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LICEO CLASSICO IDONEITÀ AL V ANNO STORIA - Società ed Economia tra Seicento e Settecento - Cento Milioni di Sudditi - La Rivoluzione Americana - L’Impero Britannico - Il Secolo dei Lumi - La Rivoluzione Francese - L’Età Napoleonica - La Restaurazione, il Romanticismo e l’Idea Liberale - La Rivoluzione Industriale - L'Europa delle Grandi Potenze

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LICEO CLASSICO

IDONEITÀ AL V ANNO

STORIA - Società ed Economia tra Seicento e Settecento - Cento Milioni di Sudditi - La Rivoluzione Americana - L’Impero Britannico - Il Secolo dei Lumi - La Rivoluzione Francese - L’Età Napoleonica - La Restaurazione, il Romanticismo e l’Idea Liberale - La Rivoluzione Industriale - L'Europa delle Grandi Potenze

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SOCIETÀ ED ECONOMIA TRA SEICENTO E SETTECENTO Il seicento si era concluso con nuovi equilibri e profonde trasformazioni nei rapporti tra il nord e il sud del continente. Verso la fine del XVII secolo si manifestarono dei cambiamenti anche per quanto riguarda le tendenze demografiche. Durante i primi due secoli dell’età moderna la popolazione Europea stava progressivamente crescendo, dopo questa prima fase in salita ci fu un accelerazione della crescita Europea. Per cui verso la metà del XVIII ci fu una rivoluzione demografica. La parte del continente più popolata era quella occidentale, la maggior parte della popolazione europea era comunque occupata nelle campagne, infatti nel corso del settecento, (tranne L’Inghilterra le cui città crebbero in modo costante) i Tassi di Urbanizzazione erano ancora altalenanti. Anche se il rapporto tra campagna e città rimase stabile, mentre tra il nord e il sud del continente c’erano delle importanti diversità. Ad assecondare questa ripresa demografica non furono i tassi alti di natalità, ma il calo della mortalità. Un altro fattore importante fu la scomparsa della peste dall’Europa occidentale. Il calo della mortalità fu favorito anche dai progressi della medicina, infatti nel XVIII secolo vennero introdotti farmaci contro patologie molto diffuse in quel periodo febbri malariche, vaiolo…..farmaci a base di erbe come il “CHININO per le febbri malariche”, “l’IPECACUANA per la dissenteria”, inoltre fu introdotta la tecnica “dell’INOCULAZIONE per curare il vaiolo” si tratta in pratica di iniettare in persone sane una certa quantità di siero del vaiolo per provocare un processo di immunizzazione nell’organismo, in pratica un vaccino. Grazie a tutti questi miglioramenti anche le carestie provocarono meno morti. L’agricoltura e il sistema manifatturiero Nella politica europea, caratterizzata dalla scarsa produttività agricola le cose iniziarono a cambiare a partire dalla seconda metà del XVII secolo. La superficie coltivata cominciò pian piano ad aumentare, la produzione agricola cominciò a diversificarsi, anche grazie a nuove piante provenienti dall’America. Nel seicento il Mais cereale di origine Americana, si affermò nell’area Mediterranea, inizialmente affiancato da grano e cereali, poi invece anche da solo. La coltivazione del grano rappresentava una serie di vantaggi; innanzi tutto la produttività era molto redditizia, inoltre le sue foglie potevano essere mangiate dal bestiame e ricavarne un ottimo concime. Ben presto la farina di mais divenne la base dell’alimentazione contadina, mentre il grano che era più pregiato veniva messo sul mercato. A causa di questa alimentazione ricca di carboidrati e povera di vitamine, la popolazione si ammalò di pellagra una malattia della pelle che poteva provocare anche la morte. Tra la metà del seicento e il settecento, un’altra pianta proveniente dall’America “la Patata”, già conosciuta in Spagna e in Inghilterra, si diffuse nel resto del continente. Inizialmente usata come cibo per animali piano piano inizio ad entrare sulle tavole delle persone

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umane. Insieme a questi prodotti comparvero la rapa, il cavolo e la canapa, più tardi fu introdotto anche il tabacco, caffè, thè e cacao. L’agricoltura inglese conobbe in questo periodo una progressiva ricomposizione della proprietà fondiaria, e poi si diffuse una mentalità imprenditoriale. La riorganizzazione dei fondi agricoli avvenne grazie al fenomeno di Recinzione che abolì i vecchi istituti agrari, e la privatizzazione delle terre comunali. Ad avere un grosso vantaggio furono i Grandi proprietari. Il diffondersi della recinsione causò un indebolimento di alcune regioni dell’Europa occidentale, anche se continuarono a sopravvivere piccoli poderi, per cui il frazionamento della proprietà terriera rimase un fenomeno più sul resto d’Europa che sull’Inghilterra che conservava ancora nelle sue mani notevoli risorse, tranne che in qualche stato la produttività agricola Europea rimase per lo più stazionaria. Mentre la situazione economica della Russia e dell’Europa Orientale rimase particolarmente arretrata. Si continuavano a praticare sistemi vecchi di conduzione, e in alcuni paesi le condizioni di vita dei contadini rimasero molto pesanti, come in Russia. La trasformazione del sistema manufattiero nella produzione di merci rimaneva superiore l’attività delle botteghe artigiane cittadine, questi lavoratori provvedevano a realizzare piccoli manufatti. la maggior parte degli artigiani apparteneva a delle associazioni di lavoratori che regolavano le pratiche del mestiere, le “corporazioni”. nelle attività manufattiere prevaleva quella tessile. affianco a queste industrie si era affacciato il modello dell’industria a domicilio. in seguito questa forma di industrializzazione si spostò nelle campagne anche per sfuggire al sistema corporativo. infatti nelle città le corporazioni difendevano i salariati dei lavoratori dell’attività manufattiera, mentre i contadini cercavano una fonte di reddito in più rispetto a quello che guadagnavano nelle campagne. l’industria rurale a domicilio si diffuse soprattutto nell’europa centro settentrionale. lo spostamento delle industrie dal sud al nord dell’europa si verificò anche nel settore minerario e metallurgico. in svezia oltre al rame estraevano anche il ferro, con il ferro si producevano cannoni e artiglieria. anche le industrie navali stavano prendendo piedi. fino a metà del 700 il legname era il combustibile più usato, ma a causa dell’aumento del prezzo si è passati a due combustibili fossili, il carbone e la torba; gli olandesi avevano ricchi giacimenti di torba e lo trasportavano attraverso la loro rete di canali, mentre gli inglesi ricchi di carbone, lo trasportavano via mare a basso costo. l’elevato contenuto di zolfo in questi due combustibili peggiorava la qualità dei prodotti, per cui si iniziò ad utilizzare il coke carbone purificato. Nuovi mercati nuovi orizzonti L’Olanda e l’Inghilterra, le due grandi potenze commerciali, si erano affrontate in tre guerre, risolte a favore degli Inglesi i quali imposero il loro dominio commerciale, per cui Londra divenne il principale centro del commercio mondiale. Da questo

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anche i traffici internazionali ebbero un momento di grande espansione, in America e in Asia cambiò anche il modo di scambiare le merci. In crescenza fu anche il commercio con l’America che man mano diventò un mercato per i prodotti Europei. All’estensione del dominio Europeo attraverso i traffici commerciali, corrisponde anche il consolidamento dell’Economia- mondo un sistema economico disuguale che aveva come centro importatore di merci il vecchio continente. Ciò comportava nelle periferie uno sfruttamento della popolazione ed un arricchimento delle classi dominanti. L’aspetto più atroce di questo sistema fu la tratta atlantica degli schiavi, si acquistavano schiavi nei regni Africani per utilizzarli nella manodopera servile. Nel 1650 la tratta degli schiavi si intensificò e si delinea un commercio triangolare con Francia e Inghilterra, le quali, in cambio di Armi, Liquori, ecc. Si rifornivano di schiavi in Africa, li vendevano all’America e poi tornavano in Europa. Gli Europei all’esplorazione del mondo Insieme all’espansione dei commerci, gli Europei, furono protagonisti anche di nuovi viaggi di esplorazione, soprattutto per ampliare le conoscenze geografiche, si andò alla ricerca di nuove coste, mari e la Terra australe. Negli anni 40 un Olandese organizzò un viaggio nelle isole dell’Oceania (la Tasmania, la Nuova Zelanda e le Figi) senza grandi esiti economici. Mentre gli Europei si spingevano in Oriente, i Russi si inoltrarono in Asia, lungo le vie terrestri e fluviali. Sul pacifico si era istituito un insediamento che doveva essere sia una base per i commerci, sia un punto di partenza per nuove spedizioni oceaniche. Nel 700 si aprì una nuova stagione di esplorazioni geografiche rese possibili dalle società scientifiche e dai progressi nella navigazione. Il principale protagonista delle nuove scoperte fu un giovane ufficiale inglese, questo raggiunse Tahiti, la Nuova Zelanda e l’Australia. Grazie alle sue scoperte, gli inglesi raggiunsero alcune zone dell’Australia dove si insediarono con alcune colonie di deportazione, che in seguito divennero di popolamento. Anche la Francia organizzò nuovi viaggi d’esplorazione. Nella loro scoperta del mondo, gli Europei lasciarono per lungo tempo il continente Africano. La società di Antico Regime tra continuità e trasformazione Tra il XVII e il XVIII secolo, le novità economiche, portarono dei cambiamenti sull’Ancien Règime, espressione usata nella Rivoluzione Francese per indicare l’insieme delle istituzioni politiche, giuridiche, economiche e sociali, che i rivoluzionari ritenevano incompatibili con il progresso civile. La società di questo regime era organizzata in “ordini” dove figuravano il clero e la nobiltà, seguiti dai ricchi e dai borghesi, i quali facevano parte del “terzo Stato”. La posizione sociale era determinata dalla nascita e dal prestigio di certe funzioni, per cui la società di questo regime appariva come un sistema di non uguaglianza.

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La posizione del clero era dovuta dal fatto che i suoi rappresentanti erano considerati “ministri di Dio”, mentre la nobiltà era articolata in base al rango dei suoi membri. Anche tra i membri del terzo stato c’era una gerarchia da seguire dove al vertice c’erano i funzionari dell’amministrazione giudiziaria e finanziaria, seguiti da medici, letterati ecc…. Venivano poi i borghesi che erano i ricchi mercanti, e sotto di loro i vili artigiani. La società era intesa come un insieme di corpi cioè gruppi di persone che godevano degli stessi privilegi. La principale linea di demarcazione era quella tra nobili e non nobili. Gli aristocratici stavano al vertice della società per diritto di nascita e non per guadagni. L’appartenenza classe della nobiltà garantiva ampi privilegi giuridici e fiscali. I privilegi del clero erano stati ridimensionati mentre si erano rafforzati quelli cattolici. L’aristocrazia invece era costituita da ricchi esponenti del terzo stato. I borghesi di maggior rilievo, cercarono di salire nella scala sociale attraverso l’acquisto di terre, uffici pubblici, titoli nobiliari. Furono le regole della buona educazione a creare una differenza tangibile tra i ceti. Le buone maniere divennero un criterio sociale e distintivo. Già dal 500 si costituì delle buone maniere basate sul rispetto dell’etichetta e dei cerimoniali che escludeva chi non era a conoscenza della regole di vita. I borghesi aspiravano ad entrare in questi ceti dominanti per cui la società dell’antico regime iniziò a esercitare una crescente pressione sulle istituzioni politiche. La gran Bretagna nell’età di Walpole Dopo la rivoluzione che aveva portato sul trono d’Inghilterra Guglielmo III e Maria II Stuart, la corona inglese dovette affrontare nuovi problemi di successione perché i due sovrani non avevano figli. Il parlamento promulgò un atto “act off setlement “che ribadiva l’esclusione dei cattolici dalla successione dinastica e disegnava come erede al trono Anna figlia di Giacomo II protestante. Nel 1702 dopo la morte di Guglielmo II Sali al trono Anna per cui le corone le corone d’Irlanda, Scozia e Inghilterra vennero unite in un unico regno. Anna era senza eredi per cui il trono britannico passo a Sofia nipote di Giacomo I e moglie del principe tedesco Hannover per cui il trono passo alla dinastia degli Hannover e con questa dinastia si apri una lunga fase di predominio parlamentare da parte dei Whigs a scapito dei Tories. Sospettati di simpatie giacobite ossia sostenitori di Stuart. Il principe tedesco in tutto, ignorava anche la lingua inglese, egli delegò il potere esecutivo ai vari ministri scelti tra gli esponenti d Whig. Tra di essi Robert Walpole al potere per più di venti anni, lui inaugurò la prassi del cosiddetto “governo di gabinetto”, un sistema che assegnava al primo ministro e ai suoi collaboratori il compito di governare in nome del sovrano. Emerse così una nuova figura di ministro. Nel XVIII secolo la Gran Bretagna diventò la prima potenza commerciale al mondo. Nella prima metà del secolo Walpole era convinto che per mantenere questo primato era meglio stare in pace, per cui si tenne lontano da tutti i conflitti dinastici. Nella seconda metà del secolo, invece la politica inglese trasse molti vantaggi dalla guerra. Questo cambiamento fu dovuto a William Pitt il Vecchio che entrò nell’esecutivo nel 1746.

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Articolazione dei poteri in Gran Bretagna La Prussia uno stato militare Il Brandeburgo- Prussia si era consolidato come stato dopo la guerra di successione spagnola. Con i trattati di UTRECHT e RASTADT (-1713-14), il principe di Brandeburgo Federico della famiglia degli HOHENZOLLERN aveva esteso i territori ed ottenuto il riconoscimento di RE DI Prussia. Questo fu possibile anche grazie a Federico Guglielmo, il quale sfruttando la sua partecipazione alla guerra dei 30 anni aveva riconosciuto la sua sovranità nei trattati di WESTFALIA e ricondotto la sua autorità alle assemblee locali, inoltre aveva creato un sistema di governo centralizzato attraverso funzioni borghesi. Federico Guglielmo I pose le premesse per l’ascesa della Prussia, egli chiamato anche RE SERGENTE, fece dell’esercito il centro della vita del paese. Nel 1733 introdusse la Coscrizione obbligatoria ossia l’obbligatorietà di prestare servizio in guerra. Assunse poi in prima persona il comando dell’esercito, a fornire finanziamenti all’esercito era il DEMIANO REGIO (insieme delle terre di proprietà dello stato). Con la stessa disciplina governava anche l’amministrazione civile e l’intera società. Per organizzare il reclutamento e il mantenimento dell’ordine pubblico, la monarchia affidò la gestione delle città a COMISSARI REGI cioè funzionari reclutati direttamente dal sovrano nei ceti meno colti, mentre nelle campagne dai commissari scelti dai JUNKER, Il controllo di questi fu affidato alle Camere Provinciali. Il nuovo volto dell’Europa e del mondo Le guerre di successione Polacca e Austriaca Alla morte di Federico II di Sassonia, 1733, il trono di Polonia fu oggetto di un conflitto per la successione dinastica. La guerra durò cinque anni, e terminò con la Pace di Vienna del 1738. Ma la morte senza eredi di Carlo VI, nel 1740aprì un problema di successione. Francia, Spagna e Russia non riconobbero l’ascesa al trono di Maria Teresa, figlia del defunto Imperatore, per cui ci fu una nuova guerra che si concluse con la Pace di Aquisgrana 1748, la quale dopo un conflitto di otto anni ridisegnò lo scenario Europeo. Anche dal punto di vista geopolitico della nostra penisola fu rimesso in discussione, infatti dopo la pace di Aquisgrana, il controllo dell’Italia era diviso tra Spagna e Austria. Le rivalità tra Francia e Inghilterra per i possedimenti coloniali, e tra Austria e Prussia per il possesso di alcuni territori, gettarono le basi per il primo conflitto bellico di dimensione mondiale. Questa guerra vide schierate Gran Bretagna e Russia da un lato, Francia, Austri e Russia dall’altro. Si combatté, dal 1756 al 1763, in Europa, in America e in Asia. La fine della guerra (trattati di pace di Hubertusburg e Parigi) confermò la Gran Bretagna come la più grande potenza navale ed economica, la Prussia come la più forte potenza militare.

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Le conseguenze delle guerre nel mondo: le colonie nella seconda metà del Settecento I conflitti dinastici della prima metà del settecento determinarono anche le sorti dei domini coloniali, e delle rotte del commercio internazionale. I portoghesi concentrarono il loro impegno in Brasile alla ricerca dell’oro che si culminò nella scoperta del grande giacimento del Rio das Velhas . Nuove miniere di oro furono scoperte nel corso dei decenni successivi, queste producevano molto più oro di quello della Spagna e Portogallo, per cui la spinta alla ricerca dell’oro fece allargare i confini del Brasile, fino a raggiungere le Ande, superando la linea stabilita dal trattato di Tordesillas. Questi cambiamenti furono riconosciuti dalla Spagna nel trattato di Madrid 1750. Questo trattato però ebbe delle conseguenze impreviste, in base a questi accordi alcune REDICCIONES (centri di evangelizzazione degli Indios), sarebbero passati dalla Spagna al Portogallo ma gli Indios non accettarono questi cambiamenti tanto che Madrid e Lisbona dovettero intervenire con la forza. Fin dagli inizi del XVIII secolo, l’organizzazione delle colonie sud-americane spagnole, avevano vissuto dei cambiamenti; vicino agli antichi Vicereami della nuova Spagna e del Perù, fu creato il vicereame della Nuova Granada con i territori di Panama, Venezuela, Colombia ed Equador. I Vicereami formavano ancora un prolungamento amministrativo della madre patria, era Madrid a nominare i funzionari e a controllare la politica, a causa di questa politica i Ceroli avevano iniziato a coltivare sentimenti di autonomia nei confronti della corona. Gli inglesi intensificarono la loro presenza in nord America, le colonie erano divenute tredici. Esse conobbero uno straordinario sviluppo nei primi sessant’anni del settecento, questo raddoppiò la popolazione grazie anche all’arrivo di immigrati inglesi. I primi a giungere in Nord America furono gli Ugonotti Francesi. L’aumento demografico favorì la nascita di nuove città, questo fu anche alla base di un progressivo spostamento dei coloni verso le regioni interne del continente, processo frenato in parte dalla natura selvaggia del territorio Americano, con foreste fittissime, catene montuose imponenti. La creazione di spostamenti sempre più ampi crearono delle tensioni all’interno delle tribù, questo prese rapidamente una tragica piega, come gli indios, anche i nativi del nord America furono sterminati il loro genocidio si sarebbe consumato nel corso dell’ottocento. I coloni Inglesi ebbero a che fare anche con quelli Francesi, lo scontro tra colonie si fece sempre più intenso. Questo conflitto raggiunse l’apice nel corso della Guerra dei sette anni e si concluse con la pace di Parigi 1763 che pose fine alla presenza Francese.

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CENTO MILIONI DI SUDDITI

Verso la fine del Seicento si ritiene che l’Europa contasse circa cento milioni di abitanti. I sudditi non erano cittadini, avevano pochi diritti ma anche pochi doveri. Inoltre erano obbligati a pagare le imposte e a prestare il servizio militare. Per gli uomini come per le donne dell’età moderna, il grosso della vita si svolgeva al di fuori di ogni dimensione politica o burocratica. I sovrani d’Europa condivisero la tendenza di trasferire le loro residenze a una distanza di sicurezza dalle loro capitali, per timore delle sommosse, e affidavano la propria immagine alla propaganda, rivolta soprattutto alle èlite. Il nodo centrale del consenso verso i sovrani era la legge dell’”economia morale” delle società europee moderne: evitare dunque che il popolo, sempre a rischio di penuria e carestie, patisse la fame. Nascere e morire L’andamento demografico europeo nell’età moderna era caratterizzato da una vita media relativamente breve, da alta natalità e da alta mortalità.alla nascita, la speranza di vita di un bambino era più ridotta che ai nostri giorni: per le carenze nell’alimentazione e nell’igiene. Al tempo stesso la fertilità delle donne era maggiore, aveva nel corso della sua vita matrimoniale anche dieci o quindici figli. Si facevano tanti figli per tre motivi: per calcolo, per ignoranza e per disperazione- per calcolo perché la forza lavoro umana era preziosa; per ignoranza poiché non si conoscevano affatto le tecniche contraccettive; per disperazione, perché si sapeva che molti bambini sarebbero morti prima dell’età adulta. La chiesa rendeva solenni i passaggi dell’esistenza attraverso la celebrazione sacramentale della nascita e della morte, ovverosia battesimo e unzione dei defunti, ritualizzati nella vita delle comunità. La scelta della madrina e del padrino del neonato, serviva a stringere legami tra una famiglia e l’altra.

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Il battesimo, dipinto di Pietro Longhi (1755-1757) Sposarsi Il matrimonio non era affatto cosa scontata e nemmeno romantica come oggi si intende. Essendo un "contratto" stipulato tra grandi casate esso aveva un'iter lungo e difficoltoso che non teneva conto dell'amore. Era determinato da calcoli economici e strategie di alleanza tra famiglie. Per coloro che abitavano in piccoli villaggi sposarsi non era semplice, poiché l’esperienza che una fecondazione tra consanguinei può provocare gravi difetti congeniti nel nascituro, era risaputa. Soluzione a questo problema era dunque rinunciare a sposarsi all’interno della propria comunità e trovare moglie nei villaggi più lontani.

APPROFONDIMENTO LE ETA' DEGLI SPOSI L’età media della sposa poteva variare dai 14 anni ai 18 a seconda della famiglia. Usualmente venivano date in spose appena si presentava il ciclo mestruale che già allora si sapeva che era segnale della fertilità della donna. Prima del XVI secolo ci sono spose giovanissime di addirittura 12 anni come ci testimoniano i testi teatrali e letterari. Questo perché la vita media era breve e si riteneva che una donna tanto più giovane era, tanto più resistente alle fatiche del parto e fertile sarebbe stata in futuro.Il marito in media poteva avere dai 10 anni in su più della sposa essendo doveroso che questi fosse dotato di grandi beni e una posizione sociale di un certo livello. Posizione che ovviamente non veniva raggiunta, salvo qualche caso, nella giovinezza ma verso l'età matura che per un uomo poteva partire dai 25 anni.

Jacopo di Chimenti, matrimonio di Caterina

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La condizione della donna Le donne, vivevano in una condizione di sottomissione all’autorità del padre e del marito, vincolate a regole sessuali e patriarcali, a cui sfuggivano raramente, e solo in caso di vedovanza. Ma anche l’autonomia delle vedove era malvista. Una vedova in effetti era costretta a sposare il cognato, se questi era vedovo a sua volta: cosi’ da non disperdere beni al di fuori della famiglia di sangue. Approfondimento Si parlerà ora delle donne dei ceti più basse, le povere donne campagnole. Anch'esse si occupavano della casa e filavano. Ma svolgevano molte altre faccende oltre a queste.In campagna: era a loro affidata la tosatura delle pecore e la raccolta del lino e la canapa, che sarebbe stata poi da loro filata e tessuta. Coltivavano l'orto per poter raccogliere verdure e ortaggi da poter mangiare o vendere, per lo stesso scopo si occupavano di ovile, pollaio e stalla. Nelle stagioni estive, ove il lavoro nei campi si faceva più costante, venivano aiutate dagli uomini per quanto riguardava la raccolta del fieno e la sarchiatura della terra. L'economia campagnola prevedeva anche l'allevamento dei bachi da seta, al quale si dedicavano esclusivamente le donne. Sebbene già nei secoli precedenti era una lavorazione molto propagata, fu nel Seicento ad assumere un'importanza centrale. In città: le donne lavoravano anche come bambinaie, lavandaie ed operaie tessili, quindi non "in proprio", bensì in una fabbrica tessile. A svolgere questi lavori erano perlopiù le donne sole, le donne maritate affidavano loro stesse i bambini alle balie, per poter svolgere altri compiti. Le domestiche erano senz'altro le donne più fortunate: passavano tutta la vita nelle case dei ricchi.

