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IDONEITA’ QUINTO ANNO PEDAGOGIA Indice L’EDUCAZIONE DEGLI SPARTANI CRISTIANESIMO PRIMITIVO E LETTERATURA GRECA LA FILOSOFIA E L’EDUCAZIONE LE UNIVERSITÀ NEL MEDIOEVO LE SCUOLE NEL MEDIOEVO LE SCUOLE NEL RINASCIMENTO LE SCUOLE DELLA RIFORMA CATTOLICA VITTORINO DA FELTRE E LA CASA GIOCOSA MARIA MONTESSORI JOHN DEWEY LE SORELLE AGAZZI COMENIO

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IDONEITA’ QUINTO ANNO

PEDAGOGIA

Indice

L’EDUCAZIONE DEGLI SPARTANI

CRISTIANESIMO PRIMITIVO E LETTERATURA GRECA

LA FILOSOFIA E L’EDUCAZIONE

LE UNIVERSITÀ NEL MEDIOEVO

LE SCUOLE NEL MEDIOEVO

LE SCUOLE NEL RINASCIMENTO

LE SCUOLE DELLA RIFORMA CATTOLICA

VITTORINO DA FELTRE E LA CASA GIOCOSA

MARIA MONTESSORI

JOHN DEWEY

LE SORELLE AGAZZI

COMENIO

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L’educazione degli Spartani

La polis spartana viene quasi sempre ritratta in rapporto alla polis ateniese, cosa che

finisce per appiattire ed anche deformare la sua realtà storica. Emergendo per via

diretta dal medioevo greco, la polis spartana conserva di quel mondo il motivo

fondamentale dell'epos omerico,l'ideale dell'aretè eroica. Muta però il suo contenuto

umano e sociale, perchè essa non designa più la forza, il coraggio, la vitalità guerriera

del singolo "cavaliere", ma assume contenuto e significati sociali. L'atto eroico non

ha come proprio scopo la gloria individuale, la conquista della fama dell'individuo

superiore, ma ha come proprio fine la difesa e il potenziamento della patria. Eroe è

colui che è solidale in battaglia, che non sa indietreggiare di fronte al nemico, che è

disposto a dare la propria vita per lo Stato. La cultura di questa Sparta arcaica si

avvicina in ogni caso più a quella di Atene del V secolo che all'immagine stereotipata

fatta coincidere con il momento della sua involuzione reazionaria. Lo Stato trascende

l'individuo; ma l'individuo conserva ampi spazi in cui realizzare la sua personale

eccellenza. Diverso il discorso da fare per il periodo successivo, perchè Sparta ripiega

progressivamente su se stessa, fino ad assumere forme culturali ed educative che a

giudizio di molti ateniesi del tempo appaiono "barbariche". Secondo il tracciato dal

Marrou, nella Sparta dell'età classica lo Stato si impossessa del fanciullo all'età di

sette anni, dopo la prima educazione in famiglia, e provvede direttamente alla sua

formazione fino ai venti anni.

L'educazione delle ragazze era l'oggetto d'uno sforzo parallelo a quello dei ragazzi;

esse ricevevano uno formazione fortemente regolamentata, in cui la musica la danza e

il canto hanno ormai un parte minore rispetto alla ginnastica e allo sport. La grazie

arcaica cede il passo ad una concezione cruda ed utilitaria; la donna spartana ha il

dovere d'essere prima di tutto una madre feconda di figli vigorosi. La sua educazione

è subordinata a questa preoccupazione; si cerca di toglierle ogni delicatezza e ogni

delicatezza e ogni tenerezza effeminata, irrobustendo il suo corpo, imponendole

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d'esibirsi nuda nelle feste e cerimonie; lo scopo è di fare della vergine spartana una

robusta virago senza complicazioni sentimentali, che si accoppierà per il meglio degli

interessi della razza.

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Cristianesimo primitivo e letteratura greca

Il Cristianesimo fu, da principio, un prodotto della vita religiosa dell’Ebraismo

tardo. Scoperte recenti, come quella dei cosiddetti “Rotoli del Mar Morto”, gettano

una luce nuova su quel periodo della religione ebraica. Si sono così potuti stabilire

dei parallelismi fra la pietà ascetica della setta religiosa che viveva a quel tempo sulle

rive del Mar Morto ed il messaggio messianico di Gesù. Si è colpiti, però, soprattutto

dalla grande differenza : il kh@rugma di Cristo non si arrestò al Mar Morto o ai

margini della Giudea, ma superò il suo isolamento geografico penetrando nel mondo

circostante, che era il mondo dominato dalla cultura e dalla lingua greca. Questo

processo di cristianizzazione del mondo di lingua greca, tuttavia, non fu certo

unilaterale, perché allo stesso tempo esso significò l’ellenizzazione della religione

cristiana.

Al tempo degli apostoli troviamo una prima fase di ellenismo cristiano nell’uso della

lingua greca che osserviamo negli scritti del Nuovo Testamento. Esso si prolunga nel

tempo successivo alla predicazione degli Apostoli, nell’età dei cosiddetti Padri

apostolici. Questo è dunque il significato originario del termine éellenismo@v :

questo sostantivo, derivato dal verbo éelleni@zw (parlo greco), indicava l’uso

corretto della lingua greca ed in questo senso sembra essere stato utilizzato per la

prima volta dai maestri di retorica ; Teofrasto, ad esempio, che, come il suo

maestro Aristotele, rese la retorica una parte del suo insegnamento al Liceo di Atene,

dava grandissima importanza a quelle sue cinque parti che chiamò “virtù del dire” : di

esse la prima e la più importante era l’èellenismo@v,cioè l’uso grammaticalmente

corretto della lingua greca. Questa esigenza era tipica di un tempo in cui - la Grecia

del IV secolo - stranieri di ogni strato sociale erano divenuti così numerosi da

esercitare un’influenza deteriorante non solamente sulla lingua parlata ma anche su

quella letteraria degli stessi Greci. E’ evidente, dunque,

che èellenismo@v originariamente non significò l’adozione di un modo di vivere o di

maniere greche, senso che assunse inevitabilmente più tardi, specialmente fuori

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dall’Ellade, ma solo della corretta lingua greca. L’aspetto linguistico del problema è

tutt’altro che irrilevante : assieme alla lingua penetrò nel pensiero cristiano tutto un

mondo di concetti, categorie di pensiero, metafore e sfumature sottili di significato

proprie di quella cultura.

Il fatto che la prima generazione di Cristiani assorbì immediatamente la cultura greca

trova spiegazione se si pensa che il Cristianesimo era un movimento giudaico ed i

Giudei erano ellenizzati al tempo di Paolo non solo nella Diaspora, ma anche nella

stessa Palestina (questo era vero soprattutto per l’aristocrazia e la classe colta degli

Ebrei, perché, come fa notare anche Flavio Giuseppe, la gran massa del popolo

giudaico era meno portata di altri popoli ad apprendere le lingue straniere). Fu

proprio a questa parte ellenizzata del popolo giudaico che si rivolsero i primi

missionari cristiani.

Fu quel gruppo di apostoli della comunità di Gerusalemme, che negli Atti vengono

chiamati è Ellenistai#, a spargersi per tutta la Palestina ed a dare inizio alle attività

missionarie, dopo il martirio del loro capo Stefano. La parola è ellenistai# compare

sempre in opposizione a “Ebrei”, ma non significa “Greci”, perché designa piuttosto

il gruppo dei parlanti greco fra gli Ebrei e poi all’interno della primitiva comunità

cristiana.

