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SOTTOMESSO MAGGIO 2012, ACCETTATO DICEMBRE 2012 © Giovanni Fioriti Editore s.r.l. 285 Psichiatria e Psicoterapia (2012) 31, 4, 285-311 MODELLI RELAZIONALI E STRATEGIE LINGUISTICHE: UN CONTRIBUTO DI RICERCA Pier Christian Verde Nell’evolversi del pensiero psicodinamico si è passati da una concezione monopersonale dello sviluppo umano, basata sull’idea di una forte asimmetria tra bambino e adulto, a una concezione relazionale, bi-personale e interdipendente, basata sullo studio delle interazioni madre-bambino. Sandòr Ferenczi (1932) fu il primo, anticipando Sullivan (1953) e Bowlby, a orientarsi verso gli effetti patogeni della dimensione interpersonale, concentrandosi sulla “natura traumatica dei fallimenti degli adulti nel comprendere il mondo psicologico del bambino”. Gli attuali orientamenti psicodinamici relazionali (Greenberg e Mitchell 1983, Mitchell 1988, Fonagy e Target 2001b) riconoscono e seguono, con l’intensificarsi nei decenni della ricerca, l’importanza che Ferenczi assegnava alla reciprocità nelle relazioni, definendo il primo modello relazionale della mente sia nella teoria che nella clinica. L’area interpersonale, la relazione individuo-ambiente (Siegel 1999, 2007) viene pertanto oggi intesa come punto fermo per l’esistenza biologica dell’organismo e dell’individuo nel suo ambiente ecologico. Dipendenza non coincide quindi più con l’idea di una supposta inermità infantile nei confronti dell’ambiente nella misura in cui perfino al neonato viene riconosciuta una, sia pur debole, forza contrattuale (Stern 1985, 1995a, Sander 1987, Beebe e Lachmann 1988, 2002). La sintonia nell’interazione, non è più considerata una funzione esclusiva materna, ma il bambino stesso promuove, non promuove o interrompe il proprio allineamento con la relazione, influenzando le risposte e le strategie materne e dunque promuovendo la regolazione affettiva materna nell’interazione. Si riconosce pertanto al bambino la capacità di sviluppare un’interdipendenza sufficientemente sana quale sinonimo di sviluppo e di autonomia 1 . La ricerca sull’interazione madre-bambino La teoria dell’attaccamento ha rappresentato l’alveo teorico per questi approcci di ricerca, restituendoci l’idea di un bambino i cui comportamenti sono pieni di senso, tanto da meritare un’osservazione molto più attenta di quanto non fosse stato fatto fino a quel momento. Il passo 1 Nell’utilizzare questi termini, è chiaro il rimando al tema della separazione e individuazione di Margareth Malher (Mahler 1967, Mahler et al. 1975), fondamentale nella teoria clinica e dello sviluppo, in quanto ha avuto il merito di introdurre tra gli obiettivi centrali dello sviluppo il tema dell’autonomia dalla relazione, creando una rottura rispetto alla precedente concezione traumatica della separazione.

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Alfi o Maggiolini et al.

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SOTTOMESSO MAGGIO 2012, ACCETTATO DICEMBRE 2012

© Giovanni Fioriti Editore s.r.l. 285

Psichiatria e Psicoterapia (2012) 31, 4, 285-311

MODELLI RELAZIONALI E STRATEGIE LINGUISTICHE: UN CONTRIBUTO DI RICERCA

Pier Christian Verde

Nell’evolversi del pensiero psicodinamico si è passati da una concezione monopersonale dello sviluppo umano, basata sull’idea di una forte asimmetria tra bambino e adulto, a una concezione relazionale, bi-personale e interdipendente, basata sullo studio delle interazioni madre-bambino.

Sandòr Ferenczi (1932) fu il primo, anticipando Sullivan (1953) e Bowlby, a orientarsi verso gli effetti patogeni della dimensione interpersonale, concentrandosi sulla “natura traumatica dei fallimenti degli adulti nel comprendere il mondo psicologico del bambino”.

Gli attuali orientamenti psicodinamici relazionali (Greenberg e Mitchell 1983, Mitchell 1988, Fonagy e Target 2001b) riconoscono e seguono, con l’intensifi carsi nei decenni della ricerca, l’importanza che Ferenczi assegnava alla reciprocità nelle relazioni, defi nendo il primo modello relazionale della mente sia nella teoria che nella clinica.

L’area interpersonale, la relazione individuo-ambiente (Siegel 1999, 2007) viene pertanto oggi intesa come punto fermo per l’esistenza biologica dell’organismo e dell’individuo nel suo ambiente ecologico. Dipendenza non coincide quindi più con l’idea di una supposta inermità infantile nei confronti dell’ambiente nella misura in cui perfi no al neonato viene riconosciuta una, sia pur debole, forza contrattuale (Stern 1985, 1995a, Sander 1987, Beebe e Lachmann 1988, 2002). La sintonia nell’interazione, non è più considerata una funzione esclusiva materna, ma il bambino stesso promuove, non promuove o interrompe il proprio allineamento con la relazione, infl uenzando le risposte e le strategie materne e dunque promuovendo la regolazione affettiva materna nell’interazione.

Si riconosce pertanto al bambino la capacità di sviluppare un’interdipendenza suffi cientemente sana quale sinonimo di sviluppo e di autonomia1.

La ricerca sull’interazione madre-bambino

La teoria dell’attaccamento ha rappresentato l’alveo teorico per questi approcci di ricerca, restituendoci l’idea di un bambino i cui comportamenti sono pieni di senso, tanto da meritare un’osservazione molto più attenta di quanto non fosse stato fatto fi no a quel momento. Il passo

1 Nell’utilizzare questi termini, è chiaro il rimando al tema della separazione e individuazione di Margareth Malher (Mahler 1967, Mahler et al. 1975), fondamentale nella teoria clinica e dello sviluppo, in quanto ha avuto il merito di introdurre tra gli obiettivi centrali dello sviluppo il tema dell’autonomia dalla relazione, creando una rottura rispetto alla precedente concezione traumatica della separazione.

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decisivo verso una concezione interdipendente dei rapporti madre-bambino (Verde 2007) è quello che, partendo dalla teoria dell’attaccamento, viene compiuto negli anni ‘80 con lo sviluppo di quel filone di studi dell’infant research che, attraverso l’utilizzo delle riprese al rallentatore, mette in risalto le micro sequenze bidirezionali dell’interazione madre-bambino. Con il libro “Il mondo Interpersonale del Bambino” di Daniel Stern (1985) si aprirono le porte per una traduzione delle intuizioni di Bowlby in termini di microprocessi interattivi. Il libro riassume una serie di risultati osservativi, seguendo i quali è divenuto oggi impossibile sottovalutare le competenze del bambino nel regolare le azioni della madre attraverso mimica, sguardo e postura. Attraverso l’osservazione divenne chiaro come gli scambi tra madre e bambino sono guidati da una fitta serie di interrogativi e di risposte che vengono veicolate attraverso mimica e postura. Studiando il microlivello di queste interazioni, aperture e chiusure si susseguono in modo tale che il micro segnale di ritiro, lungi dal manifestarsi nella sua versione drammatica, appare come un mezzo per mantenere aperta la relazione dando modo all’altro di correggere il tiro (Seganti et al. 2011). Insomma, a livello microscopico il ritiro risulta soltanto un movimento che proviene da entrambe le parti e che serve a riparare gli errori di sintonizzazione (Tronick 2008) che si producono inevitabilmente nei reciproci movimenti di apertura. In conclusione, apertura e ritiro appaiono oggi come due facce della stessa medaglia tanto che il loro alternarsi permette l’immediato sviluppo di vere e proprie sequenze contrattuali dotate di un capo e di una coda.

Di conseguenza, sia la madre che il bambino risultano oggi in grado di influenzare la volontà della controparte e questo porta allo sviluppo di sequenze di contrattazione dove la qualità dell’allineamento – percepito come movimento di consenso – dipende dalle risposte che hanno ricevuto i segnali di ritiro – percepiti come movimenti di dissenso – e da come sono stati processati. E’ possibile perciò parlare di accordi interpersonali di diversa qualità a seconda che essi siano stati raggiunti attraverso sequenze in cui il dissenso è stato elaborato e integrato, oppure è stata più semplicemente ridotta momentaneamente al minimo la sua espressione manifesta. In questo secondo caso il dissenso è stato lasciato in sottofondo a vantaggio di una stabilizzazione immediata della relazione. Con Stern, con la micro osservazione e con il concetto di negoziazione interpersonale si entra decisamente nella fase moderna delle concezioni dello sviluppo infantile. Viene pienamente riconosciuto il peso dell’esperienza soggettiva che il bambino fa delle proprie esperienze interattive e pertanto si comincia a supporre che egli sia in grado di tradurre in categorie soggettive le sue esperienze relazionali: la cosiddetta memoria procedurale.

Quindi il bambino costruisce precocemente un modello, che con il vocabolario della teoria dell’attaccamento possiamo definire modello operativo interno (MOI), e che, formatosi a partire dalle interazioni reali con gli altri, contiene schemi predittivi che funzioneranno da filtri di lettura nella codifica delle manifestazioni comportamentali di attaccamento nelle diverse relazioni.

Una volta introdotto il concetto di memoria delle procedure di contrattazione come guida soggettiva dei rapporti interpersonali, si apre la possibilità di fare un ultimo passo, quello che restituisce definitivamente valore alla competenza innata attraverso la quale il bambino riesce a districarsi, declinando delle forme di attaccamento efficace anche in situazioni ambientali non sicure. In questa direzione va Bromberg (1998) sottolineando l’aspetto universale e adattativo dei meccanismi di dissociazione e considerandoli come forme di adattamento fisiologico alla

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varietà di situazioni ambientali. Meccanismi apparentemente generati intrapsichicamente come la scissione e la dissociazione potrebbero quindi acquistare un nuovo significato se visti come esiti di accordi e contrattazioni interpersonali.

