PCR Patient and Cardiovascular Risk - n°1 Gennaio/Marzo 2011

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TRIMESTRALE DI AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO Anno III - N. 1, 2011 Tra scienza, coscienza e portafoglio: a chi l’ultima parola? Appropriatezza terapeutica e prescrittiva La cardioselettività nell’insufficienza cardiaca Rilevanza clinica della pressione arteriosa centrale L’automisurazione pressoria e la donna Antiinfiammatori non steroidei nel paziente ad elevato rischio cardiovascolare Le Aziende Sanitarie Locali nel processo di valutazione e miglioramento dell’aderenza al trattamento in ambito di prevenzione cardiovascolare Il paziente davanti al suo rischio cardiovascolare

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TRIMESTRALE DI AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO - Tra scienza, coscienza e portafoglio: a chi l’ultima parola?

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T R I M E S T R A L E D I A G G I O R N A M E N T O S C I E N T I F I C OAnno I I I - N. 1, 2011

Tra scienza, coscienza e portafoglio: a chi l’ultima parola?

Appropriatezza terapeutica e prescrittiva

La cardioselettività nell’insufficienza cardiaca

Rilevanza clinica della pressione arteriosa centrale

L’automisurazione pressoria e la donna

Antiinfiammatori non steroidei nel pazientead elevato rischio cardiovascolare

Le Aziende Sanitarie Locali nel processo di valutazione e miglioramento dell’aderenza al trattamento

in ambito di prevenzione cardiovascolare

Il paziente davanti al suo rischio cardiovascolare

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EditoreSINERGIE Edizioni Scientifiche S.r.l.Via la Spezia, 1 - 20143 MilanoTel./Fax 02 58118054E-mail: [email protected]

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Comitato scientifico Vittorio CostaAda DormiClaudio FerriGuido GrassiGiuseppe ManciaDario ManfellottoEnzo ManzatoSimone MininniMaria Grazia ModenaMaria Lorenza MuiesanRoberto PontremoliGiuseppe RosanoEnrico StrocchiStefano TaddeiBruno TrimarcoPaolo VerdecchiaAugusto Zaninelli

A n n o I I I - N . 1 , 2 0 1 1

TRIMESTRALEDI AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO

Tra scienza, coscienza e portafoglio: a chi l’ultima parola?Prof. Claudio Borghi & Ettore Ambrosioni

Appropriatezza terapeutica e prescrittivaDr. Fabio Lucio Albini

La cardioselettività nell’insufficienza cardiacaDott. Eugenio Roberto Cosentino, Dott.ssa Elisa Rebecca Rinaldi, Prof. Claudio Borghi

Rilevanza clinica della pressione arteriosa centraleMaria Lorenza Muiesan, Massimo Salvetti, Anna Paini, Claudia Agabiti Rosei, Carlo Aggiusti

L’automisurazione pressoria e la donnaDr.ssa Cristiana Vitale

Antiinfiammatori non steroidei nel paziente ad elevato rischio cardiovascolareProf. Claudio Ferri, Livia Ferri

Le Aziende Sanitarie Locali nel processo di valutazione e miglioramento dell’aderenza al trattamento in ambito di prevenzione cardiovascolareDr. Luca Degli Esposti

Il paziente davanti al suo rischio cardiovascolareDr. Simone Mininni, Dr. Mauro Vannucci

Capo redattore Eugenio Roberto Cosentino

Redazione scientifica Cristiana VitaleBarbara CaimiElisa Rebecca Rinaldi

Segreteria di redazione SINERGIE Edizioni Scientifiche [email protected]

Impaginazione SINERGIE Edizioni Scientifiche S.r.l.

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Note di servizio al numero 4/2010 Relativamente all’articolo “La modulazione del RAS con gli antagonisti recettoriali dell’angiotensina II: differenze sperimentali ecliniche”, l’Autore precisa che: 1. La numerosità della popolazione in Studio per quanto riguarda la molecola telmisartan e riportata in tabella 1 è stata erronea-mente trascritta; la numerosità è di 52000 pazienti.2. Nelle figure 2, 3 e 4 la stella indica la rimborsabilità approvata e non l’indicazione ottenuta AIFA.

L’editore si scusa con Bracco S.p.A. per l’errore di stampa in cui è saltata una riga ti testo nell’ADV.

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Tra scienza, coscienza e portafoglio:a chi l’ultima parola?Gli enormi progressi compiuti dalla medicina nel corso degliultimi cinquant’anni hanno migliorato lo stato di salute, allun-gato la durata della vita e portato la spesa per l’assistenza vici-no al limite di sostenibilità per tutti i paesi. Questo aumentodei costi apparentemente incontrollabili, costituisce oggi ungrosso ostacolo alla utilizzazione ed alla implementazione deibenefici prodotti dalla medicina. Di fatto le autorità sanitariedi vari stati europei, Italia compresa, hanno assunto iniziativevolte a contenere l’aumento della spesa sanitaria basatequasi esclusivamente su limitazioni alla prescrizione dei far-maci e delle indagini strumentali e di laboratorio.L’attuazione di questa iniziativa non è stata però associata nefatta seguire da verifiche sulla qualità dell’assistenza e su i costia carico del servizio sanitario nazionale, che ne potevano deri-vare. La conseguenza di una mancata valutazione del rappor-to costo/ beneficio delle iniziative intraprese è stata quella dicadere nel grave errore di ritenere che “spendere meno“ infarmaci e procedure diagnostiche si dovesse tradurre in un“risparmio economico“ scevro di conseguenze per la salute. Un modello paradigmatico di quanto fallace sia questo tipo diimpostazione è rappresentato dagli interventi attuati nell’am-bito delle malattie cardiovascolari. Queste, come è noto con-tribuiscono in maniera sostanziale e crescente ai costi dellasanità. In particolare l’ipertensione arteriosa che rappresenta ilpiù importante fattore di rischio per la morbilità e mortalitàcardiovascolare. Essa colpisce circa il 38% della popolazioneitaliana, necessita di un trattamento farmacologico per tutta lavita attingendo ad un ampio armamentario di farmaci anti-ipertensivi. E poiché questi farmaci presentano un prezzo diacquisto abbastanza diverso hanno conosciuto forti limitazio-ni nella scelta del loro impiego. L’intendimento era quello dispendere meno, ma dimenticava completamente che il prez-zo di acquisto degli anti-ipertensivi incide al più solo marginal-mente sul costo globale del paziente iperteso. Al costo globale del paziente iperteso concorrono voci come:visite mediche; indagini strumentali e di laboratorio; compli-canze cardiovascolari gravemente invalidanti e costose comeictus, infarto del miocardio, scompenso cardiaco,insufficienzarenale; eventuali ricoveri ospedalieri; costo della terapia.Quest’ultimo a sua volta si articola in: controlli medici, perdi-ta di ore di lavoro, aderenza e persistenza in terapia, control-li di laboratorio, e prezzo di acquisto dei farmaci. Corre l’ob-bligo di ricordare, se rivuole prendere la misura del peso realedel prezzo d’acquisto sul costo globale, che il solo cambiareterapia passando dall’impiego di un farmaco ad un altroaumenta i costi della terapia di un 20%, che la comparsa dieffetti indesiderati è causa di interruzione del assunzione deifarmaci nel 51% degli ipertesi.La chiave di volta della riduzione dei costi della ipertensione

arteriosa è rappresentata dal controllo dei valori pressori ilprincipale determinante della prevenzione degli eventi car-diovascolari. Il paziente iperteso con mancato controllo dellapressione arteriosa costa al servizio sanitario molto di più diquanto non costi curarlo indipendentemente dal prezzo diacquisto del farmaco impiegato. Nell’ambito di un recentestudio riferito alla comunità europea è stato calcolato che ilmancato controllo della pressione arteriosa in Italia costi alservizio sanitario circa 15 miliardi di euro per anno. Addirittura4 miliardi di euro in più di quanto costerebbero i farmaci anti-ipertensivi necessari a trattare tutti gli ipertesi italiani.Spendere meno negli esami diagnostici e nei farmaci anti-iper-tensivi vuol dire spendere alla fine molto di più, curando inmodo insufficiente. Risparmiare significa mantenere e o miglio-rare la qualità dell’assistenza spendendo meno e allo stessotempo prevenendo ed alleviando grandi sofferenze. Un'altracomponente dell’iniziativa “spendere meno”, ancora più gravi-da di conseguenze negative delle precedenti, è quella di avereproposto incentivazioni per il medico curante che riduceva laspesa per l’assistenza dei suoi pazienti e o richiamando i medi-ci che non si adeguavano a questo indirizzo. “Distrarre” il medi-co dal suo obiettivo primario di controllare la pressione arterio-sa, accrescendo le obiettive difficoltà del suo programma tera-peutico non può che contribuire a mantenere all’attuale livellodell’80% il numero di ipertesi con la pressione non controllata equindi esposti al rischio delle complicanze cardiovascolari.E’ invece altamente auspicabile che venga prevista una incen-tivazione economica per il medico che attua un risparmiocurando al meglio il suo paziente. A questo fine sarà opportu-no allargare anche all’Italia il programma in corso in alcuni paesieuropei dove il parametro di riferimento è la qualità della curaerogata al suo paziente valutata su gli obiettivi conseguiti (es.controllo pressorio, riduzione del rischio CV globale, etc.). Unaproposta da parte dei medici italiani rappresenterebbe unsegnale molto importante. Rappresenterebbe la loro preoccu-pazione che l’iniziativa di “spendere meno“ possa interferirenel rapporto medico-paziente e costituire un pericolo per lapossibilità del medico di fare appieno l’interesse del paziente. Deve essere obiettivo di tutti pazienti, autorità sanitarie,medici prendere una direzione opposta a quella attuale: mira-re la risparmio dei costi innalzando la qualità della cura. Lastrada maestra per il raggiungimento della meta rimane quel-la di facilitare l’opera del medico ad agire assolutamente in”scienza e coscienza“ per la salute dei suoi pazienti e le cassedel servizio sanitario nazionale.

Claudio Borghi & Ettore AmbrosioniCattedra di Medicina InternaUniversità degli Studi di Bologna

Editoriale

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Appropriatezza terapeutica e prescrittiva(controllo dell’ipertensione nella prevenzione e terapia delle malattie CV)

BackgroundL'evidenza statisticamente più rilevante degli ultimi decenni è ilnotevole allungamento del periodo di vita nei paesi occidentalie in particolare in Italia: in soli 30 anni la vita media è aumenta-ta di più di 6 anni e la tendenza è in ulteriore crescita. Ben 4 diquesti anni “salvati” sono attribuibili ai progressi nellaPrevenzione e terapia delle malattie CV.La lotta al fumo e il contrasto dell'ipertensione e della iperco-lesterolemia hanno dato i risultati più incoraggianti, seppurmolto migliorabili, mentre in controtendenza risultano inci-denza e prevalenza di obesità, sindrome metabolica e diabe-te. Rimane però ancora molto da implementare visto che mor-talità, morbilità e postumi invalidanti relati alle malattie CVsono ancora ben saldamente al primo posto nelle statistiche

italiane (fig. 1). E ancora, vi è sì una vita più lunga ma spessodi scarsa qualità.La prevenzione CV, che riguarda il lavoro di tutti i Medici diMedicina Generale (MMG = 42.000 in Italia) e di moltissimi spe-cialisti, è sicuramente molto costosa, ma è estremamente effica-ce per ridurre mortalità, morbilità e invalidità permanente e icosti che ne derivano (fig. 2).La spesa per i farmaci utilizzati nel cardiovascolare rappresenta inItalia circa il 70% della spesa farmaceutica globale. Ma la spesafarmaceutica rappresenta solo il 13% della Spesa SanitariaGlobale, mentre quella per beni, servizi e personale (cioè ospe-dali) rappresenta il 60% (fig. 3): ne consegue che terapie ben con-dotte nel tempo possano ridurre grandemente anche gli enormicapitoli di spesa relativi ai ricoveri in area cardiovascolare.

Dr. Fabio Lucio Albini Internista, Cardiologo e Medico di MG - SIIA (Società Italiana Ipertensione Arteriosa) e SNAMIDCommissione Prevenzione CV reg Lombardia (00-05) - Docente e Tutor corsi formazione in Medicina Generale

In questo articolo vengono analizzati i criteri per l’appropriatezza terapeutica e prescrittivaalla luce degli enormi costi legati alla non aderenza e persistenza alla terapia

La patologia cardiovascolare è ancora la principale causa di morte

Dati 2002

35

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15

10

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% Tutte le m

orti (uomini +

donne)

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Num

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di m

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)

Malattia cardiacae stroke

Cancro Incidenti Patologie cronicheapparato respiratorio

Diabete

Nr. di morti(asse sx)

Uomini

Donne

% di tutte le morti(asse dx)

Figura 1

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Nell’ analisi delle evidenze per stabilire gli obiettivi prioritari distrategie di prevenzione appropriate, non ci si può basare sulsolo prolungamento della vita media, ma su un allungamentodel periodo di vita "event-free" (cioè qualitativamente buono)con riduzione dei costi a medio e lungo termine (fig. 4).Di tutti i Fattori determinanti il Rischio CV l'IpertensioneArteriosa, oltre che il maggiormente rappresentato nella popo-lazione adulta è anche sicuramente il più “pesante”: basti pen-sare che 2 particolari esiti clinici (Scompenso e FA) provocatidall’ ipertensione non efficacemente trattata nel tempo, sono

responsabili di più di 200.000 ricoveri/anno, con riospedalizza-zione a 6 mesi del 50%, e coprono da soli il 3-3.5% di tutta laspesa sanitaria globale.

Ipertensione e Prevenzione CV: cosa si è fatto finora e cosa rimane da implementareIl 48% della popolazione italiana adulta (fra i 35 e i 75 anni) pre-senta una condizione di ipertensione, con tendenza a prevalen-za fino all’80% dopo i 75 anni. Dagli anni 1970 in avanti, graziead una sempre maggior disponibilità di efficaci molecole e alla

Costi delle malattie c.vascolari

European Heart Journal (2006) 27, 1610-1619

5000

4000

3000

2000

1000

0ITALIA

mili

oni E

uro/

anno

C.IschemicaCerebro-vasc.Scompenso Cardiaco

21202602

4199

Figura 2

Ripartizioni % funzioni di spesa sulla spesa totale - anno 2003

Personale

Beni e servizi

Assistenza Sanitaria di Base

Farmaceutica

Ospedaliera Convenzionata

Specialistica Convenzionata

Altre Prestazioni

Oneri Finanziari

Personale34,56%

Beni e servizi23,11%

Medicinadi Base5,92%

Farmaceutica13,82%

OspedalieraConvenzionata

10,43%

SpecialisticaConvenzionata

3,48%

AltrePrestazioni

8,45%

OneriFinanziari

0,22%

Figura 3

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presenza di validi poli di formazione e ricerca (Milano ne è soloun esempio) si è assistito ad una progressiva drastica riduzionedi mortalità e morbilità CV legate ad eventi CV maggiori. E neidecenni successivi, quando si è iniziato ad operare anche suglialtri fattori di rischio coesistenti, questo trend è ulteriormentemigliorato. Grandi progressi per la mortalità, ma meno per lamorbilità CV. Rimane una quota consistente di beneficio atteso(dall'uso delle terapie antiipertensive e con statine) che si faticaad ottenere: è il fenomeno del “rischio CV residuo”, ben notoagli ipertensiologi ed ai lipidologi. Per ridurre la quota di rischio CV residuo ed ottenere un ulterio-re beneficio come allungamento del periodo event-free, vi è con-senso nel proporre: a) più ambiziosi target terapeutici per l'iper-tensione (tranne che nei grandi anziani); b) miglior aderenza epersistenza in terapia e un contrasto all’inerzia terapeutica; c) anti-cipare di qualche anno l'inizio della terapia: se si tarda troppo cipuò essere una componente di irreversibilità nello sviluppo deldanno d'organo; d) Utilizzo di farmaci che permettano un migliorcontrollo della PA in tutte le 24 ore e una minor variabilità pres-soria; e) E infine un maggior sinergico controllo degli altri FR asso-ciati all'ipertensione (obesità, sedentarietà, fumo, LDL, diabete).In Lombardia i data base amministrativi dimostrano che Il 50%degli ipertesi sospende la terapia almeno una volta nei 5 annisuccessivi, mentre il 65% assume il farmaco in modo assoluta-mente discontinuo. Ogni iperteso che assume il farmaco in mododiscontinuo “sciupa” 18.000 euro ogni 10 anni. E ancora, attual-mente il periodo medio “coperto” dalla assunzione di terapia inun iperteso è del 52% mentre dovrebbe tendere almeno all’80%per essere costo-efficace a livello di popolazione.Pertanto tutti gli interventi che migliorano aderenza e persisten-za in terapia (quali una buona comunicazione medico-paziente el’uso di farmaci appropriati e ben tollerati) e che contrastanol’inerzia terapeutica, sono efficaci e anche costo-efficaci.

Quali sono i cardini di ogni strategia di intervento preventivo?(fig 5) Se analizziamo bene la Figura, notiamo subito che il punto3 è quello essenziale e che ricapitola tutte le energie investite,sia umane che economiche; ma è anche quello meno misuratoe, purtroppo, più disatteso.

Definizione di appropriatezza terapeuticaAbitualmente gli epidemiologi e gli strenui sostenitori della evi-dence-based medicine, ci propongono un modello dove il rap-porto costo/efficacia (quanto devo spendere con quel farmacoper evitare un evento) è totalizzante ma molto riduttivo. Infatti igrandi trial di intervento che sottendono queste analisi possonosvilupparsi per un numero molto limitato di anni, periodo spes-so insufficiente ad osservare gli effettivi eventi risparmiati con unbuon trattamento duraturo. Il che non significa che invece da unpunto di vista clinico vi possano essere enormi benefici nelmedio-lungo periodo; e le Linee Guida principali (ESH-ESC-ATPIII- SPREAD) sono culturalmente basate sulle vastissime eviden-ze “ragionate” estratte dalla letteratura scientifica e da migliaiadi validi studi clinici.

Ma la spesa farmaceutica rappresenta solo il 13% dellaSpesa Sanitaria Globale, mentre quella per beni, servizie personale (cioè ospedali) rappresenta il 60%.

La lotta al fumo e il contrasto dell'ipertensione e dellaipercolesterolemia hanno dato i risultati più incorag-gianti, seppur molto migliorabili, mentre in controten-denza risultano incidenza e prevalenza di obesità, sin-drome metabolica e diabete.

Futuri scenari per morbilità e mortalità cvAree Blu: carico economico complessivo sul SSN

Modificato da Fries JF, Ann Intern Med 2003

Primo Evento CV

55 yrs

55 yrs

76 yrs

80 yrs

Morte

Attualmente (USA)

Solo aumento Vita Media

Allungamento del periodo privo di Eventi CV

80 yrs65 yrs

Figura 4

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Attualmente le uniche verifiche di “appropriatezza” al quale ilMMG è sottoposto da parte delle ASL riguardano la sua spesafarmaceutica “pesata” (cioè corretta per età ed esenzioni) siaglobale che per gruppi terapeutici e per singole molecole; que-sta spesa indotta dal singolo viene poi paragonata alla mediaprescrittiva degli altri MMG. Se lo scostamento supera il 30%scatta automaticamente il campanello d’allarme e le conseguen-ti verifiche amministrative. Inoltre parecchie ASL pongono deiseveri limiti alla prescrizione di alcuni efficaci ma costosi gruppiterapeutici (soprattutto Sartani e Statine) producendo PDTAlocali (avulsi dalle principali LG di riferimento) basati esclusiva-mente su evidence-based criteria estratti da metanalisi di trialsspesso obsoleti o interpretati con parzialità. La reale appropria-tezza terapeutica va invece anche verificata sul campo: efficacianel raggiungere e mantenere il target pressorio, gradimento delpz, aderenza e persistenza, riduzione dei ricoveri nelle specifichearee cardiocerebrovascolari.E’ pertanto necessario estendere la definizione diAppropriatezza terapeutica e prescrittiva ad evidenze clinicheoltre che farmaco-economiche (fig 6).

