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TRIMESTRALE DI CULTURA E PEDAGOGIA MUSICALE - ORGANO DELLA SOCIETÀ ITALIANA PER L’EDUCAZIONE MUSICALE ANNO XLI - N. 161 - DICEMBRE 2011 - 5,00 - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 45% - ART. 2 COMMA 20/B - L. 662 DEL 1996 - MILANO 1 61 NUMERO _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ Musica-teatro per la scuola Postura ed espressione Canto e rieducazione vocale Musica per l’inclusione Scuola e cultura digitale Musica-teatro per la scuola Postura ed espressione Canto e rieducazione vocale Musica per l’inclusione Scuola e cultura digitale

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TRIMESTRALE DI CULTURA E PEDAGOGIA MUSICALE - ORGANO DELLA SOCIETÀ ITALIANA PER L’EDUCAZIONE MUSICALEANNO XLI - N. 161 - DICEMBRE 2011 - † 5,00 - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 45% - ART. 2 COMMA 20/B - L. 662 DEL 1996 - MILANO

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3MusicaTrimestrale di cultura e pedagogia musicaleOrgano della SIEM

Società Italiana per l’Educazione Musicalewww.siem-online.itAutorizzazione del Tribunale di Milano n. 411del 23.12.1974 - ISSN 0391-4380Anno XLI, numero 161 dicembre 2011

Direzione responsabileMariateresa Lietti

RedazioneAlessandra Anceschi, Lara Corbacchini,Anna Maria FreschiImpaginazione e grafica Fabio Cani / NodoSegreteria di redazioneVia Dell’Unione, 4 - 40126 Bolognae-mail: [email protected], Torino

EditoreEDT srl, 17 Via Pianezza, 10149 TorinoAmministrazioneTel. +39 011 5591816, Fax +39 011 2307034e-mail: [email protected]àManuela Menghini, EDT: [email protected],tel. +39 011 5591849Abbonamenti e PromozioneEloisa Bianco, EDT: [email protected],+39 011 5591831Un fascicoloItalia euro 5,00 - Estero euro 6,50Fascicoli arretratiItalia euro 7,00 - Estero euro 8,50Abbonamenti annualiItalia euro 18,00 - Estero euro 22,00,comprensivo di quattro fascicoli della rivista.Gli abbonamenti possono essere effettuatiinviando assegno non trasferibile intestato aEDT srl, versando l’importo sul c.c.p. 24809105intestato a EDT srl, tramite carta di creditoCartaSì, Visa, Mastercard, con l’indicazione“Musica Domani”. La rivista è inviatagratuitamente aisoci SIEM in regola con l’iscrizione.Quote associative SIEMSoci ordinari e biblioteche euro 43,00 - Studentieuro 28,00 - Soci sostenitori da euro 86,00 -Triennali ordinari e biblioteche euro 110,00 -Triennali sostenitori da euro 220,00 - Soci giovanieuro 8,00.Le quote associative si ricevono sul c.c.p. 19005404,intestato a Società Italiana per l’Educazione Musicale,Via Dell’Unione, 4 Bologna. Per comunicazioni erichieste: tel. 051-2916500 fax 051-228132 - cell.339-1031354 - e-mail [email protected] -recapito postale SIEM - Casella postale 396 - UfficioBologna Centro - 40126 BolognaIscrizione all’ISMEInternational Society for Music EducationSocio individuale per un anno, senza riviste, US$35; con le riviste US$ 59. Socio individuale per dueanni, senza riviste US$ 65; con le riviste US$ 113.Le riviste sono: International Journal for MusicEducation, 2 numeri l’anno; Music EducationInternational, 1 numero l’anno. Le quote possonoessere versate con carte di credito Visa, AmericanExpress, Master Card o chèque bancario a: ISME

International Office, PO Box 909, Nedlands, 6909Western, Australia - fax 00 61-8-9386 2658.Sarebbe opportuno che l’iscrizione e il pagamentocon carta di credito venissero accompagnati dalmodulo d’iscrizione debitamente compilato ereperibile presso il sito web dell’ISME:www.isme.org/application.

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Editoriale5 Mariateresa Lietti

Differenze a scuola

Pratiche educative6 Irene Bonfrisco �

Maledetto sia Copernico!

Strumenti e tecniche14 Simone Francia �

Stare nel suono: postura ed espressione

Ricerche e problemi24 Amalia Lavinia Rizzo

Musica per l’inclusione scolastica30 Giuseppe Sellari

La voce in-forma

Confronti e dibattiti36 Luca Bertazzoni (a cura di)

Musica, scuola e cultura digitaleInterventi di: Fausto Ciccarelli, Salvatore Colazzo, Marco Fedi,Roberto Neulichedl

Libri e riviste48 Roberto Neulichedl, Alla ricerca del suono perduto

(su DELALANDE, Dalla nota al suono, FrancoAngeli)48 Anna Maria Freschi, Scheda

(su Instruments et cultures, Cité de la Musique)49 Antonella Moretti, Scheda

(su Il bambino e la musica, Curci)50 Lara Corbacchini, Le canzoni della nostra specie

(su LEVITIN, Il mondo in sei canzoni, Codice edizioni)50 Da non perdere a cura di Elisabetta Piras52 Anna Maria Freschi, Educazione dell’orecchio

(su ODONE, Schede di Ear Training, Cromografica)53 Donatella Bartolini, Sogni e incubi da suonare

(su GAGEL, Tagträume und Nachtmahre, Breitkopf)54 Annibale Rebaudengo, Scheda

(su CORTOT, Alcuni aspetti di Chopin, Curci)55 Enrico Bottero, Una didattica dell’esperienza

(su BIANCHI, Il “metodo” Bianchi, FrancoAngeli)57 Roberto Albarea, Rassegna pedagogica

Rubriche5 Alessandra Anceschi (a cura di), MATERIALI DI CLASSE: Promenade multimediale

tra gli strumenti dell’Asia di Marco Fedi �10 Vide@mus, a cura della redazione: Parodie, parafrasi, metamorfosi �12 Annibale Rebaudengo, STRUMENTI CREATIVI: La tecnica del suono20 SEGNALAZIONI di Franca Mazzoli, Valentina Marrocolo, Silvia Zanasi23 Mariateresa Lietti, NOTE A MARGINE: Canzoni per la Storia28 Lara Corbacchini, RICERCARE: Quando l’abito fa il musicista34 CACOFONIE: Grilli parlanti47 Arianna Sedioli, L’ATELIER DEI PICCOLI: Uova58 Dario De Cicco (a cura di), GIORNALE SIEM: La SIEM lucana di Filomena Silda

Giammetta

questo richiamo indicache materiali e approfondimenti sono presenti suwww.musicadomani.it��

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Hanno collaborato a questo numero:

Roberto Albarea docente di Pedagogia, Università di UdineDonatella Bartolini docente di Pedagogia musicale, Istituto Superiore di Studi musicali, Modena

[email protected] Bertazzoni docente di Pedagogia musicale, Conservatorio di Fermo

[email protected] Bonfrisco docente di Musica, Scuola Secondaria di primo grado, Casalgrande (Re)

[email protected] Bottero comitato di redazione delle riviste “Infanzia” ed “Encyclopaideia”Fausto Ciccarelli docente di Musica, Scuola Secondaria di primo grado, Bologna

[email protected] Colazzo docente di Pedagogia sperimentale, Università del Salento

[email protected] De Cicco docente di Pedagogia musicale, Conservatorio di Torino

[email protected] Fedi docente di Musica, Scuola Secondaria di primo grado, Prato

[email protected] Francia docente di Tromba e di Musica, Scuola Secondaria di primo grado, Modena

[email protected] Silda Giammetta docente di Musica e Flauto traverso, Scuola Secondaria a indirizzo musicale

[email protected] Moretti docente e coordinatrice didattica, Associazione Culturale Ricercare, Cislago

[email protected] Piras pianista, docente, musicologa

[email protected] Rebaudengo docente di Pianoforte e formatore, Milano

[email protected] Lavinia Rizzo pianista, docente di sostegno, Scuola Secondaria di primo grado, Roma

[email protected] Neulichedl docente di Pedagogia musicale, Conservatorio di AlessandriaArianna Sedioli formatrice e autrice di mostre e installazioni sonore, Ravenna

[email protected] Sellari pedagogista, musicologo, presidente CRS “Officina delle Arti”

[email protected]

Redazione

Mariateresa Lietti docente di Violino, Scuola Secondaria di primo grado a indirizzo musicale, [email protected]

Alessandra Anceschi docente di Musica, Scuola Secondaria di primo grado, Reggio [email protected]

Lara Corbacchini docente di Pedagogia musicale, Conservatorio di [email protected]

Anna Maria Freschi docente di Pedagogia musicale, Conservatorio di [email protected]

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5Mariateresa Lietti

Tra i tanti tagli che si fanno pesantemente sentire nellascuola pubblica, c’è quello alle risorse per il sostegno.Proprio nelle situazioni di maggior fragilità, dove sareb-be indispensabile poter contare su tempo adeguato, con-tinuità e specifiche competenze, si assiste a una forte di-minuzione di ore e al continuo avvicendarsi di personeprecarie. Nonostante questo ogni scuola cerca di fare ilpossibile per supportare le situazioni di disagio e si stan-no formando forti professionalità anche in campo musi-cale. Sempre più frequentemente, infatti, i docenti di Mu-sica e di Strumento trovano impiego come docenti di so-stegno e spesso sanno trasformare questo incarico, chepotrebbe essere vissuto come un ripiego, in un’occasioneper sperimentare percorsi con la musica. In alcuni casi idocenti si specializzano e si appassionano a tal punto danon voler più insegnare lo strumento in senso tradizio-nale (anche quando sarebbe possibile) per restare a lavo-rare nel settore della disabilità.A questo argomento abbiamo perciò deciso di dedicare lanuova rubrica Musica per l’inclusione introdotta su questonumero dal contributo di Amalia Lavinia Rizzo che ne saràpoi la curatrice.Sempre per restare nel campo delle difficoltà che sannotrasformarsi in ricchezza grazie alla forza, alla determi-nazione e all’ingegno delle persone, vorrei qui segnalareun’iniziativa che ho trovato straordinaria e che mi ha aper-to uno spiraglio di speranza in un momento davvero buio.Si tratta del Museo del viaggio, dedicato a Fabrizio DeAndré, che è recentemente stato inaugurato all’interno

Differenze a scuola

�� Materiali di classea cura di Alessandra Anceschi

(www.musicadomani.it _ Le rubriche _ Materiali di classe)

In corrispondenza con l’uscita di questo numero, sono scaricabili dalla rubrica on-line materiali relativi a:

- Promenade multimedialetra gli strumenti dell’Asiadi Marco Fedi

L’accesso e lo scaricamento sono riservati ai sociche possono richiedere nome utente e password scrivendo a:[email protected] proposte vanno inviate a [email protected] con le modalità indicate sul sito.

del campo nomadi di via Impastato nella zona Sud diMilano.L’iniziativa dell’Opera Nomadi Milano, che ha lavorato alprogetto insieme alla cooperativa Romano Drom, al con-sorzio SIR (Solidarietà in rete) e alla cooperativa Arca diNoè, coinvolgerà gli stessi abitanti del campo (in preva-lenza Sinti) nell’accompagnare i visitatori all’interno dellacultura romanì.Sarà così possibile per tutti e in particolare per le scuole(che ci auguriamo aderiscano numerose) andare oltre glistereotipi negativi, spesso dovuti a superficialità, e scopri-re i tesori e la bellezza di una tradizione unica al mondo,oltre che incontrare le persone vere e le loro storie.All’interno del museo è custodita un’importante raccolta diracconti, libri, documenti, fotografie, dischi, filmati, oggettidella tradizione. È stato inoltre avviato un centro di produ-zione culturale, con uno spazio dedicato alla proiezione difilm e una scuola di cultura e musica romanì, oltre a un servi-zio di ristorazione gestito dalla cooperativa Romano Drom.Se è del tutto evidente il motivo principale che ha determina-to l’intitolazione del museo a De André, non tutti sanno cheuna delle famiglie che ancora abitano in questo campo (lafamiglia Bezzecchi) ha collaborato attivamente alla scritturadella canzone Khorakhané, brano che ricorda i rom musulmani,martoriati dalle persecuzioni lungo tutta la loro storia.Mi auguro di poter presto pubblicare un contributo sul-l’iniziativa, che rappresenta un modo intelligente per con-tribuire a trasformare la sciocca paura e il pregiudizio inconoscenza e in relazioni costruttive.

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6 Irene Bonfrisco

Maledettosia Copernico!

La collaborazione fra l’insegnante di Musica e di Letteredà vita, in una scuola secondaria di primo grado, a unospettacolo con testi, immagini e musica che ha come temala sofferta abiura di Galileo Galilei di fronte al Santo Uffizio.

Origine del progettoA volte i buoni incontri sono casuali. Allora la buona pra-tica, favorita appunto dai buoni incontri (quei ragazzi, queicolleghi, quell’ambiente…), può dare vita a una lezione diqualità eccellente, esemplare ma non unica, originale maanche riproponibile, colta ma accessibile a tutti. Il proget-

to dello spettacolo Maledetto sia Copernico! 1 – realizzatoal termine dell’anno scolastico 2009-2010 all’interno del-l’offerta formativa dell’Istituto Comprensivo “Lazzaro Spal-lanzani” di Casalgrande (RE), anche grazie alla collabora-zione del Comune di Casalgrande e del locale Teatro “Fa-brizio De André” – si inserisce in un percorso già iniziatonell’anno scolastico 2008-2009, all’interno di un’ora dicompresenza tra le discipline di Italiano e Musica, ultimoresiduo di un’organizzazione scolastica a tempo prolunga-to che consentiva di avere momenti preziosissimi per larealizzazione di progetti “davvero” interdisciplinari.In quella occasione, utilizzando detto spazio insieme alla do-

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7cente di Lettere Simona Anceschi, fu realizzato con una clas-se terza uno spettacolo intitolato Genesi: suoni, colori, vocidal mondo, costruito su testi, brani musicali e immagini, alloscopo di valorizzare, oltre all’esperienza musicale, una disci-plina ultimamente molto penalizzata: la Geografia. Le oppor-tunità che si prospettavano erano molte: indagare le culturepiù lontane dalla nostra attraverso la musica, gli strumenti, icostumi, le tradizioni, le religioni, la storia, i miti, i luoghi e lacollocazione geografica dei popoli e dei paesi extraeuropei.

Descrizione del progettoAlla luce dei buoni risultati di questa prima esperienza, io e lastessa collega – questa volta però senza alcuna compresenza,e quindi senza la possibilità di far riferimento a una vera epropria programmazione prevista in forma istituzionale – cisiamo interrogate l’anno successivo sulla possibilità di realiz-zare un altro progetto, questa volta in una classe seconda.La scelta del tema è maturata strada facendo. Stavo lavo-rando su brani strumentali rinascimentali, e all’inizio del-l’anno scolastico avevo organizzato per tutte le classi se-conde della scuola un concerto-lezione con l’ausilio di duemusicisti che presentavano ai ragazzi repertori e strumentimusicali del periodo rinascimentale e barocco. Dopo que-sta prima proposta ho iniziato a lavorare in classe su alcu-ne danze di autori rinascimentali trascritte per flauti dolcia tre o quattro parti (soprani, contralti e tenori), strumen-tario Orff, percussioni, chitarre e pianoforte (o clavicem-balo, realizzato con il pianoforte digitale). Dai primi risul-tati musicali prese corpo qualche idea: in quale contestospazio-temporale collocare queste musiche? In un’imma-ginaria corte rinascimentale o barocca? Cosa può accaderenelle sale di questa corte? Certamente si fa musica, ma poisi conversa? Si dibatte? E intorno a quali temi?La mia collega orientò la sua scelta sulla discussa teoriacopernicana in contrapposizione a quella tolemaica. Diventòquindi centrale la figura di Galileo Galilei, studioso vissutotra il XVI e XVII secolo, divulgatore e precursore di teoriescientifiche che nell’Europa della rivoluzione rinascimentalesi erano già affermate vari decenni prima, ma che in Italia,pur all’avanguardia sul piano delle arti, incontravano la fie-ra opposizione del sistema culturale vigente.

Il lavoro nelle prime settimane ha viaggiato su due binari.Io, nelle ore curricolari, lavoravo alla costruzione dei re-pertori, la collega di italiano si occupava di scegliere alcu-ni brani tratti dalle opere e dagli epistolari di Galileo Galilei,rivedendoli ed elaborandoli insieme alla classe, con l’obiet-tivo soprattutto di selezionare estratti particolarmente si-gnificativi e di attualizzare la lingua e il lessico del XVIIsecolo quando era necessario. Ma sarebbe stato l’allesti-mento conclusivo a occupare gran parte dei tempi e delleenergie di lavoro.La struttura dello spettacolo avrebbe previsto l’alternanzae a volte la sovrapposizione delle letture dei testi ai branimusicali. Sullo sfondo avremmo fatto scorrere le immaginidi dipinti di artisti di diverse epoche che riproducevanoscene di musica, di danza, ma a volte oggetti, ambienti eluoghi che sulla scena venivano evocati. Il palco del teatrosarebbe stato allestito in modo molto essenziale: al centroil gruppo strumentale posizionato in un grande semicer-chio; davanti, ai due estremi, i leggii dove si alternavano ilettori; dietro, lo schermo dove scorrevano le immagini; adestra, davanti, un piccolo “salotto”.Anche se il profilo del progetto andava ovviamente taratoe adeguato a tante difficoltà (relative alle risorse umane,logistiche, finanziarie e alla limitatezza dei tempi della scuo-la), lo spettacolo – tra la preparazione degli interpreti el’allestimento – presupponeva comunque un discreto li-vello di complessità. Per esempio, come risolvere il proble-ma delle prove d’insieme non avendo più nessuna compre-senza? Le possibilità non erano molte.Sfruttare al massimo le opportunità concesse dall’orariocurricolare significava utilizzare tutte le nostre ore libereincrociando quando era possibile le nostre lezioni sulla classee poi chiedere qualche cambio d’ora ai colleghi disponibili.Ma per allestire uno spettacolo questo non poteva bastare.Abbiamo quindi proposto ai ragazzi di trovarci negli ultimidue o tre mesi un pomeriggio alla settimana. La rispostadegli alunni è stata più che confortante, in quanto la loropartecipazione, veramente sentita e costante, era sorretta dauna motivazione notevole nata dalla consapevolezza di “ap-partenere” a un progetto di alta visibilità all’interno del-l’istituto. E questa si può già considerare una prima verifica.

Scelta dei contenuti, musicali e nonScopo del lavoro non era una ricostruzione puramente ci-nematografica e documentaristica di un’epoca. Non ci si èvoluti preoccupare se un dipinto appartenesse alla culturasettecentesca o una musica a quella del XVI secolo, ma si èvoluto piuttosto costruire una cornice capace di offriresuggestioni per poi favorire la riflessione. Si voleva creareun “luogo”, magari inesistente e senza tempo, in cui peròle arti dell’uomo si fondessero in continuità.La scelta delle musiche, a parte il generico orientamentocronologico, è stata operata soprattutto rispetto a criteri dipertinenza con l’espressività dei testi e di opportunità di-dattica e strumentale, così da valorizzare il tanto vitupera-to flauto dolce, che in un simile contesto sarebbe stato ingrado, nelle sue diverse estensioni, di ricreare un fascinomusicale e ambientale.

1 Il titolo dello spettacolo è tratto da una pagina de Il fu MattiaPascal di Luigi Pirandello (Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori,Milano, 1970 pp. 58-59): «[…] Maledetto sia Copernico! – Oh ohoh, che c’entra Copernico! – esclama don Eligio, levandosi su lavita, col volto infocato sotto il cappellaccio di paglia. – C’entra,don Eligio. Perché, quando la Terra non girava... – E dàlli! Ma seha sempre girato! – Non è vero. L’uomo non lo sapeva, e dunqueera come se non girasse… Siamo o non siamo su un’invisibiletrottolina, cui fa da sferza un fil di sole, su un granellino di sabbiaimpazzito che gira e gira e gira, senza saper perché, senza perve-nir mai a destino, come se ci provasse gusto a girar così, per farcisentire ora un po’ più di caldo, ora un po’ più di freddo, e per farcimorire – spesso con la coscienza d’aver commesso una sequela dipiccole sciocchezze – dopo cinquanta o sessanta giri? Copernico,Copernico, don Eligio mio ha rovinato l’umanità, irrimediabilmente.Ormai noi tutti ci siamo a poco a poco adattati alla nuova conce-zione dell’infinita nostra piccolezza […]».

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8 Non neghiamo, da insegnanti, che lo studio del periodo sto-rico tra Rinascimento e Barocco, affrontato sistematicamentesoprattutto dal punto di vista cronologico, è parte del pro-gramma curricolare di varie discipline delle classi secondenella scuola dell’obbligo; pertanto i riferimenti temporali,anche se a volte un po’ “larghi” cronologicamente, ci sem-bravano appropriati perché riconoscibili dagli alunni.Poiché ci si riferisce a un ambito rinascimentale, o magaripre-barocco (in ogni caso è molto illusorio e arbitrario vo-ler incasellare il pensiero umano dentro confini cronolo-gici e specificità culturali o in nicchie temporali storica-mente predeterminate), i brani sono per lo più danze diautori come Michael Praetorius, Giorgio Mainerio, TielmanSusato, John Dowland. Da un punto di vista timbrico estilistico si è cercato di rispettare le sonorità di strumenticoerenti con questo tipo di musica. In questa situazione ilflauto dolce, lo strumento che gli alunni suonano nell’atti-vità curricolare, trova una collocazione storica e stilisticacorretta. La varietà di estensione e di colore data poi dallediverse taglie dei flauti soprani, contralti e tenori (talvoltail sopranino) offre opportunità interessanti. Lo strumenta-rio Orff è utile sia per riempire le parti interne che perconsentire un contrasto timbrico al suono sempre moltopastoso dei flauti. Le chitarre, oltre a essere a volte fonda-mentali per sostenere i bassi, offrono un’altra varietàtimbrica. Le percussioni in questi repertori hanno un ruolofondamentale che ho cercato di mantenere il più fedelepossibile. Il pianoforte – o il timbro del clavicembalo – èindispensabile per sostenere l’intera esecuzione.La scelta dei brani è stata in alcuni casi proposta dall’inse-gnante sulla base di esigenze di tipo didattico (fattibilitàtecnica, occasione per inserire nuove difficoltà, possibilitàdi arrangiare il brano in modo efficace con gli strumenti adisposizione). In altri casi – come per la Gavotta e il Canariodi Michael Praetorius, o il brano anonimo Antidotumtarantulae – la richiesta di eseguire determinati brani èpartita dai ragazzi. La comprensione, l’approfondimento el’interiorizzazione dei brani ha favorito una sorta di fami-liarità con questa musica, sollecitando il desiderio da partedei ragazzi di reinterpretarla con i loro strumenti.

Rapporto tra il contenuto dei testi e la musicaLe concatenazioni e le intersezioni, a volte sottili, ci sono efanno da collante tra un passaggio e l’altro di una tramache non è una vera e propria narrazione, ma piuttosto unasuccessione di passaggi, di eventi che ripercorrono la vi-cenda di Galileo Galilei in un dato contesto storico e cul-turale. La musica già si inserisce in questo quadro, in quanto

più o meno contemporanea ai fatti descritti. Ma questanon è la sua unica funzione.L’accostamento di alcuni brani è stato pensato trovando rela-zioni e analogie con segni diversi che potessero in un qualchemodo reinterpretare il contenuto di quello che veniva enun-ciato. A volte la musica si propone evidenziando un distaccoquasi forzato, un evidente contrasto tra la dimensione con-flittuale e drammatica delle parole di Galileo e l’ambiente colto,sofisticato e saccente della corte dove tutto ciò accade.Cito solo qualche esempio. Il brano di apertura, che poisarà anche quello di chiusura, è una melodia di pavana,ripresa da Francis Baines e usata come tema per una seriedi variazioni 2. Qui la scelta è filologicamente rispettosa.La pavana è una danza di apertura, che spesso accompa-gna un corteo. Ha un carattere solenne, importante e mae-stoso. È una ouverture.Il secondo brano è un Canario di Praetorius. Questo branoha come struttura la successione di brevi frasi, simili tra diloro, che ruotano intorno a poche note, caratterizzate dalritmo puntato in tempo composto. Tutte le frasi sonoritornellate. Per rendere interessante questa ripetizione hoalternato un piccolo numero di flauti al tutti creando uneffetto “speculare” di dialogo, con un percepibile contrastodinamico ottenuto con la tecnica barocca definita “a ter-razze”. L’intera esecuzione è realizzata per stratificazione,sommando le parti in ingresso e sottraendole con l’ordineopposto nella parte conclusiva. Una struttura quindi moltogeometrica. Il brano viene eseguito dopo la lettura dalSidereus Nuncius di Galileo, dove si parla della costruzio-ne di un cannocchiale e di quanto esso può riprodurre glioggetti diverse volte più vicini e più grandi.La lettera di Galileo a Benedetto Castelli 3 affronta il temadella comprensione di un testo – in questo caso delle SacreScritture – che può essere fruito a diversi livelli e che ne-cessita dunque di una interpretazione. Nello spettacoloquesta lettera viene letta sopra alla musica, frammentatain tre parti. Il brano suonato in questo momento èAntidotum tarantulae di autore anonimo. I ragazzi qui ese-guono la trascrizione di un arrangiamento 4 che proponel’esecuzione di una stessa melodia ripetuta più volte, masempre interpretata con strumenti diversi.Verso la fine dello spettacolo si giunge all’interrogatorio diGalileo Galilei da parte del Santo Uffizio. Inizia il rullante conun modulo ostinato di quattro battute in tempo tagliato.

Questo ritmo, che diventa ossessivo e anche un po’ inquie-tante, è la parte percussiva che accompagna la sezione Adella Danza moresca di Tielman Susato, la quale si inseriscealla fine dell’interrogatorio sopra il flusso ritmico senza chequesto venga interrotto. La musica sembra quasi scaturireda un tappeto sonoro che, sostenuto per una certa durata,crea una crescente tensione. Alla Danza moresca segue su-bito una Danza di Ercole, sempre di Susato. L’ostinato ritmi-co eseguito da un timpano grave che accompagna la parteA della danza, quella in tempo tagliato,

2 BAINES 1954.3 Frate benedettino allievo di Galileo all’Università di Padova e a

Firenze.4 Elaborato dal gruppo spagnolo “Atrium Musicae” di Madrid, diretto-

re Gregorio Paniagua, nel CD Tarentule - Tarentelle, Harmonia Mundi.5 GALLICO 1991, p. 54.6 Sul sito www.musicadomani.it, alla sezione “Materiali”, sono di-

sponibili le note di regia.

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continua dopo la chiusura della musica facendo da sfon-do alla lettura della sentenza del processo a Galileo. Iltimpano sarà interrotto solo dal suono del gong che in-troduce e accompagna, come in apertura, l’abiura diGalileo.Gli accostamenti tra i diversi linguaggi e le relazioni tra leinterpretazioni semantiche e strutturali sono emerse dallavoro di analisi e di approfondimento svolto in classe dalledocenti con i ragazzi. Le scelte definitive sono il fruttodelle prove d’insieme, dove, sperimentando diverse solu-zioni, si è giunti a quella finale.

Gli strumenti, il repertorio, la performance teatraleIo opero in un contesto socio–culturale abbastanza limi-tato per quanto riguarda le esperienze musicali extrasco-lastiche dei miei alunni. Sono pochi coloro che studianouno strumento, e molto rari quelli che lo studiano a uncerto livello di impegno. Quindi, ciò che posso realisti-camente raggiungere lo costruisco attraverso il frutto dellavoro nelle mie due ore settimanali. A maggior ragionele possibilità strumentali sono limitate allo strumentarioOrff, al flauto dolce (che posso però estendere anche alcontralto e al tenore) e alle percussioni. Credo sia moltodelicato l’accostamento di questi timbri alle scelte del re-pertorio. Nella prassi rinascimentale «quando si tratti diassociazioni polistrumentali, i compositori non intendo-no definire con assolutezza gli strumenti ai quali le com-posizioni sono destinate (“per ogni sorte di strumenti” èl’espressione che si legge comunemente nei titoli edito-riali); e l’assegnazione timbrica rimane affidata alle di-sponibilità, alle circostanze ambientali, o al giudizio ealla discrezione degli esecutori» 5.Anche per queste ragioni, il tipo di repertorio proposto ri-sulta essere poco snaturato in un contesto come quello cheho appena descritto e questo penso sia uno dei motivi percui le esecuzioni hanno raggiunto un risultato apprezzabi-le. Il fatto che i ragazzi si siano davvero impegnati al di là

di ogni più favorevole aspettativa è sicuramente un altrorisultato ottenuto.Per quanto ho potuto più volte constatare, queste espe-rienze hanno sempre una valenza formativa, educativa esoprattutto emotiva che non trova eguali. La musica d’in-sieme e il teatro danno la possibilità a tutti di esprimersianche a diversi livelli di competenze e di responsabilità,ma sempre contribuendo a un unico risultato condivisodal gruppo. I ragazzi si sentono direttamente coinvolti e inumerosi momenti di lavoro insieme rafforzano e miglio-rano la loro capacità di collaborazione e di relazione. Nondi secondaria importanza è l’emozione di stare su un pal-coscenico e la gratificazione degli applausi finali, raffor-zata dalla consapevolezza di aver prodotto qualcosa di“bello”. La qualità del risultato secondo me non è da con-siderarsi secondaria. Per questo ritengo che tutti gli aspettie tutti i dettagli debbano essere curati 6.Per quanto riguarda la parte musicale è ovvio che il percor-so ha una importante valenza formativa, ma secondo medeve comunque tendere a un esito apprezzabile, che sia ilpiù alto possibile. Come raggiungere risultati così in un con-testo di scuola dell’obbligo dove tutti prendono parte all’at-tività? Da insegnante credo che il termine “tutti” vada iden-tificato nel rifiuto di applicare forme di selezione basate sulmerito o sulle capacità, e quindi che l’inclusione degli alun-ni sia veramente totale. Non per questo si devono negare ledifficoltà. Penso che l’idea di operare sempre in un contestod’insieme, come se la classe costituisse una sorta di “orche-stra”, sia una strada vincente. E così si è provato a fare,cercando di valorizzare in ciascuno le competenze, ma an-che la voglia di fare, esponendo in ogni caso tutti all’atten-zione, all’autocontrollo, al rispetto per l’altro, che solo at-traverso un’esibizione pubblica, attraverso l’esperienza del“palcoscenico”, si è in grado di realizzare.Queste esperienze più di tante altre operano una reale in-tegrazione di tutti i ragazzi e delle loro differenze, compe-tenze e caratteristiche (disabili, stranieri, soggetti con dif-

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10 ficoltà socio-culturali-ambientali ecc., ma anche ragazzidotati, con strumenti e potenzialità alte 7).“Maledetto sia Copernico! Scienza e astronomia tra musi-ca e conversazione” il 21 giugno 2011 ha ricevuto il Pre-mio Abbiati per la scuola, prestigioso riconoscimento nel-l’ambito della didattica musicale, attribuito annualmente

dall’Associazione Nazionale Critici Musicali a progetti rea-lizzati da scuole di ogni ordine e grado 8. Gli insegnanti cheinsieme a me e agli alunni hanno realizzato il progetto espri-mono soddisfazione per il fatto che il senso del lavoro (leintenzioni, i contenuti, il metodo) siano stati còlti dal giudi-zio lusinghiero della giuria. Del prodotto finale è stato rea-lizzato anche un montaggio video depositato presso la scuola.

BibliografiaJUDIT AKOSCHKY - MARIO A. VIDELA, Iniciación a la flauta dulce, Tomo III,Ricordi, Milano 1969.ALESSANDRA ANCESCHI, Flauto dolce, Ut Orpheus, Bologna 2000.ALESSANDRA ANCESCHI - IRENE BONFRISCO, In ascolto n. 2, Ut Orpheus, Bolo-gna 2004.FRANCIS BAINES, Variations on an Old Pavan, Schott, London 1954.Ensemble del rinascimento, danze strumentali a 4 voci, a cura di Gio-vanni Vianini, vol. 2, Curci, Milano 1984.GALILEO GALILEI, Sidereus Nuncius, Marsilio, Venezia 1993.GALILEO GALILEI, Le lettere copernicane, Armando, Roma 1995.GALILEO GALILEI, Dialoghi sopra i massimi sistemi, Mondadori, Milano1996.CLAUDIO GALLICO, L’età dell’Umanesimo e del Rinascimento, EDT, Torino1991.I grandi processi, Galileo Galilei. Chiesa e scienza, un “errore” durato359 anni, a cura di Alceste Santini, L’Unità, Roma 1994.DON LORENZO MILANI, Lettera a una professoressa, Libreria editrice fio-rentina, Firenze 1967.Musica in scena, a cura di Carlo Delfrati, EDT, Torino 2003.FERNAND OURY, L’educazione nel gruppo classe. La pedagogia istituzio-nale, EDB, Bologna 1971.PAOLO ZANELLI, Uno “sfondo” per integrare, Cappelli, Bologna 1986.

