N.11 - Marzo 2010

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Nota Editoriale

L’11° Congresso europeo degli psicologi, che si è tenuto ad Oslo dal

7 al 14 luglio 2009, ha rappresentato per la Comunità degli psicologi

siciliani un importante e significativo momento di qualificata presenza

attiva. Tutto ciò è stato caratterizzato da numerosi interventi preordina-

ti, inseriti nel programma del Congresso, presentati da colleghi iscritti

all’Ordine siciliano.

Il Consiglio dell’Ordine della Sicilia, su proposta del Presidente Fulvio

Giardina, per promuovere l’attività di ricerca e la partecipazione ad avve-

nimenti internazionali da parte degli iscritti all’Ordine siciliano, ad otto-

bre 2008 ha deliberato di sostenere le spese relative alla quota di iscri-

zione ed al viaggio aereo A/R per quei colleghi che presentassero una

relazione, accettata dalla segreteria scientifica, al Congresso di Oslo.

L’iniziativa di promozione professionale ha suscitato molto interesse

e trenta colleghi hanno partecipato al congresso di Oslo presentando

originali e significati contributi ritenuti validi sia sul piano scientifico

che esperienziali.

Al fine di far conoscere a tutti i colleghi siciliani tali contributi è stato

ritenuto opportuno utilizzare il nostro notiziario come veicolo di condivi-

sione. Questo numero, infatti, è interamente dedicato alla pubblicazio-

ne di un’ampia sintesi delle relazioni pervenute, presentate al congres-

so di Oslo.

Il Coordinatore EditorialeRoberto Pagano

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Sergio S. Amico, Salvatore Noè“Creatività Biologica”: un modello teorico centratosull’aspetto evolutivo dell’esistenza e del comportamento umano pag. 4

Sergio S. Amico, Giuseppa PolizziSOGNO VIGILE ESPLORATIVO INDOTTO E ORIENTATODescrizione di una metodologia psicoterapeutica pag. 6

Elisabetta Carbone, Daniela TortolaniLA SAND PLAY THERAPY: UN VIAGGIO ATTRAVERSO L’INCONSCIO pag. 8

Giuseppe Castro, Daniel Lina MancusoAfasia Primaria progressiva: Descrizione di un caso clinico pag. 10

Elena ConsoliL’Approccio Centrato sulla Persona nella Medicina dei Trapianti D’Organo pag. 12

Umberto Crisanti, Antonella MannoLA MAGIC BOX: UN INTERVENTO DI EMOTIONAL INTELLIGENCE A SCUOLA pag. 14

Simona Corinna Gugliotta, M. La RosaIl funzionamento “limite” al test di Rorschach: ipotesi cliniche pag. 16

Mario GulliColapesce: L’importanza delle fiabe nella psicologia del profondo pag. 18

Marco LiperaAction research nel mondo dei meninos de rua pag. 20

Daniel Lina Mancuso, Giuseppe CastroDemenza frontotemporale con SLA: descrizione di un caso singolo pag. 22

Giuseppe ManiaciAlexithimia, Stress e Supporto Sociale nei pazienti con Orticaria Cronica pag. 24

Marino RosariaI disturbi dell’apprendimento: il gruppo fiaba pag. 26

Vincenzo MessineoFuori dal setting, nuove funzioni della psicologia. pag. 28

Antonio Narzisi, Rosy MuccioIntelligenza emotiva e rischio di burnout negli operatoriche lavorano con i tossicodipendenti pag. 30

Sergio Oteri, Angelida UlloDialisi e trapianto renale in pazienti pediatrici: affetti,emozioni, rappresentazione identitaria e immagine corporea. pag. 32

Mariano PizzoIl Modello Pluralistico Integrato (MPI) di intervista di selezione: descrizione di una esperienza professionale. pag. 34

Antonio Prestidonato, Cristina Lanzarone, Maria MantoMODIFICAZIONI COMPORTAMENTALI NEI GRAVI OBESI DOPOINTERVENTO DI BENDAGGIO GASTRICO pag. 36

Laura RugnonePSICHE-SOMA-TÈCHNE: una integrazione mancata pag. 38

Salvatore ScardilliMAPPE COGNITIVE UTILIZZO DELLE MAPPE MENTALINELLA PSICOTERAPIA pag. 40

Marinzia SciutoLa qualità nei servizi pubblici: un approccio psicologico pag. 42

Massimiliano Terzo, Benedetto TumminelloFattori psicologici in pazienti cardiopatici ischemici giovani:Uno studio empirico pag. 44

Angelida Ullo, Sergio Oteri, E. Aguglia, C. AmatoFibromialgia e Depressione: analogie e differenze cliniche pag. 46

Graziella ZitelliFor football fan and not against! Tifo PRO! Progetto perl’educazione ad un tifo non violento rivolto a giovani tifosi pag. 48

Santa MuscusoL’ELABORAZIONE DI UNA NUOVA CATEGORIA DEL DANNORISARCIBILE ECONOMICAMENTE: DANNO ESISTENZIALE pag. 50

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sommario

ANNO XIII - NUMERO 11

Aut. Trib. di Palermo, n° 29/98

del 17/19-11-1998

REDAZIONE:

Viale Francesco Scaduto, 10/B

90144 Palermo

Tel. 091 6256708 - 840500290

Fax 091 7301854

www.oprs.it

e-mail: [email protected]

DIRETTORE RESPONSABILE

Paolo Bozzaro

COORDINAMENTO EDITORIALE

Roberto Pagano

CHIUSO IN REDAZIONE

il 23 Marzo 2010

IMMAGINE DI COPERTINA

Sede del Congresso di Oslo

GRAFICA & IMPAGINAZIONE

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In AllegAto A questo notIzIArIo

troverete:

• Psicologi&Psicologia in sicilia news

• l’adesivo con la composizione del

Consiglio da applicare nello spazio

riservato nell’agenda 2010

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Sergio S. Amico - psicologo, Salvatore Noè - psicologo

LLa “Creatività Biologica” rappre-senta il concetto nucleare di unmodello evolutivo, che riguarda

l’indivisibile unità della vita: gli esseriviventi in generale e l’essere umano inparticolare. Tale modello teorico è cen-trato sulla necessità creativa dell’evolu-zione. Senza gli aspetti innovativi, creati-vi, non avremmo evoluzione ma soltantoun semplice e lineare sviluppo, cioèqualcosa che procede seguendo unoschema già tracciato.

L’innovazione nasce come rispostaalle difficoltà che sorgono lungo il cam-mino evolutivo. Ritroviamo questo sche-ma (l’associazione crisi -> innovazione)anche nei processi di miglioramentocontinuo della Qualità, i quali procedonoattraverso il fronteggiamento e la risolu-zione delle “criticità” emergenti.

Il vivere è evoluzione, è un processodinamico, come il camminare. Il cammi-nare è infatti una sorta di squilibrarsicontrollato e continuo al quale segue unripristino dell’equilibrio in una nuovaposizione, e tali oscillazioni, progressiva-mente ci avvicinano alla meta.

L’evoluzione è un alternarsi di ordineed entropìa, governato da un processo ditipo omeostatico, che mantiene quest’o-scillazione equilibrata.

L’Omeostasi – lo ricordiamo - è unprocesso che realizza l’adattamentoripristinando le condizioni ottimali, l’e-quilibrio, attraverso “circuiti” già esi-stenti, che limita entro specifici ambitifisiologici le fluttuazioni di vari elemen-ti variabili, garantendo così una stabili-tà dinamica.

Volendo considerare il ruolo centra-le dell’adattamento nello studio degliorganismi viventi, dobbiamo riconosce-re grande merito ad Hans Selye, chegià nel 1936 aveva visto nel modo incui si attiva il comportamento umano,quella che lui stesso ha denominato“Sindrome Generale di Adattamento”,focalizzando il concetto di Stress comerisposta dell’organismo nell’adattarsi

alle sollecitazioni cui viene sottoposto.L’eredità di Selye è stata raccolta

dalla PsicoNeuroEndocrinoImmunologia(PNEI), che rappresenta un importantefilone di ricerca contemporaneo. LaPNEI si configura come un nuovo para-digma che si colloca in una prospettivaolistica e che arricchisce la preesi-stente concezione “psicosomatica”,attraverso più incisive evidenze scienti-fiche. Si tratta di una visione sistemicadell’organismo umano, dove la psichesi ritrova in costante relazione con queisistemi di regolazione fisiologica chesono i principali sistemi adattivi del-l’organismo: il Sistema Nervoso, ilSistema Neuro Endocrino ed il SistemaImmunitario. Infatti, ognisfida che perturba l'equilibrio dell'or-ganismo sollecita immediatamentedelle reazioni regolative che sono neu-ropsichiche, emotive, locomotorie,ormonali e immunologiche.

La PNEI ci propone, grazie all’america-no Bruce McEwen, un nuovo modo diintendere lo stress negativo (il distress)inquadrandolo come sovraccarico allosta-tico. (per approfondimenti: www.sipnei.it).

L'allostasi è la capacità di mantene-re la stabilità dei sistemi fisiologici,essenziali per la vita, per mezzo del cam-biamento. È l’adattamento che si realiz-za tramite il cambiamento, determinan-do nuove condizioni di equilibrio. (BruceMcEwen – “The end of stress as weknow it” - 2002)

L'obiettivo del processo allostatico èpiù ampio di quello dei processi omeosta-tici: è la fitness dell’intero sistema rispet-to alle sollecitazioni poste dall'ambiente.Qui giocano un ruolo cardine le capacitàdel cervello di regolare gli equilibri: biologi-ci, fisiologici e comportamentali.

Se l'organismo è sottoposto a sfideambientali che ne minacciano l’esisten-za, a sollecitazioni talmente insidioseche non riesce a controbilanciare con isemplici processi omeostatici, alloraattiva un processo allostatico. Quando

questa attivazione allostatica riesce afronteggiare e dominare la minaccia, ocomunque a determinare un nuovo equi-librio, l'organismo esce dal processoallostatico con un adattamento nuovo,inedito, che ne preserva la sopravviven-za (evoluzione).

Il processo allostatico comporta unostato di allerta, denominato carico allo-statico, che può essere mantenuto perperiodi di tempo contenuti, conseguendoi suddetti risultati adattivi, ma che puòanche diventare cronico e costituire cosìuno stato di continua attivazione carat-terizzato da instabilità, che prende ilnome di sovraccarico allostatico (= dis-tress). Ciò si verifica quando il processoallostatico entra in tale condizione disovraccarico per incapacità a risolvere lasollecitazione e quindi a ridurre la ten-sione.

Accogliendo la teorizzazione diMaturana e Varela (“Autopoiesi e cogni-zione”, 1985), l’organismo vivente è con-cepibile come un sistema autopoietico,cioè un sistema autonomo che tende adauto-regolarsi, dotato di capacità di auto-organizzazione, che evolve a partire dase stesso. I sistemi autopoietici reagi-scono alle perturbazioni tendendo a ripri-stinare gli equilibri, giungendo quindi adattivare gli opportuni processi omeosta-tici e/o allostatici, arrivando al punto didover modificare la propria organizzazio-ne per far fronte alle sollecitazioni piùimportanti ed insidiose.

Quando un essere umano percepi-sce un problema, un’avversità, speri-menta una tensione, avvertita interior-mente come fastidiosa, che lo porta acercare una “soluzione” che, se conse-guita, possa “risolvere” tale tensione(Freud lo aveva chiamato “Principio dicostanza”).

Possiamo facilmente riscontrare cheoltre a cercare una soluzione l’individuopuò anche tendere ad evitare l’avversità.Quindi dall’attivazione possono scaturiredue differenti percorsi, uno alimentato

“Creatività Biologica”: un modello teorico centrato sull’aspetto evolutivo dell’esistenza e del comportamento umano

The 11th European Congress of Psychology

Oslo, Norway 7-10 july 2009

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da una motivazione di approccio, pro-atti-va, alla ricerca di una soluzione pratica,l’altro sostenuto da una motivazione dievitamento, focalizzata più sugli aspettiemotivi da evitare, piuttosto che verso ilfronteggiare l’avversità: approccio ed evi-tamento rappresentano le due tendenzemotivazionali di base. Entrambi sonoattivati da un conflitto di fondo che siconfigura come desiderio o come timo-re; tale conflitto rappresenta uno squili-brio motivazionale che si traduce inun’attivazione comportamentale.

Seguendo il “principio di costanza”l’individuo, a fronte di qualsiasi evento“perturbante”, attiva il proprio comporta-mento al fine di riequilibrarsi.

Dovendo trovare soluzioni innovative,attiviamo il “pensiero divergente” e con-temporaneamente smorziamo il “pensie-ro critico”, per dare così spazio allacreatività, che può fornirci idee nuove.Ciò rende più instabile il sistema cogni-tivo e questa “entropia della mente”può, se diventa eccessiva, far tracollareil sistema compromettendone l’equili-brio mentale (distress, trauma psichico).

In chiave evolutiva umanistica, leavversità sono occasioni di crescita,nella misura in cui vengono affrontatecon l’opportuna “resilienza”, cioè con lacapacità di far fronte alle difficoltà dellavita, superarle e uscirne rinforzato o,addirittura, trasformato. In questa pro-spettiva l’evoluzione rappresenta unasoluzione che si caratterizza comemigliore adattamento e buona stabilità(innovazione).

L’essere umano, al livello cognitivo ecomportamentale, confrontandosi conti-nuamente con le richieste e con le risor-se del proprio ambiente (sia esterno, siainterno) e seguendo il proprio “slanciovitale”, agisce tendendo a ripristinare unequilibrio, che è naturalmente un po’instabile. Infatti oscilla seguendo le duetendenze contrapposte che possiamoricollegare ai concetti di ordine ed entro-pia ed anche all’alternanza del pensieroconvergente e divergente.

In sintesi: Fronteggiando le sfide quo-tidiane l’essere umano evolve, attraver-so un respiro dialettico fra ordine edentropia, attivando il pensiero divergen-te e creativo per trovare soluzioni nuovea nuove sfide.

Traslando tale modello sul piano bio-logico possiamo ipotizzare che gli erroridi trascrizione genetica (entropia cellula-re) aumentino strategicamente quando ilsistema è posto sotto stress (sovracca-

rico allostatico), non per una sorta dialterazione da esaurimento, quanto peruna ricerca di soluzioni innovative in uncontesto di emergenza protratta (voglia-mo qui ricordare che errare significaanche viaggiare, espandersi – oltre chesbagliare).

Il processo biologico che comporta laselezione di ceppi di batteri resistenti aifarmaci antibiotici, segue un principiosimilare: innescato dalle avversità, attra-verso mutazioni genetiche, determina laformazione di caratteristiche biologicheinnovative, che possano “risolvere”, neu-tralizzandola, l’efficacia del farmacoavverso.

La strategia biologica che volge allaricerca della soluzione dei problemi,sembra contemplare, negli esseriumani, una prima fase di reazione allasfida ambientale, ordinaria e focalizzatae, in caso di inefficacia, l’attivazione delsistema dello stress. Ciò, inizialmente,comporta un’iperattivazione del sistemaimmunitario che prepara l’organismo adun confronto (anche violento) col “nemi-co”. Ma se lo stato di attivazione nonraggiunge il suo obiettivo originale, cioèse non riesce a ripristinare uno statoequilibrato, allora si viene a determinareuno squilibrio, una disregolazione, e ciòporta il sistema in uno stato di aumen-tata vulnerabilità (sovraccarico allostati-co) caratterizzato anche da immunosop-pressione.

La ricerca di una soluzione determi-na un aumento dell’entropia del siste-ma: quanto più un organismo è “sottostress”, tanto più questo suo squilibrar-si potrà determinare un tracollo. Ne deri-va che tutte le strategie e le tecniche“anti-stress” giocano un ruolo generica-mente protettivo.

Gli errori di trascrizione geneticanella riproduzione cellulare possonodiventare così preponderanti da genera-re un tessuto anomalo (carcinogenesi)che si sviluppa con l’avallo di un sistemaimmunitario sottotono, complice l’immu-nosoppressione da stress (S. Cohen,1991 – in D. Lazzari, 2007). Tale ridottaefficacia del Sistema Immunitario appa-re strategicamente necessaria per con-sentire alle “nuove nate” di proporsicome “soluzione innovativa”.

Le ricerche fatte in ambito PNEI, supersone ammalate di cancro, riportanodifferenze significative a vantaggio deigruppi sperimentali istruiti nell’uso ditecniche antistress (rilassamento, medi-tazione, visualizzazioni, ecc…), ciò tende

a confermare l’ipotesi di un ruolo signifi-cativo del sovraccarico allostatico nell’e-voluzione dei tumori. Sempre più nume-rosi sono infatti gli studi che evidenzianocome lo stress “… aumenta l’incidenzadel cancro e ne peggiora la prognosi” (F.Bottaccioli in PNEI 03/09 p.6)

Il binomio “Creatività Biologica”vuole rappresentare l’idea di fondo che ilprincipio organizzatore principale delmondo biologico possa essere l’evolu-zione creativa. Quindi che la tendenzaautopoietica, cioè quella di un’auto-regolazione costantemente orientata almiglioramento, dia alla sofferenza edagli errori in generale, un valore positivo,di attivazione, che promuove l’innovazio-ne attraverso uno sforzo creativo (con-fermando l’associazione crisi -> inno-vazione).

Le manifestazioni patologiche, siasomatiche che psichiche, quindi appaionoessere non tanto dei “capricci della natu-ra” quanto dei “processi sensati” (comeli chiama il Dr. Hamer), cioè processi chetentano di risolvere la crisi mirando alripristino dell’equilibrio perduto.

Il modello della “Creatività Biologica”scaturisce da un’intuizione che può edeve essere ulteriormente elaborata.Noi speriamo di essere riusciti a tra-smettervi, con questa breve esposizionesommaria, degli elementi di novità suiquali riflettere e fare ulteriori ricerche.

BIBLIOGRAFIA• Bergson, Henri - L’evoluzione

creatrice 2002 Raffaello Cortina Editore.

• Bottaccioli, Francesco - Il sistemaimmunitario: la bilancia della vita2008 tecniche nuove – Milano.

• Bottaccioli, Francesco - Psiconeuroendocrinoimmunologia2005 Studio Red – Milano.

• Bottaccioli, Francesco - Geni ecomportamenti. Scienza e arte della vita 2009 Studio RedMilano.

• Lazzari, David - Mente & Salute2007 - Franco Angeli – Milano.

• Lazzari, David - La «Bilancia dello Stress» 2009 - Liguori EditoreNapoli.

• Maturana, H.R. - Varela, F.J. - Autopoiesi e cognizione 1985Marsilio - Venezia.

• Scrimali, Tullio - Entropia della mente ed entropia negativa 2006Franco Angeli – Milano.

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Sergio S. Amico - psicologo, Giuseppa Polizzi - psicologo

Il Sogno Vigile Esplorativo Indottoe Orientato (SVEIO) è una tecnicaimmaginativa - utilizzabile sia in

psicoterapia sia in percorsi di evolu-zione personale - compatibile con variapprocci psicologici, in particolarecon quelli che si collocano in un’otti-ca transpersonale.

Si utilizza uno stato di coscienzanon ordinario, ovvero uno stato ipna-gogico, di profondità sufficiente a faraffiorare visualizzazioni significative(Sogno Vigile). Ciò consente di esplo-rare (Esplorativo) contenuti psichicidel cliente che altrimenti non sareb-bero accessibili (Indotto) attraversomessaggi del terapeuta che indicanoprincipalmente direzioni e contenutigenerici (Orientato) piuttosto chetematiche specifiche.

Si applica in un setting individualepoiché l’uso in contesti di gruppo, conla conseguente perdita del feedbackinterattivo individualizzato, non con-sentirebbe un adeguato orientamento.

Presenta alcune attinenze conaltre tecniche di imagery, come adesempio il Training Autogeno superio-re di Schultz, il Rêve-Eveillé-Dirigé(R.E.D.) di Desoille, l’oniroterapia, levisualizzazioni guidate. Da queste tec-niche si discosta in maniera decisivaper il suo collocarsi in un’ottica trans-personale, cioè all’interno di un para-digma che considera possibile l’esi-stenza di una parte spirituale dell’es-sere umano che sopravvive alla morte

del corpo fisico e che può successi-vamente reincarnarsi.

Si differenzia anche da molte altretecniche immaginative, di stampoassertivo-propositivo, poiché segueuno stile immaginativo-esplorativoche mira, cioè, a fare emergere leimmagini “spontaneamente”, dall’in-terno della psiche. Il metodo è quinditendenzialmente rispettoso, in chiavemaieutica, dei temi e dei tempi dimaturazione del cliente, riconoscendoche le risorse di cui egli ha bisognorisiedono nella sua storia, personalee transpersonale.

Il terapeuta predispone un conte-sto relazionale atto a facilitare unaproduzione immaginale significativa(Esplorativo, Indotto e Orientato) inmodo tale che il cliente, attraverso leproprie visualizzazioni (Sogno) connet-ta la sua coscienza (Vigile) con imma-gini e con emozioni significative, allequali seguirà una elaborazione chespesso trova luogo già durante la faseesplorativa, raggiungendo importantiesperienze di abreazione catartica.

La descrizione che oggi presentia-mo vuole dimostrare la validità scien-tifica di una prassi metodologica, difatto già esistente, che stenta adessere accettata nel panorama delletecniche psicoterapeutiche accredita-te e che, proprio per questo, viene uti-lizzata senza garanzia di professiona-lità, da operatori di formazione varie-gata e spesso non controllata: stiamoparlando dell’Ipnosi Regressiva.

Tale pratica trova i suoi albori inoriente già da parecchi decenni, men-tre in occidente, a partire dai pionieripiù conosciuti, come ThorwaldDethlefsen (1974) in Germania, BruceGoldberg (1982) e Brian Weiss (1988)negli USA, Manuela Pompas (1987)ed Angelo Bona (2003) in Italia, siaffaccia in tempi a noi più vicini, conuna maggiore diffusione avvenuta

negli ultimi vent’anni.L’Ipnosi Regressiva, fa emergere

scenari inaspettati che, venendo allaluce, offrono risultati straordinari. Ciòsta determinando una diffusione taleda suggerire una revisione dei para-digmi utilizzati fino ad ora dagli psico-terapeuti professionisti.

Tutti gli psicoterapeuti sanno cheesistono soggetti che nonostante ilunghi anni di psicoterapia, di qualun-que indirizzo, rimangono refrattari aicambiamenti e che nonostante le ana-lisi fatte nei minuziosissimi dettagli, ilproblema di base sembra immutabileo si ripete sotto mentite spoglie. Inchiave transpersonale, la ripetizionesi configura come strumento per l’e-voluzione dell’anima - sostenuta dal-l’inquietudine - come ricerca di unasoluzione evolutiva.

Il fatto è che, fino a quando non sicomprende dove porta la ripetizione,ovvero, in chiave junghiana, “da qualearchetipo siamo posseduti”, non cisarà possibilità di cambiamento.

La ricerca psicoterapeutica può,grazie alle tecniche di stampo ipnoti-co, varcare i confini dell’esistenzaattuale sfociando ‘in altri luoghi ed inaltri tempi’, lungo un percorso dell’a-nima che si mostra molto più ampio diquanto non appaia ad una prima visio-ne superficiale. L’esplorazione avvie-ne anche grazie ai suggerimenti delterapeuta rispetto ai movimenti sul-l’asse del tempo (time line) - “vaiavanti”, “vai indietro” - che prendonoil posto dei classici movimenti, diascensione e di discesa, previsti nellatecnica di Desoille (R.E.D.) e che com-portano una reale capacità del sog-getto di viaggiare mentalmente neltempo e di varcare, così facendo,anche i confini della propria nascita.

Attraverso le immagini del SognoVigile è possibile recuperare non soloeventi della storia personale del sog-

SOGNO VIGILE ESPLORATIVOINDOTTO E ORIENTATO Descrizione di una metodologia psicoterapeutica

The 11th European Congress of Psychology

Oslo, Norway 7-10 july 2009

Poniti dinanzi agli eventi come un bambino,

e sii pronto ad abbandonare ogni preconcetto vai umilmenteovunque e in qualunque abisso

la Natura ti conduca:o non apprenderai nulla.

Aldous Huxley

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getto, ma anche contenuti che posso-no, in qualche modo, far ipotizzare l’e-sistenza di vite precedenti.

In cosa consiste questa metodolo-gia e come si attua?

Il setting, individuale, prevede unambiente sufficientemente tranquillo,dove il cliente possa stare in posizio-ne adatta al rilassamento (poltronacomoda - meglio se reclinabile - o let-tino), con il terapeuta a fianco (posi-zione di supporto). E’ bene dotarsi diuna coperta, considerato che il rilas-samento può comportare la necessitàdi ulteriore copertura del corpo.

I soggetti devono essere di normamaggiorenni (sono trattabili – conadeguata cautela – anche giovani apartire dai 16 anni con sufficienteequilibrio e strutturazione dell’io, pre-vio consenso genitoriale), non psicoti-ci e non borderline, non in fase didepressione maggiore. In sostanza,l’Io deve essere in grado di reggere laportata delle immagini emergenti e diprodurre un’adeguata elaborazioneanalitica.

Il terapeuta, dunque, non ordinadall'esterno al soggetto ciò che devefare o credere, bensì lo aiuta nellaricerca di quelle sue risorse interneche possono servirgli per staremeglio. Lo stato ipnotico utilizzatonon è un sonno profondo o uno statodi incoscienza completa: si tratta piut-tosto di una sorta di dormiveglia in cuile difese razionali assumono un ruolopiù permissivo.

Il metodo implica la riflessione,durante e dopo la produzione immagi-nale (al risveglio), sulle connessionitra le problematiche attuali e ciò cheemerge nel Sogno Vigile. Teniamo pre-sente che secondo molti colleghi chesi occupano di Ipnosi Regressiva, oltreche per tutto il pensiero orientale, il làed allora che emerge nel Sogno Vigile,può essere ricondotto a ipotetiche viteprecedenti. Ma visto che non sapremomai con certezza scientifica se la rein-carnazione sia un fatto reale o unanecessità di pensiero del vivente, peradesso ci soffermeremo solo sul fattoche la connessione fra il qui ed ora edil là ed allora serve terapeuticamenteper portare alla luce, e risolvere, i nodiemozionali (archetipici) ancora nonrisolti.

Quindi possiamo stimolare il sog-getto verso lo stato di trance. E men-tre lo stimoliamo gli ricordiamo il moti-

vo per cui lo facciamo: ovvero il suoproblema, chiedendogli di andare aripescare attraverso immagini, emo-zioni, pensieri, sensazioni, qualcosache possa darci spiegazione del suostato attuale. Ed è così che possonovenire alla luce episodi dimenticati oregistrati sotto altri filtri cognitivi del-l’attuale vita, così come possonoemergere episodi di un tempo remoto,antecedente la propria nascita, che inqualche modo fanno entrare il sogget-to in contatto vivo con le emozioni diquel tempo, che si ricollegano con leattuali emozioni.

Ciò risulta perfettamente in linea,in chiave transpersonale, con l’ipotesievoluzionistica della reincarnazione econ la teoria del karma.

Con questo tipo di lavoro, spessoemerge che specifici sintomi (anchedi ordine prettamente fisico), nonchévarie difficoltà relazionali, rimandanoa qualcosa rimasto incompiuto in unaipotetica vita precedente, a qualcosache appare come già vissuta e che sista ripetendo; oppure si ricollegano aqualcosa che rappresenterebbe unaresponsabilità nei confronti di altriche, seguendo la legge del contrap-passo, avrebbe a sua volta determi-nato nella vita attuale un vissuto com-plementare: uno sperimentare oggiciò che avremmo causato ad altri intempi remoti al fine di imparare e,quindi, migliorare. Questo ‘contrap-passo’ ovviamente - ci teniamo a sot-tolinearlo - non è in chiave punitivabensì evolutiva. COMPETENZE:

Per utilizzare il Sogno VigileEsplorativo Indotto e Orientato, ènecessario avere competenze psico-terapeutiche pregresse, che includa-no, gli aspetti di cornice relazionale econtrattuale; avere – inoltre - compe-tenze sugli stati non ordinari dicoscienza, sulla loro induzione e sullafuoriuscita dalla trance ed avere, infi-ne, dimestichezza con le fasi del per-corso di morte e di rinascita e con ilpiù ampio processo evolutivo trans-personale, all’interno del quale l’e-sperienza regressiva del Sogno Vigileoccupa un ruolo di elevata incisività.

A ciò va aggiunta l’esperienza per-sonale diretta, prima come soggettoche si sottopone alla tecnica, poicome osservatore ed infine come ope-ratore, attraverso un percorso formati-vo appositamente strutturato.

BIBlIogrAFIA

• A. rocha & K. Jorde, Figlia della

Luce, 1995, Sperling & Kupfer.

• Anne e Daniel Meurois -

givaudan, I nove scalini, (1991),

AMRITA edizioni.

• Bona, Angelo, Ipnosi regressiva e

psicoterapia dell'entusiasmo 2003

Ed. Mediterranee.

• Bona, Angelo, L'amore dopo il

tramonto, 2005, Oscar Mondadori.

• Caldironi, B. - Widmann, C.,

Visualizazioni guidate in

psicoterapia, 1980, PIOVAN.

• Daniel Meurois - givaudan

Malattie karmiche, 2000

AMRITA edizioni.

• Dethlefsen, thorwald, Il destino

come scelta 1979

Ed. Mediterranee.

• Dethlefsen, thorwald

L'esperienza della rinascita -

Guarire attraverso la reincarnazione

2004 Ed. Mediterranee.

• Dethlefsen, thorwald, Vita dopo

vita,1974 Ed. Mediterranee.

• g.nardone - C.loriedo – J.zeig -

P. Watzlawick, Ipnosi e terapie

ipnotiche, 2006, Ponte alle grazie.

• goldberg, Bruce, Vite passate,

vite future, 1982 Armenia.

• granone, Franco, Trattato di

Ipnosi,1989 UTET.

• Mcelroy, Mark, Sogni Lucidi -

Semplici Tecniche per Guidare i

Propri Sogni, 2008 Macro edizioni.

• Moody, raymond A., Ricordi di

altre vite, 1990 Oscar Mondadori.

• Peresson, luigi, L'immagine

mentale in psicoterapia, 1983

Città Nuova - Roma.

• Pompas, Manuela, La terapia R,

1995 Mondadori.

• Pompas, Manuela, Reincarnazione,

alla scoperta delle vite passate,

1897 Rizzoli.

• Pompas, Manuela, Reincarnazione,

una vita, un destino, 2004

Sperling & Kupfer.

• Pompas, Manuela, Vivere. E poi?,

1989 Rizzoli.

• robin norwood, Guarire con i

perché, 1994 Feltrinelli.

• roger J. Woolger, Il Segreto di

Altre Vite, 2007 Sperling & Kupfer.

• tomlinson, Andy, Di Vita in Vita,

2005 AMRITA edizioni.

• Weiss, Brian, Lo Specchio del

Tempo, 2002 Oscar Mondadori.

• Weiss, Brian, Messaggi dai

Maestri, 2000 Oscar Mondadori.

• Weiss, Brian, Molte vite, molti

maestri, 1988 Oscar Mondadori.

• Weiss, Brian,Molte vite, un solo

amore, 1996 Oscar Mondadori.

• Weiss, Brian, Molte vite,

un'Anima Sola, 2004 Mondadori.

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Elisabetta Carbone - psicologo, Daniela Tortolani - psicologo

La Sand Play Therapy è unametodica introdotta da DoraKalff nell’ambito della Psicologia

Analitica, espressione di un processocreativo che antepone le sensazioni e ilgioco alle parole, fornendo un linguag-gio simbolico che permette di superarel’ostacolo che in un’analisi infantile ècostituito dall’immaturità dell’evoluzio-ne del linguaggio.

Dora Kalff ha aggiunto alla psico-logia junghiana l’elemento della terrae con esso la possibilità di lasciarsiandare ad un’attività psichica model-lando la sabbia e dandole forma conle mani.

Il materiale necessario per poterlavorare con il “Gioco della Sabbia”consiste in una stanza con delle cas-sette di sabbia di dimensioni stabili-te, aventi fondo blu e, degli scaffali incui sono ordinati numerosi oggetti inminiatura, che vengono usati dalpaziente, all’interno di questo spazio,nella più completa libertà per costrui-re una scena rappresentando dei con-tenuti inconsci.

Dal punto di vista di Dora Kalff, l'e-lemento sostanziale per raggiungerela trasformazione di uno stato di sof-ferenza non è tanto rendere consciociò che è inconscio, quanto dare spa-zio al processo simbolico che tendespontaneamente ad un progetto ditotalità, di relazione conscio - incon-scio più integrata.

