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PERIODICO DI INFORMAZIONE, ATTUALITÀ E CULTURA MUSICALE Estate 2010 AMAZZONE di Rossella Gaudenzi A ppartengo a coloro che Wonder Woman, l’eroina di un celebre fumetto e in seguito di una ancor più celebre serie televisiva, a grandi linee la ricordano. Ne ricordo la silhouette vigorosa sprigionante forza, i microabiti indossa- ti riproducenti la bandiera americana, i folti capelli neri coronati. Sicuramente senza sapere che le prodezze della «donna meravigliosa» (tale diventava con una trasformazione di dubbio gusto artistico) affondassero le radici in un pre- sunto passato mitologico. Ma tanto bastava cono- scere del personaggio alla generazione di bambi- ni cresciuti negli anni Ottanta. Ed oggi mi soffer- merò su un’Amazzone simile: Pentesilea. (...) Periodico di informazione, attualità e cultura musicale a cura del Saint Louis College of Music ¢ CONTINUA NELLA PAGINA TRAINING ¢ CONTINUA NELLA PAGINA BALLET CIRCUITO OFF «LODATE DIO CON ARTE», DI JOSEPH RATZINGER ¢ CONTINUA NELLA PAGINA SPECIAL FEED FEED BOOK BOOK SUONY ROSEI di Romina Ciuffa B isogna deglutire. Esercizio tracheale, inghiottire. Bisogna, con un Lagavulin 16 o una barricata ambrata, ingoiare questo: il digitale ci sta ingoiando. Da una parte, niente più polvere tra gli scaffali - fa ancora male pen- sare al vinile, che già è sparito il cd - e tutto sa molto di vintage, quel sapore di bottiglietta di Chinotto da collezione il cui amaro è solo per metà imputabile al prodotto integro. Dall’altra, la rivoluzione, chiamiamola pure vitaminica. Se è vero che Vitaminic fu una delle prime piattafor- me digitali in Europa, e Andrea Rosi ne fu tra i principali protagonisti, oggi per la Sony Music Italia gli addendi portano a un risultato solo. (...) SPECIALE SPECIALE Festival Odio l’Estate ¢ CONTINUA NELLA PAGINA JAZZ&BLUES S S O O U U N N D D t t r r a a c c k k i i n n g g Il Saint Louis com- pie trentacinque anni di attività. Alcuni docenti sono gli stessi dal 1976, altri si sono integrati negli anni, molti si sono formati pro- prio al Saint Louis; ora sono centoventi quelli che vi lavora- no stabilmente. Migliaia di professionisti sono cresciuti musicalmente all’interno di corsi che hanno reso il Saint Louis la realtà fra le più note e apprezzate in tutta Europa. Premiata anche nei numeri, considerato che da sola forma oltre milleottocento ragazzi ogni anno. Nessun’altra scuola riesce in questo, neanche i Conservatori più grandi, pifferai magici a tutti gli effetti. In Italia ci troviamo ancora di fronte ad una situazione paradossale e arretrata, dove il titolo rilasciato da una istituzione privata non è ufficialmente equiparato a quello di un Conservatorio o di un’università. Ciò favorisce una sostanziale situazione di monopolio da parte della struttura pubblica che, crogiolandosi nell’a- berrazione, continua ad offrire corsi del tutto ina- deguati a formare veri professionisti. E, anche a detta di molti docenti di Conservatorio e musicisti illuminati, «...chi vuole veramente imparare e diventare un musicista completo va al Saint Louis, in Conservatorio ci passa per il pezzo di carta...». Ma come potrebbe essere altri- menti? Tanto per fare un esempio, se confrontia- mo il totale di ore di lezione individuale di stru- mento (lì dove esiste, perché alcuni conservatori neanche la prevedono) notiamo che alcuni si spingono «fino» a 40 ore a triennio, quando al Saint Louis le medesime lezioni si svolgono in 110 ore. Parliamo di laboratorio di musica d’in- sieme, dove si formano i musicisti che dovranno salire su un palco, che dovranno affrontare con- certi e tournée: 75 ore in Conservatorio, 130 al Saint Louis. Per non parlare poi di materie come Music Technology, sezione ritmica, improvvisa- zione, arrangiamento, ear training, composizio- ne. Se sommassimo tutte le ore in meno che si fanno per ciascuna di queste materie il risultato sarebbe sconvolgente, vero termometro di questa malattia genetica statale. La verità è che alcune classi di Conservatorio funzionano per lo zelo e la buona volontà dei docenti, non certo per le risorse che hanno a disposizione. In Paesi più attenti alla sostanza e meno alla forma, non esiste il valore legale del titolo, ma questo è strettamente connesso al pre- stigio dell’Istituto. Ossia, se la Scuola funziona e forma professionisti che poi trovano lavoro nel mondo musicale, questa riceverà gran quantità di iscrizioni, se non funziona chiude. Invece di informarsi sulle reali prospettive di lavoro che apre il Diploma del Saint Louis e sulla struttura di agenzia che supporta i nostri allievi, molti genitori si soffermano sempre e solo sulla validità del titolo. Valido per cosa? A cosa serve un titolo riconosciuto, se non a soddi- sfare le paure del genitore, che «nel paesino Italia è sempre meglio avere il pezzo di carta»? (...) Direttore ROMINA CIUFFA Direttore Responsabile SALVATORE MASTRUZZI Caporedattore ROSSELLA GAUDENZI Redazione Flavio FABBRI [email protected] Rossella GAUDENZI [email protected] Valentina GIOSA [email protected] Roberta MASTRUZZI [email protected] Contributi Adriano Mazzoletti, Lorenzo Bertini, Luca Bussoletti Nicola Cirillo, Giosetta Ciuffa, Corinna Nicolini Alessia Panunzi, Martina Pugno, Paolo Romano Elio Tatti, Eugenio Vicedomini, Livia Zanichelli Music In Video Videointerviste Reportages Romina CIUFFA www.youtube.com/musicinchannel www.myspace.com/musicinmagazine Progetto grafico e fotografia Romina CIUFFA Redazione Via Urbana, 49/a 00184 Roma Tel. 06.4544.3086 Fax 06.4544.3184 [email protected] Marketing [email protected] Tipografia Litografica Iride Srl Roma, V. Bufalotta, 224 Anno IV n. 14 Estate 2010 Reg. Tribunale di Roma n. 349 del 20/7/2007 STEFANO MASTRUZZI EDITORE IL PIFFERAIO MAGICO PUNK IS (NOT) DEAD ALT ER NATIVE NATIVE CLASSICA M M E E N N T T E E LA P ANHARMONIKON ORCHESTRA DIRETTA DA GIUSEPPE PUOPOLO FESTIVAL di Adriano Mazzoletti O rganizzare oggi un festival del jazz è relativa- mente facile. Bisogna avere i numeri telefonici di qualche impresario, sapere chi sono i musi- cisti che «tirano di più» e naturalmente poter attingere a stanziamenti di pubblico danaro. Non serve essere particolarmente esperti e soprattutto avere molte idee, anzi è molto meglio non aver- ne. Intendiamoci. Nelle centinaia di festival organizzati e diretti da direttori artistici che, quasi sempre, debbono rispondere ai vari asses- sori alla cultura il cui unico interesse è quello di attirare più gente possibile e soprattutto ottenere visibilità con gruppi rock e pop, molte sono le manifestazioni i cui responsabili sono persone di assoluta capacità. Ciò che colpisce però nei vari cartelloni di piccoli o meno piccoli festival è - dicevo - la mancanza di idee e soprattutto la tota- le assenza di una «filosofia» di base. (...) MUSICIN14m.QXP:Layout 1 28/06/10 11:37 Pagina 1

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MUSIC INAnno IV n. 14ESTATE 2010Direttore ROMINA CIUFFAwww.musicin.euwww.youtube.com/musicinchannelwww.myspace.com/musicinmagazineRUBRICHEJazz&Blues * Rossella GAUDENZIClassica-MENTE * Flavio FABBRIALTerNATIVE * Valentina GIOSABeyond * Romina CIUFFASoundTracking * Roberta MASTRUZZIMusicALL * Romina CIUFFABallet * Rossella GAUDENZIFeedback * Romina CIUFFATraining * Roberta MASTRUZZISpecials * Romina CIUFFAMusic OUTCorrispondente * Nicola Cirillo@Romina CIUFFA [email protected] FABBRI [email protected] GAUDENZI [email protected] GIOSA [email protected] MASTRUZZI [email protected] CIRILLO [email protected] Mazzoletti, Lorenzo Bertini, Rita Barbaresi, Luca Bussoletti Nicola Cirillo, Corinna Nicolini, Alessia Panunzi, Martina Pugno, Paolo Romano Eugenio Vicedomini, Livia Zanichelli MUSIC IN VIDEO > www.youtube.com/musicinchannelDirettore ResponsabileSALVATORE MASTRUZZIProgetto grafico e fotografiaRomina CIUFFARedazioneVia Urbana 49/a - 00184 RomaTel. 06.4544.3086Fax 06.4544.3184Mail > [email protected] e PubblicitàMail > [email protected] Editore srlVia R.G. di Montevecchio 17, RomaEdito dal SAINT LOUIS COLLEGE OF MUSICStefano Mastruzzi Editorewww.slmc.itRegistrazione presso il Tribunale di Roman. 349 del 20 luglio 2007

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PERIODICO DI INFORMAZIONE, ATTUALITÀ E CULTURA MUSICALE

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0 AMAZZONE di Rossella Gaudenzi

Appartengo a coloro che Wonder Woman,l’eroina di un celebre fumetto e in seguitodi una ancor più celebre serie televisiva, a

grandi linee la ricordano. Ne ricordo la silhouettevigorosa sprigionante forza, i microabiti indossa-ti riproducenti la bandiera americana, i folticapelli neri coronati. Sicuramente senza sapereche le prodezze della «donna meravigliosa» (talediventava con una trasformazione di dubbiogusto artistico) affondassero le radici in un pre-sunto passato mitologico. Ma tanto bastava cono-scere del personaggio alla generazione di bambi-ni cresciuti negli anni Ottanta. Ed oggi mi soffer-merò su un’Amazzone simile: Pentesilea. (...)

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¢ CONTINUA NELLA PAGINA TRAINING ¢ CONTINUA NELLA PAGINA BALLET

CIRCUITO OFF

«LODATE DIO CON ARTE»,DI JOSEPH RATZINGER

¢ CONTINUA NELLA PAGINA SPECIAL

FEEDFEEDBOOKBOOK

SUONY ROSEI di Romina Ciuffa

Bisogna deglutire. Esercizio tracheale,inghiottire. Bisogna, con un Lagavulin 16o una barricata ambrata, ingoiare questo:

il digitale ci sta ingoiando. Da una parte, nientepiù polvere tra gli scaffali - fa ancora male pen-sare al vinile, che già è sparito il cd - e tutto samolto di vintage, quel sapore di bottiglietta diChinotto da collezione il cui amaro è solo permetà imputabile al prodotto integro. Dall’altra, larivoluzione, chiamiamola pure vitaminica. Se èvero che Vitaminic fu una delle prime piattafor-me digitali in Europa, e Andrea Rosi ne fu tra iprincipali protagonisti, oggi per la Sony MusicItalia gli addendi portano a un risultato solo. (...)

SPECIALESPECIALEFestival

Odio l’Estate

¢ CONTINUA NELLA PAGINA JAZZ&BLUES

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IlSaintLouisc o m -

pie trentacinqueanni di attività.

Alcuni docentisono gli stessi dal

1976, altri si sono integrati neglianni, molti si sono formati pro-prio al Saint Louis; ora sonocentoventi quelli che vi lavora-no stabilmente. Migliaia di

professionisti sono cresciutimusicalmente all’interno di

corsi che hanno reso ilSaint Louis la realtà frale più note e apprezzate

in tutta Europa.Premiata anche neinumeri, consideratoche da sola formaoltre milleottocentoragazzi ogni anno.

N e s s u n ’ a l t r ascuola riesce inquesto, neanche i

Conservatori più grandi, pifferai magici a tutti glieffetti. In Italia ci troviamo ancora di fronte aduna situazione paradossale e arretrata, dove iltitolo rilasciato da una istituzione privata non èufficialmente equiparato a quello di unConservatorio o di un’università. Ciò favorisceuna sostanziale situazione di monopolio da partedella struttura pubblica che, crogiolandosi nell’a-berrazione, continua ad offrire corsi del tutto ina-deguati a formare veri professionisti.E, anche a detta di molti docenti di Conservatorioe musicisti illuminati, «...chi vuole veramenteimparare e diventare un musicista completo va alSaint Louis, in Conservatorio ci passa per ilpezzo di carta...». Ma come potrebbe essere altri-menti? Tanto per fare un esempio, se confrontia-mo il totale di ore di lezione individuale di stru-mento (lì dove esiste, perché alcuni conservatorineanche la prevedono) notiamo che alcuni sispingono «fino» a 40 ore a triennio, quando alSaint Louis le medesime lezioni si svolgono in110 ore. Parliamo di laboratorio di musica d’in-sieme, dove si formano i musicisti che dovrannosalire su un palco, che dovranno affrontare con-certi e tournée: 75 ore in Conservatorio, 130 alSaint Louis. Per non parlare poi di materie come

Music Technology, sezione ritmica, improvvisa-zione, arrangiamento, ear training, composizio-ne. Se sommassimo tutte le ore in meno che sifanno per ciascuna di queste materie il risultatosarebbe sconvolgente, vero termometro di questamalattia genetica statale.La verità è che alcune classi di Conservatoriofunzionano per lo zelo e la buona volontà deidocenti, non certo per le risorse che hanno adisposizione. In Paesi più attenti alla sostanza emeno alla forma, non esiste il valore legale deltitolo, ma questo è strettamente connesso al pre-stigio dell’Istituto. Ossia, se la Scuola funziona eforma professionisti che poi trovano lavoro nelmondo musicale, questa riceverà gran quantità diiscrizioni, se non funziona chiude.Invece di informarsi sulle reali prospettive dilavoro che apre il Diploma del Saint Louis esulla struttura di agenzia che supporta i nostriallievi, molti genitori si soffermano sempre esolo sulla validità del titolo. Valido per cosa? Acosa serve un titolo riconosciuto, se non a soddi-sfare le paure del genitore, che «nel paesinoItalia è sempre meglio avere il pezzo di carta»?(...)

DirettoreROMINA CIUFFA

Direttore Responsabile SALVATORE MASTRUZZI

Caporedattore ROSSELLA GAUDENZIRedazioneFlavio FABBRI [email protected] GAUDENZI [email protected] GIOSA [email protected] MASTRUZZI [email protected] Mazzoletti, Lorenzo Bertini, Luca BussolettiNicola Cirillo, Giosetta Ciuffa, Corinna NicoliniAlessia Panunzi, Martina Pugno, Paolo Romano Elio Tatti, Eugenio Vicedomini, Livia Zanichelli

Music In Video

VideointervisteReportagesRomina CIUFFA

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Progetto grafico e fotografiaRomina CIUFFA

Redazione Via Urbana, 49/a00184 RomaTel. 06.4544.3086Fax [email protected]

[email protected] Iride SrlRoma, V. Bufalotta, 224

Anno IV n. 14 Estate 2010

Reg. Tribunale di Roma n. 349 del 20/7/2007

STEFANOMASTRUZZI EDITORE

IL PIFFERAIO MAGICO

PUNK IS (NOT) DEADALTERNATIVENATIVE

CLASSICAMM EE NN TT EELA PANHARMONIKON

ORCHESTRA DIRETTA

DA GIUSEPPE PUOPOLO

FESTIVALdi Adriano Mazzoletti

Organizzare oggiun festival deljazz è relativa-

mente facile. Bisognaavere i numeri telefonicidi qualche impresario,sapere chi sono i musi-cisti che «tirano di più»e naturalmente poter

attingere a stanziamenti di pubblico danaro. Nonserve essere particolarmente esperti e soprattuttoavere molte idee, anzi è molto meglio non aver-ne. Intendiamoci. Nelle centinaia di festivalorganizzati e diretti da direttori artistici che,quasi sempre, debbono rispondere ai vari asses-sori alla cultura il cui unico interesse è quello diattirare più gente possibile e soprattutto ottenerevisibilità con gruppi rock e pop, molte sono lemanifestazioni i cui responsabili sono persone diassoluta capacità. Ciò che colpisce però nei varicartelloni di piccoli o meno piccoli festival è -dicevo - la mancanza di idee e soprattutto la tota-le assenza di una «filosofia» di base. (...)

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a cura di ROSSELLA GAUDENZI

Music In ¢ Estate 2010JAZZJAZZ&& bblluueess

GIOVANNI TOMMASO L’intervista al contrabassista ecompositore di Codice#Cinque. Una volta entrato in studiocerco di rimuovere tutto e godere della seduzione creativa (...)

SAINT LOUIS Non serve un titolo per andare in tournée con Dalla oFresu, per scrivere un arrangiamento per Enrico Rava o Mina, per esse-re un bravo docente o un bravo turnista. Bisogna solo saperlo fare.

Èun artista riflessivo, Giovanni Tommaso; un musicistache poco lascia alla casualità. Tanto da saper attenderedel tempo, talvolta molto tempo, prima di produrre un

lavoro discografico nuovo che gli gira e rigira per la testa.Questa volta l’attesa è stata di più di tre anni; a giugno 2010esce il disco Codice#Cinque per la Saint Louis JazzCollection, firmato dal celebre contrabbassista e composi-tore, in lavorazione dal 2007. È stato un anno di fermentocreativo per Giovanni Tommaso, il 2007: l’anno del discoregistrato in presa diretta alla Casa del Jazz per il progettoJazz Italiano Live 2007 (Gruppo Editoriale l’Espresso) eanno della nascita del gruppo Apogeo. E occorre partiredalla band per raccontare la storia di Codice#Cinque.

Quando ho pensato di formare il gruppo ho riflettuto alungo sui musicisti. L’organico era già presente nella miamente, volevo riproporre quello della band degli anni 70,dell’indimenticato Perigeo (allora c’erano FrancoD’Andrea al piano, Claudio Fasoli al sax, Tony Sidney allachitarra e Bruno Biriaco alla batteria). DanieleScannapieco e il suo sax sono fedeli e navigati compagni diviaggio. Bebo Ferra era per me solo un musicista moltoconosciuto per fama, ho approfittato del festival di Ischiaper ascoltarlo e per convincermi che fosse il chitarrista giu-sto, proponendogli quindi di suonare per questo progetto. Ilgiovanissimo Claudio Filippini è stato scelto a scatolachiusa: mi ha folgorato il suo suono. Ma la scelta piùrischiosa è stata quella del batterista. La prima volta che hoavuto modo di ascoltare Anthony Pinciotti risale ad un con-testo di concorso, a New York, come ritmica di accompa-gnamento (dal 2001 al 2006 ho vissuto in California).

Si trattava dell’esibizione dei tre finalisti ed il ruolo delbatterista era assai modesto, Pinciotti non si è concessonessun assolo. Eppure, in quel preciso momento, ho avutol’intuito di avere di fronte il batterista di cui avevo bisogno.

Cosa c’è dietro un titolo criptico come questo?Innanzitutto, va detto che sono molto pignolo quanto a

titoli. Spesso il titolo è già esistente quando il pezzo è sol-tanto agli inizi: se già esiste aiuta nell’evoluzione del branoe se è intrigante ancor meglio. Codice#Cinque è il titolo diuna micro suite, un brano della durata di circa 6 minuti.Ciò che lo caratterizza è la suddivisione in 5 parti, ognunadedicata a uno strumento. 5 parti legate tra loro, ma dellequali ognuna possiede autonomia compositiva. C’è dunquecoerenza, e nel contempo vi sono spunti melodici chepotrebbero dar vita a 5 brani differenti. Ciò accade ancheper la batteria: vi è un embrione melodico, legato ad unadelicatezza del suono.

Una sorpresa del disco è la ghost track: si tratta di unbreve brano di contrabbasso solo. Altra special «track» èun brano live, tratto dal concerto della Casa del Jazz del2007, che all’epoca non è rientrato nel cd. Anche in questocaso il titolo è significativo: Men at work per un brano in11/8 che vede i musicisti molto impegnati tecnicamente. Qui

c’è già l’idea della suite, il concetto di Codice#Cinque, unmodo espressivo di dare spazio a cinque musicisti. Non sitratta di un brano ritmico, bensì di un componimento lento,evocativo, seducente.

Sembra di potersi divertire con un «gioco dei titoli», conGiovanni Tommaso. Altro brano lento è La Sesta Notte:caratteristica della composizione è quella di essere unamelodia a intervalli di sesta. Il brano ha un che di crepu-scolare, è quasi nostalgico, rievoca atmosfere notturne, diun post tramonto. E il gioco, anche stavolta, è fatto.

Il primo brano del disco, Bassifondi, inizia con note dicontrabbasso profonde, note un po’ dark.

E quanto al gruppo Apogeo? Sembra nascere dallanecessità degli opposti. Di come serva il dolce per farciassaporare il salato, il freddo per apprezzare il caldo, ilbianco per cogliere le profondità del nero. E così il peri-geo ha senso solo ed esclusivamente rapportandolo alpunto diametralmente opposto, l’apogeo.

Avevo in mente di formare questo gruppo dal 2006. Perun vezzo personale di numeri ho atteso l’anno successivo, il2007: nel ‘77 si sciolse Perigeo, formato nel ‘72. Dal puntopiù vicino alla Terra dell’orbita geocentrica della Luna (odi un satellite artificiale), non potevo che scegliere il suoopposto, l’apogeo. La mia sfida, nel fondare Apogeo, èstata proporre un repertorio contemporaneo, futuribile, peressere propositivo nei confronti dei giovani, attraverso unrimettersi in discussione. Il linguaggio deve essere dinami-co, aspiro a creare una tendenza musicale nuova.

Parlando di aspettative, Giovanni Tommaso scopre lecarte: dal punto di vista della popolarità le attese erano mag-giori. Ma da parte dei giovani musicisti è stata colta l’intui-zione e nei confronti della «vecchia guardia» sono statiriscossi commenti pieni di ammirazione. «Ci hai fregati, seipiù avanti di tutti noi», questo il loro commento.