7 «L’abbiamo visto anche noi che con loro la scuola diventa più diffi-cile. Qualche volta viene la tentazione di levarseli di torno. Ma se siperde loro, la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sanie respinge i malati. Diventa uno strumento di differenziazione semprepiù irrimediabile.» (DON MILANI 1967, p. 20).«Lo “sfondo” favorisce l’integrazione delle differenze (singolarità,competenze, linguaggi, strumenti, percorsi, etc.) perché favoriscela percezione di una “gestalt”, di una configurazione più ampia dicui le differenze sono parte. Detto in termini diversi, lo “sfondo”favorisce la costruzione di “metacontesti”, cioè di contesti chepermettono di considerare come connessi elementi che altrimen-ti rimarrebbero isolati […]» «Usare lo “sfondo integratore”, infatti,proprio perché agisce come elemento di raccordo, intreccio e in-tegrazione fra i vari momenti, percorsi, linguaggi, etc., incide alivello di strutturazione dei meta apprendimenti. Per meta ap-prendimenti intendo, qui, in particolare, le strategie di apprendi-mento, da una parte, e le modalità relazionali, dall’altra». (ZANELLI

1986, p. 15 e p. 26)8 Questa la motivazione: «Sofisticato itinerario poetico-letterario

alla scoperta dell’attualità del pensiero scientifico, corredata dal-l’esplorazione del repertorio musicale rinascimentale sia attra-verso l’indagine storica sia attraverso l’esecuzione di alcuni braniadattati all’ordinario strumentario didattico».

Vide@musa cura della redazione di “Musica Domani”

www.musicadomani.it _ Le rubriche _ Vide@mus

Parodie, Parafrasi, MetamorfosiSi vanno diffondendo, anche grazie alla rete, modalità di esibizione strumentale anomale rispetto al concertotradizionale e sempre più simili a performance teatrali. Spesso gli artisti sfruttano meccanismi tipici dellacomicità, quali la parodia e l’interpolazione “a sorpresa” di stili musicali. Perché non fare di questi video unmateriale di lavoro in classe, sfruttando non solo la loro carica di allegria, ma anche la sapienza esecutiva estilistica che si cela dietro l’apparente “frivolezza”?Gli esempi selezionati di Stefano Bollani, del duo Igudesman & Joo, dell’orchestra “Stefano Tamburini” diPisa (composta da ragazzi) offrono numerosi spunti sul piano dell’analisi e della rielaborazione creativa.

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Per suonare è necessario automatizzare movimenti che al-trimenti dovrebbero essere progettati al momento. La pro-gettazione del gesto al momento dell’esecuzione occupatalmente il pensiero da far rallentare la realizzazione, senon la blocca addirittura. E addio senso musicale, espres-sione, comunicazione, con demotivazione e frustrazionein agguato. Ma se per automatizzare i movimenti dobbia-mo far ripetere agli allievi movimenti meccanici con as-senza del senso musicale, dell’espressione e della comuni-cazione, ecco riaffacciarsi la demotivazione e la frustra-zione di chi vorrebbe suonare con piacere almeno proprio,se non di chi ascolta.L’obiettivo delle proposte didattiche che seguono è di dareun senso musicale, espressivo e comunicativo agli esercizidi tecnica, in modo che gli studenti possano migliorare leloro abilità strumentali in maniera espressiva, comunicati-va e con soddisfazione.Ritengo che gli esercizi tecnici non si debbano leggere,una volta capite le note da suonare e le dita con cui suo-

Annibale Rebaudengo

La tecnica del suono

narle. La lettura impegna inutilmente la mente facendoperdere la concentrazione sull’ascolto e l’autocorrezione.Scale, arpeggi o altri esercizi su cui ci siamo esercitati e sucui facciamo esercitare gli allievi possono essere studiaticon profitto quando alla consegna di suonare le note giu-ste, con le dita giuste, con il tempo che si è deciso, si ag-giungono suggerimenti di carattere espressivo musicale oextra-musicale. Non solo per motivare chi suona, ma per-ché il dare un senso musicale agli altrimenti aridi esercizisviluppa la tecnica del suono, suono che si colora di inten-zioni espressive e comunicative.Per esempio: per un principiante bambino è coinvolgentefare le scale o esercizi anche più elementari interpretandoun animale. Immediatamente l’idea della formica sarà tra-sformata in suoni brevissimi e pp, quella dell’elefante insuoni pesanti e cadenzati in ff, suoni staccati in mf allude-ranno al canguro, mentre suoni legati con probabili cre-scendo e diminuendo rappresenteranno molto probabilmen-te il serpente, per non parlare del guizzante pesce rosso

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che sicuramente non terrà il tempo con precisione. Gli al-lievi dovranno poi esercitarsi a casa e portare alla lezionesuccessiva almeno tre animali a loro scelta con l’identica ocon un’altra tonalità. E allora all’automatizzazione di diteg-giature e note si aggiungeranno abilità dinamiche e tim-briche che daranno vita ai freddi esercizi tecnici.La mamma di una deliziosa bambina mi disse un giorno constupore che sua figlia non aveva fatto mai per tanto tempole scale come da quando le avevo detto di suonarle facendofinta che a eseguirle fossero gli animali. La stessa bambina,ora concertista, mi chiese dopo qualche settimana di fare lescale “a fiore”. Mi faceva ascoltare scale a garofano, a gera-nio, viola e rosa. Non potevo discutere la sua idea del suonodi garofano, ma di certo l’idea di fiori diversi consentiva epromuoveva in Alice diverse pronunce sonore.Gli alunni più grandicelli si possono concentrare diretta-mente sulle qualità del suono senza intermediazione sim-bolica. Sono loro che devono decidere se suonare pianolegato o piano brillante, forte legato o brillante, mante-nendo l’uguaglianza del suono oppure crescendo o dimi-nuendo. La potenziale complessità polifonica del suonareil pianoforte ha necessità di fondare quasi immediatamen-te la capacità di gestire con le due mani sequenze consonorità e/o figurazioni ritmiche diverse. Ecco allora chequalsiasi esercizio tecnico, anche inventato dall’allievo,dovrebbe essere suonato affidando a ogni mano suoni conpronunce diverse. Una mano con suono forte e staccato,l’altra piano e legato, per poi scambiare i ruoli delle mani;una mano con suono portato e piano, l’altra legato piano,e così via. Una vera e propria prova iniziatica di poliritmiaè suonare le scale con figurazioni di due ottavi con unamano e in terzine di ottavi con l’altra, anche con timbri edinamiche diverse. Quando poi gli allievi avranno ascolta-to e suonato gli autori significativi per la loro formazioneestetica, sarà il momento di suonare le scale o gli arpeggicome se fossero di un Allegro di Mozart o di un Adagio diBrahms.Lo spazio dedicato alla tecnica è ancor più interessante pergli allievi e per gli insegnanti se utilizzato nella lezionecollettiva. Dati i quattro elementi (terra, aria, acqua, fuo-co), lo strumentista suonerà quello che crede e il gruppodovrà dire alla fine dell’esecuzione quale elemento sia sta-to trasformato in suoni, in scala o in arpeggio; date quat-tro maschere (Arlecchino, Colombina, Pierrot, Pulcinella)– previa descrizione degli attributi caratteriali delle ma-schere stesse – l’esecutore si confronterà con il pubblico di

compagni di classe sulla sua interpretazione. A turno ognu-no suona e tutti dicono cosa hanno sentito. Sarà moltointrigante la discussione che segue, sia che l’interprete ab-bia portato tutti a confermare la sua scelta, sia che il pub-blico sia discordante al proprio interno e con l’interprete.Si dovrà, nel secondo caso, approfondire il carattere dellamaschera, condividere l’idea di un suono appropriato everificare se l’esecuzione successiva risulti più convincen-te. Lo stesso gioco si può fare con gli autori, le stagioni, lameteorologia, e soprattutto con gli stati d’animo abbinatia personaggi. L’anonima scala, suonata con l’autorevolez-za di una regina, cambia totalmente se suonata con lagiocosità di un bambino felice, di una principessa triste odel principe innamorato o del guerriero. L’insegnante nondeve dire quale personaggio o quale stato d’animo si devesuonare, deve offrire delle opzioni; l’allievo deve suonaree cercare di comunicare musicalmente la sua scelta.Una caratteristica della lezione collettiva è quella di suo-nare uno alla volta, senza soluzione di continuità. Senzafermarsi, quindi. Un esecutore (potrebbe essere anche inuna classe di musica d’insieme) suona per otto misure unascala, che è ricominciata da un altro esecutore, proseguitada un terzo ecc. Gli esecutori possono suonare imitandosi,imitandosi e cambiando progetto nella seconda parte dellapropria esecuzione, ma sempre mantenendo la pulsazioneiniziale.Altra attività significativa, che si può realizzare sia nellalezione individuale sia nella collettiva, è lo studio pervelocizzare due note – se attigue fino a farle diventaretrillo regolato –, ma anche una scala o un arpeggio. Senzafermarsi, un primo esecutore suona l’esercizio di due o piùnote con valori di semiminime per quattro misure di 4/4, siprosegue con le stesse note suonate con crome, poi conterzine di crome, quartine di semicrome, quintine, sestine,fino a gruppi di nove note, mantenendo con precisione lapulsazione. Sarà l’insegnante a decidere a quale figurazionefermarsi e ad affidare a ogni allievo la figurazione ritmicada suonare, secondo le capacità del gruppo e di ognuno.L’affastellamento delle mie proposte sarà diluito dai do-centi durante gli anni, e la loro pratica per ogni lezionenon durerà più di dieci minuti. Lo stesso tempo gestito inuna lezione collettiva diventa molto efficace, oltre che piùattraente. La creatività didattica di chi sta leggendo questamia rubrica avrà modo di sbizzarrirsi, progettando, per iltempo dedicato alla tecnica, altre consegne e assecondandocosì la propria intuizione e la propria fantasia.

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Stare nel suono:postura ed espressione

Il tema dell’equilibrio funzionale fra corpo e strumentoviene affrontato dall’autore in un’ottica di integrazione fraproblemi posturali ed esigenze espressive, attraverso la pro-posta di attività centrate sull’improvvisazione e sul movi-mento.

Le parole insegnano al corpo?A quanti di noi è capitato di sentirsi dire «Stai dritto!» du-rante la lezione di strumento?E quanti di noi, da studenti o docenti, hanno ritenuto im-portante riflettere su quale sia il modo più corretto di stareinsieme al proprio strumento?L’argomento “postura” porta con sé una notevole narrazio-ne orale che ne testimonia al tempo stesso l’interesse perdocenti e studenti e la complessità di un’adeguata trasmis-sione/insegnamento. La necessità di trovare un equilibrioefficace tra suono e corpo è uno dei motivi che spinge iconservatori ad attivare, nei bienni di specializzazione di IIlivello, dei corsi di tecniche funzionali allo sviluppo dellaconsapevolezza corporea (Alexander, Feldenkrais ecc.), maspesso la sensazione che si ha dopo averli frequentati è chesiano poco efficaci dal punto di vista applicativo: di fre-quente sono insegnati e praticati in modo avulso dalla mu-sica; altrettanto spesso la posizione attraverso la quale suo-niamo non viene curata sufficientemente dagli insegnanti, iquali sono più attenti a come si tiene lo strumento anzichéad osservare come il corpo si modella per fare musica.È assodato che la posizione con la quale si suona sia ingrado di influenzare il suono in tutti i suoi parametri, ma ionon credo che influenzi solamente il suono come elementoestetico musicale, quanto piuttosto lo stare nel suono.Certo, una distinzione generale andrebbe fatta: suonare inun’orchestra classica crea una relazione con il suono assaidifferente da un’esecuzione di musica contemporanea (si pensia quanto alcune Sequenze di Luciano Berio, in cui l’interpreteè chiamato a muoversi durante l’esecuzione, o le opere diMauricio Kagel, in cui il movimento è componente teatrale efondamentale per la produzione del suono, siano differenti

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da un concerto per pianoforte e orchestra di Mozart) rispettoa un’esecuzione di musica improvvisata, o etnica. Ciò avvie-ne perché il corpo si sincronizza in modi differenti rispettoall’opera, poiché le modalità esecutive cambiano per diversifattori: l’appartenenza storica dell’opera affrontata oggi ri-sente molto delle interpretazioni filologiche che impongononon solo un ideale estetico del suono, ma anche un atteggia-mento corporeo esecutivo, a mio parere, molto distaccato dallaproduzione del suono stesso. Non è raro osservare gruppi co-rali o strumentali, anche amatoriali, eseguire canzoni, villanelleo altri repertori popolari approcciandosi all’esecuzione in modoestremamente composto, ma inevitabilmente rigido a livelloposturale, quando proprio in virtù del repertorio affrontatopotrebbero sfruttare una postura/atteggiamento più agevoleall’ascolto e all’esecuzione. Un esempio intelligente di inte-grazione del movimento corporeo alla musica lo si può osser-vare durante i concerti dell’orchestra giovanile venezuelana“Simon Bolivar” 1: è evidente come il percorso di formazionestrumentale dei membri di tale orchestra sia fortemente in-centrato sulla relazione corpo-suono, poiché le loro esecuzio-ni non solo risultano sciolte, ma perfettamente integrate daimovimenti che le sezioni strumentali, a scopo apparentemen-te coreografico, realizzano sincronizzandosi con i tempi ese-cutivi, assumendo così una postura estremamente favorevolealla produzione del suono e all’ascolto.Studi riguardanti la postura, e più precisamente la “posturad’ascolto”, sono stati condotti da Alfred Tomatis 2 il qualea tal proposito scrive: «Uno dei principali agenti di attiva-zione della funzione di ascolto è, senza dubbio, la posturacorporea che permette di accedere a questa facoltà di altolivello. Questa postura chiama in causa tutte le parti del-l’essere umano, soprattutto il cervello che ne viene stimo-lato e il sistema nervoso che mette in movimento i diversicircuiti afferenti ed efferenti, motori e sensoriali. […] Difatto l’orecchio è il generatore principale di energia corticale,non di per sé, ma perché la ricarica energetica si realizzasuo tramite. […] Più è agevole raggiungere una posizionecorretta e più è facile mantenervisi».Com’è possibile giungere a una piena comprensione dellapostura funzionale (o necessaria?) allo star bene con il pro-prio strumento?In base all’esperienza di docente e strumentista mi pareragionevole scartare il solo insegnamento orale: la postura,specificamente applicata a uno strumento musicale, è unatteggiamento che non può svilupparsi dalla semplice ri-chiesta di “stare dritti” o da qualche lezione sulla percezio-ne del movimento corporeo, poiché tale esortazione, o at-

teggiamento, elude (o non specifica in modo sufficiente) lanecessità del corpo di sincronizzarsi con l’evento perfor-mativo musicale.Occorre quindi predisporre il corpo a ricevere gli stimolisonori che successivamente saranno a loro volta rinviati.Ancora Tomatis scrive: «La pelle beneficia a sua volta dellestimolazioni acustiche, in modo particolare là dove si trova-no i corpuscoli sensoriali […] Questi elementi si trovano sulviso, sulla parte anteriore del torace e dell’addome, sulla parteinterna delle braccia e nella regione palmare delle mani, nellaparte interna delle cosce, così come nell’area delle piante deipiedi. […] Parlare (suonare 3) a un’altra persona significa agiresul suo corpo, vale a dire indurre colui che ascolta a beneficiaredelle stesse sensazioni propriocettive di colui che emette laparola. Chi ascolta viene così spinto […] a rispondere con ilcorpo, mediante la posizione, la verticalità, l’apertura, il suooffrirsi, in un certo senso, all’espressione di chi gli parla. Inquesto modo tutto il suo corpo partecipa; in realtà è solo ilcorpo periferico, e beninteso anche tutto il sistema nervosoassociato, afferente ed efferente. L’informazione perifericadetermina delle accensioni di sensibilità in direzione del si-stema nervoso centrale e le conseguenti risposte. Tutto vienecosì coinvolto, anche la corticalità cerebrale» 4.Le parole di Tomatis appaiono chiare: il corpo deve offrir-si, sintonizzarsi all’evento musicale, aprendosi per riceveree rimandare stimoli acustici. Per farlo deve trovare la posi-zione ottimale all’interno dell’evento sonoro; si tratta diuna partecipazione totale del corpo, e del sistema nervososia periferico che centrale, che la didattica deve privilegia-re come atteggiamento normalizzato durante il percorso distudio affrontato dai ragazzi.

Verso la sincronizzazioneÈ sufficiente avere un elemento oscillante per creare sin-cronizzazione tra macchine (e uomini). Quest’affermazio-ne è facilmente verificabile osservando un video realizzatodal Dipartimento di Fisica dinamica (gruppo di fisica me-dica) della Lancaster University 5.Cinque metronomi posti su un piano rigido sono fatti par-tire in modo casuale: osservando l’oscillazione dei pendolisi può notare che, rimanendo fermi sul loro piano, nonhanno mai un istante di sincrono; in un secondo momentoil ricercatore sposta il piano, sul quale si trovano imetronomi, su due rulli, i quali, per effetto del movimentodei pendoli, iniziano a ruotare leggermente muovendo ilpiano fino a raccordare l’oscillazione dei pendoli e a pro-vocarne la sincronizzare periodica.Immaginiamo di poter riprodurre, con un gruppo distrumentisti, la stessa oscillazione dei pendoli sopra un ipo-tetico piano mobile in cui i pendoli siano rappresentati dalritmo e il piano mobile sia la reattività necessaria al corpoper produrre il suono nel classico contesto di domanda-risposta: una simile situazione può indurre sincronizzazio-ne? L’elemento oscillante su base mobile determina movi-mento corporeo(-sonoro): la presenza di tale elemento è in-dispensabile per muoversi dentro il suono e condizione ne-cessaria per stare nel suono è muoversi dentro di esso 6. Ilcorpo, non più avulso dal contesto che lo circonda – nel

1 Si veda www.youtube.com/watch?v=IAaiBNCYU4.2 TOMATIS 2000, p. 185.3 Corsivo mio.4 TOMATIS 2000, p. 186.5 È possibile consultare una registrazione audio-video all’indirizzo

www.youtube.com/watch?v=W1TMZASCR-I6 Moshe Feldenkrais, nel testo Le basi del metodo per la consapevo-

lezza dei processi psicomotori, sostiene che l’«autopropulsione èanche autodirezione, rendendo così il movimento il fattore piùimportante della vita animale» (FELDENKREIS 1991, p. 24).

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16 nostro caso l’evento musicale –, si raccorda, si sincronizzanel suono e ciò lo rende reattivo ai cambiamenti.L’atteggiamento di reattività creato dalla sincronizzazionecorpo-suono sviluppa una maggiore attenzione all’ascoltodei parametri sonori e ciò, a mio avviso, tende a migliorarela postura in modo naturale, predisponendo il corpo a unostato di equilibrio. Un insieme di musicisti abituati a lavo-rare improvvisando raggiungerà nel tempo una sincroniz-zazione organica che permetterà di respirare nella musica,di muoversi nello spazio 7 (o ambiente) musicale, reagendoalle relazioni che di volta in volta la materia sonora, evol-vendosi, crea.L’improvvisazione privilegia aspetti espressivi diversi dalsenso musicale tradizionalmente inteso: non è necessarioricercare un dialogo musicalmente sensato (per “sensato”intendo rispettoso delle regole armoniche o della tradizio-nale linearità melodica). Personalmente trovo più interes-sante porre l’attenzione sulle trasmutazioni che il suono su-bisce durante le improvvisazioni completamente libere davincoli armonici, melodici e ritmici, trasmutazioni che nor-malmente mi portano a variare le affermazioni musicali-corporee durante l’improvvisazione. Ma ogni esecutore tro-va il proprio modo di rapportarsi all’evento, e la modalitàcorretta è quella che consente al musicista di sentirsi a pro-prio agio nella composizione a cui sta partecipando. A talproposito può essere utile osservare l’atteggiamento corpo-reo di musicisti come Glenn Gould, Keith Jarrett o Don Cherry,per citarne alcuni: guardando i video che li ritraggono du-rante le loro performance non si può non notare come i lorocorpi siano compartecipi alla produzione del suono al puntoda rappresentarne quasi un prolungamento acustico, quasiche l’integrazione corpo-suono non possa mai venire menoper l’esistenza stessa del suono; una identica sensazione lasi prova osservando il rapporto che gli stessi musicisti han-no con i loro partner durante i concerti: la produzione delsuono investe totalmente i loro corpi e i dialoghi sonori sibasano sull’apertura corporea alla ricezione del suono e airelativi rinvii. È in questa stessa dinamica di compenetrazionesonora che il corpo si trova a dover organizzare le sue rea-zioni ed è a queste che l’attenzione si rivolge decentrandosidalle tensioni tipiche dell’esecuzione scritta.In merito al senso dell’improvvisazione può essere utile ri-portare due citazioni eccellenti; Mario Schiano 8, padre delfree jazz italiano, afferma: «Un’improvvisazione è un dialo-go (qualche volta anche un soliloquio, ma meglio limitarsinei solo…). Si parla, si esprimono idee, ci si confronta, perpoi arrivare ad una conclusione comune del discorso».Giacinto Scelsi 9, raccontando l’incontro con la violoncelli-sta Victoria Parr, scrive: « […] lei non aveva mai unito lameditazione e la musica, trovando impossibile meditare e alcontempo suonare. Le spiegai come ciò poteva essere fatto:lei al violoncello, io al pianoforte – a condizione però dinon ascoltare l’altro, di non seguire in nessun modo l’altro,di suonare indipendentemente quello che veniva, senza ascol-tarci e neppure pensare a quanto l’altro suonava contempo-raneamente, bensì concentrandoci ambedue sul suo Mae-stro. […] Victoria riuscì ad eseguire in brevissimo tempo ciòche le avevo insegnato e spiegato, acquistando un suono

molto bello ed una tecnica molto più libera e precisa. […]Avrei voluto improvvisare in questo modo anche con MikikoHiroyama e con Frances-Marie Uitti […] ma esse erano trop-po abituate ad improvvisare in modo occidentale, cioè ascol-tando i compagni e quindi stabilendo il contatto solo oriz-zontalmente e non verticalmente».È interessante l’osservazione che Scelsi rileva sul modo disuonare della Parr: l’attività improvvisativa-meditativa haavuto come primo effetto un miglioramento del suono euna tecnica più libera, a conferma che il corpo è entrato inun rapporto più equilibrato con il suono e con lo strumento.Leggendo le parole dei due musicisti si coglie immediata-mente che esistono diversi modi per improvvisare, ognunodei quali appare tagliato “su misura di uomo”. Mi sembraperò interessante constatare che entrambe le visioni han-no in comune la sintonizzazione tra i partecipanti all’instantcomposition: per Schiano è basata sull’aspetto dialogicodel discorso musicale, mentre per Scelsi è fondata sullameditazione. In entrambi i casi è elemento condiviso lacasualità degli eventi sonori messi in gioco, cambia solo laloro organizzazione.

ContattoCome trasporre l’esperienza propriocettiva di cui parlaTomatis in ambito didattico strumentale ricavandone be-nefici posturali?A mio parere, appare indispensabile pensare a percorsi di-dattici che contengano almeno tre elementi: la lezione col-lettiva, il movimento del corpo e un certo grado di casualitàdegli eventi sonori messi in gioco (Fig. 1). Il lavoro di grup-po che si sviluppa all’interno della lezione collettiva si basasu una modalità dialogica che porta i partecipanti a interro-garsi sulle proprie e altrui esecuzioni, tappa importante ver-so l’autovalutazione e quindi verso l’autonomia. Suonarecon gli altri e per gli altri rovescia la prospettiva che è tipi-camente rinchiusa nella lezione singola. Ma non solo: suo-nando collettivamente un’improvvisazione è ancora più evi-dente l’interscambio sociale che si viene a creare nel conte-sto classe: come in ogni società democratica, i membri met-tono in atto atteggiamenti di compartecipazione al benecomune, oltre che di autocontrollo, e ciò può essere lettoattraverso la lente della democrazia partecipata alla qualetutti hanno diritto-dovere di contribuire apportando quelloche è nelle proprie possibilità. Uno studente deve sentirsiresponsabile dell’andamento didattico della classe e avver-tire il dovere di monitorare il grado di partecipazione trastudenti: penso che l’attività d’improvvisazione di gruppo(piccolo o grande) sia un’ottima cartina di tornasole per com-parare il diverso modo di partecipare alle lezioni tra gli stu-

7 John Cage invitava a «disporre i musicisti lontani nello spazio perenfatizzare l’individualità sonora, l’azione indipendente di ogniesecutore» (in COSOTTINI 2009, p. 40).

8 FAGGIANO 2003, pp. 108-109.9 SCELSI 2010, pp. 359-360.10 Il brano fa riferimento al repertorio minimalista, in particolare

alle opere di Steve Reich.

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denti, acquisendo conoscenze approfondite rispetto alle di-namiche che s’innescano.Preparatori alle esperienze d’improvvisazione gestuale digruppo sono la danza, i giochi di coordinazione motoria el’esecuzione strumentale integrata alla motricità.Una strategia efficace per il miglioramento della postura èquindi l’integrazione di movimenti del corpo all’interno dibrani scritti (drammatizzazione di testi, rappresentazione diaccenti metrici e di elementi tematici); i movimenti (sianoessi gesti-suono o gesti teatrali) esaltano la partecipazioneall’opera e ne alleggeriscono l’esecuzione da tensioniextramusicali. Sfruttando il gruppo è possibile creare alter-nanza tra gli esecutori del medesimo brano e il loro movi-mento corporeo, procedendo con l’applicazione di testi cheinducano al moto spingendo in due importanti direzioni:coordinazione motoria relativamente alla fonte (particolar-mente efficace per la percezione dei cambi di tempo) e cor-rezioni posturali subordinate ai movimenti richiesti.Consideriamo a titolo di esempio il brano didattico Con i pie-di con le mani (Fig. 2): l’applicazione dei movimenti indicatinel testo durante l’esecuzione porta inevitabilmente l’esecu-tore ad assumere una postura che gli consenta di eseguire leazioni indicate, ponendolo in una posizione di equilibrio di-namico assai reattivo poiché il corpo stesso risulta integratonell’opera. Questo tipo di attività facilita l’apertura al dialo-go tra corpo e suono, riducendo le tensioni extramusicaliperché il corpo diventa un significante della musica.Anche il brano Structure music 10 (Fig. 3) è un esempiod’integrazione del corpo nell’opera: la successione deglieventi sonori previsti dalla parte inducono il corpo a par-tecipare attivamente all’esecuzione, diventando, anche inquesto caso, parte integrante del brano e perdendo quindiil ruolo marginale nell’esecuzione dell’opera.Le attività sopra descritte perseguono anche obiettivi ge-nerali come, per esempio, il decentramento dell’attenzionedallo strumento: dimenticandosi di tutte le “regole” persuonare (come respirare, tenere le mani, impugnare lo stru-mento ecc.) l’esecuzione risulta facilitata. Il nocciolo dellaprocedura sta nella capacità di far entrare in gioco il corpo

Fig. 1 - Lo schema riporta in sintesi la circolarità delle attivitàdidattiche che concorrono a sviluppare un equilibrio posturaledinamicamente efficace tra corpo e strumento.

Fig. 2 - Partitura del brano Con i piedi con le mani

Fig. 3 - Il principio generativo del brano è riconducibile allosfasamento metrico accentuale tipico del repertorio minimalista. Losi può utilizzare per lo sviluppo della coordinazione motoria, maanche come studio ritmico.Modalità d’utilizzo: associare a ogni riga una risorsa sonora nonconvenzionale (es. colpo sul bocchino con la mano, bacio sulbocchino, soffio, frullato soffiato, click dei pistoni con ghierasvitata, suono fatto uscire dalla prima o terza pompa preparataecc.); suonare le pause con uno strumento a percussione e altermine di ogni riga, passare alla successiva battendo i piedi a terra.Variante: applicare alla prima riga il do, alla seconda il re, alla terzeil mi ecc. In fondo al brano avremo eseguito la scala: giunti allafine, ripetendo il primo pattern la sensibile risolverà sulla tonicaall’ottava superiore.

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18 nel momento in cui suoniamo: più parti del fisico parteci-pano all’esecuzione, maggiore è il beneficio posturale chene ricaviamo.Propedeutico alla ricerca posturale propriocettiva risultaessere tutto il corollario di attività che è possibile struttu-rare partendo da fonti molto semplici; l’utilizzo di una stra-tegia graduale, in previsione di laboratori fondati sull’im-provvisazione gestuale, si rivela un investimento di gran-de importanza nel momento in cui chiederemo agli allievidi utilizzare un’espressività più complessa, quella che sinasconde nell’assenza di consegne precise, nell’incertezzadell’azione che il gruppo è chiamato a svolgere. È a quelpunto che i ragazzi non ci rivolgeranno la domanda «cosadevo suonare?», e sarà quel terreno, preparato precedente-mente, che ci consentirà di affrontare il dialogo con l’in-certezza tipica dell’improvvisazione senza il timore del-l’inadeguatezza, poiché più è vasto il bagaglio musicaleesplorato (a livello gestuale, timbrico, agogico, dinamico,motorio ecc.) e meno paure hanno gli allievi di esporsi.Personalmente ritengo che il canale privilegiato per perse-guire la postura più efficace a ottenere il dinamismo ne-cessario per fare musica, soprattutto in una dimensionedidattica, sia l’improvvisazione, poiché è nel tracciare unalogica cercata al momento che l’interprete fluidifica il ge-sto e il suono, sintonizzando il corpo con ciò che lo cir-conda (nel suono appunto), ponendosi in un atteggiamen-to di ricercAzione continua che difficilmente può non por-tare a una situazione di equilibrio psico-fisico.Moshe Feldenkrais 11 scrive: «[…] la crescita dell’intero or-ganismo, delle ossa, dei muscoli e degli organi interni, im-plica la reazione all’ambiente e l’adattamento a esso […]».Il gesto, reso spontaneo e disinvolto dalla casualità dellerelazioni interne alla materia sonora e dalle sue mutazioni,reso reattivo dal grado di attenzione necessaria a tale atti-vità, migliora l’equilibrio posturale generale dell’individuoe ne sviluppa la consapevolezza corporea.Come ho mostrato prima attraverso le parole di Scelsi eSchiano, l’improvvisazione ha molte chiavi d’interpreta-zione, ognuna delle quali è efficace per l’esecutore. Pertaluni improvvisare significa riformulare linee melodichepreesistenti, per altri è trovare l’uscita da un labirinto, peraltri ancora è la ricerca di un dialogo tra idee strumentali.Per me improvvisare è prima di tutto liberarmi dalle regolecostrittive della scrittura per lasciare spazio alla composi-zione istantanea, la quale, inevitabilmente, risente di mol-teplici fattori: l’umore, l’affinità con gli altri esecutori, ilpercorso musicale precedente, la curiosità esplorativa neiconfronti del proprio strumento ma anche la ricerca deldialogo con i propri interlocutori, gli scontri tra masse so-nore che collidono, si compenetrano, si rigenerano. E, comeavviene nei dialoghi, il discorso può cominciare da un’af-fermazione e terminare in una posizione nettamente rove-sciata.È immaginabile applicare queste dinamiche improvvisativein ambito scolastico?Postulato che il movimento è all’origine della conoscenzacorporea, la caratteristica fondamentale dell’improvvisa-zione proposta è necessariamente l’integrazione del dinami-

smo fisico con lo strumento. Il docente può facilitare l’ac-cesso al linguaggio improvvisativo dando alcune regole diutilizzo: con giochi d’imitazione timbrica, gestuale, ritmi-ca, motoria, durante i quali ogni piccola variazione, ancheinvolontaria, apportata dagli allievi può trasformasi in unnuovo inizio (è utile organizzare tale attività disponendosiin cerchio, in modo da potersi osservare, specchiare, auto-correggere, perdersi, ma facilmente ritrovarsi guardando ipropri compagni), oppure indicando un ambito armoniconel quale suonare, un pattern ritmico nel quale sincroniz-zarsi e alcuni gesti/movimenti da cui partire. Tutte le rego-le che diamo per costruire un’attività che porta all’improv-visazione devono poter essere relativizzate in ogni mo-mento; per questo è di grande importanza la capacità dicogliere gli eventuali aspetti digressivi del discorso musi-cale e rilanciarli, poiché ciò, oltre ad aumentare l’autono-mia negli allievi, crea nuove forme e sonorità.La ricerca continua dell’evoluzione sonora porta ad attiva-re una grande sensibilità all’ascolto e il non avere puntid’appoggio predefiniti, se non una piccola rete rappresen-tata da qualche regola relativizzabile, via via diventa perl’interprete un’incertezza positiva che, se ben valorizzata,può sfociare in risultati molto distanti dal punto di parten-za: è questo dialogo con l’incertezza che attiva il corpo e ilcervello nella sua totalità; perdersi insegna a ritrovarsi.Il risultato è la nuova prospettiva nella quale il corpo sitrova ad agire: diventa così attivo e non più subordinatoalla musica; semmai ne diviene lo scultore in grado dimodellare e modellarsi insieme a essa.

