Oltre Dicembre 2012

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Oltre/ 1 N.11 DICEMBRE 2012 Vivere Oltre. IL CASSETTO DEI PENSIERI MODA GIOVANI SPECIALE WEDDING DOMO ADAMi BISCEGLIE KUWAIT CITY ANDATA E RITORNO LO STAFF DI OLTRE A BRUXELLESS Gian Michele Porro EREMITA GIRAMONDO, CHE PRODUCE OLIO E CREME DI BELLEZZA I Fratelli Confalone VISIONARI ALLA RICERCA DEL BELLO Michele Doronzo NEW AND BEST DETTAGLI DI STILE INTERVISTE RUBRICHE COPIA OMAGGIO

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free press del sud italia dedicato alle eccellenze imprenditoriali di puglia

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N.11 DICEMBRE 2012

Vivere Oltre.

IL CASSETTO DEI PENSIERIMODAGIOVANISPECIALE WEDDING DOMO ADAMiBISCEGLIE KUWAIT CITY ANDATA E RITORNOLO STAFF DI OLTRE A BRUXELLESS

Gian Michele PorroEREMITA GIRAMONDO, CHE PRODUCE OLIO E CREME DI BELLEZZA

I Fratelli ConfaloneVISIONARI ALLA RICERCA DEL BELLO

Michele DoronzoNEW AND BEST DETTAGLI DI STILE

INTERVISTE

RUBRICHE

COPIAOMAGGIO

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Elegante e sensuale, simbolo di raffinatezza. La calla bianca ora è anche il simbolo del nostro premio. La prima edizione del premio Oltre, che sono felice di annunciare in questo numero, è prevista per il 13 gennaio. Sarà il nostro rico-noscimento agli amici che abbiamo conosciu-to lungo il nostro primo anno di cammino, che hanno raccontato a noi la loro storia, la loro vita e soprattutto la loro maestria in settori diver-si. In questo numero ancora una volta ci hanno aperto le porte delle loro imprese. Lo ha fatto anche chi solitamente è schivo e riservato e per questo lo apprezziamo ancora di più. Il gran-de mondo della moda, visto da una prospetti-va minuziosa e originale, i regali che la natura dà a chi sa attendere e coltivare e riesce a tra-sformare e infine il sogno che si realizza in un palazzo principesco, che tutto sembra tranne impresa… Continueremo il viaggio nel mondo “bianco” della sposa, parleremo di veli neri e di pizzo e ritroveremo, anche in questo numero, le riflessioni della giovane Irene Cristallo. In questo mese ci siamo concessi anche un party, a sentire l’editore il primo di una serie di festosi eventi , e poi qualche considerazione da Bruxel-les, cuore dell’Europa. Insomma, anche questo mese è andato… non manca nulla… Solo i no-stri auguri, a tutti voi… che le vostre feste siano belle e serene. Di cuore.

IL NOSTRO DICEMBRE, PER CONCLUDERE L’ANNO CON “STILE”

EDITORIALE / NOVEMBRE 2012

IN QUESTO NUMERO

Michele Doronzo

Gian Michele Porro

I fratelli Confalone

OLTRE- RIVISTA ISCRITTA NEL REGISTRO DEI GIORNALI MENSILI DEL TRIBUNALE DI TRANI N.8/12 DEL 13/O2/2012EDITORE GIO GROUPDIRETTORE RESPONSABILE TOMMI GUERRIERIPROGETTO GRAFICO GIO GROUPIMPAGINAZIONE STUDIOARTSMEDIA.ITFOTOGRAFIA BEPPE LISOSTAMPA LITOGRAFIA 92TIRATURA 5000 COPIECONCESSIONARIA PUBBLICITARIA GIO GROUPCOLLABORATORI FELICIANA PITULLO,RAFFAELE CORVASCE,IRENE CRISTALLO,FEDERICA FILOGRASSO

Le collaborazioni sono a titolo gratuito.La riproduzione anche parziale di immagini e contenuti è vietata

VIA FERDINANDO D’ARAGONA, 86 - BARLETTA (BT)

CONTATTITel. 0883 884324Cell. [email protected]

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Siamo alla ricerca continua di giovani appassionati del proprio territorio che vogliono raccontare quanto di bello c’è nella nostra provincia”. VENDITORI GRAFICI GIORNALISTI.Inviaci le tue referenze a [email protected]

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C’era una volta una pecora diversa da tutte le altre. Le pecore, si sa, sono bianche; lei invece era nera, nera come la pece.Quando passava per i campi tutti la deridevano, perché in un gregge tutto bianco spiccava come una macchia di inchiostro su un lenzuolo bianco: “ Guarda una pecora nera! Che animale originale; chi crede mai di essere?”. Anche le compagne le gridavano dietro: “Pecora sbagliata, non sai che le pecore devono essere tutte uguali, tutte avvolte di bianca lana?” La pecora nera non ne poteva più, quelle parole erano come pietre e non riusciva a digerirle. Così decise di uscire dal gregge e andarsene sui monti tutta sola, almeno là avrebbe potuto brucare in pace e riposare all’ombra dei pini.Ma nemmeno in montagna trovò pace. “Che vivere è questo? Sempre sola!”, si diceva dopo che il sole tramontava e la notte arrivava.Una sera, ormai pervasa dalle lacrime, vide lontano una grotta illuminata da una debole luce. “ Dormirò là dentro”, disse e cominciò a correre. Correva come se qualcuno la attirasse. “ Chi sei?”, le domandò una voce appena fu entrata. “ Sono una pecora che nessuno vuole: una pecora nera! Mi hanno cacciata via dal gregge”!“La stessa cosa è capitata a noi! Anche per noi non c’era posto con gli altri nell’albergo. Abbiamo dovuto ripararci qui, io Giuseppe e mia moglie Maria. Proprio qui è nato il nostro bambino, Eccolo!”…La pecora era piena di gioia, poteva vedere il piccolo Gesù prima di tutte le altre.“Avrà freddo; lasciate che mi metta vicino per riscaldarlo!”Maria e Giuseppe risposero con un sorriso. La pecora si avvicinò stretta stretta al bambino e lo accarezzò con la sua morbida lana.Gesù si svegliò e le bisbigliò nell’orecchio: “ Proprio per questo sono venuto: per le pecore smarrite!”La pecora si mise a belare di felicità. Dal cielo gli angeli intonarono il “Gloria”.

IL CASSETTO DEI PENSIERIInviate i vostri a [email protected]

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EREMITAGIRAMONDO, CHE PRODUCE OLIO E CREME DI BELLEZZA

Gian MichelePorro

Quando arrivi, la campagna sembra un quadro, colorato di giallo e marrone. Sono le due del pomeriggio e il sole lascia un velo dorato sulla terra. La vista si apre all’orizzonte e il pensiero spazia senza limiti. Qui si trova la tenuta Rasciatano, dove si producono olio, vino e prodotti di bellezza. Un dettaglio che mi ha colpito e ha catturato subito la mia attenzione. E’ la prima cosa che chiedo a Gian Michele, 41 anni, proprietario della tenuta.

di TOMMI GUERIERIPh: BEPPE LISO

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Come mai prodotti di bellezza in un’azienda agricola?In realtà l’idea non era quella di proporre una linea di prodotti di bellezza né tantomeno di vendere creme e detergenti. Abbiamo creato i primi prodotti solo perché pensavamo di usarli per omaggiare i nostri clienti migliori, o meglio le loro signore… Si tratta infatti di prodotti a base di olio d’oliva. Poi abbiamo notato che sta-vano riscuotendo un grande apprezzamento, che sempre più spesso ce li chiedevano e così ci siamo lanciati in una produzione più completa e più numerosa.

