MECCANICA E MACCHINE PROGRAMMA V ANNO · risultati della meccanica teorica. ... Tradizionalmente in...

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MECCANICA E MACCHINE PROGRAMMA V ANNO . - Meccanica Applicata - Il Meccanismo Biella-Manovella - Motori - Alimentazione del Combustibile - Problemi Ambientali - Trattamenti Superficiali - Termodinamica - Fluidodinamica - Generatore di Vapore - Macchine Idrauliche - Alberi Perni e Cuscinetti

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MECCANICA E MACCHINE

PROGRAMMA V ANNO

.

- Meccanica Applicata - Il Meccanismo Biella-Manovella - Motori - Alimentazione del Combustibile - Problemi Ambientali - Trattamenti Superficiali - Termodinamica - Fluidodinamica - Generatore di Vapore - Macchine Idrauliche - Alberi Perni e Cuscinetti

Meccanica applicata

La meccanica applicata, nota anche in Italia come meccanica applicata alle macchine, è una branca dell'ingegneria che ha lo scopo di studiare il comportamento dei dispositivi meccanici di interesse applicativo utilizzando la metodologia ed i risultati della meccanica teorica. A rigore sono parte della meccanica applicata anche la fluidodinamica applicata e la scienza delle costruzioni, ma il campo di studio di tali discipline è talmente vasto che sono ormai divenute branche indipendenti dell'ingegneria. Al momento la meccanica applicata si occupa principalmente dello studio dei sistemi meccanici di interesse applicativo costituiti da corpi a comportamento rigido dei quali si studia la cinematica e successivamente, una volta note o ipotizzate le forze agenti, la dinamica.

Descrizione

In particolare i concetti della cinematica vengono utilizzati nell'ambito della progettazione funzionale che è lo studio della forma da dare ai membri di un meccanismo affinché realizzino una certa traiettoria dettata dalle esigenze di funzionamento, affinché permettano il tracciamento di curve e funzioni, le nozioni di statica permettono di determinare a partire da una o più forze e momenti resistenti le forze ed i momenti motori (generalmente incogniti) affinché sul sistema non insorgano forze o momenti delle forze di inerzia e quindi sia in equilibrio, tali metodi sono analitici o grafici, la cinetostatica permette poi a partire dalla conoscenza del modulo direzione e verso delle velocità di uno o più membri dopo aver effettuato l'analisi delle velocità dell'intero meccanismo di risalire per via grafica alle forze incognite, le nozioni di dinamica permettono di studiare le forze agenti su un sistema meccanico e in generale di pervenire alla scrittura di un sistema di equazioni del moto che sono equazioni differenziali del secondo ordine, l'integrazione delle quali permette di ottenere il moto del sistema noto come problema inverso della dinamica, oppure partendo dalla conoscenza delle accelerazioni subite dal sistema, di risalire alle forze agenti su di esso problema diretto della dinamica, fornendo quindi i metodi analitici, ma esistono anche dei metodi grafici, per risalire alle forze ed ai momenti delle forze d'inerzia e le principali soluzioni per il loro bilanciamento totale o parziale.

Tradizionalmente in Italia la meccanica applicata comprende anche una serie di altri temi, tra i quali la tribologia, la lubrificazione e i sistemi meccanici di regolazione e controllo.

Il moderno sviluppo di tecnologie ibride tra meccanica ed elettronica sta portando rapidamente questa disciplina ad espandersi nel campo della meccatronica.

Tematiche trattate dalla meccanica applicata alle macchine

• rendimenti meccanici delle macchine, rendimenti meccanici di impianti di macchine in serie in parallelo e misti.

• Analisi e sintesi di cinematismi coppie cinematiche e loro studio gradi di libertà dei meccanismi nel piano e nello spazio

o Meccanismi articolati analisi cinematica e cinetostatica per via grafica o Meccanismi camma-cedente

• Dinamica dei rotori rigidi problemi di equilibratura delle forze di inerzia e momenti

• Meccanica delle vibrazioni studio delle macchine con i metodi della meccanica analitica

o Velocità critica flessionale o Velocità critiche torsionali

• Trasmissioni meccaniche o Ruote dentate rotismi, organi flessibili e loro applicazioni o Trasmissioni a cinghia

• Tribologia la lubrificazione fluidostatica e fluidodinamica delle coppie elementari, lubrificazione delle coppie superiori o lubrelastofluidodinamica, relazioni relative all'usura e loro applicazioni

• Freni o Freno a nastro o Freno a tamburo o Freno a disco

• Modellazione e simulazione dei sistemi meccanici • Regolazione e controllo dei sistemi meccanici sistemi a blocchi in retroazione

problemi di avviamento delle macchine

dinamica dei sistemi articolati ed equilibratura forze di inerzia e momenti

• Termoacustica si occupa delle trasformazioni dell'energia da termica a sonora • strumenti sismici e loro studio • sistemi a blocchi in retroazione • cenni di meccanica delle macchine automatiche

Il Meccanismo Biella-Manovella

GENERALITA’ Il dispositivo biella-manovella, detto anche manovellismo di spinta rotativa, può definirsi come un sistema articolato, mediante il quale è possibile trasformare il moto rotatorio continuo in un moto rettilineo alternato e viceversa. Esso trova larghissima applicazione nelle costruzioni delle macchine: sia nei motori alternativi a combustione interna od a vapore, sia nelle macchine operatrici a fluido come pompe e compressori alternativi; la soluzione con testa a croce si adotta poi nelle macchine a doppio effetto o nei motori a combustione interna di grande potenza a semplice effetto. Facendo riferimento allo schema del meccanismo riportato nella figura sottostante vengono definiti i vari elementi del dispositivo: - punto P: rappresenta l’occhio o piede di biella che collega con l’elemento che

trasla (testa a croce, pistone o stantuffo); è dotato di moto rettilineo alternato tra due tra due posizioni estreme Pms (punto morto superiore) e Pmi (punto morto inferiore); - punto B: è il punto di connessione tra la testa di biella e il bottone di manovella; è

dotato di moto rotatorio; - biella: elemento, di lunghezza l (lunghezza di biella), che collega rigidamente i

punti P e B; è dotato di moto complesso risultante dalla traslazione dell’estremità P (occhio o piede di biella) e dalla contemporanea rotazione dell’estremità B (testa di biella); - manovella: elemento, di lunghezza r (raggio di manovella), che unisce

rigidamente i punti B e O; è dotato di moto rotatorio intorno al punto O; il rapporto tra la lunghezza di biella e il raggio di manovella l/r si assume normalmente da 3 a 5; - corsa c: è la massima distanza percorsa dal piede di biella tra i due punti morti

superiore e inferiore e corrisponde al doppio del raggio di manovella.

STUDIO CINEMATICO Evidentemente, supposta costante la velocità angolare della manovella, lo studio del moto nel punto B può ricondursi a quello di un punto che si muove di moto circolare uniforme, per cui l’angolo percorso vale: e la velocità è: Lo spazio sp percorso dal punto P, mentre a manovella ruota dell’angolo α, vale: e poiché: ponendo l/r = μ, diventa: Derivando lo spazio in funzione del tempo si ottiene la velocità: e, trascurando il termine sin2α rispetto a μ2, si ottiene: Derivando la velocità rispetto al tempo, si ottiene l’accelerazione nel punto P: ELEMENTI COSTRUTTIVI DEL MECCANISMO BIELLA-MANOVELLA Bielle Le bielle sono organi di forma allungata, costituiti da una parte centrale, denominata fusto, alle cui estremità sono situati, opportunamente raccordati, due supporti cilindrici, ad assi paralleli, di diametro generalmente diverso. L’estremità portante il supporto di diametro maggiore è detta testa di biella; tale supporto

t⋅=ωα

ω⋅= rvB

( ) ( )αβ coscos ⋅+⋅−+= rlrlsP

αβ sinsin ⋅=lr

αββ 22

22 sin1sin1cos ⋅−=−=

lr

( )ttrsP ωµµω 22 sincos1 −−+−⋅=

⎟⎟

⎜⎜

−+⋅⋅==

αµ

ααω

22 sin22sinsinr

dtdsv P

P

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+⋅⋅=

µα

αω22sinsinrvP

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅+⋅⋅= α

µαω 2cos1cos2raP

è generalmente costituito da due semigusci serrati mediante bulloni e recanti all’interno il relativo cuscinetto, in metallo antifrizione, entro cui si articola il perno o bottone di manovella. L’altra estremità, portante il supporto di diametro minore, è detta piede o occhio di biella; anch’essa è munita di apposito cuscinetto in metallo antifrizione entro cui si articola il perno o spinotto dello stantuffo o della testa a croce, materializzandosi, in tal modo, il collegamento a cerniera della biella con l’organo del manovellismo dotato di moto rettilineo alternativo. Il fusto, infine, presenta, in genere, sezione gradualmente crescente dal piede alla testa, raccordandosi con i relativi supporti. La forma costruttiva delle bielle dipende dalla velocità di rotazione del motore. Si definiscono lente le bielle di quei motori che non superano i 300 giri/min; veloci le altre. Bielle lente Queste bielle, funzionanti a basse velocità, si costruiscono pesanti, con forme e sezioni semplici e lavorazioni non troppo precise. La progettazione di una biella lenta viene effettuata trascurando la sua forza d'inerzia e tenendo conto della sola sollecitazione di compressione, quando il piede di biella è al punto morto superiore, posizione in cui lo sforzo trasmesso risulta massimo. Questa condizione di carico, in funzione della snellezza, può sollecitare la biella a carico di punta. La sezione del fusto è normalmente rettangolare (costante o crescente dal piede di biella alla testa), oppure circolare piena o cava. Per l'occhio o piede si adotta sempre la forma chiusa, mentre la testa può essere chiusa o aperta con il cappello fissato al corpo mediante bulloni prigionieri o passanti. I materiali di costruzione utilizzati sono acciaio al carbonio o ghisa sferoidale.

Particolari costruttivi delle bielle lente

Bielle veloci Sono quelle bielle che operano con un alto numero di giri (motori da trazione per veicoli industriali, motori d’auto, aerei). Per queste bielle occorre garantire la massima leggerezza tenendo conto della necessaria rigidità, avente nella loro progettazione anche delle sollecitazioni dovute alle forze d'inerzia che sollecitano la biella durante il suo moto di rotazione e traslazione (colpo di frusta). La sezione adottata per il fusto è perciò sempre quella a doppio T, rinforzato in corrispondenza della testa, dove la biella si trova a dover supportare ulteriori sollecitazioni a causa delle forze d'inerzia, massime quando essa forma con la manovella un angolo di 90° (posizione di quadratura). All'interno dell'occhio o piede di biella è sempre montata con interferenza una boccola di bronzo o di materiale sinterizzato autolubrificante, per migliorare l'articolazione con lo spinotto di collegamento dell'elemento traslante. Un eventuale intaglio sul piede di biella, eseguito dopo il montaggio della boccola, consente un miglior accesso dell'olio all'interno dell'accoppiamento con lo spinotto. La testa delle bielle veloci è di regola costruita in due parti con il cappello d’estremità unito al corpo mediante bulloni a gambo calibrato. Questi fungono da centraggio preciso e realizzano, al montaggio, l'esatto combaciamento delle parti. All'interno della testa di biella è prevista una boccola di bronzo o di materiale sinterizzato, divisa in due parti lavorate in opera per le bielle aperte. Questa bronzina è ricoperta da materiale antifrizione ed il suo montaggio prevede particolari dispositivi che ne impediscono la rotazione rispetto alla sede.

Biella veloce con indicazione delle tolleranze consigliate.

Materiali: I materiali principali con cui sono costruite le bielle sono i seguenti: - poco sollecitate: C30 UNI 7845; - più sollecitate: C50 UNI 7845; - veloci soggette ad urti: 39 Ni Cr Mo 3 UNI 7845 bonificato; 16 Ni Cr Mo 2 UNI 7846 temprato, Rinvenuto; 30 Ni Cr Mo 12 UNI 7845; Manovella La manovella di estremità (cosiddetta poiché calettata all’estremità di un albero) viene convenientemente impiegata sia nelle macchine motrici che nelle macchine operatrici a fluido, quale organo per la trasformazione del moto da rettilineo alternativo a rotatorio, o viceversa. Essa è costituita da un perno di banco sostenuto da un cuscinetto, da un braccio di manovella e da un perno o bottone di manovella, su cui si articola, rotoidalmente, la testa della biella. Il dimensionamento della manovella di estremità consiste essenzialmente in un calcolo di verifica, in quanto, una volta determinate le dimensioni del perno o bottone di manovella e del perno di banco in base ai carichi esterni agenti, si disegna la manovella utilizzando i dati pratici forniti dai manuali, con successiva verifica della resistenza delle sezioni pericolose.

Per quel che riguarda i materiali adoperati per la costruzione delle manovelle di estremità, si può osservare che, nel caso di modeste sollecitazioni, possono essere impiegati gli acciai al carbonio da bonifica, mentre per elevati valori delle sollecitazioni devono impiegarsi gli acciai legati da bonifica (al Cr-Mo, o al Ni-Cr, o al Ni-Cr-Mo). Atteso il carattere affaticante delle sollecitazioni, nel primo caso (acciai al carbonio da bonifica) le tensioni ammissibili alla fatica σ Fam , riferite alle sollecitazioni normali, devono assumersi comprese tra 40 ÷ 60 N/mm2, mentre nel secondo caso (acciai legati da bonifica) le predette tensioni ammissibili σ Fam posso assumersi comprese tra 120 ÷ 150 N/mm2.

Motori

Motori alternativi a combustione interna

I motori alternativi a combustione interna sono macchine termiche che forniscono lavoro all'albero attraverso la combustione discontinua del combustibile in una camera di lavoro il cui volume viene fatto variare per mezzo del moto di uno stantuffo. Lo stantuffo scorre all'interno di un cilindro chiuso superiormente da una testata; l'energia liberata dalla combustione del fluido motore, consistente in aria a cui viene aggiunto il combustibile, viene ceduta allo stantuffo, il cui moto alterno viene poi convertito, attraverso un meccanismo biella-manovella, nel moto rotatorio dell'albero motore, che è l'organo da cui viene prelevato il lavoro prodotto, La combustione avviene all'interno del fluido motore e quindi il fluido, una volta combusto, deve venire rinnovato attraverso un apparato di distribuzione capace di ricambiare periodicamente il fluido motore. A differenza delle macchine a combustione esterna e delle macchine a combustione interna a flusso continuo, come l'impianto di turbina a gas, la combustione, nei motori alternativi a combustione interna (abbreviazione: motori a c.i.), avviene all'interno della stessa macchina che fornisce lavoro: il cilindro in cui scorre lo stantuffo.

Questo fatto porta da una parte a semplificazioni dovute all'assenza di scambiatori di calore con il vantaggio di minori fonti di perdite; dall'altra parte esistono delle limitazioni nella scelta dei combustibili che non possono essere solidi e devono avere requisiti tali da realizzare la combustione nei modi e nei tempi voluti, così come

esistono delle complicazioni legate alla necessità di rinnovo del fluido motore. La combustione tuttavia nei motori alternativi può avvenire a temperature molto alte proprio perché di breve durata e perché il materiale delle pareti del cilindro è stato precedentemente "raffreddato" dal nuovo fluido entrato, questo fa si che quelle che potrebbero sembrare esigenze estremamente severe rappresentino al contrario le condizioni indispensabili perché questo tipo di motore possa raggiungere rendimenti molto alti, i più elevati nel campo delle macchine termiche. Fatto tanto più rilevante se si pensa che questi rendimenti possono essere raggiunti anche con macchine aventi potenze modeste.

1) termostato acqua 2) puntiera 3) valvola di scarico 4) valvola d’aspirazione 5) iniettore 6) testa cilindri 7)stantuffo con camera di combustione toroidale 8) basamento motore 9) biella 10)

volano motore 11) valvola regolazione pressione olio 12) pompa olio 13) coppa olio 14) albero motore

contrappesato 15) ingranaggio conduttore sull’albero motore 16) Ingranaggio di rinvio comando pompa iniezione

17) ingranaggio comando albero distribuzione 18) pompa acqua 19) ventilatore

Gli organi che convertono il moto rettilineo alterno dello stantuffo nel moto rotatorio dell'albero motore sono solitamente una biella e una manovella, ma talvolta, soprattutto nel caso di motori di grandi dimensioni, fra lo stantuffo e la biella viene interposta un'asta e una testa a croce.

Per i motori che presentano un solo albero motore le disposizioni più adottate sono:

a) in linea: tutti i cilindri giacciono su uno stesso piano;

b) a V semplice o multipla: i cilindri giacciono su 2 o più piani che si intersecano formando un determinato angolo;

c) contrapposti: si tratta di un caso particolare di motore a V semplice in cui l'angolo fra i due

piani è di 180°;

d) a stella singola o doppia: i cilindri sono disposti radialmente all'albero motore su uno o due piani perpendicolari, in modo da creare l'immagine di una stella.

