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1 52 TRIMESTRALE DI CULTURA E PEDAGOGIA MUSICALE - ORGANO DELLA SOCIETÀ ITALIANA PER L’EDUCAZIONE MUSICALE ANNO XXXIX - N. 152 - SETTEMBRE 2009 - 5,00 - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 45% - ART. 2 COMMA 20/B - L. 662 DEL 1996 - MILANO Ambiente sonoro per tromba Arteterapia in Italia Canti africani per bambini L'intreccio dei sensi Le voci della SIEM _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ 1 52 NUMERO CONTIENE I.P.

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TRIMESTRALE DI CULTURA E PEDAGOGIA MUSICALE - ORGANO DELLA SOCIETÀ ITALIANA PER L’EDUCAZIONE MUSICALEANNO XXXIX - N. 152 - SETTEMBRE 2009 - † 5,00 - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 45% - ART. 2 COMMA 20/B - L. 662 DEL 1996 - MILANO

Ambiente sonoro per tromba

Arteterapia in Italia

Canti africani per bambini

L'intreccio dei sensi

Le voci della SIEM

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3MusicaTrimestrale di cultura e pedagogia musicaleOrgano della SIEM

Società Italiana per l’Educazione Musicalewww.siem-online.itAutorizzazione del Tribunale di Milano n. 411del 23.12.1974 - ISSN 0391-4380Anno XXXIX, numero 152 settembre 2009

Direzione responsabileMariateresa Lietti

RedazioneAlessandra Anceschi, Lara Corbacchini,Anna Maria FreschiImpaginazione e grafica Fabio Cani / NodoSegreteria di redazioneVia Dell’Unione, 4 - 40126 Bolognae-mail: [email protected], Torino

EditoreEDT srl, 17 Via Pianezza, 10149 TorinoAmministrazioneTel. +39 011 5591816, Fax +39 011 2307034e-mail: [email protected] Bianco, EDT: [email protected],tel. +39 011 5591849PubblicitàAntonietta Sortino, EDT: [email protected],tel. +39 011 5591828AbbonamentiAnna Bruna Lampis, EDT: [email protected],+39 011 5591831Un fascicoloItalia euro 5,00 - Estero euro 6,50Fascicoli arretratiItalia euro 7,00 - Estero euro 8,50Abbonamenti annualieuro 18,00 - Estero euro 22,00, comprensivo diquattro fascicoli della rivista. Gli abbonamentipossono essere effettuati inviando assegno nontrasferibile intestato a EDT srl, versandol’importo sul c.c.p. 24809105 intestato a EDT srl,tramite carta di credito CartaSì, Visa,Mastercard, con l’indicazione “Musica Domani”.La rivista è inviata gratuitamente aisoci SIEM in regola con l’iscrizione.Quote associative SIEM per l’anno 2009Soci ordinari e biblioteche euro 43,00 - Studentieuro 28,00 - Soci sostenitori da euro 86,00 -Triennali ordinari e biblioteche euro 108,00 -Triennali sostenitori da euro 216,00 - Soci giovanieuro 8,00.Le quote associative si ricevono sul c.c.p. 19005404,intestato a Società Italiana per l’EducazioneMusicale, Via Dell’Unione, 4 Bologna. Percomunicazioni e richieste: tel. 051-2916500fax 051-228132 - cell. 339-1031354 - [email protected] - recapito postale SIEM -Casella Postale 94 - Succursale 22 - 40134 BolognaIscrizione all’ISME per l’anno 2009International Society for Music EducationSocio individuale per un anno, senza riviste, US$35; con le riviste US$ 59. Socio individuale per dueanni, senza riviste US$ 65; con le riviste US$ 113.Le riviste sono: International Journal for MusicEducation, 2 numeri l’anno; Music EducationInternational, 1 numero l’anno. Le quote possonoessere versate con carte di credito Visa, AmericanExpress, Master Card o chèque bancario a: ISME

International Office, PO Box 909, Nedlands, 6909Western, Australia - fax 00 61-8-9386 2658.Sarebbe opportuno che l’iscrizione e il pagamentocon carta di credito venissero accompagnati dalmodulo d’iscrizione debitamente compilato ereperibile presso il sito web dell’ISME:www.isme.org/application.

DOMANI

�Materiali e approfondimenti suwww.musicadomani.it

Editoriale5 Mariateresa Lietti

Appuntamenti oltre i 40 anni

Pratiche educative6 Simone Francia

Uno spazio su misura

Strumenti e tecniche14 Sonia Benevelli

Arteterapia in Italia �

Ricerche e problemi22 Angela Cattelan - Franca Mazzoli

Canti africani per bambini30 Donatella Bartolini

L’intreccio dei sensi: sinestesie e metafore �

Confronti e dibattiti38 Paola Faccidomo (a cura di)

SIEM: le molte voci dell’associazioneInterventi di: Roberto Neulichedl, Annibale Rebaudengo, Lara Corbacchini,Antonella Moretti

Libri e riviste48 Elita Maule, L’arte di educare in musica

(su ZOTTO, Grandi artisti dell’insegnamento musicale, Meltemi)49 Annalisa Spadolini, La pratica musicale nella scuola italiana

(su Musica e scuola rapporto 2008, Le Monnier)49 Maddalena Patella, Scheda

(su STERA, Il bambino / il gesto / il suono, Comunicarte)50 Alberto Odone, Da non perdere51 Anna Maria Freschi, La musicalità del movimento

(su MARTINET, Esplorare il pensiero di Jaques-Dalcroze, Progetti Sonori)52 Mariateresa Storino, Musica per l’unità del sapere

(su VACCARONI, Musica, mente, simbolo, Ars Europa)54 Mariateresa Lietti, Scheda

(su PIUMINI - COMINI, Le fiabe del jazz, Curci)54 Marco Rapetti, Comprendere le relazioni armoniche

(su ALDWELL - SCHACHTER, Armonia e condotta delle voci, Fogli Volanti)55 Lara Corbacchini, Scheda

(su CARATOZZOLO, Tras i “Chèdres de na espojizion”, Istitut Cultural Ladin)56 Adriana Mascoli, Scheda

(su LEVATI, A scuola con il pianoforte, Sinfonica)57 Roberto Albarea, Rassegna pedagogica

Rubriche5 Alessandra Anceschi (a cura di), MATERIALI DI CLASSE �12 Elita Maule, LA FABBRICA DEI SUONI: Costruire i suoni per apprendere le lingue18 SEGNALAZIONI di Augusto Dal Toso, Maddalena Patella, Antonietta Berretta,

Anna Maria Freschi20 Donatella Bartolini, NOTE A MARGINE: Il profumo dell’architettura28 Antonio Giacometti, CANTIERI SONORI: Caccia... alle streghe �36 Susanna Pasticci (a cura di), PROVE DI ANALISI: Missa Hercules Dux Ferrariæ

[Josquin Desprez] di Federico Vizzaccaro �47 Arianna Sedioli, L’ATELIER DEI PICCOLI: Libri come partiture58 GIORNALE SIEM: Il Congresso mondiale ISME va in Cina di Johannella Tafuri

In copertina:Rielaborazionedell’allegoria dell’uditoda Stultiferae Naves,Parigi 1500.

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Hanno collaborato a questo numero:

Roberto Albarea docente di Pedagogia, Università di UdineDonatella Bartolini docente di Pedagogia musicale, Istituto Superiore di Studi musicali, Modena

[email protected] Benevelli docente di Arte e Immagine, Arteterapeuta, Reggio Emilia

[email protected] Cattelan docente di Pedagogia musicale, Conservatorio di Bolzano

[email protected] Dal Toso docente di Musica, Scuola Secondaria di primo grado, Vicenza

[email protected] Faccidomo docente di Musica, Scuola Secondaria di primo grado, Marsala

[email protected] Francia docente di Tromba, Carpi e Suzzara

[email protected] Giacometti docente di Composizione, Istituto Superiore di Studi musicali, Modena

www.a-giacometti.itAdriana Mascoli docente di Pianoforte, Scuola Secondaria di primo grado a indirizzo musicale, Como

[email protected] Maule docente di Didattica della Storia della Musica, Conservatorio di Bolzano

[email protected] Mazzoli pedagogista, Bologna

[email protected] Moretti insegnante e coordinatrice didattica di corsi musicali di base, Varese

[email protected] Neulichedl docente di Pedagogia musicale, Conservatorio di AlessandriaAlberto Odone docente del Corso Sperimentale di Solfeggio, Conservatorio di Como

www.albertoodone.itSusanna Pasticci ricercatrice, Università di Cassino

[email protected] Patella docente di Musica, Scuola Secondaria di primo grado, Rimini

[email protected] Rapetti docente di Pianoforte complementare, Conservatorio di Genova

[email protected] Rebaudengo docente di Pianoforte, Conservatorio di Milano

[email protected] Sedioli formatrice e autrice di mostre e installazioni sonore, Ravenna

[email protected] Spadolini docente di Flauto, Scuola Secondaria di primo grado a indirizzo musicale, Roma

[email protected] Storino docente di Pianoforte, Scuola Secondaria di primo grado a indirizzo musicale, BolognaJohannella Tafuri docente di Pedagogia musicale, Conservatorio di BolognaFederico Vizzaccaro dottore di ricerca, Università di Roma

[email protected]

Redazione:

Mariateresa Lietti docente di Violino, Scuola Secondaria di primo grado a indirizzo musicale, [email protected]

Alessandra Anceschi docente di Musica, supervisore al tirocinio SSIS, [email protected]

Lara Corbacchini docente di Pedagogia musicale, Conservatorio di [email protected]

Anna Maria Freschi docente di Pedagogia musicale, Conservatorio di [email protected]

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5Mariateresa Lietti

Questo numero di “Musica Domani” esce in occasionedel convegno nazionale dedicato ai quarant’anni della SIEM.Come si evince dal titolo: Educazione musicale: punto e acapo?, si tratta di un momento di riflessione, non solo in-terno all’associazione, in cui fare un bilancio di quanto èsuccesso in questo periodo e, soprattutto, trarre indicazio-ni per come operare in futuro.Questi quarant’anni sono stati ricchi di eventi e cambia-menti radicali, e non si può non tenerne conto nel propor-re attività nel campo dell’educazione e della formazionemusicale.Come rivista abbiamo cominciato nel primo numero del-l’anno (cfr. n. 150, marzo 2009) proponendo il “Confrontie dibattiti” Quale educazione musicale oggi?, curato da MarioBaroni e dedicato all’educazione musicale, alla sua evolu-zione nel tempo e alle sue prospettive.In questo numero ci è sembrato giusto dare voce a personeche nella SIEM operano e che ne possono dare una valuta-zione dall’interno. Non è un momento facile per le asso-ciazioni, l’individualismo prende sempre più il sopravvento,pochi sono disposti a farsi carico del “bene comune” e lavolontà di condividere sembra diminuire. Sicuramente vi-viamo in un periodo di grande incertezza in cui sembrache le prospettive, nei diversi campi, siano solo negative.Anche la musica, soprattutto in riferimento alla scuolapubblica, non gode di buona salute, nonostante venga sem-pre più richiesta e consumata. Proprio per questo è oggiancora più importante sostenere e valorizzare le numeroseesperienze positive che, nonostante tutto, ci sono; e credoche il ruolo di un’associazione come la SIEM sia essenziale,anche se sempre più difficile e “scomodo”.Le autrici e gli autori dei contributi si soffermano, da di-versi punti di vista, su quanto hanno ricevuto dalla SIEM intermini di crescita personale, di incontri, di scambi ecc. Lacosa è reciproca: e vorrei quindi sottolineare quanto l’as-

Appuntamenti oltre i 40 anni

Materiali di classe(www.musicadomani.it _ Le rubriche _ Materiali di classe)

In corrispondenza con l’uscita di questo numero, sono scaricabili sulla rubrica on linemateriali relativi a:

- Fogli sonori: un touch screen per improvvisare di Giovanni Scapecchi

L’accesso e lo scaricamento sono riservati ai soci che possono richiedere nome uten-te e password scrivendo a: [email protected] proposte vanno inviate a [email protected] con le modalità indicatesul sito.

sociazione, e tutti e tutte noi che ne facciamo parte, dob-biamo a loro, proprio in quell’ottica di scambio e circolaritàche viene bene messa in luce nei diversi interventi.Nel numero di dicembre di “Musica Domani” ci occupere-mo invece della ricerca, argomento a cui la SIEM da semprededica grande attenzione come dimostra anche il corsosuperiore di Ricerca, organizzato insieme all’AccademiaFilarmonica di Bologna e giunto, per il biennio 2009-2010,al secondo ciclo. I risultati del corso sono stati evidentinell’ambito del convegno ISME di Bologna del luglio 2008;le ricerche italiane presentate provenivano, nella maggiorparte dei casi, da questo ambito e si sono distinte per qua-lità e interesse.Un altro settore cui la SIEM ha sempre dedicato impegno erisorse è quello della divulgazione, anche attraverso le pub-blicazioni. Esce in questo periodo l’ultimo quaderno cura-to da Alessandra Anceschi, Musica e educazione estetica.Il ruolo delle arti nei contesti educativi, che contiene gliatti del convegno tenutosi a Pisa nell’ottobre 2008, inte-grati con altri interventi.Relativamente alle pubblicazioni ricordo inoltre che, nel2010, anche “Musica Domani” compirà quarant’anni. Laprima delle iniziative che stiamo programmando per l’oc-casione riguarda una borsa di studio per una ricerca. Moltee molti studenti hanno utilizzato “Musica Domani” per leloro tesi, ci sembra interessante ora far diventare la rivistastessa oggetto di studio, analizzando l’evoluzione delletematiche riguardanti l’educazione musicale attraverso gliarticoli che si sono susseguiti nel corso degli anni. Trovateun estratto del bando a p. 21 di questo numero e la versio-ne integrale sul sito www.musicadomani.it.Ovviamente tutte le iniziative di riflessione, dibattito, scam-bio, hanno tanto più significato quanto più numerose sonole persone che vi partecipano e che si mettono in giococon le loro idee, esperienze, emozioni, aspettative.

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6 Simone Francia

Uno spaziosu misura

Le interrelazioni trasonorità strumentali ed’ambiente, insieme al-la rielaborazione mul-timediale con specificisoftware di sonoritàselezionate nell’ambitodi attività di esplora-zione, sono la cornicedi un’esperienza d’in-sieme condotta con ungruppo di trombettistiin erba.Un’interessante propo-sta anche per altri grup-pi strumentali.

«…si ha allora una situazio-ne che non può essere considera-ta un oggetto, ma che somiglia piutto-sto a un ambiente».John Cage

Lo spazio e il suo significatoIl rapporto tra suoni intenzionali di una composizione esuoni non intenzionali dell’ambiente ha prodotto molte ri-flessioni nella storia musicale recente. Uno dei primi a oc-cuparsi di questa relazione è stato Erik Satie, nel 1920,annunciando che la «Musique d’Ameublement [generava]una vibrazione senza scopo» e che aveva «la stessa funzio-ne della luce, del calore e del comfort in tutte le sue forme»(Satie 1980, p. 41). L’idea di fruizione musicale di Satierispetto alla sua musica d’arredo era orientata a un ascoltoinconsapevole; di parere opposto invece Cage, il quale hacostruito una musica pensata per integrarsi con i suoninon intenzionali dell’ambiente, o meglio, una musica cheriesca a integrare in sé i suoni non intenzionali dando lorosignificato. Celebre esempio di tale processo è stata la com-posizione del 1952 4’33’’, nella quale Cage ha prescritto

l’assenza di suoni mu-sicali affinché sianoquelli dell’ambiente ainserirsi nei silenzi: lospazio è diventato con-tenitore.Come dare un signifi-cato musicale ai suoni“non convenzionali”prodotti dagli allieviinserendoli in uno spa-zio sonoro che, oltre adare loro un senso, lifaccia convivere in unhabitat a essi conge-

niale? Come offrire aglistudenti la possibilità di far

nascere e sviluppare le competen-ze, seppur minime, di cui dispongono?

Organizzare le idee e i saperi, dando loro unsignificato all’interno di un contesto come la classe

di strumento, prevede l’elaborazione di strategie perla soluzione dei problemi attraverso il coinvolgimento ditutti gli studenti. È importante valorizzare le intuizionicreative che i ragazzi spesso propongono favorendo lo svi-luppo dell’espressività individuale e collettiva: trasferire lecompetenze acquisite attraverso un processo di scoperta,dal singolo al gruppo, implica che anche coloro che menoapplicano questo principio alla conoscenza possanousufruirne. Unire le diverse competenze porta a un con-fronto continuo che, se ben ri-pensato, modifica il nostrosapere mettendoci nella condizione di trovare nuove ideeper risolvere i problemi.Favorire un atteggiamento di ricerca e curiosità solitamenteporta gli studenti ad attivare dinamiche di relazione,condivisione e rispetto reciproco eliminando comportamenticompetitivi. Incoraggiando quindi la relazione tra le per-sone e lo spazio si ha maggiore possibilità di abbracciare

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7lo strumento a trecentosessanta gradi grazie all’effetto pro-dotto dall’unione dei saperi.In ultimo, ricercare e attribuire senso musicale alle prati-che esplorative porta a un approccio strumentale sponta-neo, diminuendo le tensioni relative alla produzione delsuono e all’esecuzione oltre che aumentando l’autonomianello studio.

Dall’idea all’esperienzaRipercorrendo l’intuizione di Cage, nel contesto della Scuoladi Musica di Suzzara (MN) nella quale sono insegnante ditromba, ho pensato all’opportunità di applicare un pae-saggio sonoro elettronico a un brano preesistente costruitocon i suoni non convenzionali dello strumento: l’ambitoin cui si è sviluppato il brano è stato quello della lezionecollettiva che il sabato svolgo con la classe intera (circadieci allievi), studenti con competenze ed età diverse (da 7a 16 anni). Spesso, nelle classi di strumento, le lezioni sonoorganizzate in modo tale che le diverse conoscenze si dis-socino tra loro piuttosto che unirsi: personalmente deside-ro una classe in cui i saperi, seppure nella diversità, si uni-scano e diano forma a gruppi sociali autonomi e creativi.Insegnando anche in un istituto superiore di studi musicaliosservo di frequente una profonda divisione tra allievi avan-zati e alunni all’inizio del percorso, dicotomia che spessoporta a fenomeni di emulazione da parte dei più giovani, iquali incorrono in una percezione distorta di ciò che real-mente forma uno strumentista. Mia volontà è quindi lacostruzione di una routine che vada nella direzione di unconfronto continuo tra i miei allievi e un’autoformazioneda loro stessi praticata attraverso lo scambio delle loroconoscenze o intuizioni; solo così è possibile mettere incomune le competenze acquisite e renderle musicalmentesignificative. Voglio essere chiaro: non sto dicendo che ilruolo del docente deve essere quello di spettatore nella tra-smissione dei saperi, piuttosto può diventare quello dipropositore di atteggiamenti e attività ai quali i ragazzipossono partecipare senza subire rigide indicazioni.Il percorso si è mosso parallelamente alle lezioni con unpiccolissimo gruppo di due, tre ragazzi, nelle quali il miointervento è stato più diretto. Preciso inoltre che, nono-stante il brano in questione abbia preso forma nella Scuoladi Musica di Suzzara, lo stesso modus operandi l’ho appli-cato nelle lezioni all’Istituto Superiore di Studi Musicali“Vecchi-Tonelli” di Carpi (MO): anche nelle istituzioni ap-parentemente più rigide si può impostare una didattica dellascoperta.La prima versione del brano non prevedeva il supportodell’elettronica, solamente la relazione tra tensione e di-stensione del materiale sonoro raccolto in classe esploran-do lo strumento, ma all’ascolto sorgevano dubbi e debo-lezze sulla continuità delle parti: in sostanza si aveva lasensazione che l’ambiente sonoro non intenzionale (le vocinei corridoi, i suoni provenienti dalle classi attigue, i ru-mori delle auto ecc.) interrompesse il dialogo tra le diversetipologie di suono. Dalle esigenze di preservare il dialogosonoro da intromissioni acustiche nasce l’idea di creare un“habitat su misura” per dare la possibilità ai suoni degli

studenti di inserirsi in uno spazio che dia loro significato epossibilità di coabitazione. Questa necessità è maggiormenteavallata dalle diverse competenze di cui dispongono i mieialunni: obiettivo per me irrinunciabile è farli suonare ingruppo, valorizzando le diverse capacità in modo che atutti sia garantito un intervento musicalmente significati-vo. Prende forma così l’idea di spazio acustico “su misuradi competenza”, in cui il contenitore realizzato con il sup-porto dell’elettronica si modella in base alle esigenze di-dattiche. Per tale fine l’utilizzo “forte” del computer (Gag-giolo 2003) risulta essere il mezzo migliore per la nascitadi questo ambiente: uno spazio dedicato all’espressione delleproprie abilità, in cui fare nascere relazioni dialogiche trarisorsa sonora ed elettronica.L’idea di un impiego “forte” del computer trova la suamigliore applicazione nei processi di apprendimento/in-segnamento attraverso un continuo feedback da parte del-l’allievo (ad esempio il controllo dei parametri del suo-no), nella simulazione di ambienti per sviluppare abilitàspecifiche (ad esempio simulatori di guida, volo ecc.), persperimentare più soluzioni dello stesso problema o mani-polare diversi linguaggi attraverso procedure come lasovrapposizione di più suoni per ricavarne di nuovi(morphing).

Dall’esplorazione alla formaPrima fase: ricerca e successiva catalogazione di tutti isuoni “non convenzionali”Ho invitato i miei allievi a ricercare con i loro strumentidei suoni non tradizionali. La modalità di ricerca è statacondotta dedicando settimanalmente circa trenta minutidi ogni lezione collettiva: i ragazzi disposti in cerchio, pas-sandosi un modello ideale di suono da me precedentemen-te descritto (suono liscio, suono ruvido, suono forte, suonorugoso, suono piegato ecc.) hanno dato vita, dopo diverselezioni, a varie mutazioni sonore.Il lavoro di gruppo ha sviluppato dinamiche di confronto egrande elaborazione acustica: le variazioni apportate daogni allievo hanno creato una tavolozza sonora assai ric-ca; anche le modalità d’utilizzo “non convenzionale” dellatromba hanno prodotto risultati ragguardevoli: soffi, “baci”,frullato, ticchettio dei pistoni con la ghiera svitata, buzzingprodotto con il solo bocchino, colpi con la mano sul boc-chino inserito nello strumento (e la relativa osservazioneche l’altezza del suono prodotto varia se si pigiano i pisto-ni), “urlo” o “abbaio” con il bocchino inserito nello stru-mento e infilato in bocca anziché appoggiato alle labbra,suoni prodotti senza la pompa corrispondente al primo,secondo, terzo pistone ecc.Seconda fase: scelta di alcuni suoni e loro rappresenta-zione graficaLa scelta del materiale sonoro è stata il frutto delle prefe-renze dei ragazzi; fondamentalmente ogni allievo ha espres-so gusti differenti, motivando la scelta in base ai ricordidel proprio vissuto: ad esempio alcuni hanno spiegato cheil suono liscio (al quale è stato fatto corrispondere il soffio)ricorda loro il vento.Successivamente si è riflettuto a lungo riguardo il trasferi-

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8 mento del suono in grafica: pur non trattandosi di nota-zione convenzionale non è stato immediato per tutti i ra-gazzi riprodurre graficamente la direzione del suono. Solodopo averlo rappresentato fisicamente (ad esempio i glissatisono stati rappresentati dal movimento delle mani in modoascendente o discendente) è stata definita la partitura: si èpotuto osservare che il suono può essere rappresentato dalinee diritte o curve, linee corte o spezzate, o che la dina-mica può essere associata al tratto più o meno marcato.Terza fase: improvvisazione con il materiale sonoro sceltoHo messo in relazione due gruppi di bambini, i quali han-no improvvisato su strutture A B A utilizzando del materialesonoro che ho precedentemente consegnato loro (ad esem-pio i “baci”, il glissato, il soffio ecc). In questa fase ognigruppo ha avuto la rappresentazione grafica del materialeutilizzato potendo modificare solo alcuni parametri: la di-namica, la durata e il timbro; invece per quanto riguardala direzione (nel caso del glissato dal grave verso l’acuto eviceversa) o la modalità di esecuzione (nel caso di un sof-fio con bocchino applicato allo strumento) non è stato con-cesso di apportare alcuna variazione. L’improvvisazione èconsistita nel cercare un dialogo tra le diverse risorse acu-stiche attraverso la realizzazione d’arcate di tensione e di-stensione, applicando strutture ritmiche capaci di creareuna proposta e una risposta. Spesso il mio ruolo è statoquello di creare l’incipit iniziale dal quale i ragazzi hannoproseguito con l’improvvisazione.Quest’ultima attività è andata in due direzioni: l’acquisizionedi una buona capacità di manipolazione del materiale el’inizio di strutturazione formale del brano futuro. L’elabo-razione improvvisativa permette ai giovani strumentisti dispingersi al limite della loro padronanza strumentale: ciòdà vita a nuances sonore molto raffinate che con la solarichiesta verbale non credo si potrebbero ottenere; improv-visare aiuta anche a sviluppare una coordinazione corpo-rea adeguata al suono che vogliamo ottenere: spesso il gestoche lo precede o che lo segue, è significativo dell’espressi-vità che si vuole ottenere.I movimenti corporei utilizzati durante i laboratori sonosempre liberi, tesi alla più chiara comunicazione tra glistudenti, piccole attenzioni motorie che spiegano la rela-zione con lo strumento, con lo spazio e con le persone allequali ci si rivolge.Quarta fase: strutturazione del materialeIl materiale da immergere nel paesaggio elettronico (soffio,“bacio”, glissato con bocchino, frullato e suono tradiziona-le) è stato organizzato da me in maniera autonoma seguen-do la logica della tensione e distensione che si applica allemelodie. A livello strutturale ho pensato a un brano a fine-stre, una sorta di pellicola cinematografica, dal quale di tan-to in tanto fuoriescono i suoni delle trombe.A parte la pulsazione iniziale ottenuta con una grancassa,il materiale elettronico è stato il risultato di precedenti re-gistrazioni dei suoni scoperti dai ragazzi.I soffi hanno subìto trattamenti di stretching, filtraggio eriverberazioni; alcuni eventi centrali nel brano, denomi-nati da me “pietrosi”, sono stati il risultato di alcuni suonidi tromba elaborati a catena: trasposizione nei registri acuti,

frammentazione (con variazioni d’inviluppo), riverbero,filtraggio ecc. (i software utilizzati sono stati WaveLab eAudacity).Fondamentalmente ne risulta un brano composto da macro-aree elettroniche: una parte introduttiva in cui la grancassaorganizza la durata dei soffi nelle trombe, una parte cen-trale con materiale “pietroso” organizzato in finestre aper-te al dialogo con i glissati e i frullati d’aria, tre “little bang”che aprono al bicordo suonato in modo tradizionale e nuo-vamente il materiale “pietroso”, al quale si sovrappongonoi ticchettii dei pistoni appositamente svitati.All’interno di ogni area è possibile osservare delle piccolevariazioni del materiale presente: il soffio viene modulatodalla sordina plunger, il glissato viene dilatato verso l’acu-to o verso il grave e trattato dinamicamente e in alcunezone delimitate i materiali vengono sovrapposti.Nella stesura della parte per le trombe ho dato particolareimportanza alla piena partecipazione di tutti gli allievidando loro pari dignità per tutto il brano: mi sono quindiaccertato che la distribuzione degli eventi fosse il più pos-sibile bilanciata in questa direzione. Come ho detto prece-dentemente, è per me importante riuscire a valorizzare lecompetenze di tutti gli allievi inserendoli in un contestosonoro che garantisca a tutti la piena partecipazione.Quali competenze si possono mettere in comune tra unallievo che ha iniziato la pratica strumentale da qualchemese e uno che studia da anni? Tante, tra le quali per esem-pio il semplice soffio dentro lo strumento senza dover emet-tere un suono: anche l’allievo più piccolo è in grado disoffiare musicalmente.

Dettagli analitici del branoLa struttura del brano, a cui è stato dato il titolo di Stele 1,è semplice: come si può vedere in dettaglio nella partiturariportata (fig. 1), si tratta di una forma ABA’CA’’C’. All’in-terno di A il soffio è il primo tema esposto e confermato, acui rispondono i “baci”. Immediatamente dopo si trova unavariazione del soffio (attraverso il chiuso-aperto con sor-dina plunger) e nuovamente risposta affermativa del ba-cio. A quel punto si inserisce il glissato ascendente comenuovo elemento tematico il quale, trattato in estensione edirezione, si mette in dialogo con il soffio frullato (ele-mento non completamente nuovo poiché derivato dal sof-fio ma abbastanza diverso da potersi identificare autono-mamente). A questo è da aggiungere una semplice compo-nente ritmica realizzata dalla grancassa e dal temple block.I materiali, dopo essere stati esposti e messi in dialogo traloro, vengono ripresi, sovrapposti e organizzati con entra-te diverse da prima.Dopo questa iniziale area espositiva affidata ai più piccoli,si apre una finestra generata da un colpo di grancassa, si-multaneamente a un “little bang” prodotto dall’elettronica:per la prima volta dall’inizio del brano si può ascoltare ilsuono tradizionale della tromba in un bicordo di seconda,

1 È possibile consultarne una registrazione audio-video all’indiriz-zo internet www.youtube.com/watch?v=oV-JJcbErEI.

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10 eseguito il più velocemente possibile, della durata esatta didue secondi terminati i quali si frammenta in un glissatodiscendente generato dalla frequenza dell’intervallo. Un’al-tra finestra conferma il nuovo materiale appena ascoltatocon una variazione del glissato che, terminando verso l’acu-to, apre al ritorno in lontananza dei materiali iniziali. L’in-ganno in realtà dura poco poiché non si tratta di un ritornoad A, bensì di una breve distensione che nuovamente sfoce-rà in un picco tensivo chiuso stavolta dalla frammentazione

di tutti i suoni (attraverso il ticchettio dei pistoni con laghiera svitata e successivamente con l’aggiunta dell’elettro-nica) che lentamente e caoticamente si disperderanno fino aprodurre il silenzio. È da specificare che il supporto elettro-nico è stato realizzato sulla base della partitura grafica usa-ta per catalogare i suoni esplorati dai bambini: l’elettronicaè diventata per loro l’habitat nel quale le loro trovate sonorehanno avuto spazio e significato, oltre a un riferimento ditutte le durate e attacchi.

Fig. 1 Stele (per ensemble di trombe, percussioni ed elet-tronica)

Primo tema: il soffio, che come si può vedere viene suc-cessivamente confermato due volte.

Risposta relativa al tema (soffio): tre baci (contrassegnatidalle XXX) che vanno a riempire il vuoto creato dalla man-canza di elettronica. Nella partitura si può osservare spessola dialogicità fra i due temi.

Prima variazione: il soffio si trasforma attraverso la chiu-sura e l’apertura della campana (chiuso = + / aperto = o)utilizzando la sordina plunger. Oltre a creare un principiodi variazione genera anche una differente dinamica.

Terzo elemento tematico: il frullato (contrassegnato da ///)va a sovrapporsi al soffio tra il chiuso e l’aperto della sor-dina. Successivamente lo si trova utilizzato in modo oriz-zontale anziché sovrapposto ad altro materiale.

Quarto elemento tematico: il glissato eseguito con il boc-chino solo compare dalla seconda riga. Il suo trattamentoè relativo alla direzione del suono (dal grave all’acuto eviceversa) e all’estensione che va dilatandosi e compri-mendosi continuamente.

Quinta novità tematica: un bicordo di seconda eseguito ilpiù velocemente possibile, generato da una finestra chesi apre con un violento suono prodotto dall’elettronica.La prima finestra apre uno scenario nuovo in cui il suonodella tromba va a frammentarsi sui glissati discendenti.

Ultima finestra prima della frammentazione del suono edell’elettronica per entrare nel silenzio.

I grumi che si increspano per tre volte danno la sensazio-ne di un cuore che sotto l’effetto del defibrillatore riprendemomentaneamente vita ma non riesce ad animarsi e sispegne.

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11BibliografiaMARIO BARONI, La forma musicale dal punto di vista analitico, in Capirela forma, a cura di Rosalba Deriu, EDT, Torino 2004.GABRIELE CASSONE, La tromba, Zecchini, Varese 2002.FRANÇOIS DELALANDE, Le condotte musicali, CLUEB, Bologna 1993.THOMAS DELIO, L’universo aperto, Semar, Roma 2001.AMEDEO GAGGIOLO, Educazione musicale e nuove tecnologie, EDT, Torino 2003.Insegnare uno strumento, a cura di Anna Maria Freschi, EDT, Torino2002.JEAN PIERRE MATHEZ, Méthode de trompette, Universal, Wien 1977.

