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Notiziario DELl’ufficio catechistico nazionale QUADERNI DELLA SEGRETERIA GENERALE CEI NUOVA SERIE N. 3 dicembre 2011

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NotiziarioDELl’ufficio catechistico nazionale

QUADERNIDELLA SEGRETERIAGENERALE CEI

N U O V A S E R I E

N. 3dicembre2011

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Ufficio Catechistico Nazionale

ANNALE

2010

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CAPITOLO 1 XLIV CONVEGNO NAZIONALE DEI DIRETTORI UCDLa questione educativa nell’iniziazione cristianaper le nuove generazioniBologna, 14-17 giugno 2010

Introduzione al ConvegnoGuido Benzi, Direttore Ufficio Catechistico Nazionale . . . . . . . . . . . pag. 11

Comunità credente come comunità educante nella riflessionedella Chiesa italiana dal documento base ad oggiProf.ssa Paola Bignardi, Membro del Comitato di redazioneEditrice La Scuola e del Comitato per il progetto culturaledella CEI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 18Don Salvatore Currò, Preside Istituto Teologico di Viterboe Presidente dell’Associazione Italiana Catecheti . . . . . . . . . . . . . . pag. 30

Questione educativa e rinnovamento dell’iniziazione cristiana Prof.ssa Maria Teresa Moscato, Docente ordinario di pedagogiagenerale e sociale dell’Università di Bologna. . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 33

Questione educativa e rinnovamento dell’iniziazione cristianaper le nuove generazioniSr. Cettina Cacciato, Docente di metodologia catecheticadella Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione“Auxilium” di Roma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 41

Gesù educatore della fedeCard. Angelo Bagnasco, Arcivescovo Metropolita di GenovaPresidente della Conferenza Episcopale Italiana . . . . . . . . . . . . . . . pag. 51

Il catechista e la sua formazione nel contesto di unacomunità che educa nella sua molteplice ministerialitàProf. Pier Paolo Triani, Docente alla Facoltà di Scienze dellaFormazione dell’Università Cattolica di Piacenza . . . . . . . . . . . . . pag. 61

Il catechista e la sua formazione. Intervento in qualitàdi responder alla relazione del prof. Pier Paolo TrianiFratel Enzo Biemmi, Preside ISSR di Verona e Presidentedell’Équipe Europea dei Catecheti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 71

Per una catechesi che manifesta la cura della comunitàcredente per l’iniziazione cristiana delle nuove generazioniDon Gianfranco Calabrese, Direttore UCD Genova, membroConsulta Nazionale UCNDon Danilo Marin, Direttore UCD Chioggia e UCR Triveneto,membro Consulta Nazionale UCN . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 79

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La comunità catechistica italiana a servizio della sfidaeducativaDon Guido Benzi, Direttore UCN. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 84

Annuncio e catechesi per la vita cristiana. Lettera allecomunità, ai presbiteri e ai catechisti nel 40° del documentobase “Il rinnovamento della catechesi”Don Carmelo Sciuto, Aiutante di studio UCN . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 90

Saluto ai ConvegnistiSua Eminenza Reverendissima Card. Carlo Caffarra,Arcivescovo Metropolita di Bologna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 95S. E. Mons. Marcello Semeraro, Vescovo di AlbanoPresidente della Commissione Episcopale per la dottrina,l’annuncio della fede e la catechesi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 96

Saluto ai Convegnisti. Le cinque parole del catechistaP. Guido Bendinelli Op., Preside Facoltà Teologicadell’Emilia Romagna. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 100

OmeliaSua Eminenza Reverendissima Card. Carlo CaffarraArcivescovo Metropolita di Bologna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 103

Omelia. Osiamo dire: “Padre nostro!”S. E. Mons. Francesco Lambiasi, Vescovo di Rimini . . . . . . . . . . . . pag. 105

OmeliaS. E. Mons. Ernesto Vecchi, Vescovo Ausiliare e Vicario Generaledi Bologna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 108

CAPITOLO 2 XLIII CONVEGNO NAZIONALE DELL’APOSTOLATO BIBLICOLa prospettiva educativa dell’Apostolato Biblico.Riflessioni, approfondimenti, proposteRoma, 5-7 febbraio 2010

Saluto ai ConvegnistiDon Guido Benzi, Direttore UCN . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 113

IntroduzioneDon Cesare Bissoli, Coordinatore SAB dell’UCN . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 116

L’animatore biblico e la sua formazioneFratel Enzo Biemmi, Preside ISSR di Verona e Presidentedell’Équipe Europea dei Catecheti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 119

Laboratorio “Bibbia e Catecumenato”Don Andrea Fontana, Membro Gruppo Nazionale Apostolato Biblicodell’UCN . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 128

La proclamazione liturgica della parola di Dio tra lectiocontinua e anno liturgico: I LezionariDon Angelo Lameri, Collaboratore Ufficio Liturgico Nazionaledella CEI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 132

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Per il laboratorio sui gruppi bibliciGiovanni Giavini, Membro Gruppo Nazionale ApostolatoBiblico dell’UCN . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 136

CAPITOLO 3 CONVEGNO NAZIONALE SU CATECHESI E DISABILITÀIl dono dei disabili di fronte alla sfida educativaRoma, 12-14 marzo 2010

SalutoDon Guido Benzi, Direttore UCN . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 141

L’educabilità dei disabili nella prospettiva catechisticaDott. Vittorio Scelzo, Coordinatore Settore Catechesi Disabilidell’UCN . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 143

L’educazione dei disabili nella tradizione caritativa della ChiesaProf. Augusto D’Angelo, Docente di Storia dei Partitie dei Movimenti Politici, Università La Sapienza, Roma . . . . . . . . . pag. 149

L’educazione dei sordiPadre Savino Castiglione, Piccola Missione per i Sordomuti . . . . . . . pag. 151

CAPITOLO 4 SEMINARIO DI STUDIO SUL CATECUMENATO IN ITALIALa pastorale del catecumenato e l’accoglienza verso i migrantiRoma, 13-14 settembre 2010

La pastorale del catecumenato e l’accoglienza verso i migrantiDon Guido Benzi, Direttore UCN . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 157

IntroduzioneDon Walther Ruspi, Responsabile Servizio per il Catecumenatodell’UCN . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 159

La situazione migratoria in ItaliaMons. Giancarlo Perego, Direttore generale Migrantes. . . . . . . . . . . pag. 162

La pastorale del catecumenato e l’accoglienza verso i migrantiMons. Walther Ruspi, Responsabile Servizio per il Catecumenatodell’UCN . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 168

Il Catecumenato Diocesano, le sue azioni e collaborazionicon altri uffici per una accoglienzaDott.ssa Monica Cusino, Dott.ssa Daniela CanardiÈquipe diocesana per il catecumenato, Torino . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 180

La sensibilità religiosa delle etnie presenti in Italia (India)Don Antoney George Pattaparambil, Cappellano etnico,Coordinatore Nazionale Comunità Indiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 185

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La sensibilità religiosa dell’etnia albanese presente in ItaliaDon Pasquale Ferraro, Cappellano etnico, Coordinatore Nazionale Comunità Albanese . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 189

La sensibilità religiosa degli Africani immigrati in ItaliaDon Denis Kibangu Malonda, Cappellano etnico, Coordinatore Nazionale Comunità Africana Francofona . . . . . . . . . pag. 194

Statistiche dei battesimi degli adulti per etnia . . . . . . . . . . . . . pag. 199

CAPITOLO 5 SEMINARIO SUL QUARANTESIMO DEL DOCUMENTO BASEIl rinnovamento della catechesiRoma, 14-15 aprile 2010

Saluto inizialeMons. Mariano Crociata, Segretario Generale della CEI . . . . . . . . . . pag. 203

Introduzione al SeminarioS. E. Mons. Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto, Presidentedella Commissione episcopale per la dottrina della fede,l’annuncio e la catechesi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 207

Il documento base e la pastorale della Chiesa italianaS. E. Mons. Lucio Soravito De Franceschi, Vescovo di Adria-Rovigo . pag. 212

La Scrittura come “libro” della catechesi (D.B. 105)S. E. Mons. Luciano Pacomio, Vescovo di Mondovì . . . . . . . . . . . . . pag. 226

La liturgia come “sorgente inesauribile della catechesi”S. E. Mons. Marcello Semeraro, Vescovo di Albano . . . . . . . . . . . . . pag. 230

Il catechista come “acuto conoscitore della persona umana”S. E. Mons. Dante Lafranconi, Vescovo di Cremona . . . . . . . . . . . . . pag. 233

Nutrire e guidare la mentalità di fede nel tempo attualeMons. Lorenzo Chiarinelli, Vescovo di Viterbo . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 238

Il Documento Base e la trasmissione della fede:dire il Vangelo negli ambiti di vita della personaS. E. Mons. Franco Giulio Brambilla, Vescovo ausiliare di Milano . . pag. 244

Un decalogo per rinnovare la catechesi a 40 annidal documento di baseS. E. Mons. Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto, Presidentedella Commissione Episcopale per la dottrina della fede,l’annuncio e la catechesi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 253

Presentazione di “annuncio e catechesi per la vita cristiana”Don Guido Benzi, Direttore Ufficio Catechistico Nazionale . . . . . . . pag. 255

AppendiceRiflessioni regionali in preparazione al Convegno Nazionaledei direttori UCD . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 257

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CAPITOLO 1

XLIV Convegno Nazionaledei Direttori UCD

LA QUESTIONE EDUCATIVANELL’INIZIAZIONE CRISTIANAPER LE NUOVE GENERAZIONI

Annunciare a tutti gli uomini la via della salvezzae comunicare ai credenti la vita di Cristo (GE, 3)

Bologna14-17 giugno 2010

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«“Chiunque segue Cristo, l’Uomo perfetto,si fa lui pure più uomo” (GS 41). Questacatechesi su Cristo è già una prima rispostaai problemi umani, anche per coloro chenon hanno il dono della fede. Essa poi vuoleabilitare i credenti a riferirsi costantementealla vita e alla parola di Cristo, nel qualetrovano la pienezza di ogni grazia e verità»(Documento base, 61). Questa indicazionedel Documento base “Il rinnovamento dellacatechesi”, a quarant’anni dalla sua promul-gazione, indica decisamente una pista perla nostra riflessione, mostrando ancora unavolta l’attualità e la ricchezza di quel docu-mento. Il Cristo, riferimento fondante e cen-trale dell’annuncio e della catechesi, non neè unicamente il contenuto; egli, nella suaumanità, attraverso la sua vita donata perla salvezza del mondo, è la forma, il fine edil tramite (come Lui stesso ha detto «via,verità e vita») di ogni cammino di crescitaautenticamente umano.

Desidero nell’introdurre questo XLIV Con-vegno Nazionale dei Direttori UCD e deiloro collaboratori ringraziare l’Arcidiocesidi Bologna, nella persona dell’ArcivescovoS. Em.za il Card. Carlo Caffarra, che ci haappena rivolto il Suo autorevole saluto, edei Suoi collaboratori, in particolare il Vi-cario Generale S. Ecc.za Mons. Ernesto Vec-chi. La chiesa bolognese, attraverso il do-cumento a firma dell’Arcivescovo “La scel-ta educativa nella Chiesa di Bologna”, èsin dal 2008 impegnata a riflettere e adoperare sulla tematica educativa: «La ma-nifestazione del mistero di Cristo – scrivel’Arcivescovo – riguarda l’intera vita umana

in tutti i suoi ambiti, e mira ad introdurreogni uomo e tutto l’uomo in un nuovo mo-do di essere e di vivere (At 22,8-10). Unaconsistente tradizione occidentale definivail processo educativo precisamente comeprogressiva conduzione della persona versola piena realizzazione di se stessa. La Chie-sa ha potuto farla propria senza difficoltà,ma dandovi un contenuto assolutamentenuovo. All’interno di questa appropriazionesi comprende come la missione della Chiesapossa essere pensata correttamente in ca-tegorie pedagogiche. Può essere corretta-mente pensata come una missione educa-tiva: “figliolini miei, che io di nuovo par-torisco nel dolore finché non sia formatoCristo in voi” (Gal 4,19), dice la Chiesa perbocca di Paolo. […] Questa connessionefra la proposta cristiana e l’esperienza edu-cativa ha avuto come prima e necessariaconseguenza anche l’elaborazione di unadottrina pedagogica. È necessario tener pre-sente che il processo non è stato dall’ela-borazione di una dottrina all’applicazionealla vita: dalla dottrina alla vita. Al contra-rio. L’esperienza della fede ha coinvolto an-che la ragione del credente. Egli ha perce-pito la logica interna alla sua vita di fede,e ne ha colto la dimensione educativa dellasua umanità. Non dalla dottrina alla vita,ma dalla vita alla dottrina» (p. 13). Avremooccasione di condividere nell’Eucaristia alSantuario della Madonna di San Luca, pre-sieduta dall’Arcivescovo, e nella visita difesta al Villaggio senza barriere di Tolè, ilcammino di questa Chiesa che con la cor-dialità ed il calore ben noti, ha accettato diospitarci.

Introduzione al ConvegnoDon Guido Benzi, Direttore Ufficio Catechistico Nazionale

Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

Introduzione al convegno 11

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 3

introduzione al Convegno

In questo Convegno è per tutti noi motivodi gioia accogliere il nuovo Presidente dellaCommissione episcopale per la Dottrina dellafede, l’annuncio e la catechesi, S. Ecc.zaMons. Marcello Semeraro, Vescovo di Alba-no. Eccellenza, sin da ora esprimo a Lei edalla Commissione che si comporrà in set-tembre, a nome di tutti i Direttori e più ingenerale della comunità catechistica italiana,pieno spirito di collaborazione per il lavoroche l’attende. Penso di interpretare il pen-siero di tutti nel ringraziare il Presidente edi membri della Commissione episcopale chenel maggio scorso ha terminato il suo lavo-ro, culminato nella pubblicazione della Let-tera ai Cercatori di Dio e della preziosa Let-tera Annuncio e catechesi per la vita cri-stiana, sul 40° del Documento base. Un grazie particolare va anche alla Comunitàdei Padri Domenicani che ci ha aperto questosplendido monumento che narra con le suemura, e con le vestigia in esse contenute,secoli di fedele indagine dell’umano e del di-vino mai confusi e mai disgiunti, attraversol’armonico dialogo di fede e ragione, pre-supposto non solo della ricerca e dell’appro-fondimento teologico, ma anche del deside-rio che spinge ogni cristiano ad interrogarsie ad approfondire la propria fede e nel con-tempo, attraverso l’annuncio, la catechesi ela predicazione, a donare e a rendere com-prensibili ad ogni persona le sue proprie ra-gioni. Tra queste mura tanti scolastici neisecoli hanno affinato il loro pensiero ispiratida San Domenico e dal Dottore Angelico, edin questo stesso Salone Bolognini hannopreso parola Papi, Capi di stato, scienziatied eminenti teologi, parlando alla comunitàecclesiale e civile, a persone dotte e alla gen-te umile.

Un altro anniversario desidero qui ricordare:il centenario del Decreto Quam singulari

Christus amore pubblicato su istanza di PapaSan Pio X con cui si stabiliva l’ammissionedei bambini alla Prima Comunione nell’etàdella discrezione. La conferenza Episcopaledel Triveneto ha promulgato in data 1 giu-gno una nota pastorale in occasione di que-sto centenario, che trovate in cartella.Un grazie infine a tutti voi, cari colleghi eamici, che avete numerosi accolto questoinvito (le Diocesi rappresentate sono que-st’anno davvero tante). Grazie non solo per-ché siete qui, ma per tutto il lavoro di ascol-to, animazione, coordinamento che vivetenelle vostre Chiese, in una cordiale collabo-razione con i vostri Vescovi e a fianco dellecomunità parrocchiali, dei loro Sacerdoti edei catechisti.

1. LA TEMATICA DEL CONVEGNO

Il Convegno che ci apprestiamo ad affron-tare è stato lungamente preparato dallaConsulta nazionale, con la quale in ben treappuntamenti abbiamo cercato di appro-fondire il rapporto tra educazione e cate-chesi in particolare nella sua declinazionedi itinerario iniziatico per le nuove genera-zioni. L’apporto della Consulta è stato im-portante nell’individuazione della tematicae nella declinazione dei vari momenti di ri-flessione e dialogo che si snoderanno du-rante il Convegno. Ci è sembrato subitochiaro che una riflessione sul rapporto tra“questione educativa” e catechesi fosse es-senziale non solo per il nostro cammino diUffici Catechistici, ma potesse essere uncontributo importante alla riflessione eccle-siale nell’imminente apertura di questo de-cennio in cui i Vescovi hanno scelto di trat-tare le sfide dell’educazione. Il programmadel Convegno è sotto gli occhi di tutti quindinon sto a ripercorrerlo. Mi preme solo sot-

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tolineare come sia stato fondamentale par-tire dalla citazione di Gravissimum educa-tionis, 4: «Nell’assolvere il suo compitoeducativo la Chiesa utilizza tutti i mezziidonei, ma si preoccupa soprattutto diquelli che sono i mezzi suoi propri. Primotra questi è l’istruzione catechetica, chedà luce e forza alla fede, nutre la vita se-condo lo spirito di Cristo, porta a parteci-pare in maniera consapevole e attiva almistero liturgico, ed è stimolo all’azioneapostolica». Questa “priorità” della cate-chesi nell’azione educativa della Chiesa nonè solo di merito; essa sottolinea insieme ilfine e il modo con il quale la Chiesa educa,nella consapevolezza che l’uomo conoscela propria realizzazione nell’incontro liberoe liberante con la persona del Cristo. In luitutto l’umano peregrinare acquista un sen-so, ed ogni azione di crescita, segnata e sti-molata dalle scienze educative e formativenel loro libero ed autonomo disporsi al ser-vizio della persona, diviene capace di mi-rare in alto, e di aprirsi ad una trascendenzanella quale l’uomo si scopre caratterizzatodall’immagine divina e aperto ad una ca-pacità di relazione nell’amore come donototale di sé. È un contributo questo chenon possiamo disattendere, né nei confrontidella vita ecclesiale, né nei confronti dellasocietà civile. Mi piace qui ricordare un pas-saggio dell’omelia di papa Benedetto XVIalla recentissima Messa di chiusura dell’an-no sacerdotale, nella solennità del SacroCuore (11 giugno 2010) egli commentandole antifone alla comunione diceva: «C’è an-zitutto la parola con cui san Giovanni con-clude il racconto della crocifissione di Ge-sù: “Un soldato gli trafisse il costato conla lancia e subito ne uscì sangue ed ac-qua” (Gv 19,34). Il cuore di Gesù vienetrafitto dalla lancia. Esso viene aperto, ediventa una sorgente: l’acqua e il sangue

che ne escono rimandano ai due Sacra-menti fondamentali dei quali la Chiesa vi-ve: il Battesimo e l’Eucaristia. Dal costatosquarciato del Signore, dal suo cuore aper-to scaturisce la sorgente viva che scorreattraverso i secoli e fa la Chiesa. Il cuoreaperto è fonte di un nuovo fiume di vita;in questo contesto, Giovanni certamenteha pensato anche alla profezia di Ezechieleche vede sgorgare dal nuovo tempio unfiume che dona fecondità e vita (Ez 47):Gesù stesso è il tempio nuovo, e il suo cuo-re aperto è la sorgente dalla quale esce unfiume di vita nuova, che si comunica anoi nel Battesimo e nell’Eucaristia». La di-mensione dell’annuncio, dell’iniziazionecristiana e della catechesi pone proprio lepersone (educatori ed educandi, annuncia-tori e destinatari, catechisti e catechizzandi)in una dimensione di dialogo e di cammino,nella comunità, nella vita, e crea quel di-namismo di crescita e confronto che è ilpresupposto ad una libera risposta di fedealla Grazia che incessantemente interpellae chiama alla conversione in vista di unavita piena e realizzata. Il Logo del nostroConvegno ha cercato di sintetizzare questariflessione. Una croce, con al centro Gesùrisorto, composta da una losanga gotica,che rimanda alla pianta di una chiesa an-tica, recante nei bracci quattro dimensionifondamentali per la catechesi: la famiglia,primo e fondamentale ambito educativo, latestimonianza della luce pasquale riflessasul volto delle giovani generazioni, la Pa-rola e l’Eucaristia. Il tutto su di un grandeorizzonte di pace e speranza. La LezioneMagistrale che terrà domattina il CardinaleAngelo Bagnasco, Presidente della Confe-renza Episcopale Italiana, ci aiuterà proprioa riflettere sul dono della fede e sull’incon-tro vitale, cioè umanamente significativo,del credente con Gesù Cristo.

Introduzione al convegno

Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

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2. IL LAVORO SVOLTO NELLEREGIONI

Ma questo Convegno è stato anche prepa-rato dagli incontri Regionali nei quali voiDirettori vi siete impegnati nel sollevare enel discernere alcuni interrogativi concreticirca i “nodi” che in Consulta avevamo iden-tificato.Essi erano essenzialmente quattro, corri-spondenti alle prime tre relazioni del Con-vegno ed alla tavola rotonda: richiamandolipresento anche alcune brevi citazioni em-blematiche delle risposte provenienti dalleRegioni:

I. Il rapporto Catechesi – Educazionecome proposto da GE 4 e come si rifletteanche in DGC 147 Evangelizzare edu-cando ed educare evangelizzando. Intutte le sintesi regionali si è espresso consoddisfazione che «l’idea che il Vangelosia una forza educante, capace cioè di ti-rar fuori dalle persone il bello e il buonoche c’è in loro aiutandole ad esprimereun’umanità compiuta e matura è un datosostanzialmente acquisito nei catechisti.A questa consapevolezza, tuttavia, noncorrisponde spesso una capacità di leg-gere e utilizzare la ricchezza educativareligiosa e umana presente nel testo bi-blico e nella liturgia» (Sintesi delle rifles-sioni Regionali, Toscana, p.31).

II. La Catechesi come educazione dellafede. Finalità della catechesi è metterein comunione intima con Gesù (DGC 80)e obiettivo primario, è nutrire e guidarela mentalità di fede che consistenell’«educare al pensiero di Cristo, avedere la storia come Lui, a giudicarela vita come Lui, a scegliere e ad amarecome Lui, a sperare come insegna Lui,

a vivere in Lui la comunione con il Pa-dre e lo Spirito Santo» (RdC 38). Si re-gistra in molte regioni una spiccata at-tenzione ai “contenuti” della fede, insie-me alla ricerca di dinamiche comunica-tive. Il Triveneto rileva che: «come spessoripete papa Benedetto XVI, la vera crisiè quella che investe la fede: i nostri ra-gazzi non hanno più Dio come famiglia-re, è lontano dal loro orizzonte, non nepercepiscono il suo amore (…). Anchese persiste una preoccupazione scolasticasoprattutto da parte di catechiste e par-roci anziani, molta parte ha acquisito laconsapevolezza dell’importanza di far fa-re esperienze per iniziare alla vita cri-stiana; semmai anzi si tratta di aiutarea trovarne di significative e a disporlelungo un itinerario adeguato all’età e agliobiettivi da raggiungere con i ragazzi.Inoltre si dovrebbe tenere conto che oggipiù che soddisfare il bisogno di nutrirela fede, che riguarda una percentuale mi-nima di battezzati, si deve investire dipiù a far nascere e suscitare la fede, e incerti casi anche far nascere le domandeche si aprono ad un cammino di fede.Per nutrire e formare una mentalità difede è necessario rigenerare contesti co-munitari nuovi in modo tale che i ragaz-zi, quando vengono in parrocchia, av-vertano che sono introdotti in un gruppodi amici e non in una scuola» (Sintesi,Triveneto, p. 33).

III. Questione educativa e rinnovamentodell’Iniziazione Cristiana delle nuovegenerazioni. Nell’ultimo decennio i no-stri Vescovi, attraverso molti documentinazionali, regionali e diocesani, hannosottolineato la necessità di riformulare gliItinerari per l’Iniziazione Cristiana. Molteparrocchie e diocesi italiane, in questi an-

Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 3

introduzione al Convegno14

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ni hanno dato vita a vari modelli di cam-mini iniziatici. In tutte le Regioni si sot-tolinea come fondamentale l’apportodell’adulto, e quindi il necessario impe-gno “prioritario” per il Primo annuncio ela catechesi agli adulti. La Regione Cam-pania, che nel 2003 ha celebrato un con-vegno regionale sul rinnovamento dellaIniziazione cristiana, esprime: «la consa-pevolezza, da un lato della persistenzain Regione di modelli d’iniziazione cri-stiana “tradizionali”, in cui prevale la vi-sione della catechesi intesa come meratrasmissione di contenuti dottrinali se-condo un metodo di “lezione scolastica”;dall’altro, l’orientamento verso un mo-dello rinnovato d’iniziazione cristiana, incui «s’intrecciano fruttuosamente primoannuncio e catechesi, celebrazioni sacra-mentali e servizio della carità». Tale mo-dello, indicato dai Vescovi Campani allecomunità parrocchiali, deve avere comepunto di riferimento primario il catecu-menato degli adulti (…) [che] non è solola proposta di un itinerario formativo of-ferto agli adulti che vogliono accederealla fede, ma costituisce la scelta e la pro-mozione di un nuovo stile di educazione,di programmazione pastorale e di vitacomunitario - ecclesiale. (…) Essa si ca-ratterizza proprio per la globalità degliaspetti e la gradualità del percorso... unaglobalità che vede l’intrecciarsi armonio-so delle tre funzioni di annuncio, cele-brazione e testimonianza della carità, tesoa formare il discepolo di Cristo. L’interoitinerario così si presenta come l’appren-distato della vita cristiana» (Sintesi, Cam-pania, p. 11). In quasi tutte le regioni sisottolinea l’attesa che viene dall’intuizio-ne del Convegno di Verona del 2006 didisporre l’azione pastorale intorno agliambiti di vita della persona.

IV.Il catechista educatore e la sua for-mazione. L’educazione passa attraversocatechisti generatori di alleanze educa-tive, tra la famiglia, la comunità nellasua molteplice ministerialità (Vescovo,sacerdoti, laici, associazioni…), il bam-bino/ragazzo, e tutte le altre componentisociali che entrano nella sua vita. Tuttele Regioni, a fronte di un impegno diffusoper la formazione dei catechisti, anchecon esperienze di eccellenza, lamentanotuttavia una sua frammentazione e spo-radicità. Spesso la formazione è delegataal Convegno diocesano annuale dei ca-techisti, ed è in questo contesto generica.La Liguria rileva «l’urgenza di una seriaformazione spirituale del catechista checonsolidi anche le motivazioni del suoservizio ecclesiale» (Sintesi, Liguria, p.18). Molti sottolineano l’esigenza di unaproposta formativa unitaria anche a li-vello nazionale.

Devo dire che questa consultazione dei Di-rettori in ciascuna Regione, assai apprezzata- almeno a quanto hanno scritto i Direttoriregionali - ci ha messo a disposizione unaserie di risposte che ha superato le nostreattese. Ne è nato un dossier che sarebbestato mortificante sintetizzare schematica-mente, sia per la serietà delle questioni sol-levate, sia per la ricchezza delle posizioni edelle esperienze evidenziate. Avete in car-tella questo dossier, la sua consultazione sa-rà proficua anche per i lavori dei gruppi re-gionali.

3. LA TAVOLA ROTONDA SULLE“ALLEANZE EDUCATIVE”

Una particolare e doverosa attenzione è statadedicata al tema delle “alleanze educative”.

Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

introduzione al Convegno 15

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 3

Introduzione al convegno

La Tavola Rotonda che si svolgerà al TeatroManzoni il 16 pomeriggio, intende avviareuna riflessione che motivi e indichi le pos-sibili “alleanze educative” all’interno dellacomunità cristiana, in specie nella catechesidi Iniziazione Cristiana delle nuove genera-zioni. Per questo vuole coinvolgere esem-plarmente i direttori degli Uffici Cei implicatinel rinnovamento dell’IC e, attraverso delleinterviste video, rendere presenti i “sogget-ti-attori” del rinnovamento. La Tavola Ro-tonda, ideata da Don Carmelo Sciuto, al qua-le non solo per questo va la mia personalee vostra gratitudine, sarà animata dalla gior-nalista e conduttrice Cristiana Caricato, cheè già tra noi, della Redazione di Mosaico –TV2000 e si strutturerà attraverso l’intera-zione tra i Direttori degli Uffici Cei della Scuo-la, dell’IRC, della famiglia e dei giovani, e iconvegnisti presenti in sala, provocati dalleinterviste video precedentemente realizzate.Si tratta di una forma nuova di riflessioneche ha cercato di tener conto della comples-sità degli approcci alla tematica con l’ausiliodei linguaggi multimediali.

4. I TEMPI DEL CONVEGNO,IL METODO ED I MATERIALIA DISPOSIZIONE

Anche quest’anno nel Convegno sono staticoinvolti due moderatori, che hanno seguitocon l’UCN tutte le fasi della preparazione, sitratta di Don Gianfranco Calabrese, DirettoreUCD di Genova, e Don Danilo Marin, Diret-tore UCD di Chioggia e dell’UCR del Trive-neto. A loro si è affiancato sempre il nostrocaro direttore bolognese ospitante Don Va-lentino Bulgarelli. Suor Giancarla Barbon ciha dato un prezioso contributo sull’anima-zione ed il coordinamento dei gruppi regio-nali. Una nuova figura introdotta a fianco

di alcune relazioni è la figura del Responder,si tratta di un primo intervento, una primareazione (preparata) sulla relazione. Il Re-sponder ha il compito di dare il la al dibat-tito, e magari… di mettere un po’ di pepe-roncino (con garbo) sulle “pietanze” prepa-rate. Anche per quanto riguarda il dibattitostesso ci sono novità. Abbiamo pensato chegli interventi in sala saranno prenotati tra-mite un biglietto che avete in cartella e por-tato alla segreteria che le farà avere al mo-deratore del dibattito, il quale darà la parolaa chi ha chiesto di intervenire. Questo per-mette di scandire meglio gli argomenti. Ledomande avranno un tempo di 3 minuti,cronometrato. A tutti è evidente che tuttoquesto non tende a limitare il dibattito, maanzi a renderlo più ampio e più proficuo.Quanto ai Relatori desidero sottolineare, oltreche la loro indubbia qualità, la loro dispo-nibilità. Già in aprile essi hanno incontratola Consulta nazionale sottoponendo le loroidee e raccogliendo tutta una serie di sug-gerimenti. E mi piace sottolineare, eviden-temente senza alcuna petizione di principio,che in questo Convegno abbiamo una no-tevole presenza di Relatrici. La catechesi, losappiamo, ha un volto prevalentementefemminile e questo è certamente un fattopositivo e senz’altro arricchente. Come UCNabbiamo avvertito l’esigenza di offrire agliUCD una piccola mostra itinerante su alcuneattenzioni catechistiche, sono i cinque posterche vedete in questa Sala, alla quale sonoabbinati tre depliant sui tre settori. Una copiadi tutto sarà inviata gratis agli UCD. Qui po-tete acquistarne degli esemplari.Nello zainetto, sponsorizzato dalle case edi-trici, avete molto materiale: una chiavettaUSB pure omaggio degli Editori, alcuni testi,tra i quali riviste catechistiche, il libro pub-blicato dall’AICA, l’ultimo libro dell’Aposto-lato biblico dedicato al rapporto tra sacerdote

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Introduzione al convegno

e Bibbia. Un DVD del settore disabili saràconsegnato durante il convegno. L’Arcidio-cesi di Bologna, oltre a farci omaggio di unaospitalità gioiosa e della cena insieme mer-coledì sera a Tolè, ha pensato con la Fon-dazione Marilena Ferrari di farci dono di unprezioso volume d’arte.

5. CONCLUDENDO… PER APRIRE

Due icone ci sono da guida in questo nostrolavoro. In alto abbiamo il quadro de L’estasidi San Tommaso a Parigi, di MarcantonioFranceschini (1648-1729). Questo quadroci rimanda ad un analogo episodio avvenutoin Napoli in cui il crocifisso avrebbe parlatoa S. Tommaso d’Aquino, dicendo: «Benescripsisti de me, Thoma; quam ergo mer-cedem recipies?» [Hai scritto bene di me,Tommaso; quale ricompensa dunque otter-rai?] e il Santo rispose: «Non aliam nisi te»[Nessun’altra se non te]. Qui accanto al ta-volo dei Relatori, abbiamo voluto riprodurrel’icona più amata in Bologna quella della

Beata Vergine di San Luca. Maria, la Theo-tòkos, ci indica Gesù suo figlio, ed il divinoBambino, benedice la Madre e con Lei tuttal’umanità. La leggenda, riguardante l’arrivodell’icona, è raccontata nella cronaca diGraziolo Accarisi, giureconsulto bolognesedel XV secolo. Essa narra di un pellegrino-eremita greco che, in pellegrinaggio aCostantinopoli, avrebbe ricevuto dai sacer-doti della basilica di Santa Sofia il dipinto,attribuito a Luca evangelista, affinché lo por-tasse sul “monte della Guardia”, così comeera indicato in un’iscrizione sul dipinto stes-so. Così l’eremita giunse a Roma e seppe,dal senatore bolognese Pascipovero, che talemonte si trovava nei pressi di Bologna. Pos-sano il Santo Dottore e Maria Santissimaaccompagnarci nella nostra riflessione diquesti giorni: l’uno perché possiamo appro-fondire il significato della narrazione dellafede negli itinerari di Iniziazione cristiana,l’altra perché ci venga mostrato, contem-plando il Cristo suo Figlio, il volto della Chie-sa discepola, madre e maestra.Buon convegno a tutti.

Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

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INTRODUZIONE

Questa relazione ha lo scopo di riflettere sulfatto che la catechesi e l’educazione dellafede hanno bisogno di un requisito essen-ziale: la qualità della vita della comunità ela sua capacità di entrare con le persone inuna relazione che faccia crescere.A partire da un testo fondamentale per ilrinnovamento conciliare della catechesi inItalia: il Documento Base (DB) del 1970.

1. 40 ANNI DI STORIA1

Il DB costituisce il primo grande documentoconciliare della Chiesa italiana, veicolo dellospirito del Concilio e delle sue scelte che at-traverso la catechesi – con la sua diffusionecapillare e popolare – raggiungeva le comu-nità cristiane nella loro vita quotidiana2. Ri-percorrere ciò che il DB ha generato nellavita cristiana ordinaria equivale a ripercor-rere le scelte di 40 anni di vita pastorale.Le scelte fondamentali del DB, ispirate so-prattutto alle quattro grandi Costituzioni con-ciliari, hanno favorito una visione rinnovata

della rivelazione e della fede; hanno offertouna visione rinnovata della Chiesa, come“grembo che genera alla vita in Cristo me-diante l’iniziazione cristiana”, responsabiledell’evangelizzazione e dell’educazione allavita di fede. Le persone coinvolte nella ca-techesi non sono semplicemente i destina-tari, ma i protagonisti del loro cammino difede. Le fonti della catechesi sono la S. Scrit-tura, la tradizione, la liturgia, le opere delcreato, e anche il contesto sociale, luogoteologico in cui Dio si manifesta attraversoi segni dei tempi3; il cuore del metodo è lafedeltà a Dio e la fedeltà all’uomo. In che modo questo documento ha influitosulla vita delle comunità? La recezione delDB si è intrecciata con il cammino delle co-munità e con gli orientamenti pastorali chedi decennio in decennio la Chiesa italiana siè data.

a. Evangelizzazione e sacramenti(1973-1980)

Il 1973 è l’anno in cui la Chiesa italianapubblica i suoi primi orientamenti pastorali,che intendono interpretare al tempo stessoil Concilio e lo spirito del tempo nuovo, che

Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 3

La questione educativa nell’iniziazione cristiana18

COMUNITÀ CREDENTE COME COMUNITÀEDUCANTE NELLA RIFLESSIONE

DELLA CHIESA ITALIANADAL DOCUMENTO BASE AD OGGI

Prof.ssa Paola Bignardi, Membro del Comitato di redazione Editrice La Scuolae del Comitato per il progetto culturale della CEI

1 Per questo excursus storico sono debitrice alla relazione tenuta da S. E. Mons. Soravito al Seminario per i 40del DB: Il DB e la pastorale della Chiesa italiana. Vedi Allegato 12 Cfr. CEI, Annuncio e catechesi per la vita cristiana, n. 1.3 Cfr. Id, nn 2-4

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Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

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avanza con profondi cambiamenti che in-fluiscono sulla società ma soprattutto sullacoscienza delle persone.Evangelizzazione e Sacramenti è il tema-titolo del documento, che sottolinea come lafede non possa più essere data per scontatae che dunque l’evangelizzazione debba pre-cedere sempre i sacramenti. Occorre tornaread evangelizzare, soprattutto in un contestoin cui la proposta cristiana è ritenuta nota.Anche per questo il cambio di prospettiva èdifficile; la situazione è nuova e spiazzante,la comunità cristiana pensa soprattutto a co-me e a chi evangelizzazione, senza rendersisufficientemente conto della necessità dievangelizzare se stessa e coloro che la fre-quentano ordinariamente; e l’accento dellasua azione pastorale finisce con il cadereinevitabilmente sui sacramenti.Quasi a metà percorso, si colloca il primoConvegno Ecclesiale su Evangelizzazione epromozione umana (1976). Esso avvia laconsuetudine di un appuntamento di verificaa metà del percorso pastorale, una convo-cazione in cui è coinvolto tutto il popolo diDio, e in particolar modo i laici.Ha inizio la redazione dei catechismi, per laconsultazione e la sperimentazione secondole nuove indicazioni, con un processo chedurerà fino al 1997; ha inizio soprattutto unmovimento catechistico vivace, carico dienergia e di voglia di innovazione.La pubblicazione dell’esortazione apostolicaEvangelii Nuntiandi (1975) e CatechesiTradendae (1979) contribuiscono a qualifi-care il rinnovamento catechistico italiano.

b. Comunione e comunità (1981-1990)

La Chiesa italiana è impegnata a costruireuna comunità cristiana consapevole, apertaal mondo perché missionaria, desiderosa dicostruirsi secondo la propria originalità di

popolo di Dio. La comunione viene presen-tata come la prima forma di evangelizza-zione.A metà percorso, il Convegno ecclesiale diLoreto (1986) su Riconciliazione cristianae comunità degli uomini, pone l’esigenza diun nuovo modo di concepire il rapporto trala comunità cristiana e il mondo, nella formadella riconciliazione.Nel 1988 la riconsegna del DB dà alla ca-techesi un carattere più marcatamente mis-sionario. Cresce il movimento dei catechisti,grande e vivace risorsa ecclesiale, che ap-pare in tutta la sua vivacità nel I ConvegnoNazionale dei catechisti; ma la comunitànon si appropria che parzialmente della suaresponsabilità educativa.Si afferma anche l’esperienza dei movimenti,che coinvolgono in forme diverse soprattuttopersone adulte.

c. Evangelizzazione e testimonianzadella carità (1991-2000)

Una vita cristiana matura e una comunitàcristiana autentica si esprime attraverso lacarità vissuta: è questo l’obiettivo degliOrientamenti pastorali degli anni Novanta.A metà percorso, il Convegno di Palermo(1995) su Il Vangelo della carità per unanuova società in Italia pone con nuova for-za l’istanza dell’evangelizzazione, insiemeal rapporto tra la fede e la cultura e la que-stione di un progetto culturale per la pre-senza dei cattolici nella società.Dal punto di vista catechistico, il decennio siapre con la pubblicazione degli Orientamentie itinerari di formazione dei catechisti. L’impianto dei catechismi, dopo gli anni del-la sperimentazione, viene pubblicato nellasua stesura definitiva per intero. Nel frat-tempo, ha subito un’accelerazione la crisidella sensibilità religiosa diffusa ed è cre-

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sciuta l’estraneità della mentalità comunead una visione cristiana della vita. Non viè un sostrato culturale su cui la catechesipossa mettere radici. Occorre rinnovare ipercorsi dell’iniziazione cristiana, perché di-venga consapevole inserimento in un per-corso di vita che non ha più nulla di ovvioe che richiede scelte e atteggiamenti origi-nali. Si pubblica la prima (1997) di tre notesull’iniziazione cristiana.

d. Comunicare il Vangelo in un mondoche cambia (2000-2010)

Portare il Vangelo nel mondo: questa è l’esi-genza su cui vogliono porre l’accento gliOrientamenti pastorali che aprono il nuovomillennio.Si tratta di porre il Vangelo a contatto conle situazioni ordinarie dell’esistenza perso-nale e sociale per mostrarne la fecondità.Al tempo stesso, la testimonianza domandaun’interpretazione nuova del messaggiostesso, perché esso possa entrare in dialogocon i diversi areopaghi del nostro tempo. Ci si rende conto che l’esperienza che quo-tidianamente si fa nel mondo – quella so-prattutto dei laici cristiani – non aprono néal Vangelo né alla speranza. Al tempo stes-so, si constata l’indebolirsi dell’iniziativadei laici, fiaccati dalla complessità della te-stimonianza nel mondo e da un lungo pe-riodo di un servizio pastorale che è dive-nuto sempre più complesso, ma passivo edipendente. Il dialogo intraecclesiale, che nel convegnodi Verona ha avuto un momento esemplar-mente intenso e maturo, langue nella vitaferiale delle comunità ecclesiali; in questosenso, il Convegno ecclesiale di Verona èancora davanti a noi.Quasi a metà decennio, la pubblicazione del-la nota pastorale sul “Il volto missionario

della parrocchia in un mondo che cambia”pone l’accento sul ruolo della parrocchia inordine al rinnovamento missionario richiestodal nostro tempo. Il documento assume laconsapevolezza che non si può dare perscontato che si sappia chi è Gesù Cristo, chesi conosca il Vangelo, che si abbia qualcheesperienza di Chiesa.Dentro e prima della catechesi, vi è unaquestione di annuncio, che risponde a per-corsi mentali, esistenziali ed interiori di-versi da quelli cui risponde la catechesi. LaChiesa non smette di interrogarsi su comerendere la sua parola veramente annunciodi una buona notizia (Nota sul primo an-nuncio) e pubblica la Lettera ai cercatoridi Dio, volendo entrare in dialogo con ladomanda di senso e la ricerca di fede pre-sente, talvolta in forme implicite, in moltepersone.

Mentre siamo colpiti dalla ricchezza edalla sproporzione tra la quantità e qua-lità di documenti e iniziative e i risultatiraggiunti, ci interroghiamo anche su checosa resta oggi del DB: il devoto ricordodi un documento importante, o il semevivo che esso ha gettato nelle comunitàcristiane? Nostalgia o sincero desideriodi raccogliere anche oggi la sua ereditàpiù viva? Certo il DB non è stato la bac-chetta magica – né pretendeva di esser-lo- per risolvere i problemi della forma-zione cristiana, in un tempo dai cambia-menti vorticosi. L’impegno di viverne leindicazioni ha lasciato nel tempo alcunequestioni irrisolte, che meritano almenod’essere citate, prima di proseguire nellanostra riflessione: i catechisti e la loroformazione; la catechesi e la formazionedegli adulti; il primo annuncio e la co-municazione con le persone di oggi; ilrapporto tra la fede e la cultura.

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2. IL PRIMATO DELLA COMUNITÀCREDENTE

Il DB si chiude con la prospettiva della co-munità cristiana come decisivo soggetto dicatechesi (ma anche di evangelizzazione edi educazione): “La esperienza catechisticamoderna conferma ancora una volta che pri-ma sono i catechisti e poi i catechismi; anzi,prima ancora, sono le comunità ecclesiali.Infatti come non è concepibile una comunitàcristiana senza una buona catechesi, cosìnon è pensabile una buona catechesi senzala partecipazione dell’intera comunità.”4.Appare dunque decisiva la qualità umana,cristiana ed ecclesiale delle comunità: la lorovita e la loro testimonianza costituiscono lachiave risolutiva dei processi educativi e pa-storali. Ma come parlare di comunità cristia-na in un tempo in cui tutte le appartenenzesembrano essersi allentate e in cui gli stessicredenti sembrano ormai abituati a ricon-durre tutto alla loro valutazione personale.D’altra parte, quale immagine danno di séle comunità cristiane nelle quali viviamo? Quando si parla di comunità cristiana si pre-sume di riferirsi tutti alla stessa realtà, in ef-fetti, spesso si danno accezioni implicite mol-te diverse, con il risultato che l’impegnostesso di costruire comunità è debole e con-fuso. La comunità cristiana è semplicementel’assemblea liturgica? O è l’insieme delle per-sone che si danno da fare, con il rischio chesi sentano comunità solo quanti sono diret-tamente impegnati in tali attività? Cresce ladistanza tra quanti operano nella pastoralee tutti quei cristiani – giovani e soprattuttoadulti – che giocano la loro testimonianzanegli ambiti complessi e difficili della realtàsecolare; cresce la loro percezione di solitu-

dine, ma soprattutto la distanza della comu-nità cristiana dalla vita, dalla realtà quoti-diana: distanza oggettiva, in termini di nonconoscenza; distanza di giudizio, perché lamancanza di ascolto genera scarsa empatia,rigidità, non comprensione delle ragioni chestanno dietro modi di pensare, di valutare,di sentire, di scegliere.

La comunità fatica a porsi in relazionecon il mondo. Eppure l’evangelizzazione po-ne a contatto con sensibilità e attese forte-mente connotate da una cultura diffusa mol-to secolarizzata. Come si può evangelizzaresenza capire, senza accogliere, senza lasciar-si interrogare, senza entrare in una relazionedialogica con questa sensibilità?

Perché la comunità cristiana possa eser-citare il suo primato come soggetto di edu-cazione e di evangelizzazione occorre rimet-tere a fuoco l’idea stessa di comunità cri-stiana, ridirci quali sono gli elementi es-senziali di essa, distinguendoli da quelliaccessori, e soprattutto che ci si assuma in-sieme l’impegno a costruire la comunitàstessa. Parola, liturgia, carità: questa è lastruttura portante di ogni comunità cristiana.Struttura: ciò che dà solidità, natura, iden-tità. Sappiamo che questo e non altro con-nota profondamente la comunità dei credentinel Signore Risorto. Possiamo rischiare didare per scontato anche questo, ma il nonvigilare nel distinguere tra ciò che è essen-ziale e ciò che è accessorio genera comunitàcristiane che perdono la loro originale iden-tità e rischiano di affannarsi dietro tante co-se, perdendo di vista la loro ragion d’essere.Si impone dunque l’esigenza di una vigilan-za continua, per verificare e tornare a sce-gliere di essere comunità secondo l’identitàe la natura profonda ed essenziale dell’essereChiesa.

4 CEI, Documento Base per il rinnovamento della catechesi, n. 200.

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La comunità cristiana ha bisogno di curaper i legami tra le persone. Potrebbe ap-parire un elemento accessorio, in effetti èuna delle manifestazioni più delicate e uma-ne della carità, che ha inizio all’interno dellacomunità per trasformarsi in energia buonache contribuisce a costruire un mondo a mi-sura della dignità di ogni persona, del dise-gno che Dio ha su ciascuna di esse. Comu-nità anonime e fredde non possono apparireil volto umano di un Dio che è Amore. Lacura dei legami interpersonali appare comeun impegno generato dalla Parola e dall’Eu-caristia, che si esprime in accoglienza e inuno spirito di fraternità universale5.La comunità, per essere viva e risponderealla ricchezza della sua identità, deve sapervalorizzare le soggettività, che significariconoscere i diversi carismi: vocazioni, dotipersonali, esperienze spirituali e di aggre-gazione … Fare spazio alle soggettività facrescere il senso di responsabilità, fa ma-turare, genera appartenenza. L’omologa-zione, che nasce talvolta anche da un ec-cesso di pianificazione e di organizzazione,finisce con lo spegnere slanci e creatività,e di mortificare la tensione missionaria etestimoniale della comunità. Questo sup-pone anche che si riconosca il senso delledifferenze, che si sappia valorizzarle e fa-vorire la loro integrazione. Ogni comunitàcristiana è un crogiuolo in cui realtà, sen-sibilità, vocazioni, esperienze diverse si in-contrano, entrano in relazione, si modifi-cano reciprocamente. Le differenze accre-scono la complessità, ma aumentano la ric-chezza. L’unità nella comunità non nascedal fatto che si è tutti uguali e si pensa tuttiallo stesso modo, ma dalla disponibilità afare coro, a mettersi in rapporto, a entrarein dialogo.

Infine, diviene comunità una realtà nella qua-le le persone si sentono tutte coinvolte, par-tecipi, attive. È l’esperienza della correspon-sabilità, parola dalla fortuna dubbia e alta-lenante nel cammino post conciliare. Parolaconsunta del lessico pastorale, dove spessoviene impiegata per indicare la partecipazionealle attività pastorali e dove viene confusacon la collaborazione. Corresponsabilità ècondividere nella responsabilità: idee, pen-sieri, progetti, iniziative, fatiche, sogni. Cor-responsabilità è avere insieme un sogno diChiesa e mettere insieme idee ed energie per-ché quel sogno si realizzi. Senza correspon-sabilità, sarà difficile che maturi un senso dicomunità significativa e stabile e che la co-munità dunque sia in grado di essere viva,dinamica, capace di elaborare le domande ele attese delle persone del nostro tempo.Può educare solo una comunità che sia im-pegnata a costruirsi realmente come tale.

3. LA “SINTASSI” DELL’EDUCAZIONEDELLA COMUNITÀ

La comunità cristiana educa a partire dallaconsapevolezza di un dono ricevuto; a par-tire da esso, la comunità avverte la gioia ela responsabilità di dare voce ed espressionealla dedizione sperimentata; di far intrave-dere la prospettiva della vita buona e bellatoccata con mano e di generare ad essa.La comunità educa attraverso il suo stile divita e la sua proposta; attraverso l’educa-zione diffusa e quella intenzionale. L’educazione –e ancor più l’educazione dellafede- è un’esperienza complessa; in essa en-trano in gioco molti attori: gli educatori, conla loro proposta di vita, la loro testimonian-za, la loro capacità di relazione; la persona

5 Cfr. CEI, Rigenerati per una speranza viva, n. 23.

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che cresce con la sua storia, la sua sensibilitàe soprattutto la sua libertà… con le oppor-tunità di cui può usufruire, con i suoi affetti,con i valori che respira in famiglia e nel-l’ambiente. Noi crediamo che grande prota-gonista dell’educazione sia lo Spirito, cheagisce nel cuore delle persone, in manierainvisibile all’osservatore distratto, ma reale;sempre misteriosamente. È lo Spirito che su-scita, nel gioco complesso delle libertà, queisì che danno l’impronta alla vita.E poi vi è il contesto, con le sue esperienze,con i valori diffusi, con i suoi modelli di ri-ferimento, con le sue testimonianze, con lesue proposte e le sue lusinghe…È una complessità di cui in passato quasinon ci si accorgeva, data la sostanziale omo-geneità del contesto e l’implicita intenzionedi trasmettere contenuti e valori su cui viera un ampio consenso. Oggi l’omogeneitàdi un tempo si è spezzata; è venuta menoogni struttura di sostegno ad una crescitaorientata a valori condivisi; l’educazioneemerge in tutta la sua delicatezza, e anchein tutto il suo valore di percorso che conducealla libertà; e anche con tutte le esigenzeche essa comporta quando diviene intenzio-nale, frutto di scelte, impegno quotidiano. Si parla oggi di emergenza educativa ad in-dicare il rischio che vi è nella crescita dellegiovani generazioni, immerse in un contestoche pare essere travolto dai rapidi e acceleraticambiamenti in atto; un contesto in cui lastessa relazione educativa è minacciata eresa più debole. L’attuale situazione di dif-ficoltà costringe a fare dell’educazione unascelta non affidabile alla spontaneità dellacrescita o alle consuetudini affermate. Nel-l’assumere con rinnovato impegno la re-sponsabilità di educare, è possibile scoprirecome non solo essa sia azione irrinunciabile,ma anche intuirne la bellezza e l’intensità.Essa è azione profondamente umana, capa-

ce di toccare le corde più sensibili e più vi-branti della coscienza sia degli educatori chedei giovani e di far emergere le struttureadulte della personalità.La comunità cristiana come comunità edu-cante ha il compito di mettere in luce in pri-mo luogo il senso dell’educare: per sé, maanche per tutti quegli adulti (genitori, cate-chisti, insegnanti, educatori…) che chiedonodi essere aiutati a vivere la bellezza del-l’educare, al di là della fatica e delle difficoltàche questo comporta. L’educazione costitui-sce una straordinaria avventura umana;quella che segna la maturità di un adulto,qualunque sia la sua condizione e le suescelte esistenziali.L’educazione è una forma di generazione: èun modo per orientare verso il senso dellavita, connotata dal “rinnegare” se stessi edall’accompagnare con gratuità e fermezza.Un’esperienza fatta dell’esercizio dell’auto-rità per insegnare a camminare nella libertà;fatta dell’ascesi del dialogo; della pazienzache sempre ricomincia; dell’umiltà di cercaree costruire alleanze...La comunità cristiana deve portare alla lucee assumere per sé le strutture fondamentalidell’educare, oltre ciò che appare più natu-rale e più spontaneo.

Educazione è parola – ora familiare ora for-male – che suscita la passione per la veritàe il bene; che apre agli orizzonti dell’interio-rità, della responsabilità; che fa scoprire il va-lore della propria vita; la responsabilità direalizzare se stessi secondo un progetto cheè inscritto in noi dal dono di Dio; che inseriscenella storia da cui veniamo facendo scoprirequella sapienza che realizza l’umanità di cia-scuno; e che suscita a poco a poco il desideriodi divenirne i protagonisti del futuro.Educazione è relazione che accoglie, cheaccetta il legame; che sostiene con autore-

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vole energia. Solo nel suo calore e nella fi-ducia che genera può accendersi l’amore allavita e ai suoi valori:Educazione è fiducia che fa scoprire i propridesideri più nobili e aiuta a credere nellaloro possibilità; che responsabilizza e coin-volge.Educazione è ascolto e dialogo, dentro unacorrente di benevolenza e di affettuosa par-tecipazione.Educazione è autorità come energia buonache sostiene nella crescita attraverso la pro-posta, la regola, anche la correzione, quandoè necessaria.Educazione come esperienza che proietta unaltro nel cammino della vita, dell’avventuradella libertà, del pensiero proprio, del dive-nire se stesso, nel dare corpo – nell’ascoltoe nel discernimento – al disegno di Dio.Educazione è tutto questo, per ogni educa-tore, ma anche per ogni comunità cristiana,chiamata a fare la traduzione comunitariadi uno stile che genera: alla vita e al suosenso.Quando in questo percorso di crescita umanairrompe l’annuncio del Signore Gesù, il per-corso umano trova la prospettiva della pie-nezza; e nel Vangelo le parole più intenseper dire la vita bella e buona cui aspira; sco-pre nell’esempio e nella parola del Signorela strada per realizzare i desideri più profondidel cuore.Educazione ed educazione cristiana; educa-zione all’umanità ed educazione alla e dellafede percorrono sentieri che nella persona enella sua coscienza trovano la loro unità ela loro sintesi. Non si dà educazione allafede senza educazione dell’umanità, senzacrescita della persona, nelle sue strutturefondamentali; senza una relazione che tra-smette fiducia. La fede non prescinde dalla

persona; non passa oltre la cura dell’uma-nità. È quanto ha affermato Benedetto XVIa Verona: “perché l’esperienza della fede edell’amore cristiano sia accolta e vissuta esi trasmetta da una generazione all’altra,una questione fondamentale e decisiva èquella dell’educazione della persona. Occorrepreoccuparsi della formazione della sua in-telligenza, senza trascurare quelle della sualibertà e capacità di amare”6.E al tempo stesso l’educazione della fede vaoltre la formazione umana. Senza l’aperturaall’esperienza di Gesù come pienezza del-l’umano, senza la prospettiva dell’incontrocon il mistero di Dio in Gesù, la comunitàcristiana non assolve al suo compito più au-tentico, rischiando di privare le persone deltesoro prezioso che può dare compiutezzaalla loro esistenza.Si può identificare – come in larga misuraaccade oggi – l’educazione della fede con lacatechesi? L’impegno con cui la comunità cristiana sipreoccupa di educare, e di educare alla fede,in questo contesto articolato e complesso,passa attraverso diverse esperienze: certo lacatechesi, ma ancor prima l’evangelizzazio-ne; e poi cultura, spiritualità... Proprio nelmomento in cui il contesto socio-culturalesi fa più articolato e complesso; quando nullapuò essere dato per scontato, occorre che lediverse esperienze di educazione alla/nellafede conservino la loro pluralità e in essauna loro identità e i loro originali obiettivi.Al tempo stesso, occorre integrazione e uni-tà; occorre ad esempio che la catechesi con-servi una forte impronta evangelizzatrice,capacità di portare le persone a sorprendersidella bellezza del messaggio cristiano, al dilà di ciò che si presume come già conosciuto,già dato, già acquisito; è il fascino di un in-

6 Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti al Convegno ecclesiale di Verona.

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contro che oggi deve essere fatto scoprire,l’apertura di una prospettiva di vita dagliorizzonti vasti, che corrispondono ai desideriprofondi del cuore, svelati al di là della lorostessa capacità di manifestarsi.

4. ALCUNE PRIORITÀPER LA COMUNITÀ CRISTIANA

Alla luce di queste considerazioni, si possonoindividuare alcune priorità pastorali, che fa-voriscano da parte della comunità cristianatutta l’assunzione del suo compito educativo.

a) Attenzione alla persona. È una delleidee generatrici del convegno ecclesialedi Verona: “mettere la persona al centrocostituisce una chiave preziosa per rin-novare in senso missionario la pastoralee superare il rischio del ripiegamento, chepuò colpire le nostre comunità”7. Faredella persona il punto di riferimento del-l’azione pastorale risponde ad un criteriodi valore che – come accade nel Vangelo –diviene stile di comunicazione, metodo,strategia. Gli incontri del Signore Gesù dicui narra il Vangelo offrono la narrazionedi un metodo che testimonia il valore at-tribuito a ciascuno, l’attenzione alla suacondizione esistenziale, la capacità di faremergere le domande più profonde na-scoste nel cuore, di smascherare le situa-zioni ambigue e confuse. E di assumerecon ciascuno il tono più adatto: quelloaccogliente, quello della misericordia,quello duro che contesta e provoca, quelloche dà fiducia; quello, paziente, che spie-ga e rimotiva. Nelle parole e nei dialoghidel Signore la verità è sempre testimo-niata da un amore che si declina secondo

le infinite sfumature che si adattano allasituazione degli interlocutori.

La capacità di tener conto della condizione,della storia, della sensibilità delle persone èquanto mai necessaria in un tempo di sog-gettivismo, in cui l’attenzione per una pro-posta è subordinata alla forza con cui essariesce ad interagire con la condizione sog-gettiva, generando interesse e motivazione.D’altra parte si può parlare di educazione,di attenzione educativa, solo dove vi siaquesta capacità di mettersi in relazione conle persone. Dove l’organizzazione, le inizia-tive, le proposte anonime, pur efficaci, ven-gono prima della persona, potrà esservi unapastorale efficiente e attiva, ma non educa-zione, non sostegno ad una crescita umanae di fede.

b) Espressione dell’attenzione alla personaè la capacità di ascolto, di apertura al-l’altro, di interesse per le sue esigenze ele sue inquietudini. L’ascolto va intesonon solo come esercizio intersoggettivo,ma anche come attenzione al tempo, allastoria, alla cultura diffusa. Vi è quasi sem-pre un intreccio stretto tra inquietudinipersonali e grandi questioni del tempo,tra interrogativi della coscienza e feno-meni della società. L’ascolto di cui la co-munità cristiana deve divenire maestra èun esercizio di discernimento, per scrutarei segni dei tempi e lasciarsi provocare daessi.

c) Queste considerazioni evocano un pro-getto catechistico e un’organizzazio-ne pastorale articolata, flessibile, ca-pace di adattarsi alla pluralità delle situa-zioni esistenziali; capace di quella vici-nanza, di quei dialoghi che rendano pos-

7 CEI, Rigenerati per una speranza viva, n. 22.

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sibile l’ascolto, il discernimento, la per-sonalizzazione del cammino di fede. Sor-ge spontaneo l’interrogativo riguardantel’attuale modello di organizzazione dellacatechesi, quasi ovunque articolato peretà e spesso per classi scolastiche; o l’or-ganizzazione della pastorale, molto strut-turata, in taluni casi così strutturata daapparire persino rigida, così caratterizzatae assorbita da una molteplicità di inizia-tive che lasciano poco spazio al dialogo,alla relazione, all’incontro a tu per tu.

Non è forse giunto il tempo di ripensarequesto modello, di rivederlo criticamente allaluce delle nuove esigenze, della nuova con-dizione delle persone – ragazzi, giovani,adulti, anziani –, della nuova consapevo-lezza che si è affacciata a Verona circa l’esi-genza di mettere al centro la persona? Allaluce di tutto questo, non è il caso di compierequalche verifica? Destrutturare l’attuale mo-dello organizzativo non significa scegliereuna pastorale del disordine e tanto menodell’improvvisazione, ma piuttosto una pa-storale flessibile, che sa far posto ai carismie alle soggettività, che sa promuovere, dif-ferenziare, valorizzare, incoraggiare l’inizia-tiva... Perché l’unica cosa che conta è cheil Vangelo sia annunciato!Nel momento in cui la cultura diffusa si fasempre più plurale e i linguaggi si moltipli-cano, diversificandosi, la comunità deve re-sistere alla tentazione di ricondurre tutto adun’uniformità che mortifica la vita e rendedifficile il dialogo. Proprio perché il contestodiviene più complesso, la comunità cristianaresta in comunicazione con esso solo con-servando al suo interno quella pluralità di“lingue” che è lo Spirito stesso a suscitaree che la abilita alla missione, a rendere ilVangelo comprensibile al maggior numerodi persone. La Pentecoste rende possibile

una pluralità che non contraddice l’unità ela comunione. E il Vangelo, annunciato inmodo diverso da Matteo ai Giudei e da Lucaai Gentili, si arricchisce di sempre nuovesfumature; mentre entra in relazione con lediverse culture, genera cultura e mostra lasua fecondità storica, si incarna così comeha fatto il Signore Gesù, diviene contempo-raneo di ogni uomo e di ogni donna.

d) Perché la comunità cristiana sia vera-mente comunità educante, si impone unarevisione del suo modo di vivere l’espe-rienza di fede: il suo modo di stare inascolto della Parola, il suo modo di cele-brare, di fare discernimento, cioè di ra-gionare sulla vita a partire dal Vangelo;il suo modo di lasciar trasparire il Vangelodallo stile quotidiano di attenzione allepersone, alle situazioni, ai grandi proble-mi del tempo. Vi è il rischio che mentresi dedica una viva attenzione alla storiaspirituale e alla testimonianza delle per-sone, si lasci sullo sfondo la testimonian-za comunitaria che nel contesto di oggiha una grande forza provocatoria. Delresto, già l’antico scritto A Diogneto af-fermava che i cristiani “mostrano il ca-rattere mirabile e straordinario, a dettadi tutti, del loro sistema di vita”. Pos-siamo immaginare che la meraviglia, perchi guarda vivere un cristiano, provengadal vedere quello stile di mitezza, di ser-vizio, di dono di sé, di passione per lagiustizia, di solidarietà che declina le bea-titudini nell’esistenza quotidiana e nasceda una consapevole e profonda esperien-za di fede.

La questione delle questioni, in un tempoche ascolta più volentieri i testimoni che imaestri; che si lascia persuadere dalla forzadi un gesto di carità e di solidarietà più che

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da quella dei ragionamenti, è quello di mo-strare la “convenienza” della vita cristiana,i guadagni che da essa vengono anche nelnostro tempo alle persone che hanno delleattese sulla loro vita. Oggetto della verificacui le nostre comunità sono chiamate è ilvolto attraente che esse sanno mostrare, fa-cendo percepire il valore dell’invito di PapaBenedetto a Verona: far “emergere quelgrande “sì” che in Gesù Cristo Dio ha dettoall’uomo e alla sua vita, all’amore umano,alla nostra libertà e alla nostra intelligen-za.(…). Il cristianesimo è infatti aperto atutto ciò che di giusto, vero e puro vi è nelleculture e nelle civiltà, a ciò che allieta, con-sola e fortifica la nostra esistenza”.Si aprirebbe in questo modo una nuova pro-spettiva per gli stessi organismi di parteci-pazione pastorale, che qui potrebbero trovaretemi in grado di ridare ad essi un senso, aldi là della banalità di odg solo organizzativi,che ne hanno svuotato funzione e senso.

e) Infine, è prioritario per una comunità cri-stiana che voglia riappropriarsi della suafunzione educativa un’attenzione rin-novata alla generazione adulta; nonsolo genitori, ma anche professionisti, la-voratori, impegnati nel sociale, personein ricerca, catechisti, nonni… Già il DBaffermava al n. 124 che gli adulti “sonoin senso più pieno i destinatari del mes-saggio cristiano...”8

La riflessione sull’educazione, sollecitata dal-l’attuale crisi dei processi educativi, sta met-tendo in luce la responsabilità della genera-zione adulta, da cui dipende la regia delleproposte educative e l’autorevolezza di esse,la capacità di proporsi come punto di riferi-

mento credibile ai più giovani. Ma per ac-compagnare gli adulti nel loro cammino dicrescita cristiana occorre liberarsi dagli stilicomunicativi impiegati con i ragazzi.Che cosa significa educare gli adulti allafede9?Ci sono alcuni criteri che è bene ripetersi,per non esporsi a delusioni prevedibili: agliadulti occorre offrire una proposta che ritrovila freschezza della novità e che sappia su-scitare sorpresa e meraviglia, per poi matu-rare in scelte e fedeltà: occorre coinvolgerlinel cammino della comunità secondo quelleforme di responsabilità che appartengonoalla struttura di una personalità adulta; oc-corre offrire la possibilità di elaborare l’espe-rienza di vita, di servizio pastorale, di im-pegno familiare e civile: vi sono talune scelteche non sono coerenti con una visione cri-stiana, prima per difetto di pensiero che diimpegno etico.Gli adulti hanno bisogno di contesti forma-tivi attraenti, “riposanti”, che si rivelino po-tenzialmente utili per vivere. Occorre alloraliberare le proposte che si rivolgono adesempio ai genitori, nel percorso dell’IC deiloro figli, dall’impressione di dover pagareun pedaggio per i sacramenti dei figli, perchénessuna buona notizia potrà passare da si-mili percorsi; anche per loro vi è la necessitàdi mostrare un messaggio cristiano che sor-prenda con la bellezza del Vangelo e delleprospettive che esso apre all’esistenza dellepersone e al loro vivere insieme.

CONCLUSIONE

La lezione del DB, 40 anni dopo, conservatutta la forza che al documento viene dalla

8 CEI, Documento Base per il Rinnovamento della catechesi, n. 124.9 Cfr. CEI, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, n. 7.

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La questione educativa nell’iniziazione cristiana28

sua ispirazione conciliare; ma l’ispirazionedeve misurarsi con nuove sfide10, che ven-gono certo dalla cultura diffusa ma soprat-tutto dalla coscienza delle persone. Daremaggiore spessore alla testimonianza e allaproposta educativa della comunità mi pare

possa essere un modo per situare le sceltedel DB all’interno di percorsi di vita e di dia-loghi esistenziali che consentono di matu-rare quel sì personale al Signore Gesù chedà spessore e profondità alla vita cristianadei singoli e delle comunità.

10 Cfr. CEI, Annuncio... cit., nn. 7-9.

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relazione

29La questione educativa nell’iniziazione cristiana

ALLEGATO 1

IL PERCORSO CATECHISTICO DELLA CHIESA ITALIANAATTRAVERSO I SUOI PRINCIPALI DOCUMENTI ED EVENTI

Evangelizzazione e Sacramenti (1973-1980)L’evangelizzazione non può essere data per scontata e dunque deve sempre precederel’amministrazione dei Sacramenti.1975: Viene pubblicata l’Evangelii

Nuntiandi1976: Si tiene a Roma il Convegno

Ecclesiale su Evangelizza-zione e promozione umana

1979: Viene pubblicata la Cateche-si Tradendae

Inizia la redazione dei “Catechismi per la vita cristiana” perla consultazione e la sperimentazione

Ha inizio un vivace movimento catechistico.

Comunione e comunità (1981-1990)La comunione ecclesiale è la prima forma di evangelizzazione.1986: Si tiene a Loreto il Convegno

Ecclesiale su Riconciliazio-ne cristiana e comunità de-gli uomini

1984-87: Si procede alla verifica dei catechismi.

Cresce il movimento catechistico; nel 1988 si tiene il I Conve-gno Nazionale dei catechisti su “Catechisti per una Chiesamissionaria”.Si afferma l’esperienza dei movimenti.

Evangelizzazione e testimonianza della carità (1991-2000)Una vita cristiana matura si esprime attraverso una carità vissuta.1995: Si tiene a Palermo il Conve-

gno Ecclesiale su Il voltodella carità per una nuovasocietà in Italia.

La Chiesa si prepara al grande Giu-bileo del 2000.

1991: Si pubblicano gli “Orientamenti e itinerari per laformazione dei catechisti”.

1992: Si tiene il 2° Convegno Nazionale dei catechisti, in-centrato sulla catechesi degli adulti, dal titolo: “Testi-moni del Vangelo nella città degli uomini. Adultinella fede, testimoni di carità”.

1997: Termina la pubblicazione dei “Catechismi”, con i ri-mandi al Catechismo della Chiesa cattolica.

Testimoniare il Vangelo in un mondo che cambia (2001-2010)Portare il Vangelo a contatto con le situazioni ordinarie dell’esistenza personale e sociale.2004: Viene pubblicata la nota pa-

storale su Il volto missiona-rio della parrocchia in unmondo che cambia.

2006: Si tiene a Verona il Conve-gno Ecclesiale su Testimonidi Gesù Risorto, speranzadel mondo.

2005: Si pubblica la nota sul primo annuncio: Questa è lanostra fede.

2009: Si pubblica la Lettera ai cercatori di Dio per portareil primo annuncio della fede a chi è alla ricerca.

2010: si pubblica la nota su Annuncio e catechesi per lavita cristiana, in occasione del quarantennio del Do-cumento Base.

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1. La convenienza della vita e del-la proposta cristiana e il carat-tere attraente della comunitàecclesiale. La via della veritàdell’umano e della centralitàdella persona

Nel contesto attuale “si diffonde l’indiffe-renza religiosa”; si attribuisce “scarsa im-portanza alla fede religiosa”; c’è un feno-meno di “irrilevanza” della fede (v. Annun-cio e catechesi per la vita cristiana, n. 8).C’è una tendenza a relativizzare le specificitàdelle tradizioni religiose, a depotenziarle; c’èanche a volte un sospetto sul valore umanodella religione, o il prevalere di un atteggia-mento di neutralità rispetto allo scegliere.Come dare nuova rilevanza alla proposta difede? Come può la comunità cristiana esserepiù credibile e più attraente?La via è forse quella di situarsi sul (o nonallontanarsi dal) piano dell’umano, della sin-

cerità e verità dell’umano (delle domande,dei bisogni, delle tracce di umanità). È apartire da una traccia di vera umanità chesi può avvertire la preziosità delle risorse ec-clesiali.La via della centralità della persona, del ri-conoscersi soggetti (nei quali Dio è all’ope-ra) è una via promettente. La scelta educa-tiva dice la centralità della persona, dei sog-getti.Perché l’apertura all’umano non sia ingenuae perché non sia un semplice adattamentodella proposta, è importante una buona an-tropologia (all’altezza della rivelazione e del-la verità dell’uomo) ed è importante ridarecentralità alla conversione (nostra e deglialtri). Solo chi si mette in gioco può accedereall’umano e può sperimentare che la paroladel vangelo è risorsa preziosa di vera uma-nità.Proporrei di cercare la verità dell’umano ela verità del vangelo sui registri del dono,

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La questione educativa nell’iniziazione cristiana30

COMUNITÀ CREDENTE COME COMUNITÀEDUCANTE NELLA RIFLESSIONE

DELLA CHIESA ITALIANADAL DOCUMENTO BASE AD OGGI

Don Salvatore Currò, Preside Istituto Teologico di Viterboe Presidente dell’Associazione Italiana Catecheti

Propongo qualche interrogativo e qualche pista di riflessione

• a partire dall’intervento di P. Bignardi (condividendo, riproponendo e sottolineandoqualche indicazione di cammino)

• con lo sguardo rivolto al contesto attuale e alle nuove esigenze pastorali (cf. Annuncioe catechesi per la vita cristiana. Lettera alle comunità, ai presbiteri e ai catechistinel quarantesimo del Documento di base “Il rinnovamento della catechesi”, in par-ticolare la II e la III parte)

• situandomi dentro la storia del Documento di base e di ciò che esso ha ispirato inquesti 40 anni

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della fiducia, della debolezza e fragilità dellavita, del legame costitutivo con gli altri, dellacreaturalità, della capacità di sorpresa, delsentirsi amati…

[Benedetto XVI, nella Lettera alla Diocesi e allacittà di Roma sul compito urgente dell’educazione,dopo aver evidenziato il difetto di speranza delcontesto culturale attuale, afferma: “Proprio da quinasce la difficoltà forse più profonda per una veraopera educativa: alla radice della crisi dell’educa-zione c’è infatti una crisi di fiducia nella vita”]

Se l’evangelizzazione si misura a fondo conl’umano diventano centrali le domande:quando dire il Vangelo? In quali luoghi (con-testi umani)? A quali condizioni può esserecompreso?

2. La comunità educa attraverso ilsuo stile di vita e di proposta. Lostile del decentramento

Possiamo immaginare una comunità nonsolo più corresponsabile (Annuncio e cate-chesi per la vita cristiana, n. 12) e più mis-sionaria (n. 10) ma anche più decentrata?Per es. una parrocchia più decentrata sulterritorio, più a partire dalle sfide di tutti?Per es. una pastorale più a partire dalla vitadelle persone che da preoccupazioni istitu-zionali? Per es. una catechesi più a partiredalla famiglia, dai luoghi di vita delle per-sone che dai luoghi e dalle esigenze parroc-chiali?Possiamo immaginare una comunicazionepiù decentrata sull’altro, sulla sua persona,sul suo luogo di vita, più a partire dall’al-tro… e allo stesso tempo più a partire dal-l’azione gratuita di Dio?Il richiamo alla priorità della catechesi degliadulti e dei giovani (Annuncio e catechesiper la vita cristiana, n. 13) non è legatoalla capacità di proporre, comunicare e re-

lazionarsi in modo adulto? Non è legato allacapacità di reciprocità e di camminare con?È importante allenarsi a riconoscere la sog-gettività dell’altro, l’iniziativa dell’altro; asaper comporre l’accogliere e il proporre. Èimportante imparare a ricevere. Il dare (do-nare) la Parola ha bisogno del riconoscersireciprocamente il diritto e il dono della pa-rola. L’essere soggetto-di e l’essere sogget-to-a si implicano.

3. La catechesi partecipa di un piùampio impegno educativo. Traspecificità e nuove aperture

Si educa attraverso l’educazione intenzionalee quella diffusa, nel luogo ecclesiale e neiluoghi laici, in modo sistematico e in modooccasionale… a partire dalla comunicazionedella Parola (che suscita sorpresa e risvegliail desiderio) e a partire da bisogni e desideriche trovano interpretazione nella Parola.L’educazione a volte è centrata su obiettividi maturazione umana e si appoggia a unaantropologia cristianamente ispirata; altrevolte è centrata su obiettivi di educazionealla fede o a una fede matura e si appoggiaalla verità dell’umano. Se la catechesi de-v’essere aperta a tutta la problematica uma-na, ogni impegno di vera educazione al-l’umano ha a che fare col vangelo e ha unadimensione legata alla Parola.L’educazione ha bisogno di pluralità diespressioni, di percorsi a partire dalle perso-ne e dalle situazioni; ha bisogno di capacitàdi integrazione e di interazione; di dialogoe comunicazione; di capacità di lavorare inrete e di fare alleanze educative.

[Pur tenendo vive le specificità è forse necessariauna interazione tra catechesi e insegnamento dellareligione cattolica nella scuola].

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La questione educativa nell’iniziazione cristiana32

Vorrei proporre (o sottolineare) alcune at-tenzioni (aperture) sia per la catechesi si-stematica e specifica sia per la dimensionecatechistica di tutto l’impegno educativo del-la Chiesa:

• la capacità di far cogliere l’essenziale dellavita cristiana (non solo nei momenti delprimo annuncio): l’essenziale del contattocon la Parola, della liturgia, della carità;

• curare l’intreccio parola-liturgia-carità, nonsolo dalla prospettiva della comprensionedel messaggio, ma anche dalla prospettivadel riconoscimento, della fiducia, del lega-me con l’altro; curare l’educazione dei sen-timenti, dell’emotività, della corporeità…nell’otttica di una formazione integrale.

• cercare più che la sistematicità della com-prensione della fede, la sistematicità delle

abitudini, dei riferimenti per il proprio per-corso spirituale… percorso segnato da altie bassi, da fragilità, da tempi imprevedi-bili…

• curare la qualità delle esperienze senzapreoccuparsi eccessivamente della asiste-maticità e riconoscendo la capacità inter-pretativa del soggetto.

Ci può aiutare:

• la flessibilità nella progettazione catechi-stica e nell’organizzazione pastorale

• la cura che i luoghi della progettazione(équipe, commissioni…) siano luoghi divero dialogo, di confronto sull’essenziale,laboratori di riflessione e ricerca, eserciziodi dinamiche relazionali che rinnovano giàil tessuto ecclesiale.

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La questione educativa del nostro tempo èdiventata troppo complessa per essere ana-lizzata nel breve spazio a mia disposizione:dirò solo che assistiamo, soprattutto negli ul-timi quaranta anni, ad una sparizione perfinodell’idea di educazione dall’orizzonte culturalee dall’immaginario sociale, e in parallelo atrasformazioni del costume e degli stili di vitache rendono sempre più difficile l’avveni-mento dell’educazione1. Per educazione in-tendo un processo interattivo, un percorsoassistito da una forma di “cura” intenzionaledell’adulto, con cui il piccolo dell’uomo si faumano, all’interno di un orizzonte culturale.Ogni immaturo, consolidando la sua perso-nale identità, raggiunge una soglia di auto-nomia che fa di lui un nuovo “custode” dellavita (sua e di quella degli altri). Ciò avvieneattraverso la sua progressiva corresponsabi-lizzazione nella relazione educativa, dentrola quale egli cambia progressivamente il suogrado di crescente autonomia. In altri termini:nessuno si educa da solo, ma nessuno puòessere educato contro la propria volontà: l’es-sere educati e l’educarsi appaiono reciproca-mente inseparabili. C’è una bella metafora diPlatone, che disegna la fine (e insieme loscopo) dell’educazione nella costruzione diuna “città interiore”, dotata di una propriacostituzione e di un proprio custode:

“Non si permette [ai fanciulli] di essere liberi finchénon abbiamo organizzato dentro di essi, come inuno stato, una costituzione e, coltivando la loroparte migliore con la migliore nostra, non abbiamoinsediato nel fanciullo al nostro posto un custodee governatore. Allora soltanto possiamo lasciarlolibero”2.

La metafora della città interiore, con la suacostituzione e il suo governatore, evidenzial’interiorizzazione delle norme come condi-zione dell’autonomia personale, che è raffi-gurata appunto dal “custode interno”, ge-nerato nel fanciullo dal processo educativo.È ancora da sottolineare, nella metafora pla-tonica, quel “coltivando la loro parte migliorecon la migliore nostra”, altra metafora nellametafora, che evidenzia la consapevolezzadi un dinamismo interattivo, fra adulti ebambini, di una responsabilità progettualeasimmetrica, di una potenzialità germinativache esige “coltivazione”, cioè progetto, se-lezione e decisione, e che non può compiersisenza rischi: l’educatore deve sempre deci-dere quale sia “la parte migliore” di sé concui avviare la coltivazione della “parte mi-gliore” dei fanciulli. Tuttavia si tratta pursempre di una rappresentazione dell’educa-zione che impegna l’adulto a “rendersi pro-gressivamente superfluo”3.

QUESTIONE EDUCATIVAE RINNOVAMENTO

DELL’INIZIAZIONE CRISTIANAProf.ssa Maria Teresa Moscato, Docente ordinario di pedagogia generale e sociale

dell’Università di Bologna

Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

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1 Lo ha scritto benissimo e ampiamente il saggio introduttivo al volume: AA.VV., La sfida educativa, Laterza,Roma-Bari, 2009. 2 PLATONE, La Repubblica, Libro IX, 590e-591. 3 La definizione dell’educatore come di “uno che lavora sempre per rendersi superfluo è del mio Maestro, Don GinoCorallo (Cfr. G. CORALLO, Educare la libertà, Scelta antologica a cura di M. T. Moscato, Bologna, CLUEB, 2009).

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Detto ancora in altri termini, la rappresen-tazione dell’educazione presente per millenninella cultura occidentale, in qualsiasi ver-sione sia giunta fino a noi, sottintende sem-pre che l’umanità alla nascita sia una purapotenza, e che solo attraverso un’azione col-lettiva della comunità adulta (e sempre spe-rando nell’assistenza benevola della divini-tà), il figlio, quella vita nuova che costituiscesempre anche la “novità della vita”4, diverràpienamente umano. Cerimonie e rituali ini-ziatici, nelle cultura antiche, ma anche gran-di narrazioni fino all’età presente5, hannosempre messo in scena la necessità che ogniimmaturo venga in qualche modo “messoalla prova”, che “dimostri” il proprio valore,rivelando quelle “virtù” (maschili e femmi-nili) che la comunità di riferimento gli haproposto come caratterizzanti l’umanità de-siderabile. E il valore era un tempo la con-dizione del riconoscimento sociale e dell’ac-cettazione personale di ciascun membro diun gruppo6. Ciò lasciava implicita l’idea forteche ci si formasse deliberatamente per “va-lere”, e non che si esprimesse la propriaspontaneità come valore. Gli antichi ritualiiniziatici, e così tutte le forme di iniziazionesimbolica, non segnano tanto l’inizio asso-luto del cammino del neofita, quanto la nuo-va fase di esso, ad esempio l’uscita dall’in-fanzia, o la fine dell’adolescenza. Ogni ri-tuale iniziatico, in altri termini, evidenzia,per un verso, la nuova responsabilità del-l’iniziato, e per l’altro, il cammino che egli

ha percorso, sotto la guida dei genitori e deimaestri, prima di accedere a tale momentoessenziale di verifica e di “passaggio” alnuovo stato. L’iniziazione è una strutturasimbolica presente in tutta la storia umana,strutturalmente interconnessa con le conce-zioni educative di ogni popolo, ma anchecon le sue convinzioni religiose7. Oggi, invece, l’ambigua rappresentazionesociale dell’educazione migliore come quellapiù “naturale” e spontanea (cioè quella chemeno “governa” e “contiene” il bambino),porta molti genitori bene intenzionati, e con-vinti di stimolare così creatività ed autono-mia precoce nei loro bambini, ad autenticheforme di “abbandono” educativo. Questaambiguità nella rappresentazione dell’edu-cazione si riflette anche sulla rappresenta-zione di una possibile “costruzione dell’iden-tità”, nel senso che anche l’identità, che èun apparato psichico, viene rappresentatacome originariamente data, e collocata inun “Sé autentico”, che deve essere “lasciatoemergere”. In quest’ottica si lasciano “liberi”bambini e ragazzi di agire dei comportamentisociali, e in particolare affettivi e sessuali,considerati “spontanei”, ma che un temposi consideravano espressioni di una condottaadulta. Contemporaneamente, si perde lapercezione che tali comportamenti spontaneiesigano una educazione remota e specifica.Salvo poi a venire dolorosamente sorpresida condotte adolescenti aggressive e crudeli,e da una sessualità precoce e disordinata,

4 Il figlio come “novità della vita” (con tutte le potenzialità e tutti i rischi connessi a tale “novità” è un’immaginedi G. Angelini (G. ANGELINI, Il figlio, Milano, “Vita e Pensiero”, 1992).5 È stato M. Eliade a rilevare per primo come le narrazioni letterarie possano assolvere, per l’uomo moderno, lastessa funzione simbolica degli antichi rituali iniziatici. Cfr. M. ELIADE, Mito e realtà, (1963), trad. ital. Milano,Rusconi, 1974.6 Rituali di “messa alla prova” sono tuttora evidenti nelle bande giovanili o delinquenziali. Ma ogni gruppo diadolescenti drammatizza, anche se in forme superficiali o aberranti, un dinamismo psichico arcaico di apparte-nenza.7 Ho sviluppato ampiamente questi temi in: M. T. MOSCATO, Il sentiero nel labirinto. Miti e metafore nel processoeducativo, Brescia, “La Scuola”, 1998. Cfr. ID, Il viaggio come metafora pedagogica, Brescia, “La Scuola”, 1994.

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apparentemente priva di significati, e di realiinvestimenti affettivi ed etici.Gli elementi che confluiscono in questaemergenza educativa sono l’adultismo e lospontaneismo per un verso e le trasforma-zioni della struttura familiare per l’altro. L’in-fluenza educativa dei genitori cede di frontea legami sentimentali e amicali precoci,nell’ambito del gruppo dei coetanei, cui difatto l’adolescente chiede appartenenza perguadagnare sicurezza personale.Altri elementi decisivi sono la globalizzazio-ne economica e le migrazioni, ed infine i fe-nomeni mediatici e la diffusione delle realtàvirtuali. Quest’ultimo elemento costituisceuna novità radicale nella storia umana: igruppi primari hanno sempre mediato, “fil-trandolo”, l’orizzonte culturale circostante,svolgendo così una funzione di controllo,ma anche di protezione, delle generazionipiù giovani. Oggi può accadere viceversache sia l’orizzonte mediatico a conferire si-gnificato alle relazioni familiari, e comunqueai gruppi primari di appartenenza: anche lascuola quindi, e gli ambiti ecclesiali, vengo-no ridefiniti da fiction accattivanti, in cuipreti, suore, o professoresse di italiano, ope-rano soprattutto da investigatori (e con in-credibile successo).Il sistema attuale della comunicazione dimassa, in tutte le sue versioni, dal cinemaai canali televisivi, e soprattutto alle reti in-ternet, sembra presentare anche una fram-mentazione strutturale, una eterogeneitàestrema e dispersiva, in rapporto anche allesue smisurate dimensioni quantitative. Inrealtà il sistema mass-mediatico ha generatoun orizzonte socio-culturale complessiva-mente unitario, dotato anche di forti ele-menti trasversali di sintesi: le “grandi nar-razioni”, le mitologie sociali proprie delle di-verse culture sono state tutte sostituite danuove narrazioni unificate, in cui anche ele-

menti culturali contaminati – come i cartonigiapponesi – mediano però modelli di con-dotta maschili e femminili molto più simili,in termini simbolici, di quanto non facciapercepire la ricchezza delle loro figurazioni.La forza e ampiezza della comunicazionemass-mediatica, e il canale virtuale attra-verso cui essa penetra in ogni microambien-te, è tale da oltrepassare tutte le possibilimediazioni dei gruppi primari, e comunquedegli ambienti relazionali concreti. E sfuggealla percezione comune, soprattutto dei gio-vani, che anche il sistema mass-mediaticoè in realtà un sistema di mediazioni culturalicontrollate da qualcuno (e non una finestraaperta sulla “realtà” del mondo esterno).Anche a prescindere dai contenuti culturalimediati dalle reti, in termini di qualità e va-lore, la virtualità costituisce una forma diesperienza cognitiva ed emozionale con pro-prie caratteristiche. Dietro la sua apparenteimmediatezza e concretezza (vedo, sento,interagisco) la virtualità è anche una falsi-ficazione dell’esperienza concreta, data lasua dimensione, per un verso ludica, e perl’altro decisamente illusoria: solo nel giocol’avversario ucciso ritorna in vita. E la cre-scente tendenza a instaurare relazioni viainternet, in chat in cui è possibile nasconderela propria reale identità, l’età, il sesso, la po-sizione sociale; perfino la crescita di giochiin cui si entra con un’identità deliberata-mente simulata, l’avatar (e talvolta si co-struiscono amicizie a partire da questi in-contri), fanno pensare ad una sorta di “mu-tazione antropologica”. In realtà la “muta-zione” deve essere intesa con riferimentoalla dimensione con cui l’esperienza cultu-rale interviene nella concretezza della con-dizione umana “mutandola”. Ambiguamen-te però il termine viene usato con riferimentoalla natura umana, quasi che essa si fossemodificata ontologicamente. In realtà, pen-

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sare a una sua mutazione evolutiva, in tem-pi così brevi rispetto anche ai milioni di annidell’evoluzione umana, sarebbe comunqueuna sciocchezza. Il dato significativo è piut-tosto l’estrema plasticità culturale della no-stra natura, il fatto che l’umanizzazione èinseparabile dalla vita dentro una culturastorica. Ma questo è un altro discorso.L’esperienza virtuale sembra eliminare lasolitudine, fornendo un illusorio senso didialogo e di compagnia, dialogo che però igiovani soggetti non sembrano più capacidi sperimentare in presenza fisica. La vir-tualità spalanca mondi lontani e scavalca,almeno apparentemente, ogni difficoltà d’or-dine materiale che si dovrebbe affrontarenel quotidiano. Questi elementi ci pongonodi fronte a generazioni infantili che hannostili cognitivi e dinamismi emozionali appa-rentemente diversi da quelli delle genera-zioni precedenti, e quindi, presumibilmente,anche bisogni educativi diversi da quelli pernoi più facilmente intuibili (pur in una co-mune condizione umana universale). Inten-do dire che, ad esempio, si incontrano bam-bini incapaci di organizzarsi spontaneamen-te in un gioco sociale (situazione un tempoosservabile solo in bambini gravementetraumatizzati o socialmente molto svantag-giati); la concentrazione dell’attenzione e losviluppo linguistico appaiono molto ridottenella maggior parte degli adolescenti (perevidente difetto di addestramento e di eser-cizio). Ma soprattutto sembrano mancare (otardare a svilupparsi) alcune strutture del-l’apparato dell’Io, essenziali per la socialitàmatura, ma costitutive anche della religio-sità. Intendo riferirmi alla “costanza ogget-tuale”, cioè la percezione di una realtà ester-

na all’Io e ad esso non riducibile, che si ri-ferisce alla materialità del mondo, al suosenso, e alla divinità; alla relazione origi-naria Io/Tu, che genera la percezione del-l’altro come Soggetto, e che attraverso lacatena di relazioni, dal “primo altro” mater-no all’ultimo Altro divino, accompagna letappe della maturazione adulta fino alla finedella vita. Entrambi questi elementi sonoapparentemente “cancellati” dal dilagantenarcisismo dell’Io, perduto e imprigionatoin un gioco di specchi in cui non può in-contrare neppure se stesso8.E c’è ancora un elemento essenziale checonfluisce nella sparizione dell’idea di edu-cazione, ed è la progressiva riduzione del-l’esperienza (e della pratica) religiosa nellegenerazioni adulte: non sto dicendo che dalmomento che è sparita l’idea di educazionenon educhiamo più alla religiosità. Sto di-cendo che, al contrario, nella misura in cuinon siamo più religiosi non riusciamo a per-cepire la necessità dell’educazione e la re-sponsabilità comune verso di essa.In questo quadro, che cosa può significareper noi oggi “rinnovare” l’iniziazione cri-stiana? Quel momento che tradizionalmentesi faceva coincidere con la prima sommini-strazione dei sacramenti dell’Eucaristia e del-la Cresima, con il pregresso percorso cate-chistico presso la parrocchia (nella mia in-fanzia si chiamava “la dottrina”), era in re-altà preparato da un’esperienza vitale e so-ciale di tipo religioso più o meno consape-vole. Per molti bambini, la prima esperienzadella comunione era indiretta: in braccio alpadre o alla madre che vi si accostavano. Lapreghiera cominciava con gesti infantili, di-ventava abituale, insieme alle narrazioni del-

8 Si tratta di categorie di lettura psicanalitiche che non posso sviluppare in questa sede. Cfr. M. T. MOSCATO,Psiche e anima fra psicanalisi e pedagogia, “Orientamenti Pedagogici”, 55, n. 1 (325), gennaio-febbraio 2008,pp. 23-38; ID, Le teorie psicanalitiche e la loro antropologia implicita: una rilettura pedagogica, “OrientamentiPedagogici”, vol. 55, n. 3 (327), maggio-giugno 2008, pp. 413-434.

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le storie della Bibbia, molto tempo prima chenella fantasia mitizzante del bambino siaprisse un tarlo di consapevolezza. C’eranoi matrimoni e i funerali, i battesimi e le co-munioni dei fratelli e dei cugini, e tutte questecerimonie avvenivano in quella grande casacomune (spesso un po’ oscura e inquietante,per la verità) che i grandi chiamavano “chie-sa”. In chiesa si incontrava di fatto (e spet-tegolava sempre un po’) una comunità so-ciale di riferimento. Il bambino alle sogliedella preadolescenza desiderava ricevere isacramenti prima di tutto per essere simileai suoi fratelli maggiori, cugini, compagni discuola, per avere la “sua” festosa cerimonia.Con i compagni di catechismo, e poi di azionecattolica, e comunque di gruppi parrocchialigiovanili, si potevano costruire amicizie nonmeno forti di quelle sorte fra i banchi di scuo-la. Non che questo fosse – naturalmente -un mondo perfetto. Da sempre, nell’espe-rienza umana, solo la grazia divina ha ga-rantito la possibilità dell’incontro con Dio aciascuno di noi. Per di più, quando una re-ligione diventa l’anima inseparabile di un si-stema culturale e sociale storico (e questo ècertamente avvenuto alla fede cristiana nel-l’arco di due millenni), esiste il rischio cheanche la dimensione religiosa in senso pro-prio e più profondo si confonda con ideologie,convinzioni sociali e stili di vita. La pressionedi conformità sociale può attenuare la reli-giosità personale autentica: nessuno si ponepiù il problema di Dio dove tutti danno perscontato che si tratti di un problema risoltoe che il volto divino sia pienamente posse-duto da una comunità storica. Evidentemen-te, nessuno si pone più il problema di Dioanche dove la società circostante lo consideridefinitivamente risolto dalla certezza (scien-tifica) della sua impossibilità…Perciò, per quanto il mondo imperfetto incui è cresciuta la mia generazione fosse

spesso caratterizzato da una grande ipocrisiamoralistica, le opportunità di essere intro-dotti e sollecitati all’esperienza di Dio, attra-verso l’incontro con adulti testimoni, eranoper noi oggettivamente maggiori. Anchel’istruzione religiosa a scuola, dall’infanziaall’adolescenza, era per molti occasione didomande, di contestazioni, di conflitto, e ri-proponeva sempre il problema di Dio, dellasua esistenza e della sua immagine. Vorreiricordare che la coscienza religiosa si spa-lanca nella sua dimensione abissale soloquando la persona si pone realmente alcunedomande essenziali (la religiosità non nascemai da verità socialmente scontate, le do-mande inquiete degli adolescenti sono la no-stra maggiore garanzia). Ma è vero che untestimone adulto (più che un maestro) fasorgere domande, più di quanto non forniscarisposte.Vorrei insistere sulla forza educativa del te-stimone adulto: è sempre un “volto umano”che media il Volto divino nella sua persona,ed è anche il suggeritore, l’orientatore della“direzione dello sguardo”. Nella nota figuradantesca del sorriso di Beatrice e dell’ascesadi Dante al paradiso, guardando negli occhidi lei quel sole verso cui egli non può rivol-gere direttamente lo sguardo (metafora teo-logica e pedagogica), si evidenzia come ilproblema non sia “che cosa dice” l’adulto,ma piuttosto, e soprattutto, “dove guarda”l’adulto.Oggi riceviamo molto spesso, in parrocchiaper la catechesi, bambini le cui famiglie nonpraticano alcuna religione, e non hanno for-nito alcuna istruzione religiosa neppur mi-nima: né una preghiera elementare, né unastoria biblica o una parabola, né un segnodi croce. Sono figli di adulti che forse non“guardano” neppure verso i propri figli. Èstraordinario quindi (e perfino un po’ miste-rioso) che ce li affidino. Forse – come mi ha

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spiegato con sufficienza una giovane madreistruita e “aperta” – “perché il bambino nondeve sentirsi diverso rispetto ai suoi com-pagni”. Insomma, tanto preoccupati di nonprecludergli alcuna opportunità da mandarloperfino alla catechesi di una religione cheessi hanno personalmente abbandonato…Quali bisogni educativi hanno i bambini del-la nuova generazione? Forse, proprio perchéhanno già “tutto”, hanno bisogno di un altro“tutto”: capacità di gioco sociale, di creativitànon tecnologizzata, di corporeità intelligentee armonica, di realismo, di significato, disenso etico, di contenimento esteriore perimparare a contenersi. Per quest’opera im-mane, oggi noi possiamo solo sensibilizzarela generazione giovane, renderla capace dipensarsi con una responsabilità educativain tutti gli ambiti in cui incontrerà bambinie adolescenti. Per primi i giovani catechistie animatori parrocchiali devono essere ri-chiamati ad una più profonda comprensionedei loro effettivi percorsi educativi e dei loropresumibili bisogni personali. La compren-sione e conoscenza di sé permane infatti lavia maestra per la comprensione della per-sonale umanità dell’altro.Bisognerebbe che ogni bambino che accedeal catechismo in parrocchia percepisse di avereincontrato lì una nuova “casa comune”, unacomunità concreta di appartenenza possibile,di adulti e di giovani e di adolescenti, unospazio educativo che gli si offre con disponi-bilità reale. Oggi a una parrocchia urbana puòessere chiesta di fatto la stessa vocazione mis-sionaria di uno sperduto avamposto nel de-serto “dove la Parola non è pronunciata”. Eparadossalmente l’educazione, che è la piùbasilare forma di “promozione umana”, di-venta il primo oggetto di missione.Naturalmente i discorsi metodologici e stra-tegici necessari sono infiniti e tutti da svi-luppare, e qui non vi stiamo neppure accen-

nando. Ma il primo punto, il punto d’inizioper noi, è un rovesciamento di prospettiva:si tratta di fatto di operare e rinnovare unasorta di “primo annuncio”, di prima evan-gelizzazione, sia pure in un mondo culturaleapparentemente segnato da due millenni dicristianesimo. In realtà la Buona Novella èda riconquistare per ogni nuova generazio-ne, ma queste ultime sembrano particolar-mente ignare, dimentiche, sfiduciate. Incontrando nuove generazioni abbandona-te di fatto a se stesse, rispetto al mondo delsignificato e del valore, la più elementaredelle catechesi religiose può offrire un sup-porto educativo essenziale per soggetti tantogiovani. Bisogna formare i catechisti conuna nuova attenzione pedagogica, segnalaread essi gli effettivi bisogni educativi che ibambini potrebbero presentare. Ai catechisti,o aspiranti tali, vorrei affidare una sola brevemeditazione pedagogica, che attiene al temadella fiducia, come esempio di quei discorsispecificamente pedagogici tutti da sviluppare.Secondo gli psicanalisti, quella forza orien-tata iniziale, che possiamo chiamare “fidu-cia”, si genererebbe fin dal primo anno divita dall’incontro con figure materne rassi-curanti, che assolvono funzioni di “mater-nage” materiale, ma che soprattutto susci-tano la fiducia e ne permettono il radica-mento. Questo meccanismo arcaico nellosviluppo dell’Io assume un’importanza fon-damentale perché la possibilità di avere/ darefiducia ad un altro è la condizione per darefiducia a se stessi. In tutte le situazioni disofferenza dell’Io nel corso dell’età evolutiva(dall’insuccesso scolastico alla socialità ina-deguata, e fino alle condotte devianti) si os-serva sempre un radicale difetto di fiduciadi base in se stessi, da cui una diffidenzageneralizzata nei confronti degli altri, da cuiil soggetto si difende con forme di controlloaggressivo (oppure con forme di isolamento

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radicale falsamente autosufficiente). Peda-gogicamente parlando, è essenziale com-prendere che l’interazione continua fra la fi-ducia in sé e quella negli altri genera unasorta di circolo vizioso, per il quale chi nonsi fida di sé non può fidarsi dell’altro, e chinon si fida di nessuno non può fidarsi di sestesso. Nelle relazioni che si instaurano coni bambini in un ambiente educativo, e amaggior motivo quando i bambini hannogià sperimentato dei vissuti di perdita e di“fiducia tradita”, l’educatore deve compren-dere che solo ottenendo fiducia per l’adultosi potranno accompagnare i bambini a ritro-vare fiducia in se stessi. La sfiducia noncaratterizza solo i bambini provenienti dazone di guerra o di recente immigrazione:oggi la crisi di fiducia basica può emergerevistosamente in un bambino solo perché isuoi genitori si sono separati, ed egli si senteabbandonato e tradito da uno di loro, o peg-gio da entrambi. Appaiono sfiduciati bambiniche sentono “lontani” genitori presenti, matroppo impegnati, e che non hanno mostratofiducia nei figli; o ancora, per quanto possasembrare paradossale, sono privi di fiduciabasica bambini iper-protetti, viziati, e forte-mente controllati da genitori eccessivamenteansiosi e possessivi. L’esperienza attuale deigiovani animatori nelle attività estive comeil GREST attesta sempre più condizioni similia quelle appena descritte.La fiducia è la condizione indispensabile per-ché il processo di sviluppo dell’Io reintegrile tappe evolutive precedenti che fossero an-cora lacunose. Per avviare il lavoro educa-tivo è necessario che il bambino accetti po-sitivamente l’ambiente (scuola, oratorio, ca-techismo, attività estive e sportive ) comeluogo di realizzazione e di protezione della

sua stessa condizione infantile; questo nonpuò accadere senza una certa fiducia delbambino nell’adulto che incontra in questoambiente, una fiducia che gli permetta unalmeno provvisorio affidamento a un taleadulto per affrontare compiti faticosi e diffi-cili, e sostenere il rischio dell’insuccesso per-sonale di fronte a contenuti e abilità deiquali non si conosce bene l’utilizzazione fu-tura, ma soprattutto per le quali non si sadi essere potenzialmente capaci: mi riferisconon soltanto ad abilità/conoscenze di tipogenericamente scolastico (la catechesi è inquesto senso anche un intervento didattico),ma anche ad abilità di gioco a corpo libero,ad attività sportive a squadra, al nuoto9, alledrammatizzazioni, e in genere a tutte le at-tività proposte da educatori e animatori neicentri diurni e/o estivi, nelle parrocchie enegli oratori. Purtroppo, come abbiamo già detto, la ca-pacità di “fidarsi” di un altro è inseparabiledalla fiducia in se stessi, come fondamentaleorientamento dell’Io, determinato dalle pri-missime esperienze infantili. Erikson ha di-mostrato che lo sviluppo positivo della fidu-cia basica determina in realtà una forza (una“virtù” dell’Io) che può meglio essere chia-mata “speranza”, cioè la capacità di mante-nere la fiducia, nelle persone e negli avve-nimenti, pur sapendo che il bene potrebbenon avverarsi. In effetti è la speranza lavera grande e insostituibile forza dell’Io, cheaccompagnerà tutto il corso della vita finoalla vecchiaia avanzata, e permetterà al-l’adulto di accogliere e sostenere la vita dialtri. Tuttavia non c’è dubbio che la genesidella speranza come virtù personale sia de-terminata dall’instaurarsi della fiducia di ba-se. Quando la capacità di aver fiducia non

9 Il nuoto, e il rapporto con l’acqua in genere, sono particolarmente importanti per sviluppare la fiducia nel sécorporeo, e la paura invincibile dell’acqua è indicativa di molte lacune nello sviluppo dell’Io infantile.

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è stata sostenuta in termini sufficienti dal-l’ambiente familiare di provenienza degli al-lievi, l’insegnante e l’educatore non po-tranno ottenere fiducia a loro volta, se nonstimolando in parallelo la fiducia dell’allievoin se stesso. Di norma un certo grado di“speranza” può essere indotto dagli educa-tori nell’allievo attraverso il supporto di unafiducia indimostrata nelle sue possibilità fu-ture; si fornisce così una provvisoria imma-gine di sé in termini progettuali, che poi vie-ne lentamente sostituita da espressioni distima e di riconoscimento oggettivo dei pro-gressi realizzati, quando il bambino cominciaa migliorare effettivamente le proprie pre-stazioni o le proprie condotte. Ciò vale pertutti gli ambiti di esperienza infantile. C’è un sottinteso, in questo discorso: fede,speranza e carità sono tre virtù teologali,ma le stesse parole (fiducia, speranza, amo-re) indicano anche delle forze psichicheorientate, delle “virtù” umane che costitui-scono il substrato materiale, che sottostannoad analoghe energie spirituali, ma forse èmeglio dire che esse “liberano” tali energiespirituali. E queste forze psichiche sono ge-nerate nel processo educativo. Vale a direche, nella costruzione dell’identità personale,la fiducia di base e la speranza (come energiepsichiche) costituiscono un buon substratoanche per la fede religiosa, che sottintendela capacità di “fidarsi” di Dio, ma anche di“fidarsi” dei testimoni privilegiati, della tra-

dizione della cultura e dell’esperienza dellegenerazioni passate. Ci vuole, viceversa, un lungo cammino dimaturazione personale perché sia la fede inDio divenuta adulta a permettere una calmafiducia piena di speranza in se stessi, neglialtri e nella vita… (ma per fortuna accadeanche questo). Lo scopo del lavoro catechetico e di ogniistruzione ed educazione religiosa è che ognifiglio di Dio, generato dal Suo pensiero crea-tore, possa “conoscere il Padre e Colui che ilPadre ha mandato”; in altri termini, che ognicreatura umana sia aiutata e sostenuta nelsuo personale incontro con Dio. Se l’evan-gelizzazione promuove umanità, la promo-zione dell’umano favorisce la conversione.Anche se può sembrare strano ritornare aparlare di “promozione umana”, nel terzomillennio, in un mondo sazio e annoiato,sempre in cerca di emozioni (e di miracoli),ma allo stesso tempo chiuso in un cinismodiffidente, apparentemente impermeabile aqualsiasi annuncio. “In un’età che avanzaall’indietro progressivamente”10, l’Annunzio,che rivela continuamente il Volto di Dio e ilvolto dell’uomo, costituisce un’impresa im-mane sempre da ricominciare… Perciò Eliotfa dire alla Chiesa, personificata nei suoi ver-si: “Non cercate di contare le onde future delTempo/ Ma siate paghi di avere luce a suf-ficienza/ per trovare un appoggio al piedeper fare il prossimo passo”.

10 T. S. ELIOT, Cori da “La Rocca”, X

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Senza l’ambizione di offrire facili formule ri-solutive, il mio intento è di proporre un ri-pensamento in chiave catechetica di quellarealtà teologica che “inserisce in Cristo” che“innesta in Lui”. Realtà che dal Concilio Va-ticano II si è denominata con l’espressione“Iniziazione Cristiana” (IC), espressione che,negli ultimi decenni, oltre alla connotazioneteologica si è caricata di un’accezione psi-copedagogica includendo anche il camminoformativo verso la piena incorporazione almistero pasquale mediante i sacramenti.1

Questa “dilatazione semantica”2 ha avuto ilsuo ‘incipit’ all’interno del dibattito concilia-re. L’allora card. K. Wojtyla suggerì di attri-buire all’espressione iniziazione cristianaun senso pastorale e pedagogico, senso re-clamato dalle difficoltà e urgenze di un con-testo sempre più scristianizzato. Sacramenti e pedagogia in dialogo e in ar-monica integrazione dunque nel processo diIniziazione Cristiana che, oltre a presentarsicome “luogo pastorale”, è “luogo antropo-logico”: dove la comunità credente attua laprossimità, vive e condivide la dinamica delcredere, e celebra la fede; è anche “luogoeducativo”: un tempo privilegiato di educa-zione cristiana che richiede interventi di di-verse figure di adulti:

• il catechista/accompagnatore/testimone • la comunità (genitori, nonni, animatori,

Movimenti, Associazioni) • i sacramenti e i riti, visti non solo o non

tanto come mete (iniziazione ai sacramen-ti), ma anche come mediazioni (iniziazioneattraverso i sacramenti). Prospettive chenon si escludono ma che dentro il contestodi IC possono includersi. L’IC infatti è unarealtà ampia e complessa la cui realizza-zione comporta diversi aspetti di fronte aiquali, a mio parere, la questione dei sa-cramenti da dare insieme o dilazionati nonè oggi la questione fondamentale.

IC come struttura/itinerario, dispositivo for-mativo, dunque, per quella fascia giovanilein età evolutiva, dai 6/7-13/14 anni in par-ticolare, grazie al quale la Chiesa generanuovi cristiani e vive la dinamica della co-municazione/educazione della fede.

1. Il catecumenato come paradigmaeducativo per l’IC.Le motivazioni della scelta

A fronte della situazione di generale insta-bilità e di emergenza educativa, il Consiglio

QUESTIONE EDUCATIVA E RINNOVAMENTODELL’INIZIAZIONE CRISTIANAPER LE NUOVE GENERAZIONISr. Cettina Cacciato, Docente di metodologia catechetica

della Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium” di Roma

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1 Faccio notare che il Concilio Vaticano II quando mette in evidenza la realtà teologica dell’IC usa altre espressioni:“inserimento in Cristo”, “conformi a Cristo”, “innestati a lui”, “rigenerati”. L’espressione ‘iniziazione’ comprendein sé il processo formativo del catecumenato.2 Cfr. LANZA Sergio, Quali linguaggi in ASSOCIAZIONE PROFESSORI DI LITURGIA (APL), Iniziazione cristiana degliadulti oggi. Atti della XXVI settimana di studi dell’APL, Seiano di Vico Equense (NA), 31 agosto-5 settembre1997, Roma CLV-Edizioni Liturgiche 1998, 199.

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 3

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Permanente della CEI rilancia l’impegno edu-cativo della Chiesa (educazione alla fede)recuperando il concetto di catecumenato3 co-me elemento fondamentale della stessa Ini-ziazione Cristiana e come «servizio cateche-tico»4 ossia partecipazione allo sviluppo del-la comunità ecclesiale e luogo di azione edu-cativa ai valori cristiani.

