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COLLEZIONISMO 24 Quando, nella prima metà dell’Ottocento, le Casse di Risparmio presero ad essere fondate nell’Italia del Nord (a Bologna nel 1837), da enti morali o da privati riuniti in associazioni, appar- ve ben presto chiaro l’intento filantropico, come allora si sarebbe detto, di codeste istituzioni. E poiché nell’Ottocento pareva che la contempla- zione, lo studio, l’esposizione di opere d’arte avesse un portato morale, lo stesso che aveva condotto cinquant’anni prima al concepire il Museo, avvenne che le Casse di Risparmio e, di conseguenza tutte le altre banche, prendessero a collezionare. Fu un’attività che venne a coin- cidere con quell’aspetto della personalità collet- tiva tardo-ottocentesca ben noto col nome di collezionismo eclettico. La seconda metà dell’Ottocento fu epoca di furioso collezionismo e la Cassa di Risparmio di Bologna non fa eccezione in questo senso. Era altresì spiccata la tendenza ad aggregazioni loca- listiche di materiali che potessero riguardare la città, la sua urbanistica, la storia civile. Fu inten- samente ricercato il reperto cartaceo e, in ulti- mo, anche l’espressione artistica. Fu così che si formarono a Bologna presso la Cassa di Risparmio, l’abbiamo detto, cospicue raccolte che ebbero vari conservatori, tutori e acquirenti, tra i quali mi piace rammentare Guido Zucchini, ingegnere edile e storico dell’arte, estensore della principale Guida di Bologna (1930), per- fetta in quanto della città egli fu conoscitore per- fetto. La raccolta ebbe sede inizialmente nell’impo- nente edificio compiuto dal Mengoni (autore altresì della Galleria di Milano) nel 1876 e fu negli anni Settanta del Novecento spostato in apposita sede funzionale presso la chiesa, non più officiata, di San Giorgio in Poggiale. Dopo l’istituzione delle fondazioni bancarie, in seguito alla legge nota come legge Amato-Carli del 1992, è dalle raccolte esistenti che si sono prese le mosse per un incremento che si discosta dal regolare flusso della nuove accessioni e si costi- tuisce con la fisionomia di un nuovo grande museo paritetico e complementare alle istituzio- ni museali cittadine quali la Pinacoteca Nazionale e i Musei Civici in possesso della municipalità di Bologna. Ma è dall’avvento alla presidenza della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna del Rettore emerito dell’Università degli Studi di Bologna, professore Fabio Roversi Monaco, che gli intenti dell’istituzione hanno concepito un progetto e un programma di larghezza inusitata e di vero mecenatismo contemporaneo. Che saremmo tentati di definire di splendore rinasci- mentale, se l’espressione non suonasse incon- sueta nel comune lessico di ogni giorno. Tralasciando gli innumerevoli restauri di edifici, i ripristini, le riaperture, compiuti dalla Fondazione, senza menzionare il sostegno a ini- Mecenatismo contemporaneo a Bologna di Eugenio Busmanti Jacopo di Paolo, Crocifissione, tempera e oro su tavola La Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna promotrice di un “museo diffuso” in città

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Quando, nella prima metà dell’Ottocento, leCasse di Risparmio presero ad essere fondatenell’Italia del Nord (a Bologna nel 1837), da entimorali o da privati riuniti in associazioni, appar-ve ben presto chiaro l’intento filantropico, comeallora si sarebbe detto, di codeste istituzioni. Epoiché nell’Ottocento pareva che la contempla-zione, lo studio, l’esposizione di opere d’arteavesse un portato morale, lo stesso che avevacondotto cinquant’anni prima al concepire ilMuseo, avvenne che le Casse di Risparmio e, diconseguenza tutte le altre banche, prendesseroa collezionare. Fu un’attività che venne a coin-cidere con quell’aspetto della personalità collet-tiva tardo-ottocentesca ben noto col nome dicollezionismo eclettico.

La seconda metà dell’Ottocento fu epoca difurioso collezionismo e la Cassa di Risparmio diBologna non fa eccezione in questo senso. Eraaltresì spiccata la tendenza ad aggregazioni loca-listiche di materiali che potessero riguardare lacittà, la sua urbanistica, la storia civile. Fu inten-samente ricercato il reperto cartaceo e, in ulti-mo, anche l’espressione artistica. Fu così che siformarono a Bologna presso la Cassa diRisparmio, l’abbiamo detto, cospicue raccolteche ebbero vari conservatori, tutori e acquirenti,tra i quali mi piace rammentare Guido Zucchini,ingegnere edile e storico dell’arte, estensoredella principale Guida di Bologna (1930), per-fetta in quanto della città egli fu conoscitore per-fetto.

