Nichilismo e Mimesi

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L’irrazionalismo e il nichilismo pongono fine all’utilizzo della mimesi come canone estetico: la continuità nell’arte dal mondo classico al XIX secolo e la frattura causata dalle filosofie irrazionalistiche e dal nichilismo. 1

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L’irrazionalismo e il nichilismo pongono fine all’utilizzo della mimesi come canone estetico:

la continuità nell’arte dal mondo classico al XIX secolo e la frattura causata dalle filosofie irrazionalistiche e dal nichilismo.

Giovanni Campana

Liceo Classico “Giulio Cesare”Anno scolastico 2013/2014

Classe V A1

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Prefazione

L’analisi della storia delle arti nella cultura occidentale permette l’individuazione di una sostanziale continuità nella produzione artistica per quanto riguarda il canone estetico generalmente accettato: l’imitazione della realtà.La mimesi del reale rappresenta il punto di partenza per ogni forma d’arte fino alla fine dell’Ottocento senza importanti eccezioni.Alle soglie del XX secolo si assiste dunque ad uno stravolgimento mai visto prima: la realtà come appare non è più oggetto d’arte.Gli artisti non si “limitano” più a rappresentare la realtà fenomenica del mondo, vogliono spingersi oltre.Qual è il fattore che origina l’immenso divario esistente tra le correnti dell’Ottocento e quelle del XX secolo?

L’obiettivo di questo approfondimento è tentare di comprendere le ragioni e le cause che hanno determinato uno iato così lacerante nella cultura occidentale.La mia attenzione è stata attratta da una parte alla tradizione e dall’altra al tentativo di rompere con essa ed adottare nuove forme di espressione.

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A partire da Schopenhauer, proseguendo poi con i maestri del sospetto (cit. Paul Ricoeur) Marx, Nietzsche e Freud, comincia ad incrinarsi il rapporto tra l’io e il mondo. Si perde la fiducia nella razionalità di ciò che si osserva, di ciò che appare. La realtà non è più impregnata di verità ma semplicemente un velo di Maya, un apollineo, una sovrastruttura che copre il reale fulcro della vita: gli istinti irrazionali e alogici che si agitano in noi. Ne La nascita della tragedia Friedrich Nietzsche analizza l’esperienza della cultura greca per approdare ad una nuova e anticonvenzionale concezione: esiste una tensione tra dionisiaco e apollineo.L’apollineo è la superficie apparentemente razionale che copre il mondo oscuro dell’istinto e della vita, il dionisiaco. L’emblema della prima “faccia” è appunto Apollo, dio dell’armonia e della misura, che trattiene e ricompone il caos di Dionisio. I riti orgiastici in onore del dio dell’ebbrezza sono simbolo della spinta istintuale, frenetica e vitale che anima ogni uomo greco.Il distacco dalla concezione classicista dell’esperienza greca porta Nietzsche ad individuare il punto più alto dell’arte greca non nell’armoniosa compostezza dell’arte dorica, bensì nella tragedia attica del V secolo a. C..Nelle opere eschilee e soprattutto sofoclee si attuava il cosiddetto “miracolo metafisico”: l’apollineo e il dionisiaco coesistevano e si compenetravano.La musica, arte che riesce ad essere in contatto diretto con il mondo irrazionale, era rappresentata dal coro mentre la dimensione apollinea coincideva con le azioni stesse dei personaggi in scena. La tragedia quindi diventa l’irrazionale del canto corale che si scarica nell’armonia dell’azione in scena.

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L’opera appartiene alla prima fase della produzione del filosofo, dove sono ancora presenti forti influssi dell’irrazionalismo di Schopenhauer almeno sul piano terminologico. Voluntas e Rappresentazione possono sembrare sinonimi di Dionisiaco e Apollineo, ma la vera e più importante differenza tra i due sta nell’approccio al dualismo: Schopenhauer predica il distacco dal mondo come rappresentazione in quanto fonte di dolore, mentre quello di Nietzsche è un “sì” alla vita, un migliorarsi e divinizzarsi.