«Il comporre può diventare, al limite, semplice presadi contatto con i più diversi oggetti o giocattoli musicali,

tradizionali o ricavati da qualsiasi contesto […].»TITO GOTTI 12

AttivamenteIn sintesi, le lezioni di strumento finalizzate a un migliora-mento posturale potrebbero essere formulate secondo un’or-ganizzazione tripartita che valorizzi l’aspetto motorio, sim-bolico e di regole. Ad esempio lezioni d’imitazione/improv-visazione collettiva durante le quali l’insegnante assume ilruolo di modello proponente di atteggiamenti motori, ri-cerche timbriche, esplorazioni sonore, giochi ritmici.

11 FELDENKRAIS 1991, p. 25.12 Alla ricerca del silenzio perduto 2008, p. 12.13 Una registrazione audio-video di Con i piedi con le mani e di

Structure music è reperibile all’indirizzo www.youtube.com/watch?v=hMR5YUOSFcY; nel sito www.musicadomani.it sonoscaricabili le parti.

14 È possibile consultare una registrazione audio-video diun’improvvisazione su pattern ritmico all’indirizzo www.youtube.com/watch?v=N3nWxLNZ39o; la partitura Improvvisazione bluesè disponibile sul sito www.musicadomani.it nella sezione “Mate-riali”.

15 È possibile consultare una registrazione audio-video diun’improvvisazione “libera” all’indirizzo www.youtube.com/watch?v=vgF2AdWBzl4

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Come accennato in precedenza, la modalità operativa chepersonalmente prediligo è la disposizione circolare degliallievi, prevedendo la possibilità di sedersi e alzarsi, even-tualmente senza leggii, mettendo a disposizione esempigrafici rappresentativi del modello sonoro ricercato (suonomorbido, suono grattato, suono diritto o piegato ecc.), im-mergendosi in una sorta di teatro gestuale-sonoro.Utilizzare poliritmie e polimetrie apre alla ricerca di unacoordinazione motoria collettiva: tali prospettive, infatti, bensi adattano allo sviluppo di dinamiche di autocontrollo rit-mico, trasformando la classe in un organismo in grado digenerare spostamenti agogici di grande interesse per la sin-cronizzazione del corpo e per gli eventuali improvvisatori.L’abitudine a questo tipo di attività mi sembra utile per vin-cere le inibizioni derivanti dall’assunzione di atteggiamentiche gli allievi non si aspettano di vivere durante una lezionedi strumento: anche i ragazzi più giovani subiscono le con-venzioni di una società che appare sempre più ostile alle di-versità.Per trasporre l’attività d’imitazione/improvvisazione prece-dentemente descritta in un ambito più organizzato (e quindipiù adatto a un livello superiore rispetto al primo approcciostrumentale), si possono utilizzare partiture come quelle quimostrate, in cui il rapporto corpo-opera musicale sia pensa-to per integrarsi profondamente 13: pensando a lezioni col-lettive, trovo importante evidenziare che il materiale utiliz-zato sia strutturato in modo che il gruppo non abbia ecces-sivi tempi morti nell’attesa del proprio intervento, alternan-do quindi esecuzione con movimento e canto.Infine, per perseguire l’obiettivo di improvvisazioni piùautonome in cui il singolo possa esprimere le proprie ideee ricercare il suo personale rapporto fisico con il suono,reputo efficaci alcune strategie metodologiche:- definire un pattern ritmico e una serie di suoni sui qua-

li improvvisare 14: disponendosi in modo circolare i par-tecipanti possono iniziare suonando tutti il pattern rit-mico e, dandosi un ordine d’entrata o procedendo inmodo casuale, improvvisare sulla base ritmica creatadai compagni; il rientro in fase nel pattern da parte delsolista rappresenta l’inizio per un altro solista;

- individuare un’opera (una canzone, una danza) nellaquale dover ricercare la tonalità e i relativi rapporti ar-monici (semplificando con i ragazzi: le note che stannobene con il brano); dopo la ricostruzione dei profilimelodici dell’opera, si possono incoraggiare i ragazzi aprovare un dialogo tra la melodia e loro stessi, svilup-pando il tipico rapporto compositivo di domanda-ri-sposta, ma con la consapevolezza di essere partecipidella composizione di un brano proprio, messo in rap-porto con qualcosa di preesistente;

- strutturare una poliritmia utilizzando la body percussiono le risorse non convenzionali del proprio strumento,definire una serie di note (per esempio una scalapentatonica) per l’improvvisazione invitando il gruppoad autoequilibrarsi tra suono e ritmica;

- per ultimo, ma non necessariamente alla fine, dialoga-re con l’incertezza dell’improvvisazione “libera” 15. Lecaratteristiche peculiari di tale improvvisazione posso-no essere l’assenza di un ambito armonico definito, laricerca del dialogo tra strumenti, il solo, l’imitazione, lerelazioni tra suono e ambiente, le relazioni tra suono eimmagini (per esempio utilizzando film muti), le rela-zioni tra suono e composizioni elettroniche preesistenti,la gestualità esecutiva finalizzata alla produzione delsuono o solamente teatrale.

Trovo importante, per le attività d’improvvisazione in ge-nerale, riuscire a sintonizzarsi in una dimensione metaso-nora dentro la quale i rapporti tra suono e corpo siano ingrado di autogenerare posture ideali per la convivenza trauomo e musica.Infine, postulato che il movimento è all’origine di unacorretta produzione del suono e che in tal contesto si in-nesta una postura funzionale all’adeguata convivenza tracorpo e suono, è auspicabile che la riflessione didatticaindaghi sempre più la ricerca di strategie capaci di inte-grare tutti i parametri precedentemente descritti. Ciò valeper le lezioni di gruppo, singole, ma anche orchestrali:come insegna l’esperienza venezuelana della “SimonBolivar”, anche le orchestre giovanili italiane potrebberoriformulare la loro preparazione creando le condizioniottimali per formare i giovani musicisti non solo in unaprospettiva di perfezione esecutiva, ma anche dal puntodi vista della presenza scenica, poiché la ricaduta inevi-tabile resta l’innalzamento della qualità musicale nellasua globalità.

BibliografiaAlla ricerca del silenzio perduto. Il treno di John Cage, a cura di OdersoRubini - Massimo Simonini, Baskerville, Bologna 2008.MIRIO COSOTTINI, Non-linearità per aprirsi all’improvvisazione, «MusicaDomani» n. 151, giugno 2009.FRANÇOIS DELALANDE, Le condotte musicali, CLUEB, Bologna 1993.PIERPAOLO FAGGIANO, Un cielo di stelle, parole e musica di Mario Schiano,Manifestolibri, Roma 2003.MOSHE FELDENKRAIS, Le basi del metodo per la consapevolezza dei pro-cessi psicomotori, Astrolabio, Roma 1991.MOSHE FELDENKRAIS, Il corpo e il comportamento maturo, Astrolabio, Ro-ma 1996.MOSHE FELDENKRAIS, Il caso di Nora, Astrolabio, Roma 1996.GIACINTO SCELSI, Il sogno 101, Quodlibet, Macerata 2010.ALFRED TOMATIS, L’orecchio e la voce, Baldini&Castoldi, Milano 1993, 2000.

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Dal 9 all’11 settembre QB Quanto Ba-sta di Bologna ha realizzato una mo-stra per presentare La psicantria, Ma-nuale di psicopatologia cantata, librocon CD di Gaspare Palmieri e CristianGrassilli, edito da La meridiana.I visitatori hanno potuto ascoltare al-cuni assaggi delle tredici canzoni cheparlano di tematiche complesse: ogniproblema trattato (depressione, distur-bo bipolare, schizofrenia ecc.) ha in-fatti suggerito agli autori l’utilizzo diun genere musicale particolare e la pre-ferenza di timbriche, melodie e armo-nie funzionali a rappresentare conte-nuti scientifici tradizionalmente pre-sentati solo attraverso la parola.L’idea di realizzare un Manuale di psi-copatologia cantata è nata dall’inten-zione di trasformare in canzoni unaparte dell’esperienza professionale deidue autori, rispettivamente psichiatrae psicologo (entrambi cantautori), neltentativo d’integrare il mondo musica-le con la complessità del sistema psi-chiatria/sofferenza mentale a cui gliautori stessi danno il nome di psico-mondo.L’utilizzo dell’ironia non ha l’obiettivodi suscitare il riso fine a se stesso, mapiuttosto di sensibilizzare gli ascolta-tori alle problematiche connesse allapsiche, alla sua normalità e alla suaanormalità, per promuovere un incre-mento della consapevolezza in chi vivequotidianamente queste situazioni (pa-

Scegliere sul web gli strumenti per l’aggiornamento

Le risorse disponibili in rete hanno molti-plicato in modo esponenziale le possibili-tà “sedentarie” di conoscenza che un in-segnante può volgere anche nella prospet-tiva di formazione e di autoaggiornamen-to. Tra queste risorse segnaliamo TED (Te-chnology Entertainment Design) che na-sce nel 1986 come appuntamento annualea Monterey in California per la divulga-zione di conferenze e di «idee degne diessere diffuse» (ideas worth spreading). Daqualche tempo molte conferenze sono di-sponibili anche in rete (www.ted.com) efruibili da chiunque. Il successo della for-mula ha portato anche in Italia questaesperienza. A Reggio Emilia, l’8 ottobre

Psicopatologiacantata

zienti, familiari e operatori) e stimola-re la curiosità nelle persone estranee aquesto mondo. Nei testi c’è la tenden-za a empatizzare con i protagonisti dellecanzoni, descritti in modo caricaturaleper far emergere la simpatia di questipersonaggi, spesso elemento fonda-mentale anche nel processo terapeuti-co. Come dichiarano gli autori nellaquarta di copertina del volume: «diffi-cilmente in quattro minuti si riesce aspiegare la complessità di certe situa-zioni esistenziali, ma ogni canzone rap-presenta una piccola provocazione chepuò stimolare discussioni e soprattuttoinfrangere quel muro d’indifferenza etalvolta di ostilità (il cosiddetto stig-ma) che si erge intorno alla malattiamentale».La mostra, conclusa con una presenta-zione a cura di Marco Chiappelli conesecuzioni dal vivo dei due autori, hadimostrato l’efficacia di questo approc-cio lieve, ma improntato al rispetto, riu-scendo a coinvolgere anche un pubbli-co di non addetti ai lavori.

Franca Mazzoli

ultimo scorso, sono state proposte gratui-tamente alla cittadinanza brevi lezionimagistrali. Sul palco si sono succeduti ar-tisti, imprenditori e scienziati.Sul sito americano, la messe di temi e diopportunità di approfondimento è moltoampia ed è consultabile attraverso cate-gorie tematiche, parole-concetto, oppurericercando direttamente i nomi dei confe-renzieri. La principale lingua di diffusioneè, naturalmente, l’inglese, ma è possibileconsultare un’ampia rassegna di conferenzetradotte in italiano e in altri idiomi.Dal 2005 è stato creato il TED Prize, cheassegna ogni anno a tre personalità delmondo della cultura 100.000 dollari con i

quali sostenere il loro «desiderio per cam-biare il mondo». José Antonio Abreu, nel2009, ha ottenuto questo riconoscimen-to. Ricercando la sua conferenza potreteascoltare le sue dichiarazioni di intenti.L’enorme quantità di temi e di approfondi-menti consente a chiunque di spulciare eselezionare, non senza perdersi, i video diproprio interesse. Tra i tanti se ne segnala-no un paio: una efficace dissertazione su“come ascoltare” della percussionistaEvelyn Glennie e una divertentissima, oltreche assai istruttiva, conferenza di Ken Ro-binson che argomenta sulla necessità del-l’introduzione di un sistema educativo chenutra la creatività, invece di mortificarla.

Philippe Meirieu è uno studioso france-se nel campo delle scienze dell’educa-zione e della pedagogia. È stato l’ispi-ratore delle riforme che hanno portatoin Francia alla costruzione degli IUFM (In-stituts Universitaires de Formation desMaîtres) e ha contribuito a diffondere iprincìpi pedagogici della cosiddetta édu-cation nouvelle, cioè quella corrente pe-dagogica – cara anche a chi scrive inquesta rivista – che si ispira alla parte-cipazione attiva degli individui per laloro formazione e che sostiene l’appren-dimento come processo e progresso dellapersona e non come accumulo di cono-scenze.Segnaliamo in questo spazio la visita alsuo sito (www.meirieu.com) per scorrer-ne i materiali contenuti (pubblicazioni,strumenti per la formazione, dibattiti eproposte istituzionali), ma soprattuttoper poter ascoltare, in piccole pillole disaggezza pedagogica, le sue idee e i suoipropositi.Sono infatt i d i sponib i l i ( su l s i towww.capcanal.tv) colloqui e intervistein video intrattenute da Meirieu convari interlocutori sulle grandi questio-ni educative, e un bel film di 52 minu-ti, molto curato anche sul piano comu-nicativo ed espressivo, dal titolo A con-tre-voie: Philippe Meirieu, pédagogue.Una ghiotta prospettiva per curare lapropria formazione iniziale o in servi-zio standosene comodamente seduti acasa propria.

Pedagogia in pillole

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Per fortuna, a fianco di tante iniziativediscutibili ce ne sono altre di pregio chesanno davvero mettere in comunicazionerealtà diverse, creare collegamenti e arri-vare a produzioni di valore musicale e ar-tistico che sanno coinvolgere bambini ebambine.Ci riferiamo alla rassegna “Crescendo inmusica. Percorsi sonori per bambini e ge-nitori” che si è svolta a Brescia dal 18 set-tembre al 5 novembre.L’iniziativa, realizzata dall’assessorato allepolitiche giovanili del Comune di Mode-na, da Nati per la musica e dal CentroMusicale di Modena, ha previsto tre mo-menti musicali: Il grillo campanaro, spet-tacolo musicale interattivo per bambinidai tre ai sei anni, realizzato dall’Ensem-ble Musicullando; I suoni narrano di Ste-fano Fiorini, concerto per bambini da uno

Un altro mododi crescere

Leggere per credere

a tre anni; Mare Nostrum e Parola d’Afri-ca, concerto drammatizzato per voci re-citanti, cantanti e gruppo di percussio-nisti, per bambini dai sette agli undici anni.Quest’ultimo lavoro ha visto la collabora-zione tra la classe di composizione del-l’Istituto “Vecchi-Tonelli”di Modena e Car-pi, l’ensemble di ragazzi dell’Istituto, i per-cussionisti e il coro della Scuola Secon-daria a Indirizzo Musicale “Marconi” diModena.

La collaborazione tra le diverse istituzioni– in quell’ottica di continuità che tuttidovrebbero perseguire, ma che è tantodifficile trovare – ha portato alla realiz-zazione di due lavori musicali per ragaz-zi, composti da ragazzi ed eseguiti da ra-gazzi, col valore aggiunto dello scambiomulticulturale. Momenti di incontro tramusica, gestualità, canto, recitazione,movimento attraverso la narrativa fiabe-sca dell’Africa, dell’Albania, della Gior-dania con i canti e le improvvisazioni diorigine albanese e calabrese, che mostra-no più di una matrice comune con alcunitratti della musica contemporanea occi-dentale.Due piccoli inni alla diversità che diven-tano espressione artistica e collaborazio-ne senza confini per la realizzazione di unprogetto comune.

Riportiamo, quasi integralmente, il comu-nicato stampa inoltrato a molte associa-zioni musicali (la più parte aderenti alForum delle associazioni promosso dallaSIEM) e ad altre personalità impegnate nelcampo dell’educazione musicale in Italia.L’iniziativa, che non esitiamo a valutarein modo decisamente negativo e che umi-lia la professionalità di tutti coloro chene hanno ricevuto notifica, è stata dif-fusa – a partire dal mese di settembre –alle istituzioni nazionali di ogni ordine egrado.Di fronte ad azioni di questo tipo credia-mo sia davvero difficile continuare a ri-porre fiducia nei referenti ministeriali chesostengono a piena voce la promozionedella musica nella scuola accompagnatada qualità formativa. Ai lettori del comu-nicato ricordiamo che il duo Jalisse, pro-tagonista dell’azione didattica, ebbe qual-che lampo di popolarità sul finire deglianni Novanta in seguito alla vittoria al Fe-stival di Sanremo (vittoria molto discussaa causa di accuse di plagio mai verifica-te). La nostra valutazione negativa, è evi-dente, non riguarda le caratteristiche e laqualità artistica del duo, bensì l’evidentescarsa valorizzazione, da parte del Mini-

stero, della professionalità e della qualitàformativa di quella miriade di associazio-ni (tutte culturalmente e pedagogicamen-te qualificate e allo stesso modo accredi-tate dal Ministero) che non hanno inveceottenuto analogo ascolto. Non rimane cheassistere, ancora una volta sgomenti, allosvilimento (un processo senza fine?) di ter-mini quali “interdisciplinarità”, “sperimen-tazione”, “ricerca”.Questo il comunicato:«L’Associazione Crescere Creativi formatada Alessandra Drusian, Fabio Ricci (DuoJalisse) e Mauro Caldera è riconosciuta conProtocollo d’Intesa dal Ministero dell’Istru-zione, dell’Università e della Ricerca (MIUR).La prima in Italia gestita da professionistie riconosciuta anche con patrocini di SIAE,AFI, MEI e Assoartisti.Tutto è nato dall’incontro con il Prof. Lui-gi Berlinguer che ha sin da subito credutonel progetto e nelle sue finalità, mirate apromuovere l’educazione musicale nellaScuola italiana.Successive interazioni con la FondazioneRita Levi Montalcini hanno fortificato leintenzioni del gruppo di lavoro che ora,dopo anni di progetti musicali nelle scuo-le, ha ottenuto il grande riconoscimento:

un importante e significativo passo, ma-turato grazie all’esperienza e alla serietàcon cui sono stati condotti i progetti mu-sicali all’interno delle scuole d’Italia.Gli artisti nelle scuole sono stati e sono ilvalore aggiunto: un canale di promozionee diffusione della musica, vissuta già apartire dell’ideazione di un testo o di unamelodia, fino ad arrivare al brano e allasua produzione/realizzazione.La musica e la sua pratica nella scuola,oggi, grazie all’istituzionalizzazione delprogetto “Artisti nelle scuole” accordatadal MIUR, avrà sempre più strumenti e op-portunità per farsi conoscere e diventarerisorsa per i docenti, non solo delle mate-rie musicali ma anche delle aree lingui-stiche ed espressive. Un obiettivo ambi-zioso che intende coinvolgere in modointerdisciplinare l’intero mondo dellaScuola e dei saperi.Grazie alle autonomie scolastiche e alleinterazioni con le istituzioni del territoriosi cercherà di creare piccole-grandi siner-gie che puntino a un sempre maggioresviluppo e valorizzazione delle attivitàmusicali dando nuovi strumenti anche aidocenti che quotidianamente credononella sperimentazione e nella ricerca».

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Al Conservatorio “Giuseppe Verdi” diMilano le attività didattiche sono comin-ciate con un’importantissima novità: unMaster biennale di primo livello su Mu-sica e dislessia. Il Master, per ora unicoin Italia (ma si spera che altri conserva-tori seguano questo esempio) sarà tenu-to sia da docenti del corso di Didatticadella musica del conservatorio stesso, siada studiosi come Giacomo Stella, EnricoGhidoni, Luisa Lopez e altri, anche pro-venienti dall’estero. Gli iscritti – diplo-mati nei conservatori, qualcuno anchelaureato – superano il numero previsto esono prevalentemente insegnanti di mu-sica in vari ordini di scuola.Il Master è la conseguenza logica di undecennio di insegnamento agli allievi di-slessici del Conservatorio di Milano con-dotto dalla professoressa Matilde Bufanocon risultati buoni, a volte ottimi. L’aspetto

Il 28 e 29 ottobre presso l’Istituto Superio-re di Studi Musicali “Orazio Vecchi - Anto-nio Tonelli” di Modena si è tenuto un con-vegno-confronto tra docenti di composi-zione, avvenimento che, in Italia, non sivedeva da più di vent’anni. I relatori invi-tati da Antonio Giacometti – docente diComposizione presso l’istituto ospitante,nonché promotore dell’iniziativa – sonointervenuti nel corso delle due giornate concompetenza, grande entusiasmo e capaci-tà di confronto. Nel corso del dibattito sonoemerse diverse tematiche, tra queste ilcomplesso rapporto esistente tra didatticae composizione e le diverse declinazioni delruolo del compositore all’interno della so-cietà. Di seguito i relatori intervenuti: Lui-gi Abbate, Paolo Cecchi, Fabio CifarielloCiardi, Riccardo Dapelo, Antonio Giacomet-ti, Luca Macchi, Paolo Perezzani, CarmenPetrocelli (AltrEdizioni, editoria a sostegnodella didattica), Biagio Putignano, GabrioTaglietti. I docenti presenti hanno auspi-

Docenti di Composizione a confronto

più importante di questa sperimentazioneè l’aver provato senza ombra di dubbioche anche lo studente con diagnosi di di-slessia severa può diventare un ottimo mu-sicista, purché voglia davvero studiare lamusica e, soprattutto, purché incontri uninsegnante preparato a riceverlo con sim-patia, affetto e fiducia nelle sue possibili-tà, a volte rilevanti. Un buon rapporto conil docente è condizione irrinunciabile perla riuscita dello studente, il quale nellostudio della musica – che affronta congioia, malgrado l’impegno richiesto dal-la frequenza di due istituzioni scolasti-che – trova quelle soddisfazioni che spes-so l’altra scuola gli nega. E l’insegnantedi musica ha il difficile compito di nondeluderlo percorrendo insieme a lui lacomplessa strada che porta al successonegli esami che dovrà affrontare.A questo riguardo, in riferimento alla leg-

cato una profonda riforma delle metodo-logie e dei contenuti della didattica com-positiva, identificando una strada fecondanel coordinamento tra docenti stessi (pur-troppo ancora lontano, forse per la tenden-za al solipsismo che caratterizza la figuradel compositore) e tra conservatori (maanche tra conservatori e università), inmodo da creare una rete che favorisca lalibera circolazione dei saperi e delle com-petenze. Sono molte le proposte messe sultavolo dai partecipanti. L’auspicio condivi-so è quello che la didattica si liberi di co-strizioni universalistiche e normative perfavorire invece l’educazione alla creativi-tà, intesa come unico veicolo della verainnovazione musicale. Favorire la musicad’insieme fin da subito; delineare percorsilaboratoriali e su progetto nell’ottica di cre-are esperienze concrete che consentano aigiovani compositori di imparare a relazio-narsi con vari livelli di competenze musi-cali; conquistare nuovi spazi e uscire dal-

l’accademia: queste alcune delle urgenzemanifestate dai partecipanti nel corso de-gli interventi e all’interno del dibattito. Dasottolineare in ultimo il progetto pilota dieditoria per i conservatori portato avantida Carmen Petrocelli a sostegno degli al-lievi compositori emergenti più meritevoli.C’è una silenziosa ma al contempo assor-dante richiesta di cultura da parte dellasocietà. L’incontro avvenuto a Modena el’eccellente lavoro svolto Antonio Giaco-metti (a Modena “si è passati dalle paroleai fatti” già da anni, e il concerto dramma-tizzato, a cura della classe di composizio-ne dell’istituto, Mare Nostrum e Parolad’Africa, presentato venerdì sera, ne èun’evidente dimostrazione) appaiono a chiscrive una prima risposta concreta a que-sta urgenza diffusa. Se a questa ne segui-ranno altre, ad altri livelli, forse l’orizzontemusicale italiano apparirà meno cupo.

Valentina MarrocoloSilvia Zanasi

ge 170 dell’8/10/2010, il Ministero ha in-viato una circolare (www.aidlombardia.it/risorse/normativa/esami-di-musica-2011-comunicazioni-e-delibere) con lemisure compensative e dispensative pertutti gli esami dei conservatori e degliistituti pareggiati che sono state appro-vate all’unanimità dal CNAM su richiestadel Conservatorio di Milano.Per questo Master, che avrà certamentedelle conseguenze importanti, e non soloper gli insegnanti e per i dislessici mila-nesi, bisogna ringraziare il Conservato-rio di Milano, in particolare i direttori e ipresidenti che si sono avvicendati neltempo, e tutto il personale che in variomodo ha dato il proprio contributo convero entusiasmo.Il progetto del Master si può consultareal link: www.consmilano.it/index.php?id=664.

Musica e dislessia al conservatorio

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Durante tutto l’anno sono stati proposti, in vari ambiti, nu-merosi film per celebrare il centocinquantesimo dell’Unitàd’Italia. In alcuni casi la colonna sonora è davvero degna dinota. Mi riferisco – per fare solo qualche esempio – a filmquali Quant’è bello lu murire acciso del 1975 di EnnioLorenzini sull’impresa di Carlo Pisacane, che prende il titolodalla celebre canzone popolare rielaborata da Roberto DeSimone; o ancora a Il resto di niente del 2004 di Antoniettade Lillo sulla figura di Eleonora Pimentel de Fonseca e sullarivoluzione napoletana del 1799 con musiche di Daniele Sepe.Quello che vorrei qui proporre è però Viva l’Italia! di Rober-to Rossellini, che è stato per me una piacevole scoperta.Il film, realizzato nel 1961 in occasione del centenario del-l’Unità d’Italia, narra le vicende della spedizione dei Mille e,nell’intento del regista, avrebbe dovuto discostarsi dalla re-torica celebrativa per proporre una narrazione rigorosa. L’in-tento, solo in parte riuscito, ha però dato vita a un interes-sante film che mostra anche aspetti insoliti che avvicinanoall’umanità e realtà dei personaggi mitici (vedi ad esempioun Garibaldi acciaccato che fatica a montare a cavallo) eridanno dignità ai personaggi anonimi che la storia l’hannofatta realmente (vedi le scene di quotidianità dei soldati odella gente comune) mostrandone il ruolo centrale; il tuttoattraverso una rigorosa ricostruzione storica, davvero esem-plare, soprattutto se paragonata al pressapochismo e allasciatteria di molte pellicole contemporanee. C’è perciò unaestrema cura nella scelta dei luoghi e dei costumi e unagrande attenzione anche ad aspetti quali la lingua parlata,ma anche la gestualità, pur in una recitazione che risentedei cinquant’anni passati e ci appare oggi piuttosto statica eteatrale.In questo quadro, anche la colonna sonora assume un’im-portanza centrale. Composta dal fratello Renzo Rossellini,autore di gran parte delle colonne sonore del regista, si basasu alcuni brani significativi per la storia del periodo e inparticolare sulla continua rielaborazione di due canzoni: l’In-no di Garibaldi e La bella Gigogin, brani che, secondo letestimonianze storiche, hanno davvero accompagnato glieventi del Risorgimento italiano.La bella Gigogin (Gigogin è il termine piemontese perTeresina), scritta nel 1858 dal compositore milanese PaoloGiorza, rielabora alcuni canti popolari lombardo-piemonte-si e si ispira alla figura, non si sa se mitica o reale, di unaragazzina che partecipò attivamente alle giornate milanesidel 1848 e agli eventi della repubblica romana. È un susse-guirsi di doppi sensi di stampo patriottico (in dialetto per

Canzoni per la StoriaMariateresa Lietti

non essere compresi dagli austriaci) contenuti in una appa-rente storia amorosa: dall’invito a Vittorio Emanuele II afare un passo avanti («dàghela avanti un passo»), all’allusio-ne alla polenta (gialla come la bandiera austriaca) che nonsi vuole mangiare.Il brano, poi acquisito nel repertorio dei bersaglieri, erarealmente molto popolare tra i seguaci di Garibaldi tantoche si dice che bastasse l’apparire del generale per scate-narne il canto. Giuseppe Cesare Abba (nel testo Da Quartoal Volturno, che pubblicò nella primavera del 1866) rac-conta: «Nino Bixio e Sirtori si dettero ad alzare la vocequando improvviso comparve sulla strada il generale e gridòcon voce sonora: “Avanti ragazzi, non c’è tempo da perde-re”. A queste parole, tutti i mille saltarono su come un soluomo e ricomposero le file, e ripigliarono la faticosa mar-cia, e il lieto ritornello: Daghela avanti un passo / deliziadel mio cuore, al quale una quarantina di voci toscaneintrecciava allegramente il ritornello livornese: Bravo, bimbobravo…, mentre Bixio, bestemmiando in tutti i dialetti d’Ita-lia tornava di galoppo in testa alla sua compagnia». Pro-prio questo, in modo molto fedele, si sente e si vede nelfilm, compreso l’irascibile Nino Bixio interpretato da Pao-lo Stoppa. Il brano ritorna più volte con diversi arrangia-menti: passa dalla marcetta festosa, al brano eroico del-l’attacco, al brano trionfale della vittoria e spesso si mi-schia con l’Inno di Garibaldi. Quest’ultimo, scritto su ri-chiesta di Garibaldi dal poeta Luigi Mercantini (lo stessodella Spigolatrice di Sapri) e musicato da Alessio Olivieri,venne eseguito per la prima volta a Genova nel 1858 allapresenza di Garibaldi e di Nino Bixio.Una delle scene più significative del film è la battaglia diCalatafimi dove, oltre ai due eserciti, si affrontano anchesquilli e segnali di tromba, dialetti, grida («viva l’Italia, vivaGaribaldi» da una parte, «viva i Borboni» dall’altra), inni(l’Inno di Garibaldi e La bella Gigogin da una parte e l’Innoborbonico dall’altra).Il film è sicuramente utile da mostrare alle classi, ma ancorapiù utile mi pare la riflessione che si dovrebbe fare sull’inte-resse che possono avere le canzoni come fonti orali e comemodo per raccontare la storia. A questo proposito consiglio ilbel testo di Stefano Pivato Bella ciao. Canto e politica nellastoria d’Italia (Laterza, Bari 2005), che ripercorre la storiad’Italia a partire dal Risorgimento attraverso le canzoni.So che strutturare attività che coinvolgono più insegnati èsempre più difficile, ma quanto sarebbe meglio per tutti po-terlo fare!

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Musicaper l’inclusione scolastica

L’articolo proposto si presta a una duplice chiave dilettura. In primo luogo, presenta in modo immediato e di-retto una panoramica sui fondamenti pedagogici e didatti-ci dell’educazione inclusiva. In tale prospettiva un utilizzoconsapevole della musica, sistematico e didatticamente fon-dato, diviene una risorsa flessibile ed efficace soprattutto,ma non solo, nei contesti scolastici con presenza di alunnidiversamente abili. Lo studio però può essere letto, sin dal-le prime righe, come un’agevole introduzione, di stamporiflessivo, alla rubrica a cura della stessa autrice che apartire dal prossimo numero sarà ospitata su “Musica Do-mani”. Il nuovo appuntamento periodico si rivolgerà, comedettagliatamente specificato a conclusione di questo con-tributo, agli insegnanti di discipline musicali coinvolti inattività di sostegno alla classe, presentando specifici per-corsi operativi coerenti con i presupposti qui illustrati.

Spesso mi sono chiesta quanti siano gli insegnanti che,come me, dopo l’abilitazione in Musica e/o in Strumento sisono specializzati nelle attività di sostegno alla classe elavorano in questo ruolo. Non conosco statistiche ufficiali,ma posso dirlo di tutte le persone che hanno frequentatocon me il corso di Didattica della musica e di tutti i mieiamici che si sono abilitati tramite la SSIS. Tutti, ma propriotutti, insieme a molti abilitati nella classe di concorso A077,hanno iniziato a lavorare sul sostegno e chi non ha ancoraconseguito la relativa specializzazione è intenzionato a farloa breve.Non è questa la sede per analizzare le motivazioni di questascelta. Quello che qui ci interessa capire è se la valorizza-zione delle valenze educative della musica nell’ambitodel ruolo istituzionale dell’insegnante di sostegno possacontribuire a innalzare i livelli di inclusione della scuola.Un’idea di musica connessa al laboratorio e all’animazio-ne musicale «figlia di un pensiero complesso: un pensierotrasversale che congiunge, che cerca, scopre relazioni trale parti e il tutto. In questo senso non è una disciplina;indica piuttosto una pratica sociale e culturale che inten-

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25de incontrare le discipline, aprirle, metterle in contatto,ripensarle; una pratica che costruisce ponti e non muri»(STROBINO 2001, p. 11). «La domanda prioritaria da porrenon è tanto se stiamo facendo giusto o sbagliato, ma “quel-lo che stiamo facendo, in che modo realizza la nostra vi-sione del mondo e della vita in una prospettiva di futuro?”cioè “Quale società vogliamo contribuire a costruire?”.Quindi ecco la terza direzione, un’azione artistica che di-venta atto di profezia di cambiamento, che prefigura il fu-turo, che diventa emblema di un modo diverso di vita, chediventa elemento di differenziazione da un passato vissutopiù o meno malamente a un passato che vorremmo viverein un modo più umano, più pacifico, più… più…» (PIATTI

2001, p. 55).

