Nuova Proposta luglio agosto 2015

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Bollettino ufficiale dell’UNEBA Unione Nazionale Istituzioni e Iniziative di Assistenza Sociale n. 7/8 - 2015 anno XXXXI Poste Italiane SpA spediz. in abb. post. 70% - C/RM/DBC LA FAME DEL MONDO

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Nuova Proposta, il bimestrale di Uneba

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Bollettino ufficiale

dell’UNEBA

Unione Nazionale

Istituzioni e Iniziative

di Assistenza Sociale

n. 7/8 - 2015

anno XXXXI

Poste Italiane SpA

spediz. in abb. post.

70% - C/RM/DBC

LA FAMEDEL

MONDO

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Copertina:L’ann

Mi sento sazio. Satollo, si diceva in buo-na lingua. Abbuffato, si dice a Roma.

Eppure faccio pranzi prudenti e cene leggere.Da dove viene questo senso di pesantezza?Non si tratta del fisico. Come molti fatti ecose di oggi, la mia sazietà è del tutto virtua-le. Accendo il televisore e su ogni canale, aogni ora del giorno (per la notte non ho veri-ficato) trovo chef professionisti e casalin-ghe saccenti che presentano piatti fantasiosie spesso irrealizzabili. I rotocalchi dedicanoal cibo spazi più lunghi di una scorpacciatavera, con foto che sul momento mi ingolosi-scono ma, ahimé, sono su carta. Da ogni par-te, da edicole, da librerie e, nuovo ahimé, daamici e amiche ricevo consigli su diete mira-colose unilaterali e repellenti. Altri mi parla-no di figli bulimici e di figlie anoressiche, infuga da sé stessi. Le riviste scientifiche e lepagine culturali dei giornali tentano di spa-ventarmi predicendo che per nutrire la popo-lazioni nel futuro prossimo si trangugerannopolpette di meduse, farina di insetti, sforma-ti di lombrichi e cavallette fritte.Vi sono poi parenti e conoscenti che, infer-vorati non a torto della salvezza degli ani-mali , respingono la carne e s i nutrono dipiante; incontro vegetariani, vegetaliani ovegani, e i più rari fruttariani che, per salva-re anche le piante, si nutrono soltanto deiloro frut t i . Rispet to i l loro eroismo e misento vile, crudele e inquinatore nel rosic-chiare un osso di abbacchio (lemma romanoper “agnello”). Ecco, o l t re che farmi sato l lo v i rtuale, lascienza mi mette in crisi di coscienza, aggra-vata da tante affermazioni che sono, al tem-

po s tesso, apodit t iche e contraddi t torie.Corrono voci alterne: “la pastasciutta in-grassa”, “la dieta mediterranea è la miglio-re”, “la soia è un elemento miracoloso”, “no,la crusca… macché, la pappa reale”, “nientesale comune, ma quello speciale” (in farma-cia a 8 euro il pacchetto), “niente zuccheroma dolcificanti”, “attenzione agli OGM!”..Come orientarmi se, inoltre, la sociologiacomplica le cose? Se voglio mangiare unananas o un cioccolatino, bere un caffè o untè, rendo un servizio ai paesi tropicali chesulla loro terra hanno prodotto questi benioppure finanzio le multinazionali delle mo-nocol ture? E i dubbi s i es tendono: le miemagliette di cotone finanziano il governodel Sudan e quel le s intet iche influenzanoforse il mercato del petrolio? E se la letturadei bugiardini dei medicinali mi terrorizza,devo curarmi con le erbe e con p i l lo let teignote? Ho bevuto, qualche rara volta, unbicchierino di whisky o vodka, e mi tor-mento perché sono alcoolici derivati da ce-reali che avrebbero dovuto saziare la famedel mondo, ma mi consolo bevendo cham-pagne. Dovrò evitare tutti i cibi non “biolo-gici”? Seguirò quegli amici che vanno daldietologo per non mangiare?Ho l’impressione che per non avere parec-chie cose ci vogliano un sacco di soldi. E spe-ro che EXPO chiarisca a tutti le idee, indiriz-zando verso nutrimenti accessibili, incorag-giando i buongustai ma anche dettando nor-me contro la fame nel mondo, frutto malato dicattiva distribuzione, di mancata programma-zione e di ignoranza. Spero che tutti riesca-no, d’ora in poi, a mangiare “alla Carta”. AllaCarta di Milano, intendo, quel documento dinove pagine che elenca i paradoss i del lospreco e della fame, dei due milioni di malnu-triti e di altrettanti obesi, ed afferma il dirittouniversale “a un cibo sano, sufficiente e nu-triente, acqua pulita ed energia”. Mi preoccupa un po’ il trovare che, tra glisponsor della manifestazione milanese, so-no in evidenza Mac Donald e Coca Cola. Mai miei lettori avranno capito che, per quantoriguarda il cibo, sono un ansioso troppo ca-rico di dubbi profondi e di interrogativi su-perficiali.

Do meni co Vo l pi

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di don Antonio Mastantuono

Nel suo Breviario tedesco, Berthold Bre-cht, con sottile ironia, scriveva: «Per

chi sta in alto discorrere di mangiare è cosabassa. Si capisce: loro hanno già mangia-to!». Sembra, invece, in questi giorni cheanche coloro che “stanno in alto” abbianocompreso quanto sia importante parlare diuna realtà quotidiana com’è il cibo: l’Expo’di Milano ne è un’attestazione esplicita. An-che tra i potenti si è, infatti, consapevoli cheil cavaliere nero dell’Apocalisse (Ap 6,5-6),che regge la bilancia per misurare le derratealimentari, continua ancora oggi a correreper tante regioni del nostro pianeta ove, pur-troppo, spesso convivono quelli che hannopiù cibo che appetito e quelli che hanno piùappetito che cibo.Si saranno lasciati interrogare dalla massimadel gesuita Charles Pierre, che scriveva: «Ilpane conserva quasi una maestà divina. Man-giarlo nell’ozio è da parassita; guadagnarlolaboriosamente è un dovere; rifiutarsi di divi-derlo è da crudeli»?

Il “pane” e il “vino”Ma veniamo al tema di questo contributo: ilcibo e le religioni. Tutte le religioni, daquelle primitive e più elementari a quelle piùcomplesse e strutturate, istituiscono un le-game profondo tra il divino e il cibo (megliosarebbe dire “i cibi”), tra la divinità e le fontidi sussistenza dalle quali dipendono i gruppiumani.Questo legame tra il divino e il cibo - per cuisi può legittimamente parlare di “sacralitàdel cibo” - risulta ampiamente provato dauno studio comparato delle varie religioni edè riconosciuto dagli studiosi come un datoincontestabile. Ma è soprattutto la tradizioneebraica ad esplicitare e tematizzare come nes-sun’altra questo legame, collocato al centrostesso dell’evento rivelatore il cui fine èl’ingresso in una terra “dove scorre latte emiele”, dove cioè per tutti ci sia cibo in ab-bondanza. E la tradizione cristiana del “pane”e del “vino” ha fatto e fa i simboli fondantidella propria fede; Gesù, infatti, collega ilmemoriale della sua morte e della sua risur-rezione al “pane” e “vino” della cena ebraica.

Per la tradizione ebraico-cristiana, tra il ciboe il sacro esiste un legame profondo checonsiste nel trasfigurare o transustanziare il“pane” da dato naturale ad evento di gratuitàda parte di Dio e questa trasfigurazione otransustanziazione istituisce il principiogiustizia o responsabilità sul quale si reggeil mondo e il principio perdono che lo rico-stituisce.Il cibo, per la Bibbia, non è sacro ma è inrapporto con il sacro: dove rapporto dicecontemporaneamente da un lato la sua desa-cralizzazione, per cui esso - non più divinoné epifania del divino - può essere fruitodall’uomo gioiosamente e l iberamente;dall’altro, esso non è ‘pura datità’ di cuil’uomo può disporre a piacimento, secondola sua progettualità e volontà di potenza.Né sacro né profano, il “pane”, simbolo ditutti i beni della terra, è il luogo dove si in-carna e prende corpo la sollecitudine di Dioper l’umanità e dove risuona il suo appelloall’uomo per la giustizia e la solidarietà.Più che con la categoria del “sacro” e del“profano”, il cibo è letto dalla Bibbia conla categoria della “benedizione”: oggettiva-zione e concretizzazione della benevolenzadivina che permane tale solo se riconosciu-ta nel movimento di ritorno della benedi-zione umana. Dio per la Bibbia benedicel’uomo creando i beni (benedizione discen-dente), mentre l’uomo benedice Dio rico-noscendo i suoi beni come dono e comecompito (benedizione ascendente). Là dovemanca la benedizione umana, i beni di Dioda benedizione si pervertono in maledizio-ne, da lehem (pane) in lahem (violenza) se-condo la sconvolgente e attuale pagina diDeuteronomio 28.Dunque, non mettere Dio al posto del pane,come troppo ingenuamente si potrebbe pen-sare interpretando alla lettera alcuni testi re-ligiosi arcaici; e neppure mettere il pane alposto di Dio, come fa la modernità cancel-lando dal mondano l’al teri tà divina; mamangiare il pane dinanzi a Dio: questa laformula efficace con cui articolare, per laBibbia, il giusto rapporto tra il cibo e il di-vino. Mangiare il pane alla presenza di Dio:che vuol dire assumerlo nella riconoscenza e

A tavola con Dio

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sulmana del Ramadan), il digiuno non è unadieta o un gesto masochistico, bensì un attopenitenziale di distacco dal benessere per tra-sformarlo in carità per i miseri. Esemplarisono ancora le parole di Isaia: «È questo ildigiuno che io (il Signore) voglio: scioglierele catene inique, togliere i legami del giogo,rimandare liberi gli oppressi e spezzare ognigiogo. Non consiste forse (il vero digiuno)nel dividere i l pane con l’affamato,nell’introdurre in casa i miseri, i senzatetto,nel vestire uno che vedi nudo?» (Is 58, 6-7). Gesù, poi, ha dato al pane un rilievo spiri-tuale ulteriore: l’eucaristia nel linguaggioneotestamentario era definita come «la fra-zione del pane» (At 2,42) perché con quel ge-sto si segnalava la comunione di tutti i fedelicon Cristo e tra loro. Ne nacque il rito tipi-camente cristiano in cui il pane diventa ilcorpo di Cristo che si dona e comunica aicredenti. Segno di quello stretto legame – lacomunione, appunto – che si crea tra quantisi nutrono alla stessa mensa. Scrive EnzoBianchi, priore di Bose: «Davvero la cucinae la tavola sono l’epifania dei rapporti e dellacomunione. Del resto, il cibo è come la ses-sualità: o è parlato oppure è aggressività,consumismo; o è contemplato e ordinato op-pure è animalesco; o è esercizio in cui si tie-ne conto degli altri oppure è cosificato e svi-lito; o è trasfigurato in modo estatico oppureè condannato alla monotonia e alla banalità.Il cibo cucinato e condiviso - il pasto - è al-lora luogo di comunione, di incontro e diamicizia: se infatti mangiare significa con-servare e incrementare la vita, preparare damangiare per un altro significa testimoniar-gli il nostro desiderio che egli viva e condi-videre la mensa testimonia la volontà di uni-re la propria vita a quella del commensale».Se questo vale per la condivisione attorno aduna comune mensa, tanto più sarà portatoredi comunione il condividere il corpo ed ilsangue di Cristo nell’Eucaristia.La religione cristiana non è, dunque, una va-ga emozione interiore che ci invita a decolla-re dalla realtà verso cieli mitici e misticheg-gianti. È una fede legata ai corpi, alla storia,all’esistenza. Una società sbrigativa e super-ficiale che ingurgita cibi a caso in un fastfood, che ignora lo spreco alimentare, che siinfastidisce quando si evoca lo spettro dellafame nel mondo, che si opponeall’ospitalità, ha perso non solo la dimensio-ne simbolica del cibo ma anche la spiritua-lità che in quel segno è celata. E’ per questo che ritornare alla civiltà e allasimbologia del cibo ha – al tempo stesso –profondo valore culturale e spirituale.

condividerlo gratuitamente nella responsa-bilità, secondo il principio del vangelo:“Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamen-te date” (Mt 10, 8).