In alcuni motori, più stantuffi operano in una camera di combustione comune; nel caso del motore a U gli stantuffi si muovono nello stesso verso, mentre nel caso del motore a stantuffi contrapposti gli stantuffi si muovono l'uno nel verso opposto all'altro.

La struttura del motore alternativo è fondamentalmente costituita da: _ cilindro: formato da una canna, alettata all'esterno (quando raffreddata ad aria) oppure non alettata e circondata da un involucro che lascia il posto a un'intercapedine per il liquido refrigerante;

_ testata: chiude in alto il cilindro; _ incastellatura: collega il cilindro con il basamento; _ basamento: su cui si scaricano le forze di inerzia del manovellismo e le forze generate dalla pressione dei gas; _stantuffo: delimita la parete della camera variabile che riceve il lavoro dal fluido per trasmetterlo all'albero a gomiti; _ manovellismo: trasmette il lavoro all'albero a gomiti ed è costituito da spinotto ,biella e manovella; _ coppa dell'olio: chiude inferiormente il carter e raccoglie l'olio di lubrificazione della canna del cilindro. Affinché il motore funzioni correttamente e necessaria tutta una serie di apparati e dei rispettivi organi che provvedano a soddisfare le diverse esigenze del motore stesso: _ distribuzione: ha il compito di rinnovare all'istante voluto il fluido motore; _ alimentazione: provvede a fornire combustibile al motore nel momento, nella quantità e nel modo richiesti; _ accensione: questo apparato viene utilizzato in quei motori dove la combustione del fluido va innescata artificialmente; _ lubrificazione: si incarica di portare il lubrificante nei punti e nella quantità stabilita, a filtrarlo dalle impurità ed eventualmente a refrigerarlo; _ refrigerazione: ha il compito di provvedere al raffreddamento delle parti fisse e mobili della camera a volume variabile; _ avviamento: deve trascinare il motore a una velocità di rotazione sufficiente affinché esso possa sostenersi autonomamente e in modo regolare. Di seguito sono riportati gli elementi caratteristici del motore alternativo: _ Punto Morto Superiore (PMS): punto in cui lo stantuffo si trova più vicino alla testata del cilindro e Punto Morto inferiore (PMI): punto in cui lo stantuffo si trova più lontano dalla testata che chiude superiormente il cilindro. _ Alesaggio (D): diametro interno del cilindro in cui scorre lo stantuffo. _ Corsa (C): distanza percorsa dallo stantuffo fra le posizioni di PMS e di PMI. Questa distanza è uguale al doppio del raggio r della manovella: C = 2r _ Cilindrata unitaria oppure, semplicemente, cilindrata (V): volume generato dallo stantuffo durante la corsa. Data la particolare forma della camera, dentro la quale scorre lo stantuffo la cilindrata unitaria è espressa da:

_ Cilindrata totale (iV): utilizzata per motori avente un numero i di cilindri, è data dalla cilindrata unitaria moltiplicata per il numero di cilindri del motore. Nel caso di motore monocilindrico (motore avente un solo cilindro) la cilindrata unitaria coincide naturalmente con quella totale. _ Volume di spazio amorfo (Vm): volume compreso fra la testa e lo stantuffo quando

questo si trova al PMS. _ Rapporto volumetrico di compressione           : rapporto fra il volume della camera quando lo stantuffo si trova al PMI ( V + Vm) e il volume della camera quando lo stantuffo si trova al PMS (Vm). _ Velocità di rotazione dell'albero motore: si tratta di una velocità angolare e può essere misurata in giri al secondo (n) oppure in radianti al secondo . _ Velocità media dello stantuffo ( Vm): media delle velocità dello stantuffo durante un giro completo dell'albero motore. Tale media può essere ottenuta da: V m = 2 nC se consideriamo che a ogni giro dell'albero motore lo stantuffo percorre uno spazio che corrisponde a due volte la corsa, oppure da:

se teniamo conto della relazione fra la velocità angolare misurata in radianti e la velocità di rotazione misurata in giri al secondo.

Motore a quattro tempi

Nei motori a quattro tempi l'involucro esterno e costituito essenzialmente da testata, monoblocco e carter. Nella testata, che chiude superiormente i cilindri, sono alloggiate le candele, le sedi valvole con i condotti di alimentazione e scarico e la maggior parte degli organi che presiedono alla distribuzione. La testata viene per lo più realizzata in lega di alluminio, per le sue caratteristiche di leggerezza e di conducibilità termica, necessaria quest'ultima per smaltire calore dalle zone particolarmente critiche, quali quelle attorno alla candela e alla valvola di scarico. Nel monoblocco, viceversa, sono ricavate le sedi dei cilindri o le pareti laterali dei cilindri stessi. Quest'ultime prendono il nome di canne e formano un pezzo unico col monoblocco (canne integrali) solo quando questo e costituito da una fusione di ghisa. Altrimenti, quando si impiegano leghe leggere, si e costretti a utilizzare canne riportate, perché il materiale di cui e costituito il monoblocco non garantisce quell'elevata durezza superficiale necessaria nelle zone a contatto diretto col moto dello stantuffo. Le canne

riportate possono essere suddivise in due categorie: _ in umido, quando sono lambite dall'acqua di raffreddamento e fanno tenuta contro le infiltrazioni di acqua nel cilindro; _ a secco, quando sono situate in un vero e proprio cilindro contenitore ricavato nel monoblocco. In quest'ultimo caso non sussistono problemi di tenuta, ma peggiora la trasmissione di calore fra le pareti dei cilindri e le camicie contenenti l'acqua refrigerante. Generalmente il monoblocco svolge anche le funzioni di basamento, in quanto comprende anche l'involucro del manovellismo, tramite cui il moto alterno dello stantuffo viene trasformato in moto rotatorio, e i semigusci superiori dei cuscinetti di banco, su cui appoggia l'albero motore. Infine, imbullonato sotto il monoblocco, si trova il carter, costituito da una lamiera di acciaio sagomata, o, in motori di maggior pregio, da un pezzo fuso in lega leggera e alettato. La sua funzione è quella di raccogliere e refrigerare l'olio di lubrificazione che vi arriva per gravità dalle altre parti del motore. Un altro gruppo di organi è quello che costituisce la catena cinematica. Di esso fanno parte lo stantuffo, l'albero a gomiti e la biella, che serve da collegamento fra i primi due. Lo stantuffo, che generalmente nei motori veloci è in lega leggera, ha la forma di un bicchiere rovesciato. Nel suo interno si trovano delle nervature che hanno il doppio scopo di irrobustire la struttura senza appesantirla eccessivamente e di trasmettere il calore che esso riceve dai gas combusti. La funzione della parte inferiore dello stantuffo è quella di guidarlo nel suo movimento all'interno del cilindro, mentre a quella superiore è affidata la tenuta. A questo scopo sulle pareti laterali sono ricavate delle scanalature, in numero maggiore o uguale a tre, nelle quali trovano posto delle fasce elastiche di tenuta e raschia-olio. Si tratta di segmenti metallici a forma cilindrica, che hanno il compito, quelle superiori, di evitare le fughe di gas dall'interno del cilindro e, quelle inferiori, di raschiare l'olio che si deposita sulle pareti; in tal modo si impedisce all'olio di passare in camera di combustione. L'albero motore o albero a gomiti è composto da una serie di perni lubrificati di cui alcuni trasmettono il moto alle bielle (perni di manovella), mentre altri costituiscono il sostegno dell'albero da parte del monoblocco (perni di banco). II collegamento con gli altri organi avviene grazie a un sistema a due semigusci uniti strettamente fra loro da due bulloni, nei quali vengono inseriti dei cuscinetti di materiale metallico antifrizione (bronzine). Per garantire la lubrificazione di tali accoppiamenti si ricorre a una serie di fori praticati all'interno dell'albero motore, attraverso cui l'olio, che arriva ai perni di banco dal monoblocco, può giungere fino ai perni di manovella. Sull'albero a gomiti sono inoltre applicati degli appositi contrappesi, masse eccentriche che hanno la funzione di bilanciare le forze di inerzia generate dal moto alterno degli stantuffi e un volano, posto a una estremità, che regolarizza la velocità angolare dell'albero. Solitamente è costituito in acciaio forgiato, ma talvolta può venire impiegata anche la ghisa. Degli stessi materiali è costituita anche la biella, che e collegata allo stantuffo tramite un apposito perno tubolare in acciaio cementato,

detto spinotto. Tramite cinghie o ingranaggi collegati all'albero motore vengono trascinati in rotazione un gran numero di organi accessori. Essi vanno dalla pompa del carburante, nel caso sia a comando meccanico, alla pompa dell'acqua di raffreddamento o al ventilatore, per arrivare fino alla pompa dell'olio. Collegati all'albero motore sono anche la dinamo, o l'alternatore, che ricaricano in continuazione la batteria, lo spinterogeno e l'albero a camme che si occupano rispettivamente dell'accensione e della distribuzione. Abbiamo poi il filtro dell'aria, il carburatore o l'apparato di iniezione, il collettore di aspirazione e infine il filtro dell'olio.

Alberi Motore

Il ciclo utile di un motore a quattro tempi richiede due giri dell'albero motore, mentre per il ciclo utile del motore a due tempi occorre un solo giro dell'albero motore. Nella testata dei motori a quattro tempi vengono alloggiate almeno due valvole che permettono il ricambio dei gas presenti all'interno del cilindro. Da una valvola (valvola di scarico) fuoriescono i gas combusti, mentre dall'altra (valvola di aspirazione) entra la carica fresca. II ciclo di lavoro che caratterizza il funzionamento del motore a quattro tempi è composto da: 1a Fase (Aspirazione): lo stantuffo scendendo genera un volume che viene riempito dalla carica fresca, entrata nel cilindro attraverso la valvola di aspirazione A; 2a Fase (Compressione): lo stantuffo risalendo, a valvole chiuse, comprime la carica entro la camera di combustione; 3a Fase (Combustione): o spontaneamente, grazie alle elevate pressioni e temperature raggiunte, o artificialmente, mediante una scintilla che scocca fra due elettrodi, poco prima del punto morto superiore (PMS) i gas incominciano a bruciare. La

combustione termina quando lo stantuffo sta già scendendo; 4a Fase (Espansione): i gas combusti fanno scendere verso il basso lo stantuffo; 5a Fase (Scarico spontaneo): la valvola di scarico si apre con un certo anticipo rispetto alla fine della corsa di espansione, per permettere ai gas che sono in pressione di fuoriuscire dal cilindro; 6a Fase (Espulsione): salendo nuovamente lo stantuffo espelle i gas combusti che ancora erano rimasti all'interno del cilindro.

NB. Per fase si intende ogni trasformazione chimico-fisica che interessa miscela aria-combustibile, mentre per tempo si intende la corsa da punto morto superiore a punto morto inferiore e viceversa. Il motore a quattro tempi ha il vantaggio del basso consumo di combustibile in quanto le singole operazioni sono accuratamente scandite dalle valvole. Per contro la potenza prodotta è soltanto metà di quella che corrisponde alla capacità del motore dal momento che un ciclo di lavoro richiede due rotazioni dell'albero motore. Inoltre parte della potenza meccanica viene assorbita nelle due corse in cui non viene effettuato lavoro e dall'apparato della distribuzione.

motori a quattro tempi / motori a due tempi

Le valvole, attraverso le quali avviene il ricambio del fluido motore, sono sistemate nella testa del cilindro. La soluzione usata nella quasi totalità delle applicazioni prevede una valvola a fungo, che consiste in un piatto: la testa, e in un gambo cilindrico: lo stelo. La testa ha superficie piana (a) o cava (b), o convessa (c) nel caso contenga una cavità per il liquido di raffreddamento (generalmente sodio), e il suo

contorno è smussato con un angolo di 45°- 60° al fine di assicurare una migliore tenuta. Le valvole sono costituite generalmente di acciaio al carbonio, ma dove le condizioni di funzionamento sono più critiche si fa anche uso di acciai legati, quali acciaio al cromo-silicio opportunamente trattato, o acciaio austenitico ad alto tenore di nichel-cromo per resistere alle alte temperature. Talvolta, l'orlo di tenuta viene rivestito con materiali più duri e resistenti all'usura (stellite). Le valvole, soprattutto quelle di scarico, sono estremamente sollecitate perché soggette a urti, corrosioni chimiche e sollecitazioni termiche non uniformi.

II sollevamento (e il riabbassamento) delle valvole dalla loro sede e ottenuto mediante eccentrici, o camme, disposti su uno o più alberi (vedi Fasatura Variabile). Questi ruotano a velocità angolare dimezzata rispetto all'albero a gomiti, in quanto la fase di rinnovo del fluido motore si verifica ogni due giri (motore a quattro tempi). II movimento viene trasmesso dall'albero motore all'albero a camme mediante cinghie dentate oppure ingranaggi. II comando delle valvole da parte degli eccentrici viene realizzato mediante l'interposizione di bicchieri, bilancieri, diti o ancora aste e bilancieri (quando l'albero a camme si trova lontano dalla testa) in grado di assorbire le spinte laterali prodotte dall'eccentrico, spinte che non devono essere trasmesse alla valvola. II collegamento tra valvola e camma e normalmente unilaterale e al richiamo della valvola provvede un sistema elastico costituito da una molla a elica.

Attualmente si assiste all'uso sempre più diffuso di alberi a camme in testa (ovvero

posti sopra la testa del cilindro) che comandano direttamente una punteria (l'organo su cui agisce l’eccentrico) a bicchierino. Alcune volte si preferisce dotare il motore di più di due valvole, che, risultando più piccole, hanno minore inerzia e sono meno sollecitate termicamente. In questo caso le soluzioni più utilizzate sono: 3 valvole (due di aspirazione e una di scarico); 4 valvole (due di aspirazione e due di scarico); 5 valvole (tre di aspirazione e due di scarico). Mentre le prime due soluzioni vengono usate anche nella normale produzione di serie e la seconda è estremamente diffusa nel campo delle competizioni o nel campo di motori di cilindrata elevata, l’ultima è stata applicata solo su qualche motore motociclistico. I motori con alberi a camme in testa, possono avere una disposizione dei cilindri tale da richiedere due alberi a camme, questi motori vengono denominati DOHC (double overhead cam) mentre i motori più comuni, con solo un albero a camme sono chiamati SOHC (singleoverhead cam).

Alimentazione del Combustibile

Nei motori ad accensione comandata l'aria e il combustibile vengono miscelati, per formare la carica che verrà bruciata in camera di combustione. I dispositivi attualmente usati a questo scopo sono il carburatore e l'iniezione. Solitamente la miscelazione avviene nel collettore di alimentazione e solo raramente (con particolari sistemi di iniezione) all'interno del cilindro. Un'altra particolarità dei motori ad accensione comandata è l'utilizzo di una valvola, nella maggior parte dei casi a farfalla, che, parzializzando la miscela di alimentazione, permette di regolare la coppia erogata dal motore a una data velocità di rotazione. Il carburante è contenuto in un apposito serbatoio e viene portato ai dispositivi di miscelazione grazie a una pompa a comando meccanico o elettrico. Nei motocicli, dove solitamente l'iniezione è poco usata, la pompa di alimentazione può mancare e il combustibile arriva al carburatore per gravità, dato che il serbatoio è collocato sopra il motore. L'aria necessaria all'alimentazione viene prelevata dall'ambiente esterno e opportunamente filtrata. Per i motori che utilizzano il carburatore è necessario mantenere l'aria di alimentazione sempre al di sopra di una certa temperatura, in modo da evitare la formazione di ghiaccio sulla valvola a farfalla e in prossimità dei getti del carburatore, a causa del calore assorbito dalla evaporazione del combustibile. Nei mesi invernali si fa fronte a questo problema prelevando l'aria in prossimità dei condotti di scarico che si trovano a temperature piuttosto elevate, Al fine di garantire una perfetta alimentazione, oltre a una buona vaporizzazione del combustibile nell'aria, deve esistere la possibilità di variare la dosatura á (rapporto aria/combustibile) in funzione delle diverse condizioni di lavoro del motore, per soddisfare esigenze anche tra loro contrastanti di prestazioni, consumo dl combustibile ed emissioni. Considerando, ad esempio, prestazioni e consumo di combustibile, vediamo che la massima potenza viene raggiunta nel campo delle miscele ricche, mentre il consumo specifico più basso si ottiene con miscele povere. In particolare, la regolazione del rapporto aria/combustibile deve tener conto di: _ Regime di minimo. In queste condizioni l'alimentazione serve unicamente a tenere in rotazione il motore. Poiché la valvola regolatrice di portata è quasi completamente chiusa, il collettore di aspirazione si trova in forte depressione, mentre i gas di scarico si trovano praticamente a pressione ambiente. Pertanto una parte dei gas combusti (inerti) rimane in camera di combustione diluendo la carica fresca. La maggiore presenza di gas inerti rallenta la fiamma fino a comprometterne la propagazione; per compensare questo effetto negativo si procede a un arricchimento della miscela. _ Carichi parziali. La valvola a farfalla è semiaperta e il motore richiede una dosatura relativamente povera al fine di abbassare il consumo specifico di combustibile. _ Regime di piena potenza. Per raggiungere potenze elevate il motore ha bisogno di miscele ricche. In questo modo si aumentano il coefficiente di riempimento, grazie

alla diminuzione di temperatura prodotta dall'evaporazione del carburante, e la velocità della fiamma. Combustibili

La benzina è il combustibile impiegato sui motori ad accensione comandata; si tratta di una miscela di idrocarburi derivati dalla raffinazione del petrolio greggio. L' insorgere della detonazione può essere contrastato impiegando carburanti che danno luogo a miscele con aria molto resistenti all'ossidazione anche in presenza di temperature elevate in camera di combustione. Un parametro che esprime la resistenza di un carburante alla detonazione è il numero di ottano. Si definisce numero di ottano di un carburante la percentuale in volume di iso-ottano (idrocarburo a cui viene attribuito il numero di ottano 100), che, contenuto in una miscela di iso-ottano e normal-eptano (idrocarburo a cui viene attribuito il numero di ottano 0), manifesta, uguale resistenza alla detonazione del carburante in prova. Il confronto tra la miscela di iso-ottano e normal-eptano e il carburante in prova viene fatto su un motore da laboratorio in cui le condizioni che portano alla detonazione vengono ottenute facendo variare il rapporto di compressione. La benzina, che viene utilizzata nei motori ad accensione comandata, è costituita da una miscela di idrocarburi aventi resistenza alla detonazione diversa. Quanto più compatta è la molecola dell'idrocarburo, tanto più difficilmente si rompe sotto l'azione della temperatura; vengono perciò a mancare quei frammenti di molecola, detti radicali, particolarmente attivi nel promuovere le reazioni di ossidazione e la detonazione: ad esempio la disposizione della molecola dell'iso-ottano è molto più raccolta di quella del normal-eptano.

