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27 Facoltà di Economia, Università di Pavia. 1 C. SCHMITT, Begriff des Politischen, 1932; trad. it. Le categorie del ‘politico’, Bo- logna, il Mulino, 1972, pp. 117-118 e p. 126. IL POLITICO (Univ. Pavia, Italy) 2010, anno LXXV, n. 2, pp. 27-52 LO STATO SOVRANAZIONALE. ORDINE COOPERATIVO E ORDINE COERCITIVO NELL’ESPERIENZA EUROPEA di Guido Montani 1. Esiste una realtà politica sovranazionale? Secondo la dottrina del realismo politico, uno stato sovranaziona- le è un ossimoro. Il punto di vista stato-centrico sostiene che possono esistere rapporti internazionali tra soggetti politici dotati di sovranità, gli stati nazionali, ma non uno stato di stati nazionali, poiché un’entità sovrana non può accettare un potere sovrano a cui sottomettersi. Se- condo Carl Schmitt, la natura stessa dell’agire politico riflette questa concezione delle relazioni internazionali: la guerra non è solo “scopo, meta o contenuto della politica, ma ne è il presupposto sempre presen- te come possibilità reale … un mondo nel quale sia stata definitiva- mente accantonata e distrutta la possibilità di una lotta di questo gene- re, un globo terrestre definitivamente pacificato, sarebbe un mondo senza più la distinzione fra amico e nemico e di conseguenza un mon- do senza politica. … Che lo stato sia un’unità ed anzi l’unità decisiva, dipende dal suo carattere politico” 1 . Tuttavia, quanto più si indaga la realtà politica europea tanto più sembra lecito dubitare che il punto di vista di Carl Schmitt descriva an- cora i rapporti tra gli stati nazionali europei. Dalla CECA, la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, sino al Trattato di Lisbona, il pro- cesso d’integrazione europea è progredito grazie a successive cessioni di sovranità dagli stati nazionali all’Unione europea. L’altro aspetto dell’integrazione europea è l’eutanasia dello stato nazionale sovrano. Senza effettivi poteri sovranazionali, l’Unione europea non potrebbe funzionare. La sovranazionalità è la caratteristica specifica dell’Unio-

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Facoltà di Economia, Università di Pavia.1 C. SCHMITT, Begriff des Politischen, 1932; trad. it. Le categorie del ‘politico’, Bo-

logna, il Mulino, 1972, pp. 117-118 e p. 126.

IL POLITICO (Univ. Pavia, Italy)2010, anno LXXV, n. 2, pp. 27-52

LO STATO SOVRANAZIONALE.ORDINE COOPERATIVO E ORDINE COERCITIVO

NELL’ESPERIENZA EUROPEA

di Guido Montani

1. Esiste una realtà politica sovranazionale?

Secondo la dottrina del realismo politico, uno stato sovranaziona-le è un ossimoro. Il punto di vista stato-centrico sostiene che possonoesistere rapporti internazionali tra soggetti politici dotati di sovranità,gli stati nazionali, ma non uno stato di stati nazionali, poiché un’entitàsovrana non può accettare un potere sovrano a cui sottomettersi. Se-condo Carl Schmitt, la natura stessa dell’agire politico riflette questaconcezione delle relazioni internazionali: la guerra non è solo “scopo,meta o contenuto della politica, ma ne è il presupposto sempre presen-te come possibilità reale … un mondo nel quale sia stata definitiva-mente accantonata e distrutta la possibilità di una lotta di questo gene-re, un globo terrestre definitivamente pacificato, sarebbe un mondosenza più la distinzione fra amico e nemico e di conseguenza un mon-do senza politica. … Che lo stato sia un’unità ed anzi l’unità decisiva,dipende dal suo carattere politico”1.

Tuttavia, quanto più si indaga la realtà politica europea tanto piùsembra lecito dubitare che il punto di vista di Carl Schmitt descriva an-cora i rapporti tra gli stati nazionali europei. Dalla CECA, la ComunitàEuropea del Carbone e dell’Acciaio, sino al Trattato di Lisbona, il pro-cesso d’integrazione europea è progredito grazie a successive cessionidi sovranità dagli stati nazionali all’Unione europea. L’altro aspettodell’integrazione europea è l’eutanasia dello stato nazionale sovrano.Senza effettivi poteri sovranazionali, l’Unione europea non potrebbefunzionare. La sovranazionalità è la caratteristica specifica dell’Unio-

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ne europea che la differenzia dalle tradizionali istituzioni internaziona-li, come l’ONU, il FMI, la WTO. Oggi, nessuno nega che l’Unione eu-ropea abbia poteri sovranazionali, ma quasi nessuno è disposto a rico-noscerne la natura statuale. Ad esempio, Telò considera l’Unione eu-ropea una “potenza civile”, grazie al suo ruolo nella politica interna-zionale, sebbene l’UE non possieda il potere “supremo della sovranitàpolitica, ovvero il potere di decidere la vita e la morte dei suoi cittadi-ni. Questo atto simbolico della potenza sovrana vestfaliana e le sueconseguenze pratiche sono e resteranno inaccessibili all’UE quali chesiano le sue riforme istituzionali e il grado della sua cooperazione mi-litare”2. Questa concezione dell’Unione europea riguarda pertanto nonsolo il suo stato attuale, ma anche la sua possibile evoluzione. L’incer-ta natura dell’Unione europea alimenta un dibattito a non finire. Jac-ques Delors pensa che l’UE possa diventare una Federazione di Statinazionali mentre la Corte costituzionale tedesca la considera uno Staa-tenverbund, un’associazione di stati nazionali sovrani, poco differentedalla fallita Lega delle nazioni. Una federazione è uno stato, un’asso-ciazione di stati non è uno stato.

Se spostiamo la nostra attenzione dall’Europa alla politica mondia-le, i dubbi sulla possibilità che si possa prendere in considerazione laprospettiva di uno stato sovranazionale si accrescono ulteriormente.Jürgen Habermas, il filosofo che ha esplorato con maggiore coerenzae profondità questo problema, non ha esitato a schierarsi a favore delprogetto di Federazione europea, sostenendo la legittimità di una Co-stituzione europea e l’esistenza di un popolo europeo in formazione.Se la politica è stata in grado di “trasformare la coscienza locale e di-nastica in una coscienza nazionale e democratica, perché non dovrem-mo intendere come proseguibile questo processo di apprendimento?”3.Tuttavia, Habermas – che difende con convinzione l’attualità del pro-getto kantiano dell’abolizione dello stato di natura nei rapporti inter-nazionali – non crede che sia possibile realizzare una federazione mon-diale. A suo avviso “lo stato federale democratico di grande formato –la repubblica mondiale – è il modello sbagliato.” Non esiste, infatti,

2 M. TELÒ, Relations internationales. Une perspective européenne, Bruxelles, Edi-tions de l’Université de Bruxelles, 2008, p. 164. Il problema della natura politica dell’U-nione europea è esplorato approfonditamente anche da J-M. FERRY, La question de l’Etateuropéen, Paris, Gallimard, 2000.

3 J. HABERMAS, Der gespaltene Westen, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag, 2004;trad. it L’occidente diviso, Bari, Laterza, 2004, p. 87.

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4 J. HABERMAS, Der gespaltene Westen, cit., p. 128 e p. 129.5 G. MONTANI, L’economia politica dell’integrazione europea. Evoluzione di una de-

mocrazia sovranazionale, Novara, UTET, 2008.

una perfetta analogia tra la transizione da una società anarchica di in-dividui a uno stato nazionale dotato di poteri coercitivi e la transizio-ne in corso da una società di stati sovrani a istituzioni internazionali acui vengono affidati alcuni poteri. Gli stati nazionali già garantisconoi fondamentali diritti liberali, sociali e politici ai loro cittadini e non so-no disposti a rinunciarvi che in misura limitata. “Gli stati – afferma Ha-bermas – che oggi accettano, a prezzo di rinunce alla sovranità, di ade-rire a una cooperazione regolata con altri stati sono attori collettivi ehanno motivazioni e obbligazioni diverse da quei rivoluzionari che untempo hanno fondato gli stati costituzionali”4. Su scala mondiale, per-tanto, è possibile solo una “politica interna mondiale senza un gover-no mondiale”. Esiste un processo in corso di costituzionalizzazionedelle relazioni internazionali e del diritto internazionale. Ma il risulta-to conseguibile è solo una “costituzione destatalizzata”.

