Landau Lifshitz - Fisica Teorica Vol 01 Meccanica - Ita

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Lev D. Landau Evgenij M. Lifiits

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Fisica teorica 1

Editori Riuniti Edizioni Mir

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Lev D. Landau Evgenij M. Lifiits

Meccanica

Editori Riuniti Edizioni Mir

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I11 edizione, I ristampa: maggio 1994 Titolo originale: Mechanika C3 Copyright Edizioni Mir, Mosca C3 Copyright Editori Riuniti, 1976 Piazza Vittorio Emanuele 11, 47 - 00185 Roma ISBN 88-359-3473-7

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Prefazione all'edizione italiana . . . . . . . . . . . . . . . . p . Dalla prefazione alla prima edizione russa . . . . . . . . . . . . . E . M . LifSic e Lev DavidoviC Landau à . . . . . . . . . . . . .

Capitolo I . EQUAZIONI DEL MOTO 5 1 . Coordinate generalizzate . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . $ 2 . I l principio d i m in ima azione . . . . . . . 5 3 . I l principio d i relativita d i Galilei

5 4 . Funzione . di Lagrange d i u n punto materiale libero 5 . Funzione d i Lagrange d i u n sistema d i punti materiali

Capitolo I1 . LEGGI DI CONSERVAZIONE

5 6 . Energia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 7 . Quant i tk d à moto . . . . . . . . : . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . $ 8 Centro d i massa . . . . . . . . . . $ 9 M'omento citlla quantità d i moto

. . . . . . . . . . . . 5 1 0 . Simi l i tudine meccanica

Capitolo 111 . INTEGRAZIONE DELLE EQUAZIONI DEL MOTO

5 11 . Moto unidimensionale . . . . . . . . . . . . . $ 12 . Determinazione dell'energia potenziale dal periodo

delle oscillazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . $ 13 . Massa ridotta

5 1 4 . Moto t n u n campo centrale . . . . . . . . . . 16 . I l problema di Keplero . . . . . . . . . . . . .

Capitolo IV . URTI DI PARTICELLE

. . . . . . . . . . . $ 16 . Disintegrazione di particelle . . . . . . . . . . . . 8 1 7 Urto elastico d i particelle

. . . . . . . . . . . . . 5 1 8 Diffusione d i particelle . . . . . . . . . . . . . $ 1 9 Formula d i Rutherford . . . . . . . . . . . . 20 . Diffusione a piccoli angoli

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6 INDICE

Capitolo V . PICCOLE OSCILLAZIONI

. . . . . . . 5 21 Oscillazioni libere unidimensionali P- . . . . . . . . . . . . . . . 5 22 Oscillazioni forzate

5 23 . Oscillazioni dei sistemi con pia gradi d i liberta . . . . . . . . . . . . . . 24 Oscillazioni delle molecole

. . . . . . . . . . . . . . 5 25 Oscillazioni smorzate . . . . . 5 26 . Oscillazioni forzate i n presenza di attrito

5 27 . Risonanza parametrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 28 Oscillazioni anarmoniche

. . . . . 5 29 . Risonanza nelle oscillazioni non lineari

. . . . . 5 30 . Moto i n u n campo rapidamente oscillante

Capitolo VI . MOTO DEI CORPI SOLIDI

. . . . . . . . . . . . . . . . 5 31 Velocità angolare

. . . . . . . . . . . . . . . . 5 32 Tensore d'inerzia 33 . Momento della quantità d i moto d i u n solido . . .

. . . . . . 5 34 Equazioni del moto di u n corpo solido

. 5 35 Angoli di Eulero . . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . . 36 Equazioni d i Eul tro

. . . . . . . . . . . . . . 5 37 Trottola asimmetrica

. . . . . * . . . . . . 5 38 Contatto f ra i corpi solidi 39 . Moto i n u n sistema di riferimento non inerziale . .

Capitolo VI1 . EQUAZIONI CANONICHE

. . . . . . . . . . . . . . 40 Equazioni d i Hamil ton

. . . . . . . . . . . . . . . . 41 Funzione d i Rou th

. . . . . . . . . . . . . . . 5 42 Parentesi d i Poisson

. 43 Azione come funzione delle coordinate . . . . . .

. 44 Principio d i Maupertuis . . . . . . . . . . . .

. 5 45 Trasformazioni canoniche . . . . . . . . . . . .

. 5 46 Teorema d i Liouville . . . . . . . . . . . . . 5 47 . Equazione d i Hamilton-Jacobi . . . . . . . . . 5 48 . Separazione delle variabili . . . . . . . . . . .

. 5 49 Invarianti adiabatici . . . . . . . . . . . . .

. ( 50 Variabili canoniche . . . . . . . . . . . . . . 5 51 . Conservazione d i u n invariante adiabatico . . . . . 5 52 . Moto condizionatamente periodico . . . . . . . .

Indice analitico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Prefazione al1 'edizione italiana

I l Corso di fisica teorica, che ora viene proposto all'attenzione del lettore italiano nella sua lingua, à nato su iniziativa del mio maestro e amico, Lev Landau. I l nostro lavoro comune su questi libri inizia già nella seconda metà degli anni '30.

I n tutt i i volumi di questo Corso abbiamo cercato di esporre i l mate- riale i n modo che risultasse chiaro, per quanto possibile, i l senso fisico della teoria. C i siamo sforzati inoltre di sviluppare i n modo completo l'apparato matematico nella forma p i 6 adatta alle necessità pratiche e, al tempo stesso, nella forma pid semplice; abbiamo cercato di evitare quelle complessità matematiche che non siano giustificate da considera- zioni fisiche.

Era propria dell'opera scientifica di Landau la tendenza alla chiarezza, la tendenza a semplificare le cose complesse e, quindi, a rive- lare la bellezza delle leggi della natura nella loro vera semplicità Landau cercà sempre di sviluppare questa tendenza nei suoi allievi.

Nei decenni trascorsi dalla prima edizione i vari volumi d i questo Corso sono stati ristampati pi6 volte. Per ogni nuova edizione i libri sono stati sempre rielaborati ed ampliati tenendo conto delle ult ime scoperte della scienza. Questo lavoro si à reso oggi pi6 difficile quando lo si deve fare senza la partecipazione di Landau.

L a traduzione italiana dei primi tre volumi del Corso èstat condotta sulla base dell'ultima edizione russa appena uscita. Il lavoro d i rielaborazione sugli altri volumi continua ancora e di esso sarà tenuto conto, per quanto possibile, nella presente edizione italiana.

Questo primo volume del Corso d i fisica teorica contiene u n articolo dedicato a Landau, che io ho scritto nel 1969 per l'edizione postuma russa delle sue opere. Voglio sperare che questo articolo aiuti i l lettore italiano a farsi almeno un'idea della personalità di questo straordinario uomo.

Mosca, gennaio 1975.

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Dalla prefazione alla prima edizione russa

Con il presente volume ci proponiamo di iniziare la nuova edizione completa della @Fisica teorica)). I l piano generale dell'opera comprende:

1. Meccanica. 2. Teoria dei campi. 3, Meccanica quantlstica (teoria non relativistica) . 4. Teoria quantistica relativistica. 5. Fisica statistica. 6 . Idrodinarnica. 7. Teoria della elasticitù 8. Elettrodi- namica dei mezzi continui. 9. Cinetica fisica.

Mosca, luglio 1957

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LEV DAVIDOVIC LANDAU (1 908-1 968)

Dal giorno i n cui moriva Lev Davidovi6 Landau, i l 1 aprile 1968, non à trascorso molto tempo, m a la sorte ha voluto che gid oggi guardiamo questa figura da u n a certa distanza. Questa distanza ci permette non soltanto 'di valutare meglio la grandezza dello scienziato, la cui opera acquista un'importanza sempre pi6 evidente, ma anche di vedere piti chiaramente la nobiltà di animo dell'uomo stesso. Egl i era profondamente buono e aveva uno spiccato senso della giustizia. l? indubbio che anche cià costituisce la causa della sua popolarità come scienziato e come mae- stro, dell'ammirazione e della stima che provavano per lui i suoi allievi diretti e indiretti, ammirazione e stima che si sono manifestate constraor- dinaria forza nei giorni i n cui si lottava per salvargli la vita dopo u n pauroso incidente.

A Landau à toccata la tragica sorte di morire due volte. L a prima vol- ta accadde i l 7 gennaio 1962, sulla strada tra Mosca e Dubna, quando la sua automobile andà ad urtare contro u n autocarro. L'epica storia della successiva battaglia per salvare la vita di L . D. Landau à prima di tutto una storia di abnegazione e di bravura di numerosi medici e infer- mieri. M a al tempo stesso à la storia di un'eccezionale solidarietà collet- tiva di colleghi ed amici. L'incidente scosse tutto i l mondo scientifico provocando u n a reazione spontanea e immediata. La clinica nella quale Landau fu ricoverato in stato d i coma divenne il centro d i coloro - allievi e colleghi - che si sforzavano, nella misura delle proprie possibilità d i aiutare i medici nella loro lotta disperata per salvare L. D . Landau.

à L a loro impresa collettiva inizià subito dal primo giorno. Eminenti scienziati, pur non essendo competenti in medicina, accademici, membri corrispondenti dell'Accademia, candidati e dottori in scienze*), persone della stessa generazione di Landau allora cinquantaquattrenne, allievi di Landau, giovanissimi allievi dei suoi allievi, tutti svolgevano volon- tariamente mansioni di fattorino, autista, intermediario, fornitore, segretario, infermiere e persino di facchino e manovale. I l loro quartiere generale, sorto spontaneamente, si stabilà nello studio del primario della

*) Titoli, successivi alla laurea, conferiti nelltURSS per meriti scientifici (N.d.R.).

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-clinica n. 50 diventando u n vero centro organizzativo atto ad eseguire di giorno e di notte, i n modo incondizionato e urgente, tutte le prescrizioni -dei medici curanti.

87 fisici teorici e sperimentatori parteciparono a quest'opera volon- taria di salvataggio. F u approntata una guida alfabetica con telefoni

.e indirizzi d i tu t t i e di tutto: persone ed enti di cui si poteva aver bisogno in ogni istante. Essa conteneva 223 numeri di telefono/ A l t r i ospedali, .autorimesse, aerodromi, dogane, farmacie, ministeri, luoghi di eventuali arrivi d i medici consulenti.

Nei giorni p i L tragici i n cui sembrava che à Dau morisse à - furono ¥almen quattro - davanti all'edificio di sette piani della clinica -c1erano pronte 8-10 auto ... Nel momento in cui, i l 12 gennaio, si rese necessario l'apparecchio per la respirazione artificiale, uno dei fisici propose di costruirlo immediatamente nei laboratori dell'Istituto d i problemi fisici. Era una proposta inutile e ingenua, m a meravigliosa per lo spirito che Vaveva suggerita. Alcuni fisici andarono a prendere l'apparecchio nell'Istituto di poliomelite e lo trasportarono a mano nella corsia dove giaceva Landau ansimante. Essi salvarono cosi i l loro -colle a , maestro ed amico.

l$ impossibile raccontare tutto ... F u u n vero e proprio atto di fratel- lanza tra i fisici. .. È*

Dunque, la vita di Landau venne salvata. M a quando tre mesi dopo egl i riprese conoscenza, non era pili la persona che avevamoconosciuto prima. Egl i non potà mai pi6 riprendersi dalle conseguenze dell'inciden- te e le sue capacità non si ristabilirono mai completamente. L a storia dei .sei anni successivi à soltanto la storia di lunghe sofferenze e di dolore.

Lev Davidovi2 Landau nacque i l 22 gennaio 1908 a B a k u nella fami- g l ia di u n ingegnere che lavorava nei pozzi di petrolio. S u a madre era medico e per un periodo si occupà d i ricerca nel campo della fisiologia.

Ali 'età d i tredici anni Landau terminà la scuola media superiore. G i à allora egli si appassionava alle scienze esatte rivelando molto presto le sue doti d i matematico. D a solo egli apprese l'analisi matematica e diceva spesso che neppure si ricordava di quando non sapeva derivare e integrare.

I genitori di Landau ritennero che era ancora troppo giovane per iscriverlo all'università e cosi per u n anno egli frequentà una scuola te- m i c a d i studi economici. Nel 1922 egli si iscrisse all'università di Baku dove studià contemporaneamente i n due faccoltà matematico-f isica e chi- mica. In seguito L . D. Landau non continuà la chimica, maconservà per t u t t a la vita interesse per questa scienza.

*) à Literaturnaia gazeta à 21 luglio 1962 (D. Danin, Solidwietà)

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LEV DAVIDOVIC LANDAU 11

Nel 1924 L. D. Landau passa alla facoltà d i fisica dell'università d i Leningrado. I n questa cittiì che era allora i l centro principale della fisica sovietica, Landau per la prima volta si accosta alla fisica teorica che i n quegli anni subiva un periodo impetuoso. Egli si t u f f ~ nello studio con tutto l'ardore del suo entusiasmo giovanile. Per l'eccessivo lavoro si prendeva spesso esaurimenti tali da non poter dormire di notte perse- guitato dalle formule che gli sembrava di vedere dappertutto.

Egli diceva p i ~ tardi che i n quell'epoca si senti scosso dall' incredibile bellezza della teoria della relatività generale (talvolta affermava persino che tale ammirazione dopo una prima conoscenza con questa teoria doveva essere, a suo avviso, u n sintomo che i n generale ogni vero fisico deve avere). Egli ricordava anche i n quale stato di estasi lo condusse lo studio degli articoli di Heisenberg e di Schrodinger, che segnarono l'avvento della nuova meccanica quantistica. Landau riconosceva che quegli arti- coli gli permisero non soltanto di godere della vera bellezza del pensiero scientifico, m a anche di provare un'acuta sensazione della forza del genio umano i l cui trionfo pi6 grande à nella capacità dell'uomo di capire le cose che egli non arriva ad immaginare. E tali sono, naturalmente, pro- prio la curvatura dello spazio-tempo e i l principio di indetermina- zione.

Nel1927 Landau prese la laurea e divenne aspirante di ruolo presso l'Istituto di fisica tecnica di Leningrado. A quegli anni risalgono i suoi primi lavori scientifici. Nel 1926 egli pubblicà la teoria delle intensità degli spettri di molecole biatomich^*), e già nel 1927 compare i l suo lavo- ro sul problema dell'irraggiamento nella meccanica quantistica, nel quale per la prima volta venne introdotta la descrizione dello stato di sistemi mediante la matrice densità

La dedizione alla fisica e i primi successi scientifici erano offuscati, perii, dalla morbosa timidezza nei contatti con la gente, cosa che gli provocava molte sofferenze e che, a volte, come egli stesso riconosceràpil tardi, lo portava alla disperazione. Quei mutamenti che con gli anni avvennero i n lui e che lo trasformarono i n una persona piena di vita, capace di sentirsi libera ovunque e sempre, sono i n misura notevole i l risultato dell'autodisciplina che gli era propria e del sentimento di responsabilità nei confronti di sà stesso. Queste qualità rinforzate da una mente sobria e autocritica, gli permisero di fare di stf stesso u n uomo dotato di una rara capacità di sentirsi felice. La stessa sobrietà di mente Valutava sempre a distinguere nella vita le cose vere dalle cose false, alle quali non valeva la pena attribuire troppa importanza, e a con- servare quindi l'equilibrio di spirito nei momenti pi6 duri che non mancarono nella sua vita.

*) Egli non sapeva per6 che un anno prima questi risultati erano gih stati pubblicati da H. Honl e F. London.

Qui e piti avanti le cifre indicano il numero dell'articolo pubblicato nel libro ucollected papers of L. D. Landau~, Pergamon Press, 1965.

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12 LEV DAVIDOVIC LANDAU

Nel 1929, Landau fu inviato dal Commissariato del popolo per l'istruzione pubblica i n missione scientifica all'estero e per u n anno e mezzo lavort3 i n Danimarca, Inghilterra e Svizzera. L a p i ~ im- portante per lui fu la permanenza a Copenaghen, dove neZl1Istituto di fisica teorica si riunivano dal grande Nieis Bohr fisici di tutta Europa e dove, durante i famosi simposi diretti da Bohr, venivano affrontati i problemi della fisica teorica di quell'epoca. L'atmosfera scientifica rafforzata dal fascino della persona stessa di Bohr esercità un'influenza decisiva sulla formazione della concezione fisica del mondo di Landau. In seguito egli si considerà sempre allievo di Niels Bohr. Egli visità Copenaghen ancora due volte: nel 1933 e nel 1934. Durante la sua per- manenza all'estero Landau serisse i lavori sulla teoria del diamagnetismo del gas di elettroni4 e fece studi sulle restrizioni imposte alla misurabilità delle grandezze fisiche nel campo quantlstico relativistico (%, i n cellabo- razione con Peieris).

Dopo i l suo ritorno a Leningrado nel 1931, Landau lavorà all 'I- stituto d i fisica tecnica e nel 1932 si trasferi a Kharkov dove fu direttore della sezione teorica dell'appena, organizzato Istituto di fisica tecnica deIV Ucraina. Contemporaneamente egli diresse la cattedra di fisica teo- rica nel Politecnico di Kharkov e dal 1935 la cattedra di fisica generale presso V Università di Kharkov.

Gli anni trascorsi a Kharkov furono per Landau anni di intenso lavo- ro e di molteplice ricerca scientifica*). Proprio a Kharkov inizià la sua attività di insegnante, là furono gettate le fondamenta della sua scuola di fisica teorica.

La fisica teorica del X X secolo à ricca di nomi gloriosi. Fra questi ci fu anche Landau. La sua influenza sullo sviluppo della scienza à ben lontana daIV1esaurirsi nel suo contributo personale. L'insigne fisico f u a l tempo stesso u n grande maestro, maestro per vocazione. Sotto questo aspetto si potrebbe forse confrontare Landau soltanto con i l suo maestro, Niels Bohr.

S i n da giovane egli si interessa vivamente ai problemi dell'insegna- mento della fisica teorica, cosi come della fisica i n generale. Proprio a Khurkov egli per la prima volta si mise a elaborare i programmi del à minimo teorico à nozioni fondamentali di fisica teorica indispensabili ai fisici sperimentali e, separatamente, a coloro che volevano dedicarsi alla ricerca professionale nel campo della fisica teorica. Non limitandosi solo alla elaborazione dei programmi, egli tenne u n corso di fisica teorica per i collaboratori dell'Istituto di fisica tecnica del17Ucraina e per gli

*) Dell'intensa attività scientifica di Landau in quel periodo si puà giudi- caresemplicementeelencando i lavori portati a termine nel solo 1936: teoria delle transizioni di fase di seconda specie29, teoria dello stato intermedio dei superconduttori30, equazione cinetica nel caso dell'interazione co~ lombiana~~ , teoria delle reazioni monomolecolari~~, proprieth di metalli a temperature molto basse26, teoria della dispersione e dell'assorbimento del suon0~~1 ", teoria dei fenomeni fotoelettrici nei semiconduttorifi.

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studenti del Politecnico d i Kharkov. Appassionato ali'idea di u n rinno- vamento globale dell'insegnamento della fisica, egli assunse ladirezione della cattedra di fisica generale presso l'Università di Kharkov (pili tardi, nel periodo postbellico, continuà a tenere u n corso di fisica generale presso la facoltà di fisica d e l l Universitk di Mosca).

Sempre a Kharkov gli venne l'idea di scrivere u n Corso completo di fisica teorica e u n Corso di fisica generale, idea che egli comincià subito a tradurre in pratica. Durante tut ta la vita Landau sogna di scrivere libri d i fisica a tut t i i livelli: da testi per la scuola secondariaauncorso d i fisica teorica destinato agli specialisti. D i fatto, prima del fatale inci- dente, furono portati a termine quasi tutt i i volumi della Fisica teorica e i primi volumi del Corso di fisica generale e della Fisica per tutti. Egli accarezzava anche Videa di scrivere testi di matematica per fisici, che avrebbero dovuto diventare à guida d''azione à insegnare ad applicare praticamente la matematica alla fisica ed essere privi del rigore e della complessità superflui a tale scopo. L a realizzazione di questo program- m a non fu m a i iniziata.

Landau attribuiva i n generale grande importanzaal fatto che i fisici avessero padronanza dell'apparato matematico. I l grado di questapadro- nanza deve essere tale che le dif f icoltà matematiche non devono distogliere l'attenzione, per quanto possibile, dalle difficoltà fisiche del problema, soprattutto se si tratta di metodi matematici ordinari. Questo puà esse- re raggiunto soltanto mediante u n sufficiente esercizio. M a come mostra l'esperienza, i l metodo esistente e i programmi universitari d i matematica per i fisici spesso non. assicurano tale esercizio. L'esperienza mostra anche che lo studio della matematica appare ad u n fisico, chehagià iniziato la sua attività pratica, troppo u noioso È

Percià la prima cosa alla quale Landau sottoponeva chiunque volesse entrare nel gruppo dei suoi allievi era la prova di matematica nei suoi aspetti à pratici à d i calcolo*). Chi superava questa prova poteva poi passare a dare gli esami nei sette campi del à minimo teorico à che inclu- deva nozioni fondamentali d i tutt i i campi della fisica teorica. Landau riteneva che queste nozioni dovessero essere i l bagaglio scientifico di ogni fisico, a prescindere dalla sua futura specializzazione. Egl i , beninteso, non chiedeva a nessuno di essere universale, nella stessa misura in cui lo era lui. M a in cià si rivelava la sua convinzione che la fisica teorica rappre- senti una scienza a sé con metodi propri.

I n u n primo tempo Landau faceva pelsonalmente tutt i gli esami del (( minimo teorico à M a dopo, quando il numero degli esaminandi

*) Si chiedeva di saper calcolare un qualsiasi integrale indefinito (espresso da funzioni elementari) e risolvere una normale equazione differenziale, di conoscere l'analisi vettoriale e l'algebra tensoriale, nonchà i fondamenti della teoria delle funzioni con variabile complessa (teoria dei residui, metodo di Laplace). Si supponeva, inoltre, che campi della matematica come l'analisi tensoriale, la teoria dei gruppi, ecc. sarebbero stati studiati in quei campi della fisica in cui essi venivano applicati.

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aumentà troppo, questi impegni vennero distribuiti anche tra i suoi collaboratori pili vicini. M a i l diritto di fare il primo esame e di fare la prima conoscenza con ogni giovane Landau lo ha sempre riservato persi. A tale scopo chiunque poteva incontrarlo: bastava telefonargli ed espri- mere i l proprio desiderio.

E naturale che non tutti coloro che si mettevano a studiare i l à mini- mo teorico à avevano capacità e tenacia per terminarlo. Dal 1934 al 1961 hanno superato questa prova i n tutto 43 persone.Quanto fosse efficace quella scelta si puà giudicare anche solo i n base ai seguenti dati formali: di queste persone 7 sono gia accademici e 16 dottori in , scienze.

Nella primavera del 1937 Landau si trasferf a Mosca dove assunse l'incarico di capo sezione teorica dell'Istituto di problemi fisici, costruito poco prima per P. L. Kapitza. Qui egli passà il resto della sua vita; i n questo istituto, diventato per lui una casa paterna, la sua attività rag- giunse l'apice. Proprio qui Landau creò i n un'interazione magnifica con ricerche sperimentali, quello che possiamo considerare i l tema princi- pale della sua vita di scienziato: la teoria dei liquidi quantistici.

Sempre mentre lavorava qui gli vennero conferiti riconoscimenti esterni dei suoi meriti. Nel 1946 egli diventa membro effettivo dell'Accademia delle Scienze dell'URSS. E insignito di molte decorazioni (tra cui due ordini di Lenin) e di titolo di Eroe del Lavoro socialista: ono- rificienze sia per i successi puramente scientifici che per i l contributo alla realizzazione pratica di compiti di stato. Gli èconferit ire volte i l Premio di Stato e nel1962 i l Premio Lenin. Non mancavano neppure onorif icienze dall'estero. Già nel 1951 à eletto membro dell'Accademia dellaDanimarca e nel 1956 dei Paesi Bassi. Nel 1959 diventa membro della Società d i fisica britannica e nel 1960 membro straniero della Società reale britan- nica. Lo stesso anno à eletto membro dell'Accademia nazionale delle scienze degli Stati Uniti e dell'Accademia americanadelle scienze e delle arti. Nel 1960 Landau à insignito del Permio F. London ( U S A ) e della medaglia Max Planck (RFT). Ed inf ine, nel 1962 gli à conferito i l Premio Nobel à per la ricerca pionieristica nella teoria dello stato con- densato della materia e , i n particolare, dell'elio liquido Ã

L'influenza scientifica di Landau non si limita ai suoi allievi diret- ti. Egli era profondamente democratico nella vita scientifica (come, tra l'altro, nella vita privata; gli furono sempre estranei boria e servi- lismo). Per consigli o osservazioni critiche, sempre ben nette e chiare, gli si poteva rivolgere chiunque, indipendentemente dai suoi meriti scientifici e titoli, ma ad un'unica condizione: si doveva trattare di una cosa seria e non di raziocinio cervellotico vacuo - cosa che egli de- testà sempre nella scienza - camuf fatto da complessità pseudoscientif i- che prive di contenuto e di risultato. Al la sua mente era propria un'ar- guzia critica; questa qualità insieme con u n metodo profondamente fisico nell'affrontare i problemi rendevano attraente e utile la discussione con lui.

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Nel dibattito egli era veemente e aspro m a non sgarbato, arguto e iro- nico ma non caustico. Una targa sulla porta del suo ufficio nell'Istituto di Kharkov diceva:

Lev Landau. Attenzione, morde!

Con gli anni i l suo carattere e le maniere divennero p i ~ mit i , ma non mutarono i l suo entusiasmo per la scienza e la sua coerenza scientifica. senza compromessi. Dietro la sua apparente asprezza si celavano impar- zialità scientifica, u n grande cuore e una grande bontà Quanto aspra

Dau ha detto ... e spietata era la sua critica tanto sincero era i l suo desiderio di aiutare con un consiglio i l successo altrui e altrettanto calda era la sua appro- vazione.

Questi tratti del carattere e del talento di Landau gli meritarono la posizione di arbitro supremo tra i suoi allievi e colleghi.*) E indubbio che questo aspetto dell'attività di Landau e il suo prestigio scientifico e morale, che serviva di freno ai lavori precoci, hanno determinato i n misura notevole Volto livello della fisica teorica nel l 'URSS.

Il contatto scientifico costante con numerosi colleghi e allievi era anche per Landau fonte di conoscenze. Lo stile di lavoro di Landau era contrassegnato da u n tratto assai originale: da molto tempo, già dal periodo di Kharkov, egli non leggeva articoli e libri scientifici. Per avere queste conoscenze gli servivano le numerose discussioni e gli interventi al seminario scientifico da lui diretto.

Questo seminario si tenne regolarmente, una volta alla settimana, per quasi trent'anni. Negli ultimi tempi esso acquistà il carattere di una riu- nione generale dei fisici di tutta Mosca. Intervenire al seminario era il dovere sacrosanto di tutti i suoi allievi e collaboratori, e Landau stesso constraordinaria serietà e zelo selezionava i l materiale per gli interventi.

*) Questa posizione à espressa dalla caricatura di A. A. Jusefovit ripro- dotta sopra.

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Egli si interessava ed era ugualmente competente i n tutti i campi della fisica, cosicchà i partecipanti al seminario spesso si trovavano i n diffi- coltà nel passare con Landau dalla discussione, per esempio, delle pro- prietà delle particelle à strane à direttamente aconsiderazionisullospettro energetico degli elettroni nel silicio. L'ascoltare gli interventi non era mai per Landau una formalità non si calmava finchà non veniva messa completamente i n luce l'essenza di u n lavoro e non vi erano state eli- minate le tracce della ç f i l o log ia~ cioà delle asserzioni infondate e delle proposte avanzate secondo il principio: u e perchà non cosi È Dopo una, simile discussione e critica molti lavori si dichiaravano u patologia Ã

e Landau non ne aveva pili alcun interesse. Viceversa, articoli che conte- nevano effettivamente idee e risultati nuovi venivano iscritti al cosiddetto à fondo d'oro à e Landau li ricordava sempre.

D i fatto, gli bastava soltanto conoscere l'idea principale di u n lavoro per riprodurne tutti i risultati. D i regola, gli era pili facile otte- nerli a modo suo anzichà seguire nei dettagli ilragionamento dell'autore. Cosi egli ottenne per sà e ripensà profondamente la maggior parte dei risultati fondamentali i n tutti i campi della fisica teorica*). Con questo si spiega, evidentemente, la sua fenomenale capacità di dare una risposta a quasi tutte le domande di fisica che gli venivano poste.

A l10 stile scientifico di Landau era estranea la tendenza, purtroppo abbastanza diffusa, di complicare le cose semplici (spesso giustificata con motivi di generalità e di rigore che risultano di solito illusori). Egli tendeva sempre al contrario, a rendere semplici le cose complicate, a rivelare i n modo pili chiaro la vera semplicità dei fenomeni basati sulle leggi della natura. Di questo, di saper à rendere banali à le cose, come egli stesso diceva, era particolarmente fiero.

La tendenza alla semplicità e all'ordine era propria, in generale, della mentalità di Landau. Essa si manifestava non soltanto nelle cose serie, ma anche nelle cose semiserie e persino nei suoi tipici scherzi?. Cosi, gli piaceva classificare tutto: dalle donne (secondo i l gradodella loro bellezza) ai fisici (secondo Inefficacia del loro contributo nella scien- za). Quest'ultima classifica si basava su u n sistema di cinque punti su scala logaritmica; per esempio, si sottintendeva che il contributo di u n fisico della seconda classe era di 10 volte superiore a quello di u n fisico della terza (nella quinta classe andavano a finire i à patologi B). Sempre secondo questa classifica, Einstein occupava la classe à u n mezzo Ã

mentre Bohr, Heisenberg, Schrodinger, D i rm ed alcuni altri apparte- nevano alla prima classe. Per lungo tempo Landau si mise modesta-

*) Questo spiega, tra l'altro, la mancanza di alcuni necessari riferimenti negli articoli di Landau, cià che non era un atto intenzionale. In certi casi. però egli poteva omettere un riferimento anche intenzionalmente se riteneva troppo banale un dato problema: i suoi criteri in merito erano molto alti.

**) à caratteristico, tuttavia, che questo tratto non si riferiva alle abitu- dini di Landau nella vita, diciamo, quotidiana. Egli era tutt'altro che ordi nato, e molto presto attorno a lui si creava una à zona di disordine W .

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mente nella classe due e mezzo e soltanto pi6 tardi si autopromosse alla seconda classe.

Egli lavorava sempre e molto (mai alla scrivania, m a sdraiatodi solito su u n divano). Per ogni scienziato i l riconoscimento dei risultati del proprio lavoro à i n una certa misura importante; à ovvio che questo aveva un'importanza sostanziale anche per Landau. Tuttavia, si pud affermare che egli attribuiva alle questioni della priorità molto meno importanza d i quanto si faccia di solito. &' indubbio comunque che lo stimolo interno al lavoro era per Landau non la sete di gloria, bensl l'in- saziabile curiosità l'inesauribile passione di conoscere le leggi della natura nelle loro rivelazioni grandi e piccole. Mai occorre lavorare per scopi estranei, per fare una scoperta; i n questo modo non si ottiene nien- te: egli non perdeva mai l'occasione per ripetere questa semplice verità

L a cerchia di interessi di Landau al di fuori della fisica era molto vasta. Oltre alle scienze esatte, egli amava molto - e la conosceva bene- la storia. Lo interessavano vivamente ed impressionavano profondamente tutte le arti, ad eccezione della musica (e anche del balletto).

Coloro che ebbero la fortuna di trovarsi per lunghi anni tra i suoi allievi e amici sapevano che il nostro Dau, come lo chiamavano amici e colleghi*), non invecchiava. I n sua compagnia non ci si annoiava mai. L a sua personalità brillante non impallidiva e i l vigore scientifico non si indeboliva. Tanto pi6 assurdo e terribile per questo ci sembra il caso che ha interrotto la sua brillante attività

Gli articoli d i Landau sono contrassegnati, come regola, da tutt i i tratti intrinseci del suo stile scientifico: chiarezza e precisione dell'impo- stazione fisica dei problemi, procedimento diretto ed elegante per la loro soluzione, niente di superfluo. Persino oggi, dopo tanti anni , la maggior parte dei suoi articoli non richiederebbe alcuna modifica.

L a breve rassegna che segue ha i l solo scopo di aiutare ad orientarsi tra i molti e diversi lavori di Landau, nonchà di precisare u n po' i l posto che spetta a questi lavori nella storia della fisica, cosa che forse non sempre à evidente per i l lettore moderno.

I l tratto pir.i caratteristico dell'opera scientifica d i Landau à l a vastità quasi senza precedenti del campo dei suoi interessi; esso abbrac- cia tutta l a fisica teorica: dall'idrodinamica alla teoria quantistica dei campi. Mentre la specializzazione si restringeva sempre di pir.i, e le vie scientifiche prese dai suoi allievi a poco a poco divergevano, Landau stesso l i riuniva tutti conservando costantemente u n interesse veramente straordinario per tutto. L a fisica con lui h a perduto forse uno degli ult imi grandi universali.

*) Landau amava dire che questo soprannome à dovuto alla pronuncia alla francese del suo cognome: Landau=L'ane Dau (l'asino Dau).

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U n rapido sguardo all'elenco dei suoi lavori mostri che nella vita di Landau à impossibile individuare u n periodo piri o - m e n o lungo i n cui egli abbia lavorato soltanto in qualche singolo campo della fisica. Per questo nell'enumerare i suoi lavori non seguiremo l'ordine cronologico ma, per quanto possibile, adotteremo il principio tematico. Iniziamo dai lavori dedicati alle questioni generali della meccanica quantistica.

Fra questi ci sono, soprattutto, alcuni lavori giovanili di Landau. Considerando il problema del frenamento per radiazione, egli introdusse per la prima volta i l concetto di descrizione incompleta quantistica mediante delle grandezze che p i ~ tardi furono chiamate matrici densitàa I n questo lavoro la matrice densità venne introdotta nella rappresenta- zione del l'energia.

Due suoi a r t i ~ o l i ' " ~ sono dedicati al calcolo delle probabilità dei processi quasi-classici. La complessità di questo problema à dovuta a l fatto che, essendo le funzioni d'onda quasi - classiche esponenziali (con grande esponente immaginario), l'espressione integranda negli elementi di matrice risulta una grandezza rapidamente oscillante, cosa che rende molto d i f f i c i l e persino la stima dell'integrale. Prima, dei lavori di Landau tutt i gli studi fatti su questi problemi risultavano di fatto sbagliati. Landau fu i l primo ad introdurre u n metodo generale per i l calcolo degli elementi di matrice quasi-classici e ad applicarlo a u n gruppo di processi concreti.

Nel 1930 Landau (con R. Peierls) ~ u b b l i c à uno studio dettagliato sulle limitazioni imposte alla descrizione quantistica dalle condizioni relativistiche6; questo articolo suscità a suo tempo accese discussioni. I l suo risultato principale (oltre a mettere i n luce i l problema della indeterminazione della coordinata per una singola particella) consistette nello stabilire, i n linea d i principio, i l imiti della possibilità d i misu- rare l'impulso i n u n intervallo di tempo finito. N e seguiva che nel campo quantistico relativistico non si puà misurare nessuna variabile dinamica, che caratterizza le particelle nella loro interazione, e che le uniche quantità misurabili sono gli impulsi (o le polarizzazioni) delle particelle li bere. Questa à l'origine fisica delle complessità che nascono quando si vuole trasportare nel campo relativistico metodi della meccani- ca quantistica ordinaria, metodi operanti con concetti che perdono qui i l loro significato. Landau ritornà ancora su questo problema nel suo ultimo articolo pubblicato100, nel quale espresse la convinzione che gli operatori $, come portatori di un'informazione inosservabile, e con essi f in tero metodo hamiltoniano, avrebbero dovuto scomparire dalla futura teoria.

A questa convinzione Landau fu portato dai risultati dei suoi studi sui . ' fondamenti dell'elettrodinamica q u a n t i ~ t i c a ' ~ - ~ ~ ~ eseguiti nel 1954 - 1955 ( i n collaborazione con A. A. A brikosov, I . M. Khalatnikov e I . J . Pomeranciuk). Questi studi partivano dalla rappresentazione dell'interazione puntuale come limite dell'interazione non locale a l tendere a zero del raggio d i interazione. Questo permise immedza-

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tamente di ottenere espressioni f inite. In seguito risultà possibffe som- mare i termini principali dell'intero gruppo della teoria delle pfrtur- bastoni e, finalmente, furono ottenute le espressioni asintotiche ( a grandi impulsi) per le grandezze fondamentali dell'elettrodinynica quantistica: le funzioni di Green e à la -parte al vertice È D a queste espressioni venne dedotta, a sua volta, la relazione f r a la vera carica e la vera massa e la carica à intrinseca - i ~ dell'elettrone. Anche se questi calcoli furono eseguiti supponendo che la carica à intrinseca à fosse piccola, furono avanzati validi motivi i n favore dell'ipotesi che la formula esprimente la relazione fra la carica vera e la carica à intrinseca conservi la sua applicabilità qualunque sia i l valore dell'ultima. Lo studio della formula mostra allora che nel limite dell'interazione puntuale la carica vera si annulla, ossia la teoria si à annulla È*) ( U n a rassegna di questi problemi à data negli a r t i c ~ l i ~ * , ~ ~ . )

Soltanto i l futuro potrà mostrare quanto sia giustificato i l program- ma di edificazione della teoria relativistica quantistica dei campi trac- ciato da L a n d a ~ * ~ ~ ) . Negli ult imi anni , prima dell'incidente, egli lavorà intensamente i n questa direzione. I n questo campo egli elaborò i n particolare, u n metodo generale per determinare le singolarità delle grandezze che figurano nel metodo dei diagrammi della teoria quanti- stica dei campig8.

A lla scoperta della non conservazione della parità nelle interazioni deboli, nel 1956, Landau rispose immediatamente proponendo la teoria del neutrino con elicità fissa (à neutrino bicom~onente ) ) jg2**} e avanzà anche i l principio di conservazione della à parità combinata à come egli chiamà l'applicazione congiunta dell'inversione dello spazio e della coniugazione delle cariche. Secondo Videa di Landau, doveva essere cosi à salvata à la simmetria dello spazio, mentre l'asimmetria era nelle particelle stesse. I n f a t t i , questo principio trovà un'applicabi- lità pi.6 larga della legge di conservazione della parità Come à noto, però negli u l t imi anni sono stati scoperti processi i n cui non si conserva nemmeno la parità combinata; i l signif icato di questa violazione à ancora da definire.

A l la fisica nucleare si riferisce un lavoro di Landau3' pubblicato nel 1937. Esso rappresenta un'elaborazione quantitativa delle idee avan- zate poco prima d a N . Bohr. I l nucleo vi à considerato, applicando i me- todi della fisica statistica, come goccia di un à liquido quantistico Ã

E da notare che non vennero fatte supposizioni azzardate sul modello contrariamente a quanto altri autori avevano fatto precedentemente. In

*) In relazione con la ricerca di una dimostrazione pik rigorosa di questa asserzione l'articolo100 contiene una frase molto caratteristica di Landau: à data la brevità della nostra vita, non possiamo permetterci il lusso di occuparci delle questioni che non promettono risultati nuovi )).

**) Contemporaneamente e indipendetemente questa teoria venne elaborata da Salam e anche da Lee e Yang.

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particolare, egli ottenne per la prima volta una relazione f ra le distanze medie dei livelli dei nucleoni e le loro larghezze.

L a mancanza di modelli contraddistingue u n altro lavoro di Lan- dau ( i n collaborazione con J . A. Smorodinskij) dove egli sviluppà la teoria della di f fus ione protone-protone. L a sezione d i d'urto vi à espressa con parametri i l cui significato non à legato a ipotesi concrete circa i l potenziale di interazione delle particelle.

U n esempio di virtuosismo tecnico à dato nel lavoro ( i n collabora- zione con J . B. Rumer) sulla teoria della cascata elettrofotonica degli sciami elettronici nei raggi cosmici"; i fondamenti fisici questa teoria erano stati dati prima da u n gruppo d i autori, ma una teoria quantita- Uva, i n sostanza, non esisteva. In questo lavoro venne creato Vapparato matematico che servi di base per successivi lavori in questo campo. Lan- dau stesso continuà l'elaborazione della teoria degli sciami i n altri due articoli: sulla distribuzione angolare delle particelle43 e sugli sciami secondari**.

D i u n virtuosismo non minore à u n altro lavoro di Landau dedicato allo sviluppo dell'idea di Fermi sul carattere statistico della produzione multipla delle particelle nelle c ~ l l i s i o n i ' ~ * ) . Questo lavoro à u n altro esempio brillante dell'unità metodologica della fisica teorica, quando alla soluzione del problema vennero applicati metodi appartenenti a u n campo del tutto diverso. Landau mostrà che il processo della produ- zione multipla passa attraverso lo stadio del processo di espansione della à nube à le cui dimensioni sono grandi rispetto al cammino percorso all'interno di essa dalle particelle; questo stadio deve essere descritto corrispondentemente mediante equazioni dell'idrodinamica relativistica. L a soluzione di queste equazioni richiese alcuni artifizi e un'analisi approfondita. Landau riconobbe in seguito che questo lavoro gli costà una fatica maggiore di qualsiasi altro.

Landau rispondeva sempre con prontezza alle richieste e ai bisogni degli sperimentatori. In particolare, tale à l'origine del suo lavoro66 in cui fu determinata la distribuzione delle perdite di energia per ioniz- zazione daparte delle particelle veloci nell'attraversamento della materia (prima esisteva soltanto la teoria delle perdite medie di energia).

Passando a i lavori di Landau dedicati alla fisica macroscopica. ìnìzia da alcuni articoli che rappresentano il suo contributo a l l ~ fisica del magnetismo.

In accordo con la meccanica classica e la statistica, i l cambiamento del carattere del moto degli elettroni liberi i n u n campo magnetico non puà generare nuove proprietà magnetiche del sistema. Landau f u i l primo a mettere i n luce i l carattere del moto nel campo magnetico nel caso quantistico e ad avvertire che la quantizzazione muta intera- mente la situazione causando i l diamagnetismo del gas di elettroni

*) Un esame piti particolareggiato con ulteriori dettagli di questo lavoro 6 dato nel resoconto88 (scritto insieme con S. Z. Belenkij).

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liberi (questo fenomeno à chiamato ora a diamagnetismo di Landau~)'. Nello stesso lavoro egli predisse qualitativamente la dipendenza periodi- ca della suscettività magnetica dalla grandezza del campo magnetico a valori grandi. A quell'epoca (1930) questo fenomeno non era stato ancora osservato da nessuno; esso verrà scoperto pifi tardi sperimental- mente (effetto De Haas - V a n Alphen). Landau teorizza quantitati- vamente questo effetto i n uno dei suoi lavori successivim.

U n breve articolo pubblicato nel 193312 va oltre i limiti del problema posto nel suo titolo: sulla possibile spiegazione della dipendenza dal campo della suscettività magnetica d i u n determinato gruppo di sostan- ze a basse temperature. V i f u introdotto per la prima volta i l concetto di antiferromagnetismo (anche se questo termine non fu applicato) come fase particolare della magnetizzazione che si differenzia per la sua s h - metria dalla fase paramagnetica; conformemente a c i ~ , la transizione fra i due deve avvenire i n u n punto ben determinato*). I n questo lavoro venne considerato concretamente i l modello di u n untiferromagnetico strati f icato con forte legame ferromagnetico i n ogni strato e legame anti- ferromagnetico debole fra gli strati; per questo caso venne eseguita una analisi quantitativa e furono determinate le caratteristiche delle pro- prietà magnetiche della sostanza che si trova vicino al punto di tran- sizione. I l metodo applicato da Landau si fondava sulle idee che furono sviluppate i n seguito nella sua teoria generale delle transizioni di fase di seconda specie.

C'à ancora u n lavoro relativo alla teoria del ferromagnetismo. Già nel 1907 P. W& aveva avanzato un'ipotesi sulla struttura dei fer- romagnetici come formati da regioni elementari e magnetizzate spon- taneamente nelle diverse direzioni (a domini magnetici à secondo la ter-. minologia moderna). Non esisteva ancora, pera, una teoria quantitativa di questa struttura. Nel lavoro d i Landau ( i n collaborazione con E. M. L i f &)l8 eseguito nel 1936 fu provato che tale teoria deve essere basata su considerazioni termodinamiche e vennero determinate per un caso tipico la forma e le dimensioni dei domini. Nello stesso lavoro fu de- dotta l'equazione macroscopica del moto del vettore magnetizzazione dei domini. Questa equazione permise poi di sviluppare le basi della teoria della dispersione della permeabilità magnetica dei ferromagnetici i n u n campo magnetico variabile; i n particolare, fu predetto u n /e- meno noto oggi sotto i l nome d i risonanza ferromagnetica.

In u n breve articolom pubblicato nel 1933 fu avanzata un'idea sulla possibilità di <i autolocalizzazione à di u n elettrone nel reticolo

*) Circa un anno prima in un lavoro di Ne61 (sconosciuto a Landau) era stata predetta la ossibilita dell'esistenza di sostanze formate, dal punto di vista magnetico, da due sottoreticoli con momenti op osti. Tuttavia, Ne61 non sup- poneva che si trattasse di uno stato particolare della materia, credendo sempli- cemente che il paramagnetico con integrale di scambio positivo assumesse a poco a poco, per effetto delle basse temperature, una struttura formata da pi6 sottore- ticoli magnetici.

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cristallino in una buca di potenziale, generatasi i n forza della sua azio- ne polarizzatrice. Questa idea costituà poi la base della cosiddetta teoria polaronica della conduttività dei cristalli ionici. Landau tornà ancorauna volta su queste questioni in u n lavoro successivo ( i n collabo- razione con S . I. P e k ~ r ) ~ ' dedicato alla deduzione delle equazioni del moto del polarone i n u n campo esterno.

I n u n altro breve articolo d i Landau (scritto insieme con G. Pla- czek) furono ottenuti risultati circa la struttura della riga della d i f f u - sione di Ragleigh i n liquidi o i n ga.2*. Ancora all'inizio degli anni '20 Brillouin e Mandelstam dimostrarono che grazie alla dif fusione da oscil- lazioni acustiche questa riga devescindersi i n doppietto. Landau e Placzek ' richiamarono l'attenzione sulla necessità dell'esistenza anche della diffusione da fluttuazioni dell'entropia non accompagnata da alcuna variazione di frequenza; come risultato, i n luogo del doppietto, si deve osservare u n tripletto*) .

Alla fisica del plasma si riferiscono due lavori di Landau. i n uno di essi fu dedotta originariamente l'equazione cinetica tenendo conto dell'interazione coulombiana fra le particelle2*; la lenta decrescenza di queste forze rendeva inapplicabili, nel caso considerato, i metodi usuali per la deduzione delle equazioni cinetiche. I n u n altro lavoro, dedicato alle oscillazioni del plasma61, egli mostrà che le oscillazioni ad alta fre- quenza si smorzano persino nelle condizioni i n cui si possono trascurare gli urti tra le particelle nel plasma (à smorzamento di Landau )))**).

77 lavoro su uno dei volumi del Corso di fisica teorica indusse Lan- dau a studiare profondamente l'idrodinamica. Come sempre, egli si mise a ripensare e riprodurre autonomamente tutte le affermazioni e i risultati fondamentali d i questa scienza. La sua visionenuova e originale portò i n particolare, a u n nuovo trattamento del problema dell'origine della turbolenza; egli mise in luce le proprietà fondamentali del processo di evoluzione graduale della non stazionarietà all'aumentare del numero di Reynolds, quando i l moto laminare perde la sua stabilità e predis- se diverse varianti possibili52. Indagando le proprietà qualitative del- l'aerodinamicità dei solidi, Landau ottenne u n risultato inaspettato: lontano da u n solido deve esistere non una sola onda, come si credeva di solito, m a due onde d'urto che seguono l 'una dietro l'altra60. Persino i n una questione u classica È come la teoria delle linee d i corrente dei liquidi egli riusci a trovare una nuova, finora inosservata, soluzione esatta per

*) L'esposizione particolareggiata delle conclusioni e dei risultati di questo lavoro non à stata pubblicata sotto forma di un articolo. Essa à data, in parte, nel libro Elektrodinamika sploshnych sred à (Elettrodinamica dei mezzi continui), 9 96, Mosca, Fizmatghiz, 1959.

* *) à interessante notare che questo lavoro à nato come reazione di Landau alla u filologia à propria, a suo avviso, dei lavori precedenti su questo tema (per esempio, la sostituzione ingiustificata degli integrali divergenti con i loro valori principali). Per dimostrare di aver ragione, egli s i mise a lavorare su questo problema.

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una linea à annegata à con simmetria assiale di u n liquido viscoso ìn compressi bile 'I.

U n posto eminente nella produzione scientifica di Landau - sia per l'importanza diretta che per i l numero di possibili applicazioni - spetta alla teoria delle transizioni d i fase di seconda speciez9; i l primo abbozzo delle idee basilari di questa teoria era già contenuto i n una breve pubblicazionei7*). I l concetto di transizioni di fase di diversi ordini fu introdotto originariamente da Ehrenfest i n modo puramente for- male: a seconda dell'ordine delle derivate termodinamiche che avrebbero potuto subire uno sbalzo nel punto d i transizione. Erano perà rimaste aperte le questioni su quali di queste transizioni potessero effettivamehte esistere e i n che cosa consistesse la loro natura fisica; nella letteratura si avanzavano i n merito ipotesi troppo vaghe e infondate. Landau mise i n rilievo il profondo legame fra la possibilità dell'esistenza di una transi- zione di fase continua (nel senso di variazione dello stato del solido) e la variazione a sbalzi d i una qualsiasi proprietà di simmetria del solido nel punto di transizione. Egli mostrà anche che nel punto di tale transi- zione non à possibile una qualsiasi variazione della simmetria e propose un metodo che permette di determinare forme possibili di variazione della simmetria. L a teoria quantitativa sviluppata da Landau era fondata sull'ipotesi della regolarità della scomposizione delle grandezze termo- dinamiche nella prossimità del punto di transizione. Oggi à chiaro che tale teoria, che non tiene conto di possibili singolarità di queste grandezze nel punto d i transizione, non rif lette tutte le proprietà della transizione di fase. Landau si interessà molto della questione inerente al carattere d i questa.singolarità e negli u l t imi anni lavorà parecchio su questo d i f f i - cile problema, m a non fece i n tempo ad ottenere dei risultati.

Nello spirito della teoria delle transizioni di fase à costruita anche la teoria fenomenologica della s u p e r c ~ n d u t t i v i t à   ~ creata da Landau ( i n collaborazione con V . L. Ghinzburg) nel 1950; p i c tardi, i n particolare, essa servi da base per la teoria delle leghe superconduttrici. I n questa teoria intervengono quantità e parametri i l cui significato non era del tutto chiaro al momento della sua comparsa; esso fu chiarito soltanto dopo la creazione nel 1957 della teoria microscopica della supercondut- tività che permise di dare un'argomentazione rigorosa delle equazioni di Ghinzburg - Landau e di determinarne il campo di applicabilità A que- sto proposito à assai istruttiva la storia (raccontata da V. L. Ghinz- burg d i un'affermazione sbagliata fatta i n u n articolo scritto i n comune. L'equazione fondamentale della teoria, che determina la funzione d'onda ef/icace V degli elettroni supercohduttori, contiene il

*) A Landau appartiene l'applicazione di questa teoria alla diffusione dei raggi Rontgen da arte di cristalli32 e (in collaborazione con I . M. Khalatnikov) all'assorbimento. dei suono" neii'intorno del punto di transizione

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potenziale vettore A in u n termine del tipo

analogo a l termine corrispondente dell'equazione di Schrodinger. Poteva sembrare che nella teoria fenomenologica il parametro e* dovesse rap- presentare una certa carica eff icace, non necessariamente legata con la carica e dell'elettrone libero. M a Landau respinse questa idea mostrando che la carica efficace non à universale e dovrebbe dipendere da diversi fattori (pressione, materiale del modello, ecc.); allora i n u n modello eterogeneo e* sarebbe una funzione delle coordinate, db che violerebbe la gauge-invarianza della teoria. Nell'articolo f u scritto percid che la carica e* à ... non puà essere considerata per alcuna ragione diversa dalla carica dell'elettrone È Sappiamo ora che i n realtà e* coincide con la carica della coppia di elettroni di Cooper, si ha cioà e* = Ze, e non e* = e. Questo valore della carica poteva essere previsto, beninteso, soltanto sulla base dell'idea dell'accoppiamento di elettroni sulla quale à fondata la teoria microscopica della superconduttività M a i l valore 2e à altrettanto universale che e, cosicchà l'argomentazione di Landau era di per sà giusta.

U n altro contributo di Landau nella fisica della superconduttività consiste nella spiegazione della natura del cosiddetto stato intermedio. I l concetto d i stato intermedio fu introdotto originariamente da R. Pe- ierls e F. London (1936) per la descrizione del fenomeno osservato della gradualità della transizione al la superconduttività i n u n campo ma- gnetico. M a la loro teoria aveva u n carattere fenomenologico, mentre la questione della natura dello stato intermedio rimaneva aperta. Landau mostrà che questo stato non rappresenta qualche cosa di nuovo e che i n realtà i l superconduttore in esso à formato da una serie di strati successivi f i n i i n fase normale e i n fase superconduttrice. Nel 193730 Landau esaminà u n modello in cui questi strati appaiono alla superficie; egli riusci con u n elegante art i f i z io a determinare completamente la forma e le dimensioni degli strati d i tale modello*). Nel 1938 egli propo- se una nuova variante della teoria secondo la quale gli strati apparsi alla superficie subiscono u n a ramificazione multipla; tale struttura deve presentare u n vantaggio maggiore dal punto di vista termodinamico, se le dimensioni del modello sono sufficientemente grandiM).

M a i l contributo maggiore che la fisica deve a Landau à la sua teoria dei liquidi quantistici. L'importanza di questo nuovo settore cresce attual- mente sempre di p i ~ ; à indubbio che il suo sviluppo negli u l t imi decenni ha rivoluzionato anche altri settori della fisica: la fisica dei solidi e per- sino la fisica del nucleo.

*) Landau scrisse in proposito che à risulta meravigliosamente possibile la determinazione esatta della forma degli strati à ˆ ~ O

**) L'esposizione particolareggiata di questo lavoro à stata pubblicata nel 19474B.

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La teoria della superfluidità fu creata da Landau nel 1940 - 1941, subito dopo la scoperta, fatta nel 1937 da P . L . Kapitza, di questa pro- prietà fondamentale dell'elio I I . Pr ima di questa scoperta le premesse per la spiegazione della natura fisica della transizione di fase osservata nell'elio liquido di fatto non esistevano, e non c'à da meravigliarsi che si avanzassero i n merito delle idee che oggi potrebbero sembrare persi- no ingenue*). E da notare che s in dall'inizio la teoria dell'elio 11 fu costruita completa: già il primo articolo classico di Landau^ conte- neva quasi tutte le idee basilari sia della teoria microscopica dell'elio II che della teoria macroscopica fondata sulla base della prima, ossia della termodinamica e della fluidodinamica di questo liquido ( a quest'ultima à dedicato anche l'articolos3).