Sulla base di quanto finora affermato, possiamo oggi sostenere che la maggior parte degli individui cresca in un ambiente multivariato e talvolta instabile (difficoltà familiari, sociali, economiche, culturali), che non sempre si può considerare come sicuro anche se non si delinea univocamente come traumatico e irrimediabilmente dannoso per l’individuo in evoluzione. L’esperienza soggettiva del successo nel venire a patti con un ambiente parzialmente insicuro durante l’infanzia, può favorire lo strutturarsi di diverse strategie relazionali come, per esempio, il potersi adeguare alle richieste dell’ambiente in attesa di una restituzione e/o il poter pretendere adeguamenti da parte dell’ambiente promettendo agli altri una successiva restituzione.

L’esperienza clinica, e non di meno l’osservazione delle vicende sociali e culturali, suggerisce pertanto che il rapporto con l’ambiente venga comunque preservato e risulti in diversi gradi efficace anche per quegli individui che non abbiano beneficiato pienamente di una base sicura così come codificata nella versione classica della teoria dell’attaccamento.

L’attaccamento negli adolescenti e nei giovani adulti

L’adolescenza e la prima giovinezza appaiono oggi, nella letteratura quali aree evolutive topiche per l’autodefinizione e costruzione di un Sé autonomo che scaturisce da un’attività contrattuale con altri Sé altrettanto autonomi. E’ dunque in questa fase che vari autori ritengono possibile un rimodellamento del modo di concepire i modelli operativi interni alla luce di una visione contrattuale e strategica delle relazioni interpersonali.

Già nella psicoanalisi classica diversi Autori (Blos 1962, Mahler 1967, Laufer M e Laufer E 1984) identificavano nell’adolescenza il periodo del manifestarsi après-coup dei traumi precoci e anche lo spazio di una loro possibile rielaborazione attraverso il compito della separazione dal sé infantile.

Integrare il Sé infantile è dunque un compito evolutivo che esita in un progressivo svincolamento del proprio sé dagli aspetti stabilizzanti, a breve termine, delle idealizzazioni delle relazioni infantili. La prospettiva contemporanea dell’attaccamento identifica nell’adolescenza la fase fondamentale in cui si stabilisce la possibilità di sviluppare i due aspetti complementari che caratterizzano la maturità affettiva: l’autonomia e la relazionalità (Allen et al. 2004)2.

I recenti mutamenti sociali e culturali che si evidenziano anche con il crescente numero di separazioni e divorzi fan si che numerosi individui giovani crescano oggi in coppie conflittuali e/o separate/divorziate. Questa accresciuta condizione di instabilità del mondo in cui crescono oggi i bambini fa si che oggi si riproponga con maggiore urgenza una rivisitazione della teoria dell’attaccamento e nello specifico delle sue differenziazioni qualitative (A, B, C e D)3, nel senso

2 Maturità affettiva che rimanda anche ai concetti di separazione e individuazione della Mahler, soggettivazione dello psicoanalista Raimond Cahn, separatezza e autonomia e piacere di esplorazione di Jeammet (Jeammet 1997, Verde 2007).

3 Modelli di attaccamento che emergono durante la procedura della Strange Situation: insicuro-evitante (A), sicuro (B), insicuro-ambivalente (C) disorganizzato-disorientato (D).

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di tentare un adeguamento della teoria volto a valorizzare le specifiche strategie relazionali che i giovani mettono in atto nelle differenti situazioni non-sicure in cui possono trovarsi a crescere.

La fase adolescenziale, caratterizzata da manifestazioni di apertura verso nuove relazioni e di parziale ritiro dalle vecchie relazioni appare come una fase dove viene messa in crisi la versione precedentemente concordata degli equilibri interpersonali. Una nuova versione del processo di sviluppo che pur essendo rimasta inevitabilmente influenzata dalla relativa asimmetria degli eventi interpersonali dell’infanzia contiene la chiave per tentare infinite riedizioni correttive degli esiti delle relazioni infantili. In tal senso possiamo oggi guardare all’adolescenza come a un momento di rottura dell’idea del piccolo e del giovane come poco competenti e univocamente dipendenti da un adulto idealizzato. La comparsa di relazioni tra pari, di gruppo, amicali o di partnership amorosa e lo sviluppo fisico-sessuale aprono a una rivendicazione più o meno agita e più o meno consapevole contro l’eccessiva asimmetria delle relazioni, ivi comprese quelle infantili con i caregiver.

Nuove prospettive teoriche

Secondo un moderno filone di studi sull’attaccamento (Hazan e Shaver 1987, Brennan et al. 1998, Fraley e Waller 1998, Fraley et al. 2000, Shaver et al. 2000, Fraley e Shaver 1998, 2000, Cassidy e Shaver 1999, 2008) le variabili culturali sembrano influenzare fortemente la definizione dell’attaccamento sicuro. In tal senso soltanto le due strategie ansiosa ed evitante risulterebbero costituire modalità fondamentali del funzionamento mentale umano, fino al punto da rappresentare una base malleabile per sviluppare e poi integrare le due opzioni alternative per arrivare a una soluzione sicura per orientarsi nelle difficoltà nelle relazioni. Seguendo questa prospettiva, gli studi di Hazan, Shaver, Fraley, Brennan e altri, tendono oggi a mostrare come le categorie insicure indicate dalla Ainsworth (1978)4 evitanti e ansioso-resistenti possano essere considerate come delle vere e proprie strategie relazionali con una loro ampia autonomia rappresentazionale, piuttosto che come delle “varianti carenziali dello stile sicuro” (Main e Salomon 1990, 1990a, Main e Hesse 1992, Seganti 1998, Lyons-Ruth et al. 1999). Perde così di centralità l’idealizzazione dell’apporto materno alla sicurezza del bambino, a tutto vantaggio di una visione più interattiva, interpersonale e simmetrica. In questo modo è possibile portare maggiore attenzione alla variabilità di strategie relazionali (“una gamma di strategie flessibili”, Ammaniti e Stern 1992) e alla varietà di soluzioni per la costruzione interpersonale del benessere, nelle diverse fasi dello sviluppo umano.5 Ogni modello operativo potrebbe dunque essere letto come una tipologia composita, legata a strategie di integrazione (anche idiosincratiche) tra due varianti fondamentali: quella evitante basata sull’indipendenza dall’oggetto e quella ansiosa basata sull’estremo mantenimento della vicinanza con l’oggetto stesso. L’adolescenza stessa non andrebbe quindi più intesa come un salto di continuità, ma come un momento di peculiare

4 (Grossmann et al. 1986)5 La stessa Mary Main (1995) ripropone l’idea che i modelli ansioso-resistente ed evitante vadano considerati

per il loro potenziale adattativo, riproponendo il dubbio della Bretherton (1990, 1992) circa il fatto che i due modelli insicuri rischino di essere penalizzati dall’egemonia scientifica e culturale del modello sicuro quale unica forma di reale adattamento.

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gestione di due dimensioni interpersonali strategiche che nell’infanzia vengono amministrate in modo tale da evitare che entrino in rotta di collisione. In questa nuova prospettiva, la categoria sicura dell’attaccamento appare definire una posizione intermedia all’interno di uno spazio bidimensionale (Fraley e Waller 1998) tra i due estremi dell’iperevitamento e dell’ipercoinvolgimento nella relazione. Ne consegue infine che la preferenzialità per una strategia sicura potrebbe apparire finanche disadatta a “trarre profitto” da situazioni difficili e\o conflittuali. Le strategie “insicure” possono pertanto evidenziare si difficoltà, ma a volte anche grandi possibilità di successo nel sapersi adattare a relazioni alquanto diverse da quelle ritenute ottimali.

Si può dunque ipotizzare che per affrontare gli inevitabili contenziosi provenienti dai rapporti interpersonali, gli individui alternino, in differenti modulazioni più o meno armoniche, spezzoni di modalità evitante con spezzoni di modalità ansiosa. Brennan, Clark e Shaver (1998), nel prendere le distanze dai precedenti modelli tipologici dell’attaccamento e nel proporre un sistema dimensionale, rilevarono – attraverso un’accurata analisi di oltre 50 test utilizzati per classificare le tipologie dell’attaccamento6 – che le domande volte a discriminare le differenti tipologie potevano essere organizzate all’interno di uno spazio bi-dimensionale (Figura 1). La dimensione dell’anxiety, risultava collegata in primo luogo al mantenimento della prossimità e all’ipervigilanza relative al rifiuto e all’abbandono.

6 Presero in esame 320 item da vari questionari e self-report, rilevando differenze e similitudini inaspettate tra i diversi item delle misure in uso.

Figura 1. Modello bidimensionale dell’attaccamento che suddivide quattro tipologie all’interno di due dimensioni continue (ansietà ed evitamento) dell’esperienza di Sé e degli Altri (Fraley e Shaver 2000, Fraley et al. 2000)

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L’altra dimensione, l’avoidance, corrispondeva in prima istanza al disagio vissuto in virtù della vicinanza e della dipendenza o comunque alla riluttanza riguardo al trovarsi in intimità con gli altri. Brennan e i suoi colleghi proposero che queste due dimensioni si potevano facilmente inserire nel precedente modello circomplesso di Bartolomew e collaboratori (1991, 1998) che si basava sull’incrocio delle due dimensioni dell’ansia e dell’evitamento.

