[NAZIONALE - 17] GIORN/INTERNI/PAG25 25/01/09

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17 CRONACHE il Giornale Domenica 25 gennaio 2009 I mmagini di sal- me. Viste da lon- tano sembrano fotografie, tanto appaionoperfet- te. Poi ti avvicini e sco- pri che sono pitture a olio su tela. E vedi det- taglicheprimanonave- vi notato: scimmie ur- lanti attorno ai catafal- chi di Giovanni Paolo II, Madre Teresa di Calcut- ta e padre Pio; l’oblò dell’Apollo 11 trasformato indiaframmadavantialvoltosfiguratodiMusso- lini; un annoiato Totò nella camera ardente di Mao Tse-tung; l’astrofisico Stephen Hawking che veglia Che Guevara dalla sedia a rotelle su cui l’ha inchiodato la sclerosi laterale amiotrofi- ca; quattro teschi accanto ad Aldo Moro irrigidi- to sul tavolo autoptico dell’istituto di medicina legale;elettrodi chespuntanodalla chiomaarruf- fata di Albert Einstein; una lepre appesa al gan- cio sospesa sulla bara aperta di Salvador Dalí. «Lancinato, drammatico, pittore classico dal- l’inclinazione quasi iperrealista, fine ritrattista e profondo indagatore del mondo animale, caso isolato nel panorama italiano» (la definizione è di Vittorio Sgarbi), Luca Del Baldo ha per il cor- poumanolostessointeressedeglianatomopato- logi, degli investigatori del Ris, dei criminologi, dei telespettatori di Crime scene investigation e Grey’s anatomy. Ma spaventa i benpensanti perché trasforma i defunti in opere d’arte e li mostra «in luoghi stranianti rispetto al contesto ambientale che ci sembrerebbe più appropria- to» (sempre Sgarbi). Lui le chiama, con un neo- logismo tedesco che s’è coniato da solo, to- dkammer, camere della morte, e preferisce non esporle in Italia, per non urtare la sensibili- tà del pubblico. Diciamo che le dipinge per sé, einfattinonnehamaivendutauna.Incompen- so sta ultimando una serie di normali ritratti a mezzo busto di grandi attori - Marilyn Monroe, John Wayne, Jean Gabin, Bette Davis, Burt Lan- caster, Clint Eastwood, Jack Nicholson - al cui confronto le tavole di Norman Rockwell, o quel- le di Achille Beltrame apparse fino al 1945 sulla Domenica del Corriere, sbiadiscono. «Curt del geni» è scolpito all’ingresso della dimessa corte di Villa Guardia dove Del Bosco, nato 40 anni fa nella vicina Como, occupa un bilocale bohémien, insieme casa e atelier, geli- do quanto basta per accendere la creatività. «Mailgeniononsonoio,ignorochiabbiamura- to quella lapide», si chiama fuori, nonostante si sia diplomato con 60/60 al liceo artistico e con 110 e lode all’Accademia di Brera. Varcare la sua porta equivale a entrare subito in argomento: sul ca- valletto riposa fresca di colo- re la testa insanguinata di una donna, «una delle vitti- me estratte dalle macerie do- po l’attentato alle Torri ge- melle», mostra la foto sul pa- ginone di Newsweek al quale s’è ispirato, «alla fine penso che ne ricaverò un trittico». Notedel Requiem di Orlan- do di Lasso in sottofondo. Fo- to di cadaveri eccellenti alle pareti. Sei ferri chirurgici ap- pesi davanti al computer. Ma- nuali di patologia e dermato- logia sugli scaffali. L’occhio cade sul dorso di un volume pubblicato da Masson, casa editrice specializzata in testi per studenti universitari: La cinematica del sui- cidio e dell’omicidio per arma da fuoco. «Lo ha scritto il professor Paolo Picciocchi, all’epoca titolare della cattedra di medicina legale alla Federico II di Napoli. L’ho pagato 187.000 lire nel 1992, in libreria non volevano darmelo». Vi risparmiola descrizione delmateriale iconogra- fico contenuto nel tomo. «Eppure legga la dedi- ca, “A Kitty, mia moglie”. Le pare normale che l’autore dedichi un’opera simile alla propria consorte?». È questo che