L’inclusione scolastica riguarda tutti gli alunniOggi la scelta pedagogica fondamentale che deve muovereogni linea di azione della scuola viene definita di tipo “in-clusivo”. Tale posizione è sostenuta, oltre che dalla norma-tiva 1, anche dall’Index for inclusion: developing learningand participation in schools (BOOTH - AINSCOW 2002 2). Sitratta di un importante strumento che ci porta oltre l’ideadi integrazione implicitamente collegata a un paradigma“assimilazionista” di “normalizzazione” delle diversità, of-frendoci una cornice di analisi e un quadro di riferimentofondamentale dei concetti di inclusione e di esclusione.Passando dalla prospettiva dell’integrazione a quella del-l’inclusione (sintetizzata nel riquadro sottostante), essa pro-pone non di fare semplicemente posto alla diversità in nomedi un astratto e paternalistico principio di tolleranza, madi mettere la differenza al centro di un’azione educativa ingrado di valorizzarla come risorsa del singolo e del grup-po. «Il termine “inclusione” è spesso riduttivamente asso-ciato ad alunni che presentano problemi fisici o mentali, oche abbiano Bisogni Educativi Speciali. Nell’Index invecel’inclusione si riferisce all’educazione di tutti i bambini eragazzi, con Bisogni Educativi Speciali e con apprendi-mento normale» (BOOTH - AINSCOW 2008, p. 107).

Educazione inclusiva significa riconoscere che- tutti i bambini, i ragazzi, i genitori/tutori e il personale

devono essere egualmente valorizzati;- le differenze tra gli alunni sono una risorsa per promuo-

vere l’apprendimento, non un problema da risolvere;- tutti i bambini e i ragazzi hanno diritto alla migliore edu-

cazione nella loro comunità, a pari titolo dei coetanei;- tutti gli alunni possono sperimentare ostacoli all’appren-

dimento e alla partecipazione, non solo quelli con disabilitào segnalati come portatori di Bisogni Educativi Speciali;

- ogni tentativo di superare gli ostacoli all’apprendimento ealla partecipazione in relazione a situazioni particolari, hauna ricaduta positiva su tutti;

- stabilire valori condivisi e spirito comunitario è altrettan-to importante dei traguardi nell’apprendimento curricolare;

- bisogna promuovere gli scambi di esperienza tra la scuolae la comunità locale;

- l’inclusione scolastica è un aspetto dell’inclusione sociale.(da Allegato a BOOTH - AINSCOW 2008).

Quindi l’attuale prospettiva inclusiva non riguarda solo glialunni con disabilità, ma tutti gli alunni e l’intero contestodi apprendimento. Per nessuno è possibile limitarsi a unsemplice “inserimento in presenza” oppure ad azioni di-dattiche basate sulla misurazione di una differenza da “col-mare”; piuttosto appaiono necessari contesti positivi diapprendimento in grado di permettere a ognuno la costru-zione degli strumenti per l’autonomia e del senso di appar-tenenza alla propria comunità scolastica (CHIAPPETTA CAJOLA

2008, pp. 27-31). Ovvero l’«inclusione implica il cambia-mento: è un percorso verso la crescita illimitata degliapprendimenti e della partecipazione di tutti gli alunni»(BOOTH - AINSCOW 2008, p. 110).

L’insegnante di sostegno alla classeNella cornice dell’Index, le attività di sostegno sono intesein modo molto ampio; vengono infatti definite come «ogniattività che accresce la capacità da parte della scuola dirispondere alla diversità degli alunni», in quanto «l’aiutodato all’alunno certificato da un insegnante di sostegnodiviene un caso particolare di un più ampio lavoro di sup-porto che coinvolge tutta la classe e che vede la partecipa-zione di tutti gli alunni. Il sostegno non riguarda solo l’alun-no disabile, ma il suo significato si amplia venendo a inte-grarsi con la nozione di individualizzazione: ogni alunnova seguito e supportato nel suo percorso di apprendimentotenendo conto delle differenze che lo caratterizzano» (DOVIGO

2008, p. 23).L’insegnante di sostegno che condivide questa ottica ac-cetta di spendere le proprie energie e le proprie competen-ze per la realizzazione di un’organizzazione didattica diqualità: attenta alle interazioni sociali, alla promozione delconfronto con gli altri, alla valorizzazione dei punti di vi-sta, alla riflessione metacognitiva, al coinvolgimento delcorpo e della mente di tutti gli alunni.Come è noto, anche la normativa italiana ha definito chia-ramente e da tempo il ruolo e le funzioni dell’insegnantedi sostegno. Alla luce della sua doppia specializzazionerelativa alla didattica della disciplina e alla didattica spe-ciale, all’insegnante di sostegno è stata fin da subito attri-buita una grande responsabilità nella costruzione all’in-terno della comunità scolastica di un curricolo esplicito eimplicito finalizzato alle esigenze di inclusione di tuttigli alunni. Già nella Premessa dei Programmi dei corsibiennali di specializzazione per insegnanti di sostegno

1 Il nostro panorama normativo sull’integrazione e l’inclusione èparticolarmente ampio e dettagliato: una legislazione all’avan-guardia nel mondo occidentale. Oltre alla Legge n. 517 del 1977,altri atti normativi fondamentali sono la Legge-quadro per l’assi-stenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappa-te (Legge n. 104 del 1992) e le Linee guida sull’integrazione scola-stica degli alunni con disabilità del 2009. Tutta la normativa perl’integrazione scolastica delle persone con disabilità è consultabileall’indirizzo www.istruzione.it/web/istruzione/famiglie/alunni_disabili.

2 È possibile consultare gratuitamente l’edizione italiana di tale vo-lume (Booth - Ainscow 2002) all’indirizzo www.eenet.org.uk/resources/docs/Index%20Italian.pdf.

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26 (D.M. 24-04-86) si legge che egli «deve superare le angu-stie di un ruolo limitato, assumendo una corretta compe-tenza nelle problematiche dell’organizzazione scolastica,facendo valere concretamente le proprie capacità relazionalie comunicazionali, senza tuttavia prescindere dall’eserci-zio di specifiche competenze didattiche e curricolari».Figura professionale che rappresenta per l’intera scuola unarisorsa “speciale e normale” (cfr. IANES 2006), integrata nel-le ore curricolari, trasversale a tutte le discipline, in con-tatto con tutti gli alunni e tutti i colleghi, con un orarioflessibile e a “costo zero”, l’insegnante di sostegno devecollaborare con i colleghi per costruire il contesto di ap-prendimento in modo individualizzato/personalizzato nonsolo in riferimento alla scelta o alla semplificazione deicontenuti dell’alunno con disabilità, ma anche per l’attua-zione di strategie di gestione animativa della classe fina-lizzate alla realizzazione di una comunità scolastica inclu-siva.

Musica e valori inclusiviAlla luce della letteratura sull’inclusione, degli ormai con-solidati principi di pedagogia musicale anche interculturalee anche delle molte “buone pratiche” ampiamente speri-mentate di utilizzo integrativo e inclusivo della musica indiversi contesti educativi, pensiamo che un docente di so-stegno abilitato in musica possa impiegare in modo parti-colarmente efficace le proprie competenze metodologico-disciplinari per migliorare l’ambiente scolastico e accre-scere la capacità della scuola di rispondere alla diversitàdegli alunni.Tra gli studi che sottolineano quanto l’attività musicale diqualità sia sempre ispirata ai valori inclusivi (visualizzatinel disegno sottostate), attenta a favorire la crescita del-l’essere umano in termini sia di apprendimento sia di par-tecipazione, citiamo la ricerca VALMUSS2 3 (Valutazione deiLaboratori Musicali nel Sistema Scolastico) che l’INVALSI harealizzato analizzando l’attività dei laboratori musicali at-tivi nel sistema scolastico nazionale (BRANCHESI 2006). Que-sto studio ha confermato che la didattica musicale di qua-lità ha sempre un orientamento inclusivo e consente distimolare in tutti gli alunni, oltre all’intelligenza raziona-le, anche il desiderio, la curiosità, la passione, il senso diappartenenza e la solidarietà nei confronti degli altri.

Rappresentazione dei valori inclusivicome previsti da BOOTH - AINSCOW 2008.

Molti degli indicatori elaborati da VALMUSS2 (vedi riquadrosottostante) sottolineano infatti la possibilità offerta dallamusica di favorire la dimensione dell’incontro e della co-noscenza reciproca in un contesto legato allo “star beneinsieme” (cfr. FERRARI 2006, pp. 85-105). Infatti, le pratichemusicali attivate nei laboratori “di qualità” non si limita-vano alla costruzione di una competenza interpretativo-musicale, ma consentivano agli utenti anche di svilupparesensibilità cooperative, realizzando gli obiettivi della con-vivenza civile e offrendo occasioni di incontro utili a ma-turare sia il senso di appartenenza alla comunità sia unaconsapevolezza positiva delle differenze interindividuali,nel rispetto dei diritti formativi e di cittadinanza di ogniutente. Quindi dalla rilettura degli indicatori si evince chela qualità dell’esperienza musicale si lega sempre allasperimentazione di modelli relazionali positivi e alla co-struzione di legami tra le persone e tra queste e la comuni-tà. Tale risultato non è presente solo in percorsi esplicita-mente costruiti per favorire la conoscenza e l’integrazioneculturale, ma è una caratteristica tipica del laboratoriomusicale e pervade la pratica corale, la pratica strumenta-le, la formazione/aggiornamento del personale docente, laproduzione di musiche e spettacoli originali.

Secondo gli indicatori elaborati da VALMUSS2,l’attività musicale di qualità:- prevede l’organizzazione di attività condotte con moda-

lità animative e laboratoriali;- coinvolge nella produzione portatori di diverse culture e

abilità ed è un’occasione di incontro e interazione, con icoetanei, ma anche con persone di età diversa;

- consente alle persone che partecipano (alunni e docenti)di mettersi in gioco anche con le proprie emozioni: leesperienze sono significative sia sul piano musicale chesu quello relazionale (studente/docente e studente/stu-dente);

- cerca legami tra lo specifico musicale e obiettivi e con-tenuti previsti nel curricolo sia in relazione agli obiettivispecifici di apprendimento disciplinari sia, ancora piùmarcatamente, a quelli della convivenza civile;

- coinvolge gli utenti in occasioni di performance, nellascuola e sul territorio, che costituiscono altrettante op-portunità di verifica della propria identità individuale ecollettiva e creano legami con la comunità sociale in cuisi è inseriti;

- consente di conoscere e capire le culture lontane non aparole, ma standoci dentro: la musica offre questa pos-sibilità, soprattutto se non ci si limita ad ascoltarla mala si esegue e si partecipa alla sua realizzazione con ilcorpo, la voce, gli strumenti;

- favorisce lo “star bene” di alunni e insegnanti a scuola.

3 È possibile scaricare gratuitamente i dati contenuti nel CD-ROM

VALMUSS 2, Laboratori musicali. Continuità e qualità, all’indirizzowww2.invalsi.it/RN/valmuss2/sito/index.htm.

4 La rubrica, curata da Franca Ferrari e Betty Lazzarotto, è apparsadal numero 90 del marzo 1994 al numero 105 del dicembre 1997.

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27Sono moltissimi gli esempi teorici e operativi che sup-portano la convinzione che l’insegnante di sostegno espertoin didattica musicale abbia a disposizione non solo unaserie di contenuti a forte apertura interdisciplinare da con-dividere con i colleghi, ma anche una metodologia dilavoro attiva e animativa in grado di promuovere l’ap-prendimento e la partecipazione degli alunni. Basti pensa-re, per citarne solo alcune, alla vasta gamma di strategieanimative e laboratoriali sperimentate e diffuse dal CentroStudi Maurizio Di Benedetto di Lecco, alle proposte di ri-sveglio musicale di Delalande, al recente progetto “Musicae Minori” dell’Istituto Affari Sociali/ISFOL, nonché all’atti-vità della SIEM e al contributo di questa rivista che, qualcheanno fa, aveva anche una rubrica dal titolo Avvicinare ledifferenze 4, in cui venivano esposte attività, esperienze eriflessioni in questo senso.Metodologie operative ispirate a valori inclusivi che di si-curo permettono a chi ha una formazione di questo tipo diproporsi non solo come una figura di mediazione e di col-legamento dei contenuti, ma come una risorsa utile al«superamento di didattiche della “frontalità” a favore distrategie di lavoro incentrate sul coinvolgimento diretto esulla reponsabilità dello studente», venendo incontro al fattoche «lo stile di apprendimento dei ragazzi ha sempre piùbisogno di contesti in cui gli alunni possano muoversi,fare animazione, comporre opere; nelle nostre aule, inve-ce, il più delle volte si chiede di star seduti su un banco adascoltare» (RONDANINI 2007, pp. 139-140).

La musica per l’inclusione scolastica: un confronto apertoDalle riflessioni fatte si apre una serie di questioni rispettoalle quali la rubrica che prenderà avvio dal prossimo nu-mero si offre come spazio di confronto. Gli interrogativisono tanti e riguardano innanzitutto la necessità e la con-creta possibilità di farci, noi educatori musicali e docentidi sostegno, promotori nella scuola di una condivisioneculturale forte sui temi dell’inclusione.Ancora oggi, come sappiamo, è necessario insistere su questiargomenti, superando le difficoltà di trovare tempi e spaziadeguati per lo studio, il dialogo, il confronto, la co-pro-gettazione e la valutazione di attività di sostegno ispirateai valori inclusivi. Sicuramente è anche necessario indivi-duare con chiarezza quali attività musicali possano essereconsiderate, nelle diverse situazioni, forme di sostegno equali siano le implicazioni dell’utilizzo di tali attività inmodo coordinato con le diverse programmazioni curricolari.

A tali richieste intende rispondere la nuova rubrica, spaziopropositivo e di confronto, in cui dar visibilità a percorsieducativi basati sulla prospettiva inclusiva e sulla convin-zione che “incardinare la musica nel sostegno” supporti illivello cognitivo e sociale dell’apprendimento di ogni alun-no, promuova l’acquisizione di modalità collaborative e losviluppo di un rapporto positivo con l’alterità che abita lascuola e il mondo, valorizzi l’esperienza corporea, lingui-stico-comunicativa ed emozionale.Nonostante la difficile situazione attuale, siamo fiduciosinelle possibilità di far bene il nostro lavoro di insegnanti eapriamo questa rubrica che, accogliendo anche i contributidei lettori, intende creare una rete di ricerca e di confrontosu questi temi o su altri a questi collegati. Un invito calo-roso è quindi rivolto agli insegnanti di sostegno che hannogià realizzato esperienze di innovazione didattica inseren-do percorsi musicali nei Piani Educativi Individualizzati(PEI) degli alunni certificati e nel curricolo della classe. Perproporre percorsi educativi elaborati secondo i presuppostiqui condivisi vi invitiamo a prendere contatto con la reda-zione. Vorremmo che tanti fossero disponibili a condivide-re le esperienze che hanno realizzato. Vi aspettiamo!

BibliografiaTONY BOOTH - MEL AINSCOW, Index for Inclusion: developing learning andparticipation in schools, Centre for Studies on Inclusive Education,Bristol 2002.TONY BOOTH - MEL AINSCOW, L’index per l’inclusione. Promuovere l’ap-prendimento e la partecipazione a scuola, Erickson, Trento 2008.LUCIA CHIAPPETTA CAJOLA, Didattica per l’integrazione, Anicia, Roma 2008.FABIO DOVIGO, L’Index per l’inclusione: una proposta per lo sviluppo in-clusivo della scuola, in TONY BOOTH - MEL AINSCOW, L’index per l’inclusio-ne. Promuovere l’apprendimento e la partecipazione a scuola, Erickson,Trento 2008.FRANCA FERRARI, Gli indicatori di qualità, in Laboratori musicali. Conti-nuità e qualità. Valutazione dell’innovazione 2, a cura di Lida Branchesi,Armando, Roma 2006.DARIO IANES, La speciale normalità. Strategie di integrazione e inclusio-ne per le disabilità e i Bisogni Educativi Speciali, Erickson, Trento 2006.Laboratori musicali. Continuità e qualità. Valutazione dell’innovazio-ne 2, a cura di Lida Branchesi, Armando, Roma 2006.MARIO PIATTI, Tra occasionalità e progettazione. Idee e proposte perun’educazione musicale interculturale, in MAURIZIO DISOTEO - BARBARA

RITTER - MARIA SILVIA TASSELLI, Musiche, culture, identità. Prospettiveinterculturali dell’educazione musicale, FrancoAngeli, Milano 2001.LUCIANO RONDANINI, La sfida dell’apprendimento: riflessioni e piste di la-voro, in Indicazioni per il curricolo, a cura di Gaetano Domenica -Franco Frabboni, Erickson, Trento 2007.ENRICO STROBINO, Musiche in cantiere. Proposte per il laboratorio musi-cale, FrancoAngeli, Milano 2001.

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28 Lara Corbacchini

NOOLA K. GRIFFITHS, “Posh music should equal posh dress”:an investigation into the concert dress and physicalappearance of female soloists, in “Psychology of Music”,volume 3, n. 2, aprile 2010, pp. 159-177, abstractconsultabile su http://pom.sagepub.com/content/38/2/159.abstract.

A un concerto, ad esempio di musica classica, ci stupirem-mo se i musicisti non rispettassero i canoni di abbiglia-mento legati a questo tipo di “rito” sociale. Ancor più ri-marremmo colpiti se fosse il solista o la solista a non ve-stirsi nei modi “adatti” all’occasione.Ma le scelte d’abito del concertista influenzano solo lanostra percezione degli aspetti esteriori dell’evento, lenostre inferenze sulla personalità degli interpreti o modi-ficano anche la nostra valutazione sostanziale della per-formance? Insomma possiamo dire che l’abito fa… il mu-sicista?A questo interrogativo – prendendo spunto anche dallatendenza recente di alcune concertiste, come la violinistaAnne Sophie Mutter, di indossare abiti accentranti l’atten-zione sul corpo – intende dare risposta l’originale ricercapresentata. Viene infatti indagato come specifici stili diabbigliamento influiscano sulla valutazione da parte degliascoltatori della performance di alcune violiniste impegnatenell’esecuzione solistica di brani di diverso genere. Le mu-siciste donne sono state privilegiate in questa ricerca ri-spetto ai colleghi maschi proprio per la maggiore varietàdi abbigliamento delle prime rispetto ai secondi, anche insituazioni di concerto.Per lo studio sono state selezionate quattro violiniste dietà compresa fra i 20 e i 22 anni. Ciascuna di loro, comevisualizzato nella Tabella 1, ha interpretato tre distintibrevissimi pezzi di musica (composti per l’occasione) ap-partenenti a differenti generi: classico, folk, jazz. Ognipezzo è stato interpretato con quattro diversi stili di ab-bigliamento: jeans, da discoteca, da concerto e con “pun-ti-luce”. Quest’ultima condizione prevede che “si indossi-no” piccole luci in corrispondenza delle giunture renden-do visibili, grazie alle particolari condizioni ambientali,esclusivamente i movimenti del corpo. Ciascuna combi-nazione di interprete-brano-abbigliamento è stata regi-strata due volte: una volta in modo che l’audio e il videofossero quelli “dal vivo” della violinista, una seconda voltasi è registrato solo il video della violinista mentre l’audioera “doppiato” da una traccia-guida (registrata in prece-denza da uno strumentista maschio e identica per tutte lequattro violiniste). Con quest’ultima modalità di registra-zione si sono ottenute delle clip che hanno consentito diisolare le modifiche della percezione degli ascoltatori de-rivanti esclusivamente dal cambiamento delle informa-zioni visive.

Quando l’ fa il musicista

Violinista Classico Jeans Audio + VideoTraccia-guida + video

Discoteca Audio + VideoTraccia-guida + video

Concerto Audio + videoTraccia-guida + video

Punti-luce Audio + VideoTraccia-guida + video

Folk Jeans Audio + VideoTraccia-guida + video

Discoteca Audio + VideoTraccia-guida + video

Concerto Audio + videoTraccia-guida + video

Punti-luce Audio + VideoTraccia-guida + video

Jazz Jeans Audio + VideoTraccia-guida + video

Discoteca Audio + VideoTraccia-guida + video

Concerto Audio + videoTraccia-guida + video

Punti-luce Audio + VideoTraccia-guida + video

Tabella 1. Lo schema riassume le diverse combinazioni di brano/abito/tipo di registrazione effettuate da ciascuna delle quattro violiniste.

Si deve aggiungere che, al fine di ridurre al minimo levariabili indipendenti dello studio, le violiniste selezionateavevano livelli di competenza strumentale assimilabili, era-no somiglianti nelle caratteristiche fisiche (dal colore deicapelli al numero di scarpe) e avevano livelli di “attrattivitàdel viso” (misurata con appositi test) non dissimili. Per ilmedesimo motivo anche i vestiti indossati, tutti di colorenero per non influire sulle eventuali preferenze di coloredegli ascoltatori, erano assolutamente identici.Le clip sono state fatte ascoltare in successione casuale atrenta musicisti (studenti universitari o membri di un’or-chestra) di età compresa fra i 18 e i 28 anni che dovevanogiudicarle, in base a un punteggio numerico, in relazione a«competenza tecnica, musicalità, appropriatezza del vesti-to e attrattività della performer» (p. 162).Dall’analisi statistica dei dati raccolti sono emersi risultatisignificativi. Di seguito ne riportiamo una succinta sintesiche dà maggior spazio ai differenti giudizi sull’interpreta-zione in relazione all’abito indossato dalla musicista e alleipotesi esplicative presentate per tali variazioni.In riferimento alla competenza tecnica emerge che l’abbi-gliamento ne modifica la percezione (cfr. p. 166), comevisualizzato nella Tabella 2. Tutte le interpretazioni dei tre

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brani, con vestiti da discoteca o in jeans, risultavano menofluenti rispetto a quelle con vestiti da concerto o con pun-ti-luce. Relativamente alla musicalità, sempre senza tenereconto della diversità di genere dei brani, i punteggi mag-giori sono stati invece attribuiti alle interpretazioni conpunti luce, seguite da quelle in jeans, in abito da concertoe, per ultime, in abbigliamento da discoteca (cfr. p. 168).

Competenza tecnica Musicalità

Concerto + Punti-lucePunti-luce JeansJeans ConcertoDiscoteca - Discoteca

Tabella 2. Lo schema visualizza i gradi di competenza tecnica emusicalità rilevati in relazione ai diversi stili di abbigliamento.

Si può ipotizzare che la minor fluidità tecnica e interpre-tativa rilevata con i vestiti da discoteca sia imputabile allarestrizione dei movimenti che questo abbigliamento deter-mina; oppure allo stato mentale di imbarazzo dell’inter-prete nell’indossare questi vestiti; o ancora alla combina-zione di entrambe le cause.Una spiegazione alternativa può far riferimento alla “me-moria di lavoro” (o memoria a breve termine) degli ascol-tatori coinvolta nel giudizio delle clip. In generale si rilevauna maggiorazione del carico cognitivo quando l’atten-zione di un soggetto è coinvolta in due differenti sorgentidi informazioni. È questo il caso in cui si ascolta una inter-pretazione di un brano e parimenti si rileva l’inadeguatez-za del vestiario, come nel caso di quello da discoteca: lamemoria di lavoro ha un sovraccarico che determina l’in-capacità di incamerare al meglio le informazioni derivanti,ad esempio, dalla percezione uditiva.In relazione agli alti punteggi riservati alle interpretazioniin abito da concerto, si può notare come essi portino ulte-riori evidenze a studi più generali comprovanti che «gliindividui vestiti più adeguatamente vengono percepiti comepiù competenti» (p. 172).Una spiegazione delle marcate preferenze per le interpre-tazioni in abito da concerto o con la sola visibilità di pun-ti-luce rimanda anche alla «divisione mente corpo […].Questo suggerisce che storicamente le donne sono statemarginalizzate a causa dell’associazione con il corpo comecaratteristica dominante. Così le loro abilità creative sono

state messe in ombra dall’attenzione verso i loro corpi. Èplausibile che l’abbigliamento da discoteca con la sua gonnacorta e il top senza spalline attragga l’attenzione sul corpoe rinforzi l’idea che i corpi delle donne siano sinonimi del-le loro identità e pertanto meno capaci di abilità creative»(p. 172). Al contrario il vestito da concerto, “nasconden-do” il corpo, consente la focalizzazione sulle abilità tecni-che e interpretative.Relativamente alle interpretazioni con i punti-luce, puòapparire sorprendente che siano sempre preferite a quellein jeans o in abito da discoteca, dato che «precedenti ricer-che hanno chiarito l’importanza delle informazioni visiveal fine di ottenere un’immagine completa delle intenzionie delle abilità del performer» (p. 172). In realtà i movimentidel corpo in questa condizione sperimentale erano ben vi-sibili, non veniva però visto il corpo in sé e il relativoabbigliamento. Questa esclusione ha consentito di elimi-nare la sovrapposizione di strati di significati culturali in-dotti dal vestiario con cui gli ascoltatori si costruisconodelle aspettative sulle capacità della musicista. In caso diabbigliamento “non adeguato” tali inferenze, come abbia-mo visto, possono andare a mascherare i segni di talentoderivanti dai movimenti del corpo.Andando invece ad analizzare la relazione fra genere delbrano e adeguatezza del vestito, emerge, come era preve-dibile, che «i jeans vengono visti significativamente comel’abbigliamento meno appropriato nel pezzo classico […],piuttosto che nei pezzi jazz […] o folk […]» (p. 168), men-tre il vestito da concerto è stato ritenuto il più adeguato,nell’ordine, al brano classico, al jazz e infine al folk. Que-sto ovviamente perché «la performance musicale èun’interazione sociale governata da pratiche culturali, unadelle quali è l’appropriatezza dei vestiti. Differenti stili dimusica hanno differenti valori e così non è sorprendenteche un particolare stile di abbigliamento incarni i valoridi un particolare genere musicale. […] È quindi logico cheper la musica classica, che richiede un approccio all’ascoltopiù serio e formale, l’abito ritenuto più appropriato fossequello da concerto che incarna questi valori con il suostile sobrio e l’effetto di mascheramento del corpo» (p.173).Annotiamo, in conclusione, che tutte le quattro violinistesono state percepite (indipendentemente dal sesso degliascoltatori-campione, divisi equamente fra maschi e fem-mine) come più attraenti quando indossavano l’abito daconcerto; a seguire, per tre di esse, i jeans e quindi i vestitida discoteca.

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30 Giuseppe Sellari

La voce in-forma

La musica, e più segnatamente il canto, divengono inquesta ricerca un ausilio terapeutico efficace e coinvolgen-te per la rieducazione vocale in ambito logopedico infanti-le. Le attività musicali proposte – simili a quelle usual-mente presentate nei contesti educativi – sono state speci-ficamente organizzate al fine di sviluppare l’autoconsa-pevolezza della dimensione corporea e affettiva; promuo-vendo anche il coinvolgimento empatico, sono stati supe-rati alcuni dei limiti dei più tradizionali approcci terapeutici.Dimensione curativa, educativa ed estetica della vocalità siintrecciano così in una sinergia di intenti, fornendo inte-ressanti spunti di riflessione per insegnanti e operatorimusicali.

Nella comunicazione umana, la voce (che precedeevolutivamente l’utilizzo della parola) rappresenta uno deglielementi fondamentali dell’espressione verbale-fonatoriae, poiché si serve dell’aria, costituisce a sua volta un mez-zo comunicativo tra i più economici utilizzati da ciascunindividuo. Essa infatti non è che un “elemento parassita”della funzione respiratoria (vedi Fig. 1), che l’uomo ha im-parato nel tempo a sfruttare a fini comunicativi cercan-do di adattarla secondo modalità stereotipe indottegeneticamente (Schindler - Mari 1986).Dal momento che la voce veicola le nostre emozioni, i nostrisentimenti e stati d’animo, in quanto espressione diretta delnostro “io” più profondo, il suo livello qualitativo è indice

Fig. 1 - L’apparato respiratorio.

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31del nostro benessere. Per mantenerla sana ed efficiente èindispensabile osservare alcune norme comportamentalicome la cura e l’igiene del corpo e della mente, una vitasessuale regolare, una sana alimentazione e il rispetto deiritmi sonno - veglia. La ricerca di una voce eufonica, in gra-do di far provare sensazioni piacevoli non solo nel parlantema anche nell’ascoltatore, deve accompagnarci costantemen-te nel lungo cammino della nostra esistenza. Durante la pri-ma infanzia sarà soprattutto l’ambiente a condizionare ilnostro sviluppo vocale, ed è per tale motivo che l’adulto hail dovere di proporsi al bambino come modello sano da imi-tare. La sensibilità verso atteggiamenti vocali idonei è peròuna dote assai poco comune nella maggior parte delle per-sone. Non di rado infatti assistiamo a cattivi esempi di com-portamento nell’utilizzo della voce anche da parte di chi,come genitori e insegnanti, dovrebbe invece farsi guida del-l’educazione e del benessere comune.

Spesso i maggiori danni si consumano proprio tra le muradomestiche e scolastiche dove i bambini trascorrono la mag-gior parte del tempo di una giornata. Gli ambienti acusti-camente poco idonei delle stanze di casa o delle aule dellascuola sono frequentemente associati a una scarsa gestio-ne e cura dei rumori di fondo, che inducono a una spropo-sitata quanto deleteria produzione fonatoria. In un am-biente dove la riverberazione non è ottimale, manca deltutto il controllo della qualità acustica complessiva che siripercuote inevitabilmente sull’intelligibilità del parlato e/o sulla chiarezza della percezione musicale. Se infatti l’in-tensità del suono è particolarmente alta in un ambientechiuso, la sua percezione non sarà corretta. Per migliorarela qualità della produzione e della percezione sonora èquindi necessario che gli ambienti a uso civile (ma anche iluoghi del tempo libero) siano progettati prestando un’at-tenzione particolare nei confronti dell’acustica come untassello fondamentale e imprescindibile per la salvaguar-dia della salute delle persone e dei piccoli in particolare. Sea tutto ciò fosse abbinata anche una sana alimentazione el’abitudine al rispetto nei turni dell’eloquio, una correttarespirazione costo-diaframmatica, una precisa articolazio-ne delle parole, un ritmo fonatorio ben scandito e un ascoltopiù attento delle nostre esigenze più intime, allora potrem-mo veramente coltivare una coscienza vocale e un’armo-nia di fondo in grado di ricondurci a un’esistenza signifi-cativa e profonda. D’altronde la nostra anima e il nostrocorpo tendono naturalmente e universalmente al bello e albuono, e non assecondare questi bisogni sarebbe come an-dare contro la propria natura.

Le patologie della voceLe tre funzioni comunicative principali della voce sonol’udibilità, l’intelligibilità e l’espressività; dovremmo quin-di prestare particolare attenzione al controllo della pres-sione sottoglottica (e quindi del fiato), alla gestione dellecavità di risonanza, alla postura e alla proiezione vocale.Un tale atteggiamento è auspicabile soprattutto in presen-za di bambini, per evitare che imitino comportamentifonatori scorretti e quindi dannosi alla loro salute.

Secondo recenti stime della SIFEL (Società Italiana Foniatrie Logopedisti) ottenute attraverso rilevazioni in ambitoscolastico, è stato riscontrato infatti che circa il 10-12%dei bambini è affetto da patologie della voce dovute inparticolar modo a sforzo e abuso vocale. Ogni alterazionedegli organi implicati nel complesso meccanismo dellafonazione (mantice respiratorio, laringe, cavità di risonan-za e articolazione, sistema nervoso centrale, sistema uditi-vo, colonna vertebrale e apparato endocrino) e della no-stra vita emotiva e affettiva si ripercuote immancabilmen-te sul nostro apparato fono-articolatorio, determinando undisturbo della voce e quindi una disfonia.Le disfonie influiscono sulla comunicazione per l’impattoche esse hanno sulle attività quotidiane, sulla sfera psico-logica e sulla percezione personale delle caratteristichevocali. Sono un’alterazione quantitativa e/o qualitativa dellavoce, e possono dipendere da fattori sia di tipo funzionalesia di tipo organico, questi ultimi spesso determinati daiprimi (noduli, polipi, edemi, vedi Fig. 2)

Fig. 2 - Da sinistra: noduli kissing; polipo; edema.

