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PERIODICO DI INFORMAZIONE, ATTUALITÀ E CULTURA MUSICALE NUMERO 16 > Inverno 2011 FESTIVALI di Rossella Gaudenzi Il jazz ce l’ha nelle corde da sempre. Susanna Stivali, cantante, songwriter, compositrice, ha deciso di perfezionarsi presso il Berklee College of Music di Boston per respirare l’aria di puro jazz ed entrare in contatto con le perso- nalità complesse, articolate che per questa musi- ca e con questa musica hanno deciso di vivere. Tanto. Oltre a prender parte ai maggiori festival del settore, nazionali e non, e ad imprimere la propria personalità ai progetti che portano il suo nome, A secret Place e Piani diversi, imprezio- siti dalla collaborazione di artisti quali Lee Konitz e Ramberto Ciammarughi. (...) Periodico di informazione, attualità e cultura musicale a cura del Saint Louis College of Music ¢ CONTINUA NELLA PAGINA BEDTIME ¢ CONTINUA NELLA PAGINA JAZZ&BLUES REM ZOLA JESUS ¢ CONTINUA NELLA PAGINA BEYOND SOL7 SOL SOLE di Romina Ciuffa E ro sul mio aereo ieri, sorvolavo la montagna. La nevicata del 17 dicembre, volevo vedere se è vero che i fiocchi hanno ali d’aliante e che ci sono delle città, dopo la neve, che si costruiscono sulle nuvole. C’è turbolenza, cor- renti ascensionali che mi sbattono su, giù, una danza con questa montagna di stucco che mi cuce addosso una samba. E mi prende, mi affer- ra con garbo, ha nelle mani i miei fianchi, nei rami le ali. Mi avvolge questo Monte Formaggio che ora sorvolo, e mi fa ballare. Un dono, la samba, farmi credere che c’è amore mentre è solo turbolenza, e più c’è samba più menzogna. (...) A bbiamo assistito impotenti all’applauso dirompente e certamente inconsapevole che deputati e senatori hanno riservato all’esibi- zione di Andrea Bocelli, gesto che, purtroppo, a pieno titolo rappresenta la capacità discernitiva musicale dell’italiano. Una voce, quella di Bocelli, che in un contesto operistico possiede lo spessore e la possenza di un otta- vino, senza microfoni facilmente sovrastato da un tutti di flauti e clarinetti. Nel magico mondo della musica popolare, dove conta il contenitore più del contenuto (allitterazione ricercata), la voce bocelliana è un capolavoro del fuori contesto, ricordando un dilettante che mostra gratuitamente i muscoli in una competizione canora della peri- feria di Monopoli. Gratuitamente, perché non c’è alcun motivo sano per cantare con un approccio pseudo-lirico Tu scendi dalle stelle, con un risultato tra il goffo e il grottesco che, quindi, in Parlamento merita l’applauso. Ma, in un contesto culturale come appunto quello parlamentare, è d’obbligo spellarsi le mani, un po’ perché lo fanno tutti, un po’ perché è poli- ticamente corretto, molto perché «tanto non ci capisco nulla». Con tutti gli artisti che il mondo ci invidia, Camera e Senato dovevano invitare, in una sala che ci dovrebbe rappresentare tutti, proprio quei personaggi che al resto del mondo cederemmo volentieri? L’anno scorso la scelta di un piani- sta con i capelli dritti e la faccia disadattata ci costò diverse sedute di analisi; per le prossime edizioni sono in corso trattative riservate con i Righeira. Senza facilmente citare musicisti di grido sulla bocca di tutti, perché non pensare ai pianisti Pietro De Maria, Roberto Carnevale, Gianluca Cascioli, Roberto Prasseda? Perché quello stesso deputato che si commuo- ve per il fraseggio di un pianista di terzo anno non li conosce affatto. Nessuno in aula ne apprezzerebbe le qualità e non sarebbero nomi spendibili nel telegiornale delle 20. Sputare il rospo, ecco cosa serve. Da trent’anni, caval- cando l'esempio (dis)onorevole di chi governa, il popolo, digerita la lezione sul fascino della mediocrità purché di chiara fama, elegge ex veline, ex calciatori, ex pornostar. Chissà che la maledizione non venga da lontano, dagli insegnamenti di nonni e genitori. Ci hanno sempre raccontato favole, dove la giovane fan- ciulla di umili possibilità contingenti sognava il principe azzurro. Perché no, sognare va bene. Ma perché un principe danaroso e non un operaio nero di pece o un metalmeccanico con le unghie sporche di grasso? Perché non sognare un minatore che tossisce respirando polvere o un operatore ecologico che si spacca per ripulire le strade? E poi un principe che non sa cantare. Si sogni il rospo, piuttosto. Ma la maledizione è un boomerang. Il principe è destinato a svegliar- si rospo il giorno in cui la musica sarà cam- biata. Sarà armonica. Sarà rispettata. E non si potrà più bluffare con hit-parade, show televi- sivi o fenomeni da circo, un giorno tutti sapranno nuovamente distinguere il concime naturale dalla cioccolata. Perché ci vuole orecchio. Direttore ROMINA CIUFFA Direttore Responsabile SALVATORE MASTRUZZI Caporedattore Rossella GAUDENZI Redazione Flavio FABBRI [email protected] Rossella GAUDENZI [email protected] Valentina GIOSA [email protected] Roberta MASTRUZZI [email protected] Contributi Adriano Mazzoletti, Rita Barbaresi, Lorenzo Bertini Nicola Cirillo, Lorenzo Fiorillo, Alessia Panunzi Eugenio Vicedomini, Livia Zanichelli Music In Video Videointerviste Reportages Romina CIUFFA www.youtube.com/musicinchannel www.myspace.com/musicinmagazine Redazione Via Urbana, 49/a 00184 Roma Tel. 06.4544.3086 Fax 06.4544.3184 [email protected] Progetto grafico e fotografia Romina CIUFFA Stampa Ferpenta Editore srl Roma Anno IV n. 16 Inverno 2011 Reg. Tribunale di Roma n. 349 del 20/7/2007 STEFANO MASTRUZZI EDITORE SPUTANDO IL ROSPO ALT ER NATIVE NATIVE ELEONORA P ATERNITI photocredit Ignazio Raso SPECIALE Stefano Mastruzzi ROCK ROCK CLASSICA M M E E N N T T E E DANILO REA IL DRAMMA DEL TONNO di Flavio Fabbri D al nome s’intuisce che la natura degli Atome Primitif è sin- cretica all’origine. Si ispi- rano ad un monaco fran- cese, in inglese cantano i testi, a Roma hanno ini- ziato a muovere i primi passi in musica ma vogliono l’Europa. Azzurra Giorgi (voce), Giacomo Ferrera (basso), Claudio Cicchetti (batteria) e Clelia Patrono (chitarra) hanno pub- blicato il loro primo album ufficiale per l’eti- chetta indipendente Urban49, Three years, three days. Il titolo è un duplice riferimento alla fase della gestazione e ai tempi record di registrazio- ne in studio: tre anni trovano sintesi in tre gior- ni. Il dramma di un tonno è il primo estratto, con un video che merita l’oceano. Mentre una grata arrugginita lo divide dal mare. Gli Atome Primitif hanno pinne per un’acqua europea, e non per una zuppa di tonno nostrana. (...) BED TIME FEED FEED back O O F F F F

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MUSIC IN Anno IV n. 16 INVERNO 2011 (per scaricarlo> login=readromina password=readromina)Direttore ROMINA CIUFFAwww.musicin.euwww.myspace.com/[email protected] dal SAINT LOUIS COLLEGE OF MUSICStefano Mastruzzi Editorewww.slmc.itMUSIC IN VIDEO > www.youtube.com/musicinchannel è prodotto in collaborazione con il TGSHOW (www.tgshow.net) e ROMAUNO TV (online @ www.romauno.tv). In onda due volte al giorno su ROMAUNO visibile su SKY (CH 860) e sul Digitale Terrestre (CH 31)RUBRICHEJazz&Blues * Rossella GAUDENZIRockOFF * Flavio FABBRIALTerNATIVE * Valentina GIOSASoundTracking * Roberta MASTRUZZIBallet * Rossella GAUDENZIBeyond, Feedback, Feedbook, Training, ClassicaMENTE, SPECIALS, MusicALL, BEDTime * Romina CIUFFAMusic OUTCorrispondente * Nicola CIRILLOMusic In Video * RAYAPRODUCTZ@Romina CIUFFA [email protected] FABBRI [email protected] GAUDENZI [email protected] GIOSA [email protected] MASTRUZZI [email protected] CIRILLO [email protected] Ciuffa, Adriano Mazzoletti, Manuele Angelucci, Lorenzo Bertini, Luca Bussoletti, Nicola Cirillo, Giosetta Ciuffa, Stefano Cuzzocrea, Lorenzo Fiorillo, Gianluca Gentile, Adriano Mazzoletti, Egizia Mondini, Corinna Nicolini, Alessia Panunzi, Patrizia Piermarini, Paolo Romano, Eugenio Vicedomini, Livia ZanichelliFotografiaRomina CIUFFAProgetto graficoRomina CIUFFARedazioneVia Urbana 49/A - 00184 RomaTel 06.4544.3086Fax 06.4544.3184Marketing e Pubblicità[email protected] Iride SrlVia R. Gabrielli di Montevecchio, 17 - RomaTIRATURA: 50.000 copieRegistrazione presso il Tribunale di Roman. 349 del 20 luglio 2007

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PERIODICO DI INFORMAZIONE, ATTUALITÀ E CULTURA MUSICALE

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11 FESTIVALI di Rossella Gaudenzi

Iljazz ce l’ha nelle corde da sempre. SusannaStivali, cantante, songwriter, compositrice,ha deciso di perfezionarsi presso il Berklee

College of Music di Boston per respirare l’ariadi puro jazz ed entrare in contatto con le perso-nalità complesse, articolate che per questa musi-ca e con questa musica hanno deciso di vivere.Tanto. Oltre a prender parte ai maggiori festivaldel settore, nazionali e non, e ad imprimere lapropria personalità ai progetti che portano il suonome, A secret Place e Piani diversi, imprezio-siti dalla collaborazione di artisti quali LeeKonitz e Ramberto Ciammarughi. (...)

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REM ZOLA JESUS

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SOL7 SOL SOLE di Romina Ciuffa

Ero sul mio aereo ieri, sorvolavo la montagna.La nevicata del 17 dicembre, volevo vederese è vero che i fiocchi hanno ali d’aliante e

che ci sono delle città, dopo la neve, che sicostruiscono sulle nuvole. C’è turbolenza, cor-renti ascensionali che mi sbattono su, giù, unadanza con questa montagna di stucco che micuce addosso una samba. E mi prende, mi affer-ra con garbo, ha nelle mani i miei fianchi, neirami le ali. Mi avvolge questo Monte Formaggioche ora sorvolo, e mi fa ballare. Un dono, lasamba, farmi credere che c’è amore mentre è soloturbolenza, e più c’è samba più menzogna. (...)

Ab b i a m oa s s i s t i t oimpotent i

al l’applausodirompente ec e r t a m e n t e

inconsapevole chedeputati e senatori

hanno riservato all’esibi-zione di Andrea Bocelli,

gesto che, purtroppo, a pieno titolorappresenta la capacità discernitiva

musicale dell’italiano. Una voce, quelladi Bocelli, che in un contesto operistico

possiede lo spessore e la possenza di un otta-vino, senza microfoni facilmente sovrastatoda un tutti di flauti e clarinetti. Nel magico mondo della musica popolare,dove conta il contenitore più del contenuto(allitterazione ricercata), la voce bocelliana èun capolavoro del fuori contesto, ricordando

un dilettante che mostra gratuitamente imuscoli in una competizione canora della peri-feria di Monopoli. Gratuitamente, perché nonc’è alcun motivo sano per cantare con unapproccio pseudo-lirico Tu scendi dalle stelle,

con un risultato tra il goffo e il grottesco che,quindi, in Parlamento merita l’applauso. Ma,in un contesto culturale come appunto quelloparlamentare, è d’obbligo spellarsi le mani, unpo’ perché lo fanno tutti, un po’ perché è poli-ticamente corretto, molto perché «tanto non cicapisco nulla». Con tutti gli artisti che il mondo ci invidia,Camera e Senato dovevano invitare, in una salache ci dovrebbe rappresentare tutti, proprio queipersonaggi che al resto del mondo cederemmovolentieri? L’anno scorso la scelta di un piani-sta con i capelli dritti e la faccia disadattata cicostò diverse sedute di analisi; per le prossimeedizioni sono in corso trattative riservate con iRigheira. Senza facilmente citare musicisti digrido sulla bocca di tutti, perché non pensare aipianisti Pietro De Maria, Roberto Carnevale,Gianluca Cascioli, Roberto Prasseda? Perché quello stesso deputato che si commuo-ve per il fraseggio di un pianista di terzo annonon li conosce affatto. Nessuno in aula neapprezzerebbe le qualità e non sarebbero nomispendibili nel telegiornale delle 20. Sputare ilrospo, ecco cosa serve. Da trent’anni, caval-cando l'esempio (dis)onorevole di chi governa,

il popolo, digerita la lezione sul fascino dellamediocrità purché di chiara fama, elegge exveline, ex calciatori, ex pornostar. Chissà chela maledizione non venga da lontano, dagliinsegnamenti di nonni e genitori. Ci hannosempre raccontato favole, dove la giovane fan-ciulla di umili possibilità contingenti sognavail principe azzurro. Perché no, sognare vabene. Ma perché un principe danaroso e non unoperaio nero di pece o un metalmeccanico conle unghie sporche di grasso? Perché nonsognare un minatore che tossisce respirandopolvere o un operatore ecologico che si spaccaper ripulire le strade? E poi un principe che non sa cantare. Si sogniil rospo, piuttosto. Ma la maledizione è unboomerang. Il principe è destinato a svegliar-si rospo il giorno in cui la musica sarà cam-biata. Sarà armonica. Sarà rispettata. E non sipotrà più bluffare con hit-parade, show televi-sivi o fenomeni da circo, un giorno tuttisapranno nuovamente distinguere il concimenaturale dalla cioccolata. Perché ci vuoleorecchio.

DirettoreROMINA CIUFFA

Direttore Responsabile SALVATORE MASTRUZZI

Caporedattore Rossella GAUDENZIRedazioneFlavio FABBRI [email protected] GAUDENZI [email protected] GIOSA [email protected] MASTRUZZI [email protected] Mazzoletti, Rita Barbaresi, Lorenzo BertiniNicola Cirillo, Lorenzo Fiorillo, Alessia PanunziEugenio Vicedomini, Livia Zanichelli

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Redazione Via Urbana, 49/a00184 RomaTel. 06.4544.3086Fax [email protected]

Progetto grafico e fotografiaRomina CIUFFA

StampaFerpenta Editore srlRoma

Anno IV n. 16 Inverno 2011

Reg. Tribunale di Roma n. 349 del 20/7/2007

STEFANOMASTRUZZI EDITORE

SPUTANDO IL ROSPOALTER

NATIVENATIVE

ELEONORA PATERNITI

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SPECIALE

Stefano Mastruzzi

ROCKROCK

CLASSICAMM EE NN TT EEDANILO REA

IL DRAMMADEL TONNO

di Flavio Fabbri

Dal nome s’intuisceche la natura degliAtome Primitif è sin-

cretica all’origine. Si ispi-rano ad un monaco fran-cese, in inglese cantano itesti, a Roma hanno ini-ziato a muovere i primi passi in musica mavogliono l’Europa. Azzurra Giorgi (voce),Giacomo Ferrera (basso), Claudio Cicchetti(batteria) e Clelia Patrono (chitarra) hanno pub-blicato il loro primo album ufficiale per l’eti-chetta indipendente Urban49, Three years, threedays. Il titolo è un duplice riferimento alla fasedella gestazione e ai tempi record di registrazio-ne in studio: tre anni trovano sintesi in tre gior-ni. Il dramma di un tonno è il primo estratto, conun video che merita l’oceano. Mentre una grataarrugginita lo divide dal mare. Gli AtomePrimitif hanno pinne per un’acqua europea, enon per una zuppa di tonno nostrana. (...)

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a cura di ROSSELLA GAUDENZI

Music In ¢ NUMERO 16 > Inverno 2011JAZZJAZZ&& bblluueess

GOSPEL È la lietanovella, quella cherassicura su tutto.

SUSANNA STIVALI Da donne a donna Emily Dickinson, Alda Merini, Patrizia Cavalli, Joni Mitchell, BillieHoliday, Gabriella Ferri, Frida Kahlo e molte altre, in giro per Zagarolo, Palestrina, Frascati, Monterotondo,Castelnuovo di Porto, Ariccia, Genazzano, fino a Roma. Le porta tutte con sé il canto di Susanna Stivali.

rande classico: l’appuntamentocon l’Auditorium Parco dellaMusica, che accoglie le calde eavvolgenti note del gospel con ilfestival più atteso dagli appas-sionati di questa particolareforma di blues, il Roma FestivalGospel. Giunta alla XV edizione,la rassegna propone undiciappuntamenti, dal 19 al 30dicembre 2010, con i miglioriinterpreti mondiali di Gospel &Spiritual provenienti dagli StatiUniti e dal continente africano.Si apre quest’anno con la travol-gente energia sprigionata dallamusica e dai colori dell’ensem-ble più acclamata dal momento:il Soweto Gospel Choir.

Dall’inglese arcaico, gospelsignifica «buona novella» e leperformance di questa forma-zione non potrebbero tradurremusicalmente in modo piùappropriato gli inni di gioia e difede che scaturiscono dai cantipopolari e meticci di un coro lacui storia s’interseca inevitabil-mente con quella travagliata esofferta del Sud Africa. Essoinfatti, sin dal 2002, anno dellafondazione sotto la direzione diDavid Mulovhedzi (recentemen-te scomparso) e Beverly Bryer,ha preso costantemente partea molteplici iniziative a sfondobenefico e sociale, il cui eco nonha fatto altro che incrementareil successo ottenuto presso ilgrande pubblico.

L’ensemble vanta infatti nume-rosi riconoscimenti a livello inter-nazionale, quali due Grammy eillustri collaborazioni con musici-sti compositori come PeterGabriel e Thomas Neumann inoccasione della colonna sonoradella pellicola animata Wall-E(Pixar, 2008). Il Soweto GospelChoir si esibisce in 8 lingue suda-fricane, portando in scena imigliori talenti vocali formatisinelle molte chiese di Soweto,grande sobborgo sudafricano diJohannesburg, in un vero e pro-

prio viaggio, appassionato efestoso, ma pur sempre profon-damente legato alla spiritualitàdella loro terra e tradizione. Piùcontaminate e innestate daarrangiamenti contemporanei lealtre formazioni proposte que-st’anno dal festival, come il SouthCarolina Gospel Choir, BrentJones & T.P. Mobb e BridgetteCampbell Gospel Singers, i quali,seppure con repertorio più vicinoalle nuove generazioni, si propon-gono di portare avanti la tradizio-ne afro-americana delle antichefolk churches, sette religiose chefecero proprie le note formemusicali del call-and-response,del clapping e del ring shout,arricchite ora dalle pregevolissi-me voci a cappella che ben si fon-dono con le cadenze blues, ilritmo del ragtime e le improvvisa-zioni jazz attualmente parte inte-granti della musica gospel.

Il gospel, un tempo relegato aimargini della musica ecclesiasti-ca, oggi è divenuto forza profon-da della cultura popolare ameri-cana. Secondo la rivista statuni-tense Gospel Today, negli ultimidieci anni sette major hannocreato al loro interno delle divi-sioni di gospel music; le etichet-te indipendenti sono aumentatedel 50 per cento e il redditototale della gospel music, relati-vo allo scorso decennio, è quasitriplicato. Per alcuni la gospelmusic è la musica nera. Per altriè semplicemente un termineche comprende vari tipi di musi-ca religiosa-traditional, contem-porary christian, urban contem-porary southern, hip-hop, soul,R&B o rap; tuttavia, al di là dellefacili categorizzazioni, è un gene-re che va ascoltato, vissuto esentito, corporalmente e spiri-tualmente perché, citando unpensiero della stella del gospel,Inez Andrew: «Se non hai maisentito la necessità di leggere laBibbia, forse una canzone ti aiu-terà a farlo». ■

«Poco tempo fa, forse solo qualche giorno fa, ero una ragazza che camminava in un mondodi colori, di forme chiare e tangibili. Tutto era misterioso e qualcosa si nascondeva; imma-ginare la sua natura era per me un gioco. Se tu sapessi com'è terribile raggiungere tutta laconoscenza all'improvviso – come se un lampo illuminasse la terra!» (Frida Kahlo)

(...) Susanna Stivali, cantante jazz, compositri-ce e socia dell’associazione culturale«Muovileidee», così racconta la genesi e

la realizzazione di un ambizioso progetto. Un nome noncasuale né superficiale, muovere le idee: contiene il con-cetto dello spostamento, della fatica e non ancora il risulta-to, quindi l’incompiutezza. La Stivali e un festival, meglio,una rassegna: Da donne a donna, alla sua prima edizione,ha spostato i monti: da Roma a Frascati, da Zagarolo aCastelnuovo di Porto, a Palestrina, a Monterotondo, adAriccia per terminare a Genazzano: otto location, altrettan-ti pregevoli palazzi storici, per quattordici incontri «in bili-co» tra musica, poesia, letteratura, giornalismo, fotografia.

