Sportivissimo Marzo 2010

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La rivista dello sport vicentino

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APPUNTAMENTIDomenica delle Palme: 28 marzo ore 12.30Pasqua della Resurrezione: 04 aprile ore 12.30Menù della tradizione con i prodotti stagionali del territorio vicentino. (Su prenotazione)L’Asparago bianco dop di Bassano:Emy e Roberto, aderendo all’iniziativa promossa dall’ASCOM di Vicenza, propongono dal 19 marzo al 13 giugno, un Menù Degustazione a base di questo prodotto tipico del nostro territorio.(Su Prenotazione)

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editoriale

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Casa editrice Mediafactory srlvia Monte Ortigara, 83 - Cornedo Vicentino (VI)Sportivissimo: Pubblicazione registrata pressoil Tribunale di Vicenza il 21 dicembre 2005 n. 1124Stampa Tipografia Danzo sncVia Monte Ortigara, 83 - Cornedo Vicentino

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Direttore responsabile Luigi BorgoRedattore capo Filippo PavanRedazione Paola Dal Bosco, Andrea CornaleWeb master Nicola Anzoni

Redazione tecnicaalpinismo Luigi Centomoarco Carlo Carliarti marziali Massimo Neresiniatletica Ivanoe Simonelliavventura Franco Spanevellobasket Filippo Pavanbenessere Alessandro Grainerboulder Nicola Anzonicaccia e pesca Dorino Stoccherocalcio Alessandro Grainercalcio a 5 Nicola Ciatti

ciclismo Guido Lanaroequitazione Michele Toldogolf Sergio Vellarhockey Cristian Ponzamaratona Gianni Garbin montainbike Marco Canistrimotocross Valeria Vianellonuoto Giuseppe Martiniorienteering Paolo Mutterlepallavolo Enzo Casarottoparapendio Luca Basso

pattinaggio artistico Giuliano Crosararally Demitri Brunellorugby Giuliano Piccininnoscherma Giuliano Piccininnosci Luigi Borgosci nordico Sergio Vellarsub Antonio Rossotennis Chiara Guiottotriathlon Martina Doganatuffi Michele Verzivela Alessandro Lotto

Direzione commerciale Laura DanzoAgente Aldo RonconiSegreteria Giuliana Lucato

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Cari Guidaldo e Lapo, qualche settimana fa vi ho portato a sentire una conferenza su Sergio Perin, lo zio di vostro nonno Guido e grande amico di Franco Meneguzzo, pittore tra i massimi del se-condo ‘900 italiano, oltre che zio di vostra nonna Emanuela, che voi avete potuto conoscere e amare, e che a Guidaldo prima e a Lapo poi ha insegnato che anche nella testa di un bambino di 4 anni c’è una “centralina” da tener viva e ben funzionante. Ebbe-ne, a beneficio della vostra “centralina” ci tenevo proprio che voi partecipaste a quella conferenza, perché, per quanto forse non po-tevate capire tutto di quel che si sarebbe detto, avreste comunque percepito quale bella persona era un membro della nostra famiglia, quale capacità di comprendere gli uomini e il loro futuro aveva Sergio Perin; e ci tenevo, a quella conferenza, anche per conto mio, dato che era la prima volta che mi si offriva la possibilità di avere sue notizie in modo ufficiale. Finora, infatti, quello che ero riuscito a sapere, lo avevo raccolto qua e là, chiedendo a parenti o a persone che l’avevano conosciuto. Insomma ci tenevo perché io sono cresciuto nel segno dei valori di Sergio Perin e su quei va-lori sto cercando di far crescere voi. Vi avevo anticipato l’evento, dicendovi che quell’incontro pubblico, per i 90 anni dalla nascita, aveva un grande significato già di per sé, perché dimostrava come il pensiero di Sergio Perin era entrato nella vita di tante persone e questo, ragazzi miei, è la virtù dei grandi uomini, dei classici che studierete, il cui pensiero è diventato parte di noi al punto che sentiamo la necessità di ricorrerne ogni qualvolta ci interroghiamo su noi stessi e sul nostro presente, malgrado loro non ci siano più da tanto tempo.E allora, poiché so che quella conferenza vi ha deluso, come d’al-tro canto ha deluso me, mostrando un Sergio Perin in cui ciascu-no di noi si è riconosciuto solo a tratti, dopo averci pensato un po’, ho deciso di scrivervi questa lettera aperta, e l’ho fatto non solo perché è giusto che a un discorso pubblico si ribadisca con un intervento altrettanto pubblico, ma anche perché ho capito che è il genere letterario della lettera - della lettera familiare - quel-lo più efficace per trattare questi argomenti. Quella sera in sala, infatti, oratori e pubblico erano tutti “figli” o “nipoti” di Sergio Perin. Figli naturali e figli culturali degli “azionisti”, come allora si chiamavano i membri del Partito d’Azione. E di ciò ho avuto riprova il lunedì successivo alla conferenza, quando il quotidiano La Repubblica pubblicava un pezzo di Beniamino Placido proprio su Giustizia e Libertà e proprio nella forma di lettera alla figlia Barbara. Verrebbe già da far notare come il pensiero politico degli “azionisti”, così pieno di alti ideali, abbia storicamente più funzio-nato nell’educazione di pochi uomini che nel guidare lo Stato, di cui raramente è stato il pensiero guida; e di rilevare non un limite in questo, ma un valore. Gli “azionisti”, e Sergio Perin in modo speciale, erano principalmente uomini di passione. Su tutto, prima c’era la passione, e poi da essa, ma come un casus, poteva venire anche il successo politico, l’affermazione individuale, il successo economico. Mai il contrario. In Sergio Perin la politica era passio-

ne, la cultura era passione, il suo mestiere d’insegnante di storia della filosofia al liceo cittadino era passione. Il suo non essere stato eletto al parlamento italiano, quindi, come d’altro canto lo sciogli-mento del Partito d’Azione a causa, come scrisse Palmiro Togliat-ti, di una visione troppo intellettuale e quindi astratta della politica, non fu tout court un insuccesso. La loro militanza appassionata non fu sterile, ma alimentò e continua con successo ad alimentare un certo modo di vivere la politica, la cultura, lo sport, il lavoro di tutti i giorni. E questo non è essere “astratti” ma l’esatto contrario, perché questo significa aver capito che per arrivare a una politica alta (concetto astratto) prima servono uomini degni (dato reale). Tra tutti i movimenti politici del secolo scorso, cari Guidaldo e Lapo, quello “azionista” è il solo di cui non si possa che dire bene, da sinistra quanto da destra.Ma c’è anche un’altra ragione sul perché vi ho scritto questa lette-ra. Nei giorni successivi alla conferenza è accaduta una cosa stra-na, quella che zio Franco avrebbe definito “un accidente”: metten-do a posto i miei libri, ho trovato una copia di Abolire la miseria di Ernesto Rossi, datata Milano 1946, con una dedica speciale: “A Gaetano Marzotto/ in omaggio./ E. Rossi,/ Roma, 17 dicembre 1950”. Francamente non ricordo come mi sono procurato questo libro; non so se l’ho trovato, come possibile, nella soffitta di mia nonna, in qualche scatola di libri che erano appartenuti a Sergio Perin oppure se l’ho trovato in qualche bancarella nel periodo in cui giravo per mercatini a caccia di libri interessanti. Nel primo caso non so spiegarmi come poteva essere appartenuto a Sergio Perin un libro dedicato a Gaetano Marzotto. Ma è da qui che vo-glio partire, da Ernesto Rossi, che per 13 anni è stato tenuto in carcere dai fascisti; da questo libro di questo economista geniale, grande ispiratore del pensiero di Giustizia e Libertà, si deve partire per comprendere l’azione politica di Sergio Perin e quella ormai celebre trattativa per il rientro a Valdagno di Gaetano Marzotto, dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Marzotto era stato fascista, aveva ricevuto a Valdagno Mussolini. Mentre il regime stava cadendo, temendo per sé e per i suoi famigliari, Marzotto riparò in Svizzera. Sergio Perin, come esponente di spicco del Co-mitato di Liberazione Nazionale, ebbe l’incarico di incontrare Ga-etano Marzotto a Portogruaro e avviare una trattativa per il suo ri-entro a Valdagno. Ebbene, Guidaldo e Lapo, quella sera è stato detto che da quell’incontro, pur senza una esplicita colpa di Sergio Perin, si raccolse pressoché nulla per la città e per i suoi residenti. E si citavano quelle due righe non meno celebri di Libera nos a malo di Luigi Meneghello, in cui si dice che Paolo il biondo (que-sto era il suo pseudonimo), cioè “l’impiccatore dei Marzotto, bion-do, schivo e trasognato…”, per un giorno ebbe in mano il destino della città, ma già i giorni successivi “Marzotto avrebbe potuto impiccare loro”. Vedete, al tempo, c’era chi avrebbe fatto saltare in aria i Lanifici, come segno di spregio nei confronti del padrone fascista e traditore; chi li avrebbe occupati e autogestiti; chi avreb-be voluto farne una cooperativa operaia; chi li avrebbe statalizzati.

Lettera ai miei figlidopo una conferenza su Sergio Perinper una societa di valori sportivi‘

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6Sergio Perin non fece nulla di tutto ciò: non temporeggiò, come scrive Meneghello; non fu inconcludente, come si disse; ovve-ro quell’incontro non generò un fallimen-to, come è stato detto quella sera. Sergio Perin aveva letto Ernesto Rossi: vedeva avanti. Così scriveva Rossi: “… durante l’ultimo secolo e mezzo, (scrive prima del 1945) esso (lo stimolo del profitto) è stato la molla propulsiva di un dinamismo eco-nomico che ha fatto aumentare i mezzi ma-teriali disponibili per la soddisfazione dei bisogni umani con un ritmo senza prece-denti” e li elenca: più possibilità di nutri-mento, di alloggio, di vestiario, di comuni-cazione, di trasporto di persone e cose, di colonizzazione delle regioni più selvagge, di scambi commerciali e finanziari…; per concludere: “furono realizzate e diffuse in-venzioni più meravigliose di quelle che aveva saputo immaginare la fantasia dei novellieri orientali”. E, dopo aver detto ciò, dichiarava: “l’eroe di questa grandiosa ri-voluzione economica non è il “fedele ser-vitore dello stato”, mosso dal senso del dovere. E’ l’imprenditore, che non ha lo stipendio sicuro alla fine del mese, comun-que vadano le cose... E’ l’imprenditore che costruisce la sua baracca di pioniere sem-pre più avanti, se scopre una possibilità di maggior guadagno, dove neppure arriva la tutela della legge; che fa sua l’idea geniale dell’inventore nella speranza di trasformar-la in tanti biglietti di banca, prima che esi-sta un mercato di consumatori disposto a comprare i nuovi prodotti…”. E poi, “mol-ti imprenditori hanno pagato con la rovina la loro audacia, ma i pochi che sono riusci-ti hanno segnato … le prime tracce di un cammino che ha permesso poi a tutta l’umanità di procedere sicura”. Seduti uno di fronte all’altro nella villa di Portogruaro, Sergio Perin non era il vincitore della guer-ra che chiedeva un bottino a Gaetano Mar-zotto, ma un valdagnese che aveva ben presente che cosa aveva significato per la città e i suoi residenti un’eccellenza indu-striale come quella che i Marzotto avevano intrapreso. Un’eccellenza industriale all’epoca rara nel nord Italia e rarissima nel Veneto. Sapeva che i Marzotto avevano te-merariamente avviato un’industria in una terra di confine di là della quale c’era la ne-mica Austria. Avevano costruito la loro “baracca di pionieri… dove neppure arri-vava la legge”. Per capire quali rischi com-portava avere una fabbrica sul confine con una nazione nemica, sappiate che in quegli anni, a Padova, nella facoltà d’ingegneria, s’ideò il primo motore a scoppio da appli-care a un veicolo a tre ruote del cui proget-to s’innamorò un giovane ufficiale di ca-valleria di stanza a Verona, Giovanni Agnelli. Quando si trattò, però, di avviare la fabbrica per la produzione di automobili, quella che poi sarà la Fiat, Agnelli preferì il Piemonte al Veneto, scegliendo la sicurez-za dei confini, l’antica alleanza con la Fran-cia, che la tecnologia dei dottori padovani. Sergio Perin sapeva cosa significava que-sto perché lo aveva letto da Ernesto Rossi, perché lo aveva vissuto di persona. Cioè sapeva che “quella baracca” temeraria di confine che era diventata una fabbrica in-ternazionale aveva portato in città un teatro da 1860 posti, una scuola di musica, un in-tero quartiere di scuole, un ospedale, un poliambulatorio, un orfanatrofio, un asilo, un dopolavoro, una casa di riposo, grandi

centri sportivi, un albergo e soprattutto un migliaio di alloggi residenziali moderni e funzionali; insomma aveva fatto di una modesta città di una valle anonima una del-le migliori città d’Italia. Sergio Perin aveva letto dal libro di Ernesto Rossi che il “regi-me individualistico”, quello imprenditoria-le, rappresentato dai Marzotto, era in fondo il migliore, se regolato da buone leggi. Che l’alternativa, rappresentata dal “regime co-munistico”, avrebbe portato l’intervento dello Stato su tutto, e questo significava la “burocratizzazione generale”. Ernesto Ros-si, Sergio Perin non erano comunisti ma “azionisti”. Cioè, come scrive Placido, “volevano la Giustizia, ma volevano anche la Libertà”. Pochi al tempo lo capirono. Benedetto Croce, che all’epoca era consi-derato il massimo filosofo italiano, soste-neva che Giustizia e Libertà erano inconci-liabili. Chi vuole la Giustizia, l’Uguaglianza - diceva - deve rinunciare alla Libertà, che è sinonimo di Diversità. E questo politicamente voleva dire fare la fine della Russia di Stalin. Scrive Placido: “gli “azionisti” erano fermamente avversi alla Russia di Stalin, che aveva impiccato abbondantemente, che continuava ad im-piccare allegramente. Mai, neppure per un momento cedettero alle fiabesche scioc-chezze che i comunisti italiani allora dice-vano. E che si sono dimostrate sanguinosa-mente false”. Al mito della Russia, poi della Cina, quindi di Cuba gli “azionisti” non hanno mai creduto. Sergio Perin non si oppose a Mussolini; si oppose a Mussolini e a Stalin. Ovvero a tutte le tirannidi. Quel giorno a Portogruaro si oppose anche a Ga-etano Marzotto, certamente. E con succes-so. Perché dopo la fine della guerra, a Val-dagno cominciò a maturare un modo diverso di rapportarsi con Marzotto, il qua-le non era più il paròn ma un industriale; il quale non era più il padre dei valdagnesi dal fare paternalistico ma un moderno ca-pitano d’industria. La fabbrica era diventa-ta un’espressione della città, e non più vi-ceversa. Il disegno di Sergio Perin per il futuro di Valdagno fu chiaro e vincente: si doveva realizzare una grande zona indu-striale per dare possibilità al sorgere di nuove realtà imprenditoriali; ci si doveva impegnare per collegare Valdagno, attra-verso un’autostrada pedemontana che da Arzignano arrivasse a Treviso, alle mag-giori città di quello che sarebbe diventato, da lì a poco tempo, il fenomeno Nordest; la città doveva dotarsi di una moderna e viva-ce biblioteca comunale con galleria civica come centro - agli “azionisti” sarebbe pia-ciuta l’espressione “come fiaccola” - della vita intellettuale comunale. Per l’Italia, in-vece, gli “azionisti” pensavano a un mo-derno stato federalista europeo. Provavano simpatia per gli Stati Uniti dell’era Kenne-dy. Sergio Perin aveva incontrato Bob Kennedy a Washington, in occasione di un incontro formale. Sebbene non ci fosse sta-to modo di approfondire la loro reciproca conoscenza, era rimasto colpito che alle pareti dello studio vi fossero appesi - quale presenza familiare, quale segno di futuro - i disegni dei figli piccoli di Bob.Gli “azionisti” erano uomini speciali per-ché sapevano guardare avanti, perché so-gnavano, perché il loro pensiero “volava sempre alto”, come scrive Beniamino Pla-cido, come scrive Salvatore Fazia nel libro Passione e morte di Franco Meneguzzo,