Nostalgia per l’«era di Perigeo»?Guardo a quel periodo con tenerezza. È stato il momen-

to di massima esplosione della creatività, nel boom deglianni della contestazione, delle tournée autogestite. Ognivolta con un esiguo gruzzolo come compenso. Ricordo unaconsuetudine dell’epoca, quella del «processo al gruppo»,che precedeva il concerto e di fronte all’«accusa» mi sonosempre difeso egregiamente: dimostravo come democrati-camente venissero divisi gli incassi, altrettanto democrati-camente pagati i tecnici e a conti fatti il nostro guadagnoera inferiore a quello di gruppi meno celebri del nostro(Perigeo è stato ben due volte nella top ten dell’HitParade). I contenuti della nostra musica erano fortementecontestatori, ben più efficaci di qualsiasi chiacchiera… allafine scrosciava l’applauso del pubblico che chiedeva: musi-ca, musica! Ritengo che sia questa la grande potenzialitàdel linguaggio musicale, ieri come oggi. Ed il jazz è vivace,oggi come ieri. Occorrerebbe più coraggio, per poter inve-stire sul futuro, sulle nuove generazioni.

CODICE#CINQUE

L ’ E D I T O R I A L E

CODICE#CINQUE

Stefano Mastruzzi

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• UN ANNO DI CD, DVD, LIBRI,CONCERTI

• ESTATE JAZZ: TUTTI I FESTIVAL• LE BLUE PAGES DEL JAZZ

• DA LUGLIO NELLE EDICOLE

«N on ho mai soffertodella sindrome da

presenzialismodiscografico, pur ammirando icolleghi prolifici. Forse perché

utilizzo quasi sempre mie com-posizioni, e ciò mi crea siste-maticamente molto stress,che si protrae per tutta la

‘gestazione’, quasi sempre lun-ghissima a causa della mia len-

tezza e autocensura. Al con-trario, una volta entrato in stu-dio cerco di rimuovere tutto egodere della ‘seduzione creati-

va’’. Un grazie ai fantasticiDaniele, Bebo, Claudio e

Anthony, che si sono calatinella mia musica come se l’a-

vessero sempre suonata;Apogeo è un vero gruppo.»

Giovanni Tommaso

Enoteca e birroteca,aperitivo al buffet, cena e dopocena.

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(...) Maper farci cosa, a parte appenderlo nel proprio studio? Ci siiscrive a una scuola di musica per divenire un burocrate cer-tificato? L’Italia è piena di gente diplomata in Conservatorio

- non si sa come - e che solo per questo si ritiene musicista. La verità è che allostato attuale della legislazione il titolo riconosciuto serve esclusivamente a soste-nere concorsi pubblici, a nient’altro. A nessun direttore d’orchestra o promotoreinteresserà accertarsi del possesso di un titolo legale quando cerca un turnista, unmusicista per un’orchestra o una band, per una tournée, per un arrangiamento.

Premesso che concorsi pubblici non ve ne sono da quasi vent’anni, io credo chei parametri per la scelta di un Istituto debbano essere ben altri - molto più deter-minanti - quali il totale di ore di lezione, la credibilità della struttura in base airisultati raggiunti, la presenza di un adeguato supporto per l’inserimento deidiplomati nel mondo del lavoro, la professionalità e il professionismo dei docen-ti (non dimentichiamo che grazie ai concorsi pubblici e al pezzo di carta oraci ritroviamo in Conservatorio dei docenti che hanno vinto un concorso inquanto avevano il loro bel titolo legale, ma che non hanno mai fatto un con-certo nella propria vita, e che grazie alla nostra legislazione ce li dovremotenere fino alla pensione, con danni incalcolabili sui poveri malcapitati che sitrovano a dover studiare musica con questi signori).

Se si analizza un Istituto da questi punti di vista, la scelta sarà più consapevo-le e si eviteranno anche le distorsioni dell’Italietta, i fast food della musica, strut-ture che aprono tante piccole sedi MacDonald in Italia e sfornano hamburger(allievi) tutti uguali, un po’ rinsecchiti. Le università di Harvard e di Oxford nonhanno decine di sedi in tutto il mondo, ma una principale con un paio di distac-camenti: per garantire la qualità ci vuole attenzione e controllo continuo. La qua-lità mai si sposa con la quantità. E caliamo un velo pietoso poi su quelle pseudo-scuole che aggirano gli ostacoli legislativi gemellandosi con altre Istituzioni este-re per avere da quest’ultime il rilascio del titolo: innanzitutto rivelano una totalemancanza di fiducia nelle proprie risorse, carenti di personalità nell’insegnamentose obbligati a seguire un percorso didattico imposto da un altro Istituto, passopasso, a dire: «Non siete capaci, vi confezioniamo noi la lezioncina, una alla volta,e voi la leggete in classe ai vostri allievi». No grazie, siamo in grado di fare da solie meglio dei ridicoli fast food in franchising. Oltre poi a richiedere una notevolequantità di denaro all’allievo, che va nelle casse della Scuola madre estera sottoforma di tasse d’esame, invece di essere utilizzato per avere più ore di lezione euna preparazione migliore. No grazie, stiamo viaggiando verso opposte direzioni.

Ricevo personalmente decine di richieste ogni anno per affiliazione, franchisinge simili forme di collaborazione. È un fatto positivo, un’attestazione di stima daparte di operatori attenti e altre scuole, ma che valuto sempre con estrema atten-zione e cautela. Da 12 anni dirigo il Saint Louis, ho accordato una sola apertura diun distaccamento, lo scorso anno a Brindisi, dopo tre anni di monitoraggio dell’at-tività e di formazione del personale docente e solo nel momento in cui ho ravvisa-to gli estremi per garantire la medesima qualità didattica della sede principale.

Credo che una grande scuola di musica quale il Saint Louis sia una bottega diartigiani dove si formano i talenti di domani, dove il docente ha una personalitàartistica e il diritto di guidare l’allievo verso gli obiettivi che la Scuola ha fissato,ma nella maniera a lui più consona e naturale. Ho sempre avuto orrore delle meto-dologie lezione per lezione: ogni insegnante è naturalmente diverso dall’altro,proprio come ogni allievo è diverso dall’altro. Ciascuno ha i propri tempi diapprendimento, difficoltà e gusti musicali personali che vanno rispettati, assecon-dati, alimentati e stimolati verso una crescita creativa e una maturazione tale daconsentire a quell’allievo di diventare domani un professionista vero e unico. Nonabbiamo bisogno che lo Stato o una Scuola estera convalidi il nostro lavoro o cispieghi come fare. Lo abbiamo sempre fatto, e molti di coloro usciti dal SaintLouis ora insegnano proprio in quei Conservatori che tanto ci osteggiano, masenza un titolo riconosciuto, bensì con competenze serie e professionalità.

Credo comunque che le cose stiano cambiando rapidamente. Da anni il SaintLouis ha avviato il procedimento per il riconoscimento universitario dei propricorsi di diploma, in partnership con Istituzioni musicali altrettanto valide, notee storiche come la Fondazione Siena Jazz e Musica Oggi di Milano. Strutturetutte e tre che non hanno bisogno di appoggi esteri né di sigilli statali, ma chevivono della propria storia, di vita e dignità propria, costituendo al tempo stes-so guida e riferimento per centinaia di altre strutture di livello europeo. Il rico-noscimento e l’equiparazione universitaria non comporteranno alcun cambia-mento nella didattica del Saint Louis, ma costringeranno invece proprio le strut-ture statali ad aggiornarsi secondo criteri di efficienza e funzionalità, sempreche lo Stato fornisca loro le risorse necessarie. Le altre realtà fotocopia di entiesteri, piccole manovre commerciali sulle spalle di studenti ignari, scusate, manon godono di alcuna considerazione da parte mia.

Tirando le somme, non serve un titolo per andare in tournée con Lucio Dallao Paolo Fresu, non serve un titolo per scrivere un arrangiamento per Enrico Ravao Mina, non serve un titolo per essere un bravo docente, non serve un titolo peressere un bravo turnista da studio di registrazione. Bisogna solo saperlo fare. Equesto insegna il Saint Louis, da 35 anni, senza trucchi né facili scappatoie.

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Music In ¢ Estate 2010

ERYKAH BADU Dallas è la sua città natale ma è anche il luogo in cui fu assassinato Kennedy,ed è esattamente nel punto dell’assassinio di JFK che Erykah, completamente nuda, cade al suolodopo aver attraversato un breve tratto di strada liberandosi strato dopo strato di tutti i vestiti

NICOLA ARIGLIANO Leggendo il romanzo della sua vitaavremmo anche letto, parallelamente, la storia della canzone edella televisione italiana. Ma si è fermato Arigliano.

JAZZJAZZ&& bblluueess

A vete presente la sensazione che si prova quan-do si sogna di camminare nudi per strada?Erykah Badu, stella afroamericana della

musica soul, affronta quello che per molti rappre-senta un incubo ricorrente, spogliandosi integral-mente per le strade di Dallas nel video di WindowSeat, primo singolo del suo ultimo lavoro discogra-fico, New Amerykah part Two: The Return of theAnkh. Dallas è la sua città natale ma è anche il luogoin cui fu assassinato Kennedy, ed è esattamente nelpunto dell’assassinio di JFK che Erykah, completa-mente nuda, cade al suolo dopo aver attraversato unbreve tratto di strada liberandosi strato dopo stratodi tutti i vestiti, sotto lo sguardo stupito dei passan-ti. Il video è stato girato in presa diretta, un ciak evia. Buona la prima. Per la cronaca, le è costato unamulta di 500 dollari per disturbo della quiete pub-blica. Sembra infatti che per strada una donna nudaoffenda il comune senso del pudore. Che imparibene la lezione e la prossima volta si spogli in unluogo più idoneo, tipo uno studio televisivo.

Se non si trattasse di una delle artiste più raffina-te ed eleganti del panorama musicale, la voce di unaBillie Holiday e il corpo di una «Venere nera», pro-babilmente scriveremmo di una furba operazionecommerciale per far parlare di sé. Ma l’immagine diErykah Badu lascia dietro di sé una piacevole sciadi mistero, è impossibile non rimanerne incantati efarsi avvolgere dal suo mondo magico. A comincia-re dal nome che si è scelto da sola: Erica Abi Wrightdiventa infatti Erikah Badu - Kah, simbolo di forzavitale degli antichi egizi e Badu, tipico fonema del-l’improvvisazione scat usata dalle jazz vocalist - enel 1997 si impone all’attenzione del mondo con

Baduizm, dove jazz e hip hop sfociano in un’unicavena creativa e il singolo On & On diventa un clas-sico del Nu Soul.

Il 2010 segna il ritorno della ragazza texana edopo due anni da New Amerykah part One (The 4thWorld War), dove si toccavano temi politici e distretta attualità, la seconda parte non si è fatta atten-dere. L’artista cambia completamente direzione,abbandonando la critica sociale per un disco piùintimista. I testi parlano d’amore, la guerra è diven-tata conflitto interiore, i suoni elettronici sono sosti-tuiti da strumenti fluidi come l’arpa (in Incense èKirsten Agresta ad accompagnarla). Erykah si spo-glia, si mette a nudo, si libera da strati di condizio-namenti culturali, per riscoprire il lato mistico dellavita. È il ritorno a uno stato primordiale - «thereturn of the Ankh», la croce degli antichi egizi chesimboleggia la vita - e la scoperta della femminilità,l’antico simbolo egizio è diventato in astrologia ilsegno grafico del pianeta Venere.

Nella copertina disegnata dal regista surrealistaAlejandro Jodorowsky, il corpo di Erykah è chiusodentro un’armatura, il viso trasfigurato in un’imma-gine robotizzata, ma dalla sua testa, in corrispon-denza del settimo chakra, il livello più alto di con-sapevolezza di sé, esce una nuova forma di donna:una femminilità vissuta in modo libero e creativo,quasi selvaggio, senza paura di vivere l’amoreintensamente, con il coraggio di mostrarsi nudasenza vergogna e affrontare i propri incubi a testaalta. Perché un sogno ricorrente, qualunque essosia, compare nei momenti cruciali della vita e ognicrisi è possibilità di rinascita. > 20 luglio,Auditorium Parco della Musica.

Atipico, divertente, surreale. Con unpiede nella musica e l’altro nel piccoloschermo. Pochi artisti italiani potreb-

bero vantare di aver vissuto una storiapersonale legata a doppio filo con quelladel costume del nostro Paese, e più esat-tamente della musica e della televisione.Nicola Arigliano, l’amatissimo crooner ita-liano, avrebbe potuto farlo. Tanto che leg-gendo il romanzo della sua vita avremmoanche letto, parallelamente, la storia dellacanzone e della televisione italiana. Eccoallora che alla nostra memoria balzano, inordine confuso, il Nicola Arigliano autoredi Amorevole e di I Love You Forestiera; iltestimonial della pubblicità del digestivoAntonetto («Ed è tanto comodo che lopotete prendere anche in tram»); il vinci-tore del Premio Tenco del ‘96; l’ospitefisso insieme a Mina del programma«Sentimentale» condotto da Lelio Luttazzi;il più anziano cantante in gara a Sanremodi tutti i tempi, che nel 2005, ottantunen-ne, ha vinto il premio della critica con ilbrano Colpevole; l’inseparabile compagnodel Fiorello di «Viva Radiodue». Vita fattadi apparizioni e sparizioni, di convivialità eisolamenti e in parte di allergie alla popo-larità tanto da fargli decidere di ritirarsi,sul finire degli anni 60, nella campagnadei dintorni di Roma. Vissuta lontano dallaribalta la vita aveva un sapore migliore, e iritorni sullo schermo, alla radio e nella can-zone, sempre il sapore del successo. Ci halasciati il 30 marzo, all’età di 87 anni. Eranato a Squinzano, in provincia di Lecce, il6 dicembre del 1923. (Rossella Gaudenzi)

Caro Nicola, ora sei in «tournée», così amavi dichia-

rare ricordando coloro che ci avevanolasciati, e trovare poche parole per evo-carti è compito difficile. Ho iniziato a colla-borare con te nel 1996, per poi assume-re il ruolo di contrabbassista a pieno regi-me fino al 2005. Ti definirei unPersonaggio, con lettera maiuscola, dallemolteplici doti artistiche e umane edanche con alcune contraddizioni che avolte ci lasciavano dubbiosi; non siamomai riusciti a capire se il tuo modo di pren-dere la vita fosse molto serio o abbastan-za ironico. Tanto che, parlando dellamorte, dicevi: «La morte non va mai presasul serio, è un’ironia della vita».

Nella tua così bella persona erano pre-senti i pilastri fondamentali di un’educazio-ne radicale, ossia il rispetto per gli altri el’amore per l’arte, nel tuo caso per lamusica, a te trasmessi dall’importantefigura di tua madre. Amore che ha fatto dite un grande artista completo, stimato datutti e con un vasto consenso popolare.Artisticamente hai rappresentato e rap-presenti un faro per i giovani che hannodeciso e che decideranno di intraprende-re la carriera del «crooner». Grazie Nicolaper tutte le emozioni che ci hai regalato inquesti anni e che sicuramente seguiteraia darci ogni qualvolta ascolteremo la tuameravigliosa ed inconfondibile voce.

Il tuo contrabbassista e amico Elio Tatti

FERMATA

ARIGLIANO

FERMATA

ARIGLIANO

BADUNUDA

di Roberta Mastruzzi

Avete presente la sensazione che

si prova quando sisogna di camminare

nudi per strada?Erykah Badu, stellaafroamericana della

musica soul, affrontaun incubo ricorrente,

spogliandosi integralmenteper le strade di

Dallas nel video di «Window Seat»

It don’t mean a thingif ain’t got that swing.

O anche: la morte non vamai presa sul serio.

(Nicola Arigliano)

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a cura di FLAVIO FABBRI

MONTECASSINO’S DEEPSIMPHONY Quando il silenzioè rotto, che resta di spirituale?

ORCHESTRA PANHARMONIKON Intervista al direttore Giuseppe Puopolo Renderela musica classica disponibile a tutti, e desiderabile. Si dice che nei cognomi si nasconde undestino. Il suo è quello del puopolano: dentro la coda di un piano, si nasconde ogni animo.

Music In ¢ Estate 2010CLASSICAMENTEMENTE

«Nasco male perché vengo da unpaese del nord-est napoletano,Piacella, in realtà una città: ilpaese di Pulcinella. A 18 anni hofatto fagotto e sono venuto a

Roma». Inizia così a parlarmi Giuseppe Puopolo.M’incanta come un’orchestra di ergastolani chefischiettano nell’ora d’aria. C’è qualcosa, in lui,che mi fa sentire libera come un prigioniero,sorda come Beethoven, presente come un mosce-rino sulle corde di un piano a coda.

«Ho cominciato a studiare musica a 22 anni alConservatorio, dopo 7 anni mi sono diplomato inPianoforte presso la Scuola di Composizione e inDirezione di Orchestra presso l’Accademia diSanta Cecilia a Roma. Chi si diploma a 34 anniin Direzione di Orchestra potrebbe andare a bus-sare alle porte dell’Auditorium, ma in Italia nonfunziona così: cominci quella trafila lunghissimadi frequentazioni, salotti, un terno a lotto».Mentre parla trascina me, moscerino imbabolatosulle corde, di qua e di là giocherellando con itasti. Cerco di capire l’accordo per evitare lecorde più toccate ma sbalzo.

«Nell’attesa ho fondato un’orchestra - la viapiù semplice - senza una lira: ho messo un volan-tino in Conservatorio che prometteva prospettivee la possibilità di lavorare con la musica sinfoni-ca». L’incontro avviene nella sede dell’Anspi,un’associazione della Chiesa cattolica che rag-gruppa gli oratori. «L’idea era semplice: un’or-chestra è un pachiderma, soprattutto se si vuolefare quello che fanno i grandi enti lirici o sinfo-nici. La questione è quella dell’ottimizzazionedel lavoro e delle locations in cui suonare: hoproposto di creare un pubblico, come è statofatto con Le Cirque du Soleil in Canada e iMomix negli Stati Uniti. Far sì che la musicaclassica diventasse nuovamente desiderabilesenza finanziamenti: lo Stato ha il dovere diintervenire, ma possono nascere iniziative arti-stiche anche in mancanza di fondi pubblici».

Il 26 ottobre 2004 Puopolo fonda l’Orchestrasinfonica Panharmonikon, con sede a Roma,formata da circa 40 elementi, con la consapevo-lezza che questo genere, attraverso i suoi terribi-li cliché, sia stato sottratto a una grossa fetta dipubblico. Due le strade: la presentazione deicapolavori sinfonici a nuove platee (locali not-turni, centri sociali, rock festival) e l’inaugura-zione di uno stile delle esecuzioni con un meto-do di immagini e musica elettroacustica denomi-nato «Musicàltera». Ma alla prima chiamata sipresentano solo 3 musicisti, alla seconda 4. Siprova a Torre Angela nel salone della parrocchiadi San Bernardino da Siena. La voce si sparge eil 5 febbraio 2005 il debutto avviene un pomerig-gio presso il Linux Club, una discoteca.

«Agivo come il programma operativo Linux,basato su Unix: nello stesso modo in cui quest’ul-

timo garantisce all’umanità l’assenza di preclu-sioni, così io su un altro fronte facevo in modoche la musica classica non fosse ancora una voltascippata al grande pubblico». Perché di questo sitratta: lo scippo dalle borsette dei privati diLudwig van Beethoven, Wolfang AmadeusMozart, Franz Joseph Haydn, Johann SebastianBach. «Gli enti lirici sono sempre in mano allestesse leggi, al nepotismo italiano. Abbiamo leprove che Beethoven non è roba per vecchi».

Dello spettacolo da lui ideato, «Musicàltera,Opera Prima», Ennio Morricone scrive un artico-lo nella prima pagina del Messaggero e sembra siapra un’autostrada: «(...) Musicisti da ammirareanche perché hanno deciso di imbarcarsi nell’im-presa senza l’ombrello delle istituzioni accademi-che. E il principio dell’autogestione può essereuna carta vincente (...) senza mai dimenticare cheMozart e Beethoven hanno bisogno di una qua-lità artistica pari all’entusiasmo. Che qui nonmanca davvero». Gli archetti finanche sfiorano lesopracciglia del pubblico del Linux. Poi un con-certo presso la ex-Snia Viscosa, centro socialesulla Prenestina. Uscire dal pantano. «Per 2 anniho disperatamente chiesto che la nostra orche-stra sinfonica partecipasse con un estratto dellospettacolo al concerto del 1° maggio. Quest’annoè accaduto, ma nel modo sbagliato: il pubblico siè annoiato. Le vie dello spettacolo sono infinite.Ma come si fa a portare la musica classica in uncentro sociale senza passare per coloro che dico-no che questa è musica elitaria?».

Improvvisamente mi sento un moscerino dilusso, uno snob, perché sono su una corda chestrimpella un’arietta di Vivaldi e c’è un leggeroventicello che mi ricorda una primavera moltodura che un moscerino sensibile come me ha tra-scorso. «L’allestimento, bado molto anche all’al-lestimento. Il target ci fa caso. Un toul, ossia undiaframma, messo a taglio sul boccascena divideil palcoscenico dalla platea, quindi il pubblicoentra nella sala e vede allestito uno schermo dacinema. Il 18 marzo fa freddo, non esistono iriscaldamenti e tutta l’orchestra è nascosta. Lospettacolo prevede che l’orchestra non entri nelpalcoscenico, che non ci siano gli applausi. Odiola posizione del principino, del maestrino, e hocambiato il format tipico eliminando il cerimonia-le d’entrata degli orchestranti. Per Musicàlteraho elaborato un video di un minuto e venti da pre-ludio alla prima sinfonia - la Sinfonia n. 40 diMozart - e un secondo preludio a luci spenteseguito dalla V di Beethoven. Lo spettacolo siconclude: dopo Beethoven non si può dire altro».

Ad assistervi sono mille persone, in piedi, afronte di una piccola sottoscrizione di circa 5euro, e nessuno di loro ha mai ascoltato un’orche-stra; Radio Onda Rossa trasmette il concerto indiretta con 40 strumentisti e un audio pizzicato,un soffio, un battito di ciglia. «Chiedevo di suo-

nare molto forte perché temevo i pomodoriaddosso. Scommettendo su Beethoven al 100 percento, abbiamo avuto un pubblico che ci haassordato di silenzio, non volava una mosca».