Sono prodotti che vendete insieme ad olio e vino?Si, ma sono prodotti che vengono venduti a par-te, nel loro settore, ovvero quello della cosmesi.

Lei vive qui? Non esce mai?Sì, vivo qui. Esco, ma non a Barletta. Non cono-scevo quasi nessuno quando sono tornato. Vive-vo a Roma e poi a 25 anni sono tornato. Questa tenuta apparteneva alla mia famiglia. Mio padre la gestiva da lontano e io ogni tanto lo seguivo, fino a quando abbiamo deciso di tornare.

Che cosa ha significato il suo arrivo qui?Diciamo che ho trasformato l’attività agricola rendendola completamente biologica. Qui ave-vamo anche un frantoio, solo che prima lo dava-mo in affitto, adesso lo usiamo. Io ho completato quello che papà faceva a livello più semplice. Im-bottiglio e vendo con il nostro marchio. Chiudo l’intera filiera. Prima era molto più difficile pen-sare a una scelta del genere. Si comprava solo in Toscana. Ora le cose sono cambiate, l’olio, i pro-dotti della Puglia arrivano in tutto il mondo.

Ci fa alcuni esempi dei Paesi in cui esportate i vostri prodotti?Stati Uniti, Nord Europa, Germania, Svezia, Au-stria, Svizzera, Asia. Ma anche il Giappone, la Cina e la Corea.

Ha fatto tutto da solo?Sembra difficile crederlo, ma è così. Mi piace molto girare il mondo per vendere e per pro-porre il mio prodotto. Strano, per un uomo che sceglie la vita in cam-pagna…Vivere in campagna non significa darsi all’e-remitaggio. Mi piace vivere qua a 360 gradi… ma ho dei collaboratori molto validi in azienda, quindi quando sono fuori, sono tranquillo. Quindi se ho capito bene lei si occupa della pro-duzione e della vendita?Sì, seguo il lavoro direttamente nei campi e poi anche la vendita. Lo porto in giro, lo faccio co-noscere alle aziende. Quando sono qui sto sem-pre fuori, ho un ufficio in cui sto raramente, una scrivania a cui non siedo mai. E quando posso vado in giro a conoscere paesi e realtà nuove.

Gestisce un personale numeroso?Ho sei collaboratori in ufficio e una trentina ad-detti alla produzione.

Ecco parliamo della produzione. L’azienda pro-duce vari tipi di olio e di vino?Assolutamente no. Un solo tipo di olio. Uno di vino. Ovvero l’olio prodotto dalla coratina, che è la varietà tipica di olive delle nostre parti e il vino Nero di Troia.

Il vino ha una produzione più recente?Si, dal 2006. Quello è stato l’anno della prima vendemmia.

Come è arrivato alla scelta di affiancare anche la produzione di vino a quella dell’olio?Perché andando in giro mi sono reso conto che si poteva riempire anche questo mercato. C’era

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una grande richiesta e così ho capito che si po-teva fare. Quando viaggi impari a notare tutto. Fra viaggi di lavoro, degustazioni e cene ho ca-pito che c’era un grande interesse per lo stile italiano. E quindi che si poteva vendere oltre al prodotto anche lo stile, l’immagine di una terra.

Nota che c’è curiosità riguardo alla nostra terra quando è fuori a presentare il suo prodotto?Si, curiosità su come si fa il prodotto, su come vive la gente che lo fa… il concetto di stile di vita si manifesta anche nell’azienda che porta fuori un prodotto. E viceversa, quando vendi un prodotto, cerchi di creare interesse anche intor-no a tutto quello che gli gira intorno e di arric-chire l’immaginario collettivo e trasmettere il fascino di un prodotto.

Un concetto che però non vale per il mercato pugliese?Non vale perché noi abbiamo una diversa per-cezione.

E cioè?In Italia da pugliesi paghiamo un prezzo molto caro. Qui ognuno produce sotto casa il suo olio, altrettanto buono. Dall’altra parte del mondo invece non è affatto così.

Quello italiano?No, quello italiano è altrettanto difficile, anche se per motivi diversi. Primo fra tutti quello eco-nomico. I clienti italiani non sono sempre precisi nei pagamenti… poi noi, in Puglia non abbiamo una grande città che ci aiuta ad alimentare il mercato, come può essere Milano per il Nord.

La linea cosmetica invece in che anni nasce?Siamo introno al 2000. Ma non è che sia sta-ta una scoperta. Non abbiamo fatto altro che ripetere quanto l’olio faccia bene, sia ricco di antiossidanti. Lo sapevano dall’antichità. Lo usavano già i Romani sia per cosmesi che come condimento. Per i cosmetici è un ottimo ingre-diente davvero. Non facevo che ripeterlo e così ho pensato, perché no? Perche non riproporre questa sua caratteristica e utilizzarla. Grazie ad un amico, pugliese, abbiamo iniziato a coltivare l’idea e a pensare a sviluppare prodotti a base di olio.

Ricette con una percentuale alta di olio?In realtà ricette semplici. Siamo stati attenti a renderli il più possibile efficaci e a tenere una buona profumazione.

Si è sentito a disagio a lavorare in un campo che

solitamente non le appartiene?No. Però sono andato in contro a episodi parti-colari…

Tipo?A San Pietroburgo… uno scrub di una comicità incredibile…

Ovvero?Ero lì per presentare i nostri prodotti per trat-tamento per il corpo in una grande Spa, quando mi hanno invitato a eseguire davanti a tutti uno scrub su una modella.

E dov’era il problema?Che non avevo la più pallida idea di che cosa fare e che non potevo in alcun modo tirarmi in-dietro. Allora ho aperto il barattolo di questo prodotto di cui avevo per mezz’ora abbondante decantato le lodi e ho dovuto farne qualcosa per non dare l’impressione di non averlo nemmeno mai provato. Ho infilato la mano, ne ho preso un bel po’ e ho iniziato a cospargerlo sulla ragazza. Per prendere tempo, perché il mio vero proble-ma era che non avevo idea di che fare dopo e di come toglierlo, sfregavo e massaggiavo, fino a quando, non trovando nessuna soluzione ho confessato alla mia interprete inglese che non sapevo come uscire da quella situazione. Allora lei mi ha chiesto dell’acqua in russo e mi ha sug-gerito in inglese come toglierlo.

Com’è la sua giornata tipo? Immagino segua i tempi della natura…Mi sveglio sempre presto, d’inverno alle 6,30 l’azienda inizia già a lavorare… d’estate dicia-mo alle 5… quando ho da lavorare per la par-te commerciale invece più normalmente alle 9 vado in ufficio.