Appropriatezza prescrittiva: chi la definisce e con quali parametri?Attualmente gli organismi preposti al controllo della spesa farma-ceutica definiscono come appropriato l’intervento del MMG se

non vi è iperprescrizione (cioè se non spende più del 30% dellamedia dei colleghi) e se vi è sequela non tanto alle principali LGdel settore, ma a specifici PDTA aziendali (alcuni accettabili, main maggioranza finalizzati al puro contenimento di spesa)La scelta degli Indicatori è il vero problema per la valutazionedalla Appropriatezza. Quelli qui indicati sono tutti parametri fon-damentali e facilmente desumibili ed analizzabili dai data-baseamministrativi (DBA) e dalle cartelle cliniche dei programmi deiMG (CC), strumenti ufficiali dell’operato di ogni medico.1. Spesa “pesata” per ogni iperteso assistito (DBA).2. Definizione del livello di rischio CV (CC): un iperteso a rischioelevato (> 20%, o con eventi CV, o Danno d’organo o IRC oSindrome Metabolica o Diabete) necessita di interventi più pre-coci e incisivi.3. Aderenza e Persistenza in terapia (DBA e CC).4. Riduzione spese indotte dalle ospedalizzazioni (DBA) (areecardiovascolare, neurologica, nefrologica) rispetto alla mediaASL: misura non perfetta ma tendenzialmente indicativa dell’im-pegno del medico nel tempo e del suo “successo” nella preven-zione CV. Va analizzato il trend: questi dati risentono infatti deltempo della ridotta esposizione al rischio pressorio (buon con-trollo nelle 24 ore, assenza di discontinuità, rallentamento dellealterazioni strutturali negli organi bersaglio).5. Performance dell’indicatore: ottenimento e mantenimento deitarget nel tempo (CC): PA misurata in studio, medie dei diari di PAautomisurata a domicilio, ma anche LDL, CirconferenzaAddominale…. E’questo quel che manca clamorosamente comeanalisi e confronto con le medie degli altri medici. Ma è il dato piùimportante per la verifica di ogni appropriatezza prescrittiva, ed èfacilmente estraibile dai data base dei programmi gestionali delmedico, sempre che questi esegua i controlli e li riporti puntual-

Grandi progressi per la mortalità, ma meno per la morbili-tà CV. Rimane una quota consistente di beneficio atteso(dall'uso delle terapie antiipertensive e con statine) che sifatica ad ottenere: è il fenomeno del "rischio CV residuo".

Prevenzione

1 - Definizione e identificazione del Rischio del soggetto

2 - Interventi preventivi Appropriati

3 - Efficacia nel raggiungere e mantenere i target preposti

Figura 5

Appropriatezza terapeuticaSintesi clinica + farmaco-economica

Si definisce “Appropriato” un intervento terapeutico antipertensivo quando

Consenta di raggiungere e mantenere il target pressorio specifico per quel profilo di rischio CV(senza interferire inopportunamente con altre patologie e/o con altre terapie concomitanti)

Abbia un buon rapporto costo/efficacia

Corollario: farmaci poco tollerati possono ridurre aderenza e persistenza, influendo sull’appropriatezza

Figura 6

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mente in cartella. E’ cattiva abitudine (e rischiosa) limitarsi a segna-re i valori dei parametri pressori solo quando sono alterati (fig 7).

Come agire professionalmente bene e difendersi dalle “critiche”delle ASL? L'aiuto delle LG e delle cartelle cliniche elettronicheIl MMG, occupandosi continuativamente della Persona, è lafigura professionale più indicata a effettuare la Prevenzione CV,che si articola nel medio-lungo periodo: educazione, counse-ling, rinforzo della compliance agli interventi, verifiche periodi-che dei risultati. Negli ultimi 10 anni difficoltà di ordine finanzia-rio inducono sempre più SSN, Regioni e ASL a contrarre lespese coercibili in tempi brevi: il MMG, “prescrittore ufficiale” difarmaci e accertamenti diagnostici, è stato identificato come ilprincipale strumento di “freno”. Ne consegue un difficilissimoruolo, in bilico fra due opposte esigenze: a)da un lato le LG(ESH-ESC 2007; ATP III; SPREAD…) indirizzano ad un correttoutilizzo di diagnostica e farmaci per la salute attuale e futuradella persona. B) dall’altro PDTA aziendali, note AIFA e continueminacce di sanzioni amministrative e pecuniarie spingono sem-pre più ad una drastica riduzione delle spese per la Prevenzione.E ancora: da un lato il MMG è tenuto ad aderire ai PDTA e aibudget aziendali (rischia pesanti perdite economiche personali osanzioni); dall’altro in ogni eventuale procedimento penale ilMMG soccomberà se non avrà agito nell’interesse della perso-na sua assistita e secondo LG autorevoli!In questa paradossale situazione un Medico che voglia curarbene i propri assistiti secondo scienza e coscienza, come puòtrovare comportamenti professionali validi e amministrativamen-te meno rischiosi?La risposta come già accennato, sta nel ragionato utilizzo dei con-tenuti delle LG (ESH 2007) applicato al singolo individuo: strati-ficazione del rischio CV individuale con ricerca del danno d’orga-no preclinico, interventi con farmaci efficaci nel raggiungimentoe mantenimento del target specifico, che favoriscano buonacopertura delle 24 ore e non sgraditi al pz. Ma sta anche nel cor-retto utilizzo dei programmi di gestione (CC), senza dimenticare

di annotare con cadenze periodiche i parametri rilevati durante levisite: frequenza di misura della PA, valori di PA, percentuale di PA<140/90 (o < 130/80 nell’alto rischio) sul totale delle misure effet-tuate, percentuale di LDL < 100 (o < 70 nel rischio elevato), anda-mento della circonferenza addominale, quanti sospendono ilfumo e quanti intraprendono attività fisica…Ad esempio un MMG può valutare e mostrare alla ASL la pro-pria performance nell’ipertensione estraendo la percentuale dipropri pz a target (con almeno 3/4 dei valori <140/90), e con-frontarla con la performance percentuale media(=21% degliipertesi in Lombardia) fornita dai data-base amministrativi. Unmedico può spendere “100” e mantenere questa scoraggianteperformance sui propri ipertesi (21%), mentre un altro può spen-dere “130” e mantenere una performance del 70%. E’ chiaroche sarà questo secondo medico ad avere la miglior appropria-tezza prescrittiva.

Sintesi OperativaE’ essenziale in questo periodo un chiaro messaggio culturaleunitario e condiviso da tutte le Società Scientifiche di settore,che venga recepito e fatto proprio da SSN, AIFA, Regioni, ASL:spiegare i grandi benefici a medio e lungo termine (in qualità divita e in risparmio economico) che si possono ottenere dalla cor-

Spiegare i grandi benefici a medio e lungo termine (inqualità di vita e in risparmio economico) che si possonoottenere dalla corretta applicazione e implementazionein MG delle Linee Guida di riferimento (ESH 2007, ATPIII, SPREAD).

E’ pertanto necessario estendere la definizione diAppropriatezza terapeutica e prescrittiva ad evidenzecliniche oltre che farmaco-economiche.

APPROPRIATEZZA TERAPEUTICA E PRESCRITTIVAElenco dei Parametri indispensabili per la definizione del vero rapporto di costo-efficacia

nel tempo. Parametri già tutti estraibili dai data-base ASL e dai programmi elettronicidi gestione delle cartelle cliniche dei MMG

Presenza o assenza di rischio CV >20% o pregressi Eventi o Danni d’organo o IRC o Dabete

Spesa farmacologica per gruppo terapeutico e per singola molecola

Aderenza e Persistenza in terapia per gruppi e per singole molecole

Spese di Ospedalizzazione generali e per singole aree

Performance degli indicatori di efficacia = raggiungimento o miglioramento dei target nel tempoPA <140/90 LDL <100 Circonferenza Add <102 o < 88

Figura 7

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retta applicazione e implementazione in MG delle Linee Guidadi riferimento (ESH 2007, ATP III, SPREAD).Applicare correttamente le norme di Good Clinical Practicesecondo le evidenze delle LG ed eseguire periodicamente icontrolli dei risultati da noi ottenuti, segnando i parametri sopraindicati in cartella elettronica (CC), consente di:• Operare nel tempo una Prevenzione efficace, consentendomiglior sopravvivenza e soprattutto qualità della vita (eticità)• Ridurre enormemente i costi socio-sanitari a medio e lungotermine (economicità)• Una inattaccabilità dal punto di vista penale ed una solidadifesa di fronte ai controlli aziendali sulle nostre spese.

Due corollari interessanti1. E' giusto parlare di farmaci di prima scelta nell’ipertensione?L’iperteso standard o l’iperteso medio non esiste nella pratica cli-nica; per cui non è conveniente parlare di farmaci di prima o diseconda scelta. Quel che conta è la riduzione protratta nel tempodei valori pressori sotto i target stabiliti per quel singolo individuo.2. Esistono gruppi di farmaci che contribuiscono a “rallenta-re” la progressione delle alterazioni strutturali che l’iperten-sione provoca a livello degli organi bersaglio (cuore, arterie,rene, cervello)?Come già detto quel che conta prioritariamente è la riduzioneprotratta nel tempo dei valori pressori di per sè. Ma le quattrocategorie di farmaci che in qualche modo influiscono sull’asseRenina-Angiotensina-Aldosterone (ACE-inibitori, antagonistiAT1 angiotensina II o “sartani”, inibitori renina, antialdosteroni-ci) mostrano delle peculiari interferenze sulla evoluzione oregressione del danno prodotto dall’ipertensione e rappresen-tano un beneficio “aggiuntivo” alla riduzione pressoria.Citiamo qui come esempio il caso degli inibitori recettoriali AT1dell’angiotensina II ( ARBs o Sartani). L’angiotensina II presentadiverse azioni fisiopatologiche che possono essere antagonizza-te dal blocco recettoriale con Sartani:• Disfunzione endoteliale • Effetti pro-infiammatori e ossidativi su radicali liberi endoteliali• Accumulo di detriti macrofagici e di LDL nella matrice dellaplacca, con tendenza a vulnerabiltà• Proliferazione-iperplasia delle cellule muscolari lisce e dellamatrice proteica nelle pareti arteriose; Rimodellamento del tes-suto muscolare con accelerazione della ipertrofia ventricolare.Questi farmaci presentano i benefici aggiuntivi di: una ottimaaderenza e persistenza in terapia (relate al miglior gradimentoda parte dei pazienti); una riduzione di incidenza e prevalenza diIVS, FA e scompenso cardiaco; una minor progressione deldanno endoteliale con tendenza alla stabilizzazione delle plac-che “vulnerabili”; una minor progressione del danno glomerula-re e proteinurico. Sempre sul tema dei benefici aggiuntivi vi èancora una molecola particolare, il telmisartan , che presentaoltre gli effetti di classe tre caratteristiche esclusive: coperturacompleta delle 24 ore con spiccata riduzione della variabilitàpressoria; non eliminazione del farmaco per via renale (che nepermette l’uso senza titolazione anche nelle IRC); spiccata indu-

zione, già alle normali dosi usate per l’ipertensione, delle PPAR-gamma, fondamentale “controller” del metabolismo glicidicoche ripristina la sensibiltà insulinica negli adipociti (effetto “glita-zonico”): caratteristica utile per quegli ipertesi in cui sono asso-ciate Sindrome Metabolica o Diabete.L’Aggiornamento 2009 delle Linee Guida Europee Ipertensione(update 2009 on ESH 2007) conferma che” i farmaci agenti a varilivelli sul sistema Renina-Angiotensina-Aldosterone (RAAs) trova-no indicazione specifica in un ampio numero di condizioni clini-che e che inoltre la grande maggioranza delle associazioni far-macologiche si basa proprio sull’impiego di queste classi di far-maci, che consentono di ottenere un elevato grado di cardioce-rebroprotezione e di nefroprotezione”.

Considerazioni FinaliE’ perfettamente vero che i criteri per l’appropriatezza terapeuticae prescrittiva si basano sull’analisi di costo efficacia di una moleco-la, di riduzione degli eventi (e conseguenti ricoveri) e di raggiun-gimento del target pressorio .Ma non sottovalutiamo anche alcu-ne doti cliniche delle singole molecole, quali la tollerabilità (> ade-renza e persistenza), la auspicabile ottimale copertura delle 24 orecon riduzione della variabilità pressoria, l’influenza sulla sensibilitàinsulinica (almeno il 30% degli ipertesi presenta SindromeMetabolica) e il rallentamento nella evoluzione dei danni agliorgani bersaglio. L’Iperteso costa molto: ma la spesa (impegnolavorativo + costi per diagnostica e farmaceutica) necessaria peruna applicazione pratica delle LG rappresenta un grande investi-mento etico ed economico. E non sono risorse irrorate “a piog-gia”, ma utilizzate nel singolo individuo per ottenere il massimovantaggio: la riduzione di incidenza e prevalenza di morbilità CV.

Bibliografia- European guidelines ESH/ESC 2007 for the Management of ArterialHypertension. J Hypertens 2007;25:1105-1187. “Guidelines on HypertensionManagement Revisited in 2009” - An ESH position statement. 19th EuropeanMeeting on Hypertension.- Atlante italiano delle malattie cardiovascolari in www.cuore.iss.it.- Corrao G et al. Better Compliance to Anti Hypertensive MedicationsReduces Cardiovascular Risk. J Hypertension. 2010 (in press).- Zanchetti A et al. Failure of Current Treatments to Remove a High RiskCondition. J Hypertens. 2009.- Elliott WJ. What Factors Contribute to the Inadequate Control of ElevatedBlood Pressure? J Clin Hypertens. 2008; 10 (1 suppl 1): 20-26.- Sokol MC, et al. Impact of medication adherence on hospitalization riskand healthcare cost. Med Care. 2005;43:521-530.- Schiffrin EL. Vascular and cardiac benefits of angiotensin receptor blockers.Am J Med 2002;113:409-418.

….il telmisartan, che presenta le seguenti caratteristi-che: copertura completa delle 24 ore con spiccata ridu-zione della variabilità pressoria; non eliminazione delfarmaco per via renale; spiccata induzione, già alle nor-mali dosi usate per l’ipertensione, delle PPAR-gamma,fondamentale “controller” del metabolismo glicidico.

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La cardioselettività nell’insufficienza cardiaca

Il sistema nervoso adrenergico risulta sempre marcatamenteattivato nello scompenso cardiaco. I livelli di noradrenalina cir-colante sono usualmente elevati a riposo (tale riscontro rap-presenta inoltre un segno prognostico negativo) ed ancora dipiù possono aumentare in seguito all’esercizio fisico (Fig. 1). Alcontrario, il contenuto di noradrenalina nel tessuto miocardicoè di solito ridotto, così come la densità dei recettori beta-adre-nergici (fenomeno della down-regulation) e la concentrazionedell’AMP ciclico. Probabilmente tali modifiche a livello localesono dovute alla precedente prolungata attivazione adrener-gica sul tessuto miocardico. Qualunque sia il meccanismopatogenetico di tali eventi, tutt’oggi non ancora ben chiariti,negli stadi più avanzati della malattia si assiste ad una maggio-re dipendenza del miocardio dalla stimolazione adrenergicaextracardiaca (midollare delle ghiandole surrenali); tale stimo-lazione adrenergica generalizzata può a sua volta essereresponsabile di effetti non desiderabili quali l’aumento delleresistenze vascolari periferiche (e quindi del post-carico) non-ché la induzione di aritmie ventricolari. La noradrenalina libe-rata nelle terminazioni simpatiche renali attivate provoca inol-tre vasocostrizione delle arteriole efferenti, venendo a favorireil riassorbimento tubulare di sodio. La concentrazione plasma-tica di dopamina risulta aumentata nello scompenso, proba-bilmente per controbilanciare gli effetti di vasocostrizione delsistema renina-angiotensina. Gli effetti favorevoli del beta-blocco nello scompenso cardiaco possono essere sintetizzaticome effetti a livello miocardico, a livello neuroendocrino eda livello emodinamico. A livello miocardico i β-bloccanti sonoin grado di prevenire i fenomeni di tossicità catecolaminica.Essi esercitano un’azione anti-ischemica, riducendo la fre-

quenza cardiaca e aumentando il tempo di perfusione corona-rica in diastole ed esercitano anche una azione antiaritmica. Alivello neuroendocrino il beta-blocco è in grado di modularel’attivazione di vari sistemi, come dimostrato dalla riduzionedell’attività reninica plasmatica, e dei livelli di noradrenalina sianel plasma che nel seno coronarico. Dal punto di vista emodi-namico, la somministrazione cronica dei beta-.bloccanti ridu-ce la frequenza cardiaca, riduce significativamente la pressio-ne di riempimento ventricolare sinistra, mentre l’indice cardia-co e la pressione arteriosa tendono ad aumentare in manierapiù o meno significativa. Se da un lato gli ACE-inibitori, rispet-to ai beta-bloccanti, hanno la possibilità di essere utilizzati a

Dott. Eugenio Roberto Cosentino, Dott.ssa Elisa Rebecca Rinaldi, Prof. Claudio BorghiDipartimento di Medicina Interna, dell'Invecchiamento e Malattie Nefrologiche. Università di Bologna

Esiste ormai una chiara evidenza che supporta l’utilizzo dei β-bloccanti beta-1 selettivi nello scompenso cardiaco cronico, questo articolo metterà in evidenza le caratteristiche

peculiari di questi farmaci

Attivazione simpatica e prognosidello scompenso cardiaco

tratto da Cohn J et al, NEJM, 1984

100

80

60

40

20

0

Mor

talit

à to

tale

(%)

0 12Mesi

60483624

Noradrenalina > 900 pg/mlNoradrenalina > 600 pg/ml e ≤ 900 pg/mlNoradrenalina ≤ 600 pg/ml

Figura 1

IL contenuto di noradrenalina nel tessuto miocardico èdi solito ridotto, così come la densità dei recettori beta-adrenergici (fenomeno della down-regulation) e la con-centrazione dell’AMP ciclico.

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lungo termine e con dosaggi ottimali, dall'altro i beta-bloc-canti sono utilizzati in un numero significativamente inferioredi pazienti scompensati e ad un dosaggio sub-ottimale. Negliultimi anni si è fatta avanti la possibilità di utilizzare i beta-bloc-canti in sostituzione degli ACE-inibitori a partire dalle primissi-me fasi del trattamento dell'insufficienza cardiaca. Il razionaledi questa differente strategia si basa sull'osservazione di unaelevata incidenza di mortalità durante le prime fasi precocidell'insufficienza cardiaca, determinata principalmente dallamorte improvvisa, e sulla considerazione che i beta-bloccantihanno un maggior effetto protettivo sulla morte improvvisarispetto agli ACE-inibitori. L'opzione terapeutica che vedel'utilizzo del beta-bloccante a partire dalla fasi precoci dell'in-sufficienza cardiaca sarebbe giustificata dal punto di vista fisio-patologico, in quanto nelle prime fasi della malattia si osservauna forte attivazione del sistema simpatico, mentre il sistema

renina-angiotensina-aldosterone (RAA) viene attivato invecenegli stadi successivi (fig. 2). Successivamente l'utilizzo dei duefarmaci determina una soppressione delle concentrazioni diangiotensina II molto più efficace di quella ottenuta duranteuna terapia con gli ACE-inibitori utilizzati da soli. Queste con-siderazioni hanno portato alla costruzione del trial CIBIS III (fig.3). I dati provenienti dallo studio CIBIS III hanno dimostratocome l'utilizzo di bisoprololo in monoterapia come trattamen-to iniziale dell'insufficienza cardiaca non è inferiore all'utilizzodi enalapril in termini di efficacia clinica definita dall'endpointcombinato di mortalità e di ospedalizzazione (fig. 4). La strate-gia bisoprololo-first ha mostrato inoltre la tendenza verso unamigliore sopravvivenza nelle prime fasi dello studio, tendenzache si è mantenuta durante la fase della terapia di associazio-ne. Ulteriori evidenze dell'efficacia di bisoprololo si sono evi-denziate anche nella patologia respiratoria.Bisoprololo pre-senta una affinità selettiva (120 volte) per i recettori beta-1rispetto ai recettori beta-2. Il sistema respiratorio ha una pre-dominanza dei recettori beta-2, sia negli alveoli che nelle vieaeree. Il 90% dei recettori beta, nei polmoni, ha sede neglialveoli, la loro funzione è quella di regolare il riassorbimentodei fluidi dalla superfice alveolare, e così influenzano l'efficaciadegli scambi gassosi. L'insufficienza cardiaca come noi sappia-mo presenta un certo grado di compromissione della funzio-nalità polmonare, sia a riposo che durante l'esercizio. Il quadrorespiratorio nella genesi dell'insufficienza cardiaca, varia dallasindrome restrittiva, a una condizione di iperventilazione, a

Vantaggi nell’utilizzo precoce dei beta-bloccanti rispetto agli ACE-inibitori

Blocco duplice del sistema nervoso simpatico e del sistema renina-angiotensina-aldosterone mentre gli ACE-inibitori bloccano in modo marginale il sistema nervoso simpatico

Migliore titolazione dosaggio BB a dosi target con conseguente vantaggio in termini di rallentamento della progressione dello scompenso

Riduzione morte improvvisa (causa principale morte in fase iniziale scompenso)

Riduzione fenomeno escape aldosterone rilevata a seguito trattamento con ACE-inibitori

Rallentamento ipotensione e insufficienza renale a seguito trattamento con ACE-inibitori

Figura 2

Studio CIBIS III: obiettivo dello studioConfrontare, in pazienti con insufficienza cardiaca cronica, gli effetti sull’endpoint combinato morte-ospedalizzazione per tutte le cause dei due seguenti regimi di trattamento:

Inizio del trattamento con Bisoprololo in monoterapia, seguito dalla sua associazione con Enalapril

Inizio del trattamento con Enalapril in monoterapia, seguito dalla sua associazione con Bisoprololo

Tratto da Willenheimer R e coll, Circulation. 2005

Figura 3

Gli effetti favorevoli del beta-blocco nello scompenso car-diaco possono essere sintetizzati come effetti a livello mio-cardico, a livello neuroendocrino ed a livello emodinamico.