Con l’accezione “funzionale” si è soliti designare un’alte-razione della produzione vocale legata principalmente aun uso non corretto del sistema muscolare coinvolto nellafonazione. Diversamente, la definizione “organica” si rife-risce al disturbo strutturale o fisiologico dell’apparato fono-articolatorio. Nonostante la classificazione in “organiche”e “funzionali” sia ancora utilizzata nella pratica clinica,tale suddivisione viene spesso posta in discussione per lacomplessità dei quadri funzionali e per il frequente sconfi-namento reciproco tra i due versanti. Per questo motivo sipreferisce la classificazione in sei categorie secondo il cri-terio eziologico attraverso il quale è possibile garantire unapiù efficiente programmazione terapeutica:- disfonie organiche primarie;- disfonie organiche secondarie a patologie di altri orga-

ni o apparati;- disfonie secondarie all’uso di farmaci;- disfonie funzionali;- disfonie organiche con sovrapposizione funzionale;- disfonie psicogene.Nel caso in cui l’alterazione interessi la voce cantata la sidefinisce “disodia”. I sintomi di tale disturbo, che si possonopresentare variamente combinati tra di loro, si manifestanoessenzialmente nelle riduzioni di tessitura, nelle difficoltàd’intonazione, nei cali di volume, nella povertà armonica,nella presenza di rumore, nell’affaticabilità rapida, nel tim-

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32 bro disomogeneo, negli attacchi soffiati, nella tendenza deisuoni a calare e nelle cosiddette rotture della voce.

La musica e la consapevolezza affettiva nella terapialogopedica infantileLe terapie delle turbe vocali sono oggetto di studio da diver-si decenni ma, nonostante i notevoli progressi svolti nel-l’ambito della ricerca medica, permangono numerosi pro-blemi legati specialmente alle strategie operative e alle tec-niche di riabilitazione. Nel bambino ad esempio la gestioneclinica delle patologie vocali è di difficile controllo, in quantoprogrammata in una serie di sedute logopediche di lungadurata e di grande impegno. Per riuscire ad avere dai tratta-menti rieducativi un esito soddisfacente, specialmente in etàpediatrica, è indispensabile prevedere diversi tipi di approc-cio. Ottenere infatti la collaborazione di un bambino duran-te le sedute terapeutiche è spesso difficile, soprattutto sel’intervento logopedico non è adeguato alle sue capacità eai suoi tempi di apprendimento. La difficoltà primaria, oltrealla scarsa collaborazione alla terapia, consiste nel fatto cheal bambino manca la consapevolezza del disturbo vocale, atal punto da non riconoscere la propria voce come “vocepatologica”, e la capacità di rendere stabile nel tempo il cor-retto comportamento fonatorio. Il bambino inoltre deve po-ter partecipare all’attività rieducativa attivamente e con in-teresse affinché si possano ottenere i migliori risultati. At-tualmente l’obiettivo comune delle “Scuole di terapia” inambito nazionale e internazionale è quello di riabilitare lavoce del piccolo attraverso attività di gioco, intervenendosulla respirazione, sulla postura, sul rilassamento muscola-re, sull’attenzione all’ascolto e sulla vocalizzazione (artico-lazione e risonanza). A seconda degli orientamenti, la disfoniainfantile viene trattata con sedute individuali o all’internodi un progetto di terapia di gruppo per favorire una mag-giore partecipazione alle pratiche educative (LE HUCHE -ALLALI 1989).In una ricerca da me condotta in collaborazione con unostaff medico su un campione di bambini tra i quattro e idieci anni affetti da disfonia disfunzionale con alterazionimuscolo-tensive delle pliche vocali, si è voluto testare sela musica fosse in grado di guidare il bambino alla coordi-nazione dei movimenti, del respiro e della voce per favori-re il recupero delle sue funzioni vocali e renderlo allo stes-so modo collaborativo con la terapia (SELLARI - SELLARI -BENFARI 2009). Il metodo impiegato durante il percorsorieducativo è stato quello di personalizzare e adattare al-cuni esercizi appartenenti alla tradizione logopedica (le“Scuole di terapia”) all’interno di attività musicali, attin-gendo allo stesso tempo alle pratiche educative diffuse sianel campo della musica sia in quello della danza e dell’espres-sione corporea. Si è comunque voluto espressamente evitarequalsiasi atteggiamento didattico al fine di rendere l’espe-rienza vocale un’occasione di scoperta e di ricerca.L’idea di origine del progetto deriva infatti dall’esigenza dieducare i bambini alla musica non solo per potenziarne leinnate abilità musicali, ma soprattutto per sviluppare inloro una coscienza corporea e un proprio “io” vocale edemotivo in grado di promuovere un efficiente stato di sa-

lute psico-fisica. La musica per sua natura può infatti svol-gere un ruolo di primaria importanza nella rieducazionevocale perché permette di favorire attraverso il movimen-to, generato dalla forza energizzante del suono, un buonlivello di percezione corporea e di se stessi.Spesso le disfonie si manifestano per la mancanza diautoconsapevolezza e autoriflessività, abilità che l’indivi-duo conquista nel corso delle relazioni primarie e che co-stituiscono un aspetto fondamentale del proprio benesseree del funzionamento sociale.Questa coscienza di Sé emerge fin dall’infanzia in modo pro-gressivo, ed è intimamente legata al processo di mentaliz-zazione attraverso il quale ciascun individuo apprende che«la nostra esperienza del mondo è mediata dal fatto che pos-sediamo una mente […] e il suo sviluppo dipende in modocritico dall’interazione con menti più mature, la cui qualitàsia a loro volta benigna e riflessiva» (FONAGY - GERGELY -JURIST - TARGET 2005, pp. 3-4). La regolazione affettiva è in-trinsecamente legata alla regolazione del Sé e comporta lacapacità di controllo e modulazione delle nostre risposteaffettive. Attualmente gli studiosi inquadrano il processo disviluppo dei legami affettivi in una visione più complessa emultifattoriale in cui non solo la madre, ma anche le altrefigure di riferimento svolgono un ruolo determinante per laformazione di un modello interno positivo in grado di crea-re nel bambino un’immagine sicura di se stesso. Proprioperché implicata nella complessa architettura del nostro cor-po, la voce rappresenta la forma acustica dei nostri pensieri,delle nostre emozioni e del nostro stato di salute. Per questoè di fondamentale importanza favorire in ciascun individuoun adeguato sviluppo affettivo ed emotivo. Così come affer-mava Aristotele nella Retorica, gli affetti sono un elementoimprescindibile per una vita ricca e felice ma, affinché nondiventino dannosi, è indispensabile imparare a viverli inmaniera appropriata e quindi a regolarli.

L’intervento riabilitativoNel corso delle sedute terapeutiche del percorso sopra deli-neato, i singoli interventi rieducativi sono stati quindi ar-ticolati in sei fasi:1. allenamento all’ascolto (per favorire momenti di con-

centrazione e rilassamento);2. percezione di sé e del proprio corpo in relazione al-

l’ambiente esterno (per acquisire una maggiore consa-pevolezza di sé e per sviluppare capacità intra e inter-personali);

3. respirazione (per prendere coscienza del fenomeno re-spiratorio, per abituare a sincronizzare i movimenti conla respirazione costo-diaframmatica e capire quali mo-vimenti possono favorire l’atto respiratorio);

4. postura e rilassamento (per favorire la conoscenza delcorpo, per allentare le tensioni fisiche ed emozionali eper alleviare le condizioni di stress);

5. proiezione vocale, articolazione e risonanza (per otte-nere buoni volumi vocali senza sforzo riducendol’affaticabilità della voce);

6. educazione vocale (per gestire la qualità e udibilità del-la voce).

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33Nel setting iniziale i piccoli pazienti sono stati invitati a starseduti o distesi a terra ad ascoltare con concentrazione unbreve brano (della durata di circa due minuti) eseguito alpianoforte dall’educatore musicale. Ascoltando la musicaciascun bambino ha quindi avuto l’occasione di ascoltareanche il proprio vissuto emotivo, i propri stati d’animo, ilproprio corpo e il proprio respiro. La condivisione e la par-tecipazione collettiva dell’esperienza percettiva hanno per-messo inoltre di instaurare una relazione empatica all’inter-no del gruppo (peraltro rafforzata dalle successive attività dicanto corale e di musica d’insieme con lo strumentario Orff)e di creare un clima di fiducia e serenità.Lo sviluppo dell’empatia rappresenta un’abilità fondamen-tale nel regolare le relazioni sociali, lo scambio tra simili ela comunicazione verbale e non verbale. Educare all’empatiasignifica mettere in gioco la maggior parte delle componen-ti dell’intelligenza intra e interpersonale (GARDNER 2005) esviluppare quindi quelle molteplici capacità a essa stretta-mente collegate come l’autoconsapevolezza, l’introspezione,la discriminazione e l’identificazione delle emozioni propriee altrui, la lettura dei messaggi non verbali, l’ascolto pro-fondo, il riconoscimento dei diversi aspetti della realtà e inumerosi punti di vista, nonché la capacità di assumere laprospettiva dell’altro e di entrare in contatto con il suo mondopercettivo-emotivo (ALBERO - MATRICARDI 2006). L’empatiapertanto permette di vivere i rapporti quotidiani con le per-sone in maniera più profonda (MARMOCCHI - DALL’AGLIO 2004)favorendo il rispetto, la cooperazione, la comprensione,l’apertura nei confronti delle opinioni e delle idee altrui e lasensibilità riguardo agli atteggiamenti emotivi del nostroprossimo: «in un mondo che restringe gli spazi della solida-rietà, della tolleranza e della diversità, essere capaci di leg-gere gli affetti degli altri, mettendoci nei loro panni, con-sente di modulare il livello della propria esperienza socialeed apre luoghi mentali e affettivi all’incontro, alla disponi-bilità, all’ascolto» (BONINO - LO COCO - TANI 1998, p. 52).Solitamente i disturbi vocali sono anche associati a una con-dizione patologica, la “sindrome propriocettiva vestibolare”(Borragan 2002), per cui è facilmente riscontrabile nei sog-getti una difficoltà di attenzione, uno scarso senso di equi-librio e un’attività ipercinetica. Per abituare quindi i bambi-ni a periodi sempre più lunghi di concentrazione, di rilassa-mento e di assorbimento musicale, l’esperienza d’ascolto ingruppo, intercalata da brevi periodi di silenzio, è stata ripe-tuta in diversi momenti della seduta terapeutica sia con l’uti-lizzo di ulteriori strumenti musicali, sia attraverso il canto.Le attività di ascolto sono state in seguito associate a eserci-zi di respirazione e di movimento fluente o ritmico per fa-vorire la coordinazione pneumo-motoria e il rilassamentomuscolare. Si è cercato quindi di lasciare i bambini liberi diesplorare lo spazio attraverso il movimento del loro corpoguidato dal flusso energetico della musica. Anche le attivitàdi educazione vocale sono sempre state associate al movi-mento per permettere una migliore coordinazione pneumo-fonica. Nel corso delle varie sedute sono stati improvvisati oeseguiti per imitazione brani ritmici vocali abbinati ai gesti-suono o alla percussione sullo strumento, brani cantati sen-za parole, filatrocche cantate e canzoni nel rispetto dell’esten-sione vocale di ciascun bambino.

Risultati e conclusioniConclusa l’esperienza terapeutica, dopo un’attenta valu-tazione clinica, sono emersi dati molto confortanti. In-nanzitutto la partecipazione attenta dei bambini, il lorointeresse verso “il pianeta musica” e la scoperta di unnuovo gioco collettivo basato sulla spontaneità del faremusica hanno permesso di ottenere buoni risultati clini-co-funzionali.Il parametro che alla visita di controllo ha registrato unnotevole miglioramento in tutti i bambini è stato il TMF o“durata fonatoria”, testimone del buon lavoro eseguito sulrilassamento e sulla respirazione. La tensione muscolare ei falsi compensi sono scomparsi in tutti i bambini esami-nati. L’ascolto musicale, associato anche agli esercizi direspirazione eseguiti durante le sedute terapeutiche, sem-bra aver inoltre promosso nei bambini un buon livello dipercezione del proprio corpo e di se stessi. Le attività dimovimento fluente e ritmico hanno inoltre favorito unamaggiore coscienza e padronanza delle proprie capacitàcorporee e permesso allo stesso tempo un utilissimo lavorodi controllo sulle attività di tensione e rilassamento. Il mo-vimento, spinto dall’azione energetica della musica, ha aiu-tato a liberare la respirazione facilitando quindi la disten-sione muscolare e diminuendo le contrazioni cervicali. Leattività rieducative sono riuscite inoltre a catturare l’at-tenzione dei più piccoli, che mai si sono rifiutati di seguirele sedute ma che, divertiti e incuriositi dall’esperienza mu-sicale, hanno sempre partecipato attivamente.A distanza di sei mesi, durante la visita di controllo, il qua-dro clinico presentava la ricomparsa dei disturbi vocali nel-la maggior parte dei bambini che avevano partecipato alprogetto terapeutico. Il dato, per quanto sconfortante e al-larmante, è spiegabile con il fatto che curare un’anomaliadella voce, soprattutto nei bambini, è il risultato di un lavo-ro vòlto a correggere non solo le alterazioni strutturali emorfologiche dell’organo vocale infantile, così delicato e nonancora definito, ma anche i difetti del comportamentofonatorio. Quest’ultimo è spesso dettato dal contesto socialein cui il fanciullo vive e si relaziona fin dalla nascita (lafamiglia, la scuola ecc.), che risulta sempre un modelloimitativo di primaria importanza nella sua crescita. Nellarieducazione vocale infantile è pertanto indispensabile nonsolo agire sul comportamento dei piccoli pazienti, ma anchesui modelli imitativi (familiari, educatori, insegnanti ecc.) chene condizionano lo sviluppo. Per questo anche l’adulto deveimparare a ben dosare i propri atteggiamenti vocali, soprat-tutto in presenza dei bambini, e ad adottare stili comunicativiconsoni alla salvaguardia della salute propria e altrui.L’esperienza condotta attraverso la ricerca ha permesso quindidi capire l’importanza di un’educazione continua in gradodi accompagnare il bambino, sin dalla primissima infanzia,verso lo sviluppo di una corretta fonazione e di imparare aconoscere, anche grazie alla pratica musicale, le numerosepossibilità espressive della propria voce che rappresentasenz’altro l’elemento più prezioso e identificativo del nostroessere. Per tale motivo si è pensato di proporre una terapiadi mantenimento organizzando un laboratorio di musicaeducativa (con bambini dai quattro ai sei anni) e un labora-

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34 torio corale (con bambini dai sette ai dieci anni) post-tratta-mento, per continuare così ad allenare la respirazione e lacoordinazione pneumofonica. A distanza di sei mesi il qua-dro clinico permaneva finalmente inalterato in tutti i bam-bini. Il corpo in movimento è diventato, pertanto, lo stru-mento principale attraverso il quale sviluppare un’intelli-genza comportamentale, emotiva, espressiva e fonatoria es-senziale per un uso corretto della voce. La forza che azionail movimento è l’energia e gli effetti energizzanti del suono,come prodotto della vibrazione, spingono naturalmente amovimenti spontanei e coscienti.La musica assume così non solo una valenza curativa maanche formativa, estetica ed educativa. Piuttosto che cura-re sarebbe però auspicabile, come si è più volte sottolinea-to nel corso di questo scritto, che ciascun individuo svi-luppasse da subito un corretto atteggiamento vocale. Potercrescere in un ambiente in cui esprimersi in piena libertànel rispetto delle proprie e altrui esigenze, dove poter esse-re ascoltati senza essere costretti ad alzare la voce per co-municare i propri pensieri e rivelare la propria personalità,e dove il silenzio sia avvertito non come mancanza o vuo-to ma come un valore aggiunto, è un’esigenza comune dacui non è possibile prescindere. I bambini hanno bisognodi rapportarsi con sani modelli per poter apprendere quellaserie di comportamenti funzionali al loro sviluppo e be-nessere psico-fisico, ma il buon esempio va praticato e col-tivato quotidianamente.

BIBLIOGRAFIAPAOLO ALBIERO - GIADA MATRICARDI, Che cos’è l’empatia, Carocci, Roma2006.

SILVIA BONINO - ALIDA LO COCO - FRANCA TANI, Empatia. I processi di condi-visione delle emozioni, Giunti, Firenze 1998.ALFONSO BORRAGAN TORRE, Il metodo propriocettivo elastico nellarieducazione logopedica delle disfonie, Atti del corso di perfeziona-mento, Cesena 2002.LUCIO CROATTO, Trattato di foniatria e logopedia, Garangola, Padova 1983.PETER FONAGY - GYÖRGY GERGELY - ELLIOT L. JURIST - MARY TARGET, Regolazioneaffettiva, mentalizzazione e sviluppo del sé, Raffaello Cortina, Milano2005.FRANCO FUSSI, L’inserimento dell’educazione vocale nella scuola elemen-tare: un programma di prevenzione delle disfonie, in “Medicina Mo-derna Oggi”, 1/10, 1998.HOWARD GARDNER, Educazione e sviluppo della mente, Erickson, Trento2005.FRANÇOIS LE HUCHE - ANDRÉ ALLALI, La voix: anatomie et physiologie,pathologie, therapeutique, 3 voll., Masson, Paris 1989.SILVIA MAGNANI, Il bambino e la sua voce. Con i bambini alla scopertadella vocalità, FrancoAngeli, Milano 2000.PAOLA MARMOCCHI - CLAUDIA DALL’AGLIO, Educare le life skills, Erickson, Trento2004.MIRCA MINOZZI - ANNALISA NOVENTA - MARIA CRISTINA ROSETTI, Un’esperienzadi terapia in un gruppo di bambini disfonici, “Acta Phoniatrica Latina”,17/1, 1995.ANDREA RICCI MACCARINI - FRANCESCO OTTAVIANI - ANTONIO SCHINDLER - DELFO

CASOLINO, La valutazione percettiva della voce, in Le disfonie: fisio-patologia clinica ed aspetti medico-legali, a cura di Delfo Casolino,Relazione ufficiale del LXXXIX Congresso nazionale, Pacini, San Bene-detto del Tronto 22- 25 maggio 2002.OSKAR SCHINDLER - NANDA MARI, Il canto come tecnica la foniatria comearte, Zanibon/BMG, Milano 1986.GIUSEPPE SELLARI - LINA SELLARI - GUIDO BENFARI, Musica e riabilitazione del-la voce nella terapia delle disfonie infantili, in L’insegnamento comescienza. Ricerche sulla didattica della musica, a cura di Mario Baroni,LIM, Bologna 2009.GIUSEPPE SELLARI - LINA SELLARI - GUIDO BENFARI, Curare la voce infantile, in“Argomenti di Otorinolaringoiatria Moderna”, 19, 2010.

Grilli parlantiCri, cri, cri… crisi finanziariasi rimescolano le carte (a ciascun la propria parte),e tutti gambe all’aria!Cri, cri, cri… crisi di valorii ricchi sempre più ricchie i poveri sempre più fuori.Cri, cri, cri… crisi del progressotra PIL, BOND (James?) e crescita ormai zeroriuscire a dePILarsi sarebbe già un successo.Cri, cri, cri… crisi dell’estetica?«No, scusa, vuoi declassare a C anche l’A di arte?»Forse da cambiare è l’intero mazzo di carte…

Stanga & Foorbs

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35Non perdere un’occasioneiscriviti alla SIEM!

L’iscrizione alla SIEM è importante per:conoscere esperienze, tecniche e metodi nuovi per l’educazione musicalepartecipare al confronto sui problemi dell’insegnamento musicale in Italia e all’estero

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36 A cura di Luca Bertazzoni

Musica, scuolae cultura digitale

Il rischio maggiore è quello della retorica fatua e manichea:quando si discute di scuola e innovazione tecnologica ildibattito oscilla fra l’entusiasmo ingenuo e le profezie disventura, fra la ricerca di teorie unificate e la rinuncia acomprendere i cambiamenti, fra la miopia degli approccitecnici e la presbiopia dei sociologismi astratti. Per nonparlare della categoria del “nuovo”, un’inflazione lingui-stica che alimenta un clima da rivoluzione permanente.Proprio per questo però è necessario indagare ancora più afondo i fenomeni legati alla digitalizzazione delle praticheculturali, con particolare riguardo ovviamente ai risvoltieducativi in campo musicale. A tale scopo “Musica Doma-ni” ha riunito alcuni esperti provenienti dal mondo dellascuola (Fausto Ciccarelli e Marco Fedi), del conservatorio(Roberto Neulichedl) e dell’università (Salvatore Colazzo)che da anni si occupano di questa tematica nella propriaattività didattica e di ricerca. A ognuno di loro è statochiesto di presentare una delle tante possibili prospettiveattraverso cui indagare il rapporto complesso fra musica,scuola e innovazione tecnologica.La nostra vita sta traslocando in Rete, e le modalità piùdiffuse di relazione, conoscenza e comunicazione passanoattraverso i media digitali. In campo musicale ciò non rap-presenta certo una novità, ma la mutazione degli ecosistemitecnologici (legata soprattutto ai processi di convergenzamediale e connessione in mobilità) produce una diaspora euna modificazione incessante delle pratiche di esperienzasonora.Nel suo rapporto quotidiano con gli studenti e con le dina-miche di insegnamento e apprendimento, la scuola in parti-colare sembra vivere un passaggio delicato e cruciale, inve-stita com’è da problemi pressanti e nuove responsabilità. Lacomplessità della cultura digitale pone sfide inedite alla ri-flessione didattica e pedagogica, sia in generale sia in rap-porto al campo specifico dell’educazione musicale. Con lamoltiplicazione degli ambienti di apprendimento online, lepratiche di e-learning richiedono ormai una e-pedagogy ade-guata. Volenti o nolenti, siamo sempre più immersi in unacultura digitale che continuerà a trasformare le nostre esi-

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37stenze e che invoca una consapevolezza profonda proprioda parte di chi è chiamato a svolgere compiti educativi neiconfronti delle prossime generazioni.

L’innovazione tecnologicanella scuola italianadi Fausto Ciccarelli

Argomentare intorno ai temi del “digitale” e delle rapidetrasformazioni che le tecnologie inducono nel nostro quo-tidiano, in particolare nel mondo della comunicazione edella formazione, diventa sempre più difficile. Le ipotesisu scenari futuri appaiono poco affidabili e verrebbe dadire con Paul Valéry: «Il futuro è come il resto: non è piùquello che era» 1.Conviene quindi non farsi prendere dall’ansia per presunteimminenti catastrofi, sebbene plausibili, e concentrare l’at-tenzione sul presente e sul recente passato cercando di ri-flettere su quel che viene fatto nella prospettiva dell’inno-vazione del nostro sistema scolastico.Mi soffermerò a parlare del Piano di diffusione delle Lava-gne Interattive Multimediali per accompagnare il proces-so di innovazione della didattica attraverso l’uso di tecno-logie informatiche (noto come Progetto LIM 2), a cui ho par-tecipato in qualità di tutor nella regione Emilia-Romagna.Questo progetto è parte di un progetto più ampio denomi-nato Scuola digitale che comprende anche i progetti [email protected] e Isole in rete.

Il Progetto LIM

Sicuramente il Piano di diffusione delle LIM, partito nel2009, è stato tra i più impegnativi e onerosi. I numeri ingioco sono: un totale di 18.400 LIM installate in altrettanteclassi, 47.000 insegnanti formati per 375.000 studenti coin-volti. Nell’anno scolastico 2009-2010 si è dato il via alpiano nella scuola secondaria di primo grado e lo scorsoanno si è proseguito con la primaria e la secondaria disecondo grado.In sintesi il percorso: le scuole richiedevano un certo nu-mero di LIM, individuando prioritariamente le classi in cuisarebbero state installate e un gruppo di insegnanti (alme-no tre) che si dichiarassero disponibili a seguire un percor-so formativo predisposto ad hoc. Contemporaneamentel’ANSAS ex INDIRE 3 bandiva un concorso per titoli, al fine diindividuare un numero di tutor (da formare) che avrebberosupportato il percorso formativo erogato in modalitàblended 4, e predisponeva una piattaforma per le attivitàonline.Non è stato facile dare avvio a una procedura così com-plessa e pertanto i tempi sono slittati, creando non pochedifficoltà. Tuttavia va riconosciuto che la volontà di man-tenere fede all’idea forte del Piano, cioè portare la tecnolo-gia in classe per modificare e potenziare la didattica, èstata perseguita con tenacia.Devo dire che, a mia memoria, è la prima volta che un

piano così complesso è stato gestito con un minimo di fles-sibilità e un pizzico di pragmatismo, tradizionalmente estra-nei alle nostre strutture ministeriali.Certo le ombre sono ancora molte e non a caso nel com-mentare i dati del primo monitoraggio effettuato nel 2009il professor Rivoltella si esprime con un laconico «niente dinuovo sotto il sole...». Il dato che solo il 7% delle scuoledove sono state installate le LIM è dotato di collegamentoInternet la dice lunga sulla natura dei problemi delle no-stre scuole, e ci fa capire che uno dei tratti più innovatividi questo strumento, che consiste proprio nel suo essereuna sorta di finestra digitale sul mondo, viene ad essereneutralizzato.La LIM in sé non rappresenta certo una tecnologia sofisti-cata: è né più né meno di una periferica di un pc, unoschermo grande quanto una lavagna su cui agire con unapenna speciale o con le mani (a seconda delle tipologieutilizzate) che diventano il mouse. Se ne può realizzareuna versione povera utilizzando un oggetto conosciuto (ein parte posseduto) da tutti i ragazzi dalla scuola primariain poi: il Wiimote. A Bologna abbiamo sviluppato un pro-getto denominato Wiidea 5 basato proprio sul telecomandodella nota console di giochi della Nintendo collegato a unpc e a un videoregistratore, che ha fatto da battistrada amolte anologhe esperienze realizzate in tutta Italia e chesicuramente ha favorito una breve ma fertile stagione disperimentazioni nella regione.Da dove nasce quindi l’interesse per questo strumento cheappare già un “vecchio arnese” nel variegato panoramadei prodotti hi-tech? E perché vengono investite così tanterisorse (sempre in riferimento al livello di investimenti perl’istruzione e la formazione) per implementare le LIM nellenostre scuole?Tra le tante possibili risposte si può dire che la LIM è lostrumento tecnologico più “scolasticamente” compatibile:si presenta come una nuova versione della tradizionale la-vagna d’ardesia e, almeno per la maggior parte dei docen-ti, non fa prevedere grandi sconvolgimenti nella normaleconduzione dell’attività didattica. Per questo motivo, unadelle convinzioni di chi sostiene l’introduzione della LIM

nelle scuole è che essa possa funzionare come un “cavallodi Troia”: assumendo le sembianze di una normale lava-gna, può superare con facilità le difese degli insegnantiper poi romperne gli schemi e favorire l’accettazione delnuovo.L’evocazione dell’inganno degli inganni dell’astuto Ulisse,nonché dell’immagine della scuola antiquata e burocratiz-zata assediata dai nuovi guru della modernità e del pro-gresso mi ha sempre un po’ infastidito, perché ritengo poggi

1 PAUL VALÉRY, Sguardi sul mondo attuale, Adelphi, Milano 1994, p.187.

2 www.scuola-digitale.it/lavagna/index.php.3 Nell’ultima finanziaria è previsto un riordinamento istituzionale

che vedrà risorgere l’INDIRE e scomparire l’ANSAS.4 Soluzione “mista” che prevede l’integrazione di lezioni frontali e

didattica online.5 wiidea.scuole.bo.it/index.php.

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38 su luoghi comuni e sia una ingiusta generalizzazione chetende a scaricare sulla passività dei docenti, che pure esi-ste, tutte le inadempienze della scuola. Credo, al contrario,che non siano pochi gli insegnanti che non hanno pauradel nuovo, sperimentano continuamente modalità didatti-che innovative e si avventurano in esperienze di collabo-razione con colleghi e studenti nei luoghi della rete, senzalimiti di spazio e di tempo. Le vere resistenze vanno cerca-te altrove!Fatte queste precisazioni, la cosa veramente nuova, quellache condivido pienamente del piano LIM, sta nel conside-rare la tecnologia come elemento quotidiano della didatti-ca. Il luogo centrale del nostro sistema di scuola, l’aula incui alunni e insegnanti svolgono l’attività giornaliera, vie-ne permeata dai nuovi strumenti digitali.Certamente il numero di LIM è ancora limitato (circa il 5%di aule sono dotate di questo strumento), e questo segno dinovità finisce per incidere poco sull’intero sistema-scuolanel nostro Paese che assiste al costante depauperamentodelle risorse.Tuttavia dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che la crisidei sistemi scolastici è un fatto mondiale e che la formatradizionale di scuola non può reggere in un mondo dellacomunicazione rivoluzionato dalla cultura digitale. Nonsaranno le LIM a cambiare, salvare o decretare la fine dellascuola in Italia. Il Piano della loro diffusione può esserevisto come uno dei tanti interventi finalizzati a modifica-re, si auspica in meglio, il nostro sistema formativo.

Nuovi paradigmiCosa può allora cambiare in meglio la scuola? Quali do-vrebbero essere i nuovi paradigmi dell’educazione?La risposta che dà Sir Ken Robinson, un eccentricopedagogista esperto di creatività, è semplice quantoaccattivante: «more arts please» 6.La scuola attuale funziona come una catena di montaggioe tende a standardizzare e anestetizzare gli studenti attra-verso un percorso caratterizzato da schemi da riprodurre etest da superare, deprimendo la creatività, le diverse intel-ligenze e il pensiero divergente di ciascuno. Occorre inver-tire la rotta! Più arte, più musica, più cultura!È possibile? Credo sia necessario! Come si legge anche nelrapporto della Nuova Commissione sulle competenze dellaforza lavoro americana del 2009, dal significativo titoloScelte forti o tempi duri 7, una scuola che voglia contrasta-re l’evidente declino dell’Occidente deve mettere al primoposto la creatività e alti livelli di competenza anche in cam-po artistico: in sostanza una scuola che non sia anesteticacome quella attuale.Tornando alla realtà italiana possiamo dire che, almenoin linea teorica, l’esigenza di una scuola che riesca a mo-tivare i giovani e fornisca loro quelle competenze chiaveper agire nella società in continua trasformazione è for-temente sentita, ma si scontra anche con difficoltà og-gettive sul piano ordinamentale e organizzativo, e con lamancanza cronica di risorse e di una lungimirante regiapolitica.Nel momento in cui vengono realizzati tagli pesantissimi

alla scuola, all’università, alla ricerca e alle istituzioni cul-turali del nostro Paese è molto difficile essere ottimisti e siha la consapevolezza di trovarsi in “tempi duri” che nonsembrano preludere a “scelte forti”.Tuttavia qualcosa si muove, almeno per quel che riguardale discipline musicali e l’innovazione tecnologica. Da circaun decennio la Direzione generale per gli Ordinamenti Sco-lastici e per l’Autonomia Scolastica promuove progetti eindaga il rapporto musica-tecnologia visto come poten-ziale catalizzatore di un vero processo innovativo per lascuola.«La competenza digitale e l’espressione creativa attraversola musica costituiscono, prima di ogni altra cosa, un’occa-sione effettiva di transito attivo e costruttivo nello spaziodella “cosmopedia” e in tutte le zone che in questo spaziovitale permettono/richiedono di creare, di innovare, di tra-sformare». Così scrive Gemma Fiocchetta nel volume da leicurato, Musica e tecnologia nella scuola italiana. Rapporto2010 8.Il testo analizza i risultati di un’indagine sulle scuole ita-liane che hanno dato vita a esperienze di insegnamentodella musica attraverso le tecnologie digitali, circa l’11,6%delle scuole italiane di ogni ordine e grado. Si tratta diesperienze sperimentali e marginali che tuttavia vengonoviste come potenziali modelli per definire nuovi paradigmidell’insegnare e dell’apprendere a fare musica.Sarà dunque il binomio musica-tecnologia a fare da deto-natore all’esplosione del nostro sistema scolastico e a co-struire le fondamenta di una scuola rinnovata?Forse no, ma certamente un riassetto per quel che riguardal’organizzazione degli studi musicali è nell’ordine delle cose,considerando anche la messa a regime dei nuovi licei mu-sicali. In ogni caso, i dati che emergono dal rapporto meri-tano una riflessione accurata.Con un po’ di malizia, ma anche considerando questomio excursus sulle azioni concrete e sulle prospettive aper-te dallo sviluppo della tecnologia digitale nelle nostrescuole, mi viene da concludere citando ancora una voltaValéry che, scrivendo queste parole nel 1937, sembra co-gliere uno dei tratti peculiari della nostra attuale condi-zione: «Mentre siamo sempre più ansiosi di sapere doveandiamo e non ci stanchiamo di interrogarci sui domanipossibili, viviamo per altro verso, una vita terribilmentequotidiana. Viviamo giorno per giorno, come nelle epo-che più pressate dai bisogni immediati, come nei periodipiù precari dell’umanità» 9.

6 www.diariodiscuola.it/dds/Blog/Voci/2010/12/18_Cambiare_i_paradigmi_delleducazione.html.