Il nome della nuova setta, Cristiani, nacque nella città greca di Antiochia, dove questi

Giudei ellenizzati ebbero il primo grande campo d’azione per la loro opera

missionaria. La lingua greca era parlata in tutte le sinagoghe sparse attorno al bacino

del Mediterraneo, come appare evidente nel caso di Filone Alessandrino, che non

scrive nel suo greco letterario per un pubblico di gentili, ma proprio per i suoi

correligionari Giudei provvisti di un’educazione elevata.

E’ di fondamentale importanza comprendere che non si sarebbe mai formato un largo

seguito di proseliti fra i pagani se questi ultimi non fossero stati - come invece furono

- in grado di capire la lingua parlata nelle sinagoghe della Diaspora : tutta l’attività

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missionaria di Paolo è basata su questo fatto. Le sue discussioni con i Giudei, ai quali

si rivolgeva durante i suoi viaggi, erano sostenute in lingua greca, con tutte le

sottigliezze della logica greca ed entrambe le parti citavano l’Antico Testamento non

dall’originale ebraico, ma dalla traduzione greca dei Settanta.

Per quanto riguarda le forme della prima letteratura cristiana, escludendo i Vangeli,

quella più usata fu l’Epistola, ereditata direttamente dal modello dei filosofi greci ;

evolvendosi poi ulteriormente, vennero impiegate anche altre forme, come la

Didachè, l’Apocalisse ed il Sermone : quest’ultimo riprendeva la diatriba e la

discussione propria della filosofia popolare greca dei precetti cinici, degli Stoici e

degli Epicurei.

Nel Cristianesimo primitivo insorse, dunque, spontaneamente un’esigenza di

missione che spinse i predicatori e gli apostoli ad usare i generi letterari propri della

lingua greca, poiché si dovevano rivolgere per primi proprio ai Giudei ellenizzati che

incontravano in tutte le grandi città del Mediterraneo.

La stessa forma protrettica assunta dalla predicazione cristiana era una caratteristica

già propria della filosofia greca dell’età ellenistica : le diverse scuole cercavano di

trovare seguaci mediante allocuzioni durante le quali raccomandavano il proprio

dogma come unico mezzo per raggiungere la felicità. Persino la parola “conversione”

(meta@noia) deriva da Platone, perché accettare una filosofia significa in primo

luogo cambiare vita.

L’insegnamento cristiano parlava, come la maggior parte delle filosofie greche

dell’età ellenistica, dell’ignoranza dell’uomo e prometteva una conoscenza migliore,

garantita attraverso un maestro che possedeva e rivelava agli altri la verità : il

parallelismo fra filosofi greci e missionari cristiani fu ampiamente sfruttato e finì per

avvantaggiare i secondi.

Il dio dei filosofi era molto differente dalle divinità dell’Olimpo pagano tradizionale

ed i sistemi filosofici dell’età ellenistica, ben lungi da essere una roccaforte del

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formalismo religioso, costituirono piuttosto una sorta di rifugio spirituale per i loro

seguaci : i missionari cristiani ricalcarono direttamente le loro orme e giunsero talora

a prenderne in prestito gli argomenti, soprattutto quando si rivolgevano ad un

pubblico greco colto. Da questo incontro e da questo assorbimento dipese largamente

l’avvenire del Cristianesimo stesso : questa considerazione doveva essere ben

presente all’autore degli Atti quando descrisse Paolo in visita ad Atene, il centro

culturale ed intellettuale della Grecia classica ed il simbolo della sua tradizione

storica, e lo raffigurò mentre (Atti 17,17) predicava su di un dio ignoto davanti ad un

pubblico di filosofi stoici ed epicurei nella sede venerabile dell’Areopago. Paolo cita

il verso di un poeta greco “Noi siamo la sua stirpe” (da Arato o da Cleante) ; le sue

argomentazioni sono stoiche e volte a persuadere menti filosoficamente educate. Sia

che questa celeberrima scena sia storica, sia che sia stata concepita al fine di

rappresentare drammaticamente l’inizio della battaglia intellettuale fra Cristianesimo

e mondo classico, la scelta del palcoscenico rivela chiaramente in quale senso la

intendesse l’autore degli Atti.

L’autore degli Atti dell’apostolo Filippo (Atti apocrifi) fa venire ad Atene il suo

protagonista, come Paolo, con chiaro intento imitativo e così gli fa dire : “Sono

venuto ad Atene per rivelarvi la paideia di Cristo”. Questo imitatore sottolinea

l’intenzione dell’apostolo di far apparire il Cristianesimo come una continuazione

della paideia classica dei Greci, così che fosse logico, per coloro che possedevano la

più antica, accettare l’altra.

La filosofia e l’educazione

Accanto al configurarsi della filosofia come conoscenza universale compare nella

storia della filosofia un'applicazione più pragmatica del filosofare: è quella

dei sofisti che non tramandano definizioni della filosofia, ma chiamano filosofia una

particolare forma di educazione, dietro compenso, per i giovani che vogliano

intraprendere una carriera politica[19].

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I sofisti compaiono nel periodo compreso fra il culmine della civiltà ateniese e i primi

sintomi della decadenza dovuta a tensioni individualistiche ed egoistiche già evidenti

nell'età di Pericle. Allo scoppio della guerra del Peloponneso e alla morte di Pericle,

entrano in crisi il senso di supremazia culturale ed economica a cui si sostituisce la

percezione della precarietà dell'esistenza, cui i sofisti rispondono esibendo le

capacità retoriche dell'individuo, educato con una nuova tecnè (tecnica) oratoria.

Essi insegnano in particolare l' arte della parola, un'educazione retorica e letteraria

che riporta la filosofia al suo primo significato di paideia ma con diversi contenuti

rispetto a quella antica, basata sulla poesia e sul mito, attraverso i quali si realizzava

l'aristocratico ideale della kalokagathia ossia l' unione del bello e del buono.

I sofisti non mettono in dubbio l'autorità dello Stato ma evidenziano attraverso

un'analisi storica, l' origine umana delle leggi che lo regolano e il ruolo determinante

di chi è capace di influenzarne la formazione attraverso l'abilità nell'usare il

linguaggio, non tanto per persuadere, quanto far prevalere sull'interlocutore il proprio

punto di vista con il suo eloquio [20],.

Paradossale fondamento del pensiero socratico, ostile a quello dei sofisti, è

l'ignoranza, elevato a movente fondamentale del desiderio di conoscere. La figura del

filosofo secondo Socrate è completamente opposta a quella del saccente, ovvero del

sofista.

Egli diceva di ritenersi il più saggio degli uomini, proprio in quanto cosciente del

proprio non sapere. Il senso della sua filosofia è quello di essere

essenzialmente ricerca che caratterizza quella dotta ignoranza che permette di

sviluppare lo spirito critico nei confronti di coloro che presumono di sapere in modo

definitivo e invece non sanno rendere conto di quello che dicono[21].

Con lui si acquisisce piena consapevolezza della peculiarità del metodo di indagine

filosofica basato sulla maieutica, ovvero sulla capacità, attraverso un dialogo serrato

fra il filosofo e coloro che lo ascoltano, di discernere la conoscenza vera dalla mera

opinione soggettiva[22].