Il prisma del ciboSe ci avviassimo sulla strada della simbolo-gia religiosa del cibo, dovremmo, in pratica,allestire un intero orizzonte metaforico: c’èil banchetto pasquale esodico, quello liturgi-co dei “sacrifici di comunione” nel tempiocon le carni immolate, c’è il banchetto mes-sianico ed escatologico, segno di pienezza edi gioia, c’è quello sapienziale di stampo eti-co (si legga il capitolo 9 del libro dei Pro-verbi) e c’è la cena eucaristica di Cristo, pernon parlare della morale raffigurata in aper-tura della Bibbia con l’immagine di un frut-to «buono da mangiare, gradevole agli occhie desiderabile », quello dell’albero della co-noscenza del bene e del male (Gen 3,6). Ci sono, poi, i pranzi che hanno un rilievocurioso all’interno della storia di Gesù.Egli, infatti, accetta spesso di sedere a men-sa, senza badare molto alle persone che loinvitano: una volta è un fariseo ad averlocome ospite, altre volte è un pubblicano co-me Zaccheo o Matteo. Anzi, a un certo mo-mento si mormorerà di lui: «Costui riceve ipeccatori e mangia con loro» (Lc 15,2).Inoltre Gesù ama usare il simbolo del ban-chetto, soprattutto nuziale, per parlare delRegno di Dio: si pensi alla parabola degliinvitati a nozze (Mt 22,1-14) o a quella del-le vergini stolte e prudenti (Mt 25,1-13). Siarriverà persino a dire che egli è «un man-gione e beone, amico dei pubblicani e deipeccatori », in contrasto con l’ascetico Bat-tista «che non mangia pane e non beve vi-no» (Lc 7, 33-34). E non è un caso che nella tradizione cristia-na le due prime opere di misericordia “cor-porale” siano proprio il «dar da mangiareagli affamati e dar da bere agli assetati». Cisono due scene emblematiche al riguardonella Bibbia. La prima è quella in cui Dio sipremura di procurare – come un padre di fa-miglia – il cibo e l’acqua al suo popolo inmarcia nel deserto (l’acqua che scaturiscedalla rupe, la manna e le quaglie). L’altrascena è quella di Gesù che imbandisce panee pesci per la folla che lo sta seguendo,moltiplicando quel poco cibo che era a lorodisposizione. Il vero impegno religioso – ammoniva Isaia(Is 25,7) – consiste nel «dividere il pane conl’affamato». Anzi, come dovrebbe essere an-che per noi cristiani (lo è per l’usanza mu-

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di Alessio Affanni

Cosa si sta facendo per l’educazione alimentare?Con una ci rcol are del 2010 (la n. 86 ) ilMinistero dell’Istruzione, dell’Università edel la Ricerca ha inseri to l ’areadell’educazione alla salute nell’ insegnamen-to di cittadinanza e Costituzione. Già con unDecreto dell’aprile 2009 era stato reso attua-tivo il Programma “S cuola e Cibo”, fi-nalizzato a realizzare un programma di educa-zione alimentare dalla scuola primaria finoall’Università. Si arriva, così, nel settembre2011, alla pubblicazione, sempre da parte delM. I.U.R. , del le “Li ne e g ui da pe rl ’educazione al imentare nel l a scuolai tal iana“. Frutto dell’impegno del Comita-to tecnico scientifico del M.I.U.R., le Lineeguida si propongono di fornire alcuni orien-tamenti innovativi in materia di educazionealimentare, con precisa attenzione agli aspet-ti metodologici, sia per l’elaborazione deicurricula da parte degli istituti scolastici diogni ordine e grado, sia per l’organizzazionedelle attività educative e didattiche.Anche in occasione di EXPO 2015, nel tema“Nutrire il Pianeta, Energia per la vita”, vie-ne riconosciuto alla scuola un ruolo fonda-mentale per sollecitare studenti, docenti e fa-migl ie con appropriate azioni . In que-st’ottica è stato redatto e trasmesso da partedel Ministero (con no ta M. I. U . R . del12. 02. 2013, prot. n. 992) un documen-to recante apposite Linee d’indirizzo.

Il tema generale è stato declinato in vari ar-gomenti, tutti di precipuo interesse per ilmondo scolastico: • scienza e tecnologia per la sicurezza e la

qualità alimentare; • scienza e tecnologia per l’agricoltura e la

biodiversità; • innovazione della filiera agroalimentare; • educazione alimentare; • alimentazione e stili di vita; • cibo e cultura;

• cooperazione e sviluppo nell’alimentazione.La scuola viene quindi consideratal’ambiente d’elezione dove sollecitare stu-denti, docenti e famiglie, con appropriateiniziative didattico-formative.E’ considerata indispensabile la comprensio-ne del processo di nutrizione personale e col-lettiva, delle funzionalità della filiera ali-mentare, delle valenze mediche e ambientali,nonché della stagionalità e territorialità deiprodotti alimentari, dei consumi responsabi-li oltre che dei contesti economici e socialientro i quali si muove, nel suo complesso, il“sistema-cibo”: conoscenze ritenute indi-spensabili sia per se stessi che per la comu-nità di cui ogni individuo fa parte.La Direzione generale per lo S tudente,l’Integrazione, la Partecipazione e la Comu-nicazione avrà in questo senso il compito disollecitare le istituzioni scolastiche con pro-poste innovative e di coordinare le attività inmodo da renderle coerenti e al fine di darne lapiù ampia comunicazione possibile, valoriz-zando così le buone pratiche e le progettua-lità innovative di ciascun territorio.

Quali idee per sviluppare percorsi educativi?Per quanto riguarda l’educazione alimentare,si inizia a trascendere la (pur sempre utile)informativa sui valori nutrizionali degli ali-menti e sul loro corretto consumo. La nuovaesigenza avvertita è di estendere il concettodi qualità del cibo, anche al fine di un mi-glioramento della salute alimentare diffusa.Occorre rendere maggiormente conosciute lediverse attività di produzione alimentare, gliinterventi dell’uomo sull’ambiente e gli ef-fetti sull’organizzazione sociale: tutti questifattori devono essere considerati e ricompresiall’interno della valutazione di reale qualitàdel prodotto.Si intende, quindi, considerare anche l’ideadella sostenibilità della produzione degli ali-

Scuola e cibo:educare

ad alimentarsi

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alimentari, stimolando l’interesse e favoren-do la curiosità degli studenti, primario ed es-senziale motore di ogni apprendimento, an-che interculturale. Per un efficace intervento sull’educazionealimentare, inoltre, si considera necessariosottolineare come, pur nelle difficoltà che iritmi della vita generano quotidianamente, èimportante recuperare il “piacere della tavo-la”, della convivialità e della condivisione,almeno per un pasto principale, quale luogodi incontro e di riunione, riappropriandosicosì di uno degli aspetti fondamentali dellavita di ciascun individuo (in contesti socialima già in quelli familiari).

In che modo alimentare i più giovani?Si segnalano le Li nee di i ndi ri zzo na-zionale per la ri s torazione scolasti cadel Ministero della Salute, che muovonodall’esigenza di facilitare, sin dall’infanzia,l’adozione di abitudini alimentari corrette perla promozione della salute e la prevenzionedelle patologie cronico-degenerative (diabete,malattie cardiovascolari, obesità, osteoporo-si, ecc.) per le quali l’alimentazione scorrettaè uno dei principali fattori di rischio. Il docu-mento, elaborato da gruppo tecnico apposi-tamente istituito, è rivolto a tutti gli opera-tori della ristorazione scolastica e focalizzal’attenzione su alcune informazioni nutrizio-nali degli alimenti, al fine di fornire, a livel-lo nazionale, le più opportune indicazioni.Esso contiene, ovviamente, anche indicazio-ni per organizzare e gestire il servizio di ri-storazione, per definire i l capi tolatod’appalto e fornire un pasto adeguato ai fab-

menti, vale a dire l’impatto che le produzio-ni agroalimentari hanno sull’ambiente esull’organizzazione sociale, considerandoanche gli aspetti etici della produzione e delconsumo: si ritiene, pertanto, necessariosensibilizzare le giovani generazioni suun’idea di qualità più complessiva, che coin-volga, oltre al benessere del singolo, quellodel la società in cui vive e quel lodell’ambiente da cui ottiene le risorse. Nonsolo quindi il valore nutritivo dell’alimento,ma la sua sicurezza, le caratteristiche senso-riali, nonché il rispetto dell’ambiente e dellerisorse nella fase di produzione, distribuzio-ne e consumo.Interessante, in proposito, una recente ricer-ca negli U.S.A., dove la cattiva alimenta-zione, per i suoi effetti sia tra i giovani chetra gli adulti, è ormai un grave problema sa-nitario e sociale. In questa ricerca è stata rap-presentata una piramide alimentare, che ri-porta alla base i cibi maggiormente consu-mati, e una piramide ambientale in cui è in-dicato l’impatto sull’ambiente dei cibi pre-senti nella piramide alimentare. Accostandole due piramidi, si nota che gli alimenti per iquali è consigliato un consumo maggiore(frutta, verdura, cereali) sono anche quelliche determinano gli impatti ambientali mi-nori. Viceversa, gli alimenti per i quali vie-ne raccomandato un consumo ridotto (carnerossa, formaggi) sono anche quelli che han-no maggiore impatto sull’ambiente. Tornando ai nostri programmi educativi, siintende anche favorire la conoscenza dellacultura alimentare del nostro Paese e di quel-lo di altri Paesi: ciò al fine di comprendere lecomplesse dinamiche che hanno promosso,in determinati ambienti, specifiche scelte

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bisogni delle diverse fasce di età, educando ilbambino all’acquisizione di abitudini ali-mentari corrette.Come indicato nelle Linee Guida per unasana al imentazione dell’INRAN (IstitutoNazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nu-trizione), la varietà degli alimenti è fondamen-tale, in quanto consente l’apporto adeguatodei nutrienti necessari per una crescita armoni-ca e contribuisce, in modo sostanziale, alladiffusione di abitudini alimentari corrette.Il modello è quello della dieta mediterranea(che si basa su un più ampio consumo difrutta, verdura e cereali e limita il consumodi carne). L’idea è quella di limitare il consu-mo di carne rossa a solo 2 porzioni da 70grammi nell’arco della settimana e di invita-re a un consumo più frequente di pesce, con3 porzioni da 100 grammi alla settimana, in-sieme a quello dei legumi secchi, con 3 por-zioni da 30 grammi alla settimana e 52 por-zioni di pane, biscotti, pasta, riso e patate.Ovviamente si tratta di indicazioni generi-che, suscettibili, nel tempo, di migliora-menti e che devono tener conto delle specifi-che intolleranze di ciascun alunno. L’attivitàfisica, in questo quadro sulla buona salute,ha ovviamente un ruolo indispensabile.

Quali attività scolastiche possono risultare educative?Vi sono tante at t ivi tà scolast iche ut i l iall’educazione alimentare e all’adozione distili di vita salutari. In proposito vanno an-che verificate le indicazioni degli Uffici sco-lastici regionali, che, insieme alle ASL e aiComuni, ciascuno per il proprio ambito ter-ritoriale e di competenza, hanno fornito di-verse indicazioni in materia. Per citare qual-che esempio di attività, riproponibili in ogniistituto: invitare gli alunni a discussioni,letture, disegni e giochi su abitudini alimen-tari, carenza e abbondanza di cibo, individua-zione di Paesi dove la fame è un grosso pro-blema, lotta agli sprechi di cibo. Sorprenderàscoprire che alcuni bambini conoscono già,in parte, questo tema, o a causa di difficili vi-cende economiche familiari o perché origina-ri di Paesi poveri.Un’altra interessante iniziativa, già speri-mentata, ha portato ad insegnarel’importanza dall’assunzione della frutta, aconoscerla e a scoprirla. Si tratta di un pac-chetto di datti co con materiali sia per gliinsegnanti che per gli studenti della scuolaprimaria. Si chiama “Più ortaggi , legumie frutta”, prodotto e validato dall’INRAN ecostituito dai seguenti 3 volumi:

• un “M anuale per la form azionedell’insegnante”contenente le informazio-ni nutrizionali, sensoriali, psicologiche edidattiche sul cibo, necessarie per l’auto-formazione del docente;

• una “Guida per l’insegnante” con le indica-zioni per la programmazione e lo svolgi-mento del lavoro in classe;

• un “Quaderno di esercizi per l’alunno”,comprendente le schede necessarie per losvolgimento delle singole Unità didatti-che, da utilizzare per il lavoro in classe oper la successiva riflessione a casa.