dove dice che al Garibaldi di Valdagno, il bar della piazza, ci s’incontrava per parla-re d’idee, di letture, d’interpretazioni del mondo, ed erano sempre discorsi alti, “un punto di vista alto sulle cose e … solo di cose alte si parlava…”. Una volta chiesi a Franco Meneguzzo che cosa volesse dire tutto questo e lui, sapendo che a me piace-va sciare, mi disse: “chi è il migliore nello sci; bene, impara da lui”. Voleva dirmi che era importante leggere chi ti fa pensare, e che pensare era il modo di vivere più bello. Tu, Guidaldo, cominci ad avere l’età per affrontare le prime decisioni sulla tua vita. Una volta Francesco Disconzi, che era un bel personaggio di Valdagno che amava l’arte e gli piaceva vivere da gentiluomo qual era, mi raccontò che molte persone si rivolgevano a Sergio Perin per avere un consiglio su una data scelta che loro stava-no per fare. Gli chiedevano se era bene o male quella determinata cosa, e lui - così diceva Francesco - era sempre pronto a in-coraggiarli a farla. Mi sono chiesto le ragio-ni di questo suo agire e mi sono convinto che egli lo facesse perché sapeva che nella formulazione della domanda, la scelta era già intimamente fatta. Si rifaceva, credo, a San Agostino che nel De Magistro scrive: “in interiore homine habitat veritas”, den-tro di noi c’è la verità delle nostre scelte. Quelle persone cercavano da Sergio Perin semplicemente un po’ di forza, un suppor-to psicologico, una benedizione laica e lui gliela dava; generosamente, senza invidia li aiutava ad aprire la porta, non a chiuder-la. Adesso tu, Guidaldo, che devi scegliere la scuola per il tuo futuro, ascolta, sì, tutti quelli che possono darti un suggerimento, ma poi scegli liberamente tu, e io sarò dal-la tua parte e nei tuoi progetti, e il nostro motto sarà quello che avevano coniato gli “azionisti”: non molleremo. Voglio concludere con un ricordo perso-nale. Avevo 6 anni, quando Sergio Perin è morto. Ho due flash di lui che mi tiene sulle ginocchia. In uno siamo sul sedile anteriore del Maggiolone bianco della zia Gina, nel-la curva, dopo il ponte della filanda a Re-coaro, in direzione Valdagno. Lui mi recita la storia de l’ocarela, che la xe curta ma bela, con el capeleto in crò, vuto che te la conta sì o no? Io dicevo di sì. Non te devi dir di sì, perché la storia dell’ocarella la xe curta ma bela, con el capeleto in crò, vuto che te la conta sì o no? E allora io dicevo di no. Non te devi mai dir de no, perché la storia dell’ocarella… e così, credo, abbia-mo continuato fino a Valdagno. E’ stata la mia prima lezione di filosofia, una versione nostrana del celebre paradosso: “la frase sul retro di questo foglio è vera”; giri il foglio e leggi: “la frase sul retro di questo foglio è falsa”; era per dire che al di là del gioco di logica, (se dici di ‘sì’ alla storia de l’ocarella, allora non è più curta; se dici di ‘no’, allora non puoi sapere che è bela), la verità va cercata in continuazione, senza fermarsi mai; che le stesse leggi dello Stato devono continuamente essere riviste da un paziente e saggio lavoro di miglioramento. Gli “azionisti” furono i migliori di tutti nel-lo scrivere le leggi; avevano quasi un’idea sportiva della società: siamo tutti uguali nel campo di competizione, dove per tutti val-gono le stesse regole, poi, però, ciascuno di noi dev’essere libero di mettere alla prova i propri talenti. Ecco, ragazzi, ci tenevo a dirvi questo, papà.

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7arrampicata

tre amicion the rocks

di Gianni BissonFoto di Luca GiovanniniIl paesino di Recoaro Terme offre agli

appassionati di scalate,oltre che le note arrampicate nelle Piccole Dolomiti, anche la possibilità di scalate su ghiaccio. Nel tentativo di far conoscere queste piccole meraviglie, tre amici: Alfredo, Gianni e Luca si sono recati in località Ronchi ar-mati di corde chiodi piccozze e ramponi,e non per ultima di una buona macchina fotografica che messa nelle mani di Luca Giovannini, detto Ciri, fotografo di pro-fessione, produce buone foto.La cascata in questione porta il nome di “Zio Paje” datogli si presume dai primi salitori che corrispondono al nome di An-

tonio Cailotto ex Guida Alpina e dall’in-distruttibile amico Giuseppe Visonà, meglio conosciuti in valle con il nome di Toni Roccia e Beppo Giassa. La data della prima salita penso che ri-salga agli anni ‘80, poi in seguito la ca-scata di ghiaccio è stata riscoperta dalla Guida Alpina Franco Spanevello che con il trapano ha piantato i primi fix con an-nesso cordino per facilitarne la scalata in sicurezza.Negli ultimi anni la Guida Alpina Gian-ni Bisson con l’amico Giuliano Dani e la fidanzata Susanna Fantini e l’insepa-rabile cane huscki Criss, ha portato una

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piccola innovazione nella cascata di zio Paje, infatti sulla sinistra è nato un simpatico dry tooling “forse il primo in valle” un piccolo tiro di corda con 4 fix che supera con prepotenza i due tetti a strapiombo dove non si forma il ghiaccio.Il tiro chiamato con il nome “Si-sco” presenta forse una difficoltà di M7(?),dico forse, perchè non avendo tanta esperienza in merito saranno le future ripetizioni a confermarne la dif-ficoltà e quindi il grado.Mentre la cascata che spesso e volen-tieri non si forma molto bene può pre-sentare difficoltà fino al 5° grado.

Per raggiungere la cascata ci si inol-tra in una stradina che, da prima pas-sa una piccola valle dove si raccoglie l’acqua per dare da bere alla contra-da Ronchi e, appena ci si inoltra nel sentiero qui si incontra un cartello che parla chiaro:

Divieto di scarico ....... (probabilmen-te immondizie non ci stava!). Da qui si sale tenendo la sinistra per il sen-tiero in un suggestivo bosco fino al raggiungimento della valle, dove più in alto si forma la cascata.

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Salendo per pochi minuti si raggiun-ge un piccolo salto dove raramente si

forma una piccola cascata ghiacciata di 2 o 3 metri, che si può aggirare per

il bosco, oppure se il ghiaccio è abbastan-za formato salire con piccozza e ramponi,e

proseguendo nella valle si arriva alla cascata “Zio Paje”.

Se la cascata non si presenta in buone condizioni la si può aggirare, non senza difficoltà, e si può mettere la corda dall’alto in modo da poterla salire in sicurezza facendo più di qualche giro.Quasi sempre la cascata di ghiaccio si forma a canne di or-gano e così rende difficile la messa in posizione dei chiodi e la tenuta delle piccozze, quindi è molto importante valuta-

re bene le condizioni del ghiaccio e le proprie capacità di arrampicata su ghiaccio.

Buone scalate e buon divertimento.

Gianni BissonIstruttore delle Guide Alpine

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1010escursionismo

La cresta del “Bocchese”

Un altro itinerario dimenticatoma estremamente affascinante

La cresta di cui parliamo in que-sto articolo si sviluppa nei pressi di Cima Boc-chese (924 m.s.m.) dove è posta una croce. Oltre che per la sua naturale bellez-za, questa cima vale la pena di essere raggiunta per lo straordinario pano-rama che da essa si vede e quindi consigliamo di evitare di servirsi del sen-tiero sottostante ma di rag-giungerla attraverso la cresta, proprio sul filo (saliscendi) del suo sviluppo. Questo itinerario, infatti, permette di avere un’am-pia veduta sulle valli sottostanti e sui monti attorno in ogni momen-to della camminata. Il panorama è davvero mozzafiato. A seconda da dove si proviene, si può percorrere la Cresta del “Boc-chese” in un senso oppure nell’altro. Ecco i vari modi per raggiungerla: 1. dalla contrada Castagna (sopra il paese di San Quirico) raggiungibile in auto2. dalla contrada Busati (dopo la contra-da Pellicchero) raggiungibile in auto.3. da Recoaro 1000 passando nei pressi di località Gioccole.4. attraverso il “sentiero del partigiano e della Resistenza” che inizia nei pressi della località Facchini (Recoaro Terme).

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cresta del Bocchese

di F. S.foto di Riccardo Corà

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11fondo

Debora Rosa è campionessa italiana nella staffetta e bronzo tricolore

nella 5 km individuale

Super DeboraNei giorni 26-27-28 feb-braio si sono svolti a Lama M o c o g n o , in provincia di Modena, i Campionati Italiani Allievi, ultima gara stagionale per gli atleti di categoria e sicu-ramente l’evento più im-portante ed il più atteso dell’anno.E proprio come dice il detto “quando il gioco si fa duro, i duri cominicia-no a giocare”, qui sulle nevi dell’appenino emilia-no la nostra Debora Rosa ha fatto il gran colpaccio portando a casa ben due medaglie, dopo una sta-gione fatta un po’ di luci e ombre e con qualche alto e basso. Due medaglie, un bronzo nella 5 km in clas-sico e un oro nella staffetta femminile, che significano, essere la terza migliore in Italia della sua categoria e la campionessa italiana assieme alle sue altre due compagne(Erika Antoniol e Giada Valentini) nel-la staffetta, anche vista la numerosa e agguerrita con-correnza. Entusiasmo alle stelle in casa dell’U.S.Asiago Sci per questa trasferta veramente da incorniciare in cui Debora è stata molto brava nel riuscire a fare due gare stupende, se-gno di un ottimo stato di forma, ed è stata molto soddisfatta come ci ha lei stesso confermato nell’intervista che riportiamo in breve qui sotto:

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Debora ci puoi dare una tua breve de-scrizione? Mi chiamo Debora, sono del 1995 e ho quindi 15 anni. Abito a Lugo di Vicenza ma ho comunque origini altopia-nesi in quanto mia mamma è asiaghese e quindi posso dire di sentirmi parte di que-sto mondo dato che conosco molto bene Asiago da quando sono piccola dove ve-nivo per trascorrere un po’ di tempo con i miei nonni; adesso mi fermo ad Asiago due mesi in estate e durante le vacanze di Natale ma comunque in quasi tutti i we-ekend. Vado a scuola a Thiene e frequento il primo anno del Liceo Scientifico-Bilin-guismo. In famiglia siamo in quattro, mio papà Marino, mia mamma Giuliana e mio fratello Fabio che ha nove anni e pratica anche lui sci di fondo. I miei hobby sono di stare all’aria aperta, andare in biciclet-ta, camminare in montagna, ascoltare mu-sica e ovviamente andare fuori e divertir-mi con i miei amicio Debora, esattamente da quanto pratichi questo sport? La prima volta che ho mes-so gli sci è stata per gioco all’età di quattro anni, perchè entrambi i miei genitori era-no molto appassionati dello sci di fondo. Agonisticamente ho iniziato invece all’età di otto anni.Cosa ti ha spinto a scegliere questo sport, che come sappiamo tutti chiede molto impegno e molto sacrificio? Ho scelto di dedicarmi esclusivamente a que-sto sport dopo avere praticato pattinaggio a rotelle, pallavolo e ciclismo perché le sensazione di stare a contatto con la neve, con i boschi e con la natura mi affascina-vano.Come è quanto ti alleni?Mi alleno molto, di solito cinque o sei vol-te a settimana, mediamente restando sugli sci per circa un ora ed un quarto seguendo un programma prestabilito da miei allena-tori.Il fatto di abitare in pianura ti penaliz-za? Sì, sicuramente. Ogni giorno impiego più di mezz’ora per raggiungere le piste da sci e di certa abitare anche durante la settimana ad Asiago sarebbe molto più comodo.Com’è stata e cos’hai imparato da que-sta esperienza ai Campionati Italiani?Beh, è stata un’esperienza assolutamente positiva anche se devo dire che inizial-mente ero molto preoccupata e un po’ giù di morale perchè venivo da una stagione in un certo senso sfortunata e con risultati non molto brillanti dovuti a qualche pro-blema fisico, ma invece nelle due settima-

ne antecedenti ai Campionati Italia-ni a Lama Mocogno, sono riuscita a recuperare molto bene, entrando in ottime condizioni giusto in tempo per la gara più importante della sta-gione ottenendo degli ottimi risulta-ti. Ho imparato che oltre alla forma fisica è importante in ugual misura il credere in quello che si fa e impe-gnarsi sempre al massimo.Dopo aver vinto le due medaglie quali sono state le tue emozioni?Beh, è stata una grande rivincita per me stessa, e questa grandissima sod-disfazione mi ha fatto dimenticare l’amarezza di qualche risultato.Cosa ne pensi della tua società e come ti sei trovata? Questa è la pri-ma stagione in cui sono iscritta con l’U.S. Asiago sci e devo dire che mi sono trovata molto bene in quanto è una società ben strutturata e con un presidente, Sergio Vellar, molto vi-cino alla squadra. Posso dire che mi sono inserita alla grande in questo gruppo e ho avuto l’opportunità di far nuove conoscenze e trovare dei buoni amici.Vuoi fare qualche considerazione su questo sport? Sì, sicuramente è uno sport che come altri richiede impegno, costanza e determinazione negli allenamenti, ma pochi sport ti insegnano, come lo sci di fondo, la capacità di soffrire durante la gara, e credo che questa sia una cosa mol-to importante.Vuoi ringraziare qualcuno in par-ticolare? Sì, innanzitutto la mia famiglia che mi supporta sempre e in particolar modo il mio papà che dedica molto del suo tempo per se-guirmi nello sci.Un ringraziamento di cuore va an-che ai miei due allenatori, Carlo Dal Pozzo e Alberto Pertile per la pazienza che portano sempre con me, per gli ottimi insegnamenti che mi danno e per la preparazione a dir poco eccellente degli sci.

Beh, che dire...ti ringraziamo vera-mente per aver tenuto alto il nome dell’altopiano e di Asiago in questi Campionati Italiani Allievi. Un rin-graziamento particolare dalla socie-tà U.S.Asiago Sci che può ritenersi soddisfatta di questa eccellente pre-stazione in chiusura di stagione.

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13pugilato

cuori da ring“Il pugilato funziona al contrario della vita.Sul ring vai incontro al dolore, e vai incontro con tutta la forza che puoi per incassare il meglio possibile senza mai indietreggiare, con la consapevolezza che tutto quello che potrebbe farti male ce l’hai davanti, che niente ti colpirà alla nuca approfittando di una distrazione momentanea,che nessuno giocherà alle tue spalle.Non ci sono traditori sul ring, nessuna bugia in quel quadrato, perché il pugilato è onore, il pugilato insegna a crescere, insegna ad essere uomini… il pugilato è la follia di rischiare tutto per un sogno che nessuno vede, tranne te”.

