Notiziario 5-2016

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NOTIZIARIO STORICO dell’ Arma dei Carabinieri ANNO I - NUMERO 5

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NOTIZIARIOSTORICO

dell’Arma dei Carabinieri

A N N O I - N U M E R O 5

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2 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

SOMMARIO

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In questo numero i Carabinieri protagonisti della lotta al colera (pag. 4),la cattura di un serial killer nell’immediato dopoguerra (pag. 20), Pietro Verri,Carabiniere e promotore del Diritto Umanitario (pag. 32), la costituzione dellaPolizia Somala ad opera dell’Arma (pag. 38), il Generale Brunetti primocomandante dell’era repubblicana (pag. 60), dalla Fiat 1100i “Giardinetta”all’Alfa Romeo Giulia Quadrifoglio, i mezzi in uso al Radiomobile (pag. 72),la storia del cacciatorpediniere Carabiniere (pag. 82), 200 anni fa le RegiePatenti che fissavano le “attribuzioni e incumbenze” dell’Arma (pag. 98)

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SOMMARION° 5 - ANNO I

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ANTICHE CRONACHE I Carabinieri ai tempi del colera pag. 04di GIOVANNI SALIERNO

Banditi in maremma. La fine del bandito Menichino pag. 12di PAOLO CATERINA

Il mostro di Nerola pag. 20di FERDINANDO ANGELETTI

Scacco al latitante pag. 28di GIANLUCA AMORE

PAGINE DI STORIAPietro Verri. Carabiniere e giurista pag. 32di FERDINANDO FEDI

Verso l’indipendenza. I Carabinieri e la formazione della Polizia Somala pag. 38di FLAVIO CARBONE

In servizio sulle isole minori pag. 50di RAFFAELE GESMUNDO

Brunetto Brunetti. Primo Comandante Generale dell’Italia repubblicana pag. 60di VINCENZO PEZZOLET

Il Comando Interregionale Pastrengo pag. 66A PROPOSITO DI...Gli automezzi del Radiomobile pag. 72di SERGIO BOVIO

CURIOSANDO NEL MUSEO DELL’ARMALa campana di bordo pag. 82di LAURA SECCHI

I giovedì d’Autunno pag. 90CARABINIERI DA NON DIMENTICAREIl Vice Brigadiere Martino Guzzardi pag. 92di DINO FORMATO

L’ALMANACCO RACCONTA1816: 15 ottobre - Una vigilanza attiva, non interrotta... pag. 94

1916: 5 ottobre - Modifiche ordinative e incrementi organici pag. 98

12 ottobre - Cade in combattimento aereo il Brigadiere delle Guardiedel Re Albino Mocellin pag. 99

SOMMARION° 5 - ANNO I

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ANTICHE CRONACHE

I Carabinieriai tempi

del colera

LA QUARANTENA A PIAN DE LATTE

(DISEGNO DI Q. CENNI)

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L’epidemia di colera che ad ondateora più virulente ora meno flagellòla Penisola a partire dal 1830 sinoalla fine del XIX secolo può essereconsiderata "il battesimo del fuoco"per i Carabinieri Reali impegnatinelle operazioni di soccorso. Il gio-

vane Corpo, istituito principalmente per far frontealle esigenze di ordine e sicurezza pubblica e per par-tecipare insieme agli altri Corpi dell’Armata Sardaalle operazioni belliche, con il diffondersi del morbo,ebbe modo di mostrare la sua duttilità ed efficaciaanche quando il nemico non era un esercito avversa-rio o un temuto malfattore. Non era però frutto delcaso. Tutto era stato già previsto e stabilito. L'art. 49 delle Regie Patenti del 1822 sanciva per ilCorpo dei Carabinieri Reali anche l'intervento in casodi calamità naturali “…e altri accidenti di tal sorta iCarabinieri Reali dovranno al primo avviso o segnalerecarsi sulla faccia del luogo e ove non si trovino Uf-fiziali di Polizia ed altre Autorità Civili, i Comandantidei Carabinieri ordineranno e faranno eseguire tuttele opportune operazioni per ripararvi”.L'occasione per testare l'efficienza del Corpo fu of-ferta da questa sconosciuta malattia infettiva, causatada un batterio a forma di virgola che colpiva l’inte-stino tenue, con trasmissione oro-fecale: può essere

contratta in seguito all'ingestione di acqua o alimenticontaminati da materiale fecale di individui infetti(malati o portatori sani o convalescenti). Il vibrione, proveniente dall’India, inizialmente si eradiffuso in Asia e solo successivamente negli altri con-tinenti. In Europa giunse a partire dal 1832. Nel 1835l’epidemia si era estesa a tutto il Regno Sardo-Pie-montese, seminando morte e distruzione, cui segui-rono panico e atteggiamenti irrazionali da parte dellapopolazione. Le prime avvisaglie si ebbero con alcunemorti improvvise tra i forzati del bagno penale di Vil-lafranca ove, probabilmente, il virus era giunto attra-verso le popolazioni costiere della vicina Francia.Con il diffondersi del contagio la situazione divennesempre più difficile e presto drammatica, anche acausa della superstizione e dell'ignoranza della popo-lazione. Al manifestarsi del morbo e prima che la si-tuazione sfuggisse di mano furono adottati i primiprovvedimenti. Fu un carabiniere a prendere un'ini-ziativa che si rivelerà tanto utile quanto preziosa daessere considerata la pietra miliare per la lotta a que-sto tipo di minaccia. L'8 agosto 1835, il ColonnelloGiacinto Cottalorda, Comandante in secondo delCorpo dei Carabinieri Reali, diramò una circolarecon l’intento di uniformare le iniziative da intrapren-dere per arginare il contagio ed evitare tumulti o in-cidenti: “…ai signori Uffiziali, Bassi Uffiziali e

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di GIOVANNI SALIERNO

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combattere il morbo. Esse consentirono di salvaremolte vite e di arginare il contagio, stabilendo i criteridi intervento e di assistenza che i Carabinieri Reali etutti gli organi del Regno preposti alla lotta contro ilcolera adottarono: “E qui mi cade in acconcio di farsentire a tutti gl'individui del Corpo, che l'Arma no-stra, la quale in ogni circostanza ha costantementedate non dubbie prove non solo di animo imperter-rito, ma anche di saviezza e di prudenza, debba purein questa circostanza dimostrare al nostro Sovrano diquale utilità essa si renda, praticando cioè la più esattavigilanza per mantenere la pubblica tranquillità, pe-rocché in simili casi accade sovente si tenti turbarlada alcuni spiriti o malevoli o superstiziosi o deboli.L'esempio e la fermezza nostra, uniti ad ogni operaattivissima gioveranno assai ed io confido pienamentenelle zelo di ognuno. Non sfuggiranno a S.M. i servizidell'Arma”.In pratica ai Carabinieri Reali non viene affidato soloil naturale compito di mantenere l’ordine pubblico edi controllare ogni tumulto e malcontento. Con la cir-colare del Colonnello Cottalorda i Carabinieri diven-tano veri e propri operatori sanitari, tra i pochi capacidi avvicinare gli ammalati, accudirli, nutrirli, assisterlie, nella sciagurata ipotesi, anche seppellirli. A loro fu attribuito il compito di istituire e vigilaresui cordoni sanitari, sui lazzaretti, sulle pubbliche viesia marittime che terrestri nonché di sorvegliare fieree mercati.La gravità con cui l’epidemia si manifestò nel Regnomise a dura prova l’attività dei Carabinieri. Il dispo-sitivo approntato per fronteggiare l’esigenza ressel’impatto e le prescrizioni adottate sortirono i loro ef-fetti. Alla fine del 1836, la prima ondata dell'epidemiapoteva dirsi arginata e attenuati i suoi funesti effetti.Tante furono le manifestazioni di apprezzamentoverso i militari operanti. Tra esse spicca un articolopubblicato sulla “Gazzetta di Genova” del 26 agosto1836: “Noi compiremo questo debito nel pagare untributo d'ammirazione ai Carabinieri Reali. Incaricati di penoso, incessante servizio essi supera-rono l'aspettazione dell'universale nel farsi pronti perogni terra dei regii domini ove sgraziatamente incolseil colera a correre nei più meschini ed appartati abituridei contadini abbandonati, miseri e agonizzanti, da

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Nel 1835 l’epidemiasi era estesa

a tutto il Regno Sardo-Piemontese,seminando morte

e distruzione, cui seguirono panico

e atteggiamentiirrazionali da partedella popolazione

Carabinieri Reali. Appena il Cholera Morbus si ma-nifestò in alcuni paesi de' Regii Stati, le CommissioniSanitarie ed i Comitati medici ordinati dalle paternesollecitudini del nostro Sovrano si sono con instanca-bile zelo occupate, sia a prendere i necessari provve-dimenti in ogni Provincia pel caso di attacco di dettomorbo, sia a promulgare parecchie istruzioni sanitariea preservamento ed a cura del medesimo. Una fra tutte le altre saviissima ed utilissima si èl'istruzione dei Professori Martini e Berruti, dettatada veri principii filantropici, ed in un modo succinto,ordinato e adatto alla comune intelligenza. Intento ioparticolarmente alla salute de' miei subordinati, misono procurato un sufficiente numero di esemplari didetta istruzione, e ne trasmetto uno ad ogni Uffizialee ad ogni Stazione”. Fu dunque grazie al ColonnelloCottalorda che le prescrizioni sanitarie dei professoriMartini e Berruti poterono trovare diffusione e acco-glimento, rappresentando il “piano di battaglia” per

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mente qualuomo di fatica,dando prova (colsuo Superiore) divera filantropia edi coraggio”. Ma ancor piùi n o r g o g l i s c eun'annotazioneriportata a mar-gine di una rela-zione del set-tembre 1836 re-datta dal Co-m a n d a n t eGenerale delCorpo, per infor-mare il primoSegretario diGuerra e Marinadelle azioni com-piute dai suoiCarabinieri: “S.M. udì con pia-cere questo rap-porto.

Il ministero potrà attestare la sua soddisfazione alcorpo e vedere ove sia il caso di dare quelle gratifica-zioni che le paressero giuste…”. Nonostante gli ottimirisultati raggiunti, la vittoria finale era ancora lontanadal divenire. Fu una guerra senza sosta quella tral'Arma dei Carabinieri e gli effetti devastanti del vi-brione del colera, un succedere di tante battaglie, avolte vittoriose e a volte meno fortunate. Una guerrapagata a caro prezzo con la perdita di numerose viteumane. Nessuna fu sprecata invano. Frattanto il batterio, seppur battuto, non era stato deltutto debellato e riaffiorava, tra il 1850 ed il 1880,ora da una parte ora dall'altra della penisola ripren-dendo ad infierire con inumana aggressività. L’esperienza maturata negli anni trenta nei territoridel Regno Sardo si rivelò a dir poco utile nel triennio1884-1887, quando si registrò il più alto numero dicontagi. Nel frattempo molte cose erano cambiate. Ilterritorio nazionale non era più quello circoscritto al

chi aveva comune lapatria. Non è ma-niera di servizio perributtante o perico-loso che fosse alquale i carabinierisiansi ricusati ed èpur onorevole perquell'eletta milizial'udire sulle labbrad'intere popolazioni,confortate e tolte aidanni di un malcon-cepito spavento, asuonare uniforme ecostante una lode”.L'opera umanitariasvolta dai Carabinieriin soccorso delle po-polazioni colpite eracitata, insieme conl'andamento dell'epi-demia, nelle relazioniche il Segretario diStato per gli Interniinviava al Sovrano. In una di esse, datata 27 novembre 1835, si legge te-stualmente: “Viene trasmesso un atto consolare del-l'amm. ne comunale di Rivarolo (Genova) cheriguarda alla condotta di quella Stazione dell'Armanella luttuosa circostanza della comparizione del Cho-lera asiatico in quel Comune, ed in ispecie del Briga-diere Scattina Filippo, e dell'Appuntato DarnerioEmanuele che mirabilmente si distinsero a sollievo diquel pubblico. Il brigadiere predetto assuntosi spon-taneo l'incarico della direzione e della contabilità del-l'ospizio dei Cholerosi, seppe stabilirvi il maggiorordine ed una tale economia che senza detrimentodegli infermi soddisfece con lieve spesa a tutto quantorichiedeva il bisogno, né di ciò pago si applicò a ser-vire egli stesso i malati di cholera a conforto ed utileesempio a quella popolazione che invasa dal timoresi rifiutava a prestarsi al trasporto ed alla cura degliinfermi. E parimenti l'Appuntato Damerio adoprossiquale infermiere in detto ospizio, e servì personal-

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CIRCOLARE DIRAMATA

DAL COLONNELLO

COTTALORDA PER

L’EPIDEMIA DI COLERA

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regno sardo-piemontese ma era molto più ampio edarticolato nella complessa realtà rappresentata dalRegno d'Italia durante i primi decenni della sua vita.Così il morbo riprese a diffondere terrore e morte enel giro di tre anni si diffuse in tutta la giovane Na-zione. Le aree maggiormente colpite furono quelledella Lombardia, della Liguria, della Toscana e del-l'Umbria, cui si aggiunsero più tardi la Campania e ilPiemonte. Nel 1885 il morbo raggiunse anche la Sici-lia. A differenza degli anni trenta la calamità rappre-sentava per le autorità del “nuovo” Regno una sfidaimportante anche dal punto di vista politico. Le popolazioni provenienti dagli stati preunitari, de-luse dai sogni così tanto vagheggiati durante la faserisorgimentale, vessate da tasse e gabelle (particolar-mente odiosa fu quella sul macinato, abolita, non acaso, proprio in quegli anni) che colpivano maggior-mente le regioni annesse, di lì a poco non avrebberoesitato ad innalzare i forconi.Tumulti e rivolte avrebbero potuto innescare moti erivoluzioni tali da travolgere e spazzare via in un ba-leno le conquiste dei decenni precedenti riportandonel baratro l’intera Nazione. La sfida era dunque

enorme. Andava al di là delle sole cure da dare aglisventurati colpiti dal colera. In ballo vi erano le sortidell'unità nazionale così faticosamente raggiunta. I Carabinieri non si scoraggiarono. Essi risposerocompatti, pronti ad impugnare le armi dell'altruismo,della filantropia e dell'umana pietà. Pronti ad essere caritatevoli verso i bisognosi ma allostesso tempo inflessibili nel far rispettare l'ordine e lasicurezza pubblica. Il tutto in uno scenario deprimente e sconsolante. Conil dilagare del morbo, con la penuria di medicinali, dimedici, di ospedali, le popolazioni si abbandonarono,specie nei centri minori, ad atti di superstizione e diterrore. Ogni forestiero veniva visto con sospetto econsiderato un possibile untore. Si era infatti sparsa tra la gente la falsa notizia di uo-mini che volontariamente diffondevano l'epidemiacon l’uso di veleni. A complicare le cose vi era anchela scarsa comunicabilità tra il potere centrale e i co-muni che autonomamente ed a volte arbitrariamente,istituivano cordoni sanitari o emanavano intransi-genti disposizioni di controllo che generavano la na-scita di turbe popolari. Singolare l'episodio che

LE OPERAZIONI DI SOCCORSO IN UN’ ILLUSTRAZIONE DELL’EPOCA

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Luigi Ferrente e dei suoi uomini fu determinante.Anche se costretti a far uso della forza, la strage, cosìtanto agognata, fu evitata. La soddisfazione per l'ope-rato dei Carabinieri era evidente. Così concludeva ilrapporto il citato Ufficiale: "il contegno del BrigadiereFerrente, dei suoi carabinieri e dei suoi dipendenti difanteria è stato commendevolissimo, perché hannousato longanimita' e tolleranza fino a quando non siè attentato alle loro vite di risolutezza ed energia dasapersi imporre ai ribelli e ridurli all'impotenza mal-grado questi fossero in numero di gran lunga supe-riore ed abbondantemente provvisti di armi".Durante la lotta al colera non pochi furono i casi incui i militari dell'Arma si resero protagonisti. Le cronache del tempo sono ricche di episodi menzio-nabili. L'elenco sarebbe lungo e non basterebbero lepagine di un intero libro. Tra essi si ricordano: il Bri-gadiere Giacomo Ravasio, comandante della Stazionedi Berceto nel Parmense che con il Carabiniere Giro-lamo Ghirardello, giunto presso le frazioni di Ber-gotto e di Corchia, ritrovò in un bosco disteso tra lepiante, coperto da luridi stracci, un individuo in predaagli evidenti sintomi del colera. Colto dalla penosa visione il brigadiere non esitò a to-gliersi la camicia per ricoprire l’infelice mentre il Ca-rabiniere restò ad assisterlo con carità e abnegazionefinché lo sfortunato non spirò. Sempre nel Parmense,il Carabiniere Bermond Giovanni Battista della stessaStazione, l’Appuntato Pasquale Frati di quella di For-novo ed il Carabiniere Antonio Belfanti, effettivo allaStazione di San Barnaba, oltrepassarono il cordonesanitario e si recarono nelle case per curare i malati.Ma non si limitarono a questo. Per giorni, incuranti del pericolo, prestarono ogni tipodi assistenza e conforto. Nel frattempo il virus, come un malfattore che attaccaa tradimento, assalì anche loro. In pochi giorni cad-dero stremati, divorati dal vibrione. Il primo a cederefu il Frati, seguito pochi giorni dopo dal Belfanti e perultimo dal Bermond. Gli sventurati furono insignitidella medaglia d'oro per i benemeriti della salute pub-blica. Il Capitano Baratono, Comandante della Com-pagnia di Parma, accorso incontro ai suoi uomini nonpoté far altro che ascoltare dai medici con quanto zeloi tre poveretti si erano dedicati agli infermi.

avvenne nei pressi di Cava De Tirreni, vicino Salerno.Così scriveva il Capitano Pepere, Comandante dellaCompagnia salernitana: "giunge notizia dall'Arma diCava de Tirreni, che i terrazzani si erano prefissi difare strage tra le persone agiate del villaggio stessoperché secondo loro esse dovevano spargere il velenoper la propagazione del colera prefiggendosi inoltredi non far entrare nessuno...". L'intervento del Co-mandante della Stazione di Cava, Brigadiere a cavallo

La gravità con cui l’epidemia

si manifestò nel Regno mise

a dura prova l’attività dei Carabinieri.

Il dispositivoapprontato

per fronteggiarel’esigenza resse

l’impatto e le prescrizioni

adottate sortironoi loro effetti

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Oltre a prestare assistenza ai bisognosi i militaridell’Arma si ritrovarono a fronteggiare anche le piùimpensabili situazioni come capitò al VicebrigadiereLuigi Bagnasco e ai Carabinieri Giuseppe Marioli,Ferdinando Broggi e Carlo Acquistapace ancorapresso le Stazioni di San Barnaba e di Fornovo.I quattro militari si prodigarono per frenare le intem-peranze della popolazione contro medici e sanitari ac-cusati di non far abbastanza per fermare l'epidemia.Ma la loro opera non si limitò solo a contenere le in-vettive. Riportata la calma, si presero cura dei cole-

rosi, offrendo il più commovente spettacolo di filan-tropia, di coraggio e di fermezza in mezzo ad una cer-chia di desolazione e di morte. Il 3 settembre 1885invece, sulla sommità di Montecchio, nei pressi di Ca-stelnuovo di Magra in Liguria, ove tutti si rifiutavanodi aiutare il vecchio becchino ad interrare un brac-ciante morto di colera fulminante, tra lo stupore ge-nerale i Carabinieri Luigi Paganini e Gaetano Cisotto,con le loro mani, scavarono la fossa al malcapitato,lo sollevarono da terra e lo collocarono nella bucadandogli onorata sepoltura.E’ diventata leggenda la vicenda del CarabiniereNilla-Niceti, che prese ad assistere sino alla morte uncoleroso, abbandonato perfino dalla donna che avevada poco tempo sposato. Comportamento che riscosseuna eco irresistibile tra la popolazione e valse al ca-rabiniere la medaglia di bronzo per i benemeriti dellasalute pubblica. Durante l’infierire dell’epidemia nelvillaggio di Seborga, in provincia di Imperia, il Vice-brigadiere Nicola Basini rimase all'interno del cor-done sanitario per circa un mese per prestare soccorsoe infondere fiducia tra contadini e famiglie scoraggiatee in preda al terrore.In breve il suo esempio meritò l’ammirazione dell’in-tera popolazione sugellata dalla medaglia d’argentoper i benemeriti della salute pubblica. I Carabinieri diCancello Arnone, in provincia di Caserta, andaronoben oltre i propri doveri. In quella cittadina il colera colpì nel settembre del1885 contagiando due giovani. Il paese era imprepa-rato, non vi era un medico, mancava ogni assistenza,ogni consiglio su come contrastare il diffondersi delvirus. Accorsero il Brigadiere Ernesto Mondani, l'Ap-puntato Crisostomo De Lucia e i Carabinieri IgnazioCiminiello e Michele Salvato. I militari, coadiuvati dalfarmacista del paese, svolsero ogni tipo di attività: orafurono infermieri, ora portarono parole di conforto,ora disinfettarono le case e, ove necessario, seppelli-rono i morti. L'opera dei militari dell'Arma si distinsesoprattutto in Campania e in modo particolare a Na-poli, città nella quale essi meritarono 131 medaglied’Argento e di Bronzo per benemerenze. Quantol'opinione pubblica avesse apprezzato il comporta-mento dell'Arma durante l'epidemia si può dedurredalle parole riportate sul quotidiano “Roma” di

ANTICHE CRONACHE

COLERA A NAPOLI I TUMULTI SCOPPIANO

PER LE VIE DEI QUARTIERI

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secolo. In tutto il mondo provocò fra i 30 e i 40 mi-lioni di morti.L'opera dei Carabinieri fu senza sosta. Nel corso diquella che fu una vera e propria campagna militarelunga diversi decenni, l'Arma ebbe l'opportunità difar conoscere la sua organizzazione e la sua efficienza,ponendosi quale sicuro baluardo anche contro le ca-lamità naturali più gravi, come quella dell'epidemiadel colera, che minacciavano la popolazione, il quietovivere e l'ordine legittimamente costituito.

Giovanni Salierno

quella città: "l’Arma si è resa più benemerita che maie senza tanto strepito, com'è suo costume, nei tristitempi dell'epidemia colerica. Quei bravi militi furonoi primi ad accorrere in aiuto degli infelici colpiti dalmorbo, e pronti sempre a tutelare l 'ordine pubblico".Tra il 1887 e il 1889 l'epidemia era ancora acuta nellezone di Ancona, Bari, Bologna, Cagliari, Firenze, Na-poli, Roma, Torino, Verona. Palermo fu messa in qua-rantena, isolata con rigide misure di polizia.Diciassette battaglioni presidiavano l’intera Sicilia neltentativo di impedire che il contagio dilagasse ulte-riormente. Ci furono anche incidenti in città e nellaprovincia, perché il cordone sanitario non garantivaapprovvigionamenti alimentari sufficienti per sfamarela popolazione. Nel 1893 nuovi focolai di colera si manifestarono so-prattutto nelle provincie dell'Aquila, di Campobassoe di Chieti. Ma l'esperienza maturata fece sì che ilcontagio fosse contenuto e, grazie al progresso dellamedicina, anche il numero dei morti fu limitato a“poche” centinaia. Emblematico il rapporto che il Comandante della Le-gione di Ancona, che comprendeva le zone più colpitedall'ultima ondata dal morbo, inviava al ComandanteGenerale: “in tale dolorosa circostanza i militari del-l'Arma prestarono nei luoghi infetti l'opera loro conabnegazione e zelo tanto da meritarsi le lodi delle Au-torità superiori e la riconoscenza delle popolazioni..."ed ancora continua l'Ufficiale Superiore: "ovunqueinfieriva il morbo i carabinieri erano solleciti ad ac-correre provvedendo all'osservanza delle norme del-l'igiene, cui si opponevano gli abitanti impauriti.Assistevano gli ammalati, confortandoli quandoanche le persone, cui per vincoli di parentela incom-beva più specialmente il pietoso ufficio, abbandona-vano il loro congiunto per tema del contagio, chemieteva vittime in buon numero. E talune volte do-vettero perfino trasportare i cadaveri, al che rifiuta-vansi gli stessi becchini”.Il colera non scomparve completamente: negli annisettanta del secolo scorso tornò ancora a manifestarsiin Campania. Le conseguenze, grazie ai progressi dellamedicina e alle migliori e più diffuse norme igieniche,furono però molto meno gravi che in passato.La malattia può essere considerata la peste del XIX

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CARABINIERI AI TEMPI DEL COLERA

IN UN’ILLUSTRAZIONE D’EPOCA

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BANDITIIN MAREMMA

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liberi avevano fatto della macchia di San Magno illoro quartier generale, per compiere, già pochigiorni dopo l’evasione, la prima rapina a mano ar-mata e di lì a poco due omicidi, di cui uno aseguito di un sequestro di persona per il quale lamoglie della vittima aveva pagato anche un ingenteriscatto. L’Ansuini, in particolare, sfidava aperta-mente le forze dell’ordine con gesta plateali, degnedi un grande attore. Il 3 giugno del 1891 ilBrigadiere comandante della Stazione di Latera(VT), l'abruzzese Sebastiano Preta, avvisato dellapresenza in zona dei due briganti uscì in perlustra-zione con tre carabinieri. Stava per dare l’ordinedi rientro quando sentì due spari provenire dallastrada per Valentano: si trattava di Ansuini e Me-nichetti che avevano scaricato i loro fucili controun guardiano del luogo, tale Giuseppe Papi, senzafortunatamente colpirlo. I due, alla vista dei Carabinieri, si nascosero nelprofondo del bosco, ma il brigadiere non si tirò

I l banditismo rappresentava nella Maremmadell’800 un fenomeno di dimensioni allar-manti. Già prima dell’annessione al Regnosabaudo la zona era stata il teatro diefferate imprese criminali, tra le quali sierano distinte per ferocia senza pari quelle

di tale Enrico Stoppa, da Talamone. Una volta consolidata e perfezionata la presenzadell’Arma in Toscana, il brigantaggio maremmanovenne progressivamente debellato, anche graziealla successiva annessione del territorio dello Statodella Chiesa, che toglieva ai briganti il sicurorifugio dell’”oltre confine” pontificio, nella vicinaprovincia di Viterbo.I successi importanti per l’Arma iniziarono con lacattura di Damiano Menichetti, braccio destro“operativo” di Fortunato Ansuini, da Norcia. Idue erano fuggiti dal bagno penale di Montefilippo(Argentario), approfittando del sonno delle guardie,nella notte tra il 9 ed il 10 aprile 1890 e una volta

di PAOLO CATERINA

La fine delbandito

Menichino

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IL TERRITORIO DEL BANDITO DOMENICO TIBURZI.

