MemOria - Febbraio 2013

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ANNO VIII numero 2 Febbraio 2013 distribuzione gratuita MEMORIA DIOCESANA Ripartire dalla famiglia che genera la Vita VOCE DEL VESCOVO Convertitevi e credete al Vangelo! MEMORIA CULTURALE Uno scrigno barocco da riaprire e valorizzare: la chiesa di San Domenico a Ceglie Messapica mensile di informazione della Diocesi di Oria MemOria “LA FEDE DI FRONTE ALLE SFIDE DEL NOSTRO TEMPO” SPECIALE

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MemOria - Mensile di informazione della Diocesi di Oria - Febbraio 2013

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ANNO VIII numero 2 Febbraio 2013 distribuzione gratuita

MEMORIA DIOCESANARipartire dalla famiglia che genera la Vita

VOCE DEL VESCOVO Convertitevi e credeteal Vangelo!

MEMORIA CULTURALEUno scrigno barocco da riaprire e valorizzare: la chiesa di San Domenico a Ceglie Messapica

mensile di informazione della Diocesi di Oria

MemOria

“LA FEDE DI FRONTE ALLE SFIDE DEL NOSTRO TEMPO”SPECIALE

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anno VIII n. 2 Febbraio 2013MemOria

Sommario

MemOria

MemoriaMensile di informazione della Diocesi

di Oria - Periodico di informazione

Religiosa

Direttore editoriale:

✠ Vincenzo Pisanello

Direttore Responsabile:

Franco Dinoi

Redazione:

Gianni Caliandro

Franco Candita

Alessandro Mayer

Francesco Sternativo

Pierdamiano Mazza

Progetto graficoimpaginazione:

ProgettipercomunicareEDIZIONI E COMUNICAZIONE

www.progettipercomunicare.it

Stampa:

ITALGRAFICA Edizioni s.r.l.

Oria (Br)

Curia Diocesana:

Piazza Cattedrale, 9 - 72024 Oria

Tel 0831.845093

www.diocesidioria.it

e-mail: [email protected]

Registrazione al Tribunale di Brindisi

n° 16 del 7.12.2006

ANNO VIII numero 2 Febbraio 2013

mensile di informazione della Diocesi di Oria

3VOCE del VESCOVOConvertitevi e credete al Vangelo!

30MEMORIA IN... VERSI... con Davide Rondoni

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MEMORIA CULTURALEUno scrigno barocco da riaprire e valorizzare: la chiesa di San Domenico a Ceglie MessapicaIl vangelo secondo Pilato, un apocrifo dei nostri tempi

PROSPETTIVE DI MEMORIA6Di moderazione si può anche morire

MEMORIA DIOCESANA8Ripartire dalla famiglia che genera la Vita

MEMORIA DIOCESANA22Una speranza per il futuro:

il Progetto Policoro

MEMORIA DIOCESANA28Nuova Evangelizzazione: il primo passo29Non esiste una via per la pace:

la PACE è la VIA!

5Agenda pastorale del Vescovo, febbraio 2013PRO-MEMORIA

MemOria

10MEMORIA SPECIALE“La fede di fronte alle sfi de del nostro tempo”

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anno VIII n. 2 Febbraio 2013MemOria

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✠ Vincenzo Pisanello

Convertitevi e credeteal Vangelo!

Stiamo vivendo l’esperienza esaltante dell’Anno della Fede, e siamo giunti verso il cuore di questo anno, il tempo quaresimale,

tempo assolutamente propizio per dare alla nostra fede uno slancio in avanti, una concretezza che si manifesta nelle scelte quotidiane, che permetta la nostra seconda conversione. Nell’omelia di apertura dell’Anno della Fede il Papa Benedetto XVI ci ha ricordato che viviamo in una “desertifi cazione spirituale”, e che il cammino di questo Anno della Fede deve essere una sorta di “pellegrinaggio nei deserti del mondo contemporaneo, .... in cui portare con sé solo ciò che è essenziale: il Vangelo e la fede della Chiesa”. Con questo prezioso bagaglio incamminiamoci nel tempo della Quaresima, ricordando ciò che San Paolo scrive ai cristiani di Corinto: “Siete stati lavati, siete stati santifi cati, siete stati giustifi cati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio!” (1Cor 6, 11). Dobbiamo prendere coscienza della grandezza del dono di Dio che ci è fatto nei sacramenti dell’iniziazione cristiana: la vita nuova in Cristo! Eppure sperimentiamo sempre più spesso che questa vita noi la portiamo “in vasi di

creta” (2 Cor 4,7). E una vita “nascosta con Cristo in Dio” (Col 3, 3), e per questo è sottomessa alla soff erenza, alla malattia e alla morte. È una vita meravigliosa, ineguagliabile, sublime ma può essere indebolita e anche perduta a causa del peccato, che è cosa non ammessa a chi si è rivestito di Cristo (cfr. Gal 3, 27). Essere rinati nel Battesimo, aver ricevuto la pienezza del dono dello Spirito Santo nella Confermazione, nutrirsi del Corpo e Sangue di Cristo nell’Eucarestia, ci hanno resi “santi e immacolati al suo cospetto” (Ef 1, 4). Tuttavia rimane in noi l’inclinazione al peccato, lottando contro la quale, nel combattimento della vita cristiana, aiutati dalla grazia di Cristo, riusciamo più forti, più santi e proiettati verso la vita eterna alla quale il Signore non cessa di chiamarci.“Il tempo è compiuto e il regno di Dio è ormai vicino; convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1, 15): l’invito alla seconda conversione è un impegno continuo per tutta la Chiesa che “comprende nel suo seno i peccatori” e che, “santa insieme e sempre bisognosa di purifi cazione, incessantemente si applica alla penitenza e al suo rinnovamento” (Concilio Vaticano II, Lumen Gentium n. 8). E lo sforzo

VOCE del VESCOVO

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di conversione dell’uomo si incontra con l’amore misericordioso di Dio, che ci ha amati per primo (cfr. 1 Gv 4. 10). Ma in cosa consiste veramente la conversione? Certamente non in opere esteriori, non semplicemente in digiuni e mortifi cazioni, anche se necessari, ma nella conversione del cuore, nella penitenza interiore. Senza questo elemento essenziale le opere di penitenza rimangono sterili e, addirittura, menzognere. Solo la conversione interiore spinge a esprimere in segni visibili, in gesti e opere

di penitenza il radicale cambiamento interno. Ritornare a Dio è rompere con il peccato, provare un’avversione per il male, sentire una riprovazione nei confronti delle cattive azioni commesse. Ma al tempo stesso è provare il desiderio di cambiare vita, sperando nella misericordia di Dio e avendo fi ducia nell’aiuto della sua grazia, e muovendo, poi, i primi passi verso la nuova vita.Quali sono le forme esteriori della penitenza che devono esprimere il radicale cambiamento interiore? Il digiuno, la preghiera e l’elemosina; ma anche ogni gesto di riconciliazione, la sollecitudine per i poveri, l’esercizio e la difesa della giustizia e del diritto attraverso la confessione delle colpe ai fratelli, l’ascolto quotidiano della Sacra Scrittura, la correzione fraterna, la revisione di vita, l’esame di coscienza, la direzione spirituale, l’accettazione delle soff erenze, la perseveranza nella persecuzione a causa della giustizia. Prendendo ogni giorno la propria croce e seguendo Gesù, siamo sicuri di percorrere il pellegrinaggio della penitenza (cfr. Lc 9, 23). E l’Eucarestia è il nutrimento per il nostro pellegrinaggio penitenziale; essa “è come l’antidoto con cui essere liberati dalle colpe di ogni giorno e preservati dai peccati mortali” (DS 1638).E allora, miei cari fi gli e fratelli, in questa Quaresima togliamo spazio al deserto spirituale della nostra esistenza, e il nostro mondo e la nostra storia diverranno un giardino rigoglioso e fl orido. Dio ci aiuti.

VOCE del VESCOVO

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PRO

sabato 2 febbraio 2013

Convento san Francesco, Sava Celebrazione per la giornata della vita consacrata Ore 17:30

mercoledì 20 febbraio 2013

Basilica Cattedrale, OriaProcessione e solenne celebrazione per il Patrocinio di San Barsanofi o, patrono e protettore della Città e della Diocesi di Oria Ore 16:00

giovedì 28 febbraio 2013

Basilica Cattedrale, Oria“Scenni Crištu”, celebrazione dell’antico rito e della santa Messa con catechesi del VescovoOre 15:30

domenica 3 febbraio 2013

Chiesa parrocchiale di San Domenico, Oria Messa del Donatore con l’Avis comunale di Oria Ore 11:00

Chiesa madre, AvetranaCelebrazione per il patrocinio di San Biagio Ore 18:00

lunedì 11 febbraio 2013

Convento San Francesco, Sava Celebrazione per la Giornata del malato Ore 17:30

martedì 12 febbraio 2013

Basilica Collegiata del Rosario, Francavilla Fontana Celebrazione del Vespro solenne Ore 18:30

mercoledì 13 febbraio 2013

Basilica Cattedrale, Oria Celebrazione delle Sacre Ceneri Ore 17:30

giovedì 14 febbraio 2013

Basilica Cattedrale, Oria Festa diocesana dei fi danzatiOre 19:00

martedì 19 febbraio 2013

Chiesa Madre, Latiano Celebrazione per il Patrocinio diSanta MargheritaOre 18:00

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COMPLEANNI

6 febbraioSac. Antonio Carrozzo

7 febbraioMons. Lorenzo D’Ostuni

15 febbraioSac. Lorenzo Melle

16 febbraioSac. Crocifi sso Tanzarella

17 febbraioSac. Paolo Manna

18 febbraioSac. Rocco Leo

19 febbraioMons. Giovanni Turrisi

ANNIVERSARI di ORDINAZIONE

2 febbraioSac. Cosimo Massa - VII

5 febbraioSac. Raff aele Giuliano - XXX

11 febbraioSac. Domenico Carenza - VII

14 febbraioSac. Salvatore Rubino - XV

Agenda pastorale del Vescovo, febbraio 2013

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Amleto: «Quanto sta un uomo sottoterra prima di marcire?Il becchino: «Dipende, se non

è marcio prima di morire» (Amleto, Atto V).

L’Italia, giunta al Pronto Soccorso, è gravemente ammalata, in coma farmacologico. Le prossime elezioni la stanno portando in fi brillazione, per le promesse di riduzioni delle imposte, scandali bancari, un 2013 da limone spremuto. La ricetta dell’On. Schifani è: «Il governo ha tamponato le urgenze più gravi, ha tentato di risollevare il malato, sperando che potesse muovere

qualche passo da solo, ma si è dovuto prendere atto che questo Stato è troppo vecchio e, in molte sue parti, refrattario ad ogni cura». L’Italia Stato da Casa di Riposo. La ricetta dell’Europa prescrive rigore (che senza equità ha prodotto decrescita e gravi ripercussioni sul lavoro, i consumi, la salute e la tenuta sociale del Paese). La medicina placebo: “Una nuova Costituzione per la 3ª Repubblica”; è la fi ssa degli ambienti che lodano a parole la Costituzione e la dichiarano superata anche nei principi fondamentali, sabotatori in doppiopetto. Che cosa serve a quest’Italia per ripararne i danni e i malanni? Tante risorse! Tra cui un’Indignazione etica, sociale, politica e religiosa. Benedetto XVI il 7 gennaio u.s. ha detto al corpo diplomatico: «Se preoccupa l’indice diff erenziale tra i tassi fi nanziari, dovrebbero destare sgomento le crescenti diff erenze fra pochi, sempre più ricchi, e molti, irrimediabilmente più poveri. Si tratta, insomma, di non rassegnarsi allo spread del benessere sociale, mentre si combatte quello della fi nanza». Nella Giornata mondiale per la pace, il papa rimarca: «Allarmano i focolai di contrapposizione causati da crescenti diseguaglianze fra ricchi e poveri, dal prevalere di una mentalità egoista, espressa anche da un capitalismo fi nanziario sregolato”. Ha parlato non ad un ritiro per seminaristi ma al corpo diplomatico, con risonanza di dimensioni planetarie; parole contro Gatti e Volpi che invitano i tanti Pinocchio a piantar danari per far denari. A Siena il MPS lo ha fatto.Qual è l’humus che nutre i vari fattori di crisi? Credo che sia il “moderatismo”. Non parliamo della moderazione virtù, del «vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo» (Tt 2,12)”, del controllo delle passioni: sei iracondo? Mòderati e sii calmo; sei gran bevitore? Un bicchiere di vino basta! “Moderazione sociale”