JEAN PIERRE MATHEZ, I primi anni dello strumento, in “Brass Bulletin”, n.117, BIM, Vuarmarens 2002.JOHN PAYNTER, Suono e struttura. Creatività e composizione musicale neipercorsi educativi, EDT, Torino 1996.ERIK SATIE, Quaderni di un mammifero, Adelphi, Milano 1980.RAYMOND MURRAY SCHAFER, Educazione al suono. 100 esercizi per ascolta-re e produrre il suono, Ricordi, Milano 1998.SALVATORE SCIARRINO, Le figure della musica, Ricordi, Milano 1998.IANNIS XENAKIS, Universi del suono. Scritti e interventi 1955-1994, Ri-cordi, Milano 2003.

Convegno nazionale

Milano, Conservatorio “G. Verdi”Sala Puccini

11, 12, 13 settembre 2009

SOCIETÀ ITALIANAPER L’EDUCAZIONE MUSICALE

Educazionemusicale:

puntoe a capo?

Musica, scuola, societàInsegnamento e apprendimento musicale: Contributi di ricerca - Il ruolo dell’editoriaCreatività musicale a scuolaLaboratori paralleliIl ruolo delle associazioni e le aspettative del mondo della scuolaProspettive per la musica nelle istituzioni educative italiane

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Costruire i suoniper apprendere le lingue1. Le motivazioniÈ stato più volte segnalato come la costruzione di oggettisonori e strumenti musicali rappresenti un’attività trasver-sale che può interessare tutti i campi di esperienza dellascuola dell’infanzia e tutte le aree disciplinari della scuolaprimaria 1.La proposta si inserisce a pieno titolo anche nelle moderneteorie pedagogiche generali che mirano a valorizzare e adaffermare l’efficacia del laboratorio didattico. «Tendenzial-mente, i laboratori attraversano i sentieri “interdisciplinari”,illuminano assi culturali “trasversali” [...]. Conseguente-mente, sono chiamati ad assumere la morfologia di un’au-la a progetto. L’obiettivo interdisciplinare punta dirittoall’acquisizione di competenze metacognitive (la capacitàdi elaborazione, scoperta, metodo) e fantacognitive (la ca-pacità di intuizione, invenzione, trasfigurazione)» 2.Costruire strumenti musicali contiene tutte queste prero-gative: è attività trasversale e interdisciplinare; allena lacapacità di elaborare e di inventare attraverso l’intuizionee la scoperta; si fonda sulla trasfigurazione dei materialiper dar loro nuova vita, nuove forme e nuovi significati.Il laboratorio ideale per svolgere l’attività di costruzionedegli strumenti musicali potrebbe essere quello che Frabbonidenomina come «Centro dei mestieri», le cui caratteristicheben si adattano alla nostra attività. Riprendendo lo sche-ma fornito da Frabboni, infatti, il Centro dei mestieri è cosìcaratterizzato:«Bisogni dominanti: Costruzione - Comunicazione - Fare da séEtà: 3-11 anniGli spazi utili alla nostra attività saranno:- Bottega dello scultore- Bottega del falegname- Bottega del sartoL’inventario degli strumenti e dei materiali utili al nostro progetto:- Tavolo, creta, das, pongo, spatole varie ecc.- Pezzi di legno (di diversa lunghezza, larghezza, spessore, qualità)

pronti per essere inchiodati, incollati, avvitati. Martelli, tenaglie,pinze, cacciaviti, chiodi, colle, viti ecc.

- Stoffe di diverso tipo, carta, metro, forbici ecc.Le possibilità didattiche individuateConcetto di lavoro come ideazione e produzione di un “oggetto” nella

sua interezza.- Giochi imitativi del mondo artigianale dove il lavoro non è ancora

in frantumi. Presenza di maschi e di femmine nella stessa bottega.- Giochi a dominanza individuale [ …] e sociale […].- Giochi volti a produrre oggetti […] e giochi simbolici […]» 3.

Costruire strumenti musicali a scuola significa dunque par-tire dall’esperienza concreta attivando, attraverso il labo-ratorio, un apprendimento flessibile ed elastico che nonparte da saperi disciplinari predefiniti ma che giunge alleconoscenze attraverso ciò che la pratica manipolativa sug-gerisce di volta in volta mediante un percorso di scoperta,di inventività e di curiosità da appagare.Prendendo in considerazione il Decreto legislativo 59 del2004 e le successive Indicazioni per il curricolo emanatenel luglio del 2007, cercheremo allora di fornire alcuni esem-

pi pratici per costruire nella scuola dell’infanzia e primariastrumenti e giocattoli sonori perseguendo due gruppi diobiettivi: quelli che coinvolgono l’attività di costruzionein sé 4 e quelli che riguardano un loro successivo utilizzoin classe che, in questo caso, è legato all’area linguistica e,in particolare:- alla comprensione globale del testo (per i “grandi” del-

la scuola dell’infanzia, per attività di lingua prima oveicolare nella scuola primaria anche rivolte alla me-diazione culturale e all’integrazione di bambini di lin-gua diversa dall’italiano);

- all’acquisizione di regole grammaticali e ortografiche.In questo caso l’attività interessa una difficoltà segna-latami come generale e di difficile superamento da par-te degli insegnanti della scuola primaria: l’uso dell’ac-ca dopo la c, la cc, la g o la gg.

La proposta consiste nel sonorizzare una bellissima picco-la storia di Rodari 5, scritta appositamente per porre all’at-tenzione dei bambini il problema linguistico in oggetto. Lalettura sonoro-interattiva del testo darà luogo a un coin-volgente gioco che consentirà all’insegnante di motivaresuccessive attività di ripresa dei contenuti attraverso i piùconsueti, meno gratificanti ma inevitabili, esercizi scritti 6.Chiederemo dapprima ai bambini di assegnare all’Acca deisuoni adatti al fine di individuare un Leitmotiv che la ca-ratterizzi. Si rifletterà sul fatto che questa lettera dell’alfa-beto non ha un suono proprio, ma può modificare quellodella lettera che la precede (c, g). I bambini con i quali hosvolto questa esperienza all’unanimità hanno paragonatol’acca, in quanto “suono aspirato”, al vento.

1 Cfr. ELITA MAULE - MASSIMILIANO VIEL, La fabbrica dei suoni, Carocci-Siem, Roma 2008.

2 FRANCO FRABBONI, Il laboratorio, Laterza, Roma-Bari 2004, p. 78.3 FRANCO FRABBONI, Il laboratorio cit., p. 112.4 Per la scuola dell’infanzia, per esempio, possiamo individuare i

seguenti obiettivi desunti dalle indicazioni nazionali: 1. Esploraree utilizzare con creatività i materiali messi a disposizione; defi-nirli verbalmente cercando i termini più appropriati. 2. Disegnare,dipingere, modellare, dare forma e colore all’esperienza indivi-dualmente e in gruppo, con una varietà creativa di strumenti emateriali. 3. Manipolare, smontare, montare, piantare, legare, se-guendo un progetto proprio o di gruppo o istruzioni d’uso ricevu-te. 4. Raggruppare e ordinare secondo criteri diversi. 5. Contareoggetti, immagini, persone; aggiungere, togliere e valutare la quan-tità; ordinare e raggruppare per colore, forma, grandezza.

5 L’Acca in fuga, tratta da GIANNI RODARI, Il libro degli errori, Einaudi,Torino 1964.

6 Cfr. ELITA MAULE - STEFANIA CAVAGNOLI - STEFANIA LUCCHETTI, Musica eapprendimento linguistico, Quaderni operativi dell’istituto peda-gogico di Bolzano n. 18, Junior, Bergamo 2006.

7 Cfr. ELITA MAULE - CARLA BERTACCHINI - MASSIMILIANO VIEL, Parole, suoni emusiche. Per un apprendimento espressivo dell’inglese a scuola,Junior, Bergamo 2007. Nel testo sono proposte numerose altreattività simili per l’apprendimento della lingua inglese.

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2. Costruire i suoni del ventoPossiamo esplorare oggetti e materiali per scoprire moda-lità diverse per produrre l’effetto del vento. Il suono risultarealistico se utilizziamo, facendolo poi girare, il coperchiodi una centrifuga per lavare l’insalata nei cui fori infilere-mo carta o striscioline di nylon ricavate dalle borse delsupermercato o dai sacchi per l’immondizia. Altri efficacieffetti possono essere prodotti soffiando dentro a bottiglie,dentro a tubi, imbuti, pentole.Noi vogliamo però proporre la costruzione di un semplicestrumento assai efficace per il nostro scopo. Possiamo poiusare la nostra fantasia per attribuirgli un nome appropriato.

Materiali occorrentiUna bottiglia vuota diplastica (da 1,5 litri)per acqua minerale;un bastoncino lungo13 cm circa e di dia-metro corrisponden-te al foro della bottiglia; mate-riali per la decorazione; colla vinavil ea caldo; forbici.

Modalità di fabbricazioneInfiliamo il bastoncino nel foro dell’imboccatura e fissia-molo con la colla a caldo.Decoriamo il bastoncino e almeno 20 cm circa di bottiglia

C’era una volta un’Acca. Era una povera Acca da poco: vale-va un’acca, e lo sapeva. Perciò non montava in superbia, re-stava al suo posto e sopportava con pazienza le beffe delle suecompagne. Esse le dicevano:- E così, saresti anche tu una lettera dell’alfabeto? Con quellafaccia?- Lo sai o non lo sai che nessuno ti pronuncia?Lo sapeva, lo sapeva. Ma sapeva anche che all’estero ci sonopaesi, e lingue, in cui l’acca ci fa la sua figura.«Voglio andare in Germania, – pensava l’Acca, quand’era piùtriste del solito. – Mi hanno detto che lassù le Acca sonoimportantissime».Un giorno la fecero proprio arrabbiare. E lei, senza dire néuno né due, mise le sue poche robe in un fagotto e si mise inviaggio con l’autostop.Apriti cielo! Quel che successe da un momento all’altro, acausa di quella fuga, non si può nemmeno descrivere.

Le chiese, rimaste senz’acca, crollarono come sotto i bombar-damenti.I chioschi, diventati di colpo troppo leggeri, volarono per ariaseminando giornali, birre, aranciate e granatine in ghiaccioun po’ dappertutto.In compenso, dal cielo caddero giù i cherubini: levargli l’acca,era stato come levargli le ali.Le chiavi non aprivano più, e chi era rimasto fuori casa do-vette rassegnarsi a dormire all’aperto.Le chitarre perdettero tutte le corde e suonavano meno dellecasseruole.Non vi dico il Chianti, senz’acca, che sapore disgustoso. Delresto era impossibile berlo, perché i bicchieri, diventati «bic-cieri», schiattavano in mille pezzi.Mio zio stava piantando un chiodo nel muro, quando le Accasparirono: il «ciodo» si squagliò sotto il martello peggio che sefosse stato di burro.

Introduzione (ouverture)Improvvisazione con Glockenspiel su scala pentatonica di do ebordone do-sol su xilofono o metallofono basso. Alcuni bambiniscuotono lo strumento del vento.

Beffe: fischietti e sonagliere di campanelli.

Strumenti del vento autocostruiti; centrifughe per l’insalata.

Suoni di strada: fischietti del vigile, clacson di automobili; cam-panelli di biciclette.

Apriti cielo!: si scuote energicamente una scatola da scarpe den-tro la quale avremo posto alcuni tappi di sughero. L’effetto è quel-lo di uno scroscio di tuoni (tuonofono).Crollarono: scricchiolii prodotti con le rane autocostruite; raganellee tuonofoni.Strumenti del vento autocostruiti e centrifughe per l’insalata.

Caddero giù: veloci scale discendenti eseguite con il Glockenspiel.

Chiavi: si scuote il chimes di chiavi autocostruito.

Casseruole: si esegue un ostinato ritmico utilizzando pentole epadelle.Chianti: cerbottane autocostruite con canna di bambù.Bicchieri: si esegue un ostinato ritmico percuotendo bottiglie divetro con un cucchiaio.Piantare chiodi: si esegue un ostinato ritmico con le taulittasautocostruite o con i legnetti. Il suono si affievolirà lentamentefino a lasciare il posto ai sonagli del vento autocotruiti.

Continuare in questo modo fino alla fine della storia.

L’Acca in fuga di Gianni Rodari

dalla parte del collo. Per realizzare gli strumenti della fotosono stati utilizzati pezzetti di carta velina colorata appli-cati con colla vinavil sulla parte della bottiglia.Ritagliamo la parte decorata della bottiglia (20 cm circa)asportando il resto.Pratichiamo con le forbici tanti piccoli tagli (1/2 cm l’unodall’altro) in modo da ottenere un sfrangiatura della lun-ghezza di 12 cm circa. Spruzziamo eventualmente un po’di lacca per capelli sullo strumento in modo da renderlopiù lucido e ravvivarne i colori, quindi applichiamo, a pia-cere, rafia o lana per abbellire l’impugnatura.Scuotendo in aria lo strumento otterremo un bellissimosuono di vento tempestoso; percuotendolo contro il palmodella mano otteniamo invece una sonagliera.

3. Sonorizzare la storiaOra che la nostra Acca ha il suo suono, possiamo procederecon la sonorizzazione del testo di Rodari utilizzando anchegli altri strumenti che avremo costruito in precedenza (cfr. inumeri precedenti della rubrica su “Musica Domani”).

Simili attività possono essere efficacemente condotte per l’ap-prendimento dell’inglese 7: piccole storie e filastrocchesonorizzate in modo interattivo, richiedendo ai bambini in-terventi mirati e coordinati, aumentano in loro il livello diconcentrazione, l’attentività, la memoria uditiva (musicale elinguistica) e la capacità di orientarsi nel senso globale dellanarrazione.

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Sonia Benevelli

Arteterapiain Italia

A rt Therapy Italiana (che siricollega, pur differenziandosene, allatradizione statunitense) cerca di stabilireuna profonda e sottile compenetrazione tra il cam-po dell’arte e quello della psicoanalisi, di definire contorniprecisi di questa disciplina fondandoli sul parallelismo traprocesso creativo e processo terapeutico e di chiarire checosa si intenda con i termini, oggi alquanto abusati, dicreatività ed esperienza estetica.Le analogie con la musicoterapia, anche se non esplicitate,sono evidenti e molte delle considerazione dell’autrice pos-sono essere trasferite a quest’ambito.

L’arteterapia1 è un’attività espressiva nata negli Stati Unitidurante gli anni Quaranta per dare sollievo ai reduci dellaSeconda Guerra Mondiale.Le sue origini sono radicate sul confine tra arte e psicana-lisi, in un territorio intermedio, dove integrandosi e svi-luppandosi generano un’identità originale. Negli Stati Unitiiniziò il dibattito attorno alle prime teorizzazioni, sintetiz-zate in «arte come terapia» (Edith Kramer) o «psicoterapiaattraverso l’arte» (Margaret Naumburg). In questo dibattitoci si chiedeva se l’arte fosse in sé fondamentale in quantoagente terapeutico, o se fossero invece la relazione, l’inter-pretazione e la comprensione terapeutica a facilitare il la-voro, attraverso le emozioni generate dal processo creati-vo e dalle immagini.Arthur Robbins, scultore, psicoanalista e arteterapeuta, ope-ra per primo un’integrazione tra le due opposte posizioniteoriche e metodologiche, affermando che esiste una ma-trice comune a tutte le terapie espressive e un nucleo diapprofondimento appartenente sia a un polo che all’altro.Ritiene che entrambe si debbano integrare, partendo siadall’ipotesi di un parallelismo tra processo creativo e pro-cesso terapeutico, sia dalla necessità di valorizzare le ri-sorse offerte da ambedue gli ambiti.Confrontando quindi l’artista e il paziente, li vediamo ac-comunati dalla necessità di abbandonare la logica cosciente

1 L’associazione Art Therapy Italiana nasce a Bologna nel 1982, èun’associazione senza fini di lucro, fondata da Maria Belfiore,Mimma Della Cagnoletta e Marilyn La Monica, formatesi comeart therapist al Pratt Institute di New York, sostenuta e ispiratadal pensiero di Arthur Robbins e di chi, con lui, ha tentato un’in-tegrazione creativa tra l’ambito dell’arte e quello della psicanali-si. Dal 1984 gestisce un programma quadriennale di formazionein arte e danza-movimento-terapia a indirizzo psicodinamico; nel2004 è stato riconosciuto dal Ministero dell’Istruzione l’Istitutodi Psicoterapia Espressiva che forma psicoterapeuti espressivi.

2 Ho inoltre condotto: due sessioni di gruppo presso l’Associazione“La Melagrana” di Reggio Emilia che sostiene le donne conpatologie oncologiche; un gruppo di arteterapia rivolto a volon-tari che seguono giovani diversamente abili e una sessione di grup-po, per un modulo di dieci incontri, rivolta agli insegnanti di unistituto comprensivo.

3 Estratto da SONIA BENEVELLI, Ascoltare lo sguardo, tesi di Arteterapia,ATI, Bologna, novembre 2007, pp. 47-53.

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e di accettare momentaneamente il caos, come momentodi transizione e trasformazione. Essi condividono, inoltre,anche la paura di perdersi nell’indifferenziato, la sfiducianell’affioramento di un ordine spontaneo e lo stesso terro-re per lo sconosciuto.La creatività viene contestualizzata nello sviluppo umanocome l’esperienza primaria che ha consentito e consente alnostro mondo interno di mettersi in relazione con la realtàesterna, plasmando il confine tra realtà e fantasia –riacquistando l’illusione che il mondo esterno possa coin-cidere con quello interno – e la fiducia nella propria capa-cità creativa e trasformativa. In principio, come affermaChristopher Bollas: «…il mondo interiore del bambino rice-ve una forma dalla madre, dato che egli non è in grado didargli forma o di collegarlo senza la copertura materna»(Bollas 2001, p. 42). La madre è colei che trasforma l’espe-rienza del neonato nei primi mesi di vita, prendendosi curadi lui, permettendo così la prima esperienza estetica. Cre-scendo, questo potenziale trasformativo viene riposto inaltri oggetti concreti, o concettuali, investiti della capacitàdi promuovere un cambiamento del sé; in questo contestol’esperienza artistica occupa un posto di primo piano. Inarteterapia la memoria di queste esperienze precoci siriattualizza.L’obiettivo primario dell’arteterapia, come di qualsiasi psi-coterapia, è la crescita psichica del paziente che ha nellacomunicazione tra questi e il terapeuta lo strumento fonda-mentale. Comunicazione che in questo campo prevede unlivello diretto (verbale o non) e un altro livello, mediatodalla presenza concreta dell’immagine realizzata in seduta.Il paziente ha a disposizione uno spazio dove le sue imma-gini mentali possono essere visualizzate fuori di sé; suc-cessivamente, prendendo distanza da esse, viene facilitatoil processo di simbolizzazione. Proprio la sperimentazionedei mezzi può produrre immagini, anche se il paziente sene sente privo.Come in ogni psicoterapia il processo terapeutico consistenell’acquisizione del materiale e nel lavoro sul medesimo;il paziente viene aiutato a esternare i contenuti del propriomondo interno e successivamente a elaborare, insieme alterapeuta, i contenuti emersi. Una volta prodotta, l’imma-gine può continuare a parlare al paziente che si mette inascolto e può essere modificata in un modo che sarebbeimpossibile fare utilizzando le parole.Il prodotto artistico può configurarsi come oggettotransizionale, percepibile fuori di sé e nello stesso tempoinvestito di una parte molto personale e profonda, dive-nendo così ponte tra le varie parti del sé: tra il mondointerno e quello esterno, tra il paziente e il terapeuta. L’og-getto transizionale, per Donald Woods Winnicott, appar-tiene a un’area dell’esperienza che non è né dentro, néfuori; non è parte del corpo del bambino, ma non è neppu-re riconosciuto come appartenente alla realtà esterna.Simbolizza la relazione tra la madre e il bambino e la rap-presenta; consola e tranquillizza il bambino, anche in as-senza della madre. La memoria di questo processo èriattualizzata nell’esperienza di arteterapia.Il setting di arteterapia si configura come holding

environment, cioè come ambiente facilitante che rende pos-sibile il dare e prendere forma. Winnicott, inoltre, ci inse-gna che l’arte dà all’adulto la possibilità di fare come ilbambino nel gioco, rendendo cioè plasmabile il confine trarealtà e fantasia, tra realtà soggettiva e realtà oggettiva,entrando e uscendo dall’una e dall’altra.Marion Milner, artista autodidatta e psicanalista, descrivecon le seguenti parole il momento che precede e fonda l’attocreativo: «per cominciare occorre uno spazio vuoto, un vuotoin cornice» (Milner 1992, p. 106). Un vuoto in cornice pron-to a essere visitato concretamente, che attivi vissuti emotiviin parte soggettivi e in parte condivisibili. Uno spazio limi-tato, incorniciato dai margini del foglio, ma anche da unacornice di tempo, oltre che di spazio: il setting dell’arteterapiaha una definizione spazio-temporale nella costanza e nellaprevedibilità dello spazio e del tempo dell’incontroterapeutico. Una cornice delimita ciò che è dentro e ciò cheè fuori, queste cornici indicano ciò che accade all’internodel foglio e della stanza e che in quel momento devonoessere percepiti, vissuti e interpretati in modo diverso da ciòche è fuori, considerandoli come un simbolo, una metafora,non prendendoli alla lettera.Tenendo presente la specificità del processo percettivo ecreativo, il terapeuta stimolerà, se necessario, la produzio-ne d’immagini e modulerà le proposte a seconda della pe-culiarità del soggetto e della relazione: elaborando il ma-teriale emerso in precedenza, offrendo la possibilità disperimentare i materiali artistici, accettando ciò che simanifesta, anche l’assenza di immagini. Ne consegue chela comunicazione che avviene è complessa e a più livelli,in quanto le due soggettività presenti si esprimono e siincontrano a livello visivo, verbale e intrapsichico. Ma an-che il prodotto artistico, a sua volta, è portatore di altri especifici livelli comunicativi e di significato.La relazione che si genera non è lineare, ossia solo tra duesoggetti, ma possiede una terza dimensione, quella del-l’oggetto artistico che viene creato.In questa cornice teorico-metodologica sono nate le mieproposte per condurre sessioni individuali di arteterapia,inserite nel curricolo settimanale delle lezioni e rivolte adalunni in difficoltà (frequentanti la scuola primaria e se-condaria di primo grado), e attivare sessioni di gruppo po-meridiane per ragazzi diversamente abili (frequentanti lescuole secondarie di secondo grado), seguiti nelle attivitàextrascuola da una cooperativa di volontari 2.

Il caso di S. 3

Gli incontri con S. iniziano contestualmente alla sua fre-quenza della classe terza della scuola primaria e si svolgo-no durante un arco di tempo di tre anni, con sedute setti-manali durante il periodo dell’anno scolastico. S. apparepiù piccola rispetto alla sua età anagrafica e si presentacon una figura minuta, di corporatura esile e con lunghis-simi capelli biondi. La sua voce è piuttosto grave e profon-da, e spesso la usa con un tono alto. Possiede una risataaperta, “grassa”, che molte volte sottolinea parti del suodiscorso, oppure al contrario, usa un tono piagnucoloso.Parla molto velocemente, ma articola con qualche difficol-

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tà fonetica un linguaggio piuttosto semplice. Si relazionacon l’adulto, suo interlocutore preferito, ponendogli do-mande incalzanti, molto concrete, ripetute più volte e, atratti, quasi ossessive.Fin dai primi mesi di vita, S. ha evidenziato una certa com-plessità e la prima certificazione clinica risale all’età dicinque anni: «Disturbo da alterato sviluppo psicologico concompromissione in particolare delle funzioni cognitive erelazionali. Ritardo nel processo psichico di separazione-individuazione con conseguente ritardo affettivo, debolezzastrutturale con uno stile impulsivo di comportamento e unpensiero egocentrico, scarsa reciprocità nella relazione contendenza manipolatoria e un disturbo oppositivo che puòessere letto come secondario a difficoltà personali (scarsatolleranza alla frustrazione, scarsa adattabilità, competen-ze insufficienti per l’età)».Conseguentemente a questa certificazione, S. segue un pro-gramma riabilitativo bisettimanale di psicomotricità, perrinforzare le varie funzioni dell’Io.Durante i primi mesi di frequenza della prima classe ele-mentare, viste le gravi difficoltà nell’acquisire gli strumentidella letto-scrittura, la famiglia ha prodotto un’ulteriorecertificazione «Disturbo della condotta oppositivo provo-catorio, disturbo misto delle abilità scolastiche», per con-sentirle l’appoggio di un insegnante di sostegno durante ilpercorso scolastico. Durante la frequenza della terza classeelementare, visto il raggiungimento degli obiettivi prefis-sati (lettura stabilizzata di bisillaba e trisillaba), viene di-messa dal trattamento, con il suggerimento di seguire unintervento di psicoterapia. All’inizio della classe quarta, suconsiglio del medico di famiglia, S. viene sottoposta a unaserie di esami clinici e a una visita genetica per verificareil suo grado di accrescimento fisico.Contestualmente una psicologa, specializzata negli inter-venti sul ritardo degli apprendimenti, fa qualche incontrodi osservazione e valutazione della bambina, che eviden-ziano, a suo parere, «una bimba invasa dal suo mondo fan-tastico con una relazione indifferenziata verso ogni adultoche l’avvicina e in difficoltà nell’area cognitiva e dell’au-tonomia personale». In seguito all’osservazione, la psico-loga attiva una terapia di sostegno extra-scolastico e con-tinuativo, che svolge attraverso sedute bisettimanali; ilpercorso terapeutico è finalizzato a portare la bambina adacquisire gli strumenti elementari della letto-scrittura.In un periodo di poco precedente, durante la seconda partedell’anno scolastico della classe terza, avviene la sospen-sione improvvisa dal servizio di Laura, la sua maestra disostegno, perché in stato di gravidanza. Per S. questa se-parazione è molto dolorosa. Fino a quel momento, in ognianno scolastico S. ha cambiato insegnante e quest’ultima èda lei particolarmente amata. Manifesta il suo dispiacereper la mancanza di Laura e l’invidia per il bambino cheporta in grembo. Iniziano le sue fantasie regressive, vuoletornare piccola, anche lei nella pancia della mamma, non

vuole crescere. Qualche volta disegniamo insieme, ma co-stantemente durante lo svolgimento del suo lavoro lei miaffida il compito di scrivere quello che mi racconta, oppu-re mi detta una lettera per Laura che «è là con il suo bam-bino nella pancia».

Fig. 1 «Il sole guarda S. che rimane piccola, lei vuol rimanere piccola,ma non si può perché passa il tempo, ma lei ci vuole rimanere perforza».

In questa immagine (fig. 1), realizzata a pennarello, il datoche si impone all’osservazione è l’uso dello spazio, il vuotoche separa e fa fluttuare le due figure presenti 4. La primafigura è rappresentata in verticale, in piedi e colorata; èdecisamente più corporea e materica dell’altra, ma è so-spesa in aria come se non avesse peso, negando così la suafisicità. L’altra figura, quella che S. descrive come se stes-sa, è orientata in orizzontale, sdraiata e posizionata nellospigolo basso del foglio.Rimango colpita dalla sottile linea azzurra elicoidale, auovo, che racchiude un insieme di parti, dei pezzi che nonriescono ad avere forma, ma sono solo accostati. Eppureall’osservazione, nonostante la leggerezza figurativa, iosento questi frammenti pesanti. Forse è la pancia dellamamma che contiene S., oppure è la rappresentazione diparti scisse. Ritengo che S. possa aver messo in scena isuoi desideri fusionali, il suo sentirsi separata, a pezzi, di-visa da modalità affettive regressive, espresse con chiarez-za nel titolo del quale mi risuona il «per forza». Potrebbeanche aver rappresentato una nascita. Nell’immagine, lalinea azzurra di contorno dell’uovo/pancia, mette in attouna riparazione, un contenimento dei pezzi che può sug-gerire una lettura evolutiva della raffigurazione nella qua-le il personaggio Io-sole-padre-S. si origina e prende “ilvolo” dalla forma che contiene i suoi frammenti embrionali.Dell’immagine mi colpisce il grande “senso di vuoto” che amio parere genera una forte instabilità della composizio-ne. Ritengo che la linea orizzontale del cielo, tracciata inazzurro e parallela al margine superiore del foglio, tratten-ga all’interno dell’immagine il personaggio verticale, im-pedendogli di uscire dallo spazio “volando via” e perden-dosi nel nulla. Trovo espresso un senso di vuoto, di assen-za, forse una sospensione, o un’attesa che mi disorienta.S. si sente una bimba oppositiva che dice «no» principal-mente ai cambiamenti, anche a quelli quotidiani che im-

4 È possibile visionare i disegni a colori nella sezione “Materiali”del sito www.musicadomani.it

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plicano una minima separazione. S. mi parla più volte deitanti «no» che dice e mi chiede se anche per me è così, se lipronuncio anch’io e a chi li dico. Mi propone di scrivereuna lista con i miei e i suoi «no».A questo periodo appartiene anche Il serpente nella roccia(fig. 2). È un disegno eseguito a pennarello, molto calli-grafico, con tratti policromi e sottili, accostati, sovrapposti,intrecciati e contenuti in un contorno giallo scuro, moltomovimentato.Durante l’esecuzione S. mi detta “la storia”, dove narra diun serpente che dice sempre «no», perché non sa dire «sì».Racconta che Laura era contentissima di sentirsi risponde-re di no e che faceva il girotondo da sola perché a lui nonandava di giocare con lei. Il serpente abitava sotto a unaroccia, un posto che a lui piaceva molto e dove aveva tan-te cose, ma a Laura non interessava (non è chiaro se lui ola sua casa) e non andava più da lui. Per lui, invece, quellaera la casa più bella e lì aveva i suoi amici.

Fig. 2 Il serpente nella roccia

Nell’immagine il serpente non è rappresentato, non ha for-ma e non si identifica la sagoma del suo corpo. Ci sonodelle parti frammentate che lei mi indica: gli occhi, le orec-chie, la bocca e la lingua. C’è inoltre un contorno ben evi-dente, la roccia che contiene al suo interno la frammenta-zione; questa a mio parere è la rappresentazione del ser-pente. La mia suggestione è che non ci sia più un uovo/pancia, ma ci sia una roccia/serpente. I segmenti disegnatisono guizzanti, sovrapposti e policromi, evocano una sen-sazione di cambiamento e di movimento. S. li traccia velo-cemente non ponendo attenzione allo spazio dove li segnae cambiando per ognuno il colore del pennarello. Si leggeil tracciato di un perimetro, in questo caso frastagliato, cheall’interno contiene frammenti di linee spigolose, appuntite,mosse e sovrapposte e “messe dentro”, chiaramente conte-nute dalla cornice esterna.

È un’immagine molto calligrafica, anche in questo casoleggera. È costruita solo con dei segni sfuggenti e coloratiottenuti con movimenti delle mani piccoli, veloci e ripetu-ti. Sento che c’è un indugiare di S. nel “rimanere piccola”.Lo vedo manifestato nella motricità fine della mano chenon compie movimenti larghi e aperti, ossia i gesti consonialla sua età, ma brevi, sfuggenti e trattenuti.Mi comunicano una paura di crescere, di non essere capa-ce e anche la voglia di nascondersi. Un rinchiudersi difen-sivo in questa dimensione, forse scomoda, irta di punte edove S. sa di non potersi fermare.Alla mia richiesta di come il serpente stia nella roccia, ri-sponde che sta bene. Controbatto che la roccia è dura esicuramente la sua casa è sicura, ma forse il serpente po-trebbe sentire freddo. Anche a questa domanda S. rispondeche lui è al caldo, ha le sue cose e sta bene.Chi è il serpente? È lei? È il suo percepirsi diversa nellosvolgere con successo le consegne scolastiche? È l’affian-camento di tante insegnanti, terapeute e figure adulte con lequali si relaziona nelle diverse attività? Sono i «no» che gri-da in risposta alla mamma quando la mattina non vuolealzarsi, lavarsi, fare colazione, andare a scuola e soprattuttostaccarsi da lei? È Laura che non è più a scuola con lei, maè a casa e «sta bene con il suo bambino»? Sono io che forsepotrei andarmene come Laura e non stare più con lei?Forse il serpente è l’insieme di tutte queste realtà; sono isuoi vissuti frustranti, le sue inadeguatezze ai compiti, isuoi desideri fusionali, i litigi con la mamma perché S. nonriesce ad accettare il ritmo delle attività quotidiane; è lasua paura di sentirsi separata. Nell’immagine il serpentepossiede una casa-uovo sicura, solida e protettiva e, nono-stante la sua forma frastagliata e appuntita, in grado dicontenere le energie disgreganti rappresentate, per racchiu-derle e ripararle in attesa che esse prendano forma.Figurativamente leggo così rappresentata una potenzialeriparazione da esplorare e sulla quale proseguire il proces-so creativo e la nostra relazione terapeutica.