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La vita delle cose: il miglioramento della qualità della vita La vita quotidiana nell’Europa del Sei e Settecento poteva considerarsi un cumulo di miserie per le guerre disastrose, carestie ricorrenti, morti per pestilenze, abbandono dei bambini, caccia alle streghe, ecc. .In realtà non è stato proprio così per tanti fattori legati alla rivoluzione scientifica (fine ‘500 e inizio ‘600), ammodernamento dei trasporti, potenziamento dell’amministrazione statale. Con la Rivoluzione Scientifica si ha un approccio alla realtà in maniera più razionale e grazie ai miglioramenti nell’igiene pubblica, le epidemie di peste si fecero più rare fino a scomparire durante il Settecento. I bambini abbandonati venivano raccolti e usufruivano di assistenze più accurate. L’aumento delle infrastrutture, come strade, ponti, canali, favorì la circolazione di beni ( grano, olio, ecc. ) e di merci in genere favorendo la circolazione di monete. Inoltre l’economia dipendeva dalla posizione geografica dei vari stati, per cui le aree più floride erano quelle mediterranee con climi temperati perché le merci e gli uomini viaggiavano agevolmente per via d’acqua.

I rischi del viaggio Viaggiare per via di terra era lento e insicuro perché si potevano incontrare durante il cammino bande di briganti che assalivano i convogli e rapinavano il bottino, mentre la polizia non poteva controllare tutto il territorio che invece doveva essere sicuro e praticabile sia per i sovrani ( perspostare le truppe) che per i commercianti. Con il commercio si incrementò la circolazione di denaro, la fortuna dei finanzieri, in un primo tempo italiani e tedeschi, che prestavano denaro a interesse sia ai sovrani che ai nobili e se i debitori non erano in grado di restituire i soldi, i creditori aumentavano i tassi. Ecco perché i re e i nobili per non pagare troppi interessi riscuotevano le tasse dalla gente comune come borghesi, artigiani e contadini.

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I confini dello spazio e del tempo Sin dagli inizi dell'età moderna abbiamo a che fare con un rapporto con lo spazio completamente opposto rispetto a quello odierno, come ben noto vi era una grande voglia di esplorare l'inesplorato e spingersi oltre i confini del proprio villaggio varcando i limiti del campanilismo (attaccamento al proprio paese d'origine) al quale si era soggetti. Come possiamo immaginare però il lusso di viaggiare e avere la possibilità di varcare le soglie di paesi come la Germania , le Fiandre, o la Svizzera era riservato a coloro che erano talmente ricchi da poter dedicare mesi o addirittura anni a questi viaggi che confluivano nel rinomato grand tour. Il più diffuso fine di viaggio era il lavoro, molti agricoltori nei periodi di pausa dai campi si dirigevano verso metropoli come Londra o Parigi esercitando mestieri di tutti i generi per poter guadagnare un po di pane per i loro denti a contrario degli artigiani che compivano invece viaggi lunghissimi per far proprie nuove tecniche di lavorazione tipiche del loro mestiere, ultime erano le donne che erano destinate a muoversi poco o affatto. Comunque sia viaggiare era un lusso che richiedeva tempo e denaro nonché coraggio nell'avventurarsi in luoghi attraverso la distanza, i batteri e le insidiosità meteorologiche. Un caso a se stante però era quello dei pellegrinaggi, viaggi a scopo religioso verso luoghi di cultomolto visitati dai credenti come Roma Gerusalemme o la Mecca. Durante l'età moderna in oltre, si dava una misera importanza a quello che era il tempo libero e lo svago termine che stava ad indicare giochi per strada o giochi con le carte cercando però di restare nei limiti poiché Stato e Chiesa li condannavano; riguardo quest'ultima sia quella Cattolica che quella Protestante fecero il possibile per sopprimere questo genere di frivolezze ritenute delle sole distrazioni popolari. Durante l'anno solo una volta era concesso abbracciare tali forme di divertimento, durante il carnevale posizionato strategicamente prima del periodo di purificazione della quaresima infatti la gente si concedeva il lusso di bere e danzare fino allo sfinimento. Importanza nota poi era quella fornita ai calendari e agli almanacchi, libri contenenti non solo le fasi della luna e dei pianeti ma anche pronostici e oroscopi ricordando inoltre le principali festività religiose. Sul podio invece di quella che era la fede dei credenti abbiamo i santi, individui che tramite le loro imprese dette miracoli riescono a spiegare l'inspiegabile e rendono possibile l'impossibile dando alla gente modo di credere che epidemie malattie e guerre potessero essere risanati tramite fede, alcuni esempi sono santa Lucia protettrice della vista e guaritrice della cecità oppure sant'Aventino protettore delle donne che partoriscono.

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Approfondimento Nel 1600 il filosofo e pedagogo inglese John Locke(1632-1704) riteneva fondamentale per il bambino apprendere attraverso il gioco. Gran parte della pedagogia riteneva che il movimento e l’esercizio fisico fossero necessari per una crescita armoniosa del corpo dei fanciulli per cui essi si divertivano saltando la corda, giocando a moscacieca, a nascondino, al gioco della bandiera, a rincorrersi e così via ad elencare una quantità di giochi e di divertimenti. E’ molto interessante soffermarsi su un aspetto molto curioso che riguarda la bambola del 1600 e del 1700; in quel periodo storico la bambola ebbe anche una funzione diversa da quella giocosa ,e cioè diventò messaggera della moda parigina in tutte le corti reali o principesche o nelle case dell’alta borghesia per far conoscere le ultime novità in fatto di abbigliamento. La distribuzione dei giocattoli avveniva attraverso diversi canali di vendita: i venditori ambulanti che smerciavano gli articoli nelle fiere e nei mercati e le nascenti botteghe specializzate che, oltre ai tradizionali giocattoli, incominciavano a proporre oggetti per l’infanzia come giochi di carte, tombole , giochi dell’oca, abbecedari ,immagini a stampa con soggetti infantili.

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Bambola Della Seconda Meta’ Del 600

La commedia dell'arte è nata in Italia nel XVI secolo ed è rimasta popolare fino alla metà del XVIII secolo,anni della Riforma Goldoniana della commedia. Non si trattava di un genere di rappresentazione teatrale, bensì di una diversa modalità di produzione degli spettacoli. Le rappresentazioni non erano basate su testi scritti ma su dei canovacci, detti anche scenari; inorigine, le rappresentazioni erano tenute all'aperto con una scenografia fatta di pochi oggetti. Le compagnie erano composte da dieci persone: otto uomini e due donne. All'estero era conosciuta come "Commedia italiana". Nella loro formula spettacolare, i comici della Commedia dell'Arte introdussero un elemento nuovo di portata dirompente e rivoluzionaria: la presenza delle donne sul palcoscenico. Il nome "arte", nel Medioevo, significava "mestiere", "professione": quello del teatrante, infatti, era un vero e proprio mestiere. La maschera, che insieme al costume caratterizza fortemente lo stile di recitazione, viene spesso ad essere sinonimo stesso di personaggio. Nella Commedia dell'Arte Brighella ricopriva il ruolo di "primo Zani", ovvero il servo furbo, autore di intrighi architettati con sottile malizia, ai danni di Pantalone o per favorire i giovani innamorati contrastati. Nel corso del Seicento e del Settecento precisò i suoi caratteri in contrasto con quelli del "secondo Zani" (ruolo del servo sciocco, spesso impersonato da Arlecchino) e, soprattutto con Goldoni, divenne servo fedele e saggio, tutore a volte di padroncini scapestrati, oppure albergatore avveduto o buon padre di famiglia. Il costume di scena, che andò precisandosi nel corso del tempo, comprende la maschera e una livrea bianca, costituita di un'ampia casacca ornata di alamari verdi, con strisce dello stesso colore lungo le braccia e le gambe. Tra i maggiori interpreti di questo ruolo, oltre a Carlo Cantù, si ricorda Atanasio Zannoni nel 1700.

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Flaminia è uno dei molti nomi che nella Commedia dell'Arte prende il personaggio della Innamorata. In perenne contrasto con i vecchi, che ne ostacolano i desideri d'amore, le Innamorate sono di solito molto più determinate dei loro colleghi uomini, sia nel cercare che nel rifiutare l'amore degli uomini. Intraprendenti e battagliere, sono pronte a qualsiasi impresa per conquistare l'oggetto dei propri desideri, anche a travestirsi da uomo. Abili nel parlare, capaci di assumere diversi ruoli, alle attrici che impersonavano le Innamorate erano richieste doti di bellezza, eleganza, qualità artistiche e una certa cultura.

Peppe Nappa: maschera di origine siciliana

deve il suo nome alle parole "Peppi", diminutivo dialettale di Giuseppe, e "nappa", che significa toppa dei calzoni, cosicché "Giuseppe toppa nei calzoni" sta ad indicare

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un "uomo da nulla". Il costume di scena era costituito da un ampio abito azzurro, formato da casacca e calzoni e un cappellino di feltro sul volto privo di maschera e di trucco. Caratteristica peculiare del personaggio è la fame insaziabile, unita ad una smisurata golosità, che fa della cucina il suo ambiente favorito e del cibo il suo primario interesse. Nelle trame egli ricopre la parte del servo, pigro e infingardo, ma capace di stupire il pubblico con guizzi di inaspettata agilità. Dosseno proviene dalla tradizione latina della fabula atellana (farsa popolare, originaria della città di Atella, irriverente e sboccata, caratterizzata dalla presenza di tipi fissi, fortemente caratterizzati nell'aspetto e nel comportamento), Dosseno deve il suo nome ad una caratteristica fisica, la gobba, che risponde anche ad un atteggiamento dell'animo. La gobba era segno di malizia e abilità nel raggiro, nella truffa. Ladro, avido e imbroglione, giovane o vecchio che sia, Dosseno viene sempre rappresentato come brutto e goffo, facile alle battute grossolane e a lunghi discorsi da ciarlatano.

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LA RIVOLUZIONE AMERICANA I domini inglesi in America iniziarono ad ampliarsi progressivamente dal 1583, anno nel quale il grande navigatore Sir Walter Raleigh prese possesso di un territorio dell'America Settentrionale, al quale pose il nome di Virginia, in onore della nubile regina Elisabetta. Nel XVIII secolo questi domini erano costituiti da tredici colonie, per una popolazione totale di circa due milioni di abitanti. A Nord di queste colonie inglesi si trovavano i domini francesi del Canada, ma dopo la sconfitta subita nella Guerra dei Sette Anni (1756-1763), la Francia fu costretta a cederli all'Inghilterra, assieme a vastissimi territori situati ad Occidente dei Monti Alleghany. Proprio verso questi territori la parte più povera della popolazione americana intendeva emigrare per avviare attività agricole intese a migliorarne le condizioni di vita. Questi flussi migratori preoccuparono il governo inglese che temeva scontri con le tribù indiane che abitavano da secoli quelle terre - scontri che avrebbero comportato il mantenimento in zona di un forte contingente militare - costringendolo quindi a limitare seriamente il diritto di immigrazione al di la degli Alleghany, causando il malcontento sia di coloro che intendevano trasferirsi in quelle terre per necessità, sia degli speculatori che intendevano prendere possesso di quei territori per lottizzarli e rivenderli a caro prezzo ai coloni. A questo forte motivo di tensione tra il governo inglese ed i coloni americani se ne aggiunsero presto altri: per risanare le casse dello Stato, prosciugate dalle spese militari sostenute nel corso della Guerra dei Sette Anni, il governo introdusse nuove imposte a carico dei coloni ed iniziò ad applicare con maggior rigore le leggi doganali, tese a limitare il libero commercio degli, armatori americani, a tutto vantaggio della politica mercantile inglese. Naturalmente ciò urtava con gli interessi della borghesia mercantile, industriale e armatoriale americana, che vedeva in tal modo compromessi i sui traffici più redditizzi come ad esempio la distillazione ed il commercio del rum con l'Africa e la conseguente tratta dei Negri. Dietro a questi contrasti di natura economica si celava un contrasto ancora più profondo, ossia l'aspirazione dei coloni all'indipendenza e all'autogoverno, molto sentita dagli Americani, in quanto la maggior parte di loro era costituita da discendenti di quei Padri Pellegrini che un secolo prima avevano lasciato l'Inghilterra per difendere la loro libertà politica e religiosa. L'insurrezione e l'intervento delle potenze straniere Il primo serio problema per gli inglesi si verificò al momento dell'applicazione delle misure tributarie decise dal governo reale. Nel 1765, l'introduzione dell'obbligo della carta bollata per tutti gli atti pubblici e privati scatenò vivaci proteste, soprattutto perchè nella sua applicazione non si era sentito il parere delle assemblee locali, come del resto la stessa legge inglese prevedeva.

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Per perorare la loro causa, i coloni inviarono a Londra Benjamin Franklin, illustre studioso di Boston ed inventore del parafulmine, che riuscì ad ottenere la revoca del decreto sulla carta da bollo. Poco tempo più tardi vennero però promulgati dal governo altri decreti ugualmente lesivi degli interessi americani, che a loro volta, per colpire gli interessi inglesi, cominciarono a boicottare le merci provenienti dalla metropoli ed in modo particolare quelle monopolizzate dai mercanti inglesi, come ad esempio il tè. Fu così che scoppiarono i primi tumulti. Nel dicembre del 1773 una folla di popolani che si era riunita nel porto di Boston, gettò in mare una gran numero di casse di tè e di altre merci provenienti dall'Inghilterra accatastate sulle banchine del porto: questo incidente fu l'origine dello scoppio della Guerra d'Indipendenza Americana. Per reprimere la rivolta di Boston, il governo invio l'esercito, ma le truppe inglesi vennero sorprendentemente sconfitte nel 1775 a Lexington, da un esercito improvvisato di artigiani. Nel frattempo a Philadelphia si radunò un congresso delle colonie che reclamava il rispetto dei diritti tradizionali. A questo punto, la situazione già molto tesa si inasprì fino la punto che, visto fallito ogni di accordo, i delegati delle tredici colonie, il 4 luglio 1776, sottoscrissero a Philadelphia una dichiarazione d'indipendenza, che prevedeva lo scioglimento di tutti i legami di sudditanza verso la monarchia inglese. La dichiarazione, compilata dal democratico Jefferson, era stata redatta secondo le idee dell'epoca ed iniziava così: "Tutti gli uomini sono stati creati uguali: che il Creatore li ha investiti di certi diritti inalienabili; che tra questi diritti, sono la vita, le libertà e la ricerca della felicità...". In palese contraddizione con tali principi, essi vennero proclamati da uomini nel cui paese vigeva ancora la schiavitù sui Negri e si combattevano i pellerossa come bestie feroci: tale contraddizione vizia ancora attualmente la vita pubblica americana. Per sostenere in modo adeguato i propri diritti, le tredici colonie approntarono un esercito, il cui comando venne affidato a George Washington, uomo capace e dotato di una buona esperienza militare, avendo combattuto con gli Inglesi nella guerra contro la Francia. Inizialmente l'esercito americano subì alcune sconfitte a causa delle poche disponibilità finanziarie per le spese militari. A seguito di queste sconfitte, nel 1776 New York e, nel 1777 la stessa Philadelphia, sede del congresso americano, caddero in mano agli Inglesi. La prima significativa vittoria dell'esercito americano avvenne ad opera del generale Gates, che sorprese e sconfisse gli inglesi a Saratoga, nel 1777. Questa vittoria segnò una svolta nel conflitto: le principali potenze europee, la Francia in particolare, si resero conto che, con un adeguato appoggio, le colonie sarebbero state in grado di fronteggiare l'Inghilterra, e adottarono una condotta più risoluta. Nel 1778 la Francia scese in guerra, imitata nel 1779 dalla Spagna e dall'Olanda. Su ispirazione della Zarina di Russia Caterina II, venne fondata la Lega dei Neutri, che aveva lo scopo di imporre all'Inghilterra il rispetto della neutralità dei paesi che ne facevano parte, pretendendo che gli inglesi rinunciassero a perquisire in mare le navi neutrali. L'Inghilterra, isolata diplomaticamente, si trovava quindi esposta al pericolo dell'intervento nel conflitto di alcune tra le più importanti potenze dell'epoca, proprio nel momento in cui i ricchi commercianti londinesi chiedevano al

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Parlamento la fine della guerra, il cui prolungarsi aveva comportato l'interruzione del lucroso commercio con le colonie americane. Nel frattempo, l'esercito americano otteneva altre importanti vittorie, grazie anche al notevole aiuto della flotta e al corpo di spedizione francese e ai numerosi volontari giunti dall'Europa, fra i quali si segnalarono per il loro valore l'eroe polacco Tadeusz Kosciuzko ed il marchese Lafayette. Il 19 ottobre 1781, il generale Lord Cornwallis, accerchiato dalle truppe franco-americane nella località di Yorktown, fu costretto a capitolare. Questa battaglia segno la fine della Guerra d'Indipendenza Americana. Nel 1783 si conclusero a Parigi le trattative di pace che sancirono l'indipendenza delle tredici colonie, la restituzione alla Francia del Senegal e di parecchie isole delle Antille, mentre alla Spagna vennero cedute Minorca e la Florida. La nascita degli Stati Uniti d'America Ciascuna delle tredici colonie americane desiderava la propria indipendenza da un potere centrale e per questo motivo trascorsero quattro anni prima che si potessero gettare le basi per uno Stato federale: ciò avvenne nel 1787 a Philadelphia, dove alla Convenzione presero parte i rappresentanti delle diverse colonie. Dalla convenzione uscì la costituzione degli Stati Uniti d'America, che riconosceva l'esistenza dei singoli Stati (le ex tredici colonie), demandando al Governo federale la trattazione delle materie d'interesse generale. Ogni Stato inviava i propri rappresentanti al Congresso federale composto da due camere: il Senato, del quale facevano parte due rappresentanti per ogni Stato, e la Camera dei rappresentanti, eletti in proporzione alla popolazione di ciascun Stato, dai cittadini che disponevano di un certo reddito. Il potere esecutivo spettava al Presidente degli Stati Uniti, eletto da un numero ristretto di "grandi elettori" rappresentanti degli Stati. Il Presidente nominava i membri del Governo ed era egli stesso responsabile davanti al Congresso. Il potere giudiziario era presieduto da una Corte Suprema, che aveva anche il diritto di decidere sulla costituzionalità delle leggi. In questo modo nella costituzione degli Stati Uniti veniva rispettato il principio della divisione dei poteri. Tuttavia non si trattava di una Costituzione democratica: ai Negri, che rappresentavano circa un quarto della popolazione americana, non veniva riconosciuto alcun diritto civile nè umano; Le tribù indiane venivano trattate alla stregua di bestie feroci da eliminare al più presto; anche la maggior parte della popolazione bianca non aveva diritto al voto, in quanto questo era riservato solo ai ricchi. Fin dalla loro nascita, gli Stati Uniti furono quindi il dominio di una nuova nobiltà: la nobiltà del dollaro.

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L’IMPERO BRITANNICO L’unione del regno 3 atti di unione dal 500 all’inizio 800 hanno cementato i rapporti legali, politici ed economici tra la dominante Inghilterra e la periferia celtica (Galles, Scozia, Irlanda). 800 governo diretto in tutte queste regioni da parte del parlamento di Westminster. • Galles, Atto di unione 1536 (disuguaglianza fra gallesi e inglesi, perché i gallesi erano privati di molti diritti di cui godevano invece gli inglesi). • Scozia, Atto di unione 1603 (unione della corona inglese con quella inglese degli Stuart). Atto di unione del 1707 priva la Scozia del suo parlamento. La Scozia anche dopo l’annessione mantenne il proprio sistema giudiziario, la propria chiesa nazionale e un proprio sistema scolastico. • Irlanda, Atto di unione del 1801 (nonostante ribellione irlandese guidata da Wolfe Tone nel 1798.) scioglimento del parlamento irlandese. Politica di decattolicizzazione dell’Irlanda attraverso la “plantation” inglese (emigrazione e colonizzazione inglese) dalla metà del 500 e per tutto il 600. In tutto il regno, i protestanti non conformisti e i cattolici furono esclusi dalle cariche pubbliche dal Corporation Act del 1661 e dal Test Act del 1673 e 1678 Quando Inghilterra perse contro la Francia nella guerra dei 7 anni nel 1763, le nuove acquisizioni coloniali conferirono all’impero un’identità assai meno protestante. Rapporto con la periferia celtica divenne sempre più una storia di dominazione e di stretta vigilanza, in parte per garantire la stabilità interna e in parte per difendere i più lontani avamposti dell’impero. Rivoluzione americana aveva provocato il dissesto dell’economia irlandese inglesi si erano rifiutati di attenuare le restrizioni/tasse gli irlandesi risposero rifiutandosi di importare manufatti inglesi Declaratory Act abrogato e nel 1782 parlamento irlandese si riforma e riunisce per sedare lo scontento della popolazione. dopo 20 anni viene di nuovo sciolto. Dato il malcontento della popolazione sempre più privata dei suoi diritti civili e delle sue proprietà gli inglesi mantenevano una forte presenza militare, e spettava agli irlandesi mantenerli economicamente. Catholic Emancipation Act 1829, diritto di voto viene esteso ai cattolici Scozia, frattura sociale: gli abitanti delle Lowlands tendevano a giudicare male quelli delle Highlands, visti come selvaggi. Divisione lungo le linee di classe contribuì a consolidare la presenza coloniale 1832 Parlamentary Reform Act. Gli sviluppi espansionistici e aggressivi furono la diretta conseguenza della volontà inglese di salvaguardare sia la sua successione protestante sia il suo vigoroso commercio coloniale. Gran parte delle azioni militari che impegnarono l’Inghilterra nel 600/700 furono intraprese per assicurarsi la libertà dei mari Navigation Acts, solo navi costruite in GB e dotate di equipaggi britannici potevano trasportare le merci nei porti britannici.

