Mary Celeste

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Stefano Boni, giallo storico Dicembre 1872. Al largo delle Azzorre viene avvistato un brigantino alla deriva. L'equipaggio è misteriosamente scomparso, tutto è stato abbandonato all'improvviso. Chi sono gli uomini e le donne le cui vicende si intersecano intorno a questo strano fatto di cronaca? Quali sono i dubbi, gli affanni e le decisioni dei protagonisti di uno dei più grandi misteri del mare? Gli investigatori riusciranno a far luce su quanto accaduto o la nave segnerà indelebilmente le loro vite?

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In uscita il 30/4/2014 (14,00 euro)

Versione ebook in uscita tra fine maggio e inizio giugno 2014 (4,99 euro)

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STEFANO BONI

MARY CELESTE

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MARY CELESTE Copyright © 2014 Zerounoundici Edizioni

ISBN: 978-88-6307-705-6 Copertina: Immagine Shutterstock.com

Prima edizione Aprile 2014 Stampato da

Logo srl Borgoricco – Padova

Questo romanzo è opera di fantasia. Ogni riferimento a

fatti realmente accaduti o a personaggi viventi è da ritenersi

puramente casuale

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PROLOGO

«… sei così bella… »

13 dicembre 1872 Porto di Gibilterra Mary Celeste era orfana dall’età di 4 anni quando sua madre morì di una febbre cerebrale che l’aveva immobilizzata a letto delirante. Suo padre era un marinaio proveniente dal Marocco, si era imbarcato per chissà quale destinazione poco dopo il concepimento e non se ne era più saputo nulla. Mary Celeste aveva una carnagione scura ereditata dal padre e due occhi verdi donati dalla madre. Di lei si occupava la sorella della madre che economicamente non si trovava in una situazione migliore. La zia le aveva insegnato a non disdegnare l’elemosina e a eseguire semplici lavoretti di cucito e piccole composizioni da rivendere per strada. In casa di Mary Celeste il pasto quotidiano era meno scontato del dovuto, ma se non altro la zia non faceva favoritismi fra lei e il suo figlio naturale, un mezzo idiota nato prematuro, ma che con il tempo aveva sviluppato una forza mostruosa che aveva ben impiegato come scaricatore al molo. Andrew, questo era

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il suo nome, aveva una paura patologica del mare e, nonostante tutti i tentativi di farlo imbarcare come mozzo e uomo di fatica, non c’era stato verso di convincerlo a salire su una nave in mare aperto. Il suo lavoro era saltuario e questo non contribuiva a migliorare il bilancio famigliare; c’erano giorni in cui se ne stava con le gambe a penzoloni lungo il molo aspettando che qualcuno lo venisse a chiamare, visto che, di iniziativa, lui ne aveva davvero poca. Lo venivano a cercare proprio quando c’erano carichi di enorme peso da spostare o qualche argano si era sfasciato sotto l’effetto dell’umidità e della salsedine. Data la sua mole e la sua indole era stato definito “un masso che non sa nemmeno rotolare in discesa” e, per via del suo sguardo poco sveglio, veniva spesso imbrogliato sulla paga. Sua madre aveva smesso di sgridarlo, perché aveva capito che più di quel tanto di sale in zucca non ce ne stava. Accantonata l’idea di vederlo ufficiale di marina, confidava ancora in quel ragazzone, perché diceva che “al mondo ci sarà sempre bisogno di due buone spalle da fatica”. Andrew lavorava al porto mentre la cugina aveva il divieto assoluto di frequentare la zona; la zia le aveva intimato di star lontana dagli uomini, fossero anche le guardie della Rocca, e più un uomo assomigliava a un marinaio più lei doveva camminarci lontano e non rivolgergli la parola. Tutto questo perché Mary Celeste era nell’età in cui la carne fiorisce e la freschezza di labbra, curve e movimenti richiama le attenzioni di qualsiasi uomo, sia esso dotto studioso o corrotto filibustiere. Quel giorno, però, Mary Celeste aveva disobbedito; aveva sentito dire che era entrata in porto una nave che aveva il suo stesso nome e che era stata posta sotto sequestro dall’autorità giudiziaria, perché durante il viaggio era stato commesso un

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omicidio. O forse erano stati i pirati o forse… non si capiva bene, le voci erano sempre diverse e frammentarie. Incuriosita da una nave che, oltre a chiamarsi come lei, era orfana del suo equipaggio (proprio così l’aveva descritta un vecchio mercante di spade) si era spinta fino al porto per guardarla. La giornata era fredda, il cielo limpido e presto avrebbe fatto buio. Avvolta in un vecchio scialle della madre, Mary Celeste si muoveva silenziosa lungo i moli cercando di capire quale era la nave in questione. Effettivamente si respirava un’aria diversa, i soliti caotici rumori, a Gibilterra come a New York e a Genova, erano stati in parte sostituiti da bisbigli ed espressioni di stupore. Una nave apparsa dal nulla; qualcuno diceva comandata dal Demonio (e sputava per terra); altri dicevano che la malasorte avrebbe colto chiunque vi fosse salito a bordo e che l’equipaggio che l’aveva recuperata era segnato per l’eternità (e sputavano a loro volta). Un folto gruppo di persone si era avvicinato a un brigantino dove due guardie della Rocca piantonavano la passerella d’ingresso. Mary Celeste si avvicinò sotto lo sguardo rinvigorito di alcuni vecchi marinai che, nel vederla, si sentivano come ringiovaniti; lei sapeva leggere il suo nome, come anche il nome di Andrew, della madre e della zia. Quando arrivò a poppa riuscì a vedere il nome della nave, riconobbe la M, la y, la C-e-l-e-s-t-e… era quella la nave, la nave che si chiamava come lei! E rimase delusa. Delusa perché vide semplicemente un brigantino con le vele ammainate, in ordine e senza danni. Solo un brigantino. Forse

