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©Alessandro Berti 1 MODELLI STATICI E MODELLI DINAMICI PER LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO DI CREDITO: UNA VERIFICA EMPIRICA ALESSANDRO BERTI 1 [email protected] Abstract L’applicazione delle regole di Basilea 2 alla gestione del rischio di credito, pone il problema dei criteri di costruzione dei rating, e in particolare della metodologia per la valutazione del rischio di credito, sia essa quella contenuta negli scoring, ove esistenti, sia essa quella fornita direttamente attraverso il giudizio dell’analista. I protagonisti del sistema finanziario italiano hanno fortemente dibattuto il tema dell’applicazione dei rating, con visioni fortemente contrapposte, incentrando il dibattito più che sul tema della qualità delle relazioni di clientela, sul pericolo di razionamento. Poca o nessuna attenzione il dibattito ha riservato alla qualità dei dati utilizzati per l’analisi di fido ma, soprattutto, ai metodi ed alle tecniche relativi, in un Paese, quale l’Italia, che proviene da una lunga esperienza di multibanking e di deboli relazioni di clientela. Si sono pertanto verificati l’attendibilità e la capacità segnaletica delle crisi d’impresa di due distinti approcci analitici: il primo basato sugli strumenti tradizionalmente utilizzati dalle banche italiane, l’analisi statica tramite indici di bilancio, il secondo costruito a partire dalle metodologia dell’analisi dinamica per flussi di cassa, finalizzata a misurare l’evoluzione del fabbisogno finanziario d’impresa. I due modelli sono stati verificati su un campione di 140 imprese, di cui la metà assoggettate a procedure concorsuali e la metà in bonis. La verifica è stata compiuta a partire da un approccio tipicamente aziendalistico, poiché le tecniche di analisi per la valutazione del merito di credito hanno anzitutto tale genere di matrice. Le prime conclusioni raggiunte, utilizzando strumenti di statistica descrittiva, sono articolate. In primo luogo, l’analisi per indici, tuttora dominante nella prassi bancaria, mostra la sua totale inaffidabilità, confermandosi in tal modo le conclusioni di altri autori. L’uso di modelli dinamici, se pure riesce a misurare natura e cause del fabbisogno finanziario d’impresa, non riesce a cogliere nella loro integralità le ragioni del dissesto aziendale: l’analisi, infatti, ha rivelato comportamenti delle imprese assai diversi alla vigilia delle crisi, originati da motivazioni non definibili secondo schemi prestabiliti. Vi sono tuttavia indicatori, perlopiù trascurati nella realtà italiana, che manifestano notevole capacità segnaletica. Fra questi, in particolare, quelli dell’analisi settoriale e quelli relativi alla misura ed alle determinanti del flusso di cassa, in particolare il risultato operativo e la variazione del capitale circolante netto commerciale. In generale, la ricerca ha evidenziato, in questa prima fase, oltre alla necessità di un approfondimento tramite gli strumenti dell’analisi statistica multivariata, anche la maggiore capacità segnaletica di modelli dinamici, ove questi siano utilizzati al fine di delineare un trend e non si limitino alla valutazione puntuale. Conclusione che ripropone la necessità, per le banche affidanti, di investire sulla qualità delle relazioni intrattenute, monitorando continuativamente il rapporto. 1. Introduzione Il dibattito sul tema dei rapporti banca impresa è attraversato, da ormai due anni, dall’argomento introdotto dalle prescrizioni, in materia di gestione del rischio di credito, approvate e diffuse dal Comitato di Basilea e note sotto il nome di Basilea 2. Pare opportuno riprendere sinteticamente i termini del dibattito unicamente per la finalità del presente lavoro, quella di verificare la coerenza fra strumenti e metodi propri dell’attività bancaria di impiego in prestiti ed alcune, forse non troppo note, affermazioni del documento del Comitato. 1 L’Autore desidera ringraziare Maria Angela Padova, Paola Menghini, Maria Ines Cappelletti, Gianluca Sanchioni e Moreno Trivisonno per il prezioso aiuto e la collaborazione prestati nella fase di analisi ed elaborazione dei dati. L’Autore resta naturalmente il solo responsabile per ogni imprecisione, omissione o inesattezza.

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©Alessandro Berti

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MODELLI STATICI E MODELLI DINAMICI PER LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO DI CREDITO: UNA VERIFICA EMPIRICA

ALESSANDRO BERTI1

[email protected]

Abstract

L’applicazione delle regole di Basilea 2 alla gestione del rischio di credito, pone il problema dei criteri di costruzione dei rating, e in particolare della metodologia per la valutazione del rischio di credito, sia essa quella contenuta negli scoring, ove esistenti, sia essa quella fornita direttamente attraverso il giudizio dell’analista. I protagonisti del sistema finanziario italiano hanno fortemente dibattuto il tema dell’applicazione dei rating, con visioni fortemente contrapposte, incentrando il dibattito più che sul tema della qualità delle relazioni di clientela, sul pericolo di razionamento. Poca o nessuna attenzione il dibattito ha riservato alla qualità dei dati utilizzati per l’analisi di fido ma, soprattutto, ai metodi ed alle tecniche relativi, in un Paese, quale l’Italia, che proviene da una lunga esperienza di multibanking e di deboli relazioni di clientela. Si sono pertanto verificati l’attendibilità e la capacità segnaletica delle crisi d’impresa di due distinti approcci analitici: il primo basato sugli strumenti tradizionalmente utilizzati dalle banche italiane, l’analisi statica tramite indici di bilancio, il secondo costruito a partire dalle metodologia dell’analisi dinamica per flussi di cassa, finalizzata a misurare l’evoluzione del fabbisogno finanziario d’impresa. I due modelli sono stati verificati su un campione di 140 imprese, di cui la metà assoggettate a procedure concorsuali e la metà in bonis. La verifica è stata compiuta a partire da un approccio tipicamente aziendalistico, poiché le tecniche di analisi per la valutazione del merito di credito hanno anzitutto tale genere di matrice. Le prime conclusioni raggiunte, utilizzando strumenti di statistica descrittiva, sono articolate. In primo luogo, l’analisi per indici, tuttora dominante nella prassi bancaria, mostra la sua totale inaffidabilità, confermandosi in tal modo le conclusioni di altri autori. L’uso di modelli dinamici, se pure riesce a misurare natura e cause del fabbisogno finanziario d’impresa, non riesce a cogliere nella loro integralità le ragioni del dissesto aziendale: l’analisi, infatti, ha rivelato comportamenti delle imprese assai diversi alla vigilia delle crisi, originati da motivazioni non definibili secondo schemi prestabiliti. Vi sono tuttavia indicatori, perlopiù trascurati nella realtà italiana, che manifestano notevole capacità segnaletica. Fra questi, in particolare, quelli dell’analisi settoriale e quelli relativi alla misura ed alle determinanti del flusso di cassa, in particolare il risultato operativo e la variazione del capitale circolante netto commerciale. In generale, la ricerca ha evidenziato, in questa prima fase, oltre alla necessità di un approfondimento tramite gli strumenti dell’analisi statistica multivariata, anche la maggiore capacità segnaletica di modelli dinamici, ove questi siano utilizzati al fine di delineare un trend e non si limitino alla valutazione puntuale. Conclusione che ripropone la necessità, per le banche affidanti, di investire sulla qualità delle relazioni intrattenute, monitorando continuativamente il rapporto.

1. Introduzione

Il dibattito sul tema dei rapporti banca impresa è attraversato, da ormai due anni, dall’argomento introdotto dalle prescrizioni, in materia di gestione del rischio di credito, approvate e diffuse dal Comitato di Basilea e note sotto il nome di Basilea 2. Pare opportuno riprendere sinteticamente i termini del dibattito unicamente per la finalità del presente lavoro, quella di verificare la coerenza fra strumenti e metodi propri dell’attività bancaria di impiego in prestiti ed alcune, forse non troppo note, affermazioni del documento del Comitato.

1 L’Autore desidera ringraziare Maria Angela Padova, Paola Menghini, Maria Ines Cappelletti, Gianluca Sanchioni e Moreno Trivisonno per il prezioso aiuto e la collaborazione prestati nella fase di analisi ed elaborazione dei dati. L’Autore resta naturalmente il solo responsabile per ogni imprecisione, omissione o inesattezza.