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Schiavi, negrieri e mercanti Possedimenti atlantici (America settentrionale, Indie occidentali) commercio transatlantico degli schiavi impiego degli schiavi nei possedimenti coloniali europei. La tratta di schiavi che rifornì di manodopera i caraibi e l’America settentrionale presentò alcuni caratteri distintivi: dimensioni enormi, trasporto di schiavi molto più lontano dai loro paesi di origine, atipica nella sua specificità razziale. impiego massiccio nella produzione agricola 600/700 la manodopera nera sostituì gradualmente nelle colonie britanniche quella precedente costituita da emigrati bianchi, spesso irlandesi. I braccianti/ servi assunti con un contratto di “indenture” erano vincolati per un numero di anni stabilito, finché non ripagavano al padrone il viaggio tramite il lavoro. 1807 traffico degli schiavi fu abolito nelle colonie britanniche. Fine del 700 le colonie schiaviste britanniche approvarono una serie di provvedimenti legislativi che però sancivano una totale assenza di diritti degli schiavi (schiavi come beni mobili). Nel corso del 600 UK aumentò la sua presenza nelle indie occidentali, con l’obbiettivo di indebolire la potenza spagnola nell’area e per competere con i portoghesi nella produzione di zucchero. acquisizione della Giamaica nel 1655 (più importante fonte britannica di zucchero). Verso la fine del 600 in Europa cominciò a farsi strada un sentimento antischiavista e crebbe rapidamente nel tardo 700 in UK. Il primo disegno di legge per l’abolizione del traffico degli schiavi approdò in parlamento nel 1791, ma fu respinto. GB abolì il commercio degli schiavi nel 1807 e solo nel 1833 il parlamento britannico approvò la legge sulla loro emancipazione. (la schiavitù venne ufficialmente abolita ne 1834 ma gli schiavi erano costretti a lavorare per altri 7 anni per il padrone per cibo e vestiti). A partire dalla metà del 600 i Navigation Acts regolamentarono il commercio coloniale assicurando che le merci provenienti dalle colonie britanniche fossero trasportate esclusivamente su navi britanniche e dirigendo tutte le esportazioni attraverso la Gran Bretagna. Nel 700 ci fu molta rivalità imperiale. Susseguirsi di operazioni di violenza navale e militare tra potenze europee rivali (Francia, Spagna e GB principali aggressori). Impero britannico si ampliò molto con il trattato di Parigi del 1763 dopo la guerra dei 7 anni con la Francia. La colonizzazione del nuovo mondo Le colonie atlantiche che poi sarebbero diventate l’America si svilupparono parallelamente a quelle caraibiche. Nel corso del 600 sempre più emigranti GB lasciarono il paese verso l’America. crescente numero di schiavi deportati per lavorare nelle terre americane. Passaggio a nuovi metodi agricoli (da agricoltura semistanziale dei nativi alla dipendenza dal commercio e dai mercati) modificare i ritmi delle loro migrazioni stagionali. Nativi con indebolite capacità di sopravvivenza di fronte all’America coloniale. Gran parte dei conflitti tra coloni e nativi furono il risultato di una radicale differenza nei rapporti con: terra, confini violenze e incursioni. tensione fra GB e nativi cresceva alimentata dal ruolo delle indie

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occidentali nell’impero e dalle insoddisfazioni all’interno dell’impero. Francesi continuavano a dominare la produzione dello zucchero. 1764 Plantation Act che ripristinava i dazi dello zucchero straniero importato, i dazi erano meno pesanti ma c’era scontento comunque perché era solo una riedizione del Molasses Act del 1733. - 1765 Stamp Act imponeva imposta di bollo su ogni tipo di transazione commerciale e legale malcontento - 1766 un Declaratory Act sancì che GB poteva imporre qualunque tipo di tassa ritenesse necessaria alle colonie. Massachussets Governement Act, Coercive Acts del - 1774 supremazia politica di GB sulle colonie. Quebec Act (Conflitto fra GB e Francia nei Caraibi fu motivato dalla rivalità commerciale per il controllo dello zucchero.) Due congressi continentali del 1774-75. In quello del 75 venne firmata la dichiarazione di indipendenza. Nel 75 iniziò la guerra di indipendenza che nel 81 i britannici capirono di non poter vincere 1783 trattato di Versailles in cui GB perde alcune colonie dandole alla Francia, ma a sua volta Francia e Spagna restituiscono alcuni territori a GB. UK acquisì rapidamente nuovi territori in altre regioni del mondo e nel corso dell’800 accrebbe i suoi possedimenti coloniali. (la sconfitta nella guerra di indipendenza americana fu una delle pochissime che la UK subì nel 700). Non tutte le colonie atlantiche vennero perse nel 1783; molti coloni americani fuggirono verso il Canada rimasto fedele alla corona inglese che divenne un’importante area di sperimentazione di governance coloniale. Fine del 700 GB aveva perso gran parte delle sue colonie nordamericane, ma aveva comunque moltissimi altri possedimenti sparsi in vari continenti e con una moltitudine di lingue, tradizioni e religioni diverse. Declino dell’importanza delle colonie caraibiche interessi imperiali britannici si spostano in Asia. Nuove settler colonies bianche sorte nel pacifico (Australia, Nuova Zelanda) nel 1860 avevano già forme di autogoverno, diverso ruolo politico di quelle 13 colonie americane. Australia colonia penale, prigione dell’impero. Era un ibrido. Colonia militare diretta da ufficiali di marina ma retta da un sistema legale civile, in base al quale i prigionieri erano stati condannati in patria. Speranza di trasformare criminali in una produttiva avanguardia coloniale e preparare la terra per futuri insediamenti. I governi delle colonie australiane saranno fra i primi ad accordare il diritto di voto alle donne perdita di territori di caccia degli aborigeni, emarginati, confinati, giudicati primitivi. Aborigenal Protection Acts si preoccuparono di controllare piuttosto che tutelare gli aborigeni. Australia si sviluppò come una società altamente urbanizzata. Nuova Zelanda, 1840 trattat di Waitangi, diventa un protettorato. Acquisì una costituzione federale e un’assemblea generale nel 1852, e le due isole (nord sud) vennero unite in un unico stato nel 1876. Asia sud orientale dominata dagli olandesi. Inglesi con le guerre napoleoniche conquistarono molti possedimenti olandesi nella regione malese. periodo dalla guerra di indipendenza alla fine delle guerre napoleoniche fu un momento di grandi acquisizioni coloniali per GB.

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Colonia del capo (Sud Africa) unica settler colony che non aveva un autogoverno responsabile. GB aveva occupato sud africa nel 1795 per impedire ai francesi di farlo prima di loro. Quando la colonia fu data alla Gran Bretagna i boeri (olandesi) che si erano insediati prima e che vivevano lì divennero sudditi britannici. - Settler colonies= colonie di insediamento. Quelle in cui i colonizzatori europei occupavano il paese e sottraevano il suo territorio alle popolazioni indigene, emarginandole/distruggendole. - Dependent colonies= colonie di sfruttamento. India/Nigeria. Quelle in cui la presenza dei colonizzatori era limitata a gruppi mercantili e al personale amministrativo militare necessario a garantire l’ordine/sicurezza interni. Spagna vs UK soprattutto per Gibilterra. Ceduta a GB con il trattato di Utrecht nel 1713. La Gran Bretagna in India India ha sempre rivestito un ruolo centrale negli interessi coloniali britannici. India era un mosaico di religioni, culture, lingue diverse, c’erano dinastie locali che regnavano su territori piccoli e grandi, india settentrionale e centrale era dominata dai moghul. Nel 600 i mercanti europei esercitavano il commercio in Asia grazie al permesso dei sovrani locali. Compagnia delle indie aveva il monopolio dei commerci britannici con l’Oriente e aveva l’autorizzazione di avere negoziati direttamente con i sovrani locali. Guerre anglo birmane 1823-26.1886 annessione di parti della Birmania a GB e all’inizio dell’800 GB conquista Mauritius, Giava e altre territori strategici sulla rotta per l’India (Singapore, Seichelles) più Malta, Capo di Buona Speranza. Cina strettamente collegata con la compagnia delle indie perché gran parte del ricavato in india della compagnia avveniva per la vendita dell’oppio coltivato in India. Dopo la sconfitta dei moghul nel 1757 l’espansione dell’India britannica ebbe veramente inizio. Compagnia seppe trarre vantaggio dall’estradizione dei francesi e dal declino del sempre più frammentato impero moghul. 1765 trattato di Allahabad la compagnia si assicurava il diritto esclusivo di esazione delle imposte per conto dell’imperatore del Bengala. intensificazione del ruolo fiscale della compagnia. Corruzione e abuso di potere nella compagnia portarono al Regulating Act del 1773 autorità del governo sulle attività della compagnia. 1783-84 India Act approfondiva il precedente provvedimento legislativo e dava più importanza e potere alla presidenza del Bengala passaggio di poteri dalla compagnia al governo 1858. In India ciascuna presidenza aveva il suo esercito di sepoy comandati da ufficiali britannici. Abolizione della schiavitù nel 1833 - 1813 si rinnovarono i monopoli della compagnia e gli unici monopoli che ebbero furono quello dell’oppio e del sale. 1833 vinse il laissez-faire e Cina e India erano completamente aperte al commercio privato.

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Le misure riformatrici britanniche implicarono quasi sempre una critica di quelle che erano viste come idee o consuetudini tipicamente indiane e introdussero valori e comportamenti cari alla cultura britannica. riforme indice di un declinante ruolo della compagnia e del crescente interesse del governo centrale nei confronti dell’India. Oppio fra Cina e India: ostilità del governo cinese scoraggiò la produzione indiana e costrinse la compagnia a cercare sistemi per aggirare le leggi emanate per fermare il narcotraffico. Prima delle 2 guerre dell’oppio scoppiò quando i funzionari doganali sequestrarono e distrussero carichi di oppio al loro arrivo al porto. GB protestò bombardando diversi porti e siti commerciali cinesi. Strappò ai cinesi varie concessioni commerciali e la colonia di Hong Kong. Pria guerra dell’oppio 1839-1842. - 1842 trattato di Nanchino pose fine alla guerra ma non fece nessun riferimento all’oppio. Fine del monopolio dell’oppio da parte della compagnia nel 1833. Seconda guerra dell’oppio 1856-60. Commercio di coca venne legalizzato con dazi formali. - 1845 occidentalizzazione dell’india con costruzione di ferrovie, navi a vapore e canali di irrigazione, progetti per università indiane, modifiche nell’esercito e nel 1854 istituzione di un servizio postale. Rivolta dei sepoy con i loro comandanti inglesi great mutiny del 1857. Risultato dell’ammutinamento fu l’esautorazione della compagnia e il trasferimento delle sue funzioni/diritti al governo diretto britannico Governement of India Act 1858. UK dal 1858 dominava la colonia più grande fra quelle degli altri paesi europei e aveva un impero vasto e variato. Crescita globale Nel corso dell’800 GB aggiunse 25 milioni d km quadrati ai suoi possedimenti e 400 milioni di sudditi. Passaggio al governo diretto in India nel 1858, occupazione Egitto nel 1882 e la concessione di statuti privilegiati a delle compagnie commerciali in Africa caratterizzano la seconda metà del secolo. L’ 800 era di crescita coloniale, economica, commerciale. • Settler colonies • Territori conquistati con le armi • Territori concessi a UK dai sovrani • Luoghi in cui GB consigliava i governi locali • Luoghi nella sfera di influenza britannica ecc.. • Autogoverno responsabile nelle colonie in Canada • Colonie considerate abbastanza mature avevano la possibilità di legiferare su questioni di politica interna ecc e furono smilitarizzate nel 1870. Colonial Laws Validity Act 1865 conferì a UK il diritto di invalidare qualsiasi legge approvata dalle assemblee coloniali che fosse in conflitto con le norme legali britanniche.

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Thailandia, Bahrein, Oman, Muscat trattati con questi stati/sultanati nel corso del secolo. Egitto: dal 1885 in poi GB aveva particolari interessi in Africa (Sierra Leone, Gambia, Costa d’Oro già conquistate precedentemente).anno 1891 fu un anno di fuoco sul versante coloniale e diplomatico. Ci furono trattati fra i paesi europei per spartirsi l’Africa. Conferenza di Berlino del 1884 convocata da Bismarck fra potenze coloniali europee e USA. Fissare i principi guida della conquista europea dell’Africa. - 1870 UK grande depressione a causa dei dazi proibitivi a scopo protezionistico degli altri stati che intaccavano il progetto britannico del libero scambio. chiaro che GB non avrebbe mai più recuperato la sua posizione dominante a livello industriale e commerciale. solo Chamberlain con i suoi progetti (anche se utopistici) riaprì l’argomenti delle colonie - 800: intero secolo fu un’età di grande espansione globale in cui l’impero garantì a GB una potenza politica e commerciale del tutto sproporzionata a un’isola delle sue dimensioni e dotata delle sue materie prime attività produttive. Nell’800 per GB un futuro non coloniale/imperialistico era un’idea improponibile. Governare un impero Malgrado i nobili sforzi di Chamberlain, la costante tensione fra quanti possedevano un’esperienza locale e chi no, e fra la potenziale continuità e l’esigenza di rispondere alle mutevoli politiche di Westminster, rese il governo imperiale un’attività faticosa e imprevedibile. Gran parte del governo imperiale imposto era pragmatico e ad hoc per ogni colonia. Missionari cristiani avevano fondato dal 700 in poi delle piccole società cristiane missionarie in giro per le colonie. Missionari denunciavano lo sfruttamento inglese delle popolazioni indigene. Vissero e lavorarono fra le popolazioni locali, costruendo scuole/ospedali/rifugi con lo scopo di diffondere il vangelo cristiano fra i sudditi dell’impero. Unico canale di penetrazione di servizi medici/scolastici occidentali nelle are più remote. Scuole ridussero il livello di analfabetismo. Essere governati Alla fine degli anni 20 in GB tutti gli adulti di ambo i sessi godevano del diritto di voto, mentre le amministrazioni delle colonie della corona e dei protettorati non erano nemmeno elettive, ma designate. I ruoli chiave nel governo erano ricoperti da funzionari britannici. questo tipo di governo antidemocratico e verticistico fu responsabile della nascita/crescita di movimenti nazionali sti anticoloniali in tutto l’impero. Principio di autogoverno delle settler colonies bianche aveva concesso il diritto di voto per l’elezione delle assemblee legislative ai cittadini di sesso maschile di almeno 21 anni e dotati dei necessari requisiti di proprietà. (con eccezioni di Nuova Zelanda, e colonia del Capo, questi diritti furono negati agli indigeni). I

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responsabili del governo britannico cercarono sempre di mantenere rapporti con le élite locali mantenimento delle tradizioni conservatrici. Città coloniali separarono le aree residenziali indigene da quelle europee. (in Cada e Australia soprattutto gli indigeni furono costretti a vivere nelle riserve. Aborigenal Protection Ordinances nelle colonie australiane conferivano all’ufficio del protettore degli aborigeni ampi poteri di fissare i confini degli spazi a loro riservati pass laws erano leggi che permettevano di perseguire chiunque fosse trovato al di fuori di tali confini). Il principio chiave della legislazione che regolava i rapporti padrone-dipendente era ispirato a un’iniqua disparità di trattamento che rendeva i datori di lavoro inadempienti passibili di azione civile e i loro dipendenti possibili di azione penale. Nelle settler colonies la manodopera bianca rifiutava di lavorare con gli indigeni la disponibilità di lavoro per gli indigeni era maggiore nelle zone in cui gli insediamenti bianchi erano più cosparsi sul territorio. La terra, nella maggior parte delle colonie, fu vista solo in termini di profitto, con effetti devastanti per le popolazioni autoctone e non solo in termini di opportunità di lavoro. La diffusione delle malattie era agevolata dalla mancanza di strutture sanitarie a disposizione delle popolazioni locali. I medici indigeni che si trovavano di fronte a patologie sconosciute non erano in grado di combatterle. Dopo l’abolizione del commercio degli schiavi, molti dei neri liberati dalle navi negriere vennero raccolti nella città di Freetown, nella colonia libera della Sierra Leone. L’impero britannico fu permeato da una profonda disuguaglianza tra colonizzatori e colonizzati. Piccoli gruppi elitari, uniti ai britannici, vennero incoraggiati, ma per la gran parte dei colonizzati le conseguenza del dominio coloniale di rivelarono negative. privati delle loro terre, condannati a ruoli subalterni, limitati nelle loro libertà di movimento, le loro comunità vennero ridimensionate e allontanate dai territori originari. Disparità nella distribuzione della ricchezza/potere/privilegi alimentazione dei movimenti anticolonialisti in tutto il mondo coloniale. Genere e sessualità L’impero fu dominato dagli interessi di colonizzatori di sesso maschile. Concetto di due mondi separati: • Pubblico (uomini) convinzione che gli uomini fossero più adatti alla sfera pubblica; • Privato (donne) si pensava che le donne fossero più adatte alla sfera privata. L’arrivo in alcune parti dell’impero di un maggior numero di donne coincise con alcuni mutamenti sociali, la crescita della popolazione femminile fu legata al fatto che tali mutamenti erano già in corso. Espansione ottocentesca dell’impero e la crescente complessità della burocrazia coloniale richiesero una più consistente presenza stabile britannica. maggioranza delle donne presenti nelle colonie era legata da vincoli familiari agli uomini che vi erano stati destinati.

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Crescente presenza delle donne nelle colonie britanniche aumento numero di bambini mutamento delle condizioni abitative (i funzionari delle settler colonies incoraggiarono l’emigrazione di giovani donne nubili in Canada e Australia sperando di trasformare queste società di rudi pionieri in comunità rispettate e disciplinate). Quando il colonial service nel 1937 cominciò ad ammettere un esiguo numero di donne nel civil service, molti uomini non furono d’accordo. Le donne che raggiunsero alti livelli nella scala gerarchica riconobbero le barriere create loro dal sesso. Nel corso degli anni, la tolleranza nei confronti del concubinaggio fra i colonizzatori e le donne locali si ridusse a causa del maggior numero di donne britanniche che si trasferivano dalla GB nell’impero e anche a a causa delle crescenti preoccupazioni circa i figli generati da unioni miste, spesso oggetto di considerevoli discriminazioni. Le donne bianche lavorarono, tanto nelle settler che nelledependent colonies. Nelle colonie bianche ottocentesche le loro occupazioni ricalcarono quelle che svolgevano nella madrepatria, limitandosi al servizio domestico/settore commerciale/servizi. Nelle dependent colonies le donne bianche che lavoravano, pur essendo in minoranza, erano viste come il fumo negli occhi dei funzionari coloniali. Le occupazioni disponibili erano molto poche, e pertanto le donne bianche di concentravano spesso in bar/alberghi/bordelli. • Lo squilibrio numerico tra uomini e donne prodotto dalle esigenze dell’economia coloniale; • Diverse visioni dei ruoli e dei comportamenti sessuali; • Definizione di famiglia; • Ciò che uomini e donne dovevano/potevano fare tutti fattori che resero le considerazioni di genere un oggetto in continua negoziazione e una questione centrale nelle colonie. Non si trattò di un a materia secondaria, ma di un principio organizzativo chiave nella costruzione e conservazione del dominio coloniale. Contestare l’impero L’impero britannico raggiunse la sua massima estensione territoriale dopo la fine della prima guerra mondiale, grazie all’aggiunta dei territori conferiti come mandati al Regno Unito delle Società delle Nazioni. Sviluppo di movimenti anticoloniali nell’impero. Nell’800 le rilevanti modifiche apportate ai confini europei produssero le moderne nazioni di Italia e Germania, e la prima guerra mondiale alterò profondamente la mappa dell’Europa centrale e orientale. Questi cambiamenti furono risultato di attività militari/imperiali, mail consolidamento delle identità nazionali avvenne anche dietro la spinta di un forte sentimento popolare. In un’era in cui le potenze imperiali occidentali adottavano forme sempre più democratiche di governo, la totale mancanza di rappresentanza indigena nella maggior parte delle colonie apparve sempre più in contrasto con il clima politico. 800 = fenomeni anticoloniali liquidati come casi isolati 900 = sempre più difficile negare le spinte nazionalistiche

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via via che i movimenti di liberazione delle colonie acquisirono nuove strategie politiche/strutture efficienti. Inizio 900 due conflitti che impegnarono GB: • Guerra anglo boera (1899-1902) in Sud Africa in cui la vittoria di GB non era stata affatto scontata; • Prima guerra mondiale (1914-1918). Destabilizzò molti rapporti all’interno dell’impero. Forte affidamento sulle truppe coloniali, ma i dominions protestarono. nel 1917 accogliendo una delle istanze dei dominions, il governo di Londra convocò una conferenza di guerra a cui parteciparono i leader dei dominions, anche se il controllo di operazioni belliche e militari rimase nelle mani del governo centrale. La coscrizione (introdotta in UK nel marzo 1915) fu estesa all’Irlanda nel 1918, e divenne esecutiva quando ormai la guerra stava finendo. Il grado di rappresentanza concesso ai dominions durante la guerra non venne esteso anche alle dependent colonies. 1920 Governement of India Act istituiva un sistema di diarchia, ossia una partecipazione condivisa angloindiana al governo delle maggiori province, assegnando agli indiani il portafoglio di 3 su 7 ministeri. La legge allargava l’elettorato questi cambiamenti erano superficiali e solo apparenti, e i nazionalisti ne erano consapevoli. disordini a sfondo nazionalista crebbero negli anni 20/30 promulgato Governement of India Act nel 1935 che cercò di placare i nazionalisti, mantenere relazioni cordiali con i principi indiani. Estate 1945 i leader del congresso vennero rilasciati dal carcere, indipendenza dell’India era inevutabile. Crescente violenza tra induisti e musulmani, disordini nazionalisti trasferimento di potere partizione dell’ex India britannica in due stati: • Unione indiana • Repubblica islamica del Pakistan Entrambi con lo statuto di dominions nell’agosto 1947. Nuova costituzione che concedeva una limitata misura di autogoverno, ma con tante restrizioni comunque. India e Irlanda erano i due scenari più famosi di movimenti nazionalisti fra le due guerre mondiali. Anche nell’Africa subsahariana le attività anticoloniali stavano prendendo piede. (Indipendenza dell’Egitto 1922, ma GB mantiene il controllo del canale di Suez e della politica estera). Per i popoli soggetti a dominio imperiale, il nazionalismo significava la possibilità di affrancarsi dall’autorità coloniale e ottenere l’indipendenza e l’autogoverno. Critiche al colonialismo venivano sollevate anche al cuore del potere imperiale e nei circoli a esso più vicini, dove lo schieramento di quanti propugnavano la fine dell’impero si contrapponeva a quello di quanti ne auspicavano la riforma. Anche se il marxismo privilegiò una lettura del colonialismo in termini economici e di classe, altri fattori di disgregazione entrarono in gioco a livello coloniale. Il divario fra ricchi e poveri, tra possidenti e spossessati contribuì in misura rilevante ad acuire il malcontento nelle colonie. Discriminazioni raziali (Settler colonies africane, i bianchi avevano diritto alle migliori terre disponibili).