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si aspettava una velatura di tela di ragno, fuoco e fiamme dai boccaporti, spiritelli maligni lungo le murate e un demone orinare sulla folla dalla coffa di trinchetto? O uno scafo semitrasparente, spettrale, uomini dalle orbite vuote vagare senza meta fra castello e scialuppe? Una polena a forma di diavolessa, un timone d’ossa? Era semplicemente un brigantino… «Tu non devi stare qui» disse una voce alle sue spalle. Sussultò e si girò. «Andrew!» disse. «La mamma non vuole.» Lei fece spallucce. «Non lo saprà mai se qualcuno non glielo dice.» «Il porto è per gli uomini.» «E lo dici tu» disse lei con malcelata malizia. «Sono solo venuta a vedere la nave con il mio nome!» «È arrivata con un’altra che la tirava. C’erano due capitani con la barba lunga; solo uno era un capitano, sai, sulle navi c’è un capitano e un primo ufficiale. La nave non è rotta e poi è un brigantino, come il modellino che tengo vicino al letto.» «Stupido, quello è un pezzo di legno con due bastoncini infilati…» «È un modellino.» La cugina sorrise. Poi prese sotto braccio il ragazzone e gli disse: «Comunque hai ragione, non posso stare qui. Accompagnami a casa, con te al mio fianco non avrò paura.» Andrew per un momento avvampò di vergogna. Poi, gonfiandosi il petto poiché si sentiva importante, iniziò a scortarla verso casa. Dopo un po’ biascicò: «… sei così bella…»

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PARTE PRIMA

non lo aveva salutato come avrebbe voluto

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3 novembre 1872 Molo 44 dell’East River – New York Il capitano David Reed Morehouse sobbalzava a ogni scossone della carrozza. Insieme a sua moglie era di ritorno dal molo 44 dell’East River dove era stato ospite del suo amico, il capitano Benjamin Spooner Briggs. Mentre si lisciava la lunga barba che arrivava fino al petto, malediceva gli ammortizzatori sfasciati della carrozza e rimpiangeva le onde del mare in tempesta, alle quali era molto più abituato. Stava ripensando con soddisfazione alla cena appena conclusa. I due capitani si conoscevano da lungo tempo e, sebbene i loro caratteri fossero diversi, il mare e i suoi pericoli li avevano accomunati e si ritenevano entrambi persone oneste. Una coincidenza li aveva fatti ormeggiare vicino in quel piovoso novembre del 1872 e la cortesia di Briggs di invitarlo sulla sua Mary Celeste non si era fatta attendere. Le luci di New York si stavano specchiando sull’East River e poco più in là si poteva vedere l’Hudson procedere lentamente verso il mare. La serata era particolarmente umida e, benché la carrozza fosse piccola e lo stretto contatto con la moglie lo riscaldasse,

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si chiuse istintivamente ancora di più nel cappotto; Morehouse si annotò mentalmente il nome del cuoco che li aveva serviti: Edward Head, un ventitreenne dai capelli rossi, figlio di pescatori, un talento puro per la cucina che aveva imparato il mestiere da un cuoco piuttosto famoso che era stato imbarcato sul Normandia e sulla Saint Margaret. Aveva servito un arrosto di tacchino ripieno, tagliato a fette sottili, contornato da insalata fresca e pomodorini provenienti dall’orto personale del capitano. Quello che mancava era del buon vino per accompagnare la carne, ma con Briggs non c’era speranza. Il capitano della Mary Celeste era un puritano convinto, a sua volta figlio di puritani e padre di due bellissimi fanciulli che stava crescendo con gli stessi principi. La cena era iniziata con una preghiera di ringraziamento e, tutto sommato, a Morehouse questo non era dispiaciuto. Non era solo un luogo comune che tutti i marinai fossero superstiziosi e aggraziarsi questa o quella divinità (o spirito, o fato) era pur sempre buona cosa. Nemmeno lontano dall’oceano un marinaio degno di questo nome si sarebbe inimicato gli spiriti del mare. Quello che a tutti sembrava incredibile era che sulle navi di Briggs non doveva esserci alcol. «Tutti quei liquori» diceva sovente «e il rum e il grog devono restare a terra. Corrompono il marinaio, lo viziano e gli fanno perdere la rotta della propria vita.» Per Morehouse sembrava assurdo. In fondo una razione di rum era il premio necessario per ingraziarsi la ciurma per le manovre ben eseguite, ma soprattutto era il modo per tenere certi marinai avvezzi alla lama del coltello lontano dalla sua gola. «Come fai a navigare per un mese e tenerti buono

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l’equipaggio?» gli chiese una volta. «Di solito imbarco gente che conosco bene o di cui ho referenze esemplari da gente di cui mi fido. Come Charles Cartwright, che mi consigliasti alcuni anni fa. Davvero un ottimo primo ufficiale. Oggi credo sia al comando della Vera Cruz e sono molto contento per lui. Con i membri che non conosco mi comporto onestamente. Penso che seminando onestà non si possa che ottenere in cambio atteggiamenti altrettanto onesti.» In effetti, constatò Morehouse, il suo amico Benjamin Spooner Briggs era famoso nei porti della costa est e in tutti quelli del Mediterraneo per la sua onestà, per l’altissimo rigore morale e per una certa accondiscendenza verso gli uomini dell’equipaggio. Oltre a questo, Morehouse riconosceva a Briggs una notevole esperienza nel trattare con le persone e una innata capacità nel conoscere, dopo poche battute, il carattere di chi gli stava di fronte. Tutto questo in un eccellente marinaio e ottimo capitano. La vera sorpresa era arrivata quasi a fine cena, dopo la comunicazione che la famiglia l’avrebbe seguito; Morehouse era ancora stupito dalla notizia e aveva la scena davanti agli occhi. «In questo viaggio ho deciso che Sarah e Sophia mi accompagneranno. E probabilmente anche nei prossimi» disse Briggs. Morehouse guardò la moglie di Briggs sorridere complice di fronte a lui. «Stai dicendo che tua moglie e tua figlia verranno con te?»

