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LICEO ARTISTICO APPUNTI PROGETTAZIONE - LABORATORIO ARCHITETTURA V ANNO - Progetto Architettonico - Urbanistica - Struttura Portante e i Materiali nella Composizione Architettonica - Il Design e la Scienza - Cad e Archicad - Il Disegno Edile -Architettura Sostenibile - Elementi Architettonici - Modellazione 3D - Unità Abitative

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LICEO ARTISTICO

APPUNTI PROGETTAZIONE - LABORATORIO ARCHITETTURA

V ANNO

- Progetto Architettonico

- Urbanistica

- Struttura Portante e i Materiali nella Composizione Architettonica

- Il Design e la Scienza

- Cad e Archicad

- Il Disegno Edile

-Architettura Sostenibile

- Elementi Architettonici

- Modellazione 3D

- Unità Abitative

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PROGETTO ARCHITETTONICO

Conoscere le fasi

Qualunque progetto architettonico commissionato da una clientela pubblica o privata si articola necessariamente in una serie di documenti di fondamentale importanza per la buona riuscita dell’intervento desiderato e per il corretto e sereno svilupparsi del rapporto clientelare con il professionista scelto, e ciò indipendentemente dall’oggetto specifico dell’incarico, che si tratti di grafica, design, architettura, strutture, impianti o quant’altro di competenza dell’architetto.

In particolare, proprio la corretta redazione degli elaborati progettuali attiene alle competenze dell’architetto e per coloro i quali scelgono di avvalersi delle sue prestazioni professionali esiste il diritto di esigere, con consapevolezza, tale documentazione. In estrema sintesi, molte tra le prestazioni professionali coerenti con le competenze di legge dell’architetto sono riconducibili alla redazione dei seguenti documenti:

– Elaborati grafici del progetto preliminare

– Elaborati grafici del progetto definitivo

– Elaborati grafici del progetto esecutivo

– Elaborati grafici del progetto amministrativo

– Documenti di stima del costo di realizzazione del progetto definitivo

– Documenti contrattuali per regolare le condizioni di svolgimento dell’incarico di realizzazione dell’opera

A titolo di esempio si sceglie di analizzare nel dettaglio la documentazione di cui dovrebbe essere corredato un progetto di architettura per la realizzazione di un fabbricato di elevata complessità tecnica, consci del fatto che incarichi professionali di natura diversa, quali la progettazione di un complemento di arredo o di una grafica pubblicitaria, saranno corredati da un numero ed una tipologia di documenti in gran parte diversi da quelli specificati ma comunque riconducibili almeno nel metodo generale adottato all’esempio prescelto:

Il Progetto Preliminare

Il progetto preliminare è la prima rappresentazione dell’idea progettuale e per tanto ha il compito di definire le caratteristiche qualitative e funzionali delle opere, rendendone evidenti gli elementi più significativi mediante un insieme di documenti

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che, in funzione delle dimensioni economiche, della tipologia e categoria dell’intervento, può comporsi dei seguenti elaborati :

– Relazione tecnico-illustrativa

– Valutazione di inserimento e di impatto ambientale

– Studi necessari per un’adeguata conoscenza del contesto in cui andrà a inserirsi l’opera quali, ad esempio, indagini topografiche, geologiche, geotecniche, idrogeologiche, idrologiche, idrauliche, sismiche, archeologiche ecc.

– Elaborati grafici descrittivi e rappresentativi del progetto, redatti nel numero, nelle tecniche e nelle scale di rappresentazione più idonee in funzione dell’oggetto specifico.

– Analisi economica di massima del costo di realizzazione dell’opera progettata

Nel dettaglio, per opere di particolare complessità, la documentazione sopra descritta e costituente il progetto preliminare, può arrivare a precisarsi nei seguenti elaborati:

Relazione Tecnico-Illustrativa

La relazione tecnico-illustrativa, secondo la tipologia, la categoria e l’entità dell’intervento, si può articolare nella descrizione delle finalità e delle opzioni progettuali prescelte e nelle indicazioni delle modalità e della tempistica per la prosecuzione dell’iter progettuale, nonchè nella sintesi degli aspetti economici e finanziari previsti.

La relazione deve fornire una chiara e precisa conoscenza di quelle circostanze che non possono risultare evidenti dai disegni e che hanno influenza sulla scelta e sulla riuscita del progetto.

Deve evidenziare inoltre lo sviluppo degli studi tecnico-specialistici del progetto ed indicare i requisiti e le prestazioni che devono essere riscontrati nell’intervento, descrivendo nel dettaglio le indagini effettuate e motivando la caratterizzazione del progetto sotto il profilo dell’inserimento nel territorio e nell’ambiente;

Studio di Impatto Ambientale e di Fattibilità Ambientale

Lo studio di impatto ambientale, ove previsto dalla normativa vigente, è predisposto contestualmente al progetto preliminare sulla base dei dati e delle informazioni raccolte nell’ambito del progetto stesso.

La relazione di compatibilità ambientale, sulla base delle analisi sviluppate nella fase di redazione del progetto preliminare, analizza e determina le misure atte a mitigare e compensare gli effetti dell’intervento sull’ambiente e sulla salute e a riqualificare e

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migliorare la qualità ambientale e paesaggistica del contesto territoriale, con particolare riguardo agli esiti delle indagini tecniche, alle caratteristiche dell’ambiente interessato dall’intervento in fase di cantiere e di esercizio, alla natura delle attività e lavorazioni necessarie all’esecuzione dell’intervento, e all’esistenza di vincoli sulle aree interessate.

Elaborati Grafici

Gli elaborati grafici, redatti in scala opportuna e debitamente quotati, debbono essere differenziati in relazione alla dimensione, alla categoria e alla tipologia dell’intervento e possono precisarsi nel seguente elenco:

– stralcio dello strumento di pianificazione paesaggistico-territoriale e del piano urbanistico generale o attuativo sul quale indicare la localizzazione dell’intervento da realizzare;

– planimetria generale in scala adeguata (1/2000, 1/1000, 1/500) su cui riportare le opere ed i lavori da realizzare;

– schemi grafici e sezioni schematiche in scala adeguata (1/200, 1/100, 1/50) in numero opportuno a consentire l’individuazione di massima di tutte le caratteristiche spaziali, tipologiche, funzionali e tecnologiche delle opere e dei lavori da realizzare;

Calcolo Estimativo e Quadro Economico

Il calcolo estimativo è effettuato, per quanto concerne le opere progettate, applicando alle quantità caratteristiche degli stessi i corrispondenti prezzi parametrici dedotti dai costi standardizzati, oppure, in assenza di costi standardizzati, riferendosi a parametri desunti da interventi similari realizzati o direttamente dal mercato.

Il quadro economico dovrà comprendere, oltre alla stima di costo dell’opera derivante dal computo metrico estimativo, anche tutti gli ulteriori oneri di carattere amministrativo o finanziario che dovranno essere sostenuti dalla committenza (oneri e diritti per la Pubblica Amministrazione, oneri finanziari per eventuali istituti di credito, onorari professionali dei professionisti coinvolti, ecc.)

Il Progetto Definitivo

Il progetto definitivo, redatto sulla base delle indicazioni del progetto preliminare approvato, sviluppa gli elaborati grafici e descrittivi, nonché i relativi calcoli, ad un livello di definizione tale da non generare apprezzabili differenze tecniche e di costo nella successiva progettazione esecutiva; in sintesi può arrivare a comporsi dei seguenti elaborati :

– relazione generale

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– relazioni tecniche e specialistiche

– rilievi planoaltimetrici

– elaborati grafici (piante, prospetti, sezioni, prospettive, assonometrie, in scala adeguata)

– calcoli delle strutture e degli impianti

– progetto di monitoraggio ambientale

– piano particellare rappresentativo della corrispondente situazione catastale

– computo metrico estimativo e quadro economico

– cronoprogramma delle lavorazioni necessarie a consegnare l’opera finita

– contratto di appalto e capitolato speciale di appalto delle opere per le imprese esecutrici

Più precisamente, per opere di particolare complessità, la documentazione sopra descritta e costituente il progetto definitivo, può arrivare a contenere le seguenti informazioni:

Relazione Generale

La relazione generale fornisce tutti gli elementi atti a dimostrare la rispondenza del progetto alle finalità dell’intervento, il rispetto del prescritto livello qualitativo, dei conseguenti costi e dei benefici attesi.

Descrive, con espresso riferimento ai singoli punti della relazione illustrativa del progetto preliminare, i criteri utilizzati per le scelte progettuali, gli aspetti dell’inserimento dell’intervento sul territorio, le caratteristiche prestazionali e descrittive dei materiali prescelti, nonché i criteri di progettazione delle strutture e degli impianti, in particolare per quanto riguarda la sicurezza, la funzionalità e l’economia di gestione.

Riferisce in merito a tutti gli aspetti riguardanti la topografia, la geologia, l’idrologia, l’idrogeologia, la sismica, le interferenze, le opere e misure mitigative e compensative dell’impatto ambientale, territoriale e sociale, le soluzioni adottate per il superamento delle barriere architettoniche e,in particolare, riferisce di tutte le indagini e studi integrativi sviluppati in sede di progetto preliminare.

Analizza anche l’idoneità delle reti esterne dei servizi atti a soddisfare le esigenze connesse alla cantierizzazione e all’esercizio dell’intervento da realizzare, riferisce in merito alla verifica sulle interferenze delle reti aeree e sotterranee con i nuovi

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manufatti ed al progetto della risoluzione delle interferenze medesime ed entra nel merito delle eventuali demolizioni/dismissioni di opere esistenti, opere di abbellimento artistico o di valorizzazione architettonica.

Relazioni Tecniche e Specialistiche

A completamento di quanto contenuto nella relazione generale, il progetto definitivo deve comprendere anche una serie di relazioni tecniche, sviluppate sulla base di quelle eseguite per il progetto preliminare ma condotte ad un livello di definizione tale che nella successiva progettazione esecutiva non si verifichino apprezzabili incrementi nei tempi e nei costi di realizzazione delle opere progettate; in particolare:

– relazione geologica e idrogeologica:

comprende, sulla base di specifiche indagini geologiche, la identificazione delle formazioni presenti nel sito, lo studio dei tipi litologici, della struttura e dei caratteri fisici del sottosuolo; definisce il modello geologico-tecnico del sottosuolo; illustra e caratterizza gli aspetti stratigrafici, strutturali, idrogeologici, geomorfologici, litotecnici e fisici, nonché il conseguente livello di pericolosità geologica e il comportamento in assenza ed in presenza delle opere;

– relazione geotecnica e geomeccanica:

definisce, alla luce di specifiche indagini, il comportamento meccanico del volume del terreno influenzato, direttamente o indirettamente, dalla costruzione del manufatto e che a sua volta influenzerà il comportamento del manufatto stesso. Illustra inoltre i calcoli per gli aspetti che si riferiscono al rapporto del manufatto con il terreno;

– relazioni idrologica e idraulica:

riguardano lo studio delle acque meteoriche, superficiali e sotterranee. Illustrano inoltre i calcoli relativi al dimensionamento dei manufatti idraulici. Gli studi devono indicare le fonti dalle quali provengono gli elementi elaborati ed i procedimenti usati nella elaborazione per dedurre le grandezze di interesse;

– relazione archeologica:

approfondisce e aggiorna i dati presenti nel progetto preliminare, anche sulla base di indagini dirette e deve indicare l’interesse archeologico del sito accertato sulla base di indagini condotte d’intesa con l’amministrazione competente;

– relazione sismica:

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comprende l’inquadramento geologico e morfologico, l’individuazione delle categorie sismiche a cui afferiscono le opere in progetto, con riferimento alle macrozone stabilite dalla normativa vigente; l’indicazione dei criteri di progettazione utilizzati nelle verifiche e la normativa di riferimento;

– relazione tecnica impianti:

descrive i diversi impianti presenti nel progetto, motivando le soluzioni adottate; individua e descrive il funzionamento complessivo della componente impiantistica e gli elementi di relazione con le opere civili progettate;

Elaborati Grafici

Gli elaborati grafici descrivono le principali caratteristiche dell’intervento da realizzare. Essi sono redatti nelle opportune scale in relazione al tipo di opera o di lavoro da realizzare e ad un livello di definizione tale che nella successiva progettazione esecutiva non si abbiano apprezzabili differenze tecniche, di costo o di durata delle lavorazioni previste. Normalmente sono costituiti dalla seguente documentazione:

– planimetria generale in scala non inferiore a 1:500, con indicazioni delle curve di livello dell’area interessata all’intervento ad equidistanza non superiore a cinquanta centimetri, le strade, la posizione di sagome e distacchi delle eventuali costruzioni confinanti, le alberature esistenti con la specifica delle essenze;

– planimetria generale in scala non inferiore a 1:500 con l’ubicazione delle indagini geognostiche;

– planimetria in scala non inferiore a 1:200, in relazione alla dimensione dell’intervento, corredato da due o più sezioni atte ad illustrare tutti i profili significativi, anche in relazione al terreno, alle strade ed agli edifici circostanti, nella quale risultino precisati la superficie coperta di tutti i corpi di fabbrica, tutte le quote altimetriche relative sia al piano di campagna originario sia alla sistemazione del terreno dopo la realizzazione dell’intervento riferite ad un caposaldo. La planimetria riporta la sistemazione degli spazi esterni indicando le recinzioni, le essenze arboree da porre a dimora e le eventuali superfici da destinare a parcheggio; è integrata da una tabella riassuntiva di tutti gli elementi geometrici del progetto: superficie dell’area, volume dell’edificio, superficie coperta totale e dei singoli piani e ogni altro utile elemento dimensionale;

– piante dei vari livelli, nella scala prescritta dai regolamenti edilizi o da normative specifiche e comunque non inferiore a 1:100 con l’indicazione delle destinazioni d’uso, delle quote planimetriche e altimetriche e delle strutture portanti;

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– sezioni trasversali e longitudinali nel numero e nella scala adeguati e/o prescritti da regolamenti edilizi o da normative specifiche e comunque non inferiore alla scala di 1:100, con la misura delle altezze nette dei singoli piani, dello spessore dei solai e della altezza totale dell’edificio. In tali sezioni è altresì indicato l’andamento del terreno prima e dopo la realizzazione dell’intervento lungo le sezioni stesse, fino al confine ed alle eventuali strade limitrofe;

– prospetti nella scala e nel numero adeguati e/o prescritti da normative specifiche e comunque non inferiori alla scala di 1:100 e completi di riferimento alle altezze e ai distacchi degli edifici circostanti, alle quote del terreno e alle sue eventuali modifiche. Se l’edificio è adiacente ad altri fabbricati, i disegni dei prospetti comprendono anche quelli schematici delle facciate adiacenti

– elaborati grafici nella diversa scala prescritta da normative specifiche e comunque non inferiore a 1:100 atti a illustrare il progetto strutturale nei suoi aspetti fondamentali, in particolare per quanto riguarda le fondazioni

– schemi funzionali e dimensionamento dei singoli impianti, sia interni che esterni, corredati di planimetrie e sezioni in scala non inferiore a 1:100 in cui siano riportati i tracciati principali delle reti impiantistiche esterne e la localizzazione delle centrali dei diversi apparati;

– piano particellare degli espropri, degli asservimenti e delle interferenze con i servizi, redatto in base alle mappe catastali aggiornate e comprendente anche le espropriazioni e gli asservimenti necessari per gli attraversamenti e le deviazioni di strade e di corsi d’acqua e le altre interferenze che richiedono espropriazioni. Sulle mappe catastali sono altresì indicate le eventuali zone di rispetto o da sottoporre a vincolo in relazione a specifiche normative o ad esigenze connesse alla categoria dell’intervento. Vanno inoltre indicate le zone (per opere puntuali) o fasce (per opere a rete) di interesse urbanistico di pertinenza dell’opera. Il progetto definitivo prevede la verifica aggiornata del censimento delle possibili interferenze e dei relativi enti gestori, già fatto in sede di progetto preliminare; prevede inoltre, per ogni interferenza, la specifica progettazione delle opere intese alla loro risoluzione tenendo in debito conto le eventuali prescrizioni degli enti gestori e determinando dettagliatamente i relativi costi e tempi di esecuzione.

Il Progetto Esecutivo

Il progetto esecutivo costituisce la ingegnerizzazione di tutte le lavorazioni e, pertanto, definisce compiutamente ed in ogni particolare architettonico, strutturale ed impiantistico l’intervento da realizzare, inclusi i piani operativi di cantiere, i piani di approvvigionamenti, nonché i calcoli e i grafici relativi alle opere provvisionali. Il progetto è redatto nel pieno rispetto del progetto definitivo. Il progetto esecutivo è composto dai seguenti documenti:

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– relazione generale

– relazioni specialistiche

– elaborati grafici comprensivi anche di quelli delle strutture, degli impianti e di ripristino e miglioramento ambientale;

– calcoli esecutivi delle strutture e degli impianti;

– piani di manutenzione dell’opera e delle sue parti;

– piani di sicurezza e di coordinamento;

– computo metrico-estimativo.

Relazione generale

La relazione generale del progetto esecutivo descrive in dettaglio, anche attraverso specifici riferimenti agli elaborati grafici e alle prescrizioni del capitolato speciale d’appalto, i criteri utilizzati per le scelte progettuali esecutive, per i particolari costruttivi e per il conseguimento e la verifica dei prescritti livelli di sicurezza e qualitativi. Nel caso in cui il progetto prevede l’impiego di componenti prefabbricati, la relazione precisa le caratteristiche illustrate negli elaborati grafici e le prescrizioni del capitolato speciale d’appalto riguardanti le modalità di presentazione e di approvazione dei componenti da utilizzare. La relazione generale contiene l’illustrazione dei criteri seguiti e delle scelte effettuate per trasferire sul piano contrattuale e sul piano costruttivo le soluzioni spaziali, tipologiche, funzionali, architettoniche e tecnologiche previste dal progetto definitivo approvato; la relazione contiene inoltre la descrizione delle indagini, rilievi e ricerche effettuati al fine di ridurre in corso di esecuzione la possibilità di imprevisti. La relazione contiene l’attestazione della rispondenza al progetto definitivo e alle eventuali prescrizioni dettate in sede di approvazione dello stesso, con particolare riferimento alla compatibilità ambientale ed alla localizzazione dell’opera; contiene le motivazioni che hanno indotto il progettista alla variazione delle indicazioni contenute nel progetto preliminare stesso.

Relazioni specialistiche

Il progetto esecutivo prevede almeno le medesime relazioni specialistiche contenute nel progetto definitivo, che illustrino puntualmente le eventuali indagini integrative, le soluzioni adottate e le modifiche rispetto al progetto definitivo. Le relazioni contengono l’illustrazione di tutte le problematiche esaminate e delle verifiche analitiche effettuate in sede di progettazione esecutiva.

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Elaborati grafici

Gli elaborati grafici esecutivi, eseguiti con i procedimenti più idonei, sono costituiti:

– dagli elaborati che sviluppano nelle scale ammesse o prescritte, tutti gli elaborati grafici del progetto definitivo;

– dagli elaborati che risultino necessari all’esecuzione delle opere o dei lavori sulla base degli esiti, degli studi e di indagini eseguite in sede di progettazione esecutiva;

– dagli elaborati di tutti i particolari costruttivi;

– dagli elaborati atti ad illustrare le modalità esecutive di dettaglio;

– dagli elaborati di tutte le lavorazioni che risultano necessarie per il rispetto delle prescrizioni disposte dagli organismi competenti in sede di approvazione dei progetti preliminari, definitivi o di approvazione di specifici aspetti dei progetti;

– dagli elaborati atti a definire le caratteristiche dimensionali, prestazionali e di assemblaggio dei componenti prefabbricati.

Gli elaborati sono comunque redatti in scala non inferiore al doppio di quelle del progetto definitivo, e comunque in modo da consentire all’esecutore una sicura interpretazione ed esecuzione dei lavori in ogni loro elemento.

Calcoli esecutivi delle strutture e degli impianti

I calcoli esecutivi delle strutture devono consentire la definizione e il dimensionamento delle stesse in ogni loro aspetto generale e particolare, in modo da escludere la necessità di variazioni in corso di esecuzione. I calcoli esecutivi degli impianti sono eseguiti con riferimento alle condizioni di esercizio, alla destinazione specifica dell’intervento e devono permettere di stabilire e dimensionare tutte le apparecchiature, condutture, canalizzazioni e qualsiasi altro elemento necessario per la funzionalità dell’impianto stesso, nonché consentire di determinarne il prezzo. La progettazione esecutiva delle strutture e degli impianti è effettuata unitamente alla progettazione esecutiva delle opere civili al fine di prevedere esattamente ingombri, passaggi, cavedi, sedi, attraversamenti e simili e di ottimizzare le fasi di realizzazione. I calcoli delle strutture e degli impianti, comunque eseguiti, sono accompagnati da una relazione illustrativa dei criteri e delle modalità di calcolo che ne consentano una agevole lettura e verificabilità.

Il progetto esecutivo delle strutture comprende:

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a) gli elaborati grafici di insieme (carpenterie, profili e sezioni) in scala non inferiore ad 1:50, e gli elaborati grafici di dettaglio in scala non inferiore ad 1:10, contenenti fra l’altro:

– per le strutture in cemento armato o in cemento armato precompresso: i tracciati dei ferri di armatura con l’indicazione delle sezioni e delle misure parziali e complessive, nonché i tracciati delle armature per la precompressione;

– per le strutture metalliche o lignee: tutti i profili e i particolari relativi ai collegamenti, completi nella forma e spessore delle piastre, del numero e posizione di chiodi e bulloni, dello spessore, tipo, posizione e lunghezza delle saldature;

– per le strutture murarie: tutti gli elementi tipologici e dimensionali atti a consentire l’esecuzione;

b) la relazione di calcolo contenente:

– l’indicazione delle norme di riferimento;

– la specifica della qualità delle caratteristiche meccaniche dei materiali e delle modalità di esecuzione qualora necessarie;

– l’analisi dei carichi per i quali le strutture sono state dimensionate;

– le verifiche statiche.

Il progetto esecutivo degli impianti comprende:

a) gli elaborati grafici di insieme, in scala ammessa o prescritta e comunque non inferiore ad 1:50, e gli elaborati grafici di dettaglio, in scala non inferiore ad 1:10, con le notazioni metriche necessarie;

b) l’elencazione descrittiva particolareggiata delle parti di ogni impianto con le relative relazioni di calcolo;

c) la specificazione delle caratteristiche funzionali e qualitative dei materiali, macchinari ed apparecchiature.

Piano di manutenzione dell’opera

Il piano di manutenzione è il documento complementare al progetto esecutivo che prevede, pianifica e programma, tenendo conto degli elaborati progettuali esecutivi effettivamente realizzati, l’attività di manutenzione dell’intervento comprese le opere connesse di mitigazione e compensazione, al fine di mantenere nel tempo la funzionalità, le caratteristiche di qualità, l’efficienza ed il valore economico.

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Il piano di manutenzione assume contenuto differenziato in relazione all’importanza e alla specificità dell’intervento, ed è costituito dai seguenti documenti operativi:

a) il manuale d’uso;

b) il manuale di manutenzione;

c) il programma di manutenzione.

Piani di sicurezza e coordinamento

I piani di sicurezza e di coordinamento sono i documenti complementari al progetto esecutivo che prevedono l’organizzazione delle lavorazioni atti a prevenire o ridurre i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori. La loro redazione comporta, con riferimento alle varie tipologie di lavorazioni, l’individuazione, l’analisi e la valutazione dei rischi intrinseci al particolare procedimento di lavorazione connessi a congestione di aree di lavorazione e dipendenti da sovrapposizione di fasi di lavorazioni. I piani sono costituiti da una relazione tecnica contenente le coordinate e la descrizione dell’intervento e delle fasi del procedimento attuativo, la individuazione delle caratteristiche delle attività lavorative con la specificazione di quelle critiche, la stima della durata delle lavorazioni, e da una relazione contenente la individuazione, l’analisi e la valutazione dei rischi in rapporto alla morfologia del sito, alla pianificazione e programmazione delle lavorazioni, alla presenza contemporanea di più soggetti prestatori d’opera, all’utilizzo di sostanze pericolose e ad ogni altro elemento utile a valutare oggettivamente i rischi per i lavoratori. I piani sono integrati da un disciplinare contenente le prescrizioni operative atte a garantire il rispetto delle norme per la prevenzione degli infortuni e per la tutela della salute dei lavoratori e da tutte le informazioni relative alla gestione del cantiere. Tale disciplinare comprende la stima dei costi per dare attuazione alle prescrizioni in esso contenute.

Computo metrico estimativo definitivo

Il computo metrico-estimativo del progetto esecutivo costituisce l’aggiornamento del computo metrico-estimativo del progetto definitivo, per le sole parti d’opera computate a misura che avessero subito modifiche, rispetto al progetto definitivo, a seguito di eventuali indagini integrative ovvero per le parti di opera computate a corpo soggette a variazioni a termini di contratto.

Elenco prezzi

Per la redazione dei computi metrici-estimativi facenti parte integrante dei progetti definitivi, vengono utilizzati i prezzi unitari fissati attraverso specifiche analisi dei principali prezzi. Le analisi faranno riferimento ai listini correnti nell’area interessata, attraverso i quali saranno parimenti determinati i restanti prezzi.

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Quadro economico definitivo

Il computo metrico-estimativo viene redatto applicando alle quantità delle lavorazioni i prezzi unitari riportati nell’elaborato «Elenco Prezzi unitari». In relazione alle specifiche caratteristiche dell’intervento il computo metrico-estimativo può prevedere le somme da accantonare per eventuali lavorazioni in economia, da prevedere nel contratto d’appalto o da inserire nel quadro economico tra quelle a disposizione della stazione appaltante.

Il risultato del computo metrico-estimativo e delle espropriazioni confluisce in un quadro economico.