La teoria di Landau si basa sul concetto di quasi-particelle (ecci- tazioni elementari) che costituiscono lo spettro energetico dell'elio I I . Landau fu i l primo a porre la questione dello spettro energetico di u n corpo macroscopico i n forma cosi generica e f u proprio lui a determinare i l carattere dello spettro per u n liquido quantistico del tipo del- l'elio liquido (isotopo He4) o, come si dice ora, del tipo di Bose. I n u n lavoro del 1941 Landau suppose lo spettro delle eccitazioni elemen- tari formato da due parti: fononi con dipendenza lineare dell'energia 8 dall'impulso p e à rotoni à con dipendenza quadratica separata dallo stato fondamentale da una fessura energetica. P id tardi Landau compre- se che tale forma dello spettro era insoddisf acente ( i n quanto instabile) dal punto di vista teorico e un'analisi particolareggiata dei dati speri- mentali completi e esatti comparsi i n quel periodo lo indusse, nel 1946, a stabilire i l famoso spettro formato da u n solo ramo i n cui ai à rotoni Ã

corrisponde u n minimo sulla curva &(p) . Le rappresentazioni macro- scopiche della teoria della superf luidità sono universalmente note. Nella loro sostanza, esse si riducono alla rappresentazione di due movimenti che avvengono contemporaneamente nei liquidi - à normale à e à su- perf luido à - e che si possono considerare, per maggiore evidenza, come movimenti d i due à componenti del liquido È** I l movimento normale à accompagnato, come nei liquidi ordinari, dall'attrito interno. L a determinazione del coef f iciente d i viscosità rappresenta u n problema cine- tico che richiede d i analizzare i l processo di formazione dell'equilibrio nel à gas d i quasi-particelle n; i fondamenti della teoria della viscosità del'elio 11 furono sviluppati da Landau ( i n collaborazione con

*) Cosi, Landau stesso nel suo lavoro sulla teoria delle transizioni di fase%* espresse l'ipotesi che l'elio I 1 fosse un cristallo liquido, pur sottolineando quanto fosse dubbia tale rappresentazione.

**) Alcune idee della descrizione macroscopica à bicomponente à dell'elio liquido (anche senza un'interpretazione fisica chiara) furono introdotte, indipen- dentemente da Landau, da L. Tisza. Il suo articolo particolareggiato, pubblicato- in Francia nel 1940, fu portato nell'URSS, essendo in tempo di guerra, soltanto nel 1943, mentre un suo breve articolo apparso nel 1938 negli à Atti dell'Ac- cademia di Parigi à assò purtroppo, inosservato. La critica della parte quan- titativa della teoria di Tisza fu data da Landau nell'artic010~~.

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I. M. Khalatnikov) nel 194960~70. I n f i n e , in un altro lavoro (scritto insieme con I . J . Pomeranciuk) f u considerata la questione del compor- tamento di atomi ridondanti n e l l ' e l i ~ ~ ~ ; i n particolare, fu dimostrato che ogni atomo di questo genere f a parte della à componente normale à del liquido, indipendentemente dal fatto che l'additivo abbia di per sà la proprietà di superfluidità contrariamente all'ipotesi errata avanzata allora nella letteratura.

L'isotopo liquido He3 à u n liquido quantistico di altro tipo, detto oggi tipo di Fermi. Anche se le sue proprietà non sono cosi notevoli come quelle del liquido He4, dal punto di vista teorico esse presentano u n interes- se non minore. La teoria di tali liquidi fu creata ed esposta da Landau i n tre articoli pubblicati nel 1956 - 1958. Nei primi due*so1 venne deter- minato i l carattere dello spettro energetico del liquido di Fermi, furono esaminate le sue proprietà termodinamichee f u dedotta Inequazione cine- tica per i processi di rilassamento. Lo studio dell'equazione cinetica per- mise a Landau di predire u n tipo particolare di processo oscillatorio i n He3 liquido i n prossimità dello zero assoluto, chiamato da egli suono nullo. Nel terzo articoloo5, all'equazione cinetica, la cui deduzione con- teneva prima certe ipotesi intuitive, fu data un'argomentazione micro- scopica rigorosa.

Nel concludere questa breve rassegna, che à lontana dall'essere com- pleta, non mi resta che ripetere che à superfluo sottolineare per i' fisici quanto sia grande i l contributo di Lev DavidoviZ Landau nella fisica teorica. L a sua opera ha un valore imperituro e resterà sempre nella scienza.

E. Lifi ic

Istituto di robiemi fisici dell'Accademia iel le Scienze delllURSS

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Capitolo I

EQUAZIONI DEL MOTO

$ 1 . Coordinate generalizzate

Uno dei concetti fondamentali della Meccanica à i l concetto di punto materiale1). Con punto materiale si intende un corpo le cui dimensioni s i possono trascurare nella descrizione del suo moto.

ben chiaro che questa possibilità dipende dalle condizioni concrete d i questo o d i quell'altro problema. Per esempio, i pianeti possono esser considerati punti materiali quando si studia la loro rivoluzione intorno a l Sole, ma, naturalmente, non quando si considera la loro rotazione.

La posizione d i un punto materiale nello spazio à determinata d a l suo raggio vettore r le cui componenti coincidono con le sue coor- dinate cartesiane x, y, z. La derivata d i r rispetto al tempo t ,

dr v:- dt

d'+ s i chiama velocità e la derivata seconda, , accelerazione del punto.

Seguendo l'uso comune, indicheremo sempre la derivazione rispetto

a l tempo con un punto sopra l a lettera: v = r . Per determinare la posizione nello spazio d i un sistema d i N .

punti materiali, à necessario dare N raggi vettori, ci06 3N coordinate. I n generale, il numero d i grandezze indipendenti che si debbono dare per determinare univocamente la posizione d i un sistema, s i chiama numero d i gradi di libertà del sistema; nel presente caso, questo numero fi uguale a 3N. Queste grandezze non sono necessariamente le coordinate cartesiane del punto; puà risultare p i ~ comoda la scelta d i un altro sistema d i coordinate, il che dipende dalle condizioni de l problema considerato. s grandezze qualsiasi q = , q^, . . ., I s l che caratterizzano completamente l a posizione d i u n sistema (con s

gradi d i libertà) s i chiamano coordinate generalizzate, e le derivate q i , velocità generalizzate.

La conoscenza delle sole coordinate generalizzate non à sufficiente per determinare lo à stato meccanico à d i un sistema ad un istante dato, non permette cioà di prevedere l a posizione del sistema negli istanti successivi. Se vengono dat i infatti solo valori delle coordina-

1) Spesso useremo il termine à particella à invece di à punto materiale n.

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28 CAPITOLO PRIMO

te, i l sistema puà avere velocità arbitrarie, e a seconda dei differenti valori di queste, la posizione del sistema in un istante successivo- (dopo un intervallo infinitesimo dt) puà variare.

Se, invece, tutte le coordinate e le velocità sono date nello stesso- istante, allora, come dimostra l'esperienza, à possibile determinare interamente lo stato del sistema e, in linea di massima, prevederne il moto futuro. Dal punto di vista matematico, cià significa, che dan-

do in un certo istante tutte le coordinate q e le velocità q, si definisce . . univocamente anche i l valore delle accelerazioni q in questo istante1).

Le relazioni che legano le accelerazioni con le coordinate e le ve- locità si chiamano equazioni del moto. Rispetto alle funzioni q ( t ) esse sono equazioni differenziali del secondo ordine la cui integrazio- ne permette di determinare, in linea di massima, queste funzioni,. cioà le traiettorie del sistema meccanico.

$ 2. I l principio di minima azione

Una formulazione piii generale della legge del moto di sistemi meccanici à data dal principio di minima azione (o principio di Hamil- ton). Secondo questo principio, ogni sistema meccanico à caratteriz- zato da una determinata funzione . .

L (qii - 9 98, qii qz, m la, t )

o, brevemente, L (q, i, t); inoltre, i l moto del sistema soddisfa la seguente condizione.

Supponiamo che negli istanti t = t , e t = t 2 il sistema occupi posizioni determinate, caratterizzate dai due insiemi di valori delle coordinate qci) e q(2). Allora, entro queste posizioni, il sistema s i

'muove in modo tale che l'integrale t

s = \ L (q, i, t ) dt ti

abbia i l pifi piccolo valore possibile2). La funzione L Ã detta funzio- ne di Lagrange del dato sistema, e l'integrale (2,1), azione.

La funzione di Lagrange contiene solamente q e q, ma non deriva- .. ... te di ordine superiore q, q, . . . Cià à dovuto al fatto suindicato che

l) Per semplificazione, intenderemo spesso con q l'insieme di tutte le coor- dinate , , q . . . q (ed analogamente con l'insieme di tutte le velocità)

necessario notare, però che il principio di minima azione cosi for- mulato non sempre à valido per la traiettoria del moto in totale, bensi per ogni porzione sufficientemente piccola di quest'ultima; per tutta la traiettoria, l'integrale (2,1) puà avere soltanto un valore estremo che non sarà necessaria- mente minimo. Questa circostanza non à di importanza sostanziale nella dedu- zione delle equazioni del moto, in cui si fa uso soltanto della condizione di estremo.

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EQUAZIONI DEL MOTO 29

l o stato meccanico di un sistema à interamente definito dalle sue coordinate e dalle sue velocità

Stabiliamo ora le equazioni differenziali che permettono di de- terminare i l minimo dell'integrale (2,l). Per semplicità ammet- tiamo anzitutto che il sistema abbia un solo grado di libertà i l che vuoi dire che bisogna definire una sola funzione q (t).

Supponiamo che q = q (t) sia precisamente la funzione per la qua- le S ha un minimo. Cià significa che S cresce sostituendo q (t) con una funzione qualsiasi del tipo

q (t) + 6 q (t), (2,2)

dove î (t) à una funzione piccola in tutto l'intervallo di tempo da tia t2 (617 ( t) si chiama variazione} della funzione q (t)). Poichà negli istanti t = ti e t = tà tutte le funzioni del tipo (2,2) debbono assu- mere rispettivamente i valori q e q*2), si avrà

6 q (ti) = Sq (t2) = 0. (293)

La variazione di S nel sostituire q con q + 6 q à data dalla differenza

Lo sviluppo in serie di questa differenza secondo le potenze di 6 q

e 6q (nell'espressione integranda) comincia dai termini del primo ordine. La condizione necessaria perchà S abbia un minimo1) à che si annulli l'insieme di questi termini, detto variazione prima (o, semplicemente, variazione) dell'integrale. Dunque, il principio d i minima azione puà essere scritto nella forma seguente:

t2

6S=6 j L(*, i, t) dt =o, (294) ti

o, eseguendo la variazione:

d Osserviamo che 6 q = -,- 6 q ; integrando per parti i l secondo termine- otteniamo:

l) In generale, un valore di estremo.

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Il primo termine di questa espressione sparisce, in v i r t ~ delle condi- zioni (2,3). Resta l'integrale che deve essere uguale a zero per valori arbitrari d i 6q. Cià à possibile soltanto nel caso in cui l'espressione integranda à identicamente nulla. Otteniamo cosi l'equazione

a 9~ aL -- - -- o . d t 9; 99

Per un sistema con piii gradi d i libertà nel principio d i minima azione si debbono variare indipendentemente s funzioni diverse q; ( t ) . E evidente che si ottengono allora s equazioni del tipo

Queste sono le equazioni differenziali cercate, chiamate in meccanica equazioni d i Lagrangel). Se à nota la funzione di Lagrange di un dato sistema meccanico, allora le equazioni (2,6) stabiliscono un legame tra le accelerazioni, le velocità e le coordinate, cioèrappresentan le equazioni del moto del sistema.

Dal punto d i vista matematico, le equazioni (2,6) costituiscono un sistema d i s equazioni differenziali del secondo ordine con s funzioni incognite q; (t). La soluzione generale di un tale sistema con- tiene 2s costanti arbitrarie. Per determinarle e, di conseguenza, per definire completamente i l moto d i un sistema meccanico, à necessario conoscere le condizioni iniziali che caratterizzano lo stato meccanico del sistema in un dato istante, per esempio, i valori iniziali di tut te le coordinate e le velocità

Sia un sistema meccanico composto di due parti A e B, ciascuna delle quali, se fosse isolata, avrebbe per funzione d i Lagrange, rispet- tivamente, le funzioni LA ed Ly. Se queste parti vengono allon- tanate l 'una dall'altra per una distanza sufficientemente grande tanto da rendere trascurabile la loro interazione, la funzione di Lagrange dell'intero sistema tende a

lim L = LA + LB. (2,7)

Questa proprietà di additività della funzione d i Lagrange esprime i l fatto che le equazioni del moto di ciascuna delle parti componenti non interagenti non possono contenere grandezze riguardanti le altre parti del sistema.

l? evidente che la moltiplicazione della funzione di Lagrange per una costante arbitraria non produce alcun effetto sulle- equazioni del moto. Di qui sembrerebbe derivare una sostanziale indetermina- tezza: le funzioni d i Lagrange d i differenti sistemi meccanici isolati

l ) Nel calcolo variazionale, che affronta il problema formale di determi- nazione degli estremi di integrali del tipo (2,1), sono chiamate equazioni di Eulero.

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EQUAZIONI DEL MOTO 31

si potrebbero moltiplicare per costanti arbitrarie diverse. La pro- prietà d i addit ivi tà elimina questa indeterminatezza: essa ammette soltanto la moltiplicazione simultanea delle funzioni di Lagrange di tut t i i sistemi per una stessa costante, cià che corrisponde sempli- cemente alla naturale arbitrarietà nella scelta'delle uni tà d i misura di questa grandezza fisica; di questo riparleremo nel $4 .

l? necessario fare ancora un'osservazione di carattere generale.

Consideriamo due funzioni L' (q, i, t) ed L (q, i, t) che differiscono per una derivata totale rispetto a l tempo di una funzione delle coordinate e del tempo f (q, t):

Gli integrali ( 2 , l ) valutati con queste due funzioni sono legati dalla relazione

t2 t 2 t 2 di s = j L (q , q , t) d t = j L (q, q, t) dt + ( d t =

t 1 t i t i

cioà differiscono per un termine supplementare che s i annulla quando varia l'azione. Du,nque, la condizione M' = O coincide con la condizione SS = O, e la forma delle equazioni del moto resta immutata.

La funzione di Lagrange à determinata quindi a meno di una de- rivata totale additiva di una funzione qualsiasi delle coordinate e del tempo.

3. I l principio di relatività di Galilei

Lo studio dei fenomeni meccanici richiede che sia scelto .un siste- ma di riferimento. Le leggi del moto in sistemi di riferimento diffe- renti hanno in generale forma diversa. Se si prende un sistema di rife- rimento qualunque, puà risultare che le leggi dei fenomeni pifi semplici assumano una forma estremamente complicata. Sorge spon- taneo il problema della scelta di un sistema di riferimento tale che le leggi della meccanica abbiano la forma piti semplice pos- sibile.

Rispetto ad un sistema di riferimento qualunque, lo spazio à ete- rogeneo ed anisotropo. Cià vuoi dire che anche se un corpo non inte- ragisce con nessun altro corpo, le sue differenti posizioni nello spazio e le sue differenti orientazioni non sono, però equivalenti dal punto d i vista meccanico. Anche per quanto riguarda i l tempo, si puà dire che, in generale, esso non à omogeneo, cioà i diversi istanti non

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32 CAPITOLO PRIMO

sono equivalenti. La complicazione che queste proprietà dello spazio e del tempo porterebbero nella descrizione dei fenomeni meccanici à evidente. Per esempio, un corpo libero (cioà non sollecitato da azione esterna) non potrebbe perseverare nello stato di quiete: pur essendo nulla la velocità del corpo ad un dato istante, i l corpo comincerebbe a muoversi nell'istante successivo in una determinata direzione. .

Nonostante questo, si puà sempre trovare un sistema di riferi- mento tale che rispetto ad esso lo spazio sia omogeneo ed isotropo ed i l tempo omogeneo. Un sistema con queste caratteristiche si chiama inerziale. In particolare, un corpo libero che ad un dato istante si trovi, in questo sistema, in uno stato di quiete vi resterà per un pe- riodo di tempo illimitato.

Possiamo ora trarre qualche conclusione riguardante la forma della funzione di Lagrange per un punto materiale che si muove liberamen- te in un sistema di riferimento inerziale. L'omogeneità dello spazio e del tempo significa che questa funzione non puà contenere in forma esplicita nà il raggio vettore r del punto, nà i l tempo t , cioà L à una funzione soltanto della velocità v. In virtfi dell'isotropia dello spazio, la funzione di Lagrange non puà dipendere neanche dalla direzione del vettore v ; essa à quindi una funzione del suo valore assoluto, cioà del quadrato v2 = v2:

L = L (v2). (371)

Dato che la funzione di Lagrange non dipende da r, abbiamo -- a - O , e le equazioni d i Lagrange assumono quindi la forma1) ffr

d a cui 9L/9v = costante. Essendo dato che 9Ll9'v à funzione soltanto della velocità ne segue anche che

v = costante. (32)

Arriviamo cosi alla conclusione che, in un sistema di riferimento inerziale, ogni moto libero avviene con velocità costante e in grandez- za e in direzione. Questa asserzione costituisce il contenuto della cosiddetta legge di inerzia.

Se accanto a un dato sistema inerziale introduciamo un altro sistema, animato da moto rettilineo ed uniforme rispetto al primo, le leggi del moto libero rispetto a questo nuovo sistema saranno le stesse che rispetto al sistema originario: i l moto libero sarà ancora un moto a velocità costante.

l) Per derivata di una grandezza scalare rispetto ad un vettore si intende un vettore le cui componenti sono uguali alle derivate di questa grandezza rispetto alle corrispondenti componenti del vettore.

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EQUAZIONI DEL MOTO 33

Tuttavia, l'esperienza mostra non solo che le leggi del moto libero coincidono in questi due sistemi, ma che esse sono meccanicamente del tut to equivalenti sotto t u t t i gli aspetti. Esiste quindi non uno, ma una molteplicità infinita di sistemi d i riferimento, moventisi l'uno rispetto all'altro con moto rettilineo e uniforme. In tu t t i questi sistemi le proprietà dello spazio e del tempo sono identiche, come pure sono identiche tut te le leggi della meccanica. Questa asserzione costituisce i l contenuto del cosiddetto principio di relatività di Galilei, uno dei principi fondamentali della meccanica.

Tutto quanto abbiamo detto mette in evidenza l a peculiarità delle proprietà dei sistemi di riferimento inerziali, in forza delle quali l'uso d i questi sistemi s i impone, d i regola, nello studio dei fenomeni meccanici. Nel seguito, dove non si dica esplicitamente i l contrario, considereremo esclusivamente sistemi d i riferimento inerziali.

La completa equivalenza meccanica d i tut ta l 'infinità d i questi sistemi dimostra, a l tempo stesso, che non esiste nessun sistema à assoluto à che possa essere preferito agli altri.

Le coordinate r ed r' di uno stesso punto date in due sistemi di riferimento differenti K e K ' dei quali i l secondo si muove rispetto al primo con velocità V, sono legate dalla relazione

r = r' + \t, (373)

in cui s i sottintende che i l trascorrere del tempo in ambedue i sistemi d i riferimento avviene in modo identico, cioÃ

t = t'. (374)

L'ipotesi d i un tempo assoluto s ta alla base stessa dei concetti della meccanica classica1).

Le formule (3,3) e (3,4) sono dette trasformazioni di Galileo. I l principio d i relatività galileiano puà essere formulato come requisito d i invarianza delle equazioni del moto della meccanica rispetto a queste trasformazioni.

5 4. Funzione di Lagrange di u n punto materiale libero

Prima d i determinare la forma della funzione d i Lagrange, con- sideriamo anzitutto un caso elementare, studiando cioà i l moto libe- ro di un punto materiale in un sistema di riferimento inerziale. La funzione d i Lagrange, come abbiamo già visto, puà dipendere in questo caso soltanto dal quadrato del vettore velocità Per espli- citare questa dipendenza, ci serviremo del principio d i relatività d i Galilei. Se un sistema di riferimento K si muove rispetto ad un

l) Questa ipotesi non à valida in meccanica relativistica.

3-0563

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34 CAPITOLO PRIMO

altro sistema inerziale K' con velocità infinitesima e, si ha v' = = v + e. Dovendo restare identica la forma delle equazioni del moto in tu t t i i sistemi di riferimento, la funzione d i Lagrange L (v2) assume, sotto tale trasformazione, la forma L', la quale, pur essendo differente da L (v2), differisce da essa soltanto per una derivata totale di una funzione delle coordinate e del tempo (vedi fine del $ 2).

Abbiamo: L '=L(d2)=L(v2+2ve+e2) .

Sviluppando "questa espressione in serie secondo le potenze di e e trascurando gli infinitesimi d'ordine superiore, otteniamo:

I l secondo termine del secondo membro di quest'uguaglianza à una derivata totale rispetto a l tempo soltanto nel caso in cui esso

aL dipenda linearmente dalla velocità v. Per questo % non dipende dalla velocità in altri termini, la funzione di Lagrange nel caso con- siderato à proporzionale al quadrato della velocità

L = uv2.

Poichà la funzione di Lagrange in questa forma soddisfa il prin- cipio d i relatività galileiano in una trasformazione infinitesima della velocità discende immediatamente che la funzione di Lagrange à invariante anche per una velocità finita V del sistema inerziale K rispetto al sistema K'. Infatti,

L ' = a v ' 2 = a ( ~ + V ) ~ = a v ~ + 2 a v V + a P oppure

Il secondo termine à una derivata totale e, di conseguenza, puà essere omesso.

La costante a viene comunemente indicata con m/2. La funzione di Lagrange per un punto materiale in moto libero si scrive in defini- tiva:

mvs L=- 2 - (471)

La grandezza m si chiama massa del punto materiale. In virtii della proprietà additiva della funzione di Lagrange, si ha per un sistema di punti non interagenti1):

l ) Per numerare le particelle, useremo quale indice le prime lettere del l'alfabeto, e per numerare le coordinate, le lettere i, k, I...

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EQUAZIONIDEL MOTO 35

Bisogna sottolineare che la definizione data della massa acquista un senso reale esclusivamente grazie a questa proprietà additiva. Come abbiamo già notato nel $ 2 , si puà sempre moltiplicare la fun- zione di Lagrange per una costante qualsiasi, il che non influisce sul- le equazioni del moto. Per la funzione (4,2), questa, moltiplicazione implica un cambiamento dell'unità di misura della massa; ma i rap- porti delle masse d i diverse particelle che sono gli unici ad avere un senso fisico reale, restano invariati in questa trasformazione.

facile vedere che la massa non puà essere negativa. Infatti, secondo i l principio di minima azione, quando un punto materiale si muove da un punto . ad un punto 2 dello spazio, l'integrale

assume un valore minimo. Se la massa fosse negativa, allora per una traiettoria lungo la quale la particella cominci ad allontanarsi rapi- damente dal punto 1 per poi avvicinarsi rapidamente al punto 2, l'integrale d'azione prenderebbe valori negativi arbitrariamente grandi in assoluto, cioà non avrebbe minimo1).

E utile notare che

Per stabilire la funzione di Lagrange, Ã sufficiente quindi trovare il quadrato della lunghezza dell'elemento d'arco di nel sistema di coor dinate corrispondente.

In coordinate cartesiane,-per esempio, si ha di2 = dx2 + dy2 + + dz2, da cui

In coordinate cilindriche si ha di2 = dr2 + r2dq2 + dz2, da cui

In coordinate sferiche si ha di2 = dr2 + r2 do2 + r20 sen2 d(p2, da cui

1) La notazione alla pag. 28 non à in contraddizione con questa conclusione, erchh per m < O l'integrale non potrebbe avere un minimo per alcuna porzione ella traiettoria per quanto piccola fosse.

3*

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36 CAPITOLO PRIMO

$ 5. Funzione d i Lagrange d i u n sistema d i punti materiali

Consideriamo ora un sistema di punti materiali interagenti fra loro ma isolati dall'esterno; un tale sistema à detto isolato. Risulta che si puà descrivere l'interazione dei punti materiali del sistema aggiungendo alla funzione di Lagrange (4,2), valida per i punti materiali liberi, una funzione (dipendente dal carattere dell'inte- razione)') delle coordinate. Indichiamo questa funzione con - U e scriviamo:

dove ra à il raggio vettore dell'a- esimo punto. Questa à la forma ge- nerale della funzione di Lagrange di un sistema isolato.

La somma

si chiama energia cinetica, e la funzione U, energia potenziale del siste- ma. I l significato di questi termini verrà chiarito nel 5 6.

I l fatto, che l'energia potenziale dipenda soltanto' dalla distri- buzione di tut t i i punti materiali in un medesimo istante di tempo, significa che un cambiamento della posizione di un punto si riper- cuote istantaneamente su tu t t i gli altri; si puà dire che l'interazione à si propaga à istantaneamente. Questo carattere à inevitabile in meccanica classica; cià deriva direttamente dai postulati fondamen- tal i d i quest'ultima, e cioè tempo assoluto e principio d i relatività di Galilei. Se l'interazione si propagasse non istantaneamente, bensi con una velocità finita, quest'ultima varierebbe nei differenti sistemi di riferimento (che si muovono l'uno rispetto all'altro); infatti, l'esistenza del tempo assoluto comporta automaticamente che la regola comune di composizione delle velocità à applicabile in tu t t i i fenomeni. Ma in questo caso le leggi del moto di corpi interagenti sarebbero diverse nei diversi sistemi di riferimento (inerziali), cosa che sarebbe in contraddizione con il principio d i relatività

Nel $ 3 abbiamo parlato soltanto dell'omogeneità del tempo. La forma (5,l) della funzione di Lagrange mostra che i l tempo à non soltanto omogeneo, ma anche isotropo, cioà le sue proprietà sono iden- tiche in ambedue le direzioni. Infatti, la sostituzione di t con -t lascia invariata la funzione di Lagrange e, di conseguenza, le equa- zioni del moto. In altri termini, se in un sistema à possibile un qual-

1) Questa affermazione concerne la meccanica classica, non relativistica, che à oggetto del presente volume.

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EQUAZIONI DEL MOTO 37

siasi moto, sarà sempre possibile, anche i l moto inverso, un moto tale cioà che il sistema passi nuovamente per gli stessi s tat i ma nell'or- dine inverso. In questo senso, tut t i i moti regolati dalle leggi della meccanica classica sono reversibili.

Conoscendo la funzione di Lagrange, possiamo scrivere le equa- zioni del moto

d 9L 9L -- -- dt ha -%' (5'2)

Riportando la (5,l) nella (5,2), otteniamo:

Le equazioni del moto in questa forma si chiamano equazioni di New- ton. Esse costituiscono la base della meccanica di un sistema di par- ticelle interagenti. I l vettore

del secondo membro delle equazioni (5,3) à detto forza agente sull'a-esimo punto. Come l'energia potenziale U, questa forza dipende soltanto dalle coordinate di tut te le particelle e non dalle loro velo- cità Dalle equazioni (5,3) risulta quindi che i vettori accelerazione delle particelle sono funzioni delle sole coordinate.

L'energia potenziale à una grandezza definita a meno di una co- stante additiva arbitraria; aggiungere una qualsiasi costante non cambierebbe le equazioni del moto (à questo un caso particolare del- la non univocità della funzione di Lagrange cui abbiamo accennato alla fine del $ 2). I l modo pi6 naturale e comunemente adottato per la scelta di questa costante consiste nel fare si che l'energia potenzia- le tenda a zero al crescere della distanza tra le particelle.

Se per la descrizione di un moto si ricorre non alle coordinate car- tesiane ma a delle coordinate generalizzate arbitrarie qi, allora, per ottenere la funzione di Lagrange, si devono effettuare le seguenti trasformazioni:

Riportando queste espressioni nella funzione 1 L = ~ S ma 6: +i:+ ;a)- u ,

a

si ottiene la funzione di Lagrange cercata

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38 CAPITOLO PRIMO

dove a& sono funzioni delle sole coordinate. L'energia cinetica in coordinate generalizzate resta sempre funzione quadratica delle velo- cità m a puà dipendere anche dalle coordinate.

Abbiamo parlato sinora d i sistemi isolati. Consideriamo ora un sistema A non isolato, interagente con un sistema B che compie un dato movimento. Si dice in questo caso che i l sistema A si muove in un dato campo esterno (creato dal sistema B). Poichà le equazioni del moto vengono dedotte dal principio di minima azione mediante una variazione indipendente d i ciascuna delle coordinate (consideran- do cioà note le altre coordinate), per trovare la funzione d i Lagrange LA del sistema A , possiamo, servirci della lagrangiana L dell'intero sistema A + B, sostituendo in essa le coordinate qB con funzioni date del tempo.

Supponendo i l sistema A + B isolato, abbiamo:

dove i due primi termini rappresentano le energie cinetiche dei siste- m i A e B, e i l terzo termine 6 l a loro energia potenziale comune. So- stituendo q. con funzioni date del tempo e tralasciando i l termine

T (qB ( t ) , is' t ) ) che dipende soltanto dal tempo (e che à quindi l a derivata totale d i un'altra funzione del tempo), otteniamo:

In t a l modo, i l moto d i un sistema in un campo esterno à descritto da una funzione d i Lagrange del tipo solito, con l a sola differenza che l'energia potenziale puà ormai dipendere dal tempo esplicita- mente.

La forma generale della funzione di Lagrange per i l moto d i una partiftella in un campo esterno Ã

e l'equazione del moto

Se i n t u t t i i suoi punti una particella à sollecitata dalla stessa forza F i l campo si dice uniforme. L'energia potenziale in un tale campo evidentemente Ã

U = - Fr. (5,8)

Per concludere questo paragrafo, facciamo ancora la seguente osservazione sull'applicazione delle equazioni d i Lagrange ai diversi problemi concreti. Nella pratica s i incontrano spesso sistemi

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EQUAZIONI DEL MOTO 39

meccanici in cui l'interazione fra i corpi (punti materiali) h a un carat- tere d i vincoli, cioà di limitazioni imposte alla disposizione reciproca dei corpi. In pratica, questi vincoli vengono creati fissando i corpi con varie aste, fili, cerniere. Questa circostanza introduce nel moto un fattore nuovo: i l moto dei corpi à accompagnato in questi casi da at t r i to nei punti d i contatto dei corpi, e i l problema esce,in generale, dai confini della meccanica pura (vedi $25). Cià nondimeno, l 'attrito in molti casi à cosi debole da poterne trascurare completamente l'ef- fetto sul moto. Se si possono inoltre trascurare le masse degli à ele- menti vincolanti à del sistema, l'effetto d i quest'ultimi si riduce semplicemente ad una diminuzione del numero di gradi d i libertàs del sistema (rispetto a l numero 3 N ) . Per determinare i l moto del sistema dato, si puà ricorrere nuovamente al la forma (5,5) della fun- zione d i Lagrange con un numero d i coordinate generalizzate indi- pendenti, corrispondente a l numero effettivo dei gradi d i libertà

P R O B L E M I

Trovare la funzione di Lagrange dei seguenti sistemi collocati in un campo uniforme di gravità (accelerazione di gravità à g ) .

1. Pendolo doppio oscillante in un piano (fig. 1).

Fig. 1 Fig. 2

Soluzione. Come coordinate prendiamo gli angoli (pl e <p, formati'dai fili 4 ed I, con la verticale. Abbiamo allora per la particella m,:

1 ' T i =- r n i l M , U = - 2 m i g l i cm (pt.

Per trovare l'energia cinetica della seconda particella, esprimiamo le sue coordinate cartesiane x,, y, (l'origine delle coordinate à fissata nel punto di sospensione, l'asse y à diretto verticalmente verso i l basso) mediante gli angoli (p,, q,:

2% = li sen (pl 4- 1, sen q),. y, = l , cos (pi + l* cos (pÈ

Dopo di che otteniamo: . . T, =q M +i;) = A i IW+ l M + 2 1 1 i 2 cos ( ( p i - ^ (pi(p21.

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40 CAPITOLO PRIMO

Infine:

2. Pendolo piano di massa m , il cui punto di sospensione (di massa ml) puà spostarsi su una retta orizzontale (fig. 2)

Soluzione. Introducendo la coordinata x del punto ml e l'angolo (p fra i l filo del pendolo e la verticale, otteniamo:

. . L z- ' + ,,l+ "1. ( l~, l+21È< C 0 (p)+ m2g1 cos (p. 2

3. Pendolo piano i l cui punto di sospensione: a) si muove uniformemente lungo una circonferenza verticale con una

frequenza costante y (fig. 3); b) oscilla orizzontalmente secondo la legge a cos yt: C) oscilla verticalmente secondo la legge a cos yt.

Fig. 3 Fig. 4

S o l u z i o w . a) Coordinate del punto m:

x = a cos y t + I sen (p, y = -a sen yt + l cos q. Funzione di Lagrange:

m12 L = - e + mlay2 sen (-8 + mgl cos (p;

sono stati omessi qui i termini dipendenti soltanto dal tempo ed à stata eliminata la derivata totale rispetto al tempo di maly cos ((p - yt).

b) coordinate del punto m:

x = a cos yt + I sen (p, y = I cos (p.

Funzione di Lagrange (omesse le derivate totali):

mi2 L = - 2

<p2 + mlaya cos y t sen (p +mgl cos (p.

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EQUAZIONI DEL MOTO

e) In modo analogo troviamo

m12 L = - (p=+ mlay2 cos "y cos (p + mgl cos (p;

4. Il sistema rappresentato nella fig. 4; i l punto m si muove lungo l'asse verticale, e tut to i l sistema ruota con una velocità angolare costante Q intorno a questo asse.

Soluzione. Siano 0 l'angolo formato dal segmento a e la verticale, e cp l'angolo di rotazione del sistema intorno all'asse; (p = Q . Lo spostamento ele- mentare per ciascuno dei punti m^ Ã d12 = a2d02 + a2 sen2 Od(p2. La distanza del punto m, dal punto di sospensione A Ã uguale a 2a cos 6, da cui d i , = -2 a sen 0 do. La funzione di Lagrange Ã

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Capitolo I1

LEGGI DI CONSERVAZIONE

6. Energia

Se un sistema meccanico à animato da un moto, le 2s grandezze

q i e qi (i = 1, 2, . . ., s) che ne determinano lo stato, variano col tempo. Tuttavia, esistono funzioni di queste grandezze le quali conser- vano durante i l moto valori costanti che dipendono soltanto dalle condizioni iniziali. Tali funzioni sono dette integrali del moto.

Per un sistema meccanico isolato avente s gradi d i libertà i l numero di integrali del moto indipendenti à uguale a 2s - 1. Cià risulta evidente dalle semplici considerazioni seguenti. La soluzione generale delle equazioni del moto contiene 2s costanti arbitrarie (vedi pag. 30). Poichà le equazioni del moto di un sistema isolato non contengono esplicitamente i l tempo, la scelta dell'origine del tempo à arbitraria, e una delle costanti arbitrarie nella soluzione delle equazioni puà essere sempre scelta sotto forma di una costante additi- va t. del tempo. Eliminando t + t. dalle 2s funzioni

qi = qi (t + O, Ci, - 7 c28-i),

qi = qi ( t -t- t09 Ci, C27 * ^28-l),

possiamo esprimere le 2s - 1 costanti arbitrarie Ci, C2, . . . . . . , sotto forma: d i funzioni di q e q che saranno integrali del moto.

Cià nondimeno, non tu t t i gli integrali del moto hanno un ruolo d i uguale importanza in meccanica. Tra questi ce ne sono alcuni la cui invarianza nel tempo ha un'origine assai profonda, connessa alle proprietà fondamentali dello spazio e del tempo, e cioà alla loro omo- geneità ed isotropia. Tutte queste grandezze, dette conservative, hanno una proprietà generale importante: esse sono additivo, cioà il loro valore per un sistema composto di pih elementi, la cui interazione possa essere trascurata, à uguale alla somma dei valori per ciascuno degli elementi preso separatamente.

à precisamente la proprietà di additività che conferisce alle corri- spondenti grandezze una parte di particolare importanza nella meccanica. Supponiamo per esempio che due corpi interagiscano per un certo intervallo d i tempo. Poiché sia prima che dopo l'interazione,

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LEGGI DI CONSERVAZIONE 4 3

ciascuno degli integrali additivi dell'intero sistema à uguale alla somma dei valori per i due corpi presi separatamente, le leggi di conservazione di queste grandezze permettono direttamente di trarre una serie di conclusioni inerenti allo stato dei corpi dopo l'interazio- ne, se si conosce i l loro stato prima dell'interazione.

Cominciamo dalla legge di conservazione che deriva dalla omoge- neità'de tempo.

In virtfi di questa omogeneità la funzione lagrangiana di un siste- ma isolato non dipende esplicitamente dal tempo. Percià si puà scrivere la derivata totale rispetto a l tempo della funzione di La- grange nella forma seguente:

(se L dipendesse esplicitamente dal tempo, ali secondo membro del-

l'uguaglianza si dovrebbe aggiungere i l termine $). Sostituendo se- QL , si ottiene: condo le equazioni di Lagrange le derivate - con- - Qqi dt Qqi

ovvero

Da queste espressioni si vede che la grandezza

resta invariata nel corso del moto del sistema isolato, cioà essa à un'o dei suoi integrali del moto. Questa grandezza si chiama energia del sistema. L'additività dell'energia deriva direttamente dall'additivi- tà della funzione d i Lagranee mediante la quale essa à espressa linear- mente secondo la (6,l).

La legge di conservazione dell'energia à valida non soltanto per sistemi isolati, ma anche per sistemi che si trovano in un campo esterno costante (cioà non dipendente dal tempo); infatti, la sola proprietà della funzione di Lagrange che abbiamo utilizzato nei nostri ragio- namenti, ossia la mancanza di una dipendenza esplicita dal tempo, sussiste anche in questo caso. I sistemi meccanici la cui energia si conserva sono detti talvolta conservativi.

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44 CAPITOLO SECONDO

Come abbiamo visto nel  5, la funzione lagrangiana di un sistema isolato (o posto in un campo costante) ha la forma:

dove T à una funzione quadratica delle velocità Applicando qui i l noto teorema di Eulero sulle funzioni omogenee, si ottiene:

Riportando questo valore nella (6,1), troviamo:

e in coordinate cartesiane:

Dunque, l'energia di un sistema puà essere presentata sotto for- ma di somma di due termini aventi una natura fisica sostanzialmente diversa: l'energia cinetica, che dipende dalle velocità e l'energia potenziale dipendente solo dalle coordinate delle particelle-

$ 7. Quantità di moto

Un'altra legge di conservazione appare in connessione con l'omogeneità dello spazio.

In virtii di questa omogeneità le proprietà meccaniche di un siste- ma isolato non cambiano in una traslazione parallela qualsiasi d i questo sistema nel suo insieme nello spazio. Consideriamo una tra- slazione infinitesima e e imponiamo che la funzione di Lagrange resti immutata.

Traslazione parallela significa una trasformazione in cui tu t t i i punti del sistema si spostano di uno stesso segmento, cioè i loro- raggi vettori i,, 4 ra + E . La variazione della funzione L in seguito a una variazione infinitesima delle coordinate delle particelle, inva- riate restando le velocità Ã

dove la sommatoria à estesa a tu t t i i punti materiali del sistema- Essendo e arbitrario, la condizione 6L = O à equivalente alla condi-

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LEGGI DI CONSERVAZIONE 45

zione 9 L s ==o- (791)

a

Quindi, in forza delle equazioni di Lagrange (5,2), otteniamo:

Dunque, siamo giunti nico isolato la grandezza

resta invariata durante i l

alla conclusione che in un sistema mecca- vettoriale

moto. I l vettore P à detto ~uantità di moto o impulso del sistema. Dalla derivazione della funzione di Lagrange (5 , l ) resulta che l'impulso si esprime mediante le velocità dei punti nel modo seguente:

L'additività dell'impulso à evidente. Inoltre, l'impulso di un sistema, a differenza dell'energia, à uguale alla somma degli impulsi

delle singole particelle, indipendentemente dal fatto che la loro inte- razione sia trascurabile o no.

La legge di conservazione delle tre componenti del vettore impul- so sussiste soltanto in assenza di campo esterno. Tuttavia, singole componenti dell'impulso possono conservarsi anche in presenza di un campo se l'energia potenziale in esso non dipende da qualcuna delle coordinate cartesiane. I n una traslazione lungo un asse coordi- nato corrispondente, le proprietà meccaniche del sistema evidente- mente non cambiano, e in modo analogo, troveremo che la proiezione dell'impulso su questo asse si conserva. Cosi, in un campo uniforme, diretto lungo l'asse z, si conservano le componenti dell'impulso lungo gli assi x ed y.

L'uguaglianza iniziale (7,l) ha un semplice significato fisico. La 9L

derivata- = - xrappresen ta la forza Fa agente sulla a-esima 8% ara

particella. L'uguaglianza (7,1) significa quindi che la somma delle forze agenti su tutte le particelle di un sistema isolato à uguale a zero:

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46 CAPITOLO SECONDO

In particolare, se s i t ra t ta d i un sistema composto soltanto d i d u e punti materiali, Fi + Fa = O, la forza agente sulla prima particella da parte della seconda à uguale in modulo, ma opposta in direzione alla forza agente sulla seconda particella da parte della prima. Que- s ta asserzione à nota sotto i l nome d i legge d i eguaglianza dell'azione e della reazione.

Se i l moto à descritto mediante coordinate generalizzate q,, le derivate della funzione lagrangiana rispetto alle velocità generalizzate

QL Pi = 7

Qqi (795)

sono det te allora impulsi generalizzati, e le derivate

sono det te forze generalizzate. Le equazioni d i Lagrange si scrfvono- allora:

Gli impulsi generalizzati in coordinate cartesiane coincidono con le componenti dei vettori -pa. Nel caso generale, le grandezze p , sono funzioni lineari omogenee delle velocità generalizzate ii che non si possono ridurre a semplici prodotti d i massa per velocità

P R O B L E M A

Una particella di massa m, moventesi con velocitàvl passa da un semispazio deve la sua energia potenziale à costante ed uguale ad U1, in un altro semispazio dove questa energia 6 pure costante ma uguale ad U,. Determinare i l cambia- mento di direzione del moto della particella.

Soluzione. L'energia potenziale non dipende dalle coordinate lungo gli assi paralleli al iano di separazione dei due semispazi. Per questo la roiezione dell'impulso delfa particella su questo piano si conserva. Siano vl e 1 , fe velocità della particella prima e dopo l'attraversamento del piano, e 61 e 6, gli angoli formati da queste velocith con la normale al piano di separazione; otteniamo- allora v-, sen 6, = v, sen e*. Ma la relazione tra v, e % à data dalla legge d i conservazione dell'energia, da cui si ottiene in definitiva

$ 8. Centro di massa

L'impulso d i un sistema meccanico isolato h a valori diversi ri- spetto a sistemi di riferimento (inerziali) diversi. Se un sistema di rife- rimento K' si muove rispetto ad un altro sistema K con velocità V, le velocità V: e va delle particelle rispetto a questi sistemi sono legate dalla relazione va = V: + V. Percià la relazione tra i valori P e P'

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LEGGI DI CONSERVAZIONE

dell'impulso in questi sistemi à data dalla formula

In particolare, esiste sempre un sistema di riferimento K' in cui l'impulso totale à nullo. Ponendo nella (8,1) P' = O, troviamo che la velocità d i questo sistema di riferimento à uguale a

Se l'impulso totale di un sistema meccanico à nullo, si dice allora che questo sistema persevera in quiete rispetto a l corrispondente sistema di riferimento. Questa à una espressione che generalizza in modo del tutto naturale i l concetto di quiete per un punto materiale isolato. Analogamente la velocità V, data dalla formula (8,2), acqui- sta i l significato di velocità del à moto à di un sistema meccanico pre- so come un insieme indivisibile e avente un impulso differente da zero. Vediamo dunque che la legge di conservazione dell'impulso permette di formulare in maniera naturale i l concetto di quiete e di velocità d i un sistema meccanico come insieme intero.

La formula (8,2) mostra che la relazione tra l'impulso P e la velo- cità V di un sistema nel suo insieme à identica alla relazione esisten- te tra l'impulso e la velocità di un punto materiale di massa p = = 2 ma, uguale alla somma delle masse d i tutte le particelle punti- formi del sistema. Si puà esprimere questo fatto affermando l'additi- vita della massa.

I l secondo membro della formula (8,2) puà essere espresso come derivata totale rispetto al tempo dell'espressione

2j '"ara R=-â y, ma (8'3)

Si puà dire che la velocità d i un sistema nell'insieme à la velocith di spostamento nello spazio di un punto i l cui raggio vettore à dato dalla formula (8,3). Questo punto à chiamato centro di massa del sistema.

Si puà formulare la legge di conservazione dell'impulso di un sistema isolato dicendo che i l suo centro di massa si muove di moto rettilineo uniforme. In questa forma, la precedente affermazione rap- presenta la generalizzazione della legge d'inerzia stabilita nel  3 per un punto 'materiale libero il cui (1 centro di massa à coincide con il punto stesso.

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48 CAPITOLO SECONDO

Nello studio delle proprietà meccaniche di un sistema isolato à na- turale servirsi di un sistema di riferimento in cui il centro d i massa persevera in quiete. Si esclude quindi la necessità di considerare i l moto uniforme e rettilineo del sistema in blocco.

L'energia di un sistema meccanico perseverante in quiete in bloc- co solitamente si chiama energia interna Eint di questo sistema. Essa include in sà l'energia cinetica relativa al moto delle particelle nel sistema e l'energia potenziale della loro interazione. Quanto all'ener- gia totale di un sistema che si muove in blocco con velocità V, essa puà essere espressa nella forma:

Sebbene questa formula sia evidente, ne diamo perà una deduzione diretta. Le energie E ed E' di un sistema meccanico in due sistemi di riferimento K e K' sono legate dalla relazione

ossia

Questa formula definisce l a legge di trasformazione dell'energia nel - passare da un sistema di riferimento ad un altro; per l'impulso questa

legge à data dalla formula (8,l). Se nel sistema K' i l centro d i massa persevera in quiete, allora P' = O, E' = E\nt, e noi ritorniamo alla formula (8,4).

P R O B L E M A

Trovare la legge di trasformazione dell'azione quando si passa da un sistema di riferimento inerziale ad un altro.

Soluzione. La funzione di Lagrange à uguale alla differenza delle energie cinetica e otenziale. E evidente che essa si trasforma secondo una formula analoga alla (8,5), e cioh:

Integrando questa uguaglianza rispetto al tempo, troviamo la legge richiesta di trasformazione dell'azione:

dove R' Ã i l raggio vettore del centro di massa nel sistema K'.

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LEGGI DI CONSERVAZIONE

5 9. Momento della quantità di moto

Passiamo ora alla deduzione della legge di conservazione che deri- va dall'isotropia dello spazio.

Questa isotropia significa che le proprietà meccaniche di un siste- ma isolato non cambiano, qualunque sia la rotazione nello spazio di tutto il sistema in blocco. Consideriamo pertanto il caso di una

Fig. 5

rotazione infinitesima del sistema ponendo la condizione che la funzione di Lagrange resti invariata.

Chiamiamo vettore della rotazione infinitesima 6 9 il vettore di modulo pari all'angolo d i rotazione 6rp e diretto come l'asse di rota- zione (il verso della rotazione rispetto a l verso di 6<p risponde alla regola della vite).

Cerchiamo anzitutto a che cosa à uguale, in una tale rotazione, l'incremento del raggio vettore tracciato dalla origine delle coordina- te (collocata sull'asse di rotazione) ad un qualunque punto materiale del sistema soggetto a rotazione. Lo spostamento lineare dell'estremo del raggio vettore à collegato con l'angolo dalla relazione

6 r I = r sen 8-6q

(fig. 5), mentre la direzione del vettore à perpendicolare a l piano passante per r e 69 . l3 chiaro quindi che

Nella rotazione del sistema cambia non solo la direzione dei raggi vet- tori, ma anche delle velocità di tutte le particelle; tutt i i vettori inoltre si trasformano secondo la stessa legge. Per questo l'incremento

l) Nel presente volume per i l prodotto vettoriale di due vettori a e b à usato il simbolo [ab] mentre il prodotto scalare à indicato con ab (N. d. R.) .

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50 CAPITOLO SECONDO

della velocità rispetto a l sistema d i coordinate immobile Ã

Riportando queste espressioni nella condizione d'invarianza per rotazione della funzione lagrangiana

sostituiamo le derivate QL/9va == pa, QL/Qra = pa:

o, con uno scambio ciclico dei fattori e portando 6 0 fuori dal segno di somma, otteniamo:

Essendo 6cp arbitraria, segue che

in altri termini, siamo giunti alla conclusione che nel moto di un sistema isolato si conserva la grandezza vettoriale

detta momento della quantità d i moto (o semplicemente momento) del sistema1). L'additività di questa grandezza à evidente. Per di pi6, essa, come nel caso dell'impulso, à indipendente dal fatto che s i abbia o meno interazione tra le particelle.

Con questo si esauriscono gli integrali del moto additivi. Quindi ogni sistema isolato ha in tutto sette integrali del moto di questo tipo: l'energia, le tre componenti del vettore impulso e le tre compo- nenti del vettore momento angolare.

Poichà i raggi vettori delle particelle entrano nella definizione del momento, i l valore d i quest'ultimo dipende in generale dalla scelta dell'origine delle coordinate. I raggi vettori ra ed T; di uno stes- so punto rispetto a due origini separate da una distanza a sono legati dalla relazione ra = r f a + a. Si ha quindi:

l) Si usa anche la denominazione à momento angolare D o à momento rotazionale D.

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LEGGI DI CONSERVAZIONE 51

Da questa formula risulta che solo nel caso in cui i l sistema in blocco persevera in stato di quiete (cioà P = O), il momento angolare non dipende dalla scelta dell'origine delle coordinate. E evidente che questa indeterminazione del valore del momento angolare non influisce sulla legge di conservazione del momento perché per un sistema isolato, anche l'impulso s i conserva.

Stabiliamo ora una formula che lega i valori del momento ango- lare in due differenti sistemi d i riferimento inerziali K e K' dei quali il secondo si muove rispetto al primo con velocità V. Partiremo dal- l'ipotesi che le origini delle coordinate nei sistemi K e K' coincidano ad un istante dato. Allora i raggi vettori delle particelle nei due sistemi sono uguali, e la relazione tra le velocità à va = V: + V. Abbiamo quindi

La prima somma del secondo membro d i questa uguaglianza à momento M' nel sistema K'; introducendo nella seconda somma raggio vettore del centro di massa secondo la (8,3), otteniamo:

Questa formula definisce la legge di trasformazione del momento angolare nel passaggio da un sistema di riferimento ad un altro i n modo simile alle leggi analoghe per l'impulso e l'energia date dalle formule (8,1) e (8,5).

Se i l sistema di riferimento K' à quello in cui i l dato sistema mec- canico à in quiete in blocco, V à la velocità del centro di massa di questo sistema, e pV il suo impulso totale P (rispetto a K). Si ha allora:

M = M' + [RPI. (976)

In altri termini, i l momento angolare M di un sistema meccanico consta del suo à momento angolare intrinseco à rispetto al sistema d i riferimento nel quale esso persevera in quiete, e del momento [RP] legato al moto del sistema come insieme.

Sebbene la legge di conservazione delle tre componenti del mo- mento (rispetto ad un'origine delle coordinate arbitraria) sussista soltanto per sistemi isolati, essa, in una forma pifi limitata, puà sussistere anche per sistemi collocati in un campo esterno. Dai ragio- namenti precedenti à evidente che s i conserva sempre la proiezione del momento su quell'asse rispetto a l quale il dato campo à simmetri- co; di conseguenza, le proprietà meccaniche del sistema non cambiano, qualunque sia la rotazione intorno a questo asse; resta inteso, però

4*

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52 CAPITOLO SECONDO

che il momento deve essere definito rispetto ad un punto (origine delle coordinate) situato su questo stesso asse.

Il caso pii3 importante di questo genere à quello d i un campo a sim- metria centrale, cioà un campo in cui l'energia potenziale dipende soltanto dalla distanza da un punto (centro) determinato nello spazio. à evidente che durante il moto in un tale campo si conserva la proiezione del momento su ogni asse passante per i l centro. In altri termini, si conserva i l vettore momento M, ma solo se esso à definito, però rispetto non a un punto qualsiasi dello spazio, ma a l centro del campo.

Un altro esempio: un campo iniforme diretto come l'asse z nel quale si conserva la proiezione M, del momento, e l'origine delle coordinate puà essere scelta in modo arbitrario.

Osserviamo che la proiezione del momento angolare su un asse qualunque (chiamiamolo z ) puà essere ottenuta derivando la funzione d i Lagrange secondo la formula

dove q? à l'angolo di rotazione intorno all'asse z. Cià deriva chiara- mente dallo stesso modo in cui abbiamo stabilito la legge d i conservazione del momento angolare, ma d i questo ci s i puà con- vincere con un calcolo diretto. In coordinate cilindriche r, q, z (po- nendo xa = r a cos qa , ya = ra sen qa) abbiamo:

D'altra parte, la funzione d i Lagrange in queste variabili ha la for- ma

che, posta nella formula (9,7), dà la stessa espressione (9,8).

P R O B L E M I

1. Trovare le espressioni per le componenti cartesiane e per i l valore asso- luto del momento angolare di una particella in coordinate cilindriche r, (p, z.

Risposta: . . Mx=msen<p(rz-zr)-mrzqcos cp, . . My = m cos (p(zr-rz)-mrzq sen q,

. . M2= mZrW (r2 +zz) +ma (rz -zr)2.

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LEGGI D I CONSERVAZIONE

2. LO stesso problema in coordinate sferiche r , 0, <p. Risposta:

M ^ = -mr2 (6 sen (p + <p sen 0 cos 0 cos (p),

M y = mr2 (0 cos (p- q> sen 6 cos 0 sen (p),

3. Indicare le componenti dell'impulso P e del momento M che si conservano durante il moto nei campi seguenti:

a) Campo di un piano omogeneo indefinito. Risposta. P , P y , M, (il piano indefinito à i l piano x, y). b) Campo di un cilindro omogeneo indefinito. Risposta. M,. P, (l'asse del cilindro à l'asse 2).

C ) Campo di un prisma omogeneo indefinito. Risposta. P* (gli spigoli del prisma sono paralleli all'asse z) . d) Campo di due punti materiali. Risposta. M, (i punti sono situati sull'asse 2).

e) Campo d i un semipiano omogeneo indefinito. Risposta. Py (il semipiano indefinito à una parte del piano x, y limitato

dall'asse y). f ) Campo di un cono omogeneo. Risposta. M, (l'asse del cono à l'asse 2 ) .

g) Campo di un toro circolare omogeneo. Risposta. M, (l'asse del toro à l'asse 2).

h) Campo d i un'elica cilindrica omogenea indefinita. Soluzione. La funzione di Lagrange non varia in una rotazione di un

angolo &(p intorno all'asse dell'elica (asse 2 ) accompagnata da una traslazione h

lungo questo asse di una distanza -6q (h à i l passo dell'elica). Pertanto 2n

QL 8~ il=-&+- az &(p=

Q9 quindi

h M*+-Pz= 2n costante.

$ 10. Simili tudine meccanica

Se si moltiplica funzione d i Lagrange per una costante arbitraria non si alterano le equazioni del moto. Grazie a questa circostanza (già notata nel $ 2) à possibile, in alcuni casi importanti, trarre alcune conclusioni sostanziali inerenti alle proprietà del moto, senza eseguire di fat to l'integrazione delle equazioni del moto.

Per esempio, casi simili s i hanno quando l'energia potenziale à una funzione omogenea delle coordinate, cioà una funzione che sod- disfa la condizione

k U (ari, a r a , . . ., a i n ) = a U (rl, ra, . . ., rn), (10,l)

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54 CAPITOLO SECONDO

dove a à una costante qualunque, e i l numero k i l grado di omogenei- tà della funzione.

Eseguiamo sulle variabili le trasformazioni seguenti: moltipli- chiamo tutte le coordinate per una stessa costante a e i l tempo per un'altra costante arbitraria p:

Tutte le velocità v a = à variano allora di cx/p volte, e l'energia - - cinetica d i a2/(i2 volte. L'energia potenziale viene invece moltiplica- t a per ah. Se a e (i sono legate dalla condizione

h a2 i - - -- P2

-ak , cioà fJ=a 2 ,

allora, per questa trasformazione, la funzione di Lagrange sarA globalmente moltiplicata per i l fattore costante a', cioà le equazioni del moto restano invariate.