evoca di per sé un clima tranquillo e rasserenante; poco reattivo alle diffi coltà del momento. La maggior parte degli italiani è moderata, al di là e in ognuna delle formazioni partitiche e sociali. Oggi dilaga la parola “moderato”, “moderazione”. F. Volpi cita un detto di Manzoni: «vi son di quelli che predicano che la virtù sta nel mezzo, il mezzo lo fi ssano giusto in quel punto dove loro sono arrivati e ci stanno comodi». E da lì non si schiodano. Come nel gioco delle freccette, uno si accavalla sull’ altro ferocemente, convergendo al centro, da tutti gli assi cartesiani. Il motto è: nessuno è indispensabile, ma ognuno è necessario. All’occasione, rispolverano il “Parigi val bene una messa” (chi canta messa dovrebbe essere più saggio). Tra minacce e salvacondotti, l’importante è essere in Parlamento e premere mille volte, durante la legislatura, il tasto per votare, come il prete che in chiesa avvia (stile RadioMaria) il rosario elettronico.Parafrasando B. Croce, gli Italiani “non possono non dirsi moderati”, ma l’urgenza e l’emergenza impongono di “non potersi più dire moderati”. Si può essere moderati sapendo (relazione del ministro Severino) che l’Italia è campione di processi arretrati (9 milioni) e di processi caduti in prescrizione nel 2012 (130 mila)? Si può aspettare mesi per una TAC? Si può essere moderati con la situazione delle carceri diff usamente illegale e con la soglia della povertà (dati ISTAT 2012) assoluta (3 mln d’Italiani) e relativa (8,2 mln)? O quando, a migliaia, gli adulti perdono il lavoro, i giovani vedono frustrati i mille sacrifi ci per darsi una formazione intellettuale inutilizzabile? A costoro si può dire: Aspettate il vostro turno!? Urge una task-force kamikaze di pronto intervento in ogni ambito, libera, operosa, competente; se no, di moderazione si muore. 1) Politica e moderatismo. «Accade che la moderazione, un tempo virtù, si trasformi in puro moderatismo. In politica i cattolici sono spesso identifi cati con i “moderati”, fi no ad apparire una componente quasi rinunciataria, votata all’accidia invece che una presenza profetica. C’è il rischio di confondere moderatismo con mediocrità. Diceva G. La Pira con franchezza: il moderatismo sta alla moderazione come l’impotenza alla castità» (L. Bobba). Non ci salverà un partito cattolico, ma i cattolici profeti nei partiti che non hanno nel calendario san Moderatismo, sant’Accidia, san Mifaccioifattimiei. In Italia, la crisalide della politica non si è trasformata in farfalla. L’ambigua non-scelta tra uno pseudo bipolarismo e un maggioritario strozzato dai partiti pre e post risorgimentali, pre e post fascisti ha portato alla fi era dei 219 simboli dei partiti “personali”; che la dice lunga su questa fabbrica dei sogni (di un milione di aspiranti sgomitanti). Una fabbrica che non si ammoderna, che non toglie nulla alla sovrastruttura e al barocco culturale, e che non molla la pingue

Di moderazione si può anche morire

anno VIII n. 2 Febbraio 2013

Franco Candita

PROSPETTIVE DI

MemOria

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polpa addentata. Non velocizza le riforme indispensabili; ama visibilità proponendosi come asse centrale, piramidale, gerarchica, quasi sacrale (per competenze e/o tessere). I moderati vanno gridando: è l’emergenza! Emergenza lavoro, emergenza sanitaria, emergenza giovani, donne, immigrati, emergenza carceri, emergenza diritti e sicurezza, emergenza del territorio, e salvaguardia dei beni archeologici, emergenza smaltimento rifi uti, emergenza mafi e. Un’emergenza che non fi nisce mai, è emergenza o catastrofe? I moderati invocano l’autoregolamentazione, perché restii ai controlli; lasciano i tesorieri soli alla cassa come un diabetico davanti a una torta. Ultimi Mohicani difendono nel bunker i privilegi di casta, abbordano il riformismo dell’ultima ora (con patti, agende) per non macchiarsi di lentezza elefantiaca. “C’è del marcio in Danimarca!” grida loro Amleto e ai diffi denti della democrazia partecipata, ai sospettosi dell’informazione digitale. È «nell’oscurità della scarsa trasparenza e di un’informazione pigra che le resistenze della burocrazia hanno fatto fallire il già debole riformismo italiano» (F. Forquet). Le ciance e gli spot elettorali esibiscono distillati inebrianti di “riformismo radicale” a quest’Italia moderata.Il moderato è più un mansionario che un responsabile. «Per chi è responsabile, la domanda ultima non è: come me la cavo eroicamente in quest’aff are? Ma: quale sarà la vita della generazione che viene?» (D. Bonhoeff er). «Noi stessi – aff erma A. Einstein – siamo parte del problema che stiamo aff rontando; e nel trattarlo ne usciamo modifi cati». I cittadini con riferimento alla Costituzione, i credenti al Vangelo. Quale Vangelo?2) Il Vangelo è l’antimoderazione dell’esistente. L’Incarnazione, la Trinità, le Beatitudini sono contenuti moderati? E la Pasqua è il miracolo della moderazione? «Maria di Magdala... vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro». «Lo straordinario si fa evento» (D. Bonhoeff er). Se questa pietra, che sigilla una tomba, non sta al suo posto, più niente è al suo posto. Se non c’è ordine neppure in un cimitero, davvero ogni cosa è sconvolta, non ci si ritrova più da nessuna parte» (Pronzato); la Risurrezione “perturba” l’ordine come l’abbiamo stabilito noi. «A Pasqua né la morte né la vita sono più quello che sono state fi nora. Nessuno è quello che vediamo. Io stesso non sono più io» (A. Maillot). La Pentecoste non è più bufera dei cuori? ”Venne all’ improvviso dal cielo un rombo, come di vento gagliardo”. «Spesso – scrive Pronzato - cerchiamo di amministrare lo Spirito, ridurlo a dimensioni di buon senso, dosarlo, regolamentarlo, per garantire ordine e disciplina, avallare le decisioni adottate e legittimare le scelte ormai fatte, svolgere la funzione di arbitro per i nostri giochi “giudiziosi”, con regole accurate fi ssate da noi». I sacramenti non sono doni d’amore? «L’Eucaristia non include la capacità di perdersi,

volontà di donarsi, fedeltà “fi no alla fi ne”? 3) Moderatismo e sistema ecclesiale. Aff erma Benedetto XVI: «Nell’anno della fede vorrei off rire un aiuto per approfondire le verità centrali della fede su Dio, sull’ uomo, sulla Chiesa, sulla realtà sociale e cosmica, meditando e rifl ettendo sul Credo. E vorrei che risultasse chiaro che i contenuti della fede si collegano direttamente al nostro vissuto». E auspica: «Quanti più apparati costruiamo, tanto meno c’è spazio per lo Spirito, per il Signore, e tanto meno c’è libertà. Dovremmo iniziare nella Chiesa un esame di coscienza senza riserve e dovrebbe avere conseguenze assai concrete, e recare con sé un’ablatio che lasci di nuovo trasparire il volto autentico della Chiesa». Il vissuto e l’ablatio abbattono i ruoli esaltano il servizio. Domande: I riferimenti al vissuto e alla realtà cosmica sono alla base dell’ecclesiale mediazione catechetica per adulti, giovani, e adolescenti? E, il messaggio immoderato del Vangelo è alla base delle relazioni nelle comunità? «Ci sono voluti secoli perché la Chiesa comprenda che l’amore trinitario è un amore di completa parità; chi costruisce comunità (preti, vescovi, laici) è un vocato al ‘superamento’ delle disuguaglianze, a dare forza ai più deboli, a purifi care da ogni tentazione di dominio e di sottomissione. Il vero potere nella Chiesa è quello di aprire lo spazio al potere di Dio. Quindi, dovrà “aiutare i più timidi a parlare, ascoltare la voce delle minoranze, degli emarginati”. Non si tratta più di un’autorità del controllo e della denuncia, bensì di un’autorità che apre lo spazio della sorprendente grazia di Dio per ciascun uomo. La vera sfi da alla leadership della Chiesa è: Se diamo credito, avremo credito» (T. Radcliff e). Se segue tale stile, non può, un costruttore di comunità, fi ngere di chiedere e poi strozzare le opinioni, di ascoltare ed essere sordo all’alterità, fi ngere umiltà e vivere nell’empireo della propria visione della realtà, chiedere condivisione e temere di perderci, pretendere unione e amare il potere.Dalle fresche sorgenti del Vangelo sono nati gli ordini religiosi, i mille samaritani della storia. L’agenda di Gesù proclama (a Nazaret) “l’oggi” di Dio nella sua persona e in coloro che fanno le scelte per gli ultimi. L’oggi di Dio è la fraternità che dispensa pace e gioia, che promuove giustizia e verità, che attua l’ “anno di grazia del Signore”.

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PROSPETTIVE DI

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Condizioni precarie, diff uso senso di inquietudine, diffi coltà nel “fare” famiglia, crisi di lavoro infl uenzano negativamente la visione della

vita e rimandano le scelte defi nitive, facendo registrare una crisi della natalità che determina un preoccupante squilibrio demografi co. Si prevede che nel 2020 per ogni fanciullo di 5 anni ci saranno 5 anziani “over 65”; un tempo vi erano tanti nipoti per un nonno, un domani assisteremo (considerato il fenomeno delle famiglie allargate) a vedere tanti nonni per un solo nipote: il progressivo invecchiamento sta creando reali diffi coltà relative al mantenimento di attività lavorative e imprenditoriali, impedendo il nascere di nuove iniziative per la riqualifi cazione del territorio.Si respira una crisi antropologica profonda, non meno grave di quella economica, non generata da quest’ultima ma sicuramente amplifi cata: ricerca della felicità

individuale, diffi coltà ad impegnare la propria libertà con quella dell’altro, consapevolezza di un amore umano “liquido” a scadenza, prima o poi destinato naturalmente a fi nire. Diminuiscono le celebrazioni dei matrimoni, mentre aumentano le separazioni e i divorzi.Iin Italia ogni giorno, per ogni matrimonio celebrato si registrano due separazioni, che il più delle volte portano al divorzio. Il momento che stiamo vivendo ci porta a rifl ettere e a porci delle domande sullo stile di vita e sulla scelta dei valori da testimoniare nel proprio ambiente vitale.Il dott. Vincenzo Santandrea è stato con noi nella conferenza organizzata dall’Uffi cio diocesano per la Pastorale della Famiglia in preparazione alla XXXV giornata nazionale per la Vita. Partendo dal messaggio del Consiglio Episcopale Permanente “Generare la vita vince la crisi” si è proposta la rifl essione di “Ripartire dalla famiglia che genera la Vita”. Il dott. V. Santandrea è responsabile regionale dell’Associazione Nazionale “Famiglie Numerose”, associazione che conta ben 15.000 famiglie aderenti con almeno 4 fi gli, promuove una cultura della Vita accogliente e solidale che sfocia nel desiderio di generare la vita, proprio perché i fi gli rappresentano, per una società civile, quel patrimonio insostituibile che riconferma il valore della persona e della vita umana, intangibile fi n dal concepimento.Se l’opera creativa ed educativa della famiglia è la sua prima ed insostituibile espressione del compito sociale che è chiamata a svolgere, le famiglie singole o associate possono dedicarsi a molteplici opere di servizio sociale, specialmente a vantaggio di quanti vivono situazioni di disagio, di povertà e di emarginazione, arrivando col proprio originale metodo e messaggio a tutte quelle persone che l’organizzazione previdenziale ed assistenziale delle pubbliche autorità non riesce ad incontrare. In riferimento alla Familiaris Consortio n. 44 si rileva

Ripartire dalla famiglia che genera la Vita

Mary e Mimino Matarrelli

anno VIII n. 2 Febbraio 2013

DIOCESANA

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la grande importanza che nella nostra società assume l’ospitalità, aprire la porta della propria casa e ancor più la porta del proprio cuore alle richieste dei fratelli, “ Siate…

premurosi nell’ospitalità” (Rm 12,13). Il compito sociale, che le famiglie sono chiamate a svolgere, può esprimersi anche in forma di intervento politico, pertanto, le famiglie cristiane, associandosi, devono adoperarsi affi nché le leggi e le istituzioni dello Stato sostengano e difendano positivamente i diritti e i doveri della famiglia. Le famiglie sono dunque chiamate a crescere nella consapevolezza di essere protagoniste della politica familiare, sentendo proprio il compito di trasformare responsabilmente la società, altrimenti la loro indiff erenza le porterà ad essere vittime di un’etica miope ed individualistica.È possibile, dunque, generare la vita che vince la crisi ripartendo dalla “famiglia” come luogo privilegiato di relazioni autentiche e durature, che aprendosi alla vita accolta come “dono” assume sempre più il volto di una comunità d’amore al servizio dell’uomo, occorre farsi prossimo, vivere la gratuità educandoci a donare qualcosa di noi stessi.“Non si esce dalla crisi generando meno fi gli o ricorrendo all’aborto che annulla il valore della vita” sono le parole del nostro vescovo mons. Vincenzo Pisanello: “È necessario un atto di coraggio, … un salto nel buio, andando oltre ciò che appare. Non fermarsi davanti alle nuvole, ma “affi darsi” a quel radar che non delude … per le famiglie cristiane: la Fede unita all’Amore. Esse sanno che la loro speranza non resterà delusa, perché chi ama è da Dio, chi si apre all’accoglienza della vita vede l’Amore, scegliendo la vita , scegliamo Dio, l’Amore che ci accompagna”. Per tutti è ricco di luminoso signifi cato, l’esempio della Sacra Famiglia di Nazareth, che seppe restare unita nei momenti di prova, superando le diffi coltà della vita con l’aiuto di Dio e la forza della Fede.

anno VIII n. 2 Febbraio 2013MemOria anno VIII n. 2 Febbraio

PREGHIERA PER LA FAMIGLIA

Che nessuna famiglia cominci per caso, che nessuna famiglia fi nisca per mancanza d’amore, che gli sposi siano l’uno per l’altra con il corpo e con la mentee che nessuno al mondo separi una coppia che sogna.