Mia è la formula iniziale, sono da sempre un’appassio-nata di poesia e letteratura; la mia socia, Maria LuisaCelani, si dedica a cinema e audiovisivo. Avevamo incantiere un progetto che fosse un mix di passioni e toc-casse più campi dell’arte. Il soggetto è venuto quasi dasé. Viviamo un momento socialmente opaco per l’inqua-dramento della donna. Cercavamo di dar voce a chi nonsi rispecchia in ciò che accade e ciò che vede. Inoltre, hola fortuna di conoscere artiste che hanno molto da dire ela voglia di omaggiare l’arte, in senso ampio.

Chi sono queste donne?Inizialmente io e Maria Luisa. A seguire Angelica

Caronia ed altre che hanno, per l’appunto contribuito conle proprie idee. In un paio di anni, il progetto ha presoforma. Da donne a donna è un progetto svolto con la col-laborazione della Provincia di Roma; l’idea iniziale coin-volgeva le Biblioteche di Roma, per aprire all’arte spazitradizionalmente votati ad altro. Abbiamo poi vinto unbando della Provincia, che ha finanziato per intero ilnostro progetto e ciò è estremamente importante, perchésignifica poter offrire eventi a ingresso gratuito.

Così l’arte e la cultura nella loro interezza, in manieratale da coinvolgere musica, letteratura, poesia e fotogra-fia, si sono spostate di luogo e sono state inserite in luoghid’arte della provincia di Roma da riscoprire, una serie dipalazzi storici, per il Progetto ABC Arte Bellezza Cultura.Tra queste strutture spiccano Palazzo Rospigliosi aZagarolo, il Teatro Comunale Gian Lorenzo Bernini diAriccia, le Scuderie Aldobrandini di Frascati, il CastelloColonna di Genazzano, Palazzo Valentini a Roma ed altri.

Si può parlare di una riscoperta di luoghi meno fre-quentemente battuti dal turismo?

Indubbiamente. Il contatto con il territorio ha messosotto i nostri occhi una quantità di risorse maggioririspetto a quanto comunemente si creda. Quindi, fattaeccezione per gli spazi specifici, il progetto è interamentenostro, rimanendo in linea con l’idea di accogliere l’artein luoghi che di solito l’arte non l’accolgono. Stesso for-mat ma spazi continuamente differenti, suggestioni deltutto diverse di volta in volta. È molto peculiare assisterealla reazione che suscita la lettura di un’attrice nella saladi un palazzo storico anziché in un teatro.

A quali donne vi rivolgete? Rendiamo omaggio a quattordici artiste dalla persona-

lità spiccata. Si tratta di un festival incentrato sullacomunicazione, innanzitutto, quindi commistione digeneri. Muse ispiratrici del presente, eccezion fatta per

Emily Dickinson, la scelta di quattordici artiste non èstata semplice. Alcune figure erano ben delineate, dueintellettuali scomparse da poco ad esempio: FernandaPivano, una figura che ha fatto da «filtro» nel contattocon altre culture, apportatrice di pace e di speranz, eAlda Merini. Sul versante musicale, la scelta è caduta surappresentanti di mondi distanti tra loro, personaggi chehanno influenzato il modo di fare musica: Billie Holidaye Joni Mitchell in primis, inoltre due figure da rivaluta-re, legate alla tradizione della musica popolare italiana,Gabriella Ferri e Giovanna Marini.

Di estrema importanza è per noi il filone ecologista-pacifista, quindi omaggi dovuti a donne come VandanaShiva e Wangari Maathai. Citerei anche PatriziaCavalli, poetessa molto amata, ironica, che alleggerisceun po’ il tono degli incontri. Infine, esemplari della cul-tura internazionale e rivoluzionarie nel sociale, comeAnna Politkovskaja e Frida Kahlo. Tutto ciò per rende-re omaggio alle donne non viste unicamente con unosguardo al femminile; volevamo raccontare qualcosadelle donne dal valore artistico universale. La musica haun ruolo preponderante.

Quali musiciste hai deciso di portare con te?In alcuni casi si può parlare di concerti veri e proprio e

la musica è l’indiscussa protagonista: talvolta si valorizzal’improvvisazione, talvolta l’interazione tra parola, poesiae note. Ho voluto innanzitutto la presenza di artiste chevolessero mettersi in gioco: musica sì protagonista ma chedeve mettersi in relazione con altre forme artistiche. Insecondo luogo era necessario trovare voci adatte alle pro-tagoniste da omaggiare. La domanda può risultare singo-lare: perché hai scelto Billie Holiday? Perché non raccon-ta soltanto uno stile, ma come molti musicisti della suaepoca ha vissuto nel jazz un’esperienza di vita, legato allarazza e al sociale, e ancor più, ciò che hanno dovuto paga-re la le donne della sua razza. Eccelso il messaggio artisti-co e fortissimo il messaggio di esperienza di vita.

A chi va il tuo personale omaggio?Quale amante della poesia, ad Emily Dickinson e

Patrizia Cavalli. La poesia fa lavorare sull’improvvisa-zione, quindi su un modo moderno di intendere il jazz.

Ritieni che ci sia un legame tra l’arte e il dolore?Più che tra arte e dolore, scorgo un forte legame tra

arte e coraggio. Coraggio e apertura che molte volte,poi, possono mettere in contatto con il dolore.

Come ha risposto il pubblico, sino ad oggi, allaprima edizione della rassegna?

Risposta ottima, così come la critica. Molto buona laconsiderazione da parte del presidente della ProvinciaNicola Zingaretti e sorprendente la risposta del pubblico:abbiamo avuto il timore che il messaggio fosse troppoalto. Così non è. La gente è curiosa, ha sete, vuole sape-re e fa domande su artisti a cui si avvicina per la primavolta. Noi abbiamo portato le donne tra le donne. ■

Videoreportage

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NNOOVVEELLLL AA GGOOSSPPEELLFESTIVALI

DA DICEMBRE 2010 www.musicajazz.itil portale del jazz in Italia

Interviste, articoli, recensioni, video, live e contenuti esclusivi.

FESTIVALI

a cura di ROSSELLA GAUDENZI¢ CONTINUA DALLA PRIMA PAGINA > FESTIVALI

di Alessia Panunzi

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MUSE. Emily Dickinson, Billie Holiday,Giovanna Marini, Gabriella Ferri, FernandaPivano, Goliarda Sapienza, Oriana Fallaci, AliceWalker, Fatema Mernissi, Nawal Al Sa’Dawi,Simone De Beauvoir, Alda Merini, AnnaPolitkovskaja, Patrizia Cavalli, Vandana Shiva,Wangari Maathai, Joni Mitchell, Tina Modotti eFrida Kahlo.

IN SCENA. Sandra Ceccarelli, Monica Cervini,Susanna Stivali, Elisabetta Antonini, Orsetta DeRossi, Angelica Ponti, Raffaella Misiti, StefaniaTallini, Gabriella Aiello, Sabrina Ramacci.

MOSTRA FOTOGRAFICA. Maria Luisa Celani eLoredana Vanini.

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JAZZJAZZMusic In ¢ NUMERO 16 > Inverno 2011

MY FAVORITE THINGS È stato il sax soprano di John Coltrane a inchiodare questopezzo del 1961 all’immortalità: ripreso, stravolto e impreziosito per divenire pietra milia-re del jazz, abbandonando le vie dell’hard bop e imbollando la strada del free jazz.

UMBRIA JAZZ WINTER Avete presentequell’odore di caminetto e griglia, vino rosso ejazz?

ODIO L’ESTATE Qualcunofinalmente ci spiega perché

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Concentriamoci per un attimo cercando di ricor-dare la rassicurante voce spiegata di JulieAndrews nella commedia musicale The sound of

music, diretta da Robert Wise, in Italia nota come Tuttiinsieme appassionatamente. Film datato - correva l’an-no 1965 - che evoca famiglia, calore, buoni sentimenti,ma anche etichetta e bon ton. Film datato che resta aconti fatti uno dei film più visti di tutti i tempi. Meritodella colonna sonora, musica di Richard Rodgers e testidi Oscar Hammerstein II: i motivetti cantati dalla fami-gliola dai tanti fratelli, orfani di madre, sono rimastiimpressi ad almeno tre generazioni di pubblico, e pro-prio tra questi ci ritroviamo a fischiettare My favoritethings - con buona probabilità ricordiamo la versione initaliano cantata da Tina Centi, Le cose che piacciono ame, ancor meglio di quella della brava Julie Andrews -forse ancora inconsapevoli del fatto che stiamo fischiet-tando uno dei brani più famosi della storia del jazz.

Dal movie al Natale, poiché questo è stato il passag-gio successivo, rendere il brano una popolare canzonenatalizia; e poi, ancora, dal Natale al jazz. È stato il saxsoprano di John Coltrane a inchiodare My favoritethings all’immortalità. Coltrane ha ripreso, stravolto eimpreziosito, in un album omonimo del 1961, il branoin una versione in 6/8 della durata di quasi quattordiciminuti, innegabilmente una pietra miliare del jazz, discoperaltro che sembra abbandonare le vie dell’hard bop

per prendere la strada del free jazz. Formazione d’eccel-lenza che diverrà poi uno storico quartetto: JohnColtrane al sax soprano e tenore, McCoy Tyner al piano,Steve Davis al contrabbasso ed Elvin Jones alla batteriaa dar vita a ipnotici e memorabili lunghi assoli di pia-noforte e sax, in linea con quella visione «policentrista»di Coltrane che offre ampia libertà espressiva ai suoi«compagni di viaggio».

My favorite things continua ad incantare nei decennie continua ad essere interpretata: dalla celeberrima ver-sione cantata di Al Jarreau a John Zorne a SarahVaughan; da Barbra Streisand a Dave Brubeck, WesMontgomery, Diana Ross, fino al piano solo di BradMehldau, in ordine sparso, per citarne solo alcuni.

Anche il mondo della cultura più sofisticato non si èlasciato sfuggire questo unicum musicale: la redazionedi Fahrenheit, trasmissione di Radio Rai3 ormai più chedecennale ideata da Marino Sinibaldi, ne ha fatto il pro-prio biglietto da visita. My favorite things ne è la sigla el’anima, proposta in centinaia di differenti versioni earrangiamenti.

Il palinsesto natalizio non ci priva del film Tutti insie-me appassionatamente neppure quest’anno, in guardiaperché alle prime note di My favorite things si vadaistintivamente a cercare il disco di John Coltrane.Poiché, alle nostre orecchie, My favorite things fa ormairima con jazz. ■

LE MIECOSEFAVORITE

Orvieto, una rupe di tufo assediata dal jazz, i Podestà, i Capitanidel Popolo, i Signori Sette, l’opulenza dell’improvvisazione.

Stefano Mastruzzi

XVIII edizione, dal 29dicembre 2010 al2 gennaio 2011. A

partire dal 1993 Umbria Jazz raddop-pia, fa spazio alla versione invernale enasce Umbria Jazz Winter. La cittàdella verde Umbria eletta ad accoglierecinque giorni di concerti - quelli piùsacri ma anche quelli più festaioli - èl’elegante e fascinosa Orvieto, con lasua ricchezza storica e artistica.

A far da cornice ai concerti le struttu-re più belle e preziose della città. Primatappa, il Teatro Mancinelli. Edificioneoclassico, tra i migliori esempi archi-tettonici di teatri ottocenteschi italiani,riaperto al pubblico nel ‘93, ospiterà ilconcerto di apertura nonché uno deipezzi forti del festival, Chick Corea &Stefano Bollani duet; Roberto GattoQuintet, Ray Anderson’s PocketBrass Band, Brass Bang!.

Seconda tappa, nell’opulento e linea-re Palazzo del Capitano del Popolo,che si erge nell’omonima piazza, risa-lente alla seconda metà del XIII sec.Qui risiedettero i vari Capitani delPopolo, i Podestà e la magistratura deiSignori Sette, da qui, in tempo di guer-ra, uscivano gli armati in difesa dellacittà. Oggi escono, dalla Sala dei 400 edalla Sala Expo, Danilo Rea, JoeLocke con Dado Moroni e RosarioGiuliani, Quintorigo con Maria PiaDe Vito. Armati.

Tappa numero tre, Palazzo dei Sette,sede di un centro culturale, eretto allafine del Duecento e sede dei Sette, irappresentanti delle Arti, da cui si acce-

de alla torre civica, nota come torre delMoro. Sarà il meeting-point ufficiale esede dei concerti di Renato Sellani eNick the Nightfly.

Quarta tappa: la Sala del Carmine, exchiesa del 1300 comprendente un con-vento, accoglie il concerto multimedia-le One hand Jack, una musica da Dio.La tappa numero cinque si fa a PalazzoSoliano, costituito da due grandi salonisovrapposti; la sala inferiore è sede delMuseo Emilio Greco, che ospita unacollezione di sculture e creazioni grafi-che e riceve la cantante americana DeeAlexander.

La Messa della Pace del pomeriggiodi Capodanno riempirà l’edificio piùfamoso e rappresentativo della localitàumbra, il Duomo, ideato da Arnolfo diCambio in stile romanico, ma innovatoe reso dal Maitani un esemplare di artegotica, realizzato fra ‘300 e ‘500.

Numerosi gli appuntamenti distribui-ti tra il Palazzo del Gusto (orario aperi-tivo) e il ristorante Al San Francesco(per il cenone del 31 dicembre e glieventi del Jazz Lunch & Dinner).

Ecco tornati al punto di partenza:Umbria Jazz Winter 2010 chiude con ilTop Jazz 2010 nel Teatro Mancinelli.Che non si dimentichi l’atmosfera difesta invernale: l’andremo a cercare neivicoli orvietani più nascosti e magariinnevati. Per incappare, forse, in unadelle parate che rallegreranno le vie. InUmbria senza musica non c’è verafesta. > nella foto, i Guappecarto in unristorante umbro nel corso diUmbriaJazz Estate 2010. ■

Quando Paola De Simone si è messa a scrivere un libro dedicato a «Odio l’e-state», il celebre brano italiano degli anni 60, non esisteva neanche un testosu Bruno Martino, che ne fu autore e interprete. Eppure il crooner italiano

nella sua carriera ha collezionato tanti successi: non è un caso che proprio questosia diventato il più famoso standard jazz italiano. Non c’è jazzista al mondo che nonl’abbia suonato: da Joao Gilberto a Chet Baker, da Michel Petrucciani a Mina. PaolaDe Simone ha ricostruito la storia del brano attraverso un racconto corale. La vitae la carriera di Bruno Martino rivivono tra le parole della moglie Fiorelisa, di JimmiFontana, Renato Sellani, Sergio Cammariere e Fabrizio Bosso, ma soprattutto diBruno Brighetti, autore del testo (rintracciato nel cuore dell’Africa nel pieno dei suoi85 anni) e Vinicio Capossela, autore della prefazione. È l’Italia di quegli anni, i nightalla moda e le strade polverose di tournée di provincia, un tassello di storia. È l’en-tusiasmo di una amante del bello e lo stile sobrio di una cronista d’altri tempi. ■

ODIO L’ESTATE

di Nicola Cirillo

14minuti di jazz puro, la prima registrazione di John Coltrane con la Atlantic Records,reinterpretazione modale di un pezzo di Richard Rodgers e lunghi assoli sulla ripe-tizione di due accordi, mi maggiore e mi minore. E un grande classico, il film Tuttiinsieme appassionatamente, per ricordare cosa vuol dire famiglia e storia del jazz.

di Rossella Gaudenzi

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ARMATA JAZZ

Page 4: MUSIC IN 16

a cura di FLAVIO FABBRI

ROCK’N ROLL OF FAME Unica condi-zione: devono aver effettuato la loro primaincisione 25 anni prima della candidatura

DAVID BOWIE «Il mio cantantepreferito è di gran lunga LucioBattisti». Però.

WAYWARDBREED L’intervista Sdoppiamentodella personalità, racconti di metamorfosi, dispera-ti afflati dell’anima, ossessioni per gli animali.

Music In ¢ NUMERO 16 > Inverno 2011

Un chiaro esempio di sdoppiamentodella personalità in un artista, ma inquesto caso piacevolmente conturban-te, arricchita da racconti di metamorfo-si, disperati afflati dell’anima, passioni

non corrisposte e singolari ossessioni per glianimali. Originario di Melbourne, Australia,Justin Avery aka Waywardbreed ha da pocopubblicato il disco Rising Vicious, album didebutto del suo primo progetto solista dopoanni di esperienze come bassista nelle bandaustraliane The Dumb Earth, The Mime Set eThe Spoils. La sua musica potrebbe esseredefinita uno sweet-gothic-folk proveniente dauna stanza oscura e simile ad un irresistibilerichiamo di un volatile nero dalle sinistre inten-zioni. I suoi testi sono perle letterarie e tra gliautori a cui si ispira ci mette anche ItaloCalvino e Primo Levi. Nel tour europeo, che loha portato ad esibirsi in Germania, Francia,Norvegia, Repubblica Ceca, Spagna eSvizzera, Waywardbreed non poteva saltarel’Italia di cui ama il caffè e il vino rosso.

Quando è nato «Waywardbreed»?È nato un paio di anni fa, conseguenza di un

periodo molto difficile. Mi sentivo incompleto,ciò che facevo con le altre band non riusciva asoddisfarmi, sia a livello musicale che persona-le. Perciò, un bel giorno, ho deciso di dare vitaa Waywardbreed. Una voce interiore inascolta-ta per anni, ‘un altro me’ che non aveva alcuntimore di esprimere finalmente desideri, paure,rabbia, odio e tutti i sentimenti più nascosti.

Perché hai scelto questo nome?È un’espressione che mi capitò di leggere in

un racconto di cowboys circa 10 anni fa. Micolpì immediatamente. Quando la gente michiede cosa significa Waywardbreed non so maiche rispondere. È solo un nome di fantasia.Scrivere canzoni autobiografiche è poco inte-ressante. Va a finire che tutti i personaggihanno sempre a che fare con Justin e non si rie-sce mai a mantenere la giusta distanza.Waywardbreed invece sta ad indicare moltecose. Potrebbe significare, ad esempio, la peco-ra nera della famiglia. D’altronde a me piac-ciono molto le associazioni con gli animali. Neimiti antichi gli dei erano soliti trasformare gliuomini in cani, cavalli o anche alberi e costel-lazioni. Probabilmente Waywardbreed è la miaparte animale, quella che non ha paura. A dif-ferenza di Justin, che invece ha ne ha spesso.

Quali sono state le tue esperienze musicaliprima di Waywardbreed?

Ho cominciato a suonare abbastanza tardi.Sono stato per oltre 7 anni un artista diviso trafotografia e installazioni. Ho anche scritto deiracconti. Poi un giorno, alcuni amici che ave-vano una band, i The Dumb Earth, mi hannoproposto di suonare il basso. Loro erano sullascena già da 10 anni e sono stati fondamentaliper la mia formazione di musicista. Il leaderdella band, David Creese, credo sia uno deimigliori cantautori australiani in circolazione.Ho poi suonato con The Mime Set e infine TheSpoils, con i quali ancora lavoro e che sarannodi nuovo in tour in Europa nel 2011.

Definirei la tua musica uno sweet-gothic-folk, cosa ne pensi?

Direi che suona bene. In Europa si usa spes-so nei miei confronti l’espressione singer-songwriter, ma non mi piace molto devo dire. Èun termine generico, un vestito troppo largo.Sweet-gothic-folk mi piace invece, almeno èfantasioso. Penso comunque che la mia musicasia in continua evoluzione e le etichette lascia-no sempre il tempo che trovano.

I testi qui giocano un ruolo molto impor-tante. Come riesci a combinare liriche emusica, come nascono le tue canzoni?

Sì, i testi sono sicuramente la cosa più impor-tante. Sono uno che scrive molto, anche se nonc’è una regola fissa. Diciamo che parole emusica escono fuori in momenti e in luoghi dif-ferenti. Raramente mi è successo di comporretutto insieme. Musicalmente mi ispiro LeonardCohen, David Bowie, Will Oldham, Tom Waits,Townes van Zandt, Patti Smith. Ma ci sonoanche film e romanzi. C’è un libro in particola-re, «Fugitive Pieces» dell’autrice canadeseAnne Michaels, a cui penso sempre quando hobisogno di trovare le parole giuste. Mi piaccio-no molto anche Raymond Carver, Primo Levi,Italo Calvino e W.G. Sebald. In quanto ai film,la lista sarebbe troppo lunga.

Col tuo tour hai attraversato mezzaEuropa, che cosa pensi dell’Italia? Apprezziqualche musicista italiano in particolare?