Vorrei raccontarvi la giornata di un ragazzo comune che, come me, pratica quotidianamente il pugilato... Fissato il giorno per il match (o no) mi alzo alla mattina presto e mi preparo come di con-suetudine alla mia corsa di fondo mattutina...ore 05.00 a.m.... tutto tace attorno a me, ma dopo essere uscito dalla porta di casa, il mio ipod comincia a battere... la musica è tas-sativamente quella di Rocky... mi scalda, mi rende vigoroso, nonostante l’ora ed il sonno... da qui inizia la mia giornata...la giornata di un pugile...Dopo un’ora di corsa precisamente calco-lata in 8/9 Km mi preparo una colazione energetica... uova, pane tostato, caffè, una spremuta d’arancia e un paio di banane... ora posso andare a lavorare… nel corso della mattinata e, per tutto il giorno, ripeto mentalmente tutti gli esercizi e le figure da ripetere nell’ imminente allenamento serale, focalizzando i difetti più evidenti... a pranzo, se ho il tempo, mangio secon-do tabella, quindi: carne rossa o bianca - non ha importanza - purché sia di manzo, vitello, tacchino o pollo; tanta verdura e un pò di frutta - altrimenti salto la carne e mangio il resto... arriva sera, sono le 18.30…m i dirigo in palestra e qui inizio il mio allenamento che potrà variare a seconda del program-

ma preparato... l’unica certezza sarà che per tre ore dovrò dare il massimo di me stesso... addominali… piegamenti… trazioni... circuiti... sacco... peretta... pesetti... figure allo specchio... sparring… e molto altro ancora mi farà com-pagnia assieme ai miei fratelli, così li definisco, perché per me il pugilato è uno stile di vita dove la palestra è la mia casa e gli amici sono la mia famiglia...Questo non è che un giorno nor-male per chi, come me, ha scelto di vivere uno sport anziché praticarlo sem-plicemente.La palestra di pugilato dove

di Marco Rossato

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ci si allena si trova a Trissino, è da lì che ini-

zia la storia di molti atle-ti che come me si possono chiamare pugili...Andrea Fracca, Enrico Marchi e Nicola Bevilac-qua sono gli atleti che han-no partecipato agli ultimi campionati italiani di 1° e 2° serie arrivando tra i primi posti... Nicola Antoniazzi, una giovane promessa del pugilato che frequenta la no-stra palestra saltuariamente... Marco Rossato, una persona-lità marcata da un’incredibile e instancabile determina-zione, sacrificio, costanza… Giovanni Coriele, Davide Framarin, Sandro Chiarello, Mattia Andriollo, Mattia Pia-centini, Enrico Fasolo, pugili agonistici che periodicamente disputano match... e tutti gli altri ragazzi amatori o ai primi pugni che frequentano assidua-mente la palestra.Gli iscritti attualmente sono cir-ca una quarantina... diversi tra età (dai 15 ai 45) tra sesso (sono presenti alcune ragazze, molto preparate) e obiettivi...ci sono persone che scelgono di venire ad allenarsi semplicemente per mantenersi in forma....Le parole non servono in que-sto sport... la vera essenza è nell’odore, nella concentrazione, nell’impegno, che si può assapo-rare solamente entrando fisica-mente in una scuola di pugilato.Nel pugilato viene ravvisata una certa somiglianza con la scherma per il particolare tipo di studio pre-paratorio fra i contendenti in fun-zione del successivo scambio di colpi. Fondamentalmente questo sport si basa su tre colpi: “Diret-to” è il colpo più importante per il pugile tecnico. A seconda dell’uso può essere un colpo di disturbo, di arresto, di preparazione al di-

retto successivo, oppure un colpo potente, portato mediante una rotazione

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del corpo. Si attua avanzando leggermente e si colpisce con la mano che sta davanti nella guardia, oppure fa-cendo ruotare tutto il corpo nel senso del pugno, facendo un movimento col pie-de posteriore, simile allo spegnimento di una sigaretta sul terreno. “Gancio” è il colpo potente e demolitore, che basa la sua potenza sulla leva fornita dalla spalla e dalla posizione ad angolo retto del braccio, è il colpo di chiusura per eccellenza. Il gancio per essere efficace deve essere eseguito a corta distanza.

“Montante” è il colpo dato dal basso verso l’alto, di

solito si usa nel corpo a corpo. Si attua ruo-

tando la spalla in modo da impri-

mere potenza al pugno.Questi colpi, portati in rapida sequenza e con varietà, generano le “serie” o “combinazio-

ni”. Anche se la fase offensiva ha un ruolo decisivo, due sono le tecniche per evitare

di prendere colpi: schivare e parare, ovvio il fatto che per ogni tipo di colpo vi siano diffe-renti tipi di schivate e di parate. Dai tre aspet-ti offensivi e dai due difensivi può nascere un complesso incontro, che vede sul “quadrato” due uomini che si affrontano lealmente se-condo regole codificate e che alla fine del match li vedrà abbracciarsi. Il pugilato è uno sport impegnativo e completo, le doti fisiche richieste sono infatti velocità, agilità, forza e resistenza. Il pugilato richiede sia sforzi ae-robici che anaerobici, pertanto l’allenamento mira sia al miglioramento della resistenza, ov-vero alla durata dello sforzo fisico nel tempo, tramite corsa, salto della corda, allenamento a corpo libero, sia al miglioramento della forza e allo sviluppo della massa muscolare.Il pugilato richiede soprattutto una notevo-le forza di sopportazione e carattere per poter affrontare gli sforzi durante l’allenamento e il quasi inevitabile dolore fisico durante gli incon-tri, come del resto capita in tantissimi altri sport, anche non da combattimento. Contrariamente alla maggior parte degli altri sport, la sconfitta nel pugilato è accompagnata da dolore fisico: ciò richiede una ferrea volontà a non darsi per vinto davanti alla fatica del match.

“I campioni non si costruiscono in palestra. Si costruiscono dall’interno, partendo da qualcosa che hanno nel profondo: un desiderio, un sogno, una visione… devono avere l’abilità e la volontà. Ma la volontà deve essere più forte dell’abilità…”

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16 ciclismo juniores

Non solo biciAbbiamo trascorso una giornata al seguito della formazione vicentina Sandrigosport per scoprire come ci si allena nei mesi più freddi:a piedi per andare forte in bici.

È risaputo che il periodo invernale è utilizzato dagli atleti per “staccare la spi-na” con l’obiettivo del recupero e della ri-generazione a livello psicofisico, utile per affrontare la prossima stagione ciclistica.Interpellati i Direttori Sportivi del Sandri-gosport: Ilario Contessa e Gianni Zanin, di buon mattino ci siamo recati in auto fino ad Arsiero per seguire i preparativi del Team; la giornata prevedeva la scalata a piedi del Monte Caviojo quota mt.1111.Alle ore 9,00 tutta la comitiva iniziava la salita del monte con presenti tutti gli atleti che compongono la formazione Juniores 2010 che dovrà difendere i colori vicentini a livello nazionale.La respirazione si accorcia, i battiti cardiaci fulmineamente salgono, le gambe iniziano a stridere, dopo alcune centinaia di metri di salita, la comitiva si zittisce. Più si sale e più si apre il sipario sotto i nostri piedi: la valle dell’Astico da una parte e la Val Leo-gra dall’altra, e giù a sud la pianura Padana. Purtroppo le divise giallo-rosse degli atleti osservate alla partenza non si scorgono più, a causa dell’alto ritmo da loro imposto e non ci resta quindi che salire con il nostro passo conveniente per mantenere un ritmo costante. La grande guerra combattuta tra il 1916/18 su tutta la zona, lascia ancora tracce evidenti sull’area circostante, e più si sale e più le cicatrici sul terreno si fanno profonde: caverne, ricoveri, trincee, sentie-ri, mulattiere, tutt’intorno sono un susse-guirsi di ricordi e sofferenze che i soldati italiani hanno dovuto sopportare in onore della Patria.L’ultima parte della scalata viene affrontata con la corda fissa e i pioli, e ci regala un

panorama straordinario con a nord il Monte Cimone, ad est il Monte Cengio, a sud la pianura Padana con il Monte Summano e Novegno e ad ovest il Monte Pasubio.Dopo la pausa, la discesa permette il recu-pero con dei momenti utili per affrontare alcune considerazioni con gli allenatori del Team che concordano sul fatto che le attivi-tà alternative alla bicicletta praticate duran-te il periodo invernale, oltre alla ripresa psi-cofisica degli atleti, favoriscono soprattutto l’aggregazione tra i compagni, indispen-sabile durante le gare. Infatti, nonostante il ciclismo sia uno sport individuale, il gioco di squadra è spesso determinante in parti-colari fasi della corsa.

di Massimo CeratoÈ risaputo che un ambiente rilassante (mon-tagna, collina ecc.) è sicuramente il modo migliore per ritrovare la forma abbinando il recupero con attività sportive più affini al ciclismo come il trekking in montagna, lo sci di fondo, il pattinaggio. Le attività meno affini come nuoto, calcio, canottaggio, cor-sa ecc. andrebbero praticate esclusivamen-te nel periodo di riposo e nelle prime fasi del ciclo preparatorio invernale.

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17ciclismo

cambio di livreaIl super gruppo ciclistico di Caldogno ha un nuovo nome: Ads Calcestruzzi Mascotto. Sulla maglia anche il logo della Città della Speranza.

Il 31 gennaio dell’anno in corso ad An-cignano presso la Villa Mascotto si è ce-lebrato “il battesimo” del gruppo ciclisti-co Caledognense. Alle redini della nuova Società Ciclistica, che per molti anni ha portato con onore il nome di ASD Rowan Elettronica, si siede la Famiglia Mascot-to di Ancignano. Denominato ASD Cal-cestruzzi Mascotto, il gruppo ciclistico composto da circa 180 componenti con-tinuerà a mostrarsi sul territorio Provin-ciale, Regionale, Italico ed oltre, là dove l’instancabile condottiero Modesto Boes-so con il suo staff inventerà di andare. La giornata che si è aperta sotto una col-tre di fresca neve caduta nella notte, ci ha visti raccolti nella mattinata domenicale in Villa Mascotto per la consegna della divisa, per realizzare le stupende foto di circostanza nel parco antistante, per la rituale immancabile benedizione del Prelato locale e per suggellare il tutto con un suntuoso rinfresco predisposto nella grande sala dalla Famiglia Mascotto. L’attività sociale, seguendo l’ormai col-laudato modulo (trentennale!), si aprirà domenica 7 marzo e vivrà di una stagione ciclistica importante con impegni a 360 gradi. Nell’assemblea del 22 febbraio sarà distribuito il calendario delle uscite festive e di tutte le manifestazioni alle quali parteciperemo con la nuova divisa;

anticipiamo solamente due delle presti-giose occasioni di grande sport nelle qua-li saremo protagonisti: La Granfondo Vi-cenza con partenza ed arrivo a Caldogno, ed il Tour Caldogno - Praga e ritorno per la fine di agosto.ASD Calcestruzzi Mascotto, per tre anni sarà sostenuta oltre che dall’ azienda omonima, dal Comune di Caldogno e da un ambizioso grappolo di sostenitori entusiasti e fiduciosi nella potenzialità di immagine che il gruppo sarà in grado di assicurare sotto la guida di un Direttivo che annovera accanto al già citato Pre-sidente Boesso, il vice Mariano Stefani, il segretario Graziano Fogliato, i consi-glieri Attilio Carta, Fidenzio Nardello, Giuseppe Casarotto, Federico e Fabrizio Mascotto con il papà Mario nella veste di Presidente onorario. Mi piace ricordare che in bella evidenza sulle maglie sociali campeggia il logo della “città della spe-ranza” che porteremo con gioia pensando alla solidarietà ed agli aiuti nei confronti di tanti bambini sfortunati, sostenendo così la ricerca in campo oncoematologi-co.Ricordo che il nostro sodalizio si im-pegnerà come sempre ha fatto, nel pro-muovere la giusta filosofia del fare sport, puntando soprattutto agli aspetti che si riferiscono a prudenza sempre ovunque,

uso costante del caschetto protettivo, ri-spetto del codice della strada, comporta-menti ed atteggiamenti all’insegna della massima educazione, cordialità e sana rivalità sportiva.Prendiamo spunto da questa presentazio-ne per augurare a tutti i ciclisti della Pro-vincia, ai loro Dirigenti, a tutti coloro che si adoperano per il ciclismo cominciando dai coniugi Milena e Bepi Calearo, un grosso augurio di Buon 2010.

di Mariano Stefani

Da sin a dex Bortolozzo, Boesso, Mascotto, Carta, Mascotto, Casarotto, Papà Mascotto, Fogliato, Stefani, Nardello.

A.S.D. CALCESTRUZZI MASCOTTO

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Valleogra Mtb Race e fi’zi:k granfondo si fondono per un unico evento della città scledense, Vivinbici Schio.“Vivinbici” sarà infatti il weekend vicentino dell’1 e 2 Maggio, dove strada e Mountain bike si uniranno per un evento unico nel suo genere. Due giorni di bici e divertimento per tutti, appassionati e non, a Schio che ha ac-colto le due gare con entusiasmo e senso di responsabilità verso l’ambiente e lo sport.Seimila persone tra accompagnatori, corri-dori e tutto il loro seguito “invaderanno” pa-cificamente Schio che è pronta ad ospitarli nel migliore dei modi, garantendo massima professionalità e accoglienza.Insomma, un coinvolgimento a tutto tondo della comunità per far capire che un po’ di disagio, a fronte di questi eventi coinvolgen-ti e spettacolari, passa del tutto in secondo piano. Le due gare saranno davvero inte-ressanti, e non mancheranno di impegnare ma anche divertire gli atleti. La Valleogra, corsa di mountain bike, propone infatti due percorsi: Marathon 62 km con un dislivel-lo di 2130 metri e Classic 44,5 km con un dislivello di 1.380 metri (che si differenzia dal Marathon per la mancanza della salita al Monte Novegno). La Granfondo fi’zi:k, che si corre su strada, con i suoi già 1500 iscritti, offre due tracciati: il percorso della Granfon-do, misura 141,5 km ed ha un dislivello di 2.800 m, non tra i più semplici, proprio per la morfologia del territorio, con a Nord le montagne e a Sud la pianura.Per chi invece preferisce una distanza meno proibitiva ci sarà anche la Mediofondo di 83 km con 1.765 m di dislivello.Schio e la sua amministrazione hanno rea-gito in modo propositivo a quest’evento, e non mancano le attività collaterali per tutti, in via di definizione. Si partirà sabato pome-riggio con “Bimbi in bici”, riservata a tutti i bambini che vorranno passare una giornata diversa all’insegna del divertimento sulle due ruote, fino ad eventi di notevole spes-sore culturale come la visita guidata per scoprire l’archeologia industriale di Schio e al giardino Jaquard e la visita a Palazzo Fogazzaro dove saranno esposti i quadri di Alfredo Ortelli, famoso pittore locale. Non solo cultura ma anche tradizione gastrono-mica al centro dell’attenzione di Vivinbici, con stand espositivi di prodotti a km zero (prodotti locali) nel centro di Schio per tutti coloro che vorranno gustare le prelibatezze naturali venete. Due giorni dedicati a tutti, agli agonisti, a chi vuole trascorrere un week end all’aria aperta, a chi ama divertirsi ma, soprattutto, scoprire le bellezze artistiche e gastronomiche di Schio, vero e proprio cibo per la mente e il corpo.

“Vivinbici Schio”: Granfondo fi’zi:k e Valleogra Mtb Race per due

giorni di ciclismo, tradizione e cultura.

il grande ciclismo ciclismo

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La motocicletta è un generatore di pas-sioni e gratificazioni che non si ferma sola-mente alle forti emozioni che si ottengono durante un viaggio o semplice scampagna-ta, ma è anche servizio di sicurezza stradale durante il transito degli atleti ciclisti limi-tatamente tra la macchina INIZIO GARA CICLISTICA e la macchina FINE GARA CICLISTICA.Non impartisce ordini, ma agisce per quan-to possibile per segnalare l’arrivo della carovana ciclistica con fischietto sempre pronto e bandierina color arancio e gialla.Ed ecco, sotto la spinta di molti ex corrido-ri e appassionati di ciclismo, che nel 1985 nasce la prima squadra di motostaffete in provincia di Vicenza grazie ad Orlando Lucca che promosse il servizio denominato “Motostaffette TREEMME”.Negli anni successivi, a proseguire l’atti-vità con grande fervore arriva Ferdinando Cappellotto e la squadra assume una nuova denominazione “Team Cappellotto Jarno SMS”.Ex dipendente della famosa e storica ditta Laverda di Breganze, Ferdinando Cappel-lotto dal 1961 al 1969 fu collaudatore della mitica “Laverda 1000 tre cilindri” la più potente moto esistente al mondo in quel pe-riodo, e ancora della “Laverda SFC 750” e “Laverda 1000 V6 - 24 valvole, percorren-do ininterrottamente circa 600 km al giorno per testare motori e assetto delle moto.

