NO L’AZZARDO - Gianluca Tenti

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NEL FILM «LA STANGATA» (1973) ROBERT REDFORD (A SINISTRA) E PAUL NEWMAN INTERPRETANO DUE TRUFFATORI NELL’AMERICA DEGLI ANNI 30. A ESSERE RAGGIRATO È UN BOSS: COSÌ LA PELLICOLA (CHE HA VINTO SETTE OSCAR) AVEVA, A SUO MODO, UNA MORALE POSITIVA. A DESTRA, L’INSEGNA DEL FLAMINGO, A LAS VEGAS. 74 GIUGNO 2007 OLYCOM PARADISO_ALB 11-05-2007 8:19 Pagina 74 GIUGNO 2007 75 [ DI GIANLUCA TENTI ] Dalle sale dei Casinò ormai è quasi scomparsa la «bella gente». E nelle bische è stato cancellato quel codice d’onore che dava dignità anche all’illegalità. Ecco un viaggio nei tempi andati, tra fiches, bari e... A carte scoperte Dalle sale dei Casinò ormai è quasi scomparsa la «bella gente». E nelle bische è stato cancellato quel codice d’onore che dava dignità anche all’illegalità. Ecco un viaggio nei tempi andati, tra fiches, bari e... CORBIS NO , L’AZZARDO NON È PIÙ LO STESSO NO , L’AZZARDO NON È PIÙ LO STESSO PARADISO_ALB 14-05-2007 12:03 Pagina 75

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NEL FILM «LA STANGATA» (1973) ROBERT REDFORD (A SINISTRA) E PAUL NEWMAN INTERPRETANO DUE TRUFFATORI NELL’AMERICA DEGLI ANNI 30. A ESSERE RAGGIRATOÈ UN BOSS: COSÌ LA PELLICOLA (CHE HA VINTO SETTE OSCAR) AVEVA, A SUO MODO, UNA MORALE POSITIVA. A DESTRA, L’INSEGNA DEL FLAMINGO, A LAS VEGAS.

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Dalle sale dei Casinò ormai è quasi scomparsa la«bella gente». E nelle bische è stato cancellato quelcodice d’onore che dava dignità anche all’illegalità.Ecco un viaggio nei tempi andati, tra fiches, bari e...

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Dalle sale dei Casinò ormai è quasi scomparsa la«bella gente». E nelle bische è stato cancellato quelcodice d’onore che dava dignità anche all’illegalità.Ecco un viaggio nei tempi andati, tra fiches, bari e...

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pPoker d’assi, parola di re. Un royal bluff, al tavolo di Sanremo. Lui, le roid’Egypte, Faruk. Davanti un Monsieur. Che sapeva di aver vinto, perchéal tavolo verde certe cose si capiscono subito, ma non volle umiliare suamaestà. E accettò quella frase, detta a denti stretti. Che per una certa pub-blicistica sarebbe diversa (Faruk esibì tre re e aggiunse: «Il quarto sono io»),ma per i biscazzieri è sempre stata: «Poker d’assi, parola di re». E detta co-sì suona pure meglio. L’unica certezza è che a quel tavolo sedeva propriore Faruk, protagonista della bella vita, che, per inciso, non è sempre dol-ce. Anzi.Tanto che il re d’Egitto perse ingenti capitali alle carte. E si gio-cò pure il regno (come sta scritto sui libri, alla voce rivolta d’Egitto e asce-sa di Nasser, 1953). Ma questa è un’altra storia. Tratta il gioco e le belledonne, ambienti da atmosfera sospesa, dove il brivido corre lungo laschiena, gela il sangue, secca la gola. È un fremito. È l’eccitazione da ri-schio. Parlo del fascino, divino e diabolico al contempo, per le scommes-se. Per le puntate. In quegli ambienti elitari che sono i Casinò. In quel mon-do fatto di smoking e tight, di abito lungo. Di bastoni d’avorio e occhia-li di corno. Di fiches. Un mondo che resiste, ormai, solo in pochi templidel tempo perduto. Perché in principio il gioco era appannaggio presso-ché esclusivo di nobili e facoltosi imprenditori. Anche di bari.Di ostriche e Champagne. Di sigari e ciprie. Di chi, pur non appartenendoper lignaggio a quel mondo, faceva di tutto per esaudire ogni desiderio:anche quello di perdere, in una sala riservata, in un privé. Oggi no, ogginon più. Resiste forse la giacca con la cravatta, come etichetta d’accesso.Assieme ai cristalli e agli arredi. Alla professionalità del croupier. Al ser-vizio impeccabile di barman che dosano sapientemente le formule chimichedei distillati e sanno ancora essere complici della notte. Ma se le regole re-stano immutate, quello che è cambiato è il volgo. Che altrove ha finito colsostituire il rollio della pallina con lo schermo freddo di un computer. Lasirena della slot con il tintinnio meccanico del videopoker dal tabaccaio.Togliendo un po’ di «ossigeno» alla linfa delle case da gioco. Questo i pro-fessionisti lo sanno. Come sanno che ancora oggi in Italia operano almeno200 bische clandestine. Perché la febbre da gioco è contagiosa e unavolta presa non ti lascia più. Motivo per cui la scelta, alla fine, ricade sem-pre lì. Nella fascia della legalità e dell’eleganza, come in Ca’ Vendramine a Monte-Carlo. O in quella dell’illegalità oggi appannaggio di malavi-tosi senza scrupoli come in realtà non era in principio. Ma torniamo ai Ca-sinò. Qui il mondo si è fermato. Forse, non a caso, lo ha fatto nell’unicoambiente in cui gli orologi non esistono, perché il giocatore non può es-sere disturbato. O, secondo i dettami di Bugsy, deve perdere la cognizio-ne del tempo (ecco perché in molte case da gioco non ci sono le finestre).Solo a Venezia, Sanremo, Campione, Saint-Vincent e Monte-Carlo si re-spira, quieta, la maestosità di sale dove è passato il bel mondo. Sale dovesi sono giocati (e si giocano ancora) patrimoni e fortune.Con tanto di Rolls-Royce che accompagnano i grandi giocatori prima edopo l’istante in cui il mondo è chiuso in un pugno di dadi, in una car-ta, in un numero. È il bello del gioco. Della puntata. Del rischio calcola-to. Dell’azzardo. La sfida. Non è facile separare nell’immaginario collet-tivo il gioco legale (i Casinò) da quello illegale (le bische). Ma è dovero-so farlo. Anche perché oggi viviamo in un mondo senza scrupoli, siamocircondati da faccendieri-avventurieri. E allora i bari non sono solo quel-li delle bische, ma anche quelli che alterano certe fortune, speculano sulcapitale, bluffano nel campo delle azioni. Carte contro carte. A discapi-to di risparmiatori e investitori. In Italia come all’estero. Si bevono inte-