BibliografiaCRISTOPHER BOLLAS, L’ombra dell’oggetto, Borla, Roma 2001.EDITH KRAMER, Arte come terapia dell’ infanzia, La Nuova Italia, Firenze1971.MARION MILNER, Disegno e creatività, La Nuova Italia, Firenze 1968.MARION MILNER, La follia rimossa delle persone sane, Borla, Roma 1992.Quaderni di Arte Terapia, a cura di Maria Belfiore – Luisa MartinaColli, voll. 1 e 2, Pitagora, Bologna, 1998.ARTHUR ROBBINS, The Artist as Therapist, Human Science Press, New York1986.HANNA SEGAL, Sogno, fantasia e arte, Cortina, Milano 1991.DONALD WOODS WINNICOTT, Sviluppo affettivo e ambiente, Armando, Roma1965.DONALD WOODS WINNICOTT, Gioco e realtà, Armando, Roma 1971.

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Le pagine della Choral Public DomainLibrary (www.cpdl.org) sono piuttostonote, almeno tra coloro che si occupa-no di musica corale. Ho ritenuto di de-dicare a questo sito un numero di que-sta rubrica, sia nell’eventualità che lasegnalazione sia comunque utile aqualcuno ancora ignaro della sua esi-stenza, sia perché mi pare che la rile-vanza ormai assunta da questo proget-to di Biblioteca Corale di Pubblico Do-minio meriti attenzione. Qualche cifradovrebbe rendere l’idea: CPDL mette adisposizione di chiunque e in modocompletamente gratuito più di 10.000pagine di partiture di oltre 8.800 operedi musica corale. 1.439 sono i compo-sitori “presenti”. Anche CPDL è un “wiki”,cioè una risorsa creata e mantenutagrazie alla collaborazione degli stessiutenti: dal 1998, quando il progetto hapreso avvio, si è andata via via arric-chendo delle partiture inserite da circa500 contributors.Dalla pagina principale è possibile effet-tuare diversi tipi di navigazione. Ovvia-mente è disponibile un motore di ricer-ca, sia semplice, sia multicategoriale. Èpoi possibile sfogliare le pagine a partiredai titoli, dagli autori o dai testi: in tuttii casi sono proposte delle sottocategorieche consentono di restringere il campo;si otterranno elenchi di titoli per tipo diaccompagnamento, piuttosto che perepoche o per tipo di arrangiamento, oper occasione liturgica ecc.; i composi-tori potranno essere elencati per data dinascita o di morte, per nazionalità ecc.; itesti potranno essere raggruppati per lin-gua (ovviamente), ma anche per tradu-zione (80 in italiano) o per “paroliere”.Per evitare delusioni, dirò subito cheesiste una sottocategoria “Educational”,che contiene però al momento un solotitolo (un metodo statunitense per l’ad-destramento al canto a prima vista). Persfruttare la CPDL ai fini dell’attività di-dattica occorrerà costruirsi da sé i pro-pri percorsi di ricerca: ad esempio, chie-dendo l’elenco dei brani all’unisono siottengono (calcolo “a spanne” del vo-stro recensore) circa 300 titoli.Arrivati finalmente alla pagina di unospecifico brano, troverete: il testo origi-nale; in circa 1500 casi – in genere ititoli più popolari – le traduzioni in unao più lingue; il pulsante per scaricare lapartitura in formato PDF o immagine; ingenere il file in formato MIDI, e in molticasi anche dei più comuni editor musi-cali (Finale, Encore, Sibelius ecc.). Tal-volta si rinvia invece a siti esterni affi-liati, dai quali scaricare direttamente e

Una biblioteca on line di musica corale

Arte sonora per i bambiniIdeata da Arianna Sedioli e Luigi Berardie allestita a cura di “Immaginante Labo-ratorio Museo Itinerante” di Ravenna, si ètenuta a Forlì dal 26 dicembre 2008 al 6gennaio 2009 la mostra-gioco In formad’acqua, presso la sede dell’associazione“Puntodonna”.Le mostre itineranti dei due artisti, come ènoto, sono costituite da installazioni cheprendono voce come d’incanto tramite igesti dei visitatori, offrendo loro l’occasio-ne di vivere esperienze affascinanti e gio-cose, in cui emozioni e conoscenza trova-no una sintesi unica e originale. Poiché l’in-dividuo è immerso in un mondo di suonifin da prima della nascita, è necessario ren-dere i bambini consapevoli del paesaggioacustico che li circonda, abituarli a distin-guere i suoni, a riconoscerli, a sperimenta-re le sensazioni che suscitano; i percorsiespositivi promuovono la curiosità comemotore della conoscenza e portano i bam-bini a trovare risposte proprie attraverso lamanipolazione del suono e il gioco.Patrocinata dalla Regione Emilia-Roma-gna, dalle Province di Forlì e Cesena, dalComune di Forlì e da “Nati per la Musica”,In forma d’acqua racconta le voci dellanatura tramite suggestive sculture inte-rattive, che ricreano ambienti sonori at-traverso la dimensione del sogno e del-

altrettanto liberamente lo stesso tipo dimateriali. Spesso esistono diverse edi-zioni dello stesso brano.Dal menù di navigazione rapida in altoa sinistra in ogni pagina si raggiungeuna sezione di aiuto, nella quale – tral’altro – si trova una più approfondita

l’immaginazione. I visitatori, bambini maanche adulti, sono guidati dagli animato-ri alla scoperta delle opere con cui intera-gire esplorandone le qualità musicali e ri-velandone le meravigliose potenzialitàespressive e comunicative: l’andante pio-voso, con il ticchettìo della pioggia che sitrasforma in scroscio temporalesco; lagrande nuvola, che vibrando produce ilrumore del tuono e del vento; l’enormeconchiglia, dentro cui racchiudersi persentire il mare, dondolarsi e farsi cocco-lare come in un grembo materno; le bar-che-onde, le cui differenti sonorità pro-vocate dal movimento offrono all’orecchioormai affinato del visitatore vere e pro-prie composizioni polifoniche… A conclu-sione del percorso espositivo, i visitatoricostruiscono con la carta conchiglie eonde parlanti, con cui inventare nuovi rit-mi e sinfonie “acquose”.Percorsi guidati sono dedicati anche agruppi di educatori e insegnanti e a mam-me in attesa.Consigliamo una visita al sito di Arte sono-ra per i bambini, il progetto a cui AriannaSedioli e Luigi Berardi lavorano dal 1996,(www.artesonoraperibambini.com) per co-noscere anche le altre proposte rivolte abambini, ragazzi, genitori, insegnanti.

Maddalena Patella

presentazione del progetto. Se vi ve-nisse voglia di contribuire con una vo-stra edizione, abbiate cura di leggereprima la Guida alla pubblicazione de-gli spartiti: è al momento l’unica pagi-na in italiano.

Augusto Dal Toso

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Il progetto In-audita musica, avviatonell’anno scolastico 1997-98 pressol’Istituto Superiore Studi Musicali “Con-servatorio Guido Cantelli” di Novara conl’intento di creare all’interno della cul-tura musicale una visione del mondo chesi richiami alla sapienza e alla creativi-tà femminili, è stato selezionato come«buona pratica per illustrare l’Anno Eu-ropeo della Creatività e dell’Innovazio-ne (2009)», come da comunicazione delMinistero dell’Istruzione, dell’Universi-tà e della Ricerca e in ottemperanza agliobiettivi italiani per il 2009 che voglio-no «mettere in luce le soluzioni di ec-cellenza cogliendone gli aspetti di nonepisodicità, di stretto legame e ricadutaterritoriale e sociale, nonché di forma-zione lungo tutto l’arco della vita» (dalManifesto delle idee italiane). Questoriconoscimento premia anni di intensoe appassionante lavoro che ha coinvol-to l’intero istituto e che ha condotto allarealizzazione di diverse iniziative tra cuidue mostre itineranti (In-audita musi-ca. Le compositrici del ‘600 in Europa eIn-audita musica. Le compositrici delSettecento in Europa), un CD Donne Ba-rocche, conferenze, concerti, il PrimoConvegno di studi In-audita musica.Intrecci femminili tra armonia e melo-dia, l’istituzione di un archivio di musi-che specifico e gli incontri annuali conle compositrici viventi (tra cui SilviaBianchera, Ulla Binder, Sonia Bo, Matil-de Capuis, Caterina De Carlo, Biancama-ria Furgeri, Janice Misurell-Mitchell e,

Musica in-audita finalmente ascoltata?

Musica, emozioni, processi cognitiviCome noto, la dissoluzione della tonalitàsegna una forte discontinuità nella per-cezione musicale, ma quali sono precisa-mente le ragioni che hanno provocatonegli ascoltatori durante il secolo scorsoreazioni di estraneità e di allontanamen-to verso le composizioni “contempora-nee”? Quali sono le operazioni che il cer-vello umano compie mentre ascoltiamomusica? In che modo le emozioni sonoprovocate da particolari configurazionimusicali? Il Festival Emotion and Meaningin Music, che si terrà fra il 15 e il 18 otto-bre a Kempten, nei dintorni di Monaco diBaviera, si propone di aprire nuove pro-spettive di indagine su questo tema. Met-tendo a fuoco le ultime acquisizioni dellaricerca neurobiologica riguardanti i pro-cessi mentali coinvolti nella percezionemusicale, intende affrontare la questione

se le scienze cognitive possano fornire vi-sioni coerenti in merito a questioni este-tiche.L’iniziativa è promossa dall’associazioneZeitklänge, fondata dal neurochirurgo ecompositore Alfred Huber, il cui scopo èquello di promuovere fra un pubblico piùvasto l’ascolto di musica del ventesimo eventunesimo secolo.Saranno presenti esperti internazionali dineurobiologia e filosofia: John Sloboda(Keele), Stefan Kölsch (Lipsia), Eckhart Al-tenmüller (Hannover), Matthias Vogel(Francoforte). Essi terranno conferenze neisettori di loro competenza e incoragge-ranno una discussione da parte del pub-blico, cercando di colmare il gap fra scien-ze umane e naturali. Durante le conferen-ze, tre noti esecutori di musica da cameraproporranno una selezione di brani del

ventesimo e ventunesimo secolo: le ese-cuzioni saranno intercalate da un dibat-tito e potranno essere seguite dal pubbli-co sulla partitura. Questo tipo di presen-tazione sia visuale che acustica consentedi ricostruire e comprendere attraversomodalità descrittive i processi cognitiviconnessi all’ascolto. Inoltre la Compagniateatrale di Kempten Tik metterà in scenala performance di danza Addressee GoneAway (Destinatario irreperibile) del coreo-grafo Jochen Keckmann.Il festival si propone quindi di unire ilmondo musicale, accademico e artisticonel tentativo di fornire a un pubblico siadi esperti che di non esperti originali ac-quisizioni in merito alle relazioni fra pro-cessi cognitivi e musica colta contempo-ranea.

Anna Maria Freschi

per ultima in ordine di tempo, BarbaraHeller, personalità di spicco nel pano-rama internazionale) che costi-tuiscono un importante ap-puntamento con la musi-ca contemporanea dan-do l’opportunità allaclasse studentesca di vi-vere l’esperienza unica estraordinaria che si creaquando c’è il contatto e ilconfronto diretto tra inter-prete e compositrice/compositore.

Tutto ciò ha creato un panorama sim-bolico dove si è consolidata una lineadi pensiero avanzata che accetta la ric-

chezza della differenza.Tanto è stato fatto (vedi “MusicaDomani”, n. 138 e n. 142); poco, inconfronto alla vastità del lavoro cheaspetta di essere svolto, visto che

la millenaria tendenza di rendereinvisibile la creatività delledonne è dura da ribaltare.

Noi al “Cantelli” ci stia-mo provando!

AntoniettaBerretta

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Donatella Bartolini

Il profumo dell’architettura

Un testo reticolare, fatto di grovigli, di nodi, di intrecciquello di Anna Barbara e Anthony Perliss. In Architettureinvisibili. L’esperienza dei luoghi attraverso gli odori (Skira,Milano 2006) un filo si dipana in maniera non lineare,con continui ritorni, avanti e indietro nel tempo. I temi sirincorrono, riappaiono, si sovrappongono e ogni tanto sicontraddicono. Un’infinità di relazioni, attinenze, oppor-tunità che si aprono verso la storia, il costume, la medici-na, l’igiene, il sacro, la memoria, la morte, la polvere, ilgiardinaggio, il marketing, l’etica, l’utopia e al centro –ovviamente – l’architettura.Il titolo è rubato a un’installazione di Philippe Rahm e Jean-Gilles Décosterd. I due architetti svizzeri si rivolgono a unaarchitettura “fisiologica”, sensoriale: lo spazio non più defi-nito da pareti, volumi, confini, ma plasmato da sensazioniluminose, tattili, odorose. Con le loro opere progettano ef-fetti che sollecitano non solo i cinque sensi, ma anche par-ticolari “captatori”: l’organo vomeronasale sensibile aiferomoni, i recettori di umidità presenti nelle vie respirato-rie superiori, le cellule fotosensibili della pelle. Homonorium(2003), ad esempio: una sala illuminata da seicento neonfluorescenti che riproducono lo spettro solare e dispensano10000 lux. Non schermata dalle ciglia, questa luce ab-bacinante proveniente dal basso e riflessa da pareti e soffittibianchissimi raggiunge direttamente la retina e sollecita laproduzione di melatonina. L’aria, filtrata e arricchita di azotoin modo da riprodurre l’atmosfera rarefatta di una mon-tagna innevata, stimola il sistema endocrino e neurove-getativo. Pare che siano sufficienti una decina di minuti perridurre la sensazione di fatica, aumentare il rilassamento escatenare un vero e proprio effetto dopante.Ancora più “smaterializzata” la proposta di Rahm e Dé-costerd in Il buon odore di Cristo, aria d’artificio. Un vapo-rizzatore circolare appeso a una lunga asta pendente dalsoffitto diffonde un profumo a base di balsamo di Giudea,mirra, incenso, cinnamomo. L’“artificio” ricostruisce l’odore

del sacro: una rappresentazione aniconica, più dell’oro nel-la tradizione cristiana. Ma accanto a Rahm e Décosterd, altriartisti intrecciano l’evanescenza dell’odore con la “concretez-za” dell’architettura: dalla Earth Room di Walter De Maria –una stanza piena di terra umidificata e dissodata, che produceintense sensazioni olfattive – alla dissociazione estraniantedella Camera Linda (1986) di Trini Castelli e Piotrowski. Quiin un comune ambiente domestico è immessa aria depurata,asettica, “artificiale”; un accostamento forzato e stridente pro-dotto dall’irruzione nel quotidiano di un’atmosfera tecnolo-gica. Attraverso l’assenza, l’odore proclama tutto il suo pote-re: nella Camera Linda non si può vivere.Anche per contrasto, la produzione artistica mette in luceaspetti apparentemente secondari del nostro contatto colmondo. Aspetti che emergono così alla coscienza, vengo-no riconosciuti, diventano protagonisti. L’arte concede spa-zio, articola, struttura; quindi offre una consistenza anchea quelle direzioni percettive negate dal nostro sistema dirappresentazione.Proprio verso una molteplicità di direzioni percettive è in-dirizzato il progetto realizzato da Peter Zumthor per i ba-gni termali di Vals (1990-1996) in Svizzera. Abbarbicatoalla montagna, immerso nell’acqua, l’edificio offre spaziorientati a sottolineare aspetti diversi della sensorialità: ilsuono (vasca del riverbero), il profumo (vasca delle rose),la temperatura. Un’installazione a “immersione” totale.Come in Prospecta (1992) di Shoei Yoh: una struttura cu-bica, uno spazio per osservare il paesaggio, ma al tempostesso – attraverso la produzione di fumo, luce e ... effettisonori – anche una macchina per “inventare” paesaggi.Invenzione del nuovo e riscoperta di ciò che ci accompa-gna nella quotidianità, creazione e ascolto: due direzionisolo apparentemente opposte. L’invenzione di paesaggi ar-tificiali finisce infatti per spingere alla riscoperta di quellireali – paesaggi sonori, visivi e, perché no, anche olfattivi.Anche gli odori, infatti, creano i loro paesaggi. Sempre piùspesso ambienti low-fidelity, insidiati dalla commercializ-zazione e dalla globalizzazione e prosciugati dei loro land-mark; sempre più spesso dei “non-luoghi” olfattivi (comepotremmo definirli sfruttando la felice intuizione di MarcAugé). Il Muzak odoroso avanza a colpi di profumazioniforzate: dal domestico arbre magique, alla deodorizzazioneal pino dell’aeroporto di Heathrow.Un percorso straordinariamente simile a quello sonoro. Laricerca di un’ecologia sonora – da Schafer all’ultimo Sciar-rino – opera per simulazione, procede attraverso modelliz-zazioni percettive, suscita cortocircuiti sensoriali, agisceper trasposizione.Quello offerto da Architetture invisibili si rivela così unpercorso incredibilmente parallelo a quello musicale: unosguardo esterno ci regala un gioco di specchi – strumentifondamentali di ogni relazione conoscitiva.Olafur Eliasson The mediated motion.

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Bando per l’assegnazionedi borse di studio

In occasione del quarantennale della rivista “Musica Domani”, la Siem assegna due borse di studio di 1.000,00euro ciascuna, per l’attuazione di studi o ricerche volti a indagare l’evoluzione e lo sviluppo delle tematiche por-tanti dell’educazione musicale.Il testo integrale del bando è a disposizione sul sito www.musicadomani.it

Finalità* Promuovere attività di studio e ricerca che puntino a mostrare le linee di sviluppo della SIEM (intraprese, raggiun-

te, mancate) sul piano educativo e formativo.* Stimolare occasioni di rilettura della rivista in prospettiva diacronica e sincronica, al fine di mostrare le direzioni di

evoluzione delle problematiche dell’educazione e della formazione musicale in Italia in questi ultimi quarant’anni.* Valorizzare e dare visibilità alla rivista, mettendo in luce il ruolo che ha avuto nel corso degli anni per quanto

riguarda:- rendere note, documentare e diffondere idee e pratiche;- promuovere momenti di dibattito e confronto;- stimolare a sperimentare e ricercare.

DestinatariStudenti, insegnanti, studiosi e studiose, singolarmente o in gruppo.

Temi di indagineLe proposte di studio e ricerca dovranno mettere in luce, attraverso una approfondita rilettura del trimestrale “MusicaDomani” (e nel raffronto anche con altre pubblicazioni SIEM), l’evolversi delle principali problematiche relativeall’educazione musicale, sia sul piano sociale e culturale che istituzionale e normativo.Possibili ambiti per la scelta dell’argomento potranno essere:a) un ambito d’esperienza dell’educazione musicale;b) un contesto didattico formalizzato o non formalizzato;c) un ambito relativo all’insegnamento strumentale;d) l’educazione musicale in relazione ad altri linguaggi o ad altri ambiti disciplinari;e) l’educazione musicale e il recupero di disagi di varia natura;f) un ambito di riflessione pedagogica e metodologico-didattica seguito sistematicamente nelle sue rielaborazioni.

TempiLe proposte, dettagliate nelle procedure e nei metodi di indagine e articolate nelle varie fasi di lavoro, dovrannoessere inviate entro il 30 settembre 2009 alla SIEM all’indirizzo: Casella Postale 94 / Succursale 22 – 40134 Bologna.Un’apposita commissione composta dalla redazione di “Musica Domani” e da un membro del Consiglio di Studio eRicerca valuterà le proposte pervenute e sceglierà una rosa di dieci progetti, comunicandolo ai diretti interessati.Lo studio, nella sua veste definitiva che dovrà tener conto anche dell’efficacia della comunicazione dei risultati, dovràessere consegnato entro il 3 giugno 2010. La commissione attribuirà le borse di studio entro il 30 giugno 2010.

Premio e CondizioniLe borse di studio ammontano a 1.000,00 euro l’una. In caso di parità potranno essere suddivise tra più partecipanti,fino a un massimo di quattro borse di studio di 500,00 euro l’una.La SIEM avrà l’esclusiva dei lavori premiati, ne garantirà la pubblicazione in formato elettronico e si riserverà, fermorestando il riconoscimento agli autori degli eventuali diritti connessi allo sfruttamento dell’opera, la possibilità dellapubblicazione in formato cartaceo. Qualora la pubblicazione non avesse luogo entro un anno dall’assegnazione delpremio, la SIEM rinuncerà all’esclusiva e gli autori potranno pubblicare i lavori con editori a loro scelta.

Quarant’anni di

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Canti africani per bambini

Dalla relazione tra donne italiane e africane scaturisco-no ricordi e canti che, oltre a offrirci materiali e spunti perattività con bambini e bambine nelle nostre scuole, ci indu-cono a riflettere.Il percorso descritto è stato presentato al Convegno ISME del2008; lo proponiamo mantenendo l’impegno preso di darevisibilità e continuità alle esperienze e ricerche significativeemerse in quella occasione.

La presenza di bambini e genitori stranieri nei servizi edu-cativi italiani ha creato negli ultimi anni una maggiore faci-lità di contatto con repertori musicali legati alle abitudini dicura dei paesi d’origine delle famiglie che, in più di un’occa-sione, emergono in modo informale ma significativo.Da un primo contatto casuale (e inevitabilmente superfi-ciale) con questi repertori, è nata l’idea di sviluppare unpercorso di ricerca sulle canzoni africane espressamenterivolte all’infanzia che, nonostante i molti anni di collabo-razione con musicisti africani per le lezioni concerto idea-te e curate per la SIEM e per il Teatro Comunale di Bologna,non avevamo avuto modo di approfondire, avendo sempreprivilegiato brani d’effetto, più adatti al palcoscenico.L’interesse per questo tipo di ricerca si legava alla possibi-lità di comprendere meglio la dimensione culturale pre-sente nelle abitudini di cura dei bambini piccoli e la quali-tà musicale dei repertori a loro dedicati.

Da sempre, infatti, le pratiche di cura infantili si legano acanti nei quali è possibile ritrovare gli elementi strategicidelle prime interazioni affettive tra madre e bambino (ri-petizione, rispecchiamento, riprese a eco, variazioni) cherendono particolarmente facile e gratificante l’apprendi-mento della vocalità.Questo nostro interesse è stato accolto e sostenuto da duedanzatrici africane, Claudine Dogbo Zemassa (ivoriana) eSolo Dienaba Diedhiou (senegalese), con le quali avevamoda tempo stabilito rapporti non solo professionali, ma an-che di amicizia. Soltanto la loro indispensabile collabora-zione ci ha permesso di realizzare il percorso che oggi sia-mo in grado di presentare. A loro e alle altre donne africa-ne che abbiamo incontrato in questo percorso va quindi lanostra sincera riconoscenza, per la generosità con cui han-no raccontato, spiegato, cantato e danzato per noi.

Punti di partenzaDesiderando approfondire una tematica che sapevamo com-plessa per i suoi risvolti emotivi, nei primi incontri abbia-mo puntato soprattutto a creare un contesto di valorizza-zione che desse alla nostra richiesta una credibilità umanaoltre che culturale.Gli “incontri con le mamme” avvenivano a casa di Solo,che aveva risposto con entusiasmo alla nostra richiesta,invitando alcune amiche connazionali, tutte con bimbi pic-coli, a unirsi a questi momenti di memoria condivisa.

FotoGin Angri

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23Più che un gruppo di ricerca il nostro è stato un gruppo didialogo e confronto che, partendo da rapporti consolidati,si è aperto a nuovi interlocutori, talvolta supportato anchedalla presenza telefonica di parenti o amici lontani.Erano mattinate intense, con il registratore sempre accesoper poterlo “dimenticare”, nelle quali spesso i racconti afri-cani facevano emergere anche ricordi italiani.

«Era un momento bellissimo. La mamma raccontava e a uncerto punto iniziava a cantare, poi continuava a raccontaree noi ascoltavamo in silenzio. Mia mamma ha una vocebellissima e certe volte finiva di raccontarti una storia e noieravamo tristi. Poteva capitare che a un certo punto andas-se via la luce, oppure c’era la luce bassa. Il mio ricordo èquello... un po’ al buio. La penombra, questa voce che parla,e noi tutti in silenzio ad ascoltare. Noi siamo cresciuti conqueste narrazioni». (Solo Dienaba Diedhiou 12.2.07)

«La sera era bello. A casa mia era la mamma a raccontare.Dato che maschi e femmine dormivano divisi (c’era un ap-partamento per le femmine che dormivano con i genitori eun altro per i maschi) le storie venivano raccontate in giar-dino che era in comune.Noi rimanevamo a bocca aperta ascoltando e guardando lamamma che raccontava». (Madeleine Kebe 15.10.07)

Come i ricordi, anche i canti sono affiorati man mano,mantenendo l’estemporaneità propria del quotidiano: lecanzoni erano spesso interpretate in modi diversi, conmodifiche e frammenti di improvvisazione.La variazione, caratteristica intrinseca della tradizione orale,si è presentata alle nostre orecchie in vari modi, a voltesorprendenti: inserimento di elementi personali in struttu-re fisse, uso di un formulario poetico disponibile, utilizzodi due o più lingue nella stessa canzone (una lingua afri-cana, francese, italiano) fino al meticciato melodico tradue ninna nanne, una africana e una italiana.Proprio l’ascolto di questi “canti misti” ha mostrato quan-to la bi- e poli-musicalità fosse una condizione acquisitaper i nostri interlocutori, non solo per la loro condizione diimmigrati, ma anche per la provenienza da realtà colonia-li. Ancora una volta, abbiamo toccato con mano quanto lacomprensione della realtà multiculturale odierna affondile sue radici nelle vicende dei secoli scorsi e quanto patri-monio culturale possa andare perduto quando una culturaminoritaria soccombe, ma anche quanta ricchezza e vitali-tà possano nascere dal meticciato musicale, come è avve-nuto nel secolo scorso.Nel nostro percorso abbiamo quindi considerato non solo ladimensione emotiva del ricordo, ma anche la contamina-zione musicale subita dalle nostre informatrici attraversol’immigrazione e l’abitazione prolungata in un’area lingui-sticamente e musicalmente differente. Per molte di loro lalingua di comunicazione sociale era diventata l’italiano el’abitudine al canto non era più condivisa, ma relegata nellospazio domestico: tutte le mamme intervistate abitualmentecantavano le ninne nanne nella propria lingua, mentre sta-vano dimenticando i giochi cantati e le danze collettive.

«Quando uno la canta me la ricordo, ma non saprei cantarlada sola». (Maty Ndeye Ka 3.4.07 )

Non a caso l’adesione al nostro gruppo coincideva per moltedi loro con i primi mesi di vita di figli che avevano risve-gliato ricordi musicali legati a pratiche di cura e di gioco.

Raccolta e analisiIl percorso di ricerca ha avuto obiettivi diversi, legati a fasidistinte: raccolta dei repertori, analisi ed esecuzione musi-cale di alcuni canti selezionati e la successiva ideazione diproposte musicali per bambini.Come precedentemente affermato, la prima fase intendevafavorire il ricordo delle canzoni tradizionali infantili, valoriz-zando le narrazioni che emergevano e le esecuzioni vocali.Successivamente, abbiamo invece cercato di sviluppare lastruttura musicale dei canti e, grazie alla collaborazione dialcuni musicisti, elaborare esecuzioni coerenti con i ricor-di, nelle quali la vocalità poteva essere arricchita dalla pre-senza di strumenti musicali tradizionali.Abbiamo scoperto o riscoperto insieme non solo repertoridimenticati, ma anche le modalità di relazione ad essi col-legate. I canti, sempre improntati a giocosità e libertà ese-cutiva, hanno infatti permesso di mettere a fuoco varieabitudini di cura, trasformate dalle condizioni di migra-zione e a volte abbandonate.Nella fase di raccolta sono emersi una diversa conoscenzae un diverso utilizzo dei repertori da parte delle mamme,in base alla loro età, provenienza (città o villaggio) e con-dizioni di immigrazione in Italia.Non sono mancati i momenti di confronto per ascoltare ediscutere le diverse versioni delle canzoni, legate allacompresenza di più lingue ed etnie nella stessa area geo-grafica.L’intervista, modalità propria dell’etno-musicologia, è sta-ta lo strumento fondamentale nella fase della raccolta,documentata con files audio e videoregistrazioni delle nar-razioni e delle esecuzioni dei canti.Le domande puntavano a conoscere meglio ogni singolocanto, la sua funzione e il suo significato, con particolareriferimento alla relazione madre/bambino.Abbiamo potuto individuare:- canti dedicati che accompagnano momenti di cura (dar

da mangiare, addormentare, massaggiare), nei qualicompare più volte il nome del bambino;

- canti per i primi semplici apprendimenti (contare, no-minare le parti del corpo ecc.);

- giochi cantati;- danze cantate legate a momenti comunitari.Presentiamo di seguito alcuni dati, riferiti a quattro cantiraccolti, che ci auguriamo possano chiarire il tipo di lavo-ro che abbiamo svolto.

Aayo nenneQuesta ninna nanna, diffusa in tutto il Senegal, ha nu-merose varianti in lingue diverse, con intonazione e testodifferenti. Nel nostro piccolo gruppo è stato possibile rac-coglierne tre.

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24 Aayo nenne ci è stata cantata una prima volta da Solo (30anni, di cui sette passati in Italia) in una versione meticcia,nella quale aveva sostituito le parole che non ricordavabene con parole italiane che permettevano di mantenere lastessa intonazione della frase (ma si è anche divertita amescolare il tema originale con quello di una ninna nannaitaliana). Durante gli incontri, anche grazie al confrontocon le altre mamme e all’ascolto della versione contenutanel CD All’ombra del baobab 1, a poco a poco anche Solo haricostruito una versione wolof più aderente all’originale. Iltesto parla di due stanze e della cucina del re. Potrebbeesserci un riferimento alla presenza in casa di varie mogli,ognuna delle quali occupa una stanza (la prima moglie incucina, la seconda in camera da letto e la terza, la piùgiovane, in salotto, come ricorda ridendo Maty). Oppurepotrebbe alludere al regno di Meissa Wally N’Dione cheaveva unificato il Sine e il Saloum, territori ricchi per lacoltivazione delle arachidi. Poiché questo re era amantedel buon cibo e del folklore, il suo paese era diventatosinonimo di benessere, ma anche di divertimento, canti,musiche e danze. Facendo riferimento al Saloum e allacucina del re, la ninna nanna promette dunque al bambinoun luogo di gioia, allegria e festa.Una seconda versione della ninna nanna ci è stata canta-ta in lingua peul da Maty, 31 anni, arrivata da pochi mesiin Italia dalla Spagna. Il testo in questo caso racconta diuna madre che va a cercare il frutto del djabe (giuggiola)per il suo bambino, prima al pozzo e poi al mercato, luo-ghi di aggregazione sociale importanti in Africa. L’into-nazione era diversa da quella utilizzata da Solo e il testo,molto più breve, veniva ripetuto più volte da Maty checantava cullando il piccolo Omar di sei mesi, sempre pre-sente agli incontri. È stato interessante notare che in questeesecuzioni, la posizione di Omar si modellava su abitudi-ni europee: la mamma lo cullava tra le braccia, senzaricorrere al tradizionale bambaran, la stoffa di solito uti-lizzata in Africa per sostenere i bambini sulla schiena epermettere alle donne di avere la mani libere per lavora-re, anche mentre cantano e trasportano i bambini.Una terza versione ci è stata cantata da Mam Codou (45anni, da 22 in Italia ma ancora con solidi e ricorrenti lega-mi con il Senegal), con un testo in wolof in cui venivanoinserite alcune parole in peul.Confrontando le diverse esecuzioni della ninna nanna,abbiamo potuto notare che Mam Codou tendeva spesso aimprovvisare, attingendo anche ai temi melodici di un’al-tra canzone tradizionale, Mademba, mantenendo semprel’esecuzione a bassa voce.Nel canto delle ninne nanne le mamme utilizzavano unregistro di voce corrispondente a quello del loro parlato e,per quanto riguarda l’intonazione, si notavano glissando eportamenti, soprattutto in corrispondenza dell’apertura difrase sulla prima sillaba della parola Aayo, come a volerammorbidire l’attacco.

Spesso l’equilibrio fra canto e silenzio, fra azione e attesa(il bambino si è addormentato?) era scandito dal respiroche creava attimi di sospensione ritmica.

Aayoo nenne

BeteyoClaudine ha cantato e danzato Beteyo ricordando la primavolta in cui è andata in visita al villaggio della zia e hascoperto il piacere della danza che poi sarebbe diventata lasua professione.