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In proposito grande è stata l’attenzione, sia di parte bancaria, sia di parte imprenditoriale, con posizioni che sinteticamente possono essere riassunte come segue:

• da parte delle banche si è affermato che l’applicazione delle regole di Basilea 2 non avrebbe comportato alcun fenomeno di razionamento e che, al contrario, le banche erano e saranno pronte ad accogliere le istanze imprenditoriali e ad aiutare le imprese a crescere e svilupparsi in maniera più sana ed equilibrata, assistendole da vicino senza esasperare l’utilizzo di softwares, modellistica, automatismi etc…;

• da parte del mondo delle imprese si è viceversa sostenuto proprio il tema del razionamento, degli automatismi e della spersonalizzazione del rapporto e delle crescenti difficoltà nell’accesso al credito, lamentando, inoltre, non solo l’incapacità delle banche di assistere efficacemente le aziende affidate, ma anche la crescente onerosità dei rapporti intrattenuti, la disdetta o la modifica in senso peggiorativo delle numerose convenzioni stipulate con le associazioni etc…

A parere di chi scrive, il dibattito, posto nei termini sopradescritti, rischia davvero di perdere di vista il tema principale e forse tuttora accantonato delle relazioni di clientela, quello del fabbisogno finanziario delle imprese, della sua qualità, della sua sostenibilità da parte bancaria. Tema, quest’ultimo, senz’altro oscurato e messo in secondo piano dalla prassi del fido multiplo e dal corrispondente comportamento delle imprese.

Per quanto riguarda le banche, non è superfluo rammentare che l’adozione e la diffusione della nota prassi del fido multiplo, è stata conseguente alla necessità di evitare un eccessivo coinvolgimento con l’impresa affidata, nel rispetto di un opportuno frazionamento del rischio: nonostante l’eccesso di presenza pubblica nel sistema bancario e le conseguenti minori spinte competitive, i vincoli di efficienza operativa hanno costretto le banche a ridurre i costi unitari per singolo rapporto, alla luce di una minore redditività delle relazioni intrattenute.

Per quanto riguarda le imprese, d’altra parte, soprattutto quelle di minori dimensioni, la letteratura si è occupata dei problemi del razionamento del credito2 e, perlomeno in Italia, della risposta delle imprese alla politica del multibanking, nota come sovraffidamento, ossia come eccesso di fidi ottenuti rispetto al fabbisogno finanziario ed all’utilizzo effettivo. È bene ricordare, almeno incidentalmente, che tale scelta consegue ad un indirizzo di fondo delle imprese che potrebbe essere così sintetizzato: il maggior volume di credito disponibile, al minor costo possibile e con i minori vincoli informativi ed operativi possibili. 3

Alla luce di tali considerazioni introduttive, forzatamente sintetiche nell’ambito del presente contributo, deve essere letta la trattazione che segue, tesa a sottolineare l’importanza dell’analisi del fabbisogno finanziario d’impresa quale “cuore” del rapporto di affidamento.

2. Basilea 2 e l’analisi del fabbisogno finanziario: prassi bancaria e previsioni regolamentari

Pare a chi scrive che il vero rischio dell’applicazione delle regole di Basilea 2 non sia tanto quello del razionamento, quanto piuttosto quello di una semplificazione eccessiva nell’affronto dei

2J.E. Stiglitz, A.Weiss “Credit Rationing in Markets with Imperfetc Information” in The American Economic Review, V71 n°3, 1981. Sull’argomento confronta anche: A.N. Berger, G.F Udell. Limes of Credit, collateral and relationship lending in small firm finance, Working Paper (S-93/17) Salomon Brothers Center for the Study of Financial Institutions, New York University, 1994; R.I. Constand, J.S. Osteryoung, D.A. Nast “Revolving asset backed lending contracts and the resolution of debt-related agency problems” in Journal of Small Business Finance 1, 1991.

3Cfr. G.De Laurentiis Rating interni e credit risk management, Bancaria Editrice, Milano, 2001. Dello stesso autore e sullo stesso tema, Il rischio di credito. I fidi bancari nel nuovo contesto teorico, normativo e di mercato, EGEA, Milano, 1994.

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problemi della gestione finanziaria delle imprese, mediante l’applicazione di modelli di previsione delle insolvenze i quali, tuttavia, non risolvono la questione dell’analisi del fabbisogno finanziario d’impresa.4 Non pare possibile, in effetti, fondare in maniera duratura serie relazioni di clientela se queste non si basano sull’attenta analisi del fabbisogno finanziario, sulla sua qualificazione, sulla sua valutazione in termini di rischio assunto. Da tale assunto prende le mosse il presente lavoro, che ha teso a verificare la validità dei modelli più comunemente utilizzati in ambito bancario, e in particolare quelli basati sull’analisi per indici o della solvibilità a breve termine rispetto a modelli dinamici basati sull’analisi per flussi. Tale tipo di verifica assume un valore tanto più significativo ove si rifletta su alcuni dei contenuti del documento di Basilea 2, e in particolare laddove si indica che, ai fini dell’assegnazione dei rating, “(…) le banche devono tenere conto di tutte le informazioni pertinenti e per ogni prenditore dovrebbero osservare almeno i seguenti fattori: la capacità storica e futura di generare liquidità, necessaria a rimborsare i propri debiti e a fare fronte ad altre esigenze finanziarie, quali le spese per investimenti necessari affinché il prenditore resti operativo e sia in grado di gestire i flussi di cassa (…).”

La puntualizzazione del documento sulla capacità storica e futura di generare liquidità è il punto di partenza per definire le variabili che devono essere poste alla base dell’analisi del fabbisogno finanziario d’impresa e per la verifica empirica oggetto del presente lavoro. Si ritiene, infatti, che l’efficacia e l’attendibilità nell’indagine sulla capacità dell’impresa di generare liquidità sia il vero discrimine fra i due tipi di approccio all’analisi aziendale. In proposito, non si dimentiche che l’analisi per indici5 è stata per lungo tempo (ed in larga parte è tuttora) il fondamento delle analisi di matrice bancaria, effettuate in Italia al fine di esaminare il merito di credito dei richiedenti il fido. Come già affermato da autorevoli Autori6,, tale tipo di analisi si fonda su un approccio di liquidazione, laddove esamina l’adeguatezza dell’attivo liquidabile al fine di coprire le passività, nonché sulla ricerca del matching temporale fra fonti ed impieghi, al fine di verificare la solvibilità dell’impresa esaminata. Quanto all’attendibilità di tale tipo di approccio, basti ricordare che è possibile affermare l’esistenza di equilibrio finanziario anche in presenza di debiti di natura finanziaria crescenti,7 poiché si assimilano debiti di diversa natura (commerciali e di finanziamento), ignorando o trascurando le cause del fabbisogno.

4 Sull’importanza dell’analisi del fabbisogno finanziario d’impresa quale elemento qualificante delle relazioni di clientela, cfr.A.Giampaoli Banca e impresa, EGEA, Milano 2000.

5 L’analisi per indici, nota anche come analisi della solvibilità a breve termine, ha dominato incontrastata il panorama italiano negli ultimi decenni, sia per quanto riguarda la prassi bancaria, sia per quanto si riferisce alla prassi professionale. Fra i principali lavori improntati a tale tipo di approccio si ricordano: M.Cattaneo Analisi finanziaria e di bilancio, Etas Libri, Milano, 1973; P. Mella Indici di bilancio, Pirola Editore, Milano, 1990; V.Coda, G.Brunetti, M.Bergamin Barbato Indici di bilancio e flussi finanziari, Etas Libri, Milano, 1974; P.Manzonetto Indicatori ed indici nelle analisi di bilancio, F.Angeli, Milano, 1987; G.Ferrero, F.Dezzani Manuale delle analisi di bilancio. Indici e flussi, Giuffrè, Milano, 1979. La critica più decisiva ai fondamenti dell’analisi tradizionale viene portata dal Giampaoli con un lavoro che dimostra l’inaffidabilità di una strumentazione che offre indicazioni equivoche, fuorvianti e, soprattutto, errate, proprio nei momenti di crisi e di difficoltà aziendale. Sul punto cfr.A.Giampaoli La programmazione finanziaria nelle imprese industriali, CUSL, Milano, 1984. per gli sviluppi e gli approfondimenti successivi di tale critica, cfr. dello stesso Autore, Analisi e teoria finanziaria d’impresa, Quattro venti ed., Urbino, 1998 e Banca e impresa cit.

6 Oltre al già citato Giampaoli, vi sono, fra gli altri, numerosi rilievi critici in re ipsa circa le assunzioni dell’analisi tradizionale e riguardo al reale significato delle componenti del circolante in G.Brugger (a cura di) A.A.V.V. La gestione del capitale circolante EGEA, Milano 1991.