Ci sono stato per pochi giorni soltanto e ognivolta non so proprio che aspettarmi. È un Paeseche spiazza. Di sicuro si incontra gente diversa,si beve dell’ottimo caffè e del buon vino rosso.Un amico mi ha presentato Tiziano Sgarbi,conosciuto come Bob Corn, non più di un annofa. Adoro le sue canzoni, degli autentici gioielli.Ho avuto modo di suonare con lui in un concer-to a Berlino. È un uomo straordinario, con ungrande cuore e un sorriso ineguagliabile. ■

Nei miti antichi gli dei erano soliti trasformare gli uomini in cani, cavalli o anchealberi e costellazioni. Probabilmente Waywardbreed è la mia parte animale,quella che non ha paura. A differenza di Justin, che invece ne ha spesso.

LA PECORA NERAMAGIANERA

Ingannevoli suggestioni. Accade esatta-mente questo: basta una ristampa in dop-pia versione, speciale e deluxe, di un

influente album di 34 anni fa e il carisma di unartista che risponde al nome di David Bowie, ariaccendere la speranza -speranza cieca, speran-za disperata, speranza ultima a morire- di sentirparlare di un nuovo tour mondiale.

21 settembre 2010: per la EMI esce la ristam-pa del successo del 1976 del Duca BiancoStation to Station. Sei le tracce che compongo-no l’inconfutabile capolavoro del cantante bri-tannico (Station to Station, Golden Years, Wordof a Wing, TVC15, Stay, Wild is the Wind), regi-strate negli studi Cherokee di Los Angeles gra-zie all’apporto dei chitarristi Carlos Alomar edEarl Slick, del tastierista Roy Bittan, del batte-rista Dennis Davis, del bassista George Murraye del vocalist Warren Peace. Nonostante l’al-bum sia stato composto in un momento di crisiesistenziale per l’artista, il risultato è un’operadi successo in cui è forte l’influenza dalle bandelettroniche tedesche dell’epoca e dall’R&B.Successo indiscutibile sia negli States che nelRegno Unito, nonché lavoro che ha fatto daanticamera allo storico «periodo berlinese».

Station to Station come disco magico. Cosìdefinito dalla critica e dallo stesso Bowie: più diogni altra sua opera contiene rimandi alla magianera, cabala e cabala ebraica (citate le due sephi-rot Kether e Malkuth). Station to Station comedisco cult. Alcuni brani del disco, oltre aHelden, versione tedesca del celebre Heroes,sono nella colonna sonora del film culto Noi, iragazzi dello zoo di Berlino (1981), nel qualeBowie appare nell’interpretazione di se stesso.

Veniamo infine alle due versioni di questaristampa. L’operazione è astuta e non poco, daperdercisi. La Collector’s Edition comprendetriplo cd: album originale dal master analogico econcerto del ‘76 dal Coliseum di Nassau(Bahamas), più booklet con note a cura diCameron Crowe e 3 cartoline dell’artista.

La Deluxe Edition si compone di ben 5 cd edvd, tre LP in vinile, più poster, spillette, ripro-duzioni di biglietti, stampe fotografiche, foto emolto altro, troppo altro forse, proprio da per-dercisi. Ogni volta che esce un disco del DucaBianco è davvero un evento e ora i suoi fan nondevono fare altro che sperare in un suo ritornoanche dal vivo. «Il mio cantante preferito è digran lunga Lucio Battisti»: però. ■

DI VALENTINA GIOSA

Sono veramente sorpreso che le persone ballino sui miei dischi. Masiamo onesti: il mio rhythm’n’blues è totalmente di plastica. YoungAmericans, l’album che comprende Fame, è un disco di soul di plasti-ca. Sono i resti schiacciati della musica etnica come sopravvive nel-l’età del rock da sottofondo, scritta e cantata da un inglese bianco

Non c’è più il vero rock nellaHall of Fame, ma a noi piace-rebbe trovarci metallo, batte-ria, ritmi inascoltabili la matti-na per poter dire che sì, è lei,la piramide della ribellione.

ROCK’N HALL OF FAME

DI ROBERTA MASTRUZZI

DI ROSSELLA GAUDENZI

G li ultimi ad entrare nella Rock’n’rollHall of Fame sono stati i Genesis, gli TheStooges, Jimmy Cliff e The Hollies.

Quest’anno potrebbe essere la volta di TomWaits e Bon Jovi, ma la rosa è ampia e ci sonoaltri 15 artisti in lizza, tra cui Dr John, i BeastieBoys, Donovan e Neil Diamond. Stiamo parlan-do della Sala della Gloria e Museo del Rockand Roll di Cleveland, tempio americano dellamusica rock. Un luogo sacro troppo spesso pro-fanato, verrebbe da pensare, visto alcune nomi-nation che con la musica ribelle poco c’entrano.

Ad un esame più attento notiamo, infatti, chetra i nomi di quanti hanno apposto la propriafirma sul muro della hall, figurano personaggipiù inclini al pop e alla musica commerciale,che non al rock duro e puro. Inserire, com’èsuccesso lo scorso anno con gli ABBA, gruppio cantanti universalmente riconosciuti comepopular è da molti considerata una mossa orien-tata a favorire un maggiore afflusso di visitato-ri nella Hall of Fame. Tutti vorrebbero vedere ilproprio artista preferito entrare di diritto nell’e-dificio di culto per rockettari, ma è il mercatoad avere sempre l’ultima parola.

Viene infatti da chiedersi cosa c’entriMadonna con il rock e che fine abbiano fatto

gruppi storici come i Deep purple e i Kiss, gran-di assenti ingiustificati. Forse si tratta solo diaspettare altro tempo, ma è più probabilmenteun difetto del sistema di selezione. Anno peranno viene presentata dai direttori del museo,tra cui Jann Wenner, fondatore della rivistaRolling Stones, una rosa di stelle del rock,viventi e non, che hanno lasciato un segno evi-dente nella storia della musica. Unica condizio-ne: devono aver effettuato la loro prima incisio-ne almeno 25 anni prima della candidatura. Peril resto, la scelta dei nomi viene a dipendere dauna giuria di 1.000 critici ed esperti del settoreche sceglie ogni volta i 5 prescelti.

I nuovi ammessi alla Rock And Roll Hall OfFame per il 2011 saranno annunciati durante lacerimonia ufficiale in programma al WaldorfAstoria di New York, il prossimo 14 marzo. Trale nomination di quest’anno ci sono, oltre inomi sopra elencati: Alice Cooper, LL Cool J,Donna Summer, Laura Nyro, Chuck Willis emolti altri.

Noi abbiamo già scelto per chi votare. Ci pareche Bon Jovi e Tom Waits siano due voci chemancano nella hall. Si può non essere d’accor-do e possono non piacere, ma certo nessuno puòdire che non siano abbastanza rock. ■

Page 5: MUSIC IN 16

THE WHO Tornai da mia madre, dissi: «Mammasono pazzo aiutami!». Lei disse: «So come ci si sentefigliolo, è nella nostra famiglia.» (The Real Me)

R.E.M. Il bagno di mezzanotte, ricordo quella notte mentre arrivava settembre | mi sto struggendo perla luna | e cosa succedeva se ce n’erano due | fianco a fianco in orbita | attorno al più onesto sole | quel-la luminosità, che si diffonde nella notte | non può descrivere il bagno di mezzanotte. (Nightswimming)

Music In ¢ NUMERO 16 > Inverno 2011

Collassa nell’Adesso. C’è qualcosa che dal sogno, la fase R.E.M., ti riporterà alpiù profondo te stesso, ora, accelerato, dolorante, e senza più punteggiatura.

arlare di un gruppocome The Who significafare un tuffo nella storiadella musica rock britan-nica e mondiale. Il loro

primo album è infatti del 1965e porta il nome immortale diMy Generation. Un’ode allagioventù londinese, al movi-mento Mod, al rock&roll, chela rivista americana RollingStone decise nel 2004 si inseri-re all’11esimo posto delle 500canzoni più importanti dellastoria della musica. Un ricono-scimento tra i tanti ricevuti da Pete Townshend(chitarrista e autore della maggior parte dellecanzoni), Roger Daltrey (voce), John Entwistle(basso elettrico) e Keith Moon (batteria), duran-te una lunga carriera da vere stelle del rockinternazionale.

Ora, superati i 100 milioni di dischi vendutied entrati di diritto nella Rock&Roll Hall ofFame, The Who sono tornati in studio sembraper un nuovo eccitante album, il secondo negliultimi 23 anni. Nel 2006 era infatti uscitoEndless Wire (disco d’oro in Gran Bretagna enegli Usa), con le new entry di Zak Starkey ePino Palladino a dar manforte agli unici super-stiti della line up originaria: Townshend eDaltrey. Un nuovo viaggio, quindi, di cui anco-ra si sa poco e che nasce da un post pubblicatosul sito ufficiale del gruppo a firma di Daltrey.Nella nota si leggeva: «Non posso dire niente dipiù specifico, ma sappiate che ci sarà un tour incui abbiamo programmato molto materiale delpassato». Poi ha aggiunto: «Pete (Townshend)

in questo momento sta scrivendo nuovi pezzi.Nessuno può dire quando avrà finito, ma sonosicuro che prima del tour avremo un nuovoalbum da pubblicare».

Un 2011 che si preannuncia quindi davveroricco di sorprese, per gli amanti del rock&rolld’autore, con i Rolling Stones che hanno giàannunciato un poderoso tour mondiale perfesteggiare i loro primi 50 anni di attività. TheWho, inoltre, hanno ufficializzato per il prossi-mo anno anche la ristampa del celebre Live atLeeds del 1970, considerato da certa stampacome l’esibizione dal vivo più entusiasmantedella storia del rock, che per l’occasione si chia-merà Live at Leeds: 40th anniversary super-deluxe collector’s edition.

Al suo interno, oltre al cd dei brani della leg-gendaria serata inglese e alcune bonus track, tracui il singolo inedito Summertime blues’/Heaven& Hell, anche un secondo cd che porta il nomedi Live at Hull, ovvero l’esibizione della seratasuccessiva a Leeds. ■

P

Quelli del 1965, quelli dei 100 milioni di dischi venduti, quelli di un nuovo album

THEWHOCHI?

D opo trent’anni di attività i REM nonhanno minimamente voglia di appen-dere gli strumenti al chiodo e il nuovo

album Collapse into Now è previsto in uscita adaprile del 2011. Si tratta del loro 15esimo discoin studio, senza contare i live e le raccolte, regi-strato negli studi di New Orleans, Nashville eBerlino. Proprio la città tedesca, una delle piùcool d’Europa, sembra aver dato nuova vervealla banda di Athens (Georgia).

Altra importante novità, pubblicata diretta-mente nel sito ufficiale di Michael Stipe, PeterBuck e Mike Mills, è il cambio del nome, daltradizionale R.E.M, al più fluido e colloquialeREM. Praticamente sono stati eliminati i punti-ni, che da sempre stavano a ricordare il celebreacronimo che li contraddistingue fin dall’iniziodelle loro carriera: Rapid Eye Movement.

Una carriera di alti e bassi, coronata però dacostanti successi di vendite e di pubblico ai lorotanti concerti che li hanno portati in giro per ilmondo. Uno di questi, ad Austin nel 2008, è dapoco diventato un dvd, Live From Austin, costo-la multimediale del tuor mondiale di Accellerate(2008). Un momento intenso per il trio america-no che, oltre al nuovo lavoro in studio, sono atti-

vissimi anche con altri progetti. Michael Stipe,ad esempio, da sempre sensibile alle tematichesociali e civili, in casa e fuori, ha supportato inprima persona l’organizzazione «Free TheSlaves», per combattere la condizione di schia-vitù in cui decine di milioni di persone versanoin tutto il pianeta.

Dopo aver occupato i primi posti nelle classi-fiche Usa e del Regno Unito con Accellerate, iREM tentano ora di bissare il successo con que-sto nuovo disco che, da indiscrezioni del produt-tore Jacknife Lee (The Hives, U2, Snow Patrol,Weezer, Kasabian), sembra essere orientato susonorità decisamente rock e su atmosfere tipichedella mitteleuropa. Quel crogiolo multiculturalee multietnico che, dopo il crollo del muro diBerlino, ha ritrovato forza e capacità di attrarreartisti da tutto il mondo.

Un set di tracce molto meno sperimentaliquindi e caratterizzate da un ritorno agli anni 90del secolo scorso, quelli di Out of Time,Automatic for the People e Monster, tempi incui c’era ancora Bill Berry (che poi ha lasciatol’attività nel 1995) e in cui i REM, in pochianni, vendettero oltre 40 milioni di dischi intutto il mondo. ■

DI FLAVIO FABBRI

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Page 6: MUSIC IN 16

ALALTTERERNATIVENATIVE

a cura di VALENTINA GIOSA

PORCELAIN RAFT Mario Remiddi Una tazzadi porcellana perché non galleggia nell’acqua, main qualsiasi altro luogo si pensi

ZOLA JESUS Potenti melodie romantic-dark,colonne portanti di un paesaggio sonoro algido egotico ornato di synths glaciali e batterie riverberate

DIVINE COMEDY Ilterzo cerchio dantesco, l’a-vidità della finanza inglese

Music In ¢ NUMERO 16 > Inverno 2011

C apaci di riprodurre un raffinatopop degno di artisti del calibro diElvis Costello e costruirci un caro-

sello di ritratti in stile vittoriano dalleatmosfere demodé con rimandi al gene-re musical, i Divine Comedy tornano sullascena con Bang Goes the Knighthood. Ilprogetto nasceva nel 1989 per volontàdi un introverso sognatore innamoratodell’Italia e del film Camera con vista, NeilHannon, che aveva scelto il nome dellaband quasi per caso, pizzicando nellalibreria dei genitori il titolo dell’epicopoema di Dante La Divina Commedia.

Con Bang Goes the Knighthood l’irlan-dese ha voluto osservare con acuto cini-smo lo scandalo finanziario e la decaden-za sociale che ha travolto l’Inghilterra inquesti ultimi anni; i ricchi borghesi e i falsipotenti descritti nel brano The CompleteBanker ne sono un esempio lampante. Ildisco non è forse il miglior lavoro se pen-siamo ai precedenti Absent Friends eCasanova, ma la bravura e l’unicità del-l’artista non sono in discussione.

DI EUGENIO VICEDOMINI

NEIL HANNON

ANG GOESDIVINECOMEDYB

O riginario di Roma, Mauro Remiddi si trasferisce a Londra 10 annifa. Dopo l’esperienza con la indie band Sunny Day Sets Fire,decide di dedicarsi a tempo pieno al suo progetto solista che

aveva tenuto nascosto nel cassetto sin da bambino. Nasce così PorcelainRaft, una giostra colorata dove musica, parole ed immagini sembrano par-lare la stessa lingua della purezza e del sogno. Music In ha incontrtoMauro durante il recente tour con i Blonde Red Head.

Come sta andando il tour con i Blonde Red Head? Devo dire che mi sembra un pò un viaggio sulla luna. È tutto così inten-

so che è impossibile fotografarlo. Tantissime emozioni, colori, momentibellissimi, ma anche assurdi, inaspettati, come alcune chiacchierate fattecon persone sconosciute sul treno. Sto inoltre imparando molto dai BRH,che sono delle persone stupende con una grande purezza di fondo. E hovisto come loro vivono davvero quello che stanno facendo. È come entra-re in un vortice dove tu diventi quello che fai e questa cosa ti stanca moltoma più sei stanco e più sei te stesso, perché non hai neanche la forza dipensare o creare delle barriere. Credo ci vorranno un paio di mesi primadi digerire tutte le cose che sto vedendo e imparando in queste settimane.In fondo, mi sembrano un anno.

Come è nata l’idea del tour?È stata una coincidenza perché alcuni dell’etichetta 4AD erano venuti

a sentirmi suonare in un concerto a Londra (il mio sesto concerto; inrealtà ho cominciato a suonare live con questo progetto da neanche tremesi) e io non lo ignoravo. Quindi ho ricevuto una loro chiamata nellaquale mi comunicavano che i BRH avevano scelto me fra una rosa di arti-sti proposti dalla 4AD come opening act per il nuovo tour.

Quando è iniziato il progetto Porcelain Raft?Quando avevo 10 anni. I miei un giorno portarono un pianoforte a casa

e così cominciai a suonarlo. Avevo un piccolo registratore a cassette doveincdevo dei piccoli show. Per esempio vedevo un cartone animato e ten-tavo di rifarne la musica recitandoci su. Con il tempo non ho più smesso.A1 6 anni ho cominciato a suonare nelle prime band, ma quando torna-vo a casa continuavo a fare le mie cose come fossero due universi sepa-rati, da una parte la mia stanza e dall’altra il mondo reale, quello nelquale dovevo confrontarti con le persone. Fino a quando un giorno nonmi sono arreso e mi sono detto: «E se facessi ascoltare quello che faccioinvece di creare un alter ego? Perché non uscire nel mondo?». Con il mioPorcelain Raft faccio esattamente quello che facevo a 10 anni, ma con piùstrumenti, più esperienza. Ho solo deciso di farlo ascoltare. È la primavolta che espongo quello che faccio nella mia stanza.

Perché hai scelto il nome «Porcelain Raft»?È semplicemente un’associazione di parole. Mi piaceva «porcelain»

(porcellana) e «raft» (zattera). Ho cominciato ad unirle come facevano iSurrealisti che componevano frasi a caso. E questa combinazione era l’u-nica che mi suonava bene. Mi hanno fatto notare che una zattera di por-cellana non potrebbe galleggiare sull’acqua ed ho pensato: «È il nomeperfetto». Perché significa che non sta galleggiando sull’acqua, ma altro-ve.

Oltre PR quali, sono state le altre esperienze musicali?Ho inziato a Roma a scrivere dei brani strumentali per cortometraggi.

Poi ho cominciato ad avere delle band dove cantavo. Quando mi sonotrasferito a Londra ho voluto espolorare la mia parte più divertente, iro-nica, cosa che non stavo facendo in Italia, dove era tutto un pò più«dark». Quindi ho creato con la mia amica Onyee i Sunny Day Sets Fire,dove suonavo anche la chitarra. Mi sono reso conto dopo allora che quel-lo che stavo facendo in quella stanza stava diventando sempre più impor-tante. Ho deciso così di abbandonare la band e seguire a tempo pienoquesto progetto.

Trovo ci sia una componente molto visiva nella tua musica, come seil suono disegnasse paesaggi sognanti animati di giostre e carrilion...

Sì, decisamente sono una persona visuale. Anche quello che facevo dabambino con i cartoni era già strettamente legato alle immagini. Devodire comunque che questo riferimento che fai alla giostra è pazzesco: mi

hai fatto venire in mente una foto di quando ero ragazzino, l’unica cosache ho portato via dall’Italia. L’immagine ritrae me proprio su una gio-stra tutta colorata e attorno un paesaggio desolato di una zona periferi-ca con palazzi grigi in costruzione. Ricordo che quando ho ritrovato lafoto ho pensato che mi rappresentasse perfettamente. Per cui è assurdoche ora tu dica questo.

È per questo, quindi, che anche i video svolgono un ruolo moltoimportante nella tua musica. È come se ci fosse un filo conduttore,come se video e musica fossero un linguaggio unico dove l’uno nonesiste senza l’altro.

Certo, alcune canzoni non potrei immaginarle senza video, è come secreassero una sorta di mappa e la canzone diventasse un luogo ben pre-ciso; il video ti dà la foto dell’intero labirinto e ti fa capire il percorso,come si è arrivati fin a quel punto e da dove si è partiti.

Sei tu stesso che li realizzi?Sì, tranne quelli per Dragon Fly e Talk to Me. Non ho una grande tec-

ninca, quindi prendo delle immagini che mi piacciono, per esempio suYouTube, e non sapendo come importarle le riprendo con la telecamerasullo schermo e le edito successivamente.

Nascono prima le canzoni o i video?Le canzoni. Anche se ultimamente sto cercando di realizzare video e

canzone nello stesso giorno come fosse un corpo unico.Che tipo di strumentazione usi?Drum machines, keyboards, chitarra, effetti. Uso il computer solo come

macchina per registrare e non a livello compositivo. Tutto il resto sonocose esterne. È tutto suonato. Vorrei portare dal vivo esattamente quelloche faccio in quella stanza e non il computer perché non è uno strumen-to musicale. Quando porti il laptop sul palco è tutto troppo perfetto,suona come un cd, sei sicuro che tutto andrà bene ma questo è proprioquello che non voglio. Ciò che cerco è invece una sorta di pericolo nelsuono. Qualcosa che suoni troppo alto o troppo basso per esempio.

Ci sono degli artisti a cui ti senti vicino?Sicuramente, come attitudine, artisti come Atlas Sound o Beach House.

È come se avvertissi un’emotività comune, la stessa energia silenziosache non ti viene sbattuta in faccia.