Moltiplicare tut te le coordinate delle particelle per uno stesso numero significa passare da determinate traiettorie ad altre geome- tricamente simili alle prime e da queste differenziantisi soltanto per le dimensioni lineari. Siamo giunti dunque alla seguente conclu- sione: se l'energia potenziale d i un sistema à una funzione omogenea di k-esimo grado delle coordinate (cartesiane), le equazioni del moto ammettono allora traiettorie geometricamente simili; tut t i i tempi del moto (presi in punti corrispondenti delle traiettorie) stanno t ra loro nel rapporto

dove VII à i l rapporto delle dimensioni lineari di due traiettorie. Insieme con i tempi, stanno nel rapporto l'Il elevato a una determi- nata potenza anche i valori di tut te le grandezze meccaniche nei cor- rispondenti punti delle traiettorie nei corrispondenti istanti. Cosi per la velocità l'energia e i l momento angolare si ha

Diamo qualche esempio per illustrare questo fatto. Come vedremo p i ~ avanti, nel caso delle piccole oscillazioni,

l'energia potenziale à una funzione quadratica delle coordinate (k = 2). La formula (10,2) mostra che i l periodo di queste oscillazio- ni non dipende dalla loro ampiezza.

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LEGGI DI CONSERVAZIONE 55

In un campo d i forze uniforme, l'energia potenziale èun funzione lineare delle coordinate [vedi (5,8)1, cioà k = 1. Dalla (10,2) abbiamo

Da questa uguaglianza segue, per esempio, che nella caduta dei gravi i quadrati dei tempi di caduta sono proporzionali alle altezze da cui i corpi cadono.

Nell'attrazione newtoniana d i due masse, o nell'interazione coulombiana d i due cariche, il'energia potenziale à inversamente proporzionale al la distanza tra le particelle; in altri termini, essa à una funzione omogenea d i grado k = -1. In questi casi

t'

e noi possiamo affermare, per esempio, che i quadrati dei tempi di rivoluzione di corpi sulle loro orbite sono proporzionali a i cubi delle dimensioni di quest'ultime (terza legge di Keplero).

Se il moto d i un sistema, l a cui energia potenziale à una funzione omogenea delle coordinate, avviene in una regione limitata dello spazio, esiste sempre una relazione assai semplice fra i valori medi, rispetto al tempo, dell'energia cinetica e dell'energia potenziale; essa à nota sotto i l nome d i teorema del viriate.

Poichà l'energia cinetica T à una funzione quadratica delle velo- cità s i ha, in v i r t ~ del teorema di Eulero sulle funzioni omogenee:

8T ossia, introducendo gli impulsi aTa = pa:

Prendiamo l a media rispetto al tempo d i questa uguaglianza. Si chiama valore medio d i una funzione qualunque del tempo f ( t ) la grandezza

T

7 = limi ( (t) itt. T+- o

W ) l3 facile vedere che se .j (t) Ã la derivata rispetto a l tempo f ( t ) =

di una funzione limitata F ( t ) (cioà di una funzione che non assume valori infiniti), allora i l suo valore medio si annulla. Infatti ,

= l i m a T- W ( ~ d t - l i r n F ( t ) - F (0) =o, T* m T

o

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56 CAPITOLO SECONDO

Supponiamo che un sistema si muova in una regione finita dello spazio e con velocità non tendenti all'infinito. Allora la grandezza /, rnpa à limitata, e i l valore medio del primo termine del secondo membro dell'uguaglianza (10,4) si annulla. Sostituendo nel secondo - -

su termine, conformemente alle equazioni di Newton, pa con - -

ara si ottiene1):

Se l'energia potenziale à una funzione omogenea di A-esimo grado di tutt i i raggi vettori ra, allora secondo i l teorema di Eulero l'ugua- glianza (10,5) si trasforma nella relazione cercata

2T= kù (10'6)

Siccome + = E = E, si puà scrivere la relazione (10'6) nelle forme equivalenti :

dove a e T sono espresse mediante l'energia totale del sistema. In particolare, per le piccole oscillazioni (A = 2) si ha: -

T = o, cioà i valori medi delle energie cinetica e potenziale sono uguali. Per l'interazione newtoniana (k = -I):

2T= -D. -

In questo caso E = -T, in connessione con i l fatto che per questa interazione il moto avviene in una regione finita dello spazio soltan- to se l'energia totale à negativa (vedi il  15).

P R O B L E M I

1. In che rapporto stanno i tempi di moto su traiettorie identiche di parti- celle con masse diverse, a paritb di energia potenziale?

Risposta:

t' t

2. Come cambiano i tempi di moto su traiettorie uguali cambiando l 'energia potenziale di un fattore costante?

R is~osta:

l) L'espressione al secondo membro dell'uguaglianza (10,5) Ã chiamata talvolta viriale del sistema.

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Capitolo I I I

INTEGRAZIONE DELLE EQUAZIONI DEL MOTO

$ 11. Moto unidimensionale

Si chiama unidimensionale il moto d i un sistema con un solo gra-- do di libertà La forma pifi generale della funzione lagrangiana per un tale sistema, soggetto a condizioni esterne costanti, Ã

dove a (q) à una funzione della coordinata generalizzata q. In parti- colare, se q à una coordinita cartesiana (chiamiamola x),

mx2 L:=-- U ( x ) . (11,2),

Le equazioni del moto corrispondenti a queste funzioni lagrangia- ne s i integrano in forma generale. Per questo non occorre neppure- scrivere l'equazione stessa del moto; conviene partire diretta- mente dal loro integrale primo, cioà dall'equazione che esprime l a legge d i conservazione dell'energia. Cosi, per la funzione d i Lagrange (11,2), abbiamo:

Questa à un'equazione differenziale del primo ordine che si integra- per separazione delle variabili. S i ha

da cui

+ costante. VEÑUí

La parte delle due costanti arbitrarie nella soluzione delle equa- zioni del moto à qui tenuta dall'energia totale E e dalla costante d'in- tegrazione.

Poichà l'energia cinetica à una grandezza sostanzialmente positi- va, durante i l moto l'energia totale à sempre maggiore dell'energia~

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58 CAPITOLO TERZO

potenziale, cioà il moto puà avvenire soltanto nelle regioni dello spa- zio dove U (x) <E.

Supponiamo, ad esempio, che la funzione U (x) abbia l'andamento rappresentato nella fig. 6. Se tracciamo su questo grafico una retta orizzontale corrispondente ad un valore dato dell'energia tota- le, vedremo subito quali sono le regioni possibili di moto. Cosi,

Fig. 6

nel caso della fig. 6, i l moto puà effettuarsi soltanto in AB o regione a destra di C.

1 punti nei quali l'energia potenziale à uguale all'energia totale

fissano i limiti del moto. Questi sono i punti d'arresto in quanto l a velocità in essi à nulla. Se la regione del moto à limitata da due que- sti punti, il moto avviene in una regione limitata dello spazio; si dice allora che esso à finito. Se invece la regione de'l moto à illi- mitata o limitata soltanto da un lato, il moto à detto infinito, la particella se ne va all'infinito.

Un moto unidimensionale finito à oscillatorio: la particella com- pie un moto di andirivieni periodico tra due limiti (nella fig.. 6, nella buca di potenziale AB t ra i punti xl ed xo). Tenendo conto della proprietà generale d i reversibilità (pag. 37), i l tempo del moto da xl ad x2 à uguale al tempo del moto inverso da x2 ad xr Di conseguen- za, il periodo delle oscillazioni T, cioà il tempo impiegato dal punto per andare da x1 ad x2 e ritornare in xi, à uguale al doppio del tempo necessario per percorrere i l segmento XG~, oppure secondo la (11,3),

'dove i limiti x-, ed x2 sono radici dell'equazione (11,4) per un valore -dato di E. Questa formula esprime il periodo del moto in funzione dell'energia totale della particella.

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INTEGRAZIONE DELLE EQUAZIONI DEL MOTO 59

P R O B L E M I

1. Determinare il periodo delle oscillazioni di un pendolo matematico piano (un punto m all'estremità di un filo di lunghezza I in un campo di gravità in funzione della loro ampiezza.

Soluzione. L'energia del pendolo 6

dove à l'angolo di scostamento del filo dalla verticale; cpn à l'angolo massimo. ~ s s e n l o i l periodo uguale al tempo quadruplicato impiegato per i l percorso da O a q,, si ha :

<p Ponendo sen -/seri 9 = sen E, questo integrale diventa 2 2

dove

à il cosiddetto integrale ellittico completo di prima specie. Nel caso delle

piccole oscillazioni (sen 9 à 3 < i ) , lo sviluppo della funzione K (li} ci dà 2 2 1 r=2./"- (i+ãv; ...).

I l primo termine di questa serie corrisponde alla ben nota formula elementare. 2. Determinare i l eriodo delle oscillazioni in funzione dell'energia di una

particella di massa m che si muove in un campo in cui l'energia potenziale à a) U = A 1 x I n . Risposta:

Ponendo yn = u , l'integrale si riduce ad un integrale euleriano I3 che si esprime mediante le funzioni r:

2 w r ( i ) 1 - 1 T- 1 1

E" 2 .

n ~ ~ ~ ~ r (;-t--)

La dipendenza di T da E Gin accordo con la legge della similitudine meccanica (10,2), (10,3).

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CAPITOLO TERZO

Un b) U = - - chzax'

Risposta:

C) U = Un tg2 UX. Risposta:

$ 12. Determinazione dell'energia potenziale dal periodo delle oscillazioni

Vediamo fino a che punto à possibile ristabilire l a forma U (x) dell'energia potenziale del campo nel quale una particella compie un moto oscillatorio, partendo dalla conoscenza della dipendenza del

Fig. 7

periodo T dall'energia E. Da un punto d i vista matematico si trat ta d i risolvere l'equazione integrale (11,5) nella quale U (x) Ã conside- rata funzione incognita, e T (E) funzione nota.

Supponiamo a priori che la funzione cercata U (x) abbia un solo minimo nella regione considerata dello spazio, e non prendiamo in considerazione l a questione dell'esistenza di soluzioni dell'equa- zione integrale che non soddisfino la nostra condizione. Per ragioni di comodità scegliamo come origine delle coordinate i l punto in cui l'energia potenziale à minima, ponendo i l valore d i quest'ultima in questo punto uguale a zero (fig. 7).

Trasformiamo l'integrale (11,5), considerando in esso la coordina- t a x quale funzione di U. La funzione x (U) Ã biunivoca: a ciascun valore dell'energia potenziale corrispondono due valori differenti di x. Di conseguenza, l 'integrale (11,5), nel quale sostituiamo

dx dx con - dU, diventa una somma di due integrali: da x = x1 ad dU

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INTEGRAZIONE DELLE EQUAZIONI DEL MOTO 61

x = O, e da x = O ad x = 2%; indicheremo la dipendenza d i x da U in questi due regioni rispettivamente con x = x1 (U) ed x = xa (U).

Gli estremi d'integrazione in dU saranno, evidentemente, E e O, e, di conseguenza, otteniamo:

Dividendo i due membri d i questa uguaglianza per fi - E, dove a à un parametro, e integrando rispetto a E da O ad a , abbiamo:

ossia, cambiando l'ordine d'integrazione:

L'integrale in dE Ã elementare e risulta uguale a n. Dopo di che l'integrazione in dU diventa banale e dÃ

T ( E ) d E = n v% [x2 (a) -q (a)]

o

(si à tenuto conto che x2 (0) = xi (0) = 0). Sostituendo ora la lette- ra a con U, troviamo infine:

Cosi, dalla conoscenza della funzione T (E), si determina la dif- ferenza x2 (U) - xi (U). Quanto alle funzioni x2 (U) e xi (U), esse restano indeterminate. Questo significa che esiste non una sola, ma una molteplicità infinita d i curve U = U (x) che portano a una data dipendenza del periodo dall'energia e che differiscono l'una dall'al- t ra per deformazioni che non alterano l a differenza di due valori d i x corrispondenti a uno stesso valore d i U .

La molteplicità delle soluzioni scompare se s i impone che la cur- va U = U (x) sia simmetrica rispetto all'asse delle ordinate, cioÃ

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62 CAPITOLO TERZO

che sia: x2 ( U ) - -2, (£7 = x ( U ) .

In questo caso la formula (12,l) dà per x (U) l'espressione univoca u

x ( U ) = 1 T ( E ) d E

25cv% -'

13. Massa ridotta

il problema particolarmente importante del moto di un sistema composto di due particelle interagenti (problema dei due corpi) dmmette una soluzione completa in forma generale.

Come passo preliminare alla soluzione di questo problema, mostria- mo come à possibile semplificarlo sostanzialmente separando i l moto del sistema in moto del centro d i massa e moto dei punti mate- riali rispetto a quest'ultimo.

L'energia potenziale d'interazione di due particelle dipende sol- tanto dalla distanza tra di loro, cioà dal valore assoluto della difle- renza tra i loro raggi vettori. Percià la funzione lagrangiana di un tale sistema Ã

mi i l m2rj L = - 2 +T-£7(lri-r21) (13,l)

Sia r = rl - r2

i l vettore della distanza che separa i due punti; poniamo l'origine delle coordinate al centro di massa i l che ci dà

miri + m2r2 = 0.

Dalle due ultime uguaglianze otteniamo:

Riportando queste espressioni nella (13.1), otteniamo:

dove

à una grandezza chiamata massa ridotta. La funzione (13,3) coincide formalmente con la funzione di Lagrange di un punto materiale di massa m che si muove in un campo esterno U ( T ) simmetrico rispetto all'origine immobile delle coordinate.

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INTEGRAZIONE DELLE EQUAZIONI DEL MOTO 63

Cosi, i l problema del moto di due punti materiali interagenti si riduce a l problema del moto d i un punto materiale in un campo ester- no dato U (r). La soluzione r = r (t) d i questo problema permette di determinare separatamente, mediante la formula (13,2), le traietto- rie r, == ri (t) e rn = ra (t) (rispetto a l centro d i massa) per ciascuna delle due particelle m= e m^.

Un sistema à composto di una particella di massa M e di n particelle di massa m. Eliminare i l moto del centro di massa e ridurre i l problema a quello del moto di n particelle.

Soluzione. Siano R i l raggio vettore della particella M ed Ra (a = 1, 2, . . . . . n) i raggi vettori delle particelle di massa m. Introduciamo le distanze della particella M dalle particelle m

e come origine delle coordinate prendiamo i l centro di massa:

M R + ~ X Ra=O. a

Da queste uguaglianze otteniamo:

dove p = M + nm. Riportando queste espressioni nella funzione di Lagrange

a otteniamo:

dove v s ra. L'energia potenziale dipende soltanto dalle distanze tra le particelle e puÃ

quindi essere rappresentata come funzione dei vettori ra.

$14. Moto in un campo centrale

Nel ridurre il problema del moto dei due corpi a l problema del moto d i un corpo, ci siamo venuti a trovare d i fronte a l problema della determinazione del moto di una particella in un campo esterno in cui l'energia potenziale della particella dipende soltanto dalla di- stanza r da un dato punto fisso; un tale campo à detto centrale. La forza

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64 CAPITOLO TERZO

agente sulla particella, dipende anch'essa, in valore assoluto, da r ed à diretta in ogni punto come i l raggio vettore.

Come già à stato detto nel 3 9, durante i l moto in un campo cen- trale i l momento angolare del sistema rispetto a l centro del campo si conserva. Per una particella questo momento angolare Ã

Poichà i vettori M ed r sono mutuamente perpendicolari, la co- stanza d i M significa che durante i l moto della particella i l suo raggio vettore resta sempre in uno stesso piano perpendicolare ad M.

In t a l modo la traiettoria d i una particella che si muove in un campo centrale giace tu t ta in un solo piano. Introducendo le coordinate polari r , q, la funzione di Lagrange assume la forma [vedi (4,5)] :

Questa funzione non contiene in modo esplicito la coordinata q. S i chiama ciclica ogni coordinata generalizzata qi che non appare in modo esplicito nella funzione d i Lagrange. I n virtii dell'equazione lagrangiana, per ogni coordinata ciclica qi si ha:

. - cioà l'impulso generalizzato corrispondente p , = 9L/9qi à un integrale del moto. Questa circostanza porta ad una semplificazione sostanziale del problema dell'integrazione delle equazioni del moto nel caso in cui esistano le coordinate cicliche.

Nel caso considerato l'impulso generalizzato

coincide con il momento angolare Mz = M [cfr. (9,6)1 e cosi ritro- viamo la legge, che già conosciamo, d i conservazione del momento angolare

Notiamo, che per i l moto piano d i una particella in un campo centrale, questa legge ammette un'interpretazione geometrica semplice. L'e-

1 spressione T r -F dq rappresenta l area del settore formato dai due raggi vettori infinitamente vicini e da un elemento d'arco della traiettoria (fig. 8). Indicando questa superficie con df, il momento angolare della particella assume la forma:

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INTEGRAZIONE DELLE EQUAZIONI DEL MOTO 65

dove la derivata / à detta velocità areolare. La conservazione del mo- mento angolare implica dunque la costanza della velocità areolare: in uguali intervalli di tempo il raggio vettore della particella in moto descrive aree uguali (seconda legge di Keplerol)).

La soluzione completa del problema del moto di una particella in un campo centrale si ottiene p i ~ semplicemente se si parte dalle

Fig. 8

leggi di conservazione dell'energia e del momento angolare senza

neanche scrivere le equazioni stesse del moto. Esprimendo q~ in fun- zione di M con la (14,Z) e riportando questo valore nell'espressione dellyenergia7 otteniamo:

E=?(* 2 r 2 + r 2 $ ) t u ( r ) = T + Ã ‘ Ã ‘ , + u ( r mr2 M* (1434)

Da cui

oppure, separando le variabili ed integrando: dr t = j +costante.

M2 (14,6)

f E - u p ~ j - - m2r2

Scrivendo poi la (14,Z) nella forma M d ~ p =- mra dt Y

ponendovi dt dalla (14,5) e integrando, otteniamo:

Le formule (14,6) e (14,7) danno la soluzione generale del proble- ma posto. La seconda di queste formule determina la relazione tra r e q, cioà l'equazione della traiettoria. La formula (14,6) determina

1) La legge di conservazione del momento angolare per una particelle in moto in un campo centrale si chiama talvolta integrale delle aree.

5-0563

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66 CAPITOLO TERZO

invece, in modo implicito, la distanza r dal centro del punto in moto come funzione del tempo. Notiamo che l 'ang~lo (p varia sempre col tempo in modo monotono: risulta chiaramente dalla (14,2) che i non cambia mai di segno.

L'espressione (14,4) mostra che la parte radiale del moto si puà considerare come un moto lineare in un campo con energia poten- ziale u efficace Ã

La grandezza M^ftmr2 Ã detta energia centrifuga. I valori di r per i quali

M* U (r) + 7 E 2mr

determinano i confini della regione del moto per quanto riguarda la distanza dal centro. Se l'uguaglianza (14,9) à soddisfatta la velocitA radiale r si annulla. Cià non significa che la particella si fermi (come avviene in un vero moto unidimensionale), poichà la velo~ità~ango -

lare (p non si annulla. L'uguaglianza r = O significa un u punto di svolta à della traiettoria in cui la funzione r ( t ) da crescente diven- ta decrescente o viceversa.

Se la regione della variazione di r à limitata dalla sola condizione r a m i l i , il moto della particella à infinito: la sua traiettoria pro- viene dall'infinito e torna all'infinito.

Se la regione della variazione di r ha invece due limiti, rmin e rmax, i l moto à finito e la traiettoria giace interamente in una coro- na limitata dalle circonferenze r = rmax e r = rmh. Cià non signifi- ca, però che la traiettoria sia necessariamente una curva chiusa. Nell'intervallo d i tempo in cui r varia da rmar a rmin e di nuovo a r m a x , i l raggio vettore ruota di un angolo Acp che, conformemente alla (14,7), Ã

"max M - dr A 9 = 2 ( r2

1 M* (14910) rmin 2rn (E- U) --

r=

Perchà la traiettoria sia chiusa à necessario che questo angolo sia una frazione razionale di 2n, sia cioà uguale a A(p = 2nm/n, dove m ed n sono numeri interi. Allora, dopo n ripetizioni di questo periodo di tempo, i l raggio vettore del punto, dopo aver fatto m giri completi, riprenderà il suo valore iniziale, cioà la traiettoria si chiude.

Casi d i questo genere sono tuttavia eccezionali, e per una forma U (r) arbitraria l'angolo A(p non à una frazione razionale di 2n. Per questo la traiettoria di un moto finito generalmente non à chiusa. Essa passa infinite volte alladistanza minima e a quella massima

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INTEGRAZIONE DELLE EQUAZIONI DEL MOTO 67

dal centro (come, per esempio, nella fig. 9), e, in un tempo, infinito, ricopre tutta la corona compresa tra le due circonferenze limite.

Esistono soltanto due tipi d i campo centrale in cui tutte le traiettorie dei moti finiti sono chiuse. Sono i campi in cui l'e- nergia potenziale della particella à proporzionale a o r o a r2.11 primo di questi casi verrà esaminato nel prossimo paragrafo, e i l secondo corrisponde al cosiddetto oscillatore spaziale (vedi problema 3 del 3 23).

In un punto di svolta, la radice quadrata della (14,5)i(cosi come le espressioni integrande nella (14,6) e nella (14,7)) cambia di segno. Se

si misura l'angolo q> a partire dalla direzione di un raggio vettore terminante in un punto di svolta, le porzioni della traiettoria facenti capo, da parti opposte, a questo punto differiranno, per valo- r i di r uguali, solo per il segno di (p; questo significa che la traiettoria à simmetrica rispetto alla direzione indicata. Partendo, per esempio, da uno dei punti r = rmas, si percorre la porzione di traiettoria fino a l punto r = rmin, poi si ha una porzione disposta simmetricamente fino al successivo punto r = rm e via di seguito; in altre parole, l'intera traiettoria si ottiene ripetendo in andata e in ritorno porzio- ni uguali. Cià avviene anche per le traiettorie infinite le quali sono formate da due rami simmetrìc che si estendono dal punto di svolta /¥mi fino all'infinito.

L'esistenza di un'energia centrifuga (per un moto in cui M # O), tendente all'infinito come 1/r2 quando r + O, rende generalmente im- possibile la penetrazione delle particelle nel centro del campo, an- che se questo à di per sà stesso un centro d'attrazione. La à caduta Ã

di una particella nel centro à possibile soltanto nel caso in cui l'ener- gia potenziale tende con sufficiente rapidità verso - W per'r -+ O!

5 *

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CAPITOLO TERZO

Dalla disuguaglianza

mr 2 M2 -= E - U ( r ) - - > O

2 2mr2

segue che r puà prendere valori tendenti a zero soltanto se

cioà U ( r ) deve tendere verso -00 come - a/r2 dove a> &12j2m, oppure proporzionalmente a - l / rn dove n > 2.

P R O B L E M I

1. Integrare le equazioni del moto di un pendolo sferico, cioà di un punto materiale m che si muove sulla superficie di una sfera di raggio l in un campo di gravità

Soluzione. In coordinate sferiche, ponendo origine nel centro della sfera e dirigendo l'asse polare verticalmente verso il basso, la funzione di Lagrange del pendolo Ã

m12 L-- 2

(02 + sen2 O (E¶ + mgl cos 6 .

La coordinata q) à ciclica, e percià l'impulso generalizzato pm, che coincide con l a componente z del momento angolare, si conserva:

m12 sen2 O. (p = M z = costante. L'energia Ã

Ricavando di qui 0 e separando le variabili, si ottiene:

dove à stata introdotta à l'energia potenziale efficace Ã

M i uefr (0) = 2h sen2 O - mgz cos o.

Utilizzando la (i), troviamo per l'angolo (p:

Gli integrali (3) e (4) si riducono ad integrali ellittici di prima e di terza specie, rispettivamente.

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INTEGRAZIONE DELLE EQUAZIONI DEL MOTO 69

La regione del moto per l'angolo 9 à determinkta dalla condizione E > Uen, ed i suoi limiti si trovano dall'equazione E = Uett. Quest'ultima à un'equazione di terzo grado in cos 8, avente due radici nell'intemallo compreso tra -1 e +l; queste radici determinano la posizione di due circonferenze parallele sulla sfera tra le uali à compresa tutta la traiettoria.

2. Integrare l e equazioni del moto di un punto materiale che si muove sulla superficie di un cono (angolo al vertice à 2a), posto verticalmente con il vertice verso i l basso, in un campo di gravità

Soluzione. In coordinate sferiche (origine nel vertice del cono ed asse polare diretto verticalmente verso l'alto) la funzione di Lagrange Ã

La coordinata <p à ciclica e percià anche in questo caso si conserva la grandezza

Mí mr2 sen2 a - cp. L'energia Ã

Analogamente a l procedimento usato per i l problema 1, troviamo:

La condizione E'= Ueft (r) rappresenta (per M # 0) un'equazione di terzo grado in r avente due radici positive; queste radici determinano la posizione di due circonferenze orizzonta i sulla superficie del cono tra le quali à com- presa la traiettoria.

3. Inte rare le equazioni del moto di un pendolo piano i l cui punto di so- spensione (di massa mi) puà spostarsi orizzontalmente (vedi fig. 2)

Soluzione. Nella funzione di Lagrange, trovata nel roblema 2 del 3 5, la coordinata x à ciclica. Per questo, si conserva l'impulso generalizzato Pà che coincide con la componente orizzontale dell'impulso totale del sistema:

Pf=x (mi+ m x+ mÈ l cos <p = costante. (1)

Si puà sempre considerare i l sistema come un insieme che persevera in quiete; in questo caso, la costante à nulla e l'integrazione dell'equazione (1) dà la relazione

(mi + ma) a: + mal sen <p = costante, (2)

che es rime l'immobilità del centro di massa del sistema nella direzione orizzon- tale. Partendo dalla (i), si ottiene l'energia nella forma

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70 CAPITOLO TERZO

Donde

Esprimendo mediante la (2) le coordinate x* = x + I sen q., ed y, = = / cos q della particella m, in funzione di (D, troviamo che la traiettoria di questa particella rappresenta un arco d'ellisse con semiasse orizzontale uguale a lm,l(ml + m ) e semiasse verticale uguale a 1. Quando mi ->Â oo, si ritrova l'usuale matematico oscillante secondo un arco di circonfe- renza.

$15 . Il problema di Keplero

L'esempio pi6 importante d i campi centrali à quello di un campo in cui l'energia potenziale à inversamente proporzionale ad r e, ri- spettivamente, le forze sono inversamente proporzionali a ra. il

Fig. 10

caso dei campi newtoniani di gravità e dei campi coulombiani elet- trostatici. I primi, come à noto, hanno carattere attrattivo, e secondi possono essere sia attrattivi che repulsivi. ' Consideriamo anzitutto un campo d'attrazione in cui

dove la costante a e positiva. I l grafico dell'energia potenziale u effi- cace Ã

a M* uw=--+- r 2mra (1592)

6 della forma indicata nella fig. 10. Per r -P O, essa tende verso + oo, e per r + oo tende a zero per valori negativi; per r = W a r n essa

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INTEGRAZIONE DELLE EQUAZIONI DEL MOTO 71

ha un minimo uguale a azm

(Uettfaiin = - 2 ~ / 2 (15'3)

Risulta direttamente da questo grafico che per E > O il moto della particella sarà infinito, e finito per E <O.

La forma della traiettoria à determinata dalla formula generale a (14'7). Riportando in essa U = - - ed eseguendo un'integrazione

elementare, s i ottiene: M ma r

o) = arccos M + costante. &,E+%

Scegliendo l'origine dell'angolo cp in modo tale che la costante sia nulla e introducendo le notazioni

possiamo scrivere la formula della traiettoria come segue:

Questa à l'equazione di una sezione conica avente per fuoco l'origine delle coordinate; p ed e sono detti rispettivamente parametro e eccen- tricità dell'orbita. Come si vede dalla (15,5), la scelta dell'origine d i <p à tale che i l punto in cui cp = O à i l pi6 vicino a l centro (questo punto à detto perielio dell'orbita).

Nel problema equivalente dei due corpi interagenti secondo la legge (15,1), l 'orbita di ciascuna delle particelle rappresentauna sezio- ne conica avente per fuoco il centro di massa comune.

Dalla (15,4) si vede che per E < O l'eccentricità à minore d i 1, cioà l'orbita à un'ellisse (fig. H) e i l moto à finito conformemente a quanto detto all'inizio d i questo paragrafo. Secondo note formule della geometria analitica, i l semiasse maggiore a e il semiasse minore b sono dati da

11 valore minimo ammissibile* dell'energia coincide con l a (15,3), e in questo caso si ha e = O, cioà l'ellisse si trasforma in un cerchio. Notiamo che i l semiasse maggiore dell'ellisse dipende soltanto dal- l'energia (e non dal momento angolare) della particella. Le distanze minima e massima dal centro del campo (fuoco dell'ellisse) sono

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72 CAPITOLO TERZO

Queste espressioni (con a ed e sostituite mediante l a (15,6) e la (15,4)) si potrebbero evidentemente ottenere direttamente come radici del- l'equazione Uett ( r ) == E.

E comodo determinare i l tempo d i rivoluzione sull'orbita ellitti- ca, cioà il periodo del moto T, per mezzo della legge di conservazione

Fig. 11

del momento angolare nella forma dell'à integrale delle aree à (14,3). Integrando questa uguaglianza rispetto al tempo da zero a T, si ottiene:

2mf = TM,

dove / Ã l'area racchiusa dall'orbita. Per l'ellisse f = nab, e mediante le formule (15,6) s i ottiene:

I l fat to che i l quadrato del periodo dovesse essere proporzionale al cubo delle dimensioni lineari dell'orbita era già stato mostrato nel $ 10. Notiamo ancora che i l periodo dipende solo dall'energia della particella.

Per E ^> O i l moto à infinito. Se E > O, l'eccentricità e > 1, cioà la traiettoria à un'iperbole che contorna i l centro del campo (fuoco), come à indicato nella fig. 12. La distanza del perielio dal centro Ã

dove

à i l à semiasse à dell'iperbole. Se invece E = O, l'eccentricità e = 1, la particella percorre una

parabola con distanza d i perielio rmin == p/2. Questo caso si ha allor- chà la particella comincia i l suo moto da uno stato di quiete all'in- finito.

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INTEGRAZIONE DELLE EQUAZIONI DEL MOTO 73

La relazione t ra le coordinate d i una particella in moto su un'or- bita e i l tempo puà essere trovata con l'aiuto della formula generale

Fig. 12

(14,6). Per essa esiste una forma parametrica pifi comoda a cui si puà giungere nel modo seguente.

Consideriamo anzitutto orbite ellittiche. Sostituendo a ed e secondo la (15,4) e la (15,6), scriviamo l'integrale (14,6), che deter- mina i l tempo, nella forma

Eseguendo la sostituzione

questo integrale assume la forma - (1 - e cos E ) dE = /$ (E - e s e i E) + costante.

Scegliendo l'origine dei tempi in modo tale da annullare la costan- te, si ottiene infine la seguente rappresentazione parametrica della relazione tra r e t: -

r=a( l -ecosE) , t = ' / ~ ( ~ - e s e t t ) a (15'10)

(nell'istante t = O la particella si trova nel suo perielio). Mediante lo stesso parametro si possono esprimere anche le coordinate carte- siane della particella x = r cos <p, y = r sen (p (gli assi a" ed y sono diretti rispettivamente lungo i semiassi maggiore e minore dell'ellis-

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74 CAPITOLO TERZO:

se). Dalle (15,5) e (15'10) otteniamo ex = p - r = a (1 - e2) - a (i - e cos t ) = ae (cos E - e),

e troviamo y = í/V - x2. Infine abbiamo:

x = a (cos - e), y = a v l - e2 sen E. (15,11) Ad una rivoluzione completa sull'ellisse corrisp~nde una variazione del parametro E da O a 2n. r Calcoli del tutto analoghi ci portano ai seguenti risultati per le traiettorie iperboliche: -

r =a(echS-l ) , t = / & ( e ~ h ~ - ~ ) , a (15'12)

x=a(e-(:h^), y=ay^e2-l s h t , dove il parametro E assume tut t i i valori compresi tra - oo e + oo.

Consideriamo ora il moto in un campo di repulsione dove a u=- r (15313)

{a > 0). I n questo caso l'energia potenziale efficace

decresce in modo monotono da + ¡ a zero, quando r varia da zero a d oo. L'energia della particella non puà essere che positiva, ed i l

Fig. 13

moto à sempre infinito. Tutti i calcoli per questo caso sono precisa-. mente analoghi a quelli eseguiti sopra. La traiettoria à un'iperbole

Ip ed e sono determinate dalle formule (15,4)1. Essa passa vicino al eentro del campo, come à indicato nella fig. 13. La distanza del peri-

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INTEGRAZIONE DELLE EQUAZIONI DEL MOTO 75

elio Ã

rmin=-- p - a ( e + i ) e- i (15'15)

La dipendenza dal tempo à determinata dalle equazioni parametriche

x = a (eh + e), y = a v e 2 - 1 sh 5. Concludendo questo paragrafo mostriamo che per il moto in un

campo U = a/r (dove i l segno di a à arbitrario) esiste un integrale del moto specifico di questo campo. l3 facile verificare con un calcolo diretto che l'espressione

[vM] +T = costante. (15,17)

Infatti, la sua derivata totale rispetto a l tempo Ã

av ar (vr) [vM] +T--- r3 '

o, sostituendo M = m [rvl: av ar (vr) mr (vv) - mv (rv) + - - -

r3 '

ponendovi, secondo le equazioni del moto, mv = ar/r3, vedremo che alla fine questa espressione si annulla.

I l vettore conservativo (15,17) à diretto lungo l'asse maggiore dal fuoco a l perielio e la sua grandezza à uguale ad ae. Questo à facil- mente verificabile considerando il suo valore nel perielio.

Sottolineiamo che l'integrale del moto (15,17), come anche gli integrali M ed E, una funzione monodroma dello stato (posizione e velocità della particella. Vedremo nel 3 50 che la comparsa di que- sto integrale monodromo supplementare à dovuta alla cosiddetta de- generazione del moto.

P R O B L E M I

1. Trovare la relazione tra le coordinate ed il tempo per una particella che si muove in un campo U = -a/r con energia E = O (sf sondo una parabola). ' Soluzione. Nell'integrale

sostituiamo

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76 CAPITOLO TERZO

e otteniamo la seguente rappresentazione parametrica della relazione cercata:

I l parametro q assume tutti i valori da -00 a +m. 2. Integrare le equazioni del moto di un punto materiale in un campo

centrale U = -a/?, a > 0. Soluzione. Secondo le formule (14,6), (14,7), e scegliendo opportunamente

le origini di calcolo per cp e t, troviamo:

In tutti i tre casi

Nei casi b) e C) la particella u cade à nel centro seguendo una traiettoria che si avvicina all'origine delle coordinate allorchà cp + oo. La caduta a partire da una distanza data r avviene in un tempo finito "uguale a

3. Aggiungendo all'energia potenziale U = -a/r un valore piccolo SU (r), le traiettorie di un moto finito cessano di essere chiuse e per ogni giro i l perielio dell'orbita si sposta di un piccolo angolo 6r.p. Determinare questa grandezza angolare 6(p per a) SU = $/r2 e b) SU = ?/G.

Soluzione. Quando r varia da rmi a r e nuovamente ad rmIn, l'angolo 6r.p cambia di una grandezza data dalla formula (14,iO) che scriviamo nella forma .

(allo scopo di evitare pi6 in basso una fittizia divergenza dell'integrale). Poniamo U = -aIr + SU e sviluppiamo l'espressione sotto il segno d'integrale secondo le potenze di 6U; i l termine d'ordine zero dello sviluppo dà 2n, ed i l termine del primo ordine dà lo spostamento cercato S(p:

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INTEGRAZIONE DELLE EQUAZIONI DEL MOTO 77

dove dall'integrazione in dr noi siamo passati all'integrazione in d q lungo la traiettoria del moto u imperturbato v .

Nel caso a) l'integrazione nella (1) Ã banale e d i

[p à il parametro dell'ellisse imperturbata datodalla (15,4)1. Nel caso b) r^SU = - y / r , e sostituendo 1/r dalla (15,5), otteniamo:

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Capitolo IV

URTI DI PARTICELLE

$ 16. Disintegrazione di particelle

Le leggi di conservazione dell'impulso e dell'energia già di per sà permettono d i trarre, in numerosi casi, una serie di importanti con- clusioni sulle proprietà dei diversi processi meccanici. Il fatto es- senziale à che queste proprietà non dipendono affatto dal tipo concre- to dell'interazione fra le particelle impegnate nel processo.

Cominciamo dal processo di disintegrazione u spontanea à (non provocata cioà da forze esterne) di una particella in due à parti componenti à cioà in due altre particelle che s i muovono, dopo l a disintegrazione, indipendentemente l'una dall'altra.

Questo processo ha un aspetto molto semplice, se lo si considera in un sistema di riferimento in cui la particella (prima della disinte- grazione) perseverava in quiete. I n forza della legge di conservazione dell'impulso, la somma degli impulsi delle due particelle formatesi nella disintegrazione à pure uguale a zero, cioà le particelle si allon- tanano l'una dall'altra con impulsi uguali in grandezza e opposti in verso. I l loro valore assoluto comune (indichiamolo con po) à deter- minato dalla legge di conservazione dell'energia

dove mi ed m2 sono le masse delle particelle, Eiint ed Ezint le loro energie interne, ed Eint l'energia interna della particella iniziale (che disintegra). Indichiamo con E l'a energia di disintegrazione Ã

cioà la differenza

(Ã evidente che questa grandezza dev'essere positiva perch6 la disintegrazione sia in generale possibile). Si ha allora:

da cui si puà ricavare p. (m à la massa ridotta delle due particelle); le loro velocità sono vlo = po/ml, uso = pom2.

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URTI DI PARTICELLE 79

Passiamo ora ad un sistema d i riferimento nel quale l a particella i n i ~ i a l c si muovi' prima della disintegrazione con velocità V. Questo ~islrr i ia s i chi;nna di solito sistema d i laboratorio (o sistema à I È

a differenza del à sistema del centro di massa à (o sistema à C È nel quale l'inipulso totale 6 millo. Consideriamo una delle particelle

a) Fig. 14

disintegrazione, e siano v e v0 le sue velocità rispettivamente nei siste- mi à I à e à C È L'evidente uguaglianza v = V + V Q , oppure v - - V = vo, ci dà

v2+v2-2vVcosQ=v~ , (1633)

dove 6 à l'angolo della direzione del moto della particella rispetto alla direzione della velocità V. Questa equazione determina la rela- zione tra la velocità della particella d i disintegrazione e l a direzione della sua traiettoria nel sistema à I È Essa puà essere rappresentata graficamente per mezzo del diagramma dato nella fig. 14. La veloci- t à v à data da un vettore tracciato da l punto A distante d i V dal cen- tro della circonferenza d i raggio U n ad un punto qualsiasi della circon- ferenza stessa l). Le figure 14 a e b corrispondono a i casi V<v0 e V>vo rispettivamente. Nel primo caso l a particella puà allontanarsi ad un angolo 6 qualsiasi. Nel secondo caso essa puà muoversisoltanto in avanti e ad un angolo 6 non maggiore del valore Qmax dato dall'u- guaglianza

(direzione della tangente a l cerchio tracciata dal punto A ) .

1) PiG precisamente: ad un punto qualsiasi della sfera di raggio vy, di cui i l cerchio disegnato nella fig. 14 rappresenta una sezione massima.

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80 CAPITOLO QUARTO

Il legame fra gli angoli d i volo O e O. nei sistemi I e C appare evidente da l diagramma ed à dato dalla formula

v0 sen O0 t g o = vocosoo+V

Risolvendo questa equazione rispetto a cos Oo, s i ottiene dopo tra- sformazioni elementari

v v2 cos 00= --sen20 Â cose sen2 O.

^O (16,6) Se i-,,, > V, i l legame tra O. e 9 à univoco, come segue dalla figu- ra 14, a. Nella formula (16,6) occorre allora prendere i l segno pih da- vanti alla radice (perchà si abbia = O per 0 = 0). Se invece vo < V il legame tra O 0 e 0 non à pih univoco: per ogni valore di 8 si hanno due valori d i O 0 corrispondenti (fig. 14, b) ai vettori v. tracciati dal centro del cerchio ai punti B o C; a questi vettori corrispondono i due segni davanti alla radice nella (16,6).

Nelle applicazioni fisiche si h a a che fare usualmente con la di- sintegrazione non di una, ma di p i ~ particelle uguali, cià che pone il problema d i distribuzione delle particelle di disintegrazione secondo l a direzione, l'energia, ecc. Pertanto partiremo dall'ipotesi che le par- ticelle iniziali siano orientate caoticamente nello spazio, cioà che la loro orientazione sia in media isotropa.

Nel sistema C la soluzione del problema à banale: tut te le particel- le di disintegrazione (di uno stesso tipo) hanno l a stessa energia e l a distribuzione delle loro direzioni d i volo à isotropa. Quest'ultima af- fermazione à dovuta alla nostra ipotesi sull'orientazione caotica delle particelle iniziali. Essa significa che i l numero di particelle che pas- sano per un elemento d'angolo solido doo à proporzionale alla grandez-

do za di questo elemento, cioà uguale a 2. Di qui otteniamo la distri-

buzione secondo gli angoli Oo7 ponendo doo = 2nsen O0 do0, cioÃ

1 - sen O0 doo. 2 (1677) Le distribuzioni nel sistema l s i ottengono per mezzo di un'adegua-

t a trasformazione d i questa espressione. Determiniamo, ad esempio, la distribuzione rispetto all'energia cinetica nel sistema l. Elevando a l quadrato l'uguaglianza v = v. + V, abbiamo:

v2 = v, + v2 + 2v0v cos €l donde

Introducendo qui l'energia cinetica T = mu2/2 (dove m s ta per mi o m<,, secondo i l t ipo d i particella d i disintegrazione che si considera)

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URTI DI PARTICELLE 81

e sostituendo nella (16,7), otteniamo la distribuzione cercata

L'energia cinetica puà assumere t u t t i i valori compresi fra i l minimo m m

Tmia = 7 (vo - V)' e i l massimo Tmax = -n- (vo + V}2. In que- '. ;-.

sto intervallo le particelle sono distribuite uniformemente, secondo la (lfi,8).

Nella disintegrazione d i una particella in pifi d i due parti componenti, le leggi d i conservazione dell'impulso e dell'energia lasciano, naturalmente, nn'arbitrarictà nelle velocità e nelle direzioni delle particelle d i disintegrazione considerevolmente maggiore che nel caso della disintegrazione in due componenti. I n particolare, le energie delle particelle di disintegrazione non prendono nel sistema C u n determinato valore. Esiste per6 un limite superiore dell'energia cinetica che ognuna particella di disintegrazione puà portarsi via.

Per determinare questo limite, consideriamo l'insieme d i tut te le particelle d i disintegrazione ad eccezione d i una (di massa ml) come mi unico sistema; sia & la sua energia à interna È Allora l'energia cinetica della particella m-, sar i , secondo la (16,l) e l a (16,2),

(M à la massa della particella iniziale). evidente che T i o assumerà i l valore massimo possibile quando E h sarà minima. Per questo occorre che tu t te le particelle d i disintegrazione, esclusa la particella m^, si muovano con la stessa velocità allora Eint si riduce semplice- mente alla somma delle loro energie interne, e la differenza Eint - - .Elint - £in à l'energia di disintegrazione e. Quindi

P R O B L E M I

1. Trovare la relazione tra gli angoli 6, e 9, (nel sistema l) sotto i quali si allontanano le particelle dopo una disintegrazione in due componenti.

Soluzione. Nel sistema C gli angoli di volo delle due particelle sono legati da O I 0 = n; - 02,,. Indicando O l 0 semplicemente con O,, ed applicando la for- mula (16,5) a ciascuna delle due particelle, otteniaflo:

V + v i 0 cos QQ---v,o sen O . c tg 9,. V - cos O0 = v m sen ctg 09.

Da queste due uguaglianze 6 necessario eliminare O,,. Per fare questo, ricaviamo anzitutto da esse cos O 0 e scn O,, C scriviamo la somma cos2 Oy + sen2 O , , = 1. Tenendo conto anche che viJv.,,, = mJm, ed usando la (16,2), troviamo infine

6 - 0 5 6 3

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82 CAPITOLO QUARTO

la seguente equazione:

m2 -seri2 og + 3 sen20i - 2 sen 0" sen G2 cos (Oi + 02) = 28 m1 (mi -t m21 v2 sen2 (ei + 0,). m.

2. Trovare nel sistema I la distribuzione delle particelle di disintegrazione secondo le direzioni.

Soluzioni Per v0 > V sostituiamo la (16,6) con i l segno + davanti alla radice nella ( 1C 7) ed otteniamo la distribuzione cercata nella forma

Per v0 < V bisogna tener conto delle due relazioni possibili tra e 0. Poichà se 0 aumenta uno dei valori corrispondenti di O,, cresce e l'altro decresce, à necessario prendere la differenza (e non la somma) delle due espressioni di d cos O,, con i due segni davanti alla radice nella (16,6). Tralasciando i passaggi intermedi, scriviamo la formula finale

V2 l +- cos 26

sen 6 d0 "6 va (0 < 9 4 ernax). l/' sen2 0

3. Determinare nel sistema l l'intervailo dei valori che puà prendere l'an- golo O formato dalle direzioni delle traiettorie d i due particelle generate i n una disintegrazione.

Soluzione. L'angolo 6 à la somma O , + O2 degli angoli definiti dalla for- mula (16,5) (vedi problema 1); la cosa piu semplice nel caso considerato à di calcolare la tangente di questo angolo. L'analisi degli estremi dell'espres- sione ottenuta dà i seguenti intervalli dei valori possibili di 6 in funzione della velocità relativa V e di ulo e (poniamo sempre v20 > vio):

O < 6 < n se vio < V < v20;

~ - 9 ~ < 0 < n se V<uio;

0 < 0 < em se v > v209

dove il valore € à dato dalla formula

$ 17. Urto elastico di particelle

L'urto d i due particelle à detto elastico se esso non comporta modificazioni del loro stato interno. Perciò quando si applica la legge d i conservazione dell'energia ad un urto di questo tipo, si puà non tener conto dell'energia interna delle particelle.

La descrizione matematica dell'urto assume un'espressione pifi semplice in un sistema di riferimento dove i l centro di massa d i ambedue le particelle sia in quiete (sistema C); come nel paragrafo precedente, useremo l'indice O per denotare i valori delle grandezze

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URTI DI PARTICELLE 83

i n questo sistema. Le velocità delle particelle prima dell'urto nel sistema C sono legate con le loro velocità v^ e v2 nel sistema d i laboratorio dalle relazioni

dove v = v i - v, [cfr. (13,2)1. In virtii della legge d i conservazione dell'impulso, gli impulsi

di ambedue le particelle restano dopo l 'urto uguali in grandezza ed opposti in direzione; in virtfi della legge d i conservazione dell'ener- gia, restano immutat i anche i loro valori assoluti. I n questo modo, nel sistema C, i l risultato dell'urto s i riduce solo all'inversione d i di- rezione delle velocità delle due particelle. Se indichiamo con no i l versore nella direzione della velocità della particella ml dopo l'urto, le velocità di ambedue le particelle dopo l 'urto (che indichiamo con un apice) saranno:

Per tornare al sistema di laboratorio, à necessario aggiungere a queste espressioni la velocità V del centro di massa. Otteniamo cosi per le velocità delle particelle dopo l 'urto nel sistema I:

Con questo espressioni si esauriscono le inforniivioni che si possono ottenere sugli urt i utilizzando solo le leggi d i conservazione dell'im- pulso e dell'energia. Riguardo alla direzione del versore n,,, essa dipende dalla legge d'interazionc fra le ~icirlicelle e dalla loro reci- proca posizione durante l'urto.

I risultati ottenuti si possono interpretare geometricamente. A questo scopo à p i ~ comodo passare dalle velocità agli impulsi. Moltiplicando le uguaglianze (17,2) risj~(~1tivaniente per m, ed m2, otteniamo:

(m = mlmyKml + m,) 6 la massa ridotta). Tracciamo una circon- ferenza di raggio mu e facciamo la costruzione indicata nella fig. 15.

-+ -+ + Se i l versore no à diretto lungo OC, i vettori A C e CB danno rispetti- vamente gli impulsi p, e p2. Se i pi e p2 sono fissati i l raggio del cer- chio e la posizione dei punti A e B non variano, mentre i l punto C puà prendere una posizione qualsiasi sulla circonferenza.

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84 CAPITOLO QUARTO

Consideriamo pifi dettagliatamente i l caso in cui una delle parti- celle (per esempio, ma) Ã in quiete prima dell'urto. In questo caso l a

lunghezza OB = = mu coincide con il raggio, cioà i l punto B m,+mz

Fig. 15

giace sulla circonferenza. I l vettore AB coincide con l'impulso pi del- la prima particella prima dell'urto; inoltre, i l punto A si trova all'in- terno del cerchio (se',ml <m2) o all'esterno (se mi > m2), I rispettivi

diagrammi sono rappresentati nella fig. 16, a e b. Gli angoli O1 e 63 che vi sono indicati sono gli angoli di deflessione delle particelle dopo l 'urto rispetto alla direzione d i incidenza (direzione d i pl). L'angolo al centro indicato nella figura con l a lettera x (che dà la direzione di no) rappresenta l'angolo di deflessione della prima particella nel siste- ma del centro d i massa. à evidente dalla figura che gli angoli O1 e O 2

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URTI DI PARTICELLE 85

si possono esprimere in funzione dell'angolo y con le formule m2 sen x

t g 61 = n-x 2 ' m* + m2 cos O2 = -

Scriviamo anche le formule che danno i valori assoluti delle velocità di ambedue le particelle dopo l 'urto in funzione dello stesso angolo x:

La somma 0" + O 2 6 l'angolo formato dalle due direzioni lungo le quali le particelle si allontanano dopo l'urto. E evidente che O^ + + O , > n12 per mi < m2, e Ol + O 2 < n12 per ml > m2-

Fig. 17

Nel caso in cui le due particelle dopo l 'urto si muovono sulla stes- sa retta (à urto frontale È si ha x = n, cioà i l punto C si trova o sul diametro a sinistra del punto A (fig. 16; a; p; e p, sono in questo caso reciprocamente opposti) oppure t ra i punti A e O (fig. 16,b; p[ e p; hanno allora lo stesso verso).

Le velocità delle particelle dopo l 'urto sono date dalle formule:

vi prende qui i l valore massimo possibile; quindi l'energia massima che la particella perseverante inizialmente in quiete puà acquistare in seguito all 'urto Ã

dove E1 = Ã l'energia iniziale della particella incidente.

Se mi < m 2 , l a velocità della prima particella dopo l 'urto puà avere qualsiasi direzione. Se invece ml > m2, l'angolo di deflessione della particella incidente non puà superare un certo valore massimo

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86 CAPITOLO QUARTO

corrispondente alla posizione del punto C (fig. 16, b) per cui l a retta AC à tangente alla circonferenza. evidente che sen €lim = = OCJOA, ossia

m2 sen€limax= m*

(1798)

L'urto di particelle d i massa uguale (di cui una à inizialmente in quiete) s i puà descrivere in modo particolarmente semplice. In que- sto caso i punti B ed A stanno tu t t i e due sulla circonferenza (fig. 17). Si ha:

x " - X * = T ' " 2 7 , (4799)

Notiamo che le particelle s i allontanano l'una dall'altra dopo l 'urto secondo direzioni mutuamente perpendicolari.

P R O B L E M A

Esprimere, mediante gli angoli di deflessione nel sistema l , la velocità dopo l'urto di due particelle di cui, inizialmente, una (ml) à in moto e un'altra (mg) in quiete.

Soluzione. La fig. 16 ci d i p; = 2 -0.8 .cos O2 oppure m

V; = 2v - cos O,. m2

Per l'impulso p{ = A C abbiamo l'equazione OC^= do^+ p[^-2AO-p[ cos 0,

ovvero

Di qui

(per mi > m, sono validi davanti alla radice ambedue i segni, e per m, > m,, 8010 il segno +).

$ 18. Diffusione di particelle

Abbiamo già visto nel paragrafo precedente che per determinare completamente il risultato dell'urto d i due particelle (determinazio- ne dell'angolo v) à necessario risolvere le equazioni del moto, tenendo conto di una ben determinata legge d'interazionr fra le particelle.

In accordo con l a regola generale, considereremo dapprima i l pro- blema equivalente della deflessione di una particella di massa m nel campo U (r) d i un centro di forze immobile (posto nel centro d i passa delle due particelle).

Come à stato detto nel $ 14, l a traiettoria di una particella in un campo centrale à simmetrica rispetto alla retta passante per il punto

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URTI DI PARTICELLE 87

dell'orbita piii vicino a l centro (OA nella fig. 18). Per questo i due asintoti dell'orbita intersecano questa retta formando con essa ango- l i uguali. Se indichiamo con c p o questi angoli, l'angolo d i deflessione

della particella nel punto p i ~ vicino a l centro à come si vede dalla figura,

x = I n - 290 l * (1871) L'angolo ( p o 6 dato, secondo l a formula (14,7), dall'integrale

M - dr r2

,o= '\ ,, W ' (18'2) ,h 2m[E-U(r}\--- r2

preso tra la distanza minima della particella dal centro e l'infinito. Ricordiamo che rmin à radice dell'espressione sotto il radicale.

Fig. 18

Nel caso d i un moto infinito, come à i l nostro, à comodo utilizzare, in luogo delle costanti E ed M, la velocità vw della particella all'in- finito e i l parametro p, chiamato distanza d'urto. Quest'ultima rap- presenta i l segmento d i perpendicolare abbassata dal centro alla direzione d i uso, cioà la distanza dal centro alla quale la particella passerebbe se non esistesse i l campo d i forze (fig. 18). L'energia e i l momento angolare, espressi in funzione d i queste grandezze, sono

e la formula (18,2) si scrive come segue: m dr

r2 muk

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88 CAPITOLO QUARTO

Insieme con la (18,l) essa determina la dipendenza d i y da p. Nelle applicazioni fisiche s i lia spesso a che fare non con l a devia-

zione d i à § n particella singola, ma con la diffusione d i un fascio d i particelle uguali che incidono sul centro diffusore con la stessa velociti'! v,. Lo diverse particelle (le1 fascio hanno distanze d'urto diversi1 e\ ~~ispet t ivaniente , vengono diffuse con angoli x diversi. Sia dX il numero di piirticelle diffuse, nell 'unità d i tempo, nelll,ingolo compreso tra r y + dy. Per caratterizzare i l processo di diffusione questo numero non à adatto d i per sé perchà dipende dalla densitA del fascio incidente (à ad essa proporzionale). Introducianlo percih il rapporto

d N do-= - n ' (18,5)

dove à C i l numero di particelle passanti nell'unitA d i tempo per l ' u n i t i d i superficie di una se7ione trasversale del fascio (partiamo naturalmente dal pressnpposto che il fascio sia omogeneo in ogni sua seziontl). Questo rapporto Iia la dimensione di u n a superficie e si dice sezione efficace di diffusione, o sezione d'urto. Esso 6 conipleta- mente determinato dalla forma del campo diffusore e costituisce la pi6 importante caratteristica della diffusione.