LA CARTINA GEOGRAFICA IN DOTAZIONE ALLE PATTUGLIE DEI

CARABINIERI CHE RICERCAVANO TIBURZI E I SUOI COMPLICI

indietro e, con i suoi uomini, si gettò all’insegui-mento dei criminali. Mentre avanzava però, districandosi a fatica nelfitto sottobosco, pagò il proprio coraggio rimanendofreddato da una fucilata. Il Carabiniere Carosi,che lo accompagnava da presso, raccolse il fuciledel Papi e sparò a Menichetti ferendolo e cattu-randolo, mentre Ansuini si dava alla fuga. Il com-portamento eroico del sottufficiale fu ricambiatodalla comunità di Latera con una solenne celebra-zione funebre mentre il Governo concesse alla suafamiglia un premio di 400 lire.

DOMENICO TIBURZI, IL RE DEL LAMONEE DI MONTALTO

Domenico Tiburzi era nato a Cellere (VT) il 28maggio 1836 da Nicola e Lucia Attili; piuttostobasso di statura (160 cm) – da cui il soprannomedi Domenichino o Menichino –, ma definito dallecronache dell’epoca come piuttosto attraente, concapelli folti e neri ed occhi castani, sempre moltocurato e pulito (dicono che profumasse di saponetta),era tenero con le donne, che languivano spessoper una sua carezza: “Gentilezza con le donne, chesono fiori gentili”, si raccomandava sempre con i

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ma vietata da quelle del Regno d’Italia) per nutrirele proprie pecore. Il furto delle spighe a terra eraridicolo... la multa di 20 lire uno sproposito...tanto valeva uccidere il povero Angelo Del Bono,il che avvenne il giorno appresso, con una fucilatain pieno petto.Dopo l’omicidio si diede alla macchia fino al 1869,quando fu arrestato e condannato per altri reatidal Tribunale di Civitavecchia a 18 anni di carcereda scontarsi nel bagno penale di Corneto, pressoTarquinia. Attesa invano l’amnistia dopo la cadutadello Stato Pontificio, nel 1872 evase rocambole-scamente da Cornero insieme a Domenico Annesidetto l’”Innamorato” e Antonio Nati detto il “Tor-torella” o “Totarello”. Tiburzi, come tutti gli animali braccati, tornò anascondersi nelle macchie a lui ben note tra ilLago di Bolsena, Montalto di Castro e Capalbio,dove restò latitante per quasi trent’ anni. In quelle zone incontrò Domenico Biagini, di Far-nese, detto il "curato” perché molto “credente”;essi si unirono poi a David Biscarini, di Marsciano,(PG) e a Vincenzo Pastorini, detto “Cenciarello” o“Ferro” di Latera, formando una temibile bandadi briganti di cui Biscarini era il capo. In questi anni la fedina penale di Tiburzi si arricchìvelocemente con estorsioni, sequestri e un altroomicidio. Il 12 dicembre 1877 David Biscarini fu ucciso daiCarabinieri di Canino e Farnese presso la grottadel Paternale, ma sia Biagini, che pure venne leg-germente ferito, sia Pastorini e Tiburzi, in mutande,riescono a scappare: da quel momento il comandodella banda passò nelle mani di Domenichino. Nel 1878 si aggregò anche Giuseppe Basili, detto“Basiletto”, ma la banda restò unita per pocotempo perché il Tiburzi decise di liberarsi, ucci-dendoli, prima del Basili e poi del Pastorini. Quest’ultimo fu ucciso in un duello su un’aia aSanta Barbara, fulminato dalla doppietta di Tiburzi,

suoi uomini. Pastore e buttero, a 23 anni avevasposato Veronica Dell’Aia, una sedicenne moltocarina che gli aveva dato due figli. Anche a causa dell’estrema indigenza in cui versavala famiglia d’origine, si era trovato ben presto nel-l’elenco dei ricercati per furto ed era stato poi ar-restato per un’aggressione, ma era presto tornatoin libertà. La vera storia criminale di DomenicoTiburzi ha però inizio nel 1867, quando, il 24 ot-tobre, uccise Angelo Del Bono, guardiano del mar-chese Guglielmi, reo di averlo multato di ben 20lire perché sorpreso a raccogliere le spighe digrano abbandonate a terra nel campo del marchese(cosa peraltro legittima per le leggi del Granducato,

Si era già macchiatoda giovane di alcuni

furti e diun’aggressione.

Commise il primoomicidio a 31 anni:con una fucilata al

petto uccise ilguardiano del

marchese Guglielmi,reo di averlo multato

di venti lire

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che gli rimproverava di metterlo in ridicolo rac-contando la sua fuga in mutande dalla grotta delPaternale. Era così iniziato il regno del “Livellatore dellaMaremma” Domenico Tiburzi. Nel corso della sua lunga carriera commise ancoraaltri 14 omicidi; era però contrario all’uccisionedei Carabinieri, soprattutto perché temeva chequesto potesse provocare un aumento della re-pressione, ma anche perché, pare dicesse, erano“poveri figli di mamma” costretti al loro volta dal bisogno. Aveva ideato la “tassa sul brigantaggio”,una sorta di assicurazione che i possidenti gli pa-gavano in cambio di protezione; per gli insolventila punizione era l’incendio.Il Tiburzi donava una parte del denaro ricavato aifamiliari dei briganti “meritevoli” uccisi e impiegaval’altra in elargizioni a contadini e artigiani indigenti,in cambio di informazioni, servizi e, ovviamente,di omertà: una “generosità” che lo portò ad essere

considerato il Robin Hood della Maremma, ben-voluto e a volte idealizzato da una larga fettadella popolazione. Intorno al 1888 Tiburzi e Biagini si unirono condue altri briganti: Luigi Demetrio Bettinelli di Por-retta Terme, detto il “Gigione” o il “Principino”per il suo bell’aspetto, e Luciano Fioravanti di Ba-gnoregio, nipote di Biagini. Per qualche tempo i quattro formarono un gruppoaffiatato, finché Tiburzi e Biagini ritennerò che gliatteggiamenti e il desiderio di primeggiare del Bet-tinelli non fossero più graditi; “Gigione” inoltreera accusato di molestare le donne e questo era unreato gravissimo nel regno del Livellatore. Così, il 13 giugno 1889, toccò al giovane Fioravanti,quale iniziazione ai delitti più efferati, ucciderel’amico Bettinelli sotto ordine di Tiburzi e Biagini. A onor del vero successivamente Tiburzi e Biaginitentarono però di scagionare il Fioravanti dal

Aveva ideato la “tassa sul

brigantaggio”, unasorta di

assicurazione che ipossidenti gli

pagavano in cambiodi tutela

IL BANDITO DOMENICO TIBURZI,

NATO A CELLERE (VITERBO) IL 28 MAGGIO 1836

DETTO DOMENICHINO O MENICHINO

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delitto. Il 6 agosto 1889 Biagini morì sotto i colpidei Carabinieri, nella macchia di Gricciano sulFiora, ma in questo caso la ricostruzione della vi-cenda non è univoca: Adolfo Rossi, nel suo libro“Nel regno di Tiburzi” indica quale causa di mortedi Biagini un più banale infarto causato dalla vistadei Carabinieri: aveva ormai 67 anni e da venti vi-veva alla macchia. Il 22 giugno 1890 in Pian di Maggio, Tiburziuccise Raffaele Gabrielli, il fattore dei marchesiGuglielmi perchè, secondo Tiburzi e Fioravanti,era colpevole di non aver avvertito Menichinostesso della retata dei Carabinieri a Gricciano.Questo, per molti, è l’ultimo omicidio attribuibilecon certezza a Tiburzi. Nel 1893 il fenomeno delbrigantaggio interessava larghe parti d’Italia ed ilGoverno Giolitti ordinò ai vari Prefetti di interveniresenza mezze misure: l’idea era semplice, colpire larete di fiancheggiatori per fare terra bruciata

attorno ai briganti. In Maremma e nella Tusciamandati di comparizione e mandati di arresto col-pirono in breve tempo persone di ogni ceto sociale:nobili, contadini, pastori, tutti accusati di associa-zione per delinquere per aver sottratto i latitantialle perlustrazioni dei carabinieri; tra gli altri (epiù famosi) il Conte Niccolò Piccolomini ed ilPrincipe Tommaso Corsini. E nel complesso a Viterbo furono processati, conl’accusa di favoreggiamento, in 150: l’iniziativarepressiva si concluse però con Tiburzi libero e as-surto agli onori della leggenda e decine di famiglienei guai, in quanto la maggioranza dei condannatierano contadini e pastori ed a molte famiglievennero a mancare, con il loro arresto, i mezzi disostentamento. Giolitti, venuto al corrente dei fatti, si indignò perla situazione assolutamente fuori controllo e daquel momento la caccia al bandito si fece ancorapiù serrata.

Io sono Tiburzi, brigante maremmano.La Maremma non avrà altro brigante

al di fuori di me.Non nominare il nome di Tiburzi invano.

Onora i signori del luogo.Aiuta i disgraziati.Non ammazzare.

Non rubare.Non vedere.Non parlare.

Non fare la spia, né ai Carabinieri di Capalbio, né al Delegato di Orbetello

IL CAPITANO MICHELE GIACHERI, DAL 9 APRILE 1896 AL

COMANDO DELLA COMPAGNIA DI GROSSETO PER DARE LA

CACCIA AL “LIVELLATORE” DELLA MAREMMA

I “DIECI COMANDAMENTI” DEL BRIGANTE TIBURZI

SECONDO LO SCRITTORE E POLITICO TOSCANO

PIERO BARGELLINI,

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18 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

LA FINE DI MENICHINOÈ il 23 ottobre 1896, per tutto il giorno il BrigadiereDemetrio Giudici ed i Carabinieri Raffaele Collec-chia ed Eugenio Pasquinucci della Stazione dell’Isoladel Giglio avevano perlustrato senza risultati lemacchie tra Marsiliana e Capalbio.La sera, sotto una pioggia battente, giunsero a Ca-palbio per incontrarvi il Comandante di Stazione,Brigadiere Carlo Colombo; alle 21 un altro militaredi quella Stazione, il Carabiniere Ciro Cavallini,informò i colleghi di avere appena appreso da unsuo informatore che quel giorno Tiburzi e Fioravantisi erano trovati nelle macchie vicine, per cui dicerto avrebbero trascorso la notte in una delle 13o 14 capanne della zona. Sempre sotto la pioggia, le pattuglia cominciaronoa controllare, uno dopo l’altro, i rifugi, svegliando

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IL CAPITANO MICHELE GIACHERILa fine del regno di Domenico Tiburzi si deve allacostanza del Capitano dei Carabinieri MicheleGiacheri. Piemontese di Murazzano, nei pressi di Mondovì,la sua famiglia discendeva dai conti De Albertis deWilneuve che avevano dato alla patria uomini dilettere ed ammiragli. Il 9 aprile 1896, quando giunge in Maremma percomandare la Compagnia di Grosseto, è precedutoda una certa fama, poiché aveva già dato ottimeprove nella lotta al banditismo: prima in Calabria;in seguito, nel 1884, in Lombardia, dove avevaannientato la “Compagnia della teppa”, primoesempio di organizzazione banditesca metropolitanadel Regno d’Italia; infine tra il 1890 ed il 1892aveva operato tra Gaeta e Formia, catturando ilbrigante Francesco Simeone.Quando giunse a Grosseto correva la voce che ilbrigante fosse morto: “Ella viene a catturare unaleggenda”, gli disse qualcuno, ma Giacheri non sifece fuorviare da queste illazioni e, dopo essersichiuso in ufficio per venti giorni a studiare tuttigli incartamenti riguardanti il famigerato bandito,cominciò a percorrere instancabilmente in lungo elargo il regno del brigante, spacciandosi per un to-pografo francese: oltre a riportarne un’ottima co-noscenza dei luoghi, cominciò a costruirsi una reteefficace di informatori, rinnovando la fiducia nelleIstituzioni che si era persa a seguito delle indiscri-minate retate di pochi anni prima.Si trattò di un lavoro frustrante, spesso reso inutileall’ultimo istante da qualche mossa a sorpresa delricercato. Mentre Giacheri coordinava pazientemente le in-dagini unitamente al Tenente Silvio Rizzoli, Co-mandante della Tenenza di Orbetello (GR), sulcampo i carabinieri svolgevano il loro compitonon meno faticoso e monotono: perlustrazioni,controlli e appostamenti.

DA SINISTRA A DESTRA: DEMETRIO GIUDICI, RAFFAELE

COLECCHIA, EUGENIO PASQUINUCCI. I TRE CARABINIERI CHE

PARTECIPARONO AL CONFLITTO NELLA MACCHIA DELLE

TROSCE IN CUI FU UCCISO MENICHINO, MERITANDO LA

MEDAGLIA D’ARGENTO AL VALOR MILITARE

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anche intere famiglie di coloni. Verso le 3.30 arri-varono al cancello della casa colonica detta “LeForane” di proprietà di tale Nazzareno Franci; ilcancello fece resistenza e la sua apertura svegliò icani, che iniziarono ad abbaiare. Sulla porta si af-facciarono i due briganti, non immediatamente ri-conosciuti dai Carabinieri, ma quando il CarabiniereCollecchia intimò il “chi va là” quelli risposerocon due fucilate, che fortunatamente andarono avuoto. I tre Carabinieri risposero al fuoco e Tiburzi caddecolpito alla testa ed alla gamba sinistra, mentre ilpiù giovane Fioravanti riuscì a fuggire. Poiché nessuno lo conosceva per certo, prima dispirare fu egli stesso a confermare la propriaidentità; vicino al cadavere si trovò un fucile a re-trocarica, una rivoltella a sei colpi, un pugnale,

due impermeabili, due fiaschi di vino, due borse dipelle con viveri, medicine, spugne, spazzole edaltro materiale di pulizia, un cannocchiale monocolo,un orologio d’argento, 35 lire nel portafogli. Collacchioni, che aveva ospitato i due nella suacasa, venne arrestato per favoreggiamento, mentrei tre Carabinieri protagonisti dell’ultimo atto dellavita di Domenico Tiburzi vennero decorati di Me-daglia d’Argento al Valor Militare. Al prete intenzionato a negare la sepoltura del bri-gante in terra consacrata, si oppose la popolazionedi Capalbio, fino a raggiungere il noto compromessodel “mezzo dentro e mezzo fuori dal piccolo cimi-tero”: così, infatti, venne seppellito il Re del La-monte, attraverso il muro di cinta del camposantodi Capalbio.

Paolo Caterina

CASALE “LE FORANE” A CAPALBIO NEL QUALE

IL 24 OTTOBRE 1894 FU UCCISO MENICHINO

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DI NEROLAIl mostro

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di FERDINANDO ANGELETTI

ERNESTO PICCHIONI ARRESTATO

DAI CARABINIERI DELLA STAZIONE DI NEROLA

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Nerola è oggi un piccolo Comune dell’area metropo-litana di Roma, l’ultimo prima del confine con la Pro-vincia di Rieti. Poco meno di 2000 abitanti sovrastatidall’antico castello degli Orsini, oggi trasformato insala ricevimenti. Questo paesino ha sempre tratto lapropria linfa vitale dalla sua posizione, intorno al km.50 della via Salaria, sulla strada che da Roma, attra-verso la Sabina, giunge poi sul Mare Adriatico. Nel1944 di abitanti, secondo fonti Istat, ne aveva appena1600 ma era uno di quei borghi dove, negli anni dellaguerra, molti fuggiaschi e profughi delle grandi cittàerano andati a rifugiarsi.In paesi come Nerola era più semplice sopravvivere,più facile trovare qualcosa da mangiare o, meglio an-cora, riuscire a trovare qualche fondo o masseria ab-bandonati da poter coltivare per sfamare sé e lapropria famiglia. E tra le famiglie che si spostano aNerola c’è anche la famiglia Picchioni: il padre Erne-sto, la moglie Filomena Lucarelli, i figli Angelo, Ca-

rolina, Valeria e Gabriella, di età compresa tra i 4 e i14 anni e l’anziana madre. Ernesto, il capofamiglia, èoriginario di Ascrea, un paesino della Provincia diRieti, è un uomo violento e rissoso, senza un’occupa-zione stabile. In paese viene subito soprannominato“brutta faccia” e “spara facile” per la sua abitudine arisolvere gli alterchi con le armi. Ai Carabinieri dellapiccola Stazione di Nerola racconta di vendere luma-che, probabilmente vive in realtà di ciò che trova neiterreni coltivati nonché del provento di furtarelli. Lasua indole violenta emerge soprattutto da ubriaco,dopo aver trascorso diverse ore all’osteria di PiazzaSan Sebastiano.In paese l’arrivo del Picchioni e della famiglia non erastato ben visto. L’uomo, infatti, aveva occupato abu-sivamente con il proprio nucleo familiare una casa co-lonica che era sì vuota, ma non abbandonata.L’abitazione era fuori dal centro abitato, lungo la viaSalaria, al chilometro 47. Inoltre, nonostante i “sim-

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Ernesto Picchioni originario di Ascrea,paesino della Provincia di Rieti, violentoe rissoso, senza un’occupazione stabile,

era soprannominato “brutta faccia”e “spara facile” per la sua abitudine a risolvere gli alterchi con le armi

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patici” soprannomi a lui attribuiti, di fatto non vi ècontadino o pastore che, nella zona, non abbiaun’arma per difendersi. Pertanto è ritenuto sicura-mente più pericoloso di altri, ma non al punto da es-sere considerato una minaccia.Il Maresciallo d’Alloggio dei carabinieri Evaristo Ac-quistucci, comandante della locale Stazione, ha invecenotato che, dall’arrivo del Picchioni, i reati contro ilpatrimonio, soprattutto quelli di lieve entità, sonostranamente aumentati: bestiame ed attrezzi da lavoroprincipalmente, ma anche mezzi di trasporto (special-mente biciclette). In paese tutti pensano sia Picchioni,ma nessuno lo prova. Il periodo è duro e difficile per tutti ma fino a quelmomento, fino all’arrivo della famiglia di forestieri, ifurtarelli erano sensibilmente di meno. L’indole vio-lenta dell’uomo si manifesta per la prima volta pocodopo la fine del conflitto, in un episodio che coincidecon l’inizio dei suoi guai giudiziari. La vita cerca di

ricominciare e, anche nelle campagne tra Roma eRieti, i proprietari che erano fuggiti ritornano per ri-prendere possesso delle loro proprietà. Anche il pro-prietario del fondo e della casa colonica abusivamenteoccupate dal Picchioni torna, e trovando la propriacasa occupata cerca di cacciarne gli abusivi occupanti.Il proprietario dell’abitazione, al termine di un duroalterco, è colpito al capo da una pietra scagliataglicontro dal Picchioni e deve allontanarsi in fretta desi-stendo dal suo intento. Il maresciallo Acquistucci in-terviene quasi immediatamente ed arresta il Picchioniche, per quell’episodio, viene condannato a diversimesi di carcere. L’uomo, forse iscritto al Partito Comunista Italianoma comunque auto dichiaratosi “comunista”, vieneliberato probabilmente per intercessione di alcunicompagni di partito e può così tornare nella casalungo la Salaria.Giungiamo quindi ai primi giorni di maggio del 1947,

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SCORCIO DEL CASTELLO ORSINI

DI NEROLA, COMUNE DELLA

PROVINCIA DI ROMA

A 453 M. S.L.M.