L'aumento del numero di ottano può essere ottenuto aggiungendo particolari additivi alle benzine; tra questi particolarmente efficaci sono il piombo-tetraetile e il piombo-tetrametile. L'uso di questi additivi si va però ridimensionando sia per evitare inquinamento da piombo, che in tal modo viene emesso dai gas di scarico, sia soprattutto per non avvelenare il catalizzatore, che i motori montano allo scarico per ridurre le emissioni degli inquinanti tipici dei motori alternativi. Un'altra caratteristica importante del carburante è la volatilità. Se la volatilità e troppo

bassa, specie di inverno, la vaporizzazione può esserne ostacolata e l'avviamento del motore risulta difficile; se la volatilità, viceversa, risulta troppo elevata, possono formarsi, nel periodo estivo, degli emboli di vapore che ostacolano la circolazione della benzina nei condotti che alimentano il motore. Accensione Nei motori ad accensione comandata, la reazione di ossidazione del combustibile viene innescata da una scintilla fatta scoccare fra gli elettrodi di una candela. L'accensione della miscela deve perciò avvenire nel momento più opportuno per una buona combustione. In particolare, l'anticipo di accensione va scelto in maniera da evitare sia pressioni di combustione troppo elevate, cause prime del fenomeno della detonazione, sia pressioni troppo basse, che determinerebbero un abbassamento del rendimento. Accensione Meccanica I principali parametri su cui ci si basa per regolare l'anticipo di accensione, sono il numero di giri n del motore nell'unità di tempo e la pressione nel collettore di aspirazione. La turbolenza all'interno del cilindro, e quindi la velocità di combustione, aumenta all’aumentare del regime di rotazione, ma in misura insufficiente perché la combustione si completi nello stesso angolo di manovella; è perciò necessario, all’aumentare della velocità n, anticipare l’accensione, affinché la combustione si svolga il più possibile attorno al PMS. Nel funzionamento ai carichi parziali, ovvero, quando la valvola a farfalla è solo parzialmente aperta, e più alta è la depressione nel collettore di aspirazione, il motore viene solitamente alimentato con miscele magre, con conseguente abbassamento della velocità di combustione. Anche in questo caso, quindi, è necessario anticipare l’istante di accensione. Accensione Elettronica L'impiego dell'elettronica in modo sistematico permette di memorizzare delle mappe che consentono di stabilire, in maniera più raffinata, il momento in cui far scoccare la scintilla in funzione dei diversi obiettivi di consumo di combustibile, emissioni e prestazioni richiesti al motore nelle varie condizioni di funzionamento. Sistemi come questi vengono naturalmente associati al controllo del sistema di iniezione. Combustione Nei motori alternativi ad accensione comandata il calore viene fornito dalla combustione della miscela aria-combustibile che avviene quando lo stantuffo si trova vicino al punto morto superiore (PMS). La combustione della miscela viene innescata dalla scintilla prima del PMS e si propaga con un fronte di fiamma che rappresenta la manifestazione visibile del fenomeno stesso. II movimento della miscela all'interno della camera, che è di tipo turbolento, favorisce la propagazione dei calore e fa aumentare quindi la velocità della fiamma; in prima approssimazione, dopo un tempo di incubazione corrispondente a circa 15° - 20° di angolo motore necessario alla scintilla per determinare l'inizio della combustione, si propaga un fronte di fiamma con una velocità media pari a circa 30 m/s. La velocità di fiamma dipende, oltre che dalla turbolenza all'interno della camera di combustione, dalla dosatura a, rapporto tra aria e combustibile [kg di aria I kg di combustibile]

della miscela che alimenta il motore. Parliamo di miscele ricche oppure di miscele povere a seconda che il rapporto effettivo aria/combustibile a sia più basso (ad esempio 13 kg di aria / kg di combustibile) oppure più alto (ad esempio 20 kg di aria / kg di combustibile) del rapporto stechiometrico. Quando cioè il combustibile e in eccesso rispetto all'aria necessaria per l'ossidazione completa del combustibile, allora la miscela è ricca (di combustibile); quando invece il combustibile è in difetto rispetto all'aria richiesta per l'ossidazione completa del combustibile, la miscela è povera. La velocità di fiamma più alta viene raggiunta con miscele leggermente ricche, quando cioè il rapporto aria/combustibile effettivo è soltanto di poco inferiore al rapporto stechiometrico. All'inizio, la miscela aria-combustibile brucia molto lentamente; quando poi la reazione di ossidazione ha preso una certa consistenza la velocità di fiamma aumenta e il fronte si propaga secondo superfici sferiche più o meno frastagliate a seconda della turbolenza. La combustione si completa in un tempo tanto più breve e quindi con un rendimento indicato tanto migliore, quanto più alto è il rapporto di compressione (dato che, a fine compressione, la miscela si trova a temperature maggiori) e quanto migliore è la forma della camera di combustione e dei condotti al fine di favorire un'elevata turbolenza.

Visualizzazione della propagazione della fiamma in un motore ad accensione programmata (SAE SP-715, autori:

A.O. zur Loye e F.V. Bracco). Diversi momenti di propagazione a 40 giri/s (2400 giri/min) con miscela

stechiometrica a 15° di anticipo all’accensione; sotto ogni fotogramma è riportato il valore dell’angolo di manovella in gradi (°) p PMS (prima del punto morto superiore)

oppure d PMS (dopo il punto morto superiore). Iniezione L'iniezione del combustibile nei motori ad accensione per scintilla avviene solitamente nel condotto di aspirazione vicino alla valvola. L'iniettore può essere comandato idraulicamente o elettricamente. In entrambi i casi esiste una pompa che manda la benzina in pressione all'iniettore: ma mentre nel primo caso l'iniezione è continua, nel secondo l'iniettore è provvisto di una valvola a spillo comandata elettricamente da un solenoide, e l'iniezione del combustibile avviene in maniera intermittente. L'iniezione viene gestita da una centralina elettronica, che, sulla base di appropriati sensori, può decidere la dosatura ottimale in funzione di un elevato

numero di parametri. Esaminiamo in particolare il dispositivo di iniezione elettronica della seguente figura.

Questo sistema prevede in particolare un misuratore della portata d'aria di alimentazione, che permette una più precisa dosatura del combustibile in funzione delle condizioni di funzionamento del motore. Altre informazioni trattate dal sistema sono: velocità di rotazione del motore, posizione dell'albero motore, temperatura dell’acqua di raffreddamento, ecc. L'elettropompa 2 assicura l'alimentazione del carburante. Dal serbatoio 1 il carburante passa, attraverso un filtro fine 3, al tubo ripartitore 4, dal quale si diramano i singoli tubi per gli elettroiniettori 12. Un regolatore di pressione 5, montato sul tubo ripartitore, mantiene costante la pressione principale. La centralina elettronica emette degli impulsi di apertura e chiusura degli elettroiniettori, il cui tempo di apertura determina la quantità di carburante iniettato. Pur essendo abbastanza costosa, l'iniezione, rispetto al carburatore, offre numerosi vantaggi connessi alla miglior nebulizzazione del combustibile e a una maggiore elasticità nella scelta della dosatura e alle varie condizioni di funzionamento del motore. I principali vantaggi sono: aumento della potenza del motore a causa della maggiore libertà consentita nel disegno del collettore, migliore regolarità di funzionamento ai bassi regimi, minor consumo specifico di combustibile e maggior riduzione di CO e HC (ma non di NOX) per la dosatura più precisa realizzata nei transitori. Le funzioni che deve assolvere il sistema sono legate alle condizioni di esercizio normale del motore (funzionamento a regime e nei transitori) e a quelle speciali (avviamento, variazione della temperatura esterna e quota). Di seguito viene descritto l'intervento del sistema in tre condizioni tipiche.

1) Avviamento a freddo. L'elettroiniettore dell'avviamento a freddo 16 inietta, finemente nebulizzato, del carburante supplementare nel collettore di aspirazione. L'interruttore termico a tempo 14 determina la durata dell'inserimento dell'elettroiniettore di avviamento, mentre il sensore di temperatura 9 assicura una maggiore alimentazione di carburante per tutta la fase di riscaldamento del motore. 2) Massimo carico. L'interruttore sulla farfalla 8 corregge su un valore ottimale la miscela aria l carburante in quei motori che a carico parziale funzionano con miscela povera; in pratica esso provvede a un arricchimento della miscela. 3) Minimo. A freddo la valvola dell'aria supplementare 18 manda aria addizionale al motore, aggirando la farfalla dell'acceleratore. L'arricchimento della miscela che occorre effettuare al minimo carico è invece pilotato direttamente dalla centralina elettronica, grazie al sensore della portata d'aria di alimentazione.

Iniezione diretta Una delle tecnologie più evolute nei motori ad accensione comandata è l’iniezione diretta (GDI - brevetto Mitsubishi). La capacità del motore a iniezione diretta è di assicurare sia un'elevata potenza che un eccellente rendimento nei consumi e deriva dalla capacità di operare in due diversi modi di combustione, a seconda delle condizioni di guida: "modo a combustione ultramagra" quando la potenza non è una necessità, come nel traffico cittadino o in autostrada a velocità di crociera; "modo a potenza superiore" quando serve più potenza, come in un sorpasso, o per affrontare una salita. Sovralimentazione La potenza di un motore a combustione interna dipende dalla massa d’aria e dalla quantità corrispondente di combustibile che possono essere introdotte nel cilindro. Normalmente questo aumento di potenza viene ottenuto da un aumento di cilindrata o dal regime di rotazione. Tuttavia l’aumento della cilindrata ha come conseguenza l’aumenta della massa del motore e del relativo ingombro, mentre l’aumento del regime di rotazione rappresenta, particolarmente per i motori di dimensioni maggiori, una difficoltà insormontabile, poiché il corrispondente aumento delle forze di inerzia che agiscono sugli organi in moto alterno richiede un maggior irrobustimento di questi e quindi una massa maggiore, che, a sua volta, porta all’ulteriore aumento delle forze di inerzia, innescando cosi un processo senza sbocchi. Una diversa soluzione tecnica per ottenere l’aumento di potenza di un motore è la sovralimentazione, che consiste nell’aumentare la pressione dell’aria di alimentazione; l’aumento di pressione viene molto spesso realizzato con modesti aumenti di temperatura dell’aria in quanto il sistema di sovralimentazione viene seguito da un interrefrigeratore. Ciò consente l’introduzione nell’interno del cilindro di aria oppure di una miscela aria-combustibile caratterizzata da una massa volumica superiore a quella dell’ambiente, e quindi da una massa maggiore. Si distingue poi tra sovralimentazione in senso proprio quando lo scopo è quello di aumentare la potenza

rispetto a quella che si potrebbe ottenere con il motore aspirato funzionante nelle condizioni standard di pressione e di temperatura ambiente, mentre si parla di sovralimentazione di ripristino quando, nel caso di motori che lavorano a quote elevate e quindi con massa volumica dell’aria inferiore a quelle presenti al livello del mare, si vuole ristabilire la massa volumica dell’aria al livello delle condizioni standard. Le osservazioni che seguono si riferiscono al motore a quattro tempi e soprattutto al motore ad accensione per compressione, dove la pratica della sovralimentazione è ormai quasi universalmente applicata. La sovralimentazione, realizzata in modo corretto, porta anche a vantaggi nel rendimento indicato, in quanto, essendo la pressione pc all’uscita del compressore maggiore della pressione ps dell’ambiente in cui scarica il motore, l’area di scambio gas del ciclo di lavoro diventa positiva e quindi il lavoro corrispondente viene aggiunto e non, come avviene per il motore aspirato, sottratto al lavoro compiuto durante l’espansione dei gas sullo stantuffo. Nel caso del motore aspirato, il lavoro viene compiuto dallo stantuffo che provvede a espellere i gas combusti a una pressione mediamente superiore a quella atmosferica e aspirare la carica fresca a una pressione mediamente inferiore a quella atmosferica: si tratta quindi di un lavoro negativo. Al contrario, nel caso del motore sovralimentato, il lavoro di scambio gas diventa positivo in quanto la carica fresca viene adesso portata a una pressione maggiore di quella atmosferica a spese del lavoro del compressore superando così la pressione a cui vengono espulsi dal cilindro i gas combusti. I principali sistemi per ottenere la sovralimentazione di un motore sono: - compressore rotativo azionato dall’albero motore - turbocompressore a gas di scarico, consistente in un compressore dinamico azionato da una turbina che sfrutta l’energia residua presente nei gas di scarico del motore. Esiste poi una soluzione in cui, accanto al turbocompressore a gas di scarico, abbiamo un’altra turbina alimentata sempre dai gas di scarico e collegata meccanicamente all’albero motore.