Che nessuna famiglia si ripari sotto i ponti, che nessuno si intrometta nella vita dei due sposi e nel loro focolare Che nessuno li obblighi a vivere senza orizzonti e che vivano del passato nel presente in funzione del futuro.

Che la famiglia cominci e fi nisca seguendo la sua strada e che l’uomo porti sulle spalle la grazia di essere padre,che la sposa sia un cielo di tenerezza di accoglienza e di calore e che i fi gli conoscano la forza che nasce dall’amore.

Che il marito e la moglie abbiano la forza di amare senza misurae che nessuno si addormenti senza aver chiesto perdono e senza averlo dato, che i bambini apprendano al collo il senso della vitae che la famiglia celebri la condivisione dell’abbraccio e del pane.

Che il marito e la moglie non si tradiscano e non tradiscano i fi gli, che la gelosia non uccida la certezza dell’amore tra i due sposi, che nel fi rmamento la stella più luminosa sia la speranza di un cielo qui, adesso e dopo.

(dal Cantico dei Cantici di Dante Alighieri)

DIOCESANA

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Santuario della Madonna di Cotrino, Latiano17 gennaio 2013

TESTI DI RIFERIMENTO: - CEI, Educare alla vita buona del vangelo. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, Roma 2011 (citato con la sigla EDBV);- CEI, Nota Pastorale Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, Roma 2004 (citato con la sigla VMPM).- BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, Roma 2009

1) UNA NUOVA STAGIONE PER L’EVANGELIZZAZIONE a. Parlare di Dio all’uomo di oggi: raccontando Dio all’uomo e l’uomo a Dio. La doppia conoscenza.

Per parlare di Dio all’uomo di oggi bisogna conoscere quattro realtà: in primo luogo Dio, in secondo luogo l’uomo, in terzo luogo è necessario conoscere l’oggi, cioè il contesto nel quale l’uomo si trova, e da ultimo conoscere noi stessi in rapporto a Dio (cioè il nostro carisma e la nostra vocazione, la nostra identità e la nostra dignità battesimale) e in rapporto agli altri, cioè il mandato missionario che ci ha dato il Signore. Noi spesso conosciamo Dio (o almeno crediamo diconoscerlo), ma conosciamo poco l’uomo, e ancor di più conosciamo meno l’oggi nel quale siamo immersi. Invece come chiesa siamo chiamati ad essere non solo esperti di Dio ma esperti d’umanità come ebbe a dire Paolo VI.

b. Parlare di Dio è fare opera di evangelizzazione: cioè tradurre (fare entrare) la logica del vangelo negli ambiti del vissuto umano, superando il divario tra fede e vita.

c. Tre provocazioni bibliche: - il profeta Aggeo (1, 1-15): l’evangelizzazione come via per costruire un nuovo umanesimo “integrale e trascendete” (CEI, EDBV, n. 5). Si tratta di ri-fare l’uomo. Oggi siamo chiamati ad annunciare il vangelo ad un uomo che è rotto dentro, un uomo ferito, malato, ripiegato su se stesso. Il tempio di cui parla Aggeo non è il tempio fatto di pietre ma il tempio che è l’uomo. S. Paolo dice “non sapete che siete tempio dello Spirito Santo?” (1 Cor. 6,19). L’uomo è il tempio di Dio che sta andando in rovina, e invece noi credenti ci stiamo preoccupando più del tempio fatto di pietre, di suppellettili piuttosto che del tempio di carne che è l’uomo. - il profeta Ezechiele (Ez 3, 16-21): la Chiesa non sta “fuori” ma sta “dentro” l’emergenza educativa secondo la logica dell’incarnazione. Il profeta Ezechiele ci dice che non possiamo salvarci da soli, ma che siamo l’una sentinella dell’altra, siamo responsabili gli uni degli altri. Ognuno si gioca la propria salvezza nella salvezza

SPECIALE

“La fede di fronte alle sfide del nostro tempo”

Michele Illiceto

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che procura agli altri. Non possiamo stare a guardare gli altri che si perdono e noi sentirci paghi della salvezza che abbiamo ricevuto. - Mt 5,13-16: Voi siete il sale della terra…voi siete la luce del mondo….il lievito (Mt13, 31). Il sale dà sapore, custodisce e conserva dalla corruzione; la luce dà chiarezza e calore, illumina e orienta, ci permette di vedere e di capire, ci tiene compagnia nei momenti bui. Oggi gli uomini hanno perso la luce e hanno scelto le luminarie, le luci della ribalta che non durano tutta la notte. Il lievito fermenta la pasta in modo silenzioso sembra qualcosa di rivoluzionare: il lievito fa crescere le cose piccole e nascoste, le cose apparentemente inutili e insignifi canti. Ci troviamo di fronte a tre metafore evangeliche che dicono tutta la nostra responsabilità vero l’uomo di oggi. La luce si mette sopra il moggio e non sotto. Ma qual è il moggio di oggi? Sono le strade, internet, la tv, i giornali, la scuola, i talk show, sono i luoghi dominati da chi ha il potere di ammaliare la gente con le proprie bugie.

d. Stare dentro la pasta del mondo: la crisi da ostacolo diventa tempo favorevole (kairòs) (CEI, EDBV, n. 30);

Scrivono i vescovi: “Illuminati dalla fede nel nostro Maestro e incoraggiati dal suo esempio, noi abbiamo invece buone ragioni per ritenere di essere alle soglie di un tempo opportuno per nuovi inizi. Occorre, però, ravvivare il coraggio, anzi la passione per l’educare” (n. 30). Dio con il suo popolo non ha avuto una vita facile. I momenti di crisi sono stati sempre momenti per ripartire: “Hai mutato il mio lamento in danza” (Sal 30). Nei momenti di crisi Dio mentre ci fa sperimentare tutta la nostra fragilità, ci rivela la sua misericordia.

e. Dalla “crisi dei giovani” alla “crisi degli adulti”: recuperare la passione educativa. I giovani da problema a risorsa (CEI, EDBV, n.32). Gli adulti tra demotivazione e disincanto, tra autorità e autorevolezza (CEI, EDBV, n. 12).

Quando parliamo dei giovani dobbiamo tenere conto che ci troviamo di fronte a quella che è stata defi nita la prima generazione incredula1. Non ci troviamo più di fronte a gente che va contro Dio ma a gente che è senza

Dio. Non ci troviamo di fronte ad un rifi uto frutto di un ragionamento, ma ad una indiff erenza frutto di ignoranza. Quella dei giovani è una generazione alla quale nessuno ha narrato la forza e la bellezza, la rilevanza umana della fede. Nessuno ha detto loro “perché” credere. Il nostro Dio oggi non è tanto “un Dio non creduto”, ma è piuttosto un “Dio ignorato”, relegato nell’insignifi canza totale, perché ritenuto poco interessante. Di conseguenza, la crisi educativa non riguarda le resistenze da parte di chi deve essere educato, ma concerne la sfi ducia di chi è chiamato ad educare. Spesso diciamo che sono i giovani ad essere in crisi. Ma è proprio così? La crisi dei giovani è fi siologica, è propedeutica ad un processo di maturazione, quella degli adulti invece è patologica, perché rivela una frattura, qualche cosa che non va.Se i giovani sono disorientati, gli adulti sono spaesati. Mentre i giovani non sanno da dove vengono e verso-dove devono andare, gli adulti non sanno dove si trovano, nel senso che non si riconoscono più nei luoghi che essi stessi hanno costruito e nei ruoli che ricoprono. Ai giovani manca la meta per questo sono appiattiti sul presente, agli adulti manca l’aggancio all’oggi per questo si rifugiano nel passato. I giovani sono rinunciatari, gli adulti sono nostalgici. Quella dei giovani è una crisi per mancanza di futuro, a loro manca la chiave per leggere il domani, mentre agli adulti manca la chiave per leggere il presente e potersi districare nelle problematicità dell’oggi. Ai giovani abbiamo rubato la speranza con la nostra disperazione. Abbiamo tarpato loro le ali per volare e provare a sognare. Il futuro che gli stiamo prospettando, da promessa è diventato minaccia. E quando il futuro diventa prigioniero della paura, anche il presente viene percepito come inutile.La crisi degli adulti è una crisi dovuta a stanchezza, ad una vita fatta di abitudini che portano alla noia e a una certa forma di disincanto e di delusione. La stanchezza poi genera un senso di impotenza e di inutilità. Questo trasforma gli adulti da protagonisti in spettatori, da cittadini in consumatori. Un nodo cruciale della emergenza educativa è perciò la necessità di ripensare i rapporti intergenerazionali. Ai giovani dobbiamo dare “radici”per non perdersi, e ali per tornare a sognare e a osare.

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1 A. MATTEO, La prima generazione incredula. Il diffi cile rapporto tra i giovani e la fede, Rubbettino 2010

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f. Da “essere sfi data”, la Chiesa deve “poter sfi dare”.

Non ci sono solo le domande che l’uomo pone a Dio e alle quali a volte noi credenti non sappiamo dare risposta. Ma ci sono anche le domande che Dio rivolge all’uomo e del le quali noi dobbiamo farci portatori. Con la nostra fede dobbiamo smascherare le false certezze messi in scena dai poteri occulti che manipolano da dietro le quinte la cultura e la società di oggi. Come Gesù dobbiamo metter in crisi, provocare, inquietare le coscienze per stimolarle a cercare ciò che conta davvero.

g. Ritornare ai fondamenti: la triplice appartenenza quale fondamento dell’identità del credente.- laici formati e corresponsabili;- presbiteri sensibili e attente guide di comunità. - Recuperare i tre munera: la dimensione sacerdotale, profetica e regale (del battesimo).

2) COME PARLARE DI DIO OGGI? LE ATTUALI SFIDE EDUCATIVE (CEI, EDBV, capitolo 2°). Fenomenologia dell’uomo contemporaneo: tra postmodernità e modernità liquida2.

a) Parlare di Dio in un mondo che cambia.

