: con alcuni dei miei colleghi si è

instaurato negli anni un rapporto di vera

e propria amicizia, continua, e posso

affermare che tra noi c’era una bella

armonia, tanto che ancora oggi continuia-

mo a ritrovarci due o tre volte l’anno,

quasi come in famiglia.

Come per tutti i sarti che abbiamo

Francesco Camilli (1939-1987) insieme con il collega Renato Tonucci in unafotografia scattata a Sanremo,nei primi anni Ottanta del ‘900,durante una dellemolte edizioni del Festival della Moda

Francesco e Gabriele Camilli

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incontrato, anche per Gabriele Camilli il lavoro è stata la passione di una vita: era un’attività molto impe-

gnativa, figurarsi che mi sono tagliato e cucito io stesso il completo da sposo, lavorando la notte prima del matri-

monio fino alle quattro di mattina. Quando poi si partecipava alle sfilate o si otteneva qualche riconoscimento

la soddisfazione ripagava di tutte le fatiche e le notti in bianco… Se guarda le fotografie delle feste di fami-

glia, comunioni, cresime, matrimoni, noi abbiamo sempre l’aria stanca, perché non c’era occasione in cui non

tiravamo tardi per finire qualche abito, aggiungono Vittoria e Maria, mogli rispettivamente di Francesco e

Gabriele.

Sopra, Pesaro, anni Ottanta del ‘900: lo stand della Sartoria Fratelli Camilli a Marche Producono.Nella pagina accanto:con questo completo la Sartoria Fratelli Camilli vinse nel 1977 il II premio al Concorso nazionale Gran PremioAmilcare Minnucci, intitolato al celebre sarto fondatore dell’Accademia dei Sartori di Roma.Fu mio fratello Francesco che preseparte alla sfilata finale,a Roma, racconta Gabriele; il tessuto ci fu spedito dagli organizzatori del concorso,si fecero due provedell’abito, una a Pesaro e una a Roma, prima della serata finale della sfilata e della premiazione.

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In questa pagina, Pesaro, piazza del Popolo,alcuni modelli della Sartoria Fratelli Camilli:sopra, 1989; a destra, 1988.Nella pagina a fianco, Pesaro, anni Settantadel ‘900: alcuni capi della Sartoria FratelliCamilli dalle sfilate organizzate al Teatro“Sperimentale” di Pesaro dal Gruppo Sarti(tutte le fotografie di questo capitolo proven-gono dalla raccolta Famiglia Camilli, Pesaro)

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Da piccola tutte le mie amiche mi portavano le bambole da vestire, ho sempre pensato che avrei fatto la sarta, e a

tredici anni ho cominciato a lavorare, entrando come apprendista da Domenica Fabbri.Sorridente e gentile,di Mina

Forlani, sarta tra le più rinomate della città, ci piace ricordare subito l’entusiasmo con cui ci ha aiutato a rico-

struire il tessuto di relazioni che ancora oggi unisce i protagonisti dell’arte sartoriale pesarese.Noi del Gruppo

Sarti siamo rimasti molto legati anche dopo che molti hanno cessato l’attività, aggiunge Mina, e anche con i nostri

maestri c’è un’amicizia, un affetto che dura nel tempo: ci sentiamo per le feste, ci ritroviamo insieme ogni anno, per

Sant’Omobono o in altre occasioni, insomma, è un po’ come se fossimo una famiglia.

Dopo l’esperienza nella sartoria di Domenica Fabbri, dove lavora per

circa sei anni durante i quali apprende dalla maestra i segreti di un’ele-

ganza raffinata e originale, fatta di dettagli particolari e mai sopra le

righe, Mina Forlani apre la propria attività negli anni Sessanta del ‘900 in

via Barignani, dove rimane fino al 1976. Appena sposata Mina trasferi-

sce la sartoria nello stesso edificio dell’abitazione, in via Ugolini, a pochi

passi dalla chiesa di Santa Maria di Loreto, usufruendo della spaziosa

mansarda che si affaccia sul balcone colorato di fiori, una delle sue pas-

sioni insieme con la cucina.

Pesarese, nota specialmente per i suoi abiti da sposa da sogno, Mina è

stata in realtà molto più che una sarta, inventandosi un ruolo di wedding

planner ante litteram: ho vestito centinaia di spose, e tutte le ho accompa-

gnate fino al giorno del matrimonio, scegliendo con loro gli accessori, l’addob-

bo della chiesa e il bouquet; prima della cerimonia andavo a vestirle personal-

mente, mi piaceva seguire tutti gli aspetti dell’evento, in modo che tutto fosse

coordinato.