Il materiale didattico, frutto della collabora-zione interdisciplinare tra nutrizionisti, peda-gogisti e psicologi, mette a disposizionedell’insegnante percorsi divertenti e stimo-lanti finalizzati a indurre nei bambini unamaggiore assunzione di ortaggi, legumi efrutta. Gli alunni, attraverso un metodo in-duttivo, ossia dalla pratica alla teoria, vengo-no messi in condizione di sviluppare cono-scenza e consapevolezza, toccando, gustan-do, costruendo e, quindi, privilegiando unadidat t ica legata al concreto, al fare,all’assaggiare, sviluppando il piacere di spe-rimentare cose nuove.

Molte scuole hanno realizzato anche o rtididatti ci . Un’esperienza altamente educati-va, su più fronti: un orto affidato ai bambinie ai ragazzi è attività didattica concreta, perproteggere il territorio e non distruggerlo,per riconoscere il valore di un ortaggio, di unfrutto e dunque del cibo da non sprecare, percoltivare con le piante un senso di comunità,stando tutti insieme su un comune obiettivo(si impara a collaborare e a condividere anzi-ché a competere, con un migliore coinvolgi-mento anche dei ragazzi diversamente abili).Non serve molto spazio ed è un’attività chepuò avvalersi del contributo non solo ditanti i ns egnanti , ma anche di fami -l iari e volontari . Addirittura, in alcuni ca-si particolarmente ben riusciti, si è arrivatiad avere un orto nel quale si coltivano i pro-dotti per la mensa scolastica. Ma cosa ha da insegnare questa attività aigiovanissimi, oltre alla corretta alimentazio-ne? Avere a che fare con la natura, anche tra-mite un orto, è come avere un’aula a cieloaperto, in cui i bambini possono piantare isemi e vederli gradualmente trasformarsi inpiante: imparano ad osservare la natura, isuoi ritmi lenti e il ciclo delle stagioni. E’un’at t ivi tà manuale che può st imolarl ia sviluppare nuove abilità e attitudini, maanche a gustare il sano piacere di raccoglierei frutti del proprio impegno.

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della nostra vita. Oggi parecchi neonati nonsono più alimentati con il latte materno, cheè ricco di nutrienti necessari per la crescitaequilibrata del bambino.Nel l e s cuo l e po trebbe es s ere s uffi -ci ente introdurre suggerimenti trattidal l a sci enza del l ’al imentazione, pre-sentati in maniera semplice, così come si faper le tabelline. Ciò permetterebbe di coin-volgere anche i genitori nell’adottare abitudi-ni alimentari più sane e corrette.L’ignoranza e la paura creano violenza; laconoscenza, invece, permette di capirsi e diaccettarsi. Permette anche di capire chi non ènormolineo, arginando fenomeni di bulli-smo e di emarginazione nelle scuole. In tuttele comitive di ragazzi c’è sempre stato unmagro (lo “Smilzo”), un obeso (“Ciccio”),uno con gli occhiali (“Quattr’occhi”), ecc. Ilproblema nasce nel momento in cui si va ol-tre il soprannome attribuito, con comporta-menti o atteggiamenti degeneranti ed inop-portuni. Nella mia esperienza di insegnante ècapitato di dover intervenire in un caso in cuiun mio alunno subì affronti da parte di altriragazzi, a motivo della sua obesità. I genito-ri dei ragazzi molestatori si schierarono a di-fesa dei loro figli, per partito preso, senza in-dagare le ragioni di quello spiacevole episo-dio. Tra l’altro il ragazzo offeso viveva inuna condizione di sovrappeso a causa del malfunzionamento della sua tiroide.Un’altra esperienza significativa risale aquando ho iniziato il volontariato in ospeda-le: c’erano bambini che dovevano prenderemedicine ed erano soggetti ad un particolareregime alimentare, che imponeva un pranzodiverso dai loro coetanei e che suscitava inloro un rifiuto. La mia missione era comun-que quella di fare in modo che si nutrissero.Ho giocato con loro, usando i colori, pren-dendo spunto da quelle pasticche così colora-te che le facevano sembrare dei piccoli mis-sili pronti al lancio, piuttosto che medicine.Abbi nando , po i , un co l o re ad o g nicibo sono riuscito a creare il “gioco” di unadieta sana e nutriente: coloravamo con i pa-stelli i disegni raffiguranti tutta la frutta e la

di Alessio Borghese

Il ruolo più difficile di un genitore o di uneducatore è quando viene chiamato ad im-

partire una lezione di vita: quella di evitareche i propri ragazzi siano coinvolti in espe-rienze con danni permanenti, attuali o futu-ri, che ne compromettano la normale cresci-ta. Uno dei problemi può essere l’obesità in-fantile, che può protrarsi fino alla pubertà:se non si torna ad un peso normale, si è vit-time del “vortice della rotondità”, con le pa-tologie ad esso legate.Come dire ad un bambino di non mangiare“schifezze”? Oppure, come suggerirgli dimangiare una mela o la confettura della non-na al posto di “quelle” merendine?L’educazione al imentare, o del man-giare sano, serve a preservare i l futu-ro de i no s t ri rag az z i , e v i t andol ’i nsorgere di mal atti e come il diabete

mellito (quel-lo alimentareo di tipo II) odel diabete ditipo I (insuli-no-dipenden-te), oppure dimalattie car-

dio-vascolari o respiratorie, per non parlaredi quelle dell’apparato gastro-intestinale. La cat t iva al imentazione durantel’adolescenza può essere provocata non sol-tanto da cibo inadeguato, ma anche da dietealimentari scorrette, da allenamenti atleticieccessivi rispetto all’alimentazione (nonchiedete troppo ai vostri ragazzi!) o da di-sturbi alimentari (anoressia, bulimia, ecc.). Nella mia esperienza di insegnante ho cono-sciuto un’alunna del terzo anno di liceo, tal-mente magra che le si potevano contare lecostole. Presi a cuore la situazione e la con-vinsi a considerare che una donna ha dellenaturali rotondità e, scherzando, le dicevoanche che i ragazzi ne sono attratti. Giuntaal quinto anno di liceo, il suo aspetto eracambiato ed era più sano: era diventata tra leragazze più considerate della scuola (e si fi-danzò).Ma la corretta nutrizione comincia all’inizio

Il ruolo di genitori ed educatorinell’insegnare ai giovani comportamenti corretti e sani(sull’alimentazione e non solo)

Qualcunodovrà pur dirlo

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verdura, usando il verde, l’arancione, il gial-lo. Poi i disegni che raffiguravano i legumi,con tinte verdi e marroni; la carne con il rosae il pesce con il colore azzurro. Da colorarec’era sempre tanto, soprattutto con l’azzurro,che evoca il cielo e il mare, mentre il giallodelle patate e delle uova ricordava il sole. Hoscoperto in seguito che questo metodo di ab-binare i colori ai cibi è usato anchenell’alimentazione di bambini ed adulti conproblemi mentali.Un principio che guida la crescita umana è lacuriosità: se g l i educatori ri escono adaccendere l a sci nti l l a del l a curi os i tàin un bambino, questi imparerà velo-cemente senza nessuna ulteriore assistenza.I bambini sono al l ievi natural i .L’insegnamento, correttamente concepito,non è un sistema di consegna: non si trattasolo di trasmettere informazioni. Consisteanche nell’orientare, stimolare, ispirare ecoinvolgere: se non c’è istruzione, non c’ènemmeno apprendimento. Lo scopo dell’istruzione, quindi, è fare inmodo che i bambini imparino: come possia-mo realmente educarli nel loro rapporto conil cibo? Dobbiamo insegnare ai nostri ragaz-zi la relazione simbiotica fra il cibo sano edil loro benessere. Invitarli a scoprire che gliortaggi sono pieni di colori, che hanno unsapore, che le carote e le fragole crescono nelterreno (non c’è un albero di fragole o un ce-spuglio di carote). Ci sono molte scuole chepropongono percorsi didattici e degustativinelle fattorie educative. Oppure si può sti-molare l’educazione anche attraverso la fan-tasia: con filmati o cartoni animati dove fa-mosi personaggi, tanto amati e spesso emu-lati dai ragazzi, mangiano solo cibi sani.Ma ci sono anche altre abitudini da mantene-re, valide per chiunque, e da trasferire ai piùgiovani. Ad esempio evitare bevande freddedopo aver sudato, per non correre il rischio di

una pericolosa congestione. Oppure evitaredi fare il bagno in acqua subito dopo mangia-to, perché nel momento in cui inizia la dige-stione, il sangue viene attratto verso lo sto-maco e l’intestino. Quindi ne rimane a di-sposizione di meno per i muscoli e per il re-sto dell’organismo.Senza annoiare i ragazzi con informazionicomplesse: a chi pratica sport o fa attività fi-sica, è bene suggerire di gestire le forze, sen-za sovraccarichi, e di nutrirsi di conseguenza.Altrettanto utile potrebbe essere effettuarel’ora di intervallo prima del pranzo: se ibambini non vedono l’ora di giocare, consu-meranno il pranzo velocemente per correrefuori... e saranno presto affaticati.E’ salutare una colazione energetica, evitan-do il caffè a stomaco vuoto; ed è consigliabi-le uno spuntino, nell’arco della mattinata,con frutta o yogurt. A pranzo, carboidrati everdure crude. La sera sono preferibili protei-ne e verdure cotte: meglio evitare i carboidra-ti perché verrebbero digeriti male, aumentan-do il glucosio che, di notte, dormendo, nonviene smaltito (motivo per cui è meglio evi-tare anche i dolci). Un consiglio fondamenta-le, ormai noto a tut t i , è di bere acquanell’arco di tutta la giornata: le nostre cellulehanno bisogno di ossigeno. I ragazzi chefanno sport possono mangiare, preferibil-mente due-tre ore prima dell’attività fisica,riso o pasta in bianco (meglio se di farina in-tegrale), perché aiutano la respirazione e ven-gono smaltiti con il moto, apportando ilglucosio necessario e rallentando il formarsidell’acido lattico (con i relativi crampi aimuscoli). Durante e dopo l’attività fisica sipuò bere acqua (non fredda) anche con limo-ne oppure un frullato di banana, a temperatu-ra ambiente, ottimo per rigenerare i sali mi-nerali persi. E’ bene ridurre al minimo ilconsumo di bibite gassate, diffusissime tra iragazzi, che contengono zuccheri e altre so-stanze chimiche raffinate: s empre co nl ’invi to al gioco ci si può cimentare, in-vece, a preparare bevande di frutta e verdurafrullata o centrifugata.Spesso i genitori, gli educatori e gli inse-gnanti non dicono nulla di tutto questo ai lo-ro ragazzi, lasciando che mangino male. For-se per non entrare in conflitto con loro, oforse per non mettere in discussione certeabitudini radicate: operazioni più faticose edimpegnative che lasciar liberi di fare comepare e piace. Ma il rispetto dei ragazzi vaconquistato anche attraverso un costruttivoconfronto. E qualcuno dovrà pur dirlo, a que-sti ragazzi, che ci sono delle regole da segui-re, anche per il proprio benessere.

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La condizione di povertà e gli interventi programmatiI dati sulla povertà, in Italia, in Europa e nel mondo(ma è già sufficiente soffermarci sull’Italia) sono al-larmanti e indicano cifre crescenti . Il Pro g rammaOperat i v o i tal i ano l eg ato al Fo ndo di Ai ut iEuro pei Ag l i Indi g enti (FEAD), che la Commis-sione Europea ha adottato lo scorso 11 dicembre, in-dica quattro principali forme di disagio sociale sullequali intervenire:- aiuti alimentari per i più poveri;- fornitura di materiale scolastico per famiglie in gra-

ve difficoltà economica;- lotta alla deprivazione alimentare ed educativa di

bambini e ragazzi che vivono in zone dell’Italia de-gradate;

- sostegno materiale alle persone senza dimora e adaltre persone fragili.