La prima cosa da fare è capire i cambiamenti evitando fatalismo e rassegnazione. Fare discernimento (CEI, EDBV , n 7). Nell’era della postmodernità, caratterizzata dalla “fi ne delle grandi narrazioni”3 (la metafi sica, l’etica, il diritto, la politica, la scienza e la religione, dove ci resta solo la poesia che forse ci può salvare), non serve spiegare, ma è ancor più importante narrare, raccontare, attestare. La fede non si piega, ma la si racconta, la si condivide per contagio di pelle a pelle. A volte anche in silenzio. Dobbiamo imparare a parlare di Dio senza mai nominarlo.

b) La società complessa (N. Luhmann)

La società di oggi è senza centro e senza unità. È policentrica (VMPM, n.2) in quanto il centro è dappertutto. Essa ha perso quella unità che caratterizzava

le società di un tempo. La società di oggi non è più riconducibile ad un unico sistema, ma è formato da tanti sottosistemi autoreferenziali. Per cui si appartiene a mondi diversi, distanti e a volte contraddittori (VMPM, n. 2). La cosa più diffi cile è passare da un sistema ad un altro (dalla scuola al mondo del lavoro, dalla vita familiare alla vita sociale, di gruppo, dalla vita aff ettiva alla vita sociale, etc..). Essa è caratterizzata dalla frammentarietà e dalla confl ittualità. E nel passaggio da un sottosistema ad un altro molti si perdono. Oggi dobbiamo aiutare la gente a rimettere insieme i pezzi. La metafora è quella dell’uomo ragno che tesse le fi la della ragnatela per non perdersi negli infi niti meandri della complessità. A livello di evangelizzazione questo signifi ca che prima la fede veniva data in famiglia, veniva corroborata a scuola, in un terzo tempo trovava conferma e ulteriore omologazione nella città, e solo in seguito veniva resa maggiormente consapevole in parrocchia. La parrocchia non iniziava alla fede perché l’iniziazione avveniva in famiglia con il supporto della scuola e dell’intero paese. Famiglia, scuola e città erano tre grembi che formavano un sistema unitario che si comportavano come generatori di fede, sui quali si appoggiava la parrocchia che interveniva su un tessuto antropologico già preparato e consolidato. Oggi questo sistema formativo integrato non esiste più. Lo dobbiamo rifare, ricucendo le fratture e le cesure tra i vari ambienti di vita.

c) La società globale

Dobbiamo fare i conti con il fatto che il mondo è diventato un grande “villaggio globale” (M. McLuhan). È venuta meno la dicotomia tra l dentro e il fuori, per cui siamo tutti fuori e tutti gli altri sono dentro. Lo spazio comunitario è diventato permeabile. Siamo più esposti e ciò genera insicurezza, paura, ansia. Non ci sono più muri visibili che ci proteggono. Ma la paura crea il nemico anche quando esso non c’è. Per questo c’è la corsa a creare nuovi muri, di tipo simbolico, più invisibili e più diffi cili da abbattere. Noi cristiani invece dei muri dovremmo creare ponti. Si sono ridotte le distanze e si sono velocizzati i tempi: dopo la morte della storia stiamo celebrando la morte della geografi a. In una società dove il “locale”, il territorio a noi più familiare, è subordinato alle veemenze del

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2 Z. BAUMAN, Modernità liquida, Roma - Bari, Laterza, 2003.

3 F. LYOTARD, La condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano 1981.

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globale, assistiamo a forme di sradicamento e di deterritorializzazione: non abbiamo più il potere di controllare gli eventi perché non solo sono più grandi di noi, ma soprattutto perché gli attori si sono fatti invisibili e sono concentrati in poche persone che agiscono in modo globale.

d) La società plurale

Ci troviamo a vivere in un doppio pluralismo: religioso e culturale. La società oggi più che educare ala fede educa ala libertà religiosa. E questo sia a causa dei fl ussi migratori che della laicizzazione della cultura. Come comportarci? Dobbiamo educare al e nel rispetto delle diversità, per cercare più ciò che unisce che ciò che divide, mantenendo la diff erenza cristiana. Cercare quelle che il fi losofo Italo Mancini chiamava le “convergenze etiche”. Senza tuttavia confondere il relativismo con il pluralismo. Il primo dice che non vi è alcuna verità, o che non vi è un’unica verità, ma che ognuno ha il diritto di crearsi una propria verità. Il secondo invece aff erma che alla stessa verità si può arrivare per vie diverse e che la stessa verità può essere detta in linguaggi diversi.

e) L’epoca delle passioni tristi4 e la società estetica. La morte del desiderio

Prima le passioni erano in funzione del legame. Eros era in funzione di Agape. Oggi invece il legame è in funzione della passione, fi no ad arrivare a delle passioni senza più legami. Le passioni che non si trasformano in legami diventano tristi, perché restano incompiute. Perchè sono i legami che danno senso alle passioni.Ci troviamo nella “società estetica”5 dove si ha il dominio dell’esteriorità e dove l’uomo è stato rubato della propria interiorità. Il 44° Rapporto Censis parla di un “inconscio collettivo senza più legge né desiderio”, parla di pulsioni sregolate, di un egoismo autoreferenziale e narcisistico. Vi è un eccesso di stimolazione esterna che supplisce il vuoto interiore del soggetto. Prevale più la curiosità che la ricerca. Si cerca di vivere più l’intensità che la “profondità”; si cerca ciò che è immediato e si ha paura di affi darsi alla logica della promessa che chiede fedeltà. Invece della linearità che da valore al senso dell’attesa, prevale la simultaneità che ci fa vivere nella logica del

consumare tutto qui, adesso e subito. Nello spazio estetico l’uomo diventa un collezionista di esperienze, sena un fi lo conduttore che le tenga unite e che dia ad esse un senso. Manca un progetto unitario e coerente. Dominano le emozioni e ciò che conta è più quello che si prova e si sente per sé piuttosto che quello che ha valore in sé (sia esso l’altro o io stesso).Per essere abbiamo bisogno di apparire: l’ostentazione e il potere dell’immagine ci seducono. Non è importante essere ciò che siamo, ma importante è fare credere agli altri che lo siamo.

f) L’epoca del nichilismo. Oltre l’ateismo.

Il nichilismo, riprendendo un defi nizione di Nietzsche, è stato ribattezzato come un ospite inquietante6. Nell’era del nichilismo l’uomo si coglie come un essere gettato nel mondo (Heidegger), senza origini e senza un “fi ne” (telos, skopos, eskaton). Al posto de “il” fi ne, “la” fi ne. Nichilismo signifi ca anche crisi o assenza di senso. Questo vuol dire che dobbiamo educare nell’era del vuoto. Un vuoto però che è “pieno di niente”. Non si tratta di un vuoto “vuoto”, ma un vuoto pieno di cose inutili. Il che è peggio, perché dobbiamo prima rimuovere le cose sbagliate con cui ci siamo riempiti, per poi fare spazio alle cose autentiche. Dire che siamo pieni di nulla signifi ca che il nulla ci riempie, solo che ci riempie svuotandoci. Siamo pieni fuori e vuoti dentro (cfr. la canzone “Sono un vuoto a perdere”). È come dire che siamo dei quadri senza pareti. Da qui il valore pedagogico del monito della S. Scrittura: (Is 55, 1-3)“O voi tutti assetati venite all’acqua,chi non ha denaro venga ugualmente;comprate e mangiate senza denaroe, senza spesa, vino e latte.Perché spendete denaro per ciò che non è pane,il vostro patrimonio per ciò che non sazia?Su, ascoltatemi e mangerete cose buonee gusterete cibi succulenti.Porgete l’orecchio e venite a meascoltate e voi vivrete”.

Nella crisi di senso ci troviamo di fronte ad un uomo spaesato: senza patria (Heimatlosigkeit). In perenne esilio, per cui si parla di “nomadismo” (VMPM, n. 2). Non è

4 M. BENASAYAG – G. SCHMIT, L’epoca delle passioni tristi,Feltrinelli, Milano. 20045 C. GIACCARDI – M. MAGATTI, L’Io globale. Dinamiche dela socialità contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001

6 U. GALIMBERTI, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli, Milano 2007

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spaesato chi è disadattato rispetto ad un fuori, ma chi lo è rispetto ad un dentro. Se il modo di fuori comincia dal mondo interiore, è chiaro che senza un mondo interiore l’uomo non sa riconoscere neanche i luoghi esteriori. Per cui l’uomo non è estraneo fuori, ma è estraneo dentro. Perché è senza interiorità. È un estraneo in casa propria, colonizzato dai poteri che dall’esterno lo vogliono dominare per manipolarlo. Ecco perché oggi assistiamo a nuove forme di dipendenza. Sena interiorità siamo più facilmente manipolabili, siamo pèiù fragili, più esposti, senza difese, sena luoghi di riparo. Un’altra diffi coltà emerge dalla crisi di interiorità Capita infatti che se l’uomo non sa stare dentro il proprio mondo interiore non potrà mai incontrare Dio che in quel mondo ha posto le tracce per cercarlo. Ce lo dice S.Agostino:

“Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me, e non ero con te” (Confessioni, X, 27,38).

Inoltre senza un mondo interiore non potremo mai portare un altro (il partner, il prossimo) dentro di noi, non potremo mai ospitare nessuno in quel luogo dove noi stessi siamo estranei. La crisi di coppia comincia da qui: senza interiorità non c’è autentica relazione con l’altro.

g) Educare nella Babele delle parole ferite, delle parole senza Logos. Il problema del linguaggio

L’uomo usa le parole per stare al mondo, per dare un signifi cato alle cose, per comunicare, per rappresentarsi la realtà e se stesso. Dio stesso ha comunicato all’uomo usando le parole dell’uomo. Cristo, la Parola del Padre fatta carne, ha redento le parole dell’uomo ridandole senso e direzione, profondità e mistero, calore e intensità. Le ha restituite il potere della signifi cazione e della comunicazione. Ha ri-scritto la grammatica di Dio nel linguaggio dell’uomo. “Ecco io faccio nuove tute le cose” dice il Signore.Dovremmo rifl ettere di più sul fatto che la crisi della comunicazione oggi non è crisi legata agli strumenti, ma è crisi dovuta al fatto che le parole sono orfane di senso (LOGOS). Le parole di oggi si sono svuotate, sono

parole ferite, sono state sporcate. Sono orfane di senso e orfane di silenzio.Da qui il nostro compito educativo: ripulire le parole con la Parola. Solo se salveremo le parole potremo aiutare glia uomini a tornare a comunicare davvero, ad essere meno soli, a fare del linguaggio un evento di signifi cazione.

h) Nel vuoto degli dei si ha l’idolatria delle cose e ciò crea nuove forme di dipendenza.

L’idolatria delle cose si chiama consumismo, mancanza di sobrietà. Il Vangelo anche qui ci educa: «Quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita?» (Mt 16,26).

i) L’epoca del relativismo-scetticismo: l’uomo sena verità (CEI, EDBV, n. 11).

Non esiste più una verità unica per tutti. Ognuno si costruisce la propria verità. La verità è frutto di convenzioni, di contrattazioni e di negoziazioni, di compromessi, di accomodamenti. Quando si ha paura della verità si fi nisce con il dire che non ne esiste una. Noi siamo per una verità che non ha paura dei dubbi, ma per una verità che resiste al do dubbio. Perché il ruolo del dubbio che aiuta a crescere. L’assenza di verità ci fa fraintendere anche la carità, “amore” (cft r Caritas in veritate di Benedetto XVI). Ci fa fraintendere la libertà. Per noi la verità è vera solo se ci rende liberi: liberi per il bene, per il bello. La verità illumina il signifi cato autentico della carità, e la carità carica la verità di quel calore che la mette al riparo di astrattismi e nozionismi vari. Senza verità il bene è ridotto all’utile, e il bello è ridotto alla sola sfera del piacevole.

j) Educare nell’epoca della crisi dell’identità personale: tra scambiabilità e maschere

L’identità oggi è stata ridotta al ruolo che uno ricopre, all’immagine che si è costruita per non dispiacere agli altri. Invece l’identità vera non è ciò che di noi appare, ma ciò che ciascuno di noi è per sé e per gli altri, comprese le proprie fragilità. L’identità invece è la consapevolezza di essere se stessi nonostante tutto, è coerenza, è mettere ordine dentro

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8 Cfr. U. GALIMBERTI, Psiche e techne, Feltrinelli, Milano 20007 Cfr. J. BAUDRILLARD, Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà?, Raff aello Cortina, Milano, 1996.