La raccolta ebbe sede inizialmente nell’impo-nente edificio compiuto dal Mengoni (autorealtresì della Galleria di Milano) nel 1876 e funegli anni Settanta del Novecento spostato inapposita sede funzionale presso la chiesa, nonpiù officiata, di San Giorgio in Poggiale. Dopol’istituzione delle fondazioni bancarie, in seguitoalla legge nota come legge Amato-Carli del1992, è dalle raccolte esistenti che si sono presele mosse per un incremento che si discosta dal

regolare flusso della nuove accessioni e si costi-tuisce con la fisionomia di un nuovo grandemuseo paritetico e complementare alle istituzio-ni museali cittadine quali la PinacotecaNazionale e i Musei Civici in possesso dellamunicipalità di Bologna.

Ma è dall’avvento alla presidenza dellaFondazione Cassa di Risparmio in Bologna delRettore emerito dell’Università degli Studi diBologna, professore Fabio Roversi Monaco, chegli intenti dell’istituzione hanno concepito unprogetto e un programma di larghezza inusitatae di vero mecenatismo contemporaneo. Chesaremmo tentati di definire di splendore rinasci-mentale, se l’espressione non suonasse incon-sueta nel comune lessico di ogni giorno.Tralasciando gli innumerevoli restauri di edifici,i ripristini, le riaperture, compiuti dallaFondazione, senza menzionare il sostegno a ini-

Mecenatismo contemporaneo a Bologna

di Eugenio Busmanti

Jacopo di Paolo, Crocifissione, tempera e oro su tavola

La Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna promotrice di un “museo diffuso”in città

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ziative culturali del più ampio raggio e dei piùcomprensivi interessi e incessanti nella frequen-za, ci interessa l’idea della riappropriazionedella città nella trasformazione a sede museo dialcuni dei più significativi edifici storici di essa.A cominciare dal restauro della Casa Saraceni,uno degli edifici meglio conservati del tardoquattrocento bolognese con finissime terracottein facciata che richiamano lo Sperandio; ilrestauro e la destinazione a museo del gran-dioso palazzo voluto nel Trecento da TaddeoPepoli, che sarà presumibilmente il fulcro delcostituendo Museo della Città, un museo “diffu-so” che annovererà un cospicuo numero di sedi.Non meno illustre la sede di Palazzo Fava, in cuitroverà domicilio, se non vado errato, anche lasede amministrativa della Fondazione. Il PalazzoFava di Bologna è universalmente noto al con-sesso degli studiosi per essere la sede del primofregio murale condotto ad affresco da AnnibaleCarracci e di un ulteriore fregio compiuto daLudovico, Agostino ed Annibale Carracci con leVicende di Giasone, si ritiene nel 1583-1584. Apoca distanza aprirà i suoi battenti nel giugno diquesto stesso anno, e dunque poche giorniprima che i lettori possano leggere questo mioscritto, il complesso di San Colombano.Nell’oratorio di origine alto-medievale, affresca-

to nei primi anni del Seicento da tutti i principaliallievi di Ludovico Carracci, episodio, questo,fondamentale per l’origine del “gran secolo”della pittura bolognese, è già stata sistemata lagrandiosa raccolta di strumenti musicali costitui-ta dal Maestro Luigi Ferdinando Tagliavini che,con gesto di ineguagliabile munificenza, ha inte-so donarla alla Fondazione Cassa di Risparmio edunque alla città di Bologna e a quanti tra i coltiviaggiatori del mondo vorranno visitarlo.

Ancora a ridotta distanza sia dal Palazzo Favasia dal complesso di San Colombano sorge lachiesa di San Giorgio in Poggiale, della quale siè rinnovato il restauro, destinata e già funzio-nante come biblioteca di Storia dell’Arte. Inoltrela Fondazione assume la manutenzione e la vigi-lanza delle iniziative culturali che si tengononella chiesa di Santa Cristina, ricchissima peropere pittoriche della fine del Cinquecento, cosìcome del Museo della Sanità e Oratorio di SantaMaria della Vita, dell’insigne Santuario di SantaMaria della Vita (in cui trovasi il celeberrimoCompianto di Niccolò dell’Arca) e infine del-

Annibale Carracci, Ritratto di cieca, 1590-1592, olio su carta

Bartolomeo Cesi, Ritratto di paggio di Clemente VII, 1598,olio su tela

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Donato Creti, Tomba allegorica di Lord Torrington, 1730, olio su tela