Per l’attuazione di questo Programma, l’Italia potràcontare su apposite risorse comunitarie: 670 milionidi euro, ai quali vanno aggiunti 118 milioni di euro dico-finanziamento nazionale. Queste attività sarannoattuate in coordinamento con gli interventi che rica-dono nel Fondo italiano per la distribuzione di derratealimentari alle persone indigenti. In particolare, perquanto riguarda l a depri v az i o ne al i mentare ededucati v a di bambi ni e rag azzi , si intende offrirepasti in scuole situate in contesti territoriali forte-mente disagiati, attuando anche un’apertura pomeri-diana della scuola, così da raggiungere un duplice ri-sultato: il contrasto alla situazione di indigenza e, alcontempo, lo svolgimento attività socio-educativeintegrative.

Ma esistono norme agevolative per la raccolta di alimenti?Un punto di partenza essenziale è il Decreto Leg i -s l a t i v o n . 4 6 0 / 1 9 9 7 , c h e di s c i p l i n a l eO. N. L. U. S . (Organizzazioni non Lucrative di Uti-

l i t à So ci al e), en t i n o n p ro fi t ch esvolgono la loro attività a fini di so-lidarietà sociale. Per questi enti sonostate approvate norme specifiche fi-nalizzate a promuovere la raccolta dial i men t i . L’art . 1 3 del Decret o460/97 consente la possibilità, per le

imprese che producono o vendono derrate alimentari eprodott i farmaceutici , di cedere gratui tamente al leO.N.L.U.S. i prodotti non venduti e che sarebbero de-stinati alla usuale eliminazione dal circuito commer-ciale: tale operazione, fiscalmente, non sarà conside-rata un ricavo tassabile (come invece avverrebbe nor-malmente in quest i casi , nei quali i beni prodott i ocommercializzati vengono destinati a finalità estra-nee all’esercizio di impresa). Le derrate alimentari ce-dute gratui tamente s i cons iderano dis t rut te e, perl’impresa che le ha cedute, tali operazioni non saran-no soggette ad IVA.

Un’ul teri o re Leg g e , l a n. 1 5 5 / 2 0 0 3 , nota an-che come “l eg g e del buo n s amari tano ” discipli-na la distribuzione dei prodott i al imentari a fini disolidarietà sociale: le O.N.L.U.S. , destinatarie di ta-l i beni affinché l i di s t ribuiscano gratui tamente apersone indigenti, vengono equiparate ai consuma-tori finali . Vi s o no adempi ment i s pec i f i c i dao s s erv are :a) nel documento di trasporto va indicato “prodotti

non più commercializzabili per errori di confezio-n am en t o , ecc. , cedut i g rat ui t am en t e ai s en s idell’articolo 6 comma 15 della legge 133/99”;

b) comunicazione preventiva, da parte dell’impresacedente, di ogni operazione di cessione alla com-petente Agenzia delle Entrate (non richiesta perbeni facilmente deperibili e di modico valore);

c) dichiarazione, resa dalla O.N.L.U.S. ricevente, diutilizzare direttamente i beni ricevuti e di destinarliin conformità alle proprie finalità istituzionali.

Più recentemente l a Leg g e n. 1 4 7 / 2 0 1 3 (l eg g e dis tabi l i tà per i l 2 0 1 4 ) ha indicato una serie di re-quisiti ulteriori, in tema di sicurezza degli alimenti.Stabilisce, infatti, che i donatori di alimenti (inclusiquelli della ristorazione ospedaliera, assistenziale escolastica) devono garantire un adeguato stato di con-servazione, trasporto, deposito e utilizzo dei prodottialimentari donati.A ques te di spos izion i vanno agg iun te quel l e checonsentono a privati cittadini e alle imprese che ef-fet tuano donazioni , in favore del le O.N.L.U.S. , dibeni in denaro o in natura (dei quali viene stimato ilvalore di mercato), di beneficiare del la de duc i b i -

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Alimentare…la riduzione

degli sprechi di cibodi Alessio Affanni

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l i tà f i s cal e di tal i ero g azi o ni l i beral i , entro ilimiti percentuali o di importo indicati dalla normadi riferimento (le condizioni da rispettare sono indi-cate nella Leg g e n . 8 0 / 2 0 0 5 , nota anche come la“Più dai meno versi”).

Esistono altri strumenti per ridurre gli sprechi di cibo?L’evoluzione tecnologica e il collegamento, anche inrete, tra diverse strutture ha offerto numerosi esempidi appl i caz i o ni i nteres s ant i , per co mputer oc e l l ul ari (le cosiddette “Ap p ”). Cre an o , c i o è ,una co nnes s i o ne tra pri v ati ci ttadi ni , es erci -zi co mmerci al i e as s o ci azi o ni che s o s teng o -no l e pers o ne i ndi g ent i per favorire la destina-zione del cibo a chi ne ha bisogno, recuperando le ec-cedenze. Una di queste applicazioni, ad esempio, col-lega i panifici con gli enti benefici, permettendo il re-cupero del pane invenduto che quotidianamente fini-sce in discarica (l’applicazione si chiama “Breading”ed è stata ideata da una decina di giovani che vivonotra Milano e Bergamo). Un’applicazione web analogaè “Bring The Food”, grazie alla quale singoli cittadinied esercizi commerciali possono comunicarsi la di-spon ib i l i t à di eccedenze al imen tari , faci l i t andol’at t iv i tà di recupero di cibo (at tualmente at t iva aTrento, Genova, Roma e Milano). Anche “I food Sha-re” permette di donare cibo, senza coinvolgere neces-sariamente organizzazioni che fungano da interme-diarie. Si può segnalare la disponibilità a donare an-che solo pochi quantitativi di prodotti (anche solouna confezione) che poi saranno messe a disposizio-ne attraverso un emporio on line.

Progetto simile è “Pasto Buono”, che permette il re-cupero del cibo sano e invenduto da ristoranti, pastic-cerie, bar e altri esercizi. La merce, cibi freschi o cuci-nati, viene ritirata dai volontari delle O.N.L.U.S. col-legate e ridistribuito a tutti i soggetti bisognosi (o al-le strutture presso le quali vengono assistiti): è previ-sta un’agevolazione fiscale per gli esercenti, in quan-to tali merci non verranno considerate fiscalmente ri-cavi, e c’è anche con un positivo ritorno di immaginetra i clienti, in quanto sapranno che in quell’esercizioviene effettuata questa importante attività di solida-rietà sociale.

Un’altra applicazione che mira a contrastare lo spre-co e a favorire il recupero di al i ment i è “LMSC –Last Minute Sotto Casa”, che mette in diretto contat-to cit tadini ed esercenti: questi ult imi segnalano lamerce che, piuttosto che essere smaltita a fine giorna-

ta, viene venduta a prezzo ribassato,dando la possibilità a chiunque di farela spesa con notevole risparmio. Lost rumento , nato nel l ’incubatore distartup del Politecnico di Torino, staper divenire operat ivo a l ivel lo na-zionale.

Ma lo spreco riguarda solo il cibo?In ques t i anni in Ital ia hanno preso avvio diverseesperienze innovative che, in generale, mirano anchea soddisfare al t ri fabbisogni primari e a f av o ri rel ’ i ncl us i o ne s o ci al e di pers o ne i n di f f i co l tàeco no mi che : un esperimento sempre più diffuso èquello degli empo ri s o l i dal i . Luoghi nei quali, ol-tre al cibo, si forniscono gratuitamente anche altristrumenti di sostegno e di supporto. Dopo le primeesperienze in Emi l ia Romagna, s i s t anno v ia v iadiffondendo in tutta Italia.E che dire dello s preco di s pazi urbani i nuti l i z-zat i che, i nv ece , po trebbero addi ri t tura s er-v i re per pro durre g l i al i menti ? L’agricoltura ur-bana racchiude tutta una serie di possibili diverse ini-ziative. Una di queste è rappresentata dagli o rt i ur-bani , spazi ricavati da aree del verde pubblico e asse-gnati dai Comuni in comodato ai cittadini, per desti-narli alla coltivazione (oltre a fornire prodotti per ilconsumo familiare concorrono, spesso, a preservarele aree verdi urbane dal degrado). Il fenomeno ha presocosì tanto piede e… terreno, che ne è nato un progettonazionale al quale hanno già aderito numerosi Comu-ni.Servirebbe, certo, anche qualche programma che pos-sa non solo arginare ma progressivamente rimuovere,laddove possibile, le situazioni di povertà sociale.Un’esperienza interessante, replicabile qui in Italia,viene dall’Inghilterra: si tratta della Co mmuni tySho p . Si tratta di un market di comunità che nasce inquartieri degradati e che vende prodotti a prezzi forte-mente scontati: vende eccedenze o prodotti non piùcommerciabili, offerti da imprese della grande distri-buzione. Ma non è un semplice discount: i guadagniderivanti dalle vendite vengano investiti per sostene-re i costi del negozio e per finanziare attività e servizigratuiti, realizzati dagli operatori del negozio stesso,in favore delle persone indigenti del luogo. Ad esem-pio servizi di supporto al lavoro, come la compila-zione del curriculum, l’acquisizione di competenzetramite attività formative, le consulenze personaliz-zate, ecc. Si danno, quindi, servizi integrativi per af-frontare la povertà anche nelle sue cause, oltre che neisuoi effetti , creando (e facendo rinascere) una vera epropria comunità.

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coinvolgono la comunità intera.L’associazione S vi l uppo e Terri tori o èuna di queste realtà: nata nel 2011, ha aderitoal circuito ColtiVendo, un’iniziativa dellaProvincia di Roma per la promozione deimercati agricoli a vendita diretta. Introdotti in Italia nel 2006, con la legge fi-nanziaria del 27 dicembre n. 296 e il succes-sivo DM MiPAAF del 20 novembre 2007, imercati contadini si caratterizzano per lascelta di ospitare solo prodotti rigorosamen-te stagionali, a Km 0, e provenienti dal terri-torio di riferimento.Dal sito dell’ARSIAL (Agenzia Regionaleper lo Sviluppo Rurale) ricaviamo che nelLazio, grazie anche alla legge regionale n.28/2008, che prevede agevolazioni per av-viarli e promuoverli, i mercati contadinihanno avuto grande diffusione: nel 2013 era-no più di 60, su circa un migliaio attivi intutta Italia. Ogni mercato ha una sua confi-gurazione che dipende dall’area in cui sisvolge, dalla natura dell’ente organizzatore edal format adottato. L’ARSIAL ci dà un pa-norama della realtà del Lazio: alcuni sonogestiti da grandi associazioni di categoria(Coldiretti), altri da piccoli raggruppamentidi agricoltori (“Ccampo”), altri da organismidi portata internazionale (Slow Food), moltiperò sono organizzati da piccole associazionino profit: AIAB, Km 0, Sviluppo e Territo-rio, Città Futura per citarne alcune, dietroapprovazione del comune di competenza. Undi sci pl i nare regolamenta tutte le attività:dai criteri di selezione delle aziende, alle nor-me igienico-sanitarie, ai controlli sui pro-dotti e sui prezzi. I gestori possono, però,introdurre cri teri anche più restrittivi.Noi siamo molto rigorosi nella selezionedelle imprese per garantire la qualità del pro-dotto, ci spiega Daniele Dell’Orco, presiden-te dell’Associazione Sviluppo e Territorio.Privilegiamo la qualità alla quantità.Il ruolo delle istituzioni è quello di procederecon le autorizzazioni e di verificare che i re-

di Alessia Morici

E’domenica mattina e nella Piazza delmercato di Zagarolo una moltitudine

di persone si destreggia abilmente tra banchidi frutta e verdura, uova, cereali, prodotti daforno, pasta fresca, farine, carni, formaggi,miele, ma anche un’ incredibile varietà di er-be aromatiche locali e specialità gastrono-miche del territorio. Molti di loro si saluta-no, si fermano a parlare, interrogano il ven-ditore sull’andamento stagionale delle coltu-re. Qui i cittadini possono comprare diretta-mente dai produttori, senza intermediari: so-no alimenti di qualità, locali e di stagione, aprezzi sostenibili.Siamo nella zona dei Monti Prenestini, inprovincia di Roma, area rurale periurbana,con una tradizione fortemente agricola, incui il processo sempre più invasivo di urba-nizzazione e i drastici mutamenti economicistanno per cancellare tutta una filiera di vo-cazioni economico/produttive tradizionali.L’avvento dell’industria agroalimentare inparticolare, imponendo una distanza sempremaggiore tra produttori e consumatori, hastravolto completamente la cultura localenata intorno alla filiera del cibo, senza la-sciare alternative credibili sul territorio intermini di occupazione e qualità della vita.D’altro canto sempre più numerose sono lerealtà del volontariato e del terzo settore cheintervengono invece a tutela del cibo come“bene comune”, attraverso la costruzione dinuove dinamiche di produzione, distribuzio-ne e consumo: gruppi d’acquisto solidali,orti sociali, percorsi di archeologia arborea eorto-frutticola, mercati a Km 0... Si tratta diiniziative nate per restituire al cibo un ruolonon solo economico, ma anche culturale esociale; il processo alimentare, allontanatodalla dimensione globalizzante della produ-zione industriale, si riconnette al territorio ealle comunità locali, trasformandosi in unatto di sviluppo sostenibile, secondo il prin-cipio per cui la salute, i l benessere el’ambiente sono questioni che riguardano e