Turbocompressore a gas di scarico per motore ad accensione comandata

Qualora la sovralimentazione venga ottenuta con un compressore azionato dall’albero

motore, la pressione allo scarico del motore ps coincide con quella ambiente e l’area del ciclo di scambio gas è sicuramente positiva, a spese però di un lavoro che viene sottratto all’albero motore e che provoca quindi una sensibile riduzione del rendimento, qualora si vogliano raggiungere consistenti pressioni di sovralimentazione. Se invece la sovralimentazione viene ottenuta con il turbocompressore a gas di scarico, caso ben più frequente, la pressione allo scarico del motore ps è quella di ingresso in turbina e questa, qualora il rendimento complessivo del gruppo turbocompressore (compressore + turbina + trasmissione relativa) non sia sufficientemente elevato, può diventare addirittura superiore alla pressione di compressione pc: in questo modo l’area del ciclo di pompaggio ritorna a essere negativa come nel caso del motore aspirato. Per contro la turbina sfrutta l’energia disponibile nei gas di scarico del motore, energia che andrebbe altrimenti perduta. Al contrario di quanto avviene nella sovralimentazione, dove si vuole raggiungere un lavoro di scambio gas positivo, esiste un dispositivo, il freno motore, che ha l’obiettivo di realizzare un ciclo di pompaggio con un’area negativa largamente prevalente su quella del ciclo principale. Ciò si può ottenere strozzando lo scarico del motore con una valvola a farfalla; lo stantuffo, costretto a scaricare il gas contenuto nel cilindro a una pressione più elevata, compie un lavoro che non viene più restituito in quanto successivamente, all’apertura della valvola di aspirazione, la pressione cade al valore esistente nel condotto di aspirazione del motore. Il freno motore, applicato su motori ad accensione per compressione destinati ai veicoli industriali, rappresenta un mezzo efficace per frenare il veicolo quando, su lunghe discese e in presenza di carichi elevati del veicolo, il freno alle ruote, se impiegato in modo continuo, verrebbe messo rapidamente fuori servizio. Sono state realizzate applicazioni in cui il freno motore si inserisce automaticamente quando si rilascia l’acceleratore. Lubrificazione Nei motori alternativi a combustione interna la lubrificazione ha lo scopo di ridurre l'attrito (e quindi l'usura) tra i vari organi in moto relativo, di asportare il calore generato e di migliorare la tenuta tra le fasce elastiche dello stantuffo e della canna del cilindro, limitando la quantità di gas combusti, che penetra nel carter del motore. Gli accoppiamenti che necessitano di lubrificazione possono essere distinti in due categorie: quelli in cui gli organi si muovono di moto relativo alterno (stantuffo rispetto alla canna del cilindro, steli delle valvole rispetto alle loro guide, ecc.) e quelli in cui gli organi ruotano l'uno rispetto all'altro (albero motore rispetto ai cuscinetti, ecc.). La lubrificazione migliore si ha quando fra le superfici in moto relativo è interposto uno strato d'olio continuo, sufficiente a evitarne il contatto. Se l'accoppiamento è molto caricato occorre inviare una elevata quantità di lubrificante onde evitare un eccessivo riscaldamento delle parti: è questa la condizione usuale di lavoro dei cuscinetti dell'albero motore. Quando ciò non è possibile, si ha una lubrificazione meno buona contraddistinta da uno strato d'olio discontinuo o sottile, con i due pezzi

in moto relativo che si toccano almeno parzialmente; questa condizione, tipica del funzionamento degli stantuffi e degli anelli di tenuta sul cilindro, delle punterie e degli steli delle valvole, può essere parzialmente evitata grazie a un'accurata finitura delle parti in moto relativo. La proprietà che meglio caratterizza gli oli lubrificanti è il coefficiente di viscosità μ. Un olio troppo viscoso, pur garantendo una buona lubrificazione durante il funzionamento a regime, provoca una riduzione del rendimento organico del motore, difficoltà di avviamento, un aumento della temperatura dei cuscinetti a causa della ridotta portata lubrificante e un'eccessiva usura dei cilindri, in quanto, durante l'avviamento, si ha un più lungo periodo di funzionamento con lubrificazione insufficiente. D'altra parte un olio di bassa viscosità aumenta il consumo del lubrificante e può provocare l'ingranamento di quelle superfici in moto relativo poste nei punti del motore a temperatura maggiore (per esempio gli stantuffi e gli anelli di tenuta sulle superfici laterali del cilindro). Poiché la viscosità dell'olio varia al variare della temperatura si cerca di utilizzare lubrificanti di diversa viscosità in funzione delle condizioni di impiego del motore. I principali sistemi usati per portare il lubrificante alle varie parti del motore si distinguono in lubrificazione: 1) per sbattimento;

2) per dosatura;

3) per miscelazione con il combustibile; 4) forzata. 1) La lubrificazione per sbattimento consiste nel proiettare un getto di olio sulle superfici da lubrificare per mezzo di organi meccanici che pescano nella coppa dell'olio. E' questo un sistema utile per lubrificare, e spesso per raffreddare, determinati componenti del motore. 2) La lubrificazione per dosatura è largamente impiegata sui grandi motori ad accensione per compressione per lubrificare le canne dei cilindri. L'olio viene prelevato dal serbatoio e mandato al motore tramite una pompa dosatrice, che a ogni giro dell'albero motore invia una quantità di olio che non viene recuperata. 3) La lubrificazione per miscelazione con il combustibile viene utilizzata solamente nei motori a due tempi ad accensione comandata con carter-pompa. Infatti, il combustibile miscelato con olio in percentuali che vanno dal 2 al 4% provvede esso stesso alla necessaria lubrificazione durante la sua permanenza nel carter. 4) II sistema a lubrificazione forzata è attualmente il più seguito. Esso prevede: - Un serbatoio lubrificante costituito solitamente dalla parte inferiore del carter. Quando questo non avviene, si utilizza un serbatoio separato (motori a carter secco), che viene adottato solo su motori destinati a funzionare con forti variazioni di assetto, onde evitare che, in certe condizioni, la pompa non riesca a pescare il lubrificante. - Una pompa di mandata, in genere a ingranaggi o a vite, che fornisce all'olio

l'energia necessaria per la circolazione. - Un filtro che provvede a depurare l'olio dalle parti solide eventualmente presenti in esso. - Una o più valvole di sovrappressione, che provvedono a mantenere costante la pressione di mandata. - Un sistema di condotti in grado di portare il lubrificante a tutte le parti del motore che ne hanno bisogno. - Un sistema di refrigerazione dell'olio che, a seconda delle circostanze, può essere o un vero e proprio scambiatore di calore che viene raffreddato dall'acqua di raffreddamento del motore o, più semplicemente, la stessa coppa dell'olio, talvolta opportunamente alettata. L'olio, che si trova solitamente nella coppa, viene prelevato dall'apposita pompa e inviato al filtro. Successivamente, tramite condotti, sale verso le parti alte del motore. Prima arriva a una tubazione orizzontale posta a metà del basamento e da qui parte dell'olio cade sull'albero a gomiti, dove, attraversando apposite forature, raggiunge i cuscinetti; poi passa a lubrificare l'albero a camme, le punterie e le guide delle valvole. II lubrificante, dopo aver raggiunto tutti i punti a cui era stato destinato, ritorna, per gravità, nella coppa, dove la pompa provvede a rimetterlo nuovamente in circolo. In un motore alternativo a combustione interna il consumo di olio e compreso tra 0,08 g/MJ (0,29 g/(kW x h)) e 0,35 g/MJ (1,26 g/(kW x h)) e in ogni caso non deve superare 0,4 g/MJ (1,44 g/(kW x h)). Nel disegno qui a fianco è rappresentato un albero a gomiti. Si notino i fori di lubrificazione, attraverso i quali scorre olio lubrificante che andrà a lubrificare i perni.

Motore a due tempi I motori a due tempi ad accensione comandata sono destinati essenzialmente al campo delle piccole potenze, dove è richiesta una grande semplicità costruttiva. La loro caratteristica saliente e il funzionamento del carter come pompa di lavaggio. Le fasi del funzionamento possono essere riepilogate come segue: _ lo stantuffo sale comprimendo la carica che si trova nel cilindro dal momento in cui lo stantuffo ha coperto le luci di lavaggio; e contemporaneamente aspira nel carter

una nuova miscela (aria-combustibile) il cui ingresso è permesso dall'apertura di un'apposita valvola; _ quando lo stantuffo, durante la fase di combustione, inverte il suo moto, la valvola si chiude e la miscela nel carter viene compressa; _ successivamente si riapre la luce di scarico, dalla quale fuoriescono i gas combusti per effetto della pressione residua nel cilindro; il ricambio della carica e poi completato dall'ingresso della nuova miscela, spinta dalla pressione che regna nel carter quando lo stantuffo scopre le luci di alimentazione. La valvola di aspirazione posta nel carter può essere di diverso tipo. Una soluzione, per esempio, è quella che vede lo stantuffo aprire e chiudere nel suo moto un'apposita luce di ingresso nel carter; in un altro caso esiste una valvola rotante collegata direttamente all'albero a gomiti. Recentemente si stanno diffondendo delle valvole automatiche a lamelle che permettono alla miscela di entrare solo quando la pressione esterna risulta maggiore di quella all'interno del carter. Poiché il lavaggio avviene con miscela aria-combustibile, una parte del combustibile passa direttamente allo scarico: questo tipo di motore presenta, dunque, elevati consumi specifici tollerati solamente a motivo delle particolari applicazioni a cui viene rivolto (moto leggere, fuoribordo, ausiliari in agricoltura, giardinaggio, modellismo, ecc.). Per quanto riguarda la sua costituzione rimangono notevoli le somiglianze con i motori a quattro tempi, pur non essendo più necessario tutto l'apparato di distribuzione. In particolare nel motore a due tempi occorre rendere minima la capacità del carter e curarne assolutamente l'ermeticità, per le sue funzioni di pompa; sono perciò previste tenute speciali nelle zone in cui esso è attraversato dall'albero a gomiti. L'albero motore è supportato da cuscinetti a rotolamento la cui lubrificazione è assicurata dalla percentuale d'olio (dal 2 al 4%) presente nel carburante. All'estremità e collegato nelle applicazioni più semplici un magnete, che, oltre a produrre l'energia elettrica necessaria per l'apparato di accensione, svolge anche funzioni di volano. La testa e ridotta a un coperchio in cui è ricavato l'alloggiamento della candela. II raffreddamento dei motori a carter pompa e ad aria, quando vengono richiesti semplicità e bassi costi; viceversa, quando il progetto del motore e particolarmente raffinato e le potenze in gioco sono elevate, viene utilizzato il raffreddamento ad acqua. Nei propulsori marini si impiega il raffreddamento ad acqua a circuito aperto. Al fine di garantire il ricambio dei gas presenti all'interno del cilindro, i motori a due tempi presentano dei fori lungo il cilindro, dette luci, che possiamo distinguere in: una luce di alimentazione A, una luce di carica C dalla quale entra la carica fresca e una luce di scarico S dalla quale fuoriescono i gas combusti. Di seguito viene descritto il ciclo di lavoro di un motore a due tempi, ciclo che si svolge in un giro dell'albero motore: 1a Fase (Lavaggio): lo stantuffo è prossimo al punto morto inferiore (PMI) e le luci di alimentazione A e di scarico S sono aperte. La carica di aria fresca mandata da una pompa, detta pompa di lavaggio, spinge innanzi a se i gas combusti e lava l’interno del cilindro; 2a Fase (Carica): lo stantuffo inizia la sua risalita, viene chiusa la luce di scarico,

mentre la pompa di lavaggio immette altra carica fresca attraverso la luce di carica C; 3a Fase (Compressione): tutte le luci sono chiuse e lo stantuffo risale verso l'alto comprimendo i gas presenti all’interno del cilindro; 4a Fase (Combustione): la combustione inizia leggermente prima del PMS e si protrae anche per un tratto della corsa di discesa dello stantuffo; 5a Fase (Espansione): i gas combusti, mentre le luci sono ancora chiuse, espandendosi fanno scendere lo stantuffo; 6a Fase (Scarico spontaneo): prima che lo stantuffo raggiunga il punto morto inferiore (PMI) si apre la luce di scarico, e i gas combusti in virtù della loro pressione, superiore a quella dell'ambiente esterno, fuoriescono dal cilindro.

Rispetto al motore a quattro tempi, il motore a due tempi presenta i vantaggi di un disegno più semplice, della assenza di valvole e del relativo apparato di distribuzione, della maggiore potenza per unità di cilindrata, del più basso rapporto massa/potenza e di bassi costi di produzione. Per contro il motore a due tempi ha un consumo di combustibile più elevato a causa delle perdite legate al lavaggio e alla carica, un più alto carico termico dovuto all'assenza delle due corse, tipiche del motore a quattro tempi, in cui non viene effettuato lavoro, un rumore più elevato e presenza di fumi di olio lubrificante solo parzialmente bruciato.

Problemi ambientali

I gas di scarico emessi dai motori a combustione interna contengono elementi nocivi per la salute dell'uomo e per l'ambiente, quali monossido di carbonio (CO), ossidi d'azoto (NOx) e idrocarburi incombusti, dovuti alla combustione incompleta della miscela aria-carburante. Con l’aumentare del numero di veicoli dotati di motore a combustione interna, i produttori di tali mezzi, sono stati costretti a dotare questo tipo di veicoli di dispositivi che bloccano e controllano i gas espulsi dal motore. Dispositivi Antinquinamento A seguito delle direttive della CEE, a partire dal 1993, tutte le autovetture devono essere dotate di dispositivi che riducono la formazione o sopprimono l'emissione di sostanze inquinanti. Di tali sostanze fanno parte i residui (idrocarburi, HC) di benzina non completamente consumata nella combustione, l'ossido di carbonio (CO), prodotto da cattiva combustione del carburante per mancanza di ossigeno (miscela troppo ricca) e gli ossidi di azoto (NOX), che originano nella camera di combustione se la temperatura massima è troppo elevata, favorendo la combinazione dell'ossigeno e dell'azoto presenti nell'aria. Tutte queste sostanze si trasferiscono nei gas di scarico: per controllarne la formazione si sono ridotti i rapporti di compressione dei cilindri, al fine di abbassare la temperatura massima, e sono state variamente modificate le forme della camera di combustione, al fine di sopprimere gli angoli morti, zone di cattiva combustione; ma il principale dispositivo antinquinamento è il convertitore catalitico introdotto nella marmitta. La sua azione è di abbattere il contenuto di HC e CO nei gas di scarico prima della loro espulsione, trasformandoli in vapore acqueo (H2O) e anidride carbonica (CO2). Marmitta Catalitica I primi modelli di convertitore catalitico contenevano una griglia a nido d'ape, oppure piccoli granuli, ricoperti di platino. Quando i gas di scarico passano attraverso il convertitore catalitico, il metallo favorisce le reazioni chimiche che trasformano gli agenti inquinanti secondo i processi prima descritti. Oggi la sostanza attiva (il catalizzatore), che, oltre che dal palladio, può essere costituito da platino o rodio, ricopre un supporto ceramico, inserito nei condotti della marmitta. I convertitori più moderni sono costituiti da due sezioni, che svolgono un'azione complementare: il catalizzatore vero e proprio (catalizzatore a tre vie) trasforma le sostanze inquinanti in vapore acqueo, anidride carbonica e azoto, mentre nella parte seguente si produce una catalisi per ossidazione, che abbatte ulteriormente le emissioni di idrocarburi e ossido di carbonio. Perché la prima sezione funzioni al meglio, è molto importante che il rapporto stechiometrico aria-carburante della miscela, chiamato rapporto Lambda, si mantenga a un valore fissato: una sonda posta

nel tubo di scarico del motore, chiamata appunto sonda Lambda, rileva tale rapporto e trasmette un segnale elettronico al sistema di alimentazione, che aggiusta al valore ottimale le proporzioni di aria e carburante nella miscela. La funzione svolta dalla sezione posteriore è predominante in determinate condizioni, ad esempio a motore freddo o a pieno regime. Le automobili dotate di marmitta catalitica devono utilizzare benzina senza piombo, altrimenti l'azione del catalizzatore viene a essere sostanzialmente compromessa.

Trattamenti superficiali

L'acciaio è una lega metallica i cui composti principali sono il ferro (Fe) e il carbonio(C). Gli acciai propriamente detti sono quelle leghe che hanno un tenore di carbonio inferiore al 2,08%, quelli con concentrazione maggiore, fino al 6.67%, vengono chiamati GHISE. Le proprietà meccaniche degli acciai cambiano principalmente al variare del tenore di carbonio. In prima approssimazione possiamo affermare che gli acciai dolci (tenore di carbonio non superiore all'1%) hanno elevata resistenza meccanica sia a trazione che a compressione, facile lavorabilità alle macchine utensili, buona malleabilità, duttilità e un alto indice di resilienza, cioè difficilmente subiscono rotture in seguito a un urto. All'aumentare del tenore di carbonio, diminuiscono la resistenza meccanica e la resilienza ma aumenta notevolmente la durezza. In meccanica spesso sono richiesti pezzi che devono possedere tutte le caratteristiche sopra menzionate. Un esempio palese è l'albero a camme che comanda l'azionamento delle valvole di aspirazione e di scarico o gli ingranaggi del cambio o ancora gli steli delle forcelle (in particolare quelli su moto da fuoristrada, la cui superficie può essere scalfita da pietre e polvere). Questi organi meccanici devono avere una superficie molto dura (anche se fragile) per evitare che si usurino dopo poche ore di funzionamento e contemporaneamente devono avere il cuore (appena sotto la superficie) sufficientemente tenace per assorbire i forti carichi a cui sono sottoposti senza subire rotture da carico statico (o dinamico). Un risultato del genere si ottiene realizzando i pezzi con acciai dolci ed effettuando in seguito un trattamento termico superficiale. Tipici trattamenti sono: la Tempra superficiale, la Cementazione e la Nitrurazione. Tempra superficiale E' un processo interamente "termico", consiste nel riscaldare i pezzi da trattare rapidamente in modo da fare superare la temperatura di circa 900°C solo a un sottile strato di metallo immediatamente adiacente alla superficie e nel procedere subito dopo a un brusco raffreddamento. Il riscaldamento del pezzo si può effettuare in due modi: ·Per fiammatura: il riscaldamento è ottenuto investendo i pezzi con una fiamma, generalmente ossiacetilenica. ·Per induzione: i pezzi vengono posti all'interno di una bobina percorsa da corrente ad elevata frequenza. Le correnti indotte nel circuito secondario costituito dal pezzo di acciaio ne provocano il riscaldamento per effetto Joule. In entrambi i casi il raffreddamento può essere ottenuto immergendo o investendo il pezzo con un getto di acqua o olio.