Il recupero dello spirito e della logica del ca-tecumenato antico oltre ad essere espressionedella funzione materna della Chiesa, è unamodalità di ricezione delle indicazioni delConcilio Vaticano II che scelse la logica cate-cumenale come modello per l’attivazione diuna forma e struttura educativa di IniziazioneCristiana (cfr. Lumen Gentium n. 14). Unaeducazione globale della persona, che si de-clina in esperienze/conoscenze, è scandita datappe celebrative e da incontri con la comu-nità e con i valori e le tradizioni che essavive. Il Decreto Ad Gentes al n. 14 così pre-senta il catecumenato: «lungi dall’essere unasemplice esposizione di verità dogmatiche edi norme morali, costituisce una vera scuolapreparatoria, debitamente estesa nel tempo,alla vita cristiana, in cui i discepoli vengonoin contatto con Cristo, loro Maestro».

Il riferimento al paradigma catecumenale in-tende dunque aiutare a superare la prassiche riduce l’IC dei ragazzi alla sola istruzionein vista della celebrazione dei sacramenti.Una prassi di indubbio valore in contesto dicristianità o per adulti già iniziati. Adesso sitratta di fare lo sforzo di ricomprendere l’IC

come luogo e tempo di apprendimento ini-ziale e graduale di vita cristiana in tutte lesue dimensioni, come è stato ribadito ancheal IV Convegno ecclesiale di Verona: un in-vestimento educativo capace di rinnovaregli itinerari formativi, per renderli più adat-ti al tempo presente e significativi per lavita delle persone, con una nuova atten-zione per gli adulti. La formazione dev’es-sere in grado di dare significato alle espe-rienze quotidiane, interpretando la doman-da di senso che alberga nella coscienza dimolti.5

Ciò significa, per il nostro contesto, che di-nanzi all’impegno di generare nuovi cristiani(attualmente realizzato con itinerari di ICche appaiono prevalentemente un’istruzionedottrinale e un’azione educativa che coin-volge il singolo catechista), siamo sollecitatia studiare e proporre esperienze di appren-distato di vita cristiana, coinvolgendo mag-giormente la famiglia e la comunità, diversefigure di adulti che vivono e propongonochiara vita evangelica, quindi santa.

Di fronte alla responsabilità di iniziare e dieducare cristianamente la nuova generazio-ne è ancora il Concilio ad offrire l’orizzonteultimo e dunque un orientamento di marcia.Cito dalla Gaudium et Spes n. 31 «Innanzi-tutto l’educazione dei giovani di qualsiasiorigine sociale, deve essere impostata in mo-do da suscitare uomini e donne, non tantoraffinati intellettualmente quanto piuttostodi forte personalità, come è richiesto forte-mente dal nostro tempo». E

3 Cfr. Gli Orientamenti emersi dai lavori della XLV Assemblea Generale: Educare i giovani alla fede (1998), letre note sull’Iniziazione Cristiana (1997, 1999, 2003); la Guida per l’itinerario catecumenale dei ragazzi(2001).4 FLORISTAN CASIANO, Il Catecumenato, Alba, Edizioni Paoline 1974, 13.5 «Rigenerati per una speranza viva» (1Pt 1,3): testimoni del grande «sì» di Dio all’uomo. Nota pastoraledell’Episcopato italiano dopo il IV Convegno ecclesiale nazionale, n. 17. Processo avviato dal Progetto catechisticoItaliano.

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La prospettiva catechetica rileva che il Con-cilio, senza escludere la fides quae, incentrail compito globale della catechesi sulla lineadella fides qua: maturazione di personalitàdi fede cristiana. Compito declinato su treimpegni: l’annuncio, l’educazione della per-sonalità cristiana (la risposta di fede), la for-mazione permanente. Il Documento Base, IlRinnovamento della catechesi, recependoqueste istanze conciliari6 ha tradotto i compitidella catechesi nei seguenti termini: educarealla mentalità di fede (cfr. RdC nn. 36-38,III cap: «Educare al pensiero di Cristo, a ve-dere la storia come Lui, a giudicare la vitacome Lui…») e integrare fede-vita (cfr. RdCnn. 52-55). Questi aspetti sono ripresi anchedal Direttorio Generale per la Catechesi (DGC1997) che anche amplia l’identità della ca-techesi non identificandola a insegnamento,7

oggi incapace da solo di educare a una nuovaimpostazione di vita.8 Così come l’azioneeducativa della Chiesa, sua peculiarità per-manente, non può essere isolata dal contestoculturale e sociale attuale ma in dialogo conl’impegno educativo della società promuo-vendo alleanza per l’educazione.9

2. Verso dove?

Il movimento catechistico italiano del postConcilio nel Rinnovamento della Catechesi(RdC) ci ha aiutati a superare il nozionismodella catechesi: la catechesi è un’azione ec-clesiale ampia e articolata che va oltre il

semplice apprendimento di alcune formule.La Rivelazione è incontro di persone; l‘iso-lamento della catechesi: per troppo tempo èrimasta chiusa in sé, lontana dal considerarei meccanismi più fondamentali dell’appren-dimento e la gradualità dei processi di ade-sione alla fede verso comportamenti conse-guenti. L’educazione alla fede è, infatti, unpercorso caratterizzato ed esigente, che ri-chiede competenze specifiche ed esperienzadi fede; l’insignificanza della catechesi,spesso percepita come estranea ai problemidella vita, e senza una profonda integrazionecon il mondo interiore e culturale delle per-sone, mondo da interpretare e rinnovare allaluce della Parola di Dio, della Tradizione edel Magistero; l’individualismo di una ca-techesi che vede negli eventi sacramentaliun fatto privato di famiglia e non della co-munità cristiana. Movimento complesso che,forse, non è pienamente recepito e valoriz-zato nei suoi elementi di promozione umana,di iniziazione ed educazione alla fede.Da quanto va lentamente maturando, si puòintravedere una graduale realizzazione diciò che è affermato dal Direttorio Generaleper la Catechesi (DGC) circa la catechesi diIC.10 Il DGC favorisce il passaggio da unaconcezione di catechesi nozionistica e di solaistruzione religiosa a quella più pregnantedi proclamazione della Parola e narrazionedella storia della salvezza così da dare sensoal vissuto personale e aiutare a fare della fe-de un nucleo, anzi, il nucleo significativodell’esistenza11 …e questo per aiutare le

6 Cfr. COMMISSIONE ePISCOPALE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, L’ANNUNCIO E LA CATECHESI - CEI, Seminario sul 40° delDocumento Base “Il Rinnovamento della catechesi”, Roma, 14-15 aprile 2010.7 Cfr. DGC nn, 30, 67, 84s.8 Cfr. SORAVITO, Il Progetto Catechistico italiano e i catechismi dell’Iniziazione Cristiana riletti alla luce dellenuove intuizioni emerse dalle ultime Assemblee dei Vescovi, in Orientamenti Pastorali 53 (2005) 5/6, 56-74;L. MEDDI, Il DB: 40 anni di orientamenti per la catechesi, in Settimana, 45(2010)9, 1.16.9 Introduzione, in COMITATO PER IL PROGETTO CULTURALE DELLA CEI, La sfida educativa, Bari, Laterza 2009, 3.10 Rimando alle considerazioni presenti nel DGC nn. 676-692. 11 Cfr. DGC n. 67; CT n. 21. «…Il ministero della parola, non solo ricorda la rivelazione delle opere mirabili

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persone a leggere la storia come storia disalvezza, dove Dio opera oggi e dove l’uomoè chiamato a collaborare da protagonista.Senza tale impostazione, la catechesi ri-schia di ridursi alla sola funzione trasmis-siva della fede e di non svolgere una fun-zione generativa della fede della comunità.12

Non presento qui le varie forme di organiz-zazione dell’impianto globale di IC,13 moltedelle quali ricalcano sostanzialmente le in-dicazioni della Guida per l’itinerario cate-cumenale.14 Tuttavia è possibile mettere inrilievo alcune costanti che fanno da elementidi innovazione nelle sperimentazioni in attoin Italia: • maggiore coinvolgimento delle famiglie (a

diversi livelli e modalità) e maggiore vi-sibilità della comunità, delle varie realtàpastorali presenti (aspetti entrambi esigitidalla logica catecumenale);

• catechesi condotta da catechisti/accompa-gnatori/educatori credibili perché credenti,più in sintonia tra loro e con la sensibilitàculturale contemporanea, e in dialogo in-terattivo con le nuove generazioni;

• una IC dei fanciulli-ragazzi in rete con lapastorale giovanile

2.1. …verso una IC che:– sia contesto di vita cristiana, dove la pro-

clamazione della Parola di Dio e delle ve-rità di fede gettano nuova luce sulle si-tuazioni vissute dal gruppo, dove tradi-zione e novità si raccordano senza esclu-dersi, attraverso un dialogo intergenera-zionale fecondo e all’interno di quello cheabbiamo voluto considerare come dispo-sitivo educativo: l’Iniziazione Cristiana;15

– faccia riferimento alla “pedagogia del fareesperienza”, a forme di apprendimentoesperienziale e

– alla “pedagogia dell’accompagnamento”a scoprire ed esperire una realtà cristianaed ecclesiale in tutta la sua ricchezza;16

– valorizza la “pedagogia della narrazione”quale forma di dialogo/comunicazione frale nuove generazioni e quelle del passato17

– e la pedagogia del gioco.In altre parole, il contenuto dell’iniziazionedei fanciulli-ragazzi è l’esercizio della vitacristiana.

compiute da Dio nel passato..., ma interpreta anche, alla luce di questa rivelazione, la vita umana del nostrotempo, i segni dei tempi e le realtà di questo mondo, in quanto in essi si attua il progetto di Dio per la salvezzadell'uomo», in DGC n. 108. 12 COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, L’ANNUNCIO E LA CATECHESI, Annuncio e catechesi per la vitacristiana. Lettera alle comunità, ai presbiteri e ai catechisti nel quarantesimo del Documento base Il rinno-vamento della catechesi, 4 aprile 2010, n. 15; cfr. anche L. MEDDI, Catechesi in Italia. Il già e non ancora inOrientamenti Pastorali 49 (2001) 2, 25-33.13 Pur rimanendo prevalente l’attenzione ai ragazzi nel periodo che va dai 7/8 ai 12 anni, si vanno affermandoproposte più ampie che curano la formazione religiosa delle famiglie sia nel tempo precedente il battesimo degliinfanti, sia il periodo seguente, almeno nell’arco dei primi tre anni di vita del bambino. Tali proposte sono anchecorredate da sussidi.. 14 Cfr. SERVIZIO NAZIONALE PER IL CATECUMENATO, Guida per l’itinerario catecumenale dei ragazzi, Leumann (TO)Elledici 2001. 15 Tentativo in tale direzione è, come già detto, l’impianto di IC proposto dalla Guida per l’itinerario catecumenaledei ragazzi che nasce come adattamento delle indicazioni del RICA, in particolare del cap. V. 16 La Comunità parrocchiale diviene il luogo in cui i ragazzi vengono a contatto con fatti, persone, valori capacidi aprirli ad orizzonti che vanno oltre la loro esperienza.17 Narrare, oltre a rendere noto alla nuova generazione il patrimonio culturale e valoriale, coinvolge nella par-tecipazione, motiva e stimola all’identificazione con i personaggi delle varie situazioni, cfr. MOSCATO M. T., Nar-razioni e processo educativo: ipotesi di lavoro, in CALIDONI P. (a cura di), Ricerca pedagogica: panorami e ma-teriali, Brescia, La Scuola 2001, 55-72.

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IC come tirocinio globale di vita cristiana,dove l’annuncio della storia della salvezza(il fatto biblico), la Tradizione e il Magisteroilluminano e risignificano la crescita del fan-ciullo-ragazzo nella sua globalità, e dove lacelebrazione dei sacramenti conclude ed ini-zia alla vita cristiana stessa.IC come luogo di apprendistato dove si in-tegrano armoniosamente, la dimensione ca-techistica, la dimensione liturgico-sacramen-tale e la vita di carità,18 e dove è presa sulserio la vita del ragazzo alla luce di una fon-data teologia dell’infanzia. Nella pratica catechetica, la catechesi, tuttociò significa andare oltre una catechesi cheaccoglie l’esperienza a livello strumentale(cioè come rievocazione da cui partire perspiegare il messaggio della fede)19 verso lavita del gruppo catechistico (d’IC) come uncontenuto della catechesi.20

Va certamente incrementata la riflessionecritica in merito. Alla Catechetica il laborioso

compito21 in fecondo dialogo interdisciplina-re con le altre scienze.22

2.1. …verso una IC come luogo di so-cializzazione “per” l’educazione cri-stiana23

Nella recente Lettera alle comunità n. 14(4 aprile 2010), l’IC è stata riconosciuta co-me «espressione di una comunità che educacon tutta la sua vita e manifesta la sua azio-ne dentro una concreta esperienza di eccle-sialità...»; ne è stata anche precisata la suanatura (cfr. 2a Nota, 1999).24 Vorrei qui met-tere a fuoco la meta dell’IC dei fanciulli-ra-gazzi sia in relazione alla questione educa-tiva, sia al cammino di maturità cristiana,ossia la formazione di uomini e donne chenella libertà s’impegnano a costruire se stessie il proprio progetto di vita, e le scelte fon-damentali, attorno alla relazione con il Diodi Gesù Cristo.25

18 È quanto afferma la seconda nota sull’Iniziazione cristiana dei fanciulli e ragazzi, n. 19. 19 Cfr. L. MEDDI, Insieme ai catechismi e oltre il catechismo, in Settimana, 43 (2008)11-12, 2. 20 Cfr. J. GEVAERT, La dimensione esperienziale della catechesi, Leumann (TO), Elledici 1984.21 Di conseguenza, riflettere sulle esperienze di apprendimento della fede e sui processi che lo favoriscono èspecifico compito della scienza Catechetica: «elaborare modelli di mediazione didattica che costituiscano un’in-terfaccia tra teoria e prassi e verifichino se e in che modo principi teologici e pedagogici possano tradursi inprocessi di apprendimento, cosicché le azioni pratiche di catechesi (programmazione, modalità di strutturazionedell’incontro, scelta dei metodi ecc.) non avvengano in modo casuale ma in coerenza con la visione teologicae pedagogica di riferimento», in F. FELIZIANI KANNHEISER, Tracciare le strade. Modelli didattici per una valoriz-zazione del rapporto esperienza-Parola nella catechesi, in ASSOCIAZIONE ITALIANA CATECHETI (AICa) - A. ROMANO

(a cura di), Guidati dalla Parola nei luoghi della vita, pp. 57-74; cfr. anche S. CURRÒ, Catechesi, sensodell’umano e Parola di Dio. La prospettiva antropologica, in A. ROMANO (a cura di), Guidati dalla Parola neiluoghi della vita, pp. 171-185.22 Cfr. i Convegni annuali dell’Associazione Italiana Catecheti (AICa), di cui segnalo, tra i vari testi: L. MEDDI (acura di), Diventare cristiani. La catechesi come percorso formativo, Napoli, Luciano Editore 2002.23 Cfr. C. CACCIATO INSILLA, L’Iniziazione Cristiana in Italia. Dal Concilio Vaticano II ad oggi. Prospettiva peda-gogico-catechetica, Roma, LAS 2009, 177-191.24 «Processo globale attraverso il quale si diventa cristiani. Si tratta di un cammino diffuso nel tempo e scanditodall’ascolto della Parola, dalla celebrazione e dalla testimonianza dei discepoli del Signore attraverso cui ilcredente compie un apprendistato globale della vita cristiana e si impegna a una scelta di fede e a vivere comefigli di Dio, ed è assimilato, con il battesimo, la confermazione e l’eucaristia, al mistero pasquale di Cristo nellaChiesa», in CONSIGLIO EPISCOPALE PERMANENTE – REI, L’iniziazione cristiana 2. Orientamenti per l’iniziazione deifanciulli e dei ragazzi dal 7 ai 14 anni, n. 6. La citazione è ripresa dalla Nota per l’accoglienza del Catechismoper l’iniziazione alla vita cristiana.25 Cfr. RdC n. 124; UCN ( a cura di), La catechesi e il catechismo degli adulti. Orientamenti e proposte perl’accoglienza e l’utilizzazione del catechismo “La verità vi farà liberi”, n. 8.

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Una attenta valutazione della situazione at-tuale in Italia mette in evidenza che permolti ragazzi il tempo dell’IC in parrocchiaè la prima esperienza di apprendimento si-stematico della vita e del Credo cristiano. Gliobiettivi attualmente raggiunti sembranopermanere infatti nella sfera della socializ-zazione religiosa e di prima evangelizzazio-ne. Dentro questo quadro di riferimento èimportante puntualizzare il perno operativoattorno a cui sviluppare il processo cate-chistico, in particolare: offrire la gramma-tica di base per imparare a comunicarecol divino.26 Anche la 2a nota per l’IC al n.24 ribadisce che l’obiettivo dell’IC è dareinizio all’incontro, al dialogo e alla vita conCristo. I ragazzi, “guidati e rafforzati dalloSpirito” sono mossi ad aprirsi al mistero, astabilire con Lui una relazione interperso-nale che coinvolge tutta la persona. Il cri-stianesimo, ce lo ricordiamo, «[il cristiano]non è tale per la conoscenza di una dottrinae di una storia o per la dedizione a unacausa, ma per l’affezione a una persona»,27

al Signore Gesù, a Maria SS.ma, al Papa ealla Chiesa. È lo stesso Signore che ce lodice: «se qualcuno mi ama... osserverà…»(Gv 14, 15). I nostri fanciulli-ragazzi hanno l’opportu-nità, vivendo il tempo dell’IC, di ascoltarela parola autorevole di Gesù, una parolache raggiunge l’orecchio e il cuore, che di-

venta significativa per la vita,28 che sostie-ne la fede di chi sceglie di credere e chedomanda ascolto del cuore e conversionecontinua, che apre alla speranza e alla gioiadi vivere. Ma, diversamente dagli adulti ai quali è ri-chiesta una radicale scelta di conversione,il processo di IC delle nuove generazioni vafondato sull’educazione, cioè sulla lineadell’agire graduale e progressivo, costantenell’accompagnare all’acquisizione di unamentalità di fede e alla capacità di dialogocritico con la cultura.

A fronte di alcuni aspetti enfatizzati dallasocietà attuale, quella della competizione an-ziché della solidarietà, della priorità dell’in-teresse privato su quello pubblico e dell’ac-cumulazione anziché della condivisione,29

quella del relativismo rispetto ad una pos-sibile verità, il tempo dell’IC potrebbe costi-tuire una preziosa opportunità per far ma-turare nelle nuove generazioni atteggiamentie stili di vita diversi, alternativi. Un tempoche aiuti a vivere (sperimentare) una logicaesistenziale diversa, quella che nasce dal-l’antropologia della condivisione e della fra-ternità secondo la proposta autorevole diGesù. All’antropologia dell’homo oeconomi-cus e dell’antifraternità, viene contrappostal’antropologia dell’uomo nuovo,30 l’uomonuovo Gesù,31 la cui parola destava mera-

26 Cfr. L. BRESSAN, Iniziazione Cristiana e Parrocchia. Strumenti per il lavoro pastorale, Àncora, Milano 2002;S. GIUSTI, Una pastorale per l’Iniziazione Cristiana dei ragazzi dai 6 ai 14 anni, Figlie di San Paolo, Roma1997.27 Cfr. C. CAFARRA, La scelta educativa nella Chiesa di Bologna. Documento base, EDB 2008, p. 16.28 Cfr. S. CURRÒ, La questione ermeneutica e il suo significato per l’educazione alla fede, in P. ZUPPA (a curadi), La catechesi eco della Parola e interprete di speranza, Roma, Urbaniana University Press 2007, pp. 13-27.29 Cfr. Editoriale, Un nuovo modello di uomo interpella la Chiesa. Fede cristiana e realtà italiana, in La CiviltàCattolica 153(2002) II, p. 5.30 Cfr. Gaudium et spes, 41: «chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo».31 «Tutta l’enciclica Caritas in Veritate di Benedetto XVI sembra rivalutare l’antropologia relazionale considerandol’uomo nuovo come un essere spirituale di natura relazionale, che vive in pienezza la propria essenza nel

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viglia negli ascoltatori che rimanevano af-fascinati non dal suo sapere enciclopedico,né dalla scrupolosa sottomissione alla tra-dizione dei padri, bensì dalla libertà e origi-nalità del suo annuncio, dalla parola di veritàche arrivava direttamente al cuore e lo ri-scaldava.32

Ciò significa che l’attenzione educativa delcatechista oltre a richiedere la conoscenzadei dinamismi della personalità, delle dimen-sioni emotive ed affettive che incidono nelprocesso di maturazione religiosa del fan-ciullo-ragazzo,33 con il quale creare una sanae significativa relazione interpersonale, ri-chiede anche la conoscenza delle conse-guenze derivanti dall’affermarsi delle mo-derne antropologie. Solo chi ha esperienzadi vita condivisa con i ragazzi, sa come essiragionano e come agiscono, a cosa ambi-scono.34 Ma sa anche dialogare in manieracostruttiva e propositiva, sa comunicare conamorevole autorevolezza ed uscire dal con-testo dell’incontro settimanale di catechesicontinuando la relazione in forma interattivaattraverso sms, mail, e altre modalità comu-nicative in modo da far comprendere ai ra-

gazzi che si interessa di loro, che li ha acuore, che vuole loro bene. San G. Bosco ri-peteva spesso che non basta voler bene airagazzi, ma è necessario che i ragazzi sap-piano di essere amati; l’educazione è cosadel cuore e segue la logica del paradosso:amare e rimproverare, esserci e ritirarsi...proporre ed esigere.

Una risposta all’attuale sfida educativa po-trebbe consistere nel proporre attività edesperienze35 di qualità36 e nell’aiutare a leg-gerle e a condividere insieme le emozioni,le consapevolezze maturate, la comprensio-ne della Parola di Dio, l’immagine e l’ideadi Chiesa. La già citata Lettera alle comunitàal n. 17 in proposito esorta: i «catechistioltre a narrare e spiegare il messaggio cri-stiano (traditio), devono preoccuparsi di for-nire a ciascuno gli strumenti espressivi, per-ché possano riesprimere con la vita e la pa-rola ciò che hanno ricevuto (redditio). Unacomunicazione che si esaurisse nel solo pro-cesso di trasmissione produrrebbe cristiani‘infanti’, che ‘non parlano’, ‘muti e invisibili’e alla fine perderebbe ogni rilevanza nellavita delle persone».37

momento in cui riesce a fondare la propria esistenza personale e sociale sull’amore, sul dono, sulla gratuità,sulla reciprocità», in M. SPÓLNIK, Per una nuova sintesi umanistica. Approccio antropologico alla ‘Caritas inVeritate’, in Rivista di Scienze dell’Educazione 48(2010)1, 46-64.32 «...È proprio in questa linea che la così detta ‘scelta antropologica’ del Documento Base mostra non solo unagrande attenzione all’umano, ma anche una dimensione a carattere dottrinale, debitrice della riflessione delConcilio Vaticano II», in M. CROCIATA, Saluto ai partecipanti al Seminario sul 40° del Documento Base.33 Cfr. M. L. MAZZARELLO, Catechesi dei fanciulli: prospettive educative, Leumann (TO), Elledici 1986.34 Cfr. Sintesi del 10° Rapporto Nazionale sulla Condizione dell'Infanzia e dell'Adolescenza, 17 novembre 2009,in /www.eurispes.it/. I ragazzi vengono alla catechesi con molti dubbi, distrazioni, approssimazioni, altri inte-ressi… Ma ciò non deve scoraggiarci; dobbiamo aiutarli a credere non imponendo ma aiutandoli a riflettere sullaloro vita con le parole stesse di Gesù. In ciò è facilitato il catechista che pensa, che continuamente cerca laverità, che non si sente un arrivato. 35 La Guida per l’itinerario catecumenale di IC dei ragazzi, alla pag. 52 parla di momenti catechistici, momenticelebrativi, momenti di gioco, convivenze ecc.36 Esistono diversi movimenti ecclesiali che intrecciano alla specificità del percorso e della prassi pedagogica,l’esperienza della S. Scrittura: lo Scoutismo Cattolico, l’Azione Cattolica, Diocesi che predispongono laboratoribiblici per bambini e fanciulli. La Diocesi di Brescia ha riconosciuto il Progetto formativo dell’ACR legittimandonegli itinerari di IC all’interno delle Parrocchie. 37 COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, L’ANNUNCIO E LA CATECHESI, Annuncio e catechesi per la vitacristiana, n. 17.

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Intuiamo chiaramente che per una rispostasignificativa alle sfide lanciate alla catechesie all’IC, si ha bisogno di catechisti produttoridi senso e di vita cristiana. Accanto al nuovoparadigma catecumenale dell’IC si esige an-che un nuovo paradigma di catechista, ditestimone che scommette lui per primo sullaforza ‘incandescente’ della Parola (mons. D.Pompili) e che vive l’impegnativo camminodi fede, le fatiche del credere... e dell’edu-care. Sono convinta che le comunità eccle-siali del futuro dovranno investire sull’edu-cazione ma in un’ottica di relazione e diprossimità.

Attualmente sono in fase di studio le caratteristichedelle persone nate dopo la metà degli anni ’90 ecresciute con l’influsso delle tecnologie digitali. Mol-ti di questi soggetti adesso hanno l’età di 9/10-11/14 anni, l’età di frequentazione dell’IC. È rico-nosciuto dagli studiosi che le nuove tecnologie han-no modificato i circuiti neurali nel cervello umanoe hanno innescato un processo evolutivo del tuttonuovo e per molti versi sconosciuto. È possibile,tuttavia, delineare qualche tratto caratteristico diquesti soggetti, uno dei quali è così presentato daDario Viganò: «È una generazione istintivamenteabituata a mettere in comune le esperienze, a con-frontarsi in modo diretto, a darsi consigli e a dia-logare simultaneamente…».38 Il fatto che tenden-zialmente questi ragazzi siano aperti alla comuni-cazione di esperienze, al dialogo è un rilievo chepotrebbe essere considerato come una provviden-ziale opportunità di fronte all’istanza mossa dallarecente Lettera ai catechisti, n. 17.

2.2. I compiti di una catechesi a ser-vizio dell’IC dei ragazzi

Alla luce della realtà dei fanciulli-ragazzi,dei principi pedagogici e delle indicazioni of-ferte dal DGC (cfr. nn. 178-181) ricapitolobrevemente le caratteristiche della catechesidi IC rivolta a fanciulli, preadolescenti ed

adolescenti. Distinzione di età che lo stessoDGC utilizza apprezzando e valorizzando irisultati della ricerca scientifica sui dati re-lativi alle condizioni di vita delle nuove ge-nerazioni nei diversi Paesi. - sistematica e semplice. È acquisita da tem-po la convinzione di superare forme di ca-techesi occasionale e improvvisata (pro-grammazione), ma non va dimenticato chela sistematicità, a questa età, è di natura ini-ziale: la ‘nuova generazione’ che stiamoconsiderando ha debole metodicità e capa-cità di analisi; ha un’attenzione continuatafragile e un interesse oggettivo immediato.«La catechesi deve essere centrata sull’es-senziale e, al tempo stesso, popolare, fattadi gesti e di parole semplici, capace di toccarei cuori» (Catechesi Tradendae n. 4);– una catechesi attenta ai dinamismi della

personalità e alla loro incidenza nel cam-mino di maturazione della vita di fede(promozione umana/educazione alla fedein linea con il principio dell’incarnazio-ne);

– impegnata a ricostruire un immaginarioreligioso, biblico ed evangelico in partico-lare, con la narrazione degli eventi prin-cipali della storia della salvezza e dellaparola di Gesù;

– una catechesi cristocentrica (cristocentri-smo affettivo - si vedano i Catechismi CEIper la vita cristiana);

– una catechesi interattiva nella comunica-zione e nella relazione. Che lascia spazioa domande e a interessi esistenziali;

– una catechesi a contatto con i fatti, conla vita. L’ambiente familiare, parrocchiale,scolastico, televisivo, di gruppo dei coe-tanei sono da considerarsi come ‘mezzi eoccasioni d’insegnamento’ (dell’esperien-za che si vive o si vede vivere: spiegare,

38 E. VIGANO, Testimoni digitali nei cortili dei gentili, in Settimana 45(2010)12/13, 5.

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Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

La questione educativa nell’iniziazione cristiana 49

analizzare, chiarire, scoprirne il senso allaluce della Parola di Dio, del Magistero edella Tradizione);

– una catechesi che tiene in considerazioneil bisogno dei fanciulli-ragazzi di agire eveder agire per comprendere, per espri-mere il proprio pensiero e dargli valore;

– una catechesi di IC parrocchiale ma conaccentuato legame con la famiglia a motivodella significativa incidenza affettiva che ilvissuto familiare ha sui fanciulli-ragazzi.Per questo la catechesi dovrà anche cercaredi ri-creare il clima familiare di accoglienza,confidenza, di benevolenza e rispetto cer-cando di coinvolgere i genitori;

– una catechesi che avvia al senso di inte-riorità, che aiuta a passare da una fedespontanea o per imitazione, alla fede peratteggiamento personale;

- una catechesi che si affida e confida nel-l’azione interiore dello Spirito Santo.

3. Verso una IC dei fanciulli-ragazzidentro la «pastoraledell’educazione» della Comunità ein rete con la pastorale giovanile

L’Episcopato italiano ci orienta a guardareal processo globale di IC e alla sua qualità

formativa, alla sua contestualizzazione inuna comunità di fede. Una comunità (poverao ricca che sia) purché impegnata a orga-nizzare, secondo le proprie risorse, una pa-storale di evangelizzazione39 e di educazio-ne.40 Indicazioni che aiutano a far uscire lacatechesi dal suo stato d’isolamento, di scol-legamento dalle altre realtà pastorali dellaparrocchia (dai gruppi associativi, dall’ora-torio e anche dalla pastorale giovanile).41

La 2a Nota sull’IC caldeggia ad applicare l’iti-nerario catecumenale ai ragazzi, battezzatie non, e a predisporre dei cammini educativicapaci di favorire un’esperienza di fede glo-bale; cammini che hanno il sapore di uno“stuzzicante” “tirocinio di vita cristiana”, diun “apprendistato” in cui si intrecciano gli“ingredienti”42 di fondo di una formazionecristiana completa: Parola di Dio-catechesi(di iniziazione);43 preghiera-liturgia; visionecristiana dell’esistenza, conoscenza e parte-cipazione alla vita della comunità. Compren-dete bene che diventa opportuno rivederegli “ingredienti” dell’IC dei ragazzi, e preve-dere la presenza di figure che siano presenzesignificative, disponibili a condividere tempidi vita e a camminare accanto ai ragazzi,con simpatia e pazienza come di fatto staaccadendo in diverse parti. È una via chevalorizza una modalità formativa ‘attraver-

39 Qui per evangelizzazione si intende un processo la cui dinamica, come esprime il decreto Ad gentes, è datada: testimonianza, dialogo e carità (cfr. nn. 11-12); annuncio del Vangelo e chiamata alla conversione (cfr. n.13); catecumenato e Iniziazione Cristiana (cfr. n. 14); formazione della comunità cristiana per mezzo deisacramenti e dei ministeri (cfr. nn. 15-16). Idea ripresa e ribadita anche del DGC al n. 48, dove si aggiungonoprimo annuncio, catechesi che inizia alla fede e i sacramenti dell’iniziazione, l’educazione (catechesi) permanente,la missione.40 Cfr. CONGREGAZIONE PER IL CLERO; Direttorio Generale per la catechesi (DGC), Città del Vaticano, Libreria EditriceVaticana 1997, n. 278.41 Sono indicazioni espresse anche negli orientamenti pastorali Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia,29.VI.2001; nella nota Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, 30.V.2004; e nelle treNote per l’IC.42 Le parole virgolettate sono tratte da un Progetto Diocesano di IC.43 Ricordo che il decreto Quam singolari di Pio X (1910) non esige una piena e perfetta conoscenza della dottrinacristiana per accedere alla confessione e comunione. Il fanciullo dovrà gradatamente in seguito imparare meglioil ‘catechismo’ nella sua integrità.

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so e ai sacramenti’ e una visione realisticadi Chiesa-comunità di credenti nel SignoreGesù.

Diverse Diocesi e Parrocchie hanno assuntoe adattato al proprio contesto la “traduzionepastorale ad experimentum” della 2a Nota,cioè la Guida per l’itinerario catecumenaledei ragazzi44 scoprendone le ampie oppor-tunità di graduale coinvolgimento e colla-borazione degli adulti/genitori45 e la possi-bilità di far convergere le varie iniziative dieducazione alla fede nella celebrazione eu-caristica domenicale. Aspetti già auspicati

dal DGC al cap. IV, dove si parla della cate-chesi nella pastorale dell’educazione:

Il coordinamento educativo si pone fonda-mentalmente in relazione ai bambini, aifanciulli, agli adolescenti e ai giovani. Con-viene che la Chiesa particolare integri inun unico progetto di Pastorale educativa idiversi settori e ambienti che sono al ser-vizio dell’educazione cristiana della gio-ventù. Tutti questi luoghi si completano re-ciprocamente, mentre nessuno di essi, as-sunto separatamente, può realizzare la to-talità dell’educazione cristiana.

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Cari Amici,volentieri ho accettato l’invito a parlare diGesù educatore della fede nel Convegnopromosso dall’Ufficio Catechistico Nazio-nale. È un contesto che mi sa di casa, es-sendo stato per undici anni io stesso Diret-tore dell’Ufficio Catechistico della miaDiocesi.

1. La passione educativa è fedeltàalla vita

Vorrei sottolineare subito che la passioneeducativa di Gesù è evidente. Egli ha pienaconsapevolezza che tutti coloro che incontrahanno un bisogno urgente non solo di sal-vezza fisica, ma, ben più radicalmente, diun orientamento interiore: «vedendo le follene sentì compassione, perché erano stanchee sfinite come pecore che non hanno pa-store» (Mt 9,36). Si potrebbe dire – mi siperdoni l’anacronismo – che egli visse in uncontesto di “emergenza educativa”.Il riferimento al pastore evoca tutto il ric-chissimo retroterra veterotestamentario ma,insieme, rimanda alla meravigliosa realtà del“bel pastore”, che è il Signore stesso. L’uomoche Gesù incontrò – ma anche l’uomo diogni tempo – cerca l’acqua della vita, cercail bene, la speranza, il senso delle cose, il si-gnificato della vita stessa. Gesù constata inquelle folle un desiderio presente, reale, chenon trova risposta.

Ed egli, il Signore, ama il suo popolo. Lapassione educativa che Gesù mostra in ognisuo incontro non può essere compresa altri-menti che a partire dal suo amore, dal suoamore per la vita, per la vita di tutti gli uo-mini. Ognuno è per lui importante, il giudeoe la siro-fenicia, gli apostoli che lo seguonoe gli scribi che lo avversano, Andrea il primodei chiamati e Paolo l’ultimo che vede il ri-sorto, i peccatori e la Madre sua, gli inde-moniati ed i sani, le donne che lo servonocon i loro beni ed i poveri, i samaritani ed igreci, il ladrone che sta per morire ed i bam-bini che egli pone al centro.Comprendiamo subito dal vangelo che ogniatto educativo non può avere altra sorgenteche l’amore. La Chiesa, scegliendo di riflet-tere sul compito dell’educazione, non ha altramotivazione che l’amore per la vita che haappreso dal suo Signore1. Si educa, perchési ritiene la vita dell’altro meritevole di at-tenzione, di cura, perché la si ritiene preziosa,più preziosa addirittura della propria.In questo senso, la passione educativa nonè diversa dall’amore con la quale un uomo euna donna accolgono una nuova vita cheviene concepita. La catechesi e la scuola –unitamente a tutti gli altri educatori ed allasocietà intera – si trovano naturalmente acollaborare con la famiglia, proprio perchécondividono con lei l’amore per la vita.Il consenso che si è spontaneamente creatonel nostro Paese sul tema dell’educazione –si potrebbero citare numerosi interventi della

GESÙ EDUCATORE DELLA FEDECard. Angelo Bagnasco, Arcivescovo Metropolita di Genova

Presidente della Conferenza Episcopale Italiana

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1 In maniera molto efficace lo sottolinea il Documento di base con la famosa espressione: «Fedeltà a Dio e fedeltàall’uomo: non si tratta di due preoccupazioni diverse, bensì di un unico atteggiamento spirituale» (DB 160).

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stampa laica, così come di esponenti delmondo della scuola e della società civile –non deve essere sottovalutato: la riscopertadei fondamenti di una buona educazione èun anelito di tanti, dentro e fuori la Chiesa2.Le famiglie dichiarano di aver spesso smar-rito i necessari punti di riferimento educativi,la scuola di aver talvolta perso il coraggio discommettere sulla passione e la qualità del-l’educazione, i catechisti di essere a voltescoraggiati: tutti avvertono, però, l’esigenzadi un rinnovato impegno per l’amore cheportano alla vita delle nuove generazioni.In particolare, permettetemi di ricordare oggiche i catechisti, di cui voi siete i responsabilinelle diverse diocesi, sono un’importante te-stimonianza dell’amore che la Chiesa ha perla vita. È tramite il loro servizio che i genitoricomprendono di non essere abbandonatidalla Chiesa quando si trovano a misurarsicon la crescita dei loro figli, bensì essi tro-vano al loro fianco tutto il Popolo di Dio cheli sostiene nella loro missione. Voi conoscetebene per esperienza come non sia oggi facileper una famiglia orientarsi nella crescita deifigli. Vorrei sottolineare che noi siamo pre-occupati, giustamente, del tenue legame chepuò esistere fra le famiglie e la Chiesa, madobbiamo imparare ad essere ancor più pre-occupati del legame stesso dei genitori con iloro figli. Le famiglie, spesso silenziosamentecome ai tempi di Gesù, domandano oggi unsostegno educativo, desiderano maturare

punti di riferimento per non scoraggiarsi nellaloro missione e per non essere travolte dallamentalità corrente.In questo senso, il decennio che si apre sultema dell’educazione non vuole dimenticarel’importanza della catechesi degli adulti.Anzi, vuole sottolineare precisamente cheuna delle responsabilità più importanti degliadulti - genitori, docenti, catechisti, l’insiemedella società civile - è precisamente quella ditrasmettere la vita, la cultura, i valori, la fedeche abbiamo ricevuto in dono.

2. La passione educativa di Gesùradica nella relazione con Dioe fra gli uomini

Ma come Gesù educa alla fede? Possiamorispondere che Egli educa reintegrandol’uomo nelle sue relazioni significative, re-stituendolo alla comunione con Dio e con ifratelli.Innanzitutto la relazione con Dio. È evidentein ogni pagina del Vangelo, ma possiamoapprofondirla a partire da una sola afferma-zione del Signore: «In verità io vi dico: senon vi convertirete e non diventerete come ibambini non entrerete nel regno dei cieli»(Mt 18,3). L’invito a diventare come bambini non ri-guarda i “piccoli” che già lo sono3, ma

2 Non è forse esagerato riconoscere in questo consenso dell’intera società uno di quei segni dei tempi di cui parlail Concilio in Gaudium et spes 4.3 Anche se queste parole hanno segnato poi la storia della catechesi e dell’educazione in genere. Questo porreal centro i “piccoli” ha generato, infatti, nei secoli una nuova visione delle prime età della vita, considerate ormaidotate di una grande dignità propria e non solo finalizzate alle età successive, ma ha anche fatto comprendereil desiderio del Signore che il suo vangelo fosse proposto fin dalla più tenera età. Lo ricorda in un passaggiomolto bello il Documento di Base 134: «Ogni età dell’uomo ha il suo proprio significato in se stessa e la suapropria funzione per il raggiungimento della maturità [...] Errori o inadempienze, verificatesi a una certa età,hanno talora conseguenze molto rilevanti per la personalità dell’uomo e del cristiano. Così pure una sana edu-cazione umana e cristiana consente a ciascuno di vivere sempre come figlio di Dio [...] Pertanto in ogni arco dietà i cristiani devono potersi accostare a tutto il messaggio rivelato, secondo forme e prospettive appropriate».

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l’uomo in quanto tale. Lo ha sottolineato inmaniera estremamente efficace J. Jeremias,affermando: «‘diventare di nuovo bambino’significa imparare a dire di nuovo Abbâ»4.L’essere bambini di cui parla Gesù non haniente a che fare con un infantilismo di ma-niera e sdolcinato, bensì è un invito alla fedenel Padre. Gesù annuncia così che la maturità umananon consiste in una chiusura della personain se stessa e nel proprio mondo, ma nel-l’apertura al dialogo con Dio. La catechesi,come prolungamento vivente dell’opera diGesù, ha precisamente il compito di servirequesta relazione dell’uomo con Dio: essa esi-ste in vista della fede5. La chiesa propone la fede alle nuove gene-razioni perché senza di essa verrebbe a man-care loro quella relazione vitale con Dio. Lefamiglie, talvolta anche solo inconsciamente,sanno bene che il Vangelo è per i ragazzi unancora di salvezza. Che la comunione conCristo e con la Chiesa non solo li tiene lontanida modelli di comportamento distruttivi e, avolte, autodistruttivi, ma soprattutto li aprealla speranza ed alla passione per la vita.Proprio la riflessione pedagogica moderna,fra l’altro, tende a porre in luce che la di-mensione religiosa è intrinseca al bambinostesso e non è mai semplicemente ricondu-cibile a fattori dipendenti dall’ambiente fa-miliare. Un bambino comprende e desideral’amore di Dio anche se la paternità che ha

effettivamente conosciuto fra le mura dome-stiche è stata tutt’altro che esemplare. L’assoluta rilevanza della relazione con Dio,che è al cuore dell’esperienza umana, divieneancora più chiara se ci si sofferma per unistante a dipingere il suo opposto. La tradi-zione cristiana, nella Commedia dantesca,ha rappresentato il Maligno come un essereconficcato nel ghiaccio: egli – vuole dire ilsommo poeta – è colui che ha smesso diamare, ha liberamente ed eternamente rifiu-tato la relazione con Dio e, parimenti, hapreso in odio ogni uomo, al punto che nonvi è alcuno che egli ami. Per lui la relazionenon esiste più, l’ha rifiutata per sempre e,per questo, egli non ha più calore, è gelido.Gesù, al contrario, spalanca le porte dellarelazione con Dio, invita a riconoscere cheproprio nel rapporto con il Padre sta la bel-lezza e la dignità della vita umana: credere,riconoscendo il Padre, vuol dire entrare nelregno.Emerge qui anche tutta la rilevanza dellaquestione antropologica. L’educazione dellafede proposta da Gesù segnala in manierasplendida la differenza qualitativa che esistetra l’uomo ed ogni altro essere vivente. Solol’uomo, a differenza degli animali, è capacedi questa relazione con Dio, solo la personaè capace di spiritualità. Nessun animale pos-siede la libertà di bestemmiare Dio o di ado-rarlo, di ringraziarlo per i suoi doni o di di-menticarlo. Trascurare la dimensione della

4 J. Jeremias, Teologia del Nuovo Testamento, I, La predicazione di Gesù, Brescia, 1972, p. 182. Vi fa riferimentoanche l’allora cardinal J. Ratzinger, Il Dio di Gesù Cristo, Brescia, 2005, p. 78.5 Lo ricordava Benedetto XVI nell’incontro con i vescovi della Svizzera il 7 novembre 2006: «la fede deve ve-ramente avere la priorità. Due generazioni fa, essa poteva forse essere ancora presupposta come una cosanaturale: si cresceva nella fede; essa, in qualche modo, era semplicemente presente come una parte della vitae non doveva essere cercata in modo particolare. Aveva bisogno di essere plasmata ed approfondita, apparivaperò come una cosa ovvia. Oggi appare naturale il contrario, che cioè in fondo non è possibile credere, che difatto Dio è assente». In quel contesto ricordava le parole di Gesù ripetute più volte nei vangeli “la tua fede tiha salvato”, sottolineando come senza la fede in Lui si avrebbe «l’inizio di una specie di “giustificazione mediantele opere”: l’uomo giustifica se stesso e il mondo in cui svolge quello che sembra chiaramente necessario, mamanca la luce interiore e l’anima di tutto».

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fede in ambito educativo vuol dire, quindi,ferire la stessa dignità dell’uomo. Promuo-verla vuol dire, invece, esaltare la dignitàdell’uomo: l'educazione della fede, infatti,non è un elemento accessorio rispetto all'in-tero processo educativo, ma vi appartiene didiritto con un ruolo centralissimo. Ecco nuo-vamente, da un altro punto di vista, il grandevalore della catechesi, come pure, a livelli econ forme diverse, dell’insegnamento dellareligione nella scuola che presenta in modoorganico il “fatto” religioso e cattolico cosìcome si è configurato nella storia e nella no-stra cultura La seconda relazione costitutiva cui Gesù ri-manda educando alla fede è quella degli uo-mini fra di loro. Nel duplice comandamentodell’amore egli sintetizza il cuore di ogni vita.Nell’amore del prossimo appare nuovamentecome la relazione non sia qualcosa di opzio-nale ed accessorio, bensì sia costitutiva del-l’uomo stesso. L’io, per comprendersi, devedomandarsi da chi è amato e per chi, a suavolta, egli vive.Questa cura delle relazioni è l’ulteriore tesorodell’educazione alla fede. Le giovani gene-razioni sono invitate dalla catechesi a rifug-gire dall’individualismo, perché esso è lamorte della loro stessa vita. La catechesi lechiama pian piano all’amore, alla relazione,alla responsabilità. Il comandamento del-l’amore pone nella giusta luce anche il valoredella coscienza, voce di Dio nel cuore del-l’uomo: essa, infatti, esige l’impegno nelbene. Gesù con la sua voce la desta sempredi nuovo, educandola a riconoscere che nonesiste un lecito disinteresse quando è in po-tere dell’uomo fare il bene.È importante, per comprendere la perma-nente responsabilità dell’uomo verso il suo

simile, non dimenticare mai la visione an-tropologica proposta dal Concilio Vaticano IIe, in particolare, dalla Gaudium et spes: seda un lato vi si afferma la natura storicadell’uomo, d’altro canto, con altrettantaforza, si sottolinea che l’uomo non muta neisuoi desideri più profondi e nelle domandepiù grandi che lo attanagliano, ma resta lostesso attraverso il susseguirsi delle genera-zioni6. È per questo che mai si potrà spe-gnere in lui l’anelito a Dio, la ricerca dellaverità, la necessità di imparare ad amare.Educare alla fede vuol dire così cogliere glisnodi culturali sempre nuovi emergenti inogni epoca, ma insieme, saper cogliere anchequei desideri profondi e immutabili che con-traddistinguono ogni uomo e che fanno sìche egli sia in grado di capire Dante a sette-cento anni di distanza e, molto di più, di co-noscere e amare Cristo, sentendo ardere ilproprio cuore alla lettura del suo Vangelo,anche se questa dovesse avvenire sineglossa.

3. Gesù è l’“autore della fede”

Quanto si è fin qui detto non sarebbe asso-lutamente sufficiente se non ci si soffermassea cogliere il peculiare valore della Sua per-sona.La fede, infatti, propriamente, nasce conGesù e solo con Lui. Egli educa a credere,poiché precisamente la fede è fede in “Lui”.Lo afferma con forza l’autore della Letteraagli Ebrei, quando dice che Gesù «è coluiche dà origine alla fede e la porta a compi-mento» (Eb 12,2). I due verbi insieme for-mano un’endiadi molto forte: Gesù dà originealla fede – cioè egli propriamente la fonda,

6 Gaudium et spes 10: «La chiesa afferma che al di sotto di tutti i mutamenti ci sono molte cose che noncambiano; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli»

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la fa nascere - ed, insieme, la porta a perfe-zione con il sacrificio della croce e la resur-rezione, poiché «la Legge non ha portatonulla alla perfezione» (Eb 7,19). La fede esi-steva certamente già nell’antica alleanza, maera in attesa della grazia di Cristo.La Lettera agli Ebrei esprime con precisa sin-tesi teologica ciò che i Vangeli raccontanoestesamente7. Dal battesimo al Giordano finoalla sua morte e resurrezione, Gesù educa isuoi discepoli alla fede. In un densissimopassaggio, nel quale Gesù esprime tutta lasua gioia ed esultanza, dichiara: «Tutto èstato dato a me dal Padre mio e nessuno sachi è il Figlio se non il Padre e né chi è il Pa-dre se non il Figlio e colui al quale il Figliovorrà rivelarlo» (Lc 10,22). È questa l’asso-luta novità della fede cristiana: certo Dio ri-mane sempre trascendente, ma ora Egli èveramente rivelato a noi dal suo Figlio. La fede non può nascere e svilupparsi sem-plicemente come auto-maturazione o auto-formazione dell’uomo: è in Cristo che vieneofferta e donata all’uomo. Non è sufficientela libertà per raggiungere la fede, anzi è piut-tosto l’incontro con la fede a generare la li-bertà, come dice il Signore: «Conoscerete laverità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,32). La dipendenza della libertà dal dono che laprecede deve essere posta nuovamente inrisalto se si vuole che cresca una nuova pas-sione educativa. Non vi è vera educazione,né vera libertà, senza un dono che le pre-ceda. Benedetto XVI non ha paura di utiliz-zare per questo dono che precede la libertà ela fonda il termine “autorità”.Recentemente anzi, rivolgendosi all’Assem-blea della CEI, ha ricordato che proprio nella

maturazione delle relazioni più importantil’uomo ha bisogno dell’“autorità”: «[Unadelle radici profonde dell’attuale emergenzaeducativa la vedo] in un falso concetto diautonomia dell’uomo: l’uomo dovrebbe svi-lupparsi solo da se stesso, senza imposizionida parte di altri, i quali potrebbero assistereil suo autosviluppo, ma non entrare in questosviluppo. In realtà, è essenziale per la per-sona umana il fatto che diventa se stessasolo dall’altro, l’“io” diventa se stesso solodal “tu” e dal “voi”, è creato per il dialogo,per la comunione sincronica e diacronica. Esolo l’incontro con il “tu” e con il “noi” aprel’“io” a se stesso. Perciò la cosiddetta edu-cazione antiautoritaria non è educazione, marinuncia all’educazione»8. Queste affermazioni ricordano giustamenteche il rapporto educativo è caratterizzato dauna asimmetria, anche se questo nulla toglieal fatto che sia una vera relazione di amore,poiché a coloro che sono più maturi spetta ilcompito di donare ciò che i piccoli, da soli,non potrebbero raggiungere. Gesù offre ori-ginariamente la vita per l’uomo, perchél’uomo diventi capace di portare la propriacroce. E ciò che è vero per la fede, tocca tra-sversalmente ogni ambito educativo. Sipensi innanzitutto al semplicissimo fatto chei genitori sono gli stessi auctores dei lorofigli. Essi sono autorevoli presso la loro di-scendenza, poiché senza i genitori essa ne-anche esisterebbero. Inoltre essi non li hannosemplicemente generati, ma sono all’originedella loro maturazione, avendoli accompa-gnati nella loro crescita. Se essi rinunciasseroad insegnare ai loro piccoli non solo il bene,il rispetto, la responsabilità, la fede, ma an-

7 Non si deve mai dimenticare, infatti, che il Nuovo Testamento – come del resto già l’Antico – esprime la stessafede ora con il linguaggio della professione di fede, ora con inni, ora con la narrazione storica e che questidiverse forme sono tutte necessarie.8 Dal discorso di Benedetto XVI nel corso dell’udienza all’Assemblea Generale della CEI del 27/5/2010.

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che la stessa lingua con tutti i riferimenticulturali connessi, i loro bambini non si svi-lupperebbero.Si pensi similmente ai docenti in ambito sco-lastico. Essi, attraverso anni di studio, di-vengono appassionati e competenti di lette-ratura o scienza fino ad essere in grado difar amare alle nuove generazioni Dante eLeopardi o Newton e Galilei. Agirebbero noncorrettamente se pretendessero dagli studentiuna passione per quelle materie previa alloro insegnamento.Ogni rapporto educativo, insomma, implicauna generazione. Questo fatto è espressodalla stessa etimologia del vocabolo “auto-rità”, derivante dal latino augere, far cre-scere. L’auctoritas è così ben diversa dallapotestas, dal potere, poiché non si imponedall’esterno con la forza, ma si manifestanella capacità di generare vita. La societàitaliana nel suo insieme ha bisogno di fi-gure autorevoli di genitori, di docenti, dicatechisti, di laici, capaci di porsi comepunti di riferimento nel difficile compitoeducativo. È palpabile l’attesa di personepreparate ed appassionate che svolganocon grande senso di responsabilità la loromissione.Tutto questo illumina in maniera sempliceed, insieme, sorprendente anche la cate-chesi. Anch’essa non può, infatti, presup-porre la fede, ma il suo compito precipuo èproporla e formare ad essa. Non deve spa-ventare che il confine tra primo annuncio ecatechesi dell’iniziazione cristiana sia oggicosì labile, poiché la fede non nasce sempli-cemente dall’uomo come uno sviluppo na-turale, ma è risposta alla parola ed all’azionedi Dio.Come i discepoli sono educati alla fede daGesù - è lui che insegna “con autorità”, è luiche intima ai demoni di allontanarsi facen-dosi obbedire da essi, è lui che chiama i di-

scepoli a seguirlo facendoli entrare alla suasequela, è lui che “cammina avanti agli altri”impauriti quando si tratta di recarsi a Geru-salemme, è lui che nell’ultima cena offre ilsuo corpo ed il suo sangue, è lui che spalancale braccia sulla croce, è lui che, primogenitofra i fratelli, risorge dai morti – così la cate-chesi è chiamata ad accompagnare la fede,ma, più profondamente a generarla, soprat-tutto attraverso il cammino dell’iniziazionecristiana.Mi permetto di ricordare qui la mia espe-rienza di direttore dell’Ufficio catechisticodiocesano: quante volte ho sperimentatoche ragazzi e genitori che si presentavanoper il cammino dell’iniziazione cristiana conmotivazioni molto povere, dopo aver in-contrato la bellezza della proposta cristianadivenivano capaci di una vera e matura vitadi fede, che sarebbe stata impensabile perloro senza l’incontro con la comunità cri-stiana.

4. Fede e fiducia, Logos e Agape

Nell’illuminare il modo con cui Gesù educaalla fede la tradizione cristiana ha coltonell’unico atto di fede, come ben sapete, dueaspetti complementari che si illuminano re-ciprocamente la fides qua creditur e la fidesquae creditur. Le due espressioni risalgonoa Sant’Agostino che dice: «Una cosa è ciòche si crede, altra cosa la fede con cui sicrede (aliud sunt ea quae creduntur, aliudfides qua creduntur). [...] Quando Cristodice: O donna, grande è la tua fede, ed adun altro: Uomo di poca fede, perché hai du-bitato? esprime con questo che ciascuno hauna fede che gli è propria. Ma si dice checoloro che credono le stesse cose hanno unasola fede, allo stesso modo che coloro che

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vogliono le stesse cose hanno una sola vo-lontà»9.Evocare questi termini ben conosciuti nelparlare di Gesù educatore della fede ha ilsenso di rifiutarne l’opposizione e mostrarne,nel contesto attuale, l’intima relazione comechiave per pensare al futuro cammino dellacatechesi. È, infatti, nel rapporto di Gesù con i suoi di-scepoli che appare il nesso indissolubile diqueste due dimensioni della fede. Essi, daun lato, hanno fiducia nel Maestro, lo se-guono e lo amano anche se non riescono acapirlo ed, anzi, hanno paura talvolta di chie-dere spiegazioni. La loro sequela è intera-mente dipendente dalla fede che hanno inLui, Egli cammina dinanzi a loro ed essi Loseguono.D’altro canto, matura progressivamente inloro non una fede cieca, bensì una fede checomprende il “mistero” della sua persona edella sua missione. Il vangelo di Marco ri-corda che solo dopo l’esplicita professione diPietro a Cesarea di Filippo, Gesù cominciòad annunziare ai suoi la croce che lo atten-deva a Gerusalemme e la resurrezione.Paolo condensa le due espressioni in unafrase densissima della Seconda Lettera a Ti-moteo: «so in chi ho posto la mia fede esono convinto che egli è capace di custodirefino a quel giorno ciò che mi è stato affidato»(2 Tm 1,12). È nel contesto del martirioprossimo che la relazione tra la conoscenzadi Dio e la fiducia in Lui diviene ancora piùevidente. Paolo può prepararsi alla morteperché si abbandona totalmente in Cristo esa che egli è fedele.Una formula sintetica, utilizzata costante-mente nel magistero di Papa Benedetto XVIper descrivere la rivelazione divina, può es-

sere accostata alla riflessione che ci provienedalla tradizione sulla fides qua e sulla fidesquae, permettendo di valorizzarla ulterior-mente nel contesto attuale: Dio è insiemeLogos ed Agape – afferma il papa. BenedettoXVI, riprendendo i due termini dalla rivela-zione biblica, li utilizza splendidamente perevidenziare che Dio è sapienza – ed ama es-sere conosciuto – ed insieme, rivelandosi, simanifesta come amore.La verità della rivelazione, infatti, non èun’arida presentazione teorica, bensì è lamanifestazione dell’amore che unisce il Padreal Figlio ed allo Spirito Santo ed è l’amorecon cui la Trinità ama l’uomo.Dinanzi al mistero della rivelazione si com-prende allora come sia fragile l’eterna do-manda se venga prima l’amore o la cono-scenza. Poiché non si può amare Dio se nonlo si conosce, ma non lo si può conosceresenza scoprirne l’amore, amore e conoscenzasi rincorrono mutuamente e l’una e l’altronon possono sussistere indipendentemente.La peculiarità della rivelazione cristiana con-duce così la catechesi a rifuggire da ognicontrapposizione fra conoscenza del “mi-stero” cristiano e testimonianza della carità,fra “contenuto” della fede ed “esperienza”di essa.Proprio questa identità della rivelazione hatracciato, rispetto al cammino educativo dellafede, uno straordinario cammino di sintesi,poiché educare alla fede implica la matura-zione dell’intelligenza e del cuore, come hadetto in maniera sintetica il Santo Padre alConvegno di Verona: «La forte unità che si èrealizzata nella Chiesa dei primi secoli trauna fede amica dell'intelligenza e una prassidi vita caratterizzata dall'amore reciproco edall'attenzione premurosa ai poveri e ai sof-

9 Agostino d’Ippona, De Trinitate 13, 2, 5.

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ferenti ha reso possibile la prima grandeespansione missionaria del cristianesimo nelmondo ellenistico-romano. Così è avvenutoanche in seguito, in diversi contesti culturalie situazioni storiche. Questa rimane la stradamaestra per l'evangelizzazione: il Signore ciguidi a vivere questa unità tra verità e amorenelle condizioni proprie del nostro tempo,per l'evangelizzazione dell'Italia e del mondodi oggi»10.Anche oggi questa duplice attenzione al Lo-gos ed all’Agape – ed alla fides quae creditured alla fides qua creditur, sebbene le duecoppie non siano sovrapponibili – permettealla catechesi di mantenere la sua vitalità ela sua capacità di esprimere pienamente il“mistero” cristiano.Di converso è proprio questa prospettiva chepermette, in campo educativo, di fare sintesidal punto di vista antropologico della ragionee dell’amore: sintesi che la nostra culturatende a frantumare, proponendo da un latouna ragione puramente astratta e calcolatricee, dall’altro, un cuore che viene ridotto ademotività.Sul versante dell’educazione alla fede, pro-prio l’esaltazione congiunta del Logos edell’Agape di Dio e della fides quae crediture qua creditur dell’uomo appare particolar-mente urgente a motivo del mutato contestonel quale si pone oggi la catechesi.Infatti, come ha sottolineato opportunamentela Lettera per il 40° anniversario del Docu-mento di base, il valore permanente di queldocumento è chiamato a misurarsi con «gliscenari culturali e religiosi nuovi»11 degli inizidel III millennio. Da un lato, la fede, pur essendo profonda-mente presente nel popolo italiano – e per

questo amata – è, al contempo, anche av-versata con una critica, come è stato notatoda attenti analisti anche laici, che non mirasemplicemente a questo o quell’aspettoodierno della Chiesa, ma la pone in discus-sione fin nei suoi fondamenti, a partire dallastessa messa in discussione della rilevanzadella questione di Dio, dell’opportunità chedi Lui si parli nella sfera pubblica, dell’at-tendibilità dei racconti evangelici e così via.Dall’altro queste critiche, ma forse ancor piùla diffusa ignoranza in materia, rendono evi-dente che l’educazione alla fede deve partirenon da argomenti secondari, ma precisa-mente dai temi più importanti dell’annunciocristiano. Come affermò l’allora cardinal Rat-zinger: «i grandi temi della fede – Dio, Cristo,Spirito Santo, Grazia e peccato, Sacramentie Chiesa, morte e vita eterna – non sonomai temi vecchi. Sono sempre i temi che cicolpiscono più nel profondo. Devono semprerimanere centro dell’annuncio e quindi anchecentro nel pensiero teologico»12.Un’educazione alla fede che non aiutassel’intelligenza ad orientarsi su questi temi nonaiuterebbe le nuove generazioni a compren-dere il valore e la dignità della fede cristiana.È l’esperienza stessa a mostrare che propriola debolezza di una “pastorale dell’intelli-genza” fa sì che molti ragazzi, terminato ilpercorso dell’iniziazione cristiana, si allon-tanino dalla chiesa se non trovano comunitàcristiane la cui proposta educativa li rendecapaci di misurarsi con la lettura che dei temidella fede propongono altre agenzie o lastessa scuola.Mi permetto di sottolineare che una dellegrandi novità del Catechismo della ChiesaCattolica consiste proprio nel premettere alle

10 Dal discorso di Benedetto XVI ai partecipanti al Convegno di Verona, del 19 ottobre 2006.11 Lettera nel 40° anniversario del Documento di base 7.12 Dalla riflessione La fede della Chiesa di Roma tenuta dall’allora cardinal Joseph Ratzinger il 18 gennaio 1993.

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quattro parti - che corrispondono alle dimen-sioni portanti del catecumenato della chiesaprimitiva – alcune riflessioni che potremmodefinire di teologia fondamentale. Le quattroparti riprendono espressamente la Dei Ver-bum, la Sacrosanctum Concilium, la Lumengentium, la Gaudium et spes, proprio perchéi grandi documenti conciliari hanno sentitol’esigenza di soffermarsi sui fondamentistessi della fede, sul perché della fede, dellaliturgia, della Chiesa, della visione cristianadell’uomo sul mondo, della preghiera perso-nale. Dove l’uomo comprende il perché dellafede, le sue motivazioni, diviene veramentelibero di viverla in ogni circostanza della pro-pria vita.Questa grande attenzione ai temi della fedecristiana non deve, però, assolutamente es-sere contrapposta alla maturazione di quelcontesto che rende esperienzialmente perce-pibile quella fiducia e quell’amore così tipicidella fede cristiana.Proprio la tradizione italiana si caratterizza– e deve continuare a caratterizzarsi - per lasua capacità di proporre alle giovani gene-razioni la Chiesa come compagnia affidabile,come ambiente in cui maturare la fiducia el’amore. Si pensi innanzitutto alla proposta della fra-ternità vissuta nelle parrocchie e nei diversigruppi – ora sempre più con il coinvolgi-mento delle famiglie - che in forme diversis-sime, ma convergenti sull’essenziale, vieneproposta attraverso gli oratori, i ritiri deitempi forti, le associazioni e i movimenti,l’ordinaria vita parrocchiale, i campi–scuolaestivi, ecc. Ogni persona può fare qui espe-rienza concreta di quella compagnia affida-bile che è la Chiesa.Si pensi poi alla maturazione del servizio edella carità proposta nei cammini di educa-zione alla fede. Recenti ricerche sottolinea-vano la grande importanza formativa, ad

esempio, del servizio degli adolescenti ai piùpiccoli negli oratori estivi (si parla, per lasola Lombardia, di più di 80.000 ragazzi chesi misurano con questa responsabilità perpiù settimane estive ogni anno) o, ancora,delle esperienze missionarie che aiutano aconoscere la realtà di luoghi lontani dall’Italiadove la chiesa è presente.Ma certamente il momento centrale nel qualel’uomo sperimenta l’amore stesso di Dio èquello liturgico, di cui la divina Eucarestia èil vertice. Sapientemente il Concilio ha ripresol’espressione culmen et fons, per indicareche se la liturgia è il vertice della vita cri-stiana, essa ne è certamente anche la sor-gente. Quando si sottolinea il valore del-l’esperienza in campo educativo, non si devemai dimenticare che proprio l’“esperienza”liturgica vi appartiene pienamente. La tradi-zione della Chiesa sa bene che è proprio at-traverso la celebrazione dell’anno liturgico,attraverso le feste, attraverso il canto, i gestie i segni, soprattutto attraverso i sacramenti,che la singola persona, insieme a tutto il po-polo di Dio, matura nella fede. La liturgia hail potere di educare l’uomo alla fraternità fe-stosa e, insieme, al silenzio raccolto per lapresenza del “mistero”, alla fede ed alla ca-rità, come nessun altra realtà è in grado difare. Vorrei concludere citando un passo merita-tamente apprezzato del Documento di base,che è come una sintesi delle diverse dimen-sioni di ogni cammino di educazione allafede cristiana: «Con la catechesi, la Chiesa sirivolge a chi è già sul cammino della fede egli presenta la parola di Dio in adeguata pie-nezza, “con tutta longanimità e dottrina”,perché, mentre si apre alla grazia divina,maturi in lui la sapienza di Cristo. Educareal pensiero di Cristo, a vedere la storia comeLui, a giudicare la vita come Lui, a sceglieree ad amare come Lui, a sperare come inse-

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gna Lui, a vivere in Lui la comunione con ilPadre e lo Spirito Santo. In una parola, nu-trire e guidare la mentalità di fede: questa èla missione fondamentale di chi fa catechesia nome della Chiesa. In modo vario, ma sem-pre organico, tale missione riguarda unita-riamente tutta la vita del cristiano: la cono-scenza sempre più profonda e personale dellasua fede; la sua appartenenza a Cristo nellaChiesa; la sua apertura agli altri; il suo com-portamento nella vita».13

Vi ringrazio per la vostra benevola attenzionee per quello che fate nelle vostre Diocesi,cari Amici. Gli Orientamenti Pastorali che iVescovi italiani hanno varato per il decennio,

sono una grande sfida ed un entusiasmanteappuntamento. Nessuno deve mancare: mol-teplici sono i soggetti coinvolti. La Comunitàcristiana, nelle sue variegate e generose pre-senze e con la sua ricca tradizione, si chia-merà a raccolta nelle diverse Chiese Partico-lari nei modi e nei tempi che riterrà piùopportuni e possibili. A suo tempo ci ritro-veremo insieme come Chiesa che è in Italiasecondo la consolidata ed efficace consue-tudine di metà decennio. La sfida ci trovisempre più entusiasti e uniti, accomunati daquella duplice fedeltà – a Dio e agli uomini –che invera l’ amore per Gesù e per il mondo.Grazie e buon lavoro!

13 Documento di base 38.

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Premesse

La formazione di coloro che svolgono il ser-vizio della catechesi è avvertita costante-mente dalla comunità cristiana come unaquestione di grande rilevanza, in ragionedella delicatezza del ruolo che la figura delcatechista ricopre nella vita ecclesiale. Nonc’è una stagione che possa dare per scontatoquesto aspetto. Gli esempi potrebbero esseremolti. Tra i tanti vorrei citare quanto espressoin un contesto non troppo lontano dal nostroin ordine di tempo, eppure molto diverso inordine allo scenario sociale e religioso, allavita ecclesiale, al modo di intendere il servi-zio catechistico.Nel “Piccolo manuale del catechista” del1924 si legge:

“Molti lamentano lo scarso frutto che si ricava dal-l’insegnamento del catechismo. E veramente chiconsidera lo stato della nostra società, la quale pursi dice cristiana, mentre si può dire che ne ha quasisolo il nome, chiede a se stesso, se agli uomini chela costituiscono, sia stato impartito un insegna-mento religioso. Non è certamente esagerato dire,che la causa principale per cui si è ricavato cosìscarso frutto, sta nel fatto che generalmente il cate-chismo non è stato insegnato bene perché coloro acui era stato affidato il nobile e difficile compito,

non erano stati preparati in nessun modo, alla loronobile e delicata missione” (G. Perardi, Piccolo Ma-nuale del catechista, LICE, Torino 1924, p. 1).

Al di là dei termini usati e della prospettivacatechetica dentro cui si colloca il brano, ciòche vorrei fare notare in questa citazione, èla posizione di grande importanza assegnataal catechista. Giustamente e opportunamentenel corso delle riflessioni contemporanee taleimportanza è stata ‘ricollocata’. La qualitàdell’azione formativa della Chiesa non di-pende esclusivamente dai catechisti; dipendeinvece in prima battuta dalla significativitàdelle comunità ecclesiali. Operare sulla for-mazione dei catechisti senza avere a cuorela vitalità della comunità, nella pluralità dellesue dimensioni costitutive, è alimentare inrealtà un circolo vizioso, in cui a volte,seppure non intenzionalmente, rischiamo dicadere.La centralità della forza formativa della vitadella comunità è un dato centrale dell’attualeriflessione sulla formazione dei catechisti.Tale riflessione ha una lunga tradizione al-l’interno della comunità ecclesiale e dispo-niamo perciò ormai di un quadro ampio diorientamenti a cui fare riferimento1. Moltisono gli studi e diverse sono state in questianni le ricerche2.

IL CATECHISTA E LA SUA FORMAZIONENEL CONTESTO DI UNA COMUNITÀ

CHE EDUCA NELLA SUA MOLTEPLICEMINISTERIALITÀ

Prof. Pier Paolo Triani, Docente alla Facoltà di Scienze della Formazionedell’Università Cattolica di Piacenza

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1 Cfr. La raccolta di documenti curata dall’Ufficio Catechistico Nazionale, La formazione dei catechisti, Documentie orientamenti della Conferenza Episcopale Italiana, Elledici, Leumann 2006.2 Cfr. La ricerca curata dal Gruppo Italiano Catecheti pubblicata nel 1980; la ricerca curata da L. SORAVITO e C.BISSOLI, pubblicata nel 1983; la ricerca curata da G. MORANTE, pubblicata nel 1996; la ricerca curata da G. Morante– V. Orlando, pubblicata nel 2004.

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Non intendo riprendere in termini analitici esistematici i molteplici elementi di questoquadro di orientamenti: essi sono un patri-monio a disposizione di tutti. Vorrei invece,nel contesto del convegno e quindi in siner-gia con le relazioni che mi hanno preceduto,svolgere un itinerario diverso.

1) Porre in evidenza, brevemente, alcunecaratteristiche del processo di riflessionedi questi anni e richiamare sinteticamentequelli che appaiono come capisaldi, comepunti di non ritorno.

2) Alla luce della figura del catechista, trac-ciata idealmente dal magistero, mostrarealcune esigenze formative emergenti incorrispondenza all’attuale contesto cultu-rale e religioso in cui sono proposti e rea-lizzati i percorsi di iniziazione cristianaper i ragazzi e i fanciulli.

3) Alla luce dell’impostazione metodologicaindicata idealmente dai documenti, met-tere in evidenza diversi attuali snodi del-l’azione formativa della comunità nei con-fronti dei catechisti, soprattutto quellidell’iniziazione cristiana.

Prima però di addentrami in questo percorsoritengo utile precisare l’orizzonte e il ‘fuoco’di questo intervento.L’orizzonte è quello definito nel titolo: unacomunità che educa nella sua molteplice mi-nisterialità. “La comunità cristiana, fin dall’inizio, si èconfigurata, in modo tale da costituire unluogo naturale di evangelizzazione e di for-

mazione rivivendo il mistero di Cristo lungol’anno liturgico e operando secondo i diversicarismi dei suoi componenti. […] Non esistecomunità cristiana, capace di generare lafede e di farla crescere, senza l’espressioneministeriale di persone capaci di mettersi alservizio della comunione e della missione”3.Non si può concepire il servizio catechisticoin modo isolato, ma in sinergia con la plura-lità di azioni e figure che concorrono a farcrescere le persone nella fede. La sua stessaformazione conseguentemente, chiede di es-sere sostenuta da questa prospettiva.Il ‘fuoco’ è l’espressione ‘formazione’. Unanozione forte, ma spesso equivocata e sot-toposta a forti riduzionismi. Nel contesto diquesta relazione il termine formazione saràutilizzato secondo due prospettive tra lorostrettamente collegate: il ‘prendere forma’ eil ‘fare formazione’.Nella prima prospettiva (il ‘prendere forma’)l’espressione formazione è intesa come ilprocesso attraverso il quale la coscienza diuna persona si struttura e acquisisce unapropria configurazione. Un processo dina-mico, strutturato, aperto4. Al centro di questaprospettiva sta la persona che si forma, ilsoggetto, il suo dinamismo coscienziale, ca-ratterizzato da esperienza, comprensione,giudizio, scelte, relazioni, affetti5. Una per-sona diventa ciò che è non solo in base aciò che vede o ciò che sa, ma grazie ad undinamismo molto più composito.La persona amplia la propria formazionenella misura in cui la propria coscienza, at-traverso una sempre più profonda consape-volezza di sé e della realtà, si appropria diun insieme di significati e valori e di com-

3 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, La formazione dei catechisti per l’iniziazione cristiana dei fanciulli e deiragazzi, 4 giugno 2006, n. 10.4 Cfr. P. TRIANI, La struttura dinamica della formazione, in “Tredimensioni”, 3/2005, pp. 236-247.5 Per un approfondimento del dinamismo coscienziale si rinvia all’opera di Bernard Lonergan (1904-1984).

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portamenti con essi coerenti. Quando unapersona fa propri solo certi comportamenti,senza coglierne appieno i significati fondanti,vive un processo formativo meno ricco emeno profondo. La formazione profonda in-vece è una risignificazione del sé.Porsi in questa prospettiva, che possiamochiamare ‘interna’, significa chiedersi, adesempio: come è vissuto interiormente il ser-vizio catechistico da parte delle persone, conquale consapevolezza di sé? Quali tratti èbene che abbia la coscienza credente del ca-techista? Quali dinamismi e significati oc-corre promuovere con particolare cura? Qualè il grado di auto appropriazione personaledei significati che egli intende comunicareagli altri?La seconda prospettiva è quella di intenderela formazione come ‘attività educativa’6, comeazione esterna, intenzionale e strutturata,compiuta verso destinatari precisi. Parlare diformazione in questo caso significa ragionaresul mettere in atto percorsi e creare contesti;significa, per esempio, chiedersi: quale azioneformativa mettiamo in campo? Quale proget-tazione attiviamo? Quale verifica?

1. Un progressivo ampliamentoe definizione degli orientamenti:i pun ti di non ritorno

Sulla scia del Documento di base, la rifles-sione sulla formazione dei catechisti si è ca-ratterizzata per un progressivo ampliamentoe una progressiva definizione di punti fermi.Traccerò brevemente gli elementi di questalinea prendendo in considerazione i docu-menti del 1982, del 1991 e del 2006.Il testo ‘La formazione dei catechisti nellacomunità cristiana’, come è noto, presenta

un importante quadro di orientamenti in ri-ferimento alla catechesi, all’identità del ca-techista, alla sua formazione.Una particolare attenzione, da ribadire cer-tamente anche oggi, è data al primato delladimensione vocazionale del servizio catechi-stico: “È il Signore a chiamare i catechistiper la sua Chiesa. Come specifica attuazionealla vocazione battesimale, la chiamata cheil Signore fa per il servizio alla sua Parola, èun dono che il catechista riceve. Non si sce-glie di diventare catechisti, ma si rispondead un invito di Dio […] Non si tratta di rico-prire in qualche modo dei vuoti pastorali. Sitratta invece di aiutare ogni cristiano a sco-prire la sua specifica vocazione nella Chiesae nel mondo” (La formazione dei catechistinella comunità cristiana, 1982, n. 12).In rapporto ad un catechista, consapevoledella sua chiamata a svolgere un servizioecclesiale, a servizio dell’uomo, come mae-stro, educatore, testimone, per la crescita ditutti, si delinea l’importanza di una forma-zione intesa come cammino permanente, si-stematico, organico. All’interno del processoglobale di formazione umana, cristiana edecclesiale è proposta l’attivazione di scuoladi formazione, sia per gli animatori della ca-techesi, sia per i catechisti.Con il documento “Orientamenti e itineraridi formazione dei catechisti’ del 1991 il qua-dro si arricchisce ulteriormente: si fa stradauna logica di differenziazione in rapportoalle diverse figure che svolgono servizio al-l’interno della catechesi; conseguentementesi sottolinea maggiormente il principio dellacomplementarietà delle figure. Dal punto divista metodologico, si propone di pensare laformazione nell’ottica dell’itinerario; è con-fermata l’idea delle scuole di formazione maauspicando che esse “abbiano il carattere di

6 Cfr. G.P. QUAGLINO, Fare formazione, Il Mulino, Bologna 1985.

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comunità laboratorio” (Orientamenti e itine-rari di formazione dei catechisti, 1991,n. 17).Il terzo documento a cui mi riferisco è quellodel 2006 dedicato in maniera specifica a “Laformazione dei catechisti per l’iniziazionecristiana dei fanciulli e dei ragazzi”. Pur incontinuità con i precedenti documenti, il do-cumento si caratterizza per un arricchimentodel quadro e per una strutturazione ulte-riore. L’arricchimento riguarda l’approfondi-mento della prospettiva dell’iniziazione, l’in-serimento della famiglia come soggetto attivodel percorso di formazione cristiana e comeinterlocutore dei catechisti, l’introduzione dinuove prospettive lessicali (l’uso del terminecompetenze) e di nuove sensibilità formative(ad esempio: la valorizzazione della narra-zione biografica). La strutturazione riguardala proposta di un percorso, da realizzarsi se-condo una metodologia laboratoriale, i cuicontenuti sono suddivisi in due anni.Nei testi qui accennati emergono una seriedi punti fissi che vanno considerati ormaichiari punti ideali di non ritorno. Provo asintetizzarli, nella consapevolezza di nonesaurire la ricchezza del quadro, nel modoseguente. La formazione dei catechisti:

– si radica nella vita della comunità;– si innesta su una solida formazione alla

vita cristiana;– riguarda aspetti motivazionali, contenuti-

stici, relazionali, metodologici, spirituali;– richiede un percorso specifico;– richiede una differenziazione in merito a

ruoli e livelli diversi;– va attuata secondo metodologie attive;– va sostenuta attraverso la forma del gruppo;– va coordinata attraverso l’apporto decisivo

del sacerdote e il contributo degli animatoridella catechesi.

1.1 Le sollecitazioni dell’oggiL’ideale tracciato dai documenti, come hannomesso bene in luce le ricerche svolte in questianni, svolge una funzione di guida e di sti-molo, ma paga anche sempre uno scarto neiconfronti della realtà. Per almeno due ra-gioni: la realtà ecclesiale sta facendo fatica arealizzare pienamente il rinnovamento del-l’iniziazione cristiana e la conseguente di-versa formazione dei catechisti; la realtà ec-clesiale e sociale presenta sempre unadinamicità che fa si che sorgono nuoviaspetti difficilmente inquadrabili, da subito,in termini teorici.La realtà attuale appare diversificata e, comeè logico, segnata da positività e criticità.I catechisti rappresentano ancora una granderisorsa per le comunità parrocchiali. Essisono una realtà al ‘plurale’: vi sono sacerdoti,religiosi, laici; vi sono giovani, adulti, an-ziani. Queste risorse purtroppo spesso vivonoil rischio della delega, della solitudine e del-l’autoreferenzialità. È proprio quella comu-nità che dovrebbe sostenerli che sovente fafatica a reggere. La stessa formazione, au-spicata da tutti, non è sempre presente. Adun debole discernimento iniziale, seguonopercorsi formativi specifici parziali e deboli;la stessa proposta di formazione al catechistacapita che sia fatta sotto tono, senza troppaconvinzione.L’azione formativa nei confronti dei cate-chisti si è andata diffondendo: si realizzanoscuole ed itinerari; sono presenti gruppi eanimatori della catechesi; si attuano formedi tutoring. Sta crescendo, lo riprenderò an-che tra poco, la spinta verso la struttura-zione dell’azione formativa, verso la diffe-renziazione dei ruoli formativi (il catechistadei bambini, il catechista che lavora con igenitori, l’animatore…), verso la valoriz-zazione di metodologie attive. Ciò che peròresta debole è il raccordo tra i livelli della

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formazione, la collaborazione e l’interdi-pendenza tra le figure, la reale incidenzadelle metodologie attive sulla prassi ordi-naria dei catechisti.Accanto ai processi in atto nella vita con-creta delle parrocchie, si pongono, con al-trettanta importanza, i cambiamenti nelcam po della cultura educativa in cui, tra glialtri, quattro fattori chiedono di essere al-meno menzionati:

– la rottura del patto educativo implicito trale diverse agenzie formative, con il neces-sario spostamento di attenzione verso unpiù attivo coinvolgimento delle famiglie;

– l’emergere di nuovi tempi di vita familiarie di nuovi modi di elaborare il sapere;

– la pluralità come categoria chiave del no-stro tempo: pluralità di forme di vita; dimodelli, di valori, di linguaggi;

– il benessere del soggetto come riferimentovaloriale fondamentale.

2. Le esigenze emergentinella formazione dei catechistidell’iniziazione cristiana

In riferimento all’iniziazione cristiana, le co-munità ecclesiali, si trovano oggi a fare iconti, oltre che con i mutamenti del contestosociale, con un ampliamento dei compiti econ una conseguente differenziazione dellefigure formative. È normale perciò che va-dano emergendo esigenze formative, in qual-che modo nuove.

2.1 Il compito multiforme e delicato delsacerdote

Nel riflettere sulle esigenze formative dellepersone che svolgono il servizio catechistico

credo che occorra porre uno sguardo moltoattento alla figura del sacerdote, per la sua‘particolarità’. Tale particolarità è data dalfatto che esso assume in sé diversi compitiin ordine alla catechesi:

– compito diretto di catechesi;– compito di coordinamento e raccordo del

servizio catechistico;– compito di scelta e di formazione dei cate-

chisti.U. Montisci in suo saggio osserva come siaindispensabile recuperare l’identità “catechi-stica” dei presbiteri, in particolare dei parroci,e individuare orientamenti sufficientementedefiniti per qualificare il loro apporto alla ca-techesi. Egli ritiene che vada valorizzato inparticolar modo il compito di moderatore,curando in particolar modo il discernimentodella vocazione dei catechisti, promovendola loro formazione iniziale e permanente.I compiti richiamati richiedono una forma-zione adeguata sia nella fase iniziale del per-corso seminaristico, sia nell’aggiornamentodei presbiteri.Se è vero che nel campo del metodo ha unruolo decisivo “l’esempio del maestro, losforzo di fare altrettanto, le sue osservazionicirca quello che uno fa” (B. Lonergan), com-prendiamo bene come dalla preparazione ca-techetica dei sacerdoti dipenda, seppur inparte, lo stile e la preparazione dei catechististessi.

2.2 Catechisti a misura dell’oggi

In stretto contatto con il ruolo catecheticodel sacerdote, occorre mettere in evidenzaaltre esigenze formative che interpellano ilcatechistica dei bambini e dei ragazzi, affin-ché possa svolgere un servizio a misuradell’attuale contesto. Senza alcuna pretesadi esaustività vorrei brevemente sottolineare

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alcune esigenze formative a mio parere emer-genti.

a) Comprendere bene la formazione cri-stiana come percorso

Un primo campo di attenzione riguarda laconsapevolezza dei catechisti in merito al-l’iniziazione cristiana, e in generale alla for-mazione cristiana, come percorso, come pro-cesso coscienziale centrato sulla progressivaappropriazione, a misura delle diverse età,della parola buona del Signore.Come ha notato G. Morante: “I catechistivanno aiutati a comprendere che per Inizia-zione Cristiana s’intende quel processo glo-bale attraverso il quale si diventa cristiani.Si tratta di un cammino diffuso nel tempo escandito dall’ascolto della Parola, dalla cele-brazione e dalla testimonianza dei discepolidel Signore”7. Il rischio, infatti, è che per molti catechistisia cambiato il lessico, ma non la cultura diriferimento, il modo profondo di vederel’azione catechistica.

b) Arricchire la comprensione del proprioruolo nell’ottica di accompagnatore del per-corso personale nella vita di fede

Un secondo campo di attenzione riguarda laconsapevolezza dei catechisti di essere figuredi riferimento nel percorso della vita cristianadei bambini e dei ragazzi a loro affidati. L’attodello spiegare, e/o dell’insegnare si collocanoin un compito ben più ampio che è quello dipromotori di esperienze significative e di ac-compagnatori nelle diverse esperienze cheplasmano la forma della vita cristiana all’in-terno della comunità.

c) Comprendere i cambiamenti in atto nellacultura educativa

Nell’azione educativa tutti noi tendiamo areplicare ciò che abbiamo sperimentato. Èimportante aiutare i catechisti a leggere icambiamenti in atto nella cultura educativae a riconoscere i nuovi modi di esprimersi edi rapportarsi con il sapere delle nuove ge-nerazioni.

d) Crescere nella capacità di comunicarel’essenzialeLa comprensione dell’oggi va accompagnatada una appropriazione sempre più forte di‘ciò che permane’, ‘di ciò che conta vera-mente’. In un mondo dove le parole cristianesono sottoposte a forti deformazioni di com-prensione è necessario che chi svolge il ser-vizio catechistico abbia imparato ad andareai significati fondamentali della vita cristianae che, nel dialogare con i bambini e i ragazzi,si faccia guidare da questo nucleo essenziale.Il rischio è altrimenti quello di ‘ripetere’ leparole del testo di catechismo, senza comu-nicare ai bambini il valore che quelle parolehanno per la coscienza del catechista. Sullacapacità di comunicare l’essenziale incideanche la competenza teologica dei catechisti,campo su cui occorre accrescere l’attenzione.

e) Crescere nella capacità di personalizzareIl percorso di fede è, per definizione, perso-nale. Questo aspetto però porta come conse-guenza una logica di personalizzazione cheè attualmente un nodo su cui sono molti ipassi ancora da compiere. L’azione del cate-chista è ancora molto spostata sui contenutie sui metodi, molto meno sul processo dicrescita dei singoli ragazzi. D’altronde porreal centro il processo di formazione di ognuno,

7 Citato in Ufficio Catechistico Nazionale, La formazione dei catechisti, op. cit, pp. 141-142.

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a partire da quelli che fanno più fatica, vuoldire attivare uno stile, un modo di organiz-zare le attività e gli incontri che richiede pro-fondi cambiamenti organizzativi.

f) Crescere nella capacità di coinvolgere lefamiglieLa rottura del patto implicito sopra accennatae il giusto riconoscimento delle famiglie comeprotagoniste dell’iniziazione cristiana fannosì che i catechisti si trovino sollecitati a rap-portarsi con i genitori in modo diverso. Essinon vanno solo informati o ascoltati, macoinvolti e responsabilizzati. Si tratta di uncompito nuovo il cui esercizio va costruitopazientemente, facendo attenzione a non ca-dere nell’errore di sostituire alla delega dellefamiglie al catechista, la delega (anche in-consapevole) del catechista alla famiglia.

g) Crescere nella capacità di svolgere atti-vità formative con i genitoriLa logica conseguenza del punto precedenteè l’emergere di una nuova esigenza forma-tiva per catechisti dell’iniziazione dei bambinie dei ragazzi: imparare a svolgere attivitàformative con genitori, tenendo presente ilrapporto che gli adulti hanno con i momentiformativi e la differenziazione dei punti dipartenza in merito alla fede che le diversefamiglie hanno.

h) Imparare a lavorare con altri catechistiL’importanza che il lavoro del catechista siasostenuto da un gruppo di altri catechisti concui periodicamente incontrarsi è dato asso-dato dalla riflessione contemporanea sullaformazione dei catechisti. Nonostante que-sto, appare ancora forte la fatica; si è preoc-cupati delle energie che può comportare (in

ordine di tempo per i partecipanti) l’impegnodi attivare un gruppo e si perde di vista ilcuore vero della questione: permettere al sin-golo catechista di sperimentare momenti dicorresponsabilità con altri catechisti; diideare, operare, verificare insieme.

i) Imparare a lavorare con altre figure edu-cative della comunità e del territorioSe la corresponsabilità tra i catechisti chiededi essere sostenuta, ancora gracile e deboleappare la cultura della corresponsabilità trale figure catechistiche e le altre figure cheattraverso il loro servizio concorrono a for-mare i bambini e i ragazzi all’interno dellacomunità ecclesiale; ugualmente debole ap-pare il rapporto con le figure e le realtà edu-cative del territorio. Già nel 1994 Morantefaceva osservare come “l’azione catechisticasembra isolata anche dal contesto sociale”8.

3. Gli snodi attuali del ‘fareformazione’ con e per i catechisti

Dopo aver brevemente evidenziato alcunicampi di attenzione della formazione del ca-techista, vorrei come ultimo passaggio met-tere in luce alcuni snodi del fare formazioneper e con i catechisti, ossia prendere in con-siderazione la dimensione organizzativa.Come già accennato all’inizio, la riflessionemagisteriale propone un quadro di orienta-menti molto ricco che però fatica a trovare,non raramente, una reale applicazione or-ganizzativa coerente.Nel momento in cui si cerca di dare formaalla ricchezza delle linee magisteriali, siaprono una molteplicità di domande. Ne citocome esempio alcune: come differenziare la

8 G. MORANTE, Catechisti parrocchiali in Italia agli inizi degli anni ’90, in “Orientamenti Pedagogici”, 41 (1994),p. 881.

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formazione in base ai destinatari? Come dif-ferenziarla in base alla formazione di base ea quella permanente? Come supplire le ca-renze formative di alcune comunità? Cherapporti creare tra il livello parrocchiale, zo-nale, diocesano? Che equilibri trovare tragli impegni delle persone sollecitati dal ser-vizio, dalla cura della propria formazione cri-stiana e dalla formazione specifica? Comecoinvolgere le diverse risorse formative chepotrebbero contribuire all’innalzamento dellaqualità delle figure impegnate nel serviziocatechistico?Alla luce di queste esemplificazioni, proveròad indicare alcune linee non prima però diavere evidenziato un rischio e un principio.Il rischio da tenere presente quando si ra-giona sull’organizzare la formazione è quellodi eccedere nella strutturazione (facendo avolte anche una indebita analogia tra il si-stema scolastico e la catechesi e la forma-zione dei catechisti). L’eccesso di organizza-zione depotenzia le risorse formativeinformali. In rapporto a questo rischio è importanteperciò tenere fermo il principio della ‘doppiavalorizzazione’ sia dei momenti strutturati,sia dei momenti ‘informali’ della formazione,soprattutto attraverso un rafforzamento dellaformazione individuale, ossia delle capacitàdi formarsi attraverso uno stile di vita per-sonale. Il catechista si forma certamente at-traverso un percorso fatto di precisi momentidi apprendimento, ma ugualmente si formaattraverso la partecipazione alla vita dellacomunità e una propria ‘regola di vita’.Fatte queste precisazioni, accenno alcunisnodi e alcune linee di lavoro.

a) La flessibilità attraverso un progetto

Gli orientamenti magisteriali possono daresolo quadri di riferimento, ma l’organizza-

zione reale delle attività formative richiedeun approccio intelligente da parte delle sin-gole realtà. Una innovazione della forma-zione dei catechisti sostenuta da una logicaverticale mi sembra di difficile attuazione.Credo invece vada rafforzata una logica ispi-rata al principio della flessibilità e della con-testualità attraverso la quale ogni realtà dio-cesana, alla luce degli orientamenti, elaboriun progetto concreto, caratterizzato da unalettura condivisa della realtà, di ciò che già èstato fatto e dalla definizione di obiettivi amedio termine verificabili.

b) La valorizzazione delle risorse attraversouna analisiLa costruzione di un progetto permette anchedi rispondere al nodo della valorizzazionedelle risorse esistenti in una realtà. Il contri-buto che possono svolgere ad esempio gliIstituti di Scienze religiose, o le diverse com-petenze individuali presenti nella diocesi, trai sacerdoti, i religiosi e laici, si vanno chia-rendo meglio proprio in rapporto ad una ana-lisi e a una progettualità.

c) L’articolazione coordinata tra i livelli e lefigure attraverso una mappa di ‘funzioni for-mative’In stretto contatto con i due punti precedenti,vengo ad uno snodo organizzativo a mioparere cruciale. L’attivazione dei percorsi for-mativi per i catechisti si scontra sovente conla reale fatica di tenere presenti tutte le plu-ralità in gioco: di punto di partenza, di ruolo,di livelli.Fino ad ora le strade più battute sono statequelle di pensare ad una pluralità di itineraridifferenziati e ad una articolazione di conte-nuti. Sono strade significative. Resta però ilproblema del raccordo e dell’interdipendenza.A mio parere, per poterlo affrontare, occorreandare oltre la descrizione ordinata dei con-

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tenuti e delle competenze e invece provare atracciare una mappa di ‘funzioni’ che l’or-ganizzazione della formazione dovrebbesvolgere. Una tale mappa, ad esempio, po-trebbe caratterizzarsi per i seguenti punti:

• discernere• accrescere le conoscenze teologiche e me-

todologiche e le abilità fondamentali• aggiornare e rafforzare• accompagnare nella fase di avvio• sostenere le motivazioni• far apprendere attraverso l’azione e la spe-

rimentazione• far collaborare

Una mappa di ‘funzioni’ potrebbe permetteredi precisare meglio il contributo della forma-zione specifica e quello della formazione per-manente, di precisare il contributo del sacer-dote, del gruppo dei catechisti, dei momentiformali di apprendimento.Tra le funzioni riportate nell’esempio, tre misembrano oggi particolarmente urgenti daaffrontare:Il discernere: l’invito a svolgere il serviziocatechistico è a volte fatto sotto la pressionedell’urgenza di completare ‘l’organico’.L’accompagnare nella fase di avvio: i cate-chisti che iniziano il loro servizio, soprattuttoi più giovani, vedono diminuire presto le loroenergie interne, con il rischio che all’abban-dono rapido del servizio si accompagni anchel’allontanamento dalla vita ecclesiale.Far apprendere attraverso l’azione e la spe-rimentazione: i catechisti nell’esercizio delloro compito si trovano ad agire ed agendoa rispondere a situazione concrete. È impor-tante che la formazione ad ‘allenarsi’ nellacomunicazione dell’essenziale e a rispondereai problemi che le situazioni concrete pre-sentano.

d) La continuità attraverso la documenta-zione e la verifica

La logica progettuale permette di mettere inluce anche il nodo della continuità delle pro-poste formative. Vi è il rischio infatti che aduna proposta ne segua un’altra senza alcunrapporto. Per far fronte a questo problemaoccorre innalzare la prassi della documenta-zione delle esperienze e della verifica. È giu-sto chiedere ai catechisti di fare la verificadella loro attività, è altrettanto importantefarlo da parte del sistema che ha a cuore laformazione dei catechisti stessi.

e) La collaborazione delle diverse figure,espressione della comune ministerialità, at-traverso l’èquipe.

L’azione dei catechisti, come abbiamo visto,chiede di essere sempre più intesa comeazione collaborativa in sinergia con altre fi-gure educative della comunità. Questa atti-tudine alla collaborazione non può esserepromossa solo attraverso una formazioneteorica, ma esercitandola concretamente. Inquesto senso appare importante valorizzare,facendo sempre attenzione all’eccesso distrutturazione, la costituzione di momenti dièquipe tra le diverse figure educative dellacomunità. Sarebbe importante che questeèquipe sorgessero con il concorso attivo deiconsigli pastorali.

Conclusione:la disponibilità a cambiare

Per concludere vorrei richiamare un ultimofattore. La formazione è un processo impor-tante e significativo, ma sempre rischioso.Nella misura in cui promuove le persone, neallarga gli orizzonti, gli interessi e conse-guentemente le rende soggetti attivi di cam-

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biamento. Ciò significa che più la comunitàecclesiale forma i catechisti più deve esseredisposta a cambiare, ad innovare cioè il pro-prio modo di realizzare i percorsi di inizia-zione cristiana. Si tratta di un rischio che amio parere vale la pena correre.

Breve bibliografia di riferimento

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ISTITUTO DI CATECHETICA - Facoltà di Scienze dell’Edu-cazione - Università Pontificia Salesiana, Andatee insegnate. Manuale di Catechetica, Elledici,Leumann 2002.

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Penso di interpretare il pensiero dell’assem-blea dicendo al Prof. Triani che “ci siamo ri-trovati” nella sua relazione. Il quadro pre-sentato tocca i nodi fondamentali della for-mazione dei catechisti in modo realistico edintelligente. Inoltre, mette a nudo gli snodifondamentali della questione e ci stimolaconcretamente verso un miglioramentodell’azione.Assumendo il compito di responder alla suarelazione, riprendo prima di tutto alcuni pun-ti rispetto ai quali mi trovo in piena sintonia;evidenzio poi, dal versante più catechetico,tre cambi di prospettiva che la catechesi stavivendo e che la formazione deve fare pro-pri; infine sottolineo alcune questioni prati-che che riprendono e integrano quelle indi-cate dal Prof. Triani. L’obiettivo è quello difavorire e allargare il dibattito con lui.

I. Alcuni punti di sintonia

1. Il primo è di aver strappato, sull’onda deldocumento sulla formazione dei catechistidel 2006, il catechista e la sua formazio-ne dal suo isolamento: l’azione formativadella Chiesa non dipende esclusivamentedai catechisti, ma dalla significatività del-la comunità nel suo insieme. Si tratta del-la conseguenza dell’altro acquisito: chievangelizza non è il catechista, secondoun processo di delega, ma la comunità,che mentre genera i suoi figli alla fede,rigenera se stessa. Questa presa di co-

scienza accresciuta, significa due cose:da una parte che il problema della cate-chesi non si risolve attaccandosi alla ca-techesi, ma restituendo a tutta la comu-nità la sua coscienza generativa e forma-tiva; dall’altra, che in tal modo la cate-chesi e la formazione dei catechisti pos-sono ritrovare meglio la loro specificità eil loro compito. Non si può mettere tuttosotto il termine di catechesi, non si puòmettere tutto sulle spalle dei catechisti,non si può mettere tutto e di tutto nellaformazione dei catechisti.

2. La nozione di “scarto”. Siamo d’accordoche c’è e ci sarà sempre uno scarto traquanto viene delineato nei documenti ela pratica della formazione dei catechisti.Tale affermazione, a sua volta, vuol diredue cose: 1. Che la realtà italiana dellaformazione dei catechisti è molto più po-vera degli stimoli e degli orientamenticontenuti nei documenti, in particolare inquello del 2006 che è passato in sordinae resta in gran parte da attuare. 2. Chenon saremo mai al passo, perché i cam-biamenti sono così veloci che dovremosempre stare in rincorsa, e ci dobbiamomettere nell’ordine di idee di restare instato di perenne laboratorio formativo.

3. Riconosciamo che il punto più debole del-la pratica formativa nelle diocesi italianeè la mancanza di progettualità e di rac-cordi con le risorse formative presenti inuna diocesi. Non diciamo niente di nuovo

IL CATECHISTA E LA SUA FORMAZIONE.INTERVENTO IN QUALITÀ DI RESPONDER

ALLA RELAZIONE DEL PROF. PIER PAOLO TRIANI

Fratel Enzo BiemmiPreside ISSR di Verona e Presidente dell’Équipe Europea dei Catecheti

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se affermiamo che la formazione dei ca-techisti nelle nostre diocesi (salvo ecce-zioni) è in genere frammentaria, spora-dica, improvvisata. Si riduce spesso alconvegno annuale, con qualche legamecon il tema pastorale dell’anno, senzaconsequenzialità con gli anni precedenti,delegando poi alla formazione in parroc-chia, la quale a sua volta è improvvisatase non inesistente. A questo va aggiuntoche i catechisti sono persone volontarie,non hanno molto tempo, non li si puòcaricare di formazioni troppo lunghe.

4. Per quanto riguarda i contenuti della for-mazione, siamo d’accordo che una que-stione chiave è quella che sappiano co-municare l’essenziale della fede, andandoal centro del mistero cristiano e nel con-tempo del bisogno di vita delle persone.Questa esigenza di essenzializzazione edi centratura sul vissuto delle persone èfortemente cresciuta nel contesto attuale.

5. Concordiamo nel dire che la formazionecatechistica dei presbiteri è carente e sic-come da loro dipende in gran parte laformazione dei catechisti, questa ne ri-sente in maniera importante.

6. Riconosciamo infine che la formazionedei catechisti va differenziata per le si-tuazioni diverse rispetto alla fede, e nellostesso tempo che la competenza fonda-mentale per tutti deve spostarsi verso lacapacità di accompagnamento degli adul-ti, anche per chi si occupa dei bambini.

II. Tre cambi di prospettivanella catechesi che interpellanola formazione dei catechisti.

Alla luce di questo quadro condiviso, che civiene rinviato in modo significativo da una

angolatura pedagogica, metto in evidenza,dal versante più catechetico, alcuni cambidi prospettiva della catechesi maturati inquesto decennio e che vanno presi in con-siderazione dalla formazione dei catechisti.Sono fondamentalmente tre:

a) La prospettiva missionaria della cate-chesi nella linea del primo annuncio. Sipuò dire che questo sia, in termini di pre-sa di coscienza ecclesiale, il risultato piùconsistente di questo decennio, che haavuto il suo apice nel documento sul vol-to missionario delle parrocchie, nella notasul primo annuncio, nella lettera ai cer-catori di Dio e per ultimo nella lettera aicatechisti per il quarantesimo del DB.Quest’ultima riassume bene la questione:«Molti ritengono che la fede non sia ne-cessaria per vivere bene. Perciò, prima dieducare la fede, bisogna suscitarla: conil primo annuncio dobbiamo far ardere ilcuore delle persone, confidando nella po-tenza del Vangelo, che chiama ogni uomoalla conversione e ne accompagna tuttele fasi della vita» (n. 10).

b) La configurazione della catechesi secon-do il modello di iniziazione cristiana inprospettiva catecumenale. Già autore-volmente richiamato dal Direttorio Cate-chistico Generale (che invita a fare delcatecumenato il paradigma della cateche-si), questo invito ha trovato una propostadi attuazione nelle tre note sull’IC. La se-conda, in particolare, ha ispirato di fattomolte delle sperimentazioni in atto in Italiadi rinnovamento della prassi ordinaria diiniziazione cristiana dei ragazzi.

c) La centratura dell’annuncio sugli snodifondamentali dell’esistenza umana (le“soglie” della fede, secondo l’espressione

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dei Vescovi lombardi). Il convegno di Ve-rona, superando l’impostazione centratasui tre compiti fondamentali dell’annun-cio, della liturgia e della carità, ha invitato“a partire dalla persona e dalla sua esi-genza di unità, piuttosto che da una ar-ticolazione interna della Chiesa, seppurfondata teologicamente”1. Questo dislo-camento della proposta di fede dalla lo-gica e organicità del contenuto alla logicae organicità dell’esistenza umana nei suoisnodi fondamentali, apre per la catechesiin prospettiva missionaria il tempo di unaesigente e feconda riformulazione.

Sono questi tre cambiamenti di prospettivache, a mio parere, hanno sostanzialmentecambiato le carte in tavola e devono costi-tuire l’orizzonte della proposta di formazionedei catechisti, nel modo che possiamo cosìriassumere:

– un catechista/dei catechisti che sappianonon solo prendersi cura della fede dellepersone, ma proporla ed accompagnarnei primi passi (abilitati all’“initium fidei” enon solo alla “cura fidei”);

– un catechista/dei catechisti in grado diproporre l’essenziale della fede sulle que-stioni essenziali delle persone e sui loropassaggi di vita fondamentali (“passaggidi vita, passaggi di fede”, come abbiamoapprofondito nel Convegno di Vasto);

– un catechista/dei catechisti in grado diproporre (come è stato ricordato bene nel-la relazione) un itinerario di fede, un ap-prendistato progressivo dentro la comu-nità, secondo l’ispirazione profonda delmodello catecumenale (modello iniziaticoe non solo cognitivo).

Questo quadro può servire da verifica perquello che stiamo facendo con i catechisti.Il punto che deve essere bene presente intutti è l’assioma educativo evidente: “Ognu-no ripete inconsapevolmente il modello for-mativo con il quale è formato”. Quindi sitratta di imprimere alla proposta formativaqueste tre prospettive, se vogliamo che i ca-techisti le attuino nel loro servizio catechi-stico.

III. Alcune scelte operative

A partire da queste considerazioni, propongoalcune scelte più operative, tentando di te-nere presente sia l’importante contributo del-la relazione, sia le tre prospettive sopra in-dicate.

1. Le due dimensioni della formazione. Nelformulare una proposta di formazione aicatechisti, è da riprendere la grande in-tuizione del documento del 1991, cheponeva due obiettivi: «contribuire a pro-muovere identità cristiane adulte e a svi-luppare una competenza specifica al ser-vizio della comunicazione della fede». Laformazione alla fede adulta per il cate-chista e la formazione alla comunicazionedella fede sono due orizzonti formativiche assicurano insieme una formazioneintegrale del catechista e una formazionespecifica al suo ministero. Per il primoaspetto, il documento dice che «la fedeadulta comporta la consapevole decisioneper Gesù Signore, l’appartenenza respon-sabile alla Chiesa, la capacità di afferrarela rilevanza della fede per i problemidell’uomo e della società». Ritroviamo infiligrana la prospettiva del primo annun-

1 C. TORCIVIA, La parrocchia e la conversione pastorale, o.c., 90.

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cio per i catechisti (ne sono loro i primidestinatari), del processo di iniziazionealla vita di fede nella Chiesa, della capa-cità per sé di coniugare la fede con glisnodi fondamentali della propria vita. Peril secondo aspetto (la comunicazione dellafede), il documento dice che questa com-petenza comprende due risvolti: la capa-cità di accedere correttamente alle fontidella catechesi con una personale, pro-gressiva assimilazione dei suoi contenutifondamentali; e, ciò che è più tipico delloro ministero, la capacità di fondere in-sieme i diversi elementi (contenuti, con-dizioni dei destinatari, contesto ecclesiale,strumenti didattici, linguaggio, interazio-ne) nell’atto comunicativo, in vista di fa-vorire il cammino di fede dei propri fratelli.Intravediamo qui la questione di saperraggiungere l’essenziale della fede (il ke-rigma) e di saperlo comunicare nello spa-zio della relazione educativa.Questo modo di interpretare il compitodella formazione dei catechisti come au-toformazione alla fede e come competenzaa comunicare la fede è molto più unitariodi quello classico della triade “sapere, saperessere e saper fare”, certo pratico, ma cherischia di spezzettare la formazione e dinon far cogliere abbastanza la questionedi fondo: il primo annuncio è innanzituttoda riscoprire per sé e nella misura in cuiesso diviene esperienza per il catechistadiventa anche servizio comunicativo.Quindi, una formazione del catechista solofunzionale o didattica, non ha senso, èsterile strategia. Nello stesso tempo, la solamaturazione di fede del catechista senzaabilitarlo a ciò che lo connota, cioè la di-namica comunicativa come spazio del na-scere, crescere e giungere a maturazionedella fede, lascia scoperto il versante delsuo ministero specifico e rischia di essere

una formazione spirituale senza efficacia.Ce n’è già abbastanza, in queste due pro-spettive, per verificare in maniera onestala formazione che stiamo dando ai cate-chisti e per orientare in maniera intelli-gente le nostre pratiche formative.

2. Formazione di base, formazione perma-nente. Il documento del 1982 innalzavauna specie di inno di rendimento di grazieper la primavera catechistica post-conci-liare: « la Chiesa in Italia sta vivendo unmomento di grande sviluppo nell’impegnodi numerosi religiosi, religiose e laici perl’evangelizzazione e la catechesi... È sortauna nuova generazione di catechisti, ani-mati dal desiderio di essere educatori e te-stimoni del Vangelo nella comunità eccle-siale: mamme, papà e intere famiglie ca-techiste, catechisti dei fanciulli, dei prea-dolescenti, dei giovani, degli adulti, dei fi-danzati, delle associazioni o movimenti,ecc. È un grande dono che lo Spirito santosta facendo alla sua Chiesa... Il “movi-mento dei catechisti” è il frutto dell’azionedello Spirito che anima le nostre Chiese»(n. 2). Prendiamo atto che questa gene-razione si sta esaurendo. Erano catechistiche venivano da una formazione tradi-zionale (e quindi possedevano i contenutifondamentali della grammatica cristiana)e che hanno riscoperto per loro la bellezzadella fede attraverso le grandi acquisizioniconciliari e in particolare attraverso la ri-scoperta della scrittura e della liturgia. Vi-viamo dei continui cambi di catechisti equelli attuali mancano di una formazionedi base. Questo richiede di introdurre nellenostre diocesi una doppia proposta chiara,non confusa o sovrapposta: quella di unaformazione base, ad esempio biennale,conclusa in se stessa e mirante a trasmet-tere i fondamentali della fede e della ca-

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techesi (attivabile ogni tanto); e la for-mazione permanente, la quale richiede diessere pensata in progressione, in strettolegame con i problemi attuali della cate-chesi, in sintonia con le altre proposteformative diocesane. Di fatto, molti cate-chisti iniziano semplicemente partecipandoalle formazioni in corso, senza una scuolaguida iniziale. Per questo sono confusiloro e confusa è la loro catechesi.

