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TRIMESTRALE DI CULTURA E PEDAGOGIA MUSICALE - ORGANO DELLA SOCIETÀ ITALIANA PER L’EDUCAZIONE MUSICALE ANNO XLI - N. 159 - GIUGNO 2011 - 5,00 - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 45% - ART. 2 COMMA 20/B - L. 662 DEL 1996 - MILANO _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ _______________ Strumenti in viaggio Di-segni al pianoforte Postura e pratica strumentale DSA e musica Musica nella scuola primaria 1 59 NUMERO _______________ _______________ _______________ _______________ _______________

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TRIMESTRALE DI CULTURA E PEDAGOGIA MUSICALE - ORGANO DELLA SOCIETÀ ITALIANA PER L’EDUCAZIONE MUSICALEANNO XLI - N. 159 - GIUGNO 2011 - † 5,00 - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 45% - ART. 2 COMMA 20/B - L. 662 DEL 1996 - MILANO

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3MusicaTrimestrale di cultura e pedagogia musicaleOrgano della SIEM

Società Italiana per l’Educazione Musicalewww.siem-online.itAutorizzazione del Tribunale di Milano n. 411del 23.12.1974 - ISSN 0391-4380Anno XLI, numero 159 giugno 2011

Direzione responsabileMariateresa Lietti

RedazioneAlessandra Anceschi, Lara Corbacchini,Anna Maria FreschiImpaginazione e grafica Fabio Cani / NodoSegreteria di redazioneVia Dell’Unione, 4 - 40126 Bolognae-mail: [email protected], Torino

EditoreEDT srl, 17 Via Pianezza, 10149 TorinoAmministrazioneTel. +39 011 5591816, Fax +39 011 2307034e-mail: [email protected]àManuela Menghini, EDT: [email protected],tel. +39 011 5591849Abbonamenti e PromozioneEloisa Bianco, EDT: [email protected],+39 011 5591831Un fascicoloItalia euro 5,00 - Estero euro 6,50Fascicoli arretratiItalia euro 7,00 - Estero euro 8,50Abbonamenti annualiItalia euro 18,00 - Estero euro 22,00,comprensivo di quattro fascicoli della rivista.Gli abbonamenti possono essere effettuatiinviando assegno non trasferibile intestato aEDT srl, versando l’importo sul c.c.p. 24809105intestato a EDT srl, tramite carta di creditoCartaSì, Visa, Mastercard, con l’indicazione“Musica Domani”. La rivista è inviatagratuitamente aisoci SIEM in regola con l’iscrizione.Quote associative SIEMSoci ordinari e biblioteche euro 43,00 - Studentieuro 28,00 - Soci sostenitori da euro 86,00 -Triennali ordinari e biblioteche euro 110,00 -Triennali sostenitori da euro 220,00 - Soci giovanieuro 8,00.Le quote associative si ricevono sul c.c.p. 19005404,intestato a Società Italiana per l’EducazioneMusicale, Via Dell’Unione, 4 Bologna. Percomunicazioni e richieste: tel. 051-2916500fax 051-228132 - cell. 339-1031354 - [email protected] all’ISMEInternational Society for Music EducationSocio individuale per un anno, senza riviste, US$35; con le riviste US$ 59. Socio individuale per dueanni, senza riviste US$ 65; con le riviste US$ 113.Le riviste sono: International Journal for MusicEducation, 2 numeri l’anno; Music EducationInternational, 1 numero l’anno. Le quote possonoessere versate con carte di credito Visa, AmericanExpress, Master Card o chèque bancario a: ISME

International Office, PO Box 909, Nedlands, 6909Western, Australia - fax 00 61-8-9386 2658.Sarebbe opportuno che l’iscrizione e il pagamentocon carta di credito venissero accompagnati dalmodulo d’iscrizione debitamente compilato ereperibile presso il sito web dell’ISME:www.isme.org/application.

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Editoriale5 Mariateresa Lietti

Lettera a un presidente

Pratiche educative6 Anna Gualazzi

Di-segni al pianoforte: esplorazione, improvvisazione e scrittura �14 Elena Polidori

Strumenti in viaggio: una proposta interculturale �

Strumenti e tecniche20 Federico Capaccioli

Postura e pratica strumentale

Ricerche e problemi32 Rossana Rossi

Dsa e musica: nuove prospettive per la didattica

Confronti e dibattiti40 Annalisi Spadolini (a cura di)

Musica nella scuola primaria fra norme e prassiInterventi di: Luigi Berlinguer, Mario Piatti, Gianluca Nicolini, PierluigiAlessandrini

Libri e riviste50 Carlo Delfrati, Ridere con la musica

(su BARONTINI, Musica e umorismo, ETS)50 Mariateresa Lietti, Scheda

(su ABBÀ, Il domino musicale, Carisch)51 Lea Mencaroni, Scheda

(su PACETTI, Pianissimo... Fortissimo, Accademia di Santa Cecilia)52 Alessandra Anceschi, Occasioni mancate

(su Musica. Dalle indicazioni alla pratica didattica, USR-ER)53 Lara Corbacchini, Scheda

(su ANTONELLI, Ma cosa vuoi che sia una canzone, Il Mulino)54 Maddalena Patella, A misura di bambino

(su PIZZORNO - SERITTI, MusiCantando, Giunti Kids)54 Rosalba Deriu, La via italiana dell’Orff

(su L’Orff-Schulwerk in Italia, EDT)55 Da non perdere a cura di Elisabetta Piras56 Alessandra Anceschi, Scheda

(su ANGIOLINO - SIDOTI, Dizionario dei giochi, Zanichelli)57 Roberto Albarea, Rassegna pedagogica

Rubriche5 Alessandra Anceschi (a cura di), MATERIALI DI CLASSE: Il canto degli Italiani di

Irene Bonfrisco �11 CACOFONIE: Chi fa da sé fa per tre (meno meno)12 Annibale Rebaudengo, STRUMENTI CREATIVI: Il diario di bordo19 Arianna Sedioli, L’ATELIER DEI PICCOLI: Cappuccetto noir26 VIDE@MUS, a cura della redazione: New Stripsody di Giulia Liggi �27 SEGNALAZIONI di Alessandra Anceschi, Sonia Carli, Augusto Dal Toso30 Mariateresa Lietti, NOTE A MARGINE: Voci di donna38 Lara Corbacchini, RICERCARE: Le qualità che aiutano il talento �58 Dario De Cicco (a cura di), GIORNALE SIEM: Ricerca e formazione di base: gli

obiettivi della sezione SIEM di Pavia di Enrico Cominassi

questo richiamo indicache materiali e approfondimenti sono presenti suwww.musicadomani.it��

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Hanno collaborato a questo numero:

Roberto Albarea docente di Pedagogia, Università di UdinePierluigi Alessandrini compositore, dirigente scolastico dell’Istituto Comprensivo di Sabbioneta (MN)

[email protected] Berlinguer presidente del Comitato nazionale per l’apprendimento pratico della musica

[email protected] Bonfrisco docente di Musica, Scuola Secondaria di primo grado, Casalgrande (RE)

[email protected] Capaccioli oboista, Montecatini Terme (PT)

[email protected] Cominassi musicista, PaviaAugusto Dal Toso docente di Musica, Scuola Secondaria di primo grado, Vicenza

[email protected] De Cicco docente di Pedagogia musicale, Conservatorio di Torino

[email protected] Delfrati pedagogista, Legnano

[email protected] Deriu docente di Pedagogia musicale, Conservatorio di FirenzeAnna Gualazzi docente di Pianoforte, Verona

[email protected] Liggi docente di Scuola Primaria, Pisa

[email protected] Mencaroni docente di Oboe, Scuole di Musica, Arezzo

[email protected] Nicolini docente di Scuola Primaria, musicologo, Marina di Montemarciano (AN)

[email protected] Patella docente di Musica, Scuola Secondaria di primo grado, Rimini

[email protected] Piatti esperto in Pedagogia musicale, Forcoli (PI)

[email protected] Piras pianista, docente, musicologa

[email protected] Polidori dottoressa in Scienze della Formazione Primaria, Università di Perugia

[email protected] Rebaudengo docente di Pianoforte e formatore, Milano

[email protected] Rossi docente di Musica, Scuola Secondaria di primo grado, Reggio Emilia

[email protected] Sedioli formatrice e autrice di mostre e installazioni sonore, Ravenna

[email protected] Spadolini membro del nucleo tecnico operativo CNAPM, docente di Flauto, Roma

[email protected]

Redazione

Mariateresa Lietti docente di Violino, Scuola Secondaria di primo grado a indirizzo musicale, [email protected]

Alessandra Anceschi docente di Musica, Scuola Secondaria di primo grado, Reggio [email protected]

Lara Corbacchini docente di Pedagogia musicale, Conservatorio di [email protected]

Anna Maria Freschi docente di Pedagogia musicale, Conservatorio di [email protected]

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5Mariateresa Lietti

È davvero difficile, nel panorama attuale, trovare qualche cosa dipositivo da proporre, che riesca a darci un po’ di energia e di spe-ranza. E purtroppo ciò vale per la scuola, ma anche per molti altriambiti. La tentazione sarebbe quella di lasciare uno spazio bianco,come segno di sconforto, ma anche di segnale che in qualche modopossa scuotere e spingere qualcuna o qualcuno a riempirlo.Scelgo invece di lasciare la parola a un appello a Napolitano,scritto l’11 aprile 2011 da voci autorevoli che possono ancorainsegnarci molto.«Signor Presidente,lei non può certo conoscere i nostri nomi: siamo dei cittadini fra tantidi quell’unità nazionale che lei rappresenta. Ma, signor Presidente,siamo anche dei “ragazzi di Barbiana”. Benché nonni ci portiamodietro il privilegio e la responsabilità di essere cresciuti in quellasingolare scuola, creata da don Lorenzo Milani, che si poneva lo sco-po di fare di noi dei “cittadini sovrani”. Alcuni di noi hanno ancheavuto l’ulteriore privilegio di partecipare alla scrittura di quella Lette-ra a una professoressa che da 44 anni mette in discussione la scuolaitaliana e scuote tante coscienze non soltanto fra gli addetti ai lavori.Il degrado morale e politico che sta investendo l’Italia ci riporta indietronel tempo, al giorno in cui un amico, salito a Barbiana, ci portò ilcomunicato dei cappellani militari che denigrava gli obiettori di co-scienza. Trovandolo falso e offensivo, don Milani, priore e maestro,decise di rispondere per insegnarci come si reagisce di fronte al sopruso.Più tardi, nella Lettera ai giudici, giunse a dire che il diritto-dovere allapartecipazione deve sapersi spingere fino alla disobbedienza: “In quan-to alla loro vita di giovani sovrani domani, non posso dire ai mieiragazzi che l’unico modo d’amare la legge è d’obbedirla. Posso solo dirloro che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini daosservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole).Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando avallano ilsopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate”.Questo invito riecheggia nelle nostre orecchie, perché stiamo assisten-do a un uso costante della legge per difendere l’interesse di pochi,addirittura di uno solo, contro l’interesse di tutti. Ci riferiamo all’at-tuale Presidente del Consiglio che in nome dei propri guai giudiziaripunta a demolire la magistratura e non si fa scrupolo a buttare alleortiche migliaia di processi pur di evitare i suoi.In una democrazia sana, l’interesse di una sola persona, per quantoinvestita di responsabilità pubblica, non potrebbe mai prevalere sul-

Lettera a un presidente

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l’interesse collettivo e tutte le sue velleità si infrangerebbero contro ilmuro di rettitudine contrapposto dalle istituzioni dello stato che noncederebbero a compromesso. Ma l’Italia non è più un paese integro: ilPresidente del Consiglio controlla la stragrande maggioranza dei mez-zi radiofonici e televisivi, sia pubblici che privati, e li usa come porta-voce personale contro la magistratura. Ma soprattutto con varie rifor-me ha trasformato il Parlamento in un fortino occupato da cortigianipronti a fare di tutto per salvaguardare la sua impunità.Quando l’istituzione principe della rappresentanza popolare si tra-sforma in ufficio a difesa del Presidente del Consiglio siamo già moltoavanti nel processo di decomposizione della democrazia e tutti abbia-mo l’obbligo di fare qualcosa per arrestarne l’avanzata.Come cittadini che possono esercitare solo il potere del voto, sentiamodi non poter fare molto di più che gridare il nostro sdegno ogni volta cheassistiamo a uno strappo. Per questo ci rivolgiamo a lei, che è il custodesupremo della Costituzione e della dignità del nostro paese, per chieder-le di dire in un suo messaggio, come la Costituzione le consente, chiareparole di condanna per lo stato di fatto che si è venuto a creare. Masoprattutto le chiediamo di fare trionfare la sostanza sopra la forma,facendo obiezione di coscienza ogni volta che è chiamato a promulgareleggi che insultano nei fatti lo spirito della Costituzione. Lungo la storiaaltri re e altri presidenti si sono trovati di fronte alla difficile scelta:privilegiare gli obblighi di procedura formale oppure difendere valorisostanziali. E quando hanno scelto la prima via si sono resi complici didittature, guerre, ingiustizie, repressioni, discriminazioni.Il rischio che oggi corriamo è lo strangolamento della democrazia, congli strumenti stessi della democrazia. Un lento declino verso l’autori-tarismo che al colmo dell’insulto si definisce democratico: questa èl’eredità che rischiamo di lasciare ai nostri figli. Solo lo spirito milanianopotrà salvarci, chiedendo a ognuno di assumersi le proprie responsa-bilità anche a costo di infrangere una regola quando il suo rispettoformale porta a offendere nella sostanza i diritti di tutti. Signor Presi-dente, lasci che lo spirito di don Milani interpelli anche lei.Nel ringraziarla per averci ascoltati, le porgiamo i più cordialisaluti.Francesco Gesualdi, Adele Corradi, Nevio Santini, Fabio Fabbiani,Guido Carotti, Mileno Fabbiani, Nello Baglioni, Franco Buti,Silvano Salimbeni, Enrico Zagli, Edoardo Martinelli, AldoBozzolini.»Il messaggio può essere sottoscritto sul sito www.cnms.it

Materiali di classea cura di Alessandra Anceschi

(www.musicadomani.it _ Le rubriche _ Materiali di classe)

In corrispondenza con l’uscita di questo numero, sono scaricabili dalla rubrica on-line materiali relativi a:

- Il canto degli Italianidi Irene Bonfrisco

L’accesso e lo scaricamento sono riservati ai sociche possono richiedere nome utente e password scrivendo a:[email protected] proposte vanno inviate a [email protected] con le modalità indicate sul sito.

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Le attività di tirocinio previste dal Biennio per la For-mazione dei Docenti, istituito per due cicli nei Conservato-ri italiani, sono state anche l’occasione per creare nell’am-bito musicale, al pari di quanto già avveniva da temponella preparazione degli insegnanti di altre discipline, uncollegamento fra riflessione teorica e concreta prassi di-dattica. Il presente contributo documenta proprio uno ditali raccordi, descrivendo un’esperienza che – partendo dal-l’esplorazione delle sonorità del pianoforte e tramite l’ausiliodelle notazioni non-convenzionali – conduce alla composi-zione di piccole miniature sonore.

Il seguente lavoro presenta il percorso didattico ideato nel-l’ambito delle attività di tirocinio, fase finale del Biennio perla Formazione Docenti di Strumento (classe di concorso A077,Pianoforte) attivato a partire dall’a.a. 2007-2008 presso ilConservatorio “Francesco Antonio Bonporti” di Trento e re-alizzato con sei allievi della classe prima della Scuola Se-condaria di primo grado a indirizzo musicale “Bresadola”,sempre del capoluogo trentino.La finalità dell’attività, concepita con modalità laboratoriale,è stata quella di avvicinare i giovani pianisti a una praticamusicale creativa imperniata sull’utilizzo delle scritture non-

Anna Gualazzi

Di-segni al pianoforte:esplorazione,improvvisazione e scrittura

convenzionali, stimolando un approccio aperto all’esplo-razione dello strumento. Alla fine del percorso gli studentihanno realizzato e interpretato la partitura di un breve pezzoda loro composto. I lavori prodotti e i comportamenti mu-sicali messi in atto dagli studenti sono qui descritti e ana-lizzati dal punto di vista pedagogico musicale.

Condotte e scrittureIl mio lavoro ha avuto come fondamento, in particolareper quanto riguarda la pedagogia e la psicologia musicale,due riferimenti teorici: le condotte musicali individuate daFrançois Delalande (1993 e 2004) e alcune ricerche sullescritture spontanee presentate da Annarita Addessi (1999).Il percorso ideato ha voluto stimolare negli allievi la messain atto delle condotte delineate dal pedagogista francese.Egli, come è noto, distingue tre comportamenti motivati(ovvero condotte) che caratterizzano le attività musicali siadel bambino che più generalmente dell’adulto musicista:senso-motoria, simbolica e di regole, correlate agli stadidello sviluppo individuati da Jean Piaget. Le condotte, unavolta comparse, permangono per tutta la vita: un ragazzi-no o un adulto intenti a produrre suoni stanno mettendoin essere una o più condotte.Anche il ruolo dell’insegnante assume nell’opera di

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7Delalande un particolare significato che ho accolto nellaconduzione di questa esperienza. Egli è invitato a guidaresenza imporre, trovando il coraggio per stimolare l’allievoa portare avanti una propria idea musicale, suggerendonel’abbandono qualora la ricerca sonora si areni e non pro-segua in maniera proficua. Procedere per prove ed errori èinoltre una strategia necessaria se si vuole arrivare a unrisultato che possa convincere tanto il suo autore quantol’esecutore (Paynter 1996).Per quanto riguarda il tema delle notazioni spontanee, lericerche più importanti per preparare il mio lavoro sonostate quelle di Davidson e Scripp (in Addessi 1999) e lacatalogazione dei tipi di partitura individuati dalle analisidello stesso Delalande (2004).Davidson e Scripp hanno condotto uno studio su circa 40bambini per indagare in che misura essi, senza un’educa-zione musicale precedente, fossero in grado di rappresen-tare la musica. I due studiosi hanno raccolto i lavori e han-no individuato ben cinque tipi di notazioni spontaneamenteutilizzate dai piccoli:- il sistema pittorico, che si avvale di disegni, icone e im-

magini ed è legato al soggetto della canzone ascoltata;- l’uso di moduli astratti, come linee e punti, per rappre-

sentare le caratteristiche sonore (ritmo, durate);- il rebus, che alterna icone, lettere, segni e può essere

usato sia per i riferimenti semantici della musica cheper le caratteristiche strutturali;

- il testo verbale, alle volte disposto in modo da sottoli-neare anche delle qualità ritmiche;

- una combinazione/elaborazione dove parole e simbolicoesistono e si integrano.

Per Delalande (2004) invece si distinguono tre tipi di partituregrafiche: la partitura di ordini, dove vengono riportate leazioni da eseguire per ottenere l’effetto voluto, ma nullaviene detto riguardo alle caratteristiche che avrà il suono, oquale sarà il risultato della corretta esecuzione degli ordini;le partiture acustiche, dove il suono è fissato con un segnoche ne rappresenta le caratteristiche e si lascia che l’inter-prete cerchi il modo per realizzarlo; infine le partiture distimoli, secondo lo studioso le più efficaci, perché suggeri-scono l’effetto sonoro da ottenere usando grafismi suggesti-vi, senza imprigionare l’interprete in una rigida sequenza.È stato illuminante, analizzando le partiture finite realiz-zate nel percorso descritto, ritrovare caratteristiche giàevidenziate da Davidson, Scripp e Delalande, come verràriportato in dettaglio nell’ultima parte del presente contri-buto. Le differenze individuali degli studenti sono emersein modo netto dai loro lavori. Ad esempio, possiamo giàqui anticipare che per chi sceglieva di organizzare gli eventirigorosamente in ordine temporale, c’era chi li disponevain alto o in basso sul foglio secondo l’altezza dei suoni, masenza tenere in considerazione la successione. A essere fis-sati sulla carta sono stati anche aspetti gestuali dei suoni:per il verso gracchiante e spigoloso della rana, il grafismoè scaturito dal gesto con cui si ottiene l’effetto sonoro.

Il laboratorio: articolazione degli incontriL’attività didattica si è svolta in forma di laboratorio arti-

colato in tre incontri individuali di trenta minuti ciascuno.Non sono state richieste pre-conoscenze specifiche sull’usodelle notazioni o sull’improvvisazione, dal momento che ilrisultato finale è stato il frutto del percorso svolto nei treincontri. Grande attenzione è stata prestata per cercare distimolare gli studenti a mettere in atto le condotte suddet-te senza che si sentissero intimiditi dalla mia presenza edalla presenza della loro docente curricolare, presente agliincontri in qualità di tutor del percorso di tirocinio. È datenere presente che le condotte esplorative nel periodo in-fantile si manifestano in maniera spontanea e naturale,essendo uno dei mezzi con cui si conosce il mondo circo-stante. Nel presente caso invece esse sono state inserite inun contesto scolastico dove non sono contemplate. Sonoquindi da prevedere iniziali atteggiamenti di riluttanza einsicurezza da parte degli allievi che il docente può affron-tare calandosi nel ruolo di moderatore, suggeritore, idean-do strategie specifiche per facilitare l’esplorazione dellostrumento.Descriviamo di seguito il modello generale degli incontri,mentre le riflessioni e i commenti sulle peculiarità dei per-corsi individuali seguiranno nelle successive due parti.Il primo incontro è stato suddiviso in due parti: la primadedicata alla sollecitazione della condotta senso-motoria ela seconda alla condotta simbolica.Nella prima parte, dopo aver spiegato il più dettagliatamentepossibile quale sarebbe stato il percorso e il risultato finaleda raggiungere, l’allievo è stato invitato a esplorare la mec-canica e le possibilità sonore del pianoforte (verticale per ilprimo incontro, a coda per i successivi), includendo azionisulla tastiera che producessero clusters, glissandi, risonanzee proseguendo poi sulle corde con l’ausilio dei diversi bat-tenti a disposizione (di legno a testina tonda e ovale, difeltro morbido, di filo di lana, di cotone morbidissimo) e diuna coppia di piattini. Il pianoforte verticale a nostra dispo-sizione è stato fatto trovare aperto per quanto possibile, inmodo da rivelare la meccanica e rendere raggiungibili lecorde. Guidati da gesti e movimenti, sono state così speri-mentate sonorità inusuali.La seconda parte del primo incontro è stata quindi incentratasulla condotta simbolica, invitando a dare una valenza espres-siva agli effetti trovati («Senti questo effetto! Cosa potrebbeessere?»). Accanto al pianoforte a coda, aperto e senza leggio,ho messo un banco con fogli e colori. Ho levato lo sgabello emesso i battenti e i piattini a disposizione nel pianoforte, inmodo da rendere agevole passare dal banco al pianoforte perle prove. Ho proposto a questo punto sia l’uso delle immagini,sia l’invenzione di una storia a partire da una singolarità so-nora sulla quale l’attenzione dell’allievo si fosse soffermata;ho in questo modo sollecitato contemporaneamente l’attri-buzione di significati agli eventi sonori e l’elaborazione diuna storia. Così, mentre in alcuni casi è stata la singolarità asuggerire un evento, in altri è stato lo svolgimento della sto-ria a stimolare la ricerca di una sonorità mai sentita, ma –almeno a grandi linee – immaginata.Dopo soli trenta minuti tutti e sei gli allievi sono riusciti aorganizzare l’esplorazione in una breve sequenza improv-visata.

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8 Il secondo e il terzo incontro sono stati dedicati a spaziarefra la condotta assimilabile al gioco di regole e quella sim-bolica, così da organizzare in modo compiuto gli effettitrovati per funzioni espressive e rappresentative (Delalande1993). Fino a ora erano state la curiosità, l’esplorazione ela suggestione i moventi delle condotte. In quest’ultimafase è intervenuta la razionalità a organizzare l’esperienzasecondo un filo logico, guidato dalla volontà di narrare oda geometrie grafico-sonore, cosicché il risultato fosse unbrano strutturato secondo criteri espliciti, replicabile nonsolo dall’autore ma anche da altri esecutori.I ragazzi hanno individuato il soggetto sul quale creare lapropria composizione avendo a disposizione un gruppo didodici haiku (riportati qui a fianco) tra cui scegliere libera-mente e un gruppo di immagini selezionate in base allapresenza di riferimenti al movimento (proprio per solleci-tare un simbolismo di natura cinematica, evidenziato peril valore pedagogico da Delalande stesso).Le fotografie presentate (vedi Scheda 1, in cui si trovanotutte le immagini di seguito numerate) sono state raggrup-pate in base al tema, all’interno del quale si individua an-che un’articolazione narrativa:- La tempesta. Quattro immagini, di cui la prima è un

paesaggio marino tranquillo (Immagine 1*), le succes-sive rappresentano il mare in tempesta (Immagine 2a* e2b*) e l’ultima è un paesaggio marino al tramonto (Im-magine 3*)

- Il vulcano. Immagine 4* e 5*- Il temporale. Si è preso in prestito dal primo gruppo il

paesaggio marino tranquillo (Immagine 1*), a cui si con-trappone l’immagine del temporale (Immagine 6*), perconcludere con l’immagine della città al tramonto (Im-magine 7*)

- Lo spazio. La partenza dello Shuttle (Immagine 8*) eun’immagine a scelta fra altre due sul tema del titolo(Immagine 9a* e 9b*).

È stato possibile anche fare riferimento alla storia inventa-ta nella prima lezione.Il materiale per tradurre in segno grafico le idee sonore si èarricchito di numerosi fogli bianchi, matite, matite colora-te, pastelli a cera e pennarelli.All’inizio, l’ansia da foglio bianco è stata inevitabile. Hodato suggerimenti su come potevano procedere, ad esem-pio usare più fogli, secondo le loro necessità, usare i coloria disposizione, collocare i simboli nello spazio del foglionel modo che ritenevano più opportuno ed efficace. Quin-di ho deciso di fare un lavoro preliminare alla partituravera e propria per aiutare l’allievo a focalizzarsi su un ele-mento per volta e sul modo di riportarlo su carta.Chi ha scelto l’haiku ne ha trascritto il testo a caratterigrandi su un foglio. Sono state cerchiate tutte le parole

sonorizzabili e delineati i possibili modi per rappresentarlesonoramente, passando dal banco al pianoforte per verifi-care l’efficacia delle scelte o riflettere sulla realizzazione.Solo dopo questo lavoro si è proceduto alla creazione dellapartitura vera e propria.Chi ha scelto le immagini ha suddiviso il foglio in colonnee in ognuna ha segnato le sensazioni che l’immagine pro-curava e gli effetti sonori associati.Infine, tutti i suggerimenti segnati su questo pro-memoriasono stati riportati sulla partitura vera e propria, artico-lando la struttura della composizione.Nel breve lasso di tempo di un’ora e mezza – tanto è statoil tempo a disposizione sommando quello dei singoli in-contri – ogni allievo è riuscito a realizzare un percorsoarticolato e una partitura frutto di ricerche sonore e rifles-sioni.In quanto al mio ruolo, è stato importante accettare l’in-certezza e la ricerca, rinunciando a soluzioni facili e im-mediate, incoraggiando l’esplorazione, osservando l’approc-cio degli allievi allo strumento, prendendo nota mental-mente di chi aveva già una buona propensione all’esplora-zione e di chi invece aveva bisogno di un piccolo incorag-giamento a sperimentare. Insegnante e allievo si trovanosullo stesso piano ed entrambi non hanno idea del risulta-to finale, entrambi devono “cercare”.Andando ad analizzare alcune difficoltà intrinseche al la-boratorio progettato, si devono notare alcuni aspetti.Si è detto come la condotta esplorativa appaia spontanea-mente nel bambino e sia il suo mezzo di conoscenza dellarealtà che lo circonda. Tuttavia i protagonisti del mio pro-getto sono stati alunni di prima media ai quali è stato chiestodi mettere in pratica questa condotta, per di più da unatirocinante che si è inserita nel contesto “classe” episodi-camente, rimanendone sostanzialmente estranea.

1 Questa scheda e tutti i materiali contraddistinti dall’asterisco sonodisponibili nella sezione Materiali del sito www.musicadomani.it.

2 Nel sito, in questo caso come nei successivi, è possibile consulta-re le riproduzioni complete a colori delle partiture qui presentatee tutti i lavori grafici preparatori alla loro stesura.

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9Inoltre, nei sei anni di scuola dell’obbligo che ha frequen-tato, l’allievo è stato abituato a essere giudicato da altriper le sue competenze, tra l’altro non includenti l’esplo-razione libera o guidata. Si deve tenere quindi conto cheper i ragazzi non è semplice valutare in autonomia i pro-pri risultati, come invece richiesto dal percorso proposto.Il mio comportamento si è allora orientato a creare un’at-mosfera che aiutasse l’allievo a sentirsi libero di esterna-re dubbi o convinzioni rispetto a quanto ottenuto, senzasentirsi giudicato dall’esterno.Credo sia veramente importante che l’insegnante si sen-ta coinvolto nella ricerca al pari dell’allievo e collabori alraggiungimento del risultato, dando valore alle azionidello studente o esprimendo il proprio parere, ma sapen-do che l’ultima parola è sempre quella dell’allievo che hadi fronte.

Primo incontro: alla ricerca delle singolarità sonoreAnalizziamo di seguito alcuni aspetti significativi dei per-corsi individuali, interpretando i comportamenti osservati.Durante il primo incontro con Francesco, Massimo eGiuditta, gli allievi sono riusciti a trovare la singolaritàsonora così come intesa da Delalande e, partendo da que-sta, si è creata una storia estemporanea lungo il cui filohanno realizzato una breve improvvisazione.Per Francesco è stata il suono gradevolissimo ed evocativoottenuto con il battente dalla testina morbidissima sullecorde gravi, associato a cannoni di una nave da guerra.Da qui si è proseguito narrando di una nave che si avvi-cina e della relativa paura, andando alla ricerca di unarealizzazione sonora di questo sentimento: un tremoloche Francesco ha voluto con si-fa, il rivolto di fa-si, iltritono chiamato – come ha sottolineato egli stesso – «l’in-tervallo del diavolo». Per il successivo sbarco dei soldatiha individuato un ritmo su una sola nota: TA-ta-ta TA-ta-ta TA-ta ripetuto. Nel finale ha riutilizzato una sequenzadi tre accordi presa da una composizione di Castelnuovo-Tedesco ascoltata a casa e che ha trovato particolarmentesuggestiva.Con Massimo, al primo incontro siamo partiti dalle sonoritàprodotte coi battenti: ha trovato una singolarità sonorastrisciando il battente più morbido sulle corde centrali,«come dei veli». Usando il battente di legno il suono è di-ventato più aspro, grattato, più simile «a un animalettoche va a nascondersi» come ha suggerito la docente-tutor.Ne è nata una storia nel deserto: la carovana, i veli cheoscillano al vento, l’animaletto.Per Giuditta la storia è nata dal passo leggero di un gattosulle corde, inizialmente lento, poi più veloce, mano amano che si avvicina a un topino, che però scappa lestonella sua tana – il glissato sui tasti acuti della tastiera. Uncane, reso con un cluster sulle corde basse, salta (clustersulla tastiera verso destra) verso il gatto, che però scappasul tetto (l’effetto di glissato sulle corde acute col batten-te di legno).Livia e Valentina hanno partecipato al primo incontro in-sieme. Abbiamo provato battenti diversi sulle corde, con esenza pedale, percuotendo, strisciando e cercando associa-

zioni extra-musicali: ne sono uscite diverse immagini esensazioni (passi felpati, passi di un animale pesante, ilvetro, la neve, il vento, le onde, l’altalena, la carta vetrata).Siamo passate alla tastiera con glissandi e cluster. A que-sto punto ho proposto le immagini, le abbiamo guardate ecommentate brevemente, poi le allieve hanno scelto quelledel vulcano e della tempesta.Del vulcano Livia ha sonorizzato la potenza, la forza, consuoni lunghi, forti e cluster. Valentina, a sorpresa, ha usatoil glissando sulle note acute, strappando a Livia il com-mento: «Non capisco. Per me questo non è un vulcano!».Valentina ha sonorizzato i lapilli, che leggeri scendono alsuolo, lasciandosi dietro una sottile scia rossa.Margarita nel primo incontro, dopo la parte esplorativa,ha scelto di improvvisare sulle tre immagini della tempe-sta, ma, per me a sorpresa, la sua improvvisazione è statacompletamente tonale: triadi parallele alla mano sinistrae tre note ascendenti alla mano destra, che ha mosso dal-la parte grave alla parte acuta della tastiera secondo lanecessità.

Il secondo e terzo incontro: le partitureNel secondo e terzo incontro si è lavorato alla realizzazio-ne della partitura vera e propria. Francesco ha deciso diriprendere la storia nata durante il primo incontro; Massi-mo ha scelto le immagini dello spazio; Livia e Margarita sisono concentrare su un haiku; Valentina e Giuditta sulleimmagini della tempesta.Nella partitura di Francesco (vedi di seguito Figura 1 ePartitura Francesco* 2) si mescolano simboli che descri-vono il suono, come i colpi di cannone, simboli di tipofigurale suggeriti dalla raccolta Játékok (Giochi) di GyörgyKurtág (1979), con cui il ragazzo è venuto in contatto eche ha usato con la piena consapevolezza della loro pro-venienza, nonché la notazione tradizionale nella trascri-zione del ritmo dello sbarco dei soldati. La vittoria è rap-presentata secondo la tecnica di combinazione/elabora-zione teorizzata dagli studi di Davidson: le sigle degliaccordi sono in lettere, ma distanziate fra loro per sotto-linearne la successione ritmica. Francesco ha scelto diporre tutto su un solo foglio, senza colori. Gli elementiseguono esattamente la successione temporale, da sini-stra a destra, dall’altro verso il basso.

Figura 1. Partitura realizzata da Francesco

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10 Massimo ha iniziato dalla partenza dello Shuttle, con ilrombo dei motori ottenuto con il battente dalla testinamorbida e colpi veloci e irregolari su corde basse prima increscendo e poi in diminuendo. Il decollo è stato reso conun glissando su tutti i tasti bianchi, in diminuendo, con ilpedale abbassato. Come seconda immagine da sonorizzaresono state scelte alcune galassie e una stella luminosa, ele-menti privi di espliciti rimandi sonori. Ogni elemento èstato evocato con suoni diversi e riportato sulla carta in unriquadro (vedi Figura 2 e Partitura Massimo*).