ri capitali e società ai danni dei piccoli azionisti. Storia di Tango e di Bond,dove My way non è la canzone di Sinatra. Ecco perché è meglio parlaredi giochi noti come tali, con le loro regole. Mentre scrivo mi tornano al-la mente altre immagini. Gli anni 30. Forse non è un caso che la fortu-na di Faruk sia nata lì. E forse non è neppure un caso che in quello stes-so periodo un’isola lontana fosse davvero il paradiso terrestre, Cuba.Anche se nel gioco era amministrata da Meyer Lansky. Perché c’erano sìi presidenti degli Stati Uniti alla Roosevelt e i dittatori alla Fulgencio Ba-tista. Ma c’erano anche i tentacoli della mala che s’insinuavano nelle ta-sche degli scommettitori, sfruttando il gioco, il tintinnio della sfera cherimbalza nella ruolette, il fruscio lieve di puntate pesanti con quelle fichesche oggi vengono vendute su e-bay come testimoni di un’era. Meglio, mol-to meglio se su quelle chips sono impresse le lettere di un nome divenu-to mito: Habana. La nostra storia inizia proprio lì. Nella Cuba dellasanteria, delle habanere e degli habanos, dove tra il 1840 e il 1958 ope-ravano qualcosa come 80 Casinò. Facce del mito che eternano nomi co-me Flamingo, Riviera,Tropicana, Hilton e Capri. Questa era l’isla primadel Che, prima di Fidel. Non si giocava solo a Cuba, è chiaro. Il frusciodelle fiches sul panno verde dominava nelle notti di Sanremo già dai pri-mi del ’900, da quando il banchiere Bartolomeo Acquasciati prestò al Co-mune 1.200.000 lire (era il 1898) per realizzare il palazzo in stile libertyche ancora testimonia l’eleganza del gioco legale. Non come quello diLansky. Perché qui, in Italia, si giocava e si perdeva con «uno stile che in-cute rispetto», come cita il sito Internet della casa da gioco della città deifiori. Perché qui e solo qui Vittorio De Sica diceva: «Quando andrò in cie-lo mettete sulla facciata del Casinò uno di quei medaglioni che adorna-vano i frontoni dei vecchi teatri con la scritta De Sica fecit. Perché il Ca-sinò di Sanremo l’ho pagato io coi milioni che vi ho perso in più di tren-t’anni». Non come a Cuba. «Il gioco oggi è diverso», mi dice il «profes-sore» (lo presenterò più avanti). «C’è quello pulito dei Casinò, controlla-to, dove il rischio è calcolato. Ma c’è anche l’altra faccia della medaglia.E io le conosco entrambe». E allora ripartiamo dall’inizio. Dal poker d’as-si. Prima carta: Paul Newman nella Stangata (indimenticabile la scena delpoker truccato). Seconda carta: Robert Redford in Havana (giocatore sen-timentale) o in Proposta indecente (un milione di dollari per passare una

L’ATMOSFERA CHE SI RESPIRAVA AI TAVOLI DA GIOCO NEGLI ANNI 20 È STATA MAGISTRALMENTE RICOSTRUITA DA FRITZ LANG, IL REGISTA DI «METROPOLIS»IN «IL DOTTOR MABUSE» (1922, IN QUESTA PAGINA UN FOTOGRAMMA DEL FILM), CHE NARRA LE VICENDE DI UN AVVENTURIERO DEDITO ALL’AZZARDO.