7 Giampaoli dimostra che gli indici offrono indicazioni positive pur in presenza di fabbisogno finanziario crescente e che tale situazione è perfettamente compatibile anche con la mancata distribuzione di utili d’esercizio. In proposito si veda quanto abbondantemente esemplificato in Banca e impresa cit., In ogni caso, dovrebbe sorgere spontanea la domanda circa la reale congruenza di indicatori che segnalano equilibrio laddove i debiti crescono stabilmente, dal momento che non può essere equivocata la natura dei debiti finanziari, ovvero passività contratte per coprire un fabbisogno, non può che essere errata la concezione di equilibrio finanziario che viene enunciata.

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Alla luce delle premesse che si sono descritte, si è pertanto verificata la validità di un modello di analisi che avesse quale cardine l’indagine sulla capacità dell’impresa di generare, congiuntamente, reddito e liquidità, nel presupposto che solo la coesistenza della capacità di reddito e della capacità di rimborso possano far concludere circa l’affidabilità del richiedente fido. I risultati di tale modello sono stati posti a confronto con quelli ottenuti attraverso l’uso dell’analisi per indici, in quanto tradizionale appannaggio dei sistemi di valutazione del merito di credito delle banche italiane, con conclusioni che saranno illustrate in fondo al presente lavoro.

È bene, infine, precisare, che la finalità dell’analisi non era individuare quale strumento fosse più adatto a “(…) predire il fallimento o qualche altra manifestazione esteriore della crisi d’impresa”8, bensì quella di selezionare un insieme di indicatori in grado di fondare, con maggiore solidità, la costruzione dei rating, al fine di meglio evidenziare le situazioni di tendenziale degrado della gestione rispetto a quelle valutabili in senso fisiologico e tranquillizzante. Per tale ragione, ritenendo l’analisi del fabbisogno finanziario elemento imprescindibile e qualificante dell’attività bancaria di impiego in prestiti, si sono esaminate variabili ritenute particolarmente significative a tale riguardo.

D’altra parte, numerose ricerche e contributi9 hanno dimostrato l’esistenza di un robusto legame fra indicatori di bilancio (e quindi anche fra le loro riaggregazioni) ed attribuzione del rating. Sulla possibilità di procedere in maniera più valida ed approfondita alla valutazione del merito di credito delle imprese e di fondare più correttamente (ossia a partire dalla qualificazione e dall’analisi, storica e prospettica, del fabbisogno finanziario d’impresa) la costruzione di modelli di rating si fonda il percorso di questo lavoro e la verifica empirica i cui primi risultati sono presentati di seguito.

3. La struttura del campione esaminato

Al fine di valutare i criteri di determinazione, valutazione ed influenza dei dati di input utili per la determinazione di punteggi (o scoring) sulla base dei quali stabilire i rating, il campione utilizzato ha preso in esame 140 imprese, di cui 70 assoggettate a procedure concorsuali e 70 in bonis, scelte in base ad un criterio casuale sull’intero territorio nazionale, con l’esclusione delle imprese manifatturiere del settore edile e costruzioni e nonché delle imprese aventi per oggetto l’esercizio di attività nel settore immobiliare.10 Non sono state prese in considerazione imprese assoggettate a liquidazione volontaria, ma solo imprese cessate per cause riconducibili a procedure fallimentari, compreso il concordato preventivo e quello fallimentare, la liquidazione coatta amministrativa, l’amministrazione controllata. Per tutte le imprese del campione sono state analizzate le serie storiche di almeno quattro anni di bilanci, al fine di poter ottenere confronti omogenei, dal momento che l’analisi per indici può essere effettuata anche sul bilancio di un solo esercizio, mentre l’analisi per flussi, effettuata mediante la redazione del consuntivo finanziario per variazione dei saldi patrimoniali, richiede sempre la disponibilità di due situazioni contabili consecutive. L’analisi pertanto è stata effettuata per il periodo che va dal 1998 al 2000, utilizzando anche i bilanci del 1997 al fine di poter redigere il rendiconto finanziario del 1998. Tutte le imprese

8 Cfr. R.Barontini La valutazione del merito di credito. I modelli di previsione delle insolvenze, Il Mulino, Bologna, 2000, pag.23.

9 Cfr.F.Cannata “Rating esterni e dati di bilancio. Un’analisi statistica” in Studi e note di Economia, 3/2001. 10 Sono note le difficoltà nell’analizzare tale tipo di imprese, caratterizzate da lavorazioni di durata ultrannuale e da

dinamiche di scorte e crediti del tutto anomale. Sulla valutazione del merito di credito di tali tipologie di imprese, nonché di quelle turistiche e delle società sportive, cfr.C.Cacciamani (a cura di) La valutazione di affidabilità delle imprese non manifatturiere, Bancaria Editrice, Roma, 2000.

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del campione, pertanto, sono state analizzate in chiave comparativa sugli indici calcolati dai bilanci 1998, 1999 e 2000 per quanto riguarda l’analisi tradizionale, utilizzando il rendiconto finanziario (ed altre variabili all’interno del modello considerato) per i bienni 1998 su 1997, 1999 su 1998, 2000 su 1999. L’arco di tempo considerato è stato ritenuto sufficiente anche al fine di compiere la verifica su un periodo che comprendesse i due anni previsti dalla legge per la revocatoria fallimentare e l’anno precedente, nel quale l’utilizzo di tale strumento è precluso alla procedura. Scopo della verifica era quello di valutare la tempestività o meno delle segnalazioni per la banca, al fine di potersi ritirare in tempo da relazioni ormai pregiudicate. Ovviamente non si sono potute utilizzare le indicazioni rinvenienti dalle analisi andamentali, a differenza di altre recenti indagini, quali quella di Barontini11. Si ritiene, tuttavia, che le conclusioni alle quali si è potuti pervenire siano tanto più utili proprio per la tipica categoria di analisti esterni all’impresa, le banche, soprattutto nella prima fase del rapporto.

4. I risultati mediante l’analisi per indici

L’analisi per indici è stata svolta in chiave semplificata, al fine di individuare le conclusioni essenziali, così come riassunte dai quattro indici prevalentemente utilizzati, l’acid test, il current test, il capitale circolante netto ed il margine di struttura.

Quanto all’acid test (tabella 1) la distribuzione delle frequenze relative non risulta significativamente discriminante fra le imprese in attività (di seguito per brevità indicate come sane) e quelle successivamente fallite o assoggettate a procedure concorsuali (di seguito per brevità indicate come fallite). Le classi di valori relative agli intervalli più bassi (fino a 0,6) sono simili fra le fallite e le sane, mantenendosi rispettivamente intorno al 45-50% contro il 40%, mentre solo per la classe più elevata si registra una differenza maggiore, non tale, in ogni caso, da segnalare un’effettiva capacità discriminante. Una maggiore significatività si segnala solo per i valori dell’ultimo anno precedente la dichiarazione di fallimento, valori fortemente menomati nella loro utilità pratica dall’intempestività12.

a) per quel che riguarda il current test (tabella n.2), lo stesso evidenzia dati non dissimili, poiché sia le imprese sane sia quelle fallite registrano percentuali di imprese ritenute rischiose (per valori dell’indice inferiori a 1) intorno al 50%, con un’impennata per l’ultimo anno e valori intorno al 70% per le fallite;

b) per il CCNO (cfr. tabella n.3) si possono fare le stesse considerazioni, con la differenza che il current test presenta un maggior livello di dettaglio e di conseguenza una maggiore capacità descrittiva ed interpretativa (CCNO > 0 ⇔ Current test > 1);

11 Cfr.R.Barontini, ibidem. L’Autore, in particolare, ha potuto fruire di informazioni aggiuntive di rilievo, quali per esempio, quelle relative alla Centrale dei rischi ed al passaggio a sofferenza del credito vantato dalla banca. I dati della ricerca di Barontini sono stati tratti da un campione di circa 700 imprese.

12 È ovviamente possibile per la banca chiedere il rientro in qualunque momento ed ottenerlo, ma il periodo a ridosso dell’inizio della procedura fallimentare farà sì che le somme recuperate debbano essere restituite per rispetto della par condicio. Al riguardo, ma con riferimento alle variabili desunte dalla Centrale dei rischi (sconfinamenti su accordato) Barontini osserva che “(…) non sembra confermata l’ipotesi che questi indicatori non abbiano alcuna capacità previsionale, riflettendo l’esistenza di una situazione di crisi solo nel momento in cui essa è già palese”. Cfr.R.Barontini, ibidem, pag.233. Si ritiene di dover dissentire sul punto, poiché pare ben modesta la capacità previsionale di un indicatore che si rivela tale solo contestualmente al verificarsi della crisi e che, pertanto, è intempestivo.