Secondo questo modello, le due componenti anxiety e avoidance possono essere immaginate come delle strategie adattative. Le strategie di evitamento, come il distogliere lo sguardo, possono servire per aumentare la distanza o per porre un freno a sentimenti spiacevoli che scaturiscono dalle pressioni provenienti da una relazione troppo ravvicinata. Le strategie ansiose possono invece essere volte a facilitare un avvicinamento degli oggetti invitandoli a interferire con le loro proposte e le loro intenzioni. In questo modo l’attività di ogni sottosistema, quello evitante e quello ansioso, rende possibile il formarsi di accordi interpersonali bilaterali che prevedono variegate forme di alternanza tra l’iniziativa dell’uno e quella dell’altro.

Sebbene il processo comportamentale sia modulabile consapevolmente, le componenti di monitoraggio del sistema potrebbero pertanto operare in automatico senza l’intervento della coscienza, anticipando grossolanamente i futuri andamenti delle relazioni in termini di alternanza nei turni di iniziativa. Pertanto la risultante di questi processi di adattamento reciproco sembrerebbe consistere nella memoria delle procedure attraverso le quali l’iniziativa dell’uno risulta compatibile con l’iniziativa dell’altro tanto da produrre effetti stabilizzanti sulle relazioni con prontezza ed efficacia.

Il vantaggio del poter descrivere le differenze individuali in termini di organizzazione delle dinamiche interne al sistema di attaccamento, più che in termini di tipologie unitarie dei modelli operativi interni, è che così facendo diviene possibile osservare le differenze individuali in infanzia ed età adulta sullo stesso framework. In altre parole possiamo così osservare i pattern di attaccamento infantile (anche con la Strange Situation) e adulto (attraverso misure di interviste e questionari self-report) come basati sulla stessa struttura bidimensionale.

Accade inoltre che, guardando in questo modo alle vicende dei pattern di attaccamento, quando le due dimensioni in esame vengono osservate dal punto di vista funzionale, gli stessi MOI non sono più limitati alle rappresentazioni e alle aspettative positive o negative di sé e degli altri, bensì divengono la risultante dell’esito strategico dell’amministrazione microscopica dell’alternanza tra le due dimensioni ansiosa e evitante. Il modello bi-dimensionale rappresenta pertanto in modo adeguato le variazioni fondamentali nei processi di attaccamento, tenendo anche conto della forte variabilità delle aspettative e delle rappresentazioni individuali.

La scoperta delle micro procedure che governano gli effetti macroscopici dell’attaccamento ci permette oggi di considerare la costruzione del sé e del senso di sé quali processi aperti e in continuo mutamento, dove gli individui, sin dalle prime interazioni bambino-caregiver, sono in grado di monitorare le variabilità ambientali per guadagnare ulteriori spazi di iniziativa che risultino compatibili con le iniziative altrui.

Prototipi e variazioni

Seguendo quanto esposto fino ad ora, la nozione di accordo interpersonale – anche se in larga

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parte inconsapevole – diventa centrale non solo dal punto di vista osservativo ma anche dal punto di vista del vissuto soggettivo delle proprie relazioni interpersonali (Seganti e Verde 2012 ).

La qualità degli esiti contrattuali e l’infinita variabilità di soluzioni che essi offrono costituiscono la base fondante dell’esperienza di se stessi come individui unici in rapporto con altri individui. Stiamo qui parlando della fondamentale esperienza soggettiva di se stessi come nuclei consistenti coordinati con altri nuclei consistenti (la “vitalità” di Stern 1985). I segnali di apertura e chiusura (lo “stop and go” di Stern 1985) possono quindi essere combinati in sequenze elementari che possono essere trasportate di relazione in relazione in quanto forniscono rapidamente stabilità e continuità nel conciliare l’iniziativa dell’uno con quella dell’altro tanto da diventare i “prototipi” dell’esperienza intersoggettiva.

I prototipi rappresentano pertanto una sorta di linea guida per arrivare rapidamente a degli accordi interpersonali che riguardano i limiti oltre i quali verrà meno il consenso degli altri alla nostra iniziativa e sarà necessario dare il nostro consenso all’iniziativa degli altri. Limiti che tuttavia saranno oggetto di infinite variazioni mano a mano che si andrà facendo l’esperienza di riuscire ad attraversare delle fasi conflittuali in cui sia possibile esprimere delle quote di dissenso senza che queste abbiano effetti destabilizzanti sulla relazione con gli altri.

In definitiva la flessibilità di un accordo interpersonale dipende dal fatto di poter aprire o chiudere un conflitto attraverso variazioni inconsce e bilaterali che permettano di contenere i rischi per la stabilità dei rapporti interpersonali. Potremo esprimere questo versante dell’esperienza soggettiva come un sistema interattivo modulato da segnali di consenso e di dissenso. Così come un bambino veniva incoraggiato a manifestare la propria iniziativa entro certi limiti, così un adulto potrà ricevere un segnale (verbale e/o non verbale) di consenso. Questo equivale dal punto di vista dell’esperienza soggettiva alla sensazione di disporre un micro-credito da qualcun altro che accetta un debito elargendo il suo consenso alla richiesta di allineamento ai ritmi e agli scopi del creditore. Allo stesso modo, così come il bambino veniva inibito nel prendere l’iniziativa così un adulto viene piegato all’iniziativa altrui quando riceve un segnale di dissenso che verrà soggettivamente sperimentato come un micro-debito – un invito ad allinearsi inibendo il proprio dissenso – da parte di qualcun altro che a sua volta sta esigendo un credito ovvero l’allineamento alle proprie proposte di interazione7. Il debitore in questi contesti è colui che si tira indietro rispetto alle altrui minacce di ritiro, mentre il creditore è colui che minaccia il proprio ritiro per ottenere un maggiore allineamento da parte dell’altro8. In questo modo si stabilizzano le regole del gioco nelle relazioni interpersonali, nella misura in cui viene accettata una momentanea e reversibile asimmetria tra un creditore e un debitore all’interno di un regime di reciproche promesse9. Pertanto potrebbe accadere che alcuni segnali di dissenso dell’uno o dell’altro vengano mandati in sottofondo per favorire quei segnali di consenso che vengono ritenuti in grado di stabilizzare i rapporti interpersonali. Oppure può accadere che i segnali di dissenso trovino posto soltanto in alcuni contesti di “sfogo” mentre altri contesti vengono sistematicamente protetti dal conflitto.

7 I termini di credito e debito vanno intesi come esiti della realtà pragmatica delle interazioni tra individui. 8 La parola minaccia viene qui usata per rendere l'idea anche se nella realtà abbiamo a che fare con accenni

di minaccia.9 Pure in questo caso la parola promesse è troppo forte anche se serve a rendere l'idea.

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Quello che stiamo pertanto descrivendo è una rete di accordi impliciti che facilita la stabilizzazione della conflittualità nei rapporti interpersonali con un possibile vantaggio per entrambi. Accordi che suggellano l’esistenza di una certa asimmetria nelle reciproche intenzioni e lasciano pertanto un residuo in sottofondo. Residuo che sarà un credito di sottofondo – una promessa ancora non saldata – per colui che avrà accettato un debito in primo piano, rinviando in secondo piano la possibilità di riscuotere il proprio credito con effetto immediato. Si tratterà invece di un debito avvertito in sottofondo per colui che avrà preteso un credito in prima battuta, un credito che verrà avvertito come una promessa ottenuta dal proprio debitore, ma che bisognerà un giorno ripagare.

Il linguaggio come mezzo per pagare debiti e per riscuotere crediti

Una delle conseguenze più importanti della modifica microprocessuale della teoria dell’attaccamento che qui e altrove (Brennan et al. 1998, Fraley 1998) si va proponendo sta nella possibilità di intendere lo sviluppo del linguaggio come la messa a punto di infinite variazioni delle aspettative prototipiche. Nella nostra concezione lo sviluppo del linguaggio ha come scopo quello di veicolare e regolare in tempo reale sensazioni, emozioni ed aspettative prototipiche con il duplice scopo di portare alla luce gli elementi conflittuali o di rimandarli in sottofondo quando rischiano di destabilizzare i rapporti interpersonali.

Nell’avvalorare le nostre tesi su un sofisticato sistema di debiti e crediti già presente nella diade madre-bambino, l’infant research ci viene incontro su alcuni concetti di base. Innanzi tutto, neonato e caregiver rappresentano un sistema interattivo e interdipendente in continua evoluzione, dove il passaggio d’informazioni è bidirezionale e tendente verso una coordinazione armoniosa o verso un allineamento dei rispettivi stati interiori10. Inoltre, il sistema diadico madre-bambino si sviluppa attraverso una serie di eventi significativi (le RIG di Stern), in cui la reciproca sintonizzazione procede attraverso un’ alternanza di stati di rottura e riparazione.11 A tal proposito, le osservazione di Tronick (1978, 1989) sulla diade madre-bambino, hanno messo in evidenza come l’interazione precoce si sviluppi proprio nel passaggio continuo da stati coordinati a stati non coordinati e viceversa, e come di conseguenza tutto ciò produca nel piccolo una complessa proto-competenza relazionale; quest’ultima appare concretamente attraverso la dimostrazione di come i comportamenti riparatori avvengano ogni 3-5 secondi e come più di un terzo di questi si verifichino prima dell’evento interattivo successivo (Tronick e Gianino 1980, Tronick 1989). Inoltre l’Autore, attraverso il paradigma sperimentale della Still face, dimostra come i neonati, dopo aver osservato il fallimento della madre di fronte ai loro tentativi di richiamo, reagiscano con il ritiro e il distacco per poi ancora una volta successivamente voltarsi verso di lei nel tentativo di ottenere una risposta (Tronick 1978, 1989). Ripetuti fallimenti di allineamento possono dar vita a strategie di evitamento che portano in sé uno squisito valore interpersonale, nonostante la diffusa concezione che riconosce nel distacco un fallimento nella

10 Già negli anni’60 Sander e le sue ricerche sui cicli sonno-veglia andavano in questa direzione. 11 L’interazione istante dopo istante non è mai sincrona ma caratterizzata, viceversa, da rotture, mancati

allineamenti, equivoci e strategie di ricontrattazione relazionale.