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Se dovesse scegliere di demandare un ruolo, quale preferirebbe lasciare, quello commercia-le o quello produttivo?Sicuramente lascerei sbrigare ad altri il lavoro d’ufficio e io me ne starei tutto il giorno fuori a seguire la produzione. E’ un’idea che mi piace e che a volte attuo. Visto che il capo sono io… se non si può nemmeno scegliere che fare, che senso ha essere il proprietario…

Diciamo allora che il ruolo amministrativo la in-teressa meno.Diciamo che ricevo tonnellate di e-mail… do-vrei stare tutto il giorno al computer solo per leggerle, se poi volessi rispondere a tutte dob-biamo contare anche la notte…

Cosa fa quando non è qui?Esco, ma come dicevo non a Barletta… Diciamo da Trani in giù.

E con la crisi? Come state fronteggiando questo momento?No… non ci riguarda… si fanno cose nuove ap-posta… si creano accasioni nuove.

La tenuta è molto grande?Sono circa trecento ettari di tenuta, che produ-cono sei mila quintali di olio.

Li vendete tutti?Si. Li vendiamo tutti. come vedi la crisi è lontana da noi…

Quali sono i prossimi obiettivi per l’azienda?Stiamo cercando di “internazionalizzarci” di più. Di uscire dall’Italia non solo con il prodotto ma con gli uffici di vendita. La strada è quella che quasi tutte altre aziende stanno seguendo e anche noi vogliamo essere presenti fisicamente su altri mercati.

E per la sua vita, cosa vede Oltre?Di sicuro il matrimonio e i figli, quando non sarò più sposato con la campagna. Approfitto del fatto che noi maschi non abbiamo il tempo con-tro e aspetto il momento giusto…

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Mi piace molto girare il mondo per vendere e per proporre il mio prodotto.

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VISIONARIALLARICERCADEL BELLO

I fratelli Mario,Tommaso, Riccardo e Vincenzo Confalone

L’ulivo e il fico d’india. Istantanee sparite di una murgia che si perde nel ricordo di un tempo passato. Antiche mura su cui per anni ha camminato l’edera. Sgretolate dal vento. Funestate dagli anni. Oggi rivivono riscaldate dalle luci, nutrite dalle piante e incantate dalla voce dell’acqua. Una mano dotta ha dipinto gli affreschi e la legna torna a scaldare gli ambienti. I Love Villa Carafa.

di TOMMI GUERIERIPh: BEPPE LISO

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Lavorate bene insieme?Il passaggio generazionale non deve essere vi-sto come un momento triste. Se non c’è aper-tura, non può esserci rinnovamento. I mec-canismi familiari sono così forti che rendono salda un’impresa. Guardi al nord, dove le grandi aziende familiari sono gestite da manager. Non trova che perdano la loro anima? Qui è più dif-ficile che succeda… le parlo perché è capitato anche a me…

Le è capitato perché il suo era un settore completamente diverso. Lei viene dalla fotografia.Si. Quando ho iniziato la mia nuova attività nel settore della ristorazione ero completamente lontano dai meccanismi di questo tipo di impre-sa e così per un paio d’anni mi sono affidato a dei manager, ma ho ricevuto solo delusioni e al-lora mi sono rimboccato io le maniche e messo al lavoro in prima persona.

Da dove inizia la sua storia?Avevo 11 anni quando rimasi orfano di mio pa-dre, e mio fratello Franco mi faceva già lavora-re. Facevo il garzone di un fotografo, quando la foto era in bianco e nero, quando si stava ore in camera oscura e Photoshop non esisteva. Era una scuola che formava. Poi sono arrivati gli anni

Mario e Gianluca non sembrano affatto padre e figlio, ma più facilmente li scambi per maestro e allievo, dove è l’allievo, spesso, a guidare il mae-stro, a redarguire la sua parola quando è troppo ardita e a stimolarla là dove, invece, il suo orecchio ha di nuovo voglia di mettersi all’ascolto di storie sentite tante volte e ogni volta con un piacere nuo-vo. Mario sorride, si lascia tiranneggiare. Un attore consumato nel rapporto con suo figlio, che misura sempre, che sa quando dare e quando no. Amabili nell’arte del conversare a tre, fino a quando Gian-luca si ritira e lascia la scena a Mario.

’80 e i primi video. Io ho sempre cercato nuove opportunità: le foto e i video erano un vettore lanciato nello spazio. Pensi che noi montavamo i film con un macchinario unico nel suo genere, che avevamo fatto arrivare da Londra. In Italia ce n’erano solo tre e da noi venivano anche da lontano.

Quindi facevate anche foto e video ai matrimoni?Si ed è proprio così che è nata la nostra idea e forse più che idea già un desiderio… quello di avere un luogo tutto nostro per i pranzi di noz-ze. Solo che qui in quel momento mancavano i riferimenti. Solo quando andavamo lontano ci capitava di lavorare in strutture che potevano darci una vera ispirazione. Così aspettavamo che potesse capitare un’occasione. Intanto da noi venivano a montare i video da tutta Italia.

Per cui il lavoro non mancava?Non mancava, ma la tecnologia andava avanti e tutto stava cambiando rapidamente. Sarebbe stato sciocco non iniziare a guardarsi intorno in modo più ragionato. Noi avevamo cavalcato ogni possibilità che quel settore aveva offerto. Avevamo fatto l’ottica, lo sviluppo e stampa in un’ora, i film su videocassetta.In fondo è questo ciò che rende un buon profes-sionista anche un imprenditore.Certo, avere la capacità nel proprio lavoro non basta. E’ necessario avere anche il dono della vi-sione e la percezione.

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Quando è arrivato il momento giusto?Passavamo giornate intere a visitare masserie adatte per il banchetto di nozze. Per cercare qual-cosa di adatto alle nostre esigenze… Qualcosa di unico. Era diventato un pallino. Poi un giorno un mio amico mi ha fatto notare che percorrevo la strada per andare da Andria a Minervino qua-si ogni giorno perché corteggiavo la ragazza che poi sarebbe diventata mia moglie, Aurora, e non avevo visto una stupenda masseria.

Ci siete andati?Certo. E’ stata un’emozione unica arrivare qui. La villa era coperta di muschio sul prospetto. Era quasi mimetizzata nell’ambiente. Quando abbiamo valicato le sbarre, ricordo che più mi avvicinavo, più mi rendevo conto di quanto fos-se bella. Fui rapito. Affascinato.

E poi?Poi decidemmo di comprarla. Ma la trattativa con i proprietari era più difficile del previsto. Erano benestanti. Non volevano vendere e per scoraggiarci avevano chiesto un prezzo alto. Intanto la villa era sempre più diroccata, era abbandonata, in balia dei vandali che avevano fatto razzia di tutto ciò che potevano portarsi. Sempre più sventrata. Loro non mollavano, noi rilanciavamo.