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«Penso che sia un’occasione per me, per vedere Sophia crescere, e per Sarah, per scoprire un po’ di Europa. Non credi?» «E Arthur?» Arthur era il figlio maggiore. «Lui resterà qui e terminerà gli studi. È un dispiacere che la famiglia non resti unita, ma non posso permettergli di interrompere gli studi. Inoltre c’era qualche difficoltà nel trovare un alloggio anche per lui sull’imbarcazione.» Una scelta dettata dalla ragione che non stupì affatto Morehouse. «Saliranno a bordo il 5» aveva continuato Briggs stringendo la mano della consorte, «il giorno della partenza. È inutile costringerli sotto coperta prima del tempo. In fondo non è compito loro sovrintendere allo stivaggio del carico e alla firma dei documenti.» «A proposito, mi hai detto che salpi per Genova, ma cosa trasporti?» «A dire il vero, è una novità anche per me. E la cosa potrebbe risvegliare il tuo spirito ironico. Alcol puro industriale, imbevibile o non avrei mai accettato. È una spedizione della Meissner Ackermann & Co.» La sorpresa era arrivata. Briggs che trasportava alcol. «È un carico pericoloso.» «Non più di molti altri. In fondo sono solo botti da stivare nel modo corretto per tenere nel giusto equilibrio la nave. Non fa molta differenza rispetto a un carico di stoffe.» «È pur sempre alcol» e qui Morehouse si fermò per non richiamare l’attenzione della malasorte sul brigantino dell’amico. Inoltre, in presenza delle rispettive mogli, non voleva preoccuparle troppo o sollevare il problema dell’inesperienza dell’amico con quel tipo di carico.

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Briggs liquidò l’argomento con un gesto della mano. «A parte tua moglie, tua figlia e il cuoco rosso, chi ti governa la nave questa volta?» «Per ora Richardson e Gillings, domani completerò l’arruolamento. Ho sentito parlare di quattro tedeschi in cerca di un imbarco per tornare in Europa. Sembra siano piuttosto capaci. Se il tempo ci aiuta non dovremmo avere problemi.» «Dove, sull’oceano? Senza problemi? È dai tempi dei fenici che navigare è un problema, Benjamin. Se sono i quattro tedeschi della Princess allora stai tranquillo. E questa Mary Celeste sembra piuttosto robusta» aveva bussato con la mano sull’esterno della paratia. Un gesto fatto anche per le donne, anche se con tutta probabilità non c’era bisogno di arrivare a questi gesti puerili per tranquillizzarle. «Winchester ne ha rinforzato la carena al momento dell’acquisto e ha chiesto a me di seguire e organizzare i lavori. È stata una bella spesa, ma in cambio me ne ha ceduto una parte.» «Mi stai dicendo che questo legno è in parte tuo?» quella era stata un’altra sorpresa della serata. «Forse non ti conosco come pensavo, puritano Briggs.» «Metà dell’imbarcazione è dell’armatore Winchester, una buona parte è di mia proprietà mentre la parte restante è di Sylvester Goodwin. La Mary Celeste si è già incagliata un paio di volte e non si è voluto correre ulteriori rischi realizzando i rinforzi. Non ho ancora avuto occasione di portarla in mare aperto, sono curioso anche io. Finora è stata un po’ sfortunata, ma con il capitano giusto può andare lontano. Lo pensa anche Winchester.»

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Anche Morehouse pensava che il suo amico Briggs fosse proprio il capitano giusto per quella nave, per farla andare lontano, per farla fruttare e regalargli una vecchiaia in tranquillità. Il pensiero andò diritto alla sua nave e al suo imminente viaggio. Morehouse capì che oltre alla presenza della moglie gli sarebbe mancato il calore che quell’uomo, severo ma cordiale, era capace di infondere intorno a sé. E in una notte umida e fredda come quella, sballottato da una carrozza scomoda, la mancanza era ancora più accentuata. Per il momento era tranquillo, perché di guardia sul ponte della Dei Gratia c’era Silver Tongue McArthur, uno scozzese di lunga esperienza, ma completamente muto per via di una malformazione alla lingua. Era stato soprannominato Silver Tongue per la sua capacità di mantenere i segreti più spinosi, per non stremare le persone con inutili e fantasiosi racconti di mare, per badare più ai fatti che ai discorsi prolissi. Ma Morehouse aveva voluto McArthur sulla nave per le sue capacità fisiche. Era convinto che il successo di un viaggio dipendesse non tanto dalle qualità morali o intellettuali dell’equipaggio, ma dalla prontezza di riflessi, dalla resistenza fisica, dalla forza rivolta al governo della nave. Lui la definiva “compattezza”. Navigare era un gioco d’equilibrio fra l’oceano e la nave e l’ostacolo andava superato con la forza. Poco importava il passato dell’equipaggio, l’abilità con il coltello, la parlata sgrammaticata. Forza che voleva dire anche rispetto nell’autorità del capitano, coesione con gli altri membri dell’equipaggio, capacità di manovra. E in questo Silver Tongue McArthur era un buon elemento, non il migliore della sua ciurma, ma uno di quelli che formavano l’ossatura portante dell’equipaggio.