Nelle prime fasi dell'insufficienza cardiaca si osserva unaforte attivazione del sistema simpatico, mentre il sistemarenina-angiotensina-aldosterone (RAA) viene attivato neglistadi successivi.

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una iper-responsività bronchiale nei con-fronti degli agenti broncostrittori fino a unquadro di ridotto flusso espiratorio. Sideve sottolineare che una bassa DLco, especificamente una bassa conduttanza dimembrana, si associano a una prognosinon favorevole nei pazienti affetti da insuf-ficienza cardiaca. Nello studio di Agostonie coll, bisoprololo aumenta la DLco, neiconfronti di carvedilolo, in tutti i pazientistudiati, ma in particolare nei pazienti conuna bassa Dlco, cioè, nei pazienti con lapeggiore prognosi DLco-correlata. Lacapacità di esercizio era significativamentemaggiore con bisoprololo, nei confronti dicarvedilolo. Tuttavia, le differenze del Vo2di picco erano più rilevanti, in particolarenei soggetti con bassa DLco. L'aumentodel Vo2 di picco con bisoprololo era corre-lato ad aumento della DLco, sia nell'interapopolazione studiata che nei pazienti conDLco<80% del predetto. Questo potreb-be essere spiegato dal fatto che la contrat-tilità cardiaca e il cronotropismo duranteesercizio sono correlate con la densità deirecettori beta e bisoprololo rispetto a car-vedilolo, conduce a una “upregulation”dei recettori beta-1 “down-regolati”. Diconseguenza, la riserva contrattile cardia-ca, in condizioni di aumentata attività simpa-tica, come durante esercizio, dovrebbe essere più ampiadurante trattamento con bisoprololo; ciò potrebbe spiegare ilpiù elevato VO2 di picco osservato con bisoprololo. Sul ver-sante metabolico, i recettori beta 2 adrenergici sono coinvoltiprincipalmente nel controllo glicemico. Quindi solo i compo-sti beta-1 selettivi non prolungano l'ipoglicemia indotta dainsulina e dovrebbero quindi essere preferiti nei pazienti dia-betici.Inoltre, rispetto ai composti non selettivi, quelli selettivicome bisoprololo vanno a ridurre l'ampiezza della costrizioneperiferica indotta dal sistema nervoso simpatico, durantel'ipoglicemia. Sono state riportate severe crisi ipertensivedurante ipoglicemia in pazienti trattati con beta-bloccanti nonselettivi. Per il controllo lipidico, i farmaci ad azione non selet-tiva, inducono vasocostrizione periferica ed alterano la funzio-ne della lipoproteina lipasi portando a un incremento del livel-lo plasmatico di trigliceridi e a una riduzione delle lipoprotei-ne-HDL. Queste alterazioni, non avvengono con i compostiselettivi e rappresentano un argomento in più a favore del-l'uso di tali composti nel trattamento a lungo termine dipazienti ipertesi e scompensati. L’assorbimento e la biodispo-

nibilità di bisoprololo dopo somministrazione orale raggiungeil 90%. Il legame di bisoprololo con le proteine plasmatiche èdi circa il 30%. L’emivita plasmatica di 10-12 ore, consente 24ore di efficacia terapeutica dopo una mono somministrazionegiornaliera. Bisoprololo viene eliminato in maniera bilanciataattraverso il rene e il fegato: circa il 50% è trasformato in meta-boliti inattivi a livello epatico, eliminati per via renale; mentreil rimanente 50% è escreto per via renale immodificato. Dalmomento che l`escrezione avviene in uguale misura nel renee nel fegato di norma non è necessario alcun aggiustamentodella dose in pazienti con problemi di funzionalità epatica ocon insufficienza renale. In sintesi, esiste ormai una chiara evidenza che supporta l’uti-lizzo dei β-bloccanti beta-1 selettivi nello scompenso cardiacocronico, dal momento che gli effetti positivi di tale terapia siaggiungono a quelli ottenuti con gli ACE-inibitori. In generale,la terapia con β-bloccanti va iniziata a dosi molto basse, consuccessivi incrementi molto lenti e graduali, fino alla dose otti-male, se tollerata.

Endpoint primario combinato

Popolazione Intention-to-treat (ITT) 100

90

80

70

60

50

0 6 12 18

Bisoprololo Enalapril

Popolazione Per-protocollo (PP)

0 6 12 18

% s

enza

end

poi

nt

B/E vs E/B HR 0.97 (95% CI 0.78-1.21) non-inferiorità P=0.046

B/E vs E/B HR 0.94 (95% CI 0.77-1.16) non-inferiorità P=0.019

503 498

356353

265 259

80 73

505505

389 388

291277

8776

mesi

mesi

Numeria rischio

Bisoprololo in prima battuta èrisultato non significativamenteinferiore ad enalapril in prima battuta se il limite superiore del 95% CI era inferiore A hazard ratio (HR) 1.17 (P<0.025)

Nella popolazione PP, bisoprololo in prima battuta non è risultatosignificativamente non inferiore ad enalapril in prima battuta

Nella popolazione ITT, bisoprololo in prima battuta è significativamente non inferiore ad enalapril in prima battuta

100

90

80

70

60

50% s

enza

end

poi

nt

Tratto da Willenheimer R e coll, Circulation. 2005

Numeria rischio

Figura 4

Bisoprololo rispetto a carvedilolo, conduce a una “upregu-lation” dei recettori beta-1 “down-regolati”.

L’emivita plasmatica di 10-12 ore, consente 24 ore di efficaciaterapeutica dopo una mono somministrazione giornaliera.

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Rilevanza clinica della pressionearteriosa centrale

L’ipertensione arteriosa viene classicamente consideratacome una condizione caratterizzata da un incremento delleresistenze periferiche e/o della portata cardiaca ed, in ulti-ma analisi, del rapporto fra di esse. Tuttavia, un aspettofondamentale della circolazione che spesso viene ignoratoè rappresentato dalla intermittenza del flusso generato dalventricolo che viene trasformato in un flusso continuo dallacapacità delle arterie di grosso calibro di assorbire energiacinetica in sistole e di restituirla durante la diastole ventri-colare. Questa funzione esercitata in vivo dalle arterie digrosso calibro è comunemente descritta come “effettoWindkessel”, dal nome delle pompe antincendio untempo utilizzate, dotate di un'ampia camera d'aria cheaveva il compito di convertire il getto intermittente diacqua in un getto continuo, più adatto per lo spegnimen-to del fuoco. William Harvey aveva proposto tale concettogià all’inizio del 17° secolo, successivamente rielaboratoda Stephen Hales (1,2).E’ dunque evidente che l’incremento delle resistenze peri-feriche è il determinante principale dell’aumento dei valo-ri pressori, ma il ruolo svolto dalle arterie di grosso calibronel determinare la morfologia dell’onda sfigmica e, in ulti-ma analisi, l’entità della pressione arteriosa centrale è fon-damentale. Nell’ipertensione arteriosa l’ aumento delleresistenze periferiche è dunque in grado di determinareuna elevazione della pressione arteriosa media (PAM), equesto comporta uno spostamento verso l’alto dei valori

di pressione sistolica (PAS) e diastolica (PAD), che si riferi-scono ad un flusso pulsatile. A parità di PAM, i valori di pressione arteriosa sistolica, dia-stolica e pulsatoria, possono essere assai differenti in rela-zione alla distensibilità delle arterie di grosso calibro edalla differente riflessione dell’onda sfigmica dalla periferia. L’irrigidimento dell’ aorta toracica e delle sue diramazioniprincipali, determinato dell’ età e dai fattori di rischio CV,determina la graduale perdita della capacità di dilatarsi insistole e di accumulare energia elastica da rilasciare in dia-stole (3-5), con importanti implicazioni fisiopatologiche: (1)la PAS aumenta a causa della ridotta capacità di reservoirdei vasi e del più veloce ritorno delle onde riflesse dallaperiferia; (2) la PAD diminuisce per la mancata restituzionedi energia elastica da parte dei vasi in diastole; (3) la PPaumenta, indipendentemente da qualsiasi modificazionedella PAM. Inoltre, l’aumento della rigidità arteriosa contribuisce amodificare il processo di amplificazione della PP che fisio-logicamente si osserva passando dal centro (cuore) allaperiferia. Infatti nei giovani adulti normotesi la trasmissio-ne dell’onda pressoria dal cuore verso i vasi periferici siassocia ad una spiccata modificazione della forma d’ondae la PP a livello periferico è maggiore di quella misuratacentralmente; al contrario nei soggetti anziani e negli iper-tesi la morfologia dell’onda pressoria a livello dell’aorta

Maria Lorenza Muiesan, Massimo Salvetti, Anna Paini, Claudia Agabiti Rosei, Carlo Aggiusti Clinica Medica, Università di Brescia

Numerosi studi trasversali hanno dimostrato una correlazione tra la rigidità arteriosa e i vari fattoridi rischio cardiovascolare, suggerendo che la rigidità arteriosa e l’ aumento della pressione

centrale possano essere considerati alla stregua di un marker di rischio cardiovascolare

….ma il ruolo svolto dalle arterie di grosso calibro neldeterminare la morfologia dell’onda sfigmica e, in ulti-ma analisi, l’entità della pressione arteriosa centrale èfondamentale.

A parità di PAM, i valori di pressione arteriosa sistolica,diastolica e pulsatoria, possono essere assai differenti inrelazione alla distensibilità delle arterie di grosso calibroed alla differente riflessione dell’onda sfigmica dallaperiferia.

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ascendente e nelle arterie periferiche è molto simile per-chè la maggiore velocità di propagazione dell’onda dipolso e la precocità del ritorno delle onde dai siti di rifles-sione periferici riducono la fisiologica differenza fra la PPcentrale e quella periferica. Numerosi studi trasversali hanno dimostrato una corre-lazione tra la rigidità arteriosa e i vari fattori di rischiocardiovascolare, suggerendo che la rigidità arteriosa el’aumento della pressione centrale possano essereconsiderati alla stregua di un marker di rischio cardio-vascolare (6). La stretta interconnessione esistente fra cuore ed alberovascolare fa sì che le modificazioni della pressione aorticacentrale, alterando il postcarico imposto al cuore, siano in

grado di favorire il progressivo incremento della massa edello spessore parietale relativo del ventricolo sinistro (VS),(che rappresentano di per sé fattori di rischio per eventicardiovascolari), e la comparsa di alterazioni della funzionediastolica, con un effetto sfavorevole sul flusso coronarico.L’aumento della pressione centrale aortica può favorireanche la comparsa di ictus, mediante la trasmissione delcarico pressorio ad altri vasi arteriosi, quali le carotidi, chevanno incontro ad un processo di rimodellamento, qualel’ispessimento del complesso intima-media, per ridurre lostress parietale. Inoltre l’esposizione del microcircolo cere-brale (a bassa resistenza) a marcate fluttuazioni di flusso lorende particolarmente vulnerabile e favorisce lo sviluppodi malattia cerebrovascolare. Negli ultimi anni si è accumulata un’ampia mole di datia dimostrazione del significato prognostico non solodella rigidità arteriosa, ma anche della pressione diffe-renziale centrale e dell’augmentation index, ovvero delrapporto tra l’aumento della pressione sistolica centra-le causato dalla precoce riflessione dell’onda dalla

La rigidità arteriosa e l’ aumento della pressione centra-le possano essere considerati alla stregua di un markerdi rischio cardiovascolare.

L’aumento della pressione centrale aortica può favorireanche la comparsa di ictus, mediante la trasmissione delcarico pressorio ad altri vasi arteriosi, quali le carotidi,che vanno incontro ad un processo di rimodellamento,quale l’ispessimento del complesso intima-media, perridurre lo stress parietale.

I dati più solidi sono quelli riguardanti il significato pro-gnostico della rigidità aortica, valutata mediante misu-razione della PWV, con un potere predittivo aggiuntivoed indipendente dai valori di pressione arteriosa bra-chiale e dai tradizionali fattori di rischio cardiovascolare.

Studi clinici nei quali è stato valutato il significato prognostico della pressione arteriosa centralee dell’ “augmentation index”

Autore Eventi Follow-up (anni) Tipo di pazienti (numero) Età

Valutaz. non invasiva

Safar (2002) Mortalità totale 4.3 ESRD (180) 54

Williams (2006) Eventi CV 3.4 Ipertensione (2073) 63

Roman (2007) Eventi CV 4.8 Popolazione Gen. (3520) 63

Valutaz. invasiva

Jankowski (2008) Eventi CV 4.5 Malattia coronarica (1109) 58

London (2001) Mortalità CV e tot. 4.3 ESRD (180) 54

Weber (2004) Eventi CV 2 Malattia coronarica (262) 66

Chirinos (2005) Eventi CV 3.5 Malattia coronarica (297) 65

Williams (2006) Eventi CV 3.4 Ipertensione (2073) 63

PRESSIONE ARTERIOSA DIFFERENZIALE CENTRALE

AUGMENTATION INDEX

ESRD: insufficienza renale cronica terminale; CV: cardiovascolari

Tabella 1

A n n o I I I - N . 1 , 2 0 1 1 16

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periferia (augmentation pressure, che corrisponde alladifferenza tra il picco precoce e tardivo della pressionesistolica) e la PP. I dati più solidi sono quelli riguardanti il significato pro-gnostico della rigidità aortica, valutata mediante misura-zione della PWV, con un potere predittivo aggiuntivo edindipendente dai valori di pressione arteriosa brachiale edai tradizionali fattori di rischio cardiovascolare.Numerose sono anche le rilevanti evidenze riguardo ilsignificato prognostico della pressione arteriosa centralee dell’augmentation index, derivati dall’anali-si dell’onda di polso, ottenute in ampi grup-pi di pazienti con ipertensione arteriosa (7),con malattia coronarica (8-10), con insuffi-cienza renale terminale(11), ed in studi dipopolazione (12) (Tabella 1). Nel 2010 Vlachopoulos et al (13) hannocondotto una metanalisi che ha evidenziatocome il rischio relativo di eventi cardiova-scolari totali fosse significativamenteaumentato in rapporto ad un aumento dellapressione sistolica e differenziale centrale edell’augmentation index (Figura 1 e 2). Ilvalore predittivo aggiuntivo della pressionecentrale rispetto a quella misurata a livellobrachiale è risultato tuttavia marginale(Figura 1). Va sottolineato che nei diversistudi considerati nella metanalisi eranostate utilizzate metodiche assai diverse, sia

con misura invasiva della pressione aortica chebasate sulla registrazione dell’onda di polsoradiale con la tonometria di appianamento; talidifferenze potrebbero spiegare, almeno in parte,i risultati sinora ottenuti. A tale proposito, è ovvio che la metodica basatasulla tonometria di appianamento debba essere,per la non invasività, quella più facilmente utilizza-bile nella pratica clinica. Essa consiste nella regi-strazione della onda di polso a livello radiale ocarotideo, utilizzando 3 diverse tecniche: A) la pres-sione aortica centrale è derivata dalla arteria radia-le, mediante una funzione di trasferimento genera-lizzata, che tiene conto delle caratteristiche anato-miche dei vasi arteriosi degli arti superiori B) lapressione sistolica viene stimata in base al piccosistolico tardivo dell’onda di polso radiale e C) l’on-da di polso è misurata sulla arteria carotide comu-ne, e i valori di pressione arteriosa media e diasto-lica brachiale. Il loro utilizzo sembra essere ancoraconfinato nell’ambito della ricerca, perchè necessi-ta di apparecchiature abbastanza sofisticate e di

operatori esperti. Proprio per evitare che tali limitazionicostituiscano un ostacolo alla implementazione dellamisurazione della pressione centrale nella pratica clinica(e in studi clinici su larga scala), è stato proposto unmetodo semiautomatico, che ottiene una stima dellapressione sistolica centrale, partendo dal picco sistolicotardivo della onda di polso radiale (Omron HEM-9000AI).Tale sistema, confrontato con quello più ampiamente uti-lizzato (Sphygmocor) ha fornito dati riproducibili e si è

Rischio relativo di eventi cardiovascolariper incremento di 1 deviazione standard

di pressione differenziale

modificato da Vlachopulos et al, Eur Heart J 2010

1 2

Pressione differenzialebrachiale

RR (95% IC)

Pressione differenzialecentrale

Pressionedifferenzialecentrale vs

brachiale: p=0.057

Figura 1

Rischio relativo di eventi cardiovascolari o mortalitàper incremento di 1 m/sec di PWV

1 2

1,15 1,09-1,21

1,14 1,09-1,20

1,15 1,09-1,21

Eventi CV totali

Mortalità CV

Mortalità per tutte le cause

RR 95% IC RR (95% IC)

Figura 2

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dimostrato potenzialmente utile per un utilizzo su vastascala.E’ importante osservare inoltre che le modificazioni dellapressione centrale, indotti dalla terapia, sembrano esse-re più rilevanti, ai fini prognostici, rispetto ai valori dellapressione brachiale, come dimostrato dallo studio CAFE,in cui è stato dimostrato che a parità di riduzione dellapressione brachiale, a partire da un anno di trattamentocon la associazione perindopril-amlodipina o con ateno-lolo-bendrofluazide, i valori di PAS e PP centrale si sonomantenuti costantemente inferiori (in media 4,3 mmHg e3 mmHg rispettivamente) nel gruppo in terapia con laassociazione ace-inibitore-calcio-antagonista (7). Inoltrela correlazione con l’incidenza di eventi CV è risultata piùstretta con i valori pressori misurati a livello centrale. Irisultati dello studio REASON erano assai simili e dimo-stravano una netta differenza (circa 7 mmHg) tra la ridu-zione della pressione arteriosa brachiale e di quella cen-trale durante trattamento con betabloccante o con l’as-sociazione di perindopril e indapamide (14). Più recente-mente lo studio EXPLOR, che ha incluso quasi 400pazienti ipertesi, non controllati dal trattamento conamlodipina 5 mg, ha dimostrato che l’associazione conun antagonista della angiotensina II determina una mag-giore riduzione della pressione sistolica e differenzialecentrale e dell’augmentation index rispetto alla combina-zione con un betabloccante (15).

ConclusioniLe alterazioni della meccanica arteriosa sono direttamentecoinvolte nella patogenesi dell’ipertensione arteriosa enella successiva comparsa di varie forme di danno d’orga-no e, in ultima analisi, di eventi cardiovascolari. Le metodi-che attualmente disponibili consentono di valutare la pres-sione centrale aortica e carotidea in maniera non invasiva,

ad un costo relativamente basso e con buona riproducibi-lità. L’utilizzo più diffuso della analisi della pressione cen-trale potrebbe costituire un ulteriore strumento per con-sentire una più precisa stima del rischio cardiovascolareglobale e individuare le migliori strategie di trattamentonei pazienti ipertesi.