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c) quanto al margine di tesoreria (cfr. tabella n.4) , solo una media di circa il 17% delle imprese sane e di circa il 6% delle imprese fallite, mostra valori che la teoria segnale quali tranquillizzanti. Non pare, pertanto, che tale indicatore manifesti utilità effettiva;

d) il margine di struttura (cfr. tabella n.5), infine, non offre indicazioni dissimili da quelle degli altri indicatori, dal momento che sia per il campione di imprese sane, sia per il campione di quelle fallite, oltre il 70% dei casi esaminati risulta stabilmente insufficiente, in tutti e tre gli anni considerati;

e) da ultimo, utilizzando una sintesi degli indicatori visti in precedenza, secondo quanto evidenziato nella tabella n.6, oltre l’80% delle imprese sane ed il 90% di quelle fallite mostra valori complessivamente riconducibili a situazioni pericolose o di crisi di liquidità.

Tabella n. 1 - Frequenze di Acid Test a confronto

Frequenze

Fallite In attività Classi

1° anno 2° anno 3° anno 1° anno 2° anno 3° anno

< 0,4 19,09% 19,09% 33,61% 18,40% 14,40% 17,60%

da 0,4 a 0,6 25,31% 29,05% 22,82% 22,40% 27,20% 18,40%

da 0,6 a 0,8 33,61% 32,37% 24,48% 21,60% 21,60% 26,40%

> 0,8 21,99% 19,50% 19,09% 37,60% 36,80% 37,60%

Tabella n.2 – Frequenze di Current Test a confronto.

Frequenze

Fallite In attività Classi

1° anno 2° anno 3° anno 1° anno 2° anno 3° anno

< 1 54,77% 56,85% 70,54% 48,00% 44,00% 42,40%

da 1 a 1,25 35,68% 34,85% 21,16% 26,40% 32,00% 31,20%

da 1,25 a 1,6 6,22% 6,64% 4,98% 12,80% 12,00% 14,40%

> 1,6 3,32% 1,66% 3,32% 12,80% 12,00% 12,00%

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Tabella n. 3 – Frequenze di CCN a confronto.

Frequenze

Fallite In attività Classi

1° anno 2° anno 3° anno 1° anno 2° anno 3° anno

< 0 54,77% 56,85% 70,54% 48,00% 44,00% 42,40%

>0 45,23% 43,15% 29,46% 52,00% 56,00% 57,60%

Tabella n 4 – Frequenze del Margine di Tesoreria a confronto.

Frequenze

Fallite In attività Classi

1° anno 2° anno 3° anno 1° anno 2° anno 3° anno

< 0 93,78% 94,19% 92,12% 84,00% 82,40% 80,80%

> 0 6,22% 5,81% 7,88% 16,00% 17,60% 19,20%

Tabella n. 5 – Frequenze di Margine di Struttura a confronto.

Frequenze

Fallite In attività Classi

1° anno 2° anno 3° anno 1° anno 2° anno 3° anno

< 0 79,67% 84,65% 84,65% 72,80% 76,80% 72,80%

> 0 20,33% 15,35% 15,35% 27,20% 23,20% 27,20%

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Tabella 6: Valutazione sintetica mediante gli indici tradizionali

Fallite In attività

1° anno 2° anno 3° anno 1° anno 2° anno 3° anno

Ottimo (situazione ottimale)

Percentuale sul totale 2,90% 2,49% 4,98% 12,00% 8,80% 11,20%

Sufficiente (situazione tranquilla)

Percentuale sul totale 4,15% 2,90% 2,90% 4,80% 9,60% 4,80%

Insufficiente (situazione pericolosa)

Percentuale sul totale 38,17% 37,76% 21,58% 35,20% 37,60% 41,60%

Critico (crisi di liquidità)

Percentuale sul totale 54,77% 56,85% 70,54% 48,00% 44,00% 42,40%

Legenda:

Ottimo

• CCN>0; • MT>0; • MS>0

Sufficiente

• CCN>0; • MS > 0 con -0.2 < MT/Passivo Corrente < 0 • MT > 0 con -0.2 < MS/Imm.ni < 0 Oppure: -0.2 < MT/Pass.Corr. < 0 e -0.2 < MS/Imm.ni < 0

Insufficiente

• CCN>0; • MT< -0.2 o MS < -0.2

Critico

• CCN<0

Le conclusioni della verifica effettuata sul campione sono dunque univoche e confermano i risultati ottenuti da Barontini, il quale afferma “(…) che decisamente scarsa è la performance (…) di quasi tutti gli indici di liquidità.”13 Se non stupiscono le conclusioni raggiunte, stupisce tuttavia che tali indici non solo continuino ad essere utilizzati dalla stragrande maggioranza delle banche, ma che soprattutto essi rappresentino tuttora il fondamento per la valutazione del merito di credito e, in definitiva, per la costruzione degli scoring che contribuiranno successivamente alla determinazione del rating. “Le metodologie di determinazione del rating spaziano, in principio, su tutto lo spettro delle tecniche note di valutazione dei fidi, tra cui anche quelle “automatiche”. Lo scoring è una di queste ultime, ovvero una specifica tecnica di determinazione di una misura quantitativa di affidabilità di un prenditore (…) sulla base di variabili di input e relazioni (…).”14Su tale punto, e sulle conseguenze quanto all’atteggiamento organizzativo e commerciale delle banche in materia di politica dei prestiti, si ritornerà nella parte conclusiva.

13 R.Barontini, ibidem,pag.233. 14 Cfr.G.De Laurentiis I processi di rating e i modelli di scoring in A.Sironi, M.Marsella (a cura di) La misurazione

e la gestione del rischio di credito. Modelli, strumenti e politiche, Bancaria Editrice, Roma, 1998, pag.59.

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5. Le variabili utilizzabili per la costruzione di un modello dinamico: le ipotesi di lavoro

La verifica empirica è stata condotta in base all’ipotesi che i fattori che incrementano il fabbisogno finanziario delle imprese ed i comportamenti imprenditoriali che agiscono in tal senso, potessero essere utilizzati anche al fine di prevedere il degrado irreversibile delle condizioni di gestione in termini di equilibrio economico e finanziario. Tali variabili sono state scelte tenendo conto di tre aree ritenute critiche per la gestione, rispettivamente la crescita, la redditività e la finanza.

Con l’analisi della qualità della crescita aziendale si è inteso misurare non solo il tasso di sviluppo del fatturato, in quanto positivo o negativo, ma lo stesso è stato verificato rispetto all’andamento del costo del lavoro ed all’effettuazione di nuovi investimenti15, in quanto fattori determinanti di sviluppo, ed alla media del settore di appartenenza dell’impresa16, al fine di valutarne la performance rispetto a quella dei concorrenti.

Quanto alla redditività, si sono esaminati gli andamenti del risultato operativo rispetto al fatturato (compiendo anche in questo caso un raffronto settoriale), nonché rispetto all’incidenza della gestione extracaratteristica. Il risultato operativo è stato inoltre esaminato in rapporto alla maggiore o minore capacità di copertura degli oneri finanziari. L’ultima grandezza considerata è rappresentata dal costo del lavoro, ipotizzato quale variabile di elevato valore segnaletico in quanto connesso funzionalmente alla crescita ed allo sviluppo.

Infine, per l’area finanza, si è verificato il grado di significatività di alcuni indicatori ritenuti utili ai fini della valutazione della qualità del fabbisogno finanziario. Si tratta in particolare della dimensione e dell’andamento del capitale circolante operativo rapportato al fatturato e della crescita dell’indebitamento misurata rispetto alle vendite, al valore del risultato operativo, all’effettuazione di nuovi investimenti ed ai prelievi, in quanto determinanti del fabbisogno. Si è, infine, misurato l’autofinanziamento effettivo rispetto a quello potenziale o economico, valutando l’impatto e l’importanza della variazione del circolante ai fini della determinazione del risultato di cassa. Le variabili di tipo finanziario utilizzate per il modello riguardano essenzialmente due aspetti, la capacità di autofinanziamento da una parte, l’andamento del capitale circolante netto operativo e dei debiti bancari dall’altra. Le motivazioni della scelta risiedono: nell’importanza primaria da attribuirsi alla capacità di generare liquidità ai fini di valutare la capacità di rimborso, nel presupposto che maggiore è tale capacità, minore sarà il rischio di credito; nella natura propria del circolante netto operativo, la cui variazione in aumento assorbe liquidità poiché rappresenta ricavi non incassati e costi non pagati ed influenza l’autofinanziamento; nelle componenti stesse del circolante, che per la parte attiva si prestano a politiche di bilancio, per la parte passiva contengono la componente più importante dei debiti di funzionamento, i fornitori. I debiti bancari, ovviamente, sono stati inseriti per verificare le modificazioni della struttura finanziaria a seguito del modificarsi delle condizioni di gestione.