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Morehouse sospettava che quella della malformazione fosse una storia inventata, che in realtà McArthur fosse stato catturato e torturato da pirati, forse in quanto ex ufficiale della Marina Britannica. Forse era stato pirata a sua volta. Morehouse in lui vedeva solo l’efficienza per la quale, dopo il primo viaggio, l’aveva sempre voluto a bordo. Mai una volta Silver Tongue, nel mistero del suo silenzio, aveva fatto rimpiangere questa scelta. A sua moglie McArthur non era simpatico, non si fidava di quel marinaio silenzioso e temeva per l’incolumità del marito. Per quanto si fidasse delle sue scelte come capitano, per quanto fosse abituata alle frequentazioni di marinai e ufficiali di marina, divideva la categoria fra delinquenti e uomini rispettabili. Per lei Silver Tongue era fra i primi, suo marito e il capitano Briggs fra i secondi. Morehouse fremeva. Mancavano ancora parecchi giorni alla partenza; adorava il suo mestiere, ma quando la sosta nel porto era così lunga, quando c’era da sovrintendere all’organizzazione del carico e alle carte da compilare, rimpiangeva di aver fatto quella scelta. Lui era un uomo d’acqua; lui navigava per stare in mezzo all’oceano, una costa alle spalle, una davanti, invisibile oltre l’orizzonte. Solo lui, la nave, le onde, il cielo e il vento. Solo la vicinanza della moglie gli permetteva di sopportare gli sgangherati ritmi della terra ferma. Ma il mare era là, si chiamavano a vicenda, una superba amante a cui era impossibile sfuggire e alla quale era impossibile resistere.

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4 novembre 1872 Molo 44 dell’East River – New York “Dopo essere stato testimonio di tali e tante infamie e tradimenti ho concluso che tutte le donne vi sono naturalmente portate, e che non possono resistere alla loro inclinazione. Avendo così riflettuto, mi parve fosse una grande debolezza affidare la propria serenità alla loro fedeltà.” Morehouse sorrise a quel passo e chiuse il libro accarezzandone con cura la rilegatura. Non era un fanatico di libri, ma quei quattro volumi de Le Mille e Una Notte erano un regalo molto speciale e aveva deciso di portarli con sé nel viaggio verso l’Europa. Era pubblicata dalle Edizioni Nomad ed era la traduzione diretta di quella in francese che Galland aveva fatto dall’arabo all’inizio del settecento. Una traduzione priva delle lunghe ripetizioni e delle parti in versi che rischiavano di rendere noiosa e monotona la lettura. Morehouse ci capiva poco di traduzioni, edizioni e versioni, però quei racconti gli piacevano e doveva ammettere che a spingerlo involontariamente verso la lettura era stato il suo amico Briggs, con quella sua aria un po’ sofisticata e l’invidiabile cultura. Ripose il libro assorto in questi pensieri quando qualcuno bussò alla sua cabina. «Capitano, il primo ufficiale Deveau chiede di voi sul ponte.» sentì dall’altra parte della porta. Morehouse aprì e si trovò davanti un glabro marinaio di 22 anni di nome Jeremy Jacobs dalla dentatura superiore troppo sviluppata. Senza dire una parola raggiunse le scale e salì in coperta dove la luce diffusa dal sole di novembre lo colpì agli occhi. Era una bella giornata, i marinai erano occupati a

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stivare il carico e dal molo arrivava la consueta accozzaglia di rumori confusi, versi di animali e bestemmie di marinaio. Gli odori si mescolavano in una miscela salmastra di spezie, legname, pesce e sudore. Dietro di lui sentì la voce del primo ufficiale inveire contro qualcuno giù sul molo, qualcuno che evidentemente aveva dato molto fastidio a Oliver Deveau. Questi era un omone più alto di tutta la testa rispetto al capitano. Aveva uno sguardo perennemente triste e un’ampia stempiatura che per orgoglio aveva compensato con una foltissima barba nera come la pece che gli arrivava fino al collo della camicia. Benché gli occhi languidi potessero far pensare a lui come a una persona mite, nell’animo Oliver Deveau era un uomo risoluto e particolarmente deciso, incline al compromesso se non anche, in caso estremo, all’imbroglio. Ma Morehouse sapeva altresì che era uno dei migliori ufficiali che avesse mai incontrato; non gli avrebbe sicuramente affidato i suoi risparmi di una vita, ma poteva fidarsi ciecamente del suo turno di governo della nave. Il capitano si lisciò i capelli all’indietro e raggiunse Deveau affacciandosi verso il molo. Quel che vide non gli piacque. «Capitano Morehouse!» gridò un uomo nella sua direzione, dal basso verso l’alto. «Che la malasorte vi accompagni! I miei soldi, Morehouse o vi denuncerò all’Ammiragliato!» «Martini, brutto pirata figlio di una cagna! Gli squali non ti hanno ancora levato di torno!» gridò a sua volta il capitano della Dei Gratia, mentre si gettava di gran carriera giù dalla passerella raggiungendo l’uomo. Costui indossava una vecchia divisa da ufficiale della Marina Britannica, ma talmente trasandata, lacera e sporca da sembrare un vecchio