Bastano questi pochi cenni al dibattito sulla natura della costru-zione europea e sulle trasformazioni della politica internazionale percomprendere quanto sia atipico, forse avventato, il termine di statosovranazionale. La nozione di stato s’intreccia a quella di sovranità,legittimità, nazionalità, ideologia, politica, democrazia, popolo, ecc.In questo studio, non analizzeremo tali relazioni. L’obiettivo è piùlimitato: ci concentreremo sul significato dei poteri sovranazionali.Il progresso scientifico, nelle scienze della natura come nelle scien-ze sociali, non è possibile se non si esplorano terreni ben definiti. Èin questa prospettiva che ho elaborato questo contributo a una teo-ria dello stato sovranazionale. Esso si fonda su un precedente studioeconomico-politico5 dove avevo cercato di interpretare l’integrazio-ne europea come un processo in cui, da un nucleo sovranazionaleiniziale, la Comunità europea ha via via acquisito i poteri necessariper fornire ai cittadini alcuni fondamentali beni pubblici europei, inparticolare, un Mercato comune e una Moneta unica. L’attuale Unio-ne europea non è solo questo; essa ha i poteri per fornire altri benipubblici europei, ma il Mercato Comune e l’Unione economica emonetaria rappresentano dei casi sufficienti per tentare di estenderela nozione di stato anche al livello sovranazionale. In sostanza, l’in-dagine si propone di esplorare la nozione di stato come un tipo par-ticolare di organizzazione, a cui i cittadini riconoscono un legittimo

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potere coercitivo in grado di fornire alcuni beni pubblici. L’Unioneeuropea, che il Parlamento europeo definisce una democrazia sovra-nazionale, potrebbe pertanto essere considerata come un’Unione ditipo federale (la federazione è un insieme, a più livelli, di governiindipendenti e coordinati) oppure una federazione sovranazionale,dunque uno stato sovranazionale. Se questo tentativo di definire lastatualità europea è corretto, può essere sensato estendere la defini-zione al livello mondiale. Va comunque tenuto presente che alcunistudiosi6 hanno seguito altre vie per esplorare il problema dello sta-to mondiale.

2. Le istituzioni come collante della società

Nelle scienze sociali è cruciale lo studio della cooperazione o delconflitto tra individui e tra stati. La nostra ipotesi è che le istituzionieuropee, in particolare le istituzioni sovranazionali, abbiano svolto unruolo decisivo nell’orientare i comportamenti politici, economici, giu-ridici e sociali degli europei, dal dopoguerra a oggi. Sulle istituzioniconcentreremo pertanto la nostra attenzione. Le istituzioni sono il col-lante della società, nel senso che senza istituzioni è impossibile conce-pire la vita in comunità. L’istituzione fondamentale, senza la quale tut-te le altre sono impossibili, è il linguaggio. Il linguaggio è il requisitoessenziale all’integrazione sociale. Grazie al linguaggio, gli esseriumani possono creare istituzioni impossibili per le altre specie anima-li. In effetti, affinché esista una comunità, al linguaggio si devono af-fiancare altre istituzioni, come la famiglia, il matrimonio, il villaggio,la religione, l’impresa, il partito, lo stato.

Occorre ora chiarire cosa sia un’istituzione. In questa sede ci li-mitiamo a riassumere i risultati conseguiti da Searle7 e da Hodgson8.Per introdurre la questione, ricorriamo a un esempio immaginario.

6 Ad esempio A. WENDT, Why a World State is Inevitable in “European Journal of In-ternational Relations”, vol. 9, 4, 2003, pp. 491-542.

7 J. R. SEARLE, The Construction of Social Reality, New York, Free Press, 1995; trad.it. La costruzione della realtà sociale, Torino, Einaudi, 2006; Mind, Language and Socie-ty, New York, Basic Books 1998; trad. it. Mente, linguaggio, società. La filosofia nel mon-do reale, Milano, Cortina Editore, 2000; What Is an Institution?, in “Journal of Institutio-nal Economics”, vol. 1, n. 1, 2005, pp. 1-22.

8 G. M. HODGSON, What Are Institutions?, in “Journal of Economic Issues”, vol. XL, n.1, 2006, pp. 1-25; On the Institutional Foundation of Law: The Insufficiency of Custom andPrivate Ordering, in “Journal of Economic Issues”, vol. XLIII, n. 1, 2009, pp. 143-166.

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Due tribù vivono in una grande pianura e si procurano gli alimentigrazie alla caccia al bufalo. Tuttavia, i cacciatori delle due tribù en-trano spesso in conflitto per la ripartizione del bestiame da caccia-re. Per ridurre le tensioni, le tribù si accordano per cacciare solo en-tro i limiti di un fiume posto all’incirca alla metà tra i due insedia-menti. I trasgressori del patto sono puniti severamente. Si tratta diuna regola di comportamento che, nella misura in cui è rispettata da-gli abitanti della grande pianura, può essere considerata come un’i-stituzione: il fiume segna la frontiera tra lecito e illecito. Anche nelcaso in cui il fiume dovesse seccarsi, ma la linea di confine restassevisibile e i cacciatori continuassero a osservare il divieto di varcar-lo, possiamo affermare che l’istituzione creata con il patto tra le duetribù sopravviva. In sostanza, le istituzioni sono regole di compor-tamento accettate da una comunità d’individui, sia come consuetu-dine (nel caso in cui esista solo una riprovazione morale della tra-sgressione) sia come imposizione (nel caso esista una sanzione peril trasgressore).

Possiamo formulare in modo più generale queste osservazioni.Affinché esista un’istituzione, gli individui devono osservare delleregole di comportamento secondo le quali nella circostanza X occor-re fare Y. Searle afferma che la struttura logica di un “fatto istituzio-nale” è che “X conta come Y in C”, dove C è il contesto storico-so-ciale in cui viene affermata quella particolare regola. Ad esempio, unpezzo di carta può non avere alcun valore oppure può valere comeuna moneta da 50 euro nell’Unione monetaria europea (un pezzo dicarta X vale come moneta Y nell’UEM). Chi possiede 50 euro nel-l’Unione monetaria può pretendere di liberarsi da un’obbligazionecontrattuale del medesimo valore. La moneta è un fatto istituzionalenel contesto di una serie di istituzioni politiche che includono ancheuna banca centrale a cui è assegnato il compito di emettere moneta edi garantirne il potere d’acquisto.

Un insieme coerente di istituzioni forma un ordine. Si può così de-finire un ordine sociale oppure un ordine politico quando le istituzioniche lo compongono non entrano in grave conflitto tra di loro. Una si-tuazione sociale o politica di ordine si trasforma in disordine quandogli individui o le istituzioni che lo compongono non rispettano più leregole di convivenza originarie. In questo caso si manifesta una situa-zione di anarchia, che può trasformarsi in guerra civile, all’interno diuno stato, oppure in una guerra tra stati, se l’ordine di cui si discute èil sistema internazionale.

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3. La dicotomia pubblico/privato

Dobbiamo ora cercare di definire cosa sia un bene pubblico. Secon-do Norberto Bobbio, le scienze sociali, in particolare il diritto e la po-litica, hanno ereditato dalla tradizione romana la dicotomia pubbli-co/privato. “Si può parlare correttamente di una grande dicotomia – so-stiene Bobbio – quando ci si trova di fronte a una distinzione di cui sipuò dimostrare l’idoneità: a) a dividere un universo in due sfere, con-giuntamente esaustive …; b) a stabilire una divisione che è insieme to-tale … e principale, in quanto tende a far convergere verso di sé altredicotomie che diventano rispetto ad essa secondarie”9.

In economia, la dicotomia pubblico/privato viene utilizzata – nel-l’economia pubblica – ma non esiste una chiara distinzione all’internodella disciplina, come compare nel diritto e nella politica. Spesso la di-cotomia stato/mercato indica che in certe situazioni è il governo, a do-ver regolare certi comportamenti e, in altre, è la concorrenza tra indi-vidui e imprese a decidere il comportamento dei soggetti economici.Tuttavia, in economia la zona grigia tra pubblico e privato è molto am-pia. Basti ricordare, in proposito, che il funzionamento di un’impresanon può essere compreso adeguatamente se non si considerano la legi-slazione sindacale e fiscale, i vincoli ambientali, ecc. Lionel Robbinsha giustamente osservato che “la mano invisibile, che guida gli uomi-ni al perseguimento di fini che non facevano parte delle loro intenzio-ni, non è la mano di qualche dio o di qualche agente naturale indipen-dente dall’azione umana; è la mano del legislatore che sottrae alla sfe-ra del perseguimento del proprio interesse quelle possibilità che non siarmonizzano col bene pubblico”10. Ad esempio, la conoscenza è in li-nea di principio un bene pubblico prodotto spontaneamente dalla so-cietà, ma il governo può intervenire per limitare la diffusione di alcu-ni ritrovati (mediante i brevetti, per incoraggiare gli investimenti nellaricerca) oppure favorire la diffusione dei saperi, garantendo l’istruzio-ne pubblica.

Per analizzare la relazione pubblico/privato, può essere utile ricor-rere a qualche semplificazione. Qui di seguito, analizzeremo il com-portamento razionale, ricordando che la razionalità di cui discutiamoha confini definiti e non può essere confusa con il più ampio campo se-

9 N. BOBBIO, Stato, governo, società. Per una teoria generale della politica, Torino,Einaudi, 1985, p. 3.

10 L. ROBBINS, The Theory of Economic Policy in English Classical Political Econo-my, London, Macmillan, p. 56.

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11 Per un’introduzione, D. B. BARASH, The Survival Game, New York, Times Book,2003; trad. it., Il gioco della sopravvivenza, Milano, Orme editori, 2006; inoltre M. ALLIN-GHAM, Choice Theory. A Very Short Introduction, Oxford, Oxford University Press, 2002.