«In questi villaggi non c’è ancora la luce elettrica e quindi ladanza può essere illuminata dalla luna o da lampade a petro-lio che qualche giovane tiene in mano. Gli abitanti del villag-gio, anche i piccoli, sono abituati al buio: per questo tuttipossono muoversi, correre e danzare liberamente.Ballano e cantano tutti i giovani (compresi i bambini) finoai 18 anni.Il testo della canzone invita a scegliere senza vergogna uncompagno. In cerchio, a turno, uno dopo l’altro, si va al

1 CHANTAL GROSLÉZIAT - PAUL MINDY, All’ombra del baobab. L’Africa nerain 30 filastrocche, con CD, Mondadori, Milano 2003.

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25centro e, danzando come si vuole, si prendono entrambe lemani del ragazzo o della ragazza scelta che deve accettarel’invito, ballando insieme almeno per un ritornello. Poichétutti, a turno, devono effettuare la propria scelta, in questogioco di inviti si possono confermare delle preferenze reci-proche (oppure no!) e si può comprendere meglio in chemodo il gruppo considera il proprio fascino.Mi ricordo la luna alta, il grande baobab al centro del vil-laggio e la terra battuta, rossa. E poi il ritmo dei tamburi edelle callebasse». (Claudine Dogbo Zemassa, 9.6.07)

Il ricordo di Claudine è stato poi integrato dalla spiegazio-ne di una sua amica ivoriana:

«Il beté è un grande piatto di paglia che serve per buttarevia lo scarto del riso e tenere quello pulito. La persona chefa saltare in aria il riso per separarlo dallo scarto è un beteyo.Nella canzone il beteyo è chi sceglie la persona che ama,separandola dalle altre.Forse la traduzione più esatta di beteyo è «diventa un beté»,scegli, fai come il beté, quindi l’alzarsi è una delle compo-nenti di ciò che si invita a fare: Alzati, scegli chi ti piace,senza vergognarti!Nelle sere in cui i ragazzi si ritrovano per queste danze, alvillaggio tutti abbiamo fretta di andare: mangiamo prestoe aspettiamo che questo momento arrivi, per ballare con laluna». (Agate Dahouyo, 15.9.08)

Beteyo

La danza, cantata da tutti i partecipanti, ruota attorno allaripetizione della parola beteyo, il cui profilo ritmico-melo-dico assolve pienamente la funzione di incitamento.È su questa parola che il singolo entra nel cerchio con unoslancio particolare del corpo, che si abbassa e arretra leg-germente, prima di lanciarsi nella danza, imitando il mo-vimento che fa il beteyo quando viene alzato verso l’altocon un movimento deciso per far saltare i semi o il riso epulirli dallo scarto.

MaygaMayga è una canzone di origine djola molto conosciuta inSenegal che viene cantata per gioco, soprattutto dalle donnee dai bambini, camminando per strada, o in occasione difeste e raduni. Il mayga è un personaggio importante neipiccoli centri senegalesi, perché è il cuoco da cui si puòandare a comprare cibo cucinato caldo (pesce, carne, riso,

spaghetti) a un prezzo molto economico, da portare a casao consumare sul posto.Il testo della canzone scherza su un pregiudizio abbastan-za diffuso sulla storica passione per il riso in bianco(nyancatan) dei djola, proprio come in Italia si scherza sul-la propensione alla polenta degli abitanti del nordest.Il ritmo incalzante sul quale viene cantato il testo dellacanzone è molto conosciuto come ritmo base di una danzadjola, sul quale è facile improvvisare usando le mani epiccole percussioni.

«Quando tutti i djola si ritrovano a Dakar è una festa bel-lissima. In questa occasione Mayga viene cantata e balla-ta da moltissime donne, per ricordare come si faceva quan-do gli uomini tornavano al villaggio dalla foresta e veni-vano accolti e festeggiati con questa danza. A cantareMayga si può andare avanti per ore, perché quando si è intanti ci si può dare il cambio. È divertente quando le don-ne fanno finta di smettere e poi invece ricominciano, inun gioco di finti stop e riprese». (Solo Dienaba Diedhiou,12.9.07)

A gennaio, dopo essere stata a Dakar per le feste, Solo ciha portato la videoregistrazione di un’esecuzione di Mayga,cantata e danzata da un gruppo di donne, ragazze e bam-bini, accompagnata da un djembe e un dundun.Abbiamo così potuto capire meglio la dinamica che lega ilcanto alla danza e l’importanza che l’improvvisazione el’espressione personale assumono in queste danze, dove isingoli partecipanti sviluppano interpretazioni originali inun continuo avvicendarsi di variazioni.

Mayga

Il canto si basa su un gioco di chiamate eseguite con vocesquillante: la cellula ritmico-melodica sulla quale è pro-nunciata la parola mayga è un richiamo lanciato dal leaderche il coro riprende più volte, rinforzandolo con un altrorichiamo oe!Questi elementi ricorrenti e il finale sospeso hanno la fun-zione di tenere aperto lo spazio interlocutorio: la danzacantata si concluderà o qualcuno avrà voglia di uscire an-cora una volta dal gruppo per esibirsi in un assolo?

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Namuna«Nella vita si impara sempre. Il senso globale di questa can-zone è che nella vita si impara sempre. Puoi anche impara-re da un bambino. Anche se ho 44 anni, posso imparare damio nipote che ne ha 3. Dipende da che cosa. Cekorobakakoumikè significa: se io faccio una cosa tu puoi ancheconoscerne il senso; se tu hai fatto una cosa, io che sonogrande posso conoscere il senso.C’è anche un’altra canzone somigliante, ma il significato èdiverso...Namuna e namuna kele kele namuna vuol dire che la nonnaè unica. Kele è uno.La nonna è una, la mamma è una. Non ci sono due madri,non ci sono tre madri, anche se ora dicono che con le ado-zioni i bambini possono avere due madri». (Claudine DogboZemassa, 2.8.07)

Claudine ha cantato per noi una canzone che in Costa d’Avo-rio le nonne cantano ai bambini per trasmettere un messag-gio importante: nella vita si impara sempre, il bambino puòimparare dalla nonna, ma anche la nonna può imparare dalbambino. Di solito i bambini ascoltano queste canzoni sullaschiena delle donne che lavorano (cucinano, lavano i panni,puliscono il riso e lo pestano nel mortaio) o che camminanoper lungo tempo per andare a prendere l’acqua al pozzo che,nel ricordo di Claudine, è un semplice buco in un terrenoargilloso, da cui si può attingere acqua dolce per bere, con ilproprio recipiente che poi viene messo in testa per traspor-tarlo più agevolmente.

Namuna

Si tratta di una filastrocca a “domanda e risposta” dal rit-mo semplice su metro binario, con ripetizioni e frasi sim-metriche. Il gioco a specchio fra adulto e bambino, con

l’alternarsi del ruolo fra chi propone e risponde, è coerentecon la relazione a due nella quale nasce e si realizza ilmessaggio profondo del testo.

Conclusioni, aperteIl lavoro di raccolta ci ha messo in contatto con un reper-torio che, pur connotato come intimo e familiare, si èdimostrato ricco di riferimenti culturali importanti, in-trecciati alla struttura musicale dei canti e alle loro fun-zioni sociali, che le donne africane hanno saputo comu-nicare anche quando dovevano affrontare il rischio diessere fraintese.

«Nel testo di Mademba si dice: “Quando crescerai e andraia lavorare mi toglierai le lacrime”. Questa frase sembra unpo’ un ricatto fatto al bambino, ma non è così: da noi sonoi figli che aiutano i genitori, non il contrario. Quindi, can-tando questa frase, la mamma parla della reciprocità del-l’aiuto che inizialmente viene dato al bambino e che poi dalui sarà ricambiato». (Solo Dienaba Diedhiou, 26.5.07)

La possibilità di apprendere i canti in una situazione in-formale, nella quale molto tempo era dedicato ai ricordi ea narrazioni personali che permettevano di allargare losguardo al contesto di provenienza, ha certamente resopiù facile la loro comprensione.Pur consapevoli della parzialità del percorso conoscitivoche abbiamo potuto realizzare, riteniamo comunque si-gnificativi alcuni risultati ottenuti.Le donne africane coinvolte hanno mostrato di apprezza-re gli incontri come occasione per affermare una partedella propria identità troppo spesso lasciata in ombra. L’in-

2 Li ringraziamo tutti, in ordine alfabetico: Ettore Bonafè, PaoloCasu, Brahima Dembelè, Solo Dienaba Diedhiou, Abdou Mbaye,Diego Occhiali, Tommaso Ruggero, Kaw Dialy Mady Sissoko, WalterZanetti, Claudine Dogbo Zemassa.

Un momento delle interviste realizzate nel corso delle ricerche.

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contro interculturale ha favorito l’individuazione di ele-menti di analogia e di differenza che hanno rilanciato intutte noi l’attenzione per i repertori della propria tradi-zione, come riferimento utile per comprendere meglioquelli degli altri.Il nostro interesse ha rinforzato nelle mamme africane ildesiderio di mantenere in vita i canti dell’infanzia can-tandoli non solo ai figli, ma anche a un pubblico allarga-to, in contesti socialmente gratificanti e in particolarenella scuola, luogo comunitario importante nella vita deibambini.Anche in noi stesse è nata una maggiore attenzione airepertori musicali per l’infanzia presenti nei servizi edu-cativi e nelle scuole, come materiale culturale significati-vo da valorizzare in una logica di condivisione. Abbiamoquindi ritenuto opportuno cercare di diffondere almenouna parte dei canti raccolti, elaborando strumenti ade-guati per renderli accessibili a tutti i bambini.In un primo tempo ne abbiamo scelti quattro, privile-giando quelli di maggiore facilità esecutiva, con un testoin sintonia con il vissuto dei bambini che li avrebberoascoltati (italiani, misti e stranieri) e adatti a essere ese-guiti in situazioni collettive.Grazie alla collaborazione di musicisti africani e italia-ni 2, abbiamo poi costruito due ipotesi di ascolto (con ese-cuzioni dal vivo o registrate), da proporre ai bambini del-la scuola dell’infanzia e del primo ciclo della scuola pri-maria, nelle quali si sono valorizzate le ripetizioni e levariazioni, per favorire la memorizzazione e l’interazionediretta.La presenza di strumenti tradizionali come balafon, sanza,dum dum e djembe ha consentito di recuperare in questeelaborazioni la dimensione collettiva e corporea dei canti– che non poteva esprimersi nelle esecuzioni per vocesola inizialmente raccolte – e di coinvolgere i bambini inmodo efficace.In queste prime esperienze di contatto con i canti africa-ni, i bambini stranieri e misti presenti (anche non africa-ni) hanno saputo esprimere una “voglia di raccontarsi” edi cantare le proprie canzoni che ci ha fatto riflettere ul-teriormente sull’utilità di divulgare anche presso un pub-blico allargato non solo i canti raccolti, ma anche l’ideadella potenziale ricchezza dello scambio tra culture chead essi si accompagna. Così è nato un progetto editorialeche, ci auguriamo, arriverà in libreria nell’autunno 2009.Ada Maty, Una storia cantata a più voci, è la storia del-l’amicizia tra due bambini, raccontata attraverso i fili af-fettivi e simbolici dei canti africani che i protagonistiascoltano nella loro infanzia. La storia è narrata da unlibro illustrato a più mani (africane e italiane) e da un CD

che contiene 13 canti.Musica e immagini invitano a immergersi in un’ambien-tazione africana coinvolgente e ad accogliere lo scambiointerculturale come occasione di crescita e di confrontoreciproco.È questo un insegnamento profondo che le canzoni afri-cane per l’infanzia ci hanno lasciato e che vogliamo anostra volta trasmettere, ricordando il significato di

Namuna, come ce l’ha spiegato Claudine, che purtropponell’aprile 2008 ci ha lasciato: «Nella vita si impara sem-pre. Si può anche imparare da un bambino».

Riferimenti bibliografici e discograficiANGELA CATTELAN - FRANCA MAZZOLI, È per te che canto. Repertori africaniper bambini, Atti ISME 2008.Educazione musicale interculturale: un percorso in evoluzione a curadi Angela Cattelan, in “Musica Domani”, n. 134, 2005.SERENA FACCI in collaborazione con ANNARITA COLAIANNI - ERASMO TRIGLIA,Capre, flauti e re. Musica e confronto culturale a scuola, EDT, Torino1997.VITTORIO FRANCHINI, Quando il tamburo creò il mondo, MC editrice, Mila-no 2005.ANTONIO GENOVESE, Per una pedagogia interculturale, Bononia UniversityPress, Bologna 2003.ROBERTO GOITRE - ESTER SERITTI, Canti per giocare, Edizioni Suvini Zerboni,Milano 1980.CHANTAL GROSLÉZIAT - PAUL MINDY, All’ombra del baobab. L’Africa nera in30 filastrocche, Mondadori, Milano 2003.ROBERTO LEYDI, I canti popolari italiani, Mondadori, Milano 1973.J. H. KWABENA NKETIA, La musica dell’Africa, SEI, Torino 1986.FRANCA MAZZOLI, Nai awala lo blileu (È per te che canto), in “Bambini”,2009, n. 5.MARIE ROSE MORO, Bambini di qui, venuti da altrove. Saggio di transcul-tura, Franco Angeli, Milano 2005.I mondi della musica. Le musiche del mondo, a cura di Jeff Todd Titon,Zanichelli, Bologna 2003.LA FAMILLE DEMBELÈ, Aira yo, la danse des jeunes griots, Amiata Records,Seggiano, 1996 (ARNR 1596).

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Che cos’è Caccia… alle streghe!Questo brano, composto da Stefano Falleri, si presenta sottoforma di composizione aleatoria ed è stato pensato per unpianista e un chitarrista che si imitano e si contrastano avicenda, attribuendo così un leggibile significato al naturalescompenso dinamico dei loro strumenti: dal goffo tentativoiniziale della chitarra di sopraffare le sonorità piene del pia-noforte alla completa divaricazione timbrica del finale (cfr. lepagine riprodotte a fianco) 1, il pezzo è tutta una caccia reci-proca, che in realtà non approda a nulla perché ognuno vedenell’altro una potenziale minaccia al proprio sound, senzariuscire mai a identificarla. Una “caccia alle streghe”, appun-to, un po’ gratuita e, tutto sommato, autoreferenziale, dove aprevalere è il gusto per l’esplorazione del proprio strumento,per la costruzione ritmica e dinamica estemporanea, per lareazione immediata all’azione dell’altro.

Finalità didatticheCome suggeriscono con chiarezza le disposizioni grafichedegli strumenti nella partitura, l’immagine evocativa deltitolo offre innanzitutto l’occasione didattica per parlaredi forme ad imitazione, quali appunto la “caccia”, il “cano-ne” e altre analoghe, oltre a tutta una serie di obiettiviconcomitanti e interagenti che possono riguardare:a) lo sviluppo dell’ascolto individuale e reciproco;b) la scoperta di modalità differenziate di attacco e di estin-

zione sonora, finalizzate alla creazione di equilibri/squi-libri sonori;

c) la decodifica musicale di segni grafici semplici o com-plessi in funzione esecutivo/riproduttiva ed elaborativo/creativa;

d) l’acquisizione “attiva” delle differenze compositive edestetiche fra opera chiusa e work in progress.

Pensato per due giovani esecutori, il cui livello minimo dipreparazione corrisponde grosso modo a un terzo anno delcorso di scuola secondaria di primo grado a indirizzo mu-sicale, il brano può essere concepito sia come un’esecu-zione estemporanea a carattere improvvisativo, privilegian-do così la parte individuale creativa, sia come esecuzionepreventivamente concordata, con assegnazione ai singoliesecutori di ruoli e parti precise nei domini della ritmica,dell’altezza e della dinamica, sempre partendo dall’inter-pretazione dei segni grafici e della loro organizzazione tem-porale all’interno della partitura aleatoria.

Dall’improvvisazione liberaalla definizione di “riserve” sonoreProprio il precedente richiamo a un’esecuzione più vincola-ta nella scelta delle altezze da abbinare ai segni grafici dellapartitura aleatoria apre interessanti possibilità di esplora-zione linguistica. A partire da scelte condivise dai due stu-denti-esecutori, si potrà infatti giungere all’impiego consa-pevole di costrutti scalari e di insiemi sonori storicamente estilisticamente connotati, che offriranno inoltre l’occasioneper organizzare ascolti “trasversali” di composizioni d’auto-re appartenenti alla più vasta letteratura colta, funzionale,popular ed etnica. Dalla pentafonia alle scale esatonali eottatoniche, per non parlare dei “modi a trasposizione limi-tata” di Messiaen e delle serie più o meno dodecafoniche, le“riserve sonore” permettono ai ragazzi di misurarsi con leproprie capacità d’intuire e di sostenere coerentemente ilsound ottenibile da ciascuna di esse, scegliendo con cura gliabbinamenti suono-ritmo-dinamica e, soprattutto, confron-tando, attraverso multiple sperimentazioni, i tratti peculiaridi certe combinazioni lineari e verticali, in modo da poterliorganizzare secondo i tre elementari princìpi dell’omogenei-tà/uniformità, della variazione e del contrasto. Abbinate asottili trasformazioni delle durate e delle figure ritmiche chela partitura graficamente suggerisce (silenzi compresi), le“riserve” sonore aggiungono imprevedibilità di superficie e,insieme, coerenza strutturale alla nostra caccia alle streghe.

Solo per chitarra e pianoforte?La presentazione di un brano per due soli strumenti all’in-terno di una rubrica didattica specificamente destinata allamusica d’insieme, può suonare inappropriata e limitante,ma la natura aleatoria della partitura di Caccia… alle stre-ghe! permette proiezioni su organici molto più estesi, lecui implicazioni sonore dipendono dalla maggiore o minorcoerenza delle articolazioni strumentali individuali con glieffetti sonori abbinati dall’autore a ciascun segno dellapartitura (cfr. la legenda qui a fianco riportata). Si apronodunque molteplici possibilità di realizzazione, da quellaestemporanea-esplorativa, in cui ogni allievo strumentistasarà chiamato a ricercare sul proprio strumento sonoritàanaloghe a quelle pensate dal compositore per chitarra epianoforte, alla vera e propria esecuzione di un brano perensemble scritto dall’insegnante in partitura tradizionaleinterpretando e adattando la grafica aleatoria destinata alduo e il sotteso schema formale.Perché le streghe, forse, non esistono, ma gli incantesimidella musica sì. Sta a noi comprenderne il mistero e condi-viderlo con gli altri…

Antonio Giacometti

Caccia... alle streghe[ovvero La scrittura aleatoria come stimoloalla costruzione di forme e significati]

1 Come sempre, la partitura completa è scaricabile in formato PDF

su www.musicadomani.it

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La rubrica con partiture e materiale audio è presente anche sul sitowww.musicadomani.it

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L’intreccio dei sensi:sinestesie e metafore

L’autrice propone un tema affascinante e controverso:le modalità con cui i nostri sensi interagiscono nell’ambi-to dei processi percettivi per consentirci di cogliere la realtàin modo unitario. Attraverso un excursus approfonditodei principali approcci filosofici, psicologici e neurologicial tema della sinestesia, emerge una visione integrata dellasensorialità, in cui anche i sensi “minori” assumono unruolo importante e in cui lo strumento comunicativo dellametafora, tradizionalmente considerato di pertinenza dellasfera verbale, si estende ai sensi meno “linguistici”, con-nettendo il piano conoscitivo con quello espressivo.

«Bando ai colori, ai vassoi, [...] ai piatti ben presenta-ti!», tuona Pierre Moulonguet, ideologo della cucina pura.Barbarie? Delitto gastronomico? Oppure ricerca di un’arduapurezza percettiva attraverso la separazione dei sensi? La veragastronomia, la cucina culinaria – così come la pittura pitto-rica e la poesia poetica – non deve avere debiti con le artiplastiche, ribadisce il cuoco simbolista immaginato dalla fan-tasia di Jorge Luis Borges e dell’amico Adolfo Bioy Casaresin Cronache di Bustos Domecq. Nella sua ricerca estrema,Moulonguet finisce per servire a degli «attoniti palati» una«grigiastra massa mucillaginosa, mezza liquefatta» (1975, p.37) 1: solo sapore, senza nulla concedere all’occhio invaden-te, al profumo corruttore, al piacere tattile della “trama”.Ma cos’è una mela senza profumo, una pera senza la suapiacevole granulosità, un kiwi senza quella corona di ver-de punteggiata di nero? È possibile guardare la scabra cor-teccia di un pino senza “toccarlo” con lo sguardo, o annu-sare il profumo di un limone senza provare il brivido dellasua asprezza?Si possono separare i sensi senza perdere irreparabilmentequalcosa di sostanziale, necessario, imprescindibile, ma, altempo stesso, impronunciabile?

1 N.d.r.: la bibliografia dell’articolo è consultabile sul sitowww.musicadomani.it.

Disegno daun manoscritto

medioevaledel De spiritu

et animadi sant’Agostino.

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31Fissare, isolare, delimitare la percezione non è solo sosti-tuire una visione globale con una locale, è – per dirla conMerleau-Ponty – «interrompere la vita» (2003, p. 305). Macerchiamo di procedere con ordine.Il problema non è nuovo e, volendo rifarsi soltanto all’era“moderna”, potremmo dire che scoppia con virulenza allafine del Seicento.

La questione MolyneuxPrecisamente il 2 marzo 1693 William Molyneux – valenteastronomo irlandese, esperto di balistica, fisico e filosofo,membro del “Trinity College” di Dublino – scrive una let-tera all’amico John Locke ponendogli un quesito partico-lare: «Immagina un uomo nato cieco, e ormai adulto, cheabbia appreso grazie al tatto a distinguere un cubo da unasfera, per esempio di avorio, pressappoco della stessa gran-dezza, così da poter dire, quando li sente al tatto, qual è ilcubo, e quale la sfera. Supponi poi che il cubo e la sferasiano posti su un tavolo, e che il cieco recuperi la vista. Laquestione è se, servendosi della sola vista, e prima di toc-carli, egli saprebbe adesso distinguerli e dire qual è la sfe-ra, e quale il cubo» (Locke 1975, p. 147).Rapidamente il quesito divenne il centro di una querelle allamoda. Non solo la risposta di Locke non si fece attendere(nel 1694 pubblica l’Essay concerning human understand-ing), ma addirittura il tema proposto da Molyneux vennedibattuto da chirurghi e oculisti, scienziati, e soprattutto fi-losofi. I nomi illustri non si contano: Berkeley, Voltaire,Buffon, Condillac, Leibniz, Bonnet, Diderot.Il dibattito prosegue anche quando la chirurgia sembraoffrire la tanto sperata verifica dei fatti: nel 1728 il chirur-go William Cheselden opera un tredicenne non vedentedalla nascita. Ma anziché dirimere la questione, l’esperi-mento contribuisce ancor più a intricarla. Nonostante l’in-tervento abbia un esito positivo, il giovane non riesce af-fatto a distinguere gli oggetti: «lungi dallo stimare corret-tamente le distanze, credeva che tutto toccasse i suoi oc-chi», ci racconta Berkeley (cit. in Parigi 2004, p. 8). Il ra-gazzo ignora la prospettiva, stima il proprio pollice dellestesse dimensioni di una casa in lontananza, però allungala mano nel tentativo di afferrare gli oggetti, quindi inqualche modo dimostra di cogliere lo spazio.Forse, anziché richiedere un riconoscimento istantaneocome fa Locke («Credo [...] che questo cieco, alla prima

occhiata, non sarebbe in grado di dire con certezza qualesia la sfera e quale il cubo, ove si limitasse a guardarli»[Locke 1975, p. 147] ), occorre dare tempo al cieco “risana-to” per potersi riprendere dallo shock dell’intervento: il notochirurgo Home (1807) concede dieci minuti a un pazientedi sette anni; Banissoni (1968) arriva ad aspettare 29 gior-ni. Ma dare tempo equivale a costruire esperienza e in qual-che modo a falsare il problema alle radici.La faccenda, però, è più complessa. A tutt’oggi, infatti,nessun cieco totale ha mai recuperato la vista. I casi citatiriguardano sempre persone con residui visivi, o che hannoperduto, più o meno precocemente, la vista. In ogni caso cisono “esperienze” parziali o pregresse con cui fare i conti.

Un legame irresistibile: la sinestesiaIn certi casi il collegamento intersensoriale appare sponta-neo, incontrollato, irreprimibile: è la sinestesia.Al di là dell’uso che se ne fa comunemente, il termine indi-ca quel fenomeno che si verifica quando la stimolazione diuna modalità sensoriale evoca una percezione in una mo-dalità diversa. Comuni e assai note sono le percezioni co-lorate di grafemi (lettere o numeri) o i fenomeni di audi-zione colorata.Non si tratta di una semplice associazione, di un accosta-mento preferenziale, ma di vere e proprie percezioni auto-matiche e involontarie, indistinguibili da quelle reali. Lepercezioni sinestetiche sono assolutamente specifiche (an-che se spesso sono presenti in uno stesso individuo formediverse di collegamenti sinestetici) e unidirezionali (se unnumero – ad esempio il 5 – evoca il colore rosso, non ac-cadrà il contrario: una macchia rossa non sarà capace dievocare il numero 5).Come ci avverte Cytowic 2, esistono forme sorprendenti dicollegamenti sinestetici: dolori colorati, suoni “saporosi” ealtri che evocano temperature ecc.Dopo gli studi di Francis Galton, il primo a interessarsi alfenomeno, si sono accumulate molte ipotesi nel tentativodi spiegarlo. Recentemente il neurologo di origine indianaRamachandran ha formulato un’ipotesi esplicativa, attri-buendo la causa del fenomeno a un legame incrociato(cross-wiring) tra le aree corticali che processano le moda-lità chiamate in gioco dalla sinestesia, un legame favoritoda contiguità o comunque vicinanza tra le aree interessa-te. Ramachandran sostiene che il normale processo dipruning – l’eliminazione di legami in eccesso che si verifi-ca nel corso della maturazione cerebrale – nei sinesteti nonabbia fatto il proprio dovere. Così, a causa di un difettogenetico (questo potrebbe spiegare la familiarità con cui simanifesta il fenomeno), aree corticali normalmente sepa-rate appaiono interconnesse in maniera anomala.

Annusare i colori, assaggiare profumiIn uno studio del 1990, Zellner e Kautz descrivono unaserie di interferenze tra la percezione del colore e dell’odo-re: un arancio vivo rende più profumata la nostra spremu-ta, un po’ di colorante in più dona una fragranza specialeai nostri piatti (forse non hanno letto questo studio, ma leindustrie alimentari conoscono questo segreto da tempo!).

2 In Synaesthesia: a union of senses (2002), Richard E. Cytowic cioffre un quadro delle varie forme di sinestesia e delle relativepercentuali di diffusione: grafemi colorati (66,8%), unità di tem-po colorate (19,2%), suoni musicali colorati (14,5%), suoni colo-rati (12,1%), fonemi colorati (9,6%), note musicali colorate(10,4%), personalità colorate (4,4%), sapori colorati (6,3%), do-lori colorati (4,4%), odori colorati (5,8%), temperature colorate(2,2%), tatto colorato (1,9%), suono � tatto (2,7%), suono � gu-sto (2,7%), suono � olfatto (1,1%), suono � temperatura (0,5%),gusto � udito (0,3%), gusto � tatto (1,1%), tatto � gusto (0,5%),tatto � olfatto (0,3%), tatto � udito (0,5%), vista � gusto (1,9%),vista � udito (1,1%), vista � olfatto (1,1%), vista � tatto (0,8%),olfatto � suono (0,3%), olfatto � tatto (1,1%).

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32 Per contro una sostanza incolore ci appare piatta, inodoree assai poco attraente.Se le interferenze sensoriali tra i colori e l’olfatto ci pre-sentano una realtà percettiva saldamente intrecciata, quelletra olfatto e gusto appaiono talmente strette da costituireuna vera e propria forma di sinestesia, questa volta nonlimitata a pochi individui particolari, ma presente in tuttinoi. Stevenson e Boakes (2004, pp. 69-84) ci descrivono ilfenomeno dell’incremento della dolcezza: un odore dolceaddolcisce il sapore dello zucchero stesso; per contro unafragranza acida ne mitiga la dolcezza ed è capace di ina-sprire anche l’asprezza dell’acido citrico.Il potere dell’incontro sensoriale, però, non si limita a unamera sommazione di qualità uguali o contrapposte, ma sidistende in una varietà potenzialmente infinita di ibridazioni:l’intreccio tra i cinque recettori gustativi 3 e i mille e piùrecettori olfattivi avviene in maniera tangenziale, ellittica,singolare: il sapore si colora, si moltiplica, diventa variega-to, cangiante e – a dispetto di Pierre Moulonguet – diventadavvero “saporito”. Il risultato di questa unione acquista uncarattere proprio, unitario e inscindibile. Impossibile distin-guere il contributo dei singoli sensi, impossibile separarnel’apporto. Stevenson e Boakes (2004) parlano di unitizzazione.Abdi (2002) fuga ogni nostro tentativo di cercare chiarezza:perché mai distinguere, scomporre, attribuire paternità? Isensi sono fatti per ottenere informazioni sul mondo, sostie-ne Abdi, non per generare sensazioni isolate.

Dita come microscopiPosta al centro del compito discriminativo di Molyneux, laforma – proprietà amodale per eccellenza – può essere ri-levata dal tatto e dalla vista. Due sensi diversi, quindi, ingrado di leggere una stessa proprietà. Le relazioni sembra-no date in partenza e garantite proprio da questa conver-genza sensoriale. Diverso il caso delle proprietà rilevabilida un solo senso, come il colore, ad esempio, proprietàmodale per antonomasia.Ma la sfera toccata e quella osservata non si esauriscononegli aspetti coincidenti. «Ogni organo di senso interrogal’oggetto a modo suo» – ci dice Merleau-Ponty (2003, p.301) – ogni senso rivela aspetti propri, esclusivi, singolari eirripetibili. L’integrazione sensoriale, infatti, determina con-seguenze importanti, prima tra tutte la riduzione delle in-formazioni. Qualcosa si perde. Come ci ricorda la teoria del-la complessità, il tutto non solo è più, ma è anche menodella somma delle parti. L’asservimento a una coerenza ge-nerale rende secondarie, marginali e inutilizzabili le infor-mazioni più specifiche e laterali. Nel riallineamento neces-sario a questa convergenza sensoriale 4, dunque, se da unlato si ottiene l’indubbio vantaggio di costruire un mondounitario, costante e coerente, dall’altro si perdono qualità,peculiarità, “sapori”. Si perdono anche direzioni conosciti-ve, forme di attenzione. I sensi più forti, quelli episte-mologicamente più efficienti, o logicamente più docili, fini-scono per soggiogare gli altri imponendo le proprie struttu-re percettive. Il tatto, ad esempio, nella relazione con la vi-sta smarrisce gran parte delle proprie potenzialità. Propriopensando a queste potenzialità Mèrrian (1723-1807) pro-

getta un Séminaire d’aveugles artificiels: per trasformare ledita in «una specie di microscopi» e restituire loro quella«squisita finezza» (1984, pp. 183-184) di cui sono capaci.

Un pulcino. O due?La visione neuroscientifica “classica” ci consegna una im-magine della sensorialità fondata sulla separazione: areecorticali specifiche, dedicate a una singola modalità fun-zionano prevalentemente in modo isolato e indipendente.Questa visione è stata fortemente rivista 5 e oggi i sensinon ci appaiono più così separati.Scrivono Kaas e Collins: «Aree a lungo considerate unimo-dali possono ricevere input da altre modalità, e i neuronidi gran parte della corteccia delle aree sensitive e motoriesubiscono l’influenza di più di una modalità. Così divienepiù corretto definire le aree corticali non dalla loro moda-lità dominante, ma dal ruolo e dal peso relativo dei diversitipi di input» (2004, p. 285).Profondamente radicata nel nostro sistema percettivo, dun-que, l’integrazione degli stimoli sensoriali non solo ricopreun importante valore adattivo, ma permette di svolgere inmodo più efficiente e accurato compiti attentivi, discrimi-nativi e di apprendimento.Nella realtà di tutti i giorni – a differenza di quanto accadein molte situazioni sperimentali – non esistono stimoli chesollecitano un solo senso, ma un flusso complesso di in-formazioni plurisensoriali da integrare, coordinare, rende-re coerenti. Tra i nuclei multisensoriali responsabili di questoprocesso, il collicolo superiore (il più noto tra questi) “ospita”neuroni bimodali e trimodali. In virtù della sovrapposizionedei loro campi recettivi, questi neuroni rispondono soltan-to se eccitati da input provenienti da due diverse modalità.

3 Ai quattro sapori “tradizionali” – dolce (saccarosio), amaro (chi-nino), aspro (acido citrico), salato (cloruro di sodio) – si è aggiun-to recentemente il quinto e controverso umami (glutammatomonosodico).

