OSSOLA.it n3 Cultura

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Valli Antigorio, Divedro, Formazza L’Antico cammino degli Autani L’ultimo volo di Geo Chavez Gli affreschi in Ossola

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La rivista turistica delle valli dell'Ossola

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Valli Antigorio, Divedro, Formazza

L’Antico cammino degli Autani

L’ultimo volo di Geo Chavez

Gli affreschi in Ossola

CULTURA

anno II - numero 3 - 2009

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Sommario

4 A proposito di... Cultura

27 Valle Antigorio Arterie di Pietra

11 Alpe Devero Il Lago delle Streghe

19 Crodo Il Muro di Arvenolo

33 Valle Divedro Mulattiere in Val Divedro

53 Domodossola L’ultimo volo di Geo Chavez

66 Ornavasso Terra di storia e leggende

70 Alla scoperta degli aff reschi dell’Ossola

76 La Repubblica dell’Ossola

38 Valle Formazza Tante storie in una storia

47 Valle Antrona Procedaemus: l’antica invocazione de l’Autani

Anno II - N. 3 - 2009

Sede e redazioneVia Madonna di Loreto, 728805 Vogogna (VB)Tel. 329 2259589 Fax 0324 [email protected]

Direttore ResponsabileMassimo Parma

Direttore EditorialeRiccardo Faggiana

RedattoriRiccardo Faggiana, Massimo Parma, Claudio Zella Geddo

Coordinamento grafi coe impaginazioneEleonora [email protected]

CollaboratoriRosella Favino, Marilena Panziera, Alice Matli, Monica Mattei, Fabio Pizzicoli, Carlo Solfrini.

Hanno collaborato in questo numeroComunità Montana Antigorio-Divedro-Formazza, Comune di Domodossola, Comune di Ornavasso, Flavio Caff oni, Marianna Rampini, Giorgio Rava, Marco Valsesia, Francesco Vaudo, Cristian Veld-man, Michela Zucca.

Fotografi aArchivio © Faggiana Riccardo, Luca Chessa, Anna Proletti, Michela Zucca.Comunità Montana ANDIFOR

TraduzioniChiara Cane, Federico Manera “Easy English”

EditoreFaggiana RiccardoVogogna (VB) - Tel. 329 2259589

StampaPRESS GRAFICA S.r.l. - Gravellona Toce (VB)

Ossola.it è un periodico registrato presso il Tribunale di Verbania in data10/04/08con il n. 3/08.

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La parola cultura deriva da culto, che vuol dire a sua volta cura ver-so gli dei, di derivazione latina è

direttamente connessa al verbo coltivare, come concetto umanistico di formazione individuale.Nella versione moderna o antropologica è l’insieme dei costumi, delle usanze e cre-denze, nonché dei valori ed ideali di sin-goli e popoli.Il concetto è stato defi nito con pragma-tismo dalla sociologia moderna, che ha investito dell’aggettivo culturale anche aspetti della vita delle persone diversi dalle espressioni concettuali o di fede, ad esem-

a proposito di...di Marilena Panziera - Comunità Montana Valli Antigorio - Divedro - Formazza

pio oggigiorno si parla anche della cucina come espressione culturale, e già da tempo si intendono come fenomeni culturali la musica o la fi lmografi a. È grazie al sociologo ed antropologo fran-cese Emile Durkheim, vissuto a cavallo tra 800 e 900, che la cultura composta dall’insieme di usanze come rappresen-tazioni culturali viene riconosciuta come vero collante della società, ancor più che altri aspetti come la politica o l’economia, che sono subordinati dall’impostazione culturale delle manifestazioni umane, spe-cie nella forma della morale e del diritto.È certo che la cultura in tutte le sue ma-

cultura

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nifestazioni è processo di sviluppo e mo-bilitazione delle facoltà dell’uomo, che si esprimono appunto in un insieme com-plesso che include: sapere, arte, religione, morale, diritto, costume ed ogni altra espressione umana nella società.La società della fascia subalpina, in cui è posta l’Ossola, è espressione di varie po-polazioni, che nei secoli, hanno lasciato un’impronta visibile nella moderna so-cietà ossolana. Con la lingua, le credenze religiose, l’abbigliamento e le modalità di svago, che in quest’epoca di cultura globa-lizzata, sono visibili ed analizzabili come bagaglio d’esperienze che hanno determi-nato l’assetto socio-culturale odierno.Tra le peculiarità più note che caratterizza-no la società ossolana della fascia monta-na, vi è l’infl uenza walser, che deriva dalla ormai nota migrazione di popolazioni ger-maniche stanziatesi inizialmente in Sviz-zera e poi con migrazioni successive anche in Val Formazza e da qui in tutto l’arco al-pino. La sua singolarità l’ha resa resistente all’infl uenza delle culture romanze provenien-

ti da sud e nei suoi attuali rappresentanti è contraddistinta da un senso d'appartenen-za ancora molto vivo.Nelle valli più basse, l'Ossola è ricca d'esempi di cultura legata al tratto tipico della terra di confi ne, crocevia di civiltà in transito tra il mediterraneo ed il vici-no nord Europa. Queste correnti culturali in transito, nel medioevo hanno lasciato testimonianze di architettura romanica costituita principalmente da Chiese, ma anche da qualche fortezza che ha garan-tito la presenza vigile della nobiltà lom-barda a difesa dei confi ni sempre insidiati dalle popolazioni svizzere di origine cel-tica stanziatesi sul versante opposto della catena lepontica. Anche dallo scontro tra le due culture si è caratterizzata la società attuale.Nei secoli trascorsi tra il medioevo e l’unità d’Italia, la cultura derivante dalla matrice storica originaria e tutte le contaminazio-ni successive, avevano dato origine, anche a causa dell’estrema asprezza delle condi-zioni di vita possibili in quei secoli, ad una cultura rurale di tipo agricolo famigliare dove non si sono distinti movimenti so-ciali o politici di particolare rilievo. È con Antonio Rosmini, veneto, stabi-litosi nel 1828 presso il Sacro Monte Calvario, che un pensiero fi losofi co-cri-stiano partirà dall’Ossola verso i teatri delle dispute risorgimentali. L’ideolo-gia rosminiana, fu determinante per la promozione della soluzione unitaria dell’Italia, frammentata e martoria-ta da dispute annose, che ha trova-to nella critica del perfettismo e del dispotismo un esempio virtuoso di lotta all’assolutismo.Quindi non solo cultura legata alla terra ed alla povertà di un passato duro, ma anche spunti culturali di vasto respiro che infl uenzano an-cora il mondo di oggi.

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Giorgio RavaCon questo numero iniziamo la pubblicazione delle intriganti e affascinanti raffi gurazioni geografi che di Giorgio Rava. Una sorta di geografi a dell’immaginario, che prendendo a pretesto la nostra Ossola, ci porterà viandanti in terre colorate e libere.

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VALLI ANTIGORIO - DIVEDRO - FORMAZZA

di Michela Zucca

Il LagoIl Lago delledelleStregheStreghe (Alpe Devero)(Alpe Devero)

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Dall’Alpe Devero andando verso Crampiolo, ad un certo punto si nota un’indicazione inquie-

tante: Lago delle Streghe. Seguendo il sentiero, si arriva sulle rive di un laghetto incantevole, posto ideale per prendere il sole d’estate. Sul fi anco del meraviglioso specchio d’acqua, una rupe tagliata in due. Davanti, un bel sassone quasi squa-drato. L’amenità del luogo riesce a nascondere bene i segni antichi, i simboli incisi nella roccia o nascosti fra le onde: le tracce di un confl itto di religioni che fece migliaia di vittime in tutto l’arco alpino. E anche qui, fra Croveo e Baceno, contò deci-ne di morti ammazzati o lasciati perire di stenti nelle fredde celle delle galere dell’Inquisizione di Novara, preparate apposta per accogliere chi ancora nel XVI e XVII secolo si ostinava a seguire i riti di culti millenari, collegati alla natura e alla fertilità delle donne. Oppure chi non riusciva a distinguere le diff erenze fra protestanti e cattolici, e continuava ad assumere svizzeri riformati come la-voranti. E ad andare su e giù per le mon-tagne a far commercio, su piste frequen-tate fi n dal Paleolitico adesso sbarrate in nome di una fede incomprensibile a questi montanari che si rivolgevano agli spiriti delle rocce, degli alberi, dell’acqua se perdevano il cammino... Quando, fra il 1560 e il 1570, i cacciatori

di eresie risalgono per la prima volta la Valle Antigorio per

cercare di

evitare infi ltrazioni protestanti dalla Sviz-zera, non trovarono calvinisti, o eretici ribelli alla religione di stato. Per quella gente, abituata da millenni a scavalcare i versanti e a parlare diverse lingue, le regole religiose uffi ciali, imposte da ve-scovi cittadini, che obbedissero al papa di Roma piuttosto che ad un consiglio di laici riformati ginevrini, avevano ben poca importanza. Gli inquisitori incontra-no invece - e in gran quantità - streghe, stregoni, comportamenti e superstizioni legate alla magia, testimonianze di culti pagani ancora vivi e praticati da chiun-que: perfi no dai preti del posto. Trovano anche una morale sessuale libera e li-bertaria, giustifi cata dai riti della fertilità che dovevano assicurare discendenza a uomini e bestie, praticata in feste in cui avvenivano accoppiamenti in posizioni non approvate dalla Chiesa (la quale d’altra parte ne permetteva una sola...). Tutti atti che vennero immediatamente catalogati come indotti dal Demonio e quindi meritevoli di torture e di con-danna.D’altra parte, il cristianesimo aveva tar-dato secoli ad infi larsi su per quelle valli. E anche i suoi ministri, costretti a condi-videre l’esistenza con gente senza dio e senza morale, vengono contaminati dalla dissolutezza dei costumi e delle creden-ze pagane della gente delle montagne. Domenico Zuff o, parroco di Crodo fra il XVI e il XVII secolo, fu processato quattro volte per condotta immorale e violenta, rimosso e reinsediato in parrocchia, e alla fi ne allontanato: fra il resto, teneva in casa i fi gli avuti dalla convivente. Nel 1579 il cadavere di Francesco del Mo-lino, canonico della collegiata di Domo-dossola, fu rinvenuto con diversi libri “de scongiure et de incantamenti con mille altre forfantarie et instromenti diabolici che solo a vederli fano arizzar li cappelli”. Tra questi, un libriccino in cui “si scon-giurava il spirito con un pezo di osso et

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la Valle Antigorio per cercare di

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carne humana una cartilagine de una creatura natta vestita in uno Agnus Dei con certi caratteri diabolici”. E poi ancora “libri scritti a mano che non contengo-no che incantamenti et scongiur...” Altro che le orge di qualche povera strega!!!!!Certo, qualche cosa quelle donne avran-no pur fatto. Al Lago delle Streghe, lo racconta il posto stesso: perché sulla roccia, resa liscia da probabili riti di sci-

volamento che servivano ad assicurarsi la fertilità e la grazie di un fi glio, come migliaia sparse in ogni angolo dell’arco alpino, sono incise due croci e due let-tere: S e C, forse le iniziali del nome dello zelante inquisitore che tentò di cristia-nizzare la rupe.La forma del macigno ricorda l’organo sessuale femminile: è tagliata nel mezzo, e, passando attraverso la fessura, si arri-va ad una cavità oscura, l’ideale per quei riti di iniziazione che sono testimoniati da più fonti, nei processi, nei manuali di confessione e nei divieti ecclesiastici. Ricordiamo che diverse fra le donne di Croveo e Baceno processate a più ripre-se (alcune anche a distanza di 35 anni fra una sentenza e l’altra!), riferiranno che il “demonio” si manifesta vicino ad una rupe, in una cavità dietro la roccia. Non solo: proprio davanti alla parete solcata

dal taglio sottile, si trova un altro sasso, di forma vagamente quadrangolare, piatto in superfi cie: sembrerebbe quasi un leggio, un pulpito per poter fare un discorso, lanciare delle invocazioni, into-nare un inno, rivolgersi ad un pubblico che poteva comodamente seguire dalle rive del lago. E se le rocce, nell’antica religione della natura, che chiamiamo celtica ma che sicuramente risale a millenni prima, a quel mitico popolo dei Leponzi che abi-tava queste valli dalla notte dei tempi e che poi si mischiò con le tribù venute dall’oriente e dal nord, rappresentavano le ossa della terra, l’acqua simboleggiava la fonte stessa della vita. E il lago nella conca, l’utero generatore. Ancora oggi, nei Grigioni, i massi erratici da cui sgor-ga l’acqua sono chiamati “moma velha”, “madre antica”, e l’alpeggiatore che sale

Immagini: dall’alto: l’abitato di Croveo e il Lago delle Streghe

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ai pascoli alti deve baciarli, altrimenti lui e le sue bestie possono incappare in qualche brutto guaio. Il richiamo al divino femminile è tanto forte che chi è venuto dopo si è sentito in dovere di mettere una Madonna fra le acque del lago, forse per cacciar via le infl uenze delle dee arcaiche che dovevano farsi sentire potenti in quel posto.Perché le nostre streghe, interrogate a più riprese nel corso di quelli che oggi

di omaggiarlo come serve e concubine: ognuna di loro ha il suo diavolo perso-nale, con nome proprio, proporzionato all’età della strega; il quale è dotato di straordinarie qualità sessuali, nel senso che possiede un membro biforcuto, che può penetrarle contemporaneamente da due parti diverse (!). Non solo: pecu-liarità unica nell’intero arco alpino, che ribadisce l’antichità del culto rinvenuto in Valle Antigorio, non intaccato dal-

potremmo defi nire maxi processi, rila-sciano dichiarazioni sconvolgenti. Gli zelanti sbirri dell’inquisizione sentono racconti che vanno al di là dell’osceno stereotipo della strega schiava sessuale del demonio senza nemmeno ricorrere alla tortura. Le testimonianze sono tal-mente strane che arrivati ad un certo punto i giudici smettono di fare doman-de e passano avanti. Ma che cos’hanno da dire queste donne di Croveo e di Baceno? Che sicuro, loro conoscono il Demonio, nero peloso cor-nuto e con le orecchie a sventola, che suona il violino, e che si comporta né più né meno come un maestro di ceri-monie. Ma che non si sognano neppure

la cultura maschilista romana prima e cristiana poi, la presenza di demonies-se che si accoppiano con gli stregoni! Interrogate (immaginiamo la curiosità perversa dei frati inquisitori) su che cosa facessero i maschi con le diavolesse, le nostre signore, sdegnate, rispondono ai pii preti che mica lo possono sapere, loro!Emerge, in questi racconti, la concezio-ne primitiva della stregoneria, in cui la donna (e, in misura minore, l’uomo) era sacerdotessa di un culto sciamanico in cui gli spiriti guida venivano evocati per mettersi agli ordini di chi li chiamava dal regno dell’aldilà o, anche, dalla terra dei morti. Luogo mitico e tabù, che veniva