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Le Università nel Medioevo

Le università che iniziarono a formarsi nei primi decenni del XIII secolo (tranne

quella di Bologna, che è più antica di qualche decennio) furono la risposta alla crisi

dovuta all'inadeguatezza di un insegnamento impartito esclusivamente sotto la

sorveglianza delle autorità ecclesiastiche.

Le scuole, che fino ad allora si formavano presso le sedi monastiche o vescovili, non

erano attrezzate per accogliere la crescente domanda di istruzione e non offrivano

materie estese alle scienze profane, come il diritto, che in una stagione di risveglio

commerciale, veniva sentito come necessità.

Studenti e professori risposero alla crisi associandosi e creando quelle scuole

autonome che chiamarono università.

A partire dal XIII secolo le Università si diffusero in Europa e le maggiori università

si distinsero per qualche particolare disciplina.

Salerno, con la sua antica Scuola medica, e Montpellier si distinsero per

la medicina

Bologna per il diritto

Parigi e Oxford per la teologia e la filosofia

In genere queste Università erano strutturate con una differente articolazione interna

degli studi ma ciascuna ospitava, in genere, alcune di queste quattro facoltà: facoltà

delle arti, medicina, diritto, teologia. Solo ad Oxford furono istituite due facoltà di

diritto: una per il diritto civile e l'altra per il diritto canonico.

La facoltà delle arti forniva un insegnamento di base centrato sulle sette arti

liberali con maggiore interesse per la dialettica.

Il clima che venne a diffondersi in queste Università fu completamente differente da

quello che si respirava nelle vecchie scuole vescovili. I programmi di insegnamento

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vengono ideati liberamente dai professori che, con l'aiuto degli studenti, preparano

anche libri di testo concepiti per una didattica pratica.

Viene in queste sedi codificato il "metodo scolastico" degli studi superiori con il

quale lo studente viene avviato a percorrere un cammino intellettuale preciso

attraverso la lectio (lettura), la quaestio (individuazione di problemi),

la disputatio (disputa interpretativa) per arrivare alladeterminatio che rappresentava

la sintesi finale.

Nel clima di stimolante impegno culturale veniva riscoperta la cultura classica e nelle

Università si leggevano e commentavano le opere degli scrittori greci e latini. Nel

periodo che va dalla fine del XII secolo alla fine del XIII, il movimento culturale

delle Università si diffuse in una parte consistente dell'Europa. Nel 1300 vi erano già

in Europa 15 università: cinque in Italia (Bologna, Padova, Napoli, Vercelli e

lo Studium della curia romana), cinque in Francia (Parigi, Montpellier, Tolosa,

Orléans e Angers), due in Inghilterra (Oxford e Cambridge), due in Spagna

(Salamanca e Valladolid) e l'Università di Lisbona (che sarà poi trasferita a Coimbra)

in Portogallo.[1] Non si trattava però di istituzioni tra loro equivalenti: fino alla fine

del medioevo, anche quando il numero delle università crebbe notevolmente, quelle

che non avevano solo una funzione locale, ma attiravano docenti e studenti da altri

paesi europei erano poche; se ne possono individuare con una certa sicurezza sette:

Bologna, Parigi, Montpellier, Oxford, Padova, Salamanca e Cambridge.[2]

Nel XIII secolo però le autorità civili, i sovrani in Francia e Inghilterra, i magistrati

comunali in Italia, cominciarono ad imporre il loro controllo sulle Università che

erano ormai divenute corporazioni potenti e malgrado la violenta reazione degli

universitari, che ricorsero anche all'arma dello sciopero abbandonando le loro sedi,

alla fine esse si videro sottrarre le loro autonomie.

Il papato mise le Università sotto la propria protezione e giurisdizione assicurando i

privilegi giuridici ed economici degli universitari, ma la grande fase di discussione e

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di scontro intellettuale era ormai finita e l'intellettualità universitaria si indirizzava

sempre più verso le carriere ecclesiastiche.

Le scuole nel Medioevo

Nell'alto medioevo ed ancora nel secolo XIl'istruzione in Italia, come anche nel resto

d'Europa, fu interamente affidata alla Chiesa, o almeno l'esistenza di scuole laiche,

che è stata più volte ipotizzata, non è documentata. Sintetizzando una situazione che

in realtà è variata molto nell'arco dei secoli qui considerati, si può dire che vi erano

tre tipi di scuole religiose[1]:

scuole parrocchiali, che fornivano un'alfabetizzazione di base,

scuole vescovili,

scuole cenobiali dell'ordine benedettino.

A parte le scuole parrocchiali, che fornivano un'istruzione estremamente limitata a

una piccola parte della popolazione, il fine delle scuole religiose era essenzialmente

la preparazione del clero, o meglio di una sua parte minoritaria. Alcune delle scuole

vescovili e cenobiali ammettevano però come studenti anche alcuni laici. Il livello

medio di istruzione era comunque molto basso anche tra i nobili, tra i quali era

diffuso l'analfabetismo. Alcune famiglie assumevano però religiosi come precettori

privati per i propri figli.

La situazione della scuola inizia a cambiare nel XII secolo e si trasforma

profondamente nel corso del secolo successivo. Nell'ambito delle scuole religiose,

mentre le scuole parrocchiali tendono a sparire, per l'insegnamento superiore i

benedettini vengono affiancati da altri ordini, come idomenicani, che istituiscono

anch'essi scuole. Inoltre si sviluppano abbastanza rapidamente scuole laiche a tre

diversi livelli, grosso modo corrispondenti alle attuali scuole primaria, secondaria e

universitaria.

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L'insegnamento elementare laico si sviluppa grazie al moltiplicarsi di scuole sia

private che comunali. Ogni scuola impegnava in genere un solo maestro che nel caso

delle scuole private viveva solo delle quote pagate dagli scolari. Anche quando la

scuola era finanziata dal comune il maestro integrava il suo stipendio con quote

dovute dagli studenti in misura fissata dal comune. Un maestro poteva insegnare a

cento o centocinquanta scolari. Quando la scuola era comunale e il numero degli

scolari era ritenuto eccessivo anche secondo i criteri dell'epoca il comune poteva

obbligare il maestro ad assumere un ripetitore, al quale doveva corrispondere una

parte (minore) dei proventi.

Nel corso del XIII secolo si svilupparono anche scuole laiche secondarie, rivolte ad

alunni già alfabetizzati. Esse erano per lo più di due tipi:

scuole d'abaco, nelle quali si apprendevano le tecniche di calcolo con le cifre

arabe e i metodi della matematica mercantile. Si tratta di scuole che nacquero in

Italia e costituiscono una tradizione della nostra cultura.

scuole di grammatica, il cui programma d'insegnamento era basato sullo studio

della lingua latina e la lettura di autori classici e soprattutto medievali.

Gli studenti che frequentavano le scuole d'abaco erano poco più della metà del totale.

Sia le scuole d'abaco che quelle di grammatica esistevano sia nella forma privata che

in quella comunale. Alcuni comuni istituirono anche altri tipi di scuole: ad esempio

scuole di giurisprudenza. Naturalmente famiglie ricche e nobili continuavano ad

usare precettori privati per i propri figli.

Infine, nello stesso XIII secolo sorsero le università.

Alla fine del Duecento le scuole religiose, pur rimanendo essenziali per la

preparazione del clero, persero ogni importanza per l'istruzione dei laici:

riacquisteranno un ruolo importante in questo settore solo all'epoca

della Controriforma.