15 Su questo punto resta il dubbio legato alla natura dei nuovi investimenti effettuati, poiché non è stato possibile risalire, quanto al campione delle fallite, alla distinzione fra investimenti materiali ed investimenti immateriali. Questi ultimi, infatti, per loro natura, si prestano all’attuazione di politiche di bilancio, mediante capitalizzazione di costi di esercizio, al fine di ottenere un risultato contabile positivo.

16 Ai fini della presente ricerca è stata utilizzata la banca dati della Centrale dei Bilanci europea presente ondine: cfr. http://europa.eu.int/comm/economy_finance/indicators/bachdatabase_en.htm

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6. L’analisi dinamica: i risultati della verifica sulle variabili esaminate

L’analisi effettuata sul campione delle società fallite e su quello delle imprese ancora in attività ha utilizzato gli strumenti dell’analisi dell’associazione, al fine di studiare le relazioni di dipendenza, interdipendenza e indipendenza che legano le diverse variabili fra loro. Tra due caratteri sussiste indipendenza statistica quando la conoscenza della modalità di uno dei due caratteri non aiuta a migliorare la “previsione” della modalità dell’altro17. Da questo punto di vista la tabella a doppia entrata è lo strumento più idoneo per indagare sulle relazioni esistenti tra le modalità di due caratteri. Tra due caratteri sussisterà invece un legame di perfetta interdipendenza se ad ogni modalità di uno dei due caratteri corrisponde una ed una sola modalità dell’altro carattere e viceversa. La condizione di interdipendenza perfetta può valere solo nel caso in cui la tabella sia quadrata (ossia il numero di righe sia uguale al numero di colonne). Ogni situazione intermedia tra l’indipendenza e l’associazione perfetta esprime un certo grado di dipendenza o interdipendenza tra i caratteri, che sarà tanto maggiore quanto più la tabella osservata si discosta da quella di indipendenza a favore di una situazione di perfetta associazione. Come conseguenza si dovrà avere che in corrispondenza di alcune modalità di un carattere si presentano più frequentemente alcune modalità dell’altro carattere. In letteratura sono stati proposti numerosi indici statistici atti a misurare il grado di associazione a seconda del tipo di carattere. Tra gli indici generali di associazione il più noto è senza dubbio l’indice V di Cramer,18 che esprime l’intensità di associazione qualunque sia il tipo di carattere considerato. Se la tabella si riferisce però a caratteri quantitativi o almeno a caratteri qualitativi ordinati è possibile costruire degli indici che oltre a misurare l’intensità dall’associazione, ne misurano anche il verso. Ossia, oltre a verificare se esiste una corrispondenza fra le modalità dei due caratteri, analizzano anche se alle modalità di ordine più elevato di un carattere corrispondono più frequentemente le modalità di ordine più basso o più alto dell’altro carattere. Si dirà che c’è concordanza (discordanza) tra due caratteri X e Y se si osserva che unità con modalità di ordine più elevato di X corrispondono più frequentemente modalità di ordine più elevato (di ordine basso) di Y, mentre unità con modalità di ordine basso di X possiedono più frequentemente modalità basse (modalità di ordine elevato) di Y. Per tale motivo si vuole che un indice di associazione per caratteri almeno ordinati possa assumere valore sia positivi (in caso di concordanza) che negativi (in caso di discordanza). Un indice di associazione simmetrico che presenta tali caratteristiche è l’indice Gamma (γ) di Goodman e Kruskal,19 utilizzato nella nostra analisi congiuntamente all’indice τb di Kendall.20

17 Dati due caratteri X e Y, è possibile dimostrare che, nel caso di indipendenza, le frequenze relative delle distribuzioni condizionate di X rispetto ad Y sono tutte uguali fra loro e uguali alla distribuzione marginale relativa del carattere X. D’altra parte, se X è indipendente da Y si ha che anche Y è indipendente da X.

18 Tralasciando l’esposizione matematica, possiamo dire che tale indice varia tra 0 e 1; vale 0 nel caso di indipendenza tra i due caratteri; vale 1 nei seguenti casi: i due caratteri sono perfettamente associati e H = K (ossia il numero di righe della tabella a doppia entrata è uguale al numero delle colonne); X dipende perfettamente da Y e H<K; Y dipende perfettamente da X e H>K.

19 Anche in questo caso, tralasciando la formula matematica, ci limiteremo a dire che tale indicatore misura la riduzione dell’errore che si commette nel prevedere come una coppia di unità si ordina rispetto alle modalità di un carattere, quando si conosce come queste si ordinano rispetto alle modalità dell’altro carattere. L’indice Gamma varia tra -1 e +1 assumendo i valori estremi solo nei casi di perfetta interdipendenza; l’indice vale +1 se l’ordinamento delle coppie rispetto ai due caratteri è sempre concorde; assume il valore -1 se l’ordinamento delle coppie rispetto ai due caratteri è sempre discorde. Se i due caratteri sono indipendenti allora Gamma è pari a zero.

20 L’indice di Kendall è un altro indice simmetrico di associazione per caratteri ordinati. Anch’esso varia tra -1 e +1 e può assumere i valori estremi solo nel caso in cui i due caratteri abbiano lo stesso numero di modalità (e quindi solo per una tabella di frequenze quadrata). In quest’ultimo caso è preferibile utilizzare questo indice in quanto esso fornisce un maggior numero di informazioni rispetto all’indice Gamma.

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Fatta questa premessa, si è ritenuto opportuno analizzare come primo aspetto della ricerca il tasso di sviluppo del fatturato delle imprese dei due campioni, anche in rapporto all’andamento settoriale (cfr. tabella n.7):

Tabella n.7 – Andamento del fatturato e confronto settoriale Frequenze

Fallite In attività

1°/2°anno 2°/3°anno 3°/4°anno 1°/2°anno 2°/3°anno 3°/4°anno

Δ+ Fatturato 43,33% 30,00% 23,33% 71,67% 78,33% 60,00%

Δ- Fatturato 56,67% 70,00% 76,67% 28,33% 21,67% 40,00%

Δ% Fatturato > Soglia di settore 55,00% 51,67% 36,67% 80,00% 86,67% 78,33%

Δ% Fatturato < Soglia di settore 45,00% 48,33% 63,33% 20,00% 13,33% 21,67%

Δ+ Fatturato e Δ% Fatturato > Soglia di settore 43,33% 28,33% 21,67% 68,33% 71,67% 56,67%

Δ- Fatturato e Δ% Fatturato < Soglia di settore 45,00% 46,67% 61,67% 16,67% 6,67% 18,33%

All’interno del campione delle società ancora in attività, la percentuale delle imprese che registrano mediamente negli ultimi tre bienni tassi di sviluppo positivi del fatturato predomina rispetto a quanto avviene nel campione delle imprese fallite.

La rilevanza del dato è rafforzata dalla variabile settoriale: in media le imprese fallite che risultano underperformer rispetto al proprio settore passano dal 45% a quasi il 64%, mentre tale percentuale, per le sane, si colloca stabilmente intorno al 18%. Le imprese fallite che presentano congiuntamente un decremento del tasso di sviluppo del fatturato e una variazione dello stesso inferiore alla soglia del settore, aumentano in maniera esponenziale all’avvicinarsi della situazione fallimentare. Situazione che tra l’altro arriva a coinvolgere anche il 21,67% delle stesse imprese ma che presentano invece tassi di sviluppo eccellenti (positivi e maggiori della soglia del settore), a conferma del fatto che non sempre la crescita testimonia, di per sé, una buona situazione aziendale.

La tabella successiva mostra la distribuzione doppie di frequenze percentuali dell’intero campione esaminato rispetto allo stato di salute delle imprese (in attività e fallite) e al numero di bienni che queste hanno registrato un tasso di crescita positivo del fatturato.

Tabella n.8 – Tasso di sviluppo del fatturato positivo Numero di bienni con tasso di crescita positivo

0 1 2 3

Totale

Imprese in attività 1,67% 10,83% 18,33% 19,17% 50,00% Status dell’impresa Imprese fallite 13,33% 26,67% 8,33% 1,67% 50,00%

Totale 15,00% 37,50% 26,67% 20,83% 100,00%

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Dalla tabella si può intuire che, anche senza disporre di alcun indicatore, tra le modalità dei due caratteri sussiste un certo grado di dipendenza statistica, dato che alla modalità “imprese in attività” del carattere “Status dell’impresa” corrisponde più frequentemente la modalità “3” del carattere “numero di bienni con tasso di crescita positivo”, mentre non si può affermare la stessa cosa per la modalità “imprese fallite”.