L’irrazionalismo di Schopenhauer e la prima fase nietzscheana saranno poi portati a compimento nelle opere della fase illuministica e quella di Zarathustra, dove si approderà al completo nichilismo: sarà necessario demolire l’intero edificio di valori tradizionali per sostituirli con i tre miti. Il pensiero di Nietzsche, insieme a quello di Schopenhauer, Marx e Freud, ha conosciuto una vasta diffusione e adesione in Europa. L’esito più clamoroso è stato la perdita della fiducia nella razionalità del reale, nell’apparenza. Ne Il crepuscolo degli idoli, il mondo dei fenomeni, che per Kant costituiva l’oggetto della scienza, viene distrutto insieme al mondo vero. A questo punto non resta che dare inizio ad un nuovo giorno fondato sui valori transvalutati che sono stati profetizzati da Zarathustra.Di conseguenza sarebbe privo di senso continuare ad imitare la realtà nell’arte, se essa non è vera. Questa è la frattura più grande avvenuta nella cultura occidentale. L’arte di inizio Ottocento è paradossalmente più simile all’arte classica che a quella di fine secolo e del Novecento.

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La mimesi è stata consacrata canone estetico per eccellenza nella Poetica di Aristotele: L’imitazione del mondo è connaturata agli uomini fin da bambini, ed in questo l’uomo si differenzia dagli altri animali perché è quello più proclive ad imitare e perché i primi insegnamenti se li procaccia per mezzo dell’imitazione; ed in secondo luogo tutti si rallegrano delle cose imitate.1

Aristotele riprende poi la divisione platonica delle arti in quanto imitazioni invertendone l’ordine: forma semplice (inni ed encomi), forma mista (epopea) e forma drammatica (tragedia e commedia).

La tragedia è dunque imitazione di un’azione nobile e compiuta, avente grandezza, in un linguaggio adorno in un modo specificamente diverso per ciascuna delle parti, di persone che agiscono e non per mezzo di narrazione, la quale per mezzo della pietà e del terrore finisce con l’effettuare la purificazione di cosiffatte passioni. 2

L’imitazione diventa uno strumento fondamentale per il raggiungimento dello scopo della tragedia: la catarsi. Lo spettatore si deve immedesimare nell’azione, provare compassione, spaventarsi durante lo svolgimento della vicenda (non del cruento) ed infine purificarsi. Nella medesima opera Aristotele indica i canoni di verosimiglianza e necessità quali indispensabili per lo svolgimento della vicenda portata in scena. I fatti devono essere simili al vero non in quanto tali ma nel loro concatenarsi e susseguirsi. Devono poi attenersi alla necessità in quanto c’è molta differenza infatti se qualcosa accade per causa di un’altra o dopo un’altra.

La peripezia e il riconoscimento, elementi fondamentali per rendere al meglio il carattere mimetico dell’azione, devono avvenire secondo i canoni precedentemente citati: necessità e verosimiglianza. Le tragedie più riuscite sono quelle in cui peripezia (rivolgimento dei fatti verso il loro contrario) e riconoscimento (mutamento da ignoranza a conoscenza) avvengono contemporaneamente. Il filosofo di Stagira propone come esempio meglio riuscito l’ Edipo Re di Sofocle:Il messo, venendo come per rallegrare Edipo e liberarlo dal terrore nei riguardi della madre, rivelandogli chi era, ottiene l’effetto contrario.3

1 Aristotele, Poetica, 4, 52 Aristotele, Poetica, 6, 24-253 Aristotele, Poetica, 11, 25

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Nel terzo episodio infatti un messaggero giunge da Corinto recando la notizia che Polibo, il padre adottivo di Edipo, è morto (peripezia). L’annuncio viene accolto da Giocasta, moglie e madre del protagonista, con sollievo: la morte naturale di Polibo smentisce il responso dell’oracolo, il quale aveva predetto che Laio, padre naturale di Edipo, sarebbe stato ucciso dal figlio.A questo punto il tyrannos si lascia andare a considerazioni blasfeme sulla veridicità degli oracoli, anche se è ancora timoroso circa la seconda parte dell’oracolo: infatti avrebbe dovuto unirsi alla madre dopo l’assassinio del padre. Nel dialogo con Giocasta sulla ragione per cui il re non faccia ritorno a Corinto, si intromette di nuovo il messo convinto di rassicurare il re dicendo che Merope e Polibo, sovrani di Corinto, non erano i suoi genitori biologici. Edipo, profondamente sconcertato, si sente annunciare dal messo di essere stato consegnato personalmente al re di Corinto, che non aveva figli.La sticomitia rende più frenetico il ritmo del dialogo, le domande si fanno serrate ed è necessario convocare un altro personaggio in scena affinché si possa appurare chi consegnò al messo il bambino ancora in fasce.Sopraggiunge un pastore che, inizialmente reticente, rivela che Edipo era uno dei figli di Laio, poi il coro suggerisce di interpellare direttamente Giocasta.La regina, che ha compreso la verità, cerca in ogni modo di impedire al figlio/marito di indagare oltre, ma il tyrannos è determinato a scoprire la sua identità fino ad affermare al verso 1068: Sventurato, possa tu non sapere mai chi sei.4

Tali riconoscimenti e colpi di scena comportano pietà o paura – azioni di cui la tragedia è per definizione imitazione – e ne deriveranno il successo o l’insuccesso.