Veterano delle due ruote con un notevole bagaglio di esperienza alle spalle, Ferdi-nando ha percorso negli anni più di due milioni di chilometri in moto.L’emozione lo coglie di sorpresa, quando gli viene chiesto quale fosse il ricordo più bello vissuto tra le sue esperienze in moto: “Conservo una foto sulla Domenica del Corriere che mi ritrae a cavallo della mitica moto Laverda 1000”.Oggi il “Team Cappellotto Jarno SMS” raggruppa oltre 30 volontari tra motostaf-fette e scorte tecniche, tutti abilitati con appositi corsi.La passione e la professionalità di tutti i

di Massimo Cerato

motostaffettaservice

ciclismo

componenti del “Team Cappellotto”, ha permesso all’RCS che dispone di tutta l’organizzazione del Giro d’Italia, di com-missionare il servizio di motostaffetta alle recenti tappe di Sestri di Lavante e dei Campionati Italiani di Imola.Naturalmente la prossima stagione sarà piena di impegni per le motostaffette che dovranno superarsi per confermarsi al top in quanto li attendono ben tre tappe al Giro d’Italia: la cronoscalata di Plan de Corones, la Tappa di Monte Zoncolan e la crono di Verona; il Giro del Veneto, e infine tutte le più importanti corse dilettantistiche del vicentino.

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Lunedì sera, 25 febbraio, al teatro civico di Vicenza si è tenuto il tradizionale Galà dello sport organizzato dall’omo-nimo assessorato per rendere omaggio ai protagonisti dello sport vicentino. La serata è stata presentata da Elisa Santucci. Tra una serie di premiazioni e l’altra hanno intrattenuto i presenti Stefano Ferrio e la Jazz Ambassadors.I premi sono stati consegnati dal deputato Massimo Calea-ro, dal consigliere provinciale Roberto Cattaneo, dal sindaco Achille Variati, dall’assessore allo sport Umberto Nicolai e da altri esponenti del consiglio comunale.Per primi sono stati premiati, uno per ogni circoscrizione, i personaggi dello sport cittadino che dedicano la loro vita all’avvio dei giovani alla pratica sportive:un premio a Paolo Marinello, Jacopo Bonato, Renato Conte, Alfredo Schiavotto, Silvio Marchetto, Pietro Balestra e Bruno Munaretto. Pre-

di Antonio Rosso

Galadello sport

a Vicenza

La Jazz Ambassadors mentre intrattiene il pubblico

La premiazione degli atleti individuali

La premiazione delle società. In primo piano la ASD Nuoto Pinnato, campione Italiano di pesca con la mosca a squadre e il Centro Subacqueo Nord Italia campioni Italiani di tiro al

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mi speciali sono stati consegnati ai giornalisti sportivi Mauro Dalla Pozza, Guido Meneghetti e Fabio Noaro, ai professori Antonella Armilletti e Massimo Monfardini dell’Istituto com-prensivo 11 e al medico, specialista di me-dicina sportiva, Ernesto Gallo.Successivamente un riconoscimento alle aziende vicentine che hanno collaborato alla riuscita delle manifestazioni in città: AIM, AIM Acque Vicentine, Ferrotranvie, Amcps Vicenza e la Centrale del latte.Per aver organizzato manifestazioni im-portanti per Vicenza sono state premiate le seguenti società: Palladio baseball, orga-nizzatrice dei Mondiali di baseball; Atle-tica Vicentina per la Stra Vicenza; Scude-ria Palladio per il rally Città del Palladio; Vicenza Press per la corsa benefica “Corri babbo Natale corri”; ASD Granfondo per il trofeo di ciclismo “Gran Fondo Città di Vicenza”; Associazione sportiva 98, per il

torneo internazio-nale di tennis. Sono stati quindi premiati per i risultati conseguiti individualmente gli atleti che nelle rispettive discipline hanno vinto il titolo di campione italiano o si sono posizionati ai vertici italiani; un premio a Maria Novella Pontalti (ginna-stica artistica PGS); Angela Dal Santo, Caterina Drago, Elisa Vicentini, Valentina Billò, Silvia Fanton, Sofia Marin, Lorenza Prospero, Elena Corà, Eleonora Zanetti del Famila basket, under 15; Caterina Pozzan (fioretto femminile); Ottavia Cestonaro (salto in lungo e salto triplo); Dario Rappo (primatista over 60 nei 1500 m per Master Atletica); Carlo Tescaro e Bruno Martini (nuoto pinnato, specialità mezzofondo 2000m e fondo 4000m); Alessandra Boi-fava (nuoto pinnato, specialità granfondo 12km); Davide Spagnolo (lancio tecnico under 18), Laura Gnocchi (tiro con l’arco); Francesco Turatello (salto in lungo); Luca

Fabris, Lorenzo Muraro, Massimiliano Cattani, Fran-cesco Palma (staffetta 4x400m MM4O), Luca Sartori (campione veneto volteggio), Diego Gennaro (football americano).Sono state premiate, infine, le società che nelle rispettive discipline hanno vinto il titolo di campione italiano o si sono po-sizionati ai vertici italiani: sono state pre-miate: Csi Fiamm atletica; Circolo della spada; Centro Subacqueo Nord Italia; Jigoro Kano Judo; River club; Asd nuoto pinnato; Caoduro diavoli; Scuderia Palla-dio; Caoduro Lucernari Piscine Vicenza; Geoplast Piscine Vicenza, Compagnia arcieri; San Bortolo Fiamma; Leodari Sole; Atletica Vicentina; Nuoto Vicenza Libertas ASD; New Acquabike; Master Atletica; Moto club Ducati; Associazione Lotta Pesi Umberto I -1875; Canoa club; Queens Berry Boxe; Joy volley.

il pubblico

Elisa Santucci, l’assessore allo sport Umberto Nicolai, il consigliere provinciale Roberto Cattaneo e il deputato Massimo Calearo

Il deputato Massimo Calearo premia i personaggi dello sport cittadino che dedicano lo loro vita all’avvio dei

giovani alla pratica sportiva

Momenti della premiazione delle squadre

La consegna dei riconoscimenti alle aziende vicentine che hanno collaborato alla riuscita delle

manifestazioni in città

Elisa Santucci. con il sindaco Achille Variati in una fase della premiazione in cui il sindaco illustrava

interventi e prospettive per la città.

La consegna dei riconoscimenti alle aziende vicentine che hanno collaborato alla riuscita delle

manifestazioni in città

La consegna dei premi speciali

Elisa Santucci, l’assessore allo sport Umberto Nicolai e Stefano Ferrio

La premiazione dei giovani atleti della Caoduro Diavoli e le ragazze della Geoplast Piscine Vicenza

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AT L’Appalachian National She-nic Trail si estende per 2178 miglia, equi-valenti a 3505 chilometri, e segue da nord a sud la costa est degli Stati Uniti. Il suo percorso si articola lungo la più antica ca-tena montuosa del globo, quella dei Monti Appalachi formatasi ben 220 milioni di anni fa a causa dello sconto fra l’Europa e l’America del nord quando ancora i conti-nenti formavano la Pangea. Il termine nord del sentiero si trova sul monte Katahdin nello stato del Maine a pochi passi dal Quebec, il termine sud sul monte Springer nello stato della Georgia, appena a nord della penisola della Florida.In gergo chiamato AT, il sentiero attra-versa ben 14 stati dei 50 stati confede-rati, che sono, da nord a sud: Maine, New Hampshire,Vermont, Massachu-setts, Connecticut, New York, New Jer-sey, Pennsylvania, Maryland, West Virginia,Virginia, Tennessee, North Carolina, Georgia. L’idea di realizzare il sentiero fu pro-posta nel 1921 da Benton MacKaye allora responsabile per il servizio parchi degli Stati Uniti, ma il progetto fu com-pletato solo nel 1937 dal Corpo Civile di Conservazione.Il primo uomo ad aver per-corso ufficialmente e inin-terrottamente il sentiero fu EarlV. Shaffer all’età di 24 anni, partendo sul monte Oglethorpe in Georgia (l’ allora termine sud) il 4 aprile del 1948 e concludendo a

Tre stagioninei boschi

3505 chilometri a piedi da nord a sud deimonti Appalachi, vivendo a diretto contatto con la natura più selvaggia. Lino Dani ci racconta in tre puntate il suo straordinario cammino. And so I did it!

parte p

rima

Appalachian NationalShenic Trail

cos’è?Sentiero naturalistico che percorre la più antica ca-tena montuosa del globo: gli Appalachi

dove? Costa Est Stati Uniti d’Americacome si percorre? Solo a piediquanto tempoci si impiega?

da 4 a 6 mesi

statiattraversati

Maine, New Hampshire, Vermont, Massachusetts, Connecticut, New York, New Jersey, Pennsylvania, Maryland, West Virginia, Virginia, Tennessee, North Carolina, Georgia.

km totali 3.505

Maine

New HampshireVermont

MassachusettsConnecticutNew York

New JerseyPennsylvania

Maryland

West VirginiaVirginia

North Carolina

Tennessee

Georgia

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27Appalachian National Shenic Trail

Appalachian NationalShenic Trail

cos’è?Sentiero naturalistico che percorre la più antica ca-tena montuosa del globo: gli Appalachi

dove? Costa Est Stati Uniti d’Americacome si percorre? Solo a piediquanto tempoci si impiega?

da 4 a 6 mesi

statiattraversati

Maine, New Hampshire, Vermont, Massachusetts, Connecticut, New York, New Jersey, Pennsylvania, Maryland, West Virginia, Virginia, Tennessee, North Carolina, Georgia.

km totali 3.505

de avventura. Uomini ma anche donne. La maggior parte sono Americani, ma ci sono anche Europei ed Asiatici. Di solito è il termine sud del sentiero il luogo di partenza. Sono pochi, tuttavia, quelli che riescono a portare a termine l’impresa, sa-lendo il monte Katahdin nel Maine per in-chinarsi sotto al cartello che segna la fine del sentiero. Pochi sono anche coloro che partono da nord in direzione sud, essendo considerato percorso assai più arduo. Quello degli Appalachi è un trekking fan-tastico ma estremamente difficile. Si vive per mesi e mesi nella natura più selvag-gia; si cammina per centinaia, migliaia di chilometri in compagnia solo del proprio zaino. E’ un’esperienza unica, fisica, spi-rituale, mistica che mette a dura prova chi la fa. Circa il 20 % dei partenti riesce ad arriva-re alla fine, meno del 50% arriva a metà percorso. In questi mesi di cammino si vivono esperienze di tutti i tipi. Si devo-no affrontare le situazioni meteorologiche più disparate ed avverse, dal freddo inten-so al caldo umido, dalla pioggia che dura per giorni e giorni, anche una settimana e più. Ma si deve sempre camminare. Un paio, due paia di scarpe non basta-no. Al nord nei grandi boschi ci sono animali anche feroci. Si incontra lo schivo

Katahdin in Maine, il 5 agosto successivo.Migliaia di persone percorrono il sentie-ro in tutte le stagioni dell’anno. C’è chi va per una camminata giornaliera, chi ne percorre una sezione per qualche giorno, chi invece trova il tempo per qualche set-timana, c’è chi ne percorre un pezzo ogni anno fino a completarlo nel’ arco di anni. Per chi si determina di percorrere l’inte-ro sentiero in una sola volta l’appellativo è di “Thru Hiker”, nome che si dà a chi lo completa interamente e onestamente, miglio dopo miglio, mese per mese di ininterrotto cammino, fino alla fine. Ogni primavera si contano centinaia di que-sti avventurieri che provengono da tutte le parti del mondo, che tentano la gran-

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ma possente Alce. C’ è l’Orso bruno che nottetempo si aggira vicino alla tenda, col suo acutissimo olfatto. Non bisogna mai lasciare resti di cibo, ma di cibo non c’è ne mai abbastanza. Per mesi si mangia poco, o comunque mai a compensare lo sforzo. Con le vesciche ai piedi, l’infiam-mazione alle ginocchia e il mal di schiena, le punture delle zecche sono le principali cause di abbandono alleate alle distorsio-ni e alla disidratazione. Il pensiero di non farcela non ti abbandona mai, nemmeno dopo aver superato la metà del percorso. Ma l’esperienza di vivere per mesi nella natura selvaggia, nella solitudine più com-pleta, incontrando compagni di cammino sempre interessanti, spinti all’impresa dal-le motivazioni più varie è una cosa unica, grandiosa che ti coinvolge totalmente. E così, quando mi sono trovato per varie ragioni a vivere a Monticello, un piccolo paese sperduto nello stato di New York, ho cominciato ad andare alla scoperta dei monti circostanti. Le dimensioni erano immense, la morfologia così diversa da quella delle Piccole Dolomiti in cui sono cresciuto. E poi il mio amore per la Na-tura, la mia vocazione a stare a contatto di essa, mi ha portato sempre più a inol-trarmi in quei boschi infiniti. Prima, cer-to, con timore e cautela, poi sempre più con agio e confidenza. All’inizio ho co-minciato a trascorrervi qualche notte, poi qualche settimana. Ho imparato ad orien-tarmi. A vivere in quegli spazi infiniti, nel silenzio della grande natura. Un sen-timento nuovo stava impossessandosi di me. Più tempo passavo in quell’ambiente e più ne ero attratto. Questo mi ha portato a conoscere il Backpaching che altro non è che il munirsi del materiale necessario per vivere giorni e notti all’aria aperta,

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lontano da tutto e da tutti.Le mie uscite in questo ambiente mi assorbivano sempre più. Al punto che passavo tutto il mio tempo libero sotto le stelle. Con gli anni l’ esperienza mi ha portato a scoprire sempre nuovi territori. Le mie sempre più lunghe uscite neces-sitavano di sempre più lunghi sentieri. Ed ad un certo punto il mio occhio è cascato sul sentiero più lungo al mondo. Un trekking dalla durata di mesi. Ho co-miciato a studiarlo, a percorrerne dei tratti, a capire come avrei potuto avere il tem-po necessario per farlo dall’inizio alla fine. Un chiodo fisso. Un tarlo dentro di me che ogni giorno mi faceva pen-sare all’Appalachian Trial. Il mio sogno di sempre! Ce la farò? Sarò in grado di affrontare tutte quelle difficoltà meteorologi-che? E mangiare, dato che sono vegetariano? Ma la vera domanda che dentro di me, bi-sbigliando, sorgeva era: come sarei vissuto im-merso totalmente nella natura per tutto quel tempo? E questa espe-rienza come sarebbe ri-uscita a cambiarmi? C’era solo un modo per saperlo...partire! ...and so I did it!