Capisco, penso dalla corda. Un vantaggiosoprattutto per un moscerino.

«Surrealtà e una marea di bis, finché il cornonon ha detto che se continuava a suonare glisarebbe uscito il sangue dalle labbra».

Democrazia della classica: sono un moscerinosnob o un nobile decaduto? «A Centocelle abbia-mo chiuso una manifestazione ad un incrocio travia dei Castani e Piazza San Felice di Cantalice,ironia della sorte nello stesso punto in cuiClaudio Baglioni fece il concerto a sorpresamontando sul camion». Tutta la strada bloccata,una manifestazione che ricorda la liberazione diRoma dal fascismo, ragazzi per terra, gente cheassiste dal balcone e macchine che non passano,un «day after». Un moscerino decaduto.

Nel 2007 una grossa battuta d’arresto; moltidirettori artistici di locali romani svolgono male ilproprio mestiere, si sa. «Noi non chiediamo nessuncachet ma a Panharmonikon bisogna credere,questo è essenziale. Entrare in un locale con 40musicisti, di solito un numero più elevato degli udi-tori». In quell’agosto è presentato il secondo lavo-ro, «Rock Sweet», al Tuscia Rock Festival, unasuite di brani tratti dal repertorio rock progressivetrascritti per orchestra da Giovanni Cernicchiaro,sdoganando Beethoven su un palcoscenico rock.

Nell’aprile 2004 Giuseppe Puopolo, già«Cristicchi della classica», viene nominato dalCentro italiano di musica antica di Roma direttoredel Coro di Rebibbia, e si occupa dell’insegna-mento e della diffusione della cultura musicale trai detenuti di Rebibbia e i pazienti psichiatrici delCentro Diurno di Villa Lais dell’Asl di Roma C.Proprio la casa circondariale è la sede di una delleprime registrazioni pensate e realizzate secondogli schemi di licenza libera «Creative Commons».Rispolverando il repertorio classico delle primeperformance del coro carcerario, l’Orchestra pre-senta e incide un’immortale opera del Vivaldi, ilMagnificat, scelta per l’universalità del latino cheaccorcia le distanze culturali ed etniche dei mem-bri del coro, il King Bible Choir, traduzione let-terale del carcere. Il nome Panharmonikon nasceinvece da un negozio di strumenti musicali.

Io sono un moscerino, il vizio di spiare, unpianoforte a coda è dove mi nascondo, con inotturni di Chopin mi addormento, con Vivaldigli attacchi di panico cedono ma è in questoperiodo, mentre Giuseppe Puopolo parla dellademocrazia di un amore, che Beethoven irrom-pe nel mio nero e fa carneficina di quanto restadi me che prima ero un re. La coda è chiusa,torno detenuto ma posso nascondermi ancoraper molto qui. E, mentre lui suona, non vola unamosca: per me tanto basta. ■

Dall’ascetismo parte una sfida delnuovo millennio con una storia chepunta sull’eremita medievale testi-

monial di pace e di europeismo antelitteram. Da Montecassino, culla dispirito e cultura, la metropoli delmonachesimo scavata tra i monti,espressione di bellezza assoluta eperfezione, l’idea di un San Benedettoispiratore di un messaggio in musicafortemente evocativo. E una carrierasintetizzabile solo citando Inxs,Underworld, The Housemartins &Scissors Sisters, Madonna, che lo havoluto accanto nella produzione delsuo ultimo world tour. È Dino Lenny,artista e produttore italiano che hadeciso di assecondare una delle sueispirazioni originarie per dare vita allaMontecassino’s Deep Simphony, unbrano elettronico con interventi diviolino, dall’atmosfera spirituale. Il DJstar vive e lavora a Londra, ma è ita-liano e ha trascorso la propria infan-zia proprio a Cassino.

E quell’abbazia posta lassù, culladel monachesimo e principale puntodi riferimento per tutto l’ordine bene-dettino, ha sempre costituito un ele-mento d’attrazione per Dino Lanni: sel’eremo nasce intorno al silenzio, levibrazioni musicali, ispirate alla figuradel santo, non possono togliere nullaalla sacralità del luogo. Questo deveaver pensato l’abate Pietro Vittorelli,attento a intercettare le domandeche provengono dal mondo giovanile.Così, nella notte di San Benedetto,proprio la sinfonia del musicista italo-londinese ha aperto le celebrazionidedicate al santo.

La Montecassino’s Deep Symphony,scritta con Jenny Bae, musicistacoreana, virtuosa del violino, chevanta collaborazioni pop di tutto rilie-vo (da Elton John a Eric Clapton), ha ilsuono classico del violino, ma e sicombina ai groove del DJ e alle sug-gestioni elettroniche del suo synth inuna fusione molto originale. Per unanotte, dunque, dal luogo di SanBenedetto si eleva una preghierainsolita, che porta in sé una miriadedi sentimenti: dall’amore per i luoghinatii fino al desiderio di confronto e diricerca, propri di ogni fede (e dellaregola benedettina in particolare). Unviaggio sonoro tra l’Italia del Sud e ilNord Europa, che racconta l’uomo inmaniera innovativa rispetto ai con-sueti canoni culturali.

ELETTRONICO

ASCETISMO

di NICOLA CIRILLO

Se Maometto non va alla montagna,la montagna va a Maometto.E 40 elementi dell’Orchestra SinfonicaPanhamonikon di Giuseppe Puopolosi infilano nei locali rock, per gli incrocidi Centocelle, tra i detenuti di Rebibbia.

IL PUOPOLANOIL PUOPOLANO

DETENUTO DENTRO

UN PIANO A CODA

Videoreportage

www.youtube.com/musicinchannel

a cura di Romina Ciuffa

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CHOPIN Nella Finanziaria 2009 il FUS ha subito un taglio del 30 per cento circa con la pro-spettiva di dissanguare ulteriormente il settore entro il 2011. Così la Fondazione OrchestraSinfonica e Coro Sinfonico di Milano «Giuseppe Verdi» hanno rilevato l’Auditorium di Milano

ACCADEMIA DEGLI SFACCENDA-TI Perché liberi da faccende, in villa edurante il periodo di villeggiatura.

Music In ¢ Estate 2010 CLASSICA

Gianni Cervetti, presidente della Fondazione di Milano «Giuseppe Verdi», ha messoin vendita una parte delle azioni per un ammontare complessivo di 2 milioni, una verae propria offerta rivolta ad enti, aziende, istituzioni, ma anche e soprattutto a privaticittadini che desiderano diventare protagonisti di un’istituzione culturale importante

MENTEMENTE

«That’s Opera Talent»:con un video l’opportunità per i musicisti classiciamatoriali di interpretarela Madama Butterfly.Un’iniziativa democratica

èandata ancora una volta in scena, nella pre-stigiosa dimora seicentesca di PalazzoChigi della romana Ariccia, la rinomata

Accademia degli Sfaccendati. I concerti hannovoluto richiamare alla memoria le origini dellastorica Accademia, che negli anni ha messo inscena, tra le mura della Sala Maestra delPalazzo Nobiliare di Ariccia, magnifici drammiin musica del XVII e XVIII secolo, tra cui ilTirinto di Bernardo Pasquini, grande clavicem-balista ed organista, e Adalinda di Pier SimoneAgostini. «Tra le tante Accademie - si legge diloro - che affollarono le cronache letterarie del‘600 e del ‘700 all’ombra delle grandi casatenobiliari del tempo, quella degli Sfaccendatideve la propria esistenza ai Chigi: fu infattifondata a Roma il 18 settembre 1672 pervolontà del cardinale Flavio Chigi, al qualenell’atto costitutivo dell’Accademia fu affidatala carica di depositario, mentre al cugino donAgostino (principe del Sacro Romano Impero,principe di Farnese, duca di Ariccia, ecc. ecc. esposato ad una Borghese) fu affidata quella di

provveditore. Tra i fondatori erano presentialcune personalità rilevanti nella storia delmelodramma a Roma all’epoca della reginaCristina di Svezia, quali il sig. Filippo Acciaiolie il sig. Giuliano Capranica, che attestavano laprevalente vocazione musicale-teatrale degliSfaccendati, così detti in quanto liberi da fac-cende, perché la loro attività si sarebbe svoltain villa e nel periodo della villeggiatura.»Il motto oraziano dell’originaria Accademiadegli Sfaccendati - Vim Promovet Insitam -anima tuttora l’ensemble di questi artisti, sem-pre alla ricerca di nuove collaborazioni chemusicisti del calibro di Giovanna Manci,apprezzato soprano, Gabriele Pieranunzi, com-positore e pianista classico e jazz, Paolo eAlessandro Verrecchia, tra i migliori strumenti-sti a fiato dell’area romana, hanno reso possibi-li, con l’ideazione di nuovi progetti artistici epartiture, all’insegna di una ricerca musicologi-ca che si esprime in un continuum fra tradizio-ne e innovazione. Un’occasione unica, se siconsidera l’elemento di spicco dei concerti pro-posti: l’inconfondibile sonorità del claviorgano,strumento ircocervico scomparso nel corso deisecoli e reintrodotto nelle sale da concerto dalM° Claudio Brizi che, dato il particolare sincre-tismo tra organo e cembalo, conferisce inusualie combinate caratteristiche foniche e timbriche.Il claviorgano da lui fatto ricostruire filologica-mente è l’unico trasportabile oggi esistente.

MADAME LA FARFALLA

di Livia Zanichelli

Negli anni del boom tecnologico, anche l’ope-ra lirica sancisce il proprio ingresso a pienotitolo nel web, approdando su YouTube e spo-

gliandosi così di quella veste elitaria che dasempre porta nell’immaginario comune. Il 9marzo ha infatti preso il via il That’s OperaTalent, concorso online finalizzato ad aiutare icantanti d’opera e i musicisti classici amatorialinelle loro carriere, fornendo loro l’opportunitàdi gareggiare sul canale di YouTube dedicatoalla competizione. In palio la possibilità di esi-birsi, accanto ad un’orchestra di professionisti,nella rappresentazione dal vivo della MadamaButterfly al Giacomo Puccini Festival 2010 diTorre del Lago Puccini. Degni di nota gli aspet-ti democratici dell’iniziativa, promossa dalla

Ricordi & C. e dalla Fondazione PucciniFestival: la possibilità, per ogni artista, di invia-re il proprio provino al canale That’s OperaTalent. Cinque i minuti che soprani e violinisti,tenori e contrabbassisti, violisti e violoncellistihanno avuto a disposizione nei video e, a deci-dere chi delizierà il pubblico con le note di Unbel dì vedremo e Addio fiorito asil nelle seratedel 17 e 25 luglio, primo e 14 agosto, un col-legio di esperti di musica classica, ma anche ilvoto degli utenti di YouTube, che ha costituitouno dei 4 criteri di valutazione (oltre all’inter-pretazione, all’esecuzione e all’esibizione),sulla base dei quali i candidati sono stati giudi-cati. Solo i dieci migliori artisti avranno l’occa-sione di esibirsi al Puccini Festival 2010.

LLa musica italiana ha conquistato ilmondo, ma ci sono volute generazioni diartisti e secoli di ascolto per raggiungere

questo traguardo a livello mondiale. Musicistidella nostra splendida terra sono stati modelloper estri del livello di Johann Sebastian Bach,Wolfgang Amadeus Mozart, Ludwig VanBeethoven e tanti altri geniali compositoridegli ultimi cinquecento anni. Maestri italianiche hanno contribuito, con orgoglio, a renderela nostra lingua elettiva della musica colta alivello universale. Abbiamo costruito i clavi-cembali più belli, inventato il pianoforte,migliorato i violini e creato l’Opera Lirica, laSinfonia e la Sonata, tanto che chiunque ascol-ti musica classica, in ogni parte del pianetapensa inevitabilmente all’Italia, alla nostracultura, al nostro stile di vita: arioso, appassio-nato, prorompente, arrogante e fantasioso.Antonio Vivaldi, Giuseppe Verdi, GiacomoPuccini e Niccolò Paganini suonano ancoraoggi nelle case di mezzo mondo. Il sistemaculturale nel tempo si è tenuto in vita, conalterne vicende, per l’amore di milioni di pro-fessionisti e ascoltatori, nel susseguirsi di pic-cole ma instancabili iniziative che ne hannodifeso il valore assoluto, ne hanno sostenuto ilmercato e che ancora oggi rappresentano l’u-nico valore aggiunto della musica italiana.

È il mix di economia materiale e immaterialesu cui contare, soprattutto in momenti di crisicome questo, anche per far quadrare i continelle casse dello Stato magari. Eppure propriolo Stato italiano, massimo ente di riferimentoper il mondo della musica e dell’arte in genere,non sembra più essere intenzionato a sostenereil sistema culturale e musicale italiano, né tantomeno da sfruttarlo a dovere. Nella Finanziaria2009 il FUS, Fondo Unico per lo Spettacolo, hasubito un taglio del 30 per cento circa con laprospettiva di dissanguare ulteriormente il set-tore entro il 2011. Un fondo costituito a favoredi Enti Lirici e Musicali, della Danza, delCinema e della Prosa di cui, nella finanziaria diogni anno, ne viene determinata l’entità e cheviene poi ripartito, secondo diverse percentuali,tra tutti gli enti. Il FUS è indispensabile alla vitadi ogni realtà che vive di e nello spettacolo, masoprattutto dei Teatri Lirici, che danno lavoro amigliaia di artisti tra maestranze, orchestrali,ballerini, strumentisti e cantanti. La crisi econo-mica morde, questo è certo, la PubblicaAmministrazione deve tirare la cinghia ed evi-tare imperdonabili sprechi o inutili spese, macolpire l’industria dello spettacolo non è sem-brata una buona idea a nessuno. In molti, infat-ti, negli ultimi mesi, si sono mobilitati in favo-re di un ripensamento del Governo fino ad otte-nere una parziale reintegrazione del Fondo di60 milioni di euro. Ma come poter sopravvive-re all’attuale crisi economico-finanziaria, nono-stante la scure dei tagli governativi?

Una risposta potrebbe venire da iniziativesingolari e allo stesso tempo originali, anch’es-se frutto del genio italico che, oltre al senso delbello e dell’armonico, ha sempre saputo far dinecessità virtù. Parliamo dell’Auditorium diMilano a Largo Mahler, di cui la FondazioneOrchestra Sinfonica e Coro Sinfonico di Milano«Giuseppe Verdi», ne ha rilevato la proprietà.Sì, proprio così, uno dei pochi casi al mondo incui l’Orchestra che suona in un auditorium cit-

tadino ne è anche la proprietaria. Nel 2008 laFondazione ha acquistato il 100 per cento delleazioni (5.380.000 azioni) dell’ImmobiliareRione San Gottardo, titolare dal 1937 dell’im-mobile, attraverso un’operazione finanziariarealizzata tramite l’intervento della FondazioneCariplo e il finanziamento di Banca Intesa SanPaolo. Ma c’è di più, perché lo scorso febbraio,nella sede del Sole 24 Ore, il presidente dellaFondazione, Gianni Cervetti, ha annunciato lamessa in vendita di una parte delle azioni, perun ammontare complessivo di 2 milioni. Unavera e propria offerta rivolta ad enti, aziende,istituzioni, ma anche e soprattutto a privati cit-tadini che desiderano diventare protagonisti diun’istituzione culturale importante per la cittàdi Milano e il panorama italiano.

«Il nostro obiettivo - ha spiegato Cervetti - èdiffondere la cultura musicale come servizioper la crescita civile e sociale della comunità.La Verdi in questi anni è diventata un’istituzio-ne musicale di rilievo internazionale, grazie, inprimo luogo, al sostegno di migliaia di cittadinie al contributo di enti privati e pubblici, chehanno creduto nella sua missione e hanno par-tecipato alle sue attività, a partire dalle 200.000persone che ogni anno frequentano i suoi spet-tacoli. La vendita delle azioni vuole rendereconcreto questo legame, allargando la proprietàdell’Auditorium, spazio multifunzionale utiliz-zabile per concerti di musica sinfonica, corale,da camera, jazz, leggera e registrazioni con tec-niche digitali di sonorizzazione, diffusionedegli spettacoli attraverso televisione satellitaree proiezioni di film su grande schermo, a chicondivide gli obiettivi della Verdi».Un’occasione importante per mostrare cheMilano è ancora capace di immaginare e per-correre strade innovative nella cultura, ma chein realtà riguarda l’Italia intera e le sue tanterealtà musicali e teatrali che certamente nonvivono un momento facile, tra precarizzazioneselvaggia e insufficiente operato delleIstituzioni. Chi acquisterà le azioni diventeràsocio a tutti gli effetti dell’Immobiliare RioneSanGottardo, partecipando alle sue assembleeed avvantaggiandosi dell’incremento di valoredell’edificio nel tempo, che oggi si aggira attor-no ai 23 milioni e 600.000 euro.

Senza un sostegno economico adeguato,molte strutture rischiano di chiudere i battentigià entro quest’anno, riducendo ulteriormentele scarse possibilità di impiego per i tanti can-tanti, musicisti e strumentisti che rendono vivala musica colta e di qualità in Italia e che, allostesso tempo, indirettamente combattono lescempiaggini di un’economia consumistica esenza più riferimenti. Maestri dell’arte di suo-nare e fare musica che, assieme alle nuovegenerazioni di artisti, in uscita dai prestigiosiconservatori italiani, saranno certamentecostretti ad emigrare, finendo ad esibirsi e vive-re in altri Paesi. Anche loro sono da considerar-si patrimonio culturale ed artistico italiano,alfieri dell’unico, vero, Made in Italy, che nes-sun bravo falsario potrà mai riprodurre in nes-suna fabbrica o cantina clandestina. Basta sola-mente un po’ di buon senso, di coraggio, di fan-tasia e di voglia di fare. Anche così si batte lacrisi e l’ignoranza, senza appelli a governi chenon vogliono ascoltare e senza bisogno di esse-re costretti a fare le valigie. ■

VENDESICLASSICASPAdi Flavio Fabbri

San Benedetto del Tronto dal 22 al 28 agosto

corso intensivo multistilisticopowered by Saint Louis tel. 06

4870017 - [email protected]

GIANFRANCO GULLOTTO ANDREA ROSATELLI

bassoDANIELE POMO

batteriaMICHEL AUDISSO

ANNA MARIA ANGELUCCI voceJOSE’ FIORILLI piano e tastiereSALVATORE RUSSONICO STUFANO chitarra

IN FACCENDE

SFACCENDATI

di Alessia Panunzi

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BARBARA ERAMO Noi navighiamo/Noi transitiamo col cuore a galla/Esca per pesci/Se poi scoperti ci tiran su/Ma è dite che io ho bisogno/E non ti sento/È l’amore che ci fa cambiare idea/È di te che io ho bisogno e non ti sento/È l’amore checi fa cambiare/Liberi pesci/Ma con le ali io e te/Volati in alto/Posati dove si può sperare/Ricominciare senza confini io e te

Music In ¢ Estate 2010

a cura di ROMINA CIUFFA

BEYONDBEYOND&further

FONDERIAlatutaspazialedinonna

di Romina Ciuffa

La Fonderia - all’attivo gli album fonderiare>>enter (in minuscolo), colonne sonoreper teatro, televisione e cinema muto, un

suono che spazia dal rock all’elettronica, dallapsichedelia al jazz-funk -presenta il terzo disco,My Grandmother’s Space Suit, registrato intera-mente negli studi Real World Studios, a Box,UK. Quelli di Peter Gabriel, per intenderci, conil produttore Marco Migliari nei Real WorldStudios di Peter Gabriel. Special guest BarbaraEramo, voce e co-autrice del primo singolo del-l’album Loaded Gun, che nasce da una compo-sizione originale del gruppo per la sigla di aper-tura della trasmissione radiofonica Thodo’s, tuttii lunedì su Radio Onda Rossa.

«Inizialmente il pezzo, dovendo servire dastacco tra due trasmissioni e dovendo coprirequindi il tempo necessario per il cambio logisti-co dell’avvicendamento radiofonico, consistevain più di 12 minuti di improvvisazione collettiva,un metodo ormai consolidato tra di noi. Su quelmateriale sonoro è venuta successivamente l’i-dea di farne un pezzo dal taglio più strutturato.La sintesi operata su Loaded Gun, principal-mente sulle armonie e le dinamiche acustiche, èun esempio fortemente rappresentativo del

metodo di lavoro usato su quest’ultimo disco».In Inghilterra come in un hangar, Peter

Gabriel a fare da cielo. quasi un volo verso lospazio di una nonna. «Non si è trattato solo disedute di registrazione, ma di un vero e propriolavoro di arrangiamento del materiale che giàda qualche tempo avevamo in cantiere e propo-nevamo in forma sparsa ai nostri concerti.L’apporto di Marco Migliari come co-produtto-re artistico ci ha aiutato non poco nella ricercadi un sound più compatto, più coeso. Per noi èinteressante sentire come il terzo disco suonidiverso dal secondo, il quale a sua volta suona-va diverso dal primo. Questo dà una sensazionedi movimento artistico e ci sostiene nel nostrolavoro creativo».

Poi bilioni di pecore elettriche: «La sensazio-ne collettiva che la musica di questo disco ci tra-smetteva, e che trovava particolare identificazio-ne in A Billion Electric Sheep, era qualcosa diretrò ma insieme proiettato nel futuro, una com-mistione tra vintage e ultramoderno, una sortadi nostalgia preventiva per qualcosa che deveancora avvenire. Come verrà visto e percepito ilfuturo dal futuro che lo seguirà? Da qui l’ideadel titolo». (v. Music In n. 5 > Beyond) ■

ideato dal produttore e musicista franco-algerino Hector Zazou con la cantanteBarbara Eramo e il polistrumentista Stefano

Saletti, il progetto Oriental Night Fever è unarilettura in chiave world di alcuni classici dellaDisco Music anni 70: I Feel Love di DonnaSummer, Y.M.C.A. dei Village People, NightFever e Stayin’ Alive dei Bee Gees, You Makeme Feel di Sylvester, Disco Inferno deiTrammps, I Will Survive di Gloria Gaynor,Heart of Glass dei Blondie, I Want your Lovedegli Chic, Ring my Bell di Anita Ward: un pro-getto di elettronica a strumenti della tradizionemediterranea orientale, con i vocalizzi di unabrava cantante e l’estro di un eclettico.