Immagini: p.14: par colare dell’incisione

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collocato sulla cima delle montagne, fra i ghiacciai, e che non poteva essere no-minato. Streghe e stregoni fanno fatica a pronunciare il nome sacro del Cervan-done, dove abitano i “diavoli”, cioè le divinità arcaiche della vita e della mor-te, demonizzati dai cristiani ma non per questo privati del potere di controllare gli elementi. Prima di recarsi sul luogo del Sabba, e di evocare il demonio, le donne di Croveo si ungono con una pomata di cui gli in-quisitori cercano ad ogni costo la ricetta. Non si conoscono gli ingredienti esatti dell’unguento usato nella Valle Antigo-rio; ma dai verbali di molti altri processi, sono stati raccolti gli elementi che servi-vano per confezionare un potentissimo elemento allucinogeno. Di fatto, essen-ze psicoattive ma velenose e mortali se prese per via orale, come la belladonna, la cicuta, lo stramonio, e non si esclude neanche l’oppio (ricordiamo che allora i valichi alpini erano traffi cati più di oggi, e che era proprio la gente delle valli che organizzava i transiti ed il trasporto delle merci), rinvenuto in alcune ricette, veni-vano manipolate e mescolate con un ec-cipiente grasso, di solito lardo di maiale. Niente a che vedere, ovviamente, con il grasso di bambino morto non battezza-to, o tirato fuori dalla tomba e simili ame-nità. Poi la crema veniva spalmata sulle parti del corpo più irrorate dal sangue, o dove la pelle era a stretto contatto con ghiandole linfatiche, principalmente le mucose vaginali, l’inguine, le ascelle, il collo, in modo da diff ondere in manie-ra istantanea la sostanza allucinogena nell’intero organismo e da raggiungere il cervello. Prove fatte da scienziati del tempo e da tossicologi odierni confermano che l’ef-fetto di questo tipo di droghe sia quello di librarsi in aria: proprio ciò che riferi-scono le streghe, che dicono di volare al sabba sulle spalle dei propri demoni.

infoPer saperne di più: Giambattista Beccaria, Le streghe di Baceno, in Giambattista Beccarla, Tullio Bertamini, Alberto De Giuli, Domina et Madonna La fi gura femmi-nile tra Ossola e Lago Maggiore dall’antichità all’Ottocento, Antiquarium Mergozzo, 1997

Fatto sta che fra quelle processate, tortu-rate e arse al rogo dal vescovo di Novara Buello nel 1574-75, e quelle processate ma non torturate, lasciate morire nei sot-terranei del vescovado dal Bascapè nel 1609-10, sono parecchie decine le don-ne accusate di stregoneria nella valle Antigorio. Probabilmente, all’elenco se ne aggiungerebbero molte altre, chissà come ma l’archivio della Santa Inquisi-zione di Novara viene opportunamente bruciato in piena epoca illuministica, dopo la metà del Settecento, appena prima che qualche studioso potesse metterci sopra le mani.

EN

The Lake of the Witches in Devero (Baceno).

In the high alpages in Devero Valley, there is a beautiful little lake called Lake of the

Witches. Some mysterious petroglyphs tell us the ancient history of a religious war, fought between the Christian judges of Inquisition and the worshipper of the ancient rituals of Mother Nature. In this areas, dozens of women have been tortured and executed with the accusation of witchcraft in XVI and XVII century. Th eir voices and history could not reach our books, because Novara’s archive of the Inquisition tribunal was “oc-casionally” burnt in XVIII century, before scholars could make any research on it.

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di Michela Zucca

Il MuroIl Muro del Diavolodel Diavolo di Arvenolodi Arvenolo di Crododi Crodo

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Salendo da Crodo alla piana di Arvenolo, si notano strane for-mazioni ai lati della strada, qua

e là per i prati: curiose composizioni di pietre in parte infi sse nel terreno, un po’ ammonticchiate una sull’altra, senza nes-suna ragione apparente, perché non sono i resti delle terrazze che i popoli alpini co-struivano per imbrigliare i versanti e per estendere la superfi cie di terra coltivabile. Né le macerie di case franate. Sono sassi che sembrano ammucchiati lì, dimenticati alla fi ne di un gioco di giganti. Peccato che nessuno pensi che la gente delle monta-gne non era poi così stupida da spostare tonnellate e tonnellate di materiale per sport. Allora erano altri tempi: non si face-vano sforzi ingenti per divertimento.Arrivati in cima, di fronte ad un paesaggio mozzafi ato che spazia dalla Valle Anti-gorio all’imbocco della Valle del Devero, antichissima via di transito lungo il passo dell’Arbola, si nota una grande muraglia di pietra, con una porta al centro sovra-stata da un massiccio architrave. E’ alta m. 6,30, con un fronte di 20 metri che, dopo essere rientrato di 13 metri, ne prosegue per altri 40. E’ stato oggetto di studi e di rilievi fi n dall’inizio del secolo. La tecnica di costruzione ricorda un po’ quella, celeber-rima, dei muri incaici di Cuzco, in Perù: gli enormi macigni non sono squadrati, ma scelti in maniera da adattarne le forme alla bisogna. Sorprende che il muro di Crodo sia migliaia di anni più antico di quello di Cuzco. Malgrado la grandezza delle pietre, e la loro forma irregolare, l’eff etto è di stra-ordinaria armonia, perché le varie com-ponenti combaciano perfettamente uno con l’altro: soltanto quando si è proprio davanti, si riesce a percepire la dimensio-ne eff ettiva del muro. Non si riesce però ad immaginare con quale tecnica, e con quanto sforzo quelle popolazioni siano riuscite a costruire una muraglia simile. E, soprattutto, il motivo di tanta fatica. La tradizione popolare assegna al Diavolo

il merito di tanta perizia. Si dice che Bel-zebù tentasse di fabbricare un ponte di collegamento fra i due versanti della valle, per poter scagliare l’intero cocuzzolo del-la montagna sugli abitanti di Cravegna, colpevoli di essere troppo devoti al Dio cristiano. Ma per intercessione della Ma-donna, interviene San Martino che batte il demonio in singolar tenzone. E, mentre la spalla del ponte sta ad Arvenolo, un masso a 2,300 metri di quota, al passo della Forcoletta, porterebbe ancora le im-pronte della sua schiena, delle sue corna

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e delle sue unghie. A perenne ricordo del fallimento dell’impresa diabolica. Lucifero è considerato il migliore architet-to dell’intero arco alpino. Specialmente quando ci si trovava di fronte a manufat-ti che dovevano risalire a millenni prima dell’avvento di Cristo, e quindi testimo-niavano che era esistito qualcuno ben ca-pace di opere insigni anche senza l’aiuto di sapienti di città e di preti, era automa-tico attribuire la paternità di realizzazioni come quelle al lavoro del demonio. Anche le divinità di quei montanari vengono

trasformate in esseri maligni e tentatrici dai rappresentanti dell’autorità costituita. Praticare il loro culto, anche segretamen-te, divenne causa di condanna per strego-neria, eresia, torture e roghi. Se ci si guarda intorno, qui sugli alpeggi di Arvenolo, lo stupore aumenta. Perché il muraglione ciclopico è solo una parte di un complesso molto più esteso: l’intera piana è circondata da muri a secco che la circondano in una specie di cerchio. Più o meno al centro, di spalle al versante, un masso erratico abbastanza grande da po-

Immagini: il muro del Diavolo

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terci salire sopra, in posizione dominante. Un altare? Il mistero si infi ttisce se si considera il fat-to che i saggi di scavo condotti dalla So-vrintendenza archeologica del Piemonte dimostrerebbero che la muraglia non era soltanto il sostegno di un terrapieno, ma costituiva la recinzione monumentale di strutture formate da più vani delimitate da pareti. La funzione di queste stanze nascoste rimane però sconosciuta: sareb-be necessaria una campagna di scavi, che non si limitasse al ritrovamento casuale di pezzi di vaso (!), affi ancata da uno studio antropologico puntuale che cercasse di attribuire un signifi cato plausibile ad una struttura che si presenta complessa e di diffi cile interpretazione. Ad un primo esame, di sicuro possiamo dire che siamo di fronte ad un castelliere: una di quelle opere arcaiche, edifi cate da

popoli misteriosi in epoca imprecisata (ma frammenti di ceramica rinvenuti lì attorno dicono che il sito è frequentato almeno dall’Età del Ferro. Anche se quelli che fre-quentavano il posto prima, probabilmen-te, non usavano la terracotta per fare i vasi), per sostenere i terrapieni in cima alle montagne. Praticamente, gli ingegneri dell’età delle pietra (il megalitismo in Eu-ropa viene datato fra i 6.000 e il 4.000 anni fa) costruivano un muro tutt’attorno alla cima di una collina o su un poggio in po-sizione strategica, e poi lo riempivano di terra, in modo da renderlo pianeggiante e quindi adatto ad ospitare qualcos’altro. Che cosa? Con ogni probabilità, case di legno che venivano occupate in situazioni di emergenza (di solito le tribù conduce-vano una vita nomade basata sulla tran-sumanza, tipicamente alpina, al seguito di greggi e mandrie, come, d’altra parte,

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succede anche adesso quando si pratica l’alpicoltura tradizionale). Quasi con cer-tezza, si può aff ermare che il castelliere contenesse anche un luogo sacro, com-posto, di solito, da un masso-altare, da un albero, da una sorgente. Spesso era recin-tato da lastre litiche infi sse nel terreno, o da steccati di legno.In realtà, di quella gente noi sappiamo ben poco. Alcuni studiosi aff ermano che le grotte di Sambughetto, in valle Strona, fossero frequentate dall’uomo di Nean-derthal qualcosa come 10.000 anni fa o più. Nel Mesolitico (IX-VI millennio a.C.) si sono ritrovate tracce di accampamenti stagionali di cacciatori raccoglitori all’Alpe Veglia. Ma questi rari reperti sono insuffi -cienti per un’interpretazione che vada al di là della presenza umana. Si potrebbe-ro aggiungere altri due dati: i valichi che collegano i due versanti dell’arco alpino, aperti e frequentati durante l’intero corso dell’anno, nel Neolitico erano più di 200 e adesso (escludendo i trafori) sono solo 12. Ciò vuol dire che allora la gente si muove-va moltissimo e i traffi ci e i commerci era-no attivi. Non solo: le popolazioni alpine erano tecnologicamente le più avanzate dell’intero conti-nente. Il ritrovamento dell’ascia di rame dell’uomo che stava attraversando il ghiacciaio del Similaun, su sentieri percorsi dai pastori transumanti da migliaia e migliaia di anni, ha dovuto far retrodatare l’età del Bronzo di pa-recchi secoli. Il secondo fattore di peculiarità riguarda la presenza dell’uomo di Neanderthal accanto all’Homo Sapiens. Ciò che si credeva prima delle ultime scoperte, era che il Ne-anderthal fosse inferiore al Sapiens come grado di civilizzazione; ragione per cui (le giustifi cazioni sono sempre le stes-se, anche dopo tanto tempo) il Sapiens si impose con le armi e distrusse il proprio

simile meno acculturato. In realtà adesso si sta scoprendo che le due razze erano pari, ma diverse. Quindi anche quel con-fl itto, fu solo una guerra di sterminio per la supremazia sul territorio. Le tribù di Sa-piens distrussero quelle neanderthaliane ovunque tranne che in arco alpino. Dove è testimoniata la compresenza delle due specie per secoli e per millenni. Forse le tante leggende dell’Uomo Selvatico tra-mandano, in forma mitica le vicende di questa antica guerra? Quel poco che possiamo ricavare dalle fonti scritte proviene dai resoconti dei ge-nerali romani che (comunque un paio di millenni dopo la costruzione del comples-so megalitico) furono mandati da Roma per annientare le popolazioni alpine. Sulle montagne, l’impero romano dimentica la proverbiale tolleranza, dato che quei barbari montanari furono ritenuti inassi-milabili e quindi da eliminare senza pietà. Non perché non fossero civili: Cesare par-la dei druidi come degli uomini più colti e più sapienti del tempo. Intellettuali che conoscevano

molte lingue, che possede-vano scuole di specializzazione nel folto dalle foreste, in luoghi segreti per poter completare una formazione che durava vent’anni (come un nostro corso di studi

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EN

The DevilÊs Wall of Arvenolo di Crodo

In the alpages of Arvenolo, municipalty of Crodo, there is an enormous wall made of

stones: it is 6.30 metres high, with a front of 20 metres, and it is more than 50 metres long. We ignore who could have built it in that place, and why. Archaeologists say that it hides several rooms that have not been discovered yet. Surely it is several thousand years old, and it belongs to the same culture that has disseminated Europe with megali-thic masterpieces. Popular tradition attri-butes its building to the Devil. But it was the ancient pre-historical population of these mountains, the Leponzi, who built it.