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l’importante chiesa di san Michele in Boscocostruita sul colle più aggettante sul centro dellacittà. Come si vede intenzioni e impegno chenon hanno l’eguale in nessuna città italiana eper le quali l’opera della fondazione non sisaprebbe se più lodare per i risultati o perl’ambizione. In alcuna di queste sedi e princi-palmente in quelle di Palazzo Pepoli e diPalazzo Fava, oltre a mostre ed attività tempora-nee, avrà sede la grande raccolta d’arte derivan-te in parte dalle collezioni della cassa diRisparmio e, soprattutto, dai nuovi acquisti com-piuti nell’ultima fase che abbiamo descritto, cheha portato all’ingresso di nuove opere chesaranno il patrimonio artistico fruibile nelMuseo della Città. È in occasione della prossimaapertura di queste sedi che la “GazzettaAntiquaria” illustra in anteprima alcune opereche costituiranno soltanto una piccola partedelle collezioni permanenti della Fondazione.Tengo ad informare del fatto che, oltre a quan-to il lettore potrà vedere nelle immagini e leg-gere nelle parole che mi sforzo di comporre, laFondazione Cassa di Risparmio ha acquisitonegli anni recenti importanti opere di artistiquali Vitale da Bologna, Simone de’ Crocefissi,Lorenzo Costa, Guido Reni, Guercino, Canova,Bartolini e Morandi, per elencare i nomi piùimportanti che non illustreremo, oltre ad ungran numero di opere di artisti che rientrano nelnovero dei bolognesi illustri e che hanno atti-nenze alla città. Artisti che fecero di Bolognauna delle città ideali della pittura nel mondo, acominciare dal quel 1295 in cui fu commissio-nata a Cimabue la Maestà conservata da alloraininterrottamente presso la Basilica di Santa

Maria dei Servi, e dal polittico commissionato daGera Pepoli a Giotto e solennemente firmato dalmaestro, rendendosi così i due artisti fondamen-tali dell’arte dell’Occidente, presenti entrambicon opere a Bologna.

Né la Fondazione Cassa di Risparmio ha tra-scurato ingenti estensioni nel campo dell’artecontemporanea, per quanto riguarda soprattuttolo svolgimento della pittura a Bologna nel corsodel Novecento. È sintomatico, e altamenteapprezzabile, che alla direzione scientifica dellaFondazione sia stata chiamata da alcuni anniBeatrice Buscaroli, nota e autorevolissima stori-ca dell’arte con una assidua esperienza nella cri-tica d’arte contemporanea. Ad entrare infine nelvivo del nostro argomento, non sfigurerà per chiabbia visitato i sublimi capolavori di Cimabuee di Giotto, il godimento, nel Museo della Città

della Fondazione, la Crocefissione di Jacopo diPaolo quel petit maitre, pittore e architetto dellafine del Trecento che, per quanto possa appari-re “lucido e isolato interprete della tradizione”come scrisse il Longhi, ebbe a tener conto dellapiù aggiornata cultura veneto padovana. ConBartolomeo Passerotti, nel procedere a grandipassi in questo nostro florilegio del Museo dellaCittà, abbiamo l’indiscusso protagonista dellavita artistica a Bologna nella seconda metà delCinquecento. Oltre a celebrati e meritevoli ope-razioni “pubbliche” l’artista fu indiscutibile mae-stro in alcune prove di ritratto, il genere artisti-co che più ci appare libero nel secondoCinquecento. Come in questo sontuoso e sinuo-so doppio ritratto, intagliato e policromato involumi che assumono una consistenza plasticamagistralmente ottenuta sulla tela.

Confesso di avere ancora la possibilità direstare sgomento dinanzi a opere come ilRitratto di donna cieca, che qui si illustra, per laveridica forza di naturalismo scientifico, e comeda laboratorio, di vivisezione della realtà cheAnnibale Carracci dimostra in questa piccolatela. Si tratta dell’analisi di un esemplare di uma-nità che a fatica rubrichiamo come ritratto.Stupisce in un pittore consegnato, in definitiva,

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Gaetano Gandolfi, Morte di Socrate, 1782, olio su tela

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a un’immagine di letizia sorridente e gioiosa, unaffondo di tale forza nella realtà più cruda del-l’esistenza umana. I due dipinti (sono una cop-pia, se ne illustra uno soltanto) sono di assolutae indiscutibile autografia e non esitiamo adichiararli due capolavori assoluti di Annibale.Di altrettale anche se opposta eleganza e solen-nità di apparato ci appare il Ritratto di un pag-gio di Papa Clemente VIII, dell’inconsuetamentefastoso, viceversa abitualmente severo, pittoredell’ultimo scorcio del Cinquecento: il grandeBartolomeo Cesi.