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relazione. Tali strategie, oltre che proteggere il bambino da affetti negativi e da eccessi di tensione, gli permettono di sentirsi protagonista del salvataggio della relazione.

Il meccanismo di rottura e riparazione sembra giocare un ruolo chiave nella creazione di intenzioni ed aspettative relazionali, una parte delle quali potranno essere mascherate in sottofondo con il meccanismo del ritiro o emergere in un contesto ambientale attento.

Sviluppo del linguaggio

Possiamo considerare ogni enunciazione fatta da un bambino come quella di un piccolo imprenditore che si muove all’interno di un sistema di debiti da pagare e di crediti da riscuotere. I crediti sono quegli stati di tensione residuali dovuti al fatto che le proposte degli altri non sono risultate del tutto allineate ai ritmi ed agli scopi del bambino, mentre i debiti sono gli stati di tensione altrettanto residuali che il bambino avverte di aver causato negli altri quando essi si sono sforzati di allinearsi alle proposte del bambino. Pertanto, il bambino porta con sé l’idea di un prezzo che egli ha dovuto pagare per ottenere un certo coordinamento nei suoi rapporti interpersonali, assieme all’idea del prezzo che potrà chiedere di pagare al suo interlocutore prima che subentri un rischio per la stabilità dei rapporti interpersonali. Sulla base della sensazione relativa al prezzo da lui pagato e di una ancor più vaga idea del prezzo pagato dagli altri, il nostro piccolo imprenditore cercherà quindi di far valere al massimo i suoi crediti che consistono nella sua capacità di riscuotere simpatia presso altre persone, ottenerne dedizione e fedeltà. Tuttavia, mentre riscuote i suoi crediti egli cercherà, allo stesso tempo, di mantenere al minimo i propri debiti, calibrando le proprie richieste in modo tale da evitare di contrarre ulteriori debiti, più di quanto non sia necessario.

Le prime parole del bambino, mamma, papà, tata, saranno accolte con simpatia e riscuoteranno un credito immediato. Il nostro piccolo imprenditore cercherà quindi subito di cogliere questa nuova occasione, utilizzando il linguaggio per sciogliere i suoi stati di tensione e selezionando le occasioni adatte per far valere i propri crediti.

Rassicurato dai suoi primi successi linguistici il nostro bambino troverà il modo per fare richieste che non aveva osato fare prima, usando, per esempio, parole singole in senso di comando. Tuttavia, spesso potrà accadere che i propri crediti non possano essere riscossi per la presenza di quei debiti che sono gli stati di tensione degli altri, debiti che il bambino recepisce come la sensazione di rendersi più o meno facilmente antipatico con loro o di stancarli con le sue pretese. Mentre il bambino esplora il terreno con parole di comando, egli cercherà pertanto di far proprie anche le parole di comando dei propri genitori nell’intento di non perdere la loro simpatia. Tipicamente, possiamo osservare questo compromesso negli infiniti giochi linguistici del tipo “bimbo sì, bimbo buono, bimbo no, bimbo cattivo”. Si tratta di locuzioni che contengono parole di accettazione e di rifiuto che fanno riferimento agli stati interni del bambino che vengono accompagnati da un verbo di stato sottinteso. Attraverso queste locuzioni vengono appresi quelli che sono i rudimenti della grammatica che sono la distinzione tra prima e seconda/terza persona e l’uso del verbo di stato. La prima persona è infatti quella che riceve approvazione, mentre viene presa una distanza da una seconda/terza persona che non riceve approvazione. Il problema dei rapporti con gli altri si propone quindi da subito in termini pratici che riguardano il come far

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interagire gli stati della prima persona con gli stati della seconda/terza persona in modo che essi possano convivere.

Le locuzioni che il bambino apprende per descrivere i suoi stati lo informano su come egli possa far valere la propria posizione creditoria (bimbo si) e alleggerire nel contempo la propria posizione debitoria (bimbo no), cercando di estendere le sue occasioni in cui diventar simpatico senza tuttavia perdere la fiducia degli altri. Pertanto egli accetterà molto volentieri le gratificazioni che arrivano in risposta alle sue espressioni verbali, ma risponderà altrettanto volentieri ai giochi verbali volti a gratificare la sua controparte adulta.

La distinzione grammaticale tra soggetto e oggetto è quindi testimone di un accordo interpersonale secondo il quale vengono messe in relazione due parti dell’esperienza del bambino: il soggetto creditore che corrisponde a quello cui gli altri lasciano piena iniziativa e il soggetto debitore che si adatta a subordinare la propria iniziativa a quella degli altri. Se tuttavia i suoi genitori gli mostrano di non gradire affatto i suoi atteggiamenti di comando (“bimbo sì”) o pretendono che il bambino prenda troppo sul serio il gioco dell’assunzione della colpa (“bimbo no”), il bambino non riuscirà ad alleggerire la sua posizione debitoria. Il progressivo accumulo del debito che avviene in questi casi può spingere il nostro piccolo imprenditore a sfruttare al massimo le poche occasioni per riscuotere i suoi crediti (far valere i suoi stati di tensione) sottomettendo ai propri capricci le persone, usando nei loro confronti solo parole di rifiuto e di comando, nel tentativo di fare subito un affare. In questo caso, ogni affare concluso, come potrebbe essere ad esempio il riuscire a tormentare un genitore per mandar giù una pappa, può dare sollievo a breve termine, ma a lungo termine il sistema produce nel bambino un ulteriore cumulo di debiti in base alla sensazione che perfino le persone che sono in debito con lui siano state sovraccaricate di tensioni e possano prima o poi tornare ad esigere i loro crediti. Pertanto, mentre il bambino potrà adottare strategie di riscossione sempre più azzardate, egli comincerà ad avvertire in sottofondo che nessuna di queste strategie sarà sufficiente a estinguere completamente i propri debiti. Alcuni di questi debiti andranno quindi affrontati attraverso l’altra strategia disponibile che sta nel rinunciare a riscuotere alcuni crediti dagli altri e nel dedicarsi a pagare i propri debiti con loro. In questo caso il bambino incrementerà le locuzioni di comando su se stesso (bimbo no, bimbo cattivo) in modo da far contenti coloro che potrebbero essere rimasti scontenti di lui.

Alla fin fine ogni bambino si troverà pertanto a fare i conti con l’evidenza che il sistema dei debiti e dei crediti ha delle sue leggi che non si possono aggirare del tutto così che l’unica via d’uscita per sentirsi l’animo veramente a posto sta nel riuscire ad esigere i suoi crediti, cercando qualcuno disposto a riconoscerglieli, e nel pagare anche i suoi debiti, cercando qualcun altro che gli dia atto di esser stato ripagato. In sostanza il bambino continuerà ad affinare le sue capacità contrattuali attraverso il linguaggio, esplorando continuamente la possibilità di modificare alcune clausole dei suoi accordi interpersonali a proprio vantaggio in cambio di altre clausole che verranno modificate a vantaggio dell’altro.

I modelli operativi soggetto/oggetto e la loro trasmissione nel linguaggio

Nel noto argomento contro il linguaggio privato, Wittgenstein (1953-1999), conferisce un ruolo ineliminabile al corpo umano come veicolo per l’espressione naturale del sentimento,

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corpo dal quale molte parti del nostro vocabolario dipenderebbero per ricevere significato. Le espressioni del sentimento deriverebbero quindi per selezione darwiniana dall’esperienza

della loro utilizzazione in un contesto interattivo. Gli esseri umani possono imparare a sostituire espressioni naturali con espressioni verbali. Ma facendo questo la grammatica dei sostituti verbali eredita le principali caratteristiche del comportamento espressivo, in particolare la distinzione radicale tra dichiarazioni, espressioni in prima persona di sentimenti e descrizioni, congetture in terza persona sui sentimenti di qualcun altro. Pertanto una delle componenti non verbali più importanti che accompagna gli atti linguistici al di là dei loro contenuti è quella della posizione e delle intenzioni del soggetto rispetto agli oggetti cui il parlante si rivolge, siano essi evocati o direttamente presenti.

In questa chiave fortemente interattiva è stato creato un sistema di decodificazione degli aspetti non verbali nel linguaggio verbale, il Prototipe Variation Method (PVM, Seganti et al. 1997, Seganti 1995a, 1995b), volto precisamente a estrapolare e a misurare quelle sensazioni che vengono veicolate all’ascoltatore attraverso alcune scelte linguistiche del parlante, sensazioni che provengono dalla posizione del soggetto, reale e grammaticale ad un tempo, nei confronti degli oggetti grammaticali, siano essi reali e/o immaginari, che vengono evocati nei racconti.

L’ipotesi proposta dal PVM é che la produzione del linguaggio avvenga in stretto collegamento con schemi sensoriali “prototipici” che posizionano il soggetto evocando il suo ambiente relazionale, schemi volti a mantenere una percezione coerente di se stessi a fronte delle influenze che oggetti animati o inanimati hanno sui propri stati di organizzazione interna.

La produzione verbale – in particolare quella prodotta in ambiti di comunicazione interpersonale – viene pertanto esaminata come il risultato della socializzazione degli schemi non verbali di interazione, nel momento in cui questi vengono tradotti in schemi linguistici dialogici attraverso la grammatica e la sintassi. Grammatica e sintassi sono come il teatro su cui vengono riprodotte le sensazioni collegate all’interazione degli schemi con la realtà attuale.