12 E. A. RUSSO, Il terzo scacchiere. Una approssimazione alle teorie dello stato e deldiritto a partire dalla teoria dei giochi, Padova, CEDAM, 2003.

13 G. M. HODGSON, What Are Institutions?, cit., p. 145.14 In questo articolo, per ragioni di sintesi, ci si è limitati ad una semplice esposizio-

ne verbale. Per una esposizione analitica rimando alla mia pagina web dove è possibile

mantico necessario per discutere della razionalità in un contesto stori-co. Inoltre, la nostra analisi non richiederà la formulazione di ipotesigeneriche sulla natura umana (del tipo: l’uomo è egoista per natura),salvo lo specifico comportamento descritto nel modello. Prenderemodirettamente in considerazione un caso immaginario che descrive lastruttura logica di un comportamento cooperativo o conflittuale, sullabase della teoria dei giochi11. Nella teoria dei giochi si studia il com-portamento di soggetti che devono fare scelte nella consapevolezza chela loro decisione interagisce con quella di un altro soggetto: si studiapertanto l’interazione strategica, a differenza dei modelli tradizionalidella teoria economica in cui gli agenti massimizzano una certa gran-dezza (l’utilità, il profitto).

I limiti di questa metodologia sono stati segnalati da più commen-tatori. Per quanto riguarda il diritto, Russo12 considera i giochi mate-matici come un “pensare non fondato”, perché il compito del diritto èdi mettere continuamente alla prova, in un gioco molto più ampio cheinclude la legittimità del potere politico, le regole esistenti del diritto.Hodgson sostiene che la teoria dei giochi non può offrire risposte sod-disfacenti al problema istituzionale, perché “gli individui e le loro pre-ferenze, così come le strategie possibili e i pay-off del gioco, devonoessere decisi all’inizio. Non ci sono giochi senza regole e pertanto lateoria dei giochi non può spiegare le stesse regole elementari”13. In de-finitiva, per concepire un gioco, il matematico deve immaginare un in-sieme di regole che sono in realtà il prodotto di un processo storico. Leistituzioni devono essere comprese prima e indipendentemente da unateoria matematica. Queste critiche vanno prese in considerazione, manello stesso tempo è opportuno non rinunciare all’uso di strumenti ana-litici che ci consentono di sottoporre ai raggi X, per individuarne loscheletro, un insieme di comportamenti umani. Nulla ci vieta di abban-donare in un secondo tempo le ipotesi semplificatrici iniziali.

Il modello al quale ci riferiamo è il “dilemma del prigioniero”, am-piamente usato nelle scienze sociali14. Supponiamo che due individui,

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X e Y, sospettati di un crimine, siano arrestati dalla polizia. Tuttavia, lapolizia non ha prove precise a loro carico. Li sospetta di un crimine gra-ve, per il quale potrebbero essere condannati a 6 anni di carcere, ma sela polizia non riuscisse a ottenere una loro confessione, li potrebbe farcondannare solo per un reato minore, pari a 1 anno di carcere. Per ot-tenere la confessione, la polizia mette i due sospettati in celle separatee promette a ciascun prigioniero che, in caso di confessione, potrà ot-tenere subito la libertà. Ma, nel caso non confessi, mentre il compliceconfessa, la condanna sarà pari a 9 anni: 6 per il reato commesso e 3per non aver collaborato con la polizia.

Vi sono quattro esiti possibili. Il primo riguarda la situazione in cuientrambi i prigionieri non confessano. Il compenso (o pay-off) per en-trambi sarà pari a –1, vale a dire entrambi saranno condannati alla pe-na minore di un anno di carcere (–1; –1). Per comodità, definiamo que-sto esito anche con (R,R), dove R significa Ricompensa. La soluzioneopposta è quella in cui entrambi i prigionieri confessano. In tal caso sa-ranno entrambi condannati a 6 anni di carcere. Il compenso sarà (–6;–6). Definiamo questo esito con (P,P), dove P significa Punizione. Visono poi due altri esiti possibili. Se X non confessa, ma Y confessa, al-lora il compenso sarà (–9; 0): vale a dire X sarà condannato a 6 anni dicarcere più 3 anni per aver ostacolato la giustizia; Y sarà rimesso subi-to in libertà. Definiamo questo esito con (S,T), dove S significa Scon-fitta e T Tentazione. L’ultimo esito da considerare è esattamente sim-metrico al precedente. Se X confessa, ma Y non confessa, allora il com-penso sarà (0; –9): vale a dire X sarà rimesso in libertà per la sua con-fessione, mentre Y sarà condannato a 9 anni di carcere. Definiamo que-sto esito con (T,S)15.

Va ora osservato che i due giocatori, X e Y, sulla base di un calco-lo razionale, seguiranno una strategia, detta strategia dominante, cheli indurrà a confessare. Infatti, il giocatore X preferirà confessare, per-ché in tal caso potrà uscire subito dal carcere, mentre se non confessas-se – e il suo compare confessa – verrebbe condannato a 9 anni di car-cere. Anche se Y non confessasse, X preferirebbe comunque confessa-re, perché T>R. Ma il medesimo ragionamento vale anche per Y. Il ri-sultato finale di questa procedura è che entrambi i prigionieri, X e Y,

consultare la “Nuova versione della Appendice I.1” in cui compaiono gli esempi qui di-scussi.

15 Per una trattazione più estesa cfr. R. GIBBONS, A Primer in Game Theory, Harve-ster-Wheatsheaf, New Jersey, Englewood Cliff, 1992; trad. it. Teoria dei giochi, Bologna,il Mulino, 1994.

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16 Il caso della mancata cooperazione tra individui per il conseguimento di un benepubblico era già stato analizzato, ma senza ricorrere alla teoria dei giochi, da M. OLSON,The Logic of Collective Action, Cambridge, Harvard University Press, 1965.

riceveranno una condanna pari a 6 anni di carcere. Se avessero coope-rato tra di loro, rifiutandosi di confessare, avrebbero ricevuto solo unacondanna pari a 1 anno di carcere. La non-cooperazione costa loro unapena severa.

L’esito del gioco dipende solo da un puro calcolo dei vantaggi con-seguibili da ciascuno dei due prigionieri. Nessuna considerazione dinatura etica sul valore della cooperazione, della non-cooperazione odel tradimento entra in scena. Si tratta di una logica dell’azione – unastrategia – il cui esito dipende unicamente della situazione descritta.Affinché l’esito sia quello della condanna a 6 anni ciascuno, è neces-sario che i compensi siano ordinabili nei seguenti termini: 0, –1; –6;–9; ovvero T>R>P>S.

Il dilemma del prigioniero è un gioco particolarmente utile per di-stinguere i beni privati dai beni pubblici. I beni privati sono prodottidal mercato, perché esiste una domanda da parte dei compratori tale daindurre alcuni imprenditori a produrli con profitto. I beni pubblici nonsono prodotti dal mercato. Si dice che, in questo caso, il mercato falli-sce. Essi hanno la duplice caratteristica di essere “non rivali” e “nonescludibili”. La rivalità significa che un bene privato è appropriabileesclusivamente da un soggetto economico: se mangio una mela, gli al-tri non possono mangiarla. La non escludibilità riguarda la possibilitàper ogni soggetto economico di usufruire del bene in questione: la stra-da è un bene pubblico su cui tutti possono transitare. Queste caratteri-stiche dei beni pubblici consentono di comprendere meglio perché l’in-tervento di un potere pubblico sia necessario per la loro fornitura. Con-sideriamo un faro, necessario per consentire alle navi di non incagliar-si sugli scogli. Tutte le navi avranno un interesse alla costruzione delfaro e al suo buon funzionamento, tuttavia nessun imprenditore lo co-struirà se sarà impossibile riscuotere un pedaggio. Ogni nave si com-porta da free rider. Nel caso sia necessaria la cooperazione tra indivi-dui per la produzione di un bene pubblico, il risultato finale sarà l’e-quilibrio (P, P), vale a dire la mancata produzione del bene16.