In effetti, richiamando i concetti di statistica descrittiva precedentemente esposti, l’indice di Cramer è pari a 0,58, il che evidenzia un livello medio-alto di associazione, mentre il Gamma è 0,80 ciò significa che è possibile commettere l’ 80% in meno di errori se nel prevedere l'ordine delle coppie rispetto a un carattere si tiene conto anche dell'ordinamento dell'altro carattere. Inoltre, dato che il segno dell’indice è positivo, i due caratteri sono concordi cosicché a un maggior numero di anni con tasso di crescita del fatturato positivo corrisponde più di frequente la modalità “imprese in attività” del carattere “Status dell’impresa”.

Tabella n.9 – Propensione all’investimento Frequenze

Fallite In attività

1°/2°anno 2°/3°anno 3°/4°anno 1°/2°anno 2°/3°anno 3°/4°anno

Nuovi investimenti > Amm.ti 50,00% 46,67% 28,33% 50,00% 46,67% 68,33%

Nuovi investimenti = 0 13,33% 15,00% 25,00% 5,00% 3,33% 0,00%

Sotto il profilo degli investimenti, ciò che è emerso in particolare dalla ricerca è mediamente una minore propensione all’investimento da parte delle imprese fallite rispetto alle sane. Un’analisi della variazione nell’ultimo biennio, particolarmente significativo per il campione delle imprese fallite, ci fa invece notare come la percentuale di esse che smettono di investire sia aumentata di ben 10 punti percentuali. Il rapporto tra nuovi investimenti e ammortamenti manifesta un netto trend discendente all’interno di questo campione contrariamente a quanto avviene per le imprese in attività.21

Per quanto concerne la redditività operativa, la percentuale di imprese fallite che registrano un decremento sia del reddito operativo che del fatturato è ben superiore a quella delle imprese in attività; non solo, ma negli ultimi due bienni tale valore arriva a coinvolgere la metà del campione stesso (50%).

21 Nel considerare il dato descritto, occorre tenere presente l’impossibilità, soprattutto per le imprese fallite, di evidenziare eventuali politiche di bilancio, quali capitalizzazioni di costi nonché incrementi di immobilizzazioni per lavori interni, materiali ed immateriali.

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13

Tabella n.10 – Relazione fra risultato operativo e andamento del fatturato Frequenze

Fallite In attività

1°/2°anno 2°/3°anno 3°/4°anno 1°/2°anno 2°/3°anno 3°/4°anno

Δ+ RO ; Δ+ Fatturato 21,67% 13,33% 15,00% 38,33% 56,67% 33,33%

Δ- RO ; Δ- Fatturato 38,33% 51,67% 50,00% 18,33% 15,00% 26,67%

Dall’analisi del risultato operativo emerge un degrado gestionale soprattutto in termini di trend, poiché nel caso delle fallite si passa da una percentuale di imprese con risultato operativo negativo di poco inferiore al 27% il primo biennio ad un 66,67% l’ultimo biennio, mentre tale percentuale è molto modesta e stabilmente collocata intorno al 6% per quelle sane.

Tabella n.11 – Relazione fra risultato operativo e grado di copertura degli oneri finanziari Frequenze

Fallite In attività

1°/2°anno 2°/3°anno 3°/4°anno 1°/2°anno 2°/3°anno 3°/4°anno

RO > 0 73,33% 48,33% 33,33% 96,67% 93,33% 91,67%

di cui On.fin.. / RO >= 0,75 55,00% 33,33% 26,67% 21,67% 10,00% 21,67%

0,50 <= On.fin. / RO <= 0,75 15,00% 13,33% 5,00% 15,00% 25,00% 18,33%

0,25 <= On.fin. / RO <= 0,50 3,33% 1,67% 1,67% 31,67% 18,33% 16,67%

On.fin. / RO < 0,25 0,00% 0,00% 0,00% 28,33% 40,00% 40,00%

RO < 0 26,67% 51,67% 66,67% 3,33% 6,67% 8,33%

Totale 100,00% 100,00% 100,00% 100,00% 100,00% 100,00%

L’analisi dell’associazione evidenzia un discreto grado di dipendenza tra lo status dell’impresa e il segno del reddito operativo. Il Cramer’s V index è uguale a 0,61 mentre il Gamma e l’indice di Kendall sono pari a 0,85 e 0,57, mostrando un buon livello di concordanza tra i caratteri.

Tabella n.12 – Stabilità del risultato operativo

Numero di anni con risultato operativo positivo

0 1 2 3 4 Totale

Imprese in attività 0,00% 0,00% 2,50% 8,33% 39,17% 50,00% Status dell’impresa Imprese fallite 2,50% 9,17% 11,67% 16,67% 10,00% 50,00%

Totale 2,50% 9,17% 14,17% 25,00% 49,17% 100,00%

Già dal primo biennio, la frequenza cumulata percentuale della imprese fallite che presentano un risultato operativo negativo oppure un valore positivo di quest’ultimo ma “quasi” interamente assorbito dagli oneri finanziari, arriva a coprire all’incirca l’intera totalità del campione. Le imprese sane, al contrario, presentano un risultato operativo positivo e un’incidenza degli oneri finanziari sul risultato operativo molto bassa. Una conferma di questo aspetto ci viene dato dalle due seguenti

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analisi di associazione: la prima, che pone in relazione il risultato operativo positivo con il rapporto, ugualmente positivo, tra esso e gli oneri finanziari, registra un indice di Cramer di 0,67 con Gamma e Kendall rispettivamente pari a 0,85 e 0,60. La seconda, che analizza l’incidenza degli oneri finanziari sul risultato operativo negli ultimi tre anni, registra invece un livello di associazione ancora più alto con il V di Cramer a 0,75 e Gamma pari a 0,92.

Tabella n.13 – Stabilità del grado di copertura degli oneri finanziari Numero di anni con

risultato operativo positivo e superiore agli oneri finanziari

0 1 2 3 4

Totale

Imprese in attività 0,00% 2,50% 4,17% 13,33% 30,00% 50,00% Status dell’impresa Imprese fallite 15,83% 13,33% 8,33% 8,33% 4,17% 50,00%

Totale 15,83% 15,83% 12,50% 21,67% 34,17% 100,00%

Tabella n.14 – Bassa onerosità degli oneri finanziari e stabilità nel tempo Numero di anni con bassa incidenza degli oneri finanziari sul

risultato operativo positivo (OF/RO<0,75) 0 1 2 3

Totale

Imprese in attività 4,17% 6,67% 10,00% 29,17% 50,00% Status dell’impresa Imprese fallite 34,17% 11,67% 4,17% 0,00% 50,00%

Totale 38,33% 18,33% 14,17% 29,17% 100,00%

L’ottimo livello di concordanza così ottenuto ha spinto ad approfondire ulteriormente l’analisi: ponendo infatti in relazione lo status dell’impresa con una modestissima incidenza degli oneri finanziari sul risultato operativo (rapporto minore di 0,25) si è ottenuto il risultato più elevato dell’indice Gamma, che assume il suo valore massimo (1).

Tabella n.15 – Minima onerosità degli oneri finanziari e stabilità nel tempo Numero di anni con minima incidenza degli oneri finanziari

sul risultato operativo positivo (OF/RO<0,25) 0 1 2 3

Totale

Imprese in attività 26,67% 5,00% 5,83% 12,50% 50,00% Status dell’impresa Imprese fallite 50,00% 0,00% 0,00% 0,00% 50,00%

Totale 76,67% 5,00% 5,83% 12,50% 100,00%

Nessuna delle imprese fallite nell’ultimo triennio è riuscita in almeno un anno ad ottenere un rapporto tra oneri finanziari e risultato operativo inferiore al 25%: statisticamente è possibile affermare che se dalla riclassificazione di un generico bilancio si arrivasse a registrare un rapporto tra tali grandezze inferiore allo 0,25, la probabilità che questa stessa azienda fallisca nel breve termine è praticamente nulla. In altre parole, un’impresa fallita è perfettamente associata con la

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15

modalità “0” del carattere “numero di anni con bassa incidenza degli oneri finanziari sul risultato operativo”, mentre non è possibile associare con certezza una certa modalità ad un’impresa appartenente al campione delle imprese in attività: questo risultato è confermato dall’indice di Cramer che evidenzia un livello medio di associazione (0,55).