Figura 2. Partitura realizzata da Massimo

Il suo lavoro può essere definito come una partitura di ordi-ni – secondo le definizioni di Delalande – ed è un esempiodi rebus – secondo Davidson e Scripp – dove coesistonolettere, simboli, icone. In quasi nessun riquadro vi è qualco-sa che possa dirci come sarà il suono: esso verrà rivelato sesi seguiranno le indicazioni date scrupolosamente, che sonoun misto fra disegni stilizzati della porzione del pianoforteda suonare e simboli convenzionali come il segno del peda-le, le indicazioni dinamiche (sfz, fff), le indicazioni agogiche.Possiamo trovare un solo elemento rimandante con imme-diatezza al gesto sonoro: nell’ultimo riquadro un segno cir-colare indica il movimento da compiere sulle corde.Livia e Margarita hanno trascritto su un foglio l’haiku scelto(rispettivamente Il vecchio stagno/la rana salta/tonfonell’acquatico, di Matsuo Bashõ e Senza pioggia/cresce inviolenza/solo il vento invernale, di Natsume Soseki)cerchiando tutte le parole che suggerivano una sonorità esegnandone a fianco la simbolizzazione (vedi PartituraLivia* e Partitura Margarita*).Entrambe le partiture si svolgono su due fogli e sono colo-rate. In Livia gli eventi sono disegnati secondo il loro ordi-ne, in una partitura di suggestioni che si può definire pitto-rica. Vi sono due coppie di piume a rappresentare l’intensitàlieve del suono delle corde sfiorate dal battente morbido. Isuoni più acuti sono stati rappresentati più piccoli e più altidei suoni centrali, e particolare è l’idea di rappresentare ilgracidìo della rana (vedi Figura 3) – realizzata con il manicodel battente sulle corde senza pedale – con un modulo astratto(le linee) e in lettere. Il tuffo della rana si dirige verso l’alto,simboleggiando l’elevazione del salto e il glissato verso isuoni acuti: d’altro canto, «il suono del tuffo non può essererappresentato con suoni sui tasti gravi, poiché la rana è pic-cola e leggera».

Figura 3. Dettaglio della partitura realizzata da Livia

La partitura di Margarita (vedi Partitura Margarita*) è rea-lizzata con una notazione di tipo figurale che non rispettasempre la successione temporale: per esempio, i due grup-pi di nuvolette sono raffigurati con una rappresentazionesimbolica del suono, uno per i suoni più alti nella partesuperiore del foglio e uno più basso per i suoni più gravi,ottenuti con il battente bianco sulle corde centrali. La ca-ratteristica ritmica è simboleggiata dalla vicinanza dei suoniche si sovrappongono e la loro intensità sta nell’intensitàdel colore. Ma non vi è rappresentata la successione tem-porale: i gruppi sono disposti in sovrapposizione, non insuccessione (vedi Figura 4).

Figura 4. Dettaglio della partitura realizzata da Margarita

Il simbolo del vento sul secondo foglio, eseguito striscian-do il battente morbido sulle corde e dando un colpo finale,è il risultato grafico ottenuto eseguendo il movimento sulfoglio con la matita usata come il battente e il segno nitidodi matita al suo interno è il colpo finale (vedi Figura 5).

Figura 5. Dettaglio della partitura realizzata da Margarita

Valentina e Giuditta hanno scelto di lavorare sulle tre im-magini della tempesta. Sono entrambe partiture pittoriche

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11svolte su tre fogli (vedi Partitura Valentina* e PartituraGiuditta*) con alcuni elementi in comune, fatto dovutoevidentemente al soggetto scelto.In entrambi i casi il primo foglio è diviso in due dalla lineadelle onde e viene disegnato l’accordo maggiore per creareun’atmosfera serena. Questo accordo è conosciuto come “se-reno” dalle due alunne perché associato a un sole nel libroA Dozen a Day di Edna Mae Burnam, usato nelle loro lezio-ni di strumento. Gli eventi non sono disposti secondo lasuccessione temporale, ma collocati sopra e sotto la lineadel mare. Valentina ha messo quattro note ascendenti da ese-guire sulle note dell’arpeggio di Do maggiore. Giuditta ha rap-presentato con cerchi concentrici i refoli di vento, ottenuticon il battente morbido strisciato sulle corde. Osservazionisimili si possono fare sul secondo foglio di Valentina (vediFigura 6): a dividerlo vi sono le onde disegnate scure e altee viene messo l’accordo di Do minore in una nuvola – altrasuggestione proveniente dal volume citato.

Figura 6. Dettaglio della partitura realizzata da Valentina

Giuditta invece ha disegnato delle spirali per il glissatosulla tastiera, più grandi per il glissato ascendente e forte,più piccoli per quello discendente e piano. Nella legenda èstato inserito anche lo schianto delle onde, ottenuto col-pendo le corde con i piattini. Questo elemento non è statoperò riportato in partitura.Il terzo foglio di Valentina ricalca l’idea del primo, secon-do la struttura A-B-A, con l’aggiunta della rappresenta-

zione del vento leggero con piccoli segni ondeggianti: trenote vicine sui suoni acuti (vedi Figura 7).

Figura 7. Dettaglio della partitura realizzata da Valentina

Giuditta invece ha posto sull’ultimo foglio solo due eventi:la brezza, con cerchi concentrici che rappresentano l’azio-ne sulle corde con il battente morbido, e la schiuma contante bollicine, ottenute con il battente di legno strisciatovicino alle caviglie delle corde. Per specificare il punto pre-ciso di percussione della corda, Giuditta ha posto tra lebolle un disegno stilizzato.A conclusione del laboratorio, in un incontro collettivo,ogni allievo ha eseguito la propria composizione. Tutti ilavori realizzati sono una testimonianza della percezionedel mondo sonoro di ogni bambino, ma anche della lororicettività e flessibilità nell’affrontare situazioni di incer-tezza.

BibliografiaANNA RITA ADDESSI, Prospettive psicologiche sulle scritture musicali spon-tanee, in Scrivere la musica. Per una didattica delle notazioni, a curadi Franca Ferrari, EDT, Torino 1999.EDNA-MAE BURNAM, A Dozen A Day. Technical Exercises for the Piano tobe done each day before practicing. Book one, Willis Music, Florence(Kentucky) 2003.FRANÇOIS DELALANDE, La musica è un gioco da bambini, Franco Angeli,Milano 2004.FRANÇOIS DELALANDE, Le condotte musicali, CLUEB, Bologna 1993.ANNA MARIA FRESCHI, Imparare a scrivere dalla musica degli altri, in Scri-vere la musica. Per una didattica delle notazioni, a cura di Franca Ferrari,EDT, Torino 1999.ANNA MARIA FRESCHI, Toccare con mano il proprio mondo: didattica stru-mentale e modelli di apprendimento, in Insegnare uno strumento. Ri-flessioni e proposte metodologiche su linearità/complessità, a cura diAnna Maria Freschi, EDT, Torino 2002.GYÖRGY KURTÁG, Játékok, EMB, Budapest 1979.JOHN PAYNTER, Suono e struttura, creatività e composizione musicale neipercorsi educativi, EDT, Torino 1996.

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L’origine marinara dell’espressione “diario di bordo” fa-rebbe trasparire che a scriverlo sia il capitano, nella scuolal’insegnante. Invece sono i marinai, i croceristi, gli allieviappunto. In una classe di strumento di scuola di musica, diconservatorio.Il primo giorno di scuola ogni allievo scriverà, in un qua-derno che conserverà l’insegnante, una propria aspettativada perseguire, se non realizzare, durante l’anno scolastico.L’obiettivo proposto dall’allievo impegna l’insegnante atenerne conto. Ricordo: «Vorrei non aver più paura di suo-nare in pubblico», «Vorrei far musica moderna», «Vorreidivertirmi di più dell’anno scorso». Spulciando il diario dibordo 2009-2010 della mia classe di Pianoforte nel con-servatorio milanese, stralcio una frase qua e là: «In vistadel mio diploma mi aspetto molto lavoro da parte mia etanta disponibilità da parte del mio insegnante, […] Sperocontinui ad aiutarmi»; «Vorrei suonare pezzi nuovi e piùdifficili di compositori che non ho mai suonato»; «Vorreiarrivare serena al diploma, non mi sento sicura perchéquest’estate le mie mani si sono arrugginite»; «La mia aspet-tativa si chiama diploma. Ha il sapore di un sogno cheperò vorrei vivere come un giorno normale. Penso che nonce la farò mai. Abbasso l’Inter»; «…sto iniziando a cono-scere un mondo nuovo, vorrei crescere sia musicalmente,sia tecnicamente. W l’Inter».Sul quaderno dove tutti leggono tutto, ogni allievo ha unpaio di pagine a lui riservate dove l’insegnante scrive ilrepertorio che l’allievo dovrà studiare. Per concludere lacornice, gli allievi nell’ultimo giorno di scuola sono invi-tati a scrivere il loro commento. Cito sempre dall’ultimodiario di bordo: «È stato un anno molto importante per mee credo sia stato anche il migliore degli anni trascorsi in

Annibale Rebaudengo

Il diario di bordo

conservatorio. Ho avuto molte soddisfazioni tra cui il Di-ploma e l’accettazione per frequentare un anno Erasmus aHelsinki»; «Questo è stato per me un anno fatto di alti ebassi, di vittorie e sconfitte; un anno di crescita. Dei mieitre anni in conservatorio credo sia stato il più interessan-te». La conclusione di Guenda è di cinque pagine ed esau-rirebbe la mia rubrica, ma mi piace trascrivere anche lasola prima frase: «Quest’anno è stato per me molto parti-colare; ho vissuto un’esperienza molto intensa come quel-la dell’Isola dei famosi 1, che mi ha permesso non solo diavere più stima in me stessa, ma anche di apprezzare inmodo ancora più profondo la bellezza della musica e lafortuna che ho nell’avere la possibilità, dovunque io mitrovi e mi troverò nel mondo, di sedermi a un pianoforte ecreare magiche atmosfere ed esprimere le mie sensazioni,le più profonde, che a parole non riesco a esternare chiara-mente».Non mancano espressioni di riconoscenza degli allievi cheè superfluo in questo articolo citare.All’interno della cornice, cosa testimonia il percorso di cre-scita musicale, strumentale, metacognitivo? In alcuni anniscrivevo sul diario alcune riflessioni o valutazioni sui sin-goli allievi, che producevano la loro reazione. Non era ob-bligatorio scrivere sempre: tenevo il diario accanto al leg-gio del pianoforte o sulla scrivania, e gli allievi andavanoa curiosare intervenendo quando lo ritenevano opportuno.Questo succedeva una decina di anni fa, e ricordandoloadesso mi è venuto spontaneo pensare a Facebook, doveuna comunità di amici scrive, legge, commenta senza par-ticolari consegne che non siano le emozioni del mo-mento. Poi, capendo le potenzialità di questo strumento dilavoro ho iniziato a coinvolgere gli allievi con domande

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uguali per tutti, soprattutto prima, durante o al temine dellalezione collettiva: «Cosa avete imparato in questa settima-na fuori dall’aula?». Così riuscivo a suscitare riflessioni sul-l’apprendimento informale che segue ognuno di noi fuoridalla scuola. Chi in compagnia di un amico violinista ave-va imparato una certa maniera di studiare, chi da un altroamico aveva sentito musica inaudita, chi avendo ascoltatoil coro degli Alpini si era emozionato. La riflessione sulproprio apprendimento era così documentata. Devo rico-noscere che fu proprio il commento scritto di una giova-nissima allieva nel 1998 a farmi sviluppare la didatticadella lezione collettiva, quando nel suo diario di bordo –ogni tanto per alcuni progetti particolari ne faccio tenereuno a testa – scrisse: «questo è il momento più bello» ecapii che era “più bello” proprio perché la lezione era contutta la classe 2. Le domande sono state spesso dedicatealla valutazione dei propri compagni di classe e alla autova-lutazione. La valutazione di terzi era sempre: «Cosa ti èpiaciuto?». Su se stessi le domande erano due: «Cosa ti èpiaciuto?»; «Ci sono spazi di miglioramento?».Perché far dire o scrivere gli aspetti positivi per prima cosa?Perché far rispecchiare chi suona in commenti lusinghieriaumenta la stima di sé, e l’autostima facilita il formarsidella sicurezza esecutiva e dell’autonomia interpretativa.Suddividere con chiarezza cosa conservare da cosa e comecambiare facilita lo studio economizzandone i tempi. An-che i commenti dopo le esibizioni pubbliche sono signifi-cativi per sviluppare la capacità di riflettere sulle proprieemozioni e sul controllo di sé: «Prima del concerto si respi-rava grande tensione tra di noi. Dopo l’applauso e le primenote di chi mi precedeva mi sono sentita a mio agio, coin-volta in una atmosfera magica».Più di una volta ho messo in scena il diario di bordoteatralizzandolo. In queste occasioni l’ho fatto tenere an-che a una mamma che osservava e ascoltava la figlia pia-nista a casa, oppure veniva in classe a riprendere con lavideocamera le lezioni e le commentava poi a casa scri-vendo. Raccolti i singoli diari ne ho estratto le parti che horitenuto più significative per contenuti musicali e com-menti personalizzati, parti che hanno fatto da preludio aogni esecuzione strumentale. In sintesi, ho messo in scenail processo d’apprendimento utilizzando le parole degli ese-cutori stessi, i commenti in fase di studio di una madre equalche parola mia. Ognuno, avuta la sceneggiatura com-pleta, ha letto le proprie frasi, oltre che suonare.Altri obiettivi, altre modalità per i diari di bordo sono mes-

si in atto durante i corsi di formazione e aggiornamento dididattica strumentale o improvvisazione 3.In questo caso affido il diario, dopo il contratto formativo,a turno a uno o due allievi per ogni giorno di lezione, conla consegna di scrivere contenuti e commenti sulle dina-miche di gruppo. Viene letto dagli estensori all’inizio dellalezione successiva se la lezione avviene dopo giorni, o ad-dirittura settimane; in questo caso è un utile strumento siaper far conoscere a chi era assente i contenuti affrontatinella lezione precedente, sia per ricollegarsi con quantoprecedentemente affrontato prima d’immergersi in nuoveattività. Il riassunto della puntata precedente era una ras-sicurante consuetudine nei teleromanzi a puntate settima-nali; qui viene invece letto alla fine del corso se le lezionisi sono svolte senza soluzione di continuità durante corsiintensivi, tipo quelli estivi della SIEM. In questo secondocaso ci si congeda facendo un excursus delle attività svol-te, commentate con vivace personalità dagli allievi adulti.In entrambi i casi il diario è per il docente formatore unindispensabile feedback di quanto è successo nelle lezioni,utile per una veritiera e non burocratica testimonianza dellelezioni, oltre a essere un efficace strumento di autovaluta-zione del lavoro svolto: il diario non si può correggere. Senon ci si riconosce completamente nelle parole scritte, vuoldire che non ha funzionato la nostra comunicazione d’in-segnanti. Quasi sempre, alla fine del corso, gli allievi pre-dispongono fotocopie del diario che vengono tra lorodistribuite: saranno utilizzate per rileggere con calma cosaè successo nel corso, saranno fonte anche di ricordi affet-tivi di relazioni didattiche. Per me, docente che utilizzaquesto strumento di lavoro da una ventina d’anni, il con-servare i diari di bordo tenuti dagli allievi è come conser-vare le foto di classe, forse meglio, visto che dai diari, te-nuti a ogni lezione da un allievo diverso, traspaiono nonsolo obiettivi raggiunti, contenuti, valutazioni, ma soprat-tutto entusiasmi ed emozioni di compagni di viaggio al-l’interno della scuola.

1 Trasmissione televisiva dove viene spettacolarizzata la sopravvi-venza in situazioni di disagio che immaginavo fosse un po’ finto.Invece, ha raccontato in classe Guenda, le difficoltà psico-fisichesono reali.

2 Cfr. ANNIBALE REBAUDENGO, Giochi di Kurtág in conservatorio, in “Mu-sica Domani”, n. 110, marzo 1999, pp. 28-31.

3 www.musicheria.net/files/files/DiariodibordoRebaudengo.pdf

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14 Elena Polidori

Strumenti in viaggio:una proposta interculturale

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L’autrice sintetizza qui il progetto didattico tratto dallasua tesi di laurea in Scienze della Formazione primariadiscussa nell’a.a. 2009-2010 presso l’Università degli stu-di di Perugia. L’articolazione delle azioni educative è com-mentata criticamente facendo riferimento alle sceltemetodologiche e alle risposte dei bambini.

Il progetto didattico interculturale di ambito musi-cale della durata di dieci ore realizzato in due in-contri nelle classi quarte della Scuola primaria diSelci (Circolo didattico di San Giustino umbro) haavuto come scopo la sensibilizzazione dei bambinial tema della diversità culturale. Tale differenza,percepita troppo spesso come una minaccia, vieneinvece fatta scoprire, proprio attraverso l’arte,come fonte di ricchezza e accrescimento iden-titario. Una musica distante geograficamente etemporalmente, ma allo stesso tempo vicina epropria del nostro patrimonio culturale. Stru-menti in viaggio… sul Mar Mediterraneo è iltitolo di questo progetto, proprio perché la ri-flessione in classe si è innanzitutto riferita all’importan-za che tale mare ha rivestito nel corso dei secoli. Bacinodi scambi, di migrazioni di popoli, culla di meticciati diusi, tradizioni, costumi e musiche diverse, scandite dai piùsvariati strumenti musicali (egiziani, algerini, spagnoli, ita-liani), che gli alunni hanno scoperto con un breve ma in-tenso viaggio.

Primo incontroNel primo incontro viene illustrato il progetto proponendoai bambini un video costruito sulla canzone Che il Medi-terraneo sia… di Eugenio Bennato. Una scelta non ca-suale, poiché il cantautore napoletano cerca di fartrasparire nei suoi lavori, nelle sue melodie, le con-taminazioni che si sono create nel corso del tempoe della storia. Questa canzone offre un esempio im-mediato di questo aspetto, a partire dal testo,

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15dalle tre lingue presenti (italiano, arabo e francese) e daglistrumenti utilizzati (tamburo darbuka, chitarra, violini, liu-to). Un ulteriore contributo è stato quindi dato facendoscorrere nel video immagini che mostravano luoghi di cul-to, contesti e persone di etnie differenti. In questa fase divisione, i bambini si sono rivelati subito interessati ed en-tusiasti, desiderosi di scoprire il percorso preparato. Si èpoi aperta la conversazione, guidata da un canovaccio didomande precedentemente strutturate, rivolte ai bambinial fine di analizzare la canzone dal punto di vista dei si-gnificati e delle caratteristiche musicali.

Domande sui significati:- Secondo voi che cosa significa questa canzone? A cosa

vi fa pensare?- Perché il Mar Mediterraneo è stato così importante nel

corso dei secoli?- I popoli che viaggiavano nel Mediterraneo secondo voi

che cosa portavano con loro? Perché?- Pensate che muovendosi i popoli si possano essere spo-

state anche delle forme d’arte? Avete esempi da fare?

Domande sulle caratteristiche musicali:- Cosa notate di particolare in questa canzone 1 ?- Ci sono delle voci nella canzone o è solo strumentale?

Le voci vi sembrano liriche o più naturali 2 ?- La musica come vi sembra: allegra o triste?- Il ritmo ritenete sia veloce o lento?- C’è un ritornello? Da chi è cantato? Cosa riconoscete di

particolare?- Riconoscete alcuni strumenti usati nella canzone?- Secondo voi la canzone appartiene alla musica popola-

re 3 ?Se nella fase di progettazione del percorso c’erano statedelle perplessità sulle difficoltà che i bambini avrebberopotuto riscontrare nella comprensione del significato delvideo, queste sono state cancellate dalle loro risposte im-mediate e pertinenti. Hanno subito compreso il perché del-la scelta di una canzone facente riferimento al Mediterra-neo inteso come mare che ha favorito fin dal 3000 a.C. lamigrazione di popoli: essi spostandosi hanno portato con

loro forme d’arte (iconografiche e musicali), usanze, riticulturali e religiosi, ma anche semplici modi di vita quoti-diana giunti, secolo dopo secolo, fino ad oggi. Tutti i bam-bini sono stati in grado di esprimere una propria opinione,sicuramente facilitati dal percorso di studi fatto fino a quelmomento. Infatti gli allievi avevano già affrontato letematiche storico-geografiche legate al bacino del Medi-terraneo, venendo a conoscenza dei popoli che lo avevanoattraversato, colonizzando le sue coste.Una volta contestualizzato il percorso a tale area geografi-ca, la conversazione è continuata con un nuovo ascoltodella canzone, questa volta senza le immagini, in modo dafocalizzare l’attenzione esclusivamente sulle peculiaritàmusicali e orientare i bambini alla discriminazione deglielementi costitutivi del brano. Tutti hanno affermato subi-to che la canzone era bella, coinvolgente, la melodia alle-gra e che il ritmo veloce stimolava il movimento; purtrop-po gli spazi non concedevano la possibilità di movimentiliberi, sebbene si sia comunque riusciti a battere mani epiedi seguendo il ritmo, coinvolgendo attivamente i bam-bini nell’ascolto. Si è successivamente passati al riconosci-mento degli strumenti. È stata quindi illustrata l’intenzio-ne di fare un viaggio lungo il Mediterraneo, scoprendoalcuni degli strumenti musicali principali di quest’area.Le musiche si spostano, si trasformano, si mescolano e sonoproprio gli strumenti a farle viaggiare; certamente non sispostano da soli, ma accompagnati dai popoli che li usanoo li hanno usati, sulle vie dei commerci, delle conquiste,delle migrazioni, del turismo. Abbiamo quindi preso inconsiderazione sette strumenti: il tamburo darbuka (di ori-gine nord africana, presente, come già detto, anche nellastrumentazione della canzone d’apertura), il tamburello(nato con i Fenici), il flauto ney, le nacchere e il liuto (diorigine egizia), la chitarra (presumibilmente nata con gliHittiti) e il violino; tramite una serie di giochi i bambinisono stati guidati alla scoperta di tutti questi strumenti.È stato appeso un cartellone intitolato Come mi chiamo?precedentemente costruito dall’insegnante e raffigurantesolo le sagome degli strumenti scelti. Si è deciso di nonmostrare immediatamente in modo completo gli strumen-ti, così da incuriosire i bambini, incentivandoli alla sco-

1 La domanda voleva accertare quali peculiarità i bambini avesseropercepito al primo ascolto e, grazie ad alcuni suggerimenti del-l’insegnante, se fossero state notate le diverse lingue utilizzatedall’autore.

2 I bambini erano in grado di distinguere consapevolmente fra idue tipi di vocalità avendo precedentemente fatto ascolti specifi-ci e riferimenti mirati ad alcune opere, in particolare alla Turandotdi Puccini e al Nabucco di Verdi.

3 Questa domanda ha avuto il duplice scopo di introdurre la fasesuccessiva del progetto e di presentare il concetto di “musicapopolare” confutando alcune erronee convinzioni presenti nellaclasse. Infatti sebbene la canzone di Bennato non appartenga pie-namente alla musica popolare, in essa vengono riecheggiati ritmie melodie caratteristici della tarantella, danza tipicamente popo-lare. Inoltre gli strumenti utilizzati sono propri del “popolo”, ealcuni di essi sono gli stessi che i bambini hanno poi realmenteconosciuto nel progetto.

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perta. Il gioco consisteva nel risolvere alcune filastrocche/indovinello, scritte da chi ha condotto le attività, celanticiascuna uno strumento. Ogni filastrocca proposta offrivadegli spunti che rimandavano alla civiltà di origine dellostrumento nascosto, al contesto geografico, all’epoca di pro-venienza e infine alla famiglia di appartenenza. Si riportacome esempio quella riferita al tamburo darbuka:

«Il Nord Africa è la mia patriaE un giorno da lì la mia nave è salpata.Egitto, Libia ed AlgeriaFino alle sponde dell’Andalusia!Dum e Tak sono i miei suoniE la mia famiglia son le percussioni.Se ti dico che il mio suono è scuroAllora io sono il t…»

I bambini facilitati dalle rime hanno saputo risolvere confacilità l’indovinello.Il passo successivo vedeva il coinvolgimento di due volon-tari ai quali sono stati affidati compiti distinti: il primobambino ha avuto la mansione di ricercare tra le foto –contenute in una scatola predisposta dall’insegnante – quel-la dello strumento in questione, attaccandola poi nel car-tellone sulla sagoma corrispondente; il secondo invece hadovuto scovare l’immagine dello strumento tra le fontiiconografiche (bassorilievi o affreschi, testimonianza delperiodo storico nel quale lo strumento ha avuto origine),applicandola vicino alla foto corrispondente. Infine un terzoalunno ha letto ai suoi compagni la “carta d’identità” delmedesimo strumento che ne proponeva una descrizione piùaccurata: il luogo e il periodo di origine, i nomi mutati neltempo, il materiale di costruzione e di conseguenza la clas-sificazione. In ultimo abbiamo ascoltato i suoni degli stru-menti e i bambini sono stati molto entusiasti di scopriresonorità fino a quel momento sconosciute 4. Tra gli stru-menti scelti, alcuni sono stati portati a scuola, come peresempio la darbuka, il tamburello, le nacchere. I bambinihanno quindi avuto la possibilità di sperimentare diretta-mente il suono, improvvisando dei ritmi.

Analogamente a quanto proposto per il tamburo darbuka,per scoprire ciascuno strumento è stato seguito un medesi-mo percorso, così riassunto:- lettura della filastrocca;- risoluzione dell’indovinello;- ricerca da parte di due alunni dello strumento e della

fonte iconografica corrispondente;- lettura della “carta d’identità” dello strumento;- ascolto del suono dello stesso;- ritmi improvvisati con gli strumenti reperiti.

In questo modo, passo dopo passo i bambini hanno com-pletato il cartellone.Durante le letture delle filastrocche, sono state spiegateparole o concetti che non erano ben chiari a tutti; per quantoriguarda la classificazione degli strumenti musicali si è do-vuto insistere per far comprendere la differenza tra mem-branofoni e idiofoni attraverso esempi concreti che i bam-bini hanno potuto verificare guardando e ascoltando. Al-tre insicurezze sono poi sorte in relazione ai diversi nomiassunti dagli strumenti; in questo caso è stato spiegatoche, a seconda dei luoghi, ogni oggetto si chiama in mododiverso; così capita anche per gli strumenti musicali (bastipensare anche a ciò che succede con i dialetti italiani).Sono stati forniti alcuni esempi in merito: la darbuka ara-ba può essere chiamata tabla in Egitto (da non confondersicon l’omonimo strumento indiano), darabuka o darbuka inTurchia, derbocka o debleck in Marocco o Tunisia.L’esame del materiale di costruzione è stato un altro mo-mento che ha suscitato stupore e interesse negli allievi.Sapere che le membrane della darbuka sono fatte con lapelle di pesce o di capra ha fatto comparire nei loro voltiespressioni di disgusto, ma anche divertimento. Alla lororichiesta di sapere il perché di tale caratteristica, è statospiegato che questi animali sono numerosi proprio nellezone d’origine dello strumento.Completata la costruzione del cartellone i bambini eranoconsapevoli che gran parte degli strumenti musicali aves-sero avuto origine nell’antico Egitto; testimonianza di ciò,oltre alle fonti iconografiche ritrovate nelle pareti delle pi-ramidi, erano gli strumenti rinvenuti intatti presso isarcofagi dei Faraoni. Tali rinvenimenti archeologici sot-

4 Gli ascolti proposti sono disponibili sul sito www.musicadomani.itnella sezione Materiali.

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17tolineavano, come loro già ben sapevano, che il culto dellamorte era molto importante per questa civiltà, e che spessoveniva celebrato con danze e musiche.Successivamente, è stata costruita una carta geografica del-l’area mediterranea, con tutti i Paesi che vi si affacciano.Sono stati lasciati degli spazi in cui i bambini hanno potu-to attaccare i disegni di tutti gli strumenti del percorsodidattico. L’intento di quest’attività era duplice: la verificadella conoscenza da parte dei bambini dei paesi d’originedegli strumenti; quindi la scoperta dei viaggi di cui i me-desimi strumenti sono stati protagonisti.Ancora una volta il lavoro è stato proposto con attivitàludiche. I bambini sono stati chiamati a coppie di fronte a“un bastimento” carico di immagini degli strumenti: il lorocompito era quello di sceglierne uno e collocarlo nella zonagiusta della cartina; il coinvolgimento era evidente: bisbi-gliavano e si consultavano per non errare la posizione.Una volta scelta la giusta collocazione, gli allievi hannopotuto vedere, grazie a delle frecce rosse già posizionatesul cartellone, lo spostamento dello strumento nell’areaMediterranea.In chiusura, l’intera carta geografica è stata coperta conun lucido precedentemente preparato, al fine di mostrare ilraggio d’azione degli arabi nel Mediterraneo, così da farcomprendere come l’influenza musulmana, anche nell’am-bito della cultura musicale, sia stata determinante. Si èletta quindi l’ultima filastrocca intitolata L’impero deglistrumenti, e sono stati ascoltati brani di diversa prove-nienza in cui era evidente l’uso degli strumenti musicalipresi in esame: brani spagnoli, marocchini, egiziani e ita-liani (campani, pugliesi, calabresi, siciliani).

Secondo incontroDurante la seconda giornata di attività, dopo un “gioco deimimi” confezionato su misura (i bambini sono infatti statichiamati a interpretare gli strumenti conosciuti nella le-zione precedente), abbiamo costruito insieme alcune pic-cole darbuka. Sebbene i materiali fossero di recupero (deivasi di plastica dura senza il fondo, scotch, elastici di di-versa misura e dei ganci di ferro per fissarli), il risultato èstato sorprendente! Grazie alle indicazioni date al fine difacilitare il lavoro, i bambini in meno di dieci minuti sonostati in grado di costruire ben dieci tamburi.Successivamente è stato appeso un cartellone rappresen-tante una sequenza ritmica quaternaria, scritta in notazio-ne tradizionale e suddivisa in sedici battute, che i bambiniavrebbero dovuto suonare con il tamburo. Prima abbiamoperò riflettuto insieme, per comprendere quali fossero leloro conoscenze pregresse. La discussione si è soffermatasu alcuni aspetti peculiari:- comprensione del perché lo spartito del tamburo è prov-

visto di un unico rigo. Non è stato difficile comprende-re il concetto di “suono indeterminato”: l’altezza dellenote non può variare in modo esatto, ciò che può cam-biare è principalmente l’intensità, che dipende dalla forzacon cui si percuotere lo strumento;

- riflessione sulla misura del tempo situata all’inizio delrigo musicale. I bambini già sapevano che tale indica-

zione è posta dopo la chiave: il numero superiore indi-ca il numero dei movimenti (pulsazioni) in cui è divisala battuta, mentre il numero inferiore la durata di ognimovimento;

- riflessione sulle figure musicali presenti in ogni battu-ta: tutti gli alunni erano già a conoscenza delle figuremusicali, del loro nome, valore e relative pause. Sape-vano quindi che ogni battuta deve contenere esatta-mente il valore indicato dal metro. Questo valore si ot-tiene sommando figure musicali e pause non necessa-riamente della durata di 1/4, ma anche dei suoisottomultipli.

Dopo la discussione collettiva per decifrare la sequenzaritmica siamo passati all’azione e prima di impugnare iltamburo, tutti insieme battendo le mani e aiutandoci conle onomatopee corrispondenti a ciascuna figura musica-le, abbiamo cantato e “battuto” il ritmo; la semiminimacorrisponde all’onomatopea TA; la croma a TI; e la minimaa TA-A, mentre la pausa a SILENZIO. Il risultato è stato ilseguente:

// TA TA TA SILENZIO / TA TA TA SILENZIO / TA TA TA SILENZIO / TA TA TA SILENZIO /

TA TA TI TI SILENZIO / TA TA TI TI SILENZIO / TA TA TI TI SILENZIO / TA TA TI TI SILENZIO /

TA TI TI TI TI TA / TA TI TI TI TI TA / TA TI TI TI TI TA / TA TI TI TI TI TA /

TA-A TA-A / TA-A TA-A / TA-A TA-A / TA-A TA-A //

La classe è stata poi suddivisa in due gruppi. Un gruppo hariprodotto la sequenza ritmica con le mani, mentre all’al-tro gruppo sono stati affidati i tamburi precedentementerealizzati e due piccole darbuka portate dall’insegnante; inun secondo momento i gruppi si sono invertiti. Sono statidati dei suggerimenti su come sorreggere il tamburo (sottoun braccio, o tra le gambe), sottolineando che l’importanteera lasciare un’apertura per l’uscita del suono in fondo allostrumento. Il risultato è stato subito soddisfacente: i bam-

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18 bini hanno riprodotto nell’immediato la sequenza in ma-niera corretta.Sono poi state introdotte delle variazioni:- variazione dell’intensità: il brano è stato eseguito dif-

ferenziandone l’intensità: forte/mezzo forte, mezzo pia-no/piano. Per indicare in quali battute questa dovesseessere variata, sono state utilizzate quattro figure cherappresentavano simbolicamente le diverse intensità:leone, mezzo leone, mezzo pulcino, pulcino;

- variazione della sonorità (del timbro e dell’altezza): giàdurante la prima giornata i bambini avevano conosciu-to i due colpi principali del tamburo che prendono ilnome di Dum e Tak. Anche se il suono del tamburo èindeterminato, il colpo Dum, dato al centro della mem-brana, è più grave rispetto al Tak, che si ottiene batten-do ai margini della stessa. Sono quindi stati invitati glialunni a riprodurre lo stesso ritmo alternando i due colpidapprima liberamente, poi associandoli alle diverse fi-gure musicali. Il Dum per le semiminime, il Tak per lecrome o viceversa e Dum/Tak alternati per le minimedelle ultime quattro battute; abbiamo poi pensato insie-me nuove soluzioni complicando la sequenza ritmica;

- esecuzione a canone: solitamente il canone è utilizzatoassociato al canto e il principio su cui si fonda è quellodella ripetizione esatta del tema base da parte di unavoce imitante (dux è la voce principale che inizia a can-tare il motivo, comes è la seconda voce che canta lostesso motivo partendo con alcune battute di ritardo).La classe è stata quindi suddivisa, come in precedenza,in due: un primo gruppo ha cominciato a suonare ilritmo con il tamburo, mentre il secondo ha cominciatoa riprodurre la stessa sequenza a quattro battute di di-stanza.

Il lavoro si è concluso con questa attività.