Mercati contadini tra tradizione

e innovazione

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quisiti siano rispettati. Ma è l’associazione agestire e coordinare completamente le atti-vità del mercato e a supportare le imprese as-sociate.La nostra m ission è quella di rinforzarel’economia delle piccole aziende locali affos-sate dalla grande distribuzione e contribuirealla nascita di nuove, continua Dell’Orco.Sostenere la vendita diretta delle piccole im-prese significa fare imprenditoria etica:un’economia che elimina i problemi am-bientali ed economici legati al trasporto,all’intermediazione finanziaria, alla sovrap-produzione e allo spreco, garantisce il rispet-to dei diritti del produttore e del consumato-re; significa ripartire da modi di produzionetradizionali per farne però strumenti di inno-vazione:Noi, oltre a reperire le imprese, insegniamoloro a fare valore aggiunto. Le aiutiamo nel-la fase di start up, nel l ’accesso enell’adeguamento normativo, negli adempi-m enti burocrat ici , le inseriam o in unnetwork di consumatori critici, insegniamoloro com e valorizzare il prodotto e com evincere nel mercato. Alle aziende diamo an-che il supporto per ottenere la certificazionebiologica. Collaboriamo infatti con ICEA(Istituto per la certificazione etica e ambien-tale), che ha sede proprio qui a Zagarolo. Daun anno e mezzo circa ormai ricerchiamo so-lo imprese biologiche certificate.Il biologico e la biodiversi tà sono, perDell’Orco, alla base del nostro futuro: La biodiversità agricola è fondamentale perla tutela della salute nostra e dell’ambiente,ma è anche ciò che dà valore aggiunto al pro-dotto finale, anche in cucina. Abbiamo orga-nizzato convegni, degustazioni, incontri perpromuovere l’agrobiodiversità. Un appunta-mento fisso, ad esempio, è la giornata delloscambio di sementi, che ha cadenza seme-strale: prima dell’inverno e prima della pri-mavera. Oltre all’agrobiodiv ersi tà per noiè importante anche la diffusione della biodi -

v ers i tà ed al mercato ospitiamo aziende cheproducono erbe selvatiche, erbe che non co-nosce più nessuno. S tiamo realizzando undatabase delle sementi locali da cui ormai at-tingono anche grandi chef.Il mercato contadino, lungi dall’essere soloun mero spazio di compravendita, è oggi unluogo di aggregazione, dove prat icareun’economia fatta di relazioni tra persone:Si è creata una comunità intorno al mercato:ormai è un luogo di incontro, la gente vieneanche se non deve fare spesa. Per questo vo-gliamo farne anche uno spazio di produzioneculturale: a fine maggio ci sarà una manifesta-zione che collegherà la galleria d’arte con ilmercato contadino attraverso una performanceartistica. Mentre a breve, ogni domenica, ilmercato ospiterà musicisti di alto livello.Una realtà come questa non sarebbe mai po-tuta nascere senza la costruzione di una forterete sul territorio: oltre alle imprese, il mer-cato contadino, grazie alla sua natura polie-drica, coinvolge comitati, associazioni, isti-tuzioni, scuole. Il mercato esce dai suoi con-fini per disseminare in tutto il territorio lasua vocazione a sperimentare nuovi modellidi produzione e di consumo: Grazie alla collaborazione con i com itatiscolastici abbiamo realizzato un orto didatti-co in una scuola di Zagarolo e ci piacerebbereplicare in altri istituti.I mercati contadini, sono oggi veri e proprilaboratori di cittadinanza attiva, spazi di for-mazione e informazione per consumatori“critici”, dove il venditore non è solo un pro-duttore agricolo, ma è un portatore di “sape-ri” esclusivi, da recuperare e restituire allamemoria collettiva.Realtà di questo tipo si stanno ormai diffon-dendo in tutto il mondo, ma sono per lo piùfrutto di “contagi civici” spontanei, che an-drebbero valorizzate e messe a sistema dalleistituzioni, perché la loro efficacia possaavere portata globale. Se lasciate isolate, ri-schiano di prendere una deriva passatista, seinserite in una dimensione mondiale, invece,possono divenire un efficace strumento criti-co e di innovazione del sistema economicoattuale. Per dirla con Alfonso Pascale, saggi-sta esperto di agricoltura sociale, Il “Km 0”potrà esprimere una capacità innovativa severrà intesa non in modo autarchico,…bensìin modo fortemente interconnesso con la di-mensione globale del cibo, è necessario oggicostruire una “politica globale del cibo”, chenon può prescindere dal coinvolgimento ditutta la società civile. (A. Pascale Una poli-tica globale del Cibo, www.qdrmagazine.it ,9 maggio 2011)

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tiche nate da partnership proprio con la so-cietà civile.All’interno del padiglione, oltre all’AreaEspositiva, dove le organizzazioni hanno adisposizione il proprio spazio al fine di va-lorizzare le proprie competenze sui temidella cooperazione, dello sviluppo sosteni-bile, dell’alimentazione e della salute, sonopresenti: un’area eventi destinata alla realiz-zazione di convegni, workshop e laboratori,un’area mercato dove vengono commercia-lizzati prodotti e servizi che promuovono lasostenibilità ambientale, il rispetto dei di-ritti dell’uomo, la valorizzazione dei territo-ri e dei prodotti tipici locali e un’area lavo-ro con effettive postazioni di lavoro conl’obiettivo di creare partnership e incontritra realtà presenti, operatori del settore e cit-tadinanza tutta.Sono tanti gli espositori presenti nel padi-glione dedicato alla Società Civile: i temivariano dall’artigianato solidale, al volonta-riato, dagli scambi intergenerazionali allacooperazione internazionale, dall’agricolturasociale al consumo consapevole, dalla salutee lotta alle malattie all’affermazione dei dirit-ti delle minoranze, all’educazione. C‘è un tema su tutti che non poteva nonessere trattato da questa Esposizione Uni-versale e che dovrà necessariamente essereanalizzato con at tenzione e soprat tut tocon una reale volontà di cercare e trovaresoluzioni. Un tema di cui la società civiledeve necessariamente farsi carico ognigiorno, quando il suo impegno è a fiancodi chi combatte quotidianamente per so-pravvivere: i l t em a de l l a l o t t a al l afame nel mondo.I dati continuano ad essere allarmarti e anchesconcertanti. Secondo il World Food Pro-gramme (il Programma Alimentare Mondia-le) sono 805 milioni le persone nel mondoche non hanno abbastanza da mangiare e, seb-bene questo numero sia diminuito di 209 mi-lioni dal 1990, non può lasciarci indifferenti,soprattutto se si analizzano i dati che riguar-dano la popolazione femminile e infantile.Secondo l’UNICEF sono 200 mil ioni i

di Cristina Picciolo

Se è vero che EXPO 2015 sarà i l piùgrande evento mai realizzato sul tema

dell’alimentazione e della nutrizione, nonpoteva certo non esserci uno spazio intera-mente dedicato al Terzo S ettore e alla S o-ci età Ci v i l e, a Milano, dal 1° maggio alprossimo 31 ottobre.Quella di Milano, con il titolo “Nutriamo ilPianeta. Energia per la vita”, è la primaesposizione universale a riservare alla so-cietà civile una presenza significativa e tra-sversale, riconoscendo un ruolo di assoluta

rilevanza al contributo che as-sociazioni, organizzazioni edenti del terzo settore offronosu temi così crucial i comealimentazione, nutrizione,mal nutrizione e sostenibilitàambientale. Del resto non poteva non es-sere così in un evento realiz-

zato nel nostro Paese, dove il tessuto asso-ciativo, tra i più densi del mondo, è caratte-rizzato da numerose e svariate forme di autoorganizzazione e innovazione, tali da contri-buire e, in alcuni casi, sostituire il sistemapubblico di welfare.All’interno del sito espositivo di EXPO2015, infatti, un intero padiglione è statodedicato alla Società Civile, si tratta diCas ci na Tri ul za: un complesso che na-sce proprio in una delle vecchie cascine chesegnano il paesaggio nei dintorni di Mila-no e che vorrebbe richiamare l’antica voca-zione contadina e agricola del capoluogolombardo.S i t rat ta di circa 8. 000 metri quadrat iall’interno e più di 5.000 all’esterno gestitida Fondazione Triulza, (una rete di oltre 60organizzazioni e associazioni attive in diver-si ambiti del Terzo Settore) e messi a dispo-sizione delle organizzazioni che hanno ri-sposto alla “Chiamata di Idee” lanciata daExpo 2015 in collaborazione con la Fonda-zione stessa, alla quale hanno risposto nons o l o o rg ani zzazi o ni no n pro f i t maanche azi ende, consorzi e real tà pro-fi t impegnate in realizzazione di buone pra-

Expo e associazionismo

Ad EXPO 2015 nonpoteva mancare lasocietà civile e non sipoteva non parlaredi fame nel mondo

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bambini nel mondo che soffrono di una qual-siasi forma di malnutrizione e che, purtrop-po, nella stragrande maggioranza dei casi èereditata. Sono circa 17 milioni i bimbi cheogni anno nascono già sottopeso, a causa diuna insufficiente alimentazione materna. Ele donne, pur essendo il pri-mo produttore di cibo almondo, soffrono la fame piùdegli uomini: si stima che il50% delle donne incinte neicosiddetti Paesi in via di svi-luppo soffre la mancanza diferro e ciò significa che350.000 donne muoionoogni anno per emorragia du-rante il parto. Può un tema del genere resta-re al di fuori di EXPO? In chemodo a Milano in questi seimesi verrà affrontato questo argomento?La presenza dell’Organizzazione delle Nazio-ni Unite (l’ONU), considerata uno dei parte-cipanti internazionali fondamentali, è incen-trata proprio sulla campagna “Sfida fame ze-ro” lanciata nel 2012 dal Segretario GeneraleBan Ki-Moon.Il tema della sfida alla fame sarà rappresenta-to attraverso 18 grandi installazioni a cuc-chiai blu che rappresenteranno proprio i 5grandi obiettivi della sfida stessa: 1 ) zerobambini con deficit di sviluppo sotto i 2 an-ni; 2) 100% accesso a cibo adeguato sempre;3) tutti i sistemi alimentari sostenibili; 4)100% della produttività e del reddito dei pro-duttori agricoli; 5) zero perdite o sprechi dicibo. I cucchiai blu daranno vita ad un per-corso educativo interattivo che possa far ri-flettere su cos a ci as cuno può fare ognigiorno per contribuire alla lotta alla fame.Oltre alle Nazioni Unite a lanciare un messag-

gio forte sul tema della lotta alla fame nelmondo, c’è proprio una delle più grandi orga-nizzazioni non profit che si occupa di infanzia.Si tratta di Save the Children che ha creatoun villaggio dal titolo “BE THE CHAN-GE”, ossia “S IATE IL CAMBIAMEN-

TO”. Lo spazio, creatodall’organizzazione interna-zionale che dal 1929 lottain tutto il mondo per affer-mare i diritti dei più picco-li, conduce i visitatori nellevite dei bambini che soffro-no, ancora oggi, la fame: leinstallazioni realizzate per-met tono di assumerel’identità di uno dei piccolinat i in uno dei paesi checontinuiamo a chiamare invia di sviluppo.