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Fattori dell’escalation di nazionalismi anticoloniali novecenteschi: • Risentimento suscitato dalle discriminazioni raziali • Presenza di governi coloniali inetti • Governi insensibili • Ghettizzazione/isolamento degli indigeni Nella seconda metà del 900 lobbisti indigeni chiedevano pari diritti per gli indigeni. La decolonizzazione Il nazionalismo anticoloniale ebbe un ruolo rilevante nel processo di decolonizzazione che dominò la politica dell’imperialismo dopo la seconda guerra mondiale. Problemi globali ruolo importante nel determinare come e dove la UK colonizzava e il modo in cui manteneva i suoi possedimenti e la propria posizione. La decolonizzazione fu un fenomeno globale che si articolò in 3 fasi: 1. Tardi anni 40 del 900. Conquista dell’indipendenza riguardò prevalentemente i paesi dell’Asia meridionale 2. Fine anni 50, inizio 60 del 900. Gran parte dell’Africa divenne indipendente 3. Fine anni 60 e anni 70 del 900. GB rinunciò alle colonie che ancora restavano a est di Suez e altrove, a seguito della persistente debolezza economica che la stava affliggendo. Il conflitto mondiale aveva impresso un accelerazione al progresso tecnologico, mutato le alleanze politiche e trasformato radicalmente le strutture economiche. Difficoltà e costi della guerra. Economia e industria erano state messe sotto pressione dalla concorrenza delle altre potenze industriali. Profondo coinvolgimento della guerra fredda nella politica e nell’economia dell’imperialismo ebbe effetti profondi sulla decolonizzazione britannica. Per tutta la guerra fredda il mondo coloniale fu uno scenario in cui occidente e URSS si scontrarono, e in cui la stessa URSS incoraggiava l’anticolonialismo (per destabilizzare il blocco capitalista). Nel 1961 la GB chiese l’ammissione alla CEE mossa che evidenziava il suo crescente sganciamento dagli stretti legami con le sue colonie. Francia oppose il proprio veto sull’ingresso di UK nella CEE e fece la stessa cosa nel 1967 UK entrò nella CEE solo nel 1973. Le condizioni inflazionistiche che UK creò nelle colonie contribuirono a incrementare l’opposizione anticoloniale. Politiche economiche fallimentari. Durante la guerra, GB promise autonomia a Malta e Ceylon (Ceylon ottenne indipendenza nel 1948, Malta autogoverno interno 1947. Nel 1959 venne reintrodotto il dominio diretto inglese a Malta). Mandato sulla Palestina si era rivelato un campo minato diplomatico e la regione fu ulteriormente destabilizzata dalla ribellione dell’esercito contro i britannici scoppiata nell’ex mandato in Iraq nel 1941. Proteste operaie e scioperi paralizzarono molte colonie africane, Cipro fu teatro di una rivolta nel 1939, e in India successiva ondate di protesta allarmarono le autorità. Occupazione

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giapponese delle colonie britanniche nell’Asia sud-orientale. Partizione dell’India nel 1947 e la proclamazione dello stato d’Israele 1948. Pakistan e India continuarono a contendersi il Kashmir. Palestinesi e israeliani continuano a morire ogni giorno vittime della reciproca violenza. Crisi di Suez è spesso considerata come il punto di svolta che accelerò il processo di decolonizzazione e aprì la seconda fase (iniziata nel 1957) con l’indipendenza del Ghana. Episodio di Suez mette in luce il complesso intreccio di legami che caratterizzò la decolonizzazione. • Trattato anglo-egiziano 1936 (GB si era impegnata a ritirare le sue truppe da Egitto, con l’eccezione della zona del canale di Suez. Ma lo scoppio della guerra nel 39 fece sì che i britannici rimandarono l’operazione) nemmeno dopo la fine della guerra l’impegno fu onorato, nel 52 Nasser guidò un colpo di stato che spodestò Re Faruq, considerato un amico troppo fedele della GB. ultime truppe di GB lasciarono Egitto nel 56. • Per sostituire Egitto, GB in primo luogo scelse Iraq (già indipendente dal 32) come alleato principale nel medio oriente. Quando cercò di convincere la Giordania a firmare il patto di Baghdad che aveva sottoscritto nel 55 con Iraq e Turchia, Nasser organizzò proteste antibritanniche e nazionalizzò il canale di Suez. • USA non diedero disponibilità di appoggio militare nella regione GB negoziò segretamente con Francia e Israele: Israele avrebbe attaccato Egitto, e GB e Francia avrebbero dato un ultimatum per il cessate il fuoco, che Egitto avrebbe di sicuro rifiutato. Questo rifiuto sarebbe stato il motivo per cui GB poteva riattaccare Egitto. ciò accadde tra il 29 e il 31 ottobre 1956. 1965 GB si trovò ad affrontare una crisi drastica riduzione della sua potenza (Rhodesia del Sud si ribellò e divenne indipendente) rapporto Balfour del 1926 definì lo status giuridico dei dominions come comunità autonome, dotate di pari diritti nell’ambito di una condivisa fedeltà alla corona britannica, e nel 1931, lo status di Westminster sancì la loro parità all’interno del Commonwealth, confermando la loro piena indipendenza legislativa dal parlamento di Westminster. La partecipazione al commonwealth fu circoscritta a quelle settler colonies già dotate di autogoverno. I requisiti di idoneità per l’adesione al commonwealth dovettero essere riconsiderati quando nacquero le nuove repubbliche indipendenti dell’Asia meridionale. 1949 il commonwealth venne ridefinito in modo da placare i dubbi repubblicani e rendere possibile la partecipazione delle nuove nazioni del subcontinente asiatico. (Sudafrica ritirò la propria adesione dal commonwealth nel 61). GB riluttante a usare le armi contro le società bianche, riservando gli interventi militari ai popoli di colore. Cipro rappresenta un’eccezione. (Crescente livello di terrorismo negli anni 50 a Cipro e i suoi legami con l’ex impero ottomano ne fecero un’eccezione). Violente manifestazioni a Cipro, in Malesia e in Kenya pasticcio di Suez rivoluzione irachena del 58 alla GB non restava che rivolgersi al protettorato di Aden (Yemen) dove un nuovo impianto petrolifero in costruzione avrebbe dovuto compensare la nazionalizzazione delle raffinerie britanniche in Iran. A partire dagli anni 50 Aden divenne il quartier generale militare britannico in Medio oriente. GB si ritirò dal

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protettorato nel 67 (decisione del governo laburista, in crisi, di ritirarsi dalle colonie a est di Suez). intenzione di ritirarsi anche dal golfo persico e arcipelago malese indie occidentali britanniche negli anni 60 indipendenti intera Africa britannica aveva ottenuto indipendenza. 1982, poco dopo che nel quadro dei tagli alla difesa decisi dal governo la presenza navale britannica nelle Falkland era stata ritirata, questo avamposto fu invaso dall’Argentina Thatcher rivendicò il territorio e ripristinò il suo potere sulle isole. • Disparità nella distribuzione della ricchezza • Disparità nello sfruttamento delle risorse • Disparità nei livelli di alfabetizzazione • Disparità nell’istruzione • Disparità nell’assistenza sanitaria Tutti questi fattori mantengono le ex colonie asservite alla ricchezza dei paesi più sviluppati, molti dei quali ex potenze coloniali.

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IL SECOLO DEI LUMI Il secolo dei lumi Il secolo diciottesimo, definito il secolo dei Lumi, porta a compimento una evoluzione in senso laico e secolare, che già era in incubazione nel secolo precedente. L’atteggiamento critico nei confronti della tradizione, della Chiesa in quanto strumento di oscurantismo, già professato dai libertini nel Seicento, diviene nel Settecento un fenomeno culturale diffuso. Anche se non coinvolge consapevolmente tutti i ceti sociali, si può a buon diritto sostenere che tale atteggiamento promuove l’affermazione di un nuovo modello umano: da fenomeno culturale esso diviene fenomeno culturale in senso antropologico del termine. La Ragione, o meglio il soggetto dotato di autonoma capacità di indagine sul mondo, ha raggiunto la maggiore età, come sostiene così compiutamente Kant nella sua Lettera sull’Illuminismo (1784), affrancandosi da quello stato di minorità in cui veniva tenuto dall’Autorità. E Autorità è qui da intendersi soprattutto nel senso scolastico del termine, cioè come Auctoritas, proveniente non solo dalle istituzioni, ma anche dai grandi sistemi filosofici del passato, riutilizzati anche in chiave teologica e, quasi tutti, convergenti sull’idea di un ordine universale di cui ci si impegna a scorgere le trame, senza dubitare in qualche modo della sua esistenza. L’Illuminismo rende la cultura occidentale critica nei confronti di questi riferimenti, e, nel bene e nel male, ciò sarà un passaggio obbligato per il definirsi delle peculiarità della civiltà europea contemporanea. Al di là di quanto abbiamo detto, Il secolo dei Lumi si pone come un contenitore di esperienze culturali diverse, assai difficili da catalogare secondo criteri univoci. Questo vale in generale e, segnatamente, per quelle filosofiche. Ottimismo e pessimismo convivono nell’approccio alla filosofia della storia; empirismi più e meno radicali si intrecciano per quanto riguarda la dimensione epistemologica, così come convivono concezioni morali molto distanti tra loro. Diversi fondamenti possibili si vanno ipotizzando anche per quanto riguarda l’estetica, nell’ambito della quale proprio ora si promuove una consapevolezza nuova. Si deve a Baumgarten (1714-1762), rappresentante dell’Illuminismo tedesco, la fondazione filosofica dell’estetica come forma di conoscenza del sensibile, che affianca la conoscenza scientifica, avendo rispetto ad essa una sua peculiarità, quella cioè di essere una conoscenza di elementi che concorrono a formare un insieme, senza poter essere distinti gli uni dagli altri. La bellezza non può che essere colta attraverso una percezione olistica, in cui le singole componenti non sono distinguibili, come invece è prescritto in tutte le altre procedure di conoscenza. In questa direzione proseguirà la riflessione estetica di Kant nella Critica del giudizio (1790).

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Romanticismo e secolo dei lumi L’Illuminismo inglese contribuirà invece al dibattito sull’estetica ponendosi da un altro punto di vista, diverso rispetto a quello sopra citato e riconducendo l’esperienza estetica alla sua radice. Tale radice si identifica con i sentimenti, che possono comprendere piacere e diletto, ma che possono arrivare anche a sfiorare il turbamento che offusca la lucidità intellettuale. In tal senso si indirizza ad esempio la riflessione di Burke (1729-1797) sul bello e sul sublime. Ma l’individuazione di una matrice non del tutto conscia nella produzione e nella fruizione artistica e, nello stesso tempo, anche ambivalente in quanto portatrice di piacere e vertigine, non può essere certo esclusa, a ben vedere, neanche da alcuni ambiti della cultura tedesca, quanto meno dalla significativa esperienza dello Sturm und Drang (1770-1780),con tutto il peso dell’eredità di questo movimento. Approfondisci con alcune opere romantiche intitolate: Viandante davanti al mare di Nebbia e Un uomo e una donna in contemplazione della luna di Friedrich. Il Bacio, episodio della giovinezza, Pietro Rossi e Malinconia di Francesco Hayez. Un intero secolo, un intero continente La collocazione delle idee nello spazio esprime l’influenza delle culture nazionali, i cui protagonisti sono altresì molto spesso dominati da una smania di valicare tali limiti, realizzando quella auspicata coinè intellettuale che li renda cittadini del mondo. L’Illuminismo in Francia, in Italia, in Germania o in Inghilterra nasce tuttavia dai rispettivi humus culturali, di cui recano evidenti tracce che contribuiscono all’originalità di ogni esperienza. Ma anche la collocazione delle idee nel tempo richiede molta accortezza, poiché un secolo determina un arco cronologico sufficientemente vasto da non consentire il tentativo di collocare tutto sotto uno stesso comune denominatore, o comunque sotto etichette troppo consonanti. Insomma l’Illuminismo è una delle fasi più policrome della storia o, quanto meno, della storia della filosofia. Questa consapevolezza costituisce dunque premessa necessaria ad ogni indagine che si indirizzi ad analizzare singoli aspetti. Sulle tracce di un passato che non opprime, ma ispira Per quanto riguarda il Neoclassicismo, inteso sia come canone estetico sia come modello creativo, esso si sviluppa nel Settecento a seguito dei rinnovati contatti con le vestigia della civiltà classica ed ellenistica attraverso la mediazione dei siti archeologi soprattutto italiani, che costituivano una tappa irrinunciabile del “grand tour”. Il “grand tour” rappresentava un percorso di conoscenza e di crescita intellettuale che nobili e borghesi più o meno ricchi solevano compiere viaggiando per l’Europa e ciò era considerato uno strumento quasi indispensabile per la formazione culturale. Tale percorso, che quanto più era articolato, tanto più

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contribuiva allo sviluppo della personalità, non poteva escludere l’Italia, per la sua ricchezza artistica e l’importanza dei suoi siti archeologici, ma poteva spingersi anche fino alla Grecia stessa, culla della classicità. Il secolo dei lumi e il neoclassicismo A Winckelmann (1717-1768), cultore della classicità e pittore lui stesso, si deve l’elaborazione del canone estetico che pone a fondamento della produzione artistica l’equilibrio, l’armonia, la serenità mutuabili dall’arte classica. Anche il neoclassicismo può essere dunque ricondotto alla cultura dell’Illuminismo, come precedentemente l’abbiamo definita: contenitore di numerose esperienze che si connotano autonomamente rispetto ad ambiti teorici e pratici diversi tra loro, accomunati da un unico orizzonte di rifondazione culturale. Approfondisci con le alcune opere neoclassiche intitolate: Venere e Adone e Amore e Psiche di Canova. Edipo e la sfinge e l’Apoteosi di Omero di Ingres. Napoleone al passaggio del Gran San Bernardo e I littori portano a Bruto i corpi dei suoi figli di David. Aurora e Cefalo e Marte e Venere di Andrea Appiani. Modelli estetici e paradigmi epistemologici ed etici La prospettiva dell’arte neoclassica ben si coniuga tuttavia con una delle opzioni epistemologiche che mantenne nel Settecento un grande prestigio e che andrà a confluire anche nella filosofia kantiana. Non si tratta certo di una opzione dominante in senso assoluto, ma sicuramente molto autorevole in quanto legata alla fisica di Newton. Intanto Newton aveva una personalità poliedrica che non esauriva nella scienza il suo approccio con il mondo: egli era grande ammiratore della filosofia greca, considerata come depositaria di grandi intuizioni, tra le quali la visione della natura intesa come espressione di rapporti armonici ispirati all’ordine e alla proporzione. Abbastanza evidente diviene dunque il nesso che collega la convinzione che esista un’intima armonia nella natura, in cui si riflettono leggi matematiche, all’ispirazione dell’artista ad esprimerle e riprodurle nella sua opera. Modelli di comportamento virtuoso nel secolo dei lumi Anche per quanto riguarda i modelli di comportamento virtuoso, soprattutto nella sfera della collettività, l’antichità si costituisce come paradigma, certo con una certa dose di idealizzazione. Ma la riproduzione figurativa della virtù del passato indica sicuramente la volontà di marcare un ambito di virtù laica e civile, evidenziando come sia possibile fondare un modello di convivenza che esuli dalla religione: ciò in contrapposizione con assai meno virtuosi modelli politici ancora vigenti nell’età dei lumi o appartenenti ad un recente passato.

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LA RIVOLUZIONE FRANCESE Una lunga crisi finanziaria che mette in discussione tutto il sistema di privilegi economici e di rappresentanza politica per ordini, tipico dell’antico regime, induce Luigi XVI alla convocazione degli Stati generali. La rivendicazione dei diritti del terzo stato e la conseguente proclamazione dei Diritti universali apre la strada alla prima fase della rivoluzione caratterizzata dall’obiettivo di fare della Francia una monarchia costituzionale. Origini della rivoluzione Cause economiche e finanziarie, politiche e sociali sono all’origine di quel prolungato processo che prende il nome di Rivoluzione francese. Le difficoltà finanziarie si possono far risalire già al regno di Luigi XIV (1638-1715) e alla sua politica di spese ed esenzioni fiscali a vantaggio degli aristocratici, attraverso la quale il sovrano sperava di mitigare il loro costante e pericoloso spirito di indipendenza. Durante il successivo regno di Luigi XV (1710-1774) si aggravano le condizioni di un bilancio che nel 1774 presenta un deficit davvero esorbitante per l’epoca: cinquanta milioni di franchi, causato anche dall’impegno militare nella guerra dei Sette anni. Solo apparentemente, l’ascesa al trono di Luigi XVI nel 1774 rappresenta un’opportunità per evitare la prevedibile catastrofe finanziaria. Già nel 1776, infatti, si registra il fallimento della politica riformatrice di Turgot che il giovane sovrano, con gesto innovativo, aveva voluto come controllore generale delle finanze. L’opposizione dei ceti privilegiati non consente la realizzazione di un piano ispirato ai princípi della fisiocrazia e fondato, quindi, sulla libera circolazione del grano, l’abolizione delle corporazioni di mestiere e soprattutto l’adozione di un’imposta unica anche sulle grandi proprietà possedute dall’aristocrazia e dal clero. Né miglior sorte è riservata ai tentativi del banchiere ginevrino Jacques Necker, che nel 1781 decide addirittura di rendere pubblici, in un celebre rendiconto, gli enormi sprechi della corte e del suo successore, Alexandre de Calonne, il quale preferisce rivolgersi a una spericolata politica di prestiti. Nel 1786 il bilancio ha un deficit di 200 milioni ed è sempre più evidente che una pressione fiscale esercitata quasi esclusivamente sulle classi produttive compromette la vita economica della nazione. Negli anni Ottanta la Francia conosce una forte crisi della sua struttura produttiva, sia agricola sia manifatturiera, con gravi ripercussioni sociali tra carestie e disoccupazione. Le condizioni del privilegio, come si legge in Che cos’è il terzo stato? di Emmanuel-Joseph Sieyès, “lungi dall’essere utili alla nazione non possono che indebolirla e nuocerle”. Viene così rivelandosi, dietro la questione finanziaria, una questione politica e istituzionale più radicale che mette in discussione la struttura per ordini della società francese, nel tentativo di aprirsi – come già ha chiesto la cultura politica

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dell’Illuminismo – a forme di rappresentanza fondata sui soggetti individuali e sulla nozione di contratto sociale. Contro ogni ipotesi di modificare la fisionomia tradizionale delle istituzioni, la reazione degli ordini privilegiati è forse ancor più perentoria che sul terreno economico. Nata contro la riforma fiscale di Calonne e del suo successore Loménie de Brienne, la rivolta nobiliare del 1787 si trasforma subito in una strenua difesa delle prerogative degli antichi parlamenti, giungendo a forme aperte di rivolta contro l’autorità regia. Con il ritorno di Necker la mediazione viene trovata sull’idea di convocare gli Stati generali che, in quanto assemblea dei tre ordini del regno, dovrà sciogliere il nodo del debito pubblico. Gli Stati generali e la Costituente Voluta dalla nobiltà per ribadire la preminenza dei corpi politici tradizionali, la convocazione degli Stati generali non tarda a diventare l’occasione che il terzo stato cerca per far valere esigenze di rinnovamento. La rivolta nobiliare genera la “rivoluzione giuridica” condotta dal terzo stato nel nome dell’eguaglianza civile e fiscale. Primo strumento di questa battaglia sono i cahiers de doléances, redatti nel corso delle assemblee elettorali preparatorie. In essi non si esprimono solo generiche rivendicazioni di libertà contro l’assolutismo regio, ma si chiede apertamente un’equa ripartizione del carico tributario, l’abolizione dei privilegi feudali e dei diritti di nascita e una diversa rappresentanza politica. L’adozione, voluta da Necker, di un sistema elettorale tale da consentire al terzo stato una forza numerica pari a quella degli altri due ordini uniti è un passo rilevante nella trasformazione degli Stati generali da assemblea di ancien régime a moderna istituzione rappresentativa. Irrisolto rimane invece l’ancora più decisivo problema del voto per ordini, che avrebbe conservato il dominio dei ceti privilegiati, o per testa, che, al contrario, avrebbe sancito la superiorità del terzo stato. La questione condiziona i lavori degli Stati generali sin dalla loro apertura il 5 maggio 1789, tanto più che Luigi XVI appare orientato a circoscrivere la discussione ai soli problemi finanziari, senza affrontare i temi civili e politici emersi nel dibattito dei mesi precedenti. Contro la resistenza degli ordini privilegiati e del sovrano i rappresentanti del terzo stato, riuniti il 20 giugno nella sala della Pallacorda, con un gesto ormai esplicitamente rivoluzionario, si proclamano assemblea nazionale costituente e si impegnano a dare una costituzione alla Francia. La Costituente Mediante questa risoluzione, subita da Luigi XVI con l’idea di una pronta rivincita, l’universo politico dell’antico regime è già definitivamente oltrepassato. Il 14 luglio l’insurrezione di Parigi, simboleggiata dalla presa della Bastiglia, imprime però agli eventi una velocità e un senso del tutto nuovi. L’Assemblea costituente trova adesso nella mobilitazione popolare – soprattutto della capitale – un appoggio determinante,

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ma ne riceve anche un problematico allargamento di orizzonti, nella misura in cui il processo rivoluzionario dovrà tener conto delle attese – spesso impazienti – di strati diversificati della società francese. Nella notte del 4 agosto viene così decretata l’abolizione della servitù e dei privilegi fiscali. Il 26 agosto è approvata dalla Costituente la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, carta fondamentale per le garanzie di libertà individuale e di eguaglianza formale, come recita il suo celebre inizio: “Gli uomini nascono e restano liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sulla comune utilità”. La resistenza del re a sanzionare queste decisioni è vinta da un nuovo episodio di agitazione popolare: la marcia di 10 mila donne che il 6 ottobre obbligano il sovrano ad abbandonare Versailles e tornare a Parigi. Si apre quindi una nuova fase, caratterizzata dall’apparente adesione di Luigi XVI agli indirizzi costituzionali dell’Assemblea. Una vivace vita politica anima la capitale e le province, via via che alla Costituente vengono discussi i principali punti della Carta: poteri del re e dell’esecutivo, limiti del suffragio elettorale, organizzazione amministrativa dello Stato. Nascono giornali (250 fino al dicembre 1789, 350 nel 1790) sulle cui pagine si impongono già alcuni dei protagonisti della Rivoluzione: Camille Desmoulins, Gabriel-Honoré de Mirabeau, Jacques-René Hébert, Jean-Paul Marat. Sorgono club che raccolgono le differenti concezioni ideologiche e politiche: i monarchici moderati del club del 1789 con Sieyès, La Fayette, Mirabeau, cui si oppone il più intransigente club dei giacobini – dove si impone presto la personalità di Robespierre – e quello dei cordiglieri, animato da Georges-Jacques Danton e da Marat. L’abolizione delle antiche divisioni amministrative con l’organizzazione del territorio in 83 dipartimenti e la nazionalizzazione dei beni ecclesiastici sono tra i primi provvedimenti della Costituente. Quest’ultima misura mira a risolvere il problema del debito pubblico, che nel 1790 arriva a più di quattro miliardi, con l’emissione di carta moneta a circolazione forzosa, ma garantita appunto dai beni espropriati. Questo esproprio porta con sé anche la cosiddetta Costituzione civile del clero, approvata il 12 luglio 1790, con la quale si riorganizza la struttura ecclesiastica assicurando fondi per il culto ai religiosi che giureranno fedeltà alla nazione. Si entra così nei delicati rapporti Stato-Chiesa con una soluzione che in parte ricorda le autonomie gallicane della tradizione francese, ma che è destinata a conservarsi come rottura lacerante durante tutto il processo rivoluzionario. Dalla festa della Federazione alla fuga di Varennes Il giuramento di fedeltà alla Costituzione prestato da Luigi XVI durante la festa della Federazione il 14 luglio 1790 pare suggellare la fine della rivoluzione. In realtà, la corte mantiene da tempo legami con l’aristocrazia emigrata nella speranza di un intervento delle potenze europee in grado di restituire la Francia e il suo re all’antico ordine di cose.