sorprende dell’artista comasco: pur occupandosi di argomenti estremi, nella sua personalità non cogli alcun tratto visibile di eccentricità. È un onesto travet della morte, al pari degli impresari di pompe funebri, colto, misurato nel linguaggio, cordiale. «Non sono un necrofilo, ho messo piede negli obitori sol- tanto due volte in occasione di funerali». All’estero stravedono per Del Baldo. James Graham Ballard, l’autore del romanzo L’impe- ro del sole dal quale Steven Spielberg trasse l’omonimo film, ha ingiunto prima a Bompiani e poi a Baldini & Castoldi di affidare a lui le copertine delle edizioni italiane di Crash e Co- caine nights. David Cronenberg, il maestro del «body horror» (La mosca, Inseparabili, Il pasto nudo), lo aspettava in Canada come assistente sul set di Crash, «ma io non avevo i soldi per il biglietto aereo». Peter Greenaway, altro visio- nario che ha firmato film su cannibali e malati terminali, ha voluto cono- scerlo a Lugano. Leni Riefen- stahl, l’inquietante regista prediletta da Hitler, lo accol- se a Pocking, affiancata da un amante alto, biondo e con gli occhi azzurri che aveva 40 anni meno di lei. Come si definirebbe? «Banalmente, un pittore. Altrettanto banalmente, un esteta. Il mio organo erettile è l’occhio. I quadri li vendo solo all’estero, soprattutto Spagna e Germania. In Italia ho dovuto arrangiarmi con i ritratti di imprenditori e le co- pertine per Mondadori e Riz- zoli». Mi descriva il suo lavoro. «Una cartografia del con- temporaneo. Mi sento ceronettiano (da Guido Ceronetti, poeta, saggista, traduttore di testi bi- blici, marionettista, ndr). Il male prevale sul bene». Triste. «L’uomo è irredimibile. Un essere che non mi piace. L’unica cosa che salvo di lui è il corpo. Questo non significa che non creda nel bene. La bontà del missionario e l’innocenza dell’idio- ta dostoevskiano mi lasciano disarmato, mi an- nichiliscono». Perché questa è l’epoca del piercing e dei ta- tuaggi? «Codici tribali. Nell’era dell’individualismo sfrenato, ci s’intruppa per paura dell’altro». Del lifting che cosa pensa? «Amo la vecchiaia. È la forza del carattere, come sostiene lo psicoanalista James Hillman. Lafacciadiunanzianoèlacosapiùsublimeche possa esistere». Il suo scopo, leggo, è «documentare le mutazio- ni del corpo, il passaggio tra ciò che eravamo e ciò che saremo». Che mutazioni vede? «Ha presente Orlan?». No. «È un’artista francese che sta rimodellando il proprio corpo con diverse operazioni chirurgi- che affinché corrisponda a un’immagine mito- logica. S’è fatta aggiungere due corna in fronte, sembra uscita dalla traumatologia». Quando le è venuta la fissa per i morti? «A 12 anni. Mia madre mi portò a vedere un vicino di casa defunto, Adolfo, un omone. Me lo sognai per molto tempo. Di notte veniva a sedersi sul bordo del mio letto. Io mi svegliavo di soprassalto credendo d’aver visto il diavolo. Non s’è mai capito perché il mio dobermann, che dormiva nella stessa stanza, ringhiasse, co- me se avvertisse anch’esso una presenza. Poi ho fatto il chierichetto. Nella cultura cattolica la morte è sempre presente». È religioso? «No, sono ateo. Ma la chiesa, parlo dell’edifi- cio, è il luogo più bello in assoluto, libera la testa da tutte le preoccupazioni. Fra le navate, specie se gotiche, si avverte il mistero. Provo un’attrazione-repulsione per le alte gerarchie. Mi piacerebbe ritrarre da vivo Papa Ratzinger. Lo vedo come l’Innocenzo X dipinto dal Velázquez, che sono andato a rimirarmi varie volte alla galleria Doria Pamphilj di Roma. Ave- va ragione Francis Bacon: è il più grande ritrat- to nella storia dell’arte». Non conosco pittori che abbiano come testo sa- cro «L’atlante di medicina