La Poetica affronta anche uno degli snodi più problematici della tragedia: è inverosimile che Edipo all’inizio della tragedia non sia a conoscenza delle circostanze della morte del suo predecessore. L’opinione di Aristotele è che il difetto sia attenuato dal fatto che l’irrazionalità è esterna al dramma, in quanto riguarda gli antefatti.Lo svolgimento dell’azione quindi si mantiene sostanzialmente necessario e razionale.

4 Sofocle, Edipo Re, v. 10686

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I concetti espressi nella Poetica costituiscono i presupposti per tutta l’esperienza culturale classica, inclusa quella latina, nell’ambito della quale l’apice della mimesi si raggiunge con il Satyricon di Petronio.

Il romanzo, di cui ci giungono pochi frammenti probabilmente corrispondenti ai libri XIV, XV e XVI, costituisce un unicum nella cultura classica. Il Satyricon presenta una trama estremamente complessa, dove personaggi, situazioni e luoghi si intrecciano continuamente. La realtà messa in scena da Petronio è labirintica, formicolante e brulicante. Il protagonista, Encolpio, un giovane studente perseguitato dal dio del sesso Priàpo, affronta una lunga serie di peripezie anche erotiche da Marsiglia lungo tutta la penisola italica.La trama in sé non è innovativa poiché sono molti i modelli a cui ha attinto l’autore, anche se spesso rovesciati in chiave comico-parodistica (Odissea, romanzo greco di età ellenistica, fabula milesia, satira menippea).

Ciò che colpisce di più del romanzo è la modalità incredibilmente moderna della narrazione.Auerbach in Mimesis osserva: Petronio, come un realista moderno, pone la sua ambizione artistica nell’imitare senza stilizzazione un qualsiasi ambiente d’ogni giorno e contemporaneo, e nel far parlare alle persone il loro gergo. Con ciò raggiunge il limite estremo a cui sia arrivato il realismo antico.5

La realtà sociale del Satyricon è senza dubbio degenerata: basti pensare alla Cena Trimalchionis, alla quale partecipano Encolpio, Gitone e Ascilto nella graeca urbs, forse la scena più celebre ed emblematica del romanzo. L’ospite è un parvenu, un liberto arricchito che fa sfoggio della sua opulenza in ogni modo: Ce ne stavamo immersi in questo mare di delizie quando, tra un grande strimpellio di canti e suoni, portarono Trimalchione e lo deposero in mezzo a un mucchio di cuscini imbottiti da scoppiare […] figuratevi un gran mantello scarlatto da cui scappava fuori la testa pelata […]Al mignolo della sinistra portava un enorme anello dorato e, all’ultima falange dell’anulare, un anello più piccolo e, a quanto sembrava, tutto d’oro ma incrostato di piccole stelle di ferro. Per non limitarsi poi a questa sola ostentazione di opulenza, scoprì il braccio destro ornato da un braccialetto d’oro e da un cerchio d’avorio rilucente di fregi laminati. Dopo essersi frugato in bocca con uno stuzzicadenti d’argento […].6

Nonostante la situazione possa generare indignatio e di conseguenza una denuncia moralistica in un tradizionale scrittore di satira, Petronio sospende completamente il giudizio, non fornisce alcun commento alla vicenda. Proprio in merito a questo particolare atteggiamento si è parlato di “realismo del distacco”: la dissolutezza morale dei personaggi (che raggiunge l’acme nella città dei contrari, Crotone) è completamente svincolata dall’intervento dell’autore e ciò la rende ancora più realistica.