Durante il periodo evolutivo, permisurarsi con l'emozione, i bambinihanno bisogno dell'oggetto e dell'a-zione, come se la capacità di affron-tare l'evento emotivo coinvolgenterichiedesse l'attività e il contatto per-cettivo proprio dell'esperienza corpo-rea; ma anche in età adulta, in situa-zioni emozionali intense che disorien-tano, si sente la necessità di tornarea quel modo di esperire, di regredireal gesto per elaborare gli eventi dis-turbanti. Proporre il "Gioco della sab-

bia” significa, ridestare la possibilitàsubconscia di mettere in scena modidi proiettare, introiettare e interiorizza-re, intesi come capacità di esprimere,distinguere, confrontare e trasforma-re, la propria esperienza emozionale.

Si tratta del ritorno alla dimensio-ne corporea costitutiva del gioco atti-va nel bambino come nell'adulto,della disposizione a rappresentare

emozioni presenti, ma ancora indistin-te; è il momento centrale nell'econo-mia psichica in cui un'emozione sof-ferta, ma ancora senza forma, si con-figura come rappresentazione di unvissuto.

Il processo di contatto con la sab-bia, l'aggiunta di acqua, la creazione ela trasformazione delle scene, sem-brano ottenere e sollecitare il dupliceprocesso di guarigione e di trasforma-zione, obiettivi della terapia.

Nella “Sand Play Therapy” pertan-to, la cura si lega a due elementi fon-damentali: la manipolazione dellasabbia e la possibilità di rappresenta-re simbolicamente il proprio mondointerno, costruendo nella sabbierauna scena con il materiale ludico adisposizione.

In presenza dell’analista che assi-ste al suo gioco, condividendone ilvissuto, il paziente sperimenta un’e-

sperienza regressiva in cui l’attenzio-ne viene distolta dal mondo circo-stante e concentrata sui contenutiche emergono dall’inconscio e chevengono proiettati sul materiale ludi-co, determinando diverse sensazioniemotive. Le differenti modalità di con-tattare la sabbia, di scegliere e dis-porre l'oggetto, il ritmo costruttivo dellavoro con pause, ripensamenti e

accelerazioni improvvise sono i testi-moni esterni del confronto con l'emo-zione.

La sabbia si rivela un mezzo dota-to di grande potenzialità perché ogniazione, anche minima, trova in questomateriale una pronta capacità dirisposta. Il segno impresso sullasuperficie rimanda un’ampia gammadi risposte: dalla traccia appenainscritta, quando la sabbia è asciutta,alla plasticità costruttiva, quandobagnata e la costante presenza di unarisposta vale anche quando il gesto èviolento e distruttivo; ed è moltoimportante che la sabbia non siadistrutta, non sparisca e si ritroviimmutata nella sua struttura dopo latempesta emotiva in cui è coinvolta.

Lo spazio della sabbiera è statodescritto da Dora Kalff come uno spa-zio “libero” ma anche “protetto”, ciòsignifica che il paziente può speri-

LA SAND PLAY THERAPY:UN VIAGGIO ATTRAVERSO L’INCONSCIO The 11th European

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mentare una totale libertà di utilizza-zione dello spazio, ma questa puòessere percepita come tale solo se èrapportata alla percezione dei limiti,fisicamente rappresentati dai bordidella sabbiera che rappresentanoinfatti, la “protezione” dello spazio,uno sbarramento cioè, alla realizzazio-ne del puro principio del piacere: ibordi della sabbiera possono quindirappresentare una frustrazione che sioppone al libero scaricarsi dell’ener-gia e alla realizzazione di valenze onni-potenti che sarebbero soddisfatte seagite in uno spazio illimitato, sottraen-do energia ad una rappresentazionesimbolica ed alla elaborazione dellasituazione intrapsichica. La sabbiera,con il suo spazio ed il suo limite, inibi-sce quindi, lo scarico immediato deldesiderio e l’energia psichica è cosìcanalizzata e rappresentata, dirigendo-si verso il processo trasformativo.

Ma lo spazio limitato della sabbie-ra, serve anche da contenimentoaffettivo che, come le braccia dellamadre, accoglie e contiene i vissutipositivi.

La scelta dell’oggetto in generenon è immediata e si definisce lenta-mente, mentre il paziente si trova difronte alla scena vuota ed è proprio la

concentrazione sul vuoto che permet-te l’emergere di un’immagine in cuil’emozione trova rappresentazione.

La miniaturizzazione degli oggettifavorisce l'illusione di poter dominareemozioni ancora difficili da gestire, maal tempo stesso permette un primoconfronto con loro. Le emozioni paionocaricare di potere inconscio l'oggetto,tanto da sviluppare una sua autono-mia e renderlo a volte perturbante.

Tra i numerosi oggetti il paziente,sceglierà quelli da cui è particolar-mente attratto e che sono immaginisignificative per lui in quel momentoe, allora, all'apparente approssimazio-ne iniziale si va sostituendo l'impres-sione che in quello spazio, nell'attodel collocare ogni singola scelta, sivada descrivendo la precisa designa-zione di un vissuto.

Le scene iniziali hanno grandeimportanza per il valore anticipatorioche esse hanno, possono rappresen-tare il problema e indicare processipsichici che prendono avvio nelmomento in cui parti della personalitànon attivate diventano visibili.

Quando quest’attivazione si rende-rà riconoscibile attraverso la scena,l’Io mediante l’immagine contatterà leparti dei contenuti archetipici inte-

grandoli: il problema inconscio è agitonella sabbiera e dal mondo interno,reso visibile all’esterno.

Ciò che colpisce l'osservatoreattento allo sviluppo nel tempo dellescene è il processo spontaneo diorganizzazione sia formale che spa-ziale, la precisione delle scelte e laloro aderenza al vissuto individuale.

Tale organizzazione del vissuto ele scelte specifiche dei singoli ogget-ti, mettono a contatto col processoche Jung definiva archetipico e trans-personale.

Al termine del processo il pazientepuò raggiungere la fase che si puòdesignare come espressione dellatotalità, o in termini junghiani, il Sé,che si manifesta nella sabbiera inmodi in parte nascosti, o manifestonei simboli (cerchio, mandala, croce,…), come momento cruciale dello svi-luppo della personalità.

Ci sono immagini che aprononuove strade all'elaborazione e sciol-gono, la rigidità di una comprensioneripetitiva e perciò sterile; altre che,nella loro stessa struttura, vannooltre le opposizioni iniziali e portano ilsegno concreto di un’organizzazione,sino a quel momento imprevedibile.Si tratta di momenti particolari in cuile reazioni emotive, sia del paziente,che del terapeuta, divengono unatestimonianza che la forma raggiuntacorrisponde a energia liberata e attiva.

Nello spazio della sabbiera è pos-sibile attivare e contattare attraversoi simboli, quei contenuti e quelleimmagini interne cariche di energiache, rese visibili, influenzeranno unnuovo sviluppo e dai due poli oppostidel conflitto, uniti nello spazio dellasabbiera, emergerà un terzo simbolounificatore che permetterà di supera-re il conflitto. Il simbolo, espressionedella totalità dell’individuo permettedi “trascendere” le posizioni divergen-ti di conscio e inconscio. Ciò è la rea-lizzazione di quello che Jung definì“funzione trascendente” cioè, la com-ponente creativa della psiche attra-verso cui, producendo una nuova via,si supera una situazione di conflitto.

La Sand Play Therapy ha apertouna prospettiva molto ampia sull’im-portanza dell’azione ludica intesacome via di rapporto con le determi-nanti psichiche della sofferenza, avolte difficili da raggiungere con meto-di di terapia più verbali.

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Giuseppe Castro - psicologo, Daniel Lina Mancuso - psicologo

Riportiamo il caso di un uomo di73 anni, caratterizzato da ste-reotipie verbali, eloquio sponta-

neo ridotto, limitata comprensione dellinguaggio parlato, agrafia, aprassiacostruttiva; di converso, non sono pre-senti cambiamenti di personalità néstereotipie motorie, la memoria episo-dica è relativamente preservata, lamemoria procedurale intatta, l’orienta-mento spazio-temporale buono; assen-te prosopagnosia.

L’indagine strumentale evidenzia lapresenza di un danno focale nelle areetemporali e infero frontali dell’emisferosinistro congruente con la letteraturascientifica che indica la lateralizzazio-ne e specializzazione sinistra per lefunzioni cognitive verbali e delle areeemisferiche destre per le funzioni spa-ziali. INTRODUZIONE

Storicamente, i deficit di memoriasono stati considerati essenziali per ladiagnosi di demenza.

In realtà, molte demenze si presen-tano con deficit di memoria solo negliultimi stadi della malattia.

Un esempio di demenza non amne-sica è l’Afasia Primaria Progressiva(PPA).

La PPA si manifesta con un’inizialeperdita, lenta e progressiva, del lin-guaggio; deficit che rimane isolato peralmeno due anni, in quanto, di conver-so, la memoria, le abilità visuo-spazia-li, il ragionamento logico ed il compor-tamento rimango relativamente intatti.

Le neuroimmagini, tipicamente,rivelano maggiore atrofia o ipometabo-lismo nell’emisfero sinistro rispetto aldestro.

Vista la stretta reliance dei testneuropsicologici dalle istruzioni e/orisposte verbali, questi conducono aerronee conclusioni circa l’effettivodeterioramento dei domini non lingui-stici, in patologie quali la PPA, ritenen-doli anch’essi danneggiati, non

riuscendo, quindi, a discernere se ildeterioramento è globale e diffuso olegato ad aspetti verbali che provocanoun effetto alone su altri domini.

Sebbene il disturbo del linguaggionella PPA possa interferire con l’abilitàdi memorizzare parole o risolvere com-piti verbali, il paziente non ha difficoltànel richiamare eventi giornalieri, nénelle funzioni esecutive o nelle abilitàsociali.

La difficoltà della valutazione neu-ropsicologica, ma anche il suo fascino,sta, quindi, nel valutare correttamentel’effettivo deficit cognitivo per quanto,in questi casi, gli strumenti standardiz-zati non ci vengano in aiuto.

Altra difficoltà nella valutazionedella PPA sta nella multiforme presen-tazione clinica di questa patologia.

Gorno Tempini (2004) evidenzia trevarianti:1. PPA non fluente.2. Demenza Semantica.3. Logopenica.Secondo i seguenti criteri:PPA non fluente• Eloquio lento, disartria, agrammati-smo, conservata la comprensione perle singole parole, non per frasi construttura sintattica complessa, anomieper verbi.

Lettura compromessa per parolemorfologicamente complesse. Prosodiacompromessa.Demenza Semantica• Eloquio fluente, grammaticalmentecorretto. Parafasie semantiche. Gravecompromissione della comprensione,dislessia superficiale, prosopagnosia.Anomie per oggetti. Prosodia conser-vata.Logopenica• Parafasie fonemiche, Acalculia, Deficitmemoria fonologica a breve termine.

L’afasia primaria progressiva, dopoun iniziale deterioramento focale dellinguaggio, evolve in demenza fronto-temporale (FTD) o Alzheimer(AD).

ANALISI CASO CLINICOS.M. è un uomo di 73 anni. Sposato, ha 3 figlie, una di 40 anni

avuta dalle prima moglie e due (6 e 4anni) avute dal secondo matrimonio.

Lavora nella produzione e commer-cializzazione del miele.

Il padre è deceduto a 94 anni, lamadre a 70 anni per le complicanze diuna presunta FTD.

S.M. non presenta nessuna patolo-gia medica di rilievo al di là di quellaper cui viene al consulto.

La moglie e la figlia riferiscono chei disturbi sarebbero iniziati 2 anniprima con difficoltà nel trovare i nomidi oggetti e persone conosciute, mache da circa 1 anno, sarebbero insortimaggiori problemi nell’espressione lin-guistica a causa di un’estrema difficol-tà a reperire le parole giuste.

Ultimamente, S.M. comunichereb-be sempre meno e, a volte, sembre-rebbe non capire bene ciò che gli vienedetto. A fronte delle difficoltà linguisti-che, i familiari riferiscono che S.M.sarebbe adeguato in molte attività quo-tidiane, quali guidare l’auto (orientan-dosi anche in strade nuove) lavorare(produzione del miele e consegna aiclienti), lavarsi, vestirsi etc.

All’osservazione comportamentalee al colloquio, il paziente appare benorientato nello spazio e nel tempo, ilcomportamento è adeguato al conte-sto e alla situazione. Il linguaggio èlento e stentato, ma la prosodia con-servata. Viene somministra una batte-ria di test con i seguenti risultati: MMSE (Punteggio=22,86/30), FAB (P.E =3), Digit Span Forward (P.E=3),Digit Span Backward (P.E=3), RAVL Rievocazione Immediata (P.E.=1),RAVL Rievocazione Differita (P.E.=1),Riconoscimento Parole Rey (P.E.= 3),Test di Corsi (P.E.= 4), Copia Disegni(P.E.= 2), 3 oggetti 3 luoghi (P.E.=3),Stroop Test (P.E.=2), ENPA [Deficitemersi: 1) Denominazione di verbi ed

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oggetti, 2) Capacità di tradurre i nume-ri (parole) in cifre, 3) Interpretazionierrate dei segni aritmetici e proceduredi calcolo errate].

S.M. viene, inoltre, sottoposto aduna RM con il risultato di un quadro diatrofia diffusa con una maggiore inci-denza a sinistra nelle aree: Giro fron-tale inferiore parte opercolare, Insula ePlanum temporale (fig.1).

La misurazione dell’attività neuraleevento-correlata del paziente attraver-so un semplice paradigma Oddball, evi-denzia un’attività asimmetrica sini-stra/destra soprattutto nelle aree tem-porali(T3/T4) e maggiore quantità dionde lente (theta e delta) a sinistra inrisposta allo stimolo raro.

Vista la valutazione neuropsicologi-ca, i referti strumentali (ERPs e RM) ladiagnosi è di Afasia PrimariaProgressiva.

Da notare, comunque, come lecaratteristiche neuropsicologiche delpaziente, non riflettano perfettamentele linee guida di nessuna delle trevarianti di Gorno Tempini.

Dopo 12 mesi dalla prima visita, ilpaziente ritorna in ambulatorio.

Appare leggermente disinibito(eccessivamente sorridente rispettoalla prima volta), l’eloquio ridottissimoe costituito quasi esclusivamente dastereotipie verbali “Praticamente”;malgrado ciò, non ha difficoltà a rico-noscermi malgrado siano passatiparecchi mesi.

Vista la perdita pressochè totaledel linguaggio, la valutazione del livellocognitivo è resa piuttosto complicata.

La valutazione si avvale dell’osser-vazione comportamentale e di unasemplice valutazione testologica “lan-guage free” o quasi, creata all’occor-renza in laboratorio.

Si evidenzia un buon orientamento

spazio-temporale, preservate le funzio-ni mnesiche visuo-spaziali (memoriatopografica, capacità di apprenderenuovi percorsi, riconoscimento visi)così come l’organizzazione e pianifica-zione di attività giornaliere (produce edistribuisce il miele, guida l’auto etc.),disartria, peggioramento facoltà lingui-stiche, dislessia, disgrafia.

Le funzioni cognitive (eccetto idomini verbali) sono pressochè stabiliper quanto la valutazione quantitativamostri un decremento attribuibile aldeficit linguistico che compromette lacomprensione della spiegazione deitest.

La situazione clinica precipita,però, nel giro di poco più di un annoquando il paziente si ripresenta per uncontrollo; il paziente, infatti, è difficil-mente controllabile, manifesta sintomicomportamentali, appare disorientatoe confuso.

La moglie riferisce che S.M. va fre-quentemente via di casa (Vagabondaggioe fuga) e che non avrebbe più quellecapacità di gestione personale che con-servava sino alla visita precedente.

Il paziente è poco collaborativo;una veloce somministrazione delMMSE mostra un evidente closing innel disegno (fig. 2) per il resto, S.M.

non porta a compimento nessunaprova, visto che si alza ed esce dallastanza molto frequentemente.

Il quadro neuropsicologico è indicedi una demenza conclamata con la pre-senza di un deterioramento generaliz-zato che coinvolge sia gli aspetti cogni-tivi che quelli comportamentali.

Conclusioni: Lo studio di questo caso di PPA in

cui si evidenziava sin da subito un’a-simmetria funzionale fra attività verbalie non verbali rispecchiata anche dagliesami strumentali (ERPs e RM) è utileperché:1. Mette in luce la lateralizzazionesn/dx rispettivamente della memoriaverbale e non verbale e le preservateabilità non verbali nella PPA.2. Evidenzia un declino isolato dellefunzioni verbali nei primi 3 anni a cui siassocia solo successivamente un velo-ce declino degli altri domini cognitivi.3. Pone degli interrogativi sulla diffi-coltà nell’indagare la memoria non ver-bale e le funzioni esecutive indipen-dentemente dalla competenza lingui-stica.4. Evidenzia come le tre varianti diPPA non sempre rispecchino i casi“reali” che presentano più deficit mistie sovrapposizione fra varianti.5. Evidenzia come la PPA evolva indemenza nel giro di un paio di anni.

Aspetti importanti da approfondirein ricerche future: 1. Uso massivo di indicatori qualiosservazione comportamentale, rac-conti dei familiari ai fini della valutazio-ne neuropsicologica in soggetti condeclino linguistico.2. Lavorare su tarature italiane di testche possano indagare i disturbi neu-ropsicologici al di là delle competenzelinguistiche.3. Riflettere sulle diverse forme di PPAe sulle possibili sovrapposizioni eforme spurie.4. Valutare quali aspetti predittivi pos-sono distinguere una PPA che si evolvein AD da una che evolve in FTD.

BIBlIogrAFIA

• Amici S., An overview on Primary Progressive Aphasia and its variants Behavioural Neurology 17(2006) 77–87.

• Gorno-Tempini e al., Cognition and Anatomy in Three Variants of Primary Progressive Aphasia Ann Neurol. 2004; 55(3): 335–346.

• Mesulam, Primary Progressive Aphasia Ann Neurol 2001; 425–432.

• Mesulam, Alzheimer and Frontotemporal Pathology in Subsets of Primary Progressive Aphasia, Ann Neurol 2008; 709–719.

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Fig. 1

Fig. 2

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Elena Consoli - psicologo

Itrapianti d’organo sono entratinella pratica clinica relativa a gra-vissime patologie di parecchi orga-

ni. Essi costituiscono l’estrema spe-ranza di salvare una vita e di riportareil malato ad una esistenza relativa-mente normale.

La gestione dell’operazione di tra-pianto, in alcune realtà ospedaliere,avviene ancora da un punto di vistaesclusivamente medico pur essendo isanitari del tutto consapevoli dellanatura fortemente unitaria del sogget-to trapiantato, cioè delle strettissimeinterazioni tra mente e corpo.

Negli ultimi anni però si è assisti-to ad una graduale ma sempre mag-giore integrazione tra le disciplinemediche e quelle psicologiche. Infattiè un dato ormai scientificamenteacquisito e consolidato che il suppor-to psicologico al paziente in tutte lefasi del trapianto, facilitandone l’ac-cettazione della propria condizione econsolidandone la determinazione asostenere l’intervento, lo dispone piùfacilmente ad adottare quei compor-tamenti che agevolano gli interventiterapeutici; che l’accettazione dell’or-gano, inoltre, possa ridurre in misurasensibile il pericolo di rigetto è ipotiz-zato da un numero sempre crescentedi Autori.

Risulta necessaria perciò l’integra-zione degli interventi tra i diversi pro-fessionisti della salute quale fonda-mentale metodologia d’interventoprima del trapianto e soprattutto dopodi esso.

In questo lavoro, che nasce sullabase di una personale esperienza,breve ma significativa, di counsellingpsicologico, presso il Centro Trapiantidel Policlinico Universitario diCatania, diretto dal Prof. P. F. Veroux,l’attenzione è stata focalizzata sullanecessità dell’ intervento dello psico-logo quale figura che accompagnerà esosterrà il soggetto in ogni momento

di tutto il percor-so che l’interven-to comporta,dalla fase di pre-trapianto allafase di post-tra-pianto e di adat-tamento allenuove condizionidi vita.

In particolarel’esperienza dicounselling psi-cologico, pre- epost-trapianto, apazienti trapian-tandi e trapiantati dimostra chel’Approccio Centrato sulla Persona inun clima comunicativo “facilitante” dicomprensione empatica e di accetta-zione positiva incondizionata cosìcome descritto e sperimentato daCarl Rogers ( 1951), promuove neglistessi pazienti l’accettazione di séstessi e dei loro “nuovi” vissuti.

Infatti nella fase del pre-trapianto,dopo che si è accertata la necessitàclinica di un trapianto, si passa allavalutazione psichica del paziente; incaso di valutazione positiva, l’obbiet-tivo che assume maggior rilievo, èquello di dare sostegno psicologico aipazienti nell’affrontare il trapianto. Inquesta fase, infatti, ho rilevato che sisviluppano spesso nel paziente senti-menti di sfiducia, o anche di sospettonei confronti della medicina, accantoa sentimenti di disperazione e allaconvinzione di non poter riceverealcun aiuto.

Per fronteggiare tali sentimenti,che possono essere anche violenti edebordanti, il soggetto, secondo lateoria della personalità dell’ApproccioCentrato sulla Persona, allontanadalla coscienza queste parti di espe-rienza che sono vissute come minac-ciose, perché non coerenti con l’at-tuale struttura del Sé e che o non ven-

gono simbolizzate o vengono simboliz-zate in modo distorto, così che ven-gono esperite dal paziente, sul pianofenomenologico, con ansia, depres-sione e disturbi del sonno che sonotipici di questa fase pre-trapianto.

La possibilità di instaurare unclima accogliente, facilitante e digenuino rispetto per la persona per-mette alla persona in attesa di tra-pianto di aprirsi e di “apprendere adascoltare se stessa”( Rogers, 2007)grazie all’atteggiamento dello psicolo-go (facilitatore).

Tale atteggiamento di comprensio-ne empatica mi ha permesso, come“facilitatore” di processo , non solo dicapire e percepire come la personacapisce e percepisce ma anche didimostrare, tramite i miei sforzi dicomprensione, il valore che aveva perme la persona; dall’altro il sentirsicompresi e accettati totalmente hapermesso ai soggetti di esplorare,accettare ed integrare anche quegliaspetti che fino a quel momentoerano rimasti fuori dalla esperienzacosciente a causa della mancanza diuna adeguata simbolizzazione; questi,peraltro, sarebbero potuti risultarepotenzialmente patogeni per il decor-so operatorio.

La consapevolezza di quelle parti

L’Approccio Centrato sullaPersona nella Medicina dei Trapianti D’Organo

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di sé che sino a quel momento eranorimaste fuori dalla coscienza ha con-sentito una maggiore integrazione delSé e ha permesso alle persone disentirsi meno vulnerabili e perciò piùsicure e fiduciose nell’affrontare que-sta delicata fase che precede il tra-pianto.

Una prima osservazione empiricami ha permesso di constatare che lepersone che hanno avuto la possibili-tà di usufruire degli interventi di coun-selling centrato sulla persona ehanno potuto lavorare su tali aspettidella propria esperienza, hannomostrato di avere un buon adatta-mento post-trapianto.

Proprio per la complessità degliavvenimenti caratterizzanti il periodopost-operatorio possiamo suddividerequest’ultimo in una fase precoce eduna tardiva, cioè dopo che il trapian-tato è stato dimesso dall’Ospedale.

Durante la fase precoce, che corri-sponde alla permanenza del paziente

nel reparto di terapia intensiva prima,e nella sala di degenza ospedalieradopo, possono comparire serii distur-bi psichici, spesso correlati alle pro-cedure chirurgiche, al trattamentomedico ed alle complicanze che pos-sono insorgere. Già in questa primafase sono presenti elementi più squi-sitamente reattivi sul versante psico-logico. Così la fase di permanenza inU.T.I. (Unità di Terapia Intensiva) vienevissuta come molto minacciosa sia acausa della angoscia di morte sia per-ché, malgrado le informazioni ricevutenella fase che precede il trapianto, ilpaziente si trova in una condizionesconosciuta di impotenza, in unasituazione di completa regressionesul piano della gestione del proprio

corpo. Durante la fase di permanenzain U.T.I. quando l’assistenza psicolo-gica viene necessariamente interrot-ta, si rivela di particolare importanzaper il paziente il poter attingere a pro-prie risorse interiori che precedente-mente siano state scoperte, valorizza-te e potenziate dall’intervento psico-logico.

Successivamente per il paziente,trasferito in una normale sala didegenza, i momenti potenzialmentepiù pericolosi e angoscianti sonoquelli in cui insorgono i primi sintomidi rigetto o le prime complicazioni cli-niche. In questi momenti sono di rile-vante importanza i vissuti del pazien-te riguardanti il nuovo organo e il con-seguente processo di ricomposizionedell’immagine corporea.

Nell’atmosfera di sicurezza, prote-zione e accettazione peculiaridell’Approccio Centrato sulla Persona,i pazienti che hanno già subito un tra-pianto hanno avuto la possibilità di

esprimere ed accet-tare tutti i loro vis-suti “negativi” lega-ti alla condizione ditrapiantato: rabbia,delusione, invidianei confronti dellealtre persone chestanno bene, preoc-cupazioni per la pro-pria salute, per ilproprio corpo, sensidi colpa nei confron-ti del donatore,angosce legate alfantasma del riget-to, ansie legate alle

relazioni interpersonali, aspettativesulla qualità della vita in futuro, etc…,vissuti “nuovi” e per ciò stesso noncoerenti e non compatibili con lastruttura del Sé preesistente al tra-pianto, divenuta ora irrealistica; inquesto caso, proprio a causa di que-sta discrepanza, manca alla personauna immagine reale del proprio Sé.

L’atteggiamento di comprensioneempatica permette al care-giver diessere per il paziente “un compagnodi viaggio” nella scoperta del proprioSé e perciò empaticamente di entrarenel suo campo esperienziale e farsentire la propria presenza (“lui micomprende”).

L’atteggiamento di accettazionepositiva incondizionata permette

altresì al paziente di accettare “inuovi vissuti” che aveva precedente-mente esplorato , inizialmente esperi-ti come minacciosi, “cattivi”, impossi-bili da accettare ; il paziente introiet-ta, in qualche modo, tale atteggia-mento e vede le proprie esperienzecome qualcosa che può possedere,simbolizzare e accettare come partidel Sé .

Grazie all’instaurarsi di un climacomunicativo “facilitante”, l’anticastruttura del Sé del soggetto si modi-fica, tramite l’integrazione dei nuovivissuti, che interessano anche esoprattutto la ricomposizione di unanuova immagine corporea in direzionedi una ristrutturazione di un nuovo Sépiù flessibile e realistico, perché nonfondato su esperienze percepite inmodo distorto.

Tale sicurezza interiore ha permes-so a molte persone trapiantate diaffrontare con maggiore serenitàanche il periodo successivo alledimissioni dall’ospedale, periodosegnato da un complesso e difficileprocesso di adattamento alla nuovacondizione di trapiantato, condizionecaratterizzata non solo da un cambia-mento significativo della percezione disé e da una diversa capacità di proiet-tarsi nel futuro, ma anche e soprat-tutto dalla dipendenza costante dallecure ospedaliere le quali non si risol-vono mai del tutto.

La soddisfazione dei bisogni emo-tivi della persona trapiantata e l’at-tenzione alle sue modalità comunica-tive e relazionali generano comporta-menti di coping più funzionali allaripresa di una vita “normale”, i qualiincidono in maniera significativa escientificamente dimostrata sullacompliance terapeutica.

In conclusione, l’Approccio Centratosulla Persona nella medicina dei tra-pianti d’organo, ha come obiettivo prin-cipale di creare quelle condizioni nellequali le persone, vincendo la condizio-ne di regressione e dipendenza a cui lamalattia prima e il trapianto dopo licostringono, possono evolversi edessere loro stessi promotori del proprioempowerment , al fine dell’acquisizionedi un maggiore benessere e di unamigliore qualità della vita.La relazione integrale e la bibliografiasi possono leggere sulla rivista multi-mediale “Scienza e Psicoanalisi”(www.psicoanalisi.it).

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Umberto Crisanti - psicologo, Antonella Manno - psicologo

Molte ricerche sottolineanocome l’essere incoraggiati adapprofondire le proprie emo-

zioni e riuscire a tradurre a parole ilproprio sconvolgimento emotivo, com-porta un significativo miglioramentodella salute fisica e mentale, quindiuno stato di benessere (Solano,2001). In altre parole, l’esperienzaumana si sviluppa sempre in modosimultaneo lungo due livelli: quello del-l’esperienza immediata e quello dellaspiegazione (Maturana, 1986).

La scuola non sempre offre le pos-sibilità per facilitare il riconoscimentoe la gestione delle proprie emozioni ela Magic Box si propone come unostrumento innovativo finalizzato allacomunicazione e all’individuazione pre-coce delle esperienze e\o degli statid’animo del soggetto al fine di com-prenderli e gestirli in modo funzionaleal benessere dell’individuo e adattivoal contesto classe. La scelta di deno-minare lo strumento con il nome diMagic Box deriva dall’idea che il termi-ne magic possa racchiudere in sé quel-la possibilità “magica” di cambiamen-to, mentre il termine box richiama l’hol-ding, il contenimento. Pertanto, sipassa da una fase di contenimentoemotivo ed individuazione ad una dielaborazione e trasformazione di esso.Il messaggio inserito permette al bam-bino di entrare in relazione con un adul-to che accoglie la richiesta d’aiuto e latraduce in un intervento volto, non soloallo sviluppo di meccanismi di problemsolving, che consentono il superamen-to della situazione problematica, maanche il miglioramento delle compe-tenze emotive, narrative e dei processirelazionali (Manno et all, in stampa).

Il presente lavoro si contestualizzaall’interno delle Nuove IndicazioniNazionali del Curricolo (2007), nellequali si afferma che “la scuola favori-sce lo sviluppo delle capacità neces-sarie per imparare a leggere le proprie

emozioni e a gestirle, per rappresen-tarsi obiettivi non immediati e perse-guirli”.

Gli obiettivi sono l’individuazioneprecoce delle richieste d’aiuto e lo svi-luppo della componente narrativa delleemozioni. Lo strumento, ancora in viasperimentale, è stato utilizzato con 53soggetti di età compresa tra 9 e 10anni, di una scuola elementare diPalermo. Lo psicologo ha presentato laMagic Box come uno spazio personale.Durante la presentazione è stato spe-cificato che tutti i messaggi, per unaquestione di privacy e al fine di incre-mentare la compliance, non sarebberostati comunicati all’insegnante, ai com-pagni, o ai genitori se non dietro con-senso dell’alunno stesso ed è statosuggerito di firmare ogni messaggiocon un nickname, che consentiva dipoter identificare le richieste deglialunni nel tempo. Infine, è stata pro-spettata la possibilità di far seguire aimessaggi dei colloqui che sarebberostati effettuati durante le ore curricula-ri, della durata di 20 minuti.

Dall’analisi dei messaggi sonostate estrapolate tre categorie:Richieste d’aiuto (66% dei messaggipervenuti), Feedback positivi (18%) eDesideri (16%). I risultati dell’indaginehanno evidenziato che era possibileestrapolare due fattori significativi, ingrado di spiegare la struttura dei dati.

Il primo fattore rimanda alla dimen-sione “Narrazione”, all’interno dellaquale sono state inserite le richiested’aiuto inerenti il bisogno “del metterein parola”, del liberarsi “da pesi”, diriorganizzare i propri pensieri; il secon-do fattore rinvia alla dimensione“Problem Solving”, nella quale sonostate considerate specifiche richiestedi risoluzione di situazioni problemati-che, quali problemi di attenzione, con-centrazione, memorizzazione, metodo-logia di studio, relazionali, e così via.Tenendo in considerazione questi due

fattori di richieste d’aiuto emerge che il40% dei soggetti esprime la necessitàdi comunicare verbalmente emozioni,pensieri, stati d’animo non ben orga-nizzati a cui i bambini vorrebbero dareun significato, una spiegazione e cheinfluenzano il loro comportamento e leloro relazioni.

Tale percentuale è significativamen-te rilevante rispetto al 26% di soggettiche vede nella richiesta d’aiuto unmodo per risolvere una problematicaconcreta.

Per quanto riguarda le richieste d’aiu-to si è scelto di descrivere alcuni momen-ti salienti dell’intervento svolto con G.

G. è una bambina di 9 anni che haaffidato e confidato alla Magic Box isuoi pensieri disordinati e i suoi“inspiegabili” stati d’animo. I messag-gi arrivati allo psicologo attraverso lostrumento, si sono susseguiti rapida-mente ancor prima che gli stessipotessero essere raccolti, registrati esupervisionati. Tra i più significativi:“vorrei dire delle cose tipo in una stan-za”, “ho paura”, “piango tanto, hopaura tanta io sto male”. Tali richiested’aiuto, confermano la difficoltà adesprimere e comunicare i propri statiemotivi, che seppur profondamenteangoscianti, erano stati, fino a quelmomento, tenuti latenti e verbalmenteinespressi. Segue un primo tentativo dicolloquio. Lo psicologo convoca G., laquale rifiuta l’incontro senza addurremotivazione alcuna, ma continua adaffidarsi alla Magic Box: “grazie questacosa mi aiuta molto”.