legale» di Weimann e Prokop con le sue foto agghiaccianti. «Però Léon Cogniet nell’Ottocento dipinge il Tintoretto mentre ritrae la figlia morta: è al Mu- seo di belle arti di Bordeaux. Stesso soggetto in una tela di Eleuterio Pagliano alla Galleria d’ar- te moderna di Milano. Comunque L’atlante l’ho prestato a un amico che non me l’ha più restituito». Come mai la sua arte ha bisogno dei tavoli ana- tomici delle morgue? «La salma di Che Guevara è magnifica, mi ri- corda il Cristo morto del Mantegna custodito nella Pinacoteca di Brera. Appaga gli occhi». Ha dipinto anche Mussolini e la Petacci appesi a piazzale Loreto. «Mostro la tela capovolta: sembra una danza dei balletti russi di Sergej Djagilev. Non lo fac- cio per stupire. Non credo nella pittura engagé, non m’interessano le provocazioni, tipo quelle di Maurizio Cattelan, per capirci, o il Benedetto XVI in autoreggenti che Paolo Schmidlin vole- va esporre a Milano. Penso che la storia italiana sia stata divisa in due parti dalle uccisioni di MussoliniediMoro.DuecorpidiStatochehan- no segnato un prima e un dopo. Gli artisti sono una massa di paraculi: lavorano per chi gli dà i quattrini. Ma il genio va oltre il committente». Anche lei ha tentato di far rumore esponendo al Miart di Milano un trittico sull’autopsia di John Fitzge- rald Kennedy e un Pier Pao- lo Pasolini deturpato. «Nanni Moretti e Oliviero Toscani li hanno digeriti. Dolce & Gabbana e Sgarbi no, li hanno giudicati troppo forti. Però la tela su Moro mi sono sempre rifiutato di esporla, per non offendere i familiari». Al Padiglione di arte con- temporanea il dipinto della salma di padre Pio è stato contestato. «S’è pure fulminato il faret- to che lo illuminava, l’unico su 142. Prima mi chiamano alla rassegna Nuovi pittori della realtà, poi mi tolgono dal catalogo. Io che colpa ne ho? Per me, per noi italiani, per noi cattolici, padre Pio è una figura importantissima». Ha detto «noi cattolici»? «Anche se sei ateo, non puoi non dichiararti cattolico. Non m’interessa sapere se padre Pio era un santo oppure un impostore, come sostie- ne Sergio Luzzatto nel suo libro. Non ho il dirit- to d’entrare nella fede delle persone. Dico solo che il frate di Pietrelcina mi ossessiona non me- no del Duce e del Che». Perché accanto ai papi e agli statisti ritratti sul letto di morte mette sempre babbuini e oran- ghi che strillano? «La scimmia è un animale ambiguo, il più prossimo all’essere umano, ma dai tratti demo- niaci. Ciò che m’inquieta, m’affascina. Nel qua- dro di Madre Teresa le scimmie piangono, co- me in una deposizione. Alcuni ci vedranno il dolore, altri la morte che irride alla vita. L’arti- sta si misura inevitabilmente col trascendente, col tempo, con la materialità delle cose. Anche una bottiglia di Giorgio Morandi ha a che fare colsacro,senonaltroperviadellaluce.Lagran- de arte s’interroga su chi siamo noi uomini». Perché la salma di Mao è vegliata da Totò? «Inserisco elementi grotteschi per smorzare la repulsione. Come fece Federico Fellini nel Casanova, un film lugubre ma ricco d’invenzio- ni che ne attenuano la cupezza». Che cosa pensa del corpo umano? «Quanto di più bello la natura abbia fatto. Ho questo limite: non riesco a vedere il fascino dei tramonti, dei paesaggi». Circonda il suo di cure particolari? «Fumo tanto, mangio tanto, non mi drogo, mai preso farmaci». So che cerca come modelli uomini e donne gras- si oltre i 55 anni. Che cosa la attira dell’obesi- tà? «È tanta, riempie la tela. Ma i modelli scarseg- giano. Gli uomini credono che sia gay, le donne che ci voglia provare. Va’ a spiegarglielo che m’interessa solo dipingerli». Quando incontra una persona, qual è la prima cosa che