Cosa influenza la tua musica?Principalmente i film. Prima del tour ho riguardato molte cose di

Tarkowski fra cui Lo Specchio e Stalker, non tanto per la poetica delleimmagini ma per il modo in cui il regista racconta la storia, ciò che è esat-tamente quello che vorrei realizzare nei miei live. Nei suoi film c’è unanetta diversità tra la realtàà e le memorie. E questo accade tutti i giorni.Noi stiamo facendo questa intervista ad esempio, ma tu vedi passare unapersona con una giacca verde che ti ricorda magari una persona. Perciòtu mi ascolti ma la tua testa può allo stesso tempo viaggiare in una frazio-ne di secondo nelle tue memorie. La storyline non è mai dettata dallarealtà, è come fosse un labirinto di cose che avvengono nello stesso tempo.Nei film di Tarkowski c’è una connessione fortissima fra il sogno e quelloche accade veramente, e le due cose spesso non sono connesse. Vorreiarrivare ad avere questo nel mio set live. È ancora un work in progress.Sto tentando di capire come fare. ■

a cura di Valentina Giosa&R A F TPORCELAIN

Regina gotica, solitaria sirena dal look chic-dark, conturbante incantatrice notturna einvocatrice di affascinanti e pericolose melo-

die apocalittiche, Zola Jesus non può certo lasciareindifferenti. La giovanissima cantautrice americana,cresciuta nel selvaggio Wisconsin, è certamente un’ar-tista sui generis in bilico fra musica avantgarde, indu-strial, new wave, musica classica. A colpire al primoascolto è innanzitutto la sua voce, intensa, glaciale esensuale, antidoto perfetto per sedare tutte le animeinquiete allo scoccare della mezzanotte. Nika RozaDanilova (il suo nome all’anagrafe) ha ultimato dapoco il tour europeo facendo tappa in Italia per unasola data a Milano in occasione dell’uscita del suoultimo EP Stridulum pubblicato per la newyorkeseSacred Bones, disco sicuramente più «pulito» rispettoai precedenti The Spoils e New Amsterdam.

Qualificata come cantante di opera e ispirata dallascena musicale sperimentale e underground (DiamandaGalas, Siouxsie Sioux, Cocteau Twins) e i filosofi esi-stenzialisti (è laureata in Francese e in Filosofia) si èfatta avanti velocemente arrivando a conquistare i riflet-

tori grazie a potenti melodie romantic-dark, colonneportanti di un paesaggio sonoro algido e gotico ornatodi synths glaciali e batterie riverberate.

Le liriche cupe di I can’t stand (uno dei miglioribrani di Stridulum, vera e propria «gemma nera» del-l’intero lavoro di Zola Jesus), che recita sulle notecavernose del synth «It’s not easy to fall in love / Butif you’re lucky / you just might find someone / So don’tlet it get you down / Cause in the end, you’re only one»o di Lightsick («Do you wonder / what will we become/ when our eyes close / on the starry ends / when wefinish our rows / and the folds are dead /when thelights go out on us») rappresentano perfettamentel’approccio provocatorio e anticonformista di un arti-sta che non ha nessuna paura di gridare al mondo laverità. «Per me è importante fare musica che in qual-che modo inquieti», dice in un’intervista. «Molti deci-dono di mettere su un band solo perché adorano iparty, la vita mondana e diventare famosi. Io non sonoper niente interessata a questo. Non prendo droghe,non bevo. Tutto ciò che voglio è portare qualcosa dinuovo ed emozionante al mondo». ■

SIRENA JESUS di Valentina Giosa

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CORRI AMORE CORRI (chiave dibasso) e il dolore, lì, vicino al cuore, si dis-solve come (chiave di violino, 6/8, sol alto)

Music In ¢ NUMERO 16 > Inverno 2011

Sono racconti (di Maria Inversi) musicati su partitura (di Massimo DeLorenzi). «Non è ampio il fazzoletto di cielo... non può più di tanto e impie-trita (ah! sospiro)» è tra le pause. Poi riprende Vivaldi. Chiave di violino.

Voce. «Corre e non sente il vento (pausa) corre il cuore batte forte (sono crome) Elenaè il suo cuore (pausa) corre deve salvarla (terzine) il grido di Elena risuona ancora ah!

ancora (terzina)». Ah! Ancora ah! (ossia croma, terzina, croma, tuttisol). In alto vola un elicottero. I filari di iris tremano, ondeggiano, si pla-cano. Troppa rugiada fa male ai fiori.Chiave di basso, è Brahms a musicare Non voglio più ricordare. Primoritornello solo violoncello pizzicato: «Mammina cara, è passato tantotempo lo so... Non voglio più ricordare mamma, non voglio più». PoiRavel, moderato, violoncello con arco: semibrevi di la, do, si, sol, la, do,si, introducono questo: «...scandiva il tempo, in ore precise del giorno(chiude la musica sfumando)... una piccola chiave lei l’aveva vista in uncassetto del comò», e pizzicato, crome di mi-la (quatta) ripete (il cuorefurioso) ripete. Domani forse, violoncello, 4/4, chiave di basso. Lìaccartocciato, le membra inarticolate... cosa gli è accaduto? (la musi-ca rimane sotto il monologo, pianissimo sul ponticello). E le nostre can-zoni... dimmi una parola, regalami un suono. (crome sol-re, semiminimasi). Ti bacio qui e qui... Ti racconto la favola della fiammella. Sì, ti piace-va. Ecco. (semicrome sol-re, semiminima si). Un uomo è un lento da

Monument de Saint-Jean. «Ma nessuno si accorse di nulla» (stop musica).La violinista. Veronica, adottata. «Voglio un violino». «No». Per anni. Voglio un violino, unviolino, un violino! «La madre abbandonò le cipolle e il coltello che, con rumore sordo, s’a-dagiò nella zuppiera. Le bambine piccole non suonano il violino». «Io sì». Corpo e voltocontro il vetro e lo sguardo dentro il giardino, oltre il giardino. Lontano, lontano da quel-la casa. «Ma ecco che tra un ramo e l’altro del pioppo intravide e poi vide il violino che,per liberarsi dai rami, scivolava danzando al ritmo di lunghe note affinché nessuna cordasi rompesse né graffio si ferisse. Volteggiò alto e lesto nell’aria e poi giù piano piano aposarsi contro il vetro, contro il suo corpo. Allargò le braccia balzò sulla sedia aprì lafinestra. Fu sulla spalla, l’archetto tra le dita si dischiuse, l’orecchio sulla mentoniera.Suonò. Non abitava più lì». Chiave di basso, una sola pagina di par-titura. Tutte minime, semiminime,semibrevi: non c’è fretta per dellecrome. «Sempre a quella finestra, nonsognare, fa’ qualcosa». Violoncello conarco. Chiude sfumando.

«Erano gli anni in cui ci toccavadare una mano per sottrarreall’anonimato quei perdenti che

avevano perso due volte, una prima volta per laragione delle armi e una seconda per le ragionidella politica, anzi, ancor di più, della Storia; equesta seconda sconfitta era l’antefatto dell’u-miliante Questione meridionale e riguardavadirettamente tutti noi ragazzi del Sud.» Il brigante parla un linguaggio incomprensibilee suscita rifiuto e diffidenza; è relegato al silen-zio, mancano le voci dei combattenti meridio-nali sulla guerra del Risorgimento, la sua è lavoce del perdente: «Dall’altra parte della barri-cata i briganti tacciono: dal fronte dei perden-ti non ci giungono voci». Il brigante sta all’uomo come la strega sta alladonna, aleggia intorno ad ambedue luce di leg-genda e di maledizione. La ribellione della popo-lazione meridionale all’invasione pie-montese del 1860 è vicenda storicarimasta pressoché sconosciuta finoal sopraggiungere della ballataBrigante se more di EugenioBennato e Carlo D’Angiò. Il sodalizioartistico tra i due ha origini lontane.Lontani sono i primi anni Settanta,tempo dei successi dell’anticonven-zionale e felice Nuova Compagnia diCanto Popolare e lontano il giorno incui, scioltosi il gruppo, nascevaMusicanova, nel 1976.Si ritrovano insieme in entrambe le formazionied esperienze, Eugenio e Carlo, e restano fortisostenitori della tradizione folk, alla ricercadelle forme e dei suoni significativi della musi-ca del Sud Italia.

La ballata Brigante se more nasce nel marzodel 1979: è uno dei canti più popolari degli ulti-mi decenni della musica italiana. Il libro Brigantese more esce nell’autunno 2010 e ci raccontal’intera vicenda di un canto talmente efficace dascatenare nella memoria collettiva la convinzio-ne di essere stato composto più di un secoloprima da un autore anonimo. Narra di comenella realtà la ballata sia stata commissionatanel 1978 da Anton Giulio Majano per lo sce-neggiato L’eredità della Priora e di come gli

autori siano riusciti a restituire un«canto di guerra»; narra di due versimaldestramente contraffatti congrave danno all’essenza del brano edella profonda ricerca svolta sullacanzone popolare e sul brigantaggiomeridionale; narra di come la sceltadella canzone popolare contenga insé anche connotazioni ideologiche dicostume e cultura. Rilevante, nell’opera di Bennato,l’attenzione rivolta alle foto e allevite di briganti quali Ninco Nanco e

Michelina De Cesare: uomini contro, comeegli stesso li definisce, fatti fuori dal potere, alpari di Pancho Villa, Emiliano Zapata, ErnestoChe Guevara.

Rossella Gaudenzi

È progresso se un cannibaleusa la forchetta? Se lo chiede-va il poeta polacco Stanislaw

Jerzy Lec. Quale valore e senso ha esprimerepensieri non omologati, critici, a volte scomodi,non funzionali alle logiche della società (in)civi-le? Questa la premessa.Simone Cristicchi e l’amico Massimo Bocchia(«psicopompo», ossia accompagnatore dianime morte nell’oltretomba) partono da quiin questo volume che, oltre al cd Monologhiincivili (racconti di matti e minatori, soldati emigranti), contiene la storia del poliedrico can-tautore. Alla fine, un libro di Cristicchi suCristicchi, cui si aggiunge - come non bastas-se - l’alter ego Rufus; a dire il vero uno stile

poco comprensibile e la difficoltà di entrarenella lettura tra corsivi e nessuna indicizzazio-ne (ma lo si dice dal principio: persino l’indiceè provvisorio). È troppo presto per questo ex tombarolo (nonscrittore): far scrivere di sé viene dopo, scrive-re di sé ancora più tardi. Prima eventualmen-te scrivere degli altri, una classica strategia -attraverso gli altri parlare di se stessi -. Ma uncantautore canta, si impegna nel sociale,sogna. Troppo pochi per lui i successi e moltala capacità mediatica che lo rende dimentico.Dalla sua ha la facilità dellapolemica, che lo conducealla fama. Non basta.Non ha ancora incuriositoquella società incivile checritica perché lei spontanea-mente si interroghi: «maCristicchi, chi è Cristicchi?».E non «Cristicchi chi?», cheè tutt’altra cosa.

Romina Ciuffa

LUCIO BATTISTI: LA VERA STORIA...

DELITTI ROCK

«Un musicista, se la propriamusica comunica ed emozio-na realmente, non ha nulla da

spiegare e null’altro da aggiungere a quelloche si ascolta nei suoi lp», diceva Lucio Battisti,motivando la propria ritrosia nei confrontidelle interviste e dei giornalisti. Non avevaalcun torto. Sebbene, va ammesso, lui nonfosse un paroliere: e così, raccontava le storiedegli altri. Con fare (e malessere) universale. Resta ragionevole, tuttavia, la sua idea. Il musi-cista fa musica, e non è tenuto a spiegarenulla, né della propria vita né, tantomeno, dicosa i suoi pezzi vogliano dire oltre ciò che nonarrivi a ciascuno, secondo interpretazioniassolutamente soggettive. Ciononostante uno ruppe l’embargo forzatocon la stampa ed entrò nella sua anima latina,è il caso di dire, trascorrendo 5 giorni alMulino, dove Battisti stava registrando Anima

Latina, appunto. «Lui capì subito che io non eroun fan né un aspirante cortigiano. (...) Luciosembrava quasi fare a gara, anche se incon-sapevolmente, a scavalcarmi... a sinistra»,scrive. L’intervista uscì su Ciao 2001; quelnumero vendette più di 400.000 copie. «Nessuno poteva avvicinari a Lucio», specificaAlberto Radius. E andò così: a Battisti, con laforchettata di bucatini a mezz’aria tra il piatto ela bocca, Mogol chiese: «Ti farebbe piacere seRenato scrivesse un articolo su di te, sul nuovolp?». «E di che cosa scriveresti?», si rivolse aMarengo. «Di musica, naturalmente!». «Sescrivi veramente solo di musica... perché no?Sento di potermi fidare di te». Mogol non sitrattenne e urlò: «Bene! Bravo Lucio! Renato è

riuscito a farti uscire dal-l’isolamento. Bisognasubito brindare». E questa è la storia veradi quell’intervista, non solola storia di Lucio Battisti,ma anche quella di ungrande peone della musi-ca, come si è sempre defi-nito Renato Marengo.

Romina Ciuffa

«I hope I die before I get old»,cantavano gli Who nel 1965,a nome della loro generazio-

ne. Il rock ha sempre bruciato le stelle più lumi-nose del proprio firmamento, coltivando unainsana predilezione per il numero 27 (l’età) e lalettera J. Il famigerato club j27 (la trinità JimiHendrix, Janis Joplin e Jim Morrison) è unadelle tante mitologie, forse la più duratura, aispirare Delitti Rock, una lunga carrellata suddi-visa in sequenza cronologica sulle morti più omeno celebri e più o menocontroverse del rock. Membro fondatore delclub fu Robert Johnson:se il rock è la musica deldiavolo, è giusto partire daquel suo patto inauguralecon Satana siglato al cro-cicchio tra le Highway 61e 49. La sua oscura vicen-da fu la prima di una lunga

serie: disfacimenti da popstar (Elvis, Jackson),sciagure aeree (Buddy Holly, Lynryd Skynyrd),annegamenti (Brian Jones), una lunga lista dioverdose, colpi d’arma da fuoco (John Lennon,Curt Cobain), oscure trame paragovernativeper eliminare le menti migliori di una generazio-ne incendiaria. Il tutto raccontato col piglioasciutto di un’autopsia a freddo.Con un avviso ai naviganti: se il diavolo dà incambio fama e denaro, «la miglior mossa dimarketing per una rockstar», come recita ilparadosso in quarta, «è morire giovani».

Lorenzo Bertini

BRIGANTE SE MORE

CORRI AMORE CORRI - RACCONTI CON MUSICAUNA GOCCIA PURA IN UN OCEANO DI RUMORE

Nella notte del 29 mag-gio 1997, Jeff Buckley siimmerge nel Mississippi.Non è mai stato chiaro seil suo intento fosse quellodi bagnarsi per l’ultimavolta o se quanto gliaccadde fu solo uno sfor-tunato evento. Era vesti-to, non era drogato, neubriaco. Un’onda anoma-la lo fece affogare e il suocorpo venne ritrovato in

un canale 5 giorni dopo. Quella notte morì ungiovan e artista appena trentenne e vide laluce l’inizio di un mito. Gli venne cucita addosso la scomoda figura di«bello e dannato», come fu fatto con il padre,Tim, che il cupo Jeff quasi non conobbe, ma alquale assomigliava terribilmente. Ma forse Jeffera comunque destinato ad essere icona. Loera fin da vivo. E lo si poteva intuire già assapo-rando il suo album Grace: alla pubblicazione, faned esperti del settore gridarono al miracolo.Era nata una stella, un’artista vero, completo. Con questo libro il giornalista musicale JeffApter, redattore di Rolling Stone, dipinge unritratto del mito, che non si limita ad essereesaltazione e glorificazione, ma che descrivel’uomo in modo genuino e rispettoso e nonsolo il figlio d’arte. Non si limita a dissertazio-ni sull’animo inquieto del giovane e sul suocharme cupo, più il frutto di un’operazione

commerciale. Nella biografia, il giornalistachiama al banco dei testimoni i collaboratoridi Buckley, i musicisti che condivisero con l’ar-tista quegli anni energici e creativi, fatti distudi di registrazione e concerti live. E lo faallo scopo di evidenziare il Buckley musicista.Confrontando il lato umano dell’arte, con tuttii suoi conflitti, ed il lato tecnico della medesi-ma, fatto di note, spartiti e rime. Di tempi darispettare e brani da comporre.Poi indaga. Non mancano interviste a chi loha conosciuto negli anni dell’esordio. Quandolavorava come lavapiatti nel Sin-é club di NewYork e si esibiva, nello stesso locale, subitodopo aver finito il turno. Nel libro non si eclis-sa neanche sui vizi dell’artista, che era inclinea rifugiarsi nell’alcol. O sulle fobie e sui tor-menti che una vita fatta di concerti ebbe suJeff Buckley. Si descrive un uomo, un ragaz-zo. Uno zingaro. Una persona normale dallapersonalità eccezionale. Un talento tormen-tato e quieto nello stesso tempo.

Lorenzo Fiorillo

«Dialoghi incivili»di Simone CristicchiElèuthera Edizioni

16,00 euro

«Delitti Rock»di Ezio Guaitamacchi

Arcana Editore16,65 euro

«Corri amore corri»di Maria Inversi

Iacobelli Editore12,00 euro

«Lucio Battisti: La vera storia dell’intervista esclusiva»

di Renato Marengo Coniglo Editore - 14,50 euro

«La vita di Jeff Buckely (...)» di Jeff Apter

Arcana Edizioni euro 18,50

«Brigante se more»di Eugenio Bennato

Coniglio Editore 14 euro

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ROCK

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DIALOGHI INCIVILI Perchéla società si interroghi: chi èCristicchi?, e non: Cristicchi chi?

UNA GOCCIA PURA...L’immersione di Jeff Buckleynel Mississipi. La nostra in lui

DIALOGHI INCIVILI

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ILLUSTRAZIONE:QUINT BUCHOLZ

a cura di ROMINA CIUFFA

ROMINA CIUFFA

Page 8: MUSIC IN 16

BEYONDBEYOND&further ATOME PRIMITIF Three years, three days Galileo Galilei aveva puntato il cannoc-

chiale verso i cieli immensi e aveva spiegato limportanza di guardare ciò che è piccolo,costruendo l’occhialino. Questo gruppo, al microscopio, è più grande di quanto sembri.

EX CENTRALE TERMOE-LETTRICA MONTEMAR-TINI Delirio onirico?

Music In ¢ NUMERO 16 > Inverno 2011

a cura di ROMINA CIUFFA

(...) H anno certamente sofferto la gavetta dei live clubdella Capitale, dove nessuno paga e poco è ancheil rispetto per chi suona, e conosciuto l’anticame-

ra dei grandi circuiti internazionali, partecipando a OperazioneSoundwave, il talent-show di MTV dedicato agli artisti e alleband emergenti. Il direttore del Saint Louis, Stefano Mastruzzi,e il produttore artistico Josè Fiorilli (tastierista per Ligabue,Irene Grandi e Velvet) ne hanno voluto premiare la dedizione,dando alle stampe il cd del debutto. La presentazione ufficiale,quindi l’invito del MEI 2010 ad esibirsi.

I pezzi sono ora più rock (e la voce si sporca più volentieri congli strumenti, come nell’iniziale Indu e in Machine) ora piùimpalpabili (Jan 7th, Concert in my head), poi una consapevo-lezza musicale più alta (Silver House). Ma il primo chiaro indi-zio di quanto può essere luminosa una stella generata dall’ato-mo primitivo è Tuna drama, singolo dell’album, tragicomicastoria di un tonno che finisce condimento per spaghetti. Piccoliatomi crescono, eppure l’album d’esordio è già grande oggi,contiene sonorità mature che riportano ad autori (uno fra tutti, iPortishead) senza nulla copiare, e non si tratta di autodecanta-zione dell’editore per il suo stesso prodotto: la forza sta nelpoter decantare senza «auto», per la sicurezza di aver, con que-sto gruppo, oggettivamente superato lo standard. Gli AtomePrimitif sono una realtà a parte, che merita l’Europa. Il vero eproprio dramma di un tonno che non riesce a raggiungere ilmare, causa una grata arrugginita. E il video di Tuna Drama è,indiscutibilmente, poesia di impatto emotivo praticamente intol-lerabile, come una forchetta a tre denti.

Come nascono gli Atome Primitif?Clelia. L’intesa sui generi e il modo di suonare ha convinto me

e Claudio a scrivere e fare musica assieme. La prima cosa che ciè venuta in mente è stata di creare un gruppo, e questo è statopossibile con l’arrivo di Azzurra e Giacomo. Abbiamo iniziatocon le cover, orientandoci tra Massive Attack e Portishead, poisi è deciso di fare musica per conto nostro. Io iniziavo a realiz-zare programmazioni, Giacomo passava a casa mia e ci mettevasopra delle linee di basso, la voce di Azzurra si plasmava benis-simo sul tutto e il resto è venuto da solo.

Quando avete cominciato a scrivere musica?Clelia. All’inizio siamo stati obbligati a suonare come cover

band. A Roma, più in generale in Italia, è difficile fare altro sevuoi tentare la strada del musicista. La nostra musica, quellascritta da noi, c’è sempre stata fin dall’inizio, ma per sopravvi-vere e guadagnare qualcosa abbiamo dovuto riproporre i classi-ci per un po’ di tempo. Almeno fino a quando la qualità dellecose che componevamo in studio non ha cominciato ad emerge-re con forza e allora si è deciso, assieme, di passare ad altro e diinvestire il tempo esclusivamente nel suonare pezzi nostri.

Quanto paga l’originalità nel mondo della musica?Giacomo. Speriamo che la qualità della nostra musica porti

dei risultati anche economic e ci auguriamo che il disco vadabene, ma puntiamo molto all’estero perché cantiamo in inglese e

siamo consapevoli del fatto che il genere che proponiamo nontrova un gran terreno fertile in Italia. Contiamo di riuscire adorganizzare un tour all’estero nel più breve tempo possibile.