Considereremo la relazione t ra e o biunivoca: auesto si verifica ,. , quando l'angolo di diffusione 6 11na funzione monotona decre- scente della distanza d'urto. In questo caso in un dato inter- vallo (y, y - dy) verranno diffuse soltanto quelle particelle la cui distanza d'urto à compresa t ra p (y) e p (y) + dp (v). I l numero di queste particelle à uguale a l prodotto d i n per la superficie della cororiti circolare compresa t ra le circonferenze d i raggi p e p + do, cioà d X = 2np dp . n. La sezione d'urto 5 quindi

d a = 2np dp. (18,6)

Per trovare la dipendenza della sezione d'urto dall'angolo d i diffusione, Ã sufficiente scrivere questa espressione nella forma

Abbiamo scritto qui i l valore assoluto della derivata dp/dy, in quanto essa puà essere anche negativa (come à d i solito) l ) . Spesso da s i riferisce non ad un elemento d'angolo piano dy, ma ad un elemento (l'angolo solido do. L'angolo solido t ra due coni di apertura y e y + + dy à do --= 2.n sen '/ dy. Dalla (18,7) troviamo quindi:

Ritornando a l problema della diffusione d i un fascio d i particelle non da parte d i un centro d i forza immobile, ma da parte di altre

l) Se la funzione p (v) Ã polidroma, Ã necessario evidentemente prendere la somma di espressioni del tipo (18,7) per tut t i i rami della funzione.

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URTI DI PARTICELLE 89

particelle inizialmente in quiete, possiamo affermare che la formula (18,7) definisce la sezione d'urto in funzione dell'angolo di diffusione nel sistema del centro d i massa. Per trovare la sezione d'urto in funzio- ne dell'angolo 6 nel sistema d i laboratorio, Ã necessario esprimere in questa formula x con O , secondo la (17,4). S i ottiene cosi l'espres- sione della sezione di diffusione sia per le particelle del fascio inci- dente (esprimendo x in funzione di 01), sia per le particelle inizial- monte in quiete (esprimendo x in funzione di 02).

P R O B L E M I

1. Determinare la sezione di diffusione delle particelle da parte di una sferetta perfettamente rigida di raggio a (cioà con una legge d'interazione tale che U = m per r < a ed U = O per r > a).

Soluzione. Poichà all'esterno della sferetta la particella si muove libera- mente mentre dentro non puà assolutamente penetrare, la traiettoria consta

Fig. 19

d i due rette simmetriche rispetto a l raggio passante per i l punto d'intersezione con la sferetta (fig. 19). Come si vede dalla figura

Riportando queste espressioni nella (18,7) o nella

na2 a2 - d ~ = ~ s e n x d X = - d o , 4

(18,8\, otteniamo:

(1)

cioà la diffusione à isotropa nel sistema C. Integrando da rispetto a tutti gli angoli, vedremo che la sezione totale o = ira2 à in accordo con i l fatto che l'area d'urto, s u cui deve incidere una particella per essere diffusa, à precisa- mente l'area della sezione della sferetta.

Per passare a l sistema 1, bisogna esprimere y i n funzione di 01, secondo la (17,4). I calcoli sono del tut to analoghi a quelli fatti nel problema 2 del $ 16 [in virtfi della somiglianza formale delle formule (17,4) e (16,5)]. Per m, < m, (m, massa della particella, m, massa della sferetta) si ha - -

m2

do i a2

dai = - 4

- "i3 -

l+-cos 20, 2 3 cos 0, + m i

/- m2 'I/ l - 4 e n 2

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90 CAPI~OLO QUARTO

(do, = 2n sen 0,d6,). Se invece m, < m,, si ha:

Per mi = rnà si ha: do, = a2 1 cos 0, 1 do,,

che si puà ottenere anche con la sostituzione diretta x = 20, (secondo la (17,9)) nella (1).

Per sferette inizialmente in quiete, si ha sempre y = n - 26.; sostituendo nella (1) v con l'espressione ottenuta, abbiamo:

da, = a2 \ cos 6, 1 do,.

2. Nello stesso caso del problema precedente esprimere la sezione d'urto come funzione dell'energia e perduta dalle particelle diffuse.

Soluzione. L'energia perduta dalla particella m-, Ã uguale all'energia acqui- stata dalla particella m,. Utilizzando la (17,5) e la (17,7) otteniamo

2m!m2 2 & = E ' - uoo sen2 Ã = emax sen2 - X '- (mi+ mA2 2 2 ' da cui

1 d~ = - &max sen x d x . 2

Facendo un'appropriata sostituzione nella formula (1) del problema 1, otte- niamo:

de da==na2-. Emax

La distribuzione secondo-i valori di e delle particelle diffuse à uniforme in tutto l'intervallo di e da zero a emax.

3. Trovare la dipendenza della sezione d'urt3 dalla velocità voo delle parti- celle nella diffusione in un campo U r-".

Soluzione. Conformemente alla (10,3), se l'energia potenziale à una funzione omogenea di grado k = -n, per le traiettorie simili si ha p o in un'altra forma:

P = vz2Inf (x) (per le traiettorie simili gli angoli di deviazione y sono uguali). Riportando la formula ottenuta nella (18,6), troviamo che

d o do. 4. Determinare la sezione per una à caduta à delle particelle nel centro

di un campo U = -a/r2. Soluzione. Le particelle che à cadono à nel centro sono quelle per le quali

à soddisfatta la condizione 2a > mp%k [vedi la (14,11)], cioà la loro distanza d'urto non supera il valore pmar = \/2a/rnv&. Donde la sezione cercata Ã

5. Lo stesso problema 4 per un campo U = -a/rn (n > 2, a > 0).

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URTI DI PARTICELLE

Soluzione. L'energia potenziale efficace

data in funzione di r , ha la forma rappresentata nella fig. 20, con un valore massimo

n (11-2) a ( m p ~ c O y ~

(Uctr)max = uo= 2

Le particelle che à cadono à nel centro sono quelle per le quali U,, < E. Deter- minando pmax dalla condizione U,, = E, otteniamo:

6. Determinare la sezione per la caduta di particelle (di massa m-,) sulla superficie di un corpo sferico (di massa m; e di raggio R ) , versa cui esse sono at t rat te secondo la legge di Newton.

'}

Fig. 20

Soluzione. La condizione di caduta à data dalla disuguaglianza r m i n < < R , dove rmin à i l punto della traiettoria della particella pik vicino a l centro della sfera. I l valore massimo possibile d i p à determinato dalla condizione rmin = R equivalente alla condizione espressa dall'equazionc Uerf ( R ) = E, ovvero

con a = ymlmf (y à la costante gravitazionale), dove abbiamo posto m W m, considerando ma >> ml. Ricavando di qui troviamo:

o = n R 2 1+2^2 . ( a d Quando voo -+ 00, l a sezione tende, evidentemente, all'area geometrica della sezione della sfera.

7. Stabilire la forma del campo diffusore U (r) data la dipendenza della sezione efficace dall'angolo d i diffusione e data un'energia E; si suppone che U ( r ) sia una funzione monotona decrescente di r (campo repulsivo), con U (0) > E , U (m) = 0. (O. 5. Firsov, 1953.)

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92 CAPITOLO QUARTO

Soluzione. L'integrazione di dorispetto all'angolo di diffueione determina, secondo la formula

i l quadrato della distanza d'urto in modo tale da poter considerare come data la funzione p (x) [e con essa anche la funzione y (p)].

Introduciamo le notazioni

Le formule (18,l) e (18,2) si possono s c r i v ~ r e allora nel modo seguente:

dove so (2) Ã la radice dell'equazione

L'equazione (3) à un'equazione integrale della funzione W (s); essa puà essere risolta con un metodo analogo a quello utilizzato nel  12. Dividendo - i due membri della (3) per '[/a - x ed integrando rispetto a dx nell'inter- vallo da zero ad a, troviamo:

oppure, integrando per parti i l primo membro dell'uguaglianza:

Deriviamo la relazione ottenuta rispetto ad a, dopo di che possiamo scrivere s in luogo d i so (a) e sostiture a con sZ/wz. Scrivendo l'ultima uguaglianza i n forma differenziale, otteniamo:

ovvero

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URTI DI PARTICELLE 93

Questa equazione puà essere integrata direttamente, ma nel secondo membro à necessario cambiare l'ordine d'integrazione i n dx e d (s/w). Tenendo conto che per s = O (cioà r ~ i - m) s i deve avere W = 1 (cioà U = O), e tornando alle variabili r e p, si ottiene i n definitiva i l seguente risultato (in due forme equi- valenti):

Questa formula determina in modo implicito l'andamento di W (r) [e quindi di U (r)] per tu t t i gli r > rmin, cioà nel campo dei valori di r che rappresentano la traiettoria di una particella diffusa d'energia data E.

19. Formula d i Rutherford

Uno dei pifi importanti casi di applicazione delle formule ottenute sopra à quello della diffusione di particelle cariche in un campo coiilombiano.

Ponendo nella (18,3) U = a / r e facendo un'integrazione elemen- tare, si ottiene:

a - mVmp cpO -= arccos

da cui

ossia, ponendo secondo la (18,l) cpO = (n - x) /2:

Derivando questa espressione rispetto a e riportando i l risultato nella (18,7) o nella (18,8), si ottiene:

cos $ d a = x (+I2 -

mvm sen3 2 d i

2 ovvero

Questa à la formula di Rutherford. Notiamo che la sezione efficace non dipende dal segno di a, e il risultato ottenuto à valido in misura ugua- le per un campo coulombiano sia attrativo sia repulsivo.

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94 CAPITOLO QUARTO

La firmula (19,3) dà la sezione efficace in un sistema d i riferimen- to in eli i l centro di massa delle particelle in collisione à a riposo. 11 Passaggio a l sistema d i laboratorio viene effettuato con l'aiuto del- la formila (17,4). Per le particelle che sono inizialmente in quiete si ottieie, sostituendo x = JI - 2OZ nella (19,2):

Per le barticelle incidenti, invece, la trasformazione dà in generale una formula molto complicata. Notiamo soltanto due casi particolari.

Se 1;. massa m2 della particella bersaglio à grande in confronto alla massa ?z1 della particella proiettile, allora si puà porre x w 61 ed m m m : ottenendo:

dove E = rn1v&/2 Ã l'energia della particella incidente. Se le masse d i ambedue le particelle sono uguali (ml = m2,

m = m1/2), allora, secondo l a (17,9), x = 201, e l a sostituzione nella (1972) dà

Nel caso in cui le particelle non solo abbiano una massa uguale, ma siano identiche, la distinzione delle particelle dopo la diffusione in due grtppi: quelle inizialmente in moto e quelle inizialmente in quiete, ' ~ o n ha alcun senso. Sommando da^ e da^ e sostituendo O1 e O z con un Valore comune 0, otteniamo la sezione d'urto per tut te e due le ~ a r t i ( ; ~ l l ~ :

Mediante la formula generale (19,2) cerchiamo d i determinare la distribuzione delle particelle diffuse rispetto all'energia da esse per- duta in seguito all'urto. Per un rapporto arbitrario t ra l a massa (ml) della Particella proiettile e l a massa (m2) della particella ber- sagllo 14 velocità acquistata da quest'ultima viene espressa in fun- zione dell'angolo di diffusione nel sistema C dalla relazione

[vedi la (17,5)1. Di conseguenza, l'energia acquistata da questa par- ticella, e quindi perduta dalla particella mi, Ã uguale a

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URTI DI PARTICELLE 95

Di quiesprimendo sen ( ~ 1 2 ) in funzione di e e riportando nella (19,2) otteniamo:

Questa formula dà la risposta a l problema posto in quanto essa de- termina la sezione d'urto in funzione della perdita d'energia e; questa puà assumere tu t t i i valori da zero a emaX = 2m2v200/m2.

P R O B L E M I

1. Trovare la sezione di diffusione in un campo U = a/r2 ( a > 0 ) . Soluzione. L'angolo di deflessione Ã

2. Trovare la sezione efficace nel caso di diffusione prodotta da una; buca di potenziale à sferica di raggio a e di à profondità à U n {cioà U = O per ri> a, U = -U, per r < a ) .

/

Fig. 21

Soluzione. La traiettoria rettilinea della particella, entrando ed uscendo dalla buca, si à rifrange v . Secondo il problema del 3 7 , gli angoli d'incidenza a e di rifrazione t3 (fig. 21) sono legati dalla relazione

L'angolo di deflessione à x = 2 (a - p). Si ha dunque:

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96 CAPITOLO QUARTO

Eliminando a da questa uguaglianza e dalla relazione

a sen a = p

(evidente dalla figura), si ottiene la relazione tra p e y nella forma

Infine, differenziando questa uguaglianza, si ottiene la sezione

x x ( n cm--I) (.-COS-) a W

da=-- 2

do. X ( 1 + n z - 2 ~ COS- 4 cos - 2 , I 2 2

L'angolo '/ varia nei limiti da zero (per p = 0) sino al valore xmax (per p = a) determinato dall'uguaglianza:

La sezione totale che si ottiene integrando da rispetto a tut t i gli angoli interni del cono x < xmax à evidentemente uguale all'area della sezione geometrica na2.

$ 20. Diffusione a piccoli angoli

I l calcolo della sezione d'urto s i semplifica notevolmente se si prendono in considerazione soltanto le collisioni che avvengono a grandi distanze d'urto, dove i l campo U à cosi debole che gli angoli di deflessione sono, corrispondentemente, piccoli. I l calcolo si puà eseguire subito nel sistema del laboratorio, senza introdurre i l sistema del baricentro.

Facciamo coincidere l'asse delle x con la direzione dell'impulso iniziale della particella proiettile (mi) e i l piano xy con i l piano di diffusione. Indicando con p; l'impulso della particella dopo l a dif- fusione, abbiamo l'uguaglianza:

sen = e. P1

Nel caso di piccole deflessioni si puà sostituire approssimativamente sen 6, con 9, e , nel denominatore, p. con l'impulso iniziale pi = - mivoo:

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URTI DI PARTICELLE 97

In seguito, poichà p y = l'asse y Ã

Per la forza, poi, si ha

Fy, l'incremento totale dell'impulso lungo

Poichà l'integrale (20,2) contiene già l a grandezza piccola U , si può calcolandolo, considerare con l a stessa approssimazione che la particella non devii affatto dalla traiettoria iniziale, cioà che si muova di moto rettilineo (lungo la retta y = p) e uniforme (con velocità usa). Poniamo quindi nella (20,2)

ed otteniamo:

Infine, passiamo dall'integrazione rispetto a dx all'integrazione rispetto a dr. Poichà per una traiettoria rettilinea abbiamo r2 = = x2 + p2, quando x varia da -W a + W, r varierà da oo a p e poi di nuovo a W. Percià l'integrale rispetto a dx si trasforma nel doppio dell'integrale rispetto a dr nei limiti da p a W con dx sostituito da

Si ottiene infine per l'angolo di diffusione (20,l) la seguente espressione1):

che determina la relazione cercata t ra 6, e p per una piccola defles- sione. La sezione d'urto (nel sistema I) s i ottiene da una formula identica alla (18,8) (con € in luogo d i y); à anche qui possibile sostituire sen Ol con 61:

l) Se tut to i l nostro ragionamento si f a nel sistema C , si ottiene per x la stessa espressione con m i n luogo di m^, in relazione a l fatto che i piccoli angoli 6, e y sono legati, i n accordo con la (17'4). dalla relazione

m2 6. = mi +m2Xa

7 - 0 5 6 3

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98 CAPITOLO QUARTO

1. Dedurre la formula (20,3) dalla formula (18,4). Soluzione. Per evitare divergenze fittizie degli integrali, scriviamo la (18,4)

nella forma

dove come limite superiore abbiamo preso una grande quantità R, avendo l'intenzione di passare poi al limite R Ñ> W . Dato che U à piccolo, sviluppiamo i l radicale secondo le potenze di U e sostituiamo approssimativamente rmm con p:

Il primo integrale, dopo i l passaggio a l limite R + W , dà n/2. Il secondo, dopo un'integrazione per parti, ci dà l'espressione

equivalente alla formula (20,3). 2. Determinare la sezione per diffusione a piccoli angoli in un campo

U = a/rn (n > 0). Soluzione. Abbiamo, secondo la (20,3),

Ponendo = u, l'integrale si riduce ad un integrale B d'Eulero che si esprime mediante funzioni T:

Esprimendo p in funzione di 6, e sostituendo nella (20,4), si ottiene:

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Capitolo V

PICCOLE OSCILLAZIONI

21. Oscillazioni libere unidimensionali

Un tipo molto diffuso di movimento nei sistemi meccanici à rap- presentato dalle cosiddette piccole oscillazioni che un sistema compie in prossimità della sua posizione d'equilibrio stabile. Cominciamo a studiare questi movimenti dal caso piti semplice, quando i l sistema h a un solo grado d i libertà

All'equilibrio stabile corrisponde una posizione del sistema in cui la sua energia potenziale U (q) à minima; uno spostamento da questa posizione genera una forza - dU/dq che tende a riportare i l sistema nella sua posizione originaria. Indichiamo con q. i l valore della coor- dinata generalizzata corrispondente. Per piccole deviazioni dalla posizione d'equilibrio, nello sviluppo della differenza U (q) - U (qo) in potenze d i q - q. à sufficiente conservare i l primo termine non nul- lo. Nel caso generale tale à i l termine del secondo ordine

dove k à un coefficiente positivo (il valore della derivata seconda à Un (q) per q = qo). Nel seguito misureremo l'energia potenziale a partire dal suo valore minimo [cioè porremo U (qo) = 01 e indiche- remo con

x = q - Q 0 (2191) lo spostamento della coordinata dal suo valore nella posizione d'equi- librio. Cosi,

kx2 U (x) = - 2 ' (2192) Nel caso generale l'energia cinetica di un sistema con un solo gra-

do d i libertà si puà esprimere nella forma:

Nella stessa approssimazione à sufficiente sostituire l a funzione a ( } 7 con i l suo valore per q = qo. Introducendo per brevità la notazione )

a (q01 = m? l) Sottolineiamo, però che la grandezza m coincide con la massa soltanto

se 2- Ã la coordinata cartesiana della particella. 7'

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100 CAPITOLO QUINTO

otterremo la seguente espressione per la funzione lagrangiana di un sistema che compie piccole oscillazioni unidimensionalil):

L'equazione del moto corrispondente a questa funzione si scrive: . . mx+kx=O, (21'4)

ovvero

dove

L'equazione differenziale lineare (21,5) ha due soluzioni indipenden- ti: cos (ut e sen (ut, cosicchà la sua soluzione generale Ã

x = ci cos cot + c2 sen cot. (21,7) Questa espressione si puà scrivere anche nel modo seguente:

x = a cos (cot + a). (2129 Poichà cos ((ut + a ) = cos wt cosa - sen (ut sen a, un confronto con la (21,7) mostra che le costanti arbitrarie a ed a sono legate al- le costanti ci e c2 dalle relazioni

Cosi, intorno alla sua posizione d'equilibrio stabile il sistema com- pie un moto oscillatorio armonico. I l coefficiente a davanti al fattore periodico nella (21,8) si chiama ampiezza delle oscillazioni, e l'argo- mento del coseno, la loro fase; a à il valore iniziale della fase che dipende, evidentemente, dalla scelta dell'origine dei tempi. La gran- dezza a à la frequenza ciclica delle oscillazioni; nella fisica teorica questa grandezza si chiama brevemente frequenza, termine che anche noi useremo.

La frequenza à la caratteristica fondamentale delle oscillazioni, indipendente dalle condizioni iniziali del moto; come segue dalla for- mula (21,6), essa à completamente definita dalle proprietà del siste-, ma meccanico come tale. l3 da notare, però che questa proprietà del- la frequenza à dovuta all'ipotesi d i piccole oscillazioni e viene meno se si va ad approssimazioni di grado p i ~ elevato. Dal punto di vista matematico cià significa che questa proprietà à connessa alla dipen- denza quadratica dell'energia potenziale dalla coordinata2).

) Un tale sistema à detto spesso oscillatore lineare. 2) Essa viene meno se la funzione U (x) ha, per x = O, un minimo di ordine

pih elevato, cioà U c-0 a;", n > 2 (vedi problema 2 a, $ 11).

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PICCOLE OSCILLAZIONI

L'energia d i un sistema che compie piccole oscillazioni Ã

oppure, sostituendovi la (21,8):

L'energia à proporzionale a l quadrato dell'ampiezza delle oscillazioni. A volte risulta comodo rappresentare la dipendenza della coor-

dinata dal tempo d i un sistema oscillante sotto forma della parte reale d i un'espressione complessa

x = Re {AeiUt}, (21'11)

dove A Ã una costante complessa; scrivendo la (21,4) nella forma

ritorniamo all'espressione (21,8). La costante A Ã chiamata ampiezza complessa; i l suo modulo coincide con l'ampiezza ordinaria, e i l suo argomento con l a fase iniziale.

Dal punto di vista matematico à p i ~ semplice operare con fattori esponenziali anzichà trigonometrici, poichà la derivazione non cambia la loro forma. Nelle operazioni lineari (addizione, moltiplicazione per coefficienti costanti, integrazione, derivazione), s i puà general- mente trascurare i l segno che mette in evidenza la parte reale, riser- vandosi di fare questo passaggio soltanto nel risultato finale del cal- colo.

P R O B L E M I

1. Esprimere l'ampiezza e la fase iniziale delle oscillazioni mediante i valori iniziali x,, e v,, della coordinata e della velocità

Risposta: r-

2. Trovare i l rapporto delle frequenze ca e a' delle oscillazioni di due mole- cole biatomiche composte di atomi di isotopi diversi; le masse degli atomi sono rispettivamente m,, m, ed mi , mi.

Soluzione. Poichà gli atomi degli isotopi interagiscono allo stesso modo, k = k'. Le masse ridotte delle molecole fungono allora da coefficienti m nelle energie cinetiche. Si ha perciò secondo la (21,6),

3. Trovare la frequenza delle oscillazioni di un punto con massa m, suscet- tibile di moto su una retta e attaccato a una molla avente l'altro estremo fissato in un punto A (fig. 22) ad una distanza I dalla retta. La molla, quando la sua lunghezza à I, à tesa da una forza F.

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102 CAPITOLO QUINTO

Soluzione. L'energia potenziale della molla à uguale (a meno di infinitesimi d'ordine superiore) a l prodotto della forza F per l'allungamento 61 della molla. Per x < 1 si ha:

per cui U = Fx2/21. Poichà l'energia cinetica à mx'^/2, si ha allora

4. Risolvere i l problema precedente per i l caso in cui il punto m si muove lungo una circonferenza di raggio r (fig. 2 3 ) .

Fig. 22 Fig. 23

Soluzione. In questo caso l'allungamento della molla (per (p < 1) h r (;+T) 6 ;=vrz+(~+r )2 -2 r ( ;+ r ) coscp-l%; -(p2.

21

L'energia cinetica à T = Ñmr2rp2 Quindi la frequenza à 2

W= rlm -

5 . Trovare la frequenza delle oscillazioni del pendolo rappresentato nella fig 2 , il cui punto di sospensione (di massa ml) puà muoversi lungo una retta orizzontale.

Soluzione. Per (p << 1 la formula ottenuta nel problema 3 del 5 14 dÃ

Quindi

6. Determinare la forma della curva lungo la quale (in un campo gravita- zionale) un punto materiale à animato da un moto oscillatorio tale che la fre- quenza delle oscillazioni non dipende dall'ampiezza.

Soluzione. La condizione posta sarà soddisfatta da una curva lungo la quale la particella puntiforme animata da un moto avrà un'energia potenziale U = = ks^/2, dove s à la lunghezza dell'arco misurata a partire dalla posizione d'equi-

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PICCOLE OSCILLAZIONI 103

librio; l'energia cinetica sarà allora T = m W (dove m à la massa della particel- la) -. e la frequenza delle oscillazioni m = non dipenderà dal valore iniziale di S.

Ma nel campo di gravità U = mgy, dove y à la coordinata verticale. Quindi si ha t312 = mgy, ossia

D'altra parte, ds2 = da:% + dyB, quindi

Per facilitare l'integrazione facciamo la sostituzione

g y=-(1-cos E ) . 4u2

Si ha allora:

Queste due uguaglianze determinano in forma parametrica l'equazione della curva cercata che à una cicloide.

$ 22. Oscillazioni forzate

Consideriamo ora le oscillazioZ di un sistema soggetto all'azione d i un campo esterno variabile; ta l i oscillazioni si chiamano~/orzate a differenza delle oscillazioni studiate nel paragrafo precedente, che sono dette libere. Poichà le oscillazioni si suppongono piccole, ne se- gue che i l campo esterno deve essere sufficientemente debole; in caso contrario, esso potrebbe provocare uno spostamento x troppo grande.

Nel caso considerato in questo paragrafo, i l sistema possiede oltre 1 alla propria energia potenziale n- kx2 un'energia potenziale Ue (x, t)

dovuta all'azione del campo esterno. Sviluppando anche questo ter- mine in serie di potenze della grandezza piccola x, si ottiene

Il primo termine à funzione solo del tempo e puà quindi essere omes- so nella funzione lagrangiana (come derivata totale rispetto a t di un'altra funzione del tempo). Nel secondo termine, l a derivata -9Uel9x 6 l a u forza à esterna che agisce sul sistema nella posizione d'equilibrio; essa à una funzione data del tempo e l a indicheremo con F (t). Nell'energia ~o tenz ia l e appare cosi i l termine -xF (t) per cui la funzione lagrangiana del sistema sarÃ

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104 CAPITOLO QUINTO

L'equazione del moto corrispondente à . . m x + k x = F ( t ) ,

oppure

dove abbiamo nuovamente introdotto l a freq-iinza co delle oscillazio- ni libere.

Come à noto, la soluzione generale d i un'equazione differenziale lineare non omogenea con coefficienti costanti s i ottiene sotto forma di una somma di due espressioni: x = x0 + x1, dove xo à la soluzione generale dell'equazione omogenea ed x1 un integrale particolare dell'equazione non omogenea. Nel caso considerato x0 rappresenta le oscillazioni libere studiate nel paragrafo precedente.

Consideriamo ora un caso di particolare interesse in cui la forza esterna à anch'essa una funzione periodica semplice del tempo di frequenza y:

F ( t ) = f w s (y t H). (223)

Cerchiamo un integrale particolare dell'equazione (22,2) sotto forma x-, = b cos (yt + 6) con lo stesso fattore periodico. Sostituendo nell'equazione, s i ha b = / /m ( a 2 - y2); aggiungendo l a soluzione dell'equazione omogenea, si ottiene l'integrale generale della form

Le costanti arbitrarie a ed a sono determinate dalle condizioni ini- ziali.

Dunque, sotto l'azione d i una forza esterna periodica, il sistema compie un moto che si puà rappresentare come una sovrapposizione di due oscillazioni, l 'una con l a frequenza propria del sistema w e l 'altra con la frequenza della forza esterna y.

La soluzione (22,4) non à applicabile al caso della cosiddetta risonanza quando la frequenza della forza che provoca le oscillazioni del sistema coincide con la frequenza d i quest'ultimo. Per trovare in questo caso la soluzione generale dell'equazione del moto, cambiando appropriatamente i l valore delle costanti, scriviamo l'espressione (22,4) nella forma

Quando +- a , i l secondo termine genera una indeterminazione del tipo 010. Applicando la regola di L'H-pital, si ottiene:

f x = a ~ o s ( w t + a ) + ~ ~ m m tsen (<ot+P). (22'5)

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PICCOLE OSCILLAZIONI 105.

Cosi, nel caso di risonanza, l'ampiezza delle oscillazioni cresce linear- mente con i l tempo (finchà le oscillazioni non cessano di essere piccole e tu t ta la teoria esposta diventa non applicabile).

Cerchiamo di chiarire ugualmente la forma che assumono le piccole oscillazioni vicino alla risonanza allorchà y = m + e, dove e à una grandezza piccola. Scriviamo la soluzione generale in forma complessa

x = Aeiat + Bei<.a+~)t E ( A + Beiet) eimt. (2296)

Poichà la grandezza A + BeiEt varia poco nel corso di un periodo 2:r[/co del fattore e i ~ t il moto vicino alla risonanza si puà considerare come una piccola oscillazione di ampiezza, però variabile1).

Indicando l'ampiezza con C, avremo:

Esprimendo A e B rispettivamente nella forma aeiz e beiP, otterremo:

C2 = a2 + b2 + 2ab cos (et -t - a). (22,7)

Cosi, l'ampiezza oscilla periodicamente con frequenza e, variando fra i due limiti

a - b l < C < a + b .

Questo fenomeno à chiamato battimenti. L'equazione del moto (22,2) puà essere integrata anche in forma

generale, qualunque sia la forza esterna F (t). Cià à facile se scriviamo preliminarmente l'equazione nella forma

ossia

dove à stata introdotta la grandezza complessa

L'equazione (22,8) non à pih del secondo ordine, ma del primo. Senza i l secondo membro la sua soluzione sarebbe E; = Aeiat con A costan- te. Seguendo la regola generale, cerchiamo per l'equazione non omo- genea una soluzione del tipo = A (t) ei^ ed otteniamo per la fun- zione A ( t ) l'equazione

l) Varia pure i l termine à costante à nella fase delle oscillazioni.

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t 06 CAPITOLO QUINTO

Integrando, otteniamo l a soluzione dell'equazione (22,9):

dove la costante d'integrazione I,, à i l valore d i nell'istante t = 0. Questa à l a soluzione generale cercata; la funzione x (t) à data dalla parte immaginaria dell'espressione (22,IO) (divisa per io^)').

ovvio che l'energia di un sistema che compie oscillazioni forzate non si conserva; i l sistema attinge energia dalla sorgente della forza esterna. Determiniamo l'energia totale ceduta a l si- stema durante tut to i l tempo in cui la forza agisce (da -m a + m ) , supponendo nulla l'energia iniziale. Secondo la formula (22,10) (con -m in luogo d i zero come limite inferiore dell'integrazione e con (-m) = 0) s i ha per t -+ m:

D'altra parte, l'energia del sistema come tale à data dall'espressione

Ponendo qui 1 (m) 12, otteniamo per l'energia ceduta i l valore

essa à dunque definita dal quadrato del modulo della componente di Fourier della forza F ( t ) con frequenza uguale alla frequenza propria del sistema.

In particolare, se la forza esterna agisce soltanto per un breve

intervallo di tempo piccolo rispetto a , si puà porre z 1. Allora abbiamo:

( l )

00

E =-L 2m ( j F (t) d t j 2 . -m

Questo risultato à evidente a priori: esso significa che una forza di m

breve durata communica a l sistema un impulso Fdt, senza riu-

scire in un tempo cosi breve a provocare uno spostamento sensibile.

l) S'intende che la forza F ( t ) deve essere qui scritta in forma reale.

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PICCOLE OSCILLAZIONI 107

P R O B L E M I

1. Nell'istante iniziale t = O un sistema riposa nello stato d'equilibrio 4 x = O, x = 0). Determinare le oscillazioni forzate del sistema sotto l'azione -di una forza F (t) per i seguenti casi:

a) F = costante = Fo. - fa Risposta: x = - (1 - cos (ut); l'azione di una forza costante provoca rnm3

uno spostamento dalla posizione d'equilibrio attorno alla quale avvengono le oscillazioni.

b) F == at. a

Risposta: x = - (tit - sen ( # ) t ) . ma3

C) F = ~ ~ e - ^ . F o a Risposta: x ¥ (e-^ - cos ~ t 4- - sen ~ t ) .

rn(ti2 + a2) O)

d ) F = F ~ P - ~ ~ ~ O S $t. Jf isposta:

x= Fo { - (ti2 + a 2 - 6 2 ) cos tit -1 m [(a2+ a2- $2)2 + 4 ~ * $ ~ ]

+ E (ti24-a^4- $2) sen a t + e'at [ ( ( ~ ~ - ! - a ~ - $ ~ ) cos pt-2a$ sen p]}

(si troverà pifi facilmente questa soluzione scrivendo la forza in forma com- plessa F = F ~ ~ ( - ~ + ~ ^ ] .

Fig. 24 Fig. 25

2. Determinare l'ampiezza finale delle oscillazioni di un sistema dopo l'azione di una forza esterna che varia secondo la legge F = O er t < O, F = = FotlT per O < t < T, F = Fo per t > T (fig. 24); fino afi'istante t = O ,il sistema à in quiete nella posizione d'equilibrio.

Soluzione. Nell'intervallo di tempo O < t < T, le oscillazioni che soddi- -sfano la condizione iniziale hanno la forma

x=- (fflt-senmt). mTw3

Per t > T cerchiamo una soluzione del tipo Fo x=cicos(o(t-T)+c2sena (t-T)+- ma2 '

Dalla condizione di continuità di x ed x per t = T ricaviamo:

ci= -L s e (or, cg = ÑÑ Fo (1 - cos aT). mTa3 mTco

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1 08 CAPITOLO QUINTO

Quindi l'ampiezza delle oscillazioni Ã

Notiamo che essa à tanto pifi piccola, quanto pifi lentamente si a inserisce Ã

la forza F n (cioà quanto piii grande à T ) . 3. Risolvere il problema 2 nel caso di una forza costante Fu che agisce

per un tempo limitato T (fig. 25) .

Fig. 26 Fig. 27

Soluzione. Si puà seguire lo stesso metodo che nel problema 2, ma à pih semplice servirsi della formula (22, lO) . Per t > T abbiamo oscillazioni libere attorno alla posizione x = 0 ; allora

i l quadrato del modulo dà l'ampiezza secondo la formula 1 E l 2 = a z d . Si ottiene infine:

4. Risolvere i l problema 2 nel caso di una forza agente in un intervallo da zero a T secondo la legge F = Fyt /T (fig. 26) .

Soluzione. Usando lo stesso metodo si ottiene:

a=- F0 " ~ / u T z - ~ W T sen wT + 2 ( 1 - cos @T) . T m a 3

5. Risolvere i l problema 2 nel caso di una forza che varia in un intervallo di tempo da zero a T = 2 d m secondo la legge F = Fa sen mt (fig. 27).

Soluzione. Sostituendo nella (22,lO) F F ( t ) = Fo sen mt = 2 (ei0"- e-'"') 2i

ed integrando da zero a T : otteniamo: F n a=-¡ ma2 '

$ 23. Oscillazioni dei sistemi con p i ~ gradi di libertÃ

La teoria delle oscillazioni libere dei sistemi con piii (s} gradi di libertà puà essere costruita analogamente alla teoria delle oscillazio- ni unidimensionali considerate nel $ 21.

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PICCOLE OSCILLAZIONI 109

Supponiamo che l'energia potenziale U di un sistema, come fun- zione delle coordinate generalizzate qi (i = 1, 2, . . ., s), abbia u n minimo per qi = qio. Introducendo i piccoli spostamenti

xt = qi - OÌ (23,l)

e sviluppando U rispetto ad essi sino a i termini del secondo ordine, otteniamo per l'energia potenziale la forma quadratica definita posi- tivamente

dove contiamo di nuovo l'energia potenziale a partire dal suo valore minimo. Poichà i coefficienti kik e k f i entrano nella (23,2) moltipli- ca t i per l a stessa grandezza xixk, à chiaro che s i possono considerare sempre simmetrici rispetto ai loro indici

kik=kki.

Nell'espressione dell'energia cinetica, che generalmente puà esse- re scritta nella forma

Ivedi la (5,5)1, sostituiamo i coefficienti qi = qio; indicando le CO-

s tant i aift (qo) con /reik, otteniamo l'energia cinetica come forma qua- dratica positivamente definita

Anche i coefficienti mik possono essere considerati sempre simmetrici rispetto ai loro indici

= "lfti.

Dunque, un sistema che compie piccole oscillazioni libere ha per funzione d i Lagrange

Stabiliamo ora le equazioni del moto. Per determinare le derivate, scriviamo i l differenziale totale della funzione di Lagrange:

Poichà i l valore della somma non dipende ovviamente da come si denotano gli indici della sommatoria, scambiamo nel primo e terzo termine tra parentesi i con k e k con i; tenendo conto della simmetria

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dei coefficienti mih e kih, otteniamo . . dL = (miftxft dxi - ktk-~hdxi).

i , h

Da questa formula à chiaro che

Le equazioni di Lagrange sono quindi

Esse rappresentano un sistema di s (i = 1, 2, . . ., s) equazioni dif- ferenziali lineari omogenee con coefficienti costanti.

Seguendo l a regola generale d i risoluzione di equazioni di questo tipo, cerchiamo le s funzioni incognite xk ( t ) nella forma

dove A k sono costanti da determinare. Sostituendo la (23,6) nel siste- ma (23,5), otteniamo dopo la divisione per eàa un sistema di equazio- ni algebriche lineari omogenee cui debbono soddisfare le costanti Ah:

Affinchà questo sistema abbia soluzioni differenti da zero, occor- re che i l determinante dei coefficienti si annulli

L'equazione (23,8), detta equazione caratteristica, Ã un'equazione di grado s in ca2. Essa ha, in generale, s radici reali positive distinte cak, a = 1, 2, . . ., s (in casi particolari alcune di queste radici possono coincidere). Le grandezze (ua cos! definite sono dette frequenze proprie del sistema.

Il fatto che le radici dell'equazione (23, 8) sono reali e positive à evidente a priori da considerazioni fisiche. Infatti, se Q) avesse una parte immaginaria, cià significherebbe l'esistenza nelle relazioni (23,6), che definiscono le coordinate xk in funzione del tempo (e anche delle velocità xh), di un fattore esponenziale crescente o decrescente- Ma l'esistenza di un tale fattore à inammissibile in questo caso, poi- chà porterebbe alla variazione con il tempo dell'energia totale del sistema E = U + T, cosa in contraddizione con la legge di conser- vazione.

Alla stessa conclusione si puà giungere con un metodo puramente matematico. Moltiplicando l'equazione (23,7) per Af e sommando

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PICCOLE OSCILLAZIONI

poi rispetto ad i, s i ottiene

2 ( - ca2mik + kih) A+ O , i , k

da cui

Essendo i coefficienti kik ed mik reali e simmetrici, le forme quadra- tiche al numeratore e a l denominatore d i questa espressione sono reali; infatti,

Queste forme sono essenzialmente positive e, di conseguenza, Ã posi- tiva la grandezza dl).

Sostituendo nelle equazioni (23,7) le frequenze aa con i valori trovati, otterremo i valori corrispondenti dei coefficienti Ah. Se tut te le radici ma dell'equazione caratteristica sono diverse, i coefficienti Ah sono proporzionali, come à noto, a i minori del determinante (23,8), nel quale ca à stata sostituita dal corrispondente valore ma. Indichia- mo questi minori con Aha. La soluzione particolare del sistema d i equazioni differenziali (23,5) à quindi.

dove Ca à una costante (complessa) arbitraria. La soluzione generale à data dalla somma di tut te le s soluzioni

particolari. Prendiamo di esse solo la parte reale e la scriviamo nella forma

xk = Re { ~ ~ ~ ~ ~ e ' ' Â ¥ > a * s Ahaea, a= l a

(2399)

dovd abbiamo posto ea =Re {cae"-'at}. (23910)

In t a l modo, l a variazione col tempo d i ciascuna delle coordina- te del sistema rappresenta la sovrapposizione d i s oscillazioni perio- diche semplici e,, e 2 , . . ., O s di ampiezze e d i fasi arbitrarie ma d i frequenze del tut to determinate.

*) Il fatto che la forma quadratica costruita con i coefficienti k ik sia definita positiva, risulta evidente dalla definizione di quest'ultimi nella (23'2) per i valori reali delle variabili. Se scriviamo perà le grandezze complesse Ah in forma esplicita ah 4 ibk, otterremo (sempre in virtfi della simmetria di kik) :

cioà la somma di due forme definite positive.

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112 CAPITOLO QUINTO

Sorge qui una domanda spontanea: Ã possibile scegliere le coordi- nate generalizzate in modo tale che ciascuna d i esse compia una sola oscillazione semplice? La forma stessa dell'integrale generale (23,9) indica la via per risolvere questo problema.

I n effetti, considerando le s relazioni (23,9) come un sistema di equazioni con s incognite possiamo, risolvendo questo sistema, esprimere le grandezze @i, e 2 , . . ., es mediante le coordinate xi, x2, . . ., xa. Le grandezze @a si possono considerare quindi come nuove coordinate generalizzate. Queste coordinate sono dette normali (o principali) e le loro oscillazioni periodiche semplici, oscillazioni normali del sistema.

Le coordinate normali Qa soddisfano, come segue dalla loro defi- nizione, le equazioni

Cià significa che le equazioni del moto in coordinate normali s i se- parano in s equazioni indipendenti. L'accelerazione di ciascuna coor- dinata normale dipende soltanto dal valore di questa stessa coordinata e per determinarne completpmente l'andamento nel tempo occorre conoscere il valore iniziale soltanto della coordinata stessa e della corrispondente velocità I n al tr i termini, le oscillazioni normali del sistema sono completamente indipendenti.

Da quanto detto risulta in modo evidente che la funzione di La- grange, espressa in coordinate normali, s i separa in una somma di e- spressioni ciascuna delle quali corrisponde ad una oscillazione linea- re d i frequenza ma, cioà assume la forma

L= 2 ?.~(6;-~-.&) 2 J a , (23,121

a

dove ma sono costanti positive. Dal punto d i vista matematico cià significa che le due forme quadratiche: energia cinetica (23,3) ed energia potenziale (23,2) vengono ridotte contemporaneamente dalla trasformazione (23,9) ad una forma diagonale.

Le coordinate normali vengono scelte solitamente in modo tale che i coefficienti dei quadrati delle velocità nella funzione lagran- giana siano uguali a 112. f3 sufficiente a questo scopo determinare le coordinate normali (indichiamole ora con Qa) dalle uguaglianze

Qa = V m a ~ a . (23,13) Allora

1 L = ,- 3 (9;- ";Q;).

a Quanto esposto sopra cambia poco nel caso in cui fra le radici

dell'equazione caratteristica alcune sono multiple. La forma genera- le (23,9), (23,lO) dell'integrale delle equazioni del moto resta inal-

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PICCOLE OSCILLAZIONI 113

tera ta (con lo stesso numero s eli tenniiii), con la sola differenza che i coefficienti A;,,, corrispondenti alle frequenze multiple non sono pi6 i minori del determinante i quali , come 6 noto, in questo caso s i annullano l ) .

A ciascuna frequenza mult ipla (o, come s i dice, degenere) corri- spondono tante coordinate normali diverse quanto à i l grado d i mol- tepl ic i t i , ina la scelta d i queste coordinate non à univoca. Dato che le coordinate normali (con la stessa W,-,) entrano nell'energia cinetica

e ~lell 'energia potenziale sotto forma d i somme ^Qr, e 2Q; con proprieti1 identiche di t rasfor ina~ione, le s i pu6 sottoporre a qualsiasi trasformazione lineare che lasci invar iante l a somma dei quadrati .

La determinazione delle coordinate normali per oscillazioni tri- d i m e n s i o ~ i ~ ~ l i di u n punto materiale che s i trova costantemente in 1111

campo esterno 6 assai semplice. Ponendo l 'origine di uri sistema (li coordinate cartesiane in 1111 piiiito di minimo dell'energia poi enziale U (,T, y. z ) , otteniamo qnest 'ult ima in ~ i n a forma quadratica delle variabili x, y, z , mentre l 'energia cinetica

(n1 6 la massa delle particelle) non dipende dalla scelta della direzione degli assi coordinati. Ã sufficiente quindi ridurre l'energia potenzia- lo. con [ma rotazione appropriata degli assi, ad una forma diagonale. Abbiamo allora

e lungo gli assi x, y, 'z s i hanno oscillazioni principali d i frequenze

Nel caso particolare d i u n campo a simmetria centrale (li1 ki, = = ky = k, U = kr^/2), queste t re frequenze coincidono (vedi pro- blema 3).

L'liso delle coordinate normali permette d i ridurre il problema delle oscillazioni forzate di un sistema con pifi gradi d i libert; a l problema delle oscillazioni forzate unidimensionali. Tenendo conto dell'azione d i forze esterne variabili , l a funzione d i Lagrange del sistema assume la forma

l) 11 fatto che nell'integrale generale non possono comparire accanto ai fattori esponenziali anche fattori algebrici dipendenti dal tempo à evidente dalle stesse considerazioni fisiche che escludono l'esistenza di à frequenze Ã

complesse: la presenza di ta l i fattori contraddirebbe la legge di conservazione dell'energia.

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114 CAPITOLO QUINTO

dove Lo à la lagrangiana delle oscillazioni libere. Sostituendo alle coordinate xk le coordinate normali, s i ottiene:

L=;Z ( Q ~ - U M ) + ~ Q.. (23,16) a a

dove

Le equazioni del moto sono allora

e contengono ciascuna una sola funzione incognita Q a ( t ) .

P R O B L E M I

1. Determinare le oscillazioni di un sistema con due gradi d i libertà se la sua funzione d i Lagrange Ã

(due sistemi unidimensionali identici con frequenza propria un, legati dall'inte razione -axy).

Soluzione. Le equazioni del moto sono

La sostituzione (23,6) dà

L'equazione caratteristica à ((o; - co2)2 = az, da cui @=$-a, c o 2 - 3 2-fflo+a-

Per o = col le equazioni (1) danno A X = Au, e per co = wZ A x = -Ag . Di conseguenza,

(il coefficiente 1/1/2corrisponde alla normalizzazione delle coordinate indicata nel testo).

Per a < (legame debole), abbiamo:

La variazione di x ed y rappresenta i n questo caso la sovrapposizione d i due oscillazioni di frequenze vicine, cioà ha un carattere di battimenti con fre- quenza uà - col = a h o (vedi $ 22). Notiamo che nell'istante in cui l'ampiezza della coordinata x raggiunge i l suo massimo, l'ampiezza della coordinata y raggiunge i l suo minimo, e viceversa.

2. Determinare le piccole oscillazioni d i un pendolo piano doppio (fig. l).

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PICCOLE OSCILLAZIONI 115

Soluzione. Per piccole oscillazioni ((p, < 1, qi., < 1) la funzione di Lagrange, trovata nel problema 1 del 5 5, assume la forma

Dopo la sostituzione (23,6) abbiamo:

A l (mi + ma) ( g lico2) - A2a2m2& = O , - A l l l ~ ' ^ + A 2 ( g à ‘ l 2 ~ 2 ) = O

Le radici dell'equazione caratteristica sono:

Quando m i + m , le frequenze tendono ai limiti mi e m2 che corrispon- dono alle oscillazioni indipendenti dei due pendoli.

3. Trovare la traiettoria di una particella in un campo centrale U = k r w (oscillatore spaziale).

Soluzione. Come in ogni campo centrale, il moto avviene in un piano. Sia questo il piano xy. La variazione di ciascuna coordinata x, y à un'oscillazione semplice di una stessa frequenza a = vkk/m:

x = a cos (mt + a) , y = b cos ( a t + 6) ovvero

x = a cos c p , y = b cos (cp + 6) = b cos 6 cos cp - b sen 8 sen (p,

dove à stato posto q = a t + a, 6 = P - a. Ricavando di qui cos cp e sen q e formando la somma dei loro quadrati. si ottiene l'equazione della traiettoria:

x 2 y2 2xy -+--- cos &=se$& a2 b2 ab

che rappresenta un'ellisse avente per centro l'origine delle coordinate1). Per 8 = O oppure n, la traiettoria degenera in segmenti di retta.

j 24. Oscillazioni delle molecole

Se s i ha un sistema d i particelle interagenti, ma non poste in un campo esterno, non tu t t i i gradi d i libertà del sistema hanno carattere oscillatorio. Le molecole sono un tipico esempio di sistemi d i questo genere. Oltre a i movimenti che rappresentano oscillazioni degli

l) I l fatto che in un campo d'energia potenziale U = k f l 2 i l moto possa avvenire lungo una curva chiusa, à stato già notato nel 5 14.

8*

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116 CAPITOLO QUINTO

atomi intorno alla loro posizione d'equilibrio all'interno della molecola, la molecola in blocco puà compiere moti traslazionale e ro- tazionale.

Al moto di traslazione corrispondono tre gradi di libertà ed altrettanti ne possiede generalmente il moto di rotazione; dei 3n gradi di liberti d i una molecola n - atomica, 372 - 6 corrispondono quindi a un moto oscillatorio. Fanno eccezione molecole nelle quali tu t t i gli atomi sono distribuiti lungo una retta. Poichà parlare di rotazione intorno a questa retta non ha senso in questo caso, esistono solamente due gradi di liberth corrispondenti al moto di rotazione; quindi i moti oscillatori possiedono 3n - 5 gradi di libertà

Per risolvere i l problema meccanico delle oscillazioni di una mole- cola, à opportuno escludere sin dall'inizio i gradi di libertà corrispon- denti ai moti traslazionali e rotazionali.

Per eliminare i l moto di traslazione, à necessario porre uguale a ze- ro l'impulso totale della molecola. Questo significa immobilità del siio centro di massa, ci; che si p116 esprimere matematicamente ponendo uguali a costanti le tre coordinate di quest'ultimo. Posto rn = rno -L u,, (dove rao à il raggio vettore della posizione immobi- le d'equilibrio dell'a - esimo atomo ed ua il suo spostamento da que- sta posizione), scriviamo la condizione

2, mara = costante = 2 marao

nella forma h a u n = 0. (24, l)

Per eliminare la rotazione della molecola occorre porre uguale a zero il suo momento angolare totale. Dato che il momento angolare non à la derivata totale rispetto a l tempo di una funzione delle coor- dinate, questa condizione non puà essere espressa, in generale, ponen- do uguale a zero una funzione d i questo tipo. Il caso delle piccole oscillazioni rappresenta, però un'eccezione. Infatti, ponendo ancora ra = rao + u0 e trascurando gli infinitesimi del secondo ordine negli spostamenti ua, scriviamo i l momento angolare della molecola nella forma

La condizione perchà esso scompaia puà essere espressa, in questa ap- prossimazione, nel seguente modo:

ma [raoual = O ( 2 4 2 ) (l'origine delle coordinate puà essere scelta qui arbitrariamente).

Le oscillazioni normali di una molecola si possono classificare secondo il carattere del moto degli atomi, partendo da considerazioni legate alla simmetria della configurazione degli atomi nella molecola

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PICCOLE OSCILLAZIONI 117

(posizione d'equilibrio). Esiste a questo scopo un metodo generale' basato sull'uso della teoria dei gruppi; questo metodo verrà esposto in un altro volume del presente corso1). Ci limiteremo per ora a qual- che esempio elementare.

Se tu t t i gli n atomi della molecola s i trovano in un medesimo pia- no, si possono distinguere le oscillazioni normali che lasciano gli atomi in questo piano da quelle che l i fanno uscire da questo piano. facile stabilire i l numero d e l l e oscillazioni dell'uno e dell'altro tipo poichà per un moto piano ci sono in tutto 2r1 gradi d i libertà dei quali due d i traslazione e uno di rotazione, il numero delle oscillazioni normali che lasciano gli atomi nel piano à uguale a 2n - 3. Gli altri (3n - 6) - (2n - 3) = n - 3 gradi di libertà del moto oscillatorio corrispondono alle oscillazioni che fanno uscire gli atomi dal piano.

Nel caso di una molecola lineare, si possono distinguere le oscilla- zioni longitudinali che ne conservano la forma rettilinea dalle oscilla- zioni che fanno uscire gli atomi dalla retta. Poichà al moto di n parti- celle su una linea corrispondono n gradi di libertà di cui uno traslazio- naie, il numero d i oscillazioni che non fanno uscire gli atomi dalla retta à uguale ad n - 1. Essendo 3n - 5 il numero totale di gradi di libertà del moto oscillatorio di una molecola lineare, le oscillazioni che portano gli atomi fuori dalla retta sono quindi 2n - 4. A queste oscillazioni corrispondono, però in tut to n - 2 frequenze distinte, poichà ognuna di queste oscillazioni pu6 essere realizzata in due mo- di indipendenti, cioà in due piani reciprocamente (passanti per l'asse della molecola); dalle considerazioni di simme- tria risulta chiaramente che ciascuna coppia di oscillazioni normali ha un'unica frequenza.

1. Determinare le frequenze delle oscillazioni di una molecola lineare, simmetrica, triatomica A B A (fig. 28). Si suppone che l'energia potenziale della molecola dipenda solo dalle distanze A - B e B - A e dall'angolo A B A .

Soluzione. Gli spostamenti longitudinali degli atomi xi, a-,, xy sono legati, in virtfi della (24,1), dalla relazione

Con l'aiuto di questa formula eliminiamo x, dalla funzione di Lagrange del moto longitudinale della molecola

l) Vedi Meccanica quantistica, 5 100. 2, Per le oscillazioni di molecole pih complesse si veda M. V o 1 k e n -

s t e i n, M . E l j a s C e v i C, B. S t e p a n o v, Kolebania molekul (Oscil- lazioni delle molecole), Gostechizdat, 1949, Mosca; G. H e r z b e r g, Mole- cular Spectra and Molecular Structure, Van Nostrand, 1945, New York.

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118 CAPITOLO QUINTO

dopo di che, introducendo le nuove coordinate

(p = 2mA + mn à la massa della molecola). Da questa relazione si vede che Qa e Q. sono coordinate normali (a meno della normalizzazione). La coordinata

Fig. 28

Qa corrisponde a una oscillazione antisimmetrica rispetto al centro della molecola (21 = scy; fig. 28, a) con frequenza

La coordinata Qy corrisponde a una oscillazione simmetrica (xl = -3-3; fig. 28,b) con frequenza

Gli spostamenti trasversali degli atomi yl , y,, yg sono legati, in virtfi delle ( 2 4 , l ) e (24,2), dalle relazioni

(oscillazione simmetrica della curvatura; fig. 2 8 , ~ ) . Scriviamo l'energia poten- ziale di curvatura della molecola nella forma k 2 W / 2 , dove 6 Ã la deviazione dell'angoio ABA da n; questa deviazione si esprime mediante gli sposta- menti nel seguente modo:

Esprimendo tutti gli spostamenti yi, yg, ys mediante 6, otteniamo la funzione di Lagrange dell'oscillazione trasversale -nella forma

da cui la frequenza Ã

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PICCOLE OSCILLAZIONI 119

2. Risolvere problema 1 per una molecola ABA di forma triangolare (fig. 29). Soluzione. Secondo le (24,l) e (24,2),le componenti degli spostamenti

u degli atomi nelle direzioni X ed Y (fig. 29) sono legate dalle relazioni

"A ( ~ 1 + ~ 3 ) + mgXs = 0. IY

A I

"t, (YI + Y3) + m ~ Y i = 0,

sen a (y, - y3) - cos a (xl + x3) = 0. D x

Le variazioni 61, e 6& delle distanze A - B LJ

e B - A si ottengono roiettando i vettori u, - u, ed u3 - u, suyle rette AB e B A :

6 4 = (x, - x2) sen a + (yl - y2) cos a , & = - (x3 - xf} sen a + (y3 - yz) cos a. La variazione dell'angolo ABA si ottiene proiettando gli stessi vettori sulle direzioni perpendicolari ai segmenti A B e B A :

1 i=-[(xi-x2) cosa-(yi-yd seria]+ 2

A

+L [-(x3-x2) cosa- (y3- y2) sen a]. 2 Fig. 29 La funzione di Lagrange della molecola Ã

Introducendo le nuove coordinate

Q a = ~ i + ~ 3 * qst=xi-~3, q s ~ = ~ i + i / 3 , le componenti dei vettori u si possono esprimere con le seguenti relazioni:

Dopo i necessari calcoli, otteniamo per la funzione di Lagrange

-- l ( k ~ e n 2 a + 2k2 cosa a) - qj2 L (kt cosa a +2k2 sen2 a ) + 4 4m-n

(2k2 - kl) sen a cos a. -t ?sl?s2 - Imi Risulta da questa relazione che la coordinata Qa corrisponde ad un'oscillazione normale di frequenza

antisimmetrica rispetto all'asse Y (xl = x3, y, = -v3; fig. 29,a).