Pesaro, anni Novanta del ‘900: MinaForlani al termine di una sfilata

Mina Forlani

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Uno stile che si ritrova anche in un’attenzione all’immagine davvero da grande atelier: etichette, carta

velina, grucce e custodie per gli abiti, tutto recava il marchio della sartoria, in una ricerca della perfe-

zione che corrisponde alla passione per i ricami e i dettagli minuziosamente realizzati, cifra distintiva

degli abiti di Mina Forlani. Da ricordare infatti la lavorazione del pizzo, delicata fase che Mina non ha

mai delegato alle assistenti, curando in prima persona i tagli e gli incastri, che non prevedevano cucitu-

re a macchina ma solo a mano. Quasi sempre ricamavo io anche le applicazioni di perline, un lavoro pazien-

te e molto lungo, che però era ripagato dalla gratificazione di vedere il capo finito indossato dalla sposa.

Da sottolineare anche, a testimonianza di un sapere artigianale tramandato da maestra ad apprendista,

la modalità di lavoro di Mina: prima creavo il modello in carta sul manichino, poi lo riproducevo in tela, e solo

alla fine procedevo al taglio dell’abito nel tessuto definitivo. Mi piaceva drappeggiare i tessuti sul manichino, ma

spesso utilizzavo anche i modelli originali dei grandi atelier.

Presente per oltre trent’anni alle sfilate del Gruppo Sarti, Mina Forlani ne ha seguito anche gli aspetti

organizzativi, ricoprendo diversi incarichi nelle associazioni di categoria e nella Cooperativa Artigiana

di Garanzia, attività che le sono valse anche numerosi attestati e riconoscimenti.

Nella pagina a fianco, Pesaro, anni Novanta del ‘900: un abito da sposa durante una sfilata in piazza del Popolo

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La mia produzione sempre strettamente artigianale si rivolge a tutte le donne senza distinzionedi età o taglia che desiderano avere un capo unico, personalizzato, creato e curato in ogni par-ticolare. Ora il nostro settore sta attraversando una crisi di ricambio generazionale perché perimparare il nostro lavoro ci vogliono tempi molto lunghi, molto spirito di sacrificio e tantapazienza (Mina Forlani, da un’intervista apparsa su Il Resto del Carlino, 11 maggio 1995)

Sopra, da sinistra: figurino di Marina Marchetti per la sartoria Mina Forlani; Le Mariage, edizione 1995 (supplemento a La Fieradel 22 gennaio 1995); nella pagina a fianco: anni Ottanta - Novanta del ‘900, due abiti da sposa e uno stand della Sartoria MinaForlani (Marche Producono, padiglioni fieristici di Campanara); in basso a destra, Pesaro,Teatro “Sperimentale”, 1980: Rassegnadi Alta Moda, un modello da sposa

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Mina Forlani

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Sembra quasi l'inizio di una favola, invece stiamo entrando inun mondo magico: l'atelier, la sartoria, un ambiente particola-re dove si vive, si crea, si sogna e il sogno diventa realtà.La creazione di abiti sartoriali richiede preparazione manualespecifica, creatività, fantasia, spirito d'iniziativa perché ogniabito su misura deve essere personalizzato e studiato accurata-mente per ogni figura, in special modo gli abiti da sposa chedevono rispecchiare la personalità di chi li indossa ma devonoanche essere attuali, seguire il trend stagionale ed esaltare labellezza della sposa. I nostri abiti sono realizzati con tessutipreziosi che con artigianale cura e tanto amore diventanoopere d'arte... arte da indossare - Mina Forlani, gennaio 1995“

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In questa pagina, Pesaro, 1989 - 1990: sopra, unabito da sera con gonna in taffetà viola/rosso insie-me con un completo maschile della Sartoria Sili; afianco, un abito da cerimonia in raso di seta rosa enero: la doppia gonna è caratterizzata da impuntu-re, mentre la manica del corpino è impreziosita daincrostazioni di strass e perle.Nella pagina precedente: anni Novanta del ‘900, unabito da sposa durante una sfilata in piazza delPopolo (tutte le immagini di questo capitolo proven-gono dalla raccolta Mina Forlani, Pesaro)

Mina Forlani

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Le immagini di questo capitolo si riferiscono ad alcune delle sfilate alle quali Piero Battisti ha preso parte insieme con ilGruppo Sarti negli anni Settanta, al Teatro “Sperimentale” e presso i padiglioni fieristici di Campanara; nelle pagine seguen-ti, a sinistra, il bimbo che sfila con aria perplessa è il figlio di Piero Battisti, Riccardo (tutte le immagini provengono dallaraccolta Piero Battisti, Pesaro)

Piero Battisti

Dopo l’apprendistato svolto presso tre dei più conosciuti sarti della città,Vichi, Ciarrocchi e Garattoni,

Piero Battisti (1938) apre la propria sartoria nei primi anni Sessanta del ‘900. Il suo laboratorio, nel quar-

tiere di Soria, sarà in funzione fino al 1975, anno in cui Battisti decide di cessare l’attività, che come quella

di molti colleghi cominciava a risentire della sempre maggior diffusione della moda pronta (le confezioni).