Vittorio De Sica disse: «Il C

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notte con tua moglie).Terza carta: Robert De Niro, Casinò, spietato e cru-dele. Quarta carta: Albert il Marsigliese. Parola di re: che resta Faruk. Par-la il «professore». Parla e nel mio Moleskine di fortuna affiorano le notesul Casinò di Venezia, Ca’ Vendramin, la casa da gioco più antica del mon-do, fondata nel 1638. Affiorano il trente et quarante. Lo chemin de fer.Il baccarà. Parla il «professore». E suona di Francia. Io invece vedo l’A-merica, le scintillanti luci del deserto dalle parti di Vegas, Reno, vedo At-lantic City. Vedo una nave che prende il largo a New Orleans.Vedo i titani del mare che conquistano le acque internazionali ed è allo-ra che trionfano il black jack e il poker. Quelli veri. Si punta ovunque. Co-me ai tempi delle baratterie medievali, la zona franca dell’epoca, quandoi giochi erano vietati per la strada e vicino alle chiese. Si gioca sulle navida crociera. Si gioca a Macao, nel mitico Lisboa dove ho speso una not-tata tra facce asiatiche, a tirar dadi e ingollare terrificanti water-whisky.Si scommette e si punta ovunque e su tutto, in Asia. Dalla lotta dei gal-li alla carta che cade dal piano superiore: se è bianca o volta. Nei Casinò,dove il look non è un obbligo e, forse, non lo è mai stato. Si gioca forte.Meglio se al riparo da occhi indiscreti. Ma alla fine il banco vince sem-pre. Sorride il «professore». Evoca ricordi che è bene non raccontare. Per-ché fanno sì sorridere, ma sono spietati e crudeli. Patrimoni passati di ma-no in una notte. Vite perdute dietro al rilancio. Sorride mentre gli raccontodei misteri della Grande America. Di Frank Sinatra e dei Kennedy, di Cu-ba e Las Vegas. Già, Cuba e Vegas: un’isola e il deserto, unite dal gioco.Quella Cuba dove un giorno sbarcò proprio «the Voice».Sinatra era legato a Charles Fischetti, gangster di Chicago che falsifica-va le elezioni. È accertato dall’Fbi che nel ’46 i due si frequentassero, as-siduamente. Fischetti aiutò Franky a entrare nel mondo dello spettaco-lo, in cambio Sinatra fece per lui alcuni favori. E i legami del clan Fischettinon si limitavano a Chicago, ma arrivavano a Miami, dove Joseph Fischettiaveva interessi nel Fointenblau hotel. Joseph e Frank avevano contatti set-timanali, che finirono negli schedari della polizia. Nel 1947 Sinatra vo-lò da Miami a la Habana col fratello di Joseph, Rocco (che si interessa-va di scommesse e donne) nel viaggio che scatenò lo scandalo mediati-co per l’incontro di «the Voice» con Lucky Luciano. Perché parlo diqueste cose? Perché a differenza della gestione dei Casinò in Italia, ma in

senso più lato in larga parte del Mediterraneo, il giro delle scommesse nel-le Americhe è stato fortemente viziato dalla malavita. Sempre. Leggen-da? Realtà. Come quella che univa Sinatra a Sam «Momo» Giancana.Quando Giancana negli anni 50 era il boss di Chicago contribuì, e nonpoco, a far ripartire la carriera di «the Voice». Sto parlando di un boss diquelli veri. Nei suoi confronti, a titolo di cronaca, la polizia americana haraccolto materiale utile per risolvere 200 omicidi. I suoi interessi, come di-mostrarono i servizi segreti, si allargavano agli hotel Riviera, Sands e De-sert Inns di Las Vegas dai quali il boss riceveva un incasso annuale di 2bilioni di dollari (50 milioni «puliti» finivano direttamente nelle sue ta-sche). Ebbene, tra gli amici di Giancana furono registrati Jimmy Durante,Dean Martin e altri. Ma i giornalisti d’inchiesta ricordano che il boss por-tava sempre con sé un anello di zaffiri: glielo aveva regalato Franky. Ci so-no documenti che attestano come «the Voice» fu la copertura scelta daGiancana, nel 1960, per la gestione del Cal-Neva lodge sul lago Tahoe (giàproprietà di Joe Kenney, padre di Jfk), dove il boss non poteva entrare uf-ficialmente in società poiché il suo nome era nella lista nera delle Com-missioni di gioco. Fu così che Frank Sinatra, Hank Sanicola e Dean Mar-tin divennero azionisti dell’hotel, ciascuno col 33%.Cosa unisce Faruk a Sinatra? Il bel mondo. Le donne. Il denaro. Il po-tere. Il gioco. Quella miscela esplosiva che dona il senso dell’onnipoten-za. Ma che costerà la vita al gangster Bugsy Siegel, l’uomo che fu man-dato nel deserto per riciclare i proventi della mafia di New York e che inuna sconosciuta Vegas operò tra il 1943 e il 1947. Fu lui a far nascere dalnulla il Flamingo, inaugurato il 26 dicembre del ’46. La colonna portan-te di un impero legato alle scommesse. Prima gestite in maniera fortementedubbia, poi sempre più regolare. Infine legale.Tutto nato, però, dopo il Fla-mingo. Siegel non restituì i soldi «prestati» dalla mafia e per questo fu uc-ciso nella sua villa di Los Angeles (in tasca aveva due assegni del Flamingo).Ma torniamo a Sinatra. Nell’ottobre del 1947, si arrischiò fino a Cuba,dove era in corso un meeting mafioso: vi partecipavano Vito Genovese,Joe Adonis, Albert Anastasia, Frank Costello, Tommy Lucchese, JoeBonanno, Joe Profaci,Tony Accardo, Carlos Marcello e Santo Trafficante.Ma anche i fratelli Fischetti, che arrivarono sullo stesso volo di Frank Si-natra (il giornalista Robert Ruark titolò: Vergogna, Sinatra!).

IN ALTO, A SINISTRA, BUGSY SIEGEL, L’UOMO CHE FONDÒ LAS VEGAS CON I CAPITALI DELLA MAFIA DI NEW YORK. AL CENTRO, MARK RYDELL, ALAN ARKINE ROBERT REDFORD NEL FILM «HAVANA» (1990). A DESTRA, RE FARUK D’EGITTO AL CASINÒ DI MONTE-CARLO CON MISS NAPOLI IRMA MINUTOLO NEL 1954.