Quanto al costo del lavoro, ipotizzato quale variabile significativa in quanto connesso funzionalmente alla crescita e allo sviluppo, lo stesso non mostra in realtà andamenti significativi per l’analisi, anche se cresce il numero delle imprese fallite che vedono ridursi sia le vendite, sia il costo della manodopera, ad evidenziare uno smantellamento di fatto dell’attività. Le imprese sane, al contrario, tendono ad aumentare entrambe le variabili.

Tabella n.16 – Costo del lavoro e fatturato Frequenze

Fallite In attività

1°/2°anno 2°/3°anno 3°/4°anno 1°/2°anno 2°/3°anno 3°/4°anno

Δ+ Costo del Lavoro ; Δ+ Fatturato 30,00% 23,33% 20,00% 56,67% 61,67% 50,00%

Δ- Costo del Lavoro ; Δ- Fatturato 33,33% 41,67% 55,00% 11,67% 3,33% 10,00%

La maggior parte delle imprese in attività opera con un risultato economico d’esercizio positivo in tutti e tre i bienni; tra di esse, è da rilevare l’elevata percentuale di quelle che hanno una bassa incidenza positiva della gestione extra-caratteristica. Le fallite che riescono a raggiungere l’equilibrio economico nei primi due bienni presentano invece un’elevata incidenza della gestione extra-caratteristica, mentre nell’ultimo biennio di attività esse evidenziano una redditività netta insufficiente a prescindere dal contributo della gestione extra-caratteristica.

Tabella n.17 – Gestione straordinaria e redditività

Frequenze

Fallite In attività

1°/2°anno 2°/3°anno 3°/4°anno 1°/2°anno 2°/3°anno 3°/4°anno

Gest.Str. >= 0 ; RN < 0 31,67% 43,33% 61,67% 15,00% 8,33% 15,00%

Gest.Str. < 0 ; RN <= 0 8,33% 8,33% 18,33% 5,00% 3,33% 8,33%

Gest.Str. >= 0 ; RN >= 0 53,33% 40,00% 13,33% 58,33% 75,00% 70,00%

Gest.Str. < 0 ; RN > 0 6,67% 8,33% 6,67% 21,67% 13,33% 6,67%

Totale 100,00% 100,00% 100,00% 100,00% 100,00% 100,00%

Con RN>0 ; (Pr.Fin+Pr.Str.-Oneri Str.)>=0 e

(Prov.Fin.+Prov.Str.-Oneri Str.)/RN>=1 43,33% 31,67% 13,33% 5,00% 15,00% 10,00%

0,5<=(Pr.Fin+Pr.Str.-Oneri Str.)/RN<1 1,67% 1,67% 0,00% 6,67% 6,67% 5,00%

0,25<=(Pr.Fin+Pr.Str.-Oneri Str.)/RN<0,5 1,67% 1,67% 0,00% 8,33% 13,33% 16,67%

0<=(Pr.Fin+Pr.Str.-Oneri Str.)/RN<0,25 5,00% 5,00% 0,00% 36,67% 38,33% 36,67%

Anche in questo caso il livello di associazione ottenuto tra i due caratteri è piuttosto buono: l’indice di Cramer è 0,69 mentre il Gamma è 0,88.

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Tabella n.18 – Incidenza della gestione straordinaria Numero di anni con bassa incidenza della gestione straordinaria sul

reddito netto

(Rn >= 0 e Gs <= 0) o (Rn >= 0 e Gs > 0 e Gs/Rn < 1)

0 1 2 3

Totale

Imprese in attività 6,67% 6,67% 14,17% 22,50% 50,00% Status dell’impresa Imprese fallite 35,00% 10,83% 4,17% 0,00% 50,00%

Totale 41,67% 17,50% 18,33% 22,50% 100,00%

Di particolare importanza appare l’analisi attinente la liquidità prodotta dalla gestione corrente o autofinanziamento stricto sensu.22

Il numero di imprese con autofinanziamento positivo è mediamente superiore nel campione di quelle ancora in attività: oltre il 72% contro il 41% delle società fallite. Sono diverse, tra l’altro, anche le componenti che lo determinano: le imprese in attività riescono a produrre liquidità grazie ad una più che soddisfacente redditività netta, contrariamente alle fallite dove tale risultato è invece conseguito soprattutto grazie ad una riduzione nel livello del Capitale Circolante Netto Operativo.

Tabella n.19 – Capitale circolante netto operativo e autofinanziamento

Frequenze

Fallite In attività

1°/2°anno 2°/3°anno 3°/4°anno 1°/2°anno 2°/3°anno 3°/4°anno

Autofinanziamento negativo 70,00% 60,00% 46,67% 31,67% 26,67% 23,33%

di cui Δ- CCNO ; RN >= 0 0,00% 0,00% 0,00% 0,00% 0,00% 0,00%

Δ+ CCNO ; RN < 0 23,33% 25,00% 21,67% 5,00% 1,67% 8,33%

Δ- CCNO ; RN < 0 3,33% 8,33% 11,67% 0,00% 0,00% 1,67%

Δ+ CCNO ; RN >= 0 43,33% 26,67% 13,33% 26,67% 25,00% 13,33%

Autofinanziamento positivo 30,00% 40,00% 53,33% 68,33% 73,33% 76,67%

di cui Δ- CCNO ; RN >= 0 8,33% 10,00% 5,00% 31,67% 36,67% 36,67%

Δ+ CCNO ; RN < 0 1,67% 3,33% 0,00% 1,67% 0,00% 1,67%

Δ- CCNO ; RN < 0 11,67% 15,00% 46,67% 13,33% 8,33% 11,67%

Δ+ CCNO ; RN >= 0 8,33% 11,67% 1,67% 21,67% 28,33% 26,67%

22 Deve intendersi come tale l’aggregato composto dal risultato d’esercizio, al lordo di ammortamenti ed accantonamenti, rettificato della variazione del capitale circolante netto operativo.

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Tabella n.20 – Capitale circolante netto operativo e reddito netto Frequenze

Fallite In attività

1°/2°anno 2°/3°anno 3°/4°anno 1°/2°anno 2°/3°anno 3°/4°anno

Δ - CCNO ; RN >= 0 8,33% 10,00% 5,00% 31,67% 36,67% 36,67%

Δ + CCNO ; RN >=0 51,67% 38,33% 15,00% 48,33% 53,33% 40,00%

Δ - CCNO ; RN < 0 15,00% 23,33% 58,33% 13,33% 8,33% 13,33%

Δ + CCNO ; RN < 0 25,00% 28,33% 21,67% 6,67% 1,67% 10,00%

Totale 100,00% 100,00% 100,00% 100,00% 100,00% 100,00%

Tabella n.21 – Stabilità dell’autofinanziamento Numero di bienni con autofinanziamento positivo

0 1 2 3

Totale

Imprese in attività 0,83% 10,83% 16,67% 21,67% 50,00% Status dell’impresa Imprese fallite 10,00% 23,33% 11,67% 5,00% 50,00%

Totale 10,83% 34,17% 28,33% 26,67% 100,00%

Gli indici di associazione garantiscono un buon livello di concordanza tra i caratteri (il Gamma è pari a 0,69) seppur inferiore a quello registrato nell’analisi della redditività e degli oneri finanziari. L’indice di Cramer, fermo a 0,49, evidenzia un livello medio di associazione.

Quanto alla stabilità dell’autofinanziamento23, è significativo annotare che le due classi di imprese, fallite e sane, mostrano un andamento diametralmente opposto: nelle imprese in stato d’insolvenza l’autofinanziamento è perlopiù assente o presente in maniera episodica, mentre le imprese sane possono contare su un flusso di cassa costante nel tempo.

L’analisi congiunta dell’equilibrio economico e finanziario ha evidenziato nella ricerca il più alto livello di associazione.

Tabella n.22 – Equilibrio economico finanziario

Numero di anni con autofinanziamento positivo e reddito operativo positivo e superiore agli oneri finanziari

0 1 2 3

Totale

Imprese in attività 3,33% 15,00% 14,17% 17,50% 50,00% Status dell’impresa Imprese fallite 40,00% 10,00% 0,00% 0,00% 50,00%

Totale 43,33% 25,00% 14,17% 17,50% 100,00%

23 Per autofinanziamento deve quindi intendersi l’accezione stricto sensu, ovvero il cosiddetto cash-flow rettificato della variazione del CCNO.

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In particolare, i risultati ottenuti da questa simulazione sono stati i migliori: Cramer pari a 0,80, indice Kendall a 0,73 mentre l’indice Gamma è molto prossimo al suo valore massimo (0,97).