Cementazione La cementazione consiste di un arricchimento di carbonio della zona superficiale del pezzo, si tratta dunque di un processo termochimico. Alla cementazione si fa seguire sempre un normale trattamento di tempra (riscaldamento dell'intero pezzo ad alta T° e successivo raffreddamento in acqua od olio). Esistono tre tipi di cementazione: solida, liquida e gassosa. Solida I pezzi da cementare vengono introdotti in cassette di acciaio contenenti carbone di legna, carbonato di bario (BaCO3) e di calcio (CaCO3). Il tutto viene riscaldato per alcune ore a 900÷920°C. A questa temperatura avvengono le seguenti reazioni: ·CaCO3 « » CaO+ CO2 ·BaCO3 « » BaO + CO2 La prima reazione è pressoché immediata, la seconda avviene più lentamente e garantisce la presenza di CO2 nel tempo. Questa CO2 (anidride carbonica) reagisce con il C del legno secondo la seguente reazione nota anche come "equilibrio di Boudouard": CO2 + C « » 2CO Nelle condizioni in cui si opera è molto più facile che avvenga la produzione di monossido di carbonio (CO) piuttosto che di anidride carbonica (CO2) e carbonio, cioè la reazione si dice spostata a destra. Al contatto del CO con la superficie del pezzo, l'equilibrio sopra scritto si sposta nuovamente a sinistra e il carbonio formatosi si scioglie e si diffonde in superficie. Il processo viene arrestato quando la concentrazione del carbonio in superficie raggiunge lo 0.8÷1%. Liquida I pezzi da cementare vengono immersi in bagni di sali fusi quali cianuro di sodio, carbonati e cloruri alcalini e di bario. Il cianuro di sodio reagisce con l'ossigeno dell'aria e con l'anidride carbonica (CO2) liberando ossido di carbonio che a contatto con il ferro sposta l'equilibrio visto prima verso sinistra rilasciando nel pezzo atomi da carbonio. Gassosa E' quella oggi più largamente diffusa e si presta soprattutto alla produzione di grande serie. Consiste nel riscaldare i pezzi da cementare a 920÷930 °C in una corrente gassosa. Questa è costituita essenzialmente da metano (CH4) che a contatto con l'anidride carbonica e l'ossigeno, libera molecole di CO. A questo punto il processo è identico ai due casi di sopra. La cementazione gassosa ha il vantaggio di sopprimere il cementante solido (che è ingombrante e fonte di sporcizia) e, soprattutto, della possibilità di procedere ad una

tempra diretta al termine dell'operazione, senza bisogno di un ulteriore riscaldamento dei pezzi. Nitrurazione La nitrurazione provoca l'indurimento superficiale dei pezzi di acciaio attraverso l'arricchimento in azoto degli strati più esterni. L'azoto si combina con il ferro e con altri elementi presenti nell'acciaio dando luogo alla formazione di nitruri metallici (sali) molti duri, tra i quali predomina il Fe4N. La nitrurazione viene effettuata investendo il pezzo con una corrente di ammoniaca (NH3) a una temperatura di circa 500÷520°C. A tale temperatura l'ammoniaca si dissocia secondo la seguente reazione:

NH3«»N+(3/2)H2

L'azoto ottenuto si diffonde nell'acciaio reagendo con il ferro e combinandosi in nitruro. Lo spessore dello strato nitrurato è minore di quello degli strati cementati, mantenendosi in genere su valori di qualche decimo di millimetro. Le durezza superficiale però è molto maggiore così come la temperatura sostenibile (600÷700°C contro i 200°C di un pezzo cementato). Ceramici Avanzati (Neoceramici) Per ottimizzare i cicli di trasformazione dell’energia termica in energia meccanica o elettrica si deve lavorare a temperature sempre più elevate. Fino ad oggi sono state utilizzate quasi esclusivamente le leghe metalliche per adempiere alle funzioni che impongono carichi meccanici notevoli per via della loro duttilità e della loro attitudine a sopportare forti variazioni termiche. A causa della loro mancanza di duttilità i ceramici sono rimasti invece confinati al ruolo d’isolanti termici sotto forma di strati di riporto o di pezzi non in movimento. Nei componenti attuali è stato più o meno raggiunto il limite d’utilizzo delle leghe metalliche (~1000-1100°C) per l’applicazione a temperature elevate e in atmosfera ossidante, perciò ci si rivolge sempre più verso i ceramici per il loro carattere refrattario. I ceramici tenuti in considerazione per queste applicazioni tecniche a temperature elevate (1300- 1800°C) non sono più quelli tradizionali unicamente basati su combinazione d’ossidi, perché troppo sensibili agli sbalzi di temperatura o agli urti meccanici. Nel corso degli ultimi vent’anni sono stati sviluppati i neoceramici, sono essenzialmente composti puri o quasi puri formati soprattutto da ossidi, carburi, nitruri, siliciuri e boruri. Alcuni dei più importanti materiali ceramici avanzati sono l’allumina (Al2O3), il nitruro di silicio (Si3N4), il carburo di silicio (SiC) e la zirconia (ZrO2) combinati con altri ossidi refrattari.

Ceramici Strutturali Le combinazioni di proprietà meccaniche, termiche, fisiche, chimiche dei materiali ceramici offrono prospettive applicative svariate in relazione anche al vantaggio di potere progettare le caratteristiche dei materiali in relazione alle potenziali applicazioni. Le cause che hanno rallentato o limitato le potenzialità applicative dei materiali ceramici nei settori citati sono principalmente da ricercarsi in una combinazione dei seguenti fattori: barriere tecnologiche difficoltà nella messa a punto di processi per la produzione di forme complesse, elevati costi, totale dipendenza dall'estero per quanto riguarda strumentazioni ed impianti di processo - barriere legate alle problematiche dei materiali: fragilità intrinseca, scarsa riproducibilità ed affidabilità, necessità di nuove tecniche analitiche tra cui controlli non distruttivi - barriere legate alla necessità di riprogettazione di dispositivi in cui il componente ceramico costituisce una parte di un insieme complesso, per rendere compatibili forme e dimensioni con le possibilità offerte dalle tecnologie di processo e per sfruttare in modo ottimale le potenzialità intrinseche del ceramico. La ricerca a livello mondiale è indirizzata verso la produzione e caratterizzazione di ceramici con superiori caratteristiche, tra cui principalmente, in relazione al potenziale impiego: - resistenza meccanica e tenacità alla frattura ad alta temperatura, - resistenza ad usura ed erosione, - resistenza ad atmosfere aggressive - resistenza a corrosione da liquidi e metalli fusi - valutazione delle prestazioni in condizioni di "esercizio" Le principali applicazioni in condizioni estreme su citate sono state individuate sulla base di una serie di considerazioni che dimostrano che il ceramico può realmente costituire la soluzione di molti problemi. Facendo riferimento ai settori industriali dei processi chimici e petrolchimici e quindi ad applicazioni (quali tenute, cuscinetti o altre parti) per valvole e pompe per gas o liquidi corrosivi la scelta di ceramici ad alta conducibilità termica e a basso coefficiente di dilatazione (carburo di silicio e relativi compositi) favorisce il rapido smaltimento del calore senza causare distorsioni strutturali, la durezza ne riduce il rischio di abrasione, il comportamento termomeccanico permette il mantenimento della geometria del pezzo sotto carico, la resistenza a corrosione offre potenzialità estremamente superiori ad ogni altro materiale in relazione alle condizioni che possono essere tollerate in esercizio (combinazione di temperatura, carico, abrasione, attacco chimico, ecc). Da ricordare che i cuscinetti ceramici (di interesse anche nel settore autoveicolare, meccanico, delle macchine utensili) consentono l'uso senza lubrificanti o una maggiore tolleranza ai contaminanti presenti nei lubrificanti, ma si possono anche aggiungere i benefici derivanti dalla riduzione della dimensione, del peso e della complessità di pompe o degli altri dispositivi in cui vengono inseriti. Di rilievo questi fattori anche nel caso di pompe ad iniezione per il pompaggio dell'acqua marina in applicazioni nel settore

petrolifero, oppure per pompe da utilizzare nel deserto dove la sabbia contamina pesantemente l'acqua. In molti settori industriali la disponibilità di componenti per bruciatori a gas o di ugelli ceramici consente condizioni operative che favoriscono una bassa emissione di NOx, un basso peso del dispositivo ed alte temperature di utilizzo ( fino ad oltre 1400°C, per ceramici a base di carburi e nitruri di silicio) senza che il componente subisca degradazione per strisciamento o per ossidazione e corrosione come succede per componenti metallici di dimensione e costo confrontabile. Nelle applicazioni metallurgiche (produzione e manipolazione di metalli fusi, trafilatura di metalli e leghe ecc) l'impiego del ceramico in svariati componenti (contenitori, condotti di trasferimento, pompe, boccole da trafila, ecc) sembra offrire potenzialità di ritorni positivi in termini di miglioramento di processi e di prodotto (velocizzazione dei processi, assenza di contaminazione e superiore finitura superficiale dei prodotti). Nel settore industriale metalmeccanico sono di interesse sia utensili per la lavorazione di metalli e leghe , in cui il materiale ceramico consente maggiori velocità di lavorazione, migliore finitura dei prodotti, riduzione nell'utilizzo di refrigeranti, ecc, sia componentistica antiusura come parti di macchine utensili ove maggiore è la concentrazione di sforzi termomeccanici o l'abrasione e l'usura. Nel settore dell'industria dei trasporti , i ceramici per parti per motore o per turbine a gas stanno ricevendo l'attenzione della ricerca a livello mondiale da diversi decenni, ma dopo alterne tendenze, sembra che la spinta decisiva sia non solo nella messa a punto di materiali con proprietà idonee e con i necessari requisiti di affidabilità, ma che parimenti la prestazione dei materiali necessita di nuove tecnologie di produzione di forme complesse che garantiscano il mantenimento dei requisiti, le tolleranze e finiture dimensionali e non ultimo la compatibilità di fattori di costo. Quasi tutte le famiglie di ceramici monolitici o compositi su citati sono potenzialmente di interesse, stante l'importanza di progettare il materiale sul componente, col che si finisce per avere una tale varietà di materiali allo studio che non potrà consentire economie di scala, ma al di là di applicazioni motoristiche, le ricadute su altri settori potranno essere ancora più ravvicinate nei tempi e accessibili per i costi. Sviluppo di ceramici avanzati Il successo della diffusione e della industrializzazione dei materiali ceramici avanzati (strutturali, per l'elettronica, il biomedicale, la sensoristica, ecc) richiede la disponibilità di componenti che garantiscano prestazioni affidabili. Il raggiungimento di un grado di affidabilità elevato inizia nella fase che riguarda le materie prime (processi di sintesi) e permane nel trattamento delle polveri e nei processi di formatura, in quanto i difetti introdotti in questi stadi (impurezze, agglomerazioni, disomogeneità, ecc.) condizionano pesantemente le proprietà finali del componente e conseguentemente l'applicazione e l'industrializzazione dello stesso. Per quanto riguarda i processi di sintesi delle polveri, la necessità di avere stechiometrie definite (disegnate sulla funzione del materiale), granulometria e purezza altamente controllate rende necessario in alcuni casi affiancare alla disponibilità di materie prime del mercato studi specifici sulla sintesi di composizioni

alternative, innovative e/o idonee a conseguire un potenziale incremento di prestazioni specifiche. I processi di preparazione delle materie prime sono molteplici e vanno dall'utilizzo di precursori solubili via sol-gel, alla sintesi idrotermale, dalla sintesi mediante plasma o laser ai processi colloidali, dalla pirolisi di polimeri alla sinterizzazione reattiva. Gli studi di laboratorio sul controllo dei processi chimici (cinetiche, termodinamica delle reazioni, attenzione sull'influenza dei precursori e sui parametri adottati) in correlazione con la caratterizzazione chimico-fisica delle polveri prodotte consente di elaborare condizioni operative finalizzate non solo ad ottenere polveri idonee a specifici processi di lavorazione e ai requisiti funzionali finali, ma anche ad una prospettiva di trasferimento tecnologico dei processi stessi. Da menzionare a questo proposito anche l'attenzione verso l'impatto ambientale dei processi. Per quanto riguarda i processi di trattamento delle polveri, i principali riguardano la miscelazione di più tipologie di polveri (additivi per la sinterizzazione, per il controllo microstrutturale, per il controllo delle proprietà funzionali finali, per formulare compositi) o di polveri con additivi organici per la formulazione di impasti e sospensioni specifiche per le varie tecniche di formatura, ma anche per ottenere microstrutture particolari (porosità) o per introdurre composti funzionalizzanti. Trattandosi generalmente di polveri molto fini (microniche, submicroniche, nanometriche) la loro reattività è molto alta, pertanto tutti i processi legati al loro impiego vanno progettati e definiti considerando le diverse caratteristiche di reattività superficiale, di studio delle sospensioni e delle interfasi solido/liquido, di interazioni pareticelle additivi, di reologia di sospensioni e impasti. Accanto ai processi di miscelazioni più tradizionali a secco o ad umido (in mulini a palle, trattamenti con ultrasuoni, miscelazione con attritori, ecc.) vengono sempre più spesso sviluppati processi di drogaggio chimico o processi di coprecipitazione che maggiormente garantiscono una omogeneità di composizione della miscela finale e riducono la quantità necessaria di additivi proprio in virtù della maggiore uniformità nella distribuzione degli stessi. Allo scopo di ottimizzare miscele, sospensioni in fase acquosa e non, impasti plastici, è sempre più necessario un approfondimento studio del processo disagglomerazione (con ultrasuoni, sfruttando la repulsione elettrostatica/sterica, l'azione di idonei deflocculanti) ed una analisi del comportamento dell'interfase solido-liquido (misure di mobilità elettroforetica, studio del comportamento di sospensioni concentrate, analisi del comportamento reologico, caratterizzazione della reattività superficiale, ecc.). Per quanto riguarda il consolidamento a freddo (formatura) una volta messo a punto l'impasto o la sospensione, si tratta di ottimizzare i parametri di processo per giungere alla produzione di manufatti a difettologia limitata e controllata, a tessitura uniforme e senza deformazioni. Un aspetto aperto e importante riguarda l'analisi della modellizzazione dei flussi sia di sospensioni che di impasti in relazione alle specifiche tecnologie. Tra queste vengono annoverate i processi di formatura allo stato secco (pressatura assiale, pressatura isostatica), allo stato plastico (estrusione, stampaggio ad iniezione), allo stato disperso (colaggio in stampi di gesso, colaggio sotto pressione, colaggio su nastro). Lo stadio successivo del processo è

l'eliminazione delle fasi organiche con opportuni trattamenti termici che richiedono un controllo stretto dei parametri adottati (temperatura, atmosfera, gradienti termici, ecc) per evitare l'insorgere di rigonfiamenti, cricche, deformazioni ecc. La quantità e il tipo dei composti che vengono liberati possono creare problemi di controllo dell'ambiente, per cui nella fase di formulazione delle composizioni è sempre più spesso necessario considerare anche la potenziale tossicità e progettare processi "puliti". Un aspetto fondamentale è anche la caratterizzazione microstrutturale e tessiturale dei semilavorati e la definizione e messa a punto di controlli non distruttivi. Giunzioni metallo-ceramica e ceramica-ceramica La possibilità di sfruttare le caratteristiche peculiari dei materiali ceramici nei più svariati campi di applicazione, che vanno dall'industria elettronica a quella motoristica, dalla meccanica al biomedicale, spesso dipende dalla capacità di unire più componenti ceramici tra loro o componenti metallici e ceramici. Per tale ragione lo sviluppo di giunzioni con requisiti idonei alle condizioni di esercizio costituisce un fattore chiave per l'industrializzazione e l'applicazione dei ceramici. Come premessa generale occorre precisare che le problematiche relative alle giunzioni ceramica/ceramica e ceramica/metallo sono le stesse in quanto le tecnologie di giunzione prevedono l'utilizzo di interstrati metallici i quali condizionano le caratteristiche delle interfacce. Generalmente le caratteristiche richieste alle giunzioni sono: elevata resistenza meccanica anche ad alta temperature ed in ambienti aggressivi, una forte resistenza ad ossidazione e corrosione, una buona stabilità alle condizioni di esercizio. Tra le metodologie di interesse: il "diffision bonding", il "partial transent liquid phase bonding" ed il "brasing".

Termodinamica

La termodinamica è quella branca della fisica e della chimica (chimica fisica) che descrive le trasformazioni subite da un sistema in seguito a processi che coinvolgono la trasformazione di massa ed energia.

La termodinamica classica si basa sul concetto di sistema macroscopico, ovvero una porzione di massa fisicamente o concettualmente separata dall'ambiente esterno, che spesso per comodità si assume non perturbato dallo scambio di energia con il sistema. Lo stato di un sistema macroscopico che si trova in condizione di equilibrio è specificato da grandezze dette variabili termodinamiche o funzioni di stato come la temperatura, la pressione, il volume, la composizione chimica.

