MUSIC IN n. 5

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PERIODICO DI INFORMAZIONE, ATTUALITÀ E CULTURA MUSICALE A CURA DEL SAINT LOUIS COLLEGE OF MUSIC Aprile-Maggio 2008 Da poco concluso il Festival di Sanremo, chissà se questo duo vincito- re farà strada o se seguirà la parabola discendente dei Jalisse, che tuttora imperversano per le sagre di paese proponendo dal 1997 la loro toccante “Fiumi di parole”. Recentemente è stata anche tradotta in spagnolo; in undici anni non sono ancora riusciti a scrivere un’altra canzone? Anche Miguel Bosè ha svolto un’operazione di restyling della sua “Se non torni” riproponendola in spagnolo con un arrangiamento freschissimo, in pieno stile anni Novanta. Sinceramente non ho capito se si tratti della stessa canzone o di un’altra che plagia se stessa, in tutti e due i casi non ne sen- tivamo il bisogno.Verrebbe da pensare che non ci siano più gli autori, quelli che scrivono testi e musica di professione. Come d’altronde viene da pensare che non esistano più i cantanti e i musicisti di professione. In Italia siamo abituati ai dilettanti, che ci provano, che si sfidano, quelli che non sanno fare nulla ma magari nessuno se ne accorge. E poi c’è la politica italiana, che per molti artisti rappresenta la tavola per mantenersi sulla cresta dell’onda, di quelle di Ostia però, alte poco più di quaranta centimetri. Ogni politico ha il suo testimonial in queste elezioni e saprà (leggi dovrà) ringraziarlo a dovere in caso di esito posi- tivo. Ma davvero c’è qualcuno che voterebbe Mastella solo perché appoggiato dal proprio cantante preferito? Se così fosse, allora ci meritia- mo Simona Ventura, Morgan, l’immondizia campana e la diossina nella mozzarella. L’artista dovrebbe essere per natura dinamicamente avverso alle logiche di palazzo, libero, nel pensiero e nella creazione, non dovreb- be chiedere mai, come l’uomo della Mennen. Diffido di tutti i cantanti che sostengono l’una o l’altra parte, ne ho conosciuti tanti e tanti relativi retroscena da poter assicurare che c’è molta poca nobiltà in queste sim- boliche simbiosi di ideali, la mano sul cuore in pubblico sì, ma per sag- giare il portafoglio. E allora, vota Apicella al Quirinale. Stefano Mastruzzi LA NUOVA SFIDA DI ISMAEL IVO di Rossella Gaudenzi Ha scosso gli animi e le coscienze con la sua, se così vogliamo definirla, «trilogia del corpo». Body Attack (2005), che è corpo che attacca, proiettato verso l’esteriorità; Underskin (2006), ricerca interiore che serpeggia sot- topelle; Body&Eros (2007), indagine del rapporto con l’Eros, croce e delizia, demone del- l’umanità del III millen- nio, per cogliere intuizio- ne, sensualità, ricerca della libertà interiore e dell’equilibrio con il dionisiaco. Ismael Ivo ha ana- lizzato, scavato, posto domande sin dall’ini- zio della sua carriera di direttore del Festival di Danza della Biennale di Venezia, concentrando l’interesse (...) FONDERIA UNO PIÙ UNO FA TRE di Romina Ciuffa Chiedo a Luca Pietropaoli, che suona tromba, flicorno, cor- netto e altre cose, come fa. Insomma, sono anni che lo incontro e ogni volta lo vedo su uno diverso. Mi sono chiesta se non fosse un’inde- cisione la sua, finché non l’ho trovato fra i membri della Fonderia. Allora ho capito. Fondere quello che c’è, gli strumenti e le sonorità, e fondersi. La Fonderia nasce nel dicembre del 1994 come un progetto dedicato all’improvvisazione e alla contaminazione di suoni e generi. Sono Emanuele Bultrini (chitar- re), Stefano Vicarelli (piano, synth), Federico Nespola (batteria) e lui, Luca Pietropaoli (trom- ba), affiancati dal basso di Claudio Mosconi. Hanno pubblicato il secondo album Re>>Enter dopo il disco d’esordio Fonderia. (...) DALLA AI MENDICANTI di Maria Luisa Tagariello Il mendicante è Marco Alemanno. È anche l’autore dell’opera, ed entra in scena qui. Incontra il direttore del teatro: «Vedi, - gli dice - siamo degli attori, non grandi cantanti, gente abituata a tutto: dire bugie, pisciare nei lavandi- ni, capisci? Il Teatro Comunale non fa per noi, molto meglio il Duse». Comincia così la Beggar’s Opera di Lucio Dalla. Il mendicante spiega al pubblico perché lo spettacolo va in scena nel secondo teatro di Bologna: si tratta di una commedia satirica, una storia popolare nata da arie popolari, «non è per gente impellicciata da Comunale». E di opera in senso stretto infatti non si tratta. (...) STEFANO MASTRUZZI EDITORE Periodico di informazione, attualità e cultura musicale a cura del Saint Louis College of Music CONTINUA NELLA PAGINA EDGE&BACK CONTINUA NELLA PAGINA DANZA CONTINUA NELLA PAGINA MUSICALL Editore STEFANO MASTRUZZI Direttore Responsabile SALVATORE MASTRUZZI Direttore ROMINA CIUFFA Redazione Romina CIUFFA [email protected] Flavio FABBRI [email protected] Rossella GAUDENZI [email protected] Valentina GIOSA [email protected] Roberta MASTRUZZI [email protected] Corinna NICOLINI [email protected] Progetto grafico Romina CIUFFA Impaginazione Cristina MILITELLO Logo Caterina MONTI Redazione Via del Boschetto,106 - 00184 Roma Tel 06.4544.3086 Fax 06.4544.3184 Mail [email protected] Marketing e Pubblicità Mail [email protected] Tipografia Litografica Iride Srl Via della Bufalotta, 224 - Roma Contributi Lorenzo Bertini, Nicola Cirillo, Giosetta Ciuffa, Stefano Cuzzocrea, Sara Di Francesca, Francesca Di Macco, Matteo Grandi, Adriano Mazzoletti, Paolo Romano, Maria Luisa Tagariello, Ersilia Verlinghieri, Eugenio Vicedomini Anno II n. 5 Aprile-Maggio 2008 Registrazione presso il Tribunale di Roma n. 349 del 20 luglio 2007 MCCOY TYNER DAVE ALLEN PATTI SMITH VASCO ROSSI JAZZ JAZZ & & b b l l u u e e s s P P O O P P C C K K pop&rock FEED FEED back AAA AUTORI CERCASI Artisti al seguito di uomini sotto elezione, tanto una mano lava l’altra, cantanti la cui vena creativa, se mai esistita, si è trasformata in un capillare; e un gran bisogno di menti brillanti che non siano in debito né con la politica né con la televisione SPECIALE 1° MAGGIO

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MUSIC IN n. 5APRILE-MAGGIO 2008www.musicin.euwww.myspace.com/[email protected] A CURA DEL SAINT LOUIS COLLEGE OF MUSICDirettore: ROMINA CIUFFAEditore: STEFANO MASTRUZZISAINT LOUIS COLLEGE OF MUSICwww.slmc.itRubricheJazz&Blues Rossella GAUDENZIPop&Rock Valentina GIOSAEdge&Back Corinna NICOLINIClassica&Opera Flavio FABBRISoundTracking Roberta MASTRUZZIMusicALL Romina CIUFFAFeedback Romina CIUFFARedazioneVia del Boschetto, 106 - 00184 RomaTel 06.4544.3086 Fax 06.4544.3184

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PERIODICO DI INFORMAZIONE, ATTUALITÀ E CULTURA MUSICALE A CURA DEL SAINT LOUIS COLLEGE OF MUSIC

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Da poco concluso il Festival di Sanremo, chissà se questo duo vincito-re farà strada o se seguirà la parabola discendente dei Jalisse, che tuttoraimperversano per le sagre di paese proponendo dal 1997 la loro toccante“Fiumi di parole”. Recentemente è stata anche tradotta in spagnolo; inundici anni non sono ancora riusciti a scrivere un’altra canzone? AncheMiguel Bosè ha svolto un’operazione di restyling della sua “Se non torni”riproponendola in spagnolo con un arrangiamento freschissimo, in pienostile anni Novanta. Sinceramente non ho capito se si tratti della stessacanzone o di un’altra che plagia se stessa, in tutti e due i casi non ne sen-tivamo il bisogno.Verrebbe da pensare che non ci siano più gli autori,quelli che scrivono testi e musica di professione. Come d’altronde vieneda pensare che non esistano più i cantanti e i musicisti di professione. InItalia siamo abituati ai dilettanti, che ci provano, che si sfidano, quelli chenon sanno fare nulla ma magari nessuno se ne accorge.

E poi c’è la politica italiana, che per molti artisti rappresenta la tavolaper mantenersi sulla cresta dell’onda, di quelle di Ostia però, alte pocopiù di quaranta centimetri. Ogni politico ha il suo testimonial in questeelezioni e saprà (leggi dovrà) ringraziarlo a dovere in caso di esito posi-tivo. Ma davvero c’è qualcuno che voterebbe Mastella solo perchéappoggiato dal proprio cantante preferito? Se così fosse, allora ci meritia-mo Simona Ventura, Morgan, l’immondizia campana e la diossina nella

mozzarella. L’artista dovrebbe essere per natura dinamicamente avversoalle logiche di palazzo, libero, nel pensiero e nella creazione, non dovreb-be chiedere mai, come l’uomo della Mennen. Diffido di tutti i cantantiche sostengono l’una o l’altra parte, ne ho conosciuti tanti e tanti relativiretroscena da poter assicurare che c’è molta poca nobiltà in queste sim-boliche simbiosi di ideali, la mano sul cuore in pubblico sì, ma per sag-giare il portafoglio. E allora, vota Apicella al Quirinale.

Stefano Mastruzzi

LLAA NNUUOOVVAA SSFFIIDDAA DDIIIISSMMAAEELL IIVVOO

di Rossella Gaudenzi

Ha scosso gli animi e le coscienze con la sua,se così vogliamo definirla, «trilogia del corpo».Body Attack (2005), che è corpo che attacca,proiettato verso l’esteriorità; Underskin (2006),

ricerca interiore che serpeggia sot-topelle; Body&Eros (2007),

indagine del rapportocon l’Eros, croce edelizia, demone del-

l’umanità del III millen-nio, per cogliere intuizio-

ne, sensualità, ricercadella libertà interiore edell’equilibrio con ildionisiaco.

Ismael Ivo ha ana-lizzato, scavato, postodomande sin dall’ini-

zio della sua carriera didirettore del Festival di

Danza della Biennale di Venezia,concentrando l’interesse (...)

FFOONNDDEERRIIAAUUNNOO PPIIÙÙUUNNOO FFAATTRREE

di Romina Ciuffa

Chiedo a LucaPietropaoli, che suonatromba, flicorno, cor-netto e altre cose, comefa. Insomma, sono anni

che lo incontro e ogni volta lo vedo su unodiverso. Mi sono chiesta se non fosse un’inde-cisione la sua, finché non l’ho trovato fra imembri della Fonderia. Allora ho capito.

Fondere quello che c’è, gli strumenti e lesonorità, e fondersi. La Fonderia nasce neldicembre del 1994 come un progetto dedicatoall’improvvisazione e alla contaminazione disuoni e generi. Sono Emanuele Bultrini (chitar-re), Stefano Vicarelli (piano, synth), FedericoNespola (batteria) e lui, Luca Pietropaoli (trom-ba), affiancati dal basso di Claudio Mosconi.Hanno pubblicato il secondo album Re>>Enterdopo il disco d’esordio Fonderia. (...)

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di Maria Luisa Tagariello

Il mendicante è Marco Alemanno. È anchel’autore dell’opera, ed entra in scena qui.Incontra il direttore del teatro: «Vedi, - gli dice- siamo degli attori, non grandi cantanti, genteabituata a tutto: dire bugie, pisciare nei lavandi-ni, capisci? Il Teatro Comunale non fa per noi,molto meglio il Duse».

Comincia così laBeggar’s Opera diLucio Dalla.

Il mendicante spiegaal pubblico perché lospettacolo va in scenanel secondo teatro diBologna: si tratta di unacommedia satirica, unastoria popolare nata daarie popolari, «non è pergente impellicciata daComunale». E di operain senso stretto infattinon si tratta. (...)

STEFANOMASTRUZZI EDITORE

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ContributiLorenzo Bertini, Nicola Cirillo, Giosetta Ciuffa, Stefano Cuzzocrea, Sara Di Francesca, Francesca Di Macco, Matteo Grandi, Adriano Mazzoletti, Paolo Romano, Maria Luisa Tagariello, Ersilia Verlinghieri, Eugenio Vicedomini

Anno II n. 5 Aprile-Maggio 2008

Registrazione presso il Tribunale di Roman. 349 del 20 luglio 2007

MCCOY TYNER

DAVE ALLENPATTI SMITH

VASCO ROSSIJAZZJAZZ

&&&& bbbblllluuuueeeessssPPPPOOOOPPPPCCCCKKKKpop&rock

FEEDFEEDback

AAAAAA AAUUTTOORRII CCEERRCCAASSII Artisti al seguito di uomini sotto elezione, tanto una mano lava l’altra,

cantanti la cui vena creativa, se mai esistita, si è trasformata in un capillare; e un gran bisogno di menti brillanti che non siano in debito né con la politica né con la televisione

SPECIALE 1° MAGGIO

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P ochi sanno che il suo nome musulmano èSulaimon Saud, ma è risaputo che McCoy

è nato a Philadelphia e che a dicembre festegge-rà il suo ottantesimo compleanno. La primavolta che ascoltai una sua incisione dovevaessere il 1960 o giù di lì. Mi erano giunti dagliStati Uniti un paio di dischi appena pubblicati.

Il primo era del sestetto del trombonistaCurtis Fuller, un musicista che apprezzavomolto. Il secondo era stato inciso dal celebreJazztet di Art Farmer e Benny Golson, il sasso-fonista che aveva suonato fino a poco tempoprima con i Jazz Messengers di Art Blakey.

Debbo dire che quelle incisioni non mi diede-ro grandi emozioni. Jazz canonico nella linea diquanto si stava all’epoca facendo a Detroit ePhiladelphia, ma nulla di più. Oltre ai leader, inquei dischi suonavano musicisti ben conosciuti,la tromba Thad Jones, i batteristi LexHumphries e Dave Bailey e i bassisti JimmyGarrison e Addison Farmer, fratello gemello diArt che scomparve prematuramente nel 1963 a

soli trentacinque anni. L’unico nome che nonavevo mai sentito era quello del pianistaMcCoy Tyner. Ammetto che mi lasciò abba-stanza indifferente.

Suonava alla Bud Powell, ma quale distanzadal genio di uno dei creatori del bop! In uno deibrani inciso con il Jazztet, il celebre Avalon lan-ciato nel 1920 dal cantante blackface Al Jolson,protagonista del primo film sonoro, il suo asso-lo a tempo veloce, pur eseguito con una tecnicaassolutamente brillante, appariva ritmicamentescorretto ed inconcludente.

Fatto ancor più evidente se messo a confron-to con il successivo di Curtis Fuller assoluta-mente perfetto nella sua precisione. Perciòavevo in un certo senso archiviato il nome diquesto giovane pianista fra i tanti che quasigiornalmente apparivano nelle cronache deljazz. Grande fu la mia sorpresa quando pochimesi dopo giunsero, sempre dagli Stati Uniti,altri dischi pubblicati a nome di John Coltrane.

Stentavo a credere che il pianista di quelquartetto fosse lo stesso McCoy Tyner che miaveva in parte deluso nelle incisioni di pochesettimane prima. Con il sassofonista, lo stile delventiduenne McCoy Tyner si era completamen-te trasformato.

Non più le lunghe linee «alla Bud Powell»,ma raddoppi di ottave, combinazioni di accordinuovi, inusitati e di grande effetto sonoro.Coltrane aveva trovato il suo partner ideale el’ascendente che esercitava su McCoy fu deter-minante nella creazione di un numero assai altodi piccoli e grandi capolavori realizzati nei suc-cessivi cinque anni. Ma non solo. In quellaprima metà degli anni Sessanta, McCoy Tyner

fu, con Bill Evans, il pianista più ammirato edimitato in ogni parte del mondo. Quando poi nel1962 e 1963 McCoy incise per Impulse i primidischi a suo nome, fu la consacrazione.

Le sue versioni di Blue Monk, Round AboutMidnight e l’ellingtoniano Satin Doll dimostra-vano una inventiva melodica ed una chiarezza diidee assolutamente innovative. Parlando di luiJohn Coltrane si espresse in termini altamenteelogiativi: «McCoy possiede un suono persona-le. Grazie poi ai frammenti di modo che usa edella maniera in cui li dispone, questo suono èmolto più brillante di quanto ci si potrebbeaspettare dai tipi di accordi che suona».

Fino al 1978 i miei rapporti con McCoy silimitavano all’ascolto delle sue incisioni. Poimercoledì 19 luglio ebbi la possibilità di assi-stere ad un suo concerto a Villalago di Terninell’ambito di Umbria Jazz, la stessa sera in cuisuonò anche il trio di Bill Evans con LeeKonitz. Serata indimenticabile per la presenzadei due pianisti più importanti e significatividell’epoca. Avevo già incontrato Bill Evans alfestival di Pescara nove anni prima.

Anzi lo avevo conosciuto molto bene perchéfui io a presentare le prime edizioni di quelfestival. Ero assai curioso di incontrare McCoye conoscerlo personalmente. Lo trovai schivo,di poche parole, ma gentile e a volte ingenuo.Quell’edizione di Umbria Jazz era decisamentestraordinaria. Vi suonarono le Big Bands diDizzy Gillespie, Buddy Rich, Lionel Hampton,Carla Bley e i gruppi di Freddie Hubbard, ClarkTerry con Shelly Manne e diversi nostri musici-sti, Giovanni Tommaso, Gianni Basso conLarry Nocella, i Saxes Machine.

Insomma tre giorni di grande jazz. Ma le dueesibizioni di McCoy, la prima a Villalago, laseconda a Castiglion del Lago (Umbria Jazz eraancora itinerante), fu però una delusione. Avevonelle orecchie le straordinarie incisioni conColtrane, quelle in trio con Lex Humphries eSteve Davis, fra cui lo stupendo Nights ofBallads and Blues per Impulse e le altre perBlue Note, fra cui Asante, Song for My Lady,Atlantis, Trident.

A distanza di trent’anni non ricordo se la delu-sione fosse dovuta al confronto con Bill Evansche si era esibito accompagnato da Mark Johnsone da un sensazionale Philly Jo Jones e che aVillalago aveva suonato prima di McCoy, oppureal gruppo che aveva portato in tournée che com-prendeva, con l’esclusione di George Adams,musicisti di scarso rilievo, fra cui il percussioni-sta Guilherme Franco che non seppe inserirsi conintelligenza e sensibilità nell’atmosfera creatadalla musica di quel pianista che malgrado tuttodimostrava sempre la sua genialità. Negli anni successivi ebbi molte altre voltel’occasione di incontrarlo ed ascoltarlo incondizioni assolutamente migliori. Partecipòanche a qualche mia trasmissione.Soprattutto a Radiouno Jazz Serata cheancor oggi rimane uno dei programmi radio-fonici culto e non solo della radio italiana.

La sua disponibilità di esibirsi nel corso diuna trasmissione in diretta, la cui durata era ditre ore e che nasceva all’insegna della più com-pleta improvvisazione, è impressa nella miamemoria.

Adriano Mazzoletti

D ieci anni fa, quando ancora vivevamonel XX secolo, quando scegliere di per-

correre le vie del jazz rappresentava unasfida ambiziosa ed un salto nel vuoto, quan-do il mito americano era ancora mito ameri-cano dunque quasi inarrivabile, RobertaGambarini, talentuosa cantante torineseforte di una solida maturità artistica, hapreso il volo per gli States. Ed è a New Yorkche ha deciso di vivere.

Si tratterrà in Italia per pochi appunta-menti lavorativi: Lucca, Ravenna e Roma inchiusura, per un concerto presso la Casa delJazz ed una Master Class presso il SaintLouis College of Music.

Esita a rispondere alla domanda «ha nostal-gia del nostro Paese?». Sgrana gli occhi nonsapendo dove posare lo sguardo, prendetempo. Significa che di nostalgia non ne ha. Poisi spiega: «Ho nostalgia dei miei punti fissi, ed ipunti fissi per me sono gli affetti, non i luoghi.Non riuscirei a fare a meno della mia famiglia edelle amicizie che ho in Italia, ma con questepersone, la cui presenza è per me fondamenta-le, c’è un filo diretto continuo. È per questo chefare ritorno in Europa due, tre volte all’anno mibasta.»

È una donna affascinante, dai modi decisi,energici e delicati al tempo stesso. Così rac-conta dei primi passi mossi nella sua città,Torino.

«A Torino il jazz lo ricordo da sempre. Unavera e propria tradizione. Sarà che i miei genito-ri mi portavano ai concerti sin da quando eropiccola, rendendomi familiare questo meravi-glioso linguaggio, sarà che i jazzisti dell’area pie-montese sono sempre stati estremamente vali-di, e che a Torino è stato di casa il JVC JazzFestival (manifestazione musicale internaziona-le nata nel 1984 n.d.r.). La mia formazionemusicale è stata classica, con lo studio del cla-

rinetto e del canto classico. L’avvicinamento almondo del jazz è stato da autodidatta, affidato aseminari estivi ma in primis ai dischi. Quando hocompiuto diciotto anni mi sono spostata aMilano, dove ho vissuto e lavorato fino al trasfe-rimento negli Stati Uniti. Ed ho lavorato moltissi-mo, insegnando e facendo serate.»

È stato un percorso artistico difficile o, percircostanze più o meno casuali, più o menofortunate, un percorso in discesa?

Non c’è mai stato nulla di facile sulla via dellamia realizzazione. Il percorso è stato moltoduro, ma oggi dico che è così che doveva esse-re. Occorre faticare, lavorare sodo per ottenereuna buona formazione. Nel mio caso, non mistanco mai di ripetere che la scelta coraggiosaè stata a priori, nel momento in cui ho decisoche la mia strada era il canto jazz, è quindicome dire che quando sono arrivata in Americaero già allenata, corazzata.