osserva? «La faccia». E l’altro che cosa osserverà in lei, ha provato a chiederselo? «Mai. Sono molto autoreferenziale». È uscito da Brera con una tesi sulla fotografa Diane Arbus. Come mai è attratto dall’autrice dei raggelanti primi piani di reietti e minorati? «I normali fotografati dalla Arbus sembrano anormali, e viceversa. Un acondroplasico (na- no, ndr) ritratto dalla Arbus diventa un re in trono. Ho il massimo rispetto per la deformità, perché è più autentica del reale. I cosiddetti mostri sono esseri epifanici, rivelano una veri- tà che altri non hanno. Lo stesso dicasi dei mor- ti: il loro volto si nobilita, come se avessero rag- giunto una conoscenza che a noi vivi è negata». Quanto c’è di vero nel film «Fur» in cui la Arbus è interpretata da Nicole Kidman? «Nulla.LaArbusdellaKidmanèoscenaeinve- rosimile». Potrebbe anche lei innamorarsi di una donna barbuta, come càpita alla Arbus con Lionel, l’in- felice essere somigliante allo yeti? «Sì, perché no?». L’inclinazione al macabro ostacola o facilita i contatti con l’altro sesso? «Facilita. La gente è curiosa. Donatella, una ragioniera con cui sono fidanzato da sei anni, all’inizio era un po’ scossa. Molte cose non glie- le mostro, né lei vuole vederle. Preferisce i car- toni animati di Madagascar». Che cos’è per lei la normalità? «Conformismo». Quando le ho telefonato per un appuntamento, mi ha detto che era meglio se venivo a trovarla di sera e ha subito soggiunto: «Per via del traffi- co, non perché io celebri qualche sabba». È que- sto che pensano di lei a Villa Guardia? «Pensano che sia un po’ strano. Ma io non mi sento più strano di altri. Insegnavo disegno dal vero all’istituto d’arte di Como. Il rapporto con gli studenti era splendido. Ho smesso di mia iniziativa: la scuola mi impegnava tanto e mi pagava poco. Secondo i miei genitori sono un barbone fuori di testa perché non ho fatto i soldi». Pochi si occupano di ciò da cui lei sembra attratto. Dun- que siamo nell’anormalità, non crede? «Tanti ne sono attratti quan- to me, solo che si vergogna- no a confessarlo. Altrimenti mi deve spiegare il successo di serial come Csi e di Fox crime, canale satellitare riser- vato ai delitti e al noir». Che differenza c’è fra lei e un voyeur? «Nessuna. Solo che il mio unico fine è ricavarci un qua- dro anziché soddisfacimento sessuale». Non è angosciante occupar- si sempre di defunti? «Sì, parecchio. Mi svago dipingendo i vivi. Le todkammer non rappresentano che un terzo della mia produzione». Ha paura della morte? «No». Che cosa pensa che ci sia dopo? «Nulla. Siamo cadaveri. Ma qualcosa lascia- mo: quadri, figli... Nel mio caso solo quadri. Sono troppo egoista per avere dei figli, rubereb- bero tempo all’arte». C’è qualcosa di fronte alla quale si ferma? «La mia vita è tutta un rischio». (438. Continua) [email protected] Leni Riefenstahl volle conoscerlo. Scrittori e registi come Ballard, Cronenberg e Greenaway stravedono per lui. Ma i suoi quadri su Mussolini, padre Pio o Moro suscitano scandalo È irredimibile. Un essere che non mi piace. L’unica cosa che salvo di lui è il corpo. Non mi sento più strano di tanti altri Ha a che fare col sacro. Sono ateo, ma non posso non dirmi cattolico. Gli esseri deformi hanno una verità a noi ignota di Stefano Lorenzetto tipi italiani L’UOMO LUCA DEL BALDO L’ARTE TINTE FORTI Luca Del Baldo davanti ad alcuni suoi quadri: le salme di Che Guevara e Papa Wojtyla, Totò che veglia Mao, John Wayne, Marilyn Monroe Il pittore che dipinge i Vip nelle camere ardenti «Solo la morte ci fa belli...» «Da bambino ogni notte vedevo sul mio letto un vicino di casa defunto Amo la vecchiaia: è la forza del carattere. Cerco modelli oltre i 55 anni»