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Le scuole nel Rinascimento

In epoca rinascimentale il sistema scolastico delle città italiane rimase

fondamentalmente quello che si era delineato nel corso del Duecento, basato su

scuole ecclesiastiche per la formazione del clero e scuole laiche, private e comunali,

per i laici, che dopo un primo livello elementare si differenziavano in scuole d'abbaco

e scuole di grammatica. Il numero di scuole aumentò però notevolmente. Il tasso di

scolarizzazione maschile dei ragazzi tra 10 e 13 anni a Firenze nel 1480 può essere

stimato intorno al 28%[2]: il tasso di alfabetizzazione doveva essere superiore poiché

non tutti i ragazzi che imparavano a leggere e scrivere andavano ancora a scuola dopo

i dieci anni di età. Probabilmente l'alfabetismo maschile non era lontano da quello,

stimato intorno al 33%, di Venezia nel 1587[3]. Una frazione significativa dei ragazzi

appartenenti a famiglie di artigiani, negozianti e operai frequentavano scuole regolari.

La percentuale delle ragazze che frequentavano scuole tra i sei e quindici anni era

invece bassissima.

Sulla distribuzione degli scolari tra scuole private e comunali si hanno pochi dati.

Sappiamo che nel 1587 a Venezia gli scolari che frequentavano scuole private erano

l'89%, ma probabilmente una percentuale così alta era tipica di grandi città, mentre il

peso delle scuole comunali era maggiore nei piccoli centri[4].

Un'importante novità del Cinquecento fu l'apparire di scuole comunali

gratuite: Lucca, ad esempio, nella prima metà del secolo aveva sei maestri comunali

di latino ai quali aveva proibito di esigere pagamenti dagli alunni[5].

I programmi di insegnamento nelle scuole di grammatica (ossia di latino) furono

profondamente modificati con il diffondersi degli Studia humanitatis: gli autori

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medievali furono eliminati dai programmi, nei quali acquistarono invece importanza,

accanto ai poeti (già letti anche nel Medioevo) i prosatori di epoca

classica: Cicerone in primo luogo, ma anche altri oratori e storici. La lettura di autori

come Cesare, Sallustio eValerio Massimo fu la prima forma in cui lo studio della

storia entrò nella scuola.

Un'altra importante novità fu il sorgere di scuole umanistiche, di livello superiore a

quelle di grammatica, che si avvalevano spesso di umanisti di fama: alcune erano

scuole-convitto private, come la famosa Casa Giocosa fondata e diretta da Vittorino

da Feltre e altre erano pubbliche: a Venezia, in particolare, nel 1446 sorse la

prestigiosa Scuola di San Marco, dove insegnarono illustri intellettuali come Giorgio

da Trebisonda,Giorgio Valla e Marco Musuro. Non solo in scuole di questo livello

ma anche in una percentuale piccola ma significativa di scuole di grammatica fu

introdotto lo studio del greco.

Bisogna ricordare che le scuole d'abbaco non sempre costituivano una scelta

alternativa a quella dello studio del latino: un intellettuale comeNiccolò

Machiavelli aveva frequentato, oltre alle scuole di grammatica, anche una scuola

d'abbaco.

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Le scuole della Riforma cattolica

Un primo limitato intervento dei religiosi nel settore dell'istruzione dei laici risale alla

fine del Quattrocento e consistette nell'istituzione dellescuole di dottrina cristiana, che

funzionavano solo la domenica e gli altri giorni festivi, il cui scopo principale era

l'insegnamento del catechismo ai ragazzi del popolo; poiché insieme al catechismo vi

si insegnava anche a leggere e scrivere esse dettero un contributo all'innalzamento

dell'alfabetismo.

Importanza ben maggiore nella storia delle istituzioni scolastiche ebbero le scuole

istituite, nell'ambito della Riforma cattolica, dai gesuiti e successivamente da altri

ordini religiosi. Il primo collegio dei gesuiti fu inaugurato a Messina nel 1548:

nel 1600 i collegi aperti in Italia erano 49 ed erano diventati 111 alla fine

del Seicento[6]. I collegi avevano in genere due-trecento iscritti ciascuno, mentre

l'istituzione educativa più prestigiosa, il Collegio Romano (fondato nel 1551), alla

fine del Cinquecento aveva 1500 allievi. All'inizio i gesuiti insegnavano anche a

leggere e scrivere, ma abbastanza rapidamente fu abolito l'insegnamento elementare e

i collegi si trasformarono in istituzioni rivolte a ragazzi dei ceti medi e soprattutto

superiori (molti collegi erano riservati ai nobili) già alfabetizzati e con conoscenze

elementari di latino, ai quali fornivano un'istruzione di alto livello. Gli studenti erano

divisi in cinque classi successive: tre di grammatica, una di umanità e una di

retorica [7]. La permanenza in ciascuna classe dipendeva dai risultati conseguiti, ma in

media era di un anno, tranne la classe di umanità, nella quale si rimaneva in media

due anni. I ragazzi iniziavano la scuola a 10-11 anni e la terminavano in media a 16-

17 anni. I programmi, uguali in tutti i collegi, riprendevano sostanzialmente quelli

delle scuole umanistiche rinascimentali. Le principali innovazioni consistevano

nell'inserimento di un insegnamento religioso e nello studio regolare del greco. Le

lezioni si svolgevano in latino e non vi era posto per il programma svolto,

tradizionalmente in volgare, nelle scuole d'abbaco. Dopo la conclusione degli studi in

un normale collegio gli studenti interessati (in genere membri del clero) potevano

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continuare gli studi in alcune istituzioni superiori, come il Collegio Romano, che

offrivano corsi di logica, filosofia, teologia ed ebraico.

Altri ordini religiosi si occuparono dell'istruzione in volgare dei ragazzi dei ceti

popolari. Particolarmente importanti furono le Scuole pie fondate da Giuseppe

Calasanzio, nelle quali, dopo avere imparato a leggere e scrivere e l'abbaco (ossia

l'aritmetica), gli allievi potevano iniziare a lavorare o proseguire negli studi seguendo

un programma di latino[8]. Col tempo gli scolopi (come fu detto l'ordine fondato da

Calasanzio) aggiunsero nelle loro scuole insegnamenti più avanzati, ma non

rinunciarono mai all'insegnamento elementare e a quello dell'abbaco.

Nel Seicento, grazie anche al contributo di altri ordini, come i barnabiti e i somaschi,

l'offerta di istruzione si era notevolmente accresciuta e i religiosi avevano riassunto

un ruolo predominante nella scuola italiana, che fu incontrastato almeno fino alla

seconda metà del Settecento.

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Vittorino da Feltre e la Casa Giocosa

Vittorino dei Rambaldoni nacque il Feltre da povera famiglia nel 1378 ed ebbe una

sofferta infanzia. Giovane di salute malferma lo ritroviamo a Padova per i suoi studi

umanistici, terminati i quali e ottenuto il titolo di «magister artium», si mise a

studiare matematica, offrendosi come «famulus» al maestro Biagio Pellecani. Così

l'esemplare studente divenne esemplare maestro e incominciò la sua carriera

insegnando a Padova e a Venezia.

Poi Gianfrancesco Gonzaga, signore di Mantova, lo chiamò a sé chiedendogli di

divenire il pedagogo dei suoi figli. Vittorino esitò a lungo, infine accettò con questa

bellissima dichiarazione di dignitosa riserva: «Accetto il posto soltanto col patto che

voi non mi richiediate nulla che possa essere in qualche modo indegno di uno di noi.