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120 CAPITOLO QUINTO

Le coordinate q 1 e qs2 corrispondono insieme a due oscillazioni (simmetriche rispetto all'asse Y: xl = -x3, yl = y3; fig. 29,b e e ) le cui frequenze aSl e as2 sono definite come radici dell'equazione caratteristica di secondo grado in a2:

Per 2a = JI queste frequenze coincidono con quelle che sono state trovate nel problema 1.

Fig. 30

3. Risolvere i l problema 1 per una molecola lineare asimmetrica A B C (fig. 30).

Soluzione. Gli spostamenti longitudinali ( x ) e trasversali (y) degli atomi sono legati dalle relazioni

Scri\iamo l'energia potenziale d i allungamento e di curvatura nella forma

(21 = I-, + l ? ) . Calcoli analoghi a quelli del problema 1 ci danno il valore

per la frequenza dell'oscillazione, trasversale e l'equazione di secondo grado (in co2)

per le frequenze col, e a;, delle due oscillazioni longitudinali.

$ 25. Oscillazioni smorzate

Finora abbiamo sempre supposto che i l moto dei corpi avvenga nel vuoto o che s i possa trascurare l'influenza del mezzo sul moto. I n realtà quando un corpo si muove in un mezzo, quest'ultimo eserci- ta una resistenza che tende a rallentare il moto. I n questo caso l'energia del corpo si trasforma alla fine in calore o, come si dice, viene dissipata.

In queste condizioni i l moto non à pifi un processo puramente meccanico, ed i l suo studio richiede che si tenga conto del movimen- to del mezzo stesso e dello stato termico interno sia del mezzo che del

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PICCOLE OSCILLAZIONI 121

corpo. I n particolare, non si puà in generale considerare che l'accele- razione d i un corpo in moto sia funzione soltanto delle sue coordinate e della velocità in un istante dato; in al t r i termini, non esistono equa- zioni del moto nel senso comunemente usato in meccanica. In t a l modo, i l problema del moto d i un corpo in un mezzo non à pih un problema d i meccanica.

Esiste, però t u t t a una categoria d i casi in cui i l moto in un mezzo puG essere descritto approssimativamente mediante le equazioni della meccanica, introducendovi alcuni termini supplementari. Tale è i l caso, per esempio, delle oscillazioni di frequenze piccole a confronto con le frequenze che caratterizzano i processi interni dissipativi del mezzo. Se questa condizione à soddisfatta s i pu6 ritenere che i l corpo sia soggetto all 'azione di una forza di attrito dipendente (per un dato mezzo omogeneo) soltanto dalla sua velocità

Se poi questa velocità à sufficientemente piccola, si puà sviluppa- re in potenze Ai essa la forza d i attri to. I l termine di ordine zero dello sviluppo à nnllo, poichà nessuna (forza d i a t t r i to agisce su un corpo immobile, e i l primo termine non nullo dello sviluppo à quindi pro- porzionale alla velocità In ta l modo la forza generalizzata d 'a t t r i to f n t i r agente su un sistema che compie piccole oscillazioni unidimen- sionali con coordinata generalizzata x pu6 essere scritta nella forma

dove a à un coefficiente positivo e il segno meno sta a significare che la forza agisce nel verso opposto a quello della velocità Aggiungendo questa forza a l secondo membro dell'equazione del moto, ottenia- mo (cfr. (21,4))

Dividiamo questa espressione per m e poniamo

dove o. Ã la frequenza delle oscillazioni libere del sistema in assenza d i attri to. La grandezza A s i chiama coefficiente di smorzamentol).

La nostra equazione Ã

Seguendo le regole generali d i risoluzione delle equazioni lineari a coefficienti costanti, poniamo x == e r e otteniamo per r l'equazione caratteristica

l) I I prodotto adimensionale \T (dove T = 2n lw à i l periodo) à detto decremento logaritmico d i smorzamento.

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122 CAPITOLO QUINTO

La soluzione generale dell'equazione (25,3) Ã

x = cierit + c2er^t, ri, = -A Â va2 - (o:. Qui occorre distinguere due casi. Se A < (oo, abbiamo per r due valori complessi coniugati. La so-

luzione generale dell'equazione del moto puà allora essere scritta nella forma

dove A à una costante arbitraria complessa. Questa formula si puà scrivere anche come segue:

x = ae->Â¥ cos (@t +a), co = (o: -k2,

dove a ed a sono costanti reali. Queste formule descrivono il moto delle cosiddette oscillazioni smorzate. Un'oscillazione smorzata puà essere considerata come oscillazione armonica con ampiezza decre- scente esponenzialmente. La velocità con la quale l'ampiezza decresce à determinata dal coefficiente A, e la à frequenza à co delle oscillazio- ni à minore di quella delle oscillazioni libere in assenza d'attrito; per A < (oo la differenza tra co e (oo à un infinitesimo del secondo ordi- ne. Una diminuzione della frequenza in presenza d'attrito ci s i do- veva aspettare a priori, poichà l'attrito in generale rallenta il moto.

Se A < (oo, l'ampiezza dell'oscillazione smorzata quasi non varia nel corso di un periodo 2n/co. In questo caso, ha senso considerare solo i valori medi (nel corso di un periodo) dei quadrati della coor- dinata e della velocità trascurando la variazione del fattore e-". Questi quadrati medi sono evidentemente proporzionali a e-2". Percià anche l'energia del sistema diminuisce in media secondo la legge -

E= Eoe-2ki P5.5)

dove E. Ã i l valore iniziale dell'energia. Sia ora A > (un. In questo caso entrambi i valori di r sono reali

e negativi. La forma generale della soluzione Ã

Vediamo che in questo caso, che si presenta per un attrito sufficien- temente grande, il moto consiste nella diminuzione di 1 x 1, cioà nell'approssimarsi asintoticamente (per t Ñ> m) alla posizione d'e- quilibrio. Questo tipo di moto à chiamato smorzamento aperiodico.

Considerando infine il caso particolare in cui à = coo, troviamo che l'equazione caratteristica ha una sola radice (doppia) r = -h.

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PICCOLE OSCILLAZIONI 123

Com'Ã noto, la soluzione generale dell'equazione differenziale Ã

x = (ci +c2t) e-at. (25,7) Questo à un caso particolare di smorzamento aperiodico che, come i l precedente, non ha pifi carattere oscillatorio.

Per un sistema con pifi gradi di libertà le forze d'attrito generaliz- zate, corrispondenti alle coordinate xi, sono funzioni lineari delle velocità del tipo

Partendo da considerazioni puramente meccaniche, non si puà trarre nessuna conclusione riguardo alla simmetria dei coefficienti aik rispetto agli indici i e k. I metodi della fisica statistica I) permettono perà di mostrare che sussiste sempre l'uguaglianza

Di conseguenza, le espressioni (25,s) si possono scrivere come derivate 9F

f i a t t r = -7 ax,

(25; 10)

della forma quadratica

chiamata funzione di dissipazione. Le forze (25'10) debbono essere aggiunte a l secondo membro delle

equazioni di Lagrange

La funzione di dissipazione ha di per sà un significato fisico importante: essa determina l'intensità della dissipazione d'energia nel sistema. Di questo à facile convincersi calcolando la derivata ri- spetto al tempo dell'energia meccanica del sistema. Abbiamo:

Poichà F à una funzione quadratica delle velocità per il teorema di Eulero sulle funzioni omogenee la somma del secondo membro del- l'uguaglianza vale 2F. Quindi

l) Vedi Fisica statistica, 3 121.

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124 CAPITOLO QUINTO

cioà la velocità d i variazione dell'energia del sistema à data dal doppio della funzione d i dissipazione. Poichà i processi dissipativi causano una diminuzione d'energia, deve sempre essere F > O, cioà la forma quadratica (25,11) à sempre positiva.

Le equazioni delle piccole oscillazioni in presenza d'attrito si ottengono aggiungendo le forze (25,8) al secondo membro delle equa- zioni (23,5):

Ponendo in queste equazioni Xh = Akert ,

e dividendo poi per ert, otteniamo un sistema di equazioni algebriche lineari per le costanti Ab

Ponendo uguale a zero il determinante di questo sistema, troviamo l'equazione caratteristica che d i i valori di r:

L'equazione ottenuta à di grado 2s rispetto ad r. Poichà tu t t i i suoi coefficienti sono reali, le sue radici sono o reali o complesse coniugate a coppie. Le radici reali sono sempre negative, mentre le radici complesse hanno solo la parte reale negativa. Se questo non si verificasse, le coordinate, le velocità e con esse l'energia del sistema, crescerebbero esponenzialmente col tempo, mentre la presenza di forze dissipative deve portare ad una diminuzione dell'energia.

$ 26. Oscillazioni forzate in presenza d'attrito

Lo studio delle oscillazioni forzate in presenza d'attrito à del tutto analogo a quello delle oscillazioni senza attrito (cfr. $ 22). Ci soffermeremo qui dettagliatamente sul caso di particolare interes- se quando la forza che provoca le oscillazioni à periodica.

Aggiungendo al secondo membro dell'equazione (25,1) la forza esterna f cos y t e dividendo per m, s i ottiene l'equazione del moto nel- la forma

Poichà à comodo risolvere questa equazione in forma complessa, sostituiamo cosy t con e*': . .

i + 2 ~ i + a i . c = ; e ' ~ t .

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PICCOLE OSCILLAZIONI 125

Cercando un integrale particolare nella forma x = Bew, trovia- mo per B:

Scrivendo B nella forma &ei6, abbiamo per b e 6:

Separando infine la parte reale dall'espressione Beiyt = beì(vt+Q otteniamo un integrale particolare dell'equazione (26,i); aggiungen- do a questo integrale la soluzione generale dell'equazione senza i l secondo membro (che noi scriviamo per i l caso in cui wo > A), otte- niamo:

x = a e - u c o s (tilt+a) -+ bcos (yt+6). (26'4)

Poichà i l primo termine decresce esponenzialmente col tempo, dopo un intervallo d i tempo abbastanza lungo resterà soltanto i l secondo termine:

x == b cos (yt + 6). (265) Sebbene l'espressione (26,3), che d i l'ampiezza b di una oscilla-

zione forzata, cresca quando la frequenza y tende a uO, essa non assu- me perà valori infiniti, come questo à avvenuto nel caso d i risonanza in assenza d'attrito. Per un'ampiezza data della forza f, l'ampiezza delle oscillazioni à massima quando l a frequenza y = vtili - 2Ë2 se A< uo, il valore differisce da (do solo per un infinitesimo del secondo ordine.

Consideriamo la regione in prossimità della risonanza. Poniamo y = wo + e, dove e à una quantità piccola; supponiamo anche che ?L< wo. Si puà allora considerare nella (26,2) con buona approssima- zione

y2- (02 = (y CO0) (V - "0) W 2 ~ ~ 6 , 2i>.y W 2 i b ,

cosicchÃ

Notiamo i l carattere particolare dell'andamento della variazione della differenza di fase 6 fra l'oscillazione del sistema e la forza ester- na al variare della frequenza di quest'ultima. Questa differenza à sempre negativa, cioà l'oscillazione à à in ritardo à rispetto alla forza esterna. Lontano dalla frequenza d i risonanza, per valori

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126 CAPITOLO QUINTO

y <; wO, 6 tende a zero, e per y > (DO tende a -n. La variazione d i 6 da zero a -n s i effettua in una stretta regione d i frequenze (di larghezza - A) vicine a uo; per y = (D,, la differenza d i fase assu-

n me i l valore - . Notiamo a questo proposito che in assenza d'attri- t o la fase dell'oscillazione forzata, per una variazione pari a n, fa un salto per y = tu,, (il secondo termine nella (22,4) cambia d i segno); l 'attrito à smussa à questo salto.

Stabilizzato il moto, quando i l sistema compie le oscillazioni forzate (26,5), l a sua energia resta costante. I l sistema assorbe conti- nuamente (dalla sorgente di una forza esterna) energia, che viene

Fig. 31

dissipata a causa dell'attrito. Indichiamo con I (y) la quantità di energia assorbita in media nell'unità d i tempo e considerata come funzione della frequenza della forza esterna. Secondo l a (25,13) si ha

I (y) = 2F, dove F Ã i l valore medio (per un periodo d'oscillazione) della funzio- ne di dissipazione. Per un moto unidimensionale l'espressione ( 2 5 , l l ) della funzione d i dissipazione assume l a forma F = ux2/2 = Amx2. Sostituendo qui l a (26,5), s i ottiene:

F = Ëmb2y sen2 (yt + O ) .

Poichà i l valore medio del quadrato del seno rispetto a l tempo à ugua- le a 112, si h a

I (y) = Ëmñ2y (26,8)

Vicino alla risonanza, sostituendo l'ampiezza dell'oscillazione ricavata dalla (26,7), abbiamo

Questo tipo d i dipendenza dell'assorbimento d i energia dalla frequenza si chiama dispersivo. I l valore di 1 e 1 per cui I ( E ) dimi- nuisce al valore metà del suo valore massimo raggiunto per E = O si chiama semilarghezza della curva d i risonanza (fig. 31).

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PICCOLE OSCILLAZIONI 127

Dalla formula (26,9) s i vede che, nel caso considerato, questa larghez- za coincide con il coefficiente di smorzamento A. L'altezza del valore massimo

à inversamente proporzionale a A. Cosi, a l decrescere del coefficiente di smorzamento, la curva di risonanza diventa pifi stretta e pifi alta; in altre parole, i l suo massimo diventa pifi acuto. Perà l'area com- presa sotto la curva d i risonanza resta immutata.

Questa area à data dall'integrale

Poichà I(&) decresce rapidamente a l crescere di 1 E l, cosicchà la regio- ne dei grandi valori di 1 E 1 non ha un'importanza sostanziale, si puà nell'integrazione usare per I (e) la forma (26,9) e prendere come limite inferiore - oo. Allora

P R O B L E M A

Determinare le oscillazioni forzate in cresenza d'attrito sotto l'azione di una forza esterna f = f,,eafcos ¥\'l

Soluzione. Risolviamo l'equazione del moto in forma complessa

Separiamo poi la parte reale della soluzione. Otteniamo come risultato un'oscil- lazinnc forzata nella forma:

x = beat cos (~ t+6)9 dove

$ 27. Risonanza parametrica

Esistono sistemi oscillanti non isolati in cui l'azione esterna si traduce in variazione dei loro parametri con il tempo l).

Un sistema ad una dimensione ha per parametri i coefficienti m e k nella funzione d i Lagrange (21,3); se essi dipendono dal tempo,

1) U n esempio semplice di questo genere à un pendolo il cui punto di sospen- sione compie un dato moto periodico lungo la verticale (vedi problema 3).

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128 CAPITOLO QUINTO

l'eqiiazione del moto si scrive:

Se in luogo d i t introduciamo una nuova variabile indipendente T

ta le che di = &m ( t ) , questa equazione assume la forma

Perciì di fatto, senza alcuna perdita d i generalità à sufficiente con- siderare nn'equazione del moto del t ipo

clie si ott iene se nella ( 27 , l ) poniamo m uguale a costante. LA forma della funzione a ( t ) viene da ta dalle condizioni del pro-

blema; supponiamo che questa funzione s ia periodica con una frequen- 7;i y (e (li periodo T - In y ) . Ci6 vuoi dire che

O ) ( t L T ) = OJ ( t )

e, d i conseguenza, t u t t a l 'equazione (27,2) 6 invariante rispetto a l la Irasforniti/iorie t + t +- T . Perci6 se x ( t ) à una soluzione clell'equa- zione, anche la funzione x ( t 2- T ) C una soluzione della stessa eqiia- zione. I n a l t r i termini, se xi ( t ) ed X , ( t ) sono due integrali indipen- dent i dell 'equazione (27,2), con la sostituzione t Ñ t + T essi si trasformano linearmente l 'uno nell 'al tro. Si pu6 l ) inolire scegliere xi ed x , in modo ta le che sostituendo t con t -+ T la loro variazione s i riduca semplicemente alla moltiplicazione per un fattore costante:

q ( t + T ) = ^ l ( t ) , J- , ( t + T ) = ^,.T.; ( I ) .

La forma piG generale delle funzioni avent i questa proprie t i

xl ( t ) = pt ( t ) , X , ( t ) = #Il2 ( t ) , (27.3)

dove 111 ( t ) e Il, ( t ) sono funzioni semplicemente periodiche del tempo (di periodo T).

Le costanti pl e p2 i n queste funzioni debbono essere legate da una determinata relazione. In fa t t i , moltiplicando le equazioni

. . . . X , + (9 ( t ) X i = 0 , x2 + m2 ( t ) x2 = O

rispettivamente per x , ed x, e sottraendo l 'una dall 'al tra, s i ottiene:

xtxZ - x1x2 -= costante.

l) A condizione che le costanti p, e p, non coincidano.

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PICCOLE OSCILLAZIONI 129

Ma per due qualsiasi funzioni xl ( t ) e x2 (t) del tipo (27,3) i l primo membro di questa uguaglianza viene moltiplicato per plp2 quando l'argomento t à sostituito da t -4- T. Perchà l'uguaglianza (27,4) sia soddisfatta, à indispensabile quindi che

Altre conclusioni sulle costanti pl e p2 si possono trarre nel caso in cui i coefficienti dell'equazione (27,2) sono reali. Se x ( t ) à un in- tegrale di questa equazione, la funzione complessa coniugata x* (t) deve soddisfare la stessa equazione. Quindi la oppia di costanti p,, p2 deve coincidere con la coppia p*, p*, cioà o s" eve verificarsi il caso h = p: 0 pl e p2 debbono essere reali. Nel primo caso, tenendo conto della (27,5), si ha p, = 1/pT7 cioà 1 j2 = 1 pa l2 = 1; le costanti p1 e p2 hanno modulo uno.

Nel secondo caso, i due integrali indipendenti dell'equazione (27,2) sono della forma

dove p à un numero reale positivo o negativo diverso da uno. Una di queste funzioni (la prima se 1 p 1 > 1 o la seconda se 1 p 1 < < 1) cresce esponenzialmente col tempo. Cià vuoi dire che lo stato d i quiete del sistema (nella posizione d'equilibrio x = 0) à insta- bile: à sufficiente un allontanamento arbitrariamente piccolo da que- sto stato perchà lo spostamento x provocato cominci a crescere rapi- damente col tempo. Questo fenomeno si chiama risonanza parametrica.

Occorre sottolineare che, se x e x inizialmente nulli, saranno nulli anche nei momenti successivi, a differenza di quanto avviene nella risonanza ordinaria ( 5 22) in cui un aumento dello spostamento con il t e m p i (proporzionalmente a t ) si verifica anche se il suo valore iniziale à zero.

Mettiamo in luce le condizioni per cui si verifica la risonanza pa- rametrica nell'importante caso quando la funzione a (t) differisce poco da una grandezza costante eoo ed à una funzione periodica sem- plice

09 (t) = eo: (l +h cos y t ) , (27,7)

dove la costante h < 1 (considereremo h positiva, cià che si puà sem- pre ottenere facilmente con una scelta adeguata dell'origine dei tem- pi). Come vedremo pià avanti, si ha una risonanza parametrica della massima intensità quando la frequenza della funzione co (t} à vicina a l doppio della frequenza ao. Poniamo quindi:

dove e <; ao.

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130 CAPITOLO QUINTO

Cercheremo una soluzione dell'equazione del moto l )

dove a (t) e b ( t ) sono funzioni lentamente (a confronto con i fattori coseno e seno) variabili del tempo. fi evidente che una soluzione di questo tipo non à esatta. In realtà la funzione x (t) contiene anche termini cui frequenze differiscono da + e12 di un multiplo intero (2w0 + e); questi termini sono, però infinitesimi d'ordine superiore rispetto ad h, e nella prima approssimazione si possono tra- scurare (vedi problema 1).

Sostituiamo l a (27,9) con la (27,s) e, nei nostri calcoli, conservia- mo soltanto i termini del primo ordine rispetto ad E . Supponiamo

inoltre che a - &a, b - e b (la validità d i questa ipotesi in condizioni di risonanza verrà confermata dal risultato). I prodotti dei fattori trigonometrici vanno sviluppati in somme

cos (O,,+- t -cos(2cog+e)/== ( Â ¡ i

ecc. e, conformemente a quanto detto sopra, vanno omessi i termini con frequenze 3 (m,, + €12 Si ottiene cosi

Perchà questa uguaglianza sia soddisfatta, occorre che i coefficienti d i ciascuno dei fattori seno e coseno si annullino contemporanea- mente. Otteniamo cosi un sistema d i due equazioni differenziali lineari per le funzioni a ( t ) e b ( t ) . Seguendo regole generali, cerchia- mo una soluzione proporzionale a d est. Si ha allora

o la condizione d i compatibilit; d i queste due equazioni algebrichp ci dà

2 - E 2 ] . s -- 4

(27.10)

l) l J ~ i ' e ~ ~ ~ i i z i o n e di qnesto t i po (coli yril /1 :~rbitr .n ' i t~t si ehiiiin;~. iit'lla f ; ~ : ~ . , : matemat,ica, equazione d i Matliifii.

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PICCOLE OSCILLAZIONI 131

La condizione perchà si abbia la risonanza parametrica à che s sia reale (cioà sa > O) l). Cosi, la risonanza parametrica ha luogo nel- l'intervallo

intorno alla frequenza 2coo2). La larghezza di questo intervallo à pro- porzionale ad h, e sono dello stesso ordine i valori del coefficiente di amplificazione delle oscillazioni s nell'intervallo.

La risonanza parametrica ha luogo anche per frequenze y di va- riazione del parametro del sistema vicine a valori del tipo 2u0/n, dove n à un numero intero qualsiasi. Tuttavia la larghezza degli inter- valli di risonanza (intervalli d'instabilità con l'aumentare di n diminuisce rapidamente, come h" (vedi problema 2). Diminuiscono nella stessa maniera anche i valori del coefficiente di amplifica- zione delle oscillazioni all'interno di questi intervalli.

I l fenomeno di risonanza parametrica esiste anche in presenza '

d'attrito debole nel sistema, ma l'intervallo d'instabilità in questo caso si restringe alquanto. Come abbiamo visto nel $ 25, l'attrito provoca uno smorzamento dell'ampiezza delle oscillazioni secondo la legge e-". L'amplificazione delle oscillazioni nel caso di risonanza parametrica segue quindi la legge e^-^)' (con s positiva data dalla soluzione del problema senza attrito), e i l limite dell'intervallo d'in- stabilità à determinato dall'uguaglianza s - A = 0. Cosi, ricavando s dalla (27,10), otteniamo per l'intervallo di risonanza, in luogo della (27,11), la disuguaglianza

E opportuno a questo proposito sottolineare che la risonanza à possi- bile non per un'ampiezza h arbitrariamente piccola, ma per un'am- piezza superiore ad una determinata à soglia à h h , che nel caso della (27,12) à uguale a:

Si puà mostrare che, per risonanze in prossimità delle frequenze 2ao/n, i l valore di soglia hà à proporzionale a AiP, cioà cresce col crescere di n.

l) La costante fi nella (27,6) à legata con s dalla relazione p = -e<"/<È (sostituendo t con t + 2"li2wo, coseno e seno nella (27,9) cambiano segno).

*) Se ci interessano soltanto i limiti dell'intervallo di risonanza (e non pro- prio l'espressione per C entro questo), si possono semplificare i calcoli, notando- che su questi limiti C = O, cioà i coef icienti a e b nella (27,9) sono costanti; troviamo allora immediatamente i valori e = ±hd corrispondenti li- miti dell'interrallo (27.11).

S.

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132 CAPITOLO QUINTO

P R O B L E M I

1. Determinare a meno di termini d'ordine superiore ad h2 i limiti del- l'intervallo d'instabilità per una risonanza i n prossimità di y = 2mn.

Soluzione. Cerchiamo per l'equazione (27,s) una soluzione del tipo

dove si tiene conto [contrariamente alla (27,9)] anche dei termini d'ordine supe- riore rispetto ad h. Poichà ci interessano soltanto i l imiti dell'intervallo d'insta- bilità supponiamo costanti i coefficienti a., bo, al. b, (conformemente alla nota 2 alla pag. 131). Sostituendo nella (27,8), sviluppiamo in somme i prodotti

di funzioni trigonometriche, tralasciando i termini di frequenze 5 m,, + - e ( 2 dei quali si avrebbe bisogno soltanto per una approssimazione superiore. Otteniamo:

Nei termini d i frequenze ma + ei2 vi sono conservati infinitesimi do1 pr imo e

e del secondo ordine. e nei termini di frequenze 3(w, + quelli di?! primo -

ordine. Ciascuna delle espressioni i n parentesi quadre deve annullarsi separata- mente. Le ultime due danno:

dopo di che ricaviamo dalle prime due:

Risolvendo questa equazione a meno dei termini d'ordine h2, otteniamo i valori l imiti d i e cercati:

2. Determinare i limiti dell'intervallo d'instabilità per una risonanza in prossimità di y = ma.

Soluzione. Scrivendo y = mn + e, otteniamo l'equazione del moto

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PICCOLE OSCIIAAZIONI 133

Tenendo presente che i valori limiti cercati differiscono poco da h2 (e - ha), cerchiamo la soluzione nella forma:

+ai cos 2 ( a o + e) t + bi sen 2 ((oo + e) t 4- CI.

dove si tiene conto dei termini del primo e del secondo ordine. Per determinare i limiti dell'intervallo d'instabilità supponiamo nuovamente costanti i coef- ficienti ed otteniamo:

D'onde abbiamo: h h h

ai--=-ao, b, =- bo, c i = -- 6 6 2 a09

e quindi troviamo i due limiti dell'intervallo d'instabilità

3. Trovare le condizioni di risonanza parametrica per piccole oscillazioni di un pendolo piano i l cui punto di sospensione oscilla verticalmente.

Soluzione. La funzione di Lagrange, trovata nel problema 3, e) del 5 5, dà per piccole oscillazioni (q < 1) l'equazione del moto

(dove m; = gli}. E chiaro che i l rapporto 4aII funge da parametro h introdotto nel testo. La condizione (27,11), per esempio, assume la forma

$ 28. Oscillazioni anarmoniche

Tutta la teoria delle piccole oscillazioni precedentemente esposta à basata su uno sviluppo delle energie cinetica e potenziale secondo le' velocità e le coordinate considerando soltanto i termini del secondo ordine; le equazioni del moto risultano allora lineari, cià che permette in questa approssimazione di parlare di oscillazioni lineari. Sebbene questo metodo sia del tutto legittimo quando l'ampiezza delle oscillazioni à sufficientemente piccola, il tener conto delle approssimazioni successive (della cosiddetta anarmonìcì o non linea-

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134 CAPITOLO QUINTO

rità delle oscillazioni) porta alla comparsa di proprietà del molo che, pur essendo deboli, sono qualitativamente nuove.

Sviluppiamo l a funzione d i Lagrange sino a i termini del terzo ordine. Nell'energia potenziale appariranno allora termini di terzo grado i n coordinate xi, mentre nell'energia cinetica appari- ranno termini contenenti prodotti delle velocità e delle coordinate . . del tipo xixkxi, questa differenza dalla precedente espressione (23,3) à dovuta alla conservazione dei termini del primo ordine rispetto ad x nello sviluppo delle funzioni aik (q). I n t a l modo, la funzione di Lagrange assumerà la forma

dove nihl, Iikl sono nuovi coefficienti costanti. Se s i passa dalle coordinate arbitrarie xi alle coordinate normali

Qa (dell'approssimazione lineare), in vir t6 della linearità di questa trasformazione, l a terza e la quarta somma nella (28,1) si trasforme-

ranno in somme analoghe dove le coordinate xi e le velocità x i verran-

no sostituite con Qa e Qa. Indicando i coefficienti in queste somme cor Ë 0y e pa O,,, otteniamo la funzione d i Lagrange

Non scriveremo tut te le equazioni del moto che derivano da que- s ta funzione lagrangiana. L'essenziale à che esse sono della forma

dove fa sono funzioni omogenee del secondo ordine delle coordinate Q e delle loro derivate rispetto a l tempo.

Applicando i l metodo delle approssimazioni successive, cerchiamo per queste equazioni una soluzione del tipo

Qa = Q2' + QE', (2894)

dove Q:' < Q2' e dove le funzioni Qg' soddisfano le equazioni à im- perturbate . .

Q;) + u2 Q'1) - a a -0.

cioà rappresentano oscillazioni armoniche ordinarie

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PICCOLE OSCILLAZIONI i35

Nell'approssimazione seguente, conservando nel secondo membro delle equazioni (28,3) soltanto termini infinitesimi del secondo ordine, otterremo per le grandezze Q le equazioni

dove, nel secondo membro, si deve sostituire l'espressione (28,5). Come risultato, otterremo equazioni differenziali lineari non omo- genee in cui i l secondo membro puà essere trasformato in somme d i funzioni periodiche semplici. Per esempio,

In tal modo, i secondi membri delle equazioni (28,6) contengono termini che corrispondono alle oscillazioni di frequenze uguali alle somme e alle differenze delle oscillazioni proprie del sistema. La soluzione delle equazioni va cercata sotto la forma contenente questi stessi fattori periodicc giungiamo quindi alla conclusione che, nella seconda approssimazione, oscillazioni supplementari di frequenze

(comprese le frequenze 2(ua e l a frequenza O corrispondente ad uno spostamento costante) si sovrappongono con le oscillazioni normali del sistema d i frequenze aa. Le frequenze di queste oscilla- zioni supplementari sono dette combinatorie. Le ampiezze delle oscil- lazioni combinatorie sono proporzionali a i prodotti aaFp (oppure ai quadrati 6%') delle corrispondenti oscillazioni normali.

Nelle approssimazioni successive, tenendo conto di termini d'ordine pifi elevato nello sviluppo della funzione di Lagrange, appa- iono oscillazioni combinatorie le cui frequenze sono somme e differen- ze d i un numero p i ~ grande di frequenze aa. Inoltre, s i verifica un altro fenomeno nuovo.

Già nell'approssimazione del terzo ordine appaiono, tra le oscilla- zioni combinatorie, oscillazioni che coincidono con quelle iniziali ma, (cioà ma + (up - me). Applicando il metodo descritto sopra al secondo membro, delle equazioni del moto, si avranno quindi termini d i risonanza che daranno nella soluzione termini con ampiezza cre- scente col tempo. l3 fisicamente evidente, però che in un sistema iso- lato, in assenza di sorgenti esterne d'energia, non ci possono essere incrementi spontanei dell'intensità delle oscillazioni.

In realtà nelle approssimazioni superiori, le frequenze fonda- mentali (un subiscono variazioni in confronto ai loro valori à imper- turbati à tu$' che figurano nell'espressione quadratica dell'energia po- tenziale. La comparsa dei termini crescenti col tempo nella soluzio-

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136 CAPITOLO QUINTO

ne à dovuta ad uno sviluppo del tipo

cos (W:) + Aoa) t w cos ~ g ' t - tAoa sen &"t,

che evidentemente non à ammissibile per t à abbastanza grandi. Quindi, quando si passa all'approssiinazione seguente, i l metodo

delle approssiniii7ioni successive dev'essere modificato in maniera tale che i fattori periodici che figurano nella soluzione contengano sin dall'inizio i valori esatti e non approssimati delle frequenze. Nel- la soluzione delle equazioni le variazioni delle frequenze vengono determinate dalla condizione d i assenza dei termini di risonanza.

Illustriamo questo nu~todo nel caso delle oscillazioni anar- molliche con "in solo grado d i liberth; scriviamo la funzione di La- grange nella forma

La corrispondente equazione del moto Ã

Cerchiamo la soluzione sotto forma d i una serie di approssi- mazioni successive

=x( l ) + p +x^ i

dove .(/l) a cos mt (28,10)

con un valore esatto per co che cerchiamo in seguito sotto forma di una serie o = con + o(') + o(2) + . . . (si puà sempre annulla- re la fase iniziale nella a"*') con una scelta appropriata dell'origine dei tempi). Nonostante questo, la forma (28,9) dell'equazione del moto non à comoda: dopo la sostituzione della (28,10) il primo mem- bro dell'uguaglianza non diventa rigorosamente nullo. Pertanto scriviamo prcl iminarm~nte l'eqiiazione nella forma equivalente

Ponendo qui x = x(') + x^), co = (D,, + cocl) ed omettendo gli infinitesimi superiori a l secondo ordine, otteniamo per a"(*) l'equa- zione

- - aa2 aa2 2

2 cos 2ot + 2oooa'a cos OJ(.

La condizione di assenza del termine d i risonanza nel secondo mem- bro dellluguaglianza dà semplicemente o*') = O, in accordo con

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PICCOLE OSCILLAZIONI 137

i l metodo di ricerca della seconda approssimazione esposto all'inizio d i questo paragrafo. Risolvendo poi col metodo ordinario questa equa- zione lineare non omogenea, otteniamo:

aa2 aa2 ' x(2' = - - cos 2cot.

2132 ' 604

In seguito, ponendo nella (28,11) x = x(l) + + x(~), (D = - (M,, -+ d2), otteniamo per l'equazione

oppure, riportando nel secondo membro le espressioni (28,lO) e (28,12) dopo una semplice trasforma"' .ione:

5 a W 3 2 ~ ~ m ' ~ ' + - - - a20 cos mi. 6 4 4 ]

Ponendo uguale a zero i l coefficiente del fattore di risonanza cos ut, troviamo la correzione alla frequenza fondamentale, proporzionale a l quadrato dell'ampiezza dell'oscillazione:

L'oscillazione combinatoria del terzo ordine Ã

$ 29. Risonanza nelle oscillazioni n o n l ineari

Se si tiene conto dei termini anarmonici nelle oscillazioni forzato di un sistema, nei fenomeni di risonanza compaiono proprietà quali- tativamente nuove.

Aggiungendo a l secondo membro dell'equazione (28,9) una forza esterna periodica (di frequenza y), si 'iti iene:

dove abbiamo scritto anche la forza d 'at t r i to con coefficiente di smorzamento A (che in seguito supporremo piccolo). Volnulo essere rigorosi fino in fondo, se s i tiene conto dei termini no i i lineari nel- l'equazione delle oscillazioni libero, s i dovrebbero pi'eudere in conside- razione anche i termini d'ordine superiore ncll'ampiezza della forza esterna, termini che corrispondono ad una eventuale dipenden- za di quest'ultima dallo spostamento x. Noi scriveremo questi

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138 CAPITOLO QUINTO

termini per rendere pi6 semplici le formule; infatti, essi non modifi- cano l'aspetto qualitativo dei fenomeni.

Sia y = ( O o + e

{con e piccolo), siamo cioà in prosqimità di una risonanza ordinaria. Per chiarire i l carattere del moto, s i puà anche fare a meno d i uno studio diretto dell'equazione (29,1), se s i tiene conto delle conside- razioni seguenti.

Nell'approssimazione lineare, la relazione tra l'ampiezza b del- l'oscillazione forzata da una parte, l'ampiezza / e la frequenza y della forza esterna dall'altra, à data in prossimità della risonanza dalla for- mula (26,7), che scriviamo come segue:

I l carattere non lineare delle oscillazioni implica una relazione tra la loro frequenza propria e l'ampiezza; scriviamo questa dipen- denza nella forma

w O + xb2, (29,s)

dove la costante x à espressa in un modo ben determinato mediante i coefficienti d i anarmonicità [cfr. (28,13)1. Conformemente a ciò sostituiamo nella (29,2) (o meglio, nella piccola differenza y - wo) W,, con (OO + xb2.

Conservando l a notazione e = y - mo, otteniamo in definitiva l'equazione

ossia

L'equazione (29,4) Ã cubica rispetto a b2, e le sue radici reali deter- minano l'ampiezza delle oscillazioni forzate. Consideriamo l a dipen- denza di questa ampiezza dalla frequenza della forza esterna per una data ampiezza / della forza.

Per valori d i / sufficientemente piccoli anche l'ampiezza b à picco- la, quindi si possono trascurare nella (29,4) i gradi d i b superiori a l secondo, e la formula ottenuta coincide con la già nota funzione b ( E ) (29,2), che rappresenta una curva simmetrica con un massimo nel punto e = O (fig. 32, a). Con i l crescere di f la curva subisce una deformazione, conservando ancora in un primo tempo i l suo carattere, mantenendo cioà un solo massimo (fig. 32,b); i l picco si sposta (per x > 0) nel senso delle e positive. Delle tre radici dell'equazione (29,4) una sola à reale.

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PICCOLE OSCILLAZIONI 139

Tuttavia, a partire da un determinato valore f = f h (che verrà definito dopo), i l carattere della curva cambia. Per ciascun valore di / > fk esiste una determinata regione di frequenze nella qua- le l'equazione (29,4) ha tre radici reali; a questa regione corrisponde la porzione BCDE della curva riplla fig. 32,c.

I limiti di questa reg-ione sono defi- db - f 4

rìit dalla condizione -

punti D e C. Differenziando l'equa- zione (29,4) rispetto ad e, abbiamo:

db -- -8b-i- xb3 -

de ~ 2 + ? l , ~ - 4 x ~ b ~ + 3 x ~ b * .

La posizione dei punti D e C si deter- mina dunque, risolvendo contempo- raneamente l'equazione

e2-4xb2& + 3x2b4 + A2 = O (29,5) bl

e l'equazione (29,4); i valori corrispon- E denti d i e sono ambedue positivi. I l valore massimo dell'ampiezza si ottie-

db ne nel punto dove -,Ã = 0. Si h a allora

e = % b2, e la (29,4) ci dÃ

' (29,6) 'aax="SrnaoT' auesto valore coincide con i l massi-

"^_ - E "' mo dato dalla relazione (29,2).

S i puà dimostrare (non tratte- Fig. 32

remo qui questo argomento l)) che delle tre radici reali dell'equazione (29,4) quella intermedia (la por- zione CD della curva, tratteggiata nella fig. 32, C) corrisponde ad o- scillazioni instabili del sistema: ogni forza, per debole che sia, agendo su un sistema che s i trova in questo stato, causerebbe i l passaggio a un regime oscillatorio corrispondente alla radice massima o minima (cioà alle porzioni BC o DE). Di conseguenza, soltanto i rami ABC e D E F corrispondono a reali oscillazioni del sistema. La presenza d i una regione di frequenze che ammette due ampiezze diffe- renti delle oscillazioni rappresenta una rimarchevole proprietà Al progressivo aumentare della frequenza della forza esterna aumen- ta l'ampiezza delle oscillazioni forzate secondo la curva ABC. Nel punto C si ha una à rottura à dell'ampiezza, che cade

l) Si puà trovare la dimostrazione, per esempio, nell'opera di N . Bogoliubov e J . Mitropolskij, Asimptoticeskie metody v teorii nelinejnych kolebanij (Metodi asintotici nella teoria delle oscillazioni non lineari), Fizmatghiz, Mosca, 1958.

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bruscamente sino a l valore corrispondente a l punto E, por poi variare lungo la curva EF (all'ulteriore aumentare della frequenza). Se ora diminuiamo di nuovo la frequenza, l'ampiezza delle oscillazioni forzate varia lungo l a curva FD, salta d a l punto D a l punto 3 per poi decrescere lungo B A .

Per valutare i l valore f k , notiamo che esso rappresenta quel valore di f per i l quale ambedue le radici della equazione quadratica rispetto a b2 (29,5) coincidono; per f = fh tu t ta la parte CD si riduce ad un punto di flesso. Uguagliando a zero i l discriminante dell'equa- zione di secondo grado (29,5), si ottiene e2 = 3L2; la radice corrispon- dente dell'equazione à xb2 = 2 ~ ~ 3 . Sostituendo questi valori d i b ed e nella (29,4), otteniamo:

Accanto ad u n cambiamento del carattere dei fenomeni d i riso- nanza per frequenze w un , la non linearità delle oscillazioni genera anche la comparsa di nuove risonanze nelle quali le oscillazioni di frequenza vicina a con sono eccitate da una forza esterna d i frequen- za abbastanza differente da eoo.

Sia y % coo/2 la frequenza della forza esterna, cioÃ

Nella prima approssimazione, lineare, essa eccita nel sistema O-

scillazioni della stessa frequenza e d i ampiezza proporzionale all'am- piezza della forza:

[conformemente a l l a formula (22,4)1. Tenendo conto dei termini non lineari, nella seconda approssimazione, queste oscillazioni faranno apparire nel secondo membro dell'equazione del moto (29,l) un ter- mine di frequenza 2~ w uo. Precisamente, ponendo a-O nell'equa- zione

introducendo i l coseno dell'angolo doppio e conservando nel secondo membro soltanto il termine d i risonanza, otteniamo:

Questa equazione differisce dalla (29'1) soltanto per il fatto che al posto dell'ampiezza della forza ./, essa contiene un'espressione propor- zionale ad f 2 . Cià significa che h a luogo una risonanza dello stesso ca- rattere di quella esaminata precedentemente per le frequenze w un,

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in;t d i intt~iisith inferiore. La funzione O (e) si olticne sostituendo / con -8af/Qmco~ (ed e con 2e) nell'equazione (29,4):

Sia ora 7 = 2 a o + e

l a frequenza della forza esterna. Nella prima approssimazione abbiamo:

J.(l) = cos (2ao + e) t. 3m io;

Sostituendo x == ~ ' - 1 ' -1- x(') nell'equazioiic (29,1), non otterremo ter- mini aventi i l carattere di una forza esterna di risonanza, ~0111'6 avvenuto nel caso precedente. Nasce, p e r ~ , una risonanza d i t ipo pa- rametrico dal termine del terzo ordine proporzionale a l prodotto . c ( l ) .~ '~ J . Se d i t u t t i i termini non lineari conserviamo soltanto questo, avremo per a:(') l'equazione

cioà un'equazione del tipo (27,8) (tenendo conto dell 'attri to) che porta, come abbiamo già visto, ad oscillazioni instabili in un deter- minato intervallo d i frequenze.

Questa equazione non à per6 sufficiente per determinare l'ampiez- za risultante delle oscillazioni che dipende dagli effetti della non linearità per tenerne conto à necessario conservare nell'equazione del moto anche i termini non lineari rispetto ad xC2):

- -- 2uf cos (2Oo + t) t . a-"). 3mw;

Lo studio d i questo problema si semplifica se si considera la se- guente circostanza. Ponendo nel secondo membro clell'equazione (29,11)

(dove b à l 'ampiezza delle oscillazioni d i risonanza cercata e 6 uno sfasamento costante con conseguenze poco importanti) e scrivendo i l prodotto dei due fattori periodici sotto forma di una somma di

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142 CAPITOLO QUINTO

due coseni, otterremo i l termine di risonanza ordinaria

(rispetto alla frequenza propria e>,-, del sistema.). Di conseguenza, i l problema si riduce nuovamente a quello della risonanza ordinaria in un sistema non lineare, che abbiamo esaminato all'inizio del pre- sente paragrafo, con la sola differenza che ora i l valore dell'ampiezza

Fig. 33

della forza esterna à dato dalla grandezza a/b/30$ (ed al posto di E s i ha ~ 1 2 ) . Facendo questa sostituzione nell'equazione (29,4), si ot- tiene:

Risolvendo questa equazione rispetto a b, troviamo i seguentij'valori possibili per l'ampiezza:

b = O, (29,12)

La relazione cosi ottenuta t ra b ed e à rappresentata nella fig. 33 (per % > 0; se x <O, le curve sono dirette in senso opposto). I punti B e C corrispondono a i valori

A sinistra del punto B 6 possibile soltanto i l valore b = O, ci06 la risonanza manca e le oscillazioni di frequenza prossima a con non ven- gono eccitate. Nell'intervallo tra B e C abbiamo due radici: b = O (segmento BC nella fig. 33) e l'espressione (29,13) (ramo BE). Infine, a destra del punto C esistono tu t te e tre le radici: (29,12), (29,13), (29,14). Tuttavia non tu t t i questi valori corrispondono ad un regime

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PICCOLE OSCILLAZIONI 143

oscillatorio stabile. I l valore b = O à instabile nella parte BC1), e si puà dimostrare anche che i l regime corrispondente alla radice (29,14) (intermedia tra le altre due) à sempre instabile. Nella fig. 33 i valori instabili d i b sono tratteggiati.

Vediamo, per esempio, come si comporta un sistema, dapprima à perseverante in quiete à 2), quando gradualmente diminuisce la frequenza della forza esterna. Fino al punto C, resta sempre b = 0; dopo si produce una à rottura à di questo stato e s i passa sul ramo EB. In seguito, ad un'ulteriore diminuzione d i E, l'ampiezza delle oscil- lazioni decresce sino a zero nel punto B. Aumentando di nuovo la frequenza, l'ampiezza delle oscillazioni cresce lungo la curva BE3)-

I casi di risonanza considerati sono i casi principali che si verifi- cano in un sistema oscillante non lineare. A piii alte approssimazio- n i compaiono risonanze anche ad altre frequenze. A rigore, s i deve avere risonanza per ogni frequenza y per cui ny + m m n = m. (n, m interi), cioà per ogni y == pw0 /q , dove p e q sono pure numeri interi. Cià nonostante, a misura che i l grado d i approssimazione si eleva l'in- tensità dei fenomeni d i risonanza (come pure l'ampiezza degli interval- l i di frequenze in cui devono aver luogo) diminuisce con una rapidità tale che, in realtà s i possono osservare soltanto le risonanze per l e frequenze y w p(oo/q con p e q piccoli.

P R O B L E M A

Determinare l a funzione b (f) per una risonanza a frequenze y w 3wn. Soluzione. Nella prima approssimazione,

Per la seconda approssimazione, xC2), ricaviamo dalla (29.1) l'equazione

1) Questo intervallo corrisponde esattamente alla regione di risonanza parametrica (27'12); da l confronto della (29,10) con la (27,8) abbiamo 1 h 1 = = 2af/3rno$ La condizione

per la quale l'esistenza del fenomeno considerato à possibile, corrisponde alla disuguaglianza h > hi,.

2) Ricordiamo che consideriamo qui soltanto le oscillazioni di risonanza. La loro assenza non significa letteralmente che i l sistema sia i n quiete; vi si possono generare deboli oscillazioni forzate di frequenza v.

3) l3 necessario, però tener presente che t u t t e queste formule sono valide finchà l'ampiezza b (come anche e ) resta sufficientemente piccola. I n realtà le curve B E e C F non sono alfatto infinite, ma in un certo punto si congiungono; appena questo punto à raggiunto, il regime oscillante si à rompe à e si ha b = 0.

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1 44 CAPITOLO QUINTO

dove il secondo membro contiene soltanto i l termine che dà la risonanza consi-

derata. Ponendo x = b cos [ ( a o 4- $) t + q e separando i l termine di

risonanza dal prodotto dei tre coseni, otteniamo nel secondo membro dell'equa- zione l'espressione

Di qui risulta chiaro che la dipendenza d i b da e si ottiene sostituendo nella (29,4) f con 3fib9/32(og ed e con c13:

Questa equazione ha per radici:

Nella fig. 34 Ã rappresentato graficamente i l carattere della dipendenza

Fig. 34

di b da e (per x > 0). Soltanto il valore b = O (asse delle ascisse) e il ramo A B corrispondono a regimi stabili. A l punto A corrispondono i valori

I l regime oscillatorio esiste soltanto per e > e^, con un'ampiezza 6 > bk. Poichà lo s tato b = O à sempre stabile, ci vuole una à spinta à iniziale per eccita- re oscillazioni.

Le formule ottenute sono valide soltanto per e piccoli. Questa condizione si ha automaticamente se anche A, Ã piccolo e se l'ampiezza della forza soddi- sfa la condizione A2/(oo < A / x <g; (O,,.

5 30. Moto in un campo rapidamente oscillante

Consideriamo i l moto di una particella sollecitata contempo- raneamente da un campo costante U e da una forza

f = fi cos (ut + f , sen (ut, (30; 1)

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PICCOLE OSCILLAZIONI 145

che varia col tempo ad una grande frequenza co (fi ed f v sono funzioni delle sole coordinate). Con à grande à noi intendiamo una frequenza che soddisfa la condizione co ^> l / T , dove T à l'ordine d i grandezza del periodo del moto che la particella effettuerebbe nel solo campo U. La grandezza della forza f non si suppone piccola in confronto alle forze agenti nel campo U. Supporremo perà che lo spostamento oscil- latorio (indichiamolo con 1) della particella provocato da questa for- za sia piccolo.

Per semplificare i calcoli, consideriamo dapprima un moto unidi- mensionale in un campo dipendente da una sola coordinata spaziale x. L'equazione del moto della particella à allora1)

Dal carattere del campo agente sulla particella à chiaro che i l moto di essa rappresenterà uno spostamento lungo una traiettoria à imperturbata à accompagnato da piccole oscillazioni (di frequenza W) intorno a questa traiettoria. Scriviamo quindi la funzione x ( t ) sotto forma d i una somma

dove E (t) rappresenta le piccole oscillazioni suindicate. Il valore medio della funzione E ( t ) si annulla in un periodo

2n/ia, mentre la funzione X (t), in questo stesso periodo, varia poco. Indicando i l valore medio con un trat t ino sopra la lettera, abbiamo dunque = X ( t ) , vale a dire che la funzione X ( t ) descrive il moto à continuo à della particella mediato rispetto alle rapide oscillazio- n i . Deduciamo l 'eq~iazione che determina questa funzione2).

Sostituendo la (30,3) nella (30,2) e sviluppando secondo le potenze d i E con una approssimazione sino a i termini del primo ordine, otte- niamo:

In questa equazione conlpaiono termini di carattere diverso: gli oscillanti e i à continui à i due gruppi evidentemente devono essere compensati separatamente. Per i termini oscillanti à sufficiente scri- vere . .

rns = f ( X , t ) ,

l) La coordinata x non à necessariamente una coordinata cartesiana, e il coefficiente m, corrispondentemente, non à necessariamente la massa della particella, nà à necessariamente costante come à stato supposto nella (30,2). Questa ipotesi, però non influisce sul risultato finale (vedi pifi avanti).

2, L'idea del metodo esposto sotto appartiene a P. L. Kapiza (1951).

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146 CAPITOLO QUINTO

gli a l t r i contengono i l fattore piccolo e, d i conseguenza, sono piccoli in confronto a quanto abbiamo scritto (quanto alla derivata i, essa à proporzionale a co2 che à grande, e non puà dunque essere considera- t a piccola). Integrando l'equazione (30,5) e la funzione / ricavata dal- l a (30,l) (considerando la grandezza X come costante), otteniamo:

Calcoliamo ora la media dell'equazione (30.4) rispetto a l tempo (nel senso suindicato). Poichà i valori medi delle prime potenze d i / ed E si annullano, otteniamo l'equazione:

che contiene ormai soltanto la funzione X ( t ) . Riscriviamola nella forma . . dVPf f m X = --

d X ' (30,7)

dove l'(( energia potenziale efficace à à definita da1)

Confrontando questa espressione con la (30,6). Ã facile vedere che il termine supplementare (rispetto a l campo U) non rappresenta altro che l'energia cinetica media del moto oscillante:

- m '

Uett-U+ 7j- g2. (30,9)

In t a l modo, i l moto della particella, mediato rispetto alle oscilla- zioni, avviene come se, oltre a l campo costante U. agisse anche un l i t ro campo costante, dipendente quadraticamente dall'ampiezza d i

campo variabile. E facile generalizzare il risultato ottenuto al caso d i un siste-

ma, avente un numero qualunque d i gradi di libertà che pu6 essere descritto mediante coordinate generalizzate q,. Per l'energia poten- ziale efficace s i ottiene [in luogo della (30,8)1 l'espressione

1 ~ r , , = ~ + ~ ~ a a / , / Ã ˆ = ~ + ~ ~ i i C ~ (30,lO)

i, k i, k

dove le grandezze a$ (in generale funzioni delle coordinate) sono gli &menti della matrice inversa della matrice dei coefficienti a , ~ del- l'energia cinetica del sistema [vedi l a (5,5)1.

l) Se m dipende da x, Ã facile convincersi con un calcolo un po' lungo, che le formule (30,7) e (30,s) restano valide anche in questo caso. .

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PICCOLE OSCILLAZIONI

P R O B L E M I

1. Determinare la posizione d'equilibrio stabile di un pendolo i l cui punto d i sospensione effettua oscillazioni verticali d i frequenza y elevata (v $> e l l ) .

Soluzione. La funzione di Lagrange ottenuta nel problema 3, e) del 5 5 dà i n questo caso per la forza variabile

f == -mlay2 cos yt sen qi

(la grandezza x à rappresentata qui dall'angolo q). Quindi l'à energia potenziale efficace à Ã

Le posizioni d'equilibrio stabile corrispondono a l minimo di questa funzione. La direzione verticale verso i l basso (cp == 0) Ã sempre stabile. Se la condizione

à soddisfatta, 6 stabile anche la posizione verticale verso l'alto (q = n). 2. Risolvere i l problema precedente per un pendolo i l cui punto di sospen-

sione oscilla orizzontalmente. Soluzione. Secondo la funzione di Lagrange ottenuta nel problema 3 , b )

del 3 5, troviamo / = mlay2 cos ?t cos cp e quindi

Se a2y2 < 2g1, la posizione q> = O Ã stabile. Se invece a2y2 > 2 g l , i l valore corrispondente a un equilibrio stabile Ã

IO*

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Capitolo VI

MOTO DEI CORPI SOLIDI

31. Velocità angolare

I l corpo solido si puà definire nella meccanica come un sistema di punti materiali l a cui mutua distanza à invariabile. I sistemi real- mente esistenti i n natura possono ovviamente soddisfare questa con- dizione solo in modo approssimato. Ma la maggior parte dei corpi solidi in condizioni usuali cambia cosi poco di forma e dimensioni, che per studiare le leggi del moto d i un solido, considerato come un tutt'uno, possiamo astrarre completamente da queste variazioni.

Nell'esposizione seguente considereremo spesso un solido come un insieme discreto d i punti materiali, cià che ci permetterà di otte- nere qualche semplificazione delle deduzioni. Tuttavia, questo non à i n alcun modo in contrasto con i l fatto che i solidi si Dossono infatti considerare nella meccanica come continui, a prescindere completa- mente dalla loro struttura interna. I l passaggio dalle formule conte- nenti la somma su punti discreti alle formule per un corpo continuo si fa semplicemente sostituendo alle masse delle particelle la massa p dV (p 6 la densità della massa), contenuta nell'elemento di volume dV. e integrando poi su tutto i l volume del corpo.

Per descrivere i l moto di un solido, introduciamo due sistemi di coordinate: un sistema à immobile à ossia inerziale, X Y Z , e un si- stema mobile xl = x, xy = y, q = z, supposto vincolato rigida- mente a l solido e partecipe d i t u t t i i movimenti di quest'ultimo. Per comodità à conveniente far coincidere l'origine del sistema mobi- le con i l baricentro del corpo.

La posizione del corpo solido rispetto a l sistema immobile delle coordinate à completamente determinata se à data la posizione del sistema mobile. Sia R i l raggio vettore che indica la posizione dei- l'origine O del sistema mobile (fig. 35); l'orientazione degli assi di quest'ultimo rispetto a l sistema immobile à determinata da tre angoli indipendenti, cosicché insieme con le t re componenti d i R, abbiamo in totale sei coordinate. Ogni corpo solido rappresenta quindi un sistema meccanico con sei gradi d i libertà

Consideriamo uno spostamento infinitesimale arbitrario del corpo solido. Si puà rappresentarlo come somma di due parti. Una di que- ste arti à una traslazione parallela infinitesimale del corpo, per cui i l centro di massa passa dalla posizione iniziale a quella finale

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MOTO DEI CORPI SOLIDI 149

senza che cambi l'orientazione degli assi coordinati del sistema mobi- le; l 'altra parte à una rotazione infinitesima intorno al centro di mas- sa, per cui i l solido raggiunge la posizione finale.