All’interno del villaggio di Save the Chil-dren, i visitatori, assumendo l’identità di unbambino affamato conosceranno le condizio-ni di vita di quei luoghi dove il bambino vi-ve e affronteranno virtualmente le difficoltàche i bambini affrontano davvero (e non pervia di una simulazione) quotidianamente. In-fine, il percorso permetterà al visitatore di ri-scrivere la storia di quel bambino con scelteche possono determinare un futuro diverso.Dentro questo villaggio, realizzato in legnoe materiali riciclati, l’importanza della nutri-zione e il suo impatto sulla vita e sulla salu-te di bambini e madri nel mondo non lasceràindifferenti i visitatori, e speriamo possa da-re un contributo serio e costruttivo al dibat-tito sul tema della fame del mondo, per faresì che da EXPO non escano solo slogan nuo-vi e vecchi ma proposte che si possano tra-durre in scelte di nuove politiche pubblicheglobali.

L’ODORE DEL PANE

Igesti e le parole che –bambino- vedevo e ascoltavo quando si parlava del pane mi faceva-no pensare a qualcosa di sacro, oltre che di necessario per vivere.

In tutti i coperchi delle madie vedevo infatti incollata l’immagine di un Cristo crocifisso,oppure quella di una Sacra Famiglia o, ancora, di un Buon Pastore; sulla piccola forma dilievito riposta per la preparazione del nuovo pane c’era sempre, il segno della croce e suifiloni pronti per essere portati al forno non mancava la benedizione della mamma, vestaleimprovvisata e stanca per il lungo impastare.…L’odore del pane fresco di cottura invadeva ogni giorno le strade del Paese, dandoci il sen-so della protezione vigile della Provvidenza: fu così anche durante gli anni della guerraperché, malgrado l’assenza dei molti uomini richiamati al fronte e l’usura delle requisizio-ni, la nostra terra-madre non fece mai mancare la sufficienza del grano.…

(da: G.PM. – “Nostro pane quotidiano”).

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• l’esenzione per gli ospedali ed analogheistituzioni si estende alle somministra-zioni di medicinali , presidi sanitari evitto;

• l’esenzione per i brefotrofi, orfanotrofi,asili, case di riposo per anziani e simili, lecolonie marine montane e campestri, glialberghi ed ostelli per la gioventù, si ap-plica anche alle somministrazioni di vitto,indumenti e medicinali;

• spetta il diritto di detrazione, in deroga aldivieto di natura generale relativo ad acqui-st i estranei al l ’at t ivi tà propriadell’impresa, per gli alimenti e bevandedestinati alla somministrazione in mensescolastiche, aziendali o interaziendali omediante distributori automatici collocatinei locali d’impresa;

• rientrano tra le prestazioni al dettaglio,con fatturazione solo a richiesta del clien-te, le somministrazioni di alimenti e be-vande effettuate dai pubblici esercizi, nellemense aziendali o mediante apparecchi didistribuzione automatica.

L’individuazione dell’esatta aliquota IVA ap-plicabile alle prestazioni in esame dipendedalla modalità mediante le quali la sommini-strazione è effettuata: in alcuni casi è previ-

di Federico Rossi e Fabio Rocci (*)

La gestione del servizio mensa e dellasomministrazione dei pasti in generale

presenta differenti contenuti e criticità, a se-conda del tipo di servizio offerto, dei tipi dicontratto alla base dell’erogazione di taleservizio e degli utenti cui è rivolto.L’art. 1550 c.c. qualifica la “somministra-zione” come il contratto con il quale unaparte si obbliga, verso corrispettivo di unprezzo, ad eseguire, in favore dell’altra, pre-stazioni periodiche e continuative di cose. Il decreto IVA (D.P.R. 633/1972) utilizza iltermine “somministrazione” per indicare che:• le somministrazioni di alimenti e bevande

sono considerate prestazioni di servizi;• le somministrazioni gratuite nelle mense

aziendali non sono soggette ad imposta;• la somministrazione di pasti è un’attività

commerciale anche se esercitata da un entepubblico;

• la somministrazione di alimenti e bevandeda parte di un’associazione di promozionesociale riconosciuta non è soggetta ad im-posta a determinate condizioni;

• il momento naturale di effettuazione dellecessioni periodiche o continuative di beniin esecuzione di contratti di somministra-zione è il pagamento del corrispettivo oquello di fatturazione;

Il servizio mensa e la somministrazione dei pasti

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sta l’applicazione dell’aliquota del 4%, in al-tri dall’aliquota del 10%.Il servizio mensa può essere organizzato daldatore di lavoro per la somministrazione deipasti a favore dei propri dipendenti tramite:• somministrazione diretta del pasto,• gestione diretta o tramite appalto a terzi

della mensa aziendale,• stipula di convenzioni con pubblici eserci-

zi per la fornitura del pasto ai lavoratori inforza,

• attribuzione di buoni pasto ai dipendenti(ticket restaurant); in alternativa il datoredi lavoro può scegliere di erogareun’indennità sostitutiva di mensa.

Il datore di lavoro, nella scelta delle modalitàdi somministrazione del servizio mensa puòadottare contemporaneamente più sistemi, acondizione che la prestazione interessi la ge-neralità dei lavoratori o categorie omogeneedi essi.La disciplina fiscale della somministrazionedei pasti ai dipendenti è regolata dall’art. 51,co.2, lett. c) del DPR n. 917/86 (Tuir) ilquale stabilisce che non concorrono alla for-mazione del reddito da lavoro dipendente:• le somministrazioni di vitto da parte del

datore di lavoro;• le forniture in mense direttamente predi-

sposte dal datore di lavoro o affidate allagestione di terzi tramite appalti;

• le prestazioni e le indennità sostitutive delservizio mensa corrisposte ai lavoratori ad-detti ai cantieri edili, a strutture lavorativea carattere temporaneo o ad unità produtti-ve situate in zone prive di strutture o servi-zi di ristorazione, fino alla soglia di esen-zione.

Nell’ipotesi di fornitura del pasto o di ge-stione diretta del servizio mensa da parte deldatore di lavoro, i costi sostenuti costitui-scono un onere deducibile ai fini delle impo-ste dirette e ai fini Irap ed è prevista la detrai-bilità dell’Iva.Rientrano tra le prestazioni di vitto e menseaziendali anche le convenzioni con i pubbli-ci esercizi e la somministrazione di cestinipreconfezionati da distribuire ai lavoratoridipendenti (Ministero delle Finanze, circ. n.326/97). Tale modalità viene equiparata allafattispecie della mensa aziendale, per cuitrova applicazione lo stesso trattamento fi-scale. Il datore di lavoro può decidere di rilasciare ailavoratori dipendenti dei buoni pasto, c.d.ticket restaurant, in sostituzione del serviziodi mensa aziendale. I ticket possono essere utilizzati esclusiva-

MODALITA’ DI SOMMINISTRAZIONE

Nelle “mense” aziendali, interaziendali e scolastiche di ogni ordine e grado e per indigenti,anche se effettuate sulla base di contratti di appalto o di apposite convenzioni, o sulla basedi contratti di appalto aventi ad oggetto servizi sostitutivi di mensa, commessi dal datore dilavoro. L’aliquota agevolata Iva del 4% deve intendersi applicabile anche se le somministra-zioni di cui sopra sono eseguite sulla base di contratti di appalto o di apposite convenzioni.(TAB. A, Parte II, n. 37, DPR 633/1972);

In pubblici esercizi a beneficio di lavoratori dipendenti sulla base di convenzioni con il da-tore di lavoro;

Mediante distributori automatici collocati all'interno di stabilimenti, ospedali, case di cura,scuole, caserme e altri edifici destinati a collettività (con effetto dal 01/01/2014, art. 20,DL 63/2013 – TAB. A, Parte III, n. 121, SPR 633/1972);

Nei pubblici esercizi o altrove, compresi quelli di lusso (anche su incarico delle imprese cheforniscono servizi sostitutivi di mensa, ad es. «ticket»);

Effettuate dai pubblici esercizi all'esterno del locale (rinfreschi, buffet, pranzi, consegna dirande presso uffici, negozi, ecc.);

Effettuate dagli alberghi nei confronti dei propri clienti;

Effettuate tramite vendite «per asporto»;

Negli ospedali, ospizi ecc. in seguito a contratti di appalto.

ALIQUOTA

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Aliquota dei beni ceduti

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recupero nei giorni successivi. Ai fini reddituali ed Irap, il datore di lavoropuò dedurre i costi sostenuti e detrarre intera-mente l’IVA (4%) assolta per l’acquisto delservizio a mezzo carte magnetiche.Il servizio in questione non concorre alla for-mazione del reddito da lavoro dipendente qua-lunque sia il valore del pasto.Il datore di lavoro che non opta per la som-ministrazione, diretta o per mezzo di terzi,del servizio mensa, può ricorrere alla corre-sponsione, a favore dei lavoratori , diun’indennità sostitutiva del servizio mensa.L‘erogazione di somme di denaro sostitutivepuò avvenire esclusivamente a favore di (art.51, co.2, lett.c) - Tuir): • addetti ai cantieri edili;• addetti ad altre strutture a carattere tempo-

raneo o ad unità produttive ubicate in zoneprive di strutture o servizi di ristorazione.

Qualsiasi attribuzione erogata a favore dei la-voratori al di fuori dei casi previsti dalla leg-ge è interamente assoggettata a contribuzio-ne fiscale e previdenziale, in capo al perci-piente.L‘onere sostenuto dal datore di lavoro è inte-ramente deducibile e concorre alla formazio-ne della base imponibile ai fini Irap.

* Studio Curina et Rossi –[email protected] www.consulenzaentireligiosi.it

mente dai prestatori di lavoro subordinato eparasubordinato, durante la giornata lavora-tiva, anche nell’ipotesi in cui non sia previ-sta una pausa pranzo e consentonoall’utilizzatore di usufruire di un servizio so-stitutivo di mensa1 per un importo pari alvalore facciale del buono.Tale prestazione sostitutiva è soggetta ad al-cune limitazioni fiscali: vi è una franchigiagiornaliera di €5,29 (€7,00 per quelli uti-lizzati in forma elettronica), per cui i buonipasto di valore pari o inferiore a detta soglianon concorrono alla formazione del redditoda lavoro dipendente, mentre la parte ecce-dente sarà assoggettata a contribuzione fisca-le e previdenziale.A decorrere dal 01/09/2008 (DL n. 112/08)l’Iva addebitata dall’emittente al datore di la-voro per l’acquisto dei buoni pasto (4%) èinteramente detraibile.Vengono inoltre incluse nell’ambito delleprestazioni sostitutive del servizio mensa lec.d. restaurant card (tessere magnetiche): illavoratore, previa esibizione della card, hadiritto a una sola prestazione giornaliera, se-condo le modalità previste dalla legge o daicontratti collettivi e non potrà ricevere, insostituzione, somme in denaro, beni o pre-stazioni diverse da quelle registrate sul bad-ge. L’utilizzo della card non consente di po-sticipare nel tempo la fruizione della presta-zione e il dipendente non si avvale della con-sumazione del pasto, non potrà usufruirne a

1 Per servizi sostitutivi di mensa, resi tramite buoni pasto, devono intendersi tutte le somministra-zioni di alimenti, bevande e prodotti di gastronomia preconfezionati, effettuate da pubblici eserci-zi ed esercizi commerciali dotati di apposita autorizzazione alla produzione, alla preparazione e allavendita di generi alimentari e operanti su ordinazione delle imprese che forniscono il servizio a fa-vore dei propri lavoratori.