Nel quadro economico confluiscono:

– il risultato del computo metrico-estimativo dei lavori;

– gli oneri per la sicurezza valutati sulla base delle linee guida relative;

– gli oneri per il monitoraggio ambientale;

– l’accantonamento in misura non superiore al 10 per cento per imprevisti e per

– eventuali lavori in economica;

– l’importo dei costi di acquisizione o di espropriazione di aree o immobili, come da

– piano particellare allegato al progetto;

– l’importo dedotto da una percentuale determinata sulla base delle tariffe professionali per le prestazioni di progettazione e direzione lavori del contraente generale o del concessionario;

– tutti gli oneri fino al collaudo.

Cronoprogramma

Il progetto definitivo è corredato dal cronoprogramma delle lavorazioni, redatto anche al fine di stabilire in via convenzionale l’importo degli stessi da eseguire in ciascun mese dalla data della consegna.

Il cronoprogramma è composto:

– da una rappresentazione grafica di tutte le attività costruttive suddivise in livelli gerarchici dal più generale oggetto del progetto fino alle più elementari attività gestibili autonomamente dal punto di vista delle responsabilità, dei costi e dei tempi;

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– da un diagramma che rappresenti graficamente la pianificazione delle lavorazioni nei suoi principali aspetti di sequenza logica e temporale, ferma restando la prescrizione all’impresa, in sede di capitolato speciale d’appalto, dell’obbligo di presentazione di un programma di esecuzione delle lavorazioni riguardante tutte le fasi costruttive intermedie, con la indicazione dell’importo dei vari stati di avanzamento dell’esecuzione dell’intervento alle scadenze temporali contrattualmente previste;

Contratto di appalto e capitolato speciale di appalto

Lo schema di contratto contiene, per quanto non disciplinato dal presente allegato e dal capitolato generale le clausole dirette a regolare il rapporto tra stazione appaltante e impresa, distinte in rapporti tra l’alta vigilanza e la direzione lavori e rapporti tra la direzione lavori e l’esecutore con particolare riferimento a:

a) termini di esecuzione penali e pareri;

b) programma di esecuzione delle attività;

c) sospensione o riprese dei lavori;

d) oneri a carico dell’appaltatore;

e) contabilizzazione dei lavori a misura e a corpo;

f) liquidazione dei corrispettivi;

g) controlli;

h) specifiche e modalità di attuazione del monitoraggio ambientale anche per le fasi di post-operam;

i) specifiche modalità e termini di collaudo;

j) modalità di soluzione delle controversie.

Allo schema di contratto è allegato il capitolato speciale, che riguarda le prescrizioni tecniche da applicare all’oggetto del singolo contratto.

Il capitolato speciale è diviso in due parti, la prima delle quali contenente la descrizione delle lavorazioni e la seconda la specificazione delle prescrizioni tecniche; esso illustra in dettaglio:

– nella prima parte tutti gli elementi necessari per una compiuta definizione tecnica ed economica dell’oggetto dell’appalto, anche ad integrazione degli aspetti non pienamente deducibili dagli elaborati grafici del progetto definitivo;

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– nella seconda parte le modalità di esecuzione e le norme di misurazione di ogni lavorazione, i requisiti di accettazione di materiali e componenti, le specifiche di prestazione e le modalità di prove, nonché, ove necessario, in relazione alle caratteristiche dell’intervento, l’ordine da tenersi nello svolgimento di specifiche lavorazioni; nel caso in cui il progetto prevede l’impiego di componenti prefabbricati, ne vanno precisate le caratteristiche principali, descrittive e prestazionali, la documentazione da presentare in ordine all’omologazione e all’esito di prove di laboratorio, nonché le modalità di approvazione da parte dell’alta vigilanza e del direttore dei lavori, sentito il progettista, per assicurarne la rispondenza alle scelte progettuali.

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URBANISTICA L’urbanistica è una disciplina che studia il territorio antropizzato (la città o più in generale l’insediamento umano) ed il suo sviluppo. Essa ha come scopo la progettazione dello spazio urbanizzato e la pianificazione organica delle sue modificazioni su tutto il territorio, compreso quello scarsamente urbanizzato. Estensivamente l’urbanistica comprende anche tutti gli aspetti gestionali, di tutela, programmativi e normativi dell’assetto territoriale ed in particolare delle infrastrutture e dell’attività edificatoria.

Obiettivi

L'urbanistica nasce come disciplina autonoma nel XIX secolo con la funzione di organizzare l'impetuosa e disordinata crescita urbana dovuta alla rivoluzione industriale. Nel suo successivo sviluppo diventerà lo strumento di controllo del territorio per perseguire nelle sue trasformazioni il rispetto del bene comune nel conflitto tra rendita ed interesse pubblico equilibrando le necessità delle comunità e degli individui. Lo studio dei sistemi urbani e del loro funzionamento complessivo delle relative tensioni positive e negative permette all'urbanista di agire sia attraverso la pianificazione degli spazi fisici urbani che nella programmazione di strumenti urbanistici e normative costruite "ad hoc" al fine ultimo di migliorarne le condizioni di sviluppo futuro, progettando uno spazio urbano "vivibile" nel tempo e nello spazio.

La pratica della pianificazione urbanistica si sostanzia nel delineare le grandi opzioni di organizzazione dello spazio e indirizzare (avvalendosi di meccanismi analitici e partecipativi), localizzare e gestire le attività sul territorio. Il più grande scopo e "sfida" dell'urbanistica moderna è invece quello di trasferire tali obiettivi nella progettazione del territorio e della città; una pratica che, anche grazie all'apporto di altre discipline parallele (ingegneria, architettura, sociologia e altre a seconda del caso specifico), acquista così un disegno concreto attraverso la produzione di piani (piani di riqualificazione urbana, per esempio) e progetti (edilizi, di recupero ambientale, di accompagnamento sociale, ecc.).

Mentre in passato la disciplina urbanistica si è occupata essenzialmente di progettare e gestire le nuove espansioni della città, oggi tale scienza abbraccia anche la sua programmazione e gestione nel tempo, perde i convenzionali confini territoriali per guardare alla cosiddetta "città diffusa", dove il limite tra città e campagna perde il suo senso; è in quest'ottica che tematiche come la sostenibilità (usare le risorse presenti oggi sul territorio in modo da non pregiudicarne l'uso alle prossime generazioni), la pianificazione territoriale, la progettazione ambientale e quella delle infrastrutture e dei trasporti sono oggi al centro dei nuovi progetti urbani a tutte le scale.

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Il modo e le fasi del progetto urbano sono oggi mutate rispetto al passato, oggi ogni oggetto architettonico non è disegnato solo rispetto alla sua forma e alla sua intrinseca funzione, compito dell'urbanistica moderna è inserire le singole parti che compongono la città all'interno di relazioni che appartengono al contesto più ampio, a valutazioni di fattibilità e materialità, alla storia che ha determinato il territorio attuale, alla ricadute nei processi di coesione e riproduzione sociale, alle regole costitutive della forma della città.

I modi di vivere nelle grandi città stanno cambiando ed evolvendo molto più velocemente rispetto al passato, i movimenti non sono più legati solo a distanze spaziali ma anche e soprattutto temporali, nel senso che luoghi spazialmente lontani tra loro, possono essere, grazie alla presenza ed efficienza di infrastrutture di trasporto, raggiungibili più velocemente di luoghi più vicini. La vita delle popolazioni, oggi sempre più spesso, si svolge in "reti di città".

È così che, grazie al miglioramento delle reti, ci spostiamo tra luoghi spazialmente distanti ma ormai vicini (come distanza temporale). Attraverso il coordinamento dei diversi saperi derivanti da diverse ma correlate discipline quali l'architettura, l'ingegneria, l'ecologia, la geografia, la sociologia, il diritto e l'economia. L'urbanista studia, programma e progetta scenari passati, presenti e futuri della città, oltre che occuparsi delle politiche, delle normative tecniche e legislative, allo scopo di migliorare la qualità urbana (nel senso più ampio) e quindi la vita dei cittadini.

L'urbanistica si esprime alle amministrazioni e alla collettività attraverso la produzione di piani. In Italia ad esempio sono il piano strategico (vedi pianificazione strategica territoriale) e il Piano Regolatore Generale (il vecchio PRG prende oggi altre denominazioni a seconda delle diverse leggi regionali: Piano urbanistico comunale, PAT in Veneto, Piano di governo del territorio in Lombardia, Piano strutturale in Toscana etc..), sempre composto da una parte strutturale e una operativa. Il piano strutturale fornisce il quadro delle tutele e delle strategie cui deve conformarsi ogni altra attività di pianificazione o di programmazione svolta dal Comune. Per questo il PRG viene anche chiamato il "piano dei piani". In concreto, individua le condizioni per difendere le risorse e gli equilibri del territorio comunale e indica gli obiettivi di lungo periodo per il suo sviluppo e le regole essenziali per conseguirli. Sono strumenti di applicazione del Piano Strutturale (modificabili nel tempo dalle amministrazioni) il Regolamento Urbanistico, i piani attuativi o particolareggiati, il Regolamento edilizio e tutti i piani di settore (mobilità, traffico, commercio, sanità, rifiuti, energia, cave, paesaggio, coste, ecc.).

Temi

Tra i temi principali della disciplina si possono inquadrare:

• La riqualificazione di ambiti degradati sia a livello fisico che economico - sociale.

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• La definizione di meccanismi perequativi. • Il miglioramento delle condizioni di accessibilità e la relativa pianificazione

dei sistemi di mobilità. • La pianificazione di una razionale localizzazione delle attività funzionali a tutte

le scale di intervento. • La gestione dei meccanismi di relazione, sia spaziali che economici, tra gli

spazi pubblici e gli spazi privati. • la definizione degli strumenti per la valutazione degli impatti generati dalle

attività umane sull'ambiente. • La definizione e gestione degli strumenti per la valutazione ambientale ed

economica degli interventi di trasformazione urbana e territoriale • La gestione dei processi di urbanistica partecipata della popolazione alle

decisioni riguardanti le trasformazioni urbane e territoriali. • La definizione e la gestione delle politiche urbane sul territorio. • La definizione, l'implementazione e il monitoraggio, all'interno di piani e

progetti, di criteri ed indicatori di sostenibilità ambientale. • La previsione e successiva progettazione e gestione di scenari di

trasformazione urbana presenti, passati e futuri • Il miglioramento della qualità di vita nelle città

Definizioni

« la disciplina dell'uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonché la protezione dell'ambiente. » (art. 80, DPR 616/77) « L'urbanistica può essere definita come l'arte di pianificare lo sviluppo fisico delle comunità urbane, con l'obiettivo generale di assicurare condizioni di vita e di lavoro salubri e sicure, fornendo adeguate ed efficienti forme di trasporto e promuovendo il benessere pubblico. Come scienza l'urbanistica pretende di scoprire la verità nella città sulle condizioni economiche, sociali e fisiche. Come arte cerca di ottenere un compromesso, sia economico sia sociale, nelle vie di comunicazione, nell'uso del suolo, nelle costruzioni e nelle altre strutture » (Thomas Adams, Encyclopedia of Social Science) « L'urbanistica è la scienza che studia i fenomeni urbani in tutti i loro aspetti avendo come proprio fine la pianificazione del loro sviluppo storico, sia attraverso l'interpretazione, il riordinamento, il risanamento, l'adattamento di aggregati urbani già esistenti e la disciplina della loro crescita, sia attraverso l'eventuale progettazione di nuovi aggregati, sia infine attraverso la riforma e l'organizzazione ex novo dei sistemi di raccordo degli aggregati con l'ambiente naturale. » (Giovanni Astengo, Enciclopedia universale dell'arte) « lo studio generale delle condizioni, delle manifestazioni e delle necessità di vita e di sviluppo delle città. Il fine pratico cui tende l'urbanistica è quello di dettare le norme

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per l'organizzazione e il funzionamento di una vita urbana che sia a un tempo bella, sana, comoda ed economica. Tale fine pratico è raggiunto mediante il piano regolatore sostenuto da regolamenti, da leggi e da organizzazioni amministrative. È appunto attraverso il piano regolatore che l'architetto-urbanista si esprime, ricomponendo in sintesi gli elementi analizzati attraverso lo studio. L'urbanistica in generale guarda dunque all'evoluzione della città nella sua totalità, poiché la città si può considerare come un essere vivente in continua trasformazione, sottomesso a influenze che è facile studiare isolatamente, ossia analizzare, ma che non agiscono che in massa, ossia per sintesi » (Luigi Piccinato, Enciclopedia Italiana, 1938) « Rappresentata come ciò che pone fine a un inesorabile processo di peggioramento delle condizioni della città e del territorio presi in esame e come inizio di un virtuoso processo del loro miglioramento » (Bernardo Secchi, Prima lezione di urbanistica, 2007) « L'Urbanistica è la scienza che studia, pianifica e norma in modo organico e funzionale, le modifiche del territorio apportate dall'uomo mediante le costruzioni. » (Giampaolo Tacconi, Lezioni di Costruzioni e Genio Rurale. Cattedra I.S.I.S. "Ciuffelli-Einaudi"-Todi)

Storia

Le prime pianificazioni urbane (d'origine certa) risalgono a Ippodamo da Mileto, che inventò un sistema stradale a rete pressoché ortogonale, seppur sempre influenzato dalla morfologia, dove gli edifici si disponevano in isolati di grandezza e forma regolare con i servizi posti al centro (Agorà) e con un preciso ordinamento sociale marcato nella localizzazione nella città. I Romani svilupparono ulteriormente questo modello, usato inizialmente negli accampamenti militari, centrandolo su due assi principali, il cardo e il decumano, all'intersezione dei quali si trovava il foro.

Nell'alto medioevo la costruzione delle città, per ragioni difensive, si spostò su alture con la conseguente implementazione di nuovi schemi concentrici o radiali a partire dal castello. Successivamente, soprattutto tra XII e XIV secolo, parallelamente alla fuoriuscita delle città dalle antiche mura, sorsero nuovi insediamenti nelle aree pianeggianti, spesso da bonificare, segnando il ritorno, seppur con varianti locali, dell'impianto ortogonale.

Le prime idee urbanistiche in età moderna si hanno nel Rinascimento, in Italia e in particolare a Ferrara, con la costruzione dell'Addizione Erculea (1492) di Biagio Rossetti che progetta la prima pianificazione urbana moderna con ampi viali funzionali per i cittadini e per i duchi.

I "padri" dell'urbanistica moderna possono essere indicati nel Barone Georges-Eugène Haussmann, che ha trasformato la città di Parigi nel 1853 per volontà di Napoleone III, in Ludwig Ditter von Förster che a Vienna nel 1857 traccia il primo

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"ring" ossia un'ampia arteria alberata che cinge l'intero nucleo medioevale (costituendosi come l'elemento fondante della struttura della città) e in Ildefonso Cerdá che nel 1867 con il libro Teoria generale dell'urbanizzazione ha posato le fondamenta della disciplina attraverso il primo manuale d'urbanistica e il piano generale di Barcellona. Secondo Cerdá l'innovazione della città stava nella concentrazione delle vie e degli isolati. Questi ultimi di forma ottagonale per facilitare la circolazione erano attraversati da ampie strade e costituiti in parte da giardini che permettevano una buona ventilazione e l'esposizione al sole.

Nel corso del XIX secolo le grandi città europee furono oggetto dei cosiddetti "sventramenti" che ne rivoluzionarono l'aspetto. Furono abbattuti i vecchi quartieri medievali e sostituiti con imponenti palazzi e ampi viali alberati. I più notevoli sventramenti furono quelli di Londra (1848-1865), Parigi (1853-1869), Vienna (1857), Bruxelles (1867-1871).

L'urbanistica diviene una disciplina riconosciuta ufficialmente negli anni trenta con il Razionalismo italiano e le nuove città di fondazione ad opera del regime fascista, alcune anche di alto livello urbanistico ed architettonico, come Portolago e Sabaudia. Nel 1942 viene emanata la prima legge generale italiana di coordinamento urbanistico territoriale che prevede l'istituzione di un Piano Regolatore Generale attraverso il quale si può controllare e gestire lo sviluppo urbano.

Il dopoguerra in Italia è contraddistinto dal boom edilizio, che con le sue aberrazioni e la speculazione edilizia, generò, anche se in ritardo e insufficientemente, la cultura della salvaguardia dei centri storici e del territorio, con lo sviluppo di una legislazione di tutela. Infatti bisogna aspettare la legge n°183 del 18 maggio 1989 "Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo". per avere una legge che tuteli l'ambiente.

Urbanistica partecipata

L'urbanistica partecipata è una modalità di redazione di piani e progetti che assegna un rilevante valore alle proposte che emergono dal basso, espresse da cittadini in forma libera o associata e da portatori di interessi locali (stakeholders).

La complessità dei sistemi sociali ha accentuato l'interdipendenza degli attori del territorio e indebolito la rappresentatività di partiti e organizzazioni sindacali mentre si sono rafforzate le forme dirette di rappresentanza sociale come comitati di quartiere, movimenti ambientalisti, gruppi di consumatori, movimenti giovanili, organizzazioni non governative, produttori del terzo settore ed altri che perseguono obiettivi specifici e settoriali che mirano ad influenzare le politiche di governo del territorio.

L'urbanistica partecipata implica che le istituzioni locali si orientino verso un nuovo concetto di governo del territorio che tenda a coinvolgerne tutti gli attori

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(governance) seguendo un modello di sistema aperto, adattivo e reversibile. Alle sedi tradizionali degli eletti quali consigli comunali, regionali, circoscrizionali, si possono affiancare sedi formali ed informali di confronto e orientamento come tavoli sociali, laboratori di quartiere, cabine di regia, piani strategici, che hanno lo scopo di mettere a confronto in forma diretta gli interessi territoriali in gioco, delegando successivamente alla democrazia rappresentativa il compito di recepire o respingere le indicazioni assunte (metodo bottom up).

Storia e legislazione

Un denominatore comune delle azioni di urbanistica partecipata è la sostenibilità ambientale degli interventi di pianificazione da promuovere tramite forum con gli attori del territorio per svolgere azioni condivise come indicato dall'Agenda del ventunesimo secolo (Agenda 21) ratificata in occasione della Conferenza di Rio de Janeiro su ambiente e sviluppo indetta dall'ONU nel 1992.

Le linee d'intervento sono state riviste successivamente nella conferenza di Johannesburg nel 2002 e in ambito europeo nelle conferenze di Aalborg (1994 e 2004) nel corso delle quali i governi locali partecipanti hanno sottoscritto gli Aalborg Committments.

Inoltre sono state emanate due direttive europee:

• la 42/2001 che impone a piani e programmi di un certo rilievo territoriale la procedura di VAS Valutazione ambientale strategica prevedendo il coinvolgimento della comunità locale nell'analisi di scenario;

• la direttiva 35/2003 che sancisce la necessità di attivare processi di partecipazione territoriale.

Tali indicazioni sono in gran parte recepite nel TUEL (Testo Unico degli Enti locali) e nei numerosi regolamenti comunali della partecipazione approvati negli ultimi anni da numerose amministrazioni pubbliche.

L'urbanistica partecipata ha una sua ragion d'essere anche come risposta alla sindrome NIMBY (Nothing in My Back Yard), che si manifesta ogni volta che un gruppo di cittadini organizza proteste contro trasformazioni territoriali che possono peggiorare le condizioni dell'ambiente nel quale vivono. È frequente il ricorso all'urbanistica partecipata quando i cittadini ritengono che sia compromessa o migliorabile la qualità dello spazio pubblico.

Tecniche e strumenti

Il grado di coinvolgimento dei cittadini è determinato dagli obiettivi, dalla forza dei gruppi organizzati e dalla volontà dei decisori politici. Sherry Arnstein ha definito nel

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1969 una scala della partecipazione che costituisce un punto di partenza per tutti i numerosi studi successivi.

In generale si individuano quattro gradi di coinvolgimento progressivo: informazione, consultazione, collaborazione, autogestione. Secondo gli obiettivi che si intendono raggiungere possono essere utilizzate diverse metodologie, tecniche e strumenti: fogli informativi, questionari, cataloghi di scelte, forum, anche telematici, sedi di informazione e dibattito come Urban Center o Case della città.

Nei casi più impegnativi e controversi si ricorre a forme di consultazione quali i referendum popolari, previsti dal TUEL (Testo Unico Enti Locali) e riportati nei Regolamenti comunali. Per la consultazione si stanno diffondendo sperimentazioni che fanno riferimento alle esperienze di democrazia diretta o deliberativa.

Nell'ambito della collaborazione progettuale, le tecniche tendono a costruire una comune consapevolezza degli scenari possibili che si profilano, in modo da creare le condizioni per un mutuo apprendimento che consenta a ciascun partecipante di far valere i propri interessi ma nello stesso tempo di proiettarsi nella comprensione delle ragioni dell'altro.

Una tecnica validata dalla Commissione Europea, è il metodo EASW (European Awereness Scenario Workshop). Altri metodi sono spesso mutuati da analoghe pratiche di tipo aziendale dedicate alla valorizzazione delle competenze professionali e all'efficacia dei processi decisionali in condizioni di complessità (brain storming, action planning, open space technology). I metodi orientati ad una visione territoriale di scenario assumono denominazioni come planning for real, future search, Oregon model, ecc.

Nel caso di vari programmi di pianificazione urbana quali i contratti di quartiere, i patti territoriali, i programmi di recupero urbano, i PRUSST (Programmi di Riqualificazione Urbana e di Sviluppo Sostenibile del Territorio) gli attori del territorio svolgono un ruolo attivo di promotori, investitori, gestori, fruitori attraverso una concertazione che prevede accordi privilegiati con gli investitori (stockholders), talvolta estesi anche ad organizzazioni Sindacali, come nel caso dei patti territoriali, e alla comunità locale (stakeholders) come nei contratti di quartiere.

Due tecniche di coinvolgimento sono il Planning for Real e il metodo delle charrette. Il Planning for Real è una tecnica innovativa finalizzata alla discussione pubblica su aree di intervento, dal punto di vista urbanistico. Essa consente la partecipazione dei cittadini interessati, lasciando ogni contributo anonimo. Il punto di partenza è un plastico rappresentante la zona urbana di interesse, in cui ogni persona è chiamata a posizionare appositi cartoncini direttamente sul plastico in corrispondenza del miglioramento da effettuare. Al termine della suddetta attività lo staff tecnico, a capo di tutto ciò, rielabora tutte le proposte effettuate sul plastico al fine di comprendere le

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preferenze e le conflittualità tra i cittadini, e soprattutto di trovare dei miglioramenti reali sulla zona in questione.

Il metodo delle charrette è un processo di progettazione in cui sono coinvolti nello stesso tempo sia architetti, urbanisti, ingegneri e soprattutto le persone ( abitanti ) che vivono nella zona interessata all'intervento edilizio. È un procedimento che prevede una serie di incontri, che si concludono con la realizzazione di un progetto, creato ovviamente da persone competenti, finalizzato a garantire un giusto equilibrio tra fattibilità economica, tecnica e legale.

Alcune imprese, nel definire la loro strategia industriale, coinvolgono anche la comunità locale per poter attribuire all'impresa i valori positivi che derivano dal consenso degli stakeholders.

Tali indicazioni sono contenute nel Libro Verde dell'Unione europea che promuove la RSI (Responsabilità sociale d'impresa, luglio 2001) come un'opportunità d'innovazione gestionale, strumento di competitività e di attivazione di partnership locali.

Applicazione pratica della disciplina urbanistica

Il problema evidenziato di recente è che, lasciando ad ogni piccolo comune la disciplina urbanistica del proprio territorio, in una situazione di frammentazione delle circoscrizioni comunali, diventa difficile una gestione unitaria da un punto di vista delle procedure tecnico-edilizie: infatti ogni singolo piccolo comune usa una propria modulistica, proprie prassi e proprie interpretazioni delle norme, oltre che diversità di disciplina per ogni singola zona e per ogni singola classificazione; ciò rende difficoltosa l'applicazione delle norme da parte dei professionisti del settore (geometri, architetti, ingegneri) che debbono tradurre nella pratica progettuale le diverse normative e prassi di ogni singolo comune, mentre singoli cittadini hanno l'impressione che singole norme e singole previsioni urbanistiche possano produrre situazioni di vantaggio economico per alcuni proprietari e di svantaggio per altri. Così vi sono solleciti di semplificazione burocratica verso il governo centrale, con la richiesta di obbligo di uniformità almeno di modulistica, procedure ed interpretazioni delle normative, quanto meno a livello di singole regioni.