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il proprio mondo interiore a partire da un centro che illumina e da senso ad ogni nostra scelta e azione. E solo chi ha un mondo interiore (fatto di valori solidi) può portare un altro dentro di sé per amarlo e custodirlo. Non identità chiuse, rigide, ma aperte alla diff erenza, identità ospitali, capaci di farsi carico di altre identità.Identità è anche capacità di saper stare da soli, pagare di persona il prezzo delle proprie scelte. Solo chi sa stare da solo con se stesso saprà stare con gli altri. E non si sta con gli altri per fuggire dalla propria solitudine. Pensiamo ad es. a quanta solitudine ci può essere in una coppia. Per noi cristiani l’identità ha un fondamento in più: signifi ca imparare a guardarsi e conoscersi come mi guarda e mi conosce Dio: “Signore tu mi scruti e mi conosci” (Sal 139). Nel contesto di questa crisi di identità suggerisco un percorso educativo incentrato su tre verbi: CERCARSI, TROVARSI E DONARSI.Il primo verbo è CERCARSI. Oggi l’uomo o non si cerca o si cerca su vie sbagliate. Ad un uomo che non si cerca noi cristiani dobbiamo in primo luogo educare a cercare. Perché nel mentre si cerca l’uomo possa scoprire che egli è cercato da un altro, che in Cristo ha preso un nome e un volto. Ecco il cammino educativo: solo se cerco me stesso scopro che sono cercato da Dio. E così l’uomo scopre di essere allo stesso tempo cercante e cercato: anzi doppiamente cercato e cercante. Ma per cercare ognuno di noi deve rientrare in se stesso (parabola del fi gliol prodigo e monito di S. Agostino). E per rientrare in se stesso deve essere guidato a farlo. Ecco il ruolo dell’educatore che deve fare maieuticaIl secondo verbo è TROVARSI. Trovarsi è riconoscersi e accettarsi, riconciliarsi con la propria fragilità, con la propria ombra, anche con il proprio peccato;Il terzo verbo è DONARSI. Infatti non ci si trova per tenersi tutto per sé. L’uomo non è fatto per essere solo, ma è fatto per un altro, perché è un essere in relazione. Se io mi tengo per me, ciò che ho trovato muore e ammuffi sce. Se invece ciò che ho trovato lo metto in circolo esso si moltiplica. È questo il senso pedagogico della frase evangelica: “Chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la sua vita per amor mio, la troverà” (Mt 16, 25). L’unico modo per non fare morire la vita ritrovata è donarla.

k) Le sfi de della società tecnologica e virtuale

Oggi assistiamo alla morte del mondo reale7 e all’avvento de cyberspazio. Non si tratta di criminalizzare i nuovi media, ma anzitutto di capire gli eff etti che essi possono provocare a diverso livello (cognitivo., aff ettivo, sociale e relazionale), allo scopo di educare adulti e giovani ad un uso critico degli stessi. Molte metafore evangeliche oggi sono categorie mediatiche (pensiamo al concetto di rete, all’idea del navigare). Certo tutto questo crea molte sfi de soprattutto legate a forme di isolamento, dipendenza, assuefazione, intossicazione emotiva. Dice il papa Benedetto XVI che aumentano pure i pericoli di omologazione e di controllo, di relativismo intellettuale e morale, già ben riconoscibili nella fl essione dello spirito critico. Cambia l’idea di verità ridotta al gioco delle opinioni. Si hanno molteplici forme di degrado e di umiliazione dell’intimità della persona. Si assiste allora a un “inquinamento dello spirito, quello che rende i nostri volti meno sorridenti, più cupi, che ci porta a non salutarci tra di noi, a non guardarci in faccia…” (Discorso in Piazza di Spagna, 8 Dicembre 2009). Quali compiti educativi hanno i comunicatori della fede oggi di fronte alle sfi de dei nuovi media? “Di fronte a questo “nuovo areopago”, plasmato in larga misura dai media, dobbiamo essere sempre più consapevoli che «l’evangelizzazione stessa della cultura moderna dipende in gran parte dal loro infl usso» (GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris missio, 37). Potremmo sentirci inadeguati e impreparati; non dobbiamo tuttavia scoraggiarci” (Giovanni Paolo II).Nostro compito è “Contrastare l’assimilazione (assuefazione) passiva di modelli ampiamente divulgati e di superarne l’inconsistenza, promuovendo la capacità di pensare e l’esercizio critico della ragione” (EDBV, n. 10).È necessario «aiutare le comunità ecclesiali a prendere coscienza del ruolo dei media nella nostra società; far maturare una competenza relativa alla conoscenza, al giudizio, alla utilizzazione dei media per la missione della Chiesa; sviluppare alcune idee circa i punti nevralgici della pastorale delle comunicazioni sociali (comprensione dei media come cultura e non solo come mezzi, ecc.); off rire una piattaforma comune per i piani pastorali che ciascuna diocesi è chiamata a realizzare» (dal Direttorio sulle comunicazioni sociali nella missione

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7 Cfr. RICA, Introduzione, n. 25

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della Chiesa).

l) L’era della tecnica e il rovesciamento mezzi-fi ni8.

Prima l’etica dava i fi ni e la tecnica off riva i mezzi. Oggi le cose sono cambiate. La scienza e la tecnica non si propongono di raggiungere delle fi nalità e degli scopi, ma solo dei risultati. Pensiamo alla bioetica, al fatto che la tecnica non è più uno strumento nelle mani dell’uomo, ma è l’uomo che rischia di diventare uno strumento nelle mani dei tecnocrati (ultimo capitolo della Caritas in veritate). Penso alla manipolazione dei corpi rifatti e rimodellati. IL dominio della tecnica ha segnato la fi ne dell’etica classica basata sulla bontà dell’intenzione (Kant). Oggi sperimentiamo un nuovo limite, quello che deriva dall’imprevedibilità degli eff etti. Come dice Galimberti, l’unica etica applicabile è l’etica del viandante. Cioè un’etica di colui che aff ronta un percorso senza mappe e decide di volta in volta come procedere, senza principi precostituiti. L’etica del viandante si rifà al pensiero di Omero. Ulisse è un viandante, e decide, esprimendo un giudizio e aff rontando le situazioni di volta in volta. È come dire che ci muoviamo senza alcuna certezza.L’unica certezza è che sono fi nite le certezze.

m) Dalla “morte di Dio” alla “morte dell’uomo”

“Se Dio non c’è tutto è permesso”. Qui si inserisce un’altra sfi da: quella del neopaganesimo (S. Natoli, I nuovi pagani, Il Saggiatore) secondo cui l’uomo non ha bisogno di essere salvato perché è caduta l’idea della colpa.

3) QUALE PROPOSTA PASTORALE -EDUCATIVA: quattro percorsi di ri-signifi cazione9.

- Risignifi care Dio all’uomo: per alcuni Dio non esiste perché è indimostrabile, per altri perché è insignifi cante. Ridare senso a Dio signifi ca suscitare in lui la nostalgia di Dio, il dolore per una vita vissuta senza di lui. Dio è la più grande domanda che l’uomo si porta dentro, domanda assopita, domanda muta, domanda taciuta, ma anche domanda che fa sentire tutto il suo peso in tanti modi, per questo più che parlare di “morte”

dobbiamo parlare di “eclissi” di Dio, insostituibile domanda. - Dobbiamo aiutare l’uomo del nostro tempo a provare dolore per l’assenza di Dio, non per restare schiacciato sotto il peso della disperazione, ma per destarsi dal torpore in cui è caduto. Dobbiamo aiutare l’uomo a rientrare in se stesso per guardarsi dentro e decifrare i sintomi del suo disagio come epifenomeno di questo deserto, di questo esilio, di questo sentirsi straniero a casa su. Un famoso proverbio rabbinico racconta che «I giovani chiedono al vecchio rabbino quando è cominciato l’esilio di Israele. E il vecchio rabbino risponde: l’esilio di Israele cominciò in giorno in cui Israele non soff rì più del fatto di essere in esilio». L’esilio non è la lontananza dalla patria, ma è quando non hai più la nostalgia struggente della patria perduta, quando l’indiff erenza, l’accasarti nella notte ti rende insensibile al desiderio,  nostalgia di ciò che darebbe senso alla tua vita.  Quindi il primo compito è risvegliare la domanda di Dio nell’uomo.- Risignifi care l’uomo a Dio: abbiamo presentato un Dio distaccato, lontano dalle vicende dell’uomo, una specie di spettatore impassibile e neutro dei suoi dolori, che giopva a dadi conle vicende degli uomini, come se a Dio l’uomo non interessasse nulla, e invece l’uomo è la più grande passione per Dio Ce leggiamo il Salmo 8: “Che cosa è l’uomo perché te ne curi, il fi glio dell’uomo perché te ne dai pensiero?” Dio non ci chiede di amare meno l’uomo per amare di più Lui, ma al contrario ci chiede di amare di più Lui per amare meglio e fi no infondo l’uomo..”Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio suo unigenito” (GV3) L’uomo è la passione di Dio, è ciò di cui egli si prende cura (Il Signore rialza chi è caduto). Dobbiamo recuperare la visione dell’uomo come creatura e come fi glio, come “Imago Dei” e come “Imago Christi”.- Risignifi care l’uomo a se stesso: il problema più grande per l’uomo di oggi non è che si ama troppo, ma che si ama troppo poco. Ci sono molte antropologie negative che aff ermano che l’uomo è una passione inutile (Sartre), o che l’uomo è passato di moda (Cioran), o che è una semplice invenzione (Foucault). Per noi invece l’uomo è immagine del Dio vivente. Questo percorso lo prendo dalla parabola del fi gliol prodigo, dove la frase chiave è “Rientrò in se stesso”. Se quel giovane non fosse rientrato in se stesso non avrebbe mai capito

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9 Per un approfondimenti di tali questioni mi permetto di rimandare aM. ILLICETO, Fedeltà a Dio e fedeltà all’uomo, Edizione Acropoli,Manfredonia 2007

8 S. Th eol., II-II, q. 1, a. 4, ad 2

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che nonostante tutto era ancora fi glio, non avrebbe mai incontrato laggiù nel profondo del suo cuore lacerato il Padre che lo aspettava, e non sarebbe mai tornato a casa, perché quella casa ce l’aveva dentro di sé, era una stanza in cui il Padre aveva lasciato le sue tracce di cui poter fare memoria. La tesi allora è che se l’uomo perde se stesso non può mai trovare Dio: “Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina se stesso? “(Lc 9,25). Questo percorso ci dice che per ricucire il rapporto dell’uomo con se stesso non basta ritessere la sua identità (cosa importante da un punto

di vista psicologico) ma bisogna ricostruire lo spazio della sua interiorità. Dobbiamo rifare la persona dal di dentro. Dobbiamo accompagnare l’uomo in questo suo viaggio interiore fi no nelle stanze buie e chiuse del suo castello interiore (S, Teresa D’Avila).- Risignifi care l’uomo all’altro uomo: questo lo prendo dal monito di Dio a Caino nel libro della Genesi: ”Caino dov’è tuo fratello?” Riguarda la fraternità e la socialità. Oggi ci troviamo a contrastare una terza morte – dopo quella di Dio e dell’uomo – si tratta della “morte del prossimo”10.

SPECIALE

10 Per L. ZOJA, La morte del prossimo, Einaudi, Torino 2009

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Il prossimo è morto, ma un certo prossimo più di altri: quello vicino (“distanza dal vicino, vicinanza dal lontano”). Il prossimo si è trasformato in lontano, uscendo dallo spazio. E il vivo si è trasformato in morto, uscendo dal tempo. Il fratello in nemico, e l’indiff erenza ci rende spettatori degli altri senza che ci riguardino. La parabola del Buon Samaritano qui torna di attualità, perché dobbiamo rifare la comunità. Dobbiamo raff orzare i legami e le relazioni ad ogni livello.

4) QUALE MODELLO DI EVANGELIZZAZIONE?

- Alla scuola di Gesù “il” Maestro: la pedagogia dell’incarnazione (CEI, EDBV, nn. 17-18)- La pedagogia di Gesù: lavorare sulle “domande mute” (Gv 1, 35-39)- Alla scuola di Gesù: dall’incontro alla relazione - Gesù “Via, verità e vita”.- Gesù educa con “parole e gesti intimamente connessi”: la lavanda dei piedi - Dio ha fi ducia nell’uomo: l’uomo da “problema” a “mistero”

5) EVANGELIZZARE COSA E DOVE?a. Evangelizzare la religione (la cattiva religione). Evangelizzare noi stessi. (Con quale fede evangelizziamo?).- La fede non va più presupposta, ma va proposta (VMPC, n. 6)- Educare “alla” fede (CEI, EDBV, n. 37) - Educare (ri-educare) “la” fede. Prima di educare alla fede, bisogna suscitarla- Prima di aiutare ad imparare dobbiamo aiutare a disimparare: il metodo della destrutturazione.- Quale fede è necessaria per evangelizzare?§ fede pensosa ed operosa, che sa intercettare le domande che l’uomo ha rimosso e che sa tradurre tali istanze in prassi di evangelizzazione in grado di incidere nei cuori e nelle menti; § fede critica di fronte all’esistente, capace più di mettere in crisi che lasciarsi mandare in crisi; che non ha paura dei dubbi, ma che teme le verità a buon mercato, quelle che per imporsi evitano l’esercizio del dialogo e del confronto, del dubbio di chi Dio non lo ha ancora trovato;

§ fede dinamica,che disarma e disincanta che spoglia le false verità e che lavora per non appiattirsi e omologarsi alle logiche dominanti, ma profeticamente capace di smuovere e destrutturate le bugie del nostro tempo, per preparare il terreno all’unica e fera grande verità; fede che mette in crisi e che fa ripartire; § fede solidale, che, ispirata dalla carità, sa costruire relazioni sociali ispirate al principio della gratuità e del dono di sé, che sa mettere nel circuito della città istanze di condivisione per tracciare percorsi di fraternità e di inclusione;§ fede liberante e progettante, che sa coniugare la santità con la vita, il distacco dalle cose con la lotta per la giustizia, per costruire una polis fondata sul rispetto dei diritti e della dignità di ogni uomo considerato come persona; § fede spirituale che non cerca la forza dei ruoli che si ricoprono, né si nasconde dietro il potere delle istituzioni, ma vive nella logica della croce, aspettando che il seme gettato porti il frutto che non ci appartiene, nel distacco dalle opere e nella pazienza delle stagioni di cui solo il Padre conosce i tempi e i ritmi;§ fede comunicativa che sa suscitare nei cuori assopiti, rinunciatari e stanchi, la bellezza delle domande vere, per far sì che Dio torni ad abitare sia il pensiero e sia il linguaggio. Ciò esige un’operazione importante redimere le parole con la Parola. Siamo in un tempo di crisi della parola, in cui ciò che domina o il silenzio rinunciatario, scelto da chi ha visto che le parole sono usate per ingannare, o l’infl azione delle parole che uccide il silenzio perché il silenzio fa paura: “Non di solo pane vive l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Come cristiani UDITORI DELLA PAROLA. Siamo chiamati a guarire le parole con il silenzio: il silenzio come la gestazione delle parole da ridire e da rimettere in circolo per una comunicazione autentica. Solo una parola che nasce dal silenzio e dall’ascolto sa scendere in profondità, sa fare una nuova e potente maieutica. Le parole oggi restano in superfi cie perché non sanno toccare il cuore dell’uomo.- Educare “attraverso” la fede… La dimensione educativa dei Sacramenti, della liturgia e della carità. Unità dei tre ambiti.- Educare facendo emergere la “dimensione missionaria (n. 23)….(Cfr. CEI, VMPM, n.4-5): dalla comunione alla missione. La cura per i lontani.