Tuttavia esiste una branca della termodinamica, denominata termodinamica del non equilibrio che studia i processi termodinamici caratterizzati dal mancato raggiungimento di condizioni di equilibrio stabile.

Breve sviluppo storico

Fu Sadi Carnot nel 1824 il primo a dimostrare che si può ottenere lavoro dallo scambio di calore tra due sorgenti a temperature differenti. Attraverso il teorema di Carnot e la macchina ideale di Carnot (basata sul Ciclo di Carnot) quantificò questo lavoro e introdusse il concetto di rendimento termodinamico.

Nel 1848 Lord Kelvin, utilizzando la macchina di Carnot, introdusse il concetto di temperatura termodinamica effettiva e a lui si deve un enunciato del secondo principio della termodinamica. Nel 1850 Joule dimostra l'uguaglianza delle due forme di energia (allora si credeva esistesse ancora il fluido calorico).

A questo punto si era posto il problema che, se era possibile ottenere calore dal lavoro in modo totale, non era possibile ottenere l'inverso! A questo risultato approda anche Clausius che nel 1855 introdusse la sua disuguaglianza per riconoscere i processi reversibili da quelli irreversibili e la funzione di stato entropia.

Nel 1876 Willard Gibbs pubblicò il trattato "On the Equilibrium of Heterogeneous Substances" (Sull'equilibrio delle sostanze eterogenee) in cui mostrò come una trasformazione termodinamica potesse essere rappresentata graficamente e come studiando in questo modo l'energia, l'entropia, il volume, la temperatura e la pressione si potesse prevedere l'eventuale spontaneità del processo considerato.

Il caso della termodinamica è emblematico nella storia e nell'epistemologia della scienza: si tratta infatti di uno di quei casi in cui la pratica ha precorso la teoria stessa:

prima è stata ideata la macchina a vapore, poi è stato sistematizzato il suo funzionamento teorico attraverso i suoi principi di base.

Sistemi termodinamici

Un "sistema termodinamico" è una qualunque porzione dell'universo a cui ci si sta interessando come oggetto d'indagine (la rimanente parte dell'universo si definisce invece ambiente). Questa porzione di spazio è separata dal resto dell’universo, cioè dall’ambiente esterno, mediante una superficie di controllo (superficie reale o immaginaria, rigida o deformabile), ed è sede di trasformazioni interne e scambi di materia o energia con l’ambiente esterno. Questi stessi scambi causano perciò la trasformazione del sistema, poiché esso passa da una condizione di partenza ad una differente. In pratica un sistema si trasforma quando passa da uno stato d'equilibrio iniziale ad uno finale. L'ambiente rimane invece approssimativamente "inalterato", poiché il sistema rispetto ad esso è talmente piccolo che uno scambio di energia o materia risulterebbe ininfluente per l'ambiente rispetto alla totalità degli stessi al suo interno, altrimenti non si parlerebbe di ambiente ma di un altro sistema (al quale l'ambiente per definizione non corrisponde).

Gli scambi di massa o energia possono avvenire sotto forma di calore o lavoro. Questi due concetti non sono delle proprietà intrinseche del sistema, ma sussistono nel momento in cui esso interagisce con l'ambiente, cioè scambia energia con l'esterno. Quindi un sistema non possiede calore o lavoro, bensì energia; ogni variazione di energia è poi esprimibile in termini di calore, se il passaggio di energia è dovuto ad una differenza di temperatura tra ambiente e sistema, e lavoro (per qualunque variazione energetica che non sia dovuta alla differenza di temperatura, come ad esempio una forza meccanica che provochi uno spostamento, un trasferimento di energia elettrica o elastica).

Si possono distinguere vari tipi di sistemi, in dipendenza dal modo di scambiare energia con l'esterno:

• sistemi aperti: scambiano energia (calore e lavoro) e massa con l'ambiente. • sistemi chiusi: scambiano energia, ma non massa con l'ambiente. • sistemi isolati: non scambiano né energia né massa con l'ambiente; l'universo è

quindi per definizione un sistema isolato, non essendoci un "ambiente esterno" di riferimento con cui scambiare massa o energia.

In un sistema isolato una trasformazione può avvenire ugualmente non tramite scambi di massa o energia ma tramite fluttuazioni delle stesse.

I bordi dei sistemi termodinamici, e quindi i sistemi stessi, si possono classificare nel modo seguente:

• Sulla base dello scambio di calore in:

o Sistemi adiabatici, se non consentono lo scambio di calore; o Sistemi diatermici, se invece lo consentono;

• Sulla base dello scambio di lavoro in: o Bordi rigidi, se non consentono lo scambio di lavoro; o Bordi flessibili, se invece lo consentono;

• Sulla base dello scambio di massa in: o Bordi permeabili, se consentono il passaggio di ogni specie chimica o Bordi semipermeabili, se consentono il passaggio di alcune specie

chimiche o Bordi impermeabili, se invece non consentono il passaggio di alcuna

specie chimica.

Un sistema aperto ha bordi permeabili o semipermeabili, diatermici e flessibili. Un sistema isolato ha bordi impermeabili, rigidi e adiabatici.

Coordinate termodinamiche

Le proprietà termodinamiche usate per descrivere un sistema sono dette coordinate (o grandezze, variabili) termodinamiche. Dato un certo numero di coordinate, esse possono essere:

• indipendenti, se è possibile modificare il valore di ciascuna di esse senza determinare una variazione del valore delle altre;

• dipendenti, se variando il valore di una di esse anche le altre coordinate vengono modificate.

È tipica della termodinamica la distinzione fra proprietà intensive ed estensive:

• estensive, se dipendono dalle dimensioni del sistema (ad es. massa, volume, capacità termica);

• intensive, se non dipendono dalle dimensioni del sistema (ad es. pressione e temperatura);

• specifiche: rapportando una proprietà estensiva con le dimensioni del sistema (tipicamente la massa, ma anche il numero di moli o il volume) si ottiene una proprietà intensiva che è detta la corrispondente specifica della proprietà estensiva corrispondente: possono essere considerate tali il volume specifico, la densità ("massa specifica") e il calore specifico.

Secondo un noto postulato di stato, date due proprietà intensive indipendenti, lo stato di un sistema semplice risulta completamente determinato.

Temperatura, volume, pressione e numero di moli sono tipici esempi di coordinate termodinamiche.

Trasformazioni termodinamiche

Quando un sistema passa da uno stato di equilibrio ad un altro, si dice che avviene una trasformazione termodinamica: si distingue tra trasformazioni reversibili, ovvero quelle trasformazioni che consentono di essere ripercorse in senso inverso (si ritorna precisamente al punto di partenza, ripercorrendo all'indietro gli stessi passi dell'andata), e trasformazioni irreversibili, ovvero quelle trasformazioni che, se ripercorse all'indietro, non faranno ritornare al punto iniziale, ma ad uno diverso. Perché una trasformazione sia reversibile è necessario che essa avvenga abbastanza lentamente da permettere al sistema di termalizzare (il sistema deve passare attraverso infiniti stati di equilibrio termodinamico). Le trasformazioni termodinamiche possono essere anche dei seguenti tipi:

• Isobare, se la pressione si mantiene costante; • Isocore, se il volume si mantiene costante (e il lavoro scambiato tra sistema ed

esterno è dunque nullo); • Isoterme, se la temperatura si mantiene costante; • Adiabatiche, se il calore totale scambiato è nullo; • Isoentropiche, o adiabatiche reversibili, se la variazione di entropia è nulla;

I principi della termodinamica

• I principi della termodinamica vennero enunciati nel corso del XIX secolo e regolano le trasformazioni termodinamiche, il loro procedere, i loro limiti. Sono dei veri e propri assiomi, non dimostrati e indimostrabili, fondati sull'esperienza, sui quali si fonda tutta la teoria che riguarda la termodinamica.

• Si possono distinguere tre principi di base, più un principio "zero" che definisce la temperatura, e che è implicito negli altri tre.

Principio zero

Quando due sistemi interagenti sono in equilibrio termico condividono alcune proprietà, che possono essere misurate dando loro un preciso valore numerico. Di conseguenza, quando due sistemi sono in equilibrio termico con un terzo, sono in equilibrio tra loro e la proprietà condivisa è la temperatura. Il principio zero della termodinamica dice semplicemente che, se un corpo "A" è in equilibrio termico con un corpo "B" e "B" è in equilibrio termico con un corpo "C", allora "A" e "C" sono in equilibrio tra loro.

Tale principio spiega il fatto che due corpi a temperature diverse, tra i quali si scambia del calore, (anche se questo concetto non è presente nel principio zero) finiscono per raggiungere la stessa temperatura. Nella formulazione cinetica della termodinamica il principio zero rappresenta la tendenza a raggiungere un'energia cinetica media comune degli atomi e delle molecole dei corpi tra i quali avviene scambio di calore: in media, come conseguenza degli urti delle particelle del corpo

più caldo, mediamente più veloci, con le particelle del corpo più freddo, mediamente più lente, si avrà passaggio di energia dalle prime alle seconde, tendendo dunque ad uguagliare le temperature. L'efficienza dello scambio di energia determina i calori specifici degli elementi coinvolti.

Primo principio

Quando un corpo viene posto a contatto con un altro corpo relativamente più freddo avviene una trasformazione che porta a uno stato di equilibrio nel quale sono uguali le temperature dei due corpi. Per spiegare questo fenomeno gli scienziati del XVIII secolo supposero che una sostanza, presente in maggior quantità nel corpo più caldo, passasse nel corpo più freddo. Questa sostanza ipotetica, detta calorico, era pensata come un fluido capace di muoversi attraverso la massa chiamata impropriamente materia. Il primo principio della termodinamica invece identifica il calore come una forma di energia che può essere convertita in lavoro meccanico ed essere immagazzinata, ma che non è una sostanza materiale. È stato dimostrato sperimentalmente che il calore, misurato originariamente in calorie, e il lavoro o l'energia, misurati in joule, sono effettivamente equivalenti. Ogni caloria equivale a 4,186 joule.

Il primo principio è dunque un principio di conservazione dell'energia. In ogni macchina termica una certa quantità di energia viene trasformata in lavoro: non può esistere nessuna macchina che produca lavoro senza consumare energia. Una simile macchina, se esistesse, produrrebbe infatti il cosiddetto moto perpetuo di prima specie.

Il primo principio viene tradizionalmente enunciato come:

La variazione dell'energia interna di un sistema termodinamico chiuso è uguale alla differenza tra il calore fornito al sistema e il lavoro compiuto dal sistema sull'ambiente.

La corrispondente formulazione matematica si esprime come:

ΔU = Q - L

dove U è l'energia interna del sistema, Q il calore fornito al sistema e L il lavoro compiuto dal sistema.

Per energia interna si intende la somma delle energie cinetiche e di interazione delle diverse particelle di un sistema. Q è il calore scambiato tra ambiente e sistema (positivo se fornito al sistema, negativo se invece ceduto dal sistema) e L il lavoro compiuto (positivo se compiuto dal sistema sull'ambiente, negativo invece se compiuto dall'ambiente sul sistema). La convenzione dei segni risente del legame con

lo studio dei motori termici, nei quali il calore viene trasformato (parzialmente) in lavoro.

Formulazioni alternative ed equivalenti del primo principio sono:

• Per un sistema aperto, q-w=ΔE, ove per ΔE si intende la variazione di energia totale, che altro non è che la somma delle variazioni dell'energia interna, dell'energia cinetica e dell'energia potenziale possedute da quel sistema. Si vede che per un sistema chiuso le variazioni di energia cinetica e potenziale sono nulle per cui ci si riconduce alla relazione precedente.

• Per un ciclo termodinamico, q=w, dal momento che la variazione di energia totale è nulla, dovendo il sistema, al termine di ogni ciclo, ritornare nelle stesse condizioni di partenza.

Secondo principio

Esistono diversi enunciati del secondo principio, tutti equivalenti, e ciascuna delle formulazioni ne mette in risalto un particolare aspetto. Esso afferma che «è impossibile realizzare una macchina ciclica che abbia come unico risultato il trasferimento di calore da un corpo freddo a uno caldo» (enunciato di Clausius) o, equivalentemente, che «è impossibile realizzare una trasformazione il cui risultato sia solamente quello di convertire in lavoro meccanico il calore prelevato da un'unica sorgente» (enunciato di Kelvin). Quest'ultima limitazione nega la possibilità di realizzare il cosiddetto moto perpetuo di seconda specie. L'entropia totale di un sistema isolato rimane invariata quando si svolge una trasformazione reversibile ed aumenta quando si svolge una trasformazione irreversibile.

Terzo principio

È strettamente legato al secondo, e in alcuni casi è considerato come una conseguenza di quest'ultimo. Può essere enunciato dicendo che «è impossibile raggiungere lo zero assoluto con un numero finito di trasformazioni» e fornisce una precisa definizione della grandezza chiamata entropia. Esso afferma inoltre che l'entropia per un solido perfettamente cristallino, alla temperatura di 0 kelvin è pari a 0. È facile spiegare questo enunciato tramite la termodinamica molecolare: un solido perfettamente cristallino è composto da un solo complessioma (sono tutti i modi di disporre le molecole, se le molecole sono tutte uguali indipendentemente da come sono disposte, macroscopicamente il cristallo è sempre uguale) e, trovandosi a 0 kelvin, l'energia vibrazionale, traslazionale e rotazionale delle particelle che lo compongono è nulla, per cui, dalla legge di Boltzmann S = k ln(1) = 0 dove 1 sono i complessiomi (in questo caso uno solo).

Fluidodinamica

La fluidodinamica è quella parte della meccanica dei fluidi che studia il comportamento dei fluidi (ovvero liquidi e gas) in movimento. La risoluzione di un problema fluidodinamico comporta generalmente la risoluzione di complesse equazioni per il calcolo di diverse proprietà del fluido, come ad esempio velocità, pressione, densità, e temperatura, in funzione dello spazio e del tempo.

Campi di applicazione

La fluidodinamica e le sue discipline derivate (come ad esempio, aerodinamica, idrostatica, idrodinamica, idraulica) hanno una grande varietà di campi di applicazione.

Può ad esempio essere usata per il calcolo di forze e momenti di superfici esposte all'azione dei fluidi (ad esempio riguardo allo studio di profili alari in campo aeronautico o automobilistico), oppure per studi di comfort ambientale, diffusione di sostanze inquinanti o meteorologia (geofluidodinamica). Lo studio della fluidodinamica interna può essere applicata a tutte le problematiche di moti in condotti, di notevole interesse nel campo dell'ingegneria petrolchimica, nello studio dei motori o del condizionamento (vedi anche HVAC). Esistono anche applicazioni in campi apparentemente distanti come, ad esempio, lo studio delle correnti di traffico o delle vie di fuga.

L'ipotesi del mezzo continuo

I fluidi sono composti di molecole che possono collidere tra loro o con corpi solidi. L'ipotesi del continuo considera invece il fluido come un continuo. Ciò implica che proprietà intensive del fluido come densità, temperatura, pressione, velocità, siano definite ad una scala di lunghezze infinitesima e quindi varino con continuità da un punto ad un altro. La natura molecolare, discreta, del fluido non viene considerata. I problemi per cui l'ipotesi del continuo non può essere applicata vengono risolti con le leggi della meccanica statistica. Al fine di definire il campo di validità di tale ipotesi, viene definito il numero di Knudsen. Problemi per cui tale numero risulta essere di ordine di grandezza unitario o superiore non possono essere studiati con le leggi della fluidodinamica.

Equazioni della fluidodinamica

Le leggi fondamentali della fluidodinamica sono casi particolari delle equazioni di bilancio (anche dette leggi di conservazione) e, in particolare, l'equazione di continuità (o conservazione della massa), la legge di conservazione della quantità di

moto (anche nota come seconda legge di Newton) e la legge di conservazione dell'energia. Queste leggi sono equazioni differenziali alle derivate parziali non lineari basate sulla meccanica classica (equazioni di Navier-Stokes) e vengono modificate nella meccanica relativistica. Le equazioni classiche di Navier-Stokes nella loro forma non semplificata non hanno una soluzione generale in forma chiusa, e vengono risolte in tal modo solo con la metodologia della fluidodinamica computazionale (detta, brevemente, CFD) ovvero tramite metodi numerici al calcolatore. A seconda del problema fisico possono essere semplificate in diversi modi. In alcuni casi ciò permette di ottenere una soluzione analitica in forma chiusa.