Prima di far seguire una successivaconvocazione, lo psicologo, in un’otticadi rete, decide di contattare la maestraper attenzionare maggiormente il casoe trovare nuove strategie al fine di pro-grammare un possibile altro incontro.La maestra riferisce che G. alternamomenti di pianto e tristezza a com-portamenti aggressivi e disturbatori;inoltre, ricorda che un giorno la bambi-

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na si è chiusa in bagno a piangere,senza motivo. “Mi ha fatto impazzire,ho lasciato la classe sola, addiritturaho dovuto spingere la porta con forzaopponendomi alla forza contraria di G.La bambina continuava a dire che nonvoleva parlarmi e che non voleva nes-suno”. Si concorda con la maestra lanecessità di incoraggiare G. ad intra-prendere dei colloqui di supporto. Lacollaborazione risulterà fondamentale,data una nuova resistenza alla succes-siva convocazione. Pertanto, il suointervento spinge G. ad accettare (conmolta ritrosia) l’incontro.

Durante il primo incontro, emergeuna notevole difficoltà narrativa; G.riferisce che vi sono delle “cose che mibloccano … a volte si a volte no, manon so perché”. Ciò è confermato daun prolungato silenzio, interrotto dallopsicologo, con un rilancio, per l’avvici-narsi del termine dell’incontro. G. spie-ga l’attuale nervosismo in classe,riportando la strategia (far convocarela mamma dalla maestra a scuola)adottata per attirare l’attenzione dellamamma.

Nel secondo incontro mostra mag-giore sicurezza e tranquillità; riferisceche in seguito all’incontro con la mae-stra, sua madre l’aveva punita negan-dole uno spazio personale a causa delsuo comportamento in classe. Dopoaver riflettuto, per qualche giorno, sul-l’evento, comprende, giustifica e spie-ga diversamente la punizione ricevuta:“in fondo mia mamma non aveva cosìtanto torto … mi comporto male per-ché in questo modo posso attirare lasua attenzione. La mamma è moltooccupata, deve prendersi cura dellanonna. È sempre lei ad aiutare tutti infamiglia, tutti i vecchi, anche la nonnadi prima! Ho dovuto cederle il posto, lastanza”. Accenna ad un segreto che almomento non si sente di raccontare.Si confida spesso con suo padre e consua sorella, che considera sua alleatama che, tuttavia, non sembra profon-damente capirla. “La situazione a casanon è facile, mia madre si prende curadi me, di mia sorella, del cane, deldown (uno zio con la sindrome didown), siamo 6 in tutto!”.

Confessa che vorrebbe dire allanonna “Ti odio, non capisce che hapreso la mia stanza e non posso farela bambina per sempre. Ora si è ven-duta pure la casa, sono senza speran-za”. G. riferisce di dormire in camera

con i genitori, il che le fa piacere da unlato “sono pur sempre una bambina”ma dall’altro “non posso fare la bam-bina per sempre”. Sul punto di andar-sene, sostiene “mi sento divisa in partiche parlano, che mi fanno comportaremale; una voce mi dice di suicidarmidal balcone” e riferisce di averlo confi-dato al padre.

Nei giorni successivi, G. ha conti-nuato a servirsi della Magic Box conun’elevata frequenza, con messaggiche esprimevano gratitudine e paura,quest’ultima legata alla futura possibi-lità di perdere lo spazio personaleofferto dal colloquio: “grazie di tutto,non so come ringraziarti, ma quandome ne vado come faccio a parlarti?”.Gli altri messaggi, evidenziano unanuova crisi: “mi sta rovinando la vita,mi litigo con P. (la sorella), se ne deveandare dalla mia VITA … PER QUESTOMI COMPORTO MALE”.

Lo psicologo contatta la famiglia,svolgendo alcuni colloqui; durante iquali, viene confermato che anche acasa, la bambina mette in atto com-portamenti oppositivi e di difficilegestione. Si evince, quindi, che questicomportamenti, probabilmente, sianocomparsi in seguito alla scoperta “chela nonna non sarebbe più andata via”.La famiglia è stata indotta a persegui-re possibili soluzioni e strategie perfronteggiare la “crisi”. Nell’ultimoincontro, la famiglia fa emerge la pos-sibilità di trasformare il salone, perriadattarlo alle esigenze del sistemafamiliare, in una nuova stanza per G.da dividere e condividere con la sorel-la; infine, lo psicologo propone l’invioda uno psicoterapeuta.

Trascorse tre settimane, G. vieneconvocata per un incontro di follow-up.Durante il quale, ella racconta la deci-sione presa dai genitori, la felicità ritro-vata per avere ottenuto un proprio spa-zio ed un dialogo con la madre.Tuttavia, affiora un certo senso dicolpa per l’aver sottratto alla madre“tanto spazio in casa”. Lo psicologoguida G. all’analisi di questo nuovosentimento vissuto, aiutandola a spie-garlo, neutralizzando il suo senso dicolpa, e a comprendere che tutto ciòera finalizzato al benessere della fami-glia. In ultima analisi, le è stato chiesto“delle voci”; rispetto alle quali riferiscedi non sentirle più e di essersene addi-rittura dimenticata. La maestra ha con-fermato un miglioramento generale

della condotta. I risultati ottenuti con-sentono di identificare precocementele richieste d’aiuto del gruppo classe,permettendo altresì di qualificarle,distinguerle ed intervenire.

Sembrerebbe, infatti, con cautela,trattandosi di un’indagine pilota dipoter avanzare l’ipotesi che la MagicBox consenta di facilitare l’instaurarsidi relazioni con una figura significativa,lo psicologo, che può aiutare, suppor-tare il bambino nella scoperta delleproprie emozioni e nel passaggio espe-rire/spiegare. In particolare, durantegli anni dell’infanzia i pattern emotiviprogressivamente si organizzano sottoforma di rappresentazioni mentali di sée del mondo (Young, 1990; Young,Klosko, & Weishaar, 2003). Tale sche-ma di funzionamento viene concettua-lizzato da Guidano e Liotti (1983)come “conoscenza tacita del Sé che èstata progressivamente elaboratadurante il corso dello sviluppo”.

In conclusione, il nostro lavoro favo-risce la possibilità di individuare preco-cemente gli schemi cognitivi, emotivi erelazionali disadattivi, al fine di riorga-nizzarli, spiegarli e conseguentementedi modificare l’attribuzione di significa-to che essi comportano.

Bibliografia• Guidano, V.F., Liotti, G., Cognitive

processes and emotionaldisorders. Guilford, New York, 1983.

• Manno A. et all., Percezione e rappresentazione sociale della funzione docente. Come i genitori vedono la scuola?, In corso di stampa.

• Maturana, H. e Varela, F., Autopoiesi e cognizione. La realizzazione del vivente. Marsilio Editori, Venezia, 1985.

• Ministero della Pubblica Istruzione “Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanziae per il primo ciclo di istruzione”, Roma, Settembre 2007

• Solano L., Tra mente e corpo. Come si costruisce la salute, Cortina Raffaello Editore, 2001

• Young, J. E., Cognitive therapy for personality disorders: A schema-focused approach. Sarasota, FL: Professional Resource Press, 1990

• Young, J. E., Klosko, J. S., Weishaar, M. E., Schema therapy: A practitioner's guide. New York: Guilford Press, 2003

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Simona Corinna Gugliotta - psicologo, M. La Rosa - psicologo

Nel presente lavoro il costruttodi “stati limite” è utilizzato inaccordo alla definizione di

“organizzazione borderline” propostada Kernberg (1967): “un’organizzazio-ne stabile che funziona a livelli inter-medi fra la personalità nevrotica equella psicotica”. All’origine vi sareb-be un massivo utilizzo di difese rigidecentrate sullo splitting, volte a tenereseparati aspetti molteplici, anche setalvolta contraddittori, della medesi-ma realtà oggettuale.

Questo darebbe vita ad un quadrosindromico caratteristico, che sulpiano comportamentale si traduce inuna pervasiva ambivalenza nelle rela-zioni interpersonali associata adinstabilità emotiva e vuoto affettivo esul piano sintomatologico in unasignificativa altalenanza del tonoumorale accompagnata da marcataimpulsività.

Da un punto di vista neurofisiolo-gico le disfunzioni cerebrali documen-tate nei soggetti con disturbo border-line di personalità attengono a trequestioni ancora aperte: 1) una spe-cifica neurobiologia del disturbo,secondo cui la riduzione dell’attivitàserotoninergica spiegherebbe l’insta-bilità affettiva e l’insufficiente control-lo degli impulsi; 2) alcune specificheanomalie bioelettriche ed una signifi-cativa riduzione dell’onda P300, chespiegherebbero il comportamentoaggressivo (cfr. Cornelius, 1986Kutcher, 1987); 3) un’evidente com-promissione a livello fronto-tempora-le, che spiegherebbe la difficoltà nel-l’elaborazione e nel processamentoemozionale (cfr. Cummings, 1985;Cornelius, 1989; Van Reekum, 1995;Irle, Lange & Sachse, 2005).

Si riscontra inoltre una significati-va, per quanto speculativa, concor-danza fra le alterazioni neurofisiologi-che ora descritte ed alcune ipotesietiopatogenetiche di carattere psico-

dinamico avanzate nel corso deglianni: la centralità attribuita al “conflit-to” (cfr. Kernberg, 1967;1975; 1984);quella relativa al “deficit” (cfr. Kohut,1971); l’“ipercoinvolgimento materno”(cfr. Masterson, 1972; Rinsley, 1981);l’incidenza di “fattori traumatici” (cfr.Stern, 1938; Wolf & Alpert 1991).

L’ipotesi qui proposta è che la“stabile instabilità” (Schmideberg,

1959) dell’organizzazione borderlinepuò rappresentare un osservatorioelettivo in merito alla natura ed origi-ne, sviluppo e funzionamento delleistanze psichiche (cfr. Freud, 1922)da un lato e delle strutture cerebrali ecorrelati neuropsicologici (cfr. Mancia,2006) dall’altro.

In tale ambito il metodo Rorschachè stato impiegato al fine di raggiunge-re una comprensione profonda dell’u-nicità dell’esperienza soggettivamen-te vissuta. In particolare, gli stimolipercettivi del contenuto manifestovengono considerati veicoli attraversocui accedere al mondo fantasmaticointerno (cfr. Anzieu, 1985) ed alla riat-

tivazione di “complessi” (Jung, 1967)- ovvero temi emotivamente rimossiche ritornano con una certa ricorren-za. Ciò sembra trovare ampio riscon-tro in ambito neuropsicologico (cfr.Pally, 2000; Solms & Turnbull, 2002).Obiettivi

Il presente contributo si prefigge diindividuare, attraverso la discussioneinterpretativa di due protocolli

Rorschach, sia alcuni indicatori di pro-cessamento degli stimoli ambigui cheeventuali connessioni cliniche fra gliaspetti neuropsicologici e le dinamichepsichiche che caratterizzano il funzio-namento mentale proprio delle “orga-nizzazioni al limite”.Metodo

Nel tentativo di coniugare rigorequantitativo ed elementi interpretativilo strumento Rorschach è stato utiliz-zato secondo una doppia valenza:come test elettivo di valutazione neu-ropsicologica e quale metodo volto adindagare le profonde dinamiche psi-chiche sottostanti il funzionamentointerno della mente (cfr. Anzieu,

Il funzionamento “limite” al test di Rorschach:ipotesi cliniche

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1985; Pally, 2000; Solms & Turnbull,2002), grazie al quale cogliere l’unici-tà dell’esperienza soggettiva ancheall’interno di una specifica organizza-zione mentale come quella “al limite”.Case Report

I protocolli Rorschach analizzati siriferiscono a due pazienti di sessofemminile giunte all’osservazione cli-nica – presso la Clinica Psichiatricadel Policlinico Universitario di Messina– in stato di profonda angoscia.

Dal colloquio si evincono intensivissuti di aggressività - sia autodiretti(condotte autolesionistiche) che ete-rodiretti (perlopiù aggressività verba-le) - un’importante oscillazione deltono umorale (descritto come un pro-fondo stato di inerzia cui si alternanomomenti di euforia e disperazione) -soprattutto in funzione di contingenzeesterne - notevole ipobulia e difficoltànell’addormentamento.

Nella storia clinica di entrambe sirintracciano tentativi di suicidio.Risultati e conclusioni

In accordo all’ipotesi proposta daShafer (1954) l’analisi dei due

protocolli consente di rintracciare treindicatori come tipici del funziona-mento borderline: 1) Atteggiamenti ecomportamenti relativi al test.

La tendenza propria dei soggettiborderline a percepire se stessi e glialtri come totalmente buoni o cattivisi coglie già nel modo in cui questientrano in relazione con il clinicodurante lo svolgimento della prova: adatteggiamenti volti a negare qualsiasidifferenza tra i due protagonisti sialternano condotte manifestanti unesibito disprezzo nei confronti dellasituazione medesima, del test e delclinico (vedi Tavola I). 2) Modalità diorganizzazione del percetto.

Il predominio della scissione nelleorganizzazioni borderline comporta ladifficoltà ad integrare l’esperienza (equindi il percetto al Rorschach) in unatotalità complessa ed articolata (vediTavola II).

Le risposte globali fornite nonrichiedono cioè un reale sforzo di inte-grazione e di sintesi degli stimoli per-cepiti (come avviene nelle globali ditipo combinatorio) ma rappresentanoinvece la tendenza ad organizzare l’e-sperienza secondo una tonalità affet-tiva unica, che si rintraccia nella qua-lità vaga, arbitraria, impressionisticae/o banale delle risposte medesime

(cfr. Grala, 1990; Sugarman, 1980).3) Contenuto tematico verbalizzato.

L’analisi tematica consente dicogliere alcune caratteristiche in lineacon la tendenza scissionale propriadelle organizzazioni borderline (vediTavola IX).

Si ha così la possibilità di osser-vare la coesistenza indisturbata dirappresentazioni contraddittorie (cfr.Grala, 1990) ovvero di imbattersinella frammentazione dei percettiche, comunemente elaborati in moda-lità globale, vengono invece colti conconnotazioni soggettive ampiamenteeterogenee (cfr. Chabert, 1987), cheben informano sulla qualità delle rela-zioni oggettuali introiettate.

Un’ulteriore analisi consente dicogliere la caratteristica fragilità delleorganizzazioni borderline. In una con-dizione di forte sollecitazione emozio-nale - come la situazione Rorschach -l’adeguatezza dell’esame di realtà èlimitata al dato percettivo; in seguito“il processo di pensiero del soggettoviene travolto dall’aspetto proiettivo efantasmatico dell’interpretazione”(Passi Tognazzo, 1994) proprio delprocesso primario (vedi Tavola V).

L’incapacità ad organizzare espe-rienze emotive positive e negative,sembra inoltre predisporre questipazienti a difficoltà nell’integrareaffetto e cognizione.

Ciò sembra essere frutto dell’in-completo processo di differenziazione(vedi Tavola III), che porta a designarele due generali debolezze dell’Iocaratteristiche dei borderline: labassa tolleranza alla frustrazione e loscarso controllo degli impulsi.

Ai fini di una connessione fraaspetti neuropsicologici e psicodina-mici è stata rilevata l’importanza delledimensioni strutturale/sensoriale (cfr.Sola, 2006) e manifesto/latente delmateriale stimolo proprio delle tavole.

La dimensione strutturale consen-te di porre l’accento sulla costituzionedel sé corporeo: l’aspetto simmetricodelle tavole - costruite attorno ad unasse centrale ben individuabile - sem-bra richiamare, al di là dell’ambiguitàdello stimolo proposto, la strutturacorporea; il loro essere realizzate suuno sfondo bianco, presuppone inol-tre un lavoro di delimitazione “den-tro/fuori”, di investimento sui limiti,che rimanda al vissuto di coesioneovvero di fragilità del soggetto.

Le risposte a contenuto anatomicoemerse nei due protocolli consentonodi rilevare il bisogno delle pazienti di“possedere una struttura”, testimo-niando quindi un vissuto corporeo nonintegro che sta alla base di un’identi-tà psichica precaria.

La dimensione sensoriale informainvece sul potere delle tavole di solle-citare reazioni in termini di sensazio-ni, emozioni ed affetti e di avere quin-di accesso al mondo fantasmatico.

Nei protocolli proposti l’aspettocromatico del nero-grigio-bianco haindotto reazioni depressive e riattiva-to sentimenti di vuoto, determinandol’emergere di sensazioni e/o di fanta-smi in relazione al vissuto di morte;l’intensità del colore rosso - in parti-colare il suo legame con la comparsadi moti pulsionali - ha inoltre determi-nato l’utilizzo di difese rigide (cheattestano il rifiuto della pulsione)volte a salvaguardare il fragile sé; icolori pastello, oltre ad attivare movi-menti regressivi, hanno promosso lacomparsa di reazioni che mostrano laqualità delle relazioni stabilite con glioggetti esterni.

Quanto detto permette di conclu-dere sul caratteristico deficit di unquadro borderline del fondante pas-saggio quanti-qualitativo dell’investi-mento libidico dal sé agli oggetti delmondo esterno (cfr. Settineri, 2003);questi ultimi continuano dunque adessere investiti ma solo in modalitàparziale, testimoniando un’inadegua-ta capacità di integrazione, ovvero lafragilità degli assi identitari (cfr.Chabert, 1987).

Secondo quest’ottica, all’internodell’organizzazione borderline la diffe-renziazione delle istanze psichiche -anche in termini di passaggio dal pro-cesso di pensiero primario a quellosecondario - sembra trovare caratteri-stica e precoce difettualità nelleprime relazioni oggettuali.

Con il presente lavoro si è inoltrecercato di dimostrare il valido contri-buto apportato dall’utilizzo del metodoRorschach al fine di giungere ad unacomprensione profonda delle modalitàdi funzionamento interno della mente.

Il suo impiego nella pratica clinica -al di là di qualunque esigenza di carat-tere nosografico - dovrebbe dunquepossedere finalità conoscitive e porsial servizio di una progressiva ricerca eproduzione di senso.

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Mario Gulli - psicologo

Le fiabe, essendo un prodottodella psiche, sono state intro-dotte nelle ricerche sia di S.

Freud sia di C. G. Jung.Era convinzione di Freud che la psi-

coanalisi era in grado di analizzaretutto ciò che riguarda immaginazione efantasie e postulò che, queste, sonocomandate dal principio di piacere eche le fiabe sono poste oltre il princi-pio di realtà, in esse governa il princi-pio di piacere ed è quasi sempre pre-

sente il lieto fine. Le fiabe possonoessere, quindi, interpretate come isogni, scoprendo le pulsioni celatedietro la narrazione della fiaba e rap-presentate dai personaggi, permetto-no di entrare in contatto con contenu-ti repressi o rimossi, altrimenti inavvi-cinabili, con un relativo calo della ten-sione.

Nel campo psicoanalitico l’autoreche si è più occupato di fiabe è B.Bettelheim che ne “Il mondo incanta-to” considera le fiabe in grado di rap-presentare problemi umani universaliin forma simbolica, ed in grado di per-mettere al ragazzo di ricavare deisignificati profondi in relazione al suo

stadio di sviluppo, stimolandone l’im-maginazione, aiutandolo a chiarire lesue emozioni, rappresentandogli lesue proprie difficoltà e prospettando-ne delle soluzioni.

Il bambino vive in un mondo chenon comprende appieno e a cui faticaa adattarsi. Ha bisogno di “dare ordi-ne alla sua casa interiore”, di trovareun significato alla sua vita, di un’edu-cazione morale attraverso l’esempiodi concrete situazioni di giustizia. Conle fiabe s’inizia un dialogo tra il conte-nuto inconscio e le fantasie consce,con esse lasciamo il mondo della real-tà per entrare in un altro mondo“incantato”, che ogni bambino esplorae con il quale cresce.

Un esempio d’interpretazione diuna fiaba del Bettelheim è quella deitre porcellini, dove considera il luporappresentante dell’Es i primi due por-cellini rappresentanti del principio dipiacere, il terzo del principio di realtà.

I processi psichici messi in eviden-za dai freudiani si riferiscono all’areapersonalistica della psiche, ed è pro-prio su questo punto che si pone ladifferenza tra Jung e Freud.

È interessante che la rottura tra idue avvenga dopo la pubblicazione di“Simboli della trasformazione”.

Infatti, nel suo scritto, Jung utilizzale fiabe in modo diverso da Freud, con-siderandole come qualcosa d’univer-sale che può dare un senso alle fan-tasie di miss Miller aprendo nuovi livel-li di senso. In quest’opera Jung utiliz-za una mole impressionante di mate-riale mitologico e fiabesco interpretatinel contesto di una visione nuovadella vita psichica, è proprio in que-st’area che Jung si ricaverà un suospazio indipendente da Freud. Inoltre,Jung, considerava l’immaginazionecreativa come un fenomeno autonomonon riducibile ad una funzione dellepulsioni istintuali.

La fiaba è un fenomeno che ha

sempre avuto grande importanza nellapsicologia analitica, infatti, non essen-do riferibile ad un solo autore le infor-mazioni che fornisce riguardano carat-teristiche comuni a tutta una collettivi-tà. Si riferisce, quindi, a quello stratomitologico dell’inconscio chiamato daJung inconscio collettivo di cui la fiabaè una manifestazione. Mancando ipersonaggi di dettagli molto personalipossono emergere i processi inconsciarchetipici, mettendo in evidenza l’or-dinamento archetipico della vita psi-chica. La loro reiterata narrazione,come quella di miti e leggende, per-mette un collegamento tra la coscien-za e l’inconscio. Per questo è estre-mamente importante raccontarle aibimbi, e ai grandi, perchè sono simbo-li strumentali tramite i quali i contenu-ti inconsci possono essere canalizzatinella coscienza e lì integrati e inter-pretati.

Un altro aspetto delle fiabe è chespesso rappresentano o facilitano ilprocesso d’individuazione, che è unodei capisaldi della teoresi junghiana.

Uno schema narrativo molto diffu-so, che è testimonianza del rapportoesistente tra le fiabe e il processod’individuazione, è il seguente: il pro-tagonista è davanti ad una difficoltàche poi supera grazie ad uno spiritoguida, passando indenne attraversoprove e pericoli.

Naturalmente il processo d’indivi-duazione è diverso per ogni persona,ma molte costanti sono riscontrabilinelle fiabe.

Per esemplificare l’interpretazionejunghiana di fiabe e leggende utilizze-rò la leggenda messinese diColapesce.

Colapesce era un ragazzo che pas-sava molto tempo in acqua, al puntoda avere piedi e mani palmati. Avendosaputo l’imperatore della sua capacitàdi passare molto tempo nelle profon-dità marine lo sfidò a recuperare degli

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Maistà… sugnu ccà’nta lu funnu di lu mari

ca nun pozzu chiù turnariVui pregati la Madonnastaiu riggennu la culonna

ca sinnò si spezzeràe ‘a Sicilia sparirà…

(Otello Profazio)

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oggetti, finché Colapesce non tornòpiù indietro, sembra perché abbia sco-perto che una delle tre colonne chesostengono la Sicilia si stesse spez-zando.

Nel tentare di analizzare questafiaba selezionerò alcuni aspetti speci-fici: il mare, e quindi l’acqua, comesfera del simbolismo attinente al fem-minile e il distacco dal materno. Da filrouge farà l’analisi delle peripezie diColapesce come esemplificazione diun tentativo di processo d’individua-zione e come compito eroico di distac-carsi dal materno.

Tra i vari significati simbolici del-l’acqua vi è quello che la consideracome simbolo della forza vitale dellapsiche rimandando all’archetipo in se,al motore universale che preme perattivare un processo, per mettere inmoto una trasformazione. Tale rifles-sione è calzante nel caso diColapesce che, addirittura, subisceuna trasformazione anche fisica, oltreche spirituale: nell’elemento acquati-co va verso il suo destino.

L’acqua, tra l’altro, può rappresen-tare la sorgente d’ogni forma di vita,ma è anche elemento di dissoluzionee annegamento. Ha carattere ambiva-lente perché da un lato dà la vita erende fertile dall’altro allude ad affon-damento e declino. Nella stessa leg-genda di Colapesce, pur se l’elementoacquatico e considerato come positi-vo, nasconde un elemento mortifero.

Altri simbolismi frequentementeassociati all’acqua e alle profonditàmarine sono l’inconscio e il materno, ilfemminile .

Nel caso specifico di Colapesce ilrapporto con il femminile, è ambiva-lente, infatti, la madre non permette ildistacco, non facilita il contatto colfemminile archetipicamente rappre-sentato dalle profondità marine. Perusare una terminologia di Neumannnon permette il superamento dellafase uroborica. Col rischio, che sem-bra avverarsi, di essere riassorbito dalmaterno rinunciando alla propria indi-vidualità, non riuscendo a riemergeretrasformato da questa nekyia.

Sono innumerevoli i passi di Jungche affrontano quest’argomento adesempio“se la libido non fluisce tem-pestivamente nella vita perviene,regredendo, nel mondo mitico degliarchetipi […]. Se questa regressioneavviene nell’uomo in giovane età, il

dramma archetipico degli dei viene asoppiantare la sua vita individuale.[Senza] la possibilità di liberarsi daquesto fascino”.

Anche qui si è vicini alla vicenda diColapesce.

Nella teoria junghiana la separazio-ne del figlio dalla madre, avviene nonper un intervento esterno, comepostulato dal complesso edipico freu-diano, ma per una spinta interna allabase, poi, anche del processo d’indivi-duazione. Stessa spinta che sembra“impossessarsi” di Colapesce nel suoanelito verso il mare e le sue profon-dità.

Come spesso affermato da Jung,uno dei compiti eroici è il distaccodalla Madre, dal regno materno. Conla sua discesa agli inferi variamenterappresentata da Gilgamesh,Pinocchio, Giona o altri, e “con la suavittoria sulla regressione nel materno,entra nel fondo oscuro del Sé e acqui-sta fiducia nella capacità del Sé disostenerlo” Giona Pinocchio eGilgamesh riescono a tornare indietroportando agli altri le visioni e l’arric-chimento avuti durante la prigionia nelventre del mostro, o nell’oltre tombanel caso di Gilgamesh.

Colapesce, al contrario, sembrapiù simile a Tammuz, Adone o Attis.Tali personaggi sono tutti eroi la cuiesistenza si estingue prematuramen-te, perché in fondo non sono mai esi-stiti indipendentemente dalla madre.

Ciò che distingue gli eroi che fannoritorno dagli inferi da quelli che viaffondano è la capacità di mantenereun barlume di coscienza anche nel

buio più profondo. L’eroe che fallisce ilsuo compito rischia la non esistenza,il riassorbimento nel materno, sorteche sembra toccare a Colapesce.

In base al ragionamento fatto leperipezie di Colapesce possono esse-re, quindi, lette come tentativo disganciarsi dal materno sia reale chesimbolico, per “guadagnare” un’esi-stenza reale ed indipendente, in altritermini di individuarsi.

In conclusione le fiabe possonoessere utili anche nel lavoro clinico, adesempio, la leggenda di Colapesce miha spesso ricordato le vicissitudini ele caratteristiche di molti tossicodi-pendenti: la speranza, la spasmodicaricerca di tornare simbolicamente den-tro l’utero materno di molti eroinoma-ni, ad uno stato di totale assenza dastimoli esterni, la sensazione di pote-re fare a meno di tutto, non avere biso-gno di nulla d’esterno, un narcisismototalizzante; o la sfida contro gli altri,il tentativo di superare i propri limiti,fisici e psicologici, tipica del cocaino-mane, che quando è sotto l’effettodella cocaina perde di vista il rischio eil pericolo.

Il finale della leggenda col relativoimprigionamento nelle profondità mari-ne ricorda lo stato di dipendenza con-clamata.

A differenza di Colapesce il tossi-codipendente si può permettere di tor-nare a galla, di recuperare un ruolo“umano” e non di vittima archetipica,riuscendo in caso d’integrazione deivari aspetti scissi della sua personali-tà ad incamminarsi nella via dell’indi-viduazione.

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Marco Lipera - psicologo

PPensare al fenomeno dei bambinidi strada vuol dire rivolgere losguardo in America Latina e in

particolare in Brasile dove vive la mag-gioranza dei bambini di strada di tutto ilsud America: al momento si stima chesiano intorno ai 7 milioni.

Nel luglio del 2005 ha avuto inizio inBrasile una ricerca che ripercorre i pas-saggi storici che hanno determinato losviluppo del fenomeno dei “meninos dirua”. Essa trae spunto da un preceden-te lavoro compiuto nel 1995 dal dott. F.Lo Piccolo in collaborazione con la facol-tà di Psicologia dell’Università deglistudi di Palermo. L’indagine ci ha con-dotti all’interno della realtà quotidianaconoscendo le condizioni di vita, la tos-sicodipendenza e i tanti disagi. È unlavoro che mette in luce le contraddizio-ni del Brasile (9° potenza mondiale) e lecomponenti psicologiche che costitui-scono le rappresentazioni sociali cheguidano i comportamenti di questi bam-bini. Obbiettivo

L’obiettivo è stato quello di esplorarel’universo mentale dei bambini di stradache vivono nella città di Recife; la cono-scenza di come possa strutturarsi la per-sonalità di individui che crescono in con-dizioni di totale deprivazione; l’impattosullo sviluppo di condizioni esistenziali esociali al limite della tollerabilità umana,nonché il mondo delle rappresentazionisociali rispetto ad alcune aree fonda-mentali (Di Maria, Lo Verso, 1995). Alcuni cenni storici…

Agli inizi del Novecento dall’Europaarrivarono emigranti in cerca di fortunee la schiavitù era stata abolita solo daalcuni anni (1888). Si crearono, in talmodo, le condizioni per una societàspartita in due realtà, da un lato nuoverelazioni commerciali e nuovi consumi edall’altro miseria e violenza.

I bambini furono impiegati nellenascenti fabbriche che vennero addirit-tura previste dalla legge come luoghi di

recupero e spazi educativi per strappar-li dalla strada. Allo stesso modo venne-ro impiegati in attività illegali all’internodelle favelas in attività come borseggio,prostituzione, accattonaggio, ma ancheper piccole attività lavorative fatte instrada come vendita di biglietti della lot-teria, di caramelle, giornali o comelustra scarpe, attività con le quali i meni-nos potevano assicurare la sopravviven-za propria e delle loro famiglie. Grupo Ruas e Praças (ONG)

La ricerca è stata condotta in colla-borazione con l’ONG Grupo Ruas ePraças (GRP), che opera nella zona diSanto Amaro all’interno della città.L’organizzazione, presente sul territoriodal 1987, mi ha dato piena disponibilitànell’affiancare gli operatori nel loro lavo-ro di educativa di strada, permettendodi introdurmi sul campo e toccare conmano la realtà.

È importante tener presente che sulterritorio urbano sono numerose le orga-nizzazioni che lavorano sui “meninos derua”, tra le più importanti citiamo ilMovimento Nazionale dei meninos emeninas de rua, che copre l’intero terri-torio Brasiliano. Contraddizioni

Il Brasile è stato uno dei primi Statinel mondo ed il primo dell’AmericaLatina ad adottare uno statuto a tuteladei bambini: “O Estatuto da criança edo adolescente”; che prevede misureper la tutela del minore circa standardminimi di reddito, d’istruzione, di ali-mentazione, di salute e di educazione.Lo statuto considera, inoltre, il minorequale soggetto attivo avente dei diritti,rispetto ai quali deve essere tutelato.Tuttavia di fatto questa idea di welfare inBrasile non trova alcuna seria e concre-ta attuazione.

Sebbene il Brasile sia la patria diillustri pedagoghi e rientra tra i paesepiù avanzati in ambito nella pratica edu-cativa, attualmente le condizioni di vitadei bambini appartenenti alle classi

povere non sono poi cambiate di moltorispetto al passato.Chi sono questi bambini?

Da una ricerca precedentementecondotta è emersa l’esistenza di duegruppi differenziati di “meninos de rua”:un gruppo è composto da bambini eadolescenti che fanno della strada illoro spazio di vita e la loro dimora ovedroga e problemi con la legge, sonoparte del quotidiano. In questo universosi scopre che alcuni di loro hanno rottodefinitivamente il legame con la fami-glia, mentre altri mantengono un vinco-lo, seppur relativo, col nucleo familiare,tornando di tanto in tanto in casa (AA.VVGrupo Ruas e Praças, 1998).

L’altro gruppo, invece, è costituito daquelli che gli educatori chiamano “meni-nos e meninas trabalhadores”, cioèbambini e bambine lavoratori. Questitrascorrono le giornate in strada svol-gendo diverse attività lavorative: lavavetri, auto, lucida scarpe, vengonoimpiegati nel trasporto di materiali vari,o si occupano di piccole vendite aisemafori: caramelle, gelati, braccialettied altro. Profilo dei meninos

Emerge il profilo di un bambino cheva dai 6 ai 16 anni in prevalenza nero edi sesso maschile. Vive in strada e fauso di droga e alcool. Sono i “cheiracolla”, ovvero, sniffa colla. É così chevengono etichettati con disprezzo dallapopolazione. La colla è tra le droghe piùpotenti in grado di combattere la fame edare una illusoria sensazione di benes-sere e di potere. L’effetto è allucinoge-no, narcotico e anoressizzante ed haconseguenze devastanti sul sistemanervoso. Inoltre, in strada, tra i giovanicircola anche hashish, marijuana, psico-farmaci e crack.