3. I fondamentali della catechesi. Essendodecisiva per un catechista la capacità difare sintesi della propria fede e di comu-nicarla nei suoi aspetti essenziali, presoatto che molti di loro non hanno maiavuto una formazione di base, occorreche la formazione proponga anche perloro i fondamentali della fede. Per questomotivo può essere molto efficace ricupe-rare i 4 pilastri della catechesi che la tra-dizione ci ha trasmesso: il Credo, i sacra-menti, i comandamenti e la preghiera.Proprio una impostazione catecumenaledella catechesi lo consiglia. Ricordiamoche le catechesi catecumenali erano ap-punto essenziali, basate sul Credo, i co-mandamenti e il Pater prima della nottedi Pasqua e poi nella settimana mistago-gica, sui misteri, cioè sui sacramenti ri-cevuti. Il Concilio di Trento, nel catechi-smo “ad parocos”, li ha messi nell’ordineattuale, ripreso dal CCC. Se facciamo fareai catechisti un esercizio sul Credo, chie-dendo loro quali aspetti fanno loro pro-blema o sono difficili da capire, scoprire-mo che non rimane in piedi neppure unarticolo, ma nello stesso tempo scoprire-mo il loro grande desiderio di assimilarei punti fondamentali del Simbolo cristia-

no. La questione del contenuto, dopo glianni di impegno importante sui versantiantropologici del messaggio cristiano, ètornata centrale dentro una cultura dellapluralità e della confusione. Il Simbolo,come sintesi e regola della fede, è uncammino maestro per la formazione aicontenuti della fede del catechista e dellasua capacità di “rendere ragione” dellasperanza che è in noi.

4. La capacità narrativa e le formulazionidogmatiche della fede. Il documento del2006 contiene l’invito con dei passaggimolto belli ad abilitare i catechisti a nar-rare la loro fede. La riscoperta della di-mensione narrativa della fede è essen-ziale in una prospettiva di primo annun-cio, perché il primo annuncio è il raccontodella passione, morte e risurrezione delSignore: è un evento da raccontare primache da spiegare. La questione narrativaè ancora di più: è la capacità di narraredi Cristo narrando di sé, perché come diceSeverino Dianich: «oltre che raccontareGesù, dovrò anche raccontare di me. Ilmio sarà un atto di evangelizzazionequando racconterò che credo che Gesù èrisorto. E se credo che egli è risorto, avròanche da raccontare come la sua vita ela sua storia contano per me. In una pa-rola dovrò raccontare che io credo, rac-contare la storia della mia fede. Non siannuncia il Vangelo senza annunciare diCristo e allo stesso tempo senza raccon-tare di sé»2. Eppure questa competenzada sola non è sufficiente. Il «kerygma»non si riduce ai racconti; si esprime an-che, fin dal NT, sotto forma di formulebrevi, di confessioni di fede e di inni cri-

2 S. DIANICH, Dare la parola al mondo: il mondo soggetto di evangelizzazione, in E. FRANCHINI - O. CATTANI (acura), Nuova evangelizzazione. La discussione - le proposte, EDB, Bologna 1990, p. 104.

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stologici. Prima o poi le persone sentonoil bisogno di dire in poche parole quelloin cui credono. «La funzione delle formuledi fede è duplice: quella di “riassunto” equella di “regolazione”. L’essenziale, senon addirittura il «tutto» della fede, devepotersi dire in pochissime parole: è quan-to esigono la prassi catechistica e liturgi-ca, rivolta verso l’esterno e l’interno; èquanto chiede più fondamentalmente an-cora l’unità della fede fondata su di unacomune identità, che deve mantenersirintracciabile o riconoscibile per tutti»(Theobald). Questa capacità del catechistadi raccontare e di giungere alle formula-zioni ecclesiali della fede e, viceversa,quella di partire dalle formule della fedee di mostrare che vengono dai racconti eche questi contengono la vita del catechi-sta e delle persone a cui si rivolge, è de-cisiva in una prospettiva di primo annun-cio e di impostazione catecumenale.

5. Il modello di laboratorio “mitigato”.Quanto al modello formativo, è da pren-dere sul serio quanto il documento del2006 suggeriva come non unico ma au-spicabile: il modello laboratorio, che si-gnifica fondamentalmente una formazio-ne dove il catechista stesso sia protago-nista attivo e nel quale si leghi costante-mente la proposta con l’esperienza di fedee di catechesi dei catechisti stessi. Senzaapprofondire questa questione (ci sonogià in atto in Italia delle ottime propostelaboratoriali), vale la pena dire che l’ap-plicazione del modello laboratoriale vafatta nella misura degli obiettivi e dellesituazioni. Quanto detto sopra, e cioè chei catechisti mancano dei fondamenti bi-blici, teologici, magisteriali, porta a pen-sare che nella formazione di base non sipotrà fare a meno di proposte di appren-

dimento di tipo esposizione e assimila-zione, perché, se mancano gli elementibase, non si può lavorare (laboratorio)su niente. Un modello laboratoriale “mi-tigato” significa appunto, come si fa inalcune diocesi, integrare momenti espo-sitivi con dei moduli laboratoriali, neiquali alcuni elementi assimilati vengonoverificati nella vita dei catechisti e riela-borati in vista della comunicazione dellafede.

6. Per quanto riguarda le condizioni istitu-zionali da mettere in atto, sottolineatedalla relazione, ne riprendo due:

a) La formazione catechistica dei presbite-ri. Una delle questioni pratiche più deli-cate riguarda la non formazione catechi-stica dei presbiteri. È noto che il loro cur-ricolo di formazione teologica primadell’ordinazione ignora la formazione ca-techistica o la riduce a un corso di cate-chetica fondamentale di secondaria im-portanza. Formati sui contenuti, sonospesso sguarniti rispetto ai processi diapprendimento nella fede, cioè rispetto aciò che è specifico dell’atto catechisticocome atto comunicativo. Questa situa-zione richiede un incremento della for-mazione catechistica nei seminari, e unaformazione successiva non a lato, macon i catechisti. Sulla prima questioneun direttore UCD ha poco potere. Sullaseconda, occorre creare una mentalità di-versa dall’attuale. A qualunque incontrodi catechisti si partecipi, il ritornello èsempre lo stesso: «queste cose, bisogne-rebbe che le sentissero i nostri parroci».Il che vuole anche dire che i parroci nonsono praticamente mai presenti alle for-mazioni proposte nelle diocesi per i ca-techisti. Questa situazione provoca fru-

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strazioni e scoraggiamento e rischia diportare alla paralisi, perché crea unoscarto tra quanto si propone al centro equanto avviene di fatto sul campo. Tra-sformare gli incontri di formazione per icatechisti, in incontri di formazione percatechisti e preti, è un obiettivo difficilema raggiungibile, negoziando con le altreistanze formative della diocesi.

b) L’importanza delle équipes diocesane perla formazione dei catechisti. Un altropasso concreto, già parzialmente realiz-zato, è quello che ogni UCD si avvalgadi una o più équipes per la formazionedei catechisti. Dove queste ci sono, laformazione dei catechisti sta facendo pas-si importanti. Dove non ci sono, essa siriduce a incontri sporadici. L’équipe for-mativa diocesana è la condizione praticaper mettere in atto quella progettualitàche la relazione del Prof. Triani ha indi-cato come elemento chiave.

Conclusione

Termino con due rilievi.

a) La raccolta e circolazione delle “buonepratiche” di formazione. Anche se di-scontinua, la pratica della formazione deicatechisti in Italia ha già delle buone rea-lizzazioni in atto, dei tentativi ancora par-ziali ma già significativi. Come stiamo fa-cendo per le esperienze di iniziazione cri-stiana, possiamo fare per la formazionedei catechisti: un monitoraggio e unamessa in circolo delle buone pratiche diformazione.

b) Un problema aperto: uno strumento ca-techistico condiviso. Segnalo un proble-ma aperto, non indifferente sull’efficacia

della formazione dei catechisti. Riguardagli strumenti, vale a dire i catechismi. Ildocumento sulla formazione del 2006 siimpegna a ricuperare il valore dei cate-chismi CEI, non limitandosi alle esorta-zioni, ma fornendo preziose piste di va-lorizzazione, sia come libri della fede, siacome quadro per la formazione dei cate-chisti. Ma accanto a questa presa di po-sizione di valore, indiscutibile, occorreprendere anche atto della situazione rea-le. I Catechismi CEI sono stati per uncerto periodo i libri della catechesi, cioèil riferimento diretto nel fare catechesi.Sono successivamente diventati il quadrodi riferimento per gli itinerari catechisticie per i sussidi di catechesi, che li richia-mavano come finestra di sintesi. Fino adessere ora, non sempre ma ormai in ma-niera largamente diffusa, uno sfondosfuocato, sostituiti in gran parte da itine-rari e sussidi più centrati su percorsi diiniziazione in prospettiva antropologica,catecumenale o di primo annuncio. Que-sta evoluzione ha le sue ragioni. Se ilDB, che non è un catechismo ma «unasintesi ordinata di principi teologico-pa -storali… per guidare e stimolare l’armo -nico sviluppo della catechesi», pur man-tenendo intatto il valore di fondo dellesue opzioni, risulta bisognoso di revisioneper il contesto culturale profondamentemutato, a maggior ragione i catechismi,che sono degli strumenti pratici al serviziodella catechesi. La mancanza in questomomento di strumenti autorevoli a cui cipossiamo tutti riferire non solo per le lineedi fondo, ma anche per la mediazionecatechistica, costituisce un punto deboleper la formazione dei catechisti. Noi tuttiricordiamo come i catechismi CEI sianostati importanti nella loro prima stesuraperché hanno permesso ai catechisti di

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assimilare in modo nuovo, nell’ottica delConcilio, i grandi temi della fede e di abi-litarli contemporaneamente alla comuni-cazione di questi contenuti nel campodella catechesi. Il venire meno di questoriferimento ponte, rende più difficoltosae fragile la formazione stessa.

Nel corso del recente Seminario di studio sui40 anni del Documento Base, promosso dal-la stessa Commissione Episcopale (Roma,14-15 aprile 2010), Mons. Mariano Crocia-ta, Segretario Generale della CEI, ha auto-rizzato a riaprire il dossier riguardante «glistrumenti, ovvero la varie articolazioni delCatechismo per la vita cristiana, con la ne-cessaria verifica della loro adeguatezza e uti-lizzazione, e la conseguente riflessione sulloro eventuale mantenimento, aggiorna-mento o rinnovamento». È nostra convin-

zione che in questa nuova sfida nel segnodel primo annuncio non basti alla catechesiun quadro di fondo condiviso, ma che essadebba anche ritrovarsi attorno a strumenticomuni, che servano da “simbolo” (che si-gnifica tenere insieme, unire) di un camminocondiviso, per evitare una frammentazionedi fatto. E proprio questo valore di “simbolo”hanno avuto i catechismi CEI. Hanno datoil senso che camminavamo insieme comeChiesa italiana.

Valorizzare per quanto è possibile nella for-mazione i Catechismi CEI, tenere conto delladifficoltà del loro oggettivo invecchiamento,avviare un percorso di revisione: sono que -ste le sfide che la catechesi italiana può af-frontare in questo momento, abituata datempo a stare dentro i cambiamenti con unabuona capacità di fedeltà creativa.

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Premessa

1. Si ringrazia del lavoro svolto sia nell’as-semblea sia nei gruppi regionali e in par-ticolare la Chiesa che è in Bologna per ladisponibilità e l’accoglienza.Abbiamo pensato di prendere come rife-rimento per la sintesi del percorso del con-vegno, che vogliamo presentarvi, la pa-rabola lucana del Figlio prodigo o megliodel Padre misericordioso: Lc 15, 11-32.Sollecitati dall’introduzione di Mons. Se-meraro abbiamo pensato che questo con-vegno, che per primo si colloca all’internodel piano pastorale del prossimo decenniosull’educazione, non poteva che esserepropositivo, progettuale ed, al tempo stes-so, aperto. Per questo si è pensato di nonconsegnare subito dei fogli scritti, ma diprevederne una stesura più completa sulsito del UCN, anche perché in questo mo-do sarà possibile inviare ed integrare ag-giunte e suggerimenti, dal momento chesia il tempo del lavoro e sia lo spazio deldibattito in assemblea, per ragioni di tem-po, non poteva che essere ridotto.

1. La casa del Padre

a) La semina deve preoccupare il percorsoeducativo e la qualità della proposta come

ci ha ricordato la dott. Paola Bignardi. Lacasa, comunità credente ecclesiale, deveessere non solo lo sfondo dell’annuncioma il luogo della generazione e della cre-scita nella fede; tuttavia ciò che deve pre-occuparci non sono i risultati immediati,ma il fatto che resti nelle persone che in-contriamo, che troviamo sul nostro cam-mino o con le quali interagiamo, una no-stalgia del cuore, che porti un desideriodi ritornare e soprattutto la preoccupazio-ne che al loro ritorno si sentano accoltee amate. È necessario costruire e trovareuna comunità accogliente, che abbia co-me parametro di crescita la stessa passio-ne di Dio per la salvezza e la felicità del-l’uomo.

b) In questo senso ci sembra che sia emersala necessità di elaborare e costruire unapedagogia della relazione. Il mistero diDio, che si rivela in pienezza nel misteropasquale di Cristo, è un Dio in esodo,aperto e che esce incontro al figliol prodigoe al figlio maggiore che non voleva en-trare. Come ci ha ricordato il CardinaleAngelo Bagnasco nella lezione magistrale:«L’io per comprendersi deve domandarsida chi è amato e per chi a sua volta eglivive». Ed ancora ci ha ricordato il Cardi-nale: «Questa cura delle relazioni è l’ul-teriore tesoro dell’educazione alla fede».

PER UNA CATECHESI CHE MANIFESTALA CURA DELLA COMUNITÀ CREDENTE

PER L’INIZIAZIONE CRISTIANADELLE NUOVE GENERAZIONI

Don Gianfranco CalabreseDirettore UCD Genova, membro Consulta Nazionale UCN

Don Danilo MarinDirettore UCD Chioggia e UCR Triveneto, membro Consulta Nazionale UCN

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c) La questione educativa, dunque, ha sot-tolineato nel suo intervento la prof.ssaMoscato, richiede un’attesa paziente euna cura delle relazioni ma soprattuttosollecita una riscoperta della fiducia in Dio.È Dio che lavora nel cuore di ogni uomoe che ama e assiste ogni persona nel cam-mino di fede e di maturazione cristiana:dall’evangelizzazione al primo annuncioalla formazione permanente. La fiducia di-venta la condizione indispensabile per af-frontare i compiti talvolta faticosi e difficili,che sono richiesti a colui che si pone aservizio dell’annuncio del Vangelo per so-stenere anche il rischio dell’insuccesso,che talvolta si può verificare nonostante inostri progetti educativi. Il Padre non siferma alla confessione del figlio minore oall’incomprensione del figlio maggiore, macontinua ad amarli, accoglierli e perdonarlicome i suoi figli e per questo è capace dieducarli ed annunciar loro secondo le pro-prie esigenze: bisognava far festa e ralle-grarsi perché la morte è stata sconfittadalla vita. Questa conformazione dell’an-nunciatore e del catechista all’atteggia-mento accogliente del Padre non inducené a giustificare né una delega in sensopassivo del compito educativo né un in-genuo e irrealistico ottimismo. In realtàquest’attenzione alla modalità evangelicaimpegna la catechesi nella comunità cri-stiana per l’iniziazione cristiana delle nuo-ve generazioni a cogliere gli elementi fon-damentali ed essenziali della fede e dellasua comunicazione nei diversi ed eteroge-nei contesti di vita come nella sua rela-zione ci ha ricordato il professor Triani.

2. Lo stile educativo dell’accoglienza

a) La relazione filiale e fraterna. Come Diosi rivela nel nuovo testamento come Pa-

dre nostro e ridona fiducia ai suoi figli re-denti nel Figlio suo Gesù Cristo e nostroSignore e li educa nel dono dello Spiritosanto e nella Chiesa, madre e maestra,ad essere fratelli, così la catechesi compiela propria opera e ministerialità educativase ricolloca al centro della propria identitàla questione antropologica e teologica del-le relazioni essenziali con Dio e con i fra-telli. Solo questa centratura può liberarela catechesi dal rischio del funzionalismoe del tecnicismo, dalla ricerca spasmodicadei risultati e dal pragmatismo, che larende arida e insignificante, e soprattuttola imprigiona nell’interesse immediato,che non libera e non evangelizza nellalibertà e nella responsabilità della fede,perché troppo funzionale e poco gratuita,che non incide di fatto non solo sull’ICdei fanciulli e ragazzi ma neppure nellariscoperta della gioia della fede dei geni-tori, come hanno sottolineato sia laprof.ssa Cettina e lo stesso professor Tria-ni. L’abbraccio e il bacio del Padre dellaparabola lucana, come lo stesso raccontoevangelico giovanneo della Samaritanaal pozzo, sottolineano la gratuità dell’of-ferta di Dio della salvezza e della libera-zione dal peccato e dalla morte e dellavita eterna. È questa gratuità che respon-sabilizza, che conduce alla verità dellaconfessione e che fa fare l’ultimo passodella conversione, in quanto libera dal-l’interesse e dal timore, dalla paura e dallacostrizione e permette di gustare e di gioi-re della bellezza del dono di Dio, dellosplendore della verità.

b) Se prendiamo come sfondo del nostroconvegno la parabola evangelica, è pos-sibile cogliere un altro principio fonda-mentale per analizzare il rapporto e l’in-terrelazione tra la catechesi e la sfida edu-

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cativa: la conoscenza della persona delPadre era nei figli, ma mancava – si po-trebbe dire – l’esperienza della paternità.L’accoglienza, la gioia dell’incontro e ildono del perdono li ha resi capaci di co-gliere nell’esperienza ciò che conosceva-no nella teoria. Se si vuole elaborare unpercorso educativo-catechistico, fedele aDio e all’uomo si deve vigilare controogni forma di contrapposizione ideologicatra teoria e prassi, tra Logos e Agape. Èquesta la sfida che l’educazione nel con-testo contemporaneo lancia alla cateche-si, alla comunità cristiana e alla famigliae alle altre agenzie educative. Ancora unavolta il cardinale ha ricordato: «La tradi-zione italiana si caratterizza e deve con-tinuare a caratterizzarsi per la sua capa-cità di proporre alle giovani generazionila chiesa come compagnia affidabile, co-me ambiente in cui maturare alla fiduciae l’amore».

c) Il Padre che esce a cercare il figlio mag-giore, che non voleva entrare, ci ricordae ci sollecita a capire l’importanza del-l’alleanza educativa. Essa nasce dallacoscienza che la relazione fraterna ed ec-clesiale è essenziale per manifestare lagioia dell’accoglienza, la bellezza del sa-per fare insieme festa e soprattutto perrendere efficace il compito della missio-narietà. Dio stesso cerca e stimola l’alle-anza, la comunione, la condivisione comeforma necessaria di missionarietà. Ma perfar questo è necessaria – come ci hannoricordato il prof. Triani e fratel Biemmi –una formazione di base e permanente.Questa formazione permette di vincere leresistenze ideologiche e le pre-compren-sioni, che tendono ad assolutizzare i si-stemi e a non lasciarsi interpellare daireali bisogni e dalle effettive sollecitazioni

non solo della storia ma soprattutto dellafede nella storia.

3. Il progetto

«Bisogna far festa perché questo figlio eramorto ed è tornato in vita»

a)La catechesi educa se fa scoprire il valoredella vita evangelica e della sequela diGesù. Gesù donandosi ci dona la vita. Lapassione del buon Pastore, l’abbondanzadello Spirito Santo, la comunione e la mis-sione della Chiesa primitiva sottolineanola necessità oggi della testimonianza diuna catechesi nella comunità cristiana at-tenta alla vicinanza, che si modula se-condo il ministero dell’accompagnamentoe della condivisione, che deve caratteriz-zare il catechista come singolo e il gruppodei catechisti. In questo modo la comuni-cazione della fede diventa vitale ed esi-stenziale. Non si manifesta come ammi-nistrazione e gestione di un potere, macome un ministero autorevole, in quantosi pone a servizio della crescita della fededella persona umana.

b) In questa prospettiva è stata evidenziatal’ottica educativa dell’annuncio e dellamaturazione della fede degli adulti, la loroformazione permanente, sia dei catechistisia dei presbiteri. Se formati, gli adulti sa-ranno persone significative, cioè testimo-ni autorevoli. Senza formazione perma-netne si finisce per cadere nel rischio dellaconservazione dei ruoli, nella difesa ste-rile di un potere o di posto come – ancorauna volta – è possibile notare nell’atteg-giamento e nella reazione del figlio mag-giore della parabola. Invece la sfida edu-cativa della catechesi dell’I.C. nella co-munità dei credenti richiede di crescere

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insieme nell’accoglienza e nella scopertadell’altro come fratello, per sviluppareuna flessibilità educativa, per dare un’abi-tazione alle ansie e ai bisogni di chi cam-mina sulle strade del mondo nella ricercae nel desiderio di trovare una casa caldae non un programma freddo e poco si-gnificativo.

Da questo quadro partiamo per sintetizzareil lavoro, davvero notevole, che ci ha vistoimpegnati dapprima a livello della Consultanazionale e, in seguito, a livello regionalee, quindi, in questo Convegno, sofferman-doci in particolare e in maniera specularesulle tre icone, che sono state colte nel rac-conto lucano.

1. “La Casa del Padre”. Comunitàcredente che educa: rapporto tracatechesi ed educazione

a) Educare, ci siamo detti ripetutamente,significa offrire ad una persona la pos-sibilità di realizzare nel modo più com-pleto e globale se stessa, la propria na-tura, le proprie potenzialità e la propriacapacità strutturale di relazione. Ne con-segue che realizzare se stessi equivale aconformarsi ad immagine e somiglianzadi Dio guardando a Gesù Cristo, personaumana e divina: il documento sul RdCsi caratterizza per la svolta antropologicae per il suo cristocentrismo. Se la cate-chesi non viene ridotta a mero insegna-mento, ma viene intesa come vera ini-ziazione alla vita cristiana, il suo con-tributo è notevole:

1) nell’ambito dell’emergenza educativa,come ci ha ricordato anche la prof.ssa

Moscato, mette al centro la persona neisuoi bisogni e nelle domande di vita;

2) tiene conto della gradualità del cam-mino;

3) valorizza il dialogo intergenerazionale;

4) si preoccupa che nella comunità ci sia-no adulti testimoni credibili.

b) Un altro tema molto dibattuto durante ilconvegno è che il rapporto tra catechesied educazione è leggibile dentro l’imma-gine di Chiesa che è madre e maestra(vedi soprattutto l’intervento della dott.ssaBignardi). Ciò significa che, come nellarealtà della generazione alla vita una ma-dre e un padre non abbandonano il figliomesso al mondo, ma si rendono disponi-bili a prendersene cura e ad accompagnar-lo nella vita, così la chiesa genera costan-temente nuovi figli alla fede e desideragarantirne anche l’accompagnamentolun go le fasi di sviluppo della vita.

2. Lo stile educativo della catechesi

a) La catechesi di per sé abbraccia tutta lapersona nel suo pensiero, nei suoi com-portamenti e nel suo stile di vita. Edu-cando alla fede, la catechesi forma l’uomoin tutte le sue componenti, di persona, divalore assoluto e di relazionalità. Quindiessa non trasmette solo informazioni,idee, una semplice dottrina, ma motivi eragioni di vita, che si traducono in testi-monianza, convinta e credibile.

b) Lentamente si incomincia a dare spazionel ministero del catechista alla compe-tenza relazionale. In questa prospettivaemerge la mancanza del volto significa-tivo della comunità di fede, di cui ciascuno

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si sente parte e da cui è possibile riceverela propria identità e la propria missione.

c) Alla luce delle affermazioni di GS 41 e diRdC 51 è possibile sottolineare che lacomponente educativa è essenziale nellacatechesi per dare corpo e sostanza al-l’annuncio e alla maturazione della fede.D’altra parte, se non si assume il modelloevangelico nell’educazione, l’educazionestessa diventa fallimentare: gioia, gratui-tà, vita, sequela ecc. devono «caratteriz-zare» la comunità cristiana, la personadel catechista, il presbitero e le personeconsacrate.

d) Lo stile del primo annuncio e del cate-cumenato possono dare un contributo si-gnificativo nel contesto attuale di emer-genza educativa. Il modello catecumenale,infatti, mette in evidenza l’attenzione alpasso delle persone, la componente edu-cativa, la necessità di forti e motivate al-leanze educative, soprattutto con la fami-glia e con il mondo degli adulti, orientan-doli a vivere il vangelo nel quotidiano.

3. Progetto aperto

a) Il catechista educatore e la sua forma -zione

1) In molte nostre diocesi sono presenticorsi base per catechisti ed accompa-gnamento degli stessi. Si domanda pe-

rò un maggior coordinamento nel pro-porre itinerari organici e sistematici,valorizzando l’esistente anche a livelloregionale.

2) Si sottolinea da più parti l’importanzadella formazione di equipe per la for-mazione e l’accompagnamento deicatechisti.

3) Qualche regione proponeva una scuoladi formazione o la realizzazione di unMaster UCN a livello nazionale.

b) Ritorna ancora l’insistenza di una forma-zione catechetica nei nostri seminari non-ché di una formazione per i presbiteri del-le nostre Comunità parrocchiali, per aiu-tarli a recepire le indicazioni magisterialiche nel campo della catechesi arrivanoda pronunciamenti, documenti, note etc.

c) È importante recuperare il lavoro d’insie-me degli uffici pastorali. Non si può chie-dere ai catechisti di lavorare insiemequando nemmeno gli uffici pastorali dio-cesani sono capaci di farlo.

d) Sarebbe opportuno mantenere uno stilesinodale tra le associazioni, i gruppi e imovimenti nella progettazione, nellosvolgimento e nell’attuazione di un cam-mino di IC sempre più difficile nelle mu-tate condizioni dei nostri tempi.

e) Sarebbe opportuno almeno a livello regio-nale raccogliere per una maggiore circo-lazione – come ci ha suggerito fratel Biem-mi – le “buone pratiche di formazione”

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1. Mysterium Lunae

Un’immagine molto cara all’ecclesiologia deiPadri è quella della luna come simbolo dellaChiesa,1 che, nel suo ciclo calante e crescen-te, riceve luce e vita dal sole, che è Cristo.Rivisitiamo questa immagine con le paroledi S. Ambrogio:

La luna ha proclamato il mistero di Cristo.Non è di scarso pregio l’astro in cui egli(Cristo) ha posto una sua raffigurazione,non di poco valore l’astro che è simbolodella Chiesa a lui cara... E veramente co-me la luna è la Chiesa che ha diffuso lasua luce in tutto il mondo e, illuminandole tenebre di questo secolo, dice: “La notteè avanzata, il giorno è vicino” (Rom13,12)... Spingendo lontano il suo sguar-do, la Chiesa, come la luna, spesso scom-pare e rinasce, ma per effetto di questesue scomparse è cresciuta e ha meritatodi ingrandirsi, mentre sotto le persecuzio-ni si rimpiccioliva e dal martirio dei con-fessori veniva incoronata. Questa è la ve-ra luna che dalla luce perenne di suo fra-tello [il Sole, Cristo] deriva il lume del-l’immortalità e della grazia. La Chiesa ri-fulge non della propria luce, ma di quelladi Cristo. Trae il proprio splendore dal Soledi giustizia, così che può dire: “Non sonopiù io che vivo, ma Cristo vive in me”(Gal 2,20). Veramente beata sei tu, o lu-

na, che hai meritato un così invidiabileonore! Perciò ti potrei dire beata non peri tuoi noviluni, ma perché sei simbolo del-la Chiesa: là sei serva, qui sei oggettod’amore. (S. Ambrogio, Hexaemeron, IV,8, 32).

La Chiesa, come la Luna calante, è sog-getta alla stessa sorte del Verbo di Dio nellasua kenosi di incarnazione, passione emorte. Essa è capace di seguire come di-scepola fedele il suo Sposo nella sua mis-sione di condivisione ed assunzione delladimensione umana fino al suo transito pa-squale “da questo mondo al Padre” (Gv13,1). Ma la Chiesa, come la Luna cre-scente nel rinnovarsi della sua presenza,è soggetta, in forza della Grazia dello Spi-rito, ad una vita sempre nuova, ad un ri-generarsi, generando alla luce e alla vitadel Cristo i cristiani. Ed infine la Chiesa,come l’astro rifulgente, irraggia nel pleni-lunio pasquale, la luce del Cristo, ed an-nuncia la verità del Vangelo della morte erisurrezione del Figlio di Dio.Chiesa che cammina nel tempo sulle ormedel Cristo, Chiesa che genera nel tempo at-traverso l’Iniziazione Cristiana, Chiesa chenel tempo irradia il Vangelo della Carità.Questa immagine patristica ci permette direcuperare, proprio nella prospettiva del no-stro servizio all’evangelizzazione, il temadella Chiesa discepola, madre e maestra,come forma della catechesi.

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LA COMUNITÀ CATECHISTICA ITALIANAA SERVIZIO DELLA SFIDA EDUCATIVA

RELAZIONE CONCLUSIVA

Don Guido Benzi, Direttore UCN

1 H. RAHNER, “Mysterium Lunae”, in L’ecclesiologia dei Padri, Paoline, Roma 1971, 145-287.

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Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

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2. La catechesi espressionedi una Chiesa discepola,madre e maestra

Discepola. È il tema del rapporto (e nondella contrapposizione) tra esperienza di fedee contenuti della fede: vieni e seguimi! diceGesù. Esiste una circolarità virtuosa tra l’an-nuncio di fede che interpella la conoscenzae l’intelligenza della persona e la necessariaincidenza della fede nella vita testimoniatada una tradizione vissuta. La separazionetra queste due dimensioni, oltre che essereuna lancia spezzata nei confronti dell’attualeframmentazione, può generare una cono-scenza che non tocca il cuore, che non as-sume la carne ed il sangue, e dunque nonsalva, o, d’altro canto un esperienzialismoetico confinato nelle sole scelte soggettive.Il vieni e seguimi interpella la persona nellasua globalità e indica la peculiarità e la no-vità della stessa persona di Cristo, che nonè un semplice maestro che insegna, ma ilFiglio di Dio fatto uomo. Egli pretende nonsolo di insegnare, ma di essere seguito. Perquesto motivo la catechesi dell’IC pone, nellarealtà della viva testimonianza, il nucleofondamentale e il luogo significativo dellasintesi tra conoscenza ed esperienza: ed intal senso è eminentemente educativa. Latestimonianza cristiana si fonda su una co-noscenza motivata e ragionevole, confiden-te e mai diffidente, ed allo stesso tempo simanifesta in una fede significativa, storicae pasquale. Viene in mente quell’espressioneche i Padri Latini (soprattutto Ruperto di

Deutz) usavano per sintetizzare il misterodella “Parola fatta carne”: essi parlavano diun “Verbum abbreviatum“2. Come sappia-mo, tale espressione è stata particolarmentestudiata da H. de Lubac3. Tutta l’antica al-leanza altro non è che un convergere versoil Cristo. Le molte parole degli scrittori biblici,ispirate da Dio, diventano per sempre l’unicaParola fatta carne. Senza di Lui tutto si scio-glie e le parole si riducono a frammenti dimolteplici espressioni umane. «Una sola vol-ta parlò Dio e si udirono molte cose»4. InGesù converge tutta la Rivelazione che vieneracchiusa nel seno della Vergine Madre, inun bimbo. Dio non ha altra parola all’infuoridel suo Verbo fatto carne, ed al di fuori diesso nessuna parola può essere compresa.Con il – fiat – di Maria la Parola fin qui soloudibile con le orecchie, si rende toccabile,guardabile, conoscibile: «Nessuna delle veritàantiche, nessuno degli antichi precetti è an-dato perduto, ma tutto è passato a uno statomigliore. Tutte le Scritture si vengono a rac-cogliere nelle mani di Gesù come il pane eu-caristico, e, portandole, è se stesso che Egliporta nelle sue mani... Dio aveva distribuitoagli uomini, foglio per foglio, un libro scritto,nel quale una Parola unica era nascosta sottonumerose parole: oggi egli apre loro questolibro, per mostrare tutte queste parole riunitenella Parola unica... Così il Nuovo Testamen-to succede all’Antico, e l’Antico si ritrova nelNuovo, l’uno e l’altro non formano che uno;allo stesso modo che in Dio l’Unità si dilatain Trinità, poi la Trinità si raccoglie in Unità,così il Nuovo Testamento si dilata nell’Anticoe l’Antico si condensa nel Nuovo... Ma que-

2 L’espressione viene dal versetto di Rm 9,28b secondo la Vulgata, in cui Paolo cita la LXX di Isaia 10,22-23:«quia verbum abbreviatum faciet Dominus super terram».3 H. De Lubac, Esegesi Medievale, I, 325-354. Si può vedere per una riflessione su questa formula patristica G.Benzi, «“Verbum abbreviatum”. Cristo come chiave ermeneutica della Scrittura», in N. Valentini (ed.), 4 S. Am-brogio, In Psalmo LXI, 33-34.

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sto Vangelo annunziato da Gesù, questa pa-rola pronunziata da lui, se contiene tutto, èperché non è altro che Gesù stesso. La suaopera, la sua dottrina, la sua rivelazione, èlui!... Le due forme del verbo abbreviato e di-latato sono inseparabili. Il libro, dunque, ri-mane, ma nel tempo stesso passa tutto in Ge-sù, e per il credente la sua meditazione con-siste nel meditare questo passaggio»5. L’esserediscepola della Chiesa, in ascolto costante evitale del suo Signore ed insieme in ascoltodelle vicende degli uomini, ha come finalitàdi compiere in Cristo ogni ricapitolazione:«Questa economia della rivelazione avvienecon eventi e parole intimamente connessitra loro, in modo che le opere, compiute daDio nella storia della salvezza, manifestanoe rafforzano la dottrina e le realtà significatedalle parole, e le parole dichiarano le operee chiariscono il mistero in esse contenuto.La profonda verità, poi, su Dio e sulla sal-vezza degli uomini, per mezzo di questa ri-velazione risplende a noi nel Cristo, il qualeè insieme il mediatore e la pienezza di tuttala rivelazione» (DV 2).

Madre. È l’aspetto sul quale abbiamo mag-giormente indagato in quest’ultimo decen-nio, attraverso la riflessione sul Primo an-nuncio, il Catecumenato, l’Iniziazione cri-stiana, la mistagogia. Nei Sacramenti del-l’Iniziazione cristiana viene generato l’uomo“nuovo” in Cristo Gesù. Come è stato am-piamente detto al Seminario sul 40mo delDocumento Base, la “scelta antropologica”di questo Documento non si declina solo co-me “scelta esperienziale”. In essa vi è unaprospettiva antropologica, appunto, ancoratutta da approfondire in chiave pastorale cheriguarda il pieno progetto di “uomo” che civiene svelato in Cristo.

Maestra. L’immagine da valorizzare è quel-la della “maestranza” dell’artigiano, coluiche all’interno del laboratorio/bottega educal’apprendista a superare le difficoltà dell’ope-ra (è il laboratorio della fede di cui parlòGiovanni Paolo II nella GMG del 2000). Intal senso il processo iniziatico non ha la ca-ratteristica del “rito di passaggio” ma man-tiene invece la dimensione di accompagna-mento all’espressione “adulta” della fede, inuna relazione fondativa e in una comunica-zione di gesti, conoscenze, abilità, apparte-nenze, forme della cultura, nelle quali l’al-lievo riversa anche una sua creatività per-sonale, in vista di una “missione” che haorigine, proprio tramite la Chiesa, nell’operastessa di rivelazione, redenzione e salvezzadel Dio trinitario.

3. Il Cuore, il volto, le mani e i piedi.

La catechesi si pone allora come svelamentodel cuore, del volto, delle mani e dei piedidi questa Chiesa, che risplende del Cristo.Qui si delinea anche un cammino di rinno-vamento in vista di quel ripensamento inatto della IC.Ma prima di ogni cosa va detto che stiamovivendo un momento favorevole, unmomento importantissimo, di presa dicoscienza delle dinamiche educative ec-clesiali, che non possiamo disattendere.E non possiamo farci fiaccare dalla tenta-zione di voltarci continuamente indietro, di-ventando così come “statue di sale”!

Cuore. Educare è cosa del cuore. È neces-sario ritornare al significato più profondodell’esperienza cristiana come incontro colCristo. Questo comporta alcune assunzioni

5 H. De Lubac, Esegesi Medievale, I, 344-353.

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nel nostro operare, che elenco qui in modosintetico.• Immettere negli itinerari di Primo annuncio,

catecumenato, IC e catechesi una significa-tiva opera di educazione alla vita interiorecon alcuni passaggi educativi importanti:

• Educare alla grammatica interiore delle re-lazioni.

• Il mondo della catechesi come luogo in cuisi impara a esprimere la relazione comevera dimensione della persona. Il catechi-sta è anche un “maestro” di relazionievangeliche.

• A questo punto dobbiamo chiederci qualè la qualità delle relazioni tra di noi, tra inostri catechisti, nelle nostre comunità.Ma anche nei nostri Uffici con le nostreéquipes. Ed anche nel rapporto tra UCD,UCR ed UCN. Nonché nella Consulta na-zionale.

• E in questo senso possiamo domandarci aquale “responsabilità ecclesiale” ci edu-chiamo ed educhiamo.

• Sarebbe molto bello se gli UCD fossero inprima fila, senza gelosie, senza indugio oattesa che il passo venga compiuto da “al-tri”, ad elaborare quelle “alleanze educati-ve” disposte intorno alla vita delle persone.La riflessione di ieri sera nella Tavola Ro-tonda ne è stato un primo, forse timido, machiaro esempio.

• Educare ad una interiorità (silenzio, ascol -to, relazione, tatto, crescita, volontà, co-scienza…) illuminata dalla Fede.

• Educare alla lettura orante della Scritturain rapporto alla celebrazione liturgica, den-tro la tradizione ecclesiale (confronto colMagistero e con le vite dei Santi), guar-dando all’eucaristia come fonte e culminedella vita in Cristo.

• Saper riconoscere il momento delle deci-sioni importanti, saper educare a questedecisioni.

• Entrare in una dinamica di relazione conDio profondamente “vocazionale”.

Volto. È la comunità che celebra e vive lasua professione di fede attraverso legami dicarità. La catechesi deve ritrovare e conti-nuamente cercare questa forte alleanza conle comunità, anche le più semplici, cercandonon di proiettare modelli teorici, ma di dare“nome” alla vita che, per la grazia di Dionel Sacramento, è già presente. La dimen-sione mistagogica in tal senso, benché la siponga sempre come punto di arrivo, è in re-altà un punto di partenza. Possiamo qui ri-cordare una felice provocazione del monacoDossetti: «Scrittura ed Eucaristia non sonosolo dei segni della salvezza, ma sono en-trambe l’unica reale e piena salvezza fattaPersona, il Cristo Gesù: nel quale, e nel qualesolo, noi cristiani finchè siamo in questa vi-ta, possiamo attingere lo Spirito di Dio eavere adito e comunione con Dio e con tuttigli uomini, in modo perfettamente adeguato.Non c’è un “oltre”. Non c’è qualche cos’altrodi Dio che ci sfugga o che ci sia dato in altromodo o più facilmente e sicuramente. Nonc’è invece altro che aderire sempre più conla totalità del nostro essere mantenendoci ilpiù aperti e il più disponibili possibile a que-sta totalità di vita divina in Gesù, nella suaParola e nei suoi Misteri, lasciando a Lui, ilCristo, di elargircela nella misura sempre piùpiena disposta per ciascuno di noi dallaProvvidenza del Padre»6.Tutto questo comporta la chiara assunzionedi alcuni impegni perché questo “volto” di-venga percebile nelle nostre comunità.

6 G. Dossetti, “Non restare in silenzio mio Dio”, Sussidi Biblici 18 (1987) 55.

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• L’elaborazione di suggerimenti ed orien-tamenti/guida per ridefinire gli itinerari dicatechesi dell’IC a partire dalle sperimen-tazioni avviate e dai criteri evidenziatisi inquesti anni tenendo conto della dimensio-ne comunitaria della catechesi, in una pro-spettiva di “alleanze educative”. Tale de-finizione di orientamenti/guida potrebbeoccupare il primo step del nostro impegnonel decennio, perché i nostri Vescovi pos-sano procedere all’elaborazione di quel“documento condiviso” richiamato daMons. Semeraro all’inizio del nostro Con-vegno, senza il quale non può ripartire unserio aggiornamento degli strumenti cate-chistici dell’IC di fanciulli e ragazzi.

• Verifica e aggiornamento degli strumenticatechistici dell’IC, con un maturo discer-nimento dei tempi, delle modalità, dellepossibili forme degli strumenti stessi. E te-nendo conto della situazione peculiare del-la realtà religiosa italiana: popolarità, co-munità parrocchiali, realtà diocesane, as-sociazioni, movimenti laicali, ruolo dei re-ligiosi e soprattutto, delle religiose nellacatechesi.

• A tal fine, nella forma e nei modi che cisaranno indicati dalla Segreteria Generaledella CEI, saranno istituite nell’UCN dueCommissioni, una per la catechesi dell’ICe una per la Catechesi degli adulti che stu-dieranno attentamente le consegne che at-tendiamo dagli Orientamenti decennali.

• Questo con uno stile di delicatezza nei con-fronti delle realtà che raccomanderei a tuttigli operatori della catechesi.

• E ritorna qui la sottolineatura fatta ieri neldibattito sulla coesione, sull’unità, sul nondisperdersi. La relazione che il Presidentedella CEI, S. Em.za il Card. Angelo Bagna-sco, ci ha proposto, mantiene molti ele-

menti importanti per sviluppare armonica-mente questa nost ra riflessione.

Mani. Sono gli operatori concreti di relazionicatechistiche significanti e significative. Inprimis i Vescovi ed i Sacerdoti in quanto pa-stori; con questi ultimi, soprattutto con i Par-roci dobbiamo riallacciare concretamente unrapporto, ridicendo il loro specifico e concretoapporto nell’atto catechistico. Quindi i cate-chisti e tramite loro gli educatori. Sono anchele famiglie, chiamate a generare e a soste-nere/alimentare la fede, fin dal sacramentodel Battesimo. Sono infine gli “adulti” nellafede delle comunità.

• In tale prospettiva va ripensata la forma-zione specifica di questi “operatori” anchein chiave unitaria (nazionale, regionale,diocesana) con strumenti di base e conun’attenta formazione dei formatori. Que-sto anche con l’apporto delle agenzie for-mative delle chiese locali (ISSR). È ne-cessario riflettere su alcuni modelli forma-tivi e poi esemplificarli.

• A tal fine è auspicabile che i nostri Ufficidiocesani (ed anche Regionali) presentinoil più possibile una struttura agile ma so-lida, dove i tre Settori e le varie attenzionisono ben compaginati e stabilmente rap-presentati nell’Equipe diocesana per la ca-techesi, vero motore ed organo rappresen-tativo dell’animazione catechistica, in pie-na collaborazione con il Direttore sotto laguida del Vescovo.

• Anche la Consulta Nazionale deve essereripensata a servizio di tale attenzione for-mativa. Essa va dotata di uno Statuto epensata in modo più aderente ai serviziche ci attendono.

• La formazione specifica non può che es-sere connessa con vere e proprie esperien-

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ze di catechesi come formazione perma-nente degli adulti. Per cui da subito biso-gna ripartire con l’identificazione e la pro-prosta di itinerari catechistici per adulti at-tenti alle dimensioni di vita. Ed in tal sensopuò essere importante una rivisitazione at-tenta del Catechismo degli adulti.

Piedi. Ma il lavoro svolto nell’ultimo decen-nio ci ha mostrato come feconda e dinami-camente importante la realtà del Primo an-nuncio della fede. Questa connotazionemissionaria della comunità va motivata esostenuta perché questi “piedi” appaiano atutti “belli” e “agili”.• Va operata una recensione delle esperienze

di Primo Annuncio fatte nelle Diocesi enelle varie realtà ecclesiali.

• È importante l’individuazione di alcuniambiti privilegiati di Primo annuncio (na-

scita di un figlio, genitori, scelta dellascuola, scelta universitaria/lavorativa, fra-gilità, affetti, tempo della festa, rapportocon la disabilità/emarginazione/povertà,mondialità, custodia del creato…) ed ela-borazione di una sussidiazione non banaleindividuando anche espressioni pastoraliad hoc.

• Pensare a strumenti per il primo annuncioe formazione di persone dedicate alla pree-vangelizzazione. Con un’attenzione nonoccasionale ai nuovi linguaggi mediatici.

• Soprattutto nel mondo giovanile, ricupero(ed eventuale ripensamento) dei catechismiin chiave di itinerari che accompagnino ilPrimo Annuncio in questa fascia di età.

Il lavoro che ci attende è dunque molto am-pio, ma anche entusiasmante. Ci dia il Si-gnore confidenza e coraggio.

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«Il nostro dovere non è soltanto di custo-dire questo tesoro prezioso, come se ci pre-occupassimo unicamente dell’antichità, madi dedicarci con alacre volontà e senza ti-more a quell’opera, che la nostra età esige,proseguendo così il cammino, che la chiesacompie da venti secoli»: così si esprimevaGiovanni XXIII nel suo celebre discorso Gau-det Mater Ecclesia l’11 ottobre 1962, dandoinizio al Concilio Vaticano II, ponendo cosìin connessione – per quanto concerneva ilpatrimonio dottrinale della Chiesa – il pas-sato con il presente e il futuro.

Questo è stato il medesimo intento dellaCommissione episcopale per la dottrina dellafede, l’annuncio e la catechesi del quinquennioappena concluso: ricordare i 40 anni dellapubblicazione del Documento di base Il rin-novamento della catechesi (2 febbraio 1970),riproponendo all’attenzione di tutte le compo-nenti della comunità ecclesiale le linee portantidel documento; segnalare le nuove sfide concui devono fare i conti oggi l’evangelizzazionee la catechesi e delineare le nuove esigenzepastorali a cui la Chiesa italiana deve far frontenel contesto del nostro paese, profondamentemutato rispetto a quarant’anni fa.

Il Seminario di studi svoltosi a Roma il 14-15 aprile 20101 e la Lettera indirizzata a tuttigli operatori della catechesi intitolata Annun-cio e catechesi per la vita cristiana, appro-vata dal Consiglio episcopale permanente nel-la sessione del marzo scorso e pubblicata conla data di Pasqua (4 Aprile 2010), rispondonoa tale desiderio della Commissione, di nonfermarsi, cioè, alla mera “celebrazione di unanniversario”, ma di sviluppare ulteriormentela riflessione per orientare il cammino dellacatechesi italiana verso il decennio sull’edu-cazione, ricchi del patrimonio acquisito inquesti quarant’anni, a partire proprio dal Do-cumento di base (d’ora in poi: DB).

A me è stato affidato il compito di illustravibrevemente la Lettera, e soprattutto dimettere in evidenza in quali modi essa po-trà essere utilizzata fruttuosamente. Pre-metto che in ciò sono enormemente faci-litato dalla distanza che ci separa dalla suapubblicazione (molti dei presenti avrannoavuto modo di leggerla), dalla serie di con-tributi a commento che sono apparsi nellevarie riviste, e soprattutto dagli interventidel già citato Seminario di studi della Com-missione.

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ANNUNCIO E CATECHESI PER LA VITA CRISTIANALETTERA ALLE COMUNITÀ, AI PRESBITERI

E AI CATECHISTINEL 40° DEL DOCUMENTO BASE

«IL RINNOVAMENTO DELLA CATECHESI»

COMUNICAZIONE

Don Carmelo Sciuto, Aiutante di studio UCN

1 Alcuni interventi sono pubblicati nel numero monografico della rivista Catechesi ricevuto in cartella, ma èpossibile il download di tutti gli interventi in www.chiesacattolica.it/ucn.

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1. A chi è destinata?

La Lettera si rivolge alla comunità ecclesialein tutte le sue componenti, dando attenzionein special modo ai sacerdoti e ai catechisti.Non si tratta di un’ulteriore lettera di ricon-segna (la precedente, a firma di tutti i ve-scovi, risale al 1988, quando, terminata lafase di sperimentazione dei nuovi catechi-smi, se ne iniziò la stesura definitiva), madi un agile documento (a firma della solaCommissione episcopale) che pur ribadendola validità e attualità del DB nell’ampio pa-norama della pastorale catechistica delle no-stre comunità ecclesiali, essendo mutati gliscenari culturali, sociali e religiosi del nostropaese, ravvisa la necessità di un’ulteriore ri-flessione per compiere delle nuove scelte pa-storali e catechistiche.

2. Com’è strutturata?

La Lettera si articola in tre parti: la primariafferma il valore permanente del DB, la se-conda segnala i cambiamenti dell’attualecontesto e la terza delinea le nuove esigenzepastorali a cui la catechesi italiana è chia-mata a fornire il suo apporto.

La prima parte – intitolata il valore per-manente del DB – consta di sei paragrafi.Essa mette in luce come il concilio VaticanoII sia stato il “grembo materno” del DB; neevidenzia i principali contenuti, dando at-tenzione a ribadire che finalità della cate-chesi non è solo trasmettere i contenuti dellafede, ma educare la “mentalità di fede”, ini-ziando alla vita ecclesiale e favorendo l’in-

tegrazione fede-vita; richiamando anche lavisione rinnovata della Chiesa che generaalla vita in Cristo mediante l’iniziazione cri-stiana, una comunità tutta responsabiledell’evangelizzazione e dell’educazione dellavita di fede; riscoprendo che fonti della ca-techesi sono la Scrittura, la tradizione, la li-turgia e le opere del creato.

La Lettera, inoltre, sottolinea come il DBabbia ispirato il cammino della Chiesa ita-liana e i suoi piani decennali, a cominciareda “Evangelizzazione e sacramenti” deglianni settanta all’attuale in via di conclusione(“Comunicare il vangelo in un mondo checambia”). Certo – ammette il testo – anchese il DB ha avuto il grande merito di metterein evidenza il primato dell’evangelizzazione,«questo compito primario della pastoraleè stato di fatto quasi totalmente deman-dato alla catechesi» (n. 5).

Il documento, infine, ricorda come il DB ab-bia avuto il merito di avviare la lunga ela-borazione dei nuovi catechismi per la vitacristiana2, precisando, quindi, che il suo va-lore non può «essere sminuito dal fatto chein alcuni casi la sua recezione non sia statadel tutto corretta» (n. 6); ciò vale, peresempio, nel caso in cui si sia messo in om-bra l’aspetto veritativo della fede in nomedella comunicazione esperienziale: questo -chiariscono i vescovi - non corrispondevaalle intenzioni degli estensori del testo.

Scopo della seconda parte – dal titolo ilcontesto attuale – è spiegare, in tre brevima intensi paragrafi, l’affermazione deln. 9: «la Chiesa si trova in Italia di fronte

2 Furono pubblicati ad experimentum il catechismo per i bambini (1973), i catechismi dei fanciulli e dei ragazzi(1975-1977), il catechismo degli adolescenti (1978), dei giovani (1979) e degli adulti (1981). Dal 1991 al1997 si pubblicarono i catechismi rivisti ed approvati dalla Sede Apostolica.

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a una situazione profondamente mutatarispetto a quella del 1970, quando il DB fupubblicato». La Lettera, infatti, descrive gliscenari culturali e religiosi nuovi profilatisiin questi 40 anni nel nostro paese; evoca icontorni del processo di secolarizzazione inatto in Italia, facendo notare come esso sidiffonde dentro il permanere di «larghetracce di tradizione cristiana» (n. 7); sot-tolinea l’indifferenza religiosa e l’irrilevanzada molti attribuita alla fede, fino ai fenomeniestremi del “fai da te” soggettivistico circai suoi contenuti e la morale, ed il relativi-smo, che portano alla conseguente privatiz-zazione della dimensione religiosa.

In questo panorama “negativo”, si ricono-scono anche i segni di speranza e le espe-rienze positive in atto nelle comunità par-rocchiali, nelle diocesi e nelle aggregazionilaicali, non ultima la scelta operata dai ve-scovi per il prossimo decennio, circa la ri-flessione sulla “sfida educativa”; provoca-zioni culturali che di sicuro possono diven-tare vera «opportunità per un nuovo an-nuncio del Vangelo e una piena umanizza-zione della società» (n. 9).

È la terza parte – la più estesa – a descri-vere le nuove esigenze pastorali. Neinove paragrafi che la compongono vengonorichiamati (sempre mostrando la consonan-za con il DB) gli “Orientamenti pastorali” ele “Note pastorali” riguardanti l’annuncio ela catechesi di questo ultimo decennio.

Il testo indica due cambiamenti di prospet-tiva: la svolta missionaria da dare a tutta

l’azione pastorale, innervandola con il primoannuncio della fede3 e l’intuizione del Con-vegno di Verona che ha invitato la Chiesaitaliana a costruire tutto l’agire pastoraleattorno alla persona e ai suoi snodi fonda-mentali4. Particolare attenzione viene dataalle acquisizioni della riflessione sul primoannuncio che non solo «precede l’inizia-zione cristiana, ma è una dimensione tra-sversale di ogni proposta pastorale, anchedi quelle rivolte ai credenti e ai praticanti»(n. 10); ciò apre per la catechesi il tempo diuna riformulazione dei suoi metodi e del suostile, mostrando come essa sia ancora unimportantissimo “snodo” per attuare molte“sinergie” pastorali.

La Lettera prosegue evidenziando alcunepriorità del DB non del tutto recepite dallacomunità e, quindi, bisognose di essere ri-lanciate. Il n. 12 richiama la responsabilitàdi tutta la comunità nello svolgimento dellacatechesi (cfr il n. 200 del DB: «prima sonoi catechisti e poi i catechismi; anzi, primaancora, sono le comunità ecclesiali»), maanche il ruolo fondamentale che svolgono ilvescovo e i presbiteri quali «educatori nellafede»5, nonché il compito primario delle fa-miglie. Mentre il n. 13 ribadisce la prioritàdella catechesi degli adulti e dei giovani,obiettivo – dicono i vescovi - «rimasto spes-so disatteso dalle nostre comunità».Annuncio e catechesi per la vita cristianadedica un intero numero (n. 14) all’inizia-zione cristiana e al suo rinnovamento, sot-tolineando la vitalità delle sperimentazioni inatto, incoraggiando a proseguire su questastrada, e ribadendo che queste hanno eviden-

3 Cfr. in particolare CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia,30 maggio 2004, n. 6.6 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, “Rigenerati per una speranza viva” (1 Pt 1,3): testimoni del grande “sì” diDio all’uomo, 29 giugno 2007, n. 22.5 Presbyterorum ordinis, n. 6.

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ziato come l’iniziazione cristiana dei piccolicominci quando i genitori chiedono il Batte-simo per il loro bambino, conduce i fanciullinella vita cristiana attraverso la Confermazio-ne e l’Eucaristia, apre alla mistagogia pergiungere alla piena conformazione a Cristo. I successivi numeri della Lettera sottolinea-no tre dimensioni da esprimere meglio nellacatechesi attuale: la storia come luogo teo-logico della fede (una catechesi che aiuti aleggere i segni dei tempi e la storia comestoria di salvezza); la valorizzazione delrapporto tra fede e ragione (una catechesiche abiliti a dialogare con tutti gli uomini);la narrazione della fede non dissociata dalladimensione dottrinale (una catechesi che siainsieme racconto e testimonianza).La Lettera si conclude con un sincero “gra-zie” a quanti, sacerdoti, catechisti e catechi-ste italiane, in questi 40 anni hanno con-tribuito all’immenso lavoro di annuncio dellafede e di catechesi: «Dio solo ne conosce ifrutti e vede quanto amore, quanta fede equanta passione vi sono stati investiti» (n.18). Questo ringraziamento, si fa anche in-vito a farsi compagni di viaggio delle donnee degli uomini di oggi perché prendano «inmano la propria vita in compagnia di Gesù,per rispondere alle inquietudini e agli in-terrogativi più profondi e scoprire Lui come“via, verità e vita” (Gv 14,6)» (n. 18).

3. Come utilizzarla?

Mi permetto, a conclusione del mio inter-vento, di suggerire alcune piste percorribiliper un utilizzo fruttuoso della Lettera. Premetto che il testo è stato già inviato atutti i direttori degli uffici catechistici dioce-sani, proponendo loro di farne oggetto di ri-flessione negli uffici regionali, di donarlo aiparroci e ai catechisti, e di predisporre nelle

diocesi, là dove fosse possibile, iniziative diformazione permanente per il clero, i religiosie le religiose, i diaconi permanenti e i laici(soprattutto i catechisti).

Tornando alla Lettera, mi sembra che la pri-ma parte possa essere utilizzata per operareuna riproposizione sintetica del DB nelle suelinee portanti: Annuncio e catechesi perla vita cristiana ha l’indubbio valore dimostrare come una rilettura attenta delDB sia ancora molto feconda per cogliere lesfide odierne dell’evangelizzazione nelnostro paese.

La seconda parte, invece, può essere uti-lizzata per l’avvio di una riflessione condivisanelle comunità ecclesiali, nei consigli pasto-rali diocesani e parrocchiali, e nei gruppi deicatechisti, sulla realtà culturale attuale conla quale si deve confrontare oggi l’annunciocristiano. Ciò diventerebbe propedeutico an-che all’accoglienza degli orientamenti pasto-rali decennali sulla questione educativa. I treparagrafi potrebbero dar vita a percorsi la-boratoriali attraverso i quali si possa metterea confronto la propria mentalità di fede e ledirettrici dominanti del pensare comune.

La terza parte, che descrive le nuove esi-genze pastorali, può essere utile per mettereinsieme, con un profilo organico e sintetico,le proposte e le novità espresse nei docu-menti del passato decennio (primo annun-cio, catecumenato, catechesi in chiave ca-tecumenale, risveglio della fede, coinvolgi-mento delle famiglie, rinnovamento dell’ini-ziazione cristiana, catechesi mistagogica eliturgica, …) e, magari, non ancora entratenella riflessione ordinaria delle comunità cri-stiane per stimolare a “continuare” (o, peralcuni, “ripartire”) con più entusiasmo, ilrinnovamento della catechesi.

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 3

La questione educativa nell’iniziazione cristiana94

Concludo con un ringraziamento alla Com-missione episcopale che ha concluso il suomandato lo scorso maggio per il dono diquesto documento così appassionato e in-coraggiante. Faccio mio l’auspicio dei nostrivescovi affinché questa Lettera possa rag-

giungere tutti i catechisti, tramite i loro sa-cerdoti, per far loro conoscere la bellezza delservizio catechistico e la sua importanza, enello stesso tempo, per far loro giungere lastima l’incoraggiamento dei Pastori delleChie se che sono in Italia.

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È con profonda gioia che la Chiesa di Dio inBologna vi saluta e vi accoglie, ed augurache questi siano giorni di profonda riflessione,sia per l’importanza in sé dei temi sia per lacongiuntura storica che stiamo vivendo.La catechesi, come sappiamo, è un momentoessenziale, costitutivo, della trasmissionedella Divina Rivelazione, dovere primariodella Chiesa.Ma l’emergenza educativa che ha investitola generazione dell’humanum, in Occidente,ha investito pienamente anche la catechesi.L’emergenza educativa è anche – forse so-prattutto – emergenza catechetica.Durante questi giorni voi rifletterete su comeaffrontare questa emergenza. Non voglio nédebbo perciò prolungarmi più del necessario.Mi sia consentito in quanto Vescovo di questaChiesa esprimervi alcune brevi considerazioniche sono anche desideri rivolti umilmente avoi tutti per il futuro della catechesi.L’emergenza educativa ha – a mio umile giu-dizio – la sua principale radice nella separa-zione, ormai in Occidente consumata, fra l’ioe la verità: più precisamente tra l’afferma-zione della verità senza l’io e viceversa l’af-fermazione dell’io senza verità. Tradotto intermini catechetici, questa divisione – fataleper il destino eterno dell’uomo – significa lasottovalutazione della dimensione veritativadella fede in ordine all’edificazione del sog-getto cristiano. Detto in altri termini. Ciò che

si pensa non è di decisiva importanza perl’edificazione di se stessi in Cristo.Il risultato è che alla fine del primo percorsocatechistico, quello che si conclude colla Cre-sima, non raramente il ragazzo non sa ri-spondere alla domanda “che cosa è …”,semplicemente perché non sa, non conosceil “che cosa” di ciò che è [l’Eucarestia, laChiesa, un sacramento …].La didattica catechistica – il “come” trasmet-tere – oggi è una questione assolutamentesecondaria, dal momento che è in pericoloil ciò che si trasmette. Non perché si tra-smetta il contrario [= eresia], ma perché nonsi trasmette semplicemente.Certamente l’emergenza catechetica, inquan to emergenza educativa, non si riducea questo. Ma se non si esce da questa con-dizione, non si uscirà dall’emergenza edu-cativa. Mi conforta al riguardo un pensierodi J.H. Newman: «Fu per questo scopo [=elevare l’uomo verso il cielo] che fu messanelle sue mani [= della Chiesa] una graziache rende nuovi; e perciò, conformementealla natura di questo dono e per la ragio-nevolezza della cosa stessa, essa insiste,inoltre, che ogni vera conversione deve co-minciare proprio dalle sorgenti del pensiero»[Apologia pro vita sua, Paoline, Milano2001, pag. 388].

Buon lavoro!

SALUTO AI CONVEGNISTISua Eminenza Reverendissima Card. Carlo Caffarra

Arcivescovo Metropolita di Bologna

Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

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Insieme con voi tutti, desidero salutare an-zitutto l’arcivescovo della Chiesa di Bolognache ci accoglie per questo Convegno Nazio-nale, S. Em. il sig. Cardinale Carlo Caffarra,il quale, col suo intervento, non soltanto hasubito posto i termini del rapporto educazio-ne e catechesi, ma ha pure introdotto un’in-teressante linea di verifica e di approfondi-mento. Vi saluto nella veste di nuovo Pre-sidente della Commissione Episcopale per ladottrina della fede, l’annuncio e la catechesi.Fin dal principio del ministero episcopale so-no stato chiamato a fare parte di questaCommissione ed ora, chiamato a presiederla,mi dispongo a farlo con animo semplice, nelsegno del servizio alla Chiesa in Italia, infraterna comunione con i Vescovi e anchecon tutti voi, dicendovi subito la mia dispo-nibilità a individuare insieme con voi i temie gli ambiti, che più stanno a cuore alle no-stre Chiese particolari e, nell’attuale contesto,risultano essere delle vere e proprie sfide perla nostra volontà e capacità di trasmettereil Vangelo.

Con la sincerità di un’amicizia antica, invioun saluto a Sua Eccellenza Mons. BrunoForte che ha presieduto fino ad ora la Com-missione e, con lui, agli altri Vescovi che nehanno fatto parte. Il lavoro svolto insiemeè stato intenso e frutto più recente ne è statala pubblicazione delle due lettere: Ai cerca-tori di Dio (2009) e Annuncio e catechesiper la vita cristiana (2010). Anche il pre-

sente Convegno è stato voluto e messo apunto da quella Commissione e, pertanto, ilsaluto e l’augurio si allargano all’Ufficio Ca-techistico Nazionale che, concretamente, halavorato per esso. Ne sono a nome di tuttiriconoscente a tutti quelli che vi operano,guidati dal Direttore Don Guido Benzi.

40° anniversario del DB

Il 40° anniversario del DB continua a offrircil’opportunità di riconsiderare l’impegno pa-storale e catechistico della Chiesa italianadal dopo Concilio ad oggi. L’impresa ci hacoinvolto tutti, perché ci stanno a cuore l’an-nuncio del vangelo e l’educazione nella fededelle nostre comunità. Partecipiamo tutti del-la missione originaria della Chiesa e nonpossiamo fare a meno di farlo: perché chia-mati, perché inviati, perché appassionati.Gli orientamenti pastorali del decennio ap-pena concluso (“Comunicare il vangelo inun mondo che cambia”) ci hanno dato ladirezione su cui muoverci, riflettere e spe-rimentare. Sotto questo profilo il periodotrascorso è stato davvero molto ricco. Ab-biamo messo sotto la lente d’ingrandimentoalcuni temi che ci hanno obbligato a ricon-siderare le nostre scelte e la nostra prassipastorale: l’evangelizzazione e la missiona-rietà, l’Iniziazione cristiana, il primo annun-cio, il catecumenato e la catechesi degliadulti.

Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 3

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SALUTO AI CONVEGNISTIS. E. Mons. Marcello Semeraro, Vescovo di Albano

Presidente della Commissione Episcopale per la dottrina,l’annuncio della fede e la catechesi

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Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

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Il “seminario” svoltosi il 14 e 15 aprile scorsiè stato un incontro in cui abbiamo potutocogliere i frutti e notare le contraddizioni delpassato, discernere il nostro presente, e altempo stesso, riflettere su alcune intuizionie l’opportunità di alcune scelte per il futuroprossimo. Siamo tutti convinti che il DB vei-cola indubbi valori che progressivamente,non senza resistenza e incertezze, sono or-mai entrati nella riflessione e nell’azione pa-storale delle nostre Diocesi. Esso, perciò,continua ad essere un autorevole punto diriferimento di cui avvalersi. Dobbiamo pureconvenire che il nostro attuale contesto èprofondamente mutato rispetto ai primi anni’70, sicché le nuove esigenze pastorali chene conseguono ci fanno pensare ad alcunequestioni aperte, tra cui il dialogo con la cul-tura e il bisogno d’imparare ed elaborare lin-guaggi nuovi, la figura dei catechisti/e e laresponsabilità reale delle comunità ecclesialinegli itinerari di fede, il bisogno di una rin-novata attenzione al mondo dei giovani edegli adulti e l’individuazione di quali nuovie concreti passi intraprendere e in quale di-rezione.Nel decalogo elaborato da Mons. Forte tro-viamo alcune felici indicazioni al riguardo.Sottolineerei in particolare le ultime tre:

• l’idea di un possibile “nuovo documentoprogettuale condiviso” per il rinnovamen-to della catechesi (lanciata in apertura del“seminario” dal Segretario Generale dellaC.E.I., S. E. Mons. Mariano Crociata) èuno stimolo importante a sviluppare larecezione creativa del Documento di basenell’orizzonte del piano decennale dellaC.E.I. dedicato all’educazione (n° 10);

• La formazione dei formatori [e fra questici sono senza dubbio le catechiste e i ca-techisti delle nostre parrocchie...] è viaindispensabile per un rinnovamento della

catechesi: una tale attenzione richiede vi-cinanza, valorizzazione delle relazioni in-terpersonali, aggiornamento frequente,ecc. ... (n. 9);

• ...l’urgenza di una pastorale integrata incui il tutto della Chiesa si manifesti nellamolteplicità dei carismi e dei ministeri: ilruolo della comunità cristiana nel suo in-sieme risulta veramente decisivo nella ca-techesi (n. 8).

La questione educativa e la catechesi

È a tutti noto che l’Assemblea Generale dellaC.E.I. ha assunto l’impegno d’incentrare sul-la dimensione educativa gli OrientamentiPastorali per la Chiesa in Italia nel decennio2010-2020. Proprio riguardo alla educazio-ne, la cui questione è posta nel nostro Con-vegno in relazione all’IC per le nuove gene-razioni, dobbiamo riconoscere di essere nelvivo di una crisi, che induce a evitare lostesso verbo “educare”, mentre la parola“educazione” risulta essere imbarazzante eprovocatoria. Educare e educarsi assumonooggi tutto il tono di un’attività inquieta neiconfronti della quale non abbiamo certezzané di risultati, né di successi. “Educazione”è una parola che ci crea ansia: nelle famiglie,negli educatori, negli insegnanti, in noi. Pre-feriamo, allora, sostituirla con alcuni sino-nimi e surrogati, come: apprendimento,istruzione, preparazione, imitazione. Unadelle ragioni per cui l’educazione oggi fasorgere un senso di fastidio e di paura forsesta nel fatto che non si tratta affatto di unaparola, di un’esperienza e di un vissuto taleda potersi misurare e pesare (come invecesi fa, quando si fissa un voto ad una prova,o cose simili). Educare, invece, è sempre unqualcosa di più, che ci sfugge e risulta quasi

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 3

La questione educativa nell’iniziazione cristiana98

imprendibile... proprio come la vita. L’edu-cazione, pertanto, è questione di senso, disignificato. Essa fa parte di noi (intessuti,come siamo, da esperienze educative) e cirichiede di meditare sul significato di questonostro essere in educazione. Educazione èprogetto di vita, progetto esistenziale che ri-chiama il bisogno di guardare verso il futuroper andare oltre i confini stabiliti, anche imiei confini (proiezione oltre me stesso).L’educazione, pertanto, comincia da noistessi (“che tipo di educazione sto viven-do?”) per realizzare il divenire pienamenteuomini e donne. È un divenire in relazione,è dinamico, proprio dell’uomo in movimen-to, in ricerca. Chi, dunque, vuole accoglierel’urgenza educativa ha bisogno di accettarela sfida che essa comporta, lasciandosi in-quietare.

Per le nuove generazioni

In particolare, a me pare che siano da me-ditare attentamente le parole del Presidentedella C.E.I., nella sua prolusione alla LXIAssemblea Generale il 24 maggio scorso,che qui cito: l’educazione “impegna noiadulti a superare incertezze e reticenze, perrecuperare una nozione adeguata di educa-zione che si avvicini alla paideia, cioè adun processo formativo articolato ma maievasivo rispetto alla verità dell’essere, aduna capacità di distinguere ciò che è beneda ciò che è male, ad una concreta disciplinadei sentimenti e delle emozioni. Bisogna, inaltre parole, che si affermi una generazionedi adulti che non fuggano dalle proprie re-sponsabilità perché disposti a mettersi ingioco, a onorare le scelte qualificanti e de-finitive...” (n. 6). Si tratta di espressioni molto gravi. La que-stione giovani è oggi effettivamente uno dei

punti scottanti della nostra azione ecclesiale.A più riprese e in forme diverse si ripeteoggi la domanda: che ne è del rapporto trala Chiesa e i giovani? Che ne è della tradi-zionale capacità della Chiesa, delle sue isti-tuzioni e delle sue strutture, di offrire ai gio-vani luoghi e tempi, linguaggi e riti, regolee percorsi di maturazione umana e cristiana?C’interessano davvero i giovani? Sono, oggi,le nostre parrocchie interessate davvero allenuove generazioni? Lo sono, in particolare,riguardo alla questione dell’annuncio delVangelo a essi commisurato? Quale atten-zione dedica la nostra pastorale ai luoghiche i giovani effettivamente abitano? La se-rietà di questo tipo di interrogativi sta a direalle nostre Chiese locali che se diveniamoincapaci a stabilire un rapporto stabile e fi-ducioso con i giovani poniamo delle gravis-sime ipoteche sul nostro proprio domani.

Che siano una cosa sola … perché ilmondo creda (cf. Gv 17, 21)

Queste parole di Gesù ci ricordano che la pri-ma testimonianza che tutti noi siamo chia-mati a dare è quella legata al nostro essereChiesa, cioè convocati nel nome del Signoreper annunciare la sua Parola in quella sin-tonia propria di chi cammina insieme, sullastessa Via, consapevoli della direzione indi-cata. Iniziare alla vita cristiana è già viverein una comunità concreta, in questo tempoe in un luogo specifico, lo stile di Gesù. Prima di concludere vorrei sottolineare l’im-portanza dell’iniziativa assunta dall’U.C.N.d’inviare un questionario per la preparazionea questo Convegno. Lì si chiede agli Ufficiregionali di riflettere insieme sul camminofatto. Penso che sia doveroso favorire il dia-logo e il coinvolgimento di tutti, a partiredelle realtà locali. Forse – mi sia concesso

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dirlo come vescovo al quale mentre guardaalla realtà della propria Chiesa diocesana,capita di sentire anche da altri Vescovi e an-che dai prori Direttori degli Uffici Catechisticie (perché no) anche dagli stessi catechisti –occorre trovare modalità per non dico ap-passionare, ma almeno riuscire a coinvol-gere un po’ di più i nostri parroci e sacerdotiin quelle “alleanze educative in vista dellacomunicazione della fede”, di cui si tratteràpure in questo Convegno! È un po’ amarodirlo, ma forse è onesto. Dobbiamo investiresul nostro “camminare insieme” (sinodalità)come un vero e proprio stile di Chiesa. Termino il mio saluto adattando per voi, ca-rissimi Direttori degli Uffici Catechistici Dio-cesani e per i vostri immediati collaboratori

nelle consulte diocesane e nei diversi settoridei vostri uffici, ciò che si trova scritto nelMessaggio dei Vescovi ai sacerdoti che ope-rano in Italia, e riassumendolo in tre parole:gratitudine, conversione e incoraggiamento.Gratitudine per la vostra disponibilità e pergli sforzi che già fate nel campo del primoannuncio, dell’IC e della catechesi; conver-sione e incoraggiamento ad una aperturapersonale alla grazia di Dio e all’impegnoper non lasciarci mai condizionare e frenaredalle nostre fragilità e dalla tentazione difare da soli; incoraggiamento – da ultimo –a proseguire nella strada del discernimentoe della ricerca comune.

Vi auguro di cuore buon lavoro.

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È con la più viva soddisfazione che comepreside della FTER esprimo il saluto a tuttii partecipanti al convegno organizzato dal-l’Ufficio Catechistico Nazionale, qui raccoltiper riflettere sul tema: “questione educativanell’iniziazione cristiana per le nuove gene-razioni, a 40 anni dal Documento di Baseper il rinnovamento della Catechesi”.Le linee di intersezione di una Facoltà Teo-logica con il mondo della Catechesi, con gliUffici catechistici diocesani, con la forma-zione dei catechisti parrocchiali, etc.. sonomolteplici, oltre che essenziali da ambo leparti o se vogliamo su entrambi i fronti.È compito di una Facoltà contribuire allaformazione dei protagonisti della catechesi,rientra nelle responsabilità di un’istituzioneaccademica farsi carico delle esigenze del-l’istruzione cristiana di base, delle esigenzedella Chiesa locale, ma è anche responsabi-lità degli agenti pastorali sollecitare il mondodella teologia sui problemi, o come si è solitidire oggi, sulle sfide che la presente situa-zione ecclesiale e sociale lancia al popolo diDio, impegnato nell’essenziale compito del-l’annuncio della fede.Ritengo che il reciproco dialogo e confrontotra queste due diverse componenti e istanzedel mondo ecclesiale sia decisivo, da un latoperché chi si dedica alla teologia possa aiu-tare a dare consistenza dottrinale, forza ar-gomentativa, profondità di riflessione, ori-ginalità di proposte all’impegno della Cate-chesi, ma anche perché chi si dedica allaCatechesi possa contribuire a ricordare alteologo il necessario rimando alla situazione

concreta del popolo di Dio, alla crescita delquale è finalizzata la responsabilità di inda-gine dottrinale, ecc.

Il mio saluto e il mio augurio per una fe-conda attività del convegno, prendono spun-to allora da cinque parole che un grande ca-techista del V secolo, Agostino, espresse inun’opera, il DE CATECHIZANDIS RUDIBUS, chespero ogni catechista possa fare oggetto dipersonale conoscenza e riflessione.Si tratta di un’opera scritta in risposta a unaserie di quesiti posti al grande dottore di Ip-pona dal diacono cartaginese di nome Deo-gratias.Questi problemi nascevano dalla forte demo-tivazione (angustias pati, animi tedio fieri)che serpeggiava nell’animo di questo ministroa causa di una serie di difficoltà da lui incon-trate nel corso del suo servizio (che è il casoricordare, a perenne monito per quan ti vi sidedicano!!!):

• Il timore che l’annuncio stancasse gli udi-tori, in quanto proposta troppo vile e tra-scurata;

• La fatica nel trovare le giuste parole;

• La noia nel ripetere gli stessi argomenti;

• L’indifferenza di un uditorio non reattivo;

• La rinuncia ai propri problemi per ascol-tare quelli degli altri.

Agostino risponde con un trattato che è unvero capolavoro, sia di metodologia cate-chetica, che di proposta catechetica.

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SALUTO AI CONVEGNISTILE CINQUE PAROLE DEL CATECHISTA

P. Guido Bendinelli Op,Preside Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna

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Di esso qui si intende richiamare soltantocinque parole chiave.Le prime due sono relative ai costitutivi for-mali della catechesi. Anzitutto ci si riferiscealla NARRATIO HISTORICA:• Essa rappresenta il momento per eccel-

lenza di trasmissione dei contenuti dellafede, che in questa opera sono propostisecondo il modello storico – biblico.

• Non che Agostino non conosca anche l’al-tro modello in cui la explanatio avvieneper articula fidei (cioè attraverso la spie-gazione degli articoli del Simbolo di fede)che per altro egli dimostra di conoscereperfettamente, ad esempio nell’opera Desimbolo ad Catechumenos.

• L’adozione di questa via è forse privile-giata in questo caso perché più funzionalealla formazione dei rudes, dei principianti,dei precatecumeni, in opposizione all’al-tro, utilizzato in vista della preparazioneimmediata dei catecumeni.

• Questo solo dato è suscettibile di signifi-cative riflessioni, circa la gradualità e di-versificazione della proposta catechetica,in base ai diversi livelli di comprensionedell’interlocutore.

• È molto importante comunque sottolinea-re che la narratio per Agostino deve es-sere completa (plena est), perché capacedi esprimere l’interezza del messaggio sal-vifico da “In principio Dio creò il cielo ela terra” sino al periodo attuale della sto-ria, contrassegnato dalla venuta del Cristoe dall’istituzione della Chiesa.

• Una narratio che punti all’essenziale diquesti eventi, attraverso l’individuazionedelle tappe principali della Historia Salu-tis, mirante all’enucleazione dei mirabi-liora, cioè delle realtà più mirabili, fra imirabilia Dei.

• Una narratio in grado di rendere ragionedella centralità di Cristo in questa sequenzadi eventi, che anzi sappia sempre ricono-scere in Cristo, nella sua passione e risur-rezione, il fatto ineguagliabile, che non haanalogati in tutta la storia, perché in luisi compie il fine ultimo della creazione.

• Una narratio che da historica diviene in-fine prophetica, cioè prefigurante e pre-disponente il campo anche all’attesa dellecose ultime.

La seconda parola è il PRAECEPTUM e la COHOR -TATIO:È dalla considerazione delle promesse ultimeche trae fondamento il praeceptum, che seosservato garantisce la fruitio, il consegui-mento di quei beni profetizzati.Non è però sufficiente praecipere, occorreanche cohortare, cioè sostenere la infirmitasdel futuro catecumeno nei confronti delletentazioni e degli scandali che si verificanosia fuori che dentro la Chiesa.

Le altre due parole riguardano le disposizionisoggettive del catechista, e la prima di esseè AFFECTIO:• Affectio intesa in senso psicologico, come

lasciarsi afficere, cioè toccare, colpire dal-l’interlocutore;

• Affectio come capacità di cogliere le diver-sità degli interlocutori;

• Affectio come disponibilità di adattamentoa tale o tale altro uditorio;

• Affectio come sensibilità e attenzione perle esigenze del discente;

• Affectio come disponibilità di scorgererimedi diversi per le diverse esigenze del-l’interlocutore;

• Affectio, come privilegiato frutto della ca-rità in vista dell’accoglienza dell’altro.

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La quarta parola è HILARITAS:• È il tema della gioia, che benché non di-

rettamente richiesto da Deogratias, in re-altà Agostino introduce da subito, quasidiscreto rimprovero nei confronti dell’at-teggiamento di Deogratias;

• Hilaritas che è richiesta nel catechista,perché è condizione per un più facile ascol-to, perché quando le parole vibrano dellagioia del catechista anche il suo messaggiorisulta più gradito;

• Hilaritas che è richiesta nel comunicatore,perché l’annuncio del messaggio di sal-vezza deve necessariamente produrre talefelicità in chi se ne fa carico;

• Hilaritas che deve ravvivare il catechistanei momenti bui e oscuri dello scoraggia-mento, ossia nei confronti dei fallimenticatechetici;

• Hilaritas che deve coinvolgere anche ilpubblico, nell’instaurazione di un circolovirtuoso che dal catechista si estende al-l’uditore e dall’uditore ritorna al catecheta.

La quinta parola conclusiva, ricapitolante efinalizzante, è la CARITAS:• Caritas come radice e motivo unificante

della storia della salvezza e quindi comecuore della stessa narratio;

• L’esposizione storica essenziale impone laproclamazione del fine perseguito dalle ge-sta di Dio, che è essenzialmente quello dirivelare al mondo il suo amore;

• Questa caritas è amore dall’alto verso ilbasso, pura gratuità e dono, partecipazionedell’uomo alla vita stessa di Dio;

• Caritas diviene anche risposta dell’uomoall’amore di Dio, ispiratrice dell’etica cri-stiana, pienezza della legge;

• Caritas è anche il fondamento della peda-gogia di Agostino, la risposta più perti-nente alla richiesta del diacono Deogratias,perché tramite la caritas Agostino additaa Deogratias la soluzione delle difficoltàevocate;

• è nella caritas che il diacono può sconfig-gere la tentazione del taedium, della tri-stitia, della angustia;

• è solo un sincero amore per i discepoli -siano essi rudes, competentes o fideles –photizomenoi – che può sconfiggere la pi-grizia, indurre alla ricerca di sempre nuovimodi, non arrendersi ai fallimenti.

L’augurio che dunque la FTER rivolge aiCatechisti qui convenuti è che il presenteconvegno possa raggiungere le seguenti fi-nalità:

• che la narratio-explanatio, cioè la capacitànarrativa – propositiva dei contenuti dellafede possa ritrovare vigore e forza,

• in una affectio sempre viva alla situazionedell’interlocutore,

• attraverso la hilaritas, ossia la gioia dellatestimonianza,

• abbia la forza di cohortare e flectere alpraeceptum,

• spalancando i tesori della CARITAS divinaal mondo cui siamo inviati.

Buon lavoro a tutti!

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1. Cari fratelli e sorelle, la pagina evangelicanarrando il cammino dei Magi al Signore,narra il vostro quotidiano impegno. Esso in-fatti si inscrive nella missione della Chiesadi condurre ogni uomo a Cristo.Come ci esorta S. Giacomo, osserviamo, co-me in uno specchio, il nostro volto in questapagina evangelica, senza poi andarsene di-menticando com’eravamo [Cfr. Giac 1,24].Due sono le luci che hanno guidato i Magiall’incontro col Signore.La prima è stata la conoscenza razionaledella natura: «abbiamo visto la sua stella, esiamo venuti per adorarlo». Potremmo anchedire: l’uso della ragione che sa vedere nellanatura la presenza di un disegno, è la primaguida dell’uomo a Cristo. Usiamo il termine“natura” nel senso di un dato che si poneindipendentemente dalla nostra libertà. Inquesto senso esiste anche una natura dellapersona umana, in cui una ragione retta-mente usata sa cogliere orientamenti valo-riali ed indicazioni per una libertà rettamenteesercitata. La prima lettura è al riguardo assai sugge-stiva. Prima della creazione di tutto ciò cheesiste c’era la Sapienza: « il Signore mi hacreato all’inizio della sua attività, prima diogni sua opera». Nella creazione è inscrittauna sapienza divina che orienta l’uomo aCristo, dal momento che tutto è stato creatoin Lui ed in vista di Lui.La seconda luce che ha guidato i Magi al-l’incontro col Signore, è stata la divina Ri-velazione, la Parola di Dio dettaci mediantei profeti. Alla domanda dei Magi – «dov’è ilre dei giudei che è nato» – si può rispondere

solo perché il luogo è stato indicato dai pro-feti: «così è scritto per mezzo del profeta».La natura non basta a soddisfare il desideriodell’uomo di incontrare il Signore, così comeil solo uso della ragione. È necessario porciin ascolto obbediente della divina Rivelazio-ne, la sola che è in grado di decifrare il librodella natura.È dalla concorde armonia di queste due luciche i Magi giungono a Betlemme ed adoranoil Signore.

2. Cari fratelli e sorelle, la vostra missionerende visibilmente presente la divina peda-gogia: la guida divina dell’uomo all’incontrocon Cristo. Dio ha guidato i Magi con le dueluci: la natura-ragione; la Rivelazione-fede.Sarebbe davvero stolto se volessimo inven-tare una pedagogia diversa da questa.I segni oggi di questa pedagogia diversa so-no la riduzione della catechesi a trasmissionedi valori morali: è la riduzione che assumeil razionalismo quando esso impera nellacatechesi. Oppure, la riduzione della cate-chesi ad un biblicismo che non intercetta levere domande del cuore umano: è la ridu-zione che assume il fondamentalismo quan-do impera nella catechesi.È vero, tuttavia, che oggi assistiamo – comeci ha detto recentemente il S. Padre – alla«esclusione delle due fonti che orientano ilcammino umano» [cfr. Discorso alla 61.maAssemblea Generale CEI].Parlare oggi di “natura della persona uma-na” viene sempre inteso unicamente comeun puro dato di fatto, che non contiene quin-di un sé alcuna indicazione etica per la ra-

OMELIASua Eminenza Reverendissima Card. Carlo Caffarra,

Arcivescovo Metropolita di Bologna

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gione. Il bios umano è neutrale nei confrontidell’ethos. Ed inoltre «la Rivelazione viene consideratao come un momento dello sviluppo storico,quindi relativo come tutto lo sviluppo storicoe culturale, o – si dice – forse c’è rivelazione,ma non comprende contenuti, solo motiva-zioni» [ibid.]Il compito dunque che vi sta davanti è im-mane. È appunto un momento di emergenza

educativa: ritrovare l’armonia fra ragione efede; ritrovare le fonti, il linguaggio dellefonti.

Cari fratelli e sorelle, siete venuti ai piedidella Madonna. Ad essa fu affidato un com-pito educativo immane: educare il Verbo fat-tosi carne ad essere, a vivere, a pensareumanamente. Ella dunque ci è vicina e ciassiste: ne abbiamo veramente bisogno.

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Omelia sul vangelo di Mt 6,7-15, pronun-ciata dal Vescovo nel corso della celebrazio-ne eucaristica in occasione del ConvegnoNazionale dei Direttori degli Uffici Catechi-stici Diocesani - Bologna 17 giugno 2010

Pregare si deve: lo dicono tutte le grandi re-ligioni. Ma pregare si può? No, risponde inprima battuta Paolo di Tarso, dal momentoche neanche sappiamo cosa sia convenientedomandare. No, sembra pure la prima ri-sposta di Giovanni evangelista, perché, seDio nessuno lo ha mai visto, come si fa aparlare con uno che non si è visto e non sivede mai? A meno che… a meno che il Fi-glio unigenito, che è nel grembo del Padre,lui ce lo abbia rivelato. A meno che lui, ilmodello e il maestro della grammatica e dellasintassi della preghiera, ci abbia insegnatoa comunicare con Dio. Ed è questa la bellanotizia che ci acquieta nell’intimo e final-mente ci appaga: pregare si può, perché Ge-sù in persona si fa carico non solo di edu-carci alla preghiera, ma si premura anche diabilitarci a pregare, facendoci dono del suoSanto Spirito.

1. La lezione magistrale di Gesù sulla pre-ghiera – contenuta nel discorso della mon-tagna – risulta innanzitutto di una energicapars destruens. Pregare non consiste nel-l’informare Dio dei nostri bisogni. Per duevolte Gesù martella il messaggio decisivo:“Il Padre vostro sa di quali cose avete biso-gno” (Mt 6,8.32). Pregare non consiste ne-anche nel goffo tentativo di piegare Dio allenostre voglie malsane e di convincerlo ad

essere buono, poiché Dio non è un “padre-padrone”, ma è padre-padre, ostinatamentee irriducibilmente padre. La sconfinata, te-nerissima bontà del Padre non è l’illusoriaproiezione dei bisogni e desideri dei suoifigli, ma è la rocciosa, obiettiva, ininventa-bile premessa della loro preghiera.In effetti Gesù era molto preoccupato dellapreghiera dei discepoli. Voleva che pregas-sero, che pregassero molto e con insistenza,e che la loro preghiera fosse autentica: lim-pida, audace e umile, docile e tenace.L’evangelista Luca ci informa che un giornoun discepolo aveva visto Gesù appartato apregare, e ne dovette rimanere incantato, senon ebbe il coraggio di disturbarlo, ma allafine non ce la fece più a trattenersi in golaquel desiderio insopprimibile: “Signore, in-segnaci a pregare”. E il Maestro acconsente:“Quando pregate, dite: “Padre!” (Lc 11,1).Cominciate con il dargli del tu e ad attribuir-gli questo nome.Tutta l’originalità della preghiera di Gesù ècontenuta in questo vocativo. I fondamentiveterotestamentari del Padrenostro sonosvariati e molteplici. Anche per i singoli ver-setti si può indicare caso per caso tutta unacatena di corrispondenze nella sterminataletteratura devozionale giudaica. In rapportoparticolarmente stretto col Padrenostro stala preghiera del Qaddish e delle Diciotto be-nedizioni. Ma ciò che dà l’imprinting unico,originale, esclusivo alla preghiera di Gesù èla sua persona. Gesù è il Figlio unico del Pa-dre, è il suo “amato”, e sa di esserlo. La suapreghiera non è che il fiume carsico che af-fiora dalle falde abissali della sua coscienza.

OMELIAOSIAMO DIRE: “PADRE NOSTRO!”

S. E. Mons. Francesco Lambiasi, Vescovo di Rimini

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La preghiera di Gesù coincide con la sua fi-lialità divina, e poiché, come afferma Paolo,questa filialità raggiunge il suo apice nellaPasqua – Gesù è stato “costituito figlio diDio con potenza in virtù della risurrezionedei morti” (Rm 1,4) – nella Pasqua il Cristo,risorto per noi, è divenuto per noi preghiera,perché noi diventassimo preghiera insiemecon lui. Allo stesso modo in cui, durante laveglia pasquale, molte piccole luci vengonoad accendersi all’unica “luce di Cristo”, i fe-deli accendono il proprio cuore a Cristo che,nella Pasqua, è divenuto in tutto il suo es-sere “preghiera”.

2. Tutto il Padrenostro è contenuto nella in-vocazione iniziale – Padre nostro che sei neicieli – come il corpo è incluso nella celluladi base. “È un modo diretto, caldo, affettuosodi rivolgersi a Dio senza perifrasi e come perimpulso naturale” (Schnackenburg). Perquanto la parallela redazione di Luca possafar sembrare la sua versione abbreviata delPadrenostro come un’antica statua mutila,quella semplicissima parola iniziale – “Pa-dre” – nella sua lapidaria, solenne nuditàcontiene tutto: tutta la preghiera, tutte lepreghiere, la preghiera di tutti.

Sostiamo ancora un momento su questo vo-cativo “Padre”: è veramente insolito e sor-prendente. Padre non è uno dei tanti titolie attributi di Dio, come l’Immenso, l’Eterno,l’Onnipotente, ma è “il suo nome proprioper eccellenza” (s. Cirllo Al.). Qui noi ci ri-volgiamo a qualcuno “per cui l’essere padreè la più intima espressione dell’essere”(Schuermann). Ma per dire Padre, Gesù siè servito di una paroletta nella sua linguamadre, l’aramaico, Abbà che dovrebbe es-sere reso con l’italiano Papà, Babbo caro, earticola il fiotto di intimità filiale, di ricono-scenza stupita e di meravigliata contempla-

zione con cui il Figlio esprime la sua rela-zione con il Padre celeste. La prima paroladel Padrenostro è dunque già un annuncioche ci pone al cuore dell’evento cristiano.Tutta la vita di Gesù è stata centrata sulmessaggio della venuta del regno di Dio,ma, rivolgendosi a lui, Gesù lo ha semprechiamato Padre, non re. Nelle parabole, èvero, ha fatto ricorso anche alla figura delre e del padrone, ma poi – uscito dalla me-tafora – il nome di Dio tornava ad esserePadre. Ma il Padre di Gesù non è come Jup-piter, Zeus Pater: il Dio cristiano è Padre perdonare, non per dominare. E questa pater-nità regge e colora tutta la costellazione deititoli divini. Il Padre è onnipotente, certo, madell’onnipotenza dell’amore. È giusto, ma lasua giustizia ha viscere di misericordia. È in-finitamente felice, ma la sua gioia si lasciaturbare dal pianto delle sue creature.Ma ciò che c’è di ancora più stupefacente èche con la Pasqua del Figlio, Dio Padre ha“mandato nei nostri cuori lo Spirito del Fi-glio, il quale grida: Abbà, Padre! (Gal 4,6).È lo Spirito Santo che ci permette di osarenel chiamare Dio con la stessa inaudita con-fidenza che si poteva permettere Gesù. Com-menta s. Cipriano:

“(Gesù) ha voluto che noi pregassimo da-vanti a Dio in modo da poterlo chiamare Pa-dre, e che come Cristo è suo Figlio, così noisiamo chiamati suoi figli. Nessuno di noi in-fatti avrebbe osato dire questa parola nellapreghiera, se non ce lo avesse concesso lui”(CCL 3A,95s).

3. L’atteggiamento filiale, che dobbiamo as-sumere verso il Padre, è profonda adorazio-ne e confidenza gioiosa nello stesso tempo.Questa va testimoniata con la fraternità ver-so gli altri, la responsabilità e la creativitànel bene, il coraggio nelle prove. Di questa

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testimonianza ha bisogno soprattutto quellaparte della cultura di oggi, che, rincorrendol’autonomia della ragione e dell’agire, haemarginato Dio; ma anziché ritrovarsi adul-ta, ha finito per sentirsi orfana. Dopo la ge-nerazione del ’68, in cui l’emancipazionedei giovani è stata vissuta all’insegna dellalotta contro i padri, la generazione di oggisembra quella dei giovani senza più padri.Il mito di Prometeo dell’autorealizzazionecontro la divinità sembra si sia rovesciatonel mito di Narciso, condannato a ripiegarsinell’adorazione morbosa della propria iden-tità fino a vedersela affogare nello specchiofatale della più triste, squallida autonega-zione.

La bella notizia che Dio è Abbà e che noisiamo suoi figli è liberante e rasserenante.All’origine della nostra esistenza non c’èstato il caso o la necessità, ma una decisione

libera, un atto d’amore di totale, limpidissi-ma gratuità. “In questo si è manifestatol’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nelmondo il suo Figlio unigenito, perché noiavessimo la vita per mezzo di lui” (1Gv4,9). Siamo figli: siamo stati liberamentescelti, teneramente e tenacemente amati,siamo stati misericordiosamente salvati.Nessuno si è affacciato al mondo per deci-sione propria. Nessuno può dire: Io sono ilpadre del mio io. Nessuno è condannato almiraggio disperante di potersi salvare da sé.“Abbiamo ricevuto uno spirito da figli, permezzo del quale gridiamo: Abbà! Padre!”(cfr Rm 8,15). Non siamo né schiavi né or-fani: siamo figli immensamente, e per sem-pre, amati. Siamo dentro un oceano sconfi-nato di bene assoluto, eterno, infinito. “Qua-le grande amore ci ha dato il Padre per esserechiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!”(1Gv 3,1). C’è una fortuna più grande?

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L’inno che abbiamo cantato ci ha messo difronte a un aspetto della vita quotidiana chespesso passa inosservato, ma che sta allabase della speranza cristiana: “un’alba nuo-va sorge all’orizzonte”.

L’alba ci dice che – nonostante le nubi o lanebbia – c’è un sole che sorge. Ma di qualesole si tratta? Non certamente di quello can-tato, per anni, come “sol dell’avvenire”, per-ché dopo il 1989 è drammaticamente tra-montato. È il sole promesso dalla grande fi-nanza virtuale? Tutti conosciamo il suo mi-sero tramonto, attraverso il grande collassofinanziario che ha posto il mondo intero alleprese con una “crisi” senza precedenti.

Potremmo continuare ad elencare tanti altri“soli” precari , via via proposti come rispostaal nostro bisogno di sicurezza e di affidabi-lità. Ci basti ricordarne ancora uno, perchériguarda noi bolognesi. Quando, nel 1796,Napoleone fece il suo ingresso trionfale aBologna, vide appeso alla porta S. Felice,sulla via Emilia, un grande cartello con treparole a lui dedicate: “Soli, Soli, Soli” (“al-l’unico sole del mondo”). Tutti sappiamo,poi, com’è andata a finire.

Noi, invece, siamo certi che il vero e unicoSole della nostra vita ha lo splendore delvolto di Cristo, “il Figlio che il Padre hamandato come salvatore del mondo” (1Gv4,14). È stringendoci a Lui, “pietra viva,rigettata dagli uomini, ma preziosa davantia Dio, che noi veniamo impiegati come pie-tre vive per la costruzione di un edificiospirituale, per un sacerdozio santo” (Cf. 1Pt2,4-5).

L’annuncio cristiano, in proposito, deve es-sere “ben chiaro e distinto”, perché – comeci ha ricordato il Cantico di Isaia nel 2° Salmo- siamo chiamati a stimolare in ogni credentel’edificazione della “città forte” (Is 26,1) inalternativa alla “città del caos” (Is 24,10).Questa “città forte”è la nuova Gerusalem-me, la Chiesa, che offre rifugio ai giusti che“vivono di fede” (Cf. Rm 1,17) e la fedenon è un fuoco di paglia, ma un impegnoduraturo, che alimenta un costante atteg-giamento di confidenza nel Signore, “la roc-cia eterna” (Is 26,4).

Questa città è cinta da un grande muro condodici porte, che poggiano su dodici fonda-menti, sopra i quali ci sono i nomi dei dodiciApostoli dell’Agnello (Cf. Ap 21,12-14).

Oggi, il Martirologio Romano, segnala lacommemorazione di Sant’Amos, profeta, al-levatore di bestiame in Tecoa e coltivatoredi sicomori. Fu mandato dal Signore ai figlidi Israele per riaffermare la sua giustizia esantità contro i loro abomini.

Il Documento Base ci dice che il buon cate-chista sa integrare la fede con la vita. An-nunciando il Vangelo, non comunica soloun messaggio «informativo», ma anche«performativo», che produce frutti e cambiala vita (Cf. Spe salvi, n. 2).

Come il profeta Amos, da buon agricoltore,incideva i sicomòri per espellere il succo eportarli a maturazione commestibile, il cate-chista nell’annunciare il Vangelo (il Lógos)opera un “taglio” nelle culture umane, perpurificarle dalle scorie e promuovere i «semi

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OMELIAS. E. Mons. Ernesto Vecchi, Vescovo Ausiliare e Vicario Generale di Bologna

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del Verbo» che esse contengono. Questo “ta-glio”, però, richiede pazienza, approfondi-mento e comprensione, perché sia fatto nelmomento opportuno e nel modo giusto. Ilmondo d’oggi, infatti, ricco di potenzialità,ma ad alto indice di “complessità”, esige co-noscenza, sensibilità, comprensione e, so-prattutto, un continuo e paziente incontrocol Lógos, assicurato da una catechesi capacedi mediazione culturale (Cf. J. Ratzinger, inParabole mediatiche, EDB, 2003, 175-182).

Emerge, allora, una verità incontrovertibile:la sfida comunicativa, per la Chiesa e per lasua catechesi è molto impegnativa. Perciòobbliga tutti a riprogettare gli stili di vita e“a darsi nuove regole”, in vista di una “nuo-va sintesi umanistica”, che non può pre-scindere dalla presa di coscienza circa il ruoloassunto dai media nella società, in quantoessi sono ormai parte integrante della “que-stione antropologica” (Cf. Caritas in veri-tate nn. 21,73; Messaggio 2008).

Ciò comporta la necessità di trasformaresempre più la pluralità delle voci in “polifo-nia”, oggi disturbata spesso da una nause-ante “cacofonia” autodistruttiva. Lo esigela visibilità della missione sacramentale dellaChiesa, che ha bisogno di espellere le causedisgregative.

La comunione ecclesiale, dunque, si confi-gura come vero antidoto contro la disper-sione, dentro l’area crossmediale, vista comenuova frontiera della catechesi. Le parole diGesù lo confermano: “Come tu Padre sei inme e io in te, siano anch’essi una cosasola, perchè il mondo creda che tu mi haimandato” (Gv 17,21). La comunione ec-clesiale, oltre a un orizzonte “sincronico”,può contare sulla sua verticalità “diacroni-

ca”, lungo l’asse della sua lunga storia, chela mette al riparo – coma ha detto Chesterton– dalla schiavità dell’attualità e della velocità“puntillizzata” (Cf. Z. Bauman, Vite di cor-sa, il Mulino, 2009, p. 33). La Chiesa hanel Vangelo un modello di comunicazione“paradossale” (para-doxa), che smascherae supera i luoghi comuni, perchè non separamai la Parola dalla vita, come avviene, dinorma, nella comunicazione “totalitaria” cheintrappola i più sprovveduti in un postmo-derno “paese dei balocchi” (Cf. C.Giaccardi,Assisi 2009).

“Ogni giorno, attraverso i giornali, la tele-visione, la radio, il male viene raccontato,ripetuto, amplificato, abituandoci alle cosepiù orribili, facendoci diventare insensibili”.Accanto all’“inquinamento dell’aria”, c’èl’“inquinamento dello spirito”, che rende inostri volti meno sorridenti e più cupi. Imass media tendono ad estraniarci dalla re-altà, a renderci tutti spettatori, dentro “di-namiche collettive” che mostrano le cose insuperficie: “le persone diventano corpi, equesti corpi perdono l’anima” (L’OsservatoreRomano, 9 dicembre 2009).

Queste parole forti di Benedetto XVI met-tono in evidenza un contesto favorevolealla violenta e sistematica aggressione alcristianesimo, che si esprime in modo sem-pre più diretto contro la Chiesa. Ciò nonsorprende e non impedisce alla «barca» diPietro di prendere il largo tra le onde delmare in tempesta (Cf. Mt 8, 24). Del resto,la “simbolica nautica” dei Padri, fin dal 3°secolo, considera i cristiani nel mondo comenaviganti sulla nave della Chiesa, che af-frontano la tempesta aggrappati all’ “alberodella Croce”, per giungere sani e salvi alporto sicuro.

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CAPITOLO 2

XLIII Convegno Nazionaledell’Apostolato Biblico

LA PROSPETTIVA EDUCATIVA

DELL’APOSTOLATO BIBLICO.RIFLESSIONI, APPROFONDIMENTI,

PROPOSTE

“Questa Parola è molto vicina a te,è nella tua bocca e nel tuo cuore

perché tu la metta in pratica” (Deut 30, 14)

Roma5-7 febbraio 2010

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Carissimi amici, eccoci ancora una volta in-sieme a lavorare, riflettere e pregare perchéil nostro servizio alla Bibbia ed alla Catechesisia sempre più efficace e innervato nelle re-altà diocesane e parrocchiali. Tutto questonoi lo facciamo tenendo sempre presenti ivolti delle persone che incontriamo. Il primoatteggiamento dunque, come ci insegna SanPaolo, è quello di ringraziare il Signore, per-ché moltiplica sempre il poco che siamo efacciamo, nel tanto con cui Lui, il Padre diogni consolazione, ci circonda.

Celebriamo in questo anno 2010 un anni-versario importante per la pastorale delleChiese in Italia ed anche per l’Apostolato bi-blico: è il 40° del “documento di base” (DB)“il Rinnovamento della catechesi”. La Chiesaitaliana, all’indomani e sotto la spinta delConcilio Vaticano II, si diede subito dellelinee guida per la catechesi da rinnovare:questo documento ha segnato “un momentostorico e decisivo per la fede cattolica delpopolo italiano” (Paolo VI).

Con una felice espressione, Mons. Lucio So-ravito, Vescovo di Rovigo-Adria, ha dettorecentemente che il Concilio è stato come il“grembo materno” del DB. Il DB è un do-cumento ecclesiale che fu elaborato con lacollaborazione di tutte le Chiese che sono in

SALUTO AI CONVEGNISTIDon Guido Benzi, Direttore UCN

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II - La sacra Scrittura, anima e “Libro” della catechesi

La Scrittura, vera parola di Dio, fonte eminente del mistero di Cristo105. La Scrittura è il documento preminente della predicazione della salvezza, in forza della sua divinaispirazione. Essa contiene la parola di Dio; perché ispirata, è veramente parola di Dio per sempre.Questa parola, che manifesta la condiscendenza e benignità di Dio, in quanto il suo linguaggio si èfatto simile al linguaggio dell’uomo, contiene la rivelazione del mistero di Cristo e, in esso, di tutto il

Italia. Nella fase di stesura del testo ognidiocesi è stata chiamata a esprimersi secon-do l’esperienza conciliare del dialogo, dellaricerca, del confronto dinamico. Il DB ha of-ferto alla catechesi ed alla pastorale italianauna visione rinnovata di Rivelazione diret-tamente mutuata dalla Dei Verbum: Dio siè manifestato agli uomini mediante eventie parole e si è consegnato a noi in Cristo,per chiamarci e ammetterci alla piena co-munione con sé (cf. RdC, c. 1). Di questarivelazione tutta la Chiesa è chiamata a farsiannunciatrice, attraverso molteplici espres-sioni, perché tutta la Chiesa è missionaria(cf. RdC, c. 2). Questo ci ha donato una vi-sione rinnovata di fede, intesa non solo co-me “adesione dell’intelligenza” alle veritàdel messaggio cristiano, ma prima di tuttocome adesione della mente e del cuore allapersona di Cristo, come accoglienza, dialogo,comunione e intimità con Dio in Cristo. Lacatechesi ha come finalità educare la “men-talità di fede”, iniziare alla vita ecclesiale,e integrare fede e vita (cf. RdC, c. 3). Centrovivo della catechesi è la conoscenza ed ac-coglienza della persona di Gesù per poterloseguire ed entrare in una comunione vitalecon lui e con la Santissima Trinità.Desidero rileggere con voi quanto il DB dicea chiare lettere (RdC, n.105-108):

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La prospettiva educativa dell’apostolato biblico114

Mi pare che proprio per queste felici intui-zioni, oltre che per il nostro amore alla Pa-rola, possiamo ripensare al nostro servizioin favore di cristiani e non cristiani, catecu-meni adulti e piccoli, cercatori di Dio, gio-vani e famiglie.

In tal senso l’esortazione post sinodale chepapa Benedetto XVI ci consegnerà ci troveràgià pronti a vivere questa perenne consegnadella Bibbia alle persone.Passo a mettere sotto il vostro sguardo al-cune iniziative che in qualche modo sono

mistero di Dio. Alla Scrittura la Chiesa si riconduce per il suo insegnamento, la sua vita e il suo culto;perciò, la Scrittura ha sempre il primo posto nelle varie forme del ministero della parola, come in ogniattività pastorale. Ignorare la Scrittura, sarebbe ignorare Cristo.

I caratteri fondamentali della Scrittura

106. Perché la Scrittura sveli realmente la pienezza del mistero di Cristo, si devono tenere presenti isuoi caratteri fondamentali. Tali sono l’origine stessa della Scrittura, la quale esprime in linguaggioumano la genuina parola di Dio; la concretezza della rivelazione biblica, nella quale eventi e parolesono intimamente connessi e reciprocamente si integrano; la progressività della manifestazione di Dioe della sua iniziativa di salvezza; la profonda unità dei due testamenti; la tensione dell’antica alleanzaverso Gesù Cristo, nel quale si compiono tutte le attese e tutte le promesse; il rapporto continuo tra laScrittura e la vita della Chiesa, che la trasmette integra, la interpreta autorevolmente e la adempie,mentre riconosce in essa il suo fondamento e la sua regola.

Come va usata e interpretata la Scrittura

107. La Scrittura è il e Libro ”; non un sussidio, fosse pure il primo. Per comprenderne il messaggio,occorre anche conoscere i modi storicamente diversi di cui Dio si è servito per rivelarsi. L’interpretazionesicura può essere fatta solo tenendo presente l’unità di tutte le Scritture e ricorrendo alla fede e allamente della Chiesa, che sono manifeste nella sua Tradizione e nell’insegnamento vivo del magistero.Né va mai dimenticato che la Scrittura deve essere letta e interpretata con l’aiuto dello Spirito Santo,che l’ha ispirata e fa ancora risuonare la viva voce del Vangelo nella Chiesa.

Che cosa attingere dalla Scrittura

108. La catechesi sceglie nella Scrittura, specialmente nei Vangeli e negli altri libri del nuovo testamento,i testi e i fatti, i personaggi, i temi e i simboli che maggiormente convergono in Cristo, quelli che ingenere sono più familiari alla liturgia. Dei fatti divini, esposti nella Scrittura, si deve ricercare la portatareligiosa, mettendo in evidenza come in essi Dio rivela Se stesso e il suo amore per gli uomini chevuole salvare. Questi fatti non possono essere usati solo come illustrazione o esempio, quasi fosserosemplici fatti umani. Nei personaggi, si deve vedere la scelta che Dio ha fatto perché divenissero suoicollaboratori, sia nel preparare la venuta del Salvatore, sia nel prolungarne la missione. Va messa inrisalto la loro corrispondenza alla sua chiamata, l’orientamento verso Cristo, l’atteggiamento religiosodi fronte a Dio. Le figure e i simboli vanno usati rispettando l’esegesi accolta nella Chiesa, per nonsvisare ciò che Dio rivela per mezzo di essi o per non correre il rischio di vederli dove non sono. Al-trettanto si deve dire riguardo ai generi letterari. Tutta la Scrittura è pervasa da un vivo senso di Dio,è ricca di sapienza per la vita dell’uomo e contiene mirabili tesori di preghiere. Accostarsi così allaScrittura, induce a poco a poco a impregnarsi del suo linguaggio e del suo spirito. È perciò necessarioche anche nella catechesi l’accostamento alla sacra Scrittura avvenga in clima di preghiera, affinchéil colloquio tra Dio e l’uomo possa svolgersi nella luce e nella grazia dello Spirito Santo.

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La prospettiva educativa dell’apostolato biblico 115

all’orizzonte del nostro lavoro. Dal 14 al 17giugno a Bologna avremo il Convegno an-nuale dei Direttori UCD e loro collaboratori:il titolo sarà “La questione educativanell’Iniziazione Cristiana per le nuovegenerazioni”; molti di voi saranno parte-cipi. All’interno dei lavori sarà interessantecapire come il mondo dell’Apostolato biblicopotrà interpellare l’ambito delle così dette“alleanze educative”, cioè come la propostadella Bibbia agli uomini e alle donne del no-stro tempo si intrecci (almeno stando al DB)all’azione educativa delle nostre comunità.Continuano anche con qualche novità i no-stri Corsi formativi per animatori biblici: ilCorso della Verna (coordinato da Don MarcoMani) dal 1 al 7 agosto ed il rinnovato Corso

Bibbia- Arte e Comunicazione (Coordinatoda P. Giacomo Perego) che da Crotone sisposta in Basilicata e sarà dall’11 al 15 lu-glio. Questi corsi già dicono delle “alleanze”:la Verna con l’ABI, la Basilicata con l’UfficioComunicazioni sociali.Colgo l’occasione per salutare il Prof. ValdoBertalot della Società Biblica. Grazie per lapresenza e per tutto il lavoro che svolge.Grazie ai membri del gruppo nazionale delSAB, all’ABI ed alla Redazione della rivistadi Parole di vita, che oggi è qui presente.Grazie a Don Carmelo Sciuto, aiutante distudio all’UCN, ed Andrea, Marta e Rosanna.Infine un grazie a Don Cesare Bissoli infa-ticabile “apostolo biblico”, maestro di zeloed anche di fede per tutti noi.