Bibliografia1. O'Rourke MF. Arterial function in health and disease. 1982.Edinburgh. Ref Type: Generic2. Nichols WW, O'Rourke MF, McDonald DA. McDonald's blood flowin arteries theoretic, experimental, and clinical principles. 5th ed ed.London: Hodder Arnold, 2005.3. Benetos A, Laurent S, Hoeks AP et al. Arterial alterations withaging and high blood pressure. A noninvasive study of carotid andfemoral arteries. Arterioscler Thromb. 1993;13:90-97.4. Avolio AP, Chen SG, Wang RP et al. Effects of aging on changingarterial compliance and left ventricular load in a northern Chineseurban community. Circulation. 1983;68:50-58.5. Avolio AP, Deng FQ, Li WQ et al. Effects of aging on arterialdistensibility in populations with high and low prevalence of hyper-tension: comparison between urban and rural communities in China.Circulation. 1985;71:202-210.6. Laurent S, Cockcroft J, Van Bortel L et al. Expert consensus docu-ment on arterial stiffness: methodological issues and clinical applica-tions. Eur Heart J. 2006;27:2588-2605.7. Williams B, Lacy PS, Thom SM et al. Differential impact of bloodpressure-lowering drugs on central aortic pressure and clinical outco-mes: principal results of the Conduit Artery Function Evaluation(CAFE) study. Circulation. 2006;113:1213-1225.8. Weber T, Auer J, O'Rourke MF et al. Increased arterial wavereflections predict severe cardiovascular events in patients under-going percutaneous coronary interventions. Eur Heart J.2005;26:2657-2663.9. Jankowski P, Kawecka-Jaszcz K, Czarnecka D et al. Pulsatile but notsteady component of blood pressure predicts cardiovascular eventsin coronary patients. Hypertension. 2008;51:848-855.10. Chirinos JA, Zambrano JP, Chakko S et al. Aortic pressureaugmentation predicts adverse cardiovascular events in patientswith established coronary artery disease. Hypertension.2005;45:980-985.11. London GM, Blacher J, Pannier B et al. Arterial wave reflections andsurvival in end-stage renal failure. Hypertension. 2001;38:434-438.12. Roman MJ, Devereux RB, Kizer JR et al. Central Pressure MoreStrongly Relates to Vascular Disease and Outcome Than DoesBrachial Pressure: The Strong Heart Study. Hypertension.2007;50:197-203.13. Vlachopoulos C, Aznaouridis K, O'Rourke MF et al. Prediction of car-diovascular events and all-cause mortality with central haemodynamics:a systematic review and meta-analysis. Eur Heart J. 2010;31:1865-1871.14. de Luca N, Mallion JM, O'Rourke MF et al. Regression of left ven-tricular mass in hypertensive patients treated with perindopril/inda-pamide as a first-line combination: the REASON echocardiographystudy. Am J Hypertens. 2004;17:660-667.15. Boutouyrie P, Achouba A, Trunet P et al. Amlodipine-valsartancombination decreases central systolic blood pressure more effecti-vely than the amlodipine-atenolol combination: the EXPLOR study.Hypertension. 2010;55:1314-1322.

…..è stato proposto un metodo semiautomatico, cheottiene una stima della pressione sistolica centrale, par-tendo dal picco sistolico tardivo della onda di polsoradiale (Omron HEM-9000AI).

Lo studio EXPLOR, che ha incluso quasi 400 pazientiipertesi, non controllati dal trattamento con amlodipina5 mg, ha dimostrato che l’associazione con un antago-nista della angiotensina II determina una maggiore ridu-zione della pressione sistolica e differenziale centrale edell’augmentation index rispetto alla combinazione conun betabloccante.

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L’automisurazione pressoria e la donna

L’automisurazione della pressione arteriosa nella donna rap-presenta lo strumento ideale per valutare le modificazioni deivalori pressori a cui esse vanno incontro nel corso della vita,anche in relazione alle variazioni ormonali. Grazie alla possibilità di utilizzare strumenti elettronici, a tecno-logia oscillometrica, validati da protocolli internazionali e stan-dardizzati, oggi ogni individuo può misurare in maniera sempli-ce, economica ed attendibile i valori della pressione arteriosaperiodicamente. La possibilità di rilevare i valori della pressionearteriosa in orari diversi della giornata, nel corso delle diversecondizioni della vita quotidiana, permette di ottenere un nume-ro elevato di rilevazioni distribuite nel tempo, in grado di riflet-tere fedelmente la risposta pressoria agli stimoli a cui l’individuoè sottoposto. Permette, inoltre, di rilevare l’eventuale coinvolgi-mento di anomalie dei valori pressori (sia in eccesso sia in difet-to) in concomitanza di eventuali disturbi clinici o malessere.Le linee guida dell’European Society of Hypertension e quelledell’American Heart Association suggeriscono di rilevare la pres-sione arteriosa almeno per 3 giorni, e preferibilmente per 7 gior-ni, con un minimo di due misure al mattino e due la sera (1-2). E’ noto, infatti, che sia il potere predittivo di HBPM che la sua cor-relazione con il monitoraggio della pressione arteriosa delle 24ore (ABPM) aumenta con il numero delle misurazioni e che lamedia di 12 misure (effettuate sia nel periodo diurno che la seranel corso di diversi giorni) viene considerata adeguata per ottene-re una stima attendibile del quadro pressorio del paziente (3). Lavalutazione diagnostica viene, quindi, effettuata sulla media ditutti i valori considerati cumulativamente, escludendo quelli rileva-ti il primo giorno di misurazione.Sebbene il rilievo dei valori pressori mediante HBPM risulti esse-re accurato in maniera sovrapponibile fra i due sessi, il confronto

fra valori di pressione arteriosa riscontrati in ambulatorio (OBPM)e mediante HBPM ha messo in evidenza alcune differenze digenere (4). Infatti, la differenza relativa ai valori di pressione arte-riosa sistolica tra OBPM e HBPM in pazienti non trattati tende adessere maggiore negli uomini rispetto alle donne, e tende adaumentare con l'età e con i livelli di pressione arteriosa. Tali diffe-renze sono più rilevanti nei pazienti non trattati rispetto a quelli intrattamento farmacologico. Viceversa, le differenze di pressionearteriosa diastolica tendono ad essere più o meno costanti, esono indipendenti da sesso, età, gravità dell’ipertensione arterio-sa, o presenza o meno di trattamento farmacologico (5). Inoltre, nelle donne l’indice di variabilità pressoria misurato come ladifferenza fra la pressione sistolica e diastolica rilevata tra la primae la seconda misurazione di pressione risulta essere maggiorerispetto agli uomini; la pressione sistolica rilevata al mattino menoquella della sera e la variabilità giornaliera della pressione misurataall’HBPM è più elevata nelle donne rispetto agli uomini (6). Nella donna, nella quale i valori pressori vanno incontro a profon-de modificazioni in risposta alle variazioni del milieu ormonale, sianell’arco delle diverse fasi del ciclo mestruale - nelle donne in etàfertile i valori di pressione arteriosa sono più bassi durante la faseluteale (fase di picco estrogenico) rispetto a quella follicolare - sianelle diverse fasi della vita biologica (vita fertile, gravidanza, meno-pausa) o secondariamente all’assunzione di terapia ormonale, siacontraccettiva sia sostitutiva, l’HBPM rappresenta lo strumentoideale per valutare tali modificazioni (Tabella 1). E’ noto, infatti, che gli estrogeni svolgono un ruolo chiave nell’in-fluenzare i valori della pressione arteriosa, a causa dell’azionevasoattiva e calcio antagonista-simile nonché a causa dell’effettoanti-aterosclerotico sui principali fattori di rischio cardiovascolari(distribuzione del grasso addominale, assetto lipidico e metaboli-

Dr.ssa Cristiana VitaleMD, PhD, IRCCS San Raffaele Pisana - Roma

Nella donna, nella quale i valori pressori vanno incontro a profonde modificazioni in rispostaalle variazioni ormonali, l’automisurazione domiciliare della pressione arteriosa rappresenta lo

strumento ideale per valutare tali modificazioni, perché generalmente la donna, e spessomeno incline a recarsi dal medico per effettuare un controllo dei valori pressori

Le linee guida dell’European Society of Hypertension e quel-le dell’American Heart Association suggeriscono di rilevare lapressione arteriosa almeno per 3 giorni, e preferibilmente per7 gg, con un minimo di due misure al mattino e due la sera.

Gli estrogeni svolgono un ruolo chiave nell’influenzare i valo-ri della pressione arteriosa, a causa dell’azione vasoattiva ecalcio antagonista-simile nonché a causa dell’effetto anti-aterosclerotico sui principali fattori di rischio cardiovascolari.

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co, etc). Quindi, nella donna, generalmente propensa a conside-rare l’ipertensione arteriosa un problema di pertinenza più delsesso maschile, e spesso meno incline a recarsi dal medico pereffettuare un controllo dei valori pressori, la possibilità di avere adisposizione apparecchi che, in maniera semplice e veloce, per-mettano il controllo dei valori della pressione arteriosa, rappresen-ta uno strumento utile, se non indispensabile. E questo assumetanto più valore alla luce del fatto che l’ipertensione arteriosa aparità di età e per livelli comparabili di pressione arteriosa ha unruolo chiave più rilevante nel determinare eventi cardiovascolarinella donna, rispetto agli uomini. Nella donna il controllo dei valori pressori deve essere effettuatocon maggiore attenzione e periodicità in alcune condizioni clini-che, ovvero nel corso della gravidanza, in presenza di Sindromedell’ovaio policistico (in cui le donne hanno un aumentato rischiocardiovascolare per la presenza di insulino-resistenza, ridotta tolle-ranza glucidica, dislipidemia ed ipertensione arteriosa), nel perio-do post-menopausale, e durante l’assunzione di terapia ormona-le. L’assunzione della terapia contraccetiva (soprattutto in donnecon età superiore a 35 anni, obese e fumatrici) o di quella ormo-nale sostitutiva, può associarsi ad un aumento dei valori presso-ri. Tuttavia, recentemente l’introduzione nelle pillole estro-proge-stiniche di nuove molecole, quali il drospirenone, un progestinicosintetico con azione analoga allo spironolattone, in grado dimodulare i valori della pressione arteriosa, può essere una validaopzione terapeutica per ridurre il rischio di un incremento dei valo-ri pressori. L’importanza della misurazione della pressione arterio-sa nelle donne che assumono terapia contraccettiva è supportatadai risultati di numerosi studi clinici che hanno dimostrato che lasola misurazione della pressione si associa ad una diminuzionesignificativa del rischio di ictus cerebrale.Nelle donne in gravidanza l’HBPM può fornire uno strumento

di supporto al fine di identificare precocemente eventuali incre-menti della pressione arteriosa che, sebbene nella maggiorparte delle donne sono transitori, in altre possono dare originea quadri di ipertensione gestazionale, fino al quadro della pre-eclampsia. Quest’ultimo può mettere a rischio la vita sia del fetosia della madre. Infatti, l’aumento dei valori pressori diastolici,sebbene sia un segno secondario della pre-eclampsia, che simanifesta nella seconda metà della gravidanza, rappresenta unsegno diagnostico chiave, sia per la sua precoce insorgenza siaper la facile rilevazione. Per tale motivo, la possibilità di misura-re i valori di pressione al domicilio, in tutte le donne, ed in par-ticolare in quelle a maggior rischio di ipertensione arteriosa(familiarità, ipertensione cronica/o in una precedente gravidan-za, obesità, etc) permette di migliorare la sorveglianza nel perio-

do della gravidanza e prevenire danni al feto o alla madre. Tuttavia, è importante sottolineare che l'alterata emodinamica ingravidanza, e in particolare in fase di pre-eclampsia, così comel’effetto posturale sulla pressione sanguigna esercitato dall’uterogravido, influenzano l’adeguatezza e l’affidabilità della misurazio-ne non invasiva della pressione arteriosa. Infatti, a lungo è statodibattuto se i valori diastolici, rilevati mediante metodo ausculta-torio fossero rappresentati in maniera più adeguata dalla IV o Vfase di Korotkoff. Ad oggi, vi è consenso generale sull’utilizzodella quinta fase (scomparsa dei toni), sebbene nelle situazioni incui i toni persistono fino alla zero venga consigliato di utilizzare laquarta fase (attenuazione dei toni). Quindi, sebbene nella donnain gravidanza, sia più facile incorrere in errori di registrazione e ilmetodo auscultatorio sia considerato il gold standard per la misu-razione della pressione in gravidanza, numerosi studi hannodimostrato che gli apparecchi automatici per il controllo dellapressione arteriosa al domicilio, purchè validati in questa condi-zione clinica e soprattutto se utilizzati secondo le indicazioni sug-gerite per la corretta rilevazione, rappresentano uno strumentoutile e complementare al metodo auscultatorio per l’identificazio-ne precoce delle pazienti a maggior rischio di ipertensione arte-riosa (7-8). Tra l’altro, è stato evidenziato che i valori della pressio-ne arteriosa registrati in ambulatorio risultano differenti da quellirilevati al domicilio in circa la metà delle donne in gravidanza eche nell’85% dei casi le letture rilevate al domicilio sono inferioririspetto a quelle registrate in ambulatorio (9).Il periodo post-menopausale rappresenta un’altra epoca dellavita della donna in cui deve essere effettuata un’attenta valutazio-ne dei valori di pressione arteriosa, in quanto quest’ultimi tendo-no ad aumentare, indipendentemente dall’età, in seguito alla ces-sazione della funzione ovarica. La perdita della funzione ovarica,infatti, contribuisce in maniera diretta ed indiretta, all’aumento deivalori pressori, a causa della perdita della funzione vasodilalatoriae calcio-antagonista simile esercitata dagli estrogeni sui vasi arte-riosi, della modificazione dei fattori di rischio cardiovascolare insenso pro-aterosclerotico, dell’aumento del tono simpatico edello stress ossidativo. Infatti, la prevalenza dell’ipertensione arte-riosa, inferiore nella donna rispetto agli uomini prima dellamenopausa, con l’avvento di quest’ultima aumenta progressiva-mente e nelle donne anziane diviene addirittura superiore aquella degli uomini. Tuttavia, le donne continuano a considerarsi,

Tuttavia, recentemente l’introduzione nelle pillole estro-pro-gestiniche di nuove molecole, quali il drospirenone, un pro-gestinico sintetico con azione analoga allo spironolattone, ingrado di modulare i valori della pressione arteriosa, puòessere una valida opzione terapeutica per ridurre il rischio diun incremento dei valori pressori.

Nelle donne in gravidanza l’HBPM può fornire uno strumen-to di supporto al fine di identificare precocemente eventua-li incrementi della pressione arteriosa che, sebbene nellamaggior parte delle donne sono transitori, in altre possonodare origine a quadri di ipertensione gestazionale.

Infatti, la prevalenza dell’ipertensione arteriosa, inferiorenella donna rispetto agli uomini prima della menopausa,con l’avvento di quest’ultima aumenta progressivamente enelle donne anziane diviene addirittura superiore a quelladegli uomini.

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anche dopo la menopausa, ipotese e quindi, prestanopoca attenzione al controllo dei valori pressori. Questo, inparte è anche legato al fatto che l’aumento dei valoripressori dopo la menopausa si associa ad una sintomato-logia caratterizzata prevalentemente da vampate di calo-re e cefalea, che la donna, e spesso anche molti medici,riconducono ai sintomi della menopausa piuttosto chealle variazioni della pressione arteriosa.Inoltre l’HBPM permette di discriminare i pazienti conipertensione arteriosa, da quelli affetti da ipertensionemascherata o in cui i valori pressori risentono dell’ “effet-to camice bianco”. Quest’ultimo si riscontra in circa il20% degli individui di entrambi i sessi e può arrivare finoal 30% nelle donne in gravidanza. Con esclusione dellagravidanza, la prevalenza dell’ “effetto camice bianco”sembra sovrapponibile nei due sessi, sebbene le donnetendano a manifestarla ad un’età maggiore rispetto agliuomini (10), e sebbene nelle donne in trattamento taleeffetto sembri essere più marcato che negli uomini (11).Infatti, il riscontro di un più frequente controllo dei valoripressori rilevati mediante ABPM nelle donne rispetto agli uomi-ni, è stato in parte attribuito alla maggiore frequenza di elevativalori pressori isolati nelle donne in corso di OBPM (12).L’“ipertensione mascherata”, la cui prevalenza nella popolazionegenerale è stimata intorno al 10%, risulta essere più frequente nelsesso maschile rispetto a quello femminile (13).Indipendentemente dalle differenze di genere è importante sot-tolineare che la presenza di questi due tipi di ipertensione siassocia ad una maggiore incidenza di eventi cardiovascolari epertanto deve essere sempre e comunque oggetto di attenzio-ne terapeutica.Infine, l’HBPM non solo permette di monitorizzare in maniera piùaccurata la risposta al trattamento farmacologico, ma coinvolgen-do in maniera attiva lo stesso paziente al controllo dei valori pres-sori può favorire l’aderenza al trattamento farmacologico e quindiil raggiungimento del target pressorio (14). E’ stato dimostrato, infatti, che i soggetti che effettuano l’HBPMhanno valori di pressione arteriosa più controllati ed una maggio-re probabilità di raggiungere il loro valore target della pressionearteriosa rispetto a quelli senza HBPM. Il raggiungimento del tar-get pressorio è di primaria importanza non solo in relazione almaggior potere prognostico ed alla maggiore correlazione con ildanno d’organo dei valori della pressione rilevati mediante HBPMrispetto a quelli di OBPM ma anche perché nella donna è statoosservato che, rispetto all’uomo, il rischio di eventi cardiovascola-ri rimane elevato anche per valori di pressione normali alti.Quindi nella donna, generalmente meno incline a considerarel’ipertensione arteriosa un problema primario per la sua salute,l’HBPM costituisce uno strumento da utilizzare per la valutazionedei valori di pressione arteriosa nelle diverse fasi della propria vita.

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L’auto-misurazione pressoria nella donna:

• permette la precoce identificazione/conferma di ipertensione arteriosa

• permette di verificare le modificazioni dei valori pressori nelle diverse fasi della vita biologica

• permette di identificare le donne in cui i valori pressori risentono dell’ “effetto camice bianco”

• permette un maggior controllo dei valori pressori ed una maggiore aderenza al trattamento farmacologico

• Va eseguita in particolare - in corso di terapia ormonale contraccettiva / sostitutiva - in presenza di Sindrome dell’ovaio policistico - in corso di gravidanza - nel periodo post-menopausale

Tabella 1

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Antiinfiammatori non steroideinel paziente ad elevato rischio cardiovascolare

RiassuntoIl trattamento antiinfiammatorio non steroideo è spesso neces-sario nel paziente ad elevato rischio cardiovascolare. Talepaziente, infatti,è più comunemente degli altri affetto dacomorbilità, tra cui spiccano le patologie osteoarticolari. Acausa della presenza di dolore, evitare la somministrazione diantiinfiammatori non steroidei, in particolare,spesso non è pos-sibile. Ne consegue che è molto meglio e molto più rispettosodella necessità di migliorare la qualità di vita del paziente adelevato rischio cardiovascolare imparare ad usare in modo piùcorretto questa classe di farmaci. In tale ambito clinico, infatti,la prescrizione di antiinfiammatori non steroidei, se ragionata, èassolutamente possibile e, particolarmente se occasionale,sostanzialmente sicura.