Indichiamo con r i l raggio vettore d i un punto P qualunque del corpo nel sistema mobile di coordinate, e con r i l raggio vettore

Fig. 35

dello stesso punto nel sistema immobile. Uno spostamento infinite- simale d r del punto P Ã allora formato da uno spostamento d R insie- me con i l centro d i massa e da uno spostamento [dq) 4 rispetto a que- st'ultimo per rotazione d i un angolo infinitesimale dq) [vedi (9,I)l:

d r = d R = [ d q . rl.

Dividendo questa uguaglianza per i l tempo dt, impiegato per effettua- re lo spostamento considerato, ed introducendo le velocitÃ

otteniamo la relazione che lega quest'ultime

I l vettore V à la velocità del centro di massa del corpo solido; à chia- mata anche velocità del suo moto traslatorio. I l vettore Q à chiamato velocità angolare di rotazione del corpo solido; la sua direzione (come la direzione d q ) coincide con quella dell'asse di rotazione. La velo- c i t i v di un punto qualunque del corpo (rispetto al sistema immobile) puà essere espressa quindi mediante l a velocità di traslazione del corpo e la velocità angolare d i rotazione.

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150 CAPITOLO SESTO

Occorre sottolinealre che nel dedurre l a formula (31,2) non si à fat- t o alcun ricorso alle poprietà specifiche dell'origine delle coordinate come centro d i massa del corpo. I vantaggi di questa scelta saranno evidenti solo piii avanti nella valutazione dell'energia del corpo so- lido i n moto.

Supponiamo ora che i l sistema d i coordinate vincolato rigidamen- te a l solido sia scelto in maniera tale che la sua origine si trovi non p i ~ al centro di massa O, ma in un punto O' distante a dal punto O. Indichiamo con V la velocità d i spostamento dell'origine O' di questo sistema e con Q' la sua velocità angolare di rotazione.

Consideriamo d i nuovo un punto qualunque P del corpo solido e indichiamo con r' i l suo raggio vettore rispetto all'origine O'. Si ha allora r = r ' + a , e la sostituzione nella (31,2) ci dà

D'altra parte, in vir t6 della definizione d i V' e W, si deve avere v = = V' + [S"'rfl. Concludiamo quindi che

La seconda d i queste uguaglianze à assai importante. Da essa ri- sulta che la velocità angolare con cui i l sistema di coordinate soli- dale con i l corpo ruota in un dato istante à assolutamente indipenden- te da questo sistema. Tut t i i sistemi solidali con i l corpo solido ruo- tano in un dato istante intorno ad assi mutuamente paralleli con la stessa velocità S" in valore assoluto. Questa circostanza ci permette di chiamare, a ragione, Q velocità angolare di rotazione del corpo solido come tale. La velocità del moto traslatorio non ha invece que- sto carattere à assoluto )).

Dalla prima formula delle (31,3) segue chiaramente che se V e Q (in un dato istante) sono mutuamente perpendicolari per una qual- che scelta dell'origine delle coordinate O, essi (cioà V' e Q') sono mu- tuamente perpendicolari anche rispetto a una qualsiasi altra origi- ne O'. Dalla (31,2) s i vede che in questo caso le velocità v d i tu t t i i punti del corpo giacciono nello stesso piano, perpendicolare a Q. E sempre possibile intanto scegliere un'origine O' tale che la sua velocità V' sia nulla1), cosicchà i l moto del solido sarà rappresentato (in un dato istante) come pura rotazione intorno ad un asse passante per O'. Questo asse à detto asse di istantanea rotazione del corpo2).

In seguito, supporremo sempre che l'origine del sistema di coor- dinate mobile sia posta nel centro di massa del corpo in modo tale

1) E ovvio che O' puà anche essere un punto fuori del corpo. 2, Nel caso generale in cui le direzioni di V e Q non sono mutuamente per-

' pendicolari, si puà scegliere l'origine delle coordinate in modo tale che V e Q diventino paralleli, cioà il moto (nell'istante dato) sarà composto di una rotazione intorno ad un asse e di una traslazione lungo questo stesso asse.

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MOTO DEI CORPI SOLIDI 151

che anche l'asse d i rotazione del corpo passi per questo centro. Quan- do i l corpo si muove, variano in generale sia i l valore assoluto di fi che la direzione dell'asse di rotazione.

$ 32. Tensore d'inerzia

Per calcolare l'energia cinetica d i un corpo solido, consideriamo quest'ultimo come un sistema di punti materiali e scriviamo:

dove la sommatoria à estesa a tu t t i i punti che compongono i l corpo. Al fine di semplificare la scrittura, ometteremo in questo paragrafo gl i indici che enumerano questi punti.

Sostituendovi l a (31,2), otteniamo:

Le velocità V e ii sono le stesse per t u t t i i punti del corpo solido. Quindi possiamo portare nel primo termine V2/2 fuori dal segno di somma; con l a lettera p indicheremo l a somma 5 m che à la massa totale del corpo. Nel secondo termine scriviamo

2 mV [Qrl = 2 mr [Viil = [VQI 2. mr.

Di qui s i vede che, se l'origine del sistema mobile di coordinate s i à posto, come già convenuto, nel centro di massa, questo termine si annulla, poichà allora 2 mr = 0. Infine, dopo aver sviluppato i l quadrato del prodotto vettoriale che figura nel terzo termine, otte- niamo

L'energia cinetica di un corpo solido puà essere quindi presentata come somma d i due termini. I l primo termine d i questa somma nella (32,l) rappresenta l'energia cinetica del moto di traslazione del corpo come se tut ta l a sua massa fosse concentrata nel suo centro di massa. I l secondo termine rappresenta l'energia cinetica del moto di rotazio- ne, con velocità angolare Q, intorno ad un asse passante per i l centro d i massa. Sottolineiamo che la possibilità di separare l'energia cine- tica in due parti à condizionata appunto dalla scelta del centro d i mas- sa del corpo come origine del sistema d i coordinate solidale con il corpo.

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152 CAPITOLO SESTO

Riscrivendo l'energia cinetica d i rotazione in simboli tensoriali, cioà mediante le componenti x i , £2 dei vettori r ed Q l), abbiamo:

1 Trot = T 2 m {Q2ix;- Q ix iQkxk} =

1 = - m {f"iWkxF - QiQhXixk} = 2 - - 1 - QiQk 2 m (xT6ift - xixft).

stata utilizzata qui l 'identità Qi = dove tìi à i l tensore unità (le cui componenti sono uguali all 'unità per i = k, ed a zero per i # k). Introducendo i l tensore

otteniamo l'espressione definitiva dell'energia cinetica del corpo solido nella forma

La funzione d i Lagrange del corpo solido si ottiene sottraendo l'energia potenziale dalla (32,3):

L'energia potenziale à in generale funzione di sei variabili che deter- minano la posizione del corpo solido, per esempio, le tre coordinate X, Y, Z del centro d i massa e i tre angoli che definiscono l'orienta- zione degli assi coordinati mobili rispetto agli assi fissi.

I l tensore Iik si chiama tensore dei momenti d'inerzia, o semplice- mente tensore d' inerzia del corpo. Come risulta chiaro dalla definizio- ne data nella (32,2), i l tensore d'inerzia à simmetrico, cioÃ

l i k = Ih i . (3275)

Per maggiore evidenza, scriviamo la tabella delle sue componenti in torma esplicita:

y m ( y 2 + z 2 ) - m x y - 2 m x z

-- v m z x - ' rnzy ' m (x2Jr y2)

l) In questo capitolo con le lettele i, k, I si denotano indici tensoriali che prendono i valori 1, 2, 3. Inoltre, 6 usata dappertutto la nota regola secondo la quale il segno di somma viene omesso e la sommatoria sui valori 1, 2, 3 à estesa a tu t t i gli indici ripetuti (i cosiddetti indici à muti v ) ; cosi, A& 7 AB, A'j = A& = AZ, ecc. Evidentemente la denotazione degli indici muti puà essere cambiata arbitrariamente (purchà non coincida con la denotazione d i altri indici tensoriali che compaiono nell'espressione data).

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MOTO DEI CORPI SOLIDI 153

Le componenti IXx, Ivv, Izz sono talvolta dette momenti d'inerzia rispetto agli assi corrispondenti.

I1 tensore d'inerzia à evidentemente additivo: i momenti d'iner- zia del corpo sono uguali alle somme dei momenti d'inerzia delle sue parti.

Se i l corpo solido puà essere considerato come un mezzo continuo, nella definizione (32,2) la somma viene sostituita da un integrale esteso a l volume del corpo:

Come ogni tensore simmetrico d i rango due, i l tensore d'iner- zia puà essere ridotto ad una forma diagonale mediante una scelta adeguata delle direzioni degli assi x1, x2, x3. Queste direzioni sono chiamate assi principali d'inerzia, ed i valori corrispondenti delle componenti del tensore, momenti principali d'inerzia, che indichere- mo con h, 12, 13. Scegliendo in questo modo gli assi xi, x^, x3, l'ener- gia cinetica d i rotazione si esprime in modo particolarmente semplice

Notiamo che ciascuno dei tre momenti principali d'inerzia non puà essere superiore al la somma degli al t r i due, cioÃ

I , + I ~ = ~ ~ ~ ( X ~ + X ~ + ~ X ~ ) > ~ m ( ~ + x ~ ) = 1 3 (32'9)

Un corpo, i cui t re momenti principali d'inerzia sono differenti, s i chiama trottola asimrnetrica.

Si chiama trottola simmetrica un corpo solido per i l quale due momenti principali d'inerzia sono uguali: I, = la # 13. In questo caso, la scelta delle direzioni degli assi principali nel piano xlx2 Ã arbitraria.

Se invece i t re momenti principali d'inerzia sono tu t t i uguali, i l corpo si chiama trottola sferica. In questo caso, la scelta dei tre assi principali d'inerzia à arbitraria: come tal i si possono prendere tre qualsivogliano assi mutuamente perpendicolari.

La ricerca degli assi principali d'inerzia diventa molto p i ~ sem- plice, se i l corpo solido possiede una certa simmetria; Ã chiaro che la posizione del centro di massa e la direzione degli assi principali d'inerzia debbono possedere una stessa simmetria.

Per esempio, se un corpo ha un piano di simmetria, il suo centro di massa deve giacere in questo piano. In questo stesso piano giaccio- no anche due assi principali d'inerzia, mentre il terzo asse à ad esso perpendicolare. Un insieme di particelle distribuite in un piano rap- presenta un caso evidente di questo genere. Esiste in questo caso una relazione semplice fra i tre momenti principali d'inerzia. Se come piano x ~ " s i prende i l piano dell'insieme d i particelle, ed essendo x3 = O'

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154 CAPITOLO SESTO

per t u t t e le particelle, abbiamo:

Se il corpo possiede un asse di simmetria d'ordine qualunque, i l suo centro d i massa à situato su questo stesso asse, con i l quale coin- cide anche uno degli assi principali d'inerzia, mentre gli altri due sono a d esso perpendicolari. Se l'ordine dell'asse di simmetria à su- periore a 2, il corpo rappresenta una trottola simmetrica. In questo caso, infatti , s i puà ruotare ciascuno degli assi principali (perpendi- colare all'asse di simmetria) di un angolo differente da 180'. cioà la scelta d i questi assi non à piii univoca, cosa possibile soltanto nel caso d i una trottola simmetrica.

Un caso particolare à quello d i un sistema d i particelle distribuite lungo una ret ta . Se si prende questa retta come asse x3, s i avrà per t u t t e le particelle xl = x2 = 0; in questo modo due momenti princi- pali d'inerzia coincideranno, mentre i l terzo risulterà nullo:

Un sistema con queste caratteristiche à detto rotatore. La caratteristi- ~ c a particolare di un rotatore, a differenza di un corpo qualsiasi, sta nel fat to che esso ha in tut to due (anzichà tre) gradi d i libertà rota- zionali, corrispondenti alle rotazioni intorno agli assi xl ed xg; par- lare della rotazione di una retta attorno a se stessa non h a evidente- mente alcun senso.

Facciamo finalmente ancora una osservazione riguardo a l calcolo del tensore d'inerzia. Sebbene noi abbiamo definito questo tensore rispetto ad u n sistema d i coordinate avente per origine i l centro di mas- sa (solo con questa definizione la formula fondamentale (32,3) -à valida), puà talvolta risultare opportuno calcolare preliminarmen- t e i l tensore analogo

I;& = 2 m (xi26ik - x~xL),

definito rispetto ad un'altra origine O'. Se la distanza 00' Ã data da un vettore a, s i h a r = r' + a ed xi = x\ + a i ; tenendo anche pre- sente che, per definizione del punto O, 2 mr = O, troviamo:

I'. -1. i h ~ i f t + P (a26ifc - ai%). (32'12)

Per mezzo d i questa formula e conoscendo l i h à facile calcolare il tensore Iib cercato.

P R O B L E M I

1. Determinare i momenti principali d'inerzia per molecole considerate - come un sistema di particelle, situate a distanze reciprocamente fisse, nei seguenti

Â¥casi

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MOTO DEI CORPI SOLIDI

a) Molecola i cui atomi sono distribuiti su una retta. Risposta:

1 4 = I2 = - v ma~bl:b, 13= 0, a - f c b

dove ma, mb sono le masse degli atomi. l,zb à la distanza tra gli atomi a e b; la somma à estesa a tutte le coppie d'atomi nella molecola (ogni coppia dei valori a e b vien presa una volta sola).

Fig. 36 Fig. 37J

Per una molecola biatomica la somma si riduce ad un solo termine, dando un risultato evidente a priori: i l prodotto della massa ridotta dei due atomi per i l quadrato della loro distanza:

I t = I 2 = _ ^ 2 _ 1 2 . mi +m2

D) Molecola triatomica avente la forma di un triangolo isoscele (fig. 36). Risposta: I l centro di massa si trova sull'altezza del triangolo a distanza

X 2 = m A h / ~ dalla sua base. I momenti d'inerzia sono:

C) Molecola tetratomica i cui atomi sono situati nei vertici di una piramide triangolare retta (fig. 37).

Risposta: Il centro di massa si trova sull'altezza della piramide a distanza Xy = m2h./p dalla sua base. I momenti d'inerzia sono:

Per mi = n, h = a m 3 otteniamo una molecola tetraedrica con momenti d'inerzia

Il = 1, = I 3 = mia2. 2. Determinare i momenti principali d'inerzia dei seguenti corpi continui

omoeenei: a) Asta sottile di lunghezza I. A

Risposta: Il = I , = $15 I a = O (si trascura lo spessore dell'asta).

b) Sfera di raggio R. Risposta:

2 r 1 - = r 2 = r 3 ~ - p R 2 5

pik comodo calcolare prima la somma 4 + I2 + I 3 = 2p r2dV) . !

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156 CAPITOLO SESTO

C) Cilindro circolare d i raggio R e d'altezza h. Risposta:

r i = r 2 = - h2 (RZ+-)-) , I ~ = ~ R Z 4 2

(x, asse del cilindro). d ) Parallelepipedo rettangolo di spigoli a , h , C . R i s p o s ? ~ :

ri=-^- r2=J^ 12

(a2+ b2) 12

(c2+a2), Z3=- 12

(gli assi x l , x^, ~v sono paralleli agli spigoli a , b, r). e) Cono circolare d'altezza h o di raggio di

x,,x,' base R. Soluzione. Calcoliamo dapprima il tensore

I& rispetto agli assi aventi per origine i l vertice del cono (fig. 38). I l calcolo si esegue facilmente in coordinate cilindriche e d i :

1' - 1' - 3 3 - z - ~ p ( q + h 2 ) ,

I l baricentro si trova, come segue da un semplice calcolo, sull'asse del cono a distanza a = 3A/4 dal vertice. Con la formula (32,12) troviamo infine:

3 h2 ~ ~ = ~ , = / ; - p a ~ = - ~

20 3 r3 -.= I+ - pR2. 10

f ) Ellissoide triassico con semiassi a , b , C . Fig. 38 Soluzione. I l centro d i massa coincide con i l

centro dell'ellissoide, e gli assi principali d'inerzia con i suoi assi. L'integrazione estesa a l volume del-

l'ellissoide puà essere ridotta ad una integrazione rispetto a l volume d i una sfera mediante una sostituzione adeguata delle coordinate x = a^, y = &T), i = cc che trasforma l'equazione della superficie dcll'ellissoide

x2 y2 2 2 n 2 + 1 , 2 + p 2 1

in equazione della superficie di una sfera d i raggio unitario

52 + q + £ = i.

Si ottiene dunque per i l momento d'inerzia relativo all'asse x:

1, =- p f f { (q2+ sa) d z d y dz == pabc (t2? T- cZc2) dE a l < =

1 =abc - 1 1 ( b 2 + c 2 ) ,

2

dove 1' 6 i l momento d'inerzia della sfera di raggio unitario. Tenendo presente che i l volume dell'ellissoide à uguale a 4nabc13, troviamo

i n definitiva i momenti d'inerzia:

P / l - = - - J I - ( b 2 + c 2 ) , 5 1 ~ - ^ - ( a 2 + c 2 ) , 5 13=-(a2+b2). 5

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MOTO DEI CORPI SOLIDI 157

3. Determinare l a frequenza delle piccole oscillazioni di un pendolo fisico (corpo solido oscillante7in un campo d i gravità attorno ad un asse orizzontale fisso).

Soluzione. Sia l la distanza del centro d i massa del pendolo dall'asse di rotazione, siano a, P. y gli angoli formati dalle direzioni dei suoi assi principali

Fig. 39 Fig. 40

d'inerzia con l'asse d i rotazione. Introduciamo come coordinata variabile l'angolo rp formato dalla verticale e la perpendicolare abbassata dal centro

di massa sull'asse di rotazione. La velocità del centro di massa à V = lcp, e le

proiezioni della velocità angolare sugli assi principali d'inerzia: (p cos a, cp cos P, q) cos ¥y Supponendo piccolo l'angolo (p, troviamo l'energia potenziale nella forma

1 U = pgl (l -cos (p) 25 - pglp2.

2

La funzione di Lagrange à quindi

Di qui ricaviamo la frequenza delle oscillazioni

4. Trovare l'energia cinetica del sistema rappresentato nella fig. 39; OA ed A B sono sbarre sottili omogenee di lunghezza l , congiunte a cerniera nel punto A . La sbarra OA ruota (nel piano della figura) intorno al punto O , e l'estremità B della sbarra AB scivola lungo l'asse Ox.

Soluzione. La velocità del centro di massa della sbarra OA (situato a metÃ

d i quest'ultima) à l d 2 , dove (p à l'angolo AOB. Dunque. l'energia cinetica della sbarra OA 6

(p massa di una sbarra). Le coordinate cartesiane del centro d i massa della sbarra AB sono X =

- 31 - - l cos (p, Y = - sen cp; poichà anche la velocità angolare di rotazione di

2

questa sbarra à uguale a (p, la sua energia cinetica Ã

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158 CAPITOLO SESTO

L'energia cinetica totale del sistema Ã

P T = - ( l + 3 senZ(p)(pz 3 (Ã stato posto I = p12/12 come dal problema 2,a).

5 . Trovare l'energia cinetica di un cilindro (di raggio R ) che rotola su un piano. La massa del cilindro à distribuita nel suo volume in modo tale che uno degli assi principali d'inerzia à parallelo all'asse del cilindro e passa a distanza a da questo asse: i l momento d'inerzia rispetto a questo asse principale à I.

So'uzione. Introduciamo l'angolo <p tra la verticale e la perpendicolare abbassata dal baricentro sull'asse del cilindro (fig. 40). Si puà considerare i l

Fig. 41

moto del cilindro in ogni istante come una rotazione pura intorno all'asse istan- taneo che coincide con la linea di contatto del cilindro con i l piano fisso; la

velocità angolare di questa rotazione à rp (la velocità angolare di rotazione

Fig. 42

intorno a tut t i gli assi paralleli à uguale). I l centro d'inerzia si trova a distanza V a 2 + R2 - 2aR cos s> dall'asse istantaneo e la sua velocità à quindi V =

= 6 v a 2 + R2 - 2aR cos (p. L'energia cinetica totale Ã

6. Trovare l'energia cinetica di un cilindro omogeneo di raggio a che rotola sulla faccia interna di una superficie cilindrica di raggio R (fig. 41). ,

Soluzione. Introduciamo l'angolo tra la retta che congiunge i centri dei due cilindri e la verticale. Il centro !i massa del cilindro rotolante si trova

sull'asse e la sua velocità à V = (p (R - a) . Calcoliamo la velocità angolare come velocità di rotazione pura intorno all'asse istantaneo &e coincide con la

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MOTO DEI CORPI SOLIDI

linea di contatto dei due cilindri; essa Ã

Se I g à il momento d'inerzia rispetto all'asse del cilindro, si ha allora.

1 3 . , ._A ( R - ~ = % ( ~ - - a ) ~ q ~ + ~ 2 a2 ( ~ - - ~ p a)z(pz

( I 3 ricavato dal problema 2 4 ) ) . 7. Trovare l'energia cinetica di un cono omogeneo che rotola su un piano. Soluzione. Denotiamo con 9 l'angolo tra la linea OA di contatto del cono-

col piano e una direzione fissa in questo piano (fig. 42). Il centro d i massa

Fig. 43

si trova sull'asse del cono e la sua velocità à V = a cos a -0, dove 2a à l'angolo- d'apertura del cono, ed a la distanza del centro di massa dal vertice. Calcoliamo la velocità angolare di rotazione come velocito di rotazione pura intorno all'assfr istantaneo OA :

Q=-- - 9 c t g a . a sen a

Uno degli assi principali d'inerzia (asse x,) coincide con l'asse del cono; scegliamo- l'asse x, perpendicolare all'asse del cono ed alla retta O A . Le proiezioni del vettore Q (diretto parallelamente ad O A ) sugli assi principali d'inerzia saranno allora Q sen a, O, Q cos a. Troviamo dunque per l'energia cinetica cercata:

(h altezza del cono, I,, I,, a ricavati dal problema 2,e)). 8. Trovare l'energia cinetica di un cono omogeneo la cui base rotola su un

piano e il cui vertice si trova costantemente a l di sopra di questo piano, ad un'al- tema uguale a l raggio della base (in modo che l'asse del cono à parallelo a l piano).

Soluzione. Introduciamol'angolo 9 t ra una direzione data nel piano e la proiezione su quest 'ultimo dell'asse del cono (fig. 43). La velocità del centro

d i massa à allora V = a0 (usiamo le stesse notazioni del problema 7). L'asse istantaneo di rotazione à rappresentato qui dalla generatrice OA del cono con- dotta a l punto di contatto di quest'ultimo con i l piano. Il centro d i massa

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160 CAPITOLO SESTO

à distante a sen a da questo asse e, d i conseguenza,

L'= v ti -- -

a s e n a sen a

Le proiezioni del vettore Q sugli assi principali d'inerzia (scegliendo l'asse x,

perpendicolare all'asse del cono ed alla ret ta O A ) sono: Q sen a = 6, O, Q cos a == O ctg a. L'energia cinetica à quindi

9. Trovare l'energia cinetica di un ellissoide triassico omogeneo, rotante intorno ad uno dei suoi assi (AB, fig. 44), mentre quest'ultimo ruota a sua volta intorho alla perpendicolare CD passante per i l centro dell'ellissoide.

Fig. 44 Fig. 45

Soluzione. Indichiamo con 0 l'angolo d i rotazione intorno all'asse CO e con <p l'angolo di rotazione intorno all'asse A B (angolo formato da C D e dall'asse d'inerzia x-, perpendicolare ad A B } . Le proiezioni di Q sugli assi d'iner- zia saranno allora

(l'asse .i-', coincide con AB). Poichà i l centro d'inerzia, che coincide con i l centro dell'ellissoide, à fisso, l'energia cinetica Ã

10. Lo stesso problema con l'asse A B inclinato e l'ellissoide simmetrico rispetto a questo asse (fig. 45).

Soluzione. Le proiezioni di Q sull'asse A B e sui due altri assi principali d'inerzia perpendicolari ad AB (che si possono scegliere arbitrariamente)sono: . .

O cos a cos y , O cos a sen p, y+B sen a.

D'onde l'energia cinetica Ã

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MOTO DEI CORPI SOLIDI 161

$ 33. Momento del la quantità d i moto di un solido

I l momento della quantità di moto dipende, come à noto, dalla scelta del punto rispetto a l quale esso à definito. Nella meccanica dei solidi, à pià razionale scegliere questo punto coincidente con l'origine del sistema d i coordinate mobile, cioà con i l baricentro del corpo. In seguito indicheremo con M i l momento definito precisa- mente in questo modo.

Secondo l a formula (9,6), la scelta del baricentro del corpo come origine delle coordinate fa coincidere i l momento M con i l à mo- mento proprio à vincolato al moto dei punti del corpo solo rispetto a l baricentro. I n altri termini, nella definizione ] V I = s m [rvl bisogna sostituire v con [Qrl:

ossia, in simboli tensoriali,

Tenendo presente l a definizione (32,2) del tensore d'inerzia, ottenia- mo:

Mi = (33'1)

Se gli assi x-,, xa, x 3 sono diretti lungo gli assi principali d'inerzia del corpo, questa formula dà

In particolare, per una trottola sferica i cui tre momenti principa l i d'inerzia coincidono, si ha semplicemente:

M = I Q (3393)

cioà il vettore momento à proporzionale a l vettore velocità angolare ed hanno ambedue la medesima direzione.

Nel caso generale di un corpo qualunque la direzione del vettore M non coincide con quella del vettore 9; soltanto per una rotazione del corpo intorno ad uno dei suoi assi principali d'inerzia che M e f" hanno la stessa direzione.

Consideriamo il moto libero di un corpo solido non sottoposto all'azione di forze esterne. Escludendo i l moto traslatorio uniforme che non presenta qui alcun interesse, abbiamo a che fare con una rotazione libera del corpo.

Come in ogni sistema isolato, i l momento angolare di un corpo animato da una rotazione libera à costante. Per una trottola sferica dalla condizione M = costante segue che Q = costante. Cià significa che il caso generale della rotazione libera d i una trottola sferica si riduce ad una rotazione uniforme intorno ad un asse costante.

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162 CAPITOLO SESTO

Altrettanto semplice à il caso del rotatore. Anche qu i M = I£" essendo il v e t t o r e Q perpendicolare all'asse del rotatore. Di conse- guenza, l a r o t a z ione libera d i un rotatore à una rotazione uniforme in un piano i n t o r n o a d una direzione perpendicolare a questo piano.

La legge d i conservazione del momento à sufficiente per definire anche una r o t a 2 ione libera piC complessa di una trottola simmetrica.

Approf i t tando della possibiliti d i scegliere arbitrariamente le direzioni degli a s s i principali d'inerzia xi, xg (perpendicolari all'asse

Fig. 46

di simmetria x3 della trottola), scegliamo l'asse x2 perpendicolare a l piano de f in i to dal vettore costante M e dalla posizione istantanea dell'asse xy In questo caso My, = O, e dalla formula (32,2) risulta chiaro che a n c h e f"y, = 0. Cià significa che in ogni istante le direzioni d i M, Q e dell'asse della trottola vengono a trovarsi in uno stesso piano (fig. 46). Ne segue inoltre che le velocità v = [Qrl d i tu t t i i punti s i t ua t i sull'asse della trottola sono, in ogni istante, dirette perpendicolarmente a l detto piano; in altri termini, l'asse della trottola ruota uniformemente (vedi piC avanti) intorno alla dire- zione d i M descrivendo un cono circolare (la cosiddetta precessione regolare della trottola). Contemporaneamente alla precessione la trottola compie un moto rotazionale uniforme intorno al proprio asse.

l3 facile esprimere le velocità angolari d i queste due rotazioni mediante i l valore dato del momento M e l'angolo 9 d'inclinazione dell'asse della trottola rispetto alla direzione d i M. La velocità angolare di rotazione della trottola intorno al proprio asse à data

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MOTO DEI CORPI SOLIDI 163

dalla proiezione Q 3 del vettore Q su questo stesso asse:

£ --=- M3 M cose, I3 I 3

Per determinare l a velocità di precessione Qpr bisogna scomporre il vettore f" secondo la regola del parallelogrammo nelle sue compo- nenti lungo le direzioni x3 e M. La prima componente non porta ad alcun spostamento dell'asse della trottola, ed à quindi la seconda componente a dare la velocità angolare di precessione cercata. Dalla costruzione della fig. 46 risulta che sen GQpr = Qi, e poichà Q1 = = L1'll/I1 == M sen €)/I s i ha

5 34. Equazioni del moto d i un corpo solido

Poichà un corpo solido possiede generalmente sei gradi di libertà nel sistema generale d'equazioni del moto ci devono essere sei equa- zioni indipendenti, che possono essere scritte in una forma che defi- nisce le derivate rispetto al tempo d i due vettori: l'impulso ed i l momento angolare del corpo.

La prima d i queste equazioni si ottiene semplicemente, sommando

le equazioni p = f del moto di ciascuna delle particelle componenti del corpo, dove p à l'impulso di una particella ed f la forza agente su di essa. Introducendo l'impulso totale del corpo

e la forza totale 2 f = F che agisce su di esso, otteniamo:

Sebbene abbiamo scritto F come l a somma d i tut te le forze f agenti su ciascuna particella, comprese le forze generate dalle altre particelle del corpo, in realtà fanno parte d i F soltanto le forze esterne. Tutte le forze d'interazione tra le particelle del corpo stesso1 si annullano reciprocamente; infatti, in assenza di forze esterne, l'impulso del corpo, come per qualsiasi altro sistema isolato, s i con- serva, cioà deve essere F = 0.

Se U à l'energia potenziale del corpo solido in un campo esterno, la forza F puà essere determinata derivando U rispetto alle coor- dinate del centro d i massa del corpo:

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164 CAPITOLO SESTO

Infatti, per uno spostamento traslatorio 6R del corpo, di questo stes- so valore variano i raggi vettori r di ogni punto del corpo, e l a varia- zione dell'energia potenziale à quindi

Osserviamo a proposito che l'equazione (34,l) puà essere ottenuta anche come equazione di Lagrange rispetto alle coordinate del centro di massa

a a~ aL --- d t OV -8R

dalla funzione d i Lagrange (32,4), per la quale

Stabiliamo ora la seconda equazione del moto che determina la derivata rispetto a l tempo del momento d'impulso M. Per semplifi- care i calcoli, à opportuno scegliere un sistema d i riferimento à im- mobile à (inerziale) tale che ad un istante dato il centro di massa del corpo sia in quiete. L'equazione del moto cosi ottenuta sarà valida, in virt6 del principio d i relatività galileiano, in ogni altro sistema inerziale di riferimento.

Abbiamo:

In seguito alla nostra scelta del sistema di riferimento (nel quale

V = O), i l valore" d i r nell'istante dato coincide con la velocità v == r. Poichà i vettori v e p = mv hanno una stessa direzione, [rpl =

= 0. Sostituendo anche p con l a forza f, avremo infine:

dove K = 2 [rfl.

I1 vettore [rf] Ã detto momento della forza f ; K Ã quindi la somma dei momenti d i tut te le forze agenti sul corpo. Come per la forza totale F, anche qui si deve tener conto nella somma (34,4) solo delle forze esterne; conformemente alla legge di conservazione del momento angolare, la somma dei momenti di tut te le forze agenti all'interno del sistema isolato deve annullarsi.

I l momento della forza, come i l momento angolare, dipende gene- ralmente dalla scelta dell'origine delle coordinate rispetto alla qu le

al centro d i massa del corpo 1 esso à definito. Nelle (34,3) e (34,4) i momenti sono definiti rispetto

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Quando l'origine delle coordinate viene spostata di una distanza a, i nuovi raggi vettori r' dei punti del corpo sono legati a quel- l i vecchi r dalla relazione r =- r' -\- a. Si ha quindi

ossia

Da questa relazione risulta in particolare che i l valore del momento delle forze, se l a forza totale F = U, non dipende dalla scelta del- l'origine delle coordinate (si dice in questo caso che al corpo à appli- cata una coppia di forze).

L'equazione (34,3) si puà considerare come equazione di Lagrange

rispetto a à coordina& rotazionali È Infatti , derivando la funzione di Lagrange (32,4) rispetto alle componenti del vettore Q, s i ottiene

Mentre la var iazione~del l 'er~ergia potenziale C/ per una rotazione del corpo di un angolo infinitesimale 6q) Ã

Supponendo che i vettori F e K siano mutuamente perpendicola- ri, si puà sempre trovare un vettore a tale che K' si annulli nella (34,5) e si abbia

K = [aFl. (34,7)

La scelta di a non à per$ univoca: aggiungendo ad a qualsiasi vettore parallelo ad F, resta valida l'uguaglianza (34,7) , cosicchà la condizio- ne K' = O definisce non un punto solo nel sistema di coordinate mo- bile, bensi t u t t a una retta. Cosi, per 'K J_ F l'azione di tut te le forze applicate al corpo puà essere ridotta ad una unica forza F agente lungo una determinata retta.

Questo à in particolare, il caso d i un campo di forze omogeneo, nel quale la forza agente su un punto materiale à della forma f -=

= eE, dove E à un vettore costante che caratterizza i l campo, ed e à una grandezza che caratterizza le proprietà della particella nel

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166 CAPITOLO SESTO

campo dato1). Abbiamo in questo caso:

Ponendo V e # O, introduciamo il raggio vettore rn definito dalla relazione:

Otteniamo per i l momento totale delle forze l'espressione molto semplice

K = [roFl. (3479)

Per i l moto di un corpo solido in un campo omogeneo, l'influenza d i quest'ultimo si riduce quindi all'azione di una sola forza F, à ap- plicata à a l punto col raggio vettore (34,8). La posizione di questo punto à completamente definita dalle proprietà del corpo stesso; per esempio, in un campo di gravità questo punto coincide con i l centro d i massa del corpo.

$ 35. Angoli d i Eulero

Come abbiamo già visto, per descrivere i l moto di un corpo solido si possono utilizzare le tre coordinate del centro di massa del corpo e tre angoli che-determinino l'orientazione degli assi x1, xv, x3 del sistema d i coordinate mobile rispetto a l sistema immobile X, Y, Z. Spesso risulta pifi comodo usare come terna di angoli i cosiddetti an- goli di Eulero.

Poichà ci interessano per i l momento soltanto gli angoli tra gli assi coordinati, scegliamo per origine di ambedue i sistemi uno stesso punto (fig. 47). I l piano mobile xlx2 taglia i l piano fisso X Y lungo una retta (ON nella fig. 47) detta linea dei nodi. Questa linea à evidentemente perpendicolare sia all'asse Z che all'asse x3; come senso positivo, scegliamo quello che corrisponde al senso del prodotto vettoriale [zx31 (dove z e x, sono i versori degli assi Z e x3).

Per grandezze che definiscono l a posizione degli assi xl, xn, x-, ri- spetto agli assi X, Y, Z prendiamo i seguenti angoli: l'angolo 0 t ra gli assi Z ed x3, l'angolo (p tra gli assi X ed N, l'angolo i(3 tra gli assi N ed x,. Gli angoli cp e ¥>t sono contati positivamente nel senso deter- minato dalla regola della vite, rispettivamente, intorno agli assi

1 ) Cosi, in un campo elettrico uniforme, E à l'intensità del campo ed e la carica della particella. In un campo uniforme di gravità E à l'accelerazione di gravità g ed e la massa della particella,

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MOTO DEI CORPI SOLIDI 167

Z ed x3. L'angolo Q prende i valori da O a n, e gli angoli (p e ip da O a 2n1).

Esprimiamo ora le componenti del vettore velocità angolare il lungo gli assi mobili x1, x2, x3 mediante gli angoli di Eulero e le loro derivate. A tale fine bisogna proiettare su questi assi le velocitÃ

\ /

' - - l Y

Fig. 47

angolari b, m, 6. La velocità angolare 6 à diretta lungo la linea de nodi ON e le sue componenti sugli assi xi, x2, x3 sono

La velocità angolare (p à diretta lungo l'asse 2; la sua proiezione

sull'asse x3 Ã uguale a v 3 = cp cos 6, e la proiezione sul piano xlx2 Ã

uguale a (p sen 9. Prendendo le componenti di quest'ultima sugli assi xl ed x2, otteniamo:

(pi = cp sen 6 sen ip, (p2 = (p sen O cos ip.

La velocità angolare ip à diretta infine lungo l'asse x,. Riunendo tu t te le componenti per ciascuno degli assi, otteniamo

finalmente

1) Gli angoli 6 e (p - n12 sono, rispettivamente, l'angolo polare e l'azimut della direzione di x, rispetto agli assi X, Y, 2. Nello stesso tempo 6 e n/2 - 9 sono, rispettivamente, l'angolo polare e l'azimut della direzione di Z rispetto agl i assi se,, xv, x,.

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168 CAPITOLO SESTO

Scegliendo come assi x1, x2, x, gli assi principali d'inerzia del solido, l'energia cinetica di rotazione espressa mediante gli angoli d i Eulero si ottiene ponendo le (35,1) nella (323).

Per la trottola simmetrica, per la quale Il = In# I,, dopo una semplice riduzione, si ottiene:

I l I . Trot = -,- (q2 sen2 0 + 02) + 2 ((p cos O + $)2.

Notiamo che questa espressione puà essere ancora ulteriormente sem- plificata se s i considera che la scelta delle direzioni per gli assi prin- cipali d'inerzia xl, x g della trottola simmetrica à arbitraria. Consi- derando che l'asse x-, coincide con l'asse dei nodi ON, cioà 9 = O,

Fig. 48

avremo per le componenti della velocità angolare le espressioni pifi semplici:

A titolo d'esempio d i applicazione degli angoli d i Eulero, deter- miniamo, con l'aiuto d i quest'ultimi, il moto libero della trottola simmetrica, che ci à già noto.

Facciamo coincidere l'asse Z del sistema d i coordinate immobile con la direzione del momento costante M della trottola. L'asse x3 del sistema mobile à diretto come l'asse della trottola; supponiamo che l'asse x-, coincida in un dato istante con l'asse dei nodi. Le for- mule (35,3) ci danno allora per le componenti del vettore M:

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MOTO DEI CORPI SOLIDI 169

D'altra parte, poichà l'asse x1 (linea dei nodi) à perpendicolare all'as- se 2, abbiamo:

Ml = O, M, == M sen 9, M 3 = M cos 6.

Uguagliando queste espressioni, otteniamo le seguenti equazioni:

4 = 0 , J i ( p = ~ , J 3 ( < P c o s 6 + ~ ) = ~ c o s 9 . (35'4).

La prima di queste equazioni d à 0 = costante, cioà l'angolo d'inclinazione dell'asse della trottola rispetto alla direzione di M à costante. La seconda definisce [in accordo con la (33,5)1 la velocità angolare di precessione (p = M/& E d infine, la terza equazione de- termina la velocità angolare d i rotazione della trottola intorno al' proprio asse f"v = M cos 6/13.

P R O B L E M I

1. Ridurre a quadratura i l problema del moto di una trottola simmetrica pesante il cui punto inferiore à fisso (fig. 48).

Soluzione. Prendiamo i l punto fisso della trottola O per origine comune dei sistemi di coordinate mobile e immobile e l'asse Z diretto lungo la ver- ticale (fig. 48). La funzione di Lagrange della trottola nel campo di gravità Ã

(p à la massa della trottola, I la distanza del punto inferiore dal centro di massa).

Le coordinate il) e n> sono cicliche. Abbiamo quindi due integrali del moto: 9L . .

p* = Ñ = 1 3 (9 +q cos 6) =costante s M3, W 9L

p@=?= (1; sen2 6+13 cos2 6) (p+ 13il) cos 6=costante = M ^ , (2) 8 ( ~

dove ItI = 7, + p12 (le grandezze p* e py sono le componenti del momento rotazionale definito relativamente al punto O lungo gli assi x, e Z, rispettiva- mente). Inoltre, l'energia

si conserva. Dalle equazioni (1) e (2) ricaviamo:

. . Eliminando con queste uguaglianze cp e dall'energia (3)' otteniamo:

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170 CAPITOLO SESTO

dove

Da cui, ricavando 0 e separando le variabili, si ottiene:

{Ã un integrale ellittico). Gli angoli e (p si esprimono poi come funzioni di 6 in forma di quadrature mediante le equazioni (4 ) e (5).

La regione di variazione dell'angolo 0 nel corso del moto à definita dalla condizione E' >. Ueff (6). La funzione Ueff (0) (per M 3 # M,) tende a +o0

Fig. 49

per i valori 9 = 0 e 9 = n e passa per un minimo nell'intervallo compreso tra questi due valori. L'equazione E' = Uetf ha quindi due radici che danno gli angoli limite e d'inclinazione dell'asse della trottola rispetto alla verticale.

Al variare dell'angolo 9 fra O1 e 02, il segno della derivata (p cambia O no secondo che cambia o no, in questo intervallo, il segno della differenza - - M 3 cos 6. Nel secondo caso l'asse della trottola precede monotonamente intorno alla verticale, effettuando contemporaneamente oscillazioni alto-basso (ossia la cosiddetta nutazione; vedi la fig. 49,a, dove la linea ondulata rappresenta la traccia che l'asse della trottola lascerebbe sulla superficie di una sfera avente per centro i l punto fisso della trottola). Nel primo caso la direzione della pre; cessione à opposta sui due cerchi limite, in modo che l'asse della trottola si sposta attorno alla verticale descrivendo nodi (fig. 49,b). Infine, se uno dei valori € O2 coincide con lo zero della differenza M , - M i cos 8, sul cerchio . . limite corrispondente (p e 0 si annullano contemporaneamente, cosicchà l'asse della trottola descrive una traiettoria della forma rappresentata nella fig. 4 9 , ~ .

2. Trovare la condizione ner cui la rotazione della trottola intorno all'asse verticale à stabile.

Soluzione. Poichà per 0 = O gli assi x3 e 7. coincidono, abbiamo My = M^, E' = 0. La rotazione intorno a questo asse sarà stabile se i l valore 9 = 0 corri- sponde a l minimo della funzione U e f f (6). Per valori piccoli di 6 si ha:

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MOTO DEI CORPI SOLIDI

d a cui ricaviamo la condizione M i > 4Zipg1, ossia

In seconda approssimazione, appare \ una lenta precessione del momento M intorno alla verticale (fig. 50). Per deter- minare la velocità di questa precessione lenta, calcoliamo la media dell'equazione esatta del moto (34,3) per un periodo della nutazione

3. Determinare il moto di una trottola nel caso in cui l'energia cinetica edella sua rotazione propria sia grande rispetto all'energia nel campo di gravità (la cosiddetta trottola à veloce È)

Fig. 50

Soluzione. In prima approssimazio- ne, se si trascura il campo di gravità si produce una precessione libera del-

I l momento delle forze di gravità agenti sulla trottola à K = ui [ngg], dove m, à un versore diretto come l'asse della trottola. Da considerazioni di simmetria e evidente che i l calcolo della media K su un à cono di nutazione à si riduce alla sostituzione del vettore n, con la sua roiezione cos a -M/M sulla direzione di M essendo i. l'angolo tra M e l'asse d e l i trottola). Si ottiene quindi l'equazione

)ifiilrer

Essa mostra che il vettore M subisce una precessione intorno alla direzione di g (verticale) con velocith angolare media

p1 cos a f"nr= - M g

l'asse della trottola intorno alla direzione , - .... . .

(piccola in confronto a Qnut). Nell'approssimazione considerata, le grandezze M e cos a facenti parte delle

formule ( I ) e (2) sono costanti (benchà non siano, a termine di rigore, integrali del moto). Esse sono legate, con la stessa approssimazione, alle grandezze stret- tamente conservative E ed M, dalle relazioni

del momento M (corrispondente nel no- ,' -. stro caso alla nutazione della trottola); /

\ \

questa recessione avviene, conforme- I

t e alla (33.51, con velocità angolare Jfinut ----L---,'/

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172 CAPITOLO SESTO

<y 36. Equazioni di Euleru

Le equazioni del moto scritte nel $ 3 4 si riferiscono a un sistema di coordinate immobile: le derivate dP/dt e dM/dt nelle equazioni (34,l) e (34,3) rappresentano le variazioni dei vettori P ed M rispetto a questo sistema. Esiste perà un sistema mobile, con gli assi coordina- t i diretti lungo gli assi principali d'inerzia, nel quale ha luogo una relazione molto semplide tra le componenti del momento rotaziona- le M del solido e quelle della velocità angolare. Per poter utilizzare questa relazione à necessario scrivere preliminarmente le equazioni del moto in un sistema mobile di coordinate xl, xi, x3.

Sia dA/dt la variazione istantanea d i un vettore A rispetto a l sistema d i coordinate'immobile. Se in un sistema rotante il vettore A non cambia, l a sua variazione rispetto a l sistema immobile à gene- rata unicamente dalla rotazione; s i h a dunque

(vedi $ 9 dove abbiamo dimostrato che le formule del tipo (9,l) e (9,2) sono valide per qualsiasi vettore). Nel caso generale, a l secondo membro di questa uguaglianza bisogna aggiungere la variazione istantanea del vettore A rispetto a l sistema mobile; indicando questa variazione con dlA/dt, s i ottiene:

Questa formula ci permette immediatamente di scrivere le equa- zioni (34,1) e (34,3) nella forma

d'P -+ [QP] = F , - dt l

d'M + [QM] = K. dt

Poichà la derivazione rispetto a l tempo à fatta qui nel sistema d i coordinate mobile, possiamo proiettare direttamente le equazioni sugli assi d i questo sistema scrivendo

dove gli indici 1, 2, 3 esprimono le componenti rispetto agli assi xl, x2, x3. Sostituendo poi P con pV, otteniamo:

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MOTO DEI CORPI SOLIDI 173

Partendo dall'ipotesi che gli assi scelti x,, xÈ x3 coincidano con gli assi principali d'inerzia e ponendo nella seconda delle equazioni (36,2) Mi = IIQi, ecc., otteniamo:

Le equazioni (36,4) s i chiamano equazioni di Eulero. Per la rotazione libera, K = O, cosicchà le equazioni d i Eulero

assumono la forma

I3- I2 Q Q -0 --+T d t 2 3 - 7

Applichiamo, a titolo d'esempio, queste equazioni alla rotazione libera, che già abbiamo considerato sopra, d i una trottola simmetrica.

Posto Il = 12, abbiamo dalla terza equazione Q. = O, cioà Q, = costante. Scriviamo poi le prime due equazioni nella forma

hi= -wQ2 !i2=(u£2, dove

a=Q371- ^i

(36'6)

à una grandezza costante. Moltiplicando la seconda equazione per i e son~mandola alla prima, otteniamo:

d - (Qi + if" = i a (Qi + i&), d t

da cui ai +i Aeiut,

dove A à una costante che si puà considerare reale (con una scelta adeguata dell'origine dei tempi); abbiamo allora

C& = A cos (ut, £2 = A sen cot. (36,7)

Questo risultato mostra che la proiezione della velocità angolare su un piano perpendicolare all'asse della trottola ruota in questo piano con una velocità angolare (A, restando perà costante in gran- dezza (Vf": + f";2 = A ) . Poichà anche la proiezione sull'asse della trottola resta costante, concludiamo che tutto i l vettore ti

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174 CAPITOLO SESTO

deve ruotare uniformemente intorno all'asse della trottola con una velocità angolare m, mantenendo perà costante la sua grandezza. Tenendo presente che le componenti dei vettori Q ed M sono legate dalle relazioni = Il% M, = I&, M3 = AQy, à evidente che anche il vettore momento M à animato dallo stesso moto (rispetto all'asse della trottola).

I l risultato ottenuto non à che un altro aspetto del moto della trottola, già studiato nei $ 8 33 e 35, rispetto ad un sistema di coor- dinate immobile. In particolare, la velocità angolare di rotazione del vettore M (asse Z nella fig. 48) intorno alla direzione coincide, in termini degli angoli di Eulero, con la velocità angolare -I). Le equazioni (35,4) ci danno:

ossia f a - 11 - $ = Q 3 -

f i ' il che concorde con la (36,6).

5 37. Trottola asimmetrica

Applichiamo le equazioni d i Eulero a l problema piii complesso della rotazione libera d i una trottola asimmetrica i cui tre momenti d'inerzia sono tu t t i differenti. Per fissare le idee supponiamo

1 3 > I2 > 11- (37,l)

Due integrali delle equazioni d i Eulero sono noti a priori. Essi esprimono le leggi d i conservazione del l 'e~ergia e del momento e sono dati dalle uguaglianze

IiQf + W, + 9 2E,

I^ + IiL'i + IiL':,,= M 2 , (37'2)

dove l'energia E e i l valore assoluto M del momento sono costanti date. Queste stesse uguaglianze, espresse mediante le componenti del vettore M, assumono la forma

Mi+ Mi+M;= M'. (37'4)

Da queste relazioni s i puà già trarre qualche conclusione sul carat- tere del moto della trottola. Osserviamo a questo proposito che geo- metricamente le equazioni (37,3) e (37,4) s i presentano, rispetto agli

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MOTO DEI CORPI SOLIDI 175

assi W , M s , &, rispettivamente, come equazioni della superficie di un ellissoide di semiassi

m,, y 2 E 1 2 , v2E13 e di una superficie sferica di raggio M. Al variare del vettore M (ri- spetto agli assi d'inerzia della trottola) il suo estremo si muove lungo la linea d'intersczione delle superfici indicate sopra (la figura 51

Fig. 51

rappresenta un certo numero d i linee d i intersezione di un ellissoide con sfere di diverso raggio). L'esistenza stessa dell'intersezione à as- sicurata dalle ovvie disuguaglianze

le quali geometricamente significano che i l raggio della sfera (37,4) Ã compreso tra i l minore e i l maggiore dei semiassi dell'ellissoide (3793).

Vediamo ora come variano queste à traiettorie à descritte dell'estremo del vettore M1) a mano a mano che cambia la grandezza M (per un'energia E data). Quando M"- à leggermente maggiore di 2E11, l a sfera interseca l'ellissoide lungo due piccole curve chiuse che abbracciano l'asse xi in prossimità dei due poli corrispondenti dell'ellissoide (quando M2 +- 2E11, queste curve si riducono a pun- t i coincidenti con i poli). Al crescere di M2, le curve si allargano e per M 2 = 2EIt si trasformano in due curve piane (ellissi) che si inter- secano nei poli sull'asse xv dell'ellissoide. Crescendo ulteriormente

l) Le curve analoghe descritte dall'estremo del vettore Q si chiamano-polodi~.

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1176 CAPITOLO SESTO

M, compaiono nuovamente due traiettorie chiuse distinte, ma che circondano questa volta i poli sull'asse x3; esse s i riducono a questi ¥du punti quando M 2 -+ 2E13.

Osserviamo innanzitutto che i l fatto che le traiettorie siano chiu- s e significa periodicità della variazione del vettore M rispetto al corpo della trottola; in un periodo i l vettore M descrive una superficie (conica, tornando alla posizione d i partenza.

Osserviamo inoltre i l carattere sostanzialmente diverso delle traiettorie vicine ai diversi poli dell'ellissoide. I n prossimità degli assi x-, ed x3 le traiettorie sono disposte interamente intorno a i poli, mentre quelle, passanti in prossimità dei poli sull'asse x2, s i allon- tanano a distanze sempre maggiori da questi punti. Questa diffe- renza à dovuta alla differente stabilità della rotazione della trottola intorno ai suoi t re assi d'inerzia. La rotazione intorno agli assi xl .ed x3 (corrispondenti a l maggiore e al minore dei tre momenti d'inerzia della trottola) à stabile nel senso che, per un piccolo spostamento da questi stati , l a trottola continuerà a compiere un moto vicino a quello iniziale. Al contrario, la rotazione intorno all'asse x2 à instabile; sarà cioà sufficiente un piccolo spostamento per provocare un moto che porti l a trottola lontano dalla sua posizione iniziale.

Per determinare la relazione t r a le componenti di f" (o quelle di M che sono ad esse proporzionali) e i l tempo, usiamo le equazioni d'Eulero (36,5). Esprimiamo al e Q 3 in funzione di Q 2 con l'aiuto delle due equazioni (37,2) e (37,3)

,e, sostituendo nella seconda delle equazioni (36,5), troviamo:

Separando le variabili in questa equazione ed integrando, otteniamo una funzione t (Q2) in forma d i u n integrale ellittico. Per ridurre quest'ultimo alla forma tipica, poniamo, per fissare le idee.

M2 > 2 E I ,

(in caso contrario bisogna scambiare gli indici 1 e 3 in tu t te le formu- le che seguono). Introducendo al posto di t e Q2 le nuove variabili

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MOTO DEI CORPI SOLIDI

e i l parametro positivo k2 <l dato da ( I , - I , ) ( ~ E I ~ - M Z ) k== ( I 3 - I$) ( M 2 - 2 E I i ) '

otteniamo:

(Ã opportuno scegliere l'origine dei tempi in modo tale che Q = 0). Invertendo questo integrale, s i ottiene, com'Ã noto, una delle funzioni ellittiche di Jacobi:

s=snT ,

che determina appunto la dipendenza di Q2 dal tempo. Le funzioni Q1(t) ed %(t) si esprimono algebricamente mediante CI2 ( t ) secondo le uguaglianze (37,6). Prendendo in considerazione la definizione delle altre due funzioni ellittiche

otteniamo infine le seguenti formule:

Le funzioni (37,10) sono periodiche; i l loro periodo rispetto alla variabile T Ã uguale, com'Ã noto, alla grandezza 4K, dove K Ã l'in- tegrale ellittico completo di prima specie:

I l periodo rispetto a l tempo viene dunque dato dall'espressione

I11 capo a questo intervallo di tempo i l vettore Q torna alla sua posizione iniziale rispetto all'asse della trottola. (La trottola perà non torna affatto alla sua posizione iniziale rispetto al sistema di coordinate immobile; vedi piii avanti).

Per Il = I, le formule (37,10) coincidono evidentemente con le formule ottenute nel paragrafo precedente per la trottola simmetrica. Infatti, per Il -+ I 2 i l parametro k2 -+ O e le funzioni ellittiche dege-

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178 CAPITOLO SESTO

nerano in funzioni circolari

sn T-+ sen T, cn T+ cos T, dn T + 1,

e ritrovano le formule (36,7). Per W = 2E13 si ha: Qi = Q2 = O, Q 3 = costante, cioà il

vettore í à costantemente diretto lungo l'asse d'inerzia x3; questo caso corrisponde ad una rotazione uniforme della trottola intorno all'asse x3. Analogamente, per M2 = 2EIi (quando T 0) si ha una rotazione uniforme intorno all'asse xi.

Determiniamo ora il moto assoluto della trottola nello spazio in funzione del tempo (assoluto rispetto al sistema immobile di coor- dinate X, Y, 2). Introduciamo a questo scopo gli angoli d'Eulero ip, (p, 6 tra gli assi della trottola q , x,, x3 e gli assi X, Y, 2, fa- cendo coincidere l'asse fisso Z con la direzione del vettore costante M. Poichà l'angolo polare e l'azimut della direzione di Z rispetto

TI agli assi xi, x,, x, sono uguali a 6 e - - 9, rispettivamente 2 (vedi nota alla pag. 167), proiettando il vettore M sugli assi xl, x2, x3 si ottiene:

M sen 6 sen il; = Mi = Iif"i,

M sen O cos il; = M, = IcQ2, (37,131 M cos 6 = M 3 =

Di qui IsQ3 cose=- AQi M ' Q$=- AQ2 ' (37914)

e, tenendo conto delle formule (37,10), troviamo:

i3 (M'-2EI cos 6 = d n r , M2 (13-fi)

h (Zs--/'2) E (37'15)

1,(Za-zi) S U T ' Queste relazioni determinano la dipendenza dal tempo degli angoli 6 e il; che sono, con le componenti del vettore Q, funzioni periodiche con periodo dato dalla (37,12).