Il Casinò di Sanremo l’ho pagato io coi soldi persi»

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Un caso? Trent’anni più tardi, nel1976, in una foto storica di NewYork saranno immortalati Paul Ca-stellano, Gregory DePalma, FrankSinatra, Tommy Marson, CarloGambino, Aladena Fratianno, Sal-vatore Spatola, Joseph Gambino eRichard Fusco. Ma torniamo allaCuba dei Casinò. Perché qui Si-natra fu visto nel 1947 proprio conquei boss che si erano dati appun-tamento nell’isla per mettere fineall’arroganza di Bugsy Siegel. Equi fu decisa, qualche anno dopo,la sorte di Jack Entratter, un ebreo potente, che si era fatto strada nel mon-do dei locali notturni ed era diventato gestore del Copacabana di NewYork. La malavita lo mandò a Las Vegas a gestire il Sands, che sarebbe di-ventato il quartier generale di Sinatra per un decennio. I due furonograndi amici fino a un litigio che sfociò nella distruzione delle vetrine del-l’hotel-casinò da parte di Sinatra. Era il periodo d’oro dell’azzardo edelle stelle di Hollywood. «Wall Street disprezzava lo showbiz perché eraun business di merda», dichiarerà un aiutante di Sinatra, «ma Sam Gian-cana e i suoi amici erano disposti a tirare i dadi: così era nata Las Vegas».E quando «Mr. S» volle effettuare un investimento a Vegas, Sam lo aiu-tò a entrare al Sands. Era il 1952. Sinatra sbarcò con le Copa girls (l’uo-mo del Copa era proprio Entratter). Ebbe il 9% della società. La trasformòin un tempio dello spettacolo. E poi volle riprovarci, con Giancana, al Cal-Neva lodge del lago Tahoe, ma stavolta fu un disastro.Cuba finì nella Revolución. Batista (che era a libro paga della mafia) ri-parò in America. E i boss trasferirono definitivamente le loro puntate neigrattacieli di Las Vegas. La capitale dell’azzardo. Qui Bugsy aveva inve-stito 3 milioni di dollari (ottenuti da Frank Costello, Meyer Lansky e daun «consorzio» di mafiosi) per la realizzazione di un hotel-casinò che vol-le chiamare the Flamingo (dal nomignolo dell’amante). Nel suo proget-to l’hotel-casinò sarebbe costato poco (un milione) e, lanciato adeguata-mente, avrebbe reso molto. La realtà nei primi anni fu diversa. E quan-do Bugsy non volle restituire i fondi, fu ucciso. Dopo la sua eliminazio-ne l’investimento si rivelò particolarmente lucrativo, in pochi mesi. Quan-do Meyer Lansky prese il controllo del Flamingo lo portò al successo. Dueanni dopo aprì il Thunderbird. Dopo di lui a Vegas sbarcarono altri in-vestitori. Moe Dalitz di Cleveland inaugurò il Desert Inn. E LongyZwillman, amico di vecchia data di Lansky dette vita a the Sands. Emis-sari della mafia di Chicago controllavano the Riviera, acquisirono loStardust; la mala del New England si assicurò the Dunes.Il vero boom di Las Vegas fu in parte segnato dagli investimenti della ma-fia, come confermò l’operazione Tropicana (firmata da Frank Costello eCarlos Marcello). Altre connessioni furono provate dagli agenti federa-li al Las Vegas club. Per trent’anni Vegas fu un’inesauribile fonte di pro-fitti derivanti da gioco e riciclaggio. A interrompere questo Eldorado fu-

rono i dissidi interni alla malavitae, soprattutto, una pressione cre-scente da parte degli investigatori.Nel 1979 l’Aladdin hotel fu chiu-so dalla Commissione del Nevadaper i suoi interessi legati al sotto-mondo. Il Tropicana finì sotto in-dagine da parte dell’Fbi per le evi-denti connessioni con la mafia.La città di Vegas è stata racconta-ta dalla sublime penna di MarioPuzo. Che è l’autore del Padrino.Ma anche lo scrittore di The lastDon, nel quale si parla apertamen-