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- Educare facendo emergere la “dimensione ecumenica e dialogica”( CEI, EDBV , n. 24).- Educare facendo emergere la dimensione escatologica: alla fi nalità-inattesa-sorpresa di Dio.- Quale catechesi? Dal “primo annuncio” al “secondo annuncio”.11 - Dalla catechesi come coltivazione alla catechesi come semina.- Dalla logica dell’esposizione alla logica della scoperta

b. Evangelizzare la cultura, il pensiero e il linguaggio.- Una fede amica dell’intelligenza, della libertà e dell’amore (CEI, EDBV, n. 15). Scrivono i vescovi: “La fede, infatti, è radice di pienezza umana, amica della libertà, dell’intelligenza e dell’amore. Caratterizzata dalla fi ducia nella ragione, l’educazione cristiana contribuisce alla crescita del corpo sociale e si off re come patrimonio per tutti, fi nalizzato al perseguimento del bene comune” (n. 15).- Educare la libertà e alla libertà (le quattro dimensioni della libertà: libertà da, libertà di, libertà con , libertà per) ( CEI, EDBV, nn. 8. 15. 28), oltre il solipsismo, il narcisismo e l’autoreferenzialità. Nel rapporto tra fede e libertà (CEI, EDBV, n. 27), la fede può dare una mano. La libertà non deve essere un motivo di scontro ma motivo di incontro tra il vangelo e l’uomo. Scrivono i vescovi: “Un segno dei tempi è senza dubbio costituito dall’accresciuta sensibilità per la libertà in tutti gli ambiti dell’esistenza: il desiderio di libertà rappresenta un terreno d’incontro tra l’anelito dell’uomo e il messaggio cristiano” (n. 8). E ancora più avanti scrivono: “Nell’educazione, la libertà è il presupposto indispensabile per la crescita della persona. Essa, infatti, non è un semplice punto di partenza, ma un processo continuo verso il fi ne ultimo dell’uomo, cioè la sua pienezza nella verità dell’amore. «L’uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà. I nostri contemporanei stimano grandemente e perseguono con ardore tale libertà, e a ragione. La dignità dell’uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere. L’uomo perviene a tale dignità quando, liberandosi da ogni schiavitù di passioni, tende al suo fi ne mediante la scelta libera del bene»”(n. 8).- La fede libera la libertà attraverso l’esperienza

dell’amore che si affi da e si fi da. Solo un uomo libero può liberare altri uomini. Perché solo chi è veramente libero può amare, ma è anche vero che solo chi ama diventa sempre più libero.- L’educazione infatti è l’incontro tra due libertà (CEI, EDBV, n. 26 e 28). Scrivono i vescovi: “Al centro dell’esperienza cristiana c’è l’incontro tra la libertà di Dio e quella dell’uomo, che non si annullano a vicenda. La libertà dell’uomo, infatti, viene continuamente educata dall’incontro con Dio, che pone la vita dei suoi fi gli in un orizzonte nuovo: «Abbiamo creduto all’amore di Dio – così il cristiano può esprimere la scelta fondamentale della sua vita. All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva»” (n. 28).

- Dio mette in conto un margine di errore, la possibilità che io possa cadere. Il vero educatore non è colui che evita di cadere, o che quando il ragazzo cade fa dei drammi, ma è colui che insegna a rialzarsi, anzi è colui che quando l’altro cade non gli toglie la fi ducia perché sa che egli è molto di più degli errori commessi. Ecco la pedagogia di Dio: “Se il tuo cuore ti rimprovera qualcosa, sappi che Dio è più grande del tuo cuore” (1 Gv) e “Il Signore rialza chi è caduto” (Sal 145).

c. Evangelizzare le relazioni. Contro l’analfabetismo aff ettivo.- Educare alla relazione Io-Tu-Noi (CEI, EDBV, n. 9). La struttura relazionale della persona: la relazione con se stessi, con altri, con Dio: (tra identità e alterità): dalla persona alla comunità. Questo esige che educhiamo “le” relazioni (dandole un fondamento e una direzione); educhiamo “alla” relazione attraverso l’esercizio del decentramento del proprio ego; ed educhiamo “attraverso” la relazione, condividendo e partecipando alle fasi di crescita delle persone che ci vengono affi date.

d. Evangelizzare i corpi, la sessualità, ’amore- Educazione aff ettiva: per vincere l’analfabetismo aff ettivo.. ..oltre i legami “a breve scadenza”.- Tra bisogni veri e bisogni falsi…oltre i capricci ..tra le pulsioni sregolate.- Dai “corpi senza volto” ai “corpi alla ricerca di

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11 E. BIEMMI, Il secondo annuncio. La grazia di ricominciare, EDB, Bologna 2011

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un volto”. La sessualità da “scambio di corpi” a “liturgia dei corpi”.- Educare alle virtù individuali e sociali. Un percorso educativo incentrato sulle virtù (individuali e sociali). Far questo partendo dalle emozioni, per arrivare ai sentimenti e per trasformare i sentimenti in virtù, in habitus. Scrivono i vescovi: “Le virtù umane e quelle cristiane, infatti, non appartengono ad ambiti separati. Gli atteggiamenti virtuosi della vita crescono insieme, contribuiscono a far maturare la persona e a svilupparne la libertà, determinano la sua capacità di abitare la terra, di lavorare, gioire e amare, ne assecondano l’anelito a raggiungere la somiglianza con il sommo bene, che è Dio Amore” (EDBV, , n. 15) .

e. Evangelizzare il dolore, la fragilità, le situazioni di povertà- Il dolore da punizione e fatalità al dolore come elezione-partecipazione al mistero pasquale di Cristo.

f. Evangelizzare i luoghi della formazione (l’emergenza educativa): dalla famiglia alla scuola, alla città intera:- Il ruolo educativo della Famiglia (CEI, EDBV, nn. 36-38): la ministerialità sponsale- Fa rispettare i caratteri dell’educazione della persona (CEI, EDBV , nn. 13.15.28):- Integrale- Unitaria- Armonica- Graduale- permanente - Educare facendo emergere la “dimensione vocazionale” della vita di ciascuno (CEI, EDBV, n. 23). La vita come elezione: dalla creaturalità alla fi gliolanza…dalla fi gliolanza alla fraternità (cfr La parabola del fi gliol prodigo).- Tre metafore della vita: come gioco, come peso, come dono.

g. Evangelizzare il sociale e la città tra senso di cittadinanza, di legalità e responsabilità civile,- Dall’eucaristia alla città. Dice Papa Benedetto XVI nella Deus caritas est “la mistica del sacramento ha un carattere sociale” (n. 14)). Questo signifi ca che non vi

è separazione tra liturgia e impegno sociale e politico., Anzi ogni atto di giustizia sociale è un atto liturgico. Qui prende importanza anche l’educazione sociale e politica.

“C’è chi pensa che la politica sia un arte che si apprende senza preparazione, si esercita senza competenza, si attua con furberia. Ma è anche opinione diff usa che alla politica non si applichi la morale comune, e si parla così di due morali: quella dei rapporti privati (che non sarebbe morale, né moralizzabile) e quella della vita pubblica. La mia esperienza lunga e penosa mi fa concepire la politica come saturata di eticità, ispirata all’amore del prossimo, resa nobile dalla fi nalità del bene comune”. Così scriveva ne “Il Popolo”, il 16 dicembre 1956, all’età di 86 don Luigi Sturzo).

- Educare facendo emergere la “dimensione caritativa e sociale”…..Educazione alla prossimità e alla gratuità (CEI, EDBV , n. 24)…nella logica del dono (cfr. BENEDETTO XVI, Caritas in veritate)…l’amore come compimento del cammino educativo. - Rapporto tra carità e giustizia (Caritas in veritate, n. 7). Ogni atto di giustizia sociale è un atto liturgico.- Educare “con” responsabilità ed educare “alla” responsabilità. ….”se non rispondo io di me chi risponderà per me. Ma se rispondo solo di me, sono

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ancora io?” (Levinas)- Educare al dialogo interreligioso, all’ospitalità: dall’accoglienza ala integrazione: lo straniero (CEI, EDBV , n. 14).

- Evangelizzare l’economia, i modelli di produzione e il lavoro (Cfr Caritas in veritate); dovremmo chiederci quale rapporto deve intercorrere tra capitale, lavoro e persona (Cfr. Giovanni Paolo II, Laborem exercens).

6) PER UNA EVANGELIZZAZIONE MISSIONARIA. LA PARROCCHIA : “COMUNITA’ EDUCATA” (CEI, EDBV, nn 20-21) E “COMUNITA EDUCANTE”a) Il ruolo della parrocchia (cfr. CEI, Il volto missionario delle parrocchie in mondo che cambia)- Le tre conversioni: pastorale, culturale e missionaria (cfr Liber Synodalis n. 71). La conversione non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza.• Conversione Pastorale: dobbiamo passare da una pastorale della conservazione ad una pastorale missionaria (cfr. VMPM, n.1)• Una pastorale che non deve tanto lavorare sulle risposte da dare quando sulle domande da capire, da suscitare. Lavorare sulle domande mute, sulle “domande inespresse” (EDBV n. 7). • Conversione culturale. Oggi c’è una sorta di frattura tra Vangelo e cultura. Dicono i vescovi (PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA CULTURA ,1999, Per una pastorale della cultura, n. 4): “La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca... Occorre quindi fare tutti gli sforzi in vista di una generosa evangelizzazione della cultura, più esattamente delle culture. Esse devono essere rigenerate mediante l’incontro con la Buona Novella (Evangelii Nuntiandi, n. 18-20). Per far questo, è necessario annunciare il Vangelo nel linguaggio e nella cultura degli uomini. • Conversione missionaria: parlare di Dio in un mondo senza Dio per aff rontare l’analfabetismo religioso.- La parrocchia (parà-oikia) radicata nel territorio (Cfr. CEI, VMPM, nn. 34. 10).- La parrocchia da “fontana del villaggio” a “parabola mediatica”: che sa in primo luogo captare le

luci e le ombre dell’esistenza concreta degli uomini del nostro tempo. In seguito le sa decodifi care alla luce del vangelo. E infi ne sa tradurre la Parola nelle parole e nella grammatica degli uomini. Valorizzare il carisma della comunicazione ad ogni livello.- Non ci può essere comunicazione se non c’è comunione e viceversa. Da qui la necessità di educare nella comunione e alla comunione (CEI, EDBV, n.35) per costruire la comunità umana;- Chiesa carismatica: Corresponsabilità dei laici (Cfr. CEI, VMPM, n. 12); - La parrocchia: cantiere dell’educazione cristiana. La parrocchia educa attraverso la Catechesi, la Liturgia, la Carità (CEI, EDBV, nn. 39-40);- La parrocchia: crocevia di istanze educative (CEI, EDBV, nn. 41-45) e che quindi sa tessere alleanze educative: ad intra (per una pastorale integrata (Cfr. CEI, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, n. 11); ad extra con altre agenzie del territorio perché oggi c’è la consapevolezza che nessuno può educare da solo, che tutta la città educa (CEI, EDBV, n. 50. 54). Allora bisogna lavorare insieme, costruendo sinergie.- La parrocchia deve recuperare i “cinque ambiti di Verona”( (CEI, EDBV, n. 33). Percorsi di”Vita buona” (CEI, EDBV, cap. V, nn. 52-54)

CONCLUSIONE:PROFILO DELL’EVANGELIZZATORE-EDUCATORE

- Chi ama educa: con la credibilità del testimone “Dio ama chi dona con gioia” (CEI, EDBV , n. 29).- Tradurre nell’educazione la passione di Dio per l’uomo- Citando Paolo VI il documento dice che “L’educatore non è un osservatore passivo dei fenomeni della vita giovanile; deve essere un amico, un maestro, un allenatore, un medico, un padre, a cui non tanto interessa notare il comportamento del suo pupillo in determinate circostanze, quanto preservarlo da inutili off ese e allenarlo a capire, a volere, a godere, a sublimare la sua esperienza” (CEI, EDBV , n. 13).

