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Università Telematica Pegaso La percezione e la valutazione di un silenzio
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Indice
1 IL DIVERSO GIUDIZIO DI UNO STESSO EVENTO ---------------------------------------------------------------- 3
2 LA TESTIMONIANZA OCULARE --------------------------------------------------------------------------------------- 5
BIBLIOGRAFIA ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 8
Università Telematica Pegaso La percezione e la valutazione di un silenzio
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
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1 Il diverso giudizio di uno stesso evento
Una peculiarità dell'interazione sociale è quella della frequente diversità di giudizi che
individui diversi danno di uno stesso evento. Si è determinato che la variabile che condiziona il
verificarsi di questo fenomeno non dipende dal cambiamento d'elaborazione mentale, ma dal
cambiamento nel tipo d'informazioni che sono selezionate e nel modo in cui sono processate. In
pratica, uno stesso stimolo esterno è recepito e metabolizzato non per il suo valore obiettivo, ma
sulla base di quelle informazioni e di quell'elaborazione che meglio si adatta alla specifica
personalità del percipiente. Questo dimostra come uno stesso evento possa essere spiegato in
termini diversi: per alcuni dipenderà da fattori interni al soggetto, per altri dalle circostanze esterne.
Sono intuitive le conseguenze processuali che possono derivare da questo diverso modo di porsi
rispetto agli altri e agli eventi quando il giudizio del soggetto diventa prova testimoniale e
costituisce elemento di convincimento su cui fondare una attribuzione di responsabilità. In sostanza,
la convinzione riferita ad errati processi di attribuzione tende ad acquisire un’autonomia
difficilmente contrastabile sul piano del raziocinio. Il problema dei bias attribuzionali nel contesto
processuale si presenta in modo evidente e drammatico e i diversi protagonisti - magistrati, forze
dell'ordine, testimone, reo, vittima - introducono nel processo verità diverse a seconda delle
distorsioni specifiche al ruolo che ricoprono (Gulotta, 1982). Il teste, proprio per il suo ruolo di
osservatore del fatto, avrà sviluppato un proprio meccanismo di valutazione dell'evento, delle
cause che possono averlo determinato, dei fattori motivazionali che hanno guidato l'attore. A sua
volta, il giudice riveste il ruolo di osservatore, benché indiretto, del fatto, essendo l'evento a lui
riferito da chi lo ha osservato dal vivo e lo espone alla luce delle proprie convinzioni. Il pubblico
ministero acquisisce gli esiti delle attività investigative poste in essere dalla polizia giudiziaria al
fine di esercitare l'azione penale, obbligatoria nel nostro Paese. Le forze dell'ordine, nel contempo,
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arricchiranno la fase investigativa degli esiti di una presunta "attendibilità" della testimonianza.
Questa difformità d'interpretazione e valutazione da parte di soggetti diversi nei riguardi di uno
stesso evento fa parte della fisiologia dell'esperienza giudiziaria ed è uno degli elementi costanti del
divenire processuale. E’, in altri termini, la prova che la spiegazione del comportamento non si
avvale di criteri scientifici di valutazione. Di rilevante interesse processuale è l'esame delle
specifiche dinamiche di attribuzione che caratterizza l'esperienza della vittimizzazione e, quindi, il
ruolo della vittima come testimone: i diversi meccanismi mistificatori possono inquinare la
deposizione della vittima, cioè la ricostruzione degli eventi effettuata da chi ha semplicemente
assistito allo svolgimento dei fatti e da quella, ancora diversa, del presunto colpevole. Nel caso della
vittima, la principale fonte d'errori d'attribuzione dipende da un meccanismo specifico, quello della
predisposizione egodifensiva, attraverso il quale il soggetto cerca di difendere e tutelare la propria
autostima e il sentimento di sé. Conseguentemente, un soggetto vittimizzato tenderà ad attribuire
l'evento negativo più a fattori esterni che alla propria responsabilità, mentre l'osservatore
occasionale incorre più facilmente nell'errore opposto, sopravvalutando le caratteristiche personali
del soggetto (in questo caso, la vittima) e sottovalutando il ruolo dei fattori esterni.