Qualcuno a cui dire grazie?Sicuramente alla mia famiglia. I miei genitori

sono il motore di tutto, la fiducia nelle mie capa-cità non li ha mai abbandonati; vengo da unafamiglia operaia quindi il supporto materiale èmancato, ma quello morale, davvero indispen-sabile, non è mai venuto meno. Mai un tenten-namento, ma una forza che mi ha sostenuta ditipo quasi surreale.

Ci sono delle figure artistiche che per leihanno svolto il ruolo di un mentore…

Decisamente si. Benny Carter, il grande sas-sofonista. Oltre ad avere avuto un peso comemusicista per la mia formazione, è stato l’arti-sta e l’amico che ha organizzato il mio primoconcerto a Los Angeles. Anche per questo LosAngeles, in cui Benny Carter abitava, è una dellecittà che più amo… per una motivazione affetti-va. E James Moody, altro grande sassofonista.

A lui mi lega un progetto che mi vedrà a finemarzo a San Diego, in California.

Quali i progetti a breve e a lungo termine?Innumerevoli. Per citarne alcuni: in aprile mi

attende il Savannah Festival, in Georgia, in duocon Hank Jones con cui ho inciso You AreThere. A fine primavera mi attende la DizzyGillespie All Star Big Band diretta da Hampton.Dal punto di vista discografico, prossimamen-te registrerò in California un Songbook, unaraccolta, dedicata a Dave Brubeck.

Le clinics hanno sempre un’importanza rile-vante: permettono di valutare il pubblico chesi ha di fronte in maniera non superficiale,tanto più quando è composto da giovaniaspiranti cantanti. Oltre a mettersi in giocoper tenere alta la concentrazione. Il bilanciodi Roberta Gambarini?

Sono soddisfatta e molto ottimista. Registrosempre un alto livello di maturità e di attenzione,i ragazzi si mostrano sensibili e aperti. Nessunadifferenza tra un pubblico di giovani italiani, ame-ricani o giapponesi: le nuove generazioni sonodecisamente recettive.

È ciò che emerge costantemente anchedurante i seminari che tengo pressol’Università dell’Idaho. Entusiasmo. E questoentusiasmo è universale…

È minuta, a guardarla bene, ma non riescia vederla per quel che è. Mentre la osserviripensi a tutte le foto che hai visto scorreresul suo space, e dalle quali non riuscivi astaccare gli occhi. Era come ammirare Gilda-Rita Hayworth, la stessa classe di una splen-dida attrice anni Quaranta. Poi la lasci scivo-lare via, pensando che quelle stesse foto leriguarderai il prima possibile, ma stavoltacon una ricchezza nuova: averla ascoltatacantare, averle parlato, averla sfiorata.

Music In �� Aprile Maggio 2008

McCOY TYNER di Adriano Mazzoletti Avevo già incontrato Bill Evans al festival di Pescara nove anni prima.Anzi lo avevo conosciuto molto bene perché fui io a presentare le prime edizioni di quel festival. Ero assai curiosodi incontrare McCoy e conoscerlo personalmente. Lo trovai schivo, di poche parole, ma gentile e a volte ingenuo.

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a cura di ROSSELLA GAUDENZI

«Stentavo a credere che il pianista di quel quartetto fosse lo stesso McCoy Tyner che mi aveva in parte deluso nelle incisionidi poche settimane prima. Con il sassofonista, lo stile del ventiduenne McCoy Tyner si era completamente trasformato. Non piùle lunghe linee «alla Bud Powell», ma raddoppi di ottave, combinazioni di accordi nuovi, inusitati e di grande effetto sonoro.

Coltrane aveva trovato il suo partner ideale e l’ascendente che esercitava su McCoy fu determinante nella creazione di unnumero assai alto di piccoli e grandi capolavori realizzati nei successivi cinque anni. Ma non solo.»

a cura di Rossella Gaudenzi

«GAMBARINI IS A TRUE SUCCESSOR TO ELLAFITZGERALD, SARAH VAUGHAN, ANDCARMEN MCRAE.» KEVIN LOWENTHAL,BOSTON GLOBE

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D’ accordo, come redattore semplice diquesta rivista le faccio intanto un bel

complimento, alla faccia della partigianeria.Capita, di recensione in recensione, di dover(anzi, poter) ascoltare molta musica e alla finedecidere di che o di chi parlare, fare proposte allaredazione e così via. Mi viene, tra gli altri, datoun cd, la Berardi Jazz Connection, per trarne unprofilo e a chi, come Music In, non ha a disposi-zione 200 pagine di rivista sponsorizzate piaceconsigliare anziché sconsigliare.

Insieme mi viene fatto ascoltare l’ultimo lavo-ro di Claudio Filippini. E allora dico che il primonon m’è piaciuto e domando se posso ugualmen-te parlarne. Mi guardano stralunati come se aves-si chiesto una follia e mi rispondono un imbaraz-zato «certo che sì». Bene, nicchie di libertà esi-stono e quindi vado avanti.

Non allungo il brodo, ma constato rammarica-to che c’è libertà di opinione finchè i bigliettoni,quelli grossi, non circolano e con loro le tantepressioni e indirizzi politici che ne seguono pernecessità; visione disincantata e forse cinica, manon credo lontanissima dal vero.

Ma andiamo avanti e proponiamo quindi duerecensioni in una, l’abbiamo anticipato: Do it!della Berardi Jazz Connection e Space Trip diClaudio Filippini.

Il dato comune è che, per gli addetti ai lavo-ri, entrambi i nomi non suonano nuovi, stannocercando una loro fetta di mercato e di visibili-tà portando avanti progetti originali, uno spic-chio di ribalta suonando live come forsennatiper poter accedere ad una platea maggiore,come è nella fisiologia di chi il mestiere delmusicista vuol tentare. Mi sbaglierò, ma misembra che i primi abbiano con questo lavorocercato una più rapida scorciatoia, mentre ilsecondo continui ostinatamente a sperimentare,alle volte con qualche eccesso, ma anche con unrigore ed una coerenza ai limiti del caparbio enoi, sognatori e ancorati ai principi, gli speri-mentatori coerenti piacciono di più.

Però sarebbe bello che i nostri lettori abbianola voglia e la possibilità di ascoltarli tutti e due,perché sono davvero due modi diversi di inten-dere e di suonare la musica. Perché in entrambi i

casi, e questa è l’altra analogia, abbiamo a chefare con musicisti coi fiocchi, gente che ha stu-diato, che la musica la vive con passione e cheama strapazzarla perché si diverte come un bam-bino a suonare. Viva la faccia.

Epperò, la Berardi strizza l’occhio in modo

spesso stucchevole a un certo lounge bar, a sono-rità cui siamo stati abituati - ai vertici - dagli Us3ma che di originale hanno davvero molto poco.

Divertenti a un primo ascolto, al secondoannoiano, nel terzo - per mestiere - iniziamo anotare una profonda sciatteria degli arrangia-menti con fiati spesso e volentieri fatti suonareall’unisono come le orchestrine estive di piazza,poche idee ritmiche e, a fronte di grandi virtuosi-smi solistici, un’interplay del tutto assente consoli che, perdonate la franchezza, non hanno nécapo né coda e che, una volta finiti, ti domandicosa ti abbiano lasciato o cosa ti abbiano volutoraccontare. Ci sono anche cover come quella diChange dei Tears For Fears, e lì le cose quasi

peggiorano con un tentativo di groove che nondecolla mai e fa rimpiangere i «tiri», forse tuttiuguali, ma incredibilmente potenti degliIncognito che con questa musica sono diventatiricchi e famosi.

Sull’altro «piatto» del nostro lettore cd mettia-mo su Claudio Filippini, il giovane pianista chesta sempre più attirandosi i consensi di pubblicoe di critica. Noi seguiamo i più pedissequamen-te. Abbiamo già avuto modo di ascoltarlo live evedere un musicista di questa levatura che, anzi-ché mettersi a far turni di registrazione o fare ilmusicaio di professione, si butta in una speri-mentazione ricchissima di citazioni, di culturaafroamericana, di swing che è sempre al serviziodell’improvvisazione.

Le strutture sono solo apparentemente nasco-ste con stilemi e concezioni da free jazz, in real-tà l’album in trio con Luca Bulgarelli e MarcelloDi Leonardo è interplay pura, l’elettronica noncrea una frattura con il jazz della tradizione, mane diventa un arto artificiale eppure servente.Ascoltare la ultrarivisitata Body and Soul piazza-ta come prima traccia per capire di che stiamoparlando. Tanto di cappello. E all’ispirazione ealla fatica compositiva che deve averne compor-tato la registrazione.

Ecco, il modo furbetto da strizzatine d’occhioal pubblico dei non più giovanissimi che peròamano ballare i retaggi del «bbuddabbarr» cisembra il modo più diretto per svilire dei gran beitalenti come quelli dei ragazzi della Berardi JazzConnection e, con fare paternalistico, siamodispiaciuti per questo «figlio» intelligente mapigro, che siamo certi poter dare tanto di più. DiFilippini, invece, testardo ventiseienne pescaresecon la voglia di novare diciamo bene e invitiamocaldamente a comprare il cd, ascoltarlo conattenzione e poi soprattutto ascoltarlo dal vivoallorquando dà il meglio di sé.

Questa rivista ama consigliare più che sconsi-gliare, l’abbiamo detto in premessa. Ecco il con-siglio: ascoltare sempre più musica, possibil-mente dei giovani talenti, e saper distinguere lepatacche dalle pietre preziose.

Paolo Romano

SUGAR BLUE BANDDatemi un’armonica

DUE SUL PIATTO Berardi JazzConnection e Claudio FilippiniSenza peli sulla lingua

ROBERTO GATTOQUARTET Il ritornoalla mia musica

PAOLO RECCHIA E DADO MORONI È la storia della rea-lizzazione di un disco. Non di un disco qualsiasi, ma del primodisco della carriera di un giovane sassofonista promettente

Music In �� Aprile Maggio 2008

O tto brani otto.Nell’ordine:

One for Rick, Bluesfor Nik, Isfhan,November, Boule-vard Victor, CentralPark West, ‘Roundthe Room, A Nigh-tingale Sang inBerkeley Square.

Paolo Recchiasax alto e soprano.Dado Moroni piano-forte. Marco Loddoc o n t r a b b a s s o .Nicola Angeluccibatteria. Grazie tan-

te alla famiglia, agli amici musicisti e ai colle-ghi. Bravo Paolo. Ma procederemo per fla-shback. Perché questa è la storia della realizza-zione di un disco, e non di un disco qualsiasi,bensì del primo disco della carriera di un giova-ne sassofonista promettente.

È una storia fatta di forza di volontà e diaffetti, di stima e di difficoltà, di fortuna e dirischio, di fiducia in sé e nei musicisti che haiscelto... e di molto altro.

Le sue origini sono lontane ma non troppo,perché Paolo Recchia nasce a Fondi nel 1980,località non distante da Roma, ma culturalmen-te ad anni luce dalla capitale. Paolo il jazz loama da sempre. Il padre suona il clarinetto nellabanda del paese e a casa c’è un sax inutilizzato.Sin da piccolo, studia il sassofono ad intermit-tenza (l’altra passione che lo assorbe è il cal-cio), entra poi a sua volta nella banda e a quat-tordici anni inizia a frequentare ilConservatorio di Latina. È dura avvicinarsi al

jazz in un clima in cui la musica classica è lalegge e sei costretto a passarti sottobanco idischi con i compagni. I primi amori: CharlieParker, Massimo Urbani, Michael Brecker, mala vera folgorazione è stata ascoltare un concer-to di Rosario Giuliani.

Come nasce l’idea di comporre? Viene dal-l’ascolto, dall’esperienza. Inizialmente si vuolesolo suonare ed improvvisare. I pezzi più datatihanno anche tre anni, da quando esattamentePaolo ha iniziato a suonare con Nicola(Angelucci) e Marco (Loddo). L’ispirazione ètratta dal jazz tradizionale, di John Coltranecome dei grandi musicisti odierni. I pezzi ven-gono scritti, portati in sala e provati, ognunomette del suo. Il tutto con estrema naturalezza espontaneità. Affinché il risultato sia il più sem-plice possibile, fluido, comprensibile, senzaforzature.

Tutto ciò è possibile se tra te e gli altri musi-cisti c’è una totale sintonia, e tra questi tremusicisti si è creata grazie alla comune vena del«jazz dello swing», quello dei tempi d’oro. Lacultura vera del jazz. E da parte degli altri com-ponenti c’è una totale fiducia in Paolo, la perce-zione che il suo sia un talento vero.

Il giovane sassofonista si trasferisce a Romanon più di quattro anni fa. E c’è stata in questopreciso momento una figura rilevante per la suaformazione e cultura musicale: Aldo Bassi, conil quale ha suonato per la Big Band del SaintLouis. Si sono conosciuti nel 2000, hanno par-tecipato insieme alle jam session e in seguitoPaolo Recchia è stato invitato a prendere parteal suo quintetto (fratelli Jodice, Renzi,Rosciglione).

Il momento di Paolo è arrivato nell’estate2003, con una sostituzione di Gianni Oddi a

Villa Celimontana nell’Orchestra Jodice-Corvini. Lui lo chiama «il suo ingresso inNazionale» e da ora in poi è un susseguirsi diconcerti fruttuosi, tutti nell’area romana.

La scelta di Dado Moroni quale pianista perquesto primo, prezioso disco, è stata quasicasuale. Alessandro Bravo, come pianista stori-co del quartetto di Paolo, con il tempo ha avutoesigenze differenti dal resto del gruppo, le stra-de si sono divise e per qualche mese LucaMannutza ha preso il suo posto. Per problemiorganizzativi non ha potuto incidere il disco e aquesto punto Nicola ha suggerito Dado Moroni,dopo esserne rimasto affascinato durante unasostituzione di Roberto Gatto.

Nel giro di due mesi il disco è fatto.Inizialmente il prodotto è stato inviato

all’estero, in seconda battuta alle case discogra-fiche italiane. È stato accolto con entusiasmodalla Via Veneto Jazz, ottima ed importantissi-ma casa discografica nazionale, con un ottimocatalogo (Fresu, Rava, Salis, Girotto, Basso…).Distribuzione Emi Music, in uscita il 14 marzo.

Questa è una storia a lieto fine. Ma i racconti di Paolo sono fatti di rose e di

spine. Ha parlato delle difficoltà che un verojazzista incontra nel nostro Paese, di quanto siaingiusto veder faticare i tuoi colleghi che hannotalento da vendere, di come nei festival jazz ita-liani si stiano facendo strada musicisti che conquesto linguaggio musicale hanno poco a chefare.

Si illumina parlando dei viaggi fatti a NewYork ed in Francia. Si incupisce quando ammet-te che sì, si trasferirebbe all’estero. Con unatimida alzata di spalle.

Rossella GAUDENZI

SUGAR BLUE BANDDate a James Whiting un’armonica e

vi sembrerà di partire per un viaggio aiconfini del mondo. Ascoltatelo. È il Blues.E se ti scuote, il blues è in te, ti scorrenelle vene, è nascosto e sopito in angolireconditi, ma riaffiora e non può non fartiintendere la vita come un fiume in piena.Non a caso si dice che sia il Blues a sce-gliere il musicista e non viceversa: quianche lo strumento ci ha messo del suo,e l’armonica ha scelto il proprio adepto.Ultimo preambolo: state per ascoltareJames Whiting alias Sugar Blue, definito«il Charlie Parker e il Jimi Hendrix dell’ar-monica».

Il nostro armonicista nasce e crescead Harlem, New York, ascoltando BillieHoliday, James Brown e il be-pop deidischi jazz di famiglia. La madre cantan-te e ballerina gli dà un’impronta ben pre-cisa e James sa da sempre che vivrà dicreazione musicale e arte. Il suo è statoun percorso atipico: Dexter Gordon eLester Young i primi miti, suona connomi celebri quali Muddy Waters eBrownie McGhee appena diciottenne,approda in Europa a 26 anni dove colla-borerà fruttuosamente con i RollingStones. Al rientro negli States suona conWillie Dixon e nell’ 83 formerà la suaband. Collaborazioni con Frank Zappa,Bob Dylan, B.B. King, Art Blakey, StanGetz e molti, molti altri, mentre scopre diavere anche una voce straordinaria, adimpreziosire il traboccante talento.

Ma attenzione, linguaggio musicaletutt’altro che semplice il suo. Suono cheesce dall’armonica nuovo e diverso gra-zie a un’estenuante sperimentazione ericerca, e conoscenza di tutta la musica:jazz, funk, classica, folk, rock and roll.Musica buona, perché Sugar Blue distin-gue la qualità: «ci sono solo due tipi dimusica. Buona e cattiva».

Il suo concerto a Roma il 12 aprile.Con la volontà di smentire una consuetu-dine che non fa onore al nostro Paese,quella di relegare nell’ombra il grandeBlues.

DIMMI DI SI 12 APRILE

RR OO BB EE RR TT OO GG AA TT TT OOQQ UU AA RR TT EE TT cc oo nn

GGIIAANNLLUUCCAA PPEETTRREELLLLAA

Roberto Gatto ha la personalità el’imponenza della figura leader. E si

è messo alla testa di un quartetto nuovo,giovane e fresco degno della sua straor-dinaria esperienza trentennale, della suaesuberante creatività, della sua impec-cabile tecnica: Luca Mannutza al piano,Daniele Tittarelli al sax, Luca Bulgarelli alcontrabbasso. Il quartetto di Traps, suoultimo lavoro discografico, per capirsi.

Il disco, dodicesima fatica di Gatto inqualità di leader, è stato inciso alla finedel 2006 all’Auditorium della Casa delJazz di Roma e rappresenta, dopo esser-si dedicato al Miles Davis degli anniSessanta (A Tribute to Miles Davis 64-68) un «ritorno alla mia musica».

Brani di impronta jazzistica tradiziona-le, da spingersi fino agli anni Trenta, maanche pezzi che sembrano estrapolatida un film, frammisti ad atmosfere daNord Europa. In scena all’AuditoriumParco della Musica il 23 aprile, il grup-po si presenterà insieme ad un ospiteeccezionale, il trombonista Gianluca

Petrella. In cin-que sul palcoquindi, peresprimersi almeglio attraver-so questo ulti-mo, validissimolavoro del batte-rista jazz chepiù ci invidianoal mondo.

Ne recensiamo due: «Do It!» della Berardi Jazz Connection e «Space Trip» di Claudio Filippini. Il primo strizza l’occhio in modo stucchevole ai lounge bar, con fiati da orchestrine estive di piazza, poche idee ritmiche e solisenza né capo né coda (perdonate la franchezza). Il secondo è di un testardo ventiseienne pescarese con la voglia di novare

Una storia fatta di volontà ed affetti, un cd di otto brani, un lieto fine dal sapore nostalgico. Ma Paolo si incupisce quando ammette che sì, si trasferirebbe all’estero. Con una timida alzata di spalle

PPAAOOLLOO RREECCCCHHIIAA RROOSSEE EE SSPPIINNEE

JAZZJAZZ&&&& bbbblllluuuueeeessss

VIVA LA FACCIA

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Ogni anno le associazioni sindacali scelgonoun tema centrale per la manifestazione. Qualè quello di quest’anno?

Il tema sarà quello della Sicurezza sul Lavoro.Ogni anno, in occasione della ricorrenza, siorganizza una manifestazione nazionale in unacittà italiana diversa. Quest’anno abbiamo sceltoRavenna, in nome del ventennale dell’incidentedella Mac Navy che avvenne al largo della costa.Molti lavoratori e immigrati morirono per caren-ze di apparecchiature di sicurezza. Inaccettabileche ancora oggi si registri una media di 3-4 mortiogni giorno per incidenti sul lavoro.Il concertone è un evento dei e per i giovani.Quanto sono attivi i ragazzi di oggi nelmondo sindacale?

Molto, e hanno vivo il senso della solidarietàe della partecipazione malgrado spesso si dicail contrario. Il vero problema è che le loro con-dizioni sono precarie e non possono far valere ipropri diritti, in quanto troppo facilmente ricat-tabili dai loro superiori e privi di ogni tutela.Ma quando si apre un dialogo con i giovani c’èsempre una bella risposta, nonostante il lin-

guaggio sia diverso com’è normale in un con-fronto generazionale.E la musica può essere il linguaggio comune?

La musica è un linguaggio trasversale. Iragazzi che vengono in piazza urlano a squar-ciagola sulle voci degli artisti e quando, tra unpezzo e l’altro, i nostri conduttori fanno inter-venti di natura sociale e politica, il riscontro èimmediato. Partecipano esprimendo una cora-lità di sentimenti verso i valori importanti. Esempre in maniera pacifica e gioiosa. Quanto è difficile organizzare in Italia dellemanifestazioni sindacali senza incorrerenelle censure della Chiesa?

A noi delle censure interessa poco. Un annola Rai addirittura chiese di mandarci in ondacon due o tre minuti di differita. La nostrarisposta fu categorica. Il Primo Maggio è - edeve rimanere - una festa e la musica non haniente che possa essere censurato. Nel terzomillennio e dopo più di sessant’anni di repub-blica e di libertà democratiche, la loro richiestaci fece anche sorridere.Come riuscite a finanziare un evento di tali

dimensioni con un cartellone così prestigioso?Se dovessimo puntare solo sulle nostre risor-

se economiche senza dubbio non riusciremmoad offrire un tale spettacolo. Ci reggiamo suglisponsor e sui diritti che la Rai acquista ognianno. Inoltre, gli artisti chiedono un cachetridotto. Un po’ per sensibilità ai valori sottesialla manifestazione e un po’perché stare su unodei palchi più importanti dei nostri anni è unprestigio anche per loro.Da qualche anno è nato «Primomaggio tuttol’anno», il concorso che premia i miglioriartisti della penisola con l’opportunità difarli esibire sul palco di Piazza SanGiovanni.

Anche questa rassegna ci inorgoglisce molto.Funziona attraverso meccanismi puliti edesclusivamente meritocratici, al sicuro dalleclassiche raccomandazioni. Beh, non è cosa daniente. E con questa occasione stiamo avendomodo di scoprire che le realtà musicali emer-genti valide e interessanti sono davvero tante.L’Italia è un Paese vivo e la musica lo è anco-ra di più.