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Una speranza per il futuro:il Progetto Policoro

Angelo Nacci - Gianpiero Morleo

Il progetto Policoro è un’idea innovativa della Chiesa Italiana che tenta di dare una risposta concreta al problema della disoccupazione

in Italia. L’idea progettuale ha trovato la il suo concepimento e la sua gestazione in seno all’Uffi cio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro, fi n dal 1995. A supporto del progetto vi è la Conferenza Episcopale Italiana con il servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile e la Caritas Italiana.Il progetto Policoro conta sulla fattiva collaborazione di aggregazioni laicali che si ispirano all’insegnamento della Dottrina sociale della Chiesa.Ideatore del Progetto Policoro fu Mons. Mario

Operti, sacerdote dell’Arcidiocesi di Torino e direttore dell’Uffi cio Nazionale per i problemi sociali e il Lavoro dal 1995 al 2000. Policoro, città in provincia di Matera (e da cui prende il nome il Progetto) è il luogo dove si svolse il primo incontro tra tutti i soggetti promotori. In questa assise, i promotori e sostenitori dell’idea progettuale, hanno soff ermato la loro rifl essione e discussione sullo stato della inoccupazione e disoccupazione nel mezzogiorno d’Italia, e pertanto hanno pensato ed elaborato delle iniziative da adottare e attivare per realizzare e sostenere questo Progetto, che si preannunciava come molto ambizioso. In tale sede

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si pensò anche ad iniziative di promozione di una nuova cultura del lavoro e della formazione per il sostegno dell’imprenditorialità giovanile. All’inizio vennero coinvolte alcune diocesi del meridione come quelle della Basilicata, Puglia e Calabria, seguite poi da Sicilia-Campania-Sardegna-Molise ed Emilia Romagna.L’Icona biblica del Progetto Nazionale è tratta dagli Atti degli Apostoli (3,1-10). Pietro e Giovanni, allo storpio che chiedeva l’elemosina alla Porta Bella del Tempio di Gerusalemme, non off rirono ricchezze materiali, ma l’amore verso il bisognoso. Il versetto 6 racchiude quello che un po’ è diventato lo slogan del progetto stesso: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati e cammina!». La Chiesa off re a ogni persona il suo tesoro, Gesù. La ricchezza del Vangelo cambia la vita e aiuta le persone ad alzarsi dalla strada della rassegnazione e del mendicare assistenza per camminare insieme e con cuore nuovo lungo i sentieri della Speranza e dell’autentico sviluppo. Il Progetto Policoro oggi vuole essere un segnale concreto di rinnovamento e speranza che ha per protagonisti i giovani. Esso costituisce un modello e uno stimolo a promuovere nuove e fattive iniziative. L’intuizione fondamentale è il lavorare insieme di diversi soggetti (ecclesiali, associativi, istituzionali) nell’ottica dell’attenzione alla persona e alla società, per uno sviluppo della e nella solidarietà e reciprocità.Il metodo sviluppato dal Progetto, in sinergia con le diocesi e i relativi uffi ci competenti, consiste nel coinvolgere sempre più sul territorio le associazioni per l’evangelizzazione del lavoro e della vita, l’educazione e la formazione delle coscienze, esprimendosi attraverso gesti concreti (idee imprenditoriali dei giovani).Gli obiettivi del Progetto Policoro sono: l’Evangelizzazione dei giovani disoccupati o in situazione irregolare di lavoro, la Formazione di una nuova cultura del lavoro ispirata ai valori della responsabilità e della cooperazione, alcuni Gesti

Concreti di Solidarietà per sostenere l’avviamento di nuove attività imprenditoriali da parte dei giovani.La rete di scambio con cui si è costantemente in contatto sono le fi liere del Cenasca-Cisl, ACLI, Banca Etica, Confcooperative, GiOC (gioventù operaia cristiana), MLAC (movimento lavoratori azione cattolica) che off rono delle precise consulenze a sostegno di attività imprenditoriali e cooperativistiche, individuando i principali processi di sviluppo socio-economico del territorio, le normative di riferimento, e accompagnando lo sviluppo di gesti concreti anche con l’evangelizzazione.I gesti concreti che sono stati realizzati nella nostra Diocesi di Oria, nati con il sostegno anche dei vescovi che si sono avvicendati dal 1997 fi no ad oggi con il nostro vescovo Vincenzo Pisanello sono rispettivamente: Cooperativa sociale “Archè”, Alfonzetti pitturazioni, Cooperativa sociale “Solidarietà”, Consorzio di Cooperative Sociali “Nuvola”, Cooperativa sociale “Mandarakè”, “Alveando”, “Nuova Hyria”, “Cedro”, “Il Melograno”, Cooperativa sociale “Promuovendo”, Cooperativa sociale “Lacio Drom”, cooperativa sociale “L’Ala”, l’Associazione di volontariato “Karibuni”, “Gli amici del Falò di San Giuseppe”, “La Tua Voce”.L’uffi cio diocesano a cui fa riferimento il Progetto Policoro per il territorio della Diocesi di Oria è retto da un Tutor, che è anche Direttore per i Problemi Sociali e il Lavoro, e da due collaboratori Animatori di Comunità, che svolgono assiduamente, nei giorni dispari della settimana la loro attività, a disposizione del pubblico; mentre gli altri giorni li dedicano, ai vari incontri nei paesi della Diocesi, a servizio dei giovani, desiderosi di conoscere il progetto Policoro e desiderosi di pensare e intraprendere iniziative per inserirsi nel mondo del lavoro. Le prospettive per il futuro consistono nel cercare di capire davvero le necessità dei giovani, in questo diffi cile periodo economico dove la disoccupazione è uno dei problemi principali, e dare gli stimoli giusti per nuove iniziative nel campo del lavoro.

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Tra i vicoli del centro storico, si erge sulla sommità dell’altura che culmina in piazza Castello la poco nota chiesa di San Domenico.

Sorta nel Cinquecento come cappella dedicata a San Giovanni Battista o dell’ospedale, così come l’annesso convento femminile, per volere della nobile Aurelia Sanseverino e di suo padre Giovanni, l’attuale chiesa fu ampliata in forme barocche nel Seicento, e convertita al santo di Guzman quando i Domenicani, stanziati in

città, presero possesso di entrambi gli immobili. La facciata principale preceduta da una ripida scalinata, sebbene sia rimasta incompiuta nella parte terminale, colpisce per la sua imponenza. Tripartita e a doppio ordine, accoglie al centro un ampio portale caratterizzato da una cornice a bugnato a punta di diamante, i cui conci sono decorati da un elegante motivo scolpito a fogliame. L’interno è ricco di opere degne di essere valorizzate e conosciute. A navata unica, con tre cappelle laterali per lato, culmina in un’abside rettangolare sovrastata da un ballatoio che accoglie al centro un piccolo ma prezioso organo settecentesco a canne ormai sconnesse. La volta a triplice crociera ribassata è profi lata di cornici di stucco a motivi vegetali, che proseguono lungo i pilastri di sostegno movimentando le superfi ci delle strutture portanti. Gli altari delle cappelle laterali, sebbene siano adesso appesantiti da ridipinture eccessive, si distinguono per la loro pregevole fattura artigianale. Fedeli alla tipologia dell’altare barocco largamente diff uso in area salentina, alcuni di essi si caratterizzano per la presenza di colonne tortili o fantasiosi incastri di solidi o di putti all’estremità della mensa, che reggono un timpano con sculture a tutto tondo sulla sommità oppure ai lati. Com’è noto, l’Ordine dei Domenicani, tra i più importanti sin dal Medioevo, si distinse per l’alto grado di cultura dei frati e la consapevolezza dell’importanza dell’arte come veicolo di trasmissione dei misteri della fede e di elevazione morale per i fedeli. Pur avendo professato voto di povertà, l’Ordine non rinunciò mai a dotare le proprie chiese di oggetti preziosi e di immagini eloquenti, consapevole della capacità di attrazione esercitata da tali arredi sulla

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Uno scrigno barocco da riaprire e valorizzare: la chiesa di San Domenico a Ceglie Messapica

Angelo Maria Monaco

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mente dell’uomo semplice e di magnifi care attraverso i materiali preziosi l’immateriale divinità. Nella chiesa di San Domenico di Ceglie, dove mancano cicli decorativi pittorici aff rescati ma non tele di qualche interesse iconografi co, sono invece vere e proprie opere d’arte di rilevante interesse storico artistico gli arredi lignei. In particolare meritano di essere meglio preservati dal degrado e da una distruzione certa il coro ligneo nel catino absidale, due pulpiti mobili disposti lungo la navata e il simulacro del santo titolare custodito in una teca ormai aggredita dall’umidità.Il coro è elegante nelle forme e prezioso nei materiali, databile tra i secoli XVII/XVIII, è caratterizzato da motivi ornamentali vegetali e animali di fi nissimo intaglio, che lo rendono unico nel paese e di maggiore pregio rispetto al coro ligneo molto più semplice nelle forme e in miglior stato di conservazione, collocato nella vicina chiesa matrice. Miracolosamente scampati alle aggressioni dei tarli, i due pulpiti sono davvero ‘cosa rara’. Se quello issato sul lato destro della navata, recante la data 1717, si fa notare per l’elaboratezza degli intagli, sia nella copertura che nel ballatoio, l’altro mobile collocato sul lato opposto, senza dubbio ancor più antico del primo, stupisce per la minuzia della lavorazione del legno, l’eleganza dei motivi ornamentali, la rara tipologia dello schienale recante al centro un dipinto su tela. In essa, l’immagine di San Vincenzo Ferrer alato e recante una fi ammella sulla testa, evoca la potenza dell’ispirazione divina attraverso l’omelia, che proprio da quel mobile i frati predicavano ai fedeli. Ritenuto addirittura cinquecentesco in virtù dell’aquila bicipite di memoria imperiale collocata in posizione preminente, lo straordinario mobile proviene forse dalla cappella di prima edifi cazione di patronato privato. In proposito è interessante un intervento di taglio storiografi co divulgato fuori commercio nel 2004 dallo storico locale Pasquale Elia, intitolato Ceglie Messapica (Le chiese), riproposto nella rivista online «l’Idea» nel 2007.Alla committenza diretta dei frati si deve invece lo

straordinario simulacro del santo, vero e proprio “pezzo da museo”, così come l’elaborato altare barocco impreziosito di marmi rari.Caratterizzato dall’elegante postura e dalla delicatezza dei lineamenti del volto, umanizzato da una fi nitura pittorica delle più credibili, la scultura di legno policromato del San Domenico è accostabile alla produzione della bottega di Gaetano e Pietro Patalano. Artisti del legno attivi tra la fi ne del Seicento e il primo Settecento a Napoli, tali scultori raggiunsero livelli altissimi nella confezione di simulacri sacri con cui riempirono le chiese del meridione. Divenuti ormai oggetti rari per la facile deperibilità del legno e ormai riscattati negli studi dallo status ancillare di oggetti d’artigianato artistico, non solo tali sculture sono tutelate a pieno titolo dalle sovrintendenze regionali e apprezzate dagli specialisti del settore, ma addirittura sono ritenute oggetti degni di collezioni di prestigio se alcuni esemplari si conservano, oggi, in musei d’oltreoceano come il Paul Getty di Malibù. L’altare, probabilmente coevo alla campagna di ristrutturazione dell’edifi cio promossa dall’Ordine quando ne entrò in possesso, è di squisita fattura. Senza dubbio frutto di maestri scalpellini napoletani (dell’altezza di quelli del preziosissimo cappellone di