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LA STRUTTURA PORTANTE E I MATERIALI NELLA COMPOSIZIONE ARCHITETTONICA

Struttura e struttura portante: dal gotico al moderno Il termine struttura deriva dal latino struere che significa costruire. Questa parola però ha assunto significati più complessi in campo architettonico, suggeriti sino dalla definizione che ne dava Quatremère de Quincy distinguendo tra costruzione e struttura: mentre la prima esprime la maniera in cui l'edificio è costruito..., e si applica generalmente a quella parte dell'architettura che comprende tutto ciò che vi ha in quest'arte di materiale, di meccanico, di scientifico, e alla qualità dei materiali o del loro impiego in un fabbricato; la seconda, la struttura, abbraccia i rapporti esterni dell'arte che si manifesta agli occhi per l'arditezza delle masse, la bellezza delle forme, la proporzione degli ordini e la maestria dell'esecuzione. Oggi il termine struttura (o strutturalismo) contiene, appunto nella sua accezione più ampia, due significati: il primo è quello di un sistema di parti coordinate, immanente all’oggetto in esame, il secondo è quello di un modello costruito con operazioni semplificatrici, angolato da una certa visuale, e tale da cogliere, anche per via ipotetica, i caratteri invariabili di sistemi differenti. Tornando a Quatremère, sintetizziamo il significato di costruzione e di struttura, intendendoli congiuntamente come ordine costruttivo che si origina dall'impiego sapiente dei materiali. Il termine portante che aggiungiamo alla parola struttura si rende necessario in quanto l'impiego moderno di scheletri strutturali in cemento armato ed acciaio ha comportato una scissione (nell'architettura contemporanea molto più evidente che in quella antica) tra membrature portanti, quelle cioè che sopportano i carichi accidentali, e membrature di divisione dello spazio o di protezione dalle intemperie, che sopportano solo il proprio peso. Associamo quindi al problema della struttura portante quello più generale dei materiali, proprio a significare quella dimensione tecnica dell'Architettura che si caratterizza nelle superfici e nei volumi, e che Vitruvio aveva chiamato firmitas. Lo stile gotico deve i suoi caratteri a quattro elementi costruttivi: il pilastro d'ordine gigante, l'arco acuto, l'arco rampante e la volta a nervature. Il muro, come tale, tende a svuotarsi e già accenna a quella separazione dalla struttura portante che diventerà propria del moderno. Ma come non cogliere in queste invenzioni strutturali una profonda novità nella concezione dello spazio? Come non apprezzare la straordinaria integrazione di questi elementi costruttivi con gli elementi ornamentali scolpiti sulla stessa pietra? Nelle cattedrali gotiche firmitas e venustas si fondono in

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una unica idea di spazio, in cui la utilitas appare sublimata nella trascendenza di una spiritualità misteriosa e severa. Non è facile individuare i confini tra tecnica ed arte, tra oggettività strutturale e soggettività formale in questa architettura. Basti pensare alla controversa interpretazione del costolone di rinforzo sotto le volte a crociera: elemento portante di ripartizione dei carichi a sollievo della volta, oppure semplice partito figurativo che denuncia le linee di forza della struttura? Viollet le Duc e Choisy sostenevano la prima ipotesi, altri come Pol Abraham, la seconda; ma probabilmente la verità è nel mezzo, nel senso cioè che se il costolone non ha una vera funzione portante, è però vero che la sua costruzione coincide con la struttura della volta, ne determina il tracciato e ne evidenzia lo spazio: ai fini compositivi cioè il problema è irrilevante! La cattedrale gotica nasce dalla dialettica tra tecnica e forma, come ci spiega Henry Focillon che scrive: è una dialettica... che si modella sullo sviluppo delle forme, perché l'architettura è dialettica attraverso l'accordo progressivo e il gioco misurato delle parti. Tale dialettica non s'arresta nella regione incondizionata del ragionamento. Essa si muove e si sviluppa nell'ambito della storia attraverso l'esperienza... La cattedrale non è schema e deduzione. E' un ordine intellettuale, ma si rivolge alla vista, e anche per essere visto il costolone è stato lanciato sotto le volte. In definitiva possiamo collocare nell'architettura gotica l'origine della autonomia figurativa della struttura portante, e a questo periodo riconoscere Henry Focillon, L'Arte dell'Occidente, (edizione italiana), Torino, 1965; un atteggiamento di interesse e privilegio per una idea di spazio legata alla forza di gravità ed alle linee verticali. Così come il Rinascimento italiano si formò sulla base di una contrapposizione allo stile gotico (vicino nel tempo, ma lontano rispetto a quella idea di classicità che veniva recuperata sia sul piano teorico che su quello stilistico), altrettanto si attestò su una idea di spazio in cui il significato del termine struttura ritornava quello antico. Scriveva Leon Battista Alberti: il modo di eseguire una costruzione consiste tutto nel ricavare da diversi materiali, disposti in un certo ordine e congiunti ad arte, una struttura compatta e nei limiti del possibile integra ed unitaria. Si dirà integro ed unitario quel complesso che non contenga parti scisse o separate dalle altre o fuori del loro posto, bensì in tutta l'estensione delle sue linee dimostri coerenza e necessità. Bisogna quindi ricercare, nella struttura, quali siano le parti fondamentali, quale il loro ordinamento, quali le linee di cui si compongono. Nel Rinascimento la struttura di un edificio torna a legarsi con l'idea di organismo architettonico e a fondarsi sulla rilettura di Vitruvio, con una stretta relazione tra firmitas e venustas. Già verso la fine del XVIII secolo con lo sviluppo del pensiero scientifico e le novità

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tecniche, alla finalizzazione estetica si andava sostituendo una parzializzazione tecnologica, e le elaborazioni teoriche sulla composizione architettonica lasciavano il posto alla manualistica sugli aspetti costruttivi della progettazione. La rivoluzione industriale e lo sviluppo del pensiero illuminista aprivano quella scissione tra architettura e ingegneria che sarebbe esplosa all'inizio dell'Ottocento con la contrapposizione tra Ecole des Beaux- Arts ed Ecole Politecnique. Dal 1806 esisteva a Parigi l'Ecole des Beaux-Arts di indirizzo neoclassico e tradizionale, fondata sulla autonomia delle arti figurative rispetto alla condizione sociale e tecnica dell'uomo. Ad essa si contrapponeva l'Ecole Politecnique fondata durante la rivoluzione francese per preparare i quadri della classe dirigente borghese in sintonia con le novità scientifiche del nuovo secolo. Dalla impossibile convergenza di questi due atteggiamenti si origina una distinzione concettuale tra architettura ed edilizia ancora diffusa oggi, e che sta alla base dell'attuale distinzione tra scuole di architettura e scuole di ingegneria. Così da una parte l'isolamento dell'architetto dalle problematiche della tecnica portava alla sperimentazione accademica di progetti in stile (storicismo e revivals), mentre la pretesa prevalenza della tecnica nella trasformazione della società, creava nuove figure professionali, più funzionali all'apparato industriale che il nascente capitalismo andava configurando. Ma giustamente osserva Leonardo Benevolo: ...lo storicismo diventa così il necessario terreno di coltura per la preparazione del Movimento moderno, e le contraddizioni sopra elencate diventano proprio appigli da cui muove la problematica della nuova Architettura. Occorreva cioè che proprio dalla tensione tra questi due mondi della cultura del costruire, nascessero le premesse perché l'autonomia dei campi disciplinari non escludesse, nel momento del progetto, la sintesi tra arte e tecnica. Così, figure come Pugin e Ruskin, tenacemente spinti a ricercare nella sincerità costruttiva le ragioni della forma, Viollet le Duc, con la sua concezione della forma come estrinsecazione di una idea in un ordine logico, Semper con la ostinata ricerca dei nessi tra gli studi d'arte e le ricerche sulle scienze naturali, Labrouste con le geniali architetture in ferro, rappresentarono tutti un primo atteggiamento moderno nei confronti del progetto, perché, come avrebbe detto Le Corbusier all'inizio del nuovo secolo, l'industria soffiò sul mondo e fu la tempesta. Struttura e materiali Fu proprio Le Corbusier, con il suo Vers une Architecture del 1920, a lanciare il primo perentorio monito perché l'architettura moderna sapesse cogliere, e fare suo, il grande patrimonio figurativo che le nuove tecnologie proponevano: estetica dell'ingegnere, architettura, due cose solidali, conseguenti, l'una in piena fioritura, l'altra in penoso regresso. L'ingegnere, ispirato dalla legge dell'Economia e guidato dal calcolo, ci mette in comunicazione con le leggi dell'universo. Raggiunge

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l'armonia. L'architetto, organizzando le forme, realizza un ordine che è pura creazione della sua mente; attraverso le forme, colpisce con intensità i sensi, e, provocando emozioni plastiche attraverso i rapporti che egli crea, risveglia in noi risonanze profonde, ci dà la misura di un ordine partecipe dell'ordinamento universale, determina movimenti diversi del nostro spirito e del nostro cuore; è qui che avvertiamo la bellezza. L'architettura del nostro secolo non è più il risultato di una manipolazione plastica dello spazio affidata ad un unico materiale costruttivo, la muratura piena (in pietra o mattoni), ma si complica ed arricchisce di una nuova variabile: la scelta dei materiali, che riguarderà sia la parte portante della costruzione, sia le membrature di tamponamento e copertura, sia quelle di suddivisione interna e di finitura. Ma dobbiamo distinguere tra queste, perché interagiscono in modo diverso nella composizione essendo motivate da considerazioni diverse con diversi gradi di libertà. Noi ci occuperemo, nelle considerazioni che seguono, essenzialmente dei materiali relativi alla struttura portante, alle tamponature e alle coperture, ponendoci interrogativi sull'impatto di questa variabile nel processo progettuale, relativamente alle motivazioni della scelta e dalle conseguenze nel risultato. Il progettare esige che si comprenda l’ordine e capire l’ordine. Significa conoscerne la natura. Significa sapere che cosa può fare. E rispettarlo profondamente. Se lavorate col mattone, non usatelo come una scelta di seconda mano, o perché costa poco. No, dovete innalzarlo in tutta la sua gloria, e questa è l’unica interpretazione che merita. Se lavorate col cemento, dovete conoscere l’ordine della sua natura, dovete conoscere la natura del cemento. In prima approssimazione possiamo dire che l'orientamento in merito alla natura dei materiali può anticipare la prima idea architettonica o esserne comunque estraneo, partecipando del programma edilizio della committenza, od essendo implicitamente contenuto nel tema funzionale. Spesso infatti il budget finanziario, la tecnologia di una impresa di costruzioni o i caratteri tipologici della costruzione da realizzare vincolano il progettista a scelte limitate. Se, ad esempio, dobbiamo progettare un complesso residenziale intensivo di edilizia popolare a basso costo, sarebbe assurdo non fare ricorso a sistemi costruttivi standardizzati basati sulla struttura a scheletro in cemento armato e su tamponature prefabbricate, e pretendere invece l'impiego di murature piene portanti! Ma quello che interessa in questa sede non è tanto la condizione pragmatica di una scelta suggerita dalle esigenze costruttive, quanto la coerenza tra il materiale prescelto e lo sviluppo dell'idea progettuale. Interessa in definitiva non tanto il chi opera la scelta, quanto il come la stessa venga portata avanti, sia per quanto riguarda gli aspetti legati alla statica del fabbricato sia quelli che definiscono le superfici ed i volumi. La muratura piena portante Cominciamo ad analizzare il rapporto tra la struttura portante e la struttura formale del progetto, in relazione all'ambiguità stessa del termine struttura come l'abbiamo

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evidenziata all'inizio. Qualora fosse possibile impiegare la muratura piena portante (in mattoni o in pietra) il progettista dovrà tenere conto che questo materiale resiste a compressione e taglio e non a flessione; richiede cioè notevoli sezioni orizzontali ed ha bisogno nel suo apparato costruttivo tridimensionale di sistemi ad arco, oppure in alternativa, dell'impiego di membrature orizzontali portanti realizzate con altro materiale: una volta era il legno, oggi può essere l'acciaio o il cemento armato. Possiamo considerare il muro portante come una superficie, per lo più continua, che costituirà l'involucro esterno dell'edificio e coinciderà all'interno con alcune divisioni. Questo tema è stato sviluppato da Louis Kahn in molti progetti, tra cui quelli realizzati a Dacca nel Bangladesh e ad Ahmedabad in India, paesi in cui l'organizzazione del cantiere e la tradizione locale suggerivano tecnologie in muratura piena portante. Queste opere ci consentono alcune considerazioni rispetto alle qualità del materiale ed alle conseguenze figurative nella composizione. Primo problema è la luce: come bucare la cortina muraria senza alterare la sua natura portante? Louis Kahn impiega sia l'arco ottenuto secondo il principio antico dei conci, sia piattabande prefabbricate, sia ancora sistemi misti in cui la spinta dell'arco ribassato viene bilanciata da catene in cemento armato. Ma Kahn vuole che questa pelle che inviluppa lo spazio appaia in tutta la sua continuità di cortina muraria e venga apprezzata proprio come superficie: ed allora ritaglia bucature che sfuggono alla tettonica tradizionale (che vorrebbe le finestre allineate lungo i piani orizzontali) citando ad esempio il disegno di ponte Fabricio del Piranesi nel realizzare un grande foro circolare, quasi un arco che si richiude diventando un cerchio. L'invenzione dell'architetto quindi non rimane imbrigliata nel repertorio figurativo tradizionale, ma, interpretando le possibilità tecniche del materiale e sviluppando la propria idea di spazio, arriva a proporre soluzioni che hanno il loro riferimento in grandi opere dell'architettura antica. In molte altre opere realizzate in mattoni, Kahn, finalizzando l'uso del materiale al problema della luce, disegnerà bucature dalla geometria regolare (quadrati, semicerchi, cerchi, triangoli, ecc...) che non intaccheranno la struttura formale delle superfici e dei volumi, ma anzi la esalteranno. Possiamo capire quindi come la scelta della muratura portante condizioni la forma delle bucature e la loro disposizione sulla facciata: sarebbe errato, perché contrario alle leggi statiche, concepire finestre a nastro orizzontale, oppure disposte senza un rigoroso allineamento verticale. In un altro progetto di Louis Kahn, infatti, la Biblioteca Exeter, la cui facciata esterna è realizzata in mattoni (una specie di scatola muraria cubica entro la quale si dispone una struttura in cemento armato) vediamo come le asole finestrate, che secondo una maglia regolare bucano i prospetti, diventano più ampie man mano che si procede verso l'alto, proprio perché la muratura portante, scomposta in pilastrature, si rastrema sopportando via via carichi minori. Altre volte il muro portante è stato impiegato come setto che ripartisce il fabbricato nel suo andamento longitudinale; ciò consente più ampie bucature in facciata, che può assolvere così solo alla funzione di collegamento e controventatura: è il caso di

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molte aggregazioni residenziali a schiera, antiche o moderne, in cui il muro coincide con la divisione tra le singole unità abitative. In questo caso il muro potrà anche essere denunciato come elemento di sezione del volume complessivo. La combinazione poi del laterizio portante con gli altri elementi che collaborano alla struttura portante, come travi, piattabande, capriate, solai, coperture, come anche la combinazione con altri elementi di sostegno verticale, apre un vasto campo di sperimentazione progettuale cui fa da supporto l'intera storia dell'architettura, ma che offre i riferimenti più significativi nelle grandi realizzazioni in laterizio, ferro e vetro dell'Ottocento. Specificità della struttura in cemento armato Il rapporto tra struttura portante e struttura formale, così stretto e conseguente nel caso della muratura piena, assume caratteristiche diverse nel caso di impiego di struttura con telaio di ferro o con scheletro di cemento armato. In entrambi questi casi abbiamo una separazione tra le membrature portanti e l'involucro esterno, che diventa tamponamento, e tra le strutture verticali (generalmente puntiformi) e le pareti, che diventano tramezzature. In prima approssimazione perciò possiamo dire che l'impiego dell'acciaio e del cemento armato ha reso possibile l'autonomia dello spazio architettonico dalla struttura portante. Ma possiamo allora affermare che le strutture in acciaio o in cemento armato non esprimono uno spazio architettonico? Oppure che l'apparato costruttivo basato su pilastri e travi è ininfluente nella composizione? Certamente no; e vediamone le ragioni, trattando le questioni generali che assimilano l'acciaio e il cemento armato, prima di esaminarne i caratteri di specificità come materiali. Intanto possiamo affermare che, anche parlando di materiali moderni, l'archetipo del binomio pilastro-trave risiede nel binomio colonna-architrave dell'antichità classica, oppure se vogliamo tornare ancora più indietro, è rintracciabile nel telaio naturale che l'uomo costruì tagliando dal bosco quattro rami, rizzandoli, ponendoli in quadrato, e legandone sopra trasversalmente altri quattro sino a coprire il tutto con fitto fogliame. Sappiamo anche che l'architettura classica derivò i suoi principi dagli ordini e cioè dalle caratteristiche e dai rapporti dimensionali delle colonne con le membrature orizzontali; così come sappiamo bene che il Pantheon deve la sua forza espressiva e la sua fama non solo alla centralità della pianta, ma alla combinazione di questa con il pronao fitto di colonne giganti, quasi foresta di pietra, che determina le condizioni di spazio e di luce per potere apprezzare proprio la solennità del volume centrale forato verso il cielo. Le Corbusier teorizzò l'autonomia formale dello scheletro strutturale derivando da questo i suoi cinque principi sull'architettura moderna: il piano terra a pilotis, il tetto giardino, la pianta libera, la finestra a nastro e la facciata libera. Le case Domino del 1914 rappresentano la prima postulazione del principio della completa indipendenza della struttura ossatura dalle funzioni della pianta; da questa idea Le

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Corbusier avrebbe derivato tutti i suoi progetti di case unifamiliari, sino alla Villa Savoye del 1929 che rappresenta la traduzione costruttiva più matura delle sue convinzioni sull'impiego del cemento armato. Guardando questo progetto possiamo capire come sia possibile estrarre dalle caratteristiche di un materiale valenze architettoniche autonome rispetto a quelle che scaturiscono dalla composizione delle superfici e dei volumi, ma come poi questa autonomia di leggi e di valori formali trovi la sua unità nel progetto compiuto. Il cemento armato rende possibile lo svuotamento del piano terra cosicché la casa, lontana dal terreno, sia isolata e protetta, ma il pilotis così diventa componente formale dell'architettura, ribaltando il principio tettonico tradizionale che vorrebbe il maggiore peso nel basamento dell'edificio. Ma come il pilotis non interrompe la continuità del suolo e del giardino, cosi il tetto piano (che il cemento armato rende possibile) ripristina il verde anche in copertura: e nasce il principio del tetto giardino; questo verde poi, con la sua coltre di terra, protegge il solaio sottostante dagli sbalzi di temperatura e di umidità. La struttura a pilastri in luogo della muratura portante libera le piante ai vari piani, consentendo sia una maggiore funzionalità delle stesse, sia la diversa articolazione dei volumi, sia l'impiego di tamponature vetrate di grande superficie, che le finestre a sviluppo orizzontale: nascono così i principi della pianta libera, della facciata libera e della finestra a nastro. E sono tutti principi di forma, elementi di linguaggio architettonico propri dell'architettura di Le Corbusier e di altri maestri del Movimento moderno. Non esauriscono però il campo delle problematiche compositive, né potrebbero essi soli configurare il progetto, perché entrano in gioco altri elementi, come l'inserimento nel luogo, il riferimento ai canoni di equilibrio e proporzione, la sensibilità plastica, e l'intero patrimonio culturale-figurativo, che nel caso di Le Corbusier si associa alle ricerche cubiste e neoplastiche. Questa sorta di firmitas, già espressa in utilitas e venustas, si unirà quindi alla solidità degli altri materiali, alla funzionalità dello spazio e alla bellezza degli equilibri plastici, nella configurazione finale del progetto. Noi non riteniamo che i cinque punti di Le Corbusier possano essere altrettanti canoni fissi dell'architettura moderna, anzi il loro impiego dovrà trovare robuste motivazioni, perché non sempre il pilotis, o la pianta libera, o la finestra a nastro possono avere coerenti riscontri nel tema progettuale o nel bagaglio tecnico-culturale del progettista (basti ricordare l'opera di un altro grande maestro del moderno, Louis Kahn, molto lontana da questo codice linguistico), ma certamente l'impiego dello scheletro strutturale nell'opera di Le Corbusier rimane di grandissima evidenza storica e di grande rigore metodologico. Specificità della struttura in acciaio Un altro maestro del Movimento moderno, Mies van der Rohe, sperimentò invece l'impiego del telaio strutturale in acciaio. Il metallo, più del cemento, si presta ad un trattamento a vista nel quale giochi un ruolo anche il dettaglio tecnico; la ricerca di

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Mies era volta proprio all'esaltazione delle qualità dell'acciaio a tutte le scale della progettazione, dall'impianto generale sino al particolare costruttivo. Ed anche qui la ricerca espressiva sul materiale portante si associava allo studio delle combinazioni tra questo ed altri materiali, in un dialogo architettonico tra membrature portanti e membrature portate. In più, c'era in Mies come un filo conduttore legato alla ricerca tipologica: la leggerezza del sostegno verticale in metallo (tradizionalmente associato al vetro) avviò una lunga e coerente sperimentazione sul tema della copertura piana, che, con la sua proiezione, individua sul terreno una porzione di spazio identificabile nel tipo dell'aula: la sua fu appunto una ricerca sulle variazioni di identità di questo archetipo. La prima idea è contenuta nel Padiglione tedesco dell'esposizione di Barcellona, del 1929: otto pilastri in acciaio sorreggono un piano di copertura secondo un modulo geometrico rigoroso; ma la rigidità dello spazio strutturale, si disarticola nella complessità dello spazio reale, in virtù di piani verticali che si dispongono nel perimetro (inviluppando le funzioni che l'edificio assolve anche all'aperto) e di divisori mobili interni (che seguono le necessità espositive). Le due strutture logiche della composizione, quella statica e quella funzionale mantengono la loro autonomia e riconoscibilità, ma confluiscono nella forma finale che appare unitaria ed inscindibile. Il Teatro di Mannheim del 1953 costituisce un approfondimento dello stesso tema: una struttura in vista modulare in acciaio sorregge mediante travi reticolari una grande copertura; a questa corrisponde il piano di calpestio sollevato dal suolo mediante muri continui rivestiti in marmo: ne risultano due piani orizzontali sostenuti in modo diverso (il calpestio dal basso, la copertura dall'alto), che individuano nel loro spessore, misurato dai telai degli infissi, uno spazio unico. Questo spazio poi viene rotto, articolato e risolto in tutta la sua complessità funzionale dalle membrature interne. La Convention Hall (1953) e la Crown Hall (1953) di Chicago ripropongono soluzioni simili nella diversità dei contenuti e delle dimensioni; sino alla Neue Nationale Galerie (1962-68) di Berlino in cui il teorema dell'aula come espressione dello spazio strutturale viene espresso in modo paradigmatico: otto pilastri che sorreggono una gigantesca copertura realizzata con nervature di acciaio. La tamponatura (realizzata interamente in vetro e posta arretrata, sì da lasciare in evidenza i pilastri), i servizi interni, le divisioni e gli arredi espositivi, il vero e proprio museo interrato e quant'altro potesse rendere funzionale e completo l'edificio, non aggiungono o tolgono nulla allo spazio così come viene elementarmente individuato dalla semplice proiezione di un piano orizzontale sul terreno. Struttura portante e struttura formale Dovendo riassumere e concludere le considerazioni sin qui svolte sulla struttura portante degli edifici, potremmo parlare di una fase iniziale, in cui la decisione in merito alla tipologia strutturale può scaturire anche da condizionamenti esterni (che naturalmente l'architetto deve mediare ed interpretare), dopo la quale però ogni scelta

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deve essere conseguente: ogni materiale ha le sue caratteristiche tecniche di resistenza al carico, la sua virtualità ad essere manipolato (la pietra come materiale naturale, il mattone come modulo elementare, il cemento armato per le sue virtù plastiche, l'acciaio per quelle di leggerezza e trasparenza, ecc..); ma, soprattutto ogni tipologia strutturale ha le sue leggi, e queste leggi sono leggi anche formali. Non avrebbe senso impiegare mattoni per costituire una struttura solo a pilastri, né cemento armato solo per pareti continue in facciata, né acciaio per campate che non hanno scansione geometrica e modularità. La fase successiva, è quella in cui noi poniamo in rapporto la struttura portante con la struttura formale del progetto. Confrontando cioè la firmitas con la venustas, e facendo entrare in gioco tutte le variabili della progettazione, dobbiamo rendere congruente la struttura portante con gli altri problemi della firmitas (pareti di tamponamento, di divisione interna e impianti) e con la utilitas (funzionalità e distribuzione interna). E se ciò dovesse comportare una revisione dell'idea strutturale iniziale, questo deve essere fatto senza smentirne i principi. Ma se la scelta del materiale portante, più di altre, condiziona il progetto, è anche vero che la qualità del progetto scaturisce proprio dalla composizione delle sue parti, di tutte le sue parti. E quindi il problema dei materiali deve essere affrontato anche nel senso più generale (materiali di completamento, finitura, decoro, arredo, ecc..). All'alba del Novecento così scriveva Adolf Loos: che cosa vale di più? Un chilo di pietra o un chilo d'oro? Sembra una domanda ridicola. Soltanto al commerciante però. L'artista risponderà: per me tutti i materiali sono ugualmente preziosi... Anche se per l'artista tutti i materiali sono ugualmente preziosi, non tutti sono ugualmente adatti ai suoi obiettivi . L'architetto perciò, come il pittore conosce usa e controlla i colori, deve dominare il materiale in modo tale che l'opera, comunque valida perché frutto di un processo logico-creativo, manifesti le migliori qualità possibili dei materiali prescelti, oppure, ribaltando solo in apparenza il concetto, manifesti le proprie migliori qualità in virtù della scelta dei materiali. Ogni materiale ha la sua forma, o, meglio, un repertorio di forme possibili. La forma del materiale nasce dalla sua natura tecnica, ma anche da come è lavorato (tagliato, nel caso della pietra, cotto nel caso del laterizio, casserato nel caso del cemento, fuso nel caso del ferro, trafilato nel caso di profili metallici, impastato nel caso dell'intonaco ecc...) da come è posto in opera (allettato per la pietra ed il mattone, gettato per il cemento, imbullonato o saldato per i metalli, steso per l'intonaco ecc..), dal suo colore (che potrà essere naturale o artificiale), dalla sua conservazione e dal suo invecchiamento. In più ogni materiale è in minore o maggior modo disponibile ad essere accordato con altri, ma nessun materiale consente intromissioni nel proprio repertorio che gli impongano forme che non siano le sue! Noi potremmo anche conoscere tutte le proprietà fisiche dei materiali e i migliori magisteri per l'impiego, potremmo sapere tutto su campionature e colori, ma

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rischieremmo ugualmente di impiegarli in modo distorto se non comprendessimo che il loro uso per un progettista non può che fondarsi sulla conoscenza dell'architettura e della storia: dal punto di vista della composizione cioè il materiale va conosciuto nel progetto. Questo non vuol dire che il progettista non debba avere una robusta preparazione tecnica, tutt'altro, ma la conoscenza in questo caso non deriva meccanicamente dalle informazioni relative all'oggetto (il materiale da costruzione), ma dalle capacità di capire le relazioni tra l'oggetto (il materiale appunto) e il processo compositivo. Adolf Loos diceva che l'architetto è un muratore che conosce il latino, padrone del mestiere cioè, ma cultore di un pensiero antico: analisi e storia quindi sono strumenti indispensabili per la conoscenza e l'impiego dei materiali costruttivi nella composizione architettonica. Potremo allora capire la pietra osservandola nei templi egizi, sull'Acropoli di Atene o nelle cattedrali gotiche; il mattone vedendolo nelle penombre di Villa Adriana oppure nelle vibrazioni delle architetture di Berlage; l'intonaco apprezzandone il colore nella luce della Roma barocca, nelle preziosità del Settecento o nella purezza del Razionalismo; il legno sentendone il calore nelle capriate rinascimentali o nelle modanature dell'architettura finlandese; l'acciaio e il vetro vivendo lo spazio delle coperture ottocentesche o studiando la maestria essenziale di Mies; il cemento seguendone le leggi plastiche nelle nervature di Perret, nelle superfici di Le Corbusier, nei reticoli di Terragni, o nelle coperture di Morandi; i materiali di rivestimento, imparando a montarli come la ceramica degli interni di Dudok ed Hoffmann o i marmi di Loos e del Novecento italiano; potremo apprezzare anche i materiali sintetici più moderni, se avremo la cura di conoscerli ed interpretarli coerentemente alle risorse tecnologiche contemporanee.