Perché non mollavate?Perché vedevo il potenziale e non mi sarebbe piaciuto che ciò a cui stavo rinunciando io pote-va diventare di un altro. E poi perché quel prez-zo che all’inizio mi era sembrato scandaloso, col passare del tempo mi sembrava accessibile. All’inizio gli avrei dato un quarto di ciò che mi

chiedevano e sarebbe stato già un prezzo ade-guato, ma poi la mente iniziava ad abituarsi alla cifra e a non accettare l’idea di perderla e così dopo pensieri che sono durati un anno, sono tornato alla carica. E’ vero poi il detto che quando una cosa piace, non c’è prezzo che tenga?Sono assolutamente d’accordo. Anche se devo dire, ha giocato a mio favore – ma questo lo dico con il senno del poi- una gran dose di in-coscienza… deve pensare che il costo iniziale era alto, ma che tanto altro ci sarebbe voluto poi per farla tornare al suo splendore. Chiesi ad un ingegnere di quantificare il costo dei lavori e devo dire che il suo tenersi basso è stata la mia fortuna. Se avessi saputo allora quanto mi sa-rebbe costato, forse avrei anche rinunciato. Lui invece minimizzò, disse che sarebbero bastati due anni, tre al massimo e tutto sarebbe stato fatto. Quando invece abbiamo capito davvero che cosa ci sarebbe voluto, ci siamo spaventati.Anche perché miravano in alto. Quando l’ab-biamo acquistata abbiamo fatto un viaggio per conoscere le ville venete. Siamo stati lì una set-timana con i nostri tecnici che avrebbero ese-guito i lavori. Ormai la villa era nostra e eravamo così affascinati da quelle ville che non avremmo voluto fare da meno.

Da quel viaggio avete preso degli spunti?Siamo tornati sazi, come si dice… avevamo tutti i riferimenti per fare grandi cose. E in effetti il recupero della villa è durato 5 lunghi anni.

Cinque anni difficili?Cinque anni in cui lavoravamo tantissimo solo

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per la villa. Il recupero, gli arredi, le attrezzatu-re. Lampadari, piatti, posate. Io stesso non ave-vo idea di quanto ci volesse. Pensavo che era stata una vera follia.

Sua moglie la sosteneva?Certo ma non sempre era ottimista. I soldi fini-vano. Stavamo mettendo a repentaglio le no-stre proprietà. Continuavamo a chiedere fidi. Io devo ringraziare i miei fratelli e i miei nipoti, che in questi anni ci hanno sostenuti e hanno condi-viso le nostre iniziative. Per fortuna siamo sem-pre stati ottimisti e il tempo ci ha dato ragione. Come avete fatto?Devo dire che le banche iniziavano a chiudermi la porta, solo la Banca Popolare di Andria ci ha dato nuovamente fiducia, intercettando forse la nostra visione e permettendoci di ultimare il recupero.

Che sensazione aveva in quel periodo?Mi sentivo sempre un po’ brillo e ubriaco. Era come avere un giocattolo fra le mani. Ma ora bisognava iniziare a gestirlo e trovare persona-le di alto livello. Per me era un lavoro assolu-tamente sconosciuto. Io, da fotografo, arrivavo e mi sedevo nelle varie strutture ricettive. Ora invece dovevo pensare a tutto. Per questo mi sono affidato a dei manager per un paio d’anni.

Come mai ne parla al plurale? Ne ha cambiati di-versi in due anni?Si, non ero soddisfatto. In quello che facevano mancava l’anima, il pathos… non c’era passione nel loro lavoro. Quando mi lamentavo, mi dice-vano che era normale. Eppure noi, che avevamo creato il nostro giocattolo, non facevamo fati-ca a capire che non funzionava come avrebbe dovuto. Così mi sono lanciato in prima persona nella gestione e ho coinvolto i miei fratelli ab-bandonando la fotografia. Successivamente ab-biamo istradato i nostri figli con cui abbiamo un confronto stimolante.

La villa ha fatto scuola…Devo ammettere che è vero. Con orgoglio e soddisfazione le dico sì. Anche se le confesso che spesso ho dovuto anche forzare le scelte di alcuni sposi. Solo così potevamo dare un volto nuovo al ricevimento. Privilegiando non solo la qualità ma anche il senso estetico. La capacità di focalizzarsi sul bello.In questo la sua esperienza di fotografo la ren-deva particolarmente allenato…In questa ricercatezza del bello e del dettaglio, ma anche nel rapporto interpersonale con i

clienti. Del resto è stata la nostra filosofia. Cer-care di creare un rapporto di fiducia fra loro e noi. Riuscire a creare un progetto da condivide-rere con i nostri collaboratori. Questo perché abbiamo cercato di privilegia-re l’aspetto organizzativo: in questo notevole merito nella perseveranza nell’inseguire questi obbiettivi è da dare al nostro primo chef Vito Boccassini e all’economo Natale Capogna.

Quali sono le parole del suo successo?Credere, insistere, dare al lavoro l’importanza che merita. Pensi che noi solo lavorando duro abbiamo potuto continuare a realizzare la villa. Se avessimo mollato anche solo per un periodo saremmo rimasti indietro. Reinvestire nel lavo-ro per innovarsi è fondamentale.

Prima di salutarci, Mario mi accompagna a visita-re il piano nobile della villa, recuperato dalla re-stauratrice Daniela Milani. Un incantevole viag-gio fra le stanze dell’Aurora, della Fortuna, delle Arti, con un padrone di casa eccellente…

Gli chiediamo cosa vede Oltre e anche in questa risposta Mario mostra la sua vera capacità di avere visioni.Oltre qui vedo una Spa, un luogo per rigenerare il corpo e la mente.

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“Se non c’è apertura, non può esserci rinnovamento.”

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lovefm.it

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NEW AND BEST: DETTAGLI DI STILE

Michele Doronzo

Avete mai pensato a tutti quei dettagli in plastica o in metallo o in silicone che vedete sulle vostre borse o sulle scarpe. Vi siete mai chiesti da dove arrivano i pesciolini di silicone nel vostro push-up? Si tratta dell’intuizione geniale e della maestria di un solo uomo, che grazie ad un team di collaboratori e figli – ma in azienda la parola papà è bandita – che con grande passione e una determinazione di ferro, trasformano ogni sfida in un dettaglio di lusso.

di TOMMI GUERIERIPh: BEPPE LISO

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Dall’esterno la New and best, a Barletta, sem-bra una scatola grigia con un’insegna rossa in testa. Non si capisce di che cosa si occupa, per una voluta scelta del suo presidente e fondato-re, Michele Doronzo. Infatti lui è preceduto dal suo braccio destro, Giuseppe Cafagna, e si capi-sce che se potesse, lascerebbe fare l’intervista a lui… Per questo, al suo arrivo, mi sorprende che non sia l’uomo schivo e di poche parole che ave-vo immaginato. Sorride e non dimostra affatto la sua età. Mi stringe la mano in modo affettuo-so, pronto a superare la sua resistenza iniziale. In effetti quando inizia a parlare è un fiume in piena. Racconti, aneddoti, persone che i suoi ri-cordi rincorrono, date, tempi, idee, tutto si incro-cia. Solo ogni tanto cerca lo sguardo di Giusep-pe, quasi a chiedere approvazione o sostegno, se qualche dettaglio sfugge alla mente. Ma il cuore non l’abbandona mai. Batte sempre e a ritmo più rapido, ricordando quell’amico svizzero Luigi Bagnaia, compagno d’avventura e d’impresa. E’ difficile capire perché un’azienda assolutamente leader nel suo settore scelga di non dire mai che i suoi clienti sono Bulgari, Prada, Vuitton, Fendi, Gucci. Nomi della moda e del lusso. Addirittura Chanel. E’ difficile, se non conosci Michele, capi-re perché in questi anni si sia, per scelta, tenu-to un profilo tanto basso a livello di immagine. Poi, quando conosci lui, ti rendi conto che è una scelta di stile anche quella, più che una filosofia aziendale.

Uno staff ventennale, un gruppo di quaranta unità. Ma perché a Barletta?A Barletta perché amo la Puglia. Non sono un sudista, ma amo questa Regione perché qui abbiamo una manualità unica e un grande spi-rito di inventiva.