E io vi continuerò i miei servigi sino a tanto che la vostra vita s'imporrà al mio

rispetto».

Il Gonzaga accettò e sorse così la «Casa giocosa», in una villa già chiamata «Casa

Zoiosa», costruita su di un'altura poco distante dal Palazzo Ducale. Era stata chiamata

in questo modo perché desti nata a spassi e divertimenti, e Vittorino, così religioso,

pensò prima di cambiarie nome, poi si accontentò di sostituire il «zoiosa» con

«giocosa », perché i giochi intellettuali e ginnastici vi erano largamente praticati.

Nella villa, sotto l'amorosa guida di Vittorino, trattati tutti allo stesso modo,

crescevano i principi, i figli dei nobili e i poveri ragazzi.

La scuola doveva essere pulita, piena di aria e di luce, circondata da alberi e prati, ma

non doveva concedere niente al lusso, niente alle comodità raffinate. Erano quindi

banditi i ricchi mobili, le suppellettili e il vasellame costosi. Vittorino, memore delle

lunghe ore passate a declamare ad alta voce quando era uno studente povero e aveva

freddo, considerava la recitazione e la lettura a voce alta uno dei migliori mezzi

didattici, perché irrobustisce i polmoni, aiuta ad imparare facilmente e rapidamente e

promuove la formazione morale. Così, nella «Casa giocosa», in classe, in dormitorio,

in refettorio, si recitava, si leggeva, si declamava, si discuteva a voce alta.

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Vittorino non si formò una famiglia sua; religiosissimo, umile e, nello stesso tempo,

padrone di sé, dedicò tutte le sue energie alla scuola che era la sua vera famiglia.

«Era Vittorino basso di persona, macilento, molto allegro di natura, che pareva

sempre ridesse. A vederlo, pareva uomo di grandissima riverenza: parlava poco,

vestiva di vestimenti di mosca voliere oscuro, panni funghi fino a terra. Portava in

capo un cappuccio piccolo, colla foggia piccola, e il becchetto istretto»; così lo

descrive Vespasiano de' Bisticci.

E questo sereno educatore quanto più invecchiava tanto più diveniva influente a corte

e acquistava autorità in scuola. Un suo rimprovero, una sua occhiata severa pesavano

indicibilmente. Ma non aveva bisogno di ricorrervi sovente, anzi più spesso

incoraggiava, compativa, cercava di capire e di aiutare col suo grande cuore di

maestro: un cuore tanto grande che, allorché Pisanello coniò una medaglia in suo

onore, scelse per simbolo il pellicano col petto aperto e la seguente scritta: Victorinus

Feftrinensis, summus mathematicus et omnis humanitatis pater. Morì nel 1446,

stroncato dalla malaria.

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MARIA MONTESSORI (Chiaravalle, 31 agosto 1870 – Noordwijk aan Zee, 6 maggio 1952)

Il pensiero pedagogico montessoriano parte dallo studio dei bambini con problemi psichici, espandendosi successivamente allo studio dell'educazione per tutti i bambini. La Montessori stessa sosteneva che il metodo applicato su persone subnormali aveva effetti stimolanti anche se applicato all'educazione di bambini normali.

Il suo pensiero identifica il bambino come essere completo, capace di sviluppare energie creative e possessore di disposizioni morali (come l'amore), che l'adulto ha ormai compresso dentro di sé rendendole inattive. L'adulto ha la tendenza a reprimere la personalità del bambino e spesso lo costringe a vivere in un ambiente di altra misura con ritmi di vita innaturali.

Il principio fondamentale deve essere la libertà dell'allievo, poiché solo la libertà favorisce la creatività del bambino già presente nella sua natura. Dalla libertà deve emergere la disciplina. Un individuo disciplinato è capace di regolarsi da solo quando sarà necessario seguire delle regole di vita.

Il periodo infantile è un periodo di enorme creatività, è una fase della vita in cui la mente del bambino assorbe le caratteristiche dell'ambiente circostante facendole proprie, crescendo per mezzo di esse, in modo naturale e spontaneo, senza dover compiere alcuno sforzo cognitivo.

Con la Montessori molte regole dell'educazione consolidate nei primi anni del secolo cambiarono. I bambini subnormali venivano trattati con rispetto, venivano organizzate per loro delle attività didattiche. I bambini dovevano imparare a prendersi cura di se stessi e venivano incoraggiati a prendere decisioni autonome.

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La Montessori sviluppò tutto il suo pensiero pedagogico partendo da una costruttiva critica della psicologia scientifica, corrente di pensiero affermatasi nei primi anni del secolo.

L'equivoco di base della psicologia scientifica era da ricercare nella sua illusione di fondo, secondo la quale erano sufficienti una osservazione pura e semplice e una misurazione scientifica per creare una scuola nuova, rinnovata ed efficiente.

Il pensiero pedagogico montessoriano riparte dalla pedagogia scientifica. Infatti l'introduzione della scienza nel campo dell'educazione è il primo passo fondamentale per poter costruire un'osservazione obiettiva dell'oggetto.

L'oggetto dell'osservazione non è il bambino in sé, ma la scoperta del bambino nella sua spontaneità ed autenticità.

Infine, della scuola tradizionale infantile Maria Montessori critica il fatto che, in essa, tutto l'ambiente sia pensato a misura di adulto. In un ambiente così concepito il bambino non si trova a suo agio e quindi nelle condizioni per poter agire spontaneamente.

Bambino come embrione spirituale

La Montessori definisce il bambino come un embrione spirituale nel quale lo sviluppo psichico si associa allo sviluppo biologico. Nello sviluppo psichico sono presenti dei periodi sensitivi, definiti nebule, cioè periodi specifici in cui si sviluppano particolari capacità.

Le fasi di sviluppo sono così delineate:

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* dai 0 ai 3 anni: il bambino ha una mente assorbente, la sua intelligenza opera inconsciamente assorbendo ogni dato ambientale. In questa fase si formano le strutture essenziali della personalità.

* dai 3 ai 6 anni: fase in cui inizia l'educazione prescolastica. Alla mente assorbente si associa la mente cosciente. Il bambino sembra ora avere la necessità di organizzare logicamente i contenuti mentali assorbiti.

La casa dei bambini

Nel 1907 fonda a Roma la prima casa dei bambini, destinata non più ai bambini ritardati ma ai figli degli abitanti del quartiere San Lorenzo.

Si tratta di una casa speciale, non costruita per i bambini ma è una casa dei bambini. È ordinata in maniera tale che i bambini la sentano veramente come loro.

L'intero arredamento della casa è progettato e proporzionato alle possibilità del bambino. In questo ambiente il bambino interagisce attivamente con il materiale proposto, mostrandosi concentrato, creativo e volenteroso. Il bambino trova un ambiente per potersi esprimere in maniera originale e allo stesso tempo apprende gli aspetti fondamentali della vita comunitaria.

Essenziale è la partecipazione dei genitori per la cura della salute e dell'igiene come prerequisito per la scuola.

Il compito dell'insegnante è l'organizzazione dell'ambiente. Deve attendere che i bambini si concentrino su un determinato materiale, per poi dedicarsi all'osservazione dei comportamenti individuali.

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L'insegnante aiuta il bambino, lo sviluppo del quale deve compiersi secondo i ritmi naturali e in base alla personalità che il bambino dimostra.