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sacco per le patate. Il volto era rovinato dalle intemperie e dall’ingratitudine del mare e una barba bianca a ciuffi aggrovigliati gli copriva la parte bassa del viso. Teneva il braccio sinistro lungo il corpo come se fosse inabile; con il destro inveiva verso Morehouse sputando saliva e gridando le peggiori ingiurie (dal ladro al truffatore, dal figlio di Giuda al bastardo nato da bastardi) in mezzo alla folla che si stava raccogliendo. Morehouse lo raggiunse e lo prese per la gola spingendolo contro una delle casse che gli uomini del suo equipaggio stavano caricando. Martini quasi soffocò nel suo impeto mentre ricadeva all’indietro, spalle al muro. «Vecchio pazzo bastardo!» inveì Morehouse che era riuscito nel suo intento di farlo stare zitto. «Non solo hai cercato di truffarmi una volta, non solo ti sei imbarcato con false credenziali, non solo mi hai fatto perdere tutto il guadagno del viaggio, ma vieni pure qui a chiedere giustizia? Giustizia? Tu? Vecchia carogna storpia! I tuoi soldi sono stati il nostro risarcimento, tu sei il colpevole, il pirata, il farabutto, tu sei l’uccello del malaugurio. Ladri e gufi come te non dovrebbero più trovare imbarco, stai lontano dal mare o te ne pentirai. Quella notte ti sei giocato solo un braccio, ma la prossima volta potresti non essere così fortunato.» Con un gesto d’ira scagliò il vecchio lungo disteso sul molo bagnato e sporco. Martini si alzò a malapena facendo leva sul braccio sano, tossendo come se fosse prossimo alla fine. Sputato per terra un bolo catarroso, sollevò gli occhi fiammeggianti verso Morehouse e iniziò con voce gracchiante: «I miei soldi, Morehouse, tu mi hai rubato i soldi, il mio carico e la mia vita. Io non avevo niente a che fare con loro»

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sputò di nuovo. «Sentirai ancora il mio nome; ti ricorderai di me, questo sarà il tuo ultimo viaggio, io maledico te, la tua nave e il tuo equipaggio. E maledico i tuoi amici, le loro navi e i loro equipaggi. Troveranno la morte così che tu possa vivere nel rimorso per tutta la vita, perché quello che hai fatto a me ricadrà su di te e diventerai vecchio e storpio e avrai la febbre e i tuoi figli avranno…» A quel punto Morehouse tornò a scagliarsi verso il vecchio marinaio che, dimostrando un’insospettata agilità acquisita in anni di navigazione, sgattaiolò fra la folla, gli animali e i carri, scomparendo dalla vista degli ufficiali della Dei Gratia. Morehouse prese un fazzoletto dalla tasca e si asciugò la fronte. Un mormorio di disapprovazione salì dalla folla che pian piano si disperse. «Vecchio corvo maledetto» disse sottovoce e risalì sul ponte di fianco al suo primo ufficiale. «Signor Deveau, metta un uomo in più di guardia stanotte e se quel farabutto di un italiano dovesse solo guardare lo scafo della nave fatelo catturare e fategli dare tante frustate finché non implora pietà a me, ai miei avi, all’Ammiraglio e alla Regina.» Lo sguardo triste di Oliver Deveau non cambiò, ma una luce sadica si accese nei suoi occhi. Ritornato nella sua cabina, Morehouse guardò i quattro volumi de Le Mille e Una Notte. La bella Shahrazàd, figlia del visir, riusciva con i suoi racconti a tenere lontana la morte che il Re delle Indie voleva darle a ogni alba. Chissà se anche lui avrebbe potuto ricacciare al sorgere di ogni nuovo sole il pericolo della morte, scacciando la malasorte che il vecchio Martini aveva richiamato su di lui e sul suo viaggio,

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diventando come una Shahrazàd dei mari, astuta e vendicativa. 4 novembre 1872 “Sad Old Lady” – New York A quell’ora la taverna era talmente stipata di gente che perfino gli odori sgradevoli e i soliti tanfi nauseabondi non riuscivano a entrare. Ogni minimo spazio era occupato: marinai in condizioni pietose, donne di porto particolarmente attente ai denari e ai facili costumi, camerieri stupidi vessati da un oste obeso la cui unica cortesia consisteva nel picchiare un po’ più piano la moglie secca e isterica. Se di giorno i moli dell’East River erano una babele di lingue e bestemmie, quando calava la notte era il Sad Old Lady a diventare un brulicare di attività illecite, riflessi di lame e urla sguaiate. Nel locale, però, si stava al caldo e a Morehouse piaceva sedersi su una panca di legno, mangiare avidamente lo stufato in compagnia di Deveau e rovesciare un po’ di vino nel versarlo sgarbatamente. L’ora si era fatta tarda nell’assolvere i compiti sulla Dei Gratia e la fame era aumentata. In accordo con il suo primo ufficiale, aveva deciso di mangiare direttamente ai moli anche se questa sua abitudine, che si trascinava da quando era scapolo, era severamente criticata dalla moglie che riteneva il porto un luogo troppo pericoloso. Era molto più tranquilla quando sapeva il marito per mare e solo occasionalmente lo seguiva nei suoi viaggi commerciali. Quella sera Morehouse stava praticamente morendo di fame e piuttosto che cercare una carrozza che lo portasse a casa si era rintanato nella bettola con Deveau. «Posso giurarlo sulle mie budella» stava urlando da qualche