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17 CRONACHEil GiornaleDomenica 25 gennaio 2009

Immagini di sal-me.Visteda lon-tano sembranofotografie, tantoappaionoperfet-

te. Poi ti avvicini e sco-pri che sono pitture aolio su tela. E vedi det-taglicheprimanonave-vi notato: scimmie ur-lanti attorno ai catafal-

chidiGiovanniPaolo II,MadreTeresadiCalcut-ta e padre Pio; l’oblò dell’Apollo 11 trasformatoindiaframmadavantialvoltosfiguratodiMusso-lini; un annoiato Totò nella camera ardente diMao Tse-tung; l’astrofisico Stephen Hawkingche veglia Che Guevara dalla sedia a rotelle sucui l’ha inchiodato la sclerosi laterale amiotrofi-ca; quattro teschi accanto ad Aldo Moro irrigidi-to sul tavolo autoptico dell’istituto di medicinalegale;elettrodichespuntanodallachiomaarruf-fata di Albert Einstein; una lepre appesa al gan-cio sospesa sulla bara aperta di Salvador Dalí.

«Lancinato, drammatico, pittore classico dal-l’inclinazione quasi iperrealista, fine ritrattista eprofondo indagatore del mondo animale, casoisolato nel panorama italiano» (la definizione èdi Vittorio Sgarbi), Luca Del Baldo ha per il cor-poumanolostessointeressedeglianatomopato-logi, degli investigatori del Ris, dei criminologi,dei telespettatori di Crime scene investigation eGrey’s anatomy. Ma spaventa i benpensantiperché trasforma i defunti in opere d’arte e limostra «in luoghi stranianti rispetto al contestoambientale che ci sembrerebbe più appropria-to» (sempre Sgarbi). Lui le chiama, con un neo-logismo tedesco che s’è coniato da solo, to-dkammer, camere della morte, e preferiscenonesporle in Italia,pernonurtare la sensibili-tà del pubblico. Diciamo che le dipinge per sé,e infattinonnehamaivendutauna. Incompen-so sta ultimando una serie di normali ritratti amezzo busto di grandi attori - Marilyn Monroe,JohnWayne, JeanGabin,BetteDavis,BurtLan-caster, Clint Eastwood, Jack Nicholson - al cuiconfrontoletavolediNormanRockwell,oquel-lediAchilleBeltrameapparse finoal1945 sullaDomenica del Corriere, sbiadiscono.

«Curt del geni» è scolpito all’ingresso delladimessa corte di Villa Guardia dove DelBosco,nato 40 anni fa nella vicina Como, occupa unbilocale bohémien, insieme casa e atelier, geli-do quanto basta per accendere la creatività.«Mailgeniononsono io, ignorochiabbiamura-to quella lapide», si chiama fuori, nonostante sisia diplomato con 60/60 al liceo artistico e con110 e lode all’Accademia di Brera. Varcare lasua porta equivale a entraresubito in argomento: sul ca-valletto riposa frescadi colo-re la testa insanguinata diuna donna, «una delle vitti-meestratte dalle macerie do-po l’attentato alle Torri ge-melle», mostra la foto sul pa-ginone di Newsweek al quales’è ispirato, «alla fine pensoche ne ricaverò un trittico».

NotedelRequiemdiOrlan-dodiLasso insottofondo.Fo-to di cadaveri eccellenti allepareti. Sei ferri chirurgici ap-pesidavantialcomputer.Ma-nuali di patologiaedermato-logia sugli scaffali. L’occhiocade sul dorso di un volumepubblicato da Masson, casaeditrice specializzata in testiperstudentiuniversitari:Lacinematicadelsui-cidio e dell’omicidio per arma da fuoco. «Lohascritto il professor Paolo Picciocchi, all’epocatitolare della cattedra di medicina legale allaFederico II di Napoli. L’ho pagato 187.000 lirenel 1992, in libreria non volevano darmelo». Virisparmioladescrizionedelmateriale iconogra-ficocontenutonel tomo. «Eppure legga ladedi-ca, “A Kitty, mia moglie”. Le pare normale chel’autore dedichi un’opera simile alla propriaconsorte?».

Èquesto che sorprendedell’artista comasco:pur occupandosi di argomenti estremi, nellasuapersonalitànoncogli alcun trattovisibiledieccentricità. È un onesto travet della morte, al

pari degli impresari di pompe funebri, colto,misurato nel linguaggio, cordiale. «Non sonoun necrofilo, ho messo piede negli obitori sol-tanto due volte in occasione di funerali».