LEOPARDI A NAPOLI

A Leopardi Napoli, di nascosto, piaceva.…“Scendeva verso il centro della città; intorno a mezzogiorno, quando si svegliava presto. Nel vagabondaggioc’era sempre qualche tappa privilegiata: una bottega antiquaria piena di vecchi libri: o il caffè delle Due Sicilie,in via Toledo, dove assaporava una granita o un sorbetto: o la pasticceria di Pintauro, in via Santa Brigida, dovemangiava le sfogliatelle e le frolle, i mandorlati e i canditi e le cassate e le paste di riso; e il caffè di Vito Pinto alargo della Carità, con i tarallini zuccherati, che avevano procurato Vito Pinto il titolo di barone.…E infine c’era Mergellina, con i suoi banchi pieni di alici, di triglie, di ostriche, di ricci marini, di dattili, di coz-ze, di cannolicchi, di frutti di mare. Per Leopardi era un nuovo piacere, che non aveva provato né a Bologna né aPisa né a Firenze: camminare fino a perdersi tra la folla, divenuto anche lui, come tutti gli altri, un corpo, un co-lore, un suono, un gelato, un riccio.…Il cuoco, Pasquale Ignarra, eseguiva qualcuna delle quarantanove ricette che Leopardi amava, tra le quali i tortelli-ni di magro, i bignés di patate, i carciofi fritti, la salsa d’uovo, la ricotta fritta, i cervelli fritti, le erbe strascina-te, i pasticcini di maccheroni, la farinata di riso”.…

(da: Pietro Citati – “Leopardi” – Oscar Mondatori, Milano 2014).

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di Giovanni Santone

Mi ha molto colpito un articolo delR edat t ore S oci al e dei p ri m i del

mese di marzo dal titolo “Quei fi g l i diemi grati i tal i ani cos tretti a crescereco me o rfani al co nf i ne”. Si parla dibambini figli di italiani emigrati in Sviz-zera e in Germania. I figli degli emigrati,infatti, non potevano avere il permesso disoggiorno in Svizzera (fino al 1996 veni-vano considerati clandestini), mentre inGermania erano equiparati ai ritardati men-tali. Sono storie di un recente passato dibambini, sradicati dalla loro terra, il Meri-dione, cost ret t i a vivere in una real tàprofondamente diversa, come sono gli orfa-notrofi nelle regioni di confine. La sceltaera voluta per consentire ai genitori di po-terli vedere in qualche fine settimana. Al-cuni ospiti dell’Orfanotrofio di Monte Bon-done di Trento, come risulta dall’archiviodell’istituto, oggi hanno fatto conoscere leloro storie, spesso di sofferenze, tanto più -come si annota nel libro che riporta tali sto-rie- se il personale non possedeva alcuna pre-parazione e spesso svolgeva la propriaazione (educativa?) con metodi violenti.Se questo è il passato, quali i riflessi sullapersonalità di quei bambini, oggi adulti? Riferendoci alla realtà attuale deve far riflet-tere (sono dati del Ministero degli Interni) las compars a dai centri di accog l i enzadi 3. 707 minori stranieri su un totaledi 1 4 . 3 4 3 s barcat i nel l ’anno 2 0 1 4sul l e nostre cos te (a fine apri l e 2015l a pres enza di mi nori era di ci rca 13mi l a su un total e di 81 mi l a s trani e-ri ; oggi l a ci fra ha raggi unto l i vel l idav v ero al l armi s ti ci ) . Questi minoridovrebbero avere una protezione rafforzata esulle autorità grava una grande responsabi-lità per il rischio che entrino nel circuito del-la criminalità e della prostituzione. Si pos-sono immaginare le conseguenze.Ma torniamo al passato (da non dimentica-re!). Come orfani o figli di nessuno veniva-no considerati i bambini italiani (prevalen-temente del Meridione) inviati, come rac-

conta G.Antonio Stella nel libro Quandogli albanesi eravamo noi, nelle vetrerie del-la Savoia o a svolgere il mestiere di spazza-camino nei Paesi Bassi con la preoccupa-zione dei datori di lav oro che i bambinimantenessero il loro fisico filiforme prontiad essere calati nei camini per svolgere illoro lavoro. Non si conosce il seguito dellastoria di queste creature, ma è immaginabi-le: pochi i sopravvissuti.Ci sono ancora oggi situazioni di sfrutta-mento violento di minori? Non v’è dubbio,anche se non si conoscono dati ufficiali.S torie di abbandono sono da conside-rare anche quel l e dei fi g l i del l e ba-dant i (in Italia sono circa un milione, lamaggior parte straniere dell’Est Europa), chelasciano nei loro Paesi i figli come fosseroorfani, a volte senza vederli per anni. E’ pos-sibile -come sperimentato in alcune realtà-un ricongiungimento temporaneo nel Paesedove le mamme lavorano? E ancora, dopo la seconda guerra mondiale cifu una separazione traumatica di moltifi g l i dei 350 mi l a pro fughi i tal i anidal l ’Istria e dal la Dalmazia in strutturesegreganti e con trattamento spesso inuma-no. Un disprezzo gratuito verso tali profughie loro famiglie, considerati servi del regimefascista. Nel Giorno del ricordo in memoriadelle vittime delle foibe e dell’esodo giulia-no-dalmata (dal 2004 ricorre il 10 febbraio)mi ha molto colpito quest’anno l’orazionepronunciata a Montecitorio, presenti le altecariche dello Stato, dall’inviata di AvvenireLucia Bellaspiga, che ricorda, tra l’altro, sto-rie di allontanamento di bambini dalle lorofamiglie e dalle loro case, che non possonodimenticare ancora oggi , da adult i ,l’incomprensibile trattamento. A parte i cenni su situazioni di bambini ditempi passati, che hanno riflesso su adulti dioggi, interessante è vedere anche la situazio-ne attuale e quella in prospettiva. Non mancano indirizzi legislativi di sostegnoalla famiglia. Basti citare la Legge 149/ 2001,che all’art. 1, comma1, ricorda che i l mino-

Bambini tra buonisti e “cattivisti”

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“distinguo” si consentirebbe da parte deisingle (ai quali è possibile l’affido) di ag-girare la legge sull’adozione (in Italia con-sentita solo a coppie etero);

• sul tema delle unioni civili, in discussionein Parlamento, verrebbe introdotta la nor-ma che le adozioni da parte di tali coppienon sono consentite, ad eccezione delle si-tuazioni del figlio biologico di uno dei duedella coppia. Se non passerà tale norma,quale soluzione per il bambino? In affida-mento? Ma l’affidamento è temporaneo eprevede il rientro nella famiglia di origine,che è quel la di uno dei due partnerdell’unione civile. Non esisterebbe altrasoluzione se non quel la t raumaticadell’abbandono del figlio, cosa da nessunoauspicabile;

• sempre sull’adozione (ma quella interna-zionale) sarebbe da promuovere da partedei parlamentari europei una normativauniforme a livello di Consiglio d’Europa;sono troppe le disparità tra i vari Paesi perprassi, organizzazione, autorità chiamata adecidere su stato di abbandono e abbina-mento, costi, tempi;

• si evidenzia la necessità di una maggioreattenzione da parte degli operatori sociali alivello locale, pubblici e privati, nei ri-guardi dei figli di genitori separati e divor-ziati, spesso con l’affido condiviso, sbal-lottati dall’uno all’altro genitore, spessospinti da odio reciproco;

• a fine aprile è stata approvata dal Parlamentola norma sui tempi abbreviati per il divor-zio: sei mesi nel caso di separazione consen-suale e un anno per quella giudiziale. Notoche al centro c’è l’interesse degli adulti. Eper decidere sulla sorte dei figli, quali tempi?La fretta potrebbe essere a danno di una so-luzione ponderata per il minore.

Le modifiche di tempi e modalità delle nor-me sulla famiglia toccano di riflesso anche ifigli. E’ pertanto da valutare tale impattocon iniziative informative e formative, chedovrebbero coinvolgere tutti i soggetti inte-ressati, pubblici e privati, nonché gli opera-tori, sia dell’area giuridica (magistrati e av-vocati), sia dell’area sociale (assistenti socia-li, psicologi, educatori …).

A conclusione dovrebbe essere sempre tenutopresente un principio: i minori vanno aiutatia crescere nella prospettiva di essere alla mag-giore età persone libere. Questo obiettivo do-vrebbe essere tenuto presente dai genitori maanche dagli insegnanti e da quanti hanno in ca-rico i minori, se manca la famiglia.

re ha diri tto di crescere ed essere edu-cato nel l ’ambi to del l a propri a fami -glia. E al comma 5 prosegue: Il diritto delmi no re a v i v ere, cres cere ed es s ereeducato nel l ’ambito di una famigl ia èassicurato senza distinzione di sesso,di etnia, di età, di l ingua, di rel igionee nel ri spetto del l ’i denti tà cul tural edel minore stesso e comunque non incontrasto con i principi fondamental idell’ordinamento.S e l a fami g l i a non ne è i n grado , l eal t e rnat i v e s o no l ’ ado z i o ne ,l ’affidamento fami l iare o a comuni tàdi ti po fami l i are. Come si vede torna laparola famiglia. Perché? Sembra logico chel’alternativa, quando la famiglia non c’è o èinadeguata, sia un servizio che richiami ilmodello famiglia.Da tale premessa scaturisce che l’alternativa,se necessaria, non può essere l’istituto, néaltre forme non equiparabili ad una famiglia.Anche se occorre notare che la legge citataparla di diritto del bambino a rimanere nellapropria famiglia, che, nel caso sia in diffi-coltà, va sostenuta dallo Stato, dalle Regio-ni e dai Comuni, che intervengono però i nbase al l e di sponibi l i tà finanziari e. Equesto pone un interrogativo sul significatodi diritto (bella affermazione, ma senza ri-sorse vuota di contenuto).Altra considerazione riguarda quel l o ches i s ta muovendo per modi fi care o in-teg rare l a l eg i s l azi o ne attual e , pur-troppo con una visione parziale.

Eccone alcuni esempi:• si spera sia accantonata la proposta di una

legge che allarga le possibilità di poterpassare dall’affido familiare all’adozione.Al riguardo un piccolo dettaglio: senza un

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di Sergio Zanarella

Possiamo definire la forma giuridica comeil contenitore in cui le persone che vo-

gliono costituire un ente non profit inseri-scono tutte le finalità, le modalità operativeed organizzative tramite cui intendono opera-re per raggiungere i propri scopi. Il nostroordinamento prevede tre forme g i uri di -che ti pi che per la costituzione degli entinon profi t e sono la f o ndaz i o ne ,l’associ azi one ed il comi tato ; tutti e trequesti soggetti sono pensati per non perse-guire scopi di lucro.La fondazione in particolare ha quale elemen-to costitutivo essenziale l’esistenza di un in-sieme di beni vincolati alla soddisfazione diun fine sociale, essa ha una propria organiz-zazione e propri organi di governo e per lagestione sociale utilizza le risorse finanzia-rie, assegnate all’atto della costituzione e perlo scopo voluto dal fondatore.Il patrimonio, inteso come insieme di benivincolati alla soddisfazione di uno scopo, ladistingue e la differenzia dall’associazioneche ha l’elemento essenziale nella partecipa-zione di una pluralità di soggetti che inten-dono operare per il raggiungimento di unoscopo comune.Tale patrimonio deve essere sufficiente perconsentire alla fondazione di svolgere la suaattività ordinaria. Il codice civi l e consi -dera bas i l are l a pres enza di ques torequi s i to . Laddove il patrimonio non siasufficiente per raggiungere lo scopo oppurevenga consumato, prevede che la fondazionesi estingua.La fondazione di partecipazione si col-loca a metà strada t ra la fondazione el’associazione . Essa nasce, come mezzooperativo, dal riscontro dell’insufficienzadello schema giuridico del la fondazio-ne tradizionale disciplinato dal codice ci-vile, trattandosi di una tipologia di fonda-zione non più istituita da un singolo sogget-to, ma da una pluralità di soggetti che condi-vidono le stesse finalità.La fondazione di partecipazione è una figuragiuridica atipica, che racchiude in se alcuni

degl i elementi propri del la fondazione,combinat i con alcune pecul iari tàdell’associazione e realizza un nuovo mo-dello di organizzazione sociale distinto dallefigure tipizzate dal codice civile essa ha incomune con la fondazione tradizionale loscopo non lucrativo e il patrimonio destina-to al raggiungimento di un obiettivo prede-fini to e invariabi le che viene fi ssatonell’atto costitutivo.Si distingue dalla fondazione tradizionale inquanto, nella fondazione di partecipazione, ilfondatore partecipa attivamente alla vita del-la fondazione.Tale ultima caratteristica avvicina la fonda-zione di partecipazione all’associazione ma,allo stesso tempo, se ne distingue in quanto,a differenza dell’associazione, è possibile di-versificare il peso decisionale dei partecipan-ti; non è necessario quindi creare una struttu-ra democratica.