completo, dalle elementari all’università) senza essere disturbati. Professionisti della religione, dell’arte, della politica, ma anche ingeneri e architetti che avevano scelto di tramandare le proprie conoscenze per via orale, fra gli iniziati, per non correre il peri-colo che informazioni riservate potessero cadere in mani sbagliate. Non perché non sapessero scrivere: tanto che negli ultimi anni, sempre più si riescono a riconoscere, in quelle che sembravano incisioni trac-ciate “per sbaglio” delle vere e proprie let-tere che componevano un alfabeto, simile a quello etrusco. Perché mai quella gente avrebbe dovuto mettersi ad incidere la pietra per errore? O soltanto per passare il tempo? Chi ha fatto queste aff ermazioni ha mai pensato di provare a scavare nel granito anche una sola, piccola linea?!Si sono anche ritrovate delle steli bilingui, che, però, non sono riuscite a spiegare gli enigmi che caratterizzano le culture prei-storiche alpine e di matrice celtica. Infatti, quelle iscrizioni non narrano una storia, non identifi cano dei bilanci, non defi ni-scono delle leggi: sono solo invocazioni a Dio, agli spiriti, alle Madri. Il signifi cato è unicamente religioso e propiziatorio. Il mistero rimane. Al livello attuale delle scoperte. Ancora oggi, gran parte delle chiese, dei castelli, degli insediamenti alpini aff on-dano le proprie fondamenta sui quei castellieri. Gli antichi Leponzi, popolazioni di origine autocto-na che si incrociarono poi con le tribù celtiche migrate dall’est, dovevano possedere una note-vole conoscenza della tecnica ingegneristica, soprattutto con-siderando i luoghi in cui queste opere d’arte furono posizionate, di sicuro non facili da raggiungere con carri o animali da soma. Strano che storici e archeologi abbiano sempre sottovalutato la cultura di queste antiche genti, catalogate

aff onni aff onui queiui quei

a -e e e, renono nonodiiate

Immagini: aerea sull’abitato di Crodo

come “primitive” soltanto perché non hanno lasciato testi scritti, o insediamenti urbani. D’altra parte, accade lo stesso con le tribù irlandesi o bretoni che edifi carono straordinari siti sepolcrali ben prima delle Piramidi, scoperti soltanti pochi decenni fa perché nascosti sotto colline che nes-suno si degnava di scavare. Guardando manufatti come questi, sarebbe il caso di riconsiderare la nozione di civiltà, e attri-buire il giusto posto agli Alpini nella storia della cultura umana.

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26 Immagini: Balmafredda

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Nel percorrere le nostre mon-tagne questa volta andiamo a cercare qualche “antica traccia”

in Valle Antigorio. Da Premia ci si diriga all’orrido di Balmafredda, palestra di free-climbing, per poi svoltare sulla rota-bile che conduce a Crego. Qualche mi-nuto per osservare l’insolita ma bellissi-ma chiesa, edifi cata con fede e fatica da Don Lorenzo Dresco con pietra di casa, per poi portarsi lungo la strada asfaltata verso il cosiddetto “muro del diavolo” di Arvenolo. Una signifi cativa struttura ad esedra la cui funzione è ancora avvolta nelle aff ascinanti nebbia d’antichissimi culti nordici. In Ossola s’incontrano spesso manufat-ti in pietra a ”secco” - vale a dire senza l’impiego di alcun legante (come la cal-ce) - frutto di una tradizione radicata ma ormai quasi completamente perduta.

el percorrere le nostre mon-tagne questa volta andiamo a cercare qualche “antica traccia”

in Valle Antigorio. Da Premia ci si dirigaall’orrido di Balmafredda palestra di

Arteriedi pietra

„ UnÊescursione in Valle Antigorio

alla ricerca di una tradizione radicata quasi

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di Claudio Zella Geddo

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Camminando sempre in piano, dopo un quarto d’ora, giungiamo nei pressi di una costruzione accanto ad un bivio, lì incrociamo la vecchia via che sale da Maglioggio; seguiamo l’indicazione per Aleccio. Percorriamo allora un luminoso bosco, ben tenuto e non danneggiato in misura troppo visibile dalla sterrata che, in pros-simità d’alpeggi, lascia ogni tanto il pas-so a consumati lastricati assai suggestivi. Circa un’ora di salita regolare ci porta agli ampi pascoli di Aleccio, lussureg-gianti di fi ori e vivacizzati da ali di baite ristrutturate. Troviamo anche il simbolo di un’attuale devozione nelle forme svel-te di una cappella di recente costruzio-ne. Nel luogo ove ci troviamo quello che si può mirare è veramente stupefacente, tanto da distendere l’occhio nelle esatte proporzioni dell’infi nito. Da destra verso sinistra la Punta di Tanzonia, il Monte Gorio (che dà il nome alla valle), il Cer-vandone sopra il Devero e l’ampio teatro

dolomitico del Passo Cornera, l’Helsen-horn, il Corno Cistella - picco di roccia al cielo - il Cistella, la Val Bondolero e il Monte Cazzola e quindi l’argento regale del Lagginhorn e della Weissmies, rilu-cente sopra lo scuro del Seehorn. E an-cora, in una cavalcata entusiasmante, le cime di Bognanco, la Colma di Crevola, la valle del lago d’Andromia, il Moncuc-co sopra Domodossola, il Pizzo Castello e la catena selvaggia e ancestrale della Bassa Ossola. Fermarsi sul velluto di que-sti prati, perdersi tra le rifrazioni di roc-ce e nevai è quello che un posto come Aleccio chiede a chi lo visita.All’inizio dell’alpeggio, si percorra una traccia evidente, a sinistra per chi sale, che ci menerà in un giovane lariceto profumato e ricolmo, nella bella stagio-ne, di genziane coloratissime, mentre sullo sfondo scorgiamo la bianca chie-sa di Salecchio. Alle prime baite che s’incontrano, dopo circa trenta minuti, troviamo le segnalazioni per Bee; ci si

Immagini: il corno del Cistella - p. 29: La pica genziana

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abbassi perciò seguendo , di quando in quando, i segnavia rossi. Attraversiamo quindi il rio Alba sotto una cascata che precipita sul sentiero tra preziosi giochi d’acqua e luci e in quindici minuti siamo a Bee, bell’alpeggio contornato da prati ordinati e rigogliosi. Sempre accompa-gnati dalle quinte rilucenti dei monti a specchio in fronte a noi, prendiamo un sentiero in basso segnalato su di un masso con una traccia vermiglia assai sbiadita. Scendiamo rapidamente e ol-trepassato il gruppo di baite di Boschet-to troviamo una delle ragioni del nostro andare. Una mulattiera in elevato di pie-tra, che mantiene la stessa grandezza sia in trincea che in rilevato, gradonata gra-zie alla consumata abilità di generazioni di montanari con grossi massi ciclopici a gravità “opus reticolatum”. E’opera di altissimo ingegno e fattura che ben ra-ramente è dato incontrare, anche per il grado di conservazione, sulle antiche arterie di pietra delle Alpi.Persino i tornanti sono arrotondati a compasso e nei punti maggiormente aggettanti sono inusualmente dotati di parapetti monolitici. Facile intravedere la fatica e le capacità usate per edifi care una tale strada, che mirava a permettere la monticazione di sempre nuovi pascoli a chi ne aveva grande bisogno, cercan-do comunque di tutelare il bene più pre-zioso dell’alpigiano: la vacca. E’ singolare come dal basso tutto sem-bri impraticabile, aspro ma comunque straordinario grazie ai 350 metri di salto della cascata del rio Alba. Immaginiamo poi come la bastionata rocciosa abbia impensierito non poco i valligiani, che dovettero escogitare una soluzione va-lidissima.Divalliamo rapidamente per boschi su-perando una croce infi ssa su di un mo-nolite roccioso ed in breve siamo a Ca-giono (50 minuti da Bee). Attenzione al lavatoio: l’acqua non è potabile. Ora per

tornare al punto di partenza prendiamo l’asfaltata e nei pressi di una costruzione tondeggiante, seguiamo una traccia sul-la sinistra che ci condurrà alla Toce.Passare un ponte e poi a vista, tenersi per prati, senza mai scendere al fi ume, sotto Premia e raggiungere la strada per Crego e da lì risalire ammirando le forre che il corso d’acqua profi la.

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Roaming through our valleys, this time we go to seek some “ancient traces” in the Antigorio Valley. From Premia let’s head towards the Balmafredda ravine, a free-climbing spot, just to turn on the way which leads to Crego. A few moments to admire the unusual but beautiful church, built with faith and hard work by Don Lorenzo with local stones, and little farther on we will fi nd ourselves heading towards.Th e so called “Devil’s wall” of Arvenolo. A signifi cative structure linked with ancients Nordic cults. In Ossola is still possible to fi nd “dry” stone hand-made constructions - built without using any binding factor (like lime)- the result of a rooted tradition almost completely forgotten. After a quarter of an hour walk we will come across the old path that winds up from Maglioccio and we’ll proceed towards Aleccio. We’ll go through a shining and well-kept wood, which has not been damaged by the outer terrain. About an hour walk uphill and we are in the wide Aleccio’s pastures, fl anked by refurbished montains huts and full of fl owers. Also present a chapel of recent contruction as a symbol of renewed devotion. Th e landscape is simply breathta-king, as much as the eye can gaze into the infi nite. From the right to the left, Tanzonia Peak, Gorio Mountain, Cervandone above Devero, the dolomitic Passo Cornera, Helsenhorn, Cistella Horn, Cistella, Bondolero Valley, and Mount Cazzola, along with the silvery royals Lag-gihorn and Wessmies shining against the seehorn’s dar-kness, continuing with the numerous following peaks. Remaining for a while on the velvet of these meadows is what Aleccio requires from a visitor.At the beginning of the glen, it is advisable to tread a path which will lead us to a youg wood of larches, scented and laden with colourful fl owers, while on the background we can perceive the white church of Solecchio. After 30 mi-nutes walk, we’ll fi nd indications to reach Bee. Let’s wade the Alba River under a waterfall that leaves on the path a lovely fl ourish of light and water, and in 15 minutes we are in Bee. Always accompanied by the bright mirror of the mountains in front of us, we set out on a path singled out by a fading purple sign on a boulder. We quickly go downhill and walking beyond the Boschetto’s cabins we meet one of the reason of our trip. A small path which keeps the same size either in a cutting or in an embank-ment, thanks to the skill of generations of mountaineers who had used huge boulders at “opus reticolatum” gravi-ty. It’s a masterpiece og ingenuity and craft that is rarely found anywhere on the ancient Alps’ stone arteries. It is easy to understand the eff ort and the skill exhibited to build such a road, which aim was to allow the access to ever new pastures to whom most needed it and to preserve the greatest good of all: the cow. Afterwards let’s get swiftly downhill through the woods and beyond a cross embed-ded on a rocky monolith and in no time we will reach Cagiono (50 minutes from Bee) Be careful to the washing place: the water is not drinkable. Now, to get back to our starting point, let’s turn into the paved road which will take us to the Toce river.

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VALLE DIVEDRO

di Claudio Zella Geddo

Mulattiere in Val Divedro

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Due chilometri dopo il bivio che porta a San Domenico la strada

statale arriva al ponte sulla Cairasca o Cherasca chiamato Ponte Boldrini (in passato Ponte Santino). Qui si è proprio ai piedi della rupe di Trasquera e alzando lo sguardo, si può intravedere il campa-nile della chiesa tra le rocce e i nevai del Sempione. Appena oltre il ponte si stac-ca sulla destra una mulattiera, con se-gnavia bianco-rossi, detta Veja d’Brocc, un’arteria di pietra ampiamente selciata ben tenuta, ombrosa e poco faticosa al passo grazie alla sapiente inclinazione dei suoi tornanti e fi no agli anni ’60 uni-

“Il verdeggiante e ricco bacino di Varzo, impre-ziosito dalle sue mille frazioni testimonianza di un felice portato celtico, è il punto di partenza per un itinerario dal respiro antico”.

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co collegamento con il fondovalle.Durante la salita, nel bosco fi tto, si nota-no due cappelle votive ed un alpeggio con vista su Varzo e la Colma di Crevo-la. In breve ci si trova alla casa dell’Enel accanto alla condotta forzata e quindi sulla rotabile che porta alla parrocchia-le di Trasquera del XVI° secolo dedicata ai Santi Gervasio e Protasio. Sul sagrato, come in altre zone ossolane, s’erge un pilastro con colonna e capitello toscano con croce, vivo ricordo delle pestilenze dei secoli XVI e XVII. Degno di nota an-che il battistero con coperchio alla Cap-puccina lavorato ad intagli.