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I. Senso del Convegno

• Al saluto di Don Guido, aggiungo il miocordiale saluto a voi carissimi/e anima to -ri / animatrici di Apostolato Biblico nellenostre comunità. Il nostro annuale con-venire, anche dalla sua durata (sono 18volte per 18 anni), mostra insieme la suanecessità (non si ripeterebbero così a lun-go convegni come questi se non se ne av-vertisse il bisogno) e il vostro apprezza-mento, per il numero elevato di parteci-panti e la fedeltà di presenza di alcuni (al20° convegno dovremo dare un ricono-scimento ufficiale ai fedelissimi). Intantoci premuriamo di dare un cordiale benve-nuto ai nuovi convegnisti.

Come era scritto nel programma che è statoinviato, “da circa vent’anni in Italia l’Apo-stolato Biblico (AB) ha piantato le sue radicie come l’albero del Vangelo estende i suoirami raggiungendo con ampiezza diversa le227 diocesi italiane. Ringraziamo Dio per lacorsa della sua Parola in mezzo a noi!”.

• Entro questa preziosa tradizione italianadi AB, sentiamo il bisogno di rafforzareed estendere tale servizio. Ecco delinearsiil volto di questo 18° Convegno. È impor-tante cogliere subito la prospettiva che locaratterizza, gli obiettivi che vogliamoraggiungere.

Sempre riferendomi al testo del programmainviato, due aspetti intrecciati sono da con-siderare:– Noi del Servizio Nazionale dell’AB e tanti

altri animatori biblici nelle nostre comuni-

tà, avvertiamo la necessità di fare una ri-progettazione globale del servizio bibliconelle nostre chiese locali. Assieme a DeiVerbum, e come sua autorevole esplicita-zione, ci è di grande aiuto l’EsortazioneApostolica sinodale di Benedetto XVI:”LaParola di Dio nella vita della Chiesa” (Si-nodo 2008) di cui potremo disporre nel2010. Tale documento aprirà la strada alripensamento di cui si è detto, diventandoperciò oggetto tema specifico del Convegno19° nel 2011.

– Intanto ci prepariamo opportunamente agliimpegni non piccoli che l’Esortazione Apo-stolica ci darà, riflettendo sulle tante espe-rienze di comunicazione della Bibbia ogginel popolo di Dio, mettendo precisamentea fuoco “tre punti nevralgici relativi aicontenuti o ambiti di servizio, all’anima-tore, ai destinatari”. L’articolazione delConvegno è mirata a ciò.

– Ma qui subentra un secondo obiettivo: in-tendiamo fare questa riflessione tenendopresente sullo sfondo l’impegno educativoimmanente ad ogni valida evangelizza-zione. Ci sollecitano a ciò i prossimi Orien-tamenti pastorali della CEI per il decenniodedicati all’educazione. Ebbene l’incontrocon la Bibbia quale contributo può dare atale scopo, e dunque noi dell’AB cosa dob-biamo fare per essere educatori ed anima-tori, animatori da educatori ? Vi sarà unarelazione al proposito, ma soprattutto siapre una prospettiva di lavoro, specie coni giovani, ma anche per adulti e per bam-bini, cui forse siamo poco abituati!

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La prospettiva educativa dell’apostolato biblico116

INTRODUZIONEDon Cesare Bissoli, Coordinatore SAB dell’UCN

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Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

La prospettiva educativa dell’apostolato biblico 117

II. L’articolazione del Convegno

Comprende quattro tappe più una quinta

A. Stasera (venerdì) l’attenzione si concen-tra sulla prima parte, su un polo costi-tutivo dell’AB: comunicare la fede tramiteil Libro Sacro. Di qui il titolo “ La Bibbia nella comu-nicazione della fede”. Il percorso comprende due momenti:

1) La Bibbia nell’iniziazione cristiana (ore 16)(Don Paolo Sartor, responsabile per il Ca-tecumenato, Milano). È un tema che richiama l’attenzione deglianimatori biblici, forse desueti ad argo-menti come questi, a rendersi conto chela prima alfabetizzazione biblica può av-venire e deve avvenire tra i ragazzi dellacosiddetta ‘prima comunione e cresima’,ma che vale anche per catecumeni adulti,potendosi avvalere di un processo orga-nico in entrambi i casi. In tale camminosi possono rendere partecipi anche i ge-nitori.

2) La Parola di Dio come sfida educativa(ore 18)(Mons. Carlo Ghidelli, Arcivescovo diLanciano-Ortona, membro del SAB)Il titolo dice bene l’ottica della relazioneche si suddivide armonicamente in dueparti: La Bibbia educa,o il “processo edu-cativo come anima e metodo della Bib-bia”; educare alla Bibbia, o “Come edu-care alla lettura della Bibbia: metodi eambiti”. Per entrambe le relazioni ci vengono inmente esperienze concrete in cui abbiamocercato di realizzare quanto i relatori cihanno detto. Ascoltiamo, confrontiamocie poi dialoghiamo.

B. Sabato mattina affrontiamo la secondaparte: “L’animatore biblico”

3) L’animatore biblico: chi è, quali problemiincontra, cosa è chiamato a fare, ambitidi lavoro. La sua formazione (ore 9)(Fr. Enzo Biemmi - Presidente Equipe Eu-ropea di catechesi, Direttore dell’ISSR diVerona).Anche qui il titolo dice bene nella sua di-stribuzione dei contenuti quale sia laidentità del genuino animatore e il per-corso per arrivarvi. Qui entrano in scenai protagonisti dell’AB, gli animatori, cioènoi, che si pongono logicamente ancheprotagonisti del Convegno.

C. Sabato pomeriggio inizia la terza parte:“SAB e progettazione pastorale”

4) La Bibbia anima della pastorale dellapersona nei suoi ambiti di vita (ore 15)(Mons. Andrea Lonardo, direttore UfficioCatechistico Diocesano, Roma).È una relazione di sintesi che intendemostrare come il Libro Sacro giochi il suoruolo in una pastorale integrata, qui in-tesa come azione pastorale che ha percentro la persona concretamente vista neidiversi ambiti di vita. Essere animatoribiblici, rendersi capaci di tale processo eall’interno di esso, ed oltre l’abitualegruppo biblico.

5) I Laboratori per ambiti(ore 17), animatida un esperto, affrontano questo rap-porto della Bibbia con la pastorale inquattro aree che sono attuali per gli ani-matori e li richiamano a competenze spe-cifiche.

• Bibbia e LezionarioDon Angelo Lameri, docente di Liturgiaal PUL. coll. Ufficio Liturgico NazionaleCEI.

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 3

La prospettiva educativa dell’apostolato biblico118

• Bibbia e CatecumenatoDon Andrea Fontana, responsabile per ilCatecumenato, Torino.

• Gruppi Biblici Don Giovanni Giavini, biblista membrodel SAB nazionale).

• Bibbia e comunicazione.P. Walter Lobina ssp, SPICS, Roma.

D.Domenica mattina sarà considerata laquarta parte: “Parola di Dio e contem-poraneità”.È un tema che riguarda in particolare lacomunicazione della Parola di Dio nell’at-tuale contesto, così bisognoso del Vange-lo, così esigente nell’ascoltarlo e così nondi rado refrattario nel riceverlo.

6) Ascoltare e annunciare la Parola di Dioall’uomo di oggi.Don Matteo Armando, docente di TeologiaFondamentale alla PUG, Ass. naz. FUCI. In ogni convegno abbiamo avvertito chenon basta sapere Bibbia, ma occorre sa-per parlare con le persone, giovani e adul-te, di oggi, con i loro livelli di fede, dicultura, di domande.La relazione mira afare competenza.

III. Momenti qualificanti

A. Momento della preghiera

Abbiamo avvertito quanto sia necessarioed insieme desiderato, non solo conosce-

re, ma anche celebrare la Parola di Dio.Abbiamo quindi dei momenti di preghierache vorremmo accurati:

• venerdì: 19.30: Preghiera di Vespro (inaula)

• sabato mattina: 7.30 Eucaristia (in cap-pella)

• sabato sera 19.15:Lectio divina, a cura diP. Giacomo Perego ssp, membro del SAB

• domenica 11.30: Eucaristia domenicaleconclusiva (in cappella)

B. Momento dello scambio e fraternità

• Sabato 11-12.30: Vita dell’AB:iniziative,proposte, racconto di esperienze di ABÈ un forum aperto a tutti (previo accordocon il responsabile del Convegno).

• La voce della Societa’ Biblica italiana(Valdo Bertalot)

• Da sabato mattina: Piccola ‘mostra-mer-cato’ di materiale concernente l’AB (inaula)

• Risposta ai questionari

C. Momento logistico-finanziario

Presso la SegreteriaConcludo esprimendo un cordiale saluto aValdo Bertalot ed amici della Società Biblicaitaliana, da sempre ospiti graditi tra noi.

Ed ora procediamo in nomine Domini.

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Introduzione

Affronto il tema che mi è stato affidato(l’animatore biblico e la sua formazione) apartire dalla mia esperienza di animazionebiblica, sia diretta, sia di coordinamento. Èin forza di questa esperienza che mi è statochiesto, credo, di dare questo apporto.Per tredici anni ho coordinato una propostadi ascolto della Parola di Dio nella diocesi diVerona, nata a suo tempo come Scuola dellaParola in senso classico (ascolto di una spie-gazione approfondita di un testo biblico daparte di un esperto in contesto di preghiera)e poi profondamente trasformata nel suometodo, pur avendo continuato a mantenereil nome improprio di “Scuola della Parola”.Si è trattato, di fatto, di un percorso di 13anni di lettura partecipata della Parola diDio nell’ambito della catechesi degli adulti.Questa precisazione è importante: situa su-

bito l’animatore biblico nel contesto del piùampio compito catechistico.Su questo percorso c’è una buona documen-tazione, sia perché sono stati pubblicati diecidei tredici itinerari, sia perché è stata oggettodi analisi di due tesi, una di licenza in teo-logia e una di dottorato1.Quello che dirò è frutto di convinzioni ma-turate coniugando pratica e riflessione, con-vinzioni che hanno portato contemporanea-mente a mettere a punto un metodo parti-colare di lettura della Parola con gli adulti edi conseguenza a configurare una particolare“figura” di animatore biblico.Non è mia intenzione presentare “la figura”dell’animatore. Ciò sarebbe perlomeno in-genuo. La diversità dei metodi, dei destina-tari e dei tempi del processo di fede (dal-l’initium fidei all’habitus fidei) ci invita aduscire dal singolare (l’animatore) e orientaa pensare figure differenti di animatori pertempi differenti di annuncio e per persone

L’ANIMATORE BIBLICO E LA SUA FORMAZIONEFratel Enzo Biemmi, Preside ISSR di Verona e Presidente dell’Équipe Europea dei Catecheti

Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

La prospettiva educativa dell’apostolato biblico 119

1 La “scuola della Parola di Verona” ha avuto e continua ad avere in Italia e all’estero una certa attenzione, pertre motivi principali:a) Una serie di articoli e di pubblicazioni che l’hanno fatta conoscere a livello divulgativo e scientifico. Inparticolare segnaliamo la tesi di dottorato di FALAVEGNA EZIO, Il «servizio della Parola». Dall’esperienza alla ri-flessione teologica, Edizioni Messaggero Padova, 2008; AMBROSI MARIANO, L’école de la Parole de Dieu. Unespace fraternel d’”interlocution” dans le doyenné de Desenzano del Garda, Diocèse de Vérone, Italie, tesi diLicenza in teologia presentata all’Istituto Superiore di Pastorale Catechistica, Institut Catholique di Parigi, gennaio2004.b) La pubblicazione dei dieci itinerari della Scuola della Parola, a cura delle Edizioni Dehoniane di Bologna:1. Abbiamo incontrato Gesù, EDB, 1994; 2. «Siate perfetti come il Padre vostro». Le esigenze della vitacristiana nel discorso della montagna, EDB, 1995; 3. Parabole di vita. Il volto di Dio Padre raccontato daGesù a tutti i «piccoli» che accolgono il suo Regno, EDB, 1996; 4. La novità del Vangelo. Gesù buona notiziadel Regno di Dio, EDB, 1997; 5. Vivere da figli. La preghiera del Padre nostro, EDB, 1998; 6. Sulla via delCrocifisso. Seguire Gesù fino alla croce, EDB, 2000; 7. Davvero il Signore è risorto, EDB, 2000; 8. Nella forzadello Spirito. Lo Spirito Santo anima e sostiene la vita della Chiesa, EDB, 1998; 9. Una Chiesa che serve, EDB,2001; 10. Ecco, io faccio nuove tutte le cose. L’Apocalisse: un libro per leggere la storia alla luce della Pasqua,EDB, 1999.c) L’esperienza è già stata presentata ed analizzata nel Convegno internazionale promosso dall’ISPC di Parigi,tenutosi dal 23 al 26 febbraio 2005 sul tema “Catechesi degli adulti e maturazione della fede”, all’interno di unforum di 12 esperienze internazionali.2 «Le Sacre Scritture sono la “testimonianza” in forma scritta della parola divina, sono il memoriale canonico,

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diversamente collocate nel processo dellafede.Presenterò pertanto “una figura” di anima-tore, quella che ho sentito spontaneo preci-sare nell’ambito della catechesi biblica e apartire dalla quale ho proposto degli itineraridi formazione di animatori biblici.

1. L’incontro con la Parola di Dio

Mi pare importante, per impostare corretta-mente la figura e il ruolo dell’animatore, ri-chiamare brevemente il processo di comu-nicazione della Parola di Dio e di ascolto diquesta parola. Infatti, è a servizio di questoduplice processo che si pone la figura del-l’animatore biblico.

– La parola di Dio non è in senso proprio,lo sappiamo, un testo scritto. La parola diDio nella sua pienezza è una persona, Ge-sù Cristo. È lui il Verbo fatto carne rivoltoa noi. La parola di Dio è la sua vita, ilsuo ministero, la sua morte e risurrezione,la sua presenza che dona continuamentelo Spirito. È in Gesù che Dio si è reso deltutto disponibile a ogni uomo, come pa-rola, entrando così nel circuito della co-municazione umana.

– Questa parola di Dio piena e definitiva,che è Gesù Signore, nel dono dello Spiritoha suscitato accoglienza e fede (discepo-lato), in mezzo a resistenze e rifiuti, haprovocato testimonianza e annuncio e ha

prodotto la nascita della Chiesa. Il Gesùannunciatore della parola di Dio è diven-tato così l’annunciato: allo stesso tempooggetto dell’annuncio è Colui che continuaa proporsi attraverso gli annunciatori(soggetto).

– Questo annuncio di Gesù Signore, in unterzo momento, attraverso un dono chenoi chiamiamo ispirazione, ha preso unaforma privilegiata nel testo scritto, è di-ventato Scrittura.Sono, questi, tre aspetti fondamentali ri-chiamati anche dal messaggio finale delSinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio2.

– Questo movimento di discesa (l’autoco-municazione di Dio che si fa Parola in Cri-sto, che suscita testimonianza, che diven-ta testo scritto) è chiamato a diventaremovimento di ascesa nel nostro ascolto enella nostra lettura (dal testo scritto, allatestimonianza ed esperienza di fede cheil testo contiene, alla persona di Gesù Si-gnore che tramite la Scrittura si rende anoi disponibile). Noi leggiamo la parola diDio come testo scritto per incontrare laParola che è Gesù Signore, e disporci allarelazione con la sua persona grazie alloSpirito.

Mi pare che questi brevi richiami costituisca-no le coordinate per collocare correttamenteil servizio dell’animazione biblica e per deli-neare la figura dell’animatore.Possiamo allora definire sinteticamentel’obiettivo dell’animazione biblica: si tratta

storico e letterario attestante l’evento della Rivelazione creatrice e salvatrice. La Parola di Dio precede, dunque,ed eccede la Bibbia, che pure è “ispirata da Dio “ e contiene la parola divina efficace (cf. 2 Tm 3, 16). È perquesto che la nostra fede non ha al centro solo un libro, ma una storia di salvezza e, come vedremo, unapersona, Gesù Cristo, Parola di Dio fatta carne, uomo, storia» (Messaggio al Popolo di Dio della XII AssembleaGenerale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, n. 3).

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di introdurre a una relazione, quella con ilSignore Gesù, passando attraverso il testo.Tale accesso alla relazione con il Signore Ge-sù tramite l’ascolto della Scrittura deve av-venire nella modalità propria della parolaumana. Così infatti Dio si è comunicato a noiin Cristo, nella modalità della parola umana.

Quale è il valore della parola umana? La pa-rola umana è quel miracolo in forza del qualenoi possiamo portare all’esterno di noi qual-cosa che è dentro di noi e in qualche modosiamo noi. Con la parola noi mettiamo noistessi all’esterno di noi, in modo che un al-tro, se ritiene, se vuole, può appropriarseneportandolo dentro di sé (ascolto). La parolaautentica è questo miracolo in base al qualenoi possiamo diventare presenti a un altroattraverso una forma che dice una disponi-bilità senza invadenza.La parola di Dio è proprio questo miracoloattuato da Lui nei nostri confronti: Dio si èsempre fatto presente così a noi, come parolaprofondamente umana, cioè senza invaderee senza negarsi. Egli continua a comunicarsia noi, tramite la Scrittura e tutti i segni dellasua presenza, come “parola”, rendendosicioè disponibile senza imporsi. Perché Egliè il Dio mai invadente, però veramente di-sponibile. Non è un Dio che invade la terra,né uno che se ne sta nei cieli: è proprio ade-guato all’uomo, perché è il Dio della parola,cioè entra in rapporto rispettoso con le nostrelibertà.La Scrittura è il luogo privilegiato, anche senon esaustivo, del suo comunicarsi, e sem-pre nel modo detto sopra. Si propone e nonsi impone.Quindi, potremmo dire che la finalità ultimadell’animazione biblica sia di stabilire un

processo di “interlocuzione”, cioè di comu-nicazione autentica tra i soggetti implicati eil testo biblico in modo da favorire una re-lazione nella libertà.

2. La figura dell’animatore biblico:uno stile che è metodo

Si configura così il servizio dell’animatorebiblico: egli aiuta a mettere in atto uno spa-zio comunicativo che permette di entrare inrelazione con il Dio di Gesù Cristo nella mo-dalità della parola umana.Per dare contorni più precisi a questo servi-zio, che è al contempo stile e processo (cioèatteggiamento e metodo), possiamo riferircibrevemente a un testo biblico noto, partico-larmente caro alla catechesi. Si tratta del-l’incontro di Filippo con l’eunuco (At 8, 26-40). Non si tratta qui di fare l’esegesi deltesto, ma solamente di richiamarne il dina-mismo che lo attraversa, concentrandoci sul-la figura di Filippo3.

È abbastanza agevole riconoscere nel testotre passaggi fondamentali, riassumibili in trecoppie di verbi.a) Accogliere e lasciarsi accogliere. Questa

prima fase del racconto presenta un in-contro di reciproca accoglienza tra Filippo(l’evangelizzatore) e l’eunuco (l’adulto inricerca). C’è una serie di verbi significa-tivi: incontrare, correre vicino, sentire,salire sul carro e sedersi vicino. È qui in-dicata una delicata e profonda progres-sione di entrata in relazione con la per-sona. In questa prima parte (che è giàannuncio), Filippo è passivo: non parla.Si limita ad avvicinarsi e ad ascoltare,

3 Si veda lo stimolante commento di BARBI AUGUSTO, L’icona dell’evangelizzatore Filippo, in C’è spazio per laParola che salva, «Esperienza e Teologia» n. 18, gennaio-giugno 2004, 101-111.

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cioè ad entrare in relazione vera. L’unicaparola sua è una domanda stimolo, cheprovoca nella persona una presa di co-scienza e una domanda di aiuto: «e comepotrei comprendere, se nessuno mi gui-da?». Filippo pone delle domande all’eu-nuco, suo interlocutore, perché il bisognodi ricerca e di illuminazione si approfon-disca. Egli stesso poi accetta gli interro-gativi dell’eunuco e vi risponde, offrendola propria parola.

Questo primo tratto del testo ci suggeri-sce certo una serie di atteggiamenti, maanche la prima fase di un metodo. L’in-contro con un testo della Scrittura ri-chiede un tempo di incontro reciproco,di reciproca ospitalità tra gli ascoltatori.Il termine “ospite” nella lingua italianae in molte lingue è ambivalente: dice alcontempo ospitare e lasciarsi ospitare.Non può esserci lettura fruttuosa di untesto senza fare spazio, rispetto al testo,ai saperi preliminari e ai vissuti (con iloro dubbi e i loro interrogativi) dei pro-tagonisti della lettura. La relazione frut-tuosa con il testo avviene dentro unarelazione autentica tra animatore e adultiascoltatori. Proprio perché già segnatadalle proprie rappresentazioni e dalleproprie esperienze (sia dell’animatoreche dell’adulto) la lettura di un testo co-mincia dal legittimare e provocarel’espressione delle proprie precompren-sioni e dei propri vissuti rispetto al testostesso.

b) Far entrare e riscoprire insieme. La se-conda tappa del racconto presenta l’en-trata nel senso del testo. Il racconto diLuca si limita a dirci, con un versettomolto denso (v. 35), che Filippo, a partiredal testo di Isaia del servo sofferente, pre-

se la parola e «gli evangelizzò Gesù».Non sappiamo quale aspetto del messag-gio di Gesù Filippo abbia detto all’eunuco.Ma il testo di Isaia sul Servo sofferente,ci fa capire che egli è andato diritto alcuore dell’annuncio cristiano, il misterodi morte e di risurrezione del Signore.Inoltre c’è un dettaglio importante: il ri-ferimento alla vita recisa e alla discen-denza: «ma la sua discendenza chi potràmai descriverla? Poiché è stata recisadalla terra la sua vita».

L’evento di Cristo, annunciato in questaprospettiva, non poteva non suonare co-me significativo per la vita dell’eunuco.Anch’egli era un disprezzato ed un emar-ginato socialmente per la sua condizionedi mutilazione fisica, privato di discen-denza. Nella situazione di povertà radi-cale dell’eunuco, Filippo gli annuncia Ge-sù come la buona notizia nella sua situa-zione concreta.

Conta però essere coscienti che, perchéquesto avvenga, perché cioè accada cheun testo della Scrittura sia percepito co-me buona notizia per l’ascoltatore, ènecessario che chi fa incontrare il testosia già stato raggiunto dal testo chepresenta (non stia fuori dal testo).L’unica possibilità perché il Signore Ge-sù sia percepito come salvatore dal-l’ascoltatore è che colui che lo presentasia già stato salvato dal testo e che silasci salvare mentre annuncia. C’è dun-que un legame indissolubile tra i tresoggetti: il Signore Gesù, l’ascoltatore,l’annunciatore. Questo elemento è for-temente confermato dai versetti se-guenti: «Proseguendo lungo la strada,giunsero dove c’era dell’acqua e l’eu-nuco disse: «Ecco, qui c’è dell’acqua;

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che cosa impedisce che io sia battez-zato?». Fece fermare il carro e sceserotutti e due nell’acqua, Filippo e l’eunu-co, ed egli lo battezzò» (vv. 36-38). Ladoppia enfatizzazione del v. 38 («tuttie due»; «Filippo e l’eunuco») dice tuttala reciproca implicazione, pur nella dif-ferenza di ruolo («e Filippo lo battez-zò»). Non si può starsene fuori da unpercorso di accompagnamento nella fe-de e dalla lettura di un testo biblico.

c) Lasciar partire e continuare il viaggio.L’ultimo passaggio del testo ci informache lo Spirito rapisce Filippo e lo portalontano, mentre l’eunuco prosegue congioia la sua strada.Quest’ultimo aspetto è di fondamentaleimportanza. Segnala il carattere di me-diazione di ogni accompagnamento e lanecessità di lasciare pieno spazio al-l’azione dello Spirito e al cammino per-sonale dei soggetti. L’accompagnamentomira a restituire le persone all’azionedello Spirito, il quale è l’unico esegetacompetente, e a restituirle alla loro au-tonomia.Una delle conseguenze importanti a li-vello di animazione biblica sta nel fattoche occorre prevedere una terza fase di“presenza/assenza” nella quale le perso-ne possano rielaborare, in termini di co-noscenze e di vissuti, in maniera auto-noma anche se assistita, il loro percorsopersonale di credenti. Quello che in ge-nere noi chiamiamo attualizzazione deltesto, non può quindi essere fatto esclu-sivamente dall’animatore, ma deve esserefatto insieme, perché lo Spirito in ognunoporta risultati differenti, secondo la suaricchezza e la libertà delle persone impli-cate. Come i vissuti iniziali non sonouguali, così i risultati finali.

4. La specificità del metodo dianimazione biblica nella catechesirispetto ad altre modalitàdi incontro con la Scrittura

Quanto detto fino a qui lascia intuire con-temporaneamente uno stile di animazione,degli atteggiamenti e un metodo particolaredi lettura della Parola di Dio come Scrittura.Appare chiaro che questa modalità di cate-chesi biblica si differenzia sia da una letturaspirituale della parola (la lectio divina) siada una lettura esegetica, propria in partico-lare di quelli che chiamiamo in genere igruppi biblici.- La lectio divina ha una sua metodologianota, che gode di una lunga tradizione e au-torevolezza nella Chiesa. Si presenta come“lettura spirituale”, una lettura per il nutri-mento della propria fede che suppone già unaadesione alla Parola e un buon allenamentospirituale. Può essere di carattere personaleo anche comunitario. Richiede la presenza diuna guida o l’assimilazione di un metodo dilettura con le sue quattro parti conosciute(lectio, meditatio, contemplatio, oratio).- La lettura invece di tipo esegetico, moltocara a tanti laici, è finalizzata a una cono-scenza approfondita dei testi biblici e richiedel’accompagnamento di un esperto nella Sa-cra Scrittura o di buoni materiali esegetici(commentari). Questa forma di lettura bibli-ca mira ad indagare il testo nella sua strut-tura e nella sua forma letteraria, secondo idifferenti metodi di esegesi biblica.- La modalità di lettura della Parola di Dioche ho presentato sopra può essere definitainvece una forma di lettura catechistica del-la Scrittura. Si tratta cioè di quella letturache avviene dentro percorsi di catechesi, chesi tratti di primo annuncio o di catechesi diapprofondimento per persone già credenti.

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Questa precisazione è importante, sia perdistinguerla da altre forme di lettura biblica,sia per ricordarci che la proposta catechisticaha sempre al suo centro l’incontro con laparola di Dio, ma non si riduce a questa.D’altronde il testo di Filippo e dell’eunuco losottolinea: la catechesi parte dalla situazioneconcreta delle persone, le fa incontrare conla Parola di Dio, le porta alla celebrazionedei sacramenti e all’incontro con la comunitàcristiana, e infine le accompagna a una vitasecondo lo Spirito. Un percorso catechisticodi solo incontro con la Parola senza l’espe-rienza liturgica nella comunità e senza laconversione di vita rimarrebbe incompiuto4.Rispetto a una lettura esegetica o una letturaspirituale, la lettura catechistica della Parolaha una sua specificità. La catechesi è tuttapermeata dalla Parola, secondo l’afferma-zione di San Girolamo, ripresa dal Docu-mento Base della catechesi (n. 105): «Igno-rare le Scritture è ignorare Cristo». Nello stes-so tempo la lettura della Bibbia in catechesisi specifica come lettura “dialogale”, “dialo-gica” o “correlativa”. La sua specificità è dimettere tutta la persona in contatto con tuttala Parola, cioè di mettere la Bibbia alla provadella vita. È dunque questa continua “con-taminazione” con l’esperienza umana e cul-turale degli ascoltatori che costituisce il pro-prium della lettura catechistica e l’apportoche essa può dare alle altre forme di lettura.

Il metodo sopra esposto di lettura catechi-stica della Parola è nato nell’ambito di formedi catechesi degli adulti nel tentativo di evi-tare i limiti che si registravano nella forma

più diffusa di lettura biblica nella catechesidegli adulti, quella dei “centri di ascolto”nelle case o “gruppi del vangelo”. I limiti era-no di due tipi: o forme di “lettura specchio”della Parola, vale a dire di confronto istintivorispetto a un testo (cosa ci dice questo branodel vangelo?); o forme di lettura dove siascoltava l’animatore (più o meno preparato)che spiegava il testo e poi chiedeva di reagire.Nel primo caso l’animatore è semplicementeun coordinatore, un regolatore del traffico(spesso si riduce a un partecipante). Nel se-condo caso l’animatore cerca di ricoprire ilruolo dell’esperto, non avendo tuttavia in ge-nere la competenza per poterlo fare. Ne con-segue spesso una spiegazione superficiale deltesto e un atteggiamento passivo da parte deimembri del gruppo.

5. Una lettura assistita e partecipatadella Parola: l’animatore comeaccompagnatore

Rispetto a questi due limiti il metodo sopraesposto, pur non essendo una ricetta magica,allena a quella che possiamo chiamare “unalettura partecipata e assistita della Parola”.

Una lettura assistita e partecipata della Pa-rola è quella che coniuga l’ascolto rispettosodel testo e l’iniziativa del soggetto adultolaico non solo come “consumatore di senso”(un senso che l’esperto, in genere prete, co-munica rispetto a un testo della Parola diDio), ma come “produttore di senso”, cioècome soggetto battezzato che accogliendo il

4 Queste tre forme di lettura della Scrittura (esegetica, spirituale e catechistica) non esauriscono le modalità dilettura della Parola presenti nella Chiesa. In particolare possiamo segnalare una lettura estetica della Parola,quella operata attraverso la via della bellezza e i linguaggi non primariamente cognitivi. Possiamo pensare all’artepittorica (miniera inesauribile di lettura biblica), alla letteratura, alla poesia, al teatro. La lettura catechistica dellaScrittura si avvale spesso di queste letture che privilegiano modalità espressive non razionali.

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Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

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testo rispettosamente ne coglie significatiinediti e usufruibili da altri.

Questi due obiettivi di fondo (lettura rispet-tosa e lettura partecipata) costituiscono lecondizioni per promuovere nella comunitàecclesiale un rapporto sano e adulto tra untesto biblico ispirato e la comunità che lolegge.Perché questo avvenga occorre mettere inatto un duplice esodo: a) c’è un esodo dellettore verso la Parola. Occorre uscire versoil testo, che chiede di essere ascoltato nellasua alterità/distanza da noi. b) Un esodo deltesto verso il lettore: il testo svela il suo“mondo”, cioè la capacità di vita di cui èportatore, e quindi va verso il lettore. Nellamisura in cui noi lo ospitiamo, si rivela pernoi terra ospitale.Tutto questo è possibile grazie a due fattori:il metodo di lettura del testo (che va dalcontesto, alla struttura del testo, al suo senso[il mondo del testo] al suo significato) e ilprocesso partecipativo, che favorisce unareazione iniziale istintiva, obbliga a metteretra parentesi le proprie rappresentazioni nellafase dell’analisi e invita all’attualizzazionepersonale e comunitaria.Avviene così, al dire dei partecipanti, che iltesto parli in maniera nuova da quella abi-tuale. Il che significa: viene compreso inmaniera nuova, ma viene anche generatoin maniera nuova, perché l’esperienza di chilo legge e il dono dello Spirito presente nellettore (la comunità) fa sì che il testo possaesplicitare significati finora inediti5.Per questo servizio di “interlocuzione” tratesto e lettori, cioè di entrata progressiva inrelazione con il Signore Gesù attraverso iltesto, la figura dell’animatore non si presen-

ta né prevalentemente come guida o leaderspirituale, né prevalentemente come espertobiblico. Lo possiamo definire come accom-pagnatore, come compagno di viaggio, perrichiamare simbolicamente la figura di Filip-po. La sua funzione, assicurata dal rispettodi un metodo di accompagnamento, consistenel far reagire i partecipanti rispetto al testo(attraverso molteplici modalità), portare aduna approfondimento corretto mettendo adisposizione dei buoni commenti al testostesso, favorire la riappropriazione, la rie-spressione e l’attualizzazione da parte degliadulti partecipanti.Questa figura di “animatore biblico” è pra-ticabile da laici e laiche adulti senza neces-sità di competenze specialistiche. Come di-mostra l’esperienza, superati i primi timori,diventa per gli animatori biblici uno stile cheli fa crescere e dona loro il gusto di lavorarecon gli adulti sui testi della Scrittura in am-bito catechistico.

6. La formazione dell’animatorebiblico nell’ambito della catechesi

Se per essere animatori biblici nello stiledell’accompagnamento non si richiede di es-sere degli specialisti, si domanda tuttaviauna formazione specifica. Questa si qualificaper quattro dimensioni, quelle proprie per laformazione dei catechisti con una specificaattenzione alla Parola di Dio.Si tratta della competenza biblico/teologica,culturale, pedagogica e spirituale.

a) Prima di tutto la competenza biblica eteologica. Questa competenza non ri-chiede delle grandi qualità intellettuali o

5 Per un approfondimento sugli aspetti prettamente metodologici e didattici di lettura di un testo della Scritturasi veda BIEMMI ENZO, Accompagnare gli adulti nella fede, LD.

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una formazione specialistica, ma neces-sita comunque di un minimo di cono-scenze di base riguardanti la Bibbia e icontenuti fondamentali della fede, per sa-per distinguere l’essenziale dall’accesso-rio, per poter mettere in rapporto le dif-ferenti affermazioni della fede e i diversiaspetti della vita cristiana. In concreto,l’animatore biblico deve essere capace dileggere le Scritture in modo corretto, dicomprendere il dinamismo della storiadella salvezza, di comprendere e saperspiegare le affermazioni fondamentali delCredo. Dovrà anche acquistare il sensodell’appartenenza alla Chiesa, nelle suedimensioni comunitaria, liturgica, sacra-mentale, etica e di impegno nel mondo.Non è pensabile una sola competenza bi-blica slegata da una formazione di baseteologica e dalla conoscenza del patrimo-nio della tradizione della fede. Il legamecon la comunità ecclesiale e la sua tradi-zione diventa garanzia di lettura correttadella Parola, perché è la comunità cristia-na il luogo nel quale la Bibbia viene letta,pregata e vissuta.

b) La competenza culturale. La compe-tenza biblico/teologica da sola non basta.Occorre che essa sia accompagnata dauna conoscenza del contesto socio-cultu-rale nel quale si attua la lettura catechi-stica della Scrittura. Si tratta della sensi-bilità culturale e della conoscenza degliadulti di oggi: il loro ambiente di vita, laloro storia, le loro domande, i loro riferi-menti, i loro gusti, le loro aspirazioni.Questo chiede all’animatore biblico di es-sere inserito nella vita quotidiana, di in-teressarsi a quello a cui si interessano idestinatari del messaggio cristiano, fa-cendosi presente nelle loro conversazioni,come Gesù con i discepoli di Emmaus

(«Di cosa parlavate nel cammino?») o diFilippo con l’eunuco («Capisci quello cheleggi?»).Ci si aspetta che l’animatore biblico facciascoprire la Scrittura non in manieraastratta o separata dalla vita, ma facen-dola risuonare nel cuore della vita, nelledomande e aspirazioni fondamentali delledonne e degli uomini di oggi. La man-canza di sensibilità culturale provoca unisolamento della Bibbia stessa.

c) La competenza pedagogica. L’anima-tore biblico è anche e soprattutto un pe-dagogo. La sua arte è di introdurre allacomprensione di un testo attraverso unprocesso pedagogico pensato e organiz-zato. L’animatore biblico è in grado digestire i processi e non solo i contenuti.È importante che l’animatore possa ri-correre a una serie differenziata di mo-dalità pedagogiche e didattiche. A secon-da dei casi, egli sarà un insegnante chetrasmette un sapere, un animatore chesuscita la parola, un facilitatore di ap-prendimenti attraverso l’accostamentocorretto ai testi. Lo stile globale pedago-gico sarà sempre quello del compagno diviaggio, un fratello/sorella testimone, me-diatore di una relazione con il Signore,una relazione che dall’incontro con il te-sto biblico porta alla comunità e da questaalla vita quotidiana illuminata e orientatadalla Parola di Dio.

d) La competenza spirituale. Ma c’è unaquarta competenza determinante: quellaspirituale. Essa non designa solo la con-suetudine per l’animatore biblico di nu-trirsi della Parola, ma specificamente l’at-titudine a condurre l’attività di animazio-ne biblica e catechistica secondo uno stileevangelico e sotto l’azione dello Spirito

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La prospettiva educativa dell’apostolato biblico 127

Santo. È essenziale che l’animazione bi-blica e la persona dell’animatore sianopervase da spirito evangelico. Questo si-gnifica che gli animatori biblici nella ca-techesi non vivono solamente la spiri-tualità comune dei cristiani (la fede, lasperanza e la carità), ma che coltivanodegli atteggiamenti spirituali specifici,propri dell’attività catechistica di ascoltodella Parola, nella logica della comunica-zione umana: ascolto dell’altro, rispettodella libertà, fiducia nella persona, pa-zienza, spirito di servizio e di aiuto reci-proco. Non c’è catechesi biblica se questanon diventa un luogo di esperienza con-creta del Vangelo e di accoglienza delloSpirito Santo.

Conclusione

Sant Agostino, nel suo De catechizandis ru-dibus, fa un esempio illuminante. Rispon-dendo al catechista Deogratias, che si la-menta di un senso di fastidio e inutilità adover ripetere sempre le stesse cose, così ri-sponde:

«Se ci dà fastidio il ripetere continuamentecome a dei bambini cose trite e ritrite, ve-diamo di adattarle con amore, paterno e ma-terno e fraterno, ai nostri uditori e in questaunione di cuori finiranno per sembrare nuo-ve anche a noi. Quando ci si vuol bene, e

tra chi parla e ascolta c’è una comunioneprofonda, si vive quasi gli uni negli altri, echi ascolta si identifica in chi parla e chiparla in chi ascolta. Non è vero che quandomostriamo a qualcuno il panorama di unacittà o di un paesaggio, che a noi è abitualee non ci impressiona più, è come se lo ve-dessimo per la prima volta anche noi? E ciòtanto più quanto più siamo amici; perchél’amicizia ci fa sentire dal di dentro quel cheprovano i nostri amici».

Questo testo risponde all’esperienza di mol-ti animatori biblici. Un testo letto insiemetra adulti, quando avviene in uno spaziodi relazione umana autentica e quando vie-ne stabilita con il testo una relazione divero ascolto, diventa nuovo non solo pergli ascoltatori, ma prima di tutto per l’ani-matore.

Quando ci si interroga sulla figura dell’ani-matore biblico e sul metodo di questa ani-mazione, la prova della qualità della loro fi-gura sta nel fatto che a un certo momentonon si sa più chi evangelizza chi, chi educachi, chi istruisce chi. E questa modalità dianimazione fa sì che questo servizio eccle-siale alla Parola non stanchi mai. Preparan-do per gli altri la mensa della Parola, l’ani-matore biblico prepara un banchetto per sé.Riscopre la Parola come perennemente nuo-va, con rinnovato stupore, grazie all’amoreche ha per la Scrittura e per coloro che ac-compagna nella lettura.

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Il punto di partenza

Ormai siamo tutti convinti che “diventarecristiani” in età adulta non è semplice-mente la risposta agli interrogativi esi-stenziali della persona, provocati da si-tuazioni di disagio o di fragilità umana; néè soltanto la conclusione di un ragio-namento sui sensi nascosti nella creazioneo nella storia. Bensì sappiamo che “diven-tare cristiani” è frutto dell’azione di Dio,il Padre, attraverso lo Spirito santo, nellepieghe nascoste delle nostre esperienze quo-tidiane, più o meno straordinarie: un’azionesimile alle situazioni percorse dalle genera-zioni dei nostri Padri, di cui la Bibbia ci rac-conta la storia, la sapienza, la fede; e so-prattutto alla storia di Gesù, morto e risorto,che attraversa con la sua “novità” divinal’umanità degli apostoli e dei discepoli, comeci racconta il Nuovo Testamento.

Molti nostri contemporanei spesso trovanoostacoli e fanno fatica a riconoscere l’azio-ne del Dio di Gesù Cristo nella loro storia per-sonale: alcuni lo fanno, grazie alla testimo-nianza di credenti, singoli o comunità sparsenel mondo; per altri “i loro occhi sono impeditia riconoscerlo”, benché “il Signore in personasi avvicini e cammini con loro” (Lc 24, 15-16). Altri ancora sono ripiombati in concezionidel mondo e della vita paganeggianti, “scam-biando la verità con la menzogna e hannoadorato e servito le creature anziché il Crea-tore… non ritenendo di dover conoscere Dioadeguatamente” (Rm 1, 25.28).

È necessario, dunque, nel catecumenatoriproporre la storia degli uomini cre-denti e dei discepoli di Gesù per imparareda loro a riacquistare il medesimo sguardodi fede per aiutare i cercatori di Dio, coscientio inconsapevoli, a riconoscere il misteriosolavoro dello Spirito santo in loro per accom-pagnarli a diventare “credenti”. Tale accom-pagnamento si può fare attraverso un lungocammino in cui, come Gesù, ci avviciniamoa loro e camminiamo con loro, “a comin-ciare da Mosé e da tutti i profeti, spiegandoloro in tutte le Scritture ciò che si riferiscea Lui” (Lc 24, 27). Come Filippo, l’evange-lizzatore itinerante, gli uomini di oggi ci “in-vitano a salire sul carro e a sedere accantoa loro” di modo che “prendendo la parolae partendo da quel passo della Scrittura,annunciamo loro Gesù” (At 8, 31-35). Lun-go il cammino la Bibbia diventa la guida, lachiave di interpretazione credente delle vite,la cartina di tornasole per riconoscere le me-raviglie che Dio continua a operare oggi co-me ieri. La storia di salvezza continua nonsolo nella storia dell’umanità contempora-nea, ma anche nella storia di salvezza inminiatura che ogni figlio di Dio, fatto a suaimmagine e somiglianza, scrive nella suaesistenza.

La strada da percorrere

Per cui c’è una strada obbligata per chi ac-compagna un catecumeno: è la strada del“raccontarsi”. Che cosa significa? Significa

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LABORATORIO “BIBBIA E CATECUMENATO”

COMUNICAZIONE

Don Andrea Fontana, Membro Gruppo Nazionale Apostolato Biblico dell’UCN

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La prospettiva educativa dell’apostolato biblico 129

che, rimandando ad una formazione cristia-na più sistematica ogni progresso nella fededopo la celebrazione dei Sacramenti, noidobbiamo mettere a proprio agio il catecu-meno affinché si apra a raccontare se stessoper poterlo aiutare con la Bibbia in mano ariconoscere nei fatti e nelle esperienze lapresenza del Signore (“il Signore è vicino,è alle porte”, Mc 13, 29). È questo il “latte”necessario a far crescere in loro la visionedi fede o, se preferite, a pensare la vita dacristiani: ci ricorda Paolo che ai Corinzi egli“ha dato da bere latte, non cibo solido,perché non ne erano ancora capaci” (1Cor3,2); come anche la lettera agli Ebrei, “aveteancora bisogno che qualcuno vi insegni iprimi elementi delle parole di Dio e siete bi-sognosi di latte e non di cibo solido” (Eb5, 12). Così anche la lettera di Pietro esortaa lasciarsi rigenerare non da un seme cor-ruttibile, come i nostri sistemi teologici o ca-techistici, ma “per mezzo della parola diDio… come bambini appena nati desiderateavidamente il genuino latte spirituale, gra-zie al quale voi possiate crescere verso lasalvezza” (1Pt 2,2).Chi è accompagnato e chi accompagna siscambia, dunque, nella fraternità il raccontodella propria vita cercando attraverso la ri-sonanza di essa con la Parola di Dio nellaBibbia la presenza nascosta di Dio, gli appelliche a ciascuno Egli rivolge, il senso ultimodegli eventi accaduti ogni giorno, i doni delsuo amore gratuito…In questo lavoro si impara a vedere lavita con gli occhi della fede, come il ciecoche gradatamente ricupera la vista; non su-bito, perché diventare cristiano non è unmiracolo immediato… cf l’episodio del primocieco in Mc a Betsaida (Mc 8, 22-26): “vedocome degli alberi che camminano”; Gesùinterviene nuovamente finché “egli ci videchiaramente, fu guarito e da lontano ve-

deva distintamente ogni cosa”. Aprire gliocchi sulla profondità della vita, con il suomisterioso intreccio di scelte umane e di gra-tuità divina significa essere “iniziati” a pen-sare da cristiani.Il passo successivo sarà quello del secondocieco di Mc, all’uscita di Gerico (Mc 10, 46-52): ci rendiamo conto di essere “mendi-canti, seduti lungo la strada” della vita.Abbiamo bisogno di vivere una vita nuo-va per essere felici. Gesù ci sta passandodavanti nel cammino del catecumenato: èl’uomo giusto. A lui ci appelliamo, sperandoche la comunità cristiana a cui ci rivolgiamonon ci zittisca, come molti fanno quel giornoall’uscita da Gerico. “Gesù, abbi pietà dime!”. E quando, proseguendo il cammino,scopriamo che in realtà è Gesù a chiamarcialla fede, non un semplice ragionamento ola casualità della vita, noi “gettiamo via ilmantello, balziamo in piedi e veniamo daGesù”. Non siamo noi che cerchiamo Gesù:è lui che ha cercato noi, prima ancora cheincontrassimo la parrocchia o qualche cri-stiano. Ed ora Gesù ci domanda: “Che cosavuoi che io faccia per te?” . La nostra fedein lui salverà la nostra vita, noi impariamoa “seguirlo lungo la strada” diventando suoidiscepoli. Da catecumeni a cristiani, discepolidi Gesù, insieme ad altri discepoli che per-corrono le strade del mondo.Come si vede abbiamo usato il vangelo diMarco, il vangelo del catecumeno; abbiamotracciato un percorso graduale e progressivo,a tappe, come ci insegna la tradizione ec-clesiale antica; un cammino in cui si mescolal’azione dei cristiani accompagnatori checondividono la propria storia, dei catecumeniche si lasciano coinvolgere, di Gesù stessoche opera ancora meraviglie nel cuore ditutti. È il meccanismo della Traditio-Redditioalla base del catecumenato. Traditio di checosa? Non di un pacchetto di verità, ma di

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una vita raccontata dalla Bibbia che ognunodeve far diventare propria esperienza incompagnia di Gesù. In questo senso la Tra-ditio si trasformerà un giorno in Redditio,cioè in restituzione di una fede che spingea seguire Gesù fino in fondo. Le vite dellaBibbia si incontreranno così con le no-stre vite, la sua storia con la nostra sto-ria. Noi diventeremo cristiani, gettando viai nostri mantelli che finora ci hanno appe-santito il passo e impedito di balzare in piediper seguire Gesù.

Il percorso catecumenale, dunque, consisteprimariamente in un’esperienza di ascoltodella Parola: per questo anche nei riti delcammino si mette in luce questa convin-zione. Ad esempio, la celebrazione dell’in-gresso dei simpatizzanti nella chiesa prevedela “consegna dei vangeli”, invito eloquentead ascoltare la parola di vita e a conformaread essa la propria esistenza”1. Si suggerisceinoltre di “proporre con gradualità la par-tecipazione dei nuovi credenti alla primaparte della celebrazione eucaristica dome-nicale” e di predisporre “particolari cele-brazioni della Parola, tenute normalmentedi domenica”. Così, “grazie a queste cele-brazioni, i catecumeni possono approfon-dire ulteriormente la parola di Dio, scoprirenuovi aspetti e forme della preghiera, essereintrodotti attraverso opportune spiegazioni

alla comprensione dei segni, azioni e tempidel mistero liturgico, venire progressiva-mente iniziati al culto della comunità ec-clesiale ed essere gradualmente formati asantificare la domenica”2.

I sussidi da proporre

Perciò, io non ho altri sussidi da proporrea chi compie il percorso catecumenale se nonla Bibbia: ho cercato di farlo con gli adulti3,ho cercato di farlo con i giovani e gli adultiche chiedono la Cresima4, ho cercato di farloanche con i ragazzi del catechismo e le lorofamiglie5. In tutti questi itinerari ho cercatodi mettere insieme la vita e la Parola, lastoria e la fede, l’incontro con Gesù e l’iden-tificazione con la comunità cristiana. Non sose ci sono riuscito. Ma ritengo che per ela-borare sussidi non si possa fare altro chequesto6. Anche se nessun sussidio potràmai sostituire la fede viva di coloro cheaccompagnano i catecumeni.

Per questo, indubbiamente ognuno di noi,formato nello studio della Bibbia, saprà co-struirsi itinerari adatti ad ogni catecumeno,ad ogni situazione umana, ad ogni espe-rienza ecclesiale. Possiamo invece ora aprireil nostro dialogo, seguendo più o meno latraccia che vi propongo.

1 CONSIGLIO EPISCOPALE PERMANENTE, L’iniziazione cristiana 1. Orientamenti per il catecumenato degli adulti, Roma1997, n.64.2 Ivi, n.68.3 “Itinerario catecumenale con gli adulti” (A. FONTANA, Elledici): 58 schede bibliche per imparare a pensare ea vivere da cristiani.4 “Celebrare la Cresima in età adulta” (A. FONTANA, EDB): itinerario catecumenale e biblico in occasione dellaCresima.5 “Progetto Emmaus” (A. FONTANA - M. CUSINO, Elledici): 5 voll. (Guide + Schede), con un “Numero Zero” percapire il percorso e un volume “Accompagnare le famiglie nell’itinerario catecumenale con i figli”.6 Criterio di valutazione di ogni sussidio sarà per noi proprio il modo con cui propongono un accostamentocorretto e progressivo al testo biblico, senza interpretazioni arbitrarie o accostamenti puramente formali.

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Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

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Traccia per lo scambio fraterno nel gruppo

1. Abbiamo qualche esperienza di accompagnamento da raccontare e su cui rifletterenell’ambito del catecumenato o in ambiti simili? Proviamo a metterle in comune.

2. A quali principi-guida possiamo fare ricorso per utilizzare correttamente la Bibbia nel-l’ambito del catecumenato degli adulti nelle nostre parrocchie?

3. Quali difficoltà si presentano nelle nostre comunità quando si deve utilizzare la Bibbiaper accompagnare i catecumeni alla fede?

4. Quali proposte bibliche possiamo elaborare affinché la nostre comunità siano orientatemeglio nell’accompagnare i catecumeni?

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1. Dalla storia…..

1.1 Gli antecedenti giudaiciLa liturgia sinagogale del sabato conoscevauna lettura ampia e solenne della Torah, let-ta su rotoli di pergamena, conservati in unluogo particolare (una specie di tabernaco-lo), il centro ideale della sinagoga e dell’at-tenzione dell’assemblea. Alla lettura della Torah seguiva la letturadell’haftarah, una pericope tratta dal librodei profeti (che nella divisione giudaica dellaBibbia comprende anche i libri storici di Gio-suè, Giudici, 1-2 Samuele e 1-2 Re). Le letture erano poi seguite da una tradu-zione in lingua volgare e potevano essereconcluse da un discorso o da un’omelia.Il sistema ebraico si basava sulla lectio con-tinua della Torah, i cui criteri non sempreerano uniformi: il Talmud babilonese pre-

scriveva la lettura dell’intero Pentateuco nelcorso di un anno, seguendo l’ordine del te-sto; la pratica palestinese invece variava aseconda delle sinagoghe.In genere poi le pericopi profetiche eranoassociate in accordo tematico con quelle del-la Torah in modo da generare una sorta dilettura tematica dello stesso Pentateuco.Infine non dobbiamo dimenticare che findalle origini nella liturgia sinagogale era si-gnificativo il ruolo assegnato agli inni, allepreghiere, alla grande preghiera delle 18 be-nedizioni, al canto dei Salmi.

1.2 I primi secoliCome si può cogliere dalla prima Apologiadi Giustino1, le letture bibliche costituivanoil primo elemento della celebrazione eucari-stica. Esse dovevano comprendere i libridell’AT venuti alla Chiesa con la tradizione

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LA PROCLAMAZIONE LITURGICADELLA PAROLA DI DIO

TRA LECTIO CONTINUA E ANNO LITURGICO:I LEZIONARI

Don Angelo Lameri, Collaboratore Ufficio Liturgico Nazionale della CEI

1 Riportiamo il brano del cap. 67 che fornisce un’idea abbastanza precisa della struttura della celebrazione eu-caristica ai tempi di Giustino : «E nel giorno chiamato del sole ci raccogliamo in uno stesso luogo, dalla cittàe dalla campagna, e si fa la lettura delle Memorie degli Apostoli e degli scritti dei Profeti, sin che il tempo lopermette. Quando il lettore ha terminato, il preposto tiene un discorso per ammonire ed esortare all’imitazionedi questi buoni esempi. Di poi tutti insieme ci leviamo e innalziamo preghiere ; indi, cessate le preci, si reca,come si è detto, pane e vino e acqua  ; e il capo della comunità nella stessa maniera eleva preghiere e rin-graziamenti con tutte le sue forze e il popolo acclama, dicendo  : Amen  ! Quindi si fa la distribuzione e laspartizione a ciascuno degli elementi consacrati e se ne manda per mezzo dei diaconi anche ai non presenti.I facoltosi e volenterosi spontaneamente danno ciò che vogliono ; e il raccolto è consegnato al capo, il qualene sovviene gli orfani, le vedove, i bisognosi per malattie o altro, i detenuti e i forestieri capitati. Egli soccorre,in una parola, chiunque si trovi nel bisogno» .

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Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

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giudaica, i quattro Vangeli e le lettere apo-stoliche. Alla metà del II secolo questi librigodevano ormai di una indiscussa autoritàcanonica presso tutte le chiese.

1.3 Gli sviluppi successiviLa norma primitiva seguita nella Chiesa fuquella di leggere nelle domeniche e ferie or-dinarie, in parecchie puntate a beneplacitodel vescovo, i libri del canone scritturale, exordine, cioè dal principio del libro fino allafine, senza interruzione. Era la così dettalectio continua. Ben presto però, nella tra-dizione cristiana, caratterizzata dall’unicacelebrazione del mistero pasquale di Cristonella domenica – giorno del Signore –, sisviluppa progressivamente un ciclo liturgico,che dalla celebrazione solenne di una Pa-squa annuale (fine del II secolo), conducealla formazione di un “anno liturgico”.Si avvertì quindi l’opportunità di riservarela lettura di taluni libri o di certe loro parti-colari pericopi a quei tempi liturgici o a quellesolennità con le quali avevano un rapportopiù o meno diretto. Pasqua, Pentecoste, epiù tardi Natale, Epifania, le ferie delle Tem-pora, gli Scrutini battesimali, certe domeni-che di Quaresima, furono senza dubbio iprimi a ricevere un abbozzo di lezionarioproprio. Le esigenze dettate dall’anno litur-gico portano ad una interruzione della lectiocontinua annuale a favore di un ciclo pro-prio per ogni tempo (soprattutto Quaresima,Pasqua, Natale).

1.4 Quale il senso di tale evoluzione?Riteniamo che il fatto più rilevante nella sto-ria dell’evoluzione dei lezionari e dei conse-guenti criteri adottati nella scelta dei branibiblici proposti, sia stato il passaggio dallalectio continua della Scrittura ad una letturaispirata a criteri tematici in sintonia con levarie feste e tempi dell’anno liturgico.

2. L’attuale Lezionario: i criteri

2.1 Criteri generali per la struttura delLezionario

È giunto ora il momento di esaminare diret-tamente la proposta del Lezionario nella di-stribuzione della lettura della Parola di Diolungo l’anno liturgico.Per comprendere le scelte operate e per nonazzardare interpretazioni arbitrarie, è neces-sario prima di tutto conoscere i criteri chehanno guidato la struttura del Lezionario eche le Premesse esplicitano all’inizio del ca-pitolo quinto: «Per raggiungere lo scopodell’Ordinamento delle letture della Messa,ne sono state scelte e disposte le parti inmodo da tener conto sia della successionedei tempi liturgici, sia dei principi erme-neutici che gli studi esegetici contempora-nei hanno consentito di determinare e for-mulare. Si è quindi ritenuto opportuno ri-portare qui i principi a cui ci si è attenutinella strutturazione dell’Ordinamento delleletture della Messa» (OLM, 64).

2.2 La scelta dei testi

Le domeniche e i giorni festivi utilizzano itesti ritenuti di maggior rilievo, in modo dapresentare ai fedeli in un congruo spazio ditempo le parti più importanti della Parola diDio (OLM, 65). Si è inoltre conservata l’an-tica tradizione liturgica di assegnare alcunilibri della sacra Scrittura a determinati tempidell’anno liturgico: gli Atti degli Apostoli neltempo pasquale (secondo la tradizione siaoccidentale che orientale), il Vangelo di Gio-vanni nelle ultime settimane di Quaresimae nel tempo pasquale, la prima parte delprofeta Isaia nel tempo di Avvento, la primalettera di Giovanni nel tempo natalizio(OLM, 74).

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La prospettiva educativa dell’apostolato biblico134

Nelle domeniche e nelle solennità sono statievitati testi particolarmente difficili2, altri ri-tenuti tali sono stati armonizzati con un’altralettura in modo da renderli maggiormentecomprensibili, grazie all’accostamento pro-posto (OLM, 76).Secondo la tradizione presente in molte li-turgie si sono operate anche omissioni di al-cuni versetti3, soprattutto per semplificareproblematiche troppo complesse e per con-servare più facilmente l’attenzione del-l’ascoltatore nei brani troppo prolissi (OLM,77). Sempre a proposito della lunghezza del-le pericopi si afferma infine che il criterio èsempre quello pastorale, dell’attenzione al-l’assemblea, per cui nelle parti narrative, disolito più attentamente ascoltate dai fedeli,si è mantenuta una certa estensione, mentresi è optato per l’essenzialità nelle parti dot-trinali, data la profondità del loro contenuto(OLM, 75).

2.3 Il Lezionario domenicale e festivoSi caratterizza per la presenza di tre letture:Antico Testamento, Apostolo, Vangelo: «Conquesta distribuzione si pone nel debito ri-lievo l’unità dei due Testamenti e della sto-ria della salvezza, incentrata in Cristo enel suo mistero pasquale» (OLM, 66)4.Per una lettura più abbondante e più variadella Parola di Dio si è costruito un ciclotriennale, in modo che i medesimi testi ri-corrono solo ogni tre anni, indicati con A -B - C (OLM, 66). Per la distribuzione delle

letture nelle domeniche e nelle feste si sonotenuti presenti due principi:a) due forme di concordanza:– quella “naturale”, presente nella sacra

Scrittura stessa, per cui insegnamenti efatti riferiti nei testi del Nuovo Testamentohanno riferimento con fatti e insegnamentidell’Antico Testamento: «È stato soprat-tutto questo il criterio che ha determinato,nell’attuale ordinamento delle letture, lascelta dei testi dell’Antico Testamento: te-sti cioè che si accordino con quelli delNuovo Testamento proclamati nella me-desima Messa, e specialmente con il Van-gelo» (OLM, 67).

– quella definita “concordanza tematica” frale letture, applicata in Avvento, Quaresimae Tempo Pasquale.

b) Lettura semicontinuatipica delle domeniche del Tempo Ordinario,alle quali non si è ritenuto opportuno esten-dere il criterio dell’unità tematica. Un ricorsocostante al criterio dell’unità tematica perfacilitare l’istruzione omiletica infatti sarebbe«in contrasto con la concezione esattadell’azione liturgica, che è sempre celebra-zione del mistero di Cristo e che per suatradizione nativa ricorre alla Parola di Dionon in forza di sollecitazioni razionali o dimotivi di natura contingente, ma con ilpreciso intento di annunziare il Vangelo edi portare i credenti alla conoscenza di tut-ta la verità» (OLM, 68).

2 Testi difficili sono definiti quelli che «presentano problemi oggettivi di non lieve portata sul piano letterario,critico ed esegetico» ; ciò non consentirebbe ai fedeli di comprenderli, anche se viene auspicata una adeguataformazione cristiana da parte dei fedeli e una significativa preparazione biblica dei pastori (OLM, 76).3 In questo caso però si dichiara di voler salvaguardare l’essenziale integrità del testo e di non effettuare omissioniarbitrarie che sviserebbero il pensiero e lo stile del libro sacro (OLM, 75).4 La regolare reintroduzione della lettura veterotestamentaria è una novità della riforma conciliare. Infatti, conl’inizio del sec. VI si abbandonò gradualmente la lettura dell’Antico Testamento. Tale abbandono segnò la perditadella profondità della coscienza storica dell’unico disegno divino di salvezza, le cui fasi sono la preparazionedell’Antico Testamento e l’attuazione piena in Cristo.

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Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

La prospettiva educativa dell’apostolato biblico 135

2.4 L’ordinamento feriale

Ad ogni Messa sono state assegnate dueletture: Antico Testamento o Apostolo e Van-gelo.Per la Quaresima, l’Avvento e i tempi di Na-tale e Pasqua è stato predisposto un unicociclo di letture, che sottolinea le caratteristi-che proprie di ciascun tempo, applicando i

due criteri della lettura semicontinua e dellaconcordanza tematica.Nel Tempo Ordinario la prima lettura segueun ciclo biennale, il Vangelo un ciclo annuale(OLM, 69). Infine i cicli festivo e ferialesono tra loro completamente autonomi(OLM, 65). [cf. A. LAMERI,

L’anno liturgico come itinerario biblico,Queriniana, Brescia 1998]

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“Gruppi”: si tratta di più persone, tante opoche, che, con una certa stabilità, si riuni-scono; persone omogenee o disomogeneeper età, sesso, cultura, provenienza sociale,magari anche per religione o chiesa. La sta-bilità può variare: da un minimo di qualchemese a un anno o più anni. Anche la fre-quenza del riunirsi: settimanale, quindicina-le, mensile. Si può considerare gruppo anchequello che si riunisce, magari anche soloannualmente, per settimane o 4 giorni resi-denziali.

“Biblici”: gruppi che si riuniscono per qualcheascolto della Bibbia insieme; ascolto di variotipo, ma sempre con una certa continuità.All’ascolto della Bibbia – scopo prioritario –può aggiungersi talvolta qualche altra attivitàdi gruppo (viaggi biblici, raduni agapici, in-serimenti in attività parrocchiali…).Gruppi di questo tipo possono essere moltodiversi, anche perché…l’Italia è lunga. Ioattingerò dalle mie conoscenze e dalla miaesperienza ormai mezzo-secolare, ma benvengano poi confronti, completamenti e sug-gerimenti teorico-pratici dai partecipanti allaboratorio.

1) Per sé potremmo considerare GB anchequelli degli studenti di Bibbia in Semi-nari, Facoltà teologiche, Istituti di scienzereligiose (assai numerosi), Università cat-toliche o statali o private; ma qui possia-mo forse prescinderne, pur ricordandoche da queste istituzioni dovrebbero pro-venire anche guide preparate per GB po-polari e per altre attività simili.

2) Potremmo invece considerare nostri GBquelli delle Scuole di teologia per laici, piùo meno diffuse, se nei loro programmicomprendono anche qualche prolungato eserio corso biblico. Per esempio, nell’annopaolino varie di esse dedicarono notevoleattenzione a san Paolo: introduzione e let-tura più o meno completa di sue lettere,ascolto di qualche tematica; personalmentevidi un enorme interesse dei partecipanti(anziani e giovani) anche a lettere comequella ai Romani, letta al completo.

3) Accanto a queste ultime scuole meritanointeresse da parte nostra i corsi biblicinelle ormai consolidate Università dellaIII età. Qui, specialmente anziani (manon solo), formano GB, che anche peranni, sempre che la direzione lo prevedao lo accolga, leggono con una notevolecontinuità e serietà la Bibbia, sotto la gui-da di qualche esperto/a. Personalmentene seguo 4 e constato enorme interessenei partecipanti (forse riparano il vuotodel ’68, avvertono la crisi di fede delpost-moderno, rimediano a una fede trop-po tradizionale o devozionale, cercanosperanza per il futuro, o semplicementevolevano riempire il tempo libero e tro-vare aiuto per rispondere ai nipotini piùbiblicamente aggiornati…). Ovviamenteil linguaggio del “professore” deve essereadeguato all’età psico-fisica e religiosadegli attempati alunni/e, con pazientedialogo e potrà orchestrare con saggezzai metodi dell’approccio ai testi sacri (pri-vilegiando però quello scolastico?).

Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 3

La prospettiva educativa dell’apostolato biblico136

PER IL LABORATORIO SUI GRUPPI BIBLICIGiovanni Giavini, Membro Gruppo Nazionale Apostolato Biblico dell’UCN

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Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

La prospettiva educativa dell’apostolato biblico 137

4) GB sono certamente quelli di chi, con unacerta continuità e in forma comunitaria,si dedicano alla Lectio divina. Pur conmetodi diversi (martiniani, francescani,benedettini, carismatici…) e magari soloapplicandosi ai Vangeli (delle feste odell’anno liturgico) tendono soprattuttoalla lettura “spirituale-attualizzante” deitesti sacri, con più o meno scarsa atten-zione ai loro aspetti letterari e storici. Inquesti GB abbonda la preghiera, la me-ditazione, la ripresa nella vita personaleo di gruppo o di parrocchia o di associa-zione o di congregazione.

5) “Gruppi di ascolto”, numerosissimi inItalia, possono assomigliare per metodoai precedenti o ai seguenti; spesso si ca-ratterizzano perché avvengono in caseprivate e sono aperti a tutti (anche aigiovani?); a volte godono di una forma-zione e sussidiazione diocesana (come aMilano, Firenze, Venezia e altrove) o par-rocchiale o di associazione, a volte invecesembrano lasciati al…fai da te, con rischievidenti. Per ovviarvi sembra opportunala presenza di animatori preparati bibli-camente e pedagogicamente e/o, appun-to, qualche forma di seria sussidiazione.

6) Altri GB invece dedicano maggiore at-tenzione innanzitutto agli aspetti letteraridei testi sacri, al loro contesto storico ori-ginario, ai loro rapporti con religioni, miti,ideologie, culture dei millenni passati econtemporanei alla Bibbia. Cioè, ovvia-mente in modo adeguato ai partecipanti,però privilegiando l’ermeneutica scola-stico-scientifica; pur senza escludere, an-zi includendo anche momenti di riflessio-ne, di meditazione, di preghiera, di at-tualizzazione. Può sembrare difficile e ari-do tenere un discorso innanzitutto sco-

lastico, ma la mia esperienza lo nega de-cisamente, anzi posso dire che così hoottenuto anche di formare…biblisti/e inerba. GB di questo tipo possono essereparrocchiali, interparrocchiali, cittadini,diocesani (come per esempio il corso chetengo a catechiste casalinghe della miadiocesi per 15 venerdi mattina, da quasi20 anni; 100 all’inizio, ora 60), a sca-denze diverse, o residenziali (altro esem-pio: una 4 gg sulla Lettera ai Romani,con vivissimo interesse da parte dei 40partecipanti, di ogni età e professione; lostesso interesse, per la stessa lettera, vidiin un corso di esercizi; per parecchi anni,da direttore dell’ufficio di curia per cate-chisti e insegnanti di religione, organizzaiogni anno settimane residenziali biblicheper loro, con viva partecipazione perso-nale e di gruppo). Certamente esistonoaltre attività in Italia di questo tipo e lepotremo confrontare.

7- GB per ragazzi? Conosco solo l’iniziativasorta da qualche anno nella mia diocesidi una Tre giorni residenziale biblica perloro. Con la guida di biblisti e di espertiin didattica i ragazzi (qualche anno uncentinaio) vengono guidati alla lettura diqualche pagina biblica adatta per loro, cheessi poi attualizzano con giochi, disegni,costruzioni, mimi, canti. ecc. Forse attivitàsimili si possono reperire in gruppi di bam-bini e ragazzi del catechismo in parroc-chia. – Forse meriterebbero una parolaanche le classi, dalle scuole materne allesuperiori, dove l’insegnante di religionededica notevole attenzione alla Bibbia:programmi scolastici e manuali nuovi già(!) la prevedono; ai quali si aggiungonoanche sussidi di vario tipo (come quellodi “Media educational” dell’idr PasqualeTroja).

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 3

La prospettiva educativa dell’apostolato biblico138

Su tutte queste realtà di GB il labora-torio potrebbe procedere con questelinee:1) completare il quadro;2) riflettere su valori e limiti dei GB;3) cercare le condizioni per iniziarli e con-

durli;4) individuare i caratteri di chi li deve gui-

dare;

5) progettare un programma;

6) pensare a quali sussidi ricorrere;

7) cercare vie per tenersi in rapporto frater-no con altri settori della vita di chiesa:liturgia e pietà popolare, catechesi par-rocchiali o diocesane, scuole, vita di ca-rità, associazioni e movimenti, clero evescovi…

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CAPITOLO 3

Convegno Nazionalesu Catechesi e Disabilità

IL DONO DEI DISABILI

DI FRONTE

ALLA SFIDA EDUCATIVA

L’impegno tradizionale della Chiesa

e le questioni attuali

Roma12-14 marzo 2010

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Carissimi amici, sono davvero contento divedervi e di potervi salutare così numerosia questo appuntamento ormai consueto delnostro Settore per la Catechesi dei Disabili.Desidero subito ringraziare il Collaboratoreper il Settore, Dott. Vittorio Scelzo ed il Grup-po nazionale di Settore per la preparazionedi questo momento così importante e deli-cato. Ringrazio anche, cogliendo l’occasionedi presentarvelo, Don Carmelo Sciuto, dal-l’ottobre scorso Aiutante di Studio pressol’UCN ed insieme a lui la nostra impareg-giabile Segreteria composta da Marta, An-drea insieme al competente aiuto di Rosan-na. Benché il Settore Disabili sia il più piccolodell’UCN, è quello che giustamente richiedeun’altissima attenzione organizzativa, so-prattutto perché ciascuno possa sentirsi ac-colto ed il più possibile a suo agio, cercandodi soddisfare le esigenze e le potenzialità diogni persona. Sono consapevole che il no-stro sforzo nel tener conto, ad esempio, divari codici comunicativi non riesce a copriretutte le possibili varianti imposte dalla realtàpercettiva delle varie forme di disabilità. De-sidero però attestare lo sforzo del Dott. Scel-zo e di tutta l’équipe almeno nell’individuareun punto di intersezione delle varie esigenze.Del resto lo spirito fraterno e gioioso che dasempre anima questo nostro incontro riescesempre a supplire ogni possibile carenza. Intale contesto voglio ringraziare anche tutticoloro che in questi giorni si pongono convera competenza a servizio del nostro Con-vegno: i traduttori, gli accompagnatori, etutti gli illustri Relatori. Tra di essi è per memotivo di fraterna gioia la presenza del Di-rettore dell’Ufficio nazionale per la pastorale

della Sanità, Don Andrea Manto e del Diret -tore nazionale dell’Ufficio liturgico don Fran-co Magnani.In questo 2010 si celebra un compleannoimportante. 40 anni fa, a firma del CardinaleAntonio Poma, Arcivescovo di Bologna eallora Presidente della Conferenza EpiscopaleItaliana, veniva promulgato il “Documentodi base” dal titolo Il rinnovamento della ca-techesi (2 febbraio 1970). Il Documento dibase (DB) recepisce con fedeltà la “sceltaantropologica” per la catechesi fatta dal Con-cilio Vaticano II principalmente nelle Costi-tuzioni Dei Verbum e Lumen Gentium i cuiimpulsi trovano ampia accoglienza nel testo:«chiunque voglia fare all’uomo d’oggi undiscorso efficace su Dio, deve muovere daiproblemi umani e tenerli sempre presentinell’esporre il messaggio. È questa, del resto,l’esigenza intrinseca per ogni discorso cri-stiano su Dio» (DB 77). In tale contesto ilDB, benché con un linguaggio datato a que-gli anni, esprime un concetto importantissi-mo per il nostro Settore: al n° 127 dice chealle persone disabili «bisogna assicurare for-me appropriate di catechesi ed educatori pe-dagogicamente specializzati». Queste paroleora ci appaiono giustamente scontate, matutti sappiamo anche quale “rivoluzione co-pernicana” esercitarono allora facendo per-cepire nelle comunità cristiane, nelle parroc-chie, quella sensibilità che era spesso soloespressa, quando non era totalmente dele-gata, al carisma di tantissime benemeriteistituzioni educative ed assistenziali. Ho voluto fare questa citazione del Docu-mento Base non solo per un doveroso omag-gio, ma anche per introdurre la tematica che

SALUTODon Guido Benzi, Direttore UCN

Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

Il dono dei disabili di fronte alla sfida educativa 141

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 3

Il dono dei disabili di fronte alla sfida educativa142

il Gruppo nazionale ha suggerito per il nostroConvegno, cioè quella de “I Disabili di frontealla sfida educativa”. Certamente riecheggiain questo titolo l’attenzione che i nostri Ve-scovi, cogliendo l’invito più volte rivolto daPapa Benedetto XVI, hanno scelto per il de-cennio appena iniziato, un’attenzione che sitradurrà già nel prossimo anno pastorale nelDocumento degli Orientamenti decennali.Ma oserei dire che nella scelta di questo ti-tolo c’è anche la consapevolezza che la re-altà che vivono le persone diversamente abi-li aiuta ad entrare veramente nel paradigmadell’educazione alla vita ed alla fede, maidisgiunte l’una dall’altra. In tale paradigma,nel quale ritroviamo tutta la dimensione cri-stiana dell’incarnazione, il limite, l’insuffi-cienza, la semplicità, il bisogno dell’altro,diventano un autentico luogo educativo,perché mostrano come nessuno sia suffi-ciente a se stesso ed in tal senso aprono unavia inequivocabilmente umana di trascen-denza. Il cammino di testimonianza di tantifratelli e sorelle disabili nella comunità cri-stiana non è allora solo un cammino edu-cativo ma è anche un cammino che educale comunità stesse: proprio per la presenzadi fratelli e di sorelle disabili esse prendono

sempre più coscienza del dono dell’ascoltoreciproco e del Signore e si aprono così conpiù larghezza alla voce del Vangelo, alla se-quela di Cristo, ai doni dello Spirito Santo,all’abbraccio del Dio della Misericordia e del-la Speranza.In questo Convegno desideriamo anchesuggerire, nelle forme appropriate e con ladoverosa verifica di ogni Ufficio Catechisti-co in sinergia con l’Ufficio Liturgico Dioce-sano, che in ogni Diocesi si pongano inatto forme di celebrazione liturgica con lapresenza di persone disabili, in modo dacostituire un’esemplarità da riproporre nellecelebrazioni parrocchiali. Non si tratta diistituire “giornate” speciali, si tratta invecedi sollecitare i catechisti ed i loro Parroci aquesta doverosa e quanto mai fruttuosa at-tenzione.Lascio al Dott. Scelzo il compito di far emer-gere il profilo del nostro Convegno e gli in-terventi che si susseguiranno. A me rimanesolo di augurarvi buon lavoro nella consa-pevolezza che questi giorni che trascorrere-mo insieme saranno giorni proficui in cui ri-scopriremo insieme la bellezza dell’essere,tutti quanti, ciascuno con il suo dono e coni suoi limiti creaturali, nella Chiesa.

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Innanzi tutto vorrei anch’io dare il benve-nuto a tutti voi al convegno nazionale delsettore disabili dell’Ufficio Catechistico Na-zionale.Per molti si tratta di un appuntamento ormaiabituale che si ripete ogni anno da parecchiotempo. C’è, ai nostri convegni, un nutritogruppo di partecipanti abituali che fanno sìche questi incontri assumano un caratteremolto familiare. Ciò è qualcosa che a noi famolto piacere: come sempre fa piacere in-contrare persone con le quali si è fatto unpezzo di strada insieme ed alle quali neglianni ci si è affezionati.Del resto, con molti di voi, i rapporti non silimitano certo agli appuntamenti dei conve-gni nazionali, ma si intrecciano nella vitadelle parrocchie, delle diocesi e delle asso-ciazioni che rappresentiamo.Vorrei però aggiungere che quest’anno il no-stro incontro è sensibilmente più numerosodi quelli degli altri anni: ciò ci fa molto pia-cere e mi offre l’occasione per dare il ben-venuto a tutti coloro che partecipano ai no-stri incontri per la prima volta. Spero che ilclima familiare di cui parlavo possa coinvol-gervi e che tutti noi possiamo essere arric-chiti dai vostri contributi.Colgo l’occasione anche per ringraziare tutticoloro che hanno reso possibile questo con-vegno: in primo luogo Don Guido che, finda quando è divenuto direttore dell’ufficiocatechistico nazionale, ormai un anno emezzo fa, ha sempre dimostrato un’atten-zione tutta particolare al settore disabili. Vo-glio ringraziare anche Don Carmelo, Andrea

e Marta senza l’aiuto dei quali questo in-contro non sarebbe stato possibile.È giusto anche sottolineare che il tema delconvegno è nato all’interno degli incontridel gruppo di lavoro nazionale del quale dapochi mesi fanno parte alcuni nuovi amici.Abbiamo scelto di parlare dell’educazionenon solo perché la Chiesa italiana si apprestaa riflettere su questo tema e prossimamentela Conferenza Episcopale Italiana prepareràgli orientamenti del decennio proprio su que-sto tema, ma anche perché ci è sembratoche ci siano molti motivi per legare il temadell’educazione, meglio dell’educabilità, almondo dei disabili.Direi che possiamo affrontare il tema delleeducabilità dei disabili nella prospettiva ca-techistica sotto almeno tre angolature: quellaevangelica, quella storica e quella antropo-logica. Io non dirò molto perché credo chei relatori che in questi tre giorni prenderannola parola sapranno spiegare meglio di mel’importanza di tutto ciò, ma vorrei offrirealcuni brevi spunti.

Prospettiva evangelica

Come dicevo, esistono alcuni validi motiviper parlare di disabili in prospettiva catechi-stica: il primo, e fondamentale, è che neiVangeli emerge con chiarezza che Gesù nonsi limitava solamente a guarire i disabili cheha incontrato, ma che la sua preoccupazioneera quella che fosse loro comunicato il Van-gelo del regno.

L’EDUCABILITÀ DEI DISABILINELLA PROSPETTIVA CATECHISTICA

Dott. Vittorio Scelzo, Coordinatore Settore Catechesi Disabili dell’UCN

Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

Il dono dei disabili di fronte alla sfida educativa 143

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 3

Il dono dei disabili di fronte alla sfida educativa144

Tutto ciò è molto chiaro in alcuni branievangelici che ci sono molto familiari: ri-spondendo ai discepoli del Battista che glichiedevano se fosse lui il Messia, “Gesù ri-spose loro: “Andate e riferite a Giovanniciò che udite e vedete: i ciechi riacquistanola vista, gli zoppi camminano, i lebbrosisono purificati, i sordi odono, i morti risu-scitano, ai poveri è annunciato il Vangelo.E beato è colui che non trova in me motivodi scandalo!”. (Mt 11,4) La guarigione dal-la disabilità e l’annuncio del Vangelo ai po-veri vanno insieme. e forse lo scandalo dicui parla Gesù è quello di chi crede che ipoveri possano essere solo assistiti e nonevangelizzati. Ma anche in altre circostanzeGesù sembra preoccuparsi prima della gua-rigione dello spirito che di quella del corpo,prima della comunicazione del Vangelo chedella guarigione. È il caso del paralitico cheviene condotto da Gesù al quale egli an-nuncia innanzitutto il perdono dei peccati“Coraggio, figlio, ti sono perdonati i peccati”Mt 9,3.Se Gesù si è preoccupato di comunicare ilVangelo non solo a quelli che oggi defini-remmo normodotati, ma anche a quelli checon il nostro linguaggio chiamiamo personecon disabilità, è evidente che è compito dellaChiesa prendersi cura di costoro in prospet-tiva catechistica.

La prospettiva storica

In prospettiva storica si può affermare chedei disabili la Chiesa ha parlato spesso inrelazione al problema del loro accesso ai sa-cramenti: quindi in prospettiva catechistica.È difficile ricostruire con precisione la storiadi tutto ciò soprattutto perché il linguaggioutilizzato è mutevole: evidentemente la ca-tegoria della disabilità non esiste né nella

Scrittura, né nei primi testi cristiani ed il mo-do con cui queste persone vengono definitecambia spesso durante i secoli. Ma è possi-bile ricostruire alcuni momenti nei quali siparla di persone con disabilità in alcuni do-cumenti ufficiali.Il concilio di Cartagine, 348, non fa ostacoloa che si impartisca la comunione ad un paz-zo conclamato. Il catechismo del Concilio di Trento(1545)inserisce il divieto di dare la comunione ai“pazzi” nello stesso paragrafo e dopo il di-vieto di amministrarla ai bambini senza usodi ragione. Traspare anche la preoccupazioneche l’Eucaristia sia amministrata solo permotivi religiosi.

§ 232 “Nemmeno ai pazzi, alieni durantela loro disgrazia da ogni sentimento di reli-gione, si deve amministrare l’Eucaristia. Mase prima di cadere in pazzia avevano mo-strato sensi di religiosa pietà, sarà lecito darloro in punto di morte la Comunione, secon-do il decreto del Concilio Cartaginese (4, 76),purché non vi sia da temere pericolo di vo-mito, o di altra irriverenza, o indecenza”.Questi sono gli anni durante i quali la folliaperde qualsiasi connotato religioso (venivalegata all’ossessione o alla possessione) ediviene soprattutto un problema di ordinesociale. Nel 18° secolo assistiamo ad una delle svol-te principali nella storia del rapporto dellaChiesa con le persone con disabilità. Si trat-ta dell’inizio della tradizione educativa edell’impegno per l’alfabetizzazione di per-sone con handicap sensoriali. L’esperienzapiù significativa è quella dell’abate DeL’Epée che in Francia fonda il primo istitutoper i sordomuti ed inventa un linguaggiomimico per renderli capaci di esprimersi. Èl’embrione di quello che diventerà il lin-guaggio dei segni, ma è soprattutto l’affer-

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Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

Il dono dei disabili di fronte alla sfida educativa 145

mazione che le persone con disabilità pos-sono essere educate e che, al contrario diquello che si riteneva fino ad allora, sonocapaci di astrazione.Nonostante questo, più di cento anni dopo,nel periodo del Concilio Vaticano I (1871),c’è un dibattito attorno ai sordi: ci si chiedese possano avere fede. Pesava su di lorol’espressione di san Paolo “Fides ex auditu”(Rm 10,17). I sordi, che non hanno udito,non possono avere fede, essi andrebberoconsiderati come “infedeli”.Ce lo spiegherà meglio domani p. SavinoCastiglione, ma questo è il cosiddetto pre-giudizio psicologico o cognitivo che negavaalla persona sorda le capacità cognitivesufficienti per intendere e per volere e per-tanto non era suscettibile di educazione edi istruzione.Il superamento del pregiudizio cognitivo è,a mio avviso, un elemento fondamentale edè, in qualche modo, quello che lega tra diloro il discorso sull’educabilità dei disabili ela prospettiva catechistica attorno alla qualesi articola questo convegno.L’assunto dell’abate De l’Epèe, e di tutti co-loro che hanno dedicato la propria vita al-l’educazione di disabili sensoriali ed intellet-tivi, è che costoro non sono privi della ca-pacità di astrazione, ma sono capaci di unpensiero complesso.Si tratta di un’affermazione che all’epocanon era affatto scontata e che tuttora moltifaticano ad interiorizzare: esiste nei disabili,anche in chi è affetto da disabilità mentale,un pensiero; e la presa di coscienza di questarealtà è stata la chiave per portare ai disabilila buona notizia del Vangelo del regno.Storicamente si può affermare che l’iniziodella catechesi ai disabili corrisponde al mo-mento in cui alcuni cristiani si rendono contoche essi sono capaci di astrazione e quindieducabili. Ma l’affermazione si può anche

ribaltare, dicendo che l’educazione dei disa-bili è cominciata quando alcuni cristiani han-no capito che non si potevano lasciare dellepersone prive del Vangelo e si sono sforzatedi trovare le vie concrete per parlare di Gesùa persone con difficoltà sensoriali ed intel-lettive. A questo proposito si può citare donGiuseppe Gualandi che diceva che bisogna“educare per evangelizzare”. Quando, cioè, ci si è rivolti ai disabili inmaniera autenticamente cristiana e nellaprospettiva della comunicazione del Van-gelo, ci si è trovati di fronte alla necessitàdi sperimentare le vie per la loro educazio-ne. È quello che ognuno di noi sperimentaogni qual volta vive in maniera profondal’incontro con l’altro ed in particolare coni disabili.Questo è il motivo per cui abbiamo scelto didedicare il nostro convegno ad alcune figuredi cristiani che hanno riconosciuto nell’edu-cabilità dei disabili una via per l’evangeliz-zazione e che rappresentano ancora oggiuno stimolo a vivere la nostra testimonianzain maniera profetica.Anche nel secolo scorso ad occuparsi dei di-sabili nella Chiesa sono stati soprattutto icatechisti. Il primo a farlo è stato Henri Bis-sonier nel suo “Pédagogie de résurrection:de la formation religieuse et de l’éducationdes inadaptés : introduction à une orthopé-dagogie catéchétique” del 1955.A questo proposito vorrei ricordare il bel vo-lume che Bissonier ha pubblicato per contodel nostro ufficio ormai molti anni fa: “Latua Parola è per tutti.”Agli anni del Concilio risale l’esperienza diJean Vanier che, nel 1964, vicino Parigi,fonda l’Arche. Comperò una piccola casa aTrosly-Breuil e invitò due disabili mentali ri-coverati in un istituto, Raphael e Philippe,a vivere con lui. Così cominciò la comunitàdell’Arca. L’esperienza dell’Arche e poi quel-

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 3

Il dono dei disabili di fronte alla sfida educativa146

la di Fede e Luce, il movimento di famigliefondato dallo stesso Jean Vanier e Marie Me-lene Matthieu, assieme alle intuizioni di Bis-sonier sono state di stimolo ad una rifles-sione che, specialmente dopo il Concilio sisvilupperà soprattutto in Francia.È significativo che si parli di disabili nel co-siddetto “Documento base” che segna l’ini-zio del rinnovamento della catechesi dopo ilConcilio Vaticano II.

127. La catechesi ai disadattati e ai subnormali Lapovertà e la debolezza dei disadattati e subnormali,per difficoltà di carattere fisico, psichico e sociale,appaiono, sotto molti aspetti, ancora più gravi. So-prattutto a fanciulli in tali condizioni, bisogna as-sicurare forme appropriate di catechesi ed educatoripedagogicamente specializzati. L’esperienza avverteche, in gran parte, essi sono recuperabili, sempreche si sappiano creare le condizioni educative ri-chieste dal loro peculiare ritmo di sviluppo, dalleloro capacità di acquisizione e di espressione, dalleloro reazioni specifiche. (Dal direttorio sul rinno-vamento della Catechesi).

Anche Giovanni Paolo II nel suo primo do-cumento sulla catechesi, l’esortazione Cate-chesi Tradendae, parla degli handicappati

Alcune categorie di giovani destinatari della ca-techesi richiedono una speciale attenzione a mo-tivo della loro condizione particolare.

41. Si tratta, innanzitutto, dei fanciulli e dei gio-vani handicappati fisici e mentali. Essi hannodiritto a conoscere, come gli altri coetanei, il«mistero della fede». Le difficoltà più grandi, cheessi incontrano, rendono ancor più meritori iloro sforzi e quelli dei loro educatori. È motivodi soddisfazione costatare che alcuni organismicattolici, particolarmente consacrati ai giovanihandicappati, hanno voluto portare al sinodo unrinnovato desiderio di affrontar meglio questoimportante problema. Essi meritano di essere vi-vamente incoraggiati in tale ricerca. (GiovanniPaolo II, Esortazione Catechesi Tradendae, 1979)

Prospettiva dei diritti

Oggi si parla di disabilità perlopiù utilizzandola categoria dei diritti umani. La recente ra-tifica della Convenzione dei Diritti delle Per-sone con Disabilità, alla quale abbiamo de-dicato uno dei nostri convegni, è stato ilmomento nel quale questo approccio ha vi-sto la sua definitiva consacrazione. Anchein Italia la recente conferenza nazionale sullepolitiche per la disabilità, ha utilizzato il co-siddetto “approccio diritti umani” per parlaredei problemi delle persone con disabilità nelnostro paese.Cosa abbiamo da dire noi di fronte a questoapproccio? Cos’hanno da dire rappresentan-ti, quali noi siamo, di diocesi, di parrocchie,di associazioni, di realtà anche piccole, difronte a tutto ciò? Cosa c’entra l’educabilitàdei disabili con i diritti umani?Credo che non dobbiamo aver paura di ri-vendicare che il riconoscimento dei dirittidelle persone con disabilità ha la sua radiceantropologica nel superamento del pregiu-dizio cognitivo nei loro confronti.Il riconoscimento della educabilità dei disabiliè stato un primo fondamentale passo versola presa di coscienza dei loro diritti. Si è trat-tato di una maniera per restituire loro la di-gnità di persone con un proprio pensiero e,quindi, una propria libertà. È, in un certosenso, una svolta antropologica che, direi,purtroppo, non è ancora del tutto compiu-ta.Non è ancora patrimonio comune, ad esem-pio, la consapevolezza che anche le personecon disabilità intellettiva hanno una loro in-teriorità emotiva ed intellettiva. Si potrebbedire che il pregiudizio cognitivo, che per idisabili sensoriali è stato superato nel secoloscorso, è ancora vivo nei confronti dei di-sabili mentali. Non è difficile trovare gente

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che pensa che le persone con disabilità men-tale siano stupide e che il tempo loro dedi-cato sia sprecato.Anche quando tutto ciò non diventa volgaree offensivo, cosa che sovente avviene, è fa-cile riconoscere questo atteggiamento nelmodo pietistico di molti di rivolgersi alle per-sone con disabilità come ad eterni bambini.L’educabilità è dunque il passaggio da unostato di infanzia perpetua (l’infante è chinon parla, non capisce) all’età adulta, altempo dei diritti e dei doveri.Il riconoscimento dell’educabilità, quindi del-l’intelligenza ed in qualche modo della di-gnità, delle persone con disabilità è statadunque la premessa per una nuova antro-pologia che ha portato a quello che oggi vie-ne definito “approccio diritti umani”.Credo che non dobbiamo aver paura di con-frontarci con tale approccio e di rivendicareche esso ha le sue radici in una antropologiacristiana che riconosce in ognuno un desti-natario del Vangelo e quindi supera le bar-riere dovute ai limiti sensoriali, fisici o in-tellettivi delle persone.Non solo, quindi, la prospettiva dei dirittiumani non ci è estranea, ma come personeche vivono l’impegno catechistico nel quo-tidiano e che si confrontano con le mille si-tuazioni differenti che nascono da incontriumani veraci, la sperimentiamo. È ciò cheavviene quando ci troviamo a dover offrirea tutti coloro che compongono la nostra co-munità ecclesiale, pur portatori delle propriediversità e delle proprie fragilità, le stesseopportunità di incontrare Gesù.Il professor D’Angelo ci spiegherà domaniche non è un caso che proprio in Italia cisia una cultura dell’integrazione scolasticacosì avanzata, pur con tutti i suoi limiti cheben conosciamo. Tutto ciò stato possibile nelpaese di Luigi Guanella, Giuseppe Cottolen-go, Luigi Orione, Giuseppe Gualandi, Carlo

Gnocchi e tanti altri che con la loro testimo-nianza cristiana e civile hanno prodotto unacultura sensibile ai diritti delle persone condisabilità.Tutto ciò è per noi una domanda: quella diraccogliere l’eredità di questi uomini in ma-niera non ripetitiva, ma creativa. Avremodomani pomeriggio del tempo a disposizioneper confrontarci su questo interrogativo. Co-me è possibile vivere oggi da cristiani inmaniera innovativa il rapporto con le per-sone con disabilità? Quale spazio di testi-monianza ci è offerto nella nostra società?E qual è la testimonianza che i disabili stessipossono offrire?C’è uno specifico cristiano che può arricchirel’approccio “diritti umani” e farne uno stru-mento utile per il riconoscimento della di-gnità di ogni persona dal concepimento finoalla morte naturale?

Per concludere vorrei dire che credo che cisia un proprium cristiano che può arricchireil dibattito corrente sul tema della disabilità.Come dicevo, l’approccio che comunementesi utilizza è quello dei diritti umani. Dopo aver sottolineato come questo approc-cio abbia radici cristiane, vorrei dire che essoci appare in qualche modo arido. La nostraesperienza ci porta a dire che la presenzadelle persone con disabilità all’interno dellenostre comunità ecclesiali non è solo il ri-conoscimento del diritto di questi ultimi, maè anche un arricchimento per ognuno.Credo che è quello che sperimentiamo ognidomenica e che sperimenteremo nella so-lenne e festosa celebrazione di domenica: laforza vitale e comunicativa che viene dauna liturgia bella. L’esplosione di gioia dellamessa domenicale può essere intesa, certo,come il riconoscimento di un diritto alla par-tecipazione, ma è soprattutto dono e testi-monianza per tutta la comunità. Dei disabili

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è lo spazio del bello e della gioia. Per questodei disabili è lo spazio della liturgia.Per questo, come già l’anno scorso, il nostroconvegno si concluderà con una liturgiache celebreremo nella parrocchia di SantaMaria in Trastevere assieme alla Comunitàdi Sant’Egidio.

La gioia e la libertà che la liturgia sprigionasono, in un certo senso, anche la nostra te-stimonianza civile. Ci deve essere nella Chie-sa e nella società uno spazio per i disabilinon solo per riconoscere i loro diritti, ma so-prattutto perchè dei disabili è lo spazio delbello e della gioia.

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Inizio la relazione con due immagini: La prima immagine viene dal brano dell’Epi-lettico indemoniato, in Mc 9, 14-28.Gesù:a) lo prende per mano: è il gesto che fa il pa-

dre col figlio, è segno di vicinanza, di in-teresse massimo, di familiarità, d’amore

b) lo solleva: è l’idea di non lasciare l’inter-locutore come lo si è incontrato. L’incontroproduce una situazione diversa. Il fanciullosi eleva, cambia posizione, sguardo sullarealtà, punto di vista. Insomma cresce,vede altro. Possiamo dire che si richiamauna guarigione che è anche educazione.Solo a quel punto «egli si alzò in piedi».

La seconda immagine è tratta da I Fioretti diSan Francesco, al cap. 25, là dove si raccontadi Come santo Francesco miracolosamentesanò il lebbroso dell’anima e del corpo, equel che l’anima gli disse andando in cielo.Queste immagini mi sono tornate alla mentequando, preparando questo contributo, horipreso in mano la Deus Caritas est di Be-nedetto XVI e vi ho letto: «È perciò moltoimportante che l’attività caritativa della Chie-sa mantenga tutto il suo splendore e non sidissolva nella comune organizzazione assi-stenziale, diventandone una semplice va-riante» (Deus Caritas est).

Domanda:Che vuol dire mantenere? Ripetere all’infi-nito? O declinare, di generazione in gene-razione, la stessa vocazione ma affrontandosempre sfide nuove?

Le due immagini, spero, chiariscono comel’azione caritativa della Chiesa ha sempreimplicato un rapporto personale che implicadei gesti, la fisicità del dar la mano, del sol-levare, del lavare e mettersi al servizio. Maal tempo stesso avete visto come servanola preghiera, la capacità di far cambiaresguardo su di sè e sul mondo, insomma lacapacità di dare speranza. Venendo al tempo che maggiormente micompete, l’età contemporanea, ho pensatodi intessere queste riflessioni con la storiadi cinque personalità che sul fronte dellaeducazione dei disabili hanno dato molto.Il primo è Giuseppe Benedetto Cottolengo,nato alla vigilia della Rivoluzione francese.Nella stagione della rivoluzione e della con-trorivoluzione egli trova la sua strada nel-l’attenzione agli esclusi sofferenti.La seconda figura è quella di don GiuseppeGualandi, il fondatore della Piccola Missioneper i Sordomuti. Don Giuseppe e don Cesare(suo fratello) sono convinti della necessitàdi un intervento educativo speciale per darealle persone che aiutavano la possibilità dicomunicare. Educare, ed anche alla fede.Luigi Guanella nasce nell’anno in cui muoreCottolengo. Il suo carisma, in un tempo di forti tensionitra la Chiesa e lo Stato, è l’annuncio biblicodella paternità di Dio che si declina in unmetodo educativo (preventivo) che prevedeaffetto mutuo, sollecitudine, approdo ad unameta felice.Don Luigi Giovanni Orione nasce 30 annidopo don Guanella. La sua vita ha segnato

L’EDUCAZIONE DEI DISABILINELLA TRADIZIONE CARITATIVA DELLA CHIESA

Prof. Augusto D’AngeloDocente di Storia dei Partiti e dei Movimenti Politici, Università La Sapienza, Roma

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un lungo periodo in cui catastrofi naturali,la guerra mondiale e i drammi degli anniventi e trenta hanno costellato di dolore lavita degli uomini. Ma la sua testimonianzabrilla per aver continuato ad indicare il Van-gelo e il servizio ai poveri, vissuto anche co-me sfida educativa. La sua azione è unacontaminazione tra l’educazione dei ragazzidi don Bosco e le opere di carità di Cotto-lengo.Don Carlo Gnocchi è un’altra figura impor-tante della operosità milanese. Anche qui ècurioso notare che la nascita di don Gnocchiavviene a trent’anni da quella di don Orione.Quasi che ad ogni generazione sorga unaluce capace di illuminare il cammino. Crescenegli anni della prima guerra mondiale, ilperiodo in cui i cattolici passano da un at-teggiamento di antagonismo nei confrontidello stato liberale a quello in cui acquistanouna piena cittadinanza. L’Italia entra inguerra nel 1940. Don Carlo Gnocchi si ar-ruola volontariamente come cappellano mi-litare per la campagna di Grecia. Poi va vo-lontario in Russia. Migliaia di morti abban-donati nella steppa innevata. Questo colpisceprofondamente Carlo Gnocchi. Attraversauna crisi spirituale profonda dalla quale escetrasformato. Un patrimonio di capacità edu-cativa che si converte ai più umili, in unastagione segnata dalla guerra e dalla soffe-renza. I più deboli, i giovani colpiti dallaguerra, e poi quelli colpiti nel corpo da ma-lattie e limiti.

In nessuna generazione è mancata una voceche si levasse a difendere il diritto dei disabiliad essere amati, e come in questa declina-zione dell’amore ci sia sempre stato unospazio decisivo all’educazione come forzacapace di contribuire alla liberazione del-l’uomo. Poi, naturalmente, è venuta la stagione deidiritti riconosciuti. E tutto quel che abbiamoraccontato non può essere considerato estra-neo a questo approdo.

– La sfida sempre viva per l’integrazionescolastica.

– Il ruolo delle scuole cattoliche.

L’educazione può percorrere le strade più ar-due nel mondo della disabilità.

Concludendo, alla luce di quanto detto, eper rispondere alla domanda dell’inizio.Un invito a non adagiarsi mai sul già cono-sciuto ci viene dalla tradizione ebraica. Martin Buber ha scritto: «Come i padri han-no istituito un nuovo servizio secondo lapropria natura […] così noi, ciascuno se-condo la propria modalità, dobbiamo istituiredel nuovo alla luce dell’insegnamento e delservizio di Dio; e non fare il già fatto, bensìquello ancora da fare».Ciascuno è tenuto a sviluppare il talento del-la propria irripetibilità, e non a rifare ancorauna volta ciò che un altro – fosse pure lapersona più grande – ha già realizzato.

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Mi sembra opportuno e doveroso puntua-lizzare che la relazione che sto per presen-tarvi ricalca, per molti aspetti, quello cheho avuto modo di dire durante la XXIVConferenza Internazionale sul tema: “ EF-FATA! La persona sorda nella vita del-la Chiesa”, organizzata dal Pontificio Con-siglio per la Pastorale della Salute che siè tenuta lo scorso novembre nella nuovasala del Sinodo, in Vaticano. Un eventostorico se si considera che per la prima vol-ta un dicastero della Santa Sede, nell’am-bito di una conferenza internazionale, hapuntato i riflettori sul mondo della sordità,partendo dalla consapevolezza che, nel mo-mento in cui si parla di partecipazione at-tiva e consapevole alla vita della Chiesa,alla liturgia e ai sacramenti, l’unica veradisabilità è quella uditiva.

L’attenzione che in un contesto così impor-tante, come quello che stiamo vivendo conquesto convegno nazionale, viene data alSordo portatore di un handicap sensorialeinvisibile e, allo stesso tempo, grave e de-vastante, mentre da una parte ci sprona adimostrare tutta la nostra empatia per il suostorico passato sofferto e travagliato, dal-l’altra ci consente di prendere atto delle ini-ziative e delle attenzioni che nei secoli pas-sati i governanti e la Chiesa, grazie ad unafolta schiera di suoi qualificati, illuminati egenerosi rappresentanti, hanno inteso dareal mondo della sordità nell’ambito educativo,formativo, ecclesiale e pastorale, nelle formee nei modi suggeriti, dai tempi e dai contestisociali che di volta in volta si andavano de-lineando.

Pur se a grandi linee, se si prova a percorrerela storia dell’umanità, non si può non con-statare che lo scorrere dell’esistenza umanadi una persona sorda è stato per lo più, unpercorso irto di ostacoli, di pregiudizi, di in-comprensioni, di isolamento e di quotidianefrustrazioni. Nell’antichità, infatti, salvo qualche spora-dico caso ed isolate iniziative, il Sordo nonveniva né educato, né istruito.

La mancanza di educazione ed istruzionefaceva considerare il Sordo alla stregua del-l’idiota. Infatti, fino a tutto il Medioevo l’au-dioleso era prigioniero non solo della sorditàe del mutismo, ma anche di una serie dipregiudizi e tra questi il pregiudizio psico-logico o cognitivo e il pregiudizio religioso. Il pregiudizio psicologico o cognitivo,infatti, negava alla persona sorda le capacitàcognitive sufficienti per intendere e per vo-lere e pertanto non era suscettibile di edu-cazione e di istruzione.Con il pregiudizio religioso, invece, ilSordo era ritenuto come un essere inferiore,impossibile da educare ed incapace di arri-vare alla conoscenza della “vera fede”. Indubbiamente il pregiudizio religioso era le-gato a quello psicologico. Non potendo ilSordo aprire un colloquio con il mondo par-lante, come non beneficiava dell’istruzionedi ordine naturale, a maggior ragione nonbeneficiava di quella di ordine soprannatu-rale, molto più astratta ed impegnativa. A complicare notevolmente le cose, si ag-giunsero una errata interpretazione della la-pidaria affermazione di S. Paolo (lettera aiRomani, cap. 10,17): “La fede, perciò, na-

L’EDUCAZIONE DEI SORDIPadre Savino Castiglione, Piccola Missione per i Sordomuti

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sce dall’ascolto” – Ergo, fides ex auditu –e più tardi, dall’errato commento di un pas-saggio del libro 3° del Contra Julianum diS. Agostino dove, argomentando contro iPelagiani sulla questione del peccato origi-nale, Agostino fa riferimento a tanti piccoliinnocenti che nascono sordi e aggiunge -“il quale difetto impedisce la stessafede, testimone l’Apostolo che scriveche la fede nasce dall’ ascolto” – (“Quod vitium etiam ipsam impedit fidem,Apostolo testante, qui dicit: Igitur fides exauditu”). Il pensiero di S. Agostino a riguardo, in ve-rità andava ben oltre il limite dell’interpre-tazione corrente. Tuttavia l’interpretazionedei commentatori, in testa il tedesco Gugliel-mo Hessels Van Est, nei secoli seguenti haavuto una ripercussione così negativa alpunto da far dire al teologo B. Roetti, nel li-bro da lui pubblicato nel 1879: “Convengonoi teologi, che al sordomuto dalla nascitanon si può mai dare la Santa Comunione,perché perpetuo infante, a cui per l’uso uni-versale della Chiesa è proibito di ammini-strarla, anche nel pericolo di morte.”

E tutto questo succedeva nonostante auto-revoli personaggi della Chiesa, Papi e Santisi erano mossi ed avevano espresso, ancheper iscritto il loro pensiero a riguardo, intutt’altra direzione. Però, nonostante questo grave pregiudizioda parte di tanti teologi, la Chiesa, quella deipastori d’anime, non ha smesso mai di oc-cuparsi di loro.

Ma per poter parlare di istruzione, forma-zione ed evangelizzazione sistematica dellepersone sorde, dobbiamo aspettare che passiil Rinascimento.Durante il Rinascimento, infatti, assistiamoall’inizio del processo educativo del Sordo,

anche se solo per pochi fortunati, perchéfigli di ricchi o di nobili. Le stesse prime intuizioni didattiche del mo-naco benedettino spagnolo Pedro Ponce DeLeon (1510-1584) nacquero in questo con-testo di élite a favore dei due bambini sordi,figli dei nobili Velasquez. Ed è proprio almonaco benedettino che spetta il merito diaver demolito il pregiudizio psicologico e co-gnitivo, educando ed istruendo, con ottimirisultati, i bambini sordomuti dell’aristocra-zia spagnola. Tutto lascia pensare che il Ponce abbia fattoricorso anche al linguaggio dei segni deimonaci. È davvero curioso notare, infatti, che il pri-mo uso storicamente documentato del lin-guaggio dei segni si riscontra non tra per-sone sorde ma tra udenti. I monaci, tenutiper voto al silenzio, usavano il linguaggiodei segni nei monasteri fin dall’anno 328,e lo usano tuttora, sebbene la pratica delsilenzio si sia alquanto attenuata. Nel Me-dioevo le liste di segni provenienti da di-versi monasteri raggiungevano, mediamen-te, il numero di 400 segni. Più erano nu-merosi i segni contenuti in un elenco delmonastero e più era stretto il vincolo delsilenzio. Ovviamente, quei segni differisco-no molto dal linguaggio dei segni in usopresso i Sordi.

Il processo educativo e la netta consapevo-lezza dell’ educabilità delle persone sordedeve molto all’intellettuale Gerolamo Car-dano (1501-1576), al quale va il merito diaver demolito, tra l’altro, anche il pregiu-dizio clinico, secondo il quale la mutolezzanon era considerata una conseguenza dellasordità. Il Cardano si occupò di sordità e mutolezzaperché ebbe un figlio sordo. Egli pose le basidell’odierna audiologia affermando: “coloro

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che sono nati sordi, sono necessaria-mente anche muti, essendovi un rap-porto di causa ed effetto fra sordità emutolezza – surdus ac deinde mutus”.

Lo studioso, inoltre, cosa veramente impor-tante per quei tempi, intuì la necessità diimperniare il processo di apprendimento delSordo, sul principio della vicarietà sen-soriale visiva al posto di quella uditiva;non quindi un apprendimento fondato sulleimmagini acustiche, ma sulle immagini vi-sivo-motorie. Per cui il Cardano scrive: “possiamo dun-que far in modo che un muto leggendooda e scrivendo parli”.

Una volta assodato il principio dell’educa-bilità della persona sorda, basato sullavicarietà sensoriale, a partire dal XVIIIsecolo, con la nascita delle prime scuole pub-bliche e private, entra in campo la Chiesacon una vasta fioritura di nobili figure di ec-clesiastici da una parte e di Congregazionireligiose maschili e femminili, dall’altra.

Infatti, tra la fine del Settecento e il 1850,per lo più grazie all’ opera di ecclesiastici il-luminati e di congregazioni religiose, furonofondati in Italia numerosissimi Convitti edIstituti per Sordomuti, scuole in cui i ragazzisordi vivevano almeno dieci anni di vitalontani dalla famiglia.Era proprio all’interno dei convitti che, senon l’avevano già acquisita da genitori sordi,imparavano la lingua dei segni, ricevevanoun’istruzione con metodi specifici per il lorodeficit, imparavano un mestiere, incontra-vano altri soggetti sordi con cui comunicareed entrare in relazione, e cosa veramentemolto importante, ricevevano l’istruzione re-ligiosa e i sacramenti dell’ iniziazione cri-stiana.