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29sub

Chi avrebbe mai pensato che a Vi-cenza si gioca l’hockey subacqueo, eppure è così.Bisogna contattare Marco Faggion, alle-natore della squadra “Nuoto Pinnato Vi-cenza Moretti”. E’ questa l’unica realtà vicentina per l’hockey subacqueo: una squadra di sei, sette giovani atleti, dai 14 ai 18 anni che dal 2008 partecipa al torneo esordienti di Bologna. Nel 2009, su otto partecipanti, è arrivata sesta.L’hockey subacqueo è uno sport di squa-dra, di recente introduzione, che si pratica in apnea. Nasce in Inghilterra nel 1954 con lo scopo di tenere in esercizio i marines subacquei nei mesi invernali e si diffon-de rapidamente in Australia, Sud Africa, Nuova Zelanda, per arrivare, negli anni 80 e 90, in Europa e nel continente ameri-cano. In Italia viene introdotto a Bologna nel 1998, all’interno della FIPSAS, Fede-razione Italiana Pesca Sportiva ed Attività Subacquee. L’Italia maschile negli ultimi campionati del Mondo, organizzati in Slo-venia, si è classificata al 7° posto.Incontriamo Marco alle Piscine di Vicenza dove la squadra si allena. Appena si entra nel vivo dell’argomento, ci tiene a dire che l’hockey subacqueo è un gioco che neces-sità di buona acquaticità ed allenamento ma che per divertirsi queste qualità non sono indispensabili essendo questo sport alla portata di ogni subacqueo.Ci spiega che l’obiettivo del gioco è infi-lare un disco nella porta avversaria, come nell’hockey su ghiaccio, aiutandosi con una piccola mazzetta e solo con quella. Si pratica con squadre da sei giocatori più quattro riserve (facoltative) in acqua. I cambi possono essere effettuati in qualsia-si momento ed in numero illimitato. Non ci sono portieri, ma tutti i giocatori, pur avendo dei ruoli, sono attaccanti o difen-sori in relazione a chi ha il possesso del discoI giocatori restano in apnea mediamente 15-20 secondi per volta con brevi pause superficiali. Il maggior movimento viene effettuato sulla superficie per conquistare una posizione utile in campo. Contano ra-pidità e gioco di squadra: non è necessario resistere a lungo sott’acqua. Le donne gio-cano allo stesso livello degli uomini per-ché peso e forza sono fattori secondari.I giocatori indossano pinne, maschera, boccaglio, calottina tipo pallanuoto ed im-pugnano una mazza lunga una trentina di centimetri con la quale spingono un disco di piombo arrotondato e rivestito di mate-riale plastico, di 80 mm di diametro e dal peso di circa 1,3 kg. La mano che impu-gna la mazzetta va protetta con un guanto di cuoio o gomma,

di Antonio Rossofoto di Simone Zaniolo

(Nuoto Pinnato Vicenza),e Parmasub, H2BO Bologna

Fasi di gioco agonistico (H2BO Bologna)

Fasi di gioco agonistico (Parma sub)

Fasi di gioco agonistico (Parma sub)

Hockey subacqueo

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Le mazze possono essere in legno o in pla-stica galleggiante. Di forme ne esistono tante, ognuno è libero di scegliere quella che preferisce. Generalmente, le mazze degli attaccanti sono più sottili per con-sentire un veloce spostamento nell’acqua mentre le mazze dei difensori sono più grandi, per meglio intercettare i tiri avver-sari e per avere più potenza nei contrasti.L’hockey si pratica in una piscina con fondo piatto o con pendenza massima del 5%. La dimensione del campo può variare tra 20-25 m di lunghezza per 12-15 di lar-ghezza, con una profondità compresa ge-neralmente tra 1,80 e 3 metri circa. Il bor-do campo può essere un muro della vasca, una barriera rigida, o una linea continua creata sul fondo Le linee o strutture che delimitano le porte devono essere solide, non galleggianti, con tutti gli spigoli arro-tondati e protetti, larghe 3 metri, adagiate sul fondo e poste in mezzo ad ogni linea di fondo campo.L’area di porta misura 3 m di raggio: un fallo in quest’area è punito con un rigo-re (situazione di due contro uno). L’area di rigore misura 6 metri di raggio ed è la zona entro la quale si svolge l’azione del rigore.Le partite durano 30 minuti, divise in due tempi, con un intervallo di tre minuti.Gli arbitri sono tre: un capo arbitro, po-sizionato fuori dall’acqua con un interrut-tore che aziona un segnale sonoro ed altri due in acqua. Quando un arbitro rileva una infrazione, la indica al capo arbitro che in-terrompe il gioco. Completano lo staff, un cronometrista e/o un segnapunti.L’hockey subacqueo, ora, non ha più se-greti e Marco mi lascia augurando a tutti i lettori subacquei di Sportivissimo di pro-vare questa nuova disciplina.

Per informazioni: Associazione Nuoto Pinnato Vicenza, 0444 572671, presi-dente Matteo Anaclerio, [email protected], Marco Faggion (alle-natore) 339 6753188.Per conoscere meglio le tecniche di que-sto sport e la nazionale italiana:www.hockeysubologna.com/index.php?option=com_frontpage&Itemid=1Un grazie a Michele Cavalieri del Par-masub, a Stefania dell’H2BO di Bolo-gna e a Giacomo Pallotti, giocatore/al-lenatore della nazionale italiana per le foto e la collaborazione.

Allenamento in piscina della squadra Nuoto Pinnato Vicenza Moretti

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31trekking

Caro Perù. E’ il titolo che abbiamo scelto per raccontare, in numerose serate nel vicentino, l’esperienza di un viaggio che ci ha fatto conoscere da vicino un paese e una realtà che ci è rimasta nel cuore. Non solo il trekking, con i suoi paesaggi severi e magnifici, ma anche i piccoli villaggi delle valli più abitate, l’ambiente rurale, il ritmo di vita, la pace che si respira. Quasi dispia-ceva lasciare le strade silenziose di Marcarà per partire con il trekking. Il nostro gruppo, dopo essere stato presente all’inaugurazione del Centro di Andinismo il 18 luglio 2009, ha effettuato un trekking d’alta quota nel nord della Cordillera Blanca, dove si tro-vano cime famose come l’Alpamayo, 5947 m, considerata la montagna più bella del mondo. L’intero viaggio è stato organizza-to dalla Sezione del Club Alpino Italiano di Recoaro Terme in collaborazione con le Guide Don Bosco. Il nostro era un gruppo di dieci persone, provenienti da tre diverse Sezioni del CAI: Bruno Bruni (Presidente della Sezione), Sabina Bollori, Marisa Mar-chi e Luciano Covolo del CAI di Recoaro Terme; Giorgio Romio (Vice Presidente del-la Sezione), Andrea Tonin, Eliseo Fioraso, Luisa Batzella e Armando Ferri del CAI di Valdagno; Tony Folco del CAI di Montec-chio Maggiore. La stagione migliore per praticare il trekking è da maggio a settembre e corrisponde al secco inverno andino. Il re-sto dell’anno la regione è coperta da locali annuvolamenti e forti piogge. Il nostro itinerario si chiama Los Cedros – Alpamayo, uno dei trekking meno frequen-tati, ma tra i piu’ belli della Cordillera Blan-ca settentrionale. E’ una lunga traversata attorno a cime e massicci compresi tra 5800 e 6050 m: Alpamayo, Santa Cruz, Pucajirca. Il nostro itinerario è iniziato a Hualcayan, un villaggio circondato da campi coltivati a 3140 m. Occorrono otto giorni per compie-re l’intero percorso. Lungo l’itinerario solo un paio di villaggi molto isolati, a giorni di cammino da centri abitati o strade, dove po-che famiglie e molti bambini vivono di un po’ di agricoltura e pastorizia. Nell’itinerario

Querido Peru‘di Sabina Bollori

non ci sono rifugi o altri punti di appoggio. Abbiamo potuto contare solo sul campo ten-dato e soprattutto sull’ottima organizzazione delle nostre guide. Il nostro gruppo di dieci persone ha avuto al seguito due guide, due cuochi, tre arrieros, gli addetti ai muli che

trasportano tutta l’attrezzatura da campo. Ogni pomeriggio venivano allestite nelle vicinanze di corsi d’acqua la tenda cucina, la tenda mensa, e le tendine per il pernot-tamento. Tutto il materiale e l’attrezzatura sono state fornite dall’organizzazione, che per il trasporto ha impiegato sedici muli. Avevamo inoltre un cavallo in caso di dif-ficoltà e una camera iperbarica per eventuali situazioni d’emergenza, che fortunatamente non si sono verificate. L’assistenza organiz-zata dalle Guide Don Bosco durante il trek-king è stata molto professionale. Piu’ impe-gnativi i primi giorni del trekking, sia per l’acclimatamento, sia per il superamento dei passi piu’ alti, Osoruri, 4860 m, e Gara Gara, 4830 m. Ma il paesaggio ripaga ampiamente dalle fatiche: ghiacciai come citta’ sospese,

Il trekking Los Cedros Alpamayo nel nord della Cordillera Blancalagune verdi azzurre, pampas sconfinate. La quota e i lunghi attraversamenti rendono questo trekking escursionistico esigente, ma le condizioni dei sentieri sono buone e non ci sono difficolta’ tecniche. Si cammina vo-lentieri e si arriva volentieri ai campi, ogni

giorno piazzati in posti via via piu’ belli e sorprendenti. In tutti noi l’esperienza di un viaggio così speciale ha lasciato un segno. Un segno che viene dai contatti umani, dal rapporto con la gente, dalla conoscenza di-retta di un progetto di cui fino a quel mo-mento avevamo solo sentito parlare e che da allora ha volti precisi, persone e ambienti divenuti familiari.

Chi volesse contattare le guide e cono-scere le opportunità di trekking e ascen-sioni nell’area può rivolgersi ai seguenti recapiti:ANDINISMO DON BOSCO [email protected]

sto dell’anno la regione è coperta da locali annuvolamenti e forti piogge. Il nostro itinerario si chiama Los Cedros – Alpamayo, uno dei trekking meno frequentati, ma tra i piu’ belli della Cordillera Blanca settentrionale. E’ una lunga traversata attorno a cime e massicci compresi tra 5800 e 6050 m: Alpamayo, Santa Cruz, Pucajirca. Il nostro itinerario è iniziato a Hualcayan, un villaggio circondato da campi coltivati a 3140 m. Occorrono otto giorni per compiere l’intero percorso. Lungo l’itinerario solo

Alpamayo, uno dei trekking meno frequentati, ma tra i piu’ belli della Cordillera Blanca settentrionale. E’ una lunga traversata attorno a cime e massicci compresi tra 5800 e 6050 m: Alpamayo, Santa Cruz, Pucajirca. Il nostro itinerario è iniziato a Hualcayan, un villaggio circondato da campi coltivati a 3140 m. Occorrono otto giorni per compiere l’intero percorso. Lungo l’itinerario solo Novità pizza al

mezzo metroun paio di villaggi molto isolati, a giorni di cammino da centri abitati o strade, dove poche famiglie e molti bambini vivono di un po’ di agricoltura e pastorizia. Nell’itinerario

un paio di villaggi molto isolati, a giorni di un paio di villaggi molto isolati, a giorni di un paio di villaggi molto isolati, a giorni di un paio di villaggi molto isolati, a giorni di cammino da centri abitati o strade, dove poche famiglie e molti bambini vivono di un po’ di agricoltura e pastorizia. Nell’itinerario

un paio di villaggi molto isolati, a giorni di cammino da centri abitati o strade, dove poche famiglie e molti bambini vivono di un po’ di agricoltura e pastorizia. Nell’itinerario

un paio di villaggi molto isolati, a giorni di cammino da centri abitati o strade, dove poche famiglie e molti bambini vivono di un po’ di agricoltura e pastorizia. Nell’itinerario Trattoria Pizzeria Capri

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il diritto di nonessere campioniVenerdì 19 marzo, il prof. Pietro Trabucchi ha tenuto a Valdagno il terzo e ultimo incontro del fortunato ciclo “Lo sport è per tutti, idee per costruire un nuovo modo di pensare”, voluto e organizzato dall’Assessorato allo sport del Comune di Valdagno.

Il 19 marzo scorso nella sala delle con-ferenze di Palazzo Festari a Valdagno si è tenuto il terzo e ultimo appuntamento del ciclo di incontri pubblici “Lo sport è per tutti”, organizzato a cura dell’assessorato allo sport, in collaborazione con il Lions Club Valle dell’Agno. Il titolo dato alla re-lazione dal professor Trabucchi era estre-mamente interessante: “Il diritto di non essere campioni” e la conferenza non ha deluso le attese del numerosissimo pub-blico. Si è parlato del rapporto tra fami-glie, giovani atleti e società sportiva, con l’obiettivo di sensibilizzare i genitori al corretto approccio con l’attività sportiva dei figli, il rischio del doping, dell’abban-dono sportivo, della gestione dell’ansia nello sport e del diritto dei giovanissimi a non diventare per forza un campione. Il prof. Pietro Trabucchi, uno dei più importanti psicologi dello sport italiani, autore del libro “Resisto dunque sono,” docente di coaching presso l’Universi-tà degli Studi di Verona e tecnico per la preparazione mentale della nazionale di ultramaratona è riuscito a coinvolgere i presenti con argomentazioni efficaci, fa-cendo riflettere sui limiti e sui rischi di un certo modo esasperato di affrontare il difficile, spietato mondo dell’agonismo; quanto ribadendo la necessità per un gio-vane di crescere nel segno dello sport, dei suoi valori formativi del carattere, dei suoi benefici per una vita in salute. “Rin-grazio il Lions e il suo presidente, il pro-fessor Giorgio Trivelli – è il commento dell’assessore allo sport Alessandro Grai-

ner – per la collaborazione, che mi auguro possa essere il primo passo di una sinergia anche futura, in un progetto comune per la promozio-ne degli stili di vita attivi. Siamo nati per muoverci. Il movimento fisico ci è indispensabile quanto il cibo, il respiro, il bisogno di sole e di luce. Senza movi-mento riceviamo dal nostro corpo segnali di malattia che si esprimono attraverso il sovrappeso, il rallentamento metabolico, la depressione. Sfortunatamente, però, conduciamo una vita sempre più seden-taria e sempre meno caratterizzata da attività libere e spontanee. Questa sera abbiamo capito come i genitori debbano motivare i propri figli al movimento attra-verso poche regole fondamentali. In que-sto modo lo sport potrà diventare parte in-tegrante del loro futuro stile di vita in età adulta”. Con questa serata, si è concluso questo primo ciclo di conferenze, voluto dall’assessorato e che ha riscosso un note-vole successo di pubblico, coinvolgendo sportivi, appartenenti alle società sporti-ve, ma anche semplici cittadini e genitori. “Si tratta di una formula – ha commentato Grainer - senz’altro da ripetere e anzi da sviluppare ulteriormente. Rappresenta un segno che anche a Valdagno sta crescen-do sempre più la sensibilità verso lo sport, inteso non solo come pratica agonistica ma come stile di vita diffuso.”

Chi èPietro Trabucchi?Pietro Trabucchi è uno psicologo che si occupa da sempre di prestazione sportiva, in particolare di discipline di resistenza. Ha seguito la Squadra nazionale di Sci nordi-co Torino 2006 e attualmente lavora con le Squadre nazionali di Ultramaratona (24h e 100km). Per molti anni ha operato con le Squadre nazionali di Triathlon. Collabora da anni con la rivista “Correre”. Autore di diversi libri, è professore incaricato presso l’Università di Verona, collabora con il Centro di Ricerca in Bioingegneria e Scien-ze Motorie dell’Università di Trento e con l’Istituto di Scienze dello Sport di Roma. Si è occupato di formazione in varie aziende sul tema della gestione dello stress. Appas-sionato di sport di resistenza e di alpinismo, per dimostrare la validità concreta delle sue teorie ha ultimato due volte l’Ultra Trail del Monte Bianco, ha scalato l’Everest dal versante Nord in occasione della spedizio-ne “Everest Vitesse” e ha corso non-stop i 205 chilometri della Nove Colli Running. È autore di numerose pubblicazioni, fra cui “Preparazione mentale agli sport di resi-stenza”, “Mente e maratona”, “Ripensare lo sport”, “Resisto dunque sono”, Lo zen e l’arte di far muovere i nostri figli”.