Barbara Eramo ce lo descrive così: «Il pro-getto è nato e si è sviluppato grazie ad HectorZazou, produttore e musicista francese, iconadella musica elettronica e scomparso purtropponel 2008. Un amico che ancora oggi porto nelcuore, per la sua umanità, la capacità di speri-mentare e proporre nuovi modi di fare e ascol-tare musica. Un vero artista di riferimento perla Francia e non solo, che ho avuto la fortunadi conoscere a Parigi e con il quale successiva-mente mi sono confrontata a livello artistico eumano. Fino a quest’ultimo lavoro, che porto inscena assieme a Stefano Saletti».

E con Saletti spiegano: «Hector voleva fareun lavoro insieme a noi, ma senza un’idea pre-cisa. Passammo da una rilettura in chiave worlddi Mozart, a Bach, fino a Gesualdo da Venosa.Quando questa sembrò l’idea giusta (i madriga-li risuonati con oud e darbouka), salimmo acasa a cercare cd di Gesualdo e Zazou ci sor-prese. Ecco l’idea, disse tutto soddisfatto: avevain mano il cd Disco Inferno con il quale aveva-mo ballato a Capodanno in un tuffo negli anni70: con percussioni, oud, bouzouki suoneremola Disco come se fosse World Music».

Tornarono nello studio e arrangiarono I FeelLove di Donna Summer, di getto, «come se nonavessimo ascoltato altro fino ad allora». Perché«questa era la genialità di Hector, il suo meto-do, la sua ricerca del suono, partendo da unparticolare, un fruscio, un tamburo percossosulla cornice e non sulla pelle. Poi ci ha lascia-ti da soli a finire il lavoro. E a ballare la Disco».

Il cd è stato registrato a Roma e missato aParigi con Julien Bourdin, tecnico con il qualeZazou aveva iniziato il lavoro. Si avvale, tra glialtri, della collaborazione del violinista CarloCossu, del suonatore indiano di tabla RashmiBhatt, del fiatista israeliano Eyal Sela, dellacantante Raffaela Siniscalchi, del contrabbassi-sta Marco Loddo. ■

EREMO DICKINSONIANO

Far musica in Italia non è semplice, bisognaavere forza di carattere, voglia di speri-mentare e tanto talento da vendere. I media

creano di continuo simulacri di musicisti e lispacciano per artisti, mentre nessuno vuole piùcomprendere cosa significhi fare musica davve-ro, che è prima di tutto dedizione, fatica e impe-gno quotidiani, nella speranza che qualcuno siaccorga di te. Barbara Eramo, nata a Taranto,ormai quasi romana, lo sa bene e la sua storia celo racconta, nelle tante collaborazioni eccellen-ti e nei progetti coraggiosi a cui si dedica senzariserve. Passata per il Festival di Sanremo,appena ha potuto si è immersa subito nello sti-molante e insidioso underground italiano, quel-lo dei teatri e dei piccoli club, dove meglio siesaltano le qualità artistiche e spesso si nascon-dono magnifiche sorprese. Lei è una di queste.Nella sua vita sogna ancora palchi e sa cantareogni cosa: colonne sonore per cinema e televi-sione, musical, teatro, recital, live performance,musica folk. Una voce polifonica, evocativa esensuale, che incanta in occhi chiari e rapiscechi l’ascolta e chi con lei lavora.

Quali sono stati i primi passi di BarbaraEramo nel mondo della musica?

Fin da adolescente ho ascoltato tanta musi-ca, di ogni tipo. Sono sempre stata molto curio-sa verso tutti i generi e già con il mio primogruppo, gli Azzurria, cercavo di rinnovare ilrepertorio proponendo al pubblico cover cono-sciute ma rielaborate in chiave folk. In queglianni nelle cantine di Via Mazzini a Taranto, trale piazze e i primi live con i musicisti under-ground della città, poi a 16 anni la scoperta diNoa e di Joni Mitchell, quindi i miei primibrani. Sono stata artisticamente sempre prontaa recepire nuove sonorità e a «contaminare ilgià noto». Penso che questa sia la mia qualitàmigliore, assieme a un buon orecchio.

Ad un certo punto arrivi al Festival diSanremo: come lo hai vissuto?

Nel 1997 e successivamente nel 1998, quan-do sono approdata a Sanremo Giovani e poi aSanremo Rock, non avevo molta esperienza dicerti ambienti e per questo mi sono dovuta affi-dare alle persone che mi circondavano, artisti eproduttori come Bungaro e Claudio Passavanti.Forse, guardando indietro, avevo già a queltempo un atteggiamento naïf e ancora oggi, inparte, sono rimasta tale nei confronti di certedinamiche di mercato, troppo complesse e diffi-cili da digerire. Dopo quell’esperienza, certa-mente di grande rilevanza per la mia carriera,mi sono progressivamente allontanata dallaribalta mediatica. Un po’ per scelta, un po’ per-ché la nostra etichetta del tempo, Rosso diSera, era forse troppo piccola per affrontaregrandi sfide. Quindi mi sono addentrata nel cir-cuito indipendente e underground dei teatri edei palchi più piccoli. Spazi ricchi di umanità edi creatività, dove poi negli anni ho avuto la

fortuna di incontrare artisti geniali come Pivioe Aldo De Scalzi, Alessio Bonomo, FaustoMesolella e tanti altri eccezionali musicisti eproduttori.

Lo stesso è accaduto con la Fonderia?Sì, esatto. Anche loro ho conosciuto in un

piccolo ma celebre locale di Roma, duranteun’esibizione live. Mi hanno colpito immedia-tamente per la profondità della sperimentazio-ne e per la potenza e la ricerca del sound. Unensemble fantastico, in grado di esprimersi intotale libertà e quando mi hanno contattata perpropormi una collaborazione non volevo cre-derci. L’occasione è arrivata del tutto inaspet-tata e tramite MySpace. Il resto è venuto da sé,con la mia idea di lavorare i testi e le poesie diEmily Dickinson e una forte sintonia musicaledi base, che ci ha permesso di portare a termi-ne sicuramente un ottimo lavoro. Il successivoviaggio a Londra, poi, per la registrazione deldisco, è stata per me l’occasione di entrare neiReal World Studios di Peter Gabriel, un’altraesperienza a dir poco unica.

C’è tanta musica per il cinema nella tuacarriera: un caso o una scelta?

È vero e non nascondo che mi piacerebbeimpegnare molto più tempo nel comporre e scri-vere musica per colonne sonore. La mia primavolta con il cinema è stata nel 1999, subito dopoSanremo, che sicuramente in questo mi ha age-volata quando il brano L’amore promesso, com-posto da Luis Bacalov e da me interpretato,venne utilizzato nella colonna sonora del filmMilonga, con Giancarlo Giannini. Nel 2000 ini-zia una collaborazione, tutt’ora attiva, comeinterprete e coautrice con Pivio e Aldo DeScalzi, noti autori di colonne sonore, che mi haportato a cantare in diverse lingue. Poi la miapartecipazione nelle colonne sonore in ElAlamein di Enzo Monteleone, Lettere dal Saharadi Vittorio Della Seta, Se fossi in te di GiulioManfredonia. Nel 2006 e nel 2007, invece, hoavuto modo di accompagnare Nicola Piovaninel suo spettacolo Concerto fotogramma.

A questo punto, che cosa c’è nel futuro diBarbara Eramo?

Sono passati due anni dall’uscita del mioprimo disco da solista, In trasparenza, e inmente ho diverse cose, ma prima di tutto, comeautrice, ho bisogno di un periodo di riflessionee di intimità creativa. Ritrovarsi in una dimen-sione altra dal quotidiano permette di tirarefuori nuove idee e il tempo libero, inteso comesottratto alla routine lavorativa, è fondamenta-le. Un tempo necessario, utile a dar forma alleinnumerevoli sensazioni che vengono generatedai continui stimoli che ricevo, in libertà esenza pressioni esterne. Più che impegnarmi inun nuovo progetto, vivo ora una profonda esi-genza personale: quella di ricavare tempo perme in cui riordinare le idee. Poi sarà di nuovola musica a dire la sua. ■

BARBARA ERAMO & FEATURING

70 mg PRIMA DI CORICARSI 70 mg PRIMA DI CORICARSI

✩✩✩✩✩✩✩✩✩✩✩

Emanuele Bultrini,Federico Nespola,Luca Pietropaoli,Stefano Vicarelli e Paolo Pecorelli

si fondono nella Fonderia

e caricano una pistola:

Barbara Eramo

È onnipresente. Da quando, in coppia con Passavanti, partecipò al Festival di Sanremocon il brano «Fa Che Non Sia Mai», esordio replicato l’anno successivo sullo stesso palco.E oggi Barbara Eramo è «featuring» Stefano Saletti, Diana Tejera, la Fonderia. Se stessa.

a cura di Flavio Fabbri

a cura di Romina

Ciuffa

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SONY MUSIC ITALIA Intervista adAndrea Rosi È il nuovo presidente edamministratore delegato di un colosso

ALDA MERINI E GIOVANNI NUTI Sonouna piccola ape furibonda. Mi piace cambiaredi colore. Mi piace cambiare di misura.

PARCO DEL NINFEO «Il mioletto è sempre aperto a nuove formedi comunicazione» (Valeria Vaglio)

Music In ¢ Estate 2010 TRAINTRAINa cura di ROMINA CIUFFA

IINNGG¢ CONTINUA DALLA PRIMA PAGINA > SUONY ROSEI a cura di ROMINA CIUFFA

C’è un nuovo presidente ed amministratore delegato in Sony Music Italia. Mutua tutta la propria esperienza dal digitale e crede nella sfida dell’industria: la tecnologia è un’opportunità, non un problema. In sé non ha niente di colpevole e, soprattutto,è inutile apporre barriere. Ma ci sono altri punti. Le radio, ad esempio, pagano più energia elettrica che diritti (il topolino viene

accusato di schiacciare l’elefante) e il talent scouting sta perdendo qualità. Dalle cantine esce la musica, non dai realities.

(...)A ndrea Rosi è il nuovo presidente e ammi-nistratore delegato della Sony MusicItalia: sostituisce Rudy Zerbi, che lasciato

l’azienda per una carriera nell’ambito della tv e delle produzio-ni musicali. Il nuovo vertice ha una lunga esperienza nel setto-re, iniziata nella prima metà degli anni 80 in Cgd e WarnerMusic nell’ambito della promozione e del marketing, dunquenella Polygram come direttore marketing, infine, e soprattutto,come protagonista della nascita di Vitaminic, una delle primedigital download platforms in Europa. È da allora che diviene ilpunto di riferimento in Italia e in Europa per il mercato dellamusica digitale. Nel 2003 costituisce, all’interno della Bmg, laprima digital business unit all’interno di una casa discografica,e dopo la fusione con la Sony diviene membro del Digital Boardeuropeo della SonyBmg con l’incarico di sviluppare il businessdigitale nella regione del Mediterraneo. Nell’ultimo anno haacquisito anche esperienza nel business della musica dal vivocollaborando per la strategia e sviluppo con F&P Group. Cosatrova? «Un’azienda con grandi prospettive in un momento sto-rico molto delicato e difficile per il settore. Il cast artistico e ilgruppo di lavoro Sony sono ideali per affrontare i cambiamentie le innovazioni oggi necessari ad un’azienda che producemusica». Perché oggi il digitale non solo ci entra nelle orecchie,ma da lì ci esce.Parola di un maestro telematico. «Le opportunità sono tante e illivello di complessità di questo business è molto più elevato diprima. Fino a pochi anni fa, gli artisti andavano in studio, regi-stravano e il loro prodotto veniva distribuito in posti fisici e inuna rete di vendita; oggi la distribuzione è la parte più comples-sa, perché avviene attraverso multi-canali. L’industria deve riav-vicinarsi in maniera molto veloce a chi compra musica e a chi nefruisce. Il segreto è nel rapporto con i consumatori. Si vuoleascoltare la propria musica ovunque, questa è la ricetta». Per

questo l’obiettivo Sony è un prezzo ragionevole e la fornitura ditutti i sistemi di utilizzo, dal supporto fisico all’accesso library suInternet, dalle radio web ai video su YouTube, ai nuovi prodotti.Ne risentono le orecchie raffinate? «Sì, quelle della mia generazio-ne per esempio, ma ciò costituisce un’opportunità che dà spazioalla musica in formato tascabile, un’usa e getta del teenager dioggi, non esclusivo: non manca un formato in cui è piena la soddi-sfazione di chi vuole un audio di un certo tipo e non a caso, su unapiccola nicchia di mercato, c’è addirittura un ritorno al vinile».

Nel mare della proposta il problema coinvolge, invece, ilmarketing e la distribuzione: «È positivo che non vi siano piùbarriere all’ingresso». Ma questo, aggiungo io, vuol dire anchemolta e pessima musica che si rovescia su un mercato ignorante,proprio perché con la tecnologia a disposizione chiunque puòfarsi un disco a casa. «Ma i giochi si fanno alla fine», sentenziaRosi. «Innanzitutto la tecnologia è una opportunità, non un pro-blema: in sé non ha niente di colpevole e, soprattutto, è inutileporre barriere. Diverso è il discorso della monetizzazione degliinvestimenti da parte dell’industria, dei diritti d’autore, del peer-to-peer. Oggi lo scambio è libero e può effettuarsi senza paga-mento di diritti: il peer-to-peer non è in sé legale quanto la suautilizzazione gratuita. Sta all’industria e alle istituzioni trovareun modo che, da una parte, vada verso i consumatori, dall’altraverso autori che hanno un futuro». Conclusione: la musica devecostare molto meno ed essere pagata, esattamente la visioneopposta a quella odierna.

«Credo che tutti siano disposti a ricercare un servizio di qua-lità, e per qualità intendo la qualità della musica, della proposta,delle informazioni, degli accessori, ossia a pagare un prezzo chesia equo. Oggi si va sempre da un discorso di possesso ad uno diaccesso, non serve il supporto cui siamo abituati».

Che succede In Italia? «Rappresentiamo solo il 3 per cento delmercato mondiale. La crescita del digitale è sostanziale e moltoimportante ma non raggiunge i livelli della Germania, dellaGran Bretagna, degli Stati Uniti. È comunque una crescita irre-versibile. C’è anche un decremento nell’uso del supporto fisicoanche se ultimamente, grazie al drastico abbassamento dei prez-zi, esso si mantiene. È però un mercato in trasformazione, ed èchiaro che i temi dell’innovazione e della pirateria sono moltosentiti. Sarebbe necessaria più tutela da parte delle istituzioni,ma sono fiducioso: i prossimi due anni saranno fondamentali seriusciremo a trovare uno sbocco o un’accordo con qualche ser-ver importante per avere un servizio di musica che possa rag-giungere i milioni di utenti che utilizzano la connessione veloce».

Le connessioni aumenteranno sempre di più e nel mondonasceranno sempre più servizi in banda, queste le previsioni:«Presto riusciremo a trovare un accordo con operatori di telefo-nia per lavorare insieme».

Fino a due anni fa gli spazi televisivi per artisti nuovi eranopochissimi, i giovani si giocavano la carriera in tre minuti a mez-zanotte durante il Festival di Sanremo, e quella era l’opportunitàpiù grande. «Oggi un concorrente di Amici o di X-Factor sta permesi in televisione e lì c’è proprio un discorso di esposizionecompletamente diverso, per cui da una parte per noi è indubbia-

mente una grande opportunità, dall’altra però ciò non deve farsparire il talent scouting, ancorché spesso di pessima qualità. Lepiù grandi rock band italiane sono uscite dalle cantine: nonsarebbero mai potute emergere da realities».

La polemica intanto si è accesa: il mondo della discografia èpronto a trattare con le radio che non pagano i diritti, ma non apiegarsi al ricatto di veder boicottate le novità musicali.Nonostante la questione sia approdata nelle aule giudiziarie,dopo una trattativa trascinatasi dal 2006 al dicembre 2008,Saverio Lupica, presidente di Scf - il consorzio che tutela e gesti-sce i diritti di oltre 300 imprese - tende la mano ai 10 networknazionali (Radio Rtl 102.5, Radio 105, Rds, Radio Monte Carlo,Virgin Radio, Radio DeeJay, Radio Capital, M2O, Radio 101,Radio Italia) che si rifiutano di adeguare i compensi dovuti adartisti e produttori per l’utilizzo di musica nella loro programma-zione. «Il nostro approccio - spiega Lupica - è sempre stato diestrema disponibilità, mentre l’atteggiamento dei network è statodi ferma chiusura. Se le radio sono disposte al confronto siamoqui, ma devono adeguare i compensi. Il minimo è il 2 per cento,che paghino almeno quello, oltre agli arretrati. Ci devono quasitre anni, ossia più di 5 milioni di euro».

Nei principali Paesi europei i diritti riconosciuti dalle radio,calcolati sui ricavi lordi, variano da circa il 2% della Spagna, aoltre il 4% di Francia e Gran Bretagna, fino al 5,6% dellaGermania. In Grecia le radio pagano una quota doppia rispettoall’1% riconosciuto dai 10 network italiani fino al 2006. «Leradio - sottolinea Enzo Mazza, presidente della Fimi, laFederazione Italiana Musica Italiana - pagano più di energiaelettrica che di diritti. Il topolino viene accusato di schiacciarel’elefante». Le radio sembrano aver perso il senno: o rinuncianoai diritti o non trasmetteranno i nuovi brani, è l’accusa dei disco-grafici. Il presidente della Emi, Marco Alboni, come i suoi colle-ghi, non esita a definire un ricatto.

Progetti per la Sony? «Tanti, e punteremo sicuramente sullaqualità e sulla diversificazione dei nostri interessi dal punto divista delle aree del business. Abbiamo acquistato recentementeuna società che fa live e concerti, l’International Music and Art,e su di essa punteremo molto. Stiamo lavorando molto sul busi-ness development, quindi sulla parte di allargamento dei nostriinteressi sia nell’area degli sponsor, del management, dellosfruttamento a 360 gradi di ogni nostro artista».

La Sony Music Entertainment è una società discografica mul-tinazionale dotata di un vasto repertorio di artisti contemporaneiche comprende un gran numero di superstar locali e internazio-nali, e un amplissimo catalogo che annovera molti dei più notiartisti, album e brani. Intanto è fresca la notizia di «Dada», ilnuovo sistema per ascoltare la musica con il cellulare direttamen-te dal web, senza dover installare alcun programma. Con«Play.me», lanciato dalla Internet company Dada, la qualità del-l’ascolto in streaming del catalogo musicale, sale a 320kbps, lastessa qualità dei cd, e gli utenti avranno a disposizione un cata-logo di quasi 4 milioni di brani grazie alla partnership con lemaggiori realtà del mercato discografico (Sony Music, Emi, TheOrchard, Universal, Warner). ■

SONY=ROSI

Sono una piccola ape furibonda. Mi piacecambiare di colore. Mi piace cambiare dimisura. Penthotal ed elettroshock per un

un’apetta, Alda Merini, in manicomio a 34 anniper la prima volta per una depressione acuta dapostparto che la tenne per anni. «Lì, in quel luogoperduto, capii cose che non avrei compresoaltrove. Capii che, per quanto strambi, c’eranoesseri umani come me. Mi sembrava fossero loroa compiere il mio destino».

Sarà un furbetto, questo Giovanni Nuti. Direi:tutti bravi, prendere le parole di una grande poe-tessa e aggiungere musica. Oltre a 8 testi ineditimai pubblicati in volume: Il gas, Mare e terra, Ildepresso, A mio figlio, Che rumore fa l’acqua,Amore irripetibile, Il regno delle donne e La

stufa di maiolica. Prendo la sua come una giusti-ficazione allora: «Il mio incontro con la poesia diAlda Merini avvenne nel 1993 quando, entrandoin una libreria, aprii un libro a caso: il suo».

Una piccola ape furibonda, ultimo frutto delloro matrimonio artistico (come la Merini amavadefinire il rapporto col musicista), è una traspo-sizione dei temi, delle emozioni e delle ossessio-ni che hanno occupato lo spirito della poetessanell’ultimo tratto della sua esistenza. Un album acui i due hanno lavorato insieme dopo l’uscitanel 2007 del loro precedente disco Rasoi di seta.

«Si ricordi che sono una donna che non puòstare alle leggi normali, sono vissuta nell’illega-lità dei manicomi», aveva detto al saggistaAntonio Gnoli. Piccola ape, grande pungiglione.

ILParco del Ninfeo all’Eur ospita dal 17 giu-gno all’11 settembre la IX edizione delGay Village, che torna a soddisfare quella

voglia di cinema all’aperto, teatro, musica,incontri, sport, discoteca. Impegnato ma anchefrivolo, modaiolo, pieno di idee e di energia, sipresenta con un design rinnovato e tecnologico,videoproiezioni su due maxi schermi sempre infunzione e uno spazio su due livelli con terrazza.

Alcuni nomi: Ivan Cattaneo, Neja, AlisonMoyet, Boy George, ma anche una tre giorniinteramente dedicata alle donne - il VenusRising Festival, con Manole Moslehi, GiuliaAnania, la DJ Ipek, Valeria Vaglio (nella foto) -e il Gender DocuFilmFestival. L’Arena poi siarticola in due rassegne, «Lacrime nella pioggia

e foglie al vento» e «Il rosa che va su tutto», unaselezione di pellicole a tematica LGBT con tito-li per la prima volta doppiati in italiano.

La scelta teatrale è un intrattenimento d’autorecapace di far riflettere attraverso i grandi temi, idrammi e le ilarità del vivere contemporaneo,uno fra tutti «Si sdrai per favore», con VladimirLuxuria. Allo scoccar di mezzanotte, i due palchisi trasformano in dance floors con nomi qualiJuanjo Martin, Micky Galliano da Londra, AlanJoe da Colonia e LeoMeo da Parigi, NachoChapado da Barcellona, Hector Fonseca da NewYork. In consolle commerciale: Claudio Guerrinidi RDS, Paola Dee, Brezet, Max C, LorenzoPalma, J Kay, Fabrizio Marini, Gaia, ManuelaDoriani, Lady Coco, Joao DVJ, Andrea G-Brasc.