4 Gli effetti dell’integrazione intersensoriale – riassunti daLewkowicz - Kraebel (2004) – includono, accanto alla riduzionelegata alla percezione dell’invarianza e delle associazioni inter-sensoriali, anche la cattura o dominanza (un percetto viene an-nullato o ridotto in favore di un altro appartenente a una mo-dalità “concorrente”), la facilitazione (la presentazione di uno sti-molo abbassa la soglia di detezione [cioè il livello di intensità alquale un soggetto ha la sensazione indistinta di percepire, n.d.r.]di uno stimolo contemporaneo) e l’induzione di nuovi percetti (il-lusione).

5 Cfr. Stein - Jiang - Stanford 2004.6 Cfr. King 2004.7 Le modalità sensoriali presentano un tipico ordine di sviluppo:

tatto, sistema vestibolare, sensi chimici, udito, vista. L’ordine disviluppo dei sistemi sensoriali ha portato a una serie di ipotesi sulfunzionamento della multisensorialità: alcuni autori (Lewkowicz -Kraebel 2004) ritengono che le modalità che si sviluppano perprime esercitino un’azione di “guida” nei confronti delle altre. Èfacile comprendere come questa affermazione comporti conse-guenze importanti sulla visione dello sviluppo sensoriale. Certo èche l’alterazione dell’ordine di sviluppo (esperimenti aberranti sonostati compiuti aprendo chirurgicamente gli occhi a topolini appe-na nati!) comporta danni gravissimi e irreversibili (Turkewitz 1994).

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33Perché questo avvenga occorre però che gli stimoli sianoconcordanti, cioè cadano entrambi contemporaneamenteall’interno dei campi recettivi. Sincronia e sintopia garan-tiscono infatti che questi stimoli – ad esempio sonori evisivi – siano generati da una stessa sorgente.Nel mondo animale, accanto a meccanismi di integrazionedel tutto simili a quelli umani, convivono anche incredibilicasi di separazione sensoriale. Certamente spettacolari quellidescritti nel 1934 dal grande biologo tedesco Von Uexküll.Soggetto di un esperimento sorprendente è la coppia pul-cino-chioccia. Il piccolo, legato con un filo al terreno dallosperimentatore, non riesce a muoversi e lancia i suoi ri-chiami di aiuto verso la madre. Vengono approntate duesituazioni sperimentali. Nel primo caso il pulcino è nasco-sto agli occhi della madre da una campana che lascia pas-sare le grida, ma non ne permette la vista: la chioccia ac-corre in aiuto del figlio. Nel secondo caso, invece, il picco-lo è sotto una campana di vetro, la madre lo vede, ma nonpuò sentirne i richiami. Il risultato è sorprendente. Incapa-ce di riconoscere visivamente il proprio piccolo, la chioc-cia continua tranquilla a beccare qua e là, senza minima-mente prestare attenzione ai tentativi del figlio di richia-mare la sua attenzione. Il pulcino “visto” e quello “sentito”rimangono sorprendentemente separati.Noi uomini, però, non essendo galline (se non in senso me-taforico!), teniamo insieme – talvolta molto faticosamente –il nostro mondo. Scrive Wallace: «Uno dei ruoli più impor-tanti, e non abbastanza apprezzati, del cervello è quello disintetizzare questo melange di informazioni e organizzarlein Gestalt percettive coerenti e adattive. [...] Questa sintesisensoriale [...] forma continuamente la nostra immagine delmondo» (2004, p. 625). Tenere insieme i vari “pezzi” dellarealtà è l’unico modo per tenere insieme noi stessi.

A colpo d’occhioSulla genesi delle capacità multisensoriali si sono scontratitutti. Da sempre.Nella questione di Molyneux, l’insistenza di Locke a che ilriconoscimento avvenisse fin dalla “prima occhiata” tendeproprio a sconfessare l’esistenza di un collegamento inter-sensoriale dato a priori. Il dibattito tra empiristi e innatisti siprotrae a lungo e si trasforma poi nello scontro tra la visioneintegrativa dello sviluppo (Jean Piaget, Donald O. Hebb, AlexeiN. Leontiev, Alexander V. Zaporozhets ecc.) e quella diffe-renziativa (James J. e Eleanor V. Gibson, Thomas G.R. Bower,Andrew Meltzoff ecc.): la capacità di coordinare le diversemodalità sensoriali emerge con lo sviluppo e l’apprendimen-to, oppure è presente già alla nascita, e lo sviluppo determinainvece una differenziazione sensoriale? Secondo studi piùrecenti 6, l’intersensorialità si sviluppa dall’azione congiuntadi processi di integrazione e differenziazione. In tutto questol’esperienza, e in particolare l’esposizione a stimolimultisensoriali, gioca un ruolo determinante.Attraverso osservazioni compiute su cuccioli di gatto e discimmia, Wallace (2004) ha scoperto che lo sviluppo dellamultisensorialità avviene gradualmente: da uno stadio ini-ziale in cui i neuroni multisensoriali rispondono anche astimoli provenienti da una sola modalità 7, alla comparsa Giuseppe Maria Mitelli, I cinque sensi, acquaforti.

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delle convergenze sensoriali, fino allo sviluppo del con-trollo corticale sui neuroni del collicolo superiore. In parti-colare, alcune aree della corteccia 8 aumentano la loro ri-sposta in presenza di stimoli polimodali; altre, invece, de-terminano il carattere multisensoriale del collicolo supe-riore stesso. Risulta evidente quindi che le capacità multi-sensoriali sono legate anche allo sviluppo delle relazionicon le aree associative della corteccia.Ma in base a quali criteri si sviluppa la facoltà di selezionaree integrare le informazioni all’interno del ricchissimo flussodi input fornito dall’ambiente? Schneirla ritiene che siano gliaspetti quantitativi degli stimoli a guidare lo scambiointersensoriale: il collegamento avviene in seguito ad un con-flitto basato sull’intensità degli stimoli provenienti da sensidiversi. Una teoria alternativa (Bahrick citato in Lewkowicz -Kraebel 2004) mette in risalto invece il ruolo svolto dallasincronia, fondamento sul quale si instaurano tutti i legamiintersensoriali. Walker - Andrei (citato in Lewkowicz - Kraebel2004) sostengono che la selezione degli attributi multisensorialiè guidata dalla sensibilità agli invarianti amodali (il richiamoa Gibson è evidente) 9. E infine Lickliter - Bahrick (2004), an-ch’essi con un debito assai forte nei confronti della teoriaecologica, sostengono che l’attenzione alle proprietàmultisensoriali è dovuta alla ridondanza offerta dallasovrapposizione insita nelle qualità modali.Come sottolineano Lewkowicz - Kraebel (2004), queste quattroipotesi vanno ben oltre quelle classiche proposte da Piaget eGibson, e ci consegnano un’immagine assai più complessa eintricata di quanto non fosse lecito aspettarci dalle teorieprecedenti.

Il cammino delle paroleEsclusi dalla dignità conferita ai “parenti” più nobili, an-che i sensi minori – lontani dal possedere una strutturalogica, spesso privi di riconoscimento linguistico – porta-no un loro fondamentale contributo alla nostra vita. Nonsi tratta di apporti superficiali e irrilevanti: una parte con-sistente del nostro senso della realtà si dispiega propriograzie a queste presenze laterali, appartate e marginali, checi raccontano storie senza nomi.Il linguaggio, infatti, non costituisce un mezzo sempre ef-ficace e fedele di trasmissione delle nostre esperienzesensoriali. Riconosciuto da alcuni come l’unico capace ditradurre da un senso all’altro, mezzo privilegiato dell’inter-sensorialità, il linguaggio – come ci ha insegnato Whorf(1977) – illumina il nostro rapporto sensoriale col mondo:da un lato mette in risalto, dall’altro trascura. Denuncia,

insomma, simpatie e parzialità. Soprattutto impone unastruttura grammaticale al pensiero percettivo. Proprio perquesto non con tutti i sensi riesce a costruire un buon rap-porto. Con l’olfatto, ad esempio, non corre buon sangue:poche parole, tutte prese a prestito altrove.Proprio queste trasmigrazioni di termini da un senso all’al-tro evidenziano, ancora una volta, le relazioni, gli scambi.In uno studio bellissimo del 1976, Williams indaga la for-mazione dei prestiti intersensoriali negli aggettivi inglesi. Irisultati della sua ricerca ci mostrano come il trasferimentoavvenga seguendo uno schema preciso (Fig. 1): gli aggettivi“sensoriali” si sono sistematicamente trasferiti dalle moda-lità più primitive a quelle più avanzate. Il senso più genero-so è il tatto, “donatore quasi-universale”: regala parole algusto, all’udito e al colore. Quello più “taccagno” l’udito,che riceve da tutti e “cede” soltanto al colore. L’olfatto, cer-tamente il più isolato, originale e ribelle di tutti i sensi, rice-ve soltanto dal gusto e non concede niente a nessuno.Nella proposta di Williams, il tatto viene riconosciuto comeil senso fisiologicamente meno differenziato, il più primi-tivo (che retrocessione in poco più di due secoli, da quan-do disputava con la vista il primato nella gerarchia senso-riale! 10), ma che dire dell’olfatto che in questa rappresen-tazione occupa un posto mediano?Oltre alle metaforizzazioni primarie, però, le parole si tra-

coloretatto gusto olfatto dimensione

suono

8 Precisamente l’area del solco ectosilvano, l’area soprasilvana su-periore e l’area rostrale soprasilvana.

9 Contro questa ipotesi, un esperimento determinante è stato com-piuto da Lewkowicz - Schwartz (2002): una donna, con indossoun vistoso cappello colorato (stimolo modale), ripete la sillaba“ba” con un determinato ritmo. Un bambino vede la donna men-tre pronuncia le sillabe e sente le sue parole (stimolo amodale).L’esperimento, compiuto con bambini di 2, 4, 6, 8, 10 mesi, hamesso in luce come, senza nessuna differenza dovuta all’età, ipiccoli riconoscevano il cambio del colore del cappello, mentrenon erano in grado di riconoscere il cambiamento del ritmo delparlato. Ripetendo l’esperimento, ed eliminando lo stimolo modale,si è visto che i bambini erano in grado di riconoscere il cambio diritmo. Questo dimostra che in certi casi uno stimolo modale puòessere processato prioritariamente rispetto a uno amodale, dun-que che la visione di Gibson non è in grado di descrivere la com-plessità delle relazioni multisensoriali.

10 In particolare si veda il dibattito tra Berkeley e Condillac. Berkeleyinizialmente attribuisce il primato al tatto (Nuova teoria della vi-sione 1709) e in seguito muta la sua posizione in favore dellavista (Siris 1744); Condillac, invece, in un primo tempo sostienela vista (Saggio sull’origine delle conoscenze umane 1746) e inseguito il tatto (Trattato delle sensazioni 1754).

Figura 1

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35sferiscono anche una seconda, terza, quarta volta, portan-dosi dietro pezzetti di realtà, piccoli, ogni volta avvolgen-dosi di significati nascosti, screziature, punti di fuga. Ba-sta prendere in esame un aggettivo “sensoriale” per essereinvestiti da una valanga di trasposizioni. Derivati o origi-nali? Non è certo facile ricostruire il cammino delle parole.

Metafore come elasticiNell’intreccio dei sensi la contaminazione si svolge a piùlivelli, da quello immediato della multisensorialità, a quel-lo estetico dello scambio tra le arti, delle relazioni tra strut-ture, della metafora sinestetica.Tra le ipotesi esplicative della metafora, accanto alla clas-sica teoria comparativa che fonda la trasposizione dei si-gnificati sull’esistenza di un piano comune (ground), spic-ca la più recente teoria dell’interazione: la metafora va benal di là della semplice comparazione, essa ci sollecita avedere qualcosa come fosse qualcos’altro, ci offre un insightcognitivo. Beck (1991) sostiene che la metafora non evi-denzia somiglianze, ma le crea.Scrive Ortony (1991) che tra le funzioni della metafora vi èquella di esprimere ciò che è inesprimibile letteralmente.Permette di comunicare un fascio di proprietà in modocompatto, per questo ottiene una vivezza ignota al lin-guaggio letterale. È proprio la natura globale e olistica dellametafora che ne determina le potenzialità.In questo processo di trasmigrazione sensoriale, dunque, illinguaggio può occupare una posizione doppia. Da un lato,sostenuto dai poteri metaforici che lo soccorrono «come unelastico» (Cacciari - Massironi 1992), è chiamato al centrodel processo di scambio; dall’altro, invece, si lascia metterein disparte per far parlare tra loro suoni, colori, profumi ecc.Accogliere in toto la nostra sensorialità significa dunqueritrovare l’“estetico” (anche in senso etimologico) e sconfig-gere la monomedialità “anestetica” che, in favore di unacompattezza logica, dimentica i sensi meno “linguistici”.Anch’essi possiedono capacità metaforiche: metafore senzaparole che chiamano in primo piano il vissuto, il corpo nellasua totalità, l’espressività profonda del sé. E poiché le meta-fore sinestetiche connettono aspetti conoscitivi con quelliespressivi, danno voce anche a chi di parole ne ha poche(che formidabile opportunità educativa!) offrendo, al tempostesso, gli spazi per cercarle.

Johannes Amos Comenius, Orbis sensualium pictus, Levocha 1685.

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36 Federico Vizzaccaro

Missa Hercules Dux Ferrariæ

[Josquin Desprez]Per la sua profonda capacità di agire sulla sfera emotiva,la musica è stata spesso considerata un mezzo particolar-mente efficace per rafforzare il legame tra governanti egovernati. Ma in che modo, e attraverso quali procedimen-ti tecnici, la musica può svolgere una concreta funzionepropagandistica, contribuendo a creare consenso e a legit-timare un potere politico? Attraverso l’analisi di una Mes-sa di Josquin, Federico Vizzaccaro ci illustra un esempioparticolarmente eloquente di come la musica, nel corso delRinascimento, abbia contribuito a veicolare l’aura disacralità del potere signorile. [Susanna Pasticci]

Dalla metà del XIV secolo è possibile documentare l’impor-tante ruolo che la musica svolge all’interno delle numerosecorti italiane ed europee: oltre alla tipica funzione diintrattenimento, essa comincia gradualmente ad assumereuna forte valenza politica, contribuendo attivamente allacreazione dell’immagine gloriosa della corte. Il prestigio delsignore si misurava in relazione alla sua capacità di acco-gliere nella propria corte i musicisti più autorevoli, così comeaccadeva per poeti, pittori e architetti; la qualità degli even-ti musicali e lo sfarzo delle esecuzioni rappresentavano tut-tavia solo il versante esteriore di più sofisticate operazionidi esaltazione e celebrazione del sovrano. Se la corte è illuogo in cui prendono forma comportamenti, ideologie esimbolismi che costituiscono l’essenza del potere, la musicadiventa il mezzo a cui il signore affida il compito di veicolare,in termini sonori, la sacralità del potere stesso.Per celebrare la potenza, la ricchezza e la prosperità dellacorte, spesso i musicisti venivano invitati a mettere in musi-ca testi che esaltassero i committenti, la loro famiglia o de-terminati eventi a essa connessi. La scelta di un testo verba-le contenente un esplicito messaggio propagandistico rap-presentava il modo più semplice e diretto per produrre operecon finalità celebrative o politiche; nel corso dei secoli, tut-tavia, i compositori hanno cercato di conseguire questo obiet-tivo anche attraverso l’impiego di una serie di tecniche dicarattere specificamente musicale. Tra gli esempi più inte-ressanti si annovera la Missa Hercules Dux Ferrariae, unacomposizione di Josquin Desprez dedicata a Ercole I, ducadi Ferrara. Appartenente alla potente famiglia d’Este, Ercolefu un mecenate straordinario, con interessi nel campo dellaletteratura e delle arti figurative. Durante il suo regno Ferraradivenne una delle città più floride d’Europa: grazie alla ce-lebre Addizione erculea, il duca modificò anche il suo asset-to urbanistico, espandendo l’area cittadina e rafforzando ilsistema difensivo delle mura. Ercole ebbe un’attenzione par-ticolare anche per la musica, e la sua cappella musicale di-

venne ben presto una delle più prestigiose dell’epoca: nel1503 riuscì a ingaggiare uno dei più importanti musicistiviventi, il compositore franco-fiammingo Josquin Desprez.Stando alle testimonianze del consigliere del duca, Girolamode Sestola, assumendo Josquin nella propria cappella musi-cale Ercole intendeva innalzarla al di sopra di tutte quelledelle altri corti (cfr. LEWIS LOCKWOOD, La musica a Ferrara nelRinascimento: la creazione di un centro musicale nel XVsecolo, Il Mulino, Bologna 1987, p. 250).La Missa Hercules Dux Ferrariae rappresenta un esempiodi musica celebrativa particolarmente raffinato; sulla suadatazione, però, non è possibile essere molto precisi. Cer-tamente essa venne composta tra l’agosto 1471, quandoErcole divenne duca di Ferrara, e il giugno 1505, data diedizione del Missarum Josquin Liber Secundus stampatoda Petrucci, che contiene la Messa in oggetto.In che modo questa Messa celebra la figura di Ercole I? Trat-tandosi di una composizione utilizzabile in ambito liturgi-co, costituita dai cinque canti dell’Ordinarium Missae (Kyrie,Gloria, Credo, Sanctus e Agnus Dei), non è certo attraversoil testo che essa rende omaggio al suo committente. L’espe-diente che evidenzia il suo legame con il duca deve essereindividuato direttamente nella musica, e in particolare nellaconnessione tra il titolo della Messa e il soggetto del cantusfirmus. Quest’ultimo è creato attraverso il procedimento cheGioseffo Zarlino indica nelle Istituzioni armoniche (Venezia1558) come «soggetto cavato dalle parole», una tecnica checonsiste nell’estrapolare una successione di note dalla peri-frasi «Hercules Dux Ferrariae» per assonanza vocalica, se-condo il seguente procedimento:

Her- cu- les Dux Fer- ra- ri- aeE U E U E A I ERe Ut Re Ut Re Fa Mi Re

Il cantus firmus che ne deriva è dunque direttamente de-terminato dal nome e dal titolo nobiliare del mecenate:

Questo “soggetto cavato”, costituito da otto note di ugualevalore, viene più volte ripetuto dal tenor in ognuna dellecinque parti della Messa, esercitando un’importante fun-zione di coesione all’interno della composizione. Le varieripetizioni del cantus firmus seguono uno schema moltopreciso; in primo luogo, ogni esposizione del soggetto èpreceduta da una serie di pause equivalenti alla durata

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37complessiva del soggetto stesso. In secondo luogo, occorrenotare che all’interno della Messa Josquin utilizza il sog-getto a tre diversi livelli di trasposizione: nella sua formaoriginale, a partire da re; trasposto a intervallo di quinta, apartire da la; trasposto a intervallo di ottava, a partire dalre dell’ottava superiore. Queste tre forme del soggetto nonvengono alternate liberamente, ma vengono sempre pro-poste in regolare successione (re basso, la, re acuto): l’al-ternanza dei tre livelli di trasposizione determina un’ar-chitettura formale molto rigorosa, basata sulla costante ri-petizione della triplice esposizione del “soggetto cavato”(appunto a partire da re, a partire da la, a partire dal reacuto). Nei due casi in cui il cantus firmus viene presenta-to in modo retrogrado (Et in Spiritum e Agnus Dei I), l’or-dine di esecuzione dei tre gruppi di otto note procede alcontrario, dal re più acuto verso il re più basso.Se le ripetizioni del “soggetto cavato”, regolate dal criteriodella triplice esposizione, determinano l’articolazione for-male del pezzo, occorre tuttavia sottolineare che la funzio-ne coesiva del cantus firmus si manifesta anche su altripiani dell’elaborazione musicale. L’impianto modale dellaMessa, basato sul primo modo, è determinato dal materialetematico del cantus firmus, incentrato sulla finalis re. An-che se il materiale melodico del soggetto non passa daltenor alle altre parti vocali, che cantano melodie autono-me e caratterizzate da una grande libertà inventiva, la par-ticolare struttura simmetrica del soggetto cavato (articola-to in due parti di quattro più quattro battute) esercita co-munque una forte azione sull’articolazione delle frasi. Perverificare in che modo l’intera realizzazione polifonica di-penda dalla struttura del cantus firmus prendiamo in con-siderazione qualche esempio tratto dal Kyrie della Missa;di questo brano è possibile ascoltare l’ottima esecuzionedell’ensemble “De Labyrintho” all’indirizzo www.youtube.com/watch?v=JRQ3gu3g9OM, mentre una trascrizione innotazione moderna è disponibile nella sezione “Materiali”del sito www.musicadomani.it.Nel primo Kyrie il cantus firmus viene eccezionalmente pre-sentato per la prima e unica volta alla voce del superius, perevidenziare l’elemento portante della composizione; taleeccezione non modifica la struttura del tenor che, come diconsueto, è preceduto da otto battute di pausa prima del-l’esposizione del cantus firmus. Le linee melodiche dell’altuse del bassus propongono un disegno melodico del tutto in-dipendente rispetto a quello del cantus firmus; tuttavia lasua articolazione interna (caratterizzata dalla ripetizione dellenote re-do-re-do) trova una precisa corrispondenza nelle vocidell’altus e del bassus, nelle quali è impiegato lo stesso dise-gno melodico di due battute, ripetuto alla stessa altezza:

Attraverso procedimenti di questo genere, Josquin riescea coniugare due opposte esigenze, conciliando il rigoredell’articolazione formale con la possibilità di ritagliarsispazi di grande libertà inventiva nelle parti vocali chenon espongono il cantus firmus. Ogni nuovo episodio èinfatti costituito da materiale melodico originale, che vieneelaborato attraverso vari procedimenti di carattere imi-tativo. Nel secondo Kyrie compare un breve modulo me-lodico di una battuta, basato su un intervallo di terzadiscendente, che Josquin utilizzerà per tutta la durata delpezzo, ripetendolo a diversi livelli di trasposizione perben sedici volte. All’inizio viene affidato al superius (bb.38-41), che lo ripete in progressione discendente per gra-do (la-fa; sol-mi; fa-re; mi-do), in contrappunto con unnuovo elemento melodico all’altus (anch’esso articolatoin progressione verso il registro grave); da battuta 42 ilmodulo di terza passa al bassus, dove rimarrà confinatoper tutta la durata del brano. Le due voci superiori, nelfrattempo, si muovono per imitazione con un disegno si-mile a quello già esposto all’altus nelle battute 38-41,benché ritmicamente semplificato. Nelle battute finali,Josquin pone in forte connessione le parti del tenor e delbassus: quest’ultimo, pur ripetendo il solito modulo diterza, abbandona l’andamento in progressione discendenteper seguire il profilo melodico del tenor:

Dal punto di vista dei riferimenti simbolici, è possibileravvisare un esplicito rimando alla figura del duca al-l’inizio del Gloria, dove le parole “in terra pax” vengonomusicate con le note della seconda parte del “soggettocavato”, corrispondenti alle vocali della parola “Ferrarie”(re-fa-mi-re): in tal modo, la città di Ferrara viene evoca-ta come luogo ideale di pace e prosperità. Un altro riferi-mento simbolico è legato alle ripetizioni della triplice se-quenza del cantus firmus, che nel corso dell’intera Messaviene presentata per ben dodici volte: un chiaro rimandoalle dodici fatiche di Ercole, eponimo eroe della mitolo-gia greca al quale il duce viene spesso paragonato. Ma ilmessaggio politico più ambizioso va ricercato nella scel-ta di utilizzare il “soggetto cavato” dal nome di Ercolecome tenor per la composizione di una Messa, che rap-presenta l’espressione più alta della spiritualità cristiana.Nel momento in cui il nome del sovrano diventa parteintegrante della struttura musicale, fino a rappresentareuna sorta di «controsoggetto del testo liturgico» (LOCKWOOD,La musica a Ferrara nel Rinascimento cit., p. 306), assi-stiamo a un’autentica fusione tra funzione liturgica e ce-lebrazione politica. Oltre a esaltare il potere del duca, lamusica ne rivendica la funzione sacrale e sacerdotale, le-gittimando religiosamente la sua condizione di supremorettore dello Stato.

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38 a cura di Paola Faccidomo

SIEM:le molte voci dell’associazione

Ho accettato volentieri l’invito della redazione a curareil “Confronti e dibattiti” di questo numero di “Musica Do-mani” soprattutto perché mi è sembrato opportuno contri-buire alla celebrazione del quarantennale della SIEM, in fun-zione della mia partecipazione attiva e incondizionata allavita dell’associazione fin dal 1982.La frequenza, nell’estate di quell’anno, di un corso estivoSIEM a Termini Imerese mi ha fatto intravedere allettantiorizzonti per la mia professione di insegnante; un succes-sivo incontro con Carlo Delfrati è stato per me, come pertanti, determinante.Mi è parso subito chiaro e importante come l’associazionecostituisse un punto di riferimento per l’evoluzione del di-battito culturale, pedagogico e didattico attorno ai proble-mi dell’educazione musicale in Italia e a tutti i livelli isti-tuzionali (università, conservatorio, scuola dell’obbligo) eoffrisse un quadro di iniziative che segnavano e che anco-ra oggi segnano positivamente la formazione degli educatorimusicali. La SIEM ha sempre cercato di essere presente neimomenti decisivi in cui erano in atto riforme o in gioco gli

interessi dell’educazione musicale, e le battaglie sostenutesono la dimostrazione della vitalità e capacità di mobilita-zione di persone che hanno dato la loro intelligenza, leloro energie, la loro combattività e la perseveranza per ilraggiungimento di obiettivi di grande portata culturale esociale. Purtroppo, pur avendo conseguito importantirisultati, ciò non è bastato per ottenere l’introduzione del-la musica nella scuola come noi vorremmo e come sarebbegiusto; il lavoro da fare è perciò ancora molto.Per me partecipare alle attività dell’associazione ha rap-presentato non solo un laboratorio di idee e scambi cultu-rali, un luogo di riflessione, studio e ricerca fra i più inte-ressanti, ma anche un osservatorio sulla complessa realtàdella didattica musicale in Italia; aver incontrato e lavora-to con persone di un livello culturale e di una preparazio-ne pedagogico-didattica elevati mi ha fatto apprezzare l’im-portanza dell’associazionismo, da cui ho ricevuto una quan-tità di stimoli intellettuali e un grande arricchimento dellemie relazioni umane e professionali.Nel “Confronti e dibattiti” di questo numero si vuole dar

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39voce non tanto a coloro che hanno segnato la nascita dellaSIEM (che avranno spazio al convegno nazionale Educazio-ne Musicale: punto e a capo? che si terrà l’11-12-13 set-tembre 2009 a Milano, presso il Conservatorio “GiuseppeVerdi”, luogo che quarant’anni fa ha visto il nascere del-l’associazione), quanto a persone che, successivamente, nehanno in vario modo segnato il divenire.Gli autori che hanno accettato di dare il loro contributooffrono una panoramica molto diversificata, sia per l’ap-proccio personale avuto con l’associazione, sia per aversviluppato, negli anni d’esperienza, i propri percorsi origi-nali e personali.Chi legge avrà modo di cogliere analogie, convergenze,diversità sui vari aspetti analizzati e il socio SIEM potràidentificarsi, anche solo in parte, con qualcuno di essi; potràandare indietro nel tempo, poco o tanto, e ripensare a quelloche è stato il suo approccio con l’associazione.Nell’ascoltare le diverse voci, apprendiamo che l’aspettoche ha affascinato Annibale Rebaudengo, quando ha co-nosciuto la SIEM, è legato allo scambio di esperienze e al-l’opportunità di migliorarsi fra persone con gli stessi inte-ressi ed entusiasmi. Il suo intervento mette infatti in lucecome tra i soci SIEM ci sia quella circolarità della culturadidattico-musicale che caratterizza una vera associazionedemocratica «dove non c’è nessuno che impone verità e sicresce tutti insieme». Il suo percorso, da semplice socioSIEM a presidente di sezione e poi a presidente nazionale, loha gradualmente coinvolto nell’associazione fino all’as-sunzione di compiti sempre più impegnativi. Da una lette-ra che allega all’articolo, scritta con il consueto humour, sievince come la qualità dell’impegno profuso in intense gior-nate (di cui, adesso, non sente sicuramente la mancanza)incondizionatamente dedite alla SIEM, abbia reso all’asso-ciazione prestigio e visibilità.Roberto Neulichedl, dopo una panoramica degli accadi-menti socio-politici che hanno segnato gli anni Sessantain Italia e la coincidente fondazione della SIEM nel 1969,propone una sintesi dei cambiamenti e delle innovazioniche hanno interessato la scuola e, in particolare, l’educa-zione musicale.Egli, inoltre, mette sul tappeto tre grandi temi nevralgici,peculiari di una società in movimento e di cui si dovrannooccupare i pedagogisti nel campo dell’educazione: l’ecolo-gia, l’autenticità e i linguaggi.Sono tre tematiche sulle quali Roberto Neulichedl esponesinteticamente alcune sue riflessioni, ma, poiché essenecessitano di una più ampia e approfondita analisi,auspica che al convegno di settembre a Milano, in occa-sione dei quarant’anni della SIEM, si possa aprire uno spa-zio adeguato.Una storia di carta: così Lara Corbacchini definisce il suoapproccio alla SIEM, poiché è stata proprio “Musica Doma-ni!” ad aver avuto un ruolo decisivo nella sua formazionepedagogico-didattica. Alla rivista si sono affiancate le al-tre pubblicazioni curate dalla SIEM: valide, preziose, mapur sempre “di carta”. Dopo un decennio, caratterizzato daun percorso professionale intrapreso a contatto con do-centi-formatori e dalla partecipazione a convegni, corsi,

laboratori, Lara ha scelto di confrontarsi e scambiare conaltre persone dell’associazione le proprie idee. Ma il suorapporto privilegiato rimane sempre con l’editoria, sia perla sua personale collaborazione con “Musica Domani”, siaperché ritiene che i progetti editoriali e le pubblicazionidella SIEM offrano all’insegnante-operatore-ricercatore stru-menti essenziali per ampliare le proprie conoscenze e com-petenze.Di carattere più “romantico” appare l’articolo di AntonellaMoretti: già dall’inizio ci accorgiamo di quanto grande siala sua riconoscenza alla SIEM per averla aiutata a mediaretra un sapere solo artistico e una diversa cultura dell’inse-gnamento; ella ha acquisito una visione globale delle im-plicazioni pedagogiche, metodologiche e psicologiche perrapportarsi con gli allievi, e, mentre passa in rassegna icambiamenti positivi che hanno migliorato il panoramadidattico-musicale in Italia, è sicura che molto di più sipotrebbe fare.Così Antonella Moretti, ma anche noi tutti, poniamo lesperanze in una società di giovani dotati di voglia di sape-re, che abbiano la “passione” per il proprio lavoro e sap-piano porsi in atteggiamento di continua ricerca.

SIEM: i miei primi quarant’annidi Roberto Neulichedl

«I miei primi quarant’anni …» è un’enunciazione che, pervoce di un’audace signora in carne e ossa, o attribuita auna scafata “signora” quale la SIEM, suona come una dop-pia sfida: tentazione d’indagare (spudoratamente) il pro-prio passato e ambizioso sguardo volto a ipotecare, peraltri quarant’anni, il proprio futuro. Un gesto di spigliatafierezza verso il domani, senza temere il confronto conetà/stagioni che abbracciano quasi mezzo secolo.