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Piero Battisti

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Nato a Giulianova, in provincia di Teramo, Romeo Fiorà

comincia nel 1950, a soli 12 anni, il suo apprendistato pres-

so una sartoria della sua città. Perfezionatosi prima in una

Pescara devastata dalla guerra poi a Milano, durante il perio-

do della leva e infine a Roma, Fiorà ricorda così i suoi inizi:

all’epoca era una prassi costante quella di frequentare diverse

sartorie, per acquisire i diversi metodi di taglio; nei laboratori di

provincia sin da piccoli ci si abituava a vedere le prove degli abiti, seguendone tutte le fasi della lavorazio-

ne, era un’ottima scuola, anche perché nei grandi atelier difficilmente ci si poteva occupare di più di un

aspetto della realizzazione dei capi.

Nel 1963 Fiorà si stabilisce a Pesaro, e pochi mesi dopo il suo arrivo apre la propria attività, coadiu-

vato da un collega: ho iniziato quasi casualmente, con una clientela di amici, grazie al passaparola. Devo

dire che all’epoca i sarti erano molti, c’era una concorrenza agguerrita e sulle prime ho un po’ faticato a

integrarmi nel contesto pesarese, anche se appena ingranato non ho più incontrato difficoltà.

La prima sede della Sartoria Fiorà è in via Mazza, dove rimane sette anni; nel 1971 l’attività, di cui

nel frattempo Fiorà è diventato l’unico titolare, si sposta in corso XI Settembre 101: provvisoriamen-

te, continua il sarto, perché i tre piani di scale sembravano poco agevoli per i clienti… in realtà sono rima-

sto qui per più di quarant’anni!

Anche tra i ricordi di Romeo Fiorà occupa un posto di riguardo l’esperienza del Gruppo Sarti, nel quale

entra dal 1972 - ’73, diventandone negli anni Novanta anche

presidente. Erano nottate di lavoro, per completare i capi destina-

ti alle sfilate: il primo appuntamento importante dell’anno era il

Festival della Moda di Sanremo, dove ogni sartoria inviava quat-

tro capi; subito dopo, in agosto-settembre c’era Marche produco-

no, che era nata come Pesaro produce: siamo arrivati ad avere

mille spettatori a sera, sia da Pesaro sia da altre località, ogni sera

Romeo Fiorà

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si organizzava una sfilata alla quale prendevano

parte tutti i sarti e le sarte del Gruppo. La stagio-

ne autunnale si concludeva con le sfilate allo

Sperimentale e in Piazza, le Rassegne della

Moda Adriatica su misura, che erano un altro

appuntamento molto atteso da tutta la città, inse-

rito tra le manifestazioni culturali, con presenta-

tori e ospiti di rilievo nazionale.

Provetto cuoco (tuttora cucina le sue specia-

lità di pesce per i colleghi-amici), Romeo

Fiorà ha portato a Pesaro, insieme con Nicola

D’Amario, la tradizione sartoriale abruzzese,

nota in tutto il mondo; infaticabile organizza-

tore di iniziative a sostegno della categoria

come di occasioni conviviali, Fiorà ha lavorato

per qualche tempo insieme con la figlia

Giorgia che, cresciuta in sartoria, si avvale

nella sua attuale attività dei segreti imparati

presso il laboratorio paterno.

Sopra: 1980, Concorso nazionale Amilcare Minnucci: il completo presentato dalla Sartoria Fiorà, realizzato con tessutoAdam della ditta Ermenegildo Zegna; nella pagina accanto: Sanremo, Festival della Moda, anni ’80 del Novecento: quat-tro modelli della Sartoria Fiorà.Nelle pagine seguenti: Pesaro, anni Ottanta - Novanta del ‘900.Alcuni capi di Romeo Fiorà presentati nelle sfilate in piaz-za del Popolo e a Marche producono. A pagina 258, dall’alto in senso orario: un mantello in cashmere con cappuccioe manica a chimono; un cappotto maschile di cammello; tre modelli maschili eleganti: un completo in seta bordeaux,uno spezzato con blazer bordeaux e pantaloni blu e uno spezzato con giacca in seta grigia. A pagina 259 un tailleurin tessuto gessato largo e un completo composto da abito più giacca: sono stato tra i primi a utilizzare il gessatolargo, ricorda Fiorà, un tessuto che poi la moda ha riproposto per diversi anni. A pagina 260 un completo elegan-te caratterizzato dallo spencer: anche la corta giacca di ispirazione inglese è tra gli elementi ricorrenti delle collezio-ni della Sartoria Fiorà. Nella foto anche due abiti da sposa della Sartoria Mina Forlani (tutte le immagini di questocapitolo provengono dalla raccolta Romeo Fiorà, Pesaro)