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In ricordodi Franco

Franco Zamperetti,un uomo generoso,uno sportivo appassionato è stato ricordato dagli amicia cinque mesi dalla sua prematura scomparsacon una gara di fondoin notturna e un riccobuffet di prodottidella nostra terra,cui era molto legato

Sono passati poco più di cinque mesi dalla scomparsa del nostro amico Franco, un uomo dal cuore grande, sensibile e al-truista. Nessuno mai potrà dimenticare ciò che Franco ha fatto, quante emozioni ci ha trasmesso e a quanti ricordi rimar-remo tutti legati: sì, perché oltre ad essere un grande uomo, un fantastico marito e padre, era anche un ottimo amico. Franco amava praticare molti sport in compagnia degli amici di sempre: il ciclismo e lo sci di fondo erano i suoi sport preferiti, uno più estivo, l’altro per i periodi più freddi. Nonostante non abbia mai avuto un fisico snello, neanche i chili di troppo frenava-no la sua voglia di uscire all’aria aperta e farsi una sciata in tranquillità a pochi chi-lometri da casa. Recoaro Mille è sempre stata la sua seconda abitazione e proprio qui dopo cinque mesi dalla sua scomparsa i suoi amici più cari hanno deciso di ri-cordarlo. Una serata, quella organizzata il 27 febbraio scorso, all’insegna dello sport e dello stare insieme, due aspetti della vita che Franco amava moltissimo. Ben 43 sono stati gli amici e conoscenti che hanno partecipato ad una sciata notturna non competitiva presso la pista “Le Mon-tagnole” di Recoaro Mille: un percorso di circa 10 chilometri fino a Malga Morando

al quale hanno partecipato giovani, meno giovani, amici e puri semplici conoscenti. Lo sport è stato il protagonista di questo primo memorial, un unione imprescindi-bile tra chi durante la propria vita ha cono-sciuto Franco, l’ha amato e ha condiviso con lui gioie, traguardi ma anche fatiche e delusioni.Un buffet organizzato presso il ristorante Castiglieri ha celebrato un’altra delle pas-sioni sfrenate di Franco: degustare ciò che la nostra cucina vicentina da sempre ci of-fre è sempre stato uno dei suoi più grandi piaceri: una tavola imbandita, un ottima bottiglia di vino e una schiera di amici con cui festeggiare la pedalata della giornata o la sana competizione che si scatenava tra loro era il massimo della vita. Godersi anche le piccole cose, i gesti più sempli-ci: questo era Franco Zamperetti. La sua è stata una vita che l’ha visto protagonista in vari ambiti della vita sociale del suo paese natale, Cornedo: è stato il Presidente della Cooperativa di consumo, consigliere della confcooperative e consigliere della Cassa Rurale di Brendola. Impegni sociali che lui amava molto e ai quali dedicava tutto se stesso. Noi tutti lo ricordiamo così: un amico per sempre.

di Chiara Guiotto

fondo

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34atleticanuoto

e nata l’atletica ovest vicentino‘

In data 5 dicembre 2009 nasce la società “Ovest Vicentino”, ideata dal pre-sidente Giuliano Corallo, eletto dai presidenti delle società di Valdagno (Iva-noe Simonelli), Arzignano (Christian Belloni), Vlchiampo (Nreo Znconato).Questa nuova società a sede a Montecchio Maggiore presso il centro poli-sportivo via del Vigo n.11. e comprende l’ovest vicentino partendo da Val-dagno, con Valchiampo, Arzignano e Montecchio Maggiore (come capo-fila).Qual’e’ lo scopo della nuova società? Curare il settore giovanile Fidal (Federazione Italiana di Atletica Leggera), pur mantenendo le realtà esistenti indipendenti per le attività del C.S.I. (Centro Sportivo Italiano).Si punta cioè a creare una società competitiva per le gare Fidal. Un obiettivo non secondario è quello di far conoscere il mondo dell’atle-tica, soprattutto a bambini e ragazzi delle scuole elementari e medie ed aumentare così il bacino di utenza.A chi si rivolge?Nasce e si sviluppa per le categorie giovanili, cioè esordienti, ragazzi e cadetti fino ai 14/15 anni.Grazie alla unione delle 4 società gli iscritti sono già un centinaio. Come si svolgono gli allenamenti?Esattamente come prima. I ragazzi si allenano nei rispettivi impianti e con gli stessi tecnici. In più ci saranno periodicamente delle formazioni previste per alle-natori ed atleti.

L’Ovest Vicentino, alle 2 prove Fidal di Vigardolo e Lonigo, inserite nel calendario delle gare di corsa campestre C.S.I., ha già conquistato il titolo provinciale.I primi passi di questa nuova società possono considerarsi po-sitivi, ma per poter “iniziare a correre” il presidente Corallo è già alla ricerca di un grande sponsor. Attualmente, infatti, la società si autofinanzia, cioè ognuna delle 4 società partecipa con propri fondi alle spese di gestione. Con l’occasione il presidente Giuliano Corallo ringrazia chi ha aderito all’innovazione ed augura un buon proseguimen-to per le attività primaverili su pista, dove l’Ovest Vicentino tenterà di confermare ciò che di positivo si è visto finora.

di Ivanoe Simonelli

Il nuotofa bene

Schio Nuoto Famila:il progetto diversamente

abili è diventato realtà.

Nella Schio nuoto Famila continuano i risultati d’alto livello nelle categorie giovanili ma da qualche mese a far no-tizia nella società di Luca Volpato è l’inserimento tra gli oltre 200 ragazzi iscritti un gruppo forte di 9 ragazzi diversamente abili che hanno iniziato a frequentare l’impianto e che proprio in occasione del Trofeo esordienti del 18 aprile si presente-ranno al debutto con una dimostrazione. “Finalmente ci siamo riusciti – esordisce Franco Retis - il dirigente in primis che ha fortemente voluto questo settore nella Schio Nuoto, il sogno è divenuto realtà dopo anni di tentativi. La soddisfazione è tan-ta ed il progetto prevede il loro inserimento e quello delle loro famiglie in società”. – Quali sono le difficoltà che incontrate? “Nessuna perché la loro presenza in acqua non deve essere mi-surata sul numero di vasche completate, deve essere vista sotto l’aspetto umano e quello della solidarietà: lo stare vicino alle famiglie che di sofferenza ne hanno incontrata molte, ci riempie di gioia e credo che questo più di ogni altra cosa ci fa stare al passo con i tempi”. – Quali attività svolgono? “Andiamo dall’am-bientamento al nuoto vero e proprio con l’obiettivo pian piano di salire ogni giorno di qualche gradino senza esasperazione e senza pretese. Ci sono quattro istruttori Elisa Alba,Barbara Lissa,Judith Lorenzo e Chiara Retis che si dedicano a loro con tanta passione ed entusiasmo. Questo progetto è importante per loro per dare una motivazione e un esempio di impegno, mentalità e sacrificio a tutto il nostro vivaio”. In bocca al lupo a Emanuele, Federico, Bruno, Valentina, Nicola, Matteo, Manola, Elisa e Nadir per questa nuova esperienza per un altro passo avanti, grazie allo sport e in particolare alla Schio Nuoto.

di Enzo Casarotto

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35basket

coppa Italia n.5Che dire! Il basket è anche questo! Un Famila Wuber convalescente e poco con-vincente dopo l’esclusione al primo turno della fase finale dell’Eurolega e che in più di un’occasione ha tentennato, ha fatto uscire dal cilindro due prestazioni da sconsigliare ai malati di cuore (…Remigio compreso), che gli hanno consentito, dopo la vittoria interna in campionato che ha interrotto alla 17^ gara italiana, l’imbattibilità della capo-lista Taranto, di vincere al suo nono tenta-tivo per la quinta volta la Coppa Italia. Ciò consente alla formazione di Marcello Ce-staro di preparare per tempo una stagione europea stavolta davvero impor-tante con l’acqui-

di Enzo Casarottofoto di Michele Gregolin(Legabasket femminile)

Per la quinta volta il Famila conquista la Coppa Italiae si assicura la partecipazioneall’Eurolega 2010-2011

sizione del diritto di partecipare all’Euro-lega 2010-2011 (magari partendo, non me ne vogliano la capitana Betta… e Suaret da un play straniero si, ma giovane e veloce, come quelli visti e apprezzati spesso tra le nostre avversarie europee capaci di dettare ritmi e il gioco per tutti i 40’ di gara) . I ri-sultati del primo week end di marzo nella fi-nal four di Coppa (che contemporaneamen-te ha visto in sei giorni due sconfitte della corazzata Taranto) hanno decretato che il Famila con l’ultimo l’innesto di Iccis Tillis, ha trovato la quadratura del cerchio e che in questo fine stagione ha le carte in regola per giocarsi alla pari di Venezia, Faenza e Ta-ranto l’opportunità di scucire lo scudetto proprio a

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Veneta Cornici

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quest’ultima. La carta vincente di questa Coppa Italia è stata a mio avviso l’unione di squadra e dello spogliatoio che ha visto in due gare tirate, la formazione di Orlando, prevalere in rimonta in semifinale sul Fa-enza (che in verità ha gettato alle ortiche negli ultimi 10’ un patrimonio di ben 9 punti perdendo poi per 61-62) e anche

contro la Reyer Venezia si è

verificata la mede-sima si-tuazio-ne con le amaranto

avanti fino al 37’ di ben 8 punti (61-53). Dicevo il basket è anche questo perché a prevalere alla fine è stato un Famila (66-65) convinto dei propri mezzi in cui tutte le gio-

catrici hanno fatto la loro parte con la spesso poco citata An-

tibe, la new entry Tillis e la solita Super Macchi (24

punti) sugli scudi. Tutto il popolo arancione fe-steggia le loro benia-mine e da qui alla fine questo Famila cinico e chirurgico chissà quante soddisfa-

zioni potrà

ancora dare ai suoi affezionati sostenito-ri sempre che non si senta appagato da questo risultato importante ottenuto più col cuore e la testa che con la superio-rità tecnico -tattica vera e propria. Pri-ma di chiudere ancora un paio di note con la solita “Kicca” Macchi MVP della finale che il giorno seguente è volata (unica italiana) a Gdynia per l’All Star Game dell’Eurolega e per quanto riguarda i l

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di chiudere è doverosa una mia precisazione che riguarda l’articolo sul Famila di Febbra-io in cui ho erroneamente dedicato per un lapus il Memorial Cestaro ad altra persona anziché ad Antonio. Qualche volta è giusto umilmente riconoscere i propri errori e alla prima occasione ratificarli. Lo sport mi ha insegnato anche questo. E così deve essere!

gioco, la regolar season si chiude il 5 aprile (per il Famila scontro di vertice a Faenza e sette giorni prima la gara interna contro Ve-nezia). I playoff iniziano il 10 aprile con i quarti di finale(si gioca il 13 e 17): le semi-finali si giocheranno il 21, 24, 27, 29 aprile e il 2 Maggio e a seguire le due vincenti si affronteranno per lo scudetto con la speran-za che anche il Famila sia tra queste. Prima

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38 La parola Octopus associata al Jujitsu assume un significato importantissimo, un marchio a fuoco impresso con forza e de-cisione nel modo di tradurre le tecniche e i principi dell’antica Arte Marziale Giap-ponese.Octopus “piovra” un abitante del mare e degli oceani, un animale non molle, come a tanti può sembrare, ma flessibile, sinuoso, a volte fortissimo ma si-curamente intelligente e furbo, in grado anche di sconfiggere una murena o, nel caso delle piovre giganti dell’Atlantico, di spezzare con la forza stritolante dei tentacoli uno squalo per poi divorarlo. Nella codificazione o reinterpretazione in chiave efficace del Ju Jitsu classico il Grande Maestro Patrizio Rizzoli, che già vi ho fatto co-noscere nel settembre del 2006, decise con il termine “OCTOPUS” di distinguere il suo modo di prati-care e insegnare Ju Jitsu. Pur restando la difesa personale lo scopo primario di questa

antica Arte Marziale,

una persona fortemente motivata. Così, la tradizione della forte e antica disciplina giapponese con le sue dure terminologie in lingua originale, amalgamata, come può fare solo il migliore dei cuochi, con le spe-rimentazioni eseguiti sul ring nei combat-timenti più duri e massacranti ha plasmato le metodiche di combattimento in piedi

con tecniche di calcio, pugni e poi gi-nocchiate e gomitate, leve articolari

e proiezioni a terra dove il combat-timento prosegue con ancora leve articolari, colpi e strangolamenti.

In questo modo il giovane praticante verrà intro-dotto ed addestrato ad una visione globale del combattimento come anche dell’al-lenamento fisico e mentale cercando un costante equilibrio dentro e fuori dal “Dojo”. Come anche

ricordano spesso tutti i Maestri di Arti Mar-ziali si verrà così a svi-luppare una specie di

“vista” a 360 gradi; la percezione e l’atten-

zione a quello che

la forza della piovra“Quando invadi la mia area, entri nel mio mondo. Come nell’oceano io divento la piovra, mi adatto al tuo corpo, al tuo movimento e… molti non sanno nemmeno nuotare”. La forza avvolgente del Ju Jitsu della piovra

di Massimo Neresini

gli allievi di Rizzoli si confrontavano sui

ring di tutto il mondo nelle più svariate disci-pline combattendo molte volte nella MuayThai a Bangkok in Thailandia o nella Boxe e Kickboxing negli USA e Unione So-vietica o ancora nel Va-letudo e nelle Mixed Martial Arts (MMA) in tutta Europa, testando cosi l’efficacia delle tecniche imparate praticando e seguen-do gli insegnamenti del loro Maestro e del loro Ju Jit-su. Cosi facendo il Maestro Rizzoli decise di codificare un programma tec-nico internazionale

che accompagnasse i praticanti dalla cintu-ra bianca alla cintura nera all’interno di un

percorso nel quale non esiste “ap-prossimazione” bensì metodi e tecniche altamen-te testate nella loro efficacia e votate a preparare

accade di fianco ma in particolare dietro diventa fondamentale nell’ar-

te del combattimento e con l’Octopus Ju Jitsu, come una vera piovra, non esiste più un vero “davanti” e “dietro”.Insegnare “DIFESA PERSONALE” oggi è una grande, grandissima responsabilità.Nella maggior parte dei casi viene for-nito al “praticante” e alcune volte solo momentaneo “cliente” un “pacchetto” di tecniche e figure da eseguire e ripetere moltissime volte con il compagno d’alle-namento, dieci modi per parare un pugno e altri dieci per rompere un braccio o nel peggiore dei casi si insegna come colpire punti vitali, trascurando sempre e grave-mente l’elemento più significativo, quello che realmente permette di difenderci in maniera efficace da un aggressione, la no-stra “MENTE”. Scaturiscono allora una serie di domande fondamentali, doman-de che non sono banali nemmeno per il grande praticante che per ore al giorno si prepara in palestra. Come possiamo difenderci da un malintenzionato se ci siamo allenati per anni in schemi e tec-niche “preconfezionate” con i soliti sei o sette acconsenzienti compagni di pa-lestra? Com’è cresciuta la nostra espe-rienza? Come abbiamo sviluppato una forte e sicura autostima? Siamo real-mente certi di rispondere in modo emo-tivamente efficace ad un aggressione?A queste domande risponde l’amico e Ma-