Razionale Appena poche settimane or sono è stata pubblicata una meta-analisi network sulla sicurezza cardiovascolare degli antiinfiam-matori non steroidei (1). In tale meta-analisi, sono state prese inconsiderazioni tutte le fonti possibili: banche dati, report con-gressuali, studi di registro, sito web della Food and DrugAdministration, articoli scientifici rilevanti e, infine, lo ScienceCitation Index (fino al luglio 2009). Altri dati sono stati fornitidirettamente da alcune aziende farmaceutiche. Grazie a tale capillare raccolta, sono stati selezionati tutti glistudi randomizzati su vasta scala in cui farmaci antiinfiamma-tori non steroidei siano stati paragonati tra loro o versus pla-

cebo. Per garantire l’assoluta neutralità, l’eleggibilità del sin-golo studio è stata valutata ogni volta da due investigatoridistinti. L’outcome primario preso in considerazione è statol’infarto miocardico. Outcome secondari sono stati l’ictuscerebri, la morte per cause cardiovascolari, e la morte pertutte le cause. Anche in questo caso, la procedura di estrazio-ne dei dati è stata seguita da due distinti investigatori, perogni singolo outcome. Al termine di questo corposo lavoro,sono stati “isolati” 31 studi, per un totale di 11. 429 pazienti(più di 115.000 pazienti per anno di follow up). I farmaci presiin considerazione sono stati il naprossene, il diclofenac, il cele-coxib, l’etoricoxib, il rofecoxib, il lumiracoxib, oppure il place-bo. I risultati della network meta-analisi hanno ribadito comel’uso degli antiinfiammatori non steroidei non sia scevro dieventi avversi a livello cardiovascolare, con profonde differen-ze, però, tra i differenti farmaci e un rischio assoluto di mani-festare eventi che appariva comunque modesto. Secondo la network meta-analisi (1), in particolare, il farmacoassociato al maggior rischio di infarto miocardico risulterebbeessere il rofecoxib (rate ratio = 2.21), come è noto ritirato dalcommercio proprio per motivi di sicurezza cardiovascolare,seguito da lumiracoxib, come è noto mai disponibile nellanostra penisola (rate ratio = 2.00) e comunque ritirato dalcommercio. Per quanto attiene l’ictus cerebri, esso è risultatoaumentare di 3.36 volte nel paziente trattato con ibuprofen.L’antiinfiammatorio non steroideo più sicuro tra i sette farma-ci esaminati è risultato essere il naprossene, di cui però sono

Prof. Claudio Ferri, Livia FerriUniversità dell’Aquila e Università “Sapienza”, Roma

Questo articolo metterà in luce l’importanza di affrontare in modo corretto la patologia osteoarticolare del paziente anziano ad elevato profilo di rischio cardiovascolare, imparando

ad utilizzare in modo più appropriato i farmaci antiinfiammatori non steroidei

I risultati della network meta-analisi hanno ribaditocome l’uso degli antiinfiammatori non steroidei non siascevro di eventi avversi a livello cardiovascolare, conprofonde differenze...

L’antiinfiammatorio non steroideo più sicuro tra i settefarmaci esaminati è risultato essere il naprossene, di cuiperò sono ben noti gli effetti gastrolesivi, non valutati inquesta network meta-analisi.

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ben noti gli effetti gastrolesivi, non valutati in questa networkmeta-analisi.Sotto un profilo fisiopatologico, con tutti i limiti legati all’im-propria considerazione a tal fine di un tipo di studio destinatoad analizzare tutt’altro, è interessante notare come non si siaosservata una correlazione così robusta tra specificità per laciclossigenasi (COX)-2 ed aumento del rischio cardiovascola-re. Sotto un profilo clinico, invece, resta completamente disat-teso, pur nell’interesse indubbio di questa network meta-ana-lisi, il dato relativo a cosa fare praticamente e cosa accadeeffettivamente nella vita reale. In quest’ultima, infatti, l’assun-zione di un antiinfiammatorio non steroideo è spesso conse-guente ad autoprescrizione e, comunemente, combinataall’uso di dosi non congrue in pazienti particolarmente fragiliin termini di età e/o comorbilità. Pertanto, in attesa dello stu-dio “Il Prospective Randomized Evaluation of CelecoxibIntegrated Safety versus Ibuprofenor Naproxen”  (PRECI-SION) che valuterà la sicurezza cardiovascolare di celecoxib,naproxene e ibuprofene in 20.000 pazienti che all'arruolamen-to presentavano diversi fattori di rischio cardiovascolare, ènecessario considerare con molta attenzione altre evidenze efare anche un altro tipo di riflessioni.

Il paziente ad elevato rischio cardiovascolare e gli antiinfiammatori non steroideiLa medicina secondo l’evidenza soffre per molteplici contraddi-zioni. In accordo con ciò, senza nulla voler togliere all’indubbiavalidità delle indicazioni fornite dalla meta-analisi network curatadai ricercatori svizzeri (1), i dati derivanti dal GeneralPracticeResearch Database (2) indicano che solo la metà deipazienti osservati nella vita reale somiglino, per assunzione di far-maci, a quelli arruolati negli studi clinici controllati presi in consi-derazione da Trelle et al (1). In accordo con ciò, al fine di deter-minare nella vita reale la mortalità per tutte le cause in pazientiche assumevano antiinfiammatori non steroidei sia di tipo COX-1 che di tipo COX-2 inibitori, un gruppo di ricercatori australianiha studiato il database relativo a dieci anni (1997-2007) per anzia-ni veterani e dipendenti dall’amministrazione competente pertali pazienti. I farmaci presi in considerazione sono stati il celeco-xib, il rofecoxib, il meloxicam, il diclofenac, ed altri antinfiamma-tori non selettivi (3). Trattandosi della vita reale, ovviamente, nonera presente alcun paziente in trattamento placebo, ma i ricerca-tori hanno cercato egualmente un gruppo di controllo, usando inmodo doppio pazienti in trattamento per glaucoma/ipotiroidi-smo oppure con ibuprofen, mai quindi con uno dei farmaciantiinfiammatori testati. Dopo aggiustamento per età, genere, eprescrizione simultanea di altri farmaci (usata come surrogato dirischio cardiovascolare), il celecoxib mostrava un aumento dell’-hazard ratio per mortalità oscillante da 1.09 (1.06 - 1.13) ad 1.20(1.14 - 1.26); il rofecoxib da 1.16 (1.10 - 1.22) ad 1.27 (1.20 - 1.35).Per il meloxicam[da 0.90 (0.81 - 1.00) a0.99 (0.88 - 1.10)]ed ildiclofenac[da 0.87 (0.85 - 0.90) a 0.97 (0.92 - 1.02)], invece, era

Pressione arteriosa monitorata nelle 24 ore dopo trattamento con acetaminofenein 33 pazienti affetti da cardiopatia ischemica

modificato da: Sudano I et al. Circulation. 2010;122:1789-1797

L’assunzione di acetaminofene per 2 settimane è seguita, in 33 pazienti affetti da cardiopatia ischemica,da un significativo incremento della pressione arteriosa sistolica e diastolica

5,0

2,5

0

-2,5

-5

Diff

eren

za p

ress

oria

(mm

Hg

)

Pressione Sistolica(da 122.4±11.9 a 125.3±12.0 mmHg; P=0.021)

Pressione Diastolica(da 73.2±6.9 a 75.4±7.9 mmHg; P=0.024)

p<0.05

p<0.05 Placebo Acetaminofene

Figura 1

L'analisi di un database relativo a 10 anni (1997-2007)ha permesso di rilevare, almeno in uno dei modelli sta-tistici usati per la comparazione tra farmaci, come cele-coxib aumentasse l'hazard ratio per mortalità (da 1.09 a1.20) rispetto a diclofenac (hazard ratio da 0.87 a 0.97).

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25A n n o I I I - N . 1 , 2 0 1 1

evidente una riduzione del medesimo hazard ratio. Questo alme-no in uno dei vari modelli usati per la comparazione reciproca tradiversi antiinfiammatori, non versus la popolazione di controllo.Per gli antinfiammatori non selettivi[da 0.91 (0.89 - 0.93) a1.01(0.97 - 1.06)], infine, era messa in evidenza una certa incongruen-za dei dati, con una riduzione nell’hazard ratio oppure un suolieve incremento, in base al diverso gruppo di controllo scelto.Ciò stante, appare chiaro che nella vita reale l’assunzione di coxibsembra essere lesiva in termini di mortalità, mentre nessun effet-to nocivo è stato osservato per meloxicam e diclofenac.Pertanto, altrettanto chiaro appare che è legittimo, se non dove-roso, particolarmente nel paziente fragile come quello ad eleva-to rischio cardiovascolare, essere attenti nella prescrizione diantiinfiammatori non steroidei, particolarmente se di tipo COX-2inibente. Tuttavia, Divinum est opus sedare dolorem, come cihanno insegnato gli antichi Maestri, per cui non è certo spendi-bile in alcun modo, nel contesto della vita reale, un’ipotesi checonduca al mero utilizzo dell’uso di farmaci che, nella grandemaggioranza dei casi, sono usati solo ed unicamente comepotenti analgesici. Ciò specie riflettendo sul fatto che, comeosservato anche nel nostro territorio, gli antiinfiammatori non ste-roidei sono sovente autoprescritti e, quindi, sfuggono ad ognipotenziale controllo (4). Pertanto, più che ad eliminarne l’uso,molto più appropriato è interagire correttamente con il propriopaziente, mirando ad escludere le possibili cause precipitanti ilsingolo evento avverso farmaco-correlato. Questo anche al fine

di sfatare alcuni miti, quali quelli relativi all’innocuità dell’acetami-nofene, tuttora spesso raccomandato perché scevro da eventiavversi, ma che sembrerebbe, invece, poter avere gli stessi effet-ti vascolari esercitati dai COX-1 inibitori (Figura 1) (5).

Precauzioni d’uso Di fronte ad un paziente che abbia la necessità di assumere unantinfiammatorio non steroideo e manifesti un elevato rischio car-diovascolare, un atteggiamento oculato potrebbe essere quellodi suggerire l’uso, al di là della possibile terapia gastroprotettiva,di un COX-1 in luogo di un COX-2 inibitore. A lato della sopracitata indagine sulla popolazione australiana (3), il diclofenac,infatti, è risultato meno lesivo in termini di comparsa di scompen-so cardiaco nel contesto del programma MEDAL (6). Di partico-lare rilievo, la presenza di alcuni elementi noti per essere potenticontributori nell’ambito del rischio cardiovascolare erano comun-que attivi come fattori prognosticamente negativi: storia positivaper scompenso cardiaco (hazard ratio: 6.69, intervallo di confi-denza al 3.59-12.47; p<0.0001), età > 65 anni (2.56, 1.65-3.98;p<0.0001), e storia di ipertensione arteriosa (1.83, 1.16-2.89; p =0.0094) oppure diabete mellito (1.83, 1.15-2.94; p = 0.0116).

Comparsa di scompenso cardiaco nel contesto del programma MEDAL

modificato da: Krum H et al. Eur J Heart Fail. 2009;11(6):542-50

La comparsa di scompenso cardiaco è risutata inferiore per diclofenac nei confronti di etoricoxib nel contesto del programma di studio MEDAL [pooled etoricoxib 90 mg (OA + RA) versus diclofenac 150 mg, 0.4% vs. 0.2%; P = 0.015]. OA = Osteoartrosi; RA = Artrite reumatoide

EDGE (OA) (90 mg)

EDGE II (RA) (90 mg)

MEDAL

90 mg OA

90 mg RA

60 mg OA

Pooled Etoricoxib 90 mg

A favore di etoricoxib A favore di diclofenac-1,0 -0,5 0,0 0,5 1,0

5/3593 0,1 4/3518 0,1

7/2032 0,3 4/2054 0,2

15/2171 0,7 7/2162 0,3

18/2841 0,6 9/2855 0,3

19/6769 0,3 14/6700 0,2

45/10637 0,4 24/10589 0,2

n/N Rate n/N RateEtoricoxib Diclofenac

Figura 2

Nella vita reale l’assunzione di coxib sembra essere lesi-va in termini di mortalità, mentre nessun effetto nocivoè stato osservato per meloxicam e diclofenac.

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A n n o I I I - N . 1 , 2 0 1 1 26

Pertanto, già la semplice prescrizione di un COX-1 in luogo di unCOX-2 inibitore può costituire un meccanismo di salvaguardia,potenziato ulteriormente dall’accurata valutazione della storia cli-nica individuale. Questo, ovviamente, sempre considerando ilbilancio tra necessità di alleviare il dolore e quella, comunque, dievitare il più possibile trattamenti protratti nel tempo. Un secondo aspetto di estrema rilevanza è costituito dal dialogoinformativo con il paziente. In accordo con ciò,un semplice ebreve colloquio educazionale con il paziente affetto da scompen-so cardiaco all’atto della sua dimissione, inclusivo delle cautele daprendere nei confronti degli antinfiammatori non steroidei, haridotto consistentemente il rischio di ri-ospedalizzazione o morte(rischio relativo verso il controllo non sottoposto a colloquio edu-cazionale, 0.65; intervallo di confidenza al 95% 0.45 - 0.93;p=0.018) (7). In relazione ancor più specificatamente, ed esclusi-vamente, agli antiinfiammatori non steroidei, l’adozione di unprotocollo educazionale in 197 anziani con scompenso cardiaco(NYHA >II, tutti con almeno un ricovero per scompenso cardiaconell’ultimo anno) inclusi nello studio TIME-CHF e seguiti per 3visite di follow up ha dimostrato come sia vero che molti pazien-ti accettano, ma anche che molti rifiutano la sospensione di unapre-esistente terapia con antiinfiammatori non steroidei, assuntiper altro da molti tra i pazienti studiati (8). Malgrado ciò, è eviden-te come la conoscenza dei problemi che possono derivare dauna terapia antinfiammatoria sia attesa ridurne in modo estrema-mente consistente i potenziali pericoli, migliorando così in modopresuntivamente consistente la qualità di vita del singolo pazien-te, altrimenti costretto ad una “vita con dolore”. In questo contesto, un ultimo aspetto da non trascurare nelpaziente in trattamento con antiinfiammatori non steroidei èquello relativo al peso corporeo ed all’accumulo di liquidi.Sebbene sicuramente inferiore ai metodi impedenziometrici ed albilancio dei liquidi (9), infatti, la misurazione quotidiana del pesocorporeo è un mezzo comunque idoneo a generare un cautoallarme nel caso di un suo ingiustificato e repentino aumento.Anche la valutazione della diuresi, di ben più difficile però realiz-zazione domiciliare, ha ovviamente una simile rilevanza.

ConclusioniL’uso degli antinfiammatori non steroidei può generare problemicardiovascolari e sanguinamenti, soprattutto gastroenterici, parti-

colarmente nel paziente ad elevato rischio cardiovascolare e, piùin generale, in quello “fragile”, tuttavia, il medesimo uso è spessoindispensabile per sedare condizioni patologiche caratterizzatespesso da un sintomo principale insopportabile: il dolore. Pertanto, è vero che potenzialmente tutti gli antinfiammatori, maparticolarmente i coxib, sono dotati di effetti cardiovascolari sfa-vorevoli. Tuttavia, l’adozione di semplici misure educazionali edella giusta cautela è attesa, nel paziente trattato con COX-1 ini-bitori, essere tanto necessaria quanto sufficiente ad evitare chealla sedazione del dolore seguano eventi avversi a livello dell’ap-parato cardiovascolare. I citati dati del programma MEDAL (6),d’altra parte, costituiscono un esempio tanto semplice quantoparadigmatico di come due diversi antiinfiammatori, etoricoxib ediclofenac, possano avere effetti cardiovascolari divergenti, nelcaso specifico a favore dell’uso didiclofenac. Attenzione all’evidenza e buon senso clinico, ne consegue,sono in questo spinoso campo più che necessari. Senz’altro,ribadiamo, non è possibile pensare di risolvere il problemafacendo finta che esso non esista o che sia realmente possibilee facile convivere con il dolore. In poche parole, evitare il piùpossibile il trattamento protratto ed essere molto attenti è unconto, evitareil trattamento tout court un altro, che finisce soloper aumentare una pericolosa autogestione.

Bibliografia 1. Trelle S, Reichenbach S, Wandel S, Hildebrand P, Tschannen B, VilligerPM, Egger M, Jüni P. Cardiovascular safety of non-steroidal anti-inflamma-tory drugs: network meta-analysis. BMJ. 2011;342:c7086. 2. Van Staa TP, Leufkens HG, Zhang B, Smeeth L. A comparison of costef-fectiveness using data from randomized trials or actual clinical practice:selective cox-2 inhibitorsas an example. PLoSMed 2009;6:e1000194.3. Kerr SJ, Sayer GP, Whicker SD, Rowett DS, Saltman DC, Mant A. All-causemortality of elderly Australianv eteransusing COX-2 selective or non-selectiveNSAIDs: a longitudinalstudy.Br J ClinPharmacol. 2010 May 6.4. Ventura MT, Laddaga R, Cavallera P, Pugliese P, Tummolo RA, BuquicchioR, Pierucci P, Passalacqua G. Adverse drug reactions asthe cause of emergen-cy department admission: focus on the elderly. Immuno pharmacolImmunotoxicol. 2010;32(3):426-9.5. Sudano I, Flammer AJ, Périat D, Enseleit F, Hermann M, Wolfrum M, Hirt A,Kaiser P, Hurlimann D, Neidhart M, Gay S, Holzmeister J, Nussberger J,Mocharla P, Landmesser U, Haile SR, Corti R, Vanhoutte PM, Lüscher TF, NollG, Ruschitzka F. Acetaminophen increases blood pressure in patients with coro-naryarterydisease. Circulation. 2010;122(18):1789-96.6. Krum H, Curtis SP, Kaur A, Wang H, Smugar SS, Weir MR, Laine L, BraterDC, Cannon CP. Baseline factors associated with congestive heart failure inpatients receiving etoricoxib or diclofenac: multivariate analysis of theMEDAL program.Eur J Heart Fail. 2009;11(6):542-50.7. Koelling TM, Johnson ML, Cody RJ, Aaronson KD. Discharge educationimproves clinical outcomes in patients with chronic heart failure. Circulation2005;111:179-185.8. Muzzarelli S, Tobler D, Leibundgut G, Schindler R, Buser P, Pfisterer ME,Brunner-La Rocca HP. Detection of intake of nonsteroidal anti-inflammato-rydrugs in elderly patients with heart failure. How to ask the patient?SwissMedWkly. 2009 Aug 22;139(33-34):481-5.9. KataokaH. Novel monitoring method for the management of heart failu-re: combined measurement of body weight and bioimpedance index ofbody fatpercentage. Future Cardiol. 2009;5(6):541-6.10. Amer M, Bead VR, Bathon J, Blumenthal RS, Edwards DN. Use of non-steroidal anti-inflammatory drugs in patients with cardiovascular disease: acautionary tale. Cardiol Rev. 2010; 18(4):204-12.

Di fronte ad un paziente che abbia la necessità di assumereun antinfiammatorio non steroideo e manifesti un elevatorischio cardiovascolare, un atteggiamento oculato potrebbeessere quello di suggerire l’uso, al di là della possibile terapiagastroprotettiva, di un COX-1 in luogo di un COX-2 inibitore.

Il diclofenac, infatti, è risultato meno lesivo in termini dicomparsa di scompenso cardiaco nel contesto del pro-gramma MEDAL.

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29A n n o I I I - N . 1 , 2 0 1 1

Le Aziende Sanitarie Locali nel processo di valutazione emiglioramento dell’aderenza al trattamento in ambito di prevenzione cardiovascolare

Una prescrizione può essere considerata appropriata seeffettuata all’interno delle indicazioni cliniche e, in gene-rale, all’interno delle indicazioni d’uso (dose, durata, …)per le quali è dimostrata l’efficacia. L’appropriatezza pre-scrittiva è generalmente misurabile mediante analisi del-l’aderenza al trattamento (grado di trasferimento delleindicazioni d’uso nella pratica clinica) (1). In ambito diprevenzione cardiovascolare, l’importanza assunta datale problematica negli ultimi anni è giustificata da treprincipali evidenze:• la scarsa aderenza al trattamento è la causa principale diinefficacia della terapia farmacologica e rappresenta, di con-seguenza, un significativa determinante di una mancata ridu-zione della mortalità/morbilità cardiovascolare e dei costiassistenziali complessivi (eg, farmaci, ricoveri) (Figura 1) (2); • l’aderenza al trattamento risulta insoddisfacente sia negliipertesi senza comorbilità (53.2%) sia negli ipertesi a mag-giore rischio per la presenza di diabete mellito (65.2%),malattia cardiovascolare (63.2%), scompenso cardiaco(63.3%) e insufficienza renale cronica (67.6%) (Tabella 1) (3); • il trend dell’aderenza al trattamento non presenta alcun

significativo miglioramento negli ultimi 5 anni né per gliipertesi senza comorbilità (+0.0%) né per gli ipertesi condiabete mellito (+0.3%), malattia cardiovascolare (+0.2%),scompenso cardiaco (0.8%) e insufficienza renale cronica(+0.1%) (Tabella 1) (4).L’aderenza al trattamento ha importanti implicazioni eco-nomiche anche nel breve periodo. Dalla recente analisidel Organizzazione Mondiale della Sanità in ambito ditrattamenti cronici, emerge come l’aderenza si concretiz-zi prevalentemente in un sotto-utilizzo dei trattamenti far-macologici (piuttosto che in un sovra-utilizzo). Di conse-guenza, un incremento dell’aderenza ai trattamentipotrebbe determinare un incremento della spesa farma-ceutica. Ferma restando la costo-efficacia di interventifarmacologici appropriati in termini di riduzione dei costiospedalieri e la necessità di interventi per il miglioramen-to dell’appropriatezza prescrittiva, un incremento attualedella spesa farmaceutica potrebbe essere difficilmentesostenibile dalle Aziende Sanitarie Locali (ASL) in ragionedelle costrizioni finanziarie di breve periodo.In altri termini, la sensibilizzazione alla necessità di

Dr. Luca Degli Esposti CliCon S.r.l. Health, Economics & Outcomes Research

Questo articolo affronterà il problema dell’appropriatezza prescrittiva, attraverso il metododell’analisi dell’aderenza al trattamento. In ambito di prevenzione cardiovascolare,

l’importanza assunta da tale problematica è giustificata da molte evidenze

L’appropriatezza prescrittiva è generalmente misurabilemediante analisi dell’aderenza al trattamento.