Continuiamo lungo i sentieri fra i prati, tra qualche mese in maggese ed ippo-castani, sui piani di Trasquera mirando oratori e cappelle come quella detta del-le Frigne che insieme ad un’altra (delle Saglie) sulla strada verso Bugliaga, con-serva aff reschi, ahinoi assai ruinati, del Borgnis.Una rotabile assai pittoresca con dol-ce declivio porterà fi no alla frazione Bugliaga non dopo aver attraversato l’inquietante Vallone del Ri (antica Valle Gellia romana) ove al fondo scorgiamo il magnifi co ponte (di probabile impron-ta medievale) chiamato - per l’arditezza

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infoTempo: 3.30 hDiffi coltà: ECartina: C.N.S. 1.50.000 foglio n. 275 “Valle Antigorio”

delle linee e l’orrore del luogo - Ponte del Diavolo.A Bugliaga, paese dominato dalla svet-tante sagoma del Seehorn e dai nevai della Laggin, sito di partenza di molti itinerari verso il Veglia attraverso il Passo di Possette o per la Svizzera - ci si può rifocillare ad una fontana posta presso l’oratorio del XVII secolo dedicato alla visitazione. Per raggiungere l’ameno luogo detto “I Campi” appena dopo la località “La Cre-sta” si prosegue su di una sterrata in di-rezione Bugliaga dentro. Qui ormai pros-simi al confi ne elvetico si trova un bivio che invita a salire verso l’antico presidio di Cima ai Campi. E’ doveroso fermarsi, incantati dal panorama, tra i meli selva-tici e mirare dall’altra parte il castello del Passo del Paione e della Punta Giezza o lo splendido edifi cio religioso di Osone incastonato nel verde e nell’ombra.A sera ritorniamo sui nostri passi fi no a Trasquera, quando i profumi del bosco e dell’aria si fanno più fi ni e penetranti. Nel borgo si prenda la bella mulattiera che con felice diagonale conduce a Iselle, si oltrepassi delle piodate e la località Pia-nezza per raggiungere una trasparente cascata, dal sapore esotico, per la vee-menza del Ri che anche qui non smen-tisce la sua nomea dannata.Mano a mano la mulattiera si fa larga e morbida e osservando - sul lato opposto della valle - il dito turgido della Bocchet-ta di Rovale in poco tempo si è a Iselle e da qui scarpinando lungo la statale fi no al punto di partenza. Segnaliamo come utile conforto intellet-tuale per chi desiderasse intraprendere questo tracciato il sempre attuale volu-me “Bugliaga la mirabile provvidenza dei nostri avi” a cura di Luciana del Pe-dro; vera miniera di tesori utilissimi a chi volesse leggere “con intelletto d’amore” il territorio che attraversa con il passo semplice del viandante.

EN

Divedro ValleyÊs mule-tracks.Varzo is a starting point for an itinerary with an ancient scent. Two kilometres after the fork which leads to S. Domenico, the main road reaches the Caira-scas’bridge. Here we are at the feet of the Tra-squera’s cliff , and lifting the gaze we can notice the church’ staple. Just beyond the bridge takes off a mule-track, with white-red indications, which until the 60’s was the only way to reach the lower part of the valley. During the climb, we will encounter a couple of chapels and a pasture, before arriving at the Enel House and fi nally at Trasquera’s church, dedicated to SS. Gervasius and Protasius. On the porch arises a pillar as a remembrance of the pestilences occurred in the XVI and XVII centuries. Let’s keep on along the paths among the meadows on Trasquera’s plains, admiring chapels and orato-ries like the one called “frigne” which preserves some of the Borgnis’ frescoes.Reaching Bugliaga after having crossed the uncanny “Vallone del Ri” in which is located the famous “Devil’s bridge”. In Bugliaga we will be able to quench our thirst at a fountain sited next to a XVII century oratory. Walking towards “I Campi”, we fi nd ourselves close to the Swiss border. It’s a must to stop for a while, spelled by the landscape and gaze at the Paione Pass castle or at the religious building of Osone. At night we retrace our steps back to trasquera, and heading beyond pianezza we arrive at a crystal clear waterfall. Slowly, slowly the mule-track gets wider and smooth and in next to no time we are in Iselle, and from there, along the State road, behold! we’re back at the starting point. We’d like to point out, for those who plan to follow this route, the ever useful volume “Bugliaga, the astonishing providence of our ancestors.” by Luciana del Pedro.

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FormazzaFormazzatantetante

storiestoriein unain una storiastoria

Nei secoli che hanno pre-ceduto la colonizzazione walser, il comprensorio di

Formazza era una superfi cie abbondan-temente boscata, luogo di transito di viaggiatori diretti in nord Europa o ver-so gli alpeggi dell’Alta Valle, ricoperti di preziosi pascoli, con i quali le popolazio-ni della valle antigorio nutrivano d’esta-te i loro armenti.L’arrivo delle popolazioni germaniche, partite nell’VIII sec. dalle rive del Reno, ed insediatesi via via, pacifi camente

di Marilena Panziera

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dall’Oberland Bernese sino ai versanti sud delle Alpi, pose fi ne al vuoto demo-grafi co di quest’area geografi ca posta in prossimità della sorgente del Toce. Tale insediamento fu favorito dalla nobiltà locale, che vedeva di buon occhio la bo-nifi ca del territorio, che il popolo walser ben organizzato e autosuffi ciente, stava mettendo in atto.I Walser, la cui cultura passò indenne at-traverso vari assoggettamenti di popoli incontrati sul loro cammino, più di altre genti alpine hanno saputo, pur nella grande semplicità della loro esistenza, mantenere un’identità culturale e socia-le pressoché unica e hanno contribuito in modo determinante alla sopravviven-za dell’ambiente alpino. In val Formazza trovarono un perfetto equilibrio tra iso-lamento e scambi commerciali, che con-sentirono ad alcuni nuclei famigliari di stanziarsi stabilmente nella zona. I loro discendenti sono i formazzini di oggi, i cui cognomi indicano chiaramente le loro orgini.Dopo la colonizzazione, per qualche se-colo la vita trascorse senza grandi muta-menti, ma come in tutto il mondo, con il IXX secolo la rivoluzione industriale inevitabilmente introdusse delle novità, che infl uenzarono direttamente la vita delle persone.Infatti, nelle vicine provincie l’avvento dell’industria, con un pressante fabbiso-gno energetico, diede importanza e va-lore a corsi d’acqua e invasi naturali della valle, che diventarono improvvisamente appetibili per investitori e tecnici. Così all’inizio del nuovo secolo, la Formazza divenne un grande cantiere, dove per consentire lo sfruttamento dell’acqua a fi ni energetici si incominciarono a co-struire dighe e centrali elettriche. Quindi la popolazione venne dapprima coinvol-ta nei lavori edili e meccanici di costru-zione e successivamente, nella gestione degli impianti.

Già dalla metà dell’800 però, la fama della Cascata del Toce e dei suoi din-torni, aveva attirato una certa categoria antesignana di turisti, la cui presenza aveva ispirato ad un ricco formazzino la costruzione di un albergo proprio nei pressi del salto d’acqua. L’edifi cazione della struttura ebbe inizio nel 1862 e ter-minò l’anno successivo. Ebbe un buon successo e con il passare degli anni la località divenne anche piuttosto famo-sa. Vi soggiornarono i rappresentanti del bel mondo dell’epoca, attirati oltre che dalla bellezza, dall’assoluta privacy di cui si poteva godere, nobili italiani e stra-nieri, politici, industriali, attori e scrittori: la Regina Margherita, Vincenzo Lancia, Giosuè Carducci, Felice Cavallotti, Émile Augier, Arrigo Boito, Léon Blum, Eleono-ra Duse, Antonio Fogazzaro, giusto per fare qualche nome. Durante il primo confl itto mondiale, an-che Formazza patì lutti e abbandono, ma nel dopoguerra si riaprirono le danze, l’Albergo venne ristrutturato nel 1926 su progetto del celeberrimo architetto Portaluppi di Milano, uno dei massimi esponenti dell’art decò mondiale. Anco-ra oggi porta a distanza di oltre 80 anni il fascino di un epoca particolare sospesa tra tradizione e futurismo.A Formazza si possono ammirare le co-struzioni tipiche dell’architettura wal-ser, le variopinte e poliedriche centrali elettriche dell’art decò e le belle sale dell’Albergo della Cascata del Toce, che insieme alle altre attività turistiche, acco-glie i visitatori in un’atmosfera sospesa tra passato e presente, che è ancor più poetico gustare in bassa stagione o nei giorni infrasettimanali, che da qualche tempo d’estate off rono lo spettacolo della Cascata aperta tutti i giorni.

Comunità MontanaValli Antigorio Divedro Formazza

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Itinerari storici e culturali

MUSEO MINERALOGICO “Don Giovanni Bonomo” Via Casa Francesco - 28866 Premia (VB)Ricca raccolta di minerali delle valli ossolane suddivisi in base alle paragenesi più caratteristiche. Aperto luglio e agosto da lunedì al venerdì: 16.00 - 18.00Sabato e domenica 10.00 - 12.00 / 15.00 - 17.00Ingresso: a pagamento - Tel.: +39 0324.62021Tel +39 0323.845379

CASA FORTE - Fraz. Ponte 28863 Formazza (VB)Il museo della cultura walser, ospitano in un pregevole edifi cio del XVI secolo, illustra gli aspetti salienti di questa popolazione alpina. Particolarmente importante la sezio-ne dedicata alla scultura lignea.Aperto luglio e agosto il martedì e sabato: 15.30-17.30Ingresso: gratuitoTel.: +39 0324.63436 - Tel +39 0323.845379 - [email protected]

MUSEO DI ARCHITETTURA SACRAVia San Cristoforo - 28865 Crevoladossola (VB)Storia e forme dell’architettura sacra in Ossola con particolare riguardo alla parroc-chia di Crevoladossola e al suo apparato decorativo.Aperto luglio e agosto il martedì 16.00-18.00 e il sabato 15.30 - 18.30Tel.: +39 0324.239100 - Tel +39 0323.845379

VECCHIO TORCHIO - Fraz. Croveo 28861 Baceno (VB)L’edifi cio dei primi dell’Ottocento, ospita una macina e un tipi-co torchio per uva, ma la sua peculiarità era di essere destina-to anche alla pressatura delle pere. Queste piccole pere, oggi quasi scomparse, erano coltivate attorno al paese, venivano raccolte nell’autunno, frantumate e torchiate per oltre un gior-no, per produrre un vinello dolce a bassa gradazione.Info: Comune di Baceno Tel.: +39 [email protected]

SEGHERIA “Rassia” - Fraz. Osso 28861 Baceno (VB)L’antica segheria la “Rassia” è un piccolo gioiello di archeologia industriale che con-serva intatti i meccanismi idraulici e i macchinari che erano azionati tramite un muli-no dalle acque del torrente Devero. Info: Comune di Baceno Tel.: +39 0324.62018 - [email protected]

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Uffi cio Turistico di Valle Tel. +39 [email protected]

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MUSEO DELL’ALPEGGIO - Alpe Devero - 28861 Baceno (VB)L’ex stazione di arrivo della funivia di Goglio - Devero ospita il museo del Parco Ve-glia-Devero dedicato alla cultura e alle tradizioni alpine. Il centro di documentazione e di visite guidate è un’occasione per scoprire il mondo della pastorizia di montagna e l’attività casearia tradizionale. Ingresso: gratuitoInfo: Parco Veglia - Devero Tel.: +39 0324.72572 - [email protected]

CHIESA DI SAN GAUDENZIO - Monumento Nazionale 28861 Baceno (VB)Realizzata a partire dal X sec. Su uno sperone roccioso, subì diversi ampliamenti, la facciata a capanna conserva un aff resco di San Cristoforo, patrono dei mercanti che percorrevano la Via dell’Albrum. All’interno, il pavimento di pietra è in leggera salita per adattarsi alla roccia sot-tostante, aff reschi sulle colonne e sull’abside ritraggono santi e nobili Rodis-Baceno.Orari per la visita della Chiesa: da lunedì a sabato: 09.00 - 12.00 / 15.00 - 17.30 domenica e giorni festivi: 09.00 - 10.30 / 14.30 / 17.30

CASA MUSEO DELLA MONTAGNA - Fraz. Viceno - 28862 Crodo (VB)Riproduce una tipica abitazione del secolo scorso articolata in tre ambienti: cucina, camera e cantina, arredati con tutti gli oggetti della tradizione. Aperto luglio e agosto martedì - giovedì - sabato - domenica: 10.00 - 12.00 / 16.00 -18.00Ingresso gratuito - Tel.: +39 0324.618431/ 0324.618791

CENTRO VISITA PARCO VEGLIA - DEVERO Loc. Bagni 28862 Crodo (VB)La struttura è costituita da una sala multimediale destinata ad attività didattiche e divulgative, e da una ricca area espositiva dedicata alla fauna del Parco. Un ampio dio-rama ricostruisce con grande cura gli ambienti di alta quota tipici del Gallo Forcello.Aperto da giugno a settembre il martedì 15.30 - 18.30, da mercoledì a domenica 09.30 - 12.30 / 15.30 - 18.30. Ingresso gratuito. Tel.: +39 [email protected] - Tel +39 0324.72572

MUSEO NAZIONALE DELLE ACQUE MINERALI ”Carlo Brazzorotto” Loc. Bagni c/o il Collonato 28862 Crodo (VB)Il museo delle Acque Minerali è unico perché espone le prime macchine di imbotti-gliamento delle Terme di Crodo, i manifesti e altri oggetti pubblicitari ma, soprattutto, una raccolta di oltre ottomila etichette e novemila campioni di bottiglie piene di ac-qua minerale. Aperto da giugno a settembre: il martedì 15.30 - 18.30, da mercoledì a domenica: 09.30 - 12.30 / 15.30 - 18.30. Ingresso: a pagamento. Tel.: + 39 0324.61655 Tel +39 0324.61655.

MUSEO DEI MINERALI “Aldo Roggiani e Angelo Bianchi”Loc. Bagni c/o il collonato 28862 Crodo (VB)Accanto al museo Museo della Acque Minerali, trova uno spazio la sezione mineralo-gica che espone, in una serie di vetrine a parete e a tavolo, campioni esteticamente pregevoli e signifi cativi per l’aspetto scientifi co delle specie minerali rinvenute nel bacino dell’Ossola e sulle pendici del Mottarone. Aperto da giugno a settembre. Martedì 15.30 - 18.30, da mercoledì a domenica 09.30 - 12.30 / 15.30 - 18.30. Ingresso: a pagamento. Tel.: + 39 0324.61655

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“R i c o r d o anz i tu t -

to che presso l’Archivio co-munale di Villa esisteva fi no a qualche deci-na di anni fa

un codice in pergame-na che conteneva due Statuti diversi: quelli del 1345 e quelli del 1351.”Sembra fragile la carta pergamena, in-giallita dal tempo, macchiata dall’umi-dità della Storia, eppure pochi libri stampati in epoca moderna possono sperare di essere ancora leggibili tra quasi sette secoli. La pergamena inve-ce è lì, per chi vuole ascoltare cosa ha da raccontarci.“Questo codice è recentemente scom-parso dalla sua sede naturale [ma] ebbi la possibilità di accedere al testo origi-nale, esaminarlo attentamente per far-ne anche una nuova trascrizione.”Possiamo solo immaginare con quan-ta emozione un giovane storico potè maneggiare un documento così an-tico, importante, poco noto e tanto prezioso, leggerlo, trascriverlo addirit-tura.“Questo codice [...] si compone di 15 fogli di pergamena delle dimensioni di cm 25 per cm 19. Lo stato di conser-vazione non è aff atto buono. All’inizio non esistono danni particolari infl itti dal tempo, eccettuato qualche sbiadi-mento dei caratteri [...] E’ scritto in go-tico minuscolo abbastanza regolare.