L’era (una volta?) dell’educazione musicaleIl termine “era” è qui inteso nella sua doppia accezione:come declinazione all’imperfetto del verbo essere, ma anchequale lasso temporale avente ciclicità epocale. Nel nostrocaso, epocale non è certo il fatto che la SIEM sia nata, aMilano, nel 1969 (io allora ero poco più che tredicenne enon me ne sono proprio accorto...., attento piuttosto aglispifferi “rivoluzionari” che, almeno nei costumi, nella cul-tura e nei diritti – oltre che sul piano della crescita di unacoscienza politica collettiva – iniziavano ad arrivare da ol-tralpe e di là della Manica). Epocale è piuttosto l’insieme difatti che hanno connotato la fine degli anni Sessanta.Il 1969 è un anno davvero emblematico, almeno per l’Ita-lia; forse più di quanto non lo sia stato per il mondo, conmaggiore impatto simbolico, il 1968. Nel 1969 si delinea-no le condizioni sociopolitiche per il primo Statuto dei la-voratori; è l’anno in cui – pur senza Internet – nel mondorimbalza la notizia che Praga, invasa dai carrarmati sovie-tici, piange Jan Palach. Sempre nel 1969, mentre l’uomosbarca sulla Luna, nascono la Scuola materna di Stato e laSinistra extraparlamentare (con la sua stampa di contro-

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40 informazione). È l’anno che (con le bombe di Milano) se-gna l’inizio della “lunga notte” (stragista) della Repubbli-ca. È l’anno, infine, in cui alcuni “facinorosi” (ai quali sia-mo ancora grati debitori) fondano la Società Italiana perl’Educazione Musicale: la SIEM, appunto.La nuance retorica aiuta a enfatizzare il senso della distan-za che ormai ci separa da quegli anni. Una distanza nonsolo temporale, bensì profondamente socioculturale. Si trat-ta di un divario sociale, politico e culturale, che segna unbaratro le cui sponde in apparenza sembrano non esseremai state unite da un ponte. Un tempo “sospeso” dunque,la cui traversata risulta oggi quasi inspiegabile. Cosa è suc-cesso alla società, alla comunicazione umana, alla musi-ca? Questa è forse la prima domanda che ci porta a inter-rogare questi nostri “primi quarant’anni”.Ma un’altra domanda sorge naturale: che è successo in que-sti quattro decenni alla scuola? Da un lato moltissimo, di-remmo, dall’altro ben poco... troppo poco. L’accadere con-vulso sembra confondere abilmente i suoi tratti ora evoluti-vi, ora involutivi, dei quali proporrei un breve ripasso.Per quanto concerne l’educazione, sul piano normativo/strutturale, gli elementi di cambiamento della scuola han-no interessato in generale:- il processo di democratizzazione che ha investito la scuo-

la con l’istituzione degli organi di partecipazione colle-giale, attenuandone la vocazione elitaria a favore diuna scuola di massa;

- l’avvio di una lunga stagione di creatività educativa(improntata a un’idea radicale di in[?]consapevole li-bertà d’insegnamento) nel corso della quale i più sva-riati modelli formativi e metodi di insegnamento/ap-prendimento sono stati ipotizzati, testati in più conte-sti 1 e, infine, fatti oggetto di studio;

- la riforma ordinamentale di segmenti scolastici strate-gici quali la scuola dell’infanzia (già materna) e la pri-maria (già elementare);

- la progressiva irrefrenabile crescita di una scuola sem-pre più specchio di una società in rapida trasformazio-ne (sul piano della sua instabilità, natura polimorfa emultietnica, disgregata e “complessa”), le cui proble-matiche hanno spesso trovato impreparato lo Stato e lesue istituzioni educative.

D’altro canto, il “quarantennio lungo” del musicale (che siestende idealmente sino alla metà degli anni Cinquanta) èsegnato da altrettanti profondi mutamenti:- l’avvento dell’elettroacustico prima (con la conseguen-

te “elettrificazione rocketizzante” del paesaggio sonoroumano, soprattutto “giovanile”) e dell’elettronico poi, checondurrà alla smaterializzazione digitale del segnale sonoroe a sue nuove forme di veicolabilità e storaggio, spalan-cando le orecchie (e i gusti) alla nuova “era schizofonica”;

- la politicizzazione della cultura musicale colta, conmolti artisti e intellettuali (musicisti/musicologi) “im-

pegnati” a ripensare radicalmente il proprio fare arti-stico nel confronto intergenerazionale, interculturale(anche tra oralità e scrittura) e, soprattutto, interclassi-sta che darà il via ai primi grandi eventi di fruizionemusicale di massa;

- la crisi dei linguaggi (necessario motore propulsivo versola ricerca di nuove forme di espressione artistica), cheha visto intere generazioni di compositori pronti a ri-mettere in discussione il rapporto dialettico tra autore,opera e ascoltatore, ponendo in crisi, in sostanza, il si-stema di significazione nell’interazione tra processipoietici ed estesici.

E veniamo al binomio oggetto di analisi: l’educazione mu-sicale. Su questo fronte, tra i principali elementi innovati-vi registratisi in Italia sono almeno da ricordare:- la nascita, già dal 1964, delle prime Scuole di Didattica

della Musica presso alcuni conservatori (Milano traquesti, con l’attivazione dal 1966-67);

- il moltiplicarsi esponenziale (a partire dalla fine deglianni Settanta) di pubblicazioni nel settore della didatticamusicale e, seppur in forma inizialmente più timida, diquel settore della musicologia sistematica (e in parte com-parativa) interessata alla pedagogia e psicologia dellamusica, alla metodologia dell’insegnamento musicale estrumentale nonché all’antropologia culturale attenta allecondotte e agli “atti comunicativi” musicali;

- il raddoppio delle ore settimanali di Educazione musi-cale (da una a due) nel 1979;

- l’introduzione, con i programmi del 1985, dell’Educa-zione al suono e alla musica nella scuola elementare ea seguire, nel 1991, negli Orientamenti per la scuolad’infanzia;

- la nascita delle scuole medie a orientamento/indirizzomusicale (SMIM) già avviate sperimentalmente e ricon-dotte a ordinamento nel 1998-99;

- l’abbandono progressivo da parte dei conservatori, conla legge 508/99, della “formazione musicale di base”,ormai sempre più orfana degli ancora attesi licei musi-cali-coreutici.

Il complesso percorso illustrato è tuttora in attesa di unarilettura storica in grado di dare conto, in maniera ade-guatamente documentata, delle diverse prospettive assun-te dall’educazione musicale nel nostro paese a partire dallaseconda metà del Novecento: dalla tendenza “creativo/movimentista”, a quella “sistematico/scientista”; dalla vi-sione antropocentrica a quella musicocentrica; da quellaforse ispirata dalla teologia della liberazione a quella ma-terialista interessata alla ricerca di un “propriamente mu-sicale” agnosticamente depurato da ogni elemento esomu-sicale. Si tratta di una pluralità di approcci tuttora in atte-sa di approfondite analisi.Per la verità da alcuni anni è in atto un certo “revisionismo”storico dell’educazione musicale. Alcuni recenti convegnihanno infatti proposto una sbrigativa lettura di questi “primiquarant’anni”. Si tratta di un tentativo probabilmente de-stinato a incidere ben poco sulle pratiche educative musi-cali. Ciò perché questo approccio musicologico/storicistico(a-sistematico) difficilmente potrà elaborare paradigmi

1 D.P.R. n. 419 del 1974: Sperimentazione e ricerca educativa, ag-giornamento culturale e professionale ed istituzione dei relativiistituti.

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41epistemologici capaci di coniugare le recenti indagini filo-sofico/fenomenologiche con lo sviluppo di una complessi-tà “linguistica” del sonoro e del musicale che sappia darconto del moltiplicarsi delle espressioni musicali umane e,conseguentemente, dei relativi modi di darsi del saperemusicale e dei suoi possibili modi di trasmissione. Unaposizione più preoccupata di fissare una volta per tutte itrucchi per trasmettere un sapere preventivamente codifi-cato, piuttosto che di osservare i processi di trasmissione/scambio per comprendere la costruzione del fare significa-to in contesti di apprendimento di tipo cooperativo.

Uno sguardo oltreÈ compito dei pedagogisti tentare d’individuare e descri-vere anzitempo gli scenari socioculturali dei quali dovràfarsi carico chi si occupa di educazione. Talvolta ciò av-viene con abbondante ricorso alla metafora, altre volte conla descrizione asettica o, peggio, facendo abuso del con-torto linguaggio pseudo-filosofico del “pedagogese”. Conla speranza di non ricadere in questi casi, proverò dunquea leggere i sintomi dell’oggi, immaginando linee proiettivenelle quali individuare almeno tre grandi temi nevralgicidi una società in movimento.Il primo tema è sicuramente quello dell’ecologia, un termi-ne che purtroppo (grazie a un’inutile imbrattata di “ver-de”) ha in parte perso il senso suo profondo che rimanda alproprio concepirsi quali sistemi biologici in perenne pre-cario equilibrio con l’ambiente (altro concetto, quest’ulti-mo, non riducibile alle sole “cose” o ad altri “soggetti” piùo meno pensanti che ci attorniano, bensì alla loro com-plessità fenomenologica). La musica è manifestazione pie-na di questa complessità, anzi è di più: ne è potenzialmen-te suo divenire, profezia di una essenza ego/ecologica.La seconda emergenza riguarda l’autenticità: delle cose,delle persone, dei rapporti, dei sentimenti ecc. In un’epocain cui il virtuale si confonde sempre più con il reale non èpiù rinviabile un’educazione dei sensi capace di far fronte(a livello profondo) alla “digitalizzazione” della nostra per-cezione, sempre più raramente chiamata a misurare in modo“analogico” le cose del mondo. Il digitale (terrestre o meno)ora ci sta rivelando i suoi molteplici vantaggi. Ciò che nonsappiamo ancora con esattezza è cosa stiamo perdendo inquesto processo di “riduzione” della nostra sensibilitàpercettiva. L’esperienza estetica è forse l’unica arma con-tro quelle di distruzione di massa del gusto e delle sensibi-lità umane. E perché ciò accada si rende necessario indi-rizzare gli sforzi verso la ricerca dell’autenticità dell’espe-rienza: in quanto unicum, in quanto fatto irripetibile equindi non (o inutilmente) clonabile. Nel solco di questolavoro deve trovare spazio anche un’educazione “filologica”,attenta cioè a fornire gli strumenti di discernimento criticonel moltiplicarsi all’infinito (e magari ripetuto in modo iden-tico) dell’esperienza nell’era della sua riproducibilità.La terza e ultima questione nodale concerne i linguaggi e ilprocesso di relativizzazione, nel tempo, dei loro significati.Si tratta di un tema peraltro fondamentale quale fattore ditenuta e coesione democratica di una società. I linguaggisono ovviamente dei sistemi mutanti che nessuno si so-

gnerebbe di fissare in modo perenne. Tuttavia, nelle lorovarie espressioni idiomatiche, rappresentano dei prodotticulturali di ampia portata storica (nel senso che copronoun arco temporale di norma ben più esteso di quello vitaleconcesso al singolo individuo). La saldatura che per uncerto tempo del patto comunicativo (più o meno conven-zionale) vige tra significato e significante è un fatto ingran parte funzionale allo scambio ottimizzato delle cono-scenze. È però indubbio che la velocizzazione impressa daisistemi di comunicazione di massa all’evoluzione dei lin-guaggi (che sarebbe forse più giusto definire involuzione)ha posto in discussione la stabilità necessaria di alcuniconcetti cardine. Il mondo della scuola non è indenne daquesto imbarbarimento concettuale che porta a riconside-rare termini nobili – come quello di “autonomia” – allastregua di freddi descrittori di un sistema ormai solo alleprese con aspetti gestionali economico/finanziari. L’auto-nomia scolastica, detto più brutalmente, non interessa piùil nobile tema della libertà d’insegnamento/apprendimen-to e della ricerca educativa, bensì la misurazione (in rotolidi carta igienica da comprare!) della capacità di sopravvi-venza di una scuola ormai priva di risorse.Anche la disciplina Educazione musicale, ora Musica, hasubito il suo restyling lessicale; ma circa le ragioni di que-sto rovesciamento semantico/concettuale nulla è stato detto.Lo spazio purtroppo non consente l’analisi approfonditache i tre temi meriterebbero. Sarà del resto compito delconvegno nazionale SIEM di Milano, a settembre 2009, cer-care di aprirsi a queste e altre tematiche emergenti.

Sguardi molteplicidi Annibale Rebaudengo

Il punto di vista del socio SIEM

Sono socio dal 1987, allora ero fiduciario del Conservatoriodi Milano per la sezione staccata di Como, dove conobbi untrio di donne che, forse loro non lo sanno, segnarono il mioingresso nella didattica strumentale legata allo scambio diesperienze e non più relegata alla sola riflessione sui propri(in)successi: il trio era composto da Mariateresa Lietti, Clau-dia Galli e Adriana Mascoli. Poi conobbi Carlo Delfrati e fufatta: convegni, libri, “Musica Domani”, entusiasmi, corsiestivi, come ascoltatore-lettore-corsista-relatore-autore-do-cente. Questo scambio di ruoli che ancora persiste – ho ap-pena frequentato un corso con Sheila Nelson sulla didatticadella lezione collettiva degli strumenti ad arco – è stata l’op-portunità maggiore di crescita che mi ha dato la nostra as-sociazione. Come i lettori di “Musica Domani” sanno, il miocontributo alla didattica strumentale è dovuto al trasferi-mento nel mio ambito di teorie pedagogiche e attività di-dattiche destinate a scuole di base. Ogni tanto ho un’emo-zionante riscontro nel constatare che, a loro volta, gli inse-gnanti di base si avvalgono delle mie proposte. La circolaritàdella cultura didattico-musicale tra i soci Siem è l’aspettoche caratterizza una vera associazione democratica dove nonc’è nessuno che imponga verità e si cresce tutti insieme;

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42 tutti quelli che ne sentono necessità, ben inteso. Quelli chesanno già tutto e non hanno bisogno di confrontarsi permigliorarsi, alla nostra associazione non s’iscrivono. A direil vero, i corsi d’aggiornamento e i convegni sono frequen-tati quasi esclusivamente da chi sa già molto, mentre gliinsegnanti che ne avrebbero bisogno se ne tengono alla lar-ga. Il socio SIEM ha, dalla fondazione dell’associazione, l’op-portunità di migliorarsi in una comunità di persone che hannole stesse “egoistiche” esigenze. Quando incontro soci(e) SIEM

che non conosco personalmente, ma che avendo letto qual-che mio contributo su “Musica Domani” e sui “Quadernidella SIEM” mi si avvicinano come amici di vecchia data –amicizia che ricambio con naturalezza – verifico il sensod’appartenenza alla nostra associazione. Se la personalepassione per l’insegnamento può avere un percorso ondula-to, un’associazione come la nostra mantiene nel tempo lasua ragione di far incontrare gli insegnanti o chi vuole for-marsi per diventarlo. Ci s’incontra di fatto nelle riunioni disezione, nei corsi, nei convegni, ci s’incontra leggendosi nellastampa cartacea e adesso ci s’incontra anche on-line. Traieri e oggi le opportunità di scambio intellettuale sembre-rebbero aumentate, invece la relazione umana è diventatapiù difficoltosa perché la vita ha tante incombenze e siamotutti un po’ nevrotizzati dal prendere impegni che alla finenon riusciamo neanche a gustare troppo, visto che come nefinisce uno ce n’è subito un altro a cui pensare. Ma l’iperci-netica attività dell’insegnante non riguarda solo il socio SIEM,coinvolge l’intera umanità occidentale.

Il punto di vista del presidente di sezioneLo sono stato di quella milanese per alcuni anni all’iniziodegli anni Novanta. Allora l’attività di sezione raccoglievaconsenso anche oltre i non pochi soci; si organizzavano in-contri gremiti per ascoltare Michel Imberty, Gino Stefani,François Delalande, i soci erano spesso iscritti per poter fre-quentare corsi di formazione/aggiornamento. Poco alla voltaho visto assottigliarsi la presenza dei frequentanti i corsi e gliincontri con pur prestigiosi relatori. Ipotizzo che la diminu-zione dei partecipanti alle attività di sezione, e in seguito allaiscrizione all’associazione, sia dovuta a due fattori. Il primo èlegato al socio che frequentava le attività d’aggiornamentocome opportunità per incrementare punteggi e/o stipendio;raggiunto il risultato, l’anno successivo l’iscrizione non erarinnovata. Il secondo motivo è legato a quanto accennatoprecedentemente: la vita, e non solo quella metropolitana, èdiventata così oberata d’impegni all’apparenza essenziali darelegare la vita associativa di sezione a scelta secondaria, conperdita per l’associazione e per il socio che si priva dell’op-portunità d’incontrasi con chi ha gli stessi entusiasmi, inte-ressi, problemi. Non ho ricette per il futuro. Noto che anche leassociazioni concertistiche hanno lo stesso problema difidelizzazione del pubblico. Non so altrove, ma sto notandoche a Milano anche istituzioni di lunga e onorata tradizionecercano di armonizzare le attività culturali con attività piùludiche, per cui il «segue dibattito» è stato sostituito con «ilconcerto è preceduto da aperitivo con gli autori» e da «alconcerto seguirà un buffet con gli interpreti». Il mio amicoPaolo Bove, presidente attuale della sezione di Milano, sensi-

bile all’aria dei tempi, nella convocazione dei soci mette sem-pre all’ordine del giorno un happy hour finale.

Il punto di vista del presidente nazionaleÈ andata così: era il 1996, me ne stavo tranquillo a insegna-re e suonare non essendo più presidente di sezione, quandomi arriva una telefonata di Johannella Tafuri. Con aria ami-chevole (ma solo dopo capii che di bene me ne voleva poco)mi propose di fare il presidente SIEM: non ti preoccupare, midisse, non c’è quasi niente da fare, una riunione convivialeogni due-tre mesi, qualche firma qui e là. La condizionefondamentale per far parte del direttivo nazionale SIEM era,una dozzina di anni fa, possedere un fax. Che emozionetornare a casa e trovare la cucina sommersa da lenzuolate diproposte di legge di riforma, osservazioni e contropropostedegli esperti, verbali, comunicazioni delle sezioni. Un po’era la febbre riformista di quegli anni, un po’ me la sonoandata a cercare dando la disponibilità a collaborare a tuttii ministri di ogni epoca, genere e stile; fatto sta che da alloraho fatto parte, a nome della SIEM, di molteplici commissioniministeriali con alterni successi: messa in ordinamento del-le SMIM, Laboratori musicali, riforma Berlinguer-De Mauro,riforma Moratti (Licei musicali e coreutici). All’inizio dellamia presidenza ci fu anche il passaggio del nostro editore diriferimento, da Ricordi a EDT.Così descrissi una mia giornata:

Milano 6 aprile 2000Cari amici di EDT, di “Musica Domani” e del Direttivo nazionale,vi aggiorno su come passo le giornate:Ufficio del Registro (3 volte, una volta per farmi spiegarecosa volessero per la registrazione di “Musica Domani”,un’altra volta per portare i documenti: contratto SIEM-EDT in3 copie firmate da me e Peruccio 1, con relative marche dabollo da 20.000, poi vado a versare 250.000 in Banca su unmodulo fornito dall’Uff. stesso su cui è segnato che ho pre-sentato domanda di registrazione, poi ritorno nell’Uff. e inpoco tempo mi danno due delle tre copie del contratto fi-nalmente registrato – una se la trattengono). Vado al tribu-nale (Uff. stampa) preceduto da una telefonata per saperecosa volessero per autorizzare la variante di editore e ditipografia. Faccio vedere la domanda con l’elenco degli al-

1 Enzo Peruccio è il titolare di EDT.2 Elena Ferrara è la presidente SIEM che mi ha preceduto.

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legati e mi dicono che va bene. Telefono a Peruccio e mifaccio mandare una sua auto-dichiarazione che è italiano eche gode di diritti politici, una copia dello statuto di EDT, lacomunicazione firmata anche da lui delle varianti, una fo-tocopia della sua carta d’identità. Intanto telefono a Elena 2

e mi faccio mandare la fotocopia della sua carta d’identità.Fra e-mail, fax, posta celere, pony, riesco ad avere tutti idocumenti (compresi i miei) e vado in Tribunale. Lascio lacomunicazione in bollo, documenti e, per evenienza, il mionumero di telefono, non si sa mai. Torno a casa e trovo unmessaggio dell’addetta dell’ufficio stampa che mi chiede dirichiamarla. Intanto Cristina Savio (EDT) mi telefona per dir-mi che la posta non spedirà mai MD ai nostri soci se non learriva urgentemente il certificato d’iscrizione al tribunaledi Milano.Il giorno dopo vado a Roma e ritorno in giornata, partecipoalla commissione ministeriale sui laboratori, così mi rilassoun po’. Infine – oggi – vado in tribunale per sapere cosavogliono e mi dicono che lo statuto di EDT deve essere au-tenticato in bollo; non mi era stato detto né al telefono, néquando avevo portato i documenti (fortuna che ogni tantosi arrestano fra di loro). Intanto faccio domanda per il cer-tificato (due marche da bollo da 20.000 mila e una da 6.000).Mi dicono che il certificato sarà pronto il 21 aprile, ma in-tanto devo far avere loro il documento di EDT tutto bollato.Telefono a Cristina Savio e le spiego cosa mi serve e quandosarò in grado di farle avere il nulla-osta per la posta. Fortu-na che nei fine settimana in genere ci sono direttivi, incon-tri con i presidenti delle altre associazioni, corsi d’aggior-namento, convegni, se no cosa farei della vita?Certo della vostra comprensione, vi saluto caramenteAnnibale Rebaudengo

Non sento la mancanza di quella vita, adesso le energie el’intelligenza per l’associazione le impiega Roberto Neulichedla cui vanno tutto il mio affetto, comprensione e stima.Prospettive? La visibilità e l’intraprendenza dell’associa-zione nei contatti con il Ministero, le pubblicazioni – “Mu-sica Domani”, le due collane EDT, quella con Carocci, laneonata collana con Carisch – mi sembra che siano quantodi meglio si possa desiderare. I risultati qualitativi sonosotto gli occhi di tutti. Il numero dei soci cala? È vero,forse non riusciamo a entrare in sintonia con la maggio-ranza degli insegnanti di musica. Tuttavia, per quanto hovissuto in prima persona e come testimone del lavoro dipresidenti delle sezioni, redazione di “Musica Domani”,

commissioni di studio e di progettazione di corsi e conve-gni, tutti hanno impiegato e stanno impiegando capacitàed entusiasmi. Anche i risultati quantitativi non tarderan-no ad arrivare.

Una storia di cartadi Lara Corbacchini

Per un consistente arco di tempo la più tangibile e concre-ta manifestazione della SIEM è stata per me “Musica Doma-ni”. La denominazione completa, riportata nella copertinae nella prima pagina della rivista, qualifica il periodicocome «Trimestrale di cultura e pedagogia musicale. Orga-no della SIEM, Società Italiana per l’Educazione Musicale».Tale riferimento è stato come una sorta di imprinting.Forse due sono stati i motivi che hanno facilitato, nel miopercorso “biografico”, simile rimando: tanto imprescindi-bile ed esclusivo quanto consapevolmente riduttivo di frontealla reale complessità della vita associativa.In primo luogo nell’area geografica dove risiedo, ho com-piuto gli studi e, soprattutto, ho cominciato l’attività diinsegnamento, non erano e non sono presenti sezioni ter-ritoriali. In un periodo, i primi anni Novanta, ancora rela-tivamente lontani dalla diffusione domestica delle reti te-lematiche, ciò ha determinato l’assenza di contatti, scam-bi, confronti, immediati e diretti con altri soci, in grado disensibilizzare, informare, senza passaggi intermedi, sullepeculiarità associative, nonché di portare avanti localmentele finalità statutarie.L’interesse specifico, sin dai primi momenti della forma-zione didattica, per gli aspetti più prettamente conoscitivie riflessivi intorno alle tematiche della pedagogia musicaleha però giocato il ruolo più decisivo nel mio legame origi-nario con la SIEM tramite la sua “manifestazione” cartacea.Durante il periodo degli studi alla Scuola di Didattica dellamusica e i contemporanei primi passi lavorativi nell’ambi-to educativo-musicale, “Musica Domani” ha infatti avutoun ruolo essenziale per la mia maturazione. Quella rivistadalla copertina dai diversi colori sgargianti è stata la prin-cipale finestra su una realtà manifesta e variegata, per mealtrimenti limitatamente visibile e monocroma: quella deldibattito italiano ricco, costante, polifonico attorno agliambiti dell’educazione musicale. La possibilità di conosce-re, approfondire, ripensare non solo le favorite tematicheteoriche (di pedagogia musicale e generale, politica edu-cativa, didattica disciplinare ecc.), ma anche le autorevoliprospettive di ricerca, le innovative strategie operative e leaccurate documentazioni esperienziali, passava ogni tremesi da quelle pagine. Ciascuna uscita, ma anche ogni piùvecchia annata consultata, magari in biblioteca, si presen-tava come una risorsa insostituibile.Ovviamente in simbiosi con la rivista, con il medesimo ruo-lo e rilievo, nonché la medesima connotazione identitariacon l’Associazione, si sono sempre poste, nella mia ottica,anche tutte le altre pubblicazioni curate dalla SIEM, susse-guitesi negli anni con differenti collane e denominazioni:

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44 preziosi strumenti, monografici o miscellanei, che hannoconsentito di approfondire, allargare e arricchire gli interes-si e i bisogni sollecitati dagli studi o dai contesti lavorativi.Passato quasi un decennio, il mio rapporto con l’Associazio-ne viene quindi ad arricchirsi di più consapevoli connotazionie di relazioni più consistenti, articolate e, soprattutto, parte-cipate, anche in funzione di un differente percorso profes-sionale intrapreso come docente di Pedagogia musicale perDidattica della Musica. Altre attività e apporti SIEM si intrec-ciano e contribuiscono saldamente alla realizzazione di unaconsapevolezza più ampia e critica del mio habitus profes-sionale. Essi spaziano, solo per citarne alcuni e non fareassolutamente un elenco esaustivo, su diversi fronti: dal ruoloimprescindibile e sostanziale svolto in merito all’elabora-zione e al varo di percorsi di formazione degli insegnanti divalenza europea, allo scambio puntualmente critico con ireferenti istituzionali sul ruolo della “musica” nei differentiordini scolastici (anche a contrappunto delle proposte di ri-forma periodicamente ammannite); dal coordinamento conle altre associazioni disciplinari della scuola, alla promozio-ne del Forum per l’Educazione musicale; dal confronto pe-riodico su specifiche tematiche offerto dai convegni nazio-nali annuali, a quello straordinario (e indelebile) del 28°Congresso dell’ISME (ospitato l’anno scorso a Bologna e or-ganizzato congiuntamente alla SIEM).Rimane però il leitmotiv del rapporto privilegiato conl’editoria su cui vorrei soffermarmi ancora portando avan-ti la mia personale riflessione. Questo non per mettere insecondo piano tutti gli altri contributi e scambi con l’Asso-ciazione, ciascuno di assoluto rilievo, ma per dare testimo-nianza di una ininterrotta (e personalissima) “storia di car-ta”. Attualmente questo motivo conduttore emerge tangi-bilmente, non solo nelle diverse forme di collaborazionecon questa rivista, ma forse ancor più sentitamente nel-l’attività professionale di formazione degli insegnanti neipercorsi accademici presenti nei conservatori (prima nellaScuola di Didattica della Musica, ora nel Biennio per laformazione dei docenti di Educazione musicale e Strumentoe nel Triennio sperimentale di Didattica della Musica). Av-viene così che quelle che in origine erano esclusivamenteuno strumento di formazione individuale, pur rimanendosempre e imprescindibilmente tali, divengono anche unprezioso “strumento di lavoro” condiviso.Infatti i costanti e crescenti progetti editoriali dell’Associa-zione (originariamente in collaborazione con Ricordi, at-tualmente, secondo una più diversificata valorizzazionedegli ambiti, con EDT, Carisch e Carocci) permettono di averea disposizione una sempre più ricca varietà di strumentiper la formazione delle poliedriche conoscenze e compe-tenze sia dell’insegnante di Musica e di Strumento dellascuola secondaria, sia del più “fluido” profilo dell’operato-re musicale, nonché della figura essenziale dell’insegnan-te-ricercatore. Sempre in costruttivo confronto con le piùaccreditate prospettive pedagogiche e aperte a rilevanticontributi internazionali, le pubblicazioni offrono, come èmanifesto, un quadro ricco e diversificato della realtà di-dattica musicale contemporanea, ponendosi nel panoramaitaliano come un imprescindibile punto di riferimento.

Proprio questa che identifico come una “cristallizzazionecartacea” della complessa attività della SIEM, è presente co-stantemente nei corsi, nei laboratori, nelle discussioni enel confronto con e fra gli insegnanti con cui entro inrelazione. Essa non consente solo, e più immediatamente,di proporre materiali per la costruzione di solide compe-tenze (legate al «sapere, al saper fare e al saper far fare»)ma facilita, in una prospettiva più avanzata, l’elaborazio-ne di un sapere critico sul “fare” didattico. Infatti i diversiscritti, rispecchiando in essenza la filosofia dell’Associa-zione – aperta proprio alla valorizzazione della pluralità –,non si fanno complessivamente portatori di una unica pro-spettiva, monolitica e conclusa, sull’educazione musicaleo su suoi specifici aspetti; essi accolgono invece le diverseposizioni stimolando nel lettore confronti, scelte, conta-minazioni e ibridazioni.Tali contributi, utilizzati in modo dialogico, consentonoquindi di sollecitare nell’insegnante in formazione pro-prio un approccio problematico ai diversi saperi intornoall’agire educativo, costruendo una forma mentis non allaricerca di soluzioni eteronome, ma in grado di risolvereautonomamente problemi. Infatti dal confronto dei di-versi contributi, succedutisi nel tempo, ma anche con-temporanei, non emergono soluzioni univoche e assolu-te, ma strumenti per la formazione di un pensiero e di unagire critico e riflessivo. Ne è un emblema proprio la se-zione della rivista che ci ospita: in essa le diverse espe-rienze si intrecciano non per presentare un quadro unita-rio, ma per diffrangere una realtà ben più complessa diquella apparente.Ma le pubblicazioni, nel loro complesso, hanno anche unaltro valore formativo critico. Proprio con la loro efficaciadocumentativa, consentono infatti di offrire una prospet-tiva storica sul fieri dell’educazione musicale in Italia. Undivenire in cui come ben sappiamo la SIEM ha avuto, e ha,un ruolo essenziale, per non dire “unico”. Una prospettivaaffascinante che fa scoprire come la stimolante realtà at-tuale, orgogliosamente non inferiore in quanto a riflessio-ne teorica e innovazione didattica a quella di tanti altripaesi considerati di riferimento nel panorama internazio-nale, abbia delle radici solide e inconfutabili in contributidi quasi venti anni fa, contributi che rimangono a tutt’og-gi di eloquente attualità. Da tale sguardo “storico”, emergeproprio una delle caratteristiche peculiari del quarantennalelavoro della SIEM, cifra distintiva anche per la formazionedi un insegnante: l’educazione musicale (con i suoi fonda-menti, strategie e pratiche) non è un “essere” ma un fluen-te “divenire”. Essa non è data ma si costruisce con un per-corso condiviso e partecipato.Questa è un po’ la mia “storia di carta” con e attorno allaSIEM; una storia relativamente breve ma che ha sempre vi-sto e ritrovato nei progetti editoriali lo specchio della con-sistenza e dell’incidenza dell’Associazione nella storia del-l’educazione musicale italiana. Essi non possono che esse-re una risorsa permanente, consistente e poliedrica per unodei fini statutari: «la formazione e l’aggiornamento comestrumenti per lo sviluppo e la valorizzazione delle profes-sionalità afferenti all’ambito musicale».