FF..AA..TT..AA..LLMMEENNTTEEUna rassegna spettacolare che animerà il

Maschio Angioino durante i weekend di Maggiodei Monumenti per celebrare le diverse fasidella storia e della storia artistica di Napoli: èl’essenza del F.A.T.A. Festival, un grande conte-nitore in grado di coniugare la ricognizionemeditata delle diverse epoche storiche con unacelebrazione gioiosa ed immediata degli ele-menti naturali. Il F.A.T.A. presenta spettacoliappartenenti a diversi ambiti artistici e si rivol-ge sia ai cittadini napoletani che ai turisti italia-ni e stranieri, mettendo la musica, linguaggiouniversale per eccellenza, al centro di moltidegli eventi proposti e dedicando ampio spazioal panorama musicale campano. Fra gli artistiche si esibiranno: Avion Travel, Offlaga DiscoPax, Le loup garou, A Toys Orchestra, JamesSenese Acustic Quartet. (V.G.)OGNI VENERDÌ, SABATO E DOMENICA DAL 2 AL 25 MAGGIO

RAFFAELE BONANNI, CISL:L’intervista al segretario generale

MARCO DI LUCCIO, CGIL:L’intervista al coordinatore organizzativo

PRIMO MAGGIOChicago 1886. Perché.

Music In �� Aprile Maggio 2008

Il Primo Maggio, festa dei lavoratori maanche festa della musica: i musicisti alloravengono festeggiati due volte in un colposolo. E sono proprio tra i lavoratori meno«felici» e meno completi: iniziative in aiutodel settore?

Il Primo Maggio è la festa del lavoro e il sin-dacato si mobilita per difendere i diritti di tutti ilavoratori. Musicisti compresi. Nel caso specifi-co, la Cisl si sta battendo contro la precarietà dellavoro anche nel settore dei musicisti, per daremaggiori tutele previdenziali e maggiore salariosul piano economico a chi è più flessibile.

Quest’anno, poi, il tema della manifestazionepolitica che faremo il mattino a Ravenna sarà lasicurezza sul lavoro. In Italia ci sono troppimorti sul lavoro e dobbiamo fare qualcosa tuttiper fermare questo massacro continuo. Credoche sia un tema molto sentito anche tra i giova-ni musicisti italiani. Nonostante la musica sia il massimo momen-to di elevazione spirituale umana, è luogocomune credere che chi ne faccia sia undisoccupato, anche fannullone. Fare musicaper non lavorare. Dunque, i musicisti: scio-perare o scioperati?

È un’analisi che non condivido. Ho avuto sem-pre rispetto per chi fa musica, che è impegno, stu-dio, pazienza. Ma quali fannulloni? Magari tuttii giovani studiassero uno strumento musicale! Laconsidero una delle espressioni artistiche piùbelle e utili perché può raggiungere tutti: giova-ni, anziani, ricchi, poveri. La musica unisce. Se quello del musicista non è considerato unmestiere, il musicista non è un lavoratore.Anche se lo fosse, non avrebbe risorse finan-ziarie per mantenersi e ha bisogno di unsecondo lavoro (che, comunque, non è faciletrovare). In che modo possono essere incenti-vati i musicisti-lavoratori?

La musica può essere un mestiere a tempo pienoe può essere solo un hobby. Perché diventi unaprofessione c’è bisogno di talento, passione,caparbietà. Non si diventa musicisti per caso.Purtroppo in Italia si fa troppo poco per i musi-cisti. La scuola fa troppo poco. L’educazionemusicale andrebbe incentivata e sostenuta anchedopo la scuola media. La cultura musicaleandrebbe meglio diffusa perché rappresental’anima di un Paese. Nel caso del Primo Maggio, la musica è stru-mento per aggregare o l’insoddisfazionelaburistica è forza a se stante? In altri termi-ni: perché utilizzare la musica per smuoverei giovani e radunarli in una piazza, quandopoi non si riesce a tirarli fuori dal problemadi base, la disoccupazione e la frustrazionelavorativa italiana?

La musica è un’espressione artistica, ma èanche momento di aggregazione popolare esociale. Per questo, i sindacati hanno ideato ilconcerto, un’idea importante e di grande succes-so. La musica è uno straordinario veicolo dicomunicazione e di coesione tra le generazioni ele classi sociali: non esiste uno strumento piùlibero e democratico. Altra cosa è comprenderee risolvere il disagio giovanile, che il sindacatoaffronta da sempre con le sue proposte concrete,la militanza, le associazioni diffuse nel territo-rio. Ci vuole una politica a favore dell’occupa-zione dei giovani, con tutele maggiori e un sala-rio adeguato. Questa è per la Cisl una priorità.Ogni anno tante polemiche sul PrimoMaggio: non si possono evitare?

Purtroppo a volta capita che qualcuno bevauna birra di troppo. Come è accaduto l’annoscorso. Ma i giovani, si sa, a volte esagerano. Daquest’anno faremo firmare agli artisti un codiceetico che dovranno rispettare, proprio per evita-re cadute di stile ed esternazioni personali.

È il caso di dire che bisogna «cambiare musi-ca». Da quale genere partirebbe la Cisl?Rock per aggressività e forza, Jazz perimprovvisazione o Classica per serenità?

Per quanto mi riguarda preferisco da sempreil jazz. Ma per la Cisl, essendo un sindacatosostenitore della concertazione, credo che siadatti meglio l’armonia e la grande completezzaartistica della sinfonia classica.

Non a caso, la sede della Cisl era la vecchiavilla di Pietro Mascagni. Abbiamo persino ritro-vato un manoscritto inedito, durante i lavori direstauro della nostra sede, Il Nerone, un’operascritta da Mascagni durante gli anni del fasci-smo. La musica ha partito?

No. La musica non ha partiti. La musica è ditutti, senza distinzioni ideologiche.Lei è amico di Danilo Rea e di StefanoBollani, grandi classici del jazz. RaffaeleBonanni e la musica: che filo c’è?

Amici è una parola grossa. Conosco siaDanilo Rea, sia Stefano Bollani. Li ammiromolto e vado quando posso ai loro concerti.Suono la chitarra e l’organo da quando eroragazzo e frequento quando ho tempo i localistorici a Roma e Milano, dove si esibiscono igrandi del jazz italiano ed internazionale.

La musica ha un ruolo importante nella miavita. Quasi quanto la difesa dei lavoratori ed ilsindacato.

RECdi Corinna Nicolini

Chicago, maggio 1886: un gruppo dilavoratori in sciopero per la riduzionedell’orario lavorativo viene affrontatoviolentemente dalla polizia. Il bilancio:11 morti e centinaia di feriti.

Difendevano i loro diritti. Hannoperso il diritto inviolabile alla vita. Sì,perché quando una voce diventa uncoro le mani sulle orecchie non riesco-no a coprirla e, come una musica, tientra nella mente e nel corpo.

Se le gambe non battono il tempo,allora tremano. Il primo maggio diven-ta la Festa dei Lavoratori. Perché nes-suno dimentichi.

Mentre in Europa la festività è for-malizzata tre anni più tardi alla riunio-ne della Seconda Internazionale diParigi, in Italia ci sono le resistenze delpresidente del Consiglio, FrancescoCrispi. Le istituzioni ordinano di mette-re lo stereo su mute. Ma il fermento èormai attivo anche nel nostro Paese,quella musica dilaga tra i nostri uomi-ni. Così il silenziatore non funziona e innumerosi centri si svolgono manifesta-zioni. I capitalisti sono costretti adaprire gli occhi. E le orecchie.

Nel corso degli anni, accanto allalotta per la riduzione dell’orario lavora-tivo, si lotta per le condizioni di miseriadelle masse lavoratrici, per la rivendi-cazione del suffragio universale e con-tro la partecipazione del Paese allaguerra mondiale.

Finché non arriva il ventennio fasci-sta: stereo stoppato. Mussolini proibi-sce la celebrazione del primo maggio ela festa viene spostata al 21 aprile,giorno del «Natale di Roma». Sul calen-dario il 1 maggio non è più rosso e ilrosso vivo in quel giorno è del garofanoall’occhiello, del vino bevuto in allegrianelle osterie e delle scritte sui muriche urlano l’opposizione al regime.

All’indomani della Liberazione, ilprimo maggio del 1945, i partigiani e ilavoratori, i giovani di ieri e di oggi siritrovano insieme nelle piazze d’Italia.La musica è tornata, ma qualcosaancora non va.

Solo due anni dopo, sempre il primomaggio, a Portella della Ginestra, gliuomini del bandito Giuliano sparanosulla folla che assiste al comizio. Lascissione sindacale è in fermento.

Sarà solo nel 1970 che i lavoratoridi tutte le diverse tendenze politichetorneranno a onorare insieme la lorofesta e canteranno in un unico coro.

Da allora la scritta Rec non ha piùsmesso di lampeggiare.

RAFFAELE BONANNI:LIBERI DI AGGREGARSI

MMAARRCCOO DDII LLUUCCCCIIOO:: GGIIOOVVAANNII,,PPRREECCAARRII,, RRIICCAATTTTAABBIILLII

RR EE CCCAMBIARE MUSICA IL PRIMO MAGGIOP

rimo Maggio: grande festa in musica, che anno dopo anno riesce a far battere i cuori dichi sa ascoltare in libertà. Liberi pure da biglietti esosi, palazzetti della musica e compor-

tamenti compíti. Centro di Roma, ma anche centro di tutte le piazze italiane, le piazze più bellee quella di San Giovanni circondata da bellezze storiche e artistiche. Il connubio tra lavoro emusica è più stretto il primo giorno di maggio da quando si festeggiano i lavoratori e si ricorda-no le origini di lotta per i diritti dell’uomo - ma ascoltando musica com’è giusto che sia: gratis.

Music In ha chiesto a Stefano Bonanni, segretario generale della Cisl, e a Marco Di Luccio,Coordinatore del Dipartimento Organizzazione della Cgil, un’opinione in merito al Primo Maggio,che è sí giorno di festa e di spettacolo ma anche momento sindacale importante, ricordandoche il tempo libero è un privilegio acquisito solo di recente che prima non tutti potevano per-mettersi; e la musica un linguaggio universalmente compreso ma che è, in alcuni Paesi, vieta-to. Lo spettacolo cominci.

CAMBIARE MUSICA IL PRIMO MAGGIO

INTERVISTA AL SEGRETARIO GENERALE DELLA CISL

INTERVISTA AL COORDINATORE DEL DIPARTIMENTO ORGANIZZAZIONE DELLA CGILA CURA DI CORINNA NICOLINI

A CURA DI ROMINA E GIOSETTA CIUFFA

a cura di CORINNA NICOLINI

PPPPRRRRIIIIMMMMOOOOMAGGIO

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VASCO ROSSI Banal-geniale.esploratore

CAPAREZZA Luna-Romae ritorno

SERGIO CAMMARIERE Nient’altroche un Cantautore piccolino

Music In �� Aprile Maggio 2008

suo spirito è tutto rinchiuso nel suo nome: normalità e genialità mischiate insieme in un mixesplosivo di rock ed emozioni. Uno dei cognomi più banali d’Italia si unisce al nome di un

grande esploratore come Vasco De Gama. L’intuizione, che a onor di cronaca è di Jovanotti, rias-sume bene questo fenomeno che dura ormai da trent’anni e che ha sfornato più di ventitre dischi.

Partito da un paesino dell’Emilia Romagna, Zocca (da leggere rigorosamente con la zeta morbi-da), ha scalato tutti i pregiudizi di un genere musicale che veniva associato ad uno stile di vita dascapestrati tutto droghe e sesso libero. Uno che chiama il suo primo gruppo «Killers» un po’ se lacerca questa reazione. Quando nel 1982 si tratta di andare a Sanremo non ci va con Grazie dei fiorima sfoggia un motto alquanto minaccioso: Vado al massimo. Se ne va dal palco col microfono intasca, ancora collegato all’amplificatore che cade fragorosamente. E fragorosamente sale il mitodel Blasco. La gente, quella viva, quella fuori dal sarcofago del Festival, se ne accorge e lo premiafacendo rimanere il suo disco in classifica per ben sedici settimane.

L’anno dopo è ancora Sanremo e ancora un titolo provocatorio, Vita spericolata. Penultima nellaclassifica degli inamidati spacca in quella delle vendite. È lo stesso anno solare di Bollicine, innoalla cocaina che vince il Festivalbar. Salire molto in alto a volte può significare anche cadere piùfacilmente. E così la droga, che in qualche modo lo aveva aiutato a costruire intorno a sé un perso-naggio di bello e dannato, lo tradisce nel fiore del suo successo. Il 20 aprile del 1984 Vasco vienearrestato per possesso e spaccio di sostanze stupefacenti. Da questa seconda accusa viene scagio-nato ma la prima gli procura due anni e otto mesi con la condizionale durante i quali l’artista si chiu-de in se stesso cercando di recuperare il suo mondo reale e gli amici veri.

Vasco Rossi risorge e cade mille altre volte. La sua gente lo aspetta sempre. La sua gente lo per-dona sempre. Sono tutti innamorati di lui i fans, uomini o donne che siano, e lo giudicano con gliocchi parziali dell’amore. Avete mai ascoltato Gabri? Lui apre la bocca e il pubblico si elettrizza.Il carisma non si studia né si acquista. Allarga le braccia e intona appena una vocale un po’ allun-gata, «eeehhhh», ed è sufficiente. Quante note deve infilare Giorgia per strappare un applauso?Quanti balletti deve sudare Meneguzzi per ripagare le sue teen-agers? Al Blasco basta salire sul

palco per scaldare i suoi stadi. Perché la sua storia, dopo il buio della prigio-

ne, è fatta di San Siri e Olimpici pieni. È fattadi Mtv in ginocchio, in attesa che lui concedauna misera intervista. Buoni o cattivi è l’emble-ma di ciò che Vasco può. L’album è brutto,banale, con testi al limite dell’imbarazzante,eppure vende e l’Italia lo canta a squarciagolanei suoi live. Live in cui sudano appiccicati tradi loro ragazzine e signore di quarant’anni, pro-fessionisti seri e punkabbestia.

Questo immenso sex-appeal, che parte dallenote e dalle chitarre elettriche e trascende anche l’aspetto fisico ormai toccato visibilmente dagli annie dagli abusi, stordisce anche altri artisti. Roman Polanski accetta di girare il video de’ Gli angeli,nel 1996, scritta per la morte del caro amico Maurizio Lolli e Francesco De Gregori gli lascia «indos-sare» la sua Generale, che Rossi rockeggia e vocalizza a sua immagine e somiglianza.

Ecco, quella di un Dio moderno è una metafora calzante. Non si discute che possa piacere omeno; è una fede che o hai o non hai. Chi è fuori da quest’energia nota la voce sempre calante e icapelli radi di un uomo che a sessant’anni si veste ancora come un ragazzino. Chi è dentro, però,vede luce e sente note che prendono lo stomaco. Il 29 e il 30 maggio allo Stadio Olimpico di Romaci sarà un altro raduno, un altro momento di adorazione collettiva. Sarà l’occasione di constataresulla propria pelle cosa significhi avere Vasco Rossi a pochi metri di distanza. Abbiamo iniziatodicendo che è un uomo speciale, che è anche un uomo banale.

È così. Vasco Rossi è un eroe della gente comune. Forse perché è visibilmente un uomo con tantilimiti e tanti errori sulle spalle che ha la capacità incredibile di attirare tutti i cuori su di sé.

S fiora piano i suoi tasti bianchi e neri.Canta piano il suo amore elegante.

Piano sorride. Piano si abbandona.E allora, scuote forte le sue ciocche scure.

Urla forte il suo amore dilagante. Strizza forte isuoi occhi mentre si accende. SergioCammariere e il suo pianoforte ripartono in tourper l’Italia, nel suo bagaglio la poesia, la sua equelle di Kunstler e di Panella, il jazz della suaformazione, i ritmi tropicali e le visioni brasilia-ne della sua contaminazione.

Una voce matura e un’emotività quasi adole-scenziale incantano il pubblico che ha imparatoad amarlo nella sua semplicità. Sì, perché lui ècosì che si sente: un «Cantautore Piccolino»,che con timore reverenziale si muove all’ombradi De Andrè, Sergio Endrigo e Gino Paoli.Eppure i riconoscimenti non gli sono mancati.

La critica anticipò il grande pubblico e il2002 fu un anno di targhe e statuette: Premio«L’isola che non c’era» come miglior albumd’esordio, Premio «Carosone», Premio «DeAndrè» come miglior artista dell’anno, TargaTenco come migliore opera prima con Dallapace del mare lontano.

Nel 2003 si emoziona davanti alla plateadell’Ariston di Sanremo con Tutto quello cheun uomo. E allora la gente corre a cercarlo neinegozi e gli regala un doppio disco di platino.

Intanto Sergio continua ad andarsene in girocon il suo pianoforte e stringe amicizie e colla-borazioni con colleghi come Samuele Bersani,Peppe Voltarelli e Ornella Vanoni.

Nel 2004 esce Sul sentiero e nel 2006 è già ildisco della maturità: Il pane, il vino e la visioneè come una selezione dei migliori jazzisti delpanorama internazionale: Fabrizio Bosso,Arthur Maya, Jorginho Gomez, Gilberto Gil,Stefano Di Battista e Roberto Gatto.

Un altro grande amore di Sergio è il cinema efa dono delle sue note al film di MimmoCalopresti, L’abbuffata, ed ecco un’altra sta-tuetta: il Festival del Cinema Mediterraneo diMontpellier lo premia come miglior colonnasonora. Siamo giunti così ai nostri giorni, che lovedono ancora protagonista.

Dopo i lunghi corteggiamenti di PippoBaudo, Sergio torna a Sanremo con L’amorenon si spiega, e nel ricordare il cinquecentena-rio della bossa nova ci porta a casa niente popòdi meno che Gal Costa.

Cantautore piccolino è la sua prima raccolta.La ascolto e mi rinfresco la memoria. Sonopronta per il 6 maggio, sussurrerò le sue canzo-ni dalla mia poltrona dell’Auditorium Parcodella Musica.

Corinna Nicolini

TRIP MORCHEEBAL’ era del trip hop non è ancora finita. Non c’è nessun anacronismo nel suono dei Morcheeba:

quello che sembrava essere un progetto legato ai ritmi in voga a Londra alla metà degli anniNovanta è stato, invece, un veicolo per trainare uno stile oltre quel decennio con dignità e inventi-va. Suoneranno il 18 giugno, presso l’Auditorium Parco della Musica di Roma, per presentare alpubblico il loro nuovo album Dive Deep.

Il disco è il secondo realizzato dopo la scissione dalla caratterizzante voce di Skye Edwards, cheha accompagnato la band dagli esordi fino al successo ottenuto a livello planetario. Nel preceden-te The Antidote, i fratelli Paul e Ross Godfrey si erano affidati alle tonalità di Daisy Martey, cheaveva cantato tutti i brani contenuti nell’album. Ma il successivo tourpromozionale aveva già apportato alcune modifiche alla line-up: adaccompagnarli al microfono durante i concerti c’era infatti lacantautrice e sassofonista australiana Jody Sternberg.

Tutto ciò è ancora preludio dell’assetto nuovo e dinamicoin cui si rintraccia l’attuale percorso della band. Dive Deepè infatti un disco duttile e malleabile come l’apporto voca-le impiegatovi: per comporlo Paul e Ross si sono accom-pagnati a numerose collaborazioni, come quella conJudie Tzuke per Enjoy The Ride, primo singolo estratto,uscito lo scorso 28 gennaio.

Considerata la ricchezza dei talenti che collaboranonell’incisione, pare costituire ancora un mistero saperechi canterà i brani durante il tour dei Morcheeba, maresta salvo che le loro canzoni hanno traghettato un suonoda un oceano all’altro, portando il trip hop fuori dalle rotteconsentite e sdoganandolo come uno stile capace di resiste-re alla transitorietà delle mode.

Stefano Cuzzocrea

RETTIFICARETTIFICA La foto di David Sylvian di Music In n. 3 era di Davide Susa, l’articolo su David Sylvian era di Eugenio Vicedomini.

PIANOCAMMARIERE

Corinna Nicolini

IL

CAOS COME CAPAREZZA

a cura di CORINNA NICOLINI

PPPPOOOOPPPPCCCCKKKKpop&rock

V iene dalla luna e torna a Roma: Michele Salvemini in arte Caparezza e un concertoatteso e ironico. L’Alpheus, l’11 aprile, ospita lo spettacolo del rapper più anomalo

della scena italiana. L’artista di Molfetta presenterà il suo nuovo album, Le dimensioni del miocaos, in uscita l’11 aprile, preceduto dal libro Saghe mentali, disponibile dal 3 dello stessomese, in cui la carriera del rapper più anomalo della musica italiana è descritta in quattrocapitoli, uno per ogni disco. La sua avventura parte nel ‘97 quando, dopo aver sfornato ilsingolo Donne in minigonne, si accoda al carrozzone sanremese presentando E la notte se neva sul palco dell’Ariston; all’epoca si fa chiamare MikiMix e raccoglie timidi consensi. Mal’ambito hip hop lo detesta, e anche Michele infondo trova nelle critiche uno spunto su cuiricostruirsi: saranno i sui riccioli crespi e il dialetto dei luoghi natii ad ispirare la parodia dise stesso ribattezzandosi Caparezza, ovvero «testa riccia» in dialetto pugliese. E non è solola chioma ad essere cresciuta: il nuovo Salvemini diviene ricercatore di sensi e controsensi.Caparezza?!, album d’esordio della nuova genesi inciso nel 2000, si infarcisce di richiami alreggae e al drum&bass ed è solo l’inizio di un’ascesa ai vertici delle classifiche. Tre anni dopoè il tempo di In supposta veritas. E anziché limitarsi a bissare il discreto successo dell’albumprecedente, Caparezza sfonda: il suo Fuori dal tunnel diventa tormentone. Ma se il successopuò dare a volte alla testa, il controsenso in questo caso genera nuove metafore: HabemusCapa, album del 2006, è il «disco postumo di un’artista ancora in vita». I detrattori restano innetta minoranza, critica e pubblico hanno già dato il verdetto: un successone. Ora Caparezzatorna con un disco che definisce un «fonoromanzo» di cui ogni canzone è un singolo capi-tolo. Sarcasmo e ironia che si condensano in performance fatte di rock, rap e toni teatrali.