La scarsa aderenza al trattamento è la causa principaledi inefficacia della terapia farmacologica.

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A n n o I I I - N . 1 , 2 0 1 1 30

miglioramento dell’aderenza al trattamento e la consape-volezza della costo-efficacia di una migliorata aderenza altrattamento potrebbero essere non sufficienti per per-mettere alla ASL di attivarsi per il miglioramento del-l’aderenza al trattamento in quanto tali strategie potreb-bero essere finanziariamente non sostenibili nel breveperiodo. Si pone, in sostanza, il problema della disponi-bilità finanziaria (financial availability). In tale scenario,non è in discussione la costo-efficacia degli appropriati

interventi farmacologici quanto piuttosto la disponibilitàdelle autorità sanitarie ad anticipare ad oggi risorse finan-ziarie per le strategie di prevenzione cardiovascolare.Oltre alle discusse costrizioni finanziarie, la letteraturaindividua ulteriori barriere al miglioramento dell’ade-renza (5). In primo luogo, l’aderenza al trattamentoviene definita come una variabile associata a diversiattori: il paziente, il medico ed il sistema sanitario.Diversamente dalle prime pubblicazioni, l’attenzione

Rischio di ospedalizzazione e costo totale (farmaci, visite, accertamenti, ospedalizzazioni)in base ai livelli di aderenza

tratto da SOKOL, 2005

Tota

l cos

ts ($

)

Risk

of h

ospi

taliz

atio

ns (%

)

Adherence level (%)

0

2,000

4,000

6,000

8,000

10,000

12,000

00-19 20-39 40-59 60-79 80-100

Medical cost Drug cost

0

10

20

30

40

50

Level of adherence (%)

Risk of hospitalizations

00-19 20-39 40-59 60-79 80-100

Figura 1

Valsartan vs placebo: NAVIGATOR co-primary end-point outcomes

Ipertensione[N=91,979]

Diabete mellito[N=19,523]

Malattie CV[N=26,036]

Scompenso[N=4,214]

Malattia renale cronica[N=6,938]

%

08

54.0

51.9

52.8

53.2

� %

08-04

-0.2

-0.1

+0.5

0.00

NORD

CENTRO

SUD E ISOLE

ITALIA

%

08

66.8

63.3

64.4

65.2

� %

08-04

-0.3

+0.1

+1.1

+0.3

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08

64.2

60.2

63.4

63.2

� %

08-04

-0.2

-0.7

-1.1

+0.2

%

08

64.7

65.8

59.8

63.3

� %

08-04

+0.8

+1.1

-0.4

+0.8

%

08

67.8

66.0

67.9

67.6

� %

08-04

-0.1

+0.4

+0.1

+0.1

modificato da OSMED, 2008

Tabella 1

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31A n n o I I I - N . 1 , 2 0 1 1

viene posta sul complesso degli attori che orbitanoattorno al processo di miglioramento dell’aderenza altrattamento.In relazione al paziente, le principali barriere al miglio-ramento dell’aderenza sono considerate la dimentican-za (nel 30% dei soggetti intervistati), le altre priorità(16%), la decisione di non assunzione (11%), l’assenza diinformazione (9%), i fattori emotivi (7%) ed altre cause(27%). In relazione al medico, la complessità dei regimiprescrittivi, la ridotta tollerabilità dei farmaci, i tempi ela modalità della relazione tra medico e paziente, il rela-zionamento tra medico specialista e medico di medici-na generale (MMG), il grado sensibilizzazione al proble-ma e l’uso di strumenti informatici facilitanti.Nonostante l’insieme dei fattori debba essere appro-fondito, alcuni di essi meritano un cenno particolare. UnMMG con 1,500 assistiti conta oltre 300 pazienti in trat-tamento antiipertensivo, la maggior parte dei quali intrattamento con ulteriori farmaci, ed effettua una visitamediamente ogni 8 minuti. La complessità e la disponi-bilità di tempo per una visita ambulatoriale rischia dinon essere compatibile con il fattore “tempi e modalitàdella relazione tra medico e paziente”. Esiste, quindi,una necessità organizzativa. Alcune Regioni hanno ini-ziato ad affrontare tale criticità mediante l’adozione di

modelli organizzativi ad hoc (eg, chronic care model). Lacomplessità dell’attività e la disponibilità di tempoinfluenzano anche il grado di sensibilizzazione del MMGal problema. Posto che la consapevolezza del problemasia il presupposto per il suo cambiamento, sono neces-sari strumenti informativi di sintesi dei dati per informa-re periodicamente il MMG circa l’aderenza al trattamen-to dei propri pazienti. Tali strumenti potrebbero esseregli stessi programmi utilizzati dal MMG per la gestionedell’ambulatorio oppure i report inviati dalle ASL e cal-colati mediante le banche dati amministrative. Il requi-sito per il funzionamento di tali strumenti è, nel primocaso, il costante ed adeguato inserimento dei dati, nelsecondo caso, la misurazione dei processi terapeutici enon dei soli consumi.In relazione al sistema sanitario (eg, le ASL), le principa-li barriere al miglioramento dell’aderenza, oltre allecostrizioni finanziarie ed alla brevità dell’orizzonte diinvestimento già discusse in precedenza, sono conside-rate il grado sensibilizzazione al problema ed il sistemadegli indicatori. Generalmente, le ASL provvedono admisurazione di indicatori di consumo (eg, spesa procapite, numero di defined daily dose [DDD] per 1,000abitanti die) ma non approfondiscono la valutazionedell’aderenza al trattamento. Analogamente a quantoavviene per il MMG, l’assenza di evidenze determinauna mancata sensibilizzazione al problema. Nel casodella ASL, in più, in ragione del ruolo di monitoraggiodelle prescrizioni effettuate dai MMG, l’assenza di unsistema di valutazione dell’aderenza al trattamentorischia di aumentare l’ampiezza del problema. Secondole scuole di management, you got what you measure.Un’attenzione esclusiva ai consumi rischia, quindi, dinon sensibilizzare gli operatori al problema dell’aderen-za al trattamento e, di conseguenza, di non creare i pre-supposti per il suo miglioramento.In conclusione, l’aderenza al trattamento rappresenta unfattore critico per la prevenzione cardiovascolare il cuimiglioramento appare condizionato dalla collaborazionetra i diversi attori coinvolti ed dalla valutazione congiuntadell’insieme delle barriere esistenti.

Bibliografia1. L’uso dei farmaci in Italia. Rapporto Nazionale OsMed 2007.2. Sokol MC et al. Impact of medication adherence on hospitalizationrisk and healthcare cost. Med Care 2005; 43: 521-30.3. L’uso dei farmaci in Italia. Rapporto Nazionale OsMed 2008.4. World Health Organization. Adherence to long-term therapies.Evidence for action. Geneva: World Health Organization; 2003.5. Osterberg L. Adherence to Medication. N Engl J Med 2005; 353:487-97.

Dalla recente analisi del Organizzazione Mondiale dellaSanità in ambito di trattamenti cronici, emerge comel’aderenza si concretizzi prevalentemente in un sotto-utilizzo dei trattamenti farmacologici piuttosto che in unsovra-utilizzo.

L’aderenza al trattamento viene definita come una varia-bile associata a diversi attori: il paziente, il medico ed ilsistema sanitario.

Un’attenzione esclusiva ai consumi rischia, quindi, dinon sensibilizzare gli operatori al problema dell’aderen-za al trattamento e, di conseguenza, di non creare i pre-supposti per il suo miglioramento.

In relazione al sistema sanitario, le principali barriere almiglioramento dell’aderenza, oltre alle costrizioni finan-ziarie ed alla brevità dell’orizzonte di investimento, sonoconsiderate il grado sensibilizzazione al problema ed ilsistema degli indicatori.

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Il paziente davanti al suo rischio cardiovascolare

E’ un dato ormai noto a tutti che le patologie cardio-vascolari rappresentano il maggior rischio di morbilitàe mortalità nel mondo industrializzato. Numerosi sonoi fattori di rischio alla base di tali eventi, la loro appro-fondita conoscenza permette di modulare il nostrointervento. Di fondamentale importanza è la cono-scenza a tutto tondo dell’universo che contorna il sin-golo paziente, in quanto il nostro intervento deveessere modulato in base al maggior o minor grado dirischio. Esistono dei fattori che fanno parte del vissu-to del soggetto (età, pregresse patologie, sesso, statosociale, …), per definizione non modificabili, chedevono essere conosciuti a fondo in quanto ci fannocapire da quale base di rischio parte il singolo pazien-te. Sulla base dei fattori di rischio non modificabiliagiscono poi tutti gli altri (fumo, dislipidemie, iperten-sione, diabete, obesità), sui quali un’azione decisapuò determinare un cambio di rotta della storia natu-rale del nostro paziente. Un elemento fondamentale èche tutti i fattori di rischio devono essere valutati inmodo globale, evitando quel comune errore per cuiogni singolo medico si occupa della sua specialitàperdendo di vista tutto ciò che, pur apparentementelontano dalla patologia affrontata, ha un effetto siner-gico nel determinare l’insorgenza della patologia car-diovascolare. Un tipico esempio, per la verità oggimolto meno presente, è il panico che colpiva spessoil medico di fronte al proprio paziente diabetico conscompenso cardiaco quando il cardiologo prescrivevauna terapia con beta-bloccante; venivano in mentequelle tabelle un po’ antiquate nelle quali si afferma-

va che tale terapia non poteva essere prescrittasoprattutto nel timore che potesse peggiorare il pro-filo glicemico e che potesse mascherare i segni di unacrisi ipoglicemica grave. Tutto questo oggi sappiamoche non è esatto e, soprattutto con i farmaci di ultimagenerazione, anche nel diabetico con scompenso car-diaco sono evidenti i benefici di tale trattamento siasulla morbilità che sulla mortalità. Si corre il rischioche il paziente venga rimbalzato da uno specialistaall’altro ottenendo consigli che, seppur ottimali per lasingola patologia, potrebbero avere effetti dannosi sualtre non perseguendo quindi l’obiettivo che tuttidobbiamo avere sempre presente che è la cura delmalato e non della malattia.Per questo è centrale il ruolo del medico di medicinagenerale che attraverso la profonda conoscenza delsingolo paziente può ottimizzare il livello di interven-to rispetto a tutte le comorbilità presenti. In questosenso estremamente didattici sono i risultati dellostudio INTERHEART che ha analizzato l’impatto dimolteplici fattori di rischio (fumo, alti livelli di cole-sterolo, ipertensione, diabete, obesità addominale,

Dr. Simone Mininni, Dr. Mauro Vannucci*Direttore Sanitario, Istituto Leonardo da Vinci, Cardiologia Firenze* Direttore S.O. Riabilitazione Cardiologica I.F.C.A. Firenze

Questo articolo metterà in evidenza l’importanza di analizzare il profilo di rischio cardiovascolare del paziente in una ottica di visione globale. Per questo è centrale il ruolo

del medico di medicina generale che attraverso la profonda conoscenza del singolo pazientepuò ottimizzare il livello di intervento rispetto a tutte le comorbilità presenti

Un elemento fondamentale è che tutti i fattori di rischiodevono essere valutati in modo globale, evitando quelcomune errore per cui ogni singolo medico si occupadella sua specialità perdendo di vista tutto ciò che, purapparentemente lontano dalla patologia affrontata, haun effetto sinergico nel determinare l’insorgenza dellapatologia cardiovascolare.

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stress, mancanza di consumo quotidiano di frutta everdura, non consumo di alcool e mancanza di eser-cizio fisico) evidenziando come la loro contempora-nea presenza determini un rischio di ben 333 voltesuperiore rispetto a quello basale di sviluppare uninfarto miocardico.Analizzando poi i singoli fattori di rischio non manca-no mai elementi di collegamento tra di loro. Per quan-to riguarda l’ipertensione, la pietra miliare comeobiettivo è quella di controllare i valori, ma non pos-siamo dimenticare che per raggiungere l’obiettivo ènecessario adattare la terapia su misura sul singolopaziente. Oltre alla correzione dello stile di vita spes-so le terapie mediche devono essere assunte per unperiodo prolungato quindi è necessario utilizzare far-maci che minimizzino gli effetti collaterali. E’ ormai

evidente infatti in letteratura come alcune classi sianomal tollerate e che quindi la percentuale di interruzio-ne del trattamento sia elevata. In particolare il tratta-mento diuretico isolato ha una percentuale di persi-stenza ad un anno di circa il 10%; in concreto 90pazienti su 100 interrompono la terapia. La percentua-le di persistenza aumenta in modo significativo con ifarmaci di altre classi fino a raggiungere circa il 70%con i sartani. Per quello che riguarda i diuretici unarecente metanalisi ha poi evidenziato che l’idrocloro-tiazide al dosaggio compreso tra i 12,5 ed i 25 mgpermette una riduzione dei valori pressori solo mode-sta (circa 5 mmHg), significativamente inferiore rispet-to a quella ottenuta con tutte le altre classi di farma-

Per questo è centrale il ruolo del medico di medicinagenerale che attraverso la profonda conoscenza del sin-golo paziente può ottimizzare il livello di interventorispetto a tutte le comorbilità presenti.

In particolare il trattamento diuretico isolato ha unapercentuale di persistenza ad un anno di circa il 10%;in concreto 90 pazienti su 100 interrompono la tera-pia. La percentuale di persistenza aumenta in modosignificativo con i farmaci di altre classi fino a raggiun-gere circa il 70% con i sartani.

Risk factor

Current smoking

Diabetes

Hypertension

Abdominal obesity

Psychosocial factors

0.25 0.5 1.0 2 4 8 16Odds ratio (99% CI)

Fruits/Vegetables

Exercise

Alcohol

ApoB/ApoA1 ratio

Women

Men

INTERHEART: Positive impact of lifestyle factor on acute MI

Yusuf S et al. Lancet 2004; 364: 937-52

Figura 1

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ci. Per ottenere un’efficacia antiipertensiva simile allealtre classi è necessario aumentare il dosaggio adalmeno 50 mg, ma a questo dosaggio emergono chia-ri gli effetti negativi metabolici del diuretico (ipokalie-mia, iponatriemia ed insulino-resistenza). Esistono poialtre evidenze che ci guidano nella scelta della classedel farmaco antiipertensivo. In pazienti con ridottatolleranza al glucosio è possibile prevenire l’incidenza

di diabete? E’ questo il razionale dello studio NAVI-GATOR. Ebbene per la prima volta un trattamentoantiipertensivo, nello specifico Valsartan al dosaggiodi 160 mg al giorno, è riuscito a dare risposte positi-ve, con una riduzione significativa di nuovi casi. Afronte di questi ottimi risultati con il sartano il tratta-mento con la nateglinide, un ipoglicemizzante orale,non ha evidenziato invece alcun risultato. D’altra

512

256

128

64

32

16

8

4

2

1Fumo

(1)Diabete

(2)Ipertens.

(3)ApoB/A1

(4)1+2+3 Tutti e 4 + Obes. + PS Tutti i

FR

2,9(2,6-3,2)

2,4(2,1-2,7)

1,9(1,7-2,1)

3,3(2,8-3,8)

13,0(10,7-15,8)

42,3(33,2-54,0)

68,5(53,0-88,6)

182,9(132,6-252,2)

333,7(230,2-483,9)

Odd

ratio

(99%

CI)

Rischio di infarto miocardico acuto associato all’esposizione a fattori di rischio multipli

S. Yusuf. Lancet 2004; 364: 937-952

Figura 2

Valsartan vs placebo: NAVIGATOR co-primary end-point outcomes

Co-primary end-points

Progression to diabetes

Composite CV events, extendedb

Composite CV events, corec

Valsartan, n = 4631 (%)

33,1

14,5

8,1

Placebo, n = 4675 (%)

36,8

14,8

8,1

HR (95% Cl)

0,86 (0,80-0,92)

0,96 (0,86-1,07)

0,99 (0,86-1,14)

pa

<0,001

0,43

0,85

a. Two-sided testb. cardiovascular death, nonfatal MI, nonfatal stroke, or hospitalizaztion from unstable angina, heart failure, or arterial revascularizationc. cardiovascular death, nonfatal MI, nonfatal stroke, or heart failure hospitalization

Figura 3

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parte prevenire il diabete significa in prati-ca prevenire un evento in quanto è risapu-to come il diabetico senza precedentieventi cardiovascolari abbia lo stessorischio del paziente non diabetico con unprecedente evento cardiovascolare.Passando alle dislipidemie non esistonoalcuni dubbi che in prevenzione secondariai parametri debbano essere costantementesotto controllo, spingendosi verso un valo-re di LDL il più vicino possibile ai 70 mg/dl.Alcuni dubbi sorgono talora in prevenzioneprimaria. In nostro aiuto vengono alcuneevidenze: innanzitutto ci dobbiamo semprepiù abituare a ragionare non in termini dicolesterolo totale, ma di HDL ed LDL. Inparticolare soggetti con valori di HDLestremamente bassi (inferiori a 30 mg/dl)devono essere osservati con particolareattenzione e, visto che attualmente non abbiamo adisposizione strumenti che riescano ad aumentare inmodo significativo tale parametro, in tali casi l’unorimedio valido che abbiamo è di ridurre in modosignificativo le LDL con le statine. Altro utile sussidioper valutare l’opportunità di un trattamento farmaco-logico è lo studio dello spessore medio-intimale benvisualizzabile a livello carotideo. La presenza di unospessore aumentato (valore normale fino a 0,8 mm),iniziale segno di danno d’organo vascolare, ci puòaiutare a stabilire a fronte di valori lipidici simili qualesia il paziente da trattare.Dopo gli interventi utili un piccolo accenno ad unoche attualmente non ha indicazioni nella pratica cli-nica. Non sembra necessario intervenire con acidofolico in pazienti con iperomocisteinemia in quanto

più di uno studio ha evidenziato come tale terapiapur normalizzando velocemente il valori di omoci-steina ematica non determini minimamente riduzionedegli eventi. Un recentissimo studio ha ipotizzato unpotenziale effetto negativo di interazione tra tratta-mento con acido folico e acido acetilsalicilico, comedire che in tutti i pazienti che hanno bisogno di aspi-rina non è opportuno aggiungere acido folico, rele-gando praticamente il trattamento solo in prevenzio-ne primaria …. francamente non si smette mai di stu-pirci!Per minimizzare il rischio cardiovascolare del nostropaziente è quindi necessario avere sempre la visioneglobale, e soprattutto è necessario che tutte le figuremediche (e non solo) che incontrano il paziente nellasua vita quotidiana collaborino per riuscire a dare alpaziente quei consigli che si dimostreranno utili amigliorare non solo la quantità ma soprattutto unabuona qualità della vita.

Bibliografia- Yusuf S, Hawken S, Ounpuu S, Dans T, Avezum A, Lanas F,McQueen M, Budaj A, Pais P, Varigos J, Lisheng L; INTERHEARTStudy Investigators. LANCET 2004;364: 937-52.- The NAVIGATOR Study Group. Effect of Valsartan on the inciden-ce of diabetes and cardiovascular events. N Eng J Med 2010, 1-14.- Messerli F. et al: Antyipertensive efficacy of HCTZ as evacuate byABPM. A meta-analysis of randomized trials: JACC 2011, 57: 590-600.- Wald DS, Morris JK, and Wald NJ. Reconciling the evidence onserum homocysteine and ischaemic heart disease: A meta- analysis.PLoS One 2011.