La maggior parte dei bambini chevive per strada e che fa uso di droganon è alfabetizzata. Un piccolo numerofrequenta la scuola sporadicamente,tutti hanno comunque avuto un passato

Action research nel mondo dei meninos de rua

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scolastico. Ma è solo tra coloro chelavorano che è possibile incontrarebambini che frequentano la scuola. Iluoghi dove dormono sono vari e diver-sificati, generalmente sono i loro luoghidi ritrovo come piazze, marciapiedi, pic-cole vie, giardini e luoghi pubblici, altridormono in casa o in casa di amici.Profilo delle famiglie

Il quadro che ne viene fuori è piuttostoomogeneo. Sono molti i genitori chefanno uso di droga e alcuni di loro hannogià avuto a che fare con la legge; il rap-porto che c’è tra padre e figlio è il piùdelle volte violento e conflittuale. Si osser-va, comunque, che in genere l’assettofamiliare è composto per lo più da madrie figli. La figura paterna risulta quasi total-mente assente ed è comune l’esistenzadi fratelli, figli di padri differenti. La ricerca

La ricerca si è concentrata sull’e-splorazione delle rappresentazionisociali. A partire dal contesto è possibi-le valutare gli elementi interni che sonoalla base delle rappresentazioni, per-mettendo di conoscere e di affrontare lecaratteristiche del gruppo al quale ci siriferisce (Abric, 1987). Le rappresenta-zioni sociali contengono in sé idee,norme e valori del gruppo sociale in cuisi producono, configurandosi come stru-mento di guida per l’azione e modellod’interpretazione della realtà. La nozio-ne di rappresentazione sociale fa uso diconcetti psicologici e sociologici, il checomporta una dialettica tra apparatopsichico, funzionamento cognitivo eorganizzazione sociale. L’indagine

L’indagine è stata condotta su tregruppi-criterio composti da elementi dientrambi i sessi, racchiusi nella fasciadi età che va dai 12 ai 18 anni, per untotale di 90 interviste, rispettivamente30 per ogni gruppo. La fascia di etàmaggiormente indagata è quella dei 16anni che rappresenta il 27% degli inter-vistati. I soggetti sono 32 di sesso fem-minile e 58 di sesso maschile. I gruppisi differiscono per le condizioni socio-economiche.

Il primo gruppo è stato definito “grup-po rua” ed è composto esclusivamenteda bambini e ragazzi che fanno dellastrada il loro unico spazio di vita. Ilsecondo è stato definito “gruppo fave-la”, composto da ragazzi di classe pove-ra che frequentano la scuola e appar-tengono a sistemi familiari più o menostrutturati. Infine, il terzo gruppo è com-

posto da ragazzi che frequentano unascuola privata, gestita da suore carmeli-tane, frequentata da ragazzi appartenen-ti alla classe medio-alta e proprio perquesto definito “gruppo classe media”. Scelta del campione

Riguardo la scelta del campione e lescelte di carattere operativo con le qualisi decide “dove, come e quando si rac-colgono i dati”, mi sono lasciato guida-re dallo stile della ricerca qualitativa checontrappone a un disegno di ricercastrutturato anteriormente alla raccoltadei dati (ricerca quantitativa), unodestrutturato, aperto, adatto a catturarel’imprevisto e modellato nel corso dellarilevazione. Pertanto, il campionecostruito, rappresenta esattamente ciòche è presente sul campo. Per realizza-re l’indagine si è fatto uso di una seriedi figure create ad hoc e utilizzate cometest con valenze semiproiettive (LoPiccolo, 1996). Avvalendoci del lavorodel Lo Piccolo, come riferimento guida,si è proceduto con la rivisitazione deglistrumenti.

Le figure presentano, al loro interno,due immagini dicotomiche, rispetto allequali viene chiesto al soggetto di narra-re una breve storia evocata dalla figurastessa. Le immagini propongono quellecategorie ritenute potenzialmente capa-ci di coprire tutto l’arco dell’ esperienzepiù significative per i soggetti.

I dati raccolti sono stati elaboratisuccessivamente attraverso un softwaredi elaborazione del testo: il T-LAB(Lancia, 2002). La linguistica e la stati-stica sono le teorie che regolano il suofunzionamento. Il software non si propo-ne di analizzare i significati o i contenuti,ma la frequenza di presentazione dideterminati significanti, ovvero, due o piùelementi linguistici che co-abitano neltesto. Ed è da considerare un valido dis-positivo di supporto all’interpretazione.“Gruppo rua”

Dal primo gruppo è emerso un lin-guaggio molto povero complessivamen-te, pieno di stereotipie e luoghi comuni.L’eccessiva formalizzazione mostrereb-be uno sforzo di lettura oggettivante delmateriale nel tentativo di eliminarnel’apporto soggettivo. Per la maggiorparte delle elaborazioni l’adesione neiconfronti del materiale è massima, lenarrazioni sono iper-adattive e conformi-ste, difficilmente si scostano da ciò cheè esplicitamente contenuto nei disegni.Le produzioni sono nel complesso pocoabbondanti.

“Gruppo favela”Nel gruppo favela non si sono regi-

strate differenze tali, rispetto alle elabo-razioni dei ragazzi di strada, da far pen-sare a due gruppi distanti fra loro. Le dis-uguaglianze si riferiscono ad una miglio-re proprietà di linguaggio, anche se mini-ma, e ad una visione più distaccatarispetto allo stimolo tale da far emerge-re contenuti legati alla formazione scola-stica e lavorativa personale che essicompiono grazie al centro rieducativo.“Gruppo classe media”

L’ultimo gruppo è quello che ha for-nito il maggior numero di parole. Èopportuno sottolineare che, tra que-st’ultimo e i primi due gruppi, non vi èsolo una differenza socio-economica. Il90% dei ragazzi del terzo gruppo è di ori-gine caucasica evidenziando così diffe-renze socio-culturali legate alle influen-ze provenienti dai paesi di origine. Taliriflessioni sono significative in quantoevidenziano, nei ragazzi, la presenza diuno spazio interno che da ampio spazioalle rappresentazioni di articolarsi.Contrariamente ai primi due gruppi,emerge una concezione del tempo chesi allunga fino a concepire la dimensio-ne del futuro: studio, imparo, lavoro infunzione di... Caratteristiche queste cheritroviamo pienamente, come solida-mente acquisite nel gruppo che si riferi-sce ai ragazzi più agiati. In questi proto-colli si evince la disponibilità dei sog-getti a potersi astrarre dai contenutioggettivi riportati nello stimolo, cogliendoin esse una certa continuità. In questisoggetti le rappresentazioni grafiche nonhanno subito una scotomizzazione nell’u-na o nell’altra dimensione, ma sonostate integrate e interpretate secondol’aspetto più significativo presente nellarealtà brasiliana, ovvero, la disuguaglian-za sociale. In generale, emerge una chia-ra consapevolezza del contesto e non sisono registrate parole che potesserolasciare intuire intolleranze. Riflessione

Lo scopo di questa ricerca primaancora che conoscitivo è quello di rilan-ciare la questione. “Tenere alta l’atten-zione” significa fare in modo di nonassuefarci all’esistenza del fenomeno.

Aprire gli occhi è importante per ren-dersi conto che i “meninos de rua” nonè una realtà, poi, così lontana da noi.Anche le nostre città, ad uno sguardopiù attento, tra i semafori e i tavolini deibar, cominciano sempre più ad essereteatro di “meninos de rua”.

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Daniel Lina Mancuso - psicologo, Giuseppe Castro - psicologo

La demenza frontale con malattiadel motoneneurone è un distur-bo neurodegenerativo progressi-

vo caratterizzato clinicamente da defi-cit motori e cognitivi ed anatomica-mente dalla degenerazione del I e delII motoneurone e dall’atrofia dei lobifrontali.

Si riporta un caso di un soggetto incui in un primo momento si manifesta-no, prevalentemente, i sintomi cognitivie successivamente (dopo 6 mesi) siassiste all’insorgenza dei sintomimotori.INTRODUZIONE

La sclerosi laterale amiotrofica(SLA) è una malattia neurodegenerati-va progressiva di eziologia sconosciu-ta (Matsusue, 2007).

La SLA è caratterizzata dalla dege-nerazione del I e del II motoneurone;si manifesta con ipostenia a carattereprogressivo, non associata a sintomisensitivi, che si estende progressiva-mente all’interno di una stessa regio-ne e, successivamente, coinvolge lealtre regioni muscolari.

La malattia, solitamente, conducealla morte in 3-5 anni, ma esiste unadiscreta variabilità di decorso, conforme più lente.

Di solito, nella malattia del moto-neurone non si evidenziano alterazionisensoriali, sessuali e sfinteriali.

Tra i deficit che possono manife-starsi in concomitanza, le alterazionicognitive hanno per lungo tempo rice-vuto scarsa attenzione.

Gli studi neuropsicologici condottinegli ultimi quindici anni hanno peròevidenziato che in questi pazienti sipuò rilevare un quadro dementigeno ditipo frontale (Zago 2004); infatti,soprattutto se la SLA viene diagnosti-cata intorno alla 6° o 7° decade dellavita, si può rilevare una sovrapposizio-ne delle due patologie (Vercelletto,1998). Brun et al. (1994), sostengonola possibilità che l’insorgere di demen-

za nella SLA rappresenti il continuumclinico-patologico di una entità a séstante, piuttosto che l’associazionecasuale tra diverse forme neurodege-nerative.

La demenza frontotemporale (FTD )è anch’essa una patologia neurodege-nerativa progressiva in cui si evidenziaun’atrofia dei lobi frontali.

Lavadas (2006) rintraccia i seguen-ti disturbi neuropsicologici tipici dellaFTD: incapacità di astrazione, incapa-cità nei compiti aritmetici, rigiditàcognitiva, deficit di rievocazione del-l’informazione, sindrome pseudode-pressiva con apatia, deficit attenziona-li e delle competenze sociali.

È di facile intuizione come questealterazioni cognitive insieme ai distur-bi motori possano incidere negativa-mente sulla qualità della vita del mala-to. METODOLOGIA

Il caso in esame è un uomo di 64anni, laureato in matematica, di pro-fessione informatico.

Non presenta alcuna familiarità perdisturbi neurodegenerativi, soffre diipertensione, diabete mellito e iperco-lesterolemia.Strumenti Utilizzati:• Test neuropsicologici: MMSE, FAB,Figura complessa di Rey, 15 parole diRey, Matrici attentive TMT-A, TMT-B,Giudizi verbali, Wisconsin Card Sortingtest, Fluenze Semantiche, FluenzeFonemiche, clock drawing test, Strooptest, ENPA (Miceli, Capasso), ADL, IADL.• Indagini strumentali: - Risonanzamagnetica - Elettroencefalogramma(EEG) - Elettromiografia (EMG).PROCEDURA

Il paziente viene sottoposto a duevisite a distanza di 6 mesi.

Prima visita: Il paziente viene rico-verato a causa di difficoltà nell’espres-sione linguistica insorte da circa unmese.

La moglie riferisce che, oltre ai dis-

turbi del linguaggio (difficoltà nel trova-re le parole, raccontare la trama di unfilm etc), il marito sarebbe meno atten-to, più lento nel prendere decisioni,maggiormente irritabile rispetto al pas-sato. All’osservazione comportamenta-le e al colloquio clinico, il paziente sipresenta collaborativo, vigile, curatonell’aspetto; il comportamento è ade-guato alla situazione.

L’eloquio spontaneo risulta lentoma corretto nella forma e nel contenu-to, il tono della voce basso e monocor-de; l’umore appare depresso.

Vengono somministrati i seguentitest con i relativi punteggi:MMSE (P. grezzo= 26, P. corretto=24,5); FAB (P. E. = 2); Figura comples-sa di Rey (P. E.= 4); 15 parole di Rey(P.E.= 3); Matrici attentive (P. E.= 2);TMT-A (P. E.= 1); TMT-B (P. E.= 0);Giudiziverbali (P. E.= 1); Wisconsin CardSorting test (P. E.= 2 - presenza di per-severazioni-); Fluenze Semantiche (P. E.= 2); Fluenze Fonemiche (P. E.= 0);clock drawing test (P. E.= 4); Strooptest (P. E.= 0); ENPA -Denominazioneorale di verbi: P. C.: 5,5 cut-off 6,1 -Comprensione visiva di frasi P. C= 14cut-off= 11,3 -Comprensione uditiva difrasi P. C. = 14 cut-off=11,6, ADL 6/6;IADL 8/8.

Dal colloquio clinico e dalla valuta-zione quantitativa e qualitativa dellabatteria dei test neuropsicologici som-ministrati si evidenzia:- Attenzione: moderata difficoltà nelfocalizzare l’attenzione su particolari sti-moli all’interno di un contesto distraen-te e direzionarla in modo flessibile.- Memoria: Adeguata capacità diapprendimento ma compromessa larievocazione dell’informazione a causadella difficoltà di ricerca e utilizzo distrategie del recupero dell’informazio-ne dai magazzini semantici e lessicali. - Ragionamento: deficit nella capaci-tà di astrazione: il paziente rimaneancorato alla concretezza e all’imme-

Demenza frontotemporalecon SLA: descrizione di un casosingolo

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diatezza della situazione; moderatarigidità cognitiva: il paziente è incapacedi passare da uno specifico comporta-mento e/o strategia ad un altro, inrelazione alle richieste del contesto,con significativa presenza di perseve-razioni ed uno stile comportamentaleestremamente “rigido”.- Linguaggio: la denominazione dioggetti risulta lievemente compromes-sa. La produzione del linguaggio èridotta ad un linguaggio telegrafico(fig.1: gli viene chiesto come trascorre

le giornate) adeguata la capacità di let-tura e la comprensione sia orale chescritta. - Abilità visuo spaziale e calcolo:Adeguate le capacità di organizzazionedegli elementi visuo-spaziali. PatternDiscalculico che si evidenzia nell’inca-pacità di ricordare fattori matematici,procedure di calcolo e di usarli in modoappropriato. Indagine strumentali:

Risonanza magnetica: assentisegni di atrofia ippocampale, assentisegni di vasculopatia.• Elettroencefalogramma (EEG):Tracciato lievemente alterato per lapresenza di onde theta, di basso-medio voltaggio, in brevi treni, asincro-ne, diffuse.

Alla luce della valutazione neuropsi-cologica e degli esami strumentali, ilpaziente viene dimesso con la diagno-si di declino cognitivo di grado lieve-moderato a carico delle funzioni fronto-temporali.

Seconda visita: Dopo 6 mesi, ilpaziente si presenta in ambulatorio peruna seconda valutazione neuropsicolo-gica.

Il paziente appare vigile, curato nel-l’aspetto ma molto dimagrito rispettoalla visita precedente; inoltre, sonocomparse fascicolazioni al bracciodestro, disfagia e lieve disartria.

La moglie riferisce di frequenticadute e di mancanza di forza.

Il quadro neuropsicologico si pre-senta pressochè invariato rispetto allaprima visita al di là di una lieve disar-tria e una moderata difficoltà nella pia-nificazione ed organizzazione del mate-

riale visuo-spaziale (Fig.2).Viene effettuata un’elettromio-

grafia, che da il seguente referto:Segni di denervazione e potenziali difascicolazioni e fibrillazioni,Sofferenza neurogena diffusa.

Assenti disturbi della conduzionesensitiva.

La valutazione neuropsicologicae gli esami strumentali indicano,quindi, la presenza di SLA con FTD.

DISCUSSIONEIl seguente studio riporta di un

caso di SLA con FTD.Nella maggior parte dei casi, i

pazienti con SLA mantengono le loroabilità mentali.

In questo caso si evidenzia, inve-ce, una sovrapposizione fra le duepatologie. Nel caso esposto la sinto-matologia frontale precede la compar-sa del quadro di malattia del moto-neurone, infatti, nella prima visita èstata formulata la diagnosi di FTD digrado lieve- moderato, nella secondavisita, effettuata dopo 6 mesi, insor-gono, invece, i disturbi motori, lefascicolazioni, le frequenti cadute.

Il disturbo cognitivo rimane, inve-ce, stabile anche se si riscontra unpeggioramento nell’organizzazionevisuo-spaziale.

CONCLUSIONIL’associazione della FTD con la

SLA comporta una prognosi peggio-re rispetto alla sopravvivenza e allaqualità di vita del paziente, infatti,i disturbi comportamentali e motorie i disturbi di comprensione posso-no rendere più difficile la comuni-cazione e la nutrizione ed altre fun-

zioni vitali.Diviene,quindi, fondamentale dia-

gnosticare precocemente la SLA conFTD ed evitare che alcune formerimangano sub-cliniche per interveni-re sin dai primi momenti le personecolpite da questa patologia. Comedetto, nel caso clinico esposto sievidenzia come le manifestazionicognitive e muscolari non interven-gono contemporaneamente, per que-sto sarebbe necessario valutare:

1. L’aspetto neuropsicologico neipazienti a cui è stata diagnosticatauna malattia del motoneurone, checonsiste in una somministrazione diuna batteria neuropsicologica pervalutare un possibile deterioramentodella funzioni cognitive.

2. L’aspetto neuromotorio neipazienti con FTD. Uno screeningelettromiografico potrebbe indicare,precocemente, indici elettromiografi-ci sospetti di una presenza subclini-ca di SLA.

Bibliografia

• Brun A. et al (1994) Consensus statement. Clinical and neuropathological criteria for frontotemporal dementia. Lund and Manchester groups. J Neurol Neurosurg Psychiatry57:416–418.

• Lavadas (2006). Neuropsicologia,Bologna, Il Mulino.

• Matsusue et al. “Cerebral Cortical and White Matter Lesionsin Amyotrophic Lateral Sclerosis with Dementia: Correlation with MR and Pathologic Examinations” AJNR Am J Neuroradiol 28:1505–10, 2007.

• Vercelletto M, et al., “Neuropsychological and scintigraphic aspects of frontotemporal dementia preceding amyotrophic lateral sclerosis Rev Neurol (Paris). 2003May:529-42.

• Vercelletto M. et al., type dementia amyotrophic lateral sclerosis: a neuropsycholocal andSPECT study of five clinical case. European Jornal of Neurology 1999, 6: 295-299.

• Zago S. et al., “Aspetti cognitivi dei pazienti con malattie del motoneurone” Neurol Sci (2004) 25:S69–S72.

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Giuseppe Maniaci - psicologo

Il presente lavoro, par tendodalle più recenti ricerche sullerelazioni mente-corpo, ha avuto

come oggetto di interesse una pato-logia con un grande rilievo clinico esociale.

L’orticaria cronica rappresenta,infatti, una delle più frequenti e inva-lidanti dermopatie.

Partendo dai costrutti di alexithy-mia, stress, attaccamento e suppor-to sociale, si è deciso di confrontaredue popolazioni di pazienti affetti dapatologie croniche, rinitici e ortica-rioidi.

L’etiopatogenesi del disturbo rini-tico è ben conosciuta dai medici, iquali riescono a diagnosticarla attra-verso l’esame clinico e strumentalee a curarla nei sintomi con unabuona efficacia.

Nel caso degli orticarioidi cronici,invece, in molti casi non si riesce adidentificare una causa ben precisache spieghi l’insorgere del disturbo.

La terapia risulta mirata, pertanto,al controllo dei sintomi, senza otte-nere a volte un adeguato risultato.

Lo studio è stato condotto susoggetti afferenti alla U.O.C. diAllergologia dell’ARNAS Civico eBenfratelli, G. Di Cristina e M. Ascolidi Palermo.

ObiettivoQuesto studio indaga il ruolo

degli eventi stressanti, la percezionedel supporto sociale, lo stile di attac-camento e la presenza di un funzio-namento mentale alessitimico neipazienti con Orticaria Cronica.

IpotesiL’ipotesi principale che guida que-

sto lavoro è la considerazione deldisturbo orticarioide cronico come undisturbo ad eziologia multifattoriale,in cui giocano un ruolo di primo

piano determinati fattori psicologici,nonché certe modalità di venire incontatto con le proprie emozioni edesprimerle.

In particolare, nei pazienti conuna patologia con componente psi-cosomatica trascurabile (rinitici cro-nici) ci si aspetta di trovare:• Più bassi livelli di alexithymia.• Un maggiore supporto sociale

percepito.• Minore presenza di stili di

attaccamento disfunzionali.• Minore presenza di eventi

stressanti nei 6 mesi precedenti l’esordio della sintomatologia.

• Minor numero di eventi stressantiin generale.

Strumenti Ai partecipanti è stata sommini-

strata una batteria di test compren-denti: 1. Intervista semistrutturata.2. Scala Paykel per gli eventi

stressanti.3. Versione italiana dell’Experiences

in Close Relationships Questionnaire (ECR).

4. Toronto Alexithymia Scale a ventiitem (TAS-20).

5. Versione italiana del Multidimensional Scale of Perceived Social Support (MSPSS).

Soggetti e metodoSono stati esaminati 48 pazienti

ambulatoriali differenziati per il tipodi patologia presentata:I° gruppo: 24 pazienti con orticaria

cronica.II° gruppo: 24 pazienti con rinite

allergica cronica.I due gruppi risultano appaiati persesso, età e livello di istruzione. Per l’analisi statistica è stato utilizzato la T student per con-

frontare le medie dei due campioni.

RisultatiDei 24 soggetti con orticaria cro-

nica considerati, il 42% ha ottenutopunteggi alla TAS-20 superiori a 60,che rappresenta la linea di cut-offper l’alessitimia, il 21% si è situatoall’interno di un livello borderline,mentre il 37% ha ottenuto un pun-teggio ascrivibile ad un livello di non-alessitimia.

Nei rinitici invece la percentualedi alexithymici è risultata del 8,5%,quella di alexithymia indeterminata(livello borderline) del 37,5% mentrequella di non alexithymia è risultatadel 54%.

Inoltre, la differenza delle mediedei punteggi alla TAS-20 tra pazienticon orticaria cronica e popolazionenormale è statisticamente significa-tiva, t (23) = 2,79, p < .05, a diffe-renza dei pazienti rinitici, i qualiinvece presentano dei livelli di ale-xithymia in perfetta media rispettoalla popolazione generale (1), t (23)= 0,09, p = ns.

Dalla comparazione dei punteggiai test dei due gruppi di pazienti cro-nici è emerso, inoltre, come i pazien-ti con patologia allergologica a com-ponente psicosomatica più elevata(orticarioidi cronici) abbiano riportatoin misura maggiore e statisticamentesignificativa più elevati livelli di ales-sitimia totale, più difficoltà a ricono-scere le proprie emozioni, un minoresupporto sociale percepito nellearee della famiglia, degli amici edegli altri significativi, un maggioreattaccamento di tipo evitante, unnumero maggiore di eventi stressan-ti presenti nei 6 mesi precedenti l’e-sordio della sintomatologia e unnumero totale di eventi stressantimaggiore, rispetto ai pazienti conpatologia cronica a componente psi-

Alexithimia, Stress eSupporto Sociale nei pazienticon Orticaria Cronica

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cosomatica trascurabile.

DiscussioneDai risultati ottenuti possiamo

trarre qualche conclusione impor-tante.

Nei soggetti da noi esaminati, glielevati punteggi alla TAS-20 hannodato testimonianza empirica dellacentralità del funzionamento mentalealessitimico per la comprensionedelle caratteristiche psicologiche deisoggetti affetti da orticaria idiopaticacronica.

Quindi, concordemente ai datipresenti in letteratura, si può affer-mare che l’alessitimia rappresentaun importante fattore di rischio, chepredispone a sviluppare delle malat-tie, tra cui possiamo annoverareanche l’orticaria cronica.

Nei soggetti alessitimici l’emozio-ne, relegata all’interno di sistemi dirisposta fisiologici e motorio-compor-tamentali, rimane priva di regolazio-ne da parte di processi più cognitivi,che ne permetterebbero l’elaborazio-ne e l’espressione verbale e ciò favo-risce una iper-attivazione somatica,dannosa per l'organismo.

Lo stress è apparso particolar-mente presente nei pazienti ortica-rioidi, i quali hanno subito un nume-ro nettamente maggiore di eventistressanti nei 6 mesi precedenti l’e-sordio sintomatologico.

Questo dato può essere messo inrelazione con quello di altre ricerchein cui è stato evidenziato come lestrategie di coping usate dagli orti-carioidi siano meno efficaci rispettoad un gruppo di controllo (2).

Pertanto, una elevata presenza distressors ambientali, unita a dellestrategie di coping insufficienti agestirli efficacemente, può aiutare aspiegare come lo stress possa piùfacilmente venire somatizzato negliorticarioidi cronici.

Rispetto al costrutto dell’attac-camento, sappiamo che l’attacca-mento insicuro può influire negati-vamente nella regolazione dellostress, aumentare lo stress percepi-to e aumentare l’intensità e la dura-ta della risposta fisiologica allostress (3).

Noi abbiamo trovato un elevatapresenza di attaccamento di tipo evi-tante negli orticarioidi cronici rispet-to ai rinitici.

Questo dato è concorde con quel-le ricerche che dimostrano che l’at-taccamento insicuro può aumentarela suscettibilità a sviluppare dei dis-turbi della pelle (4).

Il Supporto sociale viene tradizio-nalmente concepito come un impor-tante fattore protettivo per la salute.Pertanto godere della possibilità dipoter contare su una rete di soste-gno familiare e/o amicale aiuta adaffrontare efficacemente i vari stres-sors ambientali.

Di contro, vivere una condizionedi isolamento reale o percepito rap-presenta un fattore di rischio versole malattie (5).

Negli orticarioidi cronici, la perce-zione di poter contare su un soste-gno sociale è dimostrata esserenotevolmente bassa.

Tale deficit si è manifestato intutte e tre le aree del supporto socia-le indagato, quella familiare, quellaamicale e quella relativa ad altrefigure significative.

Si può affermare pertanto, chel’orticaria cronica può essere signifi-cativamente influenzata, nell’esordioe/o nell’aggravamento dei sintomi,da alcuni problemi nella regolazionedegli affetti (alexithymia), da unabassa percezione di poter contaresul supporto di una rete sociale disostegno, da un attaccamento evi-tante, e dalla difficoltà nella gestionedegli stressors ambientali.

In una patologia che spessoviene definita dasi medici “idiopati-ca” si è identificato la presenza dialcuni aspetti psicologici e/o psico-patologici che in letteratura vengonoidentificati come predisponenti e/oslatentizzanti una condizione patolo-gica (6).

Anche se non è possibile dire concertezza che l’orticaria cronica sia incerti casi determinata da fattori psi-cologici, possiamo affermare l’utilitàdi adottare un approccio bio-psico-sociale nella diagnosi e nel tratta-mento di questa dermopatia.

I pazienti orticarioidi cronicidovrebbero, pertanto, beneficiare diun approccio terapeutico integrato,medico e psicologico insieme che sioccupi di considerare anche le varia-bili psicologiche che possono a varilivelli influenzare la sintomatologiaorticarioide.

Infine, relativamente al sub-

strato fisiologico che regola i rap-por ti tra emozioni, stress, perso-nalità e or ticaria sappiamo chesono implicati dei complessi mec-canismi che riguardano le relazio-ni tra sistema nervoso, endocrinoe immunitario (7).

Auspicabile sarebbe condurredelle ricerche che cerchino di valuta-re, attraverso le più recenti metodo-logie di indagine fisiologica, i rappor-ti tra personalità individuale, capaci-tà di gestione dello stress e mecca-nismi fisiologici sottostanti.

Il famoso e misterioso “saltodalla mente al corpo” potrebbe cosìfinalmente diventare meno miste-rioso...

Bibliografia1 Bressi C, et al, “Cross

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6 Malhotra SK, et al “Role of stressful life events in inductionor exacerbation of psoriasis and chronic urticaria” in Indian J Dermatol Venereol Leprol 2008 Nov-Dec;74(6):594-9.).

7 Dyke SM. Et al “Effect of stress on basophil function in chronic idiopathic urticaria” Clin Exp Agllergy. 2008 Jan;38(1):86-92. Epub 2007 Nov 1.

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Marino Rosaria - psicologo

Il presente studio nasce dalla neces-sità di creare all’interno della scuolaun laboratorio clinico che fosse in

grado non solo di distinguere una diffi-coltà scolastica da un disturbo specificodi apprendimento ma anche quello diaiutare i bambini con tali difficoltà attra-verso l’utilizzo della fiaba.

Le difficoltà nel campo dell’appren-dimento, infatti, sono molto spessoaccompagnate da sentimenti di sfiduciaper le proprie capacità globali, bassaautostima, scarsa motivazione allo stu-dio e, più in generale, paura di mettersiin gioco in quelle situazioni che richie-dono una dimostrazione delle propriecapacità.

L’uso della fiaba favorisce nei bam-bini l’espressione di molti aspetti dellavita psichica e al contempo promuoveprocessi di crescita sul piano cognitivo,relazionale e comunicativo.

I Disturbi Specifici di ApprendimentoDSA comprendono un gruppo eteroge-neo di disturbi specifici – dislessia, dis-ortografia, disgrafia e discalculia - cherendono difficoltoso l’apprendimento el’uso della lettura, della scrittura, delleabilità di ragionamento e di calcolocompromettendo il normale processodi evoluzione scolastica. In questi dis-turbi le normali modalità di apprendi-mento appaiono alterate fin dalle fasiiniziali, prima ancora che il problemapossa in qualche modo essere attri-buito a una cattiva scolarizzazione, ametodi di insegnamento inadeguati o acarenze motivazionali relative alle atti-vità scolastiche.

L'Organizzazione Mondiale dellaSanità ha lanciato il preoccupanteallarme sul diffondersi dei disturbi diapprendimento a scuola, consideran-doli una vera e propria “epidemia” alivello mondiale poiché interessano unbambino su cinque e rappresentano unfattore di rischio primario per il futuroscolastico degli alunni e uno dei fatto-ri che maggiormente incidono sulla

salute psichica in età adulta. In lineacon la nuova cultura della salute pro-mossa dall’OMS volta a migliorare laqualità di vita di ciascuna personatirando fuori da questa le sue poten-zialità, nel presente studio è stata uti-lizzata una metodologia clinica cheguardi al bambino con difficoltà diapprendimento nella sua interezza enon alla singola difficoltà.

È proprio all’interno di un interven-to di tipo olistico dei disturbi dell’ap-prendimento, che negli ultimi anni si èassistito ad un rinnovato interessedella letteratura scientifica verso l’uti-lizzo della fiaba nei progetti educativi,riscontrandone la validità strumentale-per il recupero delle difficoltà evolutive(P. Assenza, 1996; M. G. Del Porto, A.Bermolen, 2004).

La fiaba è un racconto fantasticocaratterizzato dalla presenza di situa-zioni e personaggi legati alla magia,alla sfera dell’immaginario dove tutto èpossibile e presenta delle caratteristi-che fisse:i protagonisti sono creatureumane coinvolte in avventure straordi-narie con personaggi dai poteri magi-ci.La fiaba permette di riscoprire lacreatività come momento di formazio-ne ed attraverso di essa è possibileagire sulla stimolazione delle funzionicognitive e sulle capacità di apprendi-mento nei bambini in età scolare.

Scopo di questo lavoro è dunquequello di verificare l’efficacia della fiabain un gruppo di bambini con difficoltà diapprendimento. Si ipotizza inoltre chein seguito al potenziamento delle abili-tà, questo gruppo riduca l’emissione dicomportamenti problematici.Metodolologia

L’obiettivo del gruppo fiaba è aiuta-re questi bambini a provare interesse ecuriosità per attività che solitamentecreano disagio e sono sempre collega-te ad una didattica o sentite comecostrittive. Se da una parte si è opera-to per rinforzare l’area psico-emoziona-

le,dall’altra si è intervenuto affinché ibambini acquisiscano strumentalità estrategie.

Soggetti Il progetto è stato imple-mentato all’interno di due classi ele-mentari (una terza e una quarta) di unascuola primaria di un paese della provin-cia siracusana (Augusta) ed è stato con-dotto da una psicologa psicoterapeuta edue pedagogiste cliniche per la durata diun anno (anno scolastico 2006-07) conincontri settimanali di un ora.

Strumenti Nella fase iniziale tutti glialunni, 17 femmine e 28 maschi, sonostati approcciati attraverso la rappre-sentazione grafica della propria favolapreferita.

Successivamente è stato individua-to un sottogruppo di bambini al quale èstato somministrato la Batteria per laValutazione della Dislessia e dellaDisortografia Evolutiva (G. Sartori, R.Job, P. E. Tressoldi, 1996) e le provePRCR-2 (C. Cornoldi, 1992).