Giunto a questo punto della mia ascesa versola contemporaneità (e mi si scusi il procedere inordine strettamente cronologico, ma non hosaputo trovare un miglior criterio di ordinamen-to) non posso non esprimere il compiacimentodi bolognese dinanzi a questa opera di DonatoCreti. Nelle idee correnti sempre si associaBologna a capoluogo di andamenti agricoli, diumori terragni, di mentalità materiale e gauden-te, ma vi sarà rappresentante più antitetico aquesto frusto cliché, di un artista come Donato

Creti? Vi sarà colorito di più quintessenziata ele-ganza, costruzione di forme più eteree nel lorodisegno così puro e robusto ad un tempo, e dicosì inimitabile armonia? Io non lo credo.Aggiungo che il Creti è uno di quegli artisti chenon ci si stancherebbe mai di vedere e dunque,benché rappresentato al meglio nell’irraggiungi-bile serie Collina Sbaraglia esposta presso leCollezioni Comunali d’Arte, bene ha fatto laFondazione Cassa di Risparmio in Bologna adacquisire questo nobilissimo e assolutamenteautografo esemplare della serie Mc Swiney ditombe allegoriche. Con il Creti, il Gandolfi. Nellavoro di grande impegno rappresentato dallaMorte di Socrate, commissionato nel 1792 dall’a-bate Trenta. Gaetano Gandolfi si prova qui afare il neoclassico ma non ci riesce a fondo, lemovenze del felice pennello lo sopraffanno enon rinuncia a certi rossi e gialli squillanti checontraddicono la retorica dell‘exemplum virtutise fanno di lui uno dei pittori che costantementeeccita la bramosia inestinguibile del collezioni-smo internazionale.

Antonio Basoli, Veduta del portico di Santa Maria dei Servi, 1836, olio su tavola

Di Antonio Basoli si è molto parlato recente-mente dopo la bella mostra a lui dedicatadall’Accademia di Belle Arti. La sua capacità direstituirci la “città minuta” (anche se qui ritrattain un punto specialmente monumentale) è inef-fabile e la si percepisce bene in questo piccolocapolavoro. Va rammentato inoltre che il dipin-to si aggiunge alla ricchissima e gustosissimaserie di suoi quadretti già acquisita dalla Cassadi Risparmio per volontà di Guido Zucchini eora confluita alla Fondazione. Di Luigi Busiinvece si parla pochissimo, ma egli fu il princi-pale esponente bolognese della pittura accade-mica, che negli affreschi monumentali dell’absi-de di San Vitale ottiene uno splendido, ancorchéoggi negletto, risultato, per un secolo,l’Ottocento, non brillantissimo a Bologna. E cosìdicasi per questo grande dipinto, con Niccolòde’ Lapi prima del supplizio, magnifico per sog-getto, così tipico per dimensioni, e per i moltivirtuosismi dell’arte che fanno di Luigi Busi ungrande artista. Ma è con Athos Casarini, unaltro bolognese di cui a torto si parla ben poco,amatissimo da Francesco Arcangeli, che incon-triamo un artista che seppe dar prova nei suoinon molti dipinti di un’intensità artistica, di unatensione emotiva commoventi, come in questa

strada di New York, che ufficialmente si intitole-rebbe La casa dell’impresario di pompe funebri(1913 circa), tanto superiore a un Hopper, etanto prima di lui.

Di un pezzo fondamentale per la scultura ita-liana, il grandioso marmo di Arturo Martini e diuno squisito e sognante De Pisis non enuncio senon la menzione: troppo conosciuti, celebrati eapprezzati gli autori perché io mi attenti a dirnequalcosa, se non citarli e applaudirne la scelta.Ma è con un sorriso che vogliamo accomiatarcidall’erigendo Museo della Città: Ermesteticad’Europa, una ceramica di Luigi Ontani, natovicino a Bologna nel 1943, opera debitrice diuna parte della sua criptica e surreale ironia allamagistrale esecuzione dei maestri ceramisti diFaenza, città vicina a Bologna.

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Luigi Busi, Ritratto di Nicolò Lapi prima del supplizio, 1861,olio su tela

Athos Casarini, La casa dell’impresario funebre, 1913, oliosu tela

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Arturo Martini, La carità, 1937, marmo Luigi Ontani, Ermestetica d’Europa, 2003, ceramica

Filippo de Pisis, Il piede romano, 1933, olio su tela

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Oratorio di San Colombano, interno con il ciclo degli affreschi realizzato dalla scuola carraccesca

Le opere riprodotte appartengono alle Collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione Cassa diRisparmio in Bologna.