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sentire in merito ad una pratica inerente un risarci-mento per danni di guerra. Né il 24 e neanche la mat-tina del 25 ottobre il Picchioni si presenta in caserma.Così, come concordato con il proprio superiore di-retto, il comandante della Sezione di Palombara Sa-bina, Maresciallo Maggiore Giuseppe Grisi,Acquistucci organizza dei servizi di appostamentolungo la Salaria, nel tentativo di cogliere di sorpresail Picchioni ed arrestarlo lontano dalla sua abitazione.Il 26 successivo il Picchioni si reca a Castel di Tora,per partecipare alle nozze di una sua cugina.Una pattuglia di carabinieri appiattata attende il suorientro nei pressi di un’osteria sulla Salaria, al confinetra le province di Roma e Rieti, a meno di un chilo-metro dall’abitazione del ricercato. Solo nel primo po-meriggio del giorno seguente, proveniente da Rieti abordo di un motorino, il Picchioni viene infine bloc-cato dai militari che gli sbarrarono prontamente lastrada intimandogli l’alt a mitra spianati.I militari, consci della sua pericolosità, con la massimaattenzione trasportano a bordo di un camioncino ilPicchioni in caserma. Il maresciallo Acquistucci si pre-cipita presso l’abitazione dell’arrestato per poter fi-

quando al maresciallo Acquistucci giunge una denun-cia di scomparsa: si tratta di Alessandro Daddi, im-piegato civile del Ministero della Difesa. L’uomo, il 3maggio, era partito da Roma dove vive e lavora abordo del suo “Cucciolo” (un piccolo ciclomotore invoga alla fine degli anni ‘40 costruito montando partidi un motorino su telai di biciclette), per raggiungereContigliano, paesino del Reatino, dove vive la madre.La madre, però, non lo vedrà mai arrivare. Il maresciallo Acquistucci avvia le sue indagini e su-bito comprende come l’uomo non si sia allontanatovolontariamente. Ricostruendo pazientemente i suoimovimenti riesce a circoscrivere l’area della sparizioneproprio dalle parti di Nerola. Qualche giorno dopoun contadino della zona riferisce al maresciallo diaver visto il Picchioni a bordo di un “Cucciolo”. È latraccia che serve per proseguire le indagini. Inizial-mente l’idea era che l’uomo avesse solo rubato ilmezzo al Daddi, pertanto il maresciallo decide di con-vocare il Picchioni in caserma e di metterlo di fronteai fatti. L’uomo però nega di essere l’autore di unfurto e afferma che il mezzo gli è stato regalato da al-cuni compagni di partito per favorire i suoi sposta-menti. Il comandante della Stazione, ovviamente, noncrede nemmeno ad una parola ma, in assenza di altrielementi, è costretto a soprassedere. Il 23 ottobre di quell’anno un abitante di Nerola, av-vicinandosi al maresciallo Acquistucci, confida che lamoglie del Picchioni lo aveva incaricato di chiedere aicarabinieri di procedere al fermo del marito, colpevoledi aver commesso gravi reati dei quali, la stessa Filo-mena Lucarelli, avrebbe potuto riferire dopo la suacattura. Al maresciallo viene inoltre consigliato di pre-stare la massima cautela poiché il Picchioni possiede,presso la sua abitazione, una doppietta sempre caricae non avrebbe avuto remore ad utilizzarla contro i mi-litari. Per evitare di esporre al pericolo sé ed i suoi uo-mini, il maresciallo decide inizialmente di mandare uninvito a comparire al Picchioni affinchè si presentassein caserma, con il pretesto di doverlo nuovamente

ANTICHE CRONACHE

Il MarescialloAcquistucci avvia

le sue indagini e riesce a

circoscrivere il luogo della

sparizione del Daddinei pressi di Nerola

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ANTICHE CRONACHE

nalmente apprendere le rivelazioni della moglie. Vintal’iniziale paura della donna, che non ha assistito al-l’arresto del marito e ancora teme che questi possa farrientro a casa, il comandante della stazione convinceFilomena a collaborare e a riferire ciò di cui è a cono-scenza. La moglie ed i figli del Picchioni, accompa-gnati anche loro presso la caserma di Nerola,forniscono una formale deposizione che, di fatto, apreuno squarcio sulla vita di quello che sembrava unuomo sicuramente fuori dalle righe, ma certamentenon un mostro.Invece di parlare subito del Daddi, la Lucarelli parteda molto più lontano, dall’anno 1944, quando contutta la famiglia era da poco giunta a Nerola. Il Picchioni, collerico e violento anche con lei (ad ungiornalista che qualche tempo dopo la intervisteràdirà: “appunto perché ho mangiato e dormito per 15anni con quell’uomo solo io sapevo di che cosa eracapace. E dovevo stare zitta”), si era reso conto che,nonostante i tanti furtarelli compiuti, le sostanze perproseguire nel vizio dell’alcool non gli bastavano. Aveva quindi iniziato a cospargere di chiodi il trattodi via Salaria nei pressi della sua abitazione, per forarele ruote dei malcapitati passanti ed obbligarli a chie-dere aiuto alla casa più vicina: la sua. Quando le per-sone bussavano alla porta della casa colonica per

chiedere un aiuto lui, dopo il primo amichevole ap-proccio, le colpiva e le rapinava.Così era successo nel luglio del 1944 quando unuomo aveva forato la gomma della sua bicicletta. IlPicchioni, una volta accoltolo nell’abitazione, lo avevacolpito con una mazza, fracassandogli la mandibola,e gli aveva sparato poi due volte a bruciapelo con unfucile. Il corpo del malcapitato era stato seppellito nelgiardino retrostante. Altre testimonianze raccolte daimilitari da parenti del Picchioni e da suoi amici diosteria facevano pensare che l’uomo, così come luistesso raccontava da sbronzo per incutere terrore neisuoi interlocutori, avesse ucciso almeno altre due per-sone, una molto giovane ed una invece dai baffi folti.Su quei tre morti nessuno aveva mai fatto indagini:era il 1944, e di persone che morivano, per diversimotivi, era piena l’Italia. Poi però, nel 1947, era giunto il Daddi. Aveva foratola ruota del suo mezzo e chiedeva un po’ di masticeper poter tappare la foratura e ripartire. In questocaso il Picchioni lo aveva accolto in casa, gli aveva of-ferto da bere e poi, approfittando di un momento didistrazione, lo aveva colpito con una mazza alla testa,lo aveva più volte accoltellato con un coltello da cu-cina, finendolo con un taglio netto alla gola. Dopoaver spogliato il corpo dei pochi averi, aveva infinescavato una fossa nel giardino per seppellirlo. Allamoglie ed ai figli, che il mattino seguente si erano resiconto di cosa fosse accaduto, essendo ancora presenti

Portava le vittimenella propria

abitazione attuandola “tecnicadel ragno”

PARTICOLARE

DEL CASTELLO ORSINI

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sul pavimento le tracce di sangue, giurava vendetta sequalcuno avesse avuto il coraggio di parlare dell’ac-caduto. Ernesto Picchioni, nonostante le confessionidella moglie siano state confermate anche nei raccontidi tutti gli altri suoi familiari, continua a negare ogniaddebito. Per evitare che la folla, riversatasi innanzila caserma di Nerola al diffondersi in paese della no-tizia, riesca nell’intento di farsi giustizia sommaria, ilPicchioni è trasferito la sera del 27 ottobre presso ilcarcere di Palombara Sabina. Il 30 ottobre, condotto davanti al giudice, continua aproclamarsi innocente, asserendo che a lui vengonoimputate tutte le colpe perché “straniero e comuni-sta”. Il giudice non gli dà credito e lo manda nel car-cere di Regina Coeli. Anche la moglie viene arrestata,con l’accusa di favoreggiamento: sapeva e non ha par-lato. Ma dopo pochi giorni, e dopo la conferma dellesue accuse, viene liberata. Sulla base delle dichiara-zioni rese, si procede ad un’ispezione dell’orto degliorrori. Dalla terra emerge il corpo del Daddi, ancoravestito come l’ultima volta e riconosciuto dal fratellointervenuto sul posto, nonché il corpo dell’AvvocatoPietro Monni. Il Picchioni capisce di essere perduto edecide di confessare: avrebbe ucciso il Daddi e ilMonni perché entrambi, seppur in circostanze diverse,avevano cercato di farlo iscrivere al Partito D’Azione,ed ammette anche di aver ucciso durante la guerradue ufficiali tedeschi. Si tratta di un modo per cercaredi spostare l’attenzione, soprattutto quella mediaticache stava montando, sulla politica e su un passato“partigiano” tutto da dimostrare.I giudici non gli credono e lo rinviano a giudizio conl’accusa dell’omicidio a scopo di rapina del Daddi edel Monni e dei due uomini rimasti sconosciuti ed icui resti erano stati rinvenuti solo successivamente inalcuni terreni di quel circondario. Trascorre oltre unanno e mezzo prima del processo, soprattutto perchéil giudice istruttore ed i carabinieri cercano di chiarirela reale posizione della moglie: vittima o complice?Alla fine, nonostante i lunghi interrogatori, la donna

non si contraddice mai e le dichiarazioni dei figli lasostengono: si tratta di vittime di un uomo violento,rimaste in silenzio per timore di essere uccise.Al processo, iniziato il 10 marzo del 1949 e fallita latesi difensiva in chiave politica, il Picchioni cerca difarsi passare per insano di mente, ma una perizia lodichiara assolutamente lucido e capace di intendere evolere. Il 19 marzo arriva la sentenza: Ernesto Pic-chioni viene condannato a due ergastoli e ventiseianni di carcere per gli omicidi Daddi, Monni e dei dueignoti e condotto dapprima nel manicomio criminaledi Reggio Emilia, successivamente presso il carcere diCivitavecchia e poi quello di Porto Azzurro, sull’isola

ERNESTO PICCHIONI. IL MOSTRO DI NEROLA

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26 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

ANTICHE CRONACHE

A SINISTRA, IL MARESCIALLO EVARISTO ACQUISTUCCI MOSTRA A UN UFFICIALE LA FOSSA DOVE ERA STATO RINVENUTO IL CADAVERE

DI ALESSANDRO DADDI. A DESTRA, IL COMANDANTE DELLA STAZIONE CARABINIERI DI NEROLA CON IL FRATELLO DELLA VITTIMA

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NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI 27

ANTICHE CRONACHE

d’Elba. Nel 1954 il Picchioni, ovviamente ancora incarcere, viene condannato all’ergastolo per un altroomicidio, quello di Mario Lucchesi, un camionista,avvenuto nell’ottobre del 1945. Il Lucchesi con il suocamion stava trasportando merce da Roma a Rieti se-guito dal camion di un amico, Costantino Fidanza. IlPicchioni aveva ottenuto dal Lucchesi un passaggioper tornare a casa. Il camion con i due era poi sparitonel nulla ed il corpo del Lucchesi mai ritrovato.Il mostro di Nerola, così lo avevano denominato igiornali, ottiene ancora un momento di “notorietà”quando, durante una visita in carcere del Papa Gio-vanni XXIII prova ad aggredirlo, immediatamentefermato dalle guardie carcerarie. Muore nel peniten-ziario, di attacco cardiaco, nel 1967. Le figlie del Picchioni, inizialmente accolte pressol’Istituto San Michele di Roma per ragazzi abbando-nati, vedranno la propria infanzia maledetta salvatada un gesto di grande generosità e solidarietà: un ma-gnate americano dell’acciaio, Robert Fitz Aucher, nel

1952 le adotterà entrambe, morendo solo quattroanni dopo e lasciando loro un’eredità milionaria. Del Picchioni un criminologo forense dirà che è statoil tipico serial killer organizzato secondo la tecnica“del ragno”, che consiste nel portare le vittime desi-gnate nel proprio nido (in questo caso l’abitazione)ove poterle uccidere al riparo da pericoli.La vicenda di Ernesto Picchioni è ricordata anche perla strana e macabra ricorrenze del numero 47. Ernesto Picchioni viveva al chilometro 47 della via Sa-laria, venne arrestato a 47 anni nel 1947 proprio nelpunto in cui, nel 1900, un altro uomo di 47 anni, taleRubino, era stato barbaramente ucciso. Ma non basta, perché anche il Signor Aucher risentiràdella maledizione del numero 47 perché all’età di 47anni, nel 1954, subirà un clamoroso processo perspionaggio ed alto tradimento per aver violato unabanca dati condivisa tra NATO ed Unione Sovietica.

Ferdinando Angeletti

UN CARABINIERE NELLA CUCINA DELL’ABITAZIONE

DEL PICCHIONI CON GLI ARNESI UTILIZZATI DAL MOSTRO DI

NEROLA CONTRO LA SUA ULTIMA VITTIMA

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SCACCOal latitante

IL MARESCIALLO STACCHETTI IMMOBILIZZA

IL TEMUTO BANDITO PISCHEDDA

28 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

di GIANLUCA AMORE

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Giovanni Stacchetti e Giovanni Pischeddaerano due uomini che vissero in Sardegnanell’Ottocento. Il primo fu un maresciallo

dei Carabinieri Reali, un brillante investigatore chealla capacità professionale univa una buona dose diardimento: nel gennaio 1884 vantava nel suo meda-gliere due segni di valore guadagnati nel 1877 e nel1879. La prima medaglia d’argento al valor militaregli fu concessa per essersi distinto in un conflitto afuoco con due banditi nel territorio di San VeroMilis, in provincia di Oristano, la seconda, gli venneappuntata sul petto per il coraggio dimostrato il 15agosto a Fluminimaggiore, vicino Iglesias, in un altroconflitto a fuoco, con il bandito Caboni Murtas.Giovanni Pischedda in comune col sottufficialeaveva soltanto il nome di battesimo! Era un perico-loso bandito che infestava le montagne del nuoresee le sue “doti” erano una ferocia e una crudeltà inau-dite. Anche lui aveva una buona dose di ardimento,ma che sfruttava per compiere furti, rapine, omicidie talvolta prendendo parte ad atti criminali in unionesodale con altri briganti. Dal 1878 il Pischedda viveva in stato di latitanza frale montagne di Bolotana, nel nuorese, con l’aiutocolpevolmente spontaneo di familiari e amici. La suaferocia criminale terrorizzava coloro che lo conosce-vano e che ben s’avvedevano dal confidare al mare-sciallo Stacchetti e ai suoi uomini i suoi spostamenti,

i sentieri che percorreva, gli ovili o gli anfratti offertidalla natura per nascondersi. Lo Stato per la sua cattura aveva posto anche unataglia di cinquecento lire. Il maresciallo Stacchettiperò continuava da tempo la sua opera di controllodel territorio per carpire indizi che potessero por-tarlo a scoprire i movimenti o i luoghi di latitanzadel bandito e da tempo faceva pervenire relazioni erapporti al sottotenente Piu, suo diretto superiore.La mattina del 27 gennaio 1884 fu proprio l’ufficialea ricevere una sensazionale notizia da un confidente,sicuramente allettato più dalla cospicua ricompensaofferta dal Ministero dell’Interno che dalla volontàdi collaborare con le forze dell’ordine per il bene co-mune. Questi aveva deciso, al di la degli opinabilimotivi, di rompere il muro di omertà e riferire ciòche sapeva per condurre alla cattura del latitante. Il sottotenente Piu annotò fitti appunti delle notizieriferite dal confidente e congedatolo convocò, senzaindugio, il miglior sottufficiale che aveva ai suoi or-dini, il cui coraggio era già provato da due ricom-pense d’argento al valor militare. L’ufficiale e il maresciallo Stacchetti, conferirono permolte ore, pianificando le “linee di azione propria”e valutando le “possibili azioni del nemico”. Allaconclusione dell’incontro il maresciallo Stacchettifece rientro alla sua stazione. Ivi giunto, a sua volta,convocò i suoi carabinieri Giovanni Demichelis ed

ANTICHE CRONACHE

Giovanni Stacchetti e GiovanniPischedda in comune avevano soltanto il nome, il primo era

un maresciallo dei Carabinieri Reali l’altro un pericoloso bandito

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stavano in contatto visivo, ma comunicare era pra-ticamente impossibile. Dopo due giorni di apposta-mento, trascorsi al freddo e sotto il nevischio soffiatodal vento pungente, nel pomeriggio del 29 seguentesi compì il destino del Pischedda. Da un sentiero, dopo che si erano uditi dei passi e ilfruscio delle fronde, si scorse la sagoma di un uomoche, mentre percorreva quel camminamento, volgevala testa a destra e sinistra con atteggiamento guar-dingo. L’aspetto trasandato e il cappotto malconcio,ma soprattutto il fucile che portava sotto il braccioa mo’ dei cacciatori per il pronto uso, fugarono ognidubbio del sottufficiale: era Giovanni Pischedda!Il pericoloso latitante al quale stava dando la cacciada diversi anni e per il quale tanti rapporti aveva sti-lato e inviato al suo superiore.Il maresciallo Stacchetti, accovacciato nel suo na-scondiglio, aspettò che il bandito giungesse in unpunto favorevole per balzargli addosso. Scattò d’improvviso – il fattore sorpresa fu provvi-denziale – e il Pischedda rimase avvinghiato dallasua presa; perdendo l’equilibrio e il fucile, si ritrovòcostretto a terra col militare che lo teneva bloccatocon le ginocchia sulla schiena. Stacchetti urlò con quanto fiato aveva in gola richia-mando a se i due militari i quali, purtroppo, per lanatura impervia del terreno scosceso non poteronoessere tempestivi. Intanto il malvivente cercando di liberarsi per sfug-gire all’arresto iniziò una furiosa colluttazione colmaresciallo. Nella concitazione il Pischedda riuscì adimpugnare la pistola che aveva e ad esplodere uncolpo: la pallottola perforò gli abiti di Stacchetti che,fortunatamente, rimase solo lievemente ferito. Il maresciallo ebbe ancora la forza e la tempestivitàdi estrarre a sua volta il revolver ed esplodere trecolpi. Nella forsennata lotta due colpi andarono avuoto ma il terzo fu fatale per il bandito che cessòistantaneamente di opporre l’accanita resistenza.Giovanni Pischedda era morto! Il proiettile lo aveva

ANTICHE CRONACHE

Egidio Cimino ai quali ordinò di levarsi l’uniformee di indossare, insieme con lui, degli abiti da popo-lani e da pastori sì da travestirsi per mettersi sulletracce del Pischedda. Il sottufficiale era conscio che l’azione comportavaun alto rischio, il bravo comandante per di più avevastavolta con se due carabinieri di cui era responsa-bile e ai quali non nascose l’alto indice di pericolo-sità del servizio.Nel pomeriggio tutti e tre partirono per la monta-gna, camuffati con gli abiti tipici popolari. La marciasu per il crine della montagna per raggiungere i puntiindicati e utili per gli appostamenti non fu semplice,ma il maresciallo aveva una buona conoscenza deiluoghi che da anni percorreva e perlustrava con lasperanza di poter catturare il Pischedda e per questogià sapeva quali e dove fossero. Condotti i due militari ai rispettivi punti di osserva-zione e avvertili ancora una volta della pericolositàdel bandito, da solo raggiunse, successivamente, ilpunto che si era riservato; i tre erano distanti fra lorocirca una quarantina di metri l’uno dall’altro e re-

Dopo due giorni di appostamentosotto il nevischiosoffiato dal vento

pungente, nel pomeriggiodel 29 seguente,

si compì il destinodel Pischedda

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giunse subito il luogo verificando che il Pischeddaera morto. L’ufficiale, conoscendo la pericolosità del bandito eosservata la scena dell’azione, propose il suo sottuf-ficiale per il conferimento della medaglia d’argentoal valor militare, che giunse il 18 maggio 1884 conla seguente motivazione: “per avere, il 29 gennaio1884, in regione S. Olidone-Bolotana (Nuoro), co-raggiosamente affrontato e ucciso, dopo accanitalotta, il bandito Pischedda, riportando lieve contu-sione al petto durante il conflitto”.Tutti i militari che presero parte all’azione ricevet-tero l’encomio solenne – il maresciallo Stacchetti inparticolare quale prima attestazione di merito invista della futura concessione dell’alta decorazioneal valor militare – e il sottotenente Piu, a sua volta,ricevette dai superiori i meritati elogi per la brillanteorganizzazione del servizio. Infine colui che aveva rivelato le informazioni utiliper la cattura del bandito ottenne la ricompensadella taglia.

Gianluca Amore

attinto nella parte destra della testa. Ai due carabi-nieri quando giunsero non rimase altro che dare unamano al loro superiore per riprendersi dalla collut-tazione e dalla pistolettata. Sul terreno furono rinvenuti e sequestrati il fucile adue canne del bandito carico con le micidiali car-tucce a palla, poco più in la del cadavere, e la pistolaa tamburo, ancora impugnata dal malfattore. Addosso al corpo esanime del bandito vennero rin-venuti un tascapane con pochi viveri e altre armibianche: un grande coltello a serramanico tenuto ag-ganciato alla cinta e in tasca, un altro coltello a lamafissa e con punta aguzza, tenuto in un fodero dicuoio, una cartucciera con molte palle da fucile, sva-riate capsule e una fiaschetta contenente polvere dasparo, ovvero l’occorrente per confezionare le muni-zioni per il suo fucile.Il maresciallo, pur se ferito e affaticato, lasciati i suoisottoposti a vigilare sul posto, volle raggiungere, no-nostante fossero le sette di sera, il suo superiore aBolotana, per informalo dell’uccisione del bandito. Il sottotenente Piu, informato dell’accaduto, rag-

ANTICHE CRONACHE

CARTOLINA STORICA RAFFIGURANTE

UNO SCORCIO DI BOLOTANA

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GEN. D. PIETRO VERRIVICE COMANDANTE GENERALE DELL’ARMADAL 7 APRILE AL 23AGOSTO 1972

PIETRO VERRICARABINIERE

E GIURISTA

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di FERDINANDO FEDI

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Diritto Umanitario: due parole a marcareil confine della civiltà fra quanti

ne ossequiano i dettami e i rimanenti, non pochi, che li oltraggiano,

in Giurisprudenza, in linea ad un’altra tradizione forsedi famiglia, che potrebbe risalire ad un altro Pietro Verri,l’insigne giurista illuminista autore delle ‘Osservazionisulla tortura’.Quest’opera avrebbe tenuto un posto centrale nel suointelletto, specialmente quando decise di transitarenell’Arma dei Carabinieri, nel 1937, entusiasmato daglistudi di quella parte del diritto destinata a rendere laguerra meno disumana possibile. Studiando il diritto internazionale aveva, infatti, sco-perto che parte di esso era dedicato alle leggi e agli usidella guerra e cominciò a domandarsi come mai unamateria di tanto rilievo per la condotta delle operazioni

confine in larga misura tracciato da un italiano, daun Carabiniere, da un generale gentiluomo e giurista,Pietro Verri. Fu lui a dare un importante impulso all’affermazione eallo sviluppo del Diritto Bellico e al Diritto Internazio-nale Umanitario, lasciando un legato dal quale non sipuò prescindere sia per il valore intrinseco dei suoi studisia perché lo suggerisce l’incessante avvicendarsi deiconflitti. Nato nel 1908 a Bologna in una famiglia dalle solidetradizioni militari, dopo aver frequentato il collegio mi-litare di Roma e l’accademia di Modena, fu promossotenente di fanteria e completò i suoi studi laureandosi

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contro l’umanità. Promosso generale di brigata e nomi-nato Capo di Stato Maggiore dell’Arma dei Carabinieri,partecipava nel contempo alla Fondazione della SocietéInternationale de droit pénal militaire et de droit de laguerre e aderiva all’Istituto Internazionale di DirittoUmanitario di Sanremo, fondato nel 1970, di cui di-venne il primo Direttore dei corsi militari. Raggiuntol’apice della carriera nel 1972, con il grado di generaledi divisione Vice Comandante Generale dell’Arma e la-sciato il servizio attivo, poté finalmente dedicarsi com-pletamente agli studi sul diritto bellico, fino a quelpunto messi in secondo piano a causa dei gravosi inca-richi che avevano colmato la sua lunga carriera militare. Il Gen. Verri ha potuto vivere in prima persona tutti ipassaggi che hanno condotto l’originario ‘diritto bel-lico’, volto a regolamentare la condotta degli Stati bel-ligeranti e a limitare i cosiddetti mezzi e metodi diguerra, al ‘diritto umanitario’, relativo alla protezionedelle vittime dei conflitti armati, e all’attuale ‘diritto in-

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PIETRO VERRIIN GRANDE UNIFORME STORICA DA COLONNELLO

militari non fosse oggetto di insegnamento nelle scuolemilitari e perché quelle leggi non trovassero riscontronei regolamenti di impiego e nelle campagne militari.Nessuno sapeva però dare al giovane ufficiale una spie-gazione accettabile di questa situazione insoddisfacenteche a lui appariva come prova di insensibilità, se non dirigetto, nei riguardi del sistema umanitario esistente,tanto più che l’Italia aveva ratificato tutte le Conven-zioni esistenti in materia. L’avvenimento che più lo convinse della necessità dellaconoscenza e dell’applicazione delle norme di dirittoumanitario fu il ferimento del fratello Gabriele, mag-giore di fanteria, in una delle battaglie di El Alamein.Questi era Comandante di un battaglione corazzatoquando il carro su cui combatteva fu colpito da unagranata che gli provocò lesioni gravissime ad entrambele gambe. Catturato dagli inglesi in quelle condizioni, dopo leprime cure di emergenza fu riconsegnato alle unità sa-nitarie italiane che lo sottoposero all’amputazione degliarti inferiori. Gesto umanitario da parte del nemico chesalvò la vita a suo fratello. Nel corso della guerra, du-rante una sua permanenza a Tangeri, in Marocco, con-tribuì a risolvere un contenzioso internazionale insortocon la Spagna, le cui Autorità navali impedivano ad unsommergibile italiano di lasciare il porto di Santander,ove il battello era approdato per riparazioni conseguentiai danni causati da un attacco aereo. Al termine del conflitto fu trasferito prima alla Legionedi Firenze, ove comandò il Gruppo interno, e successi-vamente, promosso colonnello, alla Scuola Ufficiali, dicui divenne comandante nel 1959. In questo periodovenne a contatto con l’ambiente giuridico internazio-nale e scrisse nel contempo uno studio sullo statuto delleForze armate dislocate sul territorio di un Paese alleato,uno studio per tentare di definire l’aggressione in dirittointernazionale, ma soprattutto due importanti pubbli-cazioni sulla giustizia internazionale e sulla necessitàdella creazione di una Corte Penale internazionale re-sponsabile di giudicare universalmente tutti i crimini

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ternazionale umanitario dei conflitti armati’ che ha su-perato quella dicotomia. Il suo ritiro dalla vita militare coincise con il momentodi riflessione che la comunità internazionale stava at-traversando per trovare risposte alle problematiche con-seguenti alla comparsa di nuovi metodi dicombattimento e all’evoluzione dei conflitti armati le-gata alle lotte per conseguire l’indipendenza nei Paesisotto regime coloniale. A tal fine la Svizzera convocòuna Conferenza diplomatica alla quale il Generale Verri,divenuto membro della Croce Rossa, partecipò qualedelegato italiano.I lavori negoziali si conclusero nel 1977 con l’approva-zione dei due Protocolli aggiuntivi alle Convenzioni diGinevra relativi alla protezione delle vittime civili deiconflitti internazionali e dei conflitti non internazionali.Una volta sottoscritti i Protocolli, il Gen. Verri si ado-però a livello nazionale affinché gli Stati Maggiori e gliorgani tecnici della Difesa esprimessero il richiesto pa-

rere per procedere all’approvazione della relativa leggedi ratifica.L’opera di sensibilizzazione, svolta per farcomprendere come i contenuti dei protocolli esplicitas-sero regole che già le Forze armate italiane rispettavanoper consuetudine, agevolò l’iter approvativo della rati-fica che avvenne nel 1985. Sono di quegli anni le suemaggiori opere, tra le quali vanno ricordate: ‘Delle Con-venzioni militari e dei loro caratteri attuali’, ‘I militari ei diritti dell’uomo’, ‘Storia della giustizia militare’, ‘Di-ritto per la pace e diritto nella guerra’.I suoi numerosi studi in materia costituiscono tutti,senza dubbio, un contributo dottrinale prezioso per ladiffusione del diritto umanitario, ma quelli che mag-giormente hanno consentito a generazioni di allievi estudenti di approcciare la speciale disciplina con facilitàe lievità sono compendiati negli ‘Appunti di diritto bel-lico’, volume che ha il merito di aver assemblato il vastoe complesso sistema di regole con cui nel tempo il dirittointernazionale ha disciplinato la condotta dei conflittiarmati internazionali e non internazionali.