te della gestione dei Casinò. Puzo descrive la «pallina d’avorio che pic-chietta tra le fessure rosse e nere», la «lontana risacca delle implorazionirivolte ai dadi dai giocatori». Parla di gioco. Ma anche delle ville. Perchéci sono le suite, per i più facoltosi. E le ville, per i grandi scommettitori.Quelli che ancora oggi vengono presi a casa col jet privato del Casinò, por-tati nel lusso del deserto. Quelli che giocano oltre un milione in due gior-ni, e sono così assuefatti ai comfort da richiedere l’unica cosa che gli man-ca: l’emozione. Come il brulicare delle stelle nel cielo buio del deserto. Pervedere quel cielo servono luoghi isolati, come solo le ville sanno essere. Pu-zo parla anche di come, in un Casinò di fantasia, il flusso dell’aria purasia regolato sulla base delle giocate. Cioè? Come calano le giocate, nellasala viene iniettata automaticamente aria ricca d’ossigeno: i giocatori si «sve-gliano» e tornano a puntare. Il banco vince.«Il banco vince sempre», mi dice Giovanni Bruzzi, il «professore». La pri-ma volta che l’ho incontrato ho scritto un articolo su di lui, titolato Pro-fessione biscazziere. Lui ne ha fatto il titolo di un volume di memorie, nonil primo. Perché è uno di quei rari personaggi che può parlare di questomondo. «Ho visto Joe Adonis a Milano, nel ’56», dice. «Era appena ar-rivato dagli Stati Uniti, da dove lo avevano espulso. Portò con sé una do-te da 35 milioni di dollari, versati in una banca svizzera. Non voleva es-sere invischiato nelle questioni della città. Ma tutti lo cercavano, per ri-spetto per quello che aveva fatto nella vita, non per timore di quello cheavrebbe potuto fare. Gli affidarono la «presidenza onoraria» della mala.Fino al ’71, quando morì, non si muoveva foglia se lui non era d’accor-do». Bruzzi, dopo gli anni d’oro, ha subito processi, poi ha messo a frut-to l’esperienza ed è diventato il consulente di Pupi Avati in Regalo di Na-tale e La rivincita. Oggi è Cavaliere del lavoro. «Nel primo film conAvati ho costruito un servito ad Abatantuono che… non si sa come fi-nisce, perché lui mischia le altre carte, vergognandosi, una cosa che nonè ammessa ai tavoli! Poi ho insegnato a Carlo Delle Piane come si fa ilcartaio, gli ho spiegato la barattina, cioè il cambio del mazzo che porta alpoker di donne dopo che sono state chieste tre carte. La partita finisce conuna vincita da 350 milioni. Nel secondo “regalo” ho messo due serviti (fulldi jack con due dieci e poker di donne) e il baro, che stavolta gioca per Aba-tantuono, gli dà quattro carte: un poker d’assi che vale 2 miliardi».

Chi azzarda non vince soldi, ma un’emozione

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HUMPHREY BOGART IN «CASABLANCA» (1942, IN ALTO) INTERPRETA IL PERSONAGGIO DI RICK BLAINE, IL PROPRIETARIO DEL LOCALE PIÙ CELEBRE DELLACITTÀ MAGHREBINA, IL RICK’S CAFÉ. DOVE NON POTEVA MANCARE IL TAVOLO DELLA ROULETTE. IL FILM HA RESO IMMORTALE L’ATTORE AMERICAN O.

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SHARON STONE LANCIA I DADI IN UNA PARTITA DI CRAPS IN «CASINÒ» DI MARTIN SCORSESE (1995). GLI EVENTI RACCONTATI DAL FILM, AMBIENTATO ALAS VEGAS, RUOTANO ATTORNO AL CASINÒ TANGIERS, NATO DALLA FANTASIA DEL REGISTA MA CHIARAMENTE ISPIRATO AI COLOSSI DEL GIOCO DELLA CITTÀ.P

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IN «CASINÒ» DI MARTIN SCORSESE, ROBERT DE NIRO E JOE PESCI INTERPRETANO, RISPETTIVAMENTE, SAM «ACE» ROTHSTEIN E NICKY SANTORO. ILFILM È ISPIRATO ALLE FIGURE REALMENTE ESISTITE DI FRANK ROSENTHAL (DETTO LEFTY) E ANTHONY «THE ANT» SPILOTRO, BOSS DI LAS VEGAS.

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cCifre difficili da credere. «Diffici-li?», fa Bruzzi, «sono credibili sesul tavolo ci sono le fiches che co-prono quel valore. Oggi si giocaanche più alto. Ma fino a qualcheanno fa i limiti non esistevano.Nell’81 ho visto l’ultimo tavolo dipoker, in una villa romana. Un ta-volo di quattro. Un giocatore astu-to chiese un baro “over the top”. Adavanzare la richiesta era uno incondizione di perdere una grossacifra, un vero intenditore di pietrepreziose, credibile perché potevacoprire la giocata. Mi chiese di portare al tavolo l’imprenditore che vo-leva spennare. Gli portò via 2 miliardi. Uno finì al baro, 500 milioni an-darono ai complici, il resto coprì le spese». Ma il periodo d’oro in Italiaè un altro. «Dal ’62 al ’75 si giocava alla roulette e al trente et quarante.Le bische a cinque stelle garantivano i massimali doppi rispetto ai Casi-nò. Le chance per i giocatori raddoppiavano. Primari, imprenditori, in-dustriali, avvocati, notai, giudici, banchieri. Ci chiedevano la protezioneper non essere trovati al tavolo, in caso d’irruzione della polizia.Così giocavamo ai piani alti dei palazzi, mettendo fuori uso l’ascensore sec’era. E se arrivava l’irruzione, i poliziotti dovevano fare cinque o seipiani di corsa. Noi avevamo il tempo per far sparire le carte, qualcuno fug-giva sui tetti». Chemin e zecchinetta sono le discipline più rischiose. Ban-chi a puntata illimitata. Gli altri, i giochi di gestione, si basano sulla «ca-gnotta»: il 5% su ogni banco vincente. Non c’è rischio. «Chemin e zec-chinetta ti davano l’impressione di grosse vincite», riprende il «professo-re». «All’inizio degli anni 70, a Firenze, ci fu un tavolo con 35 milioni diuscita di banco, che al secondo passaggio fanno 70, poi 140. Alla quintamano sei sopra il mezzo miliardo, non so se mi spiego». Bruzzi ha fre-quentato la Milano di Adonis, di Francis Turatello, e del «tebano» Epa-minonda. Sa di cosa si parla quando si fa riferimento al gioco clandesti-no. E a chi gli gira intorno. «La differenza è che il gioco legale, quello deiCasinò, vive sulla credibilità della Casa. Addirittura fanno la pubblicità.È tutto cristallino, controllato, pulito. Quello d’azzardo invece vive solosu gare truccate. La bisca a cinque stelle, ai miei tempi, era solo a invito.Aveva clienti che venivano anche 100 sere l’anno. Quelli erano la base. Aloro era garantita l’assoluta lealtà del banco. Bevevano, consumavano, gio-cavano e pagavano regolarmente. Al resto pensavano i porteur, che nonsolo mandavano il giocatore, ma erano garanti della sua solvibilità. E quan-do il pollo era grosso si organizzava il tavolo contro il giocatore».Il «professore» svela poi la Stangata. Quella vera. «A Chianciano una not-te ci fu un «Tout va» al baccarà, l’unico nella storia d’Italia. Lo volle Al-bert il Marsigliese. Ci mettemmo una settimana per organizzarlo, alla fi-ne della stagione termale, e per far circolare la voce senza creare troppa con-fusione. Perché se lo dici che c’è… partono i pullman da Catanzaro! IlMarsigliese ci chiamò e disse: “Accetto qualsiasi puntata purché cash”. Aprì