La distinzione tra beni privati e beni pubblici sembra inquadrabilecon sufficiente precisione nella dicotomia pubblico/privato individua-ta da Bobbio. Tuttavia, come si è già avvertito, non tutta la realtà so-cio-economica si inserisce in questo quadro concettuale. Elinor

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Ostrom fa osservare che i modelli, come il dilemma del prigioniero,sulla base dei quali si può dedurre la distinzione polare tra beni pubbli-ci e privati “si basano su presupposti anziché su teorie generali” e chevi sono risorse collettive in cui è possibile che si formino gruppi di ap-propriatori che le gestiscono in comune “in contesti di piccole dimen-sioni” e quando è possibile “che gli individui comunicano e interagi-scono ripetutamente tra di loro”17. Prendiamo il caso di un banco di pe-sci localizzabile in una certa area. Se i pescatori sfruttano singolarmen-te il banco è possibile un eccessivo sfruttamento, tale da portare il ban-co all’estinzione. Se il numero dei pescatori non è troppo elevato e di-venta possibile concordare tra di loro – sulla base di un patto che pre-veda anche delle sanzioni per i trasgressori – di limitare i periodi di pe-sca oppure la quantità di pesce catturato, allora si forma un tipo di ge-stione di un bene comune (commons) che non può essere consideratoné come un bene pubblico tradizionale, la cui fornitura dovrebbe esse-re garantita dallo stato o da una sua agenzia, né come un bene privato,perché nessun pescatore può considerarsi proprietario del banco di pe-sci. Questa indagine della Ostrom è interessante perché mostra comeeffettivamente esista una zona grigia tra beni pubblici e privati, ma lesoluzioni da lei individuate sono applicabili su scala limitata e comun-que sono spesso favorite dall’esistenza di governi locali. Nel caso diproblemi di grandi dimensioni, si pensi all’inquinamento dell’atmosfe-ra causato dai gas a effetto serra, è impensabile che si riescano a rag-giungere risultati soddisfacenti senza degli accordi internazionali e,molto probabilmente, senza forme sovranazionali di governo.

4. L’ordine cooperativo

Hayek18 ha tentato di elaborare una teoria dell’ordine spontaneo, ri-sultante dalla cooperazione tra individui. Per Hayek l’ordine sponta-neo è il risultato “dell’azione umana ma non di un progetto umano”:gli individui cooperano in società ma non sono sempre consapevoli deirisultati delle loro azioni. All’ordine spontaneo, Hayek contrappone

17 E. OSTROM, 1990, Governing the Commons. The Evolution of Institutions for Col-lective Action, Cambridge, Cambridge University Press, 1990; trad. it. Governare i benicollettivi, Venezia, Marsilio, 2006, p. 271.

18 F. A. HAYEK, Law, Legislation and Liberty (vol. I, 1973; vol. II, 1976; vol. III,1979), London, Routledge & Kegan Paul Ltd; trad. it. Legge, legislazione e libertà, Mi-lano, Il Saggiatore, 1986.

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19 R. AXELROD, The Evolution of Cooperation, New York, Basic Books, 1984.

l’ordine artificiale, come le organizzazioni. Qui, cercheremo di mo-strare come un ordine spontaneo possa condurre alla formazione di unordine cooperativo o di un ordine coercitivo. Cominciamo a conside-rare l’ordine cooperativo.

La teoria dei giochi ha elaborato dei casi in cui l’esito finale è rap-presentato dalla cooperazione, quando i due soggetti considerati han-no un interesse a raggiungere e rendere esecutivo un accordo. Tuttavia,il dilemma del prigioniero è particolarmente interessante perché con-sente di descrivere una situazione in cui si passa dalla non cooperazio-ne a una nuova situazione in cui, alla fine, i soggetti cooperano. Hacompiuto questa indagine R. Axelrod19 in uno studio in cui ha propo-sto ad alcuni esperti della teoria dei giochi di elaborare delle strategieiterative, vale a dire dei programmi di risposta a un iniziale dilemmadel prigioniero. L’ipotesi è che i soggetti del gioco possano ripetere leloro scelte tenendo conto dei risultati raggiunti in precedenza. L’esitodi questo torneo è che la strategia più semplice, definita tit for tat (oc-chio per occhio), è risultata la migliore. La strategia consiste nel pro-porre come prima mossa la cooperazione e, successivamente, nel coo-perare dopo che l’altro soggetto ha cooperato oppure non cooperaredopo che l’altro soggetto non ha cooperato. In breve, si applica la re-gola della reciprocità, ma si lascia intendere, con la prima mossa, di es-sere disposti a cooperare. Axelrod può così sostenere che la coopera-zione è possibile anche in un mondo abitato da individui egoisti e inassenza di un governo centrale.

Vi sono casi riguardanti l’economia, il diritto e la politica che pos-sono essere interpretati come un ordine creato da processi iterativi checonducono alla manifestazione di comportamenti cooperativi, senzache nessuno lo abbia pianificato e voluto. Si genera un ordine coope-rativo – che consente la realizzazione di un bene comune – senza ungoverno centrale, dotato di poteri coercitivi (o, nel caso in cui esista ungoverno, senza che questi sia costretto ad usare i suoi poteri coerciti-vi). Tra commercianti, ad esempio, può consolidarsi la convinzione (oetica professionale) che sia più conveniente saldare i debiti alla scaden-za pattuita che non farlo. Un villaggio, una città e una rete di strade sipossono formare come un ordine spontaneo, senza che un governo nepianifichi la creazione e lo sviluppo. Il diritto consuetudinario – si pen-si alle norme che regolano informalmente i matrimoni, l’eredità, ecc.– può essere considerato un ordine cooperativo. Le norme etiche con-

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divise consentono un continuo allargamento dell’area geografica delmercato, poiché il mercato non si fonda solo sulle regole riguardanti loscambio di merci, ma anche sulla fiducia e sulle aspettative. Il contem-poraneo fenomeno della globalizzazione potrebbe essere consideratoun ordine cooperativo formatosi sulla base di una continua estensionedi rapporti di fiducia al livello transnazionale tra soggetti economici inuna situazione politica mondiale di stabilità, in cui la guerra tra grandipotenze è latente, ma sempre meno credibile. Nessun governo mondia-le ha pianificato la creazione di un mercato mondiale integrato, sebbe-ne molti stati abbiano praticato politiche favorevoli al libero scambiodelle merci e dei capitali.

5. L’ordine coercitivo

Prendiamo ora esplicitamente in considerazione la formazione di unordine per la sicurezza con un governo centrale dotato di poteri coer-citivi, in breve, ciò che nel pensiero politico è considerato uno stato. Leistituzioni statuali rappresentano tipicamente un ordine coercitivo, seb-bene sia possibile estendere l’analisi a ordini coercitivi differenti, comegli imperi, i sistemi coloniali, i sistemi internazionali di tipo egemoni-co. Per quanto riguarda lo stato, Max Weber lo considera come “una co-munità umana che nei limiti di un determinato territorio … esige per séil monopolio della forza fisica legittima”20. Lo stato è un ordine coerci-tivo legittimo che assicura un bene pubblico di primaria importanza: lasicurezza dei membri di una comunità politica. Per sicurezza intendia-mo una situazione nella quale gli individui non siano costretti alla scel-ta: mors tua vita mea. Lo stato garantisce la pace civile, una situazionein cui i soggetti non si armano nella ragionevole fiducia che i rapportiinterindividuali si possano sviluppare senza violenza.

Poiché gli stati si sono formati solo in un’epoca relativamente re-cente, una delle questioni più discusse nelle scienze storico-sociali èquella dell’origine dello stato, vale a dire come sia stato possibile pas-sare da una situazione di anarchia, o di disordine, a una situazione diordine, con un potere coercitivo in grado di assicurare la pacificazioneinterna. La questione è naturalmente aperta e, in questa sede, intendia-mo solo accennare ad alcune ipotesi, tra le molte dibattute.

20 M. WEBER, Politik als Beruf, Wissenschaft als Beruf, Berlin, Dunker & Humblot,1921; trad. it. Il lavoro intellettuale come professione, Torino, Einaudi, 1966, p. 48.

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Vediamo in primo luogo perché la sicurezza può difficilmente sca-turire da un patto tra individui. Riprendiamo il dilemma del prigionie-ro, con gli individui X e Y. La situazione (R, R) è il bene sicurezza,quando due individui, ad esempio due coloni, si incontrano in un ter-ritorio disabitato e decidono di convivere nelle vicinanze uno dell’al-tro pacificamente. Se entrambi rispettano il patto, possono dedicarsi li-beramente al proprio lavoro, dissodando terre incolte per ottenere ab-bondanti raccolti. Tuttavia, il sospetto che l’altro possa ricorrere allearmi per difendersi potrebbe indurre uno dei due ad armarsi. La tenta-zione T, rappresenta una violazione del patto, ma garantisce la sicurez-za individuale mediante una possibile auto-difesa. Contare sulle pro-prie forze può essere una scelta migliore che fidarsi della lealtà del pro-prio vicino, che in questo caso, se resta disarmato, si trova in situazio-ne di svantaggio, con un pay-off pari a S. Se anche l’altro colono pre-ferisce l’auto-difesa, rispetto al patto di non aggressione, il risultato fi-nale, sarà l’equilibrio P, P, in cui entrambi gli individui circolano arma-ti e rischiano un conflitto a fuoco (lo stato di natura di Hobbes, in cuiesiste “un continuo pericolo di morte violenta e la vita di un uomo èsolitaria, povera, sofferta, brutale e breve”).