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MONETdi Romina Ciuffa di Romina Ciuffa

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a cura di FLAVIO FABBRI

¢ CONTINUA DALLA PRIMA PAGINA > FESTIVAL di ADRIANO MAZZOLETTI

«ODIO L’ESTATE» A VILLA CARPEGNA Il Festival, dal 24 agosto all’8 settembre, estensionedella VI edizione del Festival Roma Jazz’s Cool Per la prima volta la seicentesca Villa viene conces-sa per una produzione di ampia portata curata dall’Associazione culturale Il Trattato del Capitano

C’ERA UNA VOLTAIL FESTIVAL Quellovero, a Romaa cura di ROMINA CIUFFA

Molte sono le manifestazioni i cui responsabi-li sono persone di assoluta capacità. CarloPagnotta, Lucio Fumo, Giorgio Lombarditanto per fare qualche nome. Ma a costoro sene potrebbero aggiungere anche altri. Ciò che

colpisce però nei vari cartelloni di piccoli o menopiccoli festival è - dicevo - la mancanza di idee e soprattut-to la totale assenza di una «filosofia» di base. I Festival delcinema o delle altre Arti hanno sempre una idea di fondo,che può essere il «concorso» nel cinema, il «barocco» o«l’avanguardia» nella musica accademica, o come succe-deva in tempi i cui non esistevano, nel mondo del jazz, lesovvenzioni pubbliche, una scelta oculata delle novità, siain campo nazionale che internazionale. Ma non solo. Aimusicisti veniva chiesto di presentare nuove composizionie nuovi arrangiamenti con gruppi riuniti per l’occasione egrande spazio veniva dato ai musicisti italiani che all’epo-ca avevano lo stesso successo di pubblico di quelli di oggi.Spesso come nel corso del Secondo Festival di Roma, lamanifestazione terminava anche con vincitori e vinti. Unagiuria di critici e musicisti infatti decretava i vincitori del festi-val ai quali venivano assegnati i «trofei» in palio. Ma soprattut-to grande importanza era il coinvolgimento di tutti i media.

Voglio ricordare un lontano festival romano, organizzato cometutte le altre manifestazioni del genere senza sovvenzioni statali,la cui idea di base fu quella di presentare quanto di più importan-te e significativo vi era nel jazz italiano in quel momento. Il suc-cesso fu enorme.

Dal 6 all’11 maggio 1958 al Teatro Quirino ebbe luogo ilSecondo Festival del Jazz. Quei sei giorni furono importanti perdiverse ragioni: l’affluenza del pubblico con uno sbigliettamen-to che coprì tutte le spese compresi i compensi ai musicisti e agliorganizzatori, la totalità della stampa nazionale e della Radio cheseguiva giornalmente i concerti, l’intelligente presentazione diEnzo Tortora, la presenza di ventiquattro fra complessi e solisti,per un totale di centodiciannove musicisti e sette cantanti aiquali, polemicamente, se ne aggiunse un ottavo che suscitò nonpoche discussioni. Nei ventiquattro complessi e solisti tutto ilGotha del jazz italiano dell’epoca: i gruppi di Nunzio Rotondo,Gilberto Cuppini, Gianni Basso-Oscar Valdambrini con RomanoMussolini, Piero Umiliani con Bill Smith. Le orchestre revival,che all’epoca ottenevano sempre un successo clamoroso, RomanNew Orleans Jazz Band, Seconda Roman di Carlo Loffredo,South River Ragtime Band, Riverside Syncopators di Genova,Original Lambro, Riverside Jazz Band e Milan College diMilano, New Emily Jazz Band di Modena, i pianisti EttoreZeppegno e Jimmy Polosa oltre al New Jazz Quartet di Palermo,

il Quartetto di Mario Cantini, la Modern Jazz Gang di SandroBrugnolini, il complesso fiorentino del sassofonista americanoFrank Eliott, l’Ensemble del Circolo del Jazz di Mantova, ilQuartetto di Aurelio Ciarallo, il Quintetto di Franco Chiari, ilQuintetto Moderno del Circolo Jazz di Lucca con GiovanniTommaso e la straordinaria partecipazione di Gorni Kramer intrio con Franco e Berto Pisano. Infine i cantanti, Wilma DeAngelis, Carol Danell, Jimmy Fontana, Laura Betti, CosettaGreco, Pauline Dowling e Jula De Palma.

I quotidiani su due o tre colonne titolavano: «Un’altra applau-dita serata al Festival Nazionale del Jazz», «Trionfo delQuintetto Basso-Valdambrini nella quarta serata del Festival delJazz», «Concluso con pieno successo il II° Festival Nazionaledel Jazz» (Piero Vivarelli su Il Tempo), «Anche l’America invi-dierebbe un Festival così bene organizzato» (Carlo Laurenzi suIl Corriere della Sera). Successo pieno dunque dovuto alla scel-ta artistica e alla perfetta organizzazione. Durante la terza serata,esattamente a metà festival, venne deciso un «colpo di teatro».Era il 1958. Domenico Modugno aveva vinto l’ottava edizionedel Festival della Canzone di Sanremo, con «Nel blu dipinto diblu», sbaragliando, con Johnny Dorelli, tutti i maggiori rappre-sentanti della cosiddetta «canzone all’italiana»: Nilla Pizzi,Tonina Torielli, Claudio Villa, Giorgio Consolini, che avevanosempre conquistato le vette delle classifiche nei sette anni prece-denti. Tutta la stampa, la radio, la televisione per oltre un mese sioccuparono di quell’evento. Nilla Pizzi, la «regina della canzo-ne» era stata detronizzata. Nulla di male per gli amanti del jazz,

anzi! Fu allora che si prese la decisione di invitare, per unfuori programma, complice Carlo Loffredo, quella «reginasenza più corona», la cui musica era sempre stata l’antijazzper eccellenza. «Serata particolarmente bollente quella di ieri sera alla seigiorni jazzistica del Quirino», scriveva Piero Vivarellivenerdì 9 maggio su Il Tempo. «Merito, prima di tutto deicomplessi che si sono esibiti, scatenando l’entusiasmovibrante del pubblico e poi anche per un episodio in veritàpolemico e significativo, avvenuto verso la fine, del qualecomunque preferiamo riferire subito. È successo infatti cheil Festival ha avuto ospite, incredibile a dirsi, nientemenoche Nilla Pizzi. Quando Enzo Tortora (a proposito, se possibile, il brillan-te presentatore è stato ieri sera anche più bravo del solito)ha annunziato la presenza in sala della «signora della can-zone», il pubblico ha accolto la cosa con boati di disappro-vazione tali da far temere il linciaggio. Poi, però la Pizzi,con coraggio leonino è salita sul palcoscenico, dichiarandoufficialmente che la sua vera, autentica passione è il jazz

anche se «questa musica rappresenta un fatto artistico talmenteserio che fin quando non lo avrà abbastanza studiato, non si sen-tirà di affrontarlo professionalmente». Solo come modesto con-tributo e con umiltà e visibilmente emozionata, come non l’ave-vamo vista mai neppure a Sanremo, la Pizzi si è quindi esibita inWhen the Saints Go Marchin’ In ed il pubblico, che non credevaalle proprie orecchie, l’ha giustamente accolta alla fine con uncalorosissimo applauso».

15 giorni dopo, il pubblico romano assistette al Teatro Sistinaad un altro «colpo di teatro», questa volta del tutto inatteso e bendiverso da quello precedente. Ma questa è un’altra storia.

Anche questo Secondo Festival ebbe i suoi vincitori. I trofeiandarono alla Original Lambro Jazz Band (Coppa de Il Tempo almiglior complesso tradizionale). Quintetto Basso-Valdambrini(Coppa del Jazz Club Roma al miglior complesso moderno).Ettore Zeppegno (Coppa de Il Giornale d’Italia al miglior solistatradizionale). Nunzio Rotondo (Coppa della Rca al miglior soli-sta moderno). Jula De Palma (Coppa de Il Musichiere allamigliore cantante). Quintetto Moderno del Circolo del Jazz diLucca (Coppa della Federazione Italiana del Jazz per le «newstar»). Infine venne premiato il miglior arrangiamento. Si tratta-va di Arpo, dedicato ad Arrigo Polillo, brano scritto e arrangiatoda Sandro Brugnolini ed eseguito dalla Modern Jazz Gang(Coppa de Il Paese Sera).

Questa è la cronaca di un lontano festival, che vide la presen-za di oltre 6.000 persone con un incasso di oltre sei milioni dilire che nel 1958 era una cifra assai considerevole. ■

Music In ¢ Estate 2010

UN FESTIVAL DEL JAZZ A ROMA

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Speciale Festival

OODIODIO LL’E’ESTATESTATEL’

estate romana 2010 risentirà dei taglialle sovvenzioni, ci sarà qualche ras-segna in meno, altre limiteranno ilnumero di concerti e degli spettacoli.Ma, controcorrente, una attesa novità,

già nell’aria da più di un anno: il Festival Odiol’estate a Villa Carpegna, dal 24 agosto all’8settembre, naturale estensione della VI edizionedel Festival Roma Jazz’s Cool. Per la primavolta la seicentesca Villa viene concessa per unevento culturale di ampia portata, una produzionecurata dall’Associazione culturale Il Trattato delCapitano, nella consolidata partnership con ilSaint Louis College of Music; negli ultimi 10anni l’associazione ha sfornato progetti di altissi-ma qualità, sempre originali, visionari e concreta-mente volti alla ricerca del nuovo.

Attorno al programma dei concerti regna l’o-mertà assoluta. Di certo, la filosofia della mani-festazione è sempre quella di presentare produ-zioni originali, come si addice a un veroFestival. La maggior parte degli spettacoli del-l’estate romana, invece, pur autodefinendosifestival, in realtà sono mere rassegne di gruppi eband in tour. «Odio l’estate» reca esibizioni diartisti che si incontrano per la prima volta e cheprobabilmente non avranno più occasione disuonare insieme, vere produzioni concertisticheinedite. Di qui nascono e vivono numerosi even-ti, alcuni irripetibili.

Il direttore artistico della manifestazioneStefano Mastruzzi insiste sull’originalità deiprogetti e sull’ampio respiro della manifestazio-ne. «Odio l’estate è un contenitore spazio-tem-porale che prende vita tutte le sere dalle ore 19con un aperitivo pensato con il Gambero Rosso,che curerà la selezione delle cantine. Durantel’aperitivo, editori e discografici presenterannole ultime pubblicazioni dal vivo, con musicisti,artisti e scrittori e un estivo caffè letterario nelparco. Dopo il tramonto, chi vorrà, potrà appro-fittare della cena a kilometri zero proposta dalristorante Urbana 47. 200 musicisti coinvolti,unviaggio a cielo aperto tra jazz e pop d’autore perapprodare ad una tiratissima due-giorni diTaranta. Al termine del concerto, quindi verso le22 e 30, rapido cambio climatico, in scena filmstorici e cortometraggi con estemporanee colon-ne sonore composte ed eseguite dal vivo da gio-vanissimi talenti e affermati professionisti».

«Il programma sarà reso noto nei particolarisolo alla fine di luglio, in conferenza stampa.Qualche anticipo: Danilo Rea, SimoneCristicchi, Joe Barbieri, Roberto Gatto, GinoPaoli, Aaron Goldberg, Dado Moroni, RobertaGambarini, Fabrizio Bosso, Aldo Romano,Rosario Giuliani, Javier Girotto, la Saint LouisBig Band e molti altri. Ma il bello sarà scoprirele formazioni, gli abbinamenti, i contrasti.Caratteristica interessante ed esclusiva del

Festival è il coinvolgimento di giovani musicistiche cominciano prepotentemente a farsi apprez-zare sulla scena italiana. Volevo assolutamenteevitare di proporre gruppi giovani in orariassurdi, come purtroppo accade in molti festivalspinti dal miraggio di risparmiare sui cachet, piùche da una sincera volontà di proporre qualcosadi nuovo, di cercare, di rischiare... In realtà aVilla Carpegna abbiamo inserito ragazzi ditalento direttamente nei gruppi al fianco dei bennoti personaggi. Una duplice occasione, pertan-to, per farsi apprezzare sia dal pubblico sia daimusicisti con cui si suona, un’esperienza forma-tiva, a completamento magari di anni di studioal Saint Louis o in giro per il mondo».

Infine, una serata dedicata alla finale di unconcorso di respiro europeo, l’European JazzContest, che porterà sul palco i migliori 12 gio-vani gruppi jazz selezionati in 6 mesi di audizio-ni da tutta Europa dalla Scuola civica di Milano,dalla Fondazione Siena Jazz e dal Saint Louis.Finalmente potremo ascoltare dove va e dovevuole andare il jazz di domani.

Viene senz’altro da dire che, a differenza dimolti altri festival italiani dove si sente ripetere«...ma suonano sempre gli stessi...», a VillaCarpegna ogni sera sarà una scoperta, una sor-presa cui forse non siamo neanche più abituati.Ma soprattutto il tutto sarà ad ingresso libero.«Odio l’estate sarà un esempio di come un festi-

val possa e debba autofinanziarsi gran parte deicosti, al fine di non gravare esclusivamentesulle sovvenzioni pubbliche. Al contributo delComune di Roma e del Municipio XVIII siaffiancano partnership importanti come quellacon il Ministero della Gioventù, con il GamberoRosso, con Federculture, con le Biblioteche diRoma, con il Saint Louis, con le etichette disco-grafiche Jazz Collection e Audacia, con LifegateRadio e molte altre in via di definizione.Sinergie importanti che oltre a conferire presti-gio e spessore alla nostra manifestazione, con-sentiranno al pubblico di partecipare ai concer-ti gratuitamente. Una imprenditoria culturaleilluminata, come definita da Roberto Grossi,Presidente di Federculture. Inoltre le etichetteJazz Collection e Audacia produrranno raccol-te live di alcuni concerti, un documento impor-tante, inedito, esclusivo da non perdere».

Il programma completo è pubblicato sul sitowww.odiolestate.it dalla fine di luglio. Unacuriosità: tutti i concerti si concluderanno con unaversione, una citazione o uno stravolgimento delbrano Estate di Bruno Martino: per chi odia l’e-state sotto l’ombrellone con il vicino che parla altelefonino, i bambini che schizzano la sabbianegli occhi, le signore truccate a mezzogiorno, eper chi a «coccobellococcoooo» preferisce ilGambero Rosso, Villa Carpegna rappresentaun’oasi di pace sul finire dell’estate romana. ■

DAL 24 AGOSTO ALL’8 SETTEMBRE I MIGLIORI MUSICISTIA LIVELLO MONDIALE SUONANO A VILLA CARPEGNA, INSIEME. TUTTA LA DIRETTA E I REPORTAGES SU MUSIC IN VIDEO

di Stefano Capitani

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Redatto in forma di cronaca e di reporta-

ge quotidiano attraverso la descrizione

minuto per minuto, notte per notte, degli

avvenimenti cui Victor Ciuffa, ispiratore di

Federico Fellini, ha partecipato e dei personaggi

che ha conosciuto. www.v ictorciuffa.com

LODATE DIO CON ARTECantare è quasi un volare

Music In ¢ Estate 2010

TUTTA LA VERITÀSU UN FENOMENO FALSATO

«Cantare è quasi un volare, sollevarsi verso Dio, anticipare in qual-che modo il canto dell’eternità». E ancora: «L’arte musicale ha il com-pito per il Papa di infondere speranza nell’animo umano, così segna-

to e talvolta ferito dall’esperienza terrena». Chi l’ha detto che dobbiamo esser atei atutti i costi? La società, la scuola, il crocefisso, il nostro senso di ribellione. Va bene.Sinceramente quel crocefisso in aula non mi dispiace, né mi dispiace saperne di più

del buddismo e dell’ebraismo. Mi piace la democrazia dello spirito e del volo, mi piace sentirmi sol-levata. Mi piace la musica, mi piace lodare chi mi solleva. Chiunque misollevi. Mi piace così lodare la musica e l’arte, ed ogni Dio all’infuori dime, e tutti quelli che sono dentro di me, anche in nube.Non tutti amano questo Papa. Preferivamo il più dolce polacco, nonper una questione politica né di nazionalità, ovviamente. Forse piùper le libertà che ci eravamo conquistati: la dolcezza è un’ala cui dif-ficilmente si rinuncia. Ma non tutti sanno che Benedetto XVI è soprannominato il Mozartdella teologia. E che con la musica, in particolare con la musicasacra, ha un legame profondo che lo ha accompagnato fin dai beitempi in cui, grazie a suo fratello, poté integrarsi nella famiglia deiDomspatzen, i piccoli Passeri di Ratisbona. Sulla musica egli si espresse ripetutamente in saggi e conferenze conasserzioni di permanente importanza. L’esperienza della musica,

arricchisce l’esistenza umana e le apre orizzonti che sconfinano nell’infinito. Joseph Ratzinger lamenta però - come dargli torto - il basso livello della musica canta-ta nelle chiese, specialmente in Italia: l’educazione musicale è carente e lasciata al sin-golo individuo, mentre l’educazione all’ascolto e alla coralità dovrebbe accompagnarel’iter scolastico degli studenti ed entrare a far parte del bagaglio culturale di ognuno.«Vi è una misteriosa e profonda parentela tra musica e speranza, tra canto e vitaeterna: non per nulla la tradizione cristiana raffigura gli spiriti beati nell’atto di can-tare in coro, rapiti ed estasiati dalla bellezza di Dio. Ma l’autentica arte, come la pre-ghiera, non ci estranea dalla realtà di ogni giorno, bensì ad essa ci rimanda per ‘irri-garla’ e farla germogliare, perché rechi frutti di bene e di pace».Nessuno dice che dobbiamo andare aMessa, non lo valorizza nemmeno lanostra Costituzione. Nessuno ci impo-ne un credo. Io - che Papa non sono -imporrei, però, l’educazione musicale.Proprio come dice Ratzinger. Eaggiungerei bacchettata sulle mani,vecchio stampo.

Riporta 150 lettere su 426conosciute, senz’altro la rac-colta in lingua italiana più pro-

ficua. Si va da quelle alla famiglia durante levacanze del 1824 in cui, quattordicenne, rac-conta notizie, avvenimenti e ricorrenze imitandola scrittura giornalistica, ai racconti dei viaggi,delle conoscenze, dei concerti: il primo concertoche diede, l’11 agosto 1829, viene descritto aigenitori in una lettera il giorno successivo, com-mentando il pubblico, il successo, l’improvvisazio-ne, i dubbi e la paura delle critiche negative. Nelle lettere che il diciannovenne Chopin scriveagli amici Jas e Tytus emerge il valore dell’amici-zia e il profondo affetto che prova, derivante dauna notevole sensibilità,che a volte si tramuta inpessimismo e in un’ango-scia esistenziale dovuta allalontananza dalla città nata-le e dalla famiglia: Chopin ècircondato da persone, ep-pure si sente solo; scrive, asoli 20 anni, che non ha ilcoraggio di partire perchéha la sensazione che nontornerà più, e osserva

quanto debba essere orribile morire non dove siè vissuto, e avere un dottore o un domesticopresso il letto di morte invece dei propri cari, aiquali bacia «le manine e i piedini» e a cui nel perio-do della malattia chiede aiuto. Più adulto, vedràcreature lugubri uscire dal pianoforte.L’artista parla spesso con molta ironia di cosecomuni, quotidiane: contraddizione importantese ancora oggi ascoltiamo, ispirati, le composi-zioni eterne regalateci. L’edizione riporta anchedelle lettere a George Sand, sua compagna dal1938 al 1847: la scrittrice distrusse tutta lacorrispondenza intercorsa. «La musica nella vali-gia, il suo nastro nella mia anima, la mia animasotto il braccio e via!». Così parlava di una parten-za imminente, nel 1830. E aggiungeremmo: lasua musica nel bagaglio culturale del mondo.

Giosetta Ciuffa

Il cinema ha subito numerosetrasformazioni, sia da un puntodi vista tecnologico che narrati-

vo, ma decisiva è stata la sovrapposizione dellamusica alle immagini. Combinazione di duesensi (udito e vista) in un’esperienza multime-diale unica che a lungo ha influito sul modo diinteragire col grande schermo. Nel suo ultimolibro, Lo schermo sonoro. La musica per film(Marsilio, 2010), Roberto Calabretto, professo-re associato al Dams dell’Università degli Studidi Udine, dove insegna «Musica per film», invita

il lettore a riflettere su come suono e musicainteragiscano con l’immagine cinematografica,raccontando in 10 capitoli le strategie compo-sitive del musicista chiamato a commentareuna pellicola e gli effetti sul pubblico. Pagine che ripercorrono le fasi tecniche che sisusseguono nell’allestimento della musica in unfilm: dal confronto tra regista e compositorealla scelta dei brani, dallafase della scrittura musi-cale a quella del suo mon-taggio con le immagini.Attenzione è data, infine,ai molteplici modi di farinteragire musica e imma-gini, tra cui spot pubblicita-ri, sigle, programmi con-certistici o balletti.

Flavio Fabbri

GENTLE GIANT. I GIGANTI DEL PROG-ROCK

LEGENDS OF THE CHELSEA HOTEL

«(...) I Gentle Giant dovevanolasciare la scena al gruppoprincipale, i Jethro Tull. Rimasi

veramente colpito dall’accoglienza che il pub-blico riservò al gruppo. Erano ovviamente altritempi: l’apertura mentale e la curiosità eranoovunque contagiose, ma l’idea che un ensem-ble sconosciuto ai più potesse offuscare emettere in ombra la performance di una for-mazione di gran lunga più famosa mi colpìprofondamente… ma, a pensarci bene, quellidescritti non erano altri tempi, era un vero eproprio altro mondo.” (Antonio Apuzzo )Il Gigante Gentile ha volto sorridente ed occhiampi e buoni; accoglie tra le mani Derek, Phil eRay Shulman, Gary Green, Kerry Minnear,Martin Smith.Finalmente un’opera in italiano, a quarant’anniesatti dalla nascita del gruppo e del primo leg-gendario album omonimo, interamente dedi-cata alla strepitosa band britannica dei fratelliShulman, una delle più creative e innovative

degli anni 70, capace di contribuire a definireil genere progressive rock. La voce narrante èla voce sapiente del sassofonista, clarinettista,compositore e docente di musica AntonioApuzzo, che con prosa mai accademica, contoni talora enfatici e sempre incantati riper-corre la storia del gruppo dagli esordi comeSimon Dupree & The BigSound (1966), all’ascesadi fine anni 60 e nascitadei Gentle Giant (1970),all’acme degli anni 70,con intervista finale,nell’Epilogo, ai ThreeFriends, la band nata dal-l’unione di tre dei compo-nenti dei Gentle Giant.Diversificati gli spunti peril lettore: alla narrazionestorica, che fornisce inte-ressanti elementi per approfondimenti sociali,l’autore affianca l’analisi dei brani del reperto-rio della band per un’accurata guida all’ascol-to. A completare l’opera, il cd Ibrido Hot Sixplays Acquiring the Taste del gruppo di Apuzzoche ripercorre in chiave strumentale, eseguitida un sestetto di fiati, gli otto eccezionali branidel secondo album dei Gentle Giant.