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parte della sala un vecchio ubriacone, «che quel mostro esiste e io ne ho visto uno.» “Certo, certo” pensava Morehouse che aveva una grandissima stima del mare, ma molto minore per certi frequentatori di oceani e taverne. Quanta differenza c’era con la sera prima, nella comoda cabina del puritano Briggs insieme alle proprie famiglie e una cena preparata da un cuoco vero. Briggs, l’ultima persona che avrebbe potuto incontrare in quella lercia e fetida mangiatoia per marinai. Certo il cibo non era male se si arrivava da un mese di navigazione tribolata, ma che differenza con la cucina di Edward Head. Ecco cosa non era mai riuscito a trovare lui: un buon cuoco di bordo. Nella sua carriera aveva stanato ottimi ufficiali, mozzi, nostromi, falegnami, perfino ottimi astemi. Ma mai un ottimo cuoco di bordo con cui attraversare l’oceano trattando bene la pancia oltre che lo spirito. E invece la Mary Celeste, una nave senza bevitori e stipata di rigorosi osservanti delle Sacre Scritture, aveva imbarcato un genio della cambusa. Quanto spreco. Dietro Deveau, calmo come una statua di sale in mezzo a tanta confusione, si sentì un bicchiere andare in frantumi; una donna ormai sfiorita si alzò indignata e si allontanò con le vesti che mettevano in mostra pure troppo di quello che era in vendita. “Dove andremo a finire” pensò il capitano della Dei Gratia “se nemmeno nell’amore mercenario c’è più onestà.” Mancavano ancora parecchi giorni alla partenza per Gibilterra, il carico era quasi tutto imbarcato e l’equipaggio era al completo. Avrebbe preferito partire prima, ma c’erano

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delle incombenze che l’armatore doveva portare a termine e per alcuni giorni sarebbero rimasti bloccati lì. Tanto valeva lasciarsi andare un po’. La confusione aumentava, qualcosa doveva aver colpito l’oste che con una manata gigantesca aveva spedito dietro un tavolo un vecchio sdentato senza più aspettative dalla vita. Nel vociare insistente e mutevole si intrecciavano storie di marinai gonfiate come vele di maestra e piccoli drammi quotidiani. Qualcuno abbandonava la stanza, qualcuno usciva in compagnia facile, qualcuno entrava barcollante per provare a barcollare ancora di più. Il candelabro appeso alle travi del soffitto ondeggiava sinistro e le fiammelle vibravano sospette. Se fosse scoppiato un incendio il fuoco avrebbe purificato i marinai da sporcizia e peccati. «Si alza così!» ripeteva la voce gracchiante di prima mimando un gesto con la mano alzata e le dita piegate verso l’alto. «E prende le navi e non le molla finché non le ha tirate sotto. E mangia tutti, tutti!» Morehouse e Deveau prestarono orecchio. Fra alcune risate di giovani marinai in cerca di imbarco, un vecchiaccio mezzo cieco stava mimando e raccontando le sue esperienze. Quando nemmeno più donne, alcol e mare ti interessavano, ti restava solo una memoria confusionaria che cercava di dare un senso di meraviglia a una vita che forse non era stata così degna di essere vissuta. «Sono enormi, circondano le murate con i loro tentacoli e se volessero potrebbero spaccare tutto. Ma sono furbi, hanno occhi grandi che ti fissano e poi provano a entrare dentro dai boccaporti e tirano fuori i marinai per mangiarli. Alla fine mollano la nave e sembra che sia passato il demonio a rapire la povera gente. Che è quasi vero, perché quella è una

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creatura del diavolo.» «Vecchio pazzo» disse uno dei ragazzi. «Non penserai che ti crediamo, vero?» «Io ne ho visto uno! Era morto e le onde lo avevano portato su un’isola. E aveva ancora quegli occhi che ti guardano anche da morti, perché prima o poi verranno a prenderti!» e così dicendo iniziò a dimenarsi e puntare il dito nodoso verso tutti finché quasi non lo infilò nell’occhio di un ragazzo. D’istinto questi tirò indietro la testa, spostò il braccio del vecchio e lo spinse giù dallo sgabellaccio su cui si era appollaiato. «Ehi! Lascia stare il vecchio Morrigan!» gridò l’oste facendosi largo fra la gente. Qualcuno sosteneva che il vecchio Morrigan fosse il padre dell’oste del Sad Old Lady; altri dicevano che gli aveva salvato la vita. Fatto sta che l’oste si era affezionato a quella vecchia cornacchia e gli dava vitto e alloggio senza contropartita. E lo difendeva pure dalle aggressioni. Iniziò così quella sera la rissa al Sad Old Lady, per colpa di un relitto d’uomo che vaneggiava di mostri marini e navi stritolate, per colpa di un pubblico poco attento e senza rispetto. Pubblico che ancora non poteva capire che il mare l’avrebbe reso uguale a Morrigan; tanti piccoli, nodosi, ansimanti Morrigan in giro per taverne a raccontare di mostri marini, sirene e tempeste improbabili. Era così ai tempi di Odisseo, lo sarebbe stato per i secoli a venire. Forse era solo uno stampo, uno stereotipo, come si legge sui libri, ma quella sera, in quell’angolo di terra vicino al mare, puntuale come una liturgia, si scatenò una rissa enorme, dove amici