le sue valigette piene di contanti. Igiocatori arrivarono con rotoli dibanconote in tasca. Ma commise-ro un grave errore, non portaronotutto il capitale. In un gioco dicontinui rialzi, partirono perdenti.L’ultimo giorno, quello del «Toutva», Albert annunciò: “Ce soir c’estl’exécution”. Pianificò 16 colpi con-secutivi sul primo e sul secondosettore di gioco: 12 persone ai ta-voli, 150 intorno. Tutti a puntare.Al quattordicesimo colpo era fi-nita». Com’è possibile? Com’è che

imprenditori, bottegai e gente che gioca con alta frequenza possa resta-re impigliata nella rete? «La psicologia. Ecco cosa ci vuole per capire il gio-co», dice Bruzzi. «Perché c’è il gioco legale, che ti dà alcune percentualidi vincita. Ma c’è anche quello dell’azzardo, dell’illusione di alte vincite,fatto di bari e di piglianculi. E in questo caso il gestore deve ragionare nonsul mantenimento di un parco clienti conosciuto da anni, ma sulla testadel neofita. Lo vedevi subito, quando entravano. Anche i più accorti. Fa-cevi perdere il giocatore. Se tornava dopo qualche giorno, era tuo per tut-ta la vita». Biscazzieri spietati… «Non scherziamo. Nessuno viene da tecon la pistola alla tempia a obbligarti a giocare. Noi avevamo un codice.Se il giocatore non era solvibile non lo facevamo neppure entrare.Se arrivava uno da fuori con molto contante e poca pulizia lo segnalava-mo alla polizia che, in cambio, ogni tanto chiudeva un occhio. Se c’era qual-cuno che si stava rovinando, gli offrivamo un bel whisky e una signorina,dicendogli di non tornare. Se faceva il furbo, invece, se perdeva e non pa-gava, magari poteva capitargli un braccio ingessato. Mai però quello colquale doveva firmare gli assegni». E oggi? «Ora è tutto finito. Dopol’austerity del ’75 le bische smisero di essere a cinque stelle. Aprirono a gio-catori rissosi, senza scrupoli, a emissari della mala, a teste calde. Sono usci-to e non sono più rientrato. Anche se so che il giocatore è rimasto tale equale. Non va mai a giocare per vincere. Quando una persona ha successonella vita, non accetta lo smacco di perdere al tavolo. E allora torna. E piùtorna più gioca, più gioca più punta, più punta più perde. Finché diven-ta dipendenza. Oggi in Italia ci saranno 200 bische, ma nessuna come quel-le del periodo d’oro. Non c’è la roulette. Solo zecchinetta e chemin de fer:non bancano, non rischiano il capitale.Tutto resta legato alla “cagnotta”».Scrive Puzo: «Resta un unico mistero, il motivo per cui uomini ricchis-simi sprecassero il tempo a giocare per vincere dei soldi di cui non ave-vano bisogno. Lo facevano soprattutto per dimostrare una sorta di supe-riorità sugli altri essere umani… Dedusse che bisognava trattarli comedei… Costruì per loro le ville… Cucina privata aperta 24 ore. Piscina.Tutto gratis. Alla proprietà costava 50mila dollari la settimana, rendevain media un milione». Le ville? «Di solito sono prenotate». E quando ilgrande giocatore perde, a Las Vegas, la direzione gli regala sette completidel miglior made in Italy. Per dirgli: «Torna presto».

Negli anni 60 le bische erano a cinque stelle

L’AGENTE 007 PER ANTONOMASIA SEAN CONNERY INTERPRETA JAMES BOND IN «THUNDERBALL» (1965, IN ALTO). NEL FOTOGRAMMA INDOSSA CON DISINVOLTURAUNO SMOKING SEDUTO AL TAVOLO DEL CASINÒ DI FRONTE AD ADOLFO CELI, CHE INTERPRETA IL RUOLO DI EMILIO LARGO, NUMERO DUE DELLA SPECTRE.C

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♦ ♦SULLE PIASTRELLE DAMIER DECORATE A MANO, DI CERAMICHE MUSA (20 EURO IL PEZZO, WWW.CERAMICHEMUSA.IT), PORTAFICHES IN NOCE CON DUE MAZZIDI CARTE DA POKER, DADI E GETTONI MADREPERLATI, DI MODIANO (260 EURO, WWW.MODIANO.IT); CAVE-À-CIGARES DELLA LINEA «AMERICA» DI CHRISTOFLE(550 EURO); SCACCHIERA A SPECCHIO E FIGURE IN CRISTALLO DI SWAROVSKI (1.280 EURO); CARTE DI HERMÈS (54 EURO); SCACCHIERA COMPONIBILE IN METALLOCON CUBO COMPOSTO DAI PEZZI, DI FRANCO ROCCO PER PREATTONI (450 EURO). A DESTRA, UNA COPERTINA STORICA (MARZO 1924) DI «MONSIEUR».