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La sorda opposizione del pontefice Pio VI e il rifiuto di larga parte del clero al giuramento voluto dalla Costituzione civile accrescono nel sovrano gli scrupoli religiosi e il desiderio di porre fine al sistema sorto dalla rivoluzione. La crisi sociale ed economica dovuta all’inflazione esaspera inoltre la precarietà di un’autorità il cui principio è ormai visibilmente sospeso tra vecchio e nuovo. In questo clima, nonostante i consigli alla prudenza che vengono da chi vede nella monarchia costituzionale il felice esito della rivoluzione, matura la decisione di Luigi XVI di fuggire all’estero. Compiuto nella notte tra il 20 e il 21 giugno 1791, il tentativo è bloccato a Varennes, non lontano dalla frontiera orientale. “Vecchi, donne e bambini, gli uni armati di spiedi, di falci, gli altri di bastoni, di sciabole, di cattivi fucili” assistono ostili al ritorno nella capitale di un re che ha perso la fiducia del suo popolo. In agosto, a Pillnitz, Austria e Prussia minacciano di intervenire militarmente se non verrà garantita la stabilità dell’ordine monarchico, avvalorando così i sospetti di relazioni complici tra la corte e lo straniero. A poco vale, quindi, il giuramento di Luigi XVI alla nuova Costituzione (13 settembre 1791) che disegna i contorni di una monarchia costituzionale con base elettorale fortemente censitaria e rigida divisione tra i poteri. Dopo Varennes e dopo Pillnitz comincia a farsi strada l’idea di repubblica, circoscritta fino ad allora a pochi intellettuali illuministi. L’Assemblea legislativa Prima di sciogliersi, la Costituente decreta che i suoi membri non potranno venir eletti nella nuova Assemblea legislativa. È una misura drastica, che ha come conseguenza l’immediata dissoluzione del ceto politico legato alla prima fase della rivoluzione e l’emergere di figure e gruppi sensibili al clima di rottura e sfiducia determinato dalla fuga di Varennes. Nell’Assemblea legislativa sono gli appartenenti al club dei foglianti (circa 260 deputati) a rappresentare una continuità con gli orientamenti moderati della Costituente. Vi si oppongono i giacobini (130 deputati), tra i quali va emergendo una sempre più decisa tendenza repubblicana. A dominare i primi mesi dell’Assemblea legislativa è la questione degli emigrati, contro i quali viene decretata la confisca dei beni e la condanna a morte in contumacia. Agli inizi del 1792, d’altronde, la guerra sembra sempre più vicina: la vogliono i girondini (così vengono definiti quei giacobini eletti perlopiù nelle regioni del sud-ovest) e la vuole anche il re, convinto che una quasi sicura sconfitta avrebbe ripristinato il suo antico potere e una vittoria ne avrebbe consolidato il nuovo. Dichiarata il 20 aprile 1792 contro Austria e Prussia, la guerra è subito segnata da gravi rovesci, che confermano i timori dei giacobini più estremi sull’impreparazione militare e morale della fragile Francia rivoluzionaria. La decadenza del re, accusato di tradimento e la caduta del governo girondino, al quale si rimprovera una debole condotta della guerra, sono richieste che circolano sempre più apertamente portando all’insurrezione del 20 giugno, durante la quale per la prima volta la folla invade il palazzo reale delle Tuileries. La situazione precipita dopo il proclama col quale il duca di Brunswick, comandante delle forze alleate nemiche, minaccia di distruggere Parigi se non verrà

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assicurata l’incolumità del re. Il 10 agosto, guidata da Danton, la popolazione della capitale assale di nuovo le Tuileries. Posto sotto la tutela della Comune, il re e la sua famiglia vengono allora rinchiusi nella prigione del Tempio, in attesa che una Convenzione nazionale decida della loro sorte: è l’atto conclusivo della prima fase della Rivoluzione. Premesse alla Rivoluzione Francese La Rivoluzione francese inizia nel 1789La Rivoluzione Francese è un evento fondamentale della storia europea, in cui sostanzialmente l’assetto politico della Francia cambia totalmente. Inizia nel 1789, mentre individuarne la fine è più difficile: secondo molti storici possiamo dire nel novembre del 1799, quando con un colpo di stato Napoleone Bonaparte diventa Primo Console della Repubblica. La Rivoluzione francese segna la fine dell'assolutismo. La Rivoluzione Francese segna la fine di istituzioni vecchie di secoli, come l’assolutismo e ciò che rimaneva del sistema feudale. Un po’ come la Rivoluzione Americana, la Rivoluzione Francese è stata anche il tentativo di realizzare ideali dell’Illuminismo come la sovranità popolare ed i diritti inalienabili. La Rivoluzione Francese non riesce a realizzare tutti gli obiettivi dei rivoluzionari, e anzi degenera da un certo punto in poi in un vero e proprio bagno di sangue. Nonostante questo, però, il suo ruolo resta fondamentale nella nascita delle nazioni moderne, cambiando per sempre il modo di concepire il potere in Europa e nel mondo. Una monarchia in crisi La Francia vive un periodo di crisi finanziaria prima del 1789Prima che scoppiasse la Rivoluzione Francese, la Francia era sull’orlo della bancarotta per molti motivi. Uno dei più evidenti erano le enormi spese sostenute dalla corte del re Luigi XVI (1754-1793) e dei suoi predecessori: non soltanto un simbolo di prestigio ed un centro di svaghi, ma anche un vero e proprio strumento di dominio sulla nobiltà. La Francia

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aveva poi investito molto denaro per partecipare alla Rivoluzione Americana. Oltre al denaro sperperato, però, c’erano altri problemi: i pessimi raccolti, il bestiame flagellato da epidemie ricorrenti per tutto il seguito, le conseguenti carestie, ed un prezzo del pane alle stelle. Tutto questo stava portando i contadini e gli abitanti poveri delle città verso l’agitazione, se non la disperazione. Re Luigi XVI attua riforme finanziarie a discapito della Nobiltà e del Clero. Come risolvere questa situazione? Nell’autunno del 1786 Charles Alexandre de Calonne (1734-1802), un economista che svolgeva l’incarico di controllore generale delle finanze di Francia, propone al re un pacchetto di riforme finanziarie molto avanzate, che andavano ad eliminare alcuni privilegi delle classi privilegiate: nobiltà e clero. Per scongiurare una rivolta delle classi privilegiate, il re aveva bisogno di supporto per realizzare queste misure. 5 maggio 1789: re Luigi XVI convoca gli Stati Generali. Per questo motivo, il re indice gli Stati Generali, un’assemblea dove i rappresentanti delle tre “classi” che costituivano la società francese: nobiltà, clero e borghesia, si riuniscono. Gli Stati generali vengono convocati per il 5 maggio del 1789: era in qualche modo un evento epocale, perché non venivano convocati dal 1604. Il Terzo Stato alla riscossa: verso la Rivoluzione Francese

Il Terzo Stato rappresenta il 98% della popolazione. I membri del “Terzo Stato” (popolo e borghesia), rappresentavano il 98 % della popolazione. Nonostante questo, potevano essere tranquillamente sconfitti dal potere di veto degli altri due “ordini”. Il Terzo Stato chiede una rappresentazione più equa. Prima dell’incontro previsto per il 5 maggio, il Terzo Stato inizia a chiedere una rappresentazione più equa: un’assemblea dove a contare sarebbero stati i voti singoli, “per testa”, e non per “stato”. Questo andava contro gli interessi della nobiltà, che non era minimamente intenzionata ad abbandonare i privilegi di cui godeva tradizionalmente. Quando gli Stati Generali si riuniscono finalmente a Versailles, il dibattito pubblico

sui processi di votazione era degenerato: tra i tre ordini c’era ormai aperta ostilità. Lo scopo originale dell’assemblea si era ormai perso di vista: ad essere in discussione ormai era addirittura l’autorità del re. Il Terzo Stato si proclama Assemblea Nazionale. Il 17 giugno, mentre le procedure e le discussioni erano in pieno stallo, il Terzo Stato si riunisce autonomamente, senza gli altri due, ed assume formalmente il nome di Assemblea Nazionale. Il 20 giugno, l’Assemblea Nazionale si riunisce nella famosa sala della pallacorda, un ambiente della reggia utilizzato per praticare uno sport simile al tennis. I membri dell’Assemblea giurano solennemente di non disperdersi finché non ci sarà stata una riforma costituzionale. Luigi XVI assorbe tutti e tre gli ordini in un'unica assemblea: Assemblea Nazionale Costituente. Entro

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una settimana, all’Assemblea Nazionale si sono uniti moltissimi membri del clero e 47 nobili. Il 27 giugno, Luigi XVI è costretto a riconoscere l’assorbimento di tutti e tre gli ordini in un’unica nuova assemblea: l’Assemblea Nazionale Costituente. La rivoluzione francese nelle strade: la presa della Bastiglia

12 giugno: i primi episodi di violenza. Il 12 giugno, mentre l’Assemblea Nazionale si riuniva a Versailles, per le strade di Parigi iniziavano a scoppiare i primi episodi di violenza, che davano di fatto il via alla Rivoluzione Francese. I cittadini, soddisfatti di come stavano andando le cose, temevano un imminente colpo di stato militare. I membri degli strati più popolari della società parigina, coloro che svolgevano lavori manuali, chiamati “sanculotti” semplicemente perché portavano i pantaloni lunghi al posto delle culottes, iniziavano ad armarsi e ad avere voce in capitolo per la prima volta. 14 luglio: la presa della

Bastiglia. A causa di questo clima teso, il 14 luglio alcuni rivoltosi assaltano la Bastiglia, una fortezza che fungeva da carcere, in cerca di munizioni e polvere da sparo: questi eventi, oggi commemorati in Francia attraverso una festa nazionale, sono considerati da molti studiosi il vero e proprio inizio della Rivoluzione Francese. L'Assemblea Costituente abolisce il feudalesimo il 4 agosto del 1789Presto il clima di tensione si espande e l’isteria collettiva si sparge per le campagne. I contadini, in rivolta dopo anni di tasse e sfruttamento, assaltano le abitazioni degli esattori delle tasse e dei proprietari terrieri. Ricordata come la “Grande paura”, questa insurrezione agraria causa la fuga di molti nobili dalle campagne. L’Assemblea Costituente reagisce abolendo una volta per tutte il feudalesimo (4 agosto 1789): era la fine di un ordine costituito ormai superato. La costituzione della Rivoluzione Francese

L'Assemblea Costituente adotta la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino. Il 4 agosto del 1789 l’Assemblea Costituente adotta la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino. In questo modo i principi dell’Illuminismo, ispirati da pensatori politici come Jean-Jacques Rousseau, cambiavano in modo profondo ed irreversibile la cultura politica francese. Princìpi come le pari opportunità, la libertà di parola, la sovranità popolare ed il governo rappresentativo venivano finalmente riconosciuti, ed ispiravano ufficialmente i lavori dell’Assemblea Costituente.

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Re Luigi XVI tenta di fuggire dalla Francia. La stesura della vera e propria costituzione non era stata semplice, anche perché era ancora in corso una durissima crisi economica. I problemi da risolvere, poi, non erano da poco. Chi avrebbe eletto i delegati in Parlamento? A chi avrebbe giurato fedeltà il clero, alla chiesa cattolica o al governo francese? Quanta autorità sarebbe rimasta al re, che nel giugno del 1791 avrebbe tentato maldestramente di fuggire dalla Francia, perdendo ulteriormente credibilità davanti al popolo? La Francia diventa una monarchia costituzionale. La Costituzione viene adottata dalla Francia il 3 settembre del 1791. Riflette alcune tra le posizioni più moderate dell’Assemblea Costituzionale. La nuova Francia sarebbe stata una monarchia costituzionale in cui il re avrebbe avuto il potere di veto e

quello di nominare ministri. Iniziava tuttavia ad emergere l’insoddisfazione delle frange più radicali della Rivoluzione Francese, quelle che si riunivano nei club dei sanculotti, incarnate da pensatori come Robespierre e Danton, che ambivano ad una costituzione repubblicana, oltre che al processo pubblico di Luigi XVI. Il grande terrore

L'Assemblea Legislativa dichiara guerra all'Austria e alla Prussia. Nell’aprile del 1792 una nuova Assemblea, l’Assemblea Legislativa, dichiarava guerra all’Austria e alla Prussia, colpevoli secondo i francesi di ospitare esuli che stavano organizzando una controrivoluzione. I membri più radicali dell’Assemblea, Giacobini e Cordiglieri, nutrivano la speranza di poter diffondere attraverso tutta l’Europa le idee della rivoluzione. Sul fronte interno, però, la crisi era aperta: il 1’ agosto del 1792 una rivolta popolare, comandata dai Giacobini più estremisti, assalta la residenza reale di Parigi ed arresta il re e tutta la sua famiglia. Per

tutto il mese di agosto continueranno ad esserci ondate di violenza, in cui chiunque venisse anche soltanto sospettato di essere contrario alla Rivoluzione Francese poteva essere giustiziato. Viene proclamata la Prima Repubblica francese, il 25 settembre del 1792L’Assemblea Legislativa a questo punto viene rimpiazzata dalla Convenzione Nazionale, che proclama l’abolizione della monarchia. Il 25 settembre del 1792 viene proclamata la Repubblica Francese. Il 21 gennaio del 1793 Luigi XVI viene condannato a morte per alto tradimento: sia lui che sua moglie, Maria Antonietta, verranno ghigliottinati.

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I Giacobini hanno il controllo della Convenzione Nazionale. Nel giugno del 1793 i Giacobini assumono il controllo della Convenzione Nazionale, estromettendo i più moderati Girondini, ed istituendo una serie di misure radicali, tra cui l’istituzione di un nuovo calendario (oltre che del sistema metrico decimale in vigore ancora oggi), e la totale eradicazione del cristianesimo, che veniva sostituito da una vera e propria sacralità pubblica, o religione di stato. Dopo la morte di Robespierre la borghesia liberale torna al potere. La morte del re di Francia, la guerra aperta con gran parte delle potenze europee, ed una serie di divisioni in seno alla Convenzione Nazionale sono le cause scatenanti del periodo più duro e violento della Rivoluzione Francese: il cosiddetto “Terrore”: un periodo di 10 mesi in cui

verranno giustiziati alla ghigliottina migliaia di oppositori del regime. Il responsabile di molte condanne è Robespierre, a capo della Comitato di Salute Pubblica finché non finirà ghigliottinato anche lui, il 28 luglio del 1794, in seguito alla Reazione termidoriana. I francesi, esausti, chiedevano la pace. I Giacobini perdono credibilità, e su di loro si abbatte la vendetta spontanea di coloro che desideravano un ritorno alla monarchia (il Terrore Bianco). La Francia si avviava verso il ritorno al potere della borghesia liberale. La fine della Rivoluzione Francese e l’avvento di Napoleone Il 22 agosto del 1795 viene approvata una Costituzione bicamerale ed emerge la figura del generale Napoleone Bonaparte. Il 22 agosto del 1795 la Convenzione Nazionale, composta per la stragrande maggioranza da Girondini che erano sopravvissuti al Terrore, approva una nuova costituzione, stavolta bicamerale. Il potere esecutivo sarebbe passato nelle mani di un “Direttorio” composto da 5 membri, e nominato dal parlamento. Le proteste degli oppositori, in particolare Giacobini e Realisti, venivano soffocate dall’esercito, in cui iniziava ad emergere un giovane generale di successo, Napoleone Bonaparte. Il regime resiste 4 anni con l'aiuto dell'esercito. Durante i 4 anni di governo del direttorio, i problemi saranno molti: crisi finanziarie, insoddisfazione da parte del popolo, inefficienza burocratica ed una forte corruzione. Alla fine degli anni ‘90 del ‘700, il Direttorio riusciva a mantenere il potere quasi soltanto per merito dell’esercito. Napoleone organizza un colpo di stato e assume la carica di Primo Console. Il 9 novembre del 1799, Napoleone Bonaparte organizza un colpo di stato che culminerà con l’abolizione del direttorio. Napoleone

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assume la carica di Primo Console. L’evento è generalmente considerato come la fine della Rivoluzione Francese, o meglio la sua evoluzione verso una nuova fase. Con Napoleone la Francia, profondamente ridefinita dai numerosi cambiamenti degli ultimi anni, ma allo stesso tempo dominata dal potere di Bonaparte, arriverà al dominio di quasi tutta l’Europa continentale.

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L’ETÀ NAPOLEONICA

La gioventù di Napoleone Napoleone Bonaparte (in origine il cognome era "Buonaparte", ma fu cambiato per renderlo più simile alla lingua francese) nacque il 15 agosto del 1769, ad Ajaccio in Corsica. Tra i suoi avi, di origine toscana, c’erano tracce di nobiltà che gli permisero dei vantaggi nel campo dell’istruzione. Dall’età di 10 anni frequentò una scuola militare francese (prima ad Autun poi a Brienne e infine a Parigi) finanziata dalle casse reali. Dopo la presa della Bastiglia, l’invasione popolare nel palazzo delle Tuileries e l’abbattimento della monarchia nel 1792, Napoleone ottenne il grado di capitano. In seguito, con l’aiuto della flotta inglese, era scoppiata un’insurrezione controrivoluzionaria a Tolone, dove nel 1793 furono scacciati o massacrati i rappresentanti del governo rivoluzionario. L’esercito rivoluzionario aveva assediato infruttuosamente la città fino a quando il giovane capitano Bonaparte, nominato aiutante del comandante, pose in atto il suo piano d’azione. Dopo uno spietato bombardamento, conquistò con un audace assalto il fortino che dominava la rada e da lì venne aperto il fuoco contro la flotta inglese, che lasciò il porto. Tolone si arrese quindi alle truppe rivoluzionarie e, grazie a questa vittoria, Napoleone divenne generale di brigata e il suo nome iniziò a divenire noto. In questo periodo egli entrò in amicizia con Agostino Robespierre, fratello di Maximilien. Era l’epoca della dittatura rivoluzionaria di Robespierre, quando nella Convenzione dominavano i montagnardi. I commissari della Convenzione, e in particolare proprio Agostino Robespierre, sotto l’influenza di Napoleone, preparavano l’invasione del Piemonte per minacciare i possessi italiani dell’Austria. Ma i piani di Bonaparte non poterono realizzarsi subito a causa dell’improvviso tramonto del potere giacobino. Napoleone sfuggì alla ghigliottina ma ormai si diffidava di lui. Tuttavia nel 1795, dopo che egli aveva iniziato a frequentare i circoli favorevoli al nuovo potere, fu ammesso nella sezione topografica del Comitato di salute pubblica, in qualità di generale d’artiglieria. Nel 1795 la Convenzione termidoriana aveva già elaborato la nuova Costituzione, secondo la quale a capo del potere esecutivo vi dovevano essere 5 direttori, mentre il potere legislativo era affidato a due assemblee: il Consiglio dei cinquecento e il Consiglio degli anziani. La Convenzione si preparava a mettere in vigore questa costituzione e a sciogliersi; però, visto che le tendenze reazionarie si rafforzavano, nel timore che i realisti si infiltrassero in gran numero nei due consigli, il gruppo dirigente dei termidoriani emanò uno speciale decreto al fine di conservare il potere: i 2/3 dei componenti di ogni consiglio dovevano essere eletti fra i membri della Convenzione. Nell’ottobre del 1795 i monarchici, sfruttando il diffuso malcontento della popolazione causato dalle difficoltà economiche, progettarono un’insurrezione. Fu allora che Barras, leader del Direttorio, assegnò a Bonaparte

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l’incarico di difendere la Convenzione. Il 13 vendemmiaio (5 ottobre) più di 20 mila insorti marciarono sulla Convenzione (palazzo delle Tuilleries), mentre Bonaparte non aveva neanche 6 mila uomini; ma la folla riottosa fu accolta dalla mitraglia dell’artiglieria che la disperse. L’insurrezione fu così schiacciata. I cannoni di Bonaparte avevano, almeno per ora, impedito il ritorno al potere dei Borboni. Gli uomini del Direttorio furono benevoli verso il giovane generale. Dopo questa vittoria e grazie alle insistenze di Barras, Napoleone chiese e ottenne la nomina di comandante dell’armata d’Italia. In seguito il giovane generale sposò la nobile creola Giuseppina Beauharnais, ex amante di Barras. La Campagna d’Italia Dopo aver domato la sommossa controrivoluzionaria, Napoleone insisteva sulla necessità di prevenire le azioni della coalizione antifrancese (di cui facevano parte Austria, Inghilterra, Russia, Regno di Sardegna, Regno di Napoli e alcuni stati tedeschi) con una guerra offensiva contro gli Austriaci e i loro alleati Italiani, invadendo l’Italia settentrionale. Il Direttorio invece voleva aggredire i possedimenti austriaci passando dalla Germania e preparava per questa campagna le sue migliori truppe e i suoi più eminenti strateghi con a capo il generale Jean Victor Moreau. Tuttavia il Direttorio cambiò idea e permise a Napoleone di attuare il suo piano, al fine di obbligare Vienna a frazionare le proprie forze e a distrarre la sua attenzione dal teatro di guerra principale, cioè la Germania. Nel 1796, passando in rassegna le sue truppe, Napoleone constatò le carenze materiali, la disorganizzazione e l’indisciplina dell'esercito; si decise quindi a vestire, calzare e disciplinare le proprie truppe nel corso stesso della campagna. Spiegò ai soldati che la guerra doveva alimentare se stessa, rimotivò i suoi soldati semi affamati e semi scalzi additando loro le ricchezze che avrebbero saccheggiato in Italia. Tra il 5 e il 9 aprile l’esercito francese passò la catena alpina. Aveva di fronte gli eserciti austriaco e piemontese disposti a copertura delle strade per il Piemonte e per Genova. Le prime battaglie si svolsero in Liguria: presso Cairo Montenotte gli Austriaci furono sgominati, e due giorni dopo presso Millesimo lo furono le truppe austriache e piemontesi unite. Bonaparte proseguì l’azione impedendo al nemico di riprendersi e costrinse il Regno di Sardegna a stipulare una pace separata con Vittorio Amedeo III (armistizio di Cherasco, 28 aprile 1796). La Francia otteneva la Savoia e Nizza, nonché il libero transito delle truppe in Piemonte. Con alcune nuove vittorie Napoleone respinse gli Austriaci verso il Po. Strada facendo sottomise Parma e le impose dei tributi malgrado la sua neutralità. Quindi si avvicinò a Lodi e avrebbe voluto attraversare l’Adda, ma un reparto di 10 mila austriaci difendeva questo varco importante. Il 10 maggio si scatenò la famosa battaglia di Lodi. Venti cannoni austriaci spazzavano a mitraglia tutto ciò che era sul ponte, ma i granatieri guidati da Bonaparte respinsero gli Austriaci e se ne impossessarono ugualmente. Bonaparte iniziò subito l’inseguimento e il 15 maggio entrò a Milano. I francesi occuparono anche Bologna, Modena e la Toscana, benché fossero territori neutrali. Bonaparte entrava nelle città

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e nei villaggi, si impadroniva di oggetti di valore e opere d’arte e requisiva tutto ciò che era necessario al suo esercito. Subito dopo iniziò l’assedio di Mantova. L'esercito austriaco, ottenuti alcuni rinforzi, uscì dalla città e respinse vari reparti francesi; Bonaparte allora concentrò tutte le proprie forze e l’urto decisivo avvenne tra il 15 e il 17 novembre presso Arcole. Il ponte d’Arcole fu conquistato per ben tre volte dai Francesi e tre volte perso, ma alla fine Napoleone sconfisse gli Austriaci. Due mesi dopo, nel gennaio 1797, gli austriaci erano pronti alla rivincita, si ebbe così una nuova battaglia presso Rivoli Veronese, dove i francesi sbaragliarono l’intero esercito nemico; due settimane dopo Mantova capitolò. Bonaparte si diresse così a nord, verso Vienna, minacciando direttamente i possedimenti degli Asburgo. L’imperatore d’Austria Francesco II chiese allora di cominciare le trattative di pace. Prima che Mantova capitolasse Bonaparte aveva organizzato una spedizione contro il Papa Pio VI che continuava ad aiutare gli austriaci. Le truppe papali furono sconfitte, le città si arresero e Napoleone s’impadronì di tutti i valori che vi trovava. Il papa terrorizzato chiese la pace, sottoscritta a Tolentinonelle Marche il 19 febbraio 1797. Egli dovette cedere le legazioni di Bologna, Ferrara e la Romagna, versare un tributo in oro e consegnare quadri e altre opere d’arte. Nello stesso tempo (1796-97) gli Austriaci avevano battuto sul Reno i migliori generali francesi che continuavano a chiedere denaro mentre Bonaparte, con l’orda di indisciplinati straccioni che aveva trasformato in un temibile e fedele esercito, conquistava l’Italia e inviava opere d’arte e milioni in oro a Parigi (tenendone una parte cospicua per sé). Così si arrivò all’armistizio di Leoben (maggio 1797), perfezionato con la pace di Campoformio il 17 ottobre 1797. La Francia ottenne la Lombardia, alcuni territori veneti e le isole Ionie tolte a Venezia. L’Austria riconobbe il possesso francese del Belgio e della riva sinistra del Reno, ottenendo in cambio Venezia e i suoi territori di Istria e Dalmazia. Nel frattempo Napoleone aveva creato un nuovo stato vassallo, la "Repubblica Cisalpina", nella quale comprese una parte delle terre conquistate (grosso modo la Lombardia e l’Emilia). Nel giugno dello stesso anno dalle ceneri della repubblica di Genova era nata laRepubblica Ligure. Bonaparte organizzò le repubbliche italiane in modo tale che sotto l’apparenza dell’assemblea consultiva, rappresentativa degli strati agiati della popolazione, tutto il potere fosse nelle mani del commissario mandato da Parigi. Ogni traccia di diritti feudali fu distrutta e alle chiese e ai monasteri fu tolto il diritto di prelevare tributi. Nel gennaio del 1798 le truppe francesi occuparono Roma e fecero prigioniero Pio VI (1717-1799) che fu condotto in Francia. Nacque così la Repubblica romana che comprendeva i restanti territori dello Stato pontificio. Nel gennaio del 1799 un esercito francese, guidato dal generale Championnet, conquistò anche Napoli e diede vita alla Repubblica partenopea. Il nuovo stato non durò a lungo. Pochi mesi dopo (giugno 1799), dopo che un esercito austro-russo aveva cacciato i francesi dall'Italia settentrionale, i contadini campani, guidati del cardinale Fabrizio Ruffo, abbatterono il governo repubblicano accusato di ateismo. Il movimento venne definito sanfedismo. I più noti patrioti, tra cui Mario Pagano (1748-1799), Vincenzo Russo (1770-1799) ed Eleonora Fonseca Pimentel (1752-1799), furono condannati a morte.