Rossella Gaudenzi

«C’è una straordinaria ener-gia creativa che pervade ilChelsea. La avverti subito

non appena passi attraverso la porta, e nonsmetti mai di sentirla fino all’ultimo giorno incui ci resti». Con queste poche parole EdHamilton riassume lo spirito magico e unicodel celebre hotel newyorkese dimora, ufficio erifugio di autentici pilastri letterari - AllenGinsberg, William S.Borroughs, ThomasWolfe - e star musicali edel cinema, come BobDylan, Iggy Pop, EthanHawke, Madonna, RyanAdams, Rufus Wainwrigth.Sul Chelsea sono statiscritti tanti libri, ma soloHamilton è riuscito a rive-lare le storie nascosteall’interno delle numero-

se stanze dell’hotel di Manhattan. Lo scrittoreamericano (che è autore anche del blogwww.hotelchelseablog.com) ha vissuto alChelsea per quasi 12 anni durante i quali nonsolo ha osservato curiosamente la clientelaeccentrica, sensibile, divertente e tragica checontinuamente andava e veniva da quel nume-ro 222 della 23rd Street, ma anche condivi-dendone le storie di vita e riportandoci nelmagnifico testo intimi e autentici ritratti maisvelati prima d’ora.

Valentina Giosa

CLASSICAMENTEMENTECLASSICA

MENTEMENTE

VITA DI CHOPIN ATTRAVERSO LE LETTERE

LO SCHERMO SONORO. LA MUSICA PER FILM

LODATE DIO CON ARTE

LE SPEZIE DELLA TERRA

«Voglio aver fame/ fame dicibo/d’amore, di carne/vogliosogni di sofferenza/spine d’oro

estratte dalle mie tempie». Leonard Cohen,autore di grandi classici come I’m your man eHallelujah, prima di diventare il capostipite diuna generazione di cantautori, da Bob Dylan aFrancesco De Gregori, che a lui si sono ispirati,

scriveva poesie e accantoalla sua lunga carriera dimusicista non ha maiabbandonato la scrittura. «Le spezie della terra» èuna raccolta di poesiescritte nel 1961 duranteun soggiorno nell’isolagreca di Hydra, ora ripub-blicata da Miminum faxcon la prefazione di MoniOvadia che definisceCohen uno di «quelli che

hanno graffiato le anime di una generazione». Le composizioni sono presentate con il testooriginario in inglese a fronte e tradotte in italia-no da Giancarlo De Cataldo e Damiano Abieni.

Sono piccoli quadri, dove spesso i particolarisono in primo piano e nei dettagli c’è il senso ditutto. Si parla di amore e passione, ma anche dispiritualità e religione. Una natura prepotente evitale è lo sfondo in cui si muovono i versi chesembrano quasi sussurrati dalla sua voce e chesomigliano al suo canto: malinconici e suadenti.La vita sembra sempre sofferta più che vissuta,ma la chiave di lettura - e di salvezza - è comespesso accade nella capacità di prendersi giocodi sé. E allora tutto è possibile, anche racconta-re in una poesia che la tua donna ti ha traditocon il tuo migliore amico (La canzone del cornu-to) e dire di se stesso: «sono un cadavere genia-le, questo lo si sa».

Roberta Mastruzzi

«Lo schermo sonoro. La musica per f i lm»

di Roberto Calabretto Mars i l io - 28 euro

«Legends of the Chelsea Hotel»di Ed Hamilton

Da Capo Press - 16,95 euro

«Lodate Dio con arte»di Joseph Ratzinger

Marcianum Press28 euro

«Gentle Giant.I giganti del prog-rock»

di Antonio ApuzzoStampa Alternativa - 20 euro

«Le spezie della terra»di Leonard Cohen

Minimum Fax13,50 euro

«Vita d i Chopin attraverso le lettere»

a cura d i Valer ia Rossel la L indau - 24 euro

FEEDFEEDBOOKBOOK

IN LIBRERIA

PPOOPPCCKKpop&rock

PPOOPPCCKKpop&rock

ILLUSTRAZIONE DI

QUINT BUCHOLZ

GENTLE GIANTS Ma, a pensarci bene,quelli descritti non erano altri tempi: eraun vero e proprio altro mondo

VITA DI CHOPIN ATTRAVERSO LELETTERE Ogni difficoltà su cui si sorvoladiventa un fantasma che turberà i nostri sonni

CE CCECE ECIUFFA EDITORE

SOUNDttrraacckkiinngg

ROMINA CIUFFA

ALTERNATIVENATIVE

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a cura di VALENTINA GIOSA DOROTHY STEIN Intervista a Dr. Dot Massaggia tuttal’élite musicale da anni, senza cedere a favori sessuali

PJ HARVEY È sua la super-visione artistica del numeroestivo di Zoetrope:All-Story

BAD RELIGION Una religione barrica-dero-scanzonata che fa proseliti da 30 anni

Music In ¢ Estate 2010ALTERNATIVENATIVE

La bella e sexy Dr. Dot (nickname creato nel 1988 da Frank Zappache girava nel backstage gridando «portatemi Dr. Dot!») si è presacura del meglio dell’élite musicale per oltre due decenni. Dorothy

Stein si definisce una «rock chick», in italiano rockettara, che da ragazzi-na avrebbe fatto di tutto per conoscere i suoi idoli senza però cedere afavori sessuali. Amante dei massaggi, che praticava a casa con la madresin dall’età di 5 anni, pensò un giorno di offrirsi come massaggiatrice soloper entrare gratis al concerto dei Def Leppard in Virginia. Quell’idea sitrasformò presto in una fortunatissima carriera tanto che Sting, Eminem,Ramones, Rolling Stones, Sheryl Crow, Robert Plant, Kiss, Aerosmith,Blondie, Backstreet Boys, Oasis, The Who, Courtney Love, Bruce Willise tanti altri faranno a gara per farsi «toccare» da lei.

Ma Doctor Stein non è solo la masseuse rock’n roll più richiesta dallestar e colei che ha inventato un nuovo concetto di groupie; è anche un’ot-tima esperta di sesso. Scoprite di più nell’intervista esclusiva rilasciata aMusic In e dai suoi siti (www.drdot.com, www.facebook.com/drdotislo-vinlife, www.myspace.com/drdot).

Qual è stata l’ultima grande star a godere delle tue mani d’oro equale sarà la prossima?

L’ultima Simon Cowell [ndr. superboss televisivo e discografico, diret-tore dei programmi American Idol e X Factor] e Gregg Allman degliAllman Brothers Band la prossima.

Quante richieste hai approssimativamente ogni giorno?All’incirca 50, sono molto impegnata ma felicissima, non avrei mai

immaginato di arrivare fino a questo punto.Quando hai deciso di diventare una massaggiatrice e com’è nata

soprattutto l’idea di lavorare esclusivamente per le rockstar?Cominciai camminando sulla schiena di mia madre e massaggiandole

i piedi a 5 anni, e i massaggi divennero parte del nostro rituale familia-re. Non mi sono più fermata. Ho cominciato ad appassionarmi al rock ea girare i concerti, mi muovevo molto da uno Stato all’altro insieme allamia famiglia, la musica e le gig erano come amici. I miei genitori comin-ciarono a lamentarsi del fatto che quest’abitudine stava diventando trop-po costosa, perciò un giorno ho avuto l’idea di offrire massaggi perentrare al concerto dei Def Leppard in Virginia. E funzionò.

So che hai fatto massaggi gratis dal 1982 fino al 1994 soltanto perentrare agli show. Cosa è successo poi?

Sì, all’inizio era solo una scusa per veder suonare dal vivo tutti i mieimusicisti preferiti. Massage for music. Nel 1994 un aneddoto poi mi feceriflettere: una sera Charlie Watts dei Rolling Stones ha voluto insistereper darmi dei soldi. È stato il mio primo cliente pagante. Così ho realiz-zato che il mio hobby (volevo fare la scrittrice e la fotografa e fare mas-saggi solo per passione) stava diventando un vero e proprio lavoro. Nel1997 mi sono così iscritta ad una scuola di massaggio in Germania. Eadesso sono talmente piena di richieste che riesco a stento a dormire per-ché tutto ciò è diventato la mia vita. Chi riesce a fare di un hobby la pro-pria professione, può essere totalmente felice.

Parlaci un po’ del tuo più grande amore, i Ramones...La cosa che ricordo con più piacere della mia lunga esperienza con i

Ramones è il concerto che tennero ad Ellington, nel Connecticut, la miacittà natale. Era l’estate del 1984 e stavo pregando Joey di venire a suo-nare nella mia piccola città. «Ma non c’è neanche una sala per concerti!»mi disse. Gli consigliai un ristorante, il Country Squire, oggi Cippinno’s,che aveva un palco dove spesso tenevano concerti country e il cui proprie-tario era un grandissimo fan dei Ramones. Dopo una lunga serie di implo-razioni e massaggi ai piedi, accolse la mia proposta. Ancora ricordo lafaccia della VJ di MTV dalla tv di casa di mio nonno: non credeva ai suoiocchi quando fra le date del tour dei Ramones lesse la tappa nelConnecticut. Sembrava come se se lo stesse domandando: «The CountrySquire? Ellington, Connecticut?» Tutti i miei amici di scuola mi chiama-rono increduli. Sapevano che frequentavo Joey ma nessuno poteva crede-re che i Ramones sarebbero venuti ad Ellington, in mezzo al nulla, in unacowtown.

Eri molto legata a Joey?Lo adoravo! Era così divertente quando beveva il latte al cioccolato o

quando guidava i go-carts. Mi faceva continuamente ridere, era uno

spasso quando uscivamo insieme, era come un bambino grande. Nonparlava molto, ma quando lo faceva ogni cosa che diceva mi faceva ride-re a crepapelle. Ricordo che non flirtava mai con nessuno e non parlavamolto con le altre ragazze. Mi faceva sentire l’unica ragazza sulla terra.

Oltre ai Ramones e gli altri artisti già citati hai lavorato per SherylCrow, Sting, Steven Tyler, Lauryn Hill, Courtney Love, Oasis, BobDylan e tanti altri, raccontaci qualcosa su di loro...

Sheryl è vera, adorabile, una delle mie migliori amiche. Sting è affasci-nante, attraente, divertente, generoso e sempre in forma. Lauryn Hill èbella, intelligente, gentile, setosa e morbida. Courtney è maledettamenteselvaggia: non ci sono segreti per lei. Gli Oasis li amo, con me hannofatto il primo massaggio della loro vita nel 1996. Bob Dylan ha tentatodi venire a letto con me nel 1985 all’after party del Live Aid. Ero vestitadi rosso, senza reggiseno e avevo delle grandi tette! Eravamo sul puntopiù bello quando all’improvviso una donna bionda ha urlato verso di me:«Se gli parli ancora solo una volta ti strappo la testa!». Che peccato,anche se probabilmente avrei voluto andare con lui solo perché era BobDylan, dopotutto, chi non vorrebbe andare a letto con Bob Dylan?

Potrebbe essere una bella idea per un sondaggio questa, ci pensere-mo... A parte Bob Dylan, c’è qualche italiano fra i tuoi clienti?

Certo: Eros Ramazzotti, che uomo interessante! Adora i massaggi«deep tissue». Rircordo che mi ha mostrato alcuni suoi video di concertisul suo laptop dopo la seduta. Mi sembra che poi abbiamo anche fumatodell’erba. (ride).

Quali sono state per te le sedute più indimenticabili?Oddio, ci vorrebbero anni per parlarne... Steven Tyler è sempre così

maledettamente «riot», lo amo!C’è qualche artista per cui non hai ancora lavorato e che ti piace-

rebbe avere come cliente?Madonna, Monica Bellucci (che dea!), Beyonce, Chris Rock, Jim

Carey, Ringo Starr.Una curiosità: come hanno fatto i tuoi clienti (uomini) a resistere

alla tua bellezza e alla tua evidente e procace sensualità? La maggior parte di loro si eccitano. Ma il mio atteggiamento li ha

sempre portati a capire che non possono catturarmi. Non mi piacemischiare il business con il piacere. L’ho fatto solo una volta con BruceWillis nel 1999 e non lo farò mai più.

Hai anche scritto un libro «Butt-Naked and Backstage: Diary ofthe Worlds Greatest Rock and Roll Masseuse». Il presentatoreHoward Stern ha dichiarato a riguardo: «Ho paura di quello chepotrai scrivere su di me sul tuo libro». Perché?

Durante il suo show gli ho chiesto se voleva un massaggio e lui harisposto così. Forse aveva solo paura di farsi massaggiare perché sapevache si sarebbe eccitato o «comportato male» e non voleva lo scrivessi.

Non solo sei la massaggiatrice più richiesta dalle star, la «regina-mas-saggiatrice» del rock’n roll, ma scrivi anche regolarmente una rubricae un blog sul sesso. Sesso e rock’n roll camminano sempre a braccetto?

Assolutamente sì.Un consiglio di sesso da Dr Dot ai lettori di Music In?Agli uomini consiglio di massaggiare i piedi delle donne: otterrete in

cambio più sesso orale. Alle donne consiglio di praticare più sesso orale:vi tratteranno come una regina. E non chiedete loro dove stanno andan-do, non lamentatevi troppo, mostratevi impegnate e attive. Saranno tuttiper voi.

O spite d’onore del numero estivo diZoetrope: All-Story, in veste spe-ciale di art director, la poliedrica e

talentuosa cantautrice inglese Pj Harvey.Nato come ponte di lancio per la fictionesordiente, il magazine viene fondato nel1997 dal regista italo-americano FrancisFord Coppola con lo scopo di promuoverenuovi talenti (David Benioff, AdamHaslett, Daniyal Mueenuddin, ChrisAdrian, Ben Fountain, Miranda July,David Means e Karen Russell) ed esplora-re l’intersezione sempre viva fra arte, fic-tion e film.

La rivista trimestrale ha ricevuto già diver-si premi come il «National MagazineAward for Fiction», e vanta alcune fra lefirme più significative del panorama cultu-rale contemporaneo fra cui Mary Gaitskill,David Mamet, Ha Jin, ElizabethMcCracken, Yiyun Li, Don DeLillo,Andrew Sean Greer, Chimamanda NgoziAdichie, Margaret Atwood, SalmanRushdie, Woody Allen, Yoko Ogawa,David Means, Susan Straight, CharlesD’Ambrosio, David Bezmozgis, NeilJordan e Haruki Murakami. Fra le rubrichepiù interessanti la sezione dedicata alleristampe. «Eisenheim the Illusionist» di StevenMillhause ha ispirato The Illusionist(L’Illusionista, film di Neil Burger del2006 con Edward Norton e Jessica Biel);The Bear Came Over The Mountain (diAlice Munro) che Sarah Polley ha riadatta-to nello stesso anno nel film Away FromHer (Lontano da Lei, con Julie Christie) ela sceneggiatura di Wes Anderson per ilcortometraggio Hotel Chevalier (2007),sono solo alcuni esempi della rubrica spe-ciale Classic Reprint. Ma Zoetrope: All-Story è anche un maga-zine d’arte. Ogni numero vanta infatti lafirma di un diverso autore a cui viene inte-ramente affidata l’estetica e la supervisio-ne artistica. Prima di Pj Harvey, che pub-blicherà per l’occasione tutti i suoiartwork, le sculture e i disegni inediti,hanno lavorato in passato nello stessoruolo artisti del calibro di Helmut Newton,Peter Greenaway, Laurie Anderson,Lawrence Ferlinghetti, Tom Waits, TimRoth, William Eggleston, Will Oldham,Zaha Hadid, Julian Schnabel, WimWenders, Peter Sellars, David Bowie, GusVan Sant, David Byrne, Lou Reed.

DI VALENTINA GIOSAPessima religione quella dei BadReligion, in Italia per il 30 YearsAnniversary Tour. Trent’anni di

militanza, dal 1979 ad oggi. Trent’anni diapostolato a diffondere il velenoso verbodel punk d’oltreoceano. Coalizzati attornoal nucleo base voce-chitarra-basso compo-sto da George Graffin, Brett Gurewitz e JayBentley, i Bad Religon esordiscono giova-nissimi con un Ep omonimo per poi impor-si con il primo How Could Hell Be AnyWorse? come una delle band di riferimentodella scena hardcore-punk californianoesplosa a cavallo tra Settanta-Ottanta. È il1982, si stanno bruciando le traiettorie diBlack Flag e Dead Kennedys. Anche i BadReligion si scottano: dopo Into TheUnknown (1983) si sciolgono: la diasporadurerà tre anni, ma gli garantirà lunga vita.Il ritorno (con formazione allargata, conHetson alla chitarra e Finestone alla batte-ria) è segnato dalla trilogia di Suffer(1988), No Control (1989) e Against TheGrain (1990), tutti per la label di casa, la

Epitaph, creata da Graffin fin dagli esordi:tre pietre miliari del gruppo, testa di pontetra la scena alternative fine Ottanta (a fian-co di Husker Du, Sonic Youth e Pixies) e ilnuovo movimento punk-hardcore cheesploderà di lì a poco, a inizio anni 90, eche i nostri contribuiranno a mandare inorbita, con gruppi come Rancid, NOFX,Offspring tutti reclutati su Epitaph. Il punkcambia declinazione, non è più il punk daguerra-lampo inglese, ma attitudine barri-cadero-scanzonata nella sua versione hard-core a stelle e strisce. I Bad Religion, con illoro impasto di ritmiche serrate e melodiepop sui testi politico-dickiani della coppiaGurewitz-Graffin sono i maestri e continuafonte di ispirazione (vedi i Green Day diAmerican Idiot e 21st Century Breakdown),e così arrivano ai giorni nostri, tra defezio-ni, passaggi alle major (alla Sony, nel ‘94)e ritorni alla casa madre (nel 2001,all’Epitaph), per un totale di 14 albumall’attivo. A trent’anni di distanza, la reli-gione «cattiva» ha fatto proseliti.

PJ HARVEY

BRUTI

OETROPE=PJHARVEY

ROCK ROLLa cura di Valentina Giosa

di Lorenzo Bertini

&MASSAGGI Z

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Music In ¢ Estate 2010

MALCOLM MCLAREN Meglio rossi che morti La fine del visionario che inventò anche i Sex Pistols e il punk. Fu nel suoanticonvenzionale negozio di vestiti di King’s Road a Londra che reclutò i membri della band che lo avrebbe consacrato comeicona del periodo, i Sex Pistols, e fu quella botteguccia il fulcro e il ritrovo della scena punk-rock. Fino al mesotelioma.

BELLE&SEBASTIAN Musica lieve(non è un refuso tipografico)

errà ricordato come l’uomo che inventò iSex Pistols, di cui fu il manager e l’ideo-logo, e che di conseguenza diede il via aquella grande rivoluzione musicale e dicostume che nel biennio 1976-1977 prese

il nome di Punk. Malcolm McLaren si è spen-to a New York a 64 anni l’otto aprile scorsodopo una lunga battaglia contro il cancro. Uomovisionario ma anche dal grande intuito commer-ciale, McLaren era appassionato di musica e dimoda. Il talento e la passione per la creazione diabiti è stato il motore pulsante della sua ribellecreatività. Aveva notato che la cultura pop deiprimi anni 70, nella musica come nella moda,attingeva dal medesimo filone della nostalgia.Fu la ricerca di qualcosa di alternativo e di anti-convenzionale a spingerlo, nel 1971, insiemealla fidanzata, la stilista Vivienne Westwood, adaprire nella Kings Road di Londra la boutique430, che da lì a breve cambiò il nome in Let ItRock, frequentata soprattutto da teddy boys erockettari, dove la coppia realizzerà anchecostumi per il teatro e per il cinema.L’anno successivo - siamo nel 1972 - si trasferi-sce per un breve periodo a New York in occasio-ne di una fiera di abbigliamento. Nella GrandeMela McLaren incontra i New York Dolls, banddal suond punk ben 4 anni prima del «big bang»,diventando il loro manager. Per loro progetta unlook completamente nuovo, fatto di giacche inpelle rossa e simboli dell’allora UnioneSovietica mentre mutua lo slogan, «Better Redthan Dead» («Meglio rossi che morti») daimovimenti di protesta americani contro la guer-ra in Vietnam. Ma l’America di quel periodo

non era pronta per una ribellione alternativa chepartisse dalle forme artistiche per poi coinvolge-re la sfera sociale in quanto imperavano le atmo-sfere calme ed intimiste dei cantautori. Quellacon i New York Dolls fu un’avventura fallimen-tare e la band si sciolse di lì a breve. Tornato a Londra McLaren cambia nome alnegozio, che diventa «Sex», e comincia a ven-dere abbigliamento sadomaso e le prime t-shirtstrappate. Ma la vera idea innovativa sta nelcreare una combustione sinergica tra musica emoda che, di lì a poco, incendierà la cultura edil sistema britannico. Inizia a concepire un grup-po musicale che dovesse rappresentasse l’em-

blema del negozio stesso. Ed èproprio lì, nel negozio diKing’s Road, che McLarenrecluterà i futuri membri dellaband che lo avrebbe consacra-to come icona del periodo: iSex Pistols. Il negozio diventauno dei fulcri della scenapunk-rock ed il ritrovo permolti dei fondatori del movi-mento, da Sid Vicious a MickJones, da Nick Kent a Siouxie. Sulla saga dei Sex Pistols e delpunk, e sul modo altamente«spettacolare» in cui McLarengestì i rapporti con i massmedia per crearne il fenome-no, sono stati scritti centinaiadi tomi. Oltre all’imperdibile libro diJon Savage intitolato Il sogno

inglese il documento che, più di tutti, ritrae lapersonalità di McLaren è il film, da lui voluto esupervisionato, The Great Rock’n’Roll Swindledi Julian Temple. Una pellicola che non piacquea Johnny Rotten & Co, perché in essa i SexPistols sono ritratti come quattro dilettantimarionette senza arte né parte, mentre il punkviene spiegato come fenomeno creato dall’alto,dalla mente diabolica e geniale di McLaren che,in fondo, ne è il vero, unico protagonista: mana-ger manipolatore, creatore di scandali e buferemediatiche. Un cinico ed estroso deus ex-machi-na che sembra provenire da un romanzo diDickens, e che non finiremo mai di ringraziare.

