NEWSLETTER olont riAmo con il t. ude · 2018. 12. 24. · Carissimi amici, NEWSLETTER olont riAmo...
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NEWSLETTER olont riAmo con il t. ude
Carissimi amici,
Storie, volti, sorrisi, abbracci: questo è il St. Jude Children's Home, la casa per orfani e disabili nel Nord dell'Uganda, e come ogni anno cogliamo l'occasio-ne del S. Natale per raccontarvi alcune di queste storie africane.
Correva l'anno 1981 quando veniva fondato ad Anaka, nel distretto di Gulu, il St.Jude Children's Home, la realizzazione del grande sogno della maestra d'asilo Bernardetta Akwero di dare una casa ai bambini più poveri. Dopo 37 anni il St. Jude Children's Home continua a rappresentare un punto di riferi-mento per i bambini più disagiati del distretto, i disabili, gli orfani. E la nostra associazione grazie alla vostra generosità aiuta Fratel Elio Croce di Moena a continuare l'attività di Bernardetta.
Attualmente sono 89 i bambini ospitati, 48 maschi e 41 femmine. I bimbi più fragili vivono nella Rodolfo House, che negli ultimi anni è stata attrezzata per accogliere i disabili e le loro famiglie. La cura del disabile rappresenta un punto di forza del St. Jude in una realtà dove purtroppo ancora la disabilità vive l'emarginazione e l'abbandono.
Il St. Jude Children's Home non è solo una casa per i bambini ma è anche scuola materna e primaria per circa 350 studenti, e sostiene le spese scolasti-che per chi non può permetterselo. L'educazione, in un continente come l'A-frica associato ad avversità e sottosviluppo, rappresenta uno dei modi più efficienti e sostenibili per ridurre la povertà e far crescere l'indice di sviluppo umano. Per cercare di formare al meglio i ragazzi è stata aperta anche un'aula informatica finanziata dall’associazione Spagnolli Bazzoni e Byelo do-ve imparare ad utilizzare le nuove tecnologie, fondamentali anche in Africa. Molti dei bambini ormai cresciuti sono stati inseriti nel mondo del lavoro op-pure stanno frequentando l'Università grazie a delle borse di studio.
Il St. Jude Children's Home rappresenta un punto di riferimento anche per i bambini che vivono nei villaggi, accogliendo alcuni di essi nella scuola, for-nendo loro assistenza sanitaria e organizzando corsi di formazione socio-
sanitaria ai genitori
Il St. Jude Children's Home vive grazie alla generosità di molti e grazie ad alcune attività di auto sostentamento, la “Farm”, ovvero la fattoria realizzata nel 2012, di cui vi abbiamo parlato molte volte e l'”Art Studio” che continua la sua attività: avrete trovato le sue coloratissime creazioni sui banchetti dei mercatini organizzati quest'anno in tante città e paesi.
In questa Newsletter non poteva mancare una riflessione sui volontari: in questo periodo storico così difficile sono stati tanti i ragazzi che quest’anno si sono messi a disposizione del St. Jude Children's Home, lavorando fianco a fianco con gli operatori ugandesi. E quindi un grazie particolare va a Laura, Valentina, Benedetta, Gaia, Lorenzo e Manuel, Andrea, Stefania, Paolo e An-drea, Claudia, Elisa e Francesca, Ismaele, Stefano, Sergio e Fabio, Jessica, Elisa e Maya, Sara e Stefano. Attraverso le loro testimonianze ci dimostrano come l'apertura alla conoscenza reciproca possa permettere la costruzione di qual-cosa di bello ed importante e che l'integrazione è possibile, in Africa come in Italia.
Grazie prima di tutto al St. Jude Children's Home e ai suoi bambini, grazie ai nostri volontari, grazie alla tanta gente e alle istituzioni che credono in que-sto progetto.
Vi auguriamo di trascorrere un Sereno e Felice Natale
e un Nuovo Anno ricco di Gioia e Amore.