Il modernismo petroniano è ancora più chiaro nell’utilizzo di plurilinguismo e pluristilismo. Il romanzo non si può definire secondo una categoria precisa e manca di uno stile uniforme. Non c’è un narratore unitario, neanche Encolpio lo è in verità, di conseguenza la realtà appare multiforme, sfaccettata e viene resa in tutte le sue sfumature. Una pluralità di narratori si sussegue per creare il variopinto affresco della storia e la soggettività di ognuno di essi contribuisce a rendere il più impersonale possibile il romanzo. Ancora Auerbach afferma

5 Auerbach, Mimesis, Fortunata6 Petronio, Satyricon, 26, 32-33

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riguardo alla Cena Trimalchionis: … quella che ci viene presentata non è la cerchia di Trimalchione come realtà obiettiva, ma invece come immagine soggettiva, quale si forma nel capo di quel vicino di tavola, che però di quella cerchia fa parte. Petronio non dice – è così; - lascia invece che un soggetto, il quale non coincide né con lui né con il finto narratore Encolpio, proietti lo sguardo sulla tavolata, un procedimento assai artificioso, un espediente di prospettiva […] Il procedimento conduce ad un’illusione di vita più sensibile e concreta, in quanto, descrivendo il vicino di tavola la compagnia a cui lui stesso appartiene, il punto di vista viene portato dentro all’immagine, e questa ne guadagna in profondità così da sembrare che da uno dei suoi luoghi esca la luce da cui è illuminata. 7

Il genio petroniano rende la narrazione ancora più verosimile grazie all’adozione di un linguaggio diverso in base al personaggio che prende la parola: Encolpio, Eumolpo e il retore Agamennone sono ben istruiti e si esprimono in modo corretto e curato, mentre il liberto Nicerote, quando interviene durante la cena, utilizza il sermo plebeius, arrivando addirittura a coniare neologismi come bacciballum, e a ricorrere a turpiloquio. Si può dire che Petronio, nel “realismo mimetico” o “mimesi dello stile”, sia istruito da Lisia, il logografo ateniese del V-IV secolo a. C., che scriveva appunto discorsi di difesa su commissione adeguando il registro lessicale e grammaticale al committente con un processo chiamato etopea.

7 Auerbach, Mimesis, Fortunata8

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Nonostante i caratteri innovativi dello scrittore latino, il suo realismo presenta ancora dei limiti che risultano insuperabili per gli artisti classici.Analizzando ancora la Cena Trimalchionis è chiaro che si tratti di una situazione puramente comica, come dimostra il registro stilistico che è mantenuto volontariamente basso. A ciò si collega il fatto che tutto quello che accenna a sviluppi seri deve essere escluso poiché altrimenti distruggerebbe lo stile. Nella letteratura moderna ogni personaggio, qualunque sia la sua appartenenza, può venir dall’arte imitativa trattato seriamente, problematicamente e tragicamente. Per gli antichi tutta la realtà bassa deve essere rappresentata solo comicamente, senza un approfondimento problematico, senza un suo spessore.

A tutto questo si connette il fatto che nel realismo antico non vengono messe in luce le forze sociali che stavano in quel tempo alla base dei rapporti rappresentati: infatti questa sarebbe un’indagine storica che potrebbe esistere soltanto entro la cornice del serio. Petronio non dà alcun valore al lato storico della sua opera. Se l’avesse fatto, avrebbe collegato i singoli avvenimenti e rapporti con determinate situazioni politico - economico - sociali della prima età imperiale.

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Lo scrittore italiano che più massicciamente ha ereditato le modalità stilistiche di Petronio è Giovanni Verga, emblema dell’arte mimetica del mondo moderno.Egli aderisce al Verismo, portandolo al culmine della rappresentazione della realtà come appare.Per certi aspetti riprende la lezione petroniana dello scomparire tra le pagine e della mimesi dello stile. Nella lettera a Salvatore Farina afferma: La mano dell’artista rimarrà assolutamente invisibile, e il romanzo avrà l’impronta dell’avvenimento reale, e l’opera d’arte sembrerà essersi fatta da sé, aver maturato ed essere sorta spontanea come un fatto naturale, senza serbare alcun punto di contatto con l’autore.8

Tuttavia, a differenza di Petronio, lo scrittore catanese adotta questo principio conformemente alla dottrina positivista - naturalista di Zola, secondo il quale il nuovo romanzo doveva far proprio il metodo delle scienze sperimentali.Sempre nella lettera all’amico scrittore si legge: Io te lo ripeterò così come l’ho raccolto pei viottoli dei campi, press’a poco colle medesime parole semplici e pittoresche della narrazione popolare, e tu veramente preferirai di trovarti faccia a faccia col fatto nudo e schietto, senza stare a cercarlo tra le linee del libro, attraverso la lente dello scrittore.9