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2 La testimonianza oculare
La testimonianza oculare consiste nel recuperare il ricordo di un evento precedentemente
osservato. La testimonianza non è lo specchio dell'evento, sebbene vi sia una parziale
sovrapposizione fra evento e testimonianza: ci sono degli eventi che non diventano parte della
testimonianza e ci sono delle parti verbali che non fanno parte dell'evento. in altri termini, si
possono dimenticare cose già percepite e ricordarne altre mai avvenute. Lo stile di conduzione
dell'intervista, il modo di porre le domande e l'atteggiamento di chi interroga influiranno sulla
deposizione e, quindi, sulla quantità e qualità di informazioni riportate. L'esaminatore crea la
conoscenza di una realtà attraverso ciò che gli è riferito, poiché l'indagine si svolge non tanto su
quello che è accaduto, ma su quello che si riferisce sia avvenuto. Non si osserva la realtà che
bisogna giudicare, ma si parla e si ragiona della realtà, perciò essa viene ricostruita dagli elementi
acquisiti e dalla acquisizione della personale esperienza. Con riguardo al soggetto che riferisce,
quale appartenente alla polizia giudiziaria, è da dirsi che la pratica della verbalizzazione di una
testimonianza è spesso inficiata da errori, quali il fraintendimento del materiale riferito, l'incertezza
sul modo di rievocazione diretta o appresa da terzi, l'incapacità di vagliare eventuali errori ed
omissioni, la volontà da parte del teste di fornire una ricostruzione falsata.
Detto ciò, appare di fondamentale importanza il primo interrogatorio: le domande suggestive
o tendenziose che vengono poste nella prima fase dell’esame aumentano notevolmente il numero di
particolari inesistenti che un testimone già in condizioni naturali è portato a ricordare e ricostruire
(Loftus, 1979).
Nella memoria del testimone si vengono così a depositare informazioni sbagliate che si
fondono con il ricordo originale dell'evento. Il testimone, quindi, non è più in grado di distinguere le
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informazioni sbagliate da quelle corrette così che i successivi interrogatori saranno definitivamente
alterati (Mazzoni, 1997).
Sulla base delle prime domande l'interrogato potrà produrre l'effetto risposta (response
effects), dando, ad esempio, un’interpretazione scorretta della domanda posta, diversa quella intesa
dall'intervistatore, specialmente in caso di domanda ambigua; oppure la risposta è distorta (per
esempio non veritiera, incompleta) perché la domanda posta è imbarazzante, intrusiva, oppure
perché riguarda il passato ed il soggetto non riesce a ricordare le informazioni necessarie per
rispondere.
Tutto questo si mette in pratica durante il processo che trasforma i ricordi in storie, ove si
attua una potente fonte di distorsione della memoria; quando si è sollecitati a descrivere
verbalmente un ricordo si ottiene spesso una sorta di "oscuramento" del ricordo iniziale,
specialmente nel caso delle narrazioni in cui il recupero in memoria è in parte forzato da alcune
costrizioni.
Oltre ad assicurare la buona accettazione sociale, le distorsioni hanno il fine pragmatico di
ingannare in primis i testimoni che le espongono: è il caso dei falsi ricordi autobiografici che
riguarda aspetti molto rilevanti della propria vita personale. Ed è anche chiaro che una teoria
sistematica della testimonianza in ambito giudiziario presuppone un complesso schema concettuale
elaborato sulle conoscenze e sul linguaggio di diverse culture: quella giuridica (rilevanza,
ammissibilità, pertinenza, ecc.), quella psicologica (percezione, osservazione, richiamo
dell'informazione, ecc.), e quella della teoria dell'informazione (segnale, decodifica, ecc.). Si tratta
di un processo dalle molte facce, non sempre facilmente riconoscibili, e dalle molte implicazioni,
spesso sottovalutate. In genere, la testimonianza è immaginata come un mezzo di prova destinato
alla fase processuale, con il quale si procede al raggiungimento di una verità. In realtà,
l'informazione che si ottiene con questo mezzo probatorio va ben oltre questa prospettiva: il
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racconto e la descrizione fatta da un testimone può essere il punto di partenza per la ricerca di
eventuali sospetti che corrispondono ad una specifica descrizione e può servire per identificare un
sospetto o eliminarne altri, per sviare le indagini quando le informazioni e le descrizioni sono false,
per decidere un rinvio a giudizio, per motivare una sentenza (Mazzoni, 1997).
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