7 www.skillscommission.org/wp-content/uploads/2010/05/ToughChoices_EXECSUM.pdf.

8 Musica e tecnologia nella scuola italiana. Rapporto 2010, a curadi Gemma Fiocchetta, in “Annali della Pubblica Istruzione”, nn. 3-4/2010, Le Monnier, Firenze 2011; è possibile scaricare il testo informato digitale all’indirizzo: ebookbrowse.com/api3-4-2010-cliccabile-pdf-d133458625.

9 PAUL VALÉRY, Sguardi sul mondo attuale, op. cit., p. 187.

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39Per una pedagogiadel digitaledi Salvatore Colazzo

Viviamo in una società che non a caso è stata definitasocietà della comunicazione ovvero, con connotazione lie-vemente differente, società della conoscenza, nel senso chei processi della comunicazione (ormai in gran parte digita-le) sono diventati pervasivi: i contenuti informativi e co-noscitivi, che un tempo costituivano merce rara, oggi sonodiventati facilmente accessibili, a costi estremamente bas-si. Le tecnologie informatiche e multimediali impongonoai soggetti di acquisire competenze che sono innanzituttodi tipo tecnico e favoriscono l’appropriazione, da parte loro,di un grandissimo numero di conoscenze, con due impor-tanti corollari:a) non sempre l’utilizzo dei dispositivi elettronici avvieneattraverso la mediazione delle istituzioni formali, ben piùspesso avviene per “prova ed errore”, acquisendo informal-mente informazioni da chi ne sa di più (amici, conoscentiecc.) ovvero accedendo a luoghi dispensatori di consigli esuggerimenti quali sono i blog dedicati degli utenti;b) il soggetto si muove nell’overload informativo dovendoinventare una strategia di sopravvivenza, che può esseredata unicamente dal partire dalle proprie curiosità e daipropri interessi, che quindi devono potersi definire in ma-niera sempre più chiara e leggibile al soggetto medesimo,inducendo una crescita dell’autoconsapevolezza.Con ciò siamo a dover constatare che le istituzioni formalidell’insegnamento-apprendimento devono trovare nuoveforme di legittimazione:a) di fronte all’erosione costante di alcune loro tradizionalifunzioni, diluitesi nella società, divenuta ormai della co-noscenza (che è tale in quanto ha i suoi strumenti per farcircolare informazioni e costruire informalmente nuovaconoscenza). Esse devono inventare nuove modalità di re-lazione con l’apprendimento informale, che transita perlopiùattraverso sistemi di relazioni sociali più o meno mediatidalle tecnologie;b) di fronte alla forte segmentazione dei bisogni culturali,quale si ha in un universo culturale in cui l’offerta di co-noscenze si presenta sovrabbondante e poco irregimentata.L’utenza che oggi si affaccia ai servizi formali dell’istru-zione, della formazione, dell’educazione è estremamentepiù articolata e disomogenea che in passato.Dal punto di vista pedagogico ciò significa:a) che i soggetti chiedono ai sistemi formativi estremausabilità dei mediatori dell’apprendimento e confidano nel-l’esperienza e nelle relazioni sociali quali facilitatori del-l’apprendimento. Ciò porta a privilegiare l’apprendimentoesperienziale su quello procedurale; l’intuizione sull’analisi;l’abduzione sulla deduzione; la composizione progressiva(con buona tolleranza di una iniziale relativa entropia delleconoscenza) di un quadro organizzato di apprendimento sullabase della capacità di agevolare funzionalmente il rapportocon gli artefatti che abitano gli usuali contesti di vita;

b) che i soggetti consumano cultura in modi e forme nuo-vi, cercando di perseguire un processo identitario forte-mente individuale attraverso la frequentazione (in partecasuale, in parte ricercata) di una molteplicità di situazio-ni, ambienti, relazioni, esperienze. Essi, ai sistemi formalidell’istruzione, alle agenzie educative, chiedono di rispet-tare i loro processi, i loro bisogni, le loro istanze. Chiedo-no, in altri termini, di porsi in continuità con il mondodella comunicazione, rendendosi funzionali ai loro biso-gni identitari. Chiedono di essere riconosciuti nella lorosoggettualità.

Civiltà multimedialeLa nostra è stata anche definita come la civiltà delle imma-gini. Ma in realtà, a badar bene, la definizione non fa giu-stizia dello smisurato consumo che la società compie disuoni e di musiche. La nostra è una civiltà dell’occhio quantodell’orecchio, anzi è la civiltà che collega sistematicamen-te occhio e orecchio, è la civiltà dell’audiovisuale, delmultimediale, dei messaggi compositi che sfruttano la con-correnza di più canali per potenziare la comunicazione.Se le istituzioni educative pensano di dover offrire agliutenti strumenti per sviluppare l’intelligenza cognitiva econtestualmente emotiva, allora l’educazione al suono ealla musica come l’educazione all’immagine, un tempo di-scipline neglette nell’ambito della scuola dello scrivere,leggere e far di conto, debbono avere una nuova dignitànell’assetto dei saperi scolastici.Laddove vi è la convergenza di messaggi che si sviluppanosu diversi piani, inevitabilmente la cognitività è pregna dielementi emotivi e la dimensione metaforica dell’esprimersiè potenziata. Il pensiero non può che essere pensiero emo-zionato, e l’apprendimento non può che essere apprendi-mento per immersione… e la didattica, di necessità, didat-tica multimediale.Suoni e immagini, in ragione del potere di coinvolgimentodel corpo che posseggono, mettono in questione i moditradizionali della formazione. Roberto Maragliano ha par-lato di “inquietudine pedagogica” a cui i nuovi linguaggidanno luogo. Le ragioni di questa inquietudine prima faciepossono essere individuate nel diverso atteggiamento chescuola e media hanno nei confronti dell’esperienza 1.La scuola assume l’esperienza conoscitiva, affettiva e so-ciale come qualcosa di fissabile, delimitabile, analizzabile,scomponibile; i media assumono l’esperienza come qual-cosa di mobile, aperto, includente e globalizzante, sullabase di un modello che potremmo senz’altro definire acu-stico. Il suono infatti è mobile, aperto, includente eglobalizzante. Quindi, qualsiasi esperienza – si dia comeimmagine, si dia come scrittura (il riferimento è al casodelle e-mail e delle chat) – che abbia queste caratteristichepuò dirsi incardinata nella matrice del suono. L’esperienzasonora si accompagna sempre a una condotta immersiva;quando si partecipa a un evento sonoro, tutto risuona: noi

1 Cfr. ROBERTO MARAGLIANO, Parlare le immagini. Punti di vista, Apo-geo, Milano 2008.

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40 con-soniamo col contesto, siamo dentro la realtà che stia-mo vivendo. Ogni esperienza sonora è un prender parte aqualcosa; per questo l’esperienza sonora è un rituale diinterazione.Ciò inquieta la pedagogia. La lettura e la scrittura consen-tono una prospettiva frontale, l’ascolto immerge in unambiente che si prospetta in termini che sarebbe giustodefinire di realtà virtuale.Ma fare esperienza, si è sempre detto, non è propriamenteconoscere. La conoscenza è fatta di una complessa attivitàdi decodifica e riflessione grazie all’applicazione di filtri;la lettura e la scrittura, opportunamente orientate dall’isti-tuzione scolastica, offrono questi filtri, insegnano a porrenessi con cui si costruiscono quadri concettuali via via piùcomplessi.Ora, i giovani che fanno esperienza coi suoni, con le im-magini, con le parole, che praticano il dilettantismo digi-tale ci danno un’indicazione di cosa sia per loro propria-mente pensare: sono interessati ai loro moti interni, nonconcedono troppo spazio alle mediazioni interpretative, sioccupano in giochi che consentono di praticare l’immagi-nario, quel terzo spazio che, legando assieme mondo este-riore e produzione interiore, matrici della scrittura e delsuono, celebra il trionfo dell’ibrido 2. Coi suoni, le immagi-ni, le parole, i nostri giovani giocano il mondo, costruisco-no mondi, e ogni mondo che essi costruiscono è un vero eproprio ambiente di apprendimento: così imparano nonsolo a praticare l’addomesticamento dei media, ma anchel’addomesticamento della realtà e delle loro emozioni.Si prospetta una sfida per la pedagogia: aprire la scenaeducativa all’ingresso di tutto quanto è corpo, sensazione,affetto per aiutare i giovani ad abitare, vivere i suoni e“parlare le immagini”. Deve perciò favorire la disponibilitàall’ascolto, in modo che la dimensione produttiva e quellaricettiva si trovino in equilibrio: oggi si rende necessariofornire un set di competenze che potremmo qualificare comemanagement dell’ascolto, indispensabile nella società dellaipercomunicazione, che proprio perciò è a rischio di pro-durre molto rumore, a causa del quale il soggetto può spro-fondare in una sorta di acusìa psicologica.La pedagogia di cui abbisogniamo è quella che riesce a farcipercepire nei suoni e nelle immagini il substrato senso-motorio su cui si innesta poi il linguaggio, con la sua capa-cità di classificare. La pedagogia che conosce e valorizza leenormi risorse del pensiero analogico, al fine di tenere as-sieme la dimensione emotiva e quella astratto-razionale, deveimmergersi nella realtà, produrre pensiero emozionato ereimmergersi nell’esperienza, per arricchirla creativamente.La speranza è che con ciò si possa contribuire a costruireuna società in cui, come ci suggerisce Richard Rorty, i cit-tadini sappiano esercitare la tolleranza, la solidarietà, l’iro-nia, competenze indispensabili per consentire un percorsodi autoformazione, di edificazione 3.

Una società che ha anche trovato il vaccino per immuniz-zarsi dal consumo, non più demonizzato, ma assunto comeluogo che, ove agito strategicamente, consente percorsi disoggettivazione.Proprio seguendo Rorty, possiamo ricavare alcuni criteriper la didattica multimediale.Innanzitutto l’opportunità di concepire il bricolage, che puòsvilupparsi nell’universo della multimedialità come un’oc-casione per stimolare e coltivare l’immaginazione. Nell’ac-cezione rortyana, l’immaginazione è l’attitudine a reinven-tare le pratiche sociali correnti. L’immaginazione, a diffe-renza della fantasia, spera, dopo aver introdotto una qual-sivoglia novità, che la novità venga adottata da altre per-sone, entrando a far parte delle loro pratiche correnti.L’immaginazione ha natura eminentemente sociale, e oggi,coi media interattivi, ciò è particolarmente evidente. Essisi aprono a forme di interazione per la creazione di narra-zioni che nascono da forme di «intelligenza connettiva»,per riprendere una felice espressione di De Kerckhove.Non è possibile concepire la multimedialità senza coglierela portata della interattività, la quale consente che i per-corsi attraverso cui oggi si struttura l’identità siano bendifferenti rispetto a quelli del passato e comunque stretta-mente connessi con i processi sociali attraverso cui odier-namente si crea e si consuma cultura.

La scuola e le tecnologieDa queste considerazioni scaturiscono alcune conseguen-ze per l’universo delle istituzioni formali. Esse debbono:a) aiutare i soggetti a sistematizzare la molteplicità di in-formazioni e contenuti conoscitivi che autonomamenteacquisiscono;b) aiutare, sostenere, orientare i soggetti nella costruzionedella loro identità, mettendo loro a disposizione contenutiche possano effettivamente tornare utili in questo proces-so di costruzione identitaria.

2 ROBERTO MARAGLIANO, Parlare le immagini cit.3 RICHARD RORTY, La filosofia dopo la filosofia: contingenza, ironia e

solidarietà, Laterza, Roma-Bari 1989.

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41Per far ciò alcune dimensioni del processo formativo di-ventano particolarmente rilevanti, in particolar modo lacosiddetta analisi dei bisogni, o come preferisco: mappaturadei bisogni, conducendo a enfatizzare la dimensione con-sulenziale della formazione.L’attività di insegnamento-apprendimento è una forma direlazione mediata, a prescindere se usi o non usi tecnolo-gie. Il docente agisce sull’allievo servendosi di alcuni stru-menti, di alcune tecniche al fine di modificare il suo asset-to cognitivo, emotivo, di atteggiamento ecc., conforme-mente a fini ritenuti in un dato contesto sociale come le-gittimi, in quanto espressione del desiderio di una culturadi perpetuarsi e svilupparsi.Nei contesti formativi il mezzo, lo strumento, è sempre enecessariamente educativo, nel senso che esso è costrettoa giustificare la sua presenza in ordine agli effetti di ap-prendimento che può produrre. Ciò che lo fa educativo è ilmodo in cui esso è utilizzato.Un medium di per se stesso è solo un campo di possibilità;sarà la capacità, espressa dalla professionalità del docente,di iscriverlo in un progetto pedagogico atto a produrre/amplificare effetti di apprendimento a dare concretezza aquel campo di possibilità. Si potrebbe affermare che la mag-giore efficacia che spesso si è constatata nei programmi diinsegnamento che prevedono un uso sistematico dei me-dia non dipende dall’avere utilizzato gli strumenti, ma dal-l’aver modificato la disposizione all’insegnamento che, sottola sollecitazione della presenza dei media, si è visto in qual-che modo indotto ad assumere una maggiore responsabili-tà progettuale. Non è il mezzo che causa il cambiamento,ma una revisione della cultura che si struttura attorno alcambiamento: il successo formativo non è mai solo fun-zione dei media, ma della professionalità pedagogica chesi disegna a partire dall’avvertimento che essi hanno biso-gno di un nuovo pensiero che li renda veramente utili alloscopo per il quale sono stati introdotti.Quando una tecnologia viene inserita in un dato ambiente,questa viene a impattare col sistema relazionale che carat-terizza gli attori di quell’ambiente e le loro pratiche dinegoziazione dei significati. Quindi di essa si fa un usosituato, cioè un uso a misura della comunità che l’ha adot-tata. In una certa qual misura la tecnologia viene ripensa-ta, reinventata alla luce dell’immaginazione che colletti-vamente quella comunità riesce a esprimere implementan-dola nelle sue pratiche. Quanto meno questa tecnologia sipresenta prescrittiva e omologante, tanto più essa si prestaa diventare il catalizzatore di uno spazio di costruzione disignificati. Le piattaforme sono rigide e quindi non favori-scono l’attività di reinvenzione delle comunità che sup-portano; gli ambienti di apprendimento hanno la pretesadi stare dentro un processo adattivo, che consente ai sog-getti di esprimere un sufficiente grado di creatività, unaplastica relazionalità, che contribuisce allo sviluppo del-l’identità sia comunitaria che personale. Ciò significa spo-stare sulla progettualità pedagogica la questione dell’effi-cacia delle tecnologie. È infatti la progettualità pedagogicache si impegna nel costruire le condizioni atte a dar luogoa un sistema di pratiche sociali e materiali, emergente da

una ricorsività di negoziazione che si stabilisce tra gli at-tori che definiscono un setting formativo. Ciò significa chele scelte tecnologiche operate sono orientate a favorire eamplificare processi di interazione sociale e di comunica-zione tra i soggetti implicati nel processo di insegnamen-to-apprendimento, in modo da creare occasioni di appren-dimento dalla relazione e dalla partecipazione, conforme-mente a quell’idea, emersa nell’ambito dell’approfondimentoteorico dei principi dell’apprendimento esperienziale, cheha condotto ai costrutti di “comunità di pratiche” e di “ap-prendimento situato”.

Educazione musicalee media digitalidi Marco Fedi

Niente più delle Tecnologie dell’Informazione e della Co-municazione (TIC) incarna probabilmente il passaggio delmondo dal secondo al terzo millennio. Il loro grande svi-luppo – mosso, occorre dirlo, da scopi sostanzialmentecommerciali e in principio addirittura militari 1 –, nonchéil loro successo, sono in gran parte dovuti al fatto di riu-scire a lusingare l’umana ambizione di poter creare unmondo diverso e parallelo, una realtà virtuale che, a diffe-renza di quella in cui viviamo, possa essere interamenteprogettata, manipolata e gestita dall’uomo, da ciascuno dinoi, persino comodamente da casa propria. Eppure il mo-dello di riferimento del mondo digitale altro non è che

1 Nel 1969 Arpanet è la rete telematica progenitrice di Internet,realizzata per scopi militari dal Dipartimento della Difesa degliStati Uniti.

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42 quello reale. Per di più, al contrario di quanto si possacredere, il digitale non implica affatto suoni e immagini dimigliore qualità rispetto a quanto permesso da una tradi-zionale acquisizione di tipo analogico. Anzi, il digitale – inquanto frutto dell’acquisizione di valori discreti – non po-trà mai evitare una perdita di informazione rispetto al rife-rimento di origine.In cosa consiste quindi la grande rivoluzione digitale a cuistiamo assistendo? Sicuramente nella possibilità di dupli-care, comprimere, immagazzinare, riprodurre, manipolare,processare e comunicare l’informazione digitale con estre-ma facilità e velocità rispetto a quanto prima possibile nelmondo dell’analogico. Le nuove tecnologie sono ormai unaparte integrante, complementare e imprescindibile del mon-do reale nel quale viviamo, tanto che le potremmo ancheintendere come un’estensione del nostro corpo e della no-stra mente, come afferma Galliani 2. Aggiungerei addirit-tura come “un’appendice dell’evoluzione umana” anche seculturale anziché naturale.La storia dell’uomo e dei suoi saperi ha del resto conosciu-to altre fasi di radicale revisione delle forme comunicative:dall’invenzione della stampa a quella delle macchine perla trasmissione e la riproduzione del suono e della voce.Oggigiorno stiamo assistendo al massivo passaggio al di-gitale, in tutti gli aspetti – positivi ma anche critici – checiò comporta: dalla dematerializzazione dei documenti dellaPubblica Amministrazione e del denaro, fino al passaggioalla televisione digitale terrestre e alla web-tv o al rimo-dellamento dell’identità sociale e personale per mezzo deisocial networks. Come ci ricorda Maragliano 3, il rag-giungimento di simili tappe si è sempre tradotto in unarivoluzione semiotica e antropologica, in una rivoluzioneculturale. Secondo Bruner la cultura è infatti un processodinamico, i cui risultati – intendendo quindi anche il pro-gresso tecnologico – contribuiscono a dar forma alla no-stra identità collettiva. Per certi aspetti le TIC rappresenta-no anche, a mio avviso, la continuazione di quella rivolu-zione dello spazio-tempo che è la fisica relativistica einstei-niana, poiché stanno oggi rivoluzionando non solo il no-stro pensiero e il nostro agire ma anche il tempo e lo spa-zio: da un fermo immagine a una videochiamata in temporeale tra due punti estremi del mondo, per giungere all’in-finito spazio virtuale della rete che annulla ogni distanza.Un nuovo spazio-tempo quindi, virtuale, ma non troppo.La rivoluzione si sposta poi anche su un piano psicologicononché relativo all’acquisizione, alla produzione e alla ge-stione della conoscenza, grazie all’aiuto che la mente umana

riceve dalle capacità di calcolo degli ormai potentissimimicroprocessori (che hanno ad esempio di recente permes-so di mappare completamente il genoma umano), per giun-gere agli attuali risvolti socioantropologici legati ai giàmenzionati social networks, capaci addirittura – come lacronaca ha recentemente dimostrato – di condizionare gliequilibri geopolitici.

Insegnare con i media digitaliChi adesso si chiedesse cosa tutto ciò abbia a che fare conl’educazione musicale tenga solo presente come la storiadella musica degli ultimi cento anni circa non sia neppureimmaginabile senza considerare il sostanziale contributoche la tecnologia le ha fornito: dagli strumenti elettroacu-stici dei primi decenni del ’900, attraverso la musica con-creta di Schaeffer, l’elettronica di Stockhausen, la ricercadi Berio, fino ai moderni strumenti musicali elettrici edelettronici, per proseguire quindi nell’universo popular econtinuare con le colonne sonore cinematografiche e conla ricerca sulla spazializzazione del suono che, da ambitidi ricerca colta, ha ormai raggiunto anche le nostre caseattraverso i sistemi home theatre. Si potrebbe addiritturaaffermare che le nuove tecnologie siano una delle animecostituenti della musica stessa, almeno per come oggi lacomprendiamo e per come storicamente la osserviamo.Neppure l’educazione musicale può quindi ormai prescin-dere da una migliore conoscenza e da un utilizzo semprepiù consapevole di tali tecnologie. Questo per svariati buonimotivi. In primo luogo significherebbe non tener conto diavere di fronte generazioni di discenti che sono ormai deinativi digitali 4, per il cui successo educativo occorre uti-lizzare anche e massimamente quei canali comunicativi daloro percepiti come più familiari. In secondo luogo, l’espe-rienza di apprendimento multimediale – favorendo una per-cezione multisensoriale, sinergica e virtuosa – risulta piùintensa ed efficace nonché più semplice, ed economizzatempo ed energie di chi apprende. Grazie alle TIC possiamoutilizzare strumenti didattici e predisporre contesti di ap-prendimento che risulterebbero altrimenti impossibili (sipensi solo all’e-learning, al distance-learning, all’estensio-ne dello spazio-tempo di apprendimento al di fuori dellascuola attraverso i siti web degli istituti scolastici ecc.). Ciòpotrebbe anche permettere in un futuro prossimo di imma-ginare una formazione continua e diluita nel tempo, chenon violi la normale soglia fisiologica di attenzione (dicirca quaranta minuti) dei ragazzi, come purtroppo avvie-ne durante un’intera mattinata passata a scuola, con ledifficoltà che ne conseguono anche per gli stessi insegnanti.Un altro buon motivo, eticamente e professionalmente ir-rinunciabile per un insegnante, consiste nella necessità dinon abbandonare i ragazzi alle dinamiche commerciali delmercato delle tecnologie e della popular music, che li han-no sì resi dei nativi digitali, ma privi tuttavia di un’ade-guata cultura e di una capacità di fruizione consapevole:perché al mercato conviene così. I giovani sono infatti spes-so degli utilizzatori passivi di quanto gli sviluppi delle nuovetecnologie propongono e le logiche di mercato impongo-no: in grado al massimo di metter su un proprio blog, di

2 LUCIANO GALLIANI, La scuola in rete, Laterza, Roma-Bari 2004, p. 71.3 ROBERTO MARAGLIANO, Nuovo manuale di didattica multimediale,

Laterza, Roma-Bari 1998, p. 19.4 MARC PRENSKY, Digital Natives, Digital Immigrants, in “On the

Horizon”, NCB University Press, vol. 9, n. 5, 2001.5 Audacity, Linux Multimedia Studio, Ubuntu Studio, solo per citar-

ne alcuni.6 Cfr. AMEDEO GAGGIOLO, Educazione musicale e nuove tecnologie, EDT,

Torino 2003, p. 14.7 wiidea.scuole.bo.it/index.php

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43creare e aggiornare un profilo su Facebook, scaricare mu-sica sul telefonino o di condividere foto e filmati digitalicon gli amici. Sta a noi renderli, e renderci, attori protago-nisti di questa rivoluzione tecnologica che ormai riguardainnegabilmente anche il mondo della scuola: non possia-mo più ad esempio limitarci a ricercare materiale testuale emultimediale in rete o ad acquistare l’ultimo CD-ROM di-dattico spesso esteticamente attraente quanto, altrettantodi frequente, limitato e limitante. Creare di propria manouna presentazione ipermediale, comporre una pagina webper uso didattico, oppure utilizzare software per la produ-zione musicale (eventualmente liberi) come sequencer oeditor di forma d’onda 5 è più semplice di quanto si possaimmaginare. Di certo appare fondamentale ripensare le stra-tegie didattiche, individuare un corretto modus operandi.Gli insegnanti, oggi ancor più, devono esser disposti a ri-mettersi in gioco, ad accettare una formazione continua,quand’anche solo attraverso l’esperienza sul campo 6 .Da parte mia cerco da tempo di dare un contributo for-mativo, collaborando con realtà sensibili e attive in taleambito, quali la SIEM, l’AIDSM o REMUTO. Qualche perples-sità viene invece risvegliata dalle strategie ministeriali intema di tecnologie per la didattica, che sembrano tuttoraprediligere il fatto che gli istituti scolastici acquisiscanorisorse materiali (computer, connessioni Internet, lavagneinterattive) senza attivare al contempo un valido e conti-

nuativo intervento formativo “specifico” per le singole di-scipline, che ampli e rafforzi le competenze degli insegnantie permetta di lavorare al meglio, insieme ai ragazzi, contali strumenti, utilizzati altrimenti solo a una frazione del-le loro reali potenzialità. Oltretutto, nella corsa alle dota-zioni informatiche delle scuole, le amministrazioni centra-li e periferiche sembrano non essersi accorte di certe im-portanti innovazioni tecnologiche, ad esempio in tema dilavagne interattive multimediali (LIM), che permetterebbe-ro di contenere enormemente i costi e di poter quindi ac-quisire tali strumenti su ben più larga scala. Basti citare leesperienze ormai globali di LIM economiche e trasportabilibasate sulla tecnologia Wiimote 7 o sistemi altrettanto con-venienti di lavagne interattive remote (LIR), da me recente-mente proposti, basati sull’utilizzo di particolari controllerbluetooth. Grazie a tali possibilità tecnologiche, l’idea stes-sa di confinare le risorse informatiche in appositi labora-tori è ormai superata: è lo spazio-classe stesso che, dotatodelle necessarie risorse tecnologiche, diviene fulcro difruizione e produzione della didattica multimediale. Ma, aben vedere, tale spazio è addirittura divenuto “portatile”,tascabile. Non possiamo infatti ignorare il fatto che lamaggioranza dei giovani, ma non solo, si connette ormai aInternet utilizzando più il telefonino che il computer do-mestico. Telefono che, evolutosi, è ormai divenuto unosmartphone: in sostanza un vero e proprio computer ta-

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44 scabile, connesso a Internet, sul quale sono installabili cen-tinaia di applicazioni (apps), in larga misura gratuite, cheprevedono ormai addirittura utilità per la scrittura dellamusica e la composizione multitraccia, strumenti musicalivirtuali, metronomi digitali e giochi musicali.Senza quindi rischiare di orbitare attorno agli inquietantipoli di attrazione di uno sterile determinismo tecnologicoo delle lusinghe commerciali dell’industria dell’e-tainment 8,gli strumenti e le possibilità offerte dalle TIC rappresentanooggi, anche in campo didattico-educativo, delle condicionessine quibus non per una scuola che stia al passo con tempisegnati da un inarrestabile divenire dei paradigmi sociali,culturali, psicologici e pedagogici.

Retrospettive tecnologichedi Roberto Neulichedl

Il tema della e-pedagogy risulta attuale e per vari aspettiintrigante. Ma affinché su di esso non si eserciti un vuotoesercizio teorico è bene che l’argomento sia affrontato induplice prospettiva tecnico-didattica e pedagogico-cultu-rale. Inoltre, per evitare che la prima prospettiva scada inun acritico approccio tecnocratico (ossia che riconosce allatecnica un predominio incontrastabile 1), si rende necessa-rio un preliminare sguardo panoramico pedagogico-cultu-rale con l’obiettivo di sviscerare le implicazioni profondedelle tecnologie nella costruzione del sapere e nella suatrasmissione e condivisione. Partirei quindi da questo se-condo ordine di questioni, avendo presente che il loro in-quadramento, per contro, non può avvenire senza una so-lida conoscenza di ciò che oggi, concretamente, le tecno-logie consentono di fare anche nello specifico campo mu-sicale. A seguire cercherò di tracciare, dove possibile, gliopportuni collegamenti tra i due piani.

«L’ho trovato in Internet…»In Internet si consumano incontri di varia natura (con “og-getti” e persone) che possono sfociare in esperienze, dire-mo per ora, di “conoscenza”. Ma per comprendere le quali-tà di questo conoscere un po’ errabondo si rende necessa-ria un’analisi dei modi di funzionamento di questo appren-dere.Internet si presenta anzitutto come un magma di dati co-noscitivi in costante mutamento; un «brodo di culturabrulicante» 2 i cui dati possono assumere valenza poten-zialmente informativa, conoscitiva e culturale (vedremooltre la distinzione). Tale magma presenta alcune caratte-ristiche forti, ossia difficili da contrastare, correggere,incanalare; in sintesi, da controllare 3. Almeno tre di que-ste caratteristiche devono interessare il discorso e-peda-gogico.La prima riguarda l’accesso facilitato, che fa della rete un

luogo/non luogo democraticamente aperto a chiunque.Questa accessibilità (in realtà potenziale, se si consideranoanche solo i problemi specifici d’interfaccia rispetto a utenticon determinate disabilità) è caratterizzata dall’immedia-tezza con la quale chiunque può accedere a contenuti re-moti di ogni tipo.Alla facilità d’accesso si affianca la seconda caratteristicafondamentale della rete: quella della natura bidirezionaledella comunicazione (asincrona, nonché sincrona), che con-sente a ogni utente d’essere al contempo fruitore e produt-tore di contenuti (o di potenziale conoscenza).Terzo aspetto forte della rete concerne la natura digitale diqualsiasi tipo di contenuto, che porta a considerare lo scibileinformatico, compresi i suoi contenitori (la rete, ma anchelo stesso pc), strumenti multimediali per eccellenza.L’espressione «l’ho trovato in Internet» nasconde dunqueun coacervo di questioni complesse, che (volendo riassu-mere) pongono in causa essenzialmente: a) le modalità diaccesso e di interazione con i dati di conoscenza; b) i pro-cessi connessi alle modalità di fruizione dei contenuti inrete (o comunque accessibili seppur salvati in qualche luo-go in formato digitale); c) la natura materiale o immateria-le dei dati. Il campo dell’esperienza musicale è ovviamentepienamente investito da queste problematiche, poiché ladigitalizzazione del suono e la sua sempre più immediatatrasferibilità sono forse tra le rivoluzioni 4 più importantidell’esperienza musicale.Tutto ciò ha molteplici e ampi risvolti nei processi di ap-prendimento e d’insegnamento. Se Internet si presenta comeun/a potenziale archivio/enciclopedia globale 5, allora ènecessario comprendere le implicazione e-pedagogiche deimodi di funzionamento dell’accesso a questo mare magnumdella conoscenza.Tra le implicazioni principali possiamo focalizzare:- l’omologazione sensoriale a seguito della standardizza-

zione dei supporti per la fruizione ed eventuale elabo-razione di contenuti multimediali;

- la scarsa (se non assente) definizione di criteri di clas-sificazione e gerarchizzazione delle informazioni;

- l’entropia d’informazione prodotta dalla lettura di unamassa informale di dati.

Queste problematiche investono i processi di costruzionedella conoscenza, rispettivamente connessi: allo sviluppodi capacità discriminatorio-percettive, logico-classificatoriee, infine, di discernimento critico. Tutte capacità fonda-mentali non solo alla costruzione di un impianto articola-torio di conoscenze, bensì basilari alla costruzione del pen-siero stesso. A tali problematiche la scuola è chiamata adare risposte concrete, impegnandosi anzitutto a fornire aigiovani strumenti di lettura (critica) della “massa critica”di informazioni da cui sono investiti e delle qualità checonnotano l’informazione. Ciò al fine di promuovere l’in-formazione a conoscenza, consentendone l’integrazioneall’interno di più vasti processi culturali.Per poter ri-qualificare questi tre passaggi (e restituire cosìautorevolezza all’interscambio educativo-culturale), si ren-dono necessari interventi a più livelli, come illustrato nel-lo schema.

8 Termine utilizzato per indicare l’industria dell’intrattenimento tec-nologico.

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Nel nostro specifico settore, dunque, si tratta di capire inche modo e misura le nuove tecnologie digitali possanomodificare i processi di costruzione del pensiero musicale,così da ipotizzare interventi mirati in ottica non solomultidisciplinare ma anche propriamente disciplinare. Perfare ciò, vi sono aspetti trasversali ai saperi che, al di làdelle specificità dell’esperienza musicale, devono richia-mare l’attenzione dell’insegnante. Tra questi campeggia laquestione dei modi di condivisione dei saperi, ossia con-cernente i modelli su cui si costruisce la comunicazione,anzitutto a partire dal senso di appartenenza a una comu-nità.