V

ALTERNATIVENATIVE

di Eugenio Vicedomini

È Malcolm McLaren l’unico, vero protagonista della rivoluzione punk: manager manipolatore, creatore di scandali e bufere mediatiche, cinico ed estroso deus ex-machina che sembra provenire da un romanzo di Dickens

PUNKIS(NOT)DEAD4 anni di silenziosa assenza e il 25

luglio i Belle and Sebastian riporta-no le loro delicate melodie in Italia

per un’unica data al Play Art Festival diArezzo. Non è solo musica leggera quelladella band scozzese, è vera e propria musi-ca lieve, come un velo colorato mossoappena dal vento, che pare essere in gradoperfino di rallentare il tempo. Di volta involta strumenti ad arco, flauti ed un pizzi-co di elettronica disegnano con sottili pen-nellate atmosfere sognanti, riflessioni chesi spengono in echi nel dormiveglia. Gli

intrecci vocali del disco d’esordioTigermilk (Matador, 1996) o i più coloraticori di The Life Pursuit (EMI, 2006) con-ducono in un mondo che invece lieve nonè, popolato da giovani fragili, inquieti, avolte un po’ improbabili ma ricchi di sfac-cettature nelle quali appare naturale rico-noscersi. Aspettiamo i racconti dal vivo, lastoria dell’arrabbiata Chelsea, i sognivisionari di Judy, la noia esistenziale diAnthony e Hilary e tutti gli altri emblema-tici personaggi.

ELLESEBASTIAN

DI MARTINA PUGNO

B &

BELLE AND SEBASTIAN

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SOUNDSOUND Music In ¢ Estate 2010

ttrraacckkiinngga cura di ROBERTA MASTRUZZI

CIRCUITO OFF Intervista a Mara Sartore, direttore artistico del Festival Prendi un gruppo di veneziani, mettili a Parigi e dàloro un’intraprendenza più forte della media. Falli credere in un progetto. Fa loro dimenticare la politicizzazione, le raccomandazio-ni, le inopportunità italiane. Dà loro il nome giusto, cultura e dedizione. Circuito Off nasce così e usa non gondole, ma vaporetti.

ANew York gli off-Broadway sono teatricon una capienza fra i 50 e i 500 posti,comunque una produzione teatrale rea-

lizzata a basso costo. L’off-off-Broadway rap-presenta produzioni ancora più spartane. Questocome definizione. Posso, fuor di formalità, spez-zare la lancia: il circuito off è di gran lunga, senon al pari, migliore, o comunque diverso. L’off-Broadway è il teatro a New York.

A Venezia si ripresentano i medesimi addendi,in una prospettiva gestaltiana però. Il Lido ospi-ta la Mostra del Cinema e per anni è stato il cine-ma; nel 2000 un gruppo di giovani coraggiosi,capitanati da Mara Sartore, crea «Circuito Off»,festival di cortometraggi, e contro ogni remorafissa le date in contemporanea alla Mostra delCinema. Lo scrittore Stefano Benni presiede laGiuria. L’evento è completamente autoprodottodai fondatori. Nel 2001 il Festival si allarga,assume rilevanza e parte Circuito Off Art, vetri-na d’arte contemporanea. Il 2003 è l’anno delsalto di qualità, e la forte rete internazionale dicontatti permette la creazione di saldi rapporticon Festival europei e mondiali. Il produttore diSpike Lee, Fernando Sulichin, assume la presi-denza della Giuria. Dal 2005 il Festival vienefinanziato anche dall’Unione Europea e accedeal Coordinamento dei Festival Europei diBruxelles. Nel 2008 fino a 3 mila accrediti gior-nalieri e 4.800 settimanali, 1.200 accrediti inter-nazionali, oltre mille professionisti del mondodel cinema, 300 giornalisti, 250 ospiti internazio-nali; nel 2009 numeri anche più alti, tanto cheTinto Brass sceglie Circuito Off per l’anteprimadel suo lungometraggio in cui mostra, per laprima volta, il proprio organo sessuale.

Mara Sartore è la chiave, ieri come oggi, perinterpretare l’off, ossia quel generatore di corren-te a luci spente che ha consentito questo circuitodi flash, ossia di momenti intensi di breve dura-ta, la saga dell’emozione ottimale, densa, breve,orgasmica, un coinvolgimento pari al batter di unciglio che poi rimane in testa, come un motivet-to resta nell’orecchio a livello cognitivo inferio-re. «La musica nel cinema e nei cortometraggi èl’accompagnamento essenziale per la narrazio-ne di qualunque storia. Moltissimi corti, poi, nonhanno dialoghi e quindi ancor più la musica

risulta caratteriz-zante. Il linguaggiodel corto, che inpochi minuti deveraccontare universia se stanti, è esatta-mente compatibilecon quello musica-le». Per questoCircuito Off dà spa-zio alle colonnesonore e a quanti,emergenti, faccianomusica da cinema.Parlano la stessalingua musicisti e

registi: in pochi minuti devono spiegare unmondo, dare sensazioni, condivisione, messaggi.

«Ci occupiamo di film brevi, un genere a sé.Quest’anno presentiamo anche un workshopsulla stop-motion, fotogrammi che animanopupazzi di plastilina; l’anno scorso nel TalentLab ci siamo concentrati molto sulla pubblicità,per orientare i giovani registi e far capire che ilmercato è in grado di ricevere anche il loro con-tributo». Un cinema che fa discutere, che toccatemi non banali: come quello della Partizan, casadi produzione americana fondata dal guru inter-nazionale Michel Gondry (tra i titoli figura TheEternal Sunshine of the Spotless Mind) presentein questa decima edizione. Nelle famose feste diCircuito Off i registi animano le serate accompa-gnati da DJ set di livello internazionale.

«Circuito Off non è un festival solo visual o dicortometraggio, ma anche l’unione di video,musica e arte, un Talent Lab legato all’orienta-mento e alla didattica e, soprattutto, un luogo incui si incontrano i buyers internazionali - televi-sioni in chiaro, in streaming, Internet - per sco-prire talenti, comprare film, spiegare ai registicosa si chiede al mercato». Una misura allora:

«Per gli emergenti si tratta dimisurarsi per la prima voltanon solo con le proprie capa-cità creative e direttive, maanche promozionali: spessonon si conosce il mercato eCircuito Off dà proprio l’occa-

sione per incontrare i buyers di riferimento e gliaddetti ai lavori anche attraverso un’agenda checonsente a ciascuno di prendere appuntamentosingolarmente con gli interessati per presentareil proprio film».

I buyers mostrano elevato gradimento per que-sta vetrina off. «La televisione portoghese, adesempio, offre un premio di acquisto; lo stessoCircuito Off ha istituito un premio in collabora-zione con la CICAE, la ConfederazioneInternazionale dei Cinema d’Arte e d’Essai, apartire da un forum in cui una giuria di esercen-ti sceglie il miglior corto europeo entro i 10minuti, che circolerà in tutti i cinema dellaConfederazione per un anno».

La presenza di una realtà off creata da altret-tanti giovani garantisce, allora, l’attenzione noninteressata ad ogni emergente, che si trova a con-frontarsi con i grandi del cinema e accede persoli meriti a un’esperienza di livello superiore.«Circuito Off dà grandi speranze a tutti i giova-ni soprattutto perché nasce anch’esso da anoni-mi studenti mai raccomandati, se non dalla pro-pria voglia di fare e dalla totale fiducia ripostanel progetto. Abbiamo puntato al massimo sindall’inizio, 10 anni fa, quando il nostro era soloun piccolo festival, sempre immaginando cheesso dovesse divenire un festival di importanzaeuropea e di riferimento per il settore, una vetri-na per i talenti emergenti anche durante laMostra del Cinema, dalla quale ha ricevuto ungrande riconoscimento: la sezione di cortome-traggi è oggi rappresentata solo da noi».

La prospettiva, dicevo, è gestaltiana: l’insiemeè più della somma delle sue parti. Gli addendi -l’Associazione Artecolica a capo di Circuito Off,Venezia, la Mostra del Cinema, l’imprenditoria-lità e gli emergenti, i vaporetti - danno vita allapercezione di un credo e non consentono più,nella realtà italiana, di avere giustificazioni nelnon averci provato. O creduto a sufficienza. ■

D urante la sua vita Giacinto Scelsi (Pitelli, 8gennaio 1905-Roma, 9 agosto 1988) èstato considerato da alcuni un genio asso-

luto, da altri un folle sperimentatore pocorispettoso dei dettami tradizionali dell’artecompositoria. Tra coloro che hanno amato l’ar-tista ligure c’è anche il regista premio OscarMartin Scorsese, che lo ha voluto ricordare nelsuo splendido Shutter Island, pellicola campio-ne d’incassi ai box office di tutto il mondo eche vede nel cast nomi di prestigio comeLeonardo Di Caprio, Mark Ruffalo e BenKingsley.

Un omaggio postumo al talento del maestrospezzino, con l’inserimento di due considere-voli composizioni nella colonna sonora delfilm e una nuova occasione, per noi, di ascolta-re l’opera di Scelsi anche nel XXI secolo. Sitratta di acclamati capolavori del Novecento,Quattro pezzi per orchestra (ciascuno su unanota sola) e Uaxuctum, entrati a far parte deldoppio cd distribuito da Rhino Records e ripro-

posti nell’interpretazione dell’OrchestraSinfonica della Radio di Vienna e delConcertus Vocalis diretti da Peter Rundel.Opere che si adattano perfettamente all’atmo-sfera densa di mistero e di tensioni introspetti-ve di cui è ricco il thriller psicologico diScorsese e che meravigliosamente interagisco-no con gli altri autori ed esecutori della colon-na sonora, tra cui l’eclettico Nam June Paik, ilmaestro Claudio Abbado, l’onnipresente BrianEno, ed anche Lonnie Johnson e Max Richter.Una corposa colonna sonora di 19 tracce, trapartiture per archi e pianoforte, spiazzanti ecoraggiosi sconfinamenti nell’elettronica spe-rimentale e timide incursioni canore per lavoce di Johnny Ray.

Nessuno, prima del regista newyorkese, siera accorto a livello cinematografico di quantoScelsi fosse adatto, per brevità dei componi-menti e compressione tematica, all’arte delgrande schermo. In effetti, il compositore ita-liano, originario della provincia di La Spezia,

per gran parte della sua vita artistica, tra il 1920e l’immediato dopoguerra, ha dato molto spa-zio alla ricerca teorica musicale, ma anche pra-tica: dalla creazione di figure determinate dalcaso all’improvvisazione su strumenti tradizio-nali usati in maniera non ortodossa; dall’uso dinuovi strumenti come l’ondiola, capace diriprodurre i quarti e gli ottavi di tono, all’im-provvisazione priva di condizionamenti.

Un artista rigoroso nella disciplina e nellostesso tempo fanatico dell’immaginazione crea-tiva, che proprio per questo ha fin da subito rac-colto grandi consensi nel mondo artistico, musi-cale e letterario del 900, di cui sono ecceziona-le testimonianza le amicizie con Jean Cocteau,Norman Douglas, Mimì Franchetti e VirginiaWoolf. Un percorso umano ed artistico assolu-tamente originale, quello di Giacinto Scelsi,fuori dagli schemi e privo di cedimenti allelusinghe della popolarità. Forse mancava solo ilcinema e il bel film di Scorsese, ospitandone lecomposizioni, ha colmato tale vuoto.

L a musica è come il cor-tometraggio: il flash suun universo e un diabo-

lico motivetto nel subconscio

SCELSIGIACINTOdi Flavio Fabbri

MaraSartore

VAPORETTIa cura di ROMINA CIUFFA

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LUIGI MAIELLO ArtMusic Ritorno romanoalla musica colta

MUSICINVIDEO/CLIP Rosanna Fedele, Whatis it for? Sotterrare un seme di notte in una serra

Music In ¢ Estate 2010 SOUNDSOUNDttrraacckkiinnggDEMETRIO STRATOS Dopo aver assistito alle sue acroba-

zie vocali rimane addosso un senso di stupore, come quello deibambini. E per lui lo stupore è il primo passo della creatività

Non avrai altro mare al di fuori di me.

ISOLE GRECHE■ SANTORINI da 335 euro■ MYKONOS da 459 euro■ KOS da 451 euro■ LESBO da 414 euro■ SKIATHOS da 363 euro■ IOS da 422 euroVolo speciale a/r + 7 notti + trasferimentiPartenze da Roma, Milano, Bologna, Napoli

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D emetrio Stratos - cantante, sperimenta-tore e poeta sonoro - ha dedicato la pro-pria vita alla ricerca delle potenzialità

nascoste nelle corde vocali umane. Ha portatola sua voce a toccare ogni estremo possibile,superando ogni condizionamento culturale,fermamente convinto che il canto non sia frut-to di capacità vocali ma di uno stato mentale.Accostarsi al suo lavoro è liberarsi da ognisovrastruttura e lasciare emergere il proprioistinto primordiale, in una parola è catarsi.

La Voce Stratos è il documentario realizza-to da Luciano D’Onofrio e Monica Affatatoche presenta l’artista in un percorso dove vita,musica, poesia, impegno civile sono inscindi-bili e costituiscono un unicum con la sua per-sonalità. Il film esce in dvd per la collanaRealCinema di Feltrinelli, accompagnato dallibro Oltre la voce, in cui il fenomeno Stratosè descritto da chi lo ha conosciuto sotto diver-si punti di vista: umano, artistico e scientifico.I registi scelgono di raccontare l’artista attra-verso immagini e parole di chi lo ha accompa-

gnato nel suo incredibile percorso. Dalle origini greche e l’infanzia in Egitto,

all’adolescenza trascorsa a Cipro fino al trasfe-rimento a Milano, dove inizia la sua carriera dicantante - è stato leader dei Ribelli e degli Area,con i quali negli anni 70 ha introdotto il pro-gressive in Italia - per poi diventare sperimen-tatore vocale, mettendo la sua voce al serviziodella scienza. Il mistero racchiuso nel suosuono non è solo una questione di vibrazioni erisonanze. La sua voce è un punto di fusione tradue mondi eternamente contrapposti, Oriente eOccidente, e la sua storia nata tra culture e lin-gue differenti ha fatto sicuramente la sua parte.

Ma c’è di più. Stratos era in grado di emette-re con un unico suono due note diverse e a rea-lizzare una mini orchestrazione con un solorespiro e questo è qualcosa che non si può spie-gare, va semplicemente ascoltato. Dopo averassistito alle sue acrobazie vocali rimaneaddosso un senso di stupore, come quello deibambini. Egli stesso ci dice che lo stupore è ilprimo passo della creatività. E non è un caso

che tutto abbia avuto origine dal momento incui Stratos è diventato padre. È la figliaAnastassia a fargli scoprire la «lallazione»,ovvero l’emissione di suoni che i bambini spe-rimentano nei primi mesi di vita, in cui il loroistinto li spinge ad usare la propria voce comeun muscolo emettendo suoni che mai più riu-sciranno a concepire una volta preso possessodell’uso della parola. Una spinta fortissima allaricerca, nel tentativo di riprodurre con la con-sapevolezza di un adulto quel particolare statodi grazia dei neonati.

La morte improvvisa nel 1979 segnerà lafine di questa ricerca ma anche di un’epoca incui la sperimentazione, anche se snobbata daigrandi media, riusciva a trovare comunque unosbocco in un clima di grandi fermenti cultura-li. La Voce Stratos, seppur registrata senza imoderni mezzi digitali o forse proprio per que-sto, nel buio dei titoli di coda ne restituisce unapreziosa quanto misteriosa testimonianza.

Roberta Mastruzzi

O rmai è da qualche anno che nel campo di quellache una volta veniva chiamata la «musica colta»si assiste ad un ritorno verso sonorità e modalità

espressive più concilianti, con l’intento di recuperarequel rapporto con il grande pubblico che caratterizzòil XIX secolo e parte del XX. Il fenomeno è statodefinito come «Art Music» ed ha tra i suoi esponen-ti di punta il trentenne romano Luigi Maiello. Di unasensibilità protesa verso i paesaggi interiori e crepu-scolari nordeuropei: «Amo fare musica che raccontiemozioni, mondi, sentimenti e passioni, che pur rac-contate dalla musica vanno oltre la musica».

Le sue radici musicali sono legate principalmentealla musica sinfonica (Wagner, Mahler, V. Williams),al rock (Pink Floyd, Sigur Ros) e alla musica elettro-nica. La sua produzione riflette tutto ciò e si distin-gue proprio nel fondere suoni di sintesi elettronica eliuti, sonorità alla Gustav Holst e le percussioni tibe-tane, purché si traghetti l’ascoltatore verso mondilontani. «La musica era diventata autoreferenziale.

Una cosa per addetti ai lavori che parlano tra di loroe poi si fanno complimenti su astruse costruzioni disintassi musicale. Io ho sempre amato quella grandepossibilità che la musica ha di parlare a tutti senzadistinzioni».

Attualmente Luigi sta lavorando alla pubblicazio-ne di due poemi sinfonici: Gli elementi, ispirato allemeraviglie del nostro pianeta, e Le stelle, dedicato almistero degli astri. Oltre ad una produzione colta, haun ampio numero di collaborazioni con il cinema, latelevisione ed il teatro. Ha scritto colonne sonore perfilm come Parva e il principe Shiva prodotto daLuigi e Aurelio De Laurentiis, Death of the Virgincon Maria Grazia Cucinotta, o per trasmissioni comeStargate, Voyager ed Atlantide.

Sognatore e artista sensibile: «Credo nella veritàdell’arte e vivo pensando che nulla sia più importan-te. Su questo punto però ritengo di non essere moltooriginale, preceduto, forse, da almeno due, tremilafilosofi nella storia dell’umanità».

L o strumento musicale più perfetto è dentro dinoi. È la nostra voce: grido ancestrale, esten-sione purissima dell’io, richiamo selvatico

che dall’inconscio raggiunge le vette più alte delsuono per poi inabissarsi nel fondo dell’anima.Stratos era in grado di emettere con un unicosuono due note diverse e realizzare una miniorchestrazione con un solo respiro. È qualcosa chenon si può spiegare, va semplicemente ascoltato.

U n’atmosfera da fiaba, unoswing delicato e una fotografiadai toni sfumati: il video What is

it for? della giovane vocalist RosannaFedele racconta con un’eleganza quasisussurrata una favola d’altri tempi.Una storia semplice: nella nebbia diuna notte qualsiasi l’artista si introducein una serra per sotterrare un seme eveder spuntare il germoglio di una pian-tina verde il giorno dopo. Cosa significhiquel filo verde per Rosanna è scrittonel testo del brano da lei composto: èla magia della musica quando nascedentro di te come un’esigenza e poidiventa qualcosa di concreto. E allora lamusica è sogno che si realizza, è nasci-ta di una passione da coltivare giornodopo giorno, è mistero come la nascitadi una nuova vita.What is it for? è il brano che dà il titoloal primo cd di Rosanna Fedele, distri-buito da Philology, nel quale interpretaalcuni standard e brani pop rivisitati inchiave jazz, accompagnata daRiccardo Biseo al piano, StefanoCantarano al contrabbasso e MarcoValeri alla batteria. Il trio la accompa-gna anche nel videoclip, visibile sul sitoraimusic.rai.it. La regia è di AndrèsRafael Cabala ed è prodotto daFarbervideo. (Roberta Mastruzzi)

WHAT IS IT FOR?

di Eugenio Vicedomini

Videoclip

ARTCARONTE

WWW.YOUTUBE.COM/MUSICINCHANNEL

LALLAZIONEA STRATOS

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a cura di ROSSELLA GAUDENZI

BALLETBALLETWONDER WOMAN Intervista a Francesca La Cava, direttrice artistica della compagniae-Motion Nella tragedia di Kleist Pentesilea, anziché essere uccisa da Achille, si trasforma incagna e uccide con ferocia l’eroe, sbranandolo e morendo poi a sua volta. Una scusa per ballare

LA BIENNALE DI DANZACapturing Emotions Attraversola danza si può sfondare l’Io

Music In ¢ Estate 2010

La figura mitica di Pentesilea è distan-te, assai più distante dalla nostra cultu-ra della Wonder Woman televisiva,negli anni 80 come oggi. Regina delleAmazzoni, valorosa guerriera di rara

bellezza, si schierò con i Troiani durante ladecennale guerra di Troia uccidendo numerosi Achei,giunse ad affrontare Achille venendo però mortal-mente colpita dalla sua lancia. Così narra il mito nellaversione maggiormente diffusa, ma non unica. Benpresente nella letteratura, Pentesilea è cantata daDante Alighieri e da Matteo Maria Boiardo, daLudovico Ariosto e da William Shakespeare, per arri-vare ad una versione stravolta, quasi capovolta, delmassimo drammaturgo del romanticismo tedesco,Heinrich von Kleist.

Nel mese di aprile 2010 il Gruppo e-MOTION,unica compagnia di danza contemporanea con sede aL’Aquila, è tornato sui palchi dei teatri italiani a unanno dal sisma del 6 aprile 2009 a rappresentarePentesilea: Wonder Woman, l’ultimo lavoro diFrancesca La Cava, direttrice artistica della compagnia.Significativa la tappa del 20 aprile, quella del RidottoTeatro Comunale della città dell’Aquila, unico spazio tea-trale ivi rimasto, da poco restaurato e inaugurato dalMaestro Riccardo Muti. La ballerina e coreografa, da sem-pre attenta all’antropologia, al mito e alla storia contempo-ranea tanto da giungere a significative denunce alla societàodierna, ha strutturato uno spettacolo volto a rappresenta-re la tragica eroina della mitologia greca, riallacciandosialla tradizione romantica e alla versione sconcertante pro-posta da Heinrich von Kleist.

