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LA PERCEZIONE E LA VALUTAZIONE DI UN SILENZIOPROF. FRANCESCO ROSA

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Università Telematica Pegaso La percezione e la valutazione di un silenzio

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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Indice

1 IL DIVERSO GIUDIZIO DI UNO STESSO EVENTO ---------------------------------------------------------------- 3

2 LA TESTIMONIANZA OCULARE --------------------------------------------------------------------------------------- 5

BIBLIOGRAFIA ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 8

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1 Il diverso giudizio di uno stesso evento

Una peculiarità dell'interazione sociale è quella della frequente diversità di giudizi che

individui diversi danno di uno stesso evento. Si è determinato che la variabile che condiziona il

verificarsi di questo fenomeno non dipende dal cambiamento d'elaborazione mentale, ma dal

cambiamento nel tipo d'informazioni che sono selezionate e nel modo in cui sono processate. In

pratica, uno stesso stimolo esterno è recepito e metabolizzato non per il suo valore obiettivo, ma

sulla base di quelle informazioni e di quell'elaborazione che meglio si adatta alla specifica

personalità del percipiente. Questo dimostra come uno stesso evento possa essere spiegato in

termini diversi: per alcuni dipenderà da fattori interni al soggetto, per altri dalle circostanze esterne.

Sono intuitive le conseguenze processuali che possono derivare da questo diverso modo di porsi

rispetto agli altri e agli eventi quando il giudizio del soggetto diventa prova testimoniale e

costituisce elemento di convincimento su cui fondare una attribuzione di responsabilità. In sostanza,

la convinzione riferita ad errati processi di attribuzione tende ad acquisire un’autonomia

difficilmente contrastabile sul piano del raziocinio. Il problema dei bias attribuzionali nel contesto

processuale si presenta in modo evidente e drammatico e i diversi protagonisti - magistrati, forze

dell'ordine, testimone, reo, vittima - introducono nel processo verità diverse a seconda delle

distorsioni specifiche al ruolo che ricoprono (Gulotta, 1982). Il teste, proprio per il suo ruolo di

osservatore del fatto, avrà sviluppato un proprio meccanismo di valutazione dell'evento, delle

cause che possono averlo determinato, dei fattori motivazionali che hanno guidato l'attore. A sua

volta, il giudice riveste il ruolo di osservatore, benché indiretto, del fatto, essendo l'evento a lui

riferito da chi lo ha osservato dal vivo e lo espone alla luce delle proprie convinzioni. Il pubblico

ministero acquisisce gli esiti delle attività investigative poste in essere dalla polizia giudiziaria al

fine di esercitare l'azione penale, obbligatoria nel nostro Paese. Le forze dell'ordine, nel contempo,

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arricchiranno la fase investigativa degli esiti di una presunta "attendibilità" della testimonianza.

Questa difformità d'interpretazione e valutazione da parte di soggetti diversi nei riguardi di uno

stesso evento fa parte della fisiologia dell'esperienza giudiziaria ed è uno degli elementi costanti del

divenire processuale. E’, in altri termini, la prova che la spiegazione del comportamento non si

avvale di criteri scientifici di valutazione. Di rilevante interesse processuale è l'esame delle

specifiche dinamiche di attribuzione che caratterizza l'esperienza della vittimizzazione e, quindi, il

ruolo della vittima come testimone: i diversi meccanismi mistificatori possono inquinare la

deposizione della vittima, cioè la ricostruzione degli eventi effettuata da chi ha semplicemente

assistito allo svolgimento dei fatti e da quella, ancora diversa, del presunto colpevole. Nel caso della

vittima, la principale fonte d'errori d'attribuzione dipende da un meccanismo specifico, quello della

predisposizione egodifensiva, attraverso il quale il soggetto cerca di difendere e tutelare la propria

autostima e il sentimento di sé. Conseguentemente, un soggetto vittimizzato tenderà ad attribuire

l'evento negativo più a fattori esterni che alla propria responsabilità, mentre l'osservatore

occasionale incorre più facilmente nell'errore opposto, sopravvalutando le caratteristiche personali

del soggetto (in questo caso, la vittima) e sottovalutando il ruolo dei fattori esterni.