Come inizia la sua storia?Sono stato un autotrasportatore con la fissa dei motori da sempre. Passione che mi ha tra-smesso mio padre. Vivevo pensando che per me, qualunque cosa, non era impossibile da realizzare. Se riescono gli altri, perché io non dovrei farcela? Ecco, questo era il mio motto.

E come è passato da fare l’autotrasportatore all’imprenditoria?La famiglia di mia moglie era nel settore dell’impresa, nei calzaturifici. Così l’idea fu quella di affiancare a quel tipo di aziende – che in quegli anni venivano aperte continua-mente – una impresa di servizi. Diciamo di supporto. Dieci anni in cui abbiamo iniziato a fare impresa. Poi nell’89 viene costituita la New and Best che nel 94, a seguito di una tra-sformazione dell’assetto societario, inizia un nuovo percorso aziendale, una nuova vita.

I primi mesi sono stati duri?Pensi che siamo stati fermi quasi 5 mesi con cir-ca 30 persone, studiando con il mio amico sviz-zero Luigi Bagnaia, la giusta strada da percorre-re per far conoscere la New and Best con le sue enormi potenzialità in tutta italia individuando e formando nuovi agenti. L’amico Bagnaia è co-lui il quale è sempre riuscito a tradurre le mie idee in macchinari all’avanguardia.

Ecco, ma l’idea quel’era?Semplice: trasferire il know-how acquisito in altri settori , usare la stessa tecnologia al ser-vizio della moda, dell’abbigliamento, dell’arre-damento ….. e dove la tecnologia non c’era … crearla.“Le vere risorse sono i clienti con le loro richie-ste “

Michele cerca lo sguardo di Giuseppe e di Rugge-ro ricordando quando i nuovi agenti ci mandarono le prime etichette in microiniezione; fino ad allora avevamo visto etichette in pvc, etichette tampo-grafate ma non quelle in microiniezione, non fatte cosi’.Dopo varie ricerche, si scopre che quella tecnica e’ solo cinese, totalmente manuale.Nel ‘98, dopo vari viaggi, – disegnata da Michele – nasce la prima macchina di microiniezione e nel 2000 la prima macchina automatica di microinie-zione a quattro colori, con quattro piccoli erogato-ri che in automatico realizzano etichette. Sorride Michele, a ricordare quando nel ‘96 per la prima volta un’azienda del sud, la sua, ha parteci-pato alla fiera di Milano.

Non credevano che fossimo un’azienda. Pensa-vano che dietro la dicitura Made in Italy, ci fosse qualche società cinese, che la nostra fosse una copertura, un paravento. Lì sono nati i primi contatti con il Gruppo Ittierre (Licenzatario dei marchi Dolce e Gabbana, Versace, Ferrè, Extè)

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Come si è sentito?Solo per un momento ho sentito che stavo toc-cando il cielo con un dito, poi ho subito messo i piedi in terra. Ho detto a me stesso che non si trattava di un arrivo, ma di una partenza. E da quel momento per l’azienda è partito il rinno-vamento, ogni sei mesi si cambia…

Quali sono state le difficoltà maggiori?Purtroppo un pregiudizio che accompagnava soprattutto in quel periodo le aziende del sud, che vivevano sotto il peso della contraffazio-ne. I grossi marchi con cui dovevamo lavorare temevano questo e immaginavano che la New and Best fosse una realtà non all’altezza di po-ter collaborare con grandi aziende.

Come le è venuto in mente di chiamarla così?Intanto mi piaceva il suono dato dalla pronun-cia in inglese, che sentivo orecchiabile e origi-nale, poi per me davvero l’azienda doveva na-scere basandosi su due concetti fondamentali: “novità e competitività” e visto quello che nel tempo abbiamo realizzato diciamo che la tra-duzione più vicina è davvero “la migliore inno-vazione”.

Molto lontano dal concetto del sottoscala… Si… la nostra è un’azienda verticale e non oriz-zontale che cresce nei reparti. Ne abbiamo dodici che ogni anno vengono innovati e svi-luppati. Perché deve pensare che oggi – certo non è stato sempre così – un progetto nasce e viene finito qui. Prima ci avvalevamo di servizi esterni, che significavano una grande perdita di tempo e non ci permettevano di garantire quella riservatezza necessaria a clienti di un certo calibro. L’idea geniale è quella di rispondere sì ad ogni proposta, o meglio ad ogni esigenza che han-no questi colossi della moda e se non si può fare, mettersi al lavoro per inventare e far co-struire una macchina che possa farlo.Esattamente. Di solito io disegno le macchine e poi le faccio produrre in altri luoghi. E’ anche questo un modo per evitare di far capire che cosa abbiamo in mente e di tenere a bada la concorrenza. In quegli anni la moda scopriva la plastica, gli effetti luce.

Ma so che non vi siete limitati agli abiti.No. Abbiamo realizzato etichette in resina per i mobili, giubbotti gonfiabili e per il Gruppo It-tierre abbiamo realizzato e saldato sulle ma-glie Versace, le famose bottiglie di profumo in plastica, per non parlare delle mille applicazio-ni che abbiamo messo sugli zaini. Poi nel ‘99 di-ciamo che arriva la consacrazione, con il grup-po Prada. Abbiamo inserito per Miu Miu delle

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parti metalliche nel manico di plastica delle borse. L’anno dopo è arrivata l’alta frequenza in rilievo sul nastro di nylon in continuo, che ci ha permesso di scrivere per esempio sul gro delle infradito.

Prima ha fatto riferimento a innovazioni parti-colari sugli zaini…Si, nel 2000 abbiamo iniziato un bel rapporto con la Seven, instaurando uno splendido rap-porto con uno dei titolari Sig. Michele Distasio creando evanescenze di colore e sfumature, tutto in digitale. Poi è stato il periodo dello spallaccio con l’aria all’interno. E poi di lì qual-che anno dopo sono arrivati i pesciolini per il push up. 4 milioni di pezzi per un distributore di biancheria intima. E ancora le bretelle in si-licone trasparente prima semplici, poi con l’ap-plicazione di strass e pietre. Diciamo pure che il nostro compito è quello di togliere le casta-gne dal fuoco. Ci propongono un’idea e noi ci mettiamo al lavoro per capire come realizzarla e per metterla in pratica. E nove volte su dieci ce la facciamo. Questo periodo lo ricordo feli-cemente perché ha segnato l’arrivo in azienda del mio primogenito Ruggiero che dopo aver terminato gli studi e frequentato master di specializzazione ha deciso di entrare in azien-da apportando da subito una ventata di idee e freschezza diventando oggi il coordinatore dell’area commerciale. Ora abbiamo anche un ufficio in Cina, dove da due anni produciamo per quei clienti che hanno de localizzato lì la loro produzione. Lì c’è mio figlio Gianluca a seguire il lavoro. Lui ha 31 anni, si è laureato a Milano e avendo studiato mercati interna-zionali ha raccolto al volo l’idea di operare per nostro conto in Cina, infatti vive un mese in Cina e l’altro a Barletta, mentre qui io posso contare oltre che su Ruggiero anche sulla new entry, la mia piccola Alessia, che ha 24 anni e si è laureata con il massimo dei voti in Scienze della Moda. Sono orgoglioso di averli qui e so-prattutto mi piace che abbiano fatto del mio motto il loro motto.