L’associazione VolontariAmo con il St.Jude
“Se vuoi arrivare primo corri da solo,
se vuoi arrivare lontano cammina insieme ad altri” (Proverbio Africano)
AIUTO CON IL PROGETTO “OUTREACH”
Il St. Jude ha cinque “Outreach Centres” , ovvero dei centri esterni dove vengono perio-
dicamente distribuiti i farmaci antiepilettici e i bambini disabili che vivono nei villaggi
possono partecipare a delle sedute di fisioterapia. Kochilii è uno di questi centri.
Apio Fiona è una bella bambina di cinque anni che soffre di epilessia da quando ne
aveva due. Durante una delle periodiche distribuzioni dei farmaci quest'anno gli opera-
tori di Kochilii realizzano che Fiona non frequenta la scuola materna. La mamma spiega
che non ci sono i soldi per pagare le tasse scolastiche e che soprattutto c'è il timore che
la disabilità della figlia venga scoperta dagli altri. Racconta tristemente che un giorno
Fiona è scappata dal campo dove stava zappando la terra con la mamma per rifugiarsi
tra i banchi della vicina scuola durante una lezione, dimostrando un grande interesse.
Ma la paura della disabilità aveva vinto e Fiona a scuola non c'è mai andata.
C'è voluto un po' di tempo ma gli operatori sono riusciti a convincere i genitori e ades-
so Fiona è stata inserita nella scuola materna, è felice e gioca con gli altri bambini.
ITORNO A CASA Rubangakene Samuel è stato abbandonato nel
reparto di pediatria del Lacor Hospital dopo po-
chi giorni di vita ed è stato prontamente accolto
al St. Jude. Quest'anno, dopo un lungo lavoro del
team del St. Jude e degli assistenti sociali è stata
rintracciata la nonna e Samuel è tornato nel suo
villaggio a vivere con lei. Ha un anno e mezzo, è
un bambino sano e molto vivace (nella foto mi
sembra un bimbo di circa 1 anno, non mi tornano
molto le date). La nonna coltiva un piccolo pezzo
di terra, i prodotti che raccoglie vengono venduti
al mercato e garantiranno il sostentamento a lei e
al nipotino. Gli assistenti sociali faranno visita alla
nuova famiglia periodicamente, Samuel avrà la
possibilità di crescere nel suo villaggio e di fre-
quentare la scuola. Una vita sicuramente non fa-
cile ma dignitosa.
Negli ultimi anni il team del St. Jude ha cercato di
riportare nei villaggi e nelle famiglie di origine al-
cuni dei bambini accolti nella struttura, realizzan-
do percorsi di reinserimento in famiglia attraverso
l'aiuto dei genitori, oppure creando dei program-
mi di formazione professionale e inserimento so-
ciale per gli adolescenti soli affinché possano in-
traprendere una vita autonoma.
Rubangakene Jesse è nato il quattro novembre 2018 ed è stato accolto al St. Jude il 15 novembre. La mamma, Hiv positiva, è morta durante il parto, il padre non è in grado di prendersi cura del bimbo. Jesse è Hiv positivo.
L'Uganda è uno dei Paesi africani in cui l'Hiv è più diffuso e in cui il pregiudizio verso le persone con Hiv è ancora molto forte, portan-done molto spesso all’isolamento: l'accesso alla terapia antiretrovirale garantisce una lunga aspettativa di vita, permette di ridurre i nuovi contagi e la trasmissione materno- infantile del virus.
I bambini Hiv positivi del St. Jude hanno la possibilità di sottoporsi a periodici controlli medici, di riceve-re i trattamenti necessari, hanno la possibilità di studiare e di crescere.
Addio Kilama Geoffry
Da pochi giorni un bambino cresciu-
to al St.Jude ci ha lasciati dopo una
lunga malattia. Condividiamo questa
splendida testimonianza di una vo-
lontaria che nel 2012 è stata al
St.Jude e ha conosciuto il piccolo
Geoffry. Questo è il ricordo che vo-
gliamo lasciare di lui.