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IL DESIGN E SCIENZA

Nell’ultimo decennio il settore del design ha dimostrato un interesse sempre maggiore verso la possibilità di implementare la ricerca scientifica nei propri prodotti, asservendosi di strumenti e metodi basati sull’integrazione multidisciplinare, nonchè su criteri caratterizzati da un rigore di matrice sempre più scientifica. Il design contemporaneo mira a promuovere processi di innovazione e sperimentazione, in cui design e scienza si avvicinano, si intersecano e si fertilizzano.

Il design incontra la matematica nelle sperimentazioni in cui le tecnologie digitali vengono interpretate come forme espressive, dove l’intervento progettuale coinvolge la dimensione degli algoritmi attraverso percorsi che vengono definiti algorithmic design, generative design, computational design sempre più connessi al digital manufacturing. Esempi di algorithmic design sono, ad esempio, i gioielli e gli accessori per la casa realizzati da Nervous System, che interpretano il “computational”, come strumento creativo in grado di aiutare a realizzare le elaborazioni dei designer, riducendo enormemente i tempi che interconnettono il concept alla realizzazione.

La codifica e la costruzione dell’algoritmo diventano atti creativi, come il disegnare, con risultati che, in termini di qualità del design, dipendono ovviamente dalle capacità progettuali del designer, più che da ogni altro elemento materico o digitale.

Le collaborazioni tra design e biologia sono particolarmente frequenti, dalla bionica, al design biomimetico, che trasferisce ai prodotti strategie, strumenti e metodi tratti dalla biologia, fino a esperienze di elaborazione grafica di processi biologici.

Nel progetto di ricerca e formazione Design4Science, il design per la comunicazione interpreta il campo della Biologia Molecolare, facendo riferimento ad una gran varietà di risorse come l’archivio di dati e ricerche dell’MRC Laboratory of Molecular Biology di Cambridge; il Geis Archives dell’Howard Hughes Institute and David Goodsell, e lo Scripps Research Institute. In questo caso il design, più che trarre ispirazione dalle scienze biologiche supporta la scienza mediante lavori visivi, fotografie, animazioni, immagini digitali che svolgono il ruolo di disvelare concetti e processi in modo che gli scienziati stessi riescano a “leggerli” più semplicemente e da diversi punti di vista.

Il rapporto del design con la chimica e con la scienza dei materiali e sicuramente quello, tra le scienze, più consolidato. Con l’evolvere delle conoscenze scientifiche e delle tecnologie di produzione, però, tale relazione si apre a sempre più interessanti e complessi scenari collaborativi in cui l’interazione tra i due ambiti non è più casuale o saltuaria, ma più consapevole e costruttiva. Nascono nuove dimensioni

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metodologiche caratterizzate dall’obiettivo di individuare protocolli comuni di attività sulle quali fondare un processo di progettazione, interdisciplinare e condiviso, volto allo sviluppo di nuovi concept e nuovi prodotti di design, in un’ottica di innovazione sempre più compatibile con gli equilibri ambientali e con le esigenze del mercato.

Nell’ambito delle sperimentazioni progettuali il dialogo e la cooperazione tra design e nuovi materiali è costante e si fonda sul definire e sperimentare nuovi linguaggi condivisi e modalità di interazione e condivisione tra designer, scienziati dei materiali e aziende orientate a implementare un’innovazione integrata design-materiali nelle loro produzioni.

Il design, impiegando i propri strumenti progettuali di prefigurazione di scenario e di lettura delle dinamiche evolutive ed esigenziali del mercato e della società, interpreta in forma di nuovi concept e nuovi prodotti i materiali messi a punto dai ricercatori di scienza dei materiali. Contemporaneamente, la scienza dei materiali, attraverso la collaborazione interdisciplinare, individua nuovi e inediti percorsi di applicazione per le proprie ricerche e propone stimoli e sollecitazioni alla ricerca di design, indicandole alcune delle direzioni più avanzate dello sviluppo della scienza e della tecnologia.

La metodologia definisce due modalità di approccio possibili: la prima muove dai materiali verso il design (Materiali → Design) e prevede che i chimici e gli scienziati dei materiali propongano al design innovazioni da tradurre in prodotti e applicazioni; mentre nella seconda il design richiede agli scienziati dei materiali le soluzioni materiche più appropriate a specifici brief progettuali (Design → Materiali). Per ognuno dei due approcci è stata definita e verificata una struttura procedurale suddivisa in fasi.

L’approccio M → D propone di “interpretare”, attraverso gli strumenti del design, le opportunità tecniche ed espressive offerte dall’innovazione dei materiali e delle tecnologie. Una interpretazione che si traduce in nuovi concept, prodotti e sistemi di prodotti e servizi, in grado di valorizzare le loro specifiche proprietà e identità. Per identità di un materiale si intende il complesso di opportunità, ma anche di limiti e debolezze, che lo caratterizzano e che devono essere elaborate per concepire nuove applicazioni nelle quali il materiale si “esprima” nella maniera più efficace possibile. I “caratteri di identità” contemplano aspetti ambientali; prestazioni tecniche come la durabilità, la processabilità, le proprietà meccaniche e quelle di barriera; caratteri percettivi come l’aspetto, la capacità di trasmettere e riflettere la luce, il colore e le proprietà tattili.

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Le fasi più significative che caratterizzano questo approccio sono:

1. Selezione del materiale: Il gruppo di ricerca di scienza dei materiali seleziona e propone un sistema materico sviluppato o in fase di sviluppo rispetto al quale ritiene possa essere utile individuare possibili nuovi ambiti di applicazione.

2. Analisi conoscitiva: In questa fase i ricercatori del gruppo di design affiancano nelle attività di laboratorio i chimici e gli scienziati dei materiali per acquisire informazioni su fattori come il ciclo sperimentale, le fasi e i processi di realizzazione, i requisiti tecnici, ambientali e percettivi. La differenza di approccio e punti di vista che caratterizzano i due gruppi di ricercatori consente a entrambi di cogliere stimoli e individuare potenzialità che difficilmente avrebbero apprezzato a pieno lavorando singolarmente e secondo le metodiche consuete.

3. Definizione dell’identità del materiale. I due gruppi lavorano congiuntamente per redigere una scheda che raccoglie i caratteri di identità del nuovo materiale, secondo le categorie: caratteri tecnico-funzionali, caratteri estetici, caratteri tecnologici e di processo, caratteri ambientali, e caratteri percettivi.

4. Individuazione delle aree di opportunità e dei limiti da interpretare attraverso nuovi concept.

5. Prefigurazione di possibili scenari applicativi e di nuovi modelli di consumo in funzione delle tendenze evolutive del mercato e della società.

6. Proposta di nuovi concept che interpretano, esprimono e valorizzano l’identità del nuovo materiale.

7. Sviluppo delle proposte progettuali.

8. Selezione della proposta progettuale più adeguata e rispondente alle esigenze da soddisfare.

9. Sviluppo del progetto, studio di fattibilità, prototipazione e eventuale brevetto.

Nel secondo approccio (D→M) il design, utilizzando i nuovi strumenti metodologici e linguistici di cooperazione messi a punto nel corso delle collaborazioni multidisciplinari, sperimenta la possibilità di trasferire e tradurre in requisiti da proporre agli scienziati dei materiali nuovi concept di design aderente ai nuovi scenari esigenziali contemporanei.

In questo secondo approccio la metodologia si sviluppa secondo le seguenti fasi:

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1. Redazione di un brief elaborato dal gruppo di design o da un’azienda, in funzione di un nuovo scenario esigenziale individuato e non soddisfatto sufficientemente da nessun prodotto esistente.

2. Definizione e analisi delle problematiche progettuali connesse alle esigenze individuate nel brief.

3. Analisi delle soluzioni analoghe esistenti sul mercato, nella quale vengono messi in luce limiti e vantaggi.

4. Prefigurazione di possibili scenari di prodotto attraverso i quali proporre nuove soluzioni alle problematiche irrisolte e nuovi modelli di consumo.

5. Definizione di un concept che proponga soluzioni innovative alle problematiche progettuali definite.

6. Traduzione del concept e dei principi progettuali definiti in un brief di materiali richiesti dal progetto.

7. Individuazione delle possibili soluzioni di materiali che possono essere esistenti; esistenti ma in parte da modificare; o da mettere a punto ex novo.

8. Sviluppo di un sistema integrato design-scienza di definizione dei nuovi sistemi materici aderenti alle esigenze espresse. In questa fase è importante che i ricercatori di design e di scienza dei materiali collaborino nella elaborazione di soluzioni condivise che costituiscano uno stato di avanzamento per le loro attività di ricerca in corso, ma che siano anche fattibili e realizzabili con tecnologie produttive esistenti e accessibili, anche da un punto di vista economico.

9. Sviluppo delle proposte progettuali condivise che coinvolgono sinergicamente materiali e prodotto.

10. Selezione della proposta progettuale più adeguata e rispondente alle esigenze da soddisfare.

11. Sviluppo del progetto, studio di fattibilità, prototipazione e eventuale brevetto.

L’intersezione del design con matematica, biologia, fisica, scienza dei materiali, chimica può, quindi, proporre nuovi e inediti scenari di collaborazione in cui i ruoli si invertono, si fondono e si rinnovano di continuo, allo scopo comune di guadagnare avanzamenti nei diversi ambiti, in modo sinergico e proattivo.

La collaborazione multidisciplinare si fonda sulla volontà di promuovere la confluenza di alcune delle più significative attività di ricerca condotte parallelamente da design e scienze in comuni risultati concettuali e progettuali che si traducano, alla

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fine del percorso di ricerca, in prodotti industrializzabili, tecnicamente fattibili che determinino un impatto degli avanzamenti della ricerca scientifica nella vita delle persone.

Design e scienze si avvicinano esplorando tale relazione attraverso molteplici prospettive. I sistemi di ricerca generati sono molteplici e multiformi, ma si fondano sulla scelta di adottare paradigmi e metodologie di matrice tecno-scientifica in grado di gestire la complessità dello scenario della produzione industriale contemporanea e le sue relazioni con gli aspetti culturali come la storia produttiva di un contesto, il capitale umano e quello territoriale.

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CAD

CAD, in informatica, è un acronimo inglese usato per indicare due concetti correlati, ma differenti:

• Computer-Aided Drafting, cioè "disegno tecnico assistito dall'elaboratore": in tale accezione indica il settore dell'informatica volto all'utilizzo di tecnologie software e specificamente della computer grafica per supportare l'attività di disegno tecnico (drafting). I sistemi di Computer Aided Drafting hanno come obiettivo la creazione di un modello, tipicamente 2D, del disegno tecnico che descrive il manufatto, non del manufatto stesso. Ad esempio, un sistema Computer Aided Drafting può essere impiegato da un progettista nella creazione di una serie di disegni tecnici (in proiezione ortogonale, in sezione, in assonometria, in esploso) finalizzati alla costruzione di un motore;

• Computer-Aided Design, cioè "progettazione assistita dall'elaboratore": in questa accezione, la più comune, CAD indica il settore dell'informatica volto all'utilizzo di tecnologie software e in particolare della computer grafica per supportare l'attività di progettazione (design) di manufatti sia virtuali che reali. I sistemi di Computer Aided Design hanno come obiettivo la creazione di modelli, soprattutto 3D, del manufatto. Ad esempio, un sistema Computer Aided Design può essere impiegato da un progettista meccanico nella creazione di un modello 3D di un motore. Se viene realizzato un modello 3D, esso può essere utilizzato per calcoli quali analisi statiche, dinamiche e strutturali ed in tal caso si parla di Computer Aided Engineering (CAE), disciplina più vasta di cui il CAD costituisce il sottoinsieme di azioni e strumenti volti alla realizzazione puramente geometrica del modello.

Categorie di CAD

I sistemi CAD possono essere classificati secondo differenti criteri. Guardando all'estensione del dominio, inteso come campo di utilizzo, si può distinguere tra:

Sistemi CAD orizzontali Si tratta di sistemi CAD aventi un dominio molto ampio, utilizzabili con successo in contesti applicativi differenti, come ad esempio progettazione architettonica e quella meccanica. I comandi offerti da questi sistemi sono indipendenti da uno specifico contesto applicativo. Si avranno pertanto comandi come traccia-linea senza alcuna nozione se la linea rappresenta una parete di un edificio o lo spigolo di un supporto metallico.

Sistemi CAD verticali

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Si tratta di sistemi con dominio ristretto, orientati ad un particolare contesto applicativo, con comandi e funzionalità specifici per quel contesto. Ad esempio, un sistema CAD verticale per la progettazione di interni offrirà comandi per creare e posizionare differenti tipi di pareti e collocarvi porte e finestre. I CAD orientati all'ambito industriale e in special modo alle costruzioni meccaniche in senso lato vengono indicati come Mcad.

Una classificazione alternativa, molto utilizzata in ambito commerciale, suddivide i sistemi CAD in tre fasce principali sulla base di prezzo e funzionalità:

Sistemi di fascia bassa Sono sistemi CAD tipicamente limitati al disegno 2D, venduti a prezzo contenuto (indicativamente inferiore ai 300€) e rivolti ad utenti occasionali o non professionisti.

Sistemi di fascia medio-bassa Sono sistemi CAD tipicamente limitati al disegno 2D, integrano vari moduli e permettono di gestire proprietà del disegno, venduti a prezzo contenuto (indicativamente inferiore ai 1500€) e rivolti a professionisti artigiani, piccole aziende, impiantisti e tutti coloro che non fanno della progettazione il proprio "core business".

Sistemi di fascia media Sono sistemi CAD che integrano il disegno 2D con la modellazione 3D, venduti ad un prezzo medio (indicativamente inferiore ai 5000€). Questi sistemi sono usualmente rivolti a piccole o medie aziende e a professionisti, e vengono spesso integrati con moduli "verticali", cioè particolarmente adatti alla velocizzazione dei compiti giornalieri. Spesso sono integrati inoltre con una suite di strumenti come il PDM per la gestione dei dati riguardanti i prodotti progettati (Product Lifecycle Management).

Sistemi di fascia alta Sono sistemi CAD complessi che integrano la modellazione 3D con il disegno 2D, e offrono una gestione avanzata dei dati supportando processi aziendali che si estendono ben oltre l'ufficio tecnico. Hanno costi elevati e sono tipicamente utilizzati dalle medie e grandi aziende, come per i sistemi di fascia media, anche con un PDM.

Pressoché tutti i sistemi CAD possono essere personalizzati ed estesi al fine di migliorare la produttività dei progettisti e la qualità e dei progetti. Le principali modalità per estendere un sistema CAD sono:

Librerie Collezioni di modelli di oggetti e simboli da utilizzare nel progetto. Per esempio, un CAD per arredatori può contenere una libreria di mobili. Ogni

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mobile può essere copiato dalla libreria e posizionato nel progetto di un arredamento.

Macro Comandi ottenuti componendo comandi più semplici tramite un linguaggio di programmazione. Per esempio, in un sistema CAD 2D per fornire la funzione di disegno di muri, una macro può chiedere all'utente di inserire il punto iniziale, il punto finale e lo spessore del muro, e inserire automaticamente nel modello due linee parallele che rappresentano il muro.

Verticalizzazioni I CAD, in particolare quelli di alte fasce, possono gestire proprietà ed informazioni dei progetti ottenuti per personalizzarli, presentarli con video o immagini (rendering), oppure per calcolarne le proprietà fisiche e geometriche (analisi di interferenze, simulazioni dinamiche, analisi agli elementi finiti -f.e.m.- ecc.) integrandosi con strumenti CAE (Computer-aided engineering).

Settori correlati

Settori correlati con il CAD sono il Computer-Aided Manufacturing (CAM), il Computer-Aided Engineering (CAE), Computer Aided Facility Management (CAFM) e il Sistema Informativo Geografico (GIS).

I modelli generati con un pacchetto di CAD possono essere importati:

• In un sistema CAM, per generare le istruzioni per la macchina utensile atte a produrre il modello disegnato. Alternativamente, è possibile utilizzare un sistema CAD/CAM, che integra le funzioni di CAD con quelle di CAM.

• In un sistema CAE, per eseguire i calcoli tecnici per validare e ottimizzare il progetto. Alternativamente, è possibile utilizzare un sistema CAD/CAE, che integra le funzioni di CAD con quelle di CAE.

• In un sistema GIS, per arricchirne la cartografia. • In un sistema CAFM, per censire, analizzare e riorganizzare il patrimonio

immobiliare.

Hardware per il CAD

In passato esistevano computer e periferiche progettate appositamente per il CAD: schermi grafici, plotter, e dispositivi di puntamento.

Oggi, invece, la tecnologia CAD riguarda quasi esclusivamente il software, con l'eccezione delle tavolette grafiche. Per essere utilizzato con un sistema CAD, un computer deve disporre un dispositivo di puntamento (come un mouse), uno schermo a colori ad alta risoluzione e una scheda grafica dotata di coprocessore grafico (Graphics Processing Unit). Questi requisiti sono oggi comuni a molti altri ambiti applicativi.

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Settori d'impiego

• Architettura, urbanistica, ingegneria civile: progettazione di costruzioni. • Arredamento: progettazione di interni. • Elettrotecnica e meccanica: progettazione di apparecchi elettrici o meccanici. • Industrial design: progettazione di oggetti di consumo, come mobili o attrezzi

casalinghi, recentemente anche abbigliamento. • Impiantistica: progettazioni di tubazioni cablaggi e impianti di

condizionamento. • Elettronica: progettazione di circuiti elettronici, a livello di schema elettrico, di

circuito integrato, di circuito stampato, o di intero sistema.

Storia

Probabilmente, l'antenato dei sistemi di CAD è stato il sistema Sketchpad sviluppato al Massachusetts Institute of Technology nel 1963 da parte di Ivan Sutherland. Si trattava di un sistema sperimentale che consentiva al progettista di disegnare su un monitor a raggi catodici con una penna ottica.

Le prime applicazioni commerciali del CAD si ebbero negli anni 1970 in grandi aziende elettroniche, automobilistiche, aerospaziali e navali. Venivano impiegati computer mainframe e terminali grafici vettoriali. Questi ultimi sono monitor a raggi catodici il cui pennello elettronico, invece di scandire lo schermo come nei televisori, viene controllato dal computer in modo da tracciare le linee.

Negli anni 1980 vennero sviluppati sistemi CAD per microcomputer con monitor a grafica raster, cioè basate su frame buffer. Tali sistemi erano ancora o molto limitati o molto costosi, e comunque molto difficili da usare, per cui venivano usati solo da aziende medio-grandi o da professionisti, essendo questi strumenti tecnologicamente sofisticati.

Negli anni 1990 la semplificazione nell'uso del computer dovuto alla diffusione delle interfacce utente grafiche e l'abbassamento dei costi dell'hardware hanno reso i sistemi CAD alla portata di tutti i professionisti.

Funzionalità Principali dei Sistemi CAD 2D

I sistemi CAD per il disegno 2D offrono un insieme di comandi che, benché presentati all'utente con interfacce e nomi differenti da un sistema all'altro, sono riconducibili ad un nucleo comune. Molte di queste sono in realtà funzioni offerte anche dai sistemi CAD che operano in tre dimensioni.

Disegno

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I sistemi per il disegno offrono comandi per il disegno di elementi grafici elementari e comandi più potenti che consentono al disegnatore di realizzare con rapidità elementi grafici più complessi. Questi comandi sono usualmente potenziati dall'abbinamento con modalità operative basate su sistemi di riferimento alternativi e dalla riferibilità di punti notevoli.

Disegno di entità grafiche elementari Questi sono i mattoni di costruzione che il sistema CAD e l'utente utilizzano per costruire disegni 2D, dai più semplici ai più complessi. In tutti i sistemi CAD 2D sono presenti comandi per il disegno di semplici geometrie quali linea, segmento, arco, circonferenza, ecc.

Disegno di entità grafiche composte Sono usualmente disponibili comandi di alto livello per la rapida realizzazione di strutture grafiche più complesse come poligoni regolari di n lati inscritti o circoscritti ad un cerchio, rette perpendicolari, parallele o bisettrici, raccordi, quote, ecc. Particolare attenzione viene posta dagli sviluppatori di sistemi CAD nella implementazione delle funzionalità di quotatura. I disegnatori sono molto esigenti e richiedono comandi per la quotatura che siano di facile utilizzo e al contempo fortemente personalizzabili così da adattarsi a norme, gusti estetici ed esigenze di ciascun utente o gruppo di utenti.

Utilizzo di sistemi di coordinate definiti dall'utente Nella realizzazione di un disegno è fondamentale l'utilizzo di sistemi di coordinate alternativi come ad esempio coordinate cartesiane relative, coordinate polari, distanze da altre geometrie, ecc. Meno importante, nei sistemi 2D, è la creazione di coppie / terne cartesiane poste in vari punti del disegno ed attuabili dall'utente con il corrispondente sistema di riferimento. Nei sistemi CAD 3D, questa stessa funzionalità è considerata irrinunciabile in quanto consente al disegnatore di operare su un piano di lavoro liberamente posizionato nello spazio oppure coincidente con una faccia preesistente.

Punti notevoli Si tratta di comandi che abilitano la selezione di punti che sono univocamente individuabili sul disegno pur non essendo rappresentati esplicitamente in memoria come entità geometriche. Ad esempio, il punto medio di un segmento pur non essendo rappresentato e memorizzato dal sistema CAD come entità geometrica può essere riferito come centro nella procedura di costruzione di una circonferenza. La selezione di punti notevoli rende più veloce ed estremamente precisa la realizzazione di un disegno. Esempi di punti notevoli sono:

• il centro di circonferenze ed archi • gli estremi di un segmenti e archi • i punti medi di segmenti e archi • l'intersezione di segmenti ad archi.

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I comandi per la selezione di punti notevoli non sempre sono invocati direttamente dall'utente, possono essere attivati automaticamente dal sistema CAD in corrispondenza di altri comandi che richiedono l'acquisizione di punti e/o vertici.

Attributi grafici Per ricreare a schermo la grande varietà di linee utilizzate dal disegno tecnico i sistemi CAD consentono di selezionare gli attributi di tracciamento di ciascuna entità grafica, sia essa un segmento, un arco, o altro. Usualmente il tipo di tratto (continuo, tratteggiato, ecc.) viene visualizzato direttamente sullo schermo, mentre il differente spessore delle linee viene usualmente rappresentato graficamente sullo schermo utilizzando linee di spessore uniforme ma di colori differenti. La corrispondenza tra colore e spessore viene ripristinata al momento della stampa.

Strutturazione del disegno

I sistemi CAD non si limitano alla sola automatizzazione delle attività tradizionali del disegno ma offrono anche funzionalità di strutturazione del disegno possibili solo con l'ausilio di strumenti informatici. Il disegno, pertanto, cessa di essere un insieme uniforme di entità grafiche per divenire una struttura anche complessa di aggregazioni di entità arricchite di attributi grafici e del contesto applicativo, come ad esempio materiali, note di lavorazione, costi, ecc. Queste funzionalità vengono proposte all'utente del sistema CAD come funzionalità supplementari: egli è responsabile di deciderne il migliore utilizzo in funzione delle proprie esigenze e delle modalità di lavoro dell'ambiente professionale in cui opera. I principali strumenti di strutturazione del disegno offerti dai attuali sistemi CAD sono i seguenti:

Strutturazione in livelli (layer) Il disegno, tipicamente 2D, può essere strutturato con la creazione di strutture orizzontali corrispondenti ad insiemi logici di entità grafiche. Ad esempio, in un progetto di ingegneria civile si collocano su livelli distinti: pianta dell'edificio, rete idrica, rete elettrica, rete idraulica, ecc. Ciascuno strato o livello (layer) raggruppa entità affini ma non necessariamente appartenenti allo stesso componente dell'oggetto. I livelli sono gestiti con meccanismi che consentono di controllarne la visibilità individuale come se si trattasse di fogli trasparenti sovrapponibili.

Strutturazione in gruppi Un'altra tecnica di strutturazione del disegno, non necessariamente alternativa ai livelli, consiste nel riunire le entità grafiche in gruppi sulla base di affinità funzionali o in base all'appartenenza ad un medesimo componente dell'oggetto. L'operazione di raggruppamento può essere iterata a comporre gruppi di gruppi. Questo comando consente di ricreare nel disegno la strutturazione tipica di un assemblato di oggetti reali, in cui ogni parte appartiene ad un sotto-assieme che a sua volta si colloca in un insieme più ampio.