Clelia. Certo, i riscontri della critica e del pubblico ci sononecessari. Personalmente però, credo che la conferma più bellaè sempre nel renderci conto che stiamo crescendo professional-mente. I compromessi non ci piacciono e la produzione Urban49ci ha lascito molto spazio sin dall’inizio. Di solito è il contrario,la prima cosa che ti chiedono è di sacrificare spinta emotiva espontaneità, per far posto al prodotto. Con il Saint Louise eUrban49, invece, è stato diverso. Abbiamo la possibilità di espri-merci liberamente e questo è straordinario.

Qual’è la natura degli Atome Primitif?Giacomo. Musicalmente parlando, molte persone ci associano

ad una scena nordeuropea, per sonorità tipicamente islandesi otedesche. Il disco in realtà suona molto più rock, con chitarroni ebassi distorti. C’è anche l’elettronica però e la psichedelica. Innoi passa la musica degli ultimi venti anni, ma non è semplice tro-vare una collocazione precisa. Diciamo che sono più le contami-nazioni a cifrare i nostri lavori che una categoria in particolare.

Da dove nasce il nome della band?Giacomo. Con Clelia cercavamo un nome per il gruppo.

Eravamo indecisi e alla fine, dopo aver letto un articolo su unarivista scientifica, sono stato attratto dalle teorie di un monacofrancese relative alla nascita dell’universo, Georges Lemaître. Ilfisico sosteneva che l’evoluzione dell’universo avesse avuto ini-zio da un atomo primitivo, Atome Primitif, da cui poi, attraversoquello che successivamente venne definito big bang, è iniziato unprocesso di espansione tutt’ora in atto dello spazio.

Cosa pensate del vostro primo disco?Clelia. Una grande emozione. Una parte rilevante della mia

vita è racchiusa in questo album. Spero solo che gli ascoltato-ri ne percepiscano energia e forza emotiva. A loro spetta l’ulti-ma parola. Penso che dobbiamo molto a Josè, sia musicalmen-te, sia umanamente. Ma molto di più a Stefano Mastruzzi, cheè stato il mio maestro di chitarra per sei anni. È stato lui che ciha dato questa incredibile possibilità e che ha fatto in modoche Fiorilli ci aiutasse a crescere come persone e come musici-sti. Senza di loro, in definitiva, non avremmo mai raggiuntoThree years, three days. ■

Videoreportage

w w w. y o u t u b e . c o m / m u s i c i n c h a n n e l

Per un monaco francese, Georges Lemaître, l’universoha avuto inizio da un atomo primitivo: lo spazio-tempoinizierebbe ad esistere solo dopo la sua disintegrazione.

Il dramma di un tonno: una grata arrugginita lo dividedal mare. Così gli Atome Primitif, che meritano l’acquaeuropea, non di essere mischiati tra gli spaghetti italiani.

ILILDRAMMADRAMMA DELDELTONNOTONNO

L’ex Centrale Termoelettrica Giovanni Montemartini di Romariapre le porte alla musica: le due rassegne Musica e Cinema eUnplugged ne animeranno, fino all’8 gennaio 2011, la Sala

Macchine, recentemente allestita per ospitare spettacoli dal vivo. Il piace-re della buona musica si unisce così alle suggestioni dell’insolito intrec-cio tra antico e moderno. Achille sostiene Pentesilea morente davanti adun motore diesel; il dio Pothos si erge in tutta la sua grazia di fronte allaparete di una caldaia; un alternatore fa da sfondo agli sguardi fieri diEracle e Diomede.

Delirio onirico? Assolutamente no. Si tratta dello scenario offerto dallaSala Macchine della Centrale Montemartini, perfetta fusione tra archeo-logia classica e archeologia industriale, che fa da sfondo agli eventi musi-cali in programma fino all’8 gennaio 2011 nella suggestiva location,situata in zona Ostiense. Prima tappa di questo pittoresco percorso trime-strale l’evento Musica e Cinema, un viaggio tra le indimenticabili melo-die del cinema italiano. Dopo le note del Tema d’amore composto daMorricone per il film Nuovo cinema Paradiso, eseguite da Paolo Zampinie Primo Oliva, dopo l’omaggio a Nino Rota, dopo il cinema del premioOscar Nicola Piovani interpretato dal Quintetto Cirano, l’horror diClaudio Simonetti, autore delle oscure e conturbanti colonne sonore deifilm di Dario Argento.

A dicembre al via la seconda parte del suggestivo itinerario musicale

della Centrale Montemartini: la rassegna Unplugged ha come protagoni-sti importanti artisti indipendenti in acustico. Prima la voce graffiante e ilpianoforte di Paul Millns, cantautore inglese che ha preso parte alle piùimportanti band blues statunitensi; al suo fianco il canadese ButchCoulter, straordinario specialista dell’armonica blues. Ci sono l’america-na Elisabeth Cutler, di formazione rock, che si cimenta anche nellamusica fusion e nel blues «bianco» accompagnata dal polistrumentistaFilippo De Laura; Little Princess, voce solista in numerose colonnesonore prodotte da Mike Moran. Il gruppo italiano Silenzio Assenzio haproposto ricercate sonorità in cui si intrecciano chill out, acid jazz, newsoul, black-music, con impronte jazz-funk.

Il gran finale è tutto di Tony Esposito e La banda del Sole, cantau-tore e percussionista partenopeo alle prese con polistrumentisti interna-zionali e su strumenti inconsueti come tamburi d’acqua, hang, osi drume kalimba, per una selezione dei brani che lo hanno reso famoso in tuttoil mondo, e le sue composizioni più recenti, caratterizzate da una minu-ziosa e fine ricerca in ambito percussionistico. Sui ritmi e sulle note diTony Esposito si chiude questa breve stagione musicale: un percorso daitoni e dai tratti magici e onirici, che accoglie e avvolge il pubblico inuna candida nuvola di irrealtà, allietandone i sensi attraverso il poeticocontrasto tra antico e moderno, l’alternanza tra melodie a noi care esonorità sconosciute. ■

POTHOSE LACALDAIA

chille sostiene Pentesilea morente davanti ad un motore diesel; il dio Pothos si erge in tutta la sua grazia di fronte allaparete di una caldaia; un alternatore fa da sfondo agli sguardi fieri di Eracle e Diomede. Delirio onirico? Assolutamenteno. È Sala Macchine della Centrale Montemartini, perfetta fusione tra archeologia classica e archeologia industriale.

¢ CONTINUA DALLA PRIMA PAGINA > IL DRAMMA DEL TONNO

di Livia Zanichelli

A

a cura di FLAVIO FABBRI

Page 9: MUSIC IN 16

KIDDYCAR Can I have your desert, please? Ma certo, pren-dilo tutto, e portamelo via di qui. Distruggi le strutture che ho,rendimi del tutto libera di guidare una macchinina da ragazzina

3CHEVEDONOILRE Essere qui / nella baracca di latta / c’èun aereo in pista per me / e decollando il tempo che passa / semi vuoi insegnare a atterrare voglio scappare da te

Music In ¢ NUMERO 16 > Inverno 2011 BEYONDBEYOND&further

a cura diEugenio

Vicedomini

K iddycar, Arezzo. Ossia una bandindie-rock con una proposta musicalecolta e sognante ricca di atmosfere

sospese tra la malinconia di Nick Drake, la sen-sualità di Serge Gainsbourg e le ipnosi elettro-niche figlie della migliore tradizione teutonicadegli anni Settanta. Due dischi all’attivo(Forget About del 2007 e Sunlit Silente del2009). Tantissimi riconoscimenti di stima, inItalia come all’estero, tanto che i KiddyCarsono stati presentati dalla BBC inglese comeuna delle band più interessanti di quest’ultimoperiodo. Music In ha avuto il piacere di incon-trare Valentina Cidda, voce del gruppo.

Come e quando sono nati i Kiddycar? Dichiariamo il 2005, anche se il seme del

progetto risale agli anni 90 da un trio compo-sto da Stefano Santoni, Paolo Ferri e RobertoBianchi, all’epoca Kriminal Bit. Il progetto fupoi abbandonato fino a quando, durante unatranquilla serata tra amici, mi fecero ascoltarealcuni brani, come Human Logic e The Dawnand the Fly. Me ne innamorai immediatamente.Scrissi testi e melodie e dissi: proviamo.

Qual è il tuo background musicale?Vengo dal mondo della musica classica, ho

studiato pianoforte al conservatorio fino all’ot-tavo anno e canto lirico. Che dire? Tutte lestrutture che gli anni di studio avevano radica-to in me mi sono state utilissime per imparare alottare contro le strutture stesse. Ci ho messomolto a distruggerle ed essere libera. Il rischiodi ogni percorso accademico è che esso inchio-di in qualche misura il cuore, lo spirito, il cer-vello, in direzioni obbligate incompatibili conl’arte. La creatività non si insegna ed ogni tec-nica è utile solamente se sei tu a dominarlanon, invece, se è lei a dominare te.

Sono passati tre anni dal vostro primodisco Forget About. Cos’è cambiato?

Siamo cresciuti, professionalmente ed uma-namente. Di cose ne sono accadute tante:siamo più seri, organizzati ed uniti, e questo èanche dovuto al fatto che siamo seguiti e guida-ti da un grande manager, Alessandro Favilli.Siamo soddisfatti del nostro lavoro ma maiabbastanza: la regola d’oro è non assuefarsimai a se stessi.

La vostra musica ha un fortissima legamecon l’indie-rock d’oltremanica unito a sugge-stioni retrò della Parigi Anni 60. Non a casoi testi sono principalmente in inglese. È unascelta dura da fare in Italia?

Il problema è che spesso i musicisti italiani si

muovono in base a due schemi: importano uncerto modello internazionale, confezionandoloin italiano, e si ostinano nel tentativo di espor-tare un discorso cantautorale prettamente ita-liano, senza la minima preoccupazione di utiliz-zare un linguaggio universalmente comprensibi-le. Entrambe queste vie non portano lontano e sirisolvono, nel primo caso, in una copia sbiaditadell’originale, nel secondo, in un prodotto dinicchia. Dovremmo smettere di lamentarci delledifficoltà ed incentivarci. Ed ogni volta che siscrive un brano occorre giudicarlo in mododistaccato ed autocritico per capire se può reg-gere un confronto a livello internazionale.

Quante opportunità per gli artisti e gruppialternativi vedi derivare dalla rete?

La Xtal, etichetta che ha prodotto e stampatoil nostro primo album in Giappone, ci ha sco-perto e contattato proprio grazie a MySpace.Realtà come questa possono essere veicoli distraordinaria crescita e diffusione di progetti edi idee all’interno della rete. Ma alla fine èsempre la qualità che paga, che fa «accadere»,e non sono i «50.000 friends». Per noi Internetè stato, ed è, un mezzo miracoloso.

Quali voci femminili ti emozionano?In primis, la sacerdotessa delle tenebre,

profonda e inquietante, con le sue atmosferesepolcrali sospese nel tempo: parlo di Nico. PoiJanis Joplin, Siouxsie, alcune voci del post-punk come le Raincoats. Anche Beth Gibbons.

Quale artista contemporaneo ascolti?Sufjan Stevens è stato per me una vera e pro-

pria folgorazione Ha creato il sound del 2000.Ho adorato DM Stith, il primo disco di JoannaNewsom e mi è piaciuto molto Heartland diOwen Pallett, disco assolutamente folle.

Il consiglio per quelli come te?Nervi saldi, cuore aperto, consapevolezza,

grande autocritica, umiltà, umiltà, umiltà eallenamento a sopportare la fame per periodianche piuttosto lunghi.

Hai già delle idee per il nuovo disco?Ovviamente, essendo il prossimo il terzo

disco ufficiale (se escludiamo lo split conChristian Rainer) sentiamo un forte desideriodi innovazione e di rottura con quanto abbiamofatto fino ad oggi. Ascoltiamo, fagocitiamodecine di dischi a settimana, vecchi e nuovissi-mi, e le contaminazioni sono molte. Il difficile,è riuscire a trovare un orientamento forte, il piùpossibile personale e nello stesso tempo coe-rente con ciò che i Kiddycar sono stati fino adora. Ce la faremo? ■

I3CHEVEDONOILRE

«s e fino ad ora ho perso tempo / e avrefatto meglio a fare presto / se ho vistogente crescermi addosso / c’è solo un

modo per saperlo: essere qui adesso». Oggi cisono. Il loro unico obiettivo è quello di scrivere500 canzoni. Zappis, Carlo Fadini Hyper,MrFalda e Andrea Martellasno, «nati dalle cene-ri di un radioso passato metamorfico alla fine del2003», sono 3chevedonoilrE, romani vintagerock-punk che trasformano la musica popolare diprotesta e i Beatles in un concetto fermo, l’estrocomunicativo. Non c’è nulla da dire: i loro testiparlano da sé.

Potrebbero, ciascuno di essi, costituire un rac-conto, qualcuno che in una tavolata attira l’atten-zione su di sé facendo con la forchetta vibrare ilbicchiere, e inizia: «Preso contatti con Heidi eRamon, mi ospiteranno a Bonn, già un po’ misento uno di lì, piazza museo e brasserie». O a casarompe il silenzio così: «Quel film è stato bello, sìma troppo lento. E tu che mi evitavi e ci morivodentro. I boxer che mi hai regalato hanno l’elasti-co lento. Potremo rifondare ogni tuo atteggiamen-to, potremo dare vita a un protomovimento». Leparole parlano da sole, dovrebbe essere normalema non lo è. E qui di questi 3chevedonoilrE (chepoi son quattro), il Re sono loro.

I musicisti hanno un modo di pensarsi artistisimile a quello dei fotografi dell’era digitale. Cipiace quando ci chiamano «artisti»: fa venirevoglia di metterti a fare il minatore. Solo che poii piedi nudi te li sporchi di fuliggine e sembranoscarpe di gomma. 3chevedonoilrE nasce ancheda questo distacco: si tenta di dissociare a favo-re della sorpresa, piuttosto che associarsi ai sor-risi (vuoti) dei musicisti professionisti.

Comunicare in musica ci piaceva di più: can-tare ti fa credere di passare delle informazioni.Non «pezzi» di informazione, ma l’integrità dinotizie: emotive, ideali, giornalistiche o sussidia-rie. Quando componi in questo modo, lo fai conun calcolo che è una cifra poetica, ma in fondo èsolo leggera devozione alla parola e al suono.

3chevedonoilrE nasce da quattro storie enon da quelle di un leader, di un dittatore, diun deus ex machina, di un Re.

Quattro storie separate e differenti, eroi musi-cali e letterari separati e differenti, modi di inten-dere la vita e la socialità separati e differenti.Rimaniamo legati l’un l’altro da un filo robusto,che ci permette di sorridere di tutto ciò che èserio e guardare oltre il profilo delle convenzio-ni, sghignazzare sulle classiche sonorità rock afavore della sorpresa e proporre una non consue-ta struttura di un brano apparentemente leggero.

Musicalmente il progetto avrebbe dovutoessere differente. Nasceva un gruppo alla finedel 2003 che si prefissava di combinare insie-me il gesto estemporaneo primitivo della crea-

zione emotiva (di ispirazione informale) e larazionalità che ne costruiva i contorni.

Le canzoni si costruivano sulla base di un’esi-genza immediata, poi si lavoravano fino a ren-derle soddisfacenti. La musica era in parte elet-tronica e non era mai soddisfacentemente finita.Abbiamo passato mesi su svariati divani a parla-re di cosa stessimo facendo, a stilare un nostrostatuto. Abbiamo scritto moltissimi libretti ognu-no per l’altro per far conoscere il nostro pensie-ro personale e farlo passare più velocemente checon il passaggio orale. Ci regalavamo libri edischi da ascoltare per poter arrivare ad unaconsapevolezza maggiore reciproca.

Poi abbiamo capito che, se concettualmente lamusica partiva da un gesto primitivo prima diarrivare a forme contemporanee, di cui non ave-vamo ancora pienamente controllo (come lamusica elettronica), era necessario tornare a fareciò che veniva fatto negli anni 60 e 70, cioè scri-vere canzoni (già lo facevamo) e suonarle con ciòche di più «primitivo» avevamo in mano e sape-vamo domare: batteria, basso, chitarra e voce.

Ma c’era ancora qualcosa che mancava.Qualcosa che all’inizio avevamo individuato

nella ballabilità. I Beatles, i Beach Boys, le eccel-lenze di quel periodo ci hanno dimostrato chel’unico modo per arrivare alle persone cheavrebbero ascoltato i nostri pezzi era il coinvol-gimento, concetto semplice e vincente. Bisognavasolo dire cose maledettamente serie, profonda-mente tatuate nelle nostre menti, e farle passarecome canzonette divertenti. Prima o poi qualcu-no si sarebbe soffermato su cosa dicevamo.

Qualcosa come ciò che Calvino vedeva inQueneau, quel concetto di POP che Andy Warholaveva sviluppato in un altro mondo. L’intento èquesto: ridare al POP il suo vero valore aggiun-to, non arroccandolo su quelle montagne diincomprensibili concetti arginati da idee vetustee consumismo. L’amore per la forma canzone hasempre caratterizzato tutto il nostro bisogno ditrasmissibilità: i concetti più difficili possonopassare in menti che ne sembrano immuni.

L’album d’esordio, Nella Baracca Di Latta,è il frutto di tutti questi anni di lavoro emeditazione. Terminato nel 2010, si componedi 12 canzoni più una cover di GiorgioGaber, L’Illogica Allegria.

Abbiamo scelto di attingere indistintamentedalla scena vintage rock-punk, dalla musicapopolare di protesta, dalle atmosfere beatlesia-ne. Ci siamo interessati più alla dissacrazionedi certi cliché sonori della scena underground epop, rinunciando ad apparire falsi eroi musica-li. Scoprire e meravigliarci è quello che voglia-mo fare di tutto ciò che gira attorno a noi,cogliere la realtà da un punto di vista diversoda quello che ci raccontano. ■

CHI HA PAURA DEL GATTO NERO?

www.lifegateradio.it

KIDDYCAR

la malinconia di Nick Drake, la sensualità di Serge Gainsbourge le ipnosi elettroniche figlie della migliore tradizione teuto-nica degli anni Settanta. E un deserto altrui da desiderare.

a cura di Romina

Ciuffa

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a cura di FLAVIO FABBRI

di ADRI

ELEONORA PATERNITI Skeggia Davanti a sé due percorsi apparentemente ossimorici: lepercussioni e la lirica. I libretti operistici sono state le sue favole, la batteria il ritmo. Oggi è unadelle più giovani registe operistiche in Europa, è autrice di «Mettiamoci all’Opera» e non la fermi.

AMUSIA Per Che Guevaraun tango e una samba eranoesattamente la stessa cosa.a cura di ROMINA CIUFFA

ata il giorno della nascita di Mozart, il 27 gennaio,Eleonora Paterniti soffre di un grave sdoppiamentodi personalità. Davanti a sé due percorsi apparente-mente ossimorici: le percussioni e la lirica. I libretti

operistici sono state le sue favole, la batteria il ritmo. Nasco a Palermo al pianoforte, mi immaginavano avvocato.

Sin dall’inizio con un grandissimo sdoppiamento della persona-lità artistica, metà legata alle percussioni e alla fusion, l’altrametà all’Opera lirica. Eravamo a Milano; i miei genitori aveva-no la preoccupazione che io non socializzassi e scelsero il pia-noforte, ma crescevo percussionista. La prima ravvisaglia la ebbiverso i 4 anni, a casa di una zia, lirica al Massimo di Palermo:mise un disco al grammofono, nella sua villa al mare a Mondello,e si allontanò. Mi trovò riversa su me stessa, ed ebbi difficoltà aquell’età a spiegare che non riuscivo a contenere l’emozione disentire la compagine strumentale, soprattutto i timpani.

Quando sua madre la porta a vedere la Butterfly, lei indicail palco e dice: «Vedi mamma, la mia vita sarà quella». Perme i libretti operistici erano favole e ricordo la visione che diessi avevo da bambina, non del tutto smaliziata ma con la giustadose di cattiveria e di bontà: oggi, come regista, le ripropongoesattamente con quella visione, che ho perfettamente presente.

Dopo 8 anni dice no alla lezione di piano ed esclama: iosono una percussionista. Volevo gli strumenti a casa, mi erodocumentata su tutto e iniziai un’opera di persuasione da terro-rista. Non nego che i miei studi pianistici mi hanno aiutato: oggigli allievi pianisti sono meri esecutori, e se ne demolisce l’istin-tività, la passione, in favore della dipendenza alla lettura eall’insegnante. Nessuno sa suonare se non ha uno spartito.

Il metal. Avevo 10 anni quando, a Caserta, mi recai di testamia da un metallaro, l’unico che conoscevo che in quel momen-to poteva mettermi a disposizione una batteria. Cominciammocon Led Zeppelin e Green Day, e quando mi mise davanti la gra-fia per la batteria, io che arrivavo da una lettura pianisticacominciai immediatamente a suonare da esperta. Più avanti miaccorsi di molti limiti in quel percorso, anche gli ascolti più ele-vati che facevo, le electric band, John Patitucci, Dave Weckl,Vinnie Colaiuta: non ero una metallara.