Testimonianza di un Incontro coin-volgente: Kilama Geoffrey
Mi è stato donato di incontrare e
condividere un pezzo di cammino
con Geoffrey, nel marzo 2012. Il suo
sguardo profondo, che dimostrava
di essere un bambino dovuto cre-
scere troppo in fretta, e il suo sorri-
so solare, comunicativo, non scon-
tato, ma contagioso ed elargito
come un regalo tra una sfida e
un’altra, mi hanno conquistato. I
suoi occhi tra sfida e ricerca, mi han-
no dato tantissimo!Da subito mi ha
colpito la sua vitalità: Ballare senza
stancarsi mai, vitalità ed energia che
andava oltre le sue capacità, a calcio
non era un fenomeno, ma non im-
porta perché l’importante era diver-
tirsi e stare insieme. Le partite di cal-
cio erano un divertimento condiviso
senza eguali, Geoffrey ci prendeva in
giro costantemente “skilless skilless!”,
per poi, però, volerci assolutamente
in squadra!
Un ragazzino molto intelligente e
curioso: tutto ciò che era tecnologia
per lui era affascinante dalla macchi-
na fotografica che ha voluto impara-
re ad usare, alle foto in cui amava
mettersi in posa da "duro", da gran-
de, davanti alle auto, al computer
con cui mettere la musica per balla-
re.
Ogni proposta che facevamo lui ten-
deva inizialmente a studiarci da lon-
tano, per poi lasciar cadere il suo
scudo e lasciarsi coinvolgere senza
perdersene una: un giorno abbiamo
fatto scorta di bottoni dei colori giu-
sti, di aghi e fili e l’idea era di inse-
gnare loro a rammendarsi l'uniforme
o ad attaccare i bottoni perché era-
no più quelli mancanti che quelli at-
taccati! Lui ci ha un po' osservate da
lontano poi si è avvicinato e, sentitosi
accolto, si è messo in gioco nel pro-
vare ed è rimasto per ore, finché ha
imparato a cucire e attaccare i botto-
ni con ago e filo maneggiati con cu-
ra, delicatezza e attenzione.
Ci teneva molto a sistemare da solo
la sua uniforme di scuola!
Qualche giorno dopo i ragazzini sta-
vano lavando i vestiti alla pompa
dell’acqua e io e Lavinia abbiamo
approfittato per metterci a lavarli con
loro: Geoffrey ha voluto insegnarci
come si lavano le magliette nel loro
modo, sostenendo che era migliore
del nostro e a tutti i costi ha voluto
lavarci lui anche le nostre!
La sua aria di sfida poteva farlo sem-
brare poco partecipe alla vita comu-
nitaria, in realtà i suoi gesti di cura
erano molti, ma non posti sopra il
lucerniere, ecco a proposto alcuni
scatti rubati:
La corsa al mango un altro episodio
straordinario nell’ordinario: ogni vol-
ta che si sentiva un tonfo indicava a
tutti che un mango era caduto e così
automaticamente partiva la gara a
“chi lo prende prima”.
Quel giorno aveva vinto Geof-
frey, ma non era la prima perché
era un folletto che correva forte
e era molto motivato a vincere,
aveva conquistato il suo mango
maturo. Lo aveva iniziato a man-
giare, a mordere di gusto quan-
do mi si è avvicinato e mi ha
chiesto se ne volevo un po' e di
morderlo con lui per condividere
un frutto, o forse per un bisogno
di sentirsi accolto così come è.
Questo momento io lo ho stam-
pato nel cuore e non lo dimenti-
cherò mai, in quel momento non
c'era che un amore incondizio-
nato che ha messo davanti a tut-
to la gratitudine per il suo dono
e per il suo bisogno di condivi-
dere. Dopo aver morso con lui il
mango mi ha regalato il sorriso
più bello.
L'ultima sera i saluti: abbracci
intensi, Geoffrey mi ha chiesto
più volte: "tornerai presto vero?"
E si è impossessato dei miei in-
fradito bianchi, pieni di terra ros-
sa, mentre io mi allontanavo a
piedi nudi pensavo alla gioia di
saperlo con le mie ciabatte, co-
me se mi sentissi che lo potevo
accompagnare e un po' proteg-
gere nel suo cammino, seguire i
suoi passi da lontano. La com-
mozione era grande, pensando
al bene che mi avevano fatto
tutti, e quel bambino così ruvi-
do resistente spinoso, ma dolce
delicato tenero, così grande e
così piccolo, così comunicativo e
così riservato.