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La rivoluzione napoletana fu raccontata in un importante opera - Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799 - pubblicata nel 1801 a Milano dallo scrittore e storico Vincenzo Cuoco. Egli giudicò quella del 1799 una «rivoluzione passiva»: il popolo, scrisse, non l'avrebbe fatta, ma era pronto a riceverla dalle mani dei francesi. Cuoco analizzò il fallimento indicandone le cause nell'astrattezza dei giacobini napoletani, incapaci di capire i bisogni delle classi popolari e la specificità della cultura napoletana. La conquista dell’Egitto e la Campagna di Siria (1798-1799) Dopo Campoformio con l’Austria le cose erano sistemate, solo l’Inghilterra continuava ancora a battersi contro la Repubblica francese. Poiché l’invasione dell’Inghilterra sembrava impossibile Napoleone propose di conquistare l’Egitto e di creare in oriente delle basi per minacciare il dominio inglese in India. Già da un pezzo la diplomazia francese mirava a questi ricchi paesi dell’impero turco così debolmente protetti. Bonaparte aveva l’appoggio del ministro degli affari esteri Talleyrand, il quale vedeva i vantaggi economici di questa campagna e voleva ingraziarsi Napoleone nel quale aveva intravisto il futuro padrone del popolo francese. Bonaparte e Talleyrand non dovettero faticare molto a convincere il Direttorio, poiché anch’esso riteneva vantaggiosa questa conquista e vedeva di buon occhio un allontanamento di un personaggio oramai troppo popolare ed ingombrante come Napoleone. Il 5 marzo 1798 Napoleone cominciò i preparativi. Tutta l’Europa sapeva che si preparava qualche spedizione, ma non dove si sarebbe diretta. Napoleone diffuse la falsa notizia che voleva oltrepassare Gibilterra e sbarcare in Irlanda. Questa voce ingannò Nelson, il grande ammiraglio inglese, che aspettò Bonaparte presso Gibilterra mentre la flotta francese puntava verso Malta, che si arrese e venne dichiarata possedimento francese. Alcuni giorni dopo salpò per l’Egitto e il 30 giugno sbarcò nelle vicinanze di Alessandria. Intanto Nelson, saputo della presa di Malta, si recò a vele spiegate in Egitto e vi giunse 48 ore prima dei francesi. Non trovandovi Bonaparte credette che si fosse diretto a Costantinopoli e vi si recò. Questa catena di errori di Nelson salvò la spedizione francese. Intanto Bonaparte fece avanzare l’esercito su Alessandria. Anche se l’Egitto era formalmente un possedimento del sultano turco, di fatto vi dominava lo strato dirigente della ben armata cavalleria feudale dei mamelucchi; questa aristocrazia militare-feudale pagava un tributo al sultano di Costantinopoli, ma dipendeva pochissimo da lui. Il resto della popolazione era composto dai commercianti arabi e dai cristiani copti, braccianti in stato di indigenza. Napoleone sosteneva di esser venuto in Egitto per liberare gli arabi dall’oppressione dei mamelucchi ma, presa Alessandria dopo alcune ore di fucileria, cominciò subito a crearvi i presupposti di una durevole dominazione francese e alla popolazione "liberata" impose la completa sottomissione. Alcuni giorni dopo s’incamminò verso sud inoltrandosi nel deserto. I mamelucchi si ritiravano sfuggendo all’inseguimento. Finalmente il 20 luglio 1798 essi accettarono lo scontro e Bonaparte li sconfisse nella battaglia delle piramidi. Subito dopo questa vittoria

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Bonaparte entrò al Cairo, dove la popolazione impaurita lo accolse in silenzio. Insediatosi al Cairo Bonaparte organizzò l’amministrazione. Egli cercò di suscitare il consenso dei musulmani presentandosi come l’autore dell’umiliazione del papa e dei cavalieri di Malta. Ordinò che la religione musulmana fosse integralmente rispettata e dispose l’inviolabilità delle moschee e del clero. Vennero abolite le imposte fondiarie dovute ai mamelucchi sostituendole con delle tasse utili a mantenere l’esercito francese. Bonaparte tendeva così a sopprimere i rapporti feudali appoggiandosi alla borghesia commerciale araba e ai proprietari terrieri. Il 1° agosto 1798, la flotta francese si trovava all’ancora nella baia di Abukir, a circa 25 chilometri da Alessandria. L’ammiraglio Brueys, che comandava la flotta da guerra francese, era convinto che la rada fosse sicura. Aveva disposto i suoi tredici vascelli in linea con il tribordo, la fiancata destra, verso il largo. I cannoni erano carichi solo su quel lato, perché i francesi avevano escluso un attacco inglese sul lato sinistro, tra la linea delle navi e la costa. Quando Nelson arrivò alla baia di Abukir capì subito la situazione e, nonostante la giornata stesse giungendo al termine, decise di aggirare la lunga fila di navi francesi passando davanti alla prua della prima per attaccarle da entrambi i lati. I francesi cercarono di difendersi con coraggio, ma con le navi inglesi sui due lati l’esito della battaglia era segnato. Il fuoco di cinque navi inglesi si concentrò sull’Orient, la nave più grande fra quelle francesi, dotata di tre ponti e di ben 118 cannoni, sulla quale si trovava l’ammiraglio Brueys, oltre al tesoro trafugato a Malta. L’ammiraglio fu colpito da una cannonata che gli amputò tutte e due le gambe. Si fece stringere dai chirurghi dei lacci emostatici nei moncherini e continuò a comandare sino alla morte. L’Orient prese fuoco e poco dopo saltò in aria con un violento boato. Gli inglesi subirono solo qualche ammaccatura e riuscirono a distruggere 6 vascelli e a catturarne altri 6, oltre ad alcune navi più piccole. L’esercito di Napoleone era bloccato in Egitto. Egli dovette per di più affrontare una rivolta degli arabi (250 francesi uccisi) con una spietata rappresaglia che causò 2 mila morti tra gli egiziani, e una paurosa epidemia di peste bubbonica che uccise 3 mila francesi. Napoleone decise, allora, di iniziare l’invasione della Siria, lasciando in Egitto gli scienziati che aveva condotto dalla Francia. Il 4 marzo 1798 attraversò l’istmo di Suez, si avviò verso Giaffa e l’assediò, quando la città si arrese, contravvenendo ai patti, ordinò di annegare o massacrare con la baionetta i 4500 soldati che si erano arresi, per non doverseli portare dietro. Si avviò quindi verso la fortezza di Acri che era rifornita dal mare dagli inglesi. Napoleone la assediò per due mesi senza successo e così, il 19 maggio, si preparò a tornare in Egitto. Il 14 giugno 1799 l’esercito francese rientrò al Cairo. Dopo aver sconfitto un esercito turco che era sbarcato vicino ad Abukir, Napoleone venne a sapere che, mentre egli conquistava l’Egitto, Austria, Inghilterra, Russia e Regno di Napoli avevano ricominciato la guerra contro la Francia. Il generale russo Suvorov era giunto in Italia e, con l’aiuto degli austriaci, aveva sconfitto i francesi, abolito la Repubblica Cisalpina e minacciava di invadere la Francia. Dopo la caduta della Repubblica cisalpina cadde anche quella romana. La Francia era in preda al banditismo e alla disorganizzazione e il Direttorio, odiato dai più, era debole e smarrito. Napoleone trasmise allora il

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comando supremo dell’esercito al generale Kleber e il 23 agosto 1799 partì per la Francia, lasciando a Kleber un esercito ben provvisto, un apparato amministrativo e fiscale funzionante, che egli stesso aveva creato e una popolazione ridotta alla miseria, muta, timorosa e sottomessa nel vastissimo paese conquistato. Se da un punto di vista militare la spedizione era stata una sostanziale sconfitta, da un punto di vista culturale diede luogo alla «scoperta dell’Oriente». Furono realizzati degli ampi e dettagliati resoconti ricchi di illustrazioni, come quello di Dominique Vivant Denon, che esplorò il Basso e l'Alto Egitto e disegnò le rovine di Tebe, Luxor e di altre antiche città. La scoperta della stele di Rosetta (Rachid), scritta in tre lingue, avrebbe permesso al giovane studioso Jean-François Champollion di iniziare la decifrazione dell’antico geroglifico nel 1822. Il 18 brumaio 1799: Napoleone primo console Tra il 1797 e il 1799 il Direttorio aveva gradualmente perduto ogni appoggio tra le masse. L’inflazione esorbitava e la povertà dilagava e le conquiste borghesi erano minacciate dalla destra monarchica e dalla sinistra giacobina. Non solo la borghesia mercantile, ma anche la piccola e media borghesia e i contadini arricchiti sognavano un dittatore che desse alla Francia la pace esterna e un forte "ordine" interno. Il Direttorio aveva dimostrato di saper difendere la Francia dai Borboni ma era stato incapace di creare un solido ordinamento borghese. Inoltre con la perdita delle repubbliche italiane nel 1799 diventava sempre più difficile lottare contro la potente coalizione anti-francese. L’oro mandato da Napoleone a Parigi dall’Italia era stato speso per la guerra e divorato da governanti e funzionari dello stato. Il 16 ottobre 1799 Bonaparte arrivò a Parigi. Molti francesi lo immaginavano come un "salvatore", l’esercito lo sosteneva senza riserve, mentre l’ostilità e la sfiducia della borghesia verso il Direttorio erano al culmine. In queste condizioni uno dei membri del Direttorio, lo scaltro Sieyès e il presidente del Consiglio dei cinquecento Luciano Bonaparte (fratello di Napoleone) avevano architettato un colpo di stato. Sieyès era il difensore dell’ordine borghese creato dalla rivoluzione, e credeva di poterlo rafforzare con una riscrittura della Costituzione e un cambio di potere. Per questo aveva bisogno dell’appoggio dell’esercito; si «cercava una spada», come si diceva allora, e poteva essere quella di Napoleone. Bisognava anzitutto disfarsi della presenza ingombrante di Barras, ormai malvisto dai più. Barras e altri due direttori diedero le dimissioni e si fecero da parte senza protestare. Il piano di Sieyès aveva il favore del ministro degli esteri Talleyrand e del capo della polizia Fouché. Il 9 novembre 1799 i consigli legislativi, la camera degli anziani e dei cinquecento, con la scusa di fantomatici complotti anti-rivoluzionari, vennero riunite a Saint Cloud (distante 16 km da Parigi). Dopo aver sciolto il Direttorio Napoleone pretendeva che le assemblee si auto-sciogliessero e gli cedessero il potere. Egli cercò di abbozzare un discorso in cui alternava minacce a vaghe spiegazioni sulla necessità del cambio di potere al fine di salvare la libertà e la rivoluzione. Tra i deputati risuonarono le sinistre grida che avevano posto fine al governo di Robespierre: “tiranno”,

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“fuorilegge”! Sembra che nella concitazione Bonaparte sia stato anche aggredito fisicamente. Appena si sparse la voce che Napoleone era stato ferito i soldati furono chiamati ad intervenire e i deputati si diedero alla fuga. Più tardi vennero riuniti quelli favorevoli al cambio di potere e le camere votarono senza discutere il decreto che consegnava il potere a tre persone chiamate consoli, che erano Bonaparte, Sieyès e Ducos. Bonaparte non era ancora il padrone incontrastato della Francia ma il suo consolato era già una dittatura e i suoi due colleghi non avrebbero contato nulla. La dittatura Dopo il 18 brumaio vi furono 15 anni di monarchia assoluta e il generale Bonaparte divenne l’autocrate del popolo francese, nei primi 5 come console e negli altri 10 come imperatore. In questa dittatura militare le istituzioni statali avevano lo scopo di mettere in atto un’unica volontà suprema e dovevano essere le forme esteriori più appropriate per eseguire più rapidamente possibile gli ordini dell’autocrate. Anche nei paesi subordinati alla Francia, dove spesso Bonaparte metteva al potere i suoi fratelli o i suoi marescialli, gli si doveva obbedire ciecamente. Tuttavia il consolato è considerato come l’epoca in cui fiorirono il commercio, l’industria, le scienze e le arti. Ciò è dovuto al fatto che proprio in quell’epoca Napoleone diede una solida base alla struttura amministrativa, giuridica e sociale, tanto che le fondamenta di questo apparato amministrativo centralizzato sopravvivono ancora oggi. Bonaparte creò le condizioni che assicurarono il dominio economico della borghesia favorendo il tranquillo guadagno nel commercio e nell’industria. Nel dicembre 1799 fu varata la nuova costituzione e Napoleone la mise subito in vigore prima del plebiscito che la confermò. A capo della Repubblica c’erano tre consoli, dei quali il primo aveva pieni poteri mentre gli altri due avevano solo il voto consultivo. Il potere legislativo era frammentato in quattro organismi che servivano a garantire l’apparenza della rappresentanza: il Consiglio di Stato (di nomina governativa) che proponeva le leggi, Il Tribunato discuteva le proposte senza votarle, il Corpo legislativo le votava senza discuterle. Al Primo Console spettava la nomina dei ministri, dei funzionari e anche dei giudici. Napoleone conservò la divisione della Francia in dipartimenti ma eliminò le autonomie locali; il ministro degli interni nominava un prefetto (cioè un piccolo console locale) per ogni dipartimento. La seconda campagna d’Italia e i codici (1800-1803) A questo punto Napoleone intendeva riconquistare i territori italiani perduti nel 1799. L’esercito austriaco con a capo il generale Melas aspettava Bonaparte nei pressi di Genova, pensando che l’esercito francese passasse di lì, ma Napoleone arrivò di sorpresa dal passo del Gran San Bernardo alle spalle degli Austriaci e, con un esercito di circa 40 mila soldati, puntò direttamente su Milano e se ne impadronì il 2 giugno del 1800. Subito dopo occupò Pavia, Cremona, Piacenza, Brescia e altre città

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respingendo gli Austriaci. Melas, dopo aver tolto Genova ai Francesi, andò incontro ai francesi e il 14 giugno 1800 avvenne l’urto delle principali forze dei due avversari presso Marengo. Gli Austriaci erano superiori per numero e per i Francesi la battaglia sembrava ormai persa quando, grazie al sopraggiungere di una nuova divisione guidata dal generale Desaix, che morì nella battaglia, i nemici furono completamente sbaragliati. Dopo la vittoria di Hohenlinden in Baviera (3 dicembre 1800) da parte del generale Moreau sulle truppe austriache, l’Italia del nord era di nuovo nelle mani di Bonaparte. L’8 febbraio 1801 fu siglata la pace di Luneville, con cui Napoleone ottenne il ripristino del trattato di Campoformio, compresa la riedizione delle repubbliche "Cisalpina" e "Ligure". Il regno d'Etruria sostituì il granducato di Toscana, mentre il Piemonte, occupato dalle truppe francesi, fu successivamente annesso alla Francia. I Savoia fuggirono in Sardegna protetti dall’Inghilterra. Ora la sola Inghilterra, fra le grandi potenze, rimaneva in stato di guerra con la Francia, Napoleone si propose dunque di fare la pace con gli inglesi al più presto possibile. Dal canto suo anche l’Inghilterra - sostenuta dal ceto mercantile legato al commercio europeo, vedendo che né il finanziamento delle coalizioni europee, né l’aiuto dei controrivoluzionari vandeani erano stati efficaci, era stanca di combattere. La pace fu così sottoscritta ad Amiens il 26 marzo 1802. L'Inghilterra accettò di restituire l'isola di Malta ai Cavalieri e l'Egitto alla Turchia, ma mantenne l'ex colonia spagnola di Trinidad e l'isola di Ceylon, precedentemente controllata dall'Olanda; la Francia ottenne il riconoscimento della situazione continentale. In tutti i paesi sotto il potere di Bonaparte (cioè il Belgio, l’Olanda, l’Italia, la riva sinistra del Reno e la Germania occidentale) il commercio dei prodotti britannici era proibito. La lunga guerra con l’Europa era così finita con una vittoria francese su tutti i fronti. Napoleone riformatore Dopo la pace di Amiens, in virtù di un plebiscito, Napoleone fu proclamato console a vita. Come si può facilmente constatare le rivoluzioni promettono tantissimo ma quasi sempre finiscono fatalmente per sfociare in dittatura. Anche quella di Napoleone era una dittatura che però anelava ad un consenso generale. La strategia con cui Bonaparte governò la Francia durante il consolato fu chiamata dell’”amalgama”. Egli fuse pezzi dell’antico regime con la rivoluzione e mise in posti di potere uomini formati ai tempi del re (ex ministri, figli di condannati a morte) affiancati ai figli della rivoluzione. Era un atto di riconciliazione che doveva chiudere le feroci divisioni del periodo rivoluzionario. Pur in virtù di un potere dittatoriale Napoleone realizzò una serie di riforme che conferivano allo stato francese una maggiore modernità. Amnistiò gli emigrati e nel luglio 1801 si riconciliò ufficialmente con la Chiesa cattolica attraverso un concordato: Napoleone permetteva il libero esercizio del culto all’interno del paese e in cambio il papa si impegnava a non chiedere la restituzione delle terre confiscate durante la rivoluzione. Napoleone nominava vescovi e arcivescovi e le encicliche, le bolle e i decreti papali venivano ammessi in Francia solo dopo il permesso del governo. Il clero sarebbe stato utile per

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insegnare l’obbedienza. Attraverso una legge promulgata nel febbraio del 1800 le autonomie locali vennero abolite e sostituite con un rigido centralismo. A ogni dipartimento (partizione del territorio francese istituita nel 1790) fu posto a capo un prefetto, nominato dal ministro dell’interno. I prefetti rappresentavano il potere centrale nelle periferie e avevano il compito di far applicare in modo uniforme le leggi in tutta la Francia. Essi, inoltre, si occupavano del rispetto dell’ordine, di far pagare le tasse e di adempiere agli obblighi di leva. Controllavano anche i sindaci delle città, anch’essi nominati dal governo. Per favorire l’iniziativa economica privata in Francia, le imposte indirette (sui consumi) sostituirono imposte dirette quelle indirette. Inoltre furono subito fissati dazi doganali sui prodotti di importazione per favorire l’industria interna. Nei paesi sottomessi invece, a causa delle esose esigenze belliche, il carico fiscale diretto aumentò nettamente rispetto al periodo precedente, causando un crescente sentimento di ostilità verso i francesi. Il 12 agosto 1800 Napoleone costituì una commissione per l’elaborazione di un Codice civile. Questo Codice - in seguito chiamato "Codice napoleonico"- era l’espressione della vittoria della borghesia sul regime feudale e rendeva intangibile la proprietà borghese (intesa cioè come un diritto individuale e non come un privilegio di nascita) di fronte a qualsiasi attacco, degli aristocratici o dei proletari. Esso garantiva l’uguaglianza giuridica dei cittadini, la laicità dello stato e la libertà d’impresa. Il Codice disciplinava le forme di acquisizione, di utilizzo e di trasmissione delle proprietà. La famiglia (marito, moglie e figli), considerata la cellula della società, era caratterizzata da una serie di diritti e doveri. In sintonia con i principi rivoluzionari furono introdotti il matrimonio civile e il divorzio. Il marito era considerato il capofamiglia, la moglie e i figli gli dovevano obbedienza per legge. Egli aveva la facoltà di chiedere l’arresto del figlio ribelle (minore di 16 anni) o di mandare in casa di correzione la moglie adultera. Lo sconto di pena sul delitto d’onore valeva solo per il marito. Abolito il diritto di primogenitura, fratelli e sorelle ereditavano in modo uguale e anche ai figli illegittimi riconosciuti era riconosciuto un parziale diritto di eredità. Il sistema politico creato da Napoleone non sopravvisse al suo creatore, ma la sua civiltà giuridica si sarebbe conservata più a lungo. Il Codice fu infatti adottato, per scelta o per costrizione, da tutti i Paesi che gravitavano attorno al sistema francese, oltre che da alcuni stati americani. É considerato, con l’esclusione delle anacronistiche diseguaglianze che esso affermava, una pietra miliare del sistema giuridico moderno per la notevole chiarezza con cui le norme erano state scritte e perché pose fine alla eterogeneità normativa e alla pluralità degli organismi giudicanti. I vincitori di Napoleone, nel Congresso di Vienna del 1815, decisero infatti che esso sarebbe stato più confacente alla situazione dell’Europa post rivoluzionaria. Dopo esser stato approvato da Consiglio di stato, Tribunato e Corpo legislativo, nel marzo 1804 il Codice, firmato da Napoleone, divenne legge. In seguito furono comprese in esso anche le leggi con le quali la classe operaia veniva assoggettata ai proprietari. L’opera riformatrice fu poi completata dal Codice di commercio che regolava e garantiva giuridicamente gli affari commerciali e dal Codice penale (1810), che prevedeva, oltre alla pena di morte, anche alcune pene

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corporali che la rivoluzione aveva abolito. Esso ristabiliva, ad esempio, la gogna per i forzati e addirittura il taglio della mano per i parricidi. Il sistema di polizia fu affidato all’ex prete ed ex giacobino Joseph Fouché, che mise al servizio di Napoleone una fitta rete di agenti dotati di ampie libertà e mezzi copiosi al fine di garantire la sicurezza e colpire il dissenso. Gli individui ritenuti socialmente pericolosi potevano essere arrestati per decisione amministrativa (senza processo). Una prima occasione di applicazione di questa pratica avvenne quando Napoleone. la sera del 24 dicembre 1800, scampò per una soffio a un attentato avvenuto in rue Saint Nicaise. Un carretto che sbarrava la strada alla carrozza di Napoleone esplose e uccise 22 persone ferendone un centinaio. Napoleone e il suo seguito non subirono però alcun danno. Subito 133 giacobini, pur estranei ai fatti, furono inviati nelle colonie penali della Guyana o alle isole Seychelles, da cui non avrebbero fatto più ritorno. I veri colpevoli erano dei realisti che vennero comunque giustiziati. Alcune riforme erano chiaramente un passo indietro rispetto al periodo rivoluzionario. La ribellione di Haiti al sistema francese indusse Napoleone, con una legge del maggio 1802, a reintrodurre la schiavitù nelle colonie, abolita nel 1793. Il principio dell’elettività dei giudici, stabilito dalla rivoluzione francese, fu abolito nel 1800. I giudici venivano nominati dal primo console e le progressioni di carriera erano a discrezione del governo. L’affermazione dell’eguaglianza giuridica andò pari passo con la negazione delle libertà politiche e di opinione. Nel periodo napoleonico c’erano a Parigi solo 4 quotidiani rigidamente sorvegliati (nel 1790 erano 335). In compenso in Francia fu abolita ogni forma di privilegio, i cittadini si distinguevano essenzialmente per i loro meriti. I funzionari statali erano scelti in base alle capacità, alle competenze e alla fedeltà verso il governo. Al fine di formare dei funzionari preparati fu avviata una profonda riforma del sistema dell’istruzione che, per la prima volta nella storia, fu finanziato direttamente dallo stato. Fulcro di tale sistema erano i Licei, scuole superiori che prevedevano il pagamento di una retta, caratterizzate dall’obbligo dell’internato (l’alunno doveva risiedere nella scuola) e da una severa disciplina di carattere militare. La scuole primarie erano invece affidate ai religiosi. La formazione di alto livello era affidata alle università e alle prestigiose «Grands Écoles», come le scuole politecniche che si concentravano soprattutto sull’insegnamento dell’ingegneria. La rivoluzione francese si era finanziata con l’immissione di un’enorme massa di carta moneta che aveva creato un vero e proprio caos finanziario e un enorme debito pubblico. Per dare forza alle finanze del Paese fu fondata la Banca di Francia (1800), con capitali provenienti in maggior parte da finanziatori privati. Essa aveva la facoltà esclusiva di emettere banconote convertibili in oro. Questa grandiosa attività legislativa non era ancora giunta a termine quando, nel marzo 1803, ricominciò la guerra contro l’Inghilterra.