Il Conservatorio. Facevo il liceo scientifico intanto, e decisiper il Conservatorio. Era l’anno del diploma ed ero al limite del-l’età per accedere; entrai alla svelta, un solo posto disponibileed unica donna percussionista, al San Pietro a Majella di Napolidurante la direzione di Alberto di Simone, quindi quella diVincenzo De Gregorio. Ho condotto un percorso meravigliosocon i miei compagni: eravamo i Percussion Time, gruppo stori-co nato prima da grandi percussionisti della tradizione italiana,che poi è passato a noi giovani.

L’immobilità. Ebbi un grave problema al ginocchio e dovettiinterrompere per anni il mio lavoro da percussionista, così perfe-zionando solo ciò che mi era permesso di fare: lavorando con lemani, avvicinandomi alle percussioni afro-cubane e allo studiodell’Opera e della Lirica, salendo sul palcoscenico di prosa. Hochiesto di poter entrare nei teatri e guardare, imparando i mestie-ri del tecnico, del macchinista, della figurante e qualunque cosache mi avrebbe avvicinato al teatro lirico un domani. All’internodel Conservatorio studiavo Drammaturgia lirica. L’immobilità

mi ha portato a legarmi di più alla scrittura e alla lettura. Il ritorno. Ero terrorizzata dal rientrare in Conservatorio o in

un teatro; mi sono ritrovata un giorno a suonare di nuovo la bat-teria senza rendermene conto, davanti a Gennaro Barba e a suofiglio Mariano, presso i quali ho vissuto per più di un anno.Intanto, in una tournée di Jovanotti, «L’albero», ne conobbi i per-cussionisti e strinsi amicizia con Pier Foschi ed il genio poliedri-co Daniele Di Gregorio, che mi diede la forza di proseguire nellamusica. Il mio maestro di Conservatorio, Vittorio Buonomo, michiese di assisterlo in alcune lezioni in Accademia per bambinidai 3 ai 7 anni, poi mi lasciò la gestione del corso. Li ho seguitiper moltissimi anni, oggi son tutti percussionisti della primaOrchestra giovanile del Teatro dell’Opera di Roma e stanno ulti-mando il Conservatorio. Con loro ho imparato il mestiere.

L’Opera. La mia tesi fu, non a caso, sul Don Giovanni nellastoria. Poi varie coincidenze. Intanto andai a vedere unaButterfly e capii di non poterne fare a meno. Poi vidi un manife-sto a Caserta, dove ero andata a trovare i miei, su un congressodi Lanza Tommasi, allora sovraintendente del Teatro San Carlo.Quando lo vidi gli misi in mano una busta con poche notizie sudi me, avevo solo 20 anni. Lui mi disse subito: «Non posso farlaentrare nel coro». Lo tranquillizzai, non era mio interesse. MaAlexis Bulgari, allora suo braccio destro, mi chiamò a un’audi-zione per figurante per l’Opera e passai come riserva, utilissimoper me perché avrei potuto guardare tutti gli spettacoli dalla pla-tea senza esser protagonista sulla scena. Così rifeci amicizia con

il teatro. Mi portai a casa un tesoro: superai la barriera, impa-rai moltissimo, strinsi ottimi rapporti con Lina Polito, che mifece chiamare per lavorare a una commedia insieme in qualità diattrice. Di fatto non ebbe mai una messa in scena, ma ebbi lapossibilità di lavorare con una regista operistica, quindi mi spin-si a fare la stagista pur di lavorare a Roma con il maestroGianluigi Gelmetti per il suo Barbiere di Siviglia e con lui è natauna fortissima collaborazione artistica: ho lavorato, tra l’altro,al suo Tristano e Isotta messo in atto al Teatro Carlo Felice diGenova; abbiamo riaperto, dopo l’incendio, il Teatro deiRinnovati di Siena con la Traviata; mi occupo del coordinamen-to artistico dei corsi di Direzione d’Orchestra da lui diretti nel-l’ambito dell’Accademia Chigiana di Siena.

Progetti e TV. Intanto scrivo per il teatro musicale.Ultimamente ho firmato la regia per Anna Bolena al NationalTheatre di Tirana, quella del Barbiere di Siviglia a Coliseu duPorto, in Portogallo. Sono autrice del programma in prima sera-ta Rai1 «Mettiamoci all’Opera», il primo talent show per giova-ni promesse della lirica della televisione italiana. Sono consu-lente della direzione del Tg2 e ho realizzato, nell’ambito dell’e-dizione Tg2punto.it, lo spazio settimanale dedicato al mondodella lirica, curando la scelta dei brani e la selezione dei musi-cisti e dei cantanti che si esibiscono in diretta. Così ho conosciu-to il paroliere Pasquale Panella e la lirica Daniela Dessì, lastessa che mi fece innamorare dell’Opera da bambina. Per ilteatro produrrò verso marzo lo spettacolo «Tommy» al Belli diRoma e al Libero di Milano. Sto lavorando e collaborando conIvana Noto dell’I.P.C., Iniziative promozioni cinematografichedi Roma, alla diffusione di un paio di progetti che riguardanoAnna Bolena e il Barbiere di Siviglia, che si presentano assolu-tamente innovativi e rivoluzionari; prossimamente sarò ancheimpegnata in Francia nell’ambito del Festival «Liricamentevôtre» con la Traviata.

Perché la Paterniti. Odio la sciatteria, ma so che le opportu-nità non vengono date facilmente, so di non essere unica. Credoinvece di esser stata fortunata, ma anche di aver ragionato e com-piuto i miei passi sempre sentendoli dentro, avvicinandomi a per-sone da cui ho imparato tutto. Ora che faccio regia operistica usotutto il bagaglio che ho: non riesco a fare una regia se non in par-titura, e non amo dare segni innovativi. Riverso nei miei prodottila visione di quella stessa bambina che per la prima volta legge-va i libretti come favole. E continuo a riversarmi su me stessaquando sono «all’opera», e a vivere la musica con quello stessosdoppiamento della personalità che mi ha fatto divenire una«Skeggia». Che è il soprannome che mi hanno dato. ■

Music In ¢ NUMERO 16 > Inverno 2011CLASSICAMENTEMENTE

N

Re Alfonso XIII di Spagna, Che Guevara, MauriceRavel: tutti affetti da amusia. E troppo spesso li invidio.

CHEESECAKECHEESECAKE

ELEONORA PATERNITI AKA SKEGGIA

Videoreportage

w w w . y o u t u b e . c o m / m u s i c i n c h a n n e l

Re Afonso XIII di Spagna era incapa-ce di riconoscere una canzone daun’altra: per lui una marcia funebreequivaleva a qualunque altro pezzo.A dire il vero accade anche a me, che

non riesco a distinguere uno degli ultimimotivi pop da un pianto. Ma non sono affet-ta, come lui, da amusia. Non so se conside-rarlo un fortunato: probabilmente oggi losarebbe più di ieri. Uno dei primi casidescritti, nel 1878, fu quello di un uomo cheparlava del suono di un pianoforte come di«una nota musicale, più un tonfo sordo erumore di fili metallici». Descriverei in que-sto modo molti dei pezzi che ascolto.

L’amusia è l’incapacità biologica, inassenza di alterazioni della percezione udi-tiva elementare o di turbe intellettive e lin-guistiche, di comprendere, eseguire edapprezzare la musica, patologia neurobiolo-gica acquisibile (per danni cerebrali adesempio, tanto che i primi studi furono con-dotti sui cerebrolesi nel 1962) ovvero con-genita per l’irregolarità nel funzionamentodell’emisfero destro del cervello, primainvece imputata solo al nervo acustico ealla corteccia uditiva sita nei lobi temporalisopra le orecchie. Le cause non sono psico-logiche, ma anatomiche.

Un amusico non è uno stonato né riescead avvertire le stonature proprie o altrui.Nei casi più gravi è del tutto incapace disentire la musica, o la avverte come un orri-bile frastuono. Ne è affetto circa il 4 percento della popolazione. Tra i quali CheGuevara, che non sapeva distinguere alcungenere musicale tanto che, in un’occasionespeciale, ballò un tango appassionato men-tre tutti danzavano a ritmo di samba. Ilcompositore Vissarion Shebalin fu vittima

di un ictus che gli tolse quasi del tutto lacapacità di parlare e di capire il linguaggio.Nonostante ciò, continuò a comporre alme-no 11 opere maggiori tra sonate, quartetti earie, e a insegnare ai propri allievi, ascol-tandoli e correggendone le composizioni; eMaurice Ravel, via via che la sua malattiaal cervello avanzava, si diceva in grado dicomporre la musica nella testa ma incapacedi fissarla sulla carta.

Per il neuroscienziato Steven Pinker lamusica, per il cervello, è «poca cosa», è un«auditory cheesecake», solo una ghiottone-ria: i soggetti perfettamente stonati vivonouna vita normale. Mentre le scimmie nonhanno avversione per gli accordi dissonan-ti o per suoni sgradevoli - le unghie su unalavagna o il metallo sopra un vetro - e pre-feriscono i ritmi lenti, di più il silenzio.

Ghiottoneria, fronzolo, dolcetto per l’o-recchio, ma da Darwin a John Blacking(1973, Com’è musicale l’uomo?, per cui lamusica è «qualcosa che risiede nel corpo eattende di essere espresso e sviluppato»)c’è questo: sono rare (o nessuna) le cose delnostro cervello che appaiono superflue o dimero divertimento, incluso il divertimentostesso. Il cervello risponde alla musica sindal feto (riposa al ritmo materno), i bambi-ni nascono in qualche modo musicisti(sanno riconoscere note, accordi, scalediverse suonate a distanza di giorni), ed èindiscutibile che un tamburo, la tromba diguerra, il corno o danze tribali abbiano unruolo comunicativo antico, pre-verbale.

Lo stesso messaggio di richiamo, sfida ocorteggiamento di molte specie animali(quello luminoso delle lucciole o sonoro delcervo e del lupo) è costruito sul ritmo, sultimbro e sulle note. Negli essere umani il

centro di Wernicke, specializzato nellaparola, decodifica il segnale musicale inentrambi gli emisferi e lo trasmette senzamediazione al corpo (danza) e al sistemaneurovegetativo (ritmo cardiaco, condut-tanza cutanea, pressione arteriosa, richiamosessuale) ed endocrino (ACTH, ossitocina,vasopressina).

Per verificare il livello di amusia, si puòfare il test elaborato da Isabelle Peretz,dell’Università di Montreal, qui:www.delosis.com/listening. Esso presenta30 coppie di motivi musicali, esattamenteuguali, diverse o leggermente diverse. Ottominuti per capire se le lezioni di canto sonosoldi buttati. A meno di non voler emulareLorence Foster Jenkins, la soprano diPhiladelphia che, amusica, divenne celebrein un modo anticonvenzionale: nonostantela sua palese mancanza di abilità, era fer-mamente convinta della propria grandezzae distribuiva personalmente gli ambitibiglietti; accontentò il folto pubblico (chederidendola l’ammirava) solo quandoaccettò di esibirsi alla Carnegie Hall il 25ottobre 1944 (sold out con settimane dianticipo) per morire un mese dopo. Era amalapena in grado di sostenere una nota, ei suoi accompagnatori facevano continuiaggiustamenti per compensare le sue varia-zioni di tempo e i suoi errori ritmici; lei nonlo ammise mai e trascorse la vita ad accusa-re la critica e le colleghe di invidia.

«La gente può anche dire che non socantare, ma nessuno potrà mai dire chenon ho cantato». Questa la metterei inbocca al 70 per cento dei cantanti. E il testdella Peretz dovrebbero fare: gradiremmoricevere da ciascuno di essi, in redazione,il punteggio ottenuto, oltre ai loro cd. ■

RIONE MONTI - Via Madonna dei Monti, 2806 6990968 - [email protected]

photocredit Ignazio Raso

DI ROMINA CIUFFA

di Romina Ciuffa

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a cura di ROSSELLA GAUDENZI

BALLETBALLETUN AMERICANO A PARIGI «Ho sempre avuto una specie di sensibilità istintiva per le combi-nazioni di suoni, e diversi accordi che suonano così moderni furono buttati giù senza che rivolges-si un’attenzione particolare alle giustificazioni teoriche della loro struttura», George Gershwin

CREATTIVA Intervista a ChiaraSergio Il tarantismo ai tempi dellaspersonalizzazione delle tradizioni

Music In ¢ NUMERO 16 > Inverno 2011

pizzica e la taranta sono cosa seria. Iltarantismo è un fenomeno che coinvolgediscipline di differenti ambiti: dall’antro-pologia all’etnomusicologia, dalla psi-

chiatria alla religione e alle tradizionipopolari fortemente pagane. È il caso di dire, però, chepizzica e taranta vadano di moda, da un po’ di tempo aquesta parte, ben inserendosi in quella trasmissione diconoscenza mordi e fuggi che tanto rispecchia il nostroPaese. Se ne fa un gran parlare, un eccessivo parlare. In ogniddove sorgono scuolette, insegnanti, corsi,prontuari e ci si può sentire ballerini di pizzica dopodue giorni, per l’aver memorizzato due passi. Finchédura. Poi la collettività si volgerà altrove, qualcuno ciavrà guadagnato sopra ben bene e per le strade rimar-ranno cartacce e spazzatura sollevate dal vento.

C’è in giro davvero tanta spazzatura, situazioneavvilente per gli esperti di questa danza. Si è scritto edetto tanto, c’è un pullulare di siti e blog, ma è attra-verso la storicità che occorre passare per poter parla-re con coscienza di pizzica e taranta, attraverso antro-pologi ed etnomusicologi. La conoscenza deve esser tale.

Chiara Sergio, ideatrice e direttrice artistica della brindisinaCreattiva-Officina di danza, vive di danza. O meglio, di danze.Parte da una formazione classica ma una buona base tecnica nonbasta a soddisfarla, è quindi ben presto solleticata dalle danzeetniche. Durante gli anni degli studi liceali la sete di conoscenzasi alimenta ogni qualvolta legga di danza o assista a una coreo-grafia. Le suggestioni si alimentano. Il giro di boa avviene duran-te gli anni universitari, lo studio del flamenco, di danze afro,danza del ventre, teatro-danza classico indiano, che rafforza laconsapevolezza, la arricchisce, e rimane nel background.

L’incontro fortunato risale al 1998. Ho avuto la fortuna diconoscere Giorgio Di Lecce, fondatore dell’associazione ArakneMediterranea, incontrato per caso.

La compagnia ha sede a Martignano, in provincia di Lecce, edopera da oltre 15 anni sul territorio del Salento, in collaborazio-ne con l’Università leccese. Si compone di artisti, studiosi ericercatori che si propongono di diffondere, far conoscere esopravvivere le tradizioni, le danze, gli usi e i costumi delleespressioni popolari salentine e della Puglia. Propone nei suoispettacoli dal vivo, conferenze e stage, i canti, le danze e i ritmidirettamente attinti alla tradizione orale, da nonne tamburelliste,cantanti, danzatrici e danzatori popolari che ci hanno trasmessola loro passione per la pizzica e il canto popolare, autenticaespressione di una cultura altra.

Mi ero recata presso la sede della compagnia per un incontrosul Tarantismo e mi ha vista danzare, ha colto la mia predispo-sizione e mi ha voluta con sé. O meglio, avrebbe voluto portar-mi con sé. All’ epoca dovevo ancora discutere la tesi e la prospet-tiva di una tournée che arrivasse a toccare il Giappone era al difuori della mia portata. La mia tournée con gli ArakneMediterranea è così consistita in una sola tappa, a Genova, per

poi darci appuntamento dopo la fine dei miei studi. Ilseguito è una triste storia, poiché il fondatore ci halasciati in giovane età; la direzione artistica dell’asso-ciazione è oggi in mano alla compagna di vita e d’arteImma Giannuzzi.

Dopo la tesi di laurea in Beni Culturali dal titolo«Rapporti fra arte e danza nel 900», Chiara Sergio sog-giorna a Bologna dove inizia il vero percorso di cono-scenza della danza e di consapevolezza che la danzapossa curare. Si avvicina alla danzaterapia, sperimenta,va a ballare con gli anziani, approfondisce grazieall’apporto di un’amica antropologa, scrive e leggemolto. Fino a che non trova una raccolta di articoli sulladanzaterapia della danzaterapeuta, coreografa e coun-selling Nicoletta S., che le accende il desiderio di cono-scerla. Nicoletta insegna a Bologna, ironia della sortedietro casa di Chiara, ed ironia della sorte si scopreessere lei stessa una cara amica di Giorgio di Lecce.«Giorgio ti ha mandata qui». Due anni di studio e cre-scita, dopodiché il ritorno in Puglia.

Non mi è piaciuto né mi piace quel che vedo qui,nella mia terra. Assistiamo ad un fenomeno folk inteso comecommercializzazione della cultura, che riassumo nel concetto di«pizzica da supermercato». Ciò a cui aspiro sarebbe, invece, ilriscatto della danza nella sua essenza. La pizzica è una danzadalla storia lunga e articolata, ha schemi aperti in cui è possibi-le indirizzare la persona che vuole apprendere, ma è altrettantoimportante trovare in essa una forte propensione, che è intrinse-ca nel nostro sangue pugliese. Se si elimina questo, si attua unmeccanismo inutile, non si arriva alla conoscenza né all essenzadi quest’arte, la pizzica, che è gioia, dolore, catarsi.

Quale attenzione è stata rivolta alle danze popolari daparte di altri Paesi?

È stupefacente in parte e in parte avvilente rendersi conto delrispetto e dell’attenzione che altre nazioni dimostrano per pizzicae taranta. L’esperienza illuminante in tal senso è stata per me lapartecipazione al progetto «La vita è Belga - Associazione dipugliesi in Belgio-Bruxelles», seminario teorico-pratico intensivosui temi del tarantismo e della danza popolare pugliese. Ebbene,vengo puntualmente richiamata e mi reco a Bruxelles per questiseminari accolti con grande interesse e considerazione.

Come si articola il tuo lavoro? Su un doppio binario. Innanzitutto la didattica: le attività

laboratoriali tra cui i laboratori didattici di Danza popolare,Creativo-espressivi («Arte in Gioco» e «Il cerchio delleDonne»), di Espressione corporea e Teatrabilità della danza;seminari a tema, seminari intensivi, workshop. L’altro aspetto èrappresentato dagli spettacoli, dalle performance ideate da me:«Tamburo Tao» pone il tamburo al centro di un lavoro che lointende come cuore pulsante di tutti gli uomini, è dunque unospettacolo di contaminazione tra danza, musica popolare e musi-che etniche, provenienti da Africa, Balcani, India. «Di Me» è unprogetto sulla donna. ■

PIZZICA A MEMORIA D’UOMOLA

«F ingono questi esser stati morsi da alcuni ani-mali che nascono nel territorio di Taranto (dacui son nominati) ed esser caduti in quell

infirmit‡, che li rende come pazzi. Vibrano e sbatto-no la testa,tremano con le ginocchia, spesso alsuono cantano e ballano, agitano le labbra, stridonoco denti e fanno azioni da matti. Niente chiedono,ma il compagno guidone notificando per tutto chegli Ë attarantato, chiede e raccoglie elemosina perloro: oh ingegno, oh arte inaudita per li passati seco-li!» R. Frianoro, Il Vagabondo, Viterbo, 1621

L a magia musicale di George Gershwine il tocco cinematografico di VincenteMinnelli si fondono nella prima ver-

sione per balletto in Italia di quella che puòesser certamente definita una delle operemusicali più famose al mondo. Dal 25 gen-naio al 6 febbraio al Teatro Italia di Roma,Raffaele Paganini sarà in scena con UnAmericano a Parigi, rielaborazione dell’ope-ra scritta da Gershwin nel 1928 (divenuta poiuno standard nonostante lo scarso successoiniziale della Carnegie Hall) e ripresa nel1951 sul grande schermo dal regista VincenteMinnelli, aggiudicandosi ben 6 premi Oscarfra cui quello per il miglior film al Festival diCannes dello stesso anno.L’elaborazione drammaturgica per balletto,curata da Riccardo Reim, con la coreografiadi Luigi Martelletta e l’interpretazione diRaffaele Paganini, non solo attinge in parteall’opera originale, in parte alla sua più cele-bre rielaborazione cinematografica, ma

aggiunge una sorta di chiave di lettura, ildato biografico rappresentato da elementidella vita stessa di Gershwin.

Proprio nel 1928 l’autore, appena trenten-ne, si era infatti stabilito a Parigi attrattodalla cultura europea, dalla tradizione clas-sica e della musica di Maurice Ravel. Nellacapitale francese, Gershwin si era dedicatoprincipalmente agli studi di composizionenonostante numerosi maestri, tra i quali lostesso Ravel, si fossero rifiutati di offrir luidelle lezioni, temendo che il rigore dellaclassicità potesse reprimere le sue sfumatu-re jazz.