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45A m’arcord... dedicato alla SIEMdi Antonella Moretti

Era il 1988. All’estate di quell’anno risale la partecipa-zione al mio primo corso di aggiornamento organizzatodalla SIEM con annessa adesione associativa. Ero da pocodiplomata in pianoforte, insegnavo in ambiti diversi (Stru-mento in una scuola di musica privata, Educazione musi-cale, saltuariamente, nelle scuole medie, “Animazione so-nora”, così veniva chiamata, in una scuola elementarepubblica in cui gli alunni potevano scegliere tra varieopzioni) e avevo fame di idee, esperienze, confronti, con-sigli strategici. La preparazione di cui ero equipaggiata, eche continuavo a perfezionare, era buona dal punto divista strettamente musicale e interpretativo, ma non erasufficiente per tradurre in attività adatte, interessanti edefficaci pedagogicamente quei contenuti che volevo edovevo trasmettere ai bambini e ai ragazzi con cui mitrovavo a lavorare.Da allora la SIEM, con i suoi Quaderni, le sue riviste e, inparticolare, i suoi corsi, è sempre stata una bussola perorientarmi nella didattica, mi ha permesso di sperimentaremetodi differenti e di forgiare un mio stile personale, sin-tesi della varietà e dell’interdisciplinarietà che andavo sco-prendo. Soprattutto, mi ha aiutata a mediare tra un sapereinizialmente solo artistico, difficile da trasmettere, e la real-tà quasi sempre nuda e cruda dell’educazione musicale dibase, “popolare”, rivolta ad allievi privi di soggezione edisposti a farsi coinvolgere solo da proposte accattivanti efunzionali al loro apprendere immediato.Grazie ai ripetuti contatti con docenti straordinari, esperti,pieni di entusiasmo e inventiva, ho potuto apprezzare l’ir-rinunciabile lato creativo dell’insegnamento, non meratrasmissione di sapere, ma ricerca continua di spunti nuo-vi, di possibili chiavi di lettura e metodi non ripetitivi, tal-volta anticonvenzionali, per condurre gli allievi “dentro”la musica, alla scoperta dei suoi segreti.E le riflessioni anche teoriche, i resoconti di proposte di-dattiche che leggevo nelle diverse pubblicazioni, mi hannoaiutato a elaborare progetti a tema, a programmare concognizione di causa le lezioni e a verificare a posteriori laloro riuscita, analizzandone i singoli passaggi in rapportoal contesto in cui venivano realizzati. Tutte cose scontateper chi è già esperto, mentre, per chi è alle prime armi, sitratta di elementi ostici, spesso avvertiti come noiosi pe-daggi per accedere a determinati incarichi; solo col tempo,concorreranno a conseguire in modo consapevole una piùcompiuta e duttile forma mentis.Attraverso i Quaderni e “Musica Domani”, attraverso i corsi,i convegni e i seminari, la SIEM ha avuto il merito di avviareuna riflessione di carattere scientifico sulle premesse metodo-logiche dell’Educazione musicale e di aprire le porte dellapedagogia musicale italiana a tutte le tradizioni didattichenate e sviluppatesi all’estero, mettendo i soci nelle condizio-ni di conoscere anche attraverso la pratica diretta – ben piùutile in certi casi della lettura di qualunque trattato per quantoben scritto – sia le scuole classiche, come l’Orff-Schulwerk e

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46 il Dalcroze, per citare due tra le mie migliori esperienze, siaquelle più moderne e sperimentali.In più di vent’anni, nel panorama scolastico e culturaledel nostro Paese sono cambiate tante cose, in positivo ein negativo. La prospettiva da cui ho osservato e osservoquesti mutamenti è soprattutto personale e basata sul miolavoro, che è rimasto lo stesso: ancora insegnante di Pia-noforte, ancora, saltuariamente, docente nelle scuole se-condarie di primo e secondo grado e specialista negli or-dini inferiori.L’Educazione musicale si è inserita più o meno stabilmentenelle scuole dell’infanzia, in quelle primarie e, ultimamen-te, anche in molti nidi, tramite progetti affidati a collabo-ratori esterni, ma anche grazie a insegnanti e educatoriche, mettendosi in gioco, si aggiornano per rendere com-pleta l’offerta formativa dei loro Istituti. Agli uni e aglialtri, la SIEM offre da sempre numerose occasioni di appro-fondimento metodologico, che hanno permesso, nel corsodel tempo, una graduale e costante evoluzione dei conte-nuti e delle modalità propositive, determinanti per far amarela musica ai bambini e ai ragazzi.Eppure, c’è ancora molto da fare. Nelle scuole secondariedi secondo grado, per esempio, la materia Musica è pre-sente solo in certi indirizzi, e in alcuni casi è proposta inalternativa ad Arte.Le risorse a disposizione delle scuole sono sempre di meno,sia per sostenere l’aggiornamento in itinere del personaleinterno, sia per gli specialisti esterni.È innegabile la differenza di preparazione tra chi ha unaformazione professionale e chi, pur animato da grandepassione, ha dovuto aggiungere un tassello in più alle pro-prie competenze, senza avere una regolare dimestichezzacon le specificità anche tecniche dell’espressione musicale.D’altra parte lo specialista, più disinvolto nella proposta epiù padrone dei contenuti, è spesso privo di una visioneglobale delle implicazioni pedagogiche, metodologiche epsicologiche del rapportarsi a gruppi numerosi come le classio i laboratori scolastici.Occorrerebbe una maggiore e meglio diffusa educazionegarantita a tutti sin dalla prima infanzia, protratta senzainterruzioni nei passaggi da un ciclo di studi all’altro, perfar sì che i futuri docenti possano avere una discreta pre-parazione generale eventualmente da “rinverdire” e per-fezionare all’occorrenza.E servirebbe una diversa cultura dell’insegnamento, chenon metta mai in secondo piano la pratica vocale, stru-mentale, auditiva e motoria.Anche in ambito extra-scolastico sono avvenuti grandicambiamenti.È aumentato considerevolmente, tra le persone di ognietà, il desiderio di accostarsi alla musica in modo ama-toriale, attraverso lo studio di uno strumento o la parte-cipazione a un’attività corale. Si tratta di un’esigenza sem-pre più diffusa che ha aperto nuove e interessanti pro-spettive didattiche. Sono sorte diverse realtà private, maanche e soprattutto associative e cooperative che pro-muovono corsi rivolti a chi desidera imparare e appro-fondire le proprie conoscenze e ampliare la propria cul-

tura: a tutte queste persone, mosse da un interesse spon-taneo e genuino e non da motivazioni scolastiche o daobiettivi professionali, bisogna che l’insegnante dia ciòche chiedono, allargando, nel contempo e con delicatez-za, i loro orizzonti. In tali contesti, suonare uno strumen-to non è mai un fine (anche se, in alcuni casi, lo puòdiventare in seconda battuta), ma solo un mezzo che per-mette di comprendere attivamente la grammatica e la sin-tassi musicali, di addentrarsi nelle eventuali problematicheinterpretative o improvvisative e di orientarsi con sempremaggior destrezza nell’ascolto.I professionisti che operano in questi istituti hanno grandiresponsabilità: non tanto formare dei futuri concertisti, masenz’altro preparare degli ascoltatori più consapevoli, cu-riosi, senza pregiudizi, in grado di gustare brani, opere,concerti di generi e stili differenti, e, andando un po’controcorrente rispetto al culto solistico tipicamente ita-liano, valorizzare le pratiche musicali d’assieme, che al-l’estero sono molto più consolidate e permettono di coin-volgere allievi di varie età e abilità in esperienze e reperto-ri interessanti, forieri di grandi soddisfazioni.

Confidando nei giovaniAuspico, insieme ai soci della mia sezione novarese con iquali, a riguardo, è sempre aperto un dibattito serrato ecostruttivo, che la SIEM si rivolga sempre più a operatoriimpegnati in tali situazioni di frontiera, permettendo allenuove leve di acquisire la stessa preparazione agile e ver-satile che ha fatto scoprire a noi, nel corso degli anni, labellezza peculiare dell’insegnamento e che tuttora ci forni-sce l’entusiasmo creativo per reinventare approcci sempreoriginali all’arte musicale.Tra le nuove sfide che la SIEM dovrà affrontare (e che, anzi,sta già affrontando, in vista del prossimo Convegno Na-zionale) ci sono tutti gli effetti collaterali della vastissi-ma diffusione della musica e della sua globalizzazione.Attualmente, percepisco questi cambiamenti quasi solocome aspetti negativi e, tuttavia, non posso fare a meno disentirmi interrogata e provocata a interagire con essi. Sidovranno cercare altre mediazioni e nuove strade perchéla pedagogia non si adegui a logiche di puro mercato econtinui a essere propositiva e stimolante verso i giovani ei giovanissimi.Viviamo in tempi bui: sembra che le prospettive siano sem-pre di meno e che anche l’adesione a un’associazione comela SIEM non sia più considerata così interessante.Sarebbe bello se i musicisti capissero che, attraverso la dif-fusione del sapere e della pratica anche amatoriale dellamusica, le sale da concerto potrebbero riempirsi ancora.Sarebbe bello se i giovani studenti dei conservatori e delleuniversità diventassero protagonisti di una rinascita musi-cale, in senso artistico e didattico.Sarebbe bello che la SIEM riuscisse a sollecitarli e a essere,specialmente per loro alle prime armi, un punto di riferi-mento, uno spazio di partecipazione reale e aperto, un va-lido interlocutore con cui avviare molteplici dialoghi, di-sinteressati e costruttivi.Sarebbe bello poter cedere a loro il testimone.

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liLibri come partitureArianna Sedioli

«C’era un gran silenzio. Mentre ascol-tavo la brezza… sentii un fremito diaquiloni».L’artista Andy Goodman, nel suo librodedicato ai rumori quotidiani 1, attra-verso parole delicate, illustrazioni lievie colori ariosi, ci sussurra leggere sfu-mature sonore.Nelle prime pagine ci accolgono unapiuma e una farfalla, figure sospese cheanticipano l’impalpabile trama uditiva.Poi un albero frondoso e mite dal qua-le scende un’altalena, e sull’altalenauna bambina che dondola beatamente,assorta nell’assaporare le magie delvento. Si susseguono immagini garba-te che tratteggiano, su un fondo sem-pre ampiamente bianco, fruscii, ronziie gocciolii: giocosi palloncini, acroba-tici aquiloni, un’ape indaffarata fra fioriche sembrano batuffoli, un rubinettoche perde gocce che sanno di nuvole.Possiamo ascoltare un’ouverture soffi-ce, rarefatta, appena bisbigliata, sem-pre irregolare. Improvviso, il ticchettiometallico di un orologio si fa esordiodi un episodio musicale ritmico e in-calzante: si susseguono e si sovrap-pongono rumori, voci e versi di perso-naggi chiassosi che si fanno, via via,sempre più ingombranti: il postino chebatte alla porta, il cane che ringhia, ilgatto che corre sulla tastiera di un pia-noforte, Sara che si sveglia e piange,Alice che comincia a cantare, Pietro chesi mette a fischiare. Questo crescendofrenetico si conclude con l’assolo di unasbuffante tuba: è Vittorio, al quale èvenuta voglia di soffiare. Il finale, sem-pre più tumultuoso, è sorprendente-mente onirico, perché l’autore affiancaa situazioni reali e quotidiane eventiesotici e improbabili, annullando ognidistanza spazio-temporale. Così, rim-bomba un incredibile fuggi fuggi dielefanti, sfreccia un treno a vapore eun cannone, dal sapore cinquecente-sco, spara assordanti boati. Infine, achiudere il sipario, arriva l’esplosionestraripante di un vulcano.Nell’ultima pagina, graficamente iden-tica alla prima, riappare la bambina

sull’altalena che dice: «Devo aver so-gnato!». E ritornano il silenzio e la leg-gerezza e, forse, un altro episodio avràinizio.Le illustrazioni eleganti ed essenzialidi Goodman descrivono eventi sonoriche compongono una partitura straor-dinaria, da offrire ai bambini per infi-nite possibili interpretazioni.Con le timbriche della voce, degli og-getti, degli strumenti musicali, dellacarta, dei materiali naturali si creanopoetiche corrispondenze, ma è interes-sante mettere in gioco anche effetti re-gistrati, da lavorare elettronicamente.Si realizzano montaggi di immagini esuoni, affiancando all’uso del compu-ter proiettori per diapositive, lavagneluminose e registratori a nastro, misce-lando creativamente tecnologie vecchiee nuove.“Traduciamo” questo libro-partituraanche con segni grafici, gesti e movi-menti, ma soprattutto inventiamo al-tre sequenze e altri paesaggi uditivi, apartire dall’ascolto della sezione, delgiardino, della casa. I bambini propon-gono di usare anche sonorità più per-sonali, come i rumori che hanno in-contrato al supermercato o quelli checaratterizzano il campo da calcio, lemusiche dei loro giocattoli o quelle diuno spettacolo circense. Non mancanomai anche sonorità che hanno cono-sciuto attraverso la visione di film ecartoni animati o altre puramente fan-tastiche. Prepariamo per loro dei libricon pagine completamente bianche daillustrare con disegni, cartoline, foto-grafie, collage di carta, stoffe e ritagli

di giornale: il colore bianco rappresentalo sfondo silenzioso sul quale i bambi-ni compongono i loro racconti sonori,sempre in bilico fra realtà e immagi-nazione.Un altro libro prezioso e straordinaria-mente poetico, capace di evocare me-lodie sommesse e fragili, è A cloud (Unanuvola) dell’artista Katsumi Komagata 2.Le pagine sono di un bianco assoluto ele nuvole, ottenute con prodigiosi rita-gli, nascono, muoiono, si rincorrono,cambiano forma, si incontrano fino adiventare tutt’uno. L’autore ha voluto“racchiuderle” nelle pagine, «per ritro-varle anche quando ci si dimentica diguardare il cielo».Le loro forme cangianti, eternamentemutevoli, possono essere lette comesegni di nuovi alfabeti musicali, affa-scinanti e misteriosi.Come suona una nuvola che portata dalvento, piano piano, cambia forma? Coni bambini cerchiamo il colore sonoroper la sua trasparenza lattea, per la suainsondabile consistenza.Si esplorano spontaneamente superficie materiali chiari, a volte argentei.Qualcuno propone di utilizzare l’acquasaponata. Ma ogni cosa provoca unasonorità che è sempre troppo pesante,troppo evidente. E si cerca ancora…I misteri dell’aria e del cielo affascina-no i bambini come gli adulti, da sem-pre, e il libro/opera di Komagata è me-tafora di tali misteri. I bambini lo os-servano silenziosamente, con una cu-riosità che a tratti si vela di timore, omeglio, di rispetto. È così delicato chesi ha quasi paura di romperlo, di spor-carlo. Le pagine sono veramente comele nuvole, tenere e leggere come unsoffio.La nostra partitura prende forma: unapartitura per aria soffiata.

1 ANDY GOODMAN, C’era un gran silenzio,Corraini Edizioni, Mantova 2008.

2 KATSUMI KOMAGATA, A cloud, One Stroke,Tokyo 2007. La frase citata è stata tra-dotta da Ludovica Guerra.

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48 L’arte di educarein musicadi Elita Maule

GASTONE ZOTTO, Grandi artisti dell’insegnamento musicale,a cura di Linda Magaraggia, Edizioni Armelin Musica, Pa-dova 2008, pp. 138, † 16,50.

I musicisti sanno chi è Guido d’Arezzo se non altro per-ché, nel clima nazionalistico del 1930 in cui sono statiredatti i programmi ancora parzialmente in auge del Con-servatorio (cfr. GIORGIO COLARIZI, L’insegnamento della mu-sica in Italia, Armando, Roma 1971), il monaco didatta,in quanto italiano, si è visto assegnare una delle fatidiche“tesine” da sorteggiare nell’esame obbligatorio di Storiaed Estetica musicale. Si sa che Guido, per ragioni educative,ha dato il nome alle note che ancora usiamo e questo, inuna cultura musicale fondata sul testo scritto come quel-la occidentale, non poteva essere un fattore trascuratodalla storiografia.Sempre per dovizia storiografica si può trovare qualcheriga di complemento sull’attività didattica di Carl Orff, l’au-tore dei più moderni Carmina Burana, nei testi storici diimpostazione biografica e nelle enciclopedie musicali.In sostanza, la storia musicale ha sempre quasi del tuttoescluso dal suo campo di interesse sia l’educazione musi-cale, sia le figure che l’hanno promossa, nella convinzio-ne che l’arte dei suoni si concretizzi esclusivamente nellaproduzione di opere o, al massimo, nei trattati utili a spie-garle.A questa limitante prospettiva cerca di dare un risposta con-vincente il testo di Gastone Zotto che si propone sì, di «of-frire a tutti coloro che si interessano del primo insegnamen-to della musica una sintetica scheda informativa sulle prin-cipali Metodologie di Educazione musicale di base storica-mente affermatesi finora in Italia e all’Estero» (p. 1), ma an-che di «convincere il grande mondo della competenza pro-fessionale in musica, come i compositori, gli esecutori, imusicologi, ecc., che dedicarsi ai problemi dell’Insegnamentomusicale di base è compito altissimo, nobilissimo e diffici-lissimo non solo dal punto di vista ampiamente culturale,ma anche da quello rigorosamente artistico» (p. 1).In quanto previsti dai programmi dei concorsi a cattedre,sin dai primi anni Ottanta del secolo scorso “i metodi stori-ci” sono entrati, perlopiù in forma di succinti compendi, neitesti destinati alla formazione dei docenti di educazione

musicale nelle scuole secondarie di primo e di secondo gra-do (cfr. per esempio FRANCA FERRARI - MAURIZIO SPACCAZOCCHI,Guida all’esame di educazione musicale, La Scuola, Bre-scia 1985; GINO VIANELLO, Elementi di Pedagogia e Didatticadella educazione musicale, Zanibon, Padova 1983; Inse-gnare musica. Guida all’aggiornamento dei docenti e allescuole di specializzazione per insegnanti di scuola secon-daria, Esselibri, Napoli 1999). Questo fatto ha senz’altro con-tribuito a far conoscere alcune grandi figure di educatoricome Dalcroze, Willems, Kodály, Orff, ad animare una certaricerca e a sollecitare la pubblicazione italiana di determi-nate preziose opere (pensiamo, ad esempio, all’edizione ita-liana dell’Orff-Schulwerk di Giovanni Piazza pubblicata nel1979 da Suvini Zerboni e ancora riedita).Non altrettanta attenzione è stata però riservata all’altroimportante settore educativo musicale, quello destinato prin-cipalmente ai bambini in età della scuola dell’infanzia e pri-maria che ha visto fiorire, nei primi decenni del Novecento,la stagione dell’educazione alla sensorialità e dell’attivismoeducativo applicato anche al mondo dei suoni e della musi-ca. Le sorelle Agazzi e Maria Montessori, ben note al settorepedagogico generale che, nel corso del tempo, ha provvedu-to a mantenerne vivo e ad aggiornarne il contributo edu-cativo, sono state quasi del tutto ignorate sotto l’aspettodidattico musicale; altrettanto si può dire di Laura Bassi o diJustine Ward, delle quali spesso si ignora persino il nome.Il testo di Zotto rimedia anche a questo deficit: pur tra-scurando alcuni illustri didatti come Roberto Goitre oMaurice Martenot, le cinque grandi educatrici vi trova-no però degna considerazione e ciò a vantaggio anchedelle insegnanti di scuola dell’infanzia le quali, in gene-re, ignorano che nell’educazione alla sensorialità di mon-tessoriana e agazziana memoria è compresa pure quelladell’udito.Nel volume, i grandi artisti dell’insegnamento musicale ven-gono trattati mediante nutrite schede che riassumono il loropensiero e il loro operato in modo semplice e informativo,adatto alle caratteristiche di quello che intende essere unsussidio didattico rivolto anche ai non specialisti.Di grande utilità e completezza risulta la bibliografia pri-maria e secondaria che accompagna ogni scheda e che com-prende sia le edizioni in lingua originale e in italiano delleopere didattiche di ciascun autore, sia i testi e i saggi ita-liani e stranieri sull’argomento: questo facilita, a tutti gliinteressati, l’avvio di ulteriori ricerche di approfondimen-to. «Sempre in sede bibliografica, vi si aggiungono – spes-so in breve, parziale e separata elencazione – le pubblica-zioni firmate dai principali collaboratori o discepoli deifondatori di ‘Metodo’, almeno di quelli che, a nostro pare-re, meglio ne hanno assunto ed assimilato l’eredità cultu-rale e morale […]. Per farne comprendere l’evolversi sem-pre più significativo, anche se talora tortuoso e difficile, inmolti casi, si è preferito aggiungere una sorta di storia edi-toriale dell’opera in citazione » (p. 2).Ed è proprio su questa nutrita bibliografia che contiamoaffinché qualche volonteroso ricercatore prenda a cuoreun’indagine che, soprattutto per quanto riguarda la più tra-scurata educazione musicale dei piccolissimi, porti non soloa rivalutare l’operato di educatori ed educatrici del passatoriconoscendone i meriti artistici e professionali, ma che, attra-verso un aggiornamento metodologico, ne riconosca ancoral’utilità nel presente.

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49La pratica musicalenella scuola italianadi Annalisa Spadolini

Studi e documenti degli Annali della Pubblica Istruzione n.123: Musica e scuola rapporto 2008, a cura di GemmaFiocchetta, Trimestrale del Ministero dell’Istruzione, dell’Uni-versità e della Ricerca, Le Monnier, Firenze 2009, pp. 193.

Il volume curato da Gemma Fiocchetta presenta e com-menta i dati di una indagine-ricerca nazionale avviata nellaprimavera del 2007 ed elaborata, organizzata e coordinata,in tutte le sue fasi, dal MIUR-Direzione Generale per gliOrdinamenti Scolastici in collaborazione con la DirezioneGenerale Studi e Programmazione e in collegamento conle attività promosse dal Comitato Nazionale per l’Appren-dimento Pratico della Musica presieduto da Luigi Berlinguer.Il progetto di indagine nasce dalla necessità di conoscere,misurare ed evidenziare la presenza e il valore strategicodelle attività musicali nella scuola pubblica italiana, siaattraverso l’anagrafe dei soggetti coinvolti (studenti, do-centi e figure formative), degli spazi utilizzati e destinatialla musica, dell’organizzazione delle risorse (e della loro

gestione economica), dei tempi e luoghi dedicati alla for-mazione musicale, sia attraverso la definizione delle di-verse tipologie di attività formative.I dati presentati nel libro riguardano 8296 istituzioni sco-lastiche su 10.912, ovvero circa il 76% delle scuole pubbli-che italiane (dato nettamente superiore rispetto agli standarddi rilevazioni nazionali promosse dal MIUR).La pubblicazione presenta inoltre diversi saggi interpreta-tivi dei risultati dell’indagine, preceduti da una Presenta-zione di Luigi Berlinguer, che descrive la ricerca come uncontributo significativo per gli obiettivi del Comitato Na-zionale, da lui presieduto, finalizzato all’introduzione or-ganica della musica in ogni ordine di scuola.Sergio Scala, nel suo lavoro, presenta un breve excursuslegislativo sulla presenza della musica nella scuola e Gem-ma Fiocchetta, precisa e puntuale, illustra tutte le fasi delprogetto dalla sua ideazione alla realizzazione fino allalettura e interpretazione dei dati raccolti.I due contributi di Roberto Neulichedl interpretano i datidell’indagine negli aspetti che riguardano le attività prati-cate (quali, dove, quando), le attività collettive permanen-ti, i generi musicali scelti, le modalità di documentazione,gli spazi, le attrezzature, i sussidi e gli strumenti musicaliutilizzati, ovvero le condizioni del “far musica a scuola”.Negli interventi di Mario Piatti vengono analizzati i dati

SCHEDA

VINCENZO STERA

Il bambino / il gesto / il suonoFotografie di Walter BöhmComunicarte Edizioni, Trieste 2008pp. 96 con CD, ††††† 20,00

tenzione ai bisogni autentici del bambino e a interagire conlui sul piano emotivo e affettivo cogliendo alcuni dei tantistimoli offerti dal libro. All’educatore non si chiede di tra-smettere nozioni, bensì di creare le condizioni ottimali perfavorire la percezione, la scoperta, l’esplorazione dell’eventosonoro e corporeo attraverso il gioco.

Motivi di interesseLo sviluppo della musicalità nei primi anni di età si realizzain maniera determinante attraverso l’esperienza corporeo-espressiva. Nella fascia da zero a sei anni musica e movi-mento non sono da considerare discipline specialistiche, bensìlinguaggi per esprimere e comunicare; non si parla infatti diapprendimento e sviluppo di facoltà distinte, ma di crescitadella persona intesa nella sua globalità.Un percorso educativo comune per lo sviluppo della corporeitàe della musicalità rappresenta dunque una scelta pedagogi-ca appropriata. Per favorire la completezza e l’efficacia del-l’espressione e della comunicazione è sempre opportuno va-lorizzare la relazione tra i vari linguaggi – verbale, corporeo,musicale, iconico – affinché il bambino arricchisca le suerisorse espressive e il suo repertorio comunicativo.Pur nella difficoltà di riprodurre l’atmosfera viva fatta di emo-zioni e stati d’animo che si vivono durante i laboratori, la de-scrizione delle attività risulta molto efficace e coinvolgente.

Maddalena Patella

ArgomentoLa pubblicazione del libro giunge a completamento del pro-getto “Il bambino, il gesto, il suono”, promosso dalla Casadella Musica / Scuola di Musica 55 di Trieste.L’autore, esperto e docente di educazione motoria e di musi-ca per bambini, raccoglie una serie di proposte operative chepresentano un’imprescindibile relazione tra esperienza so-nora e movimento: giochi di esplorazione, di ascolto, di mo-vimento creativo ed espressivo che utilizzano la voce, il cor-po e semplici strumenti musicali spesso ricavati da oggetti diuso comune o disponibili in natura.Le attività, svolte nel corso di un lungo periodo di sperimen-tazione e corredate da un’accurata documentazione audio efotografica, suggeriscono spunti per la riflessione sui pre-supposti teorici alla base delle azioni descritte.

DestinatariIl libro si rivolge a genitori, educatori, insegnanti, musicisti ea tutti coloro che, a diverso titolo, si occupano della crescitae della formazione dei bambini da zero a sei anni.Le aree sonoro-musicale e motorio-espressiva entro cui sonocollocate le proposte rendono il libro particolarmente stimo-lante per chi si interessa di didattica sia nell’ambito musica-le, sia in quello della corporeità e del movimento.Al genitore non sono richieste particolari competenze, sol-tanto la disponibilità a coinvolgersi, a osservare, a porre at-

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DA NON PERDEREdi Alberto Odone

“Eufonía”, n. 46, aprile-maggio-giugno 2009

Scuola primaria, scuola media inferiore e superiore, scuoledi musica, conservatorio: qual è il repertorio musicale chevi si pratica? È questa la domanda che sta all’origine delnumero monografico di “Eufonía” (rivista spagnola pub-blicata dalle Edizioni Graó di Barcellona) intitolato “Qualemusica nella lezione di musica?”. A comporne gli inter-venti sono stati chiamati docenti di ogni grado, accomu-nati dall’intento di analizzare la situazione reale e imma-ginarne una più vicina alle loro idee e alle aspettative deiloro studenti. L’indagine, e questo è un primo elementodegno di nota, procede non solo attraverso la raccolta diesperienze e opinioni, ma riportando i risultati di progettidi ricerca svolti nel settore dagli stessi docenti, a testimo-nianza del fatto che, anche in ambito pedagogico musica-le, le decisioni formative possono e debbono prendere lemosse anche dall’indagine quantitativa scientificamentecondotta.Non risulta certo sorprendente la rilevazione sia del predo-minio del genere classico in ogni ordine della formazionemusicale, sia della distanza percepita tra il repertorio pra-ticato e il vissuto musicale e generale degli allievi. Daicontributi riportati provengono però indicazioni che van-no oltre il generico invito a un allargamento degli oriz-zonti culturali o a una maggiore aderenza alle aspettativedella popolazione scolastica.Il primo invito è a un approccio attivo, sia nella sceltadelle modalità di ascolto, sia attraverso la pratica del re-pertorio stesso. Quest’ultima, attraverso la musica d’insie-me, apre lo spazio alle modalità cooperative dell’apprendi-

mento. In generale, dagli interventi emerge la necessità dipraticare forme differenziate di apprendimento musicale,secondo una varietà di approcci che comprendano i profiliuditivo, imitativo, improvvisativo, compositivo ecc. Nonsi tratta semplicemente di includere nel repertorio altri ge-neri o epoche storiche, ma di agire sulla modalità stessacon la quale qualsiasi repertorio viene avvicinato, modali-tà spesso troppo dipendente dai tradizionali modelli esclu-sivamente centrati su notazione e lettura, oppure, all’op-posto, limitata alla superficie, aneddotica, passiva.È nel quadro di questo ripensamento degli stessi processifondamentali di insegnamento della musica che si colloca ilcontributo che la rivista dedica alla proposta metodologicadella “Music Learning Theory” di Edwin Gordon, propostasicuramente rilevante anche per la formazione musicale co-siddetta “professionale”. In una formazione musicale genui-na, la musica viene interiorizzata dal soggetto allo stessomodo di una lingua madre: egli è in grado di udirla interior-mente, ne comprende relazioni e processi, è capace diriutilizzarne con fluidità le strutture per esprimersi, sia at-traverso l’esecuzione che l’improvvisazione. Al centro di ciòsta il concetto gordoniano di audiation, insieme di percezio-ne organizzata e pensiero, senza la quale l’attività musicaleè sterile ripetizione di schemi esterni, e per l’acquisizionedella quale è necessario superare l’esclusività del rapportosegno-suono che segna profondamente la nostra didattica.Occorre invece ridare priorità alla percezione, rivalutandol’imitazione attiva, l’interazione con il dato sonoro, valoriz-zando tutto ciò che va nella direzione dell’acquisizione diabilità musicali come patrimonio di competenze profonda-mente e fattivamente possedute dal soggetto.

relativi agli alunni, ai docenti e alle figure organizzativecoinvolte, considerando i vari ordini e gradi di scuola nellediverse regioni italiane; sono quindi interpretati i dati re-lativi ai soggetti formatori sia in qualità di attori, sia difruitori di aggiornamento.Gemma Fiocchetta si sofferma in seguito sull’analisi deidati riguardanti le cooperazioni, i partenariati, tutte le for-me di collaborazione attuate dalle scuole; Rolando Meconisi riferisce invece alla gestione delle risorse economichederivanti da finanziamenti specifici.

Creativo e propositivo, il saggio di Stefano Quaglia forni-sce idee per una progettualità futura sulla base dello stori-co esistente. Andrea Turco, infine, spiega il contesto tecni-co della piattaforma informatica dell’indagine. È da rile-vare che proprio la flessibilità e l’immediatezza di tale piat-taforma informatica, offrendo a tutti i cittadini la possibi-lità di usufruire dei dati messi on line sul sito del Ministe-ro, rendono l’indagine un valido esempio di utilizzo demo-cratico delle nuove tecnologie.L’osservazione, la verifica, l’analisi e la valutazione degliesiti dell’indagine tengono conto con attenzione e moltacura delle variabili e delle interconnessioni fra gli ambitiindagati, dando un contributo rilevante all’individuazionedei punti di forza e delle criticità esistenti nel rapporto framusica ed educazione. Tali caratteristiche fanno sì che ilvolume si possa considerare un valido punto di partenzaper i ricercatori che intendono stabilire indicatori di quali-tà in ambito musicale da rilevare nel sistema educativopubblico.Dalla lettura del volume emergono quindi dati, notizie einterpretazioni di notevole portata culturale, resi nella lororicca dinamicità grazie anche al contributo di grafici mol-to eloquenti; viene così offerto nel complesso un quadroesauriente e ampio sulla presenza della pratica musicale

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51nelle scuole, evidenziando la varietà e la consistenza di unpatrimonio di risorse e di proposte educative. La realtà cheemerge è articolata, sincera, progettata e attuata in modoautonomo, una realtà della scuola pubblica dove le scelte ele organizzazioni, legate alla musica, creano consuetudinee stimolano alla libertà progettuale in risposta ai bisogniumani, culturali ed educativi dei diversi territori.