L’elaborazione dei dati ha permes-so di individuare la presenza di seibambini, tutti maschi, con difficoltà diapprendimento(due con dislessia,trecon disgrafia e uno con dislessia e dis-calculia) e disadattamento scolastico.I bambini individuati sono stati inseritiin un gruppo, gruppo-fiaba, all’internodel quale si è utilizzata la fiaba per pro-porre atteggiamenti e percorsi metodo-logici alternativi ad una didattica tradi-zionale.

All’interno del gruppo-fiaba l’inter-vento è stato suddiviso in due aree.

L’area psico-emozionale con loscopo di aumentare la fiducia nelleproprie capacità, stimolare interesseper attività specifiche, raggiungere unamaggiore autonomia e consapevolezzadi sé.

L’area cognitivo-linguistica con ilrinforzo dei prerequisiti di letto-scrittu-ra. Sviluppare capacità tali da utilizzarei contenuti appresi, in modo diverso dacome sono stati acquisiti, stimolati da

I disturbi dell’apprendimento:il gruppo fiaba

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Oslo, Norway 7-10 july 2009

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idee originali, sviluppo di ipotesi eragionamento. Procedura

Avendo come obiettivo generale ilbenessere complessivo dei bambini ecome obiettivi specifici il miglioramen-to delle abilità di apprendimento e lariduzione di alcuni comportamenti pro-blematici, si è deciso di utilizzare leseguenti tecniche: l’osservazione diret-ta, l’uso della fiaba e la sua dramma-tizzazione, il rilassamento e il riequili-brio psico-emozionale.

I primi incontri iniziano con la lettu-ra da parte degli operatori di fiabeconosciute ai bambini, per poi giunge-re alla costruzione inventata di unanuova favola collettiva dove ogni bam-bino contribuisce alla sua realizzazionecon sequenze narrative.

Successivamente i bambini creanole sequenze, le organizzano, le trasfor-mano in testo scritto e raffigurato, infi-ne lo drammatizzano.

Grazie alla fiaba e alla sua dramma-tizzazione il bambino impara a dare ordi-ne a nuove strutture mentali, quali iltempo e lo spazio.

Durante il percorso sono state effet-tuate con i bambini del gruppo fiaba tresedute di rilassamento con l’obiettivo direndere i bambini consapevoli delle sen-sazioni provate e di attivare un processodi apprendimento all’autoregolazionedelle proprie emozioni. Si è ritenutoopportuno estrapolare una parte delmetodo educromo, il riequilibrio psico-emozionale, ed adattarlo alla tematica delgioco-fiaba (G. Pesci, S. Alberti, 2002). Risultati

Al termine del progetto è stato pos-sibile confermare che il gruppo fiaba siè rivelato un utile strumento clinico perfavorire e sviluppare l’equilibrio psico-emozionale nei bambini con difficoltàdi apprendimento.Nella fase conclusi-va del progetto il retest ha permesso diverificare miglioramenti significativi inquasi tutte le aree e in particolare nel-l’area linguistica. Il linguaggio orale eramigliorato sia in produzione che incomprensione; il linguaggio scritto pre-sentava una riduzione significativa delnumero medio degli errori.All’internodel gruppo-fiaba i bambini, valorizzatinella loro interezza di persona, nonsolo avevano sviluppato maggiore fidu-cia nelle proprie capacità, maggioreconsapevolezza di sé ed autonomia,ma avevano sviluppato anche dellecapacità cognitive che gli permetteva-

no di utilizzare i contenuti appresi inmodo diverso da come erano statiacquisiti. Si è osservata infine unariduzione di alcuni comportamenti pro-blematici legati alle difficoltà di appren-dimento: aggressività e impulsività.

I bambini del gruppo-fiaba, nel corsodel progetto, hanno elaborato la lorofiaba dal titolo “Dal sogno alla realtà”nella quale si narrava delle peripezieche due fratelli molto poveri dovevanosuperare per raggiungere il loro sogno,quello di conquistare le principessegemelle. In questa fiaba l’intera trama èpermeata dall’idea che tutto è possibilequando si crede nelle proprie possibilitàed i protagonisti vengono premiati per laloro temerarietà e forza d’animo.Discussione e Conclusioni

I risultati del presente lavoro sem-brano confermare che l’esperienza delgruppo fiaba ha permesso ai suoimembri di sperimentare delle trasfor-mazioni, delle esperienze emotive erelazionali agganciate alla creativitàche li hanno condotti al superamentodelle loro difficoltà. Il gruppo fiabasembra essere infatti uno strumentovalido nel superamento dei disturbidell’apprendimento in quanto diventatema di trasformazioni, un luogo diesperienze positive dove i bambiniopportunamente aiutati fanno un’espe-rienza integrativa in cui lo studio non èscisso dal resto ma agganciato allaloro creatività.

Esso ha permesso di abbandonarela logica della competitività sostituen-dola con quella della cooperazione,favorendo un clima di accettazione,fiducia, collaborazione e comprensionedei propri sentimenti ed emozioni.

Questo studio ha messo in luce cheoggi la scuola, riconoscendo la neces-sità di uscire dalle etichettature dellediagnosi, deve rivolgere i suoi sforzi e lesue energie ad una più preziosa analisisullo stato di necessità dell’alunno,permettendo di decifrare le sue poten-zialità, abilità e disponibilità rendendoolistico l’intervento di recupero.

Sebbene i risultati riscontrati sem-brino incoraggianti, appare evidente lanecessità di ulteriori approfondimentiper accertare la stabilità dei cambia-menti sul lungo termine.

In effetti una delle principali limita-zioni del progetto risiede nell’assenzadi un follow up. Si auspica che in futu-ro la ricerca possa essere replicata sucampioni più ampi.

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Manuale per l’educazione olistica,MacroEdizioni, 1996.

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• Di Pietro M., L’ABC delle mie emozioni, Erickson, Trento, 2007.

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Vincenzo Messineo - psicologo

Il mio lavoro, che nasce da quattroesperienze da me condotte e ancorain essere, è una proposta di inter-

vento psicologico indirizzata a pazientiperlopiù psicotici o autistici adulti, il cuiobiettivo consiste nell'essere per loroun ponte con la realtà, intesa comel'ambiente che li circonda: la famiglia,gli operatori che eventualmente si pren-dono cura di loro e nella migliore delleipotesi anche il sistema sociale piùallargato.

Tale metodo di lavoro ruota intornoad attività pratiche, sociali, di routinequotidiana, di dialogo e di svago svolteda psicologo e paziente fuori dai luoghiistituzionali o ufficiali della cura psicolo-gica e in cui lo psicologo assume unruolo di mediazione e integrazione. Hoavuto modo di constatare che questotipo di intervento è praticato in variecittà da diverso tempo con modalità dif-ferenti ma ancora non ufficiali o orga-nizzate.

Purtroppo la richiesta di questo tipodi intervento nasce spesso da situazio-ni di disagio, causate nel caso di pazien-ti psicotici dal loro rifiuto totale o quasinei confronti di qualsiasi forma di curafarmacologica e maggiormente psicolo-gica, il che si somma a forti resistenzead uscire di casa e a stare in mezzo adestranei. Il mondo li terrorizza e li fasentire inadeguati, generando una fortetendenza all'isolamento.

Quindi l'unico intervento possibile,almeno in una fase iniziale è di tipodomiciliare e anche in questo caso biso-gna stare bene attenti a far abituare ilpaziente alla nostra presenza in casa,fino a diventare una figura di routine,prima di provare qualsiasi tipo diapproccio. In caso contrario i rischi discompenso psicotico sono gravi.

A tal proposito in situazioni partico-larmente difficili è stato necessariocominciare con incontri rivolti agli altricomponenti della famiglia, tra l'altromolto utili per conoscere bene l'anam-

nesi del paziente anche dal punto divista di chi gli sta più vicino, si prendecura di lui ed è parte in causa di talestoria.

Questo tipo di approccio non solo èstato l'unico possibile in alcuni casi, maha il vantaggio di non far sentire ilpaziente braccato, infatti egli accettapiù di buon grado la presenza di uno psi-cologo in casa se percepisce che non èli solo per lui.

Durante le narrazioni dei familiari ilpaziente spesso, pur essendo presentein casa, non interviene stando per lo piùin camera sua, ma ascolta e si abituaalla presenza dello psicologo fino adavvicinarsi per cinque minuti, poi dieci ecosi via.

Col passare del tempo accetteràgradatamente l'aiuto che gli viene rivol-to, capendo che comunque il principaledestinatario è lui anche se non è il solo.Dietro le prime diffidenze, anche se dif-ficili da superare, si può nascondere ildesiderio di essere ascoltati, ma soloda chi sa sospendere ogni giudizio equindi ogni tipo di spiegazione.

Un fattore fondamentale che segestito male può causare serie difficoltàriguarda la consapevolezza da parte delpaziente di chi siamo e di quale è ilnostro ruolo: non si deve mai cederealle richieste dei familiari relative al pre-

sentarci come un amico o altro, spessoquesto tradisce una modalità di comu-nicazione all'interno del sistema paren-tale basata sulle mezze verità che conquesti pazienti non solo non può funzio-nare, ma è fortemente rischiosa e con-troproducente, alimentando le loro para-noie e la sensazione di essere trattatisolo come malati. In merito a questo vaanche sottolineato che un setting dome-stico lascia poco spazio alla privacy,quindi bisogna considerare sempre pre-sente il paziente, anche quando si parladi lui mentre è in un altra stanza, non glisi può tenere nascosto quasi nulla, sipuò solo tentare di fargli usare l'ascoltodel proprio dramma da una voce ester-na a tale dramma, per rileggere la pro-pria vicenda nella speranza di trovare unpo' di pacificazione.

L'ostacolo maggiore è far capiretutto ciò ai familiari e si collega alla dif-ficoltà costante di mediare tra il pazien-te e quest'ultimi per trasmettere che ilsuo linguaggio e il suo mondo interiorevanno capiti e utilizzati, anche perchéogni tentativo di opposizione e di appel-lo alla razionalità per questi soggetti èquasi incestuoso, cioè altamente limi-tante la propria libertà intesa anchecome libertà di vivere.

Un'altra difficoltà incontrata nellamia esperienza con questi soggetti

Fuori dal setting, nuove funzioni della psicologia.

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riguarda l'atteggiamento di sospensio-ne e quindi di non interpretazione damantenere quasi sempre nei confrontidelle loro azioni e delle loro parole.

Ciò aiuta anche ad evitare di porsicome una guida o peggio come unadelle tante figure che impone divieti,prescrizioni e obblighi; rischiando diessere visti come complici della fami-glia o di altre figure normative.

L'unica speranza di alleanza conquesti pazienti consiste nell'esseregarante per loro di uno spazio psicologi-co in cui chi decide è il paziente stesso;questo va sottolineato costantemente ein vari modi al fine di creare quella mini-ma fiducia necessaria per poter agireinsieme.

Riuscire a mantenere tale posizioneè reso difficile sia da fattori pratici cheovviamente rendono necessarie certeprescrizioni (almeno in forma di consi-glio), sia dalle pressioni dei familiari.Bisogna considerare che questi ultimisono coloro che hanno richiesto l'inter-vento e quindi hanno delle aspettative,anche non coscienti, che vanno tiratefuori e spesso rivalutate.

La richiesta reale abitualmente sirileva quella di essere controllori delfamiliare psicotico, influenzandolo neicomportamenti secondo le direttivefamiliari, in base a ciò che si ritienemeglio per lui.

In nessun caso un ruolo normativodi tal genere può essere affidato allopsicologo né in studio né fuori, egli puòsolo essere mediatore e interprete deidiversi linguaggi.

Lo psicologo o l'operatore domicilia-re non può essere un prolungamentodella volontà di qualche parente e que-sto va chiarito per garantire il rispettodel proprio ruolo e quel minimo di auto-nomia necessaria per lavorare bene.

Da tutto questo emerge che l'inter-vento domiciliare rivolto in primis al sog-getto psicotico, in realtà riguarda tutto ilnucleo familiare, coinvolgendo ovvia-mente anche chi ha richiesto per primotale intervento.

Spesso quest'ultimo è consapevo-le di ciò e del proprio vissuto fin dal-l'inizio e quindi chiede aiuto e appog-gio nel gestire una situazione emoti-vamente stressante; ma non è sem-pre così.

Tenendo presente che atteggiamentipositivi o negativi iniziali non corrispon-dono necessariamente ai vissuti interio-ri, bisogna saper essere mediatore in

questo gioco di forze nell'interesse siadel paziente che comunque deve esse-re il nostro primo referente, sia di chi ciha contattato, evitando opposizioni con-troproducenti.

Certe prese di posizione anche segiuste da un punto di vista professiona-le, rischiano nella realtà di tradursi in undanno del sistema relazionale delpaziente che va invece rafforzato emediato.

Un buon obiettivo da raggiungeresarebbe quello di far capire che la volon-tà del soggetto psicotico, ovviamenteentro certi limiti, va rispettata, conside-rando le sue scelte di dignità pari aquelle di chiunque altro. Solo cosi, sen-tendosi trattato dignitosamente, il sog-getto in questione potrà stemperarecerti atteggiamenti o fissazioni cherischiano di isolarlo sempre più.

I soggetti psicotici hanno molta dif-fidenza delle persone, soprattutto se sisentono soffocare psicologicamente. Losi vede anche dagli atteggiamenti postu-rali, non amano il contatto fisico ecces-sivo, in particolar modo se il gesto affet-tuoso o confidenziale non parte daloro,Ma lo spazio a cui più tengono èquello mentale. Non vogliono sentirsiforzati in nulla, neanche nella parola, laloro questione riguarda un posto chenon gli è mai stato dato almeno simbo-licamente, quindi si avvicinano solo achi gli garantisce di non avere nessunapretesa particolare.

È per questo che se percepisconoun operatore troppo vicino a un familia-re si sentono presi in giro, con conse-guenze variabili, anche gravi.

Questo tipo di attività domiciliarequando possibile si estende a luoghiesterni come il quartiere.

Nei casi migliori, in cui le capacitàsociali e gli interessi sono elevati, i con-

fini si allargano all'intera città generan-do una varietà di situazioni e possibiliincontri davvero eterogenea.

Bisogna rinunciare all'idea di set-ting protetto con regole rigide tipicadelle strutture sanitarie locali o deglistudi privati.

Sono necessarie regole flessibili emutevoli, capaci di adattarsi ai diversicontesti fisici e sociali in cui ci si puòtrovare.

Per sapersi orientare sono indispen-sabili delle basi teoriche buone e dellefigure di confronto o anche di supervi-sione, come per esempio operatori, psi-cologi, psichiatri, assistenti sociali chelavorano in strutture pubbliche o privatee che spesso hanno avuto o hanno tut-t'ora in cura questi pazienti, creandocosì una rete che possa sostenerli almeglio nel loro percorso di vita.

È utilissimo il dialogo con chi gesti-sce lo stesso tipo di attività.

Dal confronto continuo di esperienzediverse possono nascere delle lineeguida di questo “setting itinerante”capaci di guidarci nel superare le possi-bili crisi e soprattutto di fissare obbietti-vi reali e raggiungibili.

Il rapporto con questi pazienti purnon essendo imbrigliato da luoghi emodalità di intervento che tendono afarli sentire etichettati, resta terapeuti-co poiché i ruoli son ben definiti, le rego-le del setting rimodellate ma presenti eorientate al sapere psicologico.

La funzione regolatrice di taleapproccio è riscontrabile nei rapporticon i familiari, con l’ambiente sociale econ gli operatori socio-sanitari.

Mi auguro che si valorizzi sempre piùil ruolo di mediatore e traduttore che lopsicologo può assumere per far aderiremeglio questi soggetti alla realtà che licirconda.

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Antonio Narzisi - psicologo, Rosy Muccio - dott.ssa in psicologia

Per molti anni lo studio dell’intelli-genza si è focalizzato principal-mente sull’uso adattivo della

cognizione (Wechsler, 1939; Piaget,1972). Sebbene alcuni teorici comeGardner (1983) e Stenberg (1988)hanno proposto un approccio maggior-mente esplicativo per comprenderel’intelligenza è la pubblicazione delfamoso libro di Goleman (1995),“Intelligenza Emotiva” ad aver resopopolare la visione dell’esperienza edell’espressione delle emozioni comeun dominio della nozione più ampia diintelligenza.

Seppure Gardner (1983) non ha uti-lizzato il termine intelligenza emotiva,la sua concettualizzazione delle intelli-genze intrapersonale ed interpersona-le pone le basi per i successivi model-li dell’intelligenza emotiva.

Infatti il fulcro dell’intelligenza intra-personale è la capacità di capire le pro-prie emozioni, mentre la base dell’in-telligenza interpersonale è la capacitàdi capire le emozioni e le intenzionidegli altri.

Salovey e Mayer (1990), che perprimi hanno usato il termine “intelli-genza emotiva”, hanno presuppostoche essa consiste di tre capacità adat-tive: (1) valutazione ed espressionedelle emozioni; (2) regolazione delleemozioni ed (3) utilizzazione delle emo-zioni per risolvere i problemi.

Mayer e Salovey (1997) oltre ciòipotizzano un modello di intelligenzaemotiva che rivolge particolare enfasialle componenti cognitive e la con-cettualizzano in termini di potenzialeper la crescita intellettuale ed emoti-va del sè.

All’interno di tale prospettiva, l’in-telligenza emotiva può essere conside-rata una funzione metacognitiva e, anostro avviso, potrebbe essere definitacome una manifestazione del “buonfunzionamento” del cosiddetto sé dia-logico (Hermans, 1993).

La teoria del sé dialogico(Semerari, Carcione, Dimaggio et al.,2003) suggerisce che la formazionedel sé è un processo tutt’altro chedicotomico (interno vs esterno) bensìcaratterizzato da dialoghi interni edesterni del soggetto che gli consento-no, al contempo, di distinguere, ricono-scere e organizzare i propri stati inter-ni (rappresentazioni ed emozioni) ediversificare e definire le componentiemotive e cognitive degli stati internidelle altre persone (Narzisi, 2008).

L’obiettivo del nostro lavoro èquello di condurre una ricerca osser-vazionale in merito all’intelligenzaemotiva e l’eventuale correlazionecon il livello di stress in un gruppo disoggetti che svolgono la loro attivitàprofessionale nel settore della tossi-codipendenza.

Materiali e Metodi CampioneLo studio è stato condotto su un

campione di 90 soggetti (41M/49F)che svolgono attività lavorativa pressoun Ser.T. di un provincia della regioneToscana (N = 44) e presso un circuitodi Comunità residenziali situate nelCentro-Nord Italia che si occupano ditossicodipendenza (N = 46).

L’età cronologica dei 90 soggetti ècompresa tra i 24 e i 56 anni (media:33,11; ds: 6,50).

L’intero campione è costituito da10 (6M/4F) medici con specializzazio-ne in psichiatria (MED); 21 (9M/12F)psicoterapeuti (PSY) (15 con laurea inpsicologia e 6 con specializzazione inpsichiatria); 37 (16M/21F) educatori(EDU) (17 con laurea in psicologia, 7con laurea in scienze dell’educazione,13 con diploma di scuola superiore) e22 (10M/12F) infermieri (INF).

Tra i gruppi non è stata rilevata unadifferenza significativa sia per quantoriguarda la distribuzione maschi/fem-mine (Chi² = 15,51; p = .160) e sia perciò che attiene l’età media (p = .056).

Strumenti- 33-item Emotional Intelligence

Scale (33-item EI scale; Schutte, Malouff et al., 1998).È un questionario self-report e i

soggetti rispondono ai singoli itemutilizzando una scala a 5 punti, in cui“1” rappresenta un “forte disaccor-do” e “5” un “pieno accordo”.

Per quanto concerne i punteggi dicutoff faremo riferimento ai dati nor-mativi dell’articolo originale diSchuttle (1998).

- Copenhagen Burnout Inventory(CBI; Kristensen, Borritz et al., 2005)

È diviso in tre sotto-dimensioni:Personal burnout, Work-related bur-nout e Client burnout.

Nel CBI il nucleo del burnout èdelineato dai concetti di “fatigue edexhaustion”.

Questo è in linea con lo sviluppostorico del concetto di burnout econ la definizione di Greenglass(2001) che definisce il burnoutcome “a state of physical, emotio-nal and mental exhaustion thatresults from long-term involvementin work situations that are emotio-nally demanding”. - Toronto Alexithymia Scale – 20

(TAS-20; Taylor et al., 1985).È uno strumento di autovalutazio-

ne su scala Likert e sulla base deipunteggi ottenuti è possibile identifi-care soggetti “non alessitimici”; “inarea limite” e “alessitimici”.

ProcedureAbbiamo consegnato un plico con

i tre questionari a tutti i dipenden-ti/collaboratori (del Ser. T e delleComunità) specificando che al termi-ne della compilazione (entro tre setti-mane dalla consegna) avrebberopotuto inserire il plico all’interno diun apposito raccoglitore che sarebbestato successivamente ritirato da chisi occupava della ricerca.

Intelligenza emotiva e rischio di burnout negli operatori che lavorano con i tossicodipendenti

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Analisi dei datiL’ analisi multivariata della varianza

(MANOVA), l’Eta Square e i tests Post-Hoc sono stati usati per individuareeventuali differenze significative tra igruppi assumendo come significativoun valore di p < 0,01. Il test diSpearman è stato usato per studiarele correlazioni tra i punteggi ottenutidai soggetti ai questionari proposti.

RisultatiIn tabella 1 sono riportati i risultati

della MANOVA e dell’Eta Square. La MANOVA effettuata tra i gruppi

ha mostrato differenze significative tra

i punteggi medi del “33-item EI scale”ed un costrutto del CBI (Personal bur-nout). In particolare, maggiore varianzatra i gruppi si rileva ai punteggi del que-stionario 33-item EI scale (Eta Square= .499).

I confronti Post-Hoc evidenzianouna significatività (p = .000) tra i pun-teggi del gruppo “PSY”, in media i piùelevati, vs i punteggi medi dei singoligruppi MED,EDU ed INF al 33-item EIscale.

Si rileva, in modo analogo, una dif-ferenza significativa (p = .000) tra ipunteggi del gruppo “PSY”, mediamen-te i più bassi, vs i punteggi medi deisingoli gruppi MED/EDU/INF (p =.000)” nella sub-scala PersonalBurnout del CBI.

Correlazioni negative significativemostrano che alti punteggi sulla 33-item EI scale sono associati con pun-teggi più bassi alla TAS - 20.

DiscussioneI risultati ottenuti dai gruppi MED,

PSY, EDU ed INF alla 33-item EI scaleevidenziano punteggi medi più eleva-ti rispetto a quelli riportati dal cam-pione costituito da operatori socio-sanitari nel lavoro originario diSchuttle (1998).

Al CBI non si rileva la presenza diburnout nei gruppi MED, PSY, EDU edINF ed inoltre i punteggi medi che essi

hanno ottenuto nelle sub-scale“Personal burnout” e “Work burnout”sono inferiori a quelli dei dati normatividi riferimento rilevati grazie allo studiodenominato PUMA (Project on Burnout,Motivation and Job Satisfaction;Kristensen, 2005) condotto su unapopolazione di 1914 soggetti.

Alla TAS – 20 i punteggi medi nonindicano presenza di alessitimia neigruppi MED, PSY, EDU ed INF.

Lo studio delle correlazioni ha con-fermato, come ci si poteva attendere,la tendenza inversamente proporziona-le tra alessitimia ed intelligenza emoti-va in tutti i gruppi.

Facendo una disamina “fenomeno-logica” dei nostri risultati il gruppo PSYè quello che mostra una intelligenzaemotiva più sviluppata e una quotaminore di stress al Personal burnoutcome rilevato dal CBI.

Questi risultati preliminaripotrebbero confermare l’ipotesi diuna correlazione negativa tra intelli-genza emotiva e burnout, ovvero chiè meno abile a riconoscere le emo-zioni e a viverle consapevolmente,probabilmente grazie anche ad unasorta di dialogo tra le varie compo-nenti del sé (sé dialogico), potrebbeessere più a rischio di andare incon-tro ad un esaurimento nervoso.

Valori più elevati dell’intelligenzaemotiva, nel gruppo PSY, potrebberoessere, inoltre, attribuiti al trainingpersonale (almeno quadriennale)che questi soggetti seguono perspecializzarsi in psicoterapia. Infattil’obiettivo dei percorsi di training èproprio quello di aumentare la con-sapevolezza dei propri sentimenti esensazioni.

Con questa riflessione comesfondo concludiamo il nostro brevecontributo sintetizzando il quesitotuttora oggetto di ricerca e di stu-dio, ovvero “Cosa c’è veramentedietro l’intelligenza emotiva?

Dotazione, formazione oppure unpò e un pò?”.

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Sergio Oteri - psicologo, Angelida Ullo - psicologo

Idati epidemiologici del 2002 indica-vano circa 1 milione di persone nelmondo sottoposte a dialisi, con un

incremento annuo di oltre il 7%; ciò per-mette di formulare l’ipotesi secondo laquale nel 2010 il numero di personesottoposte a dialisi potrebbe giungere aquasi 2 milioni.

Secondo alcuni autori (4) inoltredovremmo considerare il fenomeno allastregua di un iceberg in quanto per ognipaziente sottoposto a dialisi ve nesarebbero almeno altri 200 con patolo-gie renali, non croniche, ma che potreb-bero necessitare nel futuro di un tratta-mento di tipo dialitico.

Attualmente si stima che in Italia visiano circa 50.000 persone in dialisi,con un’età media di 61,5 anni. Il feno-meno che lega la patologia renale cro-nica alla dialisi potrebbe di prima acchi-to sembrare interessare esclusivamen-te una popolazione adulta.

Dobbiamo invece immaginare chel’emodialisi ed il trapianto di rene sianole tappe finali di una patologia diagno-sticata spesso molti anni prima, ponen-dosi quale condizione cronica e pro-gressiva con la quale il soggetto e isuoi familiari hanno dovuto convivereper lungo tempo.

Un altro dato significativo riguardala mortalità connessa alla nefropatia ealla dialisi; infatti si stima che, non-ostante l’Italia sia il secondo paeseeuropeo per durata di vita in dialisi,ogni anno muoiano il 13,8% dei sog-getti sottoposti al trattamento; ciòsignifica che ogni anno si contano piùdi 6000 decessi tra questi pazienti.

Questi dati numerici devono sugge-rire, oltre alla portata del fenomeno daun punto di vista sanitario, quanto il vis-suto esistenziale di questi pazienti siaintriso di elementi mortiferi con i qualibisogna confrontarsi costantemente.

Inoltre tale terapia, nonostante siaun intervento di life extending, cioè disalva-vita che consente un prolunga-

mento della sua durata, interviene lad-dove una patologia cronica porterebbeal destino ineluttabile di una mortecerta. L’altro aspetto del trattamentodella nefropatia cronica è il trapiantorenale: in Italia, nonostante il progres-sivo incremento del numero di trapian-ti, passando dai 611 nel 1992 a circa1950 nell’anno 2006, abbiamo annual-mente oltre 6000 soggetti in attesa diun trapianto renale che potrebbe nongiungere mai. Per di più, sebbene il tra-pianto venga spesso considerato lasoluzione terapeutica completa e defi-nitiva della patologia renale cronica,impone una condizione di non totaleguarigione costringendo il soggetto adun continuo trattamento al fine digarantire il miglior esito possibile e unalunga durata dell’organo trapiantato. Ilrene è infatti un organo che una voltatrapiantato ha una vita che normalmen-te non supera i 15-20 anni.

Nonostante tale numero di annipossa apparire sufficiente per garantireuna lunga sopravvivenza, soprattuttoper quei pazienti che hanno già rag-giunto la maturità o addirittura la vec-chiaia, per i giovani pazienti trapiantatiin età pediatrica tali dati prospettanoinevitabilmente uno scenario futuro nelquale si riaprirà la necessità di ripren-dere il trattamento dialitico ed even-tualmente un nuovo trapianto.

Ciò rimanda alla difficoltà emotiva,affettiva e simbolica dei piccoli pazientie delle loro famiglie nell’affrontare enell’elaborare psicologicamente la con-dizione di sofferenza fisica e i fantasmiche aleggiano dietro di essa.

Dalla patologia cronica renale, indefinitiva, non si può mai guarire.Anzieu scrive (1): «...un dolore intensoe duraturo disorganizza l’apparato psi-chico, minaccia l’integrazione di psichee corpo, intacca la possibilità di desi-derare e la capacità di pensiero...ildolore occupa tutto il posto e Io nonesisto più in quanto soggetto attivo

(Je): esiste solo il dolore…Il dolore senon curato ed affrontato in manieraadeguata minaccia di distruggere lastruttura stessa dell’Io-pelle, cioè loscarto tra la faccia interna ed ester-na…». E ancora la Bonino scrive (2)“…in generale la vita del paziente cro-nico si svolge in un clima d’incertezza edi ansia per il futuro, sul quale pende incontinuazione la minaccia dell’aggrava-mento della patologia, delle complica-zioni e della morte”.

Alcune ricerche internazionali hannomesso in evidenza le numerose compli-canze conseguenti alla nefropatia cro-nica e al trattamento dialitico: disturbisomatici, disfunzioni sessuali, compro-missione dell’assunzione dei ruolisociali connessi al sesso e all’età d’ap-partenenza, alterazioni della propriarappresentazione psicocorporea. Le dif-ficoltà connesse alla patologia compro-mettono l’autosufficienza dell’individuoalimentando invischianti dinamiche didipendenza della famiglia d’origine eostacolando lo sviluppo della propriaautonomia e dell’identità soggettiva.

Quanto più precoce è la diagnosi dinefropatia e l’inizio del trattamento dia-litico tanto maggiori saranno gli effettidella patologia cronica sul soggetto.

Le dinamiche familiari vengono cosìsignificativamente determinate dallapresenza al suo interno di un soggettocostretto a continue consulenze medi-che e ad un trattamento così frequentee invadente quale la dialisi. Spesso gliassetti familiari si strutturano sullagestione della malattia assumendoconnotazioni ambivalenti che oscillanotra la gestione ed il contenimento dellasofferenza del piccolo paziente finverso l’invischiamento totalizzante cheimpedisce una libera e spontanea cre-scita verso l’autonomia. Il tempo, lospazio e le risorse del soggetto, maanche della famiglia, soprattutto nelcaso di pazienti in età pediatrica, ven-gono scanditi e ritmati dalla necessità

Dialisi e trapianto renale in pazienti pediatrici: affetti, emozioni, rappresentazione identitaria e immagine corporea.

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della dialisi. Ben presto tale terapia, la macchina

e anche l’equipe curante vengonoproiettivamente investite da elementisimbolici ambivalenti che attengonoalla doppia valenza che essi rappresen-tano: da un lato fonte di vita e soprav-vivenza; dall’altro lato vincolo indissolu-bile dal quale dipendere per poter con-tinuare a vivere. In tale substrato rela-zionale e simbolico si intessono com-plesse dinamiche tra i pazienti, le fami-glie e gli operatori.

Molto spesso quest’ultimi costitui-scono lo schermo su cui proiettareansie, angosce, aggressività, ma pursempre rimanendo i contenitori e icustodi dell’integrità psicofisica e dellaprogettualità di questi paziente.

Un ampio studio condotto in Russiaha evidenziato il progressivo incremen-to di sintomi psichiatrici (ansia edepressione) con l’aumentare deltempo dall’inizio del trattamento dialiti-co. Inoltre lo stesso studio ha mostratouna correlazione inversa tra l’età e l’in-cremento di disturbi psichici: quantopiù giovani sono i pazienti, tanto mag-giore sarà la sofferenza psichica daloro sperimentata.

Nonostante le ricerche sin’ora con-dotte non sempre mostrano risultatisovrapponibili è possibile rintracciare inmodo trasversale la presenza di alcunielementi sintomatici ricorrenti in misu-ra significativamente superiore rispettoalla popolazione normale: ansia,depressione, insonnia, irritabilità.

Tali dati rimandano all’esperienza digrande sofferenza psicofisica alla qualesono sottoposti i pazienti in dialisi.

Tale esperienza viene vissuta spes-so in modo traumatico a tal punto dainscriversi nella storia soggettivaquale ferita psichica difficilmenterimarginabile.

Nella nostra ricerca, effettuata pres-so il Reparto di Nefrologia Pediatrica delPoliclinico di Messina, in collaborazionecon l’Associazione A.P.R.O. di Messina(Associazione Pazienti Riceventi Organi),abbiamo coinvolto 21 pazienti con un’e-tà compresa tra i 10 e i 24 anni in trat-tamento dialitico e dopo il trapiantorenale.

La durata del trattamento dialitico deisoggetti intervistati varia da 1 mese a 4anni, mentre il numero di anni dal tra-pianto renale variava dai 4 agli 11 anni.

Abbiamo ideato un protocollo testo-logico costituito dalla TAS 20 (Toronto

Alexithymia Scale), LCB (Locus ofControl of Behaviour), POMS (Profile ofMood States), DMI (DefenseMechanism Inventory), Test Grafici(Figura Umana, Albero e Famiglia).