Tabella n.23 – Andamento dei debiti bancari, del fatturato e della redditività operativa

Frequenze

Fallite In attività

1°/2°anno 2°/3°anno 3°/4°anno 1°/2°anno 2°/3°anno 3°/4°anno

Δ - Db Banche ; Δ - Fatturato 8,33% 15,00% 46,67% 16,67% 10,00% 16,67%

Δ - Db Banche ; RO < 0 3,33% 16,67% 40,00% 1,67% 1,67% 1,67%

Per quanto concerne l’indebitamento, le imprese fallite tendono a ridurre i debiti verso le banche, soprattutto alla vigilia del dissesto, mentre le imprese sane non lo fanno.

Tabella n.24 – Andamento degli oneri finanziari e del fatturato Frequenze

Fallite In attività

1°/2°anno 2°/3°anno 3°/4°anno 1°/2°anno 2°/3°anno 3°/4°anno

( On.fin../Fatt.) > (On.fin.-1/Fatt.-1) 46,67% 66,67% 73,33% 43,33% 56,67% 55,00%

(On.fin./Fatt.) <= (On.fin.-1/Fatt.-1) 53,33% 33,33% 26,67% 56,67% 43,33% 45,00%

Totale 100,00% 100,00% 100,00% 100,00% 100,00% 100,00%

Nell’ultimo biennio aumenta il numero delle imprese fallite che hanno un rapporto oneri finanziari/fatturato superiore a quello dell’anno precedente. Le statistiche di associazione evidenziano tuttavia un basso livello di dipendenza (Cramer = 0,20), a dimostrazione del fatto che gli oneri finanziari dipendono soprattutto dalla dinamica del fabbisogno finanziario anziché dallo sviluppo del fatturato.

Tabella n.25 – Crescita degli oneri finanziari e sviluppo del fatturato Numero di bienni con OF/Fatt. > OF-1/Fatt.-1

0 1 2 3 Totale

Imprese in attività 3,33% 20,83% 20,83% 5,00% 50,00% Status dell’impresa Imprese fallite 1,67% 15,00% 21,67% 11,67% 50,00%

Totale 5,00% 35,83% 42,50% 16,67% 100,00%

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Le imprese fallite sono caratterizzate un rapporto “Risultato Operativo / Fatturato” mediamente minore rispetto al dato medio settoriale contrariamente a quanto fanno le imprese sane.

Tabella n.26 – Analisi settoriale: risultato operativo/fatturato

Frequenze

Fallite In attività

1°/2°anno 2°/3°anno 3°/4°anno 1°/2°anno 2°/3°anno 3°/4°anno

RO/Fatt. >= RO/Fatt. Settore 36,67% 25,00% 25,00% 63,33% 78,33% 75,00%

RO/Fatt. < RO/Fatt. Settore 63,33% 75,00% 75,00% 36,67% 21,67% 25,00%

Totale 100,00% 100,00% 100,00% 100,00% 100,00% 100,00%

Il valore dell’indice di Cramer (0,54) supporta i risultati di questa tabella, assieme all’indice Gamma pari a 0,73 e Kendall pari a 0,49.

Tabella n.27 – Analisi settoriale: imprese outperformers Numero di bienni con RO/Fatt. >= (RO/Fatt.)settore

0 1 2 3 Totale

Imprese in attività 6,67% 4,17% 13,33% 25,83% 50,00% Status dell’impresa Imprese fallite 25,83% 9,17% 10,83% 4,17% 50,00%

Totale 32,50% 13,33% 24,17% 30,00% 100,00%

Tabella n.28 - Analisi settoriale: redditività operativa e fatturato Frequenze

Fallite In attività

1°/2°anno 2°/3°anno 3°/4°anno 1°/2°anno 2°/3°anno 3°/4°anno

RO/Fatt. >= RO/Fatt. settore

e Δ% Fatt.> Soglia 25,00% 15,00% 13,33% 48,33% 68,33% 63,33%

RO/Fatt. >= RO/Fatt. settore

e Δ % Fatt.< Soglia 11,67% 10,00% 11,67% 15,00% 10,00% 11,67%

RO/Fatt. < RO/Fatt. settore

e Δ % Fatt.< Soglia 33,33% 38,33% 51,67% 5,00% 3,33% 10,00%

RO/Fatt. < RO/Fatt. settore

e Δ % Fatt.> Soglia 30,00% 36,67% 23,33% 31,67% 18,33% 15,00%

Totale 100,00% 100,00% 100,00% 100,00% 100,00% 100,00%

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Da un confronto più generale con gli indicatori settoriali, si nota come le imprese in attività tendono a sovraperformare il mercato di riferimento sia dal punto di vista del rapporto risultato operativo/fatturato, sia per quanto riguarda il tasso di crescita vero e proprio. La percentuale di imprese che invece registrano performances peggiori del settore sotto entrambi punti di vista è molto più alta nel campione delle imprese fallite, e tale percentuale supera la metà del campione nell’ultimo biennio.

Tabella n.29 – Analisi settoriale: stabilità dell’outperforming Numero di bienni con RO/Fatt. >= (RO/Fatt.)settore e

Var.%Fatt.>=Soglia settore 0 1 2 3

Totale

Imprese in attività 8,33% 7,50% 20,00% 14,17% 50,00% Status dell’impresa Imprese fallite 31,67% 11,67% 5,00% 1,67% 50,00%

Totale 40,00% 19,17% 25,00% 15,83% 100,00%

I valori fatti segnalare dai due più importanti indici di associazione sono pari a 0,58 per il V di Cramer e 0,77 per l’indice Gamma.

7. Conclusioni

I risultati ottenuti attraverso l’applicazione di strumenti di statistica descrittiva al campione mediante le variabili sunnominate sono articolati e non univoci. Mentre per alcune variabili si può parlare di significatività elevata, ve ne sono altre che, pur importanti ai fini della variazione del fabbisogno finanziario d’impresa, assumono andamenti contradditori, soprattutto per le imprese fallite e soprattutto in prossimità del fallimento.

Tuttavia le conclusioni raggiunte, pur nella consapevolezza che il lavoro svolto è suscettibile di ulteriori sviluppi, sono rilevanti. Anzitutto si conferma la totale inservibilità dell’insieme di indicatori messo a sistema dalla metodologia dell’analisi della solvibilità a breve termine: che non ci si possa limitare ad un fredda valutazione accademica non sfugge a chiunque conosca l’ampio uso che di tale metodologia fanno le banche italiane, che hanno costruito non solo la loro base di dati, ma l’intera preparazione tecnica e la visione culturale dei loro uomini su questo approccio. Ciò pone un problema di attendibilità e di efficacia delle valutazioni fatte ai fini della misurazione del merito di credito che prescinde dalla regolamentazione di Basilea 2, perché precede la costruzione dei rating e riguarda anzitutto le analisi fatte per verificare la capacità di reddito e di rimborso. In altre parole non basta affermare che un armamentario inservibile (e dannoso ipso facto, non solo perché fuorviante di corrette valutazioni) va accantonato, occorre porsi il problema di come fare dopo, perché se pure i requisiti previsti da Basilea 2 fossero messi da parte o attenuati, le banche dovrebbero continuare a fare impieghi, perché è connaturato alla loro stessa natura.

In secondo luogo, si possono articolare due considerazioni, l’una parallela all’altra. La prima riguarda l’efficacia e la rappresentatività dell’analisi per flussi ai fini di misurare correttamente la capacità di reddito e di rimborso, efficacia che si è dimostrata attraverso la capacità di discriminare fra buoni e cattivi prenditori data dall’analisi del risultato operativo e dall’analisi delle componenti e della dinamica dell’autofinanziamento, in particolare il capitale circolante netto operativo. Tale

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strumentazione, pertanto, organizzata opportunamente per definire un modello di analisi, è in grado di raffigurare correttamente la dinamica del fabbisogno finanziario d’impresa e di identificare tutte le determinanti delle sue variazioni, qualificandole opportunamente. La seconda considerazione concerne, con tutta evidenza, la capacità previsiva delle variabili utilizzate in termini di segnalazione della probabilità di insolvenza. Coerentemente con l’impostazione culturale adottata, che fa propria quella di Giampaoli, l’analisi mostra che comportamenti virtuosi e/o che determinano riduzione del fabbisogno e dell’indebitamento possono essere adottati anche da aziende in crisi e che i comportamenti degli imprenditori, in tali situazioni, sfuggono agli schemi ed alle classificazioni.

Da tali considerazioni, e dall’annotazione circa la significatività dell’analisi del trend aziendale, sia per le sane, sia per le fallite, discendono conseguenze di non poco momento per le banche, in termini organizzativi, di risorse, soprattutto umane, di strumentazione adottata.

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