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LA RESTAURAZIONE, IL ROMANTICISMO E L’IDEA LIBERALE

Il processo di restaurazione dopo gli sconvolgimenti apportati dalla rivoluzione francese e dalle successive campagne dell’imperialismo napoleonico sono accompagnate da una particolare effervescenza culturale. Si tratta di un movimento che sin dall’affacciarsi europeo dell’illuminismo rivoluzionario ne contesta radicalmente i fondamenti e i presupposti filosofici, anzitutto il suo astratto razionalismo e i suoi pregiudizi contro la religione e il passato, fino ad arrivare a contestare l’idea che i governi nati dalla rivoluzione abbiano realmente fatto quello che dicevano di fare, cioè difendere gli interessi dei popoli. La cultura della restaurazione viene influenzata da tre grandi intellettuali Edmund Burke (inglese, 1729-1797) Joseph de Maistre (savoiardo, 1753-1821) e successivamente Juan Donoso Cortes (spagnolo, 1809-1853). Edmund Burke, di tendenze wigh (diremmo oggi un progressista moderato), pur ammirando la gloriosa rivoluzione inglese, è un radicale fustigatore dei difetti e dei vizi della rivoluzione francese. Infatti nelle sue Riflessioni sulla rivoluzione francese(1790) sostiene che essa ha fatto violenza alla storia e alle tradizioni, che sono il deposito che le generazioni lasciano delle proprie esperienze e delle propria saggezza. Inoltre con il suo pathos della tabula rasala rivoluzione ha inteso produrre una nuova umanità e una nuova convivenza civile su basi puramente razionali (geometriche, matematiche, diremmo)cioè, secondo Burke, astratte schematiche, rigide e quindi lontano dalla fluttuante vita dell’umanità, dalle sue esigenze e dai suoi desideri che non possono essere ridotti ad uno schema e ad un equazione. Se si fa così, cercando con una sorta di ingegneria costituzionale, politica e civile di cambiare il sistema di vita degli uomini dalle fondamenta e senza tener conto del passato, si è costretti a ricorrere alla violenza: ecco allora il Terrore come esito necessario delle vicende francesi. Le rivoluzioni inglese e americana non hanno fatto così, poiché hanno voluto ristabilire un ordine e una giustizia, già da tempo riconosciute dagli uomini e applicate nella convivenza umana: i diritti riconosciuti ai sudditi del re per il loro benessere in Inghilterra e le libertà e la corretta tassazione come principi necessari ai rapporti politico-civili in America. Così non fanno i rivoluzionari preda di un’ideologia astratta come l’illuminismo, di ideali astratti come quelli di libertà, uguaglianza, fraternità(astratti perché in base ad essi si rifiuta tutto il passato: monarchia, istituzioni antiche, ruoli sociali consolidati, tradizioni civili, politiche, religiose), per affermare i quali si finirà con l’usare le armi, come unica soluzione possibile di fronte alla naturale ritrosia degli uomini nell’abbandonare ciò che la saggezza dei secoli ha suggerito loro essere un decente modo di vita e di organizzazione politico-sociale. E così è stato con il periodo del terrore e della violenza degli eserciti napoleonici in tutta Europa. Joseph De

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Maistre: considera il primato del papa come un esempio di potere legittimato da Dio, quindi giusto, capace di ottenere obbedienza in funzione della sua stessa legittimazione. Tale legittimazione anche per le monarchie proviene da Dio, come sostiene san Paolo: “Non est auctoritas nisi a Deo” (Non c’è autorità se non da Dio, Rm, 13) ma la sua efficacia è confermata dalla storia. Anzitutto, infatti, il governo monarchico è efficace perché l’obbedienza che ad esso è dovuta evita ogni inutile discussione e rende l’esercizio del potere deciso e risoluto. Poi esso ha dalla sua lunghi secoli di esercizio che ne hanno fatto il regime più adatto alla società umana grazie alla consuetudine che ne ha modellato i tratti e lo ha reso tutt’uno con lo sviluppo dell’uomo. Tutto ciò si pone contro l’individualismo liberale che, in funzione di una supposta libertà dell’individuo determinata a tavolino e a priori, vorrebbe limitare la sovranità, annullando la e generando di conseguenza il caos sociale e civile, e dunque violenza e decadenza. La rivoluzione contro il potere legittimamente costituito –che dunque trova in Dio, nella religione e nella storia la sua ultima giustificazione-si configura sempre come peccato. De Maistre è un cosiddetto ultra montanista, in riferimento alla sede romana del papato che è geograficamente situata “oltre i monti”, cioè le Alpi, rispetto ai paesi dell’Europa centro settentrionale. Juan Donoso Cortesè un grande oppositore del liberalismo e del socialismo (autore di un Saggio sul cattolicesimo il liberalismo e il socialismo,1851). In particolare nei riguardi del liberalismo formula l’accusa di promuovere la nascita di una classe di parlatori dilettanti e di gente che discute (clasa discutidora) la quale, così facendo, blocca tutte le decisioni del potere nelle pastoie di un interminabile dibattito, impedendo al potere di fare il suo mestiere: decidere per il meglio. “Donoso sottolinea il grande valore della libertà umana, che raggiunge la pienezza quando si conforma ai comandi divini mentre si perverte nel momento in cui compie il male: il peccato originale, che per primo alterò l'ordine voluto da Dio, continua a condizionare negativamente i singoli uomini e la storia nella sua interezza; coloro che non si rendono conto di tale drammatica evidenza e che negano la terribile forza del peccato non sono in grado di capire né l'uomo né le vicende storiche che, agli occhi del pensatore spagnolo, sono caratterizzate da un titanico scontro tra bene e male. Figlie del peccato sono le rivoluzioni, che infrangono l'ordine politico, come il peccato infrange l'ordine etico; figlio del bene è l'ordine, che dunque deve essere restaurato perché ciò è nei piani stessi di Dio. Scrive il pensatore spagnolo: "Quest'ordine consiste nella superiorità gerarchica della fede sulla ragione, della grazia sul libero arbitrio, della Provvidenza divina sulla libertà umana, della Chiesa sullo Stato; e, per dirla tutta in una sola volta, nella supremazia di Dio sull'uomo... Solamente nella restaurazione di codesti eterni principi nell'ambito religioso e dell'ordine politico e sociale dipende la salvezza delle società umane... Questi principi non possono essere riattivati se non da chi li conosce, e nessuno li conosce se non la Chiesa cattolica" (Diego Fusaro).

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Il Romanticismo Tra la fine del sec. XVIII e l’inizio del XIX è il periodo di nascita e massima affermazione del movimento culturale romantico. Esso si oppone all’unilaterale esaltazione della ragione proposta dagli intellettuali illuministi, ritenendo che il sentimento e la dimensione emotiva non sia in necessario contrasto con gli aspetti razionali della personalità, bensì li integri. Se si tiene conto di questi fattori si è in grado di offrire un’immagine più vera e comprensiva dell’essere umano. In coerenza con ciò i Romantici esaltano l’elemento estetico-artistico rispetto alle discipline scientifico-matematiche degli illuministi, cioè la dimensione di una razionalità intuitiva e sintetica piuttosto che discorsivo-analitica. In ultimo rivalutano la storia, il passato, le tradizioni come deposito di una saggezza antica e originaria, venuta perdendosi con lo sviluppo della civilizzazione. Grandi intellettuali romantici fioriscono in Germania: i fratelli Schlegel veri e propri teorici del movimento, i poeti-filosofi Hölderlin, Novalis e il grande Goethe, il tragediografo Schiller, i filosofi Schelling e Fichte. Rapidamente il movimento si diffonde in Europa(cfr. i poeti inglesi Coleridge e Scott, i pittori francesi Delacroix e Gericault, letterati in Francia come madame De Stael e Chateaubriand poeti e letterati italiani come Foscolo, Berchet, Manzoni)divenendo egemone nella prima metà dell’Ottocento. Tra Illuminismo e Romanticismo L’idea di nazione L’idea di nazione è legata al termine che risale all’epoca classica: natio è luogo in cui si è nati, dal latino nascor. Quindi etimologicamente nazione verrebbe a significare unione di uomini che sono nati avendo una comune origine di sangue o di territorio o tutte e due. Tale nozione estremamente semplice che si sovrappone a quella di popolo, si va pian piano facendo più complessa, quando alle questioni puramente etnico-geografiche si aggiunge una nozione tipicamente umana, quella di coscienza. La nazione non è semplicemente un popolo che ha comuni origini geografiche ed etniche, bensì un popolo che prende coscienza di essere tale. Insomma una comunità consapevole di se stessa, della propria storia e del proprio destino. Tale prospettiva viene acquisita attraverso le tappe fondamentali dell’illuminismo-rivoluzione francese e del romanticismo-restaurazione, che, a prescindere dalle loro diverse prospettive vengono a contribuire in modo determinante al determinarsi di questo complesso ideale nazionale. Il contributo dell’illuminismo e della rivoluzione francese verte sulle seguenti idee: -unità e indipendenza nazionale sono la diretta conseguenza dell’estensione del concetto di libertà individuale alla dimensione dei popoli, che così acquisiscono il diritto di DISPORRE DI SE STESSI; -la negazione delle legittimità storiche e del passato, promossa dall’illuminismo, significa che i membri di uno stesso popolo dovevano convivere per volontà loro e non per volontà del sovrano. Tale libera adesione degli individui alla loro nazione si

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esprime attraverso l’accettazione delle clausole ideali del contratto sociale, in cui ogni individuo vede riconosciuti i propri diritti e, seppur in secondo piano, elencati i propri doveri; -la rivolta contro l’invasore straniero in nome della resistenza all’oppressione e dell’indipendenza nazionale è qualcosa che i popoli europei traggono dalla rivoluzione francese in due sensi: dalla sua ideologia che difende tale diritto, e dai suoi fautori politici, la Francia di Napoleone, che lo negano ai popoli sottomessi secondo una logica imperialistica, contro la quale i popoli oppressi fanno appello -quando le loro élites dominanti, pure intrise di illuminismo, si accorgono tardivamente dell’inganno napoleonico -ai medesimi principi della rivoluzione francese che Napoleone aveva esportato. Il contributo del Romanticismo invece riguarda i seguenti aspetti dell’idea di nazione: -“All’universalismo astratto della rivoluzione, si oppongono le particolarità concrete delle storie nazionali, all’astrazione razionalistica e geometrica della rivoluzione, l’istinto, il sentimento, la sensibilità. Attingendo alla conoscenza del passato e al culto delle tradizioni, si definisce attraverso la storia, la lingua, la religione”. Dunque la nazione è non solo un popolo che dispone di sé, vuole essere libero e indipendente, e rifiuta le legittimità storiche quando si vogliano imporre alla sua libera volontà che è in grado di esprimersi politicamente(elementi che sono attinti dall’eredità illuministica),ma anche un popolo che cerca le sue origini, che è solidale perché ha vissuto una storia comune, appartiene ad un comune ambito culturale, possiede un comune patrimonio di idee che si sono sedimentate particolarmente nella lingua, vera e propria cartina al tornasole del carattere nazionale, ma anche nell’arte, e nelle credenze religiose che tale carattere nazionale esprimono al livello più alto (tutto quanto è attinto dall’eredità romantica). Un’eredità della rivoluzione francese: liberalismo e democrazia Nel xix secolo l’idea nazionale entra in relazione con due prospettive politiche originali: il liberalismo e la democrazia. Entrambi figli della rivoluzione francese, malgrado il primo nella sua purezza si ritrovi più in Inghilterra e nella costituzione degli Stati Uniti. Il Liberalismo è quel modo di concepire la convivenza civile che è imperniato sull’idea di libertà individuale e che tende ad opporsi ad ogni incremento della sovranità. È ideologia tipica della borghesia che vuole sostituirsi alla classe aristocratica, promuovendo una gestione dello Stato che favorisca la libera iniziativa economica e la possibilità più ampia ed estesa possibile di arricchirsi. Perciò intende limitare il potere dello Stato in economia (liberismo) e controllarlo tramite appositi strumenti istituzionali (separazione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario) in tutti gli altri campi. Può essere compatibile con un regime di carattere monarchico costituzionale (Inghilterra, Francia 1791) o anche repubblicano (Stati Uniti). È invece incompatibile con una monarchia assoluta. La democrazia è quel modo di concepire

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la convivenza civile che insiste sulla partecipazione più ampia ed estesa possibile dei cittadini alla formazione delle decisioni politiche. Può essere diretta o indiretta: nel primo casosi avvale di assemblee locali che, radunando la popolazione, prendono le decisioni più importanti; dell’istituto del referendum su questioni particolarmente rilevanti per il destino del popolo, dell’istituto del plebiscito per confermare le decisioni delle potere politico, dello strumento dell’acclamazione in grandi assemblee e comizi popolari per esprimersi con un sì o con un no su argomenti di interesse pubblico. Nel caso della democrazia indiretta il popolo elegge propri rappresentanti (preferibilmente con mandato imperativo) che in un’assemblea sono deputati a prendere le decisioni. I rappresentanti possono essere tanti oppure uno. In quest’ultimo caso si avranno forme dittatoriali o autocratiche di democrazia. Nel caso della democrazia indiretta, possibile anche con mandato libero, dirimente, infatti, risulta essere l’universalità del suffragio. La democrazia può convivere con il liberalismo (monarchico o repubblicano), quando assume al proprio interno la divisione dei poteri e il mandato libero. Tendenzialmente è incompatibile con un regime monarchico o aristocratico, anche se talvolta vi sono stati monarchi hanno saputo meglio di altri interpretare i bisogni e le aspirazioni popolari. La dittatura può essere una soluzione tipicamente democratica nella misura in cui il dittatore è legittimato dal popolo, fa appello al popolo e al suo potere costituente contro i poteri precedenti, e consulta il popolo nei momenti chiave della vita politica. La tipica degenerazione della democrazia è data dalla dittatura della maggioranza, quando cioè l’ideale democratico diventa esclusivo e aggressivo nei confronti di quella parte del popolo che non condivide le opinioni della maggioranza. Accanto a liberalismo e democrazia, il socialismo fa la sua comparsa, come corrente minoritaria già durante la rivoluzione francese, e si impone via via come pensiero che intende risolvere i più gravi problemi di ingiustizia sociale e di sperequazione che emergono nelle società europee con l’affermarsi della rivoluzione industriale. Il socialismo è una corrente politica che radicalizza la democrazia: non solo intende far partecipare il popolo alle decisioni, ma pretende che la parte più svantaggiata di esso, i più poveri (che sono la maggioranza) siano al centro delle preoccupazioni del potere. Nel caso del socialismo marxista l’obiettivo è la dittatura del proletariato (i più poveri al potere contro la classe borghese che va eliminata ed espropriata dei suoi beni attraverso una vittoriosa lotta di classe dei poveri contro i ricchi),la fine della proprietà privata dei mezzi di produzione e addirittura l’estinzione del potere politico, affinché si raggiunga una più piena giustizia sociale, con l’autogestione della produzione e la distribuzione della ricchezza da parte dei protagonisti del processo produttivo, i lavoratori. Il socialismo è compatibile con una dittatura provvisoria del partito proletario(il partito comunista o socialista)e rifiuta, nella sua forma marxista, ogni altro sistema di governo. Nella sua forma riformista e non marxista, accetta la democrazia come strumento di raggiungimento della giustizia sociale. Nella sua forma nazionale non marxista, rifiuta la lotta di classe, esprime una dittatura che cercando la grandezza della nazione intende favorire, grazie all’incremento della ricchezza che ciò permette, una più equa redistribuzione dei beni.

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LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

La 1° Rivoluzione Industriale iniziò in Inghilterra intorno alla metà del XVIII sec. e si diffuse, nel secolo seguente, in altri Paesi Europei e negli Stati Uniti d'America. Venne chiamata "rivoluzione" in quanto determinò un radicale cambiamento nei modi e nelle condizioni di produzione dei beni manifatturieri e in tutti i settori della vita economica e sociale. Fu grazie all'introduzione di innovazioni tecnologiche che si sviluppò un nuovo sistema di produzione. Nella primitiva industrializzazione (XVI - XVII sec.), le attività manifatturiere erano sparse nelle campagne, nelle quali veniva sfruttata l'energia delle acque correnti per azionare i macchinari. Inoltre, a causa di questa dislocazione, il prodotto veniva preparato dalle donne nelle fattorie e ritirato da "proto-industriali" che si spostavano da una fattoria all'altra sia per ritirare il prodotto finito sia per distribuire la materia prima. Il nuovo sistema industriale, invece, prevedeva l'impiego di operai che lavoravano all'interno delle fabbriche e la sostituzione delle fonti di energia tradizionale (animali, vento e acqua) con fonti combustibili (carbone) che permisero l'introduzione delle macchine a vapore. Inoltre le macchine a vapore vennero applicate ai telai delle industrie tessili ed ai mantici delle fonderie sostituendo parte del lavoro umano e permettendo la realizzazione di prodotti a basso costo (economie di scala). Dapprima i settori interessati dalla rivoluzione tecnologica furono quello tessile e siderurgico, ma ben presto le nuove tecniche interessarono tutti gli altri settori produttivi. Nell'ambito del settore tessile l'applicazione delle macchine a vapore, assicurò produzioni continue di filati e tessuti e promosse il settore chimico per la produzione di sbiancanti e coloranti. Abraham Darby 1°, nel 1709 nella valle del Severis, operò la prima fusione del ferro con il carbon coke in sostituzione del tradizionale carbone di legna, mentre suo nipote A. Darby 3°, nel 1779, costruì il primo ponte interamente in ferro, considerato in quel tempo un prodigio di ingegneria e ritenuto oggi uno dei monumenti più significativi della Rivoluzione Industriale. Aspetti sociali La 1°Rivoluzione Industriale ebbe notevoli ripercussioni sociali in quanto accompagnò tutta una serie di profonde trasformazioni nell'economia e nella vita sociale. L'aumento demografico creò la nascita della città industriale, che si popolò di artigiani e contadini che abbandonarono le campagne per lavorare nelle fabbriche dando origine al fenomeno dell'inurbamento. Si costruirono alle periferie delle grandi città abitazioni fatiscenti e insane, prive di servizi igienici. Il lavoro subì una radicale trasformazione: nelle fabbriche all'operaio non era richiesta una particolare capacità come invece era richiesta all'artigiano; inoltre la lavorazione a catena costringeva il lavoratore ad atti ripetitivi e stressanti per 12 - 14 ore giornaliere, in capannoni umidi

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per il vapore acqueo accumulato e scarsamente arieggiati. La società si divise nettamente in 2 ceti: - Capitalisti (alto-borghesi ricchi, proprietari delle fabbriche) - Proletari (ricchi di prole, con bassi salari e privi di tutela nel rapporto di lavoro). Si diffuse così il Lavoro infantile specialmente nelle fabbriche dove i piccoli per la loro minuta costituzione potevano infilarsi in spazi angusti (es: pulizia di cunicoli, pulizia di parti interne di macchinari oppure per tenere in funzione i telai anche quando la lavoratrice adulta si assentava per il pranzo, perché era meno dispendioso per il padrone pagare un bambino che spegnere e riaccendere la macchina).

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L'EUROPA DELLE GRANDI POTENZE La lotta per l'egemonia continentale Dopo le rivoluzioni del '48, la scena europea continuò ad essere occupata degli stessi protagonisti che avevano dominato gli equilibri europei nei decenni successivi al congresso di Vienna, ossia le “grandi potenze” (Francia, Gran Bretagna, Austria, Prussia e Russia) che per dimensioni, capacità economiche e forza militare esercitavano un ruolo attivo negli affari internazionali, in una continua competizione per l'egemonia. Se però, durante la Restaurazione le rivalità si erano mantenute in termini pacifici grazie al “concerto europeo”, nel ventennio 1850-70 la conflittualità sfociò in ben 4 guerre, originate soprattutto dal tentativo della Francia di Napoleone III di riaffermare la propria posizione di massima potenza europea ai danni dell'Impero asburgico. L'indebolimento austriaco favorì l'ascesa della potenza prussiana, che aspirava a riunire attorno a sé un grande Stato nazionale tedesco, e ciò costituiva una minaccia per la Francia, che aveva da sempre basato il proprio potere sulla frammentazione della Germania: ecco quindi che anche l'unità tedesca passava attraverso lo scontro con la Francia. L'esito della guerra franco-prussiana, da un lato fu fatale per il Secondo Impero e dall'altro elevò la Germania a maggiore potenza europea, garante del nuovo equilibrio europeo basato sull'isolamento francese, equilibrio che sarebbe entrato in crisi solo con l'uscita di scena del suo principale artefice, il cancelliere Bismarck e che avrebbe portato alla contrapposizione di due blocchi di potenze. Nei singoli stati, comunque, le sconfitte democratiche del '48 non pregiudicarono lo sviluppo di governi rappresentativi; la Gran Bretagna consolidò le istituzioni liberali, la Francia si trasformò in repubblica dopo la sconfitta con la Prussia e anche nei regimi più autoritari, come l'Austria e la Germania, ci fu un allargamento della base elettorale e una maggiore sensibilità verso i problemi sociali. La Francia del Secondo Impero e la guerra in Crimea A metà '800 la Francia costituiva un caso anomalo poiché il Secondo Impero non apparteneva ai sistemi liberal-parlamentari ma era anche molto diverso dai regimi monarchici tradizionali; il nuovo regime inaugurò infatti un modello politico particolare, definito bonapartismo, nel quale al principio della sovranità popolare si univa il potere fondato sulla forza delle armi, il centralismo autoritario si univa al riformismo sociale e il conservatorismo borghese si mescolava con la demagogia. All'autoritarismo e al centralismo classici, Napoleone III univa la pratica del paternalismo e la ricerca del consenso popolare. Oltre al consenso delle campagne ottenne anche quello della borghesia urbana, rappresentante della finanza e dell'industria, che negli anni del Secondo Impero fu attiva ed influente, come testimonia la nascita di istituti di credito mobiliare, e permise attraverso le iniziative

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finanziarie anche la crescita dell'industria. Un altro aspetto importante di questa politica fu quello tecnocratico, ossia la tendenza ad affidare maggior potere ai tecnici(scienziati, ingegneri), considerandola la via più sicura alla realizzazione del bene comune, bene comune che coincideva prima di tutto con le grandi conquiste civili. A questi propositi andò poi ad unirsi un'altra componente essenziale del Secondo Impero: la tradizione bonapartista, la tradizione bellica, che portò Napoleone III a contestare l 'assetto europeo e ad impegnarsi in una politica estera ambiziosa e aggressiva. La prima occasione per dare spazio alle ambizioni imperiali fu offerta dal riacutizzarsi della questione d'Oriente. Alla base vi era l'aspirazione della Russia a espandersi nei Balcani approfittando dell'incapacità dell'Impero ottomano di opporre resistenza e così nel 1853 iniziarono le ostilità; i successi della Russia provocarono però la reazione dei governi inglese e francese i quali volevano affermare la propria presenza nel Mediterraneo. Nel 1854 una flotta anglo-francese sbarcò in Crimea; seguita poco dopo da una spedizione piemontese, e assediò Sebastopoli; tutto si risolse con questo lungo assedio, conclusosi nel 1855 con la caduta della città. La Francia non ottenne risultati concreti ma l'appoggio ai movimenti nazionali costituì una direttiva importante nella politica estera del Secondo Impero. L'episodio più significativo di questa politica fu l'alleanza con il Piemonte stipulata nel 1858 e culminata, nel 1859, nella guerra contro l'Austria, anche se il risultato della guerra, ossia la formazione dello stato italiano, era ben lontano dai progetti di Napoleone III che nel territorio italiano voleva, invece, imporre il proprio dominio. Questo scontro con l'Austria ebbe conseguenze anche in politica interna perché mise in gruppi cattolico-conservatori in contrasto con l'imperatore, senza però produrre altre conseguenze poiché nel 1870 ci fu il crollo del regime napoleonico in seguito alla sconfitta francese nella guerra franco-prussiana. Il declino dell'Impero asburgico e l'ascesa della Prussia Sopravvissuto ai moti del 1848-49, lo Stato plurinazionale degli Asburgo d'Austria si riorganizzò, negli anni '50, sulla base del vecchio sistema assolutistico con il rafforzamento del centralismo amministrativo. Questo accentramento contribuiva però ad accrescere il problema principale della monarchia asburgica: la coesistenza all'interno dell'impero di diverse nazionalità, ognuna con le proprie aspirazioni all'autonomia. Se creava problemi di non poca importanza, l'accentramento burocratico aveva, invece, giovato ai contadini, che costituirono il sostegno più sicuro alla monarchia, la quale poggiava inoltre sull'alleanza con la Chiesa cattolica, sancita nel 1855 da un concordato fra Impero e Santa Sede. In questo modo l'Austria sacrificò le esigenze della borghesia produttiva(come in Lombardia), mancando l'appuntamento con lo sviluppo economico degli anni '50 e '60, senza tra l'altro riuscire a mantenere un ruolo importante nel concerto delle potenze europee. Fu così che la Prussia si propose come guida della nazione tedesca, facendo leva sullo sviluppo industriale e sulla stretta integrazione della sua economia con quella degli altri Stati tedeschi(esclusa l'Austria), uniti fin dal 1834 da una Lega doganale. Lo