L’utilizzo di tali strumenti ha miratoad indagare quale fosse la condizioneemotivo-affettiva correlata alla patolo-gia renale e al trattamento, quali stru-menti difensivi e che stile di copingfosse maggiormente presente e cometale condizione influenzasse la rappre-sentazione corporea di questi giovanipazienti.

Dall’elaborazione dei dati comples-sivi non abbiamo rintracciato valorisignificativi relativamente a tratti ales-sitimici.

Il locus of control dei pazienti erasostanzialmente di tipo interno, a diffe-renza del gruppo di controllo nel qualevi era una maggiore tendenza ad avereun locus of control di tipo esterno.

I valori ottenuti alla POMS hannoindicato la prevalenza, nel gruppo deipazienti, di stati emotivi caratterizzatida Rabbia, Stanchezza e Confusione.

Di fronte a tale condizione di fortestress psicofisico i giovani pazientihanno mostrato di prediligere meccani-smi difensivi (DMI) quali laPrincipalizzazione e il Rovesciamento(Negazione, Formazione reattiva).

Noi riteniamo che tali strategiedifensive mirino ad attenuare l’impattopsicologico che la malattia e la soffe-renza fisica hanno sull’equilibrio psichi-co complessivo.

Dalle elaborazioni grafiche eseguitedai ragazzi abbiamo avuto modo di trar-re significativi elementi relativi alla lororappresentazione psicocorporea.

Infatti, nonostante tali elaborativadano letti all’interno di un quadrosoggettivo unico e irripetibile, vi sonodelle caratteristiche ricorrenti.

Nei disegni abbiamo spesso rintrac-ciato l’omissione di alcune parti delcorpo ed in particolare a carico degli artisuperiori. Il braccio tralasciato nel dise-gno trovava una corrispondenza con ilbraccio nel quale era stata impiantata lafistola necessaria alla dialisi.

Un’attenzione particolare va riserva-ta alla valenza simbolica della fistola inquanto essa costituisce l’accesso arte-ro-venoso atto a garantire la filtrazioneematica extracorporea e rappresenta ilpunto cardine del corpo che viene siste-maticamente penetrato, offeso, “attac-cato” ad ogni seduta al fine di consen-

tire il collegamento al rene artificiale. È infatti questo il termine utilizzato

per sancire l’inizio della seduta dialiti-ca; “attacco”, richiamando la doppiavalenza costituita dal legame allamacchina, ma anche di aggressioneai confini identitari e all’integrità psi-cocorporea.

La fistola, soprattutto nei giovani vaoccultata, negata per non rischiare diapparire diversi e/o malati agli occhidei coetanei; ma la fistola va anchecustodita e protetta per assicurarne lasua efficienza e la sua funzionalità, pergarantire la propria sopravvivenza.

Nei disegni della figura umana ese-guiti da un ragazzo di 21 anni dopo 4anni di dialisi, e da una ragazza di 19anni dopo 7 anni dal trapianto renale, sievidenzia quanto tale ferita sia ancoraviva e presente nella rappresentazionecorporea di questi due giovani.

L’omissione delle braccia, spesso incoincidenza con l’arto interessato dallafistola artero-venosa, segnala, presumi-bilmente, oltre ad una conflittuale sim-bolizzazione di una parte del corpo par-ticolarmente interessata dalla malattiaanche alla difficoltà dei pazienti negliscambi interpersonali.

Le dimensioni dei disegni deipazienti in dialisi tendono a diminuirecon il proseguio del trattamento, espri-mendo quindi un processo di coartazio-ne ed inibizione affettiva.

In conclusione dobbiamo considera-re la nefropatia cronica e la dialisi unacondizione che provoca, soprattutto neigiovani pazienti, una profonda sofferen-za psichica, lasciando spesso delle feri-te che si inscrivono stabilmente nell’i-dentità psicocorporea soggettiva.

I pazienti, al fine di affrontare l’im-patto psicologico che la loro condizionemorbosa comporta, tendono ad utilizza-re alcune strategie difensive quali larazionalizzazione e il rovesciamento.

Attraverso alcuni strumenti proiettiviè possibile rintracciare alcuni segnali ditale disagio e alcuni elementi di conflit-to a carico della rappresentazione cor-porea.

Riteniamo pertanto che tale patolo-gia vada approcciata attraverso unmodello olistico capace di cogliere lesfumature e le complicazioni psicologi-che al fine di favorire un supporto chesappia sostenere i pazienti, le famigliee l’equipe curante nel complesso com-pito di gestione ed elaborazione dellamalattia.

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Mariano Pizzo - psicologo

All’interno del processo di sele-zione del personale aziendale(reclutamento, valutazione e

inserimento del personale), nel momen-to della valutazione, l’intervista di sele-zione rappresenta lo strumento princi-pale di incontro e conoscenza fra l’a-zienda e candidato.

Il Modello Pluralistico Integrato (MPI)dell’intervista di selezione (Giusti E.;Pizzo M., 2003) nasce dall’esperienzadegli autori in ambito selettivo, nel ten-tativo di creare un metodo di intervistastandardizzato e guidato (o semi-strut-turato) che rappresenti un contenitoredel rapporto fra intervistatore e intervi-stato, in modo tale sia di organizzare inmaniera sistematica e coerente le diver-se variabili (indipendenti e dipendenti)che intervengono nel processo di cono-scenza dell’individuo, sia di creare unostrumento flessibile affinchè l’intervi-statore lo possa utilizzare a prescinderedal proprio orientamento teorico e tecni-co di indagine della personalità.

La finalità del lavoro è quella didescrivere circa 2 anni di esperienza nelcampo della selezione del personaledell’Esercito utilizzando come strumen-to di indagine il MPI di intervista, in par-ticolare, seguendo alcuni suoi parametridi set e setting dell’intervista e il suogrado di strutturazione, descrivere la dif-ferenza fra l’applicazione dello strumen-to nel suo versante clinico, per la valu-tazione della personalità, e nel suo ver-sante attitudinale, per la valutazione dideterminate capacità richieste nei diffe-renti ruoli professionali (Volontari,Ufficiali e Sottufficiali), mettendone inevidenza le differenze strutturali e laflessibilità di impiego.L’intervista di selezione secondo ilModello Pluralistico Integrato (MPI).

Per MPI di intervista di selezione siintende: “un particolare tipo di colloquiopsicologico guidato (o semi-strutturato),con caratteristiche antropologiche, incui si incontrano psicologo e candidato

(interista a due) con una modalità par-tecipativa”; esso si basa su considera-zioni fenomenologiche ed esistenzialidell’individuo. Nell’ottica della preven-zione dell’errore, cioè dell’analisi accu-rata di tutte le varie componenti checostituiscono l’intervista, i parametrifondamentali, che caratterizzano la suastruttura (set e setting), ne rappresen-tano le variabili indipendenti dal camporelazionale in cui l’intervista si svolge eche condizionano il processo di cono-scenza fra intervistatore e intervistato,sono: il contesto o set dell’intervista(es. luogo, luce, distanza fra gli attori,posizione delle sedie, ecc.) e le fasiprincipali (pre-contatto, dinamica delcontatto e post- contatto) della relazioneo setting dell’intervista; in particolare,nella fase della dinamica del contatto: iperiodi principali, le dimensioni del Sé(Intelligenza, Personalità, ecc.), le areedi indagine (Sociale, Emozionale, ecc.) el’ascolto attivo. Tali parametri sonostandardizzati, coerenti fra di loro e conle teorie gestaltica e rogersiana di inda-gine e conoscenza della personalità.

Il contesto o set in cui si svolge l’in-tervista rappresenta il contenitore dellarelazione o setting fra intervistatore eintervistato; entrambi hanno la necessi-tà di un ambiente sicuro e protetto,accogliente e caloroso, in modo tale checi si possa rilassare e sentirsi a proprioagio; in questo modo si creano le pre-condizioni gestaltiche necessarie perinstaurare fra di loro un legame di fidu-cia. In questo senso ogni suo aspetto(es. dimensioni della stanza, la porta, lefinestre, ecc.) rappresenta una variabileche concorre a realizzare una coerenzainterna e la potenza di indagine dell’in-tervista. Anche l’abbigliamento e la curadell’intervistatore fanno parte del set ea tale proposito è consigliabile un abbi-gliamento decoroso e consono all’am-biente di selezione.

Le fasi principali del processo rela-zionale o setting dell’intervista, in accor-

do con la teoria gestaltica, sono carat-terizzate da tre momenti fondamentali:precontatto, dinamica del contatto(presa di contatto e contatto pieno) epostcontatto (ciclo del contatto-ritiro);esse si differenziano in relazione allecaratteristiche di personalità da indaga-re previste per il ruolo professionale.

Nella fase di Pre-contatto lo psicolo-go studia principalmente la cartella delcandidato (composta da: test sommini-strati e questionario biografico in accor-do con le caratteristiche di personalitàda indagare); formula delle ipotesi daverificare successivamente e, in relazio-ne a queste ipotesi, imposta l’indaginedella personalità.

Nella Dinamica del contatto lo psi-cologo segue soprattutto i periodi prin-cipali dell’intervista e indaga le dimen-sioni del Sè attraverso le aree di indagi-ne, l’osservazione (verbale e non verba-le) e il linguaggio (formulazione guidatadelle domande).

In particolare i periodi principali del-l’intervista secondo l’MPI sono: 1.Accoglienza e presentazione reciproca,2. Indagine sulla motivazione e analisidella domanda, 3. Indagine sulle carat-teristiche di personalità del candidato(es. struttura di personalità, capacità,attitudini, ecc.), 4. Comunicazione (resti-tuzione o feedback) dei risultati testolo-gici al candidato e 5. Saluto finale. IlMPI dell’intervista prevede di seguire iperiodi in modo ordinato (da 1 a 5)senza la possibilità di passare al perio-do successivo prima di aver conclusoquello precedente.

Nella fase di Post-contatto, infine, lopsicologo compila, in modo coerente, lediverse parti della cartella (es. espres-sione di valutazioni, elementi emersidalla relazione, dall’indagine dei test odal questionario biografico).

Per l’intervistatore esiste la necessi-tà, alle volte, di creare differenti intervi-ste psicologiche guidate in relazione aidifferenti obiettivi selettivi delineati

Il Modello Pluralistico Integrato (MPI)di intervista di selezione: descrizione

di una esperienza professionale. The 11th European Congress of Psychology

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dalla committenza (es. differenti profiliprofessionali, specifiche aree e caratte-ristiche del candidato,ecc.).

È allora necessario adattare l’MPI diintervista ai differenti contesti di sele-zione. Tale flessibilità del modello siottiene considerando il grado di struttu-razione dell’intervista, rappresentatadai quadranti che si formano dall’inter-sezione di due assi costituiti da duemodalità di conduzione, precisamente:l’asse delle ascisse formato dagli estre-mi intervista strutturata-intervista nonstrutturata; l’asse delle ordinate forma-to dagli estremi profondità-superficie.

In relazione, dunque, al grado distrutturazione si è avuta la possibilità,in sede di selezione per il personaledell’Esercito, di adattare i parametri delMPI dell’intervista ai differenti contesti,clinico e attitudinale, definiti dalla com-mittenza. L’applicazione del MPI di intervista inambito di selezione clinica e attitudinale.

Presso il Centro di Selezione eReclutamento Nazionale dell’Esercito(C.S.R.N.E.) di Foligno è concentrata laselezione del personale della ForzaArmata per i suoi diversi ruoli professio-nali (Volontari, Sottufficiali e Ufficiali).L’iter selettivo generalmente prevede peri partecipanti le seguenti prove: presele-zione culturale, visite mediche, valutazio-ne attitudinale ed efficienza fisica; taleiter è previsto e regolato dalla GazzettaUfficiale differente per i diversi concorsibanditi dalla Forza Armata. Ogni annopresso il Centro afferiscono migliaia dicandidati appartenenti ad ambo i sessi.

In particolare la selezione medica hacome finalità quella di verificare il pos-sesso da parte dei candidati di determi-nati requisiti psicofisiologici (es. peso,altezza, vista, ecc.), fra cui una strutturadi personalità che non pregiudichi l’a-dattamento del candidato alla vita mili-tare; la selezione attitudinale ha la fina-lità di verificare la presenza nei candi-dati di determinate capacità comporta-mentali richieste dal ruolo professiona-le e afferenti a diversi aspetti della per-sonalità (es. motivazione, relazione,ecc.). In questi ultimi due anni gli psico-logi che operano presso il Centro sonoimpegnati sia nella valutazione dellapersonalità per la parte medica, sianella valutazione delle capacità indivi-duali (es. capacità di cooperazione,capacità di risolvere problemi, ecc.) perla parte attitudinale.

Il campione di riferimento del pre-

sente lavoro è rappresentato dal perso-nale che in questi due anni si è avuta lapossibilità di conoscere e valutare inentrambi gli ambiti di indagine, medicae attitudinale; si tratta di almeno 2000candidati (in media n. 5 colloqui per225 giorni lavorativi l’anno) di entrambii sessi, di cui circa 500 di sesso fem-minile e 1500 di sesso maschile, conun’età compresa fra i 18 e i 35 anni,provenienti da diverse regioni dell’Italia.

Per la valutazione della personalità èstata utilizzata l’MPI di intervista ed èstata somministrata precedentementeuna batteria di test di personalità per lavalutazione clinica, fra cui l’MMPI-2; perla valutazione delle capacità attitudinaliè stata utilizzata l’MPI di intervista ed èstata somministrata precedentementeuna batteria di test di personalità, fracui il Big Five Questionnaire, e il que-stionario biografico.

I risultati dell’impiego indicano cheesistono delle differenze fondamentalifra le due modalità di utilizzo dell’MPI diintervista, che riguardano sia i parame-tri del set e del setting sia il suo gradodi strutturazione. In particolare, perquanto riguarda il set, fermo restando glialtri elementi (es. luce, dimensioni dellastanza, ecc.), in quello per la valutazioneclinica sono stati introdotti due fattoristressanti (o stressor) in più rispetto aquello per la valutazione attitudinale: lascrivania come divisore fra i due interlo-cutori e la maggiore distanza del candi-dato dallo psicologo; ciò al fine di faremergere con più facilità eventuali diffi-coltà di adattamento del candidato.

Per quanto riguarda il setting dell’in-tervista, fermo restando gli altri elemen-ti, nelle fasi principali emergono leseguenti differenze fondamentali:

• nella fase di pre-contatto la com-posizione della cartella “clinica” e quel-la “attitudinale” è differente, in quantodifferenti sono la tipologia di test som-ministrati precedentemente ai candidatie, inoltre, la cartella per la valutazioneattitudinale si compone anche del que-stionario biografico;

• nella dinamica del contatto, perquanto riguarda le dimensioni del Séindagate nel 3° periodo principale dei 5:mentre in quella di tipo clinico si focaliz-za l’indagine della struttura della perso-nalità, divenendo più un colloquio di tipopsicodiagnostico, rimanendo sullo sfon-do l’indagine delle altre dimensioni; inquella di tipo attitudinale si focalizza l’at-tenzione più sulle competenze e sulla

motivazione, in particolare per indagarel’espressione del candidato di alcunecapacità individuali (es. capacità di lavo-rare in gruppo, capacità di risolvere pro-blemi, ecc.) stabilite nel profilo profes-sionale del ruolo oggetto di concorso;

• nella fase di post- contatto: mentrenella cartella per la valutazione della per-sonalità è previsto un solo giudizio o laproposta di un approfondimento di collo-quio psichiatrico, in relazione alla pro-spettiva di adattamento della struttura dipersonalità del candidato all’ambientemilitare, nella cartella per la valutazioneattitudinale sono previsti diversi giudiziin relazione alle differenti capacità attitu-dinali oggetto di indagine, oltre che lerisultanze del questionario biografico.

Per quanto riguarda il grado di strut-turazione, infine, identificato dagli assiintervista strutturata-intervista non strut-turata e profondità-superficie, mentrel’MPI di intervista per la valutazione dellapersonalità si trova nel 1° quadrante,l’MPI di intervista per la valutazione atti-tudinale si trova nel 3° quadrante.Conclusioni.

La continua esperienza in ambitoselettivo, l’esperienza psicodinamica ditipo clinico e il contributo, teorico e tec-nico, di diversi approcci epistemologicidi conoscenza e indagine dell’individuo(es. Gestaltica, Rogersiana, cognitivo-comportamentale, ecc.), rendono il MPIdell’intervista di selezione uno strumen-to con solide basi scientifiche e flessi-bile dal punto di vista dell’impiego,come dimostra l’esperienza descritta inambito della selezione del personaledell’Esercito. Può essere utile, dunque,mettere a disposizione della comunitàscientifica lo strumento e aprire un con-fronto costruttivo su di esso, in modotale da perfezionarlo nei suoi aspetticon i contributi di altri ricercatori e poter-lo impiegare in altri contesti di selezionedel personale (e non solo).

Ringrazio sentitamente l’Ordine degliPsicologi della Regione Siciliana peravermi dato l’opportunità di partecipareal Congresso Internazionale di Oslo.

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Antonio Prestidonato - psicologo, Cristina Lanzarone - psicologo, Maria Manto - psicologo

Il presente disegno di ricerca nascedall’esigenza di valutare i cambia-menti fisici e psicologici in pazienti

obesi sottoposti a chirurgia bariatrica. Da una lettura preliminare dei dati

raccolti, è emerso un risultato positivointeso come un miglioramento sullaqualità di vita percepita da tutti i sog-getti della nostra ricerca. In particolarmodo, sono stati verificati un supera-mento delle difficoltà fisiche legateall’obesità, una migliore qualità dellerelazioni interpersonali, nonché unaumento dell'autoefficacia percepita(Bandura, 1977).

In conclusione i dati di questa ana-lisi longitudinale hanno convalidato l’i-potesi iniziale di un cambiamento delleabitudini alimentari che dà origine aduna migliore qualità di vita e anche unsignificativo apprendimento che produ-ce dapprima una modificazione com-portamentale e successivamente unamodificazione cognitiva. INTRODUZIONE

Tra i differenti approcci al tratta-mento dell’obesità, la chirurgia baria-trica sembra quella che possa rappre-sentare la soluzione risolutiva e spes-so quella finale a cui, oggi, moltipazienti ricorrono per un possibilemiglioramento della qualità di vita.

Sono state messe in atto da alcunianni specifici protocolli di interventoper ridurre la possibilità di ricadute eoggi, tra le varie strategie, gli interven-ti cognitivo-comportamentali individualio di gruppo appaiono l’elemento cen-trale di ogni intervento finalizzato almantenimento di risultati positivi deltrattamento terapeutico.

Il modello cognitivo-comportamen-tale risulta quello più appropriato adintegrare le modificazioni dei compor-tamenti alimentari con il processo diristrutturazione cognitiva (Molinari eRiva, 2004), perché capace di identifi-care e modificare alcune convinzionidisfunzionali legate alla malattia e che

generalmente implicano il fallimentodel programma terapeutico.

Obiettivo generale di questa ricer-ca diviene la necessità di valutare icambiamenti fisici e psicologici neipazienti obesi sottoposti a chirurgiabariatrica.

E grazie alla collaborazione tra ilreparto di “Chirurgia Generale ad indi-rizzo Oncologico” e il “ServizioInterdipartimentale di Psicologia” dell’AOUP “P. Giaccone” di Palermo, è statopossibile effettuare la presente ricerca,da cui ci si aspetta che, in seguito agliinterventi chirurgici finalizzati alla perdi-ta di peso, si possano verificare deicambiamenti comportamentali correlatia un miglioramento della qualità di vita.

I supporti teorici da cui la ricercatrae la sua scientificità fanno riferimen-to alle Neuroscienze, secondo cui “i pro-cessi biologici del cervello danno originead eventi mentali e come a loro volta ifattori sociali modulano le strutture bio-logiche del cervello” (Kandel, 1998).

L’intervento chirurgico a cui ipazienti obesi sono stati sottoposti è ilbendaggio gastrico - Il BendaggioGastrico Regolabile, introdotto daKuzmak nel 1986 è un nastro di silico-ne elastomero (biocompatibile) colle-gato ad un piccolo serbatoio, si intro-duce chirurgicamente attorno allaparte più alta dello stomaco. Lo sto-maco assume una forma di "clessi-dra", la parte superiore "tasca gastri-ca" è di volume molto ridotto, la partedi stomaco al di sotto del bendaggio èpiù ampia.- laparoscopico che limital’introito gastrico alimentare mediantela riduzione della capacità gastrica eviene percepito come un aiuto nel rag-giungimento dell’obiettivo della perditadi peso (Lang, T., et al., 2002).

Questa limitazione agisce nei con-fronti del cibo producendo una sensa-zione sgradevole (nausea o pienezza),che dal punto di vista comportamenta-le si configura come uno stimolo aver-

sivo, il quale ripetendosi nel tempo pro-duce un cambiamento cognitivo.

La restrizione gastrica provoca neipazienti una sensazione di pienezzaall’atto dell’assunzione del cibo, checomunque va distinta dalla sensazionedi sazietà. Infatti, nei periodi appenasuccessivi all’impianto del band gastri-co, i soggetti mantengono una sensa-zione di fame persistente, correlataperò ad uno stimolo aversivo che fapercepire lo stomaco pieno ed un con-seguente senso di nausea che impedi-sce loro l’assunzione di altro cibo(Wing R.R., 1998).

Le osservazioni nel tempo su que-sti pazienti mostrano come la mutazio-ne fisiologica dell’apparato gastrico,prodotta dopo circa 3 settimane, portia una modificazione della percezionecerebrale del senso di fame.

Infatti, lo stimolo aversivo di pie-nezza va a sincronizzarsi con il sensodi sazietà come un vero e proprio pro-cesso di apprendimento. Esso puòessere spiegato come una modificazio-ne che consegue o viene indotta daun’interazione con l’ambiente ed è ilrisultato di esperienze sedimentate nelpercorso evolutivo (inteso sia a livelloontogenetico che a livello filogenetico)dell’individuo, come risposte a stimoliesterni (Kandel E.R., et al., 2000).

Nella ricerca in oggetto l’apprendi-mento di una nuova condotta alimen-tare crea nell’individuo nell’arco di untempo di 6 mesi una modificazionecomportamentale, che produce unaforte riduzione del peso ponderale.

Consequenzialmente, nell’arco diun anno, il soggetto ottiene un notevo-le rinforzo prodotto da una migliorequalità della vita percepita. Si tratta dinuovi stili di vita che accrescono lacapacità di apprendere nuove condottealimentari che da un livello puramentecomportamentale vengono riportate aun livello cognitivo, che origina a suavolta una maggiore consapevolezza di

MODIFICAZIONI COMPORTAMENTALINEI GRAVI OBESI DOPO INTERVENTO DI BENDAGGIOGASTRICO

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benessere che stabilizza stili di vita vir-tuosi.MATERIALI E METODOLOGIASoggetti:

Il campione analizzato riguarda 30soggetti di età compresa tra 18 e 60anni, affetti da obesità grave da alme-no cinque anni, di sessi diversi: 15maschi e 15 femmine.

Tale campione è stato attentamen-te selezionato in base a criteri di “com-pliance” del paziente (Poole N.A., etal., 2005).

Infatti, risultano fondamentali per labuona riuscita di un intervento di chirur-gia bariatrica, una congrua motivazioneal cambiamento, un’adeguata metaco-gnizione sulle difficoltà che l’obesità pre-senta e la capacità di volere mettersi ingioco, variando le proprie abitudini ali-mentari (Vallis M.T., Ross M.A., 1993).

Sono stati perciò esclusi dal campio-ne tutti i soggetti che sono risultati posi-tivi ad analisi medica e psicologica per:abuso di alcool e di stupefacenti, pre-senza di patologie intestinali, epatiche erenali, presenza di cause endocrine, pre-senza di disturbi del comportamento ali-mentare (Binge Eating Disorder) presen-za di Emotional Eating e CondotteCompensatorie (Powers, 1999).

I soggetti della ricerca sono stativalutati con una metodologia longitudi-nale in tre differenti fasi:-T0: fase preoperatoria, considerandola loro situazione come tempo zero, incui non si sono verificati cambiamenti. -T1: fase di follow-up dopo sei mesi,considerando la loro situazione comeperiodo in cui si verificano i primi cam-biamenti comportamentali.-T2: fase di follow-up dopo un anno, in

cui ci si aspetta che oltre ai cambia-menti comportamentali vi si una modi-ficazione anche dello stile di vita. Strumenti

Il campione è stato sottoposto nelledifferenti tre fasi ai seguenti questionari:- B. E. S. (Binge Eating Scale diGormally et al., 1982), una scala adat-ta ad approfondire le gravità delleabbuffate, i comportamenti e le emo-zioni ad esse associate, appositamen-te studiata per i pazienti obesi.Somministrato nel T0, per escluderetale sintomatologia, la cui presenzanon permette l’intervento di bendaggiogastrico laparoscopico.- O.R. Well-97 (Obesity Related Well-Being di Manucci E. et al., 1999): que-stionario valutativo della qualità dellavita nei soggetti obesi, somministrato intutte le fasi della ricerca (T0, T1 e T2). - Questionario Monitoraggio ObiettiviRaggiungibili (M. Manto, A. Prestidonato,C. Lanzarone 2005), somministrato nelT1 e T2. RISULTATIAnalisi dei dati

Dall’analisi dei dati relativi ai punteg-gi percentuali ottenuti dal campione,suddiviso in maschi e femmine, alQuestionario Monitoraggio ObiettiviRaggiungibili, nei due differenti periodiT1 e T2., sono stati analizzati i principa-li fattori che vanno a sondare l’apprendi-mento di nuove condotte alimentari inseguito all’intervento chirurgico. Gli indi-catori selezionati dagli strumenti mostra-no il livello di apprendimento raggiuntodai pazienti come modifica delle propriecondotte alimentari, con conseguentemiglioramento della qualità della vita.

In particolare, l’intervento modifica

biologicamente e cognitivamente lostato del paziente che registra neiprimi sei mesi di attività un entusia-smo per le novità apprese. I successi-vi cambiamenti, percepiti dapprimacome repentini ed innovativi per la vitadel paziente, generano negli stessi unanormalizzazione delle aspettative.

E ciò questo dimostra una soprag-giunta capacità di interiorizzare lenuove condotte alimentari.

Dall’analisi dei punteggi ottenuti all’O. R. Well dal campione suddiviso inmaschi e femmine, nei tre differentiperiodi To , T 1 e T2. è stato possibileanalizzare il miglioramento della qualitàdella vita e le modifiche delle condottenel tempo. Il passaggio dalla fase preo-peratoria a quella postoperatoria, entroi sei mesi, conferma una accentuatamodificazione degli stili di vita deipazienti, soggetti a normalizzazione neitempi successivi.

Le fasi postoperatorie, poi, registra-no una modificazione del sé corporeocome riappropriazione di comportamen-ti “normalizzati”. DISCUSSIONE

Gli strumenti hanno rilevato alcunedifferenze di genere tra i soggetti ana-lizzati. L’obesità risulta per le donneuna condizione non socialmente accet-tata, mentre per i maschi gli indicatorisociali sono meno rilevanti rispetto allevariabili di prestanza fisica.

Nelle fasi post-operatorie le donnesembrano riappropriarsi del sé corpo-reo e percepiscono in modo piacevolela nuova forma, mentre gli uomini regi-strano positivamente l’avvenuta nor-malizzazione di un percorso atteso.CONCLUSIONE

La presente ricerca conferma l’ipo-tesi iniziale di un cambiamento delleabitudini alimentari che dà origine aduna migliore qualità di vita a soggetti dif-ferenti per sesso sottoposti a bendag-gio gastrico. Viene registrato come unsignificativo apprendimento correlato aun mutato substrato fisiologico (bandGastrico) produca dapprima una modifi-cazione comportamentale e successiva-mente una modificazione cognitiva.

L’intervento di Bendaggio Gastrico,partendo da uno stimolo aversivo neiconfronti del cibo, crea nei soggettiuna riappropriazione della capacità digestire le proprie condotte alimentari,determinando una migliore qualitàdelle relazioni interpersonali e unaumento dell’autoefficacia percepita.

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Laura Rugnone - psicologo

I“Fino a quando noi possediamo ilcorpo e la nostra anima resta invi-schiata in un male siffatto, noi non

raggiungeremo mai in modo adeguatociò che ardentemente desideriamo,vale a dire la verità…Pertanto, neltempo in cui siamo in vita, come sem-bra, noi ci avvicineremo tanto più alsapere quanto meno avremo relazionicol corpo e comunione con esso…Ecosì liberati dalla follia del corpo,come è verosimile, ci troveremo conesseri puri come noi e conosceremo,nella purezza della nostra anima, tuttociò che è puro: questo io penso è laverità”.

In questa citazione, tratta dalFedone di Platone, possiamo rintraccia-re il primato dell’idea e dello spiritosulla materia e sul corpo, origine dellacultura occidentale così come oggi laconosciamo. Il corpo per il filosofo èsolo un ostacolo, un irrilevante ingom-bro nel percorso verso la verità.

Anche la cultura Cristiana sembrafargli eco vedendo nel sacrificio delcorpo una via elettiva per la salvezza.

Questo dualismo platonico-cristia-no, sarà la base del pensiero cartesia-no che relegando il corpo nella resextensa, lo riduce ad un oggetto cherisponde alle leggi fisiche come tutti glialtri corpi.

Artificiose scissioni che nell’epocastorica in cui sono state formulatehanno avuto un ruolo funzionale all’e-volversi delle scienze.

Irrealistiche illusioni che ritroviamoestremizzate nei libri di letteratura fan-tascientifica come il “Neuromante” diWilliam Gibson.

In questo romanzo del 1984 per laprima volta compare il termine “cyber-spazio”; caratteristica distintiva di que-sto nuovo spazio, reso possibile dallamassiccia diffusione dell’uso del com-puter e dalla capillare estensione dellarete telematica, è l’assenza del corpo;aspetti come il sesso, l’età, l’apparte-

nenza etnica, l’apparenza, non hannomanifestazione in rete.

L’immagine digitale diventa essen-zialmente una scrittura, un’operazionelinguistica: tramite le parole digitatesulla tastiera costruiamo la nostraimmagine in rete.

Ogni attività umana risente dell’in-fluenza di internet e da questa vienesottoposta a ristrutturazione.

L’individuo è chiamato ad unanuova sfida di integrazione con le innu-merevoli potenzialità offerte dalla reteche richiedono, per poter divenire van-taggi operativi, notevoli capacità diadattamento, strumenti, competenze eanche voglia di mettersi in gioco.

Internet è risorsa per velocizzare edimplementare gli scambi comunicativi,per superare le frontiere fisiche, è“luogo” dell’interattività, della connetti-vità, dell’allargamento della sfera rela-zionale ma allo stesso tempo può dive-nire rifugio da una vita reale vissutacome troppo minacciosa per essereaffrontata. Questa infelice eventualità,che trasforma un’occasione di amplia-mento delle proprie potenzialità di vitain un appiattimento delle stessa, trova

le sue origini nell’interazione di più fat-tori, inerenti, in primis, elementi di per-sonalità predisponenti.

La rete può diventare oggetto didipendenza con gravi ricadute sullaqualità di vita dei soggetti e innestarsipsicopatologicamente in quel comples-so e delicato processo di integrazionepsiche-soma che non è mai dato, unavolta per tutte, ma in continuo divenire.

Le derive psicopatologiche dellarete, a fronte di un iperinvestimento delmentale, sembrano togliere voce alcorpo ed ai suoi bisogni alterando i ciclidi sonno-veglia, il senso di fame-sazie-tà, la percezione dello scorrere deltempo.

Il corpo postmoderno assoggettatoai valori di perfezione, potere e control-lo, oggetto di sperimentazioni artistichee luogo di spettacolo viene privato deisuoi ritmi bioevolutivi, schiacciati dal-l’incalzare del progresso tecnologico.

Il corpo contemporaneo è un corpobionico, un misto di tecnologia e biolo-gia, si lascia invadere dalla tecnologia,è elettronicamente attrezzato, assistitoda raffinati congegni e dispositivi,diventa onnipresente e universale

PSICHE-SOMA-TÈCHNE: una integrazione mancata

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superando il limite spazio-temporale, iconfini tra interno ed esterno, tra uomoe macchina, tra io e altro.

La tecnologia ci fornisce la possibi-lità di essere in più luoghi contempora-neamente, abbatte i limiti spaziali etemporali fino ad espandere il nostro Iopsicologico al di là dei limiti della pellee del corpo dandoci un’illusoria sensa-zione di controllo onnipotente; aspetto,questo ultimo tipico, delle sostanze chedanno dipendenza.

Un utilizzo patologico delle tecnolo-gie e lo sviluppo di una dipendenza daqueste presenta le caratteristichecomuni a tutti i disturbi di dipendenza:ricercare uno stato di trance autoindot-to, un rifugio mentale il cui scopo è dicostruirsi una realtà parallela psicosen-soriale differente da quella sperimenta-ta nella realtà ordinaria, di ritirarsi daogni contatto e di dissociare le sensa-zioni, le emozioni, le immagini conflit-tuali non rappresentabili sul pianocosciente.