Ovvero?A Lavorare bene e a lavorare male ci si mette lo stesso tempo tanto vale lavorare bene.

Uno degli aspetti importanti del vostro lavoro è la tutela dei marchi.Si, noi vediamo in anteprima gran parte delle collezioni. Come la custodia per Iphone in sili-cone realizzata per Fendi. L’anno dopo è stata la volta di Gucci, che ci ha fatto produrre, ma interamente in Italia, la custodia in silicone per Iphone e Ipad con la stessa filosofia, ma qui. Quindi abbiamo dovuto portare le macchine in

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Italia, formare il personale… ci sono volute sei macchine e molti mesi per realizzare lo stesso prodotto, solo che noi abbiamo rispettato la filosofia del made in Italy dell’azienda.

Non vi siete fatti mancare nulla. Da Bulgari a Celine, fino a Chanel, Louis Vuitton, Gucci, Fer-ragamo, ecc..E sì, la collaborazione con Chanel è stata incre-dibile. Abbiamo realizzato dei dettagli per le loro creazioni e pensi che poi io e mia moglie siamo stati invitati a Parigi per la sfilata pro-mossa dal grande Karl Lagerfeld. Mi vengono ancora i brividi al pensiero di quei ricordi. E’ una grande soddisfazione pensare che tutte le più grandi aziende del mondo si rivolgono alla New and Best di Barletta e non a Milano, Vicenza o Venezia. E poi è bello sentirsi dire da loro che non siamo solo un’azienda di servizi ma che davvero ci considerano dei collabora-tori a tutti gli effetti.

Michele lei che persona è?Mah… sono un positivo di natura, un ottimi-sta. Grazie anche all’influenza che ha avuto sulla mia vita mia moglie Anna che amo tan-tissimo. Sono sposato con lei da 38 anni e ora vedere anche i nostri figli qui, così uniti, così presi dall’azienda, è davvero una grande gioia. Cosa vede Oltre?Mi aspetto che le persone, i politici, abbiano più voglia di parlare con i giovani. Io dico sem-pre non parlate con me, io sono in una fase di-

scendente della vita. Parlate con loro che sono il futuro. Io oltre vedo più spazio per le giovani generazioni.

E visto che Ruggiero, Gianluca e Alessia sono qua chiedo anche a loro cosa vedono Oltre. Ruggiero ci parla della crisi che aumenta e che vede essere cavalcata. Per lui è importante trasformare un punto di debolezza in un pun-to di forza e soprattutto ingrandirsi all’estero. Fare lo stesso percorso fatto in Italia, in paesi come la Spagna, il Portogallo e la Francia. Ales-sia, che invece è qui da poco, spera di impara-re quanto più possibile e dice che ce la met-terà tutta per lasciare una traccia importante del suo arrivo nell’azienda di famiglia, mentre Gianluca condivide la visione aziendale di Rug-giero di internazionalizzare e aggredire nuovi mercati e sta rivolgendo particolare attenzio-ne ai mercati emergenti come Brasile, Messico e Sudafrica.

Al termine dell’intervista insieme a Michele e Giu-seppe Cafagna facciamo un giro nei reparti. Sco-priamo che Michele è un ex pilota di rally. Ha cor-so dal ‘76 fino all’80. Poi ha lasciato per dedicarsi interamente all’azienda e alla famiglia. Michele ci ha confessato che in quegli anni non vedeva i bambini crescere e ora non vuole che i suoi figli facciano gli stessi errori. Per questo li invita a la-sciare sempre i problemi di lavoro in azienda e a ricordare, una volta a casa, che si deve essere so-prattutto una famiglia.

Io oltre vedo più spazio per le generazioni future.

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DA BRUXELLES , L’OCCHIO EUROPEO SULLA RIDUZIONE DEI RIFIUTI E LE MAXI MULTE AL NOSTRO PAESE

BRUXELLES , Tommi Guerrieri - Una piccola trasferta a Bruxelles, al Parlamento Europeo. Un “pass” visitatori valido tre giorni e un tour all’interno del cuore pulsante dell’Europa.

Quella di fine novembre è stata la settimana europea per la riduzione dei rifiuti. Assistere alla conferenza sul riciclo dell’industria dei rifiu-ti, ascoltare i dati portati a Bruxelles, è stato un modo per comprendere in maniera sempre più netta quanto gli amministratori del sud stiano vivendo in uno stato di “semincoscienza” in ma-teria. Nel 2020 le discariche non potranno più essere una soluzione. Ma i sindaci sembrano non saperlo o non pensare che il 2020 sia alle porte. Solo pochi Comuni vendono i loro rifiuti ai paesi del Nord, con un grosso dispendio eco-nomico. Ma il dazio economico da pagare non è solo questo: a Bruxelles la presidente della

Commissione Petizioni del Parlamento, ha riba-dito che il nostro paese dovrà pagare una mul-ta di 56 milioni di euro per non aver rispettato la sentenza della Corte di Giustizia Europea del 2007 che impone la bonifica di 255 discariche. Non finisce qua. 256 mila euro di multa, per ogni giorno di ritardo nell’attuazione di un program-ma efficace di bonifica. Eppure qui a Bruxelles la percezione – sul caso Italia – è singolare. Il no-stro paese risulta quasi leader nell’Unione euro-pea per il riciclo e la differenziata, poco dietro la Germania. Peccato però che i dati riguardino una sola parte d’Italia, da Roma in su. Da Roma in giù invece, un altro mondo…

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La moda parla di noi. Ogni scelta che ha a che fare con ciò che scegliamo o scartiamo è un indizio che svela chi siamo o come ci sentiamo in quel preciso momento. Un accessorio che fa tendenza da sem-pre – e per sempre – è il velo. O meglio, la veletta, che fra gli accessori di moda forse è quello che più volte va e viene, ma anche quando non va, è sem-pre “giusto”. Un tocco di fascino, un pizzico di mi-stero e una scelta sexy e originale. Una scelta che rende accessibile e irraggiungibile chi la indossa. Copre, ma con trasparenza, isola, ma lascia intra-vedere. Le nobildonne e le contadine indossavano il velo per fede. Le danzatrici, per provocazione. Nel Medioevo il velo è stato abbinato per la prima volta al cappello e da quel momento le interpreta-zioni sono state tantissime. Oggi, che sia cuffiet-

di TOMMI GUERRIERI

ta o paglietta, cloche o cappellino in seta, lana o velluto, il dettaglio della veletta è sempre ricco di fascino e mistero. Un invito alla prova è d’obbligo. Che sia del tipo Armani – lo ha proposto in sfilata con abiti da sera trasformato in vero velo gioiello, di pizzo, con cristalli, ricami e piume – o del genere più quotidiano Dello Russo – abbinato a cerchietti e cappellini colorati – almeno una volta va accosta-to al viso. Oggi outfit anche più casual la prevedo-no e i grandi marchi la propongono in versione più leggera ( solo per le tasche)… E se dovesse piacer-vi, diventerete delle vere habituè, come la musa di Alexander McQueen e Karl Lagerfeld, che non poteva fare a meno di veli e velette. Siate un’icona eccentrica, almeno per un giorno… e se vi riesce, mandateci una foto…