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San Cataldo a Taranto per intenderci), reca due putti telamoni alle estremità, è impreziosito da intarsi a commesso di pietre dure come il giallo di Verona e il blu lapislazzulo, sancisce la sua appartenenza all’Ordine attraverso l’esibizione di due imponenti scudi recanti il simbolo di questo, cioè un cagnolino che porta nel muso una fi accola accesa, da intendere come il Domini canis (cioè il ‘cane del signore’ da cui Domenicani).Un’ultima rarità. Nella sacrestia giace la tomba della duchessa di Ceglie, col ritratto di pietra dell’aristocratica signora, forse trasportato dalla chiesa matrice in occasione della grande campagna di ristrutturazione dell’edifi cio avvenuto nel Settecento. Si tratta di Isabella di Noirot che fu, come recita una lapide incisa apposta dal suo triste vedovo Didaco Lubrano, duca del paese, giovane donna di nobile stirpe, nata ad Anversa, prolifi ca e fervente credente, prematuramente passata a miglior vita nel 1641. Immortalata nella pietra da uno scultore goff o ma non per questo da ignorare, si mostra con sguardo immoto dall’alto del suo abito elaborato e la capigliatura raccolta, mentre, fedele a certa iconografi a del ritratto rinascimentale, tiene nella destra il petrarchino (o piuttosto il libro dei Salmi) e porta la sinistra al cuore in segno della sua certa fede di madre, di moglie e di buona cristiana. La chiesa di San Domenico, piccolo tesoretto da

riscoprire e valorizzare, accoglie inoltre alcune statue della tipologia delle ‘Madonne vestite’, ulteriore frutto della devozione popolare, tanto belle nei loro preziosi tessuti quanto fragili per la natura stessa dei materiali di cui sono composte. Interessata in anni recenti da un apprezzabile intervento di pulitura degli esterni e di restauro del tetto per la lungimiranza di don Giuseppe De Santis, già parroco della chiesa matrice, oggi è visitabile solo per la cortesia di alcuni parrocchiani e di don Gianni Caliandro che la fa tenere in ordine vigilando, consapevole della rilevanza dell’insieme, sul lento ma inesorabile processo di degrado cui l’edifi cio e i preziosi arredi sono destinati. Così come è adesso in atto un ampio progetto di recupero del convento adiacente, sede del Municipio dai tempi della soppressione murattiana degli Ordini religiosi nel 1807, sino agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso, si spera che anche la chiesa potrà benefi ciare quanto prima delle attenzioni che merita, costituendo un raro segno sul territorio della straordinaria stagione artistica barocca, anche da queste parti vissuta con fervida devozione.

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Il vangelo secondo Pilato, un apocrifo dei nostri tempi

Questo romanzo si presenta come una rilettura

singolare e insolita dell’esperienza terrena di Gesù di Nazareth. Non certo possiamo collocare il suo genere all’interno della categoria dei romanzi storici, tuttavia assumendo i tratti di un’eccezionale drammatizzazione dei fatti narrati immerge il lettore in una ideale platea da cui poter osservare la vicenda che si svolge all’interno di un contesto tutto umano e quasi tangibile. Il romanzo

si ispira, quasi, allo stile dei vangeli apocrifi , ci presenta i tratti psicologici di un Gesù bambino che cresce e prende gradualmente consapevolezza della sua identità. Il protagonista si muove in una cerchia di amicizie e relazioni che ci fanno guardare ed immaginare i tratti della vita quotidiana di quest’uomo che come tutti vive il dramma del dubbio, la soff erenza del rifi uto e il calore dell’innamoramento. Il vangelo secondo Pilato non ha alcun intento né teologico né storico ma potremmo defi nirlo quasi frutto di una immaginazione credente che, comunque, non off ende la sensibilità di chi è abituato a vedere la storia di Gesù dalla visuale sacrale e divina.Il romanzo si divide in due parti, la prima inizia con il ricordo nostalgico di Jeshua (Gesù) che richiama alla mente la sua infanzia e i momenti più importanti della sua vita, proponendo indirettamente questi suoi ricordi al lettore. All’interno del racconto sono presenti delle nitide descrizioni di luoghi, situazioni e persone che raggiungono un livello di precisione quasi teatrale. Il

ricordo della prima parte del romanzo si ricongiunge alla fi ne al momento presente del vissuto di Jeshua, ormai prossimo alla condanna a morte. Ecco che entra in scena il secondo protagonista del romanzo, Pilato. Entrando nella vita di questo personaggio lo scrittore ci fa guardare la vicenda legata alla passione e morte di Gesù dalla visuale del prefetto romano. Schmitt, con una spiccata capacità letteraria, mette in evidenza tutti i tratti della fi gura di pilato: il suo cinismo, il confl itto vissuto nella vicenda del processo, il tormento per i fatti successivi alla crocifi ssione, la paura e tutto il malessere della sua vita da “esiliato”. Tutti i protagonisti della storia di Gesù compaiono, Giovanni Battista,Erode, Salome, Maria, ma tutti sono profondamente carichi di umanità, una umanità però che scoppia di passione e che è immersa in una storia tanto strana quanto controversa che gli stessi attori comprendono gradualmente.Il lettore viene avvinto dallo svolgersi incalzante dei fatti, entra quasi nelle scene grazie alle meticolose descrizioni e può osservarle di nascosto. Storia e fantasia si mescolano creando quasi un’ atmosfera che sfi ora la leggenda, il dramma si carica dei sentimenti dei personaggi che captano l’attenzione del lettore. La cura dello stile letterario che, in certi tratti, assume quasi dei toni poetici fanno di questo romanzo un’opera davvero originale.

Federico Vincenti

Autore:Eric-Emmanuel Schmitt (Sainte-Foy-lès- Lyon, 28 marzo 1960). Studente dell’Ecole Normale Supèriere, professore aggregato di fi losofi a, laureato in letteratura, si è imposto come drammaturgo nel 1991. Alle sue opere è stato assegnato più volte il premio Molière. Nel 2001 il Gran premio dell’Accademia Francese ha consacrato defi nitivamente la sua brillante carriera teatrale. Nel medesimo tempo Schmitt si è dedicato al romanzo e le sue opere sono risultate essere dei capolavori. In una decina d’anni Eric-Emmanuel Schmitt è diventato uno degli autori francofoni più letti e rappresentati al mondo. I suoi libri sono stati tradotti in quaranta lingue.

Il Vangelo secondo Pilato, Cinisello Balsamo,ed. San Paolo 2010, pagg. 288

CULTURALE

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Corso Base di formazioneUn corso attivo-partecipativo.Ha un taglio biblico e fornisce i fondamenti della nuova evangelizzazione.

Cos’è?Il corso è un percorso teologico-pastorale sui fondamen-ti della nuova evangelizzazione. Si svolge in un weekend (1-3 marzo). Per giovani dai 20 ai 35 anni che desiderano già evangelizzare, ma non sanno come farlo.

A che serve?Serve per risvegliare i battezzati e far nascere nella nostra diocesi un’equipe capace di organizzare eventi di nuova evangelizzazione. È l’inizio di tutto il progetto.

Da chi è guidato?Il corso è guidato dai responsabili del Centro per la for-mazione alla nuova evangelizzazione.

“Sentinelle del mattino” non è un movimento, ma sono dei nuovi evangelizzatori capaci di cambiare l’ambiente in cui vivono e di rinnovare la Chiesa. Questa realtà, spe-rimentata fi n dal 1998 con successo è stata richiesta da numerose diocesi italiane ed estere.

Visita il sito: www.sentinelledelmattino.org

Un servizio per rinnovare la Chiesa

Sentinelle del mattino è una realtà scaturita dalla spinta evangelizzatrice del Concilio Vaticano II: il mondo ha bisogno di cristiani ancorati alla Tradizione e capaci di evangelizzare nel mondo. Questi sono le “sentinelle del mattino”, secondo la defi nizione data da Giovanni Paolo II ai giovani rappresentanti di tutti i giovani, pre-senti alla Giornata Mondiale della Gioventù del 2000, all’inizio di un nuovo millennio.

Vogliamo donare alla Chiesa nuovi cristiani perché ogni uomo possa oggi incontrare Gesù, in ogni luogo e in ogni tempo.

Nuova Evangelizzazione:il primo passo

DIOCESANA

Antonio Andriulo

CORSO BASE DI FORMAZIONE

1-3 marzo 2013presso la Casa dei Passionisti, Manduria

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anno VIII n. 2 Febbraio 2013MemOria

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Non esiste una via per la pace: la PACE è la VIA!

DIOCESANA

Gennaio è per la Chiesa Cattolica il mese della pace. E infatti, è tra le mura barocche della Parrocchia Madonna del Rosario di Man-

duria, che si è tenuta sabato 26 gennaio la Veglia della Pace, promossa dal settore Giovani di Azione Cattolica della Diocesi di Oria. “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi” è questo il versetto del Vangelo di Giovanni che ha guidato la rifl essione dell’assem-blea, grazie alla lectio tenuta dal parroco Don Patri-zio Missere. In un mondo sempre più preda della superfi cialità e del materialismo è bene riscoprire e ridefi nire il signifi cato della parola “pace”: “Pace è

custodire la Sua parola per essere custoditi, pace è vedere Dio nell’uomo e l’uomo in Dio, pace è arren-dersi al Dio della libertà vera!”.

La lettura del messaggio del Papa, le note della can-zone “Pace” di Arisa, la grande partecipazione dei giovani della Diocesi e quella del vescovo Vincenzo Pisanello, ha contribuito a realizzare un’atmosfera di spiritualità e condivisione e a sottolineare la missio-ne quotidiana degli autentici operatori di pace.

Sabrina Resta

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a cura di Francesco Sternativo

IN...VERSI

... con Davide Rondoni

Dell’esperienza grave e felice del cullareNon conto più i miei giornima i tuoi, e le parole e le balbuzie sono le tue che attendonon le mie, scritte ormaipiù per abbandono che per forza.E guardo salire incendiato il giornonei tuoi occhi o sulla foglia dei piccoli respiri --Anche Dio che l’ha inventatocon la fi amma delle comete ancora in manoobbedisce a questo struggimento:cresce nel fi glio il padre, cedee aumenta la propria gloria,è uno stordito amoreche fa la storia.Altri che non han voluto fi gli

né di carne né di cuorefi ssano svanire le seresui fogli che restano bianchianche quando sono riempitidai grandi geroglifi ci del vento.Quel che tu sei, Bartolomeo,non sta nel grande campodel mio fuoco, eccedeil mio pensiero, scomparecome un sogno all’amoreche lo insegue. Eppure ti fa,è nelle tue mani, nel piede,nell’improvviso che in te ride,nel morso al paperino. Ed è nel sonnoche ci parifi ca al cielo profondoe porta vicino al silenzio delle cose.

MemOria anno VIII n. 2 Febbraio 2013

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Incinta, dice il testNon chiamarlo, vienenella sua forza semilucente,è già una parte del tuo sorrisoviene come il profumo dei boschi,un niente, il muso improvvisodella lepre, è già una pieganelle tue mani, siedesul trono che diventi.

È un aumentoche ha dismisura di nubi,fa paura come l’inizio del ventoche piega i rami ma ravviva i colori.Mio amore bello e pieno di tormento,la sua impronta è già nella nostrafi gura. La felicitàè l’attesa, è il tempo.

Figura del centurioneO Signore non son degno – degno no anzi quasi tutto bagnatoo interamente svergognato di star qui come un sasso, una pietra,un ferro, fi gurati anche se invitarti a cena,di partecipare alla tua mensaper dividere i miei avanzi, il freddodei miei pasti, la tovaglia stupidaquadrettata, la sediasghemba, la bottiglia già iniziata,e l’ombra della fronte sconciao portarti per un bicchiereal primo bar.Ma di’ma di’ solo e soltantouna parola, una cosa,un uccelletto di voce,di’ solo e soltantoun niente -quel che ti passaper la mente o per la testacosì incoronata di cieloe di tempestadi’ solo e soltantolascia magari cadereun grano delle tue preghiere

o anche non dir nienteleggerò sulle labbra appenao sentirò con gli occhi bassiche un bacio d’aria vienee io sarò salvatodalle jene dei miei errorie l’anima devastata avràla vita piena

Ci vuole pazienza nell’amoreCi vuole pazienza nell’amore e anche impazienza, luce ma lasciare spazio anche per l’ombra. Lo sa il vecchio pino, alto, nel cortile che ha veduto dalle fi nestre le strane installazioni di assi e ferri da stiro i poster di moda fi no a ieri e ha fermato il volo di amori attratti al vuoto e poi ha veduto vetri spalancarsi al sole. Lo sa, ha tenuto sospese le voci cambiate dei ragazzini e le occhiate delle donne sole a fumare alle fi nestre».La realtà è vista con gli “occhi” di un vecchio pino,osservatore di un’umanità di luce e di ombra. Cosa vede l’albero? Ferri da stiro, poster fuori tempo, amori che si schiantano, donne sole che si aff acciano e voci di ragazzini che mutano col tempo. Ma soprattutto vede «vetri spalancati al sole.

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IN...VERSI

MemOria

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