Un disturbo che sovrainveste cosìtanto la mente e che correla con feno-meni di incapacità nella verbalizzazionedelle proprie emozioni fino al miscono-scimento di queste muovendosi lungoun versante dissociativo dell’esperien-za, fa ipotizzare scenari in cui sia dive-nuto difficile, per l’individuo che ne sof-fre, vivere un rapporto armonico col pro-prio corpo e con i segnali che questo gliinvia.

Ipotesi che sembrano essere con-fermate dai dati emersi in una primaricerca esplorativa che ho condotto suun campione di 47 soggetti, non clinici,abituali fruitori di almeno un serviziointernet (mail, forum, chat, newsgroup,mailing list), di età compresa tra 21 e i51 anni, reclutati presso l’università epresso i siti www.flickr.com ewww.ondarock.it.

Ai soggetti sono state somministra-te 4 scale autosomministrate per valu-tare il loro utilizzo della rete (IAT), l’a-lessitimia (TAS-20), la dissociazione(DES II), il loro rapporto col corpo (BUT).

L’IAT, Interner Addiction Test (Young,1998), è un test di 20 items a scalalikert che valuta l’utilizzo di internet.Punteggi ≥ 60 indicano una dipendenzada internet.

La TAS-20, Toronto Alexithymia Scale(Bagby, Parker, e Taylor 1994; Bagby,Taylor, e Parker 1994) è un questionariodi autovalutazione a scala likert. Il rangedei punteggi complessivi varia da 20 a

100. Punteggi ≥ 61 indicano la presen-za di gravi aree alessitimiche.

La DES II, Dissociative ExperienceScale (Putnam, Carlson, 1993), è unascala autosomministrata con 28 items,basata sulla definizione DSM di disso-ciazione. Punteggi ≥ 30 indicano la pre-senza di una significativa sintomatolo-gia dissociativa.

Il BUT, Body Uneasiness Test(Cuzzolaro, Vetrone, Manaro eBattacchi, 1999), è un questionarioautosomministrato di 71 items a scalalikert. Un punteggio GSI (media dei pun-teggi di tutti gli item che rappresental’indice globale di gravità) >1,2 indica laprobabile presenza di un disagio delcorpo clinicamente significativo.

Sulla base del cut off del test IAT, isoggetti sono stati differenziati in duegruppi: un primo gruppo 1, con punteg-gio superiore a 60, composto da 18soggetti di cui 15 uomini (83,3%) e 3donne (16,7%) con età media di 29,33anni (DS = 5,33) e un secondo gruppo0, con punteggio inferiore a 60, chenella nostra ricerca fungerà da campio-ne di controllo, composto da 29 sog-getti di cui 20 maschi e 9 femmine conetà media di 30,34 anni (DS = 4,952).

Al fine di evidenziare le differenzetra i due gruppi, i dati sono stati analiz-zati statisticamente utilizzando un testnon parametrico di differenze tra medieper campioni indipendenti, il test diMann-Whitney.

Le analisi di correlazione tra varibili,sono state effettuate tramite il calcolodell’indice rho di Spearman.

Il gruppo 1 presenta alla TAS-20 unpunteggio medio elevato, collocabile

nell’area borderline per le condizionialessitimiche (M=51,61 ds=12,23).Mentre il gruppo di controllo 0 ha unpunteggio medio notevolmente inferiore(M=43,86 ds=14,41), sotto la soglia di50 e dunque negativo per l’alessitimia.

Il punteggio ottenuto alla DES II dalgruppo 1 (M=20,60 ds=14,23) seppurnon raggiungendo il cut off clinico dellostrumento è notevolmente più elevatorispetto quello del campione di control-lo 0 (M=11,41 ds=10,29).

Infine il punteggio medio al test BUTdel gruppo 1 risulta essere decisamen-te elevato (M= 1,30 ds=0,76), al disopra del cut-off clinico dello strumentoe significativamente superiore rispettoquello del gruppo di controllo 0(M=0,75 ds=0,55), presentano dunqueun disagio rispetto al loro corpo.

Utilizzando un test non parametricodi differenze tra medie per campioniindipendenti (test di Wilcoxon-Mann-Whitney) è stato rilevato che le diffe-renze tra i due gruppi sono statistica-mente significative con p < 0,01 per IATe BUT e p = 0,01 per DES II e TAS-20;lo stesso procedimento statistico inve-ce ci consente di affermare che non cisono differenze statisticamente signifi-cative in base al genere.

Le analisi di correlazione, effettuatetramite il calcolo dell’indice rho diSpearman, rivelano una forte correla-zione (p < 0.01) tra dipendenza dainternet e disagio corporeo, dipendenzada internet e dissociazione, dipendenzada internet ed alessitimia. Dall’analisidelle correlazioni risulta anche unostretto legame tra i punteggi al BUT ,alla DES II ed alla TAS-20 (p < 0.05level).

I dati emersi si presentano rilevantisia per una riflessione sotto il profilodella psicologia di comunità che clinica.

La possibilità di un’integrazione psi-che-soma-tèchne sembra essere unprocesso complesso, data anche l’e-strema velocità con cui incedono leinnovazioni.

Il cyberspazio come “terra vergine”da esplorare, si offre agli utenti, comeun luogo ricco di occasioni ma anche dirischi.

Interventi di prevenzione e di ricercapotrebbero essere utili ad arginare ilnumero dei naufraghi nell’esplorazionedi questo nuovo territorio ed a ripristi-nare una virtuosa integrazione tramente e corpo in cui la tecnologia siaalleata e non minaccia.

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Salvatore Scardilli - psicologo

La tesi di fondo di questa modalitàdi intervento, all’interno del set-ting psicoterapeutico, è quella di

considerare la percezione e la cognizio-ne come due aspetti non disgiunti traloro, ma che si integrano; e che la rap-presentazione degli aspetti intrapsichicie relazionali, attraverso il disegno dellamappa mentale del paziente, possa dareun valido contributo all’intervento psico-terapeutico.

Per la rappresentazione possonoessere utilizzati segni grafici come figuregeometriche, cerchi, ovali, rettangoli, vet-tori, linee, tratteggio, punti.

L’utilità dello strumento rappresenta-tivo risiede nella possibilità di “leggere”le immagini della propria vita e gli aspet-ti su cui si ritiene si debba intervenire.

Il disegno realizzato assume la fun-zione di canalizzare l’attenzione su alcu-ni aspetti del paziente ritenuti dal tera-peuta inizialmente centrali per l’interven-to terapeutico, ma soprattutto è il mezzoattraverso il quale la persona inizia adesplorare il proprio mondo interno e rela-zionale, avviando un processo di cam-biamento, attraverso la lettura, la com-prensione e la trasformazione del mate-riale prodotto insieme al terapeuta.

ASPETTI TEORICI DI CORNICEIl disegno della mappa mentale è un

mediatore psicologico che facilita lariflessione personale e il contatto conparti di sé non prese in considerazione odifficili da individuare sia per la persona,sia per il terapeuta.

L’introduzione di elementi nuovi oprima scotomizzati permette di assegna-re significati diversi ai problemi vissuti.

Il lavoro di manipolazione, integrazio-ne, interpretazione sul disegno facilital’uscita dai campi psicologici che impli-cano comportamenti ripetitivi che crea-no blocchi emotivi e relazionali.

L’intervento terapeutico sulla rappre-sentazione diventa un gioco di ricombi-nazioni, attraverso la modifica deglischemi, degli spazi, delle direzioni che il

cambiamento dovrà intraprendere, facili-tando la costruzione di versioni alternati-ve della propria vita.

La mappa contiene al suo internolinee di demarcazione che indicano con-fini, limiti, barriere, più o meno permea-bili. Il lavoro terapeutico sarà incentratosulla possibilità di modificare ciò checrea separazioni, limiti, realizzando aper-ture o dove viene ritenuto necessariochiusure nette.

Anche la dimensione del tempoviene presa in considerazione all’internodella mappa: passato, presente, apren-do prospettive nuove rispetto al futuro.

Per Rudolf Arnheim, riferendosi alpensiero di Schopenhauer, “..…lamente, per poter misurarsi col mondo,deve adempiere a due funzioni. Deveraccogliere l’informazione, e deve elabo-rarla. In teoria le due funzioni sono net-tamente distinte; ma lo sono altrettantoin pratica?”

Secondo Arnheim “Percepire visiva-mente è pensare visivamente…

Il mondo getta il proprio riflesso sullamente, e tale riflesso serve come mate-riale grezzo, da esaminare, filtrare, rior-ganizzare ed immagazzinare. Si è tentati

di dire che l’organismo integri una capa-cità passiva di ricezione con una capaci-tà diversa, e attiva, di elaborazione.”

Pertanto non sembra possa esistereuna separazione netta tra la percezionee il pensiero.

DESTINATARIQuesto è un metodo di lavoro che

non ha un paziente di elezione con par-ticolari caratteristiche personologiche ospecifiche problematiche, ma piuttostouno strumento metodologico per rende-re efficace l’intervento psicoterapeutico.

Quali obiettivi consente di perseguire- Accrescere l’adesione all’interven-to terapeutico di soggetti con motiva-zione estrinseca.- Stimolare la comprensione e lariflessione su se stessi.- Approfondire la propria storia per-sonale.

- Conoscere i propri limiti e l’ap-prendere strumenti per stimolare ilcambiamento del proprio stile di vita, ei comportamenti ritenuti disfunzionali- Superare i propri limiti o abbatterele barriere che impediscono un realecambiamento.

MAPPE COGNITIVE UTILIZZO DELLE MAPPE MENTALI

NELLA PSICOTERAPIAThe 11th European Congress of Psychology

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TEMPI PER L’UTILIZZO DELLA METODICA

L’utilizzo di questo metodo necessitadi circa 20 minuti, anche utilizzandolo intempi diversi all’interno del setting.

Durante la seduta il disegno puòessere integrato con l’emergere di ulte-riore materiale da utilizzare.

STRUMENTIDurante la seduta occorre avere a

disposizione semplici strumenti perdisegnare.

- Fogli A4- Penna o matita

MODELLO APPLICATIVO Fase inizialeCome si costruisce lo spazio per-

cettivoIl terapeuta disegna inizialmente la

rappresentazione degli aspetti più rile-vanti del paziente dal punto di vista tera-peutico (conflitti,ansie, relazioni, com-portamenti).

Si delimita la cornice entro cui ilsistema relazionale si muove.

Si tracciano confini, limiti, riguardantile relazioni, le connessioni, i pensieri.

I segni grafici utilizzati sono: punti,linee, tratteggio, figure geometriche pos-sono delimitare lo spazio come il qua-drato, il cerchio, l’ellisse.

Le relazioni, le connessioni vengo-no indicati attraverso l’utilizzo di vetto-ri, di linee che creano contatti, collega-menti. Servono anche a indicare ladistanza esistente tra parti del siste-ma, centralità nelle relazioni, marginali-tà, invischiamento.

All’utente viene chiesto quali possa-no essere le distanze “giuste”, rispettoa quelle utilizzate e quale dovrebbeessere la direzione dei vettori indicanti ladirezione del cambiamento.

Il ruolo dello psicoterapeuta il piùdelle volte è notarile dopo la fase iniziale.

Il disegno realizzato rappresenta unasorta di “base”, per realizzare “costru-zioni aggiuntive”, creando le premesseper avviare un percorso di approfondi-mento degli aspetti disfunzionali delpaziente.

Le forme grafiche utilizzate dal tera-peuta sono generalmente semplici, pocoarticolate; delineano aspetti essenzialidel funzionamento psichico, lasciando alpaziente le scelte di ampliare le aree ediversificarle.

La conclusione del processo attivatodarà vita a un disegno più complesso di

quello iniziale. Il paziente osservando criticamente il

disegno lo trasforma dentro di sé inparole, interrogandosi sul senso da darealle parole trovate o ritrovate.

LAVORO DA EFFETTUARE SUL DISEGNO

Dopo aver disegnato la mappamentale del paziente, il terapeuta sti-mola l’esplorazione del disegno, l’ana-lisi, la comprensione e le possibili inte-grazioni, rendendo più complessa larappresentazione.Punteggiatura

Su quali aspetti contenuti dal dise-gno si concentra l’attenzione del pazien-te. Quali sono i principali problemi, diffi-coltà che paziente vive e individua neldisegno. Su quali ritiene sia prioritariointervenire.Lavoro sui confini

I confini non sono solo separazionisono anche linee di contatto, forme diunione o lo possono diventare.

Si agisce sui confini accettando ilimiti, la loro rilevanza, la necessità ditrovare degli equilibri, individuando sfu-mature tra aree e la loro permeabilità. Lavoro sulle aree – qualità e quantità(spazio utilizzato)

L’utilizzo delle metafore spaziali faci-lita la definizione della rilevanza cheassumono talune scelte e l’eventualenecessità di ridimensionare alcuniaspetti relazionali, comportamentali, psi-cologici in senso stretto. Quali areeampliare o ridimensionare. Le scelteorienteranno il processo di cambiamen-to da intraprendere.Lavoro sui vettori /cambiamenti auspi-cati

Utilizzando delle frecce e dei vetto-ri il paziente o il terapeuta a secondadel processo attivato vengono indicati ipercorsi da seguire, quali cambiamentisono desiderati, quali direzioni intra-prendere per superare le difficoltà pre-sentate.Lavoro sull’apertura/chiusura

Appare importante il lavoro sullacapacità del soggetto in trattamento dimodificare la mappa e individuare per-corsi di apertura nei confronti di contestiritenuti minacciosi o pericolosi, o chiu-sure rispetto a spazi ritenuti non più utili.Lavoro sulla capacità di simbolizzazione

È uno strumento che dà la possibi-lità di stimolare la simbolizzazione,favorendo la capacità creativa in sensoevolutivo della persona seguita dal

terapeuta.Lavoro sulle emozioni

Cosa prova il paziente: sorpresa,meraviglia, perplessità, preoccupazione,rabbia per ciò che intravede nellamappa. Cosa gli fa più paura o creaangoscia.Lavoro sulla fantasia / creatività

Cosa è capace di inserire all’internodel disegno tracciato dal terapeuta, qualisono gli elementi nuovi che per associa-zione possono essere inseriti.

Quanto riesce a utilizzare il pensierolaterale.

Le eventuali domande saranno aper-te per facilitare le verbalizzazioni ed evi-tare di creare blocchi.Fase conclusiva – Valutazione inter-vento

All’utente viene chiesta una valuta-zione complessiva della mappa e possi-bili evoluzioni future che riescano adaffrontare efficacemente le problemati-che emerse durante la seduta o dopo illavoro sulle mappe mentali.

A seconda delle trasformazioni dellamappa potrà essere ipotizzata un nuovodisegno.

In alcuni casi il paziente viene invita-to a portare con sé il grafico e analizzar-lo in modo più approfondito, suggerendoulteriori modifiche o introducendo nuoveidee finalizzate al superamento dei pro-blemi che lo hanno portato in terapia.Conclusione

L’utilizzo delle mappe mentali nonoffre soluzioni precostituite, ma pone lebasi per creare contesti percettivi in cuiil paziente possa trovare stimoli per lavo-rare su “oggetti mentali” che hannobisogno di interventi.

Con l’aiuto del terapeuta vengonol’individuate ipotesi, da verificare nellarealtà, riguardanti la realizzazione di uncambiamento che riesca a migliorare laqualità della vita.

Bibliografia• R. Arnheim (1969), Il pensiero

visivo, Einaudi, Torino, 1974.• AA.VV. (2008), Il lavoro

psicoanalitico sul limite, Franco Angeli, Milano, 2008.

• Cella G. P. (2006), Tracciare confini,Il Mulino, Bologna, 2006.

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• K. Lewin (1936), Principi di Psicologia Topologica, O.S., Firenze, 1970.

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Marinzia Sciuto - psicologo

II modelli di qualità basati sulla cen-tralità del cliente e delle sue valu-tazioni (vedi il Total Quality

Management, il modello ISO 9000, e lacustomer satisfaction o soddisfazionedel cliente), sono ormai ampiamentediffusi all’interno dei nostri servizi pub-blici. Dall’analisi di tali modelli si evi-denziano come elementi centrali nellacostruzione e valutazione della qualitàdi un servizio:

• gli aspetti processuali;• alcuni concetti come soddisfazio-

ne, percezione, aspettative e, dunque,la “soggettività”.

L’iniziale concezione di qualità insenso ingegneristico, cioè come risul-tato di un processo tecnico dove il con-trollo rispetto a degli standard era cen-trale, si è progressivamente modificatain senso antropocentrico nella secon-da metà del Novecento.

Questo cambiamento ha visto recu-perare i significati psicologici della qua-lità, cioè quelli legati ad un assettoorganizzativo centrato più sul soggettoche sull’apparato macchinistico e mec-canicistico (Gabassi, 2005).

Se nel passato la qualità era unaproprietà del prodotto finale, progressi-vamente, anche il processo organizza-tivo e le diverse pratiche utilizzate perottenere i prodotti o i servizi di qualitàsono andati a convergere nel significa-to di qualità.

In questo senso, l’attuale prospetti-va di studio che sposta l’attenzionedalle caratteristiche del prodotto allenecessità, ai bisogni, alle richiesteesplicite- implicite del cliente, puòessere considerata un gran passo inavanti nella definizione del fenomenoqualità.

In tale contesto diventano impor-tanti le aspettative verificate, misurateo supposte dell’ipotetico cliente, la cuivisione può essere sistematicamenteessere spostata in avanti (migliora-mento continuo).

La prospettiva psicologica, pertan-to, è sempre più implicata visto che“divengono centrali variabili come lasoddisfazione, la rilevazione delleaspettative delle persone, la determi-nazione dei bisogni esterni ed interniall’organizzazione” (ibidem p.9).

La letteratura sulla qualità dei ser-vizi è uniformemente d'accordo nell'u-tilizzare la soddisfazione del clientecome criterio principale di verifica dellaqualità ed il concetto di aspettativariveste in tale contesto un ruolo fonda-mentale.

All’interno del modello degli scartisecondo cui il soggetto che ha usufrui-to di un servizio ne è soddisfatto solose la percezione di esso, collegata adun’esperienza concreta, ha incontratole aspettative pregresse, ciò che vieneindicato come aspettativa può essereletto, nella sua genesi attraverso ilmodello psicologico-clinico. In questocaso possono essere utili quindi icostrutti di simbolizzazione affettiva edi rappresentazione sociale i quali sot-tendono una categorizzazione dellarealtà legata a vissuti di incertezza.

Quando domandiamo "quale è ilservizio atteso?" infatti, non otteniamo

solo delle semplici descrizioni di ciòche il cliente pensa di ottenere, maanche implicazioni circa la rappresen-tazione sociale che egli condivide, delservizio a cui si è rivolto (Cavalieri,1996).

“Lo studio delle rappresentazionicondivise da coloro che partecipanoeffettivamente e potenzialmente al ser-vizio (committenti, clienti, operatori,dirigenti) e l'analisi della domandacome metodologia fondante la letturadell'incontro con l'utente costituisconouna possibilità di rilevazione e inter-vento circa quei fenomeni collusivi checaratterizzano il funzionamento (siainterno che esterno) del Servizio”(ibi-dem p.89). “Il modello psicologico-cli-nico consente” quindi “di ipotizzare lapresenza di categorie emozionali e diproposte collusive alla base di ciò cheil cliente richiede (e l'operatore offre)in un certo contesto e di metterlo inrelazione con la cultura del Servizio econ l'immagine che quest'ultimo veico-la all'esterno”, considerando che“…tanto minore è la definizione di ciòche viene offerto, tanto maggiore è l'u-tilizzo di dimensioni collusive nell'in-contro del Servizio con i suoi utenti.”

La qualità nei servizi pubblici: un approccio psicologico

The 11th European Congress of Psychology

Oslo, Norway 7-10 july 2009

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(ibidem p.90)La psicologia, dunque, può e deve

occuparsi concretamente di soddisfa-zione e di qualità (Kaneklin, 2000).

“Da un lato, appare evidente comeil tema della qualità percepita rimandia contenuti, dimensioni, costrutti dichiara natura psicologica: si fa riferi-mento a percezioni, rappresentazioni,aspettative, atteggiamenti, giudizi.

Da un altro lato, si osserva la mar-ginalità - se non l’assenza - della psi-cologia quale disciplina in grado distrutturare sul piano della teoria edella prassi adeguate prospettive diricerca e intervento. In altre parole, siè di fronte all’emergere di una doman-da che appare implicitamente psicolo-gica nei contenuti, ma che non chiamaesplicitamente in causa competenzepsicologiche per trovare una risposta.

Né d’altra parte, la psicologia sem-bra percepire e cogliere la sfida dellaqualità.

Di fatto il tema della qualità perce-pita appare prevalentemente affronta-to sulla base di competenze e profes-sionalità di tipo economico o ingegne-ristico.”(ibidem p.88).

In tale contesto, le dimensioni piùimmateriali ed intangibili rimangonorelegate nell’area dell’implicito perchéciò che viene ricercato è un supportotangibile con cui materializzare la valu-tazione.

Pertanto “la valutazione del prodot-to-servizio rischia di essere ricondottanella prassi a semplificazioni ispirateda atteggiamenti di accanimento ideo-logico o tecnicistico sorretti dal luogocomune per il quale la pensabilità stes-sa della valutazione è resa possibiledall’individuazione e concentrazione suelementi di materialità ed oggettivi-tà”(ibidem p.88).

L’alternativa consisterebbe nellospostarsi all’interno di una dimensioneche invece intende la valutazione comecostruzione di senso all’interno dellarelazione che si instaura con un utenteconcreto, in un ottica in cui sia il “for-nitore” che l’utente co-costruiscono ilprodotto- servizio.

Grazie al processo di analisi delladomanda, può, infatti, essere garantital’attivazione di pensiero (inteso comericorsività tra azione e conoscenza),strumento necessario quando il pro-blema dell’utente non è dato per scon-tato e considerato qualcosa di predefi-nito e definibile.

L’utente, infatti, dovrebbe esseresempre considerato una persona con-creta portatrice di domande connessealle sue emozioni ed ai suoi sentimen-ti oltre che influenzate dal suo conte-sto “culturale” in senso lato.

Solo a partire da una simile pre-messa, infatti, è possibile avviare unprocesso colloquiale capace di garanti-re la messa a fuoco di rappresentazio-ni mentali di congruenza trabisogni/desideri dell’utente e offertadel servizio.

Il percorso di valutazione della qua-lità del servizio, quindi, potrebbe avereavvio dalla presa di contatto con la dif-ficoltà a pensare e rappresentarsi l’og-getto del lavoro, il processo produttivo,il prodotto.

Si tratta di una tappa fondamentaleaffinché il servizio non si rapporti piùall’utente in modo autoreferenziale e lavalutazione del processo produttivodiventi asse metodologico e strumen-tale per la costruzione del valore delservizio.

Ciò equivale ad affermare la neces-sità di non scindere nell’operativitàprogettazione, produzione, prodotto evalutazione e di andare oltre l’idea divalutazione come istanza superiore oesterna alle parti che deve procederecon un linguaggio quanto più numericoe statistico possibile anche a costo disacrificare la soggettività dei due polidella relazione.

Nei contesti in cui le rilevazioni diqualità e soddisfazione sono orientatealla promozione di cambiamenti idoneia sostenere politiche di miglioramentocontinuo, anche l’approccio psicoso-ciale può fornire significativi contributi(Venza et al, 2006).

All’interno di questa prospettivaandrebbero realizzati periodici e ripetu-ti momenti di elaborazione dell’espe-rienza concreta maturata dentro i ser-vizi, tenendo comunque presenti i rile-vanti legami tra questi e le iniziative didialogo e concertazione con le altreparti sociali coinvolte.

Solo attraverso tale tipo di percorsosarebbe possibile, infatti, avviare unreale processo di partecipazione di unutente-cliente-cittadino, “interlocutoredal riconosciuto ruolo di influenzamen-to attivo ed intenzionale nei processidecisionali che riguardano la sua vita equella della sua comunità.” (ibidemp.71).

Considerando quanto su esposto

possiamo affermare dunque che glipsicologi possono con le loro compe-tenze svolgere un ruolo indispensabileper la costruzione della qualità dei ser-vizi, a patto però che questa vengaintesa come processo che coinvolge ivari attori favorendone consapevolez-za, partecipazione e quindi empower-ment.

Bibliografia• Cavalieri P. (1996 ), La competenza

psicologica nella gestione della qualità nei servizi di assistenza sanitaria, Psicologia Clinica, 1, 87-103.

• Gabassi P. G., Garzitto M.L., Perin G. (2005), Psicologia e Qualità, Raffaello Cortina.

• Kaneklin C., Valutazione e qualità nei servizi. Valutare il valore del servizio, in Regalia C., Bruno A. (2000), Valutazione e qualità nei servizi, Unicopli, Milano.

• Venza et al. (2006), Verso un approccio psicosociale alla customer satisfaction in sanità: teorie, modelli e pratiche a confronto, Psicologia della salute, 1, pp.65-79 .

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Massimiliano Terzo - psicologo, Benedetto Tumminello - psicologo

Il seguente lavoro ha avuto l’obbiet-tivo di indagare la relazione tramente e salute cardiaca in una

modalità nuova, affrontando il proble-ma di tale relazione sotto una spintametodologica votata all’individuazionedi relazioni tra più fenomeni psichicigià studiati e posti in relazione con lasalute cardiaca.

Il lavoro integra il modello delcomportamento di tipo “A” nell’ezio-logia delle cardiopatie con quelloche vede nel disturbo della regola-zione affettiva il nucleo esplicativocentrale delle malattie psicosomati-che.

Si è indagata la presenza di trat-ti collerici, alessitimici, e di un fun-zionamento difensivo arcaico in gio-vani cardiopatici ischemici.

Al gruppo, costituito da 125 sog-getti con età media di 36,3 anni[111 uomini (88,8%) e 14 donne(11,2%) (il numero di donne è moltobasso a causa della scarsa percen-tuale di donne affette da cardiopatiaischemica in queste fasce d’età), dietà compresa tra i 20 e i 48 anni,con una età media di 35,8 anni euna deviazione standard di 7,69anni, di stato sociale eterogeneo,tutti affetti da cardiopatia ischemicagiovanile, nelle sue varie forme,(angina pectoris ed infarto del mio-cardio)], sono stati somministratiTAS-20 (Taylor, Bagby, Parker, 1992),STAXI-2 (Spielberger, 1988) e DSQ(Andrew, Pollock, Stewart, 1989).

La scelta di un campione di sog-getti giovani è stata fatta in primoluogo perchè i giovani, per ovvieragioni anagrafiche, risultano essereesposti da relativamente pocotempo a tutti quei fattori di rischioquali aterosclerosi, fumo, obesità,diabete, ipertensione, etc, universal-mente ritenuti come responsabilidella malattia cardiaca; in secondoluogo e conseguentemente a quanto

detto sopra, i giovani rappresentanospesso un quadro patologico moltopiù puro rispetto ai soggetti piùanziani, non soffrendo generalmentedi patologie legate a quelle cardia-che; infine, i giovani sono soggetti dipiù facile approccio dal punto divista psicologico.

Entrando nello specifico dellaricerca è fondamentale sottolinearecome la letteratura internazionaleha storicamente indagato le relazio-ni esistenti tra psiche e salute car-diaca alla ricerca di relazioni tra lastessa e alcuni profili di personalità(Comportamento di tipo A), alcunitratti caratteriali (rabbia, aggressivi-tà, reazione allo stress, etc.), alcunicostrutti psicologici (alessitimia),lasciando alla ricerca da un lato,risultati incoraggianti e numerosispunti di riflessione, ma, dall’altro,una mole di dati spesso contrastan-ti e di difficile interpretazione clinicae metodologia.

Sono state invece poche le ricer-

che empiriche condotte sulla relazio-ne tra alessitimia e malattie cardia-che, in generale, e tra alessitimia,comportamento di tipo A (e in parti-colare la componente ostile di talecomportamento) e le malattie car-diache in particolare. Studi recentihanno, comunque, dimostrato corre-lazioni significative tra i due fenome-ni nonostante le critiche metodologi-che poste dalla comunità scientifica(Defourny, Hubin e Luminet,1976/1977; Keltikangas-Jarvinen eJokinen, 1989; Bogdanovic et al.1989; Kauhanen et al. 1994 ).

Il nostro lavoro si colloca, perl’appunto, all’interno di questa lineametodologica rappresentando, dun-que, un contributo scientifico chemette in luce le correlazioni tra duemondi troppo spesso separati“mente e corpo”.

Nello specifico, lo studio si èposto come obiettivo quello di inda-gare i seguenti fenomeni psichici:1. La presenza del sentimento della

Fattori psicologici in pazienti

cardiopatici ischemici giovani:

Uno studio empirico The 11th European Congress of Psychology

Oslo, Norway 7-10 july 2009

Al centro il Prof. Philip Zimbardo

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rabbia, nonché le modalità di espressione e di controllo della stessa.

2. La potenziale presenza concomitantedi alessitimia (costrutto psichico caratterizzato da difficoltà ad identificare i sentimenti e a distinguerli dalle sensazioni corporee che accompagnano le emozioni stesse, difficoltà a descrivere ad altri i propri sentimenti, e uno stile cognitivo legato agli oggetti piuttosto che a se stessi).

3. L’esistenza di relazioni tra rabbia ealessitimia, al fine ultimo di ipotizzare una relazione tra i due fenomeni, nonché la possibilità chedietro il sentimento della rabbia in questa tipologia di pazienti, spessoriportata in letteratura, si nascondain realtà una più subdola difficoltà aprovare e a modulare le emozioni inmodo corretto.Da un punto di vista metodologi-

co, abbiamo cercato i fenomeniappena esposti attraverso l’ausilio ela somministrazione di scale psico-logiche valide e attendibili che misu-rino la presenta dei tratti psichicisotto esame (STAXI-2 per la misura-zione della rabbia, TAS-20 per lamisurazione dell’alessitimia e DSQper l’analisi degli stili difensivi).

Inoltre, si è proceduto, attraversol’utilizzo di un software statistico(SPSS) ad analizzare le correlazioniesistenti tra i gli strumenti testologi-ci, nonchè dei fenomeni che essistessi misurano.

I soggetti dello studio sono statisottoposti ai questionari, in regimeambulatoriale e dopo almeno duemesi dal malessere cardiaco, al fineultimo di evitare risposte influenzatedal trauma psichico che spesso col-pisce le persone affette da infartonei giorni immediatamente successi-vi all’evento.

Dall’analisi dei risultati ottenutied in base alle ipotesi di ricerca pre-cedentemente formulate, il primodato che risulta degno di attenzionee in linea con le ipotesi, è la forteprevalenza di soggetti fortementecollerici.

In particolare, un dato interes-sante è il fatto che la maggior partedei soggetti (l’89,6% del campione)mostra una preponderante rabbia ditratto, quindi si tratterebbe di indivi-

dui fortemente irascibili per indolee, teoricamente, inclini all’espres-sione dei propri sentimenti collerici;il 44,8% tende a sentire la rabbiafisicamente, quindi con possibili dis-turbi somatici conseguenti l’emozio-ne negativa.

Questi risultati, letti in relazionealla patologia dei soggetti del grup-po sottoposto a indagine, ci dannodegli interessanti spunti, replicandoin qualche modo, i risultati riportatiin letteratura (Bishop e Quah 1998;Mendes e Leon 1992).

All’analisi dei punteggi dello stru-mento utilizzato per la rilevazionedell’alessitimia, soltanto su 29,6%dei soggetti non si sono riscontratiparticolari tratti alessitimici; questodato è un importante indicatore;infatti, nonostante il fatto che la let-teratura internazionale non siariuscita, ancora, a dare una rispostaesauriente sul fenomeno dell’alessi-timia in popolazioni cardiopatiche, ildato riscontrato è in linea con quellidello studio di Bogdanovic e coll.(1989), che attestano come nellepopolazioni affette da infarto delmiocardio la prevalenza di soggettialessitimici è di gran lunga superio-re rispetto alla popolazione normale,il che potrebbe indicare come un dis-turbo delle regolazioni degli affettipossa rappresentare un fattore dirischio per l’insorgenza di malattiecardiache a eziologia ischemica(Taylor, Bagby, Parker, 1997).

Entrando maggiormente nellospecifico delle ipotesi di ricerca lalettura dei risultati degli indici corre-zionali ci fa presumere che nel grup-po sottoposto a indagine empirica,esiste una correlazione positiva tral’alessitimia e la rabbia; è stato pos-sibile notare facilmente come ilcostrutto dell’alessitimia correlipositivamente con tutte le forme delsentire il sentimento della rabbia.

Tutto ciò, se da un lato confermaquasi per intero le ipotesi di ricerca,dall’altro apre la strada a numerosiinterrogativi sulla presenza ed esi-stenza delle relazioni riscontrate.