Una possibile soluzione a questo dilemma, in ipotesi, potrebbeconsistere in un eventuale processo d’iterazione, come suggerisceAxelrod. L’iterazione potrebbe condurre a una soluzione cooperativa.Tuttavia, la natura del bene in questione – la sicurezza – esclude que-sta possibilità. Per definizione è in gioco la vita o la morte dei sogget-ti: chi non coopera per primo nel caso in cui l’altro rinuncia alle armi,si assicura il premio maggiore (la vita, con l’uccisione dell’avversario).Anche nel caso di non cooperazione reciproca, non si può sostenereche un ulteriore tentativo possa essere fatto, poiché uno dei due sog-getti potrebbe soccombere.

Si può pertanto comprendere perché la storia non presenti casi ri-levanti in cui gli individui decidono di stipulare un patto per la sicurez-za reciproca. L’esperienza dimostra che gli stati non nascono median-te la stipulazione di patti, ma con un atto di astuzia o di forza da partedi un “principe” o “sovrano” che riesce a imporre la pace civile a unacerta comunità, che diventa a questo punto una comunità politica, cioèuno stato. Pertanto è più corretto definire lo stato come un ordine coer-citivo e non come un patto, sebbene in età moderna, con la nascita del-le prime costituzioni, si siano gettate le fondamenta per passare da unordine coercitivo autoritario a una società regolata da leggi condivise.Machiavelli descrive con ammirazione l’abilità di Cesare Borgia che

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riuscì a conquistare la Romagna, sopprimendo i numerosi “signori im-potenti”. Dopo aver istituito un “buon governo”, si guadagnò la sim-patia di “tutti quelli popoli, per avere cominciato a gustare el bene es-sere loro” (Il Principe, cap. VII).

Al di là di questa spiegazione machiavellica della formazione del-lo stato moderno, possiamo ricordare alcune spiegazioni fondate sullatransizione – “spontanea”, perché non pianificata – da uno stato di na-tura o di anarchia a un ordine coercitivo, cioè un potere legittimato aimporre la pace interna. Robert Nozick21 fornisce una spiegazione teo-rica di un processo spontaneo di formazione dello stato. Meno astrat-tamente, Norbert Elias22 ricostruisce il processo che ha caratterizzatola transizione, in Europa, dal feudalesimo all’età moderna.

Nozick sostiene che nello stato di natura gli individui sono sotto-posti a situazioni estreme di violenza, perché chi subisce un’offesa ten-de a reagire in modo sproporzionato. Si formano delle faide che perpe-tuano la violenza in una serie infinita di atti di rappresaglia. Gli indivi-dui, non solo i più deboli, tendono a ricercare la protezione presso chiha particolari abilità marziali o forza fisica. Si realizza una prima divi-sione del lavoro tra chi chiede protezione e chi la offre. Si formano del-le agenzie private di protezione (Private Protective Agengy, PPA), co-me i cavalieri erranti, i condottieri, gli sceriffi, i samurai. Queste PPA,tuttavia, entrano in collisione tra di loro, perché è indefinito sia il nu-mero degli individui che chiede la loro protezione sia il territorio sulquale operano. Al termine di questo processo di selezione, si formeràuna sola agenzia dominante una certa area geografica (Dominant Pro-tective Association, DPA), formata da un numero ampio di individui(come i signori feudali). La DPA non può ancora essere consideratauno stato perché non ha il monopolio dell’uso della forza: resterannoesclusi gli “indipendenti” cioè quegli individui che non intendono ri-correre ai servizi della DPA. Gli indipendenti saranno inevitabilmentecostretti a farsi giustizia da sé quando entrano in contrasto con altri in-dipendenti o anche con individui che hanno chiesto la protezione del-la DPA. Si creano situazioni di tensione e di pericolo che mettono indiscussione il servizio di sicurezza garantito dalla DPA. La situazionepuò alla fine risolversi mediante uno scambio in cui anche gli indipen-denti accettano la protezione della DPA, in cambio della garanzia che

21 R. NOZICK, Anarchy, State and Utopia, New York, Basic Books, 1974.22 N. ELIAS, Über den Prozess der Zivilisation, Frankfurt, Suhrkamp, 1969; trad. it.

in due volumi, La civiltà delle buone maniere, Bologna, il Mulino, 1982, e Potere e civiltà,Bologna, il Mulino,1983.

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23 R. NOZICK, Anarchy, State and Utopia, cit., p. 113.24 N. ELIAS, Potere e civiltà, cit., vol. II, pp. 298-300.

esistano procedure certe – assicurate da particolari organi, come i tri-bunali – per la difesa dei diritti individuali e la punizione di coloro cheli violano. Così la DPA si trasforma in uno stato “che possiede il requi-sito del monopolio dell’uso della forza in un territorio e che proteggei diritti di tutti nel territorio”23.

Elias studia il “Processo di civilizzazione” che ha trasformatoprofondamente la società europea nella transizione dal medio evo allostato nazionale moderno. Elias indaga l’interrelazione tra struttura del-la personalità individuale e strutture sociali complesse, come le monar-chie. Nel corso del processo di civilizzazione gli individui mutano ra-dicalmente le loro abitudini quotidiane, adottando un nuovo senso delpudore e della ripugnanza. La psicogenesi delle abitudini quotidiane siaccompagna a un mutamento della sociogenesi. Il grezzo signore feu-dale, che vive nel suo castello sfruttando le risorse naturali e umane delfeudo, affina i suoi comportamenti per integrarsi nella società di corte,a fianco degli altri cortigiani e del sovrano. Il potere diffuso nei feudisi concentra nella capitale. La stabilizzazione dei comportamenti so-ciali rende possibile una catena di rapporti sempre più stretti tra grup-pi umani. L’accresciuta interdipendenza sociale facilita una più estesadivisione del lavoro. Elias chiarisce come sia stato possibile il passag-gio da un’epoca in cui esisteva una massa di guerrieri “in libera com-petizione reciproca” a un’epoca in cui l’esercizio fisico della violenzasi è centralizzato ed è diventato monopolio di un monarca. Ecco comeElias riassume i risultati della sua ricerca: “pianificazioni ed azioni,moti emozionali e razionali dei singoli individui si intrecciano costan-temente in modo amichevole o ostile. Questa fondamentale interpene-trazione dei singoli piani e delle singole azioni umane può dar vita acambiamenti e figurazioni che non sono stati progettati né creati da al-cuno. Dall’interdipendenza degli uomini scaturisce un ordine di un ge-nere assai specifico, un ordine più coercitivo e vigoroso della volontàe della ragione dei singoli individui che lo formano. Proprio questo or-dine di interdipendenza determina l’andamento dell’evoluzione stori-ca ed è alla base del processo di civilizzazione. Quest’ordine non è ‘ra-zionale’ – se per ‘razionale’ si intende un ordine costruito a guisa diuna macchina dalla riflessione dei singoli individui – e neppure ‘irra-zionale’ – se per ‘irrazionale’ si intende un ordine sorto in modo in-comprensibile”24.

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L’indagine di Elias mostra che anche lo stato, dunque un’istituzio-ne pubblica per eccellenza, si è formato sulla base di comportamentiumani non pianificati a priori. L’ordine spontaneo non è pertanto tipi-camente rappresentato dal mercato, in contrapposizione a un ordinecoercitivo artificiale, lo stato, come spesso Hayek e i suoi seguaci sem-brano sostenere. Anche le istituzioni coercitive possono scaturire daun’interrelazione di piani individuali, comprensibile dalla ragione, manon progettata da alcun architetto sociale.

6. La coesistenza di ordini cooperativi e coercitivi

Le società umane sono costituite da un insieme di ordini coopera-tivi e coercitivi che coesistono, a volte, in modo armonico, a volte, inmodo conflittuale. Le innovazioni sociali e istituzionali che consento-no ai singoli individui di migliorare le loro condizioni di vita si diffon-dono sovente senza la necessità che un potere coercitivo imponga il ri-spetto di speciali regole di comportamento. In alcuni casi, tuttavia, l’in-novazione socio-istituzionale non si può affermare senza che un pote-re coercitivo fissi alcune regole nuove.

Consideriamo alcuni esempi. Un caso interessante potrebbe consi-stere nel primato della politica sull’ordine cooperativo. Axelrod descri-ve alcuni avvenimenti accaduti nel corso della prima guerra mondiale.Nella guerra di trincea, le truppe nemiche si confrontavano per lunghiperiodi su un fronte diviso da una terra di nessuno. I soldati avevano l’or-dine di sparare a vista sul nemico. Tuttavia, quando si manifestava l’op-portunità di una tregua, per cause accidentali (come una forte pioggia) oper festività comuni (come il Natale), le truppe tendevano a protrarre latregua facendola diventare permanente. I soldati, sui due fronti, senzaconoscersi e senza fraternizzare apertamente, riuscivano a scambiarsi se-gnali d’intesa (come colpi sparati su bersagli innocui), creando così unasituazione del tipo “vivi e lascia vivere”, un ordine cooperativo sponta-neo. Questo risultato era reso possibile, grazie a un processo di iterazio-ne, dal superamento di un gioco che avrebbe condotto allo sterminio re-ciproco se le regole volute dagli stati maggiori fossero state seguite. L’e-sperienza e la volontà di sopravvivere suggerirono alle truppe la ricercadi una tacita intesa. La tregua non dichiarata venne, tuttavia, fatta finirequando gli stati maggiori si resero conto della situazione e imposero al-le truppe di uscire dalle proprie trincee per assaltare il nemico. In questomodo, l’esperimento “vivi e lascia vivere” venne concluso.