Infatti, è importante ricordare che su questalinea di pensiero e comunanza di obiettivi equindi, proprio perché profondamente con-vinto che lo scopo ultimo dell’istruzione edella formazione dei bambini sordomuti fos-se quello di portarli a Cristo, il sacerdotefrancese Dell’Epée, fondatore della primascuola per bambini sordi in Francia nel1760, scelse di insegnare attraverso l’usodella lingua dei segni perché convinto checosì facendo ne avrebbe potuto istruire ingran numero. E questo, nonostante che leteorie pedagogiche del tempo fossero deci-samente orientate alla parola, indice diastrattezza e razionalità, ritenute pertantosuperiori al segno, identificato invece con lamaterialità e la concretezza,

Anche il venerabile Giuseppe Gualandi, fon-datore della Piccola Missione per i sordomutie degli Istituti Gualandi, nel 1872, dimostradi avere le idee chiare in tal senso visto che,per i suoi figli spirituali, ha lasciato comeidea guida o motto che dir si voglia: “Edu-care per evangelizzare”. Il papa Paolo VI, anni dopo, esprimerà lostesso concetto con le parole: “Umanizzareper Cristianizzare”. Arriviamo ai nostri giorni per constatare chela situazione italiana è cambiata radicalmen-te con la legge 517 del 1977, che ha sta-bilito l’abolizione di scuole speciali e classidifferenziali e la possibilità di inserimentonelle classi normali di bambini disabili conla presenza di insegnanti specializzati per ilsostegno. In pratica si decretava la chiusuradi tante scuole speciali e di tanti Istituti dalpassato glorioso, per lo più gestiti da con-gregazioni religiose, che tanto avevano con-tribuito all’istruzione e alla formazione dellepersone sorde. Questa importante legge ha dato l’avvio alsuperamento della separazione dei percorsi

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educativi dei soggetti con disabilità e perciòalla loro integrazione scolastica. I genitoridei bambini sordi hanno potuto così scegliereper i figli la scuola speciale per sordi o lascuola con gli udenti. Dal momento che il 90% dei genitori deibambini sordi è udente, si può comprendereche la maggior parte dei genitori ha sceltol’inserimento nelle scuole per udenti per in-trodurre i figli nel proprio mondo e cercaredi rendere meno evidente ciò che potevarendere esplicita la disabilità del figlio. Lungi da me il voler generalizzare a tutti icosti, mi permetto comunque di dire che, seda una parte è evidente il merito della leggedi aver aperto la strada all’integrazione,dall’altra si è creato uno svantaggio per ibambini sordi che si sono ritrovati in unasituazione di isolamento effettivo dentro leclassi di udenti, dal momento che è venutaa mancare la possibilità di rapporto e comu-nicazione con altri bambini udenti e con ibambini sordi e di conseguenza un impor-tante fattore di sviluppo cognitivo, psicolo-gico, sociale e linguistico che, oltre che es-sere la base dell’evoluzione globale dellapersona poteva favorire indirettamente i per-corsi didattici. Questa nuova impostazione dell’istruzionescolastica dei bambini sordi, in una scuolalaica per definizione, e il rifiuto di moltissimigenitori per qualsiasi intervento “specialisti-co” nei momenti di catechesi parrocchialeha, di fatto, creato un vuoto nella formazio-ne cristiana e nella pastorale.La pratica religiosa ha quindi subito un ine-vitabile e sensibile calo nelle persone sorde

al punto che, nella Chiesa cattolica, numerialla mano, oggi come oggi, le stime parlanodi una percentuale che si aggira sul 2 x100. Il rapporto con la parrocchia d’originesi ristabilisce poi solo nei momenti in cui siha bisogno di un sacramento (generalmenteil battesimo dei figli). Possiamo dire che citroviamo di fronte ad una preoccupante con-dizione di indifferentismo religioso.Stiamo, comunque, parlando di un argomen-to delicato e di grande attualità, che non puòessere analizzato e convenientemente svi-luppato in pochi minuti.

Perciò, in conclusione, a chi verrebbe inmente di chiederci se la storia può dimostrareche veramente i cristiani hanno sempre avu-to a cuore il rispetto e la dignità delle personesorde e che l’educazione è stato uno degliambiti privilegiati; abbiamo tutti gli elementinecessari per rispondere affermativamente.

Bibliografia

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Elmi A. Pedagogia speciale: Il profilo dell’anacusicoPadova. La Garangola.

Roetti A. - Dei sordomuti dalla nascita alla SS. Eu-carestia - Giachetti, Firenze.

Vacalebre L. - Rapporti tra sordità infantile ed in-tegrazioni psicosensoriali - Torino, MinervaMed.

Zatelli S. - Psicopedagogia dell’Audioleso nell’etàevolutiva - Omega Edizioni.

Magarotto C. - L’istruzione e l’assistenza dei sordiin Italia - Roma ENS 1975.

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CAPITOLO 4

Seminario di studiosul catecumenato in Italia

LA PASTORALE

DEL CATECUMENATO

E L’ACCOGLIENZA

VERSO I MIGRANTI

Roma13-14 settembre 2010

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Carissimi amici partecipanti al Seminario delcatecumenato, anche quest’anno siete moltonumerosi, segno che il Servizio del Catecu-menato si va via, via consolidando nelle va-rie realtà, ed interpella sempre più ampi set-tori della pastorale. Infatti oltre ad un cospi-cuo numero di responsabili diocesani per ilcatecumenato abbiamo avuto l’adesione diincaricati diocesani (a vario titolo) per la li-turgia, i migranti, la caritas e l’ecumenismo.A tutti desidero dare, anche a nome di Mons.Ruspi e di Don Carmelo Sciuto, il mio ben-venuto.Nelle diocesi italiane il numero dei giovanie degli adulti che ogni anno si accosta al ca-tecumenato per ricevere, dopo un congruoperiodo di tempo, i Sacramenti dell’inizia-zione cristiana, sta diventando molto signi-ficativo1: siamo infatti ben oltre il migliaiodi persone, con una leggera prevalenza delledonne rispetto agli uomini. Tra le motiva-zioni per cui queste persone scelgono di di-ventare cristiani è molto significativa la voce“ricerca personale”, segno della profonda se-rietà con cui esse si avvicinano alla Chiesa.Tra costoro il 41% sono italiani, mentre il59% sono stranieri provenienti da numeroseetnie. A di là dei numeri sta diventando si-gnificativa la presenza di questi fratelli e so-relle nelle nostre comunità, e ormai non piùsolo nelle grandi aree metropolitane del Pae-se, ma anche nei piccoli centri rurali: il coin-volgimento dei Sacerdoti nel loro cammino,le varie figure di catechisti accompagnatori,la preghiera ed il sostegno delle comunità

stesse, i vari passaggi celebrativi fino allaVeglia pasquale nella quale vengono impar-titi normalmente dal Vescovo il Battesimo,la Confermazione e l’Eucaristia, sono tuttielementi significativi che rendono esplicitocome la realtà dei catecumeni e del catecu-menato sia una realtà che progressivamentesta rinnovando il volto delle comunità cri-stiane in Italia.Al messaggio che proviene da queste di-mensioni più propriamente religiose, possia-mo aggiungere anche il valore culturale esociale che esse sottendono: la libera espres-sione della dimensione religiosa della per-sona umana, l’uguaglianza davanti a Dio ealla società di ogni persona, la fraternità cri-stiana che tende a superare le diversità, sen-za eliminarle ma integrandole in un con-fronto appassionato e profondo in vista delbene comune esistenziale e spirituale.E se da un lato la richiesta dei Sacramentidell’iniziazione cristiana da parte di tantiimmigrati ci mostra sempre di più comel’evangelizzazione e la missione oggi nonsiano davvero più una questione riguardan-te certe aree geografiche, d’altro lato va sot-tolineato il fecondo apporto di valori e te-stimonianza che i cristiani provenienti daaltre etnie donano alle nostre parrocchie ealle nostre diocesi.Ringrazio Mons. Giancarlo Perego, direttoredi Migrantes per la sua presenza a questoSeminario e per il suo impegno, così pureringrazio i cappellani nazionali delle varieetnie che hanno accolto il nostro invito e ci

LA PASTORALE DEL CATECUMENATOE L’ACCOGLIENZA VERSO I MIGRANTI

Don Guido Benzi, Direttore UCN

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1 I dati riguardano l’anno 2009 e provengono dal questionario che ogni anno l’UCN manda alle Diocesi. Larisposta delle Diocesi è pari al 50,45%. Ciò significa che i numeri in realtà sono sicuramente maggiori.

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doneranno la loro testimonianza. Grazie an-che a chi ci porterà la testimonianza del la-voro di accoglienza e progettazione pastoraledelle loro diocesi. A Mons. Walter Ruspi, in-

fine tutta la gratitudine per quanto ha fattoe per quanto ci dirà.

Buon lavoro a tutti.

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Introduzione

Introduco questo Seminario richiamando al-cuni appuntamenti già realizzati e alcuneproposizioni già presentate durante incontriprecedenti. Molte volte sembra di poter direuna parola nuova o fare un passo inedito,quando già precedentemente si era giunti aduna chiara consapevolezza del problema,ma poi … ci si è fermati per strada.In occasione del Convegno Nazionale cheebbe luogo a Castelgandolfo nel 2003 (25-28 febbraio), organizzato dall’Ufficio Cate-chistico Nazionale, dall’Ufficio Nazionale perla Cooperazione missionaria tra le Chiese,dalla Fondazione Migrantes e dalla Caritas,parlando di “missio ad gentes”, si collegavail primo annuncio e la rievangelizzazione ditanti migranti con la crisi della modernità edella mondanità, che li fa vittime del con-sumismo materialista dell’Occidente, cui siaggiunge la crisi della “mobilità”, vissutacome sradicamento dalla terra di origine nel-la quale la propria fede e pratica religiosaaveva posto le radici.

A continuazione di questo Convegno, quasiun messaggio per tutta l’Italia, il ConsiglioEpiscopale Permanente pubblicava una Let-tera alle comunità cristiane su migrazioni epastorale d’insieme: “Tutte le genti verrannoa te”. In esso si ribadiva che «la missionead gentes non è soltanto il punto conclusivodell’impegno pastorale, ma il suo costanteorizzonte e il suo paradigma per eccellenza»(CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Comunicareil Vangelo in un mondo che cambia, n. 32).Si tratta di una “conversione pastorale” della

quale siamo convinti, anche se nelle nostrecomunità c’è ancora molto da fare perchéessa sia meno declamata e più realizzata.Per poter collocare dentro questo orizzonteanche il mondo delle migrazioni, si richiedeche queste siano avvertite come risorsaprovvidenziale di missionarietà. La presenzastraniera in Italia, infatti, rappresenta unospecifico e sempre più rilevante campod’azione per l’opera di evangelizzazione, in-tesa nel senso più ampio, a partire dallastessa missio ad gentes. Diverse realtà ecclesiali hanno saputo pro-porre in questi anni una vasta gamma di in-terventi assistenziali, promozionali e forma-tivi, che solo la “fantasia della carità” potevapensare; non di rado anche con gesti e pa-role profetici. Nel contesto di questa espe-rienza, nelle nostre Chiese, si è andata sem-pre più radicando la consapevolezza chel’evangelizzazione promuove l’uomo nellasua interezza e che questa promozione dellapersona umana rappresenta di per sé unasignificativa azione evangelizzatrice; anzi ègià, benché non in modo pieno, evangeliz-zazione. Con il passare degli anni, però, si è fatta an-che sempre più avvertita ed esplicita la ne-cessità di prestare attenzione alle istanze re-ligiose che il migrante, in forma più o menoconsapevole, porta con sé. Si è così inten-sificata nei confronti dei rispettivi gruppi et-nici di provenienza un’opera di evangeliz-zazione diretta, risultata peraltro più credibileed efficace grazie alla prosecuzione delle ini-ziative sociali, caritative, di promozioneumana, culturale e spirituale realizzate inloro favore.

INTRODUZIONEDon Walther Ruspi, Responsabile Servizio per il Catecumenato dell’UCN

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Pur constatando che, per grazia di Dio, tantesono le forze mobilitate su questo fronte, ri-teniamo urgente che la comunità cristianaprenda coscienza e senta come propria lasollecitudine per questa nuova missione. Li-berandosi da ogni atteggiamento di delegaa pochi addetti ai lavori, tutti i fedeli cristianidevono sentirsi chiamati a essere Chiesamissionaria. Infatti, quelli che un tempo era-no geograficamente lontani oggi sono dive-nuti vicini, stanno in mezzo a noi, e chie-dono ragione della fede che ci è stata donata.Sarà, inoltre, la stessa Chiesa a trarre gio-vamento dal contatto con i migranti, se silascerà interrogare e provocare a continuaconversione. I grandi problemi suscitati dalle migrazioni,infatti, toccano aspetti essenziali della vitacristiana, in primo luogo la carità, sotto for-ma di accoglienza, giustizia, convivialità, ri-conciliazione, perdono, ecc.; ma toccano pu-re l’annuncio, l’ascolto, il dialogo. In questaprospettiva i credenti e le comunità cristianepotranno percepire, nell’abbondante messedelle migrazioni, una nuova primavera peressere Chiesa missionaria. Sarebbe tuttaviaingenuo attendersi che tale novità vengaassunta in modo spontaneo, quasi che unrinnovato impegno missionario possa na-scere senza una base di adeguata consape-volezza. Occorre sensibilizzare e accompa-gnare i credenti affinché attraverso questanuova opportunità diventino discepoli e apo-stoli insieme. Abbiamo il dovere di dare un volto al desi-derio di pienezza di vita che anima ogni uo-mo e ogni donna, quel volto che ha i linea-menti di Gesù Cristo, il salvatore di tutti. Ildialogo interreligioso resta un dovere chescaturisce dalla nostra stessa fede ed è stru-mento decisivo anche per una serena con-vivenza civile, oltre che testimonianza im-portante della trascendenza; esso però non

è alternativo all’annuncio. Questo, rifuggen-do le forme del proselitismo, resta un doverefondamentale di ogni cristiano, mandato percomunicare a tutti il bene prezioso della fedein Cristo che ha ricevuto.

Nel 2008 con il Seminario “Itinerari speri-mentati con catecumeni provenienti dal-l’Islam” ci siamo proposti di leggere espe-rienze vissute di annuncio e di accompa-gnamento verso persone dalla nativa reli-giosità musulmana, ampiamente presenti inItalia. Contemporaneamente il Servizio Na-zionale per il Catecumenato ha camminatoinsieme con la Fondazione “Migrantes” peraffrontare la complessa problematica dellaintegrazione degli immigrati in Italia. Studioe confronto che sta tuttora proseguendo.

Ampio è il dibattito culturale, sociale e po-litico odierno non solo in Italia, ma pressotutti i Paesi industrializzati. È tematica pernoi rilevante, ma affrontabile con una plu-ralità di competenze. Noi ci vogliamo ad-dentrare nella specifica lettura che provienedalla prassi pastorale che propone e accom-pagna alla fede in Cristo, per trarne tutta lapossibilità e la conseguente responsabilitàche ci è affidata.

Ultimamente sono stato spinto ad una nuo-va riflessione ascoltando il richiamo delCard. Tettamanzi alla città di Milano, “cittàricca e con tante risorse” ma con “diverseferite” tra le quali le più preoccupanti sono“la solitudine” e “la mancanza di integra-zione, per gli immigrati ma anche in altriambiti”. “Guardando Milano - ha aggiuntoil porporato - trovo un mondo di energie po-sitive, di tanto bene che si fa, di tante per-sone che si impegnano per rendere la cittàsana e non malata, ma va riconosciuto checi sono anche diverse ferite”. L’arcivescovo

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ne ha elencate principalmente due: “La so-litudine è una delle ferite più profonde, cheè frutto di troppi individualismi ed egoismi.Chi vive la solitudine vive una solitudineimposta. La seconda ferita è la mancanza diintegrazione: penso in particolare agli im-migrati ma anche agli altri ambiti dove ilprocesso di integrazione non è ancora co-minciato o dove si è fermato o fatica a pro-seguire. Non c’è nessuno che non è poveroe ferito”.

Impostazione del Seminario

ASCOLTO

La situazione migratoria in Italia e lesue prospettivemons. Giancarlo PEREGO, Direttore Fonda-zione Migrantes

successivamente, anche guidati da una in-chiesta campione che abbiamo compiuto inalcune diocesi italiane, (vedi anche statisticacampione), abbiamo chiesto ai rispettiviCappellani etnici di descriverci, secondo unagriglia comune di domande,

La sensibilità religiosa delle etnie pre-senti in Italia

Est Europa - Romaniamons. Anton LUCACI

Africa Nerap. Denis KIBANGU MALONDA

Estremo Oriente - Cinap. Pietro Xingang CUI

Albaniadon Pasquale FERRARO

Indiap. Antoney George PATTAPARAMBIL

La descrizione della sensibilità religiosa delleetnie segue un indice comune: • Descrizione socio-religiosa in Italia• Quale ricerca verso un riferimento religio-

so si trova da parte di chi viene in Italia?• Quali reazioni si riscontrano di fronte alla

religiosità vissuta in Italia?• Con quali forme e segni si manifesta la

loro religiosità?• Come è accolta l’etica cristiana a livello

personale?

CONFRONTO

Successivamente ci confronteremo con il si-gnificato di accoglienza racchiuso nel RICAe con la pedagogia della fede che esso de-linea:Il RICA: cammino ed evento di acco-glienzamons. Walther RUSPI

Il lavoro pastorale e l’esperienza di acco-glienza di due chiese locali saranno lo spun-to per iniziare un confronto reciproco• Il Catecumenato Diocesano, azioni e col-

laborazioni con altri Uffici per una acco-glienzada parte del SDC di Torino

• Il contesto in cui collocare l’IC: assistenzacaritativa, alfabetizzazione, valorizza-zione culturaleda parte del SDC di Milano

PROSPETTIVE

Da ultimo, con la collaborazione di tutti, cer-cheremo di raccogliere dalle esperienze ri-portate nel dialogo comune, le convinzionimaturate e i progetti elaborabili per le nostrecomunità.

Grazie a tutti e buon lavoro!

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1.Tra le rerum novarum del nostro tempo– ricorda Benedetto XVI nell’ultima enci-clica Caritas in veritate – o tra i fenomenidel ‘cambiamento’ – per riprendere la ca-tegoria dentro la quale si è riletta la co-municazione della fede nel decennio pa-storale che si sta chiudendo - è da anno-verare certamente il fenomeno delle mi-grazioni dei popoli. Un fenomeno com-plesso, quello della mobilità, alimentatodalla globalizzazione e dalla comunica-zione, che interessa in prevalenza areegeografiche caratterizzate da insufficientirisorse economiche o/e da economie intransizione, e che nel 2008 – ultimo datodisponibile dell’ONU – ha visto interessatinel mondo 1 miliardo di persone: 800 mi-lioni dei quali hanno mantenuto la propriamobilità all’interno del proprio Paese; 200milioni – 100 milioni in più rispetto soloa dieci anni fa – hanno visto la propriamobilità raggiungere altri Paesi e Conti-nenti. Solo il dato della popolazione del-l’Africa – che si stima che nel 2050 vedràla popolazione passare da un miliardo a2 miliardi di persone, con un’età media di19 anni o il dato della popolazione del-l’India e della Cina nel 2030 – rispettiva-mente di 1 miliardo e mezzo e di 1 mi-liardo e 350 milioni di persone – ci richia-ma immediatamente come il fenomenodella mobilità interna ed esterna non potràche essere destinato alla crescita.

2.L’Italia, da un secolo e mezzo Paese diemigrazione, a partire dagli anni ’80, ha

iniziato ad essere interessata anche dalfenomeno dell’immigrazione. Dopo la pri-ma delle sei regolarizzazioni avvenute nelnostro Paese, quella legata alla legge Mar-telli, l’Italia nel 1991 – dati del censimento– aveva 354.000 immigrati, nel 2001,1334.000 immigrati, nel 2004 1990.000immigrati, nel 2009 4.279.000 (ISTAT)1,cioè oltre il 7% della popolazione, 1 ogni14 persone. Come si può vedere, il datodimostra che in meno di vent’anni l’im-migrazione in Italia è decuplicata e in solicinque anni è più che raddoppiata. L’Italia,con gli Stati Uniti, si presenta nel pano-rama mondiale oggi come il Paese a piùalta pressione migratoria. La popolazioneimmigrata oggi nel nostro Paese provieneda 198 nazionalità diverse (‘pluricentri-ca’), con 140 lingue diverse. Quasi la me-tà proviene dall’area europea ( I 26 Paesie i paesi dell’Est comunque legati all’Eu-ropa) e dall’area mediterranea (comples-sivamente circa 50 Paesi), mentre la re-stante metà proviene dagli altri 150 Paesidel mondo. L’ondata migratoria in Italiaha interessato soprattutto le regioni delNord (60%), in secondo luogo le regionidel Centro (25%) e meno il Sud (15%).Al tempo stesso, però, l’immigrazione ca-ratterizza fortemente le città e le aree me-tropolitane del Nord, ma anche del Centro(pensiamo Roma, ma anche Prato, Firen-ze, Ancona…) e del Sud (Napoli, Palermo,Bari, Cosenza, Mazara del Vallo..). L’im-migrazione in Italia ha portato anche adincontrare l’esperienza di fede di cristiani

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LA SITUAZIONE MIGRATORIA IN ITALIAMons. Giancarlo Perego, Direttore generale Migrantes

1 Il Dossier Caritas/Migrantes del 2009 fa una stima di 4.330.00, mentre il Rapporto ISMU 2009 – che stimaanche gli immigrati irregolari – parla di 4.650.000.2 “L’universalismo della Chiesa deve incessantemente lasciarsi convertire dal Vangelo, che fa passare le nostre

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provenienti da oltre 190 Paesi del mondo.Infatti, degli oltre 4 milioni di immigrati,2.011.000 sono cristiani, di cui1.105.000 (28,4%) ortodossi, soprattuttoprovenienti dalla Romania, 739.000 cat-tolici (19%), 121.000 protestanti (3,1%)e 46.000 (1,2%) altri cristiani. In 12 re-gioni d’Italia il numero degli immigrati difede e di tradizione cristiana è la maggio-ranza, con percentuali che raggiungono il67% nel Lazio e l’80% in Sardegna. Leregioni in cui i fratelli ortodossi sono per-centualmente più presenti sono, con oltreil 30%, la Calabria, la Basilicata, la Cam-pania, il Friuli, il Lazio, il Molise, il Pie-monte, Umbria e Veneto. Questa disper-sione territoriale dipende in larga misuradall’insediamento di due collettività nu-merose a maggioranza ortodossa: rumenae ucraina. I cattolici sono la metà del totaledei cristiani in Sardegna, il 30% in Liguriae oltre il 20% in Lombardia, nel Lazio enel Molise.

3.L’immigrazione sta ‘cambiando’ – per ri-prendere la categoria degli orientamentipastorali la vita delle città, delle famiglie edelle persone. Qualche elemento per dimo-strare questo cambiamento che avviene.

a. Cambia il mondo del lavoro. 2 mi-lioni di lavoratori stranieri in Italia, 1milione con un lavoro precario e fles-sibile, 150.000 imprenditori, 800.000iscritti al sindacato, 400.000 inseritiin un percorso di lavoro nero. Si trattadi 4 su 5 lavoratori nei servizi alle fa-miglie, 5 su 10 lavoratori agricoli, 9su 10 degli stagionali agricoli, 6 su 10dei lavoratori del mondo della pesca emarittimi, 5 su 10 dei lavoratori inedilizia. Pochi pensionati. Il peso intermini di contributi per il Fondo pen-sioni di 3 miliardi di euro.

b. Cambia la famiglia. Oltre 100 milapersone che vengono ogni anno perricongiungimento familiare nell’otticadi un insediamento stabile; 94 milasono i nuovi nati in Italia da madristraniere nel corso dell’anno 2009, il16,4% del totale, di cui il 3,4% conpartner italiano, che costituiscono unsupporto indispensabile al nostro sbi-lanciato andamento demografico, conoltre il 20% della popolazione oltre i65 anni; 24 mila matrimoni misti traitaliani e immigrati nel 2008, che siaggiungono agli oltre 400.000 già ce-lebrati e che costituiscono una fron-tiera complessa, suggestiva e promet-tente della convivenza tra persone didiverse tradizioni culturali e religiose.In un milione di famiglie italiane è pre-sente una badante o assistente allapersona – anziani e minori – di originestraniera (filippine, cingalesi, peruvia-ne, rumene e ucraine), molte dellequali ortodosse.

b. Cambia la scuola. Le 700 mila pre-senze a scuola in rappresentanza ditanti paesi, un vero e proprio mondoin classe; 6 mila studenti stranieri chesi laureano annualmente in Italia, inbuona parte destinati a diventare laclasse dirigente nel Paese di origine.Inmolte scuole del Nord Italia gli studentistranieri superano anche il 30% deglialunni. Nelle scuole cattoliche la pre-senza degli stranieri non raggiungel’1%.

b. Cambia la città. 40 mila persone cheacquisiscono annualmente la cittadi-nanza italiana, a seguito di matrimo-nio o di anzianità di residenza, mo-strando un forte attaccamento al no-stro Paese. Alcuni quartieri e aree ur-

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I. pista: investire negli incontri

Occorre andare oltre l’impronta, per costruireinvece una nuova relazione diffusa e in-telligente, con un’attenzione preferenzialeai più deboli, con un orecchio alle “attesedella povera gente”: di chi arriva e rimaneai margini della città; di chi è espulso dallacittà, di chi è solo tra le case, di chi abban-dona la scuola, di chi ha paura – sia insenso fisico che psichico; di chi non ha fa-miglia, di chi perde il lavoro, o coniuga conil lavoro tempi di attesa, di chi lavora irre-golarmente ed è schiavo di nuovi meccani-smi di caporalato o d’impresa o d’agenzia…Non è sufficiente identificare, conoscere; oc-corre incontrare e accompagnare per costrui-re una relazione costruttiva e risolutiva (intermini di promozione, libertà, protezione…). Solo l’incontro aiuta a costruire relazioniche vincono la paura, aprono al confronto,invitano al dialogo.L’attenzione al tema dell’incontro, dellacostruzione di legami, di amicizia è quellache il teologo gesuita Theobald, nei due beivolumi ‘Il cristianesimo come stile’ (Bolo-gna, EDB, 2009) chiama ‘santità ospita-le’2. È un percorso non scontato. Lo dimo-stra il fatto che una ricerca tra i membri deiconsigli pastorali parrocchiali di Carpi sul te-ma ‘comunità cristiana e immigrazione’ cimostra che 7 su dieci (il dato italiano edeuropeo e 6 su 10) coniugano immigrazionee paura. Questa coniugazione viene superataquando le persone incontrano o ospitano incasa o hanno legami di amicizia con le per-sone straniere: in questo caso la paura è di

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bane sono fortemente caratterizzati alcentro – Palermo o Roma – o in peri-feria – Milano, Bologna – dalla concen-trazione di persone e etnie straniere.

e. Cambia la comunità cristiana, laparrocchia. Oltre 730.000 fedeli inpiù, nelle parrocchie o negli oltre 700centri pastorali, che vedono anche lapresenza di oltre 2300 presbiteri.Una ricerca in 146 parrocchie di Ro-ma, ci ricorda che sono il 25% dellepersone delle nostre scholae canto-rum, il 12% dei catechisti; numerosisono i ministranti; nel 30% dei con-sigli pastorali sono presenti rappre-sentanti di centri pastorali etnici. Inalcune regioni questa presenza rag-giunge il 15% del presbiterio (Marche,Toscana, Lazio); in almeno 20 diocesiitaliane entro il prossimo decennio ipresbiteri provenienti da altri Paesisaranno tra il 70 e l’80% del presbi-terio. Mediamente in una parrocchiadi 3000 abitanti, ci sono 200 personestraniere.

4. Come affrontare pastoralmente questo‘cambiamento’ legato al fenomeno migra-torio?

Le piste di lavoro pastorale sono numerose.Ne indicherò alcune fondamentali in pro-spettiva ed altre più specifiche, incrociando,attorno al tema dell’incontro-relazione, chematura nella comunità che ascolta la Parola,celebra e condivide, gli ambiti del nuovopersonalismo di Verona.

grandi visioni universalistiche attraverso quelle esperienze di santità che sorgono sempre all’improvviso nellenumerose situazioni in cui è in gioco la vita dell’altro, senza mai poter essere afferrate o radunate in unavisione d’insieme” (C. THEOBALD, Cristianesimo come stile, Bologna, EDB, I, 2009, p. 394).

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1 su 10. L’incontro chiede un’attenzione alvalore non solo della persona, ma anchedella differenza. Se teologicamente si è co-struita una riflessione antropologica ricca sultema ‘persona’, altrettanto occorre costruireuna riflessione antropologica sulla differen-za, sull’alterità, nella consapevolezza – celo ha insegnato Michel de Certeau – che lasalvezza è ‘altrove’, suppone l’altro”. È belloche, ad esempio, il mondo giovanile sia for-temente attento a valorizzare l’incontro, sti-molato anche dalla scuola e dai luoghi deltempo libero, dai viaggi.

II. pista: superare i pregiudizi

L’attenzione al tema dell’incontro pone con-temporaneamente l’attenzione alla comunica-zione, con il superamento dei pregiudizi.

• Straniero = clandestino

Se noi non troveremo un altro modo di par-lare dell’immigrazione diverso dai discorsisugli sbarchi e sull’irregolarità, resteremo in-capaci di gestire responsabilmente l’Italiache si va costruendo, nella quale già adesso1 ogni 14 abitanti è un cittadino stranieroregolarmente soggiornante.Gli sbarchi, che ci ostiniamo a utilizzare co-me un bollino nero da apporre sul fenomenomigratorio, coinvolgono un numero di per-sone pari nemmeno all’1% delle presenzeregolari, senza contare poi che oltre la metàdelle persone sbarcate sono richiedenti asilo,quindi persone meritevoli di protezione se-condo le convenzioni internazionali e la Co-stituzione italiana.

• Straniero = non cittadino

Se gli immigrati incidono per il 7% sulla po-polazione residente e per il 10% sulla crea-

zione della ricchezza nazionale, ciò significache la loro presenza non costituisce una per-dita per il sistema Italia, così come non lo èper gli immigrati stessi e per i Paesi di ori-gine, ai quali i migranti inviano dall’Italia6,4 miliardi di euro come rimesse, un aiutomolto concreto al loro sviluppo a fronte dellepromesse non mantenute a livello di politicainternazionale).Gli immigrati, al pari degli italiani, hannoanch’essi bisogno di misure di supporto dalsistema di welfare nazionale, ma assicuranoi mezzi perché questo possa essere fatto. Pagano annualmente 7 miliardi di contributiprevidenziali, ma a essere pensionati sonoin poche migliaia. Tra gli italiani, invece, viè attualmente un pensionato ogni 5 resi-denti, mentre tra gli immigrati, tra 10 anni,vi sarà un pensionato ogni 25 residenti, connotevoli vantaggi per il nostro sistema pre-videnziale.Gli immigrati pagano annualmente almeno4 miliardi di euro di tasse ma incidono, se-condo una stima della Banca d’Italia, soloper il 2,5% sulle spese per istruzione, pen-sione, sanità e sostegno al reddito, all’incircala metà di quello che assicurano in terminidi gettito.La riserva di natura socio-culturale-reli -gio sa è più insidiosa e porta ad aver pauradegli immigrati perché si ritiene che essi in-quinino la società con le diverse tradizioniculturali di cui sono portatori e contrastinol’attaccamento alla nostra religione.

• Straniero = criminale

Non esiste in Italia una emergenza crimina-lità, perché non ci distinguiamo in negativoin un confronto europeo e nel contesto ita-liano le denunce penali da alcuni anni sonoin diminuzione e il livello attuale (poco piùdi 2 milioni e mezzo di denunce) è pari a

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quello dei primi anni ’90 quando iniziaval’immigrazione di massa;l’aumento delle denunce contro i cittadinistranieri regolari risulta inferiore all’aumentodella popolazione straniera e, ad esempio,nel periodo 2001-2005 le denunce sono au-mentate del 46% e gli stranieri residenti del101%;gli immigrati regolari, a conclusione di unconfronto per classi di età con gli italiani,mostrano di avere un tasso di criminalità si-mile, ma con maggiori attenuanti;gli immigrati irregolari, a loro volta, nonsono da stigmatizzare come inclini alla cri-minalità, ma va considerata la loro esposi-zione alle necessità materiali, l’esclusionesociale, le spire della criminalità organizzata,anche in conseguenza degli scarsi spazi diingresso e soggiorno regolare previsti dal-l’attuale normativa, che perciò andrebberoresi più agibili per evitare che continuino aessere una tra le occasioni più ricorrenti diinfrazione penale.

III. pista: non più ‘invisibili’

Nel mondo che si muove noi non possiamofingere che ci siano degli ‘invisibili’, nonpossiamo fingere che ci siano dei ‘clande-stini’, ma dobbiamo anzitutto riconoscereche ci sono persone nuove, non conosciute,con storie di vita differenti, con le quali an-zitutto e prima di tutto costruire relazioni,andare incontro e non costruire il rifiuto,l’allontanamento, lo scontro. La vera sicu-rezza di una città è la relazione e la media-zione con le persone nuove che incrociamo,e la storia ci insegna questo. Tanto più oggi,in cui la consapevolezza che la nostra cittàè una briciola di fronte al mondo e che nu-meri, denatalità, malattie, cambiamenti larenderanno presto conquistata da un altro

mondo: nel 2019 la città di Milano vedràper la prima volta più bambini nati da 100nazionalità diverse rispetto alle nascite dibambini italiani.

IV. pista: la risorsa del dialogo

Dialogare non significa cedere al relativismoo perdere la propria identità. Anzi. Ci vienein aiuto la testimonianza di Pierre Claviere,vescovo domenicano ucciso in un attentatoin Algeria nel 1996, in ambiente islamicoche ci aiuta a focalizzare questo compito de-cisivo per gruppi e minoranze attive: “Cisiamo trovati a realizzare con mezzi poveriluoghi d’incontro e piattaforme per cono-scersi e comprendersi meglio, con le nostredifferenze e la pesante eredità dei nostriconflitti passati e presenti. Oggi non c’ènulla di più necessario e di più urgente checreare questi luoghi umani, in cui s’imparaa guardarsi in faccia, ad accettarsi, a col-laborare e a mettere in comune le ereditàculturali che fanno la grandezza di ognuno.La parola d’ordine della mia fede oggi èperciò dialogo. Non per tattica o per oppor-tunismo, ma perché il dialogo è alla basedel rapporto tra Dio e gli uomini e tra gliuomini stessi”. Il dialogo nasce dall’interesse(l’I care di don Milani), dalla passione, dallacondivisione, dalla compassione.Il dialogo, che valorizza le esperienze uma-ne, cristiane e religiose diverse, con quattroattenzioni forti: a) Il dialogo della vita, chesi ha quando le persone si sforzano di viverecon lo spirito aperto e pronte a farsi prossi-mo, condividendo le loro gioie e le loro pene,i loro problemi e le loro preoccupazioni uma-ne. b) Il dialogo dell’azione, nel quale i cri-stiani e gli altri credenti collaborano per losviluppo integrale e per la liberazione del lo-ro prossimo. c) Il dialogo dello scambio teo-

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logico, nel quale gli specialisti cercano diapprofondire la propria comprensione delleloro rispettive eredità spirituali, e di apprez-zare, ciascuno i valori spirituali dell’altro. d)Il dialogo dell’esperienza religiosa, nel qualele persone, radicate nelle loro tradizioni re-ligiose condividono le loro ricchezze spiri-tuali, per esempio nel campo della preghierae della contemplazione, della fede e dei modidi ricercare Dio o l’Assoluto3.

V pista: costruire una città ‘diversa’

La ricchezza degli incontri e delle differenzechiede la costruzione di una città diversa,con alcune attenzioni nuove. Una nuovacura: che accompagna e non si limita alleprestazioni; che non abbandona; che ricercae non sia ripetitiva; che coinvolge e non se-para, che ha riferimenti precisi e quotidianisul territorio, che valorizza la rete degli in-contri, dei legami e non solo dei servizi,dentro una nuova programmazione sociale,sanitaria fortemente integrata e pianificatache evita di costruire nuovi ‘luoghi di cura’

separati, ma abitua tutta la città ad essereun luogo familiare, relazionale, promozio-nale. Un nuovo piano urbanistico, chenon crea nuove ghettizzazioni – come haricordato recentemente anche Benedetto XVI– nuove separazioni, nuove esclusioni ur-banistiche, ma rilegge i nuovi arrivi, le nuo-ve partenze e i nuovi insediamenti dentrola prospettiva del ‘bene comune’, della con-divisione di beni, della tutela. Una nuovacittadinanza. Una città aperta al mondooggi non può non riconoscere una cittadi-nanza diffusa e non esclusiva, che si ma-nifesta attraverso nuovi strumenti di parte-cipazione inclusivi di chi vive sul territorioe come persona è soggetto di tutti i dirittiumani e costituzionali. Occorre forse ripen-sare in questo senso anche il diritto di votonon come strumento di garanzia di un po-tere da parte di una classe, di una parte dimondo, ma come strumento di esercizio dicittadinanza attiva.

Solo così lo straniero da hospes non si tra-sformerà in hostis. Solo così si legge il futurocon speranza.

3 Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, Dialogo e annuncio, 1991, n. 41.

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È legittimo chiedersi in che modo la categoriadell’accoglienza possa aiutarci a comprenderel’avvenimento celebrativo dell’iniziazione,tenuto conto che la sua assunzione deve po-tere garantire la specificità della celebrazionecristiana. Non si tratta di affermare che l’ini-ziazione sia tout court la celebrazione del-l’accoglienza cristiana, quanto piuttosto diriconoscere la possibilità di una reciproca il-luminazione tra il senso pieno dell’accoglien-za come può essere colto attraverso la cele-brazione dell’iniziazione, ed il senso ulterioredell’iniziazione, considerata dalla prospettivaantropologica dell’accoglienza.

Alcune note teologiche

Provo ad enucleare rapidamente alcune notecontenute nel RICA, presenti come un oriz-zonte di ispirazione, che mostra nel libro li-turgico una straordinaria ricchezza pedago-gica, capace di progettare comportamenti co-munitari e attenzioni personali di grande re-spiro anche sociale e culturale2.

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La pastorale del catecumenato e l’accoglienza verso i migranti168

LA PASTORALE DEL CATECUMENATOE L’ACCOGLIENZA VERSO I MIGRANTI

Mons. Walther Ruspi, Responsabile del Servizio per il Catecumenato dell’UCN

Introduzione

La parola “accoglienza”, che qualifica l’azio-ne della Chiesa verso gli immigrati che siaccostano alla fede cristiana, non ha unavalenza puramente umana o sociologica, matrova la sua piena esplicitazione e le note diattuazione anzitutto nella visione teologicadella Iniziazione Cristiana1. L’assunzione della categoria accoglienza èsignificativa di diverse connotazioni; unaprima è rintracciabile nel contemporaneoorizzonte culturale che, proprio con questotermine, sta esprimendo la ricomprensionedi diversi settori della vita sociale, oltre chel’esigenza di riequilibrio della realtà umanain tutta la sua compagine storico-geografica;termini come solidarietà, integrazione e, ap-punto, accoglienza sono indicativi della nuo-va temperie culturale, che sospinge versoun mutato approccio socio-politico alla con-vivenza umana, tutta da ripensare e proget-tare nel superamento delle contraddizionidel suo passato e del suo presente.

1 Uno studio rilevante è stato fatto da C. SCORDATO, L’accoglienza nel RICA. Per una interpretazione teologica.Esso fa parte degli Atti del 3° Convegno liturgico-pastorale tenutosi a Palermo presso la Facoltà Teologica dellaSicilia “San Giovanni Evangelista”. Gli Atti sono editi da EDI OFTES, Palermo 1993.2 Una prima accezione è legata al termine receptio e derivati ed ha come soggetto la Chiesa, o in tutta la suainterezza, o nella varietà dei suoi ministeri. «In tal modo si manifesta visibilmente la fede e la gioia con la qualetutti accolgono i neobattezzati nella Chiesa» (gaudium quo noviter baptizati in Ecclesiam recipiuntur), Praen.Gen. 7; «il primo grado si ha quando uno, dando inizio alla conversione, vuole diventare cristiano ed è accoltodalla Chiesa come catecumeno» (ah Ecclesia ut cathecumenus recipitur), Praen. 6; nel n. 12 dei Praen. iltermine accoglienza ritorna in riferimento soprattutto alla prima receptio, esplicitandone le modalità ecclesiali;parimenti nel rito dell’ammissione al catecumenato «la Chiesa notifica la loro accoglienza e la loro prima con-sacrazione» (eorundem receptio prima que consecratio signifìcantur), Praen. 14; fino al raggiungimento della«sede del catecumenato ed esservi accolti» (ad sedem cathecumenatus petendam ibique commorandum), Praen.20;così nei nn. 74, 93, 96 etc. L’accezione ecclesiale e quindi ecclesiologica dell’accoglienza balza subito agli

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L’accoglienza nella Chiesa:lo “spe cifico” dell’Iniziazione Cristiana

Quando si tratta di precisare a quale realtàl’Iniziazione Cristiana introduce, general-mente si richiamano la dimensione cristolo-gico–pasquale (l’iniziazione come incorpo-razione al mistero pasquale) e quella eccle-siologica (l’iniziazione come inserimentonella Chiesa). Il rapporto tra queste due di-mensioni viene però articolato secondo sen-sibilità diverse: alcuni mettono in primo pia-no il battesimo come incorporazione a Cristoe alla sua salvezza, cui consegue l’inseri-mento nella Chiesa; altri, invece, prendonoavvio dalla dimensione ecclesiale: il fattocioè che l’Iniziazione Cristiana rappresentail primo e fondamentale incontro del credentecon la Chiesa, quell’incontro attraverso cuiil credente è accolto dalla Chiesa in manierafondamentale, decisiva e definitiva 3.La creatura umana non si fa essa stessamembro della chiesa, ma è fatta tale. Essanon entra nella chiesa, ma viene accoltanella chiesa. La forma passiva utilizzata per

indicare l’accoglienza nella Chiesa, realizzataattraverso l’iniziazione, richiama il fatto chel’artefice ultimo di tale accoglienza non puòche essere lo Spirito di Gesù Cristo, all’operasia nel credente che cerca la Chiesa, sia nellaChiesa che lo accoglie. Nel momento in cuiaccoglie un credente, la Chiesa è consape-vole di prolungare in se stessa, nella forzadello Spirito, il gesto di accoglienza di Cristo,che attira a sé gli uomini per costituirli mem-bra del suo Corpo ecclesiale.

Iniziati da Cristo mediante i sacramenti

Nel linguaggio corrente, la categoria di Ini-ziazione Cristiana viene unita con quella dicatecumenato e prevalentemente riferita atutto il processo progressivo e multiforme,attraverso il quale si diventa cristiani. L’in-tenzione che soggiace all’identificazione traIniziazione Cristiana e processo globale deldiventare cristiani è quella di superare unaprassi pastorale, centrata esclusivamentesull’«amministrazione» dei sacramenti. Inquesto quadro, parlare di «iniziazione» come

occhi, tanto più se consideriamo che i diversi gesti di accoglienza intendono esprimere non solo un fare spaziodentro la comunità, ma sono segni ministeriali di qualcosa di più profondo, di cui la Chiesa è testimone epartecipe; né va disperso lo spessore femminile del termine, espressivo soprattutto della dimensione maternadella Chiesa, espressamente richiamata nei Praen. Gen. 8: «il padrino amplia, in senso spirituale, la famiglia delbattezzando e rappresenta la Chiesa nel suo compito di madre», il che dà una caratterizzazione femminile aquesto ministero. L’altra accezione del termine accoglienza è riferita allo stesso soggetto laddove, con questo o termini simili, vienecaratterizzato nella sua capacità di ricevere qualcosa. Significativa per tutte è l’espressione di una orazione dibenedizione: «rendili puri e santi, perché, fatti capaci di accogliere i tuoi doni, possano ricevere l’adozione afigli» (donorum tuonsm capaces effecti), RICA, 122. Ma, al di là delle singole citazioni, il testo è ricco anchedi espressioni che dicono il complesso processo di accoglienza da parte del candidato. Infine, non può esseretrascurata l’accezione che considera Dio come soggetto di questa accoglienza; è proprio questa referenza a Dioche ci consente di intendere correttamente il significato ed il senso dell’accoglienza; chi accoglie radicalmente èDio con la sua adozione a figli; la Chiesa vive del ministero alla sua grazia: «Dio onnipotente ed eterno...accogliamorosamente questi tuoi servi che vengono a te...giungano con la tua grazia alla piena conformità con il Cristotuo Figlio» (hos accedentes dilectos amanter RICA 95). Cfr., C. SCORDATO, op.cit.3 F. COURTH riporta la posizione di K. RAHNER, come espressione di un orientamento ampiamente condiviso dalVaticano II in poi: «“Dio, con il battesimo, concede la grazia all’uomo e lo salva nella sua individualità proprioperché lo incorpora nella chiesa. L’appartenenza alla chiesa è il primo ed immediato effetto di questo sacramentodell’iniziazione che ogni cristiano rIceve”»: F. COURTH, I sacramenti, 142.

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itinerario aiuta a pensare i sacramenti dentroun più globale cammino che suscita e favo-risce la maturazione della fede. Però, dal-l’ambito liturgico viene il richiamo al rischioche questo modo di parlare di «iniziazione»finisca per «offuscare» il ruolo dei sacramen-ti, «dissolvendoli» dentro un itinerario dimaturazione della fede, il cui sviluppo sem-bra primariamente (se non esclusivamente)affidato al lavoro pedagogico. Il «rimedio»proposto fa perno sulla riscoperta della no-zione patristica di iniziazione, incentrata sulmomento sacramentale: propriamente, dun-que, bisognerebbe parlare non di «iniziazio-ne ai sacramenti», bensì di «iniziazione at-traverso i sacramenti» 4.Il punto di partenza è dunque la convinzioneche il senso proprio della nozione di Inizia-zione Cristiana sia quello che fa riferimentoal complesso sacramentale che comprendeBattesimo, Confermazione ed Eucaristia: uni-tariamente considerati, questi sacramenti rea-lizzano l’iniziazione, cioè l’inserimento, l’in-troduzione del candidato nel mistero dellaChiesa, Corpo di Cristo. Intesa in questa pro-spettiva, la nozione di Iniziazione Cristianamette in luce un dato teologico di indubbiorilievo: essa rivela infatti che al mistero dellavita in Cristo e nella Chiesa l’uomo non puòaccedere se non perché Cristo stesso lo inizia

/introduce in esso, mediante i misteri sacra-mentali, che sono, ultimamente, suoi atti.Per riesprimere questo concetto, possiamomettere a confronto due slogan: in moltaparte della letteratura pastorale il linguaggiodell’iniziazione richiama il fatto che «cristianinon si nasce, ma si diventa»; lo si diventaattraverso quell’itinerario complesso e diste-so nel tempo che è appunto l’iniziazione.Nella prospettiva sacramentale, invece, illinguaggio iniziatico mette in luce il dato percui «cristiani non si nasce, ma si è fatti»:siamo resi cristiani da Cristo stesso, attra-verso i riti sacramentali. In questa prospet-tiva, dunque, la categoria di iniziazione nonha la funzione di richiamare la dimensione«processuale» del divenire cristiani, ma nedesigna il momento sacramentale fondante.La professione di fede battesimale, che an-ticamente entrava a costituire il nucleo cen-trale del rito, può essere riconosciuta comel’elemento di connessione tra il catecume-nato ed il battesimo: “Tramite la professione[di fede] battesimale, l’intero catecumena-to si inserisce nel battesimo; ed essendo laprofessione elemento essenziale di questosacramento, anche il catecumenato ne di-venta una parte” 5.In questa prospettiva il catecumenato trovala propria genuina fisionomia: esso non si

4 Cf soprattutto R. FALSINI, Iniziazione ai sacramenti o sacramenti dell’iniziazione?, Rivista del Clero Italiano73 (1992) 266-282, per l’ambito italiano; P. DE CLERCK, L’initiation chrétienne: une notion boulever sante,Célébrer 250 (1995) 4-10, per l’ambito francese.5 J. RATZINGER, Battesimo, fede e appartenenza, 31. Scriveva il card. Ratzinger6:“ L’amministrazione del bat-tesimo va oltre se stessa e l’Iniziazione Cristiana chiede il contesto più vasto del catecumenato, di per sé giàparte del sacramento. Questo concetto ha un’importanza rilevante: - da un lato il catecume nato è qualcosa dimolto diverso da una semplice istruzione religiosa, è parte di un sacramento: non insegnamento a priori, maelemento inte grante del sacramento stesso; – d’altra parte il sacramento non è soltanto esecuzione liturgica; maun processo, una via lunga che richiede tutte le forze dell’uomo, intelligenza, volontà e sentimenti. La separazioneha avuto anche qui un effetto disastroso: ha condotto alla ritualizzazione del sacramento e alla dottrinalizzazionedella parola, mascherando così un’unità che fa parte delle realtà fondamentali del cristiano. Ma cosa significaesattamente il carattere sacramentale del catecu menato? Nel «credo» dialogico il simbolo in forma di domande,il contenuto essenziale del catecumenato entra direttamente nella forma sacramenti (nell’atto dell’amministrazionedel sacramento). Si possono distinguere tre componenti fondamentali che qui trovano un’unione. - Innanzituttofa parte del catecumenato il mo mento dell’insegnamento, un processo di apprendimento in cui vengo no considerati

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configura come ciò che «produce» l’inizia-zione, con la conseguenza di ridurre i sa-cramenti a momento di «ratifica» di una me-ta, raggiunta percorrendo tutte le tappe diun certo apprendistato. L’itinerario catecu-menale mira invece a far sì che il credentesi disponga ad essere iniziato – «fatto cri-stiano» – attraverso un atto che è atto gra-tuito di Dio, mediato dall’azione rituale dellaChiesa che celebra. Da parte loro, i gesti li-turgici che scandiscono il catecumenato fan-no sì che il candidato, mentre percorre l’iti-nerario che lo conduce al battesimo, avvertache la possibilità stessa di giungere alla ce-lebrazione sacramentale gli è data da Coluiche ha suscitato il cammino di conversionee continuamente lo accompagna. In altri ter-mini: il fatto che la dimensione liturgica at-traversi tutto l’itinerario catecumenale mo-stra che, in certo modo, il momento sacra-mentale non sopravviene unicamente allafine del cammino, ma ne costituisce, percosì dire, la «nervatura» strutturante; in que-sta linea non è fuori luogo considerare il ca-

tecumenato come «il dispiegamento crono-logico dell’azione battesimale», mentre i ge-sti rituali che lo ritmano si possono definire«tappe del battesimo».

Eucaristia, vertice dell’Iniziazione

Il fatto stesso che si parli di Iniziazione Cri-stiana per indicare insieme i sacramenti delbattesimo, della confermazione e dell’euca-ristia è un dato da non sottovalutare. In ef-fetti, se l’inserimento nella Chiesa può esserericonosciuto come finalità dell’IniziazioneCristiana, dal punto di vista sacramentaletale finalità può dirsi raggiunta quando ilcredente viene introdotto all’eucaristia, il sa-cramento che fa la Chiesa: partecipando alcorpo eucaristico di Cristo, il credente diventapienamente parte del suo corpo ecclesiale 6.Se l’introduzione all’eucaristia costituiscel’«obiettivo» dell’Iniziazione Cristiana, bat-tesimo e confermazione, da parte loro, han-no precisamente la finalità di abilitare il cre-

e acquisiti i contenuti essenziali della fede cristiana. Per ciò si è sviluppata la condizione dei maestri: ad essispettava la meditazione della fede e il compito di ren dere di volta in volta comprensibile la parola della fedecome risposta alle domande degli uomini. - Esiste tuttavia un importante capitolo, la fede cristiana è ancheun’etica. In epoca più tarda ciò ha trovato espressio ne nello schema dei dieci comandamenti; la Chiesa anticasi atteneva al la forma delle due vie, che rappresentava lo stato umano appunto come una scelta tra due vie.L’assunzione della via del Cristo è propria del catecumenato. Solo chi entra nello spirito di fratellanza dei cristiani,può imparare a conoscere la co munità dei suoi fratelli come luogo di verità. Solo chi scopre Gesù co me via, puòanche scoprirlo come verità. - E da qui il catecumenato, in quanto esecuzione ed esercizio di una scelta di vita,non richiede sol tanto lo sforzo dell’aspirante. Questa scelta consiste nell’entrare nello spirito di una forma divita già esistente, quella della Chiesa di Gesù Cristo. Di conseguenza non si tratta di una decisione isolata eautono ma del soggetto, ma essenzialmente di un’accettazione: il prendere par te alla decisione della comunitàdei credenti. E la nostra decisione consiste nell’accettazione reciproca della decisione in essa già presente. Ciòsi esplica anche nel corso di tutto il catecumenato nel legame stabile fra la co munità dei catecumeni e la comunitàdella Chiesa. Qui viene appro fondito quanto dicevamo a proposito del carattere attivo-passivo del dialogo bat-tesimale: il battesimo è fin dall’inizio un «essere battezzati», un essere beneficati con il dono della fede. E la viamorale che esso ci indica è sempre una guida e un sostegno. Ma da chi in effetti riceviamo questo dono? Orbene,innanzitutto dalla Chiesa. Anch’essa però non lo ha di per sé, essendo essa stessa un dono di Dio. Se la fedeè un dono diretto della Chiesa, non va dimenticato che la Chiesa come tale può esistere continuamente solocome dono di Dio. Accanto all’insegnamento e alla decisione, gli esorcismi esprimono quella che è la terza, o,in realtà, la prima dimensione del catecumena to: la conversione come dono che solo il Signore può fare, anchecon tro il nostro arbitrio e le forze che ci rendono schiavi. 6 L.-M. CHAUVET, «I sacramenti dell’iniziazione cristiana», in J. GELINEAU (a cura di), Assemblea Santa. Manualedi liturgia pastorale, Bologna, EDB, 1990, 1990, 207–224: 208.

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dente a partecipare alla mensa eucaristica;pertanto potrebbero essere opportunamentequalificati come «sacramenti di iniziazioneall’eucaristia».In questa luce, dunque, il battesimo non vasemplicemente giustapposto all’eucaristia,ma va ripensato nella sua funzione di in-trodurre all’eucaristia, di cui costituisce ilnecessario «portale d’accesso». La necessitàdi essere battezzati per poter accedere allamensa eucaristica è un dato costante nellatradizione cristiana: esso mette in luce ilfatto che l’uomo non può entrare in relazio-ne all’evento nel quale si dà sacramental-mente la Pasqua di Cristo, se non perchéCristo stesso gli dà di accedervi; l’uomo nonpuò accedere all’eucaristia senza esservi ini-ziato mediante un atto nel quale – attraversol’azione rituale della Chiesa – è Cristo stessoche lo introduce nella ripresentazione sacra-mentale della sua Pasqua. Ciò rivela che ilrapporto dell’uomo all’evento della Pasqua– sacramentalmente mediato nell’eucaristia– non è possibile se non grazie ad un attodi Gesù Cristo, che, nella forza dello Spirito,una volta per sempre ed in maniera irrever-sibile, abilita l’uomo ad entrare in tale rap-porto: questo atto è, appunto, il battesimo.È l’accoglienza operata da Cristo nellaChiesa.

L’ IC e la Chiesa d’oggi

Cerchiamo ora di cogliere l’impatto tra la pro-posta del RICA e la realtà pastorale della Chie-sa. Il nostro itinerario può essere aperto eispirato da queste domande: di che cosa si èdotata la Chiesa italiana pubblicando il RICA?

Che cosa presuppone e che cosa propone? L’importanza di una completa e intelligenterecezione del RICA è stata ricordata e auto-revolmente orientata dai vescovi nella pre-sentazione del Rito stesso: l’itinerario del RI-CA è presentato «con valore di forma tipicaper la formazione cristiana» ed auspicano che«questo testo diventi una feconda sorgenteispiratrice di iniziative di evangelizzazione,di catechesi e di esperienze comunitarie» (RI-CA, Premesse CEI)7. La prospettiva riguardaun modo di essere e di vivere della Chiesa.Il rito ci porta attraverso la lex orandi alla lexagendi, alla ricerca di alcune condizioni mi-nime per rendere possibile concretamentel’accoglienza negli ambiti della vita umana.

Il RICA: un itinerario per accoglierel’Iniziazione di Cristo e per essereaccolti nella Comunità ecclesiale

A fronte di un contesto culturale mutato, laChiesa italiana oggi riscopre la propria fon-damentale missione evangelizzatrice e si in-terroga sul modo più adeguato per trasmet-tere la fede nella molteplicità delle culture.in questo quadro, ne deriva un forte invito:«La comunità cristiana dev’essere semprepronta a offrire itinerari di iniziazione e dicatecumenato vero e proprio»8, sullo sfondodi una «conversione pastorale» che la portaad assumere sempre più i connotati di unacomunità «missionaria», dedita a testimo-niare e comunicare il Vangelo anche nellaforma del «primo annuncio».Indubbiamente l’Iniziazione Cristiana costi-tuisce il momento culminante della trasmis-

7 L’iniziazione cristiana. 1. Orientamenti per il catecumenato degli adulti, (1997), Premessa.”La recezione-attuazione è stata piuttosto disattesa, per diversi motivi, nelle nostre Chiese, o accolta solo parzialmente e incasi particolari”.8 CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell’episcopato italiano per ilprimo decennio del 2000 (29 giugno 2001) [= CVMC] 59.

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sione del Vangelo e della comunicazione del-la fede, l’atto sacramentale con cui vengonogenerati nuovi credenti. Il processo dell’iniziazione cristiana non puòconfondersi con una semplice pedagogia in-teriore o morale, con un fatto educativo, ilcui scopo è quello di educare i valori insitinella coscienza umana. Né può essere pen-sato come la trasmissione di nozioni o valorio tipi di comportamento personale e socia-le-religioso, regolato da norme di condottacristiana; non è da ritenersi infine come unconvenzionale atto giuridico o anagrafico ri-chiesto dalla situazione sociologica e cultu-rale cristiana.«L’iniziazione cristiana esprime il mistero ela profonda realtà che introduce l’uomo nel-la vita nuova»: la trasformazione del proprioessere, divenendo partecipe della natura di-vina in Cristo; l’impegno personale ad unascelta di fede per vivere come figlio di Dio;l’integrazione ad una comunità che lo ac-coglie come suo membro attraverso il bat-tesimo; il dono dello Spirito per agire nellanuova configurazione cristiana e l’ammis-sione alla mensa della parola e del pane divita. Per mezzo di questo cammino l’uomoraggiunge la sua identità cristiana, che poidovrà sviluppare per giungere alla pienezzafinale.Possiamo ora analizzare rapidamente i di-versi passaggi dell’itinerario indicato dal RI-CA, attraverso la chiave pedagogica dellagrazia, per scoprire tutta la ricchezza che sidispone per realizzare una autentica acco-glienza, seguendo alcune annotazioni cheritroviamo nello stesso Rituale. Esse costi-tuiscono il punto di partenza di ogni nostraconsiderazione.

1. Un grido lanciato: il Kerigma

9. È infatti il tempo di quell’evangelizzazione checon fiducia e costanza annunzia il Dio vivo e coluiche egli ha inviato per la salvezza di tutti, GesùCristo, perché i non cristiani, lasciandosi aprire ilcuore dallo Spirito Santo, liberamente credano e siconvertano al Signore e aderiscano sinceramentea lui che, essendo via, verità e vita, risponde atutte le attese del loro spirito, anzi infinita-mente le supera9.

Vi è anzitutto una nota di dialogicità in que-sto tempo, esperienza guidata dallo SpiritoSanto, che conduca ad entrare personalmen-te nella Rivelazione divina, che si medianon solo attraverso la comunità credente,ma nel cuore stesso della persona. Risuo-nano qui le parole della Dei Verbum, “Dioinvisibile per il suo immenso amore parlaagli uomini come ad amici e si intrattienecon essi, per invitarli e ammetterli alla co-munione con sé”.Dal comportamento di Dio scaturiscono gliindirizzi per il comportamento della comu-nità credente, che descrive la sua “acco-glienza” come dialogo, parola indirizzata conamore, apertura verso l’amicizia, conversa-zione che sa prolungarsi, invito nella fami-liarità, condivisione della vita.L’accoglienza è rispetto della libertà, cheesclude la pretesa di subito incorporare:

12. … è compito delle Conferenze Episcopali pre-vedere, … le modalità della prima accoglienza dei“simpatizzanti”, cioè di coloro che, senza crederepienamente, tuttavia mostrano una certa propen-sione per la fede cristiana.

“Occorre tener presente – dicono i VescoviItaliani - che la nostra società si configura

9 Ad Gentes 13.

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sempre di più come multietnica e multire-ligiosa. Ci è chiesto di compiere la missionead gentes qui nelle nostre terre. Seppur conmolto rispetto e attenzione per le loro tradi-zioni e culture, dobbiamo essere capaci ditestimoniare il Vangelo anche a loro e, sepiace al Signore ed essi lo desiderano, an-nunciare loro la parola di Dio10, in modo cheli raggiunga la benedizione di Dio promessaad Abramo per tutte le genti (cf. Gen12,3)11.L’accoglienza è saper quindi entrare nel tes-suto sociale, instaurare relazioni personali,avviare processi di inculturazioni positivi edaperti, acquisire capacità di comunicazioneche facilitino l’accosto alla Parola evangelica,avviare relazioni con i membri della comu-nità. Saranno necessari anche momenti diattesa, di verifica, ma sempre in una fraternarelazione di comunità.

11. Durante questo tempo i catechisti, i diaconi e isacerdoti e anche i laici spieghino il Vangelo ai can-didati in modo a essi adatto; si presti loro un pre-muroso aiuto, perché purificando e perfezionando iloro propositi, cooperino con la grazia divina e per-ché riescano più facili gli incontri dei candidaticon le famiglie e comunità cristiane.

1. La loro accoglienza, facoltativa e senza un ritoparticolare, manifesta la loro retta intenzione, manon ancora la loro fede.

2. Sarà adattata alle condizioni e alle circostanzedi tempo e di luogo. Ad alcuni candidati infatti sideve far conoscere specialmente la spiritualità cri-stiana di cui vogliono fare esperienza; per altri, ilcui catecumenato viene differito per varie ragioni,sarà opportuna in primo luogo qualche azioneesterna compiuta da loro o dalla comunità.

3. L’accoglienza si farà durante le riunioni della co-munità locale, offrendo un clima di amicizia edi dialogo. Presentato da un amico, il simpatiz-

zante riceve il saluto cordiale dei presenti, è accoltodal sacerdote o da un altro membro, degno e pre-parato, della comunità.

2. «Che cosa domandi alla Chiesa diDio?»

14. Grande importanza ha il “rito dell’ammissioneal catecumenato” perché in tale occasione, presen-tandosi per la prima volta pubblicamente, i candi-dati manifestano alla Chiesa la loro volontà e laChiesa, nell’esercizio della sua missione apostolica,ammette coloro che intendono diventare suoi mem-bri. Dio largisce loro la sua grazia, mentre si ma-nifesta pubblicamente il loro desiderio mediantequesta celebrazione e la Chiesa notifica la loroaccoglienza e la loro prima consacrazione.

Il rito dell’ammissione al catecumenato pre-vede questa domanda diretta al candidato,dopo la richiesta del suo nome (RICA 75).Risuona anche all’inizio della celebrazionedel battesimo dei bambini, ma in forma in-diretta, essendo rivolta ai genitori (RBB 37).Ad entrambe le domande si potrebbe rispon-dere: «La fede».Tale risposta può apparire oggi meno ovvia,quasi sorprendente. Infatti, nella misura incui la fede viene concepita come una sceltalibera individuale basata sul convincimentoche la persona ha maturato, la possibilitàdi giungere alla fede sembrerebbe tutta acarico del soggetto; alla Chiesa si potrebbechiedere, semmai, di impartire l’insegna-mento relativo a ciò che costituisce l’oggettodella fede. In realtà, questa deriva modernadella concezione della fede potrebbe esseresmascherata già da questo primo dialogo ri-tuale «non ovvio» tra il non battezzato e laChiesa.

10 Cf. SAN FRANCESCO D’ASSISI, Regula non bullata, 16.11 Cf. CONSIGLIO EPISCOPALE PERMANENTE, L’amore di Cristo ci sospinge, 7: Notiziario CEI 1999, 139-142.

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3. Ingresso nel catecumenato: “Dedomo Christi sunt”

18. Da questo momento infatti i catecumeni, chela Madre Chiesa circonda del suo affetto e delle suecure come già suoi figli e ad essa congiunti, ap-partengono alla famiglia di Cristo: infatti rice-vono dalla Chiesa il nutrimento della parola di Dioe sono sostenuti dall’aiuto della liturgia.

Se entriamo con verità nella fede della Chie-sa e ne viviamo consapevolmente la pie-nezza dei suoi segni sacramentali, siamoeducati dalla liturgia della Chiesa a fare nostriquegli atteggiamenti che sono stati descritti,sollecitati e esigiti nei confronti di molti nostrifratelli: l’accoglienza e l’annuncio.La Chiesa, attraverso i gesti della sua ma-nifestazione sacramentale, perché essa èsempre il Corpo di Cristo, si fa “madre” ditutti coloro che hanno cominciato ad espri-mere segni di interesse per la parola del Van-gelo, “li abbraccia come già suoi” (LG 2,14)ed essi potranno gioire delle cure materneche rispondono ai loro bisogni vitali.Questa accoglienza, questa familiarità, que-sta apertura del cuore e della casa, è espressadalle parole che sant’Agostino indirizzavaalla sua comunità perché fosse capace di ac-cogliere i nuovi fratelli e donare il Vangelo.Coloro che si aprono alla parola di Cristo,“segnati dalla croce di Cristo” sulla fronte,anche se non si assidono attorno alla mensa,sono della nostra famiglia, sono della “casadi Cristo”. “Non si può dire che non sononiente coloro che già appartengono alla gran-de casa di Cristo”, “de domo Christi sunt”21.

4. Catecumenato.Una vita a confronto

19. Il catecumenato è un periodo di tempo piuttostolungo, in cui i candidati rIcevono un’istruzione pa-

storale e sono impegnati in un’opportuna disciplina;in tal modo le disposizioni d’animo, da essi mani-festate all’ingresso nel catecumenato, sono portatea maturazione. Questo si ottiene attraversoquattro vie.

1. Una opportuna catechesi, … disposta per gradie presentata integralmente, adattata all’anno litur-gico e fondata sulle celebrazioni della Parola, portai catecumeni non solo a una conveniente cono-scenza dei dogmi e dei precetti, ma anche all’intimaconoscenza del mistero della salvezza, di cui de-siderano l’applicazione a se stessi.

2. Prendendo a poco a poco familiarità con l’eser-cizio della vita cristiana, aiutati dall’esempio e dal-l’assistenza … dei fedeli di tutta la comunità, “ineo-convertiti iniziano un itinerario spiritualein cui, trovandosi già per la fede in contatto con ilmistero della Morte e della Risurrezione, passanodall’uomo vecchio all’uomo nuovo che in Cristotrova la sua perfezione. Questo passaggio, cheimplica un progressivo cambiamento di men-talità e di costume, deve manifestarsi nellesue conseguenze di ordine sociale e svilup-parsi progressivamente nel tempo del catecu-menato. E poiché il Signore, in cui si ha fede, èsegno di contraddizione, non di rado chi si è con-vertito va incontro a crisi e a distacchi, ma anchea gioie che Dio generosamente concede”.

3. Nel loro itinerario i catecumeni sono aiutati dallaMadre Chiesa mediante appositi riti liturgici permezzo dei quali vanno progressivamente puri-ficandosi e sono sostenuti dalla benedizionedivina …

4. Poiché la vita della Chiesa è apostolica, i cate-cumeni imparino anche a collaborare attivamentealla evangelizzazione e all’edificazione della Chiesacon la testimonianza della loro vita e con la pro-fessione della loro fede.

Il tempo del catecumenato, come più volteè stato detto, è un percorso spirituale duranteil quale interagiscono diverse modalità diaccompagnamento della Chiesa: la parola,la preghiera, la disciplina interiore e l’espe-rienza della carità. Il catecumeno fa i propri

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La pastorale del catecumenato e l’accoglienza verso i migranti176

passi a fianco dei fedeli, ove si confrontacon i vissuti spirituali, ci si libera vicende-volmente dai pregiudizi che costituisconobarriere culturali e spirituali. In questa ac-coglienza fraterna vi è un termine di para-gone, una esperienza comune: si è inseritinella grande accoglienza che Dio ha versodi noi. Tutti i segni liturgici sono il “luogo”di questa comune esperienza.

5. L’iniziazione nel camminodella fede

La domanda che abbiamo evocato più sopra:«Che cosa chiedi alla Chiesa di Dio?», haquindi come risposta illuminante: «La fede».Va detto però che essa rivela tutto il suo va-lore nel caso dell’IC degli adulti, dove adessa segue evidentemente non l’immediatacelebrazione del battesimo, ma il catecume-nato12. Il rito fa emergere che la comunica-zione della fede, che ha il suo culmine nelmomento sacramentale, è sempre in con-nessione con un processo più ampio di tra-smissione e ricezione del Vangelo. La tra-smissione del Vangelo e la comunicazionedella fede sviluppano un nucleo centrale pre-sente fin dall’inizio del cammino. Sia il tem-po dell’evangelizzazione, sia il tempo delcatecumenato e dell’elezione, sia il tempodella mistagogia, seppure in modo diverso,sviluppano sempre quest’unico nucleo.

Ogni annuncio del Vangelo mira a suscitaree ad alimentare l’atto della fede, allo stessomodo la formazione offerta al catecumenocontiene in voto il momento sacramentale,in cui si celebra efficacemente, per il soggettovenuto alla fede, quell’evento che gli è stato

annunciato e che sostiene la sua fede. Ciòsignifica che la formazione catecumenaleha una forte valenza sacramentale. Nonpuò essere intesa come momento in cui sicomunicano solo cose da sapere o norme daosservare. E d’altra parte il momento sacra-mentale ha una forte valenza formativa,quella connessa con la costituzione del-l’identità credente della Chiesa. Non può ri-dursi a una semplice cerimonia esteriore eoccasionale.

La proclamazione della Parola e l’ascolto ri-presentano le condizioni originarie del sor-gere della fede. È essenziale quindi tornarea essere destinatari della Parola proclamataper diventare credenti. L’uomo che crede èsempre anche un uomo convertito dalla stes-sa Parola in cui crede. La parola di Dio nonè semplicemente di fronte all’uomo, ma ènell’uomo, e vi è in modo così efficace daspingerlo alla fede, e, quindi, a quella co-munione di fede che si manifesta nella co-munità celebrante. La fede dell’uomo è l’ul-timo atto della parola di Dio; la fede cele-brata è l’evento finale del rivelarsi di Dio.“Dio invisibile per il suo immenso amoreparla agli uomini come ad amici e si intrat-tiene con essi, per invitarli e ammetterli allacomunione con sé”.

6. L’ingresso nella storia di Dio cheparla attraverso la storia di tanti

22. Con il secondo grado dell’iniziazione cominciail tempo della purificazione e dell’illuminazione, de-stinato a una più intensa preparazione dello spiritoe del cuore. In questo grado la Chiesa fa l’”elezione”o scelta e ammissione dei catecumeni, che per le

12 Nella celebrazione del battesimo è stata introdotta prima del rito battesimale una liturgia della Parola, ulterioretestimonianza del cammino che precedeva il rito e che indica in ogni caso il contesto in cui prende significatola prassi sacramentale.

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La pastorale del catecumenato e l’accoglienza verso i migranti 177

loro disposizioni sono idonei a ricevere nella vicinacelebrazione i sacramenti dell’iniziazione. Si chiama“elezione” o scelta, perché l’ammissione, fattadalla Chiesa, si fonda sull’elezione o sceltaoperata da Dio, nel cui nome la Chiesa agisce; sichiama anche “iscrizione del nome” perché i can-didati, come pegno della loro fedeltà, iscrivono illoro nome nel libro degli eletti.

L’elezione o iscrizione del nome è un mo-mento forte nel cammino del catecumenato.Già il contesto è significativo. È la primavera esperienza d’incontro con la Chiesalocale, presente con il Vescovo, mentre staper iniziare il grande cammino quaresimaleverso la celebrazione dei misteri pasquali.Qui si coniugano due decisioni determinan-ti. La decisione misericordiosa di Dio chemediante la Chiesa, accoglie, sceglie, in-corpora più profondamente nel “Corpo dellaChiesa”, attraverso la elezione al Battesimo.Unitamente si esprime la decisione umile efiduciosa del catecumeno che iscrive il suonome in quel “libro della vita”, nel qualeci sarà un riconoscimento che giunge nel-l’eternità. La Chiesa accoglie la storia di ciascuno, ve-de nella sua vita una nuova ricchezza pertutta la comunità, e prega perché “questieletti, diventati figli della promessa, otten-gano per grazia ciò che non hanno potutoottenere con le loro forze”.

7. Sacramenti della Iniziazione Cristiana

18. Da questo momento infatti i catecumeni, chela Madre Chiesa circonda del suo affetto e delle suecure come già suoi figli e ad essa congiunti, ap-partengono alla famiglia di Cristo6: infatti rice-vono dalla Chiesa il nutrimento della parola di Dioe sono sostenuti dall’aiuto della liturgia.

È questo l’evento sacramentale, desiderato,preparato, atteso e qui pienamente donato.

La parola del Rituale ne da’ un preciso con-testo e ne svela tutta la ricchezza di grazia.

27. Questi sacramenti cioè il Battesimo, la Confer-mazione e l’Eucaristia, sono l’ultimo grado, com-piendo il quale gli eletti, ottenuta la remissione deipeccati, sono aggregati al popolo di Dio, rice-vono l’adozione a figli di Dio, sono introdottidallo Spirito Santo nel tempo del pieno com-pimento delle promesse e anche pregustanoil regno di Dio mediante il sacrificio e il ban-chetto eucaristico.

8. Mistagogia

235. Perché i primi passi dei neofiti siano più sicuri,è desiderabile che in tutte le circostanze siano aiu-tati premurosamente e amichevolmente dallacomunità dei fedeli, dai loro padrini e dai pastori.Ci si occupi con impegno per facilitare ad essi unpieno e sereno inserimento nella comunità.

236. Durante tutto il Tempo di Pasqua, nelle Messedomenicali, si riservino ai neofiti posti parti-colari tra i fedeli. Tutti i neofiti si impegnino apartecipare alle messe con i loro padrini. Nell’omeliae, secondo l’opportunità, anche nella preghiera deifedeli, si faccia riferimento ad essi.

238. È desiderabile che nell’anniversario del Bat-tesimo, i neofiti si ritrovino insieme per rin-graziare Dio, per comunicarsi le esperienzespirituali e per acquistare nuove energie peril loro cammino.

239. Per stabilire un rapporto pastorale con inuovi membri della sua Chiesa, il Vescovo,specialmente se non ha potuto presiedere di per-sona ai sacramenti dell’iniziazione, faccia in mododi incontrarsi con i neofiti almeno una volta al-l’anno per quanto possibile, e di presiedere alla ce-lebrazione dell’Eucaristia nella quale è lecita la co-munione sotto le due specie.

Il cammino iniziato insieme nella comunità,l’inserimento che si è compiuto mediante isacramenti non è pensabile che venga in-

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La pastorale del catecumenato e l’accoglienza verso i migranti178

terrotto, quasi cacciando il neofita in un ano-nimato ecclesiale, frutto forse di un anoni-mato che già si era manifestato durante ilcatecumenato. La mistagogia è il tempo dellastrutturazione delle relazioni ecclesiali e spi-rituali. Debbono essere consolidati i legamicomunitari, si tratta di dare quotidianità allaaccoglienza.

37. Dopo quest’ultimo grado, la comunità insie-me con i neofiti prosegue il suo cammino nellameditazione del Vangelo, nella partecipazione al-l’Eucaristia e nell’esercizio della carità, cogliendosempre meglio la profondità del mistero pasqualee traducendolo sempre più nella pratIca della vita.Questo è l’ultimo tempo dell’iniziazione cioè il tem-po della “mistagogia” dei neofiti.

39. La nuova e frequente partecipazione ai sacra-menti, se da un lato chiarisce l’intelligenza delleSacre Scritture, dall’altro accresce la conoscenzadegli uomini e l’esperienza della vita comu-nitaria, così che per i neofiti divengono piùfacili e più utili insieme i rapporti con glialtri fedeli. Perciò il tempo della mistagogia hauna importanza grandissima e consente ai neofiti,aiutati dai padrini, di stabilire più strettirapporti con i fedeli e di offrire loro una rin -novata visione della realtà e un impulso di vitanuova.

Nel contesto pastorale che vede la presenzarilevante di «ricomincianti» nella fede, è ne-

cessario sviluppare non solo una mistagogiadei riti dell’Iniziazione Cristiana, ma ancheuna mistagogia della vita quotidiana, ossial’arte di condurre dentro il vissuto umanoper scoprirne le aperture al Vangelo, gli ap-pelli alla grazia di cui è carico, ma anche lapresenza già operante dello Spirito, la qualitàcristiana di cui è capace. Ciò potrebbe favo-rire la scoperta che l’Iniziazione Cristianapuò veramente costituire la metafora vivadell’intera esistenza cristiana.

41. Il popolo di Dio, rappresentato dalla Chiesa lo-cale, dev’essere sempre convinto e deve mostrareconcretamente che l’iniziazione degli adulti è com-pito suo e impegno di tutti i battezzati15. Rispon-dendo alla sua vocazione apostolica, mostri dunquesempre la massima disponibilità a prestare aiutoa coloro che ricercano Cristo13.

L’idea e l’esperienza di iniziazione propostedal RICA suggeriscono che la Chiesa esistesolo come realtà dinamica che si realizzanella storia. L’iniziazione introduce in unacomunità di salvezza, nella Chiesa, ove si èchiamati a vivere la propria storia in confor-mità a Cristo. Il RICA traduce adeguatamentequesta comprensione in una forma che per-mette l’accoglienza e l’aggregazione di nuovicristiani alla Chiesa per via di un processo

13 Sono poi suggerite forme di condivisione lungo i diversi tempi del catecumenato. In particolare:1. Durante il tempo dell’evangelizzazione e del precatecumenato ricordino i fedeli che l’apostolato della Chiesae di tutti i suoi membri è diretto innanzitutto a manifestare al mondo con le parole e con i fatti il messaggio diCristo e a comunicare la sua grazia. Siano perciò pronti a mostrare lo spirito comunitario dei cristiani,ad accogliere i candidati nelle famiglie, a favorire incontri privati e anche in alcuni gruppi particolaridella comunità.2. Nel giorno dell’elezione, trattandosi della crescita di tutta la comunità, si prendano cura di rendere opportu-namente la loro giusta e prudente testimonianza sui catecumeni.3. Nel tempo della mistagogia … li circondino della loro carità e li aiutino, perché con sempre maggior gioiasentano di appartenere alla comunità dei battezzati.4. Il padrino, scelto dal catecumeno per il suo esempio, per le sue doti e per la sua amicizia, delegato dallacomunità cristiana locale e approvato dal sacerdote, accompagna il candidato nel giorno dell’elezione, nella ce-lebrazione dei sacramenti e nel tempo della mistagogia. È suo compito mostrare con amichevole familiaritàal catecumeno la pratica del Vangelo nella vita individuale e sociale, soccorrerlo nei dubbi e nelle ansietà,rendergli testimonianza e prendersi cura dello sviluppo della sua vita battesimale.

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La pastorale del catecumenato e l’accoglienza verso i migranti 179

«connaturale» ai misteri della salvezza cre-duti dalla fede e celebrati nei sacramenti.Così «la Chiesa aggrega a sé gli uomini permetterli in comunione con Cristo Salvatoree Signore; non li accaparra, non li isola,non li toglie dalla situazione umana, ma liaccoglie perché chiedono e vengono, ri-

spondendo alla sua proposta, affinché siimpegnino con essa ad annunciare e arealizzare il Regno di Dio nel mondo, li ri-spetta, li rinnova e li introduce nel movi-mento inaugurato da Cristo. Essi continua-no a fare storia e a operare per una salvezzastorica».14

14 R. FALSINI, L’iniziazione e i suoi sacramenti, Milano 1990, 49.

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Dott.ssa MONICA CUSINO

Il “Servizio Diocesano per l’Iniziazione cri-stiana degli adulti” di Torino, nato il 1°gennaio 1995, diventa, nel marzo 2001,“Servizio Diocesano per il Catecumenato”con un decreto emanato dal Cardinale Arci-vescovo Severino Poletto. Egli, considerando le due Note sull’Inizia-zione cristiana degli adulti e dei ragazzi, va-lutando l’esperienza acquisita dal Serviziodiocesano e riferendosi ai canoni 206.788.851e 865§1 del Codice di Diritto Canonico e aln. 66 dell’introduzione al Rito dell’Iniziazio-ne Cristiana degli Adulti, ha desiderato ade-guarne l’operatività alle concrete esigenzepastorali attuali.

Concretamente il Servizio diocesano forni-sce informazioni e propone orientamenti alleparrocchie e ad altre realtà ecclesiali comeAssociazioni, Movimenti, Istituti religiosi…per condurre i catecumeni ad una piena econsapevole sequela di Cristo, favorendonecosì l’inserimento nella Chiesa. Programma la formazione degli accompa-gnatori (di adulti e ragazzi) per metterli ingrado di aiutare i catecumeni ad acquisireuna mentalità cristiana e a coniugare la fedecon la vita quotidiana rispettando tutte ledimensioni dell’individuo e la sua matura-zione umana e spirituale.Favorisce l’inserimento di coloro che chie-dono il Battesimo nell’esperienza di una par-

rocchia ricercando, in collaborazione con iparroci, una coppia di accompagnatori.Concorda con le altre realtà ecclesiali even-tuali cammini al di fuori di quelli parrocchiali.Segue assiduamente gli accompagnatori, iparroci e, a volte, i padrini/madrine medianteincontri periodici durante il cammino di ini-ziazione cristiana e supplisce, attingendo adun “parco accompagnatori jolly”, a quelle co-munità cristiane che, per seri motivi, non so-no in grado di accompagnare i catecumeni.Sensibilizza i parroci e i laici dell’Arcidiocesisulla logica dell’itinerario catecumenale sen-za togliere i catecumeni dall’esperienza par-rocchiale, ma concordando con i parrocistessi, fin dall’inizio, un itinerario persona-lizzato che introduca gradualmente nella vitacristiana e parrocchiale.Gestisce direttamente alcuni momenti di ri-tiro e catechesi con il gruppo dei catecumenie programma le celebrazioni diocesane ri-chieste dall’Arcivescovo.Ultimamente segue anche la preparazionedei cammini di coloro che chiedono la Cre-sima in età adulta e di coloro che chiedonodi essere ammessi alla Piena Comunione conla Chiesa Cattolica.

Il Servizio Diocesano per il Catecumenato nonpuò essere un organismo che si regge auto-nomamente perché l‘itinerario catecumenale,per definizione, è un’esperienza globale  divita cristiana che implica tutte le dimensioni

Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 3

La pastorale del catecumenato e l’accoglienza verso i migranti180

IL CATECUMENATO DIOCESANO,LE SUE AZIONI E COLLABORAZIONI

CON ALTRI UFFICI PER UNA ACCOGLIENZA

“LA PASTORALE DEL CATECUMENATO

E L’ACCOGLIENZA VERSO I MIGRANTI”Dott.ssa Monica Cusino - Dott.ssa Daniela Canardi

Équipe diocesana per il Catecumenato - Torino

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Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

La pastorale del catecumenato e l’accoglienza verso i migranti 181

di essa, perciò ha bisogno che altri uffici dellaCuria mettano a disposizione esperti nelle va-rie discipline teologiche, nel dialogo ecume-nico, nell’accoglienza agli stranieri, per so-stenere gli accompagnatori a tenere il passodei catecumeni e per aiutarli a risolvere gliinfiniti problemi che inevitabilmente sorgono. Quindi, primariamente, collabora con l’UfficioLiturgico per chiarire il senso e il significatodei riti e dei sacramenti dell’iniziazione cristia-na e con l’Ufficio Catechistico per esplicitarei contenuti della fede. L’Ufficio Caritas, invece,interviene per chiarire che cos’è concretamentel’Amore cristiano e per dare indicazioni su co-me metterlo in pratica. Inoltre questo ufficio,con la sua rete capillare di Centri d’Ascolto,aiuta a superare la consuetudine di vederenello straniero, anche se catecumeno, soltantoil destinatario di beni e di servizi.

L’Ufficio Giovani è prezioso per la program-mazione e la conduzione di ESTATE RA-GAZZI che coinvolge una buona percentualedi bambini e ragazzi stranieri e l’Ufficio Mi-grantes rappresenta un aiuto e un riferi-mento per la cura e l’attenzione agli stranieriche rappresentano la percentuale maggioredei nostri catecumeni.Infine, ultimamente, si sta attuando anchela collaborazione con l’Ufficio Famiglia percurare l’aspetto della trasmissione della fedein famiglia quando tutti i suoi membri chie-dono di diventare cristiani.

* * *Dott.ssa DANIELA CANARDICome è stato detto, il Servizio per il Catecu-menato lavora in stretta collaborazione conla Migrantes e ogni mese è convocato unCoordinamento pastorale diocesano che riu-nisce i rappresentanti delle comunità etnichepresenti a Torino, del Servizio diocesano peril Catecumenato, degli enti e delle associa-

zioni che si occupano del mondo dell’immi-grazione, più o meno recente, dei giovanisia provenienti da altri Paesi, sia nati a To-rino e che ormai rappresentano la seconda(a volte terza) generazione e sono quindiitaliani per l’anagrafe, ma non sempre perla società che li circonda. Il problema più se-rio è che molti di questi giovani vivono nonsapendo più a quale cultura e religione ap-partengano e le conseguenze, che questanon-appartenenza causa nelle famiglie per-ché non riescono più a capire i propri figli,sono a volte gravi.

Per quanto riguarda l’orientamento del no-stro Servizio, si è passati in questi anni dalritenere utile che gli immigrati cattolici si in-serissero nelle parrocchie il più presto pos-sibile, al comprendere che l’inserimento (in-teso come partecipazione alla Liturgia, allacatechesi, ai sacramenti, ma anche ai servizinecessari in una comunità parrocchiale e aimomenti aggregativi), è un processo globaleche richiede anni; di qui la riscoperta del-l’utilità delle Cappellanie, delle comunità et-niche di appartenenza e delle aggregazioniper gruppi culturali e linguistici, che lungidall’essere dei ghetti, possono favorire l’in-tegrazione, intesa come “sentirsi parte atti-va” della società e anche della Chiesa. Resta il fatto che dopo 10/20 anni di immi-grazione massiccia, il numero di immigratidi prima e seconda generazione che frequen-tano le parrocchie, partecipando alle propo-ste parrocchiali, è molto esiguo. Su questobisogna riflettere molto. Significativa è la presenza di 7 stranieri negliultimi due CPD in rappresentanza delle pro-prie comunità.

A Torino sono presenti 19 comunità etnicheo di area culturale-linguistica (africani anglo-foni e francofoni, ad es.); alcune strutturate

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ANNO CATECUMENI BATTEZZATI ITALIANI STRANIERI PROVENIENZA

2007 71 28 43 22 ALBANIA2 FRANCIA4 COSTA D’AVORIO1 MAROCCO3 PERÙ1 SOMALIA1 COREA1 EGITTO/ITALIA1 MAROCCO/ITALIA2 NIGERIA2 CAMEROUN1 MOLDAVIA1 SLOVACCHIA

2008 52 23 28 14 ALBANIA1 GERMANIA2 MAROCCO/ITALIA4 PERÙ3 NIGERIA1 CAMEROUN1 COSTA D’AVORIO1 CUBA

2009 56 29 27 10 ALBANIA8 NIGERIA2 PERÙ1 CUBA1 REP.CENTROAFRIC1 CINA1 SLOVACCHIA1 MOLDAVIA1 GIAPPONE/ITALIA1 BRASILE

Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 3

La pastorale del catecumenato e l’accoglienza verso i migranti182

in Cappellanie per la rilevante presenza o per-ché presenti da più anni sul territorio. Le Cap-pellanie sono tre: una fa capo alla chiesa dis. Rocco, affidata a don Fredo Olivero, diret-tore della Migrantes, una è per la comunitàrumena e l’altra per la comunità filippina. È notevole anche lo sforzo ecumenico ver-so i cristiani ortodossi, copti ed evangelici.La Diocesi ha concesso tre chiese agli or-todossi, due utilizzate per le comunità ru-

mene e per la comunità russa, e la terzaai copti egiziani.Da una decina di anni, vi è un folto gruppodi preghiera definito “ecumenico”, compo-sto soprattutto da nigeriani di diverse con-fessioni cristiane che seguono un percorsodi formazione e di fede. La scorsa Pasquahanno ricevuto i sacramenti dell’iniziazio-ne cristiana 7 persone di questo gruppo,tra cui una ragazza italiana.

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Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

La pastorale del catecumenato e l’accoglienza verso i migranti 183

2010 54 26 28 9 ALBANIA9 NIGERIA2 CAMEROUN2 PERÙ1 EGITTO1 CINA1 COSTA D’AVORIO1 VENEZUELA1 CUBA1 CILE

ANNO CATECUMENI BATTEZZATI ITALIANI STRANIERI PROVENIENZA

Guardando i numeri che si riferiscono agliultimi quattro anni, notiamo subito che ilnumero dei catecumeni che raggiungonoogni anno, dopo il cammino previsto, il Bat-tesimo sono dai 50 ai 70. La cifra può sem-brare poco rilevante, soprattutto se si con-sidera lo sforzo e il coinvolgimento delle per-sone che se ne occupano.Bisogna tenere conto che sono molti i ca-tecumeni, soprattutto stranieri, che abban-donano il cammino per motivi di cambio diresidenza, o di difficoltà di vita, o che nonhanno i requisiti previsti, ad esempio persituazioni matrimoniali non regolari e nonsanabili. Nel caso di cambio di residenza i catecu-meni vengono aiutati ad inserirsi nella nuo-va realtà; normalmente il Servizio Diocesa-no, direttamente o tramite gli accompagna-tori, prende contatti con la parrocchia dipertinenza perché non interrompano la for-mazione. Dei battezzati, una metà abbondante sonostranieri (a parte il 2007, anno boom del-l’immigrazione dall’Albania, in cui gli stra-nieri erano 2/3).Gli albanesi continuano ad essere i più nu-merosi, seguiti dagli africani provenienti inmassima parte dalla Nigeria e dalla Costad’Avorio.

Sono rari i catecumeni peruviani, perchéprovengono da un paese cristiano e trovanoa Torino diverse comunità ben organizzateper seguirli anche nel cammino di fede, selo desiderano. Stessa situazione per i rumeni: anzi non èraro che un rumeno ortodosso chieda il ri-congiungimento alla Chiesa cattolica, anchese non sono assolutamente sollecitati a farlo. Anche dalla comunità filippina sono rarissi-mi i catecumeni, per lo stesso motivo.Una delle difficoltà che rileviamo è quella diriuscire ad adeguare il metodo e il linguaggiodei catechisti-accompagnatori alle diverseculture per evitare il più possibile che il mes-saggio “non passi”. In alcuni gruppi abba-stanza omogenei, di solito africani, grazieall’esperienza di sacerdoti della medesimaprovenienza o di missionari/e che ne ab-biano fatto esperienza sul posto, si utilizzail metodo di catecumenato locale, ovvia-mente però mantenendo il calendario dioce-sano, gli scambi con le parrocchie ed i mo-menti comuni (ritiri, ecc.).Altro grosso scoglio è ciò che si verifica dopola celebrazione dei sacramenti dell’iniziazio-ne cristiana: il periodo della mistagogia equello che segue. Possiamo dire che là dovele comunità si sono prese cura dei catecu-meni durante il cammino, normalmente non

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ELENCO RELATIVO ALL’ANNO DI NASCITA DEI CATECUMENI ADULTI BATTEZZATI

2007 4 nati negli anni 504 6028 7027 803 90Non sono conteggiati i figli minori battezzati insieme ai genitori

2008 2 nati negli anni 503 6019 7023 805 90I più giovani rientrano nella fascia 7-14 anni

2009 1 nato negli anni 508 6015 7024 808 90I più giovani rientrano nella fascia 7-14 anni

2010 2 nati negli anni 5017 7032 804 90Non sono conteggiati i figli minori battezzati insieme ai genitori

Osservazioni: La fascia d’età più rap-presentata è quella dei 20-30enni, anchese non manca una forte rappresentanzadi persone sui 40 anni, sia per gli italiani

Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 3

La pastorale del catecumenato e l’accoglienza verso i migranti184

ci sono problemi di inserimento: l’esperienzanella comunità prosegue e addirittura ci sonostati catecumeni stranieri che poi sono di-ventati a loro volta accompagnatori. Questoè il nostro sogno. Ma queste felici realtà non costituiscono lanorma e nemmeno la maggioranza delle si-tuazioni. I fedeli vanno educati all’accoglien-

za soprattutto degli stranieri, resi attivi inun ruolo che non può essere lasciato soloalla buona volontà di alcuni, ma dev’esserefrutto di una riflessione comunitaria e di“conversione pastorale”, superando la con-suetudine di vedere nello straniero, anchese catecumeno, o battezzato, soltanto il de-stinatario di beni e servizi.

che per gli stranieri. Dipende dai percorsidi vita.Ogni anno sono 3 o 4 i nuclei interi di fa-miglie straniere che chiedono il Battesimo.

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Introduzione

L’India ha avuto sempre un buon rapportocon l’antica Roma. Gli storici ci propongonouna sottolineatura discretamente approssi-mativa sulle relazioni commerciali tra l’an-tico impero romano e l’India. I romani im-portavano, infatti, il pepe ed altre spezie.Questo rapporto continua anche oggi. Attraverso questa relazione desidero presen-tare una breve descrizione della sensibilitàreligiosa dei cattolici indiani immigrati chevivono in Italia.

Descrizione socio-religiosa in Italia

L’India è uno dei tre più grandi Paesi da cuipartono i migranti. Una particolarità che vo-glio sottolineare è che questi, non proven-gono dalle zone più povere, ma da quellepiù solide economicamente e culturalmente.Per esempio molti degli emigranti che si re-cano nei Paesi arabi provengono dal Kerala,Tamil Nadu, Andhra Pradesch e Punjab. Èda notare che nel Kerala, l’emigrazione es-sendo molto numerosa, ha comportato unanotevole riduzione della disoccupazione tan-to da essere considerato l’effetto a livellocomunitario più che a livello nazionale.1

Volendo fare una classifica tra gli immigratiin Italia, possiamo sostenere che quelli in-diani sono al nono posto rispetto alle altrecomunità straniere. L’immigrazione degli In-diani in Italia è un fenomeno relativamenterecente iniziato nei primissimi anni del 1900ed è andato progressivamente aumentando.La maggior parte degli Indiani si sono sta-biliti nelle aziende agricole del centro e nordItalia propendendo più per i lavori agricoliche per quelli industriali.

Stimare un numero preciso di Indiani pre-senti sul territorio italiano è molto difficile acausa della situazione irregolare di molti im-migrati. In un’indagine statistica si nota chegli immigrati Indiani con regolare permessodi soggiorno in Italia, sono in continuo in-cremento. Il dato rilevato dalle varie stati-stiche nel 2009 conta 109.427 Indiani re-golari residenti in Italia; a questi ne vannoaggiunti, 17.572 che hanno già presentatodomanda di regolarizzazione a settembre20082 e il 5,96% che sta avviando le pra-tiche. Ad oggi il numero è molto più elevato,considerando i nuovi arrivi nel territorio ita-liano.3 Per il momento gli Indiani regolaripresenti in Italia4 sono più di 110.000 e peravere i dati esatti bisognerebbe aggiungereanche quelli irregolari con pratiche in corsodi perfezionamento.

LA SENSIBILITÀ RELIGIOSADELLE ETNIE PRESENTI IN ITALIA (INDIA)

Don Antoney George Pattaparambil, Cappellano etnico,Coordinatore Nazionale Comunità Indiana

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1 Cfr. THE UNITED NATIONS DEVELOPMENT PROGRAMME, Human Development Report 2009, Overcoming barriers:Human Mobility and Development, New York 2009, 3.2 www.interno.it accesso novembre 2009.3 È valutato che solo nel 2008, in Italia sono entrati 12.226 Indiani: CARITAS/MIGRANTES, Immigrazione DossierStatistico 2009 XIX Rapporto, 80.4 Nel contesto Europeo, è valutato che nel 2005 c’erano 6-15% immigrati irregolari rispetto al numero totaledegli immigrati e circa l’1% rispetto alla popolazione dell’Unione Europea. Cfr. THE UNITED NATIONS DEVELOPMENT

PROGRAMME, Human Development Report 2009, 27.

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Situazione religiosa

La maggior parte degli immigrati indiani ap-partengono alle religioni: Sikh, Hindu e Cat-tolica. Gli Indiani cristiani in Italia sono Cat-tolici, Protestanti e non Cattolici. Una tradi-zione antichissima fa risalire le origini delCristianesimo in India alla predicazione degliapostoli Tommaso e Bartolomeo. La Chiesa Cattolica comprende la Chiesa La-tina e 22 Chiese Orientali. In India i riti cat-tolici sono tre: quello Latino, Siro-Malaba-rese5 e Siro-Malankarese6, ognuno con ca-ratteristiche particolari di culto, espressionespirituale e disciplina teologica. Accanto aquesti sono presenti gruppi non cattolici ap-partenenti alla Chiesa Giacobita e a varigruppi protestanti.In Italia attualmente sono riconosciute solodue comunità Cattoliche Indiane7 con i loroCappellani e Coordinatori Nazionali che han-no ottenuto l’incarico dalla Chiesa e sono:la comunità Siro-Malabarese e la comunitàdi rito latino di Kerala. Di queste ultime ne

esistono anche altre che non sono ricono-sciute a causa della mancanza di un Cap-pellano o del disinteresse dei fedeli. Tra que-ste vanno menzionate, in modo particolare,i Cattolici che parlano Hindi ed i Cattoliciche si sono convertiti dalla religione Sikhprovenienti dal Punjab e i Cattolici di linguaTamil.

Quale ricerca verso un riferimentoreligioso si trova da parte di chi vienein Italia? Quali reazioni si riscontranodi fronte alla religiosità vissuta inItalia?

La maggior parte degli Indiani sono moltopraticanti e vivono la religione con la stessaintensità che nel loro Paese, anche nono-stante l’indifferenza religiosa di molti Italiani.Ne è prova l’esistenza di luoghi di incontroper culto e preghiera, Templi della religionehindu, “gurudwaras”8, diverse Associazioni9

religiose e culturali ed altri Centri per gli im-migrati Cattolici. I Cattolici indiani frequen-tano sia le Parrocchie territoriali in cui vivo-no, sia le Chiese della loro comunità etnica.

5 Secondo la tradizione, la Chiesa siro-malabarese è una Chiesa Apostolica fondata da S. Tommaso l’Apostolo.La prima comunità cristiana in India si è identificata come “Cristiani di S. Tommaso”. Dal diciannovesimo secoloin poi questa chiesa viene descritta come Chiesa Syro-Malabarese nei documenti della Curia Romana. Attualmenteci sono cinque arcidiocesi e 13 diocesi nel proprio territorio della Chiesa Arcivescovile e 11 diocesi al di fuori.Ci sono 3.674.115 fedeli, tra questi 7.252 sacerdoti (3.716 diocesani e 4.740 religiosi) e 36.611 religiose.6 La Chiesa siro-malankarese è fondata, secondo la tradizione, sulla base della predicazione dell’apostoloTommaso. Si è divisa dalla chiesa di Malankara Orthodox Syrian nel 1930 ed è entrata in comunione con laChiesa Cattolica. Nel 2005 è stata elevata a Chiesa maggiore arcivescovile. Attualmente ha otto diocesi e 500.000fedeli.7 La scarsità di uno studio sufficiente sugli immigrati Cattolici indiani in Italia, ha portato a fare un’indaginecondotta dall’autore stesso nel periodo giugno-agosto 2010. D’ora in poi riferiremo di questa indagine con l’ab-breviazione SICMI 2010 (Survey Indian Catholic Migrants in Italy 2010).8 Il tempio Sikh viene chiamato ‘Gurudwara’, che significa ‘casa del maestro’. Gurudwara prende un ruolo moltoimportante nella vita degli immigrati sikh. Per loro ‘Gurudwara’ non è solo un luogo per il culto e la preghierama è la possibilità di incontrarsi tra loro e mantenersi così in contatto. Cfr. A. SPERANZA, “A casa lontano dacasa”. La comunità sikh nell’Agro Pontino”, nella CARITAS DI ROMA in collaborazione con la CAMERA DI COMMERCIO

E PROVINCIA DI ROMA, Osservatorio Romano sulle Migrazioni, Sesto Rapporto, Edizioni IDOS, Roma 2010, 108.9 Alcune loro Associazioni sono: Associazone Lavoratori Indiani del Kerala (ALIK) in Roma, AssociazioneIndiani Keralesi nelle Marche (AIKM), The Indian Malayalee Cultural Association of Milan (IMCAM), UnioneInduista Italiana e Unione dei Preti, Suore e Seminaristi (IPSU).

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La maggior parte (76,07%) dei Cattolici in-diani si sono ben integrati con la cultura ita-liana eccetto un piccolo gruppo (1,21%) chenon frequenta le Parrocchie sentondosi a di-sagio ed avvertendo una sensazione di “raz-zismo”. Una delle problematiche per l’inte-grazione degli Indiani è la diversità culturaledella società italiana che si riflette anchenell’ambito religioso. Una delle cose chemaggiormente lascia esterefatto un Indianoappena arrivato in Italia, è il comportamentoeccessivamente disinvolto degli Italianinell’ambito della vita privata, come ad esem-pio il comportamento sessuale, la mancanzadi rispetto verso gli anziani e gli insegnanti

che sono in contatto con loro nella vita ditutti i giorni.

Con quali forme e segni si manifesta laloro religiosità?

Una forte maggioranza di Cattolici indianifrequenta regolarmente sia la Messa dome-nicale che quella dei giorni festivi presso leChiese italiane (25%) o presso le Chiese pergli immigrati (74,57%). Quanto sopradetto è meglio specificato conle tabelle sotto indicate:Oltre a frequentare la loro comunità, i Cat-tolici indiani dimostrano la loro religiosità at-

10 SICMI 201011 Ibid.

PARTECIPAZIONE DEGLI IMMIGRATI CATTOLICI INDIANI NELLE CHIESE ITALIANE10

Coloro che frequentano le Chiese italiane durante la celebrazione domenicalee nei giorni festivi 25%I motivi della frequenza presso le Chiese locali italianeColoro a cui piace di più la messa in lingua italiana 11,11%Non c’è una chiesa etnica vicina alla propria residenza 63,89%Lontananza della chiesa etnica del gruppo 25%Diversi modi di partecipazione nella Chiesa italianaCoro 0%Catechismo 2,78%Consiglio parrocchiale 0%Volontariato 7,07%

IMMIGRATI CATTOLICI INDIANI E LE LORO CHIESE IN ITALIA11

Coloro che frequentano la Chiesa della loro comunità etnica nei giornifestivi e domenicali 74,57%I motivi per la frequenza della loro comunità etnicaColoro a cui piace partecipare alla messa nella lingua madre 83,75%Per incontrare tanti altri connazionali 5,98%La difficoltà nella comprensione della lingua italiana 6,84%

Tabella 1

Tabella 2

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traverso una viva presenza nella Parrocchia,celebrando la loro festa tradizionale come adesempio quella di San Tommaso Ap. (Comu-nità Siro-Malabarese), di San Francesco Sa-verio (Rito Latino del Kerala) ed atre festenazionali come l’Onam. Inoltre organizzanopellegrinaggi verso vari Santuari tra cui quellidel Divino Amore, Lourdes, ecc.È molto consistente anche la partecipazionenella sfera catechetica presso le Chiese ita-liane. Una minoranza degli studenti indiani(2,78%)12 partecipa regolarmente alla SantaMessa, al Catechismo ed alla formazione re-ligiosa accompagnati dai genitori. In questocontesto non possiamo ignorare però la vivapresenza e la partecipazione di JesusYouth13, movimento portato avanti da ungruppo di giovani immigrati indiani. Tra que-sti ultimi che partecipano attivamente nellachiesa italiana, ci sono tanti studenti uni-versitari, la maggior parte dei quali sacerdoti,suore, seminaristi e studenti che frequentanoscuole di istruzione superiore e corsi infer-mieristici. Va ricordata inoltre la grande di-sponibilità delle donne consacrate coinvoltenei servizi liturgici e di catechesi nelle Par-rocchie italiane.

Come è accolta l’etica Cristiana a livellopersonale?

Pur essendo vero che gli Indiani vengonoin Italia per motivi economici è altrettantovero che la maggioranza di loro conserva lafede che hanno ricevuto dai loro antenati.Da una ricerca svolta dall’autore risulta chesolo lo 0,43% degli Indiani non partecipaalla Santa Messa domenicale e a quella deigiorni festivi, mentre tutti gli altri sono pre-

senti con assiduità ai riti spirituali, quali lacelebrazione dei Sacramenti ed altre pie de-vozioni, (ad esempio quasi ogni giorno dellasettimana se ne possono vedere tanti chepercorrono la Scala Santa di Roma).

Conclusione

In Italia la comunità degli immigrati Cattoliciindiani è stata riconosciuta ufficialmente dal-la Chiesa che si prodiga al massimo per farliintegrare, per aiutarli e sostenerli nella fede.La Fondazione Migrantes ed i vari Uffici pa-storali per la cura degli immigrati, offrono unprezioso aiuto per creare un ambiente moltoattivo per l’integrazione con le altre Comunitàecclesiali. Purtroppo al di là di questi organiufficiali della Chiesa, per la comunità indianaè difficile essere accettata da altri membri; cisono alcuni Parroci (fortunatamente pochi)che considerano gli immigrati “stranieri fa-stidiosi” e di conseguenza li emarginano. Le chiese per i migranti cattolici, nell’ambi-to della visione ed insegnamento della Chie-sa, sono istituzioni temporanee che accol-gono i migranti appena arrivati e poi manmano li aiuta ad inserirli pienamentene nelleparrocchie territoriali. Tutti coloro che han-no assunto incarico degli immigrati dovreb-bero aiutare tutti i migranti,  affinchè si pos-sa  vivere come “un cuor solo e un’animasola” unitamente  alle parrochie italiane.Quanto però le chiese per i migranti cattoliciin Italia vogliano raggiungere questo obiet-tivo  è difficile da comprendere e ciò com-porta  un’ampia discussione!

12 Ibid.13 È un movimento missionario al servizio della Chiesa. L’inizio del movimento è avvenuto nel Kerala (India)negli anni ’80. Gradualmente questo movimento è stato diffuso in varie zone dell’India. Oggi Jesus Youth è statoesteso attraverso una rete di servizi in quasi 22 Paesi del mondo. Per approfondire è possibile visitare il sito:http//:www.jesusyouth.org/

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Breve excursus sul retroscenareligioso dell’etnia albanese

L’interesse religioso degli immigrati albanesinecessita di uno studio particolare perchésottopone alla nostra attenzione diversi ele-menti utili ad un lavoro pastorale dove l’an-nuncio cristiano deve tener conto delle tra-dizioni religiose di questo popolo e del re-cente retroscena storico e culturale.É infatti noto che l’Albania sia terra evan-gelizzata da S. Paolo e che abbia avuto unfiorente sviluppo anche sotto diverse domi-nazioni di cultura e religione diversa chehanno tentato di offuscare il volto cristianodi questo popolo, ma è altrettanto noto chegli ultimi cinquant’anni di comunismo han-no, con brutale forza, tentato di cancellarenelle nuove generazioni ogni riferimento alsoprannaturale.

Volendo, quindi, fare un breve excursus sto-rico sulla religione in Albania, per poter me-glio comprendere la sensibilità religiosa diquesta etnia, si rileva che gli antichi hannosempre affermato che quello albanese eraun popolo più guerriero che religioso e chela vera religione degli albanesi era nella fie-rezza, nella lealtà della parola data, nel sen-so dell’onore, nell’attaccamento alle tradi-zioni, insomma era una religione del carat-tere e del temperamento. Sul fenomeno, poi,del nazionalismo le religioni albanesi nonincontravano solo un rilevante fenomenoculturale e sociale con cui misurarsi, bensiuna vera e propria religione alternativa euna fede concorrente. Si trattava per l’ap-

punto della “divinizzazione” dell’identità al-banese, acuito dalle continue aggressioni eminacce subite da parte dei popoli limitrofi. Nel corso del regime comunista viene con-dotta una costante lotta contro le religioni,che tocca l’apice nel 1967 e negli anni suc-cessivi, con il divieto di qualsiasi pratica re-ligiosa. Al tramonto del regime la società al-banese è ampiamente secolarizzata. L’edu-cazione all’ateismo ha inciso nella società,creando generazioni lontane non solo dallapratica ma anche dalla sensibilità e cono-scenza religiosa. Tuttavia nelle famiglie si èconservata la memoria dell’appartenenza re-ligiosa che c’era prima del 1967 o prima del1945. L’ignoranza in tema di religione èprofonda e diffusa in tutti gli strati sociali.Eliminato il clero o fisicamente impedito daogni attività, soltanto gli anziani hanno tra-smesso qualche conoscenza religiosa nellefamiglie, spesso non più della memoria diun Dio e del significato di qualche nome cri-stiano o islamico.

Delicatezza e pazienza devono pertanto es-sere alla base del lavoro per un veloce re-cupero degli elementi spirituali e del loro es-sere persone e famiglie inserite in rapportocon la nostra cultura religiosa.L’interculturalità è quindi la parola chiaveche deve accompagnare gli operatori pasto-rali, le comunità parrocchiali e diocesane ele iniziative interdiocesane dove il percorsodi accoglienza dovrà tener conto della cultura,lingua e tradizioni religiose, di abitudini enecessità materiali e del confuso concetto im-perante che il progresso è corsa al denaro.

LA SENSIBILITÀ RELIGIOSADELL’ETNIA ALBANESE PRESENTE IN ITALIADon Pasquale Ferraro, Cappellano etnico, Coordinatore Nazionale Comunità Albanese

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Negli operatori pastorali incontrati nelle vi-site alle diocesi queste osservazioni sono ingenere attuate, anzi in molte realtà si notaanche che le comunità albanesi sono staterese discretamente autonome, capaci di dareseriamente il loro esempio di vita cristianaarricchendo le comunità italiane di freschez-za e forza di fede.

Riflessioni su alcuni aspetti di vitapastorale

La pastorale a favore dell’etnia albanese nonin tutte le diocesi segue lo stesso schema.In alcune è attenta e puntuale, in altre è piùaffidata alla disponibilità di una o più per-sone senza coinvolgere la comunità nellasua interezza. Un confronto di strategie pastorali tra par-rocchie, diocesi potrebbe sicuramente favo-rire il lavoro dell’ufficio diocesano della Mi-grantes, nonché il lavoro del Coordinatoreche spesso non riesce a rendere visibile conla sua persona il complesso sistema dell’at-tenzione al migrante.A mio avviso nei centri missionari diocesaninon è raro constatare che il lavoro di acco-glienza e programmazione catechetica siaaffidata ad un sacerdote senza un gruppo dicollaboratori.Sembra più volte che nel rapporto ‘italiano-straniero’ non ci sia una vera consapevo-lezza e attenzione circa la presenza di mi-granti non cristiani e che quindi vada recu-perata la necessità di una testimonianza piùautentica che possa superare il pregiudizioed aprire all’annuncio. Non in tutte le cittàsi fa un lavoro di sensibilizzazione verso lostraniero, anzi a volte si trovano comunitàdove gli albanesi sono etichettati come per-sone miscredenti o semplicemente musul-mane, o comunque di troppo.