Si ipotizza che gli schemi prototipici non verbali siano intuitivamente valutativi e abbiano la funzione di regolare l’influenza delle interazioni sull’organizzazione del sé corporeo. Essi sarebbero in qualche modo assimilabili ai MOI (Bowlby 1969, 1973, 1980, Main e Goldwin 1984, Main 1996, Ainsworth 1982, Fonagy et al. 1992), e agli schemi emozionali di Bucci (1997). Un modello operativo, secondo quest’angolatura, sarebbe composto da una serie di procedure aperte all’influenza ambientale, sia di allontanamento dall’oggetto che di avvicinamento dell’oggetto, volte a negoziare il possibile allineamento degli stati del soggetto con le influenze dell’oggetto e viceversa. Queste procedure di negoziazione interattiva produrrebbero una canalizzazione dell’esperienza che si tradurrebbe in una complessiva weltanschauung.

Una weltanschauung di tipo “evitante”, quando poco si conciliano gli stati interni con le influenze degli oggetti, o di tipo “ansioso-resistente”, quando il modello è tendente a iper-conciliare gli stati interni con le influenze provenienti dalle relazioni.

Nel caso in cui lo sviluppo renda possibile sperimentare una buona compatibilità tra stati interni e influenze degli oggetti si produrrebbe una weltanschauung di tipo “sicuro”, caratterizzata dall’aspettativa di una negoziazione aperta e bilaterale degli stati interni di entrambi i soggetti implicati. Il tipo sicuro sarebbe quindi il tipo che organizza in modo flessibile le due strategie di base, evitante ed ansiosa. Al contrario, il tipo disorganizzato della teoria dell’attaccamento

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(Seganti 1998) sarebbe colui che passa bruscamente da una strategia ad un’altra in modo non flessibile.

In concreto la presenza di uno schema non verbale di evitamento può penetrare nel linguaggio in modo grossolano portando una persona a rimanere in silenzio o a parlare molto poco oppure a esprimersi in modo particolarmente guardingo e poco comunicativo. Allo stesso modo la presenza di uno schema di avvicinamento grossolanamente ansioso può spingere le persone a parlare molto e ad esporsi molto alle reazioni dell’ascoltatore, sia esso reale o immaginario. Questo non significa tuttavia che tali schemi non verbali non siano permeabili al confronto con la realtà. Colui che resta in silenzio o colui che parla troppo, lo fa in quanto si sintonizza su aspetti selezionati della realtà (aspetti rifiutanti degli oggetti per l’evitante, aspetti richiedenti degli oggetti per l’ansioso) che daranno forza alle sue aspettative. Allo stesso modo quei tratti dell’oggetto che fortemente smentiscono gli schemi di aspettative indeboliranno gli schemi dominanti e favoriranno la comparsa dello schema contrapposto. Quindi non è detto che la prevalenza di uno schema non possa, in determinate circostanze, cedere, lasciando il passo allo schema contrapposto in un modo che potrà essere graduale o improvviso.

La difficoltà nella creazione di strumenti di misura dei modelli di sé e degli altri nel linguaggio sta quindi nel fatto che si debba misurare non solo la prevalenza di uno schema, ma anche l’eventuale spazio che viene lasciato alla ricomparsa dello schema di minoranza, spazio che può riprendere forza in base ai risultati degli esperimenti interattivi messi in atto dai soggetti attraverso la comunicazione.

La strategia di ricerca ispirata al PVM cerca pertanto di cogliere sia la rigidità degli schemi prototipici di interazione tra soggetto e oggetti sia le loro variazioni.

Espressione delle emozioni nel linguaggio

E’ noto dalla ricerca sulle interazioni madre-bambino (Stern 1971, Tronick 1989) come le emozioni possano essere considerate proposte (mimiche) di movimento degli stati globali del corpo nella direzione di un avvicinamento (emozioni positive) o di un allontanamento sociale (negative). Colui che riceve una segnalazione emozionale può dare una risposta sia modificando i propri stati interni in modo da assecondare l’emozione proposta, sia interferendo negli stati interni dell’emittente spingendolo ad esempio da un’emozione positiva a una negativa.

Le situazioni ambigue diventano pertanto interpretabili sulla base di schemi contrapposti che finiscono per spingere il proprio partner ad elicitare la sua posizione in modo più chiaro.

Le emozioni non sono tuttavia il solo canale di interazione tra il corpo e l’ambiente. La regolazione delle funzioni corporee (Hofer 1987) concorre quindi a produrre degli stati corporei relativamente stabili e forma la base intra-emozionale della regolazione interattiva. 12 Il più delle volte pertanto l’interazione corpo-ambiente viene sostenuta da piccoli aggiustamenti che assecondano la direzione del cambiamento degli stati.

12 In una serie di studi sui roditori e sui primati Hofer (1987) ha dimostrato la presenza di una serie di meccanismi regolativi nascosti tra gli stati corporei e l’ambiente, con funzione nutrizionale, olfattiva, tattile, termica, visiva e vestibolare. Per esempio la temperatura corporea dei piccoli ratti è in collegamento con quella della madre attraverso il rilascio di peptidi e di altre sostanze ad azione centrale

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Nel momento in cui si crea questo fit con le persone vicine per contiguità queste acquistano un potere prioritario nella regolazione dei nostri stati corporei. Da qui la necessità di disambiguare la direzione dei movimenti emozionali in connessione alle persone che ci sono diventate vicine e l’aspetto funzionale della comunicazione emozionale.

La regolazione emozionale vera e propria offrirebbe pertanto la possibilità di rendere espressivi specifici disagi, che sorgono nel momento in cui si è creata la presenza di un allineamento degli stati del corpo con quelli delle persone che ci sono vicine.

Anche il linguaggio può essere considerato un modo di rendere esplicite sensazioni complesse che provengono da variazioni degli stati corporei collegate con l’avvicinamento e/o l’allontanamento dalle persone, per cui la sua struttura, secondo numerosi autori, eredita questa funzione di collegamento corpo-ambiente.

Dal punto di vista dell’attuale teoria delle emozioni – o meglio di quel settore della teoria che tratta le emozioni come “configurazioni globali di stati di funzionamento mentale” (Freeman 2000) – potremmo dire che l’esperienza soggettiva del piacere non è mai un’esperienza assoluta, ma uno stato che riesce momentaneamente a stagliarsi sul panorama piacere/dispiacere. In questo contesto le emozioni non appaiono come entità discrete (se non in alcuni contesti osservativi relativamente stabili), ma come un sistema di esplorazione complesso in continua riorganizzazione. Esprimeremo quindi un’emozione positiva (o una negativa in caso contrario) per esplicitare una nostra specifica ipotesi circa la possibilità che lo stato di benessere possa essere mantenuto e incentivato in modo tale da ottenere una risposta che ci aiuti a disambiguare il movimento attuale degli stati. Da questo punto di vista diventiamo capaci di distinguere non solo lo stato emotivo che ci caratterizza, ma anche a prevedere con buona approssimazione il movimento che governerà il passaggio da una nostra emozione verso l’emozione successiva, concordante o contrapposta che sia. Tutto questo è ciò che rende la nostra esperienza unica rispetto a quella degli altri.

Obiettivi e metodo della ricerca

Siamo partiti dal presupposto che qualsiasi sia la domanda che viene fatta dal ricercatore essa deve essere esaminata avendo in mente il suo carattere dialogico. Pertanto le domande del questionario –The Experiences in Close Relationships-Revised Questionnaire (ECR-R, Fraley et al. 2000) – sono state esaminate come suggestioni linguistiche volte a suscitare un’adesione preferenziale verso la dimensione evitante e/o ansiosa della propria esperienza intersoggettiva. Abbiamo pertanto esaminato le forme sintattiche e grammaticali usate nelle domande dell’ECR-R per capire se si potevano rintracciare delle differenze tra il gruppo di domande che evocano la propensione ansiosa e il gruppo di domande che evocano la propensione evitante. Una volta stabilite queste differenze abbiamo cercato di verificare se i due scenari linguistici proposti nell’ECR-R avrebbero trovato riscontro nelle forme linguistiche e grammaticali che gli stessi soggetti usano per compilare il racconto di una esperienza di crisi della loro vita sentimentale. Per essere più precisi volevamo paragonare lo stile linguistico delle domande per gli evitanti (o per gli ansiosi) dell’ECR-R con lo stile linguistico usato da soggetti a prevalenza evitanti (o ansiosi) nei loro racconti autobiografici, in modo da studiarne sia le somiglianze sia le eventuali differenze.

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Partecipanti

La ricerca è stata condotta su un campione di 29 soggetti (6 maschi; 23 femmine) di età compresa fra i 20 e i 28 anni (M=25,27; ds=2,99). I partecipanti alla ricerca sono tutti regolarmente iscritti all’Università e sono stati reperiti presso due importanti università italiane: l’Università “Carlo Bo” di Urbino e l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.Gli studenti che hanno aderito alla ricerca sono stati contattati telefonicamente per concordare la data del primo incontro. La procedura si è articolata in diversi passaggi.

Strumenti utilizzati

La ricerca è stata costruita in modo tale da incrociare i dati provenienti dal questionario ECR-R (Fraley et al. 2000) che colloca i soggetti all’interno delle due principali dimensioni dell’attaccamento (evitante e ansiosa) con i dati linguistici provenienti dall’analisi PVM (Seganti et al. 1997, Seganti 2001) dei racconti autobiografici riguardanti una crisi sentimentale.

a) ECR-R

Per valutare gli atteggiamenti dei soggetti in merito all’attaccamento è stato somministrato il questionario self-report ECR-R – The Experiences in Close Relationships-Revised Questionnaire (Fraley et al. 2000).