Dov’è la “classe”?La domanda pare surreale. La classe, ancor più numero-samente stipata, è fisicamente sempre là: nella sua aula oal meglio (quando esiste) nel laboratorio di musica. Ma laclasse è in verità un ectoplasma culturale superorganico 6

difficilmente confinabile tra le quattro pareti scolastiche.Musicalmente (e non solo) la sua cultura e il suo senso diappartenenza travalicano i confini della scuola, scorrono esi irradiano come un sistema nervoso tra le “(di?)scariche”di bit che dalla rete fluiscono ai telefoni cellulari e vice-versa; passa per social network e per le più disparatecommunity. Così, nelle scuole più tecnologicamente avan-zate, le “moderne” LIM cercano affannosamente di inter-cettare queste tensioni culturali e i loro flussi. Piazzate inuna delle pareti “cieche” dell’aula, le LIM (con gli iPad 7) sicandidano a divenire “finestre” che si affacciano sul mon-do e sul suo futuro (peccato che a volte ci si dimentichi dimontarle almeno laddove vi sia un accesso alla rete). Tuttistrumenti che ambiscono a connettere il qui e ora dell’espe-rienza umana scolastica (il formale) con l’ovunque e sem-pre dell’esperienza argonautica della rete (l’informale);un’esperienza di navigazione che però rischia di naufraga-re nella cultura internauta di massa fatta di second life,virtual community, “amicizie” chieste e concesse ecc.Altri due ordini di problemi affiorano da questi flutti: ilprimo inerente al concetto di comunità; il secondo che in-teressa la natura esperienziale del qui e ora rispetto al sempree ovunque e le loro possibili connessioni/integrazioni.Cos’è dunque una comunità? E cosa caratterizza il suo es-sere musicale?Per Wikipedia una comunità è «un insieme di individui che

condividono lo stesso ambiente fisico e tecnologico, for-mando un gruppo riconoscibile, unito da vincoli organiz-zativi, linguistici, religiosi, economici e da interessi comu-ni». La definizione non pare riconoscere alla comunità lasua veste identitaria più pienamente culturale. Il senso diappartenenza a una data comunità si esplica anzitutto nel-la percezione che ciascuno ha delle qualità delle relazionivissute all’interno di quel dato contesto. Contesto che deveora fare i conti con i labili confini tracciabili tra il proprioessere qui e ora e il pensarsi e proiettarsi in un ovunque esempre.In quanto questioni squisitamente connesse alla formazio-ne del pensiero (in particolare con le categorie fondative dispazio e tempo), pare urgente capire come l’esperienza mu-sicale possa costituire esemplare luogo/momento nelquale sperimentare la costruzione di molteplici relazioni,

processi livello di comunicazione e scambio interventi educativi / strumenti

informazione • ingresso di dati (natura della fonte) • educazione a un’ecologia dei sensi• pre-elaborazione • sviluppo di capacità di discernimento

conoscenza • verifica preliminare del dato di conoscenza • sviluppo di competenze filologiche (conoscenza delle fonti)(qualità e attendibilità della fonte)

• confronto e classificazione • sviluppo di capacità di indicizzazione, categorizzazionee sistematizzazione

cultura • scambio, negoziazione e integrazione dei dati • sviluppo di capacità dialogiche (espressive e di ascolto),di conoscenza all’interno di sistemi simbolici argomentative e di contestualizzazionee normativi

• valutazione critica e giudizio • sviluppo delle capacità interpretative

1 Tale propensione può essere il frutto di due tendenze al loro ec-cesso opposte: tecnofobiche quanto tecnofile, ossia basate su unsacro terrore o, per contro, un entusiasmo sfrenato nei confrontidelle tecnologie. Atteggiamenti che, nel sopravvalutare il poteredelle tecnologie in rapporto alla società, producono un po’ para-dossalmente analogo effetto.

2 L’espressione è utilizzata anche per definire alcuni nuovi fenome-ni di tribalismo sociale connessi in particolare alla musica techno[cfr. XSEPHONE, Rave party. Tecnologia, tribalismo e nomadismo me-tropolitano, Bepress, Lecce 2011].

3 Ciò fatti salvi: da un lato la possibilità da parte di governi nazio-nali (vedi la Cina), o di altri soggetti istituzionali, di imporre in-terventi censori (parziali o radicali); dall’altro, i limiti oggettivid’accesso dovuti a problemi economici, infrastrutturali, di svilup-po tecnologico ecc.

4 Cfr. recensione al testo di François Delalande a p. 48 di questonumero della rivista.

5 È importante qui evidenziare la differenza tra il concetto di ar-chivio (ossia di un luogo in cui si immagazzinano “cose”) e quellodi enciclopedia, in cui invece si ordinano concetti.

6 Si vuole qui collegare l’idea etimologica del termine “ectoplasma”– dal greco ektòs (fuori) e plasma (lett. ciò che ha forma) – con laqualità di “superorganicità” che Bruner riconosce alla cultura (JEROME

BRUNER, La cultura dell’educazione, Feltrinelli, Milano 1997, p. 17).7 È del 16 settembre la notizia dell’adozione da parte di 23 ragazze/

i – in una “tecnoclasse” (sic!) I della Scuola Media di Mele (GE) – dialtrettanti iPad che, grazie a vari e-book, dovrebbero fisicamentesostituire i vecchi i libri di testo scolastici (cfr. www.comune.me-le.ge.it/download/SCUOLE/Comune%20Mele%20-%20Proget-to%20DIDATTICA_DIGITALE_La%20tecnoclasse.pdf ).

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46 scambi significativi nonché, grazie ai suoi oggetti (le ope-re, assunte nella loro autenticità), la trascendenza esteticae infine la proiezione del proprio rappresentarsi, pensarsi eraccontarsi, fuori dal tempo e dallo spazio. Musica cometeatro della mente, dunque, come entità spazio-temporaledi per sé virtuale e virtuosa; come cornice sensoriale sono-ro/uditiva che, grazie alle sue peculiarità (multidirezionalità,pan-sincronia, tonia, scalarità, simultaneità, polifonicità,grammaticalità e sintatticità ecc.), eleva l’esperienza sono-ra a sistema simbolico, qualificando in modo extraordinarioogni scambio comunicativo che vi intercorre. Se la musicariesce a essere quest’essenza spazio/tempo, allora la musi-ca è qualcosa di più di uno stenditoio a cinque fili su cuiappendere le note: è a tutto tondo fatto culturale e, alcontempo, una sua possibile “tecnologia”.

Cultura, educazione e noise gate...In gergo tecnico, il noise gate è un dispositivo atto a ridur-re il rumore di fondo che accompagna i segnali audio tra-smessi tramite determinati canali. Allargando gli orizzontivediamo però come il problema del rumore – nel senso deldisturbo connesso a ogni tipo segnale (e per questo con-cetto fondamentale nella teoria dell’informazione) – inte-ressi qualsiasi canale comunicativo. Nella società della

8 Sui problemi aperti dalla digitalizzazione del suono cfr. ROBERTO

NEULICHEDL, Educazione musicale e nuove tecnologie sonore, in Edu-cazione musicale: punto e a capo?, Atti del Convegno nazionaleSIEM 2009, EDT, Torino 2010.

conoscenza diffusa il rumore non sembra più riguardaretanto il disturbo fisico di un segnale, bensì il disturbo cul-turale. Nel magma della rete l’informazione finisce col ge-nerare rumore a se stessa: il contenuto diviene rumoredi altri contenuti. Spariscono gerarchie e ruoli: la figurapuò divenire sfondo e viceversa. In questo quadro percettivoglobale, l’educazione all’ascolto (qualitativamente selettivo)diviene quindi emergenza comunicativa. La componentesonora riveste infatti una straordinaria posizione strategi-ca per quanto concerne i canali sensoriali mediante i qualila conoscenza (tutta) e il pensiero si sviluppano. Ecco per-ché un lavoro sull’ecologia dei sensi rappresenta la primatappa del lungo cammino che gli insegnanti dovranno in-traprendere per dare risposta a più livelli di complessitàdell’esperienza umana. In questa tappa andranno altresìconsiderate le ricadute che, sul lungo periodo, la digitaliz-zazione (la selezione discreta di dati d’informazione di cuisi compone materialmente il messaggio 8) potrà avere sul-l’evoluzione dei processi di conoscenza.In conclusione, il vero portato esperienziale rivoluzionariodelle “nuove” tecnologie è che ci costringono a rileggereanzitutto quelle “vecchie” e le esperienze che ne sono deri-vate. Ogni passo avanti, tecnologicamente parlando, ne ri-chiede due indietro per andare a recuperare quanto, sulpiano culturale, non avevamo ancora pienamente compre-so. La e-pedagogy, se può tracciare un cammino, lo devefare tentando di bilanciare il rapporto tra passato e futuro;in un presente che, come è nella natura proiettiva del suo-no, appena accennato già non è più: né qui, né ora.

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UovaArianna Sedioli

«L’uovo è silenzioso. Sta lì, accovac-ciato, sotto le piume della mamma…sopra le zampe del papà… nascostonella sabbia. Tiepido. Comodo. Ogniuovo ha il suo colore. Ogni uovo ha lasua forma. L’uovo è intelligente. Ci sonouova di tante misure. L’uovo è un’ope-ra d’arte. Ogni uovo ha la sua consi-stenza, L’uovo potrebbe persino diven-tare fossile! L’uovo è sorprendente.L’uovo è silenzioso. Poi, improvvisa-mente… l’uovo è chiassoso!» 1.Il silenzioso uovo è un libro che rac-conta ai bambini i misteri della naturae le sorprese che ci riserva. Il testo diDianna Aston e le delicate illustrazionidi Sylvia Long, realizzate ad acquarelloe inchiostro, ripercorrono la vita delleuova e le loro trasformazioni. Ognidoppia pagina parla di aspetti scienti-fici arricchiti da osservazioni estetiche,offrendo ai bambini punti di vista di-versi per scoprire la variopinta molte-plicità e la bellezza delle uova: da quellepiccole dello scricciolo mimo a quellegiganti dello struzzo, da quelle ovalidella coccinella a quelle tubolari delpescecane, da quelle azzurro cielo delcuculo americano a quelle verde bril-lante del tinamo elegante. Le uova han-no forme, colori e textures straordinariche riempiono gli occhi di piacere e dicuriosità, evocando al tempo stessomondi sonori ovattati e impercettibili.Ogni guscio si presenta immobile edormiente, ma sappiamo che al suo in-terno si sta sviluppando, sottovoce, unevento magico. Quando l’uovo si schiu-de, spuntano una testina, poi un beccoe improvvisamente nasce un uccellinoche comincia a cantare, il guscio si rom-pe e si spezza anche il silenzio sul qua-le si disegnano immediatamente gor-gheggi a profusione. L’uovo è silenzio-so è un libro dove scienza e poesia abi-tano insieme, come sempre dovrebbeessere. Ai bambini si può proporre an-che come affascinante partitura dellanatura, da sfogliare sonorizzando leimmagini. Se nelle prime pagine regnail silenzio e le uova rappresentano notemusicali speciali, belle da vedere ma

assolutamente mute, nelle ultime fac-ciate esplode il suono della vita chenasce. Le uova si aprono e la musicainizia, inventata dai bambini attraver-so gorgheggi vocali, suoni imitativirealizzati con richiami e fischietti, me-lodie eseguite con glockenspiel e xilo-foni. Le idee per comporre brani chedescrivono uova chiassose possono es-sere molte; saranno i bambini a sugge-rirle proponendo l’utilizzo di gammetimbriche e ritmi che nascono da esplo-razioni vocali e da sperimentazioni conoggetti, strumenti, materiali.Un altro libro che illustra magistralmen-te la storia dell’uovo è L’uovo e la galli-na di Iela ed Enzo Mari 2. Il volumettofa parte di una collana progettata per ibambini che ancora non sanno leggere.«L’argomento e il suo svolgersi sono ele-mentari quanto basta per fare a menodi spiegazioni scritte e i protagonisticostituiscono aspetti della natura stimo-lanti per la curiosità infantile. La spie-gazione è implicita e immediata, comel’evidenza dei fatti e delle immagini.Queste si riferiscono a un’esperienza vi-siva diretta e conservano sempre le stessedimensioni, senza mutarle da una pagi-na all’altra, in modo da mantenere allefigure il carattere di particolari in untutto più grande» 3.La proposta è molto interessante dalpunto di vista dell’educazione all’im-magine e all’arte, anche qui coniugatealle conoscenze scientifiche, ma soprat-tutto offre ai bambini la possibilità dico-costruire la storia condividendolacon gli adulti che li accompagno. Lepagine risvegliano il racconto che sirinnova a ogni lettura, e nelle sue va-rianti può diventare anche trama so-nora.I bambini possono dare voce alla mor-bidezza delle piume della gallina checova, al pulcino che cresce e si trasfor-ma all’interno del guscio, all’uovo chesi apre, alla prima pappa del pulcino e

al suo primo sonnellino, fino alle sueavventure a caccia d’insetti e alla suavita adulta, quando, ormai diventato asua volta gallina, mangia un pasto dagrandi. Le immagini si fanno occasio-ne per inventare suoni e musiche chenascono come proiezione udibile deisignificati colti attraverso gli occhi. Ilracconto è circolare e segue i cicli del-la natura, così anche le invenzioni so-nore dei bambini potrebbero mantene-re questa circolarità creando forme cheincludono fraseggi musicali che si sus-seguono come quadri per poi ripartireda capo. I bambini decideranno quan-do interrompere la sonorizzazione eutilizzeranno questa regola del giocoper realizzare esecuzioni di diversadurata, da quelle brevi a quelle quasiinfinite, da quelle che si chiudono ri-spettando una struttura simmetrica aquelle che terminano interrompendo laregolarità della sequenza.Ancora pagine bellissime dedicate allesorprese che la natura ci regala si tro-vano nel libro Je le reconnais di Ji-wonPark e illustrato da Martin Jarre 4. È unapubblicazione intensamente poetica edevocativa che invita i bambini a scopri-re forme naturali simili che però, cre-scendo, svelano le proprie specifichecaratteristiche. È il caso dei fagioli e dialcuni tipi di uova che, se mescolati, sem-brano appartenere a un’unica famiglia,ma nello scorrere del tempo le formevegetali germoglieranno mentre l’uovosi romperà dando alla luce un paffutouccellino. Anche questa piccola storia,con finale a sorpresa, può diventaresottotesto per invenzioni musicali fattedi tappeti sonori soffusi dai quali faremergere personaggi di suono.

1 DIANNA ASTON - SYLVIA LONG, Il silenziosouovo, Motta Junior, Milano 2008.

2 IELA MARI - ENZO MARI, L’uovo e la galli-na, Babalibri, Milano 2004.

3 Dalla quarta di copertina della primaedizione, Emme Edizioni, 1990. At-tualmente fuori catalogo.

4 JI-WON PARK - MARTIN JARRE, Je lereconnais, Les Pommier, Paris 2010.

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Instruments et cultures. Introduction aux percussions du mondea cura di Gilles Delebarre - Luciana Penna-DiawCité de la Musique, Paris 2007, pp. 60, † 25,00

alle musiche del mondo, con l’intento di invogliarli ad ap-profondirne la conoscenza, anche attraverso la pratica col-lettiva. Alla Cité de la Musique si possono infatti frequentarecorsi per imparare a suonare gli strumenti illustrati. Essa puòcostituire un buon materiale di riferimento per insegnanti diMusica e di Strumenti a percussione che volessero appro-fondire le tradizioni culturali in questione e progettare per-corsi su questi temi.

Motivi di interesseIl testo è un esempio emblematico di buona divulgazione,purtroppo piuttosto rara in Italia. Gli autori, etnomusicologie musicisti, presentano i contenuti in modo agile e chiaro,ma al tempo stesso preciso e ben documentato. Alla fine diogni fascicolo vengono fornite una bibliografia, una disco-grafia e una sitografia per eventuali approfondimenti. Lo stru-mento musicale viene sempre presentato come oggetto cul-turale e simbolico, evitando tecnicismi sia sul piano costrut-tivo che esecutivo ed evidenziando rimandi sia con i contestitradizionali, sia con la contemporaneità (musicisti attivi, evo-luzione attuale delle tradizioni ecc.). Il tutto incastonato inuna veste grafica accurata e accattivante.

Anna Maria Freschi

ArgomentoLa Mediateca della Cité de la Musique, oltre a raccoglierevolumi e documenti audio-video di interesse musicale, svol-ge numerose attività educative che vanno dalla proposta dilezioni-concerto alla pubblicazione di volumi rivolti ai bam-bini o, più in generale, progettati con intento divulgativo. Diqueste proposte editoriali fa parte il testo in questione, uncofanetto che raccoglie 12 fascicoli, ciascuno dei quali dedi-cato a uno strumento o a un ensemble di percussioni carat-teristico di un’area geografico-culturale. Si va dalla txalapartadei paesi baschi al djembe e al sabar africani, al gamelangiavanese, ai tamburi iraniani e arabi, fino agli strumentibrasiliani, cubani e dell’area caraibica.Ogni opuscolo è suddiviso in tre parti: la prima (Repèresgeneraux) contiene riferimenti sintetici all’area in questio-ne; la seconda (Instruments) offre informazioni sulle carat-teristiche costruttive degli strumenti e su modi esecutivi,organici e repertori; la terza (Musique et société) presenta ilquadro socio-culturale e antropologico entro cui si inscrivela pratica strumentale.

DestinatariLa pubblicazione si propone di introdurre giovani e adulti

SCHEDA

Alla ricerca del suono perdutodi Roberto Neulichedl

FRANÇOIS DELALANDE, Dalla nota al suono. La seconda rivolu-zione tecnologica della musica, FrancoAngeli, Milano 2010,pp. 222, † 28,00.

Dalla nota al suono è l’incipit del titolo di un testo di FrançoisDelalande la cui pubblicazione originale, del 2001, avevaper titolo Le son des musiques. Entre technologie et esthétique.Si tratta della raccolta sistematica di analisi e di riflessionicritiche intorno al suono, posto alla base di un nuovoparadigma del musicale quale sua componente fondamen-tale. La scelta del titolo dell’edizione italiana (curata daMaurizio Disoteo) non poteva meglio delineare la doppiadirettrice su cui l’autore ci invita a osservare il fenomenomusica proprio a partire dalla sua materia costitutiva. Laprima direttrice, “storica”, tratteggia il processo evolutivoche, nel corso del tempo, ha investito varie espressionimusicali, rimettendo in discussione alcuni capisaldi del lin-guaggio sonoro tra cui i parametri, le loro valenze e possi-bili gerarchie. Il riferimento va ai rivolgimenti (anzi, vere eproprie «rivoluzioni» per l’autore) che hanno particolar-mente interessato la musica del Novecento.La seconda direttrice d’indagine (che potremmo definire“filologica”) concerne invece i processi che, più nello speci-

fico, connotano il passaggio «dalla nota al suono». Ci siriferisce al cambio di prospettiva (musicale, musicologicae culturale in senso lato) a seguito dello spostamento dellacentralità assegnata alla rappresentazione diastematica delsuono piuttosto che al suono stesso assunto nella sua fisicitàdinamica e non più riducibile, quindi, alla sua parametra-zione scalare in ordine all’altezza. Un passaggio che il te-sto di Delalande non restringe all’ambito dell’espressionecolta, ma che pare invece interessare vari “generi musica-li”, tra i quali il jazz, la musica barocca, quella elettroacu-stica, nonché alcuni filoni della musica pop.L’autore apre il suo lavoro problematizzando lo stesso con-

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Il bambino e la musica.L’educazione musicale secondo la Music Learning Theory di Edwin E. Gordona cura di Silvia BiferaleEdizioni Curci, Milano 2010, pp. 224, † 18,00

zione musicale», conta, nel nostro Paese, più di 7000 bambi-ni iscritti ed è diffuso in oltre 80 città presso nidi, scuoledell’infanzia ed enti privati.Nei capitoli dedicati alla trattazione teorica vengono illu-strati i cardini su cui poggia la MLT: l’educazione musicaleinformale, il ruolo cruciale dei genitori nello sviluppo delleattitudini musicali dei bambini e, più specificamente, l’uti-lizzo sistematico e mirato di pattern modali, tonali e ritmici,il canto senza parole e l’audiation che, insieme all’esplora-zione dello spazio e all’esperienza del tempo attraverso ilmovimento libero, rendono l’apprendimento della musica si-mile, per importanza e globalità, a quello del linguaggio par-lato.Le testimonianze dei diversi docenti raccontano in modomolto coinvolgente e diretto le reazioni e i comportamentiinfantili durante i corsi.La pubblicazione è arricchita da tre interventi di GraziaHonegger Fresco (esperta di pedagogia Montessori), Piero Niro(professore di Composizione e di Filosofia dei linguaggi mu-sicali presso il Conservatorio di Campobasso) e GustavoFrigerio (regista, attore e insegnante d’Arte drammatica). Cia-scuno da un’angolatura differente, completano una visioneeducativa che aspira alla globalità e si apre volentieri al con-fronto con altri ambiti espressivi e indirizzi pedagogici di-versi.

Antonella Moretti

ArgomentoSi tratta di un libro “corale”, come viene definito dalla stessacuratrice, nel quale è contenuta una summa delle ricerche,delle riflessioni e delle esperienze condotte nei primi diecianni di attività dell’AIGAM (Associazione Italiana Gordon perl’Apprendimento Musicale). L’educazione musicale per la pri-ma infanzia vi è presentata non solo dal punto di vista deglieducatori e dei formatori che seguono i principi della MusicLearning Theory elaborata da Edwin E. Gordon, ma anche dichi, esperto di pedagogia, musica e teatro, ha potuto osser-varne e apprezzarne la validità.Il testo è diviso in quattro capitoli: Lo spazio della musica,I tempi del dialogo, Con il corpo si impara la musica, La scuo-la dei piccoli incontra la musica, Comincia la scuola, l’appren-dimento continua.

DestinatariIl libro si rivolge espressamente a insegnanti di musica,educatori di infanzia e genitori.

Motivi di interesseA dieci anni dalla fondazione dell’AIGAM, questo libro è unaimportante occasione per conoscere in modo approfonditogli esiti delle ricerche e delle pratiche educative effettuatesul campo da docenti formatisi secondo la MLT. Attualmente,questo metodo, chiamato dal suo ideatore «arte dell’educa-

SCHEDA

cetto di suono che, a seconda dei contesti musicali e cultu-rali che lo accolgono, assume connotati e valenze assaidiversi. Suono quindi come mezzo espressivo, come «fir-ma» (p. 31), ovvero come impronta culturale (e quindi fat-tore d’identità musicale legata alla fisicità del suono), come“timbro”, quindi, al quale – nel corso dei secoli – sonostate assegnate diverse pertinenze. Nel porgere alcuni esempiDelalande pone a confronto l’importanza secondaria attri-buita in un certo periodo storico dai compositori alla scel-ta dello strumento o dell’organico a cui affidare una datapartitura, con la relativizzazione, per contro, dell’esecu-zione precisa di singole note laddove il compositore perse-gua la ricerca di un particolare effetto o colore sonoro (peresempio in un cluster orchestrale) o, in altri ambiti musi-cali (come nel jazz), di un particolare sound.Dallo sfondo di questo vasto campo di ricerca, in modo unpo’ trasversale, emerge il ruolo avuto dallo sviluppo tec-nologico in questi macro processi evolutivi della musica.Tra queste tecnologie Delalande non manca di ricompren-dere anche la scrittura musicale, considerata nel testo laprima vera «rivoluzione tecnologica della musica occiden-tale». Una rivoluzione che, a ben vedere, condivide con la«seconda» (quella delle tecnologie sonore del secolo appe-

na trascorso) l’idea di «suono fissato». Ma, pare di capire,con una sostanziale differenza: se nella scrittura a esserefissata sulla carta è l’idea del suono (ovvero di alcune suequalità ritenute pertinenti), con le tecniche di registrazionee memorizzazione su vari tipi di supporto – venutesi a per-fezionare sempre più nel corso del XX secolo – a esserefissata è l’espressione del suono stesso, dunque il suo esse-re «oggetto sonoro» (evento-materia) cangiante.Curiosamente, questo «paradigma tecnologico» (p. 52) inte-resserebbe in realtà anche la tradizione orale, poggiandoquest’ultima i suoi sistemi di trasmissione su tecnicheimitative e mnemoniche non solo di tipo uditivo ma spessoanche cinestesico-spaziali. Si può ipotizzare che il riferi-mento vada al ricorso a una gestualità musicale allargata,che può riguardare tanto topologie costituite da insiemi digesti connessi alle singole tecniche esecutivo-interpretativestrumentali (o vincolati a particolari stilemi vocali), quantotaluni movimenti aggiuntivi coordinati sul piano dell’espres-sione coreutica o para-coreutica (si pensi solo ai movimentiche accompagnano le esecuzioni dei suonatori in stilehoquetus presso alcune popolazioni africane o delle zoneandine). In altre parole, la trasmissione orale, evidenziandol’importanza del momento performativo quale elemento ri-

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50 velatore della téchne musicale, costituirebbe di diritto unodei tre assi del “paradigma tecnologico”.All’esposizione sistematica – in termini problematici – diuna teoria del suono della prima parte del volume, segue laseconda, volta a indagare talune occorrenze del fenomenoconsiderato negli aspetti già illustrati. L’indagine, condot-ta con il metodo dell’intervista, interessa in particolarequattro ambiti: musica jazz, popular, barocca e, infine,elettroacustica. Tra i temi emergenti preme ricordare: il«suono firma» nel jazz (pp. 79-81); la «ricerca del suonoperduto» (p. 113) e il fatto che per alcuni «non esiste ilsuono barocco» (p. 115); l’idea di attacco come «rumore davalorizzare» (p. 120); la «scelta dei suoni come disegnodrammatico» (p. 121); infine, la possibilità che il «suonogeneri la propria musicalità» (p. 138). Tutti concetti chegiocano a favore di un suono tutt’altro che “neutro”.Nella terza e ultima parte, dedicata agli Elementi di anali-si, Delalande propone un inquadramento sonologico a lar-go spettro che chiama in causa molteplici teorie: da quellesull’ascolto (ponendo la questione di cosa siano, anche sulpiano ricettivo, gli «universi musicali», e richiamandosi al-tresì ai fenomeni sinestesici nonché al concetto di «degu-stazione dei suoni»), a quelle che si occupano di aspettisemiotici, oppure semiologici o comunque connessi allepragmatiche (musicali) della comunicazione umana. Dopoaver fornito alcuni concreti esempi d’analisi – oggiampliabili anche grazie ai nuovi «strumenti materiali dianalisi del suono» in dominio digitale, come l’acusmografo

(software disponibile gratuitamente all’indirizzowww.inagrm.com/accueil/outils/acousmographe) –, il te-sto propone alcune riflessioni di interesse sociologico non-ché più direttamente pedagogico-didattico.Dalla nota al suono descrive un processo che parte da lon-tano e che riserva probabilmente interessanti sorprese peril futuro. Un testo che mantiene attualità e interesse perchi desideri inquadrare il “paradigma tecnologico” all’in-terno di un approccio musicologico dinamico, disposto aproiettare il discorso musicale (senza perdere il senso dellaStoria) in una dimensione antropologico-culturale e so-cio-pedagogica in perenne mutamento.

Le canzoni della nostra speciedi Lara Corbacchini

DANIEL J. LEVITIN, Il mondo in sei canzoni. Come il cervellomusicale ha creato la natura umana, Codice edizioni, Tori-no 2009, pp. 292, † 26,00.

La musica, a seconda delle prospettive d’indagine assunte,ci appare come una forma di espressione che deriva da unacultura, da una società o da un determinato insieme dipossibilità del pensiero.E se la musica invece di essere determinata da tali aspettifosse invece essa stessa l’origine, la causa e il motore dello

DA NON PERDEREdi Elisabetta Piras

TIM CAIN, How trainee music teachers learn about teachingby talking to each other: An action research study, in“International Journal of Music Education”, vol. 29 n. 2,maggio 2011, pp. 141-153.

Il titolo dell’articolo qui proposto potrebbe essere tradottocon ricerca-azione su come gli insegnanti di musica in fasedi formazione imparano a insegnare parlando tra loro. Ilcontributo è contenuto nella rivista organo dell’ISME

(International Society for Music Education) e facilmentereperibile anche online attraverso il sito http://ijm.sagepub.com.Il contributo espone un’esperienza interessante e originaleriguardo a una prassi inglese di discussione collegiale strut-turata (Collegial Consultation) nell’ambito della formazio-ne degli insegnanti di musica. L’autore, docente ed espertoin questo contesto, prende spunto da un lato dalla convin-zione dell’enorme potenziale che questa pratica tra paripuò avere, e dall’altro dalla considerazione che invece spessoqueste discussioni tra i giovani futuri insegnanti si artico-lano senza vivacità e partecipazione. Nell’articolo esponeun nutrito background teorico in cui sono analizzate di-verse teorie sulle modalità e tipologie di “dialoghi” tra in-segnanti, da quelli costruttivi e in sedi professionali, a quellisu stati emotivi derivanti dall’insegnamento. All’interno diquesta cornice teorica, l’auotre formula la domanda di par-tenza della sua riflessione scientifica: «come incoraggiareil dialogo sull’insegnamento tra i miei studenti?». Nell’ar-

ticolo è descritto meticolosamente il protocollo variegato esofisticato della ricerca.Cain usa lo strumento della ricerca-azione, quindi il suocoinvolgimento è attivo nella ricerca, con l’obiettivo dimigliorare o risolvere il problema posto. Dapprima si ponecome conduttore attivo durante le discussioni; riascoltandole registrazioni, però, si rende conto che la sua partecipa-zione influenza la spontaneità e inibisce la partecipazionedegli studenti (fase di reconnaissance della ricerca-azio-ne), per cui si limita a un ruolo di moderatore e organizza-tore dei tempi e delle modalità pratiche (fase di intervention).Le discussioni sono analizzate sia relativamente ai conte-nuti, sia con un software di rilevazione linguistica. I risul-tati ottenuti si riferiscono a elementi specifici; si rileva chegli studenti si offrono reciprocamente strategie e opinionisu un problema didattico, tendono a offrire motivazioni ecollegamenti fra le varie idee, si sforzano di capire appienole situazioni didattiche, manifestano di essere in accordo oin disaccordo con le opinioni degli altri. Appare subitochiaro come questo potenziale sia direttamente trasferibilenelle occasioni di confronto tra insegnanti di musica invari ambiti, e l’autore si augura che questa ricerca possafavorire trasferimenti di questo tipo. Con un’attenta proce-dura scientifica, Tim Cain dimostra come il dialogo sia fon-damentale per un’ottimale riflessione sulla didattica, siache si tratti di situazioni o esperienze specifiche, sia che sitratti di una riflessione più ampia e generale.

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51sviluppo umano, inteso in senso antropologico ma anche,e soprattutto, neurobiologico? Ovvero, è possibile che lamusica, elemento da sempre imprescindibile della quo-tidianità dell’homo sapiens e ancora di più in quella del-l’homus tecnologicus, abbia «influenzato l’evoluzione delleemozioni, della ragione e dell’anima umana, attraverso ipiù svariati percorsi intellettuali e culturali?» (p. 9).A questo interrogativo risponde in modo affermativo l’am-bizioso, e talvolta audace, saggio di Levitin (autore anchedi Fatti di musica. La scienza di una ossessione umana, dicui è possibile leggere una recensione sul n. 153 di questarivista). Il neuroscienziato americano, con un linguaggioscorrevole privo di tecnicismi per “addetti ai lavori” e unaprosa accattivante intessuta di piacevoli aneddoti autobio-grafici, presenta una sorta di propria rivoluzione coperni-cana, in cui la musica da satellite dell’esistenza umana di-viene il centro di gravità della nostra evoluzione.In base all’argomentazione principale esposta nel primocapitolo (cfr. pp. 3-38) – in cui non sempre si rintracciacon immediatezza il susseguirsi della catena deduttiva – lamusica si pone, insieme al linguaggio e alle altre espres-sioni creative, come la cifra distintiva dell’essere “uomo”.La creatività, infatti, si presenta come «la manifestazionedi un bisogno, quasi biologico, un istinto altrettanto fon-damentale del mangiare e del dormire» (p. 18) presente solonella nostra specie. Perché questo tratto biologico, inizial-mente caratterizzante una minoranza di individui, è at-tualmente universale? Perché «il cervello creativo ha ri-scosso un più vasto successo nel corso di secoli di selezio-ne sessuale, essendo risultato capace di risolvere un’ampiagamma di problemi e di imprevisti. […] Un cervello creati-vo è un indizio di flessibilità cognitiva ed emotiva, propriociò di cui c’è bisogno quando si deve cacciare, o si devonorisolvere conflitti interpersonali o tribali» (p. 19).In che modo quindi la musica, intesa come manifestazionecreativa, ha caratterizzato nell’arco di 50.000 anni la nostra«identità di specie»? La risposta di Levitin è dirompente nel-la sua assolutezza e ci riconduce alla più ampia questionedegli “universali in musica”, che divengono in questa pro-spettiva (senza mai far cenno ai lavori di segno antropolo-gico di John Blacking) delle funzioni di matrice neurobiolo-gica nell’ambito delle relazioni umane: «tutto ciò che lamusica ha fatto per l’uomo può fondamentalmente essereriassunto in sei tipi di canzoni. Sono le canzoni che parlanodi amicizia, gioia, conforto, conoscenza, religione e amore»(p. 5). Con il termine “canzone” l’autore intende riferirsi,sottolineando esplicitamente di voler rifuggire da condizio-namenti culturali, «a una vasta categoria che include qua-

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52 lunque cosa possa essere cantato o qualsiasi successione disuoni che assomigli a qualcosa del genere» (p. 10).Nonostante questa apertura d’intenti a forme di espressio-ne puramente ritmica o senza parole appartenenti a varieculture, il volume, che dedica a ciascun tipo di “canzone”un intero capitolo, esplora principalmente le forme diespressione che più tradizionalmente rientrano nella for-ma canonica della melodia con parole e accompagnamen-to strumentale, spaziando prevalentemente nel repertorioamericano di vari generi (folk, pop, jazz e rock).Così, con una piacevolissima passeggiata musicale che ciconduce attraverso un repertorio (utilmente riportato an-che in un indice analitico) più o meno noto al lettore euro-peo – senza che manchino frequenti riferimenti a canzoniinserite nella memoria musicale collettiva globale comeAs time goes by, You are the sunshine of my life, Jinglebells, Let it be, We are the world –, Levitin adduce ulteriorievidenze di natura neurobiologica alla sua tesi.Ad esempio, nella sezione relativa all’Amicizia la rilevanzaevolutiva assunta della musica nel creare e rafforzare le-gami sociali significativi viene spiegata con il fatto che«cantare tutti insieme provoca il rilascio di ossitocina, so-stanza neurochimica implicata nella creazione di legamiaffettivi fra le persone» (p. 47). In addizione a questo mec-canismo la musica di Gioia ha contribuito, e contribuisce,al benessere della nostra specie stimolando anche l’innal-zamento dei livelli di immunoglobulina (anticorpo che ciprotegge da raffreddori e influenze), la secrezione dimelatonina (regolatore del ritmo sonno/veglia) e diserotonina (regolatore dell’umore, cfr. p. 91). Il Conforto ciarriva invece dall’ascolto di musica “triste” che facilita ilrilascio di prolattina che ha una funzione calmante, facen-do assumere al dolore una funzione evolutiva (p. 123 esg.). L’excursus continua in modo complice conducendocinelle straordinarie reazioni chimiche suscitate nel nostrocervello dai canti di Conoscenza (dalle conte per impararel’alfabeto ai canti epici), di Religione (caratterizzanti fun-zioni rituali in grado di assumere il ruolo di collante spiri-tuale ma anche, e soprattutto, sociale) e nelle canzoni diAmore, queste ultime straordinari strumenti per ricordarele positive sensazioni dello sballo neurochimico dell’inna-moramento «solleticante ma non adattativo, simile a quel-lo ottenibile con la cocaina, la marijuana, un ottimoChateaux Margaux o un buon caffè doppio» (p. 213).E tutto ciò grazie a qualche canzone!