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39arti marziali

estro di Octopus Ju Jitsu Marco Vigolo che è discepolo del Grande Maestro Pa-trizio Rizzoli e da anni pratica e insegna con determinazione ed esperienza questa efficace Arte Marziale.“…penso che si possa parlare di effetto “boomerang” ovvero il fornire movimen-ti di combattimento e tecniche di difesa a persone con “fisici” che in caso di reale bisogno non reggono ai contraccolpi delle tecniche insegnate, senza poi minimamen-te prepararli a situazioni di “alto stress” allenabili esclusivamente con corretti esercizi di sparring (combattimento libero contro uno o più avversari con protezio-ni) finalizzati realmente a comprendere, in piena consapevolezza, i propri limiti e i propri punti di debolezza e di forza, innal-zando in questo modo la propria soglia di autostima e quindi di reale sicurezza”.E’ chiaro che stiamo cercando di analiz-zare a mente serena una situazione che serena assolutamente non sarà mai così il Maestro Vigolo continua:“…primo, immagina che l’aggressore è più grande e grosso di te;Secondo, l’aggressore è sicuro di sé, ma-gari, grazie al gruppo che lo spalleggia o semplicemente perché è alticcio e pompa-to da una serata “particolare”; terzo, l’aggressore ha una buona esperien-za di risse e “pestaggi”;quarto, l’aggressore è armato di coltello o peggio con una arma da fuoco;L’allenamento alla difesa personale dovrà dunque partire con questi quattro presup-posti ben chiari che riguardano “chi ci aggredisce” ed in base ai quali per pro-muovere un buon allenamento dovremmo porci le seguenti domande:…primo, il mio fisico riuscirà a resistere ad uno scontro con una persona più grossa e grande di me?…secondo, come reagirò davanti ad un gruppo, il cosi detto “branco”, che vuole pestarmi?…terzo, ho l’adeguata esperienza e sicu-rezza nel difendermi di fronte ad un esper-to rissoso?…quarto, cosa faccio se estrae un coltello o una pistola?Questi sono presupposti e questioni fon-damentali che in qualche modo separati o addirittura tutti assieme si possono pre-sentare ad un “malcapitato”… è logico quindi dire che il primo obiettivo è quello di fare il massimo per non trovarsi in una situazione così pericolosa.”Ma alla fine potrebbe anche succedere, allora come affrontare mentalmente e fi-sicamente un allenamento che mi dia una “chance”.“…benissimo, con questi quattro presup-posti e queste quattro domande che ci siamo posti vediamo come condividere molto serenamente con voi, quello che ritengo possa essere il giusto percorso da seguire per riuscire a sopravvivere ad una vera aggressione.Innanzi tutto dovrò “allenarmi” e per alle-namento intendo allenamento fisico e car-diovascolare, dovrò essere sicuro di poter correre, scattare, saltare, spingere, tirare con l’adeguata forza ed elasticità.Un buon allenamento cardiovascolare mi garantirà anche un più regolato flusso sanguigno responsabile del trasporto di

sostanze come adrenalina ed endorfine, fondamentali per aumentare le prestazioni in combattimento e innalzare la soglia del dolore. “Mens sana in corpore sano” saremo più fiduciosi di noi stessi e delle nostre capa-cità con un corpo ben allenato.La fase successiva riguarda il vero e pro-prio “addestramento” e per tale intendo il lavoro neuro-muscolare; preparo la mia “armeria” coinvolgendo il sistema ner-voso centrale. L’obiettivo dell’addestra-mento è creare dei riflessi condizionati quindi, distribuzione del peso corporeo, posizionamento, come muovermi di fron-te ad una minaccia, addestramento ai col-pi più forti ed efficaci. Ognuno di questi esercizi va ripetuto centinaia, migliaia di volte in modo che diventi “automatico” un po’ come schiacciare il pedale del freno o cambiare marcia quando viaggiamo in auto, sono riflessi incondizionati, avven-gono d’istinto senza coinvolgere la parte razionale del cervello”.Ehilà Maestro mi ritrovo perfettamente in queste tue ultime parole, sai che dico sempre che una tigre non pensa ma agi-sce… chiaro però che questo suo “istinto” proviene da una vita di allenamento, già da piccola con la madre e nel gioco… così si diventa una forza della natura ma con la consapevolezza del pericolo e delle pro-prie capacità.“…l’ultima fase sarà il lavoro “mentale” impossibile ed impensabile da eseguire senza un corretto allenamento ed adde-stramento precedente. Il lavoro mentale riguarda l’applicazione delle tecniche acquisite in una situazione di alto stress psicofisico. Solo con la sicurezza di un buon allenamento fisico e un buon baga-glio di tecniche apprese fino a diventare “un riflesso” (difese, prese, leve artico-lari ecc…), riusciremo a sperimentare in modo costruttivo “lo scontro” e riuscire-mo step by step ad applicare in modo im-prevedibile e veloce le tecniche apprese e a capire quali sono i nostri punti di forza. Non possiamo costruire una casa senza solide fondamenta o su un terreno paludo-so. Lo “scontro” all’interno della palestra è un esercizio chiamato “sparring” che si può eseguire in svariate modalità inizian-do in modo molto soft, per incrementare gradualmente l’intensità, ben imbottiti con le dovute protezioni che si dovran-no gradualmente ridurre man mano che la destrezza e l’esperienza del praticante cresce. Ricordiamo che troppe protezioni sono causa di “blocco” o “poca abilità nel-la difesa” (perché tanto ho la protezione). Lo sparring si esegue con l’utilizzo di soli colpi (calci, pugni, gomitate ginocchiate e spallate), di sola “lotta” spinte, tiri, pro-iezioni dell’avversario al suolo con con-tinuazione di lotta a terra e di entrambe le cose assieme colpi più lotta, contro uno o contro più avversari. L’esercizio dello sparring serve per allena-re il colpo d’occhio ad abituarsi a ricevere colpi e a tirare colpi nel giusto tempo e con precisione su un avversario mobile, aiutandoci a ricreare avvicinandoci un po-chino ad uno scontro su strada o ad una situazione di difesa personale.La conoscenza non è potere, il potere è ap-plicare la conoscenza.”

Grazie Maestro Vigolo e spero di poter continuare in un prossimo arti-colo a scrivere su questo argomento che attira molti lettori… molte volte ignari che una concreta preparazione alla “difesa personale” non può esse-re il frutto di qualche lezione ma di continuità, di duro allenamento fino a diventare come la “tigre”… gattone, tenerone ma implacabile se costretta.

Grazie a tutti e… non mollare mai.

Per chi fosse interessato il Maestro Marco Vigolo insegna presso il Mo-ving Center di Cornedo il Martedì e Giovedì dalle 20.00 alle 22.00. tel 335 8451834

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Cehen Zhonghua è il presidente dell’Accademia Hunyuantaiji e Maestro di 19° generazione dello Stile Chen sotto la guida diretta del Grande Maestro Hong Junsheng e Maestro di 2° generazione di Hunyuantaiji sotto la guida diretta del Grande Maestro Feng Zhiqiang. Attualmente risiede in Canada dove inse-gna Taijiquan stile Chen e Hunyuantaiji, ottenendo splendidi risultati in tutto il mondo con i suoi allievi. Grazie all’in-segnamento di due maestri di 18° genera-zione e a oltre venti anni di insegnamento e pratica di Taijiquan stile Chen, il Ma-estro Chen Zhonghua ha una profonda conoscenza dei contenuti delle forme, dell’energia interna, della teoria e delle applicazioni. Ha prodotto moltissimi la-vori, sia in forma di libri che di video, quali ad esempio “The Way of Hunyuan”, “The Circles of Taijiquan”, la traduzione del libro sul Qigong del Grande Maestro Fen Zhiqiang “Hunyuan Qigong”e la traduzione del libro del Grande Maestro Hong Junsheng “Chen Style Taijiquan Practical Method”. Arriva in Italia per la prima volta lo scorso anno invitato

direttamente dal Maestro Giuseppe Bon della Scuola di Kung Fu e Tai Chi Chuan A.S.D. Italia Poon Zè Team di Vicenza per una conferenza dal titolo “How to trasform internal Energy”, suscitando un grande interesse da parte degli appassio-nati di questa Arte Marziale. Dopo aver seguito uno Workshop in Canada nell’ot-tobre 2009, direttamente sotto la guida del Maestro Chen Zhaonghua, i rappor-ti tra i due Maestri si stringono fino alla organizzazione di questo primo Stage italiano composto da 3 giorni a Vicenza presso la Palestra Axel per Maestri ed Istruttori per poi concludersi con lo Stage

Per la prima volta in Italia, il maestro Chen Zhonghua per uno stage con la scuola A.S.D. Italia Poon Zè Team del maestro Bon. Valdagno 24 e 25 aprile

welcome to Italyarti marziali

di Valdagno presso la Palestra DAM con la partecipazione di più di 60 iscritti e di-scepoli del Maestro Bon Giuseppe e delle sue Scuole. E’ un evento importante per gli amanti di questa disciplina che si rac-colgono intorno a questo grande Maestro e rappresentante della vera parte Marziale del Tai Chi Chuan. Si deve ricordare che il 25 Aprile è anche una data importante per tutti gli appassionati perché si festeg-gia in tutto il Mondo la Giornata del Tai Chi Chuan, in memoria del suo fondatore il leggendario Chan San Feng.

di Massimo Neresini

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41hockey

Il grande sogno continuadi Giannino Danieli

foto di Federico Pedron“Non ci sono avversari deboli, ma solo avversari tutti degni del massi-mo rispetto. Non ci si può as-solutamente permettersi di sottovalutare nessuno!”.Questo il Valverde-pensiero negli istanti che hanno preceduto il match al PalaLi-do contro i tedeschi di ERG Iserlohn per il penultimo turno della fase a gironi di EuroLega. La pista, almeno per la prima parte della gara, ha dimostrato che l’as-sunto del tecnico biancoceleste era più che fondato. Poi, al-la distanza, è emerso il netto divario di potenzia-le fra le due squadre e la Isello Vernici s’è impo-sta con un punteggio netto. Nell’altro scon-tro del girone D il Porto fra le mura ami-che ha vinto net-tamente contro il CGC Viareggio escludendo di fatto i toscani dalla possibilità di ambire a quel secon-do posto che vale gli spareggi per la Fi-nal Six. Fuori dai giochi ERG Iserlohn e CGC Viareggio, quindi, la corsa per la fase finale di Eurolega è un affaire tra Porto e Isello. E l’ultimo atto del-la fase a gironi vedrà di fronte portoghesi e vi-centini proprio al PalaLido per un match di altis-simi contenuti, che deciderà chi passerà di-rettamente alla Final Six e chi invece dovrà af-frontare la fase degli spa-reggi.Nella regular season della serie A1 la Isello Ver-nici conservava ancora il ruolo di capolista con cinque punti di vantag-gio sul Follonica quando alla fine manca-vano cinque giornate. Lo scontro diretto con i toscani era previsto alla quartultima

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giorna-ta. In quest’ultima parte di regular season il ca-lendario è sicuramente più agevole per i toscani, mentre per i bian-cocelesti prevedeva almeno tre in-contri insidiosissimi. Aggiudicarsi il primo po-sto alla fine della regular season sarebbe comunque im-portantissimo perché per-metterebbe di usufruire nel corso dei play off di un numero maggiore di incon-tri fra le mura amiche (due su tre nei quarti e nelle semifinali, tre su cinque nella fina-le) con vantaggi indubbi.Gli impegni in Europa e quelli di Cam-pionato (tre partite in sei giorni) stanno mettendo a dura prova soprattutto la te-nuta mentale della squadra. Fin dall’ini-zio della stagione è in testa alla regular season e primeggia pure in Europa. Lo-gico, quindi, il periodo di lieve flessione. Che sicuramente sarà superato a breve perché questa squadra ha fame di obiet-tivi concreti. Le possibilità non mancano per-ché Rigo&C hanno già dimostrato nei momenti delica-ti di avere potenzia-lità e cuore quanto basta.

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43caccia

gli acrobati del cielotesto e foto

di Dorino StoccheroI rapaci diurni sono un gruppo nume-roso di specie che si è evoluto specializ-zandosi nel ruolo ecologico del predatore.Considerando l’enorme varietà di prede a loro disposizione, come rettili, mammi-feri, insetti e uccelli, essi hanno seguito un’evoluzione che li ha portati a differen-ziarsi in numerose specie, distinte preva-lentemente a seconda delle dimensioni dell’esemplare.Il peso dei rapaci diurni varia dai 130 grammi circa di un maschio di sparviere ai 9400 grammi circa della femmina di grifone ed ogni classe di peso sono ben rappresentati.I rapporti dimensionali si ripercuotono di-rettamente sulla tecnica di caccia e sulle prede prescelte, inoltre le diverse specie di predatori possono coesistere nello stesso ambiente poiché ognuna di esse ricopre una differente nicchia ecologica, caccian-do varie tipologie di preda secondo varie modalità, riducendo in tal modo la compe-tizione tra le varie specie.Spesso però accade che i rapaci di dimen-sione minore, come il gheppio e lo sparvie-re, entrino a far parte della catena alimen-tare delle specie di dimensione maggiore, come l’aquila reale, l’astore e il falco pel-legrino. Per queste ragioni i gheppi e gli sparvieri si dimostrano molto aggressivi nei confronti dei rapaci più grandi, tanto che è comune osservarli mentre attaccano l’aquila reale o la poiana.Nei predatori la competizione territoriale diventa il problema principale nel caso di carenza di prede, infatti il cibo è la cosid-detta risorsa limitante che può innesca-re competizioni tra specie diverse o tra

esemplari della stessa specie.Per evitare quest’ultimo fenomeno di con-correnza alimentare fra maschi e femmine della stessa specie, che in alcuni casi com-promette anche l’ottimale svolgimento della stagione riproduttiva, alcune specie, come l’aquila reale, il falco pellegrino, l’astore e lo sparviere, si sono evolute dif-ferenziando la dimensione degli individui dei due sessi (dimorfismo sessuale).Per questo motivo, a differenza dei mam-miferi e degli altri uccelli, nei rapaci la femmina è normalmente di dimensioni maggiori rispetto al maschio, arrivando addirittura ad essere grande quasi il dop-pio, come nel caso dello sparviere la cui femmina cattura prede molto più grosse rispetto a quelle catturate dal maschio.In questo modo tra i soggetti dei due sessi vi è una minima competizione alimentare e nell’insieme entrambi riescono a sfrut-tare una più vasta gamma di prede, inol-tre questa diversità nelle dimensioni è da mettere in relazione alla necessità di inibi-re, durante i rapporti tra i sessi, la carica di aggressività innata nella specie: i maschi si trovano in questo modo nell’impossibi-lità di nuocere alla compagna per uno sta-to di continua sottomissione nei confronti di essa, anche durante l’accoppiamento.Il grado di aggressività di una specie è correlato all’aspetto generale della zampa, in particolar modo del piede, infatti nelle specie più aggressive quest’ultimo è più grande e presenta artigli più sviluppati, inoltre la morfologia del piede varia anche

in rapporto al tipo di alimentazione pro-pria di ogni specie.I rapaci che si nutrono prevalentemente di uccelli presentano zampe con dita lunghe e sottili mentre i rapaci che catturano prin-cipalmente mammiferi hanno le zampe con dita corte e robuste.Il senso maggiormente utilizzato per la localizzazione delle prede è la vista, la risolvenza degli occhi di questi uccelli è superiore a quella di ogni altra creatura vivente ed è basata sia sulla grandezza dell’immagine che si forma sulla retina, sia sulla grande densità di cellula fotore-cettrici (coni retinici e bastoncelli retinici) capaci di trasformare gli stimoli luminosi in impulsi nervosi presenti nella fovea, zona della retina nella quale l’immagine è più nitida, pertanto viene determinato un potere risolutivo doppio di quello dell’oc-chio umano.Inoltre gli occhi dei rapaci sono posti in posizione più frontale rispetto a quelli de-gli atri uccelli per consentire un’accurata visione binoculare, utile per l’esatta perce-

I rapaci diurni, il loro sviluppo, l’arte della caccia e il loro contributo all’equilibrio naturale