Il questionario ECR-R è una versione modificata e standardizzata del precedente self-report di Hazan e Shaver (1987). A partire dalle analisi sui 320 item self-report di Brennan, Clark e Shaver (1998), gli Autori spinti da una necessità di ammodernamento e raffinazione della tecnica della raccolta di dati e in linea con una visione bidimensionale e strategica dei modelli e delle strategie comportamentali di attaccamento, hanno messo a punto un questionario self-report che meglio si accorda ad una visione che guarda alle due dimensioni ansiosa ed evitante in uno spazio bidimensionale.

L’ECR-R si compone di 36 item, di cui 18 (item: 1-18) si riferiscono alla dimensione ansiosa e 18 (item: 19-36) a quella evitante13. I 36 item sono valutati su una scala Likert a 7 punti (da 1= per nulla d’accordo a 7= del tutto d’accordo). Quindi al soggetto viene chiesto di rispondere ai 36 item, indicando il grado di accordo o di disaccordo con le affermazioni del questionario.

Il punteggio ottenuto dai singoli soggetti agli item dell’ECR-R fa riferimento a come il soggetto si sente nelle relazioni intime in generale e non tanto a ciò che accade nell’eventuale relazione in atto. In questo modo i soggetti vengono classificati per il grado della loro adesione all’atteggiamento evitante e all’atteggiamento ansioso all’interno della riflessione teorica che vede la dimensione della sicurezza come una dimensione composita dei due micro atteggiamenti evitante ed ansioso che vengono modulati in modo appropriato (Brennan et al. 1998).

13 Risulta opportuno randomizzare l’ordine delle domande al momento della presentazione ai soggetti.

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b) Il racconto di una crisi sentimentale

In seguito è stato loro richiesto di scrivere il resoconto di un’esperienza di crisi relativa ad una delusione amorosa.

La domanda che è stata formulata ai partecipanti alla ricerca era volta a lasciare una certa libertà di espressione:

“Vi chiediamo infine di scrivere per noi un breve resoconto di una vostra crisi sentimentale: Vorremo sapere come è cominciata, per quali ragioni, come si è svolta, se c’è stato o meno un momento chiave e come è andata a finire. O, se ancora è in atto, come pensate che possa andare a finire. Il tutto in quindici venti righe. Dateci un’idea del vostro stato d’animo e di quello delle altre persone implicate e metteteci al corrente delle conseguenze positive o negative di questa crisi”.

Questi resoconti scritti sono stati poi esaminati tramite la Scala delle Connessioni Affettive Soggetto/Oggetto del PVM (Seganti et al. 2000).

c) Analisi linguistica: il Prototype Variation Method

Per valutare gli aspetti non verbali insiti nel linguaggio verbale è stato utilizzato il sistema di decodificazione PVM (Seganti et al. 1997, Seganti 1995a, 1995b). Il sistema di analisi dialogica del linguaggio PVM (Seganti et al. 2000) presuppone che le rappresentazioni degli schemi emozionali vengano costruite a partire da immagini prototipiche di base, positive e negative, di sé e degli altri. Le rappresentazioni tendenzialmente positive o negative per entrambi i soggetti dell’interazione danno uno stato stabile per entrambi, mentre le rappresentazioni positive per l’uno e negative per l’altro danno il movimento tra stati nelle due direzioni fondamentali dell’avvicinamento e dell’allontanamento dall’oggetto. Si propone pertanto di considerare ogni affermazione linguistica in prima persona sorretta da “verbi di stato” (esistere sentire, pensare, oppure soffrire, patire, ammalare ecc., Vendler 1976) come un’azione comunicativa che mette in risalto gli stati del soggetto sullo sfondo di presenze implicite di oggetti che non sono percepiti essere momentaneamente in conflitto con il soggetto stesso. Così come ogni affermazione linguistica sorretta da “verbi di stato” in seconda e terza persona può essere considerata come una comunicazione implicita dell’accettazione – momentaneamente senza pregiudizio – degli stati dell’oggetto da parte del soggetto che parla.

Ogni azione linguistica viene pertanto considerata come il prodotto di uno spirito cooperativo (Grice 1975) che anima il parlante nel suo sforzo di ascolto e di comunicazione.

Si considera ogni affermazione linguistica sorretta da verbi “asimmetrici del pretendere” (ottenere, pretendere, obbligare ecc., Vendler 1976) come un’azione linguistica volta a segnalare la necessità di un adeguamento degli stati degli oggetti al movimento degli stati del soggetto grammaticale; e ogni affermazione linguistica governata da verbi “asimmetrici del dovere” (dovere, patire, subire) come una segnalazione della disponibilità del soggetto ad adeguare i propri stati interni alle esigenze espresse dall’oggetto. Anche in questo caso le azioni linguistiche hanno una “implicatura” cooperativa nel segnalare le intenzioni, esplorare le reazioni e regolare l’intensità dei conflitti tra soggetto e oggetto.

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d) Scala delle Connessioni Affettive Soggetto Oggetto del PVM

L’analisi che il PVM fa del racconto di una storia (un episodio) è un’analisi degli atteggiamenti dialogici complessivi che caratterizzano in quel momento il parlante (lo scrivente), analisi fatta computando la prevalenza della prima o della seconda/terza persona nelle proposizioni sorrette da verbi di stato (positivi e negativi) e/o da verbi asimmetrici del potere o del dovere. La prevalenza di una prima o di una seconda/terza persona molto richiedente o molto oblativa deporrà quindi per la percezione soggettiva di un movimento conflittuale nel dialogo (che potrà prevalentemente partire dal soggetto oppure dall’oggetto), mentre la prevalenza di frasi sorrette da verbi di stato in prima persona deporrà per la percezione soggettiva di una assenza di conflitti necessari (se prevalgono stati positivi) o di conflitti percorribili (se prevalgono stati negativi). La prevalenza di frasi sorrette da verbi di stato in terza persona deporrà infine per la presenza di una congettura del parlante riguardo l’assenza in terze persone di conflitti necessari (se prevalgono stati positivi dell’oggetto) o percorribili (se prevalgono stati negativi).

La trasposizione della teoria delle immagini di sé e dell’altro in variabili linguistiche parte dalla distinzione grammaticale tra frasi 1a e frasi in 2a-3a persona e dalla distinzione tra verbi di stato (essere, sentire, stare) e verbi asimmetrici del potere (fare, ottenere) e del dovere (dovere, subire); (tabella 1).

La frase con un verbo coniugato in prima o in seconda/terza persona viene quindi presa come l’unità di valutazione parola per parola del parlato o dello scritto. La frase in prima persona, quando governata da un verbo di stato, viene intesa come immagine del soggetto parlante positiva o negativa a seconda delle parole positive o negative che la accompagnano; la frase in seconda e terza come immagine di oggetti anch’essi positivi e negativi. Sono quindi quattro le variabili di “stato”, corrispondenti alle quattro immagini di sé positivo e sé negativo (1a persona) e di altro positivo ed altro negativo (2a/3a). Esse sono intese come testimonianze della componente statica del modello operativo interno (o del prototipo). Anche le variabili collegate alle frasi con verbo asimmetrico, provenienti da frasi sorrette da verbi del potere o del dovere in prima persona o in terza persona, sono quattro. Queste ultime quattro variabili sono intese rappresentare la componente dinamica del modello operativo interno.

Per ogni frase la scala attribuisce pertanto al verbo una sua funzione (statica o dinamica) e un suo peso espressivo (da 3 a –3). Anche le parole possono avere peso espressivo da 3 a –3, ma per la funzione performativa o statica dipendono dal verbo14.

14 Per valutare il “peso espressivo” di verbi e parole abbiamo creato un nostro dizionario di intensità delle parole basandoci empiricamente su tre parametri e cioè attività, tono edonico e incremento della presenza del sé. Questo lavoro è stato condotto attraverso il sistema dei giudizi indipendenti delle parole acontestualizzate con accordi che arrivano al 90% per due giudici ed 85% per tre giudici. Una volta creato il dizionario decontestualizzato abbiamo adottato un sistema di parziale ricontestualizzazione nella frase nel senso in cui il punteggio della parola viene reintrodotto oltre che con il suo punteggio anche con la funzione asimmetrica o statica proveniente dal verbo della frase in cui è inserita. In questo modo il verbo determina l’attribuzione al soggetto o all’oggetto (o dal soggetto grammaticale all’oggetto nel caso dei performativi) di tutte le parole positive o negative della frase.

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Tabella 1. Variabili della scala delle connessioni affettive soggetto oggetto

VERBI ASIMMETRICI1) S+/O- verbi asimmetrici del pretendere (ottengo, giudico, voglio, pretendo etc.) in prima personaio ti (1/-1) giudico (1/-1) esigo un mio credito attribuendo un debito all’oggetto: segnalo prevalenza evitamento/chiusura2) S-/O+ verbi asimmetrici del dovere (devo, sottopongo, aiuto, soccorro, etc.) in prima personaio ti (-1/1) aiuto (-1/1)riconosco un mio debito conferendo un credito all’oggetto: segnalo prevalenza ansia/apertura3) O+/S-- verbi asimmetrici del pretendere (ottengo, faccio etc.) in terza personatu mi (-1/1) giudichi (-1/1)esige un suo credito attribuendo un debito al soggetto: segnala prevalenza evitamento/chiusura4) O-/S+ verbi asimmetrici del dovere (devo, sottopongo, aiuto, soccorro, etc.) in terza personatu mi (1/-1) aiuti (1/-1)riconosce un suo debito conferendo un credito al soggetto: segnala prevalenza ansia/apertura

VERBI SIMMETRICI5) S+ - verbi di stato (essere, sentire, pensare) in prima personaio penso (1/0) bene (1/0) ,(immagine positiva o negativa per il solo soggetto)6) S- io sto (1/0) male (-1/0)(immagine positiva o negativa per il solo soggetto)

7) O+ - verbi di stato (essere, sentire, pensare) in terza personatu (lui, lei, loro) pensano (0/1) bene (0/1) ,(immagine positiva per il solo oggetto)8) O- loro stanno (0/1) male (0/-1)(immagine negativa per il solo oggetto)

I risultati del PVM vengono pertanto espressi come percentuali di espressività – per ognuno degli otto item della scala – in prima ed in terza persona rispetto al totale delle parole usate nel racconto.