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25 Ho analizzato questo caso in G. MONTANI, The European Government of the Eco-nomy, in “The Federalist”, n. 3, 1997, pp. 126-176.

Questo esempio è utile per mostrare come una situazione di ordinecooperativo spontaneo sia facilmente vulnerabile quando un potere po-litico (nel nostro caso lo stato nazionale, che si manifesta attraverso gliordini dei generali) decide di opporvisi. Un ordine coercitivo può tolle-rare la formazione di un ordine spontaneo, ma può anche decidere diporvi fine, quando è in contrasto con le sue finalità. Si potrebbero cita-re casi rilevanti in cui l’ordine cooperativo viene conservato e svilup-pato grazie al sostegno di un potere politico. Lo sviluppo contempora-neo di Internet può essere considerato l’esempio di una rete informati-va adottata in tempi brevi su scala globale. Tuttavia, Internet genera unaserie di problemi, come la diffusione d’informazioni utili alla crimina-lità e al terrorismo, il monopolio da parte di grandi imprese del merca-to culturale, ecc., che sollecitano l’intervento del potere pubblico.

Un caso meritevole di attenzione, per quanto riguarda i rapporti traeconomia e politica internazionale, è il crollo del gold standard avve-nuto allo scoppio della prima guerra mondiale. Il gold standard, forma-tosi nel corso del secolo XIX, può essere considerato come un ordinecooperativo spontaneo, poiché nessun governo ha pianificato la crea-zione di una moneta mondiale, sebbene molti governi abbiano trovatoconveniente accettare le regole del sistema aureo. Si trattava, tuttavia,di un ordine senza governo, che è andato in frantumi quando le grandipotenze europee hanno deciso di scendere in guerra una contro l’al-tra25. Lo scoppio della prima guerra mondiale può essere spiegato co-me la fine dell’equilibrio tra le potenze europee che aveva consentitoall’Europa di mantenere pacifiche relazioni internazionali nel corso delsecolo XIX. L’equilibrio pacifico rappresentò una condizione per laformazione di un’economia internazionale, ma si trattava di un ordinecooperativo senza una regolazione coercitiva mondiale. Nella secondametà del secolo, con l’unificazione italiana e quella tedesca, l’equili-brio venne minato dalla rivalità crescente tra le grandi potenze euro-pee. Riflettendo sulle cause del collasso dell’ordine politico ed econo-mico del secolo XIX, Lionel Robbins ha potuto denunciare il “graveerrore” degli economisti classici, che non avevano saputo “progettare”le istituzioni necessarie al buon funzionamento del mercato mondiale.“L’armonia degli interessi, che secondo le loro previsioni sarebbe sca-turita dagli istituti della proprietà e del mercato, aveva bisogno, comeessi avevano dimostrato, di un apparato atto a difendere l’ordine e la

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legge. Ma mentre questo apparato, per quanto imperfetto, esisteva al-l’interno delle aree nazionali, fra le aree nazionali non esisteva nulla diquesto genere. All’interno di ciascuna nazione essi facevano affida-mento sul potere coercitivo dello stato per armonizzare, mediante limi-tazioni adeguate, gli interessi dei vari individui. Tra le nazioni, invece,essi contavano sull’evidenza dell’interesse comune e dell’inutilità del-la violenza. In altre parole, a questo riguardo, il loro punto di vista nonera liberale, ma implicitamente anarchico”26. Questo monito è attuale,perché la globalizzazione è un ordine spontaneo non governato.

La comprensione delle relazioni tra ordine cooperativo e ordinecoercitivo è utile per lo studio del processo d’integrazione europea e,più in generale, per la formazione di un governo sovranazionale. Vipossono essere casi in cui la cooperazione tra stati diventa possibile subasi spontanee, o intergovernative e casi in cui, per assicurare la coo-perazione tra un gruppo di stati, è necessario un ordine coercitivo: ciòè possibile mediante forme egemoniche, come avviene con un impero,oppure mediante un governo federale che abbia poteri sufficienti perimporre agli stati la fornitura di alcuni beni pubblici essenziali, comela sicurezza, la moneta o il rispetto delle regole del mercato interno.Per chiarire alcuni aspetti di questa interazione, ricorriamo ancora unavolta alla teoria dei giochi. Prendiamo in considerazione il gioco detto“Caccia al cervo”27. Supponiamo che esista un piccolo gruppo di cac-ciatori di cervi, armati di arco e frecce. La cooperazione di tutti è ne-cessaria per catturare la preda. Nel corso della battuta, un cacciatorevede una lepre e decide di catturarla, rinunciando alla caccia al cervo.Una lepre è una ricompensa minore rispetto alla quantità di carne chepuò essere ottenuta da una riuscita caccia al cervo. Tuttavia, è una ri-compensa certa, che può essere ottenuta individualmente. Ogni caccia-tore, può dunque scegliere tra cacciare il cervo, mediante la coopera-zione con gli altri cacciatori, oppure cacciare la lepre.

Questo caso può essere rappresentato da una serie di pay-off i cuivalori sono ordinabili così: R>T>P>S. Va subito notato che non si trat-ta del dilemma del prigioniero, dove T>R>P>S. A differenza del dilem-

26 L. ROBBINS, Economic Planning and International Order, London, Macmillan,1937; trad. it parziale in Il federalismo e l’ordine economico internazionale, Bologna, ilMulino, 1985, p. 68.

27 Cfr. D. P. BARASCH, Il gioco della sopravvivenza, cit., pp. 186-192; e K. BINMORE,Playing Fair. Game Theory and the Social Contract, vol. I, Cambridge, The MIT Press,1994, pp. 120-125. Per un’analisi numerica di questo caso rimando alla mia pagina perso-nale, come indicato in nota 14.

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28 Come sostiene R. J. AUMANN, Nash Equilibria are not Self-enforcing, in J.J. GAB-SZEWICZ, J.-F. RICHARD, L.A. WOLSEY (eds), Economic Decision-Making: Games, Econo-metrics and Optimisation, Amsterdam, North-Holland, 1990.

ma del prigioniero, il gioco “Caccia al cervo” ammette due equilibri:il caso in cui i soggetti cooperino, con pay-off (R, R) e il caso in cuientrambi non cooperino, con pay-off (P, P). I soggetti ottengono lamassima ricompensa (R) quando cooperano, ma ricavano una ricom-pensa minore (P) se non cooperano. Si può ottenere un vantaggio (lelepri, T) tradendo il patto stipulato con i propri compagni, i quali secontinuano nell’impresa rischieranno di non ottenere nulla (S). Se tut-ti defezionano, è possibile che le lepri catturate siano poche per tutti(P<T). Il fatto che i cacciatori possano parlare tra di loro, con eventua-li solenni promesse di rispettare il patto, non cambia l’esito del gioco:esso dipende solo dal calcolo dei pay-off ottenibili28.

La “Caccia al cervo” può illustrare situazioni rilevanti del proces-so di integrazione europea e internazionale nel corso del quale si pre-sentano casi che possono essere affrontati, con risultati modesti, con lacooperazione intergovernativa, oppure con risultati più soddisfacenti,con il ricorso al potere coercitivo delle istituzioni sovranazionali esi-stenti (il “metodo comunitario” nella UE).

Consideriamo la Strategia di Lisbona, decisa dal Consiglio euro-peo nel 2000, affinché l’economia europea potesse diventare, entro il2010, l’economia fondata sulla conoscenza più dinamica del mondo.La Strategia di Lisbona è fondata sul cosiddetto open method of coor-dination. In effetti, i governi nazionali hanno assegnato alla Commis-sione europea solo un compito di coordinamento e si sono riservati diprendere al livello nazionale, senza nessuna costrizione, le decisioninecessarie a perseguire gli obiettivi concordati. Fra questi, particolar-mente rilevante spiccava quello di raggiungere il 3% del PIL in inve-stimenti per la ricerca e l’innovazione. Possiamo assegnare a questoobiettivo i pay-off (R, R), per due gruppi di paesi X e Y. La situazionein cui si trovava allora l’UE era preoccupante: in effetti, esisteva ungrave ritardo europeo – l’UE spendeva solo il 2% – nei confronti del3% di USA e Giappone. Nel corso del decennio, tuttavia, avvenne cheil gruppo Y di paesi si comportò da free rider: se ciascuno avesse con-tinuato a impegnarsi poco nella ricerca avrebbe comunque potuto go-dere dei benefici – le ricadute oltre frontiera – dei paesi del gruppo X.I pay-off, in questo caso, sarebbero stati (S, T). Il risultato finale è tut-tavia differente. A dieci anni da quella decisione si può costatare che i

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governi europei, all’inizio unanimemente concordi nella caccia al cer-vo (3% del PIL), alla fine hanno catturato una lepre (2% del PIL) – conpay-off (P, P). Ciascun governo, al momento di decidere il rispettivobilancio nazionale, non è riuscito a superare le pressioni corporativeinterne, che privilegiavano l’impiego delle risorse finanziarie naziona-li in settori diversi dalla ricerca. Per ottenere un bene pubblico euro-peo, sarebbe stato necessario utilizzare le risorse finanziarie del bilan-cio europeo. Senza un bilancio federale, ogni governo nazionale si ècomportato da free rider. Quando è in discussione un bene pubblicoeuropeo, la cooperazione intergovernativa è un cattivo sostituto di ungoverno sovranazionale.