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lottavano per amici, anche solo per sfogarsi, anche solo per scacciare la paura di un lungo viaggio in mare, che ti insegnava quando partire, ma non quando e se tornare. Il giovane secco e avido di mare che si schiantò sul tavolo di Morehouse e Deveau sparecchiando cibo e bevande fu il segnale che la rissa iniziava anche per loro. Si alzarono in piedi scocciati ed eccitati e iniziarono a menar pugni a destra e a sinistra, dirigendosi verso il gigante che aveva scagliato il giovane secco. Forse era solo l’alcol andato in circolo, forse era la rabbia per l’incontro pomeridiano con Martini, ma Morehouse adesso voleva sfogare tutta la sua tensione e la sua animosità. Sentiva dei colpi sulla schiena, sentiva qualcosa prendergli le gambe. Con la coda dell’occhio vide Deveau farsi strada fra alcuni marinai biondi, forse danesi, forse svedesi, fino a raggiungere un vassoio sul bancone e poi brandirlo come un randello e sbatterlo sulla schiena a ogni bersaglio che gli capitava a tiro. Proseguì così fra sudore e bestemmie e fracasso e vetri rotti e urla e boati di schianti. Una massa di corpi che si aggrovigliava cercando di dimenticare la fredda brezza di novembre e l’acqua ghiacciata che reclamava corpi a ogni onda. Una rissa; cosa c’era di più banale e ordinario di una rissa in una tavernaccia di porto da offrire ai benpensanti e ai damerini che al di là dell’Hudson passavano le serate a leggere libri finemente rilegati? Dov’era il puritano Briggs con la sua idea di marinaio ligio e fedele, anzi, con la sua idea di uomo ligio e fedele. Come poteva il mare, per natura e non per costrizione, appassionare tanta gente diversa, ciurma male assortita di un

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bastimento grande quanto l’oceano? Più tardi, quando tutto si sgonfiò e i malcapitati si trascinarono alle locande o sulle navi, i due barbuti ufficiali cercarono la via di casa lungo strade scarsamente illuminate e umide, con un nuovo fuoco sacro che li avrebbe ancora una volta spinti per mare. Morehouse sputò per terra e appoggiandosi al primo ufficiale parlò: «Sa una cosa signor Deveau? Una volta mi dissero che per un marinaio era più pericoloso stare a terra fra vicoli bui e taverne polverose che in mare. Se non altro in mare il marinaio trova la pace, a terra al massimo trova una lama che reclama un bottino.» «Anche se il mare è in tempesta?» «Se non altro è un modo meno stupido di morire.» E si avviarono barcollando in cerca di una vettura pubblica che li riportasse a casa. 5 novembre 1872 Molo 44 dell’East River – New York Anche quel giorno il molo era un brulicare di vita, affari, grida, imprecazioni e sudore. Quasi tutte le imbarcazioni stavano caricando la stiva con otri, casse malconce e grossi involti dal contenuto ignoto. Qualcuno stava sferzando una capra per convincerla a salire sul ponte; era latte fresco per il viaggio. Il cielo grigio e basso gravava sulle banchine umide e fredde. Una carrozza si fece largo lentamente fra le persone e i

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carretti. All’altezza della Mary Celeste il cocchiere tirò le redini e fece fermare il cavallo. Il capitano Briggs ne aspettava impaziente l’arrivo e per alcuni istanti aveva persino dimenticato le ultime incombenze per la partenza. Si avvicinò allo sportello, lo aprì e offrì la mano per aiutare sua moglie Sarah a scendere. Lo sguardo dell’uomo si illuminò senza perdere nemmeno un briciolo della fierezza che lo contraddistingueva. Sarah Cobb Briggs aveva un ovale perfetto del volto, un viso sorridente e solare e i capelli scuri, ordinatamente divisi sulla fronte, raccolti dietro la nuca poco sopra il colletto dell’abito. Era alta quasi come suo marito e d’impulso i due si abbracciarono nella confusione e nel vociare caotico del molo. Poi lui guardò lei con fare interrogativo e lei sorridendo e abbassando lo sguardo indicò l’interno della carrozza. «Figlia mia, dove sei?» disse lui mentre con la testa si infilava nell’abitacolo. La piccola Sophia Matilda lo accolse con un’espressione imbronciata che fece sorridere il padre. Come poteva far capire a una bambina di due anni che il viaggio in mare poteva essere una grande avventura se vissuto nel modo giusto? Ci avrebbe pensato dopo, si stava avvicinando l’ora della partenza e dovevano sbrigarsi. La prese in braccio sollevandola da sotto le ascelle e appena fuori dall’abitacolo le indicò i due alberi inclinati della Mary Celeste con le vele perfettamente ammainate. «Ecco la nuova casa, Sophia. Hai visto?» Lei guardò quell’incrocio di sartie, gomene e alberi senza capire e rimase imbronciata. Poi dalla folla si sollevò una voce conosciuta. «Benjamin! Capitano!» gridò Morehouse facendosi largo fra i

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marinai e avvicinandosi alla famiglia. Era accompagnato da un uomo piccolo e pelato, dalla carnagione olivastra e il corpo, cranio compreso, quasi interamente coperto da tatuaggi. Dalle spalle larghe e le gambe piccole, come coloro che sono cresciuti legati a un remo in qualche triremi del Pacifico, dimostrava un’età piuttosto avanzata, quasi fosse il genitore di tutta quella ciurmaglia ammassata sul molo. Briggs si stupì di vedere l’amico Morehouse e soprattutto gli lesse in faccia i segni di una notte passata in giro per qualche locale di dubbia reputazione. Lo biasimò con una sfumatura di benevolenza per il suo comportamento irresponsabile che lo contraddistingueva quando non era a bordo di una imbarcazione e soprattutto lontano dalla moglie. Morehouse era fatto così, ne doveva riconoscere le virtù, ma anche i vizi. La bambina, ancora in spalla al padre, non staccava gli occhi dal vecchio tatuato e Briggs ebbe il timore che la piccola avesse paura dell’uomo. Quando questi la guardò e le sorrise, una luce allegra gli illuminò il volto rugoso e lei sostituì il broncio con una risata cristallina. «Ho portato il vecchio Alosa nel caso in cui avessi avuto bisogno di un aiuto con i bagagli.» disse Morehouse. «Un pensiero davvero gentile, non c’era bisogno, ho l’equipaggio al completo e ci penseranno loro a caricare tutto. Ho il sospetto che in realtà sia tutta una scusa per conoscere mia figlia.» «Tutte e due le cose. Hai un aspetto diverso quando sei con la tua famiglia, sembri più sollevato, più realizzato. Comunque tornerò a salutarti prima della partenza. Se qui è tutto a posto torno al mio brigantino a controllare che il mio equipaggio