In conclusioneNonostante i tempi ridotti, i risultati sono apparsi lusin-ghieri soprattutto perché i bambini hanno risposto in ma-niera positiva, interessati e coinvolti fin dall’inizio. Per la-sciar loro un ricordo del percorso svolto, sono stati realiz-zati trenta CD audio contenenti le musiche ascoltate insie-me durante la prima lezione; il regalo è stato molto ap-prezzato. Il giorno successivo, tornando a scuola, i bambi-ni erano così entusiasti che hanno riferito di aver ascoltatoil CD più volte.Tuttavia, nonostante i risultati ottenuti, ritengo che unodei punti più critici del progetto sia stato quello di utiliz-zare uno spartito per aiutare i bambini nel riprodurre lesequenze ritmiche. Riflettendo a posteriori, infatti, è utilenon dimenticare che tra le caratteristiche principali deimondi musicali fatti incontrare ai bambini si trova la fortetradizione orale: essa si manifesta attraverso l’improv-visazione e prescinde spesso da riferimenti a una notazio-ne scritta. La scrittura convenzionale e la divisione ritmi-co-metrica che ho proposto è di chiara impostazione occi-dentale. Sarebbe stato probabilmente più pertinente pre-sentare ai bambini formule ritmiche da ripetere, ad esem-pio, per imitazione, attraverso l’utilizzo combinato delle

onomatopee Dum e Tak, dando loro la possibilità di me-morizzarle dapprima con la voce, per poi suonarle con iltamburo. Così, invece di partire dalla lettura, avrei potutopiù coerentemente servirmi dell’imitazione: i bambini avreb-bero potuto ripetere ad eco con le mani, con i piedi o con iltamburo stesso, alcuni ritmi proposti da un conduttore. Hoverificato che la lettura, in questo caso, irrigidisce queimovimenti che nella cultura musicale araba sono invecepiù liberi e improvvisati. Forse, così facendo, i bambiniavrebbero probabilmente conosciuto più profondamenteuna musica “altra” anche negli aspetti che riguardano leprocedure di esecuzione, concentrandosi molto di più sul-l’ascolto e sul modo e i movimenti per suonare lo strumen-to piuttosto che sul segno grafico. Le valutazioni che ori-ginariamente ho fatto per l’utilizzo di una partitura scrittaerano relative all’idea che i bambini in questo modo avreb-bero potuto coniugare due tradizioni musicali diverse: dauna parte suonare la darbuka, dall’altra seguire uno sparti-to, rafforzando così anche le competenze di letturapregresse.In conclusione, nonostante alcuni punti critici, ritengo checon l’esperienza complessiva i bambini abbiano scoperto ilgusto di avvicinarsi a musiche diverse, riuscendo ad allon-tanarsi da visioni pregiudiziali che annullano realtà cultu-rali diverse dalle proprie. È stato inoltre interessante averela conferma di quanto efficacemente la musica permetta disvolgere progetti interdisciplinari spaziando fra luoghi,epoche e culture lontane. E forse il punto di forza del brevepercorso che ho condotto all’interno della scuola primariapuò essere proprio questo: utilizzare la musica nell’otticadell’interdisciplinarità e delle contaminazioni culturali.

BibliografiaMAURIZIO AGAMENNONE - SERENA FACCI - FRANCESCO GIANNATASIO - GIOVANNI

GIURIATI, Grammatica della musica etnica, Bulzoni, Roma 1991.JOHN BLACKING, How musical is man?, University of Washington Press,Seattle 1973 (trad. it. Come è musicale l’uomo?, Ricordi-Unicopli,Milano 1986).FRANÇOIS DELALANDE, Le condotte musicali. Comportamenti e motivazionidel fare e ascoltare musica, CLUEB, Bologna1993.CARLO DELFRATI, Il maestro ben temperato. Metodologie dell’educazionemusicale, Edizioni Curci, Milano 2009.GUIDO FACCHIN, Le percussioni, EDT, Torino 2000.ANNA MARIA FRESCHI, Movimento e misura: esperienza e didattica del rit-mo, EDT/SIEM, Torino 2006.MAURIZIO DISOTEO, Didattica interculturale della musica, Quadernidell’interculturalità, n. 7, EMI, Bologna 1998.MAURIZIO DISOTEO, Antropologia della musica per educatori, Guerini, Mi-lano 2001.Musiche, culture, identità. Prospettive interculturali dell’educazionemusicale, a cura di Maurizio Disoteo, Barbara Ritter, Maria Silvia Tas-selli, FrancoAngeli, Milano 2001.MAURIZIO DISOTEO - MARIO PIATTI, Specchi sonori. Identità e autobiografiemusicali, FrancoAngeli, Milano 2002.SERENA FACCI, Capre, flauti e re. Musica e confronto culturale a scuola,in collaborazione con Annarita Colaianni e Erasmo Treglia, EDT, Torino1997.ELITA MAULE, Storia della musica: come insegnarla a scuola, ETS, Pisa2007.ALAN P. MERRIAM, The anthropology of music, Northwester UniversityPress, Evanston (Illinois) 1964 (trad. it. Antropologia della musica,Sellerio, Palermo 1983).

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liCappuccetto noirArianna Sedioli

Esterno notte. Una casetta isolata inmezzo al bosco. All’interno, una lucefioca. Nel letto dell’unica stanza, infa-gottata, la Nonna. Come sempre, aspettapazientemente Cappuccetto Rosso chele porti la cena. E, come sempre, la bam-bina è in ritardo. Invece arriva pun-tuale, anzi puntualissimo, il Lupo. Scal-tro, più della faina, pensa di aver tro-vato la chiave per farsi aprire la porta.Sa che la Nonna ha un debole per labuona tavola e potrà prenderla per lagola. Ed eccolo, sotto mentite spoglie,sciorinare un menù da far invidia alpiù raffinato degli chef!«Toc toc! C’è qualcuno che bussa pianpiano. – Mi sembra di aver sentito unrumore… Ma certo che sì: c’è qui Sal-vatore! Su, aprimi in fretta: ti porto lacena, mia cara nonnetta. – Ripeti ti pre-go. – Nonna, son Diego, non so se mispiego… La mia pizza a domicilio man-da tutti in visibilio!».Ciò che il Lupo non sa è che le debo-lezze della Nonna in realtà sono due:la gola, certamente, ma anche le orec-chie. Insomma, la Nonna è più sorda diuna vecchia campana!«Che cosa? Che hai detto? Sei tu Cap-puccetto? Vuoi farmi uno scherzo? –Sono il barbuto Oderzo! Ho qui il miocarrello con dentro la spesa, e in fondoci ho messo anche una sorpresa!».Ma la Nonna è proprio dura di orecchie, lamentandosi di essere in là con glianni e di non sentirci proprio così bene,invita il misterioso visitatore a ripeterescandendo bene le parole e a parlarepiù chiaro. «Sono Gennaro! E sono al-quanto stufo, sordissima nonnetta!Apri, vado di fretta!».Il gioco di domande e risposte fra laNonna e il povero Lupo (è il caso didirlo), affranto e stordito da tanta dif-ficoltà, si fa sempre più serrato e di-vertente. Gli equivoci, provocati dallasordità della simpatica vecchietta, di-ventano un perfetto pretesto letterarioper la costruzione di un dialogo esila-rante, particolarmente adatto alla let-tura ad alta voce, anche perché scrittocompletamente in rima. Mentre le pa-

role della Nonna mantengono un ca-rattere tipografico piccolo e sempreuguale, le parole del Lupo diventano,pagina dopo pagina, sempre più gran-di. La rabbia esasperata del Lupo vienetradotta efficacemente dalla grafica, cherende perfettamente visibile un crescen-do effervescente culminante nella fra-se: «Sono Vercingetorige: tu sfidi la miaira! Qui salta tutto in aria, se soltantomi gira!». Il lettore può utilizzare il li-bro come una partitura, lasciandosiguidare dalla grandezza dei caratteri perla traduzione delle intensità e da unapunteggiatura rigorosa che suggerisceritmi regolari e cadenzati (la Nonna),incalzanti e ansimanti (il Lupo).Per quel che riguarda la timbrica vo-cale, i colori da utilizzare sono inequi-vocabilmente contrastanti: acuti e stri-denti per la Nonna, cupi e scuri per ilLupo, proprio come quelli che evocanole magnifiche illustrazioni realizzate innero, rosso e bianco.Questa originale versione di Cappuc-cetto Rosso, dal titolo Aprite quellaporta! (il titolo originale, è La nuit duvisiteur), è dello scrittore e illustratorebelga Jacques Benoît e si è meritata,nel 2008, il prestigioso Prix Baobab, ilpiù importante premio francese per glialbi illustrati 1.L’autore concentra la sua attenzione suun unico momento narrativo: quandoil Lupo bussa alla porta. Ma il perso-naggio cattivo non viene sconfitto dalcacciatore, come nella fiaba dei fratelliGrimm, ma dall’arma dell’ironia e delsarcasmo.Questa proposta letteraria, dedicata al-l’infanzia ma straordinaria anche per igrandi, è un vero e proprio capolavorodi prosodia musicale e si può proporreai bambini sotto forma di narrazionedrammatizzata, coinvolgendoli comeascoltatori, ma anche come co-autoridella sonorizzazione. Alcune frasi oparole possono essere recitate coral-mente, altre distribuite a voci singole,dando modo ai bambini di sperimen-tare gamme di colori acuti e gravi, rit-mi regolari e lenti, accelerati e rallen-

tati, variazioni dinamiche. La tramasonora può essere arricchita da inter-pretazioni strumentali e da effettirumoristici inventati ed eseguiti daibambini, ma anche da inserti musicalid’autore 2.Le composizioni musicali possono “ar-monizzarsi” con le illustrazioni del li-bro, ingrandite e variate creativamenteattraverso l’utilizzo di teatrini delleombre, lavagne luminose e videoproiet-tori o rese tridimensionali costruendoscenari e personaggi di legno, gom-mapiuma, poliuretano espanso, stof-fa. Inoltre, la Nonna e il Lupo posso-no diventare personaggi fonosimbolici,sfruttando tubi di cartone, imbuti ekazoo come modificatori delle altezzee delle timbriche vocali, opportunamen-te assemblati a sagome, marionette eburattini.È sicuramente interessante proporre aibambini un’altra versione “musicale” diCappuccetto Rosso, scritta sotto formadi ballata da Roberto Piumini 3. L’auto-re riscrive la fiaba in versi di undicisillabe con le rime che si baciano ordi-natamente. «La porta è chiusa. Piano,il Lupo bussa. La nonna dorme. Non losente, e russa. Il Lupo bussa forte: dalsuo letto la nonna chiede: “Chi è?”“Cappuccetto!”, risponde il Lupo conla voce fina. “Tira il paletto ed entra,piccolina!”». E proprio come una par-titura di ballata, ha tra le righe del te-sto quelle della musica, infatti tra ver-so e verso corre una striscia ritmata diillustrazioni. Una ballata di parole e difigure, da leggere e da guardare conocchi agili, saltando tra i due fili di rac-conto che si fanno compagnia.

1 JAQUES BENOÎT, Aprite quella porta!,Orecchio Acerbo, Roma 2009.

2 Per una selezione di musiche “nere”:Sorcières, magiciens, trolls & lutins,Musique classique pour les enfants,vol. 4 Decca-France.

3 ROBERTO PIUMINI, La ballata di Cap-puccetto Rosso, Edizioni E. Elle, Trie-ste 1990.

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Il presente lavoro traccia un quadro dei problemi posturaliche possono presentarsi nello studio di uno strumento afiato e in particolare dell’oboe, indicando all’insegnantestrategie che aiutano l’allievo a costruire un buon rapportocon il proprio corpo e con lo strumento.

Il buon uso di sé consiste nell’attivare positivamente ilproprio corpo, muovendosi con la miglior coordinazione eil massimo equilibrio, utilizzando la sola energia necessa-ria, evitando sprechi e tensioni inutili. Se gestiamo male ilnostro organismo, col tempo possono instaurarsi malfunzio-namenti corporei nocivi al benessere e al rendimento fisi-co e mentale. Alimentati da stili di vita sbagliati, posizionifalse, eccesso di stress, questi processi dannosi minaccianoanche la salute dei musicisti, spesso sedentarizzati o indi-rizzati verso attività fisiche non opportune.Le posizioni della pratica strumentale rinforzano l’uso deimuscoli della statica 1 che, se non compensato, rischia dicreare tensione permanente a intercostali, spalle, braccia,avambracci e mani. La morfologia muscolare del musici-sta si fa disarmonica: ipertonica o ipotonica, scatenandodolori 2, cattivo funzionamento, riduzione delle capacitàrespiratorie e attentive (Brazzo 1993). La zona del collo,dalla quale partono i nervi cervicali che si irradiano ver-so faccia, corde vocali e arti superiori, può diventare cro-cevia di tensioni e squilibri compromettenti il buon fun-zionamento generale. Una consapevolezza corporea di-fettosa e i conflitti inconsci con l’ambiente possono ag-gravare i problemi che sono causa o effetto del cattivouso di sé, manifestandosi con tensioni alla muscolaturafacciale, a spalle, gomiti e zona subascellare, a raccorditra arti e tronco.Pericolose sono le abitudini (come sedersi, come porsi da-vanti al leggìo, al docente o al direttore d’orchestra, comemaneggiare lo strumento, come agire e reagire di fronte adaspetti tecnici, in concerto o in esame), meccanismi appli-cati nel tempo che standardizzandosi diventano una se-conda natura, rendendoci incapaci di sentire le tensioni.

Federico Capaccioli

Posturae pratica strumentale

1. Bocca - labbra2. Muscoli facciali3. Mandibola4. Collo5. Spalle6. Mano sinistra (pollice vs indice)7. Mano destra (supporto del pollice)8. Zona subascellare9. Gomiti10. Muscoli intercostali11. Diaframma12. Muscoli addominali13. Bacino14. Angolazione variabile dello strumento15. Poplite16. Ginocchia17. Avampiede (ball of feet)18. Angolazione variabile del corpo

Bilanciamento peso corporeo

direzionalità verticale

Schema generaleposizione corretta

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I movimenti scoordinati, dannosi, inefficaci e dispendiosici paiono corretti, comodi e naturali.Occupandoci di studenti in crescita, dobbiamo adottare stra-tegie atte a un sano approccio allo strumento, evitandomovimenti e posture che, se ripetuti, rinforzano squilibricorporei improduttivi e nocivi. Quanto segue, benché pos-sa sembrare dedicato principalmente all’oboe, cerca di es-sere utile anche a docenti di altri strumenti, analizzandopossibili malfunzionamenti corporeo-strumentali e propo-nendo idee e soluzioni.

Iniziare bene«Chi falla in appuntar primo bottone,né mezzani né l’ultimo indovina.»(Giordano Bruno, Il Candelaio, atto V, scena XX)

Con i principianti è auspicabile dar spazio al lavoro sullesensazioni corporee, cercando di renderli protagonisti delpersonale processo di apprendimento che porta all’adeguatocontrollo di sé e dello strumento. Una guida competente farisparmiare tempo, fatica e amarezze, evitando strade sba-gliate, approcci distratti e rischiosi. Iniziare male può pre-giudicare il percorso strumentale anche dei più dotati. Ènecessario creare le condizioni affinché l’allievo trovi lapostura ottimale, intesa non come rigida posizione da co-piare e mantenere, ma come atteggiamento efficace, ripro-ponibile nel tempo, fatto di equilibri dinamici muscolari ingrado di regolare stato di tensione, direzione e intensità dimovimento.L’insegnante, intervenendo su problemi derivanti da mal-funzionamenti posturali-strumentali, deve tener conto dellafisiologia umana, delle caratteristiche dell’alunno, del per-corso da far compiere, evitando cambiamenti radicali eimprovvisi, difficili da realizzare e talvolta pericolosi. Ognimutamento richiede energie e tempo: nel proporlo si rendaconsapevole l’allievo su cause e natura del problema, di-mostrandone l’effettiva presenza, verificando se è davverodisposto e convinto a cambiare.Rimuovere le cause del cattivo uso è tutt’altro che facile:l’apprendimento di nuovi schemi corretti passa dalla rin-novata percezione di sé, dei propri gesti e si rafforza attra-verso l’ascolto del risultato e delle sensazioni provate. Ognimovimento localizzato produce compensazioni nell’equi-librio corporeo generale, ogni tensione incontrollata negenera altre. Per questo dobbiamo valutare e correggereogni singolo gesto nel contesto della postura globale.L’esplorazione può essere estesa alla quotidianità: senzastrumento si può sviluppare il modo di ascoltare il corpo,sperimentare nuovi usi, trasferendo poi nella pratica stru-mentale le conquiste ottenute. Con lo strumento invece èmeglio non concentrarsi subito sul problema specifico, mapartire dal generale occupandosi poi del particolare, di-

stendendo le parti attive verso la direzione corretta perottenere il risultato con la massima facilità e decontrazione.Gli studi di Alfred Tomatis evidenziano la stretta correla-zione tra ascolto, psiche (meccanismi percettivi di selezio-ne) e postura (l’orecchio interno è anche organo di equili-brio). Ascolto, postura, respirazione, imboccatura, attaccoe controllo dell’emissione sono in rapporto reciproco: ciòche avviene in uno di questi ambiti influisce inevitabil-mente sugli altri. Un principiante può trovare difficoltà acontrollare azioni complesse, a concentrarsi su molte coseassieme non mentalmente organizzate, condizionato spes-so da ansiogene motivazioni intrinseche ed estrinseche.

RespirazioneUna corretta educazione respiratoria evita che usi di sé eluoghi comuni errati producano danni, tensioni e sovrac-carichi psicologici.Il diaframma è a torto considerato elemento fondamentalenel concetto di fiato come sostegno: si dice di sostenere lanota con il diaframma, ma questo muscolo semivolontarioche divide la cavità addominale da quella toracica è parteattiva solo nell’ispirazione, e non nell’espirazione. Nell’ispi-razione esso, ridimensionandosi, si appiattisce verso il basso,permettendo l’espansione verticale del volume toracico che,aumentando lo spazio d’estensione dei polmoni, causal’aspirazione dell’aria esterna. Nell’espirazione il diafram-ma si rilassa e, in regime di non opposizione, torna nellaposizione a forma di cupola. Il volume riducendosi au-menta la pressione intratoracica che espelle aria.Gli intercostali sono due strati di muscoli sovrapposti: al-cuni si contraggono durante l’inspirazione, altri durantel’espirazione. Questo attivarsi in direzioni opposte agiscesul controllo respiratorio. Per insufflare aria negli strumentiè necessaria un’azione maggiore rispetto alla sempliceespirazione. Non essendo sufficienti gli intercostali si usa-no i muscoli addominali, più forti e in posizione più van-taggiosa. Non è dunque il diaframma a determinare la bontàdell’emissione, ma il modo in cui usiamo gli addominali insinergia con intercostali e resto del corpo.Paragoniamo il torace a una stanza con le costole comepareti, il diaframma come pavimento e la gola come unbuco nel soffitto. Per ottenere una corretta sensazione d’usodegli addominali è necessario prendere fiato abbassando ildiaframma. Se i primi sono correttamente rilassati, l’addo-me si espande come se si riempisse (in realtà l’aria è neipolmoni e non scende oltre il diaframma). Questo abbassa-mento del pavimento aumenta il volume, riduce la pressio-ne e l’aria viene introdotta nella stanza. Quando il pavi-mento viene lasciato tornare in sede (contraendo gli addo-minali, il diaframma si rilassa) la pressione aumenta e l’ariaesce. Agendo in modo fluido e silenzioso, la sinergia dinaso e bocca permetterà rapidi respiri e imboccatura con-trollata. Per gli strumentisti a fiato la corretta respirazioneglobale è basilare per creare/mantenere una colonna d’ariain movimento. Per gli altri respirare bene fornisce fonda-mentale apporto sul piano energetico, influendo sul fisicoe sulla sfera cognitiva ed emotiva.L’oboe richiede una buona meccanica respiratoria con un

1 I muscoli statici o della statica sono quelli che permettono divincere la forza di gravità, cioè lavorano più o meno sempre persorreggerci [ndr].

2 Prima a farne le spese è la schiena con lombaggini, dorsalgie,torcicollo e cervicalgie.

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22 flusso di poca aria compressa dosata da pressione costan-te. L’oboista, per sostenere una nota, è limitato non tantodalla pressione e quantità d’aria, ma dalla capacità di agirein una sorta di apnea.L’imboccatura interna elimina la dispersione di fiato (aspettocruciale negli strumenti alle prese con la cosiddetta “eco-nomia d’aria”) ma produce l’accumulo d’aria “vecchia” daespellere. La piccola fessura dell’ancia oppone resistenzamaggiore rispetto ad altri strumenti.La gestione errata dei respiri negli strumenti a fiato dipen-de anche da disorganizzazione rispetto al fraseggio, movi-menti corporei inutili, eccessiva tensione a nuca, mandi-bola, spalle, ascelle e braccia. Una respirazione non ade-guata porta anche a problemi di attacco, dinamica e into-nazione.

In piedi o seduti?Molti didatti consigliano di suonare in piedi per favorireascolto, respirazione e movimento, ma eretti o seduti l’im-portante è agire bene, favorendo un atteggiamento corpo-reo sano e funzionale. In piedi, gambe leggermente divari-cate, il peso corporeo va distribuito simmetricamente fra idue piedi ed equamente sulle piante (50% parte anteriore50% posteriore). I talloni non vanno incassati al suolo, leginocchia non devono essere bloccate ma mobili per bi-lanciare il peso e supportare i movimenti. Il bacino, rac-cordo tra gambe e rachide, deve essere in linea, né in avantiné indietro. L’asse schiena-collo-testa (vedasi tecnicaAlexander) è la chiave per un giusto equilibrio e una salu-tare direzionalità verticale che dovrebbe accompagnare eregolare i movimenti. La schiena va pensata lunga e largain espansione, le braccia vanno percepite leggere, rilas-sando spalle e gomiti, veri raccordi tra mani e schiena.Tra gli errori nell’uso di sé è frequente mandare la testaall’indietro, contrarre la nuca, interrompere il riflesso diverticalità verso l’alto del suddetto asse, con squilibri econseguente sforzo compensatorio in altri distretti cor-porei. Si evitino errori come busto spostato verso destra,spalla sinistra sollevata, testa inclinata su un lato per com-pensare l’impugnatura asimmetrica (destra sotto-sinistra

sopra), busto afflosciato, ascelle tese, spalle chiuse e con-tratte.Da seduti rilassiamo caviglie, ginocchia e bacino mante-nendo la suddetta direzionalità. Poggiamo gli ischi sullasedia, senza spingere la schiena allo schienale, evitandoche pòplite 3 e retrocoscia entrino in tensione o siano pre-muti contro la sedia. Le ginocchia non devono essere trop-po vicine né troppo lontane fra loro, i piedi non scivolatiindietro ma ben poggiati a terra, le gambe non stese avan-ti, incrociate o accavallate. Fare attenzione anche all’al-tezza della seduta: troppo alta farà penzolare i piedi, co-stringendo a contrarsi sulle punte o agganciarsi alle zam-pe; troppo bassa creerà tensione ai polpacci, favoriràl’afflosciamento del busto, lo squilibrio addominale e lospostamento delle gambe. Può essere opportuno mettersiin ginocchio seduti sui talloni come in una posizione yoga:rilassa la schiena e facilita la corretta respirazione.L’altezza del leggìo va regolata in modo che l’allievo veda epossa essere visto dall’insegnante, riuscendo a leggere la par-te comodamente muovendo lo sguardo e non la testa, senzaposizioni artificiose del collo nocive a emissione e benesserepsicofisico, come “affondare” la faccia in avanti sul foglio.

Con lo strumentoLe peculiarità di ogni strumento rendono specifica questaparte di trattazione. L’oboe, strumento ad approccio sim-metrico, si tiene centrale davanti al corpo impiegando en-trambe le mani: la sinistra agisce sulla parte superiore del-la tastiera mentre la destra, posta su quella inferiore, so-stiene lo strumento con il pollice sul poggiadito. L’azionedi questo dito è un importante aspetto didattico-strumen-tale, poiché da lì possono partire problemi motori dell’artoe comportamentali in genere. La mano destra regola anchel’angolo d’incidenza dello strumento, ricevendo collabora-zione nella stabilità del maneggio dal meccanismo di op-posizione pollice-dita dell’altra mano, che impedisceribaltamenti in avanti.Nonostante questi punti di intersezione tra oboe e esecutoresiano rilevanti, la sede dove si affrontano le sfide maggioriresta la bocca (labbra e muscoli facciali), vero punto di con-

Posizione errata seduto A Posizione errata seduto B Posizione errata in piedi A Posizione errata in piedi B

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tatto tra ancia, corpo e mente. Nell’homunculus 4 della cor-teccia di Rolando (settore del cervello dove sono localizzatele aree motorie e sensoriali) labbra, lingua e pollice occupa-no ampi spazi (v. Figura 1): potendo compiere movimentimolto dosati, risultano più sensibili e più comunicanti. Semal usate, queste aree, oltre a produrre effetti poco apprez-zabili, possono innescare malfunzionamenti corporei speci-fici che, insieme a quelli legati a respirazione (addome) epostura (schiena, arti, collo), sono i principali ostacoli allacorretta motricità negli strumenti a fiato.L’oboe si gestisce con mani rilassate senza stringere, gomi-ti collocati a un angolo di circa 35°-50° dai fianchi, polsiin asse e pollici messi in modo da non proiettare le altredita oltre la linea della tastiera. Queste si posizionano so-pra i tasti o vicine ad essi, non stirate ma arcuate natural-mente, mai troppo lontane rispetto al fusto dello strumen-to o scivolate sotto di esso. La posizione flessibile dellemani permette ai mignoli di raggiungere con la primafalange tutte le chiavi a loro destinate. Esiste una recipro-ca relazione tra posizionamento delle dita e postura di pol-si e braccia, come tra tensione degli avambracci e rigiditàdi palme e falangi. Polsi troppo piegati, rompendo l’asseideale tra gomito e dita, impediscono il corretto diteggiare.Con braccia e gomiti troppo vicini al corpo, le dita si stira-no, si alzano allontanandosi dalla tastiera. Occorre fareattenzione all’anomalia funzionale delle falangi, che perdebolezza legamentosa/muscolare possono distribuirsi fuoriasse. Spesso l’allievo contrae i mignoli anche se non coin-volti nelle diteggiature, o avvicina troppo le dita tra lorogettandole poi di colpo sui tasti. Il peso sul pollice destropuò produrre progressivi mutamenti di postura: rannic-chiarsi seduti poggiando l’avambraccio sulla coscia; ab-

bassare la spalla destra; avvicinare eccessivamente il brac-cio-gomito destro al busto con costrizione del torace; irri-gidire l’avambraccio con dita tese, scomposte e lontanedai tasti.A lezione possiamo aiutare il principiante sorreggendo lacampana dello strumento. Ma cosa fare quando è da solo?Il collarino elastico regolabile è una soluzione che lascialiberi i movimenti, ma per certi soggetti risulta dannososcaricare il peso sul collo, propagando tensione verso spal-le, braccia e sterno. Per ovviare al problema potremmo idea-re imbragature adattate alla conformazione del soggettoche non gravino su respirazione e movimenti. Parimentivalida l’idea di proporre un’esperienza di strumento alleg-gerito tramite cavo agganciato al soffitto. Una volta fattarecepire la nuova situazione si può tornare all’assetto rea-le, trasferendo in esso le nuove conquiste in termini di usodi sé e di maneggio dello strumento.

ImboccaturaL’imboccatura presenta variabili determinate da fattori comele caratteristiche fisiche del soggetto (denti, labbra, con-

3 Zona posteriore del ginocchio [ndr].4 L’homunculus motorio è la rappresentazione somatotipica del-

l’estensione delle aree motorie sulla circonvoluzione precentraledel telencefalo (area 4 secondo Brodmann), in cui troviamo larappresentazione somatotopica, cioè la mappa delle aree motorierelative ad ogni distretto corporeo. L’ampiezza delle diverse por-zioni corticali dedicate ai singoli distretti corporei non corrispon-de alle dimensioni delle corrispondenti parti periferiche, ma è pro-porzionale alla frequenza e alla complessità dell’uso che il singo-lo individuo fa di quella parte [ndr].

Figura 1Omuncolo di Rolando.A sinistra omuncolo motorio, mappa con i centri di controllo dell’attività motoria.A destra omuncolo sensoriale, mappa delle aree sensoriali corrispondenti a ogni parte del corpo.

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24 formazione cranico-mandibolare) e il tipo di ancia usata. Èdifficile quindi avere due imboccature corrette esattamen-te uguali. L’allievo perciò dovrà essere messo in grado diprogredire verso la giusta personale imboccatura, non solograzie all’imitazione del maestro, ma anche attraverso lasperimentazione guidata e il confronto fra indicazioni, sen-sazioni propriocettive e risultato ottenuto. Un’imboccatu-ra valida rispetta comunque tre principi base: permetterela tenuta d’aria con l’ancia, rapportare in modo flessibileancia e labbra, mettere l’ancia nella posizione convenienterispetto alla lingua (v. Figura 2).I problemi di emissione/imboccatura dipendono molto daciò che accade nel cavo orale, ma si associano anche a squi-libri posturali, come imboccare in modo asimmetrico o nonportare l’ancia alla bocca, ma andarla a cercare allungandoil collo. Un’imboccatura errata, oltre a gestire male l’ancia,condiziona anche postura e maneggio. Imboccare con lo stru-mento troppo alzato si associa a testa all’indietro (nuca con-tratta) o a mento abbassato verso lo sterno.Viceversa una cattiva postura rende l’imboccatura pocoflessibile e non funzionale. Gli atteggiamenti errati di te-sta, collo, busto e braccia influiscono sull’inclinazione del-l’oboe che si ripercuote sull’angolo di entrata dell’ancia equindi sul risultato finale. Se la testa è abbassata in avantie l’oboe è troppo alzato con angolatura eccessiva, l’anciaverrà pressata contro il labbro superiore. Se il collo è ar-cuato all’indietro, la testa alzata e l’oboe troppo abbassato,il labbro superiore sarà troppo stirato e l’ancia premeràquello inferiore contro i denti. In entrambi i casi suono eintonazione subiranno conseguenze sgradevoli.Inserire l’ancia troppo in bocca darà un suono aspro, volu-minoso con intonazione tendente al crescente e staccatodifficoltoso. Troppa poca canna in bocca lo darà sfocato,flebile e disomogeneo, d’intonazione non precisa, tenden-te al calante, con le note acute fuori tono.La cavità orofaringea, cassa di risonanza dell’ancia, va ri-lassata “incupolendo” il palato molle, senza tensioni allagola. Utile procedere per immagini (pensare a una pallinatra lingua e palato) e ricreare le sensazioni benefiche per-cepite durante lo sbadiglio. La lingua deve stare ben stesa,senza irrigidirsi alla base né incurvarsi, permettendo al flus-so d’aria di non subire interruzioni o restringimenti. Lelabbra, punto di contatto sensibile con l’ancia, ripiegando-si verso l’interno fanno da cuscinetto coprendo i denti.

Il labbro inferiore non ha lo stesso ruolo di quello superio-re: introdotto poco di più, fornisce maggior appoggioall’ancia. Meglio non tenderlo 5, ma raggrinzirlo legger-mente con la mandibola rilassata non in avanti ma delica-tamente indietro e in basso, come per pronunciare una U.La muscolatura mandibolo-facciale svolge un ruolo fon-damentale nel tener salda e flessibile l’imboccatura. Colla-borando con lingua, gola, palato molle e muscoli respira-tori, essa convoglia l’aria e controlla l’apertura dell’ancia.Una buona imboccatura è perciò una vitale sinergia deimuscoli facciali attivati su un’intelaiatura (denti e mascel-le ben aperti) che non deve serrarsi verticalmente sulle lab-bra aggredendo l’ancia. I rigonfiamenti d’aria sotto il mento,nelle guance, tra denti e labbra indicano un uso scorrettodella muscolatura. Ance inidonee (troppo aperte, dure osquilibrate) e stanchezza possono farci usare i muscoli sba-gliati, attivando atteggiamenti scorretti, prodromi di vizid’impostazione.Alcune cause dei problemi di attacco e staccato sono: anciamal posizionata rispetto alla lingua, uso errato dei muscolifacciali che schiacciano l’ancia, gola chiusa, tensione labiale,componenti psicologiche 6 e scarso sostegno dell’emissio-ne. Nel tentativo di dare più pressione, alcuni soggetti siingobbiscono comprimendo il busto verso il basso, illu-dendosi di ottenere più forza. A questo atteggiamento didirezionalità contraria come d’“implosione” si associa spessolo stringere le dita sui tasti, cattiva abitudine che può in-sorgere anche a causa di passaggi difficili, ance troppo duree frenate, soggettive reazioni allo stress e non soddisfa-cente registrazione della meccanica 7.Il difetto di stringere chiudendo l’ancia è un sintomo fre-quente di cattivo uso di sé che, frenando le vibrazioni,innesca un circolo vizioso tra ancia, difficoltà strumentali,motorie ed emozionali. Perché si bracca l’ancia violente-mente e verticalmente invece di fasciarla in modo or-bicolare 8? Le cause primarie di questo comportamento sono:scarsa conoscenza dei gesti da compiere; muscoli faccialinon attivati o non allenati; disattenzione; abitudini errate;ansia che attiva il riflesso di mordere; ancia che opponeresistenza o tende a chiudersi innescando il meccanismo acatena; testa fuori asse e tensione inconsapevole di collo,spalle e sterno; cattiva respirazione; mancanza di resisten-za; addominali usati male; dinamiche (p o pp) ricercate inmodo maldestro.

5 Allontanando fra loro gli angoli laterali della bocca, tipo sorriso,il suono si schiarisce.

6 I fattori emozionali nascono spesso da questioni tecniche irrisolte,tensioni e relativo uso scorretto di sé, ma è pur vero che l’emotivitàpuò mandare in impasse, riducendo il controllo e facendo adotta-re posture e movimenti inidonei a ottenere il risultato voluto.

7 Far iniziare con oboi dalla cattiva tenuta della tamponatura puòfavorire l’insorgenza di tale vizio.

8 Circolare o ellittico [ndr].9 Per ulteriori approfondimenti sugli errori di comunicazione (dop-

pio legame, mistificazione e risposta tangenziale) vedi Watzlawick1971 e Macinai 2006.

Figura 2Rapporto corretto tra ancia e linga durante l’attacco (a sinistra)e subito dopo (a destra).