Risultati

In primo luogo si è voluto indagare sull’eventuale presenza di una diversa distribuzione della dimensione ansiosa-evitante rispetto al genere. A tal proposito le analisi statistiche effettuate sul campione non evidenziano una differenza statisticamente significativa nelle due dimensioni dell’attaccamento tra maschi e femmine. In particolare la distribuzione risulta essere omogenea (χ2

(2,29)=1,21; p=n.s.), con una prevalenza della dimensione evitante; nello specifico il 65% dei soggetti (N=19) presenta una prevalenza dello stile di attaccamento evitante, il 28% (N=8) uno

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stile di attaccamento ansioso e il restante 7% (N=2) presenta uno stile di attaccamento neutro. In secondo luogo abbiamo esaminato le domande dell’ECR-R dal punto di vista linguistico,

sottoponendo all’analisi PVM sia il gruppo di domande per la dimensione ansiosa (item 1-18) che il gruppo di domande per la dimensione evitante (item 19-36). Attraverso il confronto dei due gruppi di domande dell’ECR-R si è ottenuta una misura delle suggestioni prevalenti proposte da ognuno dei due gruppi di domande, analizzate dal punto di vista del dovere e del potere (sistema dei debiti e dei crediti). Pertanto le risposte che i soggetti hanno fornito compilando l’ECR-R sono state trattate come l’espressione del grado di consenso che le persone forniscono non solo rispetto al contenuto delle domande, ma anche nei confronti della loro impostazione linguistica (tipo di verbi, forza espressiva delle frasi, uso della prima/seconda terza persona); (tabella 2).

Tabella 2. PVM/ ECR-R: distribuzione percentuale della forza espressiva globale delle frasi in prima persona e in terza persona

Soggetto OggettoEvitamento 70,3 29,7

Ansia 42,4 57,6

I risultati hanno messo in luce che le domande/affermazioni dell’ECR-R relative alla dimensione evitante (item 1-18) mettono al centro dell’attenzione la presenza del soggetto con i suoi diritti e doveri (70,3% della forza espressiva del racconto), mentre quelle relative alla dimensione ansiosa (item 19-36) lasciano in primo piano la presenza dell’oggetto che deve e pretende (57,6% della forza espressiva del racconto) (tabella 2).

Nello specifico scorporando questi risultati (vedi tabella 3) emerge che per la dimensione evitante viene suggerito un soggetto che decide, pretende e controlla (crediti 19,1%), che sopratutto, si assume debiti (debiti 31,5%), lasciando in secondo piano le richieste provenienti da parte dell’oggetto (crediti 9,3% e debiti 11,1%). Diversamente, per la dimensione ansiosa le domande/affermazioni dell’ECR-R attivano nel soggetto un senso di pericolo proveniente da una terza persona – l’oggetto – che esige crediti (30,3%); accompagnato da una perdita di importanza delle ragioni del soggetto creditore (crediti 10,9%), da minori offerte da parte dell’oggetto (14,5%) e in seconda battuta, da i debiti che il soggetto sente di avere verso gli oggetti (24,4%).

Le domande dell’ECR-R per la dimensione evitante evocano dunque una situazione che è sotto controllo per il soggetto, in quanto è lui che decide (crediti) e che sopratutto amministra le proprie offerte (debiti) verso un oggetto le cui pretese sono ridotte al minimo. Altresì lo stimolo per la dimensione ansiosa è relativo a dei momenti di rottura delle relazioni riguardanti le influenze di altri Sé sul proprio Sé, mentre lo stimolo evitante pesca nell’esigenza di difese in prima persona molto forti rispetto all’influenza di altre persone. Teoricamente le due dimensioni possono coesistere nello stesso individuo in modo flessibile a seconda delle esperienze e delle circostanze.

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303Psichiatria e Psicoterapia (2012) 31,4302 Psichiatria e Psicoterapia (2012) 31,4

Tabella 3. PVM/ECR-R: distribuzione percentuale per i verbi asimmetrici del pretendere e del dovere

S+O- credito S-O+ debito O+S- credito O-S+ debitoEvitamento 19,1 31,5 9,3 11,1

Ansia 10,9 24,4 30,3 14,5

Sono stati poi confrontati i punteggi ottenuti all’ECR-R e i punteggi ottenuti alla Scala delle Connessioni Affettive Soggetto/Oggetto del PVM, applicata ai racconti di episodi traumatici, ha messo in luce alcuni dati interessanti (vedi tabella 4).

L’applicazione del coefficiente di correlazione r di Pearson ha evidenziato due correlazioni statisticamente significative: una di segno negativo tra la dimensione evitante e l’utilizzo di verbi che sottendono rivendicazioni dell’oggetto – egli pretende – (r=-,525; p<,01 test a due code) ed una di segno positivo tra la dimensione evitante e l’utilizzo di verbi che indicano l’assunzione di debiti del soggetto – io devo – (r=,460; p<,05 test a due code). Si evidenzia inoltre una correlazione statisticamente significativa e di segno positivo tra la dimensione ansiosa e l’utilizzo di verbi che indicano rivendicazioni e pretese del soggetto – io pretendo – (r=,613; p<,01 test a due code), mentre non appare significativa l’azione traumatica (crediti), (-0,222 correlazione negativa), proveniente dagli oggetti – egli deve – che era quella che l’ECR-R proponeva loro in modo preponderante.

In conclusione i risultati evidenziano come i soggetti evitanti rispondono in modo coerente con le proposte suggerite nel questionario ECR-R, sottolineando le stesse preferenze linguistiche che il questionario proponeva loro, mentre i racconti di coloro che si riconoscono maggiormente nella dimensione ansiosa sono in forte contrapposizione alle domande dell’ECR, le quali proponevano un’incapacità a rivendicare i propri crediti da parte del soggetto e una tendenza a subire i crediti rivendicati dagli oggetti.

Tale dato mette in evidenza che più i soggetti sono vicini alla dimensione evitante e meno utilizzano sul piano sintattico elementi che sottendono la dimensione del pretendere, esprimendo invece una modalità basata sul dovere in prima persona (“io devo”); al contrario, più i soggetti sono vicini alla dimensione ansiosa e meno adoperano sul piano sintattico elementi che sottintendono la dimensione del dovere in prima persona, esprimendo invece una modalità basata sul pretendere in prima persona (“io pretendo”).

Tabella 4. PVM/ECR-R: correlazioni fra le dimensioni dell’attaccamento di Ansia-Evitamento e le modalità espressive dei racconti

S+O-Io pretendo S-O+Io devo O+S- Egli pretende O-S+Egli deveEvitante .041 .460* -.525** .042Ansioso .613** .109 -.113 -.222

** p<.01 * p< .05

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Illustrazione grafi ca della Tabella 4

Successivamente al fi ne di valutare la relazione presente fra le modalità espressive, basate sul sistema del dare e del pretendere, e le dimensioni dell’attaccamento di ansia-evitamento è stata condotta l’analisi della regressione lineare multipla (tabella 5).

Tabella 5. Regressione delle modalità espressive sulla dimensione dell’attaccamento di Ansia-Evitamento

B β pr t pPretendo 4.95 .548 .478 4.12 .000Pretende 2.79 .502 .404 3.76 .001Somma .004 .359 2.70 .012

I risultati confermano l’importanza delle modalità espressive “ io pretendo” e “ lui pretende” per le dimensioni di ansia ed evitamento. Le variabili prese in considerazione sono infatti fortemente correlate con le dimensioni di ansia ed evitamento (r=,75), e spiegano in maniera signifi cativa il 56,4% della varianza.

I risultati evidenziano inoltre che la modalità espressiva di “io pretendo”, in proporzione maggiore, e quella di “lui pretende”, in proporzione minore, infl uenzano in maniera signifi cativa le dimensioni di ansia e di evitamento.

Infi ne allo scopo di analizzare la struttura delle modalità espressive ed il rapporto che esse hanno con la dimensione di ansia e quella di evitamento è stata condotta l’analisi fattoriale, utilizzando il metodo delle componenti principali con rotazione ortogonale Varimax (vedi tabella 6).

Da tale analisi emerge che i fattori spiegano l’81,13% della varianza totale. Tali dati confermano quanto già emergeva dalle correlazioni, vale a dire che le modalità espressive basate sul sistema dare-pretendere concorrono a dare informazioni rispetto al costrutto generale.

Nello specifi co per quanto riguarda le modalità espressive, sul primo fattore, che spiega il 21,3 % della varianza, si collocano le dimensioni di “lui pretende”, di “io devo” e dell’evitamento; sul

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secondo fattore, che spiega il 17,56 % della varianza, si collocano la modalità espressiva di “io pretendo” e la dimensione dell’ansia; sul terzo fattore, che spiega il 16,54 % della varianza, si collocano le dimensioni positive delle modalità espressive scorporate del soggetto e dell’oggetto (S+ e O+); sul quarto fattore, che spiega il 13,10% della varianza, si collocano le modalità espressive del “lui deve” e quella negativa dell’oggetto (O-); infine, sul quinto fattore, che spiega il 12,68 % della varianza, si colloca la modalità espressiva del “lui deve”.