Le difficoltà incontrate sono spesso dovutealla necessità di avere un sacerdote che pe-riodicamente faccia catechesi e celebrazioniin lingua albanese. Come ho già detto al-l’incontro tenutosi alla sede Migrantes coni vescovi della Conferenza episcopale alba-nese nel maggio 2008, in occasione dellaloro visita ad limina con il Santo Padre, so-no sicuro che gli obiettivi da noi prefissatipotranno realizzarsi soltanto se l’episcopatoalbanese nell’inviare in Italia i giovani sa-cerdoti per completare i loro studi li impe-gneranno a curare anche le molteplici co-munità che si sono formate e che sentonoormai l’esigenza di una pastorale legata aduno stile proprio. È necessario, quindi, primadi tutto che i vescovi albanesi prendanosempre più coscienza che il gran numero dicomunità richiede una pastorale più artico-lata, che necessita di sacerdoti missionariche provengano dalla stessa Albania e ren-dano un servizio adatto a ricucire quei le-gami che a nessun altro possono essere af-fidati.Molto sentita è la necessità di avere dei testiin lingua che possano essere spiegazionedottrinale e legame con le proprie tradizionireligiose, che sappiano, cioè, valorizzarel’uomo davanti a Dio nella propria lingua.

Sussidi pastorali per le comunitàcattoliche albanesi in Italia.

La Migrantes ha voluto affidare al coordi-namento albanese come primo sussidio laBibbia. Si è potuto mettere a disposizionedelle comunità albanesi e di singoli che nefacessero richiesta un elegante volume, innumero di 5000 copie, contenente i quattroVangeli, gli Atti degli Apostoli, i Proverbi ei Salmi. Questo perché ci è parso fondamen-tale aiutare coloro che si accostano alla fede

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a prendere familiarità direttamente con laParola di Dio. L’ideale che ci siamo prefissatoè quello di disporre di una versione bilinguedella Bibbia, in modo da poter favorire ilcontatto sia in albanese che in italiano e ilconfronto fra i due modi espressivi, dato chei lettori appartengono a due lingue e dueculture, una delle quali guarda al passato,l’altra al futuro, ambedue s’incontrano nelpresente della loro vita cristiana”. Oggi, an-che se in parte, possiamo dire che non è piùun ideale perché, grazie ad un sussidio dellaCaritas Italiana, è stato pubblicato dalla So-cietà Biblica un’edizione diglotta ( albane-se-italiano) del Vangelo secondo GiovanniQuesto bilinguismo, invece, si è riusciti arealizzarlo già da qualche anno per la cate-chesi, grazie al volumetto tascabile: “Spie-gazione facile della dottrina cristiana”.L’utilità di questo catechismo sta soprattutto:• nel concentrare in frasi semplici e facil-

mente memorizzabili l’essenziale delladottrina cristiana;

• nel confronto fra le due lingue grazie alquale si fa più sicura l’assimilazione cor-retta del messaggio, nonché la sua tra-smissione in un ambiente connotato dadoppia lingua e cultura;

• nel facilitare il lavoro dei catechisti chetalvolta sono italiani, talvolta sono alba-nesi e degli stessi catechizzanti che pos-sono avere frequenti occasioni di portareil discorso su materie religiose con altriconnazionali, con parenti e con i loro stes-si figli;

• nel garantire la conservazione del patri-monio religioso acquisito, una volta chetornassero in patria, dove la lingua abi-tuale non sarà più quella italiana”.

Il terzo sussidio consiste in una raccolta dicirca 186 canti religiosi e liturgici, in mag-

gioranza in lingua albanese, necessari peranimare e rendere partecipate le celebrazioni.Anche questo tipo di strumento non è rece-pibile sul mercato; nella stessa Albania, co-me si sa, il più delle volte circolano fogli vo-lanti e piccoli fascicoli, non una collezionedecorosa, razionale e ben selezionata. Questo sussidio, che è costato una lunga epaziente fatica, completa così una trilogiache è stato per tutti un grande gesto da partedella Chiesa italiana che incoraggia e man-tiene vivo il senso di appartenenza etnica edà concretezza all’espressione che “NellaChiesa di Cristo nessuno è straniero”.

L’integrazione ecclesialedegli immigrati albanesi in Italia

Gli albanesi immigrati in Italia, che io visitoper un coordinamento nella pastorale, vivo-no i disagi di una realtà non sempre dispostaall’accoglienza.Moltissimi albanesi hanno comunque avutola gioia di trovare nel loro cammino personeche “sognano ad occhi aperti” come dicevaappunto don Tonino Bello ed hanno accoltonelle loro realtà parrocchiali l’uomo emigratoda veri samaritani indicando a tutti con laloro testimonianza la via a Cristo.Quest’accoglienza, nonché i sussidi pubbli-cati, che ci sono stati di grande aiuto per illavoro pastorale svolto, hanno fatto sì chemolti albanesi riscoprissero quì in Italia leloro radici cristiane. L’etnia albanese, infatti,tra tutte le etnie presenti in Italia è quellache vanta un maggior numero di richiesteper la preparazione al cammino di iniziazio-ne alla fede; da statistiche nazionali si puòconstatare che in questi ultimi anni circadue terzi dei sacramenti dell’iniziazione cri-stiana sono stati somministrati agli albanesiadulti. E in questa dimensione religiosa si

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manifesta vivo negli albanesi anche il desi-derio di riscoprire la loro vera autenticità,annullata violentemente durante i 50 annidi regime comunista, intesa come volontàdi recuperare la propria identità sia culturaleche religiosa, di manifestare e far riconoscerela propria dignità umana, le risorse culturalie civili e la capacità di inserimento positivonella nostra società, come cittadini tra i cit-tadini nella piena legalità.

L’inserimento dell’emigrato nelle realtà ec-clesiali italiane e il mantenimento del suospecifico caratterizzante è stato particolar-mente curato con una sensibilità pastoraleche è andata sempre più affinandosi, proprioperché nel mio cammino di ricerca ho in-contrato dei veri pionieri di carità che hannolavorato in questa direzione. Ascoltare edAgire nella semplicità del quotidiano sonostati e sono tuttora i verbi coniugati dal-l’amore per gli albanesi di qualche anzianosacerdote che si è fatto coinquilino con piùdi un centinaio di giovani , accolti nella suacanonica, aiutati in ogni modo, consigliati eospitati per lunghi periodi. Mirabili esempiquesti tra tanti che hanno segnato la vitadegli amici albanesi, perché hanno fatto gu-stare la gioia dell’accoglienza della nostragente verso coloro che si sono affacciati periniziare una nuova vita lontani da casa efra mille difficoltà di diversa natura.

L’inserimento nella comunità ecclesiale, ilfare comunione per l’immigrato albaneseha aiutato anche a superare quel senso disfiducia nell’altro, che in Albania avevacausato il sistema politico totalitario. Gli ani-mi, sconvolti dalla paura, erano spronatiall’individualismo come unica speranza divita per evitare malintesi e pregiudizi sullapropria persona, soprattutto se appartenentiad una conclamata famiglia con una tradi-

zione cristiana. Ricevere i sacramenti per inostri immigrati è perciò da inquadrare inuna cornice più ampia di rinascita in tantisensi, che gli operatori pastorali e soprat-tutto i responsabili diocesani per il catecu-menato non possono non tener conto pro-ponendo dinamiche pastorali che abbianoal centro l’uomo emigrato con il suo parti-colare e specifico retroscena storico, l’inse-rimento nel nuovo tessuto sociale con ilquale non è sempre facile confrontarsi enello stesso tempo la valorizzazione delletradizioni culturali del paese di origine, chenon può e non deve scomparire, perché faparte della propria identità. Quando questeattenzioni non mancano nei confronti degliimmigrati e il senso cristiano dell’amore di-viene il progetto di vita della comunità, si-curamente la testimonianza sarà senza bar-riere, fuori da schemi burocratici precostituitiche più volte, da come constato con dispia-cere nel mio lavoro pastorale di coordina-mento nazionale, determinano l’allontana-mento dei catecumeni più che coinvolgerliall’interno delle comunità.

In particolare, per quanto riguarda l’inseri-mento ecclesiale dell’etnia albanese, le no-vità riguardano innanzitutto il regolare ser-vizio liturgico in lingua albanese, a cui pren-dono parte gruppi di giovani e nuove fami-glie da poco costituite, tanto che ormai siaggiornano con regolarità i registri per i sa-cramenti dell’iniziazione cristiana e dei ma-trimoni; l’annuale pellegrinaggio nazionalealla Madonna del Buon Consiglio a Genaz-zano (RM), come quello regionale del Pie-monte a Castiglione Tinella (CN) sono deglieventi a cui partecipano centinaia di albanesie diventano così un’occasione di incontroper pregare e far festa tra parenti e cono-scenti che vivono in più parti d’Italia e tracoloro che provengono dalla stessa Albania.

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In conclusione oggi possiamo dire di poterseguire da vicino la famiglia albanese chesi forma e si amplia, nonché si radica neltessuto sociale di accoglienza. I dati statisticidi questa prima considerazione ci invitanoa riflettere, però, su un più radicale ed im-portante aspetto pastorale che, all’inizio delnostro lavoro di circa nove anni fa, ci avevamolto preoccupati, ossia, la possibilità di uneffettivo riempimento del vuoto culturale-religioso che il regime ferreo comunista ave-va loro sottratto. L’appartenenza religiosadichiarata all’inizio dai singoli, solo perchéad essa vi aveva fatto parte un lontano fa-miliare, oggi è dichiarata come propria, per-ché in seno alle nuove comunità sorte inItalia, si è fatta una scelta matura, scaturitae sostenuta da regolari corsi di catechesi eda proposte concrete di vita di fede. In quasitutte le comunità di immigrati albanesi pre-senti in Italia, la notte di Pasqua, per la ce-

lebrazione dei battesimi di adulti, è resa an-cor più gioiosa e ricca dell’elemento cristianodella speranza, che deve sempre accompa-gnare ogni credente e ancor più l’immmi-grato ad essere sempre pronto a confrontarsie a far valere la propria identità culturale.Spesso si è discusso sull’identità culturale interra straniera, sulle difficoltà incontrate neldichiararsi albanesi, perché immotivati pre-giudizi avevano confuso e reso difficile illoro inserimento anche in posti di lavoro.Questi pregiudizi oggi sono per lo più supe-rati per l’etnia albanese e in molti casi tra-mutati in lodi nei loro confronti, tanto chein più realtà sono elogiati e ben voluti. Orgoglio e speranza, dunque, coniugano ilverbo integrare, tanto da renderlo portatoredi nuova linfa vitale nella Chiesa italianache, nella testimonianza del Cristo risorto, èsempre pronta ad aprire le porte ed acco-gliere lo straniero come fratello.

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Dopo più di un secolo dalla sua secondaEvangelizzazione, il cammino di Cristo neipopoli africani è una realtà visibile agli occhidi tutta la Chiesa e non può nascondersiuna certa soddisfazione per tutti. Basta pen-sare in ultimo al bilancio che esso ha portatoal primo Sinodo speciale dei Vescovi perl’Africa nel 1994 e l’ulteriore evoluzione co-ronata dall’ultimo Sinodo dello scorso otto-bre 2009. L’Africa può essere guardata come Chiesa enon solo più come il mendicante Lazzaro.Oggi è chiaro che essa come popolo, culturae Chiesa cerca di offrire tanta umanità chesi fa sempre più carente qua e là. Tuttavia,il cammino è sempre più arduo in vista dellamissione e la salita sempre più ripida perl’evangelizzazione. In effetti, più si va avantipiù emergono sfide profondamente radicatenell’anima della cultura e il missionario nonpuò fermarsi e non può risparmiarsi nell’af-frontare tutte le realtà che il cristianesimoincontra e con cui si scontra nel dialogo conle culture. Ma quello che ancora di più rendepreoccupante la situazione dell’Africa e degliafricani è proprio tutto il peso della situa-zione geopolitica e socioeconomica, la qualeincide in modo determinante su tutto il con-testo religioso di questi popoli. Di questo contesto geopolitico e socioecono-mico è anche effetto la quasi totale presenzadegli africani in Italia. Non potendo fare undiscorso esaustivo sul tema, presenteremola sensibilità religiosa degli africani in Italiaconsiderando sempre questi tre aspetti: ilcontesto della partenza, l’esperienza prodot-ta in Italia e il riflesso di ritorno sull’Africa.

Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 3

La pastorale del catecumenato e l’accoglienza verso i migranti194

LA SENSIBILITÀ RELIGIOSA DEGLI AFRICANIIMMIGRATI IN ITALIA

Don Denis Kibangu Malonda, Cappellano etnico,Coordinatore Nazionale Comunità Africana Francofona

1. La presenza degli Africani in Italia

Il contesto sociale ed economico dell’Africa,come situazione proibitiva di piena realiz-zazione per la sua giovane popolazione, èben conosciuto ed è continuamente presenteagli occhi di questa nostra società globaliz-zata. I media ne riportano continuamentevarie espressioni nelle cronache. Questo fadell’Africa un continente di interminabili mi-grazioni interne ed esterne. La meta più rag-giungibile in questo processo migratorio èl’Europa, in cui l’Italia rappresenta uno deipiù facili obiettivi, data la sua posizione geo-grafica. Benché non figuri tra le destinazioni più am-bite della migrazione africana all’estero, l’Ita-lia conta un numero molto significativo diafricani come immigrati, in ricerca di miglioriopportunità socio economiche. Infatti deglioltre tre milioni di immigrati presenti sul ter-ritorio nazionale, poco meno di un quartoprovengono dall’Africa, considerando chebuona parte di quelli che si trovano nei paesinord europei hanno transitato per l’Italia.Nel 2008, gli africani erano il 22,4% dei re-sidenti stranieri in Italia, seconda nella con-sistenza numerica, dopo gli Est Europeigiunti in modo massivo solo in quest’ultimodecennio. La maggiore presenza degli africani sul ter-ritorio italiano è nel nord e in Sicilia. NelNord, per le opportunità lavorative migliori,vivono il 72% degli africani. In Lombardiail 29%, in Emilia Romagna il 14%, in Ve-neto il 12,3% e in Piemonte il 10%. Il grande

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Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

La pastorale del catecumenato e l’accoglienza verso i migranti 195

numero significativo in Sicilia è piuttostodovuto alla sua posizione geografica. Quanto alla provenienza, quasi il 70% degliafricani immigrati in Italia sono dell’Africasettentrionale. I marocchini sono in testa conil 46,3%. In seconda posizione gli africaniprovengono dall’Africa occidentale: da Sene-gal 68.000, Nigeria 45.000 e Ghana 42.000.Poi alcune altre collettività consistenti con ol-tre 10.000 immigrati sono arrivate da Costad’Avorio con 19.000, Burkina Faso 10.493.Tutte le altre collettività presenti in Italia han-no una consistenza piuttosto contenuta.

2. Situazione religiosa

Il quadro presentato sopra ci mostra con evi-denza che la maggioranza della popolazioneafricana immigrata in Italia è di religionemusulmana. Infatti le 4 collettività più nu-merose sono di nazioni islamiche e rappre-sentano il 74,1% degli africani in Italia. Ilresto è in buona proporzione di religione cri-stiana. Ma una parte importante di prove-nienza dall’Africa occidentale è di religionemusulmana oppure di religione tradizionaleafricana. Molti africani dei paesi con un nu-mero significativo di cristiani vivono comecristiani senza aver ricevuto il battesimo,senza parlare di tutti quelli che frequentanogruppi di preghiere di matrice protestanteche non sono riconducibili a nessuna delleconfessioni cristiane.In tutti i casi negli africani non islamici sus-siste un comune sentire religioso. Tutta lacultura africana infatti è centrata sulla reli-gione. E le religioni tradizionali africane, chehanno uno sfondo comune quanto alla vi-sione della vita, caratterizzano profonda-mente la religiosità degli africani anchequando sono cristiani. Anche quelli cattolici, se non sono stati tra

i più radicati nelle comunità di fede cristianain patria, non si riconoscono facilmentenelle comunità ecclesiali una volta giuntiin Italia. Da qui una tendenza ad isolarsi oa ghettizzarsi. Un’altra difficoltà alla vitareligiosa degli africani è la fredda accoglien-za che si incontra nelle comunità ecclesiali.Dove infatti c’è senso di accoglienza versol’altro si tende più facilmente a fare quellosforzo di adattamento alla nuova situazionereligiosa.Ma in realtà il vero problema per l’area dellafede cristiana che l’africano deve affrontarequi, a prescindere del radicamento della suafede, proviene dal contesto culturale. Nellasua cultura l’africano sente e vive la fedecon espressioni forti che tracciano una con-tinuità con la cultura tradizionale che è es-senzialmente religiosa. Inutile ricordare quitutto il cammino travagliato dell’incultura-zione della fede di cui l’Africa si è fatta pio-niere nei tempi moderni. Voglio rilevare soloalcuni aspetti.

2.1 Il senso di comunità

Il problema in cui s’imbatte un’anima afri-cana quando arriva in ambienti europei ènon solo il freddo climatico ma quello delcalore umano. Manca il contatto spontaneoe la percezione di una comunità. Sembrache gli individui vivano ciascuno per contoproprio e ciò urta la sensibilità religiosa del-l’africano. Il senso religioso africano nascedalla fede in Dio unico creatore e Padre ditutti. Questa fede si manifesta prima di tuttonel senso del vivere insieme, in comune.Per cui la comunità è essenziale e viene an-che prima degli individui. Il mondo è quindi visto come una grandefamiglia che parte da Dio, di cui la comunitàè espressione. Questo a causa dell’identifi-cazione dell’africano con la propria famiglia,

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 3

La pastorale del catecumenato e l’accoglienza verso i migranti196

centro di ogni relazione umana, non solotra i vivi ma anche con i defunti. Si conoscebene il ruolo esistenziale che l’africano at-tribuisce ai suoi antenati. Il più grande valoreetico in questo contesto è la preservazionedell’unità della famiglia. Così, la prima cosache si cerca in ogni appartenenza religiosaè quella di ritrovare questo senso di comu-nità, in quanto famiglia allargata unita.

2.2 Una fede gioiosa

Il modo proprio di esprimere la sua fede perl’africano è la gioia. Una gioia che si rendecosì visibile e contagiosa da creare un climache trasporta l’uomo dalla terra al cielo, allesfere divine. Questo è visibile e comune intutto il contesto della religiosità africana.Questo costituisce anche il primo riferimentoreligioso che cerca l’africano immigrato. Que-sta religiosità è sempre stata per l’africanofonte di consolazione della sua vita tantomartoriata lungo i secoli. La fede cristiana interra africana si è dunque fortemente impre-gnata di quest’elemento culturale di base.Di questo è testimone il Papa stesso quandoparla della sua esperienza dell’Africa. “InAfrica, dice Benedetto XVI ai giornalisti, va-do con grande gioia: io amo l’Africa, hotanti amici africani già dai tempi in cui eroprofessore fino a tutt’oggi; amo la gioiadella fede, questa gioiosa fede che si trovain Africa. Voi sapete che il mandato del Si-gnore per il successore di Pietro è “confer-mare i fratelli nella fede”: io cerco di farlo.Ma sono sicuro che tornerò io stesso con-fermato dai fratelli, contagiato – per cosìdire – dalla loro gioiosa fede.”1

In effetti, non si può concepire un momentodi incontro di fede per gli africani che nonsia una festa e una grande esplosione di

gioia. La gioia è come una forma di comu-nione spirituale che accomuna l’uomo a Dioe ai suoi antenati, i quali danno fondamentoallo stare insieme dei vivi.

3. Le comunità etniche africanecome riferimento

Mentre le comunità etniche sono ordinaria-mente raggruppate per nazionalità, gli afri-cani sono raggruppati in comunità linguisti-ca, riuniti attorno ad una comune matriceculturale. Questo tipo di riferimento che ri-troviamo già nel contesto musulmano, si ri-trova anche nell’ambito dei gruppi non isla-mici degli africani. Pochi sono i gruppi chehanno tendenza a chiudersi al proprio in-terno, rispetto agli altri africani, se non conl’ulteriore elemento distintivo ereditato daltempo della colonizzazione: la lingua fran-cese, inglese o portoghese. Questo ultimo criterio è rilevante per la co-municazione all’interno delle comunità afri-cane poiché anche al livello delle proprienazioni costituisce il fattore di unità nelladiversità degli idiomi ed etnie tradizionali.Così anche nella pastorale, la Chiesa italianaha scelto di operare a favore dei migrantiafricani considerando questa realtà culturale. Ci sono due coordinatori etnici, uno per gliafricani di lingua inglese e uno per quelli dilingua francese. Ci sono circa 80 comunitàetniche costituite per gli africani nelle variediocesi italiane. Questa rete pastorale è ab-bastanza recente e sta ancora in piena fasedella propria composizione. Ci sono purtrop-po tante diocesi che non hanno ancora pro-mosso una realtà del genere oppure che nonla ritengono necessaria sebbene ce ne sa-rebbe bisogno. Ci sono delle diocesi che sono

1 Intervista concessa dal Santo Padre Benedetto XVI ai giornalisti durante il volo verso l’Africa.

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Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

La pastorale del catecumenato e l’accoglienza verso i migranti 197

addirittura contrarie a una tale impostazionepastorale. Normalmente, le comunità sonoerette canonicamente in cappellanie con unsacerdote (cappellano), ma nel caso nostrosono poche quelle erette canonicamente.

Tuttavia, già oggi si sente che queste comu-nità etniche assumono sempre di più il ruolodi un riferimento culturale e religioso per icattolici in primo luogo, ma anche per tuttigli africani non cattolici. In effetti, dove lacomunità raggiunge il dinamismo di una au-tentica comunità africana, cresce la parteci-pazione ma aumentano anche le richiestedei Sacramenti per chi non ha completatol’iniziazione cristiana, per coppie che nonhanno ancora il matrimonio religioso e an-che per chi chiede di diventare cristiano.

Senza dubbio, bisogna considerare questarealtà come congiunta a quella dei tanti afri-cani pienamente integrati nelle comunitàparrocchiali. Entrambi le soluzioni pastoralisono complementari e non in contrapposi-zione, in quanto sono espressione dell’ac-coglienza degli africani nella Chiesa italianae quindi segno profetico del convivio delleculture nell’unica Chiesa di Cristo. Il dovere di sostenere e suscitare le comunitàetniche viene dal fatto che esse sono indi-spensabili per avvicinare alla Chiesa la mag-gior parte degli africani, i non cristiani maanche e soprattutto quelli cattolici che nonpossono facilmente trovare una piena rea-lizzazione ecclesiale nelle comunità ordinariealla prima accoglienza. L’esperienza rivelache una volta scoraggiati dal primo impattocon le comunità locali spesso essi si perdonoper sempre, o comunque ci vorrà molto perriprenderli. Non ci vuole molto per capireche il grande successo del proselitismo dellesette verso gli immigrati in genere e gli afri-cani in particolare trova la sua radice in que-

sto vuoto pastorale. Generalmente le settesono prolifere e rigogliose di fedeli africaninelle diocesi dove manca la comunità etnicaper gli africani. Mentre in questi anni stiamoassistendo nelle nostre comunità africane alrientro di tanti cattolici che si sono rifugiatinelle sette. Inoltre, nella maggior parte dellecomunità c’è la presenza di qualche catecu-meno. L’espressione religiosa dell’africanonon è un semplice folklore ma è un profondosentire la presenza di Dio che agisce nellapropria vita.

4. Difficoltà culturalicon il Cristianesimo

Ci vuole un trattato intero per illustrare ledivergenze tra l’insegnamento cristiano e lacultura africana. Mi limito perciò ad accen-nare alcuni punti che possono essere rile-vanti nel contesto del catecumenato:

• La poligamia: è una realtà così radicatanella cultura che solo per l’accoglienzadella fede cristiana in modo autentico puòperdere la sua ragione di essere agli occhidell’africano. Questo fa si che il catecu-meno, se non viene debitamente formatoe informato, potrebbe non percepire lamotivazione di fede che contiene questarinuncia e può pensare ad una semplicedifferenza culturale.

• La pratica dei feticci: è frutto della vi-sione animista della religione tradizionaleafricana in cui Dio è buono ma non in-terviene direttamente nel rapporto dell’uo-mo con gli spiriti. Questi spiriti possononuocere agli uomini anche per richiestadei terzi. Questa visione del mondo è cosìradicata nell’africano che non raramenteprevale anche sulla fede cristiana. Non èdifficile trovare un cristiano anche molto

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 3

La pastorale del catecumenato e l’accoglienza verso i migranti198

praticante che ci crede o peggio ancorache ci ricorre.

• La credenza agli stregoni: anche essa èespressione della visione di un mondo incui spiriti possono allearsi con gli uominiper il bene o per il male. Lo stregone èun uomo che ha rapporti diretti con glispiriti e può fare agire sia per bene o faremale ad altre persone. Spesso l’africanopuò sentirsi prigioniero di queste potenzee, anche se diventato cristiano, potrebbenon essere arrivato fino alla consapevo-lezza della liberazione di Cristo, il qualeha vinto il mondo, il male e il peccato.Per cui non ci può più essere spazio perqualunque forza del male.

• Varie superstizioni influenzano fortementel’uomo africano, fortemente legato allanatura, alla tribù e all’ordine gerarchicodi potenze a cui è soggetto. Per esempio,la sacralità del legame familiare fa temerela maledizione di zii e zie, al punto che sipuò facilmente essere schiavo di una sem-plice parola di richiesta di un favore daparte di un parente della famiglia allarga-ta. Ogni situazione di malattia o di altre

disgrazie sono considerate segno di uninflusso negativo. Tutte queste credenzepossono sussistere anche alla fede cristia-na se non vi è una catechesi adeguata.

Conclusione

Guardando la situazione religiosa degli afri-cani, si può dire che l’unico modo di portareil Vangelo al cuore dell’uomo è l’incultura-zione, cioè penetrare il cuore della sua cul-tura e annunciare Cristo dall’interno. Solouna fede inculturata può fare di un africanoun cristiano autentico. Ma questo richiedeun lavoro di discernimento dal seno dellacultura africana stessa poiché bisogna evan-gelizzare la cultura purificandola di tutto ciòche non è opera di Dio da una parte e da-l’altra valorizzare tutte le espressioni cultu-rali che sono autentiche “semina Verbi”. Cosìsi può dire nel nostro contesto che valoriz-zare la fede degli africani in Italia può arric-chire la vita della fede in modo da contami-narla della gioia festosa di gridare al mondoche Gesù Cristo è il Signore!

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STATISTICHE DEI BATTESIMI DEGLI ADULTIPER ETNIA

STATISTICA CAMPIONE IN BASE ALLE RISPOSTE DI 17DIOCESI ITALIANE SU 22 CONTATTATE

(Acireale, Albano, Bergamo, Bologna, Firenze, Genova, Milano, Modena-Nonantola,Napoli, Novara, Padova, Palermo, Reggio Emilia-Guastalla, Rimini, Roma, Torino, Udine)

Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

La pastorale del catecumenato e l’accoglienza verso i migranti 199

NAZIONI PIÙ RAPPRESENTATEUsa; 6; 3%

Francia; 6; 3%

Albania; 124; 52%

Giappone; 6; 3%

Cina; 14; 6%

Camerum*; 5; 2%

Nigeria*; 15; 6%

Ghana*; 8; 3%

Suriname; 15; 6%

Costa d'Avorio*; 38; 16%

Costa d'Avorio* Siriname Nigeria* Ghana* Camerum* Cina Giappone Albania Francia Usa

11

25

36

5

10

15

5

8

13

7

1

8

1

4

5

1

2

3

2

1

3

1

2

3

2

2

1

1

2

1

1

2

Costad'Avorio*

Suriname Nigeria* Ghana* Camerum* BurkinaFaso

CapoVerde

Congo Benin Egitto Tunisia

AFRICA

Maschi Femmine Totale

AFRICAPercentuale Sesso

Ma schi(3 7)40 %Femmi ne

(55)60 %

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La pastorale del catecumenato e l’accoglienza verso i migranti200

7

7

14

2

4

6

3

3

3

3

3

3

1

1

1

1

1

1

Cina Giappone Sri Lanka Thailandia Iran Vietnam Pakistan Kurdistan

ASIA

Maschi Femmine Totale

ASIAPercentuale Sesso

Femmin e(20)62%

Ma schi(12)38%

51

73

124

1

5

6

2

2

4

1

2

3

3

3

3

3

3

3

1

1

2

2

2

2

2

1

1

2

2

2

Albania Francia Croazia Germania Serbia Cechia Ungheria RegnoUnito

Moldavia Russia Slovacchia Ucraina

EUROPA

Maschi Femmine Totale

EUROPAPercentuale Sesso

Ma sc hi(5 7)37 %

Femmi ne(9 9)63 %

1

14

15

6

5

11

2

2

4

1

1

1

1

1

4

5

1

1

1

1

1

3

4

Cuba Perù Brasile* Argentina Venezuela Rep.Dominicana

Cile El Salvador Ecuador

AMERICA LATINA

Maschi Femmine Totale

AMERICA LATINAPercentuale Sesso

Ma schi(1 2)28%

Femm ine(31)72 %

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CAPITOLO 5

Seminario sul Quarantesimodel documento base

IL RINNOVAMENTO

DELLA CATECHESI

Roma14-15 aprile 2010

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La ricorrenza del quarantesimo anniversariodel Documento di base sul Rinnovamentodella catechesi in Italia merita di essere sot-tolineata per il rilievo che esso possiede eper l’attualità che conserva. Il documento,infatti, rappresentò e ancora rappresenta,secondo l’intendimento programmatico deiVescovi italiani, il riferimento fondamentaledi tutto il cammino pastorale per lo svolgi-mento dell’attività catechistica nelle nostrecomunità ecclesiali e per la produzione deicatechismi. Come tale esso delinea un pro-getto unitario di comunicazione della fedealle nuove generazioni, che ha ispirato gliorientamenti pastorali di questi decenni finoa toccare, e non solo marginalmente, il de-cennio che stiamo iniziando, centrato, comesi sa, sul tema dell’educazione. Questo per-mette di rilevare la consapevolezza, accre-sciuta nel tempo, dell’evangelizzazione co-me missione originaria e permanente dellacomunità ecclesiale; non è in tal senso esa-gerato indicare nell’evangelizzazione, che fuil tema dei primi orientamenti pastorali de-cennali della CEI, l’orizzonte unificante del-l’impegno pastorale delle Chiese in Italia dalConcilio fino ad oggi. La riscoperta del primoannuncio della fede, espressione più recentedi un cammino pastoralmente creativo e nonmeramente ripetitivo, fa apprezzare ancoradi più la coerenza di un disegno non astrat-tamente predisposto ma concretamente edunitariamente perseguito per un tempo cosìlungo proprio in ragione della sua piena ri-spondenza alle attese della vita della Chiesae della sua missione nel tempo.

Il significato del Seminario alla vigiliadegli Orientamenti decennali sullaEducazione

L’attenzione adesso portata sull’educazionefa ulteriormente risaltare la coerenza e l’uni-tarietà del cammino pastorale della nostraChiesa. Pur non essendo riducibile alla ca-techesi, l’opera educativa della comunità cri-stiana è ad essa strettamente collegata e conessa condivide l’obiettivo di una formazionecompiuta del credente, di cui vuole indicarela necessità e le condizioni per un pieno di-spiegamento dei frutti dell’opera evangeliz-zatrice. Il decreto Gravissimum Educationis,al n. 4, lo dichiarava già con queste parole:«Nell’assolvere il suo compito educativo laChiesa utilizza tutti i mezzi idonei, ma sipreoccupa soprattutto di quelli che sono imezzi suoi propri. Primo tra questi è l’istru-zione catechetica, che dà luce e forza allafede, nutre la vita secondo lo spirito di Cristo,porta a partecipare in maniera consapevolee attiva al mistero liturgico, ed è stimolo al-l’azione apostolica. La Chiesa valorizza an-che e tende a penetrare del suo spirito e adelevare gli altri mezzi che appartengono alpatrimonio comune degli uomini e che sonoparticolarmente adatti al perfezionamentomorale ed alla formazione umana, quali glistrumenti di comunicazione sociale, le mol-teplici società a carattere culturale e sportivo,le associazioni giovanili e in primo luogo lescuole». Queste espressioni del Concilio mo-strano come la comunicazione della fede en-tri in maniera efficace e indispensabile nel-

SALUTO INIZIALEMons. Mariano Crociata, Segretario Generale della CEI

Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

Il rinnovamento della catechesi 203

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 3

Il rinnovamento della catechesi204

l’azione educativa, insieme valorizzando edelevando ogni espressione educativa. Risultapertanto di peculiare interesse riprendere ilDocumento base nella interezza dei suoicontenuti, evidenziando la relazione con ilcompito educativo che interessa costitutiva-mente la missione della Chiesa e la sua operadi catechesi.

Educazione e catechesi un binomioche non può essere scisso

Il rapporto tra educazione e catechesi puòben essere improntato alla formula efficaceproposta dal Direttorio Generale per la Ca-techesi, là dove esorta: «Evangelizzare edu-cando ed educare evangelizzando» (DGC,147). Si dà, infatti, una reciproca implica-zione tra educazione e catechesi. Innanzi-tutto la catechesi si inserisce in maniera co-stitutiva e insostituibile nell’opera educativa;se da una parte, infatti, la catechesi aiuta lapersona ad aprirsi alla dimensione religiosadella vita (dimensione, non dimentichiamo,che appartiene al nucleo fondamentale delladignità e dei diritti dell’essere umano), dal-l’altra le propone «il Vangelo, in manieratale che penetri e trasformi i processi di in-telligenza, di coscienza, di libertà, di azione,così da fare dell’esistenza un dono di sésull’esempio di Gesù Cristo» (DGC, 147).Per altro verso anche l’azione educativa, nelsuo insieme e con le sue specifiche caratte-rizzazioni, permette di innervare la catechesicon quegli aspetti antropologici costitutivi,destinati sia a connotare metodologicamenteil suo svolgimento, sia a far assumere a talecompito un carattere fortemente culturale eteologico nella prospettiva dell’incarnazione,proprio in relazione ad una corretta colloca-zione del rapporto tra fede e cultura e delladimensione insieme religiosa e laica del-

l’educazione. È proprio in questa linea chela così detta “scelta antropologica” del Do-cumento base mostra non solo una grandeattenzione all’umano, ma anche una dimen-sione di carattere dottrinale debitrice dellariflessione del Concilio Vaticano II. In tal mo-do il binomio catechesi ed educazione assu-me anche un’importanza strategica di frontealle sfide odierne soprattutto in relazione almondo adulto, ovvero al significato della fa-miglia fondata sul matrimonio cristiano inrelazione all’educazione dei figli, al contestomulti religioso e al confronto con le altreconfessioni cristiane, infine alla ricchezzadel persistere di una dimensione “popolare”della Chiesa nella società e nella cultura ita-liana. In questa prospettiva antropologico-teologica si può pure esigere, dall’atto cate-chistico, l’attenzione necessaria ai contenutidottrinali, i quali devono poter essere com-presi ed integrati nella vita concreta di fan-ciulli, ragazzi, giovani ed adulti.

Alcune piste di riflessione e diimpegno per il prossimo decennio

La reciproca fecondazione di educazione ecatechesi, nella linea della “scelta antropo-logica” appena richiamata, apre una serie diprospettive che attendono un impegno di ri-flessione e di azione, in continuità con ilcammino pastorale delle Chiese in Italia econ gli sviluppi e le istanze della catechesioggi nelle nostre comunità. Una prospettivache acquista sempre più rilievo è quella delgià menzionato primo annuncio della fede;si tratta di un impegno pastorale che sup-pone una approfondita conoscenza e unaassidua lettura orante della Sacra Scrittura -“Libro” della catechesi, come ricorda il Do-cumento base - ma che richiede anche unacapacità di leggere la situazione culturale

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Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

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odierna e la vita del destinatario. Vorrei aquesto proposito esprimere il mio apprezza-mento alla Commissione episcopale per laDottrina della fede, l’annuncio e la catechesi,che in questo quinquennio ha intensamentelavorato proprio su questa tematica, fino allarecente Lettera ai cercatori di Dio. La di-mensione del primo annuncio va soprattuttomeglio collegata e integrata con altre fecondeprospettive di riflessione e azione pastoraleche da essa dovrebbero nascere, quali, adesempio, il catecumenato ed il “risveglio del-la fede” negli adulti, la preparazione dellecoppie al sacramento del matrimonio; e an-cora la pastorale pre- e post-battesimale perquelle famiglie che chiedono il battesimo peri loro piccoli. Non sfuggono a nessuno leampie e importanti sinergie pastorali chequeste prospettive offrono, né la feconditàche esse contengono anche per il rinnova-mento degli itinerari di iniziazione cristiana.Per tutte queste prospettive è necessario ela-borare itinerari organici di assiduo camminopastorale e impegno ecclesiale, curando so-prattutto l’inserimento e il coinvolgimentonella comunità cristiana degli adulti che lipercorrono. Gli adulti sono anche al centro dell’attenzio-ne di una catechesi che ad essi si dirige se-condo una formulazione di carattere “kerig-matico” adatta alle donne ed agli uomini dioggi; per questo si rivelano opportuni la ri-flessione sulla catechesi degli adulti ed unrilancio del catechismo La Verità vi farà li-beri (peraltro già in continuità con il Cate-chismo della Chiesa Cattolica), magari ac-compagnato dalla proposta di itinerari e sus-sidi adeguati, nelle realtà parrocchiali e nelleaggregazioni laicali, per adempiere così aduna delle più pressanti richieste del progettocatechistico italiano, secondo il quale è ne-cessario far scaturire la catechesi dalla for-mazione cristiana dell’adulto. Lo chiedeva

anche la Nota pastorale con cui si è conclusoil Convegno ecclesiale di Verona: «Ci è chie-sto un investimento educativo capace di rin-novare gli itinerari formativi, per renderlipiù adatti al tempo presente e significativiper la vita delle persone, con una nuova at-tenzione per gli adulti» (CEI, “Rigeneratiper una speranza viva” (1Pt 1,3): testimo-ni del grande “sì” di Dio all’uomo, n. 17).Un tale compito, insieme a quelli già primamenzionati, richiede, per essere eseguito, deicatechisti formati. È questo un impegno chevanta una lunga storia nel cammino pasto-rale della Chiesa in Italia; tuttavia esso con-serva intatta la sua urgenza e attende di es-sere assunto in modo rispondente alle mu-tate circostanze di questo tempo. Si trattanon solo di adempiere alla necessaria for-mazione di base delle catechiste e dei cate-chisti, bensì anche di accendere o di conso-lidare, qualora siano già stati avviati, pro-getti di “formazione dei formatori” su baseregionale o nazionale: questo impegno in-terroga in vario modo anche la riforma degliIstituti Superiori di Scienze Religiose, nonchéi piani di studi dei futuri presbiteri.È però impossibile guardare alle prospettiveche si aprono, senza tornare a riflettere sul-l’impianto della catechesi italiana in riferi-mento non solo al catecumenato e al primoannuncio, ma anche al rinnovamento dellainiziazione cristiana, di cui sono sempre piùevidenti le difficoltà che da qualche tempo sitrova ad attraversare. Una riflessione attentain questo campo assume un peso considere-vole anche in relazione agli Orientamenti pa-storali del decennio sull’educazione. Tra letante questioni che si presentano, almenodue devono essere prese in attenta conside-razione. La prima riguarda la scansione degliitinerari sia nel quadro di una mutata confi-gurazione dei vari passaggi dall’infanzia allapreadolescenza ed all’adolescenza, sia nel

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contesto di una diversificata capacità dei de-stinatari di affrontare la catechesi, in dipen-denza da una educazione religiosa ricevutao meno nella prima infanzia e anche dalleloro situazioni familiari. La seconda questioneinterroga le varie forme di integrazione e col-laborazione che si possono utilmente pro-muovere tra famiglia, scuola e comunità cri-stiana. Una prospettiva così esigente potrebbecondurre anche ad un nuovo documento pro-gettuale condiviso che stabilisca un punto diriferimento per tutti i responsabili dell’azionepastorale in questa nuova stagione della vitadella Chiesa in Italia. Infine, una attenzione,evocata da quanto fin qui ricordato, interessagli strumenti, ovvero le varie articolazioni delCatechismo per la vita cristiana, con la ne-cessaria verifica della loro adeguatezza e uti-lizzazione, e la conseguente riflessione sulloro eventuale mantenimento, aggiornamen-to o rinnovamento.

Sono, dunque, grato per l’ideazione e larealizzazione di questo seminario che in unqualche modo, con la celebrazione dell’an-niversario di un Documento pastorale cosìsignificativo come il Documento base, ci dàgià la possibilità di gettare il nostro sguardoverso il decennio che ci sta di fronte. Intale spirito mi piace così terminare con unacitazione di Mons. Aldo Del Monte, uno deiprotagonisti del rinnovamento catechisticopost-conciliare: «In una fede adulta ci staanche una fede per i piccoli: anzi, infondein questi i primi germi, l’istinto della pie-nezza cristiana. La fede del fanciullo – seè radicata così – cresce ogni giorno secun-dum aetatem et secundum staturam(sant’Ambrogio)» (Da L. Guglielmoni (acura di), La lampada e l’olio. Dal rinno-vamento della catechesi alla nuova evan-gelizzazione con mons. Aldo Del Monte,LDC, Torino 1992, 9).

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1. Il significato di questo Seminario

La pubblicazione del Documento di base Ilrinnovamento della catechesi, avvenutaquarant’anni fa (2 febbraio 1970), ha se-gnato – come ebbe a dire Papa Paolo VI –«un momento storico e decisivo per la fedecattolica del popolo italiano»1. La Commis-sione Episcopale per la dottrina della fede,l’annuncio e la catechesi ha voluto perciòriproporre all’attenzione di tutte le compo-nenti della comunità ecclesiale le linee por-tanti di quel documento ed evidenziare glieffetti positivi che esso ha prodotto nell’azio-ne pastorale, segnalando al contempo lenuove sfide con cui devono fare i conti oggil’evangelizzazione e la catechesi e le mutateesigenze a cui devono rispondere nel con-testo del nostro Paese, profondamente mu-tato rispetto a quarant’anni fa. A tal fine haindirizzato una lettera a tutti gli operatoridella catechesi intitolata Annuncio e cate-chesi per la vita cristiana, approvata dalConsiglio Episcopale Permanente nella ses-sione del Marzo scorso, pubblicata con ladata di Pasqua, 4 Aprile 2010.La Lettera si struttura in tre parti: la prima- intitolata Il Documento di base e il suovalore permanente - mette in luce come ilConcilio Vaticano II sia stato il “grembo” ge-nerativo del Documento, ne evidenzia i prin-cipali contenuti, richiama la visione rinno-vata della Chiesa da esso proposta, comunitàtutta responsabile dell’evangelizzazione e

dell’educazione alla vita di fede. La Letterasottolinea inoltre come il Documento di baseabbia avuto il merito di avviare l’elabora-zione dei nuovi Catechismi per la vita cri-stiana. La seconda parte - intitolata Il con-testo attuale - evoca gli scenari culturali ereligiosi nuovi, profilatisi in questi 40 anni.La terza parte - dal titolo Le nuove esigenzepastorali - richiama gli “Orientamenti pa-storali” e le “Note pastorali” di quest’ultimodecennio, che hanno indicato come sceltaprioritaria la svolta missionaria da dare atutta l’azione pastorale, “innervandola” conil primo annuncio. Viene qui ricordato comeil Convegno di Verona abbia invitato la Chie-sa italiana a costruire tutto l’agire pastoraleintorno alla persona: questo rinnovato ac-cento sul soggetto personale nei suoi snodifondamentali apre per la catechesi il tempodi una riformulazione del suo contenuto, delsuo metodo e del suo stile, e la inserisce piùchiaramente in un cammino che comprendele molteplici dimensioni della vita cristiana.Scopo di questo Seminario - riservato a Ve-scovi ed esperti della catechesi - è di appro-fondire e sviluppare i contenuti di questaLettera, sì da favorirne la migliore recezionepossibile nella vita delle chiesa che sono inItalia.

2. Il Documento Base: una catechesiper la vita cristiana

Fu ancora Paolo VI, nella Sua Allocuzioneall’Assemblea generale dei Vescovi italiani

INTRODUZIONE AL SEMINARIOS. E. Mons. Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto, Presidente della Commissione

episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi

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1 Paolo VI, Allocuzione alla VI Assemblea Generale della CEI, l’11 aprile 1970, in Atti della VI AssembleaGenerale, Roma 6-11 aprile 1970, p. 18.

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l’11 aprile 1970, a presentare così il Docu-mento di base: «È un documento in cui siriflette l’attualità dell’insegnamento dottri-nale, quale emerge dalla elaborazione dog-matica del recente Concilio. È un documentoispirato alla carità del dialogo pedagogico,che dimostra cioè la premura e l’arte di par-lare con discorso appropriato, autorevole epiano, alla mentalità dell’uomo moderno.Faremo bene a darvi grande importanza, ea farne la radice d’un grande concorde, in-stancabile rinnovamento per la catechesidella presente generazione. Esso rivendicala funzionalità del magistero della Chiesa:gli dobbiamo onore e fiducia» (ib.). Il Do-cumento di base recepisce per la catechesila “svolta antropologica” operata dal ConcilioVaticano II principalmente nelle CostituzioniDei Verbum e Lumen Gentium, quale fruttodel “ressourcement” biblico, patristico e li-turgico della teologia del Novecento. Il testone dà testimonianza in molteplici passaggi,come ad esempio il seguente: «Chiunque vo-glia fare all’uomo d’oggi un discorso efficacesu Dio, deve muovere dai problemi umanie tenerli sempre presenti nell’esporre il mes-saggio. È questa, del resto, l’esigenza in-trinseca per ogni discorso cristiano su Dio»(RdC 77).Nella stessa linea, il Documento di base re-cepisce la dottrina conciliare sulla rivelazio-ne, concepita come comunicazione dialogicae interpersonale dovuta alla iniziativa liberae gratuita del Dio vivente alla creatura uma-na, centro del creato in quanto “capax Dei”per volontà e disposizione divina: «Il Diodella Rivelazione è il “Dio con noi”, il Dioche chiama, che salva e dà senso alla nostravita e la sua parola è destinata a irromperenella storia, per rivelare ad ogni uomo lasua vera vocazione e dargli modo di realiz-zarla» (RdC 77). La dimensione cristologicae cristocentrica della catechesi - conseguente

all’insegnamento conciliare sulla rivelazione- viene assunta in un intero capitolo del Do-cumento di base (cap. IV) e posta a fonda-mento dei contenuti di tutti i catechismi suc-cessivamente pubblicati dalla ConferenzaEpiscopale Italiana. Veramente, il ConcilioVaticano II è stato come il “grembo materno”del Documento di base, che ha avuto il pre-gio di valorizzare in chiave di annuncio e dimissione le quattro grandi costituzioni con-ciliari: Sacrosantum concilium, Lumen gen-tium, Dei Verbum, Gaudium et spes. Essoè diventato così la prima strada attraversola quale i documenti conciliari sono arrivatialla base, stimolando le comunità ecclesialie in particolare i catechisti a conoscere e as-similare il magistero conciliare.Il Documento di base ha così aiutato a vei-colare una visione rinnovata della fede, in-tesa non solo come accoglienza da partedell’intelligenza delle verità del messaggiocristiano, ma anche e prioritariamente comeadesione della mente e del cuore alla personadi Cristo, come dialogo, comunione e inti-mità col Dio trinitario. La catechesi, di con-seguenza, è vista nella sua finalità non solodi trasmissione dei contenuti della dottrinadella fede, ma anche di educazione alla“mentalità di fede”, di iniziazione alla vitaecclesiale, di integrazione fra fede e vita(cap. 3). Contestualmente, il Documento haofferto una visione rinnovata della Chiesa,grembo che genera alla vita in Cristo me-diante l’iniziazione cristiana, comunità tuttaresponsabile dell’evangelizzazione e dellacrescita nella vita teologale, nel cui ambitoi catechisti sono al tempo stesso maestri,educatori e testimoni della fede. Si coglie intal modo come nella Chiesa ogni cristiano,in forza del battesimo e della cresima, siaresponsabile dell’evangelizzazione, secondouna responsabilità differenziata, ma comune(capp. 8 e 10). Quest’impegno di evange-

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lizzazione deve raggiungere le persone nellaloro concreta situazione di vita, di manierache esse non siano semplici destinatariedella catechesi, ma protagoniste del propriocammino di fede (cap. 7).

3. Il contestodella nuova evangelizzazione

L’istanza “antropologica” che anima il Vati-cano II e la sua recezione nel Documento dibase diviene sfida teologica e culturale acorrispondere ai mutamenti contestuali conuno sforzo creativo di comunicazione rin-novata della fede, che sia adatta alle nuovesituazioni vitali e alle mentalità che da essevengono plasmate. Il “Concilio della storia”- come è stato a ragione definito il VaticanoII - implica una presa in carico dei processistorici reali, per attualizzare in essi il mes-saggio della salvezza e renderne efficace latestimonianza. Il principale mutamento daevidenziare nei quarant’anni trascorsi dallapubblicazione del Documento di base puòessere indicato nel passaggio da un orizzon-te culturale dominato dalle certezze ideolo-giche e dalle concretizzazioni storiche dei“grandi racconti” da esse elaborati, a unasituazione di liquidità, caratterizzata dal-l’assenza di riferimenti stabili e sicuri. A ser-virsi di questa metafora con singolare fles-sibilità è il sociologo e filosofo britannico diorigini ebraico-polacche Zygmunt Bauman2.Nel nostro tempo “modelli e configurazioninon sono più ‘dati’, e tanto meno ‘assioma-tici’; ce ne sono semplicemente troppi, incontrasto tra loro e in contraddizione dei ri-

spettivi comandamenti, cosicché ciascuno diessi è stato spogliato di buona parte dei pro-pri poteri di coercizione… Sarebbe incautonegare, o finanche minimizzare, il profondomutamento che l’avvento della modernitàfluida ha introdotto nella condizione umana.La lontananza e l’irraggiungibilità dellastruttura sistemica, associata allo stato flui-do, non strutturato, dello scenario prossimoe immediato della politica della vita, cam-biano radicalmente tale condizione e impon-gono un ripensamento delle vecchie nozioniche ne caratterizzavano la descrizione”(XIIIs). Mancando punti di riferimento certi,tutto appare fluido e come tale giustificatoo giustificabile in rapporto all’onda del mo-mento. Gli stessi parametri etici che il “gran-de Codice” della Bibbia aveva affidato al-l’Occidente, sembrano diluiti, poco reperibilied evidenti. Si parla di “relativismo”, di “ni-chilismo”, di “pensiero debole”, di “ontologiadel declino”…Con singolare preveggenza Dietrich Bonho-effer, il teologo morto martire della barbarienazista il 9 Aprile 1945 nel campo di con-centramento di Flossenbürg, descrive questasituazione come “décadence”: “Non essen-dovi nulla di durevole, vien meno il fonda-mento della vita storica, cioè la fiducia, intutte le sue forme. E poiché non si ha fiducianella verità, la si sostituisce con i sofismidella propaganda. Mancando la fiducia nellagiustizia, si dichiara giusto ciò che convie-ne... Tale è la singolarissima situazione delnostro tempo, che è un tempo di vera e pro-pria decadenza”3. La fiducia assoluta nel-l’autonomia dell’uomo porta alla perdita diogni riferimento trascendente: la persona fi-

2 Cf. ad esempio Modernità liquida, Laterza, Roma –Bari 2002 (Liquid Modernity, Cambridge - Oxford2000).3 D. Bonhoeffer, Etica, a cura di E. Bethge, tr. it. di A. Comba, Bompiani, Milano 19692, 91 (orig.: Ethik,hrsg. E. Bethge, München 1966, 114f).

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nisce con l’annegare nella propria solitudine,e il sogno dell’emancipazione si infrange neirivoli del totalitarismo. Col sangue delle vit-time, si dissolve anche la consistenza dellamacchina di distruzione e di morte chel’ideologia aveva prodotto: tutto diventa flui-do, sospeso sul nulla o in caduta verso diesso. “Il padrone della macchina ne diventalo schiavo e la macchina diventa nemicadell’uomo. La creatura si rivolta contro chil’ha creata: singolare replica del peccato diAdamo! L’emancipazione delle masse sfocianel terrore della ghigliottina… Alla fine del-la via per la quale ci si è incamminati conla rivoluzione francese si trova il nichili-smo”4. Nella crisi attuale, questo volto flui-do si manifesta nell’estrema volatilità dellesicurezze promesse dall’“economia virtua-le” della finanza internazionale, sempre piùseparata dall’economia reale. Crollata lamaschera delle promesse di massimo van-taggio a minimo rischio, restano le maceriedi una situazione fluida su tutti i livelli.Trovare punti di riferimento, indicare lineeguida plausibili è la sfida titanica per chivoglia orientarsi e costruire rotte affidabilisulla liquidità derivata dalla dissoluzione ditutti i valori. È questa la grande sfida postaal rinnovato annuncio della fede, che piùvolte a cominciare da Giovanni Paolo II èstata definita come urgenza di una “nuovaevangelizzazione”.

4. Priorità del Primo Annuncioe della Catechesi permanentedegli adulti

Di fronte alla sfida derivante dal mutamentodel contesto e nella fedeltà alla scelta di fon-do del Documento di base, che è quella della

necessaria “svolta antropologica” della ca-techesi nello spirito del Concilio Vaticano II,si profilano le priorità cui sono chiamati oggii comunicatori della fede: esse possono es-sere indicate nell’urgenza del “primo an-nuncio” e nella “pedagogia delle domandecondivise” nel contesto di un rinnovato im-pegno per la formazione degli adulti. Il dis-solversi della “situazione di cristianità”, an-cora in parte mantenutasi nel tempo del con-fronto con l’ideologia moderna, e il propa-garsi pervasivo del relativismo debolista, ca-ratteristico della “modernità liquida”, richie-dono di non dare più per scontata la tra-smissione culturale della fede ed esigono unnuovo slancio volto all’annuncio della buo-na novella. Le domande ineludibili perl’evangelizzazione diventano: che cosa si-gnifica “oggi” ridire il kerygma in un con-testo adulto? Come questa proposta va at-tuata per raggiungere in maniera significa-tiva la persona immersa nell’ambiente fluidodella post-modernità? Come possono essereascoltate le domande vere che non cessanodi abitare il cuore degli abitatori del tempo,anche quando appaiono soffocate da appa-renti altre urgenze e dai messaggi della cul-tura dominante? Come corrispondere a que-ste domande nella fedeltà al Vangelo di Gesùe alla sua trasmissione nella comunità cre-dente? La risposta a questi interrogativi investe inmodo particolare la catechesi agli adulti, cheandrà sempre più vista come punto di rife-rimento ineludibile per ogni impegno cate-chistico della comunità cristiana: ciò che ilDocumento di base poteva solo supporre,va messo a tema e sviluppato oggi a partiredal Catechismo degli adulti “La verità vi faràliberi”, dal Catechismo della Chiesa Cattolicae dalla “Lettera ai cercatori di Dio” dei Ve-

4 Ib., 86s (ted. 108).

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scovi italiani. Il cantiere del rinnovamentodella catechesi è più che mai aperto: e adesso sarà necessario riservare le migliorienergie dell’intelligenza, della fede e dellacarità di tutte le componenti della comunitàecclesiale. In questa luce, appaiono emer-genti alcuni nodi sui quali confrontarsi: inprimo luogo, il rapporto tra Sacra Scrittura,Liturgia, Tradizione, Magistero e vita cristia-na, senza il quale l’annuncio e la catechesirischierebbero di mancare del radicamentovitale nella rivelazione e nella sua trasmis-sione vivente e affidabile. Occorre quindichiedersi quali “sinergie pastorali” significa-tive richiede oggi la catechesi: il progettocatechistico italiano supponeva una cate-chesi per fasce di età; oggi si sottolineanogli ambiti di vita della persona. Queste dueimpostazioni - lungi dall’essere alternative- esigono di essere integrate in un camminoglobale di maturazione nella fede, che co-stituisca l’attuazione più fedele delle finalitàcontenute nel Documento di base, pubbli-cato quarant’anni fa. Infine, bisogna inter-rogarsi su quali strumenti catechistici oggipossano essere approntati al meglio, nell’era

della comunicazione multimediale e dellacrescente difficoltà di educarsi e di educarea un ascolto totale, fatto di attenzione, in-telligenza, giudizio e decisione.A questi interrogativi – come a tutti quellisuscitati dalla semplice evocazione dei cam-biamenti in atto e delle sfide ad essi con-nessi – vorremmo che questo Seminariocontribuisse a dare risposte affidabili. Co-niugando memoria, coscienza del presentee apertura alla profezia dello Spirito nellavita della Sua Chiesa, auspicheremmo uncontributo umile, ma incisivo, alla ricercain atto nel campo della trasmissione dellafede, nella continuità col messaggio del Do-cumento di base e nella recezione delle no-vità che i cambiamenti avvenuti esigono.Non si tratta di un compito facile: sappiamotuttavia che lo Spirito è vivo e operante nel-lo scrivere negli scenari del cuore e negliscenari del tempo le parole di Dio. A Luipossiamo affidarci sapendo di non restaredelusi, se non ci mancheranno il coraggiodella fede e l’intelligenza della carità, cheLui stesso suscita in chi si lascia condurredal Suo soffio vitale.

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Quarant’anni fa, esattamente il 2 febbraio1970, a cinque anni dalla conclusione delConcilio Vaticano II, la Conferenza Episco-pale Italiana (costituita nel 1954, ma com-prensiva di tutti i vescovi residenziali solonel 1964) ha pubblicato il suo primo docu-mento pastorale per il “rinnovamento dellacatechesi” nella Chiesa italiana: un docu-mento che, come disse il papa Paolo VI nellasuccessiva Assemblea Generale della CEI:- segnava un momento storico e decisivoper la fede cattolica del popolo italiano, - rifletteva l’attualità dell’insegnamento dot-trinale del recente Concilio,- era ispirato dalla carità del dialogo peda-gogico con l’uomo moderno.1

A quarant’anni di distanza da quella edizio-ne, voglio mettere in evidenza il ruolo chequesto Documento di Base (= DB) ha avutoin questi 40 anni e ha tuttora, nella pastoraledella Chiesa italiana. In particolare desideromettere in luce il suo ruolo:1) nell’accoglienza dei documenti fonda-

mentali del Concilio Vaticano II;2) nella progettazione della pastorale della

Chiesa italiana;3) nella realizzazione della missione evan-

gelizzatrice della Chiesa italiana.

1. Il DB e il Concilio Vaticano II

Come abbiamo scritto nella Lettera per il 40°del DB, l’elaborazione di questo testo «ha

avuto il pregio di valorizzare in chiave dimissione le quattro grandi costituzioni con-ciliari: Sacrosantum concilium, Lumen gen-tium, Dei Verbum, Gaudium et spes (adesse bisogna aggiungere anche il decreto AdGentes). Esso è diventato così la prima stra-da attraverso la quale i documenti conciliarisono arrivati alla base. Il DB ha stimolatole comunità ecclesiali e in particolare i cate-chisti a conoscere e assimilare il Magisteroconciliare» (n. 1).L’evangelizzazione è una preoccupazioneche soggiace a tutti di documenti del ConcilioVaticano II; e ciò in sintonia con quanto ilpapa Giovanni XXIII disse nel discorso diapertura del Concilio: «È necessario che que-sta dottrina certa e immutabile… sia appro-fondita e presentata in modo che rispondaalle esigenze del nostro tempo. Altra cosa èinfatti il deposito stesso della fede, vale adire le verità contenute nella nostra dottrina,e altra cosa è la forma con cui esse vengonoenunciate… Bisognerà attribuire molta im-portanza a questa forma».2

1)Il DB ispirato dal Concilio Vaticano II

Il DB fu ispirato dagli insegnamenti conciliarie ancor più dalla riflessione pedagogica eteologica che precedette e seguì il VaticanoII. Su questo punto il giudizio degli autori èunanime e concorda con la presentazioneche mons. Carlo Colombo ha fatto del DB:«È una sintesi ordinata di principi teologi-

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IL DOCUMENTO BASEE LA PASTORALE DELLA CHIESA ITALIANA

S. E. Mons. Lucio Soravito De Franceschi, Vescovo di Adria-Rovigo

1 Cf. Allocuzione di Paolo VI alla VI Assemblea Generale della CEI, 11 aprile 1970, in DB p. 21.2 Cf. Discorso di Giovanni XXIII all’apertura del Concilio, in AAS 54 (1962) 14, pp. 785-795.

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co-pastorali, ispirati al Vaticano II e al Ma-gistero della Chiesa, autorevolmente propostidall’Episcopato italiano all’intera comunità,per guidare e stimolare l’ armonico sviluppodella catechesi».3 Come ho ricordato sopra,il DB ha recepito in chiave catechistica so-prattutto gli insegnamenti circa la Rivela-zione, la Liturgia, la Chiesa e il rapportoChiesa-mondo, contenuti nelle quattro Co-stituzioni conciliari.Ecco i principali orientamenti per la ca-techesi che emergono da queste Costitu-zioni:

1) Una visione rinnovata di Rivelazione:questa è intesa come “autocomunicazio-ne” di Dio, che si manifesta al mondomediante eventi e parole (pedagogia diDio) e si consegna a noi in Cristo, perchiamarci e ammetterci alla piena comu-nione con sé (cf. DV 2-4).

2) La centralità di Cristo: Cristo è il nucleocentrale della catechesi: tutti i contenutidella catechesi trovano in lui il suo centronodale (cf. GS 10, 22). La catechesi halo scopo di far conoscere Cristo, per edu-care i credenti ad accoglierlo, seguirlo,aderire alla sua persona ed entrare in unacomunione vitale con lui (cf. RdC 38).“Chiunque segue Cristo, l’Uomo perfetto,si fa lui pure più uomo” (GS 41).

3) Una rinnovata visione di Chiesa: questaè il soggetto dell’evangelizzazione, tuttaresponsabile dell’annuncio della parola diDio e dell’educazione della vita di fede;all’interno della Chiesa vengono presen-tati i diversi operatori della catechesi, conresponsabilità differenziata, ma comune(cf. LG 34-36; DV 8).

4) Una rinnovata visione della persona: lepersone vengono coinvolte nella cateche-si non come semplici “destinatari”, macome “protagonisti” del cammino di fedee vengono raggiunte nelle loro concretesituazioni di vita (cf. GS 3, 4, 10, 21,33); lo stesso contesto sociale non è soloil luogo in cui annunciare la parola diDio, ma il “luogo teologico” in cui Dio simanifesta attraverso i segni dei tempi(cf. GS 4, 11).

5) Una visione rinnovata di fede: questa èintesa come accoglienza, dialogo, comu-nione e intimità con Dio per mezzo diCristo; la catechesi ha la finalità non solodi trasmettere i contenuti della fede (fidesquae), ma di suscitare l’atteggiamento difede (fides qua), di educare la “mentalitàdi fede”, di iniziare alla vita ecclesiale, diintegrare fede e vita (cf. GS 19, 22, 62;DV 5; CD 14; GE 4).

6) I criteri di presentazione del messaggiocristiano: vanno dall’attenzione alle esi-genze dei credenti, all’adattamento dellinguaggio, all’attenzione alla storia, allavalorizzazione delle diverse dimensionidel messaggio cristiano: comunitaria, sto-rica, sacramentale, spirituale (cf. GS 44,62; AG 22).

7) Una rinnovata visione pedagogica: que-sta esige la fedeltà alla parola di Dio, maanche la fedeltà alle esigenze dei fedeli;si affermano ugualmente validi sia i me-todi che partono dalla situazione dei sog-getti o dall’attualità, sia quelli che partonodalla rivelazione, purché si arrivi a far in-contrare le persone con il messaggio cri-stiano.

3 Cf. C. COLOMBO, Presentazione del DB, in DB 1970, p.24.

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2)Il DB ha favorito la conoscenza delConcilio

Il quadro delle indicazioni conciliari, però,non sarebbe completo se non si facesse ac-cenno alla specifica recezione che il Concilioebbe in Italia, grazie al Documento di Base.Scrive il teologo Luigi Sartori nell’Introdu-zione al Dizionario di Pastorale, edito dallaCittadella di Assisi: «Il rinnovamento dellapastorale nella Chiesa italiana si riassumetutto intero nei due primati: della Parola edella Missione. E questo appare anche dalcontributo specifico che la Chiesa italiana dàall’ermeneutica e alla valorizzazione delConcilio Vaticano II».4

Questo giudizio è sostenuto da un’analisi,che individua le quattro Costituzioni e il de-creto Ad Gentes come i documenti determi-nanti per la maturazione di una coscienzadi Chiesa in perenne missionarietà pastorale.Sarà il decreto Ad Gentes a illuminare e spe-cificare lo schema concettuale «Parola-Sa-cramento-Vita», già presente in Sacrosan-ctum Concilium (nn. 9-10), che verrà poiassunto dal piano pastorale della CEI “Evan-gelizzazione e Sacramenti”.

Lo stesso itinerario pastorale, che la Chiesaitaliana sceglierà per gli anni ’70, sarà mo-dellato proprio in base alla scansione ditappe del secondo capitolo dell’Ad Gentes:pre-evange-lizzazione, evangelizzazione,sacramenti, vita (o testimonianza o pro-mozione umana).

3)Il DB e la pastorale della Chiesa ita-liana dopo il Concilio

Il Concilio Vaticano II ha stimolato la Chiesaitaliana a rivedere il suo modo di essere e ariprogettare la sua azione pastorale. Ma ècondivisa da tutti i teologi e da tutti i pasto-ralisti la convinzione che il DB non abbiasolo preceduto i piani pastorali della CEIdagli anni 70 in poi, ma ne abbia ispiratole intenzioni.

«Il DB è uno dei testi globalmente ispiranti,forse quello che ha avuto più efficacia nellatrasformazione della nostra pastoralità…Per il fatto di venire prima, anche cronolo-gicamente, di tutti gli altri documentipastorali, si può ritenere il testo ispirante(magari implicitamente, per naturalissimaosmo si) di tutto il piano di evangelizza -zione».5

L’influsso del rinnovamento catechistico suquello pastorale non è stato solo a livello diidee: il rinnovamento della prassi catechisti-ca è stato lo strumento privilegiato dei Ve-scovi italiani, per avviare e realizzare nelnostro Paese il rinnovamento della pastorale.In altre parole, la catechesi concepita come“introduzione alla vita ecclesiale”, si prestòa diventare il concreto strumento di cui i pa-stori potevano servirsi per il rinnovamentopastorale. Ce lo dimostra la rilettura del cam-mino pastorale fatto dalla Chiesa italiana inquesti ultimi 40 anni.6

4 L. SARTORI, Introduzione generale, in V. BO et al. (edd.), Dizionario di Pastorale della comunitàcristiana, Cittadella Ed. Assisi 1980, p. 25.5 E. FRANCHINI, Il rinnovamento della pastorale, EDB, Bologna 1991, p. 73.6 Un quadro ordinato del cammino pastorale fatto dalla Chiesa italiana dalla pubblicazione del DB allafine degli anni 90 ce l’ha offerta con la sua testi dottorale G. RONZONI, Il progetto catechistico italiano.Identità e sviluppo dal Concilio Vaticano II agli anni ’90, Elle Di Ci, Leumann (To) 1997, pp. 272.

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2. «Evangelizzazione e Sacramenti»(1973-80)

1) Il primo frutto del DB è stato l’elabora-zione del 1° piano pastorale decennale:“Evangelizzazione e Sacramenti”.7

Il DB aveva messo in evidenza il primatodell’evangelizzazione, anche se poi que-sto compito primario della pastorale è sta-to scaricato tutto sulla catechesi. La prima parte del documento “Evange-lizzazione e Sacramenti” è dedicata al-l’analisi della situazione italiana. La se-conda parte fornisce indicazioni biblico-teologiche con cui si sottolineano le re-lazioni tra Parola e Sacramenti nell’unitàdell’economia salvifica. La terza parte of-fre delle indicazioni pastorali. In partico-lare il n. 79 presenta il rinnovamento del -la catechesi come il “principale impegnooperativo della Chiesa in Italia”, come lostrumento privilegiato per il rinnova-mento della pastorale, e raccomanda l’at-tuazione degli orientamenti dati dal DB.Questo piano pastorale propone di passareda una pastorale dei sacramenti a unapastorale dell’evangelizzazione, data lamutata situazione socio-religiosa italiana,in cui “la fede è diventata una scelta dicostume, più che una scelta personale”.8

Propone la fede come libera scelta perso-nale; chiede di non concentrare tutto losforzo pastorale sulla pratica sacramen-tale-liturgica, ma di verificare e suscitarela fede ad ogni recezione dei sacramenti;invita a costruire una Chiesa fatta più dicredenti che di praticanti. La pastorale dievangelizzazione deve condurre a unacelebrazione dei sacramenti consapevole

e fruttuosa, per far sfociare la fede nellatestimonianza della carità. Questa propo-sta di collegare in una pastorale organicaquesti tre elementi – fede, sacramenti, vi-ta – è stata, però, poco attuata.

2) Il cammino pastorale della Chiesa italiananegli anni ’70, incentrato sul piano“Evangelizzazione e Sacramenti”, ebbeun momento “forte” nel 1° Convegnoecclesiale, tenuto a Roma nel 1976 eintitolato: “Evangelizzazione e pro-mozione umana”. In questo convegnola 5ª Commissione, impegnata nell’am-bito del “rinnovamento della catechesi edella liturgia”, richiamò l’urgenza di al-cune proposte operative proprie del DB:il ruolo decisivo della comunità cristiananell’educazione della fede; il valore delpiccolo gruppo nella catechesi; l’inseri-mento della catechesi nella ferialità dellavita; l’adozione di itinerari di fede piùadeguati alla situazione dei partecipanti;un linguaggio catechistico più compren-sibile e comunicativo.

3) Negli anni 70 il rinnovamento della ca-techesi diede uno stimolo particolare al-l’azione pastorale mediante la pubblica-zione dei nuovi “catechismi per la vitacristiana”, stampati per la consultazionee la sperimentazione: quello dei bambini(1973), quello dei fanciulli (1974-76),quello dei giovani (1979) e degli adulti(1981), quello dei ragazzi e degli adole-scenti (1982).

Questi catechismi diedero concretezza adalcune scelte catechistiche del DB:– la promozione dell’incontro con Cristo

e del dialogo tra Dio e l’uomo;

7 CEI, Evangelizzazione e Sacramenti. Documento pastorale, in ECEI/2, pp. 168-198.8 E. FRANCHINI, op. cit. p. 63.

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– la valorizzazione della mediazione dellacomunità ecclesiale;

– la pedagogia dei segni, “eventi e paroleintimamente connessi”;

– il rispetto della gradualità, nel camminoverso la pienezza dell’incontro con Dio;

– la dinamica della “traditio-redditio”,per educare il cristiano a riesprimere lafede con la parola e con la vita.

4) Negli anni 70, la pastorale della Chiesaitaliana ricevette ulteriori stimoli per lapromozione dell’evangelizzazione e il rin-novamento della catechesi, dai due Si-nodi dei Vescovi sull’ evangelizzazione(1974)9 e sulla catechesi (1977) e dalleconseguenti Esortazioni apostoliche. 1) L’“Evangelii Nuntiandi” (1975) ha

dato un notevole contributo al rinno-vamento catechistico, mettendo a fuo-co il tema dell’evangelizzazione e cor-roborando la scelta pastorale dei Ve-scovi italiani, che puntavano ad unacatechesi evangelizzatrice.

2) La “Catechesi Tradendae” (1979)ha promosso un rinnovamento conti-nuo ed equilibrato (n. 17) che, senzarinnegare il passato, ha assunto lenuove acquisizioni del rinnovamentocatechistico: la catechesi come educa-zione della fede, successiva al primoannuncio; il cristocentrismo; l’integritàdei contenuti articolati in modo gerar-chico e organico, ecc.

3. «Comunione e Comunità» (1981-90)

1) Per l’animazione pastorale degli anni ’80la Chiesa italiana si è data gli Orienta-

menti pastorali “Comunione e Comu-nità”,10 il cui obiettivo era quello di aiu-tare le comunità a crescere nella vita dicomunione, per essere soggetto credibiledi evangelizzazione.Gli orientamenti pastorali degli anni ’80hanno assunto le linee-guida del DB, se-condo le quali tutta la Chiesa è pro-tagonista dell’evangelizzazione; tut-ta la chiesa è responsabile dell’annunciodella parola di Dio e dell’educazione dellavita di fede. Questi orientamenti hannomesso a fuoco la domanda: “Chi annun-cia Gesù Cristo?”; hanno ribadito con for-za che «su tutto il popolo di Dio incombeil dovere dell’evangelizzazione. Ma solouna Chiesa che vive e celebra in se stessail mistero della comunione, traducendoloin una realtà vitale sempre più organicae articolata, può essere soggetto di un’ef-ficace evangelizzazione» (CeC n. 3).“Comunione e comunità” ha proposto unmodello di Chiesa missionaria, formata dapersone adulte nella fede, che sanno as-sumere in pieno le responsabilità pastoraliderivanti dal proprio status. In altre paroleil documento ha sancito la necessità diuna catechesi permanente, che coinvolgesoprattutto gli adulti, con orientamentomissionario.

2) Nel decennio pastorale incentrato su “Co-munione e Comunità”, la Chiesa italianaha vissuto il suo momento culminantenel 2° Convegno ecclesiale, tenuto aLoreto nel 1985 e intitolato: “Riconci-liazione cristiana e comunità degliuomini”, incentrato sui modi di concepirel’ identità cristiana e il dialogo con il mon-

9 A questo Sinodo i Vescovi italiani hanno dato un loro contributo particolare, riflettendo sul documentopreparatorio “Evangelizzazione nel mondo contemporaneo” del 1974, che può essere annoverato tra i do-cumenti del piano pastorale Evangelizzazione e Sacramenti.10 CEI, Comunione e comunità. Documento pastorale, Roma, 1 ottobre 1981, ECEI/3.

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do. Nel corso di quel Convegno il papaGiovanni Paolo II ha sottolineato da unaparte l’importanza del servizio alla verità(«istanza veritativa») e dall’altra la ne-cessità di un più deciso dinamismo mis-sionario, nonché la priorità della cate-chesi degli adulti, in continuità con unodei punti qualificanti del DB.«Oggi, in una situazione nella quale è ur-gente por mano quasi ad una nuova “im-plantatio evangelica” anche in un Paesecome l’Italia, una forte e diffusa coscienzadi verità appare particolarmente necessa-ria. Di qui l’urgenza di una sistematica,approfondita e capillare catechesi degliadulti, che renda i cristiani consapevolidel ricchissimo patrimonio di verità di cuisono portatori e della necessità di daresempre fedele testimonianza della propriaidentità cristiana».11

Anche in questo Convegno, la Commis-sione che ha riflettuto sull’evangelizza-zione e la catechesi, ha sottolineato il pri-mato della Parola: questa sta alla basedell’essere e dell’agire missionario dellaChiesa. Inoltre ha richiamato l’urgenza dipromuovere in tutta la Chiesa italiana la“coscienza missionaria”; di qui la ne-cessità di una “catechesi evangelizza-trice”, che sappia trovare i modi e le viedell’annuncio della riconciliazione a tutti.«La catechesi deve tener conto di unaduplice esigenza: la fedeltà al messaggioe al suo contenuto di verità e, al tempostesso, la situazione della persona, perchésia coinvolta in un cammino di vita cri-stiana che riguarda tutte le dimensionidell’esistenza».12

In altre parole, il Convegno ripropone al-cune scelte nodali del DB: la duplice fe-deltà a Dio e all’uomo, l’integrazione trafede e vita, l’introduzione del credente intutte le dimensioni della vita ecclesiale, ilprimato della catechesi degli adulti.

3) Questi orientamenti pastorali hanno de-terminato degli eventi catechistici si-gnificativi:– la pubblicazione della Nota “La forma-

zione dei catechisti nella comunitàcristiana” (1982), successiva a un’in-dagine nazionale sui catechisti italiani:una Nota di importanza notevole perla realizzazione del progetto catechisti-co italiano delineato dal DB;

– la verifica dei catechismi (1984-87):un impegno che ha coinvolto tutte lediocesi italiane (“una proposta di cor-responsabilità ecclesiale”) e che hapermesso di cogliere un giudizio larga-mente positivo sui catechismi;

– il 1° Convegno nazionale dei catechisti(1988), con un titolo che lancia unmessaggio e un obiettivo altamente si-gnificativi: “Catechisti per una Chiesamissionaria”;

– il 2° Convegno nazionale dei catechisti(1992), incentrato sulla catechesi degliadulti, intitolato: “Testimoni del Van-gelo nella città degli uomini. Adultinella fede, testimoni di carità”.

4) In questo decennio, e precisamente nel1988, viene pubblicata la “Lettera diriconsegna del DB”, che riafferma legrandi scelte del DB e aggiunge nuove

11 Cf. Allocuzione del Papa al Convegno di Loreto 1985, in CEI, Riconciliazione cristiana e comunitàdegli uomini. Atti del 2° Convegno ecclesiale, Roma 1985. Questo testo è riportato anche nella lettera diriconsegna del DB.12 Cf. CEI, Riconciliazione cristiana…, op. cit., p. 341.

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indicazioni pastorali per adattare le sceltedel DB al mutato contesto pastorale:– la necessità di inserire la catechesi in

un piano di pastorale organica («lacatechesi non è tutto, ma tutto nellaChiesa ha bisogno di catechesi»);

– la necessità di dare alla catechesi uncarattere marcatamente missionario,elaborando itinerari differenziati per lediverse situazioni ed esigenze dei de-stinatari;

– la valorizzazione del “catechismo perla vita cristiana” come “libro della fe-de” destinato a sorreggere e guidare lacatechesi viva;

– la priorità della catechesi degli adulti;– la necessità della formazione perma-

nente dei catechisti.Come si può notare, negli anni ’80 è co-stante la presenza dei temi della missio-narietà, della catechesi degli adulti e dellaformazione dei catechisti.

4. «Evangelizzazione e testimonianzadella carità» (1991-2000)

1) Agli inizi degli anni ’90 i Vescovi italianipubblicano gli Orientamenti pastoraliper il nuovo decennio: “Evangelizza-zione e testimonianza della carità”.13

Il titolo evidenzia la continuità con i pro-grammi pastorali precedenti e riaffermala priorità dell’evangelizzazione.«In questa situazione diversificata e com-plessa, luci e ombre convergono nel con-fermare e rafforzare quella centralità epriorità dell’evangelizzazione che già co-stituiva l’intento fondamentale del Con-

cilio Vaticano II e che è alla base del cam-mino della Chiesa italiana in questi ultimidecenni, dal documento sul Rinnova-mento della catechesi (1970) a quelli suEvangelizzazione e sacramenti (anni’70) e Comunione e comunità (anni’80)».14

Al tema dell’evangelizzazione viene de-dicata in modo particolare la seconda par-te del documento: “Il Vangelo della caritàe le nostre Chiese”. Gli obiettivi pastoraliformulati in queste pagine sono princi-palmente due:– far maturare delle comunità parrocchia-

li che abbiano la consapevolezza di es-sere soggetto di una catechesi perma-nente e integrale - rivolta a tutti e inparticolare ai giovani e agli adulti - diuna celebrazione liturgica viva e par-tecipata, di una testimonianza di ser-vizio attenta e operosa;

– favorire un’osmosi sempre più pro-fonda tra queste tre essenziali dimen-sioni del mistero e della missione dellaChiesa.15

Come si può vedere, viene riproposta laformula «parola-sacramento-testimo -nian za» degli anni ’70 e all’interno diquesta viene ribadita la scelta della cate-chesi permanente e dell’ opzione prefe-renziale per la catechesi degli adulti. Maad essa si aggiunge la catechesi dei gio-vani e la necessità di una prima evan-gelizzazione:– «In ogni Chiesa particolare non manchi

un’organica, intelligente e coraggiosapastorale giovanile… Un’attenzioneprivilegiata deve essere riservata agli

13 CEI, Evangelizzazione e testimonianza della carità. Orientamenti pastorali per gli anni ’90, in ECEI/4.14 CEI, Evangelizzazione e testimonianza della carità, op. cit. p. 1364.15 Cf. CEI, Evangelizzazione e testimonianza della carità…, op.cit., pp. 1379-1380.

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adolescenti… Bisogna rivolgere co-stante attenzione alla preparazione spi-rituale, culturale e pedagogica di edu-catori in grado di accompagnare e gui-dare i ragazzi e i giovani nella matu-razione del loro cammino di fede».16

– Di fronte al pluralismo culturale in atto«appare urgente promuovere una pa-storale di “prima evangelizzazione”,che abbia al suo centro l’ annuncio diGesù Cristo morto e risorto… rivoltoagli indifferenti o non credenti».17

2) Anche in questo decennio la Chiesa ita-liana celebra il 3° Convegno ecclesialenazionale, col titolo: “Il Vangelo dellacarità per una nuova società in Ita-lia”;18 lo celebra a Palermo nel 1995.Uno dei primi obiettivi di questo Conve-gno è quello della formazione, che “rap-presenta una fondamentale istanza dellanuova evangelizzazione”.«Il Vangelo della salvezza, contenuto nel-la Bibbia, parola di Dio scritta, e procla-mato dalla dottrina della Chiesa – auto-revolmente proposta nel Catechismo dellaChiesa Cattolica e nei diversi volumi delCatechismo per la vita cristiana della CEI– deve diventare alimento costante dellavita dei singoli e delle comunità, per pro-muovere la crescita di cristiani e comunitàadulti nella fede, operosi nella carità, pro-fetici nella speranza».19

La necessità della formazione è richiestada una impostazione missionaria dellapastorale, in cui si sottolinea fortementeil rapporto tra fede e cultura. All’interno

di queste coordinate vengono ribaditi gliobiettivi del DB: «Le diocesi e le parroc-chie finalizzino tutta la pastorale all’obiet-tivo prospettato dal nostro progetto cate-chistico: “Educare al pensiero di Cristo, avedere la storia come lui, a giudicare lavita come lui, a scegliere e ad amare comelui, a sperare come insegna lui… In unaparola a nutrire e guidare la mentalità difede” (RdC 38)».20

3) Da un punto di vista catechistico, neglianni ’90, oltre al 2° Convegno nazionaledei catechisti sulla catechesi degli adultidel 1992 (già richiamato), vanno ricor-dati quattro eventi.

1° La pubblicazione degli Orientamentie itinerari di formazione dei ca-techisti (1991): con essi si vuole aiu-tare i catechisti a realizzare l’atto ca-techistico, cioè a fondere insieme nel-l’atto comunicativo della catechesi di-versi elementi: contenuti, condizionedei destinatari, contesto ecclesiale, lin-guaggio. Si ribadisce la corresponsa-bilità dell’intera comunità cristiananell’ educazione della fede, la prioritàdella catechesi degli adulti e della for-mazione dei catechisti.

2° La seconda stesura dei catechismi,i cui criteri vengono definiti nel semi-nario di studio che si tiene a Roma al-l’inizio del 1987 (quando viene con-fermata la validità del DB) e la cuirealizzazione domanda ben dieci annidi lavoro. Nel 1991 vengono pubbli-

16 Ivi, pp. 1394-1396.17 Ivi, p. 1383.18 CEI, Il Vangelo della carità per una nuova società in Italia. “Io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21,5).Traccia di riflessione in preparazione al Convegno ecclesiale di Palermo 1995, EDB, Bologna 1995.19 CEI, Il Vangelo della carità…, op. cit., n. 24.20 Ivi, p. 226.

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cati i quattro catechismi dell’iniziazio-ne cristiana (a cui si aggiunge nel1992 quello dei bambini); nel 1993quello degli adolescenti e nel 1997quello dei giovani; nel 1995 quellodegli adulti, il cui testo è accompagna-to, paragrafo per paragrafo, dai rimandial Catechismo della Chiesa Cattolica.

3° L’edizione del Catechismo dellaChiesa Cattolica (1992) che «costi-tuisce per la Chiesa in Italia una con-ferma quanto mai autorevole dell’im-pegnativo lavoro svolto in questi de-cenni nel campo della catechesi, inspirito di comunione e di intesa con laSanta Sede».21

4° La preparazione al grande Giubileodel 2000, che prevede un camminotriennale di evangelizzazione, incen-trata su Cristo, il battesimo e la fede(1997), sullo Spirito Santo, la cresimae la speranza (1998) e sul Padre, lapenitenza e la carità (1999), in pienaanalogia con la struttura del catechismodegli adulti “La verità vi farà liberi”.

5° La pubblicazione delle tre Note sul-l’iniziazione cristiana degli adulti(1997),22 dei fanciulli e ragazzi(1999)23 e dei “ricomincianti” (2003).24

5. «Comunicare il Vangelo in unmondo che cambia» (2001-2010)

1) Per i primi 10 anni del 2000, i Vescoviitaliani scelgono come obiettivo prioritariodella pastorale la “comunicazione dellafede”, cioè «comunicare il Vangelo ai fe-deli, a quanti vivono nell’ indifferenza eai non cristiani, qui nelle nostre terre ein terra di missione». Questo obiettivoviene proposto mediante gli Orienta-menti pastorali «Comunicare il Van-gelo in un mondo che cambia».25

Il compito primario della Chiesa è te-stimoniare la gioia e la speranza origi-nate dalla fede nel Signore Gesù Cristo,vivendo nella compagnia degli uomini,in piena solidarietà con loro, soprattuttocon i più deboli (cf. CV 1-4). «Il Vangeloè il grande dono di cui dispongono i cri-stiani. Perciò essi devono condividerlocon tutti gli uomini e le donne che sonoalla ricerca di ragioni per vivere» (CV32; RM 20).È necessario che si ponga mano a unprimo annuncio del Vangelo, perchémolti praticanti non dimostrano un’au-tentica e concreta adesione alla personadi Gesù; molti battezzati vivono come seCristo non esistesse; cresce il numero dicoloro che devono completare l’iniziazio-

21 C. RUINI, Il Catechismo della Chiesa Cattolica e l’Italia, in AA.VV., Il Catechismo del Vaticano II, Paoline1993.22 CONSIGLIO PERMANENTE DELLA CEI, L’iniziazione cristiana. 1. Orientamenti per il catecumenato degliadulti. Nota pastorale, Roma 1997; si vedano in particolare i nn. 28-29 sul “tempo della prima evange-lizzazione”.23 CONSIGLIO PERMANENTE DELLA CEI, L’iniziazione cristiana. 1. Orientamenti per l’iniziazione dei fanciullie dei ragazzi dai 7 ai 14 anni. Nota pastorale, Roma 1999; si vedano in particolare i nn. 31-35 sul“primo annuncio”.24 CONSIGLIO PERMANENTE DELLA CEI, L’iniziazione cristiana. 3. Orientamenti per il risveglio della fede e ilcompletamento dell’iniziazione cristiana in età adulta. Nota pastorale, Roma 2003.25 CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italianoper il primo decennio del 2000, ECEI/7, pp. 90-155,

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ne cristiana; cresce il numero delle per-sone non battezzate.Tutto il primo capitolo degli orientamentipastorali è incentrato su Colui che è ilnucleo fondamentale del primo annuncio:la persona di Gesù, l’Inviato del Padre,venuto nel mondo per rivelarci il suo vol-to e donarci lo Spirito Santo, perché po-tessimo partecipare alla vita divina.Nei capitoli successivi il documento deiVescovi dice che il primo annuncio deveessere portato prima di tutto alla comu-nità “eucaristica” (CV 47-50); ai gio-vani, per rispondere con l’annuncio dellaParola alla loro “sete di senso” (CV 51);alle famiglie, che sono le prime respon-sabili dell’“introduzione” all’ esperienzacristiana (CV 52); ai non praticanti, os-sia ai battezzati che, pur non avendo rin-negato il loro battesimo, stanno ai mar-gini della comunità ecclesiale». Gli stessifanciulli battezzati «hanno bisogno diessere interpellati dall’annuncio del Van-gelo nel momento in cui iniziano il lorocammino catechistico» (CV 57).Per questa opera di rievangelizzazione ènecessaria la mobilitazione di tutti i cre-denti. «I cristiani più consapevoli dellaloro fede, insieme con le loro comunità,non si stanchino di pensare a forme didialogo e di incontro con tutti coloroche non sono partecipi degli ordinaricammini della pastorale. Bisogna creareoccasioni di testimonianza e di comuni-cazione del Vangelo nella vita quotidia-na, nel contatto giornaliero nei luoghi dilavoro e di vita sociale… Su questi ter-reni di frontiera va incoraggiata l’operadi associazioni e movimenti che si spen-dono sul versante dell’evangelizzazione»(CV 58).

Per svolgere questa missione, bisognadare a tutta la vita quotidiana della Chiesauna chiara connotazione missionaria;curare la formazione dei battezzati, per-ché siano testimoni credibili (cf. ChL 57-63); favorire una più adeguata comuni-cazione del mistero del Dio, fonte di gioiae di speranza; configurare la pastoralesecondo il modello della iniziazione cri-stiana, intessendo tra loro testimonianzae annuncio, catechesi, vita sacramentalee carità (CV 59).

2) Facendo seguito agli Orientamenti pa-storali dei primi 10 anni del 2000, i Ve-scovi italiani nel 2004 hanno voluto of-frire alla Chiesa che è in Italia alcuni in-dirizzi pastorali concreti, per promuo-vere il rinnovamento delle parrocchiein senso missionario, in un contestoculturale in rapido cambiamento. Questiorientamenti sono stati riassunti nellaNota pastorale: “Il volto missionariodelle parrocchie in un mondo checambia” (2004).26

La Nota nella prima parte sottolinea ilruolo della parrocchia nella comunicazio-ne del Vangelo. La parrocchia è la formastorica che dà concretezza alla Chiesaparticolare. Le parrocchie devono esserecoinvolte nel rinnovamento missionariochiesto alle diocesi (n. 4).La Nota nella seconda parte offre alcuneindicazioni per promuovere la missiona-rietà delle parrocchie in sette ambiti pa-storali: il primo annuncio, l’iniziazionecristiana, la celebrazione della domenica,la formazione degli adulti, delle famigliee dei giovani, il rapporto con il territorio,la collaborazione tra parrocchie, la colla-borazione tra preti e laici.

26 CEI, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, ECEI/7, pp. 818-858.

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La prima azione pastorale che la parroc-chia deve realizzare è il primo annunciodel Vangelo (n. 6). «Non si può più dareper scontato che si sappia chi è Gesù Cri-sto, che si conosca il Vangelo, che si abbiauna qualche esperienza di Chiesa. Valeper fanciulli, ragazzi, giovani e adulti; valeper la nostra gente e per tanti immigrati,provenienti da altre culture e religioni. C’è bisogno di un rinnovato primo an-nuncio della fede. È compito della Chiesain quanto tale, e ricade su ogni cristiano,discepolo e quindi testimone di Cristo;tocca in modo particolare le parrocchie.Di primo annuncio vanno innervate tuttele azioni pastorali» (n. 6). Viene suggeritoil metodo del primo annuncio, viene rac-comandato il dialogo tra fede e cultura eviene richiamato il dovere della missione“ad gentes”.

3) A metà del primo decennio del 2000 iVescovi hanno ritenuto di riportare al cen-tro dell’azione pastorale il primo annun-cio della fede: lo hanno fatto con la Notapastorale «Questa è la nostra fede»(2005),27 che ha l’obiettivo di far «risco-prire il valore, l’urgenza, le possibilità ele modalità concrete per comunicare a tuttiil primo annuncio della salvezza».Con questa Nota pastorale i Vescovi ita-liani hanno dato continuità a un indirizzopastorale già scelto negli anni 90, ma lacui intuizione era già contenuta nel DBche, oltre ad avviare un rinnovamentoradicale nel modo di annunciare il Van-gelo e di educare la vita di fede dei cre-denti, ha tenuto aperto anche il problemadel “primo annuncio” da portare ai noncredenti.

«L’evangelizzazione propriamente detta è il pri-mo annuncio della salvezza a chi, per ragionivarie, non ne è a conoscenza o ancora noncrede. Questo ministero è essenziale per laChiesa oggi come nei primi secoli della suastoria, non soltanto per i popoli non cristiani,ma per gli stessi credenti. L’esperienza pasto-rale attesta, infatti, che non si può sempre sup-porre la fede in chi ascolta. Occorre ridestarlain coloro nei quali è spenta, rinvigorirla incoloro che vivono nell’indifferenza, farla sco-prire con impegno personale alle nuove ge-nerazioni e continuamente rinnovarla inquelli che la professano senza sufficiente con-vinzione o la espongono a grave pericolo. An-che i cristiani ferventi, del resto, hanno semprebisogno di ascoltare l’annuncio delle verità edei fatti fondamentali della salvezza e di co-noscerne il senso radicale, che è la “lieta no-vella” dell’amore di Dio» (RdC 25).

In coerenza con quanto affermato dallaNota pastorale “Questa è la nostra fede”,è stata elaborata alla fine di questo de-cennio la “Lettera ai cercatori di Dio”(2009): uno strumento per portare agliuomini in ricerca il primo annuncio del-l’amore di Dio.

4) Anche a metà del primo decennio del2000, come nei decenni precedenti, i Ve-scovi hanno voluto far vivere alla Chiesaitaliana un momento ecclesiale “forte”,convocando il 4° Convegno ecclesialenazionale a Verona nell’ottobre 2006,con il titolo: “Testimoni di Gesù risor-to, speranza del mondo”.Esso ha chiamato le comunità cristiane eciascun credente a testimoniare l’amoredi Dio per l’uomo e a prolungare nel tempo– come ci dice la Nota pastorale dopoVerona – la manifestazione di quel gran-de ‘sì’ che Dio «ha detto all’uomo, alla

27 COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, «Questa è la nostra fede», Nota pastorale sul primoannuncio del Vangelo, ECEI/7, pp. 1287-1329.

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Il rinnovamento della catechesi 223

sua vita, all’amore umano, alla nostra li-bertà e alla nostra intelligenza».28

I Vescovi italiani nella Nota pastorale do-po Verona, scrivono che i cristiani testi-moniano l’amore di Dio prima di tuttocon l’attenzione alle persone, con leopere dell’amore e le scelte di vita in fa-vore delle persone. Per questo, continua-no i Vescovi, «il nostro unico interesse èmetterci a servizio dell’uomo, perchél’amore di Dio possa manifestarsi in tuttoil suo splendore» (Nota pastorale dopoVerona, n. 19).Nello stesso tempo i Vescovi - riecheg-giando il DB - chiedono alle comunitàcristiane «un investimento educativo,capace di rinnovare gli itinerari formativi,per renderli più adatti al tempo presentee significativi per la vita delle persone,con una nuova attenzione agli adulti»(Nota pastorale dopo Verona, n. 17).

Conclusione

Il DB, ha detto Paolo VI all’indomani dellasua pubblicazione, ha segnato “un momentostorico e decisivo per la fede cattolica delpopolo italiano”. Ha stimolato la Chiesa ita-liana a riprogettare, decennio dopo decennio,la sua azione pastorale, per rispondere fe-delmente alle esigenze dei tempi nuovi esvolgere la sua missione evangelizzatrice inmodo fedele a Dio e all’uomo.Dopo 40 anni dalla sua pubblicazione, checosa chiede il DB alla nostra pastorale, per-ché le nostre comunità siano capaci di evan-gelizzare gli uomini del nostro tempo e dieducare la loro fede?

1. Chiede di non smentire le sue grandi in-tuizioni, che costituiscono la ricezione delConcilio Vaticano II nella catechesi italiana.È dunque nella linea della continuità cheva celebrato il 40° anniversario del DB.

1) Il DB chiama le comunità ecclesialiad essere davvero il “grembo” chegenera le persone alla vita di fede. Perquesto è necessario che l’azione pa-storale edifichi delle comunità attra-enti, accoglienti e educanti, in cuile persone sono messe nelle condizionidi poter vivere tra loro rapporti di sti-ma, di simpatia e di amicizia e di potervivere autentiche esperienze di fede.

2) Il DB chiede alle comunità ecclesiali didare un’attenzione prioritaria allepersone, alle esperienze che esse vi-vono nei loro mondi vitali, alle do-mande che coltivano nel cuore, ai lorodiversi livelli di fede; chiede di acco-gliere le persone come sono, di ascol-tare gli interrogativi che toccano lestrutture portanti della loro esistenza:gli affetti, il lavoro, il riposo. L’affer-mazione centrale del documento Base,di conseguenza, non potrà mai essererinnegata:

«Chiunque voglia fare all’uomo d’oggi undiscorso efficace su Dio, deve muovere daiproblemi umani e tenerli sempre presentinell’esporre il messaggio. È questa, del resto,esigenza intrinseca per ogni discorso cristia-no su Dio. Il Dio della Rivelazione, infatti,è il “Dio con noi”, il Dio che chiama, chesalva e dà senso alla nostra vita; e la suaparola è destinata a irrompere nella storia,per rivelare a ogni uomo la sua vera voca-zione e dargli modo di realizzarla» (DB 77).

28 CEI, “Rigenerati per una speranza viva” (1 Pt 1,3): testimoni del grande “sì” di Dio all’uomo. Notapastorale dopo il 4° Convegno ecclesiale nazionale, Roma 2007, n. 10.

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Il rinnovamento della catechesi224

3) Il DB chiede alle comunità ecclesiali didare a tutta la loro azione pastoraleuna “connotazione missionaria”,capace di generare alla vita di fede lepersone che le incontrano; chiede dicollocare gli itinerari di iniziazione eformazione cristiana all’interno dellavita della comunità; chiede di confi-gurare tutta la pastorale secondo ilmodello dell’iniziazione cristiana, in-tessendo tra loro: testimonianza e an-nuncio; itinerario catecumenale, cate-chesi e vita sacramentale; mistagogiae testimonianza di carità (cf. CV 59).

4) Il DB chiede alle nostre comunità di co-niugare insieme le diverse esperienzepastorali e di metterle al servizio del-l’educazione della fede; chiede di edu-care la “mentalità di fede”, cioè di “edu-care al pensiero di Cristo, a vedere lastoria come lui, a giudicare la vita comelui, a scegliere ed amare come lui, asperare come insegna lui, a vivere inlui la comunione con il Padre e lo SpiritoSanto” (RdC 38); chiede di mettere lepersone nella condizione di poter vivereun’esperienza globale di vita cristiana.

5) Il DB chiede alle comunità ecclesiali dipromuovere la formazione cristianapermanente dei giovani e degliadul ti, perché siano testimoni signi-ficativi e annunciatori credibili del Van-gelo negli areopaghi del nostro tempo,capaci di “narrare” la loro esperienzadi fede, di raccontare ciò che Dio hafatto e sta facendo nella loro vita ecosì suscitare negli altri il desiderio diGesù.

6) Il DB chiede alle comunità ecclesiali difar scoprire che Dio si è fatto vicino

a noi in Cristo e che la nostra storia,grazie alla presenza di Dio, è “storiadi salvezza”, nella quale anche noisiamo protagonisti e nella quale dob-biamo imparare a cogliere i “segni deitempi”.

7) Il DB chiede alle comunità ecclesialidi entrare in dialogo critico-costrut-tivo con la cultura del nostro tempoe di insegnare a fare un discerni-mento dei valori e dei disvalori in es-sa presenti, a scegliere ciò che è buo-no, vero, nobile, puro, amabile, ono-rato, ciò che è virtù e merita lode (cf.Fil 4,8).

2. La “catechesi per la vita cristiana” pro-posta dal DB va considerata, dunque, co-me un punto di non ritorno. Ma non varitenuta come un punto di arrivo. In altreparole: dopo aver assunto pienamente laprospettiva della doppia fedeltà a Dio eall’uomo e aver faticosamente percorsola strada della catechesi antropologica eesperienziale, dobbiamo fare con più de-cisione il passo successivo, quello richie-sto dal primo annuncio.Dobbiamo trovare la via pedagogica dellaproposta e dell’iniziazione cristiana, sen-za poter più contare, però, sui grembi ini-ziatici tradizionali. Dobbiamo accettare laricerca di una “catechesi della sorpresa”,la sorpresa del “sì” di Dio all’uomo, diDio che si è incarnato “per noi uomini eper la nostra salvezza”. A nostro favoree non contro di noi. La sorpresa del primoannuncio non sarà reale fino a quandonon troveremo una adeguata “pedagogiadel primo annuncio”, che dovrà essereal contempo tutta kerigmatica e tutta an-tropologica.

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La catechesi attuale, al di là delle suebuone intenzioni, è ancora prigionieradel linguaggio prevalentemente cognitivodella fede, quello ereditato dal generedella “summa” e dei catechismi del1500. Essa ha cambiato la sua pedago-gia, ma è ancora in piena continuità conil genere “catechismo”, quanto alla suarazionalità.Nell’attuale contesto culturale, nel qualeDio non appare agli uomini di oggi néevidente né necessario, per annunciare ilvangelo dobbiamo risalire alle formuleall’evento pasquale che ha generato laChiesa, ricuperando il linguaggio tipicodel kerigma, cioè il linguaggio missiona-rio che noi abbiamo dimenticato.Occorre poi che, a valle, incrociamo ilvissuto della gente, il loro bisogno di vita,ricuperando così il linguaggio narrativoe autobiografico della fede, perché il van-gelo non è vangelo se non è raccontoche incrocia i racconti umani.Occorre poi che facciamo spazio al lin-guaggio simbolico della fede, in parti-colare a quello della liturgia, essendoquesto il linguaggio più adeguato nonsolo per dire, ma anche per fare espe-rienza della fede cristiana. Anche i lin-guaggi dell’arte, del corpo, della poesia,sono linguaggi simbolici familiari alla fe-de. Liturgia e patrimonio simbolico edestetico della fede, a livelli diversi, sonoluoghi di primo annuncio, hanno effettokerigmatico, attraverso la sorpresa e lostupore.

Infine, in un contesto di non evidenza edi non necessità della fede, occorre chevalorizziamo il linguaggio apologetico,inteso nel suo senso positivo come capa-cità di dare ragione agli uomini di oggidella speranza che è in noi, cioè di pre-sentare un cristianesimo plausibile, pos-sibile e desiderabile. Non dunque una“apologetica contro”, ma una “apologe-tica a favore”, che manifesti come la“differenza cristiana” è una differenza afavore dell’uomo.29

3. Ma non è possibile rinnovare l’annunciodel Vangelo senza rinnovare la Chiesa:il suo rapporto con il vangelo e il suosguardo sulla società e la cultura. Propriosu questo punto, giova mantenere vivala memoria fedele del Concilio. Non èpensabile che la Chiesa possa attuare una“evangelizzazione della sorpresa”, senon è capace lei di sorprendersi del van-gelo, perché il vangelo “scontato” è unproblema della Chiesa, prima che dellagente.Pertanto, il linguaggio decisivo per la fedenon è quello della catechesi, ma è quellodella Chiesa stessa, nel suo modo di vi-vere, di organizzarsi, di relazionarsi al-l’interno e all’esterno. La Chiesa evange-lizza con tutta se stessa. Il bivio, dunque,prima di essere catechistico, è ecclesiolo-gico. Spetta a noi servire l’azione delloSpirito, che rende nuove tutte le cose (Ap21,5), rinnovando dalle radici la nostraChiesa, con passione e con intelligenza.

29 E. BIANCHI, La differenza cristiana, Einaudi, Torino 2006.

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1. Due icone bibliche

Parto dalla Sacra Scrittura stessa, ponendolequesto interrogativo: che cosa sei per noi,credenti in Gesù e come vuoi che ti leggia-mo, ti ascoltiamo e ti attuiamo?Ripropongo in merito due icone bibliche lacui verità ritornante nella prassi concreta,fatta di difficoltà e di rese, tocco con manoogni giorno.La prima icona è l’incontro di Filippo, “dia-cono” con l’Etiope eunuco, funzionario dellaregina Candace (At 8, 20-40). Propongo treannotazioni:a) Della Sacra Scrittura l’eunuco non capisce

ciò che sta leggendo ed esprime l’esigen-za che qualcuno glielo spieghi.

b) L’annuncio di Filippo e l’interpretazionedel passo profetico riguarda Gesù «Filippoprendendo la parola e partendo da quelpasso della Scrittura, annunciò a lui Ge-sù» (At 8,35).

c) Infine di fronte alla presenza dell’acqua,lungo la strada, l’eunuco esprime un de-siderio: «Ecco, qui c’è dell’acqua; che cosaimpedisce che io sia battezzato?» (At 8,36b). L’effetto del battesimo: «l’eunuconon vide più Filippo; e pieno di gioia pro-seguiva per la sua strada» (At 8, 39b).

L’eunuco è coinvolto in una qualità di vita(gioia, cfr. Gal 5,22) opera dello Spirito San-to che lo fa continuamente vivere in unanovità di vita.

La seconda icona, conosciutissima e caraa tanti, è l’ultimo capitolo del Vangelo di Lu-ca: incontro di Gesù (meglio: la compagniadi Gesù) e i due discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35). Gli elementi da richiamare e chepossono avverarsi ogni momento nella storiaquotidiana ecclesiale, sono i seguenti.a) La presenza di Gesù lungo il cammino

«Gesù in persona si avvicinò e cammi-nava con loro» (Lc 24, 15b).

b) La condizione concreta dei due: «Ma i lo-ro occhi erano impediti a riconoscerlo»(Lc 24, 16).

c) La spiegazione che Gesù fa a loro «stoltie lenti di cuore»; «E incominciando daMosè a tutti i profeti, spiegò loro in tuttele Scritture ciò che si riferiva a Lui» (Lc24,27).

d) Il riconoscimento di Gesù, nel gesto, av-venuto a tavola, dietro loro insistenza ospi-tale: «Quando fu a tavola con loro, preseil pane, recitò la benedizione, lo spezzò elo diede loro. Allora si aprirono gli occhi elo riconobbero» (Lc 24, 30-31).

In tutte e due le icone riconosciamo:– l’esperienza dell’incontro e del dialogo

di spiegazione delle Scritture;– l’ascolto e accoglienza dell’insegna-

mento;– l’esperienza della celebrazione sacra-

mentale: Battesimo ed Eucaristia;– l’effetto qualitativo della gioia e del -

l’«ardore» del cuore.1

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LA SCRITTURA COME “LIBRO”DELLA CATECHESI (D.B. 105)

S. E. Mons. Luciano Pacomio, Vescovo di Mondovì

1 Cfr. Propositiones 23 della XII assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi «La Parola di Dionella vita e nella missione della Chiesa» (5-26 ottobre 2008)

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Il rinnovamento della catechesi 227

2. Un avvertimento educativo

Mi faccio discepolo dell’illustre e compiantoMonsignor Luigi Sartori2 che ci orienta aqualificare e a dare concretezza al ruolodella Parola di Dio scritta: il primato e cen-tralità cristologica.

1) Il tema della catechesi metteva più insintonia con il discorso sulla Parola dacredere, da comunicare e da vivere, chenon con quello specifico della Parola dacelebrare.E su questo fronte è stato determinanteil dialogo tra teologi e biblisti, al fine didare concretezza al primato della Paro-la, della «Chiesa sotto la Parola». In-tendendo questo «sotto» non solo come«ascolto» (come avviene nel momentoliturgico, parte prima), ma proprio comevera «assunzione» che mi fa pensare laParola, mi porta a capirla, a tradurlanella mia lingua, e farla diventare per-fino cultura o fermento di cultura, e gui-da concreta della vita. La successivascelta della CEI per una pastorale chedia il primato alla evangelizzazione ètutta già precontenuta in questa sensi-bilità posta come base per la recezionedel Concilio, promossa dal Rinnovamen-to della catechesi; proprio in analogiacon il percorso della teologia italianapost-conciliare. Ritengo che in certa mi-sura la stessa teologia della scuola do-vrebbe considerare il Documento Basecome un suo punto di partenza, perchéè un testo che contiene la prima sintesiautorevole della «teologia conciliare»fornita dalla Chiesa italiana.

2) Prima e più che non le prospettive di«pienezza», di «integrità» e di «catto-licità» (intesa, quest’ultima, nel sensoetimologico del termine, ossia comeapertura a tutto l’oggetto, compresi iframmenti, e a tutti i soggetti, compresi«quelli di fuori»), ha preso immediatovigore il nostro consenso sul criterio del-la «concentrazione cristologica»; noncome semplice riferimento a una dottri-na dogmatica centrale, ma proprio comerimando a una Persona viva cui nonsolo la fede ma anche la ratio theologicae la prassi pastorale devono rapportarsiper essere autentiche».

3. Un discernimento vitale

Il DB ci propone pedagogicamente innanzi-tutto una presa di coscienza valida 40 annifa e profeticamente e sapienzialmente ancorpiù pertinente nell’”oggi” che stiamo viven-do. Richiamo il n. 25 a.b.c.

«L’evangelizzazione propriamente detta èil primo annuncio della salvezza a chi, perragioni varie, non ne è a conoscenza o an-cora non crede. Questo ministero è essenziale alla Chiesaoggi come nei primi secoli della sua storia,non soltanto per i popoli non cristiani, maper gli stessi credenti. L’esperienza pastorale attesta, infatti, chenon si può sempre supporre la fede in chiascolta. Occorre ridestarla in coloro neiquali è spenta, rinvigorirla in coloro chevivono nell’indifferenza, farla scoprire conimpegno personale alle nuove generazionie continuamente rinnovarla in quelli che

2 SARTORI L., Teologi e pastori per il rinnovamento della Catechesi, in Il Rinnovamento catechistico inItalia a 25 anni dal «Documento Base», LDC, Torino-Leumann 1995, 125-126

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la professano senza sufficiente convinzio-ne o la espongono a grave pericolo.»