Materiale didattico

La Montessori realizza del materiale didattico specifico per l'educazione sensoriale e motoria del bambino e lo suddivide in:

* materiale didattico analitico, incentrato su un'unica qualità dell'oggetto, per esempio peso, forma e dimensioni. Educa i sensi isolatamente.

* materiale didattico autocorrettivo, educa il bambino all'autocorrezione dell'errore e al controllo dell'errore, senza l'intervento dell'educatore.

* materiale didattico attraente, oggetti di facile manipolazione e uso, creato per invogliare il bambino all'attività di gioco-lavoro con esso.

Il bambino è libero nella scelta del materiale. Tutto deve scaturire dall'interesse spontaneo del bambino, sviluppando così un processo di autoeducazione e di autocontrollo.

Analfabetismo mondiale

In “Analfabetismo mondiale” Maria Montessori sostiene l’assoluta importanza di far fronte al fenomeno dell’analfabetismo: il parlare senza saper leggere e scrivere equivale infatti a essere tagliati completamente fuori da qualsiasi

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ordinaria relazione tra gli uomini ritrovandosi a vivere in una condizione di menomazione linguistica che preclude i rapporti sociali e che in questo modo rende l’analfabeta un “extra-sociale”.

“La persona che parla, disperdendo per l’atmosfera dei suoni articolati non è sufficiente. Bisogna che la parola diventi permanente, si solidifichi sugli oggetti, si riproduca colle macchine, viaggi attraverso i mezzi di comunicazione, raccolga i pensieri di persone lontane, e possa quindi eternarsi in modo da fissare le idee nel susseguirsi delle generazioni.

Per questo è che, mancando del linguaggio scritto, un uomo rimane fuori della società.”

Alla parola va quindi unita una ulteriore abilità che completa il linguaggio naturale aggiungendovi un’altra forma di espressione, ovvero la scrittura. La Montessori afferma che la potenza dell’alfabeto, la conquista più importante per tutta l’umanità, non è semplicemente quella di far capire le parole scritte nel loro senso, ma è quella di dare nuovi caratteri al linguaggio raddoppiandolo. La padronanza dell’alfabeto arricchisce l’uomo, estende i suoi poteri naturali di esprimersi, li rende permanenti, li trasmette nel tempo e nello spazio, gli permette di rivolgersi all’umanità e alle nuove generazioni. Partendo dall’esperienza con i bambini la Montessori indica i principi pratici per costruire un metodo, adattato e adatto alle diverse condizioni, per insegnare a leggere e a scrivere anche agli adulti. La prima e fondamentale fase del metodo Montessori, sia con gli adulti che con i bambini, è quello di riconoscere e scoprire i suoni del proprio linguaggio e di abbinarli al segno alfabetico corrispondente. In questo modo il mezzo visivo è anche uno stimolo che aiuta ad analizzare i suoni delle parole. La scrittura non fa che ripetere pochissimi segni grafici in diverse combinazioni e proprio questa consapevolezza, data dalla scoperta e dalla prova delle infinite possibilità comunicative realizzabili con le poche lettere dell’alfabeto, desterà un interesse che sarà la molla fondamentale all’apprendimento della scrittura. Esercizi, strumenti e tecniche, progettati e ragionati per tappe sequenziali di apprendimento, sono quindi proposti

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all’interno di una relazione educativa che privilegia l’esperienza e l’autonomia dello studente.

“...il linguaggio è lì in ogni uomo. Gli analfabeti lo posseggono, lo portano con sé. Dunque risvegliarlo, farne rendere consci i possessori, indicare che è all’interno della loro mente che bisogna ricorrere per utilizzarlo. Questo è un tentativo di rinnovare dalla inerzia l’intelligenza stagnante: e ciò è necessario perché bisogna proseguire ancora: e andare alla conquista effettiva del mondo stampato, dove si possono raccogliere i pensieri e gli avvertimenti degli altri uomini.”[2]

Critiche al metodo Montessoriano [modifica]

Alla Montessori sono state mosse accuse sul piano ideologico per quanto riguarda la contrapposizione troppo rigida tra il fanciullo buono e l'adulto sclerotizzato e corrotto.

Sul piano didattico è stato criticato il carattere artificioso dei materiali e le modalità troppo rigide del loro impiego.

Nonostante le critiche il metodo montessoriano è tuttora diffuso ed utilizzato in modo particolare all'estero.

Alla Montessori venivano mosse accuse anche dal punto di vista della socializzazione: i bambini imparavano in maniera singola non sviluppando rapporti con gli altri bambini.

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PEDAGOGIA: JOHN DEWEY

Dewey, John (Berlington, Vermont 1859 - New York 1952), filosofo e pedagogista statunitense. Sviluppò i presupposti del pragmatismo in una prospettiva originale, da lui denominata strumentalismo.

Vita e opere

Dopo aver insegnato nella scuola media superiore, conseguì il dottorato di filosofia presso l'Università di Baltimora, dove si dedicò allo studio del pensiero di Hegel. In seguito, si allontanò dall'approccio idealistico e approfondì i temi del pragmatismo. Dal 1894 al 1904 insegnò filosofia all'Università di Chicago, dove fondò una scuola-laboratorio, basata sull’esperienza attiva.

Le idee di Dewey e la sua difesa degli ideali democratici influenzarono in parte il 'nuovo corso' (New Deal) inaugurato dal presidente americano Franklin Delano Roosevelt. Egli non mancò inoltre di denunciare i crimini dei processi staliniani in Unione Sovietica. In seguito sostenne l'intervento americano nel secondo conflitto mondiale.

Le sue numerose opere spaziano dal campo della psicologia a quello della pedagogia, dalla logica ai problemi della religione, dall'etica all'estetica. Si ricordano, in ordine di apparizione, le principali: Il mio credo pedagogico (1897), Etica (in collaborazione con James Tufts, 1908), Come pensiamo (1910), Democrazia ed educazione (1916), La ricerca della certezza (1929), Arte come esperienza (1934), Logica, teoria dell'indagine (1938), che costituisce il vertice della ricerca epistemologica di Dewey, e infine Esperienza

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ed educazione (1938). A novant'anni, nel 1949, Dewey pubblicò, insieme con A.F. Bentley, Conoscenza e transazione.

Lo strumentalismo

Dewey muove dall'esigenza di conseguire un punto di vista globale per la comprensione tanto della natura quanto del comportamento umano, intesi nella loro relazione dinamica. Da un lato egli risente dell'influsso del pensiero di Hegel, che lo porta a considerare l'azione dell'uomo non isolatamente, ma nel suo contesto sociale e storico, dall'altro egli teorizza un 'naturalismo organicistico', che si ispira all'evoluzionismo biologico di Darwin. Da quest'ultimo Dewey riprende la concezione di una relazione fra organismo e ambiente, che egli generalizza attraverso il concetto di 'transazione' ed estende al campo conoscitivo. La conoscenza appare in questo modo come una risposta al presentarsi di situazioni problematiche, quali nascono nel contesto del rapporto pratico dell'uomo con il mondo. A questa concezione si collega un concetto nuovo di esperienza, non più limitato ai dati della sensazione della gnoseologia dei filosofi empiristi: l'esperienza comprende ora 'ciò che gli uomini fanno e soffrono, ciò che ricercano, amano, credono e sopportano, e anche il modo in cui gli uomini agiscono e subiscono l'azione esterna, il modo in cui essi operano e soffrono, desiderano e godono, vedono, credono, immaginano'.