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Altri aspettiI musicisti esperti talvolta usano volontariamente alcuniatteggiamenti descritti, spinti da esigenze artistiche (sonoritàe dinamiche estreme in registri ostici), acustiche particola-ri, strumenti non del tutto confacenti alle necessità. Gui-dati dal feedback tra gesto e suono prodotto/ascoltato, essicompensano i suddetti imprevisti aggiustando anche istin-tivamente la configurazione muscolare necessaria. Tali ela-borazioni non sono attuabili dal principiante, non in gra-do di regolarsi con il semplice ascolto e non ancora consa-pevole del funzionamento di strumenti e imboccature. Incerti casi poi alcuni gesti non hanno finalità tecniche masolo teatrali o psicologiche. Il giovane, incapace di discer-nere, trarrebbe danno da emulazioni inconsapevoli.Se non adeguatamente trattate, alcune anomalie anatomi-che (per esempio quelle ortodontiche relative a evoluzionedentale, spazi interdentali, occlusioni), facilitando malfun-zionamenti corporei, possono disturbare la regolare for-mazione strumentale, rallentando i progressi dell’alunno,fino a degenerare col tempo in problemi più seri. Premessoche i casi incompatibili con la pratica strumentale sonorari, individuare in tempo le caratteristiche sfavorevoli cipermette di trattare costruttivamente persino le situazionipiù critiche.Anche l’aspetto psicologico può influenzare l’uso di sé eattivare atteggiamenti corporei errati. L’adolescente viveuna fase delicata, con cambiamenti fisici e mentali che loimmergono in una condizione mutevole (Canestrari 1993).La musica, inserita nelle dinamiche di affermazione socia-le, può far ritrovare l’identità perduta, rinforzare l’autostima,facilitare il rapporto con gli altri, ma può anche essere fontedi disagio e tensione. Un insegnante che appaia nervoso oimpaziente, un clima non sereno o percepito come ostilepossono indurre nell’allievo un condizionamento o innescoappreso (Ciceri 2001), cioè far inconsciamente associare leesperienze negative (stimolo scatenante) alla pratica stru-mentale o alla classe (ambiente o scena emotiva) attivandoun allarme, una reazione di difesa. La paura di confrontar-si con qualcosa di difficile, di non essere all’altezza, di nonessere accettati da insegnanti e compagni innesca processitensivi dannosi. La scelta e la progressività del repertoriodevono evitare di sottoporre l’alunno a sforzi e umiliazionicon brani non appropriati, pretendendo di raggiungereobiettivi eccessivi.Anche una cattiva comunicazione 9 può incrementare di-sturbi nello sviluppo psico-relazionale, instaurando ten-sioni e cattivi atteggiamenti corporei e strumentali. Parolee immagini hanno un potere enorme: possono comunicareazioni e sensazioni benefiche ma, a seconda di come sonousate, possono creare confusione, dubbi e stimolare rea-zioni nocive. Kató Havas (2005) insegna che certe espres-sioni come tenuta, presa, tirare, spingere, allungare, vibra-to, saltare, ascoltare, concentrarsi, buono, cattivo, forte

comunicano inconsciamente agli allievi sensazioni d’an-sia, tensione, incertezza, e che le frasi «Devi sforzarti disuonare bene» o «Rilassati!» sono tra le più deleterie. Alcontrario, le parole posare, annidarsi, cullare, soffice, raso,seta, oscillare, scivolare, ventaglio, aprire, abbracciare, te-neramente, arricciare, chiudere, volare, muovere, fluire, al-lentare, pulsare, attraverso, unire, donare, amare aiutano arisolvere problemi posturali e tensivi. Un cattivo rapportomaestro-allievo, oltre a non rimuovere quelli esistenti, puòoriginare nuovi problemi emozionali, pronti a influire sul-l’atteggiamento corporeo del ragazzo. L’insegnante, memoredel bisogno di attenzione e conferma del giovane, dovràperciò saper ascoltare e comunicare in modo efficace,avvalendosi di contenuti resi comprensibili da un linguag-gio adatto.

BibliografiaFREDERICK MATTHIAS ALEXANDER, Il controllo cosciente e costruttivo di sestessi, Astrolabio, Roma 1994.FREDERICK MATTHIAS ALEXANDER, La tecnica Alexander, Astrolabio, Roma1998.SARAH BARKER, Metodo Alexander, Red Edizioni, Como 1991.DONATELLA BARTOLINI, Contro l’immobilismo: un approccio alla motricitàstrumentale, in “Musica Domani”, n. 137, dicembre 2007.DANIELE BOTTARO, La tecnica Alexander, in “Musica Domani”, n. 80, set-tembre 1991.ROBERT BOZARTH, Stress ed efficienza psicofisica: la Tecnica Alexander, in“Musica Domani”, n. 95, giugno 1995.MARCO BRAZZO, Il musicista in forma. Metodo completo teorico-praticoper la preparazione psico-fisica del musicista, Edizioni Mediterranee,Roma 1993.GIORDANO BRUNO, Il Candelaio, RCS Rizzoli, Milano 2000.RENZO CANESTRARI, Psicologia generale e dello sviluppo, CLUEB, Bologna1993.MARIA RITA CICERI, La paura, Il Mulino, Bologna 2001.SHAMSI DAVIS, Technique for life, in “BBC Magazine”, August 1996.MOSHE FELDENKRAIS, Conoscersi attraverso il movimento, Celuc Libri, Mi-lano 1984.MOSHE FELDENKRAIS, Le basi del metodo per la consapevolezza dei pro-cessi psicomotori, Astrolabio, Roma 1991.MOSHE FELDENKRAIS, Il corpo e il comportamento maturo, Astrolabio, Roma1996.Gesto Musica Danza, a cura di Patrizia Buzzoni - Ida Maria Tosto, EDT,Torino 1998.JOHN GRAY, Guida alla tecnica Alexander, Edizioni Mediterranee, Roma1994.KATÓ HAVAS, Un nuovo approccio al violino, CremonaBooks, Cremona2004.KATÓ HAVAS, La paura del pubblico, CremonaBooks, Cremona 2005.Insegnare uno strumento, a cura di Anna Maria Freschi, EDT, Torino2002.EMILIANO MACINAI, La comunicazione in classe, in La formazione consa-pevole, a cura di Giuliano Franceschini, ETS, Pisa 2006.JOHN A. SLOBODA, La mente musicale, Il Mulino, Bologna 1988.ALFRED TOMATIS, Dalla comunicazione intrauterina al linguaggio umano,Ibis, Pavia 1993.ALFRED TOMATIS, L’orecchio e la voce, Baldini & Castoldi, Milano 1993.PAUL WATZLAWICK - JANET HELMICK BEAVIN - DON D. JACKSON, Pragmatica del-la comunicazione umana, Astrolabio, Roma 1971.

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Vide@musa cura della redazione di “Musica Domani”

www.musicadomani.it _ Le rubriche _ Vide@mus

New StripsodyIl percorso riprende uno dei repertori contemporanei divenuti “cavallo di battaglia” di molte proposte opera-tive degli ultimi decenni: Stripsody, della cantante e compositrice statunitense Cathy Berberian. In questonumero della rubrica se ne propone una rivisitazione attraverso i documenti che la rete mette a disposizione.La proposta, che ci è pervenuta da Giulia Liggi, offre la possibilità di:- individuare corrispondenze tra suono e segno;- costruire sequenze onomatopeiche vocali o strumentali;- analizzare, confrontare e costruire partiture analogiche;- operare montaggi audio/video.

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ioniDidattica per

strumenti ad arcoIl Conservatorio della Svizzera italianaistituisce per il prossimo anno accade-mico un percorso di studi per il conse-guimento del Certificate of AdvancedStudies (CAS) in Didattica per strumen-ti ad arco, rivolto a strumentisti diplo-mati (Bachelor, Master o equivalente)che vogliano approfondire o aggiornarele proprie competenze nell’ambito del-l’insegnamento.Il corso si sviluppa su due anni e preve-de l’approfondimento di diversi aspettiinerenti la psicologia (Teoria della mo-tivazione e aspetti di comunicazione),la didattica generale (Teoria degli obiet-tivi, Differenti strategie e approcci d’in-segnamento, Modelling, Valutazionedelle lezioni) e la didattica strumentale(Sviluppo delle strategie di studio inambito musicale, Aspetti di sviluppo mo-torio connessi con l’apprendimento diuno strumento ad arco, Didattica stru-mentale specifica per strumento). Sonoprevisti inoltre laboratori con studentidi diversi livelli e fasce d’età (lezioniindividuali, a piccoli gruppi, a grandigruppi) in cui i corsisti potranno speri-mentare le competenze acquisite.Le lezioni si svolgeranno da settembre2011 ad aprile 2012, articolandosi inmodo intensivo in sessioni condensateprincipalmente nei weekend, facilitan-do così la frequenza anche di chi perragioni professionali o familiari non puògarantire una presenza settimanale insede. Questi i docenti principali: Cristi-na Bellu (violoncello), Andreas Cincera(contrabbasso), Anna Modesti (violino),Johannella Tafuri (didattica generale).Per ulteriori informazioni è possibilerivolgersi a Roberto Valtancoli, respon-sabile post-formazione dell’istituzione,ai seguenti recapiti: email, [email protected]; telefono0041 91 9603040.

Estate in musica

formazioni relative ai docenti, all’iscrizionee all’ospitalità.- Presso Casa Matti di Romagnese, nell’Ol-trepò pavese, dal 10 al 15 luglio e dal 21 al26 agosto si terrà un corso di formazioneorchestrale rivolto a ragazzi compresi tragli 11 e i 16 anni che abbiano già intrapre-so gli studi musicali. Punto qualificante delcorso, oltre alla musica, è la conoscenza delterritorio attraverso escursioni guidate e laproposta di attività di carattere natura-listico e sportivo per raggiungere ancheobiettivi trasversali alla formazione globa-le della persona e del gruppo orchestra. Idue periodi si concluderanno con un con-certo dell’orchestra dei corsisti sulla piaz-za del Castello di Romagnese.Per informazioni Gianpaolo [email protected], cell. 3485687003.

Dal 1953 a oggi l’Istituto Musicale “PietroMascagni”, grazie a una stretta collabora-zione con enti locali, provveditorato aglistudi, associazioni culturali, organizzazio-ni sindacali, istituti bancari e personalitàdella cultura livornese, ha rappresentatouna preziosa risorsa culturale per la città eper il territorio provinciale e regionale, ol-tre che un’opportunità formativa di eccel-lenza per i giovani. Pareggiato nel 1978 e,in seguito alla legge 508/99 di riforma de-gli studi musicali, inserito a pieno titolo nelsettore dell’Alta Formazione Artistica eMusicale, l’istituto ha avuto una crescitaininterrotta in costante rapporto con il ter-ritorio, al quale ha da sempre offerto atti-vità e progetti avvicinando migliaia di cit-tadini alla musica. Inoltre, svolgendo il pro-prio compito istituzionale in direzione di

Appello in favoredell’Istituto “Pietro Mascagni”

una formazione professionale di riconosciu-ta qualità, ha permesso a centinaia di stu-denti di lavorare nel settore della musica aogni livello.Oggi la sua sopravvivenza è messa in se-rio pericolo dalla riduzione dei finanzia-menti da parte del Comune, dall’azzera-mento dei contributi del Ministero del-l’Università e della Ricerca e dalle prospet-tive di ulteriori tagli alla finanza degli entilocali.All’indirizzo www.firmiamo.it/istitutoma-scagni è possibile sostenere la causa del-l’istituto, sottoscrivendo un appello voltoa ottenere il reintegro dei finanziamenti,la garanzia di risorse adeguate al mante-nimento della qualità dell’offerta forma-tiva e l’avvio del processo di statizzazioneprevisto dalla legge 508/99.

Pubblichiamo di seguito due proposte dicorsi estivi per ragazzi e ragazze agli ini-zi degli studi strumentali che ci sono per-venute.- A Pollica (Salerno) dal 3 al 9 luglio 2011,si terrà la quarta edizione del Campus diMusica per ragazzi dai 9 ai 14 anni. Il pro-getto del campus musicale nasce per con-sentire a tutti i bambini che suonano unostrumento o che hanno voglia di musica,di vivere un’esperienza musicale esclusiva,attraverso un percorso formativo integra-to comprendente: la pratica della musicad’insieme e corale, l’improvvisazione stru-mentale, la “ritmica dalcroze”, la lezione distrumento (violino e pianoforte), oltre adattività ricreative e sportive.Nel sito www.musicamadeus.it si trovanoil piano delle attività giornaliere e le in-

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Chi si ricorda i Kraftwerk? (Ho il dub-bio che la domanda abbia senso soloper gli almeno quarantenni, ma va co-munque bene per aprire il pezzo.)Il gruppo tedesco, giunto al successonegli anni ’70 (Autobahn, Trans Euro-pe Express) e fondatore di un genereda loro stessi battezzato techno-pop, siè sempre distinto per alcune peculiaricaratteristiche: retroterra estetico col-to e tutt’altro che banale (si usa citareStockhausen), attento studio dell’inte-grazione tra il sonoro e il visuale, de-vozione alla tecnologia (sia come stru-mento di produzione, sia per quantoriguarda il sound vero e proprio).Ovviamente sono sul web.Una visita alle loro pagine è un’esperienzasuggestiva, divertente, leggermente stra-niante. Basti dire che tutte le pagine sonoaccompagnate da una colonna sonora “dibase” (un tappeto di suoni randomizza-ti), ma molte di esse sovrappongono aquesto sfondo le proprie specifiche so-norità, che spesso sono modificate inte-rattivamente dall’intervento del visitatorequando muove il mouse, clicca ecc.La grafica, curatissima sul piano tec-nico, ha anch’essa un curioso gustoretrò, e mi sentirei di dire che sfoggiauna sorta di sofisticatissima semplici-tà. Testo praticamente assente.

Ciccando al centro della pagina di ben-venuto si accede alla home page; i ti-toli delle varie sezioni vengono fattiscorrere con le freccette in basso al cen-tro; poi cliccate. Se nella pagina di de-stinazione, alla stessa posizione, ritro-vate freccette e titoli significa che sonodisponibili ulteriori sotto-sezioni.Il contenuto delle sezioni Info, Video eFoto è quello che potete immaginare.Le altre sono piccoli esempi di arte

multimediale basati su alcuni dei branidei Kraftwerk.Per gli appassionati dell’iPhone, dallasezione Info si può essere rinviati a sca-ricare un’applicazione chiamata Klingk-lang Maschine (non rientro nella cate-goria, quindi non so dirvi di più). Altri-menti Klingklang, già titolo di uno deiloro primi brani, è ora il nome dell’onli-ne shop dove acquistare gadget.

Augusto Dal Toso

Strumento musicale e curricolo

Dopo lunghi anni di difficile gestazio-ne, negli ultimi mesi hanno visto la lucediversi provvedimenti normativi ine-renti l’innovazione o la stabilizzazionedel curricolo musicale e strumentalenella scuola italiana (vedi anche Con-fronti e Dibattiti in questo numero dellarivista, p. 40). Proprio per fare il puntosu questa complessa situazione si svol-gerà a Trento il 25 ottobre 2011 il con-vegno Curricolo verticale a indirizzomusicale. Dalla scuola primaria aglistudi accademici: modello organizzati-vo e attuativo a livello nazionale pro-mosso da istituzioni che a differentelivello operano nella formazione (SMIM

“Bresadola”, Liceo “Rosmini” e Istitutoprovinciale per la ricerca e la sperimen-tazione educativa di Trento, Università

e Conservatori di Trento e di Bolzano,Istituto pedagogico di Bolzano).La giornata di studio intende affrontareda differenti prospettive le tematichesintetizzate nel titolo: non semplicemen-te una panoramica sulla genesi e sullepeculiarità attuative della normativa, masoprattutto una riflessione in senso am-pio sugli aspetti didattici e di politicaeducativa (dalla concreta organizzazio-ne del curricolo con particolare atten-zione al raccordo fra i diversi livelli, allaformazione dei docenti della scuola chia-mati a essere il motore di questa inno-vazione). L’incontro vuole anche essereun momento di confronto fra le diffe-renti esperienze locali e nazionali che,proprio sotto l’ottica della verticalità,hanno creato sinergie efficaci per la for-

mazione musicale (strumentale inclusa)con la valorizzazione delle risorse pub-bliche della scuola, del conservatorio(con particolare attenzione al ruolo diformazione/aggiornamento dei docentianche già in servizio), dell’università (fa-coltà di Scienze della formazione pri-maria e di Scienze dei Beni culturali).L’iniziativa si rivolge a coloro che, inte-ressati alle tematiche proposte, operanoin differenti posizioni nella scuola (ini-ziativa valevole ai fini dell’aggiorna-mento), nel conservatorio, nell’univer-sità, e agli insegnanti delle scuole dimusica; il programma dei lavori, le mo-dalità di partecipazione e ulteriori e pun-tuali informazioni possono essere tro-vate sul sito http://focusmusica.com.

Sonia Carli

Navigandowww.kraftwerk.com

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Presso l’ex monastero della Trappa di Sor-devolo (in Provincia di Biella, a 1000 metrid’altitudine, 8 km a ovest del Santuario diOropa), si terrà dal 20 al 26 agosto 2011 ilseminario residenziale estivo Musiche e re-lazioni nel paesaggio, coordinato da PaoloCerlati, Luca Motto e Giuseppe Pidello.Il seminario, della durata di 40 ore, è rivol-to a musicisti, insegnanti, musicoterapisti,educatori, animatori e studenti che voglia-no sviluppare le loro competenze attraver-so la musica d’insieme e le pratiche vocalie percussive di gruppo, e apprendere le tec-

Musiche e relazioninel paesaggio

niche del montaggio audio-video attraversoil computer. Il seminario è riconosciuto perun totale di tre seminari validi ai fini delcompimento di uno dei tre livelli di forma-zione del “Progetto Orff-Schulwerk”. Le 40ore sono valide anche per il recupero oredei corsi di musicoterapia APIM di Genova eTorino. L’iniziativa è promossa dal CMT (Cen-tro di Musicoterapia Studi e Ricerche di Mi-lano).Informazioni:- per gli aspetti musicali specifici del la-boratorio contattare Paolo Cerlati tel. 015

2543379, 338 8192887, mail [email protected] oppure visitare il sitowww.atelierdimusica.it nella sezione “La-boratori e seminari estivi”.- per gli aspetti relativi al soggiorno con-tattare Giuseppe Pidello tel. 015 2568107,349 3269048, mail [email protected] oppure visitare il sito www.ecomu-seodelbiellese.it;- per gli aspetti relativi alle attrezzaturetecnologiche messe a disposizione contat-tare Luca Motto tel. 015 982172, 3483720785, mail [email protected]

Il 12 e il 13 di aprile si sono tenutepresso il Conservatorio di Alessandriadue giornate di studio coordinate daSilvana Chiesa e da Angela Colombodal titolo Scuola d’ascolto, scuola inascolto, orientate alla didattica dellafruizione per la scuola primaria. Gliincontri sono stati punteggiati da unpaio di occasioni performative che sisono inserite nella manifestazione nonsolo come break musicali, ma soprat-tutto quali concrete pratiche d’ascoltoproposte per rendere meno evanescen-ti le tesi sulle quali si è discusso.L’apertura dei lavori è stata affidata aun concerto a cura del Dipartimento diDidattica della musica dal titolo Il gio-co delle parti. I partecipanti al conve-gno, nella doppia qualità di osservato-ri e di ascoltatori, hanno potuto assi-stere – oltre che all’esecuzione – anchealle azioni e reazioni di un paio di classidi scuola primaria invitate all’iniziati-va. Lo sforzo compiuto da insegnanti eallievi del conservatorio è stato teso acostruire – attorno a raffinate rielabo-razioni di testi vocali e strumentali ac-comunati dall’intrecciarsi delle parti –un momento performativo di suggestio-ne. Monodie e polifonie prevalentemen-te medievali e rinascimentali, con qual-che divagazione bachiana e nel Nove-

cento di Arvo Pärt, sono state accom-pagnate da supporti visivi multimedialiche hanno condotto adulti e bambini aricercare i fili della comprensione del-l’ascolto.Evento emblematico di una praticad’ascolto che coinvolge a trecentoses-santa gradi sensi e spirito è stata la per-formance pomeridiana della secondagiornata. Si è trattato di una originalemise en espace dei Quadri di un’esposi-zione di Modest Musorgskij, che ha pro-posto una concreta promenade tra le auledel conservatorio attraverso le quali ine-briarsi – in un gioco sapientemente ca-librato dal docente di Arte scenica LucaValentino – di ombre, luci, suoni, for-me, colori, materie. Gli studenti delleclassi di pianoforte si sono alternati nel

ruolo di esecutori e animatori di quadrisonori e visivi, dando vita a evocativerelazioni tra i due piani. I quadri mo-strati, svelati, suggeriti alla comitiva iti-nerante attraverso azioni di animazio-ne giocate con pile e altre illuminazio-ni, specchi, giochi d’acqua, non erano –ovviamente – quelli del pittore VictorHartmann, bensì le opere di Emma Ma-ria Migliardi, docente di pianoforte pre-maturamente scomparsa che ha donatole proprie produzioni pittoriche all’isti-tuzione nella quale ha insegnato. Un iti-nerario reso per questo ancor più coin-volgente e che ha amplificato – conun’operazione di alta qualità estetica epoetica – le percezioni affettive e am-pliato le modalità d’ascolto.

Alessandra Anceschi

Teatri d’ascolto

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«Esplode in me innanzi tutto e, devo precisarlo, come unritmo, una scansione, un moto interiore, un martellamentosenza parole o, al di qua della lingua, una pre-lingua opiuttosto un oscuro a monte della lingua» 1.Con queste parole Assja Djebar parla della sua scritturache scaturisce dal troppo tacere, come volontà di infrange-re il silenzio. Una scrittura che può essere un velo che na-sconde, ma anche un modo per infrangere «un doppio si-lenzio»: quello di lei come persona di fronte alla violenzache lascia senza voce e senza parole, e quello iscritto nellagenealogia materna.Assia Djebar è stata una delle prime scrittrici algerine adaffrontare i problemi delle donne in relazione alla culturaislamica. I suoi primi quattro romanzi (in lingua francese enon tradotti in italiano) furono scritti tra il 1957 e il 1967,in piena guerra algerina, e trattano della vita, delle aspira-zioni, delle difficoltà delle ragazze della borghesia urbanadel Paese. Le soluzioni che di volta in volta vi prospettasono sia individuali che collettive e politiche. A questi ro-manzi seguono dieci anni di silenzio al termine dei qualipubblicherà, sempre in francese, i racconti contenuti neltesto Donne d’Algeri nei loro appartamenti 2, che lei defini-sce «capisaldi di un percorso dedicato all’ascolto: conver-sazioni ridotte in frammenti e ricomposte nella memoria,storie fittizie, volti e sussurri di un immaginario vicino…»(p. 13). Nei suoi dieci anni di silenzio, in questo percorso diascolto, la scrittrice affronta il problema della lingua,tematica che sarà poi al centro di molti suoi saggi, oltreche presente in modo originale nei romanzi e nei racconti.Assia Djebar tenta di conciliare le quattro lingue che fan-no parte di lei, come di tutte le donne algerine. Una prima,la lingua berbera primigenia, la lingua materna, “l’arabodelle donne”; lingua non scritta che riappare spontanea-mente nei momenti di forte emozione, come una linguadel rimosso «un’antica melodia sonora che riaffiorava dentrodi me e intorno a me, che mi ridava forza: voce aspra, cosìspesso dispensatrice di pena, tristezza, perdita e che tutta-via rendeva presente, al mio orecchio, una tale tenerezza

materna,una solida-

rietà così pro-fonda, che ancor

oggi mi impedi-scono di vacillare». Una

«lingua in movimento» in cuiil suono è centrale con «i suoi gra-

di di intensità dal sussurro al grido, almonologo, al dialogo, al clamore, alle stri-

dulazioni…» (Queste voci che mi assediano, p. 39-40). La seconda lingua è l’arabo classico: la lingua del pub-blico, del maschile, del discorso politico, dell’ufficialità,dei testi sacri. La terza è il francese, lingua del padre cheinsegna in una scuola francese. Lingua che è contempora-neamente lingua dell’altro, dell’oppressore, ma anche lin-gua che permette di uscire, di esplorare luoghi proibiti, divenire a contatto con altre persone, di ribellarsi alla sotto-missione cui le donne sono costrette. La quarta è la linguadel corpo, con le sue danze mute, con cui spesso le donnecomunicano all’interno degli spazi in cui sono relegate econtro cui spesso la scrittura è utilizzata.Assia Djebar tenta di ricomporre il conflitto lacerante divoci che sente al suo interno, consapevole del fatto che lasua identità passa anche attraverso la lingua scritta, mezzodi comunicazione, ma anche di trasformazione. «Perchél’identità non è soltanto di carta, di sangue, ma anche dilingua. E se sembra che la lingua sia, come spesso si dice“mezzo di comunicazione”, essa è soprattutto per me, scrit-trice, “mezzo di trasformazione”, nella misura in cui prati-co la scrittura come avventura» (Queste voci che mi asse-diano, p. 43). Quello che scaturisce da questa ricerca non èpiù il francese vissuto come velo dei primi romanzi, ma unfrancese polifonico, lingua del presente e dell’accoglienza,che riesce a conservare le altre lingue, che sa situarsi ac-canto alle antenate e afferrarne le voci che rischiano diessere sepolte e dimenticate; che osa parlare del corpo, delsuo desiderio di liberarsi; che dispiega la voce non solo nelsussurro o nel grido, ma nel discorso che riesce a farsiascoltare anche all’esterno. Assia Djebar con i suoi testinon vuole parlare delle donne algerine o per conto loro,ma situarsi «vicino a loro», come gesto di solidarietà. Neisuoi racconti e romanzi dà spesso voce a donne di diverseepoche e in diverse situazioni, cercando una lingua cheriesca a “tradurre” il suono delle loro parole. Le voci sepol-te, terza parte del romanzo L’amore, la guerra 3, ad esem-pio, è articolata in cinque movimenti e un finale nei quali

Voci di donnaMariateresa Lietti

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sono presentate il più fedelmente possibile le parole delledonne intervistate, cercando di mantenere il registro delparlato e la vivacità della lingua orale.Centrale nelle opere di Assia Djebar è sempre l’attenzione alsuono. Spesso l’elemento musicale diviene anche parte dellanarrazione come nel racconto Donne d’Algeri nei loro ap-partamenti (quello che dà il titolo alla raccolta), in cui laprotagonista lavora all’analisi e alla trascrizione di antichicanti di donne e ha in progetto un documentario che riescaa «mettere in musica un’intera città» (Donne d’Algeri, p. 30).O come nella novella Lampi di febbre in occhi di bambina 4,in cui il protagonista è un musicista che studia gli antichicanti berberi. Anche quando non citata esplicitamente, lamusica è però presente nella struttura di romanzi e racconti,nel ritmo delle parole e delle frasi, nelle descrizioni sonoredegli ambienti, ma soprattutto in quelle delle voci. Trovia-mo quindi «lo stillicidio di parole evaporate, lo sgocciolioche fluttua nei corridoi liquidi», le «parole come accordi elet-trici, come urli provenienti dall’harem, parole trasparenti diechi, di vapori»; la «musica di un canto dissonante, di urlarotte»; le parole che «formicolano dagli abissi»; «i singhiozzilunghi, ininterrotti, interni che colano come un accompa-gnamento triste»; «la spinta di suoni nuovi, di parole lacera-te» (Donne d’Algeri, pp. 54, 55); «un granello tagliente dellavoce che sgocciola» (Queste voci che mi assediano, p. 141). Isuoi scritti sono ricchi di espressioni quali: «il fascio di mor-morii si annoda, il mucchio di borborigmi si forma tra ilventre e il petto scavato […] Le strofe sfilacciate si raggrup-pano» (Donne d’Algeri, p. 55); o «quando parlava era comese lacrime nere luccicassero nella sua voce» o, ancora, «par-lano in modo dolce – anche se, ogni tanto, scoppia una voceacuta che mi scortica e mi riporta, mio malgrado, alla vitareale» (Nel cuore della notte algerina, pp. 12, 96).L’attenzione al sonoro di Assia Djebar è testimoniata an-che dal suo dramma musicale Figlie di Ismaele nel vento enella tempesta 5, con musica di Vicente Pradal, che è stato

rappresentato a Roma e a Palermo nel 2000, oltre che dallasua attività di regista cinematografica 6. Lei stessa dice cheha deciso di fare film «perché aveva voglia di registraresuoni e cogliere immagini». Scrive a questo proposito: «Così,tra il 1975 e il 1977, decisi di “scrivere per il cinema”, apartire da un suono registrato, da un suono ascoltato,riascoltato, insomma da una presenza iperbolica della pa-rola femminile, una parola plurale delle donne fino ad al-lora anonime, ma che, prima di me, si rammentavano; po-trei dire che mi davano l’esempio del ricordo da resuscitaree, perciò, me ne trasmettevano la tonalità, il “rumore” piùtenace, più profondo» (Queste voci che mi assediano, p.39). Nei suoi film la colonna sonora ha un ruolo essenzia-le: «Il suono sotto le immagini, non poteva essere com-mento, doveva colmare un vuoto. Far avvertire quel vuoto[…] Doveva “denunciare”, allertare, senza essere né pole-mico né “impegnato”. Capii dunque che, con il suono, do-vevo riportare, suggerire, forse resuscitare le voci invisibi-li» (Queste voci che mi assediano, p. 47).Si potrebbe continuare a lungo con le citazioni da questastraordinaria autrice, ma credo che, sopra a tutto, valgal’invito ad “ascoltare” le sue opere e a lasciarsi conquistaredalla sua voce che racconta.

1 ASSIA DJEBAR, Queste voci che mi assediano. Scrivere nella linguadell’altro, Il Saggiatore, Milano 2004, p. 27.

2 ASSIA DJEBAR, Donne d’Algeri nei loro appartamenti, Giunti, Firenze1988.

3 ASSIA DJEBAR, L’amore, la guerra, Ibis, Pavia 1995.4 ASSIA DJEBAR, Nel cuore della notte algerina, Giunti, Firenze 1998.5 ASSIA DJEBAR, Figlie d’Ismaele nel vento e nella tempesta, Giunti,

Firenze 2000.6 Assia Djebar è autrice di due film: La Nouba des femmes du Mont-

Chenoua, col quale ha vinto nel 1979 il Gran premio della CriticaInternazionale al festival del Cinema di Venezia, e La Zerda ou leschamps de l’oubli, film storico-musicale del 1982.

A sinistra e nalla pagina a fianco: due opere di Shirin Neshat.Qui sotto: Assia Djebar.

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Dsa e musica:nuove prospettiveper la didatticaLe difficoltà causate dai Disturbi Specifici dell’Appren-dimento (DSA) sono sempre più avvertite nella scuola, tan-to da essere state dettagliatamente regolamentate da re-centi indicazioni normative. L’autrice propone una pun-tuale disamina di questi disturbi mettendo a fuoco le pos-sibili specifiche problematiche nel campo disciplinare e sug-gerendo piste metodologiche di lavoro.

La musica nella scuola è sempre stata in prima lineanell’aiutare bambini e ragazzi in difficoltà, ricercando pro-poste didattiche che, mettendo al centro del processo d’ap-prendimento il bambino, ne promuovessero un atteggia-mento partecipativo rispettando l’integrità della persona-bambino e non solo il bambino-studente.L’attenzione ai bambini più fragili ha avuto spesso straor-dinari effetti collaterali: le soluzioni didattiche formulateper bambini in difficoltà si sono rivelate perfettamenteadatte a tutti i bambini e in grado di favorirne non solo losviluppo musicale, ma anche quello emotivo, sociale,relazionale e cognitivo.Oggi per la didattica musicale vi è un nuovo e importantestimolo di ricerca e crescita: sono gli studi che hanno peroggetto i bambini con disturbi specifici di apprendimento(DSA) 1.L’approfondimento qui proposto non è certo esaustivo,anche perché le ricerche sull’argomento sono recenti e incontinuo sviluppo, ma ha l’ambizione di sollecitare l’inte-resse di un numero sempre più alto di operatori musicaliaffinché anche dal mondo della musica arrivino studi serie utili in materia, per aiutare concretamente bambini indifficoltà nel mondo scolastico, ma anche per fornire co-noscenze e strumenti operativi idonei a molti insegnantiche, nell’incontro con i problemi connessi ai DSA, si trova-no in imbarazzo nella gestione quotidiana dell’attività di-dattica.Anche l’educazione musicale (a tutti i livelli, da quella dibase a quella professionale) deve sentirsi coinvolta in que-sta nuova sfida educativa, affinché nessun bambino/ra-

Sculturadi Jaume

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33gazzo motivato al canto, alla musica, all’apprendimento diuno strumento sia scoraggiato dall’intraprendere un seriopercorso musicale a causa di disturbi specifici di apprendi-mento che, come emergerà in seguito, possono davverorisultare ostacoli insuperabili se non contrastati con oppor-tune strategie didattiche.

DSA: cosa significa?I disturbi specifici dell’apprendimento sono un gruppo ete-rogeneo di difficoltà che si manifesta in significativi osta-coli nell’acquisizione e nell’uso di abilità di ascolto, diespressione orale, di lettura, di scrittura, di ragionamento,di calcoli matematici, di memoria a breve termine. Siipotizza siano causati da disfunzioni del sistema nervosocentrale, anche se generalmente in presenza di un livellocognitivo e intellettivo nella norma. I DSA maggiormentestudiati sono dislessia, discalculia, disortografia e disgrafia 2.La dislessia 3 è una difficoltà che riguarda principalmentela capacità di leggere e scrivere in modo corretto e fluente.Il bambino dislessico può leggere e scrivere, ma riesce afarlo solo impegnando al massimo le sue capacita e le sueenergie poiché non può farlo in maniera automatica; per-ciò si stanca rapidamente, commette errori e rimane indie-tro. La dislessia si presenta in quasi costante associazionead altri disturbi (comorbidità). Il bambino spesso compienella lettura e nella scrittura errori caratteristici come l’in-versione di lettere e di numeri e la sostituzione di lettere(m/n; v/f; b/d). A volte non riesce a imparare le tabelline ealcune informazioni in sequenza come le lettere dell’alfa-beto, i giorni della settimana, i mesi dell’anno. Può fareconfusione per quanto riguarda i rapporti spaziali e tem-porali (destra/sinistra; ieri/domani; mesi e giorni; letturadell’orologio) e può avere difficoltà a esprimere verbal-mente ciò che pensa. In alcuni casi sono presenti anchedifficoltà in alcune abilità motorie (ad esempio allacciarsile scarpe), nella capacità di attenzione e di concentrazione.La discalculia 4 è una difficoltà specifica nell’apprendimentodel calcolo. Si manifesta come difficoltà nel riconoscimen-to e nella denominazione dei simboli numerici, nella scrit-tura dei numeri, nell’associazione del simbolo numericoalla quantità corrispondente, nella numerazione in ordinecrescente e decrescente, nella risoluzione di situazioni pro-blematiche.La disortografia 5 è la difficoltà a tradurre correttamente isuoni che compongono le parole in simboli grafici. Si pre-senta con errori sistematici nella scrittura come la confu-sione tra fonemi o grafemi simili, l’omissione o l’inversio-ne di parti della parola, l’eliminazione delle doppie, ma

anche con un tratto grafico disarmonico e a volte incom-prensibile.La disgrafia 6 è una difficoltà di scrittura che riguarda lariproduzione dei segni alfabetici e numerici. Fa sì che lapressione della mano sul foglio non sia regolata, che lamano scorra a scatti, in modo non fluido e con continueinterruzioni; la copia alla lavagna, la riproduzione di figu-re geometriche e il disegno risultano difficoltose; i bambi-ni disgrafici non rispettano i margini e non seguono lelinee di riferimento dei quaderni.C’è un’altra “dis”, la disprassia 7, che non è catalogata neiDSA, ma ha un ruolo altrettanto invalidante nel processo diapprendimento scolastico; è un disturbo della pre-program-mazione del gesto che comporta difficoltà ad automatizzarele sequenze gestuali e spesso è correlata a disgrafia edisortografia 8. Può essere associata spesso a problemi dipercezione, di elaborazione del pensiero e di linguaggio(in quanto anche i movimenti della lingua, necessari perarticolare i suoni, risultano di difficile realizzazione ememorizzazione). Il bambino con disprassia utilizza le fun-zioni, che faticosamente acquisisce in modo stereotipato,con strategie povere e ridotte alternative. La povertà distrategie e le ridotte abilità di generalizzazione rendonoinoltre difficoltosa l’acquisizione di nuovi compiti e il tra-sferimento di soluzioni strategiche già acquisite. Il sogget-to con disprassia ha difficoltà ad allacciare scarpe, abbot-tonarsi, scrivere, disegnare, copiare, giocare a palla, fareattività sportiva. Presenta, inoltre, facile stancabilità.Gli ostacoli e le difficoltà causate dai DSA e dalla disprassia,come è facile intuire, sono trasversali a tutte le discipline epertanto riguardano anche l’educazione musicale (sia quelladi base impartita nella scuola dell’obbligo che quella spe-cialistica delle scuole di musica e delle scuole di alta for-mazione artistica e musicale). I bambini con tali disturbi,infatti, possono incontrare serie difficoltà nell’apprendi-mento della notazione musicale, avere difficoltà nella co-ordinazione occhio-mano, nel mantenere il segno quandospostano lo sguardo dallo spartito al direttore, nel memo-rizzare le parole dei canti, nella lettura a prima vista, nelmantenere la concentrazione per tutta la durata di un con-certo (Miles – Westcombe 2008, p. XIII).Spesso un bambino con DSA presenta incertezze d’appren-dimento legate a più disturbi, tanto che si parla di “feno-meno a macchia di leopardo”: come ogni leopardo ha unmantello con un disegno diverso, così ogni bambino conDSA presenta caratteristiche individuali anche nelle diffi-coltà e necessita, pertanto, di un insegnamento persona-lizzato.