Oggi Geoffrey, che è stato sem-
pre nei miei pensieri e nelle mie
preghiere, non è più tra noi. Il
dolore è grande, ma riporto, dal
mio diario di bordo di quando
ero lì nel 2012 una riflessione che
lenisce il dolore, dà grande fidu-
cia e dopo più di sei anni mai
come oggi dà risposte.
“9 marzo 2012
Mi sono svegliata con in mente il
Vangelo di ieri…Parabola del ric-
co e il povero, che mi ha fatto
molto riflettere: -figlio ricordati
che nella vita tu hai ricevuto i
tuoi beni e Lazzaro i suoi mali,
ma ora in questo mondo lui è
consolato e tu sei in mezzo ai
tormenti- mi ha rincuorato, sono
felice di pensare che bimbi che si
portano sulle spalle queste storie
faticose avranno un posto dove
verranno davvero consolati alla
destra di Abramo”
Grazie Geoffrey a nome di tutti
quelli che ti hanno incontrato e
che hanno potuto assaporare
come me frammenti della tua
luce
Carola Maragnoli
Riguardo per un attimo le (poche) foto fatte ai
bimbi del St. Jude una volta tornato a casa, in
Italia, e soffermo a fissarne una nella quale tengo
in braccio la piccola Sandra. Se non ricordo male
ha appena un anno e la sua espressione è fiera,
molto più matura della sua età. “She’s a true afri-
can women” mi aveva detto ridendo una delle
mamme dell’orfanotrofio, alludendo al suo at-
teggiamento sereno e austero, specchio di una
condizione sì difficile, ma a cui si fa fronte a testa
alta. Sandra ovviamente, essendo poco più di un
batuffolo colorato, è ovviamente inconsapevole
di tutto questo, ma a suo modo esprime già lo
spirito della sua terra, il nord dell’Uganda, in cui
si è trovata a nascere.
Nella mia breve esperienza, meno di un mese,
presso il St. Jude, ho deciso di prendermi cura
proprio dei piccolissimi come Sandra ed è stato
davvero emozionante cullarli, coccolarli, giocare
con loro e anche
allattarli all’occor-
renza, con i biberon
preparati dalle so-
relle maggiori o dal-
le madri. Ogni volta
che li vedevo, sull’u-
scio delle loro case
o trattenuti dalle
fasce sulla schiena di
qualcuno, non pote-
vo fare a meno di
avere un sussulto di
gioia e di propormi
di stare con loro an-
cora una volta.
Nel corso della mia permanenza, ho anche gio-
cato con i più grandi, apprezzandone la sponta-
neità e lo spirito libero; ho chiacchierato con chi
stava entrando nella difficile età adolescenziale,
cercando di ottenere la loro fiducia, e con i disa-
bili fisici, i quali anch’essi lasciano un segno pro-
fondo nell’anima, osservando la difficoltà ogget-
tiva con cui si scontrano ogni giorno e la loro
lotta continua
per vivere il più
possibile come i
loro coetanei
della grande co-
munità dell’orfa-
notrofio.
Ho anche ac-
compagnato i
disabili più gravi
in piccole pas-
seggiate con le
loro carrozzine,
ho dato una ma-
no per l’allestimento della nuovissima aula di in-
formatica e ho addirittura rilegato delle agendi-
ne nel laboratorio gestito dalla simpatica e ener-
gica Atim (nonostante una gravidanza quasi al
termine), la quale è riuscita nell’impresa di farmi
fare qualcosa di artistico!
Insomma, in
meno di un
mese ne ho
viste e fatte di
cose emozio-
nanti e stimo-
lanti al St. Jude,
ma se mi chie-
dete cosa mi
rimarrà impres-
so nel cuore e
perché vale la
pena fare que-
sta esperienza,
la risposta è
negli occhi neri e lucenti di Sandra, nel sorriso di
Faustina, nell’espressione un po’ triste ma dolcis-
sima della piccola Margaret e la spensieratezza
innocente di Jonathan.