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Referenziazione (simboli, blocchi) Un'altra tecnica di strutturazione consiste nell'inserimento nel disegno di riferimenti a componenti (simboli) definiti esternamente al disegno stesso e comunque modificabili separatamente da questo. Nel disegno, ciascun riferimento che rimanda ad un simbolo in libreria è detto istanza del simbolo. Con questa tecnica è possibile inserire nel disegno dei particolari standardizzati, usualmente definiti in una libreria esterna, in cui ciascuna istanza è posizionata e visualizzata come entità grafica indipendente, con la certezza dell'assoluta corrispondenza di ciascuna istanza con la descrizione primaria presente in libreria. Mentre è impossibile modificare singolarmente l'istanza di un simbolo, se non nei suoi parametri di posizionamento e scalatura, qualora si volessero modificare tutte le istanze è sufficiente modificare l'elemento originale ottenendo una propagazione automatica a tutte le istanze.

Modifica del disegno

Uno dei più evidenti vantaggi nell'utilizzo di un sistema CAD rispetto all'impiego di tecniche tradizionali, consiste nella grande facilità e rapidità con cui è possibile modificare, anche in modo radicale un disegno per correggerlo o per creare una versione. Le principali funzionalità di modifica del disegno sono:

Cancellazione di entità Tutti i sistemi CAD consentono di cancellare le entità grafiche del disegno selezionandole individualmente, selezionando tutte le entità racchiuse in una certa area rettangolare, oppure agendo per categorie (ad esempio, tutti i segmenti gialli) o per strutture (ad esempio, tutte le entità del livello 25).

Modifica degli attributi di una entità A volte modificare un disegno significa cambiare gli attributi grafici, come colore o tipo di linea, di alcune entità grafiche. Nei disegni strutturati è anche possibile portare una o più entità da un gruppo o da un livello ad un altro oppure modificare gli attributi grafici di tutte le entità appartenenti ad uno stesso gruppo oppure residenti su uno stesso layer.

Trasformazione Tutte le entità grafiche e gli insiemi di entità possono essere modificati con opportune trasformazioni. Sono usualmente disponibili le consuete trasformazioni lineari di scalatura, traslazione, rotazione, specularità e le combinazioni di queste. Le modalità con cui queste trasformazioni sono rese disponibili all'utente possono essere le più varie.

Riorganizzazione della tavola Utilizzando le funzionalità di trasformazione una tavola può essere rapidamente riordinata o modificata ad esempio, per ospitare una nuova vista. In queste operazioni il disegnatore è spesso supportato dalla presenza di più viste a diversi livelli di zoom; si concilia così l'esigenza di effettuare

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operazioni localmente molto precise conservando una visione globale della tavola. Un'altra possibilità di riorganizzazione della tavola consiste nella modifica di livelli o gruppi, per ottenere una strutturazione meglio aderente alle esigenze del disegnatore ed alle caratteristiche strutturali e funzionali dell'oggetto.

Gestione di parti ricorrenti

L'utente di un sistema CAD può velocizzare in modo significativo il proprio lavoro creando degli speciali archivi, detti librerie, in cui raccogliere i disegni o i particolari di utilizzo più frequente. Questa possibilità fornisce un reale riscontro in termini di benefici economici e qualitativi solo se il disegnatore opera in un contesto regolamentato da precise norme ed è supportato da un'adeguata organizzazione nonché dalla disponibilità di sufficienti risorse.

Librerie di normalizzati L'accesso ad archivi o librerie di parti normalizzate, disponibili in più viste e in vari formati e direttamente inseribili nel disegno, consente di realizzare con rapidità e precisione anche tavole molto complesse. Le librerie di normalizzati sono realizzabili direttamente dal disegnatore oppure possono essere acquistate dal produttore del sistema CAD o da terze parti.

Librerie di parti ricorrenti Queste librerie, del tutto analoghe alle librerie di normalizzati, sono specifiche di ciascuno studio di progettazione e pertanto sono costruite direttamente dai singoli utenti. In queste librerie si accumula un patrimonio di disegni che rappresentano parti o sotto-parti ricorrenti archiviate e catalogate in un formato che le rende facilmente reperibili e riutilizzabili con evidenti vantaggi in termini di produttività.

Riutilizzo di disegni La possibilità di duplicare disegni esistenti per generare nuovi disegni mediante opportune cancellazioni e modifiche costituisce un'altra utile possibilità di utilizzo dei sistemi CAD in particolare qualora il disegnatore si trovi a realizzare disegni che presentano forti similarità con tavole prodotte in precedenza.

Interrogazione del disegno

Il disegno creato con un sistema CAD deve essere utilizzabile non solo come rappresentazione grafica ma anche sorgente di informazione sul progetto. È importante che sia consentito l'accesso a tutta l'informazione contenuta nel disegno, sia essa in forma esplicita o implicita. Le informazioni estraibili da un modello 2D sono limitate, soprattutto se paragonate alle informazioni estraibili da un modello 3D che rappresenta il medesimo pezzo. Un modello 2D di un ingranaggio può contenere tutte le informazioni necessarie alla manifattura della ruota, ma solamente un modello 3D del medesimo ingranaggio potrà essere interrogato per estrarre informazioni circa

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il volume, il baricentro, ecc. Le funzionalità di interrogazione del modello CAD sono indispensabili, ad esempio, per la generazione di programmi di lavorazione per la produzione del pezzo con una macchina utensile a controllo numerico. Le principali classi di interrogazione supportate dai sistemi di disegno sono:

Interrogazione della geometria

Tutti i sistemi CAD orientati al disegno offrono la possibilità di conoscere, per le entità grafiche nel disegno, angoli, lunghezze, distanze, raggi, coordinate, ecc., anche se non definiti esplicitamente. Ad esempio è possibile costruire una circonferenza con tre vincoli di tangenza ed una volta tracciata richiedere al sistema CAD di conoscere il valore del raggio o del diametro. Alcuni sistemi CAD offrono il calcolo automatico di aree definite da profili chiusi. Questa funzionalità può essere di rilievo non solo per il disegnatore ma anche per il progettista.

Stima dei costi e della complessità Le capacità di interrogazione del modello possono essere utilizzate per automatizzare alcune attività, come, ad esempio, per calcolare una stima dei costi di produzione dell'oggetto e generare automaticamente la distinta base con il conteggio dei componenti presenti e della loro numerosità.

Accesso esterno al modello Può essere considerata una forma di interrogazione anche la possibilità di accedere a tutte le informazioni contenute nel modello CAD per mezzo di programmi esterni realizzati dagli stessi utenti. A questo scopo numerosi sistemi CAD offrono delle interfacce di programmazione dette API (Application Programming Interface). Utilizzando queste interfacce un programmatore può accedere a tutte le funzionalità del sistema CAD oppure ad un suo sotto insieme per mezzo di chiamate a funzioni nel contesto di un programma scritto in un linguaggio di programmazione.

Automatizzazione di attività ripetitive

La realizzazione di un disegno comprende operazioni particolarmente ripetitive e tediose che possono essere facilmente automatizzabili da semplici programmi. I sistemi CAD offrono alcuni comandi che consentono di sgravare il disegnatore dall'esecuzione di queste parti limitandone l'intervento umano all'impostazione di pochi parametri iniziali. Le attività più comunemente automatizzate sono:

Campiture Tutti i sistemi CAD offrono adeguati comandi per campire automaticamente un profilo chiuso con un tipo di campitura selezionato o definito dall'utente. L'intervento del disegnatore si limita alla selezione del profilo ed alla scelta o definizione del tipo di campitura.

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Pattern ad Array Un'altra attività ripetitiva è il disegno di motivi circolari o rettangolari di elementi costanti come, ad esempio, la sequenza di fori posti circolarmente su una flangia. I sistemi CAD sono in grado di posizionare automaticamente questi elementi ricorrenti, richiedendo al disegnatore la selezione dell'elemento ripetuto e le regole che governano il posizionamento.

Quotatura associativa Alcuni sistemi supportano la creazione di quote legate dinamicamente ad entità geometriche, con aggiornamento automatico di posizione e valore al variare delle entità quotate. Queste quote, dette associative, contribuiscono a velocizzare la produzione di disegni soggetti a frequenti modifiche o riutilizzati nella generazione di varianti.

Gestione di archivi

Un aspetto, spesso sottovalutato, dell'utilizzo dei sistemi CAD sono le funzionalità di archiviazione dei disegni. Queste funzionalità frequentemente sono presenti nel sistema CAD solo con implementazioni essenziali. Versioni più estese sono disponibili mediante moduli software esterni. Con questi strumenti è possibile organizzare gli archivi così da consentire un accesso rapido ed organizzato al patrimonio di disegni di ciascuno studio di progettazione o ufficio tecnico. Le funzioni offerte dagli strumenti di archiviazione sono:

Memorizzazione La memorizzazione di disegni, o documenti tecnici, su supporto magnetico oppure ottico, è una funzionalità di base. Alcuni sistemi consentono la semplice creazione di un file lasciando all'utente la responsabilità di organizzare da sé la gestione dell'archivio di disegni. Altri sistemi, ad un livello maggiore di integrazione, gestiscono il disegno nel contesto di una base dati; il sistema gestisce i permessi e le modalità di accesso e di riferimento al disegno, organizzando automaticamente le versioni successive e predisponendo i meccanismi di condivisione tra più utenti e di accesi multipli contemporanei. Questi archivi strutturati sono solitamente abbinati a strumenti informatici di navigazione per il reperimento rapido delle tavole e delle informazioni ad esse associate. Queste funzionalità consentono di utilizzare in modo produttivo il patrimonio di disegni esistenti e di ridurre in modo significativo lo spazio richiesto rispetto a quello richiesto dalle tecniche tradizionali di archiviazione.

Classificazione La classificazione semiautomatica delle tavole con associazione di documenti ausiliari relativi alla documentazione tecnica, come la distinta base, consente di automatizzare e razionalizzare i meccanismi di archiviazione garantendo una reale reperibilità dei documenti.

Trasporto

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I documenti, o disegni, in forma digitale possono essere inviati in luoghi diversi da quello originale in tempi ridottissimi e con degrado della qualità nullo. Le tavole possono essere inviate localmente da un ufficio ad un altro o da un edificio ad un altro in tempo reale utilizzando le reti locali di elaboratori (LAN) mentre possono essere inviate da una differente località geografica via internet.

Interscambio dati

La possibilità di scambiare dati tra sistemi CAD diversi e tra sistemi CAD e sistemi per il CAM (Computer Aided Manufacturing), costituisce un elemento fondamentale nella valutazione delle funzionalità di un sistema. Per lo scambio di dati tra sistemi diversi, sono percorribili due strade alternative: realizzare un convertitore da ciascun sistema CAD verso tutti gli altri sistemi CAD esistenti oppure concordare un formato dati neutrale e realizzare, per ciascun sistema CAD, due convertitori: uno in grado di convertire i dati dalla rappresentazione interna nel formato neutrale ed uno in grado di convertire il formato neutrale nella rappresentazione interna del sistema. Risulta evidente l'economicità della seconda soluzione rispetto alla prima. Numerosi formati neutrali di dati sono stati proposti nel corso degli anni ma nessuno di essi si è imposto con una diffusione sufficiente sugli altri. Attualmente sono utilizzati alcuni formati definiti da standard ufficiali, come IGES, VDA-FS, STEP, ecc., ed altri standard definiti da standard de facto come il formato DXF. Alcuni produttori di CAD utilizzano anche il formato PDF. Fra i nuovi formati in via di affermazione, soprattutto per lo scambio di modelli 3D con le informazioni grafiche e numeriche vi è il formato IFC.[1] Le funzionalità offerte dall'impiego di questi formati di dati consentono al sistema CAD di:

Scambiare informazioni con altri sistemi CAD Questo scambio può avvenire per molteplici motivi: passaggio ad un sistema più evoluto o di altro produttore, scambio dati di progetto con fornitori, utilizzo di ambienti di progettazione multi fornitore, ecc.

Scambiare informazioni con strumenti per la documentazione tecnica Diviene sempre più sentita l'esigenza di riversare i modelli prodotti dalla progettazioni verso strumenti per la produzione di documentazione tecnica automatizzando in questo modo la produzione di illustrazioni, schemi, ecc. Questo tipo di scambio non richiede una precisione particolare, come è invece per altri casi: infatti attualmente si utilizzano strumenti non specifici e spesso approssimati.

Scambiare informazioni con strumenti di analisi e verifica Anche il trasferimento in tempi rapidi di un modello CAD a strumenti per l'analisi strutturale o per il calcolo di altro tipo è divenuta una esigenza molto sentita dai progettisti.

Scambiare informazioni con sistemi CAM

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Questo è un punto fondamentale, infatti i sistemi CAM devono poter operare su dati di massima precisione e con tempi di scambio molto contenuti. Con una fedele conversione dei dati si pongono i presupposti per una corretta esecuzione della lavorazione a controllo numerico.

Personalizzazione dell'ambiente

Non è possibile produrre dei sistemi CAD che soddisfino perfettamente le esigenze specifiche ed i gusti di tutti i potenziali utenti. Per questa ragione ciascun sistema offre agli utenti la possibilità di modificare sia le modalità di interazione che lo stile del disegno. Il livello di configurabilità varia da sistema a sistema. Questa funzionalità viene sempre più considerata una caratteristica irrinunciabile. Le principali possibilità di configurazione o personalizzazione sono:

Configurazione dei parametri generali del sistema Con la scelta di opportuni valori per i parametri di sistema, è possibile adattare le modalità di interazione e l'aspetto del sistema ai gusti dell'utente limitatamente alle caratteristiche configurabili dal sistema utilizzato. Ad esempio è possibile associare comandi di uso frequente a combinazioni di tasti o posizionare le corrispondenti icone in zone rapidamente accessibili dello schermo.

Configurazione dello stile Con la selezione di opportuni valori per i parametri utente, è possibile adattare lo stile di disegno adottato dal sistema CAD alle preferenze del disegnatore ed alle convenzioni interne di uno specifico studio di progettazione o ufficio tecnico. Si possono ad esempio configurare i parametri relativi allo stile di quotatura, allo stile dei testi, al cartiglio standard, ecc.

Integrazione con moduli specializzati Tutti i sistemi CAD sono estendibili fornendo al disegnatore, entro il sistema stesso, l'accesso a moduli specializzati, usualmente realizzati da terze parti, per contesti applicativi specifici. Ad esempio, un disegnatore di impianti elettrotecnici potrà acquisire un modulo per la verifica automatica di alcune caratteristiche dell'impianto progettato, integrato nel sistema CAD.

Programmazione di funzioni specifiche Per esigenze specifiche del singolo disegnatore o dello studio di progettazione, i sistemi CAD offrono la possibilità di estendere l'insieme dei comandi con opportuni programmi, detti comunemente macro, codificati direttamente dagli utenti o acquistati da terze parti. Questa possibilità, pur essendo teoricamente molto interessante, si scontra con la difficoltà che gli utenti, progettisti e disegnatori, incontrano nell'utilizzo dei linguaggi di programmazione, gli unici strumenti per accedere a questa capacità di potenziamento del sistema CAD.

Visualizzazione

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L'attuale dimensione degli schermi per computer non è in alcun modo paragonabile alla dimensione di un tecnigrafo oppure di un foglio di formato A0; pertanto i sistemi CAD sono costretti ad offrire modalità alternative per la visualizzazione dei disegni. Le funzionalità essenziali di visualizzazione, nei sistemi 2D, sono analoghe a quello che potremmo ottenere osservando un foglio da disegno con una macchina fotografica o con una telecamera: operando sull'obiettivo si può ingrandire o rimpicciolire a piacere il disegno passando da una visione globale dell'intero disegno ad una visione locale di una sua sottoparte; inoltre spostando orizzontalmente o verticalmente la telecamera è possibile variare l'area del disegno inquadrata. Si noti che si tratta di funzioni di visualizzazione, cioè di funzioni che modificano la vista del disegno e non il disegno. Le principali funzionalità per il controllo della visibilità sono:

Zoom L'utente del sistema CAD può ingrandire o rimpicciolire a piacere parte o tutto il disegno senza per questo perdere in precisione sia nell'immagine che appare sul video che nel risultato prodotto dai comandi impartiti al sistema.

Pan Con questo termine si intende generalmente l'insieme di funzioni che consento all'utente del sistema CAD di muovere orizzontalmente e/o verticalmente la telecamera virtuale con cui osserva il disegno ad inquadrare i vari dettagli. Le possibili modalità operative con cui questa funzione è resa disponibile all'utente sono molto varie:

• barre di scorrimento (scroll bar) poste ai lati dell'area di visualizzazione • utilizzo di comandi impartiti da tastiera o di tasti funzionali (FrecciaSu,

FrecciaGiú, ecc.) • trascinamento (drag) del disegno direttamente con il dispositivo di

puntamento (mouse).

Viste multiple Alcuni sistemi CAD 2D, offrono al disegnatore l'opportunità di operare contemporaneamente sul medesimo modello da due viste differenti, usualmente corrispondenti a due finestre grafiche. Questa modalità operativa consente di controllare agevolmente parti del disegno poste a volte in punti molto distanti del medesimo foglio e che pertanto richiederebbero l'impiego di un fattore di zoom inaccettabile per essere inquadrati contemporaneamente su un unico schermo.

Disegni multipli In numerosi sistemi CAD, il disegnatore può operare contemporaneamente su più disegni, usualmente posti su finestre distinte, effettuando operazioni di copia e incolla da un disegno ad un altro. Questa è una funzionalità diffusasi solo recentemente e che consente una significativa velocizzazione delle attività di integrazione di più disegni e di modifica in generale.

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ARCHICAD

ArchiCAD è un programma BIM di architettura per Windows e Macintosh sviluppato dalla società ungherese Graphisoft inizialmente e fino al 1995 col nome di Radar/Ch.

Lo sviluppo è cominciato nel 1982 per l'Apple Macintosh e divenne un prodotto famoso per quella piattaforma. È riconosciuto come il primo prodotto CAD su un personal computer capace di creare sia disegni 2D che 3D. Venne definito un "software verticale".

Al 2011 circa 150.000 professionisti lo usano nell'industria della progettazione di edifici. ArchiCAD permette all'utente di lavorare con oggetti a cui sono applicati dati parametrici, spesso chiamati "oggetti intelligenti" da parte degli utenti. Ciò differisce sostanzialmente dalla modalità operativa degli altri programmi CAD creati negli anni '80. Il prodotto permette all'utente di creare un "edificio virtuale" utilizzando elementi strutturali "reali" come muri, solai, tetti, porte, finestre e mobili. Il programma viene fornito con una grande varietà di oggetti personalizzabili pre-confezionati, che l'utente può creare anche autonomamente, sia usando gli elementi primitivi del programma che utilizzando il linguaggio GDL.

ArchiCAD permette di lavorare utilizzando sia la rappresentazione 2D che quella 3D. Piante, sezioni, prospetti, liste di materiali e altri elaborati vengono generati direttamente dal programma in base al modello tridimensionale dell'edificio, e vengono aggiornati in tempo reale.

ArchiCAD salva i progetti in PLN e può esportare i propri modelli in vari formati, fra cui DWG, DXF IFC e SketchUp.

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IL DISEGNO EDILE

Il disegno è lo strumento per la rappresentazione del progetto architettonico –urbanistico e prima ancora dell’idea di questo, nella più vasta accezione di tale termine, comprendendo in esso anche il disegno impiantistico e strutturale. Esso è quindi lo strumento che, utilizzando le tecniche rappresentative e grafiche convenzionali, esplicita la materializzazione dell’idea, la sua comprensione, e comunicazione necessaria al fine della realizzazione dell'opera. Gli oggetti reali sono in genere tridimensionali; con il disegno tecnico si riduce a forma bidimensionale lo spazio tridimensionale dell'architettura. La trasposizione del solido in un modello grafico è attuata tramite una serie di segni convenzionali tali, cioè, da assicurare da parte di chi legge la comprensione di un aspetto dello spazio tridimensionale al quale ci si riferisce. Le convenzioni adottate per la rappresentazione della realtà dal 3D al modello 2D devono essere tali da definire, senza alcuna incertezza, forme, dimensioni e caratteristiche tecniche della struttura e dei suoi aspetti costruttivi e funzionali. Oggi con il disegno automatico (CAD) la rappresentazione grafica dell’idea o della realtà, spesso parte come metodologia operativa, dal modello digitale in 3D per giungere a quello 2D delle piante, prospetti e sezioni. I software più evoluti come i BIM, permettono di elaborare un modello 3D partendo da elementi finiti. Spesso chi si avvicina a tali modelli ignora come questi elementi finiti siano realmente composti nella realtà. Il disegno dell’ingegneria civile ed edile non è mai compiutamente realistico ma costituisce un linguaggio tecnico universale, chiaro a chiunque sia a conoscenza di queste convenzioni; da qui la necessità che queste abbiano carattere generale e vengano conosciute e applicate da tutti. In tal modo il disegno tecnico, assume il valore di un “codice di linguaggio”, che simultaneamente diviene anche un rigoroso codice interpretativo e operativo. I disegni quindi, non dovranno limitarsi alla individuazione della geometria dello spazio, ma dovranno comunicare anche, con opportuna simbologia, le informazioni sui materiali adottati, sia per le strutture che per gli elementi di completamento che delle finiture, tale da ottenere una “chiarificazione” dei dettagli costruttivi. Questa esigenza determina l’adozione di un rapporto di scala con l’oggetto, ovvero una rappresentazione con le varie tecniche grafiche (proiezione ortogonale, assonometrica o prospettiva) del manufatto che opportunamente ridotto possa essere ugualmente chiaro e comprensibile all’osservatore; il rapporto di scala grafica da adottare sarà quello più opportuno per il grafico che si sta’ realizzando. La norma UNI 3967 dà indicazioni specifica in merito.

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Normativa per il disegno tecnico Essendo il disegno un sistema per trasmettere informazioni operative aventi ad oggetto un manufatto da realizzare di qualsiasi tipo, s'impone, pur nell'ambito delle varie tipologie ed esigenze della rappresentazione, la necessità di far comprendere quanto graficizzato alla più vasta generalità degli operatori interessati alla sua lettura ed alla traduzione in opera finita di quanto disegnato. La nascita della normazione, avviene dopo il XVIII secolo, quando inizia la produzione industriale in serie, che necessita un continuo controllo dell’intero processo produttivo per mantenere sempre le stesse caratteristiche tecniche e formali del prodotto. La normazione definisce lo standard al quale fare riferimento per la produzione di un bene. Una norma non può rappresentare un’innovazione, ma la conferma di una evoluzione che la stessa norma deve avere. Basti pensare alle norme per il disegno CAD, pochi anni fa queste non esistevano perché i disegni erano tutti realizzati manualmente.

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I principali organi che si occupano di codificare la rappresentazione, introducendo e aggiornando le normative sono: • UNI - Ente Nazionale di Unificazione. • EN – Normativa Europea. • ISO - Organizzazione internazionale di normalizzazione. Ai fini della corretta lettura di quanto disegnato, occorre dunque assumere simboli grafici convenzionali facilmente comprensibili, in grado di descrivere con immediatezza le intenzioni progettuali. Le convenzioni rappresentative, ed i simboli grafici relativi, sono codificati nelle tabelle unificate (Norme U.N.I. per il disegno tecnico) che definiscono la misura dei fogli da usarsi nei progetti, i metodi di scritturazione, i tipi e gli spessori delle linee, la quotatura dei disegni, la rappresentazione grafica dei vari elementi (porte, finestre, ecc.). Cosa è una norma Semplicemente un documento che dice “come fare bene le cose”, garantendo sicurezza, rispetto per l’ambiente e prestazioni certe. Secondo la Direttiva Europea 98/34/CE del 22 giugno 1998: “norma” è la specifica tecnica approvata da un organismo riconosciuto a svolgere attività normativa (ISO – EN – UNI) per applicazione ripetuta o continua, la cui osservanza non sia obbligatoria. Le norme, quindi, sono documenti che definiscono le caratteristiche (dimensionali, prestazionali, ambientali, di qualità, di sicurezza, di organizzazione ecc.) di un prodotto, processo o servizio, secondo lo stato dell'arte e sono il risultato del lavoro di decine di migliaia di esperti in Italia e nel mondo. Le caratteristiche peculiari delle norme tecniche sono: •consensualità: deve essere approvata con il consenso di coloro che hanno partecipato ai lavori; •democraticità: tutte le parti economico/sociali interessate possono partecipare ai lavori e, soprattutto, chiunque è messo in grado di formulare osservazioni nell'iter che precede l'approvazione finale; •trasparenza: UNI segnala le tappe fondamentali dell'iter di approvazione di un progetto di norma, tenendo il progetto stesso a disposizione degli interessati; •volontarietà: le norme sono un riferimento che le parti interessate si impongono spontaneamente.

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Impaginazione del disegno L'impaginazione del disegno va realizzata secondo i seguenti criteri: -il margine sinistro del foglio deve essere libero per almeno 3 centimetri; -se in uno stesso foglio si rappresentano due o più disegni, per ognuna di questi va scelta la scala più adatta; -tra le varie finestre occorre lasciare una spaziatura sufficiente. La pianta si dispone, di preferenza, in basso a sinistra, il prospetto in alto, le sezioni lateralmente ai prospetti; a parte vanno rappresentate le piante delle murature, degli infissi, degli arredi fissi. La disposizione delle piante, dei prospetti e delle sezioni ravvicinate resta legata alla dimensione del supporto cartaceo, quindi l’impaginazione del progetto può cambiare. Fondamentale è porre l'orientamento delle piante che si indica con una freccia Nord-Sud. Altro elemento grafico della tavola è l’indicazione della scala ,metrica, sia numerica (1/100) sia grafica, in modo che nelle riproduzioni del disegno sia sempre possibile risalire all’esatta scala grafica.