1 Le statistiche parlano di un numero di bambini con problemi spe-cifici di apprendimento pari al 5% della popolazione scolastica;ciò significa che in una classe di 20 alunni si ha mediamente unbambino con questi problemi.

2 Questi disturbi sono oggetto della recentissima Legge n. 170, ap-provata l’8 ottobre 2010, che intende riconoscere tali disturbi emettere in atto misure per ridurre i disagi scolastici che ne conse-guono.

3 www.aiditalia.org/it/cosa_e_la_dislessia.html

4 http://ladislessia.org5 http://ladislessia.org6 http://ladislessia.org7 www.disprassia.org/?q=node/358 La prevalenza del disturbo della disprassia è stimata intorno al

6% della popolazione infantile tra i 5 e gli 11 anni (Cermak 2001);se sommata alla percentuale di bambini con DSA raggiungiamoun totale dell’11%; ciò significa che in una classe di 20 alunni sihanno mediamente due bambini con tali disturbi.

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34 Qualunque sia la tipologia, il bambino con DSA è sempreun bambino che, se non aiutato in modo adeguato e tem-pestivo, vive la scuola come fonte di disagio e d’inadegua-tezza, come realtà che gli crea ansia e frustrazione ed è unsoggetto ad alto rischio di abbandono scolastico.

Scuola e DSA

A ogni insegnante (di musica e non) sarà capitato numero-se volte di avere in classe un bambino un po’ imbranato,goffo, impacciato, non sempre adeguato al compito o allasituazione.Forse quel bambino procede con tempi di maturazione piùlenti di altri, ma non si può escludere la presenza di undisturbo specifico d’apprendimento o della disprassia.Per questi bambini l’esperienza scolastica, invece di esserefonte di gioia e tripudio dell’apprendimento, si rivela real-tà piena di insidie e di difficoltà.Leggere, scrivere, colorare, contare con le dita, ritagliare leschede, copiare alla lavagna, fare semplici figure geome-triche, suonare, danzare, ricordare una semplice consegna:tutto sembra essere al di sopra delle reali e naturali possi-bilità.Cosa possono e cosa devono fare gli insegnanti per questibambini?Devono mostrare comprensione, pazienza, assumere unatteggiamento positivo che evidenzi i successi e gli sforzipiuttosto che le difficoltà (Miles – Westcombe 2008, p. 5),devono anche attrezzarsi con solide competenze pedago-giche, psicologiche, didattiche e, collaborando con gli ope-ratori socio-sanitari del territorio, devono imparare a ri-spondere in modo inclusivo, efficace ed efficiente alle esi-genze dei singoli bambini (Ianes 2005, pp. 21-22).Come afferma la Nota della Regione Emilia Romagna delfebbraio 2009: «Dobbiamo evitare di trasformare in pro-blema del bambino quello che potrebbe essere un proble-

ma della scuola […] assicurare che pratiche didattiche noncompetenti possano incidere pesantemente e a volteirrimediabilmente sulla qualità dell’apprendimento di cia-scun allievo [...] Se non esiste la possibilità di rimediarealle fragilità o ai deficit, si deve comunque agire sulla ri-duzione delle loro conseguenze» 9.È basilare che «le scuole realizzino attività che permettanoagli alunni in difficoltà di sperimentare il successo in am-bito scolastico, apportando alle modalità di insegnamentoquegli adattamenti che le rendano accessibili alle diversemodalità di apprendimento» 10.Tutti gli insegnanti, anche quelli di musica, devono essereconsapevoli dell’importanza del loro ruolo nell’accompa-gnare e nel sostenere bambini con DSA lungo il camminoscolastico, mettendo in atto una serie di misure suggeritedai più recenti riferimenti normativi in materia 11.In particolare, i bambini con DSA possono godere di unaserie di strumenti compensativi e dispensativi, riportati inmodo sintetico nella tabella sottostante 12.

Nel campo specifico dell’insegnamento della musica, i bam-bini con DSA possono:- avere difficoltà nel memorizzare le note e la loro posi-

zione sul pentagramma; è quindi consigliabile lasciareloro il tempo necessario per lo studio di uno spartito(magari fotocopiato in formato ingrandito e sul quale èstata evidenziata con un colore la linea del sol), fornireloro lo spartito prima che venga studiato in classe (ma-gari evidenziando eventuali segni di ritornelli e di frasiripetute) e dispensarli dalla lettura a prima vista;

- fare confusione con i termini “alto” e “basso”, “destra”e sinistra”, e per questo è importante non dare nessunconcetto per scontato, ma fare esempi concreti;

- necessitare di tempo affinché s’instaurino degli auto-matismi tra ciò che gli occhi hanno letto, le percezio-

Strumenti compensativi(utilizzare uno o più degli strumenti elencati)

- Tabella dei mesi, tabella dell’alfabeto e dei vari caratteri- Tavola pitagorica- Tabella delle misure, tabelle delle formule- Calcolatrice- Registratore- Cartine geografiche e storiche- Mappe concettuali- Computer con programmi di videoscrittura, correttore or-

tografico e/o sintesi vocale- Materiale registrato (dagli insegnanti e/o dagli alunni) re-

lativo agli argomenti da studiare- Libro di testo digitale- Dizionari di lingua straniera digitali da usare con il PC

- Valutazione formativa che non tenga conto dell’errore or-tografico, ma solo del contenuto

Strumenti dispensativi(esonerare da una o più delle attività elencate)

- Lettura a voce alta- Scrittura veloce sotto dettatura- Scrittura di appunti durante le lezioni- Lettura di consegne- Uso del vocabolario- Studio mnemonico delle tabelline e delle coniugazioni verbali- Studio delle lingue straniere in forma scritta- Interrogazioni e verifiche non programmate- Compiti a casa in quantità elevata

Si consiglia di:- Programmare le interrogazioni e le verifiche- Ridurre i compiti a casa- Consentire l’uso di testi ridotti non per contenuto, ma per

quantità di pagine (come già avviene in vari paesi euro-pei, tra i quali la Gran Bretagna, dove esiste lo stesso te-sto ampio oppure ridotto per dislessici)

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35ni uditive e i movimenti delle dita per suonare; a talfine è utile permettere loro di suonare a memoria e/o“ad orecchio”, senza richiedere di leggere uno spartitodurante l’esecuzione; per favorire l’apprendimento perimitazione, l’insegnante potrebbe registrare la melo-dia dei brani in modo che l’alunno possa ascoltarla acasa tutte le volte necessarie, oppure suonare sistema-ticamente per e con loro, posizionandosi di fianco enon sempre di fronte (Miles – Westcombe 2008, pp.15-16);

- incontrare difficoltà di scrittura e per questo è dovero-so esonerarli da dettati melodici o ritmici.

Questi sono solo alcuni suggerimenti utili per aiutare asuperare gli ostacoli, ma molte altre soluzioni e proposteoperative potranno e dovranno essere individuate da studiseri nel campo della specifica didattica disciplinare.

Musica, apprendimento scolastico e DSA

«[…] La pratica musicale migliora il ritmo di apprendimen-to di un dislessico anche in tutti gli altri settori dello stu-dio. Esattamente come avviene per le persone nondislessiche» 13.«Si è notato che durante il primo anno in cui un bambinodislessico fa parte del coro le sue capacità di leggere se-guendo il testo possono migliorare di molto» 14.«La musica ha un senso nel percorso educativo perché rit-mi, suoni, timbri sonori, ordine musicale fanno parte delnostro crescere prima ancora di nascere» 15.«La musica fa parte delle fondamenta dell’uomo. La musi-ca è “dentro” al grembo materno» 16.«Ogni vocale è caratterizzata dal timbro. Ogni consonanteè caratterizzata dal timbro che assume caratteristiche pro-prie dalla vocale che lo segue (con-sonante). Il timbro delsuono è di pertinenza del musicista» 17.«[…] la ripetizione musicale, così come la ripetizione dellesequenze comportamentali, genera il tempo e, nel tempo,

9 MIUR, USR-ER, Nota prot. 1425, 3 febbraio 2009, Disturbi specificidi apprendimento: successo scolastico e strategie didattiche. Sug-gerimenti operativi, p. 23.

10 MIUR, USR-ER, Nota prot. 1425, 3 febbraio 2009, cit., p. 30.11 Oltre alla nota precedentemente citata, anche: Circolare dell’ER

prot. 13925, 04/09/2007, Disturbi specifici di apprendimento inallievi non certificati in base alla Legge 104/92, Suggerimenti ope-rativi; CM n. 51, 20/05/2009; DPR n. 1222, 22/06/2009; Disegno dilegge, 09/06/2010, Nuove norme in materia di difficoltà di appren-dimento; Legge n. 170, 08/10/2010, Nuove norme in materia didisturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico.

12 L’utilizzo di tali misure richiede la presentazione alla scuola delladiagnosi dello specialista (neuropsichiatra o psicologo, non ne-cessariamente dell’AUSL); questa diagnosi consentirà alla scuoladi tracciare un Piano Didattico Personalizzato che dovrà esseresottoscritto anche dai genitori. Secondo la CM del 5/1/2005 talistrumenti devono essere applicati in tutte le fasi del percorso sco-lastico, compresi i momenti di valutazione finale e gli esami.

13 MILES - WESTCOMBE 2008, p. XXIII.14 MILES - WESTCOMBE 2008, 83.15 CREMASCHI TROVESI 2007, p. 29.16 CREMASCHI TROVESI 2007, p. 67.17 CREMASCHI TROVESI 2007, pp. 68-69.

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36 una direzionalità, un presente che va verso qualcosa; magenera anche un prima e un dopo…» 18.

Queste citazioni attribuiscono una grande importanza allamusica, non solo per l’apprendimento musicale in se stes-so, ma anche per l’apprendimento in generale.La musica, in effetti, risulta essere un ottimo strumentoper formare e rafforzare competenze trasversali alla mag-gior parte delle discipline scolastiche.Buone esperienze didattico-musicali hanno già mostratocome la musica da un lato sia capace di “toccare” abilitàlegate al linguaggio, al coordinamento motorio, alla nu-merazione, alla memoria, ai tempi di attenzione, e dall’al-tro come le attività musicali siano naturalmente accattivantie motivanti per la maggior parte dei bambini, in grado dicreare quel naturale impulso alla ripetizione, fondamenta-le per l’apprendimento e la memorizzazione.Se la pratica scolastica ci ha mostrato le possibilità formativedella musica, studi recenti stanno dimostrando le ragionibiologiche, psicologiche e sociologiche di tanto “potereeducativo”.Nel campo delle neuroscienze diverse ricerche hanno mes-so in evidenza le relazioni tra le attività musicali e le capa-cità che stanno alla base della lettura, scrittura, compren-sione e calcolo, fra cui le capacità percettive e motorie, lacoordinazione, l’integrazione spazio-temporale, le capaci-tà linguistiche, attentive e mnemoniche.L’ampiezza dell’azione della musica sarebbe legata allamolteplicità di aree cerebrali coinvolte durante le attivitàmusicali e gli studi neurologici realizzati mediante latomografia ad emissione di positroni (PET) 19 dimostranoproprio che le aree interessate durante le attività musicalisono numerose e, aspetto non secondario, distribuite inentrambi gli emisferi.Vi sono anche studi che provano legami neurobiologici tramusica, linguaggio e movimento; in particolare l’area diBroca risulta sede di funzioni per il linguaggio, per la mu-sica e per i movimenti fini della mano; si tratta di funzioniche implicano un’organizzazione gerarchica fra più unità,come cogliere la sintassi in una frase, le relazioni in unafrase melodica o coordinare mani e dita nel compiere pic-coli movimenti di precisione.Presso la Northwestern University in Illinois, GabriellaMusacchia avrebbe dimostrato la capacità della musica dipotenziare meccanismi neurali importanti per il linguag-gio, arrivando ad affermare che la musica potrebbe aiutarei bambini a sviluppare capacità linguistiche e a diminuire idisturbi legati alla dislessia 20.La forza educativa delle esperienze musicali, inoltre, risie-derebbe anche nello stretto legame che esiste tra la musica

e la dimensione affettiva; alcuni studi dimostrano, infatti,che l’ascolto musicale attiva il sistema limbico (Bencivelli2007, p. 54), una parte molto antica della corteccia cere-brale, che ha la funzione di gratificare l’individuo ognivolta che fa qualcosa di utile per sé o per la specie, attra-verso la produzione di un ormone chiamato dopamina.La dopamina agisce sul sistema nervoso simpatico causan-do l’accelerazione del battito cardiaco e l’innalzamento dellapressione sanguigna ed è responsabile delle sensazioni dipiacere, di energia e di attenzione.Sandra Trehub, psicologa dell’università di Toronto, sostie-ne che la musica avrebbe la funzione di «favorire le connes-sioni tra persone, proprio grazie al suo significato emotivo»e avrebbe il potere non solo di modificare l’umore dei bam-bini, ma anche degli adulti (Bencivelli 2007, p. 122).Anche Fraisse afferma qualcosa di analogo, avendo peròcome punto di partenza l’aspetto ripetitivo e ritmico dellamusica; secondo l’autore la ripetizione genera il ritmo e ilritmo è un aspetto fondamentale nei processi naturali(Fraisse 1996, pp. 12-14); a sua volta il ritmo induce l’uo-mo al movimento e il movimento procura sensazioni dipiacere e di soddisfazione. Fraisse scrive: «[…] Sappiamoche a questa sincronizzazione percettivo-motrice corrispon-de una partecipazione complessa dei centri nervosi supe-riori. Tutto ciò che è percettivo è in primo luogo di ordinecorticale, ma il cinestesico eccita particolarmente ildiencefalo, ovvero il nostro cervello affettivo […] È essen-ziale sottolineare come questa sincronizzazione […] ha comeconseguenza diretta di fare del ritmo una esperienza so-ciale, poiché le stesse cause producono effetti identici intutti quelli che vengono esposti ad esse […] Le danze, lemarce, il canto corale, sono fenomeni collettivi e il ritmovi trova una dimensione nuova» (Fraisse 1996, p. 92).Le riflessioni pedagogiche e didattiche che si possono trar-re sono tante e diversificate; in particolare ritengo si possaaffermare che proporre nella scuola dell’obbligo unità diapprendimento che prevedano particolari e mirate espe-rienze sonoro-musicali, in modo continuativo, favorirebbel’apprendimento scolastico di tutti i bambini, anche quellicon DSA, disprassia o altre difficoltà.In relazione a questi ultimi, inoltre, la musica, offrendosituazioni in cui l’imparare assume una dimensione piace-vole, divertente e corale, risulterebbe davvero utile nelmotivarli all’esercizio e alla ripetizione.In effetti, i bambini in difficoltà di apprendimento spessonon hanno quel naturale impulso tipico dell’infanzia aesplorare il loro ambiente e a sperimentare le loro abilitàattraverso giochi-esercizio ripetuti più e più volte solo peril piacere di fare (Rheinberg 21 a tal proposito parla di “de-ficit motivazionale”).La valorizzazione della musica e di altre discipline troppospesso messe in secondo piano nella nostra scuola trovaragione anche nelle modalità stesse dell’apprendimento,che altro non è che il formarsi di nuove interconnessionineuronali o il modificarsi di interconnessioni già esistenti;può avere molteplici differenziazioni in relazione alle atti-vità e agli esercizi svolti e alle potenzialità e predisposizioniintellettive del soggetto.

18 IMBERTY 2002, p. 337.19 Tali studi permettono di registrare l’aumento di flusso sanguigno

in alcune parti del cervello durante una particolare attività.20 www.corriere.it/Rubriche/Salute/Medicina/2007/09_Settembre/

25/musica_linguistica.shtml, La musica potenzia capacità verbali21 In CORNOLDI 2007, p. 254.22 MIUR, USR-ER, Nota prot. 1425, 3 febbraio 2009, cit., p. 40.

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37È fondamentale, pertanto, promuovere una didattica chericonosca e rispetti la pluralità sia delle risorse intellettive,sia delle modalità di fare esperienza dei bambini, facendoattenzione a uno sviluppo armonico e sinergico delle poten-zialità dei due emisferi e a non applicare una didatticacentrata troppo sulla lingua italiana (come spesso accadenella nostra scuola).Gli insegnanti dovrebbero riflettere maggiormente sullavalenza cognitiva dei diversi apprendimenti. «Questo aspet-to, troppo trascurato nelle nostre scuole, ha innanzi tuttouna valenza “riparatrice”, in quanto può consentire di svi-luppare determinate abilità attraverso strade diverse daquelle consuete, in caso queste ultime siano difficili dapercorrere. Ha poi una funzione “vicariante” in quanto puòconsentire di sviluppare abilità che compensano quelle dif-ficili da acquisire» 22.I bambini con DSA da alcuni anni stanno richiedendo al mondodella scuola grandi cambiamenti nella pratica didattica quoti-diana, mettendo in seria difficoltà la maggior parte degli inse-gnanti. L’educazione musicale, certamente valida in se stessae da considerarsi disciplina autonoma, potrebbe rivelarsi unbuon ausilio didattico per altre discipline con il risultato di:- variare le proposte didattiche e quindi annoiare di meno

gli alunni (è provato «che la partecipazione a un com-pito monotono è accompagnata da un rendimento in-feriore» Malim 2002, p. 37);

- offrire ulteriori occasioni per fare esercizi mirati favo-rendo la memorizzazione e la meccanizzazione di certeconoscenze e abilità;

- affrontare le difficoltà da un punto di vista diverso, chepotrebbe risultare più congeniale e meno problematicoper alcuni bambini (gli stili di apprendimento, ricordo,sono diversi e vari).

CORSI ESTIVI SIEM 2011CORSI ESTIVI INTERNAZIONALI DI DIDATTICA DELLA MUSICA

Castello Pasquini di Castiglioncello18-23 luglio 2011

In collaborazione con ReteToscana Musica, Comune di Rosignano Marittimo e Associazione Armunia

SocietàItalianaper l’EducazioneMusicale

Rappresentante Italiana dell’ISMEInternational Society for Music Education

È ovvio che non tutte le attività musicali possono esserestrumentali per l’acquisizione di competenze trasversali,ma è necessario che gli operatori musicali, con una buonapreparazione anche pedagogica e didattica, sappiano ela-borare percorsi mirati che tengano conto sia delle abilitàdi base trasversali su cui si agisce (percezione, organizza-zione temporale, integrazione spazio-temporale, coordina-mento motorio, orientamento destra/sinistra, conoscenzae rappresentazione dello schema corporeo, dominanza la-terale, memoria e attenzione …), sia degli obiettivi specificidella disciplina musicale.Il lavoro che si prospetta è tanto e complesso, ma anchestimolante, utile e interessante, in grado sia di valorizzarela disciplina musicale (troppo spesso emarginata nelcurricolo), sia di favorire concretamente l’apprendimentoscolastico di tutti i bambini.

BibliografiaSILVIA BENCIVELLI, Perché ci piace la musica, Sironi Editore, Milano 2007.SHARON A. CERMAK – SASSON S. GUBBAY – DAWNE LARKIN, What isdevelopmental coordination desorder?, in Developmental CoordinationDisorder, a cura di Sharon A. Cermak, Dawne Larkin, Delmar Thomson,Boston 2001, pp. 2-22.GIULIA CREMASCHI TROVESI, Leggere scrivere e far di conto, Armando Edito-re, Roma 2007.Difficoltà e disturbi dell’apprendimento, a cura di Cesare Cornoldi, IlMulino, Bologna 2007.DARIO IANES, Bisogni Educativi Speciali e inclusione, Erickson, Trento2005.MICHEL IMBERTY, La musica e l’inconscio, in Enciclopedia della musica,vol. 2, Il sapere musicale, Einaudi, Torino 2002.TONY MALIM, Processi cognitivi, Erickson, Trento 2002.TIM R. MILES – JOHN WESTCOMBE, Musica e dislessia, Rugginenti, Milano2008.

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38 Lara Corbacchini

ÁINE MACNAMARA - DAVE COLLINS, More than the “X” factor! Alongitudinal investigation of the psychological characteristicsof developing excellence in musical development, in “MusicEducation Research”, volume 11, n. 3, settembre 2009, pp. 377-392 [abstract consultabile su www.informaworld.com/smpp/content~db=all~content=a915185766~frm=titlelink]

Spogliato di quell’aura insondabile di divinità che da semprene ha protetto il riconoscimento sociale, il talento appare or-mai come il frutto di una estremamente complessa, masondabile, sinergia di molteplici fattori di natura diversa: bio-logica, psicologica, ambientale e sociale. Grazie a quasi untrentennio di ricerche, l’eccellenza non appare più determinatada un «elusivo e mal definito (e mal compreso)» (p. 377) fattore“X” ma da un processo di graduale sviluppo determinato daun’interazione moltiplicativa di diversi elementi.Il presente studio ci consente, tramite una ricerca sperimentaledall’interessante sfondo teorico, di fare una sintetica panora-mica proprio su quelle caratteristiche psicologiche che, noteper essere alla base delle performance di professionisti di altolivello, facilitano il raggiungimento del successo anche da par-te dei musicisti più giovani.Infatti durante il percorso verso l’eccellenza gli aspiranti musi-cisti passano attraverso una serie crescente di sfide che, pre-senti sin dagli esordi, conducono ai livelli di performance piùalti; mentre percorrono dei macro-stadi di sviluppo prevedibili(anni iniziali, centrali e finali degli studi) «incontrano anchemolti micro- e meso-stadi di transizione dello sviluppo (ad es.trauma, selezione, cambio di tecnica, cambio di insegnante)[…]. Mentre questi micro-stadi sono generalmente di brevedurata, non sono meno importanti e devono essere negoziaticon successo per mantenere i progressi» (p. 378). In questo com-pito di mediazione, reso più difficile dall’imprevedibilità deimicro-stadi, un ruolo centrale è assunto proprio dalle «caratte-ristiche psicologiche per lo sviluppo dell’eccellenza» (da qui inpoi CPSE). Costituite da un mix di abilità psico-comportamentali,variabili a livello individuale, esse possono essere ricondottetramite la letteratura di riferimento alle seguenti grandi cate-gorie: definizione degli obiettivi, valutazione realistica dellaperformance, immagini mentali, qualità dello studio, impegno,resistenza alle pressioni, motivazione. Grande attenzione deveessere riservata dalle istituzioni di istruzione musicale al lororinforzo, infatti «senza queste capacità, e non importa quanteabilità naturali un musicista possieda, il “talento” può ancheridursi a un potenziale incompiuto» (p. 379).Vista la centralità di suddette caratteristiche, lo studio si pro-pone di approfondire se il medesimo elenco di CPSE sia applicabiledurante tutto il percorso di sviluppo e, correlatamene, se cia-scuna delle CPSE sia usata in modo uguale o differente in basead altre peculiarità (ad esempio l’età) e al contesto dell’indivi-duo (ad esempio livello di studio). L’indagine ha coinvolto at-traverso il metodo dell’intervista semi-strutturata un campio-

ne di quindici giovani musicisti, divisi equamente in tre fasceprogressive di età (14, 16, 18 anni), individuate al fine di avereuna panoramica longitudinale sulle questioni; tutti i soggetticoinvolti sono stati segnalati dai loro insegnanti per la possibi-lità potenziale di eccellere nell’età adulta.Le interviste sono state quindi analizzate in modo induttivo alfine di individuare delle «unità di significato» da riunire in Temi.Ulteriormente, con procedimento deduttivo, questi ultimi sonoriportati alle Categorie di riferimento presenti in letteratura(vedi elenco più sopra), così come evidenziato nella Tabella 1 1

(cfr. p. 382). Quando non è stata rinvenuta in letteratura unaCategoria adeguata, questa, come nel caso delle Abilità sociali,è stata appositamente creata.

Tabella 1Tema CategoriaMotivazione esterna

MotivazioneMotivazione interna

Sacrifici fatti per avere successoImpegno

Disciplina

Seguire gli obiettivi dati dall’insegnanteDefinizione degli obiettivi

Definizione autonoma degli obiettivi

Studio mentaleImmagini mentali

Uso delle immagini come fonte di fiducia

Capacità di autovalutare con accuratezza

la performance Valutazione realistica

Consapevolezza di cosa è necessario della performanceper avere successo

Impegno nella quantità di studio di qualità richiestoQualità dello studio

Controllo della distrazione durante lo studio

Capacità di bilanciare gli impegni

Capacità di regolare il livello di attivazione (arousal) Resistenza alle pressioni

Organizzazione delle abilità

Capacità di stare insieme con gli altriAbilità sociali

Mettere in comune

Si può immediatamente notare da questi primi dati come lateoria “ingenua”, caratterizzante la percezione dei soggetti,sia assimilabile a quella presente in letteratura; infatti i gio-vani musicisti hanno stilato un elenco di comportamenti chefacilitano il talento molto simile alle CPSE individuate nei iprimi anni di carriera; unica eccezione le Abilità sociali nonpreviste in quest’ultime. Analizzando i dati in modo longi-tudinale come mostrato nella Tabella 2 (p. 384), emerge che,in relazione ai propositi della ricerca, tutte le CPSE sono pre-senti in ogni fascia di età, ma non sono utilizzate da tutti isoggetti: la loro utilizzazione dipende sia dal contesto chedalle caratteristiche dell’individuo. «A proposito di età e livel-lo, l’applicazione delle CPSE appare come un continuum dallapromozione delle CPSE da parte di “altri” predominante neiprimi anni verso una quasi universale auto-applicazione delleCPSE nelle fasi più tarde» (p. 383).

Le qualità che aiutano il talento

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Tabella 2CPSE Gruppo 1 Gruppo 2 Gruppo 3

Età 14 Età 16 Età 18(%) (%) (%)

Motivazione 100 100 100

Impegno 80 100 100

Definizione degli obiettivi 80 100 100

Immagini mentali 60 40 66.6

Valutazione realistica della performance 60 80 83.3

Qualità dello studio 100 100 100

Resistenza alle pressioni 100 100 100

Al fine di cogliere alcuni spunti di riflessione dalla vasta corni-ce inerente il “talento”, particolare interesse si trova in un sin-tetico commento dei dati rilevati in Categorie e Temi (vedi Ta-bella 1 e 2 ) e dei relativi presupposti teorici.MOTIVAZIONE. È possibile distinguerla in interna (derivante da undesiderio interiore di sviluppare il proprio potenziale) ed ester-na (derivante da riconoscimenti e premi). I musicisti del cam-pione presentano tutti il primo tipo di motivazione in ogni fa-scia di età; il secondo tipo appare particolarmente presente neiprimi due gruppi. Man mano che i giovani progrediscono sonomeno legati a riconoscimenti e gratificazioni esterne: i miglio-ramenti, la maggior fiducia in se stessi e le emozioni positiveassociate alla musica li motivano adeguatamente a spenderetempo e fatiche nello studio.IMPEGNO. Si può definire come «i sacrifici che i musicisti sentonodi dover fare per riuscire» (p. 384). Le rinunce cominciano sindall’adolescenza, limitando le attività tipiche dell’età, per con-tinuare nell’età adulta. I più grandi, in particolare, non mostra-no eccessivo rimpianto per le privazioni, considerate anche leopportunità di sviluppare appieno il proprio potenziale in vistadi una carriera soddisfacente. L’impegno viene strutturato effi-cacemente durante i periodi di lezione, grazie anche alle lezio-ni cadenzate; minor qualità e quantità di studio viene messa inatto dai più grandi in assenza di tale organizzazione (ad esem-pio durante le vacanze) o dai più piccoli, in ogni periodo, senzail supporto di insegnanti e genitori.DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI. Nelle prime fasi di studio gli obiettivisono strettamente definiti dagli insegnanti al fine di guidarepiù efficacemente i progressi. Gli studenti più grandi sentonoperò questa mancanza di autonomia come una costrizione,mentre al livello del conservatorio gli studenti raggiungono unasostanziale autonomia, mostrando di utilizzare sofisticate CPSE

per far fronte a tale indipendenza.USO DELLE IMMAGINI MENTALI. Nonostante non affrontino uno speci-fico training i soggetti utilizzano ampiamente le immaginimentali per preparare le lezioni o le esecuzioni pubbliche, al

fine di migliorare lo studio fisico o per raggiungere un maggiorlivello di sicurezza in se stessi.QUALITÀ DELLO STUDIO. Tutti gli studenti indipendentemente dal-l’età sono consapevoli dell’importanza della qualità dello stu-dio, mettendo in atto progressive strategie per bloccare le di-strazioni nell’ambiente. Tutti investono un notevole quantitativodi tempo nello studio; per i più piccoli questo tempo viene ge-stito dall’“esterno”; man mano che progrediscono divengonoautonomamente in grado anche di massimizzare il tempo de-dicato allo studio piuttosto che limitarsi a “fare abbastanza”.VALUTAZIONE REALISTICA DELLA PERFORMANCE. I più giovani mostrano diessere molto dipendenti dai feedback e dai giudizi degli altriper valutare i propri progressi. A partire dalla scuola secondariasuperiore gli studenti vengono incoraggiati dagli insegnanti adare autonomamente valutazioni sul proprio modo di suonare;questo stimolo appare particolarmente importante per far frontea quei periodi, come le vacanze, in cui non è disponibile il sup-porto puntuale dell’insegnante.ABILITÀ SOCIALI. Considerando che quella del musicista è una oc-cupazione sociale, man mano che i giovani musicisti cresconoriconoscono il bisogno di consolidare una gamma di abilità non-musicali come quelle sociali o di comunicazione soprattutto alfine di massimizzare le opportunità di performance. Agli iniziqueste occasioni sono gestite dagli insegnati o dalla scuola,ma, man mano che ci si inserisce nell’attività professionale, ènecessario incrementare la capacità di creare una rete di con-tatti nell’ambito dell’industria musicale.RESISTENZA ALLE PRESSIONI. Man mano che gli studi procedono, i sog-getti hanno dichiarato di affrontare una maggior quantità distudio musicale “intenzionale” contemporaneamente a un mag-gior carico di lavoro scolastico. Per far fronte a ciò devono es-sere in grado di bilanciare con successo tutti i tipi di impegni(inclusi quelli sociali). Inoltre tutti hanno sottolineato l’impor-tanza di regolare il livello di attivazione (arousal) in vista delleperformance pubbliche. Particolare rilievo viene dato alla ca-pacità di utilizzare proficuamente le valutazioni critiche degliinsegnanti per migliorare le successive interpretazioni. Inoltreè necessario imparare a far fronte non solo alle sfide prevedibili(ad esempio un maggiore carico di studio) ma anche a quelleimprevedibili costituite dai microstadi di transizione dello svi-luppo (vedi più sopra) o da positive ma fortuite occasioni (adesempio un concerto inaspettatamente trasmesso da una TV).

1 Nella sezione Materiali del sito www.musicadomani.it è possibileconsultare la Tabella 3, che costituisce un ampliamento della Ta-bella 2 grazie all’inserimento delle «unità di significato» raccoltein Sottocategorie. Dall’analisi di queste ultime si può avere unapanoramica dettagliata, collegabile alla parte finale del presentecontributo, sui concreti comportamenti che facilitano la transi-zione dell’eccellenza da potenziale ad attuale.

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I l dibattito sulla presenza della musica nelcurriculum scolastico della scuola primaria ha ra-dici lontane. Si continua a riflettere su cause edeffetti di normative scolastiche e di politicheeducative sorde e addirittura dannose alla cre-scita di questo paese.I recenti tagli di finanziamenti alla cultu-ra e i pesanti ridimensionamenti negliorganici delle scuole incidono grave-mente anche sul ruolo fondamenta-le che la ricerca può e deve avereper il progresso culturale di que-sto paese.Assistiamo ogni giorno ad at-tacchi efferati a danno del-la scuola pubblica. Le giàpovere risorse delle isti-tuzioni italiane sonocontinuamente ri-dotte in nome diemergenze fi-nanziarie frut-to di politichedissennate ,attuate in as-senza di pro-spettive eproposte di ampie visioni.In questo quadro, che definirei apocalittico e disperato, ognigiorno nelle scuole italiane avviene un miracolo. Tutte lemattine per circa 200 giorni l’anno circa 8 milioni di ra-gazzi e ragazze entrano a scuola con la volontà e l’impe-gno di apprendere e circa un milione e mezzo di insegnan-ti entrano in classe, anche se sempre più stanchi e demora-lizzati, dimostrando una passione continuamente rinno-vata nel trasmettere conoscenza ed emozioni.In questo quadro si inseriscono le riflessioni di questa ru-brica.Con il DPR n. 104 del 12 febbraio 1985, nuovi programmi

A cura di Annalisa Spadolini

Musica nella scuola primariafra norme e prassi

per la scuola elementare entrano in vigore dall’an-no scolastico 1987-1988. Ho riletto questi pro-

grammi con molto piacere per la linearità degliobiettivi e dei contenuti: «l’educazione al suo-

no e alla musica» è inserita a pieno titolo(perlomeno a livello normativo) nel curri-

culum del settore inferiore degli studi nel-la scuola pubblica.