All’estero stravedono per Del Baldo. JamesGraham Ballard, l’autore del romanzo L’impe-ro del sole dal quale Steven Spielberg trassel’omonimo film, ha ingiunto prima a Bompianie poi a Baldini & Castoldi di affidare a lui lecopertine delle edizioni italiane di Crash e Co-caine nights. DavidCronenberg, ilmaestrodel«body horror» (La mosca, Inseparabili, Il pastonudo), lo aspettava in Canada come assistentesul set di Crash, «ma io non avevo i soldi per ilbiglietto aereo». Peter Greenaway, altro visio-nario che ha firmato film su cannibali e malati

terminali, ha voluto cono-scerlo a Lugano. Leni Riefen-stahl, l’inquietante registaprediletta da Hitler, lo accol-se a Pocking, affiancata daunamante alto, biondoe congliocchi azzurri cheaveva40anni meno di lei.

Come si definirebbe?«Banalmente, un pittore.

Altrettanto banalmente, unesteta. Il mio organo erettileè l’occhio. I quadri li vendosolo all’estero, soprattuttoSpagna e Germania. In Italiaho dovuto arrangiarmi con iritrattidi imprenditorie leco-pertine per Mondadori e Riz-zoli».

Mi descriva il suo lavoro.«Una cartografia del con-

temporaneo. Mi sento ceronettiano (da GuidoCeronetti,poeta, saggista, traduttoredi testibi-blici, marionettista, ndr). Il male prevale sulbene».

Triste.«L’uomoè irredimibile. Unessere chenonmi

piace. L’unica cosa che salvo di lui è il corpo.Questo non significa che non creda nel bene.Labontàdelmissionarioe l’innocenzadell’idio-tadostoevskianomi lascianodisarmato,mi an-nichiliscono».

Perché questa è l’epoca del piercing e dei ta-tuaggi?«Codici tribali. Nell’era dell’individualismo

sfrenato, ci s’intruppa per paura dell’altro».

Del lifting che cosa pensa?«Amo la vecchiaia. È la forza del carattere,

come sostiene lo psicoanalista James Hillman.Lafacciadiunanzianoè lacosapiùsublimechepossa esistere».

Il suo scopo, leggo, è «documentare le mutazio-ni del corpo, il passaggio tra ciò che eravamo eciò che saremo». Che mutazioni vede?«Ha presente Orlan?».

No.«È un’artista francese che sta rimodellando il

propriocorpo condiverseoperazioni chirurgi-che affinché corrisponda a un’immagine mito-logica. S’è fatta aggiungereduecorna in fronte,sembra uscita dalla traumatologia».

Quando le è venuta la fissa per i morti?«A 12 anni. Mia madre mi portò a vedere un

vicino di casa defunto, Adolfo, un omone. Melo sognai per molto tempo. Di notte veniva asedersi sul bordo del mio letto. Io mi svegliavodi soprassalto credendo d’aver visto il diavolo.Non s’è mai capito perché il mio dobermann,chedormivanella stessa stanza, ringhiasse, co-me se avvertisse anch’esso una presenza. Poiho fatto il chierichetto.Nella culturacattolica lamorte è sempre presente».

È religioso?«No, sono ateo. Ma la chiesa, parlo dell’edifi-

cio, è il luogo più bello in assoluto, libera latesta da tutte le preoccupazioni. Fra le navate,specie se gotiche, si avverte il mistero. Provoun’attrazione-repulsione per le alte gerarchie.Mi piacerebbe ritrarre da vivo Papa Ratzinger.Lo vedo come l’Innocenzo X dipinto dalVelázquez, che sono andato a rimirarmi varievolteallagalleriaDoriaPamphilj diRoma.Ave-va ragione Francis Bacon: è il più grande ritrat-to nella storia dell’arte».

Non conosco pittori che abbiano come testo sa-cro «L’atlante di medicina legale» di Weimann eProkop con le sue foto agghiaccianti.«Però Léon Cogniet nell’Ottocento dipinge il

Tintorettomentre ritrae la figlia morta: è alMu-seodi belle arti diBordeaux. Stesso soggetto inuna teladi EleuterioPaglianoallaGalleriad’ar-te moderna di Milano. Comunque L’atlantel’ho prestato a un amico che non me l’ha piùrestituito».