Lo scopo di Verga è presentare la realtà nel modo più impersonale possibile; essa non deve essere filtrata attraverso la prospettiva dello scrittore ma presentarsi così come appare. Per mettere in pratica tale concetto egli adotta una regressione del linguaggio: abbassa il livello lessicale e grammaticale alla situazione che sta descrivendo ricorrendo anche a solecismi e ad un linguaggio disadorno. Egli vuole riprodurre, senza alterarla, la lingua pittoresca delle narrazioni popolari. Il narratore adotta il punto di vista dei personaggi che, di conseguenza, sono caratterizzati dall’interno proprio come accade nella caleidoscopica Cena Trimalchionis. Lo sguardo degli altri “attori” della vicenda costruisce la figura di Rosso Malpelo, che si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riuscire un fior di birbone.10

8 Verga,Vita dei campi, L’amante di Gramigna, Lettera a Farina9 Verga, Vita dei campi, L’amante di Gramigna, Lettera a Farina10 Verga,Vita dei campi, Rosso Malpelo

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Il divario più significativo tra i due autori risiede nell’inserimento delle vicende narrate in un contesto storico – economico – sociale preciso e definito. Se per Petronio, il Satyricon deve essere completamente avulso dalla realtà problematica della Roma imperiale in modo da non compromettere lo stile comico, è imprescindibile, per la comprensione delle opere di Verga, una conoscenza della situazione del Meridione d’Italia dopo l’unificazione.La mimesi del reale acquista spessore e profondità storica, diventa un documento per comprendere le spinte sociali e il quadro politico da una prospettiva differente. L’indagine del Verga è supportata concretamente da una serie di documenti di denuncia sociale della Destra storica degli anni ’80. L’influenza più significativa si riscontra in Rosso Malpelo: Verga era in stretto contatto con Franchetti e Sonnino, studiosi positivisti di sociologia e uomini della Destra, i quali pubblicarono Inchiesta in Sicilia, una dettagliata testimonianza delle condizioni disumane dei carusi nelle miniere siciliane, inserita in un disegno di riforma per la riduzione del lavoro minorile propugnato dalla Destra storica. Essi percorrono coi carichi di minerale sulle spalle le strette gallerie scavate a scalini nel monte, con pendenze talora ripidissime e di cui l’angolo varia in media dai 50 agli 80 gradi. [...] La vista dei fanciulli di tenera età, curvi e ansanti sotto i carichi di minerale, muoverebbe a pietà, anzi all’ira, perfino l’animo del più sviscerato adoratore delle armonie economiche.11

Si noti però che, mentre Franchetti e Sonnino si schierano dalla parte dei carusi con accenti pietosi e commossi, Verga si limita a documentare i fatti senza prendere alcuna decisione, così come voleva la poetica del Naturalismo.

I personaggi che appartengono alle classi subalterne compongono, con l’intersecarsi delle loro singole visuali, il mosaico della storia. I vinti portati in scena sono quegli uomini troppo deboli che sono stati travolti dalla fiumana del progresso: solo l’osservatore, travolto anch’esso dalla fiumana, guardandosi attorno, ha il diritto di interessarsi ai deboli che restano per via, ai fiacchi che si lasciano sorpassare dall’onda per finire più presto, ai vinti che levano le braccia disperate, e piegano il capo sotto il piede brutale dei sopravvegnenti…12

11 Franchetti e Sonnino, Inchiesta in Sicilia12 Prefazione, Verga, I Malavoglia

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La funzione sociale del letterato diventa quella di ampliare l’esperienza di vita del lettore, di renderlo consapevole della tragicità della vita. Proprio per questo motivo Verga non ricorre mai all’uso del dialetto siciliano: la maggior parte del suo pubblico faceva parte della borghesia settentrionale.

In definitiva, il positivismo raggiunge con il verismo del Verga il suo punto più alto ma anche l’inizio della parabola discendente. La tradizionale fiducia nel progresso tecnico si scontra con la constatazione della tragicità della vita: la fiumana del progresso osservata da lontano appare positiva ma, se si analizzano coloro che ne sono travolti, allora si perde l’ottimismo. La presentazione, in uno stile scarno, di un mondo senza speranza e chiuso nella fatica del vivere, sembra anticipare sul piano formale, come su quello tematico – morale, quella crisi di certezze che sfocerà in una visione “decadente” dell’esistenza. La chiusura sociale di Verga diventa simbolo di una condizione umana vista come solitudine e infelicità esistenziale.