Nella parte riguardante i contenutidella disciplina, si parla di svilup-

po della creatività come potenzia-le educativo, di attenzione da

dare alla percezione della re-altà sonora nel suo comples-

so e alla sua comprensio-ne, di produzione e uso

dei diversi linguaggisonori nelle loro

componenti comu-nicative, ludiche,

espressive. Èesplicita l’in-

dicazione didover attiva-re nei “fan-ciulli” la ca-pacità prati-

ca nell’uso dei suoni per comunicare ed esprimersi. Que-sti programmi non lasciano dubbio sull’attenzione che illegislatore ha voluto dare alla rilevanza formativa dellamusica.Dal 1985 a oggi altri interventi normativi programmaticisono stati elaborati da gruppi di esperti e intellettuali enelle Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanziae per il primo ciclo d’istruzione del settembre 2007 si ècercato «di dare senso alla frammentazione del sapere» cosìcome è scritto nell’introduzione del ministro Fioroni. Treordini di studi diversi, la scuola dell’infanzia, la scuola pri-maria e la secondaria di primo grado sono analizzati verti-

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41calmente, in sintonia con le idee di riforma proposte daBerlinguer che ponevano molta attenzione alla scuola au-tonoma ma in continuità educativa.Il documento, tuttora vigente, non parla di programmi, madi «traguardi per lo sviluppo delle competenze» e di «obiet-tivi di apprendimento». Vi si afferma che «il canto, la pra-tica degli strumenti musicali, la produzione creativa, l’ascol-to e la riflessione critica favoriscono lo sviluppo dellamusicalità che è in ciascuno».Ho avuto modo di collaborare, insieme ad altri colleghi,alla sua stesura; ricordo i momenti in cui in collegamentocon la Commissione Ceruti-Fiorin, a qualche ora dalla pub-blicazione delle indicazioni, insistevamo sull’inserimentodi parole e concetti che tenessero conto delle esperienze espostassero l’attenzione sull’attività di musica pratica nel-la scuola, e ricordo anche le ampie discussioni sul signifi-cato di laboratorio che volevamo emergesse nel documen-to. Io in particolare affermavo che l’esperienza educativanon ha traguardi ma è orientata verso mete e che nes-suna corsa all’apprendimento può essere data per-ché l’arrivo è sempre spostato in avanti.Allora, come hanno inciso tali interventi nor-mativi nella vita scolastica delle bambine e deibambini italiani iscritti nella scuola primariadalle Alpi alla Sicilia?Nelle scuole, come sono andate e comevanno veramente le cose?In che modo è stato finora possibilefar raggiungere tali traguardi e com-petenze ai ragazzi? Qual è la real-tà e lo stato dell’arte nella scuo-la primaria?Il lavoro di molti anni di ri-cerca educativa e le prati-che didattiche di quasitrent’anni dall’inseri-mento dell’educazioneal suono e alla mu-sica nei program-mi del 1985 nel-la scuola pri-maria, pas-sando per lenuove indi-cazioni na-zionali del2007, hanno solo in parte contribuito a un allargamento dimentalità culturale e all’elevamento di interventi didatticidi qualità nelle scuole. Uno dei motivi è da attribuire al-l’orientamento culturale filosofico e alla forte politica sco-lastica di stampo gentiliano che ha permeato la storia dellanostra educazione e che ha generato e perpetuato un inse-gnamento deduttivistico, autoritario, calato dall’alto; lanostra scuola dà ancora grande importanza alle definizio-ni, alle leggi generali, alle regole astratte, all’astrazione,senza motivare, dare senso, coinvolgere, stimolare la cu-riosità diretta e senza considerare l’esperienza.Un secondo importante motivo che ha rallentato molto l’ef-

fettiva realizzazione di ciò che veniva inserito nei pro-grammi scolastici è collegato alla formazione, e cioè allamancanza di figure professionali atte a garantire le com-petenze per la realizzazione dell’apprendimento pratico dellamusica, all’assenza di musicisti specialisti con un curriculumriconosciuto, di docenti adeguatamente preparati all’inse-gnamento, soprattutto pratico, della musica.Il poco spazio affidato alla musica nei corsi degli istitutimagistrali e psicopedagogici che abilitavano all’insegna-mento nella scuola primaria prima e l’esiguità di ore riser-vate alla musica nei piani di studio della facoltà di Scienzedella formazione, poi, non hanno permesso ai maestrigeneralisti di acquisire le conoscenze e le competenze ne-cessarie all’insegnamento della musica nella scuola. È spessomancato il dialogo fra i sistemi formativi (università, con-servatori e enti musicali) che inseriscono la musica fra isaperi pedagogico-didattici dei futuri insegnanti.Abbiamo assistito in questi anni a posizioni totalmente

schizofreniche, dove i ministri dell’istruzione nel pie-no possesso delle loro potenzialità di legislatori ope-

ravano, da un lato, verso un recupero di dignitàculturale dell’apprendimento della musica nella

scuola e, da un altro lato, verso la definizionedi interventi tendenti alla negazione di ciò

che veniva proposto a livello concettuale eprogrammatico.

Ho da qualche anno la possibilità di farparte di alcune delle commissioni

ministeriali che si occupano di for-mazione, di consulenza, di ricerca

e di proposte culturali di politi-ca scolastica e devo rilevare

che spesso il lavoro e l’impe-gno degli esperti, dei do-

centi e dei dirigenti coin-volti è disatteso e igno-

rato da logiche com-plesse, in mancanza

di collegamentofra le attività

f o r t e m e n t eprogressistee aperte del-la conoscen-za e il con-se rva to r i -

smo degli uffici dell’amministrazione centrale, spesso, eloro malgrado, “bloccati” e controllati dagli organi di go-verno.Nella scuola primaria, dove c’è grande necessità di porre lebasi per la scoperta e la curiosità di mondi nuovi, la musica,per essere insegnata a un livello qualitativo alto ed efficace,ha bisogno di specialisti didatticamente formati nel rispettodella qualità di apprendimento richiesta dagli alunni.Per ottenere questo, nella scuola di tutti, a fianco della spe-culazione teorica e di ricerca, sono necessarie forti politichedi investimento economico. Senza investimenti per la scuo-la non c’è progresso e non c’è futuro per i nostri ragazzi.

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42 Notevoli sono state e sono le iniziative e i progetti destina-ti alla formazione musicale per i docenti di scuola primaria(li ricorda Mario Piatti nel suo articolo) e tante sono lebuone pratiche musicali in atto nelle scuole d’Italia (ultimefra tante tutte le attività documentate nel Progetto Musica2020).La richiesta di musica nelle scuole si è moltiplicata a livel-lo esponenziale. Pregevole è l’impegno di tanti dirigentiche promuovono e sostengono con l’aiuto degli enti localie delle amministrazioni periferiche e con la consulenza el’intervento del mondo dell’associazionismo, attività mu-sicali nei propri istituti. Negli ultimi anni tante scuole ita-liane hanno scelto modelli organizzativi in grado di facili-tare ed estendere le buone pratiche musicali a tutti gli al-lievi; modelli di continuità verticale, elaborati e sperimen-tati anche in mancanza di competenze specifiche. È deter-minante il lavoro di tanti docenti che credono, perché hannoverificato sul campo e con l’esperienza, nel valore dellamusica nella pratica d’insegnamento quotidiana, non soloe non soltanto nelle ore stabilite dai programmi ministeriali.Esiste un mondo, nella scuola primaria, al di là delle indi-cazioni teoriche e delle norme scritte, dove la musica vivee genera entusiasmi, interessi e passioni nei ragazzi. Que-sto movimento dal basso e le piccole ma incisive normeche alcune “frange di resistenza e attacco” riescono a farapprovare nelle sedi deputate: partiti politici, parlamento,senato, addirittura nelle aule di tribunale, ci fanno sperarein un cambiamento inesorabile, se pur lento, verso il rico-noscimento di una posizione dignitosa, alla pari delle altrediscipline, della musica nella scuola pubblica italiana pertutte le bambine e i bambini.Il 31 gennaio 2011 Mariastella Gelmini ha firmato il Decre-to n. 8 che sancisce un principio importante in parte giàcontenuto nell’art. 4 comma 10 del DPR 20 marzo 1989,cioè che per insegnare la musica nella scuola primaria sononecessari insegnanti adeguatamente preparati. Un secon-do aspetto che voglio sottolineare fra le molte indicazionicontenute nel decreto è che la cultura e la pratica strumen-tale e corale devono essere favorite in senso verticale, nel-la necessità che gli istituti formativi di ogni ordine e gradoinizino finalmente a dialogare su un progetto comune.Difendo questo decreto, lo difendo con molta convinzioneperché, anche in assenza di investimenti certi e continui,di risorse organiche specifiche aggiuntive, una norma del-lo stato favorisce la verticalizzazione degli studi musicali etenta di innalzare la qualità della didattica. Come, in chemodo sarà possibile per tutti gli allievi accedere ai saperimusicali? La strada è impervia, ma lotteremo e insisteremocon molta determinazione per ottenere figure di docenti inorganico di diritto e investimenti economici maggiori. Orasi tratta di attivare iniziative di diffusione del decreto, distilare linee guida per la sua attuazione, di incontrare emotivare i referenti per la musica degli uffici scolastici re-gionali, di avviare iniziative di informazione e formazioneper tutti gli attori coinvolti, di monitorare e documentare.Questi devono essere i nostri prossimi obiettivi. Ho impa-rato che una piccola battaglia può fare la storia e che lastoria non è fatta solo dagli eroi, ma dal lavoro minuto e

perseverante di tante donne e uomini che dal basso creanole condizioni per il cambiamento. È vero, una visione olisticae strategie di interventi coordinati sono l’unico rimedionella definizione di una politica culturale ottimale, ma sia-mo di fronte a un paese in grave crisi e di questo attribui-sco molta responsabilità anche al silenzio dei tanti che nonhanno neanche più la forza di indignarsi.Ancora oggi, però, oltre a quel mondo sonoro fortunato alquale accennavo prima, esistono realtà “silenziose” doveneanche le norme sono conosciute, e dove la musica vieneignorata. Noi docenti motivati, ricercatori, noi appartenentia una élite, abituati come siamo a conoscere realtà di buo-ne pratiche, dimentichiamo l’altra faccia della scuola, quellache oppone resistenza ed è ancora fortemente legata a un’or-ganizzazione dei saperi di tipo gerarchico, quella che nonaccoglie i suoni nelle sue classi, con la motivazione più omeno fondata che mancano le risorse professionali ed eco-nomiche. Il nostro compito è di fare in modo che le attivitàmusicali entrino in queste scuole; a loro dobbiamo rivol-gere maggiore attenzione. Continuiamo, ognuno con leproprie potenzialità e volontà, a chiedere interventi legi-slativi sempre più coordinati, a credere nella forza delladeterminazione e nell’unione di intenti.La nuova società della conoscenza, la complessità dei mezzidi comunicazione ci impone di considerare i nuovi codicicomunicativi e la capacità creativa dei nostri ragazzi, e perraggiungere questi obiettivi è richiesto un nuovo modellodi insegnante, più proiettato verso i bisogni della società everso nuovi approcci e strategie didattiche.Ho chiesto ad alcuni protagonisti del settore un punto divista sullo stato dell’arte e un parere sul Decreto Ministerialen. 8.Luigi Berlinguer, presidente del Comitato nazionale per l’ap-prendimento pratico della musica presso il MIUR, ha com-mentato il DM n. 8 dal punto di vista del politico e delgiurista e presenta qui la sua idea di educazione.Pierluigi Alessandrini, compositore, saxofonista e dirigen-te scolastico, propone alcune soluzioni organizzative perl’attuazione del decreto.Gianluca Nicolini, docente di scuola primaria, espone ilsuo punto di vista di musicista didatticamente formato e diinsegnante generalista, presentando le sue personali espe-rienze e alcune considerazioni sull’importanza del maestrospecialista. Infine Mario Piatti, pedagogista e ricercatore,dichiara i punti di criticità del decreto e cita in modo moltopuntuale alcuni momenti della storia della musica nellascuola degli ultimi trent’anni.Li ringrazio molto per il loro contributo e per la sincera edisinteressata disponibilità.

Musica tra teoria e praticadi Luigi Berlinguer

La musica costituisce una parte integrante della crescita,della formazione e della cultura di ogni essere umano. È daquesto assunto che muove da anni l’attività del Comitato

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43nazionale per l’apprendimento pratico della musica che dal2006 ho l’onore di presiedere. E, poiché si tratta di un as-sunto che ha a che vedere con la civiltà e con i tempilunghi del suo sviluppo, il Comitato ha sempre giudicatopositivamente anche i piccoli passi che vengono fatti per-ché esso possa trasformarsi nel nostro paese da aspirazio-ne in realtà.Tra questi passi, e non certo dei più piccoli, si può annove-rare la firma, da parte del Ministro dell’istruzione, del re-cente Decreto n. 8/2011. Questo decreto ha infatti il meritodi creare i presupposti perché, anche sulla base di alcuneindicazioni del Comitato, la musica possa essere inseritasin dalla scuola primaria nel curriculum scolastico comedisciplina formativa a pieno titolo. Non si tratta di unanorma che modifica gli ordinamenti (e dunque gli organi-ci) – ché, altrimenti, avremmo parlato di svolta epocale –,e tuttavia si tratta di una norma che, per la sua naturaprocessuale, rappresenta comunque una condizione neces-saria per favorire l’inserimento sistematico della musicanel curriculum educativo, e dunque non come divertisse-ment ed entertainment.Nella scuola primaria, in realtà, l’insegnamento curricularedella musica è previsto nei Programmi del 1985 e poi nelleIndicazioni nazionali del 2007, ma non è stato finora rea-lizzato perché è mancata la definizione delle competenzemusicali richieste agli insegnanti e, dopo l’introduzionedell’autonomia scolastica, sono mancate indicazioni spe-cifiche sull’organizzazione di questo insegnamento, quelleche, nel linguaggio burocratico, vengono di solito chiama-te con il nome di “linee guida”. Questo decreto, anche senon risponde a tutte le esigenze delle scuole che voglionoconcretamente far praticare la musica ai loro allievi, simuove comunque nella direzione giusta.Intanto, vi è sancito il principio importante che la musicapratica debba essere insegnata da specialisti ed è previsto,nell’ambito del sistema nazionale d’istruzione, che sia in-segnata da docenti già compresi in organico, abilitati al-l’insegnamento e con titoli che vengono dettagliatamentespecificati.Non siamo purtroppo nelle condizioni né di finanza pub-blica né complessive (anche culturali) del paese per potersognare un provvedimento ex auctoritate legis, che sciolgaogni dubbio e inserisca tout court, dall’alto, la figura deldocente specialista in aggiunta all’organico esistente. Ag-giungere l’esperto di musica nella scuola primaria, accantoal maestro, è un miracolo che non si può realizzare da ungiorno all’altro, né da un anno all’altro. Ma si possonointanto individuare e formare persone che possano eserci-tare questa funzione e che siano all’altezza di questo com-pito sia – preliminarmente – nella loro preparazione dimusicisti, sia in quella della didattica musicale.Una delle strade che si è scelta è stata quindi quella ditrovare tutte le risorse possibili cominciando dal fare emer-gere, all’interno delle scuole primarie, quei docenti che, invirtù del possesso anche di un titolo che attesti le loro com-petenze musicali, possano svolgere la funzione di “mae-stro di musica”. Non si tratta pertanto, per dirla in breve, diaggiungere un esperto musicista all’organico dei maestri di

una scuola, ma di far sì che i maestri-musicisti possano farvalere le loro competenze musicali e didattiche.Di questo si parla nel decreto. E si indicano le modalitàconcrete attraverso le quali, a partire dal terzo anno, pos-sano svolgersi corsi di musica pratica nella scuola prima-ria. Infine, si prevede qualcosa che potrebbe costituire infuturo un fondamento importante della filiera degli studimusicali: si prevede, per un certo (piccolo) numero di clas-si di scuole primarie, il finanziamento di corsi con l’inse-gnamento di uno strumento, creando così di fatto dellevere e proprie scuole primarie a indirizzo musicale desti-nate a costituire il primo anello di una catena di continuitàverticale di pratica dello strumento, che continuerà con glianelli costituiti dalle analoghe scuole secondarie di primogrado e dai licei musicali. Il finanziamento di questi corsi èprevisto – anche se non ancora reso disponibile – già dalprossimo anno scolastico. In assenza del finanziamentodello Stato, sarà comunque possibile che gli Uffici scola-stici regionali concorrano all’allargamento del numero dellescuole sia con propri finanziamenti, sia con l’impiego dipersonale in esubero.In una parte della scuola primaria si continuerà dunque afare attività musicale così come si è sempre fatta, anche inorario extrascolastico, ma ora con alcune certezze in più suititoli di chi può farla e sulle modalità con cui farla. Altrescuole potranno, con risorse proprie, di privati o di enti lo-cali, fare entrare la pratica musicale nel curriculum perchéora, se non ci sono le risorse dello Stato, ci sono almeno lecondizioni giuridiche. Una delle modalità previste è la pos-sibilità, ora precisamente regolata, di stipulare convenzionie accordi fra le scuole e i conservatori; questi due mondi,deputati entrambi all’educazione, hanno bisogno di mettereinsieme le risorse prima di tutto professionali.Quello che caratterizza il decreto da punto di vista cultura-le è che in esso si parla di cultura musicale in stretta corre-lazione con la pratica strumentale o vocale. E questo aspettosi rivela particolarmente importante perché ci porta nelladirezione di una educazione musicale in senso pieno che èsintesi di pratica e teoria.La musica bisogna suonarla e cantarla nello stesso tempoin cui si educano la mente e l’animo ad ascoltarla: sonodue facce della stessa medaglia, che qualcuno tende a di-stinguere sofisticamente in modo culturalmente sbagliato.Purtroppo, finora nella scuola italiana è prevalso l’inse-gnamento “storico” o “teorico” della musica completamenteavulso dalla pratica.Si tende qualche volta ad attribuire a questa parola unsenso dispregiativo. Ma, per quanto riguarda le arti in ge-nere, la pratica non è un fatto di volgare empiria e, perquanto riguarda in particolare la musica, questa o si cantae si suona o non si fa e, quando si ascolta, non se ne per-cepisce tutta la ricchezza.Dal punto di vista normativo la situazione è ancora inprogress, e certo il Comitato nazionale per l’apprendimen-to pratico della musica non si è fermato, nonostante ledifficoltà finanziarie, nella sua azione di incitamento e disollecitazione. Non abbiamo cessato mai di proporre l’in-serimento della musica come parte del curriculum affinché

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44 entri a pieno titolo nel bagaglio culturale di ogni essereumano ed entri, in prima istanza, in un luogo, la scuola,che la concezione crociana e poi gentiliana della “pratica”ha a suo tempo dichiaratamente concepito come sordo alsuono e solo dedito al ragionamento astratto e alla specu-lazione intellettuale.A incoraggiare il comitato in questo impegno costante – eforse si dovrebbe dire testardo – sono le centinaia di buonepratiche esistenti nella scuola, soprattutto nella primaria.Sono buone pratiche che via via mettono in crisi quellatradizione un po’ ottusa secondo la quale la musica distur-berebbe l’ordinato svolgersi delle lezioni: essa non si tra-smette ma si condivide, non si verifica ma si prova e quin-di non viene giù dalla cattedra discendendo per i banchi,ma circola come un’emozione.Proprio qui sta il punto. Queste buone pratiche mettono incrisi l’idea che si impara solo con il ragionamento astratto edimostrano che le nostre volute cerebrali sono predisposte,oltre che per quel tipo di procedimento logico, anche per pro-vare emozioni o per sentire curiosità o per provare stupore difronte al risultato conseguito in un esperimento o di fronte asuoni diversi che diventano armonia. Questo non fa partedella bildung italiana. Nella nostra scuola pretendiamo che silavori solo con una parte del cervello; questo è l’universo deiprocessi di apprendimento in Italia e questa è una delle causedella difficoltà che hanno i nostri ordinamenti a risponderealle esigenze dei ragazzi di oggi, così profondamente inseritiin un mondo di linguaggi che portano all’emozione e deiquali non riescono a essere pienamente consapevoli.Non abbiamo ancora capito come sia possibile invece met-tere a frutto tutte le capacità, tutte le risorse umane, tuttoil potenziale di curiosità, di amore della conoscenza cheinvece l’utilizzazione completa del cervello può portare.È assolutamente necessario, a cominciare dalla scuola pri-maria per poi proseguire in tutti gli ordini di scuola, intro-durre l’emozione, la curiosità, la gioia nel sapere, non soloattraverso il logos; è necessario introdurre luoghi in cuipartecipare alla scoperta della conoscenza, per far rendereal massimo i nostri discenti, coinvolgendo tutte le capacitàche ci portano a imparare.La musica tocca le più alte vette del pensiero, crea gioia,emozione, educa, fa crescere, forma nel rispetto degli altrinon solo il cittadino colto ma il cittadino nel complessodella società. La musica influisce dunque sull’assetto stes-so della società, perché apre libere vie del pensiero. Hobbessosteneva che fosse meglio tenerla fuori dalle città perchéincita alla ribellione.Ma la musica che fa ciò non è la fruizione passiva, l’ascol-to sia pure appassionato. È quella che si esercita attiva-mente attraverso la pratica individuale e collettiva di luo-ghi e di strumenti: il fare musica tutti. Questo è il sensoprofondo di ciò che proponiamo: il superamento della scis-sione fra musica teorica e musica pratica.L’obiettivo è quello di far raggiungere ai giovani la musicacome linguaggio al tempo stesso di sentimento e di cono-scenza, di sapere ma anche di partecipazione umana, emoti-va, di unione fra corpo e mente. Se non esercitiamo la crea-tività le stesse conoscenze saranno acquisite in modo non

attivo e non generativo: non si potranno generare nuoveconoscenze, in quel processo virtuoso considerato essenzia-le per i cittadini europei di domani, che è costituito dall’im-parare a imparare.Sono gli ambienti di apprendimento nei quali la scopertadella conoscenza è un’operazione attiva, una pratica, unesercizio della mente e del braccio, a contribuire alla for-mazione del cittadino in modo tale che l’imparare sia perlui un processo costante, e non l’impegno – tante volteriluttante – riservato a una parte definita dell’esistenza.La formazione nell’esperienza pratica e nella sua specula-zione teorica intorno alle tematiche della creatività, dellamusica e dell’arte tutta, metterà in luce il ruolo fondante diattività spesso trascurate nell’education del nostro paese,con la realizzazione di una bildung più complessa perchéattenta, oltre che alle capacità razionali, anche a quelleemotive e immaginative dei nostri ragazzi.Una novità profonda nella scuola italiana. Nella scuola ditutti.

Ma la musica è salva?di Mario Piatti

Nel dibattito sui vari problemi che investono e affliggono lascuola italiana c’è un tema che in questi ultimi anni ritornacon una certa assiduità: come far sì che la musica sia inse-gnata e praticata nel migliore dei modi nei vari ordini di scuola.Che le pratiche musicali (cantare, suonare, ascoltare, compor-re) siano in qualche modo presenti nel vissuto scolastico èstato recentemente verificato dall’indagine nazionale del Mi-nistero (cfr. Musica e scuola. Rapporto 2008, a cura di Gem-ma Fiocchetta, Le Monnier, Firenze 2009). Personalmente hosempre sostenuto due cose: la prima è che nei documentiufficiali – i “Programmi” scolastici della scuola dell’obbligo –“Musica” è prevista, e che quei testi non sono certo peggioridei programmi delle scuole di altre nazioni, anzi. La secondaè che la realtà vissuta nelle scuole è meno peggio di cometaluni la descrivono. Ho avuto già modo di documentareampiamente come sia possibile vedere il bicchiere mezzo pie-no (cfr. il mio contributo su www.musicheria.net/home/default.asp?id_testo=708&pagina=Notizie) e di come la buo-na volontà e la creatività di tante maestre e maestri facciasì che, nonostante alcuni dispositivi ministeriali o alcunemiopie di dirigenti scolastici, in questi anni, in alcune re-gioni, siano aumentati i corsi a indirizzo musicale nellescuole secondarie di primo grado e si continuino a fareinteressanti esperienze nelle scuole dell’infanzia e prima-rie. Ma… ma oggi devo confessare che sono meno ottimi-sta. Non è questa la sede per un’analisi dei guasti che staproducendo la cosiddetta riforma della scuola propugnatadall’attuale governo, e che inevitabilmente si riflettonoanche sulle attività musicali. Sta di fatto che “Musica” èrelegata tra le attività opzionali nei curricoli della scuolasecondaria superiore, che i Licei musicali sono stati attiva-ti parzialmente in poche province e con un numero limita-to di corsi oltre che con discutibili criteri di reclutamento

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45del personale docente, che in diverse realtà i corsi a indi-rizzo musicale nelle scuole secondarie di primo grado sonostati ridotti, che in molte scuole primarie le attività musi-cali quest’anno si sono potute organizzare solo grazie alcontributo finanziario delle famiglie, stante i ridottifinanziamenti degli enti locali costretti a fare delle scelteradicali a causa dei tagli del governo centrale.Trovo quindi un po’ surreale l’emanazione del DecretoMinisteriale n. 8/2011 con cui sostanzialmente si pensa didare il via a corsi di strumento musicale a partire dalle classiterze della scuola primaria confidando nel «personale inesubero delle classi di concorso A031, A032, A077» (cfr.Newsletter docenti n. 172 inviata dal Ministero il 16 febbraio2011) e nel sostegno di «enti, fondazioni, soggetti pubblici eprivati disponibili a sostenere, finanziare ovvero cofinanziarele attività» (art. 11 del DM n. 8). Ma davvero si pensa che talienti e le famiglie siano in grado di finanziare o cofinanziarein modo permanente (e non solo per un anno o due) un nu-mero adeguato di ore e di docenti per i vari strumenti musica-li? A parte qualche isola felice, prevedo che nella maggiorparte dei casi tutto sfumerà come nebbia al sole.Pertanto condivido in toto, avendo contribuito del restoalla loro stesura, l’analisi e il commento critico al DM inoggetto pubblicati in “Musicheria” (cfr.www.musicheria.net/home/default.asp?id_testo=1080&pagina=HOME) in parti-colare le conclusioni: «Alla fine della lettura e dell’analisidi questo DM si rimane con un certo amaro in bocca: trale dichiarazioni di principio e le buone intenzioni per farsì che la pratica musicale (vocale e strumentale) sia pre-sente in modo certo e qualificato nel curricolo della scuolaprimaria, e la realizzazione pratica di quanto auspicato,c’è di mezzo la mancanza di volontà politica di investirerisorse finanziarie nella cultura e nella formazione. Conbuona pace di chi, come anche noi, continua a “sognare”un coro in ogni scuola e la musica pratica per tutti. Rico-nosciamo la buona fede e la buona volontà di chi si staprodigando per inserire, a favore della formazione musi-cale per tutti, un comma in una legge o per far promulga-re decreti come questo; ma, nello stesso tempo, riteniamoche la situazione dell’educazione e della formazione mu-sicale, considerata come diritto per tutti i cittadini in ogniordine e grado di scuola, non possa essere affrontata consoluzioni tampone o con provvedimenti parziali, non in-quadrati in un piano organico e in una visione d’insiemeche abbia anche il coraggio d’investimenti adeguati».Rimandando quindi al documento citato, vorrei qui ri-percorrere per sommi capi alcuni momenti della storia diquesti ultimi trent’anni, nella convinzione che, al di làdella buona fede e della buona volontà dei singoli, è man-cata comunque, da un lato, nei politici, la volontà e lacapacità di conoscere e di documentarsi su quello che inrealtà veniva fatto, detto, scritto in merito al problemadel fare musica a scuola, e, dall’altro, negli operatori delsettore, la capacità di farsi ascoltare, di incidere in modosignificativo in ambito ministeriale, ma anche in ambitoparlamentare e forse anche sindacale.Personalmente ho partecipato al gruppo di lavoro che nel1982 elaborò un documento che poi confluì parzialmente

nei “nuovi” programmi del 1985 di Educazione al suonoe alla musica (cfr. la cronaca e il testo in MARIO PIATTI, Conla musica si può, Valore Scuola, Roma 1993). Quei pro-grammi furono salutati come un importante momento perla diffusione della musica nella scuola primaria, e allorafurono messi in atto anche consistenti iniziative di ag-giornamento e formazione dei maestri. Ricordo l’esperien-za dei Gruppi per lo Sviluppo del Curricolo gestita dal-l’IRRSAE Veneto, a cui ho partecipato, che orientò l’attivitàdi aggiornamento soprattutto verso quei maestri che, at-traverso un’anagrafe delle competenze, risultarono inpossesso di conoscenze e capacità musicali migliori.Ma già allora da più parti si levarono voci che richiede-vano un intervento “alla radice”: se non si fosse messomano alla formazione musicale iniziale dei maestri, allafine tutte queste belle iniziative sarebbero risultate unasoluzione tampone che, dopo i primi momenti di entusia-smo, avrebbe lasciato le cose in una condizione provvi-soria e parziale. Anche successive iniziative di formazio-ne in servizio furono ben accolte e partecipate dalle mae-stre e dai maestri: i progetti pluriennali AMAVI e MUSE (cfr.documentazione in Formazione al suono e alla musica inambienti multimediali. Valutazione dell’innovazione, a curadi Lida Branchesi - Maria Antonietta Destro, Franco An-geli, Milano 1999), il corso di 200 ore promosso dal Mi-nistero in 60 direzioni didattiche tra il 1995 e il 1997 incollaborazione con le Scuole di Didattica della musicadei conservatori (cfr. CM n. 114 del 1.4.1995), molte ini-ziative locali sostenute da associazioni ed enti locali. Tuttequeste iniziative hanno fatto sì che un minimo di attivitàmusicali fossero svolte, più o meno bene, con metodi econtenuti più o meno aggiornati in gran parte delle scuo-le italiane, tenendo vivo un certo interesse sulla praticamusicale come componente essenziale per la formazioneintegrale dei bambini e dei ragazzi della scuola dell’ob-bligo. Questo interesse ha fatto in modo che successiveproposte e iniziative promosse dal ministero ricevesserocalorosa accoglienza: mi riferisco in particolare all’atti-vazione dei cosiddetti “laboratori musicali” nel 1998-1999che, funzionali soprattutto a sostenere attività extracur-ricolari o come ampliamento dell’offerta formativa, han-no permesso a un certo numero di scuole di dotarsi diattrezzature e spazi adeguati al fare musica, oltre che ri-mettere in moto iniziative, ancorché limitate nel tempo,di formazione e aggiornamento in servizio per il perso-nale docente (cfr. LIDA BRANCHESI, Laboratori musicali nelsistema scolastico. Valutazione dell’innovazione, Aman-do, Roma 2003).Ancora una volta però, dopo l’entusiasmo iniziale, venutimeno i finanziamenti ministeriali, la dura realtà ha ri-portato le cose a una situazione di stallo, demandandoalla buona volontà dei singoli o alla capacità manageria-le di qualche dirigente, la possibilità che la musica potes-se essere una pratica educativa rivolta a tutti gli alunni.Un passo rilevante, che sembrò dare nuovo impulso e ali-mentare le speranze di chi crede all’importanza del faremusica a scuola, fu nel 1999 la messa in ordinamento deicorsi a indirizzo musicale nelle scuole medie e l’approva-

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46 zione della legge di riforma dei conservatori, dalla qualepurtroppo furono stralciati gli articoli riguardanti pro-prio la scuola primaria. Sembrava, nel 1999, di esser giuntia una svolta, tanto da pensare, anche se in forma dubita-tiva, non solo che la scuola cambiasse musica, ma che lamusica potesse cambiare la scuola. Un convegno di quel-l’anno si titolava proprio “La scuola cambia musica?”, ela relazione che tenni in quell’occasione si intitolava Lamusica cambia la scuola? Invenzione a più voci su untema di Luigi Berlinguer (all’allora ministro ponevo alcu-ne domande. Qualche parziale risposta mi fu data qual-che anno dopo, quando il governo Prodi attivò il Comita-to nazionale per l’apprendimento pratico della musica.Ma riprenderò il discorso più avanti – cfr. gli atti del con-vegno di Lecco su www.csmdb.it/ArchivioCentroStudi/Atti%20convegno/Convegno.htm).Ancora una volta, l’incapacità politica di organizzare lecose in una visione organica e di sistema ha fatto sì chele speranze fossero deluse, e che si procedessecon soluzioni parziali e frammentarie,mentre si continuava a non risolvereil problema alla radice, evitandodi prendere iniziative serie nelcampo della formazione inizia-le dei maestri e del recluta-mento di personale specia-lizzato in didattica dellamusica. I “laboratori musi-cali” nell’ambito dei corsidi laurea di scienze dellaformazione sono sempreapparsi poco più di un pal-liativo in grado di fornire aifuturi maestri una semplicesensibilizzazione al fatto mu-sicale. Salvo poche eccezioni,nelle scuole si continuava a faremusica solo là dove si poteva usufru-ire, col finanziamento nella quasi totali-tà di enti locali, dell’apporto di esperti ester-ni, molti dei quali formatisi nelle scuole di didattica dellamusica dei conservatori o in corsi più o meno estivi pro-mossi da associazioni private. Quando poi, solo nel 2002,fu riconosciuto il valore abilitante al diploma di Didatti-ca della musica, in molti sperarono che tale diploma aprissela strada per il reclutamento di docenti specializzati inmusica anche per la scuola primaria. Ma per l’ennesimavolta la miopia dei politici bloccò tali speranze, e le cosecontinuarono come prima.Nel primo quinquennio degli anni 2000 l’attenzione deglioperatori del settore fu tutta dedicata a far sì che la mu-sica non sparisse dai curricoli scolastici, nell’ambito deivari progetti di riforma della scuola. Il rischio che tutto siriducesse alle attività extracurricolari o che la praticamusicale (corale e strumentale) fosse relegata nell’opzio-nalità era molto reale, come alla fine, per quanto riguardala scuola secondaria superiore, si è oggi verificato. Du-rante il governo Prodi, l’attivazione nel 2006 del “Comi-

tato nazionale per l’apprendimento pratico della musi-ca”, promosso da Luigi Berlinguer, sembrò alimentarenuove speranze, per lo meno sul piano dell’informazionee della consapevolezza, a livello ministeriale, che la pra-tica musicale potesse svolgere un ruolo non secondarionella formazione globale del cittadino. Il documento ela-borato dal Comitato e fatto proprio dall’allora ministroFioroni (cfr. la nota Prot. n. 4624/FR del 13 marzo 2007,“Diffusione pratica musicale nelle scuole”), forniva indi-cazioni importanti. Ma il punto centrale della formazioneiniziale dei maestri e dell’istituzione di una figura di si-stema cui affidare l’insegnamento della musica, e in par-ticolare la figura del direttore del coro scolastico e deidocenti di strumento anche nella scuola primaria, rima-neva irrisolto. Il tema fu ripreso anche nel nuovo docu-mento Fare musica tutti del marzo 2009, ma evidente-mente le scelte del ministro Tremonti hanno bloccato sulnascere qualsiasi ipotesi di individuare quelle «nuove figure

professionali» per la musica auspicate dal co-mitato. Qualcuno dirà che il DM n. 8/2011

in realtà istituisce tali figure. Personal-mente ritengo che ancora una vol-

ta si darà modo ad alcune scuo-le di individuare nel proprio or-

ganico qualche docente ingrado di dedicarsi comple-tamente all’insegnamentodella musica; ma, appunto,in alcune scuole, e quindisolo per pochi studenti.Permane così l’illusione chequalche “buona pratica”

apra la strada a un’imple-mentazione in tutte le scuo-

le, o forse anche l’inconfessatasperanza che tali “buone prati-

che” nascondano la vergogna deitagli al personale, al tempo scuola, al-

l’edilizia scolastica, al sostegno per idisabili. Ma la musica è salva!