PAGINE DI STORIA

STATO DI SERVIZIO DI PIETRO VERRI, CUSTODITONELL’ARCHIVIO DELL’UFFICIO STORICO DELL’ARMA

Diede unimportante impulso

all’affermazione e allo sviluppo

del DirittoInternazionale

Umanitario

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Nel testo il Generale Verri è riuscito a conseguire l’obiet-tivo che aveva rincorso durante tutta la sua carriera mi-litare: fornire una prima conoscenza delle normecontenute nelle diverse Convenzioni agli allievi delle ac-cademie militari e agli ufficiali degli istituti di forma-zione, i quali progredendo nei gradi avranno il doveredi implementare le nozioni apprese per adeguare la pre-parazione di base ai compiti e alle responsabilità di ognilivello di comando. Con il ‘Dizionario di diritto inter-nazionale dei conflitti armati’, del 1987, si propose dicolmare una lacuna nella manualistica del tempo. Il vo-lume, redatto con certosina precisione, pur nella sinte-tica trattazione della materia imposta dalla forma

analitico-alfabetica, costituisce la sua ultima opera a ca-rattere generale e tiene conto di tutti i suoi scritti prece-denti nonché dell’esperienza da lui acquisita qualemembro della delegazione italiana in molteplici confe-renze internazionali. Il 1988 lo vide protagonista di un altro grande tema chenegli anni lo aveva sempre più interessato e che riguar-dava la responsabilità penale per l’inosservanza dellenorme di diritto umanitario. Fu chiamato a far parte del gruppo di lavoro costituitoper l’adattamento del diritto interno al diritto interna-zionale umanitario applicabile nei conflitti armati, uni-tamente a magistrati ordinari e militari e le conclusionicui pervenne il gruppo di lavoro videro Verri su una po-sizione molto ambiziosa, favorevole ad un progetto dilegge articolato e analitico che contemplasse molteplicispecifici reati derivanti dalle violazioni commesse nelcontesto dei conflitti armati internazionali e dei conflittiarmati non internazionali. Fu l’ultimo impegno di Verri che, dopo una vita dedi-cata a cercare di rendere meno crudele la guerra, morivail 24 settembre di quell’anno. E’ considerato un ‘pioniere’ del diritto internazionaleumanitario in quanto ha avuto il merito di richiamarel’attenzione del mondo militare ed accademico su temidi cui negli anni successivi al termine del conflitto mon-

I suoi numerosistudi e contributi

dottrinalicostituiscono

tuttoggi unfondamentale punto

di riferimento

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diale era scomodo parlare, quasi che il non parlare didiritto umanitario dei conflitti armati fosse un modoper allontanare l’idea stessa dei conflitti armati. Merita l’appellativo anche per aver anticipato la rifles-sione sulle relazioni tra diritti umani e diritto interna-zionale umanitario e per aver intuito la necessitàdell’istituzione di una corte penale internazionale dotatadi caratteristiche tali da superare le criticità che aveva

presentato sino ad allora la giustizia penale in campo in-ternazionale. Per tutto questo, ed altro, ancora oggi insuo ricordo, su iniziativa del Comitato nazionale dellaCroce Rossa di concerto con l’Università Roma Tre,viene conferito con cadenza biennale il premio di laureain Diritto Internazionale Umanitario ‘Giuseppe Barile ePietro Verri’, giunto quest’anno alla 13^ edizione.

Ferdinando Fedi

SOPRA E NELLA PAGINA A FIANCO UNA SERIE DI PUBBLICAZIONI DEL GENERALE VERRI CUSTODITE PRESSO LA BIBLIOTECA DELLA SCUOLA UFFICIALI CARABINIERI

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SALUTO TRA UN CARABINIERE ED UN AGENTE

SOMALO. SIMBOLICO PASSAGGIO DI CONSEGNE

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VERSO L’INDIPENDENZA

I Carabinieri e la formazione

della Polizia Somala

di FLAVIO CARBONE

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a conferenza internazionale di San Francisco del 25aprile 1945 si concluse con la firma dello Statuto delleNazioni Unite il 26 giugno dello stesso anno. Il com-pito principale dell’organizzazione internazionale èancora oggi quello di mantenere la pace e la sicurezzainternazionale cercando di promuovere la soluzionedelle controversie internazionali sempre su di unpiano pacifico. Tra le numerose iniziative avviate a partire dalla finedel Secondo Conflitto Mondiale vi fu l’istituzione diun organismo denominato Consiglio di Amministra-zione Fiduciaria, con il compito di portare all’auto-nomia e all’indipendenza i territori che siaffrancavano dal colonialismo o dall’occupazione mi-litare, affidandoli alla temporanea amministrazionefiduciaria di una Nazione più progredita. Complessi-vamente, nella storia delle NU, sono stati assegnatiall’istituto dell’amministrazione fiduciaria 11 territorigiunti poi all’indipendenza, l’ultimo dei quali è statol’arcipelago delle isole del Pacifico (Palau) divenutoindipendente nel 1994 ed entrato nell’ONU come185° Stato membro.L’esperienza dell’amministrazione fiduciaria fu parti-colarmente interessante per il caso della Somalia. L’excolonia italiana occupata e gestita dalla amministra-zione militare inglese (BMA) per circa 9 anni, dal1941 al 1950, con la risoluzione 289 del 21 novembre1949, fu assegnata alla tutela italiana con l’obiettivo

di portare il Paese del Corno d’Africa all’indipen-denza. Va detto che alcune Potenze Alleate avevanomostrato un certo interesse ad espandere il propriodominio coloniale o comunque il loro controllo suquelle che erano state le colonie italiane ma, a causadi contrasti insanabili a livello internazionale, nonerano riuscite nel loro intento. Nel frattempo gli Inglesi, durante il loro lungo pe-riodo di gestione, avevano fortemente supportato unmovimento politico, la “Lega dei giovani somali”, at-traverso l’assegnazione di posizioni e incarichi nel-l’ambito dell’amministrazione del territorio,mantenendo ai margini altri partiti e movimenti so-mali e in particolare quelli che simpatizzavano perl’antico colonizzatore italiano. Tale situazione avevacreato non pochi attriti e antagonismi tra i Somali eaveva dato vita anche a forme di protesta control’amministrazione britannica. Anche l’arrivo dellacommissione internazionale incaricata di studiare laquestione somala all’inizio del 1948 creò molta ten-sione. L’11 gennaio vi furono infatti due attentati conuso di esplosivi contro un caffè frequentato da italianie la tipografia della missione cattolica. Lo stesso giorno si tenne una dimostrazione autoriz-zata dall’autorità militare inglese della “Lega dei gio-vani somali” che, con l’appoggio degli inglesi o conla loro compiacenza, si scontrò con alcuni italiani ealtri gruppi somali. Tra i somali sicuramente non a fa-vore degli italiani vi erano molto membri della Gen-darmeria della Somalia, la forza di polizia costituitadagli inglesi durante l’occupazione. In ogni caso, il bi-lancio fu particolarmente pesante, con 52 italiani uc-cisi e 48 feriti, e 14 morti e 43 feriti tra i somali. Le forze dell’ordine ebbero solamente 2 feriti leggeri.La situazione era già particolarmente difficile quandosi aggiunsero nello stesso anno tensioni tra la Lega ela popolazione araba presente nel Paese.Già nel 1948, la stessa commissione quadripartita ar-rivò brevemente alla conclusione, anche grazie al ve-

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L

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dipendenza la Somalia, favorendone lo sviluppo poli-tico, economico e sociale. In ciò è particolarmente significativo ricordare chel’Amministrazione Fiduciaria Italiana della Somaliarappresentò un ritorno del nostro Paese sulla scenadiplomatica e costituì una bella prova delle Forze Ar-mate italiane di cui i Carabinieri rappresentarono l’ec-cellenza in termini di efficacia ed efficienza.Un ruolo di primo piano fu infatti riservato all’Arma,che dovette procedere all’organizzazione di una forzadi polizia locale, imparziale ed efficiente, in grado diaffrontare le sfide connesse al raggiungimento dell’in-dipendenza della ex colonia italiana il 1° luglio 1960.In tale quadro, l’Arma dei Carabinieri ebbe i compiti

nire meno del veto inglese, della necessità di attribuireall’Italia (che in quel momento non era neppure Statomembro dell’ONU) il mandato, ma si dovette atten-dere l’approvazione formale da parte dell’AssembleaGenerale delle Nazioni Unite il 21 novembre 1949dopo che le Potenze Alleate non erano riuscite a tro-vare una soluzione univoca. Così l’inaugurazione dell’Amministrazione FiduciariaItaliana della Somalia (AFIS) ebbe luogo ufficialmenteil 1° aprile 1950 con la cerimonia dell’alzabandiera.L’Italia aveva ottenuto una grande opportunità permostrare la propria maturità come Paese democraticoin campo internazionale: nel corso di 10 anni il go-verno italiano avrebbe dovuto portare alla piena in-

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MOGADISCIO, 20 DICEMBRE 1953. SFILANO I MOTOCICLISTI

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di garantire immediatamente l’ordine e la sicurezzapubblica sul territorio e di riorganizzare quindi leforze dell’ordine locali, a cui assegnare progressiva-mente le funzioni di polizia guidate dall’attività di tu-toraggio demandata a ufficiali, sottufficiali eCarabinieri, garantendo progressivamente le posizionidi comando aperte agli agenti somali, in linea con unasempre maggiore autonomia operativa.L’ONU, come previsto, avrebbe esercitato i relativicontrolli tramite un Consiglio Consultivo formato darappresentanti diplomatici di Colombia, Filippine edEgitto e da un segretario del Consiglio, il funzionarioaustriaco Egon Ranshofen Wertheimer, che al terminedella sua esperienza dichiarò all’autorità politica im-personata dall’amministratore dell’AFIS che l’Italiaaveva «nel suo gioco una grande carta: i carabinieri». Infatti, dopo un iniziale dispiegamento dei contingentidelle varie Forze Armate, progressivamente la compo-nente militare si ridusse, in considerazione della sta-

bilizzazione della situazione politica e sociale manmano che la cosiddetta “somalizzazione” prendevapiede, facendo apprezzare ancora di più il ruolo del-l’Arma. La struttura del contingente prevedeva il Corpo di Si-curezza dell’AFIS che inquadrava circa 3.000 uominisotto il comando di un generale dell’Esercito e conuna struttura interforze (Esercito, Marina e Aeronau-tica) e il Gruppo Carabinieri della Somalia con circa2.300 uomini previsti inizialmente e una riserva stra-tegica dislocata in Italia e pronta ad essere impiegatain caso di bisogno.Il primo nucleo partì da Napoli il 5 febbraio 1950,con il Comandante del Gruppo Carabinieri a cuierano assegnate le funzioni di Capo della Polizia. Il 1° aprile 1950, al momento del passaggio dei poteri,in Somalia si trovavano già: un battaglione e due compagnie Carabinieri autopor-tate, inquadrate nel “Corpo Italiano di Spedizione”,

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MOGADISCIO, 1° APRILE 1951.

FESTA DEL CORPO DI POLIZIA

DELLA SOMALIA. GLI AUTOMEZZI DEL

COMANDO CORPO DI POLIZIA APRONO LA SFILATA

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MOGADISCIO, 20 DICEMBRE 1953.

SFILANO LE JEEP DEL "REPARTO CELERE"

che ebbero il compito di presidiare il territorio all’attodel transito dei poteri dall’amministrazione militarebritannica e rientrarono in Italia nel giugno del 1950;un “Gruppo Territoriale Carabinieri” di 514 unità (25ufficiali, 143 sottufficiali e 346 tra appuntati e cara-binieri) che rimase invece in Somalia a lungo.Nel corso del tempo, il reparto assicurò l’ordine e lasicurezza pubblica e, contemporaneamente, riorga-nizzò la polizia somala e rese autonomo ed operativoil suo personale (processo di c.d. “somalizzazione”).Tra i tanti compiti, dunque, che l'Italia doveva portarea buon fine, nel quadro dell'avvio all'indipendenzadella Somalia, vi era la costituzione di una Forza Ar-mata somala e di un Corpo di Polizia per il manteni-mento dell’ordine pubblico e della stabilità.Tale incarico affidato all'Arma aveva un valore stra-tegico perché doveva garantire al Paese del Cornod’Africa di sottrarsi a guerre fratricide. Organizzare una Polizia somala non era compito age-vole, soprattutto dopo nove anni di amministrazionebritannica, che aveva inquadrato, nel 1945, una So-malia Gendarmery, corpo ordinato militarmente, mai cui appartenenti erano stati esclusi da ogni comandoo posto decisionale, a qualsiasi livello.

In seguito al grave eccidio del gennaio del 1948 adanno degli italiani residenti a Mogadiscio e dei so-mali accorsi in loro aiuto, si era dovuto provvedereall’espulsione dalla Gendarmery di alcuni elementi ealla riorganizzazione in un nuovo corpo, denominatoSomalia Police Force.Un importante limite all’azione delle Forze Armateitaliane era legato al fatto che l’Italia si era impegnataa non sciogliere tale corpo, né a effettuare massicci li-cenziamenti, anche a fronte dell’ostilità dei suoi ap-partenenti. La “somalizzazione” della Polizia furealizzata in tre fasi successive, secondo il progrediredella formazione attribuita al personale locale:affiancamento del personale somalo; assunzione delcomando da parte di ufficiali e sottufficiali dell’Arma;responsabilità dell’Arma per la tutela dell’ordine edella sicurezza; preparazione tecnico – giuridica del per-sonale somalo; graduale inserimento del personale so-malo qualificato nell’effettivo esercizio delle funzionidi polizia; graduale cessione del comando ad ufficialie sottufficiali somali; responsabilità della Polizia So-mala per la tutela dell’ordine e della sicurezza.Non fu un’esperienza priva di rischi e non mancaronole perdite tra i Carabinieri. Quello dei caduti è un

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aspetto quasi sconosciuto del contributo delle FF.AA.nella ricostruzione di quel Paese e che qui si vuole ri-cordare: un contributo, spesso di sangue, offerto daiCarabinieri (e non solo da questi) nella prima opera-zione di pace all’estero a cui l’Italia partecipò comeRepubblica. Il primo deceduto fu il ventiquattrenne CarabiniereMario Porru, in forza alla legione di Cagliari con laqualifica di “conduttore-meccanico”; giunto tra lafine di marzo e l’inizio di aprile 1950 con il primocontingente di Carabinieri, era stato assegnato al nu-cleo mobile di Mogadiscio. Tuttavia, di lì a poco furicoverato d’urgenza all’Ospedale civile della capitalesomala dove decedette il 25 aprile per setticemia. Altri militari dell’Arma, sempre in servizio in Somaliain quel periodo, furono decorati “alla memoria”: ilMaresciallo Maggiore Flavio Salacone e il Carabi-niere Luciano Fosci per attività di ordine pubblico eil Maresciallo Capo Giuseppe Cavagnero in attivitàdi soccorso. Il Maresciallo Salacone era nato a Venosa (PZ), nel1904, si era arruolato diciannovenne e aveva parteci-pato al Secondo Conflitto Mondiale ricevendo duecroci al merito di guerra, per il periodo 1939/1940 inAlbania, 1942/1943 in Grecia e, dal 1943 al 1945,quale membro del Fronte clandestino della Resistenzae nella Guerra di Liberazione, mentre il CarabiniereLuciano Fosci, nato a Bomarzo nel 1926, si era arruo-lato nell’Arma e aveva svolto servizio in Italia per es-sere poi destinato, volontario, in Somalia.Il 1° agosto 1952, i primi due si trovavano a Chisi-maio quando, nel corso di alcune violente manifesta-zioni della popolazione, sfociate in azioniapertamente ostili, trovarono la morte insieme al-l’ispettore di polizia somalo Auod Salim, mentre unufficiale e un sottufficiale dei Carabinieri e otto agentidella polizia somala rimasero feriti. La motivazionedella Medaglia d’Oro al Merito Civile “alla memoria”conferita ai due militari è la seguente: “Comandantedi/Addetto a stazione operante in ex colonia affidataall'amministrazione fiduciaria italiana, in occasionedi una violenta manifestazione politica, con eccezio-nale senso di abnegazione e sprezzo del pericolo ten-tava invano, unitamente al proprio Comandante, di

bloccare i dimostranti, ma veniva assalito con inau-dita ferocia e colpito a morte. Mirabile esempio di al-tissimo senso del dovere e di elette virtù civiche, spintifino all’estremo sacrificio”. La morte dei due militari in territorio straniero mettein risalto alcuni aspetti:- la consapevolezza che, benché fosse una missione inuna ex colonia e che la presenza italiana fosse lì con-solidata da decenni, non si trattava di una attivitàpriva di rischi a cui i militari non si sottrassero;- la morte durante un servizio d’istituto in una localitàdecentrata rispetto la capitale sottolinea la capillaritàdel dispiegamento dei Carabinieri nell’ambito dellamissione;- il decesso, unitamente ad un cittadino somalo, sot-tufficiale di polizia, testimonia l’unica appartenenzaad una sola comunità: quella delle forze dell’ordine,ove furono accomunati senza distinzioni di età, di na-

SOMALIA. MILITARE DEL BATTAGLIONE

CARABINIERI A BORDO DEL CARRO ARMATO STUART

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zionalità, di uniforme e di razza.Il terzo militare decorato, il Maresciallo Cavagnero,era nato a Pralormo (TO) nel 1911, arruolatosi ven-tenne nell’Arma dei Carabinieri, aveva prestato servi-zio nell’ambito delle Legioni Carabinieri di Roma, diLivorno, di Torino, di Napoli e di Bologna. Internato in Germania tra il 1943 ed il 1945, al rien-trò in Italia aveva prestato servizio sino al 1° maggio1956, data di partenza, volontario, per la Somalia, ovefu assegnato alla tenenza di Mogadiscio con l’incaricodi esperto tecnico dei mezzi dello squadrone blindo-corazzato della Polizia somala. Nel caso del Maresciallo Cavagnero la decorazioneconcessa fu una Medaglia d’Argento al Valor Civile“alla memoria”, per l’episodio accaduto a Mogadi-scio il 22 marzo 1959. La motivazione della medaglia è già di per sé suffi-ciente a descrivere l’evento: “Incurante del gravissimo

rischio si lanciava in soccorso di un sottufficiale, inprocinto di essere travolto da forti ondate e da impe-tuosa corrente. Nel generoso tentativo perdeva la vita,vittima del suo nobile e coraggioso altruismo”. Appare una evidente testimonianza dei rischi imma-nenti l’attività quotidiana dei Carabinieri, durante ilservizio e fuori da esso, in Italia e all’estero. Il Maresciallo Cavagnero, infatti, non esitò a rischiarela propria vita per soccorrere chi aveva bisognod’aiuto. Tali carabinieri rappresentano idealmentetutti coloro che hanno prestato servizio in Somaliadurante l’AFIS per offrire un contributo attivo all’edi-ficazione di un Paese in procinto di celebrare la pro-pria indipendenza.Tornando ai compiti sopra accennati, il Comando delGruppo Territoriale Carabinieri doveva dunque as-sorbire la Somalia Police Force e costruire una forzadi polizia in grado di garantire la stabilità di quel ter-

MOGADISCIO.

PERSONALE DI UNA COMPAGNIA

MOTOCORAZZATA DINNANZI

L’INGRESSO DELLA CATTEDRALE

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18 SETTEMBRE 1954. GIURAMENTO DI 23 ALLIEVI AGENTI DEL CORPO DI POLIZIA DELLA SOMALIA. IN ALTO, IL GIURAMENTO SUL

CORANO ALLA PRESENZA DEL CAPO DEI CADI NELLA SOMALIA. IN SECONDO PIANO IL COMANDANTE, TENENTE COLONNELLO

UMBERTO RIPA DI MEANA. IN BASSO, L’AGENTE BACIA LA BANDIERA DEL CORPO

18 SETTEMBRE 1954. GIURAMENTO DI 23 ALLIEVI AGENTI DEL CORPO DI POLIZIA DELLA SOMALIA. IN ALTO, IL GIURAMENTO SUL

CORANO ALLA PRESENZA DEL CAPO DEI CADI NELLA SOMALIA. IN SECONDO PIANO IL COMANDANTE, TENENTE COLONNELLO

UMBERTO RIPA DI MEANA. IN BASSO, L’AGENTE BACIA LA BANDIERA DEL CORPO

18 SETTEMBRE 1954. GIURAMENTO DI 23 ALLIEVI AGENTI DEL CORPO DI POLIZIA DELLA SOMALIA. IN ALTO, IL GIURAMENTO SUL

CORANO ALLA PRESENZA DEL CAPO DEI CADI NELLA SOMALIA. IN SECONDO PIANO IL COMANDANTE, TENENTE COLONNELLO

UMBERTO RIPA DI MEANA. IN BASSO, L’AGENTE BACIA LA BANDIERA DEL CORPO

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ritorio; in parallelo, il battaglione Carabinieri, usatocome riserva operativa in caso di gravi incidenti di or-dine pubblico, manteneva la doppia funzione di re-parto combattente e organo di Polizia: da sempre laspeciale caratteristica dell’Arma dei Carabinieri.All’inizio fu anche costituito un Nucleo mobile difrontiera, un reparto di pronto intervento a caratteremilitare, dislocato a Belet Uen e articolato in tre sot-tonuclei e una squadra, allo scopo di garantire il con-trollo dei posti di confine con l’Etiopia che, moltopermeabili, non di rado erano attraversati per com-piere incursioni con razzie di uomini e di bestiame econ ripetute violenze ai danni della popolazione lo-cale. L’impiego di quel reparto riuscì particolarmentefelice e la situazione migliorò radicalmente. Nell’ambito del corpo di polizia fu anche istituito unreparto celere, con sede a Mogadiscio, per garantireinterventi rapidi nel delicato settore dell’ordine pub-

blico. La struttura del Corpo prevedeva: il comandodi gruppo, 2 compagnie territoriali, 3 tenenze auto-nome, 1 tenenza, 1 sezione, 1 reparto comando, 1 re-parto comando polizia somala, 35 stazioni territorialidi cui 13 con personale esclusivamente somalo, 33posti fissi, un centro tecnico di Polizia Giudiziaria concasellario giudiziario a Mogadiscio. Furono istituiti anche dei nuclei di polizia giudiziariapresso ciascun comando territoriale prevalentementeformati da personale somalo. In linea con quanto era stato stabilito, la cosiddetta“somalizzazione” continuò a prender piede per tuttoil periodo: dopo meno di un anno, il battaglione e le2 compagnie autoportate alle dipendenze del Corpodi Sicurezza lasciarono la Somalia. Si arrivò così ad avere presenti sul territorio solo i Ca-rabinieri del gruppo territoriale con gli effettivi già ri-dotti: dalle 521 unità dell'inizio del servizio, gli

MOGADISCIO, 20 DICEMBRE 1953. FORTE CECCHI. IN BASSO, A SINISTRA L'AMMINISTRATORE DELLA SOMALIA CONSEGNA UNA

DELLE PISTOLE "A TITOLO D'ONORE" DALL'AFIS A ELEMENTI DEL CORPO DI POLIZIA DISTINTISI IN SERVIZIO. A DESTRA,

L'AMMINISTRATORE DELLA SOMALIA CON LA "MASCOTTE" DEL CORPO DI POLIZIA DELLA SOMALIA

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48 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

effettivi scesero a 320, ufficiali compresi, nella se-conda metà del 1952. I dati del 1953 fotografano unaulteriore riduzione organica in Somalia: 13 ufficiali,81 sottufficiali e 90 tra appuntati e carabinieri per untotale di 184 militari. Nell’ambito del corpo di sicurezza interforze era inol-tre presente uno squadrone blindo-corazzato di cara-binieri, con una forza organica di 23 ufficiali, 80sottufficiali e 230 carabinieri.Nel 1956 il presidio sarebbe passato alle dipendenzedell'Amministratore italiano con la fusione del corpodi sicurezza e del corpo di polizia somala, in un unicoorganismo denominato Forze di Polizia della Somalia.