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sviluppo dell'industria e la conseguente crescita della borghesia si concentrarono nella zona occidentale, cioè nella Renania-Westfalia, mentre nei territori orientali resisteva un'economia agricola basata sulla grande proprietà terriera(gli Junker) fortemente conservatrice che esercitava un peso importante nella vita dello stato. La mancata evoluzione delle istituzioni in senso liberal-parlamentare non ebbe però effetti negativi per il progresso economico e civile che ebbe invece in Russia e nell'Impero asburgico perché in Germania esistevano elementi di modernità sconosciuti agli altri paesi dell'Europa orientale come un efficiente sistema di comunicazioni interne, una rete ferroviaria sviluppata e un'alta diffusione dell'istruzione elementare. Il tradizionalismo degli Junker e le aspirazioni nazionali della borghesia, poi, trovarono un punto di convergenza nella politica di potenza dello Stato, volta ad uno sviluppo della forza militare. Non riuscendo a venire a capo dell'opposizione parlamentare, che si opponeva alla riforma delle forze armate, Guglielmo II decise di sfidarla apertamente e nel 1862 nominò cancelliere Otto von Bismarck, esponente dell'ala reazionaria degli Junker. Egli realizzò il progetto di riforma dell'esercito prescindendo dal Parlamento e in pochi anni, attraverso l'uso della forza e grazie alla sua abilità diplomatica, consentì alla Prussia di realizzare l'unificazione tedesca e di passare dalla posizione di ultima fra le potenze europee a un'indiscussa egemonia sul continente. Il primo ostacolo verso l'unificazione era costituito dall'Austria. Il contrasto tra le due potenze si fece acuto nel 1864-65 quando esse entrarono in conflitto circa l'amministrazione dei territori sottratti alla Danimarca. Prima di provocare il casus belli con l'occupazione militare dell' Holstein, Bismarck si alleò all'Italia assicurandosi anche la neutralità di Russia e Francia, mentre l'Austria veniva appoggiata dagli altri Stati minori tedeschi spaventati dalla Prussia. Cominciata nel 1866, la guerra durò tre settimane e vide la sconfitta austriaca nella battaglia di Sadowa, causata dalla perfetta organizzazione prussiana e dalla qualità dei suoi armamenti(prima guerra di movimento tipica dei tedeschi). Nell'agosto 1866 fu firmata la pace di Praga con cui l'Austria cedeva il Veneto all'Italia e venne sciolta la vecchia Confederazione germanica; nel 1867 l'Impero fu diviso in 2 Stati, uno austriaco e l'altro ungherese. Se con questo “compromesso” gli Asburgo si accordavano con la Prussia, scontentavano però i popoli slavi, che avrebbero rappresentato il pericolo più grave per l'unità dell'Impero. Il trionfo di Bismarck ebbe ripercussioni anche sulla politica interna prussiana in quanto, attraverso la ratifica retroattiva da parte del Parlamento delle spese del governo senza l'approvazione della Camera, la borghesia liberale rinunciò in pratica a guidare il processo di unificazione nazionale. La guerra franco-prussiana e l'unificazione tedesca Uscita trionfatrice dallo scontro con l'Austria, la Prussia(di Bismarck e di Guglielmo I), per realizzare l'ultima fase del suo progetto, ossia l'unificazione di tutti gli Stati germanici in un grande Reich tedesco(esclusa l'Austria), doveva superare un ultimo ostacolo: la Francia di Napoleone III, la quale, con la crescita della Prussia, si vedeva

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messo in discussione il risultato raggiunto nel 1648 con il trattato di Westfalia, col quale era stato distrutta l'unità politica della Germania. L'occasione per il conflitto tra le due potenze fu offerta da una questione dinastica. Nel 1868 il trono di Spagna era rimasto vacante e venne affidato ad un parente del re prussiano; questo provocò in Francia la paura di un accerchiamento tedesco e portò il governo a lanciare un ultimatum, declinato però dal sovrano spagnolo. La ritirata prussiana fu però abilmente trasformata in provocazione da Bismarck, che, attraverso il telegramma di Ems, fece credere all'opinione pubblica che la Francia fosse stata rapidamente congedata, questo aumentò il furore nazionalistico francese e condusse il governo francese a dichiarare guerra alla Prussia, il 19 luglio 1870. La Francia affrontò il conflitto con una scarsa preparazione militare(l'esercito prussiano era superiore per numero e per organizzazione) e, infatti, il 1° settembre venne sconfitta nella battaglia di Sedan e fu costretta ad arrendersi. Nel frattempo, nella Parigi ormai minacciata dai prussiani, si formava un governo provvisorio repubblicano che però ben presto dovette lasciare la capitale e fu costretto a chiedere l'armistizio, firmato poi nel gennaio 1871. La pace imposta da Bismarck col trattato di Francoforte prevedette condizioni pesanti per la Francia: un'ingente indennità di guerra, la presenza di truppe tedesche nel territorio fino al completo pagamento e la cessione dell'Alsazia e della Lorena, regioni di importanza economica e strategica. In generale le condizioni di pace a cui la Francia fu sottoposta provocarono una vera umiliazione nazionale, tanto da far crescere nei francesi il desiderio di rivincita, il cosiddetto revanscismo, che per quasi mezzo secolo avrebbe condizionato la politica francese e l'equilibrio europeo. Con quest'ultima vittoria Guglielmo I fu incoronato imperatore tedesco e prese vita l'unità tedesca, un'unità “calata dall'alto”, attuata in seguito ad una guerra combattuta fuori dai confini nazionali e per iniziativa di uno statista geniale quanto dispotico, senza che venisse mai ratificata da un plebiscito o da una consultazione popolare. La Comune di Parigi Nel 1871 la Francia, oltre alla pace con la Germania dovette affrontare una crisi interna, in parte causata dalla sconfitta stessa e in parte legata alle tensioni che il'48 aveva fatto riemergere. In seguito alla sconfitta di Sedan il popolo di Parigi insorse, costituendo la Guardia nazionale e decretando la fine del regime napoleonico, mentre nelle campagne continuarono a prevalere le tendenze conservatrici. Questa frattura si delineò con chiarezza dopo le elezioni della nuova Assemblea nazionale tenutasi nel febbraio 1871, che vide la nomina di una maggioranza moderata e conservatrice, con a capo del governo il moderato Thiers. Ma quando furono rese note le condizioni imposte da Bismarck il popolo di Parigi protestò in massa: lo scontro tra Parigi rivoluzionaria e Francia rurale-conservatrice diventava fatale. La capitale fu lasciata a se stessa e indotta a riconoscersi nella Guardia nazionale, unica struttura organizzata rimasta in città, la quale indisse le elezioni per il Consiglio della Comune( un autogoverno cittadino che però evocava la prima comune, quella giacobina del 1793-94); anche la nuova Comune assunse i tratti di un'esperienza rivoluzionaria e il potere

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restò nelle mani dei gruppi di estrema sinistra: fu il più radicale esperimento di democrazia diretta mai tentato in Europa. Ovviamente tutto ciò provocò, da un lato, l'allarme dei conservatori e dei moderati e dall'altro l'entusiasmo dei rivoluzionari europei; Marx vide nella Comune il primo esempio di gestione diretta del potere delle masse, anche se questo governo rivoluzionario non si caratterizzò in senso socialista sia per il carattere omogeneo delle forze presenti nel Consiglio sia per le condizioni anomale di occupazione straniera nella quali l'esperienza si svolse. L'esperienza della Comune durò circa due mesi, poi le truppe governative occuparono Parigi e sconfissero di nuovo il movimento rivoluzionario. La svolta 1870 e l'equilibrio bismarckiano All'indomani della guerra franco-prussiana, in particolare in Germania, si affermò una nuova concezione dello Stato e dei rapporti internazionali che vede tramontare i principi della cultura liberal-democratica ottocentesca e, al contrario, affermarsi l'ideologia della forza, della politica di potenza fondata sullo sviluppo degli eserciti(a ciò contribuì anche il mutamento della congiuntura economica che porta gli stati europei ad accentuare le misure protezionistiche ripudiando il libero scambio). Nonostante questi cambiamenti quello che seguì il 1870 fu un periodo di pace per l'Europa occidentale, nel quale, conclusi i processi di unificazione nazionale, i confini nazionali assunsero un aspetto più definito e stabile. Tuttavia la pace europea non deriva dal fatto che non vi fossero più rivalità e conflitti, ma dal fatto che questi si spostarono ai margini del continente(penisola balcanica, Mediterraneo) e successivamente in Asia e in Africa, scenari della corsa imperialistica degli ultimi decenni del secolo; le guerre erano combattute per il possesso delle colonie, lontano quindi dalla madrepatria. In Europa la pace fu assicurata dagli equilibri raggiunti, dei quali l'Impero tedesco era l'assoluto garante. Se prima del 1870 la politica di Bismarck aveva come obiettivo la distruzione del concerto delle potenze, dopo la nascita del Reich essa diviene il custode più geloso dell'equilibrio europeo. In virtù di questi nuovi obiettivi la Germania concentrò i suoi sforzi nell'impedire alla Francia di uscire dell'isolamento diplomatico, attraverso alleanze con le altre potenze(Russia, Austria-Ungheria e Italia), e finché Bismarck rimase al potere la situazione rimase stabile. Il fulcro iniziale del sistema Bismarckiano fu il patto dei tre imperatori, stipulato nel 1873 fra Germania, Russia e Austria e mirava alla tutela degli equilibri conservatori presenti nei 3 Stati. Questa alleanza aveva però un punto debole nella rivalità tra Austria e Russia nei Balcani; nel 1875-76 l'esercito turco intervenne in Bosnia per bloccare le rivolte delle popolazioni slave, la Russia, protettrice dei popoli slavi, nel 1877 entrò in guerra con la Turchia e la sconfisse, garantendo l'indipendenza di Bulgaria, Serbia, Montenegro e Bosnia: questa vittoria garantì l'egemonia russa nei Balcani e provocò la reazione dell'Austria. Fu a questo punto che Bismarck convocò un congresso tra le grandi potenze, tenutosi a Berlino nel 1878, grazie al quale riuscì momentaneamente a non far precipitare la situazione. Una volta scongiurato il pericolo di un conflitto europeo, Bismarck ripropose

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l'alleanza con Austria e Russia, raggiunta attraverso la divisione dei Balcani in zone d'influenza, e nel 1881 fu rinnovato il patto dei tre imperatori, completato poi nel 1882 con la stipulazione della Triplice alleanza tra Germania, Austria- Ungheria e Italia. Anche qui, comunque, non mancavano elementi di fragilità vista la questione irrisolta del Trentino e della Venezia Giulia tra Italia e Austria e soprattutto un'altra frizione nell'area balcanica fra Austria e Russia. Qui Bismarck, non potendo più tenere nella stessa alleanza due potenze rivali, sottoscrisse degli accordi bilaterali; mantenne ferma l'alleanza con l'Impero asburgico e stipulò con la Russia, all'insaputa dell'Austria, un trattato di contro-assicurazione che impegnava la Russia a non aiutare la Francia in caso di guerra alla Germania e la Germania a non unirsi all'Austria in una guerra contro la Russia. Questo fu l'ultimo capolavoro diplomatico di Bismarck; il nuovo imperatore Guglielmo II iniziò una politica estera di ampio respiro provocando la fine del cancelliere e del suo sistema di alleanze. La Germania imperiale Con un'economia in continua crescita, un esercito efficiente e un sistema di istruzione qualificato, il nuovo Stato tedesco era la maggior potenza continentale europea. Il Reich era composto da 25 Stati con propri governi e parlamenti, la grande politica era competenza del governo centrale, presieduto dal cancelliere responsabile di fronte all'imperatore. Il potere legislativo era esercitato da una Camera e da un Consiglio federale mentre il potere esecutivo era nelle mani dell'imperatore e del cancelliere e faceva leva sull'alleanza fra il mondo industriale e bancario e l'aristocrazia terriera e militare, alleanza rinsaldata anche dalla politica protezionistica attuata da Bismarck dopo il 1879(matrimonio tra il ferro e la segale). La forma accentrata e autoritaria del potere non impedì, tuttavia, il manifestarsi di una vivace dialettica politica, tanto che si sviluppano nuovi e forti movimenti politici di massa; oltre al Partito conservatore (espressione degli Junker) e il Partito nazional-liberale(espressione della borghesia industriale) si aggiunse il Centro(di ispirazione cattolica) nel 1871 e il Partito socialdemocratico tedesco(Spd) nel 1875. Mentre l'Spd rappresentava il movimento operaio, il centro poggiava sul consenso di agricoltori e ceti medi urbani. La lotta di Bismarck contro i cattolici(Kulturkampf) raggiunse l'apice negli anni 1872-75 quando lo Stato si impegnò ad affermare il suo carattere laico(obbligo di matrimonio civile e abolizione del controllo religioso sull'insegnamento), ma tutto questo compattò i cattolici tedeschi che in pochi anni raddoppiarono la propria rappresentanza in parlamento e ciò costrinse il cancelliere a attenuare le misure anticattoliche. Questa ritirata(o fallimento) gli fu imposta dalla necessità di fronteggiare una nuova e più pericolosa minaccia costituita dall'ascesa della socialdemocrazia. Già nel 1878 il governò varò provvedimenti eccezionali che limitavano la libertà di stampa, rendevano illegali le associazioni e costringevano la socialdemocrazia ad una condizione di semiclandestinità. Allo stesso tempo, sempre per indebolire il movimento operaio, il parlamento approvò leggi a tutela delle classi lavoratrici, attraverso assicurazioni obbligatorie per infortuni sul lavoro, malattie e vecchiaia.

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Queste attenzioni si collocavano all'interno di un riformismo conservatore, che mirava ad integrare le masse lavoratrici nello Stato; tuttavia questa politica non impedì la nascita, alla fine degli anni '80, di un forte movimento sindacale guidato da leader socialdemocratici. La Terza Repubblica in Francia Dopo i traumi della sconfitta con la Prussia e della guerra civile la Francia si riprese rapidamente. Nel 1872 l'Assemblea nazionale introdusse il servizio militare obbligatorio e nel 1873 fu ultimato il pagamento dell'indennità di guerra ai tedeschi; a fine anni '70 la Francia tornò ad avere un forte esercito ed iniziò ad impegnarsi in conquiste coloniali. La ripresa si fondò sul patriottismo dei contadini e della piccola borghesia, che sopportarono la forte pressione fiscale, e sulla tenacia dei piccoli risparmiatori che consentirono l'utilizzo del risparmio nazionale per finanziare l'espansione imperialista. Se la rinascita economica fu rapida, più lenta e travagliata fu la stabilizzazione politica perché i membri dell'Assemblea nazionale rimasero a lungo favorevoli alla restaurazione della monarchia. Solo le fratture all'interno del fronte monarchico(tra legittimisti e orleanisti) consentirono il varo di una costituzione repubblicana nel 1875:nasceva così la Terza Repubblica, la quale affidava il potere legislativo ad una Camera eletta a suffrago universale maschile e ad un Senato, a capo dell'esecutivo vi era il presidente della Repubblica. La costituzione del '75 rappresentò un successo per i repubblicani che nelle elezioni del 1876 si assicurarono una solida maggioranza(ribadita ulteriormente da nuove elezioni dopo che il presidente della Repubblica MacMahon, conservatore, era ricorso allo scioglimento della Camera). Nella primi anni della Repubblica furono i repubblicani moderati a dominare la scena, i cosiddetti opportunisti; da essi si distinguevano i repubblicani più avanzati, i radicali. In ogni caso sotto questa maggioranza repubblicano-moderata la Francia poté consolidare le proprie istituzioni democratiche e riassorbire le fratture causate dalla guerra civile del '71. Nel 1879 fu deciso il ritorno del Parlamento da Versailles a Parigi, nel 1880 fu approvata un'amnistia per i comunardi condannati(favorendo la ripresa del movimento operaio), nel 1884 il Senato fu reso completamente elettivo e sempre nello stesso anno furono varate 3 leggi molto importanti: quella a garanzia della libertà di associazione sindacale, quella che ampliava le autonomie locali e quella che introduceva il divorzio. L'azione repubblicana era mirata soprattutto ad affermare la laicità dello Stato, l'istruzione elementare, infatti, oltre ad essere resa obbligatoria, venne posta sotto il controllo statale. L'affermazione dei valori laici fu contrastata dai gruppi conservatori e clericali, e questo provocava un'altissima instabilità de governi, resa ancora maggiore dall'assenza di schieramenti politici compatti. Oltre a questo, un altro problema storico della Terza Repubblica fu la corruzione, che si basava in particolare sullo stretto legame fra il mondo politico e gli ambienti della speculazione finanziaria; gli scandali politico- finanziari misero a dura prova la solidità della istituzioni, come indica la nascita di un vasto movimento autoritario e antiparlamentare, a

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testimonianza che le tentazioni autoritarie erano sempre presenti nella società francese. L'Inghilterra vittoriana Dopo il '48 la Gran Bretagna attraversò un periodo di stabilità politica, tranquillità sociale e prosperità economica; a metà '800 l'Inghilterra era la più progredita tra le grandi potenze europee, era il centro commerciale e finanziario dei traffici fra tutti i continenti, possedeva un impero coloniale in costante espansione e aveva le istituzioni politiche tra le più libere d'Europa. Il ventennio '48-'66, segnato dalla presenza dei liberali al governo, vide un ulteriore sviluppo del sistema parlamentare, ossia quel sistema che subordinava la vita di un governo alla fiducia del Parlamento mentre affidava alla corona un ruolo essenzialmente simbolico di identità nazionale, come avvenuto con la regina Vittoria. Il sistema parlamentare non era però sinonimo di democrazia. In Gran Bretagna, infatti, molti poteri spettavano alla Camera dei Lords, alla quale si accedeva per diritto ereditario o per nomina regia, e inoltre la stessa Camera elettiva era espressione di uno strato ristretto della popolazione. Per questa ragione la riforma elettorale rappresentò in questo periodo il principale oggetto di dibattito politico. La lotta per l'allargamento del suffragio fu condotta dai repubblicani radicali ma le cose cambiarono nel 1866 quando la guida dei liberali fu assunta da William Gladstone; egli presentò un progetto di legge che prevedeva l'estensione del diritto di voto che incontrò però la resistenza dell'ala moderata del partito: questo provocò, nel 1866, la caduta del governo liberale e il ritorno al potere dei conservatori. Furono proprio i conservatori, guidati da Disraeli, ad assumere l'iniziativa di una riforma elettorale ancora più avanzata di quella proposta in precedenza da Gladstone; la Reform Act, varata nel 1876, aumentava di un milione il corpo elettorale e ammetteva al voto i lavoratori urbani con reddito elevato(dimostrando loro l'importanza che avevano assunto nello sviluppo della società inglese). Inizialmente questo allargamento del suffragio favorì, però, i liberali, che erano maggiormente radicati negli strati operai e infatti nelle elezioni del 1868 i conservatori furono sconfitti e Gladstone ritornò a capo del governo. Con il nuovo governo liberale l'Inghilterra conobbe un periodo di incisive riforme; il sistema di istruzione pubblica fu incrementato e migliorato, con un ridimensionamento del ruolo della Chiesa anglicana nella scuola, fu affermato il principio del reclutamento tramite concorsi e fu proibita la compravendita dei gradi. Nel 1872, inoltre, fu abolita la pratica del voto palese che soprattutto nelle zone rurali favoriva un condizionamento a vantaggio dell'aristocrazia terriera. E la stagione della riforme non fu interrotta nemmeno dal ritorno al potere dei conservatori, nel 1874. Disraeli diede priorità alla politica coloniale(consolidamento possedimenti indiani) ma cercò anche il consenso della masse popolari, entrando in concorrenza con i liberali nelle riforme sociali. Furono approvati provvedimenti in materia di assistenza ai lavoratori(caduta delle restrizioni al diritto di sciopero); si trattava di conservatorismo popolare, conclusosi nel 1880 quando Disraeli fu sconfitto nella elezioni. Tornato al potere,

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Gladstone, non mutò l'indirizzo imperialistico ma attuò una serie di riforme politiche; una nuova legge elettorale del 1884 allargò ulteriormente il corpo elettorale, comprendendo anche i lavoratori agricoli. Poi il governo dovette dedicarsi alla questione irlandese; l'Irlanda si vide aggravare le sue condizioni alla fine degli anni '70 a causa della crisi agricola che aveva colpito l'Europa, e questo provocò azioni terroristiche condotte dall'ala estremista e forti pressioni esercitate in Parlamento dalla rappresentanza irlandese che mirava ad ottenere l'autonomia dell'isola. Per far fronte a questa emergenza Gladstone tentò una riforma agraria(Land Act) nel 1881, ma in seguito capì che l'unica soluzione era quella di concedere all'Irlanda un'ampia autonomia politica. Quando però, nel 1886, presentò in Parlamento il suo programma di Home Rule(autogoverno) Gladstone trovò opposizioni tra i conservatori e tra gli esponenti del suo stesso partito; la secessione degli unionisti(i contrari all'autonomia irlandese) fece fallire il progetto e provocò la caduta del governo liberale. La Russia di Alessandro II Nella seconda metà dell' '800 il primato dell'arretratezza spettava indubbiamente all'Impero russo. Negli anni '50 più del 90% della popolazione era occupata nell'agricoltura e circa 20 milioni di contadini erano soggetti alla servitù della gleba, l'organizzazione del lavoro era basata sulla comunità di villaggio(mir) e l'aristocrazia terriera dominava incontrastata. Inoltre l'Impero zarista era l'unico privo di istituzioni rappresentative. Tuttavia all'immobilismo sociale o politico si contrapponeva l'eccezionale livello della vita intellettuale, come di mostra la letteratura russa dell' '800, da Tolstoj a Dostojevskij. Gli intellettuali, nonostante la censura, discutevano di liberismo, democrazia, socialismo, cercando di adattare questi concetti alla situazione del proprio paese. Tra gli stessi intellettuali si crearono due correnti di pensiero contrapposte: agli occidentalisti, che vedevano nell'adozione dei modelli politici europei il mezzo più idoneo per risollevare le sorti della Russia, si opponevano i slavofili, che si rifacevano alla tradizione dei popoli slavi, alla religione ortodossa e alle istituzione comunitarie radicate nella società russa. Qualcosa cominciò ad aprirsi nella vita politico-sociale dell'Impero quando, nel 1855, alla morte di Nicola I, salì al trono Alessandro II. Il nuovo zar concesse subito un'amnistia ai detenuti politici e varando una serie di riforme di modernizzazione nella burocrazia, nella scuola, nel sistema giudiziario e nell'esercito, ma la riforma più importante fu l'abolizione della servitù della gleba, nel 1861. Tuttavia questo fondamentale provvedimento deluse coloro i quali avrebbero dovuto beneficiarne; i contadini si videro assegnata una quantità di terra minore che in precedenza e dovettero pagare una somma superiore al reale valore del terreno: molti rinunciarono così all'acquisto e si trasformarono in proletariato rurale. All'iniziale entusiasmo subentrò delusione e malcontento, vi furono ribellioni, represse dall'esercito e si concluse l'iniziale stagione di riforme e ci fu un deciso ritorno all'autocrazia. Si andarono, comunque, diffondendo atteggiamenti di rifiuto dell'ordine costituito, un rifiuto che sfociò nell'individualismo anarchico( i nichilisti) quanto nello sforzo sincero di aiutare le classi subalterne,

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proprio dei populisti, un movimento che riuniva democratici occidentalisti e socialisti che miravano all'utopia di un socialismo agrario. Ma quando, nel 1881, Alessandro II fu ucciso le speranze dei primi anni erano già solo un lontano ricordo.