Un americano a Parigi diventa così unavera e propria indagine, sul lungo e affasci-nante processo creativo del compositore sta-tunitense dove convivono armoniosamentemusiche di estrazione popolare e quelle ditradizione più nobile. In questa superba ver-sione per balletto, Gershwin sarà pertanto siaautore che protagonista, e da qui la scelta diutilizzare brani non strettamente connessiall’opera stessa: Want’ Em You Can’tGet’Em, Rialto Ripples, Rhapsody in Blue,The Man I Love e Summertime sono alcunidei titoli a fare da colonna sonora all’inter-pretazione di Paganini.

Notevole anche il lavoro scenografico,denso di citazioni pittoriche che perfettamen-te ricreano l’atmosfera unica della Parigi difine anni Venti, una città romantica e vibran-te in bilico fra sfumature impressioniste edechi esistenzialisti. ■

A CURA DI ROSSELLA GAUDENZI

L’arte paga, la musica paga,la danza paga. Prendi glianni Venti, Parigi, un ameri-cano e sfumature impressio-niste con echi esistenzialisti.Poi prendi George Gershwine Raffaele Paganini. E balla.

Paga nini ripete

di Valentina Giosa

In Italia e sulle coste delMediterraneo già intorno al Xsecolo era conosciuta latarantola, ragno in grado dicreare disturbi all’uomo.Dopo alcuni episodi di curadel morso velenoso con lamusica e la danza, la praticasi diffuse in tutto il Meridioned’Italia, come attesta il docu-mento del 1362 «SertumPapale de venenis». Dal 300in poi questa danza fu consi-derata curativa, capace dicurare dal veleno, ipotetico oreale, della tarantola: i taran-tati erano sollecitati da parti-colari ritmi di tamburo, suoni

e colori. Intorno al 600, que-ste danze e musiche, origina-rie della regione di Taranto,presero il nome di «tarantel-le» e si manifestarono sottoforma di feste popolari, in cuimusicisti e partecipanti pro-venivano da differenti villaggie di cui erano principali prota-goniste le donne. La Chiesanei secoli condannò e proibì lemanifestazioni con danzesfrenate, ma questi riti,profondamente radicati nellapopolazione, continuarono adessere praticati fino a diveni-re delle danze popolari duran-te le feste locali.

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SOUNDSOUND Music In ¢ NUMERO 16 > Inverno 2011

ttrraacckkiinngga cura di ROBERTA MASTRUZZI

NOWHERE BOY John Lennon prima di John Lennon Nonci vuole Freud per capire che chi aspira alla pace universale èprobabilmente qualcuno che è passato attraverso una guerra

MUSICINVIDEO(CLIP) > Fonderia feat. Barbara EramoE basta ch’io sorrida, quale vigorosa luce Sulla Valle avvampa -È come se un volto di Vulcano - Avesse liberato la sua gioia

«I magine all the people living life inpeace». Non ci vuole Freud per capireche chi aspira alla pace universale è

molto probabilmente qualcuno che è passatoattraverso una guerra. E non necessariamentemilitare: esistono guerre altrettanto terribili, chesi introducono nel nostro spirito e rimangono lìincastrate per anni, a volte una vita intera. Chiha cantato queste parole immaginando unmondo senza guerre, religioni, divisioni, pro-prietà era qualcuno che per tutta la vita ha dovu-to combattere contro una grande lacerazioneinterna. Capire l’opera di un artista è anchecomprendere il suo lato più vulnerabile e lemotivazioni profonde che l’hanno spinto al suc-cesso. Dietro l’urgenza di dare voce al proprioinconscio e di metterlo sotto i riflettori delmondo c’è spesso la necessità di recuperarequalcosa che si è rotto.

Nowhere boy è il film di Sam Taylor-Wood,artista contemporanea alla sua prima opera cine-matografica, che racconta John Lennon primache diventasse un’icona della musica. Un biopicsui generis, nel quale non troverete il raccontocronologico dell’ascesa e del successo mondialedel quartetto di Liverpool - a dire la verità iBeatles non vengono nominati neanche unavolta - ma conoscerete la storia di un ragazzoribelle, che cresce ascoltando il blues e il rock

degli anni 50 e che sfoga la rabbia giovanile cer-cando conforto nella musica, fino al giorno incui insieme a due amici, un tale Paul McCartneye un certo George Harrison, parte per Amburgoin cerca di fortuna.

La sceneggiatura scritta da Matt Greenhalg(l’autore di Control, film dedicato al leader deiJoy Division, Ian Curtis), basata sulla biografiadella sorella di Lennon (Immagine this. Io e miofratello John), preferisce infatti scavare nel par-ticolare rapporto tra il futuro artista e le donneche hanno segnato la sua adolescenza: la ziaMimi (Kristin Scott Thomas), austera donna chelo ha cresciuto dall’età di 5 anni e la vera madreJulia (Anne-Marie Duff), che vive a pochi metridi distanza e che John conoscerà solo a quindicianni. Una sorta di triangolo amoroso in cui ilgiovane John, interpretato da un intenso AaronJohnson, è in un certo senso vittima, stretto tra

la severa disciplina della zia e la giovialità dellamadre dalla quale scappa di nascosto tutti ipomeriggi per ascoltare rock’n roll e imparare asuonare il banjo.

Come spesso accade, sarà la musica l’unicavia d’uscita. Il ritmo di Elvis Presley, Jerry LeeLewis e Eddie Cochran, la voce di WandaJackson (Hard Headed woman), le spettacolariesibizioni di Screamin’ Jay Hawkins (I put aspell on you), la carica esplosiva di Big MamaThornton in Hound Dog, sono il tappeto musica-le su cui Lennon muove i primi passi. L’incontrocon un ragazzino che suona la chitarra al contra-rio (il mancino Paul) e la formazione del primogruppo musicale, The Quarrymen, con il qualecomincia ad esibirsi nelle feste locali, sarannopoi la decisiva spinta verso quella che si riveleràun’inarrestabile corsa al successo. Il seguitodella storia la conosciamo bene. ■

A quasi trent’anni dall’uscita di Tron(1982), la Walt Disney ha deciso di pro-durre un ambizioso sequel, Tron:

Legacy. Del primo episodio rimangono nelcast Jeff Bridges e Bruce Boxleitner, che lamagia del digitale rende quasi senza tempo. Lostesso regista si ripropone, in questa nuovaavventura, ma in veste di co-produttore,lasciando la macchina da presa nelle mani deldebuttante Joseph Kosinski.

Tron: Legacy, la cui prima breve première di23 minuti si è avuta alla quinta edizione delFestival Internazionale del Film di Roma, è unfilm in cui a dominare è l’animazione in digita-le e soprattutto in 3D, con un ottimo montaggioe uno script che non lascia, come al solito,campo libero ai soli effetti speciali, che pure

sono notevoli. Tanta azione quindi, ma anchetanta buona musica. A curare le 24 tracce di cuiè composta la colonna sonora del film (tranneun brano dei Journey e la celebre SweetDreams degli Eurythmics) sono stati i DaftPunk (al secolo Guy-Manuel de Homem-Christo e Thomas Bangalter), i folletti francesidell’elettronica. Con la loro estetica cyborg,l’utilizzo di laser e di atmosfere tipiche delciber-spazio, sono sicuramente i più adatti adun film come questo, in cui peraltro sembrafacciano una piccolissima apparizione.

Nel 1982, a curare le musiche del primo Tronfu chiamata Wendy Carlos, artista ricordataoggi sia per le leggendarie colonne sonore diArancia Meccanica e Shining del maestroStanley Kubrick, sia per la prima utilizzazione

del sintetizzatore Moog nella composizione dimusica elettronica, ma anche per il suo cambiodi sesso avvenuto nel 1972 (nome all’anagrafeWalter Carlos).

Mentre per Tron la Disney chiese una scrit-tura per orchestra, coro e organo, nel sequel iDaft Punk hanno praticamente immerso il filmin un dance floor senza soluzione di conti-nuità, per tutta la durata del lungometraggio.Alcuni temi musicali hanno comunque avuto ilsupporto di un’orchestra di oltre 100 elementie sono stati registrati agli AIR LyndhurstStudios di Londra. Il primo estratto dellasoundtrack è stato Derezzed, composto e suo-nato come gli altri dai Daft Punk, mentre il cddella colonna sonora è in vendita dal 7 dicem-bre 2010. ■

La mia vita era stata un fucile cari-co negli angoli, finché un giorno ilproprietario passò, mi identificò e

mi portò via. E ora vaghiamo in boschiregali, e ora cacciamo la cerva. È tutto.C’è «scappare» in questo video, c’è«possedere» nel testo, i versi di EmilyDickinson rubati dalla voce cervina diBarbara Eramo per parafrasare l’elet-tronico romanzo post-rock dellaFonderia. La registrazione del cd d’ori-gine (My Grandmother’s Space Suite)nei Real World Studios inglesi di PeterGabriel; il video di Loaded Gun girato inValtellina (So). Con cui meritatamente ilregista Antonello Schioppa vince varipremi, fotografia compresa. Legata a un filo rosso la salvezza di unanimale già morto. Si vedono bambini ecappucci, ma le fate predominano: fatenon dette, fate non riprese, fate l’amo-re. L’evocazione è più forte della presen-za. C’è un Occhio giallo, c’è un Pollice.L’ambientazione mi riporta a giardinisegreti con personaggi chiave di storieche non leggo più, e a un prodromo, ilWuthering Heights di Kate Bush, chenon regalava questo viaggio nel temponé il profondo dolersi di possesso. La rottura di un filo, alla fine, è pur sem-pre l’uscita di scena. Essere possedutigarantisce l’unica immortalità. «Nientesi muove per la seconda volta - su cui ioabbia posato un Occhio giallo - o unenergico Pollice, sebbene di Lui - possavivere più a lungo - Egli più a lungo deve- di me perché io ho solo il potere di ucci-dere, Senza - il potere di morire».

LOADED GUN

Videoclip

TRON: LEGACYdi Flavio Fabbri

D ove eravate sabato 24 luglio2010? Perché al Sundance FilmFestival, la manifestazione cine-

matografica che premia le pellicole d’autoree le produzioni indipendenti, sta per esseremostrato Life in a day, documentario pro-dotto da Ridley Scott in cui ogni fotogram-ma è catturato dal materiale che su Youtubeanonimi utenti di tutto il mondo hannoinviato, risponendo all’appello lanciato dalregista de Il gladiatore e caricando sul sitoil filmato della loro giornata.

Negli spezzoni, rigorosamente girati nelle24 ore indicate, i partecipanti hanno dovutorispondere alle domande «che cosa ami?»,«di cosa hai paura», «che cosa ti fa ridere?»e «che cosa hai in tasca?». A KevinMacdonald, il regista scozzese di State ofplay e L’ultimo Re di Scozia, il compito diprendere le 5.000 ore di girato e trasformar-

lo in un film dal filo logico e coerente delladurata di circa 2 ore.

La colonna sonora invece: affidata a ungrande sperimentatore, Matthew Herbert,abituato a campionare suoni reali (nel suoThe Pig ha registrato i rumori dell’intera vitadi un maiale, ricomponendoli in musica; lasua prima vera performance nel 1995 lovedeva alle prese con un pacchetto di patati-ne; una denuncia della globalizzazione hapreso vita a partire dai suoni registrati conprodotti MacDonald e GAP).

Per questa soundtrack Herbert ha chiestodi inviare ogni tipo di suono, seguendo leindicazioni contenute in un demo reperibilesu Youtube. In esso si trova anche spiegatol’applauso. Fatto divieto di inviare file con-tenenti musica. Diverranno musica sola-mente i comunissimi suoni della vita di tuttii giorni. Sic. ■

LIFEINADAY

WWW.YOUTUBE.COM/MUSICINCHANNEL

DI ROMINA CIUFFA

NOWHEREdi Roberta Mastruzzi

D ietro JohnLennon lasevera zia,

una madre gio-viale, un paio diamici e la sorellache ne scrive l’in-tima biografia.Immaginatelocosì, senza pace.

BOY

DI ROMINA CIUFFA+ROBERTA MASTRUZZI

Page 13: MUSIC IN 16

DAVID LINCH Minimalista, elettro-nico. Ma lui lo sa che è solo un regista.

Music In ¢ NUMERO 16 > Inverno 2011 SOUNDSOUNDttrraacckkiinnggROMANZO CRIMINALE Credevo fosse finita, ho creduto ad un’altra vita ma il destino

sbatte forte le porte. Dover tornare indietro, un ultimo inchino, non c’è più tempo né più desti-no. Il passo ad un tratto si fece leggero. Quanto è lontana da Roma la felicità?

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Ma ora è una lunga storia di rabbia che sanguina potere senza limiti, il mondo trale tue mani e poi non resta più niente, fuori muore la speranza che tu tornerai

C hi è David Lynch lo sappiamobene, che cosa sia è più difficile dastabilire. Regista (per cinema, tv,

pubblicità e videoclip musicali), pittore,compositore, performer, produttore, sce-neggiatore, musicista, il 64enne america-no del Montana ama cimentarsi con tuttociò che abbia a che fare con l’espressionee la comunicazione di idee, attraversoparole, note e immagini. E il 30 novembre2010 è uscito per la Sunday BestRecordings un inedito brano di musicaelettronica suonato e composto da Lynch,Good Day Today, il cui b-side è I Know.

Un pezzo dallo start minimalista, inge-nuo se confrontato con le evoluzioni piùrecenti della galassia electronica, non perquesto meno interessante. Piace il ritmobrillante, il beat dell’elettro-pop e la vocefiltrata che canta «Send me an Angel/Save me/I’m so tired». Eppure il regista siguarda bene dal definirsi musicista. Per lui, nelle colonne sonore dei suoifilm, due sono i compositori necessari:Alan R. Splet per il visionario e sublimeEraserhead, e Angelo Badalamenti pertutta o quasi la filmografia lynchiana. Edentro i primi mesi del 2011, assicura lalabel inglese Sunday Best, sarà dato allestampe un album di remix tutto dedicatoalla musica elettronica firmata Lynch.

DI FLAVIO FABBRI

DAVID LINCH

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D iciamoci la verità: per qualche miste-riosa ragione la Strega di Biancaneveci è stata sempre più simpatica di

quella sdolcinata principessa destinata a diven-tare la più bella del reame. Il fascino dei cattiviè duro a morire, anche quando questi sono verie propri criminali che hanno compiuto efferatiomicidi e seminato terrore, decidendo del desti-no del nostro Paese per almeno un decennio.

Non si spiega altrimenti il successo diRomanzo criminale, la storia della sanguinariaBanda della Magliana che continua ad affasci-narci con una storia di violenza, sangue, lottaper il potere e tradimenti, che si tratti del librodi Giancarlo De Cataldo, del film di MichelePlacido del 2005 o della recente serie Tv diret-ta da Stefano Sollima, uno dei migliori prodot-ti televisivi italiani degli ultimi anni. Forte delsuccesso della prima serie trasmessa da Sky loscorso inverno, il Freddo, Dandi e compagnitornano a raccontare la loro storia nei 12 episo-di della seconda serie. L’ambientazione passadagli anni Settanta agli anni Ottanta, il gruppodi ragazzi di periferia si è trasformato in unabanda criminale perfettamente organizzata:conquistato il controllo della Capitale, ora sem-bra iniziare una parabola discendente.

Trascinata dalle musiche di PasqualeCatalano, che in questa seconda parte acquista-

no una venatura ancora più dark, la storia diRomanzo Criminale e dei suoi anti-eroi è oraraccontata in un cd. Costruito come un conceptalbum - non si tratta di una semplice compila-tion di brani, ma di ritratti musicali che comple-tano e aiutano a capire la psicologia dei perso-naggi - la colonna sonora della seconda serieospita diversi artisti italiani, da The Niro (Neroil sole) ai Rezophonic (Vita da Dandi) a Martasui Tubi (Il commissario).

Ognuno di loro ha dedicato un brano ad unodei personaggi. È Francesco Sarcina (nellafoto), leader de Le Vibrazioni, a rompere ilsilenzio con Libanese, il Re, brano che scavanell’intimo dell’indiscusso capo della banda,spietato e maniacale nel perseguire il propriosogno di conquistare tutta Roma con il suo follepiano criminale. Il testimone poi passa aPierluigi Ferrantini dei Velvet (Il sangue èFreddo), Aimeé Portioli (Call me Patrizia) eRoberto Angelini (Spara, Bufalo!).

Sono i Calibro 35 a chiudere con un branostrumentale, Come un romanzo..., un’elettriz-zante colonna sonora che riesce a riunire in ununico sound gli anni 80 con i più interessantimusicisti emergenti degli ultimi anni, la violen-za con l’introspezione psicologica, dando voce emusica ai pensieri e alla rabbia dei protagonistidella serie più criminale vista in Tv. ■

DI ROBERTA MASTRUZZI

Page 14: MUSIC IN 16

SOL7 SOL DIM SOLE Once I’ll get you up there I’ll be hol-ding you so near, mi sussurra in un jazz perfetto come un tonneauche non si chiude, l’improvvisazione più sacra. Più mortale.

LO SPECCHIO ANIMATOPenso al soffio rivelatore di unsassofonista. E mi piace il sax.

PANNOLINO VIOLINO Lastudentessa di violino. Possibileche io non ricordi altro?

Music In ¢ NUMERO 16 > Inverno 2011

5.000 giri il motore, assetto di salita ripida e unavelocità di 70 nodi per raggiungere la mia città,dove albergo sola. Il Gran Sasso che mi fissa,non ci sono città, e sottointende: per quelle comete, se continui a guardare in basso. L’ho fatto nel-

l’ultimo anno, guardare sotto anziché mirare alto. Ed ora che c’èneve me ne accorgo: i miei pensieri hanno lasciato le impronte.Posso vedere sino al fondo delle mie ossessioni, che hanno sca-vato abili e lasciato un solco visibile da quassù. Mentre continuoa guardare verso il basso. La schiena è attirata dalla gravità inquesto assetto a 70 gradi ed io ancora ho a terra l’occhio peradocchiare i pozzi delle mie paure. E poi la vedo. La mia ombra. È a terra anche lei. È da questa pro-spettiva che me ne accorgo: il mio aereo è a forma di sax. Unaerofono, appunto. Sarà la miopia, o lo scherzo del sole. Sarà cheun volo è come jazz, si improvvisa: una piantata motore o unluogo da inseguire, un arcobaleno da attraversare, una viratasfuocata, il cielo che si chiude. Puro, standard jazz. In questoassetto riesco anche a vedere i piattelli del mio sassofono, e unbocchino - lo stabilatore - dentro cui soffia vento da est, dal mare.Ascolto. Le note di Come fly with me, un Do9 che spinge il mioaereo con maggiore trazione soffiando nell’imboccatura. (Nontroverai mai la tua città se continui a guardare in basso). Let’s take off in the blue. La neve qui è più densa e segna il pas-saggio da un’ossessione a un dolore profondo perché, per l’essersoffice, non mantiene un’impronta ma la sprofonda. Allora sivede solo un’interruzione nel bianco, sacrilega. Let’s float down to Peru, in Llama land there’s a one man band,Do dim, Re min, mentre anche in cuffia, ora, non arrivano più levoci dei paracadutisti. L’altezza, forse - già 8.000 piedi - nonconsente alla radio di ricevere, ed io mi sto isolando. Ma piùsalgo (4.600 i giri, 50 nodi, mi segnala un livello troppo freddodell’acqua e non posso intervenire, eppure il mio distacco deveavere luogo) più lo sento, up there where the air is rarified we’lljust glide, starry-eyed.

Col sole, un sol diminuito, sfondo le nuvole. La velocità è in arcobianco, un prestallo a 70 km/h (it’s perfect for a flying honey-moon, they say) per trovarmi quassù. Fra un momento solo, altri500 piedi più su, non sarò più in grado di vedere terra, le nubisono un prato di ovatta e, dopo averle bucate, si chiuderanno sottodi me lasciando le ossessioni 10.000 piedi sotto i piedi. L’ultimo sguardo giù, c’è la punta del Gran Sasso (la chiave, lachiave della tua città. Lascia le nevi ai gatti, tu hai ali) e sbuca tradue strati fitti di nubi. Poi cielo sotto, oceano sopra, inversionedella percezione. 50 km/h, uno stallo per livellare l’aereo, l’ac-qua troppo fredda, siamo io e il mio sax. I’ll get you up there, I’ll be holding you so near mi diceva.Salivamo fino a che il mondo non fosse a tal punto lontano dadoverlo ricordare; da lì ne parlavamo per capire dove avevamosbagliato. Dappertutto. Come adesso che l’aria calda è tutta inse-rita ma la temperatura segna meno 10 gradi. Livello l’aereo. Hovento in coda, nel bocchino del mio sax vibrante, e faccio in cielo200 km orari, a terra almeno 270. Mi diceva: Just say the words and we’ll beat the birds, poi inse-guivamo le curve degli arcobaleni. Era una scusa per darsi unobiettivo improbabile e non sentirci frustrati nel non conseguir-lo, ma folli nel perseguirlo e belli nel colorarci. Chiudo uno deidue rubinetti carburante, è quasi vuoto mentre sono in condizio-ni rischiose di volo. Ma Si bemolle 9 e sono nella bambagia. You may hear angelscheer, e c’è un pianoforte quassù. Accompagna questo sax cheho in bocca, cloche che ho nelle mani. Once I’ll get you up thereI’ll be holding you so near, mi sussurra in un jazz perfetto comeun tonneau che non si chiude, l’improvvisazione più sacra. Piùmortale. Let’s fly, let’s fly away. Il secondo serbatoio carburanteè a metà: o rientro subito, o jazz. C’era qualcuno che mi aspettava laggiù, non ricordo neanche chefaccia avesse. Ma no, non c’era più, era solo samba con un gransasso e la ballavo sola. Sorride ‘cause we’re together, weather-wise, it’s such a lovely day. Sol7, sol, sola. Sole. ■

SOL SETTIMA, SOL DIMINUITO, SOLE(...)