Il nuovo corpo era organizzato su un comando, l’or-ganizzazione territoriale (comandi regionali e distret-tuali di polizia) e l’organizzazione mobile (1 comandodi gruppo mobile e compagnie mobili) agli ordini deltenente colonnello Umberto Ripa di Meana che rive-stiva le funzioni di comandante del corpo di polizia.Le forze militari già facenti parte del disciolto corpodi sicurezza furono raggruppate, ad eccezione dell’Ae-ronautica militare, nel nuovo Esercito della Somalia.Anche l'Aeronautica e gli elementi della Marina Mi-litare comandati in Somalia passavano alle dirette di-pendenze dell'Amministratore. Il tempo correva e l’anno successivo si procedette ad

PAGINE DI STORIA

INGRESSO DELLA NUOVA CASERMA FELICE MARITANO

- 1950 dislocazione dei Carabi-nieri presso tutti i comandi; di-missioni del personale somaloirrecuperabile. Inizio corsi diistruzione (organico dell’Armapresente in area pari a 1.180unità);- 1951 inizio corsi di avanza-mento per sottufficiali; per laprima volta, il comando di unastazione (Balad) è affidato a unispettore somalo (il personale è ri-dotto a 400 unità);- 1952 avvio corsi di specializza-zione; 10 stazioni e 24 posti fissisono affidati a sottufficiali somali(320 militari dell’Arma);- 1953 il “Corpo di Polizia dellaSomalia” è accorpato al “GruppoCarabinieri” con la progressivasostituzione dei militari dell’Armacon agenti somali (organico ri-dotto a meno di 200 unità);

- 1954 l’avvio dei corsi di appli-cazione per aspiranti ufficialiconsentì di assegnare progres-sivamente ai somali i comandid’ufficiale (organico dell’Arma su185 unità);- 1955 nel giro di un anno tutti iposti fissi e le stazioni, quasi tuttele tenenze sono “somalizzati”(168 unità);- 1956 si arriva alla soppressionedel “Comando Gruppo Carabi-nieri e Corpo di Polizia della So-malia” con la costituzione del“Comando Forze di Polizia dellaSomalia”. Gli ufficiali dell’Armaavevano il comando dei repartimobili (168 militari con un orga-nico che sale, da settembre, a 328unità);- 1957 sostituzione della quasi to-talità degli ufficiali dell’Arma concapitani somali (organico Arma:

291 unità);- 1958 il personale dell’Arma sistacca dalla “Polizia Somala” ecostituisce la “Compagnia Au-tonoma Carabinieri” con compitidi consulenza ed assistenza tec-nica; si conclude il processo di“somalizzazione” della Polizia; ilComando della Polizia viene ce-duto ad un maggiore somalo pre-scelto da quel Governo (fino aluglio sono presenti 63 Carabi-nieri, poi ridotti a 44);- 1959 continua l’attività di con-sulenza ed assistenza tecnica neisettori organizzativo, addestra-tivo ed operativo da parte della“Compagnia Autonoma Carabi-nieri” (44 unità);- 1960 giugno/luglio, anche la“Compagnia Autonoma Carabi-nieri” cessa le sue funzioni e sipredispone per il rientro in Patria.

I MOMENTI PIÙ IMPORTANTI DEL COMPLESSO RUOLO DI ADDESTRAMENTO,DI MONITORAGGIO E DI SOSTEGNO TENUTO DALL’ARMA ALLA POLIZIA SOMALA:

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ulteriori riduzioni del personale italiano. Nel 1958,con la cessione dell’incarico di capo della Polizia trail tenente colonnello Alfredo Arnera e il parigrado so-malo Mohamed Abscir Musse, si poteva considerareterminato il cosiddetto “processo di somalizzazione”.La “compagnia autonoma Carabinieri”, ultima com-ponente dell’Arma in Somalia, svolse i compiti di con-sulenza e di orientamento a supporto del personaledel Corpo di polizia somala.Il 30 giugno anche l’ultimo contingente italiano conuna solenne cerimonia ammainò definitivamente iltricolore: il 1° luglio 1960 la Repubblica somala di-chiarò l’indipendenza, le Forze di Polizia della Soma-lia erano una realtà oramai consolidata.Uno degli ufficiali protagonisti della missione, in unasua memoria, affermò all’atto della conclusione dellamissione: “Resta laggiù qualcosa di più che il ricordo:un retaggio vivo e operante, un forte organismo mili-tare temprato alla scuola severa del carabiniere ita-

liano”. Il Colonnello Brunero aveva rappresentato ef-ficacemente il legame che si era creato tra poliziottisomali e Carabinieri italiani. Tuttavia se è vero che nel Corno d’Africa vi era rima-sto molto di più di un ricordo, il legame si consolidòancora per molti anni. Raggiunta l’indipendenza, la Somalia mantenne unagrande vicinanza con l’Italia, continuando a inviare ipropri allievi ufficiali e ufficiali allievi a formarsi nellagestione del personale e nella polizia giudiziaria pro-prio nel nostro Paese. Sino ai primissimi anni Novanta, ufficiali dell’Armadei Carabinieri e della Polizia somala svolsero insiemeil percorso formativo che li avrebbe condotti al co-mando delle rispettive unità. Neppure lo stato di anar-chia in cui cadde poi la Repubblica somala è riuscitoa spezzare tale relazione che negli ultimi anni si è rin-saldata. Ma questa è un’altra storia.

Flavio Carbone

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NAPOLI, 23 GENNAIO 1951. IL PIROSCAFO "UGOLINO VIVALDI"

CHE TRASPORTA I CARABINIERI DEI BATTAGLIONI

MOTOBLINDATI REDUCI DALLA SOMALIA,

APPRODA AL MOLO ANGIOINO

DEL PORTO DI NAPOLI

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50 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

IN SERVIZIO

sulle isole minoriMOTOVEDETTA IN AZIONE NELLE ACQUE DELLE ISOLE EOLIE

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NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI 51

di RAFFAELE GESMUNDO

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Il patrimonio insulare italiano consta di oltre 800isole, di cui solo un'ottantina, comprese le duemaggiori del Mediterraneo, la Sicilia e la Sarde-

gna, sono abitate. Un’incredibile varietà di isole, iso-lotti, faraglioni e scogli, vicini alle coste o in silenziosasolitudine tra le onde del mare, caratterizza un aspettonon secondario della morfologia peninsulare dagli im-portanti riverberi sull’economia ittica e turistica na-zionale. Paesaggi mozzafiato che si animano nei mesipiù caldi dell’anno, meta di vacanzieri alla ricerca diacque limpide e spiagge incontaminate e che, quandoil sipario dell’estate cala con l’arrivo dei primi freddi,diventano uno spettacolo naturale riservato ai pochiresidenti che su quelle isole conducono la loro quoti-dianità. L’Arma dei Carabinieri, grazie alla sua pecu-liarità principale, la capillarità sul territorio, èpresente con le proprie Stazioni anche sulle isole mi-nori, a garantire giornalmente sicurezza e protezionealle comunità che, seppur non sempre molto nume-rose, popolano le nostre splendide isole.Oggi, considerando esclusivamente le isole marine,contiamo ben 32 Stazioni Carabinieri dislocate su 23differenti isole. Le uniche che in virtù della loro estensione registranola presenza di più presidi dell’Arma sono l’isolad’Elba e le isole di Ischia e di Capri, rispettivamentecon sei, quattro e due stazioni.Gli abitanti delle isole sulle quali vi è una direttaazione dell’Arma, suddivisi in piccolissimi villaggi dipescatori o in vere e proprie cittadine, sono circa192.000 e variamente distribuiti in diverse realtà re-gionali (Sicilia, Sardegna, Toscana, Lazio Campania e

Puglia). La storia che lega i Carabinieri a questi terri-tori, o forse angoli di paradiso, è spesso ultracentena-ria.

LE DIECI STAZIONI INSULARI IN SICILIASulle piccole isole siciliane, così come in gran partedella Sicilia, i carabinieri giunsero a seguito dell’im-presa dei Mille e del proclama di Garibaldi con ilquale assunse la “dittatura” dell’isola in nome di Vit-torio Emanuele II. Nacque subito l’esigenza di for-mare un corpo di polizia per garantire l’ordine e lasicurezza pubblica nelle località appena liberate. A tal scopo fu inviato nell’isola, nel settembre del1860, il Capitano Francesco Saverio Massiera. Questigiunse a Palermo con un drappello composto datrenta militari, formalmente dimissionari dal corpo diappartenenza e in Sicilia come volontari, per dare unassetto funzionale e assumere, l’8 ottobre 1860, il co-mando del “Corpo dei Carabinieri Reali di Sicilia”.Con l'annessione al nascente stato italiano fu decisal'estensione all'isola dell’organizzazione territorialedei Carabinieri Reali. Il 25 ottobre successivo fu inviato sull’isola, per or-ganizzare e sovrintendere a questo compito, il Colon-nello Giovanni Serpi unitamente ad altri tre ufficiali,60 sottufficiali ed un congruo numero di carabinieri(25 ottobre). La riorganizzazione dei Carabinieri nel nuovo regnoè riportata nello scompartimento territoriale del 1861– 1862, ove sono già citati i comandi Stazione delleisole di Pantelleria, Lipari, Ustica e Favignana.Anche l'Arcipelago delle Pelagie viene unito al Regno

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sono di più recente istituzione. Se per le isole di Fili-cudi, di Santa Maria Salina e di Stromboli la presenzadell’Arma risale al 1932, la Stazione Carabinieri del-l’isola di Vulcano ha una storia più particolare. La presenza sull’isola dei Carabinieri si registra dallafine degli anni ’40, con l’apertura di una stazione tem-poranea solo per i mesi estivi e con l’impiego di per-sonale appartenente alla Compagnia di Milazzo edalle Stazioni insulari limitrofe di Lipari e Stromboli.L’isola, sino ad allora poco frequentata, venne valo-rizzata e conosciuta dal grande pubblico in queglianni, grazie al successo cinematografico del registaWilliam Dieterle “Vulcano", interpretato da AnnaMagnani e Rossano Brazzi, che portò le prime ondatedi turisti attirati, oltre che dalla bellezza dei luoghi,anche dalla curiosità di poter effettuare escursioni suicrateri ancora attivi dell’isola e dai riconosciuti bene-fici termali dei suoi fanghi e vapori sulfurei. Nel 1977 vi fu la trasformazione della stazione tem-poranea in posto fisso stagionale. Solo nel 1999, il 1° maggio, venne istituito il Co-mando Stazione di Vulcano, posto alle dipendenzedella Compagnia di Milazzo, con giurisdizione com-prendente esclusivamente il territorio dell’isola, a sal-vaguardia dei suoi 640 abitanti.Durante il secondo conflitto mondiale, per la loroparticolare posizione strategica, le isole siciliane fu-rono teatro di importanti attacchi. A Lampedusa peresempio, trasformata in una vera e propria roccafortemilitare in virtù della privilegiata posizione rispettoall’Africa del nord, si registrarono duri bombarda-menti da parte delle Forze Alleate, specie durante igiorni dello sbarco in Sicilia. Anche Linosa, benché in misura più lieve, subì nume-rosi danni. Stessa sorte per l’isola di Pantelleria. I bombardamenti durarono 35 giorni consecutivi.Venne distrutto l’aeroporto e parte del centro storico,che fu poi raso al suolo completamente dagli Ameri-cani che vi effettuarono un reportage fotografico apuro scopo propagandistico.

d'Italia, ma il Governo italiano non si occupa di Lam-pedusa e Linosa fino al 1872, quando decide di im-piantare sull’isola una «colonia penale» di condannatial domicilio coatto. Durante il giorno gli ospiti del pe-nitenziario possono uscire dall’edificio per lavorarein proprio o in aiuto dei contadini e dei pescatori, conl'obbligo di rientrare al tramonto al segnale dato conla tromba.Solo in documenti del 1907 compare per la primavolta la menzione della presenza dell’Arma sull’isoladi Lampedusa, con l’indicazione dell’istallazione diun comando Stazione, con competenza anche sul-l’isola di Linosa. Quest’ultima invece avrà una pro-pria Stazione Carabinieri diversi anni dopo, nel 1967. Tranne Lipari, dove la presenza dell’Arma, come an-ticipato, risale al 1861, le restanti isole delle Eolie

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IL MAGGIORE FRANCESCO SAVERIO MASSIERA, ASSUNSE IL

COMANDO DELLA LEGIONE CC.RR. PALERMO NEL 1863

(NELLA FOTO IN UNIFORME DA GENERALE)

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berto, i Carabinieri di Sardegna furono sciolti e sosti-tuiti nel 1832 dai Cavalleggeri di Sardegna.L’unità di cavalleria disimpegnò le funzioni sino al1853 quando, con regio decreto del 21 aprile, fu ri-costituito il Corpo dei Carabinieri Reali in Sardegna.Nello scompartimento territoriale del 1861 – 1862,vi è già traccia della Stazione La Maddalena, delle Sta-zioni dell’arcipelago del Sulcis a Carloforte, sull’isoladi San Pietro ed a Sant’Antioco, sull’omonima isola.L’isola di Asinara, che oggi ospita una Stazione del-l’Arma, in quel periodo era sotto la giurisdizione dellaStazione di Porto Torres la cui forza, all’epoca moltocontenuta rispetto all’estensione territoriale, lascia in-tendere che la zona fosse tutto sommato tranquilla ri-spetto ad altre realtà sarde, tormentate dal fenomenodel brigantaggio.Nel 1885 la scelta del governo italiano di costituireproprio sull’isola dell’Asinara un lazzaretto per laquarantena sanitaria, allo scopo di contenere perico-lose epidemie, unito alla fondazione di una coloniapenale, costrinse i circa 500 abitanti dell’isola a tra-sferirsi nella quasi totalità nella località Istintinu delcomune di Sassari (oggi comune di Stintino). Con lacostituzione di tale borgata la Stazione di Porto Torresampliò la propria giurisdizione anche su quel territo-rio già ricompreso in quella di Sassari. L’isola passa così sotto la gestione del Ministero del-l’Interno per il lazzaretto, del Ministero di Grazia eGiustizia per la colonia penale e del Ministero dellaMarina per la gestione dei fari presenti. Con lo scop-pio del Primo Conflitto Mondiale e l’arrivo di prigio-nieri di guerra austro-ungarici, il controllo del campodi prigionia impiantato sull’isola venne demandatoall’Esercito mentre i Carabinieri espletarono, attra-verso la costituzione di una unità speciale, compiti dicontrollo del territorio e polizia militare. Tra il 1916 e il 1917, il Colonnello dei CarabinieriAntonio Vannugli, in congedo e richiamato in servizioausiliario, assunse il comando del campo per i prigio-nieri di guerra dell’Asinara.

LE QUATTRO STAZIONI INSULARI SARDELa presenza dei Carabinieri sulle isole minori dellaSardegna segue le vicende della storia dell’Arma inquella regione che, pur sotto la medesima corona,mantenne a lungo istituzioni e ordinamenti distinti daquelli piemontesi. I Carabinieri ebbero qui il ruolo digaranti dell’ordine e della sicurezza pubblica unaprima volta a partire dal 1822, subentrando a corpimilitari con funzioni di polizia già presenti sul terri-torio. Tuttavia, con l’avvento al trono di re Carlo Al-

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PAGINE DI STORIA

IL GENERALE

GIOVANNI SERPI.

CON DELEGA

DEL COMITATO

DELL’ARMA ASSUNSE

LA CARICA DI

ISPETTORE DEL CORPO

DEI CARABINIERI

REALI IN SICILIA

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54 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

La buona gestione del campo stesso gli consentì di ot-tenere la promozione a generale, terminando la car-riera con il grado di generale di divisione nel 1923nella riserva.Sull’isola, durante la Seconda Guerra Mondiale, vi erala presenza di una Stazione dell’Arma. Durante glieventi bellici i militari rimasero al loro posto e la Sta-zione continuò ad operare per tutto il periodo.Presso l’Asinara, con la riforma dell’ordinamento car-cerario del 1975 che prevedeva un particolare tratta-mento per i terroristi reclusi, fu costituito ilsupercarcere dove furono inviati negli anni di piomboalcuni tra i più importanti terroristi nonché molti de-tenuti mafiosi sottoposti al regime del carcere duronel periodo compreso tra il 1992 e il 1995. A cavallo tra anni ottanta e novanta tra i reclusi ec-cellenti si ricordano anche il capo della nuova ca-morra organizzata, Raffaele Cutolo, e il boss mafiosoTotò Riina. Sino al 1997, anno di dismissione del car-cere, i Carabinieri vi svolgevano un servizio di sicu-rezza esterna dell’istituto penitenziario unitamente apersonale di Polizia di Stato e Polizia Penitenziaria.

Sull’isola di La Maddalena gli eventi legati al secondoconflitto mondiale furono molto rilevanti. I 25 mili-tari della locale Stazione, quando alla proclamazionedell’Armistizio l’8 settembre 1943 il presidio tedescocostituito da circa 500 elementi, dapprima orientatoa raggiungere la Corsica, decise improvvisamente dioccupare l’isola, si asserragliarono all’interno dellaloro caserma pur di non consegnare la Stazione, e l’in-tera isola, all’invasore.Il 13 settembre vi fu una vera e propria battaglia traforze italiane presenti sull’isola, tra cui i Carabinieridella Stazione, e quelle tedesche. I nazisti, pressati daogni parte, furono costretti a chiedere la tregua. Neigiorni successivi i tedeschi, ottenuto il rilascio dei loroprigionieri e la restituzione delle armi, attuarono losgombero dell’isola. Durante la battaglia del 13 set-tembre caddero il Carabiniere Giovanni Gallu e l’Ag-giunto Giuseppe Melis, mentre l’unico ferito ful’Appuntato Alfredo D’Angelo. I militari della Sta-zione La Maddalena parteciparono anche ai combat-timenti che avvennero in quei giorni per difendere ilfortino “camiciotto” insieme ai reparti della Marina.

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L’ISOLA DI VULCANO.

TERZA ISOLA PER ESTENSIONE DELLE EOLIE

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NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI 55

I CARABINIERI SULLE ISOLE ADRIATICHE E TIRRENICHE

L’unica stazione carabinieri insulare presente nel MarAdriatico, considerando Chioggia, Murano e Buranoisole lagunari, è quella di Isole Tremiti. Nella riorga-nizzazione dei Carabinieri nel nuovo regno riportatanello scompartimento territoriale del 1861 – 1862non vi è ancora traccia di questo Comando, proba-bilmente istituito poco tempo dopo. La Stazione appare formalmente nel 1864, con com-petenza areale sulle isole dell’arcipelago delle TremitiCapraia, San Domino e San Nicola. Nel 1926 si regi-strò un aumento di Carabinieri sull’isola al fine dipoter meglio fronteggiare il servizio di sorveglianzasui confinati politici. La Stazione Isole Tremiti passònel 1972 da “temporanea” a “definitiva”. Nel 1983tornò “temporanea a carattere stagionale” con aper-tura dal 1° giugno al 30 settembre di ogni anno; du-rante il periodo di chiusura il territorio passava sottola giurisdizione della Stazione Carabinieri di Manfre-donia. Dal 1° aprile 1985 infine la Stazione Isole Tre-miti tornò ad essere definitivamente “permanente”. Più nutrito il numero di isole del Mar Tirreno sullequali l’Arma oggi è presente. Da nord a sud ricor-diamo le isole dell’arcipelago toscano, isole di Ca-praia, D’Elba e del Giglio, le isole laziali di Ponza eVentotene e le isole campane di Ischia, Capri e Pro-cida. Quasi tutte queste Stazioni furono istituite nel1861. In Toscana i primi Carabinieri giungono nellaprimavera del 1859, durante la II Guerra d’Indipen-denza, a seguito dell’insurrezione popolare che deter-mina la fuga del granduca di Toscana Leopoldo II diLorena e l’arrivo a Firenze, su richiesta degli insorti,di un commissario regio piemontese. Nello scompartimento territoriale del 1861 già risul-tano istituite la Stazione Isola del Giglio e le StazioniCarabinieri di Portoferraio, Rio Marina, MarcianaMarina, Capoliveri e Porto Azzurro (con la denomi-nazione di Longone) sull’isola D’Elba, mentre CampoElba e la Stazione dell’isola di Capraia figurano per

la prima volta in quello del 1898. A Rio Marina la notte tra il 31 gennaio ed il primofebbraio 1950 alcune persone lanciarono una bombaa mano contro l’ingresso della locale Stazione Cara-binieri. Le indagini effettuate consentirono di appu-rare che l’attacco fu opera di tre marittimi del postoche nutrivano un forte risentimento nei confrontidell’allora Comandante di quella caserma, che avevacondotto degli accertamenti nei loro confronti perconto della Previdenza Sociale e a seguito dei qualivenne sospesa l’erogazione del sussidio di disoccupa-zione che gli autori di quel vile gesto, fraudolente-mente, percepivano.Nel Lazio anche le Stazioni di Ventotene e Ponza fu-rono istituite nel 1861. Quest’ultima, nel 1928, ana-logamente a quanto accadde due anni prima allaStazione Isole Tremiti, fu rinforzata di 18 militari perpoter far fronte alle incombenze derivanti dall’istitu-zione sull’isola di una colonia di confinati politici.Stessi natali per quasi tutte le Stazioni operative oggisulle isole campane Ischia, Procida e Capri: 1861. Inquell’anno l’isola di Ischia aveva già due comandi Sta-

PAGINE DI STORIA

IL COLONNELLO

ANTONIO VANNUGLI.

TRA IL 1916 E IL 1917

ASSUNSE IL COMANDO

DEL CAMPO PER

I PRIGIONIERI DI

GUERRA DELL’ASINARA

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56 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

zione: Forio, con competenza sulle località di Casa-micciola e Lacco, e Ischia, con giurisdizione su quelledi Barano, Testaccio e Serrara. Solo successivamente,a partire dal 1907, vennero istituite altre due StazioniCarabinieri: Casamicciola Terme e Barano d’Ischia.Sull’isola di Capri, all’omonima Stazione si aggiunsenel 1932 quella di Anacapri.

PRINCIPALI OPERAZIONI DI SOCCORSOL’attività istituzionale dell’Arma su queste isole è in-centrata, soprattutto durante i mesi caldi, sulla speci-fica attività di controllo e vigilanza lungo le coste edin mare, a salvaguardia dell’incolumità dei bagnanti.Le cronache di ogni tempo sono ricche di episodi incui l’intervento tempestivo, impavido e risolutivo diCarabinieri ha consentito di salvare numerose viteumane. Il 26 giugno del 1963 sull’isola di Linosa, due carabi-nieri della locale Stazione, il Vicebrigadiere DomenicoAdamo ed il Carabiniere Sergio Ghione, accorsero inaiuto di un trentasettenne di Favara, funzionariopresso l’Ispettorato Agrario di Agrigento, che mentre

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camminava sugli scogli era scivolato in acqua ve-nendo spinto a largo dalla forte corrente. I due Cara-binieri, che stavano svolgendo una pattuglia nei pressidella banchina “Scalo Vecchio” dell’isola, si accorseroimmediatamente delle difficoltà dell’inesperto nuota-tore che non riusciva più a rimanere a galla. Per primo il sovrintendente, spogliatosi dei vestiti, situffò in mare raggiungendo a nuoto l’uomo, ma que-sti, colto dal panico, afferrando il militare all’altezzadel bacino, rendeva vano il tentativo del soccorritoredi riportarlo a riva, trascinandolo con se verso ilfondo. Provvidenziale fu l’intervento, in seconda bat-tuta, del Carabiniere Ghione che, dopo aver seguitodalla riva l’evolversi del tentativo di salvataggio delsuo superiore, si lanciò anch’egli in mare riuscendoad aiutare il sottufficiale a trarre in salvo lo sfortunatobagnante. Ai due valorosi militari fu concessa la me-daglia di bronzo al valor civile.Il 14 luglio del 1975, l’equipaggio di una classe 400dei Carabinieri di Capri, ricevuta via radio la segna-lazione di una donna in difficoltà nelle acque al largodi uno stabilimento di Marina Piccola, scattò velocis-

I CARABINIERI SULL’ISOLA DI USTICA

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NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI 57

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simo e raggiunse in un baleno la zona segnalata. Una giovane turista tunisina, annaspando in preda alpanico tra le onde, urlava chiedendo di essere salvata.I Carabinieri dell’equipaggio accorso, Luca Scialdonee Claudio Pagano, riuscirono a sottrarre la donna,non senza difficoltà, alle correnti marine e ad issarlaa bordo della motovedetta. Grazie ai primi soccorsi ed alla respirazione artificialepraticata dai militari, la turista straniera, successiva-mente visitata da un medico, sarà dichiarata fuori pe-ricolo. A Favignana, nel corso delle gare di pescasubacquea svoltesi nelle acque delle isole Egadi dal 12al 19 settembre 1976 per l’assegnazione del titolo diCampione Italiano di quell’anno, il pronto interventodi due veloci natanti costieri dei Carabinieri consentìil salvataggio di un concorrente, gravemente infortu-natosi durante una fase di immersione.