La musicalitàdel movimentodi Anna Maria Freschi

SUSANNE MARTINET, Esplorare il pensiero di Jaques-Dalcroze,Progetti Sonori, Mercatello sul Metauro 2008, pp. 87, †13,00

Poche tradizioni didattiche sono refrattarie alla comunica-zione verbale come quella dalcroziana, forse perché in essasi sommano le difficoltà di “traduzione verbale” delle duemodalità espressive su cui si fonda, e cioè quella corporeae quella musicale. Eppure il suo iniziatore - Émile Jaques-Dalcroze, appunto – ha pubblicato numerosi testi che trat-teggiano il suo pensiero con notevole efficacia, anche let-teraria. Di questi solo Le rythme, la musique e l’éducation,del 1920, è stato tradotto in italiano, una prima volta daHoepli nel 1925 e successivamente da ERI nel 1986, finoalla riedizione dello scorso anno nella collana EDT-SIEM, acura di Louisa Di Segni-Jaffé (cfr. la recensione apparsa su“Musica Domani”, n. 148, 2008) .Susanne Martinet si propone con questo volume di ampliarela conoscenza del pensiero di Dalcroze in Italia, traducendoe commentando passi tratti da Souvenirs, notes et critiquesdel 1942 e da La musique et nous del 1945. Ordina gli estrattiraggruppandoli in base a tre aspetti: le riflessioni personalidi Jaques-Dalcroze, le considerazioni sull’educazione mu-sicale e quelle sul movimento. Il punto di vista dell’autriceè esplicitamente centrato sull’ultimo aspetto, ma, da buo-na dalcroziana, il suo interesse non è rivolto al fenomenomotorio in se stesso: «…lo scopo di Jaques-Dalcroze erasoprattutto musicale. Anche il mio, ma in un altro modo,poiché io non tendo verso un’educazione ritmica, ma ver-so la musicalità del movimento» (p. 12). L’adesione dellaMartinet al pensiero di Dalcroze è profonda ma non acriti-ca: come testimoniato anche dal suo precedente testo Lamusica del corpo (Erickson, Gardolo (TN) 1992), essa

rielabora gli spunti presenti nel pensiero dalcroziano, inquesto caso intercalando alle citazioni brevi commenti chele collegano alla situazione didattica attuale e alla propriaricerca (cfr. la recensione apparsa su “Musica Domani”, n.90, 1994).La figura di Dalcroze che a poco a poco si delinea è affa-scinante: un intellettuale curioso e instancabilmente pro-iettato verso la ricerca musicale, coreografica e teatrale,che non teme di citare i propri insuccessi e al tempo stessosostiene in modo appassionato le idee-guida della sua azio-ne, ma anche un uomo dotato di profonda spiritualità e dilieve ironia, soprattutto quando irride i “vizi” di alcunididatti e musicisti del suo tempo: «Il musicista che inventadelle melodie quasi originali, armonie di facile apprezza-mento, secondo un piano che non necessiti da parte del-l’uditore di alcuna ricerca spirituale […], costui ha le piùgrandi possibilità di riuscita se ha dei buoni amici e saservirsi della loro amicizia, se non resiste mai alla tenta-zione di parlare delle sue opere e per essere eseguito nonretrocede dinanzi a un certo numero di manovre di com-piacenza» (p. 22). Ricorda anche a voi qualcuno acclamatodalle folle e convinto di essere “il nuovo Chopin”?Nelle citazioni ritroviamo, con varie sottolineature, i “filirossi” dell’approccio dalcroziano: la connessione fra senso-rialità, affettività e pensiero, fra ritmi mentali, musicali ecorporei: «Un ritmo non si esteriorizza che per realizzareuno stato interiore. Uno stato interiore ha bisogno di mo-vimento per manifestarsi interamente. La ritmica è l’arte diricercare e orientare i movimenti necessari e di sopprimeregli interventi inutili» (p. 23).A tale proposito Dalcroze intuisce la centralità di moltiaspetti che in tempi recenti sono stati confermati dalle ri-cerche neurologiche e psicologiche relative all’apprendi-mento musicale e strumentale. Ad esempio sottolinea a piùriprese come la “ritmicità” (o potremmo dire tout court lamusicalità?) di un’esecuzione o di un’improvvisazione con-sista nell’attivazione di un sistema di tipo sinergetico chevede l’interazione fra il concatenamento fluido dei movi-menti, le articolazioni fraseologiche (respiro-sospensioni,crusi-anacrusi, legato-staccato) e le sfumature dinamichee agogiche. Tale attivazione consente di collegare una fra-se con la successiva e le singole frasi con la struttura glo-bale: «la messa in atto di ciascuna delle parti dell’insiemeassicura l’ordinamento generale, e reciprocamente la valu-tazione esatta del ritmo generale assicura a ciascuna parteun ruolo definito» (p. 54).È questa la condizione che i principianti allo strumentofaticano a trovare, soprattutto di fronte a uno spartito,quando le dita o le braccia restano “agganciate” a una notamentre gli occhi anticipano la successiva, oppure gli occhinon si spostano abbastanza velocemente. È questo un com-pito cruciale del docente di strumento: «insegnare al brac-cio a decentrarsi in modo da spostarsi nel momento volutoe all’occhio a spostarsi liberamente e rapidamente nellospazio» (p. 54). È questo il motivo per cui l’approccio allostrumento dovrebbe essere preceduto e accompagnato daun lavoro sulla ritmicità generale, sia sul piano musicaleche corporeo, includendo fra l’altro la pratica dell’improv-visazione.Idee anticipatrici, dunque, quelle di Dalcroze, tanto attualiquanto inattuate, almeno fino a quando la comunicazioneverbale cederà il primato all’esperienza diretta del movi-mento musicale, muta ma più eloquente di tante parole.

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FRANCO VACCARONI, Musica, mente, simbolo. I processicognitivi del simbolismo musicale, Ars Europa Edizioni,Milano 2008, formato e-book in pdf, pp. 231, † 10,00.

La proficua interazione tra discipline umanistiche e scien-tifiche è il tratto caratteristico dell’e-book di Franco Vac-caroni. A riflesso della personale formazione musicale epsicologica, l’autore indaga sulle componenti intellettive,cognitive e affettive implicate nella costituzione del sim-bolismo musicale.Sulla scorta dei recenti tentativi di superamento delle rigi-de barriere tra discipline, innalzate a difesa della loro spe-cificità, Vaccaroni oscilla tra cognitivismo e psicoanalisialla ricerca dell’integrità e della totalità dell’uomo (anima,corpo e mente) nella percezione della musica. «I suoni as-sumono valenza simbolica»: in virtù di quale misteriosopotere? Questa è la domanda a cui l’autore si propone dirispondere nei quattordici capitoli del testo, che, sebbenesiano riuniti in tre sezioni distinte, si correlano e si chiari-scono reciprocamente.Nella prima sezione, di stampo prettamente teorico-specu-lativo, Vaccaroni definisce il campo d’indagine e le teorie diriferimento: Piaget, Gardner, McLuhan, Gibson, Olson,Goodman sono i padri putativi delle formulazioni atte a spie-gare l’intricato fenomeno della simbolicità musicale; MarcoDe Natale il “principio ispiratore”, rievocato più volte neltesto a conferma della volontà dell’autore di supportare con“prove scientifiche” le ipotesi avanzate dall’analista nel vo-lume del 1978 Strutture e forme della musica come processisimbolici. La spiegazione della natura simbolica della musi-ca passa attraverso la disamina di concetti quali pensiero,intelligenza, rappresentazione mentale, percetto, emozione,per poi approdare alla constatazione che «i suoni vengonodenotati secondo qualità di natura sensibile, affettiva, emo-tiva, dinamica, cinetica in virtù delle somiglianze che la menteinstaura fra le loro caratteristiche fisico-acustiche e stati dinatura percettiva già sperimentati in altri contesti» (p. 23).Nella percezione della musica e nel suo costituirsi con valenzasimbolica interviene dunque un processo di correlazioneanalogica. Inevitabile è il richiamo all’affermazione aspra-mente rinnegata dai formalisti: «la musica esprime emozio-ni». L’attivazione somatico-fisiologica (accelerazioni del bat-tito cardiaco, contrazioni muscolari ecc.) non è forse ilcorrelato corporeo delle emozioni, il movimento perturba-

tore che scandisce la differenza tra gioia, dolore ecc.? Mala gioia e il dolore si differenziano come tali per l’interventodi componenti cognitive (vedi Goodman) che ne precisano itratti!Il tema è particolarmente intricato, ma Vaccaroni conduceil lettore alla comprensione della reticolata riflessione conesemplificazioni puntuali e concrete.La seconda sezione è dedicata ai singoli costituenti musi-cali (ritmo, tonalità, melodia, metro) – dalla percezione allacognizione – e alla comprensione globale, con una prezio-sa sintesi degli studi di settore più accreditati, purtroppoferma alle pubblicazioni degli anni Ottanta. Il limite tem-porale della bibliografia citata (che caratterizza l’interovolume), solo in parte giustificabile per la derivazione dialcuni capitoli da scritti precedenti, lascia perplessi, datal’ampia ricerca degli ultimi vent’anni e le numerose occa-sioni di incontro internazionale in questo campo. Un esem-pio particolarmente pregnante è l’assenza di qualsiasi rife-rimento agli studi sulla gestualità, che avrebbero contri-buito alla delucidazione del ruolo del movimento – sia essoimmaginato o reale – nel processo di comunicazione mu-sicale e nel suo assumere tratti simbolici.La sezione si chiude con una visione d’insieme che specifi-ca ulteriormente la peculiarità della cognitività musicale,con un elenco delle operazioni intellettive coinvolte nelrapporto uomo-musica, il suo evolversi nel tempo in pro-gressione lineare e il suo carattere di attiva costruzione erielaborazione delle informazioni percettive anziché passi-va registrazione degli stimoli sonori.Se nel continuo fluttuare tra approccio sperimentale e ri-flessione filosofica delle prime due sezioni le ricadute dellescoperte sull’operare della mente in campo didattico eranouna costante, ma poste quasi a margine della trattazione,la valenza formativa della musica diventa fulcro della ter-za sezione. Affermato il dominio della cognitività tantosulla sfera emotiva e affettiva quanto sulla sfera conosciti-va e intellettiva (p. 203), l’esperienza musicale si presentacome canale privilegiato che consente un funzionamentounitario e integrato del Sé, capace di abbattere la dicotomiatra la componente razionale e quella emotiva. Affinché sirealizzi questo potere, precisa Vaccaroni, è necessariaun’educazione musicale che non si limiti alla sola cono-scenza delle componenti musicali a livello teorico o allamera pratica strumentale, ma che abbia come obiettivo laformazione di una lucida consapevolezza del funzionamen-to simbolico della musica. «L’adozione di procedure meto-dologiche-didattiche che investano la globalità delle abili-tà cognitive ed affettivo-sensibili coinvolte nel mediummusicale» (p. 182), ossia prassi didattiche fondate sullapartecipazione gestuale-corporea e ideativo-creativa sonostrumenti idonei al perseguimento di tale obiettivo. Sug-gerimenti concreti in questa direzione vengono dallemetodologie didattiche del Novecento (Orff, Dalcroze,Willems, Bassi, Goitre, Bianchi) nelle quali l’autore rin-traccia geniali intuizioni che anticipano le scoperte scien-tifiche a venire.Il cammino intrapreso da Vaccaroni non approda ad as-serzioni definitive, non si configura come un prontuario,bensì invita il lettore a penetrare in profondità nel vissutomusicale per una comprensione totale del ruolo dell’artedei suoni nella vita personale e della sua valenza formativa.

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ROBERTO PIUMINI - CLAUDIO COMINI

Le fiabe del Jazz- Thelonious Monk. Il lampione preferito di mister Voodoo- Duke Ellington. Il giro di Eddy- John Coltrane. Il treno per ParadiseIllustrazioni di Fabio MagnasciuttiCurci, Palermo 2008pp. 32, con CD, ††††† 14,90

Motivi di interesseLe storie sono ben costruite e riescono a mettere in luce unacaratteristica musicale del jazzista o un tratto della sua per-sonalità.Troviamo quindi i «suoni storti», che «formano spigoli»,«intermittenti», suggeriti dall’ombra del lampione per far fron-te ai soprusi dei ragazzi più forti. Oppure la musica del sas-sofono di John che permette a lui e a tutti i passeggeri disalire sul treno per Paradise. O, ancora, la musica che permagia viene suonata e cantata sul carro di Eddy, che inducetutti a ballare e mette «allegria nelle gambe e nel pensiero».L’intreccio tra musica e parola è costruito in modo interes-sante e anche il CD risulta quindi di piacevole ascolto.Le spiegazioni didattiche di tipo storico e musicale sono chiareed efficaci, grazie a un linguaggio non pedante, semplice mamai banale, e grazie all’ausilio degli ascolti sul CD.In un panorama – purtroppo desolante – di molti libri di te-sto scolastici che ancora spiegano le note blues come dovutealla incapacità degli afroamericani di intonare bene, questilibri spiccano per l’intelligenza e la competenza con cui trat-tano l’argomento, e per la passione per la musica jazz chelasciano trasparire.

Mariateresa Lietti

ArgomentoOgni libretto presenta un racconto originale che vede comeprotagonista un grande jazzista.Il CD contiene la fiaba, letta da Roberto Piumini, di cui fannoparte integrante brani del musicista preso in esame, rielaboratida Corrado Guarino.L’ultima parte del libro propone notizie e curiosità sull’arti-sta e una serie di note didattiche (abbinate ad ascolti sul CD)su argomenti specifici legati alla musica jazz quali ad esem-pio: Il ritmo nel jazz, La pulsazione, Dissonanze, L’improvvi-sazione sul giro armonico ecc.Il tutto è arricchito da immagini interessanti, che ben si “in-tonano” all’argomento.

DestinatariLa proposta editoriale (che speriamo veda presto altre usci-te) è rivolta a bambini e bambine dai sette anni in su, per farconoscere i grandi artisti della musica jazz. I libri si prestanoa essere utilizzati nella scuola primaria e secondaria di pri-mo grado, ma possono essere utilizzati anche da bambini ebambine autonomamente. Sono comunque affascinanti edivertenti anche per adulti che mantengono la voglia di gio-care e di scoprire cose nuove.

Comprenderele relazioni armonichedi Marco Rapetti

EDWARD ALDWELL - CARL SCHACHTER, Armonia e condotta dellevoci, a cura di Giorgio Sanguinetti, Fogli Volanti Edizioni,Roma 2008, 2 volumi, pp. 680, † 44,00 (vol. I), † 40,00(vol. II).

Si deve alla coraggiosa e mai abbastanza encomiabile ini-ziativa della Fogli Volanti Edizioni la traduzione e la pub-blicazione di quello che negli Stati Uniti è ormai conside-rato il miglior manuale di armonia uscito in America daitempi di Rameau. Definire il testo di Aldwell e Schachter(apparso per la prima volta nel 1979) un semplice ma-nuale di armonia è piuttosto riduttivo: esso si propone,infatti, come «un corso completo di armonia, centrato sullamusica del XVIII e del XIX secolo. Nello stesso tempopone l’accento, oltre che sugli aspetti armonici, anche sugliaspetti lineari della musica, esaminando le relazioni tralinea e linea e tra linea e accordo con la stessa attenzioneriservata alle relazioni tra gli accordi. Sin dal principio è

introdotto lo studio di successioni di larga scala, sia ar-moniche che lineari, per fare in modo che gli studentisiano in grado di comprendere la connessione che in unacomposizione musicale intercorre tra dettaglio e ampiopiano complessivo. Essi in tal modo imparano che l’”ar-monia” non si occupa semplicemente della successioneda un accordo a un altro e che per “condotta delle voci”si intende molto di più del modo in cui si connettono dueaccordi consecutivi». Pur non essendo un vero e propriotesto di analisi schenkeriana, il manuale si ispira alle stra-ordinarie intuizioni di Heinrich Schenker (1868-1935), cheevidenziano la profonda relazione tra microcosmi e ma-crocosmi tonali. Carl Schachter, va ricordato, non soltan-to è uno dei più illustri teorici viventi, ma è anche il piùimportante esponente della scuola analitica schenkeriana,il cui centro di eccellenza è New York. Negli ultimi vent’an-ni questo tipo di analisi ha finalmente iniziato a diffon-dersi anche in Italia e c’è da augurarsi che questo manua-le aiuti a svecchiare un approccio all’armonia spesso scisso– per vetusta tradizione accademica – dalla dimensionepiù autentica del far musica. Il manuale è ovviamenteindirizzato a tutti gli studenti di armonia e di composi-zione, ma non solo. Poiché la sua impostazione prescindeda ogni arido approccio prescrittivo, il testo si raccoman-

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VITTORIO CARATOZZOLO

Tras i “Chèdres de na espojizion”traduzione in ladino di Vigilio IoriIstitut Cultural Ladin, Vigo di Fassa (Tn) - Scola Ladina de Fascia, Pozza di Fassa (TN) 2008pp. 39, con CD audio allegato, ††††† 18,00

musicali, che intendano elaborare percorsi multi-disciplinariin cui un’opera musicale “a programma” diviene pretesto ofondamento (in base alle diverse scelte didattiche) per per-corsi creativi di narrazione parallela dove i diversi linguaggi(pittorico, musicale e verbale) fungono da stimolo e rimandoreciproco.Tutti coloro che sono interessati a libri e materiali didatticiper ragazzi in lingua ladina.

Motivi di interesseIl volume si presenta come la testimonianza di un ricco pro-getto didattico che, originatosi nella scuola secondaria dilingua ladina di Pozza di Fassa, ha coinvolto in modo sinergicoscuole di diverso ordine e differenti istituzioni culturali(OLFED, Ofize de Formazion e Enrescida Linguistica, e IstitutCultural Ladin). Il progetto, ovviamente sostenuto dalla vo-lontà di valorizzare la lingua ladina, ha raggiunto il suo sco-po non confinando l’idioma in un limitato ambito disciplina-re, ma facendolo divenire il trait d’union fra realtà ed espe-rienze artistiche diverse.Ponendosi anche come traccia per percorsi simili, il volumesollecita la collaborazione fra diverse agenzie educative eculturali, formali e informali, presentando proprio l’attivitàscolastica come il motore per produzioni artistiche comples-se e originali.

Lara Corbacchini

ArgomentoCitata in ladino nel titolo, la celebre opera di ModestMusorgskij si pone come il filo rosso di questa pubblicazioneche si presenta come un accattivante libro da leggere, ascol-tare e guardare. Il testo (in italiano e ladino) presenta l’im-maginaria promenade di un bambino fra le sale del Museodell’Ermitage. Incantato e sedotto dai quadri di Hartmannesposti, il piccolo ci conduce in viaggio fantastico fra queipersonaggi e quelle atmosfere del folklore russo che ritro-viamo proprio nel poema sinfonico del compositore del Grup-po dei Cinque. Il racconto è riccamente punteggiato da belleillustrazioni realizzate dagli studenti della scuola d’arte diPozza di Fassa, che ripresentano in modo piacevole, ancheper il lettore più giovane, i temi dei quadri della celebre espo-sizione. Il viaggio nell’incantato mondo russo si completa (osi avvia?) con il CD audio che offre una trascrizione perensemble di sassofoni dell’opera di Musorgskij, elaborata edeseguita dal Modern Saxofon Quartet.

DestinatariBambini e ragazzi che vogliano essere guidati nell’immagi-nario mondo del folklore russo, condotti per mano da un gio-vane amico e accompagnati dalle descrizioni “multi-media-li” offerte da suggestive immagini intrecciate con le sonoritàrivisitate di celebri brani musicali.Insegnanti dei diversi ordini di scuola, non solo di discipline

SCHEDA

da a tutti coloro che desiderino affrontare lo studio dellamusica tonale da una prospettiva analitico-descrittivabasata sui capolavori del repertorio colto occidentale in-vece che su dogmatici e asettici ricettari, tipo quiz di scuo-la-guida o abc del catechismo. Il testo può essere utiliz-zato fin dall’inizio degli studi musicali: la prima parte delprimo volume, in particolare, è una limpida descrizionedei materiali e delle tecniche di base (tonalità, scale, modi,

intervalli, ritmo e metro ecc.), che può benissimo sostitu-ire i primi approcci alla teoria solitamente trattati negliobsoleti corsi di solfeggio. Non dimentichiamo, infine,l’utilità che può avere per gli esecutori: comprendere ciòche si sta suonando – cioè percepire, sentire e capire in-sieme – sta alla base di una corretta e avvincente inter-pretazione e questo libro può essere illuminante in pro-posito. Oltre al fatto di procedere olisticamente nell’ana-lisi ritmico-melodico-armonica basandosi su esempi trattidal repertorio dei grandi compositori, il testo di Aldwell eSchachter è metodologicamente efficace anche grazie aiquadri di riepilogo e alla serie di esercizi di verifica cheseguono ogni argomento trattato. Tali esercizi, di naturaspesso compositiva, possono essere svolti a casa o in classee aiutano l’allievo a comprendere le relazioni armonichee a sviluppare l’orecchio interno. Avendo studiato a suotempo sulla seconda edizione dell’originale ed essendoconsapevole della non sempre facile traducibilità di certaterminologia anglo-germanica, ci tengo a sottolineare l’ot-tima traduzione di Catello Gallotti, nonché l’interessan-tissima introduzione di Giorgio Sanguinetti.

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MARIA TERESA LEVATI

A scuola con il pianoforte. Metodo per pianoforte con esercizi e brani per i primi corsi,Sinfonica Edizioni Musicali (distribuito da Carisch), Milano 2007pp. 145, ††††† 21,00

Motivi di interessePraticità, consequenzialità e chiarezza sono i pregi di questometodo. Certamente organizzato sulla base di un’esperienzaconsolidata di avvio alla pratica pianistica, il testo proponeun’introduzione alla lettura semplice e chiara: a partire dallaposizione del Do centrale vengono progressivamente presen-tate le nuove note procedendo con le due mani per motocontrario. Da segnalare la gradualità con cui viene propostolo sviluppo dell’autonomia delle due parti: sequenze a manialterne, studi a due mani, semplici brani polifonici. Le indi-cazioni di tecnica pianistica precedono gruppi di brani in mododa consentirne un’immediata applicazione. Anche le noteteoriche sono inserite nel percorso in modo da aiutare alun-ne e alunni ad affrontare con consapevolezza la lettura el’esecuzione.La scelta dei brani è interessante e presenta situazionipianistiche ed espressive differenziate, proposte con dina-miche, diteggiature e fraseggi accurati; dispiace constatarel’assenza di repertori del Novecento.

Adriana Mascoli

ArgomentoIl volume propone un percorso di base al pianoforte. La pri-ma parte contiene alcune indicazioni di tecnica pianistica,esercizi per l’uso della mano, informazioni teoriche, piccolistudi e semplici brani; i materiali vengono presentati dappri-ma in Do e successivamente in tutte le tonalità maggiori conla tonica sui tasti bianchi; a conclusione della prima parte siaccenna alle tonalità minori, a esercizi di tecnica modulantee ai principali abbellimenti. La seconda parte è costituita dauna Piccola antologia organizzata in senso cronologico daLully a Ciaikovsky. La terza parte raccoglie tutte le scale permoto retto con le relative cadenze accordali e si concludecon uno schema degli arpeggi.

DestinatariIl metodo è rivolto a studenti di pianoforte principianti e già ingrado di affrontare il lavoro strumentale con atteggiamentoriflessivo. Può trovare adeguato utilizzo sia nell’ambito dellascuola secondaria di primo grado a indirizzo musicale, sia conprincipianti adolescenti, sia nei corsi strumentali per adulti.

SCHEDA

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Preventività positiva, Emergenza educativa e Orientamen-to formativo, ISRE, “Rivista quadrimestrale di Scienze dellaFormazione e Ricerca educativa”, anno XV, n. 3, 2008.

Questa è la rivista dell’ISRE, l’Istituto Superiore Salesiano diRicerca educativa e della SISF, la Scuola Superiore Interna-zionale di Scienze della Formazione, aggregata alla Uni-versità Pontificia Salesiana di Roma. Il presente numero,che raccoglie differenziati contributi, recensioni di libri edi tesi di laurea, focalizza tre principali temi correlati fraloro: il tema della prevenzione educativa, la questione del-le emergenze educative e la prassi dell’orientamento nellacostruzione dell’identità.Nel primo contributo di Renzo Barduca, che si rifà al Rap-porto Delors (Nell’educazione un tesoro), si percorre il filoche lega i temi trattati: sembra che, a differenza di altreepoche, oggi non ci sia solo il problema della fatica dieducare le giovani generazioni, ma la difficoltà che la so-cietà riconosce nel «non sapersi capaci» di educare (p. 9) enel constatare, almeno dove l’autocritica è sincera, l’ina-deguatezza della propria azione educativa nei confrontidelle giovani generazioni. Da questo punto di vista l’emer-genza educativa è l’interruzione della narrazione che unagenerazione fa all’altra; è l’afasia della generazione degliadulti e l’incapacità dei figli di articolare la domanda cheurge nella loro interiorità. Gli adulti non sono pertantotestimoni di alcuna tradizione, forse perché ne hanno per-so la memoria o sono immersi nella superficialità, nellatrasandatezza di una vita accelerata, e non sono trasmetti-tori di regole e valori. I giovani si trovano a vagabondarein un contesto privo di direzioni, non sapendo più da dovevengono e dove sono diretti.Questa incapacità di articolare la domanda viene descrittacome «analfabetismo emotivo», cioè incapacità sia di rico-noscere che di chiamare per nome i propri sentimenti.Educare esige capacità di mettersi in gioco nella relazioneinterpersonale, narrando e narrandosi. Non si tratta di unapresentazione di episodi o eventi (talvolta sovrabbondan-ti), è piuttosto il racconto di esperienze vissute dai prota-gonisti, singoli e collettività, in modo che possano diven-tare illuminanti per chi vede, ascolta e riflette. Si tratta diuna elaborazione di significati (J. Bruner) per fornire laconsapevolezza di essere sulla scia di una storia che è pa-trimonio cui attingere per crescere ancora.Si tratta di non confondere terapia e educazione (Giusep-pe Mari): la prima influisce sulla salute (in senso ampio),la seconda riguarda il sapersi condurre in libertà e secon-do valori. L’esercizio della cura in educazione, vista comeaccudimento, ha anche una accezione terapeutica, pur noncoincidendo con essa: fa leva sulla conquista della libertàda parte del soggetto, e non sull’effetto del farmaco o diqualsivoglia terapia. L’educazione è «maieutica della li-bertà» (p. 47); certamente anche l’intervento terapeuticocontribuisce, ma solo se è ordinato a quello educativo. Laterapia può sicuramente precedere, integrare o seguirel’educazione, ma il rischio che si corre è di “terapeuticiz-zare” la sfida del disagio dimenticando che, nel suo nu-

cleo, esso è di natura morale e sociale, e quindi interpellal’educazione.Ecco allora il secondo tema: quello della preventività po-sitiva (Carlo Nanni e Carla Xodo). La preventività pone inrisalto intenzionalità interne ed estensibilità ad altre azio-ni; significa preservare, anticipare, evitare ciò che è peri-coloso, ma significa anche preparare, illuminare, istruire,promuovere: l’attenzione alle strutture, ai supporti, allecondizioni di esercizio, ad un ambiente accogliente e fa-vorevole, stare insieme ed essere presenti a quello chefanno i ragazzi e dove essi sono, cercare di costruire unapiattaforma di comunicazione: sono alcune piste preven-tive cui dedicare tempo e fatica (p. 21). Accanto ai luoghitradizionali cui rimane il compito di riflettere, sistema-tizzare, integrare, si accompagnano i “non luoghi” (M.Augé) privilegiati dai giovani per la loro socializzazione:è inderogabile cercare l’alleanza critica e non la demo-nizzazione di tali nuovi modi di apprendere e stare insie-me. Più che il cambiamento (come è stato per la genera-zione adulta) la generazione nata dopo il ’90 ha avuto ache fare con l’innovazione e la sua forte accelerazione.Da qui ne consegue l’intervento orientativo nella forma-zione dell’identità.Disagi e malesseri allignano in soggetti deboli, senza ideadi passato e di futuro, che evitano di rapportarsi e scon-trarsi con le difficoltà della vita rinunciando a lottare; soloattraverso la fatica, e la gioia, del costruire giorno per giornola propria identità si pongono le basi per l’avvenire, ci sidispone a misurarsi con il problema delle scelte e delledecisioni (p. 35). Dal bisogno di sicurezza dovrebbe nasce-re la voglia di identità, dice Bauman, e non la rinuncia. Èquesta la sfida contemporanea all’educazione. Certamenteil contesto ideologico attuale, teso alla manipolazione del-le coscienze e a scambiare e confondere i problemi vericon quelli apparenti e mistificati, non favorisce: ma allorail compito dell’educazione è quello di interpretare i “segnidei tempi”, come dice Nanni, quello di reperire le risorseeducative autorevoli e contestuali, che sono soprattutto lepersone e non le tecniche. Da questo punto di vistapreventività positiva, emergenze educative e funzione orien-tativa si intrecciano.Orientamento informativo e orientamento formativo con-sulenziale si sovrappongono e si fertilizzano a vicenda.Questo è vero non solo per lo psicologo dell’educazionema anche per ogni educatore (p. 99). Accanto al primo tipodi orientamento, in cui si ha la ridefinizione del problemae la mobilitazione delle risorse per fronteggiarlo (vedi ilconcetto di competenza in Rassegna pedagogica del n. 151di “Musica Domani”), c’è l’orientamento formativo econsulenziale. Il primo indirizzato alla rappresentazioneed esegesi del sé, all’idea di progettualità (sulla scia diMaslow, Rogers e Foucault), il secondo portato a far emer-gere elementi di maturità professionale.

RASSEGNA PEDAGOGICAdi Roberto Albarea

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Pur essendo ancora viva l’eco del Congresso mondialedell’ISME svoltosi per la prima volta in Italia, e precisamen-te a Bologna, nello scorso luglio 2008, la nostra mentedeve già guardare oltre e pensare alla partecipazione degliitaliani al prossimo Congresso, il 29°, che si celebrerà inCina, e precisamente a Pechino, dal 2 al 6 agosto 2010.Manca quasi un anno, è vero, ma l’organizzazione di uncongresso mondiale comporta una macchina organizzativacomplessa (come abbiamo sperimentato l’anno scorso), cherichiede tempi lunghi perché tutto vada a buon fine. Perciòsono già pronte le informazioni fondamentali, e coloro chedesiderano parteciparvi devono cominciare a pensarci ora,soprattutto se intendono presentare dei lavori.Già al termine del Congresso di Bologna, durante la pre-sentazione – accompagnata da uno splendido concerto –dell’appuntamento successivo, abbiamo avuto l’invito apartecipare all’ISME 2010 da parte della delegazione cinese.Ora abbiamo già una serie di informazioni dettagliate checi permettono di delineare meglio gli assi portanti del pros-simo grande incontro.Come i lettori di “Musica Domani” certamente già sanno,si tratta di una grande occasione di confronto e dibattitosui temi dell’educazione e della formazione musicale, unagrande occasione da non perdere. Nelle cinque giornatedel Convegno insegnanti e studiosi potranno presentare,su un palcoscenico internazionale, i frutti del proprio im-pegno di lavoro e al tempo stesso entrare in contatto diret-to e dialogare con colleghi provenienti da molti paesi di-versi, per confrontarsi e arricchirsi di quanto viene realiz-zato in tutti i continenti.Il tema scelto è “Harmony and the World Future” e, come icinesi stessi chiariscono, «l’Armonia è il concetto più im-portante in Cina così come una caratteristica fondamenta-le della musica cinese. Ciò significa che la musica miglioredeve essere quella che aiuta le persone a raggiungere lapace della mente e a vivere in armonia con la natura».I due assi portanti dei Congressi ISME sono, da sempre, lepresentazioni e i concerti.Le presentazioni di studi e ricerche possono avvenire conmodalità diverse: accanto alla tradizionale relazione, si puòpresentare un laboratorio (workshop), una dimostrazione,un simposio o un poster.La scadenza tassativa per inviare la richiesta di presenta-zione di un proprio contributo è il 1° ottobre 2009.Il secondo asse, come si diceva, è quello dei concerti, percui tutti coloro che vogliono inviare una proposta di con-certo del proprio gruppo (coro o ensemble strumentale)devono presentarla entro il 30 agosto 2009.Due appuntamenti irrinunciabili nell’ambito del Congres-so sono la cerimonia di apertura e quella di chiusura. Conla prima, che si svolgerà la sera di domenica 1° agosto, il

Johannella Tafuri

Il Congresso mondiale ISME

va in CinaComitato ospitante darà il benvenuto a tutti i partecipanticon uno spettacolo che offrirà, accanto ai saluti delle au-torità, qualcosa di tipico della cultura musicale cinese. Conla seconda, che si svolgerà venerdì 6 agosto alle ore 15, ilComitato cinese ringrazierà e saluterà gli ospiti, mentre ifuturi organizzatori del 30° Convegno ISME offriranno unospettacolo per invitare i presenti a parteciparvi.Diamo ora uno sguardo a come si svolgerà una giornata-tipo del Congresso di Pechino:ore 8.00 Sessioni di riscaldamentoore 8.30-9.30 Relazioni, laboratori, dimostrazioni,

simposiore 9.30-10.00 Pausaore 10.00-11.30 Sessioni plenarie con relatori invitati

(i Keynote Speakers)ore 11.45-12.45 Relazioni, laboratori, dimostrazioni,

simposiore 13.00-15.00 Pausa pranzo, concerti e sessioni posterore 14.15-17.15 Relazioni, laboratori, dimostrazioni,

simposiore 17.30-19.00 Concerti pomeridianiore 19.00-20.00 Pausa cenaore 20.30-22.00 Concerti serali

Dove si svolgerà il Congresso? La sede sarà la stessa deiGiochi olimpici e precisamente il Centro Congressi Nazio-nale Cinese (CNCC) situato nel Parco nazionale olimpico. Al-cune sessioni si terranno presso il Conservatorio di musicadi Pechino, che ha delle sale attrezzate per convegni e unnuovo edificio con due sale per concerti. Queste due sedisono collegate da una nuova ed efficiente metropolitana conl’aeroporto e il centro della città, dove sarà possibile visitarela Città proibita, il Teatro d’opera, l’Opera nazionale di Pe-chino, piazza Tienanmen e altri luoghi interessanti. Piace-voli giri turistici saranno organizzati per i convegnisti.Infine alcune informazioni pratiche. Tutti i dettagli sulCongresso, relativi sia ai contenuti sia agli aspetti organiz-zativi, si possono trovare sul sito web: www.isme.org/2010.Coloro che desiderino presentare una proposta di relazio-ni, laboratori, dimostrazioni, simposî, poster, oppure pro-poste di concerti troveranno sul sito web tutte le informa-zioni dettagliate circa le modalità da seguire.Per partecipare al Congresso, sia come presentatori sia comepartecipanti è necessario essere soci ISME e versare la quotad’iscrizione al Congresso che è indicata sul sito secondo levarie categorie previste. Come nelle altre edizioni, è previ-sta una quota superscontata per chi si iscrive entro il 15marzo 2010.Sempre sul sito sarà possibile trovare tutte le informazioninecessarie circa la sistemazione alberghiera e il viaggio(visto d’ingresso e altri dettagli).

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