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non combini qualche disastro» e dopo essersi congedato dalle signore e signorine si allontanò, seguito dal vecchio Alosa, scomparendo alla vista molto presto, fagocitato dalla ressa e dalla calca del molo. Briggs diede disposizione per i bagagli e invitò la moglie a seguirlo sulla Mary Celeste, la loro casa per i prossimi mesi. Sul ponte trovarono gran parte dell’equipaggio in rassegna pronto per le presentazioni. «Il primo ufficiale Richardson, il secondo ufficiale Gillings, il cuoco Head, Martens, Goodshall e i due che stanno caricando il tuo baule, i fratelli Lorenzen.» Scesero quindi in cabina dove Briggs disse: «Sono ottimi marinai; saranno le uniche persone che vedremo per i prossimi trenta giorni, ma sono fidate, educate e di provata fedeltà. E anche molto devote, non avremo problemi, vedrai.» Passarono ancora venti minuti sotto coperta, dove il capitano aiutò le donne a prendere possesso dei propri alloggi. Sua moglie osservò il molo dall’oblò e si sedette sulla branda. Briggs le porse la figlia che si guardava intorno con la solita espressione imbronciata. Era evidente che quella cabina, sebbene arredata in modo confortevole, poteva sembrare una prigione per lei. E sicuramente le sarebbe mancata la compagnia di Arthur o di un compagno di giochi qualsiasi. Sarah invece si sforzava di sorridere; per quanto riluttante al viaggio, la prospettiva di un periodo da passare in Italia le piaceva e avrebbe fatto il possibile per rendere meno faticoso il viaggio alla figlia. Briggs riconosceva alla moglie una forza di volontà non indifferente e un carattere forte che le avrebbe fatto accettare quell’avventura con il giusto spirito. Il capitano si trattenne ancora un po’ con i familiari

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aiutandoli a sistemare i bagagli più importanti e delicati, alcuni medicinali e alcuni prodotti del loro orto. Quindi salì in coperta dove Richardson lo stava aspettando per la partenza. Erano in perfetto orario, tra poco il rimorchiatore li avrebbe agganciati e trascinati lungo l’East River fino all’Hudson e poi, raggiunta Staten Island, avrebbero preso il largo nell’oceano, prua diretta verso Genova dove il carico di alcol industriale era atteso. Appena arrivato all’aperto Richardson gli si avvicinò con volto preoccupato. «Questa mattina ho chiesto informazioni su quel tale di ieri sera. Si chiama Abel Fosdyk, non lo conoscono in molti, ma qualcuno ha sputato per terra appena ho pronunciato il suo nome. Sembra un uomo abbastanza colto, un giramondo, non cattivo, ma non sempre fortunato.» «È stato visto qualcuno questa mattina vicino alla nave?» «Nessuno, signore. Fosdyk non mi è stato descritto come violento; sembra piuttosto una persona perbene messa in cattiva luce da recenti affari con alcuni compagni. Credo non forzerà la mano.» Nel pomeriggio del giorno prima, poco dopo il tramonto, Briggs era stato avvicinato da un uomo sulla quarantina, mal rasato e con i vestiti di un certo pregio, ma lisi dall’uso continuo. Questi, presentandosi come ex impiegato di una ditta di candele, aveva chiesto, in nome di un patto fra gentiluomini, un imbarco come clandestino sulla Mary Celeste per poter far ritorno in Europa. Avrebbe anche accettato un lavoro come marinaio, ma la sua scarsa attitudine alle attività manuali e la reputazione di cui godeva

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non gli permettevano di abbassarsi a tanto. Briggs, ligio alle norme e al dovere, aveva subito negato categoricamente un intrallazzo di questo tipo pregando il signor Fosdyk, che si era comunque presentato garbatamente, di cercar miglior fortuna presso un’altra imbarcazione o presso capitani meno onorevoli. L’uomo aveva ribattuto così: «Ma signor capitano, al mio ritorno in Europa vi pagherò il disturbo, avrete di che coprire le spese sostenute – mi si permetta di aggiungere che mangio molto poco – e ne resterà sicuramente per qualche piccolo capriccio personale.» «Andatevene signor Fosdyk o sarò obbligato a segnalare la vostra presenza alle autorità portuali. Vi prego di non costringermi ad arrivare a tanto.» Questa era stata la sua risposta finale congedandolo e tornando verso la sua nave. Briggs pensava di incontrare e salutare Morehouse prima della partenza, ma l’amico non si fece vedere, probabilmente trattenuto da qualche impegno improvviso. Forse quel Fosdyk era andato a elemosinare un passaggio anche da lui. La curiosità sarebbe rimasta tale. Sperò solamente che quel signore non si ripresentasse in momenti più sgradevoli. «Per favore, signor Richardson, esegua un’ispezione di persona prima della partenza per accertarci che non ci siano intrusi a bordo. Voglio che sia tutto a posto!» La sua famiglia era con lui, Arthur, il figlio maggiore, era rimasto a terra per ricevere la giusta educazione, l’equipaggio era competente e di suo gradimento, la nave robusta e agile era l’ideale per affrontare il viaggio. Quando vide il rimorchiatore avvicinarsi, abbandonò ogni timore e diede gli ordini per la partenza. Fine anteprima.