Come mai la sua arte ha bisogno dei tavoli ana-tomici delle morgue?«La salma di Che Guevara è magnifica, mi ri-

corda il Cristo morto del Mantegna custodito

nella Pinacoteca di Brera. Appaga gli occhi».Ha dipinto anche Mussolini e la Petacci appesia piazzale Loreto.«Mostro la tela capovolta: sembra una danza

dei balletti russi di Sergej Djagilev. Non lo fac-cioper stupire.Noncredonellapitturaengagé,non m’interessano le provocazioni, tipoquellediMaurizioCattelan,per capirci, o ilBenedettoXVI in autoreggenti che Paolo Schmidlin vole-vaesporreaMilano.Pensoche la storia italianasia stata divisa in due parti dalle uccisioni diMussoliniediMoro.DuecorpidiStatochehan-no segnato un prima e un dopo. Gli artisti sonouna massa di paraculi: lavorano per chi gli dà iquattrini. Ma il genio va oltre il committente».

Anche lei ha tentato di far rumore esponendoal Miart di Milano un tritticosull’autopsia di John Fitzge-rald Kennedy e un Pier Pao-lo Pasolini deturpato.«Nanni Moretti e Oliviero

Toscani li hanno digeriti.Dolce & Gabbana e Sgarbino, li hanno giudicati troppoforti. Però la tela su Moro misono sempre rifiutato diesporla, per non offendere ifamiliari».

Al Padiglione di arte con-temporanea il dipinto dellasalma di padre Pio è statocontestato.«S’èpure fulminato il faret-

to che lo illuminava, l’unicosu 142. Prima mi chiamanoalla rassegna Nuovi pittoridella realtà, poi mi tolgonodal catalogo. Io che colpa ne ho? Per me, pernoi italiani, per noi cattolici, padre Pio è unafigura importantissima».

Ha detto «noi cattolici»?«Anche se sei ateo, non puoi non dichiararti

cattolico. Non m’interessa sapere se padre Pioeraunsantooppureunimpostore,comesostie-neSergio Luzzatto nel suo libro.Nonho il dirit-to d’entrare nella fede delle persone. Dico soloche il fratediPietrelcinamiossessionanonme-no del Duce e del Che».

Perché accanto ai papi e agli statisti ritratti sulletto di morte mette sempre babbuini e oran-ghi che strillano?«La scimmia è un animale ambiguo, il più

prossimoall’essereumano,ma dai tratti demo-niaci.Ciò chem’inquieta, m’affascina.Nel qua-dro di Madre Teresa le scimmie piangono, co-me in una deposizione. Alcuni ci vedranno ildolore, altri la morte che irride alla vita. L’arti-sta si misura inevitabilmente col trascendente,col tempo, con la materialità delle cose. Ancheuna bottiglia di Giorgio Morandi ha a che farecolsacro,senonaltroperviadella luce.Lagran-de arte s’interroga su chi siamo noi uomini».

Perché la salma di Mao è vegliata da Totò?«Inserisco elementi grotteschi per smorzare

la repulsione. Come fece Federico Fellini nelCasanova,unfilmlugubremariccod’invenzio-ni che ne attenuano la cupezza».

Che cosa pensa del corpo umano?«Quantodi più bello la natura abbia fatto. Ho

questo limite: non riesco a vedere il fascino deitramonti, dei paesaggi».

Circonda il suo di cure particolari?«Fumo tanto, mangio tanto, non mi drogo,

mai preso farmaci».So che cerca come modelli uomini e donne gras-si oltre i 55 anni. Che cosa la attira dell’obesi-tà?«È tanta, riempie la tela.Ma imodelli scarseg-

giano.Gliuominicredonochesiagay, ledonneche ci voglia provare. Va’ a spiegarglielo chem’interessa solo dipingerli».

Quando incontra una persona, qual è la primacosa che osserva?«La faccia».

E l’altro che cosa osserverà in lei, ha provato achiederselo?«Mai. Sono molto autoreferenziale».