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SSppeenncceerr

Giacca maschile corta alla vita, nata in Inghilterra alla fine del ‘700. È uno di quei casi in

cui un capo di abbigliamento prende il nome da chi lo ha indossato per primo. In questo caso

si tratta di Lord Spencer (1758-1834) che ne ha introdotto l’uso. Era mono o doppio petto

con revers. A cavallo del ‘700 e ‘800, entra a far parte anche del guardaroba femminile e

serve per coprire il busto. Nel corso del XIX secolo è in gran voga nell’abbigliamento maschi-

le. A partire dal 1815, anno del Congresso di Vienna, lo spencer viene anche arricchito con

grossi alamari e il modello prende il nome di spencer all’ussara o all’ungherese (da

http://dellamoda.it/dizionario_della_moda/s/spencer.php).

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Originaria di Frontone (PU), Rosalia è stata per dodici anni titolare della

Sartoria Rosi, con sede a Pesaro in via A. Costa. Trasferitasi a Pesaro nel

1971, Rosalia Canarini ha appreso sin da giovanissima le basi del taglio e

cucito presso una sarta del suo paese, seguendo il consueto iter artigiana-

le; dopo una lunga esperienza come collaboratrice di Alba Scatassa apre nel 1981 un’attivi-

tà in proprio, che porterà avanti fino al 1993, anno in cui decide di dedicarsi completamente alla famiglia.

Schiva e riservata, Rosalia preferisce lasciar parlare le proprie creazioni, abiti da sposa e da sera soprat-

tutto, nei quali si riconosce la lezione della sua maestra: alla Scatassa devo tutto, dice, è lei che ha risveglia-

to la mia creatività, che mi ha fatto venir voglia di mettermi in proprio; sin da piccola il mondo della moda mi affa-

scinava, quello della sarta è un lavoro che ho sempre sentito dentro, e ho avuto la fortuna di incontrare questa

persona che ha saputo farmi amare la sartoria, nonostante la fatica, le nottate in piedi per consegnare puntual-

mente. Penso che anche che i miei modelli si siano evoluti dopo l’incontro con Alba Scatassa.

Da segnalare la stretta collaborazione con la figlia Maria

Teresa Caprini che della Sartoria Rosi è stata, come dice

Rosalia, l’anima creativa: mia figlia disegnava ed elaborava i

modelli, forte anche della sua formazione all’Istituto d’Arte “F.

Mengaroni” di Pesaro; alla chiusura dell’attività abbiamo lavorato

insieme nella sartoria del Teatro Rossini, e dopo altre esperienze

nel settore della moda, tra cui la realizzazione di campionari per

l’industria e la mostra Concetto moda con Tiziana Paci, anche

Maria Teresa ha deciso di fare la mamma a tempo pieno.

Rosalina Canarini in una recente immagine

Rosalia Canarini

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Sopra da sinistra: Pesaro, 1987 piazza del Popolo: una mise da sera in taffetà verde smeraldo concorpetto steccato; 1984, un figurino di Maria Teresa Caprini per la Sartoria Rosi; 1993, un abito diseta impreziosito da ricami di perline e rose in seta applicate intorno allo scollo.Nella pagina a fianco, Pesaro, anni Ottanta - Novanta del ‘900: alcuni modelli di Rosalia Canarini.Dall’alto in senso orario: un modello da sposa con gonna corta bordata di raso di seta applicato suorganza di seta; un abito da sposa in tessuto jeans corredato di accessori appositamente creati; unabito da sposa caratterizzato da un corpetto interamente decorato con applicazioni di rose in tes-suto; due abiti da sposa di linea classica; un tailleur in seta a fiori.A pagina 264: Pesaro, anni Ottanta - Novanta del ‘900, due abiti da sera (tutte le immagini di que-sto capitolo provengono dalla raccolta Rosalia Canarini)

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Artista dalle molteplici sfumature, fieramente eccentrico, schietto fino alla provocazione e acutissimo nel

captare stili e tendenze, giubartó (nom de plume di Giuliano Bartoloni) è senz’altro uno dei più versatili

creatori di moda pesaresi. Dalla sua casa-bottega di via del Fallo, una vera galleria d’arte che ospita opere

di Arnaldo Pomodoro, Nino Naponelli, Luigi Carboni, sono passati alcuni tra i più importanti personaggi

dello spettacolo e della cultura italiana, da Paolo Poli a Giorgio Gaber, fino agli amici carissimi Paolo

Bordoni, pianista e la regista Giuliana Gamba; le attrici Anna Bonaiuto e Manuela Kustermann, Francesco

Guccini e Memè Perlini, protagonista del teatro italia-

no, per citarne solo alcuni: un milieu che ha senz’altro

contribuito ad ampliare le potenzialità espressive di

giubartó che, dopo una vita tra forbici e tessuti, si

dedica attualmente alla pittura e alla scrittura di testi

teatrali.