A Portoferraio, nell’estate del 1978, tre persone inprocinto di annegare furono salvate dall’equipaggiodi una motovedetta dell’Arma mentre era in naviga-zione verso l’isola di Pianosa. Il salvataggio avvennea circa 4 miglia da Punta Sant’Andrea con mare forzaquattro. L’equipaggio della motovedetta, avvistataun’imbarcazione a vela rovesciata, fece subito rottasu di essa e raggiungendola. L’Appuntato FrancescoFrau, nocchiere della motovedetta, si lanciò in mare,sprezzante delle alte onde, riuscendo a salvare duepersone che stavano annegando e a recuperarne unaterza che si trovava su un gommone alla deriva.Sull’isola di Pianosa, ove oggi non vi è più alcun pre-sidio dell’Arma (la Stazione fu soppressa nel 2003),nel 1979 il Carabiniere Luigi Panico, all’epoca in ser-vizio provvisorio al Nucleo di Vigilanza dell’isola, riu-scì a trarre in salvo un agente di custodia del locale

ISOLE EGADI (1976).

IL PRONTO INTERVENTO DEI NATANTI

COSTIERI DELL’ARMA PRESTANO SOCCORSO AD UN

CONCORRENTE DI UNA GARA DI PESCA SUBACQUEA

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58 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

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carcere, colto da un malore mentre stava facendo ilbagno in località Obelisco e scomparso sotto il livellodelle acque. Tuffatosi senza indugio in mare, dopo svariati tenta-tivi ed immersioni in apnea, il militare riuscì a trarrea riva l’uomo e a praticare le prime cure di rianima-zione che consentirono di salvare la vita del bagnante.I carabinieri dell’isola del Giglio, nel gennaio del2012, contribuirono alle varie fasi dell’attività di soc-corso successive al naufragio della nave da crocieraConcordia che trasportava più di 4200 passeggeri enel quale persero la vita 32 persone, garantendo alcontempo l’ordine e la sicurezza pubblica sull’isola.

Non solo in mare però i Carabinieri garantiscono illoro costante supporto alla popolazione. Sull’isolaD’Elba, a Campo Elba, il 18 luglio 1994, a seguitodella denuncia della scomparsa del marito e del figlioundicenne, presentata in tarda serata ai Carabinieridella locale Stazione da una turista tedesca, furonotratti in salvo i due dispersi, al termine di una lungabattuta di ricerca operata con immediatezza dai mili-tari e durata tutta la notte. L’uomo e suo figlio, smarritisi durante un’escursionesull’isola in un’area boschiva tra Pomonte e Fetovaia,furono ritrovati in una vecchia capanna di pastori eportati in salvo in piena notte, molto provati da

SOCCORSO ALLA POPOLAZIONE. TERREMOTO A CASAMICCIOLA (1883)

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NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI 59

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quanto accaduto. Sull’isola d’Ischia il 28 luglio 1883i comuni insulari di Casamicciola, Forio e LaccoAmeno ed altri centri e campagne dell’isola furono di-strutti da un terribile terremoto. L’evento sismico impegnò a fondo l’Arma delle Sta-zioni dell’isola e di tutta la Campania prodigatasisenza risparmio nel soccorrere le popolazioni. Legesta dei carabinieri, umane e generose, furono ricor-date nelle deliberazioni dei superstiti consigli comu-nali dell’isola, che evidenziarono lo slancio,l’operosità e l’abnegazione con cui l’Arma si era pro-digata. Per ultimo, ma sicuramente più vivo nei nostriricordi, ricordiamo l’operato della Stazione di Lam-pedusa a cui, il 27 gennaio 2012, viene conferita la

medaglia d’argento al merito civile per la meritoriaattività svolta dai propri militari per fronteggiare unagrave situazione di crisi causata, nel primo semestredel 2011, da un flusso migratorio di dimensioni senzaprecedenti. La seguente motivazione evidenzia comesiano stati effettuati numerosi salvataggi in mare diprofughi provenienti dalle coste del nord Africa: “ilterritorio di Lampedusa, dall’inizio del corrente anno,è stato interessato da un flusso migratorio di straor-dinaria entità. Il personale della Stazione dei Carabinieri di Lampe-dusa, unitamente a quello delle altre istituzioni pre-senti, si è prodigato sia nella tutela dell’ordine e dellasicurezza pubblica che nei numerosi salvataggi inmare anche in situazioni particolarmente disagevoli.La molteplicità degli interventi effettuati ha eviden-ziato grande professionalità e coraggio, encomiabilespirito di abnegazione ed umana solidarietà, riscuo-tendo il plauso e l’incondizionata stima della popola-zione e della Nazione tutta”. Gennaio – maggio 2011– Lampedusa (AG).

Raffaele Gesmundo

INAUGURAZIONE DELLA STAZIONE DI LIPARI E INTITOLAZIONE

ALLA MEMORIA DELL’APPUNTATO MAJORANA CADUTO IN

IRAQ NEL 2003

IN ALTO: LAMPEDUSA. IL SOCCORSO AI PROFUGHI

PROVENIENTI DALLE COSTE NORDAFRICANE

IN BASSO: CARABINIERI SOMMOZZATORI DURANTE LE

OPERAZIONI DI SOCCORSO ALLA NAVE “COSTA CONCORDIA”

INABISSATASI SUI FONDALI DELL’ISOLA DEL GIGLIO

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60 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

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NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI 61

BRUNETTOBRUNETTI

Primo Comandante

Generale dell’Italia

repubblicana

PAGINE DI STORIAdi VINCENZO PEZZOLET

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62 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

Il Generale di Corpo d’Armata Brunetto Bru-netti, 36° Comandante Generale dell’Arma, èuno dei grandi “timonieri” sconosciuti algrande pubblico, come Federico Costanzo Lo-

vera di Maria (Notiziario Storico N. 4, pagg. 48-55),che guidò l’Istituzione in uno dei momenti più diffi-cili della sua storia nazionale, i due anni cruciali trala fine della Guerra di Liberazione e il cambio isti-tuzionale del Paese.Fisico longilineo, asciutto e ugualmente atletico,volto nobilmente austero ammorbidito da un’espres-sione serena, quasi paterna, che trova autentico ri-scontro nello sguardo deciso e limpido dietro gliocchialini a “pince nez”. Insomma una di quelle per-sone che ispirano a prima vista un profondo rispetto,ma senza distacco, per la loro aura di sicurezza e si-gnorilità. Questo almeno è quello che appare dal-l’iconografia ufficiale.Nato a Pesaro il 25 novembre 1887, Brunetto Bru-netti a diciotto anni entrò nella Regia Accademia diArtiglieria e Genio di Torino, donde uscì sottote-nente di Artiglieria nel 1907 per frequentare laScuola di Applicazione delle Armi di Artiglieria eGenio nella stessa città. Nel 1910 il servizio di “prima nomina” al 13° Reg-gimento Artiglieria da Campagna e, l’anno dopo, lapartecipazione alla guerra italo-turca, durante laquale meritò due medaglie di bronzo al Valor Mili-tare; poi nel 1915, promosso capitano, fu destinatoal 34° Reggimento mobilitato per la prima guerramondiale nel settore nella 20^ Divisione del XCorpo d’Armata, sul fronte carsico triestino di Re-dipuglia, dove meritò ancora una croce di guerra alValor Militare. Alla fine dell’anno, venne ammesso a frequentare itre mesi di un accelerato Corso “pratico” di StatoMaggiore (durante il conflitto la Scuola di Guerra,allora a Torino, aveva sospeso i Corsi “regolari”), epoi subito di nuovo in prima linea, addetto alla 24^Divisione, XII Corpo d’Armata, nella zona auto-

noma della Carnia, dipendente direttamente dal Co-mando Supremo. Maggiore dal 16 settembre 1917, nel 1919 fu chia-mato a Roma al Ministero della Guerra. Dopo ilbiennio di frequenza della Scuola di Guerra (1921-1923), venne destinato alla Scuola Centrale di Arti-glieria, prima a Civitavecchia (RM) poi a Nettuno(RM). Promosso tenente colonnello nel 1926, tornòai reparti operativi nel 1931, in servizio all’8° Reg-gimento Artiglieria Pesante, e nel 1934 ebbe un in-carico del grado superiore al comando del 7°Reggimento di Artiglieria d’Armata, conseguendo lapromozione a colonnello l’anno seguente.Il 1° dicembre 1935 fu trasferito al comando del 22°Reggimento Artiglieria Divisionale e due anni dopodi nuovo destinato al comando della Scuola di Ap-plicazione di Artiglieria e Genio a Torino.Promosso generale di brigata il 30 giugno 1939, nelsettembre venne nominato Comandante dell’Arti-glieria del Corpo d’Armata di Palermo. Quindi, pro-

36° ComandanteGenerale dell’Arma,

guidò l’Istituzione inuno dei momenti più

difficili della storianazionale, tra la fine

della Guerra diLiberazione e il

cambio istituzionaledel Paese

PAGINE DI STORIA

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NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI 63

mosso ancora, nell’ottobre del 1942 ebbe il co-mando della 27^ Divisione di Fanteria “Brescia”, di-slocata in Africa Settentrionale a sud di El Alamein,a difesa del saliente di El Munassid. Investita dalle forze corazzate nemiche, la grandeunità italiana, costretta a ripiegare a piedi, fu rag-giunta e annientata e il generale Brunetti il 5 novem-bre cadde prigioniero degli inglesi. Tornato in Italiadopo l’armistizio resse il Comando Militare di Romae il 7 marzo del 1945, con incarico del grado supe-riore, fu nominato Comandante Generale dei Cara-binieri, succedendo al generale di Corpo d’ArmataTaddeo Orlando mentre ancora si combatteva per laliberazione dell’Italia del Nord.Nel lavoro diede subito prova delle sue doti umaneche traspaiono negli Ordini del Giorno del 25 aprilee dell’8 maggio 1945: con il primo, rivolto “Ai Ca-

rabinieri Reali dell’Italia Settentrionale”, l’alto uffi-ciale saluta e ringrazia quei militari che, nonostantel’oppressione nazifascista, le sofferenze, le minacce,hanno “tenuta accesa la fiaccola dell’onor militare”sia tra le popolazioni sia battendosi con le forma-zioni partigiane, per cui “l’Arma schiude le bracciaed è fiera di riaccogliervi nella sua grande famiglia”;l’altro vuole essere un saluto caldo d’affetto, un vi-brante bentornato per il personale di ritorno daicampi di concentramento tedeschi ed alleati. Esprime la gioia delle famiglie e della “più grandefamiglia: quella dell’Arma che essi hanno onorata edillustrata in terra straniera con la loro fede e il loroindomito coraggio….in circostanze estremamentedifficili”. Ma citiamo altri due documenti forse i più significa-tivi della personalità di questo Comandante. Il primoè la circolare del 5 maggio 1946 “Contegno del-l’Arma durante e dopo le elezioni politiche” (ovveroil referendum istituzionale del 2 giugno e la conte-

A DESTRA UN RITRATTO DEL COMANDANTE GENERALEBRUNETTI. IN BASSO L’ORDINE DEL GIORNO

DATATO 8 MAGGIO 1945

PAGINE DI STORIA

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64 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

stuale elezione dell’Assemblea Costituente), dira-mata con richiesta perentoria “che tutti i militari di-pendenti, nessuno escluso, ne abbiano esatta etempestiva conoscenza prima delle elezioni politi-che”, di cui si è già detto ampiamente (NotiziarioStorico N. 1 pagg. 39-42), ma che qui vogliamo co-munque ricordare in breve in due emblematici pas-saggi. Appellandosi alle tradizioni di apoliticitàdell’Arma, esorta tutti i Carabinieri all’equidistanzae allo scrupoloso senso del dovere quali “autenticifigli del popolo preposti alla tutela dell’ordine e dellasicurezza pubblica”, rispettando come consuetudine“la giustizia, la sovranità e la volontà popolare”. Il secondo è un’altra circolare del 12 ottobre se-guente “Fotografie dei militari dell’Arma insiemecon persone arrestate”, con cui richiama il personaleal rigore morale e alla pietas, a quel rispetto umanodovuto a tutti gli individui quandanche criminali,

non trofei bensì “disgraziati dai quali la società devedifendersi, ma contro i quali non si deve infierire,esponendoli alla pubblica curiosità”, come peraltroera già sancito dal n. 198 del regolamento generale.Bell’esempio di sensibilità umana, che dovrà essereripreso anche in tempi più recenti con l’avvento dellatelevisione. Se in quegli anni l’impegno più gravoso e visibile del-l’Arma guidata dal Generale Brunetti fu senz’altro

PAGINE DI STORIA

ORDINE DEL GIORNO DEL 10 MAGGIO 1946

Anche in carenza di organico

e di risorse, l’Armaguidata dal GeneraleBrunetti si impegnò

nel ristabilimentodella sicurezza e

dell’ordine pubblico,minacciati da

ricorrenti disordinie dalla costituzione

di formazioniestremiste

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NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI 65

quello espresso, anche in carenza di organico e di ri-sorse, nel ristabilimento della sicurezza e dell’ordinepubblico, minacciati da ricorrenti disordini e dallacostituzione di formazioni estremiste, nondimeno ilnostro protagonista fu personalmente impegnatoanche su di un altro delicatissimo fronte, sul qualeconseguì il suo successo probabilmente più signifi-cativo per la storia dell’Istituzione. Bisogna sapere infatti che l’atteggiamento delle au-torità militari anglo-americane verso i Carabinieriera improntato sì a rispetto e considerazione per laloro professionalità, ma anche a timore per la lorosolidità organizzativa, per l’abilità informativa “atutto tondo”, sperimentata soprattutto nell’”intelli-gence” da nemici prima e da alleati poi, e perché unorganismo di polizia a status militare contrastava de-cisamente con le concezioni anglosassoni al riguardo(cfr. Maria Gabriella Pasqualini: “Carte segrete del-l’intelligence italiana 1919-1949). Per cui, nell’ambito della Missione Militare alleatapresso l’Esercito Italiano (MMIA), esisteva un pianodi riordinamento dell’Arma secondo i criteri inglesi. Il generale Brunetti, molto stimato dai britannici che

PAGINE DI STORIA

avevano potuto apprezzarlo già durante la prigionia,riuscì a stabilire una stretta collaborazione sul tema,convincendo infine gli Alleati a lasciare l’Istituzioneintegra nei suoi ordinamenti e ad acconsentire anzia un aumento degli organici. Vinsero la fermezza ela capacità di dialogo del Comandante Generale e ilbuon senso degli inglesi, anche in vista dell’entrataitaliana nella NATO. Purtroppo, dopo appena due anni di lavoro costrut-tivo e infaticabile, il Generale di Divisione BrunettoBrunetti fu stroncato da una malattia contro la qualenon poté vincere l’ultima battaglia. Morì a Roma il5 aprile 1947. Lo Stato e l’Arma gli tributarono giu-stamente esequie solenni. E’ sepolto nel cimitero di Civitavecchia (RM). Al co-mando della Brigata di formazione che rese gli onoric’era il colonnello Romano dalla Chiesa, padre diCarlo Alberto e Romolo, che a Bari il 12 settembre1943 aveva costituito il Comando Carabinieri RealiItalia Meridionale, primo embrione del rinascenteComando Generale dell’Arma dopo l’occupazionetedesca della Capitale.

Vincenzo Pezzolet

FUNERALE DEL GENERALE BRUNETTO BRUNETTI. IL FERETROVENNE ACCOMPAGNATO DA CARABINIERI IN GRANDE UNIFORME

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66 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

IL COMANDOINTERREGIONALE

“PASTRENGO”

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LA CASERMA “PASTRENGO” DI VIA GIUSEPPE MARCORA

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NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI 67

Èall'ormai lontano 1859, anno della secondaguerra di indipendenza italiana, che risale lapresenza stabile dei Carabinieri nella città di

Milano, con la costituzione del “Comando Carabi-nieri Reali in Lombardia” affidato al LuogotenenteColonnello Trofimo Arnulfi, dopo una prima fugaceapparizione dei militari dell’Arma già nel 1848, in se-guito alla sollevazione popolare antiaustriaca ricor-data come “le cinque giornate di Milano” e alconseguente intervento piemontese, poi naufragatonella disfatta di Novara del marzo successivo.Risale invece “soltanto” al 1936 l’istituzione nel ca-poluogo lombardo della 1^ Divisione CarabinieriReali “Pastrengo”, stabilita con regio decreto n. 1594del 16 luglio di quell’anno. La denominazione dell’alto comando è ovviamentededicata al celebre episodio della prima guerra di in-dipendenza in cui la carica dei tre squadroni di cara-binieri a cavallo, lanciatisi a salvaguardia del re CarloAlberto ormai a tiro della fucileria nemica, trascinòalla vittoria il resto delle truppe piemontesi e valse al-l'Arma la prima medaglia d’argento al valor militarealla bandiera.

PAGINE DI STORIA

LA CARICA DI PASTRENGO DEL PITTORE SEBASTIANO DE ALBERTIS CONSERVATA PRESSO IL MUSEO STORICO DELL’ARMA

L’ARMA DEI CARABINIERI E LA “PASTRENGO”All’atto della sua istituzione, la 1^ Divisione Carabi-nieri Reali “Pastrengo” estendeva la propria compe-tenza areale sull’intero Nord Italia, compresi i territoriistriani e dalmati, e su parte delle regioni del Centro(Toscana, Emilia Romagna e Marche), con alle dipen-denze la I, la II e la III Brigata (Torino, Milano e Fi-renze), 12 legioni territoriali (nelle città di Torino,Alessandria, Genova, Milano, Verona, Bolzano, Pa-dova, Trieste, Firenze, Livorno, Bologna ed Ancona),nonché la Scuola Centrale Carabinieri di Firenze.Tale ordinamento rimase in vigore fino al 1939,quando, con la costituzione della 3^ Divisione “Oga-den” a Napoli, la 1^ Divisione “Pastrengo” cedettealla 2^ Divisione “Podgora” di Roma la III Brigata diFirenze. L’assetto così delineato venne riconfermato nell’im-mediato dopoguerra dal decreto legislativo luogote-nenziale n. 603 del 31 agosto 1945.Solo nel 1952, considerato quanto già previsto da unalegge del 9 maggio 1940, cui però non era stata datapratica attuazione per il sopravvenuto interventodell’Italia nella 2^ Guerra Mondiale e per i risvolti

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68 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

dell’armistizio dell’8 settembre 1943 - che comporta-rono il temporaneo scioglimento del Comando finoalla “Liberazione”- fu istituita nell’ambito della divi-sione un’ulteriore brigata con sede a Padova (VII Bri-gata successivamente rinominata III Brigata), concompetenza sul Nord Est della penisola.Nel 1956 venne quindi rimodulato il dispositivo deiReparti d’Istruzione dell’Arma, ponendo tutte leScuole -tra cui la Scuola Allievi di Torino, dipendenteanch’essa dalla 1^ Divisione “Pastrengo”- sotto l’isti-tuenda Brigata Scuole, con sede a Roma.Tra il 1991 ed il 1992 veniva conferito un nuovo mo-dello ordinativo all’Organizzazione Territoriale del-l’Arma, che portava da 3 a 5 i Comandi di Divisione(la costituzione della 5^ Divisione “Vittorio Veneto”a Treviso, poi trasferita a Padova, comportò per la 1^Divisione “Pastrengo” il trasferimento a quel Co-mando della competenza sulle regioni Veneto, Tren-tino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia), prevedeva unassetto regionale con la soppressione delle brigate edi alcune legioni (in ambito 1^ Divisione “Pastrengo”

quelle di Alessandria e Brescia), nonché la denomina-zione delle restanti Legioni in Comando Regione Ca-rabinieri -elevato a rango di Brigata, alle dipendenzedei Comandi di Divisione- con competenza areale parialle Regioni amministrative (fatta eccezione per laValle d’Aosta, che veniva collocata nell’ambito dellaRegione Carabinieri “Piemonte e Valle d’Aosta”).Dal 1° gennaio 2001, con decreto legislativo n. 297del 5 ottobre 2000, la Divisione ha assunto la nuovadenominazione di Comando Interregionale Carabi-nieri “Pastrengo” ed è stata elevata al rango di co-mando di corpo d’armata, con il compito di esercitarefunzioni di alta direzione, coordinamento e controllonei confronti delle Regioni (ridenominate nuovamenteLegioni nel 2009) e di assicurare, attraverso i propriorgani, il sostegno tecnico, logistico ed amministra-tivo di tutti i reparti dell’Arma dislocati nell’area dicompetenza, anche se appartenenti ad altre Organiz-zazioni. Attualmente da questo comando di vertice di-pendono quindi 3 Legioni Carabinieri - “Lombardia”,“Piemonte e Val d’Aosta” e “Liguria”-, 23 ComandiProvinciali, 3 Gruppi, 105 Compagnie, 15 Tenenze, ilNucleo Campione d’Italia e 912 Stazioni, per un or-ganico complessivo di oltre 17.000 unità, che operanosu un territorio di quasi 58.000 kmq., comprendente24 Province, 3.045 Comuni e una popolazione dioltre 16.000.000 di abitanti.Tra i Comandanti che si sono succeduti negli anni -ad eccezione del periodo di vacatio compreso tra il 9settembre 1943 ed il 24 aprile 1945- si ricordano inparticolare il Generale di Divisione Carlo AlbertoDalla Chiesa, decorato di medaglia d’oro al valor ci-vile ed assassinato a Palermo il 3 settembre del 1982,nonché i Generali di Corpo d’Armata Luciano Got-tardo e Gianfrancesco Siazzu, divenuti poi, in ordinedi tempo, il 1° e il 2° Comandante Generale prove-nienti dalle file dell’Arma.

LA STORIA DELLA CASERMALa grande Unità fu inizialmente collocata nella ca-serma “Medici”, sita a Milano in via Lamarmora 29,costruita tra la fine dell’800 ed il primo decennio del‘900, in cui erano già stanziati la II Brigata Carabi-nieri, il 3° Battaglione Carabinieri Reali e vari servizilogistici della Legione.

PAGINE DI STORIA

All’attodell’istituzione

estendeva la propria

competenzasull’intero Nord

e su parte del Centro Italia

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Solo il 21 luglio 1958, a seguito di un mutuo cambiocon la II Brigata Carabinieri, la 1^ Divisione Carabi-nieri “Pastrengo” occupò l’attuale sede di via Giu-seppe Marcora 1, all’interno della cerchia dei bastionispagnoli, nella zona centrale della città, tra le vie Ap-piani, Parini e Marcora, in quel Palazzo delle Milizie,progettato nel 1936 dall’architetto Luigi Lorenzo Sec-chi e realizzato su un’area ancora oggi di proprietàdel Comune di Milano. La struttura nasce sin dalla fase progettuale quale edi-ficio militare con finalità operative ed è infatti desti-nata, come si intuisce dal nome originario, ad ospitarevari comandi e specialità della Milizia Volontaria perla Sicurezza Nazionale (M.V.S.N.). Dopo l’8 settembre 1943, con la nascita della Repub-blica Sociale Italiana, diviene sede della “Guardia Na-zionale Repubblicana”, composta dalla M.V.S.N., daiCarabinieri (fino al 1° settembre 1944, allorquandosaranno posti d’autorità in congedo) e dalla Poliziadell’Africa Italiana (P.A.I.). Il 25 aprile 1945, l’Arma dei Carabinieri, riorganiz-

zatasi e ripresa la piena attività istituzionale in Milanoed in tutta la Lombardia, occupava l’edificio con ilcomando della II Brigata. Lo stabile è rimasto privo di denominazione fino al1960, quando il Ministero della Difesa-Esercito, condispaccio n. 3039/S del 28 maggio 1960, autorizzò lasua intitolazione a Caserma “Pastrengo”.