PAGINE FRAGILI

di Rosella Favino

totototol’l’l’l’

unuununnnnn c ccc ododododicicicichhhh ttt dddd

Le iniziali di ogni capitolo sono scrit-te in rosso. Compare anche qualche glossa qua e là in corsivo, sui margini.”Ecco come don Tullio Bertamini, sto-rico e sacerdote rosminiano, descrive gli Statuti di Villadossola nell’omoni-ma Storia [1], i primi noti per questa cittadina spalmata tra il fi ume Toce, il torrente Ovesca, e le pendici dei mon-ti circostanti. Gli Statuti erano il docu-mento che rendeva uffi ciale il modo in cui era organizzata una comunità ma come era la vita in questa zona, nel 1345?L’inizio del XIV secolo fu un periodo molto tormentato per il contado os-solano. L’Ossola Superiore dall’Ovesca in su, era un feudo del Vescovo-Conte di Novara, che governava attraverso il Castello di Mattarella. Il castello sorge-va dove oggi vediamo la chiesa del Sa-cro Monte Calvario, però Domodosso-la si sentiva molto lontana da Novara e il governo e la difesa del territorio era-no diffi cili. L’Ossola superiore riceveva spesso le sgradite visite dei Vallesani, inviati dal Vescovo di Sion, tutt’altro che amico di quello di Novara: calan-do dal Passo di Saas attraverso la Valle Antrona e Villadossola, o dal Monscera attraverso la Val Bognanco, i Vallesani avevano più volte saccheggiato anche Domodossola e, ovviamente, il conta-do. L’aspirazione a un governo auto-nomo era forte, l’organizzazione di un sistema di difesa locale un’esigenza ormai irrinunciabile. All’antica nobiltà feudale dei De Rodis e dei Baceno si

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erano affi ancate nella vita politica al-cune famiglie che si erano arricchite con i commerci attraverso i passi al-pini e la nascente industria del ferro, mentre altri avevano fatto fortuna con le armi, comandando compagnie di soldati di ventura. Ma la ribellione non bastava e la divisione e le lotte tra le varie fazioni rendeva vani i tentativi di autonomia.Villa non aveva esattamente un cen-tro, anzi molto netta era la separazione tra le frazioni sparpagliate alle pendici del Moncucco e quelle che sorgevano sui versanti settentrionale ed orien-

tale del monte Basciumo; di mezzo, l’Ovesca e le sue piene improvvise, le malefi che buzze. C’erano Boschetto, Sogno, Varchignoli, il Castello, Gaggio a sinistra, Piaggio con l’antica chiesa di Santa Maria, Pianasca, il Sasso con il piccolo oratorio di San Maurizio, e una manciata di altre a destra. Una grande chiesa, costruita già tre secoli

prima lungo la strada sulla riva sinistra dell’Ovesca, serviva la comunità locale, la valle Antrona. Era ancora dedicata ai santi Sebastiano e Fabiano, anche se oggi la chiamiamo San Bartolomeo.“1345, martedì ultimo di novembre… Nel nome del Signore, comincia lo Sta-tuto di Villa. Qui sotto sono contenuti li statuti e gli ordinamenti del comune e degli uomini di Villa, fatti a onore di Dio, della beata Maria, del beato Gau-denzio confessore, dei santi Sebastia-no e Fabiano, [...] salvo ogni onore, giurisdizione e salvi tutti i precetti e comandi del Signor Vescovo e della

chiesa novarese, dei suoi castellani e nunzi.”Conclusa la stagione dei lavori nei campi, rinnovati i contratti agrari dopo San Martino, gli uomini di Villa si riuni-rono in una generale vicinanza, in as-semblea plenaria, diremmo oggi, per dare mandato a consoli e credenzieri, loro rappresentanti, di fare uno statuto

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ed ordinamento. Giurarono di rispet-tare l’autorità del Vescovo-signore, proclamarono di agire a maggior glo-ria di Dio, ma non chiesero leggi a un signore e padrone: se le costruirono su misura, secondo usanze locali più anti-che e tramandate loro nel tempo per generazioni.“Il Comune non è nato da una ribellio-ne di servi dalla gleba”, ci ricorda don Bertamini, “ma dalla comune coscien-za di uomini liberi attorno ai quali con un processo lento ma continuo acqui-sirono il loro naturale diritto quei servi i cui padroni dallo stesso Comune era-

no stati esautorati e costretti ad inte-grarsi nel nuovo contesto sociale.”Si sgretola il potere del signore feuda-le, nasce la comunità.Gli Statuti aff ermano quali sono in-nanzititto i doveri dei consoli, a cui è affi dato il governo delle persone e dei beni del Comune, in buona fede senza frode, semza odio, amore e

speciale prezzo, profi tti o danno. Poi, i doveri dei credenzieri e i vicini, gli abitanti della comunità: collaborare con i consoli, salvare e governare cia-scuno le proprie cose, correre in aiuto in caso venga suonato o gridato l’al-larme, collaborare per i lavori comuni, una persona valida per il detto lavo-ro per ciascuna famiglia se è in casa, altrimenti per quelle che ci sono. Eh sì, perché a seconda della stagione qualche famiglia si spostava a mon-te, a caricare l’alpe! E non era certo una vacanza nella casa in montagna.Seguono norme specifi che sul rispetto

dei terreni e del lavoro altrui: “Che nes-suno prenda segale nel campo altrui o faccia danno in qualche orto senza licenza di quelli a cui appartengono; che nessuno rubi legna dalle vigne, che nessuno attraversi le terre altrui con i carri e neppure con buoi”. Altre norme riguardano la sorveglianza del-le bestie perché non facciano danno,

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sul dove e come prendere o non pren-dere legna e fi eno, sul prezzo del pane, fi ssato in 12 denari per staio. I rapporti con i forestieri, che non erano parte della comunità, erano regolati al fi ne di salvaguardare i vicini, la comu-nità stessa: le risorse erano poche, da pura sussistenza o poco più, nel con-tado che viveva di agricoltura e di alle-vamento, i tempi incerti e burrascosi, quindi è comprensibile “che nessuno venda fi eno o letame, dia abitazione ai forestieri o tenga bestie forestiere.” Stabilirono pure “che nessuna capra forestiera sia tenuta in Villa”. Particolarmente protetti erano i boschi di castagno, di noce e, soprattutto, le vigne, segno che il loro prodotto era molto importante.“Che nessuno venda i sarmenti della vigna a qualcuno che non sia vicino di Villa, e ciò fi no al primo marzo [...] Che nessuno faccia la vendemmia del-le uve prima di S. Michele, e neppure venda mosto né donarlo prima di que-sto tempo”.I tenaci ossolani per secoli hanno reso produttiva la montagna, tracciando sentieri, costruendo muretti a secco, riempiendo i terrazzamenti con terra riportata da valle, facendo accurati la-vori di manutenzione di anno in anno per riparare i danni dati dalle piogge, sostituendo i vigneti vecchi con piante nuove, e così per generazioni.Qualche salice capitozzato qua e là ci dice ancora con quale materiale era meglio legare i rami della vite...Nelle frazioni alte erano in funzione i torchi, tanto che noi uomini moderni ci siamo anche inventati un trekking dedicato ad essi: “La via dei Torchi e dei Mulini”, che taglia i contraff orti del

Moncucco a circa 600-700 m di quota, va da Sogno al Calvario, passando per Maianco, Tappia, Anzuno, Crossiggia. A fondovalle, invece, da Villa passava la strada Francisca, diretta a Domodos-sola e da li’, via il Passo del Monscera, si arrivava in Vallese, oppure attraver-so la val Formazza e il “comodo” passo del Gries, in quello che oggi chiamia-mo Canton Ticino. Più scomoda e pe-ricolosa, ma meno costosa, era invece la via Antronesca, che già negli anni che stiamo descrivendo si dipartiva da Villa all’altezza del ponte sull’Ove-sca, dove c’era anche una stazione di cambio per gli animali da soma. Ma perché il Comune gestisca quelli che oggi chiameremmo “servizi al com-mercio”, la sicurezza delle strade, le stazioni di sosta per i muli, i pedaggi, c’è da aspettare ancora qualche anno, non molti, in verità: nel 1351 gli Sta-tuti, rinnovati con pari solenne giura-mento, defi niscono tutti i dettagli dei nuovi mestieri legati al commercio e al trasporto delle merci.Altre edizioni degli Statuti di Villa sono pervenute fi no a noi, ci racconta pa-zientemente don Bertamini. Eppure i tempi cambiano, la gente e i governi pure. L’edizione 1606, ultima riportata nella Storia di Villadossola, esordisce con una supplica al Duca eccellentissi-mo di Milano e Pavia, perché “comandi ai podestà che i nuovi ordini e statuti [...] siano inviolabilmente osservati”. Al di là della retorica barocca, il sen-so di parole come libertà, comunità e partecipazione responsabile stava già cambiando.

[1] T. Bertamini, Storia di Villadossola, Edizione di «Oscellana», 1976

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Procedamus:Procedamus: l’antical’antica

invocazioneinvocazionede l’Autanide l’Autani

di Claudio Zella Geddo foto: Luca Chessa

VALLE ANTRONA

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AA lle 4 e 30 di notte nella raccolta atmosfera della chiesa di Montescheno,

dopo le preghiere e le invocazioni, risuona da secoli il procedamus ovve-ro il simbolo vivente di una consue-tudine religiosa che dal secolo XVII° dà avvio alla più antica processione delle Alpi.Autani parola che sembra insolita ma che deriva, come un dono misterioso, dal latino lautania, le litanie. Ricordo scolpito nelle rocce, tra i cieli, lungo i rii della valle sopra Montescheno E’ conosciuta oramai quasi ovunque come “L’Autani di Set Frei”, si svolge la terza domenica di luglio festa dei 7 fratelli martiri e rammenta anche nel nome le sette cime che si scorgo-no percorrendolo tra Valle Antrona e Bognanco. Si snoda tra altipiani, passi e boschi su di un percorso di circa 23 chilometri tra i 700 ed i 1990 metri di altitudine che viene messo in sicurez-za nei giorni precedenti da volontari del paese che a volte diventano un poco acrobati nei luoghi più esposti (dal Passo d’Arnigo all’alpe Campo). Don Antonio Visco, prete come desi-dera essere defi nito di Montescheno, e organizzatore della processione ne ha percorse oltre 40 e anno dopo anno ha visto mantenersi e accrescer-si una tradizione che porta centinaia di persone sulle tracce della storia re-ligiosa della Valle Antrona aff erma:“Questa processione è un poco come la vita: c’è la salita e quindi la discesa. Si percorre il cammino insieme, ma ognuno è solo. Se ci si trova in diffi -coltà non deve avere paura di trovare l’umiltà di chiedere aiuto. Perché tutti si possa arrivare alla meta”. Momenti di preghiera e canti - dal Dies Irae al Miserere alle vecchie ro-

gazioni - s’alternano dietro la Ban-darola un antico stendardo dedicato alla SS. Vergine che apre fi n dal buio della notte il cammino. Percorso che riporta negli occhi dei camminatori il lavoro faticoso degli alpigiani per trarre frutti dalla terra, il ricordo delle generazioni che ci hanno preceduto nella fede e la bellezza del creato.Alla conclusione del percorso, verso le dieci di sera, la grande Messa sarà ancora una volta indelebile suggel-lo di chi partecipando all’Autani ha sentito in sé, tra i suoi passi, fra le pre-ghiere bisbigliate, la voce alta della presenza divina.

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EN

Procedamus: The Ancient Invocation in the Autani Procession.

In July, on the third Sunday the Autani procession leaves from the Parish Church

in Montescheno. It starts at 4.30am every year and it has been performed since the 17° century.Autani is a Latin word -Lautania- and it means litanies. Th e procession fi les up through tablelands, passes and woods and the route is 23 kilo-metres long.People pray, sing and walk along the path, following the “Bandarola”, the ancient ban-ner dedicated to the Blessed Virgin. At the end of the route the High Mass is the solemn ritual to end off this great experience with the Divine.