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A carte scoperte

[ DI VALENT INA CER IAN I - FOTO D I H2O - S TYL ING DYANNA BARRENECHEA ]

R AC C O G L I E R E U N A S F I DA A L TAVO LO V E R D E ( M A N O NS O LO ) S I G N I F I C A D I M O S T R A R E A S E S T E S S I E A G L IA LT R I D I E S S E R E U O M I N I V E R I . D OTAT I D I G R A N D EAU TO C O N T R O L LO E R I S P E T TO S I V E R S O L ’ AV V E R SA R I O

♦R AC C O G L I E R E U N A S F I DA A L TAVO LO V E R D E ( M A N O NS O LO ) S I G N I F I C A D I M O S T R A R E A S E S T E S S I E A G L IA LT R I D I E S S E R E U O M I N I V E R I . D OTAT I D I G R A N D EAU TO C O N T R O L LO E R I S P E T TO S I V E R S O L ’ AV V E R SA R I O

PERCHÉ GIOCARENON È UN GIOCOPERCHÉ GIOCARENON È UN GIOCO

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LE RIGHE BORDEAUX E GIALLE DELLE PIASTRELLE DECORATE A MANO, MODELLO «MANTEGNA», DI CERAMICHE MUSA (132 EURO AL METRO QUADRATO)FANNO DA SFONDO ALLA SCATOLA MULTI -GIOCO RIVESTITA IN PELLE CON CARTE, SCACCHI, DOMINO, F ICHES E SCACCHIERA, DI CORNELIANI (2MILAEURO), ALLA DAMA E AL BACKGAMMON IDEALI DA PORTARE IN VIAGGIO CON PIANO DA GIOCO IN CASHMERE, SCOMPARTIMENTO PORTADADI E PEDINEDI LORO PIANA (760 EURO), AL GIOCO OTELLO CON SCACCHIERA IN PELLE PIEGHEVOLE E CUSTODIA IN PELLE E NICKEL, FIRMATO DUNHILL (980 EURO) .

♥A carte scoperte

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SUL BLU E IL BIANCO DELLE PIASTRELLE «PIQUET» DECORATE A MANO DI CERAMICHE MUSA (140 EURO AL METRO QUADRATO), SCATOLA DOMINO JUMBO IN LEGNO,DI MODIANO (16 EURO); CARTE DA GIOCO CON SCATOLA, DI TIFFANY (30 EURO); SCATOLA FRANCESE PRIMO ’900 PER LA TOMBOLA IN LEGNO DOLCE CON DECOROLIBERTY (LA FENICE VINTAGE, 120 EURO CIRCA); SUL SUPPORTO IN LEGNO, TROTTOLA IN AVORIO BOSSO E TRASTULLO IN AVORIO E WENGÉ (RISPETTIVAMENTE195 E 50 EURO), SULL’ANGOLO, TRASTULLO «DONZELLA» (60 EURO) DI PREATTONI (TEL. 02.76001059); PUZZLE CON SACCHETTO DI HERMÈS (70 EURO).

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SULLE PIASTRELLE A POIS «PETITE POINS» DECORATE A MANO DI CERAMICHE MUSA (150 EURO AL METRO QUADRATO), DALL’ALTO, A SINISTRA, IN SENSOORARIO, BACKGAMMON IN PELLE CON PEDINE IN LEGNO, DI RALPH LAUREN (1.000 EURO); BACKGAMMON IN RADICA CON PEDINE MADREPERLATE, DI BERGOMI(700 EURO, TEL. 039.324194); BACKGAMMON IN ALLIGATORE DELLA LOUISIANA CON PEDINE REALIZZATE IN TITANIO (DA 4MILA EURO); BACKGAMMON INSUÈDE E CUOIO BOTTOLATO CONCIATO AL VEGETALE CON PEDINE IN TITANIO RICOPERTE IN CUOIO, DI SCHEDONI (DA 2.300 EURO, WWW.SCHEDONI .COM).