Disposizione della pianta del piano tipo e del prospetto secondo la convenzione europea. Questo tipo di vista, richiama fortemente il disegno delle proiezioni ortogonali, che dispone sul primo quadrante, in basso a sinistra, la vista dall’alto dell’oggetto; sul secondo quadro, in alto a destra, la vista frontale.

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Altra possibile disposizione dei prospetti rispetto la pianta che richiama le regole delle proiezioni ortogonali Europee: guardare da un lato specifico e disegnare dal lato opposto. Es. guardo dall’alto e disegno in basso. Guardo da sinistra e disegno a destra.

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Disposizione della sezione e del prospetto in stretta relazione tra loro. Il fine è sempre di rendere il disegno chiaro a chi legge.

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Con software CAD in commercio, oltre gli elaborati classici è possibile realizzare assonometrie o prospettive da infiniti punti di vista, sia in formato wireframe che fotorealistici. Tipi di linee Anche il tipo di linea da adottare e il suo spessore, in un grafico consentono di trasmettere precise informazioni relativamente all’oggetto da rappresentare. Le linee, il loro tracciamento e lo spessore del tratto sono utili ad evidenziare le varie componenti del manufatto edilizio rappresentato, quindi anche queste sono codificate.

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Codifica dello spessore delle linee in relazione alla scala dl disegno.

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Applicazione del diverso spessore di linea.

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Quotature I disegni vengono completati con le quote, queste possono essere espresse in metri (m), in centimetri (cm) o in (mm) a seconda dell'oggetto rappresentato; una volta scelta l'unità di misura, è bene mantenere sempre la stessa. Un disegno deve avere tutte le quote indispensabili a definire l'oggetto, in quanto l'unica misura valida è quella scritta e non quella misurata sul disegno. Le quote vengono scritte parallelamente alle linee di misura a cui si riferiscono e in modo da essere leggibili senza ruotare il foglio. Le quotature degli elementi verticali, possono essere scritte sia in orizzontale (come nel CAD) che verticali, in modo da poterle leggere inclinando la testa verso sinistra (norma UNI). Le linee di misura nel disegno civile ed edile terminano con tacche tracciate con un'inclinazione di 30". Cosa importante da ricordare, è che le linee di quotatura (dove è posto il valore numerico) non possono incrociare le linee di riferimento (quelle che definiscono i limiti della quotatura. Nelle piante si dispongono nell’ordine, partendo dall’esterno del disegno verso l’interno: • quote esterne: dimensione totale, spessore muri portanti, distanze che intercorrono tra essi, distanze tra gli assi di simmetria delle aperture; • quote interne: per il posizionamento dei tramezzi e degli accessori. • Le quote di livello sono riferite alla quota 0,00 del pianerottolo del piano terreno al finito. Si segnano, sui piani al rustico e al finito, e si fanno precedere da un segno + o - a seconda che si trovino al disopra o la disotto della quota 0,00. Tutte le misure vanno riferite al rustico dell'edificio. E' consigliabile l'uso delle seguenti unità di misura: • mm = sezioni in metallo e in c.a. • cm = per spessori di muri, diametri di canalizzazioni, ecc • m = per tutte le altre parti

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Scrittura Anche per la scrittura i caratteri e le cifre che occorre usare nel disegno tecnico sono normati dalla U.N.I. . Le altezze da impiegarsi sono fissate in 2.5; 3.5; 7.0; 10.0 mm; ogni tipo comprende il carattere maiuscolo, il minuscolo e le cifre, eccetto il tipo 10 che non comprende la scrittura minuscola, ma solo la maiuscola e i numeri. L'altezza delle minuscole deve corrispondere a 2/3 dell'altezza delle corrispondenti maiuscole. Tra le linee di testo si deve lasciare un interspazio pari a due dimensioni del tipo di carattere usato; fra le linee successive, scritte con dimensioni di carattere diversi si consiglia un interspazio maggiore. Fortunatamente, con il disegno CAD, tutte le relazioni tra altezza dei caratteri, interlinea e proporzioni maiuscola/minuscola, sono demandata al software, ma

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definizione dell’altezza del testo resta facoltà dell’operatore che, spesso, usa caratteri non appropriati al disegno. Simbologia Nel disegno tecnico l’indicazione della tipologia dei materiali è affidata ad un simbolismo ben preciso, spesso capita di vedere indicazioni di materiali o elementi costruttivi di pura fantasia. Grazie alla norme, tutti i materiali sono normati, con riferimento alla scala del disegno.

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Scala grafica del disegno Il rapporto di riduzione fra le misure dell'oggetto disegnato e le misure che l'oggetto possiede nella realtà si dice scala grafica, in questo caso, di riduzione. La scelta della scala del disegno scaturisce dalle finalità rappresentative che si devono conseguire. Le scale maggiormente impiegate sono le seguenti: - 1:25.000, 1:50000 (scale topografiche) - 1:10.000 PR. esteso all'intero territorio - 1:5.000 R.R.G. comunale - 1:2.000 P.R.G. di aggregato urbano - 1:500, 1:1000 per i piani particolareggiati (passaggio dalla scala architettonica a quella urbanistica)

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- 1:200 per il progetto di massima e la planimetria generale - 1:100 per il progetto generale - 1:50 per il progetto esecutivo - 1:20 per i particolari dì insieme - 1:1, 1:2, 1:5 per i particolari di dettaglio Riducendosi il rapporto dimensionale, ci si deve attenere a segni grafici di minor dettaglio. E' importante ricordare che a parte il drastico aumento delle dimensioni, del grado di dettaglio, ogni passaggio di scala comporta un trattamento grafico differente. Il rapporto fra l'oggetto reale e la sua rappresentazione, deve sempre essere indicato numericamente e/o meglio, attraverso un segmento graduato, che riproduce la grandezza reale e consente di controllare eventuali deformazioni prodotte dalle riproduzioni.

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Elaborati di progetto Gli elaborati grafici tipici utilizzati per la redazione di un progetto sono riconducibili principalmente al Metodo di Monge. Si tratta cioè di effettuare tante proiezioni ortogonali dell’oggetto su altrettanti distinti quadri di rappresentazione (quanti se ne ritengono necessari), ciascuno parallelo ad una delle facce del solido. Pianta: elaborato grafico ottenuto ricorrendo ad un piano orizzontale (che seziona l’oggetto) posto convenzionalmente ad una quota di circa 1,20 m rispetto al calpestio del piano da rappresentare, in modo che passi per i vani di porte e finestre, fornendo così quante più informazioni possibile. Sul quadro vanno proiettati tutti gli elementi presenti tra il calpestio e il piano in questione e, qualora la complessità dell’edificio lo richieda, indicati con linea tratteggiata (in quanto proiettati in vista virtuale) gli elementi posti al di sopra del piano di sezione (ad esempio un elemento del soffitto). Per rendere il grafico leggibile, le parti murarie sezionate dal piano orizzontale preso come riferimento, vanno evidenziate rispetto agli elementi non sezionati ma solo proiettati; pertanto le prime si disegnano convenzionalmente con linee più spesse e, con opportuna simbologia, saranno fornite informazioni di natura tecnologica (ad esempio il tipo di materiale degli elementi costruttivi sezionati dal quadro). Le seconde con linea sottile continua o tratteggiata se la proiezione e virtuale.

Vista dall’alto: questo è un elaborato grafico ottenuto ricorrendo ad un piano orizzontale posto ad una quota superiore rispetto all’altezza massima dell’oggetto da rappresentare. Il piano così scelto non seziona il manufatto, fornendo pertanto una vista esterna che è la proiezione dell’intera copertura del solido.

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Prospetto: elaborato grafico ottenuto ricorrendo ad un piano verticale, generalmente assunto parallelo ad una delle facce dell’oggetto da rappresentare. Il piano così scelto non seziona il manufatto, fornendo pertanto una vista esterna che è la proiezione verticale della faccia del solido da rappresentare.

Sezione: Questo elaborato grafico si ottiene ricorrendo ad un piano verticale che seziona l’oggetto da rappresentare. Scelta la parte dell’edificio da descrivere, tra le due in cui il fabbricato resta diviso. Vanno indicate con linea grossa le tracce sul quadro delle superfici di contorno dei vari elementi sezionati. Sul quadro vanno altresì proiettati tutti gli elementi posti tra il piano stesso e la superficie di fondo della porzione di fabbricato presa in considerazione.

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Concettualmente tra pianta e sezione non vi è alcuna differenza, essendo entrambe proiezioni ortogonali effettuate su un piano di sezione assunto come quadro. La pianta di un manufatto può allora intendersi come una sezione orizzontale. La posizione del piano verticale della sezione va indicata in tutte le piante. La posizione del piano va scelta opportunamente per evidenziare situazioni che in pianta risultano difficili da rappresentare con chiarezza, come le scale, le rampe o tutte quelle situazione che si sviluppano sia in orizzontale che in verticale. Come detto in precedenza, le sezioni vanno indicate sulle varie piante dell’edificio, come da Norma UNI 3971, con la freccia o altro simbolo indicante la direzioni di lettura della stessa. Spesso per necessità occorre “spezzare” il piano di sezione, questo andrà fatto nello spazio libero e non attraversando setti murari.

SI NO

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ARCHITETTURA SOSTENIBILE

L'architettura sostenibile (detta anche green building, bioarchitettura o architettura bioecologica) progetta e costruisce edifici in grado di limitare gli impatti nell'ambiente. Piuttosto che un ambito disciplinare, l'architettura sostenibile è un approccio culturale al progetto che fa riferimento alla Baubiologie (bioedilizia) nata negli anni settanta in Germania, e che si è poi sviluppata includendo i principi ecologici e il concetto di sviluppo sostenibile.

Storia

In tutte le epoche, l'uomo ha cercato di migliorare le prestazioni delle proprie abitazioni, sia nel senso della confortevolezza che dell'igiene. Per ottenere questi risultati, ha innanzitutto cercato di sfruttare al meglio quello che la natura gli aveva reso immediatamente disponibile: dei siti adatti all'edificazione, dei ripari naturali, la protezione del suolo, la luce e il calore del sole, nonché dei materiali da costruzione (legno, pietre, terra, argilla, ecc.).

Questo ha portato, dapprima a livello intuitivo, poi a livello artigianale, un'attenzione che ha costituito l'"architettura" ante-litteram: la scelta del sito per l'edificazione, la scelta del migliore orientamento nei confronti dell'esposizione solare e dei venti, la scelta dei materiali da costruzione, il "progetto" della tipologia abitativa e della sua struttura. Con il tempo, il progetto architettonico perse il carattere artigianale, per assumere sempre più un carattere tecnologico. Con l'accrescere delle conoscenze e delle capacità tecnologiche, l'uomo sfruttò in modo sempre più complesso le possibilità offerte dalla natura, creando artefatti che potessero migliorare la qualità delle sue abitazioni. Vennero così modificati i siti, realizzati i mattoni, i vetri, i sistemi fognari, gli isolamenti, ecc. Fino al XIX sec. però, l'attenzione verso la sostenibilità di un progetto architettonico era ancora basilare, soprattutto per i limiti derivanti dall'esiguità delle risorse energetiche disponibili.

Le cose cambiano radicalmente con le possibilità offerte grazie allo sfruttamento dei combustibili fossili. L'enorme quantità di energia disponibile, unita al progresso tecnologico, aveva reso possibile la pesante ristrutturazione dei siti edificabili, la realizzazione di materiali e apparecchiature innovative, e l'affrancamento dalle risorse energetiche tradizionali. L'architettura raccoglie i frutti del progresso, perdendo progressivamente di vista il problema del rapporto con l'ambiente, concentrandosi verso le massime possibilità realizzative che le tecnologie permettevano.

A partire dagli anni settanta, si è sentita l'esigenza di verificare se questa condizione non nascondesse dei problemi. In quel periodo si verifica infatti:

• lo sviluppo delle idee ecologiste;

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• la nascita di preoccupazioni sanitarie dovute all'inquinamento; • l'evidenza del problema del rifornimento energetico legato alla disponibilità dei

combustibili fossili.

Ciò che ha avuto subito un grande impulso, è la ricerca sugli inquinanti nell'ambiente costruito, proprio perché è quello che ha immediati aspetti sanitari. Poi, con il costo dei carburanti fossili in crescita, l'aspetto che ha cominciato a generare più interesse è quello relativo al risparmio energetico. Uno degli effetti di questi nuovi impulsi, è un ritorno dell'attenzione del progetto architettonico verso la natura e le risorse che questa ci offre.

Oggi, l'architettura sostenibile, si sforza di avere una visione sistemica, il più ampia possibile, che tratti il problema del costruito nel suo insieme di rapporto "funzione-uomo-natura", considerando gli edifici, non solo come ripari, ma come sostentamento della vita.

Principi generali

Sostenibilità

Il concetto di sostenibilità si basa sui seguenti principi:

1. l'esistenza di vincoli in un pianeta finito, ovvero il riconoscimento che esiste una carrying capacity del pianeta;

2. la consapevolezza che il secondo principio della termodinamica pone dei limiti agli usi e alle trasformazioni energetiche;

3. l'accettazione delle ipotesi di Herman Daly, padre della teoria della sostenibilità:

• l'utilizzo delle risorse rinnovabili non deve superare il loro tasso di rigenerazione;

• l'immissione di sostanze inquinanti (solide, aeree o liquide) nell'ambiente non deve superare la capacità dell'ambiente stesso di metabolizzarle;

• l'uso di risorse non rinnovabili (es. i combustibili fossili) deve ridursi progressivamente fino ad arrestarsi per essere sostituto da risorse di tipo rinnovabili.

L'architettura sostenibile fa proprio il principio della decrescita e di limite, inteso come risparmio di risorse e minima produzione di inquinamento in tutte le fasi del ciclo di vita. Il termine “sostenibile” applicato all'architettura si riferisce alla ricerca delle soluzioni costruttive che massimizzano il benessere dei fruitori attuali garantendo contemporaneamente alle generazioni future la possibilità di conseguire lo stesso risultato, nella consapevolezza che le risorse sono limitate e che lo sperpero e l'inquinamento possono diventare insostenibili per le popolazioni future. Connesso

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a tutto ciò è l'eco-sostenibilità. Essa è un'attività che si occupa dello studio dello sviluppo sostenibile. La crescita in maniera eco-sostenibile si pone come obiettivo lo sviluppo, il quale consente di far ereditare alle generazioni future la stessa quantità di risorse energetiche presenti attualmente. La teoria dell'eco-sostenibilità è sostenuta in modo particolare da una branca moderna di ingegneri e architetti i quali combattono a favore di ciò in vari modi, ad esempio utilizzando materiali eco-sostenibili. Molto attuale è la ricerca di sostanze da utilizzare nell'edilizia che abbiano un impatto favorevole con l'eco-sostenibilità. Un esempio è la costruzione di un mattone (da parte di un'azienda di Lecco) formato da calce e canapa il quale cattura il biossido di carbonio presente nell'atmosfera. Esso, una volta indurito, diventa rigido e leggero; è stato già testato sia su edifici nuovi sia su costruzioni già esistenti dando ottimi risultati.

Ciclo di vita

Il ciclo di vita di un edificio comprende diverse fasi:

1. l'estrazione e il trasporto delle materie prime; 2. la loro trasformazione in semilavorati o prodotti finiti e il loro trasporto nel

cantiere per l'utilizzo; 3. la costruzione del fabbricato; 4. il periodo di utilizzo dell'edificio, con il funzionamento degli impianti e le

manutenzioni dei componenti dell'edificio; 5. la fine dell'utilizzo, con la dismissione che porta allo smontaggio dei

componenti e al loro reimpiego o alla discarica.

Infatti un edificio consuma energia durante tutto il suo ciclo di vita, dal reperimento delle materie prime per la produzione dei materiali edilizi, fino al momento della sua dismissione. La fase più critica è l'utilizzo dell'edificio: su un orizzonte di 50 anni, riscaldamento, climatizzazione estiva, illuminazione e produzione di acqua calda incidono, per oltre il 90%, sul consumo complessivo di energia dell'intero ciclo di vita. Considerato che l'aspetto gestionale di una costruzione edilizia influisce notevolmente sull'impatto che essa ha sull'ambiente e, quindi, sui costi diretti e indiretti, l'architettura sostenibile ha, come obiettivo, la progettazione di edifici in grado di risolvere l'eventuale divario tra la concezione estetica-formale e quella energetica-funzionale.

Ecobilancio

La valutazione degli impatti ambientali è definita ecobilancio che considera ciascuna fase del ciclo di vita e analizza le esternalità in spazi e tempi diversi:

A) valuta nel tempo gli impatti che avvengono prima, durante e dopo l'esistenza dell'edificio stesso, ad esempio con l'estrazione delle materie prime, o quando si interviene con la manutenzione per estendere la durata dell'edificio.

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B) valuta nello spazio gli impatti generati in altri luoghi da quello dell'insediamento, es. nei luoghi di prelievo o produzione dei materiali.

La metodologia LCA (vd. UNI 14040 Life Cycle Assessment) consente l'effettuazione di una valutazione ambientale di tipo quantitativo. Solitamente uno studio LCA viene effettuato su singoli prodotti, mentre è molto complesso (e per certi versi inutile) produrre un LCA di un edificio, poiché le variabili da calcolare sono molteplici e sono riferite a molti componenti con durate e prestazioni differenti tra loro. Per tale motivo la valutazione ambientale dell'edificio viene effettuata con una metodologia di tipo qualitativa e "multi-criteriale", con un approccio umanista e soggettivo definito come Life Cycle Thinking (previsione del ciclo di vita).

Compatibilità

Integrare l'opera nell'ambiente e nella natura, applicando il concetto di economia[3] inteso non come il minor costo a breve termine, ma come il sistema che consente di evitare gli sprechi e le esternalità. Per fare questo occorre una visione olistica e un approccio pluridisciplinare' che da priorità al bene comune anziché al profitto individuale.

Benessere

Lo scopo del costruire è il benessere degli abitanti, inteso come uno stato psicofisico cui concorre la salute dell'individuo, l'equilibrio socioeconomico e la cura dell'ambiente. In questa visione l'edificio non è un oggetto a sé stante, slegato dal contesto, ma parte di un sistema interattivo e dinamico che considera gli elementi naturali (terra, acqua, vento, sole, vegetazione) e sociali (identità e appartenenza ai luoghi) come materiali fondamentali del progetto. Ovviamente, è fondamentale che il costruito sia realizzato con materiale che non presenti rischi sanitari o, meglio ancora, che abbia qualità che contribuiscano a sanificare l'ambiente.

L'estetica è stata, durante i primi anni di esperienza dell'architettura sostenibile, un aspetto trascurato, sacrificato sull'altare dell'efficienza dei sistemi solari attivi (pannelli solari). Oggi ci si sforza di rendere il costruito "bello", proprio in aderenza al principio che la bellezza degli edifici contribuiscono al benessere psichico delle persone.

Elementi dell'architettura sostenibile

Si elencano di seguito alcuni elementi che concorrono nella realizzazione di un progetto architettonico improntato alla sostenibilità. Tali aspetti sono molteplici e non necessariamente tutti presenti nell'opera architettonica, ma impiegati diversamente in funzione delle caratteristiche dell'edificio e del contesto.

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Risorse energetiche

Uno dei tanti problemi che l'architettura sostenibile si pone come obiettivo è quello di evitare la mancanza di fonti energetiche per le generazioni future. Esso è un problema abbastanza importante perché l'uso "maleducato" di alcune risorse (attualmente presenti) potrebbe portare a far sì che esse scarseggino in un futuro prossimo. È necessario quindi fare delle distinzioni tra i tipi di fonti: le possiamo classificare in "non rinnovabili" e "rinnovabili". Le prime possono essere suddivise ancora in "combustibili fissili" (ovvero fonti primarie per produrre energia nucleare, tipo l'uranio) e "combustibili fossili". Questi ultimi includono petrolio, gas naturale e carbon fossile. I primi due non sono distribuiti in maniera uniforme su tutto il pianeta, ci sono zone più ricche e altre meno ricche; per quanto concerne il carbon fossile invece, il reale problema non è il consumo (sul pianeta ne è presenta ancora un'ingente quantità che ne permette l'utilizzo per qualche secolo) ma gli effetti: esso infatti rilascia una considerevole quantità di biossido di carbonio, la quale danneggia fortemente l'atmosfera. Le fonti rinnovabili invece sono state tra le prime a essere sfruttate dall'uomo; attualmente sono varie. Si può citare: - La legna, o in generale le biomasse, sono state tra le prime fonti utilizzate dall'uomo; - L'energia idraulica, utilizzata per produrre energia nelle centrali idroelettriche; - L'energia eolica, ponendo alcune pale in determinati luoghi, il vento le mette in azione e si ricava energia; - L'energia solare, un settore che si evolve giorno per giorno: un esempio lampante è la diffusione dei pannelli solari nelle abitazioni che sta costellando tutta l'Europa e non solo. Il vantaggio che si può trarre dalle fonti rinnovabili rispetto ai combustibili fossili è quello di ridurre al minimo le emissioni di anidride carbonica (o biossido di carbonio), le quali sono molto dannose per l'uomo. Attualmente, l'obiettivo che molti studiosi si sono prefissati è quello di riuscire a creare un sistema energetico a base di idrogeno, ad esempio sfruttando le acque marine. Riuscendo a trovare un sistema del genere, si immetterebbe soltanto acqua pura o in forma liquida o sotto forma di vapore. In realtà è già stato trovato un modo per tale sistema ma c'è un problema legato ai costi che lo rende controproducente.

Approccio minimalista

I progetti architettonici tendono a ridurre dimensioni e accessori non indispensabili: dopo aver esplicitato le necessità che danno efficacia all'opera, si cerca di minimizzarne la dimensione, razionalizzando e, al limite, ridifinendo il comfort offerto. Solo dopo aver eliminato gli eccessi, gli architetti si concentrano sulla molteplicità di soluzioni che aumentano l'efficienza e l'efficacia dell'opera.

Questo approccio ha immediato effetto sul consumo di suolo e sullo sfruttamento delle risorse naturali, e un beneficio successivo sull'economia di gestione dell'opera.

Riduzione dei consumi energetici

Per una corretta "progettazione energetica" occorre considerare quattro fattori:

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1. l'approccio bioclimatico (orientamento, soleggiamento e ombreggiamento, ventilazione naturale);

2. la coibentazione dell'involucro edilizio (riduzione del fabbisogno energetico per riscaldare e raffreddare i locali abitati);

3. il ricorso alle fonti energetiche rinnovabili (biomasse, geotermia, fotovoltaico, solare termico, micro eolico);

4. l'efficienza degli impianti (riduzione dei consumi a parità di prestazione).

Se i primi due fattori sono correlati alle caratteristiche dell'edificio (dette anche caratteristiche "passive" dell'edificio), gli ultimi due sono propri degli impianti.

Uso razionale della risorsa idrica

Un ulteriore aspetto è riferito al corretto utilizzo della risorsa idrica, con l'adozione di tecnologie in grado di riusare l'acqua piovana per usi secondari, o di consentire una elevata permeabilità dei terreni.

Utilizzo di materiali bioecologici

La scelta di materiali e prodotti sulla base di un ecobilancio, che confronta tra loro i prodotti valutandone i diversi impatti ambientali prodotti in tutte le fasi del ciclo di vita.

Regionalismo

Scegliere i materiali di cui si conosce la provenienza, scegliendo quelli estratti e prodotti nello stesso ambito ecoregionale (definito come un'area geograficamente omogenea), secondo il principio della filiera corta già applicata per i prodotti alimentari.

Partecipazione

L'attività di coinvolgimento degli attori del processo edilizio e di condivisione del progetto con i futuri abitanti, in modo tale da favorire l'integrazione del manufatto nella comunità.

Riciclo e riuso

Principi fondamentali nella pratica della sostenibilità, riferiti sia al singolo materiale che all'intero manufatto. Per tale motivo l'architettura sostenibile privilegia i sistemi di costruzione "a secco", o l'uso di elementi modulari, perché sono facilmente smontabili e riusabili. In base allo stesso principio, si cerca di privilegiare il riuso di materiali e il riuso delle strutture e degli edifici, evitando il consumo di suolo e di materie prime.

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ELEMENTO ARCHITETTONICO Un elemento architettonico è una delle strutture che contribuiscono a formare un edificio.

Categorizzazione

I vari elementi architettonici possono essere raggruppati e studiati secondo vari criteri.

Si possono distinguere gli elementi verticali (parete, colonna...) e orizzontali (solai, architravi...).

Uno dei più citati è quello di dividerli in:

1. Strutture portanti (o primarie, dette anche sostegni), che sostengono il peso di altri elementi e tengono su l'edificio (di solito elementi verticali)

2. Strutture portate (o secondarie), che scaricano il loro peso su altre strutture; a volte possono diventare portanti per altri elementi (di solito elementi orizzontali, ma anche archi)

Esistono poi elementi di raccordo (come capitelli, pennacchi, trombe) e elementi puramente decorativi (lesene, cornici).

Guardando la statica, si hanno strutture spingenti (cioè che generano spinte laterali, oltre alla normale forza di compressione del peso, come archi e volte) e non spingenti (architravi e capriate).

Principali elementi architettonici

- Verticali

PARETE

Una parete è un elemento architettonico verticale, composto da un volume piano dallo spessore ridotto rispetto all'altezza e alla larghezza. Può avere un andamento rettilineo o ondulato. La parete delimita lo spazio di un edificio e lo suddivide internamente. In senso traslato si può chiamare "parete" qualsiasi confine verticale di un ambiente (ad esempio la parete di una grotta).

La nascita della parete si può teoricamente far risalire al momento in cui, in epoca preistorica o protostorica, dalle costruzioni quali le tende di pali, le pseudocupole o le case a tetto (di forma triangolare), si passò ad abitazioni più elaborate, con superfici verticali, orizzontali e oblique. Tale innovazione nella concezione della struttura

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abitativa condusse a differenziare la parete dal soffitto e dal tetto, con l'assegnazione a ciascun elemento di una funzione e di una modalità di costruzione diverse.