ASPETTI ARCHITTETTONICIL’edificio fu eretto su un’area determinatasi dalla de-molizione dell’ex bastione di piazzale Fiume e dell’exreclusorio di via Parini, nonché dalla soppressione edeviazione in sede stradale della roggia Bolossa.Esso si misura pertanto, ancora oggi, con edifici erettipiù o meno contemporaneamente, espressioni delleconcezioni architettoniche del tempo. Il progettista (che ne curò anche la fase costruttiva edè ricordato in campo internazionale per la realizza-zione della piscina coperta intitolata a “RobertoCozzi”, per la “Casa del Mutilato”, per la sede della“Zona Aerea Territoriale” dell’Aeronautica Militare

PAGINE DI STORIA

LA CASERMA “MEDICI” IN VIA LAMARMORA

SEDE DELLA 1ª DIVISIONE DAL 1936 AL 1958

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di Piazzale Novelli nonché per il restauro del “Teatroalla Scala”) non trasse però ispirazione da questi edi-fici: il muro schietto in mattoni da fabbrica, non rive-stito all’esterno da alcun altro materiale, conbasamento e sottogronda bianchi, finestre quadrate etorre bugnata a punta di diamante, evidenziano ana-logie con la sede del Comando Generale dellaM.V.S.N., progettata a Roma dall’architetto Cafiero.Le linee semplificate e “spartane” utilizzate da Secchi,tanto negli interni quanto negli esterni, imperniatesulla contrapposizione tra l’orizzontalità dei corpi difabbrica (disposti a formare una “L”) ed il verticali-smo della torre, che racchiude l’ampio scalone monu-mentale, ben si attagliavano alla funzione dell’edificiodi ospitare più comandi della milizia, con la presenza

La struttura nascesin dalla fase

progettuale qualeedificio militare con

finalità operative

PAGINE DI STORIA

LA CASERMA “PASTRENGO” PROGETTATA NEL 1936

DALL’ARCHITETTO LUIGI LORENZO SECCHI

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NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI 71

in origine di tre distinti ingressi. Segno indelebile della destinazione “militare” di que-sta fortezza urbana rimane il portale, arricchito daglialtorilievi dei pannelli decorativi, modellati ed ese-guiti, in mozzano lucidato, dagli scultori Remo Brio-schi e Giuseppe Scalvini. Il progettista volle, infatti, rappresentassero “fascid’armi, di buffetterie e di elementi di attacco e di di-fesa in dotazione presso le nostre truppe”. Tale sedeè, ancora oggi, un esempio di stile e di funzionalità,scevro da eccessi architettonici, semplice ma impo-nente, elegante e austero, che ben si sposa con il Co-mando che ospita e che aggiunge prestigio allapresenza dell'Arma in una città dove l'architettura ele istituzioni si fondono in modo superbo.

PAGINE DI STORIA

INGRESSO DELLA “PASTRENGO” CON GLI ALTORILIEVI IN MOZZANO LUCIDATO DEGLI SCULTORI REMO BRIOSCHI E GIUSEPPE SCALVINI

PIANTA DEL PIANO RIALZATO

DELLA CASERMA “PASTRENGO”

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72 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

A PROPOSITO DI…

GLI AUTOMEZZIDEL

RADIOMOBILE

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NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI 73

coordinamento di una centrale fissa. I veicoli eranocolor kaki opaco, simile a quello degli altri mezzi indotazione all’Esercito Italiano, con le insegne distintive

L’incremento della delinquenza comune edella malavita organizzata, all’indomanidel secondo dopoguerra, indussero l’Armadei Carabinieri ad escogitare nuove tecnichedi contrasto più moderne ed efficaci.

Vennero per la prima volta utilizzati automezzi dotatidi sistemi radioveicolari, in grado di garantire il col-legamento e la localizzazione costante dei militari sututto il territorio ed assicurare un pronto e tempestivointervento.Nel dicembre 1948 nella provincia di Nuoro, per fa-vorire l’azione di contrasto al fenomeno del brigan-taggio, il Comando della 4ª Brigata istituì il "NucleoMotorizzato Squadriglie", con l’iniziale compito discortare le autocorriere che transitavano per le stretteed anguste strade della Barbagia. Il Nucleo, postoalle dipendenze del Gruppo di Nuoro, venne inizial-mente dotato di 10 Giardinette "Fiat. 1100i" munitedi apparecchi radiomobili collegati fra loro, senza il

A PROPOSITO DI…

FIAT 1100 i “GIARDINETTA”

Dalla Fiat 1100 i Giardinetta del NucleoMotorizzato Squadriglie del 1948

nel Nuorese alle ultime autovetturedei Nuclei Radiomobili

di SERGIO BOVIO

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74 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

A PROPOSITO DI…A PROPOSITO DI…

e il numero del reparto in bianco. Ben presto a talelivrea si aggiunse la scritta "CARABINIERI", sempredi colore bianco, posizionata sul frontale degli auto-mezzi. I significativi risultati di contrasto alla criminalitàconseguiti grazie all’introduzione del nuovo modellooperativo suggerirono, di lì a poco, l’incremento delnumero di mezzi da impiegare nello speciale compito.Nel 1953 si raggiunsero così le 42 unità in organico.Proprio in quell’anno il sistema radio, ampliato e mi-gliorato, venne organizzato su un reticolo di mezziposizionati ai crocevia delle strade principali e tenutiin costante collegamento tra loro mediante messaggiinviati ad intervalli determinati: nacquero così i"P.A.C." (Posti Ascolto e Controllo). Il successoriscosso da tale esperimento indusse a perseguiresulla strada intrapresa.Con il trascorrere del tempo e il vivace sviluppo del-l’industria automobilistica, le FIAT Giardinetta 1100vennero gradualmente sostituite dalle nuove FIAT"Campagnola" mod. AR-51, veri e propri fuoristrada,più flessibili e versatili rispetto alle Giardinetta, par-ticolarmente indicate per strade sterrate e tortuose.In quegli stessi anni venne istituito il Nucleo Speciale

Carabinieri, inquadrato all’interno del Comando diGruppo "Roma I", con specifiche finalità di ProntoIntervento. Di lì a breve seguirono analoghi nuclei indiversi capoluoghi di provincia che, a seguito di unospecifico riassetto organizzativo dell'Arma portato atermine nel 1961, assunsero la denominazione ufficialedi "Nuclei Mobili di Pronto Intervento", al comandodi un ufficiale subalterno (normalmente un Capitano).Nel frattempo la “Campagnola” mod. AR-51 avevalasciato il campo a versioni più evolute e modernequali il modello AR-59, molto apprezzato per lagrande flessibilità e duttilità d’impiego.Alla iniziale esigenza di motorizzare con veicolirobusti i reparti più operativi dell’Arma, già a partiredalla fine degli anni ’50, si affiancò la necessità didotare i reparti radiomobili di mezzi più performanti.In un contesto storico e sociale connotato da profondicambiamenti l’Alfa Romeo GIULIA T. I. rappresentòlo strumento più adatto ed efficace per un’azione dicontrasto sempre adeguata ai mutati scenari criminali.Successivamente, con l’introduzione nel 1969 dellaversione Giulia Super, più potente e veloce dellaGiulia T.I., i militari poterono contare su di un mezzoFIAT “CAMPAGNOLA” MOD. AR-51

FIAT “CAMPAGNOLA” MOD. AR-59

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NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI 75

A PROPOSITO DI…

ancora più moderno ed affidabile.Le "Giulia Super" vennero dotate di apparecchi ra-diotelefonici veicolari modello RE-EL 66/7, più fun-zionali rispetto alle radio installate sulle "FIAT 1100i" degli anni '50 e ’60 e in grado di assistere appienola dinamicità dei reparti, assicurando una migliorecopertura e assistenza ai militari operanti. A partire dal 1971, i Nuclei radiomobili vennero po-tenziati ed arricchiti con la presenza dei primi Gruppimotocicli e delle innovative Sezioni per infortunisticastradale. Il 15 febbraio 1972, i "Nuclei Mobili diPronto Intervento", ormai diffusi su tutto il territorionazionale, acquistarono la definitiva denominazionedi "Nucleo Radiomobile".

A partire dal 1970 venne adottata una nuova livreadi colore blu scuro lucido, con tettuccio bianco,scritte “CARABINIERI” sulle fiancate laterali escudetto distintivo nei colori rosso-oro. Lo scudetto,in uso ancora oggi, rappresenta una gazzella (dalnome con cui sono comunemente identificati i mezzidel Nucleo Radiomobile), una saetta e la fiamma del-l’Arma, simboli di agilità e prontezza.L’Alfa Romeo Alfetta, nelle versioni 1.8 e 2.0., fu in-trodotta a partire dal 1974. Erano gli anni del terro-rismo e si avvertiva la necessità di dotarsi di unmezzo che esprimesse, allo stesso tempo, sicurezza edinamicità. Fu scelta l’Alfa Romeo Alfetta, che benincarnava le doti di prontezza ed efficienza operativa

ALFA ROMEO GIULIA SUPER

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76 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

A PROPOSITO DI…

IN ALTO ALFA ROMEO GIULIA T. I. IN USO DAL 1966. IN BASSO ALFA ROMEO ALFETTA 1.8 (2ª SERIE) INTRODOTTA NEL 1972

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NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI 77

A PROPOSITO DI…

richieste. Venne poi il turno delle Alfa 75 e delle Alfa90, padrone della scena nel corso degli anni ‘80. Natesulla scia della “mitica” Alfetta, di cui condividevanol’aggressività della linea e la vivacità del motore, nehanno rappresentato il logico sviluppo in terminitecnici e meccanici. Dotate di motori più elastici nelleprestazioni e più brillanti nello spunto, riuscivano aconiugare al meglio i necessari requisiti di manegge-volezza e di prontezza operativa.Verso la metà degli anni ottanta venne adottato in

via sperimentale nelle città di Milano, Roma, Napolie Torino il numero d'emergenza 112, il cui immediatosuccesso indusse ad istituire dei Nuclei Radiomobilipresso tutti Comandi Provinciali d'Italia.Gli anni ’90 furono gli anni delle Alfa Romeo 155,naturale continuazione della linea delle autovettureveloci sino ad allora adottate. Autovetture veloci, ele-ganti e resistenti che contribuirono ad accrescere, nelsentimento degli italiani, l’immagine di prontezza edaffidabilità di cui godono i reparti di pronto intervento

ALFA ROMEO ALFA 75 (1985)

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78 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

Fiat Brava 1.6 per le Pattuglie Mobili di Zona e perle componenti radiomobili delle Stazioni.Le due autovetture segnarono un decisivo passo inavanti: al veicolo civile in commercio furono infattiapportate numerose migliorie e modifiche che ne au-mentarono significativamente sicurezza e potenzialità(blindatura leggera, apparecchi radio e satellitari,pannello luminoso per segnalazioni esterne, massima

dei Carabinieri. Con la fine degli anni ‘90 iniziò unanuova fase nella politica di approvvigionamento del-l’Arma dei Carabinieri. Cercando di rendere il modello operativo sempre piùduttile, funzionale e aderente alle diverse articolazionioperative, si decise di adottare una duplice linea diveicoli per i reparti di pronto intervento con l’AlfaRomeo 156 2.0 per i Nuclei Radiomobili e con la

A PROPOSITO DI…

IN ALTO ALFA ROMEO 90. IN BASSO, A SINISTRA ALFA ROMEO 155, A DESTRA ALFA ROMEO 156

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NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI 79

A PROPOSITO DI…A PROPOSITO DI…

ALFA ROMEO 159 (INTRODOTTA NEL 2005)

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80 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

funzionalità nelle ripartizione degli spazi…). Nel 2006, il connubio tra l’Alfa Romeo e i Carabinierisi rinnova con l’adozione dell’Alfa Romeo 159. Taleautovettura fu scelta nella motorizzazione 2.4 JTDMda 200CV, ed equipaggiata con vetri antisfondamento,paratia divisoria tra i sedili anteriori e quelli posteriori,computer portatile, il sistema “falco” per la lettura eil controllo delle targhe e uno speciale serbatoio an-tiesplosione. Come sulla 156, un pannello luminosoa scomparsa consente all’equipaggio di segnalare leemergenze e le eventuali restrizioni al traffico in casodi incidente o particolari condizioni atmosferiche.Affiancata alla 159 dal 2009, la Fiat Bravo, equipag-giata con il motore 1.9 o 2.0 M-Jet, rispettivamenteda 150 e 165 CV, nonostante una potenza nettamenteinferiore alla 159, grazie al peso contenuto, è unavettura in grado di erogare comunque prestazioniequiparabili a quelle dell’Alfa Romeo 159, e al con-tempo di vantare una maggiore maneggevolezza.Oggi il parco auto del Radiomobile è completato daimodelli Alfa Romeo Giulietta con motore 1.4 turbobenzina da 170 cavalli e Seat Leon 2.0 TDI da 150cavalli. Lo scorso 5 maggio, all’interno del parco delComando Generale, alla presenza del Ministro del-l’Interno On. Angelino Alfano e del Ministro dellaDifesa Sen. Roberta Pinotti, sono stati consegnati al-l’Arma dei Carabinieri due esemplari di Alfa RomeoGiulia Quadrifoglio con livrea istituzionale.Le due nuove vetture, concesse in comodato d’usogratuito, saranno utilizzate a Roma e Milano perspeciali interventi, come ad esempio il trasportourgente di organi e sangue, oltre che per i servizi discorta in occasione di cerimonie istituzionali. Tra le dotazioni specifiche si segnalano il defibrillatore,speciali unità portatili di raffreddamento, dispositivoportatile touchscreen con applicativo Odino per laconnessione diretta alle banche dati, dispositivi sup-plementari di emergenza, porta arma lunga e torceled ricaricabili collocate nell’abitacolo. Equipaggiatacon il nuovo motore 2.9 BiTurbo benzina da 510 CV,

A PROPOSITO DI…

DALL’ALTO IN BASSO: FIAT BRAVO, A. R. GIULIETTA,

SEAT IBIZA, A. R. GIULIA QUADRIFOGLIO

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è particolarmente attento all’ambiente con bassissimeemissioni (198 g/km di CO2 con cambio manuale) esorprendentemente efficiente nei consumi, grazie alsistema di disattivazione dei cilindri a controllo elet-tronico. Nel rispetto della tradizione, l’Arma e l’AlfaRomeo sono sempre all’avanguardia.

Sergio Bovio

totalmente in alluminio e ispirato da tecnologie ecompetenze tecniche Ferrari, la nuova Giulia Qua-drifoglio assicura prestazioni straordinarie: velocitàmassima di 307 km/h, accelerazione da 0 a 100 km/hin appena 3,9 secondi e una coppia massima di 600Nm. Tra l'altro, sebbene i valori di potenza e coppiasiano sensazionali, il 2.9 BiTurbo benzina “6 cilindri”

A PROPOSITO DI…

(5 MAGGIO 2016) CONSEGNA DELL’ALFA ROMEO GIULIA QUADRIFOGLIO ALL’ARMA DEI CARABINIERI ALLA PRESENZA DEL MINISTRO

DELL’INTERNO ON. ANGELINO ALFANO, DEL MINISTRO DELLA DIFESA SEN. ROBERTA PINOTTI, DEL CAPO DI STATO MAGGIORE

DELLA DIFESA CLAUDIO GRAZIANO E DEL COMANDANTE GENERALE DELL’ARMA TULLIO DEL SETTE

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82 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

CURIOSANDO NEL MUSEO DELL’ARMA

LA CAMPANA DI BORDO

LA CAMPANADI BORDO

DELCACCIATORPEDINIERE

CARABINIERE

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NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI 83

CURIOSANDO NEL MUSEO DELL’ARMA

di LAURA SECCHI

Sulla banchina Duca degli Abruzzi del-l’Arsenale di La Spezia erano le ore 11:20del 14 gnnaio 1965. Il cielo era saturo dinuvole, la pioggerella cadeva fitta. I lan-ciamissili Impavido e Intrepido erano al-lineati accanto al cacciatorpediniere Ca-rabiniere. Sebbene fosse di dimensioni in-

feriori, il Carabiniere spiccava per la fierezza della suaprua, alta e aggressiva. Era pronto per l’ultimo ammai-nabandiera di quel drappo alzato 27 anni prima, nel1938. La cerimonia dell’ammainabandiera di solito av-viene al calar del sole. Per il Carabiniere era stata fattaun’eccezione. Mentre il suo equipaggio era schierato, icarabinieri in grande uniforme gli rendevano l’estremoonore sulle note dell’inno nazionale, suonate dallaFanfara Dipartimentale. Oltre all’Ammiraglio di SquadraGiulio Cipollini, Comandante in capo del DipartimentoMarittimo dell’Alto Tirreno, e al Generale GiovanniCeli, Comandante della Divisione Carabinieri Pastrengodi Milano, era presente il Capitano di Vascello FrancoMarengo. Era lui il Direttore di Tiro il 16 febbraio1942, quando il Carabiniere, in navigazione comescorta convoglio alla VII Divisione Navale, compostada tre incrociatori, era stato colpito da uno dei tresiluri lanciati da un sommergibile nemico. Non era però il primo cacciatorpediniere ad avere quel

nome. La prima volta fu assegnato con Regio Decretonel 1909 ad un’altra unità navale della Marina, varatanei cantieri Ansaldo di Sestri Ponente il 12 ottobre diquell’anno e radiato nel 1925. Come si legge in un do-cumento conservato nell’Archivio Storico del Museodell’Arma, quel nome avrebbe rappresentato “il simbolodel carattere spiccatamente militare dell’Arma e dellaazione sua di servizio”. Costruito nel Cantiere Navale di Riva Trigoso, in pro-vincia di Genova, il secondo cacciatorpediniere Cara-biniere faceva parte dei dodici della classe Soldato cheformavano la flotta italiana, insieme a quelli dellaclasse Poeti. Era stato varato con una cerimonia ufficiale il 23 luglio1938, in quella cittadina della Riviera di Levante. Alleore 8:30 il Comandante Generale dell’Arma RiccardoMoizo e l’Ammiraglio Ildebrando Goiran, avevanopassato in rivista i reparti armati, sulle note suonatedalla banda della Milizia Ferroviaria. Dopo i saluti dirito, era stato il momento del battesimo della nave: perprimo quello religioso con la benedizione invocata dalcappellano militare della Marina, poi quello della Ma-drina, la Signora Angelina Moizo, moglie del ComandanteGenerale dell’Arma, la quale aveva svincolato la bottigliadi spumante facendola infrangere contro la prua. A lei,al termine dell’evento, era stato donato il collo della

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CURIOSANDO NEL MUSEO DELL’ARMA

bottiglia racchiuso in un artistico cofano d’argento epietre preziose. Intorno al cacciatorpediniere intanto gli operai avevanolavorato per liberare lo scafo dalle taccate, mentre lafolla e le moltissime imbarcazioni di pescatori stavanoattendendo il suo ingresso in acqua. Quando il Carabiniere era entrato in mare tra gliapplausi, erano già pronti al molo Giano i due rimor-chiatori che l’avrebbero trasportato a Genova, presso iCantieri del Tirreno, per il completamento degli allesti-menti e le prove di collaudo.Come da tradizione iniziata l’11 novembre 1909 con ilprimo cacciatorpediniere ad avere quel nome, il 18giugno 1939 l’Arma aveva fatto dono della bandiera

da combattimento al Carabiniere e alla nave gemellaCorazziere, varata il 22 maggio precedente. Per la gestione degli aspetti organizzativi legati alla ce-rimonia di consegna, era stata istituita dal ComandoGenerale un’apposita Commissione, composta da unufficiale per ciascuna Legione della Capitale (“Roma”,“Lazio” e Legione Allievi), da uno per lo squadroneCarabinieri Guardie del Re e dal comandante dei Ca-rabinieri presso il Ministero della Regia Marina. La Commissione si era interessata dell’acquisto dellebandiere, offerte da tutti gli ufficiali dell’Arma, ancheda quelli dislocati in reparti all’estero, fatte realizzaredalla ditta manifatturiera Ve-DE-Me di Milano. Duedrappi vistosi (150 x 225 cm) al posto di quelli ordinari,

IN ATTESA DEL VARO DEL CACCIATORPEDINIERE CARABINIERE

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NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI 85

IL CACCIATORPEDINIERE CARABINIERE ATTRAVERSA LA LAGUNA DI VENEZIA

LIVORNO (18 GIUGNO 1939) - I REPARTI SCHIERATI PER LA CERIMONIA DELLA CONSEGNA DELLA BANDIERA DI COMBATTIMENTO

LIVORNO (18 GIUGNO 1939) - I CACCIATORPEDINIERIDELLA CLASSE “SOLDATO” IN ATTESA DELLA

CONSEGNA DELLA BANDIERA DI COMBATTIMENTO

CURIOSANDO NEL MUSEO DELL’ARMA

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86 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

CURIOSANDO NEL MUSEO DELL’ARMA

gnato le bandiere di com-battimento dalla piazzaalla banchina di ormeggiodelle siluranti, da dovel’ufficiale e il marinaiopiù giovani di ciascunaunità avevano trasportatoi cofani a bordo. Lì lemadrine dei cacciatorpe-dinieri avevano consegna-to le bandiere ai coman-danti, i quali avevano poiportato i drappi sullatuga, per procedere al-l’alzabandiera. All’ordine del Coman-dante della II SquadraNavale, le dodici bandiereerano state issate con-temporaneamente. Quellebandiere, come prescritto

da Regio Decreto del 1904, si sarebbero rialzate solo incombattimento e nelle grandi solennità.Durante i festeggiamenti il Vice Comandante Generaledell’Arma, Generale Carlo Contestabile, aveva consegnatoalle autorità una medaglia ricordo, fatta realizzate dalloscultore Publio Morbiducci e prodotta dalla SocietàItaliana per l’Arte della Medaglia di Roma. Il riconoscimento, offerto in dono agli equipaggi, avevaraggiunto anche i carabinieri su tutto il territorionazionale e quelli dislocati all’estero, a Bengasi, Tripoli,Addis Abeba, Asmara, Harar, Mogadiscio, Gondar eRodi. Nei 27 anni di vita il Carabiniere del 1938, con isuoi 106 metri di lunghezza ed una velocità di 39 nodi,quasi 11 in più del suo predecessore, aveva combattutonel secondo conflitto mondiale: quasi centomila migliadi navigazione, 91 erano state le sue missioni di guerra,tra le quali la battaglia di Punta Stilo del 9 luglio 1940,ove con la sua squadriglia aveva silurato le unità navalinemiche, quella a Capo Matapan del 28 marzo 1941,

più piccoli, distribuiti in do-tazione dal Commissariatodella Marina Militare. Eranostati prodotti con tessuto dipregio: moella di pura setanaturale a teli congiunti, conricamato a mano al centro loscudo sabaudo, sormontatodalla corona reale.Il cofano della bandiera diguerra del Carabiniere era in-vece quello realizzato quasi30 anni prima dallo scultoreEnrico Tadolini per contenereil drappo dell’omonima unitànavale, sottoposto a interventidi restauro e attualizzazione,poiché da quel lontano 1909erano intervenuti l’introdu-zione dello stemma araldicodell’Arma e il nuovo motto“Nei Secoli Fedele”, che aveva sostituito “Usi obbedirtacendo e tacendo morir”. Alle ore 09:45 di quel 18 giugno, le madrine, accompa-gnate dai comandanti di tutte le dodici unità navalidella classe Soldato, erano pronte nella Piazza CarloAlberto di Livorno, ora piazza della Repubblica, con icofani aperti e le bandiere di combattimento approntateper ricevere la benedizione. All’arrivo delle autorità edel Comandante della II Squadra Navale, i trombettieriavevano suonato tre squilli di tromba e quindi lamarcia ammiraglia. Le compagnie d’onore avevanopresentato le armi. Durante la benedizione le madrineavevano tenuto con la mano destra un lembo dellabandiera. Al termine dei discorsi di rito, erano statisparati 21 colpi a salve e contemporaneamente all’am-maina bandiera dell’incrociatore Trieste, tutte le navimilitari e mercantili presenti nel porto avevano alzatola gran gala di bandiere, che sarebbe stata ammainatasolo al tramonto. Il corteo d’onore aveva poi accompa-