7. La costruzione dello stato sovranazionale in Europa

Le considerazioni precedenti gettano qualche luce sulla naturadell’Unione Europea, che molti commentatori considerano ancoracome un oggetto non identificato. La discussione sui beni pubblicie sulle loro relazioni con l’ordine cooperativo e quello coercitivopuò aiutarci nella ricerca. Un bene pubblico è spesso definito in al-ternativa ad un bene privato: questo è il punto di vista esaminatodagli economisti, che considerano l’utilità per gli individui che nepossono usufruire. Tuttavia, il punto di vista dello scienziato dellapolitica è differente. La nozione di bene pubblico, spesso, non com-pare nei testi di teoria politica, dove troviamo invece trattazioni ri-guardanti le politiche (policies). In effetti, i beni pubblici non po-trebbero essere forniti dai governi se non mediante politiche cheimpiegano le risorse finanziarie e morali dello stato per garantire aicittadini alcuni diritti collettivi. Ad esempio, la sicurezza è un benepubblico che un governo può garantire, nei confronti di minacceesterne allo stato, solo se mantiene in efficienza un esercito. In so-stanza, il bene pubblico “sicurezza” corrisponde a una politica chegarantisce il “diritto dei cittadini alla sicurezza”. Per questo, il be-ne pubblico è non escludibile (è un diritto collettivo) e non rivale(è garantito dal governo, dunque non è un bene appropriabile daiprivati).

La costruzione europea è iniziata come un fatto politico: l’obietti-vo era la pace tra le nazioni europee mediante la costruzione delle pri-me istituzioni della Federazione europea. Poco dopo, con l’iniziativadella CED, la costruzione di uno stato federale europeo è divenuta at-

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29 Per l’analisi di questo episodio rinvio a G. MONTANI, L’economia politica dell’in-tegrazione europea, cit., cap. II.

tuale29. Tuttavia, il fallimento della CED ha avviato il processo europeosui binari dell’integrazione economica. Il lungo perseguimento di obiet-tivi economici ha relegato nell’ombra le finalità politiche originarie. Ma,la sostanza dell’integrazione europea – il trasferimento di alcuni poteririlevanti dalle nazioni all’Europa – non è mutata. Dalla CECA sino al re-cente Trattato di Lisbona ogni progresso è consistito nel rafforzamentodei poteri sovranazionali. Con i progetti del Mercato comune e dell’U-nione economico-monetaria, l’Unione europea ha acquisito effettivi po-teri coercitivi. Il Mercato comune non avrebbe potuto funzionare senzauna tariffa esterna comune, l’abbattimento delle barriere doganali inter-ne, un bilancio comune (in particolare, per la politica agricola), senzauna Corte di giustizia che facesse prevalere il diritto comunitario sullelegislazioni nazionali e una Commissione che sorvegliasse il rispettodelle regole comuni sia da parte delle imprese (con la politica anti-trust)sia da parte dei governi (con il divieto degli aiuti di stato alle imprese na-zionali). Ancora più evidente è la creazione di un potere coercitivo euro-peo nel caso dell’Unione monetaria, che è stata possibile solo con la ri-nuncia degli stati membri alle politiche monetarie nazionali.

Si potrebbero evocare altre politiche dell’Unione europea rese pos-sibili dall’utilizzazione di un proprio bilancio. Ma i due esempi di be-ni pubblici europei citati sono sufficienti a chiarire che siamo in pre-senza di una Unione di tipo federale oppure, se si preferisce, di uno sta-to sovranazionale in formazione, seppure con poteri differenti rispettoalla consueta nozione di stato nazionale, perché l’UE non possiede ilmonopolio della forza militare. In effetti, nell’opinione corrente, il mo-nopolio della forza fisica legittima è essenziale affinché si possa defi-nire una comunità politica come stato. Tuttavia, la costruzione dell’U-nione europea, come stato sovranazionale, non ha richiesto la concen-trazione delle forze militari e di polizia al livello europeo perché l’o-biettivo cruciale della Dichiarazione Schuman, vale a dire la pacifica-zione tra i popoli europei, fosse conseguito. Il processo d’integrazioneeuropea ha assicurato la pacificazione interna dell’Europa con mezzinon militari. Se la finalità primaria di uno stato è assicurare la pace in-terna, si può legittimamente sostenere che l’Unione europea è uno sta-to sovranazionale di tipo federale.

A queste considerazioni si potrebbe obiettare che non è chiaro dadove derivi il potere coercitivo dell’Unione europea nei confronti de-

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gli stati nazionali membri, ancora dotati di forze militari e che si conside-rano “sovrani”. Senza aprire una discussione specifica sul problema del-la sovranità, basti osservare che lo stato può essere considerato come unaparticolare forma di organizzazione. Può, in proposito, essere utile richia-mare la definizione di Hodgson: “le organizzazioni sono speciali istitu-zioni che implicano: a) criteri per definire i loro limiti (confini) e distin-guere i loro membri da non membri, b) il principio di sovranità per desi-gnare chi è responsabile, e c) catene di comando che delineano la respon-sabilità all’interno dell’organizzazione”30. Vi sono dunque analogie traquanto accade in un’impresa, in un’organizzazione della società civile, inun partito e in uno stato. Ogni organizzazione si deve porre il problemadi come far valere il principio di sovranità, cioè il rispetto delle decisioniprese dagli organi supremi. Lo stato nazionale ha un particolare potere,che le altre organizzazioni normalmente non hanno: pretendere la vita deipropri membri (i cittadini). Oggi, questo potere non è più disponibile, difatto, ai governi nazionali europei per le ragioni che discuteremo fra po-co. In ogni caso, anche senza questo potere l’Unione europea ha acquisi-to altri reali poteri coercitivi nei confronti dei paesi membri quando sonostati creati i beni pubblici europei di cui abbiamo discusso. La ragione èche nessun paese europeo ha la forza sufficiente per affrontare, in solitu-dine, il mare tempestoso della politica internazionale come stato naziona-le sovrano. L’Unione europea è un’organizzazione la cui solidità dipendedal fatto che il trasferimento di alcuni poteri sovrani dalle nazioni all’Eu-ropa rappresenta una condizione per la sopravvivenza degli stati membri.

Lo stato è un’organizzazione che dispone di poteri coercitivi legitti-mi, qualunque sia l’ordine temporale della loro acquisizione. Per quantoriguarda l’Europa, il fatto che questo processo sia ancora in corso – e cheprogredisca verso nuovi obiettivi, come una politica estera e di sicurezzacomune – nulla toglie alla sostanza del problema: l’Unione europea è unostato federale in costruzione.

8. Chi garantisce il diritto alla vita ai cittadini del mondo?

Gli stati si sono formati per garantire la pace civile – ovvero il di-ritto alla vita o il bene pubblico sicurezza – ai propri sudditi (o cittadi-ni) e per difenderli dalle minacce esterne, in particolare dai tentativi de-gli altri stati di sottometterli. Lo stato nazionale sovrano è considerato

30 G. M. HODGSON, What Are Institutions?, cit., p. 8.

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31 J-L. QUERMONNE, L’Union européenne dans le temps long, Paris, Presses de la Fon-dation nationale des sciences politiques, 2008, pp. 33-34.

come la formula politica che nell’età moderna garantisce l’indipenden-za e l’autonomia di un popolo. Oggi, si sostiene che, poiché non esisteun sovrano mondiale, gli stati sono i soggetti attivi della politica inter-nazionale, perché solo gli stati sovrani possono ricorrere alla forza mi-litare quando la diplomazia fallisce.

Questa dottrina, nota anche come paradigma vestfaliano, si fondasulla nozione giuridica di sovranità, che consente di porre tutti gli sta-ti, formalmente, su un piede di parità negli organismi internazionali.Ma, al di là di questa formula giuridica, quali poteri hanno oggi gli sta-ti e in quale direzione si sta avviando la politica internazionale dopo lafine della guerra fredda? Jean-Louis Quermonne osserva giustamenteche l’Unione europea ha aperto “la via a una profonda mutazione di-plomatica, se confrontata allo stato di cose fondato – a partire dai trat-tati di Vestfalia e ribadita per questo aspetto dalla Carta delle Nazioniunite – sulla sovranità degli stati”31. L’ipotesi che ci sembra ragione-vole sostenere è che quanto è avvenuto in Europa – un processo di in-tegrazione sovranazionale – si stia manifestando ora a livello mondia-le: gli stati nazionali sovrani, solo cooperando, possono affrontare legrandi sfide globali.