Giorgio Armani Privé Haute Couture Fall Winter 2012-13

collection

PARLIAMO DI VELO, SENZA ESSERE SPOSE…

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“Istituzione organizzata in cui vengono detenuti i minoren-ni condannati alla pena della reclusione, suddivisi in celle alquanto affollate e perennemente in attesa di giudizio.” Questa è la definizione di scuola che gli studenti sarebbero ben lieti di suggerire allo Zanichelli. Quello che dovrebbe essere considerato il tempio della cultura , pur soggetto a continui mutamenti, si posiziona, ormai da innumerevoli settimane, al vertice della hit parade degli incubi di noi gio-vani, quasi svantaggiati con i nostri fulminei dieci minuti d’intervallo di fronte all’ora d’aria dei reclusi! Ma come ogni lavoratore, sebbene stanco e annoiato dalla propria mansione, sa di non poterne fare a meno, allo stesso modo noi giovani operai dell’istruzione, riconosciamo il ruolo fondamentale che la scuola ricopre nelle nostre vite. Per questo pur criticandola e invocando catastrofi naturali che, come la nuvola di Fantozzi, si abbattano unicamente sulla nostra scuola, ci ribelliamo, scioperiamo per far sentire la nostra voce e perché, diciamolo, a volte di fronte all’idea dell’interrogazione di latino, ci sembra più semplice far guerra allo stato; lottiamo per essa, proviamo a salvaguar-darla dalle conseguenze dilaganti della crisi economica, da quei tagli che sembrano preservare unicamente gli stipendi della classe politica, andando a soffocare la speranza più

“Studere, studere, post mortem quid valere?”

(STUDIARE, STUDIARE, MA DOPO LA MORTE A COSA SERVE?)di IRENE CRISTALLO

concreta del nostro paese: l’istruzione dei suoi figli! Ma gi-rando la lavagna, con lo sguardo gioioso e fiducioso che solo un adolescente può avere, vediamo la scuola come centro di aggregazione, luogo in cui nascono amicizie, gio-ie, esperienze, ma soprattutto in cui poniamo le basi per il nostro futuro, dove troviamo la chiave d’accesso per una società preparata, proiettata al progresso, in cui maturiamo e iniziamo a fare scelte, a capire quale sia la nostra strada e a procurarci i mezzi per perseguirla. Sottovalutiamo troppo spesso la fortuna che ci è data nel garantirci un’istruzione; abbiamo, a differenza di molti altri paesi, nel ventunesimo secolo ancora colpiti da analfabetismo, la possibilità di co-noscere, valutare e cosa più importante sviluppare il nostro senso critico. E per quanto volentieri faremmo a meno del-lo stress delle interrogazioni, delle notti insonni prima dei compiti in classe, di quella campanella che suona sempre in anticipo all’entrata e sembra invece non suonare mai quan-do fremi per uscire, di quei prof che tanto temiamo ma che con i loro strafalcioni ci rallegrano la mattinata, siamo ben consapevoli di come i giorni spensierati tra i banchi di scuola resteranno fra i più belli da ricordare con un sorriso e un briciolo di malinconia mentre sospirando penseremo: “se potessi tornare a scuola…”.

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La città di Bisceglie è stata la protagonista di un incontro bilaterale assieme alla capitale dello Sta-to del Kuwait, Kuwait City.L’incontro è stato il frutto della iniziativa promos-sa dall’Italkuwait Group e dal suo Presidente, sig. Antonio Ruggieri.Italkuwait è stata fondata nel 2011 da un grup-po di italo-kuwatiani che si sono resi conto della mancanza, nelle loro comunità, di comunicazione e reciprocità tra le istituzioni già stabilite in detta comunità ed i futuri esponenti della stessa. Essa nasce dall’idea del gruppo che è ispirato da co-muni ideali di pace e benessere, unione che vuole sancire un legame simbolico al fine di sviluppare strette relazioni politiche, economiche e culturali tra le due città.La visita conoscitiva da parte del governatore di Kuwait City Sheikh Ali Al Jaber A. Al Sabah, l’am-basciatore del Kuwait a Roma, Jaber Duaij Al-I-brahim Al-sabah, assieme alla sua delegazione è iniziata il giorno 5 novembre presso l’ Aeropor-to  Internazionale “Karol Wojtyla”  di Bari, dove sono stati accolti dal Presidente dell’Associazione Italkuwait Group, sig. Antonio Ruggieri, dal Sinda-co della Città di Bisceglie, avv. Francesco Carlo Spina e dal consigliere provinciale con delega co-munale al commercio, sig. Giovanni Abascià. La giunta comunale, ha avuto il piacere di salutare ufficialmente la delegazione del Kuwait City pres-so il Palazzo di Città, cui è seguito una breve visita presso uno dei palazzi storici biscegliesi, ancora abitato, il Palazzo Ammazzalorsa. Il giorno 6 Novembre, alle ore 19 presso il Teatro Comunale Garibaldi, alla presenza della delega-zione di Kuwait City e del suo governatore, l’as-sociazione Italkuwait Group in collaborazione con l’amministrazione comunale e la Fondazione mu-sicale “Biagio Abate”, ha organizzato un concerto con la Banda Musicale di Bisceglie. Alla perfor-mance concertistica è stata invitata gratuitamen-te l’intera cittadinanza. Il complesso bandistico è stato egregiamente diretto dal Maestro Diretto-re Concertatore Dominga Damato, direzione arti-stica affidata a Benedetto Grillo, capobanda della banda di Bisceglie. A conclusione del concerto composto da brani di musica classica tra cui le sinfonie del Nabucco,

Norma e Barbiere di Siviglia, Cavalleria leggera, Moment for Morricone ed un classico canzoniere Napoletano, il Presidente di Italkuwait Group, il sig. Antonio Ruggieri, ha sottolineato come en-trambe le culture, pugliesi ed arabe, siano state influenzate dalla dominazione federiciana. Venerdì 7 Novembre, è stata la volta della visita presso il Porto turistico biscegliese, uno dei porti dell’ Adriatico più caratteristici, e del centro stori-co; in ultimo la visita presso il museo archeologico Museo Civico Archeologico F. Saverio Majellaro. Molte sono state le visite aziendali che si sono in-tervallate in questi giorni di visita conoscitiva ed hanno riscontrato e suscitato un forte interesse da parte di tutta la delegazione.A suggellare il ponte culturale tra le due popo-lazioni, uno scambio di intenti è stato firmato da entrambi i governatori delle due città coinvolte, Bisceglie e Kuwait City. La firma è avvenuta nel posto più rappresentativo della città ospitante, il Dolmen della Chianca, mo-numento preistorico da poco riconosciuto come “Patrimonio Testimone di una cultura di pace per l’umanità”.

BISCEGLIE KUWAIT CITY, ANDATA E RITORNO…

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Essere emozionati, sopraffatti dall’amore e con il cuore nello zucchero, non esonera sposi e genitori dal ricordare le buone maniere.