Tabella 6. Analisi fattoriale delle modalità espressive

F1 F2 F3 F4 F5O+S- Pretende -,878

S-O+ Devo ,734S+O- Pretendo ,903

O-S+ Deve -,544 -,912S-S+ -,809O- ,883O+ ,810

Ansia ,859Evitamento ,800

Varianza Spiegata 21,292% 17,556% 16,536% 13,068% 12,679%

Conclusioni

Osservato nelle sue funzioni pragmatiche il linguaggio permette di raggiungere rapidamente un relativo consenso tra due o più persone. In tal senso assolve a una funzione pragmatica di stabilizzazione dei rapporti interpersonali attraverso reciproche proposte di allineamento.

Altresì attraverso il linguaggio si potrà cercare di articolare anche il dissenso tra le persone, rappresentando linguisticamente possibili percorsi conflittuali che possono essere intrapresi tra soggetti e oggetti con diverse intensità ed esiti.

Dunque al di là di funzioni di allineamento e pacificazione il linguaggio serve anche a esprimere delle tensioni nei rapporti interpersonali articolando reciproche richieste attraverso frasi governate da verbi asimmetrici che stanno ad esprimere degli stati di tensione tra due o più persone.

Questi verbi non esprimono delle asimmetrie assolute in quanto servono a modulare le reciproche intenzioni oblative con le reciproche intenzioni assertive.

Pertanto il linguaggio è a suo modo uno strumento sia di segnalazione che di misurazione delle reciproche pretese e dei reciproci doveri.15

15 Se all’asserzione di quello che io ho dovuto fare/offrire/ dare faccio seguire un asserzione di quello che tu hai dovuto fare/offrire/dare sto proponendo di esplorare i nuovi confini del nostro reciproco pretendere.

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Dal punto di vista più classico della teoria dell’attaccamento non si è abituati a considerare gli orientamenti di tipo evitante e quelli di tipo ansioso come strategie per la composizione dei conflitti. Se tuttavia adottiamo questo punto di vista possiamo considerare quella evitante e quella ansiosa come due dimensioni psicologiche che risultano preferite a seconda del successo che hanno mostrato per la composizione dei conflitti.

Per quanto si possa pensare che le due strategie ansiosa o evitante per la composizione dei conflitti possano essere usate in modo flessibile a seconda delle circostanze ciascuno di noi porta con se una preferenza per quella strategia che gli ha permesso di ottenere migliori risultati nella distribuzione di diritti e doveri nei suoi rapporti interpersonali.

Nel nostro studio abbiamo potuto dimostrare che le frasi dell’ECR-R, che Fraley e Waller ritengono significative per attirare il consenso dei soggetti evitanti, sono frasi caratterizzate da una preponderanza di strategie oblative in prima persona e di risposte oblative da terze persone. Ci siamo quindi posti il quesito del significato da attribuire a questi risultati: come mai gli evitanti sembrano preferire strategie oblative? Non ci si dovrebbe aspettare una maggiore assertività da parte loro? Una possibile risposta è che gli evitanti possano ostentare – fintanto che la loro strategia trova rispondenza negli oggetti – quelle strategie oblative che gli permettono di tacitare le pretese altrui in modo tale da allontanare sistematicamente la pressione persecutoria proveniente dagli oggetti16. Quest’ipotesi sembra essere avvalorata dall’esame del linguaggio usato da questi soggetti nel loro racconto di una situazione di crisi dove la loro oblatività diventa ancora più marcata mentre scompare l’oblatività delle terze persone. Un risultato che conferma l’ipotesi che la strategia evitante sia una strategia oblativa che – nella sua versione di successo – tende a far diventare oblativo l’altro e ad evitarne le pretese. Si tratterebbe di offerte preventive fatte agli oggetti per mettere a tacere le loro pretese17. Una strategia che va in crisi quando le terze persone non si allineano più e non rispondono più all’oblatività a loro volta in modo oblativo. Nei racconti autoprodotti abbiamo visto infatti come: più i soggetti si mostrano vicini alla dimensione evitante meno utilizzano elementi linguistici che sottendono la dimensione del pretendere. Dunque la strategia evitante mediante una preventiva oblatività attiva verso l’oggetto, metterebbe a riparo da un eccesso di richieste di dipendenza e di continue richieste di adattamento e regolazione da parte dell’oggetto.

Al contempo abbiamo potuto dimostrare che le frasi che gli autori del questionario ECR-R ritengono significative per attirare il consenso dei soggetti ansiosi sono frasi caratterizzate da una preponderanza di strategie assertive a partire dalla terza persona. Il fatto che gli ansiosi si preoccupano delle pretese degli oggetti va nel senso comunemente accettato che ci dice che gli ansiosi si preoccupano degli altri. Abbiamo quindi indagato sull’eventuale differenza tra il linguaggio che essi sottoscrivono in situazioni non stressanti (il test ECR-R) e il linguaggio che essi stessi producono quando ci raccontano di situazioni di crisi (sentimentale).

16 Si tratta di un’ipotesi di annullamento dei vissuti persecutori.17 A tal proposito si potrebbe ipotizzare che l’individuo che adotta in modo massiccio una strategia evitante,

nel tutelarsi da un eccesso di debiti da pagare, preservi se stesso dal timore che l’altro possa scoprire i suoi doveri non assolti e abbandonarlo in quanto debitore da poco credito. Al contrario chi adotta massivamente una strategia di tipo ansioso gestisce la conflittualità delle relazioni rivendicando un’immagine di sé come creditoria e degna di fiducia ed un’immagine dell’altro come creditore imprevedibile, che può quindi rivelarsi inaspettatamente un temuto debitore.

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All’esame del racconto autobiografico di episodi di crisi, risulta sul piano sintattico una assoluta preponderanza (statisticamente significativa) di frasi in cui essi pretendono in prima persona. In questa sede adoperando sul piano sintattico elementi che sottendono la dimensione del dovere i soggetti ansiosi si mostrano dal punto di vista della scelta linguistica attivamente rivendicativi, rivelando così il fallimento della strategia difensiva18.

Ringraziamenti

Un ringraziamento particolare ad Andrea Seganti per l’imprescindibile ispirazione e il supporto costante e alla dr.ssa Marianna Maimone per la preziosa collaborazione in fase di editing.

Riassunto

Parole chiave: infant research, interazioni madre-bambino, modelli relazionali della mente

L’autore propone che le proposizioni originarie della psicoanalisi relazionale possano essere ulteriormente sviluppate sulla base dei nuovi risultati dell’infant research che introducono una visione fortemente bilaterale delle interazioni madre-bambino. Gli stessi risultati hanno portato a una revisione della teoria dell’attaccamento, introducendo l’idea che l’esperienza di attaccamento possa essere fondata su un vissuto pragmatico bidimensionale basato sull’alternanza di movimenti di apertura e ritiro; questo in contrasto con le formulazioni tradizionali che proponevano l’idea dell’attaccamento sicuro come rifugio dalla paura. La scoperta di micro dinamiche bilaterali ubiquitarie di allineamento e sintonizzazione tra gli individui, che prosegue dall’infanzia all’età adulta, permette di adottare un nuovo punto di vista pragmatico sul linguaggio che può essere considerato come uno strumento per aprire e chiudere conflitti, per iniziare, coordinare e mantenere la stabilità degli scambi.

In tal senso il linguaggio diviene luogo di indagine per definire le strategie relazionali e i modelli relazionali della mente che l sottendono. Infine viene presentata una ricerca in cui sono stati affiancati i risultati del test ECR-R di Fraley e Waller con quelli del test di analisi del linguaggio naturale PVM di Seganti: la ricerca ha evidenziato alcune correlazioni significative tra le due dimensioni evitante e ansiosa dell’attaccamento e le due modalità espressive del pretendere e del dovere in un racconto di una crisi relazionale, analizzato con il metodo del PVM.

RELATIONAL MODELS AND LINGUISTIC STRATEGIES: RESEARCH CONTRIBUTION

AbstractKey words: infant research, mother-infant interactions, relational models of the mind

The author proposes that the original propositions of the relational psychoanalysis could be further developed through new findings from infant research allowing a stronger bilateral view of mother-infant interactions. The same findings also caused a revision of the attachment theory, introducing the idea

18 Si tratta di un’ipotesi clinica di rabbia trattenuta a vantaggio delle richieste degli altri che appunto entrerebbe in crisi in una situazione stressante dal punto di vista relazionale.

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that the experience of attachment could be grounded in a primary bidimensional pragmatic experience of engagement and disengagement, in contrast with the traditional formulations that stressed the idea of secure attachment as a refuge from fear. The discovery of ubiquitous bilateral micro dynamics of alignment and tuning between individuals from infancy to adulthood allows a new pragmatic view about language as an instrument to open and to close conflicts, to initiate, to coordinate and to maintain the stability of the exchanges.

Thus, the language can be investigated in order to define the relational strategies and the relational models of the mind. Finally, a research is presented that combines the results of the ECR-R test of Fraley and Waller with the results of the natural language test PVM of Seganti. The research highlighted some significant correlations between the two dimensions of avoidance and anxiety of the ECR-R and the two modes of expression “pretend” and “must” in an autobiographical narrative about a relational crisis, analyzed thorough the PVM method.

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Pier Christian Verde Modelli relazionali e strategie linguistiche

311Psichiatria e Psicoterapia (2012) 31,4310 Psichiatria e Psicoterapia (2012) 31,4

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Pier Christian VerdeUniversità di Urbino Carlo Bo, PhD Psicologo, Psicoterapeuta ASNE – SiPSIA; candidato INT Società Psicoanalitica Italiana

Corrispondenza

E-mail: [email protected]