Educazione dell’orecchiodi Anna Maria Freschi

ALBERTO ODONE, Schede di Ear Training, 2 voll., CromograficaRoma s.r.l., Roma 2011Testure e Strutture, pp. 48, † 14,00Altezze e ritmi, pp. 66, † 16,00www.albertoodone.it; www.ilmiolibro.it

Potrà farci più o meno piacere, ma sempre più spesso i libriavranno una doppia identità, cartacea ed elettronica, siaper motivi legati alla loro diffusione e commercializzazione,sia soprattutto per la necessità di rimandi multimediali. Ildiffondersi di siti che raccolgono pubblicazioni on-lineautoprodotte porta con sé il rischio della proliferazione di

prodotti di scarsa qualità o poco scientifici, ma non è dettoche in essi non si possano trovare testi degni di esseresegnalati. È il caso di questa pubblicazione in due volumi,che per il suo tema – l’educazione dell’orecchio – non puòevitare il costante riferimento a supporti audio. Non sol-tanto i fascicoli possono essere acquistati esclusivamenteon-line (tramite i siti sopra indicati), ma, al posto del con-sueto CD allegato, propongono un elenco (scaricabile inrete) di audiolink, ossia di indirizzi URL, cliccando i quali sipossono ascoltare i brani proposti, appartenenti a generi estili diversi. Si tratta di una scelta non solo pratica, maanche metodologica: gli esercizi di affinamento percettivosono svolti a partire da brani (o parti di essi) e non, comespesso accade, da intervalli isolati, nonché da sequenzeritmiche o accordali decontestualizzate e perciò “prive disenso musicale”. L’affinamento percettivo non è quindidisgiunto dallo sviluppo di una “intelligenza musicale”, chesi misura con l’organizzazione sintattica del discorso e,nell’ambito di questa, individua strutture, relazioni e sin-goli elementi.Come recita il titolo, i testi sono organizzati in schede diascolto (24 nel primo volume e 28 nel secondo) e conten-gono in appendice un glossario dei principali termini, oltrealle soluzioni relative ai quesiti. Testure e Strutture pre-senta un’articolazione in tre parti: Schede tematiche, incui le attività coinvolgono un solo nucleo concettuale(Testure, Strutture musicali di base, Direzionalità, Struttu-re melodiche), Schede generali, in cui uno stesso brano vieneanalizzato in relazione a diversi aspetti e Brani a confron-to, in cui due brani vengono comparati in riferimento adalcune caratteristiche. Nel secondo fascicolo, Altezze e rit-mi, le schede sono suddivise in base all’operazione chel’ascoltatore compie: Riconoscimento (identificazione distrutture ritmico-melodiche), Collocazione (cellule estrapo-late dai brani vanno riposizionate all’interno dell’opera),Riscontro errori e Completamento. Nelle ultime due sezio-ni, osservando una notazione data, chi ascolta deve rispet-tivamente correggere altezze sbagliate all’interno di lineemelodiche e “riempire i buchi” dello spartito trascrivendole parti mancanti.La relazione fra discriminazione uditiva da un lato, codifi-ca e decodifica del codice notazionale dall’altro, caratte-rizza dunque in modo particolare le schede finali, ma lanotazione è presente anche in altre parti dei due volumi,sotto forma di promemoria o di supporto per l’ascolto, cheresta comunque presupposto e mezzo fondamentale di re-lazione con le opere. «Molti aspetti del dato sonoro si pos-sono comprendere e identificare prima di arrivare a ripro-

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53durlo formalmente o a digitalizzarlo e riformularlo nellascrittura musicale» (Altezze e ritmi, p. 3). A questo propo-sito, è evidente che l’uso dei volumi richiede una buonaconoscenza del codice di notazione musicale, la cuiacquisizione non viene qui affrontata, rimandando ai testiLettura melodica e Lettura ritmica, editi da Ricordi, redattidallo stesso autore in collaborazione con altri esperti. Ana-logamente non è affrontata la relazione delle attività pro-poste con l’acquisizione dei concetti teorici relativi, per laquale l’autore rimanda a un’eventuale pubblicazione suc-cessiva. Peccato. L’esplicitazione didattica dei reciproci ri-mandi fra educazione dell’orecchio, acquisizione di con-cetti e padronanza del codice notazionale avrebbe consen-tito di collocare l’educazione dell’orecchio al centro di unaformazione musicale più ricca e articolata, affiancando fral’altro l’ascolto con attività di produzione vocale, strumen-tale e gestuale-motoria: estrapolazione, imitazione e/o let-tura di cellule, motivi, temi, scale, linee del basso, sequen-ze accordali; rappresentazione corporea di profili melodi-ci, strutture metriche, armoniche e formali; improvvisazionee composizione a partire da spunti del brano ecc.Di questo sguardo integrato c’è particolarmente bisogno inItalia per superare la didattica incentrata sul solfeggio par-lato, che purtroppo impera ancora non solo nell’Alta For-mazione (nonostante la scomparsa della vecchia disciplinae dei programmi relativi), ma anche nella formazione di base.In relazione ai contesti, i volumi non indicano una colloca-zione delle attività, ma, presupponendo un buon livello didiscriminazione uditiva e di competenze musicali in genere,sembrano rivolgersi all’Alta Formazione, e in particolare aitrienni di recente istituzione. Niente di male, naturalmente;anzi. Ma resta l’esigenza di immaginare una gradualità piùampia, che – a partire da categorie concettuali globali (for-ma, organizzazione testurale, metro, profilo melodico,concatenazioni armoniche ecc.) e da contrasti marcati fra lequalità sonore – conduca, attraverso discriminazioni pro-gressivamente più articolate, fino alle distinzioni sottili eraffinate qui proposte. Che siano cartacee, digitali o “ibri-de”, attendiamo dunque altre pubblicazioni su questo temae altre incursioni nel palcoscenico musicale della rete.

Sogni e incubi da suonaredi Donatella Bartolini

REINHARD GAGEL, Tagträume und Nachtmahre, Breitkopf,Wiesbaden 2010, pp. 28, con CD, † 16,00.

È appena uscito, per i tipi della Breitkopf, Tagträume undNachtmahre (Sogni ad occhi aperti e incubi), nuovo testoper pianoforte a firma del compositore e didatta tedescoReinhard Gagel (1955).Nove quadri sonori con materiali per improvvisare – recitail sottotitolo – dedicati a chiunque voglia dar forma a so-gni musicali, e quindi in particolare ai giovani e agli ado-lescenti. Proprio loro, assai più di noi adulti, si adoperanocostantemente nell’esercizio del “sogno”, sia di giorno –ad occhi aperti – come di notte (con o senza incubi).È in questa atmosfera che il giovane pianista è chiamato aimmergersi, non solo leggendo i “quadri sonori” che com-pongono questa raccolta, ma anche e soprattutto attraver-so l’improvvisazione (che una volta tanto non fa rima ob-

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54 bligata con jazz, blues...). Ogni brano è accompagnato, in-fatti, da indicazioni che aiutano l’allievo e l’insegnante aestrapolare dalla composizione alcuni elementi significati-vi, a svilupparli e ad ampliarli attraverso l’invenzioneestemporanea. Si spazia dalla combinazione aleatoria allapredisposizione accurata di una struttura, dalla invenzio-ne melodica alla sperimentazione di modelli metrici.In Druide müde (Druido stanco), ad esempio, pochi accordioscillano cromaticamente – con indolenza – intercalati dapause. Accanto alla composizione l’autore riporta questistessi accordi e li dispone in ordine sparso sulla pagina.L’esecutore è chiamato a organizzare il materiale, a stabili-re le successioni e predisporre una nuova organizzazione.In alternativa Gagel suggerisce una seconda possibilità:percorrere lo spazio della pagina con gli occhi, suonandodi volta in volta i frammenti su cui casualmente si posa losguardo (l’anima dell’XI Klavierstück di Stockhausen aleggiatra queste righe!).Più spesso sono fasce di ostinati e modelli ritmici a soste-nere l’improvvisazione, come in Tagträum (Sogno ad occhiaperti). Qui un’alternanza di terze e seconde discendentifunziona come elemento base su cui far spuntare un’esilemelodia da costruire partendo dalla riserva di suoni sug-gerita dall’autore (deve suonare «come in sogno», scriveGagel). In Fitter Ritter altri ostinati; ma anche modelli pre-si dall’organum medievale e – il campo di sperimentazione

è davvero molto, molto ampio – una proposta di improv-visazione incentrata sui cluster filtrati (come non pensareal bellissimo, ma certamente più temerario, Filter-Schaukelda Ein Kinderspiel di Helmut Lachenmann?).È invece un semplice slittamento cromatico alla base dellacostruzione di Elfen Helfen (Aiutare gli elfi), semplice, maassolutamente efficace. L’improvvisazione avviene semprepartendo dalla forma di un accordo di base di volta involta ripreso, spezzato, scomposto oppure mosso lungo tuttala tastiera, sempre con la stessa caratteristica discesacromatica, lenta, cadente, quasi “colante”.

ALFRED CORTOT

Alcuni aspetti di ChopinCurci, Milano 1950, nuova ed. 2011, pp. 162, † 12,00

mie (i nostri concerti pubblici), dove per rendere appetibile ipur suadenti due Concerti per pianoforte e orchestra era ne-cessario proporre tra l’Allegro e l’Adagio un’Aria di altro au-tore eseguita da un violinista, all’ammirazione priva di gelo-sie di Mendelssohn e di Schumann verso Chopin, che da par-te sua poteva essere sordo alle loro musiche e alle loro at-tenzioni; dai divertenti programmi per recital a otto mani sudue pianoforti con Liszt e i due fratelli Herz, agli elogi che lostesso Liszt gli attribuì sui giornali in veste di recensore.

DestinatariInsegnanti e allievi non solo di Pianoforte, cultori e amantidella storia sociale della musica, ascoltatori di Chopin, oltreche devoti ai centenari appena scaduti.

Motivi d’interesseI confronti e le analogie con la società musicale d’oggi ven-gono immediati alla lettura. Non solo per il mondo di Chopin,ma anche per quello di Cortot (Nyon, 1877 – Losanna, 1962).L’autore del libro appartiene alla generazione di artisti chehanno dedicato tempo ed energie alla riflessione storica, este-tica e analitica della musica, oltre che alla promozione dellamusica e dei musicisti loro contemporanei. Alfredo Casellane è l’esempio italiano.

Annibale Rebaudengo

ArgomentoChopin visto e descritto con amore e documentazione da unotra i suoi più poetici e fantasiosi interpreti pianistici. La nuo-va veste grafica permette un rilancio del testo, che dal suoprimo apparire, nella versione italiana di Alberto Curci, era erimane tra i più godibili nella lettura fra i tanti che nel tem-po sono entrati nei cataloghi editoriali. Da leggersi tutto d’unfiato, ma all’inizio da guardare: due ritratti, un medaglione,due disegni, due riproduzioni di gessi delle sue mani, ripro-duzioni di manoscritti, immagini che evocano al pianista scrit-tore gli echi musicali ed esistenziali che c’introducono allapoetica e alla biografia del compositore polacco. I lettori di“Musica Domani”, pianisti e no, saranno incuriositi dal capi-tolo Chopin pedagogo e dalla riproduzione di una sua bozzadi metodo per principianti. La sua – di Chopin – difficoltànell’avventurarsi nella «carriera di pianista-virtuoso alle cuiesigenze si sentiva tristemente inadatto» e la sua scarsa pro-pensione nel negoziare compensi significativi per la venditadelle sue composizioni agli editori hanno fatto sì che le le-zioni di pianoforte fossero la principale rendita economica.Professione d’insegnante trascorsa tra pazienti lezioni allearistocratiche parigine e qualche scoppio irato verso chi con-tinuava a sbagliare note. Ma quel che rimane, dopo la lettu-ra del libro, è la descrizione disincantata delle contraddizionidella società musicale dell’epoca: dai programmi di Accade-

SCHEDA

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55In Zwerg am Werk (Nani al lavoro) il centro dell’improv-visazione si sposta sulla sperimentazione di ostinanti irre-golari. Così i nanetti da giardino, dispettosi e stupidamen-te indaffarati, sembrano farsi beffa di ogni ordine simme-trico.Ma è nell’ultimo pezzo – Nachtmahr – che l’autore predi-spone uno spazio appositamente pensato per “fabbricare”incubi. Registro scurissimo («gli incubi sono sogni scuri»scrive Gagel), contrasti stridenti, salti ampi e nervosi. In-cubi destinati però a intromettersi anche negli altri pezzidella raccolta. L’autore propone di “corrompere”, attraver-so questi materiali, tutti i quadri sonori facendoli scivolarecosì in una improvvisazione da incubo (Nachtmahr Impro-visation).L’atmosfera onirica accompagna dunque tutto il percorso,sostenuta dai titoli, dalle indicazioni (sempre copiose epuntuali), dalle foto e anche dalle proposte contenute nelCD allegato. Un’atmosfera che avvolge anche i pezzi piùdistesi e divertenti e che sollecita quella lettura simbolica– sempre lievemente accennata, mai invasiva o pesante –capace di condurre ad accettare suggestioni e spazi armo-nici lontani dal tradizionale anche l’esecutore più legato aun repertorio stereotipato.Non è un caso (ma l’autore non ne parla esplicitamente)che molti titoli vedano come protagonisti i personaggi diquella letteratura fantasy e dei giochi di ruolo di ambien-tazione arcaica, leggendaria e irreale così assiduamentefrequentati dai giovani di oggi (da Dungeons & Dragons atanti giochi on-line): gli elfi e il druido, le scatole magiche,il cavaliere e i nani.Le immagini che accompagnano ogni brano non suggeri-scono letture precise. Ambigue, sfuggenti (purtroppo diformato un po’ troppo piccolo per essere realmente effica-ci), le foto proposte dall’autore (firmate da Jakob Schröck)sembrano infatti voler lasciare più spazio possibile allafantasia... per “giocare” con i sogni, anche quando sonoun po’ troppo scuri.

Una didattica dell’esperienzadi Enrico Bottero

GIORDANO BIANCHI, Il “metodo Bianchi”. Apprendere con lamusica dai 3 ai 7 anni, FrancoAngeli, Milano 2010, pp. 240,† 28,00.

Quando conobbi Giordano Bianchi ero un giovane inse-gnante calato nella quotidianità dell’insegnare alla ricercadi dispositivi pedagogici in grado di mobilitare l’alunnopartendo dalla sua esperienza (percettiva, sensoriale, emo-tiva e relazionale). Ero consapevole che la musica fosseuno straordinario canale in questo senso. In Bianchi trovaiuna direzione di ricerca che mi ha accompagnato fino aoggi. Come ogni “metodo” si presentava in forma incom-pleta, una sorta di tâtonnement (termine caro a CelestinFreinet che, non a caso, non parlava mai di “metodo” madi “tecniche”), di ricerca per tentativi ed errori in un conti-nuo rimando tra esperienza e riflessione. La sua “arte” di-dattica si era infatti costituita nell’esperienza dell’insegna-re ai bambini, ciò che si rifletteva nella provvisorietà dellesue proposte, una sorta di cantiere aperto. Non poteva es-sere che così, se correttamente si intende per didattica quel

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56 sapere situato che si costruisce come graduale sistematiz-zazione dell’esperienza dell’insegnare.Il “metodo” Bianchi, è il caso di ribadirlo, è una didatticadell’esperienza che va al di là della didattica della musica.Se non si parte da questo postulato si rischia infatti diesserne delusi e di misconoscerne l’importanza. Si tratta diproposte didattiche che hanno lo scopo di strutturare lebasi senso-percettive, corporee ed emotive dell’educazionecognitiva, musicale e non. Non a caso il sottotitolo delvolume è Apprendere con la musica dai 3 ai 7 anni. È inquesta fase, infatti, che si consolidano nel soggetto quellestrutture pre-razionali misconosciute dalle didattiche cen-trate sulla trasmissione astratta dei saperi. Su queste strut-ture (i “contrasti”) Bianchi lavora attraverso le associazio-ni: forte/grande; piano/piccolo; destra/metalli, sinistra/nonmetalli; dentro/suono, fuori/silenzio; alto/acuto, basso/gra-ve ecc. Il principio associativo, sconosciuto alle psicologieassociazioniste di fine Ottocento, si fonda sulle sinestesie(il corpo è un sistema sinergico in cui i diversi sensi comu-nicano tra loro). Di qui l’uso delle categorie percettive inmodo intersensoriale giocando sull’intreccio tra i diversilinguaggi (verbale, sonoro, visivo, gestuale).Il libro, vero proprio testamento pedagogico di GiordanoBianchi, contiene alcune novità rispetto a Crescere con lamusica, il volume con cui negli anni Ottanta il maestroaveva tentato una sintesi delle sue proposte operative conparticolare riferimento a esperienze pre-musicali e tera-peutiche con alunni disabili. In questo volume si va oltrela musicoterapia e si dedica più spazio al discorso musica-le vero e proprio con proposte operative che prefiguranovere e proprie esecuzioni orchestrali.Nei primi capitoli si riprendono i temi consueti della

metodologia Bianchi. Si va dallo scarabocchio sonoro al-l’esperienza dell’orchestra ritmica, utilizzando i contrastiprimari (piano/forte, crescendo/diminuendo), a una primaintuizione delle altezze. Si propongono anche forme di ese-cuzione pre-ritmica, cioè senza un consapevole utilizzo dellecellule verbo-ritmiche, che vengono indagate successiva-mente (Cap. 8) attraverso l’associazione con le parole. Sipassa quindi alle onomatopee associate ai suoni degli stru-menti a percussione (tamburo, piatto oscillante, scatolettasonora, maracas, triangolo) e alle note della scala pentafo-nica. Un articolato gioco di associazioni che da una partesviluppa l’educazione dell’orecchio, dall’altra introduce allaprima composizione delle parole scritte. Alle campanetubolari viene sempre assegnato un ruolo centrale, in as-sociazione alle cinque vocali, alle cinque dita della mano,a cinque parti del corpo, a cinque componenti della fami-glia. Di qui ci si introduce nel mondo delle scale pen-tafoniche, che Bianchi considera uno strumento importan-te di avviamento alla creatività compositiva grazie allapossibilità di inventare melodie senza doversi assoggettarea regole strutturate. Bianchi, come dicevamo, non si fermaqui. Consapevole della necessità di dover rispondere allemolteplici esigenze espressive dei bambini, affronta le sca-le diatoniche, anche qui utilizzando associazioni (le ditadella mano ecc.), quindi i diversi tempi (dal binario alternario, al quaternario, ai primi tempi composti). Negliultimi capitoli è presente una breve introduzione all’armo-nia (accordi principali, cadenze). L’obiettivo è quello di giun-gere ad armonizzare facili melodie in modo tecnicamentecorretto senza dimenticare una particolare attenzione alrisultato espressivo ed estetico. Una costante è l’uso dellafonomimìa, intesa sia come strumento utile a intonare gliintervalli sia come valida introduzione a un uso espressivodel gesto. Lo sguardo di Bianchi, attento ai molteplici campisu cui si muove l’interesse del bambino, va al di là del-l’espressione musicale per guardare alle forme espressive atutto campo.Non possiamo che ringraziare Giordano (e Maurizio Ga-vazzoni che ha raccolto le esperienze) per averci conse-gnato questo suo ultimo contributo che testimonia del suoinesauribile sguardo rivolto verso il futuro. Tocca aglieducatori e agli insegnanti di oggi raccogliere il testimonee andare avanti nella ricerca, guardando oltre l’ostacolo.Non fermiamoci, non accontentiamoci delle esperienze fattee continuiamo a lavorare con i bambini. Sarà il modo mi-gliore per essere riconoscenti a un maestro che ci ha la-sciato, per continuare a sentirlo ancora tra noi.

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ALBA G. NACCARI, Pedagogia dei cicli di vita in età adulta.Comprendere e orientare le crisi e i cambiamenti nel corsodell’esistenza, Anicia, Roma 2010, pp. 331, † 22,00.

Sono stato incerto se proporre questo libro profondo epregnante (anche difficile) in questa rassegna: poi mi sonodetto che, forse, poteva essere l’occasione per una rifles-sione culturale e pedagogica sul nostro modo di essere e difare, come educatori, in questo frangente storico e sociale.Il libro, organico e articolato insieme, ha un taglio squisi-tamente teleologico; esso si concentra su come gli esseriumani dovrebbero e potrebbero essere, con uno spirito unpo’ utopico ma radicato nel reale.L’autrice è una ricercatrice dell’Università di Roma (che hopersonalmente conosciuto) che ha studi ed esperienze sulcampo in merito alla mediazione espressiva e alla danza-terapia.Oggi sembra essere complesso accogliere e dare senso alcambiamento; non si tollerano le crisi o mal si sopporta-no; si è perso il significato dell’imperfezione e della scon-fitta; si pensa che l’equilibrio sia raggiungibile una voltaper tutte; c’è poca consapevolezza dell’inevitabile proces-sualità della vita umana che implica sfide, arresti, involu-zioni, momenti di riassestamento.L’essere umano infatti non si caratterizza unicamente perciò che può essere visto o misurato: la dimensione dell’in-teriorità infatti a volte appare, pur invisibile, altrettantovera delle esternazioni e dei comportamenti manifesti econtribuisce a fornire una immagine (Bild, da cui deriva iltermine tedesco Bildung: formazione) della persona: nonsolo, ma più spesso di quanto non si creda sono proprio lecomponenti interiori e personali che spingono e motivanoa scelte più o meno adeguate alla situazione da gestire.L’identità, dice Alba Naccari, «si snoda come una sorta dimelodia, fatta di note e frasi musicali diverse che, però,mantengono nell’insieme una struttura di fondo univocaed armoniosa. Inevitabilmente, vi sono ogni tanto dellenote dissonanti, ma anch’esse, spesso, prima o poi, rivela-no la propria natura di controcanti destinati ad aumentarelo spessore e la ricchezza del suono» (p. 11).Perché «pedagogia dei cicli di vita»? Per tre ragioni.La prima è che l’ambito evolutivo preso in esame dal testoè quello relativo alle età (al plurale) dell’adulto e dell’adul-ta, “normale” o “normalmente nevrotico/a”, ambito nelquale si presenta inoltre un quadro delle età precedenti,dall’infanzia all’adolescenza, per permettere la compren-sione delle età dell’adulto.La seconda ragione è che crescere e invecchiare ha senso,che lo svolgersi del tempo può racchiudere compiti e si-gnificati esistenziali da realizzare, i quali rappresentano lepotenzialità e la bellezza dell’essere umano.La terza ragione è che l’impostazione del libro vuole essereuno strumento di lavoro, di riflessione su di sé (sul tipodella esegesi del sé di Michel Foucault) per coloro che sitrovano a confrontarsi con le eterogeneità delle crisi e deicompiti di una vasta gamma di persone (utenti, allievi,pazienti, educandi), fornendo chiavi ermeneutiche, oriz-

RASSEGNA PEDAGOGICAdi Roberto Albarea

zonti di senso, prospettive di azione per accompagnare isoggetti, con cui vanno a operare, nel loro percorso di auto-realizzazione.Il primo capitolo introduce il lettore sul termine, e sui con-cetti ad esso sottesi, della «pedagogia dei cicli di vita».Il secondo capitolo offre una panoramica densa e signifi-cativa sulle urgenze di senso tra istanze psicologiche e ri-cerca etico-religiosa, tra il “visibile” e l’“invisibile”, orien-tandosi alla multidimensionalità del Sé e verso la costru-zione di una visione personale.Il terzo capitolo esplora le varie fasi della vita e traccia lecondizioni di come si sviluppano i processi del diventareadulti.Il quarto e il quinto capitolo (che sono il “centro” del lavo-ro di ricerca) indagano temi di ricorrente attualità nell’edu-cazione in età adulta, come la personalizzazione degli af-fetti («La maturità di una persona è in definitiva la maturi-tà del suo sentire, la capacità di sentire il sentire, e dunquela capacità di sentire il proprio sentire e quello altrui», p.166), le differenze di genere, la dimensione della sollecitu-dine e della cura, riprendendo il concetto di “responsabili-tà non reciproca” di Jonas che chiama in causa una visio-ne dell’esistenza segnata, pur con tensioni e difficoltà, dal-la speranza e dalla fiducia nell’essere umano. In effetti lacura è vista come originaria dimensione pedagogica: comeAutocura, Cura dell’altro, Cura del mondo e delle cose delmondo (p. 185).Si cerca inoltre di integrare alcune polarità classiche dellacultura occidentale: maschile e femminile, distruzione ecreazione, estroversione e introversione, stabilità e crisi deivalori, e così via.Tra le priorità ritenute fondamentali per l’adulto in etàmedia, di contro al giovanilismo (reale o virtuale) impe-rante, dovrebbe esserci quella di permettere di radicarsinel proprio momento evolutivo sviluppando (pp. 216-222):un’intelligenza razionale adulta (stile personale e appren-dimento collocato in un contesto più ampio di sviluppo),un’intelligenza esistenziale adulta (portata alla ricerca disenso e alla testimonianza educativa, al di là del si dice),un’intelligenza affettiva adulta (integrazione dei propri latioscuri verso una trasformazione possibile).Nel testo sembra riecheggiare la raccomandazione di Senecaal nipote Lucilio, così come egli si esprime nelle Lettere:«Non lasciarti fuorviare, gli dice, torna in te stesso, noncurarti che gli altri parlino di te, sei tu che devi imparare aparlare con te stesso» e anche un’altra massima (ma questanon so da dove venga) in cui sembra che tutto ciò che fai epersegui con tenacia, e a volte con qualche disillusione,poi ti ritorna.Infine l’ultimo capitolo, che si interessa alla terza e quartaetà e alla vecchiaia, riprende alcuni motivi della teoria del-la compresenza di Aldo Capitini.Alcune pagine del testo sono dedicate alla costituzione dilaboratori attraverso la scansione di quattro tappe o varia-bili interconnesse: compiti esistenziali, aree valoriali, ca-ratteristiche e problemi attuali, atteggiamenti pedagogicicongrui.

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Quando frequentai il corso di didattica della musica ebbimodo di conoscere, grazie alla mia professoressa di peda-gogia, Sandra Fortuna, la SIEM e da allora cominciai a se-guirne attentamente le proposte, a partecipare a molti cor-si estivi a far parte, così, di questa grande famiglia, conl’unico intento di promuovere e diffondere la musica adampio spettro.Il direttivo territoriale che condivide con me questo per-corso è attualmente costituito da: Maria Lisanti, SandraPerrupato, Rossella Montecalvo, Caterina Colangelo, SimonaFerrarese, Pietro Santarsiero.Tutti noi crediamo fermamente, come tanti, nella validitàdell’insegnamento della musica e ci auspichiamo che essapossa entrare a far parte a pieno titolo delle materie curri-culari delle scuole di ogni ordine e grado. Far parte dellaSIEM, e nella fattispecie di una delle sue sezioni territoriali,dà la possibilità ai suoi componenti di far lievitare le ideemusicali, rispettando e potenziando le peculiarità di ogniterritorio. Promuovere e coordinare varie iniziative, in unaregione come la Basilicata, rappresenta e ha rappresentatoda sempre una continua sfida. La nostra sezione ha svolto,sin dall’inizio, un ruolo pionieristico nel divulgare letematiche pedagogico-musicali.Per la particolare conformazione geografica della regione,qualunque iniziativa richieda una stretta collaborazioneviene ostacolata e rallentata nei tempi di realizzazione. No-nostante queste difficoltà oggettive, tutti noi, componentidel direttivo e soci, a contatto quotidianamente con le pro-blematiche legate alla formazione musicale nella scuola,abbiamo progettato e realizzato iniziative in grado di sod-disfare i bisogni emergenti del territorio.Le iniziative da noi progettate e realizzate sono state tan-te: corsi estivi per giovanissimi allievi (5-14 anni), orga-nizzazione di concerti e convegni tematici.La scelta di istituire corsi estivi nacque dall’esigenza didare un prosieguo a quello che era stato un discorso dipropedeutica musicale iniziato attraverso progetti decennaliper le scuole dell’infanzia e primaria.

Filomena Silda Giammetta

La SIEM lucana

Non è semplice in zone dell’entroterra dare credibilità aesperienze mai fatte prima, ma l’impegno profuso ha datoi suoi frutti.Un’altra iniziativa significativa è stata la Settimana Inter-nazionale della Musica: un evento con decorrenza annuale,con organizzazione di concerti, convegni e seminari, realiz-zati con l’intento di stimolare la partecipazione di tutti. Di-versi sono stati i convegni dedicati alla didattica della musi-ca, che hanno visto la partecipazione di esperti del settore adisquisire e fare il punto sulla situazione dell’insegnamentomusicale nel nostro Paese e in Europa.Essendo Viggiano («città dell’arpa e della musica») città diantica tradizione arpistica, abbiamo rivolto la nostra at-tenzione anche a tale strumento, indicendo una masterclassper giovani arpisti, che ha visto una nutrita partecipazionedi allievi provenienti da varie zone dell’Italia.Prova di come la nostra sezione stimoli e solleciti iniziati-ve in tutto il territorio regionale è stata la recente espe-rienza fatta a Matera nell’ottobre del 2010. L’iniziativa pro-mossa dal dipartimento materno-infantile della ASL localee dal progetto nazionale “Nati per la Musica” (per la primavolta presente nel Sud d’Italia) è stata rivolta a educatori einsegnanti di asili nido e scuole dell’infanzia, ma anche aoperatori dei consultori, ostetriche, pediatri, formatori diinsegnanti, studenti universitari e a tutti coloro che lavo-ravano a contatto con i bambini. L’iniziativa si prefiggevadi spiegare il ruolo della musica nello sviluppo cerebraledel feto, del neonato e del bambino, per mezzo di inter-venti concreti, sonoro-musicali, da realizzarsi in diversicontesti. La SIEM lucana, in questa circostanza, ha avuto lafunzione di supporto.Prossimo nostro proposito è quello di organizzare itinerariformativi rivolti a personale docente di scuola dell’infan-zia e primaria, in modo da valorizzare e potenziare le com-petenze specifiche degli insegnanti.Questa la nostra sezione lucana, desiderosa di crescere e dicontribuire, col suo modesto apporto, alla divulgazione epromozione della musica.

ATTENZIONEDomenica 25 marzo 2012 avrà luogo l’Assemblea Nazionale dei soci SIEM

e il Collegio dei Presidenti di sezione.A Bologna, al Quartiere Porto, in via dello Scalo, 21.L’ordine del giorno è disponibile sul sito e attraverso tutti i canali di comunicazione SIEM.Seguici sul sito www.siem-online.it e su facebook

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