(P.S. Anche il nome giubartó, che ha siglato in tutte

minuscole una vita ricca e piena, come dice lui stes-

so vissuta all’insegna della consapevolezza, ha una

storia da raccontare: qui diciamo solo che è stato

scelto da Luciano Beretta, uno dei più grandi paro-

lieri italiani, autore tra l’altro del testo de Il ragazzo

della via Gluck).

La mia carriera nel mondo della moda è iniziata nel

1967, dopo cinque anni trascorsi come correttore di

bozze presso la Arti Grafiche Federici, ricorda Giuliano,

Un ritratto di giubartó realizzato dal fotografo Roberto Angelotti,attivo tra l’altro anche presso la rivista Vogue (gli interventi pittori-ci sulla fotografia sono di Francesco Bruscia)

giubartó

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che si è formato presso una nota sartoria romana: la mattina lavoravo nell’atelier, il pomeriggio in libreria,

fino a quando i titolari della sartoria si sono trasferiti a Parigi e io ho deciso di ritornare a Pesaro, a mettere in

pratica nella mia città quello che avevo imparato.

Insieme con la stilista Laura Angelini, con la quale collaborerà fino al 1970, giubartó apre nel 1967 un

laboratorio in via Petrucci, nei pressi di corso XI Settembre; successivamente la sua attività si trasferi-

rà a Palazzo Baviera (di quegli anni ricordo con affetto le partite a carte nell’osteria della Guercia, un luogo

pieno di poesia, dove ho visto i protagonisti di una Pesaro che non c’è più) e quindi, nel 1980, nella sede di

via del Fallo.

La moda è sempre stata il mio sogno, continua giubartó: da piccolo realizzavo con mia cugina gli abiti di carta

per le nostre recite di bambini, che scrivevo io stesso: mi piaceva creare i costumi e recitare le storie. Sono cre-

sciuto amando Roberto Capucci, da sempre il massimo artista che si possa trovare nel campo della creatività

della moda. Gli altri stilisti bravi, alcuni speciali ma mai Capucci. I suoi abiti sono nei più importanti musei del

mondo come opere d’arte senza tempo. Che emozione rivederli!

Nella mia casa-bottega sono passati grandi artisti nel campo delle lettere, arti, musica; amici, alcuni, che poi

sono diventati anche clienti: moda, pittura, scrittura, musica, tanti momenti della mia vita, vissuti con persone

importantissime che hanno arricchito la mia casa attraversando la mia storia - conclude giubartó.

Nella pagina a fianco: il periodo da indossatore, giubartó indossa un’opera del pittore Carlo Naglia.Alle pagine 268 - 269: Pesaro, Hotel Spiaggia sfilate 1967-1970

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giubartó

Tornando indietro nei quarant’anni di attività (chiusa nel 2000),

non posso dimenticarmi di persone che saltuariamente hanno

collaborato con me condividendo il mio percorso artistico, e non

sono solo dei nomi che affiorano… Paola, Gemma, Giuseppina,

Ercolina, due Anite (grandi ricamatrici), Iside che sferruzzava

tutto il giorno,Donna Maria (camiciaia storica morta a 100 anni)

e Lina sua allieva, con la quale ho collaborato di più e più a lungo

con armonia e rispetto.

Non posso non citare agli inizi del mio viaggio nella moda Laura

Angelini (la ‘mitica’ Lauretta for giubartó), versatile stilista con la

quale ho passato tre anni di intenso lavoro, bravissima collabora-

trice e amica-nemica che avendo prospettive allettanti da figuri-

nista volante lasciò il sodalizio da noi creato nel 1967, perché

come artisti emergenti facevamo la fame. E se non ci fosse stato

mio padre a sovvenzionare il tutto, avremmo aperto e chiuso.

Come da copione. E Gabriella Pandolfi, pittrice eclettica con la

quale ho collaborato negli anni Novanta con défilé di abiti, top, maglie e camicie dipinti totalmente a mano. E di

lei ho un bellissimo quadro di due metri che rappresenta il mio atelier, sul soffitto, vicino a uno di Memè Perlini.