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da schede illustrative del funzionamento e dell’utilizzo degli stessi, oltre che pan-nelli fotografi ci che ripercorrono la cultura legata al mondo lapideo, così profonda-mente intrecciata alla storia del nostro territorio.Seconda tappa del progetto è la Latteria Sociale di Beura.Completamente ristrutturata, messa a norma, ma non snaturata, raccoglie l’ere-dità delle piccole latterie turnarie di paese, che una volta lavoravano il latte nel fon-dovalle quando nei mesi invernali non era possibile salire sui pascoli d’alta montagna per produrre il formaggio d’alpeggio. Al suo interno sono ancora presenti gli antichi strumenti per la lavorazione del latte e per la conservazione dei formaggi ottenuti, oltre che i registri sui quali i soci della latteria annotavano l’utilizzo delle attrezzature e la proprietà dei prodotti in essa conservati.Anche presso la latteria sociale di Beura vengono realizzate attivià di educazione ambientale, che CeaFormont ed i suoi accompagnatori naturalistici hanno ela-borato per far conoscere agli studenti le modalità con cui avveniva, in passato, la produzione casearia.Infi ne, il Castello di Vogogna. Presso que-sta struttura si stanno apportando ingenti

FORMONTVia Boldrini, 38

28844 Villadossola (VB)Tel. 0324.53041

Fax 0324.575350

Il progetto “Un mondo di pietra” fi -nanziato dalla legge 4 della Regione Piemonte, dalla Comunità Montana

Valle Ossola e coordinato dal Formont ha la peculiarità di mettere in sinergia tre co-muni ossolani e le strutture che sono nate dal fi nanziamento di questo progetto, in modo da rendere più effi cacemente fruibile l’off erta turistica del territorio interessato.Il primo è il comune di Trontano, che ha riorganizzato la struttura del museo “La Beola e lo Scalpellino”, mettendo a dispo-sizione l’area congressuale e destinandola, oltre che a convegni, anche ad attività di educazione ambientale, inerenti il mondo della pietra.Cea Formont, infatti, già da qualche anno ha sede ed opera a Trontano dove svolge la sua attività di diff usione di tematiche ambientali rivolte alle scuole di ogni ordi-ne e grado.Con questo progetto si ha la possibilità di ampliare l’off erta formativa inglobando percorsi didattici innovativi che abbiano come nuova protagonista la pietra: risorsa e ricchezza storica ed economica, da far conoscere anche alle giovani generazioni.Il Museo “La Beola e lo Scalpellino” contie-ne inoltre al suo interno una serie di stru-menti antichi per l’estrazione e la lavora-zione della pietra che sono accompagnati

Un mondo di pietraStoria, Arte Ambiente e Cultura in sinergia per il territorio

Consorzio per la formazione professionale delle attività di montagna.Accreditato presso la Regione Piemonte

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ammodernamenti, che permetteranno a tutti di poter accedere e visitare una così importante e ben conservata ricchezza storica e culturale della nostra provincia.Infatti sarà presto possibile accedere al Castello tramite un ascensore che dal cortile della sottostante Villa Biraghi con-durrà alla corte alta.Nella stessa corte alta verrà quindi rea-lizzata una tensostruttura che renderà il castello sede di importanti convegni, concerti, spettacoli teatrali. Una simile cornice non potrà che rendere ambita la realizzazione di eventi in questo meravi-glioso luogo.L’intreccio dei confort moderni con la ristrutturazione che ha riportato ad an-tichi fasti il Castello ha reso possibile intrecciare percorsi storico-didattici al borgo antico. Formont, da qualche anno inoltre gestisce le attività turistiche culturali del Comune di Vogo-gna, mettendo a disposizione la sua competenza in ambito turistico e le fi gure professionali che al suo interno vengono formate, quali accom-pagnatori turistici, naturalistici e da quest’an-no anche cicloturistici e turismo equestre.Lo stesso Formont coordina le attività del progetto Un mondo di Pietra, dando modo di comprendere che in una realtà territoriale come la nostra, l’unico possibile modo di agire per creare o sfruttare al meglio le risorse del territorio è la sinergia tra gli enti che nel ter-ritorio stesso sono protagonisti. Affi ancare attività di educazione am-bientale, che off rono ambienti educati-vi diversi da quelli convenzionali d’au-la, a stretto contatto con la natura, a percorsi storici è sicuramente un buon metodo per diff ondere la cultura di un territorio, le sue peculiarità e quindi migliorarne l’off erta turistica.

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Città di DomodossolaCittà di d ola

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di Claudio Zella Geddo

L’ULTIMO VOLO DI GEO CHAVEZ

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Trentanove minuti, ventitre anni questi i numeri di un’impre-sa, il sorvolo delle Alpi, che ha

consegnato, nel settembre del 1910, all’intrepido Geo Chavez il serto della gloria aviatoria.Organizzato dal patron del Touring Club Italiano d’allora Arturo Mercan-ti, il Circuito Internazionale di Milano (25 settembre - 2 ottobre) prevedeva anche un Gran Premio della Traversa-

ta delle Alpi da svolgersi sulla tratta di circa 150 km. Briga-Domodossola-Stresa-Varese-Milano. Percorso che era stato allestito a terra con grande precisione tra servizi di comunicazione ottica, telegrafonica, assistenza mec-canica e sanitaria ed un attento uffi cio meteorologico gestito dallo scienziato elvetico Maurer. Un’occasione unica, per gli aviatori, i matti delle macchine volanti, la possibilità di giostrare a ca-vallo delle ardite montagne ossolane e vallesane tra Sempione, Valdivedro e l’aff accio dell’Oberland bernese.Immenso fu ovunque l’entusiasmo di genti e nazioni in quell’ultimo tempo di Belle Epoque in cui il cielo pareva vinto dalla giovinezza ardita di fragili aereomobili.L’insidiosa lotta fra il più leggero e il più pesante dell’aria - dirigibile o ae-roplano - era nel vivo e sembrava pro-prio che i mastodontici Zeppelin non avessero rivali nel dominio dei cieli. Molti allora i motivi per allestire una manifestazione di tale genere; mani-festazione che naturalmente avrebbe avuto un’eco mondiale tanto che re-gistrò l’iscrizione di taluni tra i più ar-dimentosi cavalieri dell’aria. Tuttavia il 23 settembre sul campo di Briga solo due eliche erano pronte al grande sal-to: quella del franco-peruviano Cha-vez e dell’americano Weymann (che immediatamente rinunciò)Chi era quel giovane, biondo, delica-to quasi diafano fi glio di una genìa di banchieri parigini? Fin da subito Chavez si era appas-sionato ad attività sportive rischiose come l’equitazione, l’automobilismo e quindi aff ascinato dallo spirito dei tempi, lo zeitgeist, alla nascente avia-zione. Passione maturata grazie alla frequentazione di Louis Blériot, pilo-

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ta e costruttore, che per primo aveva attraversato la Manica. E lì nel primo autunno vallesano Geo Chavez, rein-carnato Parsifal, cavalca proprio un Blériot XI che con circa 50 cavalli di potenza sarebbe stata la macchina adatta per vincere le Alpi.Il grande reporter d’antan Luigi Barzini così descrive quella sorta di Pierrot Lu-naire che porta il nome di Geo Chavez “Nell’hangar arde una candela, infi lata nel collo di una bottiglia. L’aviatore fuma distrattamente: è pallido e gra-ve. Indossa un vestito impermeabile foderato di pelliccia. La scena non so perché, ha qualche cosa di lugu-bre...”Alle 13.39 il Blériot stacca la sua ombra dal suolo e si erge contro la rocciosa barriera del Sempione che attraver-sa senza sforzo mentre da terra i monaci pregano o immaginano in Chavez la presenza santa dell’Ar-

cangelo S. Michele. Malauguratamen-te invece di dirigersi verso il Passo del Monscera il pilota s’abbassa nel tere-brante imbuto delle Gole di Gondo, già fatali nei secoli a viaggiatori ed eserciti e lì i venti aggrediscono con veemenza il monoplano che ne esce quasi trafi tto. Chavez non si abbassa, ormai è in vista della piana ossolana, ma sembra incantato, fermo come so-speso. La sua gioventù, il suo coraggio sono preda d’un inspiegabile desiderio di morte quasi che ad impresa compiuta

pscena non so

a di lugu-

l -enoez Ar-

q pcompiuta

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In un ambiente caldo e accogliente, tipico di montagna, vi verran-

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nulla più valga della vita. Ecco al-lora che un’ala si spezza e il Blériot precipita in regione Siberia (nda su un terreno di proprietà dei miei an-tenati), tra la gente spaventata, le ferite non sembrano gravi ma dopo quattro giorni l’aviatore si spegne. Defi nitivamente si spegne così la scia di cabrate, tonneau e innel-mann che il giovane Chavez aveva tracciato tra i ghiacci lucenti e il becco del Monte Leone.E’ ancora il Barzini che ricordando l’avventura di Chavez ebbe a scri-vere Chavez è eroe per amore di sogno. Ha risvegliato una poesia di leggenda così bella che ne siamo ancora storditi. Ed anche nel più lontano futuro non vi sarà uomo che attraversando queste Alpi non guardi verso la vetta del Monte Le-one e non dica “Là passò volando Chavez”.

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The last flight of Geo Chavez

Thirty-nine minutes, twenty-three years; those are the numbers of an enterprise

that had passed, in September 1910, the un-daunted Geo Chavez, down to history fame and glory: fl ying over the Alps.Organized by the, back then, chief of the TCI Arturo Mercanti, the International Circuit of Milan also scheduled a Grand Prix of Alps Crossing, which was to take place along the following itinerary: Briga - Domodossola - Stresa - Varese - Milano.An unique opportunity for the aviators to ride the Ossolan Valleys and the Oberland.Unprecedented was the enthusiasm of people and nations in that far back time of the Bel-le Epoque, in which the sky seemed defeated by fragile airplanes.Th e great battle between airplanes and ai-rships was at a climax and the gigantic Zep-pelin seemed to have the upper hand. Many were,therefore, the reasons to set up such an event, and indeed the response was globally acclaimed, as much so that registered the en-rollment of some among the greatest aviators of the time.Nevertheless on the 23rd September, on the Brig’s fi eld only two people showed up: Chavez and Weymann (who immediately renounced).Who was that young, blonde son of Parisian bankers? Since his youth, Chavez had been enamou-red with risky sport activities such as horse-manship, car racing and the rising aviation. Th e last being a passion cultivated through his friendship with Louis Bleriot, pilot and constructor, who fi rst had fl own across the English Channel.It was indeed a Bleriot XI with 50 power horses the plane chosen to cross the Alps.At 13.39 pm, the Bleriot took off and sur-ged against the rocky barrier of the Simplon Pass, which Chavez overcame eff ortlessly. Unfortunately, instead of heading towards the Monscela Pass, the pilot lowered in the

dark funnel of the Gondo Cliff s, and right there the winds vigorously attacked the plane which came out almost pierced.Chavez didn’t give up, being nearly over the Ossolan Plain.His youth, his courage were at bay of an inexplicable longing for death; life seemin-gly worthless after such an enterprise. Lo, a wing broke off and the Bleriot plummeted in the Siberia region among frightened pe-ople. Tragically, after four days the aviator passed away.Barzini, the great reporter, remembering Chavez’s adventure wrote: “Chavez is hero for dream’s sake. He has reawaken a legen-dary poetry,so beautiful that we are still da-zed.And even in the far away future there won’t be a man that crossing the Alps and looking at the Mount Lion peak wouldn’t say - right there Chavez had fl own by-”

cosa visitare...Civico Museo di Scienze Naturali.Ricchissima raccolta di materiali bota-nici, paleontologici, ittiologici, malaco-logici, zoologici, mineralogici, geologici e zoologici, frutto della collezione otto-centesca voluta dalla Fondazione G.G. Galletti. Tel. +39 0324.249001

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Civico Museo di Palazzo SilvaVia Paletta, 3Casa museo rinascimentale, con ricca collezione di oggetti d’arte, armi, arredi, supellettili.Tel. +39 0324.249001

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Se parli ti capisco...Oggigiorno anche la popolazio-

ne ossolana si esprime pre-valentemente in italiano, gli

spazi per l’introduzione nei dialoghi correnti di espressioni dialettali si va via via riducendo. Le cause sono prin-cipalmente due, la lingua uffi ciale ha acquisito molti neologismi che non sono stati tradotti nella parlata locale e la moderna comunicazione facile e veloce che consente a persone molto distanti tra loro di parlarsi, impedisce l’utilizzo degli idiomi locali, spesso molto diversi anche tra località non poi così distanti tra loro. Ovviamente il di-suso del dialetto nella comunicazione corrente, crea incertezza nel parlato. Quindi, anche quando saremmo in grado di esprimerci in una forma dia-lettale completa, per pudore preferia-mo non esporci, un po’ come usiamo fare con l’inglese imparato a scuola, e ripieghiamo sul più pratico e affi dabile italiano.Di questo passo però le lingue locali si estingueranno e ciò dal punto di vista socio-culturale è una catastrofe, perché se è vero che l’italiano, ed altre lingue che si stanno aff ermando nel linguag-gio abituale come l’inglese, avvicina-no persone che normalmente vivono distanti tra loro, l’erosione delle parla-te locali allontana persone che invece vivono fi anco a fi anco e che derivano da nuclei culturali comuni, spersona-lizzandone le radici. Parlare il dialetto quindi, è diffi cile per l’ossolano moderno, che parlandolo si trova limitato anche nel numero esi-

guo di vocaboli, che non consente una parlata ricca di preziosismi linguistici. Intendiamoci, quando si tratta di parla-re del tempo o del prezzo della benzi-na, essere forbiti non è indispensabile, lo è molto di più ad esempio per espri-mere concetti fi losofi ci o amorosi, ma siamo proprio così certi dell’inadegua-tezza del dialetto in alcune circostan-ze? Forse è soltanto la scarsa abitudine all’ascolto che spesso ce lo fa sembrare inopportuno. Ma chi ancora lo ricorda bene, provi per gioco a tradurre una frase d’amore nel dialetto del proprio paese, oppure un aforisma, come quel-li di Schopenhauer o Oscar Wilde che troverete di seguito vedrete che il vo-stro dialetto darà forza ai concetti. E buon divertimento!

Artur SchopenhauerGli uomini completamente privi di genio sono incapaci di sopportare la solitudine.Io non ho scritto per gli imbecilli. Per questo il mio pubblico è ristretto.la giovinezza senza la bellezza ha pur sempre del fascino; la bellezza senza la giovinezza non ne ha alcuno.

Oscar WildeL’esperienza è il tipo di insegnante più diffi cile prima ti fa l’esame e poi ti spiega la lezione.A volte è meglio tacere e sembrare stupidi, che aprir bocca e togliere ogni dubbio.E molto meglio essere belli che buoni, ma è meglio essere buoni che brutti.