Le competenze dei docentidi Gianluca Nicolini

«Sempre natura, se fortuna trovadiscorde a sé, com’ogne altra semente

fuor di sua regïon, fa mala prova.»Paradiso, Canto VIII, 139-141

L’incipit dantesco suona quanto mai appropriato per intro-durre il dibattito sul Decreto Ministeriale n. 8 del 31 genna-io 2011; soprattutto se il punto di vista è quello di chi –come il sottoscritto – vive quotidianamente la condizionedi maestro nella scuola primaria con un percorso conser-vatoriale alle proprie (e, a volte, sulle proprie) spalle.

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47Dopo il diploma in Violino, seguendo la mia inguaribilenatura gramsciana, ho avvertito un profondo disagio nelvivere la musica come pura manifestazione estetica, desi-derando aprirmi a una dimensione socio-educativa dell’arte.A tale scopo ho frequentato il corso di Didattica della Mu-sica e – successivamente – la SSIS (Scuola di Specializza-zione per l’Insegnamento Secondario) presso il DAMS diBologna, meritandomi anni orsono, sulle pagine del “Gior-nale della Musica”, il tragicomico appellativo di “Super-eroe”.Da quando, nel settembre 2001, sono diventato docente diruolo nella scuola primaria, ho sempre avuto la fortuna dipoter accendere nei miei allievi, attraverso la musica, ilplatonico thaumàzein, prendendo coscienza altresì del ca-rattere satellitare del mio intervento.Infatti, sebbene abbia spesso lavorato al fianco di collegheentusiaste e curiose nei confronti della musica, la loro onestàintellettuale ha alimentato un diffuso e profondo disagioverso quella disposizione ministeriale contenu-ta nei Programmi per la Scuola Elementa-re del 1985, secondo la quale tutti idocenti abilitati all’insegnamentocomune nella scuola primaria do-vrebbero essere in grado di ri-vestire i panni di educatorimusicali.Tenendo conto che a tren-totto anni mi ritrovo a es-sere il più giovane maestrodi ruolo dell’istituto com-prensivo presso il quale la-voro, ben si comprendecome tutte le mie collegheprovengano da un itinerariodi studi che le ha viste di-plomarsi all’istituto magistrale e,magari, laurearsi in Pedagogia, perpoi giocare la carta del concorso abili-tante. Da ciò si deduce che il loro back-ground musicale si è limitato a un’ora settima-nale di canto corale prevista dalla Riforma Bottai (partori-ta nei primi anni Quaranta), con lezioni tenute da docentidiplomati al conservatorio, ma sprovvisti di specifiche com-petenze nel campo della didattica della musica. A tal pro-posito, per mia esperienza personale in qualità di studentemagistrale, conservo il ricordo di noiosissime lezioni nelcorso delle quali il solfeggio e la dettatura di interminabilipagine biografiche facevano la parte del leone.A partire da questa disincantata premessa, ben si com-prende come l’insegnamento della musica nella scuola pri-maria risulti essere in molti casi fallimentare; né a talevuoto istituzionale possono porre rimedio – per quantomeritori – gli spunti didattici presenti nei libri di testo, aiquali attingono gli insegnanti più sensibili, ma che posso-no rivestire, nella più rosea delle aspettative, il ruolo dipalliativi tout court (càpita ancora – con buona pace di“fabbriche illuminate” e centenari manifesti di russolianamemoria – di imbattersi in “edificanti” pagine dedicate alla

distinzione tra suono e rumore). Sempre per tacitare la co-scienza, a volte ci si affida anche a estemporanei interven-ti di musicisti che, per pubblicizzare la propria scuola pri-vata, sono disposti a offrire un pacchetto di quattro o cin-que lezioni gratuite, concentrate in un brevissimo lasso ditempo (di solito in periodo pre-natalizio o a fine anno sco-lastico) al termine del quale viene magicamente allestitouno spettacolo a uso e consumo di genitori comunque en-tusiasti, ma che non lascia tracce nel vissuto emotivo edesperienziale dei bambini.Questa osservazione non comporta necessariamente l’estro-missione delle istituzioni private da un eventuale mosaicoeducativo nella primaria; al contrario auspicherei unasinergia tra scuola pubblica e realtà educativo-musicali delterritorio che abbia come presupposto la condivisione dicontenuti e metodologie didattiche, evitando di cedere aquelle deprimenti logiche commerciali appena descritte, lequali non sortiscono altro risultato se non instillare nel-

l’opinione pubblica l’equazione Musica =Intrattenimento.

La scuola primaria ha un estremo bi-sogno di professionalità in campo

musicale; una professionalità cheva ricercata non solo nella spa-ruta colonia dei docenti diruolo provvisti di diploma diconservatorio, ma anche nelvirtuoso alveo delle scuoleprivate attive sul territorio.«L’adesione al progetto dienti, fondazioni, soggettipubblici e privati disponibilia sostenere, finanziare ovve-

ro cofinanziare le attività» –come recita il DM n. 8/2011 –

permetterebbe di garantire un’ef-ficace partnership didattica nel corso

dell’intero anno scolastico, a patto chequesto assunto non rappresenti una delega

economica a tutti gli effetti da parte del MIUR.Poco fa ho posto l’accento sul “sapere” e “saper fare” per-ché non è accettabile che dopo dieci anni di conservatorio,quattro di Didattica della Musica e magari due di SSIS, tanticolleghi meno fortunati di chi sta scrivendo debbano cede-re il passo a laureati in Scienze della formazione primariacon all’attivo due esami di Metodologia dell’Educazionemusicale e Teoria musicale.Non facciamo passare il messaggio secondo cui si possaeducare con e alla musica provvisti quasi esclusivamentedi un “saper essere”: risulterebbe un irriverente affrontoverso chi ha seguito un corso di studi di innovativo e am-pio respiro, che – sebbene non esente da lacune – ha ga-rantito, rispetto a un recente passato, la formazione di do-centi con maggiore consapevolezza del proprio ruolo diinsegnanti ed educatori.Abbandonare la grottesca pretesa di sfornare piccoli Mozartnon significa giocoforza né lasciare libera iniziativa a neofitidel settore, né misconoscere il valore inestimabile di quel-

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48 lo che viene definito tra gli addetti ai lavori il “canonemusicale”.Conscio del carattere pruriginoso dell’argomento, evitan-do qualsiasi aberrante orientamento di vago saporepuristico-sciovinista, ritengo necessario che la scuola nonabbia tra le sue prerogative solamente quella di assecon-dare – amplificandoli – i fenomeni musicali di cosiddetta“tendenza”. Con buona pace de I bambini fanno ooh!,un’educazione musicale credibile attinge soprattutto (seb-bene non esclusivamente) da quei repertori che sonoestromessi dalle logiche massificate del marketing, lontanida quello che Marco Lodoli definisce efficacemente il«dèmone della facilità».Occorre sfatare il mito secondo cui il bambino – soprattut-to nella fascia d’età chiamata in causa dal DM n. 8 – siarefrattario alla navigazione al di là delle colonne d’Ercole.I miei alunni si commuovono cantando Il sogno di Mariadi Fabrizio De Andrè; sfogano il loro “malcontento” versole proposte culinarie della mensa scolastica improvvisan-do su un giro di blues; si stupiscono dei funambolismi vo-cali nelle cabalette rossiniane. Tutto ciò si può concretiz-zare grazie a una sapiente regìa educativa, all’interno dellaquale le tecniche “artigianali” apprese negli anni di con-servatorio – sebbene con caratteristiche ancillari – riman-gono lo scaffold che innerva ogni attività e consentono dicalibrare percorsi individualizzati nell’ottica del benesseree della realizzazione personale.Permettetemi a tal riguardo di riportare un episodio auto-biografico.Tre anni fa, perdente posto come specialista in lingua stra-niera, mi è stata assegnata una cattedra di Italiano, Storia,Inglese e Musica in una terza classe e la collega in pensio-ne che avevo sostituito mi ha segnalato il caso di un alun-no con gravi difficoltà di apprendimento.Marco (nome di pura fantasia) aveva problemi legati allabalbuzie, scriveva con una grafìa pressoché incomprensi-bile, stentava ad articolare in modo logico i propri pensierie spesso si trincerava dietro comportamenti esiziali.Ebbene, nel momento in cui ho cominciato a proporre inclasse alcuni esercizi di body percussion, Marco ha dimo-strato – con evidente stupore da parte dei suoi compagni –un cristallino talento musicale, tanto da meritarsi gradual-mente una diffusa ammirazione.La consapevolezza di eccellere in questo ambito lo ha por-tato nel corso dei mesi a un rafforzamento della propriaautostima e – di conseguenza – a trasferire quell’entusia-smo anche in altre discipline, dimostrando di pari passonetti progressi dal punto di vista relazionale.Un dato su tutti può farci comprendere il ruolo-chiave chepotrebbe rivestire un appassionante percorso musicale nellascuola primaria: dei miei ventiquattro alunni di quinta clas-se, diciotto, nell’iscriversi alla scuola media, hanno sceltol’indirizzo musicale (75% di preferenze); dalle restanti quat-tro classi quinte dell’Istituto, che contano complessivamentesettantasette alunni, sono arrivate 32 richieste omologhe(pari a circa il 42%).Sono numeri inequivocabili, che ci parlano di una improv-vida superficialità verso un patrimonio di straordinario

valore educativo, capace davvero – il sistema venezuelanolo testimonia – di emancipare intere generazioni dall’avvi-lente depressione culturale di questi tempora iniqua.Lungi dal voler tessere una malcelata apologia di me stes-so, ho opportunamente corredato il mio intervento sul DM

n. 8 con esperienze sul campo per evidenziare quanto ri-sulti cogente una radicale riforma del sistema educativomusicale, che permetta alle migliaia di specialisti precari edisoccupati di poter finalmente imprimere una svoltaepocale all’odierna sclerosi dell’impianto educativogentiliano della scuola pubblica. Un sistema di istruzione,quello italiano, nel quale solo a pochi eletti è stato finoraconcesso il lusso di frequentare scuole primarie d’eccellen-za, nelle quali la musica continua ad avere un considere-vole peso specifico, ma che, inserita in tale contesto, per-petua il suo inveterato e fuorviante ruolo di passione adappannaggio dell’establishment.

DM 8/2011: proviamocidi Pierluigi Alessandrini

A poche settimane dall’uscita del DM n. 8/2011, che solleci-ta la creazione di spazi orari in cui proporre l’insegnamen-to della tecnica vocale o di uno strumento musicale nellascuola primaria, è utile fare una riflessione sulle opportu-nità che possono essere colte e le relative incognite da af-frontare.Neanche a dirlo, il problema di fondo è economico.In questo scritto, però, vorrei sondare la possibilità che lanormativa in vigore a oggi, utilizzata con elasticità, offracomunque delle opportunità interessanti.Per far questo prefiguro uno scenario tipo di una scuola:classe di 20 alunni, orario 27/30 ore settimanali di lezione,un’ora settimanale da dedicare alla pratica musicale.Non possiamo certamente ipotizzare un’ora per alunno dipratica strumentale; sicuramente un modello dove si lavo-ra con un paio di alunni per ora è più adeguato all’età eall’obbligatorietà dell’attività musicale.Con questa situazione di partenza per soddisfare 20 alunnioccorrono 10 ore/docente.Questo lavoro non potrà essere svolto da un solo docente,vuoi per l’appiattimento di tutti i ragazzi su un solo stru-mento musicale, vuoi per la inevitabile sovrapposizionedelle lezioni musicali su un arco di tempo troppo lungo dilezioni curricolari, dalle quali far uscire di volta in volta lacoppia interessata alla lezione musicale.Chi redige l’orario scolastico partirà dal monte ore totale,toglierà del tempo a qualche disciplina (fino al 20% è unaflessibilità oraria in vigore da anni) per inserire l’ora di mu-sica nel curricolo. Se però viene definita un’ora precisa (es.la prima ora del lunedì), è facile fare il conto che per 20alunni occorrono in contemporanea in quell’ora 10 docentimusicisti (2 alunni per ciascun docente). In questo casoavremmo un enorme vantaggio: potremmo disporre di 10strumenti diversi, con la possibilità di offrire a ciascun alunnoquello più confacente alla propria personalità.

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49Anche ammesso di avere i docenti, ce li abbiamo poi ascuola 10 spazi nei quali mettere i 10 docenti musicistisenza che si disturbino a vicenda e che lascino lavorare lealtre classi della scuola?Questa ipotesi è certamente irrealizzabile ma i vincoli sonocomunque chiari.Potremmo ipotizzare una seconda situazione attribuendoall’attività musicale due ore settimanali.Con un orario a 27 ore potremmo considerare l’ipotesi 26+2,portando a 28 il monte ore totale; se l’orario è a 30 ore lospazio si ricava all’interno, con lo schema 28+2.In tale condizione i docenti necessari sono dimezzati e di-ventano 5, solo uno in più del modello adottato dai corsimusicali delle scuole secondarie di primo grado.A legislazione invariata, che non significa essere già pron-ti ma significa avere il quadro generale che non ostacola,potrebbero essere attivate diverse strade per il reclutamen-to dei docenti, alcune delle quali tracciate nel DM n. 8/2011.A livello provinciale l’AST (ex provveditorato), previo ac-cordo coi sindacati, individua tutti i docenti in serviziopresso le scuole primarie in possesso di un titolo di studioaccademico musicale e propone loro di passare a insegna-re appunto in questi corsi, proponendo anche un accessoprivilegiato al Fondo integrativo dell’Istituto nel quale an-dranno a operare che compensi la disponibilità al trasferi-mento sul nuovo incarico e la nuova articolazione del la-voro.L’operazione è a costo zero, poiché il docente di ruolo cheassume l’incarico di musicista occupa una porzione del tem-po/scuola dedicata alla musica liberando altri docenti; iltotale dei docenti in servizio non cambia.Questa presenza di musicisti all’interno del corpo docenteprovinciale della scuola primaria potrebbe già offrire unprezioso serbatoio di professionalità. L’importante è nonfermarsi al testo del DM poiché seguendo quelle indicazio-ni occorrerebbe trovare i docenti musicisti all’interno delsingolo istituto, ed è assolutamente improbabile che si av-veri una coincidenza di tale portata.Dopo aver sondato tale opportunità vanno coinvolti i con-servatori, con una diversità decisiva però dalla propostadel DM.Molti di loro hanno attivato corsi di didattica, corsi dilaurea di secondo livello e altro all’interno dei quali po-trebbe essere previsto un numero di crediti agli studentiper l’effettuazione di attività didattica presso le scuoleprimarie in convenzione. Anche questa sarebbe una fon-te di personale docente a costo zero per la scuola, e certa-mente significativa nel percorso di studio di un alunnodel conservatorio.In seconda istanza questa istituzione contribuirebbe a for-mare un pubblico che non necessariamente debba diven-tare musicista ma che si appassioni alla musica, che fre-quenti le sale da concerto e che diventi cultore della musi-ca di qualità, quale che sia l’ambito prediletto.In tal modo, risolto il problema docenti, occorre pensareagli spazi fisici in cui permettere a docenti e alunni di svol-gere le lezioni all’interno della scuola.

Non prendo in considerazione l’ipotesi del rientro pomeri-diano poiché troppi alunni sono vincolati al trasporto conlo scuolabus e non potrebbero rientrare il pomeriggio. Leattività sono quindi da disporre all’interno del normalemonte orario.Se si dispone di qualche aula in più sarà possibile suddivi-derla con pareti di carton gesso e materiale fonoassorbentefino a ricavare 4/5 piccoli ambienti, considerato che all’in-terno ci devono stare al massimo 3 persone (la metratura anorma prevede 1,9 m2 per persona, quindi diciamo am-bienti di 6 m2 cadauno).Resta da ultimo il piccolo problema degli strumenti.Non lo ritengo veramente tale grazie alla possibilità di ac-quistare strumenti di fabbricazione orientale a prezzi bas-sissimi e di qualità accettabile.I prezzi vanno dai 40 euro di una chitarra ai 120 euro di unflauto, passando per i 60 euro di una tromba o i 70 euro diun clarinetto.Al fine di non far spendere soldi alle famiglie inutilmente,la scuola potrebbe provvedere all’acquisto degli strumentie far pagare alla famiglia un minimo noleggio di 5 euro almese, che verrebbero scontati dal costo dello strumentouna volta individuato con certezza quello che piace al-l’alunno.Un aspetto del DM che invece ritengo problematico è tuttaquella parte di organismi, commissioni e protocolli cheappesantiscono a dismisura il già oltremodo gravoso im-pegno di un dirigente scolastico; pongono un problema diaccesso al fondo integrativo d’istituto da parte di coloroche farebbero parte di questi organi, posto di trovare do-centi disponibili; pongono regole per la selezione del per-sonale in un’epoca dove i vincoli per tale funzione tendo-no sempre più a essere un cappio per l’erogazione di unservizio di qualità da parte delle scuole; pongono obblighidi formazione in un contesto normativo nel quale tale ob-bligo per il personale di ruolo non esiste; indicano nellefonti di finanziamento improbabili risorse dalla legge 440che è quantitativamente ai minimi storici e già impiegataper micro interventi ma spalmati sull’intero corpo docente,per quel che si può fare.Alla fine comunque vedo con ottimismo queste opportuni-tà, ma gestite anche al di fuori di tutto il quadro tracciatodal DM, perché considero molto importante lo studio dellamusica fin da piccoli e questo DM non prevede la diffusio-ne di questa pratica in tutte le realtà scolastiche. Tutte lescuole che desiderassero attivare corsi musicali, indipen-dentemente dalla presenza o meno di licei musicali sul ter-ritorio (a oggi quasi inesistente), potrebbero mettere in pra-tica i suggerimenti sopra esposti, coinvolgere il proprioAST e il conservatorio più vicino per realizzare questo per-corso. La norma attuale consente senza problemi qualsiasiarticolazione si possa immaginare, reti con pubblici e pri-vati, perfino la nascita di fondazioni: occorre solo fantasiae voglia di risultati stabili nel tempo, creando una struttu-ra che si stabilizzi al di là delle persone che la impiantano,in modo che la struttura a regime offra alla società la pos-sibilità di avere dei ragazzi che amino e frequentino lamusica.

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GRAZIA ABBÀ

Il domino musicaleCanti, favole e danze: un repertorio vocale per il coro didatticoCarisch, Milano 2010pp. 136, con CD, † 17,79

I brani contengono difficoltà progressive e la loro proposi-zione con varie modalità permette di coinvolgere bambini ebambine di diverse competenze, affidando a ognuno un ruo-lo significativo sia per l’aspetto musicale che per quello dellanarrazione.

Motivi di interesseLa proposta evidenzia l’esperienza e la competenza dell’au-trice nell’utilizzo delle voci infantili. I possibili percorsi sonograduali, e tengono conto sia del coinvolgimento emotivo dibambini e bambine, sia della crescita della abilità musicali,vocali ed espressive. La proposta dei brani con diverse moda-lità (monodica, polifonica, con accompagnamento di piano-forte, con accompagnamento ritmico) ne facilita l’utilizzo indiversi contesti e l’invito a combinare i canti in vario modo ea strutturare attività che prevedano il movimento e la narra-zione è uno stimolo anche per gli insegnanti a operare conun’apertura interdisciplinare e a lasciare spazio alla propriacreatività e fantasia.

Mariateresa Lietti

ArgomentoIl testo propone un repertorio vocale monodico e polifonico adat-to a essere utilizzato anche in contesti narrativi. I canti presen-tano intervalli e strutture formali molto semplici, e i testi sonobasati su fiabe di Esopo che, per le loro caratteristiche narra-tive e drammaturgiche, sono adatte anche ai più piccoli.Il materiale è suddiviso in tre sezioni: la prima presenta cantimonotematici di diversa difficoltà; la seconda contiene can-ti strofici narrativi eseguibili con diverse formule melodiche,corredati da proposte di cori parlati e di commenti scenici; laterza propone tre storie complete con una struttura definita.Ogni proposta è preceduta da una scheda di analisi in cui sonoriassunti i tratti essenziali del canto e le indicazioni per l’esecu-zione. In appendice sono presentate alcune tessere da ritagliareche contengono separatamente le strofe dei canti narrativi.

DestinatariIl testo si rivolge a docenti, animatori e animatrici e il reper-torio proposto può essere utilizzato nella scuola dell’infan-zia e primaria, ma anche in ambito amatoriale.

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Ridere con la musicadi Carlo Delfrati

ILARIA BARONTINI, Musica e umorismo. Itinerari di ascoltonella musica “seria” (ma non troppo) con un’escursionenella musica “leggera” (ma non troppo), ETS, Pisa 2008, pp.154, † 25,00.

Seduti sul divano si ride – si può ridere – guardando in TV

L’uomo in calzamaglia di Mel Brooks o il Fantozzi di Lu-ciano Salce, o scorrendo le vignette caricaturali di GerardHoffnung. Si ride anche – si può – leggendo un raccontodel Decamerone o un romanzo di Wodehouse. Ma si ride –si può ridere? – all’ascolto di un brano musicale?Per rispondere di sì basta correre col pensiero al Barbieredi Siviglia, al Falstaff, al Gianni Schicchi, o anche a unacanzone di Jannacci o di Arbore. Oppure anche alleclownerie dell’uno o dell’altro complesso di musicisti fu-namboli. Per nostra fortuna il teatro musicale non ci offresolo vicende strazianti di donne suicide per amore: la sto-ria del melodramma abbonda di personaggi buffi, di storiespassose, di situazioni esilaranti.Se la domanda torna a porsi è perché un dubbio radicaleinsidia la prova a difesa rappresentata dall’opera comica.Cosa ci fa ridere, nella scena tra l’ubriaco Conte d’Almavivae Don Bartolo, la musica o tutto quello che le sta intorno,le parole dei due contendenti, prima di tutto, e i gesti e leazioni che il regista ha assegnato loro? In fondo uno po-trebbe anche ridere davanti alla scena di Rigoletto a cuiscivola la gobba, come le maligne cronache hanno pure

registrato. Ma potremmo forse dire che lì a farci ridere è lamusica? Togliamo dall’opera di Rossini le parole, togliamola scena, accontentiamoci di ascoltare la musica depuratada ogni altro ingrediente comunicativo di quell’archetipomultimediale che è l’opera lirica. Rideremo?Non c’è bisogno di compiere misfatti del genere. C’è unmodo molto più semplice di verificare l’ipotesi, ed è di li-mitare la riflessione alla musica strumentale. Puramentestrumentale. Facciamo di più: togliamo di mezzo l’occhio– che poi un complesso tipo Blast non inventi qualchediavoleria scenica – e ascoltiamo la musica dal nostro im-pianto hi-fi, seduti al buio.La musica, la musica sola, senza il supporto di parole oimmagini o gesti, ci raccontano da sempre i musicologi diprofessione o la immensa platea di chi la musica si limita agodersela, la musica è in grado di sollecitare in noi le emo-zioni più diverse entro l’arco che va dall’estremo dellamestizia a quello dell’allegria. Possibile che la comicità,questa dimensione basilare del vivere e del sentire, allamusica sia vietata?A metterci su una strada promettente viene in soccorso unodei filosofi che a partire da Aristotele si sono interrogatisulla natura e sui meccanismi della comicità. Nel suo librointitolato proprio Le rire (Il riso) Henri Bergson c’invita a«distinguere [nei discorsi verbali] fra il comico che il lin-guaggio esprime, e quello che il linguaggio crea». Il primo sicaratterizza per essere traducibile da una lingua all’altra:una novella di Boccaccio mantiene la sua sostanza comicase viene letta in inglese o in francese. Il secondo – è sempreBergson a spiegare la differenza – è intraducibile: «deve ciòche è alla struttura della frase o alla scelta delle parole».

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PAOLA PACETTI

Pianissimo… Fortissimo. Viaggio tra gli strumenti dell’orchestraAccademia Santa Cecilia, Roma 2010pp. 42, † 16,00

usata per realizzarle è quella del collage, salta subito agli oc-chi la loro semplicità e bellezza. Talvolta la semplicità è ecces-siva, in particolar modo nella riproduzione degli strumentimusicali, ma la pecca è di poco conto se si considera l’ambien-te fiabesco e giocoso in cui sono immersi. L’adulto che propo-ne la lettura può approfondire la conoscenza di ogni strumen-to con i relativi ascolti consigliati, aggiungendo tasselli fon-damentali per catturare e sviluppare la curiosità del lettore.

Motivi di interesseLe caratteristiche del libro che più convincono sono la grafi-ca e il supporto musicale di grande rilievo. La seconda partedel testo è dedicata a una più approfondita descrizione deivari strumenti musicali. Questi sono tratteggiati nelle loropeculiarità e differenze, senza dimenticare alcuni particolariche aiutano il lettore a distinguerli gli uni dagli altri, ma icriteri di scelta degli strumenti stessi non risultano chiari.Purtroppo, forse per ragioni di spazio, non tutti gli strumentisono elencati e non sempre le didascalie sono puntuali.

Lea Mencaroni

ArgomentoLa sventura del mago Ogam ci permette di compiere un di-vertente viaggio dentro l’orchestra, facendoci conoscere glistrumenti musicali. Questi sono i veri personaggi, assaibisbetici, della storia. Ciascuno di loro possiede una perso-nalità e una voce ben precisa che la magia di Ogam, magomaldestro, riesce a zittire. Ogni strumento inizia a fare i ca-pricci e a non rispondere più a uno ormai sconsolato diretto-re. Solo l’intervento di coraggiosi e appassionati bambini rie-sce a far tornare la voce ai nostri personaggi. Il testo è ac-compagnato da un supporto audio. Le musiche (Fabrizio deRossi Re) e la voce (Danilo Bertazzi) si susseguono in unadanza graziosa che lascia il tempo ai piccoli lettori di crearsiun’ambientazione fantastica fatta di suoni e parole.

DestinatariI più piccoli, anche coloro i quali ancora non si cimentanomolto bene con la lettura, saranno aiutati dall’ascolto a com-prendere lo svolgersi della storia, potendo così concentrarsisull’esplorazione delle immagini (Paolo Marabotto). La tecnica

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Basti pensare a quelli che chiamiamo proprio “giochi di pa-role”. Potremmo trovare in musica dei “giochi di suoni”?Bergson ci regala anche un esempio musicale: può farci ri-dere «una melodia che ritardi sul suo accompagnamento»(HENRI BERGSON, Oeuvres, Èdition du Centenaire, PressesUniversitaires de France, Paris 1959, le prime due citazionisi trovano a p. 436, la terza a p. 392). Scatta in un caso delgenere il meccanismo chiave del ridere: lo scarto tra attesa erisposta, uno scarto causato da distrazione, da contraddi-zione, da meccanicità. Casuale e involontario, nelle classi-che gag come quella abusata del viandante che scivola (mail pianista che “scivola” per distrazione sulla tastiera faràridere il suo pubblico o lo farà protestare?); oppure voluto,lo scarto, e proprio qui troviamo le situazioni in cui, perridirla con Bergson, è il linguaggio stesso a suscitare ilarità.

Camminando per questa strada, la strada dei giochi di suoni,ci si spalanca davanti un panorama affascinante e inesauribi-le. Tra i primi a mostrarcelo è già Robert Schumann quandofa descrivere al suo immaginario Florestano certi passaggistrumentali di Beethoven o di Schubert. Da allora il tema hasolleticato non pochi studiosi. Meritano ancora interesse lostudio di Henry Gilbert sul “Musical Quarterly” del 1916, oquello recente di Fausto Petrella (FAUSTO PETRELLA, Spazio arti-stico e umoristico in musica. Il comico musicale e i suoi rap-porti con il Witz, in Il comico in psicoanalisi e musica, a curadi Rosalba Carollo, Cremonabooks, Cremona 2004). Da que-st’ultimo lavoro, ricordato nella sua ricca bibliografia, sem-bra partire Ilaria Barontini, che nel suo libro percorre in lun-go e in largo il tema del comico in musica. Lo percorre daacuta osservatrice ma anche da didatta, che aggiunge un’utiledoviziosa documentazione su ciascuno dei lavori musicali presiin esame. Che sono molti, e molti altri ancora sono raccoltinel CD-rom allegato al libro, con tanto di tracce audio.Le composizioni che l’autrice prende in esame apparten-gono sia al repertorio delle opere teatrali e delle canzoni,sia a quello puramente strumentale. E relativamente a que-st’ultimo offre una accurata casistica dei “giochi di suoni”,le procedure musicali che suggeriscono umorismo: i con-trasti tra legato e staccato, i salti bruschi da un’atmosferaall’altra, la riproposizione di una melodia variamente mo-dificata, ritmi scattanti, ricorso a onomatopee strumentali,fino a tecniche o strumenti musicali “improbabili”.Un’obiezione potrebbe venire da chi in quelle procedurenon si senta di riconoscere intenti umoristici. A conferma-re la lettura che la Barontini ne dà invece in chiave comi-

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52 ca, potrebbe venire in soccorso un compositore ben notonella famiglia dei didatti, Zoltán Kodály. Difficile negareintenzioni comiche nella citazione della Marsigliese in modominore nella sua suite Háry János, per non dire deiglissandi-pernacchia del trombone che la introducono,oppure della marcetta finale. La dimostrazione la offre l’ori-ginale stesso da cui Kodály ha tratto la sua suite: quel ca-polavoro del teatro comico che è la sua opera Háry János.Con quella musica Kodály commenta la vittoria vantatadal suo protagonista, il fanfarone millantatore Háry, sopral’esercito di Napoleone. Comicamente.Ancora Bergson ci ricorda che «il ridere deve rispondere acerte esigenze della vita in comune. Il riso deve avere unsignificato sociale» (Oeuvres cit., p. 390). Un invito esplici-to a farsene carico nell’educazione. «Si ride troppo poco ascuola» ci ricorda l’autrice citando Rodari (p. 11). E prova arimediare trasferendo le sue osservazioni musicali sul pia-no didattico. Il libro si arricchisce così di schede operative,che invitano l’insegnante a coinvolgere gli alunni in azio-ni cantate, suonate, interpretate con il gesto. Tutte espe-rienze che serviranno a dare un tocco di bonomia a unagiornata scolastica troppo spesso apatica e gravosa. Maanche a sollecitare una più matura padronanza del lin-guaggio musicale stesso. Ridere ai “giochi di suoni”? Certoche si può. Ma richiede che l’insegnante sia intervenuto afar crescere la competenza musicale dei suoi ragazzi. Chipotrebbe ridere – o semplicemente sorridere – all’accordovolutamente stonato che chiude Ein Musikalischer Spassdi Mozart, se le sue orecchie non fossero allenate a coglie-re l’inattesa dissonanza? O chi sorriderebbe ascoltando ilpassaggio allegro dell’Ouverture dei Maestri cantori diWagner, se non riconoscesse in quel tema vivace lo stessotema che eseguito solenne stava a evocare la sussiegosaintransigenza dei pedanti accademici ora ridicolizzati dal-l’inattesa, meccanica accelerazione? La capacità di attri-buire significati sempre più avanzati e stimolanti a un’operad’arte deve molto alla capacità del nostro orecchio di co-gliere affinità e differenze.Sia dunque benvenuto questo libro, e benvenuta soprat-tutto la voglia del lettore di servirsene per stimolare le ri-sorse musicali dei propri alunni. All’insegna di un sorrisoaperto e intelligente.

Occasioni mancatedi Alessandra Anceschi

Musica. Dalle Indicazioni alla pratica didattica, a cura diBenedetta Toni, USR-ER, ANSAS ex IRRE Emilia Romagna,Tecnodid editrice, Napoli 2010, pp. 80, distribuzione gra-tuita

La regione Emilia Romagna ha saputo spesso distinguersi,sia in ambito istituzionale che più periferico, per le inizia-tive intraprese a favore della musica.Di risonanza non solo locale sono state le proposte disse-minate sul territorio regionale nel corso degli ultimi cin-que anni, che – grazie a decisivi finanziamenti nel settore– hanno riguardato la promozione di iniziative convegni-stiche e seminariali, la formalizzazione di gruppi di lavoroe di ricerca, la sedimentazione e la divulgazione delle ri-sultanze. Questo volume è il frutto dell’ultimo passaggio, e

si colloca all’interno di un disegno più ampio di sperimen-tazione delle Indicazioni per il curricolo (DM 31-7-2007)che ha riguardato tutte le discipline e gli ambiti di espe-rienza del primo ciclo di istruzione.Il volume è stato recapitato a tutte le istituzioni scolastichedella regione e per questo ne sono stata destinataria inqualità di docente di scuola secondaria di primo grado.Più che lo sguardo del recensore che si avvicina al testoattraverso la lettura, ne porterò le impressioni dell’inse-gnante che accoglie i suggerimenti avvicinandoli alla pro-pria esperienza didattica e – nel mio caso – osservandolianche attraverso l’attività oramai ventennale di osserva-trice e promotrice dei processi di innovazione nella scuola.Mi ha colpito, innanzitutto, l’esilità della pubblicazione (80pagine, chiare e ben spaziate) che, raffrontata alle iniziati-ve che ho solo in parte seguito sul territorio, mi sono ap-parse alquanto riduttive degli sforzi compiuti. Non so quan-to questa sia stata scelta mirata a non “appesantire” la let-tura ai docenti, o quanto invece preordinata da meri com-puti di bilancio.Il piccolo volume è testimone della vitalità del corpo do-cente rispetto alle esperienze musicali e conferma un fer-mento che è da tempo presente nella regione. Sarei prontaa scommettere – forte della ricognizione dell’intero terri-torio emiliano-romagnolo che l’esperienza decennale nelleScuole di Specializzazione per l’Insegnamento Secondario(SSIS) mi ha fatto conoscere (sebbene relativamente al solosegmento della ex scuola media) – che queste sono solo lapunta di un iceberg ben più vasto e probabilmente ancormeglio qualificato.Tuttavia, più che dalla documentazione delle esperienzesvolte, la mia attenzione è stata catturata dal disegno d’in-sieme della pubblicazione e dagli intenti con i quali havoluto essere diffusa.Entrambi mi sono apparsi più di natura propagandisticadei percorsi intrapresi che non effettivamente mirati a ne-cessità di incremento formativo.Alla base dell’intero progetto (non solo di quello editoria-le) vi è l’articolo 1 del Regolamento (DPR 89/2009), chepropone un periodo triennale di ricerca (dal 2009 al 2012)«nel quale le scuole e gli insegnanti sono invitati a speri-mentare le Indicazioni curricolari, come stimolo a miglio-rare i metodi di insegnamento» (p. 5). Considero questoassunto fondativo come un dato di fatto, sebbene lo abbiada subito ritenuto una mistificazione degli intenti di soste-gno “dal basso” di orientamenti normativi forniti “dall’al-to”. La redazione delle ultime Indicazioni (mi riferisco quia quelle di Musica) è stata condotta, come spesso accade,

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53attraverso numerosi passaggi di mediazione per accoglierediverse istanze formative e sono la sintesi, talvolta anchemal combinata, di differenti cornici teoriche. Chi conoscea fondo gli sviluppi dei fondamenti pedagogici della disci-plina ne individua inevitabilmente le imperfezioni e le de-bolezze. All’interno di questo quadro, dunque, mi è sem-pre sembrata mera azione di visibilità politica più che rin-novata spinta culturale, quella di guardare la didattica at-traverso questa lente. Ma tant’è: l’ente promotore di questeiniziative è braccio destro dell’alta istituzione ministerialee di certo non avrebbe potuto fare diversamente.Ma veniamo all’articolazione dei saggi all’interno del volu-me, che si compone di quattro parti. Sia la lettura dei titoli,sia l’analisi dei diversi contributi, non mi hanno fatto co-gliere le ragioni di questa architettura. La prima parte, Leparole chiave nelle Indicazioni per il curricolo (2007), sicompone di tre saggi, di cui solo il primo abbozza con su-perficialità e approssimazione i diversi ambiti di lavoro: crea-tività, musica d’insieme, fruizione e produzione consapevo-le, musica e nuove tecnologie (a ben vedere, tutti campi giàpresenti nei vecchi programmi del ’79). Il contributo, di Be-nedetta Toni, dedica non più di una ventina di righe aogni ambito tematico, che liquida con sconcertante povertàdi riferimenti, riducendo il tutto a una inconsistente rasse-

gna, priva persino di qualsiasi intento informativo. Comple-tano questa sezione gli esiti di una ricerca nell’ambito delladidattica strumentale (di Elisabetta Piras) e un breve “spot”sull’intero progetto dello studioso Graham Welch, entrambicontributi avulsi dalla cornice nella quale sono inseriti.Le parti centrali del volume (Lo sviluppo del curricolo dimusica in un’ottica verticale; Lo sviluppo del curricolo dimusica in un’ottica trasversale) collezionano le ricadutesul campo delle attività di formazione condotte e raccon-tano rassegne di percorsi che, pur mostrando la vitalitàalla quale si accennava all’inizio, lasciano assai poche pos-sibilità di supporto all’insegnante lettore di queste righe(quasi nessuna di queste esperienze appoggia le proprietestimonianze didattiche su fonti bibliografiche dichiarate,quanto meno necessarie – se non a rendere più credibili ipercorsi narrati – a supportare l’insegnante-lettore nellacreazione di autonomi e credibili percorsi di lavoro). An-cora una volta, la suddivisione interna tra i due capitoliappare più di convenienza (quale?) che di effettiva sostan-za: ad esempio, l’unico saggio che testimonia il reale ten-tativo di costruire un curricolo verticale (Una ricerca sulcurricolo verticale di musica, di Rossella Spallanzani) èlasciato all’ultima parte: Voci dal territorio: esperienze si-gnificative. A ben leggere, viene da chiedersi: perché mai

GIUSEPPE ANTONELLI

Ma cosa vuoi che sia una canzone. Mezzo secolo di italiano cantatoIl Mulino, Bologna 2010pp. 264, † 16,00

alla scoperta di entrambi i codici comunicativi presenti nellacanzone. Originale e accattivante appare un utilizzo del volumenell’ambito dei corsi di Lettura poetica e drammatica del con-servatorio; inoltre gli studenti più curiosi dei Trienni sperimen-tali di Popular music potranno trovare indicazioni preziose e raf-finatamente colte su come conciliare metro e ritmo, ripercorrendoparimenti la storia della canzone italiana.