Questi personaggi che hanno circondato la mia vita di creatore io li ho sempre chiamati gli artigiani del tempo

perso, perché molti di loro lavoravano dieci-dodici ore al giorno sommersi tra altri lavori e famiglie allargate.Altri

lavori perché l’artigianato puro non pagava e non paga: grandi soddisfazioni e pochissimi soldi. E’ finita quell’epo-

ca! Negli anni Sessanta si respirava quell’aria, quella creatività, quella bellezza. Poi con l’avvento delle macchine

che “fanno quasi tutto” si è perduta l’anima dell’uomo e la sua potenzialità. Penso alla mia vecchia Singer a peda-

le, che cuciture meravigliose! Si è snaturato tutto, poco mi entusiasma ora, tutto è più facile qualche volta inuti-

le. Questi artigiani del tempo perso sono scomparsi, estinti come i dinosauri, non ci sono più botteghe con i

loro caratteristici mestieri e c’è un grande rimpianto di quelli che come me hanno collaborato con loro. E’ finita

un’epoca, dicevo.Gli anni Sessanta - Settanta sono evaporati al sole della modernità, lasciandoci orfani di un patri-

monio irripetibile e ripensando con tenerezza e nostalgia a tutto questo mi sento enormemente fortunato di

averne fatto parte - giubartó, maggio 2008

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Le foto che vedete (anni Sessanta del ‘900) illustrano abiti fatti a mano (sferruzzati) o abiti di sartoria, ma die-

tro la doppia esecuzione c’era un lavoro enorme: le lane filate a mano in Ciociaria (noi le ordinavamo di peco-

re nere e bianche e relativi mélange; le lavavamo con acqua calda e lisciva, per eliminare l’olio con cui veniva-

mo intrise nella lavorazione, e le facevamo tessere a Roma a mano); i tessuti venivano confezionati in sartoria

secondo i nostri modelli (parlo al plurale perché c’era anche Lauretta). Gli abiti di seta pura li facevamo a batik

con diversi bagni o ricamati a mano. Artigianato puro, molto dificile da capire nella nostra provincia, allora nel

1967 al primo défilé e anche dopo. Successo di critica, ma non molto di pubblico - giubartó, maggio 2008

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giubartó

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In questa pagina, Pesaro,Teatro “Sperimentale”, agosto 1969: alcuni modelli di giubartó; nelle pagine seguenti: anni Novanta del‘900: una serie di abiti dipinti a mano (tutte le immagini di questo capitolo provengono dalla raccolta giubartó, Pesaro)

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Sartoria Fratelli Camilli - Pesaroforbici per sarto

(rac

colta

Fam

iglia

Cam

illi)

gli strumenti

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Sartoria Garattoni - Pesarofustelle per asole

(rac

colta

Fam

iglia

Gar

atto

ni)

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Sartoria Garattoni - Pesaroagoraio in avorio

(rac

colta

Fam

iglia

Gar

atto

ni)

gli strumenti

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Page 284: Pesaro, la moda e la memoria

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Sartoria Garattoni - Pesaroforbici/cesoie per sarto

(rac

colta

Fam

iglia

Gar

atto

ni)

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gli strumenti

Sartoria Lamberti - Pesaroforbici/cesoie per sarto

(rac

colta

Fam

iglia

Lam

bert

i)

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(rac

colta

Fam

iglia

Pode

ri)

Sartoria Ruggero Poderi - Pesaroforbici/cesoie per sarto

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(rac

colta

Fam

iglia

D’A

mar

io)

Sartoria Nicola D’Amario - Pesarolibro delle misure

gli strumenti

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Sartoria Mina Forlani - Pesaroferro da stiro a carbone

(rac

colta

Min

aFo

rlan

i)

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Sartoria Mina Forlani - PesaroMacchina per cucire sistema Howe costruita dalla ditta tedesca Haid & Neu tra il 1870 e il 1880

(per le informazioni ringraziamo G. Brioschi e il Museo della macchina da cucire di Arcore - MI)

(rac

colta

Min

aFo

rlan

i)gli strumenti

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Sartoria Romeo Fiorà - Pesaromezzaluna in legno

(rac

colta

Rom

eoFi

orà)

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i materiali

Sartoria Alba Scatassa - Pesaroperle e paillettes (1950 - 1970)

(rac

colta

Fam

iglia

Scat

assa

)

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Manufactures de Soieries LyonCampionario di tessuti per abiti da sposa (1870 - 1880)

(rac

colta

Cri

stin

aO

rtol

ani)

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Manufactures de Soieries LyonCampionario di tessuti, gamma cromatica (1870 - 1880)

(rac

colta

Cri

stin

aO

rtol

ani)

i materiali

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Manufactures de Soieries LyonFigurino per abito femminile con campionatura di tessuto (1880 ca.)