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zione della distanza e della prospettiva.Anche l’udito è notevolmente sviluppato tuttavia i rapaci diurni individuano la pre-da, come detto, usando principalmente la vista, anche se cambiano molto da uccello a uccello le tecniche con le quali vengono effettuate le catture. Vi sono specie di rapaci che perlustrano attivamente il territorio alla ricerca delle prede, sulle quali piombano all’improvvi-so e vi sono specie di rapaci che aspettano la comparsa o il passaggio di una preda restando appollaiati in punti dominanti: la poiana, per esempio, una volta individua-ta la preda, la cattura piombandole sopra sfruttando il “fattore sorpresa”.Il falco pecchiaiolo, invece, è un rapa-ce che caccia localizzando i nidi degli imenotteri (vespe e bombi) osservando gli spostamenti degli insetti. Dopo la lo-calizzazione questo rapace procede alla perlustrazione del terreno camminando sulle zampe finché non scopre il nido sotterraneo degli insetti che provvede a

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dissotterrare, non curandosi degli attacchi dei medesimi, fino a mettere allo scoperto il favo.I rapaci sono monogami e la loro vita si svolge in un ambito territoriale caratteriz-zato dalla presenza di due tipologie di ter-ritorio: il territorio di caccia e il territorio di nidificazione.Tipici del periodo riproduttivo sono i voli nuziali che consistono in spettacolari evo-luzioni aeree durante le quali i due mem-bri della coppia si afferrano in volo con gli artigli favorendo l’unione della coppia stessa.Generalmente l’opinione comune consi-dera i rapaci dannosi e per questo motivo meritevoli di persecuzione e distruzione sistematica.L’indagine scientifica ha invece dimostra-to che il ruolo svolto da questi uccelli in natura è ben diverso e significativo dal punto di vista biologico.Il danno da essi arrecato alle specie di im-portanza venatoria ed economica è infatti trascurabile, mentre molto importante è l’azione che svolgono, attraverso la pre-dazione, nel controllare e selezionare le popolazioni di quegli animali che costitui-scono la loro preda.Occorre precisare che i rapaci non ster-minano mai le loro prede ma tendono a catturare il surplus della popolazione, che sarebbe comunque destinato a morire per altre cause, prelevando di norma gli esemplari più deboli, inesperti e ammalati contribuendo a rendere le popolazioni di queste specie meno soggette alle malattie epizootiche.I rapaci inoltre controllano ed impedisco-no l’espansione numerica di molte specie invadenti che spesso arrecano danni in-genti all’agricoltura.Dobbiamo constatare amaramente che an-cora oggi, pur essendo considerate specie particolarmente protette, durante la stagio-ne venatoria vengono rinvenuti esemplari di rapaci morti o feriti da arma da fuoco.Inoltre le uova dei rapaci sono molto ri-chieste dai collezionisti e i loro piccoli sono spesso catturati per essere impiegati in falconeria.

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una vita per il basket

nuoto

Abbiamo incontrato Andrea Santacatterina, uno dei più preparati tecnici della palla arancione

Nel mondo dello sport gli atleti e le società la fanno da padrone ma in questo settore per ottenere i risultati che le so-cietà si auspicano, siano essi di caratte-re prettamente sportivo o con finalità di crescita ed educative, lo sport si avvale dei vari tecnici ed esperti che si dedicano con passione per ottenere il massimo dai loro atleti. Tra questi, abbiamo scovato tra i molti in circolazione, un tecnico di basket: il quarantenne Andrea Santacat-terina che più di altri esprime con il suo modo di stare in palestra, uno spirito ed una filosofia votata ad interpretare al me-glio il connubio sport-crescita per i suoi atleti sia sotto il profilo sportivo sia sot-to l’aspetto educativo. Abita a Villaverla con la moglie Roberta e il figlio Giaco-mo di 1 anno. Da tre anni lavora in uno dei vivai da sempre più interessanti del veneto baskettaro: la Patavium Petrarca di Padova del presidente Benini. La sua attività inizia nel 1999 a Schio con le gio-vanili della Juvenilia Schio, società nella quale è cresciuto come giocatore per un decennio e che ha lasciato nel 2007. A Schio ha lavorato per 4 anni con i gio-vani e contemporaneamente nei campio-nati di categoria in serie D, C2, C1 nel maschile. Agli esordi ha allenato anche la femminile di Sarcedo in serie C fino al 2001 e le giovanili del Famila basket fino al 2004. Nel 2007 è stato chiamato alla corte del Patavium Petrarca dove ha concretizzato quel salto di qualità che lo ha portato oltre a gestire il vivaio pado-vano ad assumersi gli oneri e l’onore del capo allenatore della C2 del Petrarca con brillanti risultati visto che in questa sta-gione la squadra ha raggiunto i playoff e che l’under 19 nel campionato eccellenza è risultata la seconda squadra del Veneto. “Per me l’allenare significa andare in pa-lestra e lavorare per contribuire alla cre-scita tecnica degli atleti – sostiene Andrea – non dimenticando che bisogna dare grande importanza alla loro maturazione personale. Soprattutto quando si allena-no dei giovani non si deve mai trascurare questo aspetto, dobbiamo pensare non solo al giocatore di basket che formia-mo, ma ai valori che bisogna trasmettere ai ragazzi”. - Come mai la scelta della Patavium è caduta proprio su di lei? “Ho conosciuto il responsabile tecnico della società padovana durante il corso alle-natore di Bormio, appena ha saputo che non avrei proseguito la mia esperienza a Schio mi ha chiamato, proponendomi di collaborare con il Petrarca, non ho avuto dubbi a quel punto, tra tutte le società con le quali avevo avuto contatti era quella che mi offriva l’opportunità più stimo-lante. Dopo tre stagioni posso affermare di aver fatto la scelta giusta e spero che

IN ALTO A SINISTRA: All. Andrea SANTACATTERINA, Matteo FRANZOLIN, Marco TOGNON, Francesco MILLEVOI, Riccardo ZANCAN, Michele BASSAN, Vice All. Enrico BARZON. SOTTO: Federico LORENZON, Tommaso GALLO, Marco PAGLIARI, Filippo SGUOTTI, Jacopo TREVISAN, Niccolò GOBBO.

SQUADRA UNDER 15 PETRARCA PADOVASTAGIONE 2007/2008

anche loro possano dire la stessa cosa”.- Quanto la impegna il basket in termini di tempo? “Gran parte del pomeriggio e la sera, questo per cinque sei giorni a settimana tra allenamenti e partite. Poi ci sono clinic, lezioni e riunioni tecniche alle quali partecipare. Quest’anno poi il secondo posto in Veneto con l’under 19 eccellenza ci ha dato l’accesso alla fase nazionale, fase che prevede trasferte in tutto il nord Italia”. - Qual è stata fin qui la sua maggior soddisfazione sportiva? “Difficile fare una classifica, ma se devo scegliere metto ai primi posti la salvezza raggiunta il primo anno da capo allenato-re in C1 a Schio e la fase nazionale under 15 eccellenza, il primo anno a Padova. Stagione nella quale ho avuto la fortu-na di allenare un gruppo di ragazzi che, lavorando con grande impegno, hanno sopperito a quelle che potevano sembra-re carenze fisiche e tecniche, giocando sempre alla pari contro avversari che tutti consideravano molto più forti”. - Qual è il sogno nel cassetto? “Quello che ogni allenatore di settore giovanile ha: parteci-pare con la propria squadra ad una finale nazionale; per due stagioni sono arrivato tra le prime 32 in Italia, sarebbe stupendo arrivare nelle prime 16”.

di Enzo Casarotto

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47snow board

Cronaca dallo snowparkÈ vero che ho poco tempo a di-sposizione per tirare quattro curve, ma oggi non va proprio. Al posto de-gli sci mi sembra di avere dei cingo-li. Lo stile è idraulico come quello di un caterpillar. Nemmeno in seggio-via me ne sto seduto decentemente, sono sdraiato con uno sci in aria che oscillo a mò di tergicristallo e l’altro sotto a penzoloni. L’ora è scadu-ta, meglio! Così invece di buttare un’altra discesa alla ca-doppia-ze-ta-più-vocale-tonda, vado nel park a fare le fotografie . Keep out! Il cartello invita a starsene alla larga se non muniti di casco. Entro e per mettere da subito le cose in chiaro, al posto delle necessarie protezioni, estraggo la reflex dal-lo zaino come passaporto. Raga! Sono qui per fare degli scatti e abilmente nascondo il timore del contrario. Lo snowpark è una specie di riserva indiana e una volta dentro corri il rischio di passarci l’intera giornata. E’ una zona idealmente delimi-tata, non ci sono transenne è semplicemente una filosofia alternativa di vivere la neve e la montagna. Gli ostaco-li sono puramente mentali, il che non è da poco. Qui si gioca, proprio come in un parco del divertimento, sport e caos sembrano andare più che d’accordo. Nel frattem-po qualcuno ha avuto l’il-luminazione di accendere l’impianto stereo a manet-ta e la cosa è un po’ come dar fuoco alle polveri! Lo

Un fotografo tra i snowboarders: cronaca di una giornata di ordinaria follia dallo snowpark dei Fiorentini

di Arturo Cuel

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che, mosso dall’impossibilità di surfare sulle onde dell’oceano nella fredda stagio-ne, ha trasportato la sua tavola sui pendii innevati della California, attualmente nei park la si usa al posto dello skate.Il tam tam tamburella nei canali del web e l’appuntamento clou è il contest. Possia-mo chiamarle come vogliamo, ma di certo queste manifestazioni non hanno conno-tazioni prettamente competitive, il diver-timento è un must! La birra (qui in lattina) scorre come all’Oktoberfest di Monaco e il frastuono supera il casino di un’impre-sa edile. Alto livello e spettacolarità sono comunque garantiti. Tolgo gli sci che sono d’impaccio e mi posiziono sotto un grande kicker - il dente o come cavolo lo si vuole

chiamare - alla ricerca di una prospettiva originale. Dall’alto vengo adocchiato e i raga alzano il pollice all’insù; intuisco che essere lì a scattare foto li svalvola oltre misura. Dopo sarà intesa a prima vista. Un tipo vestito di verde ramarro parte, mi passa sopra con un drop impressionante per poi scomparire sotto, oltre la visuale. Tutto è fulmineo, forse meno di 3 secondi. Un salto che buca l’intenso azzurro della bella giornata. Mi concentro per beccare il secondo dalla livrea di un evidenzia-tore Stabilo, cerco di posizionarlo dove lo voglio nell’inquadratura e sparo una raffica di fotogrammi: colpito! Con una mano faccio ombra sul display e rivedo la scena, congelata, pietrificata nell’istante

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skilift comincia ad espellere un rider dopo l’altro. Si gira e ai più il come è indifferen-te. C’è chi si contorce in un tail grab cork dopo aver infilato un kicker che a guardar-lo spaventa. Oppure un indy! Chi, invece, grabba talmente alto da riuscire a staccare l’ombra da terra. Nel park l’aria che tira è diversa da fuori, dalle piste intendo. E’ una civiltà urbana prestata alla quota. Ca-sco, occhialoni e una fashion sgargiante rigorosamente XXL! Tavole da snow che possono essere battute all’asta come opere d’arte. Grafica, gestualità e terminologia hanno del tribale: accattivanti segni di un mondo giovane che scappa di mano. Mu-sica rap, metal o anni 80. Nato quasi per scherzo dai primi tentativi di Jack Burchett

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della magia. Un front side 7 fantastico! Così un altro e poi ancora. Questi ci sanno fare! I vari colori che si alternano nel cielo corrispondono ad altrettanti stili e modi d’interpretare i tricks. Alzo lo sguardo e mi ritrovo accerchiato da un piccola ciur-ma - in gergo crew - che si è formata dopo il volo. Sono risaliti a piedi con la tavo-la sotto il braccio (non sempre si prende l’impianto). Assieme guardiamo alcuni shoot e pianifichiamo - parola grossa - nuove riprese. Altri riders aggirano come squali i grossi jump mantenendosi ad una certa distanza, quasi vi fosse il pericolo di scottarsi. Preferiscono tentare cose più umane come i fun box o i jibbing (dove fai di tutto molto easy). Al Jurassik Park di Fiorentini, vicino a Tonezza, ci sono tante strutture dove ognuno si può espri-mere in quella più adatta alle propria in-dole. Anche in questa disciplina si va per step, ci si può sempre buttare, ma convie-ne prenderla progressivamente e quando non lo fai puoi digitare il 118. Lo skilift sgancia nuovi frequentatori insieme ai tipi del gruppetto di prima. Fra loro Fulmine (demo rider), Riccardo e Stefano. Si sie-dono con le spalle rivolte a monte e la tavola a valle. Una pausa prima della run? Credo sia un ripasso mentale per eseguire una tal figura o per smanettare alla ricerca del pezzo giusto sull’Mp3, boh! Magari non bastasse il sound pompato dagli alto-parlanti. Adesso mi pare che il brano sia di Eminem...or not?

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DA 5 ANNI LA NOSTRA RIVISTA HA TRE GIORNALISTI E QUATTRO INSERZIONISTI PUBBLICITARI SEMPRE PRESENTI IN TUTTI I NUMERI FINORA PUBBLICATI. I

PRIMI TRE LETTORI CHE CI INVIERANNO UNA E-MAIL CON I TRE NOMI DEI GIORNALISTI E I QUATTRO NOMI

DELLE AZIENDE SUPER FEDELI, RICEVERANNO UNA E-MAIL CON CUI POTRANNO ANDARE DA SAMPDORIA VINI A RITIRARE UNA BOTTIGLIA DI PROSECCO MAGNUM DA BERE ALLA LORO E ALLA NOSTRA SALUTE.

Potete scrivere al Senatore Alberto Filippiinviando le vostre e-mail a:

[email protected]

Le vostre lettere possono essere letteanche nel sito: albertofilippi.it

lettere

Veneto olimpicoCaro Senatore,

sono un ‘vecchio’ sportivo. Da giovane ero un ciclista anche abbastanza forte, adesso sono uno di quelli che fa un sacco di chilo-metri – un diesel! – che si diverte su e giù per i nostri fantastici Colli Berici. L’altro giorno, pedalando con un amico su per Pe-rarolo, ci siamo detti: pensa che bello se ci fossero le Olimpiadi nel Veneto e se la gara di ciclismo su strada passasse proprio per i nostri colli. Il Veneto e Vicenza meri-terebbero proprio una vetrina come quella Olimpica. Seconde lei, abbiamo qualche possibilità o, come dice il mio amico, di olimpico dobbiamo accontentarci del nome del teatro che già abbiamo. Perché, sa, se continuo a pedalare così, fra 10 anni potrei essere ancora qui e mi piacerebbe vedere i campioni del ciclismo di domani fare fatica dove oggi la facciamo noi.

Con simpatia per lei e per Sportivissi-mo, Corrado Dal Prato.

Carissimo Corrado,

bella la tua lettera di sport e simpatia. Credo proprio che dobbiamo partire da qui, dalla nostra cultura sportiva e dal nostro essere terra di persone simpatiche per vincere la grande scommessa di portare le Olimpiadi del 2020 nel Veneto. Come Nordest abbia-mo sempre avuto grandi campioni, frutto di una cultura e una passione sportiva non inferiore a quelle di nessuno, ma non ab-biamo mai avuto un grande evento sporti-vo. Sarebbe giusto che la prossima volta toccasse a noi. Abbiamo tutte le carte in regola per fare la più bella Olimpiade di sempre. Pensa che cosa significherebbero per il Veneto, per le nostre città, per la no-stra economia i Giochi del 2020 qui. Dopo le Olimpiadi invernali del 2006 Torino è diventata un’altra città. Dobbiamo darci da fare tutti affinché questo grande sogno si avveri, iniziando proprio con il volerlo, con il parlarne tra sportivi, come hai fatto tu. Bravo Corrado.

Buone pedalate, Alberto Filippi.

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