All’arrivo degli sposi il luogo del ricevimento deve essere pronto e il banchetto già alle-stito , con tavoli apparecchiati e personale in giro per offrire gli aperitivi. La sposa può assentarsi qualche minuto per sistemarsi velo e acconciatura, perché la vera padrona di casa è sua madre. Sarà lei, insieme agli spo-si a ricevere gli ospiti. All’ingresso, non di-menticate un grosso libro bianco su cui gli invitati potranno scrivere i loro auguri, i loro pensieri affettuosi agli sposi. Sarà compito dei fratelli degli sposi pensare alle presen-tazioni degli ospiti che non si conoscono, e occuparsi della corretta sistemazione di tutti a tavola. La mamma della sposa farà un giro dei tavoli appena tutti sono sedu-ti per accertarsi che le presentazioni siano state fatte e che ognuno abbia il suo po-sto. Ricordate i segnaposto a tavola e uno schema dei tavoli all’ingresso, sarà molto utile per trovare il proprio posto al momento di sedersi. Se ci sono bimbi, convocate una baby sitter o un animatore per loro, che si divertiranno e si sentiranno apprezzati. E se gli sposi vogliono svignarsela prima della fine del ricevimento, sono giustificati, purché abbiano salutato genitori e fratelli. Saranno loro a portare a termine la festa, con la di-stribuzione dei confetti.

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Sapevate che anche le fedi nuziali rispon-dono a precise esigenze di galateo? Primo indizio: chi acquista le fedi? In realtà spet-terebbe allo sposo, ma capita che siano i familiari o i testimoni a voler regalare questo simbolo d’amore. In alcuni casi è proprio il testimone dello sposo che viene incaricato dell’acquisto e della custodia degli anelli fino al momento giusto della cerimonia, in cui saranno tirati fuori dalla tasca. Ci sono anche casi in cui gli sposi si regalano a vi-cenda l’anello. Altro aspetto importante è l’arrivo delle fedi all’altare. Se non sarà il testimone dello sposo a offrirle in un cofa-netto gelosamente custodito, il compito po-trebbe essere affidato a dei bambini. Picco-li angioletti che porteranno le fedi all’altare su un cuscino. Il cuscino porta fedi è un dettaglio importante, che ultimamente assu-me sempre maggiore rilevanza. Ci sono spo-se che lo fanno realizzare appositamente dall’atelier che confeziona l’abito. Se il cu-scino vi sembra una scelta troppo classica, potete optare su un cestino di fiori o di soli petali. Se non volete scegliere nulla di tutto questo, potrete far legare direttamente le fedi al vostro inginocchiatoio. Le fedi po-tranno essere lisce o satinate, in oro bianco o tradizionali in oro giallo. Tenete presente anche ne esistono di vari modelli e che si possono far realizzare in molti modelli. Ri-cordate però che resterà al vostro dito – si spera – tutta la vita. Quindi, che la scelta sia estetica, ma anche ragionata…

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ESPERIENZEAl Politecnico di Milano è docente - “ Wed-ding Designer”All’Associazione Wedding Planner è docen-te del modulo moda all’interno del corso di Wedding Planner.A SkyUno, in “Cambio vita, mi sposo!” e in “Mi ha lasciato, cambio vita!”, protagonista con Natasha StefanenkoSu LA7 è protagonista della rubrica “Si,lo voglio” all’interno del programma Cristina Parodi LIVE e Cristina Parodi COVER.Al magazine White Sposa cura la rubrica fissa “Kitchen Style” insieme ad Alessandro Borghese. Per PGI - Platinum Guild Interna-tional realizza abiti in platino in collabora-zione.In russia organizza matrimoni per importanti personaggi come il capitano dello Zenith di San Pietroburgo.In usa vince il premio Wedding Dresses Ma-gazine come Best Foreign Designer 2001; inoltre è Wed- ding Designer di celebrities come Stephanie Winston, per la quale rea-lizza l’abito nuziale.

CHE COS’È LO “STILE DOMO ADAMI”?Lo stile domo adami è oramai da più di 20 anni un’istituzione all’interno della bridal couture mondiale. Un abito domo adami si riconosce tra mille, per la capacità di legare un prodotto di altissima qualità, caratteriz-zato da una spiccata originalità e dall’e-

Mauro AdamiWedding Creative

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RIVENDITOREAUTORIZZATO

TIGI®

WEDDING HAIR STYLE

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strema, cura dei dettagli, rimanendo pur sempre di grandissima classe ed eleganza.CHE DIFFERENZA C’È TRA UN WEDDING PLAN-NER E UN WEDDING CREATIVE?Il mestiere del Wedding Planner negli ultimi anni purtroppo è stato inflazionato da per-sone che si sono improvvisati maestri di un mestiere, che solo l’esperienza e la gavetta possono insegnarti.Il Wedding creative è invece una persona eclettica e dotata di una particolare sen-sibilità artistica e creativa che sa cogliere e coordinare tutti quegli elementi che ren-dono una cerimonia elegante, sofisticata e soprattutto su misura dei committenti, ab-bracciando tutti gli aspetti della cerimonia, senza tralasciare nessun dettaglio.QUALI SONO I PUNTI CHIAVE DI UN EVENTO NUZIALE?Ogni momento dell’evento nuziale può es-sere quello chiave. Come in tutti gli eventi, la coordinazione perfetta tra tutti gli ele-menti e di tutti i momenti sono il segreto per un successo assicurato.COSA RENDE UN MOMENTO UNICO E SPE-CIALE?L’amore.COME SI CREA LA MAGIA?Ascoltando quelli che sono veramente i pro-pri desideri, senza pensare ad amici, parenti, programmi televisivi ecc, ma costruendo la cerimonia a misura di essi.QUAL’È LA SPOSA IDEALE DELLO STILE ADAMI?Una sposa che sa quello che vuole, che ha ca-rattere e vuole essere ricordata ed ammirata.LO STILE DELLO SPOSO COME DEVE ESSERE?Lo sposo deve essere assolutamente elegan-te e impeccabile, il perfetto principe azzurro vestito con un bel completo sartoriale.CI RACCONTI UNO DEI TUOI ALLESTIMENTI PIÙ INSOLITI?Le richieste delle mie clienti non hanno dav-vero limite.A volte sono io a dover tirare fuori i loro desideri inconsci, altre volte invece posso sbizzarrirmi e unirmi alla follia di alcune ri-chieste davvero eccentriche.Mi vengono in mente i matrimoni che ho se-guito nella fredda Russia. Mangiatori di fuo-co, clown, finte guardie svizzere, gondole veneziane, sono solo un piccolo assaggio di quello che ho fatto accadere.PARLIAMO DI TENDENZE: COSA RENDE UNI-CO UNO STILE?Le tendenze sono quelle “linee guida” che la moda detta per una determinata stagione... per citare una famosissima stilista e icona

di classe indiscussa quale fu Coco Chanel, la differenza fondamentale è che “La moda passa, ma lo stile resta”.PER IL MATRIMONIO INVERNALE COSA SUG-GERISCI A UNA SPOSA?Il matrimonio d’inverno sta tornando come tendenza prepotente, e se ben organizzato può essere anche molto più bello di un ma-trimonio estivo.Consiglio di concentrarsi sull’atmosfera che si vuole creare, di cercare ogni fornitore fin-ché non si troverà quello giusto e di deci-dere un tema/colore/ispirazione che vi gui-di nella coordinazione dell’evento.La stessa cosa varrà per la scelta dell’a-bito, che va scelto con un tessuto adatto alla temperatura rigida ma che allo stesso permette di sbizzarrirsi con degli accessori, magari anche variandoli durante la giorna-ta, lasciando tutti stupiti!

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