Una formula di sintesiLo schema della fondazione di partecipazioneconsente di mettere all’interno dello stessosoggetto giuridico sia enti pubblici quali leregioni, le province o i comuni sia soggettidel mondo privato, riuscendo a far conviverein maniera ponderata le esigenze di supervi-sione e controllo degli enti pubblici locali ele necessità di efficienza, efficacia ed econo-micità della gestione privata sociale. Lafondazione di partecipazione costituisce, per-ciò, un’accettabile sintesi organizzativa nellaquale possono trovare posto gli enti pubbli-ci, le società e le organizzazioni con scopinon lucrativi.Due sono gli elementi costitutivi della fon-dazione di partecipazione: l’elemento patri-moniale e l’elemento personale.L’el emento patri moni al e è bas i l are,esso ha la caratteristica di essere a strutturaaperta e a formazione progressiva e si distin-gue tra fondo di dotazione (inteso come unariserva intangibile) e fondo di gestione (inte-so come il patrimonio utilizzabile nella

Fondazionidi partecipazione

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permettendo di attirare capitali e capacità ge-stori e altrimenti difficilmente sfruttabili.In altri termini l’elemento personale (tipicodelle associazioni) e quello più propriamentepatrimoniale (tipico delle fondazioni) con-fluiscono dando vita ad un nuovo soggetto,che si caratterizza anche per la l arga bas eassociativa su cui può poggiare.

“Dopo di noi”La Fondazione di partecipazione basa la sualegittimità su alcuni articoli del codice civi-le. L’art. 12c.c. (attualmente abrogato e rece-pito dall’art. 1del D.P.R. 361/2000) affermala possibilità di riconoscere la personalitàgiuridica non solo ad associazioni e fonda-zioni, ma anche ad “altre istituzioni di carat-tere privato”. Questo “altre” farebbe sottin-tendere la possibilità che, accanto alle figuregiuridiche tipiche (associazione e fondazio-ne), sussistano anche figure giuridiche atipi-che, tra le quali può senz’altro annoverarsi lafondazione di partecipazione. Il fatto di esse-re un patrimonio a struttura aperta fa si che ilsuo atto costitutivo si configurerà come uncontratto che può ricevere l’adesione di altreparti oltre a quelle originarie così come pre-visto dall’art. 1332c.c.La fondazione di partecipazione che,nell’ultimo decennio, si è diffusa maggior-mente è quella avente per scopo la solida-rietà sociale nei confronti di persone affetteda disabilità fisiche e/o psichiche, soprat-tutto per realizzare quello che ormai vienedefinito il “dopo di noi”. Difatti sempre piùspesso i genitori con un figlio disabile siimpegnano, mettendo a disposizione anchei propri beni, a realizzare strutture residen-ziali caratterizzate da un ambiente simile aquello familiare, a favorire l’aggregazionesociale e prevenire l’emarginazione dei pro-pri figli, consapevoli che tutte queste atti-vità comportano l’impiego di risorse uma-ne e finanziarie di non facile reperibilità sianel settore pubblico sia in quello privato.In questi casi lo scopo della fondazione èquello di garantire alle persone diversamen-te abili, per tutta la durata della loro vita, laresidenza all’interno di strutture ove riceve-re ogni prestazione assistenziale necessaria,svolgere diverse attività ludiche ed artisti-che e se possibile intraprendere anche atti-vità lavorative, curare le relazioni interper-sonali, anche quando i familiari garanti diquesti diritti fondamentali avranno cessatodi esistere. In questo contesto i familiarinella veste di fondatori promotori, per tuttala durata della loro vita, possono vigilare

complessa attività di gestione). Il fondo didotazione è rappresentato dai conferimenti indenaro, in beni mo bi l i o i mmo bi l i edalle utilità impiegabili per il perseguimen-to degli scopi sociali fornite dai fondatori,dai promotori o dai partecipanti e dagli ade-renti. Esso deve essere impiegato per il rag-giungimento dello scopo della fondazione.Il fondo di ges ti one, usato per garantirel’ordinaria attività, è composto: dalle renditee dai proventi derivanti dal patrimonio e dal-le attività della fondazione; dalle donazioni odisposizioni testamentarie che non sianoespressamente destinate al fondo di dotazio-ne; da eventuali altri contributi attribuitidallo Stato, dagli enti locali o da altri entipubblici, dai contributi volontari dei fonda-tori promotori, dei nuovi fondatori, degliaderenti e dei sostenitori; dai ricavi delle atti-vità istituzionali, accessorie, strumentali econnesse.Una ulteriore differenza rispetto alla fonda-zione tradizionale è data dal fatto che il fon-datore non mette soltanto il patrimonio magestisce anche la vita dell’ente. Non esisto-no nel nostro ordinamento delle norme spe-cifiche che disciplinino la partecipazione deisoggetti alla vita sociale, per cui è senz’altropossibile prev edere di v ers e f i g ure diaderenti con di vers i di ri tti e doveri .In dottrina vengo ri conosciute l e se-guenti categorie:• fondatori promotori, ossia quei soggetti

sottoscrivono l’atto costitutivo, creano lafondazione di partecipazione e la dotanodei mezzi necessari per raggiungere i pro-pri obiettivi;

• nuovi fondatori (o partecipanti fondatori),quei soggetti che vengono inclusi succes-sivamente e che contribuiscono al fondocon un contributo in denaro o in natura;

• aderenti (o partecipanti): persone fisiche ogiuridiche che, condividendo le finalità egli scopi della fondazione di partecipazio-ne, contribuiscono operativamente alla vi-ta della medesima mediante contributi indenaro corrisposti una tantum o a cadenzeperiodiche;

• sostenitori: coloro i quali scelgono di so-stenere la fondazione di partecipazione at-traverso contribuzioni di carattere non fi-nanziario come, per esempio, la prestazio-ne di lavoro volontario o di altre attività dirilievo particolare (ad esempio le presta-zioni di natura professionale di particolarerilevanza).

In questo modo vi è la possibilità, riducendoi rischi che derivano dalla gestione diretta delservizio pubblico, di coinvolgere i privati

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sul corretto impiego del patrimonio e parte-cipare in modo attivo all’amministrazionedella fondazione. Di solito lo statuto dellafondazione si apre alla partecipazione conti-nua dei genitori dei portatori di disabilitànella veste di nuovi fondatori, ciò per assi-curare il perseguimento e la realizzazionedel lo scopo e mantenere sempre vivol’interesse alla qualità della vita e al benes-sere dei disabili ai quali sono legati da vin-coli di parentela ed affettività. Tale schemaoperativo rappresenta un vantaggio ancheper Enti locali e Aziende Sanitarie Locali ,che, nello svolgimento dei loro compitiistituzionali, da un lato, sono obbligati afornire le prestazioni socio – assistenzialie, dall’altro, sono poveri di risorse idonee araggiungere questi obiettivi.La doppia anima della fondazione di parteci-pazione, associazione/fondazione, ci permet-te di affrontare una questione che da un puntodi vista giuridico sta andando molto in vogain questo periodo e soprattutto non trova pa-reri concordanti: mi riferisco alla poss i bi -l i tà da parte di un’As s o ci azi o ne ditras fo rmars i i n F o ndazi o ne . Accadespesso infatti che le persone che costituisco-no un ente non profit con il passare del tem-po si trovino a dover riconoscere di esseregiunti ad un punto diverso rispetto al proget-to di partenza e tutto ciò può accadere sia re-lativamente alle finalità che si intendonoperseguire, sia rispetto alla forma giuridicaadottata. E’ probabile infatti che una realtàfondata inizialmente sul contratto associati-vo e sulla partecipazione personale dei soci,accumuli nel tempo un patrimonio tale dafar nascere l’idea di spostare il proprio aspet-to fondante sullo sfruttamento dello stessopatrimonio e con la sua gestione e gli utilida esso riottenuti, perseguire le proprie fina-lità di solidarietà. Recentemente in materia si è espresso il TarLombardia con sentenza n. 445 del 13 feb-braio 2013 che, contrariamente alla giuri-sprudenza amministrativa precedente (TARToscana n. 5802 del 16 novembre 2004 e n.1811 del 24 novembre 2011; TAR Piemonten. 781 del 2012), ha riconosciutol’ammissibilità della trasformazione. A se-guito di questo nuovo orientamento, il Mi-nistero dell’Interno ha formalmente richiestoil parere del Consiglio di Stato il quale hadetto che tale trasformazione no n è am-missibi le. Le mo ti v azi o ni del Tar si basano sulfatto che a seguito della riforma del dirittosocietario del 2003 è stato introdotto unprincipio della generale trasformabilità in

enti diversi, consentendo che le società pos-sano trasformarsi in consorzi, società con-sortili, società cooperative, comunioni diazienda, associazioni non riconosciute efondazioni e che queste ultime possano a lo-ro volta trasformarsi in società. Per cui ilTar ne deduce che “risulta ragionevole con-sent ire la trasform azione diret ta, senzal’approdo al passaggio intermedio rappre-sentato dalla forma societaria, per ovvie ra-gioni di economia dei mezzi giuridici”; nonavrebbe senso che un’associazione, per ap-prodare alla forma giuridica della fondazio-ne, debba transitare attraverso la trasforma-zione in società.Il Co ns i g l i o di S tato i nv ece ritienenon permeabili gli schemi dell’associazione(ente a base personale, i cui organi direttivirimangono sotto l’immanente controllo del-la base associativa) e della fondazione (patri-monio destinato ad uno scopo e soggetto, inquanto privo di base associativa, ad attivitàdi controllo e vigilanza da parte dell’Autoritàpubblica), considerati istituti “fondati supresupposti totalmente diversi tra loro aiquali l’ordinamento ricollega un determinatoassetto di poteri, di garanzie e di controlliche assumono differente significato alla lucedella volontà associativa o fondativa”.Dunque sembra la motivazione del Consi-glio di Stato un po’ ferma alle rigide diffe-renze fra associazione e fondazione riportatedal codice civile e sembra inoltre non tenerconto della nuova figura di fondazione, cheinvece tende a conciliare e riassumere le dif-ferenze fra i due diversi schemi giuridici.Trovandomi fondamentalmente d’accordocon le motivazione del Tar Lombardia riten-go debba essere ammessa la trasformazioneda associazione e fondazione; penso tuttaviache il passaggio sia molto delicato nella ge-stione del gruppo associativo e soprattuttopossa essere sottoposto a forzature e storturesoprattutto al fine di passare da un organi-smo democratico ad un organismo verticisti-co. E’ fondamentale, a mio parere, affinchéquesto passaggio sia effettivamente vantag-gioso per tutti gli associati e per la stessa as-sociazione, che vi sia una democrazia parte-cipata e reale nel gruppo, cosa che non sem-pre si riscontra. Capita spesso di vedere as-sociazioni gestite in modo personalistico daparte del Presidente o dei consiglieri e da que-sto punto di vista la possibile trasformazio-ne può essere il mezzo per legittimare com-portamenti antidemocratici e legittimare de-finitivamente l’esclusione della compagineassociativa dalla gestione dell’ente e del suopatrimonio.

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Bollettino ufficiale dell’UNEBA - Unione Nazionale Istituzioni e Iniziative di Assistenza SocialeDirettore Responsabile: MAURIZIO GIORDANORedazione ed Amministrazione: 00185 Roma - Via Gioberti, 60 - Tel. 065943091 - Fax 0659602303e - mail: [email protected] - sito internet: www.uneba.orgAutorizzazione del Tribunale di Roma n. 88 del 21/2/1991Progetto e realizzazione grafica: www.fabiodesimone.itStampa: Arti Grafiche Pomezia (Roma)

Il giornale è inviato gratuitamente agli associati dell’UNEBAFinito di stampare nel maggio 201524

Questa pagina vuole essere un “colpo d’ala”, cioè una proposta per un momento di riflessione.

Il pranzo è servito

A proposito di politica...

ci sarebbe qualcosa da mangiare?

(Totò)