Fluido comprimibile (o compressibile)

In un problema di fluidodinamica, il fluido in esame viene detto comprimibile se le variazioni di densità hanno effetti apprezzabili sulla soluzione. Se le variazioni di densità hanno effetti trascurabili nel campo fluidodinamico, il fluido viene detto incomprimibile e quindi le variazioni di densità vengono ignorate. A rigore, sarebbe necessario e opportuno attribuire la qualifica di comprimibile o incomprimibile al moto: difatti, i gas, pur comprimibili, possono fluire senza variazioni di volume (in condizioni isocore). Al fine di definire il campo di validità dell'ipotesi di incomprimibilità, viene analizzato il valore del numero di Mach. Generalmente, gli effetti della comprimibilità possono essere trascurati per numeri di Mach di valore inferiore a 0.3. Inoltre, quasi tutti i problemi in cui vengono studiati dei liquidi vengono considerati come incomprimibili. La forma incomprimibile delle equazioni di Navier-Stokes risulta come una semplificazione della forma generale delle equazioni in cui la densità viene assunta essere costante.

Flusso viscoso

I problemi di flusso viscoso sono quelli in cui l'attrito del fluido ha effetti significativi sulla soluzione del campo fluidodinamico. I problemi in cui tali effetti possono essere trascurati vengono detti non viscosi. Per valutare se gli effetti viscosi possono essere trascurati, viene definito il numero di Reynolds, che misura il 'peso' degli effetti inerziali rispetto agli effetti viscosi. Tuttavia, la definizione del numero di Reynolds critico deve essere fatta caso per caso, a seconda del particolare problema trattato. Inoltre, anche in regimi ad alto numero di Reynolds, possono sussistere delle zone del campo dove non possono essere trascurati gli effetti viscosi; in particolare nei problemi dove devono essere calcolate le forze indotte dal fluido su corpi solidi (ad esempio superfici alari, vedi anche la trattazione dello strato limite). D'altra parte, come illustrato nel paradosso di D'Alembert, un corpo immerso in un fluido non viscoso non subisce alcune forza indotta (e gli aerei non possono volare...). Le equazioni di Navier-Stokes nella forma semplificata per flussi non viscosi vengono dette equazioni di Eulero. Un altro modello spesso usato (ad esempio nella CFD) prevede di utilizzare le equazioni di Eulero in zone del campo lontane dai corpi

solidi, e la teoria dello strato limite in prossimità di questi. Le equazioni di Eulero, integrate lungo una linea di flusso diventano la ben nota equazione di Bernoulli.

Flusso stazionario

Si parla di flusso stazionario in fluidodinamica quando tutte le grandezze risultano essere indipendenti dal tempo. Flussi di questo tipo permettono una forte semplificazione delle equazioni di Navier-Stokes ed hanno applicazione in una grande varietà di problemi. Il problema di un flusso incomprimibile, non viscoso e stazionario, può essere risolto con le leggi del flusso potenziale, governato dall'equazione di Laplace. Le soluzioni di tipo analitico ammesse sono ottenute come combinazione lineare di più soluzioni elementari.

Flusso turbolento e flusso laminare

I flussi turbolenti sono flussi in evoluzione caotica di strutture coerenti, il moto delle particelle del fluido avviene in maniera disordinata, senza seguire traiettorie lineari come nel caso di regime laminare. I flussi in cui non appare alcun fenomeno turbolento vengono detti flussi laminari in quanto il moto avviene con scorrimento di strati infinitesimi gli uni sugli altri senza alcun tipo di rimescolamento. I flussi turbolenti vengono simulati mediante l'ausilio di diversi modelli di turbolenza. È più difficile simulare un flusso turbolento a causa del fatto che le grandezze in gioco sono molto più piccole (lunghezze e tempo).

Altre approssimazioni

Esiste un grande numero di ulteriori possibili semplificazioni, applicabili a problematiche specifiche. Ad esempio, il flusso di Stokes è un flusso per bassissimi numeri di Reynolds. Il flusso di Boussinesq trascura la comprimibilità durante il moto, ma mantiene l'effetto della forza di galleggiamento dovuta alla variazione di densità in presenza di un campo gravitazionale. Tale approssimazione è valida solo se la velocità relativa tra fluido e corpo è inferiore alla velocità del suono.

Generatore di vapore

Un generatore di vapore realizza il riscaldamento isobaro di un liquido provocandone l'ebollizione, in modo continuo ed in condizioni controllate per impiegarlo come vettore energetico. Vengono classificati in base alla fonte di energia sfruttata dal generatore: può trattarsi ad esempio di un combustibile, di energia solare, di energia nucleare, di un altro fluido esausto come nel caso dei ciclo combinato e della cogenerazione. La caldaia è invece solo una parte del generatore di vapore a combustione, che coincide fisicamente ma non concettualmente con il combustore, è la parte in cui il liquido utilizzato (spessissimo l'acqua) viene riscaldata ma non vaporizzata.

Classificazione

Come visto, si possono classificare i generatori secondo:

• il vettore energetico impiegato per la generazione (combustione, nucleare, solare) e la dipendenza della sua disponibilità dalla generazione (apposito o cogeneratore)

• il tipo di partizione (generatore a tubi d'acqua/generatore a tubi da fumo) • la circolazione naturale, assistita o combinata, o forzata del fluido. • il contenuto di fluido in rapporto alla superficie di riscaldamento (grande

volume 130÷250 l/m³, medio 70÷130 l/m³, piccolo <70 l/m³) • il tipo di tiraggio (atmosferici, pressurizzati, in depressione) • la portata di vapore • mobilità dell'installazione (fissa, semifissa, locomobile, locomotiva) • la pressione massima di esercizio (bassa pressione <1 bar, media 1÷15 bar, alta

15÷100 bar, altissima >100 bar)

Storia

La eolipila rappresentava di fatto un assieme protoGeneratore - protomotore a vapore. La sfera di Eliogabalo non ebbe seguito pratico, né vi furono tentativi concreti di sfruttare il vapore fino al tardo XVII secolo; le ragioni vanno rintracciate nell'abbondanza di manodopera a basso costo (servitù) e mancata esigenza di alta potenza e di combustibile adatto ed economico (il legno ha bassissimo potere calorifico per cui non è adatto alla generazione di vapore se non con particolari accorgimenti, relativamente più recenti).

Figura 1: Schema del Cornovaglia

Figura 3: Generatore a tubi di fumo

Nel XVIII secolo questi fattori cambiano e il vapore comincia ad essere impiegato come vettore energetico avviando la tecnologia dei generatori a combustione, la prima e ancor oggi più diffusa, in particolare impiegando il combustore a letto fisso. La caldaia era allora un recipiente metallico, di solito cilindrico posto su una fiamma esterna a carbonella, con uscita su cui agisce una contropressione controllata, sviluppato a partire dal semplice modello della pentola a pressione, ma la nascita delle tecnologia avviene con il passaggio alla fiamma interna con la caldaia Cornovaglia, che prende il nome dalla omonima regione inglese, a immersione e quindi grande volume d'acqua, la cui struttura è sostanzialmente simile ai moderni scaldabagno domestici. Con l'apice dell'impiego della tecnologia tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo, l'esigenza dell'aumento della superficie di scambio determinò la transizione a sistemi a tubi di fumo che consentivano peraltro un migliore controllo del moto convettivo del medio volume d'acqua, il cui impiego più importante fu sicuramente nelle locomotive a vapore. Il limite principale rimaneva la sicurezza dell'impianto, che in sovraccarico tendeva ad esplodere per le elevate pressioni che si raggiungevano nell'acqua.

Nel 1867 Babcock e Wilcox superarono il problema invertendo la partizione: all'interno dei tubi, anziché i fumi di combustione, veniva fatta circolare l'acqua da

vaporizzare, con migliore coefficiente di scambio termico e maggiori superfici di scambio poiché la circolazione del liquido poteva avvenire a parità di perdita di carico in più tubi più piccoli e più tortuosi. Inoltre pur funzionando sostanzialmente a circolazione naturale, permetteva un maggiore irraggiamento diretto del focolare. Si riduceva perciò globalmente il rapporto volume potenza complessivo; ulteriori vantaggi erano un avviamento molto più rapido per via della presenza di meno liquido, e le dimensioni minori delle parti a pressione, che venivano così ad avere minori spessori (da qui il nome non esplodente).

Vennero quindi sviluppati i generatori a circolazione forzata, il cui primo grosso rappresentante fu il La Mont, tecnologia oggi imprescindibile e universale. L'evoluzione dei generatori fu quindi legata fino alla metà del XX secolo all'evoluzione dei combustibili fossili, con una transizione ai combustibili liquidi nel passaggio dalla carbochimica alla petrolchimica, che comportò lo sviluppo della tecnologia dell'iniezione e il passaggio allo scambio per irraggiamento che caratterizza i combustori contemporanei. Lo sfruttamento pacifico dell'energia nucleare ha comportato una riprogettazione specifica del generatore e un enorme impulso al suo controllo: nel reattore nucleare ad acqua bollente funziona direttamente col circuito primario, mentre nel reattore nucleare ad acqua pressurizzata, e nel reattore nucleare al piombo col secondario o terziario. Infine la tecnologia del solare termodinamico rende accessibile oggi la generazione di vapore anche su scala inferiore, oltre all'impiego per semplice riscaldamento.

Figura 4: Generatore a tubi d'acqua

Generatore a combustione

Nel generatore a combustione il combustore si affaccia sulla camera di combustione, solitamente un combustore a letto fluido, e non può quindi mai essere uno scambiatore a miscela. Nel caso di combustori a solido è prevista una camera, detta cinerario sottostante in cui si accumulano le ceneri di combustione e da cui queste vengono estratte ed è solitamente a pressione inferiore all'atmosferica se non funziona a bruciatore.

• il duomo (fig. 1), specifico dei generatori a tubi da fumo, che è di fatto una camera di calma nella parte alta del generatore in cui si ottiene una separazione per gravità del vapore (leggero) dalle goccioline d'acqua (pesanti) che vengono trascinate dal vapore stesso.

• il corpo cilindrico (fig. 3 e 4), che nei generatori a tubi da fumo è l'involucro contenente il generatore stesso; in quelle a tubi d'acqua ve ne è di norma due o più, uno inferiore avente la funzione di collettore dell'acqua calda non vaporizzata per favorirne il moto convettivo, e uno o più superiori, dei quali in uno avviene l'evaporazione dell'acqua (e la separazione delle gocce trascinate), e gli eventuali altri hanno funzione simile a quello inferiore. Nei generatori a tubi da fumo, la funzione del corpo cilindrico superiore è compiuta dal duomo (vedi sopra). Nei generatori di tipo marino a tubi d'acqua è comune porre due corpi cilindrici inferiori e uno superiore, a causa del limitato ingombro in altezza che rende più difficoltoso il moto convettivo.

• il vaporizzatore (non presente nei generatori tipo Cornovaglia), ossia un assieme di tubi che collegano, nei generatori a tubi da fumo il focolare al camino, e in quelle a tubi d'acqua i corpi cilindrici. Il fascio tubiero ha la funzione di aumentare per quanto possibile la superficie di scambio tra fumi e vapore saturo.

• il camino, condotto esterno di evacuazione dei fumi di combustione esausti.

Figura 5 Generatore a tubi d'acqua inserito in un combustore

Oltre a questi componenti di base, si distinguono altre parti essenziali:

• la muratura, un'opera edile solitamente non portante, e costituita da strati diversi di materiali fittili: uno strato di laterizio detto refrattario, resistente alle temperature elevate presenti in Generatore, e in particolare all'ossidazione; uno

strato di laterizio o di costituzione diversa, detto isolante o coibente, avente la funzione di evitare le dispersioni di calore all'esterno, e infine, eventualmente, uno strato di finitura portante che può essere a volte sostituito da pannelli metallici o altre coperture. nei generatori a tubi d'acqua, la muratura comprende anche le chicanes interne destinate a definire il giro dei fumi (vedi fig. 4);

• le portelle di ispezione o modernamente passi d'uomo hanno lo scopo di evacuare le ceneri o la semplice ispezione visiva

• il surriscaldatore (vedi fig. 5) Per comprenderne la funzione, si deve considerare che la Generatore come finora descritta produce vapore d'acqua alla temperatura di ebollizione, cioè saturo; se la Generatore è ben fatta il vapore è saturo secco, ha cioè assorbito tutto il calore latente di vaporizzazione possibile. Ma il vapore saturo è adatto solo alla fornitura di calore per condensazione; se inviato in turbina, sarà allo scarico saturo umido e quindi permetterà salti di pressione relativamente bassi. Si fornisce allora ulteriore calore al vapore saturo, in modo di aumentarne la temperatura a pressione costante. Nelle grandi generatori condizioni normali di fornitura del vapore sono dell'ordine di 250 bar (25 MPa) a 600 °C (873 K). Per raggiungere queste temperature non è possibile sfruttare la sola conduzione attraverso i fumi, e i tubi del surriscaldatore lavorano principalmente per convezione e in parte irraggiamento, sono disposti cioè a vista della fiamma ma non vi sono esposti direttamente come i tubi vaporizzanti poiché il vapore non è in grado di drenare bene il calore come l'acqua e tubi di vapore esposti a fiamma arrostirebbero;

• l'economizzatore Allo scopo di ridurre il consumo di combustibile, si cerca di recuperare anche il calore residuo a bassa temperatura, attraverso apparecchi detti appunto economizzatori. Questi consentono in pratica il preriscaldamento dell'acqua di alimento e dell'aria comburente, in modo da ridurre il calore sensibile da fornire a questi, a scapito del calore usato per la vaporizzazione.

Regolazione

Un particolare tipo di regolazione del livello di liquido nel corpo cilindrico di un generatore di vapore è la cosiddetta regolazione a tre elementi. Le tre variabili controllate (che rappresentano appunto i tre elementi) sono: il livello stesso, la portata di vapore e la portata di acqua di alimento. In effetti per generatori poco spinte basterebbe il controllo del solo livello, ma un particolare fenomeno fisico può richiedere fino a tre elementi per avere un'ottima regolazione del livello stesso. Accade infatti che per elevate richieste di vapore da parte delle utenze a valle Generatore, la pressione nel corpo cilindrico cali repentinamente aumentando altrettanto repentinamente l'evaporazione dell'acqua. Tale effetto si traduce nella

formazione di grandi bolle di vapore all'interno del liquido, con conseguente aumento apparente del livello all'interno del corpo cilindrico. Tale fenomeno è ovviamente tanto più rilevante quanto meno elevato è il volume d'acqua nel corpo cilindrico e si esaurisce in un transitorio, dopo il quale le variabili tornano a regime se la richiesta di vapore torna stabile. Può accadere però, che in questo transitorio, proprio nel momento in cui la richiesta di vapore aumenta, l'ascesa apparente del livello di liquido nel corpo cilindrico induca la regolazione a diminuire la portata di acqua di alimento, inducendo così nel seguito un sostanziale abbassamento, alquanto rischioso, del livello. È per questo motivo che oltre a controllare il livello stesso, si affina la regolazione controllando anche la portata di vapore e facendo in modo che se questa aumenta vi sia un'azione correttiva sulla portata di acqua alimento (tramite inverter delle pompe o tramite valvola di regolazione) atta ad aumentarla e a compensare quindi l'apparente innalzamento del livello. È possibile quindi inserire un'ulteriore sofisticazione nella regolazione, controllando anche la portata di acqua alimento, ricordando infatti che, parlando di portate massiche, confrontando la portata di acqua alimento e la portata di vapore in uscita dalla Generatore è possibile effettuare un bilancio di massa del corpo cilindrico. Il controllo della pressione del vapore all'uscita del generatore dipende anche dalla regolazione della combustione, ovvero una regolazione combinata di portata olio combustibile (e gas se mista) e portata aria comburente.

Cogeneratore di vapore

Il cogeneratore o generatore a recupero utilizza fonti termiche a monte la cui disponibilità è indipendente dalla generazione. Per esempio possono sfruttare a valle il calore dei fumi della combustione dello zolfo per la produzione di acido solforico o quelli degli altoforni. Appartiene a questa categoria il tipo di generatore impiegato nel ciclo combinato, che riesce a produrre vapore a discrete pressioni (13 - 15 MPa) a partire dai fumi di un turbogas, sfruttabile da turbine da 120-150 MW per la produzione di energia elettrica.