Il fatto stesso che nei pazienti,oggetto di indagine, si riscontri unaforte componente collerica e unaaltrettanto importante componentealessitimica, induce a riflettere sul-l’effettivo ruolo che l’alessitimiariveste in questa relazione.

Se si considera l’alessitimiacome un generale disturbo delleregolazioni affettive, in linea con lerecenti formulazioni teoriche e ricer-che empirica del gruppo di Toronto(Taylor, Bagby, Parker, 1997), diventaallora possibile formulare delle ipo-tesi sul perché sussista, nel nostrogruppo di soggetti affetti da cardio-patia ischemica giovanile, una siffat-ta correlazione tra alessitimia e rab-bia. Infatti, è possibile ipotizzare,solo in linea teorica, che la fortecomponente collerica, decisamentesopra la media, riscontrata in que-sto gruppo di soggetti cardiopaticigiovani, non costituisca solo un trat-to caratteriale o una componente diuna più generale struttura di perso-nalità, quale quella di tipo A, ma rap-presenti, invece, una modalità alta-mente disregolata di provare le emo-zioni.

Quindi, sempre in linea ipotetica,si può supporre che il comporta-mento di tipo A, o meglio, la compo-nente collerica dello stesso, noncostituisca l’unico possibile fattoreeziopatogenetico nell’insorgenzadelle cardiopatie ischemiche. Infatti,vista la presenza di una concomitan-te alta percentuale di soggetti ales-sitimici, e dato che l’alessitimiacostituisce un disturbo della regola-zione degli affetti, è possibile pen-sare che la rabbia sia, in un talesistema, un’emozione disregolataall’interno di un sistema disregolatoe che il fattore maggiormente predi-sponente l’insorgenza di affezionicardiopatiche ischemiche non sia daricercare nella rabbia, o nelle emo-zioni negative, viste in quanto tali, einteressanti per la loro stessa pre-senza nel quadro clinico del pazien-te, ma nel fatto che queste emozio-ni sono emozioni disregolate e dis-regolative, sia sul versante intraper-sonale che, in quanto eterodirette,su quello interpersonale.

Queste ipotesi possono costitui-re un importante spunto di riflessio-ne sul quale le future ricerche pos-sono concentrarsi per cercare difare maggiore chiarezza, con l’aiutodelle scienze psicofisiologiche, sul-l’effettivo ruolo eziologico che le dis-regolazioni affettive svolgono nell’e-ziologia di una malattia, quale quellacardiaca, ancora oggi fitta di troppimisteri.

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Angelida Ullo - psicologo, Sergio Oteri - psicologo, E. Aguglia, C. Amato - psicologo

Solo negli ultimi due decenni lamedicina ha cominciato a prenderecoscienza che, da sola, non è in

grado di determinare la qualità della vitama può soltanto aiutare gli individui araggiungere uno stato di salute tale daconsentire loro di coltivare l’arte dellavita, ma ciascuno alla propria maniera.

È così che idealmente, la medicina harispolverato gli insegnamenti di Seneca edha incominciato a prendere in considera-zione, come elemento di giudizio dell’effi-cacia della sua azione, la valutazione dellaQualità della Vita (Quality of Life-QoL).

Se, infatti, è importantissimo salvareo prolungarla la vita delle persone, risul-ta altrettanto importante che queste per-sone siano messe nelle condizioni divivere bene (o almeno dignitosamente) laloro vita e, laddove possibile, esercitino illoro diritto di vedere alleviata la propriasofferenza.

Da qui l’esigenze di una diagnosi cor-retta e tempestiva per fronteggiare ade-guatamente l’esordio patologico e ildovere, di noi psicologi di integrare lenostre conoscenze con quelle più tecni-camente mediche al fine di permettere alnostro assistito il raggiungimento del suobenessere psico-fisico. Da queste consi-derazioni nasce il nostro lavoro!

Sia la Fibromialgia che la Depres-sione, sono due patologie molto invali-danti, purtroppo oggi sempre più diffuse,anche se la prima poco conosciuta, diffi-cili talvolta da riconoscere e da trattareefficacemente. I pazienti affetti spessosono costretti a intraprendere lunghi iterdiagnostici, da specialisti di diversa natu-ra e formazione, prima di ricevere una dia-gnosi corretta ed un trattamento efficace.

La Fibromialgia appartiene, principal-mente, alla sfera delle malattie reumato-logiche, ma della quale, però, si fannocarico anche neurologi, psichiatrici e, ulti-mamente, anche se più raramente, noipsicologi per la sua frequente comorbidi-tà con disturbi psico-pato-logici, in preva-lenza di tipo ansioso depressivi (Rooks

D.S., 2008). La seconda realtà patologica presa

in considerazione, in quanto si associafrequentemente alla Fibromialgia, èappunto la Depressione, oggetto d’at-tenzione di molti medici e psicologi.

La presenza di questa sintomatolo-gia è importante da considerare nonsolo per la diagnosi, ma per la valutazio-ne di una corretta strategia terapeuticache deve tener conto dei sintomi nellaloro complessività, della qualità dellavita del paziente e della disabilità che lamalattia determina nella persona che neè affetta. La prevalenza della SindromeFibromialgica nella popolazione generaleè del 2 -3 %. (Cazzola, 2007).

Si tratta di una “Sindrome DolorosaCronica”, comune e polimorfa, ad eziolo-gia sconosciuta, condizione clinica di fre-quente riscontro nella pratica clinica,caratterizzata da dolore muscolare-schele-trico diffuso e altri sintomi clinici quali:ansia, depressione, cefalea, alterazioni delsonno, astenia, rigidità mattutina, pareste-sie agli arti, etc. (Bennet R., 2004).

La diagnosi si fonda sulla ricercadella presenza di un dolore muscolo-scheletrico presente da almeno 3 mesie sulla dolorabilità evocata dalla digito-pressione di specifici “Tender Points”.I Criteri diagnostici per la Fibromialgia(ACR sono):- Dolori da oltre 3 mesi.- Dolori a tutto il corpo (simmetrici).

≥ 11/18 punti (tender points).Inoltre:- Parestesie o sensazione di freddo

alle mani o ai piedi.- Dolori articolari.- Rigidità mattutina.- Sensazione di restringimento nel

respirare.- Disturbi del sonno, stanchezza,

disturbi di concentrazione, paure, stato depressivo.La Fibromialgia non è una malattia

psichica ma è naturale che, essendouna patologia che possiede un peso

così grande nella vita quotidiana del-l’individuo, abbia conseguenze sullostato psichico del paziente e sulla suaQualità della Vita.

Come la maggior parte delle malat-tie croniche, anche la Fibromialgia pro-voca uno stato di abbattimento, di tri-stezza o depressione. Si tratta di uncomplesso circolo vizioso nel quale lostato psichico rappresenta uno deitanti fattori contribuenti, ma non l’origi-ne prima della malattia in causa.

Per favorire la diagnosi differenzia-le, è bene riconoscere la sintomatolo-gia comune alla SF e alla Depressione,più nello specifico: sbalzi d’umore,astenia, disturbi del sonno, cefalea,disturbi gastrointestinali, secchezzadelle fauci, disturbi cardiaci, facile affa-ticabilità, calo della libido etc.

Esistono, comunque, segni evidenticapaci di distinguere la SF dallaDepressione:1) I sintomi fisici nel paziente

depresso sono il più delle volte variabili, migranti e meno definibili che non nel paziente fibromialgico.

2) Assenza di dolore nei tender pointsnel paziente depresso, tipica invecenel paziente affetto da SF. Una cospicua parte di letteratura

suggerisce che la relazione tra SF eEDM sia molto complessa.

Una buona comprensione di questarelazione permetterebbe di fornire, intermini clinici, una più accurata valuta-zione e possibilità di trattamento perentrambi i disturbi.

Sostanziali risultano le similaritànelle anomalie neuroendocrine, nellecaratteristiche psicologiche, nei sinto-mi fisici ed anche nel trattamento siadella SF che della Depressione. (PaeCu. et al., 2008). Recenti dati statisti-ci suggeriscono che: nel 20 - 80 % deipazienti FM si riscontra un Disturbodepressivo; nel 13 - 63.8% dei pazien-ti FM si rilevano Disturbi d’ansia; anco-ra, la prevalenza dei DP è significativa-

Fibromialgia e Depressione: analogie e differenze cliniche

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mente più alta in soggetti fibromialgici,rispetto alla popolazione generale, conun’incidenza del 7%, rispetto alla popo-lazione normale (Fietta P. et al., 2007).

Ecco di seguito riportate le ipotesivalidanti la comorbidità tra SF eDisturbi Psichiatrici, validate da unrecente studio italiano:1. “I PD potrebbero essere una

conseguenza della fibromialgia”.2. “La Fibromialgia potrebbe essere

un effetto di un sottostante disturbo psichiatrico”.

3. “Sia la SF che i DP potrebbero avere una causa comune, attualmente sconosciuta”: più nellospecifico, si ipotizza un’alterazionea carico dei neurotrasmettitori dellaserotonina e della noradrenalina (“Iperattività del Sistema Nervoso Neurovegetativo”). (Fietta P. et al., 2007).Prima di descrivere lo studio nel

dettaglio, risulta importante delinearele caratteristiche psicologiche dellapersonalità fibromialgica individuateda Keller et al., in uno studio del 2004:bassa autostima; sentirsi indifesi; pes-simismo; dipendenza e passività; vul-nerabilità psicologica; negazione deiproblemi psicosociali; attribuzione deldisagio a soli fattori somatici.Il nostro studio osservazionale

Sono stati presi in esame 20 pazientidonne di età compresa tra i 18 e i 65 anni,che afferite all’Ambulatorio diReumatologia dell’Ospedale “G. Garibaldi”di Catania e all’U.O. di Psichiatriadell’A.O.U. “G. Rodolico” Policlinico diCatania con diagnosi di Fibromialgia secon-do i criteri dell’American College ofReumatology (Wolfe,1990).

L’indagine psicologica, mediante ilcolloquio e la somministrazione di unabatteria testologica, è stata orientata adindagare l’eventuale comorbidità traSindrome Fibromialgica e Depressione ein che termini viene intaccata la Qualitàdella Vita dei pazienti affetti da SF. I test psicometrici utilizzati sono stati:• HAM-D (Hamilton Rating

Depression Scale) a 21 items con valore soglia = 14.

• HAM-A (Hamilton Anxiety Scale) a 14 item con valore soglia = 18.

• FIQ (Fibromyalgia Impact Questionnaire) a 10 item per confermare la diagnosi di Fibromialgia.

• VAS (Scala Analogica Visiva), VRS (Scala valutazione verbale) e NRS (Scala numerica) per la

quantificazione del dolore.• SF-36 (Short Form 36 Health

Survey Questionnaire): per la misurazione dello stato di salute e la QoL.Il punteggio medio al test per la

misurazione della depressione HAM-Dè di 16.95 (range 7-26): 15 pazienti(75%) hanno ottenuto un valore supe-riore a 14, che rappresenta la sogliaindicativa di un lieve disturbo depressi-vo; 9 di questi (45%) hanno riportatoun punteggio superiore a 18, indicativodi un episodio depressivo classificabi-le da moderato a grave.

Score Depressione alla HamiltonRating Scale for Depression• Grave (score > 25 ) = 1 5%• Moderato (score 18 – 24) = 8 40% • Lieve (score 14 – 17 ) = 6 30%• Assente (score 0 -13 ) = 5 25%

Il punteggio medio al test HAM-A,per la misurazione dell’ansia, è di16.85 (range 7- 41): 11 pazienti (55%)hanno ottenuto un valore superiore ouguale a 18, che rappresenta la sogliaindicativa di un disturbo d’ansia d’inte-resse clinico.

L’SF 36 è il test al quale maggior-mente abbiamo prestato la nostraattenzione in quanto capace di indaga-re le ripercussioni sulla vita quotidianadelle pazienti affette da SF.

I punteggi ottenuti in ogni singolaarea indagata sono stati convertiti sudi una scala da 0 a 100 in cui i pun-teggi più bassi corrispondono ad unacondizione di vita peggiore.

Esclusa l’area del “Dolore fisico” incui punteggi maggiori corrispondonoad un maggior impatto del dolore sullavita quotidiana.

Ecco di seguito riportate le aree mag-giormente intaccate dalla Fibromialgia:1) Dolore fisico2) Attività fisica3) Ruolo e stato emotivo4) Attività socialiConclusioni dello studio

Il 75% del nostro campione di riferi-mento risulta affetto da stati depressi-vi da lievi a gravi; 11 pazienti su 20(55%), soffre di stati ansiosi di lieve omedia gravità; la QoL dei pazienti fibro-mialgici considerati risulta compromes-sa per le limitazioni delle attività fisi-che quotidiane dovute al dolore cronicoe per la riduzione delle attività socialicon ricadute a livello emotivo.

Nell’ambito del trattamento, l’attua-le letteratura suggerisce che il succes-

so terapeutico può essere ottenutosolo grazie all’interazione tra terapiafarmacologica e non farmacologica.(Auquier L. et al., 2008). L’Approcciomultifattoriale nel trattamento della SFe della Depressione prevede, dunque:• L’educazione del paziente.• La descrizione delle caratteristiche

della malattia.• La descrizione del programma

terapeutico.• Le modificazioni delle abitudini di

vita che potrebbero determinare e/o perpetuare la sintomatologia fibromialgica e depressiva.

• La programmazione di un’attività fisica moderata ma continuativa.

• Il supporto psicologico o la Psicoterapia per elaborare programmi educativi volti ad aiutareil paziente a comprendere la patologia, imparare a conviverci, ridurre la disabilità derivante e migliorare la qualità di vita.

• La terapia farmacologica: farmaci che diminuiscono il dolore e migliorano la qualità del sonno (Analgesici) e farmaci antidepressivi(SSRI e SNRI). Oggi risultano moltoutilizzati i farmaci inibitori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina (SNRI), i quali agiscono su un più ampio spettro dineurotrasmettitori rispetto agli SSRI e, sono risultati particolarmenteefficaci, oltre che per la sintomatologiadepressiva, nel ridurre il dolore nelle donne affette da SF (Russell IJ. et al., 2008; Winfied H.et al., JAMA, 2009).In conclusione, da un punto di vista

prognostico, la Fibromialgia è una malat-tia cronica che ha un decorso di anni,spesso associato a sofferenze di lungadurata, ma non porta ad alcuna altera-zione delle articolazioni o di altri organi.

È difficile prevedere la durata dellamalattia in ogni singolo caso. Studibasati su grandi numeri hanno rilevatoun periodo di presenza dei sintomi cheva dai 15 anni in su. Una diagnosi tem-pestiva e corretta, insieme ad un ade-guato trattamento terapeutico multidisci-plinare risultano fondamentali per la pro-gnosi: quanto più il paziente si comportain maniera attiva e consapevole neiriguardi della propria malattia, tanto piùriesce a ridurne il decorso complessivo,le ripercussioni sulla sua Quality of Lifee ad orientare efficacemente l’interventoclinico multidisciplinare.

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Graziella Zitelli - psicologo

In Italia, dopo gli episodi violentioccorsi alle manifestazioni calcisti-che, sono stati adottati provvedi-

menti legislativi (emanati per cavalcarel’onda emotiva, perdendo d’impattoquando scemava l’allarmismo sociale)e la gestione del problema è statadelegata alle Forze dell’Ordine, consi-derandolo un problema unicamente diordine pubblico.

Per tale motivo si è cercato di pro-gettare un’azione sociale-formativa rite-nendo le iniziative in atto inadeguate(una delle reazioni che i provvedimentipresi hanno prodotto è stata la cre-scente opposizione tra Ultras e Forzedell’Ordine, elemento trasversale cheaccomuna i gruppi di tifosi organizzati).

Si intende approfondire il problemacon i gruppi direttamente coinvolti eportare una critica costruttiva, mante-nendo il focus sul problema e non sullepersone.

La nostra idea è quella di coinvol-gere attivamente tutte le parti incausa, per un confronto diretto, inmodo di portare a una riflessione e adun conseguente cambiamento.

Si affronta la “violenza” nel mondodello sport non solo come fenomenosugli spalti di cui sono protagonisti igruppi di tifosi organizzati, ma anchecome comportamenti violenti in campo,il gioco eccessivamente duro, voltosolo a colpire e ferire un avversario eche va ben oltre la sana competizione.

Il progetto nasce a Catania primadei fatti del “2 febbraio“, (2007) datamemorabile per lo scontro tra tifosi eForze dell’Ordine durante la partitaCatania Palermo con l’idea di entrarenella realtà in oggetto per individuare idiversi attori in gioco, le zone bianchesu cui intervenire e le leve più adegua-te per farlo; prevede il coinvolgimentodi differenti gruppi per i quali sono statipensati percorsi diversificati, che inalcuni momenti si andranno a intrec-ciare nella costruzione di nuove reti

personali e sociali. Inoltre, è stato pen-sato e stilato con contenuti ed obietti-vi elaborati anche in armonia con i det-tami per l’educazione alla ConvivenzaCivile, relativamente all’Educazionealla Cittadinanza.

Il conflitto sociale è un’esperienzasoggettiva che comporta diversemodalità d’affrontare la situazione con-flittuale: ognuno è portatore di una per-sonale soglia percettiva ed emotiva.Riuscire a pensare, riflettere e verbaliz-zare il conflitto (emozioni, reazioni) e leproprie teorie implicite può aiutare ilsoggetto ad aumentare la soglia di tol-leranza e di sostenibilità personale alconflitto. In questi percorsi è fonda-mentale darsi il tempo necessario perfavorire la decantazione delle emozioniche nell’immediato portano ad esserereattivi. Ci siamo discostati dalla “teo-ria dell’escalation della violenza”, chevede il conflitto come la tappa di unprocesso che ha inizio debole, maporta inevitabilmente alla violenza (dis-cussione → scontro → conflitto →aggressione → violenza → guerra);questa idea induce talvolta i soggetti

ad assumere un atteggiamento di rifiu-to del conflitto, e di conseguenza allaviolenza. Riteniamo che questa causalità nonsia assoluta e scontata, ma che unconflitto, se ben gestito (la risoluzioneè impossibile, infatti parliamo digestione), possa essere anche un’oc-casione di crescita, che non sfoci inviolenza; imparando a riconoscere ilconflitto, a dargli un senso e a gestirlosi può evitare di arrivare alla violenza.

Apprendere a “so-stare” nel conflit-to permette di arrivare alla capacità didire “No” quando occorre, di staccarela spina, evitare un’adesione conformi-sta (fenomeni tipici di alcuni gruppi,soprattutto di giovani), assumendosiquindi una responsabilità adulta, unatteggiamento opportuno nei contestiadeguati.

L’intervento si prefigurava i seguen-ti Obiettivi specifici:- Lavorare con i giovani, bacino

d’utenza per futuri sportivi e tifosi,per riacquisire valori di sportività, rispetto, tolleranza, legalità, in un’ottica di limitazione delle

For football fan and not against!Tifo PRO! Progetto per l’educazione ad un tifo non violentorivolto a giovani tifosi

The 11th European Congress of Psychology

Oslo, Norway 7-10 july 2009

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tensioni presenti nella società civile.- Favorire il confronto tra realtà diverse

per favorire la comprensione dei fenomeni sociali e del comportamento individuale.- Limitazione l’esasperazione di prestazioni e competizioni.

- Sviluppare competenze d’espressionee gestione delle proprie emozioni, imparando a considerare le conseguenze delle azioni proprie ealtrui, riuscendo a tenere presenti idiversi punti di vista.

- Fornire strumenti di analisi per l’acquisizione di competenze utili alsuperamento di copioni violenti.

- Coinvolgere attivamente i soggetti nel percorso formativo che li vede protagonisti.

- Proporre attività per la sensibilizzazionedella società rispetto i temi trattati.Per quanto concerne i destinatari

sono stati coinvolti i seguenti attorisociali:- Studenti.- Atleti del settore giovanile.- Società Catania Calcio (allenatori,

giocatori, accompagnatori, dirigenti,steward, etc).

- Ultras.- Agenti di Polizia.- La società.

Si è cercato di raggiungere la socie-tà tutta attraverso campagne d’infor-mazione di sensibilizzazione al tema.

La metodologia utilizzata è stata ditipo partecipativo, con momenti espo-sitivi ed attivazioni (role playing, simu-late, giochi di gruppo, visione di videocreati ad hoc con relativa discussionedi gruppo). Il gruppo era al tempo stes-so obiettivo da raggiungere, strumentodi apprendimento e catalizzatore dellediverse dinamiche in gioco.Quattro fasi d’intervento:1) Informazione/formazione.2) Formazione ed intervento in classe.3) Valutazione (in itinere, finale,

follow up).4) Realizzazione del convegno finale.

Nella prima fase, la messa a puntodel percorso formativo con l’attivazio-ne di contatti necessari per far partireil progetto, incontri con insegnanti ecc.

Nella seconda fase, l’attuazionedell’intervento formativo; attraversometodologie attive (gruppi di discus-sione, studio di casi, utilizzo di tecni-che proiettive, attivazioni, role playing,etc.) ed interventi di relatori esterni(esperti, ultras, giocatori, rappresen-

tanti del Catania Calcio etc), con iseguenti contenuti:• Violenza e conflitto: rappresentazioni,

vissuti, copioni comportamentali.• La legislazione in merito allo Stadio.• Il punto di vista del proprio gruppo:

esperienze e vissuti su fenomeni diviolenza (ultras, poliziotti, atleti, FIGC, studenti, addetti ai lavori di società sportive).

• Il fenomeno della violenza negli stadi: una visione sistemica dei diversi punti di vista.

• Comunicazione efficace: saper/poter comunicare i propri vissuti e le proprie esigenze (livellocognitivo).

• Dar voce alla rabbia: acquisire competenze d’utilizzo della comunicazione assertiva per la gestione della propria aggressività (livello emotivo).

• Gestione del conflitto: riflessioni teoriche, personali e tecniche (livello relazionale).Rappresentare il tifo attraverso un

disegno e metodologie partecipative; ipartecipanti hanno ideato elaboraticreativi sugli argomenti trattati nellaprecedente fase del processo formati-vo. Inoltre, i ragazzi hanno avuto l’op-portunità di fare una sperimentazioneattiva del tifo ed una gita d’istruzioneall’interno dello Stadio.

Nella terza fase, è stata previstauna valutazione in itenere, sia formaleche informale, volta alla condivisionedelle aspettative, dei nodi critici, deivissuti e dell’andamento del percorso.

La valutazione costituisce sia feed-back continuo (sugli effetti dell’azioneformativa, la problematiche, il gradi-mento, i vissuti, ecc.), sia possibilitàper ritarare il progetto se necessario.

Infine, una valutazione finale princi-palmente su 2 focus: • La qualità erogata.• La qualità percepita.

Attraverso il dialogo con i giovani siè confidato in una forte assimilazionedi principi e valori, tale da prevenire ledegenerazioni dello sport, che riguardi-no violenza o discriminazioni.

Allo stesso modo, il coinvolgimentodi gruppi di tifosi e rappresentanti dellaSocietà Catania Calcio, nella comuneriflessione su tali tematiche, è risultatarilevante, sia per la riduzione delle ten-sioni del tifo calcistico nella realtàetnea, sia per favorire l’integrazione trale varie comunità presenti nel territorio

ed evitare l’isolamento di gruppi socia-li territoriali.

La quarta fase; un evento finale incui è stata presentata l’esperienza for-mativa maturata da parte dei soggetticoinvolti, attraverso la restituzione allapopolazione etnea dei diversi lavoriprodotti dai partecipanti; dibattiti eproiezioni, per favorire una diffusionedella riflessione critica sul tema, utiliz-zando uno scambio di pratiche e rifles-sioni tra gli attori sociali coinvolti nelfenomeno, studiosi, associazioni, isti-tuzioni, giornalisti.

Il percorso formativo è iniziato conl’analisi della rappresentazione del tifodei partecipanti (alunni di scuola ele-mentare e media inferiore) attraversol’elaborazione di un disegno.

È stata fatta una suddivisione deidisegni secondo alcune categorie dico-tomiche:• Connotazione positiva/negativa

(per l’88% del tutto positiva).• Fenomeno individuale/di gruppo - Il

62% dei disegni rappresenta il tifo come fenomeno di aggregazione (38% individualità).

• Presenza/assenza di persone - Solo il 45% dei disegni rappresentadelle persone, mentre nel 55% sono presenti ambientazioni, simboli, oggetti, slogan ma anche pensieri e riflessioni.

• Presenza/assenza dell’elemento “stadio” - l’elemento stadio è presente solo nel 29% dei disegni.Nel 20% dei disegni emerge la pre-

senza di elementi della Società CalcioCatania.

Particolarmente incisiva è stata lascoperta che il tifo, per i ragazzi etnei,non è malato per definizione ma la vio-lenza è solo una DEGENERAZIONE enon una COMPONENTE del fenomeno.

Alla fine dell’intervento, sono statisomministrati ai ragazzi dei brevi que-stionari, in cui si è chiesto di eviden-ziare gli aspetti positivi e negativi delprogetto.

La maggior parte delle risposteriguardavano i temi del progetto (novi-tà, immedesimarsi nel tifoso) e il rap-porto con i compagni (lavoro di gruppo,il senso dell’unione, la collaborazione,la libertà d’espressione).

È nota d’orgoglio che il progetto èstato inserito come percorso rieducati-vo nei giovani sottoposti all’istitutodella messa alla prova dal Tribunale deiMinori di Catania, per reati da stadio.

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Santa Muscuso - psicologo

Colleghe e colleghi, nell’ambito deilavori dell’11° Congresso Europeodegli Psicologi ho pensato fosse

utile e opportuno approfondire,chiarireulteriormente lo sviluppo teorico dell’ela-borazione di una nuova categoria deldanno risarcibile economicamente.

Vorrei brevemente parlarvi del danno“esistenziale”, ovverosia di una nuovacategoria della responsabilità civile checomincia a trovare una forte e robustaimpostazione dottrinale, sulla falsarigadell’ordinamento giuridico anglosassonefondato sulla “common law” (dirittocomune) e sicuramente molto più avantidel sistema giudiziario italiano nella dife-sa dei diritti della persona, per lo menoper ciò che riguarda l’uguaglianza dei cit-tadini, innanzi alla legge, contrariamentea quello che avviene in Italia, dove il dirit-to codificato impedisce la valutazioneanalogica in due casi simili (possonoessere emesse e, spesso lo sono, duesentenze diverse in casi simili).

Bisogna francamente affermareche appariva poco coerente un siffattoordinamento, che tutela solo la sferarelativa al danno biologico o materialeprodotto da terzi e non considerare,invece, gli effetti del danno sull’interocomplesso dell’esistenza.

Quindi non solo si va oltre il dannopatrimoniale come danno emergente elucro cessante, ma si comincia a valu-tare seriamente negli “accadimentidrammatici” della vita, causati da terzi,l’importanza ai fini del risarcimento delpentimento di una grande sofferenzainteriore, del detrimento subito alla vitadi relazione della “vittima” di un inci-dente, dai suoi familiari, da coloro chesi definiscono congiunti.

E questo è sicuramente l’inizio diuna grande speranza per un mondo deldolore umano non considerato “ade-guatamente” e da sempre trascurato.

Si comincia a considerare il “pre-tium doloris” di coloro che subiscono

amarezze,penombre,sofferenze psichi-che che intaccano l’animo umano irre-versibilmente dopo un’evento dannoso.Questi stati d’animo costringono coloroche subiscono un’incidente a modifica-re drasticamente la propria vita, cam-biando abitudini, togliendo il piacere dipassioni, hobbies, interessi su cui siricrea lo spirito e si rilassa il corpo.

Oltre i danni fisici, la beffa di unavita alterata che l’evento traumaticotrasforma in un inferno, togliendo quel-la serenità interiore, turbando la menteche vive nel ricordo ossessivo delmomento drammatico in cui un con-giunto ha perso la vita o è rimasto gra-vemente ferito. Si devia sostanzial-mente dai normali percorsi quotidianiminando seriamente la razionalità e lalogica degli individui e reprimendo lanaturale creatività umana. Subentra, inparole povere, un grave danno checoinvolge i congiunti in un vortice dieffetti spesso di incalcolabile portata.

Quindi si deve valutare la nuova real-tà di fondo, che cominciano a viverepenosamente i “congiunti”, che impara-no a sacrificarsi materialmente e moral-mente per la vittima dell’incidente.

Altresì si impongono alla vita nuovemodalità organizzative, nuovi ritmi conconseguenze evidenti quali notti in bian-co, claustralità, week-end perduti,appiattimenti, funzionalizzazioni, restrin-gimenti di orizzonti.

Allora non si tratta di sole perditepatrimoniali (conti in banca dimezzati,guadagni compromessi), ma si gremi-sce la vita di una nuova fisionomia alte-rata e compromessa non solo sotto ilprofilo morale (malinconie, ansie,lamen-ti notturni, pianti). Si comincia a perce-pire nettamente l’idea di rinunciare asacrificare la gran parte dei propri impe-gni dell’esistenza quotidiana.

Per valutare questo nuovo dannooccorre un approfondimento più attentoe meticoloso delle “condizioni esistenzia-

li” di coloro che sono rimasti vittime diincidenti e bisogna dare spazio a specia-listi che possano enucleare e rappresen-tare in quale modo sia stata intaccata lapersonalità e quale incidenza tale eventoha avuto sulla sfera della creatività.

È evidente come lo stravolgimentodella vita, a seguito di un fatto danno-so, determina inevitabilmente una per-dita del bene essenziale della vita: lapropria capacità di essere liberi.

Dunque insieme alle vittime “pri-marie” da un punto di vista psicologicoe umano vi sono anche vittime “secon-darie” da proteggere e da tutelare.Anch’esse pagano personalmente unprezzo molto alto e salato sul versantedelle sofferenze umane.

Da anni mi imbatto in situazionidrammatiche di interi nuclei familiaridistrutti dal dolore per la perdita o per ilferimento di un proprio caro in un inci-dente automobilistico e in seguito aquesti eventi luttuosi emergono, affiora-no stati depressivi, disturbi psicosoma-tici, ansie, isterie e la casistica potreb-be continuare, a dimostrazione che glieffetti traumatici di un evento dannososi riverberano nel tempo come una cate-na di Sant’Antonio da cui è difficile usci-re a costo anche di perdere la ragione.Anche quando non vi è la morte del con-giunto si registra lo stesso una gravissi-ma difficoltà a “relazionare il tutto” equesto nuovo staus quo diventa prima-rio ostacolo impedendo una vera esi-stenza densa di significati autentici.

La vita è bella quando può esserevissuta completamente, ma quando vi èuna modificazione peggiorativa dellaqualità della vita e quando sono venutimeno quel fascio di relazioni umane, siassiste ad una menomazione e ad unimpoverimento della persona che neimpedisce il libero sviluppo, sia comesingolo individuo, sia nelle formazionisociali in cui necessariamente o volon-tariamente si svolge la sua personalità.

L’ELABORAZIONE DI UNA NUOVACATEGORIA DEL DANNO RISARCIBILE ECONOMICAMENTE:

DANNO ESISTENZIALEThe 11th European Congress of Psychology

Oslo, Norway 7-10 july 2009

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Consiglio dell’Ordine degli Psicologi della Regione Sicilia

PRESIDENTEPaolo Bozzaro

VICEPRESIDENTEMelita Ricciardi

CONSIGLIERE SEGRETARIORoberto Pagano

CONSIGLIERE TESORIEREIlenia Adamo

Ammirata MicheleAttinà Alice (sez. B)

Chianese RitaCiavirella SebastianoDi Martino Giovanni

Marù Antonino

Noto Maria TeresaSmirni Daniela

Spitale GiuseppeTinti Barraja SoniaZarcone Vincenza

CONSIGLIERI

SEDI E RECAPITI

Paolo Bozzaro Catania [email protected] 347 4846834Telefax: 095 536082

Melita Ricciardi Palermo [email protected] 338 8515317

Ilenia Adamo Piazza Armerina (EN) [email protected]

340 8946307348 03562210935 682231

Fax: 0935 1866660

Roberto Pagano S.G.La Punta (CT) [email protected] 349 5745814

Michele Ammirata Palermo [email protected] 347 1122507327 4440066

Alice Valeria Attinà Bronte (CT) [email protected] 328 8215399095 7721202

Rita Chianese Marsala (TP) [email protected] 1961694377 5061418

Fax: 0923 762260

Sebastiano Ciavirella Messina [email protected]: 090 344480Studio: 338 1760938Studio: 329 6733305

Giovanni Di Martino Modica (RG) [email protected] 69664510932 2349310932 448606

Antonino Marù Ragusa [email protected] 347 2602807Fax: 0932 256855

Maria Teresa Noto Palermo [email protected] 338 5862168

Daniela Smirni Catania [email protected] 347 4739207

Giuseppe Spitale Avola (SR) [email protected] Ab.: 0931 823811330 852394

Sonia Tinti Barraja Palermo [email protected] 347 4929867

Vincenza Zarcone Palermo [email protected] 338 5240379

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