L'angolo cp non entra nelle formule (37,13); per calcolarlo, biso- gna ricorrere alle formule (35,l) che esprimono le componenti di Q attraverso le derivate degli angoli euleriani rispetto al tempo. Eli-

minando 8 dalle uguaglianze:

Qg == (psen6cosil;-O seni^, otteniamo: - Qisenil)+Q2cosil)

10 = san 0 Ã

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MOTO DEI CORPI SOLIDI 179

utilizzando inoltre le formule (37,13), troviamo:

In questo modo l a funzione (p (t) viene determinata da una quadratu- ra, ma l'espressione integranda contiene funzioni ellittiche in forma complicata. Con una serie di trasformazioni abbastanza complicata questo integrale puà essere espresso mediante le cosiddette à funzioni theta P; tralasciando tu t t i i calcoli, diamo qui solo i l risultato finale l ) .

La funzione (C (t) puà essere rappresentata (a meno di una costante additiva arbitraria) sotto forma d i una somma di due termini

(C ( 4 = (Ci (O + (Da (09 (37,17)

uno dei quali à dato dalla formula 2t

f43i ( p u ) e2i<pi(~) = (37'18)

(+ + ia ) ' dove à una funzione theta, ed a una costante reale definita dal- l'uguaglianza

[ K e T sono da t i dalle (37, l l ) e (37,12)1. La funzione nel secondo membro della (37,18) Ã periodica con un periodo uguale a T/2; quin- di cpi ( t ) varia d i 2n nell'inrervalo d i tempo T. I l secondo termine della (37'17) Ã dato dalla formula

Questa funzione subisce un incremento di 2n nel tempo T'. Cosi i l moto, per quanto riguarda l'angolo (p, rappresenta un insieme di due variazioni periodiche; uno dei periodi (T) coincide con i l periodo d i variazione degli angoli + e 9, e l 'altro (T') Ã incommensurabile con i l primo. Quest'ultima circostanza fa s i che la trottola durante i l suo moto non torna alla sua posizione iniziale.

P R O B L E M I

1. Determinare la rotazione libera di una trottola intorno ad un asse vicino all'asse d'inerzia xy (oppure x d .

Soluzione. Supponiamo l'asse xy vicino alla direzione di M. Le componenti M-, ed M. sono allora piccole e la componente M , ^s M (a meno di infinitesimi

i) Per questi si puà vedere E. T. W h i t t a k e r, A Treatise on the Ana- l i t i c a i Dynarnics (Dover, New York, 1944), cap. IV.

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180 CAPITOLO SESTO

del primo ordine). Con la stessa approssimazione, le prime due equazioni di Eulero (36,s) si scrivono nella forma

dove abbiamo introdotto la costante Q,, = m. Seguendo la regola generale, cerchiamo per M, ed M, una soluzione proporzionale ad ei , ed otteniamo per la frequenza (D i l valore

Per le grandezze ed M. otteniamo

dove a à una costante arbitraria piccola. Queste formule determinano i l moto del vettore M relativamente alla trottola; nella costruzione della fig. 51 l'estremo del vettore M descrive (con frequenza W) una piccola ellisse intorno al polo giacente sull'asse x3.

Per determinare il moto assoluto della trottola nello spazio, bisogna deter- minare gli angoli euleriani. Nel nostro caso, l'angolo d'inclinazione 0 dell'asse

sull'asse Z (direzione di M) Ã piccolo, e secondo le formule (37,14) abbiamo

sostituendo la (2), troviamo

Per calcolare l'angolo cp, notiamo che, secondo la terza delle formule (35.1) per 6 <C 1 abbiamo:

(la costante d'integrazione à omessa). Per avere un'idea pi6 concreta del moto della trottola, bisogna osservare

direttamente la variazione delle direzioni dei suoi tre assi d'inerzia (indichiamo con nl, nç n3 i versori relativi a questi tre assi). I versori nl ed n; ruotano uniformemente con la frequenza Q,, nel piano XY, subendo nel frattempo piccole oscillazioni trasversali di frequenza or, queste oscillazioni sono definite dalle componenti su Z dei versori, in questione, per le quali abbiamo:

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MOTO DEI CORPI SOLIDI 181

Per i l versore n3 con la stessa approssimazione abbiamo: nsx = 0 sen (p, nsy : - 0 cos (p, n3; ss; 1

(l'angolo polare e l'azimut della direzione di n3 rispetto agli assi X , Y , Z sono TI

uguali a 0 e (p - -; vedi nota alla pag. 167). Utilizzando le formule (37,13) 2 possiamo scrivere

nsx = 0 sen (Bot - i j?) = 0 sen Qot cos $- 0 cos Oot sen I+ ==

- a /*-l cos Qot cos coi,

ossia

++ ( y^-1-/^-l) cos (Qo-" i.

Analogamente troviamo:

n3,=-^ 2 o/^-I+)/+-I) sen (Qo+@).+

++ (/+-I-^-<) sen (QO-W) te

Dall'ultima formula si vede che i l moto del versore n-, rappresenta una sovrapposizione di due rotazioni di frequenze (Q,, co) intorno all'asse 2.

2. Determinare la rotazione libera di una trottola per M 2 = 2 E I v . Soluzione. Nella costruzione della fig. 51, questo caso corrisponde allo

spostamento dell'estremità del vettore M su una curva passante per un polo sull'asse x2.

L'equazione (37,7) assume la forma

dove abbiamo posto Q, = M / I f = 2 E / M . Integrando questa equazione ed utilizzando poi e formule (37,6), otteniamo:

Per descrivere i l moto assoluto della trottola, introduciamo gli angoli euleriani, definendo 0 come l'angolo formato dall'asse Z (direzione di M) con l'asse d'inerzia x, della trottola (e non x,, come nel testo). Nelle formule (37,14) e (37,16) che stabiliscono la relazione tra le componenti del vettore Q e gli angoli

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182 CAPITOLO SESTO

di Eulero, bisogna eseguire la permutazione ciclica degli indici 1 2 3 4 3 1 2 . Sostituendo poi in queste formule le espressioni (l), otteniamo:

Dalle formule ottenute risulta che la direzione del vettore fi tende asinto- ticamente (per t Ñ> 00 ) verso l'asse x o , i l quale, a sua volta, tende asintoticamente verso l'asse fisso 7.

,$ 38. Contatto f r a i corpi solidi

Dalle equazioni del moto (34, l) e (34,3) risulta evidente che per determinare le condizioni d'equilibrio di un corpo solido à sufficiente annullare la forza totale e i l momento totale delle forze agenti su di esso:

La sommatoria à estesa a tu t te le forze esterne applicate a l corpo, ed r rappresenta i raggi vettori dei à punti d'applicazione à d i queste forze; i l punto (origine delle coordinate), relativamente a l quale sono definiti i momenti, puà essere scelto arbitrariamente: per F = O, i l valore d i K non dipende da questa scelta [cfr. (34,5)1.

Considerando un sistema di corpi solidi in contatto gli uni con gli altri, s i h a l'equilibrio quando le condizioni (38,1) sono soddisfat- te per ciascun corpo separatamente. Fra le forze vanno incluse anche quelle agenti sul corpo dato da parte degli al t r i corpi in contatto con esso. I punti d i applicazione d i queste forze coincidono con i punti di contatto dei corpi e s i chiamano forze di reazione. evidente che per ciascuna coppia di corpi, le loro forze reciproche di reazione sono uguali in modulo ed opposte in direzione.

Nel caso generale, i moduli e le direzioni delle reazioni vengono determinati risolvendo i l sistema di equazioni d'equilibrio (38,1), compatibile per t u t t i i corpi. I n alcuni casi, però l a direzione delle forze d i reazione à data dalle condizioni stesse del problema. Per esempio, se due corpi possono strisciare liberamente l'uno sulla superficie dell'altro, le loro forze d i reazione sono dirette secondo l a normale a questa superficie.

Se i corpi a contatto s i muovono l'uno rispetto all'altro, oltre alle forze d i reazione, compaiono anche forze di carattere dissipativo, ossia le forze d'attrito.

Per i corpi a contatto sono ossib bili i due t ipi d i moto: striscia- mento e rotolamento. Nello strisciamento le reazioni sono perpendico- lari alle superfici di contatto, mentre le forze d'attrito sono dirette secondo le tangenti a queste superfici.

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MOTO DEI CORPI SOLIDI 183

I l puro rotolamento à caratterizzato dal fatto che nei punti di contatto manca moto relativo dei corpi; in altri termini, per il corpo rotolante à come se, in ogni istante, i l punto di contatto fosse un punto fisso. Le direzioni delle forze di reazione sono i n questo caso arbitrarie, cioà non sono necessariamente normali alle superfici di contatto. L'attrito, invece, nel rotolamento appare come una coppia supplementare che si oppone a l rotolamento stesso.

Se nel caso dello strisciamento l 'attrito à insignificante da poter essere completamente trascurato, le superfici dei corpi sono dette perfettamente lisce. Viceversa, se le proprietà della superficie ammet- tono solo un rotolamento puro dei corpi senza strisciamento, e nel rotolamento l 'attrito puà essere trascurato, le superfici sono dette perfettamente ruvide.

In entrambi i casi le forze d 'at t r i to non figurano esplicitamente nel problema del moto dei corpi, e quindi i l problema à puramen- t e meccanico. Se invece le proprietà concrete dell'attrito assumono un'importanza sostanziale, i l moto perde i l carattere d i un processo puramente meccanico (cfr. $ 25) .

I l fatto che i corpi siano a contatto diminuisce i l numero dei loro gradi di libertà in confronto con quelli che avrebbero nel caso di moto libero. Studiando problemi di questo genere, abbiamo finora tenuto conto di questa circostanza introducendo coordinate direttamente cor- rispondenti a l numero effettivo d i gradi d i libertà Nel rotolamento dei corpi, però tale scelta delle coordinate puà risultare impossibile.

La condizione cui deve soddisfare i l moto dei corpi nel rotola- mento consiste nell'uguaglianza delle velocità dei punti d i contatto (cosi, per un corpo rotolante su una superficie fissa, l a velocità del punto di contatto deve essere uguale a zero). Nel caso generale questa condizione si esprime mediante equazioni dei vincoli del tipo

dove cy,i sono funzioni delle sole coordinate (a à l'indice che enu- mera le equazioni dei vincoli). Se i primi membri delle uguaglianze non sono derivate totali rispetto a l tempo d i funzioni delle coordi- nate, queste equazioni non si possono integrare. In altri termini, non à possibile trasformarle i n relazioni t ra le sole coordinate, mediante le quali s i potrebbe esprimere l a posizione dei corpi con un minor numero d i coordinate, in corrispondenza con il reale numero di gradi di libertà Tali vincoli sono det t i anolonomi (contrariamente a i vincoli det t i olonomi che legano solo le coordinate del sistema).

Consideriamo, ad esempio, i l rotolamento di una sfera su una su- perficie piana. Come al solito, indichiamo con V la velocità del moto traslatorio (velocità del centro della sfera), e con f" la velocità ango- lare della sua rotazione. La velocità del punto di contatto della sfera con i l piano si ottiene ponendo r = -an nella formula generale

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184 CAPITOLO SESTO

v = V + [Qt] (dove a à il raggio della sfera, n i l vettore unitario della normale a l piano di rotolamento nel punto di contatto). I l vin- colo cercato à espresso dalla condizione d i assenza di strisciamento nel punto d i contatto, cioà à dato dall'eqnazione

Questa equazione non à integrabile: sebbene la velocità V sia la de- rivata totale rispetto a l tempo del raggio vettore del centro della sfera, la velocità angolare non à invece generalmente la derivata tota- le di una delle coordinate. In ta l modo, i l vincolo (38.3) à anolonomol).

Poichà non à possibile utilizzare le equazioni dei vincoli anolono- mi per ridurre i l numero delle coordinate, s i debbono inevitabil- mente introdurre, se tal i vincoli esistono, delle coordinate non tut te indipendenti. Per trovare le corrispondenti equazioni d i Lagrange, ricorriamo a l principio di minima azione.

La presenza d i vincoli del tipo (38,2) impone determinate restri- zioni ai possibili valori delle variazioni delle coordinate. Moltipli- cando queste equazioni per 6 t , troviamo che le variazioni 6qi non sono indipendenti, bensi legate dalle relazioni

Di questa circostanza occorre tener conto nel fare la variazione del- l'azione. Secondo i l metodo generale di Lagrange per trovare le con- dizioni di estremo, all'espressione integranda della variazione del- l'azione

bisogna aggiungere le equazioni (38,4) moltiplicate per i fattori inde- terminati Ë (funzioni delle coordinate), e porre quindi l'integrale uguale a zero. Considerando tu t te le variazioni 60; indipendenti si ottengono le equazioni

Con le equazioni dei vincoli (38,2), esse costituiscono un sistema di equazioni completo rispetto alle incognite qi e La.

Nel metodo esposto le forze di reazione generalmente non inter- vengono; i l contatto dei corpi à interamente descritto dalle equazioni dei vincoli. Tuttavia, per stabilire le equazioni del moto dei corpi a

l) Notiamo che per i l rotolamento di un cilindro un tale vincolo sarebbe olonomo. In questo caso, l'asse di rotazione conserva una direzione costante nello spazio, e di conseguenza, f" = d&t à la derivata totale dell'angolo di rotazione cp del cilindro intorno al suo asse. La relazione (38,3) à allora inte- grabile e dà la relazione tra la coordinata del centro di massa e l'angolo q>.

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MOTO DEI CORPI SOLIDI 185

contatto, esiste un altro metodo nel quale s i introducono esplicita- mente le forze di reazione. Secondo questo metodo (che costituisce i l contenuto del principio di D'Alembert) per ciascuno dei corpi a con- tat to si scrivono le equazioni

dove nell'insieme delle forze f che agiscono sul corpo, sono comprese anche le forze d i reazione; queste forze non sono note a priori e ven- gono determinate contemporaneamente con i l moto del corpo, a so- luzione delle equazioni ottenute. Questo metodo à ugualmente appli- cabile sia nel caso di vincoli olonomi che in quello di vincoli anolo- nomi.

P R O B L E M I

1. Applicando i l principio di D'Alembert, trovare le equazioni del moto di una sfera omogenea rotolante su un piano sotto l'azione di una forza esterna F e di un momento di forze K.

Soluzione. L'equazione dei vincoli (38,3) à data già nel testo. Introducendo- la forza di reazione (che indichiamo con R), applicata nel punto di contatto della sfera con i l piano, scriviamo le equazioni (38,6):

(qui à stato preso i n considerazione che P = pV e che per una trottola sferica M = 70). Derivando l'equazione dei vincoli (38,3) rispetto a l tempo, si ottiene:

V = a [fin].

Sostituendo questo valore nell'equazione (1) ed eliminando 6 con l'aiuto della (2), si trova l'equazione

I - (F+R)= [Knl -aR+an (nR), aP

che lega la forza di reazione con F e K. Passando alle componenti e ponen- 2 do I = -pa2 (vedi problema 2,b, 5 32), abbiamo: 5

(dove i l piano x, y à stato scelto come piano d i rotolamento). Infine, riportando queste espressioni nella ( i ) , otteniamo le equazioni del moto che già contengono- soltanto la forza esterna e i l momento dati:

Le componenti Qx, Q della velocità angolare si esprimono i n funzione di Vv e Vu con l'aiuto dellYequazione dei vincoli (38,3), e per Q, si ha:

[componente z dell'equazione (2)].

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186 CAPITOLO SESTO

2. Un'asta omogenea'BD di peso P e di lunghezza I à appoggiata ad una parete (fig. 52); la sua estremità inferiore B à tenuta dal filo A B . Determinare

le reazioni degli appoggi e la tensione del filo. Soluzione. Il peso dell'asta puà essere

rappresentato come una forza P applicata nel suo punto medio e diretta verticalmente verso i l basso. Le forze di reazione Rs ed Ra sono dirette rispettivamente verso l'alto e per endi- colarmente all'asta: la tensione T def filo à diretta da B ad A . La soluzione delle equa- zioni d'equilibrio dà

A

Fig. 52

ed Rn sono perpendicolari equazioni d'equilibrio d i :

D

3. Un'asta A B di peso P poggia le sue estremità su un piano orizzontale e su un piano verticale (fig. 53), ed à tenuta in questa posizione da due fili orizzontali A D e BC; il filo BC si trova nel piano verticale passante per l'asta A B . Determinare la reazione degli appoggi e le tensioni dei fili.

Soluzione. Le tensioni TA e T B dei fili sono dirette da A a D e da B a C. Le reazioni R A ai piani corrispondenti. La soluzione delle

r R B = P , Ts =- c t g a , RA=Ta senp, T A Z T ~ cos p. 2

4. Due aste di lunghezza I sono congiunte, in alto, a cerniera e sono collegate, i n basso, da un filo A B (fig. 54) . Nel punto di mezzo di una delle

Fig. 53

aste à applicata una forza F (il peso delle sbarre à trascurato). Determinare le forze di reazione.

Soluzione. La tensione T del filo agisce nel punto A da A verso B , e nel puntoB da B verso A . Le reazioni RA ed R B nei punti A e B sono

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MOTO DEI CORPI SOLIDI 187

perpendicolari a l piano d'appoggio. Indichiamo con Rc la forza di reazione agente sull'asta AC in corrispondenza della cerniera; sull'asta BC agisce allora una forza di reazione -Rc. Annul- lando la somma dei momenti delle forze Un, T e -RC agenti sull'asta B C trovia-

^ \

mo che il vettore Rc risulta diretto lungo \ BC. Le altre condizioni d'equilibrio (per ciascuna delle aste) ci danno i valori

3 F R A = - F , R --, 4 B - 4

F RC = - 1

T=-ctga , 4 s e n a ' 4

dove a à l'angolo CAB.

$ 39. Moto i n un sistema di riferimento non inerziale

A B Finora abbiamo studiato i l moto d i

un sistema meccanico qualunque, Fig. 54 relativamente sempre ad un sistema d i riferimento inerziale. Soltanto in un sistema inerziale infatti la funzione d i Lagrange, per esempio, d i una particella in un campo esterno ha la forma

mvg Lo = T- u, (39'1)

e l'equazione del moto si pu6 scrivere:

(in questo paragrafo indicheremo con l'indice O le grandezze riferite a un sistema inerziale).

Vediamo ora quale forma assumono le equazioni del moto di una particella in u n sistema di riferimento non inerziale. Come punto di partenza per risolvere questo problema ricorreremo ancora a l prin- cipio d i minima azione, l a cui applicabilità non à l imitata in alcuno modo dalla scelta del sistema d i riferimento; restano valide inoltre anche le equazioni d i Lagrange

Tuttavia, la funzione di Lagrange non ha piti la forma (39,1) e per trovarla à necessario eseguire sulla funzione L,, una trasforma- zione appropriata.

Facciamo questa trasformazione in due tempi. Consideriamo in un primo momento un sistema di riferimento K', animato da un moto traslatorio con una velocità V (t) rispetto ad un sistema inerziale K,,. Le velocità v. e v' di una particella relativamente ai sistemi Ko e

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188 CAPITOLO SESTO

K' sono legate dalla relazione

v,, = v + v ( t ) .

Sostituendo questa espressione nella (39,1), otteniamo la funzione di Lagrange nel sistema K':

Poichà V2 (t) à una data funzione del tempo, che puo essere rappre- sentata come la derivata totale rispetto a t di un'altra funzione, si puà quindi nell'espressione ottenuta omettere il terzo termine. D'altra parte, v' = drt/dt, dove r' à i l raggio vettore della particella nel sistema di coordinate K ; si ha dunque

dr' dV mV ( t ) V' = mV - = L (mvr ' ) - mr' T . dt dt

Sostituendo questo valore nella funzione di Lagrange ed omettendo nuovamente la derivata totale rispetto a l tempo, s i ottiene

dove W = d V / d t à l'accelerazione del moto traslatorio del sistema K'. Con l a (39,4) otteniamo l'equazione di Lagrange

dir' 9U m----- dt - 9r'

m W (t) .

Si vede dunque che dal punto d i vista della sua influenza sull'e- quazione del moto della ~a r t i ce l l a , i l moto traslatorio accelerato del sistema di riferimento à equivalente] ad un campo d i forze uni- forme; la forza agente in questo campo à uguale a l prodotto della massa della particella per l'accelerazione W e diretta in senso opposto a questa accelerazione.

Introduciamo ora un altro sistema d i riferimento K avente l'ori- gine in comune con K', ma animato, rispetto a quest'ultimo, da un moto rotazionale con una velocità angolare Q ( t ) ; rispetto a l sistema inerziale K,,, i l sistema K compie sia una rotazione che una traslazione.

La velocità v' della particella rispetto a l sistema K' à composta della sua velocità v relativa a l sistema K e della velocità [Br ] della sua rotazione con i l sistema K:

v' = v + [ B r ]

(i raggi vettori r ed r' della particella nei sistemi K e K' coincidono). Sostituendo questa espressione nella funzione di Lagrange (39,4), etteniamo:

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MOTO DEI CORPI SOLIDI 189

Questa à la forma generale della funzione d i Lagrange della par- ticella in un sistema d i riferimento qualunque, non inerziale. Notia- mo che la rotazione del sistema d i riferimento introduce nella funzio- ne d i Lagrange un termine di tipo del tu t to particolare, lineare rispetto alla velocità della particella.

Per calcolare le derivate facenti parte dell'equazione d i Lagrange, scriviamo i l differenziale totale:

d L = m v d v + m d v [ Q r } + m v [ Q d r ] + m [Qr] [QdrJ-

au + m [[Qr] Ql dr- wW dr dr.

Riunendo i termini contenenti dv e dr, troviamo:

Sostituendo queste espressioni nella (39'2)' troviamo l'equazione del moto cercata:

Dall'equazione trovata s i vede che le à forze d'inerzia à generate dalla rotazione del sistema di riferimento constano d i tre termini.

La forza m [rQl à dovuta alla non uniformità della rotazione, mentre le altre due esistono anche nella rotazione uniforme. Si chiama 2 m [vQl forza di Coriolis; a differenza d i tu t te le forze (non dissi- pative) che abbiamo esaminato finora, essa dipende dalla velocità della particella. La forza m [Q [r i i l l à detta centrifuga. Essa giace nel piano definito da r ed i" ed à perpendicolare all'asse d i rotazione (cioà alla direzione di i") diretta verso l'esterno; i l valore della forza centrifuga à uguale a mpV, dove p à l a distanza della particella dall'asse d i rotazione.

Consideriamo a parte i l caso di un sistema d i coordinate animato da una rotazione uniforme, senza moto traslatorio accelerato. Po- nendo nella (39,6) e (39,7) S" = costante, W = O, otteniamo la funzione di Lagrange

e l'equazione del moto dv au m-= -- di 9r + 2m [va1 +m [Q [rQl}. (39,9)

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190 CAPITOLO SESTO

Calcoliamo per questo caso anche l'energia della particella. Po- nendo

nell'uguaglianza E = pv - L, otteniamo:

Osserviamo che nell'espressione dell'energia non compare i l termine lineare rispetto alla velocità L'influenza della rotazione del sistema di riferimento si manifesta in un termine supplementare nell'energia, termine che dipende soltanto dalle coordinate della particella e che à proporzionale al quadrato della velocità angolare. Questa energia

m potenziale supplementare - [Qrl à detta energia centrifuga.

La velocità v della particella rispetto al sistema di riferimento animato da una rotazione uniforme à legata alla sua velocità v0 rispetto al sistema inerziale Ko dalla relazione:

da cui à evidente che l'impulso p (39,iO) della particella nel sistema K coincide con i l suo impulso p. = mvo nel sistema Ko. Coincidono anche i momenti angolari M. = Irp,,l ed M = Irpl. Le energie della particella nei sistemi K e K,, sono invece differenti. Sostituendo v dalla (39,12) nella (39,11), otteniamo:

I primi due termini rappresentano l'energia E. nel sistema Ko. In- troducendo nell'ultimo termine i l momento angolare, avremo:

E = E. - MQ. (39,131

Questa formula dà la legge di trasformazione dell'energia nel passaggio a un sistema di coordinate animato da una rotazione uniforme. Sebbene questa formula sia stata stabilita per una sola particella, à perà evidente, che i l procedimento, applicato al caso pifi generale di un sistema qualsiasi di particelle, portà sempre alla formula (39,13).

P R O B L E M I

1. Trovare la deviazione dalla verticale provocata dalla rotazione della Terra della libera caduta di un grave. (Considerare piccola la velocità ango- lare di rotazione).

Soluzione. Nel campo di gravità U = -mgr, dove g à il vettore accelera- zione della forza di gravità trascurando nell'equazione (39,9) la forza centri- fuga che contiene i l quadrato di Q, otteniamo l'equazione del moto nella.

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MOTO DEI CORPI SOLIDI

forma

Risolviamo questa equazione per approssimazioni successive. Poniamo a tale scopo v = v,+ v,, dove v, à la soluzione dell'equazione vi = g, cioà v l = gt + v. (vo velocità iniziale). Sostituendo v = v, + v, nella ( 1 ) e la- sciando a destra soltanto v,, otteniamo per v, l'equazione

vg = 2 [v~Q] = 2t [gQ] + 2 [v~Q]. L'integrazione dà

dove h à il vettore della posizione iniziale della particella. Orientando l'asse z verticalmente verso l'alto e l'asse x lungo il meridiano-

verso il polo, si ha ^ = g y = O , g z = -g; Q x = Q c o s ) i , Q y = 0 , Q z = Q s e n X ,

dove A Ã la latitudine (nord, per fissare le idee). Ponendo nella (2 ) v0 = O , troviamo

Sostituendo qui il tempo di caduta t w troviamo infine

(il valore negativo per y corrisponde ad uno spostamento verso est). 2. Determinare la deviazione dal piano per un corpo lanciato dalla super-

ficie della Terra con una velocità iniziale v0. Soluzione. Scegliamo il piano xz in modo tale che esso conten

da ga "O. L'a1tezza iniziale à h = 0. Per la deviazione laterale, l'equazione ( 2 ) de problema 1 ci

ossia, sostituendo i l tempo di ascesa t w 2r&:

3. Determinare l'effetto della rotazione della Terra sulle piccole oscil- lazioni di un pendolo (pendolo di Foucault).

Soluzione. Trascurando lo spostamento verticale del pendolo come infi- nitesimo del secondo ordine, si puà considerare che i l moto avvenga nel piano orizzontale xy. Omettendo i termini contenenti LP, scriviamo le equazioni del moto nella forma

dove co à la frequenza. delle oscillazioni del pendolo senza tener conto della rotazione della Terra. Moltiplicando la seconda equazione per i e sommando alla prima, otteniamo un'unica equazione

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192 CAPITOLO SESTO

per la grandezza complessa E = x + iy. Per Q* < (D la soluzione di questa equazione e:

dove le funzioni xo ( t ) ed yo ( t ) danno la traiettoria del pendolo senza tener conto della rotazione della Terra. L'effetto di questa rotazione si riduce quin- di a una rotazione della traiettoria intorno alla verticale con velocità angolare Q..

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Capitolo VI1

EQUAZIONI CANONICHE

$ 40. Equazioni di Hamilton

La formulazione delle leggi della meccanica mediante la funzione di Lagrange (e delle equazioni di Lagrange che da essa possono essere dedotte) presuppone la descrizione dello stato meccanico di un siste- ma mediante l'assegnazione delle coordinate e delle velocità gene- ralizzate. Questo metodo non à perà l'unico possibile. La descrizione dello stato del sistema mediante le sue coordinate e i suoi impulsi generalizzati presenta, soprattutto nello studio di diversi problemi generali della meccanica, una serie d i vantaggi. Sorge allora i l problema della ricerca delle equazioni del moto che corrispondano a questa nuova formulazione della meccanica.

I l passaggio da un insieme di variabili indipendenti ad un altro puà essere fatto mediante una trasformazione, nota in matematica sotto i l nome di trasformazione di Legendre. Nel nostro caso questa trasformazione prende la forma seguente.

I l differenziale totale della funzione d i Lagrange come funzione delle coordinate e delle velocità Ã

Questa espressione si puà scrivere nella forma

essendo le derivate d ~ / d ~ i , per definizione, g l i impulsi generalizzati,

e le equazioni d i Lagrange danno dL/dqi = p;. Riscrivendo ora i l secondo termine della (40,1) nella forma

2 pi = d (2 p i i i ) 2 (Zi api, portando poi il differenziale totale d ( 2 piii) nel primo membro dell'uguaglianza e cambiando tu t t i i segni, dalla (40, l ) otteniamo:

La grandezza sotto i l segno di differenziale rappresenta l'energia del sistema (vedi  6); espressa in funzione delle coordinate e degli

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194 CAPITOLO SETTIMO

impulsi, essa s i chiama funzione d i Hamilton o hamiltoniana del sistema

H (p7 97 t ) = S pií -L. (4072) 1

Dall'uguaglianza differenziale

si ricavano le equazioni

Queste sono le equazioni del moto cercate: esse hanno per variabi- l i p e q e sono dette equazioni di Hamilton. Esse formano un sistema di 2s equazioni differenziali del primo ordine per 2s funzioni incogni- te p ( t ) e q ( t ) , che sostituiscono le s equazioni del secondo ordine otte- nute con i l metodo di Lagrange. Per la loro semplicità formale e la loro simmetria queste equazioni sono dette anche canoniche.

La derivata totale rispetto a l tempo della funzione di Hamilton Ã

Sostituendovi q, e pi ricavate dalle equazioni (40,4), i due ultimi termini s i elidono, cosicchÃ

Nel caso particolare in cui la funzione di Hamilton non dipende espli- citamente dal tempo, s i ha d H / d t = O, si ottiene cioà di nuovo la formulazione delle legge di conservazione dell'energia.

Le funzioni di Lagrange e d i Hamilton, oltre alle variabili

dinamiche q, q oppure q, p , contengono vari parametri, ossia grandezze che caratterizzano le proprietà del sistema meccanico come tale o del campo esterno agente su d i esso. Sia A uno d i questi para- metri. Se lo consideriamo come una variabile, avremo, in luogo della (40,l):

quindi, in luogo della (40,3) otterremo:

Di qui ricaviamo la relazione

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EQUAZIONI CANONICHE 195

che lega fra d i loro le derivate parziali rispetto al parametro A delle funzioni di Lagrange e d i Hamilton; gli indici stanno a significare che la derivazione va fat ta in un caso tenendo costanti p e q,

e nell'altro tenendo costanti q e q. Questo risultato puà anche esser presentato sotto un altro aspetto.

Sia L = Lo + L' la funzione di Lagrange, dove L' rappresenta una piccola correzione alla funzione fondamentale Lo. I l termine sup- plementare corrispondente nella funzione d i Hamilton H =Ho -j- H' Ã legato con L' mediante

W O P . , = - (L');, . (4077)

Notiamo che trasformando la (40,1) nella (40,3) abbiamo sempre omesso il termine in di, i l quale tiene conto di una possibile dipenden- za esplicita della funzione d i Lagrange dal tempo; infatti, questo ter- mine avrebbe in quella connessione solo la funzione di un parametro, non avendo alcuna relazione con la trasformazione eseguita. Per analogia con la (40,6), le derivate parziali rispetto al tempo di L e d i H sono legate dalla relazione

P R O B L E M I

1. Trovare la funzione di Hamilton per u n punto materiale in coordinate cartesiane, cilindriche e sferiche.

Risposta. In coordinate cartesiane x, y, z: 1 H = - nrn ( P ~ + P $ + P ~ ) + ~ ( x , Y, 2).

In coordinate cilindriche r , q, z:

I n coordinate sferiche T , 0, q:

2. Trovare la funzione d i Hamilton di una particella i n un sistema di riferimento animato da un moto rotatorio uniforme.

Soluzione. Dalle (39,11) e (39,10) troviamo:

3. Trovare la funzione d i Hamilton di un sistema costituito da una par- icella di massa M e da n particelieddi massa m , senza tener conto del moto e1 centro di massa (vedi problema del  13).

Soluzione. L'energia E si deduce dalla funzione di Lagrange trovata nel lroblema del  13, cambiando i l segno davanti ad U . Gli impulsi generalizzati

13*

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196 CAPITOLO SETTIMO

sono:

Da cui abbiamo:

Sostituendo questi valori nell'espressione di E, troviamo

8 41. Funzione d i Routh

In alcuni casi, passando a nuove variabili, puà risultare con- veniente sostituire con impulsi non tu t te le velocità generalizzate, ma soltanto alcune d i esse. La trasformazione corrispondente à comple- tamente analoga a quella operata nel paragrafo precedente.

Per semplificare la scrittura delle formule, supponiamo anzitutto di avere soltanto due coordinate, q e E, e trasformiamo le variabili

q, E , a, 1 nelle variabili q, E , p, E, dove p à l'impulso generalizzato corrispondente alla coordinata q. . .

I l differenziale della funzione d i Lagrange L (q, E, q, E) Ã

da cui:

Introduciamo l a cosiddetta funzione di JRouth

Il (91 P1 E, i) =P;-L, (4171)

nella quale la velocità q à espressa mediante l'impulso p utilizzando

l'uguaglianza p = dL /dq . Calcolando i l differenziale, otteniamo:

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EQUAZIONI CANONICHE 197

da cui risulta che

Sostituendo le ultime uguaglianze nell'equazione d i Lagrange per la coordinata E;, otteniamo:

La funzione di Routh à quindi funzione hamiltoniana rispetto alla coordinata q [equazione (41,3)1 e lagrangiana rispetto alla coordi- nata E; [equazione (41,5)1.

Conformemente alla definizione generale, l'energia del sistema Ã

Sostituendovi la (41,l) e la (41,4), possiamo esprimere E mediante la funzione di Routh:

6R E=:R-E-. (41 16)

4 La generalizzazione delle formule ottenute a l caso in cui si hanno

pi6 coordinate q e E; à immediata. In particolare, l'uso della funzione d i Routh puà essere opportuno

nel caso d i coordinate cicliche. Se le coordinate q sono cicliche, non appaiono esplicitamente nella funzione d i Lagrange e, di conse- guenza, neanche nella funzione di Routh, cosicchà R à funzione solo

di p, E;, g. Gli impulsi generalizzati p corrispondenti alle coordinate cicliche sono inoltre costanti (cià à evidente anche dalla seconda delle equazioni (41,3), l a quale in questo senso non dà niente di nuovo). Sostituendo g l i impulsi p con i loro valori costanti dati, le equa- zioni (41,5)

s i riducono a equazioni contenenti soltanto le coordinate e quindi le coordinate cicliche vengono escluse completamente. Risolte queste equazioni e trovate le funzioni E; ( t ) , sostituendole nel secondo membro delle equazioni

troviamo, con una integrazione diretta, le funzioni q (t) .

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1 98 CAPITOLO SETTIMO

P R O B L E M A

Trovare la funzione di Routh di una trottola simmetrica in un campo esterno U ((p, O ) , eliminando la coordinata ciclica i ) ) ( i ) ) , (p, 6 sono angoli euleriani).

Soluzione. La funzione di Lagrange in questo caso Ã

L=- I '1 2 ( 6 ~ + ~ 2 ~ e n ~ e ) + + ( $ + ~ ~ 0 ~ e ) ~ - u ( ~ . e)

(cfr. problema 1 del $ 35). La funzione di Routh quindi:

dove il primo termine à una costante che puà essere omessa.

$42. Parentesi di Poisson

Sia f (p, q, t ) una funzione delle coordinate, degli impulsi e del tempo. Scriviamo la sua derivata totale rispetto a l tempo

. . Sostituendo qui qk e p k con le loro espressioni ricavate dalle equazioni di Hamilton (40,4), otteniamo:

dove à stata introdotta la notazione

L'espressione (42,2) Ã detta parentesi di Poisson per le grandezze H ed f .

Quelle funzioni delle variabili dinamiche che restano costanti durante i l moto del sistema sono dette, come sappiamo, integrali del moto. Dalla ( 4 2 , l ) si vede che la condizione perchà la grandezza f sia integrale del moto (d f /d t --= o), puà esser scritta nella forma:

Se l'integrale del moto non dipende esplicitamente dal tempo, s i h a

{ H f } = O, (42,4)

cioà l a sua parentesi di Poisson con l a hamiltoniana deve annul- larsi.

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EQUAZIONI CANONICHE 199

Per qualsiasi coppia di grandezze f e g la parentesi di Poisson vie- ne definita in maniera analoga a l caso precedente, cioè

Le parentesi di Poisson godono delle seguenti proprietà facilmente ricavabili dalla loro stessa definizione.

Scambiando le funzioni, la parentesi cambia segno; se una delle funzioni à costante (C), la parentesi à nulla:

{fg} = = {gf 1, (42,6) {fc} = 0.

Inoltre: (4277)

{/I + f 2 9 g} = {fig} + {f2g}~ (42,8)

{flf2, g } = f l { f 2 d + f 2 { / I d . (4299)

Prendendo la derivata parziale della (42,5) rispetto al tempo, si ottiene:

Se una delle funzioni f o g coincide con un impulso o con una coordinata, la parentesi di Poisson si riduce semplicemente alla derivata parziale:

La formula (42,11), ad esempio, si ottiene ponendo nella (42,5) g = qh; l'intera somma si riduce allora ad un termine, essendo -= ah,, e ¥"'* = 0. In particolare ponendo nelle (32,ll) e (42,12) Qq1 QP, la funzione f uguale a qi e pi, si ottiene

Fra-le parentesi di Poisson formate da tre funzioni esiste la rela- zione

{f {gh}} + {g W} + {h{fg}} = 0' (427 14)

che à chiamata identità d i Jacobi. Per dimostrarla, notiamo che, secondo la definizione (42,5),

le parentesi d i Poisson {fg} sono funzioni omogenee bilineari delle derivate prime delle grandezze f e g. Quindi, ad esempio, la parentesi {h {fg}} rappresenta una funzione omogenea lineare delle derivate seconde delle grandezze f e g. Tutto i l primo membro dell'uguaglian- za (42,14) Ã preso globalmente, una funzione omogenea lineare delle

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200 EQUAZIONI CANONICHE

derivate seconde di tutte le tre funzioni f, g, h. Riuniamo i termini contenenti le derivate seconde di f. La prima parentesi non contiene tali termini: essa include soltanto le derivate prime di f . Scriviamo la somma della seconda e della terza parentesi in forma simbolica, introducendo gli operatori differenziali lineari DI e D 2 definiti nel modo seguente:

D1 ((P) = {gv}, D2 ((P) = { h d . Si ha allora

{g {fh}} + {h {fg}} = {g {hf}} - {h {gf}} =

= D1 (D2 V) ) -D2 (D1 (/)) = (DlD2 --D.Dl) f. E facile vedere, tuttavia, che una tale combinazione di operatori differenziali lineari non puà contenere le derivate seconde di f. In- fatti , la forma generale degli operatori differenziali lineari Ã

dove Eh, sono funzioni arbitrarie delle variabili xl, xz, . . . Di conseguenza,

e la differenza di questi prodotti 9% % 9 D A - 0.0, = 3 ( E h

i"k -&-) to- h, 1

à di nuovo un operatore contenente soltanto derivate prime. In tal modo, nel primo membro dell'uguaglianza (42,14), tu t t i i termini con derivate seconde di f si annullano reciprocamente e poichà lo stesso si ha, evidentemente, per le funzioni g ed h, l'intera espressione à identicamente nulla.

Una proprietà importante delle parentesi di Poisson à la seguen- te: se f e g sono due integrali del moto, anche la loro parentesi à in- tegrale del moto

{fg} = costante (42,15) (teorema di Poisson).

La dimostrazione di questo teorema à assai semplice se f e g non dipendono esplicitamente dal tempo. Ponendo nella identità di Jacobi h = H, si ottiene:

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EQUAZIONI CANONICHE 201

Da questa relazione risulta che se { H g } = O e {Hf} = O, anche {H {fg}} = O, come volevasi dimostrare.

Se invece gli integrali del moto f e g dipendono esplicitamente dal tempo, partendo dalla (42,l) abbiamo:

Utilizzando la formula (42,lO) e sostituendo la parentesi {H {fg}} con altre mediante l ' identità di Jacobi, otteniamo:

ossia

e la dimostrazione deF teorema di Poisson in questo caso generale- diventa a questo punto evidente.

fi chiaro, che applicando il teorema d i Poisson, non si hanno. sempre nuovi integrali del moto, essendo i l loro numero general- mente limitato (2s - 1, dove s à i l numero di gradi d i libertà) I n alcuni casi, possiamo ottenere un risultato banale: le parentesi d i Poisson si riducono ad una costante. I n altri casi ancora, il! nuovo integrale ot tenuto puà essere semplicemente una funzione degli integrali iniziali f e g. Se nessuno d i questi casi s i verifica, le parentesi d i Poisson danno un nuovo integrale del moto.

P R O B L E M I

1. Determinare le parentesi di PO~SSOB formate dalle componenti carte- siane dell'impulso p e dal momento an olare M = [rp] di un punto materiale.

o u i o . Con l'aiuto della formuqa (42,121 si trova:

e in modo analogo {Mxpx} = o, { M x p z } = P p .

Le altre parentesi si ottengono da queste per permutazione ciclica degli indici =, Y, 2.

2. Determinare le parentesi di Poisson formate dalle componenti di M- Soluzione. La formula (42,5) con un calcolo diretto dà

{M,My) = -Mz , { M y M z ) = - M x , { M z M x ) = - M y .

Poichà gli impulsi e le coordinate di arti celle diverse sono variabili. indipendenti l'una dall'altra, à facile vedere che le formule ottenute nei pro- blemi 1 e 2 sono ugualmente valide per l'impulso e per il momento angolare- totali di un qualsiasi sistema di particelle.

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202 CAPITOLO SETTIMO

3. Dimostrare che {OMz) = 0,

dove (p à una qualsiasi funzione scalare delle coordinate e dell'impulso di una particella.

Soluzione. Una funzione scalare puà dipendere dalle componenti dei vettori r e p soltanto nelle combinazioni rs, p2, rp. Pertanto

e analogamente per d e p . La relazione {qM,} = O si verifica direttamente mediante la formula (42,5), tenendo conto delle regole di derivazione indicate.

4. Dimostrare che

{fM:} = [h],

dove f à una funzione vettoriale delle coordinate e dell'impulso di una parti- cella, ed n i l versore dell'asse z.

Soluzione. Ogni vettore f (r, p) puà essere scritto nella forma f = = rqi + pq2 + [rp] (pa, dove (pi, (p , qg sono funzioni scalari. La relazione considerata si verifica con un calcolo diretto per mezzo delle formule (42,9). {42,11), (42'12) e della formula data nel problema 3.

$ 43. Azione come funzione delle coordinate

Per formulare i l principio di minima azione abbiamo considera- to l'integrale

t* S= Ldt , \

ti

preso lungo una traiettoria tra due posizioni date q(1' e q(2), in cui il sistema ' s i trova negli istanti dati tl e t2. Variando l'azione s i sono confrontati i valori dell'integrale (43,l) presi per traietto- rie vicine ed aventi per tl e t 2 gli stessi valori q (tl) e q (t2). Una sola di queste traiettorie corrisponde a l moto reale, e precisamente quella per la quale l'integrale S Ã minimo.

Esaminiamo ora i l concetto d'azione sotto un altro aspetto. Con- sideriamo S come una grandezza che caratterizza il moto lungo traiet- torie reali, e confrontiamo i suoi valori per traiettorie aventi un'ori- gine comune q (tl) = ma passanti nell'istante t2 per punti dif- ferenti. In altri termini, consideriamo l'integrale d'azione per le traiettorie effettive come funzione dei valori delle coordinate nell'estremo superiore d'integrazione.

La variazione dell'azione a l passaggio da una traiettoria ad un'al- tra vicina à data (nel caso di un solo grado di libertà dall'espressione <2,5):

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EQUAZIONI CANONICHE 203

Poichà le traiettorie del moto effettivo soddisfano le equazioni d i Lag- range, l'integrale si annulla. Poniamo nell'estremo inferiore del primo termine 69 (ti) = O ed indichiamo i l valore 6q (tv) semplice-

mente con 60'. Sostituendo inoltre d ~ / d i con p , otteniamo alla fine SS = p6q, oppure, per un numero qualunque di gradi di libertÃ

Da questa relazione risulta che le derivate parziali dell'azione rispetto alle coordinate sono uguali ai corrispondenti impulsi

Analogamente s i puà considerare l'azione come funzione esplicita de l tempo; in questo caso, s i considerano le traiettorie che iniziano in un dato istante ti in un dato punto q(') e terminano in un punto dato in istanti diversi t2 = t. La derivata parziale 9S^/9t intesa in questo senso puà essere trovata mediante una variazione appro- priata dell'integrale. à perà pifi semplice ricorrere alla funzione già nota (43,3), operando nel seguente modo.

Per definizione, la derivata totale dell'azione rispetto a l tempo lungo la traiettoria à uguale a

D'altra parte, considerando S come funzione delle coordinate e del tempo nel senso indicato sopra, e utilizzando la formula (43,3), si ha:

as --- i' - a' +z JI-qi=T+s M i - dt 9t

i i

Confrontando le due espressioni, s i trova:

i

e quindi:

Le formule (43,3) e (43,5) s i possono riunire in un'unica espres- sione

che dà i l differenziale totale dell'azione come funzione delle coordi- nate e del tempo nell'estremo superiore dell'integrale ( 4 3 , l ) . Suppo- niamo ora che le coordinate (e i l tempo) siano diverse sia per la

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204 CAPITOLO SETTIMO

posizione iniziale che per quella finale delle traiettorie. E evidente che, in questo caso, la variazione corrispondente d i S sarà data dalla differenza delle espressioni (43,6) calcolate negli estremi infe- riore e superiore, ovvero

dS = 2 " - H(= dt"' 'i? ^ p<,1) dqil) + (l' dt(l). (43,7)

Questa relazione mostra che, qualunque sia l'azione esercitata dall'esterno sul sistema in moto, lo stato finale non puà essere una funzione arbitraria di quello iniziale: sono possibili solo quei moti per i quali l'espressione (43,7) à un differenziale totale. I n t a l modo, indipendentemente dalla forma concreta della funzione di Lagrange, i l principio di minima azione impone di per se stesso limiti ben determinati all'insieme dei moti possibili. In particolare, à possi- bile stabilire un complesso di leggi generali (indipendentemente dal tipo d i campi esterni) per fasci di particelle, che s i propagano da punti dat i dello spazio. Lo studio d i queste leggi costituisce l'og- getto dell'ottica geometrica l).

E interessante notare che le equazioni di Hamilton si possono dedurre formalmente dal principio di minima azione se questo à rappresentato, tenendo conto della (43,6), sotto forma di integrale:

e se le coordinate e gli impulsi sono considerati come grandezze che variano indipen.dentemente. Supponendo d i nuovo, per brevità che ci sia una sola coordinata (o un solo impulso), scriviamo l a variazio- ne dell'azione

La trasformazione del secondo membro (cioà una integrazione per parti) dà

Agli estremi d'integrazione dobbiamo porre 6q = O, in modo che i l membro integrato scompare. L'espressione che rimane puà essere nul- la per valori 6 p e 6q arbitrari ed indipendenti, alla sola condizone che siano nulle le espressioni integrande in ciascuno dei due integrali

Q H dq=-dt, d p = --

QP 89 dt,

dai quali, dividendo per dt, otteniamo le equazioni d i Hamilton

l) Cfr. Teoria dei campi, cap. VII.

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EQUAZIONI CANONICHE 205

9 44. Principio di Maupertuis

Mediante i l principio di minima azione à possibile determina- re completamente i l moto d i un sistema meccanico: risolvendo le equazioni del moto che si deducono da questo principio, s i possono trovare sia l a forma della traiettoria che la dipendenza della posizione s u questa traiettoria dal tempo. Se i l problema à l imitato alla determinazione della sola coordinata (trascurando l'aspetto tempo- rale del problema), à possibile allora dare al principio dal minima azione una forma semplificata.

Supponendo che la funzione d i Lagrange, e con essa la funzione d i Hamilton, non contenga in modo esplicito i l tempo, l'energia de l sistema s i conserva

H ( p , q) = E = costante.

Secondo i l principio di minima azione, la variazione dell'a- zione per dat i valori iniziali e finali delle coordinate e del tempo (poniamo tn e t ) Ã nulla. Se invece viene variato anche l'istante finale t , mantenendo fisse le coordinate delle posizioni ini- ziali e finali, s i ha allora [cfr. (43,7)1:

SS = - H6t. (44,i)

Confrontiamo ora solo quegli spostamenti virtuali del sistema, che soddisfano la legge di conservazione dell'energia. Per queste traietto- rie, sostituendo H nella (44,i) con l a costante E abbiamo:

6S + E6t = 0. (44.2)

Scrivendo l'azione nella forma (43,8) e sostituendo nuovamente H con E, abbiamo:

Il primo termine in questa espressione

s i chiama talvolta azione abbreviata. Riportando la (44,3) nella (44,2), troviamo:

6S0 = O. (44,5)

In t a l modo l'azione abbreviata ha un minimo in rapporto a tut te le traiettorie che soddisfano la legge d i conservazione dell'energia e che passano per i l punto finale in un istante arbitrario. Per utiliz- zare questo principio variazionale, à necessario preliminarmente e- sprimere gli imulsi, nonchà tut te le espressioni integrande nella

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206 CAPITOLO SETTIMO

(44,4) in funzione delle coordinate q e dei loro differenziali dq^ A tale scopo ricorriamo all'uguaglianza

che definisce gli impulsi e all'eqnazione

E (q, ^-E

che esprime la legge d i conservazione dell'energia. Rappresentando in quest'ultima equazione i l differenziale dt in funzione delle coor- dinate q e dei loro differenziilli dq e sostituendo nella (44,6), espri- miamo i momenti cinetici mediante q e dq, mentre l'energia E funge solo da parametro. I l principio variazionale cosi ottenuto determina le traiettorie del sistema; esso 6 chiamato abitualmente principio d i Maupertuis (sebbene la sua definizione esatta sia stata data da Eulero e Lagrange).

Eseguiamo ora in modo esplicito le operazioni indicate partendo dalla forma normale della funzione d i Lagrange (5,5), cioà l'espressio- ne data della differenza fra energia cinetica e potenziale:

1 . . L = 2 aik (q) qiq, - u (q).

i , h

Gli impulsi sono allora

e l'energia à 1 E = - 2 2 ai k (9) 9 i à ˆ + (9)

i, k

Dall'ultirna ziguaglianza ricaviamo l'espressione:

che, riportata nell'espressione

ci dà l'azione abbreviata nella la forma

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EQUAZIONI CANONICHE

In particolare, l'energia cinetica per un punto materiale Ã

(dove m à la massa della particella, e di l'elemento di lunghezza della traiettoria), e i l principio variazionale per determinare la forma della traiettoria Ã

dove l'integrale à preso t ra due punti da t i dello spazio (Jacobi). Per i l moto libero d i una particella s i ha U = O, e la (44,lO)

dà un risultato banale

cioà l a particella si muove seguendo i l percorso piii breve, ossia una retta. Ritorniamo all'espressione (44,3) per l'azione e eseguiamo su d i essa una variazione anche rispetto a l parametro E:

Sostituendo nella (44,2), troviamo:

Per l'azione abbreviata nella forma (44,9), questa uguaglianza condu- ce al la relazione

che non à altro che l'integrale dell'equazione (44,8). Insieme con l'equazione della traiettoria essa determina completamente i l moto

P R O B L E M A

Partendo dal principio variazionale (44,10), trovare l'equazione defferen- ziale della traiettoria.

Soluzione. Effettuando la variazione, si ha:

Nel secondo termine si à tenuto conto che di2 = dr2 e quindi di d 61 = dr d 6r; integrando per parti questo termine ed eguagliando poi a zero il coefficiente di 6r nell'espressione intemanda. otteniamo l'equazione differenziale della traiettoria

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'208 CAPITOLO SETTIMO

Derivando i l primo membro di questa uguaglianza ed introducendo la forza F = -dU/dr, si puà scrivere questa equazione nella forma

d2r F-(Ft) t -= dl^ 2 ( E - U ) '

dove t = dr/dl à i l vettore unitario della tangente alla traiettoria. La diffe- renza F - (Ft) t à la componente F,, normale alla traiettoria della forza. La derivata d2r/d19 = dt/dl à uguale, come à noto dalla geometria differenziale, a d n/R, dove R à il raggio di curvatura della traiettoria, ed n i l vettore uni- tario della normale principale a quest'ultima. Sostituendo anche E - U con m a 2 , si ottiene:

in accordo con l'espressione lungo una traiettoria curva.

m02 n-- fl -Fn

nota dell'accelerazione normale in un moto

 45. Trasformazioni canoniche

La scelta delle coordinate generalizzate q non à limitata da con- dizione alcuna: la loro funzione puà essere svolta da s grandezze qual- siasi che definiscano univocamente la posizione del sistema nello spazio. L'aspetto formale delle equazioni di Lagrange (2,6) non dipen- de da questa scelta; in questo senso s i puà dire che le equazioni di Lagrange sono invarianti rispetto alla trasformazione dalle coordinate qi, qa, . . . ad altre grandezze indipendenti Qi, Qs, . . . Le nuove coordinate Q sono funzioni delle vecchie coordinate q, à inoltre ammissibile una scelta tale che in queste funzioni -ci sia anche i l tempo in modo esplicito, cioà che si tratti d i trasforma- zioni del tipo:

{dette t a l v d t a trasformazioni puntuali). Oltre alle equazioni di Lagrange, la trasformazione (45,l) lascia

evidentemente invariata la forma (40,4) delle equazioni d i Hamilton, che ammettono perà in realtà una classe d i trasformazioni molto pih vasta. Questa circostanza à dovuta naturalmente a l fatto che nel metodo hamiltoniano gli impulsi p sono variabili indipendenti unitamente alle coordinate q. Per questo i l concetto d i trasforma- zione puà essere ampliato in modo da includere la trasformazione di tutte le 2s variabili indipendenti per mezzo della quale le variabi- l i p, q vengono sostituite con nuove variabili P , Q secondo le formule:

La possibilità di allargare la classe delle trasformazioni ammissibili rappresenta uno dei vantaggi sostanziali della formulazione hamiltoniana della meccanica.

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EQUAZIONI CANONICHE 209

Sarebbe tut tavia errato pensare che per una trasformazione qualsiasi del tipo (45,2) le equazioni del moto conservino la loro forma canonica. Stabiliamo ora le condizioni cui deve soddisfare una trasformazione perchà le equazioni del moto nelle nuove variabili P, Q, abbiano la forma

con una nuova funzione di Hamilton H' (P, Q). Trasformazioni del genere sono dette trasformazioni canoniche.

Le formule di trasformazioni canoniche si possono trovare nel seguente modo. Alla fine del  43 abbiamo mostrato che le equazioni d i Hamilton possono essere ottenute a partire dal principio d i mini- ma azione presentato nella forma

(sottolineiamo che tutte le coordinate e tu t t i gli impulsi va- riano indipendentemente). Affinchà anche le nuove variabili P e Q soddisfino le equazioni di Hamilton, per esse deve restare valido il prinicipio di minima azione:

Ma i due principi (45,4) e (45,5) sono equivalenti soltanto a condizio- ne che le loro espressioni integrando differiscano fra di loro solo per i l differenziale totale di una funzione arbitraria F delle coordinate, degli impulsi e del tempo; la differenza tra i due integrali (differenza dei valori di F nei limiti d'integrazione) sarh allora una costante inessenziale agli effetti della variazione . Si ha quindi:

2 p i dqi - Hdt = 2: Pi dQi - H' dt + dF.

Ogni trasformazione canonica à caratterizzata da una sua funzione F, detta funzione generatrice della trasformazione.

Riscrivendo la relazione ottenuta nella forma

dF = 2 p i d a - 2:pi dQi + (H' - H ) dt, (45,6)

vediamo che

dove s i à posto che l a funzione generatrice à data come funzione sia delle vecchie che delle nuove coordinate (e del tempo): F = F (q, Q, t ) . Per una funzione F data, le formule (45,7) stabiliscono la rela- zione tra le vecchie variabili (p, q ) e le nuove (P, Q), nonchà la for- m a della nuova funzione di Hamilton.