Per i greci la parete (isodoma) aveva un'importante funzione portante, mentre i romani inventarono tecniche più rapide ed economiche (come la gittata di pietrisco nella malta pozzolana) che resero alcune pareti dei semplici divisori interni tra gli ambienti.

Le pareti di un edificio possono classificarsi secondo vari criteri. Innanzitutto vi sono

1. pareti portanti, che sostengono e scaricano a terra il peso della costruzione (di solito, quelle perimetrali, che delimitano e separano l'ambiente interno all'edificio dall'ambiente esterno, ma anche alcune pareti interne)

2. pareti non portanti (che non sostengono altri pesi eccetto il proprio), a loro volta distinguibili in:

1. fisse 1. tamponature, che dividono l'interno dall'esterno in fabbricati

sorretti da una struttura intelaiata 2. tramezzi, che dividono ambienti interni

2. mobili 3. scorrevoli (mobili, ma all'interno di un percorso fisso)

Poi dal punto di vista della funzione si hanno pareti di chiusura (che delimitano uno spazio su ogni lato) o non di chiusura.

A seconda delle modalità costruttive si possono avere

1. pareti massicce (volumi compatti interamente portanti) 2. pareti a scheletro (con pilastri e altri elementi portanti massicci, mentre gli

spazi compresi sono tamponati con materiali leggeri).

Particolarmente significative sono le soluzioni adottate nel tempo per gli angoli di giuntura tra le pareti, con problemi tecnologici ed estetici risolti dagli architetti in molteplici maniere.

PIEDRITTO (di forma generica)

Il piedritto è un elemento architettonico verticale portante, che sostiene cioè il peso di altri elementi.

Poiché la sezione orizzontale del piedritto è indeterminata, la colonna stessa e il pilastro possono essere considerati casi specifici di piedritto (rispettivamente a base circolare e a base quadrangolare o poligonale o mistilinea). Anche nel caso di sostegni verticali inseriti all'interno di una muratura, dove si veda solo una faccia e non sia possibile sapere l'esatta sezione orizzontale, il termine generico di piedritto

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risulta il più adatto. Il termine si usa spesso anche per indicare i sostegni sui quali appoggia un arco. In tal senso, può dirsi piedritto ogni elemento verticale tra il capitello o il pulvino (se presente) di una colonna e l'imposta dell'arco. Se si tratta del piedritto di una porta o di una finestra, si usa il termine stipite.

COLONNA (a sezione circolare)

La colonna è un elemento architettonico verticale portante di sezione circolare formato generalmente da base, fusto e capitello; se la sezione del fusto ha una qualunque altra forma che non sia il cerchio, si parla più propriamente di pilastro.

Terminologia

La colonna viene denominata:

• alveolata, se è incassata nel muro • parasta, se sporge, con superficie piana, di poco dalla parete ma è in essa

inglobata e ha funzione strutturale • lesena, se sporge, con superficie piana, di poco dalla parete ma è in essa

inglobata e ha funzione decorativa • semicolonna, se è incassata nel muro e il diametro del fusto sporge per almeno

la metà dalla parete • anulare, se presenta un anello a metà della sua altezza • liscia, se non ha alcun elemento particolare • scanalata, se il fusto è solcato da scanalature verticali [1] • rudentata, se le scanalature sono riempite fino a un terzo di altezza dalla base

da una modanatura a bastoncino • rostrata, usata dai romani per commemorare le vittorie navali (sulla colonna

venivano affissi i rostri delle navi nemiche) • tortile (tipica dello stile barocco), se ha il fusto ritorto a forma di spirale • vitinea, se il fusto è decorato con tralci di vite • a fascio, se risulta essere un pilastro formato da più colonne e colonnine, tipica

dell'architettura gotica (vedi pilastro a fascio)

La colonna isolata si dice votiva se è utilizzata con intento religioso, oppure onoraria se utilizzata con intento celebrativo. (vedi per esempio le Colonne di Firenze)

Le colonne si dicono binate quando sono vicine a coppie.

Una lunga sequenza di colonne che sostengono una trabeazione è detta colonnato. Quando un colonnato si trova davanti ad un edificio, schermando la porta, viene definito portico, mentre se racchiude uno spazio aperto si definisce peristilio. In contesti architettonici di prestigio, un organismo aperto su uno o più lati e sorretto da pilastri o colonne viene chiamato loggia. Tradizionalmente posizionata all'esterno di

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un edificio, una loggia può anche circondare un cortile interno di un convento o di un palazzo.

Gli ordini classici

• Colonna dorica: è composta da due elementi: fusto e capitello, uniti rispettivamente dal collarino. Il fusto di questa colonna è rastremato verso l'alto, vale a dire che il diametro di base è maggiore di quello del collarino. A circa un terzo della sua altezza però la colonna presenta un rigonfiamento detto éntasi la cui funzione è quella di correggere la percezione ottica della colonna che altrimenti sembrerebbe innaturalmente sottile. Il fusto dorico è scanalato, ovvero percorso da una serie di scanalature a spigoli vivi che permette, alla luce del sole, di individuare una netta individuazione di fasce di luce alternate a fasce di ombra.

• Colonna ionica: il fusto ha la caratteristica di appoggiare su una base, a differenza dell'ordine dorico ove esso poggia direttamente sullo stilobate. Tale base può assumere, a seconda del periodo e al luogo di costruzione, fogge differenti. Quella più diffusa è la base attica che si compone di due elementi principali: tori e scozie. Il toro è una modanatura a forma semicircolare mentre la scozia è una modanatura concava a forma di canale.

• Colonna corinzia: alla base è a volte rialzata dal plinto, un parallelepipedo molto basso che permette al fusto di essere maggiormente slanciato. La colonna è molto sottile e fa del tempio corinzio il più aggraziato tra tutti.

Simbologia

Nell'architettura greca classica la colonna in genere simboleggiava l'uomo. Questo significato venne ripreso dall'architettura romanica, dove spesso la colonna veniva fatta poggiare su una scultura di animale, solitamente un leone (simbolo della forza bruta), a indicare la peculiarità dell'uomo che si erge sulla natura animale e si protende verso quella divina, rappresentata dalla struttura posta sopra la colonna, ad esempio un protiro o il capitello di un pulpito. La colonna come simbolo viene utilizzata anche nella Massoneria, a ricordo di quelle poste all'ingresso del Tempio di Salomone, per indicare e delineare il limite fra lo spazio sacro e quello profano.

PILASTRO (a sezione poligonale o mistilinea)

Il pilastro è un piedritto, ovvero un elemento architettonico verticale portante, che trasferisce i carichi della sovrastruttura alle strutture sottostanti preposte a riceverlo. Anticamente il pilastro fu usato come richiamo alle pietre monolitiche che venivano erette nell'architettura primitiva, al contrario della colonna che riproduceva i tronchi d'albero, quindi l'architettura lignea. Teoricamente la colonna è un caso particolare di pilastro a base tonda (circolare, ovale, ellittica...) anche se nella storia dell'architettura

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l'uso dell'una o dell'altro è sempre stato ben distinto e con risultati molto diversi. Sinonimo di pilastro è pilone, anche se per questo si intende generalmente un elemento di dimensioni e mole maggiori.

Descrizione

La particolarità del pilastro è data dalla forma che si immagina verticale (ottenuta cioè da una base che si sviluppa ortogonalmente al piano che la contiene); tale base piana può essere quadrata, rettangolare, poligonale o più complessa (polilobata, a fascio, ecc.), ma mai tonda: in quel caso si parla di colonna. Anche dal punto di vista statico c'è differenza tra l'elemento colonna e pilastro: il primo ha un comportamento a puntone, per cui è soggetto a compressione (o deboli pressoflessioni causate da eccentricità del carico), mentre il secondo, che è collegato con incastri elastici alla struttura, è soggetto normalmente a pressoflessione.

La sezione trasversale può essere costante in forma e dimensione, oppure variare in forma e/o dimensione: si parla allora di pilastro rastremato.

Nell'architettura tradizionale il pilastro a base circolare è, ovviamente, la colonna; nell'architettura moderna si può invece parlare di pilastri a base circolare in tutti quei casi di strutture che per dimensione, tipologia o disegno non siano assimilabili a colonne.

Funzione

È un elemento strutturale verticale che può sostenere un architrave, un arco oppure una trabeazione.

Un gruppo di quattro pilastri collegati da archi può ancora sostenere una volta a crociera, costituendo in questo caso una campata. In edilizia quattro pilastri possono sostenere ad esempio due travi parallele, le quali a loro volta sostengono un solaio, con orditura ad esse perpendicolare. Particolari pilastri, in genere svasati verso l'alto, detti "a fungo", possono sostenere direttamente un solaio bidirezionale in cemento armato.

Sollecitazioni

Il pilastro è soggetto fondamentalmente a sollecitazioni di sforzo normale e di momento flettente o più in generale pressoflessione semplice o deviata.

Le verifiche strutturali più importanti per un pilastro sono la resistenza alla compressione e la verifica ad instabilità a carico di punta. In zona sismica è altrettanto importante effettuare anche un controllo degli spostamenti.

Tecnologia

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Un pilastro in calcestruzzo armato è realizzato a partire dalle fondazioni, con barre d'acciaio longitudinali disposte a circa 3 centimetri sotto la superficie esterna che ne garantiscano la continuità strutturale. Le staffe sono invece armature metalliche trasversali che circondano le barre facendo così aumentare il confinamento e la resistenza a taglio del pilastro.

Il getto di calcestruzzo di un pilastro avviene all'interno di un cassero in legno, in metallo o anche in altri materiali. Un pilastro in acciaio è in genere un profilato prodotto in stabilimento, trasportato in cantiere e montato mediante l'uso - un tempo - anche di chiodi, ora solo con bulloni o con saldature.

- Orizzontali

BASAMENTO

Il basamento in architettura indica una piattaforma che sostiene un edificio, in parte come elemento di fondazione e in parte come elemento architettonico visibile, su cui poggia l'elevato. Il basso basamento tipico dei templi greci prende il nome di crepidine (generico) o crepidoma (a gradini), dove il piano su cui poggiano le colonne è detto stilobate, mentre quello più alto e dominante dei templi romani ha il nome di podio. Può anche indicare la parte inferiore dell'edificio, anche costituita da più piani, con forme architettoniche distinte dai piani superiori.

Può infine trattarsi di un elemento autonomo che ha funzione di supporto di una statua o a una decorazione, o a qualsiasi altro oggetto, di grandi o piccole dimensioni. Nel piedistallo può essere anche un sinonimo di zoccolo.

SOLAIO

Si definiscono solai quelle strutture bidimensionali piane caricate ortogonalmente al proprio piano, con prevalente comportamento resistente monodirezionale.

Fanno parte delle più generali "chiusure orizzontali" appartenenti all'apparecchiatura costruttiva all'interno delle quali svolgono il compito di assolvere alla sicurezza statica al fine di ripartire i carichi sulle travi perimetrali della struttura di elevazione dell'edificio. La struttura portante del solaio può essere realizzata in legno, in calcestruzzo armato o in acciaio con la presenza o meno di altri materiali (ad esempio elementi in laterizio o pani di polistirolo), con funzione prevalente di alleggerimento.

Evoluzione tecnologica

La tecnica di realizzare solai è nata con l'esigenza di avere abitazioni su più livelli, o abitazioni il cui piano di calpestio deve essere più in alto del terreno (per esempio le palafitte o tutte le case realizzate in zone dove staccarsi dal suolo era fondamentale).

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Il solaio in legno

Un modo di realizzare un solaio è quello di utilizzare una orditura lignea, in cui ci sono travi principali che coprono l'intera luce del locale (si predilige la luce minore, se il locale è rettangolare, sia per realizzare travi più corte, sia perché la maggiore luce della trave influisce negativamente sul momento applicato sulla sua sezione (la sollecitazione aumenta con il quadrato della lunghezza).

I solai in legno strutturale spesso avevano spessori considerevoli e, in particolare, avevano bisogno di travi di sezione ragguardevole per sostenere il peso dei solai di locali particolarmente ampi.

Se correttamente progettato e realizzato, il solaio in legno non teme l'umidità né le termiti. La resistenza all'incendio è favorita dal processo di carbonizzazione dello strato esterno che protegge il nucleo interno della trave in legno, mantenendola in efficienza per un tempo limitato.

I solai misti legno-calcestruzzo

Solai costituiti da travetti in legno (anche lamellare) a sezione rettangolare con interposti elementi di alleggerimento in laterizio tipo tavella o tavellone appoggiati in corrispondenza dell'estradosso delle travi.

Sull'estradosso dei travetti in legno vengono realizzati dei connettori metallici, per garantire la solidarizzazione tra i travetti e il successivo getto di completamento in calcestruzzo, fino alla realizzazione della caldana opportunamente armata. I solai in cemento armato sono i più pesanti tra i vari tipi.

I solai in laterizio

I romani, per realizzare i solai, utilizzavano sia il legno strutturale che le tecniche costruttive del laterizio: per coprire grandi ambienti si usava realizzare non un solaio ma una volta in laterizio, la quale veniva riempita nell'intradosso fino a creare un piano d'appoggio per il livello superiore o per la copertura. Tuttavia non si può definire la volta un solaio, in quanto a quest'ultimo termine si fa riferimento più che altro per strutture orizzontali che scaricano il peso sui muri laterali in modo verticale (la volta e l'arco danno anche spinte orizzontali) e che lavorano per flessione degli elementi (la volta lavora a compressione e attrito tra i conci).

I solai misti in acciaio e laterizio

Con l'avvento dell'acciaio, si sviluppa la tecnica costruttiva del solaio in ferro e laterizio, costituito da travetti in acciaio costituiti da profilati a doppio T, denominati putrelle, e da laterizi tipo, tavelloni o tavelle appoggiati in corrispondenza dell'ala inferiore del profilato, a coprire la distanza tra i travetti.

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Il tutto viene completato in opera con un getto di calcestruzzo fino alla realizzazione di un'apposita caldana opportunamente armata (normalmente con rete elettrosaldata) per la ripartizione dei carichi fra i travetti.

Nell'800 e fino alla prima metà del '900 si usava realizzare delle piccole volte a botte per coprire la luce tra i travetti: questo è detto il solaio con voltine alla romana, perché la tecnica fu utilizzata molto a Roma (in quel periodo, del resto, in Italia si costruì principalmente a Roma, a causa del trasferimento della capitale con i relativi ministeri e indotto). Tale tecnica è oggi praticata unicamente negli edifici che hanno la struttura portante in acciaio. Il solaio in ferro e laterizio è molto elastico, teme i terremoti e può trasmettere freddo all'interno dell'ambiente se un'estremità del travetto è a contatto con l'esterno. Sono solai che hanno uno spessore compreso tra i 20 e i 30 cm.

Solaio laterocemento

Ultimo in ordine di tempo è stato lo sviluppo del solaio latero-cementizio, realizzato in calcestruzzo armato e laterizio. È una diffusa tecnica costruttiva, utilizzata nella realizzazione di semplici solai per comuni abitazioni in cui la struttura in calcestruzzo armato si unisce ad elementi di alleggerimento normalmente in laterizio.

TRABEAZIONE

La trabeazione è una struttura architettonica comprendente gli elementi orizzontali del sistema trilitico degli ordini architettonici greco-romani ed è costituita da architrave, fregio e cornice. La trabeazione poggia sopra i sostegni verticali (colonne o pilastri) ed è normalmente di altezza uguale a un quarto dell'altezza della colonna, compreso basi e capitelli.

I diversi elementi sono costituiti in genere da blocchi separati, sovrapposti gli uni agli altri; nell'architettura romana spesso fregio e architrave sono intagliati in un unico blocco.

Negli ordini applicati a parete (sostenuti da lesene o paraste, o da semicolonne), non è costituita da blocchi, ma piuttosto da lastre di rivestimento applicate alla parete in muratura, che riprendono le medesime partizioni e decorazioni degli elementi costitutivi e possono essere di maggiore o minore spessore, senza tuttavia svolgere una vera funzione portante.

Nel caso degli ordini applicati o di ordini autonomi ma appena staccati dalla parete, in funzione soprattutto decorativa, la trabeazione può anche assumere un andamento più articolato, correndo tra una colonna e l'altra (nell'"intercolumnio") a filo del muro retrostante, sporgendo solo in corrispondenza dei sostegni. In questi casi può essere definita "trabeazione sporgente". Quest'uso è presente nell'architettura ellenistica e nell'architettura romana, nelle quali gli ordini tendono ad assumere un significato

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prevalentemente decorativo. Le diverse combinazioni di tratti sporgenti e rientranti della trabeazione, possono costituire edicole che arricchiscono la decorazione di una facciata monumentale. Altre variazioni, introdotte nell'architettura ellenistica e diffuse soprattutto in epoca imperiale romana, sono costituite dall'inserimento di frontoni di varie forme, o di archi con trabeazione curvilinea su alcuni degli intercolumni.

- Di copertura delle aperture ARCHITRAVE

L'architrave (dal latino trave maestra), detto anche epistilio, sopraccolonnio o soprassoglio, è un elemento architettonico orizzontale, non spingente e portato (cioè che non tocca il suolo, ma scarica il suo peso su altri elementi), anche se molto spesso è a sua volta portante per elementi superiori che lo sovrastano.

L'architrave tipicamente si appoggia su due piedritti, talvolta tramite un incastro, ai quali trasmette il suo peso ed eventualmente quello delle strutture superiori che sostiene. Essendo in genere strutture che nella parte centrale sono sospese nel vuoto, esse hanno un limite di utilizzo in base al peso che vi viene appoggiato sopra e alla resistenza del materiale.

Nel tratto sospeso che le caratterizza si esercita infatti uno sforzo di flessione che tende a flettere (o a spezzare) nel punto più lontano dai sostegni. Infatti l'entità di questo sforzo è più elevato a seconda del braccio, cioè della distanza dal sostegno più vicino, mentre è nulla sul sostegno stesso (nei cosiddetti punti di applicazione). Il prodotto tra il braccio e il carico è detto momento meccanico.

Il problema tipico di un architrave è quello di calcolare il peso che sopporta e valutare il rapporto tra lunghezza e altezza da utilizzare in concreto. Talvolta, per esempio nell'architettura micenea o nell'edilizia medievale, si incontrano architravi pentagonali (con l'estremità superiore leggermente appuntita), che rinforzano il punto più debole (il centro) e incanalano il peso sui sostegni ai lati.

Architravi nell'arte classica

Negli ordini classici costituisce una delle tre parti della trabeazione poggiata sulle colonne. In particolare costituisce la parte inferiore della trabeazione, sottostante a fregio e cornice. Le eventuali suddivisioni orizzontali dell'architrave sono chiamate fasce.

Nell'ordine dorico, l'architrave è liscio, non suddiviso in fasce e viene coronato superiormente da una taenia ("tenia"), uno spesso listello sporgente, il cui bordo inferiore è decorato a tratti, seguendo il medesimo ritmo dell'alternanza di metope e

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triglifi nel soprastante fregio con regulae ("regule"), ossia listarelle orizzontali, ornate da guttae (gocce, "gutte"), ossia piccoli elementi troncoconici, disposti in fila. Le gutte sono state interpretate come la trasposizione in pietra delle teste dei chiodi che fissavano gli elementi lignei di cui la trabeazione era costituita nei più antichi edifici.

Nell'ordine ionico invece l'architrave era suddiviso in "fasce", due o tre, ciascuna leggermente rientrante e di altezza inferiore rispetto a quella sovrastante. L'architrave ionico sarà quindi utilizzato anche per l'ordine corinzio e, in epoca romana, per quello composito.

In età imperiale romana le fasce sono più frequentemente separate da modanature lisce o decorate piuttosto che da un semplice gradino e le loro proporzioni tendono a variare a seconda dello stile decorativo prevalente nelle diverse epoche. Il coronamento dell'architrave è generalmente costituito a Roma e nelle province occidentali da un listello sovrapposto ad una modanatura a "gola rovescia" (in genere decorata con un "kyma lesbio"), mentre nelle province orientali, dove più viva è la tradizione greco-ellenistica, il coronamento tende ad essere costituito da una sequenza di modanature tra cui è quasi sempre presente l'"ovolo", spesso intagliato con un "kyma ionico".

Le modanature, sia quelle del coronamento, sia quelle di separazione tra le fasce, sono normalmente decorate: quando invece sono lisce, si parla di "architrave liscio". I casi in cui persino le fasce vengono decorate sono invece abbastanza rari (prevalentemente dell'epoca flavia). Negli ordini liberi la superficie inferiore dell'architrave rimane visibile tra un capitello e l'altro e viene denominata "soffitto" dell'architrave. Negli architravi non dorici tale superficie riceve spesso una decorazione con un pannello centrale ribassato, chiamata "lacunare". In alcuni casi la decorazione del lacunare occupa tutto lo spazio disponibile del soffitto: è per questo motivo che i suoi lati corti presentano a volte una rientranza ("occhiello"), destinata al sottostante fiore dell'abaco del capitello.

PIATTABANDA

La piattabanda (dal francese platebande genericamente indicante le pietre che costituivano un architrave) è un elemento architettonico analogo visivamente all'architrave, ma legato da un punto di vista statico-edilizio all'arco, del quale è in pratica una sezione ad intradosso retto. Usata come elemento orizzontale al culmine di aperture come portali o altri tipi di passaggi, si differenzia dall'architrave per il fatto di non essere monolitica, cioè formata da un unico blocco di pietra, ma costituita da più conci o, più raramente, da laterizi.

Descrizione

I blocchi di una piattabanda devono essere disposti in maniera di scaricare il peso sulle estremità e non rovinare verso il centro. Per questo i giunti tra i blocchi devono

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essere convergenti verso un punto al di sotto dell'apertura, formando, nella disposizione più semplice, dei cunei rivolti verso il basso analoghi a quelli delle pietre che costituiscono gli archi.

Di fatto poi la piattabanda può anche essere considerata come una sezione quadrangolare di un arco particolarmente ribassato. Nelle versioni più elaborate la piattabanda presenta un taglio con incastri a "elle" o a "esse".

Da un punto di vista costruttivo la differenza con l'architrave è sostanziale, non solo per la differenza dei conci impiegati, ma perché la piattabanda è una struttura spingente, cioè non può stare in piedi se non è frenata con rinforzi sui lati, poiché la sua messa in opera comporta delle spinte sia verticali che laterali, mentre l'architrave crea solo una spinta verso il basso. Per fare un esempio esplicativo, un architrave poggiata semplicemente su due piedritti verticali sta in piedi, mentre una piattabanda no: avrebbe almeno bisogno di avere qualcosa che la blocchi dalle parti, o di rafforzi che tengano le sue parti coese.

La piattabanda, per la maggior semplicità di reperire blocchi di grandezza minore rispetto a monoliti, è stata impiegata con molta frequenza ed è tipica, per esempio, dell'architettura medievale.

ARCO

L'arco, in architettura, è un elemento strutturale a forma curva che si appoggia su due piedritti e tipicamente (ma non necessariamente) è sospeso su uno spazio vuoto.

È costituito normalmente da conci, cioè pietre tagliate, o da laterizio, i cui giunti sono disposti in maniera radiale verso un ipotetico centro: per questo hanno forma trapezoidale e sono più propriamente detti cunei; nel caso di una forma rettangolare (tipica dei mattoni) hanno bisogno di essere uniti da malta che riempia gli interstizi; essenzialmente l'arco con cunei non ha bisogno di essere sostenuto da malta, stando perfettamente in piedi anche a secco, grazie alle spinte di contrasto che si annullano tra concio e concio. Il cuneo fondamentale che chiude l'arco e mette in atto le spinte di contrasto è quello centrale: la chiave d'arco, o, più comunemente detta, chiave di volta. L'arco è una struttura bidimensionale e viene spesso utilizzato per sovrastare aperture. Per costruire un arco si ricorre tradizionalmente a una particolare impalcatura lignea, chiamata centina.

L'arco è anche alla base di strutture tridimensionali come la volta, che è ottenuta geometricamente dalla traslazione o dalla rotazione di archi. Nel caso di volte complesse come le volte a crociera, gli archi costitutivi vengono distinti in base alla loro posizione (archi trasversali, longitudinali, ecc).

Proprietà statiche

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Esempio della capacità di un arco di sopportare un peso semplicemente per effetto della compressione e dell'attrito; le forze spingenti in questo caso sono bilanciate dalla trazione della base alla quale sono legati i sostegni

Da un punto di vista costruttivo l'arco svolge la stessa funzione dell'architrave, ma con un diverso funzionamento statico. Mentre infatti l'architrave è una struttura non spingente (che scarica cioè il peso solo in verticale), l'arco è una delle più tipiche strutture spingenti, perché genera spinte laterali, quindi anche orizzontali. Questo ha come vantaggio un più efficiente scarico della compressione dovuta al peso, permettendo l'apertura di luci molto più ampie, mentre ha come svantaggio una costruzione più complessa e la necessità di predisporre metodi per controbilanciare le spinte laterali.

Per reindirizzare le spinte laterali verso il basso si devono predisporre strutture che generino forze di controspinta o di trazione. Tra le strutture di controspinta esistono due tipologie principali:

1. Strutture di sostegno laterale, che possono essere a loro volta strutture spingenti: frazionano gradualmente le spinte orizzontali fino ad annullarle (come contrafforti, archi rampanti o anche una solida cortina muraria - detta rinfianco - che assorba le spinte);

2. Strutture di sostegno verticale, che apportano pesi mirati sui sostegni, rafforzando i sostegni laterali e impedendo loro di piegarsi verso l'esterno; in effetti forzano le spinte laterali a indirizzarsi subito verso il basso (esempio tipico è il pinnacolo)

Le strutture di trazione sono essenzialmente dei tiranti ancorati saldamente ai punti di appoggio che bilanciano le spinte verso l'esterno con una trazione verso l'interno: sono tipici dei loggiati rinascimentali, soprattutto in area umbra e toscana.