Non sembra necessario intervenire con acido folicoin pazienti con iperomocisteinemia in quanto più diuno studio ha evidenziato come tale terapia pur nor-malizzando velocemente il valori di omocisteinaematica non determini minimamente riduzione deglieventi.

Per la prima volta un trattamento antiipertensivo,nello specifico Valsartan al dosaggio di 160 mg algiorno, è riuscito nello studio Navigator a darerisposte positive, con una riduzione significativa dinuovi casi di diabete.

Calcolo dello spessore mediointimale

D IMT

Figura 4

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1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE. Micardis 80 mg compresse.

2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA. Ogni compressa contiene telmisartan 80 mg. Eccipienti: Ogni compressa contiene 338 mg di sorbitolo (E420). Perl’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1.

3. FORMA FARMACEUTICA. Compresse. Compresse bianche, oblunghe con il codice 52H impresso su un lato ed il logo dell'azienda impresso sul-l'altro.

4. INFORMAZIONI CLINICHE. 4.1 Indicazioni terapeutiche. Ipertensione. Trattamento dell’ipertensione essenziale negli adulti. Prevenzionecardiovascolare. Riduzione della morbilità cardiovascolare in pazienti con: i) malattia cardiovascolare aterotrombo-tica manifesta (storia di coronaropatia, ictus o malattia arteriosa periferica) o ii) diabete mellito di tipo 2 con dannodocumentato degli organi bersaglio. 4.2 Po sologia e modo di somministrazione. Trattamento dell’ipertensioneessenziale: La dose generalmente efficace è di 40 mg una volta al giorno. Alcuni pazienti possono trarre già bene-ficio dalla dose di 20 mg una volta al giorno. Nei casi in cui non viene raggiunto il controllo pressorio, la dose di tel-misartan può essere aumentata fino ad un massimo di 80 mg una volta al giorno. In alternativa, il telmisartan può es-sere impiegato in associazione con diuretici tiazidici, come l'idroclorotiazide, con il quale è stato dimostrato un effettoadditivo in termini di riduzione della pressione, con l'associazione a telmisartan. Qualora si prenda in considerazioneun aumento di dosaggio, si deve tenere presente che il massimo effetto antipertensivo si ottiene generalmente da quat-tro a otto settimane dopo l'inizio del trattamento (vedere paragrafo 5.1). Prevenzione cardiovascolare: La dose rac-comandata è di 80 mg una volta al giorno. Non è noto se dosi di telmisartan inferiori a 80 mg siano efficaci nel ri-durre la morbilità cardiovascolare. Quando si inizia la terapia con telmisartan per la riduzione della morbilitàcardiovascolare, si raccomanda un attento monitoraggio della pressione arteriosa e se appropriato può essere ne-cessario un aggiustamento della dose dei medicinali che riducono la pressione arteriosa. Telmisartan può essere as-sunto con o senza cibo. Popolazioni di pazienti speciali. Insufficienza renale: Per i pazienti con insufficienza re-nale lieve o moderata non è necessario modificare la posologia. L’esperienza in pazienti con grave insufficienza renaleo in emodialisi è limitata. In questi pazienti è raccomandata una dose iniziale più bassa pari a 20 mg (vedere para-grafo 4.4). Insufficienza epatica: Nei pazienti con insufficienza epatica lieve o moderata la dose non deve essere mag-giore di 40 mg una volta al giorno (vedere paragrafo 4.4). Anziani. Non è necessario modificare la dose nei pazientianziani. Pazienti pediatrici. L’uso di Micardis non è raccomandato nei bambini al di sotto di 18 anni a causa dellamancanza di dati sulla sicurezza e sull’efficacia. 4.3 Controindicazioni. • Ipersensibilità al principio attivo o ad unoqualsiasi degli eccipienti (vedere paragrafo 6.1). • Secondo e terzo trimestre di gravidanza (vedere paragrafi 4.4 e 4.6).• Ostruzioni alle vie biliari. • Insufficienza epatica grave. 4.4 Avvertenze speciali e precauzioni di impiego. Gravi-danza: La terapia con antagonisti del recettore dell’angiotensina II (AIIRA) non deve essere iniziata durante la gravi-danza. Per le pazienti che stanno pianificando una gravidanza si deve ricorrere ad un trattamento antipertensivo al-ternativo, con comprovato profilo di sicurezza per l’uso in gravidanza, a meno che non sia considerato essenziale ilproseguimento della terapia con un AIIRA. Quando viene diagnosticata una gravidanza, il trattamento con AIIRA deveessere interrotto immediatamente e, se appropriato, deve essere iniziata una terapia alternativa (vedere paragrafi 4.3e 4.6). Insufficienza epatica: Micardis non deve essere somministrato a pazienti con colestasi, ostruzioni alle vie bi-liari o grave insufficienza epatica (vedere paragrafo 4.3) in quanto telmisartan è principalmente eliminato nella bile.Per questi pazienti è prevedibile una clearance epatica ridotta per telmisartan. Micardis deve essere utilizzato sola-mente con cautela in pazienti con insufficienza epatica da lieve a moderata. Ipertensione renovascolare: Nei pa-zienti con stenosi bilaterale dell'arteria renale o stenosi dell'arteria renale afferente al singolo rene funzionante, trat-tati con un medicinale che influenza il sistema renina-angiotensina-aldosterone, c'è un aumentato rischio diipotensione grave ed insufficienza renale. Insufficienza renale e trapianto renale: Quando Micardis è somministratoa pazienti con disfunzioni renali, si raccomanda il controllo periodico dei livelli sierici di potassio e di creatinina. Nonci sono dati riguardo la somministrazione di Micardis in pazienti sottoposti di recente a trapianto renale. Ipovolemiaintravascolare: Nei pazienti con deplezione di sodio e/o ipovolemia causata da dosi elevate di diuretici, diete con re-strizione di sale, diarrea o vomito, si potrebbe verificare ipotensione sintomatica, specialmente dopo la prima dose diMicardis. Tali condizioni vanno corrette prima di iniziare il trattamento con Micardis. Deplezione di sodio e/o ipovole-mia devono essere corrette prima di iniziare il trattamento con Micardis. Duplice blocco del sistema renina-an-giotensina-aldosterone: Come conseguenza dell’inibizione del sistema renina-angiotensina-aldosterone, sono stateriportate ipotensione, sincope, iperkaliemia e alterazioni della funzionalità renale (inclusa insufficienza renale acuta)in individui sensibili, soprattutto in caso di associazione di prodotti medicinali che influenzano questo sistema. Il du-plice blocco del sistema renina-angiotensina-aldosterone (ad es. per aggiunta di un ACE inibitore ad un antagonistadel recettore dell’angiotensina II) non è pertanto raccomandato in pazienti con pressione arteriosa già controllata edeve essere limitata a casi individualmente definiti con uno stretto monitoraggio della funzionalità renale. Altre con-dizioni con stimolazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone: Nei pazienti il cui tono vascolare e la fun-zione renale dipendono principalmente dall'attività del sistema renina-angiotensina-aldosterone (es. pazienti con graveinsufficienza cardiaca congestizia o affetti da malattie renali, inclusa la stenosi dell'arteria renale), il trattamento conmedicinali che influenzano questo sistema, come telmisartan, è stato associato ad ipotensione acuta, iperazotemia,oliguria o, raramente, insufficienza renale acuta (vedere paragrafo 4.8). Aldosteronismo primario: I pazienti con al-dosteronismo primario generalmente non rispondono a medicinali antipertensivi che agiscono tramite l'inibizione delsistema renina-angiotensina. Quindi, si sconsiglia l'utilizzo di telmisartan. Stenosi della valvola aortica e mitrale,cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva: Come per altri vasodilatatori, si consiglia particolare cautela nei pazienti af-fetti da stenosi della valvola aortica o mitrale o cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva. Iperkaliemia: L’uso di medici-nali che influenzano il sistema renina-angiotensina-aldosterone può causare iperkaliemia. Nei pazienti anziani, nei pa-zienti con insufficienza renale, nei pazienti diabetici, nei pazienti contestualmente trattati con altri medicinali che possonoaumentare i livelli di potassio e/o nei pazienti con eventi intercorrenti, l’iperpotassemia può essere fatale. Prima di con-siderare l’uso concomitante di medicinali che influiscono sul sistema renina-angiotensina-aldosterone deve esserevalutato il rapporto tra il rischio e il beneficio. I principali fattori di rischio che devono essere presi in considerazioneper l’iperkaliemia sono: • Diabete mellito, compromissione renale, età (>70 anni). • Associazione con uno o più me-dicinali che influiscano sul sistema renina-angiotensina-aldosterone e/o integratori di potassio. Medicinali o classi te-rapeutiche di medicinali che possono provocare iperkaliemia sono: sostitutivi salini contenenti potassio, diuretici ri-sparmiatori di potassio, ACE inibitori, antagonisti del recettore dell’angiotensina II, medicinali antinfiammatori non

steroidei (FANS, inclusi gli inibitori COX-2 selettivi), eparina, immunosopressivi (ciclosporina o tacrolimus) e trimeto-prim. • Eventi intercorrenti, in particolare disidratazione, scompenso cardiaco acuto, acidosi metabolica, peggiora-mento della funzionalità renale, improvviso peggioramento delle condizioni renali (come infezioni), lisi cellulare (comeischemia acuta dell’arto, rabdomiolisi, trauma esteso). Nei pazienti a rischio si raccomanda uno stretto controllo delpotassio sierico (vedere paragrafo 4.5). Sorbitolo: Questo medicinale contiene sorbitolo (E420). I pazienti con rari pro-blemi di intolleranza ereditaria al fruttosio non devono assumere Micardis. Differenze etniche: Come osservato pergli inibitori dell'enzima di conversione dell’angiotensina, telmisartan e altri antagonisti del recettore dell'angiotensinaII sono apparentemente meno efficaci nel ridurre la pressione arteriosa nei pazienti di colore rispetto agli altri pazienti,forse a causa della maggior prevalenza di stati caratterizzati da un basso livello di renina nella popolazione di coloreaffetta da ipertensione. Altro: Come con qualsiasi agente antipertensivo, un'eccessiva diminuzione della pressionein pazienti con cardiopatia ischemica o patologia cardiovascolare ischemica potrebbe causare infarto del miocardioo ictus. 4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme d’interazione. Sono stati effettuati studi di interazionesolo negli adulti. Come altri medicinali che agiscono sul sistema renina-angiotensina-aldosterone, telmisartan può in-durre iperkaliemia (vedere paragrafo 4.4). Il rischio può aumentare in caso di associazione ad altri medicinali che purepossono indurre iperkaliemia, sostitutivi salini contenenti potassio, diuretici risparmiatori di potassio, ACE inibitori, an-tagonisti del recettore dell’angiotensina II, medicinali antinfiammatori non steroidei (FANS, inclusi gli inibitori COX-2selettivi), eparina, immunosopressivi (ciclosporina o tacrolimus) e trimetoprim. L’insorgenza della iperkaliemia dipendedall’associazione dei fattori di rischio. Il rischio aumenta nel caso di associazione dei trattamenti sopra elencati. Il ri-schio è particolarmente elevato nel caso di combinazione con diuretici risparmiatori di potassio e quando combinatocon sostitutivi salini contenenti potassio. L’associazione, ad esempio, con ACE inibitori o FANS presenta un minor ri-schio purché si osservino strettamente le precauzioni per l’uso. Uso concomitante non raccomandato. Diuretici ri-sparmiatori di potassio o integratori di potassio: Gli antagonisti recettoriali dell’angiotensina II come telmisartan,attenuano la perdita di potassio indotta dal diuretico. I diuretici risparmiatori di potassio quali spironolattone, eplere-none, triamterene o amiloride, integratori di potassio o sostitutivi salini contenenti potassio possono portare ad un si-gnificativo aumento del potassio sierico. Se l’uso concomitante è indicato a causa di documentata ipokaliemia, de-vono essere somministrati con cautela ed i livelli di potassio sierico devono essere monitorati frequentemente. Litio:Aumenti reversibili delle concentrazioni di litio nel siero e tossicità sono stati riportati durante la somministrazione con-comitante di litio con gli inibitori dell’enzima che converte l’angiotensina e con gli antagonisti del recettore dell’an-giotensina II, incluso telmisartan. Se l’uso dell’associazione si dimostrasse necessaria, si raccomanda un attento mo-nitoraggio dei livelli sierici del litio. Uso concomitante che richiede cautela. Medicinali antinfiammatori nonsteroidei: I FANS (cioè l’acido acetilsalicilico a dosaggio antinfiammatorio, inibitori dei COX-2 e FANS non selettivi) pos-sono ridurre l’effetto antipertensivo degli antagonisti del recettore dell’angiotensina II. In alcuni pazienti con funzio-nalità renale compromessa (ad es. come pazienti disidratati o pazienti anziani con funzionalità renale compromessa)la co-somministrazione di antagonisti del recettore dell’angiotensina II e di agenti che inibiscono la ciclo-ossigenasipuò indurre un ulteriore deterioramento della funzionalità renale, inclusa insufficienza renale acuta che è solitamentereversibile. Pertanto la co-somministrazione deve essere effettuata con cautela, soprattutto agli anziani. I pazienti de-vono essere adeguatamente idratati e deve essere considerato il monitoraggio della funzionalità renale dopo l’iniziodella terapia concomitante e quindi periodicamente. In uno studio la co-somministrazione di telmisartan e ramipril hadeterminato un aumento fino a 2,5 volte dell’AUC0-24 e della Cmax di ramipril e ramiprilato. La rilevanza clinica diquesta osservazione non è nota. Diuretici (tiazide o diuretici dell’ansa): Un precedente trattamento con elevati do-saggi di diuretici quali furosemide (diuretico dell’ansa) e idroclorotiazide (diuretico tiazidico) può portare ad una de-plezione dei liquidi ed a un rischio di ipotensione quando si inizi la terapia con telmisartan. Da prendere in conside-razione in casi di uso concomitante. Altri agenti antipertensivi: L’effetto ipotensivo di telmisartan può essereincrementato dall’uso concomitante di altri medicinali antipertensivi. Sulla base delle loro caratteristiche farmacolo-giche ci si può aspettare che i seguenti medicinali possano potenziare gli effetti ipotensivi di tutti gli antipertensivi in-cluso telmisartan: baclofenac, amifostina. Inoltre l’ipotensione ortostatica può essere aggravata da alcol, barbiturici,narcotici o antidepressivi. Corticosteroidi (per via sistemica): Riduzione dell’effetto antipertensivo. 4.6 Gravidanzae allattamento. Gravidanza: L’uso degli antagonisti del recettore dell’angiotensina II (AIIRA) non è raccomandato du-rante il primo trimestre di gravidanza (vedere paragrafo 4.4). L’uso degli AIIRA è controindicato durante il secondo edil terzo trimestre di gravidanza (vedere paragrafi 4.3 e 4.4). Non vi sono dati sufficienti sull’uso di Micardis in donnein gravidanza. Gli studi condotti sugli animali hanno evidenziato una tossicità riproduttiva (vedere paragrafo 5.3). L’evi-denza epidemiologica sul rischio di teratogenicità a seguito dell’esposizione ad ACE inibitori durante il primo trime-stre di gravidanza non ha dato risultati conclusivi; tuttavia non può essere escluso un lieve aumento del rischio. Seb-bene non siano disponibili dati epidemiologici controllati sul rischio con antagonisti del recettore dell’angiotensina II(AIIRA), un simile rischio può esistere anche per questa classe di medicinali. Per le pazienti che stanno pianificandouna gravidanza si deve ricorrere ad un trattamento antipertensivo alternativo, con comprovato profilo di sicurezza perl’uso in gravidanza, a meno che non sia considerato essenziale il proseguimento della terapia con un AIIRA. Quandoviene diagnosticata una gravidanza, il trattamento con AIIRA deve essere immediatamente interrotto e, se appropriato,si deve iniziare una terapia alternativa. È noto che nella donna l’esposizione ad AIIRA durante il secondo ed il terzotrimestre induce tossicità fetale (ridotta funzionalità renale, oligoidramnios, ritardo nell’ossificazione del cranio) e tos-sicità neonatale (insufficienza renale, ipotensione, iperkaliemia). (Vedere paragrafo 5.3). Se dovesse verificarsiun’esposizione ad un AIIRA dal secondo trimestre di gravidanza, si raccomanda un controllo ecografico della funzio-nalità renale e del cranio. I neonati le cui madri abbiano assunto AIIRA devono essere attentamente seguiti per quantoriguarda l’ipotensione (vedere paragrafi 4.3 e 4.4). Allattamento: Poiché non sono disponibili dati riguardanti l’uso diMicardis durante l'allattamento, Micardis non è raccomandato e sono da preferire trattamenti alternativi con comprovatoprofilo di sicurezza per l’uso durante l’allattamento, specialmente in caso di allattamento di neonati o prematuri. 4.7Ef fetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari. Non sono stati effettuati studi sulla capacità diguidare veicoli e di usare macchinari. Comunque, quando si guidano veicoli o si utilizzano macchinari, deve esseretenuto in considerazione che con la terapia antipertensiva potrebbero occasionalmente verificarsi sonnolenza e ver-tigini. 4.8 Effetti indesiderati. L'incidenza complessiva degli eventi avversi riportati con telmisartan (41,4 %) è statasolitamente confrontabile a quella riportata con il placebo (43,9 %) nel corso di studi clinici controllati, in pazienti trat-tati per l’ipertensione. L’incidenza degli eventi avversi non era dose correlata e non era correlata al sesso, all'età oalla razza dei pazienti. Il profilo di sicurezza di telmisartan nei pazienti trattati per la riduzione della morbilità cardio-vascolare era in linea con quello nei pazienti trattati per l’ipertensione. Le seguenti reazioni avverse al medicinale sonostate raccolte dagli studi clinici controllati, effettuati in pazienti trattati per l’ipertensione e da segnalazioni succes-sive alla commercializzazione. L’elenco comprende anche eventi avversi gravi ed eventi avversi che hanno determi-nato la sospensione del trattamento riportati in tre studi clinici a lungo termine che includevano 21.642 pazienti trat-tati fino a sei anni con telmisartan per la riduzione della morbilità cardiovascolare. Le reazioni avverse sono stateclassificate per frequenza ricorrendo alla seguente convenzione: molto comune (≥1/10); comune (≥1/100, <1/10); noncomune (≥1/1.000, <1/100); raro (≥1/10.000, <1/1.000); molto raro (<1/10.000), non nota (la frequenza non può es-sere definita sulla base dei dati disponibili). All’interno di ogni raggruppamento di frequenza, le reazioni avverse sonoelencate in ordine decrescente di gravità. Infezioni e infestazioni. Non comune: Infezioni del tratto respiratorio supe-riore incluse faringite e sinusite, infezione del tratto urinario inclusa cistite. Non noto: Sepsi anche con esito fatale1.