Muovendo da questo orizzonte filosofico, Dewey perviene a una concezione della logica come una teoria dell'indagine, intesa in senso strumentale, nel senso che l'indagine mette capo a uno strumento per l'azione. Pur riallacciandosi al pragmatismo di Peirce e di James, Dewey preferisce parlare di 'strumentalismo' per distinguere le proprie concezioni gnoseologiche e logiche. Tipico dello strumentalismo deweyano è il superamento dei classici dualismi della filosofia: fra teoria e azione, fra ambito fisico e psichico, fra mondo naturale e storico, ma anche fra scienza e senso comune.

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Etica ed estetica

Sul piano etico Dewey afferma l'esigenza di superare la contrapposizione, tipicamente kantiana, fra ragione da un lato e istinto e abitudine dall'altro. Anche le abitudini concorrono infatti all'azione morale, intesa come frutto di una scelta razionale e volontaria.

Inoltre Dewey teorizza il carattere inscindibile del legame che sussiste fra mezzi e fini dell'azione: i primi non possono consistere in comportamenti che contraddicano il fine che vogliono raggiungere, ma devono già realizzare in se stessi il fine. Si tratta di una concezione che comporta il rifiuto di ogni dottrina che asserisca che 'il fine giustifica i mezzi', legittimando così anche azioni moralmente spregevoli.

Oltre che nell'etica, anche nell'estetica si realizza una compenetrazione tra fini e mezzi, nel senso di una convergenza dell'utile con il bello all'interno di un'attività, l'arte, che è anch'essa una forma dell'interazione dell'uomo con l'ambiente.).

Pedagogia

Laddove la pedagogia tradizionale era essenzialmente nozionistica e mnemonica, quella teorizzata da Dewey è fondata, coerentemente con le sue concezioni generali, sul carattere attivo dell'educazione e sul riconoscimento della sua rilevanza sociale. Ne nasce il programma di una 'scuola attiva', che fa leva sugli interessi del fanciullo e lo educa senza trascurarli, che inoltre unifica gioco e lavoro, sollecitando nel discente la verifica dei propri errori. L’insegnante non deve trasmettere valori precostituiti, ma promuovere la maturazione delle capacità di giudizio.

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Democrazia

Dewey è un convinto sostenitore della superiorità della democrazia su ogni altra forma di organizzazione sociale e politica: solo la democrazia garantisce la piena libertà di discussione, la partecipazione di tutti i cittadini alla formazione dei valori, delle regole e delle decisioni. In questo modo Dewey si fece interprete delle istanze di rinnovamento democratico della società americana nell'età del New Deal, così come con il suo strumentalismo filosofico impersonò più di ogni altro il nuovo spirito pratico ed empiristico americano.

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LE SORELLE AGAZZI

Rosa Agazzi (1866-1951) e Carolina Agazzi (1870-1954), furono due pedagogiste sperimentali, e vengono abitualmente ricordate come le Sorelle Agazzi.

Dopo aver frequentato studi magistrali danno inizio al loro percorso di insegnamento a Nave, in provincia di Brescia, nel 1889-1890 in una borgata disagiata.

Su suggerimento di Pietro Pasquali decidono di fondare la prima scuola materna di Mompiano nel 1895. Il modello della loro scuola ebbe molto successo e servì come modello per la nascita di scuole successive che sorsero con il nome di sorelle Agazzi.

Il termine scuola materna verrà ripreso nel 1968 con la legge n°444, che istituirà le scuole di Stato per l'infanzia.

Entrambe dopo la prima guerra mondiale tengono corsi d'insegnamento alle maestre di Trento e di Bolzano.

Nel 1927 smettono di insegnare, nello stesso momento in cui in Italia si diffondono le scuole materne.

Metodo pedagogico

Il metodo educativo delle sorelle Agazzi, assieme al metodo montessoriano, inaugura l'era dell'attivismo italiano. Corrente pedagogica nata all'inizio del XX

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sec. Fondata sull'idea che al centro dell'apprendimento ci sia l'esperienza e che il bambino non sia più spettatore involontario ma attore del processo formativo.

Pure rifacendosi al Kindergarten di Froebel, respingono la mancanza di vitalità e di spontaneità dell'infanzia, punto principale del loro pensiero pedagogico e non condividono lo scolasticismo aportiano.

Criticano la precocità dell'educazione poiché intendono formare bambini e non scolari. Il bambino deve crescere in un ambiente familiare che stimoli la sua creatività e deve avere un continuo dialogo con l'adulto. L'educatrice deve richiamare il ruolo della madre.

L'attività del bambino è il punto centrale del processo educativo. L'ambiente in cui si sviluppa l'attività del bambino deve essere semplice e composto di materiali che fanno parte della sua quotidianità.

Si privilegiano le attività individuali libere a quelle collettive sebbene sorvegliate a distanza dall'educatore. Il bambino deve essere libero di fare da sé pur rispettando l'ordine delle cose ed essere capace di collaborare con gli altri seguendo il metodo del mutuo insegnamento: il bambino più esperto e consapevole fornisce informazioni ed indicazioni ad un proprio compagno meno preparato.

Il metodo intuitivo

Il metodo intuitivo diviene il percorso principale dell'apprendimento. L'educatrice agisce indirettamente e pur rispettando la spontaneità del bambino organizza e predispone ambienti e situazioni.

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Il metodo intuitivo identifica l'insegnamento come un metodo per favorire le esperienze, in cui i bambini apprendono direttamente e spontaneamente con il loro fare e osservare.

Scuola materna

La scuola materna deve essere progettata in modo tale che rispecchi l'ambiente abituale del bambino, e quindi organizzata, sotto molti aspetti come una piccola casa, dove il bambino può svolgere attività domestiche come a casa propria.

Materiale didattico

* un giardino: con animali e piante.

* museo delle cianfrusaglie: una sala adibita a museo che raccoglie materiali ritrovati dai bambini e utilizzati successivamente come materiali didattici

* contrassegni: immagini di oggetti di uso comune che contrassegnano le proprietà dei beni individuali dei bambini. Hanno lo scopo di abituare i bambini al linguaggio e all'uso dei simboli.

Applicazione del metodo

L'insegnamento agazziano suppone possibile la programmazione scolastica solo per quanto riguarda il fare e il conoscere, introducendo le attività di vita pratica, lingua parlata, lavoro manuale, norme che regolano educazione della voce e esercizi ritmici.

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Per quanto riguarda la formazione emotiva e morale non è possibile sviluppare alcuna programmazione in quanto sono sentimenti che si sviluppano nel bambino spontaneamente e casualmente, seppur sotto il controllo dell'educatore.

Seguendo le teorie delle Agazzi, abbiamo una nuova figura di docente della scuola materna: l' educatrice. Una figura professionale sempre aggiornata. Oltre alla capacità di amare i bambini deve saper coltivare i rapporti umani con ottimismo escludendo atteggiamento di ansietà e di malumore. Deve avere proprio un profondo senso del dovere, uno spirito d'ordine e di coerenza e devono assicurare alla vita della scuola una atmosfera di stabilità e di sicurezza.

Principi fondamentali dell'insegnamento agazziano

* Attività di vita pratica: giardinaggio, preparazione della tavola, igiene personale ecc. sono valorizzati come elementi educativi di primo ordine. I bambini vengono avvicinati principalmente al giardinaggio e imparano ad avere un rapporto positivo con l'ambiente. Le attività pratiche non si limitano all'educazione al fare ma assumono anche dimensione estetica in quanto, oltre a sviluppare il principio fondamentale dell'ordine, sviluppano anche il senso dell'armonia e della bellezza.