Stefano Cuzzocrea

VVAASSCCOO RROOSSSSIIUUNN DDIIOO NNOORRMMAALLEE

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A ppuntamento sabato 12 aprile all’Auditorium con i Marlene Kuntz, band tra le piùimportanti della scena alternativa italiana degli ultimi quindici anni, impegna-

ta in queste settimane per i teatri d’Italia nell’Uno Live in Love Tour a presentareil loro ultimo disco Uno. Versione inedita e suggestiva quella teatrale, per unevento che si annuncia, secondo le parole del leader Cristiano Godano, «riccodi poetica e di tensione», e che ha già fatto registrare il pieno nelle altre date.

La dimensione nuda e unplugged è anche quella che meglio si adatta allaresa stilistica di Uno, settimo capitolo di una serie che ha visto la band cunee-se (nel frattempo allargata a cinque elementi, con l’inserimento delviolinista/tastierista Davide Arneodo e del bassista Luca Saporiti, accanto alle altredue presenze storiche di Luca Bergia, Riccardo Tesio), attraversare sonorità differenti,quelle noise degli esordi di Catartica sino alle deviazioni livide e metalliche di Houcciso paranoia, passando per collaborazioni importanti come quelle con Skin,seguendo sempre un percorso rigoroso di ricerca emotiva e artistica.

Oggi, con Godano sulla soglia dei quaranta, l’inquietudine sonico-esistenziale che per-meava ancora il precedente Bianco Sporco dei Marlene sembra approdare a una visionepiù serena e pulita delle cose e a declinazioni più autoriali, intimiste ed eteree, che d’al-tronde sono sempre state ben vive nelle loro corde. Ascoltare, tra tutte, la liturgia quasi fer-rettiana di Musa («È una questione di qualità», sembra suggerire Godano nei primi versi),

la fluttuante e ipnotica title track Uno, o la bellissima soffusa Ballata dell’ignavo. Non a caso l’album vede la collaborazione di Paolo Conte in Musa (affinità diterre), e di Greg Cohen, contrabbasso di Tom Waits, oltre al contributo letterario discrittori come Stefano Benni, Carlo Lucarelli, Tiziano Scarpa, Enrico Brizzi,Emidio Clementi. Uno sarà al centro della prima parte del concerto, mentre laseconda verrà dedicata alla rilettura acustica dei pezzi del passato, da Nuotando

nell’Aria a Lieve e Come stavamo ieri, e vedrà inoltre omaggi a Gaber (Libertà),Diaframma (Siberia) e Pfm (Impressioni di settembre).

AUDITORIUM - 12 APRILE

Inbilico fra antico e moderno, sogno e realtà, pace e tormento, lascrittrice, pittrice, cantante e musicista americana si presenta come

uno dei talenti più curiosi della scena indipendente degli ultimi tempi. Unfolk fuori dal tempo, la magia di una voce angelica e una chitarra carez-zevole come l’acqua di un ruscello che segue il suo corso naturale. Se sidovesse definire con una sola parola lo stile di Marissa Nadler si potreb-be pensare proprio all’acqua, elemento femminile per eccellenza, cosìpuro e limpido quanto imprevedibile e potente.

Un volto angelico incorniciato dai lunghi capelli neri, la pelle diafanae i tratti delicati: la cantautrice newyorkese sembra giungere da un’epocaremota per sussurrarci le storie di un mondo sospeso, attraverso sentierisperduti e nenie sognanti. Debutta a soli 23 anni con Ballads Of LivingAnd Dying (2004), una raccolta di Canzoni d’amore e morte arricchita didue omaggi letterari a Edgar Allan Poe e Pablo Neruda di cui rivisita HayTantos Muertos in chiave fado con un suggestivo accompagnamento d’or-gano. Dopo un solo anno di distanza esce The Saga Of Mayflower May,ovvero altre undici ballate eteree e incantevoli con testi gotici e spettraliche parlano di personaggi fantastici come Mary delle luci gialle, Calicodelle montagne, Shannadeeah che muore in guerra e torna in una bara,Mr. John Lee e la sua rosa vellutata, Lily e il suo tragico destino.

Risale a pochi mesi fa l’uscita del suo ultimo lavoro, Songs III: Bird OnThe Water, pubblicato dall’etichetta inglese Peacefrog Records e prodot-to da Greg Weeks. L’album, che si avvale anche della collaborazione diJesse Sparhawk (mandolino, arpa) e Otto Hauser (percussioni) è la con-ferma che la deliziosa ed affascinante Nadler è cresciuta sia come musi-

cista che cantante. Restano intattii tratti prettamente caratteristicidel suo stile: la forma della bal-lad, la forza evocativa e quelmagico sentimento di tristezzache pervade negli scenari dellesue storie meravigliose.

«Tutto quello che posso dire è di amare molto le canzoni tristi»,ammette infatti Marissa, «quelle che ti spezzano il cuore. Mi sento comese non potessi mai avere l’urgenza espressiva di scrivere una canzoneallegra. Si può dire che non abbia familiarità con la felicità, perché subi-sco l’influenza di tutti i demoni di questo mondo... Adoro l’inverno e misento «fredda» nel cuore. Mi piacciono i paesaggi spogli e surreali, eanche i miei dipinti sembrano solitari e invernali, come nelle sculture diGiacometti o negli acquerelli di Turner. L’estetica della tristezza è il mioterreno prediletto».

Paragonabile a Joanna Newsom, Elizabeth Anka Vajagic e JosephineFoster per l’unicità di uno stile teso fra folk tradizionale, classicismo ecantautorato indipendente, a Hope Sandoval dei Mazzy Star e Cat Powerper l’utilizzo della voce e a Leonard Cohen e Joni Mitchell per il saporeminimale e raffinato della scrittura, Marissa Nadler ci accompagna in unviaggio che profuma di nuvole e malinconia, in una sorta di «giardinosegreto» dove è difficile non trovarvi armonia e bellezza. INIT - 8 APRILE

((......)) Questo è laFonderia. E rimusicazio-ne di film muti. Doveeccelle: nel 2001 il pre-mio per le musiche origi-nali a Bolzano, alFestivalRimusicazioni,per Charcuterie mecani-que dei fratelli Lumiereed Emak-Bakia di ManRay, e nel 2003 ad Aostail primo premio nellaSezione Giovani di

Strade del Cinema-Festival Internazionale del Cinema MutoMusicato dal Vivo, per My Wife’s Relations di Buster Keaton (poinel cd Notes on Frame - Strade Del Cinema, 2003). Nel 2004 ilprimo posto nelle selezioni regionali di Arezzo Wave e la parteci-pazione alla compilation ufficiale e al Festival. Qui presenta ilprimo videoclip, quello del brano Piazza Vittorio, che viene sele-zionato per il concorso Capalbio Cinema e riceve il Premio delPubblico nella sezione videoclip, a luglio 2005.Fonderia: cosa fonde?

Invenzioni, reminiscenze, personalità diverse, metalli preziosi.Come nasce il gruppo e come si evolvono le scelte musicali?

Articolo 1: «La Fonderia nasce nel 1994 come gruppo deditoall’improvvisazione», attraverso lunghe sessioni di musica libera eun lavoro di sintesi.Chi sono i componenti?Emanuele: l’organizzatore, il pacificatore, il multiculturale;Stefano: il tenebroso, l’imprevedibile, il competente; Federico:l’ottimista cieco, l’irrazionale; Claudio: il fricchettone, il combat-tivo. Ed io alla tromba.Tromba, filicorno, cornetto, e poi guitar synth, oud, zither, sha-ker, moog voyager, clavinet, theremin e molti altri: strumentida cercare su Wikipedia. Cos’ha ognuno di essi che Miles Davisnon sapeva?

Nulla. Miles sapeva. Sapeva anche che la strada della sperimen-

tazione, della commistione dei generi è quella che non porta mai adun vicolo cieco. Molti si sono ispirati a lui. E noi non siamo dameno.Mare aperto o fiume?

Se il fiume lo rendi navigabile, puoi viverli entrambi.Nel primo disco Tevere, in questo Trastevere: come dire, sieteapprodati finalmente? O vi siete arenati?

Sono solo due fermate. Next stop: Monti Tiburtini, left side exit.Fiume Tevere, ma anche Aniene, che è un altro vostro pezzo. Poic’è «fili-kudi»: quale mare guarda la Fonderia?

Le distese oceaniche mi affascinano e mi spaventano allo stessotempo. Il solo cercare di pensarle nella loro interezza provoca fru-strazione e sgomento. Ma sapere che, da un momento all’altro, unanave possa attraccare in porto, carica di spezie esotiche e raccon-ti avventurosi, nutre la fantasia.Ascoltarvi e non stancarsi mai. C’è qualcosa di estremamenteipnotico nella vostra musica: cosa?

La semplicità. Forse a qualcuno la nostra musica non potrà sem-brare tale: mescolanza tra jazz, elettronica, funk, rock. Sulla cartasembra un qualcosa di cerebralmente complesso. A mio avviso nonlo è. Le strutture armoniche, le linee tematiche, i supporti ritmici, isuoni utilizzati: tutto rimanda a una musica fruibile in molte situa-zioni, senza complicare per stupire o di urlare per farsi sentire. Fate un genere che è commistione e che molti fanno senz’arte,suonate e conoscete selettivamente ciò che gli altri creano conprogrammi per computer. Si avverte una costante e profondacultura musicale e armonica, che fa tenere sempre una manosul cuore e l’altra sulla cerebralità. Da impazzire. Che studi cisono dietro?

C’è ascolto. In profondità e in estensione. L’osmosi si mette inatto e i centri della creatività vengono irrigati. Per me un grandepunto di riferimento è Jon Hassell, che riesce ad unire il rigore delminimalismo strumentale alle invenzioni dei motivi etnici. Ne sca-turiscono le «musiche possibili» di quello che lui definisce il «quar-to mondo»: la somma del primo e del terzo.Commistione vuol dire: a) non saper sceglierne uno (DubbioII); b) forza d’eclettismo (Magma); o c) padronanza(Leonardo)?

d) sedersi e guardare lo stretto di mare tra due continenti(Istanbul, sul prossimo disco)Gestalt (più generi che, sommati, danno vita a un genere diver-so) o mera somma delle parti?

La natura difficilmente si comporta in modo lineare, le cose nonsi sommano come libri impilati. E le attività umane non fanno difet-to a questo principio. Assolutamente Gestalt.Musica da film, anche sonorizzazioni di muti, e rivisitazioni dicolonne sonore quali Star Wars o Pinocchio. Scegli un film.

Una commedia divertente con implicazioni esistenziali.Sideways di Alexander Payne, o Play it again, Sam di Woody Allen.O Alfie, il remake del 2004 con Jude Law.Siete recensiti con frasi incomprensibili quali: «Sa naufragarein quiete meditazioni crepuscolari» (Il Mucchio , 6 aprile 2004)o «alternano squarci d’azzurro a cupe e psichedeliche discesenegli inferi» (Liberazione, 20 agosto 2004), o ancora «espressio-ne genuina di un atto liberatorio corale» (Rotter’s Club, aprile2004). Ma le parole povere per descrivervi esistono?

Certo. Ma vanno scoperte. Che ne dici di «Fonderia»?Oriente o Occidente? Strumenti a est o a ovest?

E perché non Nord-Sud? Si potrebbe passare dalla Norvegia,dalla tromba crepuscolare di Nils Petter Molvaer al Mali, alla chi-tarra solare di Ali Farka Tourè.Influenze di...?

Letteratura, scienza, cinema, cucina, viaggi in furgone, giornatepiovose, erba appena tagliata.Invitate un artista, del presente o del passato, a suonare convoi: chi?

Un Dj. Qualcuno molto bravo, in grado di filtrare dal vivo deiloop presi dai nostri strumenti, di proporre nuovi frammenti ritmi-ci su cui improvvisare, di «sporcare» la tela con stile.Infine: quanto individualismo c’è in una fusione?

Tanto. È innegabile ed inevitabile. A volte serve per vincere latimidezza. A volte è bene metterlo da parte e ammettere che infondo il bello della musica è proprio quel senso di comunanza conle persone con cui la fai.

FONDERIA Luca PietropaoliIntervista a un trombettista chesa fondere l’oro con l’anima

MARISSA NADLER Goticatristezza. D’amore e di morte

MARLENE KUNTZInquietitudine sonico-esistenziale

MOJOMATICSTalismano hodoo

Music In �� Aprile Maggio 2008

MOJOMATICSdi Ersilia Verlinghieri

A primo impatto sembrano davvero usciti dauna di quelle rassegne di rock un po’ stori-

co-tutto anni Sessanta; basta guardare qualchefoto: sfondo bianco e nero, chitarra e armonica,capelli al vento. Ma, come si infila nello stereouno dei loro cd, ci si accorge subito che quellachitarra e quell’armonica sono capaci di donareun sound davvero nuovo. E col rock’n roll siincontrano garage, punk, blues.

Suoneranno al Circolo degli Artisti di viaCasilina Vecchia - «spazio musicale dove avan-guardia e sperimentazione sono di casa» - iMojomatics, che così si fanno chiamare daMojo, talismano delle credenze hoodoo.

Veneziani, ma dal sound tutto internaziona-le. In due bastano a sprigionare un carico dienergia incredibile. Suoni puliti, grande intesanell’esecuzione. In più, alle spalle, tournèe intutta Europa e cd incisi dal vivo ad assicura-re l’esperienza giusta per tenere sveglio ilpubblico tutta la notte. «Il rock&roll puro, qual-cosa che tutti hanno ascoltato almeno unavolta nella vita. Noi facciamo questa musica»,dichiarano. «Se non piace, continueremocomunque a farla». Come non detto.CIRCOLO DEGLI ARTISTI - 19 APRILE

L’ESTETICA DELLA TRISTEZZA:MARISSA NADLER

FFOONNDDEERRIIAA:: UUNNOO PPIIÙÙ UUNNOO FFAA TTRREE

MMAARRLLEENNEE SSII DDEENNUUDDAA di Lorenzo Bertini

�� CONTINUA DALLA PRIMA PAGINA

EDGEANDAND BACKBACK

a cura di VALENTINA GIOSA

Suonare vuol dire fondere anima e strumento, più strumenti ci sono più anime escono allo scoperto. La Fonderia è oggi, senza dubbio, uno dei gruppi più colti, meritevoli e audaci della musica romana,

che sa dal Tevere passare all’Aniene e da Trastevere ad Instambul soffiando dentro a un filicorno.

�� A CURA DI ROMINA CIUFFA

di Valentina Giosa

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ADAM GREEN Voglio fare un album chesia perfetto per essere ascoltato mentre siguida per la campagna

DISSONANZE Dove la musicaincontra la sperimentazione

Music In �� Aprile Maggio 2008

UU n gruppo di creativi di Milano uniti sotto il nome di Ideificio,definito dagli stessi «un’agenzia di idee», ha lanciato una pro-

vocazione dando vita al D-Day, una rassegna di musica per «gentiliascoltatori». Il messaggio è chiaro: in Italia la sana cultura dell’ascol-to e del rispetto per chi suona (e per chi desidera ascoltare) è caren-te e il più delle volte a pagarne le conseguenze sono non solo i musi-cisti, ma anche e soprattutto la «minoranza» meno protetta e piùbistrattata degli ultimi anni: quella del Gentile Ascoltatore. Il proget-to è nato ad ottobre dal Dynamo di Piazza Greco a Milano dove ognigiovedì dalle 22.30 alle 23.30 si può assistere a un’ora di musicapura, una sorta di performance durante la quale l’unica cosa permes-sa è ascoltare. Sono tanti i musicisti che hanno preso parte a questainiziativa e dalla rassegna è nata anche una compilation. Il CD-Dayè stato stampato in 2.500 copie e distribuito gratuitamente al momen-to solo nella città di Milano. www.myspace.com/gentiliascoltatori.

L o avevamo apprezzato grazie a Gemstones (2005) e Jacket Full Of Danger (2006) dove ilgenio creativo, la verve dissacratoria, la malizia e la provocazione del ragazzino newyorche-

se ci avevano già ampiamente conquistato. «Il genere del cantautore confessionale mi disgusta,è gente che vomita le proprie emozioni in faccia al prossimo», aveva affermato ai suoi esordi dasolista confermando un vero e proprio rifiuto per la categoria del songwriter «classico». Peccatoche Adam Green sia adorato ancora solo negli Stati Uniti fatta eccezione per Germania eInghilterra. L’esibizione del Circolo degli Artisti sarà perciò un’occasione da non perdere. Soltantodue le date italiane per il capostipite della nuova generazione «anti-folk» (01/05/2008,Roma@Circolo degli Artisti; 02/05/2008, Ravenna@Bronson) in occasione dell’uscita del suonuovo album Sixes & Sevens (marzo 2008 Rough Trade Records/SPinGo) anticipato dal singo-lo Morning After Midnight.

«Voglio fare un album che sia perfetto per essere ascoltato mentre si guida per la campa-gna», aveva ammesso Adam tempo fa e, proprio com’era nelle sue intenzioni, il disco si presen-ta come una perfetta colonna sonora «da viaggio». Rispetto agli album precedenti, Sixes &Sevens è un lavoro più spontaneo e meno impostato. La voce, come dice lo stesso Green, «è piùda letto che da music hall». Probabilmente l’ex Moldy Peaches non ha più bisogno di dimostrarele sue doti vocali ormai ben consolidate.

Influenzato da John Davis (Folk Implosion), Skip Spence, Sly Stone, Rick Shapiro, WandaJackson, Royal Trux, Buddy Holly, Alejandro Jodorowsky, The Make Up, Steven Jesse Bernstein,Green mescola il rock, il pop e un folk giocherellone alle viole e a i violini della musica orchestrale.Ma in Sixes & Sevens l’uso del coro gospel della chiesa di Brooklyn dona una componente quasisoul al disco con un risultato singolare e bizzarro che partendo da Leonard Cohen arriva sino aRicherd Hawley passando per Jack Black (l’attore di School Of Rock che è un suo grande fan), ilgusto orchestrale di Randy Newman, le scelte melodiche di Johnatan Richman dei ModernLovers e l’approccio un po’ intellettuale di Joe Pernice.

L’album, di cui si segnala la partecipazione di David Campbell (arrangiatore anche di MichaelJackson, Elton John e Beck) è stato registrato a NY in diverse location: l’appartamento di Green,il suo studio di Brooklyn, e una scuola per bambini autistici a Jersey, gestita dalla moglie del suostorico produttore e amico Dan Myers. CIRCOLO DEGLIO ARTISTI - 1 MAGGIO

XIU XIUAS LOVERS

di Francesca Di Macco

H anno più volte cambiato formazione, mal’anima è rimasta la stessa. Quella con-

troversa e sofferta di Jamie Stewart, cantautoree fondatore del gruppo. Gli Xiu Xiu nascono aSan Jose, California, tra le band indipendentiamericane, ed oggi sono in tour con il loro set-timo album Women as Lovers. Quattordici braniin cui si ritrovano molte delle sfaccettature diquest’anima: punk rock, dark-wave, noise rock,un po’ di folk e qualcosa di melodico.

Ma soprattutto si ritrova la durezza della vitae la disillusione nei testi (e nei videoclips, unoper tutti I Do What I Want, When I Want), unlinguaggio forte e crudo che denuncia grandimali, problemi sociali, sessuali, criminalità edisumanità. Messaggi allucinati, ostinati, con-fusi e tremanti come gli amanti. As Lovers.

Women as Lovers è un album dibattuto,incensato da alcuni per l’intensità e il virtuosi-smo del sound in continuità con il passato, cri-ticato da altri che lo trovano, invece, poco inno-vativo, un po’ inflazionato e non del tutto credi-bile. Se non in evoluzione, però, va riconosciu-ta la continua ricerca nelle sonorità che comun-que contraddistingue la produzione artisticadella band. A dir poco «curiosa» la cover diUnder Pressure riproposta in coppia conMichael Gira.

A Roma il 14 maggio, suoneranno al Circolodegli Artisti, dove comunque si vivranno atmo-sfere intense e mai scontate. As Women.

GREEN IN CAMPAGNA

GGEENNTTIILLII AASSCCOOLLTTAATTOORRII

2222 giorni, 3 palchi e un flusso di musica che si fonde con la mul-timedialità delle arti. Il 9 e il 10 maggio torna Dissonanze, il

luogo in cui la musica incontra la sperimentazione e i nuovi lin-guaggi. Nato nel 2000 come una manifestazione di avanguardia acarattere indipendente, il festival èpian piano cresciuto divenendo unappuntamento imprescindibile di«esperienze» di musica visiva,spettacoli totali di sperimentazio-ne fra suoni, immagini e architet-ture degli spazi. Nel 2005Dissonanze ha così conquistato lacornice ideale del suo progettoartistico, quella del Palazzo deiCongressi.

Ambientato a Roma, il cuifascino storico crea quel legamesottile e imprescindibile fra la tra-dizione e l’avanguardia, è unalinea di frontiera in cui la musica èpunto di partenza e luogo di arri-vo, una community in cui artisti espettatori da ogni parte del mondosi incontrano per immergersi nelleinfinite possibilità dei suoni, del-l’arte visuale e di qualsiasi formad’espressione in evoluzione.

Per l’edizione 2008 si è pensato di aggiungere anche un nuovospazio. Oltre l’ormai storico Palazzo dei Congressi e l’AuditoriumParco della Musica (che l’anno scorso aveva ospitato il grandissi-mo Karlheinz Stockhausen in prima assoluta) si aggiunge un terzoluogo straordinario: l’Ara Pacis dove per la scarsa disponibilità diposti (350) si potrà accedere soltanto per invito (parte dei bigliettisaranno messi in palio online). Aperta sin dal pomeriggio per videoed incontri, si trasformerà al tramonto in stage d’eccezione per le

performance di grandi nomi dell’arte internazionale. Tra i più atte-si, la nuova star dell’arte francese Cyprien Gaillard. Con l’arrivodella notte Dissonanze si sposta al Palazzo dei Congressi dovevenerdì 9 sarà on stage Italo&Cosmic Disco, una produzione dedi-

cata alla rivoluzione della musica e del costumeitaliani degli anni Ottanta, una rivoluzione a colpidi batterie elettroniche, di look ossigenati e coloripastello che ha avuto tra i più attivi protagonistiDaniele Baldelli alla console della Baia degliAngeli e del Cosmic e Alexander Robotnik, veraicona electro-pop con il suo classico Problèmesd’amour. A condividere il palco di Dissonanze conBaldelli e Robotnik ci saranno Francisco eRodion.