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Questo nobile cereale, conosciu-to almeno dall’età del bronzo

nei paesi dell’Europa centro-setten-trionale, era diff usamente coltivato a scopo alimentare, anche nelle nostre valli, come testimoniano i numerosi mulini dislocati lungo i corsi d’acqua e i forni presenti nelle frazioni dei vec-chi centri abitati.La segale infatti predilige zone alpine caratterizzate da inverni rigidi e ter-reni di natura acida e poco profondi dove risulterebbe sconsigliabile il fru-mento.Inoltre ha un’elevata capacità di ac-crescimento in quanto sfrutta al me-glio l’umidità del terreno nel periodo invernale e primaverile.

Matura quindi in anticipo di almeno dieci giorni rispetto al grano, permet-tendo di liberare il terreno per altre colture brevi prima dei rigori inver-nali.Secondo notizie avute da mia suocera Pierina (la signora della foto che mi ha anche insegnato i segreti della mieti-tura, della battitura e della pulitura della granella con il classico “vall”), se il taglio avveniva entro la prima quindicina di luglio si seminava poi il “malgunin” (mais di taglia ridotta) o i fagioli. Se i tempi erano molto ri-stretti si procedeva anche senza più vangare il terreno. Poteva comunque succedere che i fagioli non facessero in tempo a maturare per cui, raccolti,

La „cultura‰ della segaledi Carlo Solfrini

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venivano appesi a seccare in solaio e utilizzati nelle minestre invernali con l’intero baccello.Da fonti bibliografi che ho appreso che succedevano alla segale altre col-ture di breve ciclo vegetativo come il grano saraceno, il miglio e il panico. Per quanto riguarda il ciclo vegetati-vo ho potuto verifi care che la taglia elevata del cereale (150-180 cm) pre-dispone, nelle giornate di vento forte e pioggia, all’allettamento. Purtroppo se la spiga è in fase di avanzata ma-turazione diffi cilmente le messi si rad-drizzano. Ecco perchè forse un tempo si prediligevano i terreni marginali e protetti sotto la vite.Come si sa la segale veniva utilizzata per la panifi cazione del tipico pane nero, l’unico pane che un tempo compariva sulle tavole delle famiglie locali. E’ un cereale che non sintetizza glutine ma particolari sostanze mucil-laginose che ne sostituiscono la fun-zione; è comunque di diffi cile lievita-zione ed è per questo motivo che è bene miscelare la farina di segale con quella di frumento (50 %).Considerato tradizionalmente un cibo povero, è in realtà un alimento con notevoli principi nutrizionali: contie-ne carboidrati, proteine, sali minerali ed è ricco di fi bre e lisina. Riconosciu-te sono le sue proprietà antiscleroti-che, depurative e ricostituenti.La farina può essere aggiunta anche nella preparazione di gnocchi e altri prodotti da forno oppure nella prepa-razione del “sciughett”, besciamella di segale che veniva cucinata come pappa per i bimbi.

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ORNAVASSO TERRA DI STORIA E LEGGENDE

di Claudio Zella Geddo

A chi percorre oggi la moderna su-perstrada potrebbe anche sfuggi-re la raccolta armonia, lo slancio

tra acque e cielo che disegna il borgo di Ornavasso (Urnavasch) a circa 200 m. di quota. Paese che giace sul cono di deie-zione del Torrente San Carlo (Stagalo in dialetto locale) e si dispone poi a venta-glio fi no alla Toce. Luogo ricco di santuari come quello della Guardia o il più eleva-to e ricco di vegetazione della Madonna del Boden. Fu terra da sempre abitata, crogiulo di una popolazione celtica, i Leponzi, che in epoca romana intrattenevano fi tti rap-porti commerciali per il tramite dei corsi d’acqua e di cui si rinviene felice testimo-nianza nelle necropoli di San Bernardo e In Persona. Le tombe rilevate dal Bian-chetti sul fi nire del secolo XIX°, illustrano

TERRA D

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ph.: Marco Cerini

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come un complesso ligneo “Compianto del Cristo Morto” del 1612.Gli amanti di storia militare ed escursioni non mancheranno poi di percorrere trac-ciato e vicende della Linea Cadorna, gi-gantesca opera difensiva che dalla Lom-bardia e il Piemonte fasciava - nel corso del primo confl itto mondiale - l’allora linea di frontiera con la Svizzera onde impedire un attacco austro-germanico. Ebbene Ornavasso -partendo dalla stret-ta di Bara- permette di inoltrarsi lungo un reticolo di trincee, camminamenti e po-stazioni difensive lungo una fortifi cazio-ne ancor oggi imponente ed evocativa.Ancora il passato ci parla grazie alla valo-rizzazione e riscoperta delle cave di mar-mo grigio-bianco e rosa che servirono la Veneranda Fabbrica del Duomo di Mila-no e poi il Regno d’Italia napoleonico. Le attività estrattive, con giacimenti sfrutta-ti a cielo aperto, ebbero un notevole im-pulso nel periodo che comprende il pri-mo confl itto mondiale e la ricostruzione postbellica e terminarono poi nella se-conda metà del secolo scorso. A tutt’og-gi l’attività rimane grazie alla fornitura di materiale di pregio utilizzato per restauri di antichi manufatti come il Duomo di Pavia. L’Antica Cava è stata oggi riaperta per le visite e l’organizzazione di spetta-coli ed eventi.Poche righe non bastano certo a descri-vere, l’incanto di un luogo, un paese, Ornavasso che off re all’appassionato di natura e storia la genuinità di autentiche tradizioni.

tutta la quotidianità di un’esistenza dedi-cata alle attività agricole, del commercio e della pastorizia tra vasi, bracciali, fi bule, oggetti rituali, monete ed un antica spa-da. Ora tutti questi muti testimoni di una civiltà antica possono essere osservati e ammirati presso l’apposita sezione del Museo del Paesaggio di Verbania.Proprio qui in questa valle, tra questi cantoni, si trovano anche le vestigia di un dialetto alto-tedesco che un tempo era parlato ad Ornavasso e di cui rimangono ancora chiare impronte nella topoma-stica locale (alpe Steyt, Ultunschwandie, Voost, Farranboda, Wisangorto ecc. cima Eyehorn o Il torrente San Carlo che divi-de il paese in Dorf, un tempo la sede del villaggio, e Roll, l’area rurale).Qui infatti nel corso del XIII° secolo ven-nero ad insediarsi popolazioni di origine alemanna provenienti dal vicino vallese i Walser appunto. Ornavasso divenne la punta estrema, più a sud di una pacifi -ca colonizzazione delle terre alte, in cui questo gruppo linguistico la Deutsche Wacht ben si assimilò con le genti pree-sistenti. Diede allora vita, tra fondovalle e alture, ad un modellamento del territorio del tutto particolare ed anche al diritto walser, il Walserrecht, ovvero la possibili-tà per i coloni di defi nirsi liberi e aff ranca-ti da qualsiasi servaggio feudale. Questi uomini della montagna portaro-no in riva alla Toce anche un patrimonio inesauribile di leggende, miti, magari sulla schiena dei Twergi i fantasiosi e di-spettosi abitanti di boschi e cime.Molte le cose da vedere per farsi un’idea della storia millenaria di quest’ultimo lembo di Alpi o a dir meglio Prealpi: la Casa Museo del-la Resistenza, bombardata durante la riconquista di Domodossola ora presenta ed illustra la storia della Di-visione “Valtoce”; d’interesse anche il Santuario della Madonna del Boden con la sua raccolta di ex voto dal XVIII° secolo ai giorni nostri.Il Museo Parrocchiale permette inoltre al visitatore di ammirare opere d’arte

tradizioni.tradiz orsirsi

nnnn ° °°

re rereretetet

www.ornavasso.it

ph.: Marco Cerini

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1° maggio1° maggiopasseggiata enogastromica nei passeggiata enogastromica nei cortili del centro storico tra cortili del centro storico tra antichi mestieri e prodotti tipiciantichi mestieri e prodotti tipici

“La vita tra Leponti e Walser”Duemila anni di storia tra mi e leggendeDuemila anni di storia tra mi e leggende

ad ORNAVASSO (VB)ad ORNAVASSO (VB)

EN

Ornavasso: a Land of History and Legends

Ornavasso (Urnavash) is at 200 me-tres above sea level and it lies betwe-

en the stream Boden and the river Toce. A place rich in sanctuaries such as the Guar-dia and the Boden ones.In the Roman period Celtic people lived there; they were on busy business terms thanks to the waterways. Th eir great ve-stiges can be admired in the vases, the jars, the bracelets, the fi bulas and a sword found in the necropolis in Ornavasso. No-wadays these archeological fi nds are kept and appreciated in the “Museo del Pae-saggio” (“Th e Museum of the Landscape”) in Verbania.Later, in the 13° century an Alemannic people (Th e Walser) settled in Ornavasso. Th ey came from the neighbouring Switzer-

land and peacefully colonized these lands.Many things can be seen here to get the ge-neral idea of the thousand years old history of Ornavasso.Th e “Museo della Resistenza” (Th e Mu-seum of the Resistance) illustrates the hi-story of the Division Valtoce.Th e sanctuary “Madonna del Boden” exhibits a collection of votive off erings.Th e lovers of Military History and the hikers can walk along the Cadorna Line, a huge defensive work built in the First World War in order to prevent Austrian and German attacks.Th e Past talks us thanks to the renewed interest of grey and pink marble quarries which were used by the Venerabile Fabbri-ca (Th e Venerable Factory) of Duomo in Milan.Nowadays the mining industry provides material of great value to restore ancient structures such as the Cathedral in Pavia.

Una festa simile a quella del Primo Maggio con antichi mestieri e de-gustazioni ma dedicata al Cinghiale è la Sagra del Cinghiale che si tiene ogni anno la prima domenica di

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Una festa simile a quella del PrimoUna festa simile a quella del PrimoMaggio con antichi mestieri e de-Maggio con antichi mestieri e de-gustazioni ma dedicata al Cinghialegustazioni ma dedicata al Cinghialeè la Sagra del Cinghiale che si tieneè la Sagra del Cinghiale che si tieneogni anno la prima domenica diogni anno la prima domenica di

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ALLA SCOPERTA DEGLI AFFRESCHI IN OSSOLA Un viaggio esplorativo lungo novecento anni.

di Christian Veldman

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In Ossola, sparsi nelle chiese e chieset-te che popolano il paesaggio, vi sono una tale varietà di aff reschi a tema re-

ligioso, che anche i visitatori più esigenti possono ammirare numerosissime ope-re d’arte pregevoli realizzate a partire dal XIII° secolo. Tali opere mantengono, nella classicità e sacralità dei temi, le li-nee pulite del gotico o la morbidezza del barocco, arricchiti e reinventati però dal-la particolare sensibilità artistica locale.Sono numerose anche le pitture sulle facciate delle case, che erano aff reschi a tema religioso realizzati con intenti votivi o semplicemente per abbellire le magioni. Tali aff reschi costituiscono una sorta di museo all’aperto che insieme alle cappelle o alle vie crucis, può essere ammirato facilmente da chi ama passeg-giare sia a piedi che in bicicletta su facili percorsi artistico/escursionistici.La committenza di queste opere prove-niva da nobili ed ecclesiastici che spesso assoldavano artisti celebri, di cui in alcu-ni casi è rimasta menzione del nome.Queste opere eseguite da professionisti,

specie quelle sacre, si distinguono per la maggior razionalità della disposizio-ne delle fi gure, per il maggior senso del volume, il realismo e per la complessità del dipinto che comprende oltre ai pro-tagonisti delle vicende bibliche, anche elementi di contorno quali schiere di ar-cangeli, cavalieri armati e come si usava un tempo rappresentazioni e allegorie delle arti (musica, poesia e danza..). Un bell’esempio della commistione fra sa-cro e spirito cavalleresco è visibile nella chiesa di San Gaudenzio a Baceno, ove i nobiluomini locali, Gasparre e Baldassar-re De Rhodis Baceno, si fecero ritrarre in una crocifi ssione che domina la navata centrale (nella foto a pag. 72-73). Diversamente, per quasi la totalità, gli aff reschi posti sulle abitazioni sono il ri-sultato dell’ispirazione artistica di pittori locali, riconosciuti dai compaesani come “artisti”, ma solo a volte capaci artigiani, dei quali non è rimasta traccia storica, ma solo qualche sporadica leggenda o aneddoto legato a casi più recenti, come ad esempio la saga del pittore Spalasci-

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no, vissuto tra la fi ne dell’800 ed i primi del 900, che operava in quel di Crodo, al quale il Parroco, in veste di commit-tente degli aff reschi che ornano le cap-pelle votive sulla mulattiera tra Vegno e Mozzio, disse: Con la tua arte mio caro Spallascino, mi hai disegnato Santi che sembrano briganti!.I dipinti realizzati sui muri delle abitazio-ni, quasi sempre di ispirazione religio-sa, avevano la funzione di proteggere la casa e i suoi abitanti, o tutto il borgo e rispecchiavano l’anima del popolo ed i suoi sentimenti più intimi come la devozione, la paura della morte, e dalla malattia. Una caratteristica singolare che è facile rilevare in queste opere è l’espressione umana che spesso si nota nelle fi gure animali, contrapposta ad una certa ani-malità delle fi gure antropiche. La tecni-ca utilizzata era estremamente semplice ovvero si dipingeva su una base di calce secca, con una gamma di colori ristretta, data dalla scarsa disponibilità locale, che era costituita dalle terre, marrone, ocra, ombra, dagli ossidi, verde chiaro, verde scuro, rosso ferroso e dai calcinati, gri-gio e nero.Da molti anni vari studiosi si sono ado-perati per portare alla luce e valorizzare questi preziosi documenti artistici.

Itinerario alla scoperta dei dipinti e altri tesori...È possibile vedere un po’ ovunque in Os-sola le pitture murali e gli aff reschi negli edifi ci religiosi, tuttavia è consigliabile affi darsi ad un vero e proprio itinerario, che consenta una visita più completa e razionale del patrimonio artistico, come quello segnalato di seguito.