L’ideologia di base dell’esperienza è l’irrazionalismo. Verga arriva a quel limite, ma non lo supera. Non trova il modo di andare oltre il velo di Maya e di accedere alla vera essenza della realtà, a quel viluppo di passioni irrazionali che si cela dietro l’apparenza delle cose.

Chi invece supera la mimesi dell’umano e del mondo è Luigi Pirandello che, partendo da una fase verista con L’esclusa, approda a nuove forme di espressione. L’irrazionalismo e il vitalismo bergsoniano sono concezioni che lo influenzano tanto profondamente da fargli affermare di non voler rappresentare storie verosimili, poiché la realtà è irrazionale. La verità più profonda vive nell’inverosimile e nell’assurdo. La sua ultima produzione teatrale, quella appunto del “teatro dell’assurdo”, costituisce l’acme di tale visione.

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Nelle arti figurative la continuità nel canone estetico e la rottura di tale schema alla fine del XIX secolo è ancora più chiara e visibile. La pittura e la scultura hanno sempre avuto come scopo l’imitazione della realtà: dalla statuaria greca agli impressionisti, passando per i rinascimentali, gli artisti hanno voluto ricreare l’apparenza della realtà fiduciosi nella sua veridicità.

Quella impressionista è un’esperienza piuttosto breve, nasce nel 1874 e termina nel 1886. Essa costituisce una corrente estremamente innovativa e rappresenta senza dubbio un punto di non ritorno nella storia dell’arte occidentale. Gli esponenti di tale movimento contravvengono alle regole accademiche di prospettiva, linea e profondità senza tuttavia perdere il contatto con la realtà.Anzi, l’imitazione di essa trascende quei concetti da applicare a priori ma si focalizza sulla sua resa in quanto mutamento continuo.Il mondo non si ferma in una forma fissa, non può essere contenuto all’interno di una linea: è fugace e veloce.La tecnica pittorica rende tale movimento con la pennellata veloce e approssimativa.Si noti che con il termine “Impressionismo” non si intende la rappresentazione di un sentimento suscitato nell’artista ma di una semplice espressione sensoriale. E’ “l’impressione” di un oggetto che si stampa sulla retina del pittore. Tale movimento quindi rappresenta l’ultima espressione di mimesi pura nell’arte occidentale. Il fatto che sulla tela non ci sia spazio per un approfondimento storico o sociale non rende meno vera l’indagine degli esponenti dell’impressionismo; essa è circoscritta a ricreare la fugacità di un attimo in condizioni irripetibili di illuminazione e completamente avulsa da una cornice seria.

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Tuttavia l’esperienza impressionista rappresenta solamente una fase nella produzione artistica di ogni esponente. Renoir, dopo il Bal au il moulin de la Garette, ritorna ad una pittura più accademica ne La colazione dei canottieri.

Monet, dopo aver rappresentato Impressione, sole nascente porrà le basi per l’astrattismo con il progetto delle ninfee.

L’impressionismo non può che essere il promontorio estremo della rappresentazione mimetica del reale per quanto riguarda le arti figurative, esso è il preludio che necessariamente deve essere superato per approdare a nuove forme espressive o per re immergersi nella tradizione.

La fede nella razionalità del reale è venuta meno e da questa perdita nascerà tutta l’arte del Novecento.Dalla rassicurante fiducia nel mondo fenomenico si affrancano artisti per saggiare gli incerti percorsi di una rappresentazione svincolata dall’illusoria apparenza del reale e dell’uomo.

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Auguste Renoire, Bal au mouline de la Garette, 1876, Musée D’Orsay, Parigi

Auguste Renoire, La colazione dei canottieri, 1882, Philips Collection, Washington

Claude Monet, Impressione, sole nascente, 1872, Muséè Marmottan Monet, Parigi

Claude Monet, Ninfee, 1914-seguenti, Musée de l’ Orangerie, Parigi

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Bibliografia- A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, Bari, Editori Laterza, 1982.- E. Auerbach, Mimesis, Torino, Einaudi, 1956- F. Nietzsche, La nascita della tragedia, Roma, 1996- Panebianco, Pisoni, Reggiano, Malpensa, Testi e scenari, volume V, Bologna, Zanichelli- Sofocle, Edipo Re, Milano, Principato, 2003- Luperini, Cataldi, Marchiani, Tinacci, La scrittura e l’interpretazione, Palumbo Editore- Pontiggia, Grandi, Letteratura latina, Vol III, Milano, Principato, 1998

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