Nella serata di sabato 10 maggio si approda allecalde sonorità di Brasilin Time un progetto multi-mediale che ha debuttato a San Paolo e che per laprima volta viene presentato in Italia. Protagonistidella produzione sono Madlib e J.Rocc-dj, produt-tori e mc, figure di primo piano dell’hip hop ame-ricano - e tre generazioni di batteristi leggendaridel jazz e della musica brasiliana. Il viaggio deisuoni di Dissonanze dopo l’Italia e il Brasile arri-va anche in America, precisamente a Detroit, lacittà dove i robots dei Kraftwerk si sono trasfor-mati in cyborg e la musica elettronica è diventata

techno. L’evento di chiusura è stato affidato al live esclusivo deileggendari Model 500 di Juan Atkins e Mad Mike Banks (fondato-re di Underground Resistance) e al dj set di Carl Craig. Dissonanzequest’anno si apre anche alla danza con Outre, una performance diArray Dance Company, la compagnia di Darren Johnston riconfer-mando quel forte interesse, che è poi il suo punto di forza, ad incon-tri inaspettati ed influenze reciproche fra le arti, tratti caratteristicidella nostra epoca e della nostra cultura.

Valentina Giosa

VVOOGGLLIIAA DDII MMUUCCCCAAV oglia di trasgressione? Esotismo? Divertimento sfrenato? Per soddisfarle tutte la risposta è

Muccassassina, la storica serata danzante capitolina organizzata da ben 17 anni dal Circolo di cul-tura omosessuale Mario Mieli di Roma, che porta nella Città Eterna i party, i personaggi e i sound piùspettacolari della club culture internazionale. Ambiziosa la proposta per il mese di aprile, quando la‘Mucca con la falce’ mette insieme, nei tre piani della discoteca Qube, il meglio di Amsterdam e di Ibiza,mescolando il tutto con seduzioni classicheggianti che arrivano direttamente dal mitico monte Olimpo emaliziosi inviti fra lenzuola di raso, ricchi di erotismo e con un pizzico di spirito camp: il 4 aprile l’OlympoParty, l’11 un super guest, Baby Marcelo, con tutto il folle carrozzone della Troya de Ibiza, il 18 aprile Aletto con la Mucca e un White Party il 25. A maggio, il 2 l’appuntamento è con il dj set degli inglesi TheSharp Boys, il 9 maggio è Gladiator Night mentre il 16 il Fire di Londra si trasferisce eccezionalmen-te per una notte a Roma. Quindi Mucca Tropical il 23 maggio e, per chiudere in bellezza la stagione2007/2008 il 30 maggio, una vera e propria summa delle maggiori attrazioni dell’intero anno: ilClosing Party lascerà senza fiato ogni pubblico.

Romina Ciuffa

CORNEA INCONTRA TIMPANO

EDGEANDAND BACKBACK

di Valentina Giosa

vieni avolare

WWW.FLYROMA.IT

Un Festival che è linea di frontiera tra suoni, musica visiva e sperimentazioni. Il 9 e il 10 maggio, a Roma, torna Dissonanze

VVOOGGLLIIAA DDII MMUUCCCCAA

MUCCASSASSINA DallaTroya de Ibiza al Closing Party

19 - 20 APRILEin Via Prenestina Nuova Km 3 e ogni altro giorno dell'anno

Nei giorni 19 e 20 aprile la TECNAM presenterà presso l'aviosuperficie Fly Roma la nuova gamma di velivoli 2008.

Per pernottamenti e informazioni, tel. 339 5250039. Fai il nome di Music In.

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JOE STRUMMER Il futuro non èscritto Suona come un vecchiodisco di vinile

PERSEPOLIS Una nuova RockyBalboa contro il regime iraniano

IL TRENO PER DARJEELINGEstroverso indian-pop

Music In �� Aprile Maggio 2008

S e fino ad oggi le note di The Eye of theTiger richiamavano alla mente Rocky

Balboa che si prepara per la sua rivincita sulring, ora qualcosa cambia. Merito di un film edi una rivincita, quella di Marjane Satrapi, illu-stratrice di libri per bambini, che sola portaavanti la propria personale battaglia contro ilregime iraniano con la forza della sua matita econ ironia e rabbia.

Ne nasce un fumetto che in quattro volumiracconta la sua storia, da bambina a donna,costretta a fare i conti con un Paese, l’Iran, chesembra non amare molto ledonne, ma non così diversoda altre nazioni in cui il raz-zismo è più nascosto, stri-sciante ma ugualmenteavvilente. I racconti sonodiventati un film,Persepolis, e trasportati sulgrande schermo non perdo-no la loro forza poetica e lavena ironica anche per ilfatto che l’autrice rifiutafacili compromessi.

In un’epoca in cui i filmd’animazione fanno a garaper risultare il più realisticipossibile e stupiscono lospettatore con effetti specia-li e figure tridimensionalicosì perfette da sembraresbucare fuori dallo schermo,Marjane sceglie il disegno in bianco e nero percaratterizzare i protagonisti e i toni sfumati delgrigio per lo sfondo su cui si muovono sempli-ci figure bidimensionali.

La terza dimensione è invece la musica diOlivier Bernet, compositore francese che hascritto la colonna sonora per il film diretto dallastessa Satrapi e da Vincent Paronnaoud.Perfetta fusione tra tradizione e modernità, lamusica di Bernet punta dritto all’anima dellastoria e la asseconda nelle sue pieghe diventan-do ora serena e spensierata, ora drammatica ecupa. Marjane cresce a Teheran, conosce laguerra e il fanatismo religioso, viene mandata astudiare a Vienna per paura che il suo carattereagguerrito si scontri con le idee di un regimeche vede nella donna il Male assoluto e lacostringe dietro un velo «simbolo della libertàdella donna» (ma quale libertà è se non possoscegliere di non portarlo?), ritorna in Iran pernostalgia per poi ripartire per l’Europa. In que-sto cammino persegue il difficile tentativo ditrovare un’identità che non sia solo uno stereo-tipo, ma che rispecchi fedelmente se stessa.

La musica rispetta questo tentativo e noncerca facili vie di fuga: il rischio era quello dicreare una colonna sonora scontata, con trattimarcatamente etnici per richiamare alla menteatmosfere mediorientali da villaggio vacanze.La ricerca stilistica di Bernet ha invece portatoalla creazione di un suono nuovo dove Persia eIran, Medioriente ed Europa, passato e presenteconvivono in perfetta armonia. Si inizia contemi delicati e malinconici, simbolo di un’in-fanzia da ricordare con nostalgia anche sesegnata da eventi drammatici, e si raggiunge il

culmine con la bella e tristeDans le Vie TuReencontreras Beaucoup deCons che segna il momentodel distacco dalla famiglia.

La protagonista vive lapropria adolescenza aVienna, una città dove si tra-sferisce per vivere in libertàe che invece non riesce adaccogliere la sua diversità,emarginandola.

Marjane trascorre il suotempo libero nei supermer-cati e la noia si fa sentire, lamusica lo sottolinea inter-rompendosi come un discorotto che ripete in continua-zione le stesse note. Poi arri-vano le prime esperienze, leamicizie, gli amori e l’alle-

gra Flower Power regala un breve e illusorioattimo di libertà. Il ritorno a casa è inevitabile edoloroso. È qui che inizia la rivincita, quasiurlata in The Eye of the Tiger, cantata e voluta-mente stonata da Paola Cortellesi che nella ver-sione italiana presta la sua voce alla protagoni-sta (nella versione originale francese è ChiaraMastroianni).

È il risveglio, il momento di combattere,quello di crescere e diventare donna. Non senzaqualche ferita, perché «la libertà ha sempre unprezzo da pagare»; quello di Marjane è separar-si nuovamente dalla sua famiglia e dalla nonnache l’ha cresciuta nel rispetto di se stessa.

Il finale si chiude proprio con il dialogo traMarjane bambina e sua nonna. Golè Yakh è ilbrano che chiude la storia: la melodia è primaaccennata da un ingenuo fischiettare per poidivenire più chiara con l’intervento della chitar-ra elettrica, alla rabbia si sostituisce la consape-volezza di sé, mentre petali di gelsomino scen-dono giù come dolci lacrime d’addio.

Roberta Mastruzzi

Q uesta è la storia di John Mellor, che cam-biò il suo nome in Joe Strummer (letteral-

mente «strimpellatore»), fondò il gruppo piùrappresentativo della musica punk - The Clash -e portò una ventata di rivoluzione negli anniSettanta londinesi, diventando la colonna sono-ra delle contestazioni dell’epoca, con brani chehanno fatto storia: London Calling, Rock theCasbah, Should I Stay or Should I Go.

I Clash si sciolgono e Joe prosegue il suocammino: mette su famiglia, scrive musica peril cinema e non cede alla tentazione di parteci-pare a qualche nostalgico raduno per racimola-re un po’ di soldi e un attimo di autocelebrazio-ne. Accadrà solo una volta e sarà per appoggia-re lo sciopero dei vigili del fuoco: lui e MickJones di nuovo insieme per interpretare unanuova White Riot, dopo più di vent’anni.

Joe Strummer: Il futuro non è scritto è l’ope-ra cinematografica - definirlo documentario èestremamente riduttivo - che Julien Temple,dopo aver raccontato i Sex Pistols, dedica alleader dei Clash, scomparso nel 2002.

Ognuno ha una personale immagine del para-diso, e Strummer lo immaginava come un’isolacon tanta gente riunita intorno a un fuoco. Èquesto il luogo che il regista sceglie per parlaredi lui. Non si tratta di un rifugio dal mondo, madi un punto d’incontro per parlare, scambiareidee, ritrovare il calore umano e improvvisare IFought the Law solo voci e chitarre e ricordareche la lotta non ha mai fine.

Il film suona come un vecchio disco di vinile

e ha l’atmosfera di una serata tra amici: intornoal falò arrivano decine di musicisti, amici,conoscenti, star del cinema.

Dagli ex componenti dei Clash (Mick Jones,Paul Simonon e Topper Headon) a Bono degliU2, fino a Jim Jarmusch e Martin Scorsese,John Cusack e Johnny Depp, tutti hanno unricordo, un frammento di vita, una strofa dacondividere. Sulle parole di chi lo ha conosciu-to scorrono le immagini di filmati d’epoca, stri-sce di fumetti disegnate dallo stesso Strummer,riprese amatoriali, immagini di repertorio, foto-grafie in bianco e nero, brevi fotogrammi difilm.

Il ritmo è serrato, le frasi brevi e incisive,come i testi di Joe. La sua musica è energia allostato puro, vibrazione del corpo e dello spirito,pulsazioni costanti e frenetiche.

Si inizia con la voce di Strummer, bella esporca allo stesso tempo, che incide senza baseun’intensa White Riot.

Dopo due ore di musica - la colonna sonoranon include solo brani dei Clash, ma ancheclassici degli anni Sessanta e Settanta chehanno contribuito alla formazione umana emusicale dell’artista come Corrina Corrina diBob Dylan e Black Sheep Boy di Tim Hardin -il film si chiude con l’invito dello stessoStrummer a uscire dal binario del conformismo,per combattere ogni forma di potere che nonrispetti i diritti individuali. London Calling,qualcuno risponda.

Roberta Mastruzzi

The Darjeeling Limited - questo il titolo originale, da noi tradotto «Il treno per Darjeeling»,(dal nome del treno diretto dall’India al Rajasthan) - è la nuova pellicola dell’estroverso

regista Wes Anderson, interpretata da Owen Wilson, Adrien Brody, Jason Schwartzman. Una com-media esilarante, davvero fuori dagli schemi, quasi semi-demenziale come nel tipico copione deisuoi film da Rushmore (1998) a The Royal Tenenbaums (2001).

Tre fratelli che non si vedono mai decidono dopo la morte del padre di fare insieme un viaggioin treno in India, per visitare la madre e ritrovare il proprio legame. Come le immagini, anche lacolonna sonora si presenta estremamente particolare e - proprio dei film di Anderson - notevole edecisamente ‘esotica’, denotando una particolare attenzionemessa dal regista nella scelta dei brani. Questo però non saràaccompagnato dalle musiche di Mark Mothersbaugh. La scelta,infatti, stavolta è caduta sull’autore indiano al momento più quo-tato, Satjayit Ray, noto per le sue intense sonorità folk dai con-torni emotivi, romance&drama, che vede la collaborazione diUstad Vilayat Khan e Jyotitindra Moitra.

Atmosfere indiane, speziate e dense di aromi, substantia delfilm e della colonna sonora, che passano dai classici comeLudwig Van Beethoven - Symphony No. 7 in A (Op. 92) Allegrocon brio - e Alexis Weissenberg, fino agli angoli più «easy» dellapop culture di Peter Sarstedt già in Hotel Chevalier (2007), JoeDassin e il travolgente indian-pop di Shankar Jaikishan.

Ma, oltre la sperimentazione e un indubbio gusto musicalefrutto di una lunga ricerca, Anderson non ha disdegnato di inse-rire del buon vecchio british rock, dagli immortali Rolling Stonesai Kinks di Lola versus Powerman and the Moneygoround PartOne del 1970, This Time Tomorrow e Strangers, brani che enfa-tizzano il film, lo rendono malinconico, originale e frizzante, conl’effetto finale di un’ottima colonna sonora, grazie anche allasupervisione e alla produzione di Randall Poster, il supervisor ditutti i film del bizzarro regista/sceneggiatore di Houston. Nellesale dal 24 aprile.

Flavio Fabbri

LE QUINTE DELLE DONNECompositrici colonne sonore cercasi. Il «dietro le quinte» dei set cinematografici

è ancora quasi esclusiva proprietà del mondo maschile: se registe e sceneggiatricihanno cominciato a rubare la scena ai colleghi, ancora molto c’è da fare per quan-to riguarda il cast più strettamente tecnico, come ad esempio la musica da film.

Poche finora le donne che sono riuscite ad emergere in questa professione comel’inglese Rachel Portman (premio Oscar 2006 per le musiche di Emma), la giappo-nese Yoko Kanno (definita il «Morricone dell’Estremo Oriente») o la greca EleniKaraindrou (compositrice delle musiche per i film più celebri di Theo Angelopoulostra cui L’eternità e un giorno).

Il concorso «Sono un’isola: io, donna per una canzone d’autore», giunto quest’an-no alla quarta edizione, ha deciso di affiancare al premio per giovani cantautricianche una sezione speciale dedicata proprio alle compositrici di colonne sonore.Promosso dall’associazione Bianca D’Aponte, che da anni si impegna nella valoriz-zazione dei talenti femminili nel campo della musica sotto la direzione artistica diFausto Mesolella (Premio Morricone per la miglior colonna sonora 2007 per il filmLascia perdere, Johnny!), il concorso si rivolge alle cantautrici che scrivono in italia-no e intende offrire un’occasione importante per esibirsi e farsi conoscere.

Le finaliste scelte da un comitato composto da cantanti, autori, compositori e cri-tici musicali si esibiranno nella finale del 24 e 25 ottobre ad Aversa; in questa occa-sione verrà assegnato anche il riconoscimento speciale per la musica da film, suuna selezione di colonne sonore autonomamente acquisite o inviate dalle aspiranticompositrici. L’iscrizione è gratuita e da effettuare entro il 30 aprile 2008; verran-no prese in considerazione colonne sonore relative a cortometraggi o lungometrag-gi, anche inediti.

(R. M.)

JOESTRUMMER:

IL FUTURONON È

SCRITTO

PERSEPOLIS

IILL TTRREENNOO PPEERRDDAARRJJEEEELLIINNGGDDAARRJJEEEELLIINNGG

a cura di ROBERTA MASTRUZZI

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PATTI SMITH Il documentarioUndici anni per capirla LA BANDA Comunicare fra popoli

DIDATTICA Summer Camp Torna ilcorso di musica multistilistica. Al mare

Music In �� Aprile Maggio 2008

Immagine e immaginario si tingono di rock,la moda rispolvera il look delle rockstar, il cine-ma realizza biografie sui musicisti più grandidegli ultimi tempi. Sarà nostalgia o riproposi-zione ciclica? Una cosa è certa: l’effetto èappassionante.

Già nel 2005 Martin Scorsese aveva dato allaluce No Direction Home sulla vita di Bob Dylanseguito dal più recente Io non sono qui di ToddHaynes, dedicato allo stesso artista, e ancoraControl sul leader dei Joy Division Ian Curtis, ilfilm-concerto degli Stones Shine a Light, CSNY:

Deja Vu firmato da Neil Young nascosto sotto ilnome di Bernard Shankey, l’ultimissimo Il futuronon è scritto, biografia del poeta punk JoeStrummer e Patti Smith: Dream of Life, docu-mentario-tributo alla cantante e poetessa newyor-chese presentato al Festival di Berlino e vincitorea Gennaio del premio per l’EccellenzaCinematografica al Sundance Film Festival.

Steven Sebring, fotografo di Vogue ed esor-diente alla regia, ha voluto ripercorrere le tappedella vita e della produzione artistica di PattiSmith con testimonianze, esibizioni, musica,racconti, interviste e filmati di vita privata rac-colte in undici anni.

«Il processo di scoperta di Patti Smith - affer-ma Sebring - è durato 11 anni. Io stesso non rie-sco a crederci, ma ho trascorso un quarto dellamia vita a inquadrarla nel mio obiettivo.Questo film è anche un modo per trasmettere alpubblico la mia esperienza».

Realizzato grazie a una tecnica cinematogra-fica che lo accomuna ai road movies, il lungo-metraggio raccoglie brani, parole, interviste,video di concerti e immagini tratte dalla colle-zione privata di Patti Smith, voce narrante delfilm, che la ritraggono in raduni politici, insie-me alla classe operaia cui appartenevano i suoigenitori, o con figli ed amici.

Un’originale biografia a più dimensioni,un’analisi del suo percorso artistico sullo sfon-do di un’America che stava cambiando sotto laspinta di diversi movimenti culturali, un’entu-siasmante commistione di riprese di vita reale efittizia, per quasi due ore di film girato in larga

parte in bianco e nero. Tra i momenti più toc-canti del film ci sono le visite alla tomba delmarito Fred («Mi piace visitare le tombe diamici o di grandi che ho conosciuto. Non sentola morte, ma lo spirito della loro vita. A miomarito parlo delle cose che gli piacciono, glilascio le sue sigarette, il suocognac»), e il concerto del 1999 aGerusalemme, durante il quale l’arti-sta lesse i brani della Torah, delNuovo Testamento, dell’Islam.

«Fu una delle serate che nondimenticherò mai, tra il pubblicoc’era gente delle tre religioni, era unmomento in cui era viva la speranzadella pace.

Durante il concerto mi arrivò lanotizia che mio padre stava morendo,e la serata diventò straordinaria,vivevo una forte emozione sociale enello stesso tempo una sentimentoprofondamente personale».

È ovviamente la musica il filo con-duttore di questo meraviglioso ritrattodi vita: «Ci ho messo anni - ha dichia-rato Patti Smith - per decidermi adaprire i bagagli della memoria, ma adesso nesono fiera ed eccitata. Il mio film non è undocumentario sulla mia vita, ma alcuni istantidelle mie emozioni, parole e poesie. Il mondo ècambiato ma la musica può ancora ispirare,cambiare il mondo».

Valentina Giosa

LA BANDACosa ci fa la banda musicale della polizia egi-

ziana in una piccola cittadina sperduta neldeserto israeliano?

Il film di Eran Kolrin La banda, premiato aCannes 2007 nella sezione Un certain regard,parte da qui, da un viaggio impossibile e unincontro che si rivela invece possibile tra duePaesi in contrasto, Israele e Egitto, da anni diguerra anche senza conflitto armato.

Negli anni Ottanta - ricorda il regista - le coseerano diverse: adesempio la televisio-ne israeliana trasmet-teva film egiziani edessi erano spessoseguiti da un’esibi-zione dell’orchestradell’Autorità dellecomunicazioni israe-liane composta preva-lentemente da ebreiarabi. Poi è arrivato ilprogresso e le centi-naia di canali televisi-vi privati, la pubblici-tà, i centri commer-ciali, la musica diMtv e la gente hacominciato a dimenti-care.

Così è nata l’idea di un film che rappresentiun tentativo di stabilire una comunicazione tradue popoli distanti tra loro, nella convinzioneche il cinema e la musica riescano ad unire lepersone di lingua e cultura differenti molto piùprofondamente di uno spot di 30 secondi.

Roberta Mastruzzi

TANKIO BAND

LLaa ffeessttaa ccoonnttiinnuuaa ee rraaddddooppppiiaa.. NNoonn ssoolloo ssii ffeesstteegg--ggiiaannoo ii vveennttiicciinnqquuee aannnnii ddeellll’’AAlleexxaannddeerrppllaattzz,, mmaa ssiisscceegglliiee uunnaa mmeeddiiuumm bbaanndd cchhee ddeelllloo ssttoorriiccoo llooccaalleerroommaannoo hhaa llaa sstteessssaa eettàà.. DDuuee ggllii aappppuunnttaammeennttii ddaatteenneerree aa mmeennttee ffiirrmmaattii TTaannkkiioo BBaanndd,, aall ttiimmoonnee ddeellllaaqquuaallee cc’’èè,, ddaall 11998833,, iill ppiiaanniissttaa,, ttaassttiieerriissttaa,, ccoommppoossii--ttoorree eedd aarrrraannggiiaattoorree RRoobbeerrttoo FFaassssii.. LL’’eennsseemmbbllee èèssttaattoo nneell tteemmppoo iinn ggrraaddoo ddii rreeaalliizzzzaarree pprrooggeettttii vviivvaa--ccii,, rriicccchhii ddii eessttrroo eedd eessttrreemmaammeennttee ddiiffffeerreennttii ttrraalloorroo:: ddaall ttrriibbuuttoo aa FFrraannkk ZZaappppaa ((TTaannkkiioo BBaanndd PPllaayyss

tthhee MMuussiicc ooff FFrraannkk ZZaappppaa,, 11999955)),, aaii bbrraannii oorriiggiinnaa--llii,, ddaallll’’oommaaggggiioo aadd EErriicc DDoollpphhyy ((TTaannkkiioo BBaanndd PPllaayysstthhee MMuussiicc ooff EErriicc DDoollpphhyy,, 22000055)),, aallllaa mmuussiiccaa ddaaffiillmm.. EElleemmeennttoo ddii ffoorrzzaa ppeerr ll’’aaffffiiaattaattaa bbaanndd èè rraapp--pprreesseennttaattoo ddaallll’’aappeerrttuurraa nneeii ccoonnffrroonnttii ddii oossppiittiipprreessttiiggiioossii,, ii mmiigglliioorrii nnoommii ddeell jjaazzzz iittaalliiaannoo..LL’’AAlleexxaannddeerrppllaattzz aapprriirràà llee ppoorrttee aallllaa TTaannkkiioo BBaannddppeerr oonnoorraarree EErriicc DDoollpphhyy eedd uunnaa sseeccoonnddaa vvoollttaa ppeerreessaallttaarree llaa ggeenniiaalliittàà ddii AAnnttoonneelllloo SSaalliiss..