È uscito da Brera con una tesi sulla fotografaDiane Arbus. Come mai è attratto dall’autricedei raggelanti primi piani di reietti e minorati?«I normali fotografati dalla Arbus sembrano

anormali, e viceversa. Un acondroplasico (na-no, ndr) ritratto dalla Arbus diventa un re introno. Ho il massimo rispetto per la deformità,perché è più autentica del reale. I cosiddettimostri sono esseri epifanici, rivelano una veri-tà chealtri nonhanno. Lo stessodicasi deimor-ti: il lorovolto si nobilita, comese avessero rag-giuntouna conoscenza che anoi vivi è negata».

Quanto c’è di vero nel film «Fur» in cui la Arbus èinterpretata da Nicole Kidman?«Nulla.LaArbusdellaKidmanèoscenaeinve-

rosimile».Potrebbe anche lei innamorarsi di una donnabarbuta, come càpita alla Arbus con Lionel, l’in-felice essere somigliante allo yeti?«Sì, perché no?».

L’inclinazione al macabro ostacola o facilita icontatti con l’altro sesso?«Facilita. La gente è curiosa. Donatella, una

ragioniera con cui sono fidanzato da sei anni,all’inizioeraunpo’ scossa.Molte cosenonglie-le mostro, né lei vuole vederle. Preferisce i car-toni animati di Madagascar».

Che cos’è per lei la normalità?«Conformismo».

Quando le ho telefonato per un appuntamento,mi ha detto che era meglio se venivo a trovarladi sera e ha subito soggiunto: «Per via del traffi-co, non perché io celebri qualche sabba». È que-sto che pensano di lei a Villa Guardia?«Pensano che sia un po’ strano. Ma io non mi

sentopiù stranodi altri. Insegnavodisegno dalvero all’istituto d’arte di Como. Il rapporto congli studenti era splendido. Ho smesso di miainiziativa: la scuola mi impegnava tanto e mipagava poco. Secondo i miei genitori sono un

barbone fuori di testa perchénon ho fatto i soldi».

Pochi si occupano di ciò dacui lei sembra attratto. Dun-que siamo nell’anormalità,non crede?«Tantinesonoattrattiquan-

to me, solo che si vergogna-no a confessarlo. Altrimentimi deve spiegare il successodi serial come Csi e di Foxcrime,canalesatellitare riser-vato ai delitti e al noir».

Che differenza c’è fra lei eun voyeur?«Nessuna. Solo che il mio

unico fine è ricavarci un qua-droanzichésoddisfacimentosessuale».

Non è angosciante occupar-si sempre di defunti?

«Sì, parecchio. Mi svago dipingendo i vivi. Letodkammer non rappresentano che un terzodella mia produzione».

Ha paura della morte?«No».

Che cosa pensa che ci sia dopo?«Nulla. Siamo cadaveri. Ma qualcosa lascia-

mo: quadri, figli... Nel mio caso solo quadri.Sonotroppoegoistaperaveredei figli, rubereb-bero tempo all’arte».

C’è qualcosa di fronte alla quale si ferma?«La mia vita è tutta un rischio».

(438. Continua)

[email protected]

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Leni Riefenstahl volleconoscerlo. Scrittori e registi

come Ballard, Cronenberge Greenaway stravedonoper lui. Ma i suoi quadrisu Mussolini, padre Pio

o Moro suscitano scandalo

È irredimibile. Un essere

che non mi piace. L’unica

cosa che salvo di lui è

il corpo. Non mi sento

più strano di tanti altri

Ha a che fare col sacro.

Sono ateo, ma non posso

non dirmi cattolico.

Gli esseri deformi hanno

una verità a noi ignota

di Stefano Lorenzetto

tipi italiani

L’UOMO

LUCA DEL BALDO

L’ARTE

TINTE FORTI Luca Del Baldo davanti ad alcuni suoi quadri: le salme di Che Guevara e Papa Wojtyla, Totò che veglia Mao, John Wayne, Marilyn Monroe

Il pittore che dipinge i Vipnelle camere ardenti«Solo la morte ci fa belli...»«Da bambino ogni notte vedevo sul mio letto un vicino di casa defuntoAmo la vecchiaia: è la forza del carattere. Cerco modelli oltre i 55 anni»