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2 La testimonianza oculare

La testimonianza oculare consiste nel recuperare il ricordo di un evento precedentemente

osservato. La testimonianza non è lo specchio dell'evento, sebbene vi sia una parziale

sovrapposizione fra evento e testimonianza: ci sono degli eventi che non diventano parte della

testimonianza e ci sono delle parti verbali che non fanno parte dell'evento. in altri termini, si

possono dimenticare cose già percepite e ricordarne altre mai avvenute. Lo stile di conduzione

dell'intervista, il modo di porre le domande e l'atteggiamento di chi interroga influiranno sulla

deposizione e, quindi, sulla quantità e qualità di informazioni riportate. L'esaminatore crea la

conoscenza di una realtà attraverso ciò che gli è riferito, poiché l'indagine si svolge non tanto su

quello che è accaduto, ma su quello che si riferisce sia avvenuto. Non si osserva la realtà che

bisogna giudicare, ma si parla e si ragiona della realtà, perciò essa viene ricostruita dagli elementi

acquisiti e dalla acquisizione della personale esperienza. Con riguardo al soggetto che riferisce,

quale appartenente alla polizia giudiziaria, è da dirsi che la pratica della verbalizzazione di una

testimonianza è spesso inficiata da errori, quali il fraintendimento del materiale riferito, l'incertezza

sul modo di rievocazione diretta o appresa da terzi, l'incapacità di vagliare eventuali errori ed

omissioni, la volontà da parte del teste di fornire una ricostruzione falsata.

Detto ciò, appare di fondamentale importanza il primo interrogatorio: le domande suggestive

o tendenziose che vengono poste nella prima fase dell’esame aumentano notevolmente il numero di

particolari inesistenti che un testimone già in condizioni naturali è portato a ricordare e ricostruire

(Loftus, 1979).

Nella memoria del testimone si vengono così a depositare informazioni sbagliate che si

fondono con il ricordo originale dell'evento. Il testimone, quindi, non è più in grado di distinguere le

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informazioni sbagliate da quelle corrette così che i successivi interrogatori saranno definitivamente

alterati (Mazzoni, 1997).

Sulla base delle prime domande l'interrogato potrà produrre l'effetto risposta (response

effects), dando, ad esempio, un’interpretazione scorretta della domanda posta, diversa quella intesa

dall'intervistatore, specialmente in caso di domanda ambigua; oppure la risposta è distorta (per

esempio non veritiera, incompleta) perché la domanda posta è imbarazzante, intrusiva, oppure

perché riguarda il passato ed il soggetto non riesce a ricordare le informazioni necessarie per

rispondere.

Tutto questo si mette in pratica durante il processo che trasforma i ricordi in storie, ove si

attua una potente fonte di distorsione della memoria; quando si è sollecitati a descrivere

verbalmente un ricordo si ottiene spesso una sorta di "oscuramento" del ricordo iniziale,

specialmente nel caso delle narrazioni in cui il recupero in memoria è in parte forzato da alcune

costrizioni.

Oltre ad assicurare la buona accettazione sociale, le distorsioni hanno il fine pragmatico di

ingannare in primis i testimoni che le espongono: è il caso dei falsi ricordi autobiografici che

riguarda aspetti molto rilevanti della propria vita personale. Ed è anche chiaro che una teoria

sistematica della testimonianza in ambito giudiziario presuppone un complesso schema concettuale

elaborato sulle conoscenze e sul linguaggio di diverse culture: quella giuridica (rilevanza,

ammissibilità, pertinenza, ecc.), quella psicologica (percezione, osservazione, richiamo

dell'informazione, ecc.), e quella della teoria dell'informazione (segnale, decodifica, ecc.). Si tratta

di un processo dalle molte facce, non sempre facilmente riconoscibili, e dalle molte implicazioni,

spesso sottovalutate. In genere, la testimonianza è immaginata come un mezzo di prova destinato

alla fase processuale, con il quale si procede al raggiungimento di una verità. In realtà,

l'informazione che si ottiene con questo mezzo probatorio va ben oltre questa prospettiva: il

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racconto e la descrizione fatta da un testimone può essere il punto di partenza per la ricerca di

eventuali sospetti che corrispondono ad una specifica descrizione e può servire per identificare un

sospetto o eliminarne altri, per sviare le indagini quando le informazioni e le descrizioni sono false,

per decidere un rinvio a giudizio, per motivare una sentenza (Mazzoni, 1997).

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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

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