TANKIO BAND @ ALEXANDERPLATZ

26 APRILE PLAYS THE MUSIC OF ANTONELLO SALIS

16 MAGGIO PLAYS THE MUSIC OF ERIC DOLPHY

PATTI SMITH: DREAM OF LIFESarà nostalgia o riproposizione ciclica? Probabilmente entrambe. Grazie alle quali abbiamo un documentario su Patti Smith,

e scopriamo che le piace visitare le tombe per sentire lo spirito della vita e lasciare a suo marito cognac e sigarette

DIAMO I NUMERI

Un’esperienza musicale distante da Roma. Il Saint LouisCollege of Music dimentica la metropoli e trasferisce baracca eburattini e alcuni tra i propri docenti per un progetto didatticoa San Benedetto del Tronto, in provincia di Ascoli Piceno. Tuttial mare l’ultima settimana di agosto, ma rigorosamente duran-te le pause. Poiché il Summer Camp, corso di musica multistili-stica giunto alla terza edizione, prevede un impegno fullimmersion, affidando oltre sei ore di corso quotidiane a pro-fessionisti di fama nazionale ed internazionale. Ad ospitarlo, ilConsorzio per l’Istituto Musicale A. Vivaldi.

Lezioni di strumento, armonia, laboratori di musica d’insieme, laboratori specifici, MusicTechnology. In chiusura, due serate di concerti: la prima affidata ai docenti, e la seconda ai grup-pi formatisi durante il corso. Docenti di eccellente livello, una settimana di corso intensivo, costicompetitivi (il Saint Louis ringrazia a tale proposito il Comune di San Benedetto del Tronto e laProvincia di Ascoli Piceno per il Patrocinio ed il contributo economico devoluto, volto ad avvici-nare alla musica un elevato numero di appassionati).

PPIIAANNOO JJAAZZZZ EE AARRMMOONNIIAA:: PPIIEERRPPAAOOLLOO PPRRIINNCCIIPPAATTOO;; TTAASSTTIIEERREE:: JJOOSSÉÉ FFIIOORRIILLLLII ((TTAASSTTIIEERRIISSTTAA DDII LLIIGGAABBUUEE));; BBAASSSSOO:: GGIIAANNFFRRAANNCCOO GGUULLLLOOTTTTOO EE

SSAATTUURRNNIINNOO;; BBAATTTTEERRIIAA:: CCLLAAUUDDIIOO MMAASSTTRRAACCCCII;; CCAANNTTOO:: MMAARRIIAA GGRRAAZZIIAA FFOONNTTAANNAA EE MMAARRCCOO DD’’AANNGGEELLOO;; CCHHIITTAARRRRAA:: LLEELLLLOO PPAANNIICCOO EE SSTTEEFFAANNOO

MMAASSTTRRUUZZZZII;; SSAAXX EE LLAABBOORRAATTOORRII DDII MMUUSSIICCAA DD’’IINNSSIIEEMMEE:: MMIICCHHEELL AAUUDDIISSSSOO;; MMUUSSIICC TTEECCHHNNOOLLOOGGYY EE LLAABBOORRAATTOORRII DDII MMUUSSIICCAA DD’’IINNSSIIEEMMEE:: RROOBBEERRTTOO GGIIGGLLIIOO

DAL 23 AL 30 AGOSTO, SAN BENEDETTO DEL TRONTO (AP). PER INFORMAZIONI: WWW.SLMC.IT

rilievo

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THE BEGGAR’S OPERAUn’opera da quattro soldi

LADIVINACOMMEDIAThe OperaDante nel girone di Rebibbia

THE WEST SIDE STORY Tramusica classica ed estratto di musical

Music In �� Aprile Maggio 2008

((......)) La The Beggar’s Opera di John Gaydel 1728, di cui la nuova edizione diretta daDalla è un riadattamento, è piuttosto ilprimo musical della storia, o meglio laprima «ballad opera», un genere di teatromusicale che nell’Inghilterra del XVIIIsecolo si distanziava da opera e operettaper semplicità di impianto e attualità ditemi. La cifra popolare fu quella che attiròanche Bertold Brecth e Kurt Weill che, duesecoli dopo, ispirandosi alla commediamusicale di Gay, misero in scena a Berlinola celebre Opera da Tre Soldi con un precisointento provocatorio nei riguardi del pub-blico borghese.

Oggi, invece, l’intento non è quello discandalizzare, ma piuttosto di unire pub-blici diversi e avvicinare i giovani all’opera,con l’uso di nuovi linguaggi musicali e lamescolanza sul palcoscenico di due mondi.Se i protagonisti, infatti, sono rappresen-tanti di quel panorama musicale italianoche potremmo definire «extracolto», l’or-chestra e il coro appartengono a pieno tito-lo al mondo più elitario dell’opera. Così

Peppe Servillo, cantante degli Avion Travele ottimo attore, e Angela Baraldi, jazzistama anche attrice protagonista del film QuoVadis, Baby? di Gabriele Salvatores, sonoaccompagnati sulla scena dall’orchestra delTeatro Comunale di Bologna diretta dalmaestro Giuseppe Grazioli, e da voci dellalirica come quella di Borja Quiza Martinez.

Lo scenario si sposta dalla Londra deibassifondi di Gay a una città italiana dioggi, forse Bologna, ma potrebbe trattarsidi una qualsiasi città dei giorni nostri con ilsuo lato oscuro, fatto di ladri, prostitute,imbroglioni e ricettatori. La vicenda rima-ne la stessa.

Cambiano i linguaggi. Molti personaggiparlano in dialetto, il bolognese ovviamen-te, ma anche il napoletano e il romanesco. Eil linguaggio musicale è quello di LucioDalla che ha lavorato sulla partitura cheFrederic Austin compose nel 1920: unastruttura melodico-armonica con un’atmo-sfera decisamente pucciniana.

La trama è la stessa che regalò il successoal poeta e autore drammatico inglese agliinizi del Settecento. Un losco ricettatore(Peppe Servillo) e la moglie (AngelaBaraldi) fanno arrestare il capo dei banditiche ha promesso alla figlia di sposarla. Ilgiovane riesce a fuggire seducendo un’al-tra ragazza, figlia del secondino della pri-gione, ma viene immediatamente riacciuf-fato e condannato a morte.

I nomi dei personaggi, che nella versioneoriginale hanno un significato riconoscibileper il pubblico dell’epoca, anche nella riela-borazione drammaturgica firmata daGiuseppe di Leva hanno un significato.Così Peachum, dall’inglese «Speach them»(«denunciali»), diventa Speja, Spia in dia-

letto bolognese. Il direttore del carcere,Lockit («chiudi»), si trasforma inLucchetto. E Macheath, che significa«Figlio della brughiera» o «Uccell dibosco», diventa nella versione italianaCapitan Uccello.

Nella scena finale il mendicante è dinuovo con il direttoredel teatro. Ora discu-tono su come conclu-dere l’opera. Devonodavvero lasciare che ilbandito e i suoi com-pagni vengano impic-cati? Non sarebbeforse meglio introdur-re un colpo di scena?

Del resto anche que-sti carcerati sono esseriumani. E a ben guar-dare, forse non c’èmolta differenza tramendicanti e signori,ladri e borghesi: tuttisono disposti a imbro-gliare e a mendicareper ottenere quello chevogliono.

Nella Londra delXVIII secolo e nellenostre città di oggi.Ancora una volta ilgrande cantautorebolognese - che dapoco ha compiuto 65anni ed è reduce da untour che ha riempito imaggiori teatri italiani - si mette alla prova,divertendosi a fare anche «quello che inteoria non saprei fare».

Saranno risuonate le famose terzine introduttive della Divina Commedianelle orecchie dei detenuti italiani al guardare questo musical. «La DivinaCommedia-L’Opera» ha ricreato (e rieducato?) i carcerati di Rebibbia in untentativo di riavvicinamento alla società civile.

L’imponente kolossal musicale tratto dall’opera per eccellenza della lette-ratura italiana e mondiale è stato ideato da un monsignore, Marco Frisina.Venti protagonisti e 10 acrobati, impegnati dal 23 novembre 2007 sulpalco romano appositamente allestito a Tor Vergata - ora pronti per ilPalasharp milanese - hanno stupito 150 mila spettatori provenienti da tuttaItalia per l’eccellenza dimostrata nella rappresentazione di una trama dinon facile realizzazione e comprensione.

Le creature fantastiche create dalla mano di Marco Rambaldi, il padre diET, irrompono tra il pubblico rendendolo parte integrante dell’impianto sce-nico così come l’imponente palco roteante, che dà il senso della circolarità

dei luoghi danteschi. Gli artisti negli atri delle carceri si esibiscono in unmedley dei momenti più suggestivi ed emozionanti dello spettacolo, tra cuitratti dedicati al V Canto e all’amore travagliato tra Paolo e Francesca, allamusicalità della città di Dite, all’incontro con Ulisse e al triste addio conVirgilio, magister vitae del pellegrino Dante.

L’iniziativa si propone di diffondere la cultura della conoscenza e dellasapienza in luoghi dimenticati da tutti di costrizione e condizioni disumane.Scontare le proprie colpe da golosi, lussuriosi, accidiosi ma anche crimina-li a Rebibbia va bene; così dare una ragionevole speranza a chi attende unreinserimento nella società - carcerati e abitanti del Purgatorio che chiedo-no a Dante di pregare per ascendere alla luce divina del Paradiso e incon-trare un giorno la propria Beatrice.

Sara Di Francesca

N ell’ambito della rassegna cameristica pro-posta dall’Accademia di Santa Cecilia

di Roma, il concerto in programma per il 23aprile potrebbe essere sottotitolato «alcunedelle personalità più eclettiche della musicadegli ultimi secoli»: compositori, ma anche per-sonaggi dalle storie intense ed emozionanti.Leonard Bernstein combattuto tra arte e attivi-

smo politico, Robert Schumann tra fascinoromantico e sprazzi di follia. Momento salientedel programma The West Side Story (Bernstein,suite, versione per ottoni): non esattamentemusica classica ma estratto di un musical dovealla musica sofisticata e memorabile (Maria, IFeel Pretty, Somewhere) si affiancano il tema«tragico» di un Romeo e Giulietta rivisitato conl’esigenza di esprimere istanze sociali. Apre laserata, affidato anche questo alla maestria digrandi esecutori (Antonio Pappano e AlessioAllegrini) e alla sonorità «nobile e malinconi-ca» (Hector Berlioz) di uno degli strumenti afiato prediletto dai romantici, l’adagio («lento econ intima espressione») e allegro («rapido econ fuoco») per corno e pianoforte (op.70 diSchumann). A intervallare le due esecuzioniancora le sonorità calde degli ottoni, con il con-certo per trombone (lo suonerà Andrea Conti) epianoforte di Henri Tomasi, compositore còrsodel primo Novecento, capace di accostare asonorità classiche ritmi popolari e jazzistici.

DDAALLLLAA AAII MMEENNDDIICCAANNTTII

LA DIVINA CARCERE

THE WEST SIDE STORYdi Ersilia Verlinghieri

LA REGIA DEVE SPARIREdi Romina Ciuffa

�� CONTINUA DALLA PRIMA PAGINA

È un architetto emiliano il regista di ActorDei ma, soprattutto, del nuovo Musical

che uscirà dalla creatività degli allievi del SaintLouis selezionati per una sfida: quella di saperfare Musical dalla A alla Z - anzi, dalla M allaL. Lo dice Giulio Costa,«devono saper faretutto», e lui, in un certosenso, deve sparire.Ossia, la regia, se fattabene, nemmeno si vede.

La storia - che saràrappresentata a partiredal prossimo autunno atermine del corso e lan-ciata a livello nazionale -non esiste: la stanno scri-vendo ora, così come lecanzoni. Perché «si deveadattare ai nostri ragazzi,i quali devono confron-tarsi con tutti. Come in

Actor Dei, vogliamo la fusione tra ballerini ecoristi, che sia una storia corale in cui non visiano protagonisti bensì personaggi volti a spie-gare meglio le dinamiche della sceneggiatura».

Se il direttore artistico è Maria GraziaFontana, allora questocorso di Musical saràpronto a sfidare gli allievidelle scuole televisive,con lo svantaggio-vantag-gio di non avere telecame-re puntate e la fortuna dicredere nella multidimen-sionalità, nella necessitàdi un apprendimentocostante e globale, nell’es-senza di generazioni dai15 ai 35 anni come parte-cipanti attivi alla stesuradi un’opera che, ancorchéa budget limitato, promet-te emozioni.

a cura di ROMINA CIUFFA

MUSICALALLL

Il primo musical della storia, o meglio, la prima «ballad opera», un genere di teatro musicale dell’Inghilterra del XVIII secolo.La scrisse John Gay nel 1728 e la ripresero Brecht e Weill con intento provocatorio nei riguardi dei borghesi. Oggi,Lucio Dalla la usa per unire - in bolognese e al suo modo - mendicanti ed èlite, snobbando il Teatro Comunaale e la «gente impellicciata» che lo frequenta.

di Maria Luisa Tagariello

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a cura di ROSSELLA GAUDENZI

BIENNALE DI DANZA DIVENEZIA L’intervista a IsmaelIvo Direttore, ballerino, coerografo

CARMINA BURANAL’intervista a Mauro AstolfiSpellbound vuol dire ammaliare

FESTIVAL DELL’EQUILIBRIOMarie Chouinard, Membros, ShantalaShivalingappa Perderlo.

Music In �� Aprile Maggio 2008

�� CONTINUA DALLA PRIMA PAGINA

((......)) sul corpo in quanto specchio del nostro tempo e della società in cui viviamo.Finito il triennio 2004-2007 il timone resta tra le sue mani, arrivando ad eguagliareCarolyn Carlson, unico direttore ad avere avuto un incarico quadriennale. Ma parliamoquasi di una new entry, per la famosa Biennale, poiché la Danza quale disciplina autono-ma vi ha fatto ingresso nel 1998.

Per questa edizione il celebre danzatore e coreografo si scopre ancora di più, e lanciauna domanda diretta: Beautiful. Art is Beautiful? Cosa è la bellezza oggi? Come si rappor-ta alla società, all’uomo e all’arte? Si può affermare che l’arte sia l’amante segreta della

bellezza? Se pensiamo allamoda si comprende quantoil concetto di bellezza siamutato nel tempo; le passe-relle propongono top-modelche più che l’estetica richia-mano cadaveri ambulanti,tanto da giungere agli scan-dali clamorosi della mortedi modelle per anoressia.

Trasferendo il concetto dibello all’arte e alla danza sivuole raggiungere quellabellezza che muove da unimpulso, dalla sympatiagreca (sentire insieme), daun’energia interiore che tra-sforma il corpo.

Solo da essa può scaturi-re il movimento, che nonpuò prescindere da un pro-fondo senso della spirituali-tà, la stessa che animava

artisti dello scorso secolo tanto diversi ed «imperfetti» come Pablo Picasso, Salvador Dalì,Alberto Giacometti. Contro ogni legge del marketing, contro la logica delle e-mail, controla velocità a cui ci obbliga la società odierna che propone corpi vuoti di spiritualità ed emo-zionalità. Questa la nuova sfida di Ismael Ivo.

Momento saliente della rassegna sarà rappresentato da Choreographic Collision 2. Loscorso anno la prima edizione, dal tema Coreografia Oggi, ha coinvolto un gruppo di 25ragazzi impegnati in un workshop per quattro settimane, oltre a confronti con coreogra-fi all’interno della Biennale. Quest’anno l’impronta sarà differente: coreografi selezionati,tra gli otto e i dieci, realizzeranno progetti propri della durata di 15-20 minuti, e verran-no affiancati da ballerini professionisti per mettere in scena queste creazioni. Il futurodella danza secondo Ismael Ivo? Investire nello sviluppo, spalancare una volta pertutte la «finestra» della danza contemporanea italiana, tanto ricca di talenti. (R.G.)

LLAA NNUUOOVVAA SSFFIIDDAA DDII IISSMMAAEELL IIVVOO

Biennale di Venezia: il ballerino e coreografo brasiliano viene riconfermatodirettore del Festival di danza dopo il fruttuoso triennio 2004-2007

P er iniziare: perché Spellbound DanceCompany? Quale aneddoto si nasconde

dietro a questo nome? Spero sia abbastanzaevocativo, poiché è un concetto entrato nellamia mente quasi per gioco, durante gli anni distudio negli Stati Uniti, e molto spesso dietroalla casualità si trova qualcosa che funzione-rà. Spellbound è un termine che ha a che farecon ciò che incanta, che ammalia. Questacompagnia è nata nel ‘94, chiamandosiSpellbound Dance Group. Il nome era convin-cente, oggi siamo la Spellbound DanceCompany.

È romano Mauro Astolfi, il direttore artisti-co della nota compagnia, ma ha una formazio-ne internazionale, avendo lavorato duramentetra Europa e Stati Uniti. Ciò gli ha permesso diconfrontarsi, spaziare, contaminare. E ricerca-re continuamente, insaziabilmente. Questo èquanto. Il coreografo si è trovato a trattare iCarmina Burana nel 2006, essendogli statocommissionato il balletto dall’Ente per ilTurismo della Campania.

Inizialmente, ho temuto che non avrei spo-sato volentieri questo classico della culturaitaliana. Un tema che affonda le origini nelMedioevo, in quei secoli bui tanto lontani da

noi e perciò considerati privi di interesse.Dopodiché, decidendo di trattare soprattutto igoliardi, cantori di vagabondaggi, vino, donnee gioco, ne ho dato una lettura provocatoria,sfacciata, burlesca. Esaltazione della corpo-reità, mandando al diavolo ratio e decorum.Ed ecco che questi canti tornano di colpo adessere attuali, godibili da un pubblico del XXIsecolo...

Essere presenti con uno spettacolo per seigiorni consecutivi rappresenta una scommes-sa. Solitamente si rimane in teatro per un paiodi date, e a quattro giorni dal debutto (CarminaBurana, dall’11 al 16 marzo al Teatro Italia),l’aver registrato quasi sempre il tutto esaurito

rappresenta un successo. C’è del nuovo anchenel pubblico: solitamente gli «addetti ai lavo-ri» sono la maggioranza dei presenti; è inveceuna piacevole sorpresa notare che c’è gente diogni sorta, stavolta. Anche spettatori «digiuni»di danza. E ancora: i giovani, che sono semprestati la fetta più grossa di presenti, saranno il40 per cento. Inversione di tendenza significa-tiva ed interessante.

Come spiegarlo, questo meritato successo?Si può parlare dell’eco della danza che ci pro-pina la televisione, di qualità dubbia, motoreperò di un nuovo boom per questa disciplina inItalia? Penso che si possa parlare davvero didue facce della medaglia. Tanta televisione,tanto musical che hanno invaso il nostroPaese senza dubbio hanno mobilitato lemasse, e le hanno incuriosite. A noi coreogra-fi, il compito di educarlo, di prenderlo permano questo pubblico nuovo, che si avvicinaad una danza da definire in alcuni casi«danza-spazzatura». Ed è anche un momentostorico nel quale la gente ha una grandevoglia di sognare. Per questo oggi si registraun calo di pubblico del teatro ed un incremen-to di pubblico della danza. A teatro sai cosastai vedendo, dove sei, cosa accadrà; nella

danza vieni gettato in un mondo onirico,sognante, che ti permette di fantasticare, e diarrivare dove vuoi.

In poche parole, come racconteresti il tuopercorso artistico? Non ho mai accettato com-promessi, ho sempre assecondato il mio latocreativo. Di lavoro ne ho fatto tantissimo,quindi il successo e le gratificazioni le hosudate fino all’ultima goccia. Amo questoPaese così difficile per chi intraprende carrie-re artistiche. Se potessi, mi scinderei in due:vivere in Italia, e lavorare ovunque, in Europa,tranne che in Italia.

a cura di Rossella Gaudenzi

CCAARRMMIINNAA BBUURRAANNAAcciiòò cchhee aammmmaalliiaa

O ppressione, paura, tensione,eccitazione, angoscia, rabbia,

malattia: febbre. Una febbre cherimanda al malessere sociale, aldisagio del vivere tipico delle areeurbane dove la realtà è spesso vio-lenza ed esclusione. I sette giovanidanzatori della compagniaMembros offrono un quadro crudoe realistico della vita dei ragazzi distrada mostrandoci il lato più dolo-roso del Brasile. I problemi dell’in-fanzia, della droga, della diffusionedelle armi, della disuguaglianzasociale e della miseria vengono rac-contati a ritmo di hip hop, breakdance e danza contemporanea attraverso la forzae la spontaneità di questi giovani interpreti che viinteragiscono con grande originalità divenendodei veri e propri attori-acrobati sulle musiche diBach, Chico Barque, della canzone brasiliana delfunky e del continuo e impressionante rumoredei corpi che sbattono a terra. Una scenografia

minimale fa da sfondo allo spetta-colo: un semplice muro bianco enudo, proprio come i protagonisti,quasi sempre privi di abiti e belli intutta la loro schietta e selvaggianatura. Uno spettacolo duro e toc-cante, secondo capitolo della trilo-gia dei Membros, nati nel 1999 aMacaé (a 180 km da Rio deJaneiro) dal coreografo Tais Vieia eda Paulo Azevedo, laureato inscienze politiche ed istruttore,come proposta di una vita alternati-va a giovani artisti di diversi originisociali e culturali in una città con ilpiù alto tasso di omicidi del Paese.