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A carte scoperte

S«Se fossi ministro dell’Istruzione, inserirei nei pro-grammi scolastici un’ora di carte la settimana», spie-ga l’avvocato Giancarlo Maresca, abilissimo al tavoloda poker. «Sì, perché l’attitudine al gioco è unagrande attitudine sociale, fatta di conoscenze, regolee comportamenti». Una palestra di qualità umane,dove misurarsi e in cui si ha l’occasione di dare ilmeglio di sé. Per dimostrare qualcosa a noi stes-si, ma anche agli altri. Un continuo scambio diruoli, per passare da quello di protagonista aquello di spettatore, senza mai perdere di vistal’obiettivo: vincere. Davanti a un tavolo dagioco, ecco dunque scendere in campo il trionfodell’individuo e dell’individualismo, dove ogni li-bera decisione sconfina in un’azione che ha imme-diate conseguenze, che può risultare determinante.Liberi di scegliere, liberi di agire, responsabili di tuttoquello che accade: il tavolo diventa un’occasione per di-mostrare una grande prova di equilibrio, senza mai di-menticare le regole fondamentali del bon ton del Monsieur.Che, nel gioco, si possono riassumere soprattutto in una parola: control-lo. Questo deve essere sempre massimo, indipendentemente dal gradodi abilità: la vera eleganza, infatti, sta nel cercare di divertirsi e di far di-vertire chi si ha di fronte. Inoltre, va bene vincere, ma che non si cerchidi stravincere, perché questo significherebbe umiliare l’avversario, arrivandoa toccare la parte dannosa del gioco, quella patologica. «Che poi può an-che diventare un rischio», spiega l’avvocato Maresca, «perché il deside-rio di stravincere fa sì che si alzi sempre di più la posta, rischiando alla fi-ne di perdere tutto. Strafare diventa solo un’occasione per mettersi in mo-stra, una mania di protagonismo che fa dimenticare la vera filosofia delgioco, ovvero divertirsi. In quello d’azzardo entra in campo anche labravura nel sapersi proporre in modo competitivo. Il bravo giocatore, in-fatti, sa mostrare competitività, caratteristica, questa, che diventa il mo-tore di un incontro, perché attira gli sfidanti a sedersi al tavolino. Si trat-ta di una tecnica antichissima», continua Maresca, «che va a van-taggio dello sfidante che, per esempio in unapartita a poker, appena avrà ottimecarte in mano le potrà sfruttare,certo che gli altri giocatori, sma-niosi di vincere e in preda allacompetizione, faranno una mossasbagliata, cadendo in trappola».Ed è qui che il bravo giocatoredeve dimostrare di avere un’altraqualità, il controllo dei nervi. So-prattutto nei periodi meno propizi:l’abilità sta nel riuscire a prevederli, per

fermarsi in tempo. Senza mai dimenticare,però, di mettere in conto anche la sconfitta. Il

vero appassionato considera il gioco nella sua to-talità: non vede la partita, ovvero la battaglia, mala «guerra» nel suo complesso. Per il Monsieurè diverso: lui, infatti, riesce comunque a trarrepiacere dal gioco, da cui non si fa però mai co-involgere completamente, mantenendo la giu-

sta distanza, capendo i propri limiti e fino a do-ve può spingersi. Trae comunque piacere, perché

è pur sempre un gioco. Con tutte le sue componentifondamentali, l’evasione, la competizione e la scom-

messa. Ingredienti che possono essere presenti singo-larmente, così come contemporaneamente, in pro-

porzioni diverse. «L’evasione è una pausa dal reale», spie-ga l’avvocato, «dove mancano regole. Ritrovarsi in un con-

testo in cui ogni dettaglio ha un senso, in cui tutto è pre-visto, tranne il finale, è molto attraente. Tale astrazione è

così rilassante che può diventare fonte di assuefazione, ma sa-rebbe un errore pensare che possa riguardare solo il gioco d’azzardo.

Basti pensare, infatti, alla dipendenza dai videogiochi», continua Mare-sca. «In un contesto ludico, inoltre, a differenza della vita reale, è possi-bile prevedere il comportamento delle persone che si hanno davanti. Conle quali si è in competizione, che è la trasposizione simbolica dell’attivi-tà bellica, propria di ogni uomo che ha voglia di misurarsi. Si tratta del-la sfida, del desiderio di supremazia. Poi c’è la scommessa, la ritualizza-zione del rischio, che diventa paura e che s’insegue per tutta la vita. Di-venta un piacere mosso dall’adrenalina, che spinge ad andare avanti, a con-tinuare nelle proprie mosse, a dimostrare di essere un Monsieur o un abi-le giocatore, dimenticando a quale categoria si appartiene quando si cer-cano delle similitudini col mondo animale. C’è il giocatore leone, quel-lo serpente e quello iena», sostiene l’avvocato Giancarlo Maresca. «Il pri-mo si presenta in tutta la sua fierezza, forte e sicuro al centro del tavolo,

dominando la scena dall’inizio alla fine. Il serpentesi muove in contrattacco, attende silenzioso il

momento giusto per fare la sua mossa e poicolpisce veloce. La iena aspetta che l’av-

versario mostri una debolezza per pas-sare all’azione.Abile a bluffare, a co-gliere il momento di difficoltà psi-cologica di chi ha seduto di fronte».Ecco l’affascinante spettacolo delmondo del gioco, che risveglia sen-sazioni e passioni, da dominare,senza mai rinunciarvi perché «que-sto non sarebbe segno di saggezza.E il Monsieur saggio lo è».

C’È IL GIOCATORE LEONE, FORTE E SICURO, POI IL SERPENTEPRONTO A COLPIRE VELOCE. MA IL PIÙ PERICOLOSO È LA IENA

LA SCATOLA DEI DADI DI LOUIS VUITTON (SOPRA), CON ANGOLI RINFORZATI IN OTTONE E RIVESTITA CON LA TELA DAMIER, HA ALL’INTERNO I DADI IN EBANO INTARSIATIIN OTTONE, IL CONTENITORE IN CUOIO NATURALE PER MESCOLARLI E IL TACCUINO PER IL PUNTEGGIO (2.620 EURO). IN ALTO, UNA NOVITÀ DEL RECENTE SALONEDI GINEVRA. È UN DIVERTISSEMENT DA POLSO DI GIRARD-PERREGAUX: IL VINTAGE 1945 JACKPOT TOURBILLON INCORPORA UNA SLOT MACHINE, PROVVISTA DISUONERIA. IL MECCANISMO È MECCANICO A CARICA MANUALE CON 96 ORE DI RISERVA DI MARCIA. LA CASSA È IN ORO ROSA (TIRATURA LIMITATA, PREZZO SU RICHIESTA).

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