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210 CAPITOLO SETTIMO

Puà risultare comodo esprimere la funzione generatrice non mediante le variabili q e Q, ma mediante le vecchie coordinate <r e i nuovi impulsi P. Per stabilire le formule delle trasformazioni canoniche in questo caso, à necessario effettuare nella relazione (45,6) l 'appropriata trasformazione di Legendre. Scriviamo questa relazione nella forma

d ( F + 2 PiQi) = 2pidq i + 2 Q i dPi + (H' - H ) dt.

L'espressione sotto il segno d i differenziale nel primo membro, e- spressa nelle variabili q e P, rappresenta appunto la nuova funzione generatrice. Indicandola con d) (q, P , t) , abbiamo) l):

Analogamente si possono stabilire le formule delle trasformazioni canoniche espresse mediante funzioni generatrici che dipendano dalle variabili p e Q oppure p e P.

Notiamo che la vecchia e la nuova funzione han~iltoniana sono legate sempre dalla medesima relazione: la differenza H' - H à data dalla derivata parziale rispetto al tempo della funzione gene- ratrice. I n particolare, se qnest'ultima non dipende dal tempo, H' = = /i. In altri termini, per ottenere la nuova funzione di Hamilton sarà sufficiente in questo caso sostituire in H le grandezze p e q espresse in funzione delle nuove variabili P , Q,

La vastità delle trasformazioni canoniche nel metodo hamiltonia- no priva sensibilmente i l concetto d i coordinate e di impulsi genera- lizzati del loro significato iniziale. Poichà le trasformazioni (45,2) collegano ciascuna delle grandezze P e Q sia alle coordinate q che a i momenti cinetici p, le variabili Q non hanno piii i l significato di coordinate puramente spaziali. La differenza tra i due gruppi di variabili diventa, in fondo, una questione di nomenclatura. Questa circostanza s i manifesta palesemente, per esempio, nella trasforma- zione2) Qi = pi, Pi = -qi la quale non cambia esplicitamente la forma canonica delle equazioni e si riduce semplicemente ad uno scambio di denominazioni tra le coordinate e gl i impulsi.

l) Notiamo che prendendo una funzione generatrice nella forma

@ = yfi (9, O Pi z

(dove f i sono funzioni arbitrarie), otterremo una trasformazione per cui l e nuove coordinate sono stabilite dalla relazione Qi = f i (q, t ) , cioà si esprimono i n funzione soltanto delle vecchie coordinate (e non degli impulsi)). Queste sono trasformazioni puntuali che costituiscono naturalmente un caso parti- colare delle trasformazioni canoniche.

2) La funzione generatrice per questa trasformazione à F = qiQi.

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EQUAZIONI CANONICHE 21 1

Tenendo conto di questa convenzione d i terminologia, le va- riablili p e q, nel metodo hamiltoniano, sono spesso chiamate sempli- cemente grandezze canonicamente coniugate.

La condizione perchà le variabili siano canonicamente coniugate puà essere espressa con le parentesi di Poisson. A questo fine dimostre- remo il teorema generale sull'invarianza delle parentesi d i Poisson per le trasformazioni canoniche.

Sia {fg}+,, q la parentesi d i Poisson delle grandezze f e g nella quale la derivazione viene effettuata rispetto alle variabili p e q, e sia { f g } p , o l a parentesi d i Poisson delle stesse grandezze derivabili rispetto alle variabili canoniche P e Q. S i ha allora:

Si puà verificare la validitA di questa relazione con un calcolo diretto utilizzando le formule di trasformazione canonica. Si può però far a meno del calcolo se s i fa i l seguente ragionamento.

Notiamo innanzitutto che nelle trasformazioni canoniche (45,7) o (45,8) i l tempo ha la funzione di parametro. Quindi il teorema (45,9), se lo dimostriamo per grandezze non dipendenti esplicitamente dal tempo, à vero anche nel caso generale. Conside- riamo ora in modo puramente formale la grandezza g come funzio- ne hamiltoniana di un sistema fittizio. Secondo la formula (42,1), si ha allora { f g } p , q = -d f /d t . La derivata d f l d t puà perà di- pendere solamente dalle proprietà del moto (del nostro sistema fitti- zio) come tale, e non dalla scelta delle variabili. Di conseguenza, anche la parentesi d i Poisson { f g } non puà cambiare passando da certe variabili canoniche ad altre.

Dalle formule (42,13) e dal teorema (45,9) ricaviamo:

Queste relazioni scritte mediante le parentesi di Poisson rappresen- tano le condizioni cui debbono soddisfare le nuove variabili perchà la trasformazione p, q Ñ> P, Q sia canonica.

l?! interessante notare che la variazione delle grandezze p, q du- rante il moto stesso puà essere considerata come una trasformazione canonica. I l significato d i questa asserzione à il segutnte. Siano qt, pt i valori delle variabili canoniche nell'istante t , i loro valori in un altro istante t -f- T. Questi ultimi sono funzioni dei primi (e dell'intervallo di tempo T come parametro):

L t" queste formule s i considerano come una trasformazione dalle variabili q<, p t alle variabili q/+^, p(+^, questa trasformazione à canonica. Cià risulta chiaro dall'espressione dS = 2 - - pt dqt) per i l differenziale d'azione S (qt+v qt) preso lungo la

14*

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212 CAPITOLO SETTIMO

traiettoria reale passante per i punti q, e q;+% negli istanti dat i t e t + T [vedi (43,7)1. Confrontando questa formula con la (45,6)vedia- mo che -S Ã la funzione generatrice della trasformazione.

$ 46. Teorema di Liouville

Per l'interpretazione geometrica dei fenomeni meccanici si ricorre spesso a l concetto d i spazio delle fasi: uno spazio a 2s dimensioni sui cui assi coordinati s i riportano le s coordinate generalizzate e i s impulsi del sistema meccanico dato. Ciascun punto di questo spazio corrisponde a un determinato stato del sistema. Quando i l sistema si muove, i l punto fase che rappresenta i l suo stato de- scrive nello spazio delle fasi una curva, detta traiettoria di fase. I l prodotto dei differenziali

di' = dql . . . dqsdpl . . . dps

puà essere considerato come un à elemento di volume à dello spazio

delle fasi. Consideriamo ora l'integrale dT preso in una parte I qualsiasi dello spazio delle fasi e rappresentante i l volume di questa. Mostriamo che questa grandezza possiede la proprietà di essere inva- riante rispetto alle trasformazioni canoniche: se si trasformano cano- nicamente le variabili p , q nelle variabili P , Q, i volumi dei domini corrispondenti degli spazi p, q e P , Q sono uguali:

Come à noto, l a trasformazione delle variabili in un integrale multiplo s i esegue secondo l a formula

dove

à lo jacobiano della trasformazione. Per questo la dimostrazione del teorema (46,l) s i riduce alla dimostrazione che lo jacobiano di qual- siasi trasformazione canonica à uguale all'unità

D = 9. (463)

Serviamoci d i una nota proprietà degli jacobiani che permette in un certo senso di trattarli come frazioni. Dividendo i l à nume- rai'ire à e i l à denominatore )) per 9 (q,, . . ., qs7 P17 . . ., Ps),

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EQUAZIONI CANONICHE

otteniamo:

Secondo un'altra nota regola, uno jacobiano a l cui à numeratore e à denominatore à sono presenti variabili uguali s i puà ridurre a uno jacobianb con un numero inferiore d i variabili; per tutte le derivazioni, le variabili uguali sono da considerarsi costanti. PerciÃ

Consideriamo lo jacobiano che si trova al numeratore di questa espressione. Per definizione, Ã un determinante d i rango s, composto d i elementi dQi/dqk (l'elemento s t a all'intersezione della i-esima riga e della k-esima colonna). Rappresentando la trasformazione canonica con l 'aiuto della funzione generatrice cD (q, P) nella for- ma (45,8), - . ,.otteniamo:

90, -= a3m

9gh 9% 9pi

Nello stesso modo si trova che l'elemento della i-esima riga e della k-esima colonna del determinante denominatore della (46,4)

à uguale a - Abbiamo trovato quindi che le righe d i uno dei QqiQPk

determinanti sono identiche alle colonne dell'altro e viceversa. I due determinanti sono pertanto uguali poichà i l rapporto (46,4) à uguale all'unità come si doveva dimostrare.

Supponiamo ora che ciascun punto d i un dato elemento dello spa- zio delle fasi s i sposti nel tempo secondo le equazioni del moto del sistema meccanico considerato. Si sposterà dunque globalmente tutto l'elemento, ma resta inalterato i l s u o volume:

d~ = costante. (46,5)

Questa asserzione (detta teorema d i Liouuille) segue immediatamente da'l 'invarianza d i un volume d i fase rispetto alle trasformazioni canoniche, e dal fatto che l a variazione d i p e q nel corso del moto puà essere considerata d i per se stessa (come abbiamo mostrato alla fine del paragrafo precedente) come una trasformazione canonica.

In modo assolutamente analogo si puà dimostrare l'invarianza de '1 i integrali

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214 CAPITOLO SETTIMO

nei quali l'integrazione à estesa a varietà bidimensionali, quadridi- mensionali, ecc., dello spazio delle fasi.

47. Equazione di Hamilton-Jacobi -

Nel 5 43 abbiamo introdotto il concetto di azione come funzione delle coordinate e del tempo. Abbiamo mostrato che la derivata par- ziale rispetto al tempo di questa funzione S (q, t) Ã legata alla fun- zione di Hamilton dalla relazione

e che le sue derivate parziali rispetto alle coordinate coincidono con gli impulsi. Sostituendo gli impulsi p nella funzione di Hamilton con le derivate dS/dq, otteniamo l'equazione

cui deve soddisfare la funzione S (q, t). Questa à un'equazione a derivate parziali del primo ordine, detta equazione di Haffiilton- Jacobi. Alla pari delle equazioni di Lagrange e delle equazioni cano- niche, anche l'equazione di Hamilton-Jacobi rappresenta i l punto di partenza di un metodo generale d'integrazione delle equazioni del moto.

Prima di esporre questo metodo, ricordiamo che ogni equazione a derivate parziali del primo ordine possiede una soluzione dipenden- te da una funzione arbitraria; tale soluzione à detta integrale genera- le dell'equazione. Nelle applicazioni meccaniche, però non à l'integrale generale dell'equazione d i Hamilton-Jacobi, ad avere im- portanza, bensi i l cosiddetto integrale completo, che rappresenta la soluzione di un'equazione differenziale a derivate parziali contenente tante costanti arbitrarie quante sono le variabili indipendenti.

Nell'equazione d i Hamilton-Jacobi queste variabili indipendenti sono il tempo e le coordinate. Di conseguenza, per un sistema a s gradi di libertà l'integrale completo d i questa equazione deve con- tenere s + 1 costanti arbitrarie. Essendo perà la funzione S presente nell'equazione soltanto attraverso le sue derivate, una delle costanti arbitrarie appare nell'integrale completo come una grandezza ad- ditiva, cioà l'integrale completo dell'equazione di Hamilton-Jacobi prende la forma

S = f ( t , 91, . . ., q#; ai, . . ., a,) + A , (47,2) dove a,, . . ., a, ed A sono costanti arbitrarie1).

l) Anche se non avremo bisogno dell'integrale generale dell'equazione di Hamilton-Jacobi, mostriamo perà che esso puà essere trovato conoscendo i l suo integrale completo. Consideriamo a tale scopo la grandezza A come funzio-

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EQUAZIONI CANONICHE 215

Esplicitiamo ora la relazione tra l'integrale completo dell'equa- zione di Hamilton-Jacobi e la soluzione delle equazioni del moto che ¥c interessa. A tale scopo eseguiamo, mediante una trasformazione canonica, una sostituzione delle grandezze q, p con nuove variabili, scegliendo per funzione generatrice la funzione f (t , q, a ) e per nuovi impulsi le grandezze a,, a,, . . ., as. Indichiamo con Pi, p2, . ., 'Ps le nuove coordinate. Siccome la funzione generatrice dipende dalle vecchie coordinate e dai nuovi impulsi, dobbiamo servirci delle formule (45,s):

Dato che la funzione f soddisfa l'equazione di Hamilton-Jacobi, segue che la nuova funzione d i Hamilton à identicamente nulla:

Le equazioni canoniche hanno quindi per le nuove variabili la

forma a i = 0, f i i = 0, da cui segue che

a i = costante, f i i = costante. (47,3)

D'altra parte, le s equazioni

Â¥ - p i - .- da.,

danno la possibilità d i esprimere le s coordinate q in funzione del tem- po e delle 2s costanti a e 6. In ta l modo si arriva a trovare l'integrale generale delle equazioni del moto.

La soluzione del problema del moto d i un sistema nleccanico con il metodo di Hamilton-Jacobi s i riduce quindi alle seguenti opera- zioni.

ne arbitraria di altre costanti:

Sostituendo qui le grandezze ai con le funzioni delle coordinate e del tempo ricavate dalle s condizioni

.otteniamo un integrale generale che dipende dalla forma della funzione arbi- traria A (çi ..., a )). In effetti, per la funzione 5 cosi ottenuta abbiamo:

Ma le grandezze (^S/Qqijy, soddisfano l'equazione di Hamilton-Jacobi perchà la funzione S (t, q; a) è secondo la nostra ipotesi, un integrale completo di questa equazione. Quindi anche le derivate QSIQqi soddisfano l'equazione in questione.

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21 6 CAPITOLO SETTIMO

Partendo dalla funzione d i Hamilton, s i scrive l'equazione d i Ha- milton-Jacobi e s i ottiene l'integrale completo (47,2) d i questa equa- zione. Derivandolo rispetto alle costanti arbitrarie a ed eguagliando queste derivate alle nuove costanti p, otteniamo un sistema d i s equazioni algebriche

9s -- i ? ~ i

- p,. (47,4)

Risolvendo questo sistema, troviamo le coordinate q in funzione del tempo e delle 2s costanti arbitrarie. Successivamente, s i puà deter- minare la dipendenza degli impulsi dal tempo per mezzo delle equazioni p , = d S / d q i .

Nel caso in cui s i abbia un integrale incompleto uell'equazione di Hamilton-Jacobi dipendente da un numero di costanti arbitrarie inferiore ad s, non à possibile mediante questo integrale trovare- l'integrale generale delle equazioni del moto; si puà tuttavia sempli- ficare un po' i l problema. Se l a funzione S à nota e contiene una co- stante arbitraria a , la relazione

9s - = costante da.

ci dà un'equazione che lega q ; , . . ., qs e t. - L'equazione d i Hamilton-Jacobi assume una forma un po' piG semplice nel caso in cui la funzione H non dipende esplicitamente dal tempo, cioà quando i l sistema à conservativo. La dipendenza dell'azio- ne dal tempo si riduce allora a l termine -Et:

5 = S o (q) - Et (47,5) (cfr. $ 44), e, sostituendo nella (47,1), otteniamo per l'azione abbre- viata S o (q) l'equazione di Hamilton-Jacobi nella forma

$ 48. Separazione delle variabili

In molti casi importanti s i puà trovare un integrale comple- to dell'equazione d i Hamilton-Jacobi mediante la cosiddetta separazi- one delle variabili che consiste in quanto segue.

Supponiamo che una coordinata, che indicheremo con q1, e la de- rivata corrispondente dS/dqi entrino nell'equazione d i Hamilton-

Jacobi soltanto in una certa combinazione del tipo <p ( q

che non contiene nà altre coordinate (o tempo), nà altre derivate; m altri termini, supponiamo che l'equazione abbia la forma

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EQUAZIONI CANONICHE 217

dove qi rappresenta l'insieme d i tu t te le coordinate, ad eccezione di q^*

Cercheremo in questo caso una soluzione sotto forma di somma

Sostit,uendo questa espressione nell'equazione (48,1), otteniamo

Supponiamo di aver trovato la soluzione (48,2); sostituiamola nell'equazione (48,3), che si deve allora trasformare in un'identità verificata, in particolare, per qualsiasi valore della coordinata q^. Al variare di qi puà cambiare perà solo la funzione (E; affinchà l'espres- sione (48,3) sia un'identità à necessario che anche la funzione cp sia essa stessa costante. In tal modo, l'equazione (48,3) si scinde in'due equazioni:

dove a , à una costante arbitraria. La prima di queste equazioni à un'equazione differenziale ordinaria dalla quale s i puà ricavare la funzione Si (q,) con una semplice integrazione. La (48,5) à un'equ- azione a derivate parziali contenente perà un numero minore di variabili indinendenti.

Se in questo modo si possono separare successivamente tut te le s coordinate e i l tempo, i l calcolo dell'integrale completo dell'equa- zione di Hamilton-Jacobi si riduce interamente a quadrature. Per un sistema conservativo si tratta soltanto di separare s variabili {le coordinate) nell'equazione (47,6), e per una separazione completa l'integrale cercato assume la forma

dove ciascuna delle funzioni Sk dipende solo da una delle coordinate, mentre l'energia E come funzione d i costanti arbitrarie a,, . . ., a, s i ottiene sostituendo So = SSk nell'equazione (47,6).

Un caso particolare di separazione delle variabili à quello in cui una delle variabili à ciclica. La coordinata ciclica q, non entra espli- citamente nella funzione di Hamilton e, d i conseguenza, nell'equazio-

ne di Hamilton-Jacobi. La funzione (p ( q s) si scrive allora l7

semplicemente dS/dq17 e dall'equazione (48,4) si ricava Sl = %ql, in modo che

S = S' (qi, t ) 4- (48,7)

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218 CAPITOLO SETTIMO

La costante a, rappresenta qui nient'altro che i l valore costante pl = = dS /dq l dell'impulso corrispondente alla coordinata ciclica. Notiamo che la separazione del tempo in forma del termine -Et per un sistema conservativo corrisponde al metodo di separazione delle variabili, se si prende t come à variabile ciclica Ã

In ta l modo, i l metodo d i separazione delle variabili nell'equazio- ne di Hamilton-Jacobi comprende tu t t i i casi esaminati sopra di sem- plificazione dell'integrazione delle equazioni del moto, basati sul- l'impiego delle variabili cicliche. Ad essi si aggiungono numerosi casi in cui la separazione delle variabili à possibile, anche se le coordinate non sono cicliche. Tutto questo portaallaconclusione che i l metodo di Hamilton-Jacobi per la ricerca dell'integrale generale delle equa- zioni del moto à i l p i ~ efficace.

Per separare le variabili nell'equazione di Hamilton-Jacobi, Ã essenziale scegliere in modo appropriato le coordinate. Facciamo degli esempi di separazione delle variabili in diversi sistemi di coordinate che possono presentare un interesse fisico nei problemi del moto di un punto materiale in differenti campi esterni.

1. Coordinate sferiche. In queste coordinate (r : O, v) la funzione d i Hamiltoii si scrive:

e la separazione delle variabili à possibile se

dove a (r) , b ( O ) , C (q) sono funzioni arbitrarie. Ã difficile che l 'ulti- mo termine d i questa espressione possa presentare interesse dal punto d i vista fisico; per questo considereremo un campo del tipo

L'equazione d i Hamilton-Jacobi per la funzione S o à in questo caso

Prendendo in considerazione che l a coordinata q 6 ciclica, cerchiamo una soluzione del tipo

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EQUAZIONI CANONICHE 219

e per le funzioni Si ( r ) ed S2 (O) otteniamo le equazioni

Integrando abbiamo infine:

In questo caso le costanti arbitrarie sono p,, (3, E; derivando rispetto a quest'ultime ed eguagliando i l risultato della derivazione a nuove costanti, s i trova la soluzione generale delle equazioni del moto.

2. Coordinate paraboliche. Si passa alle coordinate paraboliche il, (p dalle coordinate cilindriche (le indicheremo in questo parag-

rafo con p, (p, z ) secondo le formule

Le coordinate E e T) variano da O a oo; le superfici E = costante e q = costante rappresentano, come à facile verificare, due fami- glie d i paraboloidi d i rivoluzione (con l'asse z come asse d i simme- tria). La relazione (48,10) si puà esprimere in un'altra forma introdu- cendo i l raggio

1 r = / ~ ~ + p ~ = ~ ( E + i ) ) . (48,11)

S i ha allora: r + z , q = r à ‘ z (48,12)

Esprimiamo l a funzione di Lagrange d i un punto materiale in coordinate E, q, (p. Derivando l'espressione (48,10) rispetto a l tempo e sostituendo i l risultato in

(funzione d i Lagrange in coordinate cilindriche), si ottiene:

Gli impulsi sono

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220 CAPITOLO SETTIMO

e la funzione d i Hamilton Ã

I casi fisicamente interessanti d i separazione delle variabili in queste coordinate sono quelli in cui l'energia potenziale ha la forma

Si h a allora l'equazione

La coordinata ciclica (P si separa in un termine del tipo pmq. Molti- plicando quindi l'equazione per m (^ + T)) e raggruppando i termini, otteniamo:

otteniamo le due equazioni

l a cui integrazione ci dà in-definitiva:

con py, fS, E come costanti arbitrarie. 3. Coordinate ellittiche. Queste coordinate E , T), (p vengono intro-

dotte secondo le formule

La costante o à il parametro della trasformazione. La coordinata prende t u t t i i valori fra 1 e oo, e l a coordinate T] fra -1 e +l. Si possono ottenere relazioni geometricamente piii concrete, se si intro- ducono le distanze rl ed r , rispettivamente dai punti Al ed A , sul-

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EQUAZIONI CANONICHE

l'asse z avente come coordinate z = o e z = - ol): rl = v ( z - a)2 + p2, r2 = v ( z + + p2.

Sostituendovi le espressioni (48,17), otteniamo:

Trasformando la funzione di Lagrange dalle coordinate cilindri- che a quelle ellittiche, troviamo:

Per la funzione d i Hamilton otteniamo

1 1 -t- (- +W) p'v] + f (E, 1' V). (4820)

I casi fisicamente interessanti d i separazione delle variabili cor- rispondono all'energia potenziale della forma:

dove a (E) e b (q) sono funzioni arbitrarie. I l risultato della separazio- ne delle variabili nell'equazione d i Hamilton-Jacobi ci dà

l) Le linee = constante rappresentano una famiglia di ellissoidi

i cui fuochi sono A i ed A,, e le linee q = constante sono una famiglia di iperboloidi

aventi gli stessi fuochi degli ellissoidi.

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CAPITOLO SETTIMO

P R O B L E M I

1. Trovare l'integrale completo dell'equazione di Hamilton-Jacobi per una particella i n moto in un campo

a U = - - F z r

(sovrapposizione di un campo coulombiano e di un campo uniforme); trovare la funzione conservativa delle coordinate e degli impulsi, specifica per tale moto.

Soluz ione . I l campo dato 6 del tipo (48,15) dove

L'integrale completo della equazione di Hamilton-Jacobi 6 dato dalla formula (48,16) con le funzioni a (E) e b (q) definite sopra.

Fig. 55

Per determinare il significato della costante p, scriviamo le equazioni

Sottraendo queste equazioni l'una dall'altra ed esprimendo gli impulsi p ; = d S / a g e p,, = 3 S / q mediante p p ,= W a p e p z = 3 5 1 3 ~ i n coordinate cilindriche, otterremo dopo una semplice riduzione:

L'espressione compresa tra parentesi quadre rappresenta l'integrale del moto, specifico per un campo puramente coulombiano [componente z del vettore (15,17)].

2. Risolvere i l problema precedente per i l caso di un campo:

(campo coulombiano con due centri fissi distanti 20 l'uno dall'altro). Soluz ione . Il campo dato à del tipo (48,22) dove

La sostituzione di queste espressioni nella (48,22) ci dà l'azione S ( 5 , q , cp, t ) . I l significato della costante (3 viene determinato come nel problema 1; questa costante esprime, nel caso considerato, la conservazione della seguente

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EQUAZIONI CANONICHE 223

grandezza: .$,

= o 2 ( p + ) - ~ 2 + 2 m o (q c 0 s 0 ~ + a ~ cos €l2 P

dove r

Af == [rpp = p P z + p J p 9 - 2zppzpp

e O , e 0, sono gli angoli indicati nella fig. 55.

$ 49. Invarianti adiabatici

Consideriamo un sistema meccanico animato da un moto unidi- mensionale finito e caratterizzato da un parametro A che determina le proprietà del sistema stesso o del campo esterno nel quale esso si t ro va1).

Supponiamo che sotto l'influsso d i certe cause esterne, i l para- metro A vari lentamente (ossia adiabaticamente) con i l tempo. Per variazione à lenta à intendiamo una variazione per cui ?L cambia poco in un periodo T del moto del sistema:

Se A fosse costante, i l sistema sarebbe isolato e compirebbe un moto strettamente periodico con energia E costante e con periodo T (E) ben determinato. Per A variabile, i l sistema non à isolato e l a sua energia non si conserva. Nell'ipotesi che A vari lentamente, anche

l a velocità h di variazione dell'energia deve essere piccola. Prenden- do la media di questa velocità rispetto a l periodo T ed at tenuando - quindi le sue oscillazioni à veloci à otterremo un valore E che deter- minerà la velocità della sistematica e lenta variazione delllenergia del sistema; si puà affermare che questa velocità à proporzionale alla

velocità A di variazione del parametro A. I n altri termini, la grandez- za E , che varia lentamente nel senso indicato sopra, si comporterà come una funzione d i A. La dipendenza d i E da A puà essere rappresen- ta ta sotto forma d i una combinazione d i E e A. Questa quant i tà che resta costante durante i l moto d i un sistema con parametri lentamente varianti, à detta invariante adiabatico.

Sia H (q, p; A) la funzione hamiltoniana del sistema, dipendente dal parametro A. Secondo la (40,5), la velocità di variazione del siste- ma Ã

l) Per brevità supponiamo che ci sia un solo parametro di questo tipo; tut t i i risultati perà restano validi anche per un numero qualsiasi di parametri.

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224 CAPITOLO SETTIMO

L'espressione al secondo membro della formula dipende non soltan- to dalla variabile A che varia lentamente, ma anche dalle variabili q e p che variano rapidamente. Per rendere evidente la variazione sistematica dell'energia che ci interessa, à necessario, come à stato indicato sopra, prendere l a media dell'uguaglianza (49,2) rispetto a un periodo del moto. Tenendo conto della lentezza di variazione

d i ?L (e anche di A), si puà portare A fuori dal segno d i media:

e, mediando la funzione 9H/9'k, si puà consider~re come grandezze variabili solo q e p, e non A. In altri termini, la media à fatta per quel moto del sistema che avrebbe luogo se A fosse costante.

Scriviamo la media in forma esplicita "7

ali---L OH - - - dt .

ci}. T ^?L

o

Secondo l'equazione di Hamilton q == aH/dp, si ha:

Con l'aiuto di questa uguaglianza sostituiamo l'integrazione rispetto al tempo con una integrazione rispetto alla coordinata, riscrivendo inoltre il periodo T nella forma

dove i l simbolo &indica l'integrazione rispetto alla variazione com-

pleta (à andata à e << ritorno È della coordinata in un periodo1). In tal modo la (49,3) assume la forma:

Come à già stato indicato, le integrazioni in questa formula vanno eseguite lungo l a traiettoria del moto, per la quale ?L resta costante. Lungo questa traiettoria l a funzione di Hamilton man- tiene un valore costante E, e l'impulso à una determinata funzione della coordinata variabile q e dei due parametri indipen- denti costanti E e A. Considerando proprio l'impulso come

l) Se i l moto del sistema rappresenta una rotazione e se la coordinata q à l'angolo di rotazione q , l'integrazione rispetto a dcp deve essere eseguita su un à giro completo à cioà da O a 2%)

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una tale funzione p (q; E, A) e derivando l'uguaglianza H (p, q; A)= E rispetto al parametro A, otteniamo:

ossia

Portando questo risultato nell'integrale a numeratore nella (49,5) e scrivendo in quello a denominatore l a funzione integranda nella forma 9p/9E, abbiamo:

La forma definitiva d i questa uguaglianza puà essere scritta come segue:

dove I Ã l'integrale

preso lungo la traiettoria, per la quale E e A sono fissi. Questo risulta- to mostra che nell'approssimazione considerata la grandezza I, restando costante a l variare del parametro A, Ã un'invariante adiabatico.

La grandezza I Ã funzione dell'energia del sistema (e del para- metro K}. La sua derivata parziale rispetto all'energia determina il periodo del moto: secondo la (49,4) abbiamo

o anche

dove co = 2n/T à l a frequenza delle oscillazioni del sistema. All'integrale (49,7) s i puà dare un significato geometrico concreto

utilizzando la nozione d i traiettoria di fase del sistema. Nel caso dato (un solo grado di libertà) lo spazio delle fasi s i riduce ad un sistema bidimensionale d i coordinate p, q, e la traiettoria di fase di un sistema, i l cui moto à periodico, à rappresentata da una curva chiusa in questo

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piano. L'integrale (49,7), preso lungo questa curva, dà i l valore del- l'area della superficie da essa limitata. Esso puà essere anche scritto come un integrale bidimensionale d i superficie:

1 I=- dpdq. 2n (49910)

A titolo d'esempio, determiniamo l'invariante adiabatico per un oscillatore unidimensionale. La sua hamiltoniana Ã

p2 mcô2q H = - 2m +T' (49'11)

dove co à la frequenza propria dell'oscillatore. L'equazione della traiettoria d i fase, data dalla legge d i conservazione dell'energia

H (P, q) = E,

rappresenta un'ellisse d i semiassi e v2~/mwl'tÂ¥ la sua super- ficie (divisa per 2n) Ã

L'invarianza adiabatica di questa grandezza significa che per una lenta variazione dei parametri dell'oscillatore la sua energia varia proporzionalmente alla frequenza.

j 50. Variabili canoniche

Supponiamo ora costante i l parametro ?L, consideriamo cioà un sistema isolato.

Facciamo le trasformazioni canoniche delle variabili q, p, sce- gliendo la grandezza I come nuovo à impulso È In queste trasfor- mazioni i l ruolo della funzione generatrice deve essere assunto dall'à azione abbreviata à So espressa in funzione d i q e I. Infatti, So à definita come integrale

So (q, E; 1) = f p (q, E; 1) dq, (50,l)

preso per u n valore dato dell'energia E (e del parametro K}. Per un sistema isolato, però I à funzione solo dell'energia; So puà essere quindi espressa come funzione d i So (q, I ; A), mentre la derivata parziale (b'SJ9q)E = p coincide con la derivata (b'So/9q)i, presa per 1 costante. S i ha quindi

aso (q, 1; A) P = aq 9 (502)

i l che corrisponde alla prima delle formule della trasformazione cano- nica (45,8). La seconda formula invece determinerà una nuova à coor-

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EQUAZIONI CANONICHE 227

dinata à che indicheremo con W:

Le variabili I e W sono dette variabili canoniche; I si chiama variabile d'azione, e W, variabile angolare. Non dipendendo la funzione genera- trice So (q, I ; A) dal tempo in modo esplicito, la nuova funzione d i Hamilton H' coincide con la vecchia H espressa in nuove coordina- te. I n altre parole, H' à l'energia E (I) espressa in funzione della variabile d'azione. Conformemente a cià le equazioni d i Hamilton per le variabili canoniche possono essere scritte nella forma:

Dalla prima equazione, come c'era da aspettarsi, risulta che I=costante: alla pari dell'energia à costante anche l a I. Dalla seconda equazione si vede che la variabile angolare à una funzione lineare del tempo:

W = - i! + costante = o) (I) t + costante d t (50'5)

che rappresenta la fase delle oscillazioni. L'azione So (q, I) Ã una funzione non monodroma delle coordina-

te. A ogni periodo questa funzione non riprende i l valore iniziale, ma subisce un incremento

A S o = 2 d , (50,6)

cosa evidente dalla (50,l) e dalla definizione (49,7) di I. I n questa stesso intervallo la variabile angolare subisce l'incermento

Procedendo inversamente, se esprimiamo q e p [oppure qualsiasi loro funzione monodroma F (q, p)] mediante le variabili canoniche, queste funzioni non cambieranno i loro valori quando 2 varierà d i 2ii (per un valore I dato). I n altri termini, ogni funzione monodroma F (q, p), espressa mediante le variabili canoniche, rappresenta u n a funzione periodica d i W con periodo uguale a 2n.

Le equazioni del moto possono essere scritte in variabili canoni- che anche per un sistema non isolato con un parametro A dipendente dal tempo. I l passaggio a queste variabili viene fatto sempre con l e formule (50,2) e (50,3), avendo per funzione generatrice So , definita dall'integrale (50,l) ed espressa in funzione della variabile I, defi- nita dall'integrale (49'7). L'integrale indefinito (50'1) e l'integrale definito (49,7) vengono calcolati come se il parametro A (t) avesse un valore costante dato; in altre parole, So (q, I; A (t)) Ã l a funzione

15 *

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228 CAPITOLO SETTIMO

del caso precedente, calcolata per A costante che viene sostituita poi dalla funzione data A ( t ) l).

Poichà l a funzione generatrice s i presenta ora (con i l parametro A) come funzione esplicita del tempo, la nuova funzione d i Hamilton H' non coinciderà pi6 con l a vecchia, cioà con l'energia E (I). Secon- do le formule generali della trasformazione canonica (45,8), si ha

dove à stata introdotta l a notazione

A deve essere espressa (dopo aver fatto la derivazione rispetto a A) con l'aiuto della (50,3) i n funzione di I e W.

Le equazioni d i Hamilton assumono ora l a forma

dove' a = (9E/9I)\ Ã l a frequenza delle oscillazioni (calcolata di nuovo come se A fosse costante).

P R O B L E M A

Scrivere le equazioni del moto in variabili canoniche per un oscillatore armonico [funzione di Hamilton (49,11)] con una frequenza dipendente dal tempo.

Soluzione. Poichà nelle (50,l) - (50,s) tut te le azioni vengono eseguite per l. constante (qui il suo ruolo à assunto dalla stessa frequenza co), la relazione tra q, p e W ha la stessa forma che per la frequenza costante (quando W = cot): -

sen W = / $

Da cui

SO-\ @d!?=\p[^piw=2~ i cos2wdw

e in seguito

Le equazioni (50,10), ( 5 0 , l l ) assumono ora la forma

(0 co I= -I-cos 2w, w=a+-sen2w. co 2a

1) Sottolineiamo tuttavia che la funzione So cosi determinata non coincide con la reale azione abbreviata per un sistema con la funzione hamiltoniana dipendente dal tempo!

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EQUAZIONI CANONICHE

$ 51. Conservazione di un'invariante adiabatico i)

L'equazione del moto nella forma (50,lO) permette d i verificare nuovamente l'invarianza adiabatica della variabile d'azione.

So (q, I ; A) à una funzione non monodroma di q; quando la coor- dinata prende i l valore iniziale, ad S o s i aggiunge un valore intero multiplo d i 2nI. La derivata (50,9) à invece una funzione monodroma perchà l a derivazione si fa per I costante ed, inoltre, gli incrementi che si aggiungono ad So scompaiono. Come ogni funzione monodroma, la funzione A, espressa mediante l a variabile angolare W, à fun- zione periodica di questa variabile. I l valore medio (per un periodo) della derivata dA/dw di una tale funzione si annulla. Per que-

sto, prendendo l a media dell'equazione (50,lO) e portando i (per una variazione lenta d i A) fuori del segno di media, si ottiene il ri- sultato richiesto:

come volevasi dimostrare. Le equazioni del moto (50,lO) e (50,11) permettono di affrontare

i l problema della precisione con la quale s i conserva l'invariante adiabatico. Poniamo la questione nel modo seguente: supponia- mo che il parametro A (t) tenda per t --P - m e t -+ +m a i limiti costanti L_ e A+; sia dato (per t = -m) i l valore iniziale I - dell'in- variante adiabatico; s i chiede di trovare l'incremento AI = I+ - I - nel momento t = +m.

Dalla (50,10) si ricava

Come abbiamo già indicato, la grandezza A à una funzione periodica (con periodo 2n) della variabile W; sviluppando in serie di Fourier questa funzione, abbiamo:

m

A = e^At (=-m

(51,3)

(essendo A reale, i coefficienti di sviluppo sono legati dalla relazione A-i = A?). D a l l a ~ 5 1 , S ) per la derivata dwdw otteniamo:

rm W

Per i sufficientemente piccolo, la derivata à positiva [il suo segno coincide con quello di W; vedi la (50,11)1, cioà W à una funzione

1) Questo paragrafo à stato scritto da E. M. Lifgic e L. P. Pitaievskij.

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230 CAPITOLO SETTIMO

monotona del tempo t. Se nella (51,2) si passa dall'integrazione ri- spetto a dt all'integrazione rispetto a dw, i limiti restano gli stessi:

Sostituendo con l'espressione (51,4), trasformiamo l'integrale, considerando formalmente in esso W come variabile complessa. Sup- ponendo che l'espressione integranda non abbia punti singolari per

valori reali di W, spostiamo i l cammino

T d'integrazione dall'asse reale W al semi- piano superiore di questa variabile. Fatto

w) questo, s i vede che il contorno à si attac- ca à ai punti singolari dell'espressione integranda e, aggirandoli, assume la forma rappresentata schematicamente nella fig. 56. Sia w0 i l punto singolare pifi vicino all'asse reale, cioà il punto

Fig/56 con la coordinata immaginaria (positi- va) minore. L'integrale (51,5) assume i l suo valore principale nell'intorno di questo

punto; notiamo che ciascun termine della serie (51,4) apporta un con- tributo contenente i l fattore exp ( - I Im wn). Conservando ora sol- tanto i l termine con l'esponente negativo minore in valore assoluto (cioà il termine con I = l), troviamo1)

AI oo exp (-Im w0). (51,6)

Sia tn i l à momento di tempo à (numero complesso!) che corrispon- de al punto singolare W,,: W (to) = W,,. Per ordine di grandezza 1 t. 1 coincide generalmente con i l tempo caratteristico della variazione dei parametri del sistema che indicheremo con r2). L'ordine di gran- dezza dell'esponente di potenza nella (51,6) sarÃ

Poiché per ipotesi, T '$> T, questo esponente à grande. Quindi, la differenza I+ - I _ decresce esponenzialmente con la diminuzione della rapidità della variazione dei parametri del sistema3)

- 1) In casi speciali puà risultare che lo sviluppo (51'4) non contenga i l ter- mine con l = 1 (vedi, ad esempio, i l problema di questo paragrafo); in tutt i i casi bisogna prendere il termine con il valore minore di I della serie.

2) Se la lentezza della variazione del parametro si esprime nel fatto che questi dipende da t soltanto nella forma E = t l ~ , dove T 6 grande, allora t - tEo, dove En à il punto singolare della funzione X (E), non dipendente da T).

3 , Notiamo che se i valori iniziale e finale della funzione X (t) coincidono <Ë = A_), non solamente la differenza AI, ma anche la differenza AE = = E+ - E- dell'energia finale ed iniziale sarà esponenzialmente piccola; secondo la (49'9)' avremo AE = co A I .

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EQUAZIONI CANONICHE 231

Per determinare w0 i n prima approssimazione rispetto a T/% (cioà conservando nell'esponente solamente i l termine (T/%)'), s i puà omettere nell'equazione (50,11) i l termine piccolo contenente L, cioà scrivere

dw - = t) (1, (t)), d t (51'8)

considerando costante, ponendolo per esempio uguale a I_, l'argo- mento I della funzione (o (I, A). Allora abbiamo:

t n

l " = f t) (I, A (t)) dt

(per limite inferiore si puà prendere qualsiasi valore reale d i t; la parte immaginaria d i w0 che ci interessa non dipende da questa scelta).

L'integrale (51,5) con determinato dalla (51,8) (e con un termi- ne della serie (51,4) per 9 W w ) assume la forma

Da questa espressione si vede che in qualità di punti singolari con- correnti (quando si sceglie i l piti vicino all'asse reale) figurano le

singolarità (poli, punti d i ramificazione) delle funzioni ( t ) e l/t) (t). Ricordiamo a questo proposito che i l valore esponenzialmente pic- colo d i A I à una conseguenza dell'ipotesi che le funzioni indicate non abbiano punti singolari reali.

P R O B L E M A Valutare AZ per un oscillatore armonico con frequenza che varia lentamente

secondo la legge

dal valore W- = per t = -m al valore m+ = G m o per t = m (a > O , a < ~ 0 ) ~ ) .

Soluzione. Prendendo come parametro A, la stessa frequenza a, abbiamo

i -=E( a CI 2 e-"'+a e-¡"+

Questa funzione ha poli per e-"' = -1 ed e-"' = -a . Calcolando l'integrale

\ a d t , troviamo che i l valore minimo Im wo à dato da uno dei poli ato = J - - -In (-a) ed à uguale a

w0n/a per a > 1 , Im W, =

ion~ala. per a < I . l) L'armonicità dell'oscillatore si rivela nell'indipendenza della frequenza

delle oscillazioni dall'energia.

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Per un oscillatore armonico A sen 2 w (vedi problema del f 50), per cui la serie (51,3) si riduce a due termini (con l = ±2) Per l'oscillatore armonico si ha quindi

AI exp (-2 Im wa).

5 52. Moto condizionatamete periodico

Consideriamo u n sistema isolato con molti gradi d i libertà ani- mato da un moto finito (rispetto a tu t te le coordinate). Supponiamo inoltre che i l problema ammetta una completa separazione delle variabili nel metodo d i Hamilton-Jacobi. Cià vuoi dire che con una scelta appropriata delle coordinate l'azione abbreviata puà essere rappresentata come somma:

d i funzioni, ognuna delle quali dipende da una sola coordinata. Poichà g l i impulsi generalizzati sono

ognuna delle funzioni S i puà essere rappresentata nella forma

S i = pi dqi. I (5292) Queste funzioni non sono monodrome. Poichà i l moto à finito,

ciascuna delle coordinate puà prendere valori compresi in un deter- minato intervallo finito. Quando a, varia in questo intervallo à an- data à e à ritorno à l'azione subisce un incremento

ASo = AS; = 2 d i , dove 7 , Ã l'integrale

1 li = - n 8 Pi

esteso alla variazione indicata d i qi l ) . Facciamo ora una trasformazione canonica analoga a quella fatta

nel paragrafo precedente per i l caso d i un solo grado d i libertà Le variabili nuove saranno qui le à variabili d'azione à 7 , e le à variabili angolari Ã

-- l) Sottolineiamo perà che si tratta qui di una variazione formale della

coordinata qi in tut to l'intervallo dei suoi valori possibili, e non della varia- zione nel corso di un periodo del moto reale (come nel caso del moto unidimen- stonale). I l moto reale finito di un sistema con pi6 gradi di libertà non à in generale periodico nel suo insieme; non à periodica nemmeno la variazione col tempo di ciascuna delle sue coordinate prese separatamente (vedi pifi avanti).

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dove la funzione generatrice à ancora l'azione espressa in funzione delle coordinate e delle grandezze I ; : le equazioni del moto espresse in queste variabili

danno:

9E (I) W, =-

91,

I ; = costante.

wi = p ( I ) t + costante. ari Analogamente alla (52,7), s i puà trovare che alla variazione com-

pleta della coordinata qi (à andata à e à ritorno È corrisponde una variazione di 2n della variabile wi:

Awi = 2n. (523) In altri termini, le grandezze wi (q, I ) sono funzioni non monodrome delle coordinate; quando le coordinate variano riprendendo i valori iniziali, queste funzioni possono variare d i un qualsiasi multiplo intero di 2n. Questa proprietà puà essere formulata per l a funzione wi (q, p) (espressa mediante le coordinate e gli impulsi) anche nello spazio delle fasi del sistema. Poichà le grandezze stesse I;, se espresse mediante p e q, sono funzioni monodrome di queste variabili, con l a sostituzione d i I; (p, q) in w i (q, I ) otteniamo una funzione wi (p, q} che percorrendo una curva chiusa qualsiasi nello spazio delle fasi, puà variare di un multiplo intero d i 2n (o d i zero).

Da quanto detto segue che ogni funzione monodroma dello s tato del sistema F (p, q)l), espressa mediante le variabili canoniche, à una funzione periodica delle variabili angolari con periodo 2n per ciascuna di queste variabili. Essa puà quindi essere sviluppata in una serie multipla d i Fourier del tipo

m m

F = ... 2 Alil 2.. . 13e^(~iwi+...+~*ws) l i = - m lo=-m

(l,, 12 , . . ., Zs sono numeri interi). Sostituendovi le variabili angolari come funzioni del tempo, vediamo che la dipendenza tempo- rale di F Ã data da una somma del tipo

(5279) l) Le à coordinate rotazionali n, ossia gli angoli <p (vedi nota alla pag. 224),

non sono legate univocamente allo stato del sistema, perchà i valori di (p, che differiscono per un multiplo intero di 2n, corrispondono ad uno stesso stato del sistema. Se tra le coordinate q ci sono di questi angoli, essi possono quindi entrare nella funzione F (q, p) soltanto come espressioni del tipo cos <p o sen q, legate univocamente allo stato del sistema.

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2 34 CAPITOLO SETTIMO

Ciascun termine d i questa somma rappresenta una funzione perio- dica del tempo con frequenza

z l @ i + . + Z ~ W S , (52,101

che à una somma di multipli interi delle frequenze fondamentali

Poichà tu t te le frequenze (52,lO) non sono generalmente multipli interi (o frazioni razionali) d i alcuna di esse, la somma in totale non

. Ã una vera e propria funzione periodica. In particolare, questo vale per le coordinate q e gl i impulsi p del sistema.

Quindi i l moto del sistema non à in generale strettamente perio- dico nà in blocco nà rispetto a una sua coordinata. Cià significa che se il sistema à passato per un certo stato, non ripassa p i ~ per quello stato in capo a nessun intervallo di tempo finito. Si può però affer- mare che in capo a un intervallo d i tempo sufficientemente grande passa tanto vicino quanto si vuole a quello stato. $ rifacendosi a que- s t a proprietà che un tale moto à chiamato condizionatamente periodico.

In certi casi particolari, due o piii frequenze fondamentali (i);

possono risultare commensurabili (per valori arbitrari delle grandez- ze l i ) . S i parla allora della presenza di una degenerazione; se invece tut te le s frequenze sono commensurabili, i l moto del sistema à chia- mato completamente degenere. Nell'ultimo caso à evidente che il moto à strettamente periodico e, d i conseguenza, le traiettorie di tut te le particelle sono chiuse.

La presenza d i una degenerazione fa diminuire soprattutto il numero d i variabili indipendenti ( I i ) dalle quali dipende l'energia del sistema. Supponiamo che due frequenze col e ma siano legate dalla relazione

dove n-, ed n, sono numeri interi. Da questa uguaglianza segue che le grandezze Il edIn entrano nell'energia solo sotto forma d i somma n211 Ã nl12.

L aumento del numero degli integrali del moto uniformi in con- fronto al loro numero nel caso generale d i un sistema non degenere (con uno stesso numero d i gradi d i libertà rappresenta una proprietà molto importante dei moti degeneri. Nell'ultimo caso, d i t u t t i gli (2s - 1) integrali del moto risultano monodrome solo s funzioni dello stato del sistema; i l numero completo di tal i funzioni puà essere co- stituito ad esempio dalle s grandezze Ir I restanti s - l integrali si possono rappresentare sotto forma delle differenze

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EQUAZIONI CANONICHE 235

Queste grandezze, come segue direttamente dalla formula (52,7), sono costanti, ma non sono funzioni monodrome dello stato del sistema perchà non sono monodrome le variabili angolari.

Con la degenerazione subentrano dei mutamenti. I n forza della (52,12), l'integrale

~ 1 % - w2n1 (52,141 non à uniforme, potendovi aggiungere un qualsiasi multiplo intero d i 2n. sufficiente quindi prendere una funzione trigonometrica di questa grandezza per ottenere un nuovo integrale uniforme del moto.

I l moto in un campo U = -a/r (vedi i l problema di questo para- grafo) puà servire d'esempio d i un moto degenere. Ed à appunto que- s ta circostanza a far comparire i l nuovo caratteristico integrale uniforme del moto (15,17), oltre a i due già esistenti integrali uniformi ordinari (il moto si suppone piano): del momento M e dell'energia E, propri del moto in un qualsiasi campo centrale.

Notiamo anche che la comparsa d i ulteriori integrali uniformi determina, a sua volta, un'altra proprietà dei moti degeneri: essi ammettono completa separazione delle variabili, qualunque sia la scelta delle coordinate1). Infatti, le grandezze Ii, espresse in coor- pinate che permettono la separazione delle variabili, sono integrali uniformi del moto. Se s i ha degenerazione, però i l numero degli integrali uniformi à maggiore d i s e, di conseguenza, la scelta degli integrali che vogliamo prendere come Ii non à pifi univoca.

A titolo d'esempio, consideriamo i l moto kepleriano che ammette la separazione delle variabili in coordinate sia sferiche che in quelle paraboliche.

Nel paragrafo precedente abbiamo dimostrato che per un moto uniforme finito l a variabile d'azione à un invariante adiabatico. Cià vale anche per sistemi con molti gradi d i libertà e ne diamo qui la dimostrazione generalizzando direttamente i l metodo esposto all'inizio del $ 51.

Per un sistema a pifi dimensioni con i l parametro variabile K(t), le equazioni del moto in coordinate canoniche danno per velocità d i variazione d i ciascuna delle variabili d'azione li un'espressione analoga alla (50,lO):

dove, come prima, A = (9So/9K),. Mediamo questa uguaglianza su un intervallo d i tempo, grande in confronto ai periodi principali del sistema, ma piccolo in confronto a l tempo necessario per una va-

riazione sensibile del parametro K (t). Anche in questo caso K si porta fuori del segno d i media mentre la media delle derivate 9A/9wi si

1) Non ci si riferisce naturalmente a trasformazioni banali delle coordinate tipo q; = q; (?l) , q2 = 9; (9,)'

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236 CAPITOLO SETTIMO

prende come se i l moto avvenisse per A costante e fosse quindi un moto condizionatamente periodico. A si presenta allora come funzione monodroma periodica delle variabili angolari wi, e le medie delle sue derivate 9A/8wi si annullano.

Per concludere, facciamo qualche osservazione relativa alle pro- prietà del moto finito dei sistemi isolati a pià (s) gradi d i libertà per i l caso piii generico in cui non à prevista l a separazione delle variabili nella corrispondente equazione d i Hamilton-Jacobi.

La proprietà fondamentale dei sistemi a variabili separabili à co- stituita dall'uniformità degli integrali del moto I ; il cui numero à uguale a l numero dei gradi d i libertà Nel caso generale, invece, di sistemi a variabili non separabili, la scelta degli integrali del moto uniformi à l imitata a quelli per cui i l fatto d i essere costanti à un'e- spressione delle proprietà di omogeneità e di isotropia dello spazio e del tempo, cioà delle leggi d i conservazione dell'energia, dell'impulso, e del momento angolare.

La traiettoria di fase del sistema passa per quelle regioni dello spazio delle fasi che sono determinate da valori costanti dati degli integrali del moto uniformi. Per un sistema a variabili separabili avente s integrali uniformi, queste condizioni determinano una va- rietà a s dimensioni (ipersuperficie) dello spazio delle fasi. I n un tem- po sufficientemente lungo l a traiettoria del sistema passa vicino tanto quanto si vuole a ogni punto d i questa superficie.

Nei sistemi, invece, a variabili non separabili, aventi un numero minore d i integrali uniformi (pur a parità d i s), la traiettoria d i fase riempie (completamente o parzialmente) regioni dello spazio delle fasi (varietà con numero d i dimensioni maggiore.

Osserviamo infine che se la hamiltoniana di un sistema diffe- risce soltanto per termini piccoli da una funzione che ammette separazione delle variabili, anche le proprietà del moto sono vicine alle proprietà dei moti condizionatamente periodici, la differenza anzi à piccola in grado ben piii elevato d i quanto non lo siano i termini addizionali nella funzione d i Hamilton

Calcolare le variabili d'azione per i l moto ellittico in un campo U = -a/r. Soluzione. In coordinate polari r , (p nel piano del moto abbiamo:

2n ',=a P,'>v=M, o

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EQUAZIONI CANONICHE

Da cui l'energia espressa in funzione delle variabili d'azione Ã

E = - ma' 2 (^ + l2

Essa dipende solo dalla somma 1,. + I*, i l che significa che i l moto 6 degenere: le due frequenze fondamentali (rispetto a (p ed r) coincidono.

I parametri p ed e dell'orbita [vedi (15,4)] si esprimono in funzione di Zr ed I m secondo le formule

In v i r t ~ dell'invarianza adiabatica delle grandezze Ir ed IW, l'eccentricità dell'orbita resta invariata quando i l coefficiente a o la massa m variano lenta- mente, mentre le sue dimensioni variano in modo inversamente proporzionale ad m ed a.

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Indice analitico ')

Additività de li integrali del moto, 42 defla massa, 47

Ampiezza delle oscillazioni, 100 Asse di istantanea rotazione, 150 Azione abbreviata, 205

Battimenti, 105, 114 Buca di potenziale, 58 Caduta di una particella nel centro,

67, 90

Campo omogeneo, 38 Condizione d'equilibrio' d i u n solido, Coordinate, cicliche, 64,

ellittiche, 220 generalizzate, 27 paraboliche, 219

Coppia di forze, 165

Decremento di smorzamento, 121 Degenerazione, 234

Eccentricità 71 Energia, cinetica, 36

interna, 48 potenziale, 36

Equazioni, canoniche, 194 di Newton, 37

Fase, 100 Forza, 37

centrifuga, 189

di attrito, 121, 182 di Coriolis, 189 di reazione, 182 generalizzata, 46

Frequenza propria 110 Frequenze combinatorie, 135 Funzione, di dissipazione, 123

generatrice, 209

Gradi di libertà 27, 116, 148 Grandezze canonicamente coniugate,

211

Identità di Jacobi, 199 Impulso generalizzato, 46 Integrale delle aree, 65 Integrali del moto, 42 Isotropia dello spazio, 32, 49

Legge dell9hguaglianza dell'azioneie della reazione, 46

d'inerzia, 32 Leggi di Keplero, 55, 65 Linea dei nodi. 166

Massa di una particella, 34 Momento di una forza, 164 Momenti principali, d'inerzia, 153

dell'asse d'inerzia, 153 Moto finito e infinito, 58

traslatorio, 149

Nutazione, 170

1) Questo indice analitico completa l'indice generale del libro, senza perà ripeterlo. Esso include concetti e termini che non entrano nell'indice ge- nerale.

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INDICE ANALITICO 239

Omogeneità dello spazio, 44 Smorzamento aperiodico, 122 del tempo, 43 Spazio delle fasi, 212

Oscillatore spaziale, 115 Strisciamento, 182 Oscillazioni normali, 112 Superficie assolutamente liscia, 183 Ottica geometrica, 204 ruvida, 183

Pendolo, di Foucault. 191 doppio, 39,' 114 fisico, 157 piano, 39, 59, 69, 147 sferico, 68

Perielio, 75 Polodia, 175 Precessione regolare, 162 Principio d i D'Alembert, 185 Problema dei due corpi, 62 Punto d'arresto, 58

Risonanza, 104 Rotatore, 154, 162 Rotolamento, 182

Sezione d'urto 88 Sistema conservativo, 43

inerziale di riferimento, 32 isolato, 36

Teorema, del viriale. 55 d i ~oisson; 200

Traiettoria d i fase, 212 Traiettorie chiuse, 66 Trasformazioni,

d i Galilei, 33 d i Legendre, 193 ~un tua l e . 208

rotto la, asimmetrica, 153, 174 sferica, 153 simmetrica, 153, 162, 169 veloce, 171

Variabile, angolare, 227 d'azione, 227

Variazione, 29 Velocità 65, Vincoli,

inolonomi, 183 olonomi, 183 .