La compagnia brasiliana ha così dato vita ad unatrilogia di spettacoli incentrati sul tema della vio-lenza: Raio X (2003, presentato per due anni neiteatri di tutta Europa), Febre (2007) e Medo(Paura), che sarà presentato al pubblico solo nel2009.

Valentina Giosa IO BALLO DA SOLASShhaannttaallaa SShhiivvaalliinnggaappppaa

Abiti dai colori essenziali ornano un corpo sottile dallapelle bruna. Bellezza pura, angelica, ancestrale. Bianco.Nero. Movimento, sensualità ed emozione. Racconto.Luce. Emana luce la ballerina che ha saputo fondere i det-tami della millenaria danza classica indiana, appresa dallamadre ballerina (Savitry Nair), alla cultura del ballettooccidentale. Ed illuminante, è proprio il caso di dirlo, ilsuo incontro con la coreografa tedesca Pina Bausch, entra-ta ormai nella leggenda per aver rivoluzionato e destruttu-rato l’idea di danza tradizionale.

La minuta Shantala ha portato in scena quattro deliziosiquadri narrativi dominando, sola sul palco, spazio e tempo.Tra una rappresentazione e l’altra, ci tengono in sospesoproiezioni della ballerina, stavolta ricoperta dagli sgar-gianti colori della tradizione indiana.

Poi si ricomincia, tornando al bianco, ma soprattutto alnero dei suoi costumi. E Shantala è baco strisciante, farfal-la che si libra, figura seducente, dalla profonda forza evo-cativa. A metà tra oriente e occidente. (R.G.)

Onirico. Sarà lecito fluttuare tra il sogno e l’incubo, dopo aver assistito a questo sorprendenteOrphée Et Eurydice, poiché qui entreranno in gioco la poesia e la dannazione, l’amore e la morte,l’Ade e la Nemesi. Non solo corpi in movimento, ma suoni fortemente disarticolati che da questicorpi esplodono, a riproporre sempre la stessa storia, anzi due: la mitica vicenda di Orfeo che perdeper sempre la sposa Euridice, e la narrazione della conquista del linguaggio, grande miracolo del-

l’umanità. Dieci artisti sul palco che sanno recitare, ironizzare sulla scena oltre adanzare con maestria impeccabile. La coreografa canadese Marie Chouinard ha

fatto centro per l’ennesima volta. C’è del genio in questa pluri-premiata artista dai lunghi capelli rossi. La sua è la danza

della mancata linearità e cronologia narrativa. La sua è ladanza della provocazione. Mai distante dall’umana ricercadi esprimersi e rapportarsi agli altri.

Rossella Gaudenzi

FEBREddoolloorree mmiinniimmaall

NON VOLTARTI INDIETROMMaarriiee CChhoouuiinnaarrdd

BALLETBALLETdanza

Intervista a Mauro Astolfi, direttore artistico della Spellbound Dance Company,

che rilancia con estro un evergreen della tradizione italiana

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INGMAR BERGMAN «La libertà totale, la totale problematicità, portate al cul-mine della disperazione professionale che appare al barbaro del Nord che ha assor-bito la fedeltà al testo insieme al latte materno come qualcosa di spaventoso»

RECENSIONE La musicasveglia il tempo Il suono rifiu-ta di tornare al silenzio. Oddio

Music In �� Aprile Maggio 2008

SCASSINAREIL SALOON

Tornare alla «Polka», il locale diMinnie sotto le vette della Sierra buonoper gustare qualcosa di forte, ‘Laggiùnel Soledad’, mentre lei, la confidente econsolatrice dei minatori (DanielaDessì) e lo straniero Dick Johnson(Fabio Armiliato), che viene per scassi-nare il saloon, incrociano gli sguardiancora una volta, come Puccini volle.

La Fanciulla del West è un’opera liri-ca in tre atti di Giacomo Puccini, sulibretto di Guelfo Civinini e CarloZangarini.

La prima rappresentazione avvenneal Teatro Metropolitan di New York il10 dicembre 1910 con la voce diCaruso. Un’opera forte, di contrastipassionali e piena d’avventura. Fino al18 aprile, invece, è al Teatrodell’Opera di Roma.

D irigere un film è un po’ come dirige-re una scena teatrale o un’ orchestra.

Proprio nella sceneggiatura ci sono tuttauna serie di componenti da orchestraremolto simili ai ritmi, ai timbri e a delleforme che potremmo definire musicali.Ingmar Bergman non ha mai nascosto lapropria ‘ impossibile’ vocazione alla musi-ca e i suoi film sono lì a dimostrarlo.

Di più ne è testimonianza una breve maintensa attività teatrale, venuta alla luce inun’autobiografia del 1987, Lanterna magica(Garzanti). Pagine travolgenti, drammati-che, intense, come la pancia di un compo-nimento, ampie parabole che nel volteggioe nel gesto di girarsi a noi dal passato rac-contano un’ esistenza e la trasfigurano inun senso finale a tratti ignoto. Probabiliilluminazioni, momenti inquieti e sfuggen-ti carichi di pena e di respiri profondi, unicisegni di vita nel silenzio della concentra-zione. Del silenzio che precede la musica,concentrazione creativa anelata da ogniartista.

La prima volta che Bergman assistette aun opera teatrale fu dinanzi a Il Sogno diStrindberg nel 1930; aveva dodici anni e nefu travolto, come da un’onda elettrica chefece vibrare il suo piccolo corpo, quella che

in seguito definì «la mia gioia». La stessadefinizione che usò Bach secoli prima perchiamare a sé la musica nei momenti peg-giori. Scriveva Bergman: «I corali di Bach simuovono ancora come veli colorati nello spaziodella coscienza, avanti e indietro sulle soglie,attraverso porte aperte, gioia».

Passerà poi per l’Opera di Stoccolmacome assistente alla regia e conoscerà IssayDobrowen, assorbendo da lui una versionedella vita negativa, paurosa e nello stessotempo eccezionale e appassionante.

Conoscerà le anime dannate dei registi, leloro follie e la rigida disciplina, che poi èl’anima della musica e anche lo spiritosegreto di Mozart: «La libertà totale, la totaleproblematicità portate al culmine della dispera-zione professionale che appare al barbaro delNord, che ha assorbito la fedeltà al testo insiemeal latte materno, come qualcosa di spaventoso».

Poi arrivò l’ incontro con Von Karajan aSalisburgo per la messa in scena del Sognostrindberghiano, stavolta realizzato daBergman, con gli elogi del Maestro, i piùbelli per il regista svedese: «Lei dirige comeun musicista, ha senso del ritmo, della musica-lità, del tono. Si vedeva anche nel Flauto magi-co (film girato da Bergman nel 1974). Ognipezzo preso a sé era affascinante, ma non mi è

piaciuto. Lei ha cambiato l’ordine di alcunescene, verso la fine. Questo con Mozart non losi può fare, è un tutto organico». Fu comelasciar scorrere una rosa sulla guancia,dapprima il bocciolo e poi un lacerantetema di spine.

Una lezione, di stile e di vita, quella cheVon Karajan inflisse a Bergman, sulla natu-ra della musica e della bellezza, presenzeeteree che ci attraversano e che sono troppodifficili da far nostre, tanto da renderciinvalidi eccezionali: «Forse questa lotta inca-rognita ha un aspetto positivo: sono costretto adarmi da fare con quel pezzo all’infinito. Homodo di ascoltare attentamente ogni battuta,ogni pulsazione, ogni attimo. La mia rappresen-tazione sorge dalla musica. Non posso seguireun’altra via. La mia invalidità me lo impedi-sce», scrive Bergman.

Il regista che non fu mai un musicista eche divenne uno dei più grandi autori cine-matografici della storia, trovando l’altrasponda del sogno nella settima arte, nontanto lontana poi dalla musica, altrettantorigida, maniacale e perfezionista damostrarci amabilmente come si mette inscena un «sogno».

Flavio Fabbri

UN ORECCHIO PENSANTE PER UNA MENTE IN ASCOLTO

DANIEL BARENBOIM, «LA MUSICA SVEGLIA IL TEMPO», FELTRINELLI 2008, PP 192, € 15,00

C iò che permette di fare esperienza con la musica è il suono: questo attraversa lospazio, l’aria e giunge a noi. Ma da dove nasce il suono? Da uno strumento - certo -

o dalle mani di un musicista - ovvio - e dal nulla - oddio. Sì dal nulla, come la vita d’altron-de, cui la musica è visceralmente e concet-tualmente legata. Prima del suono c’è ilsilenzio, necessario, richiesto, generatorenulla cui sempre si torna. Perché dopoche un suono è stato generato, prima opoi, comunque, questo tornerà al silenzio equindi al nulla. Eppure, finché lo spaziosarà attraversato dai suoni, in quel percor-so sospeso tra i due silenzi la musica creauna frazione temporale di vissuto, generail tempo, quello del sogno e della memoria,passato e presente, immateriale e senso-riale, fatto di dimensioni altre mai cosìtanto vicine a queste nostre, vissute.

Daniel Barenboim, pianista e composito-re di fama mondiale, nel suo libro «Lamusica sveglia il tempo» edito daFeltrinelli, ci racconta di come la musicacostruisce il tempo, a partire da uno spa-zio fatto di congiunzioni e giustapposizioni,dove il suono si rifiuta di tornare nel silen-zio e cercando un suono compagno creal’armonia, sempre così simile alla vita degliuomini. Anche noi come i suoni ci leghiamoper creare corrispondenze tra individui egruppi, tra parte e somma, per creare lasocietà, proprio come i suoni, i fiati e lenote cercano e creano la musica.

Pagine in cui si percepisce in che modoil canto avvicini l’uomo e il suono più di ognialtra cosa, perché due voci che si esprimo-no simultaneamente si ascoltano, sioppongono, si contrappongono e si ritro-vano nella musica che è stare insieme, cheè prima di tutto condivisione.

Le note in uno spartito, gli uomini in società, in ordine e libertà, insieme e da soli, dalnulla e per sempre. Scrive Barenboim: «Questo non è un libro per musicisti o per non-musicisti, è piuttosto un libro per le menti curiose di scoprire le corrispondenze fra musi-ca e vita, e la saggezza che diventa comprensibile all’orecchio pensante». L’orecchiopensa come la mente sente e l’occhio assaggia, una visione antropologica olistica, del-l’uomo che pone il nostro corpo in stato senziente e smaterializzato, inorganico, come ilsuono dunque, sempre in lotta con il silenzio e il nulla della storia.

E ra il 16 febbraio del 1908, le quattro delpomeriggio di domenica e Giuseppe

Martucci salì sul podio dell’Augusteo,l’Auditorio romano poi demolito dal fascismo,per dirigere il primo concerto della neonataOrchestra stabile, poi Orchestra dell’Augusteo,quindi - dopo la demolizione della sala nel 1936- Orchestra della Regia Accademia di SantaCecilia e da ultimo in Orchestra dell’AccademiaNazionale di Santa Cecilia.

Nello stesso giorno di 100 anni dopo èAntonio Pappano a salire sul podio della SalaSanta Cecilia dell’Auditorium Parco dellaMusica per dirigere il concerto che ricorda unodei momenti più importanti per la cultura musi-cale romana e italiana.

In 60 mila a celebrare i cento annidell’Accademia di Santa Cecilia il 17 febbraio2008 allora, e ben 21 esecuzioni consecutive,testimonianza di questo amore la lunga fila per leproiezioni dei documentari storici e del film

«Cento, centouno» di Anton Giulio Onofri, dedi-cati all’orchestra e al direttore Antonio Pappano.

Bruno Cagli, presidente dell’Accademia, hadato, con le arie di Rossini, Verdi, Puccini,Beethoveen, Mozart, Brahms, Vivaldi eSchumann, il via alla Festa della musica, unalunga maratona che ha visto suonare in ogniangolo dell’Auditorium quintetti e quartetti,fiati e ottoni, voci bianche e cori, e l’inaugura-zione del neonato Museo degli Strumenti.

Con le stesse musiche che furono scelteall’epoca: la Sinfonia dall’Assedio di Corintodi Rossini, la Sinfonia n. 3 Eroica diBeethoven, l’Andante e il Minuetto dallaSerenata K525 di Mozart, il Mormorio dellaforesta dal Siegfrid di Wagner, l’Ouverture dalTannhäuser sempre di Wagner, e a notte scesafuochi d’artificio che rischiaravano il cielo diun gran bel pezzo di Roma.

Flavio Fabbri

INGMAR BERGMAN:LA VOCAZIONE DI UN INVALIDODALLA MUSICA AL CINEMA, STORIA DI UN SOGNO DI MEZZA VITA

I MIEI PRIMI 100 ANNIio li festeggio così

CLASSICA&opera

a cura di FLAVIO FABBRI

«Forse questa lotta incarognita ha un aspetto positivo: sono costretto a darmi da fare con quel pezzo all’infinito. Non posso seguire un’altra via. La mia invalidità me lo impedisce».

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LUTTO Giuseppe Di StefanoFece innamorare pure la Callas

ARGENTINA Bacalov QuartetFonde culture musicali e grandi musi-cisti in voli sincretici

DANIELA DESSÌ È insieme unacasta diva e la padrona di un saloon

Music In �� Aprile Maggio 2008

C osa unisce l’Orchestra Roma Sinfonietta e il Nuovo Coro Lirico Sinfonico Romano? Intantoil grande Maestro romano e premio Oscar Ennio Morricone. Poi gran parte di tutto il reper-

torio sinfonico e operistico eseguibile.Due giganti della classica che si ritrovano l’8 aprile sullo stesso palco, quello dell’Aula Magna

dell’Università La Sapienza di Roma, assieme a Chiara Augello soprano, Veronica Simeoni mez-zosoprano, Cristiano Cremonini tenore, Maurizio Lo Piccolo basso e il Direttore MaestroFrancesco Lanzillotta. Musiche di Bach, Puccini e Verdi, di quest’ultimo verrà eseguita anche laMessa da Requiem per soli coro e orchestra.

A ncora un lutto nel mondo della lirica.All’età di 86 anni si spegne a Como uno

dei più grandi tenori della storia, Giuseppe DiStefano. Una voce che divenne presto leggenda,la voce che fece arrossire il Metropolitan diNew York nel 1948 col Rigoletto e dieci annidopo il Covent Garden di Londra; la stessa chefece innamorare la Divina Callas pochi annidopo. Per trent’anni la Scala di Milano ha lega-to il suo nome al successo di Di Stefano, con 26titoli, 43 produzioni e 185 recite. Un gigantedella lirica mondiale, al pari di Gigli, Caruso,Schipa e del più giovane e già compiantoPavarotti. Una voce limpida, calda, generosa,potente estensione della sua anima, caratteriz-zata dalla naturalezza di una dote immensa edella forza di un destino.

Un tono di istintivo colore, manifestazione dirara capacità vocale, di origini popolari, sempli-ci ma rigorose e orgogliose. Giuseppe DiStefano le ha portate in giro per il mondo a sol-care i palchi più importanti e blasonati, come iMaestri che li hanno calcati, Von Karajan, DeSabata, Bernstein. Un drammatico, struggenteinterprete del Novecento che insieme al vecchiosecolo ci saluta, cantando ancora una volta Laforza del destino di Verdi.

Flavio Fabbri

BERLIOZ AMORE E FANTASIA

S fogo d’amore assoluto, dolore profon-do che Berlioz ha provato per il senti-

mento negato dall’attrice biondissima ebellissima Harriet Smithson.

Una ‘Sinfonia fantastica’ che avrà l’ono-re di rappresentare il primo esempio dimusica a programma, prototipo del sinfo-nismo ottocentesco. La biondissima diven-ne poi sua moglie e lui un maestro e unesempio per gli autori posteriori di «poemisinfonici». Tutto l’amore che Berlioz river-sò in questa imponente partitura del1830 si trasformò in un vero e proprioprogramma dove ogni pezzo della compo-sizione ritrova il suo contenuto narrativo.Il 5 maggio all’Auditorium.

T orna in scena il capolavoro di VincenzoBellini, Norma, rappresentato per la prima

volta nel 1831 alla Scala di Milano e ora ripro-posto al Teatro Comunale di Bologna il 29aprile prossimo per la regia di Federico Tizzi.Fino al 9 maggio.

Un’edizione bolognese questa della Normarinnovata nelle scenografie, con i disegni diMario Schifano, nell’interpretazione, con lagrandissima soprana Daniela Dessì, e nelladirezione del Coro e dell’Orchestra del TeatroComunale con la presenza di Evelino Pidò, pro-fondo conoscitore del repertorio classico delprimo Ottocento.

Oltre all’acclamata Dessì nelle vesti diNorma, ad interpretare Pollione c’è uno deinostri tenori più importanti al mondo, FabioArmiliato.

Capolavoro del lirismo vocale di Bellini,Norma è un’opera piena di pagine solenni ememorabili contenute nel libretto di FeliceRomani, a cominciare dall’indimenticabile ariaCasta Diva, scritta per la divina Giuditta Pasta.

Un ritorno alle origini questo per il registatoscano Tiezzi, reduce dal successo del Parsifalnapoletano, che debuttò nella regia dell’Operalirica nel 1991 proprio con la tragedia lirica diBellini.

METTI UN GIORNO MOZART A LINZ Nicola Cirillo

Nel 1783 W. A. Mozart si trovava a Linz, ospite del conte Thun. Proprio in quella casa, per com-piacere al suo ospite, scrisse una sinfonia in linea col carattere festoso di quei giorni: una sinfoniain Do maggiore, con timpani e trombe nell’orchestrazione. È così che, in seguito, la sinfonia n. 36in Do maggiore K 425 prese anche il nome di Sinfonia Linz. Il prossimo 31 maggio potremo ascol-tarla all’Auditorium Parco della Musica, nell’esecuzione dell’orchestra dell’AccademiaNazionale di Santa Cecilia diretta per l’occasione da Ton Koopman. A seguire, col supporto delCoro, sarà eseguita anche la sonata «profana» di Bach La contesa tra Febo e Pan BWV 201.

UN PIANOFORTEPER QUATTRO MANI:Michele Campanella e Monica Leone

La ricca Stagione musicale della IUC(Istituzione Universitaria Concerti ) propone unconcerto da non perdere per il prossimo 19aprile: il duo pianistico formato da MicheleCampanella e Monica Leone, con l’Orchestra diPadova e del Veneto. In apertura Beethoven,con il Concerto n° 3 per pianoforte e orchestraop. 37, e a seguire la Fantasia op. 103 in faminore di Schubert per pianoforte a quattromani; e il Concerto in re minore per due piano-forti e orchestra di Poulenc.

Al termine la Danza macabra Totentanz diFranz Liszt, autore di cui il virtuosoCampanella è uno dei maggiori interpreti alivello internazionale.

Nicola Cirillo

GIUSEPPE DI STEFANOLA FORZA DEL DESTINO

Si spegne uno dei più grandi tenori della storia, che fece arrossireil Metropolitan di New York e il Coven Garden di Londra

AVVENTUREARGENTINE

ROMA SINFONIETTAvs NUOVO CORO LIRICO

Li unisce Morricone. ma anche tutto il repertorio sinfonico e operistico eseguibile.E l’Aula Magna della Sapienza, per questa volta.

NORMACASTA DIVA

CLASSICA&opera

Torna Luis Bacalov col suo ultimo progetto, un quartetto conbandoneón, contrabbasso, percussioni e pianoforte, col qualeesegue composizioni che ricercano punti d’incontro fra diver-se culture musicali, approdando ad un risultato fortementesincretico, tra musica etnica, atmosfere urbane e culturamusicale contemporanea.

Il Quartetto Bacalov fonde, infatti, diverse culture musicalicon lo stesso Luis Bacalov al pianoforte, Juanjo Mosalini albandoneon, Daniel Bacalov alle percussioni e GiovanniTommaso al contrabbasso. L’opportunità di seguire dal vivol’estro del maestro argentino è data dal concerto dell’8 mag-gio all’Oratorio del Gonfalone.

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BEYONDBEYOND

SSoonnoo ccrreesscciiuuttoo a pane e De Niro. C’èstato un periodo in cui Goodfellas lo conoscevoa memoria, Casinò l’avrei potuto rivedereall’infinito, Toro Scatenato e Taxi Driver eranobibbie parlanti. Poi mi sono sentito tradito daHeat e trafitto da Terapie e pallottole varie.

Ma nella bacheca dei feticci sentimentali unposto per la gigantografia del grande Bob, sor-riso smagliante e faccia da schiaffi condita dainconfondibile neo, ci sarà sempre. Sperando,s’intende, di non vederlo mai trascinato nelcammeo di qualche vanzinata natalizia.

Quello davvero non potrei reggerlo. Ebbene.Avendo respirato De Niro per i migliori anni dellamia vita, da dopo Gli Intoccabili in poi ho temu-

to di morire asfissiato. L’aria si stava inquinandoa tal punto che ho persino pensato di perorare lacausa verde. Anche se, a dirla tutta, non mi civedevo proprio a bordo di una goletta targataGreenpeace a scagliarmi contro una balenieragiapponese.

Meglio scenderci a patti col Sol Levante:soprattutto da quando ho scoperto che AkiraKurosawa e Takeshi Kitano possono essere unasalvifica bombola d’ossigeno per uno che al cine-ma non sa più che aria respirare.

Stando così le cose, mentre il tempio di cristal-lo eretto in onore di Robert il grande inziava a sci-volare nell’ombra, prendere polvere e attirareragnatele non potevo non sobbalzare quando unamico mi chiese ma le hai sentite le canzoni di DeNiro? Canzoni?

Pur di restituirgli nel cuore il posto che così alungo aveva occupato ero disposto anche adaccettare questo gioco perverso: l’avrei accoltocome cantante. Le coppie in crisi in fondo fannocosì: per rinvigorire il rapporto e ritrovare la pas-sione perduta si chiamano con nomi diversi, sivestono in maniera inconsueta, fingono di nonconoscersi…

L’equivoco durò esattamente quanto il miorecord di tolleranza di fronte a una puntata delFestival di Sanremo, più o meno due secondi. Inun attimo capì che non stavamo parlando dellostesso De/The Niro. Ma la cosa m’incuriosì ancordi più. Il mio era De, il suo era The. Pensai istin-tivamente «all’impostore» ma soffocai il pensie-ro. E decisi di saperne di più. Mi documentai, par-tendo dalla base: www.myspace.com/theniro.Fu così che sotto i miei occhi prese forma il ritrat-to di un artista intimo e complesso, profondo epreparato. Uno che non si era buttato sul web percercare una scorciatoia, perché di strada ne avevapercorsa tanta fin da prima dell’avvento diMySpace.