COFANO DELLA BANDIERA DI GUERRA REALIZZATO NEL 1909 DALLO SCULTORE E. TADOLINI, CUSTODITO

PRESSO IL SACRARIO DELLE BANDIERE DI ROMA

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NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI 87

CURIOSANDO NEL MUSEO DELL’ARMA

IN ALTO, LA BENEDIZIONE DELLA BANDIERA DEL CACCIATORPEDINIERE “CARABINIERE” TENUTA A BATTESIMO DALLASIGNORA FELICITA CONTESTABILE. IN BASSO, RECTO E VERSO DELLA MEDAGLIA RICORDO REALIZZATA DALLO

SCULTORE P. MORBIDUCCI E PRODOTTA DALLA SOCIETÀ ITALIANA PER L’ARTE DELLA MEDAGLIA DI ROMA

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88 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

LA SPEZIA, 16 GENNAIO 1965. MOMENTI DELLA CERIMONIA DI DISARMO DEL CACCIATORPEDINIERE CARABINIERE. IN BASSO A SINISTRA L’AMMIRAGLIO CIPOLLINI, ACCOMPAGNATO DAL GENERALE CELI, PASSA IN RASSEGNA

UN PICCHETTO DI CARABINIERI E DI MARINAI. A DESTRA IL MOMENTO SOLENNE DELL’ULTIMO AMMAINA BANDIERA

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NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI 89

quando aveva effettuato ri-petute azioni di fuoco control’aviazione inglese nonchéil primo scontro della Sirtedel 17 dicembre successivodove aveva obbligato il ne-mico a desistere. L’annodopo un siluro lo aveva col-pito fatalmente, asportan-dogli completamente 25 me-tri di prora; dall’esplosioneil cannone era stato proiet-tato in plancia. L’impattoin quel 16 febbraio 1942era stato preceduto dall’urlodel marinaio di vedetta:“scia di siluro a dritta”; ilCarabiniere aveva accostatoa destra ma non era riuscitoa completare la manovra.Dopo la collisione avevacontinuato la sua corsa, in-clinandosi in avanti e im-barcando acqua, mentre lapoppa si inalberava batten-do le eliche al vento. Il Carabiniere ferito era statorimorchiato sino al portodi Messina, dove aveva fattoingresso di poppa. Lì lo ave-va atteso anche il ColonnelloAnnibale Contreras, Co-mandante di quella LegioneCarabinieri. Al Carabiniere era poi stata montata laprora del Carrista, in fase di costruzione, ed era tornatoin prima linea. A conclusione del conflitto era stato uti-lizzato in addestramento, sino al 14 gennaio 1965,giorno del suo ultimo ammainabandiera. Dieci anniprima il cacciatorpediniere era stato nominato “Socio

d’Onore dell’Associazio-ne Nazionale del Cara-biniere in congedo”. Lamotivazione del diplomadi conferimento di cuiera stata data lettura il21 novembre 1955, al-l’atto della consegna av-venuta nel Comando Le-gione di Messina in oc-casione della celebrazionedella Virgo Fidelis, ri-portava “Nei mari infidicon le sue gesta, si resedegno del valore dellaMarina Militare e dellegloriose tradizioni del-l’Arma dalla quale ebbeil nome”.Il 14 gennaio 1965, sottouna fitta pioggerella,dopo aver salutato perl’ultima volta il Carabi-niere, il Comandante, Te-nente di Vascello LuigiCorte, riponeva la cam-pana di Bordo, la Ban-diera di Bompresso, quel-la nazionale con stemmadella Marina e quella dinave in cofanetti di legno,per essere conservatipresso il Museo Storico

dell’Arma. Insieme alla ruota del suo timone ancoraoggi sono esposti nel Museo, nella Galleria delleSpecialità, dove si può ammirarli nella loro unicità, ac-canto ad altri cimeli che ricordano i Carabinieri delmare.

Laura Secchi

CURIOSANDO NEL MUSEO DELL’ARMA

TIMONE, CAMPANA DI BORDO E BANDIERA DI BOMPRESSOESPOSTE AL MUSEO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

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90 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

CURIOSANDO NEL MUSEO DELL’ARMA

I giovedìd’Autunno

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NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI 91

CURIOSANDO NEL MUSEO DELL’ARMA

Storia, arte, musica, cultura sono le parole d’ordinedel Museo Storico dell’Arma. Dopo la brevepausa estiva il Salone d’Onore riprende ad

ospitare una serie di eventi che, dal 22 settembrescorso, hanno assunto cadenza settimanale. I giovedìdel Museo si sono aperti, proprio nel giorno dell’equi-nozio, con il concerto “Note d’Autunno”, che havisto l’esibizione di un ensemble della Banda dell’Armae della Fanfara dei Bersaglieri di Roma Capitale. Lapresenza, non casuale, della Fanfara ha fatto da feliceseguito all’esibizione con cui la Banda dell’Arma haaperto il 20 settembre scorso, presso il Museo Storicodei Bersaglieri, le celebrazioni per il 146esimo anni-versario della Breccia di Porta Pia. Allo scontro con letruppe pontificie per la presa della città, nel 1870,presero parte anche 150 Carabinieri, ordinati in repartimobilitati denominati Distaccamenti Carabinieri Reali,tra i primi con i Bersaglieri a penetrare nella futuraCapitale, unitamente al resto delle truppe italiane. Un detto popolare narra “Bersaglieri a Ripa, Carabinieriar Popolo” per ricordare come i primi si insediaronoa Trastevere e i secondi in Piazza del Popolo, nella ca-serma oggi denominata “Giacomo Acqua”, realizzatanel 1794 dal celebre architetto Valadier per ospitarele milizie pontificie. Le marce, fil rouge del concerto,sono state suonate a porte aperte su piazza del Risor-

gimento. Le melodie hanno richiamato anche l’atten-zione di quanti, italiani e stranieri, si trovavano atransitare nei pressi, attratti dagli squilli di tromba edai canti della Fanfara dei Bersaglieri, nonché dallesingolari composizioni per complessi militari scritteda Mozart, Strauss e Beethoven, suonate dalla Bandadell’Arma. Di notevole interesse è risultato l’incontrocon il Comandante del Comando Carabinieri per laTutela della Salute, Generale Claudio Vincelli, che il29 settembre ha parlato de “I carabinieri dei NASnelle attività di contrasto alla contraffazione farma-ceutica e alimentare”.Ancora la rassegna proseguirà proponendo il 4 ottobreuna conferenza su “La deportazione dei Carabinieriromani. - 7 ottobre 1943”, della Prof.ssa Anna MariaCasavola e del Generale Vincenzo Pezzolet, e il 13 ot-tobre un convegno su “Le regole dell’Ndrangheta. I Carabinieri nell’attività di contrasto”, con i magistratidella Direzione Nazionale Antimafia e il Comandantedel ROS dei Carabinieri. Si riprenderà quindi nellesettimane successive all’insegna dell’arte e della Musica. Chi desiderasse essere inserito nella mailing list degliinviti è pregato di farne richiesta alla segreteria del-l’Istituto alla mail [email protected]

CONCERTODI UN ENSEMBLE DELLABANDA DELL’ARMA DEI CARABINIERIE DELLA FANFARADEI BERSAGLIERI DI ROMA CAPITALEDEL 22 SETTEMBRE 2016

CONFERENZA “I CARABINIERI DEL NAS

NELLE ATTIVITÀ DICONTRASTO ALLACONTRAFFAZIONE

FARMACEUTICA E ALIMENTARE”

DEL 29 SETTEMBRE 2016

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92 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI92 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

VICE BRIGADIEREMARTINOGUZZARDI

CARABINIERI DA RICORDARE

Martino Guzzardi era nato il 30giugno 1956 a Vizzini, un piccolopaese di circa seimila abitanti inprovincia di Catania, legato allafigura e alla memoria di Giovanni

Verga, lo scrittore che diede volti e voci a quegliumili, contadini, pescatori, artigiani, impegnati nellacontinua e disperata lotta per lasopravvivenza o per un irrag-giungibile miglioramento dellapropria condizione . Dopo averfrequentato le scuole dell’obbligo,scelse di proseguire gli studi su-periori, con non pochi sacrificida parte della famiglia, pressol’istituto tecnico per geometriottenendo, nel luglio 1977, queldiploma che gli avrebbe consen-tito di svolgere, alla fine deglianni settanta, una professionedi tutto rispetto con una buonaprospettiva di realizzazione. MaMartino aveva maturato nel frat-tempo un’altra vocazione, quellaper l’Arma dei Carabinieri, e aveva già preso la suadecisione. Vent’anni, un ragazzo ricco di entusiasmo,tanti sogni, tanti desideri. Il successivo 24 novembreaveva così varcato la soglia della Scuola Allievi Cara-binieri di Roma. Il suo sogno si stava realizzando!L’impegno fu pieno e proficuo, tanto da superare

subito brillantemente anche il concorso per allievisottufficiali al quale aveva nel frattempo partecipato.Il 1° ottobre del 1978 era alla Scuola Sottufficiali, aVelletri, per la frequenza del primo anno di corso,poi proseguito a Firenze. Nel maggio del 1980 avevaquindi concluso il percorso addestrativo e, ottenutala promozione a Vice Brigadiere, era stato destinato

al Nucleo Radiomobile di Roma.Il giorno 19 aveva intrapreso ilsuo primo servizio di pattugliacome capo equipaggio, nella Ca-pitale ancora “calda” degli ultimi“anni di piombo”. Era cortesema altrettanto determinato e ri-soluto al bisogno. Sapeva beneche il suo intervento, rapido etempestivo, poteva essere decisivoper chi si fosse trovato in diffi-coltà ed è con questa consape-volezza e disposizione d’animoche agì anche la sera del 22 gen-naio 1981, quando corse incon-tro al suo tragico destino. Quellasera la Centrale Operativa co-

municò a una pattuglia radiomobile di raggiungere lalocalità “Mandrione”, lungo la linea ferrovia Roma-Casilina, poiché era pervenuta la segnalazione diuna persona che si era gettata da un treno in corsa.Un passeggero a bordo del treno per Napoli avevainfatti notato un uomo, con un sacco nero fra le

di DINO FORMATO

MARTINO GUZZARDI, FREQUENTATORE DEL CORSO ALLIEVI SOTTUFFICIALI DELL’ARMA

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mani, uscire frettolosamente dal bagno, aprire losportello della carrozza e lanciarsi dal treno in corsa.Il testimone aveva quindi azionato il freno d’emergenzae aveva riferito al capotreno ciò che aveva visto. Il re-sponsabile del convoglio aveva accertato che in effettinel bagno erano stati stranamente abbandonati degliindumenti intimi e altri effetti personali ed aveva av-visato dell’accaduto il capostazione dello scalo Casilino,che a sua volta aveva provveduto ad allertare il ProntoIntervento dell’Arma e il Commissariato di Torpi-gnattara. La pattuglia dell’Arma interpellata dallaCentrale Operativa era lontana, avrebbe impiegatoalcuni minuti per giungere sul posto. Il giovane ViceBrigadiere Martino Guzzardi, a bordo della suaAlfetta, ascolta le comunicazioni e anche se impiegatoin altro settore, spinto dalla generosità e dal sensodel dovere, comunica via radio la sua disponibilitàottenendo il consenso all’intervento. Pochi attimi edè già sul posto. Intorno il buio. Fa accesso alla sedeferroviaria attraverso un’apertura della recinzionelungo la via Mario Lucio Perpetuo, nei pressi del ca-valcavia della via Tuscolana. C’erano ben quattrolinee ferroviarie, due per il nord e due per il sud.Prova a chiamare ad alta voce ma nessuno risponde.Si avventura allora da solo tra i binari, deciso a rag-giungere e trarre in salvo la possibile vittima di untentativo di suicidio o a capire comunque cosa fosseaccaduto. Nel frattempo giungono sul posto anchealtre pattuglie dell’Arma e della Polizia di Stato.Entrano nell’area ferroviaria anche il Brigadiere Gio-

IL VICE BRIGADIERE GUZZARDI IN SERVIZIO AL NUCLEO RADIOMOBILE DI ROMA

vanni Di Santo, il Vice Brigadiere Luciano Boccitto eil personale di una volante della Polizia di Stato. Poco dopo carabinieri e agenti si accorgono del so-praggiungere di due treni, in direzione opposta traloro. Il buio non permette di capire su quali binaristanno viaggiando i convogli né di stimarne la velocità.Occorre togliersi immediatamente dalle linee ferrate.Il Brigadiere Di Santo e il Vice Brigadiere Boccittotrovano riparo lungo il muretto di recinzione, i dueagenti di P.S. trovano un appiglio sicuro nel pilonedella linea elettrica. Il Vice Brigadiere Guzzardi, inuna posizione più avanzata lungo i binari, viene sor-preso invece dai due treni proprio nel punto in cuiessi si incrociano, subendo un poderoso spostamentod’aria dal primo treno che lo sbalza tragicamentecontro l’altro che corre in direzione opposta. Non c’èscampo. Si spezzava una giovane vita come un fiorefalciato ai margini del campo. Il Vice Brigadiere Guz-zardi, compianto dai familiari, dai colleghi e daquanti avevano avuto occasione di apprezzarlo, fu ri-conosciuto “vittima del dovere”. Le sue spoglieriposano nel cimitero del paese natale, ma a Roma,in via dei Lentuli, non lontano dalla Stazione dei Ca-rabinieri di Roma Quadraro, sul muretto di recinzionedella ferrovia c’è una lapide con la fotografia di Mar-tino. Passando non si può non notarla perché, seppurpiccola e con gli evidenti segni del tempo trascorso, èsempre omaggiata da qualche fiore.

Dino Formato

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94 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

REGIE PATENTIUna vigilanza attiva, non interrotta...

(15 ottobre)

ALMANACCO

1816

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NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI 95

ALMANACCO

Il 15 ottobre 1816 venivanoemanate dal sovrano, Vit-torio Emanuele I, due regiepatenti: con le prime si sta-biliva l’istituzione di un“Ministero di Pulizia”, per“staccare intieramente le at-tribuzioni proprie della Pu-lizia da ogni corpo di forzaarmata”, con le seconde si

precisavano, anche in relazione alle com-petenze del nuovo Ministero, “il modod’istituzione del Corpo dei CarabinieriReali” e le relative “attribuzioni e incumbenze”.Si tratta di un provvedimento normativodecisivo, tra i più significativi per la storiadell’Arma, con cui vengono definitivamentedelineati i tratti essenziali e ancor’ oggidistintivi dell’Istituzione, precedentementesolo abbozzati nelle regie patenti di fon-dazione del 13 luglio 1814.Il testo si compone di ben 64 articoli sud-divisi in 8 capi, in cui sono già presenti inuclei originari di disposizioni da cui di-scenderanno successivamente il Regola-mento Generale e il Regolamento Orga-nico, ovvero i fondamentali punti di rife-rimento normativo che, progressivamenteaggiornati nel tempo, regoleranno la vitadell’Istituzione fino ai giorni nostri. E così, all’art. 1 troviamo definita per laprima volta la funzione istituzionale delCorpo nella celebre espressione “Una vi-gilanza attiva, non interrotta, e repressivacostituisce l’essenza del suo servizio”, chesarà poi ripresa con minime variazioni in

tutti i regolamenti successivi. All’art. 8 sono già sancite, allora comeoggi, la dipendenza ordinativa dalla Se-greteria di Guerra, l’odierno Ministerodella Difesa, “per ciò che riguarda il ma-teriale, personale e disciplina militare” ela dipendenza funzionale dal nuovo Mi-nistero “per quanto concerne le funzioniriguardanti la pulizia e sicurezza pubblica”.E se all’art. 2, le regie patenti, nel ribadireche il Corpo “continuerà ad essere consi-derato per il primo dell’Armata...”, ag-giungono l’espressione “…attiva di terra”,sembrando così intendere “il primo del-l’Esercito”, l’art. 22 chiarisce invece cheil Comandante del Corpo dipende diret-tamente dai “primi Segretarj” cioè daiMinistri “di Guerra e di Pulizia”, in posi-zione straordinariamente simile a quellaattuale: il decreto legislativo 5 ottobre2000, n. 297, prevede infatti, all’art. 2,che “L'Arma dei Carabinieri ha colloca-zione autonoma nell'ambito del Ministerodella Difesa” e che “dipende, tramite ilComandante Generale, dal Capo di StatoMaggiore della Difesa (figura all’epocadelle regie patenti non distinta dal primoSegretario di Guerra)” e “funzionalmentedal Ministro dell’interno”. Di notevole interesse sono le precise di-sposizioni che al capo IV delle regie patentidisciplinano l’attività informativa affidataai Carabinieri, dalla raccolta delle infor-mazioni richiesta ai Comandanti delleBrigate, originaria denominazione delleStazioni, al dovere di segnalare i fatti di

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96 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI96 NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

ALMANACCO

rilievo fino alle autorità centrali.Un elenco dettagliato dei compiti di poliziaè tracciato poi nei ben 21 commi dell’art.34. Tra “le incumbenze” di maggior rilievoe più caratteristiche del servizio dei Cara-binieri vi è senz’altro quella “Di fare mar-cie, giri, corse, e pattuglie su tutte le pub-bliche strade, ed in tutti i luoghi abitaticompresi nel distretto di ciascheduna Bri-gata”. Un compito invece meno noto chepuò risultare di interesse ricordare oggi,

alla vigilia della confluenza del CorpoForestale dello Stato nell’Arma dei Cara-binieri, è quello indicato al comma 7°dello stesso articolo citato: “di arrestare idevastatori de’ boschi, o di qualunqueraccolto delle campagne… e di assicurarsinei loro giri, se le guardie campestri com-piscano i loro doveri con la necessaria di-ligenza facendono relazione ai Sindaci”.Quasi sorprendenti per l’epoca, e in par-ticolare per la fase di svolta restauratrice

Si tratta delle regie patenti

che delineano e fissano

i tratti essenziali

e ancor’oggidistintivi

dell’Istituzione

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NOTIZIARIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI 97

e repressiva che stava vivendo in quelmomento il Piemonte sabaudo, sono alcunenorme di garanzia in favore degli arrestati,da presentare subito, e comunque entrole 24 ore, alle autorità competenti, e di li-mitazione alla possibilità di effettuareperquisizioni domiciliari, specie di notte.Interessanti, infine, tra le tante altre, ledisposizioni che riguardano le attivitàpremiali, dalla registrazione “nei giornalidel Corpo e messa all’ordine del giorno”

“di ogni azione di vera bravura, ogniprova di maggiore divozione, e di intelli-genza nell’esercizio delle funzioni”, allaprevisione “nel bilancio generale di unasomma per essere distribuita, ove occorra,in gratificazioni ai Carabinieri Reali chesi fossero distinti per la regolarità del ser-vizio, per coraggio e zelo negli arresti, eper la conservazione della pubblica tran-quillità”.

Alessandro Della Nebbia

ALMANACCO

Compito meno noto ma attuale,

alla vigilia della confluenza

del Corpo Forestalenell’Arma,

quello di “arrestare i devastatori de’

boschi...”

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DECRETO LUOGOTENENZIALE N. 1314Modifiche ordinative e incrementi organici

(5 ottobre)

ALMANACCO

1916

Il decreto luogotenenziale 5 ottobre 1916, n. 1314, apporta modifiche all’ordinamentodell’Arma fissato nel dicembre 1911, stabilendo che essa “comprende: il comandogenerale dell’arma, 14 legioni territoriali, una legione allievi carabinieri, una scuolaallievi ufficiali carabinieri, una scuola allievi sottufficiali carabinieri”. Gli elementi dinovità sono costituiti dall’elevamento del numero delle legioni territoriali da 11 a 14,allo scopo di garantire un miglior controllo del territorio attraverso un’azione dicomando più incisiva, e la previsione di un unico centro di formazione per gliaspiranti sottufficiali, in luogo della molteplicità di corsi che si tenevano precedentementepresso i vari capoluoghi legionali. Al provvedimento farà presto seguito la costituzionedelle nuove legioni di Genova, Catanzaro e Messina, mentre la Scuola AllieviSottufficiali vedrà effettivamente la luce soltanto al termine del conflitto.All’articolo 4 il decreto prevede inoltre un incremento organico di ben 2.500 unità neiruoli dei carabinieri e appuntati e di altre 500 unità nei ruoli dei sottufficiali.

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CADE IN COMBATTIMENTO AEREOil Brigadiere delle Guardie del Re Albino Mocellin

(12 ottobre)

1916

Il Brigadiere delle Guar-die del Re Albino Mo-cellin era nato a Vicenzanel 1881 e, dopo il ser-vizio di leva, si era ar-ruolato nell’Arma comeCarabiniere a cavallo.Promosso appuntato nel1907, nello stesso annoaveva ottenuto il pas-saggio nei sottufficialied era stato destinato,con il grado di vice-bri-gadiere, nello SquadroneGuardie del Re (Coraz-zieri). Promosso briga-diere nel 1912, era par-tito per il fronte al seguito del sovrano il26 maggio 1915. Aveva quindi chiesto diessere ammesso alla nascente aviazionedell’Esercito (costituita da volontari pro-venienti da tutte le varie armi, corpi especialità, a cui i militari rimanevano co-munque appartenenti e di cui conservavanol’uniforme) e, di lì a poco, aveva frequen-tato il corso base e conseguito il brevettodi volo per l’apparecchio da bombarda-mento Caproni Ca.3. Con l’assegnazioneall’11ˆ squadriglia era stato inviato in Al-bania, a supporto del XVI Corpo d’Armata

che operava in quel-l’area. Immediatamenteera stato impiegato inricognizioni aeree perl’individuazione delle po-sizioni e il monitoraggiodei movimenti del nemi-co e per l’effettuazionedi rilevamenti topogra-fici, essenziali per sop-perire alla mancanza dicarte della zona.Il 12 ottobre, nel corsodi un’attività di bom-bardamento su truppeaustro-ungariche nel-l’area di Kavaje, il veli-

volo italiano è intercettato da un cacciaavversario che colpisce mortalmente  Mo-cellin, secondo pilota dell’apparecchio,con il fuoco della sua mitragliatrice. AlBrigadiere fu concessa la MAVM “allamemoria” con la motivazione: «Secondopilota di un apparecchio attaccato, a circa3000 metri di altezza, da un velivolo dacaccia nemico, si comportava con grandecalma e coraggio nel combattimento aereo,restando colpito a morte». Cielo di Zarnec,12 ottobre 1916. Decreto Luogotenenziale 26 ottobre 1916

ALMANACCO

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note informative

NOTIZIARIOSTORICO

dell’Arma dei Carabinieri

A N N O I - N U M E R O 5

Il “Notiziario Storico dell’Arma dei Carabinieri” è una pubblicazione telematica, veicolatasul sito internet istituzionale www.carabinieri.it, finalizzata alla valorizzazione del patrimo-nio di storia, di tradizioni e di ideali dell’Arma dei Carabinieri attraverso la proposizione dicontenuti inediti, di curiosità e di approfondimenti di carattere storico, aperta alla collabo-razione dei militari dell’Arma in servizio e in congedo nonché a cultori della materia. La Direzione è lieta di ricevere articoli o studi su argomenti d’interesse, riservandosi il dirittodi decidere la loro pubblicazione, esclusivamente a titolo gratuito. Gli articoli sono pubblicatisotto la responsabilità degli autori; le idee e le considerazioni espresse sono personali, nonhanno riferimento ad orientamenti ufficiali e non impegnano la Direzione del NotiziarioStorico. La Redazione si riserva il diritto di modificare il titolo e l’impostazione grafica degliarticoli, secondo le proprie esigenze editoriali. È vietata la riproduzione anche parziale, senzaautorizzazione, del contenuto della Rivista.

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DIREZIONEUFFICIO STORICO DELL’ARMA DEI CARABINIERI

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FONTI ICONOGRAFICHE

Ministero della DifesaComando Generale dell’Arma dei Carabinieri

Ufficio Storico e Museo Storico dell’Arma dei Carabinieri

PERIODICO BIMESTRALE A CURA DELL’UFFICIO STORICO

DEL COMANDO GENERALE DELL’ARMA DEI CARABINIERI

PROPRIETÀ EDITORIALE DEL MINISTERO DELLA DIFESA

ISCRITTO NEL REGISTRO DELLA STAMPA DEL TRIBUNALE DI ROMA

AL NR 3/2016 IN DATA 21 GENNAIO 2016

DIFFUSO ATTRAVERSO LA RETE INTERNET SUL SITO WWW.CARABINIERI.IT

DAL SERVICE PROVIDER “BT ITALIA” S.P.A. VIA TUCIDIDE, 56 – 20134 MILANO

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