Perché la scelta di questa versione?La tragedia di Kleist ci presenta una vicenda nota con un fina-

le capovolto, nel quale Pentesilea, anziché essere uccisa daAchille, si trasforma in cagna e uccide con ferocia l’eroe, sbra-nandolo e morendo poi a sua volta. Il drammaturgo innanzitut-to ha dimostrato un forte interesse per la figura femminile, l’haattualizzata, proponendo ai contemporanei esitanti una donnaindubbiamente diversa, più androgina, combattiva, ferina. Lafigura dell’amazzone si è dunque plasmata sulla società delNovecento, si è avvicinata ai giorni nostri. Basti pensare a figu-re quali Wonder Woman e Black Mamba di «Kill Bill». Tuttiquesti elementi sono entrati nel mio spettacolo Pentesilea:Wonder Woman, in cui l’uomo diviene femmineo, quasi inesi-stente, arrivo a rappresentarlo come un «bambolo», così voluta-mente definito, gonfiabile. Ciò che voglio andare ad indagare èla difficoltà, in molti casi vera mancanza, di dialogo tra uomo e

donna. Anche nella dialettica Pentesilea-Achille c’è unaprofonda incomprensione di fondo: l’amazzone, annebbiatadalla rabbia, non comprende che l’eroe è innamorato di lei. Holavorato a fondo sul movimento per far sì che fosse allo stessotempo sinuoso, sensuale, e ginnico; ginnicità che ricorda ilriscaldamento dei militari, a cui si ispirano anche i costumi discena, senza però mai permettere che in qualche modo si perdes-se di femminilità. Non va dimenticata la prorompente avvenen-za della regina delle Amazzoni.

L’amore per il mito, per la ricerca intorno al mitoè una costante nelle scelte artistiche di Francesca LaCava. Quando nasce questa passione?

Nasce dalle numerose letture della gioventù. Ho fre-quentato il DAMS di Bologna con indirizzo antropologicoe contemporaneamente ho nutrito la mia passione per ilteatro, viva quanto quella per la danza. Letture di libricome «Donne che corrono coi lupi» (di Clarissa PinkolaEstés, ndr) e di lavori teatrali importanti incentrati sulmito mi hanno dato negli anni interessanti spunti di rifles-sione sulla storia. Su come gli eventi e le situazioni torni-no ciclicamente e siano riconoscibili; i racconti della storiaci insegnano che i comportamenti dell’uomo e le forze dellanatura si ripetono. Così è stato per il disastroso terremotoche ha colpito lo scorso anno la mia terra. Infine, amomolto la ricerca, sperimentare riletture in chiave modernadel nostro bagaglio culturale più antico.

Cosa è accaduto nel mondo della danza della cittàdell’Aquila dopo il terremoto del 6 aprile 2009?

Posso parlare di miracoli e di straordinarie sinergieprima inesistenti, poiché miracolosamente la sala prove

della nostra Compagnia, peraltro dotata di uso foresteria, è rima-sta in piedi, quindi attiva. In secondo luogo, dopo il terremoto ènata una collaborazione con il Teatro Stabile di Innovazione cheha promosso un vicendevole scambio tra le diverse arti. È impor-tante ricordare anche questo, della tragica vicenda. Il mio spetta-colo, nato nei primi mesi del 2009, si è man mano arricchito dicombattività e caparbietà.

Qual’è la sua personale visione dell’arte nel nostrotempo?

Ritengo che sia difficile produrre, lavorare e vendere spettacoliche non siano commerciali, perché la gente vuole vedere a teatro ciòche conosce, o meglio riconosce. Siamo disabituati a lavori di ricer-ca, cosa che non accade in Francia, perché in Francia il pubblico èstato educato, formato. Ed il pubblico «deve» essere educato all’ar-te, ad accogliere emozioni inaspettate, a coltivare la curiosità.

Quali considerazioni faresti oggi sul contributo televi-sivo al mondo della cultura?

Quando ero piccola c’era un programma serale che si intitola-va «Maratona d’Estate»: proponeva classici della danza accantoa coreografie contemporanee. Oggi programmi simili sono inesi-stenti. Sarebbe il momento di riappropriarsi di alcuni aspetti del-l’arte; è stata realizzata un’eccellente trasmissione sulla storiadel Teatro Stabile dell’Aquila. Il risultato è stato che è andata inonda in orari notturni improponibili: oggi siamo pubblico dispettacolo, non più di cultura. Nonostante, quanto alla danza, ilnostro Paese sia ricchissimo di coreografi talentuosi e di progettioriginali eccezionali al di fuori dai circuiti commerciali. ■

PENTESILEA WONDER WOMAN(.. . )

«L a figura dell’amazzone si è plasmata sullasocietà del Novecento, si è avvicinata aigiorni nostri. Basti pensare a figure quali

Wonder Woman e Black Mamba di «Kill Bill». Tuttiquesti elementi sono entrati nel mio spettacoloPentesilea: Wonder Woman, in cui l’uomo divienefemmineo, quasi inesistente, arrivo a rappresentar-lo come un «bambolo», così volutamente definito,gonfiabile. Ciò che voglio andare ad indagare è ladifficoltà, in molti casi vera mancanza, di dialogotra uomo e donna. Anche nella dialetticaPentesilea-Achille c’è una profonda incomprensio-ne di fondo: l’amazzone, annebbiata dalla rabbia,non comprende che l’eroe è innamorato di lei.»

Siripete la Biennale di Danza, all’VIIIedizione presso il Teatro alle Tese diVenezia; protagonista del 2010 il

tema delle «emozioni»: Capturing Emotions èil titolo che Ismael Ivo, ancora una volta diret-tore artistico, ha scelto di dare all’evento.Secondo Ivo «la danza è essenzialmente unadisciplina visiva. La coreografia veicola visionie i movimenti accendono la nostra capacità diinteriorizzare ed esteriorizzare i desiderinascosti e di esprimere emozioni».

Laboratori di coreografia, workshops eincontri con i protagonisti di settore, 36 recite,5 prime mondiali, 7 prime europee e 8 novitàper l’Italia: numerosi gli appuntamenti in car-tellone a riconfermare la Biennale un momentoimprescindibile di ricerca e ripensamento delladanza nonché di grande opportunità di confron-to artistico internazionale. Il festival ha avutoinizio con le emozioni nate dai corsi e dai labo-ratori dell’Arsenale della Danza, quelle diOxygen. La performance ha visto l’impegno didanzatori provenienti da tutto il mondo (Italia,India, Francia, Russia, Slovacchia, Polonia,Portogallo), studenti dell’Arsenale della Danza,

centro di alta formazione della danza contem-poranea e spazio polifunzionale di produzioneartistica che ha fatto da nucleo portante dellamanifestazione. «Come l’Arsenale della Danzarappresenta un momento importante nella for-mazione dei danzatori - afferma il presidentePaolo Baratta - così il Festival vuole essere unmomento di ricerca sugli sviluppi più interes-santi della coreografia. Non è un caso che moltitra i coreografi presenti al Festival con lororappresentazioni sono stati docentiall’Arsenale della Danza».

Canada e Québec, Australia e Nuova Zelandagli altri due focus della Biennale che ha vistonomi ormai consolidati come quelli di MarieChouinard e dei Grands Ballets Canadiens deMontréal affiancarsi a quelli di nuovissime leveper l’Europa come le giovani formazioni deiKidd Pivot o dei Chunky Move. Vancouver,Toronto, Montréal contendono oggi il primatonella danza a città come New York grazie adappuntamenti di rilievo come il FestivalInternational de Nouvelle Danse, la BC Scene,il Festival TransAmeriques o il Push Festival.L’Australia, con le sue oltre 60 compagnie uffi-

ciali di danza, centinaia di artisti indipendentie ben 21 università e corsi istituzionali dedica-ti alla coreutica non è certo da meno ma, asuscitare interesse, è soprattutto la NuovaZelanda, che alla cultura autoctona mescola

oggi oltre 200 differenti nazionalità. «LaBiennale di Venezia crede e si impegna nellaformazione di nuove generazioni di danzatorie coreografi e favorisce gli scambi di cono-scenza su scala internazionale. Il rilievo datoquest’anno alle compagnie provenienti dalCanada e dall’Australia vuole significareun’approfondita indagine sulle evoluzioniartistiche di questi Paesi».

Altra novità di questa edizione, l’introduzionedella Marathon of the Unexpected del 12 giu-gno, nel Teatro Piccolo Arsenale, un appunta-mento speciale in cui le compagnie selezionateprecedentemente attraverso un bando di concor-so, si sono esibite in performances inedite in unospazio di non più di 15 minuti per portare alloscoperto ciò che difficilmente trova visibilità.Durante la rassegna ha avuto luogo inoltre lacerimonia di consegna del Leone d’Oro alla car-riera per la Danza attribuito al coreografo ame-ricano William Forsythe, figura guida che harivoluzionato il mondo della danza, rigeneran-done il linguaggio classico, di cui ha ricostruitole forme dall’interno, diventando il punto diriferimento per le nuove generazioni. ■

di Valentina Giosa

La danza èessenzialmenteuna disciplina

visiva.La coreografia

veicola visioni ei movimentiaccendono la

nostra capacitàdi interiorizzareed esteriorizzare

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¢ CONTINUA DALLA PRIMA PAGINA > AMAZZONE A CURA DI ROSSELLA GAUDENZI

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a cura di ROMINA CIUFFA

LAURA BONO La mia discreta compa-gnia Comincia tutto qui tra fili d’erba e bri-ciole a manciate per piccioni un po’ avvoltoi

LAURA LALA Pure Songs Abballatiabballati femmini schetti e maritatii ca su nonv’abballate bono nun ve canto e non ve sono

LUIGI MARIANO Asincrono La schi-zofrenia sta tutta nel retro dell’album in cuisi accanisce con rabbia sui mulini a vento.

Music In ¢ Estate 2010 FEEDFEEDback

Ti ho detto mai che mi hai spostato con il tuo respiro dolce in questoposto, quello che abitiamo? Che sono una formica e ti cammino sopra ildorso di una mano? No, non me lo hai mai detto. Oggi esce questo disco

e così apprendo cos’era quel solletichio ogni tanto. Prima di avere questo cd di maggiocome discreta compagnia, non avevo mai sentito parlare di Laura Bono. Eppure l’avevovista: una notte a Torre del Lago che, d’improvviso, aveva zittito una platea grandissimanon appena preso il microfono. In grado di fermare l’indifferenza «che taglia l’aria e non

fa briciole». Fu quando chiesi ad alcune: ma che sta succedendo?“C’è Laura Bono”. E chi è? Una rocker. Gianna Nannini le ha detto: «So quello che sono per te:sono quello che Janice Joplin è stata per me. La tua madrina». EVasco Rossi, quando lei vinse Sanremo Giovani 2005 con Noncredo nei miracoli, la chiamò nel camerino per dirle «hai un futuro, tivoglio in apertura dei miei concerti». Detto fatto. Mi solletica ancora il braccio ma la voce intanto graffia. La miadiscreta compagnia, la vuoi?, mi invita. Sta divenendo un’abitudineanche per me, e lei è un’ombra accesa a luci spente, continuamen-te. Troppa malinconia non può più fare compagnia nemmeno a me.Le appoggio un filo d’erba per farla riposare sul verde e lo tengonella mano strofinandolo su della terra umida. Il pop rock è una can-

zone popolare, in fondo: democratica, che tutti possono capire. Non a caso la sua Tra noil’immensità è stata scelta per lo spot della Telecom, e non a caso i finlandesi l’hanno volu-ta prendere per sé. Finanche la presidentessa, riconfermata per il secondo quinquennio,l’ha incontrata; ha rappresentato l’Italia ad Helsinki in tutte le occasioni, anche comecuoca guest nel loro Grande Fratello. Facciamocela scappare com’è usanza. Per questome la tengo stretta sulla mano e le fornisco pane. Oggi che tira anche fuori un pezzo scrit-to a 19 anni, Cinture di pelle, che aveva chiuso in un cassetto «perché fa troppo male»anche solo il pensiero che un padre possa abusare di un figlio. Ma la Bonometti esplodee con grinta racconta di tutti i Luca del mondo che hanno subìto una violenza. Le piacciono le briciole, che cita spesso. Questa formichina non ha niente a che vede-re con la cicala: raccoglie ogni mollica per il freddo. E il suo l’inverno sarà una lunga,incantevole estate.

Crescere è soloinvecchiare? Nonnel caso di LuigiMariano, a Romagiunto dalla puglie-se Galatone, che siporta appresso unavita di Faber eGaber all’insegna del cantautorato di qualità edell’attenzione quasi maniacale ai testi. Con lachitarra in mano smette i panni cucitigli addos-so dalla famiglia e dalla società e diventa untalentuoso menestrello dei tempi moderni. Una trasformazione prodigiosa ed essenziale. Ilsuo album s’intitola Asincrono e simboleggiabene questa sua natura «mostruosa» e al disopra delle mode e dei momenti. Non c’èsuono ma anima nei suoi brani. Si provi adascoltare Il Negazionista per capire quantoseria sia la sua ironia. L’episodio più riuscito deldisco è la title-track Asincrono che sposa melo-dia e testi in una danza elegantemente goffa.

Collaborazioni con lo strimpellatore di talentoPiji Siciliani, l’ottimo Gabriele «Areamag»Ortenzi, la suadente Chiara Morucci e il cantau-tore salentino Nicco Verrienti. Aleggia in tutto illavoro Alberto Lombardi, che ne ha curato gliarrangiamenti. Luigi Mariano è vero ed èumano. Forse per questo non verrà mai capitodalla fabbrica di eroi della discografia italianache vive in continuo corteggiamento con la tele-visione. Non c’è addominale scolpito o pelle dipesca in questo progetto ma solo la voglia diurlare, sempre silenziosamente, che la culturain Italia non è morta. «Rai libera!» è il manifestodella frustrazione di una generazione di artistiimpossibilitati ad avere il proprio spazio.Se nella copertina Luis sorride sornione altempo che qualcuno gli sta rubando, la schizo-frenia della sua arte sta tutto nel retro dell’al-bum in cui, con rabbia, si accanisce sui suoimulini a vento. Cosa avrebbe detto Giorgio,canta Mariano: nulla perché per fortuna suase n’è andato prima di vedere come sono fini-ti i cantautori veri.

Luca Bussoletti

La Colours JazzOrchestra è lapiù importante

realtà jazzistica marchigianadegli ultimi anni. Nasce nel2002 da un’idea di MassimoMorganti, trombonista, com-positore e direttore, che coin-volge nel progetto i migliorimusicisti marchigiani. Dopo tante partecipazioni aimportanti festival e diversecollaborazioni con stimati compositori statuni-tensi, nel 2009 viene pubblicato il primo lavo-ro in studio Nineteen Plus One, con il trombet-tista canadese Kenny Wheeler in veste di soli-sta e compositore, che riscuote in brevetempo un notevole successo di critica in Italiae all’estero. Nel 2010 l’incontro con l’autore

ligure Roberto Livraghi (firmadi celebri brani degli anni 70come Quando m’innamoro eCoriandoli) e la realizzazionedel cd Quando m’innamoro... inJazz, composto di suoi braniarrangianti appositamente perl’Orchestra, che verrà presen-tato il 31 luglio al Fano Jazz bythe Sea. Da segnalare che la Colour JazzOrchestra si esibisce il 6 luglio

all’ interno del festival Ancona Jazz alla MoleVanvitelliana e per l’occasione avrà l’onore diessere diretta da Bob Brookmeyer, tromboni-sta e compositore di fama mondiale, vera epropria leggenda del jazz internazionale.

Romina Ciuffa

DAVID BYRNE + FATBOY SLIM - HERE LIES LOVE

JAKOB DYLAN - WOMEN AND COUNTRY

Originariamentedestinato a esse-re un musical,

Here Lies Loveè un progetto natodalla collaborazioni tra FatboySlim e David Byrne (ex leader deiTalking Heads): ovvero due tra imigliori autori di musica d’intratte-nimento degli ultimi 30 anni. Si tratta di un concept album eracconta la vita di Imelda Marcos nota almondo per essere stata la moglie dell’ex presi-dente Ferdinand Marcos oltre che per la suaincredibile collezione di scarpe (circa 3.000paia) e di gioielli di inarrivabile opulenza. La pecu-liarità di questo lavoro è che ogni brano ospitaun artista diverso: accanto alle voci di Florence

Welch (Florence+The Machine) StVincent, Santigold, Shara Worden(My Brightest Diamond) e MarthaWainwright ci sono artisti più navi-gati come Kate Pierson (The B-52’s), Natalie Merchant (10.000Maniacs), Ròisìn Murphy (Moloko),Tori Amos e Cindy Lauper. Tra tutte, ad eccezione di quella diByrne, spicca un’unica voce

maschile, quella di Steve Earle al quale vieneaffidata l’ottima A Perfect Hand. Il risultatofinale di questo progetto sono dei piccoli e raf-finati affreschi pop che, pur essendo funziona-li alla logica del concept album, riescono a bril-lare di luce propria.

Eugenio Vicedomini

Porta un cognome pesantesulle spalle, tanto da condizio-nare il suo esordio nel mondo

della musica e spingerlo a nascondersi dietrola sicurezza di una band, i Wallflowers. Solodopo cinque album col gruppo, e alla soglia deiquarant’anni, ha trovato il coraggio di pubblica-re il suo primo lavoro solista, Seeing Things,che ha riscosso notevole successo. Ecco dunque a distanza di due anni il nuovoWoman And Country, eloquente già dal titolo einevitabilmente intriso di folk e cantautorato.Qui le sonorità di Dylan si arricchiscono di nuovicolori e un tessuto musicale meno scarno edessenziale, con i fiati di Lend A Hand,Everybody’s Hurting e Standing Eight Count, ecori femminili ad ammorbidire il ruvido cantato,che si snoda tra tematiche di amore e viaggio.Immancabili anche banjo, fiddles e pedal steel

che confermano ilgusto per le balla-te tradizionalicome Nothing ButThe Whole WildWorld, scritta ini-zialmente perGlenn Campbell.Mancano forse unpo’ di originalità ecoraggio di osare,ma ciò si può giu-

stificare con l’intenzione dell’artista di rimane-re fedele al folk e al country più genuino.Woman And Country è un lavoro onesto, piace-vole, che va però rigorosamente gustato met-tendo da parte ogni rapporto di discendenza.

Martina Pugno

Erik Satie, piani-sta e composi-tore francese

vissuto a cavallo tra il XIX e il XXsecolo, è stato uno dei musicistipiù eccentrici e discussi del seco-lo scorso. Malgrado le critiche,nessuno ne ha mai messo indiscussione talento e genialità,tanto nella musica, con le celebrimelodie per voce e pianoforte,quanto nel cinema, con l’apparizio-ne in un film di René Clair del1924. A lui, peraltro, si è inspirato BazLuhrmann, nel 2001, per il personaggio diMatthew Whittet nel film Moulin Rouge. Duepianiste coraggiose, le sorelle Katia e MarielleLabèque, hanno ora deciso di affrontare inchiave classica il singolare e originale composi-tore, riproponendo in Eric Satie le più celebricomposizioni dell’artista francese.Una vita sicuramente eccitante e ricca di fasci-no, quella del compositore normanno, cheKatia e Marielle sono riuscite a riproporre inmusica nel bel cd prodotto dalla KMLRecordings, di loro proprietà. Nate nellaFrancia Nord-Occidentale e figlie d’arte, (la

mamma, Ada Cecchi, èstata allieva della leggenda-ria pianista MargueriteLong), le due sorelle hannoavuto la fortuna di suonarecon le migliori orchestre delmondo e con compositori difama assoluta comeLuciano Berio, Gyorgy Ligetio Olivier Messiaen (v. MusicIn n. 11 > Feedback).Il disco si compone di 11tracce, con al loro interno

oltre 40 frammenti della musica di Satie, divisesapientemente tra le quattro mani Labèque.Alcuni brani sono suonati assieme (Trois mor-ceaux en forme de poire), altri in singole esecu-zioni (Sports et Divertissements e Puor unchien sono affidate a Marielle, i labirinticiGnossienne agli assolo di Katia). Pezzi per nien-te semplici, in cui la principale difficoltà d’inter-pretazione è nell’incessante attitudine all’inno-vazione, che rese il maestro francese uno deicompositori più interessanti del Novecento, mameno conosciuti al grande pubblico.

Flavio Fabbri

CLASSICAMENTEMENTE

KATIA ET MARIELLE LABÈQUE - ERIK SATIE

LUIGI MARIANO - ASINCRONO

COLORS JAZZ ORCHESTRA - QUANDO M’INNAMORO... IN JAZZ

PPOOPPCCKKpop&rock

LOUIS SICILIANO - DUE VITE PER CASO

104 minuti di colonna sonoraper un film che ne dura 88. Lamusica scritta da Louis

Siciliano per Due vite per caso, opera prima diAlessandro Aronadio, presentato al Festival diBerlino 2010, supera di gran lunga la duratadel film, e questo rende l’idea della centralità delcommento sonoro. È la storia diun ventenne raccontata da duepunti di vista differenti. Un incidente cambia il corso deldestino: occasioni, persone, scel-te di vita. Ma l’incidente potrebbeanche non accadere e allora cisaranno altre occasioni, altrepersone, altre scelte di vita. Inentrambi i casi, il protagonistasubisce la vita chiudendo le vie dicomunicazione con il mondo.

Quando non arrivano le parole subentra lamusica che diventa voce dove c’è silenzio egrido di ribellione dove c’è inerzia.La colonna sonora è divisa in 2 cd, il primo con-tiene la vera soundtrack e il secondo è inveceuna raccolta di brani scritti per l’occasione manon inseriti nel film.

Louis Siciliano ha voluto abbonda-re: nell’uso di strumenti - alcunidai nomi impronunciabili, comeewi, glockenspiel e zendrum - nellaquantità di suoni elettronici maanche nella ricerca di una sofisti-cata atmosfera dark. Per darevoce a una rabbia che non è solodisagio interiore del singolo mapiù profondo malessere collettivo.

Roberta Mastruzzi

PPOOPPCCKKpop&rock

JAZZJAZZ&& bblluueess

LAURA BONO - LA MIA DISCRETA COMPAGNIA

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ROMINA CIUFFA

BEYONDBEYOND&further

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Vincitore

del 1°premio

European Jazz Contest

NEI MIGLIORI NEGOZI DI DISCHI

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