(rac

colta

Cri

stin

aO

rtol

ani)

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Manufactures de Soieries LyonFigurino per abito femminile con campionatura di tessuti (1880 ca.)

(rac

colta

Cri

stin

aO

rtol

ani)

i materiali

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Page 296: Pesaro, la moda e la memoria

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Passamaneria in jais nero, 1900 circa

(rac

colta

Cri

stin

aO

rtol

ani)

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lo studio

Sartoria Erasmo Pezzodipane - Pesaroappunti per il taglio di giacche maschili

(rac

colta

Lici

aPe

zzod

ipan

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atti)

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Sartoria Erasmo Pezzodipane - Pesaromodello per pantaloni maschili

(rac

colta

Lici

aPe

zzod

ipan

eR

atti)

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Page 299: Pesaro, la moda e la memoria

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Sartoria Erasmo Pezzodipane - Pesarolezione n. 11 - soprabito

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colta

Lici

aPe

zzod

ipan

eR

atti)

lo studio

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Page 300: Pesaro, la moda e la memoria

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Sartoria Remo Pugliese - Pesarofusto per giacche monopetto, appunti (1950 - 1955)

(rac

colta

Rem

oPu

glie

se)

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Page 301: Pesaro, la moda e la memoria

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Sartoria Mina Forlani - Pesaropizzo su tulle: dettaglio del fiore arricchito da un ricamo a mano realizzato a punto vapore

(rac

colta

Min

aFo

rlan

i)

le lavorazioni

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Sartoria Alba Scatassa - Pesarocampioni per decorazioni in perle di conteria, paillettes e strass (1960 - 1970)

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colta

Fam

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Scat

assa

)

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Page 303: Pesaro, la moda e la memoria

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Sartoria Bolognese - Pesaroabito femminile, 1960 - 1970 - dettaglio dell’allacciatura posteriore

(rac

colta

Fam

iglia

Urs

o)le lavorazioni

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Page 304: Pesaro, la moda e la memoria

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Sartoria Iolanda Secchiaroli - Pesaroabito femminile, dettaglio della lavorazione plissé del corpetto (anni Cinquanta - Sessanta del ‘900)

(rac

colta

Gig

liola

Gor

i)

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Sartoria Iolanda Secchiaroli - Pesarostampa da rivista femminile, 1890 circa

(rac

colta

Fam

iglia

Ces

arin

i)

lo stile - i figurini

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Cri

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ani)

Sartoria pesarese, figurino di abito femminile, 1960 circa

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Sartoria pesarese, figurino di abito femminile, 1960 circa

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colta

Cri

stin

aO

rtol

ani)

lo stile - i figurini

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Per la pazienza, la disponibilità e per i loro racconti grazie a

Don Igino Corsini,Archivio Diocesano - PesaroDon Enrico Giorgini - Parrocchia di San Michele Arcangelo, Sant’Angelo in Lizzola (PU)Archivio di Stato - PesaroArchivio della Camera di Commercio di Pesaro e UrbinoComune di Sant’Angelo in Lizzola (PU)Unione Pian del Bruscolo/Memoteca Pian del Bruscolo (PU)Biblioteca Oliveriana - PesaroBiblioteca Federiciana - FanoBiblioteca “V.Bobbato” - PesaroAccademia Nazionale dei Sartori - RomaMuseo della macchina da cucire - Arcore (MI)Casinò de la Valée - Saint VincentAssociazione Culturale “G.Branca” - Sant’Angelo in Lizzola (PU)Pro Loco Fogliense - Tavullia (PU)

Lucia Amantini Maggiulli e Maria Laura Maggiulli - PesaroDemetrio Artusio - PesaroAleardo Asdrubali - PesaroStefania Bacchiani - Montelabbate (PU)Ivana Battilana - Pesarogiubartó - PesaroPiero e Riccardo Battisti - PesaroZina Bedetti e Famiglia Bertuccioli - Montelabbate (PU)Loretta e Gaetano Buttafarro - PesaroMaria e Gabriele Camilli,Vittoria Camilli - PesaroRosalia Canarini e Maria Teresa Caprini - PesaroAmelia e Maria Teresa Ciarrocchi - PesaroGiovanna Clementi Macchini - PesaroRaffaella Corsini Ortolani e Famiglia Ortolani - PesaroGiovanna e Console Costantini - PesaroMarco D’Amario e Famiglia D’Amario - PesaroAnna Damiani Tontardini e Sandro Tontardini - Colbordolo (PU)