Si parte alla volta di Baceno, dove la Chiesa di San Gaudenzio, monumento nazionale di straordinaria bellezza ci ac-

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coglie sullo sprone di roccia che guarda verso la valle. Piena di tesori artistici a cominciare dall’aff resco gigantesco sulla facciata che rappresenta proprio il Santo evangelizzatore piemontese. (foto pag. 7) Dopo aver vistato l’interno ed averne ammirato la bellezza e complessità del-le raffi gurazioni, si può proseguire verso Formazza dove nella chiesetta di Antil-lone è presente un aff resco seicentesco che ritrae l’antica processione che i for-mazzini compivano il 25 giugno di ogni anno al passo del San Gottardo, dove si incontravano con i vicini walser svizzeri. (foto pag. 4)Tornando poi sui propri passi è possibile visitare anche la Chiesa di Crevola-dossola, dedicata ai Santi Pietro e Paolo, dove aff reschi e stucchi fanno da contorno alle preziose vetrate istoriate delle bifore risa-lenti al 1525.Proseguendo il viaggio verso sud si troveranno altri interessanti aff re-schi a Domodossola; “Colleggiata dei Santi Protasio e Gervasio”, San-tuario della Madonna della Neve (foto pag 75), Sacro Monte Calva-rio.Poi ancora nelle chiese, chieset-te e oratori di tutta l’ossola.

Purtroppo una parte di questo pa-trimonio ha risentito gravemente del passare del tempo, infatti le condizioni dei dipinti, a volte, data anche la friabilità delle pareti che li ospitano, sono precarie; segnate da macchie o vuoti, che le detur-pano a volte irrimediabilmente.Tuttavia, spesso anche nel degra-do, è ancora possibile ammirane la delicatezza e complessità. Solo un ripristino eseguito con adeguate tecniche conservative potrà sal-vaguardare questo ingente lascito del passato a favore delle nuove generazioni.

EN

Frescoes in Ossola Valley

The Ossola Valley is dotted with fresco-es, preserved from diff erent churches.

Starting from S. Gaudenzio in Baceno, passing through the Calvary, Colleggiata and continuing with the Virgin of the snow at Domodossola. Reaching the lower side of the valley in which can be found a lot of other frescoes.Most of the picture here shown are taken at the Baceno’s church, one of the richest.

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Per la Storia, quella con la “s” maiu-scola, sono stati i «Quaranta giorni

di libertà». Quell’appellativo, reso famo-so dallo sceneggiato di Leandro Castel-lani prodotto nel 1974, fotografa il breve ma intenso periodo (tra il 9 settembre e il 22 ottobre 1944) in cui Domodossola e la valle del Toce fi no a Mergozzo e Orna-vasso - e parte della Val Cannobina -, s’af-francarono dal regime di Salò e, al posto di quella Sociale italiana, proclamarono una loro Repubblica, dell’Ossola. Già l’8 novembre del ‘43 Villadossola aveva acceso la “Scintilla”, inscenando quella sollevazione popolare che rappre-sentò l’avvio d’una stagione di ribellione e resistenza a nazisti e fascisti repubbli-chini. Gli eventi domesi accelerarono nell’estate del ’44, per trovare compi-mento nella giornata del 9 settembre. Le truppe fasciste di stanza a Domo furono isolate dopo che le incursioni militari delle divisioni garibaldine avevano libe-rato Varzo e Piedimulera.Il comando tedesco del capoluogo, tro-

vatosi accerchiato, trattò la resa, che avvenne al Croppo. I partigiani mode-rati, con l’intermediazione del clero lo-cale, accettò di andarsene, con l’intesa che ciascun soldato conservasse l’arma individuale. Senza più soldati in terra ossolana, nacque la Repubblica, che fu proclamata il 10 come enclave italiane nella Rsi.Tra tutte le 18 regioni italiane dichiara-te zone libere durante il biennio ’43-’45, solo la realtà dell’Ossola propose una forma di governo costituito. Dal 10 in avanti fu retta dalla giunta provvisoria amministrativa, al comando della quale fu chiamato Ettore Tibaldi, chirurgo di professione, socialista di fede politica (nel dopoguerra fu vicepresidente del Senato), che era riparato a Lugano. Al suo fi anco, in una compagine in cui erano rappresentate tutte le forze par-tigiane, c’erano il sacerdote Luigi Zop-petti, il comunista Giacomo Roberti (poi

Repubblica dellÊOssoladi Massimo Parma

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sostituiti da don Gaudenzio Cabalà ed Emilio Colombo), l’indipendente Gior-gio Ballarini e il liberale Alberto Nobili. Quindi furono cooptati il socialista Mario Bonfantini, Severino Cristofoli del partito d’Azione, l’avvocato democristiano Na-tale Menotti e la comunista Gisella Flo-reanini. Il segretario era Oreste Barbieri, assistito da Umberto Terracini. Ciascun membro della giunta ricevette una de-lega e iniziò ad amministrare. Lo stesso fecero i comitati del Cln che sorsero nel-le città vicine. Con essi riprese, o iniziò a farlo, la vita civile, che contemplava an-che il ritorno della stampa libera, fi no a quel momento censurata.In dodici sedute domesi (la tredicesima si tenne a Premia, in piena ritirata) furo-no deliberati, anche grazie all’apporto di consulenti, la stampa di francobolli, l’av-vio dell’università popolare, ma venne anche redatto un bilancio e istituito un tribunale chiamato a individuare e giu-dicare i fascisti rimasti in Ossola.Bloccati da nazisti e fascisti i rifornimen-ti, l’Ossola si sfamò grazie alla vicina Sviz-zera, dove successivamente ripararono i componenti la giunta, a seguito della riconquista. Questa fu ottenuta da tede-schi e repubblichini con una veloce azio-ne militare che si concluse il 22 ottobre e che vide l’impiego di circa cinquemila uomini. Una forza d’urto cui i partigiani non poterono reggere e che li costrinse a ripiegare per il passo di San Giacomo.

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L'Associazione ispi-randosi ai principi della solidarietà umana si prefi gge come scopo di promuovere le arti e la cultura con mostre e conve-gni nell'interesse della collettività, e iniziative a favore dei Soci.

Associazione Associazione Quantarte Quantarte O.N.L.U.S O.N.L.U.S

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Ristoranti ConsigliatiRistoranti ConsigliatiUna selezione di ristoranti ossolani provati per voi,

dove gustare i piatti e i prodotti locali.

Vecchio Scarpone Baceno Via Roma, 48 0324 62023

Magenta Bognanco Via Cavallini, 40 0324 46595

Casa Fontana Devero Alpe Devero 377 3108017

Da Sciolla Domodossola P.zza Convenzione, 4 0324 242633

La Meridiana Domodossola Via Rosmini,11 0324 240858

La Stella Domodossola B.ta Vagna 0324 248470

Moncalvese Domodossola Corso Dissegna, 32 0324 243691

Gambrinus Crevoladossola Via Mazzorini, 6 0324 45192

Buongusto Crodo Fraz. Mozzio 0324 61680

Del Parco Crodo Via Vegno, 3 0324 61018

Edelweiss Crodo Fraz. Viceno 0324 618791

Pizzo del Frate Crodo Fraz. Foppiano 0324 61233

Cistella Croveo Loc. Croveo 0324 62085

Walser Schtuba Formazza Loc. Riale 0324 634352

Aalts Dorf Formazza Loc. Riale 0324 634355

z’Makanà Stubu Macugnaga Via Monte Rosa, 114 0324 65847

La Peschiera Malesco Via Peschiera, 23 0324 94458

Divin Porcello Masera Fraz. Cresta, 11 0324 35035

Gallo Nero Montecrestese Fraz. Pontetto, 102 0324 232870

C’era una volta Oira Via Valle Formazza, 15 0324 33294

Lago delle Rose Ornavasso Via Pietro Iorio 333 982 9810

La Tavernetta Villadossola C.so Italia, 4 0324 54303

Vecchio Borgo Vogogna P.zza Chiesa, 7 0324 87504

Pizzeria Roxy Vogogna Via Nazionale, 178 0324 87095

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BACENO: Comune e Uffi co Informazioni - Meublè Isotta - Albergo Vecchio Scarpone - Ristorante Pizzeria Cistella, Croveo - Albergo Ristorante Villa Gina • Alpe Devero: Rifugio CAI Capanna Castiglioni Risto-rante Casa Fontana - Bar Pensione Fattorini - Bar Pensione Funivia - Albergo Ristorante La Lanca - Casa Vacanze La Rossa - Agriturismo Alpe Crampiolo - Albergo Ristorante La Baita - Ristorante Bar Punta Fizzi, Alpe Crampiolo • BOGNANCO: Comune - Pro Loco - Albergo Edelweiss - Albergo Rossi - Hotel Panorama - Rifugio Alpe Laghetto - Yolki Palki Camping Village - Albergo Ristorante Da Cecilia - Rifugio San Bernardo • DOMODOSSOLA: Comune - Pro Loco Domodossola co. Stazione Ferroviaria - Edicola via Binda - Bar Roma - Bar Mignon - Bar Milano - Bar Caffè Regina - Bar Moderno - Caffè del Borgo - Acosta Caffè - Caffè Vecchia Domo - Caffè Istriano - Caffè Bistrot - GVM sport - Edicola sul Corso - Edicola Ultime Notizie Via Binda - Lolli collezioni - Centro Commerciale Sempione - Ristorante La Me-ridiana - Bar Caffè Il Girasole - Edicola Via Galletti - Lucchini Foto Video - Residence Fiordaliso - Rifugio Lusentino - Edicola della Stazione - Buffet della stazione - Edicola Alagia Patrizia V. Giovanni XXIII - Simplon Caffè - Snack Bar Le Dune • DRUOGNO: Comune - Albergo Ristorante Stella Alpina - Bar Gelateria - Bar Tabacchi • CREVOLADOSSOLA: Alimentari Tomà - Ristorante Gambrinus - Ristorante C’era una volta - Bistrot S. Germain - Bar Vecchio Mulino • CRAVEGGIA: Comune - Bar Tabacchi Lo Spuntino • CRODO: Centro Visite Parco - Albergo Ristorante Buongusto - Comu-nità Montana Valle Antigorio Divedro Formazza - Albergo Ristorante Edelweiss - Albergo Ristorante Pizzo del Frate - Ristorante Bar del Parco • FONDOTOCE: Bar Gelateria Lollypop - Campeggio Lido Continental - Ristorante La Gallina che fuma • FORMAZZA: Comune e uff. Turistico - Albergo Edelweiss - Albergo Ristorante Pernice Bianca - Albergo Corno Brunni - Albergo Ristorante Rotenthal - Edicola Zarini - B&B Schtêbli - Bar Barulussa - Ristorante Walser Schtuba - Agriturismo Ross Wald - Ristorante Cascata del Toce - Rifugio Maria Luisa - Rifugio Città di Busto - Ristorante Igli • GRAVELLONA TOCE: Parco Commerciale dei Laghi - Sportway Megastore e Sportway Kids • MACUGNAGA: Uff. Turistico - Hotel Cima Jazzi - Centro Sportivo - Funivie Monterosa - Bar Mignon • MALESCO: Comune - Pro Loco - Bar Orso Bianco - Ristorante La Peschiera - Bar La Sosta • MASERA: Alimentari e Bed & Breakfast Tomà - Ristorante Del Divin Porcello - Edicola tabacchi • MERGOZZO: Comune - Uffi cio Turistico - Il Forno Shop - Gelateria Bar Aurora - Bar Calumet, Candoglia • MILANO: Monti in Città, Viale Monte Nero 15 • MONTECRESTESE: Osteria Gallo Nero - Bar Gufo • MONTESCHENO: Comune e Uffi cio Turistico •MOTTARONE: Funivia - Giardino Alpinia - Ristorante San Giuda • NOVARA: Sportway • OMEGNA: Pro Loco • ORNAVASSO: Comune - Bar Beba - Bar Baraonda - Angel’s Caffè - Lago delle Rose - Edicola Ta-bacchi PALLANZENO: Edicola PREMIA: Comune e Uff. Turistico - Albergo del Ponte - Albergo Minoli Miravalle - Ristorante Pizzeria Giglio Azzurro - Albergo Monte Giove • PREMOSELLO: Comune - B&B Cà dal Preu - Bar Pasticceria - Supermercato Conad • PIEVE VERGONTE: Comune - Bar Hg • PIEDIMULE-RA: Comune - Museo Lithoteca - Bar Aurora - Bar Monterosa - Caffè Piemonte • S. MARIA MAGGIORE:Comune - Uffi cio Turistico - Immobiliare Vigezzo - Centro Fondo • STRESA: Funivie Stresa Mottarone - Bar Idrovolante • VARZO: Sede Parco Naturale Veglia Devero - Hotel Sempione - Cartolibreria Borghi Wilmo - Ristorante Edelweiss - Alimentari Piretti, San Domenico • VERBANIA: Tecnobar co. Palaz-zo della Provincia - Comune - Uffi cio turismo - Pro Loco - Bar gelateria Milano - Gelateria Isola del Gelato - Monika Incoming Service • VIGANELLA: Comune e Comunità Montana Valle Antrona • VILLADOSSOLA: Edicola Rinaldi G. - Comune - Bar Plaza - Bar Gelateria Settimo Cielo - Formont, Via Boldrini - Tabaccheria Pergrossi R. Via Sempione - Ristorante La Tavernetta - Ristorante Serenella - Supermercato Coop - Erica Arioli Fotografo - Bandidas Bar - Perez’s Pub • VOGOGNA: Comune - Bar Jolly - Tabaccheria Edicola - Easy English - Pizzeria Roxy - Motel Bar Ristorante Monterosa - Centro Calzaturiero - B&B Del Viandante

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La rivista turistica delle Valli dell’Ossola la puoi trovare qui...

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