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Patologie del sistema emolinfopoietico. Non comune: Anemia. Raro: Trombocitopenia. Non noto: Eosinofilia. Disturbidel sistema immunitario. Raro: Ipersensibilità. Non noto: Reazione anafilattica. Disturbi del metabolismo e della nu-trizione. Non comune: Iperkaliemia. Disturbi psichiatrici. Non comune: Depressione, insonnia. Raro: Ansia. Patologiedel sistema nervoso. Non comune: Sincope. Patologie dell'occhio. Raro: Disturbi della vista. Patologie dell'orecchio edel labirinto. Non comune: Vertigini. Patologie cardiache. Non comune: Bradicardia. Raro: Tachicardia. Patologie va-scolari. Non comune: Ipotensione2, ipotensione ortostatica. Patologie respiratorie, toraciche e mediastiniche. Non co-mune: Dispnea. Patologie gastrointestinali. Non comune: Dolore addominale, diarrea, dispepsia, flatulenza, vomito. Raro:Disturbo gastrico, secchezza delle fauci. Patologie epatobiliari. Raro: Funzionalità epatica alterata/disturbo epatico. Pa-tologie della cute e del tessuto sottocutaneo. Non comune: Iperidrosi, prurito, rash. Raro: Eritema, angieoedema, eru-zione da farmaco, eruzione cutanea tossica, eczema. Non noto: Orticaria. Patologie del sistema muscoloscheletrico edel tessuto connettivo. Non comune: Mialgia dolore alla schiena (ad es. sciatica), spasmi muscolari. Raro: Artralgia,dolori alle estremità. Non noto: Dolori ai tendini (sintomi simili alla tendinite). Patologie renali e urinarie. Non comune:Compromissione renale inclusa insufficienza renale acuta. Patologie sistemiche e condizioni relative alla sede di som-ministrazione. Non comune: Dolore toracico, astenia (debolezza). Raro: Malattia simil-influenzale. Esami diagnostici.Non comune: Aumento della creatinina nel sangue. Raro: Aumento di acido urico nel sangue, enzimi epatici aumen-tati, creatina fosfochinasi aumentata nel sangue, calo dell’emoglobina. 1 Nello studio PRoFESS è stata osservata un’au-mentata incidenza di sepsi con telmisartan rispetto a placebo. L’evento può essere un risultato casuale o può esserecorrelato ad un meccanismo attualmente non noto (vedere paragrafo 5.1). 2 Riportato come comune nei pazienti conpressione arteriosa controllata che sono stati trattati con telmisartan per la riduzione della morbilità cardiovascolarein aggiunta alla terapia standard. 4.9 So vradosaggio. Le informazioni disponibili riguardo al sovradosaggio nell’uomosono limitate. Sintomi: Le manifestazioni più rilevanti legate al sovradosaggio di telmisartan sono state ipotensionee tachicardia; sono stati riportati anche bradicardia, capogiro, aumento della creatinina sierica e insufficienza renaleacuta. Trattamento: Telmisartan non viene rimosso dall’emodialisi. Il paziente deve essere strettamente controllatoe il trattamento deve essere sintomatico e di supporto. Il trattamento dipende dal tempo trascorso dall’ingestione edalla gravità dei sintomi. Le misure suggerite includono induzione di emesi e/o lavanda gastrica. Il carbone attivo puòessere utile nel trattamento del sovradosaggio. I livelli degli elettroliti sierici e della creatinina dovrebbero essere con-trollati frequentemente. Nel caso di ipotensione, il paziente dovrebbe essere posto in posizione supina e sali e fluididovrebbero essere reintegrati rapidamente.

5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE. 5.1 Proprietà farmacodinamiche. Categoria farmacoterapeutica: antagonisti dell’angiotensina II, non associati, co-dice ATC C09CA07. Meccanismo d’azione: Telmisartan è un antagonista recettoriale dell’angiotensina II (tipo AT1)specifico ed efficace per via orale. Telmisartan spiazza con un’elevata affinità l’angiotensina II dal suo sito di legamecon il recettore di sottotipo AT1, responsabile dei ben noti effetti dell’angiotensina II. Telmisartan non mostra alcunaattività agonista parziale per il recettore AT1. Telmisartan si lega selettivamente con il recettore AT1. Tale legame è dilunga durata. Telmisartan non mostra una rilevante affinità per altri recettori, compresi l'AT2 e altri recettori AT menocaratterizzati. Non sono noti il ruolo funzionale di questi recettori né l'effetto della loro possibile sovrastimolazione daparte dell'angiotensina II, i cui livelli sono aumentati dal telmisartan. Telmisartan determina una diminuzione nei li-velli plasmatici di aldosterone. Telmisartan non inibisce la renina plasmatica umana né blocca i canali ionici. Telmi-sartan non inibisce l’enzima di conversione dell’angiotensina (chininasi II), enzima che degrada anche la bradichinina.Quindi non è atteso un potenziamento degli eventi avversi mediati dalla bradichinina. Nell’uomo, una dose di 80 mgdi telmisartan determina un’inibizione quasi completa dell’aumento pressorio indotto dall’angiotensina II. L'effetto ini-bitorio si protrae per 24 ore ed è ancora misurabile fino a 48 ore. Efficacia clinica e sicurezza. Trattamento del-l’ipertensione essenziale. L’attività antipertensiva inizia a manifestarsi entro 3 ore dalla somministrazione della primadose di telmisartan. La massima riduzione dei valori pressori si ottiene generalmente da 4 ad 8 settimane dopo l’ini-zio del trattamento e viene mantenuta nel corso della terapia a lungo termine. L'effetto antipertensivo si protrae co-stantemente per 24 ore dopo la somministrazione e include le ultime 4 ore prima della successiva somministrazione,come dimostrato dalle misurazioni continue nelle 24 ore della pressione arteriosa. Ciò è confermato dal fatto che ilrapporto tra le concentrazioni minime e massime di telmisartan negli studi clinici controllati verso placebo rimane co-stantemente superiore all'80% dopo una dose di 40 mg e 80 mg. C'è un apparente trend per una relazione tra la dosee il tempo di ritorno ai valori basali della pressione arteriosa sistolica (PAS). Da questo punto di vista, i dati che riguardanola pressione arteriosa diastolica (PAD) non sono invece consistenti. Nei pazienti ipertesi il telmisartan riduce la pres-sione sia sistolica che diastolica senza influire sulla frequenza cardiaca. Non è ancora stato definito il contributo del-l’effetto diuretico e natriuretico del medicinale alla sua efficacia ipotensiva. L'efficacia antipertensiva di telmisartanè paragonabile a quella di medicinali rappresentativi di altre classi di antipertensivi (dimostrata negli studi clinici chehanno confrontato telmisartan con amlodipina, atenololo, enalapril, idroclorotiazide e lisinopril). Dopo una brusca in-terruzione del trattamento con telmisartan, la pressione arteriosa ritorna gradualmente ai valori preesistenti duranteun periodo di diversi giorni, senza comportare un effetto rebound. Negli studi clinici che confrontavano direttamentei due trattamenti antipertensivi, l’incidenza di tosse secca è risultata significativamente inferiore nei pazienti trattaticon telmisartan che in quelli trattati con gli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina. Prevenzione car-diovascolare. ONTARGET (ONgoing Telmisartan Alone and in Combination with Ramipril Global Endpoint Trial) haconfrontato gli effetti di telmisartan, ramipril e della combinazione di telmisartan e ramipril sugli esiti cardiovascolariin 25.620 pazienti di almeno 55 anni di età con una storia di coronaropatia, ictus, TIA, malattia arteriosa periferica odiabete mellito di tipo 2 associato ad evidenza di danno degli organi bersaglio (ad es. retinopatia, ipertrofia ventrico-lare sinistra, macro- o microalbuminuria) che rappresentano una popolazione a rischio di eventi cardiovascolari. I pa-zienti sono stati randomizzati ad uno dei tre seguenti gruppi di trattamento: telmisartan 80 mg (n = 8.542), ramipril10 mg (n = 8.576) o la combinazione di telmisartan 80 mg più ramipril 10 mg (n = 8.502) e seguiti per un periodomedio di osservazione di 4,5 anni. Telmisartan ha mostrato un’efficacia simile a ramipril nel ridurre l’endpoint primariocomposito di morte cardiovascolare, infarto miocardico non-fatale, ictus non-fatale o ospedalizzazione per insufficienzacardiaca congestizia. L’incidenza dell’endpoint primario è risultata simile nei bracci di trattamento con telmisartan (16,7%) e ramipril (16,5 %). L’hazard ratio per telmisartan verso ramipril è stato pari a 1,01 (97,5 % CI 0,93 – 1,10, p (non-inferiorità) = 0,0019 con un margine di 1,13). L’incidenza della mortalità per tutte le cause è stata rispettivamentedell’11,6% e dell’11,8% nei pazienti trattati con telmisartan e ramipril. Telmisartan è risultato essere efficace quantoramipril negli endpoint secondari pre-specificati di morte cardiovascolare, infarto miocardico non-fatale e ictus non-fatale [0,99 (97,5 % CI 0,90 – 1,08, p (non-inferiorità) = 0,0004)], endpoint primario nello studio di riferimento HOPE(The Heart Outcomes Prevention Evaluation Study) che aveva valutato l’effetto di ramipril verso placebo. TRANSCENDha randomizzato i pazienti intolleranti agli ACE-inibitori, con criteri di inclusione simili a quelli di ONTARGET, a rice-vere telmisartan 80 mg (n=2.954) o placebo (n=2.972), entrambi somministrati in aggiunta alla terapia standard. Ladurata media del periodo di follow up è stata di 4 anni e 8 mesi. Non è stata riscontrata una differenza statisticamentesignificativa nell’incidenza dell’endpoint primario composito (morte cardiovascolare, infarto miocardico non-fatale, ic-tus non-fatale o ospedalizzazione per insufficienza cardiaca congestizia) (15,7% nel gruppo trattato con telmisartane 17,0% nel gruppo trattato con placebo). É stato evidenziato il vantaggio di telmisartan rispetto al placebo nell’en-dpoint secondario pre-specificato di morte cardiovascolare, infarto miocardico non-fatale e ictus non-fatale [0,87 (95% CI 0,76 – 1,00, p = 0,048)]. Non c’è stata evidenza di beneficio sulla mortalità cardiovascolare (hazard ratio 1,03,

95 % CI 0,85 – 1,24). Tosse e angioedema sono stati riportati meno frequentemente nei pazienti trattati con telmi-sartan che nei pazienti trattati con ramipril, mentre l’ipotensione è stata riportata più frequentemente con telmisar-tan. L’associazione di telmisartan e ramipril non ha aggiunto alcun beneficio rispetto a ramipril o telmisartan in mo-noterapia. La mortalità cardiovascolare e la mortalità per tutte le cause sono state numericamente superiori conl’associazione. Inoltre, si è manifestata un’incidenza significativamente superiore di iperkaliemia, insufficienza renale,ipotensione e sincope nel braccio trattato con l’associazione. Pertanto l’uso di una associazione di telmisartan e ra-mipril non è raccomandato in questa popolazione di pazienti. Nello studio “Prevention Regimen For Effectively avoi-ding Second Strokes” (PRoFESS) nei pazienti di almeno 50 anni che avevano recentemente avuto un ictus è stata os-servata un’aumentata incidenza di sepsi con telmisartan rispetto a placebo, 0,70 % verso 0,49 % [RR 1,43 (95 %intervallo di confidenza 1,00 – 2,06)]; l’incidenza dei casi fatali di sepsi era aumentata per i pazienti in trattamentocon telmisartan (0,33 %) rispetto ai pazienti in trattamento con placebo (0,16 %) [RR 2,07 (95 % intervallo di confi-denza 1,14 – 3,76)]. L’aumentata incidenza di sepsi osservata in associazione all’uso di telmisartan può essere unrisultato casuale o correlato ad un meccanismo attualmente non noto. 5.2 Proprietà farmacocinetiche. Assorbi-mento: L’assorbimento di telmisartan è rapido, sebbene la frazione assorbita sia variabile. La biodisponibilità asso-luta del telmisartan è mediamente del 50% circa. Quando telmisartan viene assunto con il cibo, la riduzione dell’areasotto la curva delle concentrazioni plasmatiche/tempo (AUC0-∞) di telmisartan varia tra il 6% (dose di 40 mg) e il 19%circa (dose di 160 mg). Dopo 3 ore dalla somministrazione le concentrazioni plasmatiche risultano simili sia che il tel-misartan venga assunto a digiuno che con un pasto. Linearità/non-linearità: Non si ritiene che la lieve riduzione nel-l’AUC causi una riduzione dell’efficacia terapeutica. Non c'è una relazione lineare tra dosi e livelli plasmatici. La Cmaxe, in misura minore, l'AUC aumentano in modo non proporzionale a dosi superiori a 40 mg. Distribuzione: Il telmi-sartan è fortemente legato alle proteine plasmatiche (>99,5%), in particolare all’albumina e alla glicoproteina acidaalfa-1. Il volume medio di distribuzione allo stato stazionario (Vdss) è di circa 500 litri. Metabolismo: Il telmisartan èmetabolizzato mediante coniugazione al glucuronide della sostanza originaria. Non è stata dimostrata un'attività far-macologica per il coniugato. Eliminazione: Telmisartan mostra una cinetica di decadimento biesponenziale con un’emi-vita terminale di eliminazione superiore alle 20 ore. La concentrazione plasmatica massima (Cmax) e, in misura mi-nore, l’area sotto la curva delle concentrazioni plasmatiche/tempo (AUC0-∞), aumentano in misura non proporzionalealla dose. Quando il telmisartan viene assunto alle dosi consigliate non si evidenzia un accumulo rilevante dal puntodi vista clinico. Le concentrazioni plasmatiche sono superiori nella donna rispetto all’uomo, ma ciò non influisce in modorilevante sull’efficacia. In seguito alla somministrazione orale (ed endovenosa), il telmisartan viene escreto quasi esclu-sivamente con le feci, soprattutto in forma immodificata. L’escrezione urinaria cumulativa è <1% della dose. La clea-rance plasmatica totale (Cltot) è elevata (ca. 1000 ml/min) se confrontata al flusso plasmatico epatico (ca. 1500 ml/min).Popolazioni speciali. Effetti legati al genere: Sono state osservate differenze di concentrazioni plasmatiche tra i sessi,nelle donne Cmax e AUC erano rispettivamente 3 e 2 volte superiori rispetto agli uomini. Pazienti anziani: La far-macocinetica del telmisartan non differisce tra i pazienti anziani e i soggetti con meno di 65 anni. Pazienti con di-sfunzioni renali: Nei pazienti con disfunzioni renali da lievi a moderate e gravi è stato osservato un raddoppio delleconcentrazioni plasmatiche. Tuttavia, nei pazienti con insufficienza renale in dialisi sono state osservate concentra-zioni plasmatiche inferiori. Nei pazienti affetti da insufficienza renale il telmisartan è fortemente legato alle proteineplasmatiche e non può essere eliminato con la dialisi. Nei pazienti con disfunzioni renali l'emivita di eliminazione nonvaria. Pazienti con disfunzioni epatiche: Negli studi di farmacocinetica in pazienti con insufficienza epatica è statoosservato un aumento nella biodisponibilità assoluta fino a quasi il 100%. Nei pazienti con disfunzioni epatiche l'emi-vita di eliminazione non varia. 5.3 Dati preclinici di sicurezza. Negli studi preclinici di tollerabilità e sicurezza, dositali da determinare un’esposizione confrontabile a quella del range di dosi da impiegarsi nella terapia clinica hannocausato una riduzione dei parametri eritrocitari (eritrociti, emoglobina, ematocrito), alterazioni nell’emodinamica re-nale (aumento di azotemia e creatininemia) come anche un aumento nella potassiemia in animali normotesi. Nel canesono state osservate dilatazione ed atrofia dei tubuli renali. Nel ratto e nel cane sono state osservate inoltre lesionidella mucosa gastrica (erosioni, ulcere o infiammazioni). Questi effetti indesiderati farmacologicamente mediati, comeevidenziato dagli studi preclinici sia con inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina che con antagonisti delrecettore dell'angiotensina II, si possono prevenire somministrando supplementi salini orali. In entrambe le specie sonostati osservati aumento dell’attività della renina plasmatica e ipertrofia/iperplasia delle cellule iuxtaglomerulari renali.Tali alterazioni, anch’esse un effetto di tutta la classe degli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina e dialtri antagonisti del recettore dell'angiotensina II, non sembrano avere significato clinico. Non vi è alcuna evidenza diun effetto teratogeno, ma studi preclinici hanno mostrato alcuni rischi potenziali di telmisartan nello sviluppo postnataledella prole quali minore peso corporeo, apertura ritardata degli occhi e mortalità più elevata. Non vi è stata alcuna evi-denza di mutagenesi, né di attività clastogena rilevante negli studi in vitro né di cancerogenicità nel ratto e nel topo.

6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE. 6.1 Elenco degli eccipienti. Povidone (K25) - Meglumina - Sodio idrossido - Sorbitolo (E420) - Magnesio stearato.6.2 Incompatibilità. Non pertinente. 6.3 Periodo di validità. 4 anni. 6.4 Pre cauzioni particolari per la conserva-zione. Questo medicinale non richiede alcuna condizione particolare di conservazione. Conservare nella confezioneoriginale per proteggere il medicinale dall’umidità. 6.5 Natura e contenuto del contenitore. Blister di alluminio/al-luminio (PA/Al/PVC/Al o PA/PA/Al/PVC/Al). Un blister contiene 7 o 10 compresse. Confezioni: Blister con 14, 28, 30, 56,84, 90 o 98 compresse o blister divisibile per dose unitaria con 28 x 1 compresse. É possibile che non tutte le con-fezioni siano commercializzate. 6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento. Nessuna istruzione particolare.

7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL'IMMISSIONE IN COMMERCIO. Boehringer Ingelheim International GmbH. - Binger Str. 173. - D-55216 Ingelheim am Rhein - Germania.

8. NUMERI DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO. EU/1/98/090/005 (14 compresse). EU/1/98/090/006 (28 compresse). EU/1/98/090/007 (56 compresse).EU/1/98/090/008 (98 compresse). EU/1/98/090/014 (28 x 1 compressa). EU/1/98/090/016 (84 compresse).EU/1/98/090/018 (30 compresse). EU/1/98/090/020 (90 compresse).

9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/ RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE. Data della prima autorizzazione: 16 dicembre 1998. Data dell’ultimo rinnovo: 16 dicembre 2008.

10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO. 23 Novembre 2009.

Ipertensione - CLASSE A - € 28,72

Prevenzione cardiovascolare - In attesa di determinazione del regime di rimborsabilità da parte di AIFA

Da vendersi dietro presentazione di ricetta medica

Informazioni più dettagliate su questo medicinale sono disponibili sul sito web della Agenzia Europea dei Medicinali (EMEA): http://www.emea.europa.eu/.

Prevenzione cardiovascolare - L’indicazione non è attualmente rimborsata in Italia

Page 39: PCR Patient and Cardiovascular Risk - n°1 Gennaio/Marzo 2011

Boehringer Ingelheim e Eli Lilly and Company annunciano un’alleanza

strategica per offrire nuove terapie ai pazienti che soffrono di diabete nel mondo

Boehringer Ingelheim e Eli Lilly and Company (NYSE: LLY) hanno annunciato un accordo a livello mondiale per la collaborazione nello sviluppo e nella commercializzazione di principi attivi attualmente in fase di sviluppo intermedio e avanzato, in area diabetologica. Specificatamente la collaborazione riguarda due antidiabetici orali di Boehringer Ingelheim, linagliptin e BI10773, e due analoghi dell’insulina basale di Lilly, LY2605541 e LY2963016, oltre a un’opzione di collaborazione nello sviluppo e commercializzazione dell’anticorpo monoclonale anti TGF-beta di Lilly. L’accordo si basa sulle conoscenze e competenze scientifiche delle due aziende farmaceutiche, entrambe caratterizzate da una forte attività di Ricerca e Sviluppo, per affrontare le necessità di nuove opzioni terapeutiche derivanti dalla crescente diffusione della patologia diabetica a livello mondiale. “Siamo davvero entusiasti di questa nuova alleanza con Boehringer Ingelheim, un’azienda con cui abbiamo già proficuamente collaborato in passato” ha dichiarato Vincenzo Navarra, Lilly Sr Director Diabetes. “La nostra collaborazione ci porterà ad avere una delle pipeline più interessanti di tutto il settore farmaceutico in area diabetologica. Per Lilly questa alleanza amplia la gamma di trattamenti per i pazienti con diabete e rafforza le nostre competenze nell’area terapeutica”. “Boehringer Ingelheim e Lilly hanno deciso di dare vita a una partnership strategica in area diabetologica - ha dichiarato Sergio Lai, Head of Prescription Medicines di Boehringer Ingelheim - in un momento in cui Boehringer Ingelheim sta entrando in un’ulteriore nuova area terapeutica con farmaci innovativi frutto della Ricerca e Sviluppo interni. Questa collaborazione porta a Boehringer Ingelheim e Lilly molti benefici che derivano dall’esperienza di Lilly in diabetologia e dei suoi due analoghi dell’insulina basale in fase di sviluppo, uniti alla ricca pipeline di molecole anch’esse in fase finale di sviluppo di Boehringer Ingelheim”. Vincenzo Navarra Sr Director Diabetes Eli Lilly Italia S.p.A

Sergio Lai Head of Prescription Medicines Boehringer Ingelheim S.p.A.

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