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Domenica e Marina Fabbri - PesaroRomeo Fiorà - PesaroGiuliano Garattoni e Famiglia Garattoni - PesaroAnna Gaudenzi Mariotti - PesaroGabriella Giampaoli - PesaroWanda Giombini Cesarini e Famiglia Cesarini - PesaroMartina Giorgi e Famiglia Giorgi - PesaroGigliola Gori - PesaroFiora Giuliani Moretti - PesaroRita Innocenti - PesaroFamiglia Lamberti - PesaroAnna Maria Lugli - PesaroLaura Macchini - Tavullia (PU)Elsa Macchniz Vichi ed Emilio Vichi - PesaroAlfonsa e Gianfranco Magi - PesaroGilberto Mancini, Piero Mancini abbigliamento - PesaroAnna Maria Montagnoli - PesaroCisa Paccassoni - PesaroAntonia Patrignani Magnelli e Giuliano Magnelli - PesaroDaniela Perugini - PesaroStefano Poderi e Famiglia Poderi - PesaroBoutique Ratti, Pesaro - Licia Pezzodipane Ratti, Mauro Sabatinelli e Anna MolaRosetta Sili Mueller - PesaroMarta Soliman Bonali e Famiglia Soliman - PesaroBianca Taini Scatassa,Annamaria Scatassa e Famiglia Scatassa - PesaroAdriana Tangucci Filippetti - PesaroLuciano Urso e Giordana Mazzanti Urso - BolognaRoberto Urso e Flavia Lanzoni Urso - BolognaDorothy Willoughby - Pesaro

Grazie anche a Famiglia Barbadoro, Simonetta Bastianelli, Simonetta Campanelli, Silvia Cecchi, GrazianoGiangolini, Elio Giuliani, Paolo Cappelloni, Lucia Curina, Claudia Mares, Simona Ortolani e Walter Vannini,Eugenia Peli Grianti e Isabella Grianti, Claudio Rosati della Camera di Commercio di Pesaro e Urbino; infine,un grazie particolare a Mina Forlani e Remo Pugliese per i preziosi consigli

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Asdrubali AleardoBattisti PieroBedetti ZinaBocci MariaButtafarro NinoButtafarro SebastianoCamilli Francesco e GabrieleCanarini RosaliaCappelleria ManciniCardellini MariaCecconi AdolfoCiarrocchi DomenicoCostantini ConsoleCurina Ermete Curina GuidoD’Amario NicolaDamiani LuigiaDella Costanza LoredanaFabbri DomenicaFarina RaffaeleFiorà RomeoFiorani TinaForlani MinaFoti AntonioFrancolini Magnelli GiuseppinaGarattoni Raffaele e UmbertogiubartóGuerra DenizioLamberti ErnestoLucettaLugli AldaLugli Anna MariaLugli Rosina

Macchniz ElsaMagi GianfrancoMecchi PinoMignoni ZairaMontagnoli Anna MariaOliva RomanoPaganelli Prima (Sartoria Bolognese)Perugini ElsoPezzodipane ErasmoPoderi Ruggero (Ezio)Pugliese RemoRighetti BrunoRossi FilippoRossi Giuliani LuisaSartoria IngleseSartoria ManciniSartoria Sabatinelli & GualazziScatassa AlbaSecchiaroli Balducci RosettaSecchiaroli IolandaSeveri Anna MariaSgrignani LuigiSili MarcelloSorelle NegriniTalevi LuisaTalevi OrlandoTebaldi PinoTonucci RenatoVichi Gianfranco Vichi Tonino

Artigiani e sartorie pesaresi citati nel volume

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Introduzione Nota della curatrice

Vestivamo alla pesarese. Setaiole, sarti e sartine - Pesaro, 1860-1960

Umberto e Raffaele GarattoniErasmo PezzodipanePrima Paganelli, la BologneseLuisa Rossi GiulianiGiuseppina Francolini MagnelliNicola D’AmarioRuggero PoderiSebastiano ButtafarroErnesto LambertiElso PeruginiAnna Maria MontagnoliIolanda SecchiaroliDomenico CiarrocchiDomenica FabbriAnna Maria LugliRemo Pugliese

Il Gruppo Sarti

Elsa MacchnizAlba ScatassaAleardo AsdrubaliGianfranco MagiConsole CostantiniMarcello SiliFrancesco e Gabriele CamilliMina ForlaniPiero BattistiRomeo FioràRosalia Canarinigiubartó

Il Mestiere del sarto - strumenti e materiali

GrazieArtigiani e sartorie pesaresi citati nel volume

p. 7p. 11

p. 15

p. 59p. 67p. 73p. 95p. 99p. 115p. 119p. 121p. 127p. 131p. 137p. 145p. 153p. 155p. 171p. 179

p. 185

p. 191p. 197p. 205p. 213p. 219p. 229p. 237p. 243p. 251p. 255p. 261p. 265

p. 279

p. 307p. 309

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Finito di stampare nel mese di giugno 2008dalla SAT srl industria grafica (PU)

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