Macchine Idrauliche

Per macchine idrauliche si intendono quelle macchine motrici (turbine) o operatrici (pompe) che agiscono su un fluido incomprimibile. Quest’ultimo è solitamente acqua, ma può essere anche olio (specialmente nel caso delle pompe) o altro genere di liquido. A rigori, sulla base della definizione appena fornita, anche i ventilatori possono intendersi come macchine idrauliche in quanto operano con aria a bassa pressione e quindi praticamente incomprimibile. Nella classificazione tradizionale delle turbomacchine invece, i ventilatori sono classificati a parte come macchine aerauliche. La Cavitazione Nelle macchine idrauliche può verificarsi un fenomeno di funzionamento anomalo, che va sotto il nome di cavitazione e che deve essere attentamente considerato perchè può portare al danneggiamento strutturale della macchina. La cavitazione consiste in una evaporazione locale del fluido provocata da un abbassamento idrodinamico della pressione. Infatti, come conseguenza del moto del fluido all’interno della macchina, si formano all’interno della corrente fluida delle zone di depressione. Se la pressione scende al di sotto della tensione di vapore del fluido, si vengono a formare delle bolle di vapore che vengono trasportate dalla corrente fluida. Quando le bolle raggiungono zone a pressione più elevata, implodono a contatto con le superfici della macchina generando onde di pressione che causano fenomeni di erosione per cavitazione. Si deve inoltre considerare la possibilità di corrosione chimica a causa dei gas disciolti nel liquido che tendono a concentrarsi all’interno delle bolle di vapore formatesi durante la cavitazione. L’insorgere della cavitazione ha un’influenza negativa sulle prestazioni della macchina. Nelle turbine essa provoca una diminuzione della potenza fornita e del rendimento, mentre nelle pompe porta ad una diminuzione della prevalenza generata e della portata smaltita. Avviene però che le condizioni di miglior rendimento della macchina si hanno in prossimità delle condizioni di cavitazione e che quindi le macchine vengano spesso progettate per funzionare in un campo prossimo alla cavitazione. Questa tendenza si accorda con il fatto che per una data portata e caduta si tende a scegliere la macchina più veloce possibile, poichè essa risulta di dimensioni ridotte e quindi di peso e costo minori. In tali macchine la velocità del fluido assume valori elevati e pertanto sarà più facile che la macchina lavori in prossimità delle condizioni di cavitazione. Altezza Statica di Aspirazione Per una turbomacchina idraulica la pressione minima si verifica in corrispondenza del punto indicato con P in figura 2.1.

Figura 2.1: Altezza statica di aspirazione Il valore della sovrapressione rispetto alla tensione di vapore nel punto P è dato dalla relazione seguente:

dove i termini, espressi in metri di colonna d’acqua, rappresentano (sono energie per unità di peso [J/N] = [m] e si definiscono carichi): _ Hb: carico barometrico agente sullo specchio libero a valle (a monte se si tratta una pompa); _ Hs: altezza statica di aspirazione (cioè la distanza tra il punto P e lo specchio libero); _ Ht: tensione di vapore del liquido alla temperatura di funzionamento; _ Hr: perdite di carico nella tubazione tra girante e specchio libero (da considerare con il segno + per le turbine e con il segno - per le pompe); _ c0: velocità assoluta media del fluido nella sezione della macchina presso il punto P; _ Hd: altezza dinamica dovuta essenzialmente alla presenza delle pale e agli attriti interni della girante (attriti dall’interazione fluido/pareti macchina). Poichè a sua volta Hd può essere espresso in funzione della velocità attraverso opportuni coefficienti,

(2.2)

tutti i termini dinamici in 2.1 possono essere conglobati in un unico termine,

arrivando alla seguente formulazione:

(2.3) L’equazione in 2.3 permette di valutare l’altezza disponibile della macchina, ovvero la sovrapressione rispetto alla tensione di vapore del fluido nel punto (P) più sfavorito della macchina. La condizione limite affinchè non si abbia cavitazione si verificherà allora quando h = 0, in corrispondenza quindi dell’altezza statica di aspirazione massima della macchina:

(2.4) La determinazione del termine dinamico non è sempre agevole, per cui si usa esprimere la depressione dinamica in funzione della prevalenza/caduta della macchina H attraverso la cifra di Thoma:

Nelle condizioni limite per la cavitazione della relazione 2.4 la cifra di Thoma avrà un valore critico oc per il quale inizierà la cavitazione:

(2.6) L’esperienza ha dimostrato che c’è una relazione tra la cifra di Thoma in condizioni di incipiente cavitazione (oc) e il numero caratteristico di macchina k, come illustrato nei grafici in figura 2.2.

Figura 2.2: Relazione tra il numero caratteristico di macchina e il valore critico della

cifra di Thoma per le pompe (a sinistra) e per le turbine idrauliche (a destra)

Altezza Totale Netta all’Aspirazione Per le pompe, anzichè la formulazione (2.6) difficilmente applicabile se non si hanno a disposizione i dati dell’impianto in cui la pompa viene installata, si considera una formulazione diversa, che distingue i termini legati alla macchina da quelli dipendenti dall’impianto. Si definisce quindi l’altezza totale netta all’aspirazione di una pompa:

(2.7) dove i singoli termini, definiti in condizione di incipiente cavitazione, si riferiscono a: _ p0: pressione assoluta all’aspirazione della pompa; _ c0: velocità assoluta all’aspirazione della pompa; _ pt: tensione di vapore del liquido pompato; _ p: massa volumica del liquido pompato.

rappresenta l’altezza totale del fluido al netto dell’altezza relativa alla tensione di vapore, misurata all’aspirazione della pompa e costituisce il margine anti-cavitazionale richiesto dalla pompa. L’altezza totale netta all’aspirazione pompa è un parametro caratteristico di una data pompa e dipende dal progetto e dalle dimensioni della pompa stessa. Nella letteratura anglosassone, essa viene indicata con la dicitura Net Positive Suction Head (N.P.S.H.).

Consideriamo ora la pompa installata in un impianto, come ad esempio illustrato in figura 2.1. Applicando il teorema di Bernoulli tra la sezione di aspirazione della pompa (punto P in figura) e lo specchio all’aspirazione, si ottiene:

(2.8) che confrontata con la 2.7, permette di ottenere:

(2.9) dove ( )sistema è il margine anti-cavitazionale dell’impianto ed è un suo dato caratteristico. Affinchè non intervenga cavitazione della macchina installata nell’impianto è necessario che si verifichi:

Macchine Motrici Idrauliche Utilizzazione dell’Energia Idraulica L’energia idraulica rappresenta una fonte di energia rinnovabile e praticamente permanente. L’utilizzazione industriale dell’energia potenziale idraulica avviene normalmente negli impianti di produzione di energia elettrica. Questi possono essere classificati in funzione delle caratteristiche del serbatoio a monte della centrale: _ ENERGIA IDRAULICA REGOLATA : impianti con serbatoio di regolazione stagionale o pluriennale, con durata di invaso2 >_ 400 ore; l’energia elettrica da essi fornita è considerata costante per tutto l’anno; _ ENERGIA IDRAULICA MODULATA : impianti con bacini di modulazione settimanale o giornaliera con durata di invaso < 400 ore e >_ 2 ore; l’energia elettrica da essi fornita è disponibile a carico costante solo per un periodo limitato; _ ENERGIA IDRAULICA NON REGOLATA : impianti ad acqua fluente, privi di serbatoio di accumulo a monte o con serbatoio di durata di invaso inferiore a 2 ore. Rispetto a qualsiasi altro sistema per la produzione di energia elettrica, gli impianti idroelettrici presentano numerosi vantaggi: maggiore affidabilità, disponibilità più

elevata (manutenzioni meno frequenti), maggiore possibilità di automazione (impianti semplici), vita dei componenti più lunga, assenza di inquinamento dell’aria e dell’acqua, avviamento e fermata rapidi. Il costo di un impianto idroelettrico è molto variabile, legato alle caratteristiche del bacino imbrifero utilizzato e da quelle del sito da cui dipendono le opere civili. Il costo dell’energia elettrica prodotta può quindi risultare maggiore o minore di quello dell’energia fornita da una centrale termoelettrica. D’altra parte l’energia idraulica è una fonte rinnovabile e gratuita e che va dispersa continuamente se non utilizzata via via che si rende disponibile. Le risorse di fonti primarie invece, quali i combustibili fossili e nucleari, se non vengono utilizzati conservano intatto il loro contenuto energetico. In pratica, se non si sfrutta l’energia idraulica si spreca energia, mentre se non si utilizzano le fonti primarie si risparmia energia. Impianto ad accumulo mediante pompaggio Le risorse idrauliche ancora utilizzabili in modo competitivo nei paesi industrializzati vanno esaurendosi, per cui una quota prevalente e sempre maggiore dei fabbisogni energetici viene soddisfatta dall’energia termoelettrica e nucleare. Già oggi l’energia prodotta dalle centrali termoelettriche è chiamata a coprire non solo il carico base, ma anche una frazione considerevole dei carichi variabili, per cui nelle ore di minor carico è disponibile energia termoelettrica a costo ridotto. In tale situazione è economicamente e tecnicamente conveniente ricorrere all’impiego di impianti di accumulazione dell’energia idraulica mediante pompaggio; si utilizza cioè l’energia prodotta dalle centrali termoelettriche, al costo marginale nelle ore di basso carico, per pompare acqua nei serbatoi in quota, e produrre quindi energia idroelettrica nelle ore di punta. Nelle ore diurne di punta, durante i picchi di domanda elettrica, l’acqua viene fatta fluire dal bacino superiore a quello inferiore azionando le turbine. Nelle ore notturne e nei giorni festivi, quando la domanda sulla rete è minima, la stessa acqua viene ripompata (da cui il nome) al bacino superiore, in modo da ricostituire l’invaso occorrente al successivo ciclo di funzionamento.

In pratica le centrali a pompaggio assorbono dalla rete energia elettrica poco pregiata (prevalentemente la produzione nelle ore notturne e di basso carico proveniente dal parco termoelettrico di base), per restituirne una quantità minore, ma di pregio molto maggiore, nelle ore di punta.

Mediamente il rendimento globale è di circa il 70% o di poco superiore, cioè per ogni 10 kWh spesi per il pompaggio si ricavano 7 kWh nella fase di generazione.

Il ruolo del pompaggio

Gli impianti a pompaggio costituiscono un elemento importante per la gestione della rete elettrica: sono infatti le centrali che possono entrare in servizio più rapidamente (pochi minuti) per far fronte a imprevisti picchi della domanda e per seguire

l’andamento del carico nelle ore di punta. Cosa che fanno senza emissioni di alcun tipo, come tutti gli impianti idroelettrici, ma – particolare importante – garantendo la massima disponibilità, continuità e sicurezza di servizio in ogni momento dell’anno, poiché sono svincolate dalla idrologia (si devono solo reintegrare le perdite per evaporazione). Per tali motivi quasi tutti i principali Paesi industrializzati dispongono di impianti a pompaggio, con potenze a volte molto significative: oltre 25.000 MW in Giappone, 22.000 MW negli Usa, 7.600 MW in Italia, 6.500 MW in Germania, 5.300 MW in Spagna, 4.300 MW in Francia e Austria.

Nel complesso a fine 2009 risultava installata una potenza di 127.000 MW in 31 Paesi, in rapida evoluzione: sulla base dei progetti annunciati si prevede una potenza di oltre 200.000 MW già entro il 2014.

Come accennato, infatti, l’importanza del pompaggio sta crescendo in relazione alla necessità di integrare in rete quote crescenti di energia rinnovabile (solare ed eolica), la cui aleatorietà sono in grado di compensare anche per molte ore consecutive.

Molti Paesi stanno pensando proprio al pompaggio come ad una sorta di stoccaggio dell’energia rinnovabile. In particolare il Segretario americano all’Energia, Steven Chu, ha più volte insistito sulla necessità per gli Usa di realizzare nuovi grandi impianti a pompaggio. «Anche se sono in fase di sperimentazione diversi sistemi di accumulo dell’energia elettrica (batterie più efficienti, accumulatori di nuova generazione, sistemi ad aria compressa e altro), il pompaggio idroelettrico – ha affermato Chu – resta il sistema più efficiente, tecnologicamente maturo e affidabile. Che è ancora poco utilizzato e che dobbiamo invece rilanciare per bilanciare la crescente ma intermittente generazione fornita dalle fonti rinnovabili. È vero che per realizzare impianti adeguati occorrono grandi investimenti. Ma si tratta pur sempre del metodo meno costoso di immagazzinamento dell’energia elettrica, e l’unico in grado di rendere disponibili con affidabilità grandi potenze».

A parte ciò, la disponibilità di una opportuna potenza a pompaggio è importante per un moderno sistema elettrico, anche per fronteggiare i picchi di carico nei momenti di maggior domanda. Da questo punto di vista la flessibilità degli impianti a pompaggio è impareggiabile, e, per quanto costosa, è pur sempre meno costosa delle possibili alternative. Il pompaggio in Italia

Secondo i dati di Terna, a fine 2010 in Italia erano in esercizio 22 impianti a pompaggio (15 nel Nord e 7 nel Sud e nelle isole, nessuno nel Centro) per una potenza efficiente di 7.659 MW.

Alberi Perni e Cuscinetti Radenti Assi e Alberi

· ALBERO: organo utilizzato per la trasmissione diretta del moto rotatorio e di un momento torcente. · ASSE: organo che sostiene, senza trasmissione di momento torcente, corpi rotanti liberi di muoversi intorno ad esso. Sulle opportune sedi di un albero possono essere calettati organi rotanti come pulegge, ruote dentate, volani, dischi, ecc.; il calettamento consiste nel rendere solidale all’albero i mozzi degli organi rotanti mediante linguette, chiavette, profili scanalati o collegamento forzato. L’albero viene vincolato al basamento o al telaio mediante supporti e coppie rotoidali che consentono la rotazione intorno all’asse. La coppia rotoidale e costituita dal cuscinetto (a strisciamento o volvente) e dal perno (intermedio o di estremità, secondo la sua posizione). La coppia perno-cuscinetto si definisce portante, quando sopporta carichi perpendicolari all’asse, e reggispinta, quando sopporta carichi diretti con l’asse. In taluni casi è di tipo misto. Gli assi si calcolano generalmente a flessione e si tiene conto di eventuali sforzi di taglio e normali, ma non è mai presente torsione. Gli alberi si calcolano a flessione, a torsione, a flesso torsione, a seconda del carico, della loro lunghezza e della distanza tra i supporti; si tiene poi conto del taglio e degli sforzi normali mediante verifiche. CALCOLO DEGLI ALBERI Gli alberi sono realizzati con sezione circolare piena o cava. Tale sezione può essere costante o variabile per tener conto dei diametri dei mozzi degli organi calettati o del diametro interno dei cuscinetti. Per il calcolo si considera l’albero alla stregua di una trave caricata in corrispondenza delle sedi degli organi calettati e vincolata in corrispondenza dei cuscinetti che offrono le reazioni vincolari. Una volta determinate le reazioni vincolari e i diagrammi delle sollecitazioni di flessione, torsione e sforzo normale, eventualmente presenti, si procede al calcolo, a sola flessione, per gli assi e gli alberi lunghi e con ridotti momenti torcenti, a sola torsione, nel caso di alberi corti, a flesso torsione negli altri casi. Si tiene conto, poi, con opportune verifiche di eventuali altre sollecitazioni.

PERNI E SEDI DI ESTREMITÀ Per perni e sedi di estremità, il momento flettente sull’albero è nullo. La sede di un organo che trasmette potenza è sollecitata a torsione. Nel caso del perno è nullo anche il momento torcente. Pertanto, sui perni si opera una verifica a flessione considerandoli come travi incastrate sul resto dell’albero e caricate in mezzeria con le reazioni vincolari dell’albero.

ATTRITO NEI PERNI Nel caso di accoppiamento perno-cuscinetto di strisciamento, interviene l’attrito radente che è causa di perdita di potenza, riscaldamento e usura. Si rende allora necessaria la lubrificazione che può essere: · Idrostatica, in cui la pressione del fluido lubrificante è tale da impedire il contatto diretto tra perno e cuscinetto anche ad albero fermo.

· Idrodinamica, in cui le due superfici in moto relativo formano uno spazio convergente o convergente-divergente, detto meato, in cui il fluido viene richiamato assumendo una pressione sufficiente a sopportare il carico. · Limite, quando il carico è troppo grande o la velocità troppo bassa per cui il fluido non ha sufficiente pressione e le superfici metalliche vengono parzialmente a contatto. Nel necessario, gioco che esiste tra perno e bussola, l’attrito può essere molto diverso a seconda della presenza, più o meno consistente, di lubrificante. Possiamo avere quindi:

Per poter accogliere meglio il lubrificante, i cuscinetti di strisciamento (boccole o bussole o bronzine), realizzati in ghisa grafitica, metallo bianco (leghe a base di stagno e piombo), metallo rosa (leghe a base di rame), bronzo, recano delle scanalature che quando incrociate sono dette a zampa di ragno. Oppure si utilizzano boccole sinterizzate porose che sono capaci di trattenere il lubrificante come spugne. Si utilizzano anche boccole in materiale plastico come nylon, poliacetato e, in particolare PTFE (PoliTetraFluoroEtilene o TEFLON) che ha un coefficiente d’attrito così basso da poter essere utilizzato a secco. VERIFICHE SUI PERNI Il calcolo dei perni poggia sull’ipotesi di lubrificazione limite (inevitabile all’avviamento), pertanto, una volta dimensionati (come descritto al paragrafo 3) occorre verificare che l’usura e il riscaldamento non siano eccessivi.