4. L’insegnamento da confermarecon forza

Ci sono i numeri 105-108 che prolunganonel terzo millennio la continuazione “emo-zionale” e “progettuale” del Concilio Ecu-menico Vaticano II.Ho scritto “emozionale” giacché la celebra-zione dell’ultimo Concilio Ecumenico e il di-battito dei Padri ha creato un clima prima-verile nella Chiesa che deve essere ripropostoin ogni nuova generazione: l’attesa, l’ascol-to, la ricerca, il confronto, la confessione difede fondata, ben motivata, vissuta, testi-moniale, sono l’esserci della Chiesa e il coin-volgimento di cui ogni generazione ha ur-genza e necessita. Anche la valenza “pro-gettuale” del concilio è il “farsi” di ogni co-munità cristiana nella continuità, nel com-pimento e nel superamento che già sono ca-ratteristiche e norme che regolano il rapportotra Antico Testamento e Nuovo Testamento.I numeri del DB citati devono essere ripro-posti con forza, interpretata con la ricchezzadocumentaria magisteriale dell’ultimo Sino-do in attesa del Documento postsinodale delSanto Padre, riofferti con vivezza e forzapropositiva alle nuove generazioni.Mi permetto di richiamare, solo come pro-memoria i titoletti a margine.

n. 105 La Scrittura vera parola di Dio fonteeminente del mistero di Cristo.

n. 106 I caratteri fondamentali della Scrit-tura

n. 107 La Scrittura è il «Libro». Come vausata e interpretata la Scrittura.

n. 108 Che cosa attingere dalla Scrittura.

5. L’orizzonte di senso e di vita

La pratica (lettura, ascolto, interiorizzazione,azione testimoniale) della Bibbia è, e devedivenire, sempre più evento ecclesiale: il po-polo deve essere sempre più stimolato e aiu-tato a incontrarsi con la Bibbia3, nelle varieetà, con le diverse forme di catechesi, cele-brazioni, azioni “caritative”, attenti a pro-muovere un approccio personale diretto allaSacra Scrittura, che cambi mentalità4, rendacioè capaci secondo la Bibbia di pensare egiudicare, di parlare, di vivere la relazione,di scegliere, di agire, di preparare – interpre-tare – attendere il futuro (dopo storia).È importante richiamare in merito la gene-razione come primo modello biblico per latrasmissione della fede: tutti i credenti sonogenerati dalla Parola incorruttibile, aiutatidal ruolo dell’apostolo che genera nella ve-rità5: «Dopo aver purificato le vostre anime,con l’obbedienza alla verità, per amarvisinceramente come fratelli, amatevi inten-samente di cuore, gli uni gli altri, rigeneratinon da una spora (seme) corruttibile, bensìincorruttibile, per mezzo della parola di Dioviva ed eterna. Perché ogni carne è comel’erba e tutta la sua gloria come un fiore.L’erba inaridisce, i fiori cadono, ma la pa-

3 BISSOLI C., Generati dalla Parola. Ruolo della Parola nella pastorale, in Orientamenti Pastorali1/2008, 15.4 Facciamo tesoro dell’annotazione di MEDI L., Il Documento - Base 40 anni di Catechesi, in Settimana 9(2010)1, (cfr. DB 36-38; cfr. CD 14). Dobbiamo per orientarci fattivamente tenendo presenti almeno icinque modi, proposti e discussi dallo stesso C. Bissoli nell’articolo citato pp. 9-155 PITTA A., Generati dalla Parola per generare la Verità, in Presbiteri 2 (2010) 150-158

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rola di Dio rimane in eterno. E questa è laparola che vi è stata annunciata» (1Pt 1,22-25).

6. Carenze e mete

È consolante cogliere quanto è proposto esperimentato in Italia come corsi, conferen-ze, gruppi di ascolto, per incontrarsi con laSacra Scrittura, ma realisticamente dobbia-mo rammentare che il contatto diretto conla Bibbia «raggiunge nemmeno il 10% dellapopolazione».Quanto è enunciato dal DB al n. 106 sullaScrittura quale anima e libro della Catechesi,quanto è riproposto dalla letteratura a com-mento del XII Sinodo ordinario dei Vescovigià richiamato6 possono essere letti dal du-plice punto di vista: come carenze per lequali proporre rimedi e come mete da rag-giungere con una gradualità di scelte chepossono essere gli itinerari in cui incam-minarci decisamente e fruttuosamente.Mi permetto di richiamarne alcuni, dal solopunto di vista della catechesi, vissuta comeiniziazione ed educazione globale alla cre-scita della fede che spera e che ama.La Sacra Scrittura è presenza viva del Si-gnore Gesù e dell’Amore salvifico dello Spi-rito nella viva tradizione apostolica (Propo-sitiones 14-16).

La Sacra Scrittura come dialogo, Parola diDio letta e ascoltata efficacemente, che ciconferma a Gesù, il Signore, abilitandoci a«consegnarci» come Lui si è donato e con-segnato (Propositiones 26).La Sacra Scrittura illumina abilitando al di-scernimento e dona capacità d’agire in ogniambito di vita (Propositiones 14-29).Alla lettura della Sacra Scrittura è necessarioattuare una formazione plurilivellare, sapien-ziale e pastorale che faccia cultura e rinnovila mentalità cristianamente (n. 30 -34).La Sacra Scrittura è dono divino-umano cherivela e dà unità alla storia, unità alla co-munità credente e, unità al “cuore”, renden-do possibile l’incontro e il rapporto in cre-scendo con Gesù, crocifisso e risorto, fonte,forza e assolutezza di ogni persona che salealla ribalta della storia (intervento del PapaBenedetto XVI del 14 e 26 ottobre; Propo-sitiones 25-28).Accanto alle finalità inglobanti della Cate-chesi che deve creare mentalità e proporreitinerari nelle diverse età nel tempo che ci èdonato, sarà possibile tenere presenti le ca-ratteristiche necessarie e interagenti da ri-spettare e perseguire: l’organicità aperta al-l’integralità, la complessità, l’attenzione vivae benevola ai limiti (stimolo e risorsa), l’ope-rosità pastoralmente vissuta (fedele, auten-tica, duttile, coraggiosa).

6 BISSOLI C., Dio Parla. Dio ascolta. Una lettura del XII Sinodo della Chiesa, LAS Roma 2001; BENZI G.,I frutti del Sinodo sulla Parola di Dio. Criteri e metodi per l’uso della Bibbia nella Catechesi, in Catechesi3 (2009-2010) 50 - 55

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1. La liturgia è deposito della fedecelebrato e comunicato per mezzodi segni (cf CCC 1124)

q Nella celebrazione liturgica non solo sicompie oggi, qui e per noi la storia dellasalvezza (cf SC 5-7; CCC 1104), la Chiesaviene edificata e manifesta la sua identità(cf SC 2), ma è pure comunicato il depo-sito della fede; le verità di fede, anzi, sifanno evento, sacramento (cf CCC 1071.1074).

q Accedit verbum ad elementum et fit sa-cramentum, etiam ipsum tamquam vi-sibile verbum (AGOSTINO, Comm. In Jo.,LXXX, 3: CCL 36, 529 [PL 35, 1840]).La liturgia, pertanto, non soltanto co-munica la fede nella sua oggettività, mala rende anche visibile nei segni sacra-mentali; la rende, cioè, conoscibile at-traverso i segni (cf CCC 1145-1152).Essa è, infatti, un complesso di segnisensibili attraverso i quali “viene signi-ficata e in modo proprio a ciascuno vie-ne realizzata la santificazione dell’uo-mo” (SC 7).

2. La liturgia annuncia celebrando

q Nella costituzione Sacrosanctum Conci-lium (SC) del Concilio Vaticano II è pos-sibile rintracciare come un crescendo diquesta consapevolezza:

• La liturgia è manifestazione della Chie-sa (cf. SC 2);

• è la prima e necessaria fonte da cui ifedeli possano attingere uno spirito ve-ramente cristiano (cf SC 14) e, perciò,anche una conoscenza veramente cri-stiana della loro fede;

• è anche “una ricca fonte di istruzioneper il popolo fedele” (SC 33).

• Per questo “i riti splendano per nobilesemplicità, siano chiari, adattati allacapacità di comprensione dei fedeli enon abbiano bisogno generalmente dimolte spiegazioni” (SC 34).

• Il mistero pasquale, che trova il suoculmine celebrativo nell’Eucaristia (cfPO 5; OGMR 16), può essere compresobene “per mezzo dei riti e delle pre-ghiere” (SC 48: per ritus et preces).

q Questa consapevolezza trova una felicesintesi nella indicazione della liturgia qua-le “luogo educativo e rivelativo” della fe-de (CEI, Comunicare il Vangelo in unmondo che cambia [2001], n. 49; cf an-che COMMISSIONE EPISCOPALE CEI PER LA LI-TURGIA, Il rinnovamento liturgico in Italia[1983], n. 25: Epifania del mistero).D’altra parte “la liturgia è fonte inesau-ribile per la catechesi. Difficilmente sipotrebbe trovare una verità di fede cri-stiana che non sia in qualche modoesposta nella liturgia: le celebrazioni li-turgiche sono una professione di fede inatto” (RdC 117).

Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 3

Il rinnovamento della catechesi230

LA LITURGIA COME “SORGENTEINESAURIBILE DELLA CATECHESI”

(RDC 113. CF. 117)

S. E. Mons. Marcello Semeraro, Vescovo di Albano

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Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

Il rinnovamento della catechesi 231

3. Catechesi e liturgia

q La catechesi, pertanto, non può assolu-tamente prescindere dalla liturgia. Si do-vrà ammettere che questa affermazionetrova una grande difficoltà ad essere ac-cettata e soprattutto messa in atto da unalunga tradizione catechistica che, a partiredalla riforma tridentina, ha privilegiato(per ragioni molto opportune in quell’epo-ca!) la dimensione “razionale” , illumini-stica della fede... La catechesi, specie nelcontesto dell’iniziazione cristiana è, edovrebbe essere, iniziazione alla e dallaliturgia (cf RdC 115, che rimanda a tretipi fondamentali di catechesi liturgica: lacatechesi “rituale”, la catechesi “sacra-mentale” e la catechesi “mistagogica”).

q Riguardo alla iniziazione cristiana dei fan-ciulli, la nota pastorale CEI Il volto mis-sionario delle parrocchie in un mondoche cambia (2004) al n. 7 ammette che“si è finora cercato di «iniziare ai sacra-menti»: è un obiettivo del progetto cate-chistico «per la vita cristiana», cui vannoriconosciuti indubbi meriti e che esige ul-teriore impegno per una piena attuazio-ne”; riconosce, tuttavia, che occorre “an-che «iniziare attraverso i sacramenti»”.

q Anche la catechesi per gli adulti già com-pletamente iniziati deve mantenere il suocarattere mistagogico, nella consapevo-lezza che l’etica cristiana fondata sul Bat-tesimo e sulla Cresima, viene espressa ealimentata dalla partecipazione alle cele-brazioni sacramentali (cf CCC 1691-1692). È, infatti, nella Liturgia, e nel-l’Eucaristia in modo particolare, che i bat-tezzati potranno proseguire il loro cam-mino e portare a compimento gli impegnibattesimali (cf RICA 37-39).

4. L’ars celebrandi per comunicarecorrettamente il mistero cristiano

q Le modalità celebrative non sono inno-cue, anzi, condizionano fortemente la ca-pacità comunicativa del linguaggio litur-gico che è costituito da “segni” (persone,cose, gesti, atteggiamenti, spazi...). Leparole stesse nella liturgia diventano “se-gni”: non basta, infatti, leggere; la parolain liturgia è “celebrata”. Nella celebrazio-ne il contesto è più importante del testo(De Saussure).

q I modi celebrativi possono rivelare, op-pure nascondere il significato dei riti. Unmodo scorretto di celebrare può diventareaddirittura deviante. Infatti, “l’esperienzadel mistero passa attraverso il rito”(MESSALE ROMANO, Presentazione CEI).L’ars celebrandi è quindi lo strumentoindispensabile (conditio sine qua non)perché la partecipazione attiva dei fedelisia veramente piena, consapevole e frut-tuosa.

q Il mistero cristiano non è esoterico.L’ex opere operato è grazia, ma non sem-plice automatismo. La fede è una rispostalibera, per chi ne è in grado. Non si con-fonderà, quindi, l’ars celebrandi conl’estetismo, che è idolatria dell’immaginee dei sensi. Si tratta, al contrario, di met-tere la bellezza al servizio della celebra-zione, rispettandone le finalità e le leggi(cf BENEDETTO XVI, Esortaz. Apostol.Sacramentum Caritatis [2007], n. 38).La bellezza in liturgia è soprattutto veritàe, quindi, rispetto della natura e delle fi-nalità della celebrazione cristiana che nonmira a gratificare i sensi ma a cambiareil cuore (cf CEI, Comunicare il Vangelocit., n. 32).

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q La liturgia è certamente fonte inesauribileper la catechesi, ma lo diventa effettiva-mente e concretamente soltanto nella mi-sura in cui i riti risultano significativiconservando “la loro autenticità, senzaessere banalizzati con un cerimoniali-smo che ne estenua l’originale sensoumano” (Il rinnovamento liturgico in

Italia cit., n. 12). Diversamente, una ca-techesi previa, che intendesse semplice-mente spiegare i riti, non sarebbe solo inevidente contraddizione, ma verrebbeanche cancellata dall’esperienza, cioè daquella “catechesi” in atto e più incisivadi tutte le parole che è appunto la cele-brazione.

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Due premesse.

1. Il titolo di questa comunicazione inducea far convergere le considerazioni sullafigura del Cate chista e sulla sua capacitàpedagogica, che, come si sa, è assai piùche l’abilità didattica, anche se da questanon può prescindere. Essa richiede primadi tutto di sta bilire una relazione sincerae cordiale con le persone che, nel nostrocaso, sono quelle accompa gnate dal Ca-techista alla cono scenza del mistero diCristo (espressione sintetica per indicarela sua persona, la sua storia e il suo in-segnamento, la rivelazione del volto diDio-Trinità, il patri monio di grazia cheEgli ha af fidato alla Chiesa, …), e allaesperienza di vivere come suoi disce poli.Il Catechista, infatti, non è solo un mae-stro che si occupa di insegnare delle verità(l’ambito cognitivo della fede), ma è an-che un testimone e, per così dire, un com-pagno di viaggio delle persone a cui offreil suo ser vizio in nome della Chiesa. Lasua è opera di educatore e il rapportoeducativo – lo sappiamo tutti – richiedecome prima condizione di conoscere lapersona che si vuole educare.

2. Le considerazioni che verrò proponendonascono da una rilettura del DB (Docu-mento Base) pro vocata anche dall’espe-rienza in atto nelle nostre Chiese, attentea rinnovare la proposta catechista in rap-porto alle esigenze attuali. Parlando diesperienza devo però subito avvertire cheessa è molto limitata perché è connessacon la realtà della mia Diocesi, con scam-

bi di riflessioni con altri Vescovi e con al-cuni responsabili degli Uffici catechisticidella Lombardia. Quindi non sono con-siderazioni di ampio respiro che nasconoda indagini sociologiche o da dibattiti teo-logici, ma che si ac compagnano a tenta-tivi pastorali in atto con tutti i loro limitie la loro provvisorietà. D’altra parte ilcantiere della catechesi è un cantiere sem-pre aperto e oggi, direi, anche in grandemovimento.

1.La presenza e il valore deiCatechisti nella comunità cristiana

La prima considerazione riguarda la presen-za e il valore dei Catechisti nella comunitàcristiana.Il DB, pubblicato all’indomani della conclu-sione del Concilio Vaticano II, faceva propriala sua ispirazione rinnovatrice tracciando lelinee portanti del rinnovamento della cate-chesi nella sua im postazione e nel suo me-todo. Le strutture catechistiche erano ope-ranti nelle parrocchie grazie ad un buon nu-mero di Catechisti. Si trattava di adeguarela loro preparazione in rapporto al progres-sivo adeguamento dei testi e dei metodi di-dattici.I Catechisti c’erano; si trattava di qualificarela loro formazione, evidenziando anzitutto,come ap punto fa il DB, che “per una cate-chesi sistematica, la comunità cristiana habisogno di operatori qualificati”. E continua-va annotando che questo “è un problemache la interessa profondamente: la sua vi-talità dipende in maniera decisiva dalla pre-

IL CATECHISTA COME “ACUTO CONOSCITOREDELLA PERSONA UMANA” S. E. Mons. Dante Lafranconi, Vescovo di Cremona

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senza e dal valore dei Catechisti, e si esprimeti picamente nella sua capacità di prepararli”(n. 184).In altri termini, la presenza e la preparazionedei Catechisti è una tessera di presentazionedella vi talità della comunità cristiana. Da qui l’impegno per la formazione dei Ca-techisti. La stagione del rinnovamento dei catechismiè stata anche la stagione del rinnovamentodei Cate chisti per quanto riguarda la loropreparazione. Impresa questa meno facile,anche perché la pro gressiva diminuzionedella “vecchia” guardia di Catechisti non eracompensata da un corrispon dente rincalzodelle nuove leve. Si venne creando una for-bice sempre più ampia tra Catechisti an zianiche avevano vissuto l’epoca preconciliare euna nuova generazione di Catechisti spessogio vanissimi, che, a parte la competenza“professionale” a volte insufficiente, man-cavano anche di una persona lità formatasia sul piano umano che sul piano dellafede. È comunque immenso e lodevole il la-voro svolto in quegli anni nelle singole Dio-cesi e capillarmente esteso alle parrocchie.Di quel lavoro oggi si godono i frutti nellapresenza, forse numericamente ridotta main genere ben moti vata, di non pochi Cate-chisti tuttora attivi nelle nostre parrocchie.Attualmente, però, risulta sempre più difficiletrovare persone che si impegnino a svolgere,con continuità e sistematicità, la catechesiai ragazzi che si preparano a completare ilpercorso dell’I.C. Per cui un problema graveoggi è il reperimento dei Catechisti, al qualesi accom pagna, come ri svolto consequen-ziale, quello di una adeguata formazione.Non può bastare, a mio parere, l’affidamen-to della catechesi ad alcune mamme gene-rose e ben di sposte, ma con scarsa prepa-

razione dottrinale e pedagogica. Pur am-mettendo che i fanciulli delle prime classielementari non hanno grandi esigenze dot-trinali e riconoscendo alle mamme-catechi-ste il pregio di unire la figura del maestroe del testimone e la capacità di rapportarsiai fanciulli con una conoscenza intuitiva edaffettiva, c’è però il rischio di dare ai fan-ciulli, soprattutto quando si narra la storiadi Gesù o dell’Antico Testamento, l’impres-sione di racconti simili alle favole o in -dulgenti al miracoloso.Se, in ogni caso, si ha cura di aiutare lemamme-catechiste non solo per la prepara-zione immediata dei loro incontri con i fan-ciulli, ma anche per la loro personale for-mazione ad una vita di fede con sapevole econvinta, ciò avrebbe una ricaduta positivasulla vita della comunità cristiana, perchécontribuirebbe a formare delle persone adul-te capaci di diffondere e difendere la fede(Lumen Gentium, n. 11) nel tessuto dellavita quotidiana delle nostre parrocchie.

2. Il rinnovamento della prassidell’Iniziazione cristiana

Il diffondersi dei nuovi percorsi dell’I.C. (Ini-ziazione Cristiana) si ripercuote anche sullafigura del Catechista e sulle modalità in cuiegli espleta il suo compito proprio in rapportoalla relazione che instaura con le personeimpegnate nel cammino iniziatico: e cioè iragazzi che si preparano a cele brare i sacra-menti dell’I.C. e i loro genitori.Intanto va segnalato che questa esigenza dirinnovamento e gli sforzi messi in atto perrealizzarla sono il segno di una consapevo-lezza dell’importanza dell’I.C. per la vita dellaChiesa. Infatti “l’I.C. non è una delle tante

(1) UCN, La formazione dei Catechisti per l’Iniziazione Cristiana dei fanciulli e dei ragazzi, n. 6.

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attività della comunità cristiana, ma l’atti-vità che qualifica l’esprimersi pro prio dellaChiesa nel suo essere inviata a generare allafede e realizzare se stessa come madre”1.Questa consapevolezza, fortemente sostenutadalle tre Note pastorali sull’I.C., ha portato aformu lare in termini nuovi non solo la pro-posta catechistica, ma anche la figura e l’ope-ra dei Catechisti, con una ricaduta incisiva sututta l’azione pastorale della Chiesa.Innanzitutto con i nuovi percorsi dell’I.C.si è recuperato il senso vero dell’iniziazionecome per corso segnato dalla grazia dei Sa-cramenti per diventare discepoli di GesùCristo. Se teniamo pre sente la mentalitàcon cui si pensava normalmente al cate-chismo proposto ai ragazzi per prepararsialla Cre sima e alla Messa di prima Comu-nione, non c’è chi non veda la grande dif-ferenza, che po tremmo esprimere, in ter-mini sintetici e un po’ semplificati così: sitratta di passare dall’idea di fre quentare ilca techismo (e, nel caso dei genitori, dimandare al catechismo) per ricevere i Sa-cramenti, all’idea di prepararsi a diventarecristiano. È evidente che diventare cristia-no è assai più che rice vere i Sacra menti,senza negare – è ovvio – che senza la gra-zia comunicata attraverso i Sacramenti,cioè l’opera di Dio che ci salva gratuita-mente, non si di venta cristiani. Appuntoperché l’essere cristiani, o essere in comu-nione di vita col Signore Gesù, è un donoaccordato da Lui e non conquistato dal-l’uomo per buona condotta.Naturalmente da parte dell’uomo si richiedel’accettazione di questo dono, e l’accettazio-ne suppone la conoscenza di Gesù, della suaparola, della sua continua presenza nellastoria attraverso la Chiesa, ecc. Il catechismorisponde in primo luogo a questa esigenzaconoscitiva: per questo motivo è trasmissio-ne di un patrimonio di verità che avviano a

compiere una scelta consapevole e libera oper lo meno a giustificare la scelta fatta pernoi dai genitori quando hanno richiesto ilBattesimo dopo la nostra nascita. Nell’at-tuale situazione in cui Cresima ed Eucaristiasono distanziate dal Bat tesimo, i Sacramentidella I.C. si celebrano dopo una iniziale espe-rienza di vita in conformità alle esi genze delVangelo.

Da qui deriva che il percorso dell’I.C. assumaanche il carattere di un tiroci nio per impararea vivere come discepoli di Gesù Cristo. Di-mensione, questa, che è tipica della mi sta -gogia successiva alla celebrazione dei Sa-cramenti, ma che non può essere disattesanella proposta educativa rivolta ai fanciullibattezzati.In questo processo emergono con chiarezzasia la presenza della Chiesa come comunitàche accom pagna i ragazzi che si preparanoa completare l’I.C. coi Sacramenti della Cre-sima e dell’Eucaristia, sia la inderogabile si-nergia tra le loro famiglie e la comunità par-rocchiale. Il Catechista è un anello fonda-mentale nel realizzare il rapporto tra i ragazzie la comunità cristiana non meno che tra iloro genitori e la stessa comunità. Il Cate-chista è una persona che segue il camminodei ragazzi, in forma le loro famiglie sull’an-damento e si mantiene in rapporto con essenell’intento di favorire una mi gliore cono-scenza dei ragazzi e coinvolgere i genitorinel loro percorso.E qui si apre una nuova prospettiva per iCatechisti: quella di accompagnare i genitori,che spesso hanno bisogno di riscoprire lafede o di rimotivarla e rinvigorirla per farneuna scelta convinta. Si profila la figura delCatechista per adulti, che ovviamente hapreparazione e capacità comunicativa diver-se da quelle richieste per accompagnare i ra-gazzi. La constatazione che non pochi ge-

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nitori re cuperano la scelta di fede proprionel periodo in cui affiancano i figli che sipreparano ai Sacramenti della Cresima edell’Eucaristia, induce a non lesinare energieper preparare adeguatamente dei laici in gra-do di seguire, in maniera regolare e organica,i genitori per lo stesso periodo.Ugualmente è importante la cura pastoralerivolta alle famiglie che, dopo aver chiestoil Battesimo per i loro figli, rischiano di re-stare ai margini della vita parrocchiale finoal tempo in cui essi intra prendono la pre-parazione alla Cresima e alla prima Comu-nione.Si profila, in tal modo, una stagione di mol-teplici e diversificate opportunità per il com-pito missio nario delle par rocchie e per i Ca-techisti, che vedono ampliarsi gli ambiti delloro servizio e le esi genze della loro quali-ficazione.Il termine “catechista” non richiama più sol-tanto la persona che insegna il catechismoai ragazzi che si preparano alla Cresima oalla prima Comunione, ma la persona adultache accompagna fraterna mente i loro geni-tori, o i fidanzati che si preparano al matri-monio, o le giovani coppie, o le famiglieche chiedono il Battesimo per i figli. Addi-rittura – ed è quello che si verifica già inalcune di queste circostanze – è la coppiadi sposi insieme che si assume questo mi-nistero. Questa evoluzione della figura delCatechista non è solo una felice realizzazio-ne della ministerialità laicale promossa dalConcilio, ma anche una promettente spe-ranza per la Chiesa di domani. Una speran-za di cui si sente particolarmente il bisognoin un momento che, come si diceva prima,il nu mero dei Catechisti è in contrazione.Ma forse proprio per questo non viene menola voglia di spen dere, non meno che nelpassato prossimo, energie e creatività inquesto campo.

3. Due attenzioni

Il ministero dei Catechisti si apre, dunque,a nuovi orizzonti rispondenti alle nuove esi-genze pasto rali che trovano il denominatorecomune nella necessità, oggi urgentementesentita, di riproporre il Vangelo (la nuovaevangelizzazione). Da questo punto di vistadue attenzioni particolari sono ri chieste aiCatechisti: una riguarda la trasmissione delpatrimonio di fede; l’altra riguarda i destina -tari di questa trasmissione.

3.1 In ordine alla trasmissione del patrimo-nio di fede bisogna avere attenzione atrasmetterlo nella sua completezza e nel-la sua organicità.È esperienza corrente ogni volta che siparla con i fedeli che definirei di livellomedio – che non sono cioè degli anal-fabeti per quanto attiene la conoscenzadelle verità cristiane ma nep pure hannoseguito quei corsi di teologia per laiciproposti in tutte le Diocesi – constatareche le loro conoscenze sono imprecisee spesso a macchia di leopardo. Cono-scono alcuni punti della dottrina cristia-na, ma estrapolati e scollegati da unavisione completa, col rischio di frainten-derne il signifi cato o di scambiare valorifondamentali per secondari e viceversa. Basterebbe poi verificare quale interpre-tazione viene data ad alcune afferma-zioni del Simbolo Apostolico (per esem-pio: Cristo discese agli inferi, la risurre-zione della carne, la vita eterna, …) perrendersi conto come la professione difede, dichiarata nella celebrazione deiSacra menti o ripetuta ogni settimananella liturgia domenicale, non trovi nes-sun riferimento nella cono scenza e nellaconsapevolezza di tanti cristiani, anchepraticanti. Non c’è chi non veda come

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nell’attuale temperie culturale, segnatadal relativismo e dal soggettivismo, siaindispen sabile tendere ad una conoscen-za ragionata della fede e ad una visioneunitaria di tutto il mi stero cri stiano, co-me ricorda il D.B. (n. 184). E questo èpossibile solo attraverso una solida fon -dazione veritativa che il Catechista, te-nendo conto naturalmente della età deisoggetti a cui si rivolge, offre con sa-piente gradualità. È consolante consta-tare che tra un numero crescente diadulti si fa strada l’esigenza di attingereuna conoscenza ragionata della fede, oper lo meno la soddisfazione di avernetrovato l’opportunità negli incontri fre-quentati come genitori dei ra gazzi chesi prepa rano a completare il ciclo dei Sa-cramenti dell’I.C.Tutto ciò evidentemente richiede una pre-parazione solida dei Catechisti e insiemene valorizza la figura e la missione.

3.2 Per quanto riguarda i destinatari dellaazione del Catechista – siano essi ragazzio giovani o adulti – l’attenzione è quelladi mettere al centro la persona, come hainvitato a fare il Conve gno Ecclesiale diVerona. Ciò richiede alla catechesi di ri-vedere l’articolazione dei pro grammi, lostile e i metodi. Ma richiede, in primoluogo, di non dimenticare un principiope dagogico di sempre. E cioè: l’operadel Catechista è una proposta rivolta adaltre persone per accompagnarle frater-namente lungo le vie della fede. Ma levie della fede non sono identiche pertutti e non si percorrono da tutti con lestesse cadenze. Per cui può succedereche il Cate chista veda i frutti della suaopera maturare in ritardo rispetto alle

sue attese, o non li veda af fatto. Egli sache tutto questo è normale, perché l’in-nesto della fede nella vita concreta seguele peripezie della storia e della libertà diciascuna persona. Non per questo, però,il Catechista si scoraggia, riconoscendodi essere solo uno strumento nelle manidi Dio, il quale si mantiene il diritto diguidare lui stesso il gioco nel rapportocon ogni persona di cui vuole sincera-mente la salvezza. Potremmo dire, evo-cando un’immagine cara alla Bibbia, cheDio è geloso: non consente che altri siintromettano nel rapporto con gli uomi-ni, che Egli ama fino a dare la vita, senon come strumenti di cui Egli si servecome e quando vuole per raggiungere ilsuo obiet tivo di offrire a tutti la graziadella salvezza. Il ruolo del Catechista –se vogliamo usare un’altra volta un’im-magine biblica – è quello del seminatore,che getta, senza parsimonia, la buonasemente della Parola di Dio nel cuore diquanti gli sono affidati, sapendo in an-ticipo che non ogni terreno frutterà allastessa maniera, ma chi il cento, chi ilsessanta, chi il trenta per uno (Mt. 13,23). E so prattutto sapendo che sia che“egli dorma sia che vegli, di notte o digiorno, il seme germoglia e cresce” (Mc.3, 27).Se il Catechista è educatore alla fede, èquesta fede che è richiesta a lui per pri-mo: la fede che la sua opera non è vanaperché Dio la vuole e la sa valorizzare,sempre e comunque.E questa fede sostiene la speranza ditanti catechisti che, con tenacia, conti-nuano a offrire il loro servizio nelle no-stre parrocchie. A loro va la nostra gra-titudine e il nostro incoraggia mento.

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• Il Documento Base: Collocazione

Il DB fu promulgato il 2 febbraio 1970. L’11aprile 1970 alla VI Assemblea Generale dellaCEI Paolo VI affermava: “È un documentoche segna un momento storico e decisivoper la fede cattolica del popolo italiano. Èun documento in cui si riflette l’attualitàdell’insegnamento dottrinale quale emergedalla elaborazione dogmatica del recenteConcilio. È un documento ispirato alla ca-rità del dialogo pedagogico, che dimostracioè la premura e l’arte di parlare con di-scorso appropriato, autorevole e piano, allamentalità dell’uomo moderno”.

• Tra passato, presente, futuro

Dando solenne inizio al Vaticano II (11 ot-tobre 1962) Giovanni XXIII aveva lucida-mente posto in connessione – per quantoconcerne il patrimonio dottrinale della Chiesa– proprio il passato-presente-futuro. Dicevanell’Allocuzione “Gaudet Mater Ecclesia”: “Ilnostro dovere non è soltanto di custodirequesto tesoro prezioso, come se ci preoccu-passimo unicamente dell’antichità, ma didedicarci con alacre volontà e senza timorea quell’opera, che la nostra età esige, pro-seguendo così il cammino, che la chiesacompie da venti secoli”.Anche il DB – si licet parva componere ma-gnis – ha una validità permanente. Nella“Lettera del 40°” abbiamo ricordato: il suoessere frutto del Concilio; la sua teologia del-la Rivelazione e dei contenuti della fede;

una nuova visione di Chiesa; le fonti dellacatechesi (cfr. Lettera I, 1.2.3.4)

• Il cap. III del Documento Base

Rimanendo all’aspetto tematico di questointervento (“Nutrire e guidare la mentalitàdi fede nel tempo attuale” - DB 38) occorreconcentrare l’attenzione sul cap. 3°: Finalitàe compiti della catechesi. Su questo fronteil DB ha dato il punto più alto e più impe-gnativo della sua novità conciliare. Basti ci-tare due nodi qualificanti:

a) Mentalità di fede (36-38):

Chi accoglie il primo annuncio della sal-vezza, è chiamato a riconoscere l’amore diDio, ad abbandonarsi liberamente a Lui ea prestargli il pieno ossequio dell’intellettoe della volontà. Dio stesso lo previene e losoccorre; lo Spirito Santo muove il suo cuoree apre gli occhi della sua mente, donando“dolcezza nel consentire e nel credere allaverità” e perfezionando continuamente lasua fede (n. 36).Con la catechesi, la Chiesa si rivolge a chiè già sul cammino della fede e gli presentala parola di Dio in adeguata pienezza, “contutta longanimità e dottrina”, perché,mentre si apre alla grazia divina, maturiin lui la sapienza di Cristo. Educare al pen-siero di Cristo, a vedere la storia come Lui,a giudicare la vita come Lui, a scegliere ead amare come Lui, a sperare come inse-gna Lui, a vivere in Lui la comunione conil Padre e lo Spirito Santo. In una parola,

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NUTRIRE E GUIDARE LA MENTALITÀDI FEDE NEL TEMPO ATTUALE

Mons. Lorenzo Chiarinelli, Vescovo di Viterbo

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nutrire e guidare la mentalità di fede: que-sta è la missione fondamentale di chi facatechesi a nome della Chiesa. In modovario, ma sempre organico, tale missioneriguarda unitariamente tutta la vita delcristiano: la conoscenza sempre più pro-fonda e personale della sua fede; la suaappartenenza a Cristo nella Chiesa; la suaapertura agli altri; il suo comportamentonella vita (n. 38).

b) Integrazione tra fede e vita (nn. 52-53)

La fede è virtù, atteggiamento abituale del-l’anima, inclinazione permanente a guidaree ad agire secondo il pensiero di Cristo, conspontaneità e con vigore, come conviene auomini “giustificati”. Con la grazia dello Spi-rito Santo, cresce la virtù della fede se ilmessaggio cristiano è appreso e assimilatocome “buona novella”, nel significato sal-vifico che ha per la vita quotidiana dell’uo-mo. La parola di Dio deve apparire ad ognu-no “come una apertura ai propri problemi,una risposta alle proprie domande, un al-largamento ai propri valori ed insieme unasoddisfazione alle proprie aspirazioni”. Di-venterà agevolmente motivo e criterio pertutte le valutazioni e le scelte della vita (n.52). È all’interno di tale orizzonte esisten-ziale che trovano puntuale collocazione gli“ambiti” tematizzati dal Convegno ecclesialedi Verona (2006)La fede deve essere integrata nella vita, co-me si ama dire per indicare che la coscienzadel cristiano non conosce fratture, ma è pro-fondamente unitaria. La dissociazione trafede e vita è gravemente rischiosa per il cri-stiano, soprattutto in certi momenti dell’etàevolutiva, o di fronte a certi impegni con-creti. Si pensi ai momenti forti della preado-lescenza e dell’adolescenza; al momento in

cui i giovani maturano il loro amore, o en-trano nel mondo del lavoro; alle preoccupa-zioni della vita familiare; agli impegni deglioperai e dei professionisti sul piano dellagiustizia sociale; alle tensioni spirituali, checaratterizzano oggi la pubblica opinione e ilcomportamento morale. Quante volte il cri-stiano è costretto ad andare contro corrente!Il messaggio della fede lo può sorreggere, sediviene per lui prospettiva organica e dina-mica di tutta l’esistenza, luce di Dio nellasua vita (n. 53).

• Suggestioni metodologiche

A questi due “nodi” ne andrebbero aggiuntialtri di carattere sia ermeneutico che meto-dologico. Ad es.. a) la necessità di raggiun-gere la persona (nella sua unità e totalità)nelle concrete situazioni di vita (contestosociologico, segni dei tempi, relazionalità in-terpersonale), nelle diverse età, ecc. (cfr.cap. VII, 128-141). b) la fedeltà a Dio (allaParola di Dio) e fedeltà all’uomo (alle esi-genze concrete). E ciò non come “due pre-occupazioni”, ma semplicemente come due“modalità di approccio”.

• Lo spartiacque

Resta, comunque, acquisito che “lo spartiac-que” tra la catechesi prima del DB (e del Con-cilio) e a partire dal DB (e dal Concilio) è se-gnato dal cap. III, dedicato a “finalità e com-piti della catechesi”. Intorno a questo “nodo”si è concentrata la ridefinizione che approdaalla “mentalità di fede” e alla “catechesi perla vita cristiana”. Evidentemente l’espressione“mentalità” sta a sottolineare l’aspetto perso-nalistico della fede, ma non l’abbandono delladimensione verticale: l’iniziativa è di Dio.

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È noto che dalla nascita dei catechismi,nell’era tridentina, fino agli anni ’60 del se-colo scorso, la finalità propria della catechesisi concentrava nel trasmettere le conoscen-ze della fede in modo preciso e completo.Né c’è da stupirsene più di tanto: è pacifico,infatti, che la conoscenza è parte fondamen-tale della fede, è fede (cfr. Gv 17, 3 e RdC39); come è noto che lo spazio, “il grembo”della fede era ordinariamente la famiglia.Alla catechesi, allora, veniva chiesto di in-segnare la grammatica, di mandare a me-moria gli enunciati di un dato sociologica-mente diffuso e vissuto. Negli anni ’60 –’70 questo impianto si rivelava superato,corroso, spiazzato.

Qualche esplicitazione

a) Un documento della CEI, del 1971 (Vi-vere la fede oggi) affermava: “A primavista … si potrebbe avere l’impressioneche il popolo italiano conservi intatto ilpatrimonio religioso tradizionale. La no-stra gente, quasi dovunque, continua achiedere il Battesimo, la Comunione e laCresima ed esige la sepoltura religiosa.Ma quanti sono consapevoli degli impe-gni di vita cristiana che questi sacri ritipresuppongono e coinvolgono? Le festesi rinnovano con puntualità e solennità,secondo le antiche consuetudini; i segnireligiosi sono ancora presenti e domi-nanti nel panorama di un popolo, cheda due millenni si gloria del nome cri-stiano, ma si può sempre dire che tuttoquesto nasca da un profondo “senso re-ligioso, da autentica fede cristiana?”(CEI, Vivere la fede oggi, 1971).

b) A nessuno potevano sfuggire “fratture”vistose e non ricomponibili volontaristi-camente: frattura tra fede e vita; frattura

tra sacramento e prassi, frattura tra fedee cultura. A dire il vero il movimento ke-rigmatico aveva già posto l’accento sullarisposta più che sulla trasmissione delladomanda. Ma si era fermato a facilitarela risposta mediante una presentazionedella domanda più biblica, più lucida op-pure sull’analisi delle possibilità e sugliatteggiamenti di accoglienza del destina-tario.Il DB rappresentava la novità e con ilcap. III – ha ripetutamente evidenziatonei suoi studi di catechetica L. Meddi –indicava la strada, anzi proponeva la fedecome cammino, oltre le polarizzazionidell’indottrinamento o della sacramenta-lizzazione e della socializzazione. La catechesi deve investire tutta la vita,promuovendo una conoscenza profondae personale della persona di Cristo, delprogetto d’amore e della volontà di sal-vezza; una appartenenza piena alla co-munità ecclesiale; una apertura ecume-nica, missionaria, universale. “Splendida – osserva E. Biemmi – questatensione tra sequela, appartenenza eapertura. Il meglio del Concilio si riassu-me in questa triplice dimensione, dovel’adesione al Signore Gesù viene vissutadentro una comunità cristiana che ne ap-profondisce, celebra e vive il mistero, pro-muovendo così non persone chiuse in unghetto religioso, ma missionarie e apertea tutti, pronte a dare e a ricevere, capacidi un “dialogo sincero e avveduto”.Commentava il caro d. Luigi Sartori, teo-logo: “Credere vuol dire fare proprie le ideedi Dio, non in quanto idee ma in quanto“di Dio”; vuol dire portare in se il pensierodi Dio, assimilandolo, ma insieme trat-tandolo come pensiero di Dio. Si trattacioè di obbedire alle intenzioni di Dio ri-velante, il quale nel donarci il suo pensiero

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vuole provocarci ad uscire da noi stessiper trasferirci in Lui. “Obbedienza di fe-de”, “sacrificio di fede” in senso vero eproprio; “metanoia”, ossia conversionedella mente umana a divina”. Tutto ciò, nel DB, si tradusse in espres-sioni felici, emblematiche e suggestive:– mentalità di fede (36-38);– integrazione tra fede e vita (52-55);– fedeltà a Dio e all’uomo (160-162).

• A 40 anni di distanza

Che cosa abbiamo fatto del DB? Quale ilrapporto con i Documenti ecclesiali che sisono susseguiti nel quarantennio?Non è questo il momento per una rivisita-zione storico-critica puntuale ed esauriente.Certamente dal DB sono venuti i “catechismiper la vita cristiana” sia nella redazione“ad experimentum” che in quella definitiva.Evidentemente, nel faticoso cammino di ela-borazione, non sono mancati gli aggiusta-menti, le riduzioni, le omissioni. In sintesimi pare di poter distinguere due piani di os-servazione: la recezione, l’attuazione, la li-nea pastorale.• La recezione non è stata totale: il lungo

periodo della “receptio”, accanto all’acco-glienza entusiasta di una prima stagione,ha registrato anche una inespressa riservadi fondo nei confronti della scelta che co-niugava traditio-redditio. Le remore face-vano leva su logiche tese ad arroccarsisull’apologetica, il primato veritativo, l’au-toreferenzialità.

• L’attuazione si rivelò limitata: i testi nonsempre riuscirono ad esprimere la pro-gettualità e la globalità del DB e l’alberonel suo rigoglio subì qualche potatura ditroppo.

• Sul piano pastorale generale da un lato

si è “concentrato” sulla catechesi il com-pito complesso e pluriforme della evange-lizzazione e dall’altro non si è avvertitoche il contesto era in evoluzione e che apreoccupare non erano più solo la “frat-tura” tra fede e vita, ma l’emergere di“mondi” variegati nei confronti della fede:non solo cristiani non praticanti, ma “ateidevoti”, cristiani critici e appartenenzeparziali, persone mai evangelizzate e per-sone disposte a “ricominciare”, nostalgicidelle forme e sinceri cercatori di Dio…

• Un compito corale

A distanza di 40 anni e a fronte delle nuoveinterpellanze si impone un compito corale:la “rifinalizzazione” della catechesi.Alcune ragioni e alcuni tracciati.

1. Chi è il cristiano?

Scrive il p. A. Nolan (Cristiani si diventa,EMI, 2009, p.7): «In fondo, che ci dichia-riamo cristiani o no, non prendiamo sul se-rio Gesù. Tranne qualche sorprendente ec-cezione, in generale non amiamo i nostrinemici, non porgiamo l’altra guancia, nonperdoniamo settanta volte sette, non bene-diciamo coloro che ci maledicono, non con-dividiamo i nostri averi con i poveri, nonriponiamo in Dio tutta la nostra fede e spe-ranza. Troviamo delle scuse: “Non sono unsanto”; “Gesù non diceva mica a tutti,no?”; “È un grande ideale, ma poco prati-cabile oggi”. Io propongo invece di impa-rare a prendere sul serio Gesù».Ed ecco, allora, la proposta alta di BenedettoXVI alla Chiesa italiana (Convegno di Vero-na, 16-20 ottobre 2006): L’identità del cri-stiano è espressa da San Paolo nella letteraai Galati: “Non sono più io che vivo ma Cri-

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sto vive in me” (Gal 2,20). E il Santo Padrecommenta: « È stata cambiata così la miaidentità essenziale, tramite il battesimo, eio continuo a esistere soltanto in questocambiamento. Il mio proprio io mi vienetolto e viene inserito in un nuovo soggettopiù grande, nel quale il mio io c’è di nuovo,ma trasformato, purificato, “aperto” me-diante l’inserimento nell’altro, nel qualeacquista il suo nuovo spazio di esistenza.Diventiamo così “uno in Cristo” (Gal 3,28),un unico soggetto nuovo, e il nostro io vieneliberato dal suo isolamento. “Io, ma nonpiù io”: è questa la formula dell’esistenzacristiana fondata nel battesimo, la formuladella risurrezione dentro il tempo, la for-mula della “novità” cristiana chiamata atrasformare il mondo. Qui sta la nostragioia pasquale. La nostra vocazione e ilnostro compito di cristiani consistono nelcooperare perché giunga a compimento ef-fettivo, nella realtà quotidiana della nostravita, ciò che lo Spirito Santo ha intrapresoin noi col battesimo: siamo chiamati infattia divenire donne e uomini nuovi, per poteressere veri testimoni del Risorto e in talmodo portatori della gioia e della speranzacristiana nel mondo, in concreto, in quellacomunità di uomini e di donne entro laquale viviamo” » (Atti, p.51).

2. Unità della persona

A Verona si è avuta la felice esperienza dilavorare articolando in cinque ambiti il con-fronto e garantendone la confluenza nel-l’unità della persona e della sua coscienza.Il card. Ruini ne colse subito la rilevanza e,nelle Conclusioni, affermò: «Si tratta di unnotevole passo in avanti rispetto all’impo-stazione prevalente ancora al Convegno diPalermo, che a sua volta puntava sull’unitàdella pastorale ma non era in grado di ri-

condurla all’unità della persona perché siconcentrava solo sul legame, pur giusto eprezioso, tra i tre compiti o uffici della Chie-sa: l’annuncio e l’insegnamento della Pa-rola di Dio, la preghiera e la liturgia, la te-stimonianza della carità».È ora urgente far passare questo “notevolepasso in avanti” nella nostra azione pasto-rale. Evidentemente la centralità della per-sona comporta attenzione, rispetto della di-gnità, accoglienza della diversità, promozio-ne. Ma comporta anche andare oltre la set-torializzazione pedagogica o superare la par-cellizzazione dell’esperienza credente. È unnodo che deve essere accolto, esplorato, edè un “criterio ermeneutico” per rivisitare edare nuove impostazioni alla proposta pa-storale, consapevoli che la persona è realtàunitaria come soggetto che pensa (fede),che ama (carità), che agisce (speranza). So-prattutto il cammino di iniziazione cristianane dovrà essere espressione coerente.Questo dato reclama la globalità e la unita-rietà della proposta che ha il suo centro nellaPersona di Gesù Cristo (DB, cap. IV) ed esigeitinerari che comprendano conoscenza-cele-brazione-prassi perché tale è un’autenticaesperienza di fede.

3. Quale annuncio, allora? Quale cam-mino di educazione nella fede?

La CEI, dinanzi alla insoddisfazione perl’azione ecclesiale e alla dispersione dei cri-stiani, ha elaborato “Note” impegnative sul’iniziazione cristiana. Ad esse è doverosorimandare. Nella terza “Nota” (Orientamentiper il risveglio della fede e per il completa-mento dell’iniziazione cristiana adulta” èscritto: «In sintesi, l’annuncio ha per og-getto il Cristo crocifisso, morto e risorto: inlui si compie la piena e autentica libera-zione dal male, dal peccato e dalla morte;

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in lui Dio dona la “vita nuova”, divina edeterna. È questa la “buona notizia” checambia l’uomo e la storia dell’umanità eche tutti i popoli hanno il diritto di cono-scere. Tale annuncio va fatto nel contestodella vita dell’uomo e dei popoli che lo ri-cevono. La salvezza e la liberazione cheCristo ha portato riguardano l’intera vitadell’uomo nel tempo e nell’eternità, comin-ciando qui e già ora e trasformando la vita

delle persone e delle comunità con spiritoevangelico» (Nota 3,22; RM 44). L’obiettivodella “mentalità di fede” torna a coniugarsicon “l’integrazione tra fede e vita”, anzi adessere “vita nuova”. Così l’esperienza di fede– è ancora il Papa a Verona – diventa il“grande sì” che in Cristo Dio ha detto al-l’uomo e alla vita, un sì accolto e un sìespresso: a Cristo (fede), all’uomo (carità),alla storia (speranza).

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La pubblicazione, il 2 Febbraio 1970, delDocumento di base, Il rinnovamento dellacatechesi, è stato salutato da un’accoglienzaper certi versi entusiasta. Fu il testo di rife-rimento per l’annuncio della fede degli anni’70 e ’80: potremmo dire il manifesto delprogramma dei primi due decenni del rin-novamento postconciliare della Chiesa ita-liana. Insieme con l’Evangelii nuntiandi,esso è diventato il canovaccio per l’opera dievangelizzazione dei sacramenti e delle co-munità cristiane, precisamente il programmadei due decenni ricordati. Nella Lettera diriconsegna (3 aprile 1988) si tracciava unprimo bilancio per un successivo rilancio:proprio in quella lettera ricorreva una sin-tomatica espressione che affermava la ne-cessità della catechesi di fronte alla probabileobiezione di un’affermazione unilaterale del-la stessa: «La catechesi non è tutto, ma tuttonella Chiesa ha bisogno di catechesi: la li-turgia, i sacramenti, la testimonianza, il ser-vizio e la carità» (n. 6, ECEI 4, 1019). Pos-siamo prendere quella data come emblema-tica di un allentamento della tensione cate-chistica non tanto nella proposta del Magi-stero episcopale e degli Uffici competenti,ma nella coscienza ecclesiale. La ragione è forse da trovare nel mutamentostrutturale che stava avvenendo in queglianni nella cultura occidentale: il crollo delmuro di Berlino e la fine della contrapposi-zione ideologica tra occidente e blocco so-vietico ha trascinato con sé la caduta delleideologie e, più in generale, ha decretato lafine delle “grandi narrazioni” della moder-nità. Il mutamento culturale contrassegnato

come “postmoderno” ha stentato a definirsicon una cifra propria, ma in ogni caso haspento la tensione verso il momento idealedella esperienza della vita e del mondo, ri-piegando sul vissuto emozionale e sull’in-vestimento pratico. Ne ha fatto le spese cer-tamente l’attenzione il momento “disteso”della trasmissione della fede (catechesi) afavore dei momenti più intensamente coin-volgenti, come la lectio divina e la praticadella carità, sui quali sono stati concentratigli anni ’90. A onor del vero, occorre direche la ripresa della coscienza della missioneevangelizzatrice nel programma dell’episco-pato italiano della prima decade del nuovomillennio (Comunicare il Vangelo in unmondo che cambia), ha dovuto registrarecon precisione il forte mutamento del con-testo culturale religioso: l’esplo dere dei con-flitti identitari e multireligiosi con lo sposta-mento dell’asse ideologico da est-ovest anord-sud, e il ritorno della forma “debole”della religione con il ritorno del sacro, delbisogno di spiritualità, ma vissuto sull’ondaemozionale, della sensazione, dell’immedia-tezza del sentimento religioso. Al momentoideale sembra succedere il momento emo-zionale. Ciò decreta una certa perdita di ur-genza della necessità dell’aspetto di forma-zione della mentalità cristiana, che era iltarget su cui aveva puntato il DB. La proposta della catechesi non ha smessodi essere avanzata nel primo decennio del2000, ma si è trasformata e ha preso ilnome di un percorso “mistagogico” sia sultema del “primo annuncio” sia sul temadell’“iniziazione cristiana”. E ha lasciato

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IL DOCUMENTO BASE E LA TRASMISSIONEDELLA FEDE: DIRE IL VANGELO NEGLI AMBITI

DI VITA DELLA PERSONAS. E. Mons. Franco Giulio Brambilla, Vescovo ausiliare di Milano

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spesso alla sperimentazione delle singoleChiese locali, quanto invece nel primo do-poconcilio era invece una robusto progettoper la Chiesa italiana tutta. Mistagogia esperimentazione prospettano dunque per-corsi di trasmissione della fede “globalizzan-ti” dove da ciascun punto di vista (primoannuncio e/o iniziazione cristiana) si inten-de proporre un’esperienza sintetica della fedee della sua trasmissione. Alla ricerca della“specificità” dei singoli momenti dell’espe -rienza della fede, sul registro dell’articola-zione dei tria munera, ha fatto seguito laprospettiva della “globalità”, dove da cia-scuno punto di partenza s’intende raggiun-gere un’esperienza unificante della trasmis-sione della fede. Se alla fine degli anni ’80si diceva “la catechesi non è tutto, ma tuttoha bisogno di catechesi”, oggi forse sembrache si dica: “la trasmissione della fede nonpuò essere ogni volta tutto, ma trasmetterela fede deve avvenire sempre come un pro-cesso totalizzante”.Al discernimento di questi problemi chestanno sullo sfondo della presente transizio-ne, vuole dare un piccolo contributo il miointervento. Esso è diviso in due parti: 1) laprima che prende in consegna sinteticamen-te l’eredità del DB per il momento presenterilanciando le opportunità rimaste aperte; 2)la seconda che interpreta l’istanza uscita dalconvegno di Verona di leggere la trasmis-sione della fede sulla filigrana degli ambitidella vita della persona.

1. Eredità e istanze aperte delDocumento di base

Sul primo aspetto il compito è enormementefacilitato da due contributi: la serie di inter-venti che mi hanno preceduto in questo Se-minario ha fatto una memoria critica e crea-

tiva del DB; la Lettera della CommissioneEpiscopale per la dottrina della fede, l’an-nuncio e la catechesi – presentata ieri sera– è il memorandum lineare e sintetico perciò che rimane e ciò che resta da riprenderedelle intuizioni di quel testo preveggente.Provo a riassumerli in forma laconica attornoa tre fuochi. 1.1 Il DB ha riportato al “centro” della cate-

chesi la nozione della rivelazione cri-stiana come evento storico, personale esalvifico e della fede come adesione ditutto l’uomo alla persona di Gesù Cristo:queste sono le nozioni proprie del Vati-cano II. In termini tecnici, si è passati dauna concezione dottrinale a una conce-zione eventistica della rivelazione, in-centrata sulla persona di Gesù Cristo, sa-cramento dell’in contro dell’uomo conDio e di Dio con l’uomo; e, rispettiva-mente, da una concezione della fede co-me assenso intellettuale a una visionedel credere come adesione di tutta lapersona alla vicenda di Gesù Cristo nellastoria del mondo. Questa è la svolta de-cisiva del Concilio che genera l’architet-tura portante del DB, soprattutto i primicinque capitoli, ben riassunti nei numeri1, 2 e 4 della Lettera: fedeltà al Concilio,cristocentrismo dei contenuti della cate-chesi, dimensione personalista della fe-de, fonti della catechesi nella Scrittura enei linguaggi plurali della Tradizione. Iltutto si sintetizza nel primato dell’evan-gelizzazione come compito primario dellapastorale prevalentemente consegnatonel ventennio del dopoconcilio alla ca-techesi (n. 5 della Lettera). Questo, varibadito, è il punto capitale del DB e unpatrimonio da non disperdere.

Due punti critici sono però da eviden-ziare: uno che è presente come un lap-

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sus nel DB e uno segnalato in modopreciso nella Lettera: nel DB si torna allinguaggio sintomatico delle “fonti” dellacatechesi (sulla falsariga delle fonti dellarivelazione, attorno al plesso scrittura-tradizione, a cui viene ricondotta la con-fessione della fede, la celebrazione litur-gica e le opere del creato); nella Letterasi fa menzione di una recezione non deltutto corretta del DB, “nel caso in cui sifosse messo in ombra l’aspetto veritati-vo della fede in nome del primato dellacomunicazione esperienziale” (n. 6).Questi due punti critici si sintetizzanoattorno alla questione del rapporto trarivelazione-evento e rivelazione-parola,tra dimensione salvifica e dimensioneveritativa della rivelazione e della fede.Se il rapporto viene interpretato comeun passaggio da una concezione all’al-tra della rivelazione e rispettivamentedella fede, come purtroppo è stato detto(e praticato) molte volte nel postconcilio,tutto ciò è fuorviante. Non si tratta diabbandonare la prima nozione (dottri-nale) in favore della seconda (persona-listica), ma di mostrare come la secondacomprenda strutturalmente la prima.

Per fare questo, occorre riconoscere chetale istanza resta uno dei compiti inevasidel DB, perché è rimasto uno dei puntiaperti del Concilio: la tormentata vicendadel rapporto Scrittura e Tradizione nellaDei Verbum ne fu il sintomo. Se la ri-velazione-annuncio (gestis verbisque)non appartiene intrinsecamente alla ri-velazione-evento, la sua dimensioneconfessante e veritativa apparirà aggiun-ta in modo posticcio. La rivelazione sidà sempre in un’attestazione credente,che ha la forma della confessione di fe-de/annuncio (kérygma) e del racconto/di scorso, e che si sedimenta nella tra-

smissione orale e poi nell’atto della Scrit-tura. Rivelazione, fede trasmessa e Scrit-tura sacra, sono momenti interni alla ri-velazione. Alla rivelazione-evento ap-partiene da subito la sua trasmissione ela sua forma scritta. È esattamente laScrittura come “rivelazione attestata etrasmessa” che è il punto di sintesi traevento e annuncio, tra dimensione per-sonale e dimensione veritativa della ri-velazione/fede. La seconda necessaria-mente compresa nella prima. Se il DB hamesso in luce con grande enfasi il primoaspetto – la novità del Concilio – ciò nonpuò avvenire a spese del secondo: l’an-nuncio e la sua forma scritta appartienenecessariamente all’evento perché necustodisce la verità per ogni futuro cre-dente. E per ogni atto di trasmissionedella fede. Ecco il compito: la dimensionelinguistica e scritturistica della fede nonè semplicemente l’occasione (una fonte,fosse anche quella principale!) della fede,ma il luogo insuperabile che ne custodi-sce la verità teologale e l’accessibilità perogni credente.

Si vede il compito anche per la catechesi:evento e parola, esperienza e linguaggivanno tenuti assieme senza ingenueunilateralità. La custodia spirituale dellaScrittura (che è l’opera dello Spirito pre-sente nell’atto con cui la Chiesa ricevee trasmette Gesù Cristo e lo mette periscritto) come “rivelazione attestata”(con le differenti forme e linguaggi chel’attraversano) è l’atto stesso della tra-dizione della fede. La fede e la catechesinon trovano qui solo le loro “fonti”, maconnotano la forma stessa della trasmis-sione: quella originaria che genera laScrittura e quella storica nel tempo concui la Chiesa genera sempre da capo sestessa! Questo il passo che è ancora da

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fare: non solo una catechesi biblica, mache ha nella Bibbia la forma stessa dellatrasmissione della fede. La storia del-l’annuncio della fede lo dice ad ognipasso: la trasmissione della fede deveessere innervata, imbevuta, permeatadalla Scrittura. Non un qualsiasi biblici-smo, ma la Scrittura è il roveto ardente,che non si consuma mai, per l’accessoalla persona di Gesù Cristo, rivelatoredel Padre e vita autentica dell’uomo.

1.2 Il secondo guadagno del DB riguarda il“soggetto” della catechesi: la Chiesa co-me “testimonianza” della rivelazioneaccolta e trasmessa, grembo che generaalla vita in Cristo (Lettera n. 4), e quindila trasmissione della fede (e in partico-lare la catechesi) come atto di tutta lacomunità. Il DB ricorda che nella cate-chesi “prima sono i catechisti e poi i ca-techismi; anzi, prima ancora, sono lecomunità ecclesiali” (citato in Lettera n.12). Questa sottolineatura della trasmis-sione della fede come atto di relazione,nell’unità della comunità ecclesiale enella diversità dei carismi e dei ministeri,in particolare il compito delle famiglie eil ministero dei catechisti, è pure unagrande conquista del DB nella scia delConcilio. Esso ha generato tutta quellanube luminosa di catechisti che è vera-mente uno dei frutti più belli di questiultimi quarant’anni.

È tuttavia anche questo punto di nonritorno, cioè che trasmettere la fede è adun tempo compito di tutta la Chiesa (chesi esprime nella diversità e complemen-tarità dei ministeri) e forma con cui essarigenera se stessa sempre di nuovo, nonva senza unilateralità. Per un verso, icatechisti sono spesso lasciati soli nelloro compito esaltante e gravoso, senza

che a ciò corrisponda un ministero “ri-conosciuto” e “competente” nella Chie-sa, con un’affannosa difficoltà a sentireil proprio servizio sostenuto dagli altriprotagonisti della trasmissione della fede(genitori, comunità e, in modo diverso,la scuola); per l’altro verso, l’enfasi sullacomunità (locale e parrocchiale) comesoggetto adeguato della trasmissione, lacoscienza missionaria della comunitàtutta intera fatica a trovare forme prati-che persuasive. La trasmissione della fe-de e il compito educativo delle comunitàè visto come “uno” degli impegni delsuo agire pastorale accanto ad altri. Allaproclamazione enfatica del primato del-l’evangelizzazione non corrisponde unapratica conseguente e non decolla unapastorale integrata capace di suscitareuna straordinaria passione educativa.

Se, come è stato detto efficacemente,l’azione pastorale della Chiesa si riducea due questioni essenziali, come si entranella Chiesa e come vi si rimane, allorail momento “generante” della pastoraleè una dimensione essenziale dell’esseredella Chiesa (come la Chiesa generasempre nuovi figli), allo stesso livellodell’esperienza vivente della sua frater-nità “comunionale” (come la Chiesa ali-menta la vita filiale e fraterna). Ora èsolo ricuperando la dimensione “testi-moniale” della Chiesa tutta (e dei mini-steri in essa) che sarà possibile articolaredimensione “relazionale” e dimensione“linguistica” della trasmissione della fe-de. Non solo “prima i catechisti e poi icatechismi” (come dice con troppo facileslogan il DB), ma la trasmissione av-viene attraverso le buone relazioni (co-munità, famiglia, presbiteri, catechisti,scuola) con la pluralità e complementa-rietà dei linguaggi (iniziazione, parola,

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liturgia, carità, lettura del presente, etutti i documenti che raccolgono questefunzioni nel “catechismo”). Anche quisolo la trasmissione della fede come “te-stimonianza” (cioè un dire e un dare adaltri un Altro) consente di tenere insiemela “presenza” della testimonianza (laChiesa) e le “forme” della testimonianza(con tutti i linguaggi, i testi e i protago-nisti). Senza la prima, le altre si fram-mentano e si isolano, senza le seconde,la presenza diventa solo affettiva e nongrembo generante e liberante: un grem-bo che deve far crescere nientemeno chealla forma adulta della fede.

1.3 Infine, il terzo approdo del DB riguarda-va il “metodo” della catechesi e il suo“obiettivo”: la duplice fedeltà e a Dio eall’uomo (DB n. 160) e formare la men-talità di fede (DB n. 36-38). È interes-sante rileggere il testo cruciale del DBsulla duplice fedeltà: «Fedeltà a Dio efedeltà all’uomo: non si tratta di duepreoccupazioni diverse, bensì di un uni-co atteggiamento spirituale, che porta laChiesa a scegliere le vie più adatte, peresercitare la sua mediazione tra Dio egli uomini. È l’atteggiamento della caritàdi Cristo, Verbo di Dio fatto carne». Laformulazione è effettivamente debole,perché attribuisce alla Chiesa una fun-zione mediatrice, mentre sembra riman-dare a Cristo solo in termini esemplari.Né le spiegazioni seguenti aiutano a de-clinare meglio questa duplice fedeltà, co-me sembra dire questo testo effettiva-mente paratattico: «Così, si può partiredalla parola di Dio, o dalla esperienzaquotidiana; si può procedere secondo icriteri strettamente dottrinali, o seguen-do interessi di attualità; si può accen-tuare il bisogno di allargare le conoscen-

ze, o di scoprire la realtà ecclesiale, o diapprofondire il rapporto tra fede e vita»(DB 162).

Per fare questo in modo tale che siapossibile dire il Vangelo nel tempo pre-sente, la Lettera riprende la tematicadell’imparare a leggere i segni dei tempidefinendoli come luogo teologico (n. 15)e indica una prospettiva sintetica, citan-do esplicitamente Verona, per ripensaretutto l’agire pastorale attorno all’unitàdella persona (n. 11). È questo obiet-tivamente il punto più debole dell’ereditàdel DB per due ragioni: la prima perchéil DB non fa che importare le stesse in-certezze della GS e più in generale dellatematica dei segni dei tempi del Concilio,e qualche volta soprattutto la pratica unpo’ spregiudicata del postconcilio; la se-conda perché, proprio su questo punto,il successivo sviluppo dei metodi cate-chistici ha esercitato in modo retorico ilcriterio di correlazione tra domanda an-tropologica e risposta cristiana. Dove al-la fine era la prima a guidare la seconda.

Su quest’ultimo aspetto l’eredità del DBè incompiuta e ha decretato una certadebolezza del pur meritorio movimentocatechistico. Oggi siamo forse è in gradodi proporre una riflessione più critica, aldi qua dell’ottimismo antropologico cheera lo spirito del momento conciliare,aggravato da riprese ireniche e qualchevolta, nonostante le buone intenzioni,da pratiche che hanno smarrito l’identitàcristiana nel postconcilio, ma anche aldi là delle attuali riprese pessimisticheche impongono una ripresa della dimen-sione veritativa in termini dottrinalisti.Lo possiamo fare col supporto del cam-mino della riflessione teologica, ma an-cor di più col soccorso di un’esperienzaecclesiale di annuncio che ha acquisito

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il fatto che l’atten zione antropologica èuna componente intrinseca della stessatrasmissione della fede. Non esiste unVangelo a cui bisogna aggiungere suc-cessivamente un’attualizzazione cultu-rale e antropologica, ma il Vangelo èsempre connotato da una cultura: oc-corre “dire” l’Evangelo dentro la gram-matica della vita umana dentro ogni sta-gione della storia.

2. La Trasmissione della fede negliambiti della vita della persona

A una settimana dalla conclusione del Con-vegno di Verona, in un articolo poi pubbli-cato su Rivista del Clero, scrivevo il seguentecommento a caldo: «Occorre ripensare l’uni-tà della pastorale, articolata nelle funzionie/o uffici della Chiesa (Parola, Sacramento,Carità/comu nio ne e Carità/servizio), incen-trandola maggiormente sull’unità della per-sona, sulla rilevanza educativa e formativache queste funzioni possono avere. Credoche si debba aggiungere: non si tratta di so-stituire al criterio ecclesiologico la rilevanzaantropologica nel disegnare l’unità e l’arti-cola zione della missione della Chiesa, quantoinvece di mostrare che la pastorale in pro-spettiva missionaria deve sapere in ogni ca-so condurre l’uomo all’incontro con la spe-ranza viva del Risorto. Diversa è, infatti, lafunzione del criterio ecclesiologico e della ri-levanza antropologica: lo schema dei triamunera dice l’unità della missione dellaChiesa negli elementi che la costituisconocome dono dall’alto, ne dice l’ecce denza ir-riducibile a ogni cosiddetto umanesimo; ilrilievo antropologico dell’azione pastoraledella chiesa, destinato all’unità della personae alla figura buona della vita che vuole su-scitare, dice l’insonne compito dell’agire mis-

sionario della Chiesa di dirsi dentro le formeuniversali dell’esperienza, che sono sempreconnotate dall’ethos culturale e dalle formecivili di un’epoca. Saper mostrare la qualitàantropologiche dei gesti della chiesa è oggiun’urgenza non solo dettata dal momentoculturale moderno e post, ma è un istanzaimprescindibile per dire che il Vangelo è perl’uomo e per la pienezza della vita persona-le» («Partenza da Verona», Rivista del CleroItaliano 87 [2006] 721-737).Bisognerà ripensare l’agire pastorale, e aglistrumenti messi in opera per realizzarlo, nonsostituendo semplicisticamente allo schemaecclesiologico l’attenzione antropologica. In-fatti, lo schema dei tria munera dice l’unitàe pluralità della missione della Chiesa comedono dall’alto irriducibile a ogni umanesimo;il rilievo antropologico dell’azione pastoraledella Chiesa è destinato all’unità della per-sona e alla figura buona della vita che vuoleeducare. La funzione personalista ed edu-cativa degli ambiti antropologici, più checostruire un percorso che sostituisca la com-plessa funzione ecclesiologica dei tria mu-nera, tende a correggerne il limite: quello disottrarre la missione della Chiesa al suo de-stinatario, pensandosi e realizzandosi in mo-do autoreferenziale. Purtroppo questo è ab-bondantemente accaduto negli anni post -conciliari, quando si è perso di vista che an-nuncio, celebrazione e comunione/caritàavevano di mira la trasmissione del Vangeloagli uomini d’oggi e dovevano consentire lapossibilità di ricondurre l’identità umana allasua “forma” cristiana. Per questo non basta neppure la pur creativapista degli ambiti disegnati a Verona. La lorofunzione è quella di declinare la difficile at-tenzione pastorale all’identità della persona,compresa dentro la trama delle relazioni realiche la costruiscono nella storia (vita affet-tiva, lavoro e festa, fragilità personale e so-

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Il rinnovamento della catechesi250

ciale, trasmissione educativa e comunicati-va, cittadinanza). Questi ambiti devonomantenere viva l’“attenzione antropologica”e devono temere un accostamento troppomateriale agli ambiti stessi, perché la lorotrattazione può cadere in un errore simile aquello in cui è rimasta impigliata la vicendadella traduzione pastorale dei tria munera.Per di più con un limite ancora più grave:quello di una “riduzione” antropologica delcristianesimo. In particolare, come abbiamovisto, ciò vale per il compito della catechesi,dove appare l’urgenza della declinazione delrapporto tra dimensione teologale e antro-pologica. Pertanto – in positivo – mi sembrache si possa declinare tale attenzione antro-pologica attorno a tre piste di ricerca, cheoffro qui di seguito e che potrebbero diven-tare una vera sfida per il ripensamento del-l’azione pastorale della Chiesa. Soprattuttopossono essere una provocazione per la ri-presa della coscienza missionaria e catechi-stica: le domande che alla fine di ogni pistaindicherò vogliono dar da pensare, ma an-che da fare, per un rinnovato slancio delmovimento catechistico.

2.1 Una pastorale dell’identità. Anzituttol’attenzione antropologica deve focaliz-zarsi su una concezione integrale dellapersona. Su questo punto deve avvenireil discernimento critico con la modernitàe le caratteristiche del postmoderno. Sulmoderno non può essere trascurato as-solutamente il punto di vista della co-scienza: essa rimane il suo guadagnoindimenticabile. Tuttavia, deve esserefatto un discernimento critico proprio sulpunto che costituisce il sigillo della mo-dernità: la coscienza non può pensarsisenza relazioni, in modo autarchico,soggettivistico e individualistico, comepresenza im-mediata a sé stessa a pre-

scindere da ogni relazione. Questa im-magine autotrasparente della coscienzava sottoposta a critica proprio per sal-vare il punto di vista della coscienza li-bera. Il punto essenziale della critica èche l’identità della persona si costruiscein una trama di relazioni “mediate” (colcorpo, il mondo, gli altri, il noi sociale).Così che anche la questione dell’unitàdella persona non può essere svolta,seguendo le suggestioni del postmoder-no, semplicemente proponendo strategiedi armonia psico-corporea della vitaframmentaria e dispersa, ma solo attra-verso una prospettiva etico-religiosa cherealizzi l’unità dell’esperienza personalecome il cammino esaltante e faticoso diidentità nella relazione ad altri. Un’iden-tità che costruisce non solo strategie dibenessere individuale e sociale, ma deveproporre percorsi di vita buona, che pos-sano aprirsi alla dimensione vocazionaledella vita. Se la formula proposta a Ve-rona era di «imparare l’alfa beto della vi-ta umana per dire in esso la parola cri-stiana», allora si comprende come i cin-que ambiti rappresentino una rete di di-mensioni per realizzare la coscienzadell’identità personale dentro le relazioniaffettive, nel tempo del lavoro e dellafesta, attraverso le esperienze di fragili-tà, sostenendo i processi di trasmissionedella vita e della fede, nel vasto campodella cittadinanza.

Che cosa significa questa “attenzione antro-pologica” come dimensione che attraversa tut-ta la missione evangelizzatrice della Chiesa?Non si esige una vera “competenza antropo-logica” nei linguaggi, nelle relazioni, nelle for-me dell’annuncio? La dimensione catecheticadell’an nuncio (accanto alle altre forme del pri-mo annuncio, della predicazione, della lectiodivina, della proclamazione pubblica, della te-stimonianza personale, ecc.) non rappresenta

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Il rinnovamento della catechesi 251

la vera sfida dei prossimi anni? Non è proprioqui che la questione dell’identità, in rapportoal racconto di cammini di identità propostidal Vangelo, scioglie la vexata quaestio dellacatechesi prevalentemente per ragazzi e gio-vani o della priorità della catechesi per adulti?Ormai non occorre porsi nella prospettiva diuna libertà che percorre le stagioni della vitaper costruire la sua identità? E non è solo cosìche si potrà comprendere come la catechesi,per il suo compito di formare e custodire unamentalità di fede, è il momento ineliminabileper costruire una sapienza della vita nella lucedella fede?

2.2 Una pastorale formativa. In secondoluogo, la prospettiva formativa e peda-gogica è il punto di vista specifico e lascelta storica di questo decennio che sista aprendo per costruire l’identità el’unità della coscienza. Qui il discorsosi fa esplicitamente pastorale, ma di-venta anche insidioso, di fronte alleconcezioni più diffuse del rapporto ditrasmissione delle forme buone della vi-ta e della possibilità di dare “forma cri-stiana” a questi cammini. Le due con-cezioni più diffuse del rapporto forma-tivo suggeriscono, da un lato, una pe-dagogia ottimistica che svilupperebbesemplicemente ciò che è già virtualmen-te iscritto nella vita delle persone, inparticolare di chi deve crescere, senzatrasmettere nulla, perché si tratterebbedi una pedagogia impositiva; e, dall’al-tro, domina una pedagogia intesa cometrasmissione di saperi e linguaggi checonsentano di socializzarsi nel gruppodi appartenenza o nel circo della comu-nicazione sociale, senza dimensione cri-tica e autocritica. In ambedue i modi divedere il processo formativo, viene amancare la relazione ad altri, in parti-colare la testimonianza autorevole pre-sente nelle forme di trasmissione della

vita e della fede. Il modello paternalistadi molta pedagogia dell’Ottocento hacreato un secolo XX senza padri e senzafigure guida, sconsigliando un rapportopedagogico di testimonianza. Occorre,invece, una pedagogia (famiglia, scuo-la, comunità, associazioni, ecc) che tra-smetta forme di vita buona liberando ilsoggetto dentro una relazione ricca eplurale, in cui si donano valori, com-portamenti, saperi, decisioni e si abilitala persona a riceverli, ad assumerli per-sonalmente, a farne esperienza stabilee vitale, a condividerli responsabilmentecon altri.

È possibile una forma di trasmissione del sen-so della vita senza un’originaria connotazioneetica e religiosa? Come entra in questo pro-cesso la trasmissione della fede cristiana?Quale compito specifico ha la catechesi percorreggere una forma di trasmissione della fe-de, che privilegia i momenti emozionali, leoccasioni dei grandi eventi, la figura della fedeincentrata sul benessere della persona, sul suobisogno di armonia e serenità interiore, masenza nerbo per l’impegno etico e il servizioal mondo? E prima ancora per la sua dimen-sione vocazionale? Non è proprio la catechesiper la sua specifica funzione di costruire unsapere della fede (anche nei suoi profili veri-tativi) che forgia le forme della vocazione sta-bile e stabilizzante? Non è qui che deve av-venire la sintesi necessaria tra momento re-lazionale e momento veritativo della trasmis-sione della fede?

2.3 Una pastorale integrata. Infine, tuttociò propone chiaramente il ripensamentodelle azioni, dei progetti, delle iniziativee dei soggetti pastorali della Chiesa inmodo integrato e corale non solo tra diloro, ma anche con le forze educativepresenti sul territorio. Pastorale “inte-grata” e/o pastorale “d’insieme” indica-no l’urgenza del momento, non tanto

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perché insieme è bello, ma perché l’azio-ne comune e convergente consente dicostruire cammini identitari forti e aper-ti. Per questa fondamentale “motiva-zione antropologica” – per non menodi questo motivo! – occorre la conver-genza sugli elementi essenziali dell’agi-re educativo. Bisogna che tutti gli inte-ressati siano capaci di ascoltare, imma-ginare, pensare e agire ascoltando ciòche manca al loro cammino: la paroladeve aprirsi al sacramento, la liturgiadeve alimentarsi all’evan gelizzazione,annuncio e celebrazione devono edifi-care la comunione e la carità, la vitacristiana non può non aprirsi al mondo.C’è un’immanenza reciproca delle fun-zioni della chiesa, che ne fanno un si-stema a vasi comunicanti, perché nel-l’uno deve circolare la linfa vitale del-l’altro. Invertire coraggiosamente la lo-gica della parcellazione dei compiti edegli strumenti, ma prima ancora delleiniziative e delle riflessioni, superare lapratica di azioni pastorali che si pensa-no come ambiti di vita totalizzanti, dovetutti fanno tutto, senza mai intercettarele altre dimensioni della pastorale, que-sta è la grande correzione (e conversio-

ne!) che una pastorale con “attenzioneantropologica” deve favorire.Che cosa significa tutto questo nel ridisegnarele forme e i soggetti nel compito di trasmis-sione della fede? Non bisognerà pensare adun’opera di convergenza e reciprocità fecondatra i soggetti del triangolo educativo (famiglia,comunità, scuola)? Che ne è della presenzadei catechisti con il loro compito singolare einsieme sinergico con le altre figure (famiglia,presbiteri, diaconi, insegnanti di religione, ope-ratori pastorali) che intervengono nella tra-smissione del sapere della vita alla luce dellafede? L’attenzione antropologica non ha glistessi catechisti come protagonisti, come por-tatori di una competenza singolare, da ascol-tare e da formare? Non è forse giunto il tempodi dare un’e videnza al ministero del catechistanella Chiesa?

Con queste e simili domande bisogneràconfrontarsi coraggiosamente. È possi-bile intuire la lunga strada che ci sta da-vanti: non si tratta di un cambiamentocongiunturale di superficie, ma di unmutamento strutturale di profondità.Perché l’attenzione antropologica altronon può significare: che il Signore adogni generazione chiama sempre da ca-po l’uomo e la donna, dentro la vita co-mune, per far loro ascoltare l’appello:“Vieni e seguimi!”.

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11. Il Documento di Base Il rinnovamentodella catechesi, pubblicato dai VescoviItaliani il 2 Febbraio 1970, conserva atutt’oggi la sua validità di strumentoprezioso della recezione del Vaticano IInella vita della Chiesa in Italia attraversol’azione catechetica da esso disegnata epromossa (così per la “svolta antropo-logica”, l’idea di rivelazione, la rinno-vata autocoscienza della Chiesa, ecc..).

12. Il metodo di elaborazione del Documentodi base – costruito attraverso il dialogoe il coinvolgimento della base – restaesemplare per noi oggi (sinodalità e col-legialità come metodo di lavoro). Essovalorizza anche in particolare il ruolodegli esperti di catechetica e incoraggiala ricerca in questo campo nella vita del-la Chiesa e nelle istituzioni accademichead essa collegate.

13. Il contesto socio-culturale italiano inquesti 40 anni è profondamente mutato:il confronto fra i mondi ideologici ha ce-duto il posto alla cosiddetta “modernitàliquida”, senza certezze condivise. Lacrescente immigrazione, poi, profilanuove urgenze nel campo del primo an-nuncio del Vangelo.

14. La sfida più urgente diventa quella del-l’annuncio e della trasmissione della fe-de e della vita cristiana in questo con-testo culturale, tanto alle nuove gene-

razioni, quanto agli adulti. Ne deriva lapriorità dell’attenzione al primo annun-cio, alla catechesi degli adulti e alla nuo-va evangelizzazione.

15. Nel raccogliere questa sfida il rinnova-mento della catechesi dovrà collocarsinell’ambito del più generale impegnoeducativo su cui la CEI concentrerà leproprie attenzioni nel prossimo decen-nio, attento alla complessità dei contesticulturali e della persona dei destinatarinei vari livelli di maturazione, conoscen-za e crescita.

16. La presentazione di Gesù Cristo e dellasequela di Lui nella Chiesa sia attraente,amabile, affidabile: in tal senso, il ricorsoalla via della bellezza nella evangeliz-zazione e nella catechesi appare quantomai urgente nel corrispondere alle sfidedel presente. Quest’attenzione non do-vrà mai prescindere dall’esigenza veri-tativa nella comunicazione della fede(cfr. Catechismo della Chiesa Cattolicae Catechismi CEI).

17. L’attenzione al linguaggio – narrativo,autoimplicativo e simbolico, non privodi semplicità e di attrattività estetico-let-teraria – risulta rilevante nella comuni-cazione della fede oggi e richiede con-seguente impegno. In questa linea si èmossa anche la redazione della Letteraai cercatori di Dio.

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UN DECALOGO PER RINNOVARE LA CATECHESIA 40 ANNI DAL DOCUMENTO DI BASE

S. E. Mons. Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto, Presidentedella Commissione Episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi

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Il rinnovamento della catechesi254

18. La catechesi non è tutto, ma tutto hauna dimensione catechetica nella vitacristiana ecclesiale: così la liturgia, lapredicazione, l’insegnamento, la comu-nione ecclesiale, la testimonianza dellacarità, ecc… Ne consegue l’urgenza diuna pastorale integrata in cui il tuttodella Chiesa si manifesti nella moltepli-cità dei carismi e dei ministeri: il ruolodella comunità cristiana nel suo insiemerisulta veramente decisivo nella cate-chesi.

19. La formazione dei formatori è via indi-spensabile per un rinnovamento dellacatechesi: una tale attenzione richiedevicinanza, valorizzazione delle relazioni

interpersonali, aggiornamento frequen-te, ecc… A tal fine si auspica un serviziosempre più mirato anche da parte deicentri di studi teologici.

10. L’idea di un possibile “nuovo documentoprogettuale condiviso” per il rinnova-mento della catechesi (lanciata in aper-tura del Seminario dal Segretario Gene-rale della CEI, Mons. Mariano Crociata)è uno stimolo importante a svilupparela recezione creativa del Documento dibase nell’orizzonte del piano decennaledella CEI dedicato all’educazione.

Roma, 15 Aprile 2010

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A nome della Comunità catechistica italiana,desidero anzitutto esprimere viva gratitudineal presidente ed ai membri della Commissio-ne episcopale per la Dottrina della fede, l’an-nuncio e la catechesi, per questa Lettera conla quale viene ancora una volta ribadita l’im-portanza del Documento di base, sia per ciòche è stato ed ha suscitato nelle Chiese inItalia, sia per ciò che ancora può far nasceree crescere, tenuto conto - e la Lettera lomette chiaramente in risalto - del mutatocontesto ecclesiale, culturale e sociale. L’au-spicio della Commissione è che questa Let-tera possa raggiungere tutti i catechisti, tra-mite i loro sacerdoti, per far loro conoscerela bellezza del servizio catechistico, la suaimportanza, e, nello stesso tempo, per farloro giungere la stima e l’incoraggiamentodei Vescovi. A me è stato affidato il compito di illustravibrevemente questo testo e soprattutto dimettere in evidenza in quali modi potrà es-sere fruttuosamente utilizzato.Nella Lettera di “riconsegna” del Documentodi base del 1988, firmata dal card. Ugo Po-letti Presidente della CEI, si sottolineava pro-prio nel primo paragrafo che la prospettivadel DB era, fin dal suo inizio, quella di essere«strumento di comunione pastorale nellaChiesa in Italia e stimolo di una sempre rin-novata missione evangelizzatrice dellaChiesa nel paese». Mi sembra che questa fe-

lice sintesi sia tutt’ora valida. Al di là dellegiuste verifiche e valutazioni, ed anche aldi là delle nuove problematiche che si pon-gono all’attenzione pastorale delle Diocesi,rimane intatto nel DB un dinamismo eccle-siale atto a suscitare interesse, confronto eresponsabilità in vista dell’annuncio dellaSalvezza. “Annuncio e catechesi per la vita cristiana”si struttura in tre parti.La prima parte - intitolata Il DB e il suovalore permanente – consta di 6 paragrafi.Essa mette in luce come il Concilio VaticanoII sia stato il “grembo” generativo del DB,ne evidenzia i principali contenuti, richia-mando la visione rinnovata della Chiesaquale comunità tutta responsabile dell’evan-gelizzazione e dell’educazione della vita difede e le fonti della catechesi. Inoltre, si ac-cenna a come nel cammino della Chiesaitaliana il DB abbia messo in evidenza ilprimato dell’evangelizzazione, anche se poiquesto compito primario della pastorale, difatto, è stato affidato quasi tutto alla cate-chesi. Si sottolinea inoltre come il DB abbiaavuto il merito di avviare la lunga elabora-zione dei Catechismi per la vita cristiana.Di fatto questa parte può essere utilizzataproprio per operare una riproposizione sin-tetica del DB nelle sue linee portanti. Essaha l’indubbio valore di mostrare come unarilettura attenta del DB sia ancora molto fe-

PRESENTAZIONE DI “ANNUNCIO E CATECHESIPER LA VITA CRISTIANA”

LETTERA ALLE COMUNITÀ, AI PRESBITERI E AI CATECHISTI

NEL QUARANTESIMO DEL DOCUMENTO DI BASE

Il rinnovamento della catechesi

Don Guido Benzi, Direttore Ufficio Catechistico Nazionale

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Il rinnovamento della catechesi256

conda per cogliere le sfide odierne dell’evan-gelizzazione nel nostro paese.

La seconda parte - intitolata Il contestoattuale – evoca in 3 densi paragrafi gli sce-nari culturali e religiosi nuovi, profilatisi inquesti 40 anni, ponendo a tema l’indifferen-za religiosa e l’irrilevanza da molti attribuitaalla fede, fino ai fenomeni del soggettivismoed del relativismo, che portano ad una reli-giosità vissuta in forma individualistica. Na-turalmente, non sono ignorati i segni di spe-ranza e le esperienze positive in atto nellecomunità parrocchiali, nelle Diocesi e nelleAggregazioni laicali, non ultima l’opportu-nità della scelta operata dai Vescovi per ilprossimo decennio, circa la riflessione sulla“sfida educativa”. Questa seconda parte puòessere utilizzata sia per avviare una rifles-sione nelle comunità, nei Consigli pastoraliparrocchiali e diocesani, e nei gruppi di ca-techisti, sulla realtà culturale attuale con laquale si deve confrontare oggi l’annunciocristiano. I tre paragrafi potrebbero dare vitaanche a percorsi laboratoriali nei quali sipuò mettere a confronto la propria mentalitàdi fede, e le direttrici dominanti del sentirecomune.

La terza parte, infine, dal titolo Le nuoveesigenze pastorali, che con i suoi 9 pa-ragrafi è la più estesa, richiama (sempre mo-strando la consonanza con il DB) gli “Orien-tamenti pastorali” e le “Note pastorali” ri-guardanti l’annuncio e la catechesi di questoultimo decennio. Questi documenti hannoindicato come scelta prioritaria quella di dareuna svolta missionaria a tutta l’azione pa-storale “innervandola” con il primo annun-cio della fede. La catechesi è una tappa spe-cifica e ben caratterizzata del processo dievangelizzazione globale della Chiesa, chesollecita un “prima”, il kerygma, che suscita

la fede come dono gratuito e che porta lapersona a convertirsi, e apre a un “dopo”,la celebrazione e la testimonianza di carità.Viene ricordato come il Convegno di Veronaha invitato la Chiesa italiana a costruire tut-to l’agire pastorale attorno alla persona:questo rinnovato accento sulla persona neisuoi snodi fondamentali apre per la catechesiil tempo di una riformulazione dei sui metodie del suo stile, mostrando come essa sia an-cora un importantissimo “snodo” per attuaremolte “sinergie” pastorali. Di fatto questaparte può essere assai utile per mettere in-sieme con un profilo organico e sintetico leproposte e le novità espresse nei documentidel passato decennio (primo annuncio, ca-tecumenato, catechesi in chiave catecume-nale, risveglio della fede, coinvolgimentodelle famiglie, rinnovamento della Iniziazio-ne cristiana, catechesi mistagogica e liturgi-ca, …) e magari non ancora entrate nellariflessione ordinaria delle comunità cristiane.Va evidenziato come al n° 12 si sottolineila responsabilità dell’intera comunità nellacatechesi, ma anche il ruolo fondamentaleche svolgono il Vescovo ed i presbiteri come«educatori nella fede», nonché il ruolo edu-cativo primario delle famiglie. Il n° 14, dovesi parla del rinnovamento dell’Iniziazionecristiana, si presenta come una felice sintesidel cammino percorso, premessa indispen-sabile per la riflessione ed elaborazione checi attende nel prossimo decennio.Concludo dicendo che è intenzione dell’UCNinviare a tutti i Direttori degli Uffici Catechi-stici Diocesani questo documento, propo-nendo di farne oggetto di riflessione negliUffici Catechistici regionali, di donarlo ai Par-roci e ai Catechisti, e di predisporre nelle Dio-cesi iniziative di formazione permanente peril Clero, per i Religiosi e le Religiose, per iDiaconi permanenti e per i Laici (soprattuttoi Catechisti) a partire da questa Lettera.

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APPENDICE

Dossier

RIFLESSIONI REGIONALI

IN PREPARAZIONE

AL CONVEGNO NAZIONALE

DEI DIRETTORI (ucd)

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Indice Appendice 259

Traccia di riflessione regionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 261

Abruzzo - Molise . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 263

Basilicata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 267

Calabria. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 268

Campania . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 272

Emilia Romagna. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 275

Lazio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 277

Liguria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 284

Lombardia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 286

Marche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 289

Piemonte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 291

Puglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 293

Sardegna. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 296

Sicilia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 298

Toscana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 304

Triveneto. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 306

Umbria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 309

Indice Appendice

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dre e lo Spirito Santo» (RdC 38). Tra le stra-de percorribili per giungere a questo traguar-do, si pone anche l’introduzione in modoorganico e sistematico alle verità di fede.

Domanda n° 2. Alla luce della tua espe-rienza di direttore diocesano ritieni ac-quisita questa consapevolezza? Comeviene inteso il rapporto tra mentalità difede e conoscenza dei contenuti dellafede? Persiste nella prassi diocesanal’uso di itinerari catechistici solamentecentrati sulla trasmissione dei contenutidottrinali? Come far emergere la que-stione antropologica e gli ambiti di vitadella persona (“modello” di Verona)?

Questione educativa e rinnovamentodell’Iniziazione Cristiana delle nuovegenerazioni

Nell’ultimo decennio i nostri Vescovi, attra-verso molti documenti nazionali e regionalie diocesani, hanno sottolineato la necessitàdi riformulare gli Itinerari per l’IniziazioneCristiana. Molte parrocchie e diocesi italiane,in questi anni hanno dato vita a vari modellidi cammini iniziatici, con proposte diverse,comprendenti sia un percorso ordinario, sial’itinerario catecumenale, sia la catechesi fa-miliare o gli itinerari proposti da movimentie associazioni.

Domanda n° 3. Come questo “rinnovamen-to dell’IC” in atto nelle nostre diocesi (co-me… dove… quanto…) pone in atto il rap-

TRACCIA DI RIFLESSIONE REGIONALE

Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

Appendice 261

Rapporto Catechesi-Educazione

Evangelizzare educando ed educare evan-gelizzando (DGC 147): questo binomioesprime la dimensione educativa della cate-chesi. Già nel Concilio Vaticano II, la Gra-vissimum Educationis (GE 4) aggiungeva:«nell'assolvere il suo compito educativo laChiesa utilizza tutti i mezzi idonei, ma sipreoccupa soprattutto di quelli che sono imezzi suoi propri. Primo tra questi è l'istru-zione catechetica, che dà luce e forza allafede, nutre la vita secondo lo spirito di Cri-sto, porta a partecipare in maniera consa-pevole e attiva al mistero liturgico, ed èstimolo all'azione apostolica».

Domanda n° 1. Quali considerazioni sipossono esprimere in riferimento a que-sto rapporto tra catechesi ed educa -zione? Quali apporti possono portarel’Annuncio, il Catecumenato e la Cate-chesi nell’ambito delle “emergenze edu-cative”?

La Catechesi come educazione dellafede

Finalità della catechesi è mettere in comu-nione intima con Gesù (DGC 80) e obiettivoprimario, è nutrire e guidare la mentalità difede che consiste nell’«educare al pensierodi Cristo, a vedere la storia come Lui, agiudicare la vita come Lui, a scegliere e adamare come Lui, a sperare come insegnaLui, a vivere in Lui la comunione con il Pa-

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 3

Appendice262

porto tra Iniziazione Cristiana, Primo An-nuncio ed educazione? Quali modelli di rin-novamento sono maggiormente presentinella vostra regione?

Il catechista educatore e la suaformazione

L’educazione passa attraverso catechistigeneratori di alleanze educative, tra lafamiglia, la comunità nella sua moltepliceministerialità (Vescovo, sacerdoti, laici,associazioni), il bambino/ragazzo e tutte le

altre componenti sociali che entrano nellasua vita, tra cui la scuola, lo sport, ecc…

Domanda n° 4. Esistono progetti di for-mazione di base per i catechisti e di for-mazione dei formatori? A confronto coni documenti sulla formazione dei cate-chisti (1982-1991-2006), quali aspettidell’identità ricca e complessa del cate-chista vengono presi in considerazionenei progetti formativi dei catechisti inatto nella tua realtà diocesana? Quali,invece, meriterebbero maggiore atten-zione e sviluppo?

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approdati. Il tema educativo che appare oranella sua drammaticità, ha in verità invasoil nostro agire fin da alcune esplicite dichia-razioni di Giovanni Paolo II quando, nel-l’anno internazionale della Donna (1995),affermava già che, per una madre,”il tempospeso per l’educativo è il tempo meglio spe-so”. A partire da quella affermazione cheaveva il sapore di uno slogan, era spontaneal’associazione di ogni altra categoria di edu-catori a quella della donna nel suo delicatocompito di madre. Perciò, personalmente econ i collaboratori dell’Ufficio – assunto nel1997 – avendo in fondo al cuore questasintesi pastorale, come un prezioso deposito,ci siamo a varie riprese preoccupati di pun-tare sulla formazione dei catechisti: dottri-nale, religiosa – in senso teologale – e infine,tecnica con la proposta di veri e propri tiro-cini che, in laboratori estivi, miravano allaconoscenza e alla diffusione della comuni-cazione non verbale.

La Catechesi come educazione dellafede

Chieti-VastoDi certo la consapevolezza che la finalitàdella catechesi è di “educare al pensiero diCristo, a vedere la storia come Lui, a giu-dicare la vita come Lui, a scegliere e adamare come Lui, a sperare come insegnaLui, a vivere in Lui la comunione con il Pa-dre e lo Spirito Santo” (Rdc) è stata ben re-cepita. A livello diocesano ci si orienta, conmodalità diverse e diversificate, verso una

ABRUZZO-MOLISESr. Lucia Rugolotto

Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

Appendice 263

Rapporto Catechesi-Educazione

Chieti-VastoIl binomio Evangelizzazione-Educazioneproposto come circolo ermeneutico nel DGC147: “Evangelizzare educando ed educareevangelizzando” indica la dinamica dell’an-nuncio. L’emergenza educativa, emersa intutta la sua urgenza, può diventare una ul-teriore opportunità per un rinnovato impe-gno della comunità cristiana.

L’Aquila• La crescita nella fede comporta scelte e

comportamenti sollecitati dall’educere, inuna sinergia di cammino comune. Edu-cando alla fede, si educa alla vita e vice-versa. Ogni tipo di strategia educativa, lascelta dei percorsi e le finalità, mirano allacrescita globale ed armonica della persona,per cui il nesso tra catechesi ed educazio-ne, è incredibile.

• Gli apporti che possono portare l’Annun-cio, il Catecumenato e la Catechesi nel-l’ambito delle “emergenze educative”, so-no fondanti, perché, per le loro specificità,sostengono e alimentano l’humus esisten-ziale, reggono la trama esistenziale e lacrescita globale della persona attraversan-do con la “Grazia” dei Sacramenti tutte letappe della vita.

Teramo-AtriDelle considerazioni sul rapporto catechesi-educazione possono esser fatte nel sensodella nuova consapevolezza cui parroci, ca-techisti, genitori, educatori in genere, sono

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 3

Appendice264

catechesi “per la vita” cristiana. Ci si orientasul “Primo annuncio”, in modo da proporrela centralità del Vangelo, tenendo conto delcontesto sociale ed ecclesiale, dell’età e dellesituazioni concrete.

L’Aquila• L’esperienza ci rammenta che queste con-

sapevolezza non è ancora acquisita in ma-niera significativa, e di conseguenza, il rap-porto tra mentalità di fede e conoscenza deicontenuti della fede, è ancora molto confusoper cui nella prassi pastorale diocesana, an-cora permangono frange di catechesi, a pre-valenze dottrinale. Tuttavia si va diffon-dendo e rafforzando la richiesta, il bisognoe l’esperienza di itinerari catechistici, in-centrati su cammini di fede esistenziale.

• Per far emergere la questione antropolo-gica e gli ambiti di vita della persona, sipotrebbe trovare il modo di coinvolgere, atutto campo ed in maniera permanente, igenitori egli “educatori” della comunità cri-stiana ed interagire insieme a livello diprogrammazione e di pastorale reale.

Sulmona-ValvaNella nostra diocesi considero che non è an-cora acquisita la consapevolezza che la ca-techesi è un percorso educativo alla fede chedura tutta la vita e che l’obiettivo è quellodi far maturare la personalità cristiana. Èmolto diffusa ancora l’attività catechisticaconcentrata nella trasmissione dei contenutidottrinali.Nella nostra chiesa diocesana esistono per-corsi catechistici rivolti alla famiglia (cam-mini di preparazione al sacramento del ma-trimonio, catechesi rivolta ai genitori dei ra-gazzi della prima comunione e della cresima,dialogo di fede con le coppie in difficoltà).Riguardo al lavoro non esistono itinerari ca-

techisti.Per quanto riguarda il mondo della sofferen-za oltre al ministero dei cappellani negliospedali e nelle cliniche, sono presenti in al-cune parrocchie catechisti che visitano pe-riodicamente i malati e le persone sole perla preghiera, l’ascolto della Parola di Dio eun dialogo di fede.Le tradizioni, il grande patrimonio religiosoesistente nel nostro territorio diocesano vis-suto con i pii esercizi, le devozioni, la pietàpopolare e la religiosità popolare, sono con-tinuamente catechizzate per correggere leesagerazioni e incrementare tutto ciò che dipositivo esse contengono. Inoltre si lavoraper farle entrare progressivamente nella vitapastorale delle comunità parrocchiali per vi-vere pienamente e consapevolmente la vitaliturgica. Si svolgono saltuariamente incontricatechistici con le varie autorità politiche elaicali per responsabilizzare loro verso il be-ne comune.

Teramo-AtriQuali percorsi di trasmissione della fede? Sifa fatica a superare il modello scolastico, lac.d. lezione frontale rimane per molti ancoracome un traguardo, una sorte di meta rag-giunta la quale ci si può sentire “catechistaadulto”. Sta di fatto che sappiamo non esserequesto l’optimum della comunicazione dellafede. Intanto mi sembra di capire che da unlato, i giovani catechisti puntano moltosull’utilizzo dell’animazione per trasmetterela fede (quindi si preoccupano delle tecni-che). Mentre quelli adulti, se non proprioquelli anziani, non riescono a staccarsi dalmodello della trasmissione di verità dottrinaliche sembrano loro, certamente fredde nellaespressione, ma più sicure nei contenuti(quindi si concentrano su testi, guide, qua-derni attivi, formule, ecc... ).

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Appendice 265

Per grazia di Dio in diocesi si sta vivendol’anno della Fede, primo tempo di un pro-getto pastorale unitario, che sta aiutandotutti – a partire dai presbiteri – a risponderealla domanda: “Cos’è la fede per me”, aven-do di mira di giungere alla comune e con-sapevole affermazione che la fede è una re-lazione personale con il Signore e non sem-plice adesione a formulari e sintesi dogma-tiche. È molto probabile che sia questa la stradagiusta, come già sembra, per reimpostare ipercorsi catechistici a partire dai loro natu-rali promotori, cioè i parroci.

Questione educativa e rinnovamentodell’Iniziazione Cristiana delle nuovegenerazioni

Chieti-VastoIl rinnovamento dell’IC viene consideratocome un “processo”, un procedere, duranteil quale, con continuità e gradualità, si pro-pongono itinerari di IC e cammini di fede,validi e fattibili nel contesto parrocchiale.

L’Aquila• Il rinnovamento dell’iniziazione cristiana

è stato, in questi anni, il punto nodaledelle nostre riflessioni e delle nostre ap-prensioni, dei nostri convegni e dei nostriincontri, sia sotto il profilo della formazionedei catechisti, sia dal punto di vista dellaprassi pastorale.

Molte parrocchie avevano avviato degliitinerari di Iniziazione Cristiana, adattatialla propria realtà comunitaria ed alle esi-genze dell’ambiente socio-culturale. Parti-colare impegno stavamo dedicando alla ri-cerca di una strategia mirata, per coinvol-

gere e corresponsabilizzare le famiglie.• L’evento terribile del 6 aprile 2010, ha

sconvolto e distrutto la nostra città e lenostre vite, ed ha stravolto la geografiadella nostra chiesa locale, costringendociad una diaspora, tanto sofferta quanto in-comprensibile.

Il resto è storia tutta da vivere.

Teramo-AtriPer quanto detto nella risposta precedente,l’orientamento a riformulare gli itinerari diIC è lento. Ci sono sì alcune comunità par-rocchiali esemplari, ma la maggioranza èancora attestata sulle acquisizioni del pas-sato; si catechizza e si educa alla fede at-traverso percorsi ordinari di alcuni anni, so-prattutto preordinati alla celebrazione dei sa-cramenti.

Stanno tuttavia apparendo lentamente, avolte anche solo nominalmente, itinerari ditipo catecumenale: segno di una mentalitàche sta entrando in circolazione, mentalitàdi un graduale inserimento in comunità (peres.: anno di riscoperta del battesimo, annodella Riconciliazione, anno dell’Eucaristia,della testimonianza vissuta, della Conferma-zione, della missione, ecc),

Qualche tentativo più concreto, invece, siregistra a proposito della catechesi familiare,intesa non proprio come affidamento ai ge-nitori, ma come stabile e fattiva presenza ecollaborazione degli stessi in seno ai percorsie agli incontri catechistici. Ugualmente, leproposte educative, i cammini, in vista dellaeducazione alla fede, o della celebrazionedei sacramenti IC, da parte di movimenti oassociazioni, in alcune parrocchie special-mente, sono un dato recepito (Scout, ACR,MGM,...)

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Appendice266

Il catechista educatore e la suaformazione

Chieti-VastoLa formazione dei catechisti è fondamentalenon solo per la catechesi, ma innanzituttoper la vita della comunità cristiana. La scuo-la diocesana di formazione per catechistipromuove le dimensioni più specifiche dellacomunicazione della fede: la Parola di Dio,il messaggio cristiano, la conoscenza del-l’uomo nel contesto attuale e la pedagogiadell’annuncio. I catechisti in genere sono iprimi ad essere promotori di alleanze edu-cative e potrebbero essere definiti le antennedella comunità, perché percepiscono sia leproblematiche odierne sia le nuove possibi-lità di annuncio.

Sulmona-ValvaNella nostra diocesi esiste il cammino di for-mazione per i catechisti: si svolge una voltaalla settimana in due centri della diocesi(Sulmona e Castel di Sangro). Sono affron-tati argomenti riguardanti: la formazioneteologica, biblica, metodologica e spirituale.Ciò che manca è la formazione morale, l’at-tenzione al monde delle comunicazioni so-ciali, all’ecumenismo e il dialogo interreli-gioso, alla dottrina sociale della chiesa.

Teramo-AtriLa figura del catechista che genera alleanze:coinvolgendo o mettendo in collegamentofamiglia / parrocchia (ma anche diocesi eforania) / scuola / sport / ecc ... sta di fattomaturando. Di là da ripetitivi suggerimenti

o iterate raccomandazioni, si è dato luogoad una fattiva collaborazione tra uffici pa-storali diversi, per la responsabilità del Vi-cario della Pastorale. L’attività di questa fi-gura, di recente istituzione in diocesi, si ri-vela a misura sempre più efficace ai fini delcoordinamento di uffici diversi in occasionedi eventi, particolarmente interessati al-l’ambito educativo. Di recente, ad esempio,è stato realizzato un mini Convegno dioce-sano: “Famiglia, Scuola, Parrocchia: Insie-me per l’educativo”, frutto della collabora-zione tra Ufficio di Pastorale Familiare, Uf-ficio della Pastorale Scolastica e Ufficio Ca-techistico. In esso, a partire dal tema, tuttoè stato maturato con discernimento comu-nitario e così pure preparazione e realizza-zione sono state il frutto di scelte condivise.Tale scelta operativa, maturata all’internodella Assemblea diocesana degli OrganismiConsultivi, ha inteso avviare, a livello dio-cesano, uno stile di corresponsabilità vis-suta e di fattiva collaborazione che, si spe-ra, divenga nel tempo modello efficace perl’intera comunità, nei suoi diversi livelli diministerialità.In più, l’Ordinario diocesano si è fatto caricodella formazione dei catechisti, proponendoun calendario di appuntamenti mirati a faredel catechista un “Narratore ed Educatorealla e nella fede”. Tutto ciò, pur nella faticache gli angusti spazi, anche temporali, con-sentono e nel non ancora pieno convinci-mento personale della necessità di una au-tentica formazione, sembra aver mosso inmodo irreversibile il processo di formazionedei formatori che i nostri vescovi si auspi-cano.

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Rapporto Catechesi-Educazione

La Catechesi di per sé è una forma di educa-zione alla fede che abbraccia però tutta la per-sona, nel suo pensiero, nei suoi comporta-menti e nello stile di vita. Educando alla fede,la catechesi ha la pretesa e l’obiettivo di for-mare l’uomo in tutte le sue componenti comepersona, come valore assoluto e nella sua re-lazionalità. Non si limita a trasmettere infor-mazioni, idee o semplicemente dottrina, mamotivi di vita ed esperienza vitale che si tra-duce in testimonianza convinta e credibile.

La Catechesi come educazione della fede

La consapevolezza di cui sopra (n. l) è ormaidiffusa in tutte le diocesi della regione, bastipensare all’esodo del dopo cresima e alla in-suffîcienza di una catechesi a impostazionescolastica. Ci sono prime esperienze di iti-nerari catecumenali in alcune diocesi o co-munque di catechesi esperienziale in cui so-no coinvolte soprattutto le famiglie. La stes-sa figura del catechista è vista come un edu-catore e accompagnatore nel percorso for-mativo, più che come un insegnante.

Questione educativa e rinnovamentodell’Iniziazione Cristiana delle nuovegenerazioni

Ci sono in atto corsi di formazione per ca-techisti e per le famiglie sempre più coinvol-

BASILICATAMons. Paolo Ambrico

Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

Appendice 267

te, durante il percorso formativo. La Parroc-chia resta il soggetto principale della cate-chesi che viene impostata in sinergia (Ve-scovo-parroco-famiglia), una catechesi chetocca di più l’esperienza cercando di creareunità tra l’annunzio, la liturgia e la caritàcon attenzione particolare ai bisogni dellacomunità.È un percorso che si sta avviando anche sein molte situazioni persiste l’impostazionetradizionale con i suoi lati positivi e proble-matici.

Il catechista educatore e la suaformazione

A livello regionale è in atto una rivisitazionedell’impostazione della catechesi. È statarealizzata una inchiesta in tutte le parrocchiedella regione sulla situazione della Catechesia tutti i livelli. Come risultato si sta prepa-rando un progetto a livello regionale che sa-rà sottoposto all’approvazione della Confe-renza Episcopale di Basilicata. Progetto cheprevede in sintesi:

• Linee comuni per la formazione dei cate-chisti

• Preparazione e formazione delle famiglie

• Avvio di percorsi nuovi di carattere espe-rienziale

• Apertura all’esperienza catecumenale

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Rapporto Catechesi-Educazione

C’è uno strettissimo rapporto tra catechesied educazione, se non altro perché la cate-chesi è educazione alla fede, nel versantedella risposta dell’uomo al dono sopranna-turale della fede stessa.La catechetica, e di conseguenza la cateche-si, trae i suoi fondamenti ed orientamentidall’intreccio tra Parola di Dio rivelata escienze umane, in particolare le scienze psi-co-pedagogiche, al fine di comunicare ed in-carnare la Parola di Dio nei soggetti dellacatechesi. Il criterio della “fedeltà a Dio e fe-deltà all’uomo”, legge fondamentale del me-todo catechistico (cfr. RdC 160) esige che cisia sempre un intreccio armonico tra cate-chesi ed educazione.L’educazione, consapevolmente o inconsa-pevolmente, viene impartita sempre in basea dei valori di riferimento, in ultima analisiin base alla visione che si ha della vita.La visione cristiana della vita ha una suaspecificità, che trova in Gesù il suo fonda-mento, il suo centro, il suo fine. Di conse-guenza l’annuncio di Gesù Cristo e del suoVangelo e, sul fondamento di questo, il cam-mino per diventare cristiani (catecumenato)è strettamente legato all’educazione…Perché si attui armonicamente il rapportotra educazione (e le emergenze educative)e annuncio del Vangelo è fondamentale te-ner conto del criterio dell’integrazione trafede e vita (cfr. RdC 52).La catechesi è educativa anche dal punto divista metodologico: il piccolo gruppo (di ra-gazzi o giovani o adulti) che si incontra set-

timanalmente con il catechista, è già di persé educativo; educa all’ascolto degli altri, alrispetto delle idee altrui, al confronto corret-to, all’attenzione all’altro nei suoi bisogni edifficoltà.La catechesi è chiamata ad adottare un lin-guaggio adeguato per comunicare in modo“intelligente” la visione cristiana dell’uomo.Essa, ovviamente, non può essere ridotta amediazione di un catechismo, quale che sia.L’impostazione catecumenale aiuta a ca-pire che l’azione catechistica ha senso solose integrata in un itinerario globale di an-nuncio e di educazione alla fede, che abbialuogo in una comunità sperimentata comeaccogliente.È ormai indispensabile partire “dall’inizio”rivedendo i corsi di preparazione al matri-monio: una coppia sceglie di sposarsi In Cri-sto e non semplicemente In Chiesa; dallamaturità di fede dei genitori dipende anchel’educazione alla fede dei figli. La catechesidella persona comincia dal grembo maternocome piacevole sensazione di essere attesae amata perché dono di Dio; segni concretidi fede (preghiera in famiglia,partecipazioneall’eucaristia, gesti di carità…) costituisconoper i bambini linfa vitale su cui poter impo-stare un discorso di educazione alla fede.Occorre far riscoprire alla coppia la missionedell’essere genitori che scaturisce dalla Gra-zia sacramentale. È fondamentale proporrecon sistematicità una catechesi pre/post bat-tesimale che accompagna bambini e genitori(l’UCN potrebbe proporre degli itinerari).L’opera di catechesi già avviata, sarà poiproseguita nell’ambito della comunità par-rocchiale.

Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 3

Appendice268

CALABRIAMons. Dario De Paola

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Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

Appendice 269

Un ambito, che per noi calabresi resta viadi evangelizzazione è la Pietà Popolare.Crediamo che sia quanto mai provvidenzialee urgente proporre itinerari di primo annun-cio nelle varie novene, tridui… che le nostreparrocchie ogni anno vivono, pensare ma-gari a formare laici che educano al sensoautentico e vero della pietà popolare.

La Catechesi come educazione dellafede

La situazione è variegata: per quanto riguar-da i catechisti (e gli stessi sacerdoti), dipendedalla qualità della formazione catecheticache hanno ricevuto ed interiorizzato; in ge-nerale questa è spesso abbastanza lacunosa.Purtroppo anche nei Seminari!Nella mentalità largamente prevalente deigenitori che chiedono i sacramenti per i figli,è scarsa la consapevolezza che la catechesiè strettamente connessa al processo di cre-scita integrale dei loro figli. La catechesi allaquale partecipano i loro figli, è vista esclu-sivamente in preparazione alla Prima Co-munione e alla Cresima, che per altro per lamaggioranza dei genitori rappresentano fon-damentalmente un fatto sociale e non au-tenticamente religioso…Nonostante la proposta del Progetto Cate-chistico Italiano della “catechesi per la vitacristiana”, e nonostante i relativi testi di ca-techismo, la carente formazione della stra-grande maggioranza dei catechisti, fa sì cheessi non hanno un’adeguata consapevolezzache la finalità della catechesi è la mentalitàdi fede. I testi di catechismo per l’iniziazionecristiana dei fanciulli e dei ragazzi spessosono poco conosciuti in riferimento ai criteritologico-pastorali ed educativi secondo iquali sono stati redatti (tra l’altro è scarsa-mente conosciuto dai catechisti il “Docu-

mento di base”), e di conseguenza sono uti-lizzati (quando vengono utilizzati!) spessoin maniera riduttiva ed impropria: vengonoper lo più adoperati con la mentalità dellacatechesi dottrinale ed in quasi esclusivo ri-ferimento alla preparazione ai sacramentislegati dalla vita nel suo complesso.È essenziale per far emergere la questioneantropologica e gli ambiti di vita delle per-sone (“modello di Verona”) un formazionepiù adeguata dei catechisti e degli stessi sa-cerdoti.La stessa efficacia della catechesi rivolta aifanciulli e ragazzi, esige inoltre la prioritariaevangelizzazione e catechesi degli adulti, deigenitori in particolare (sterilità della cate-chesi infantile quando manca la testimo-nianza di fede dei genitori e della comunitàcristiana…). Nelle diocesi vengono proposti vari itineraridi formazione, ma i risultati concreti sonopoca cosa rispetto all’impegno profuso.

Questione educativa e rinnovamentodell’Iniziazione Cristiana delle nuovegenerazioni

La situazione socio-culturale e religiosa delnostro tempo è complessa, e di conseguenzanon ci sono soluzioni facili e dai risultati im-mediati.Poiché oggi “cristiani si diventa”, è neces-sario che anzitutto i sacerdoti, e con essi glioperatori pastorali tra cui in special modo icatechisti, maturino la consapevolezza dellanecessaria “conversione pastorale”, per pas-sare dalla pastorale e catechesi che supponel’adesione di fede alla pastorale missionariache mira a suscitare l’adesione di fede. Nel-l’orizzonte della “conversione pastorale” èpoi importante rivitalizzare il tessuto dellecomunità parrocchiali perché diventino ca-

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Appendice270

paci di generare alla fede. È infatti fonda-mentale il rapporto tra catechesi e comunità!Per la rivitalizzazione delle comunità par-rocchiali, oltre alla formazione adeguata deisacerdoti e degli operatori pastorali, è fon-damentale l’evangelizzazione e catechesi de-gli adulti in relazione alla centralità dellapastorale familiare; è altresì importante cu-rare spiritualmente e pastoralmente un nu-cleo di cristiani adulti nella fede, che si facarico esplicitamente di animare cristiana-mente la comunità parrocchiale più vasta.Utile inoltre per la rivitalizzazione delle co-munità parrocchiali è la mediazione dellepiccole comunità (C.E.B.) e delle Aggrega-zioni Ecclesiali, mirando a fare della parroc-chia una “comunione di comunità”…I catechisti avvertono molto la mancanzadell’apporto della famiglia nell’educazionecristiana, per cui è essenziale il coinvolgi-mento dei genitori nel cammino di iniziazio-ne cristiana dei figli; anzi i genitori dovreb-bero essere, come è nella natura delle cosee in coerenza con il matrimonio-sacramento,i primi e più importanti “catechisti” dei lorofigli! C’è da notare però che ancora i catechistisono poco preparati a svolgere la loro azionedi educazione alla fede non solo nei riguardidei fanciulli e ragazzi, ma di questi nel con-testo delle loro famiglie; sono ancora occa-sionali e poco adeguate le iniziative di coin-volgimento dei genitori, nonostante l’ogget-tiva difficoltà della scarsa risposta degli stessigenitori quando si tenta di coinvolgerli(spesso i genitori tendono a delegare il lorocompito di educatori della fede dei figli, an-che perché essi stessi il più delle volte vivononell’indifferenza religiosa…).Essendo venuto meno nella società com-plessa e pluralista di oggi il tacito e conver-gente accordo tra le agenzie educative (fa-miglia – scuola – parrocchia…), è più che

mai necessario lavorare “in rete”; il catechi-sta in particolare è chiamato a vivere il suoservizio, oltre che in comunione e strettacollaborazione con il gruppo dei catechisti,cercando di stabilire alleanze educative conla famiglia, gli animatori dell’oratorio par-rocchiale, e possibilmente anche con coloroche in vario modo svolgono una funzioneeducativa, diretta o indiretta, al di fuori dellacomunità cristiana strettamente intesa(scuola, animatori dello sport e del tempolibero…).È di particolare importanza inserire la for-mazione catechistica (gli incontri di cate-chesi) in un contesto educativo più ampio,tra cui la valorizzazione dell’esperienzadell’oratorio parrocchiale, attraverso il qualetessere relazioni anche tra le famiglie…Per il rinnovamento dell’iniziazione cristianavi sono qua e là esperienze in atto ispirateal modello del catecumenato. La Diocesi di Locri, ad esempio, a partiredal 2004 sta articolando e sussidiando unprogetto di IC in stile catecumenale per ifanciulli e i ragazzi, denominato “CamminoEmmaus”. Una sintetica presentazione dellavoro finora realizzato è contenuta nell’ar-ticolo pubblicato su “Catechesi”, settembre\ ottobre 2009-2010. Si sta lavorando allaprogettazione della mistagogia. Il progettosi pone delle mete specificamente educati-ve: una relazione personale con il SignoreGesù nella comunità cristiana, un’attenzio-ne particolare agli ambiti di vita ordinariadei ragazzi, a partire dalle relazioni in fami-glia. La mistagogia poi parte programmati-camente dalla vita dei ragazzi, per recupe-rare ed approfondire, a partire da essa, quan-to si è vissuto e celebrato nel gruppo nei seianni precedenti. Il tutto in un gruppo “ri-fondato” e provando ad instaurare una re-lazione con le famiglie che tenga conto della“distanza” che i ragazzi pongono tra loro ed

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i genitori in questa fase della loro crescita.Gli esiti di un simile lavoro, dal punto di vistadella ricezione appaiono precari, sia quanti-tativamente (le Parrocchie che hanno adot-tato il “Cammino”con una certa serietà sononon più di una decina su 74) che qualitati-vamente (dimensione progettuale carente,stile della proposta di fatto ancora dottrinalee non “animato”, poco attento alla dimen-sione celebrativa e soprattutto esistenziale).Un progetto in “stile catecumenale” richiedeun cambiamento di mentalità anzituttonegli operatori che lo assumono. Ma è esat-tamente questo che stenta ad affermarsi.Nella Diocesi di Rossano, da qualche anno,si sta cercando di formare una mentalità so-prattutto nei catechisti che porti ad un rin-novamento dell’IC. Si è svolto fino ad oraun’ opera di formazione-informazione allaluce soprattutto delle 3 note CEI sull’IC; pergiugno dovrebbero essere pronti 2 itineraricatechistici: il primo rivolto agli adulti chechiedono il completamento dei sacramentidell’IC, il secondo ai genitori che chiedonoil battesimo dei propri figli alla luce della 3nota CEI. Il prossimo anno ci si dedicheràall’IC dei fanciulli e dei ragazzi.Nella diocesi di S. Marco c’è un progettocatechistico attuato da un buon numero diparrocchie che presenta obiettivi e contenutiben specificati, cui sono legate celebrazionied esperienze ad hoc e proposte di forma-zione per i genitori.In altre Diocesi (Cosenza, Reggio…) si in-siste sulla presa di coscienza della validitàe dell’urgenza dell’itinerario catecumenale.Molto forte, valido e “contagioso” è l’itine-rario educativo promosso dalle Aggregazio-ne Ecclesiali che hanno un chiaro e collau-dato progetto.

Nella diocesi di Catanzaro-Squillace, si in-siste sulla formazione dei catechisti e deglioperatori pastorali, tenendo presente che ilproblema di fondo è della verità che nonviene donata. La metodologia non è la ve-rità, è giusto insistere su nuove metodologie,ma il problema di fondo rimane.

Il catechista educatore e la suaformazione

Nella maggior parte delle Diocesi calabresi,si presta attenzione alla formazione dei ca-techisti e degli operatori pastorali in genere.Spesso tale formazione viene curata dagliISSR o dalle Scuole diversamente denomi-nate. A volte si preferiscono corsi residenzialiestivi. La linea privilegiata è quella dei con-tenuti generali di base (Bibbia, Liturgia, Pa-storale …) e metodologica. In alcune diocesici sono incontri mensili per i coordinatoriparrocchiali o incontri quindicinali propostidal SAB.Da sottolineare anche la disponibilità delleèquipes diocesane a offrire opportunità diincontri formativi a livello di vicarie e diparrocchie vicine. Molto si propone, ma non sempre c’è la di-sponibilità a lasciarsi formare. Qualcuno pro-pone se non sia il caso di rendere obbliga-toria la formazione di base, con un attestatoda parte degli istituti diocesani, e ridurre leattività di catechesi per il raggiungimentodello scopo. Resta aperto il problema della formazionepermanente, da attuare possibilmente in Par-rocchia; tutte le strutture qualificate per laformazione (UCD, ISSR…) devono essere disostegno e non di sostituzione ad essa.

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Rapporto Catechesi-Educazione

Se “educare” vuol dire accompagnare cia-scun individuo lungo tutta la sua esistenza,nel cammino che lo porta a diventare per-sona, ad assumere quella forma per cui unuomo è autenticamente uomo, è evidenteche vi è un profondo rapporto tra catechesied educazione. La catechesi è anzi la mo-dalità concreta con cui l’individuo divenutopersona, un “IO” responsabilmente apertoalla relazione, diventa “persona cristiana”,capace di piena comunione in Cristo, con ilPadre e il prossimo. Purtroppo è stata unaconstatazione comune che vi è oggi unascissione tra queste due dimensioni: l’unaignora l’altra. L’emergenza educativa è neifatti. Riteniamo essenziale, allora, compren-dere come superare tale scissione. Ciò è pos-sibile solo mettendo al centro la “persona”concreta, colta nelle sue diverse dimensionie nei diversi ambiti di vita (così come indi-cato a Verona): la catechesi deve incontrarela persona nella sua effettiva quotidianitàed essere modulata tenendo conto dello svi-luppo integrale di questa1.

Ciò significa essere attenti ad alcune realtàfondamentali: • La testimonianza: educare evangelizzan-

do implica il valore della testimonianza,uomini e donne concreti che sanno an-

nunciare la gioia di essere discepoli di Cri-sto con la propria vita;

• L’accompagnamento: è questo il luogodell’incontro educazione-catechesi; aiutarela persona nel cammino che la porta adessere capace di scelte di fede consapevoli.Un ruolo essenziale gioca in questa situa-zione la “comunità cristiana” (la parroc-chia), chiamata ad essere “ambiente edu-cativo” accogliendo i catechizzandi (comegrembo che genera), diventando punto diriferimento per la loro vita, facendo venirfuori le domande profonde che le personesi portano dentro2. In altri termini, An-nuncio, Catecumenato e Catechesi posso-no portare un notevole apporto nella mi-sura in cui diventano un luogo formativocaratterizzato da relazioni amicali certeche introducano alla vita di fede, da unconfronto sereno e autentico sulle que-stioni vitali della persona e del suo con-testo, lette e interpretate alla luce di unriferimento chiaro e inequivocabile: la Pa-rola di Dio;

• Il catecumenato come itinerario di edu-cazione, perché contesto in cui le tre di-verse dimensioni della prassi ecclesiale vi-vono un’effettiva osmosi;

• La coesistenza tra scelta antropologica(attenzione alla persona e agli ambiti con-creti di vita) e prospettiva dottrinale, trauna catechesi che si interessa della per-sona e una catechesi che preserva e tra-

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CAMPANIADon Giuseppe Natale

1 Cfr. COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, L’ANNUNCIO E LA CATECHESI, Annuncio e catechesiper la vita cristiana. Lettera alle comunità, ai presbiteri e ai catechisti nel quarantesimo del Documentodi base Il rinnovamento della catechesi, 4 aprile 2010, n. 11.2 Cfr. Ib. n. 12

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smette i contenuti della fede. In tal senso,la via della Chiesa è l’uomo, e tutto l’uo-mo, in ogni sua dimensione (affettiva, ra-zionale, spirituale): comunicare ciò nel-l’attuale contesto culturale può aiutare aritrovare oggi il senso alto della dignitàdella persona, e rifondare le basi stessedel nostro essere “società” ;

• la centralità degli adulti e della famiglia,che deve divenire sempre più soggetto at-tivo di evangelizzazione. Non può oggiesservi una rinnovata pastorale che nonveda al proprio centro la famiglia, ambitoeducativo e di comunicazione della fedeper eccellenza. È solo così che le comunitàcristiane possono divenire capaci di gene-rare alleanze anche con le altre agenzieeducative presenti nel territorio.

Una particolare attenzione va poi data al“linguaggio” e ai nuovi dinamismi della “co-municazione” della fede. Se si vuole essereintesi dagli uomini del nostro tempo, occorresaper assumere la “società digitale” comeoccasione e ambito di evangelizzazione, main modo da salvaguardare comunque la cen-tralità della persona, prima ricordata.

La Catechesi come educazione dellafedeQuestione educativa e rinnovamentodell’Iniziazione Cristiana delle nuovegenerazioni3

Il tema del “rinnovamento dell’IC” non ènuovo, nemmeno per la regione Campania.

Esso è stato affrontato prima in un Conve-gno regionale nel 2003 , e poi in una Letteradei Vescovi Campani, pubblicata nel 20055,che ha riassunto le principali conclusioni delConvegno stesso. Questi due momenti hanno segnato la con-sapevolezza, da un lato della persistenza inRegione di modelli d’iniziazione cristiana“tradizionali”, in cui prevale la visione dellacatechesi intesa come mera trasmissione dicontenuti dottrinali secondo un metodo di“lezione scolastica”; dall’altro, l’orientamentoverso un modello rinnovato d’iniziazione cri-stiana, in cui «s’intrecciano fruttuosamenteprimo annuncio e catechesi, celebrazioni sa-cramentali e servizio della carità»6. Tale mo-dello, indicato dai Vescovi Campani alle co-munità parrocchiali, deve avere come puntodi riferimento primario il catecumenato degliadulti: «Il modello dell’IC degli adulti non èsolo la proposta di un itinerario formativoofferto agli adulti che vogliono accedere allafede, ma costituisce la scelta e la promozionedi un nuovo stile di educazione, di program-mazione pastorale e di vita comunitario-ec-clesiale. Non si tratta di preparare a questoo quel sacramento. Essa si caratterizza pro-prio per la globalità degli aspetti e la gradua-lità del percorso... una globalità che vedel’intrecciarsi armonioso delle tre funzioni diannuncio, celebrazione e testimonianza dellacarità, teso a formare il discepolo di Cristo.L’intero itinerario così si presenta come l’ap-prendistato della vita cristiana»7. È a tali in-dicazioni che sentiamo di dover tornare per-ché esse non rimangano solo sulla carta.

3 Si risponde in modo unitario alle due domande.4 Cfr. CONFERENZA EPISCOPALE CAMPANA, Atti del Convegno Ecclesiale Regionale. L’Iniziazione Cristiana inCampania. Situazioni e prospettive, Pompei 21 - 22 febbraio 2003.5 Cfr. CONFERENZA EPISCOPALE CAMPANA, Lettera dei Vescovi Campani alle Comunità. Iniziare alla vitacristiana nelle nostre comunità, 2005.6 Ib., pagg. 8-9.7 Ib., pag. 9.

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Ci chiediamo, dunque, non tanto se da partedelle Chiese campane vi sia stata o no l’in-dicazione per un rinnovamento dell’IC, oquale modello concreto preferire, ma perchétali indicazioni trovino difficoltà a diventareprassi pastorale ordinaria nelle comunità par-rocchiali: addirittura, anche in presenza diprecise decisioni sinodali (negli scorsi annidiverse diocesi campane hanno celebrato iloro Sinodi). Le risposte possono essere va-rie, e forse dipendono anche dai singoli con-testi, ma il motivo principale sembra risiederenella “fatica” di passare da una modalità adun’altra, ma soprattutto da una “mentalità”all’altra: da una catechesi standardizzata,tradizionale, tesa unicamente alla ricezionedel sacramento con metodo “scolastico”, aduna catechesi sicuramente più impegnativa,che coinvolga tutta la comunità nell’accom-pagnamento dei catechizzandi, progressiva-mente scandita in tempi e tappe8, e che ri-proponga la centralità del Primo Annuncio. Inoltre, per quanto riguarda la conclusionesacramentale, appare sempre più chiaro cheessa dovrebbe consistere nella celebrazioneunitaria dell’IC: Battesimo, Cresima ed Eu-caristia, nell’ordine, per i ragazzi non bat-tezzati; Cresima ed Eucaristia, possibilmenteinsieme, per quelli che hanno già ricevutoil Battesimo.Ci sembra infine importante sottolineare co-me nella nostra Regione la partecipazionedei fanciulli e dei ragazzi alla catechesi siacomunque un elemento positivo e degno dinota. Indubbiamente, le motivazioni di unatale partecipazione (molto spesso giustificatasolo da motivi di consuetudine sociale) nellagrande maggioranza dei casi sono da illu-minare, correggere, evangelizzare: ma lapresenza di una “domanda di sacramenti”così massiccia (tocca la quasi totalità dei

fanciulli e dei ragazzi) non può essere con-siderata comunque irrilevante, e se benorientata può divenire finanche occasione diun autentico rinnovamento della prassi pa-storale delle nostre comunità (occorre nondisprezzare, ma traghettare…).

Il catechista educatoree la sua formazione

Ogni diocesi ha propri progetti di formazioneper gli operatori pastorali, e in primis per icatechisti: in Regione vi è dunque una ric-chezza ed una varietà di proposte formative,il che è positivo, ma anche una sorta di loroframmentazione e di eccessiva diversifica-zione, che in alcuni casi scade quasi nel-l’improvvisazione – e questo è negativo -.Spesso la formazione è articolata su due li-velli, quello diocesano e quello di zona (vi-cariati, foranie), e cerca di tenere conto dellediverse competenze e abilità del catechista,che quasi sempre è però solo quello dell’ICdei fanciulli. Ci sembra che sia importantefar nascere una nuova stagione formativaper i catechisti, come accadde 40 anni fadopo la pubblicazione del Documento di Ba-se, una stagione che veda al suo centro unanuova alleanza tra mondo della catechesi(prevalentemente laico) e i sacerdoti pastoridi comunità. Per questo, da più parti si è le-vato il suggerimento di porre più attenzionealla formazione dei catechisti nella singolaparrocchia, rendendola centrale, con una piùchiara consapevolezza circa i giusti criteri eorientamenti per la formazione; infatti, nonsono molto diffusi lo “stile del laboratorio”e la formazione al lavoro in équipe, che sonoinvece da far divenire metodologia preva-lente di formazione.

8 Cfr. Ib., pag. 8

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Rapporto Catechesi-Educazione

L’apporto potrebbe essere notevole, perchécatechesi ed educazione si illuminano a vi-cenda. Annuncio, catecumenato e catechesisono tre vie per ridare alla catechesi il suosignificato proprio: l’attenzione alla vita. Ma perché questo contributo sia fruttuoso,servono alcune attenzioni. Innanzitutto sideve rispettare la persona ed entrare nellalogica dell’accompagnamento. Evitare chela comunità cristiana si comprenda comeuna tra le tante agenzie educative. Per que-sto occorre sensibilizzare le comunità par-rocchiali e in particolare gli adulti. Oggi siavverte tra l’altro come istanza forte la ri-chiesta delle esigenze umane. L’adulto ma-nifesta ancora curiosità: se s’intercetta lasua attenzione i frutti si colgono. In negativo si percepisce come ci siano “di-verse catechesi”… non c’è ne una sola. Sonocatechesi che hanno esiti diversi…Sintesi: attenzione all’umano e ai passaggidi vita.

La Catechesi come educazionedella fede

Si osserva una consapevolezza non diffusa,ma a macchia di leopardo, cioè molto fram-mentata. Il cambio di mentalità è molto fa-ticoso e le resistenze sono tante. La difficoltàdi transitare ad un modello cognitivo ad unmodello più vitale ed esistenziale si perce-pisce con molta forza, sia tra i sacerdoti co-me tra i laici delle comunità cristiane.

Ci sono segnali positivi ma che devono es-sere fatti maturare. Occorre aiutare la “con-sapevolezza”: luoghi formativi, investimenti,fornire strumenti per rileggere i vissuti allaluce della parola e della vita sacramentale,necessità di abitare i luoghi della quotidia-nità, ribadire il ruolo centrale degli adulti edella famiglia. Si avverte la necessità di non staccarsi daicontenuti (tentazione diffusa): il rischio èproporre degli itinerari senza riferimento aicontenuti dottrinali. Ma allo stesso tempo èurgente la necessità di rivedere e rileggeregli obiettivi educativi e formativi. Occorregenerare un nuovo equilibrio tra contenutie vita. Purtroppo si avverte un’assenza diriferimenti al Convegno Ecclesiale di Verona,che deve essere meglio valorizzato.Non tutti i percorsi catechistici consideranoin modo organico ed equilibrato questo rap-porto tra mentalità di fede e conoscenza deicontenuti della fede; il problema non riguar-da però solo percorsi incentrati solo su con-tenuti dottrinali ma anche percorsi in cui icontenuti sono poco presenti o comunquein modo poco organico e strutturato. Per faremergere la questione antropologica e gliambiti di vita della persona è necessario pro-prio che i percorsi siano il più possibile or-ganici e continuativi, affinché le dimensioniesistenziali non restino solo sullo sfondo maescano allo scoperto nella quotidianità feria-le, nella consapevolezza però che la cate-chesi vuole formare tutta la persona e nonsolo un determinato aspetto della sua vita,per quanto importante e coinvolgente.Sintesi: c’è consapevolezza ma non diffu-sa… Esiste una consapevolezza frammen-

EMILIA ROMAGNAMons. Valentino Bulgarelli

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tata che non contribuisce alla creazione diun clima di comunione.

Questione educativa e rinnovamentodell’Iniziazione Cristiana delle nuovegenerazioni

Le esperienze in atto si muovono verso gliadulti (famiglie). Due le situazioni privile-giate: gli adulti che chiedono il battesimoper i figli (0-6 anni) e con i genitori deibambini del Catechismo.È un cantiere aperto che fanno emergere fi-gure e situazioni nuove: catechisti, cambia-mento di linguaggi… Da segnalare ancheper l’IC i percorsi associativi (AC e AGESCI)

Il catechista educatore e la sua formazioneGeneralmente esistono momenti di forma-zione di Base. In alcune diocesi si propon-gono percorsi integrati (per esempio conl’apostolato biblico…). La scelta fondamen-tale è non tanto per fare ma per essere. Alprimo posto è collocata la formazione biblicae spirituale. Utile il documento del 2006.Si lamenta la non conoscenza del progettocatechistico italiano: non c’è attenzione allatrasmissione di una tradizione. Si chiedemaggiore attenzione all’essere accompa-gnatori.

Si registra una progettazione in atto in ognichiesa locale.

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Rapporto Catechesi-Educazione

• È importante definire bene a quale con-cetto di “educazione” facciamo riferimen-to, che tenga presente la persona nellasua globalità e sia in sintonia con la lungatradizione educativa della Chiesa.

• Prima di voler stabilire una relazione traeducazione e catechesi, è altrettanto im-portante comprendere la distinzione fra“annuncio”, “catecumenato” e “cateche-si”. Ci troviamo ancora in una situazionein cui “quasi tutto” viene inteso come “ca-techesi”.

• Si capisce l’importanza della sinergia tratutte le componenti presenti in vista delladefinizione e il raggiungimento degli scopieducativi. Forse sarebbe importante defi-nire meglio cosa vogliamo dire quandoparliamo di “mettere al centro la persona”nel rispetto della sua crescita e della suamaturazione.

• Da uno sguardo generale e senza la pre-tesa di una visione esaustiva, sembra ilpiù delle volte che la catechesi ancora nonviene intesa come “educazione della fe-de”, ma prevalentemente come “trasmis-sione di contenuti”. Sia quando si proponeil “primo annuncio”, sia quando si pro-pone un itinerario di catechesi vero e pro-prio, non si tiene primariamente in con-siderazione la persona nel suo camminodi crescita perché l’obbiettivo primario ri-mane ancora quello di una “formazione”finalizzata al sacramento da “ricevere”.

• Manca nell’insieme delle proposte un pro-gressivo accompagnamento in cui tutti iprotagonisti (educatori, educandi, comu-

nità educativa) siano sempre più consa-pevoli dell’importanza di “fare e di far fareesperienza di Dio”.

• Considerando la società secolarizzata,smemorata, materialistica e tecnicista incui viviamo, è indispensabile che l’evan-gelizzazione passi attraverso la vita con-creta (“quotidianità”) delle persone e nonrimanga qualcosa di aleatorio e distaccatada essa. Solo così si potrà individuare esi potranno cogliere le domande esisten-ziali del nostro tempo. Ogni impostazioneche non tenga presente i fattori socio-eco-nomici e culturali in cui si vive rischia didiventare “formula magica” per una ricer-ca indefinita di religiosità.

• Quando non sussiste una vera “interazio-ne tra vita e fede” è comprensibile chenon si faccia un collegamento immediatotra “catechismo” e “emergenza educativa”che vada oltre il problema esclusivamentedi carattere religioso (“domanda di riti”più che “domanda di fede”).

• Quando le proposte di “primo annuncio”,“catecumenato” e di “catechesi” sono im-postate in chiave educativa riscontriamodegli apporti significativi: l’annuncio fa-vorisce l’indispen-sabile “spazio dell’in-contro” dove si creano relazioni autenti-che necessarie per un percorso educativoche rispetta la libertà e favorisce la pro-gressiva assunzione di responsabilità; ilcammino del “catecumenato” crea le con-dizioni per la scoperta di senso e per leprime scelte, nel rispetto della crescita edella maturazione personale; la “cateche-si” approfondisce le scelte già fatte e in-tensifica quella interazione tra fede e vita,

LAZIODon Mario Zeverini

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in una comunità di fede, che porta la per-sona a essere testimone libero e respon-sabile nella missione.

La Catechesi come educazionedella fede

• No purtroppo! Nonostante il disagio cau-sato da una situazione che sfugge di manoe che non dà più risposte consistenti ri-spetto agli obiettivi fissati, a volte non c’ènemmeno la consapevolezza a livello pu-ramente teorico.

• La “componente dottrinale” ha ancora laprecedenza su un’impostazione che vuoledare priorità all’educazione della fede chegeneri, questa, una mentalità di fede nelDio di Gesù Cristo. Del resto, per una buo-na parte dei nostri catechisti e anche dialcuni parroci la “catechesi”, o semplice-mente il “catechismo”, è ancora concepitocome qualcosa riservato al mondo deibambini e dei ragazzi e il suo obiettivoprincipale è quello finalizzato alla prepa-razione immediata ai sacramenti.

• Una proposta di maturazione della federivolta ai giovani e agli adulti è ancoramolto circoscritta e di solito viene delegataalle associazioni e ai movimenti.

• In assenza di un itinerario progressivo cherispetti i tempi del “primo annuncio” pri-ma ancora della catechesi, la presentazio-ne dei contenuti non è sufficientementeassimilata e approfondita con le conse-guenze che ne derivano.

• Possiamo anche constatare la difficoltà atener presente e impostare un accompa-gnamento di maturazione nella fede dopola celebrazione dei sacramenti (“catechesimistagogica”).

• Il “modello” di Verona è rimasto una pro-posta ancora da scoprire e sviluppare.

L’attuale resistenza nei suoi confronti nonè basata sul “rifiuto” ma dipende dalladifficoltà del “come” metterlo in atto.

• Comunque, si deve riconoscere che passisignificativi sono stati compiuti ma conrisultati modesti proprio perché manca lasintonia necessaria per la sperimentazionee non si vuole accettare la fatica di “spe-rare” la maturazione del “nuovo”.

• Il passaggio dal luogo di trasmissione dinozioni “su Gesù” ad un luogo di incontroe comunione “con Gesù” è impegnativoe faticoso. Creare lo spazio di incontro,dove si stabiliscano relazioni nuove, conun linguaggio comprensibile, inculturato,è condizione per far emergere la questioneantropologica.

• Emerge un po’ dappertutto la difficoltà diinteragire con il mondo giovanile e il mon-do degli adulti. Il divario tra le richiesteavanzate dai genitori e le proposte fattenelle comunità parrocchiali è un segno diquesta difficoltà. Anche tra catechisti, etra questi e gli altri operatori pastorali an-cora c’è molto da chiarire in questo senso.

• Non è stata superata la frammentazionedell’azione pastorale intesa più come bi-nari paralleli che come strada comune econdivisa.

• Solo pian piano si incomincia a dare spa-zio alla competenza relazionale. Qui c’èdi mezzo la mancanza del volto definitodi una comunità di fede di cui uno sisente parte e da cui prende visione dellapropria identità e della propria missione.Come si possono proporre itinerari di fedee di accompagnamento alla maturazionecome discepoli di Gesù senza una comu-nità concreta? Non si è discepoli da soli!Quando parliamo di comunità parrocchia-le a chi concretamente facciamo riferi-mento?

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Appendice 279

Questione educativa e rinnovamentodell’Iniziazione Cristiana delle nuovegenerazioni

• Il rinnovamento dell’Iniziazione Cristiananon è ancora entrato come priorità nel-l’attuale prassi delle nostre Parrocchie. Ilpiù delle volte si cerca di rimediare ai “pro-blemi” connessi: partecipazione alla Mes-sa domenicale, conoscenza dei rudimentidel catechismo prima della celebrazionedei sacramenti, interessamento e coinvol-gimento dei genitori, immediato abban-dono della vita della Parrocchia subito do-po la celebrazione dei sacramenti…

• Le nostre Diocesi in genere applicano an-cora lo schema tradizionale di due (o tre)anni di preparazione alla Eucaristia e due(o tre) alla Cresima con modalità diverseper quando riguarda le età dei bambini edei ragazzi. Esistono anche dei tentatividi un tempo di approfondimento e di cre-scita dopo i sacramenti (uno o due annidopo l’Eucaristia, uno o due anni dopo laConfermazione).

• Ancora non si distingue la necessità diimpostare i tempi per il “Primo Annuncio”e quello per la Catechesi secondo le ne-cessità reali dei destinatari.

• Ancora è diffusa la convinzione che il rin-novamento dell’Iniziazione Cristiana siaun problema esclusivamente di compe-tenza dei preti e dei catechisti. Purtroppo,oltre il disinteressamento dei genitori sullaquestione, anche gli altri operatori pasto-rali non si sentono chiamati in causa.

• Come superare questa prassi di “delegaincondizionata” che non aiuta la condivi-sione delle responsabilità? Ma, come puòrealizzarsi un cambiamento così radicalesenza la partecipazione e la “conversione”dell’attuale generazione di educatori (ge-nitori, sacerdoti, catechisti…)? In questosenso riscontriamo l’importanza delle “al-leanze educative” tra tutti gli educatoricoinvolti.

• Nonostante le difficoltà per mettersi d’ac-cordo, è diffusa la convinzione dell’ur-genza di un serio rinnovamento dell’IC.Sarebbero auspicabili indicazioni più chia-re e più condivise tra le varie Chiese dellanostra Regione.

• Questo rinnovamento esige immediata-mente operatori qualificati per metterlo inatto e un’ampia condivisione del clero permotivare e sostenere il tempo di transi-zione.

Esperienza tipo: Diocesi di ViterboPROGETTO DI INIZIAZIONE CRISTIANA

Cristiani si diventa: è questa l’idea guida del nostro cammino pastorale. Camminarenella fede: è la proposta e l’impegno verso la formazione di cristiani adulti nel credere,maturi nella responsabilità, coerenti nella testimonianza. È questo il progetto che chia-miamo iniziazione cristiana (per il modo corretto di intenderla, cfr. Diocesi di Viterbo,a cura del Centro Diocesano di Evangelizzazione e Catechesi, E furono chiamati cri-stiani/1-Itinerario battesimale ed eucaristico, pp. 5-7).

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Appendice280

• Invece, si sente il bisogno di una propostaper “formatori di formatori” che rispon-dano alle esigenze della nostra Regione.

• In chiave di pastorale integrata, si ritieneimportante lo sviluppo di ulteriori propostedove si tengano maggiormente in conside-

Il catechista educatoree la sua formazione

• In alcune Diocesi sono stati avviati per-corsi di formazione per i catechisti basatisui documenti dell’UCN.

Itinerario battesimaleSi propongono quattro tappe di un cammino che tende a coinvolgere i genitori, ipadrini, le madrine e la comunità cristiana nella catechesi, nella celebrazione e nellatestimonianza della carità (cfr. E furono chiamati cristiani/1 - Itinerario battesimaleed eucaristico, pp. 15. 16).Per le modalità di celebrazione, cfr. E furono chiamati cristiani/1-Itinerario battesimaleed eucaristico, pp. 16-17.

Itinerario eucaristico L’itinerario catechistico, che conduce i fanciulli alla scoperta e all’incontro con Gesù,per accogliere la sua chiamata e farsi suoi discepoli nella Chiesa, prevede queste tappe(cfr. E furono chiamati cristiani/1-Itinerario battesimale ed eucaristico, pp. 23-26): I tappa scoperta del Battesimo (seconda elementare) II tappa ammissione al sacramento della Riconciliazione (terza elementare) III tappa ammissione alla Messa di Prima Comunione (quarta elementare)

Per le modalità della celebrazione, cfr. E furono chiamati cristiani/1-Iti-nerario battesimale ed eucaristico, pp. 28-29.

IV tappa mistagogia, per approfondire il mistero cristiano, alla luce dei sacramentidella Riconciliazione e della Eucaristia (quinta elementare)

Itinerario crismale L’itinerario catechistico dei ragazzi prevede tre tappe (cfr. E furono chiamati cristia-ni/2-Itinerario crismale): I tappa “In principio la Parola” Anno della Parola (prima media) II tappa “Insieme nel suo Nome” Anno della Chiesa (seconda media) III tappa “Verso l’Horeb” Itinerario crismale (terza media, I e II superiore)

L’età della Confermazione viene orientativamente fissata tenendo in considerazionel’itinerario di fede dei ragazzi all’interno del biennio delle scuole superiori. L’intero cammino di iniziazione tiene conto delle tre dimensioni fondamentali: l’an-nuncio (catechesi), la celebrazione (liturgia) e la testimonianza (carità), che devonotrovare sintesi pedagogica ed esistenziale nel vissuto concreto delle persone e dellacomunità cristiana.

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Appendice 281

razione le comunità ecclesiali di apparte-nenza e si approfondisca la relazione congli altri operatori pastorali (animatori dellapastorale giovanile, della pastorale famiglia-re, della liturgia e della carità). Si è verificatoche i catechisti e gli altri operatori pastoraliinsieme a loro, quando opportunamenteaiutati e motivati rispondono molto positi-vamente alle sollecitazioni formative.

• È importante ricollegare la chiamata e lamissione del catechista alla comunità ec-clesiale che lo invia. Questa componenteè ancora è molto disattesa.Sarebbe da rivedere il “come” i catechistivengono coinvolti e chiamati a svolgerela loro missione. Sono chiari i criteri perla scelta dei catechisti a livello parroc-chiale?

Esperienza tipo: Diocesi di AlbanoPERCORSI-CATECHISTI

A partire dall’anno 2007 sono stati organizzati e sono tuttora in fase di svolgimentoi Percorsi- catechisti per la formazione dei catechisti. I criteri seguiti hanno avuto edhanno come riferimento i documenti sulla formazione dei catechisti citati nella domanda4. In particolare quello del 2006.

Il progetto è articolato su un biennio denominato rispettivamente Percorso Base 1 ePercorso Base 2. Questi pongono le fondamenta utili per il cambio di mentalità dei ca-techisti, secondo le indicazioni fornite dal DB e dal Direttorio per la catechesi.

L’impostazione di fondo ha come obiettivo quello di far divenire il catechista protagonistadella propria formazione. Il concetto base è che la formazione non deve intendersicome “informazione” ma bensì come “trasformazione”.

Lo strumento laboratoriale è ampiamente usato in modo da favorire la partecipazioneattiva e condivisa. Il metodo, ancora in fase di sperimentazione, ha trovato consensoe apprezzamento da parte dei partecipanti.

I percorsi sono strutturati su sette tappe per il Percorso Base 1 per complessivi undiciincontri della durata di un’ ora e trenta minuti e di cinque tappe per il Percorso Base2 per complessivi dieci incontri della stessa durata del Base 1. Ciascun percorso terminacon un incontro di verifica. Per facilitare il più possibile la partecipazione dei catechisti,gli incontri sono organizzati a livello Vicariale o zonale in funzione della domanda for-mativa. Oltre ai membri dell’equipe dell’UCD, sono coinvolti come guide membri deglialtri Uffici pastorali o persone qualificate secondo le tematiche da sviluppare.

Dopo il biennio seguono dei percorsi tematici su specifici argomenti articolati secondole esigenze degli argomenti da trattare. Anche questi percorsi si concludono con unincontro di verifica.

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 3

Appendice282

Scheda allegata su:

PROPOSTE REGIONALI PER LA FORMAZIONE DEI FORMATORI

Premessa

Dopo un lavoro di circa due anni: lettura attenta dei documenti editi per la catechesidalla Congregazione del Clero e dalla Conferenza Episcopale italiana, del Catechismodella Chiesa cattolica e del suo Compendio, e con molti nostri incontri del Consiglio re-gionale dedicati all’ascolto, al confronto, alla riflessione, alla rilettura di Documenti fon-damentali, con l’assistenza, interventi di puntualizzazione e suggerimenti di S .E. Mons.Chiarinelli e con interventi di vari esperti di Catechetica, Sacra Scrittura, Liturgia.

Suggerimenti

Come Consiglio Regionale (UCR), pur restando nel puro campo della proposta e sug-gerimenti, e senza pensare di redigere ulteriori documenti, richiamando bensì tuttol’esistente specifico, proponiamo alcune linee che riguardano soprattutto il metodo dilavoro.Ai DD.UU.CC.DD. si chiede, sentiti i rispettivi Ordinari diocesani, di mettere al primoposto della loro attività pastorale, il tema della formazione dei catechisti, agendoprima sui Formatori secondo le indicazioni dei nostri Vescovi e di organizzare, o diaggiornare, i propri progetti diocesani secondo le seguenti linee condivise. Sono orien-tamenti che non dovrebbero, comunque, mancare mai:

Equipe di formazione

Anzitutto dobbiamo realizzare e formare, una équipe diocesana (I Formatori) chesia composta da Catechisti adulti e di buona esperienza nel campo della catechesi ebuona reputazione, disposti a verificarsi sul cap. X del DdB, e disponibili per la for-mazione e l’aggiornamento dei catechisti nelle parrocchie. Si può dedicare un primo tempo alla preparazione della équipe sia in merito ai contenutiche alle metodologie da usare, soprattutto, nell’itinerario di iniziazione cristiana daproporre e sostenere come orizzonte di educazione alla fede e in stile catecumenale.Si consiglia di partire dal tema della iniziazione, essendo questo lo spazio del massimoimpegno nelle parrocchie, ma senza perdere di vista gli altri settori (si faccia riferimentoal testo dell’UCN del giugno 2006: “la formazione dei catechisti nella comunità cri-stiana”). Si suggerisce di non avviare nuove sperimentazioni se non sono chiare leidee, le metodologie, e i diversi coinvolgimenti, (non ci può essere più catechesi fattadai solitari), occorre avere una nuova mentalità – oltre le competenze – per una ca-techesi di iniziazione in stile catecumenale – una équipe di accompagnatori.Per la Catechesi dei giovani e degli adulti si potrà in seguito proporre una preparazionein altri termini e diversi contenuti.

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Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

Appendice 283

SperimentazioniUna volta che si potrà disporre di équipe di formatori sarà opportuno scegliere alcuneparrocchie e iniziare un cammino di formazione con i catechisti che già operano sulcampo e che accettano di rimettersi in gioco, verificando sistematicamente la realiz-zazione di ciò che viene proposto. Uno o due membri della équipe diocesana si impegnaa seguire sistematicamente, e per un tempo limitato, l’esperienza e a riportarla negliincontri diocesani per confrontarsi e mettere a fuoco ombre e luci del cammino in modoche la formazione risponda alle reali esigenze dei catechisti con la loro storia e leloro esperienze, senza tradire le Verità da trasmettere, (“fedeltà a Dio e all’uomo”) do-sando con saggezza i contenuti ed il ritmo di apprendimento dei fanciulli e dei ragazzi. Dopo il primo rodaggio, e le relative correzioni, si passerà all’allargamento del progettocon il coinvolgimento di altre parrocchie. La saggezza pastorale, infatti, insegna cheogni rinnovamento va fatto per tappe con sostegno alla felice riuscita dell’iniziativadi partenza. Solo una esperienza concreta e positiva dispone alla sua accoglienza.

Le attenzioni da tenere presenti nella scelta e nella formazione dei catechistidella équipe e gli obiettivi a cui tendere sono:

• persone mature ed equilibrate anche umanamente con una testimonianza trasparentedi vita cristiana, una buona frequenza sacramentale, un chiaro e motivato senso diappartenenza alla Chiesa, e spirito di servizio.

• una conoscenza della natura, dei compiti, della finalità della catechesi, (di IC).

• una buona conoscenza delle Verità della fede attinta dalla Bibbia, dalla Liturgia,dalla teologia, dai testi del Magistero (si attinge dal Concilio, Catechismo della ChiesaCattolica, Direttorio generale per la catechesi, Documento di base… documenti perla Formazione dei Catechisti, cfr. UCN giugno 2006 - e del Vescovo della Diocesi).

• note sulle scienze umane e sulla formazione in genere.

• approccio alle metodologie ed ai vari linguaggi correnti.

• chiarezza e distinzione tra insegnare, formare ed educare ai valori.

N.B. Per la formazione della équipe diocesana si potrebbe tenere in considerazioneun eventuale scambio di esperti (non tanto a livello accademico, quanto a livelloesperienziale) da attingere in ambito regionale.

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Rapporto Catechesi-Educazione

In quanto atto educativo la catechesi coin-volge dei soggetti (ragazzi-genitori-cate chi -sti), provoca delle relazioni e trasmette con-tenuti (la “Persona-messaggio” da propor-re). Tutte queste componenti devono essereprese in relazione se si vuole realizzareun’azione catechetica efficace. Tenendo con-to poi dei destinatari è necessario continua-mente richiamare la logica della gradualitàe prestare attenzione nei confronti del lorovissuto storico-sociale, dei bisogni, delle at-tese. Così l’azione catechistica porta ad unconfronto e diventa un fattore di socializza-zione, costituendo un riferimento preziosodi fronte alle sfide educative.

La Catechesi come educazionedella fede

Muoviamo da una considerazione di fondoche accomuna le nostre esperienze. C’è unarichiesta da parte delle famiglie della cate-chesi finalizzata al sacramento per i figli,ma non una partecipazione di tutta la realtàfamiliare alla vita ecclesiale, con le prevedi-bili conseguenze. Sarebbe necessario appro-fondire nella prassi quanto indicato al DB aln° 38, ossia la centralità di Gesù propostocome persona e la sua vita indicata comeriferimento; queste cose fanno sicuramenteparte delle intenzioni catechistiche ma nonsempre sono coscientemente realizzate.Circa l’impianto metodologico, anche laddo-ve si utilizzano testi ad impostazione dottri-nale, non sembra che si segua il metodo

“dot trinale puro”, ma piuttosto si deve rite-nere che i sussidi servano quasi come unasorta di “sicurezza di fondo” per il catechista,spesso timoroso di non essere all’altezza.L’attenzione per la persona e per il contestosocio culturale è discretamente diffusa anchese occorre migliorare la capacità degli ope-ratori della catechesi nell’educare a riscoprirele “domande dietro le domande” stimolandoil desiderio di una interrogazione di se sem-pre più profonda.

Questione educativa e rinnovamentodell’Iniziazione Cristiana delle nuovegenerazioni

Qui un limite che emerge è che chi operanella catechesi chiede il “come” e il “cosafare” e spesso chiede solo quello; lo chiedein modo puntuale come per ottenere una ri-sposta tecnica che dia risultati immediati; ilche è comprensibile data la complessità delloscenario culturale in cui molto catechisti sisentono spiazzati.Il modello scolastico probabilmente è preva-lente ed è anche difficile pensare ad un cam-biamento convinto in breve tempo. In alcune realtà e con modalità differenziatesta prendendo campo una proposta di cate-chesi familiare che coinvolga le famiglie; inpoche realtà un cammino di vera e propriacatechesi familiare, in altre più numerose iltentativo di un coinvolgimento, variamenterealizzato, di partecipazione al cammino deifigli. Resta poi la questione della catechesi neimovimenti.

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Appendice284

LIGURIADon Franco Pagano

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Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

Appendice 285

Il catechista educatoree la sua formazione

Ciascuna diocesi propone iniziative perma-nenti ed occasionali di formazione per i ca-techisti; non ancora sviluppato è il discorsodei formatori dei formatori. Nel corso dellariunione si è valutata l’idea di prevedere unmomento regionale con questa finalità.Si rileva anche l’urgenza di una seria for-

mazione spirituale del catechista che conso-lidi anche le motivazione del suo servizioecclesiale.Un criterio che si cerca di portare avanti èquello di offrire strumenti perché i catechistipossano sempre più diventare attori dellapropria formazione, non semplici ripetitori.Sicuramente una carenza è quella di unamancanza di preparazione previa, di unabase soprattutto teologico-scritturistica, edanche, in secondo luogo, metodologica.

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Rapporto Catechesi-Educazione

• A livello teoretico si è tutti convinti delrapporto stretto esistente tra Catechesi edEducazione, specie nell’ambito della ca-techesi di IC che ha di mira non solol’aspetto dottrinale ma tutta la vita cri-stiana.

• Il rapporto tra Catechesi ed Educazione èleggibile dentro l’immagine di Chiesa cheè madre e che è maestra. Ciò significache come nella realtà della generazionealla vita una madre non abbandona il fi-glio messo al mondo ma si rende dispo-nibile a prendersene cura e ad accompa-gnarlo nella vita, così la Chiesa desideragenerare costantemente nuovi figli allafede ma, insieme, garantirne anche l’ac-compagnamento lungo le fasi di sviluppodella vita.

• Catechesi ed Educazione: un binomioche rimanda al rapporto tra l’educazionealla fede e l’educazione in quanto tale.Gli anni del dopo Concilio hanno vistoun grande sforzo per far dialogare ciòche il mondo ecclesiale ha sempre in-tuito e vissuto come “arte o passioneeducativa” e le migliori realizzazioni nelcampo dell’educazione umana (modelliteorici e scelte pratiche). Ci possiamodomandare, rispetto alle nuove situa-zioni socio-culturali, quali siano le ri-sorse educative che sembrano risponde-re meglio ai bisogni odierni e con le qua-li dialogare.

La Catechesi come educazionedella fede

• Guardando ai catechisti concreti, si devericonoscere che nonostante le insistenzeparecchi catechisti continuano a fare la“scuola del catechismo”, cioè la scuoladella dottrina, preoccupati che i bambiniimparino i contenuti, siano in grado diripeterli, ecc. Questa tendenza appartie-ne soprattutto ai catechisti di una certaetà, specialmente alle maestre di profes-sione.

• È evidente lo sbilanciamento della cate-chesi verso il versante della “teoria” (con-tenuti della fede) e la carenza di una pro-posta in cui ci sia spazio anche per la“prassi” (la vita cristiana). Spesso gliaspetti celebrativi o caritativi sono assentio semplicemente abborracciati.

• Sganciarsi dal modello dell’ora catechi-stica vuol dire scegliere un tipo di espe-rienza più ampia e più articolata, capacedi collegare la catechesi ad altri momentidi animazione pastorale. Alla base diquesto passaggio sta la disponibilità deipreti a modificare o integrare la loro vi-sione di catechesi. Una nota interessante:qualcuno riesce a dare a momenti natisemplicemente come ricreazione (grestestivi o soggiorni) una vera tonalità dieducazione della fede, perché applica unavisione integrata delle varie attività dianimazione.

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LOMBARDIAMons. Bassano Padovani

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Questione educativa e rinnovamentodell’Iniziazione Cristiana delle nuovegenerazioni

• In alcune diocesi lombarde sono state av-viate “sperimentazioni” dei cammini di IC,che ha richiesto un notevole impegno sianel condividere le scelte di fondo, sia nelprospettare concretamente i nuovi cammi-ni, sia nel supportare le parrocchie rispettoal compito formativo dei catechisti e a quel-lo di accompagnamento delle famiglie.

• Dall’esperienza fatta, risulta che là doveil Vescovo ha offerto una linea e ha chie-sto adesione, il cambio di mentalità (so-prattutto quella dei preti) si è innescatopiù facilmente. Come dire che la mentalità(dei preti ma anche dei catechisti) cambiase c’è una decisione dall’alto che li aiuta.

• Il rinnovamento non costituisce azzera-mento di eventuali cammini diversificati;anzi, offre l’occasione per far vedere cheall’interno dell’indirizzo comune a tutti,ciascun cammino può realizzare lo stessoscopo con proposte specifiche.

• Chi ha scelto la via della sperimentazionespesso non riesce effettivamente a viver-la con un modello pienamente rinnovato,ma vernicia di nuovo il vecchio. La dovele cose funzionano si riesce a lavorare ilsabato e la domenica, con esperienze ot-time anche in sede di coinvolgimento deigenitori. Ovviamente si deve sosteneremolto questi momenti perché richiedonoparecchia disponibilità e fatica.

Il catechista educatoree la sua formazione

• Il rinnovamento comporta fatiche inelimi-nabili anche sul versante della formazio-ne; i catechisti non riescono ancora a me-

diare in maniera proficua e poiché il mec-canismo non è ancora oliato, non si riesceancora a vivere in maniera armonica econtinuativa il nuovo modello di IC. Inol-tre in molte parrocchie, la presenza di ca-techisti improvvisati non riesce a garantireil passaggio dal vecchio al nuovo.

• I catechisti diventano sempre più anzianie preoccupati della disciplina, demotivatiperché l’ora del catechismo non regge più.I tentativi di spostamento dell’ora di ca-techesi lungo la settimana non sono statipositivi perché hanno fatto sparire i cate-chisti impossibilitati a operare in quelleore (per esempio i papà impegnati nel la-voro). Chi riesce a recuperare spazi piùampi per la catechesi (al sabato o alla do-menica) ottiene risultati migliori. Ma ilproblema è che un po’ alla volta si stasfaldando l’idea di “catechista”, fusa conla figura dell’animatore, che di solito nonpercepisce la valenza dell’educare alla fe-de. A conferma di questo sta il fatto spessoquesti giovani animatori non diventanomai catechisti nel tempo, perché essi nonsi riconoscono in questo servizio e perchélo ritengono tipico solo delle mamme. Cosìil divario tra animatori e catechisti si al-larga sempre più.

• Il cammino di rinnovamento in atto (dio-cesi di Milano) ha visto un significativoringiovanimento dei catechisti/e, con coin-volgimento di persone più giovani (gio-vani mamma) rispetto alla tradizionalemaestra-catechista; queste persone sonopiù vicine ai destinatari ma più in difficoltàsulla formazione complessiva (competen-ze dottrinali). Sta diminuendo anche lapresenza di figure, come i preti di un tem-po, che erano presenti nella formazione.Sta crescendo la soggettività della famiglia(visto anche l’insistenza data su questo),

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ma tale realtà comporta fatica perché ri-chiede forte collaborazione. Molti cate-chisti si stanno rallegrando nel vedereche alcune loro attese (alcune scelte chestanno sperimentando) sono state accoltedal nuovo modello catechistico promossodalla diocesi. Al contrario i sacerdoti stan-

no frenando (sono insofferenti), in quan-to non vedono il perché debbano cam-biare in situazioni in cui sembra che tuttofunzioni ancora. Occorre allora puntaresulla necessitò di dare prospettive ampiee non far rinchiudere le persone nel loropiccolo.

• Proposta 1: arrivare ad esprimere linee formative comuni, in particolare per quantoriguarda la formazione dei formatori (come in particolare fare il collegamento tracatechesi e pastorale giovanile?)

• Proposta 2: sciogliere le resistenze dei preti verso il rinnovamento. Non è un problemache riguarda i preti anziani, perché a volte l’indifferenza o la chiusura è più fortenei giovani. Siccome tuttavia la presenza dei preti è determinante, ci si pone la que-stione di come riuscire a coinvolgerli. Forse trovando un linguaggio preciso e pra-tico…

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Rapporto Catechesi-Educazione

• La dimensione dell’educazione è inscin-dibile da quella della catechesi, il catechi-sta che non sa educare non può fare ilcatechista. L’educazione va intesa nel sen-so di accompagnamento nel cammino del-la fede. Bisogna indicare la ricerca di Gesùcome riferimento di una catechesi capacedi educare la persona.

• Sarebbe utile individuare più concreta-mente le emergenze educative più impor-tanti a cui rivolgere l’attenzione anchedella catechesi. La catechesi è un atto pro-priamente educativo nel momento in cuiadotta il “metodo” di Gesù, l’incarnazione,come un’attenzione primaria all’umanità.

La Catechesi come educazionedella fede

• Troppe parrocchie continuano ad impo-stare i loro cammini di catechesi in modotradizionale, con una concentrazione sullatrasmissione di contenuti, mentre si av-verte l’urgenza di mettere al centra la per-sona a cui si vuol comunicare il messaggiodella fede. La mentalità di fede deve cam-biare lo stile di vita traducendosi in espe-rienze personali, ispirandosi allo stile diGesù.

• C’è consapevolezza della necessaria qua-lità educativa della catechesi, ma si con-tinua troppo a confidare nella razionalitàdella fede. Poco spazio alla Grazia cheagisce nel cammino della fede.

• Spesso l’immaturità di catechisti troppogiovani impedisce di farsi carico della cre-scita personale dei destinatari, perché nonc’è stata una libera è responsabile sceltaed esperienza di fede. Si parla spesso an-cora di dottrina, e il linguaggio è vecchio,anche tra i preti. C’è scarso sapere peda-gogico che impedisce una trasmissione diun’esperienza vitale e non di un saperescollegato dalla vita. Non si desume dallaParola di Dio lo stile dell’annuncio e del-l’approccio educativo. È il tema della re-lazione che può spostare l’accento sullapersona, ma spesso non è all’ordine delgiorno. Manca la narrazione spontaneadella fede dentro la vita quotidiana e lapredicazione dei preti spesso è lontanadalla vita delle persone.

Questione educativa e rinnovamentodell’Iniziazione Cristiana delle nuovegenerazioni

• Con fatica si parla di itinerario catecume-nale e di iniziazione cristiana in genere.Rare sono le iniziative di coinvolgimentodelle associazioni educative cattoliche neipercorsi di IC. Si sta aprendo una neces-saria attenzione alle famiglie e alla lororesponsabilità educativa, ma su questosiamo proprio agli inizi.

• Poca diffusione ancora dell’itinerario e del-lo stile catecumenale. Qualcuno preferiscetentare la via della catechesi familiare odel maggior coinvolgimento delle famiglienella catechesi tradizionale. Chi sta spe-rimentando vede già i primi frutti, ma non

MARCHEDon Luciano Paolucci Bedini

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è ancora chiaro il rapporto tra questo rin-novamento e la questione educativaemergente. C’è poca sensibilità anche soloa pensare il rinnovamento dell’IC comeoccasione di approfondire la qualità edu-cativa della catechesi.

• Le sperimentazioni non sono molte espesso troppo autoreferenziali e perciò po-co incidenti sul resto della realtà diocesa-na. Forse questo è più evidente nell’am-bito dell’IC dei ragazzi che del catecume-nato degli adulti, che ha una connotazionemaggiormente diocesana. Non c’è prati-camente rapporto tra chiesa, istituzioni eagenzie educative per quel che riguardal’educazione.

Il catechista educatoree la sua formazione

• Urge la creazione di gruppi catechisti nelleparrocchie, coordinati tra loro e in sintoniacon il parroco. Ci sono alcune pregevolieccezioni di gruppi di catechisti che si riu-

niscono periodicamente, programmanoinsieme, fanno formazione e condividonotempi di approfondimento e di preghierasulla traccia dei tempi dell’anno liturgico.

• Quasi ogni diocesi propone annualmenteeventi di formazione aperti a tutti i cate-chisti, anche se bisogna rilevare a semprenon elevata partecipazione. Le problema-tiche educative sono costantemente al cen-tro delle proposte e anche delle richiesteche vengono direttamente dai catechisti.

• Cresce la disponibilità circa la formazionedei formatori tra i catechisti, meno tra ipreti. Ci sono esperienze iniziali che fannoben sperare e offrono una buona sensa-zione di disponibilità e capacità da partedei catechisti che si lasciano coinvolgerein questo tipo di formazione.

• La formazione dei catechisti parrocchialiin genere è scarsa e lo stile è tendenzial-mente di autosufficienza. Sarebbe da pen-sare un ruolo ad hoc per i diaconi perma-nenti nella formazione dei catechisti, manon c’è formazione per questo.

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Rapporto Catechesi-Educazione

• Citando la GS n. 41 e RdC n. 51 si sot-tolinea che la componente educativadella catechesi è essenziale per daread essa corpo e sostanza. D’altra parte,se non si assume il modello evangeliconell’educazione, l’educazione stessa di-venta fallimentare.

• Oggi assistiamo piuttosto alla fatica daparte delle comunità cristiane ad en-trare in un nuovo modello di catechesi,che è proprio il modello catecumenale:questo modello ha un’attenzione al “pas-so” delle persone essenziale, una compo-nente educativa spiccata e innesta allean-ze educative forti soprattutto con la fami-glia, orientandola a vivere il vangelo nelquotidiano. Occorre sensibilizzare i vesco-vi affinché ci sia da parte loro un lineacomune in questo senso promuovendonegli elementi fondanti.

• La nostra preoccupazione è che gliOrientamenti per il decennio non dianosemplicemente stimoli generici sull’edu-cazione oggi, ma mettano in risalto chelo specifico della chiesa in campoeducativo è proprio l’iniziazione cri-stiana: la catechesi in questo senso è laforma propria dell’educazione in campoecclesiale

La Catechesi come educazionedella fede

Si ha l’impressione generale che la catechesipuramente preoccupata dei contenuti sia an-

cora abbastanza praticata; come d’altra partecontinua ad essere presente il rischio di ac-contentarsi di proporre “attività” puramentefinalizzate a “star bene insieme”, “conser-vare la disciplina in ambito moralistico”, pro-porre “eventi” appariscenti ma isolati, ecc.Il cammino fatto in questi anni attorno alleNote sull’Iniziazione Cristiana pongono in-vece in primo piano la valorizzazione dientrambi gli aspetti, quelli contenutisticie quelli antropologici e degli ambiti di vita,soprattutto pongono in risalto l’annuncio ela vita cristiana in famiglia.Purtroppo l’infantilizzazione della catechesiimpedisce ancora di estenderla ad altri ambitidi vita, che invece sono propri degli adulti:finché non decollerà in maniera ampiala catechesi con gli adulti alcuni ambitidi vita non potranno essere raggiunti.

Questione educativa e rinnovamentodell’Iniziazione Cristiana delle nuovegenerazioni

Ci sono tentativi in alcune diocesi di rinno-vare l’iniziazione cristiana, in riferimento amodelli come il catecumenato, il metodo deiquattro tempi, la catechesi familiare, ecc.Purtroppo, vivendo in una società che oltread essere sempre più secolarizzata e anchein rapido movimento, non si riesce ancoraad intravedere verso dove stiamo an-dando, anche come forma storica di inizia-zione cristiana, oggi. Si richiede un ritornomediante verifica nei vari organismi dioce-sani: Consiglio Pastorale e Presbiterale per

PIEMONTEDon Andrea Fontana

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 3

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raccogliere i frutti delle sperimentazioni inatto.È indubbio, tuttavia, che si senta semprepiù l’esigenza di restituire ai nostri itinerariper ragazzi e per adulti un obiettivo che ten-da all’unità di vita, in cui tutti gli aspetti –relazionali, biblici, liturgici, emotivi, espe-rienziali, ecc… - siano presenti: ciò avvienenegli itinerari catecumenali, sia per gli adultisia per i ragazzi e le famiglie. Ma l’orien-tamento non è ancora sufficientementecondiviso.

Il catechista educatoree la sua formazione

Tutte le diocesi, al di là degli eventi occa-sionali che servono a poco – ad es. assem-

blee, convegni, parate –, hanno in calenda-rio annualmente molte iniziative formative:formazione di base, laboratori su temi spe-cifici, aggiornamento dei catechisti… Tutta-via si nota in questo tempo la scarsa par-tecipazione dei catechisti stessi, dovutaforse anche alla estrema difficoltà che i par-roci incontrano nel reperimento di catechistidisponibili a formarsi.

La Regione “Piemonte Valle d’Aosta” stamettendo in cantiere un “master” per laformazione dei formatori che coinvolgeràtutte le diocesi del Piemonte e della Valled’Aosta. Ci auguriamo che questa propostaabbia un seguito e tutte le diocesi vi parte-cipino.

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Rapporto Catechesi-Educazione

La Chiesa vive nella sua esperienza storical’azione educativa come realtà congenita allasua missione salvifica. Fin dalla sua istitu-zione da parte di Cristo e nella sua costitu-zione a Pentecoste la Chiesa ha avuto l’in-carico di “educare” gli uomini alla vera fedepartendo dall’uomo nella sua integrità, Chisi preoccupa di catechizzare mette in attouna forma speciale di educazione, l’educa-zione alla fede. Soffermandoci sul significatoetimologico del termine educare chi cate-chizza non si propone di riempire di conte-nuti religiosi un recipiente, ma cerca di “ti-rare fuori” (e-ducare) dalla persona quelloche ha già in sé in termini di fede e di uma-nità, e di accompagnarlo ad un reale e gra-duale incontro con Dio, con il Dio di Gesùcompreso e vissuto nella Chiesa. Catechesied educazione si integrano e si coniuganoinsieme, perché la catechesi presa da solapotrebbe sfociare in un insegnamento dot-trinale e nozionistico, d’altra parte l’educa-zione, presa da sola, sarebbe una forza neu-tra, che si sviluppa sì, ma verso quale scopo?La catechesi quindi privilegia il fine, l’edu-cazione promuove l’azione per.

In tutto il Vangelo la Buona novella è unappello, rivolto a persone libere, a seguireGesù Cristo. Si diventa tanto più capaci diun annuncio educante, quanto più perso-nalmente ci si pone di fronte alla propriacrescita nella fede e nella partecipazione allavita della Chiesa e del mondo, attraverso uncostante esercizio della propria libertà. Il ca-techista deve necessariamente essere testi-

mone, ponendosi come modello in tutto: es-sere appassionati delle “cose” di Dio e delle“cose degli uomini” (don Tonino Bello), perannunciare la buona novella nella storia chesi vive, aiutando a leggere e interpretare glieventi della propria vita quotidiana.

Certamente annuncio, catecumenato e cate-chesi possono contribuire molto all’esigenzae non solo emergenza educativa in quantoriportano alla fonte e al modello della peda-gogia della fede, cioè la pedagogia di Dio,Creatore e Padre che educa e guida il suopopolo, la sua Chiesa attraverso l’azione del-lo Spirito Santo che deve animare e motivarel’azione evangelizzatrice e il servizio educa-tivo alla fede nelle diverse forme dell’an-nuncio, del catecumenato, della catechesi edella mistagogia.

Un modello che guarda alla centralità del-l’uomo nella sua interezza, fisica e psichica,alle relazioni personali e comunitarie co-struttive e positive, perché l’annuncio devefarsi storia di quanti desiderano diventarediscepoli di Gesù in modo tale che vi siagradualmente una conoscenza esperienzialedi Cristo e uno stile nuovo di testimonianzanel mondo.

La Catechesi come educazionedella fede

A livello di pensiero è pacificamente accoltoche insegnamento e vita vanno coniugatiinsieme, ma di fatto le cose vanno diversa-mente: la catechesi pecca di nozionismo e

PUGLIADon Vincenzo Identi

Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

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di fatto si ferma alla dottrina, la conoscenzadei contenuti di fede resta sganciata da unareale mentalità di fede, in una coerente sin-tonia fra fede e vita, quanto piuttosto allapreparazione della celebrazione dei Sacra-menti.Come questione di fondo è necessario ac-quisire la certezza che l’incarnazione oggicontinua nella storia e nella vita concretadelle persone cosi com'è. Se non siamo con-vinti che tutti gli aspetti della vita sono im-portanti agli occhi di Dio, non faremo emer-gere mai la questione antropologica o laguarderemo con sospetto e con distacco. Alpiù la faremo emergere solo come afferma-zione di principio, ma senza toccare e inte-ressare la vita delle persone. Nelle diocesi sisono avviati itinerari sui modelli più emer-genti, di catecumenato o itinerari familiari,che contribuiscono a passare da una tra-smissione di contenuti dottrinali a una edu-cazione che abbracci l’intera esistenza dellapersona contribuendo ad un rinnovamentodi mentalità. Gli sforzi di cambiamento inatto necessitano del tempo e di itinerari diformazione specifica per i catechisti e glioperatori pastorali.I modelli possono essere utili, ma bisognapoi leggere ogni singola realtà e adattarsi.È necessario tener presente e rafforzare lavita di gruppo, la presenza di testimoni, co-noscere e discutere le problematiche dell'etàe illuminarle con la luce dei Vangelo, valo-rizzare il dato esperienziale senza trascurarel’aiuto necessario per leggere l'interiorità,educare al dono e al servizio.Alla persona è necessario dare l'opportunitàdi una formazione globale, prima dei cate-chismi c'è la comunità cristiana che educaall'esperienza della fede, alle relazioni, al-l'integrazione fede-vita, a prendere coscienzadei dono ricevuto e di una libera e respon-sabile adesione.

Questione educativa e rinnovamentodell’Iniziazione Cristiana delle nuovegenerazioni

L’Iniziazione Cristiana va nel suo insiemerevisionata, soprattutto alla luce degli ultimidocumenti ecclesiali. In particolare se a li-vello nazionale ci sono indirizzi ben chiaridelineati soprattutto dalle Tre Note sull’IC, siriscontra una carenza o addirittura un’as-senza a livello regionale e/o diocesani. An-che se la CEI abbraccia tutto l’episcopato, idocumenti hanno bisogno di “decreti”, dinorme comuni, compito che spetta all'auto-rità locale. Questa lascia libera imprendito-rialità alle singole parrocchie, e nella par-rocchia gioca la preparazione, lo zelo e quan-t’altro del parroco. C’è senz’altro un movi-mento di rinnovamento, ma è difficile siaquantificarlo che qualificarlo.

In alcune diocesi è in atto una riflessionecirca le possibili vie di rinnovamento dellapastorale e dell’IC alla luce delle scelte dio-cesane della mistagogia che porta a fare sin-tesi a livello personale e comunitario tra li-turgia, catechesi e vita. Il modello catecu-menale della catechesi sembra utile per lariscoperta della fede soprattutto per gli adulti.In altre si punta su cammini pre e post bat-tesimali, sembra necessario dato che l’IC ini-zia con il battesimo, proporre itinerari cheabbiano una logica di gradualità nell’intro-duzione, nella scoperta e nella educazionecirca la fede per i genitori e piccoli contri-buisce a trasmettere una mentalità di fedeadulta e responsabile.

A volte ci si ferma a riflettere sull’argomentoorganizzando convegni diocesani o regionaliper trovare le linee comuni del rinnovamentoche vadano però al di là di ricette pronte daapplicare ovunque.

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Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

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Il catechista educatoree la sua formazione

In tutte le diocesi si investe sulla formazionedegli operatori pastorali attraverso una scuo-la di base diocesana pluriennale e incontridi formazione a livello parrocchiale. I temidella formazione sono piuttosto vari, vannodalla presentazione del Progetto Catechisticodella Chiesa Italiana, alle motivazioni di fedecon testimonianza di vita, alla maturitàumana, alle dinamiche relazionali ed edu-cative.

In alcune diocesi si stanno attuando deicammini di formazione e di trasformazionedi mentalità sia tra i sacerdoti, sia tra i ca-techisti e gli altri operatori pastorali, mirandoalla categoria della “compagnia”.In altre si realizza attraverso appuntamentisistematici e con la metodologia laboratorialeche punta a rinnovare la prassi attraverso uncambiamento di mentalità del catechista: ilrinnovato e condiviso modello di prassi ca-techistica, un nuovo itinerario da sperimen-tare, rende più efficace la formazione, chemotiva i catechisti ad attrezzarsi per intra-prendere il nuovo modo di educare alla fede.

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La Catechesi come educazionedella fede

La trasmissione dei contenuti dottrinali ap-pare come la prima grande preoccupazione.Questo rispecchia in maniera forte il modelloscolastico. Questo anche quando si cerca diarricchire l’incontro catechistico con formedi attività o esperienze che però risultanogiustapposte perché non nascono come con-clusione di un percorso e pertanto i frutti so-no limitati.L’obiettivo di coniugare fede-vita è ancoratroppo lontano. In questo l’impegno degliadulti è ancora troppo limitato. Impararecontenuti non vuol dire necessariamenteeducare alla fede. Sono necessari percorsieducativi che leghino effettivamente il mes-saggio cristiano con i concreti ambiti di vitadelle persone.

Questione educativa e rinnovamentodell’Iniziazione Cristiana delle nuovegenerazioni

Percorsi già strutturati ed esperienze già inatto sul rinnovamento della Iniziazione cri-stiana e la questione educativa non ce nesono.Sono in atto riflessioni concrete che hannocome obiettivo l’elaborazione di percorsi dirinnovamento. Nella Diocesi di Oristano èiniziata la riflessione in chiave catecumenalelegata al Progetto Emmaus che potrebbe giàiniziare concretamente in qualche parrocchiadal prossimo anno pastorale. Nella Diocesidi Tempio-Ampurias già da due anni si la-

Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 3

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SARDEGNADon Silvio Foddis

Rapporto Catechesi-Educazione

Non sempre il binomio “evangelizzare edu-cando ed educare evangelizzando” è stato pre-sente in maniera consapevole nell’ambito dellacatechesi. Spesso lo si è dato per scontatopensando che fosse scontato l’apporto educa-tivo in senso lato nell’annuncio catechistico.La catechesi ha una dimensione costitutivain ordine alla fede prima di tutto ma nonbasta. La fede cresce con la crescita dellapersona e se non influisce in qualche modosulla vita della persona rimane ancora al diqua di quello che è il suo obiettivo. Don Bo-sco coniuga un binomio importante per lasua opera educativa: “Fare onesti cittadinie buoni cristiani”. Si può quindi affermareche il Primo Annuncio, il Catecumenato e lacatechesi possono apportare un contributosignificativo nel contesto attuale di “emer-genza educativa” a patto che al centro del-l’azione educativa sia messa la personadell’educando. La sua formazione deve es-sere integrale e non può non tenere contodella dimensione religiosa così come vieneproposta e approfondita nel cammino dellacatechesi. Ma l’approfondimento del fattoreligioso se vuole essere davvero efficace eorganico deve comprendere anche un realeconfronto con la viva esperienza della co-munità cristiana e il progressivo inserimentoche si attua per mezzo del catecumenato. E’ importante inoltre, proprio nella prospet-tiva di mettere la persona al centro dell’azio-ne educativa, la collaborazione reale, con-creta con le altre agenzie educative, in par-ticolare la famiglia, la scuola e le altre isti-tuzioni operanti nel territorio.

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Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

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vora per il rinnovamento catechistico e ilprimo frutto è il Direttorio catechistico e ilprogetto.

Il catechista educatoree la sua formazione

Non dappertutto esistono progetti di forma-zione strutturati ma per tutti è indispensabilela formazione e si cerca di realizzarla. Ci so-no nelle diocesi livelli formativi per i cate-chisti, da quelli parrocchiali a quelli foranialie diocesani alle volte inseriti in un ampioprogetto altre volte un po’ estemporanei. C’èanche chi frequenta percorsi formativi pressoIstituti di Teologia o Scienze religiose.

C’è un percorso triennale organico (Cagliari)che comprende gli aspetti biblico-teologici,spirituali e metodologici. C’è l’esigenza diuna sistematicità di un percorso formativoche abbia come obiettivo la formazione glo-bale dei catechisti in genere e di coordinatoridi gruppi catechistici e quindi di formazionedei formatori.

A livello regionale c’è un tentativo di offrireattraverso il convegno catechistico Regio-nale un momento di fraternità, di conoscen-za e di formazione.

L’UCN potrebbe elaborare un percorso co-mune per tutte le diocesi che si arricchiràpoi delle peculiarità di ogni singola dio-cesi.

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Rapporto Catechesi-Educazione

PalermoNella catechesi si tenta di educare al metodopedagogico di Gesù (es. Zaccheo… Samari-tana). Si desidera superare il metodo dellapura trasmissione dottrinale, anche se siconstata che si ci muove ancora in questalinea. Educare: accompagnamento nel cam-mino, contenuti positivi. Importante nellaprassi catechistica è la compresenza dei ge-nitori. Formare l’uomo completo… forma-zione globale.

MonrealeLa catechesi è un ambito dell’annuncio.Esperienza nostra è quella di trasmissione dicontenuti. L’aspetto educativo della catechesideve essere ancora espresso. Alcuni movi-menti e associazioni già si sono messi in que-sto orizzonte educativo. La catechesi parroc-chiale è molto concentrata sui contenuti an-che per motivi strutturali. Per quanto riguardal’Annuncio siamo balbettanti. Il Catecume-nato è presente dove è necessario; non riescead incidere nella vita diocesana. Si sottolineache di particolare importanza è la capacitàpersonale del catechista; la sua formazionedà frutto se si percepisce educatore.

MessinaÈ rara la presenza consapevole del rapportocatechesi\educazione. Si punta su molti con-tenuti, ma manca la metodologia. È defici-taria la formazione specifica sia dei presbiteri,sia degli operatori pastorali. Il Catecumenatorealtà particolare al caso specifico. Si perce-pisce la necessità del metodo biblico.

CataniaBinomio di riferimento: uomo\vita. Educa-zione è animazione (animazione antropolo-gica). Si sta ripensando un itinerario di Ca-techesi catecumenale. Recupero del discorsosulle virtù umane. Tenere presente gli ambitibattesimali… ambiti di visibilizzazione ec-clesiale. Attenzione non più al singolo maalla famiglia. Educare alla famiglia cristiana.

AcirealeSi evince un diffuso stile di indottrinamento.Il catechizzando visto come “vaso vuoto”da riempire. La persona deve essere accom-pagnata. Affiancarsi alla vita del singolo.Tornare alla persona di Cristo.

Piana degli Albanesi (Rito bizantino)La catechesi integrale è alla base perché nonc’è accompagnamento alla prima comunio-ne. Si è partiti con un percorso di catechesie famiglia. I genitori frequentano la stessacatechesi dei figli. È presente una sensibilitàmaggiore in gruppi ristretti. La mancanza ditestimonianza è preoccupante.

NicosiaRelazione famiglia\bambino. Educazione co-me orizzonte più ampio, non solo i fanciullima soprattutto gli adulti. Educazione ad ac-cogliere Cristo. È il parroco che determina ilcammino formativo. Il modello di tipo cate-cumenale è una scelta che la diocesi ha fattodopo il Sinodo. Il compito primario dei for-matori è quello di essere innanzitutto testi-moni dell’amore di Cristo. Oltre il nuovo per-corso diocesano ci sono ancora sacche di re-sistenza di tipo dottrinale.

Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 3

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SICILIADon Giuseppe Alcamo

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Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

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CaltagironeLa comunità cristiana, di cui le figure depu-tate al ruolo educativo, sono (o dovrebberoessere) una naturale espressione, non puòprescindere né dall’attenzione a ciascunadelle fasi della vita umana (infanzia, puber-tà, adolescenza, maturità), né a ciascunodegli ambienti di vita (famiglia, lavoro, ecc.).

Mazara del ValloSi riscontra nei parroci un certo “lasciar fa-re”, non si interessano molto del reale cam-mino catechistico; una delega in bianco aicatechisti che ha più il sapore del disinteresseche della incondizionata fiducia. È necessa-rio entrare in sintonia con le persone chechiedono di essere catechizzati, tenendoconto che a volte, nell’annuncio del Vangelo,la via affettiva è più percorribile e precedela via intellettiva. Al Convegno di Verona siha come la sensazione che i termini “testi-monianza” e “annuncio” si equivalgono esono interscambiabili.

Sintesi: L’aspetto educativo della cateche-si, nella conoscenza diffusa, deve ancoraemergere, lo si dà per scontato e non lo sisviluppa adeguatamente. La troppa atten-zione ai ragazzi condiziona l’idea di cate-chesi dentro la vita delle comunità e fa tra-scurare i giovani e gli adulti. Per educa-zione si intende tutto il servizio che miraad accompagnare nella crescita delle per-sone, tutta l’animazione che tende a valo-rizzare cultura e tradizione nella logicaevangelica, tutte le relazioni che hanno ilsapore della familiarità. L’aspetto dottri-nale è preponderante rispetto a quello ini-ziatico. L’apporto che la catechesi può darealle “emergenze educative” del nostro tem-po deve essere di tipo strategico e costrut-tivo allo stesso tempo. È chiaro che l’emer-genza educativa non è un problema con-

nesso con una esclusiva fascia di età o unospecifico gruppo sociale, ma è un problemastrutturale della società contemporanea dicui la Chiesa deve farsi carico. Si costatache la catechesi parrocchiale, a differenzadi quella associativa, è un po’ appesantitadalla struttura parrocchia e dalla prospet-tiva sacramentale. Il catecumenato non èancora una realtà capace di incidere neltessuto delle Chiese locali.

La Catechesi come educazionedella fede

Piana degli Albanesi (Rito bizantino)Non c’è una vera formazione di conoscenza;manca la testimonianza di fede, di coerenza.Assenza di partecipazione ai sacramenti(Eucaristia, Penitenza). Scollamento daiprincipi religiosi. Bisogno di più coerenza.

MessinaLa maggior parte dei fedeli partecipa per ilsacramento da ricevere. Altri vivono uncammino personale e intimistico. Nella mag-gioranza dei casi gli itinerari sono fissatisolo sui contenuti. Rapporto interpersonaleda valorizzare.

MonrealeL’obiettivo è il cambiamento di mentalità.Puntare non al singolo ma a gruppi di cri-stiani che mettano in discussione la vita per-sonale e che diano la disponibilità per ac-compagnare i fratelli. La testimonianza diuna famiglia intera è importante per il coin-volgimento della comunità intera.

NicosiaA livello diocesano è importante la presenzadi equipe di accompagnatori. La comunitàtutta ha la responsabilità di accompagnare

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 3

Appendice300

nella fede. Si deve puntare ad una comunitàgioiosa. C’è la mentalità di fede, ma non cisono i contenuti della fede. Persiste un climadi testimonianza.

Piazza ArmerinaLe famiglie non hanno più il contenuto dellafede. Manca l’approccio con gli adulti, siscappa dagli ambiti formativi. Solo nei grup-pi c’è il coinvolgimento. Vengono rilanciatedue domande: Quali le scelte educative? Es-se decidono il cammino?

TrapaniLa separazione è stata superata. Le analisisono superate, siamo in una cultura liquida.Sintesi Educazione-Relazione.

Mazara del ValloPer la trasmissione della fede, il ruolo dellacomunità è decisivo, perché la fede è pos-sibile accoglierla personalmente dentro ungrembo ecclesiale che la vive; in gioco è lavita comunitaria e la capacita progettualedelle parrocchie. Non è fuori luogo chiedersise le comunità parrocchiali continuano adessere luoghi educativi che esprimono e rea-lizzano un progetto educativo, in un cam-mino organico.

CataniaIl nostro rapporto è quello di chi deve im-porre fardelli: l’accoglienza è questo? Do-vremmo trasmettere una prospettiva libe-rante: chi è Cristo, senza costrizioni. Usciredalla preoccupazione dei grandi numeri, an-dare alla sostanza e alla significatività dellaproposta. Il gruppo famiglia come momentofondamentale.

CaltagironeLa prassi diocesana non è basata su un mo-dello uniforme di trasmissione e di elabora-

zione dei contenuti della fede, ma è carat-terizzata da una grande varietà di attenzioni,sensibilità ed esiti, secondo la diversa ma-turità delle comunità locali (parrocchie, grup-pi, movimenti). A partire dalla proposta del“modello” di Verona, nel biennio 2008-10,è stato avviato in diocesi un piano pastoraleorientato ad attivare, mediante specifici per-corsi e strategie (scuola di formazione perlaici sulla dottrina sociale della Chiesa, dia-logo con le istituzioni, ecc.), una specialeattenzione ai diversi ambiti di vita, ove lacomunità può essere significativamente pre-sente e attiva per una animazione cristia-namente ispirata.

CefalùVedere l’adulto come essere pensante. Cheidea abbiamo di uomo? Questa la domandaa cui rispondere prima di avviare un percor-so formativo.

PalermoLa catechesi è educazione alla fede. Non ceun prima e un poi, è necessaria una forma-zione dei catechisti in questo senso. Sogget-to, comunità e parrocchia: processo essen-ziale. Idea di catechisti come gruppo fami-liare.

MonrealeLa comunità presente in un evento di graziacrea continuità.

Sintesi: Non possiamo sovraccaricare lacatechesi di compiti più gravosi di quelliche già ha. Il rapporto fra coscienza e co-noscenza della fede (depositum fidei, fidesquae) è molto debole, e si assiste, in ampiefasce di fedeli, come anche fra le fila deglioperatori pastorali e dei laici impegnati,alla cosiddetta “doppia morale”, ossia aduno iato profondo fra fede e vita. Non è più

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Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

Appendice 301

pensabile una catechesi sganciata o paral-lela alla totalità della vita pastorale; la ca-techesi deve collocarsi dentro un progettopastorale armonioso che appartenga a tut-ta la comunità e che venga espletato informe diverse da figure pastorali comple-mentari; far maturare nelle comunità par-rocchiali figure plurime che accompagnino,diversificare gli apporti; è necessario ela-borare una pastorale davvero integrale. Ladottrina che trasmettiamo non è capace direndere ragione della fede che abbiamo. Ildiscorso culturale va inteso in profondità.Le relazioni ad intra sono vincolanti e crea-no conflitto; c’è bisogno di un ripensamen-to. La catechesi di iniziazione cristiana nonspinge alla ricerca.

Questione educativa e rinnovamentodell’Iniziazione Cristiana delle nuovegenerazioni

CataniaItinerario catecumenale. Non c’è un itinera-rio diocesano ma delle linee guida. Si staadottando un itinerario specifico per vicaria-to. Si avverte un cambiamento di mentalitànelle famiglie. Riflessione su come attuareil progetto tramite convegni diocesano.

MessinaPrima lettera Pastorale del Vescovo. Si pro-spetta un lavoro comune.

AcirealeDa cinque anni si lavora al cambio di men-talità per lo stile catecumenale. È stato pub-blicato dall’UCD un itinerario per 0-6 anni.Una parrocchia ha adottato (con debiti adat-tamenti) il percorso della catechesi familiaredella diocesi di Trento, mentre un gruppo diparrocchie dei vari vicariati utilizza il pro-

getto “Emmaus”, ma adattato al propriocontesto (in particolare, i sacramenti si ri-cevono nell’ordine tradizionale). C’è in attoun primo approccio con il clero.

Piazza ArmerinaEsperienza sporadica non specifica.

TrapaniTesto normativo per tutti i gruppi “Imparateda me che sono mite ed umile di cuore”.Nella seconda verifica c’è stata una raccoltadi materiale. C’è una schematizzazione prevista per sin-golo, gruppo, parrocchia, comunità.

NicosiaSi è adottato il metodo catecumenale. Ci so-no sussidi parrocchiali a partire da sussidigià esistenti. L'ufficio ha approntato delleschede.

MonrealeLa terza lettera pastorale del vescovo “Rin-novamento della prassi sacramentale”. Si èposta un’attenzione specifica alla formazionedel presbiterio.

PalermoNon c’è supporto particolare del Vescovo. Ilclero è consapevole dell’itinerario ma stentaad intraprenderne le linee guida.

Mazara del ValloStrumento per i ragazzi dai 6 ai 13 anni cherichiama la logica di tipo catecumenale. Sista curando in modo specifico la fase pre-adolescenziale, mettendo in atto una plura-lità di linguaggi. Le lettere inedite di SanPaolo ai ragazzi (Noi ragazzi di oggi ed.Paoline). Durante la Quaresima, a firma delVescovo, i ragazzi hanno ricevuto via SMSuna parola di vita; si è predisposto un opu-

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 3

Appendice302

scolo che sviluppa il tema annunciato dalVescovo; i ragazzi sono stati invitati a scri-vere una lettera al Parroco sul tema dellacatechesi, che è stata pubblicata sul giornalediocesano “Condividere”; per educare a pen-sare oltre la Cresima, i ragazzi a conclusionedel percorso stanno elaborando una letteraal Vescovo su come sognano la loro cresimaed il loro ruolo in parrocchia; il percorso siconclude con una festa diocesana. Il tutto èdisponibile sul sito della diocesi.

CefalùNon ci sono sussidi, si attendono indicazionidal Vescovo.

CaltagironeIn diocesi non è ancora stato avviato unrinnovamento dell’IC, secondo la propostadelle note CEI di questi ultimi anni. Si co-nosce soltanto l’esperienza di alcuni gruppie movimenti ecclesiali (Cammino neocate-cumenale, Rinnovamento, Azione Cattolica),per lo più simile a quella presente in altreregioni italiane. Allo stato attuale, inoltre,non sono in corso progetti di formazione dibase per catechisti ed educatori.

CaltanissettaI consigli pastorali parrocchiali sono impe-gnati nella riflessione per la stesura di unprogetto educativo comune.

Sintesi: Il primato dato all’educazione ri-chiede alla Chiesa, da una parte, la capa-cità di dialogare e collaborare con tutte leagenzie educative presenti in un territorio;dall’altra, un serio impegno formativo infavore di coloro che hanno a diverso titolola vocazione ad essere educatori, sia nellaChiesa, sia nella società. Il rapporto con lacultura di oggi va realmente preso in con-siderazione non solo nell’ambito delle as-

semblee ma anche nella vita pastorale or-dinaria. Iniziare i catechisti ad una plura-lità di linguaggi da utilizzare oltre il clas-sico incontro di catechesi in parrocchia. Lenostre catechesi di iniziazione cristiana so-no strutturate in itinerari, ma fanno faticaa mettere in ricerca. È necessario rivedereil rapporto tra formazione dei catechisti eIstituti di Scienze Religiose.

Il catechista educatoree la sua formazione

CataniaNon si è posto un itinerario per tutti, ci sonole linee guida. C’è una ricaduta specifica nel-le parrocchie a partire dal convegno dioce-sano. C’è una scuola per i catechisti.

NicosiaNon si è potuta attuare la formazione pro-grammata.

AcirealeSi è progettato e attuato negli anni scorsiuna formazione di base e una specializzata(laboratori sul documento del 2006) sup-portata dall’istituto diocesano di scienze re-ligiose.

MonrealePercorso quadriennale contenutistico e me-todologico con incontri quindicinali. Da dueanni si è pensato un progetto triennale: 1.Ascolto 2. Annuncio 3. Accompagnamento.Dimensione relazionale del catechista.

Piana degli Albanesi (Rito bizantino)Scuola con frequenza massiccia. Conoscenzareciproca dei catechisti. Da tre anni c’è unpercorso a livello parrocchiale o interparroc-chiale.

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Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

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PalermoDa 20 anni la scuola dei catechisti.

CefalùNon ci sono percorsi specifici. Un convegnodiocesano annuale e due incontri (Avventoe Pasqua).

CaltanissettaSi è conclusa la Scuola della Parola per ca-techisti e operatori pastorali. Ci prepariamoal Biennio biblico che prevede la formazionedei catechisti/missionari per la celebrazionedella missione biblica.

Sintesi: In tutte le diocesi vi è una atten-zione verso la formazione, anche se nonsempre è strutturata come scuola e presen-ta lo stile delle conferenze o dei convegni.Ci si rende conto che non si riesce ad agirein modo adeguato e che alla generosità ealla disponibilità non fa seguito una pre-parazione rispondente ai bisogni. Si profilala possibilità di pensare a diverse figureeducative che interagiscano e che esprima-no, in verità, la totalità della comunità ec-clesiale.

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Rapporto Catechesi-Educazione

L’idea che il vangelo sia una forza educante,capace cioè di tirare fuori dalle persone ilbello e il buono che c’è in loro aiutandolead esprimere un’umanità compiuta e maturaè un dato sostanzialmente acquisito nei ca-techisti. A questa consapevolezza, tuttavia,non corrisponde spesso una capacità di leg-gere e utilizzare la ricchezza educativa reli-giosa e umana presente nel testo biblico enella liturgia. Nonostante i sussidi catechetici e le pubbli-cazioni non manchino, la loro conoscenzae il loro utilizzo da parte dei catechisti nonè sufficiente.Complessivamente la preparazione psicope-dagogica dei catechisti è insufficiente, anchea fronte di un crescente aumento di casi dibambini caratteriali, problematici, iperattivi,di casi di bullismo, o di bambini che vivonoun contesto familiare difficile. Infine bisognarilevare che il tempo dedicato alla catechesi(normalmente un’ora, un’ora e mezzo allasettimana) e la frequenza non sempre co-stante dei ragazzi, rende talora difficileun’efficace opera educativa.

La Catechesi come educazionedella fede

La finalità della catechesi come educazioneal pensiero di Cristo (RdC 38) è costante-mente ripresentata ad ogni itinerario forma-tivo per i catechisti. I percorsi catechisticidelle diocesi in genere si basano su questaidea di fondo, anche se di fatto risultano

spesso insufficienti sia sul piano dei conte-nuti che dell’educazione alla mentalità di fe-de, anche a causa dell’attuale contesto edu-cativo sociale.

Il modello catecumenale per i ragazzi dai 7-14 anni spesso rappresenta una fonte diispirazione per i crescenti casi di bambiniche chiedono il catechismo ma non sonoancora battezzati, anche se raramente il per-corso è seguito in modo completo.

Bisogna rilevare inoltre che gli attuali per-corsi catechistici continuano di fatto nellamaggioranza dei casi a coincidere con il per-corso scolastico dei ragazzi.

“Vedere la storia come Cristo”, presupponeuna consapevolezza di cos’è la storia, unamaturità di giudizio e di responsabilitàspesso assenti all’età in cui normalmenteviene conferita la cresima. “Scegliere diamare come il Cristo e vivere la comunionecon il Padre e lo Spirito Santo” sono sceltedi vita che quasi mai un’adolescente è ingrado di fare, perché la sua maturazioneumana, intellettuale ed affettiva è ancorain fieri.

Una vera educazione alla fede dunque nonsi realizza quasi mai, se non in quei casi do-ve la famiglia vive una consapevole ed at-tiva vita di fede, o dove i ragazzi continuanoun cammino cristiano dopo la cresima neigruppi giovanili parrocchiali o associativi.Solo in questi casi diventa possibile far emer-gere in modo significativo ed incisivo le que-stioni antropologiche e gli ambiti della per-sona proposti nel convegno ecclesiale di Ve-rona del 2006.

Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 3

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TOSCANADon Cristiano D’Angelo

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Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

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Questione educativa e rinnovamentodell’Iniziazione Cristiana delle nuovegenerazioni

L’invito dei vescovi italiani a riformulare gliitinerari di Iniziazione cristiana ha aiutato lediocesi e i catechisti a prendere atto dellacomplessità della situazione attuale, moti-vando parroci e catechisti ad una nuova sta-gione di impegno. In Toscana questo ha incrementato in alcunediocesi e parrocchie la spinta verso modellinuovi di catechesi, quali la catechesi in 4tempi (ad es. a Firenze) o quello delle cate-chesi familiari (Livorno; Arezzo; Pisa, ecc.).Queste esperienze tuttavia rimangono nelpanorama complessivo toscano minoritarie. Tra i frutti positivi della spinta dei vescoviad un rinnovamento, va rilevato la consa-pevolezza, generalmente acquisita nellamaggioranza dei catechisti, della necessitàdi una catechesi di primo annuncio, svoltasoprattutto nel primo anno di catechesi. Ac-quisita si può dare anche la consapevolezzadi dover integrare più possibile fede e vita,liturgia e carità nel percorso catechistico.Quello che manca è spesso un progetto ca-techistico e una costante verifica degli itine-rari che li renda non occasionali, ma siste-matici e patrimonio condiviso delle comunitàcristiane, di modo da farli diventare percorsiorganici e ripetibili per tutti e ovunque, enon frutto di carismi personali o di situazionicontingenti.La situazione dei parroci, sempre più anzianiper età, o sempre più impegnati in una mol-teplicità di impegni e di parrocchie, pone ilproblema di una organizzazione ministerialeche garantisca la formazione, l’accompagna-mento e la verifica dei percorsi catechisticie il loro coordinamento con l’attività parroc-chiale in genere.

Il catechista educatoree la sua formazione

Generalmente nella maggiora parte dei ca-techisti emerge una sufficiente consapevo-lezza di dover lavorare per “alleanza edu-cative” anche se queste non sono semprerealizzabili per vari motivi quali una nonadeguata preparazione dei catechisti, lamancanza di tempo, l’indisponibilità dellefamiglie, dei contesti scolastici, sportivi. Afronte delle difficoltà va tuttavia rilevato chelà dove le parrocchie o le diocesi impieganocon fiducia e costanza energie e risorse intal senso, si ottengono buoni risultati.Nel cammino di preparazione dei catechistirimane fondamentale la formazione che ge-neralmente è affidata a convegni catechisticio corsi preparati dai singoli uffici diocesani,di 3 o 4 incontri l’anno anche se in questiultimi anni sempre di più va crescendo l’im-pegno per una maggiore formazione, che larenda più sistematica e continuativa. In talsenso in alcune diocesi toscane si vanno ap-prontando percorsi sistematici di alcuni anni. Va rilevato la necessità di un maggiore co-ordinamento con le scuole diocesane di teo-logia e le facoltà o gli istituti teologici.Lo stile del laboratorio è un dato acquisito,anche se in questi ultimi anni ci si sta ren-dendo conto che il laboratorio presupponeuna conoscenza di base che spesso è assentee che non può essere sostituita dal solo la-boratorio. La formazione di base dei catechi-sti rimane, pertanto, uno dei fronti di mag-giore impegno. La spiritualità del catechistae le sue competenze e abilità, come sono de-scritte nel documento dell’UCN del 2006, so-no ancora delle urgenze non esaurite nellecomunità cristiane. Occorrerebbe investire inun percorso di formazione previo all’impegnocatechistico, che permetta una più attenta epuntale formazione integrale del catechista.

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Rapporto Catechesi-Educazione

Educare significa offrire ad un persona lapossibilità di realizzare nel modo più com-pleto e globale sé stessa, la propria natura,le proprie potenzialità e capacità. Ne conse-gue allora che realizzare sé stessi equivalea conformarsi ad immagine e somiglianzadi Dio guardando a Gesù Cristo, personaumana e divina. In questo senso il vangeloporge all’educazione un paradigma di rife-rimento, un modello da imitare e da fareproprio.L’apporto della catechesi e del catecumenatoalle emergenze educative è quello di richia-mare all’importanza della comunità adultae al suo primato; l’educazione alla fede deifanciulli e ragazzi, come pure il camminocatecumenale, diventano quasi il pretestoper far crescere in consapevolezza comuni-taria i credenti troppo afflitti da un cristia-nesimo individuale e rendere oggettiva lapresenza di una “comunità eucaristica”.Se la catechesi non viene ridotta a mero in-segnamento, ma viene intesa come vera ini-ziazione alla vita cristiana, il suo contributoè notevole nell’ambito dell’emergenza edu-cativa in quanto:• mette al centro la persona partendo dai

suoi bisogni e domande di vita• tiene conto della gradualità del cammino• valorizza il dialogo intergenerazionale• si preoccupa che nella comunità ci siano

adulti testimoni credibili per le nuove ge-nerazioni

Finalità della catechesi è mettere in comu-nione intima con Gesù (DGC 80) e obiettivoprimario è nutrire e guidare la mentalità di

fede che consiste nell’«educare al pensierodi Cristo, a vedere la storia come Lui, agiudicare la vita come Lui, a scegliere e adamare come Lui, a sperare come insegnaLui, a vivere in Lui la comunione con il Pa-dre e lo Spirito Santo» (RdC 38). Educare allo stupore, alla gratitudine versoDio e i fratelli, all’amicizia e al perdono, allafiducia e al servizio… aiuta a riscoprire inogni frammento di umanità quella qualitàumana che Gesù ha vissuto nella sua vi-cenda terrena nelle sue relazioni con i bam-bini, con le donne, con gli amici, con il solee il vento, con gli uccelli e i fiori, con il pane,il vino, con la luce, con il Padre.

La Catechesi come educazionedella fede

Come spesso ripete papa Benedetto XVI, lavera crisi è quella che investe la fede: i nostriragazzi non hanno più Dio come famigliare,è lontano dal loro orizzonte, non ne perce-piscono il suo amore, non ricorrono più aLui nel momento del bisogno (almeno!!!),non è un punto di riferimento per le loroscelte. Hanno l’illusione di poter vivere sen-za Dio: affermano che Dio non è “utile” perla loro vita.Anche se persiste una preoccupazione sco-lastica soprattutto da parte di catechiste eparroci anziani, molta parte ha acquisito laconsapevolezza dell’importanza di far fareesperienze per iniziare alla vita cristiana;semmai anzi si tratta di aiutare a trovarnedi significative e a disporle lungo un itine-rario adeguato all’età e agli obiettivi da

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TRIVENETODon Danilo Marin

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Notiziario n. 3 Ufficio Catechistico Nazionale

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raggiungere con i ragazzi. Inoltre si do-vrebbe tenere conto che oggi più che sod-disfare il bisogno di nutrire la fede, che ri-guarda una percentuale minima di battez-zati, si deve investire di più a far nasceree suscitare la fede, e in certi casi anche farnascere le domande che si aprono ad uncammino di fede.Per nutrire e formare una mentalità di fedeè necessario rigenerare contesti comunitarinuovi in modo tale che i ragazzi, quandovengono in parrocchia, avvertano che sonointrodotti in un gruppo di amici e non inuna scuola. Sarebbe già qualcosa se i di-versi educatori dei nostri ragazzi si mettes-sero in rete.L’adulto ha delle domande che affiorano quae là dal quotidiano o dai tornanti esistenziali,ma è fortemente condizionato dalla menta-lità del “tutto subito” anche nel trovare ri-sposte. Più o meno inconsciamente privilegiauna informazione da talk show: è molto dif-ficile che oggi ci sia disponibilità per un cam-mino articolato di formazione. È difficile chesi lasci coinvolgere. È più comoda la parte-cipazione passiva al una conferenza cheun’esperienza di gruppo ove si sa che lafede chiama a mettersi in gioco per intero.Occorre riscoprire e riproporre non già delleformule stantie ed imparaticcie, ma quellamemoria rischiosa, quel ricordo sovversivoche costituisce l’autentico contenuto dog-matico della fede che, in fondo, altro nonè se non la persona stessa del Signore Ge-sù. In altre parole, ma secondo uno stessoorizzonte di comprensione, il Documentodi Base definisce le formule dottrinali «co-me momenti di annuncio autentico dellafede, di proposta autorevole, illuminante estimolante per l’intelligenza, di professionedi fede di fronte a se stessi e alla comunità,di dialogo con Dio e con i fratelli, di guidaalla preghiera».

Questione educativa e rinnovamentodell’Iniziazione Cristiana delle nuovegenerazioni

Sicuramente le scelte fatte in questi anni de-notano un’attenzione sempre più forte aldato educativo attraverso la chiara consa-pevolezza che l’annuncio evangelico è perla persona e per la sua vita (e non mero in-serimento della persona in un sistema!).Questo ha portato a costruire itinerari semprepiù attenti sia ai contenuti dell’annuncio maanche al vissuto della persona, alla sua sto-ria, alle sue attese…Il problema sta nel fatto che comunque que-sti itinerari sono sempre proposti dentro la“massa”; non riescono a tener conto del per-corso personale. Quanto diventino di fatto“educativi”, ossia capaci di “far emergere”una domanda di vita che possa trovare nel-l’incontro con Gesù Cristo la vera risposta,non lo sappiamo. Ovvero ci rendiamo contoche tutto questo non è per nulla scontato. Prevale l’impianto tradizionale, anche senelle parrocchie più grandi c’è qualche ten-tativo di sperimentazione. Non è ancora si-gnificativa la domanda di catecumenato deiragazzi. È vera emergenza educativa per l’ICla necessità di un Primo annuncio per ra-gazzi che provengono (e sono la maggiorparte) da famiglie non disponibili ad un coin-volgimento nel cammino di IC. L’educazionepassa attraverso catechisti generatori di al-leanze educative, tra la famiglia, la comu-nità nella sua molteplice ministerialità (Ve-scovo, sacerdoti, laici, associazioni...), ilbambino / ragazzo, e tutte le altre compo-nenti sociali che entrano nella sua vita, tracui la scuola, lo sport, ecc...Ci sembra che negli itinerari rinnovati ci sia-no alcuni elementi comuni importanti:• il chiedere che siano gli adulti e in parti-

colare le famiglie ad avere il primo com-

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pito educativo nella fede, anche se questosignifica aiutare innanzitutto loro a risco-prire la propria fede e la propria capacitàeducativa nella fede;

• l’apprendistato globale a vivere da cristia-ni, il “tirocinio” a vivere nella fede;

• un cammino fatto a tappe, con passaggianche rituali, che non riducano però iltutto alla sacramentalizzazione;

• la comunità nel suo insieme che ridiventaluogo nel quale vivere.

Ci sono, infatti, cambiamenti significativi ne-gli ultimi anni. In particolare notiamo che ilcatechista ha spostato il suo asse di azione:da una parte è costretto a fare un autenticoprimo annuncio nei confronti dei bambiniche si presentano per il primo anno alla ca-techesi parrocchiale, utilizzando strumenti esussidi di tipo catecumenale, dall’altra e diconseguenza non è più solo catechista, maè diventato un iniziatore alla fede, rivestendoun ruolo di introduzione al mistero cristiano,che si allarga a tutta l’esperienza ecclesialenelle classiche tre dimensioni (liturgia, ca-techesi e carità). Alcune parrocchie hannoiniziato a rinnovare l’IC assumendo il mo-dello dell’itinerario per il catecumenato, altrequello dei 4 tempi proposto dalla diocesi di

Verona, o quello della catechesi familiaredella diocesi di Trento, o ancora il progettoEmmaus della diocesi di Torino.

Il catechista educatoree la sua formazione

Nelle nostre diocesi esistono:a. corsi base per catechisti e accompagna-

mento in loco degli stessib. corsi per formatori dei formatori (referenti

dei catechisti; coordinatori pastorali)c. corsi per la formazione permanente dei

catechisti (a tema annuale e con labora-tori)

Prevalentemente si privilegiano i catechistidell’IC soffermandosi nella loro identità,com petenza e abilità. È diffusa un’esigenzadi formazione, unita ad un desiderio di cam-biamento e di ricerca di novità. Non sempresi riesce a rispondere con iniziative efficaci.Bisogna insistere, per quanto riguarda la for-mazione, su due versanti: la spiritualità delcatechista, vera sorgente creativa e motiva-zionale di ogni azione ed iniziativa, e la pre-parazione didattica e metodologica, da affi-nare e continuamente aggiornare.

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Rapporto Catechesi-Educazione

La dimensione educativa della Catechesi èun fatto innegabile. Forse troppo spesso lasi è data per scontata a tal punto da non te-nerne più conto. Oggi diventa prioritario ri-portarla con forza al centro dell’attenzionee della consapevolezza soprattutto di quantioperano sul campo della catechesi.

Il catechista è un educatore (a qualsiasi fa-scia di età esso si rivolga) ma la sua azioneconcorre con altre agenzie educative (fami-glia, scuola, associazioni), il più delle voltein contraddizione, se non in contrapposizio-ne tra loro e ciò determina inesorabilmenteuna perdita di punti di riferimento sicuri nellenuove generazioni.

La catechesi, per assolvere al suo compitoeducativo, non deve far altro che essere fe-dele alla sua missione evangelizzatrice e didiffusione della Parola che in se contengonola risposta ai bisogni fondamentali dell’uomoe, insieme, lo stile con cui deve essere pro-mossa. A fronte di sempre più marcati in-dividualismi, solitudini, mancanza di comu-nicazione vera che caratterizzano le nuovegenerazioni, la catechesi può e deve puntaresu una dimensione che la contraddistingue:la relazionalità.

Curando la qualità ai massimi livelli di que-sta irrinunciabile dimensione umana, l’An-nuncio, il Catecumenato e la Catechesi,ognuna con le sue specifiche peculiarità,possono avere reale incidenza, anche edu-cativa ed essere punti di riferimento stabilianche laddove siano carenti o latitanti le al-tre agenzie educative.

La Catechesi come educazionedella fede

Purtroppo in modo solo parziale e, a voltedistorto. Parziale, perché non ci si è ancoraliberati dall’idea che il catechismo è finaliz-zato alla preparazione dei Sacramenti; di-storto, perché spesso l’idea prevalente èquella della “lezione”, come strumento pertrasmettere la verità. La scelta di un modello catecumenale po-trebbe aiutare a far emergere la centralitàdella persona in tutte le sue dimensioni.

Questione educativa e rinnovamentodell’Iniziazione Cristiana delle nuovegenerazioni

In alcune diocesi della regione sono in corso,in forma di sperimentazione, alcuni itineraridi tipo catecumenale; tali laboratori nasconodalla necessita di preparare prima i preti e icatechisti per tale proposta sia credibile. Cre-diamo che questi tentativi vadano portatiavanti, magari con il sostegno dei nostri ve-scovi perché ci sembrano quelli più adattiper realizzare un proficuo rapporto tra ini-ziazione cristiana-annuncio ed educazione.Comunque, per ora, si continua con il mo-dello tradizionale, cercando di inserire ini-ziative varie che coinvolgano sempre più lafamiglia e integrino i tre elementi: annun-cio-carità-liturgia. Per quanto riguarda la ca-techesi dei gruppi, movimenti e associazionisi deve evidenziare che, fatta salva l’AC,l’integrazione è molto difficile, perché ognigruppo tende a fare da sé e per sé.

UMBRIADon Luca Delunghi

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Ufficio Catechistico Nazionale Notiziario n. 3

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Il catechista educatoree la sua formazione

Per la preparazione dei catechisti, a livelloregionale, ogni diocesi propone la scuoladiocesana di teologia e ogni parrocchia necura la formazione. Nondimeno è avvertitafortemente l’esigenza di una cura assiduae rinnovata della loro formazione con laprevisione di figure esemplari di formatori.Ora però essi chiedono di essere riletti ereinterpretati alla luce delle nuove esigenzeper dare vita a progetti formativi in gradodi promuovere catechisti capaci non solo diproporre autenticamente il messaggio evan-gelico ma anche capaci di ascoltare e ac-cogliere le istanze dei destinatari della ca-

techesi; catechisti capaci di fare proposteserie, positive, significative, belle per il pre-sente; catechisti che fanno proprio lo stiledi Gesù che donandosi ha fatto intuire labontà di una vita donata; catechisti chesposino la creatività per rendere vivo, ce-lebrato e condiviso il Vangelo; catechisti fe-deli alla loro vocazione, all’uomo che in-contrano, alla storia che scrivono senzatradire quel Vangelo che annunciano e cherendono visibile.Si tratta di avviare processi, più che corsi diformazione, in cui il dialogo e il confrontosiano sempre tenuti aperti e pronti ad acco-gliere nuovi linguaggi e nuove sfide senzaadagiarsi sul già conosciuto, sul noto con-sapevoli che lo Spirito sempre ci precede.