Il paradigma di Vestfalia è minato al suo interno da almeno duecontraddizioni insanabili. La prima è che gli stati nazionali, anche leex-superpotenze, sono sempre meno in grado di garantire con le pro-prie forze la sicurezza dei propri cittadini. Nel passato, lo stato nazio-nale, se dotato di un esercito ben armato e addestrato, poteva preten-dere una lealtà assoluta dai sudditi, perché la vita di ciascuno dipende-va dalla sua forza. Questa situazione è profondamente mutata. Con lascoperta delle armi nucleari e la costruzione di vettori sempre più po-tenti, nel corso della guerra fredda, le due superpotenze hanno resopensabile l’olocausto nucleare, vale a dire la distruzione reciproca el’annientamento di gran parte del Pianeta. Gli altri stati poco o nullapotevano fare per evitare un destino tragico (l’acronimo MAD, MutualAssured Destruction, designava con precisione questa folle strategiamilitare). Dopo la caduta del Muro di Berlino, l’URSS si è disgregatae gli Stati Uniti hanno occupato in solitudine il primato della scenamondiale sino agli inizi del nuovo secolo. Tuttavia, il fallimento dellapretesa di esportare con la forza la democrazia nel mondo e la crisi fi-nanziaria del 2008 hanno mostrato quanto fosse illusoria la prospetti-

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va di un mondo monopolare, auspicato e teorizzato nell’ultimo scorciodel secolo XX. Ora, nel nuovo mondo multipolare le armi nucleari sistanno diffondendo in tutti gli stati che pretendono di salire nella scalagerarchica delle potenze, mentre alla proliferazione nucleare si aggiun-ge il pericolo della possibile diffusione di altre armi di distruzione dimassa, come le armi batteriologiche. Inoltre, la tecnologia moderna of-fre infinite occasioni di sterminio, mediante l’uso criminale di tecnolo-gie civili: si pensi a un aereo dirottato su una centrale nucleare oppurealla possibilità di coltivare, in piccoli laboratori, agenti patogeni32. I go-verni nazionali cercano affannosamente di mantenere il controllo dellasituazione mediante forme di cooperazione internazionale. In realtà, ildiritto alla vita dei cittadini del mondo non può più essere garantito dauna pluralità di centri nazionali di potere, quando la minaccia può mate-rializzarsi in qualsiasi località e le frontiere nazionali, sempre più poro-se, sono attraversate quotidianamente da persone, merci e idee. Per im-pedire le azioni criminali progettate da individui, gruppi terroristici o sta-ti canaglia diventa necessario istituire una “polizia sovranazionale” esviluppare un senso civico di lealtà verso i propri simili, senza alcuna di-scriminazione di nazionalità, etnia, religione o fede ideologica.

Il secondo problema riguarda una minaccia nuova, che non si era ma-terializzata nelle prime fasi della rivoluzione industriale. Oggi, in tutti icontinenti, è in corso un poderoso processo di industrializzazione. Nonsono più solo i popoli occidentali a produrre ricchezza e benessere. Ladiffusione mondiale delle tecniche di produzione di massa avviene a rit-mi spettacolari, per milioni di esseri umani sino a pochi decenni fa con-dannati alla miseria. Tuttavia, l’altro aspetto del problema è rappresen-tato dalla devastazione dell’ambiente naturale, dalla deforestazione, dal-la crescente scomparsa delle specie animali e vegetali, dal prosciuga-mento delle acque potabili, dall’inquinamento degli oceani e dell’atmo-sfera. Una crisi ecologica irreversibile si profila all’orizzonte. La biosfe-ra è un sottile strato che avvolge un Pianeta in cui la vita è germogliatagrazie a una lenta evoluzione di un ambiente geografico favorevole e dispecie animali e vegetali di cui solo da poco cominciamo a scoprirne isegreti. L’umanità, con le sue frenetiche attività economiche, che gene-rano cumuli di rifiuti tossici, minaccia di trasformare la Terra in un pia-neta senza vita. La vita sulla Terra, compresa quella di homo sapiens, è

32 Su questi problemi cfr. M. REES, Our Final Hour. A scientist’s warning: how ter-ror, error, and environmental disaster threaten humankind’s future in this century on earthand beyond, New York, Basic Books, 2004; trad. it. Il secolo finale. Perché l’umanità ri-schia di autodistruggersi nei prossimi cento anni, Milano, Mondadori, 2005.

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33 F.A. HAYEK, The Counter-revolution of Science: Studies on the Abuse of Reason,London, The Free Press of Glencoe, Collier-Macmillan, 1952; trad. it. L’abuso della ra-gione, Firenze, Vallecchi, 1967.

minacciata. Nessuno stato è in grado, da solo, di promuovere un pianoper la salvezza del Pianeta. Le numerose conferenze intergovernative sulclima, sulla biodiversità e sulle energie rinnovabili non sono riuscite, si-nora, a raggiungere risultati significativi e, quando ci riescono, poco do-po cominciano le defezioni (la caccia alla lepre). Ciascuno accusa delfallimento gli altri, perché ogni governo difende gli interessi nazionali.Chi è responsabile della vita sul Pianeta?

L’umanità è divenuta una comunità di destino. Ma nessuno progettail suo futuro. Lo stato nazionale sovrano è un idolo evanescente, con se-guaci sempre più scettici: si sta de-sacralizzando. È nato per organizzaredelle società chiuse; sopravvive in un mondo aperto e interdipendente.Nel passato si sacrificava la vita per difenderlo. Oggi, gli eserciti nazio-nali reclutano solo volontari ben pagati, in concorrenza con il mercato. Ineffetti, contro quale nemico è necessario battersi? Le vere minacce sonoglobali. Per questo le identità nazionali sbiadiscono e la politica, prigio-niera entro i confini nazionali, appare priva di senso. Un mutamento diparadigma è necessario. Progettare il futuro dell’umanità è non solo pos-sibile ma necessario, al contrario di quanto pensava Hayek. Non si abusadella ragione33, anzi se ne fa un buon uso, quando si progettano le istitu-zioni con le quali l’umanità può decidere come e con quali mezzi affron-tare le grandi emergenze che mettono in pericolo la sua esistenza.

Abstract - According to the doctrine ofpolitical realism a supranational state is a con-tradiction in terms. The nation state is a sov-ereign body and a state of nation states is im-possible, because only nation states have thesovereign power to declare war and peace.According to Carl Schmitt a peaceful word, inwhich the distinction between friends andfoes is abolished, is the end of politics itself.However, the European experience showsthat the pooling of national sovereignties toform supranational institutions is possible.Observing that the European Union evolved,without major institutional changes, from theoriginal federal core of 1950, the Authormaintains that the EU represents a first exper-iment of a supranational state, still open to

further progress. On the basis of Max Weber’sthe classical definition of, we can say that thestate is a specific organisation, which, thanksto coercive lawful powers, is capable of pro-viding its citizens with public goods. Fromthat point of view, since the European Unionprovides the European citizens with a singlemarket, a single money and other publicgoods, we can argue that the EU has some ofthe specific features of a supranational state.Moreover, considering that the European Par-liament has obtained a co-legislative poweron many issues and that the European Courtof Justice has the power of making the Euro-pean laws prevail over national laws, one canalso say that the European Union has manyfeatures of a Federal state.

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CONTEMPORANEA

Rivista di storia dell’800 e del ’900

Anno XIII, n. 5, luglio 2010

ArgomentiLAURA DI FIORE, L’islam di A.J. Toynbee. Prima di Huntington, oltre HuntingtonFEDERICO MAZZINI, Patriottismo condizionato. Identità e patrie dei soldati trentini, 1914-

1920ANNA ROSSI-DORIA, Gli studi di storia politica delle donne sull’Italia repubblicana

TracceIl colore del petrolio. Ernest Dichter, la benzina e la questione razziale, a cura di FERNANDO

FASCE

In evidenzaL’insegnamento della storia: una questione aperta, a cura di MARIA SERENA PIRETTI. Inter-

vengono Aurora Delmonaco, Simonetta Soldani, Andrea Graziosi, Alberto MarioBanti, Giovanni Sabbatucci, un gruppo di studenti universitari

BersaglioLa mano visibile di Alfred D. Chandler Jr., Un dibattito a cura di Daniela Luigia Caglioti,

con interventi di Nuria Puig, Pier Angelo Toninelli, Franco Amatori, Andrea Colli,Philip Scranton

LaboratorioMARCO MERIGGI, Storie mondiali dell’Ottocento

Abstracts