Motivi di interesseLa musica delle canzoni si definisce leggera o popolare, maaltrettanto non si può certo dire della lingua. Talvoltastigmatizzata con la rima cuore/amore essa tende invece amostrare «forme marcatamente letterarie» che ammiccano piùal libretto d’opera, o alla poesia, che al parlato quotidiano.Attraverso questo volume si scopre un italiano complesso, af-fascinante, condizionato dalla ritmica musicale (a cui si fa spes-so riferimento) e caratterizzato da procedimenti dai nomialtisonanti (enjambement, anadiplosi, anafora, metonimia ecc.)ritenuti più facilmente appannaggio della letteratura “alta”¸scolasticamente cristallizzata nelle antologie, che vitale con-notato della canzonetta. Si scoprono così riecheggiamenti delTasso in Ciao, ciao bambina di Modugno o in Parole parole diMina, legami fra De Gregori e le poetiche primonovecenteschedi Ungaretti e Quasimodo; errori da matita blu accomunanoConte, Battisti, Celentano a Leopardi, Pascoli, Verga e Manzoni,accenti di sdrucciole o semisdrucciole riportano Pezzali eBattiato a una lauda quattrocentesca toscana.

Lara Corbacchini

Argomento«Questo libro studia i testi delle mille canzoni italiane piùvendute tra il 1958 e il 2007, nell’intento di ricostruire –attraverso quelle parole – mezzo secolo di storia della nostralingua. Mille testi spogliati della musica e fatti a brani; scro-stati dalla vernice dello stile e della retorica, ridotti alla nudacomponente linguistica; grammatica, sintassi, lessico». Cosìin un percorso a ritroso, partendo dagli ultimi San Remo, ven-gono analizzati innumerevoli testi, nella loro componentesuperficiale, ovvero nell’aspetto lessicale e non contenutistico(il come e non il cosa), vincolati fra obblighi musicali e nor-me grammaticali, alla ricerca di un modello dell’italiano can-tato, ovvero della «grammatica della canzone».

DestinatariOspitato nella collana Intersezioni, che raccoglie volumi conno-tati da una marcata interdisciplinarietà, il lavoro di Antonelli sirivolge a lettori provenienti da due aree, la linguistica e la musi-ca, che nel volume trovano un punto di incontro “leggero”, madenso di interessanti contenuti. Se i cultori dell’italiano sonoovviamente maggiormente affini agli argomenti trattati, anchei musicisti possono trovare la lettura estremamente interessan-te e coinvolgente (impossibile non canticchiare i ritornelli deitesti analizzati rimanendo talvolta sorpresi dal confronto fraricchezza sintattico-grammaticale delle parole ed estrema leg-gerezza musicale). In particolare i docenti di discipline musicali(dalla secondaria all’alta formazione) troveranno un supportoaccurato per percorsi interdisciplinari, di differente complessità,

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54 almeno una parte dei contributi delle due sezioni centralinon sono confluite qui?Il volume, spiace dirlo, dequalifica in modo del tutto evi-dente la costellazione di iniziative di cui la regione EmiliaRomagna ha potuto godere in questi anni e pone con sem-pre maggiore insistenza la necessità che anche le scuolepossano prendere in mano le redini della ricerca, dellasperimentazione, dello sviluppo, come recita – inattuato –l’articolo 6 della Legge sull’Autonomia.

A misura di bambinodi Maddalena Patella

CECILIA PIZZORNO - ESTER SERITTI, MusiCantando. Canti e mu-siche per bambini, illustrazioni di Giuditta Girovaghi, GiuntiKids, Firenze 2011, pp. 48 con CD, † 12,90

Mentre si sfoglia e si ascolta MusiCantando si avverte su-bito la sensazione di avere tra le mani un oggetto davverobello: per la scelta dei repertori, la ricercatezza dellesonorità, la delicatezza delle illustrazioni, la ricchezza de-gli stimoli che offre.Un libro per bambini, soprattutto se “libro musicale”, nonpuò prescindere dal suo valore estetico intrinseco, oltre chedalla valenza dei contenuti: la bellezza delle musiche, deitesti e delle immagini è infatti già di per sé portatrice divalori educativi legati allo sviluppo di una sensibilità al bel-lo e di una capacità critica che devono essere coltivate findalla più tenera età. Le proposte di lettura/ascolto per i pic-coli devono pertanto essere ben curate da tutti i punti divista, affinché siano piacevoli da toccare, vedere e sentire.MusiCantando, in effetti, non trascura alcun aspetto lega-to alla grafica, al segno, al colore e alle componenti tim-brico-sonore, e si presenta dunque come una risposta ori-ginale e adeguata al bisogno fondamentale del bambino discoprire la realtà positiva che lo circonda.Si tratta di una raccolta di diciotto brani, otto canti (quattroin italiano e quattro in lingua straniera) e dieci brani d’ascol-to, tratti dal repertorio colto occidentale e della tradizionepopolare più autentica, oculatamente selezionati da CeciliaPizzorno ed Ester Seritti. I disegni che illustrano i testi sono diGiuditta Gaviraghi, il cui tratto riporta teneramente alla ma-gia di un mondo infantile gioioso e coloratissimo. È destinatoinnanzitutto ai bambini, ma anche a genitori e educatori chetrovano nel libro chiare indicazioni per una sua efficacefruizione.

I canti in italiano, raccolti in Toscana, sono conosciuti sututto il territorio nazionale, pur con varianti (Staccia Buratta,Ninna nanna, La Pesca dell’Anello, Padre Formica). Quelli inlingua straniera, tutti molto orecchiabili, sono rappresentatividi culture europee a noi vicine (Un cocherito, Goldneabendsonne, Prom’nons-nous dans les bois, Robin Hood). Lasezione d’ascolto comincia con due brani strumentali tradi-zionali (Hamamisky e Greensleeves) e prosegue con otto pezziche conducono in un avvincente viaggio nel tempo, dal Ri-nascimento al Novecento. Tale varietà di repertorio invita anon avere preclusioni tra generi, epoche e aree geografiche.Il montaggio del CD è a cura di Daniele Poli e Gabriele Micheli,esperti in repertori di musica antica e tradizionale, partico-larmente abili nella realizzazione di strumentazioni origi-nali, seppure filologicamente corrette. Le identità sonore deglistrumenti acustici, a pizzico e a fiato, sono abilmente valo-rizzate senza il supporto di campionature elettroniche, cosìcome le voci dei solisti, la cui raffinatezza colpisce già alprimo ascolto. Validi artisti hanno collaborato alla registra-zione in veste di cantanti o strumentisti, contribuendo allacreazione di un prodotto che si percepisce unico nel suogenere, frutto di competenza, esperienza e passione.MusiCantando consente una fruizione diversificata a secon-da dei bisogni e dei gusti personali. Il bambino piccolo, adesempio, trova nelle filastrocche il piacere di giocare con illinguaggio verbale, che sta rapidamente acquisendo. Nei te-sti incontra a volte vocaboli nuovi che, anche grazie allerime, riesce a memorizzare facilmente. I versi in lingua stra-niera sono altresì occasione per esercitare capacità percettivee linguistiche, apprendendo per imitazione nella lingua d’ori-gine. I canti, disposti in ordine di difficoltà ma con un’esten-sione sempre adeguata all’età, gli permettono di potenziaregradualmente le sue abilità canore. Il bambino più grandepuò cantare in modo sempre più gratificante utilizzando lebasi musicali contenute nel CD, può inventare testi alterna-tivi con nuove trame, variare creativamente melodie e ritmi,ideare giochi e attività con la musica da condividere concoetanei e adulti. I brani di ascolto si prestano particolar-mente a libere interpretazioni motorie e assecondano la na-turale attitudine dei bambini, piccoli e grandi, a reagire allostimolo sonoro con il movimento del corpo.MusiCantando è inserito nel catalogo 2011 di Nati per Leg-gere e Nati per la Musica (www.natiperleggere.it e www.na-tiperlamusica.it). Entrambi i progetti si propongono di uti-lizzare il libro e la musica come strumenti per il sostegnoalla genitorialità, per migliorare la relazione e il dialogotra adulto e bambino e favorire una crescita armoniosa ecompleta della persona. In tal senso MusiCantando si pre-senta come una proposta agile e gradevole per far musicain famiglia, offrendo una compensazione ai repertori quo-tidianamente diffusi attraverso i mass media, non sempreattenti alle esigenze del mondo infantile.

La via italiana dell’Orffdi Rosalba Deriu

L’Orff-Schulwerk in Italia, a cura di Giovanni Piazza, EDT,Torino 2010, pp.168, † 12,00.

Esiste una interpretazione italiana dell’opera didattica diOrff? Esistono cioè delle applicazioni di quel suo partico-

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55lare approccio alla musica che, pur restando saldamenteancorate all’impianto originario, ne rappresentino l’evolu-zione italiana?Se seguiamo la riflessione avanzata dal testo curato daGiovanni Piazza per EDT possiamo ritrovare la via italianadell’Orff Schulwerk sia nel ruolo centrale assegnato all’espe-rienza creativa in ogni fase dell’apprendimento, sia in unmodo di intendere il concetto di musica elementare piùampio di quello predisposto dal compositore tedesco. Ope-razione, questa, resa forse più semplice dal fatto che ledefinizioni che lo stesso Orff diede del concetto principaledella sua proposta didattica non furono mai stringenti erisolutive. «Orff mutuò il concetto di musica “primitiva”dalla musicologia comparata del suo tempo – essenzial-mente da Curt Sachs – e lo sostituì successivamente con iltermine elementare» ci ricorda Sangiorgio (p.147). Riferitadunque a una nozione di primordialità, la musica elemen-tare era per Orff soprattutto qualcosa che aveva a che farecon la danza e la parola, e che si produceva in un contestoaperto e accessibile a tutti nel quale si è ascoltatori ed ese-cutori allo stesso tempo. Questo modo di intendere la mu-sica elementare innestava la pratica didattica dell’OrffSchulwerk nella corporeità e nel concreto far musica apren-dola a ogni bambino, senza preclusioni legate al possessodi talenti più o meno innati.

La tradizione orffiana ha nel tempo meglio delineato gliingredienti e le cornici della musica elementare: lo stru-mentario, il pentatonico (o pentafonico, secondo la termi-nologia preferita da Piazza), gli ostinati, le piccole formeripetitive.Piazza dunque prova ad allargare il concetto di musicaelementare avvicinando alla nozione di elemento basilare– vale a dire una cellula dotata di ”senso” musicale, perquanto minimo esso sia – quelle di combinazione e permu-tazione. Operazione tanto più necessaria quanto più si as-segni alla pratica creativa un ruolo centrale nella forma-zione musicale. L’allargamento del concetto di elementareinfatti ha dato origine a un progetto di lavoro incentratosu «una forma di “composizione” analoga al gioco dellecostruzioni o – più modernamente – del Lego: comporrecioè sequenze modificabili di elementi primari, ritmici,melodici, motori, armonici o misti. Dalla disposizione, dallasovrapposizione e dall’ampliamento di tali sequenze sisviluppavano poi elaborazioni che procedevano dal sem-plice al complesso, tali da ottenere eventi collettivi di-scretamente articolati e compositi. Come dire: la comples-sità ottenuta attraverso la socializzazione dell’elementa-rità» (p. 94).È lo stesso Piazza a ricordarci che questo modo di intende-re il concetto di elementare «contrasta con le interpreta-

DA NON PERDEREdi Elisabetta Piras

KARIN GREENHEAD, Verso una comprensione dell’identità del-la Ritmica Dalcroze, in “Rivista dell’Associazione ItalianaJaques-Dalcroze”, 2006/2, pp. 2-10.

L’articolo proposto affronta una competente riflessione suglisviluppi ed esiti del metodo Jaques-Dalcroze e delle suecaratteristiche applicative realizzate nel tempo nei diversicontesti, in particolare sui tratti di identità e differenza trale varie attività di formazione che rientrano nell’ambitodella Ritmica Dalcroze, e più in generale dell’educazioneritmica. Il contributo è contenuto nella “Rivista dell’Asso-ciazione Italiana Jaques-Dalcroze”, scaricabile gratuitamen-te dal sito www.dalcroze.it, e su “Le Rhythme” (2005), pub-blicazione della International Federation of RhythmicsTeachers (FIER).In questa sede Karin Greenhead mette in luce come sindall’inizio della diffusione del metodo Jaques-Dalcroze sisiano sviluppati diversi ambiti applicativi, focalizzati sullecompetenze e sugli interessi degli esperti, quali terapia edanza, e talvolta dovuti alla diaspora dalcroziana causatadalla guerra. In conseguenza di ciò, quindi di un “passa-mano” del metodo, oltre che dei diversi contesti sociali,culturali ed economici, attualmente esistono numerose ini-ziative di formazione che esplicitamente o meno sono ri-conducibili al metodo Jaques-Dalcroze, e si evidenzia comedifferenze e specificità debbano essere focalizzate e distin-te. Si propone una panoramica su diversi ordinamenti distudi e sbocchi lavorativi in Europa (Svizzera, Inghilterra,Austria, Polonia, Belgio) e si rileva come ci siano differen-ze sostanziali che riguardano sia gli aspetti organizzativi,sia quelli di contenuto. Greenhead osserva come i tratti

comuni di queste esperienze, che comunque hanno comeobiettivo la Ritmica, sono elementi fondamentali, quali larelazione paritaria e sinergica tra musica e movimento, chesi integrano con fini di interpretazione espressiva e comu-nicativa, la pratica dell’improvvisazione e un approcciopedagogico ludico, attivo e attento all’esperienza pregressadell’allievo. I tratti caratteristici e distintivi dell’identitàdalcroziana sono poi spiegati a partire dalle sue materieprincipali, che sono tre: ritmica, solfeggio e improvvi-sazione; queste si integrano continuamente e sono sup-portate da altri insegnamenti quali armonia e pedagogia.Questo metodo tripartito si fonda su ciò che è stato sco-perto, teorizzato e proposto negli scritti di Jaques-Dal-croze, e ha la sua realizzazione nella plastique animée,quella particolare forma di analisi musicale completa rea-lizzata con l’esibizione del movimento. L’autrice evidenziacome l’insegnamento «tramite la musica e per la musica»di Dalcroze ha come fine sia l’educazione della personache quella dell’artista, anche in campi diversi della musica.In molti di questi il metodo è stato applicato solo di re-cente, in altri c’è ancora un mondo da scoprire, e ulteriorisviluppi portati dalle specificità degli esperti e dalle ne-cessità formative attuali possono essere visti in un’otticadi dialogo relativo a metodologie didattiche e identità teo-riche.Si propone questo articolo considerando l’importanza cheil metodo Jaques-Dalcroze ha per insegnanti, musicisti edanzatori ormai da tempo anche in Italia, per suggerireconsiderazioni e riflessioni chiarificatrici non solo sul me-todo specifico, ma anche sulle dinamiche dell’evoluzionedi un approccio metodologico in generale.

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ANDREA ANGIOLINO – BENIAMINO SIDOTI

Dizionario dei giochiZanichelli, Bologna 2010pp. 1192, † 32,00

quelli invece più commerciali. Si tratta di una accurata sele-zione (soprattutto dei giochi commerciali), del tutto lontanadal rappresentare una «guida per gli acquisti», come gli stessiautori dichiarano. Uguale attenzione è posta a raccontare sial’uso dei giochi nel quotidiano (dunque la prassi) che la normacodificata (la teoria). Il linguaggio con il quale vengono quali-ficati i giochi affianca le diciture correnti (siano esse dialettalio gergali) a quelle utilizzate dagli studiosi del settore.L’invito esplicito è quello non solo di consultare il dizionarioall’occorrenza, ma di utilizzarlo propriamente per giocare.Facciamo perciò nostro questo invito e rilanciamo la propo-sta suggerendo di leggere, anche in modo scomposto, i lem-mi, e di adattare i giochi ai contesti didattici e agli obiettiviprefissati, oppure rivedendo le modalità di utilizzo dei mede-simi giochi e inventandone creativamente una loro traspo-sizione in ambito musicale.In attesa di ciò, ci ha divertito venire a conoscenza di unacuriosità: che l’espressione “vecchio come il cucco” derivaprobabilmente dalla proverbiale e antichissima origine delcucco, «strumento a fiato bitonale, con cui è possibile mo-dulare un duplice fischio grazie alla chiusura o meno di unugello con un dito» (p. 312). Più che strumento musicale, sidice poco più oltre, il cucco «è trastullo per i bambini».Completa il volume una nutrita bibliografia.

Alessandra Anceschi

ArgomentoSi tratta del primo dizionario italiano dedicato alla codificazio-ne del gioco nelle sue varie forme. Gli ideatori del volume (en-trambi autori di giochi e di libri dedicati al gioco) propongonoun primo ardito ma fruttuoso tentativo di comporre una sorta dimappatura dei giochi conosciuti. La ricognizione è condotta at-traverso la definizione di oltre seimilacinquecento voci, talvoltaillustrate da sintetiche definizioni, talvolta operate con più pun-tuali approfondimenti. A fianco dei giochi di tradizione più co-nosciuti si incontrano pratiche ludiche nuove: da quelle rimastenei cassetti a quelle praticate dalle ultime generazioni.

DestinatariGli autori si indirizzano «a chi non conosce una certa parola,un certo gioco; o anche a chi ha dei dubbi su come tale pa-rola si usi, tale gioco si giochi» (p. 6). Noi aggiungiamo che ildizionario si rivolge a qualsiasi insegnante, formatore e ani-matore perché rappresenta strumento utile ad arricchire lefonti attraverso le quali attingere per trovare spunti e rinvi-gorire l’efficacia della pratica ludica nei contesti didattici.

Motivi di interesseLa consultazione del dizionario, anche quando non mirata auna specifica necessità, mette in evidenza l’intenzione degliautori di accostare i giochi di tradizione (più o meno orale) a

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zioni più dotte, e sicuramente più prossime quantomenoall’origine del concetto orffiano, che ne vennero (e ne ven-gono) fornite» (p. 94).Si tratta peraltro di una scelta dettata soprattutto da esi-genze didattiche e supportata dall’esperienza maturata nelconfronto con numerose schiere di bambini e adulti. Ed èinteressante, in questa proposta, la capacità di attivare formediverse di collaborazione, tali da rendere possibile la rea-lizzazione di eventi che, nella loro esecuzione finale, so-vrastano di gran lunga le possibilità di ogni singolo bam-bino, pur essendo nate proprio dal contributo di ciascunodi loro. Uno dei tratti fondanti di tale proposta è infatti illavoro di gruppo, che costituisce la modalità principe concui i bambini pervengono a individuare e a dare forma alleloro idee; e a questo proposito Maria Grazia Bellia ci ricor-da che è necessario che i bambini siano messi in grado disperimentare i suoni e le loro combinazioni in una condi-zione di gioco «libero, puro, tra pari», senza l’insegnante lacui presenza, inevitabilmente, influenza le dinamiche direlazione. Per la buona riuscita del lavoro, e perché si svi-luppino autonomia e autostima, è dunque necessario chel’insegnante progetti anche dei momenti in cui i bambinilavorino in sua “assenza” (p.134).Nel testo vengono forniti diversi esempi di questo mododi lavorare: dalle attività sulla costruzione ed esecuzionedi accompagnamenti a una melodia, alla creazione di se-

quenze ritmico-vocali (nelle proposte di Giovanni Piazzae di Adolfo Conrado), all’invenzione di coreografie e dieventi interdisciplinari (rispettivamente nei testi a firma diMarcella Sanna e Ciro Paduano), fino alla messa a puntodi un progetto teatrale vero e proprio a cura di Maria Gra-zia Bellia.Andrea Sangiorgio delinea una riflessione generale sullaproposta di Orff, mentre Orietta Mattio si occupa della for-mazione degli insegnanti, un problema essenziale, vistoche è dalla loro sensibilità e preparazione che dipende lariuscita di ogni progetto di formazione.

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Fragilità. Sguardi interdisciplinari, a cura di Anna MarinaMariani, Unicopli, Milano 2009, pp. 285, † 18,00.

Questo testo si collega idealmente a una mia precedentepubblicazione (Figure della goffaggine. Educatori senzamagistero, ETS, Pisa 2008) e ne risulta una naturale conti-nuazione e un ulteriore sviluppo.Nel libro intorno alla “goffaggine”, esplorata attraversoalcune opere e figure della letteratura e dell’arte (Do-stoevskij, Seneca, Calvino, Lorca-Dalì-Buñuel), l’intentoera quello di farne oggetto di ricerca pedagogica. L’ideapartiva dal fatto che tale dimensione, un po’ inusitata perogni educatore (ma a cui fa riferimento Paul Klee nei suoidiari), è qualcosa, un grumo di sentimenti e atteggiamen-ti comune a ogni essere umano, il quale si nasconde, simaschera, si rivela, si costruisce, inciampa sempre in ciòche è inaspettato, tenta una riorganizzazione continua dise stesso (l’esegesi del sé di Michel Foucault) cercando diessere “sempre a posto”, adeguato alla situazione, ma ine-vitabilmente si trova “fuori posto”. È come se la vita “pren-desse la mano”. Anche gli scrittori o gli artisti o glieducatori, quando elaborano un percorso che provieneda loro, nell’itinerario di creazione e di formazione, sen-tono che questo qualcosa scappa via, procede per vie tra-verse, ha vita propria. Così ognuno di noi scopre il corag-gio di accettare che la vita e la formazione interiore “pren-dano la mano”, vadano per la loro strada, trovino unadirezione, inciampando goffamente, poco elegantemen-te, ma in modo veritiero, risuonino in modo più o menoeclatante, come onde messaggere. Non solo un lavoro dicervello dunque, ma una sorta di movimento permanente,interpellante e ineludibile. Si tratta di una “esegesi delsé” serena e implacabile.Così il testo qui proposto affronta, conseguentemente, iltema della fragilità del crescere e della vulnerabilità, avan-zando significative differenziazioni.Gli autori, attraversando nascere, morire, crescere e vivere,concepiscono il tema della fragilità come limite e cifra del-l’umano da accettare e rivalutare ed evidenziano il proble-ma della fragilità (vulnerabilità, precarietà, debolezza, in-sicurezza) a partire da letture diversificate per afferenzadisciplinare (psicologia, sociologia, medicina, filosofia).Se è concepibile e possibile una dignità umana anche nellafragilità e, addirittura, una dignità della fragilità, poco re-sta di decoroso in situazioni di marginalità, precarietà, di-scriminazione, sfruttamento. La sfida educativa sta nel gio-care a rivalutare l’ineluttabile caducità della condizioneumana di ogni soggetto, fino a sostenerne la paradossalepositività (perché non saremmo umani se non fossimo fra-gili), rifiutando contemporaneamente falsi e mistificatorimiti di forza e di perfezione. Si tratta, in altre parole, dicontrastare la rassegnazione partendo dalla potenzialità deipropri limiti, e affrontare i problemi che tale fragilità co-stitutiva pone all’esistenza, cominciando da quelle piccolee ordinarie fragilità plurali non sempre così ineluttabili comele si vuole far passare e da non trascurare (attraverso una

RASSEGNA PEDAGOGICAdi Roberto Albarea

disamina esegetica, di cui si diceva) né per altezzosa di-stanza intellettuale, né per ignominosa dimenticanza per-sonale, né per colpevole omissione istituzionale.Rifiutare la fragilità o esagerarla condanna a divenire l’om-bra di se stessi e a non riuscire a porsi come “ombraeducativa” (presente ma discreta) a bambini e adolescentisempre più in preda a una deleteria percezione di totaleinsicurezza.L’educazione è allora un terreno che sostiene «la formazio-ne di una personalità né debole né forte, ma temprata, conla consapevolezza che l’identità si pone come fonte di ric-chezza e calore almeno quanto può esserlo violenza e ter-rore (secondo Amartya Sen), e che quindi è da costruire(solidarismo) più che intimisticamente da scoprire (solita-rismo)» (p. 16).Le differenti sfaccettature del tema si sviluppano attraver-so i titoli significativi dei capitoli: dalla relazione antinomicatra forte fragilità e fragile felicità ai processi inerenti lafragilità del crescere, come le fragilità evolutive nelle fasidi transizione dall’adolescenza alla prima età adulta; dallaconsapevolezza da parte dei genitori di una loro fragilitàparentale e il ruolo che possono assumere gli insegnanti,fino all’esplorazione dell’incertezza che si accompagna allenuove identità pluralistiche delle nostre società complesse,in between tra tecnologie comunicative e opportunitàformative e di crescita.Anche le società, dunque, non sono esenti da tale condi-zione: anzi sono esse stesse produttrici di fragilità che spessosi trasforma in vulnerabilità negativa, come nel caso dellavunerabilità economica che ben si sposa con una distribu-zione sociale sperequata di beni e servizi, o quando laprecarietà è imposta alle persone dal di fuori: si spiega cosìanche la vulnerabilità e la delegittimazione delle istituzio-ni, nate con il diritto a tutela dei più deboli e sempre dariformare, per ovviare all’opera di corrosione del tempo edegli uomini.La vulnerabilità in tema di salute, che non riguarda solo ilmondo degli immigrati stranieri, investe chi è costretto avivere assommando i rischi di uno scarso accesso alle strut-ture sanitarie a una percezione sociale discriminante, comenel caso di anziani e persone affette da demenza.Come afferma la curatrice, Anna Marina Mariani, «esisto-no, dunque, una fragilità della società, formale o struttu-rale, e una fragilità sociale che è frutto di disuguaglianze;esiste una fragilità culturale, che si prefigura ed esita nellavulnerabilità cognitiva […] ed esiste una fragilità delle cul-ture che non è l’umiltà del continuo ridefinirsi, necessarioa ogni ulteriore sviluppo dell’umanità, quanto piuttostofrutto d’arroganza» (pp. 18-19). Mentre la fragilità insitanell’essere umano va gestita, la vulnerabilità va combattu-ta, interiormente ed esteriormente.Essere fragili non è una maledizione, o un handicap; di-ventare vulnerabili sì. Evitare quest’ultima eventualità è loscopo che si prefigge il volume, avviando una sorta di ri-flessione su di sé e con gli altri: per questo si educa, perquesto si insegna e si lavora, e per questo si scrive.

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Già dall’atto di nascita della sezione territoriale pavese SIEM,sottoscritto da un gruppo di studiosi e musicisti di forma-zione variegata, s’è inteso sin da subito ambiziosamenteperseguire finalità di ricerca e didattica che potessero de-gnamente iscriversi all’interno della tradizione universita-ria e culturale propria del centro ticinese, la quale ha faci-litato un percorso di dialogo tra discipline finalizzato apromuovere diversi aspetti peculiari della musica.Nell’intento di rinverdire sodalizi disciplinari già storica-mente consolidati, come quello con la poesia e con lamedicina, o di conoscerne altri più recenti e meno evi-denti alla quotidianità, come quelli con la matematica ela fisica, la sezione della SIEM di Pavia s’è impegnata acreare e sviluppare le dimensioni interdisciplinari einterculturali proprie della musica: prima estrinsecazionedi tale aspetto è stato il progetto denominato Musica e…Dialoghi tra discipline. Il corso, articolato in 12 modulida due ore cadauno, ha avuto origine dalla sinergia tradiverse facoltà e dipartimenti dell’Ateneo pavese, dellaSIEM, della Società Italiana di Musicologia e dell’IstitutoSuperiore di Studi Musicali “Franco Vittadini”, nonchédal patrocinio dell’Almo Collegio Borromeo di Pavia: suafinalità è stata il tratteggiare un profilo di tipo sinteticodel fenomeno musicale, che ne potesse evidenziare levalenze culturali e i plurimi ambiti di intersezione disci-plinare con gli altri saperi, fornendo un resoconto di ca-rattere scientificamente fondato benché necessariamentedivulgativo, che fosse in grado di garantire l’approfondi-mento a livello universitario di uno dei temi trattati; ul-teriore scopo del progetto è stato quello di stabilire undialogo tra studiosi finalizzato ad attivare, attraversoun’ampia e fattiva collaborazione tra istituzioni univer-sitarie, una progettualità inedita nell’ambito della ricer-ca: riguardo a tale ultima prospettiva, preziosissimo è statol’apporto di Mario Baroni dell’Università di Bologna, nelmodulo intitolato “Musica e Ricerca”, che ha delineatoconcretamente la possibilità di entrare nel mondo dellaricerca in ambito musicale al fine di acquisire consape-volezza delle molteplici e ancora spesso sconosciute fun-zioni del fenomeno musicale nelle sopracitate aree d’in-tersezione disciplinare.In secondo luogo, l’apertura della sezione a giovani uni-versitari e musicisti, nonché l’attenzione verso il mondodell’occupazione giovanile musicale, ha reso importante enecessaria una riflessione sulla formazione di base e sulladidattica musicale, che si inserisce senza soluzione di con-tinuità all’interno della tradizione educativa propria del-l’Istituto Superiore di Studi Musicali “Vittadini” – da cui,tra l’altro, scaturiscono le esperienze artistico-didattichedi tutti i soci fondatori – già iniziata dallo stesso Franco

Enrico Cominassi

Ricerca e formazione di base:gli obiettivi della sezione SIEM di Pavia

Vittadini e proseguita dal suo successore Guido Farina. Lerisorse culturali ed esperienziali della sezione si sonoconcretizzate, infatti, in un progetto per l’educazione nellescuole primarie e secondarie di primo grado finalizzato acostruire un’esperienza musicale attenta agli aspettimotivazionali e affettivi. In tale direzione si pone un per-corso musicale fondato su tre approcci didattici: incontra-re la musica, basato sull’attività sensoriale; fare la musica,basato sugli aspetti relazionali e motori; conoscere la mu-sica, basato sull’attività cognitiva.Per quanto concerne, poi, la pianificazione futura dellaneonata sezione, si segnala, sul fronte della ricerca, la col-laborazione con Johannella Tafuri nell’ambito del proget-to Nascere musicali, diretto alle gestanti dal sesto mese digravidanza: oltre a rivolgersi ad ambiti ancora poco ap-profonditi ed estremamente interessanti, sia sul piano sog-gettivo che su quello dell’oggettività accademica, l’attua-zione del progetto ha per necessari interlocutori enti sani-tari di vario livello e genere, attualmente non ancora suf-ficientemente integrati con la realtà musicale locale, che lasezione territoriale si propone di coinvolgere in una cre-scente alacrità collaborativa.Parallelamente a ciò, l’attività della sezione vorrà altresìdare il proprio apporto alla formazione del personale do-cente, attraverso corsi d’aggiornamento per insegnanti eoperatori musicali, proseguendo l’attività già iniziata, incollaborazione con l’Istituto “Vittadini”, dall’impegnatoapporto professionale e umano della presidente di sezioneBarbara Cristina, da oltre vent’anni accorta stratega neisettori della didattica infantile e pianistica.Ulteriore fronte di interesse si evince facilmente dalla spe-cializzazione strumentale dei fondatori, tutti pianisti e/odidatti del pianoforte: per quanto sia complessa e proble-matica un’attività che veda al suo centro il pianoforte e lasua didattica, è intenzione dei fondatori riflettere sullaopportunità e sulle modalità di un intervento significativoin tal senso, che richiederà per ovvie ragioni lunghi tempidi elaborazione.Infine, sul piano più generale della divulgazione della cul-tura musicale, si segnala la programmazione di conferen-ze-concerto a cura di Antonio Tarallo, finalizzate a svilup-pare, in un pubblico non specialistico, capacità analitichee critiche attraverso l’ascolto e il raffronto tra diverse in-terpretazioni di un medesimo brano musicale.Sulla base delle considerazioni sopra riportate e in lineaalle ulteriori finalità che s’intendono perseguire, la sezioneterritoriale pavese si propone di ospitare il Convegno na-zionale SIEM 2011, confidando in una sempre maggiorepartecipazione di tutti i soggetti competenti alle tematiched’interesse musicale.

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