Aveva macinato chilometri il nostro The Niropasseggiando sul palco con Sondre Lerche, LouBarlow e i Deep Purple tanto per fare dei nomicosì. Aveva macinato chilometri anche per anda-re a impreziosire la sua arte a Londra.

Già, perché questo cantautore gentile, che a

tratti ricorda Leonard Cohen e a tratti NickDrake, anche se lui forse si diverte a fare il JamesBlunt, nonostante il nome e la lingua utilizzatenei suoi pezzi, è un italiano doc.

All’anagrafe di Roma, città che gli ha dato inatali, è registrato come Davide Combusti. E ilsuo recente Ep An Ordinary Man, vero scrignofatato composto di quattro canzoni che assomi-gliano più a quattro brillanti, è un vero miracolomusicale del made in Italy.

Qualcuno si mette a scrivere canzoni perchénon è il bullo del quartiere, perché una ragazzacarina gli ha detto che le piacevano i cantanti,perché ha i denti storti e non può sorridere comevorrebbe, perché non vuole la moglie brutta chesi merita. Il bello è che scrivere canzoni non servea nulla di ciò che uno vuole.

Scrivere canzoni è un limite, un dolore, undifetto in più. Il bello è che dopo averlo fatto staimalissimo. Il brutto è che desideri ancora unamore indimenticabile.

Ma se guardi la cosa da un’altra prospettiva,ascoltare canzoni non serve a molto di più. Oalmeno è quello che credi finché, una tantum, nont’imbatti in un The Niro. Uno che, già lo sai, nonpotrà mai essere solo chiacchiere e distintivo.

Matteo Grandi

GIORNATA DELL’ASCOLTO DI PADOVA 18maggio C’è un giorno in cui ci si leva in balzo comeanimali sensibili a suoni sottili e s’impara ad ascoltare

THE NIRO Uno che, già lo sai,non potrà mai essere tutto chiac-chiere e distintivo

T E N D E N Z EEcco cos’è ilVenerdrink

Music In �� Aprile Maggio 2008

C’è un giorno, che è il 18 MAGGIO, in cuitutta Padova si zittisce e si affinano le

orecchie, come quegli animali che, per moltoistinto e per elevata sensibilità al suono, si leva-no di balzo in piedi e chi non sente non capisce.Quasi si spaventa. I padovani così si scuoterannodal torpore e come animali sopravvissuti a qual-cosa di duro come il rumore si metteranno adascoltare. Come si dedica a una madre la festadella mamma così a un ascoltatore la giornatadell’ascolto, e poco importache oggi si ascolti poco e ci sifermi mai - e non importa seuna madre abbia l’istintomaterno. Siamo tutti ascoltato-ri e Padova sarà la nostra capi-tale, la culla dei silenzi in cuiriposerà l’orecchio.

SERGIO DURANTE è unricercatore, prima di tutto. Dimusica. Da uno zio che lo hainiziato alla musica a 10 anni,a un gruppo pop con il bassoelettrico e già un flauto traver-so («strumento più manegge-vole»), si è dedicato anima ecuore alla musica classicadiplomandosi a Bologna; hasuonato in orchestre di entilirici, ha studiato composizio-ne e frequentato il Dams. Lasua passione per la ricercamusicologica lo ha portato adanni di professione didattica in Conservatorio, aun dottorato alla Harvard University e all’inse-gnamento delle discipline storico-musicali aCremona, infine a Padova, sua città natale.

Ascoltare è naturale?Come camminare. Ma questo non vuol dire

che si cammini tutti allo stesso modo o che nonsi possa camminare, come pure ascoltare ‘male’.

Perché una Giornata dell’Ascolto?Mi sono chiesto come si potesse affrontare in

modo non accademico il problema della banaliz-zazione dell’ascolto, aspetto più critico dellacultura musicale del Novecento. Facendo tesoro

delle mie esperienze ho messo al centro del pro-getto non ‘la musica’ma i processi d’ascolto. Ladifferenza è sottile ma essenziale.

Durante la Giornata si offrono musiche cheper loro natura e per il modo in cui vengonoofferte devono essere ascoltate diversamente.Questo ‘risveglia’ un’attenzione spesso sopita (ovittima di una ‘anestesia’ dovuta alla continuaesposizione ai suoni).

Concorrono poi altri elementi: lo studio e l’in-

dividuazione di ‘luoghi’o situazioni da destinarealla musica entro uno specifico tessuto urbano eil desiderio di promuovere il lavoro di musicistio gruppi di artisti che (in massima parte) appar-tengono alla città. Non si vuole però l’autarchia:più di una produzione è ‘importata’, come ilgruppo di musiciste persiane ‘Mehr’. Se l’espe-rienza si dovesse esportare in una città diversa,andrebbero tenute presenti le differenti condizio-ni ‘locali’, urbanistiche e culturali.

Quali sono le iniziative previste per questaedizione?

La maggior parte degli eventi comprendemusica classica europea, che ha più bisogno

oggi, in Italia, di essere offerta dal vivo e a unpubblico che non sia quello consolidato (e,ahimé, senescente) delle sale da concerto. Alcunialtri tentano un approccio innovativo:l’Orchestra di Padova suonerà dal vivo sulleimmagini del film muto di C. Froelich su Wagner.Nella sala della Sinagoga ‘tedesca’ (data allefiamme nel ‘43 dai Fascisti e da qualche annorestaurata) verranno proposte musiche sinago-gali commissionate appositamente per Padova

fra il 1830 e il 1930: si tratta diun fondo recentemente recupe-rato su quale lavora un giova-ne musicista padovano,Gabriele Donà, che studiadirezione d’orchestra a Vienna.Lungo il portico di via Roma(l’antica ‘via regia’ che dalMunicipio porta verso il Pratodella Valle) sarà dispostaun’installazione di musica elet-tronica realizzata da sette com-positori coordinati da NicolaBernardini.

Anche nell’edizione dell’an-no passato il Comune commis-sionò tre nuove opere. C’è poimusica per soli, coro e orche-stra (l’op. 87 di Beethoven), laCivica orchestra di fiati, laripresa del magnifico spettaco-lo DeForma del Tam/Teatromusica di Michele Sambin.L’Interensemble di Bernardino

Beggio propone uno spettacolo musicale origi-nale dedicato ad Andrea Palladio.

E i Solisti veneti diretti da Claudio Scimoneproporranno musica di Giuseppe Tartini nellaChiesa in cui il musicista è sepolto.

Vista e udito, Padova e musica. Che prevale? Padova ha un carattere proprio: intima, pro-

tettiva ma non priva di grandi aperture prospet-tiche, fitta di meandri porticati nei quali è belloperdersi. A tratti se ne scoprono i suggestivicorsi d’acqua sopravvissuti alla ‘modernizzazio-ne’. Ci si sta bene anche senza la musica, ma lapresenza diffusa di questi eventi ha creato uncorto-circuito socializzante.

Meglio ascoltare musica al buio ovvero insilenzio guardare un’opera?

Meglio ascoltarla quando si è ben disposti afarlo. Anche in uno stadio assordante, se èbuona. Ogni tipo di musica vuole un tipo diascolto.

C’è flessibilità ma niente è più deleterio checredere di avere avuto un’esperienza d’ascoltoquando in realtà si è solo ‘sentito’. E si eviti l’in-digestione: dobbiamo fare vuoto nella mente pertornare ad ascoltare.

Cosa offre Padova ai giovani musicisti, oltrea una giornata di ascolto?

Sempre troppo poco. Ci sono però speranzeche in occasione dell’edificazione del nuovoAuditorium dell’architetto Kada vi venga inclu-so il nuovo Conservatorio, che dovrebbe mante-nere una relazione con le istituzioni di istruzionesuperiore (l’Università) più che con quelle diproduzione (che avranno vita del tutto autono-ma). Si tratterà di un collegamento ‘simbolico’,ma forse non inutile e almeno risolverà i proble-mi di spazio.

Oltre alla musica classica la municipalitàdovrebbe preoccuparsi anche della musica leg-gera: c’è bisogno di luoghi dove poter provare ecrescere musicalmente. È ora di far uscire iragazzi (e i meno ragazzi) dai garages.

Quale grande artista vedrebbe per le stradedi Padova questo 18 maggio a rappresentare«l’ascolto»?

Mi piace pensare che John Cage si troverebbea suo agio.

E SI LEVANO I SENSIIntervista a Sergio Durante, uno dei principali musicologi italiani e curatore della Giornata dell’Ascolto di Padova del 18 maggio

VENERDRINKVENERDRINKNegli anni Ottanta c’era una famo-

sissima reclame che recitava «UnaMilano da bere»: è dalcuore della Lombardiache parte la moda degliaperitivi e degli eventi col-legati e arriva fino a unaRoma che evolve e trova iVenerdrink del Savoia68,nei pressi di Piazza Fiume,in cui quattro musicisti sialternano in acustico tuttii venerdì alle 19.

Si scambiano microfo-no e strumenti PierCortese, Marco Fabi, LeoPari, Luca Bussoletti,Valeria Rossi, MicheleAmadori, Stefano Scarfone e, tra apri-le e maggio, anche Nicco Verrienti,Diana Tejera, Daniele Sarno eFederica Baioni. Ingresso gratuito einfo su www.myspace.com/ubixweb.

&furthera cura di ROMINA CIUFFA

A CURA DI ROMINA CIUFFA

AADDDDTHE NIRO

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DAVE ALLEN Real andImagined Un nuovo cd, nove trac-ce di poesia virtuosa

DARIO MARIANELLI EspiazioneLa colonna sonora che gli ha fatto vin-cere l’Oscar

RADIODERVISH L’immaginedi te La verità è uno specchio cadu-to dalle mani di Dio

Music In �� Aprile Maggio 2008

Bachelite, seconda fatica deltrio emiliano composto da

Enrico Fontanelli (basso, moog), Daniele Carretti(chitarre) e Max Collini (voce), esce a tre anni didistanza dall’eccellente disco d’esordioSocialismo tascabile. La formula di musicarebrani recitati piuttosto checantati, carattere distintivodella band, presenta subitouna sostanziale differenzarispetto al disco d’esordio: itoni aspri e gli attacchi politicilasciano più spazio a medita-zioni nostalgiche e ironiche dipiccoli affreschi di provincia. I testi acquistano un’aurea disolennità per mezzo di arran-giamenti semplici ma ricerca-ti, basati su intrecci ipnotici dibasso, chitarra e moog sup-portati dal ritmo tribale e incessante di unadrum-machine rudimentale. Molteplici le influen-ze musicali: Cccp, Massimo Volume e, soprat-tutto, Kraftwerk, Cluster, La Dusseldorf e Neu!.Non a caso i riferimenti di Bachelite si rifanno aun fenomeno, il krautrock, che aveva rappresen-tato un preciso anelito di evasione da un conte-sto sociale: come la gioventù tedesca dei primianni Settanta aveva scelto le astrazioni cosmi-che per esorcizzare le colpe dei propri padri,così, in questo disco, il riferimento alla cosmik

music sembra un tentativo di evadere dalla real-tà italiana (politica e musicale) come da unapalude giurastica che sopravvive soffocando sulnascere ogni lucente germoglio. Le nove tracceimpongono un ascolto attento e rigoroso. Noveracconti minimali narrati con ironica rassegna-

zione: storie di personaggi,ricordi di gioventù vissuti acavallo tra gli anni Settanta ei primi anni Ottanta comecortometraggi in bianco enero girati nell’asse ideologi-co che da Reggio Emilia arri-va fino a Berlino. Dalla storiadi Carlotta «figa di legno»(Superchioma) al raccontodell’epica impresa sportivadel compagno Yashenko(Ventrale) saltatore da recordsimbolo della supremazia

socialista; dall’epopea delle feste dell’Unità nellamadre terra emiliana (Lungimiranza) a storie dimacchine, vigilesse e poliziotti (Dove ho messola golf). Massima intensità nei momenti conclu-sivi di Cioccolato I.A.C.P., che racconta un’inizia-zione al sesso in una squallida realtà di provin-cia, e della meravigliosa Venti Minuti, su un diffi-cile rapporto padre-figlio, in assoluto uno dei piùbei pezzi del disco.

Eugenio Vicedomini

Non volevo finirci ma ora vedo il mondo a quadretti, un po’ in trasparen-za, comunque sospesa. Perché improvvisamente mi sono trovata impri-gionata nella ragnatela di un ragno di Philadelphia, Dave Allen, uno che sa

tessere jazz e incollarti per nove tracce che sono poesia virtuosa. Così ora vedo NewYork dagli occhi di uno che a 16 anni era già stato riconosciuto da Guitar Player comeun talento da tenere sotto controllo. Non l’ho fatto ed ora mi ritrovo nella sua tela.

Ma almeno è la tela di un romantico. Ne prendo atto mentre ascolto questo nuovo cd,Real and Imagined, e mi lascio afferrare da dita incessanti a condurmi sulle sue cinquecorde, una per una, che sono seta da cui lui si cala. Resto cosí tra il reale e l’immagina-to, qualcosa che Dave sa domare con lunghe frasi di jazz per tenermi con i piedi per terra

mentre mi manda ad Ottavia, la città ragnatela di ItaloCalvino, con la velocità stilistica del suo arpeggio.

Se lo merita, Allen, un nuovo cd dopo le sue UntoldStories (ancora Fresh Sound New Talent); si merita cittàinvisibili da tessere, una Manhattan che fa sfondo al suoanimo agitato e racconti fantastici spiegati a modo suo;si merita un ascolto diluito e la strada di Pat Methenytotalmente spianata. Tesse da solista la ragnatela in cuisono imprigionata e prosegue, mai di troppo, in accom-pagnamento a un altro talento della nuova generazionenewyorchese di sassofonisti, Seamus Blake, al bassistaDrew Gress che sostituisce Carlo DeRosa nel nuovoalbum, e alla batteria di Mark Ferber.

Mi afferra mentre sono distratta e mi porta giù veloce-mente sulle note di Untold Story, precipito velocementesulla City e dal punto di vista della sua chitarra al 55 Bardi Greenwich ascolto corde alla Wes Montgomery e i col-

lage di Mantra e Always Beginning in cui s’incontrano Blake e Allen; dovrei temere,perché quando avrà finito sarà pronto a divorarmi. Ma invece lo guardo senza pauraperché c’è sensualità nel suo tormento e stabilità nonostante la voluttuosità del jazz.C’è un ragno dannato ma un chitarrista saldo e non vedo di che preoccuparmi.

Mi ritrovo così nel limbo di una New York talentuosa, guardo Manhattan dal buco diuna chitarra e immobile, sulla tela di Dave Allen, lo accompagno in caduta liberalasciandomi divorare. Fatti ammazzare da un boia pratico: e lui è un esperto.

ROMINA CIUFFA

DAVE ALLEN - REAL AND IMAGINED

OFFLAGA DISCO PAX - BACHELITE

«La verità è uno specchio cadu-to dalle mani di Dio e andato infrantumi. Ognuno ne raccoglie

un frammento e sostiene che lì è racchiusa tuttala verità». Con questa frase del mistico persianoGialal ad-Din Rumi siapre il libretto del nuovocd dei Radiodervish,«L’immagine di te». Così Nabil Salameh eMichele Lobaccaro(Radio-dervish dal1997) dichiarano cheanche la musica puòavere un ruolo nellaricerca della verità. Raccolgono i pezzettinidello specchio e li met-tono insieme, fornen-do un’immagine certa-mente più globale dellarealtà musicale delnostro Paese e dellasua società. «La nuovamusica italiana», comela definiscono è una nostalgia musicale che vadalla disco music degli anni Settanta all’elet-tro-pop degli anni Ottanta, fino al rap e all’hip-pop più recente, passando per i ritmi pop-raï ebhangra. Pezzettini persi nello spazio e neltempo e trasportati fino a noi dalle onde delmediterraneo.

Alcuni li ha recuperati Alessia Tondo (vocedell’Orchestra Popolare della Notte dellaTaranta di Melpignano), un altro frammento èstato riportato da Caparezza (il rapper baresecompare in Babel), ma i frammenti più impor-

tanti li ha riscopertiFranco Battiato, pro-duttore del disco, e liha resi con generositàed orgoglio (per averlitrovati lui per prima)insieme a Pino PinaxaPischetola, che hamixato l’album e ne hacurato la programma-zione dei suoni. Su questa ricca tramamusicale si intessonotesti di spessore, paro-le di pace, veicolate dauna pluralità di lingue(dall’arabo al francese,dall’inglese al «griko»salentino) amalgama-te all’italiano, alternate

tra le strofe o all’interno della stessa frase. E appare l’immagine di un’Italia multietnica, di unUomo libero da ogni razzismo, aperto alla tra-sformazione individuale e collettiva.

Nicola Cirillo

RADIODERVISH - L’IMMAGINE DI TE

DARIO MARIANELLI - ESPIAZIONE (ATONEMENT)

MATRIMIA KLEZMER BAND - MATRIMIA

RICCARDO MUTIMISSA SOLEMNIS IN E DI LUIGI CHERUBINI

Le parole e le note possonoessere davvero così vicine?Tasti di un pianoforte che inse-

guono quelli di una macchina da scrivere. Iltono amaro che si confonde col sapore dell’in-chiostro, una sensazione penetrante, dispe-rante e passionale come la consistenza dellelettere in bocca nel pronun-ciare ‘Atonement’. Poi il suono si eleva dalle let-tere battute, si allontana,quasi per paura di sentirsitroppo vicino all’altra gran-de volontà d’espressionedell’anima: la scrittura. Dalla semplice e ripetitivanota iniziale si passa all’ar-peggio su scala minore,sempre sulla stessa notabassa mentre il ritmo fissodella macchina da scriverecerca di inchiodare il volodelle note rendendo ango-scia all’anima. Così inizia ‘Atonement - Espiazione’, con loscore Briony, del Premio Oscar alla Migliorcolonna sonora nelle mani del compositoreDario Marianelli, che incarna e materializza,con i tasti della macchina da scrivere confusial piano soave di Jean-Yves Thibaudet, granparte della cruda narrativa di McEwan e della

letteratura britannica da E.M. Forster aVirginia Woolf. Inchiostro musicale che scorreanche nelle tracce Cee, You and Tea, With myown Eyes, che dialoga fluidamente con la son-tuosità del pianoforte e degli archi. Atmosfere dense, che arrestano il respiro, perterre lontane, troppo lontane, all’origine di ogni

lontananza, di ogni nostalgia.E proprio per far fronte a talipesi evocativi dell’anima cheMarianelli ha dovuto ricerca-re momenti altissimi, inge-gnosi di spirito compositivo,abbandonando la musica inaffascinanti e penetrantimisteri come nella tracciaAtonement. Lasciando l’ascoltatore alloscoperto, tra ombre troppolunghe e improvvise lucitroppo forti, come nell’in-treccio di violino e pianofortedi Love Letters. Forti come i

cori che sovrastano Elegy for Dunkirk, som-messi e abbattuti come in Two Figures byFountain, i suoni di Marianelli si fondono allepercezioni individuali per un cd magnifico, sen-sibile forma di congiunzione tra la musica, lascrittura e le immagine bellissime del film diJoe Wright.

Flavio Fabbri

Il klezmer non nasce per ragioniestetiche né per motivi commer-ciali: è musica tradizionale, deve

accompagnare eventi della vita, matrimoni,funerali, banchetti, o fare da colonna sonoraalle lunghe migrazioni in cui la musica è ele-mento identitario di un popolo e motivo disocializzazione. Non è roba da auricolari e let-tore Mp3. Il klezmer te lo dice chiaro: non sigioisce né si soffre, da soli. Per questo iMatrimia Klezmer band sarebbe meglio ascol-tarli dal vivo, in compagnia, magari ad unafesta. Il cd che il gruppo palermitano ha pro-dotto, però, aiuta a immergersi in quelle atmo-sfere e dà l’opportunità di apprezzare uncerto virtuosismo strumentale, di soffermarsisulle colte citazioni, e cogliere le tensioniespressive di quest’arte. I Matrimia dimostra-no di aver ben compreso lo spirito dei klez-mer, che si trasmette per osmosi, e si arric-chisce e trasforma in base ai luoghi chetocca, alle culture su cui si sovrappone. Cosìtutte le influenze musicali e le esperienze divita dei sette musicisti sono ben raccolte eamalgamate: jazz, classica, swing manouche,funky, ritmi balcanici e immagini felliniane.Musica «povera» e «sporca», eppure cosìcoinvolgente. Povera e sporca: sporcarsi suquesto disco (www.matrimia.it), che inveceche impoverire arricchisce.

Nicola Cirillo

Attacca lieve e impalpabile,su un tappeto d’archi velluta-to, spazzato a folate dalle voci

del Coro delle Kyrie in apertura. Atmosferasospesa su accensioni progressive e provoca-torie di un’interpretazione, quella data dalmaestro Riccardo Muti, incredibilmente stra-ordinaria. La Missa solemnis in E di Luigi Cherubini(1760-1842), per i tipi Emi Classics, nono-stante sia stata composta nel1818, trattiene ancora tuttala sua spiritualità e tensioneliturgica, grazie anche al tonoe all’impostazione del quartet-to di solisti vocali di spalla aMuti: Ruth Ziesak, MariannaPizzolato, Herbert Lippert eIldar Abdrazakov. Una direzione impeccabile,

per l’esecuzione orchestrale dei complessiBayerischen Rundfunk e Symphonieorchester.Cori flessibili, precisi, morbidi e di una compat-tezza eccezionale, pieni di cura per le sfumatu-re e i fraseggi. Un’opera trascendente che Muti ha domatoappieno, con grazia e solennità, lasciando cheil senso del sacro, molto vicino alla cifra diMozart, si diffondesse inevitabilmente, ma dol-cemente, per tutta l’esecuzione.

Otto tracce registrate inpresa diretta nell’eccezionaleesecuzione live a Monaco diBaviera, più l’Antifona e ilMottetto Nemo Gaudeat, incui alla Bavarian Radio Chorussi sono uniti gli organistiHarald Feller e Max Hanft.

Flavio Fabbri

BEYOND

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a cura di ROMINA CIUFFA

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