- Di copertura degli spazi TETTO

La copertura, o più comunemente tetto (ultimamente dal verbo latino tegere, oppure coprire), ha la funzione di definire la parte superiore dell'edificio e di preservare l'ambiente interno dagli agenti atmosferici e dall'invasione di animali.

Lo scopo essenziale delle coperture è impedire l'insorgere di umidità, di opporre resistenza alle sollecitazioni date da neve e vento e diminuire la dispersione termica dell'edificio. Il manto di copertura, che è lo strato esterno delle coperture, garantisce la tenuta dell'acqua, mentre la struttura portante ha il compito di sostenere il manto.

Tipi di copertura

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In base ai materiali utilizzati per il manto le coperture sono così raggruppate:

Coperture discontinue

Il manto è effettuato con vari materiali che, grazie al modo in cui sono collegati e alla loro pendenza, assicurano la tenuta dell'acqua. Le coperture discontinue sono a loro volta ripartite in:

• coperture di tegole in laterizio (embrici, coppi, Tegola marsigliese); • coperture di tegole in cemento; • coperture di lastre in fibrocemento; • coperture di lastre in pietra (lose, beole, chianche, tetti in ardesia liguri); • coperture di lastre di legno (scandole); • coperture di lastre di materie plastiche; • coperture di tegole bituminose; • coperture di pannelli metallici coibentanti; • coperture di rame; • coperture di lamiere grecate di acciaio zincato, rame, alluminio, ecc,; • coperture di paglia; • coperture di canna lacustre.

CAPRIATA

La capriata (o incavallatura o cavalletto) è un elemento architettonico, tradizionalmente realizzato con il legno, formato da una travatura reticolare piana posta in verticale ed usata come elemento base di una copertura a falde inclinate. La capriata ha il vantaggio di annullare le spinte orizzontali grazie alla sua struttura triangolare nella quale l'elemento orizzontale (catena) elide le spinte di quelli inclinati (puntoni): rientra quindi tipicamente tra le strutture non spingenti dell'architettura.

Elementi

• Due puntoni (o braccia o biscantieri): sono le travi inclinate che determinano la pendenza del tetto.

• Catena (o corda o tirante): è l'elemento orizzontale che costituisce la base del triangolo e che supporta sforzi di trazione che altrimenti andrebbero a gravare, sotto forma di forza orizzontale sul punto di appoggio dei puntoni. Elemento di maggior lunghezza della capriata, era generalmente in un unico pezzo, ma a volte è stato realizzato da due elementi rettilinei connessi con un particolare incastro denominato "dardo di giove".

• Monaco (o ometto o colonnello): è l'elemento verticale presente all'interno della capriata e ha il compito di irrigidire la struttura; la riduzione della

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distanza tra il monaco e la catena indica chiaramente un problema alla struttura stessa.

• Saette (o saettoni o contraffissi o razze o contropuntoni): sono gli elementi con inclinazione opposta a quella dei puntoni che limitano l'inflessione dei puntoni stessi, scaricando sul monaco la forza di compressione a cui sono sottoposte.

• Controcatena: presente solo in capriate di grandi dimensioni, collega orizzontalmente i puntoni in punti intermedi e limita la lunghezza di libera inflessione di questi. Differentemente dal nome che ricorda quello di un elemento teso, non risulta soggetta a trazione ma a compressione, dal momento che forma una sorta di arco a tre conci con i sottopuntoni.

• Sottocatena, sottopuntone: eventuali travi di rinforzo poste a contatto al di sotto o al di sopra - rispettivamente - della catena o dei puntoni.

Quando la capriata fa da ossatura di un tetto alla lombarda, su di essa vengono appoggiate delle travi perpendicolari. Quella alla sommità è detta colmareccio, mentre quelle che poggiano direttamente sui puntoni si chiamano arcarecci (o terzere quando suddividono la falda in tre parti). Su arcarecci e colmareccio sono poi appoggiate ulteriori travi perpendicolari, dette travetti o travicelli, che scendono in obliquo parallele ai puntoni. Sui travetti poggiano i listelli o correntini che a loro volta sostengono il manto di copertura che può essere realizzato in coppi o tegole curve, in coppi ed embrici, o in tegole stampate.

Nei tetti alla piemontese, invece, la capriata sostiene - mediante un gattello o mensola (vincolato al monaco) oppure con una traversa (vincolata a monaco e puntoni) - una trave di colmo posta a quota più bassa rispetto alla testa del monaco; su questa trave di colmo poggiano uno o più falsi puntoni per falda (che formano dei falsi cavalletti intermedi fra due capriate) complanari ai puntoni, sui quali poggiano degli arcarecci che possono sostenere dei travetti o direttamente i listelli a sostegno del manto.

VOLTA

La volta è uno dei tipi fondamentali di copertura architettonica. Si tratta di una teorica serie di archi affiancati in profondità a formare la terza dimensione, oppure del risultato della rotazione di un arco di conica (non degenere).

Come negli archi, bisogna distinguere tra volte vere o proprie, create cioè in muratura con pietre o laterizi a forma di cuneo, con i giunti orientati verso un punto centrale, e volte apparenti o improprie (talvolta chiamate più genericamente coperture a guscio), create in calcestruzzo colato, legno, cemento armato, ecc. L'uso esclusivo di volte proprie è molto raro: fin dall'epoca dei Romani si costruivano volte apparenti in calcestruzzo.

Gli elementi caratterizzanti di una volta sono la concavità interna e il fatto di essere una struttura spingente, cioè che, come l'arco, genera spinte laterali che devono essere

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annullate da contrafforti o elementi di trazione. Con l'arco ha molti elementi in comune, sia nella nomenclatura, sia nella statica che nei metodi di costruzione.

Si distinguono in volte semplici, con una sola superficie curva di intradosso, o composte, con più superfici in concorso.

Le volte di maggior impiego sono formate da superfici con direttrice circolari e/o ellittiche.

o Volta a botte o Volta a crociera o Cupola

- Di controspinta CONTRAFFORTE

In architettura il contrafforte è un sostegno pieno, a sezione quadrangolare, collocato in determinati punti della muratura di un edificio con funzione di rinforzo e di contro spinta. Venne utilizzato a partire dalla tarda antichità per la costruzione di basiliche (ad esempio la Basilica di Costantino), era particolarmente usato dai romani, per poi evolversi nell' arco rampante nella costruzione delle chiese gotiche. Il contrafforte consiste in pilastri rafforzati ad angolo retto sporgenti sulla parete esterna e in sporgenze murarie regolari che stabilizzano lateralmente la parete.

ARCO RAMPANTE

L'arco rampante è un elemento architettonico asimmetrico, evoluzione del contrafforte, usato per contenere e distribuire al suolo spinte laterali e verso l'esterno delle parti superiori dell'edificio; a tal fine, i piani di imposta su ciascun piedritto sono posti a livelli differenti, spesso con un notevole dislivello, tanto da farlo assomigliare talvolta a un semiarco.

L'arco rampante controbilancia le spinte laterali di altre strutture spingenti (archi, volte), frazionando in modo graduale le spinte orizzontali fino ad annullarle. Si favorisce così l'elevazione dell'edificio contenendo l'energia di spinta, e si permette in tal modo alla costruzione di innalzarsi in uno slancio verticale altrimenti impossibile da realizzare in un edificio semplice in muratura.

L'arco rampante apparve per la prima volta nel coro della cattedrale di Durham intorno al 1100, come prima evoluzione del contrafforte con apertura passante. Qui non aveva ancora la funzione di equilibrio delle spinte laterali delle murature, ma di pura e semplice facilitazione funzionale alla posa della copertura. Successivamente l'arco rampante partecipò prepotentemente alla definizione estetico formale

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dell'architettura gotica, contribuendo alla smaterializzazione e riverberazione spaziale dell'edificio, con valenze simboliche oltre che strutturali. La nuova immagine estetica che ne risulta, derivata dalla ricerca di puntare tutto sulla struttura portante, riducendo l'intera struttura al suo scheletro progettuale, divenne profondamente diversa dalla solida architettura romanica che l'aveva preceduta.

Nell'architettura gotica, che rinunciava ampiamente nella costruzione delle chiese a muri importanti e che progettava al suo posto una costruzione a lisca di pesce, i pilastri rafforzati sono un elemento importante ed essenziale. Per deviare le forze laterali dalle pareti della navata centrale sui pilastri rafforzati, vennero collegate ulteriormente ad archi rafforzati con le loro capriate. Le parti laterali superiori delle arcate portavano ulteriormente l'acqua piovana dal tetto nello scolo dell'acqua dei pilastri rafforzati. Per la stabilizzazione questi furono caricati verticalmente al di sopra delle arcate con fiale, perlopiù torrette ampiamente ornate che sottolineano ulteriormente il rafforzamento delle chiese gotiche.

Nelle chiese a doppia navata laterale questa prescrizione dei pilastri rafforzati viene spesso ripetuta. Per questo vi sono pilastri rafforzati sottili e supplementari tra le navate laterali che livellano soltanto le forze verticali sopra i pilastri all'interno delle chiese. Nelle chiese gotiche i pilastri rafforzati sono spesso invisibili dall'esterno, ma si trovano all'interno delle mura esterne e suddividono le navate laterali in cappelle. Esempi sono St. Martin ad Amberg o la Frauenkirche di Monaco.

- Di raccordo PENNACCHIO In architettura, un pennacchio o scuffia è un elemento di raccordo fra l'imposta di una cupola (circolare, poligonale o ellittica) e la struttura ad essa sottostante, generalmente costituita da appoggi puntiformi.

Caratteristiche

Tale innesto è immediato quando le strutture sottostanti hanno una pianta coincidente con il perimetro di imposta della cupola, come ad esempio nel Pantheon e nei vari battisteri medievali. Tuttavia nella maggior parte dei casi la forma più frequente della struttura di base a pianta quadrata o poligonale è indipendente dalla forma stessa della cupola, e sono quindi necessari elementi di raccordo, detti appunto pennacchi.

Tipologie

Nel caso di cupola a base circolare poggiante su struttura poligonale, il raccordo può essere realizzato mediante smussi e raccordi sommari, tanto più facilmente quanto più sono i lati (decagono, dodecagono) come nel caso della cupola del tempio di

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Minerva Medica dove il perimetro della sala decagona passa impercettibilmente alla forma circolare. Quando invece, nel caso più frequente, la base è quadrata o anche ottagonale, costituita da sostegni puntiformi collegati da archi, i pennacchi diventano necessari.

TROMBA

La tromba, in architettura, è lo spazio vuoto attorno al quale si avvolgono le scale ("tromba delle scale") o il cunicolo nel quale scorre l'ascensore ("tromba dell'ascensore").

Elemento di raccordo

La tromba è anche un elemento di raccordo tra la base di una cupola (quindi un cerchio, un poligono o una ellissi) e la struttura dell'apertura nell'edificio coperta dalla cupola stessa (un quadrato, un rettangolo o un poligono). La sua funzione è simile a quella del pennacchio, ma a differenza di quest'ultimo invece di essere una sezione di una sfera, si tratta di una sezione di un cono o altra superficie curva.

Si può anche definire come il settore tra due archi contigui di un sistema sul quale è impostata una cupola e formato da una serie di archeggiature sovrapposte e via via più sporgenti.

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MODELLAZIONE 3D

La modellazione tridimensionale o modellazione 3D è il processo atto a definire una forma tridimensionale in uno spazio virtuale generata su computer; questi oggetti, chiamati modelli 3D vengono realizzati utilizzando particolari programmi software, chiamati modellatori 3D, o più in generale software 3D.

Questo termine viene utilizzato in ambito informatico e si distingue da altri tipi di modellazione tridimensionale, come ad esempio la scultura tradizionale.

Modellazione nella pratica operativa dalla grafica 3D

La modellazione 3D può anche essere fine a sé stessa, e in questo caso il modello generato non richiede ulteriori elaborazioni, ma generalmente la modellazione rappresenta il primo step di una serie di operazioni successive che determineranno l'elaborato finale. Questo primo step, nella specifica area della Computer grafica 3D, non può mai mancare, e ne rappresenta il presupposto di partenza. Si prenda ad esempio un caso particolare abbastanza complesso: la realizzazione di un'"immagine statica fotorealistica di un personaggio 3D". Questa comporta i seguenti passaggi essenziali:

• Modellazione 3D primaria • Modellazione 3D secondaria • Surfacing (definizione dei materiali di superficie) • Mappatura (definizione delle coordinate di proiezione) • Applicazione delle Texture • Inserimento dello scheletro • Skinning del modello • Definizione della postura del modello • Allestimento scenico • Illuminazione della scena • Rendering della scena • Salvataggio dell'immagine in un file grafico • Output finale (ad es. stampa su carta)

O un caso relativamente più semplice: "Corpo in alluminio di un mulinello, realizzato con macchina utensile".

• Modellazione 3D della parte in un modellatore CAD • Assemblaggio e verifica della parte nel modello di Assieme • Esportazione del modello 3D in un formato macchina compatibile • Lavorazione con macchina utensile CNC dell'oggetto • Pulitura, rifinitura

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• Anodizzazione e lucidatura dell'oggetto • Assemblaggio nel prodotto finale

Come si nota la realizzazione del modello 3D è posta sempre all'inizio della catena operativa, ed è la base delle successive operazioni.

Campi di impiego della modellazione 3D

I sistemi di modellazione vengono impiegati in tutti i campi della Computer grafica 3D, tanto che in taluni casi modellazione 3D e grafica 3D sono sinonimi.

Applicazioni a carattere scientifico o tecnico

• Scienze matematiche, fisiche e naturali (biologia, fisica, matematica, astronomia etc.)

• Studio del territorio (Geologia, Sismologia, meteorologia etc.) • Scienze storiche (archeologia, paleontologia, paleoantropologia etc.) • Scienze applicate • Medicina (Forense, ricostruttiva, indagini diagnostiche etc.) • Ingegneria civile • Ingegneria industriale • Architettura • Disegno industriale • Progettazione di parti meccaniche

Applicazioni artistiche

• Industria cinematografica e televisiva • Videogame e applicazioni videoludiche • Grafica pubblicitaria • Pubblicazioni editoriali • Web design • Applicazioni multimediali • Produzione artistica

Tipologie di modellazione

Da un punto di vista tipologico, tutta la modellazione 3D, rientra in due grandi famiglie, ognuna riguardante un ben determinato genere di modelli:

• La Modellazione organica - è la tipica modellazione utilizzata per realizzare gli esseri umani o le creature, animali o umanoidi. Viene usata per tutti i soggetti "naturali", come rocce, piante, alberi e per il territorio in generale, in questi casi i modelli sono tanto più riusciti quanto più sono ricchi di particolari.

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Anche molti oggetti di disegno industriale, che abbiano forme morbide e arrotondate, possono servirsi di una modellazione organica.

• La Modellazione geometrica - è il tipo di modellazione meno recente, viene utilizzata per realizzare oggetti tecnici o meccanici, o comunque per qualsiasi cosa che abbia una natura artificiale, e che non rientri nella categoria precedente. Generalmente la complessità dei modelli realizzati con questo genere di modellazione è molto inferiore, se si guarda all'aspetto esteriore delle singole forme, ma non se si considerano aspetti legati alla precisione e alla corrispondenza delle parti.

Naturalmente uno stesso oggetto può contenere sia modellazione organica che geometrica, oppure può essere formato da un insieme di parti contenenti sia modelli organici che geometrici.

Tecniche di modellazione 3D

Si possono dividere in tre categorie principali:

1. Modellazione Procedurale (automatica e semi-automatica) 2. Modellazione Manuale 3. Da dati provenienti da modelli reali (scansione tridimensionale)

Che a loro volta possono venire suddivise in tre distinti generi di modellazione:

• Modellazione Solida - dove l'oggetto risultante è considerato come formato da un volume pieno.

• Modellazione Volumetrica - determina delle entità generanti una superficie implicita.

• Modellazione di superfici - l'oggetto in questo caso è determinato dalle sue superfici esterne.

In alcuni modellatori un oggetto è considerato formato da superfici finché queste sono aperte, mentre viene riconosciuto come solido una volta che tutte le superfici siano saldate fra di loro e formino un corpo chiuso.

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Tipologie di unità abitative

Per unità abitativa si intende il minimo spazio architettonico composto da uno o

più ambienti sistematicamente legati e nel loro insieme indipendenti e tali da consentire la funzione

dell'abitare. L'unità abitativa corrisponde quindi alla singola abitazione, che può corrispondere anche al

concetto più antropologico di casa.

Per casa si intende una qualunque struttura utilizzata dall'uomo per ripararsi dagli agenti atmosferici.

Essa generalmente ospita uno o più nuclei famigliari e talvolta anche animali. A seconda del numero dei

nuclei familiari che questa può contenere, esistono due tipologie di case:

a) CASE UNIFAMILIARI;

b) CASE PLURIFAMILIARI.

Questi due gruppi a loro volta sono suddivisi secondo il seguente schema:

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CASE UNIFAMILIARI

ISOLATE SINGOLE

ASSOCIATE

CON ALLOGGI ABBINATI

CON ALLOGGI RAGGRUPPATI

CON ALLOGGI SOVRAPPOSTI

A SCHIERA

CASE PLURIFAMILIARI

ISOLATE A TORRE

CONTIGUE

IN LINEA

A BLOCCO

A BALLATOIO COLLETTIVE

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A A

A A

Pianta piano terra

Pianta piano primo

Sezione A-A

SCALA 1:200

CASE UNIFAMILIARI

Le case unifamiliari isolate (singole) sono destinate ad ospitare un solo nucleo famigliare esono appunto isolate e circondate generalmente da uno spazio verde privato. Questa tipologiaabitativa richiede un considerevole uso di suolo, condutture per i servizi, elevati costi di produzione

e di manutenzione, ed è caratteristica delle aree a densità abitativa molto bassa.

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Prospetto EST

Prospetto OVEST

Prospetto SUD

Prospetto NORD

SCALA 1:200

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AA

Le case unifamiliari associate sono edifici che pur essendo composti da più alloggi prevedonoun ingresso indipendente. Questa tipologia incude al suo interno 3 gruppi diversi :

-Con alloggi abbinati: hanno in comune tra loro solo un muro perimetrale mentre gli altri tre latisono liberi.

-Con alloggi raggruppati : sono tipi di abitazioni costituiti dall'unione di 4 appartamenti accostatitra loro in modo tale che ciascuno di essi presenti 2 muri perimetrali in comune e 2 liberi ed accessidiretti ed indipendenti.Questa tipologia presenta alcuni inconvenienti quali: orientamento e ventilazione.

Muro in comuneSEZIONE A-A

Pianta alloggioScala 1:200

Muratura comune

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-Con alloggi sovrapposti si presentano con un appartamento posto al piano terra e comunicante

direttamente all’esterno con il livello stradale, ed un altro appartamento posto al 1 piano, cui si accede

direttamente all’esterno mediante una scala indipendente.

Come si può notare questa tipologia viene impiegata nei casi dove il suolo su cui sorge l'abitazione è in

pendenza.

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L2

S P

K

WC

R

INGRESSO

STUDIO

L3

L1

WC/

LAVANDERIA

R

BOX AUTO

RISERVA

IDRICA

INTERCAPEDINE

WC

TAVERNETTA

WCL1

A AA

A

AA A

A

B

Scala 1:200 Piano seminterrato Piano rialzato Piano 1° Pianta copertura

B

Le case associate a schiera sono l'elemento edilizio che ha maggiormente caratterizzato leespansioni delle città medievali ed è una tipologia ripresa ai nostri tempi per soddisfare i bisogni dicasa indipendente ma con inferiori costi, rispetto la casa singola, sia di produzione che dimanutenzione.Le principali caratteristiche di questa tipologia sono: sviluppo su di un suolo lungo e rettangolareavente un'ampiezza di 5-6 metri, la presenza della strada su di un lato, muri perimetrali comunicantie l'affaccio limitato solo sui due lati corti, si sviluppa su 2 o 3 piani, quello inferiore adibito a zonagiorno mentre il superiore e zona notte.A questi si aggiungono il piano seminterrato o interrato.

Esempio di casa a schieraProgettato ed eseguito dall'alunno Facendola Nicola, con la supervisione del docente di disegno eprogettazione Arch. Perrone Lucia. (AS 2012/2013)

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Pianta abitazionevista planimetrica

Sezione trasversale A-A

Sezione longitudinale B-B

Prospetto Sud

Prospetto Nord

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CASE PLURIFAMILIARI

Le case plurifamiliari isolate sono fabbricati liberi da ogni lato, aventi al centro una zona diingresso comune che comunemente è il vano scala- ascensore.

La casa torre appartiene alla classe tipologica delle residenze plurifamiliari. E' costituita daorganismi abitativi elementari, generalmente con affacci su più fronti, distribuiti su più pianicollegati fra loro da una scala comune, anche con ascensore. Sono classificati a torre anche edifici disoli 2 piani, purché isolati e aperti su tutti i lati.

SCALA 1:200

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Le case plurifamiliari contigue hanno i muri perimetrali in comune e si suddividono in:

plurifamiliari contigue in linea, a blocco e a ballatoio.

-Le case in linea vanno a sostituire le case a schiera nel momento in cui le esigenze abitative cambiano.

Questa tipologia è un impianto strutturale determinato dall'aggregazione di almeno due palazzine

unifamiliari. Il numero di piani varia da tre fino a sei, per ogni piano possono esserci da due fino a

quattro e più alloggi e infine il vano scala che è in comune.

Il corpo di fabbrica ha generalmente dimensioni costanti lungo l'asse trasversale e può crescere

indefinitamente lungo l'asse longitudinale. Questo tipo di soluzione abitativa è detta "a stecca" (a)

quando l'asse longitudinale è rettilineo, "a crescente" (b) quando tale asso è curvo, "ad angolo" (c)

quando segue assi di aggregazione ortogonali.

a)

b)

c)

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- Le case a blocco sono caratterizzate da un fabbricato che prevede vari appartamenti disposti supiù piani, raggruppati intorno a un cortile scoperto, che solitamente distribuisce accessidifferenziati alle varie porzioni residenziali, raggiungibile direttamente dalla strada mediante uno opiù portoni d'ingresso, a seconda delle dimensioni e dell'estensione planimetrica dell'edificio.

SCALA 1:200

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SCALA 1:200

SEZIONEPIANTA ALLOGGI DUPLEX LIVELLO ZONA GIORNO

PIANTA ALLOGGI DUPLEX LIVELLO ZONA NOTTE

-Le case a ballatoio (anche dette di ringhiera) rappresentano una particolare tipologia diappartamenti in cui i ballatoi sono usati come spazi comuni per accedere alle diverse stanze o, nelcaso di un condominio, alle singole unità abitative.

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Le case collettive sono quelle case plurifamiliari che hanno molte cellule abitative all’interno del

quale si possono trovare ristoranti, lavanderie, bar ecc.

Esempio di questa tipologia abitativa sono:

a) Residenza universitaria: soddisfa le esigenze degli studenti fuori sede di avere, con costi minimi, una abitazione in cui sia garantita la privacy e la personalizzazione. In genere i mini alloggi sono abitati da due, massimo tre studenti. E’ completata da diverse strutture di servizio collettive.

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b) l'Unità Abitativa di Marsiglia è una delle opere più importanti dell'architetto Le Corbusier e si

tratta di un edificio conosciuto a livello mondiale, il cui realizzatore sosteneva che le costruzioni, così

come le persone, hanno piedi, corpo e testa. Questo edificio ospita 1600 abitanti ed è caratterizzato da

appartamenti uniti da lunghi corridoi e da una terrazza con vari giochi. Ogni unità abitativa è del tipo

"duplex", cioè disposto su due livelli diversi accessibili mediante una scala interna. Gli ingressi sono

disposti lungo un corridoio-strada situato ogni due piani. Al settimo e ottavo piano sono presenti una

parte dei servizi generali necessari alla popolazione (asilo nido, negozi, lavanderia, ristorante, ecc.), in

modo da eliminare, secondo la teoria di Le Corbusier, il salto dimensionale tra il singolo edificio e la

città, cosicché il primo divenga un sottomultiplo della seconda. L'architetto iniziò il progetto della

struttura nel 1946 e lo terminò nel 1952; attualmente è possibile visitare uno dei piani intermedi in cui

visono servizi in comune ed inoltre l'ufficio turistico propone visite guidate all'intero complesso.

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c) la Torre David o Torre de David è un palazzo modernissimo, ricoperto su tre lati di vetrate a

specchio, nel cuore di Caracas: una grande incompiuta di 45 piani. I primi 28, da anni, sono occupati

da circa 2500 squatter che hanno eletto la torre come loro casa. Non ci sono bagni, mancano

pure i muri e anche le balaustre dei terrazzi, fatte in mattoni, sono un "accessorio" che è spuntato da

poco: questo dopo che più di qualche inquilino è volato nel vuoto per oltre 20 piani.

La costruzione risale al 1990: doveva ospitare appartamenti di lusso, uffici e anche la sede di una delle

piu importanti banche del Venezuela con tanto di eliporto. A finanziare la costruzione fu il magnate

David Brillembourgh, allevatore di cavalli, uomo d'affari e amico di Hugo Chavez, scomparso per una

malattia nel 1993.

Allora il governo venezuelano, riporta il New york Times, aveva acquisito tutti i suoi beni ma il palazzo

non fu mai completato a causa della crisi economica che colpì lo stato.

La Torre de David, dal nome del suo creatore, compare anche nel libro "Shadow Cities: A Billion

Squatters, A New Urban World" scritto dal giornalista americano Robert Neuwirth come,

probabilmente, il più grande edificio occupato del ''mondo''.

Urban-Think Tank, Iwan Baan e Justin McGuirk, indagano il carattere di un grattacielo occupato e, con

un bar temporaneo alle Corderie, portano a Venezia un pezzo di Caracas vincendo così il Leone d'Oro.

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