* Educazione estetica: armonia e bellezza sono alla base del senso estetico e si ritrovano in tutti i momenti della vita quotidiana. Ciò che più interessa all'educazione estetica sono le attività costruttive come il disegno e la recitazione. Il primo, che nasce come attività spontanea, deve essere incoraggiato, dopo la lettura di un racconto, sia come libera espressione del bambino sia come rappresentazione di fatti naturali psicologici e sociali. La recitazione è intesa come drammatizzazione di situazioni tipiche della vita quotidiana dell'infante. Svolgendo tali attività il bambino acquisisce fiducia in sé stesso e migliora le proprie capacità intellettuali e morali.

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* Educazione sensoriale: consiste nell'ordinare per colore, materia e forma gli oggetti raccolti dai bambini. Confrontandoli tra loro possono scoprire somiglianze ed uguaglianze. Promuove un'educazione intellettuale perché stimola la curiosità ed un atteggiamento analitico. Promuove un'educazione linguistica in quanto attraverso le osservazioni degli oggetti i bambini esprimono i loro pensieri sotto forma di frasi, scoprendo così differenze tra nomi e aggettivi. Il linguaggio assume una centrale azione educativa della scuola materna.

* Educazione al canto: ha una notevole importanza nella formazione scolastica. Il canto è inteso come apprendimento spontaneo, come avviene nelle tradizioni popolari. Il canto aiuta il bambino a liberarsi dalla pesantezza dei lavori manuali e lo rende più sereno.

* Istruzione intellettuale: si basa sull’esplorazione del mondo e naturale passaggio dalla percezione ai concetti.

* Educazione del sentimento: contro l’aggressività. Si sviluppa anche praticando religione, educazione fisica e educazione morale.

Opere

-La lingua parlata 1910

-Come intendi il museo didattico dell'educazione dell'infanzia e della fanciullezza 1922

-Guida delle educatrici dell'infanzia 1929

-Note di critica didattica 1942

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COMENIO

Comenius nome latinizzato di Johan Amos Komenskẏ o, in italiano, Comenio (Nivnice, 28 marzo 1592 – Amsterdam, 15 novembre 1670) è stato un teologo e pedagogista ceco.

Biografia

Comenio nacque in Moravia, nel 1592 nel villaggio di Boemia di nivmitz. Figlio di mugnai, alla morte dei genitori (1604) venne affidato ad una zia. Nel 1608 cominciò a frequentare la scuola latina a Přerov per poi trasferirsi in Germania. Già durante gli anni della scuola iniziò a scrivere due grandi opere che tuttavia non portò a termine: una di esse era Il tesoro della lingua ceca, concepito come un grande dizionario. Finita la scuola, fra il 1614 e il 1616 fu direttore della scuola latina di Přerov. Nel 1916 divenne pastore dell'Unione dei Fratelli Boemi. Dopo la Battaglia della Montagna Bianca (1620) e la conseguente fine della libertà protestante, Comenio fu costretto all'esilio. Dapprima si recò in Polonia, dove proseguì la sua attività di predicatore e fu nominato vescovo dell'Unione.

In Polonia continuò anche la sua attività di direttore di scuola, approfondendo il suo interesse per la pedagogia: è proprio in questo periodo che scrive gran parte delle sue opere pedagogiche. Le opere e il nome di Comenio cominciarono a diffondersi nell'Europa protestante e il pensatore venne invitato in vari paesi a tenere conferenze ed esporre le sue idee pedagogiche. Nell'ambito della sua opera di diffusione dell'educazione, trascorse un certo periodo in Inghilterra e, successivamente, in Svezia dove scrisse un importante saggio sull'apprendimento delle lingue straniere. Oltre all'esilio forzato, durante questi anni la vita di Comenio venne sconvolta da tragici avvenimenti:

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nel 1662 la morte della moglie e dei due figli di peste, nel 1648 la morte della seconda moglie; nel 1656, durante un incendio, perse tutto il suo patrimonio nonché il manoscritto del grande dizionario ceco-latino a cui lavorara da moltissimi anni.

Distrutto da quest'ultimo evento drammatico, Comenio si trasferì ad amsterdam su invito di un amico. In Olanda Comenio pubblicò un insieme di 43 opere con il titolo Opera Didactica Omnia. Morì ad Amsterdam il 15 novembre del 1670. Comenio fu tra i pedagogisti più significativi dell'età moderna.

Insegnamento

Egli sosteneva che il fine dell'educazione sia la formazione dell'uomo sia nella vita spirituale che in quella civile. Diceva infatti che "educare è vivere", che prima di agire bisogna imparare e che per educare bisogna avere una chiara visione degli scopi da perseguire e del metodo con cui l'insegnamento deve essere impartito. La scuola doveva preoccuparsi soprattutto della preparazione di uomini adatti a esercitare l'insegnamento con determinati procedimenti.

L' ideale pansofico (insegnare tutto a tutti) esprime la necessità che l'istruzione sia estesa a tutte le classi sociali, senza però satollare la mente, ma stimolandola al sapere.

Secondo Comenio, l'uomo deve indagare la natura ed imitarla; come gli esseri della natura sono perfetti in ogni fase del loro sviluppo, così dev'essere dell'uomo, perfetto e completo in ogni momento della sua crescita, fisica e spirituale; il sapere deve essere approfondito col maturarsi delle facoltà e col procedere verso la vita adulta. Divide infatti il decorso degli studi in 4 cicli, ognuno dei quali è una ripresa ed approfondimento di ciò che è stato trattato nei cicli precedenti, in ordine: scuola del grembo, scuola di lingua nazionale, scuola di latino, accademia. Non prevede per i bimbi prima dei 3 anni una scuola

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particolare, attribuendo ai genitori la funzione di avviare i piccoli ai primi rudimenti del sapere.

La scuola comeniana è estesa a tutti, ed è scuola formativa ed informativa, in cui i fanciulli apprendono a leggere e scrivere, con la base della lingua nazionale e con un linguaggio corretto. Argomento preoccupante è il numero di insegnanti a disposizione, pochi in rapporto agli alunni, quindi tante volte un solo maestro deve bastare anche per 100 alunni; il maestro è tutto: parla, mostra oggetti, guida.

Comenio dà molta importanza allo studio delle lingue, in modo da fornire così al fanciullo un corredo di parole adatto alle cose.

Opere

L'"Orbis Pictus" fu l'opera più conosciuta di Comenio, il primo libro illustrato per l'infanzia con immagini ed espressioni verbali. Con lo stesso criterio fu scritta un'opera in latino, la "Juana Linguarum", per aiutare gli allievi a stabilire un rapporto tra lingua nazionale ed espressioni latine. Comenio afferma che il rinnovamento dell'educazione non giungerà mai a compimento e non dovrà mai essere interrotto.

Tre opere principali riassumono la sua vasta attività e sono:

* Janua linguarum reserta

* Orbis sensualium pictus

* Didactica Magna.

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Nella "Janua linguarum reserta" Comenio mette a confronto la lingua nazionale con il latino.

L'"Orbis sensualium pictus" ("Mondo Illustrato") è il primo libro illustrato per l'infanzia. In quest'ultima opera sono sostanzialmente concepiti ed esposti i principi essenziali della pedagogia moderna in tutta la loro chiarezza ed estensione.