Èda questa prospettiva che me ne accorgo: il mioaereo è a forma di sax. Un aerofono, appunto.Sarà la miopia, o lo scherzo del sole. Sarà che un

volo è come jazz, si improvvisa: una piantata motoreo un luogo da inseguire, un arcobaleno da attraversa-re, una virata sfuocata, il cielo che si chiude. Puro,standard jazz. In questo assetto riesco anche a vederei piattelli del mio sassofono, e un bocchino - lo stabi-latore - dentro cui soffia vento da est, dal mare.

¢ CONTINUA DALLA PRIMA PAGINA > SOL7 SOL SOLE di ROMINA CIUFFA

SPECIALE

Eccoci qui. Davanti ad uno specchio. Dasoli. Dovrei parlare, dirti quello che hopensato in questi anni. Ti avevo promessoche avrei raccontato qualcosa di me chenon sapevi. Però non è semplice. Come si

fa? Le parole non sono come le note. Do, re, mi,fa, sol, la, si. Il difficile sta solo nel metterle infila nel modo giusto.

Penso al soffio rivelatore di un sassofonista.Il suono del sax mi piace. È caldo, gentile, sen-suale e ed elegante. Se ti sbagli al massimo pro-vochi rumore. A qualcuno piace anche quello.Ma parlare è diverso. Le parole, come le mettile metti, generano sempre emozioni dubbie,sollevano sentimenti che bruciano presto e,soprattutto, non bastano mai. Non bastano adevitare che nascano equivoci e delusioni. Sonosempre poche le certezze che regalano.

Quando posi le tue labbra sul bocchino di unsax e ci soffi dentro l’intera tua anima, invece,è tutto più semplice. Sarà la musica a lavorareper te. Chi ti ascolta è vittima di una feliceintuizione o di una più serena menzogna. Si rac-contano le verità dell’anima, dentro il discorsodi uno strumento santificato da salive mistiche.Quelle che lo specchio mi ferma sempre comeun dispetto. Quelle che Gato Barbieri sputa inuna meravigliosa pioggia di luce che poi si spe-gne negli occhi di lei. Quelle che Charlie Parkersollevava in aria e invitava a volteggiare pereccitare la poesia di Jack Kerouac e AllenGinsberg.

Noi siamo sensibili alla musica come lo è lafotografia alla luce. Ne siamo pervasi, svuotati,plasmati, deformati, ammalati, curati, eccitati,sedati, riempiti, svuotati, affamati, saziati.

Neanche fosse amore. Si dice che per innamo-rarsi bastino pochi minuti, pochi secondi.Anche la musica si misura nell’istante in cuiarriva alle nostre orecchie. Quando poi rimania-mo soli, possiamo risentire le note di un branoanche senza strumenti.

Succede la stessa cosa con l’immagine di unadonna, che ci torna agli occhi anche in suaassenza. Forse l’amore è una grande assenza.Qui però si tratta solo di un uomo di fronte allapropria emozione disturbata. Una rapsodia d’au-tunno che provoca brividi illeciti. Un po’ comela sensazione che sto provando davanti a questospecchio che lentamente si appanna del miorespiro. Una superficie insicura che non sa trat-tenere l’immagine di me che rido mentre è chia-ro che ho paura. I piedi nudi sul pavimento nonfanno altro che gelare un insano istinto di ordi-ne e di fame.

Non c’è razionalità che tenga al desiderio. Ilmomento in cui Rollins gonfiava le sue guance,quell’atto drammatico che è la creazione dimusica, non è altro che un ironico e umiliantegesto di disordine gioioso. È il sistematico sre-golamento dei sensi che ci anima, di tanto intanto. È il tentativo di comunicare una sensazio-ne che ora, qui, non riesco a provarti.

Servirebbe un assolo. Servirebbe il coraggiodi salire su un palco e far incazzare o goderequalche decina o centinaia di persone.Servirebbe questo per tenerti inchiodata a me.Oh amore, quale animato suono di donna sei?Pensandoci bene, non ho mai imparato a suo-nare nessuno strumento. Io non sono pronto.Non è colpa mia se abbiamo scelto uno spec-chio per dirci ti amo. ■

Forse l’amore è una grande assenza. Qui però si tratta solo di un uomo di fronte allapropria emozione disturbata. Una rapsodia d’autunno che provoca brividi illeciti.

PPAANNNNOOLLIINNOO VVIIOOLLIINNOO

Roberto della 251. Deve essere questo ilmio nome. Tutte le mattine entrano nellamia stanza due signore vestite di bianco;toccano le coperte del mio letto, si guar-dano e mi gridano in viso: «Anche sta-

notte ti sei tolto il PAN-NO-LI-NO. Non si fa,capito? Franca, chiama l’inserviente e digli lesolite lenzuola per Roberto della 251».

Ho delle certezze.Ci sono parole che vanno gridate e sillabate,

sono vecchio e sono Roberto della 251. Sonoricco. Lo dicono sempre le due signore vestitedi bianco. Pensavo di essere molto povero per-ché quando non hai altro che il tuo nome vicinoa un numero devi per forza essere nullatenente.

Stavolta penso di aver ragionato bene, anchese sto dicendo una bugia. Qual’è la bugia?

Non è vero che non ho più nulla che miappartenga. In questa stanza non ci sono cosedella mia vita; la bella famigliola che una voltaalla settimana mi viene a trovare, mi porta unascatola di gelatine alla frutta e mi bacia sulleguance non la ricordo. Dentro di me, però, c’èl’immagine della vita ed è sempre viva.

Per cinque anni, tutti i martedì, andavo allascuola di musica del mio quartiere e aspettavo.Forse suonavo il pianoforte o forse pulivo lescale. Ma fu là che la conobbi. Capelli biondi,due occhi marroni e un volto d’incanto appog-giati alla curva del suo violino. Non so se fossebrava. Cinque anni. Alle 19 finiva la lezione.Alle 19 ero in strada, davanti al portone dellascuola. Lei si fermava sull’ultimo gradino,allungava il collo per cercare la macchina dellamamma, salutava i suoi amici, mi passavadavanti e scompariva dentro la macchina, dove

le rubavo l’ultimo sguardo mentre posava il suoviolino sul sedile posteriore. Tutti i martedì pro-vavo la medesima gioia nel vederla e nasceva inme la voglia di parlarle, di chiederle perchésuonasse il violino, cosa provasse nel momentoin cui l’archetto iniziava a pizzicare le corde, edi domandarle: «Posso accompagnarti io a casa,martedì prossimo?»

Non l’ho mai fatto. Ho avuto il terrore di un«no». Quanto sono felice ora di non averla maifatta quella domanda. Se Veronica avesse rispo-sto «no», ora sarei davvero un nullatenente.

Quanto è stata lunga questa mia vita non lo sopiù, ma certamente più breve del mio amore perVeronica, la studentessa di violino.

Come trascorrono gli anni? Possibile che ionon ricordi altro? Mi impegno a mettere a fuocola mia vita quando le signore vestite di biancomi portano nel parco di questa villa a fare unapasseggiata.

Forse suonavo il pianoforte o forse pulivo lescale. Devo chiamarmi Roberto della 251, farela pipì nel letto, non va bene e sono ricco.

Certezze.Il volto d’incanto di Veronica, il suo sorriso,

la sua musica.La mia vita.Domani mattina, tutto sporco di pipì, dirò

alle due signore cos’è l’amore: userò le parolepiù belle per spiegare loro cosa possono signi-ficare, per me, due occhi marroni, un sorriso eun violino.

Sono sicuro che non capiranno e come ognimattino si guarderanno e chiameranno l’inser-viente che porterà le lenzuola pulite perRoberto della 251. ■

Forse suonavo il pianoforte o forse pulivo le scale. Devo chiamarmi Roberto della251, fare la pipì nel letto, non va bene e sono ricco. Certezze. Pannolino. Violino.

LLOO SSPPEECCCCHHIIOO AANNIIMMAATTOOdi Flavio Fabbri di Rita Barbaresi

a cura di ROMINA CIUFFA

photocredit ROMINA CIUFFA

BEDTIME

Page 15: MUSIC IN 16

a cura di ROMINA CIUFFA

AA.VV. BurlesqueTemptations. Musicfor Streaptease Nude.

ELISA Evy È pur sempre bellissimaun’emozione con le cadute e tutto ilmale, come una musica, come un dolore

MARLENE KUNTZ Ricoveri virtuali e sexy solitudiniChi tutto crede di sapere di quel grande nulla poi s’intristisce,pieno di dubbi poi si incupisce vedendosi di spalle e partire

Music In ¢ NUMERO 16 > Inverno 2011 FEEDFEEDback

Sei qui a guardarle ballare perché, in tutta la tua vita, la soddisfazioneche hai cercato nell’amare non è mai stata pari al dolore che ti ha datoil capire. Capire che conoscere fino in fondo una persona non fa che

peggiorare lo stato in cui ti trovi (quella bionda si struscia su un palo di metallo) e tiaccompagna sempre più in fondo, un pozzo privo di femmine in cui si sta meglio, ma dav-vero meglio. Miss Dirty Martini guarda Trixie che si agita. (Slaccia il reggiseno, primaspallina, seconda spallina). Un burlesque, quello che serviva stanotte per disconoscere

la femminilità mentre la tocchi. (Ti guarda negli occhi come fossero isuoi). Non ti devi illudere che lo spettacolo sia fatto per te, questesignorine non sono tue, sono solo di un palco, per giunta femminista. Allontanarle fischiando al loro ancheggiare te le avvicina. Tutte. (Mihai rubato gli occhi, ti dice con gli occhi). Tu ti fissi sul seno destro,che è più grosso del sinistro. La tua mano arranca, vorrebbe esserelì ma non si può. Puoi fischiare, urlare, questo sì, e volteggiano i fian-chi, le rotondità a volte esagerate delle donne in questa sala. TrixieMalicious si sdraia. L’orchestra raccolta dal direttore artistico delMicca Club, Alessandro Casella, suona per le «follie dei poveri», que-sto il burlesque, tutta una parodia vittoriana di te che non ami, la con-fusione eccentrica tra sesso, amore e avanspettacolo. Trixie.

La danza del ventre la viene a fare addosso a te, improvvisamente sei nell’occhio di bue,sei l’occhio di un bue, sei il bue. (Occhiolino). Trixie è seminuda e sceglie le tue mani peraiutarla a slacciare gli slips. Chi l’avrebbe detto, un burlesque a Roma. Fischi, schia-mazzi, la tua mano in panne, in panni: cerchi di sbottonare la giarrettiera, come lei tichiede di fare, su, non fare la solita figuraccia con le tue dita di pastafrolla, sei al cen-tro dello show, Trixie deve essere spogliata ora, stanno aspettando. È il punk che arriva ad aiutarti, la rivoluzione che nasce dal basso, improvvisamenteaccomodi questo New Burlesque tra le gambe e te lo ricordi, ricordi il motivo per cui seiqui: non volevi sapere nulla di lei, non vuoi più saper nulla di femmine, e queste qui ci rido-no sopra, un cabaret non ipocrita in cui tutti vogliono solo una cosa. Esser leggeri. Così gli slips vanno via, e in mano non ti resta che lei. Che prende, si volta, e danzandosi allontana. Più leggera di così. Osservi. C’è la parete della tua stanza davanti a te. Lasolitudine. Questo cd. I vinili originali dell’epoca tutti in play. La ferita di lei. Il cabaret cheha fatto mentre se ne andava. La burla più grande.

Le ragazze che «decidono ildestino dei loro amori» e «vol-teggiano sulle ali degli aquiloni»

sono diventate Donne. I Neri per caso pubblica-no il loro dodicesimo lavoro disco-grafico e lo dedicano all’altrametà del cielo. Dieci brani famo-sissimi completamente riarran-giati e portati nell’inconfondibilestile a cappella che i «neri» hannoavuto il merito di far conoscere algrande pubblico. Come al solito, bando agli stru-menti: solo voci e mani peraccompagnare una voce femmi-nile diversa a canzone. Donneriunisce infatti in un unico CD le voci di OrnellaVanoni (Io che amo solo te), Loredana Berté (Ela luna bussò), Wendy Lewis (Ain’t no Mountainhigh enough) e Mietta (Baciami adesso) accan-to a quelle emergenti di Alessandra Amoroso(Maniac), Noemi (Come si cambia), Karima(Street Life) e Giusy Ferreri (Aria di vita), finoall’indimenticabile voce di Mia Martini. Sì, avete capito bene. I Neri per caso non sifanno mancare proprio niente e si cimentano

nel Minuetto di Califano: la voce di Mia Martinisi sovrappone alle loro armonizzazioni, mentrei cori sanno farsi da parte al momento giustoper dare spazio alla voce della cantante scom-

parsa, inimitabile nella sua capa-cità di strappare un brivido quan-do canta la sua disperazione(«avrei dovuto perderti e inveceti ho cercato»). I fratelli Ciro e Diego Caravanoche hanno curato gli arrangia-menti si divertono a stravolgere ibrani, prendendo la canzone diFlashdance e facendola diventareuno swing o creando un’atmosfe-ra reggae per E La luna bussò.

Ma le vere protagoniste sono le donne chehanno ispirato il disco. Il loro canto è dolce-mente accolto dalle voci dei «neri» che prepa-rano per loro un tappeto rosso di suoni earmonie e cori per valorizzarle al meglio. Unadichiarazione d’amore universale per tutte ledonne. Anche se, come ribadisce il duetto conDolcenera, il cuore è uno zingaro e va.

Roberta Mastruzzi

Elisa Toffoli, inarte solo Elisa,la si riconosce

subito. Minuta, dal volto aggra-ziato, con un timbro vocaleunico nel panorama musicaleitaliano. Una delle migliori can-tanti che il Bel Paese, e nonsolo, abbia ascoltato. Un’artistacompleta. Non solo una inter-prete, ma soprattutto un’autri-ce dal talento innato. Originale negli arrangia-menti ed innovativa nelle scelte stilistiche,unica nel suo genere per la particolarità divoler comporre la maggior parte dei suoi testiin lingua inglese.Maturata negli anni e cresciuta insieme allesue opere, Elisa giunge quest’anno al concepi-mento del suo settimo lavoro, dopo il succes-so di Heart, pubblicato lo scorso anno e arriva-to insieme ad una figlia e ad un amore, AndreaRigonat, con il quale condivide la carriera arti-stica. Il nuovo album, uscito il 30 novembre, èbattezzato Ivy e non è un inedito, bensì di unconcept album in cui sono racchiusi 17 pezzitra vecchi successi, nuove canzoni e diversecover dal timbro rock, che l’artista dichiara di«aver scelto con il cuore».

L’opera è interamente riarran-giata su un tappeto musicalecompletamente nuovo, che hala particolarità di sintonizzareanche i pezzi cover, sulla lun-ghezza d’onda della cantantedi Monfalcone. Dandole la pos-sibilità, non solo di reinterpre-tarli, ma anche di renderli unpo’ suoi.Gli inediti del cd sono Fresh Air

e Sometimes Ago, mentre tra i suoi vecchisuccessi rivisitati troviamo brani comeRainbow, It is what it is, Lullaby, ed i più recen-ti Forgiveness e Ti vorrei sollevare. Nell’albumnon mancano le collaborazioni con altri artisti.È presente un duetto d’eccezione: Anche tu,anche se (non trovi le parole), con il rapperFabri Fibra. E insieme a Giorgia si può ascolta-re Pour Que L’Amour Me Quitte di Camille.Ivy è decisamente un progetto commerciale,ma ben realizzato, dove sono perfettamenteamalgamate ballate e canzoni dall’animarock, con orchestrazioni non banali e maiscontate su cui la voce di Elisa si stende edestende alla perfezione.

Lorenzo Fiorillo

Ci sono versi diFabrizio DeAndré pubblica-

ti in manuali di letteratura;diventano citazioni colte, titoli dilibri, nomi di band; imperversa-no su facebook. E le melodie?Be’, anche quelle sono patrimo-nio universale. Eppure finoranon avevamo mai scisso lamusica dalle parole. Il lavoro di Danilo Rea, A tributeto Fabrizio De André, dunque, presenta unprimo elemento di novità: le storie di DeAndré perdono voce e parole, ma non signifi-cato. Il misto di emozioni che vive Maria,nell’Ave Maria, ad esempio, è un inseguimen-to tra ottave contrapposte che si avvicinano esi riallontanano, perché «gioia e dolore hanno

il confine incerto, nella stagioneche illumina il viso». Così Bocca di Rosa, grandeesercizio di fraseggio e respiroper ogni cantante, rivive nei tastidi Rea come un vociare distintoe corale: la maldicenza che insi-ste, batte al lingua sulle cordedel pianoforte (anziché sul tam-buro, come in Un giudice), mal’effetto è quello. Le interpretazioni di Rea trasfor-

mano semplici ballate in piccoli moderni lie-der, vivacizzati da improvvisazioni jazz (comein Girotondo). Le canzoni provengono princi-palmente dai primi lavori di De André. Forsepresentimento di un sequel.

Nicola Cirillo

Oltre vent’anni di carriera, settealbum pubblicati e un livello disperimentazione che pochi

gruppi del panorama musicale italiano posso-no vantare di avere. Questi sono i MarleneKuntz, il gruppo, che ha fatto dell’alternativitàe della ricerca sonora il manifesto del propriosuccesso. Da sempre catalogati come forma-zione experimental rock, i Marlene Kuntz fon-dano le radici della loro arte nella ricerca delladeframmentazione dell’armonia. Utilizzando ilrumore delle distorsioni come un’attitudinestilistica, come un canale di interpretazionefra pensiero e musica.La band capitanata da Cristiano Godano hapubblicato il nuovo album Ricoveri virtuali esexy solitudini. Un’opera che dimostra l’attitu-dine della band alla scrittura di testi che deb-bano, in maniera necessaria, raccontare larealtà, la quotidianità. Una poetica, quella diGodano, che esige di parlare del mondo checirconda tutti noi. L’ottavo album dei MarleneKuntz è un lavoro di concetto, che ha la pecu-liarità di essere raro nel mondo della musicaitaliana. Le sonorità sono rock, del genere piùgrezzo e crudo, scelta questa che è stata

fatta per creare un collegamento temporalecon i primi lavori della band. Si abbandonanoquindi gli stili cantautorali del precedentealbum Uno, uscito nel 2007. Il nuovo CD ècomposto da 11 brani, tra i quali è compreso

il singolo PaoloAnima Salva,precedentemen-te uscito e cheha fatto da apri-pista all’operacompleta fin daiprimi giorni dinovembre. L’album si ponee si impone inun ambito quali-tativo superiore

alla produzione rock nazionale più diffusa oggi.Anche se la scelta di tornare alle sonorità diun tempo getta su questa nuova opera unvelo di nostalgia ed uno scomodo, ma inevita-bile, paragone con le prime e migliori operedella band.

Lorenzo Fiorillo

MARLENE KUNTZ - RICOVERI VIRTUALI E SEXY SOLITUDINI

NERI PER CASO - DONNEELISA - IVY

PPOOPPCCKKpop&rock

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SWANS - MY FATHER WILL GUIDE ME UP A ROPE TO THE SKY

Uscito il 23 settem-bre 2010, My FatherWill Guide Me Up a

Rope to the Sky è l’ultimo lavoro instudio degli Swans a seguito diuna pausa durata ben 14 anni.Dopo anni di militanza nel proget-to «Angel of Light» e l’esperienzacome produttore per la propriaetichetta Young God Label, MrGira aveva annunciato ai media di volersi dedi-care nuovamente al progetto Swans.Non tanto per pura nostalgia. «Questa non èuna reunion», aveva detto il leader della postpunk-no wave band newyorkese, «stavo solocercando un modo per andare avanti e muo-vermi in una nuova direzione, perciò rivisitareil concetto degli Swans mi è sembrata l’unicamaniera possibile per riuscirci». Anche se diverso e innovativo rispetto a tutti gli

altri album, My Father Will GuideMe Up a Rope to the Sky, chevanta inoltre la collaborazione diDevandra Banhart (voce su YouFucking People Make Me Sick),Grasshopper (Mercury Rev), BillRieflin (Ministry, Lard, TheRevolting Cocks, Pigface, NineInch Nails, Chris Connelly), nonmanca certo di quel turbine di

emozioni tipicamente oscure che ha fattodegli Swans una band ormai di culto. Cupo, elettrico, nichilista, epico, il nuovo albumsi apre con il suono di campane e il turbine dichitarre di No Words/No Thoughts, incipitperfetto per un disco che porta dritto negliangoli più nascosti, lasciando dimenticare ilresto, che è ciò che poi ci circonda.

Valentina Giosa

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