Auguro tutto il meglio ai piccoli ospiti del St. Ju-
de e un buon viaggio a chiunque voglia andare
a trovarli e prendersi cura di loro, portando an-
che solo un sorriso nelle loro non facili esistenze.
Andrea (agosto 2018)
Mi chiamo Claudia, ho 53 anni e vivo in un pae-
sino di montagna del Trentino. Nel mese di apri-
le ho avuto la fortuna di poter andare con mia
figlia Elisa ed un’altra ragazza, Francesca, al
St.Jude Children’s Home. Grande entusiasmo
nella partenza e grande difficoltà con la lingua
inglese! È stata un’esperienza indelebile scritta
nell’anima. Entrare in una realtà di povertà, di
semplicità, di sopravvivenza. Di sporcizia, con il
poco o niente, in un ambiente che ti circonda
dove tutto è nuovo e niente è dato per scontato.
Dove tu come donna sei considerata cosa da
comprare e servi solo per fare figli e al massimo
la serva. Questa realtà dove i bambini sono infi-
niti ovunque e dovunque e ti trovi con occhi
aperti anzi spalancati a chiederti: è possibile tut-
to questo?
Eppure vedi e ancora non credi. Quelli che per
loro sono negozi per noi sono “quattro pali per
fare la legna”, piccole strutture di pali incrociati
con qualche la-
miera sopra per
poter vendere
un po’ di pomo-
dori e qualche
mango. È vero
che molti di loro
non conoscono
altre realtà oltre
a quella e quindi
paragoni non ne
fanno ma per
noi che prove-
niamo da luoghi
dove il superfluo
è diventato necessità quotidiana, non crediamo
che popoli interi possano vivere così.
Entrare al St.Jude e guardare questi bambini neri
neri con occhi grandi e sorrisi meravigliosi che ti
guardano, ti abbracciano e si accontentano an-
che solo di un tuo sguardo. Questo ti entra den-
tro e ti apre il cuore e da quel momento non si
chiuderà più. Nel mese che sono stata al St.Jude
con i bimbi, le mamme, i collaboratori e i volon-
tari ho potuto condividere le loro abitudini, le
preghiere, il lavoro, accompagnare i piccoli
“angeli” disabili e tanto altro. Mi sembrava di non
fare niente, di essere impotente, di non saper
comunicare perché non sapendo l’inglese avevo
sempre bisogno di qualcuno che mi aiutasse.
Passavano i giorni e mi sembrava di non donare,
di non fare abbastanza ma non era così. La vita lì
non ha i nostri ritmi ma si riesce a vivere il mo-
mento sempre. Per loro pensare che domani è
faticoso è quasi impossibile. Noi possiamo fare
qualcosa per loro con la nostra presenza e il no-
stro contributo e attraverso la nostra presenza
possono conoscere una nuova cultura come ad
esempio un modo nuovo di concepire la donna.
Attraverso la nostra presenza possono capire,
possono avere degli strumenti in mano per di-
ventare più autonomi, per sfamare i loro figli ed
avere la loro dignità. Certo che la volontà di fare
e capire dev’essere loro ma noi che abbiamo
tutto cosa ci costa provarci? Donare un po’ di
tempo, un po’ di denaro da investire per chi dal-
la vita ha conosciuto solo dolore e crudeltà in-
concepibili. “I bambini della notte” è un libro po-
tente che può far capire tante cose a chi vive in
una società del benessere come la nostra.
L’Uganda è bellissima, ha delle risorse incredibili, parchi e natura sono
uno spettacolo. Purtroppo c’è gente e il governo stesso che la sfrutta per
interesse proprio ma io ho visto quella piccola realtà di persone comuni
come noi che può essere aiutata e non penso a ciò che potrebbero fare
le grandi potenze ma faccio quelli che io posso fare. Quindi non dimenti-
care che la nostra presenza , conoscenza, collaborazione, aiuto anche
economico può veramente dare a loro la possibilità di cambiare vita e a
noi una grande possibilità di aprire il proprio cuore e condividere un’e-
sperienza fondamentale per la vita. Un grande grazie al St.Jude e a tutti
coloro che ci vivono e ci lavorano.
Claudia
(aprile 2018)
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